Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

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L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

ANNO 2023

L’AMBIENTE

SECONDA PARTE


DI ANTONIO GIANGRANDE

 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO


 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2023, consequenziale a quello del 2022. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.


 

IL GOVERNO


 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.


 

L’AMMINISTRAZIONE


 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.


 

L’ACCOGLIENZA


 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.


 

GLI STATISTI


 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.


 

I PARTITI


 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.


 

LA GIUSTIZIA


 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.


 

LA MAFIOSITA’


 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.


 

LA CULTURA ED I MEDIA


 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.


 

LO SPETTACOLO E LO SPORT


 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.


 

LA SOCIETA’


 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?


 

L’AMBIENTE


 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.


 

IL TERRITORIO


 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.


 

LE RELIGIONI


 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.


 

FEMMINE E LGBTI


 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 


 

L’AMBIENTE

INDICE PRIMA PARTE


 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

A Tutela delle Piante.

La Pulizia.

La Conservazione.

La Ristorazione.

Il Pomodoro.

L’Origine Controllata.

Made in Italy.

I Cibi che fanno bene e fanno male.

Gli Alimenti Alternativi.

Il Biologico.

Vegani e Vegetariani.

La Verdura.

Latte e Formaggi.

Il Pesce.

La Carne.

I Legumi.

Grano e suoi derivati: Pane, Pasta, Dolci.

La Polenta.

Cacao e Cioccolato.

Il Torrone.

Il Sughero.

Il Vino.

I Distillati.

L’Olio.

L’Acqua.


 

INDICE SECONDA PARTE


 

SOLITO ANIMALOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Le 9 scoperte più curiose del 2022.

A tutela degli animali. 

Il Patriarcato.

Il Matriarcato.

Le Razze Aliene.

Pesci e/o Mammiferi.

I Molluschi.

Polli e… Bio dei paesi tuoi.

I Primati.

I Lupi.

I Cani.

I Felini.

Le Mucche.

I Maiali.

Il Riccio.

I Topi.

Le Api.

I Cavalli.

Gli Orsi.


 

INDICE TERZA PARTE


 

IL SOLITO TERREMOTO E…(Ho scritto un saggio dedicato)

2022: eventi meteo estremi.

I Giorni della Merla.

La Siccità.

Le Valanghe.

Il Pantano delle Ricostruzioni interminabili.

Terremotati e… mazziati.

IL SOLITO AMBIENTOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Il Buco nell’Ozono.

A tutela dell’ambiente.

Auto Elettriche.

Gli Inquinanti: i PFAS.

Gli Inquinatori.

Gli Inquinati.

L’Edilizia.

Non abbastanza verdi: il Greenwashing.

Le Vittime.

L’oro dai rifiuti.

Quelli che…i Pneumatici.

Quelli che…la Plastica.

Quelli che … il Fotovoltaico.

Quelli che …l’Eolico.

Quelli che…l’Idrogeno.

Quelli che …Il Nucleare.

Quelli che…il Petrolio.

Quelli che … il metanolo verde.

Quelli che …Il Gas.

Quelli che …Il BioGas.

Quelli che …Il Carbone.

Quelli che …l'estrazione mineraria.

Quelli che … l’Amianto.

Quelli che…l’Uranio.

Quelli che…le Terre Rare.

Gli Anti-gretini.

I Gretini.

I Nimbini. Quelli che…sempre no.

La Peronospora.

La Xylella.

 


 

SECONDA PARTE


 

SOLITO ANIMALOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Dal clitoride del serpente ai "tornado" degli ippopotami, ecco le 9 scoperte più curiose del 2022 sul mondo animale. Noemi Penna su La Repubblica il 31 Dicembre 2022.

Il mondo animale non smette mai di stupire. E anche questo 2022 ci ha regalato delle scoperte straordinarie, sorprendenti, ma anche disgustose. Dagli scimpanzé che si automedicano agli ippopotami che vomitano cacca, sino ai clitoridi dei serpenti, ecco 9 storie che ci aiutano a conoscere meglio il regno animale e le sue meravigliose stranezze. 

1. Le api possono cambiare il meteo

Se c’è un piccolo insetto in grado di fare grandi cose, quella è l’apis mellifera. La scoperta, che i ricercatori inglesi hanno fatto misurando i campi elettrici intorno agli alveari, rivela che le api che viaggiano in sciame possono produrre tanta elettricità atmosferica quanto un temporale. E questo può addirittura influenzare gli eventi meteorologici.

2. Gli scimpanzé si curano a vicenda con gli insetti

Grazie ad un video girato nella foresta pluviale del Gabon da Alessandra Mascaro del Loango Chimpanzee Project abbiamo scoperto che gli scimpanzé si applicano a vicenda degli insetti schiacciati sulle ferite. Un medicamento che in effetti può avere effetti antibiotici, antivirali, antidolorifici e antinfiammatori. 

3. Anche i serpenti hanno il clitoride

Un organo biforcuto, noto come "emiclitoride", è stato trovato per la prima volta in almeno nove specie di serpenti. Ma sinora nessuno si era preso la briga di cercarlo. Ora sappiamo che, ad eccezione degli uccelli, i clitoridi si trovano in ogni stirpe di vertebrati, compresi i cugini più prossimi dei serpenti, le lucertole. 

4. Le rane custodiscono il segreto dell'invisibilità

Le rane di vetro sono degli anfibi tropicali dalla pelle trasparente che rende visibile gli organi interni. Ma quella che potrebbe sembrare una vulnerabilità è invece la loro forza: quando dormono diventano praticamente invisibili e questo gli permette di nascondersi in bella vista sulle foglie. I ricercatori della Duke University hanno da poco scoperto il segreto della loro invisibilità: per diventare ancor più trasparenti, quando si addormentano immagazzinano temporaneamente i globuli rossi nel fegato, il che gli permette di non far vedere il sangue che scorre nelle vene. 

5. Le future mamme polpo si autodistruggono

Molte specie animali muoiono dopo essersi riprodotte. Ma nelle madri di polpo questo declino è particolarmente allarmante: quando le uova si avvicinano alla schiusa, smettono di mangiare e diventano inclini all'autolesionismo, tanto da strapparsi la pelle, andare a sbattere contro gli scogli e persino mangiarsi i tentacoli. I ricercatori dell'Università di Washington hanno scoperto che questo comportamento è dovuto a un drastico cambiamento biochimico dovuto proprio alla gravidanza. 

6. I delfini degustano la pipì dei loro simili

I tursiopi assaggiano l'urina dei loro simili per verificare l'identità di un delfino da un altro. Finora sapevamo che imparano a riconoscersi a distanza grazie ai loro fischi distintivi, ma questa era solo una faccia della medaglia. Per certificare l'identità di un amico usano anche il gusto, e quando si trovano davanti a uno sconosciuto, la loro analisi organolettica dura tre volte più a lungo. 

7. I corvi sono più intelligenti di quanto pensi

Fino a poco tempo fa si pensava che solo il cervello degli esseri umani avesse il “dono” della ricorsività, quel processo cognitivo che implica la metarappresentazione e il dedurre qualcosa che non si vede. Ora i ricercatori dell’Università di Tubinga hanno scoperto che i corvi hanno questa abilità e dimostrato che loro intelligenza è paragonabile a quella di un bambino fra i 3 e i 4 anni, superiore anche ai macachi. 

8. Il salto del ragno dopo l'accoppiamento

I ragni maschi hanno delle "catapulte incorporate" che utilizzano per sfuggire al cannibalismo sessuale. Grazie a un video dell'Università Hubei di Wuhan ora sappiamo che subito dopo l'accoppiamento i ragni fuggono dal talamo lanciandosi in aria per sfuggire alla femmina, che altrimenti se lo mangerebbe. E per farlo caricano le loro zampe come se fossero delle molle, il che gli permette di saltare a una super velocità di 88 centimetri al secondo.

9. Gli ippopotami vomitano tornado di cacca

Dopo aver sentito il richiamo di uno sconosciuto, gli ippopotami spruzzano sterco nell'aria in un'esibizione da voltastomaco per marcare il loro territorio il più in fretta possibile. E più è strano e vicino è il verso che sentono, maggiore è la quantità di vomito lanciata a spirale.

Lasciati morire.

Lo Zoo Safari.

Il Macello.

Il Bracconaggio.

Il Regolamento di condominio.

L’Estinzione.

Abusi sessuali.

Maltrattamenti.

Sfruttamento.

I Sacrifici religiosi.

La Sterminazione.

Lasciati morire.

Estratto dell’articolo di Gabriella Cerami per “la Repubblica – ed. Roma” il 28 ottobre 2023.

Via Frattina in pochi istanti diventa il set della grande paura che in questo momento stanno vivendo le metropoli di mezzo mondo. Intorno a mezzogiorno si sente un rumore fortissimo, la folla si disperde, chi scappa verso via del Corso, chi verso piazza di Spagna. Le urla rimbombano. Un negoziante chiama il 112: «Abbiamo sentito degli spari, venite subito». 

Due pattuglie dei carabinieri arrivano a sirene spiegate, dal comando di piazza San Lorenzo in Lucina corrono altri uomini in divisa, sono oltre dieci. Una donna è distesa a terra in stato confusionale e a un metro da lei c’è un cane nero agonizzante, che morirà dieci minuti dopo. Chiazze di sangue ovunque.

Panico tra i passanti. Non si è trattato di una sparatoria, come poi le forze dell’ordine avranno modo di accertare. Ma di un incidente tanto tragico quanto assurdo: Cody, un rottweiler di undici mesi e 60 chili di peso, ieri è caduto da una finestra del terzo piano del civico 59 colpendo alla testa la ventottenne Ludovica C., incinta da sette settimane, mentre passeggiava mano nella mano nel cuore di Roma insieme al suo compagno. 

La donna piange ed è scossa da sussulti di dolore: «Aiutatemi, aspetto un bambino» . Perde sangue da dietro l’orecchio, quasi sviene. La padrona del cane, Emilia Pawlak, scende le scale di corsa: «Non mi sono accorta di nulla. Ero in bagno. Non ho capito cosa sia successo». […]

Nel frattempo, arriva l’ambulanza e la ventottenne viene portata via in codice rosso al Policlinico Umberto I, dove i medici riscontrano un trauma cranico. Dai primi monitoraggi il feto sembra stare bene e che non abbia subito traumi. In ospedale arrivano i genitori di Ludovica, scoprono così, in questo stato di grande apprensione e confusione, che diventeranno nonni perché la figlia ancora non gli aveva comunicato nulla trattandosi delle prime settimane di gestazione. […] 

I negozianti chiamano i veterinari della zona ma nessuno fa in tempo ad arrivare. Cody muore poco dopo e su di lui viene steso un telo giallo termico da cui però si intravede il muso nero immobile e tanto sangue. «Il cane era vivo, si poteva salvare, lo hanno lasciato morire» , dice Giulia, una negoziante che ha assistito a tutta la scena. E Cristina la parrucchiera racconta: «L’ho visto volare. Sembrava un peso morto». […] La padrona rischia l’accusa di lesioni colpose.

Estratto dell’articolo di Salvatore Giuffrida per repubblica.it il 2 novembre 2023

“Mia figlia poteva morire, è stata colpita alla nuca da un cane di 60 chili, è viva per miracolo”. È sconvolto il padre di Ludovica, la ragazza di 28 anni ferita dal rottweiler caduto venerdì scorso dal terzo piano di un appartamento in via Frattina mentre passeggiava con la madre in pieno centro. 

“Dopo che è stata colpita alla nuca per dieci minuti non ha dato alcun segno di vita. Era immersa in una pozza di sangue. Una tragedia del genere è inammissibile, da quel venerdì la nostra vita è cambiata”. 

Titolare di un importante studio legale specializzato nel settore finanziario, 58 anni, l’uomo chiede di mantenere l’anonimato perché in questi giorni sui social e sul web sono apparsi tanti post e commenti contraddittori, anche di minaccia: l’obiettivo principale è difendere la privacy della famiglia. […]

“Sto sentendo tante falsità. Mia figlia è stata colpita da un cane di 60 chili e ha riportato una frattura cranica su tutto il lato sinistro della testa. È stata colpita anche all’orecchio sinistro e rischia di perdere l’udito: probabilmente dopo la gravidanza dovrà sottoporsi a un intervento chirurgico molto delicato per recuperarlo almeno parzialmente. 

Ha subito importanti traumi alla mandibola e ha i denti scheggiati, ha subito un parziale distacco della placenta ma per fortuna il feto è vitale e non rischia di perdere il bambino”. Eppure nei giorni scorsi il fidanzato di Emilia Pawlak, la padrona di Cody, ha detto che il cane non ha colpito la ragazza.

“Le sembrano danni compatibili con una semplice caduta? Mia figlia è viva per miracolo, il cane l’ha colpita alla nuca ma se l’avesse presa al centro della testa probabilmente non sarebbe viva”. Nei prossimi giorni la famiglia di Ludovica procederà a sporgere denuncia per fare luce su quanto successo. Di sicuro la ragazza sta meglio ma ancora oggi è ricoverata al Policlinico Umberto I e si trova sotto stretta osservazione di un’equipe medica con una gravidanza considerata a rischio. 

La sua è una tragedia surreale: da tre anni vive a Losanna dove è manager di una importante organizzazione internazionale, ma era tornata giovedì a Roma per annunciare ai genitori la gravidanza e trascorrere in famiglia il compleanno.

“La sera prima ci ha annunciato la bellissima notizia e il giorno dopo, ovvero venerdì, mia moglie e mia figlia sono andate dal parrucchiere in centro. Una gioia, ero un padre al settimo cielo. Dopo isi sono concesse una passeggiata in centro a Roma: all’improvviso mia moglie sente un boato molto vicino, come uno sparo. Tutti scappano e mia moglie si gira e vede mia figlia sdraiata in terra in una enorme pozza di sangue che le usciva dietro la testa. Non si muoveva, sembrava morta”. […]

Estratto dell’articolo di Marco Carta per repubblica.it il 31 ottobre 2023

Lo spettro della droga e della prostituzione e i presunti maltrattamenti. Le accuse incrociate degli animalisti e le minacce di morte nei confronti della proprietaria del cane. Ma soprattutto il silenzio della vittima, che non ha ancora sporto querela. A distanza di giorni, il pasticciaccio di via Frattina è ancora avvolto dal mistero. 

Il caso del cane Cody, il rottweiler precipitato sopra una donna incinta in via Frattina, continua a far discutere soprattutto sui social network. Anche se le indagini sono ferme al giorno dell’incidente. In attesa dell'autopsia sull'animale, di certo c’è solo che quel giorno non c’è stato alcuno sparo. E che la vittima, una 27enne che vive a Lugano, non è in pericolo di vita. Ma le speculazioni su quello che sarebbe accaduto non si arrestano.

Ad alimentarle, però, sono gli stessi protagonisti. Secondo Emilia Pawk, la proprietaria del cane, la donna incinta rimasta ferita non sarebbe mai stata colpita dal cane. “Mi hanno detto delle persone che erano presenti quando Cody è caduto che non l'ha neanche sfiorata, ma che per lo spavento è caduta all'indietro battendo la testa”. 

Ma i carabinieri, che indagano sul caso, hanno ricevuto testimonianze contrarie. Il cane, precipitando, avrebbe colpito la donna, che poi è caduta al suolo. Ed è qui che entrano in gioco gli animalisti. Le accuse sono due: quella dei mancati soccorsi a Cody, che ha perso la vita dopo che per un’ora è rimasto inerme sull’asfalto. […]

Per l’ex fidanzato della donna, intervistato da Repubblica, l’ipotesi dell’incidente è più che plausibile. Ma l’uomo, a garanzia dell’anonimato, ha anche raccontato di un clima particolare all’interno dell’abitazione. “Emilia mi ha fatto tante follie e io non scarto nulla. La conosco e non mi meraviglierei di niente. Sono scappato dal contesto che la circondava, c’erano sempre situazioni molto strane. C’era sempre un suo amico con cui a volte si picchiavano”.

Le rivelazioni dell’uomo hanno innescato una vera e propria shitstorm nei confronti della proprietaria del cane, che ora teme per la sua incolumità. “Ci hanno accusati di tutto, formulando le ipotesi più assurde di maltrattamento sugli animali, di spari, droga, addirittura prostituzione - ha detto Emilia Pawk a Fanpage - È molto grave che siano stati diffusi i dettagli di dove abito, perché ora ho paura per la mia famiglia, ho due figli minorenni".

Estratto dell’articolo di Salvatore Giuffrida per “la Repubblica - edizione Roma” il 29 ottobre 2023

«Emilia mi ha fatto tante follie e io non scarto nulla. La conosco e non mi meraviglierei di niente » . A distanza di un giorno prosegue il giallo di via Frattina. A parlare è l’ex fidanzato della proprietaria di Cody, il rottweiler precipitato dal terzo piano sopra una ragazza di 28 anni incinta. « Sono scappato dal contesto che la circondava racconta l’uomo che chiede l’anonimato - non era salutare, tutto era una bugia, c’erano sempre situazioni molto strane». 

Per gli inquirenti il caso è comunque chiuso: i carabinieri non hanno trovato nulla in casa di Emilia Pawlak, la padrona di Cody. Eppure ancora oggi non si conosce cosa sia accaduto nell’abitazione e perché il cane fosse sostanzialmente incustodito: gli spari, che non ci sono mai stati, sentiti dai passanti. Forse c’era un gatto sul davanzale o un piccione che ha attirato l’attenzione di Cody che è morto dopo una lunga agonia.

La donna stava in bagno quando Cody è scivolato giù perché sarebbe stato attirato da qualcosa o qualcuno di sotto, ha spiegato a Repubblica. Ma il suo comportamento sin dalle prime ore ha indispettito la galassia social degli animalisti, che fanno capo al gruppo Alf. […] 

«Lei ha sempre avuto animali in casa - prosegue l’ex fidanzato - aveva tre gatti, un riccio e tre cani, un Amstaff morto per un tumore: non aveva un brutto rapporto con i cani, anzi li curava ma i gatti stavano spesso sul cornicione ed è plausibile l’ipotesi che il cane sia caduto per giocare con il gatto».

Però, accanto a quella che per ora sembra la versione più accreditata, l’uomo nutre gli stessi dubbi degli animalisti. «Aveva un rapporto molto particolare con la madre e i suoi due figli, e poi c’era sempre in mezzo un suo amico con cui a volte si picchiavano e poi si chiudevano in bagno per ore. È stata una storia che mi ha cambiato molto, mi sono trovato spaesato».

 

Sembra un racconto da tardo impero nel lusso del centro storico ma va detto che non ci sono inchieste su di lei. «Avevano un tenore molto alto tra vini, spa e lusso. Quando chiedevo dettagli del suo lavoro mi diceva che poi mi avrebbe spiegato. Devo dire che lei si è sempre impegnata a rendere una vita decorosa alla sua famiglia ma era narcisa e non aveva empatia, mi diceva che aveva avuto un brutto passato».

Intanto Ludovica la ragazza colpita da Cody, è ancora ricoverata al policlinico Umberto I ma le sue condizioni migliorano. […]

Estratto dell’articolo di Enrico Tata per fanpage.it il 30 ottobre 2023

Nel cuore del centro storico di Roma, in via Frattina, un rottweiler è caduto in testa a una ragazza di 28 anni incinta. Il cane è morto in seguito alla caduta, mentre la ragazza è stata trasferita d'urgenza al Policlinico Umberto I, ma adesso le sue condizioni sono buone e anche quelle del feto. 

Le indagini su quanto accaduto, tuttavia, sono ancora in corso: come è potuto accadere un fatto simile? Ricordiamo che un cucciolo di rottweiler può arrivare a pesare intorno ai 40 chili. […] Il cane, almeno secondo le prime versioni, è caduto in testa alla ragazza, precipitando da una finestra al terzo piano di un palazzo. 

Una versione, questa, che viene contestata dal compagno della padrona del cane, Codi il nome del cucciolo che purtroppo ha perso la vita. L'uomo ha dichiarato a Fanpage.it che secondo lui il rottweiler è caduto sull'asfalto e la ragazza, per lo spavento, "è caduta a terra battendo la testa". Come detto, la ragazza è rimasta in osservazione nel reparto di Terapia Intensiva del Policlinico Umberto I, ma non è stata mai in pericolo di vita e le sue condizioni di salute adesso sono buone.

"Il giorno dopo abbiamo parlato con vari testimoni oculari, tra i quali una persona che al momento dell'accaduto era accanto alla signora: ha detto che il cane non l'ha nemmeno sfiorata, ma che lei per paura vedendolo cadere si è lanciata all'indietro e ha sbattuto la testa. Un cane di cinquanta chili che cade da un'altezza di tredici metri se colpisce una persona la schiaccia. Il leggero trauma riportato non è compatibile con un peso da una tale altezza. Inoltre dalle foto scattate si vede chiaramente che sono distanti tre quattro metri", ha raccontato ancora l'uomo.

[…] Ma com'è stato possibile che l'animale sia caduto dal terzo piano di un palazzo? Sicuramente la finestra dell'appartamento era aperta e altrettanto certamente la padrona era in casa. L'ipotesi più plausibile è che il cucciolo (undici mesi di età) sia stato attratto da qualcosa, un uccello, un gatto oppure "avrà creduto che qualcuno lo stesse chiamando", è ancora la versione del compagno della padrona del cane. […]

Estratto dell’articolo di Alessio Campana per “la Repubblica – ed. Roma” il 28 ottobre 2023

Signora Emilia, davvero non si è accorta di nulla? 

«Non so come sia potuto succedere, ero in bagno, Cody stava sempre vicino a me. Ho sentito le urla arrivare dalla strada e la mia vicina di casa che mi chiamava e gridava il nome del cane. Ho sentito anche il tonfo».

E cosa ha pensato?

«Mi sono affacciata e ho visto tutto. Disperata mi sono scapicollata per le scale, ho anche lasciato la porta aperta». 

E poi?

«Poi mi sono avvicinata a Ludovica e ho pianto». 

Ludovica le ha detto qualcosa?

«Non riusciva a parlare, le ho detto che mi dispiace». 

Si è avvicinata a Cody?

«Non me lo hanno permesso. Ma perché? Perché?».

Forse perché i carabinieri dovevano fare i rilievi?

«Io e il mio compagno non abbiamo potuto fare nulla. Lui lo avrebbe preso in braccio e portato dal medico. E invece il veterinario è arrivato dopo due ore, quando ormai era morto dopo un’agonia. Mi sentirei meglio se avessi potuto fare qualcosa».

 

Cody era un cane tranquillo o un cane movimentato?

«Aveva undici mesi, lo avevo preso al canile quando aveva quattro mesi, ero disperata perché mi era morto un altro cane e io ho sempre avuto cani. Ne ho altri due e cinque gatti. Era un cane tranquillissimo, che veniva trattato benissimo, 500 euro di cibo al mese, vi assicuro che mangiava meglio di tutti noi. Non era aggressivo».

È possibile che stesse giocando con i gatti e che si sia lanciato dalla finestra?

«Non so perché l’ha fatto, forse la sua attenzione è stata attirata da qualcosa e da qualcuno che era sotto. È impossibile da spiegare. Era un cane intelligente, non è possibile. Queste cose le fanno gli stupidi. Lui andava sugli scogli e sceglieva quello meno appuntito. I miei figli hanno detto “è uno scherzo”. Ho avuto tanti cani, era il più intelligente di tutti». […]

 

Si aspetta di essere denunciata?

«Liberi di farlo, ma non ho colpe. È stato un incidente, mica ho preso il cane e l’ho tirato di sotto. Spero solo che la signora stia bene, che non abbia problemi. Faranno l’autopsia su Cody perché si è parlato anche di spari. Ma se ci fosse stato un proiettile si sarebbe visto».

Dormirà a casa stanotte?

«Sì, senza Cody. Lui stava sempre con me. Non si staccava mai. Anche quando andavo in bagno mi seguiva. Oggi purtroppo no».

Giallo sul rottweiler precipitato dalla finestra a Roma: parla Emilia, proprietaria di Cody. Giorgia Spitoni, Giornalista, su Il Riformista il 6 Novembre 2023

“Mi sono sentita messa in discussione non solo come padrona, ma anche come donna, come moglie e come madre. Si è persino dubitato del mio stato di salute mentale e del modo in cui crescessi i miei figli”.

​Così Emilia Pawlak si sfoga. Sullo sfondo, il paesaggio poetico dell’affascinante Civita di ​Bagnoregio avvolta dalle nuvole in una domenica di pioggia che volge al termine insieme a una settimana altrettanto burrascosa per lei e tutta la sua famiglia. Al suo fianco, il compagno Gabriele, i figli Enrico (17) ed Edoardo (15), e le due cagnoline Audrey e Calliope. Anzi tre, c’è pure Eve, la nuova arrivata, una cucciola di rottweiler dolcemente regalata da uno sconosciuto qualche giorno fa.

​Una gita fuori porta, tutti insieme, nella Città che muore, per riscoprire la bellezza della vita e provare a mettere da parte, anche solo per un attimo, il vuoto incolmabile legato dalla perdita di Cody. Si tratta del rottweiler di quasi un anno che lo scorso 27 ottobre è volato giù dalla finestra dell’appartamento al terzo piano in Via Frattina, una delle vie dello shopping nel cuore di Roma, a due passi da Piazza di Spagna, tra lo sgomento di residenti, turisti e commercianti della zona.

​Dalle ricostruzioni si evince che l’animale si sarebbe avvicinato al davanzale, probabilmente attratto dal rumore o dal passaggio di qualcuno o qualcosa all’esterno, quando avrebbe perso l’equilibrio. Niente di meno di un tragico incidente nel quale è rimasta, tuttavia, coinvolta una donna incinta al secondo mese che sarebbe stata colpita, secondo alcuni, spaventata, secondo altri, dal crollo del cane a tal punto da sbilanciarsi e cadere a terra.

​ È il motivo per cui ora Emilia rischierebbe l’accusa per lesioni colpose. “Chi possiede un cane – ricorda l’Organizzazione internazionale protezione animali – ha l’obbligo di custodirlo sempre con attenzione poiché un cane è come un bambino e dunque va controllato per evitare danni a sé e al prossimo”. Ma questo Emilia lo sa bene, e trema al ricordo della vista del suo Cody agonizzante sull’asfalto in una pozza di sangue. “Ero sola in casa, il mio compagno stava al lavoro e i bambini a scuola – ripercorre l’accaduto – Ero sotto la doccia quando ho sentito un tonfo assodante seguito da grida d’allarme provenienti dalla strada. Mi sono precipitata di sotto e non potevo credere ai miei occhi”.

​“Ci hanno impedito di soccorrere Cody – spiega Emilia – perché i carabinieri avrebbero dovuto prima effettuare dei rilievi, dicendoci che un’ambulanza veterinaria era già in partenza scortata da un’auto dei vigili, ma quando è arrivata sul posto per lui era ormai troppo tardi. Soltanto chi possiede un animale domestico può davvero capire il dolore che proviamo, alimentato dal senso di impotenza. Come se non bastasse, non ci hanno ancora restituito il corpo in attesa di un’eventuale autopsia”.

​Il feto, invece, sta bene – fanno sapere i medici – mentre la ragazza è sotto osservazione al policlinico Umberto I. “Sono naturalmente preoccupata per le sue condizioni, sono una mamma anch’io e so cosa significa perdere una gravidanza. Spero si rimetta bene e in fretta e che, come noi, possa presto lasciarsi alle spalle questa drammatica vicenda che altro non è che una disgrazia imprevedibile” aggiunge Emilia, che in queste ore è bersaglio di insulti e minacce via social e non solo.

​Già, perché l’episodio, che sta facendo discutere tutta Italia, divide l’opinione pubblica, online e offline, tra quanti mostrano solidarietà ad Emilia e quanti, al contrario, ne giudicano operato e stile di vita. Versioni e ricostruzioni si susseguono e sovrappongono, diverse e inarrestabili, a tratti inverosimili. Tutti si sentono in dovere di dire la propria. C’è persino chi insinua sia stata lei a gettare il cane di sotto. D’altronde, in un’Italia più giustizialista che garantista, ci si diverte a fare a gara a chi individua più velocemente il colpevole, che c’è sempre in qualsiasi storia. A maggior ragione se ci scappa la vittima. Eppure, in questa storia, di vittima ce ne è soltanto una. Cody. E a lui va il mio pensiero.

Lo Zoo Safari.

Fasano festeggia lo Zoosafari: 50 anni di natura e meraviglia. Il più grande parco faunistico d’Italia aprì il 25 luglio del 1973. GIANFRANCO MAZZOTTA su Panorama il 22 Luglio 2023

Cinquant’anni di storia, milioni di visitatori, un’azienda che dà lavoro a centinaia di persone; numeri da record che non trovano pari in Italia e in Europa.

Il 25 luglio del 1973, veniva inaugurato lo Zoosafari, un parco zoologico annesso all’azienda agricola Pedali, masseria alle pendici delle colline di Fasano, di proprietà del casato Colucci. L’allora capofamiglia, Gianmatteo (don Matteo per tutti), ebbe un’idea imprenditoriale originalissima, quella di realizzare non uno zoo in cui gli animali erano rinchiusi in spazi angusti, ma un luogo in cui tenerli liberi, in ampi spazi nei quali, attraverso un apposito percorso, i visitatori avrebbero potuto vederli da vicino, a bordo delle proprie auto, come se si stesse facendo un safari. Padrino dell’iniziativa fu Angelo Lombardi, zoologo e conduttore televisivo divenuto noto con la sua trasmissione «L’Amico degli animali», precursore dei programmi di Piero e Alberto Angela. Gli animali come amici e non come specie da sottomettere fu la norma applicata alla nuova struttura la quale, già dopo l’inaugurazione, conobbe un successo inatteso dagli stessi ideatori. La notorietà dello Zoosafari travalicò i confini regionali per divenire una delle attrazioni più ricercate dalle famiglie, dalle scolaresche e dai bambini.

Lo Zoosafari di Fasano fu annoverato tra i più grandi ed importanti parchi d’Europa e i visitatori, a migliaia, giungevano da ogni parte d’Italia per vedere dal vivo quegli animali di cui si era sentito parlare solo in televisione o che sino allora si erano visti in completa cattività negli zoo e nei circhi. «In auto tra le belve» era il motto ella struttura il cui simbolo erano leoni, elefanti, giraffe e scimmie. Così Fasano non fu più soltanto la città della Selva, ma anche la città dello Zoosafari. Col tempo il complesso faunistico si arricchì anche di nuovi interessi come il grande parco di divertimenti con attrazioni dello spettacolo viaggiante, Fasanolandia, un percorso pedonale, il metrozoo, il trenino che attraversa lo spazio abitato da 300 babbuini, considerato il gruppo più numeroso al mondo, il lago (artificiale) dei mammiferi con gli ippopotami e con l’area refrigerata dedicata agli orsi polari, il rettilario, il delfinario e tanti ambienti capaci di meravigliare e sorprendere. L’ambientamento al paesaggio fatto di ulivi e macchia mediterranea è testimoniato dalla capacità di riprodursi di quasi tutte le specie di animali presenti. Ogni anno le nascite sono tantissime e incessanti e in alcuni casi straordinarie come la venuta al mondo di Noel, cucciolo di orso polare, o di un ippopotamo o dei piccoli di delfino. Del resto la struttura si estende su un’area di 140 ettari, accoglie circa 3.000 animali di 200 specie diverse. Dopo 50 anni percorrere il circuito del safari con il proprio veicolo per ammirare e fotografare gli animali resta una delle principali attrazioni che affascina e meraviglia.

Ma negli anni il parco è diventato gradualmente, polo di conservazione, tutela e studio degli animali e luogo di conservazione della biodiversità. Oggi lo Zoosafari è il secondo parco faunistico più grande d’Europa e uno dei più apprezzati. Per celebrare lo Zoosafari e il suo legame col territorio l’amministrazione comunale ha messo a punto un progetto che porterà Fasano alla ribalta internazionale in occasione dei 50 anni del parco. Il progetto ha ricevuto un finanziamento di 350 milioni di euro dal Ministero del turismo; si tratta del «The World of Animals: i 50 anni dello Zoosafari di Fasano» che da ottobre caratterizzerà tutto il centro cittadino. Oggi la struttura è gestita dalla società Leo 3000 S.p.A. che fa capo alla famiglia De Rocchi con Ugo che prosegue nel solco del fondatore garantendo continuità e vitalità a questo importante complesso che offre alla città e all'Italia una istituzione culturale d'inestimabile valore.

Il Macello.

Tutte le crudeltà (legali) che si praticano negli allevamenti e nei macelli. Roberto Demaio su L'Indipendente domenica 16 luglio 2023.

Denti strappati, code tagliate e castrazioni senza anestesia. Alcune pratiche perpetrate sugli animali negli allevamenti e nei macelli sembrano uscite da un film dell’orrore, ma in Italia sono considerate perfettamente legali. Violenze provate dal lavoro, anche sotto copertura, che associazioni per i diritti degli animali come Essere Animali e Animal Equality Italia portano avanti. Denunce provate e documentate con testimonianze, video e foto che provengono da dentro gli allevamenti.

Tra le pratiche legali ma piene di sofferenza che riguardano i suini c’è l’estrazione di denti senza anestesia. L’operatore di un allevamento raccoglie il maialino, gli apre la bocca e gli strappa direttamente i denti con le pinze. A questa prassi si aggiunge poi il taglio della coda e la castrazione, anche queste senza anestesia. È questo ciò che succede in un gran numero di allevamenti intensivi, nonostante il fatto che le pubblicità continuino a raffigurare gli animali allevati su prati verdi e soleggiati.

Le scrofe sono trattate come vere e proprie macchine da parto. Vengono inseminate artificialmente a cicli regolari e, una volta terminata la gravidanza, vengono immediatamente private dei loro cuccioli. Le condizioni di vita sono pessime: capannoni bui e sporchi e gabbie talmente piccole che a volte l’animale non riesce nemmeno a girarsi su sé stesso. Sorte simile per i vitellini: appena nati vengono immediatamente separati dalle loro madri e vengono privati del loro latte, in quanto serve all’industria per il consumo umano. A pochi mesi di vita vengono poi inviati al macello. Le condizioni denunciate trovano riscontro anche in un rapporto pubblicato da Eurogroup for Animals, un’organizzazione paneuropea che si occupa di tutelare i diritti degli animali.

I polli destinati al consumo umano sono chiamati “broiler”. Sono un ibrido commerciale creato dall’industria dopo anni di selezione genetica. Tali polli, sterili e non presenti in natura, crescono così velocemente che a soli 40 giorni i pulcini hanno già le sembianze adulte. Spesso accumulano così tanto peso che non riescono ad alzarsi da terra e non riescono quindi ad arrivare ad acqua e cibo. In molti muoiono per problemi cardiaci ed infezioni legati alla crescita spropositata e alle pessime condizioni di allevamento. Un’indagine condotta dall’associazione Essere Animali in due allevamenti intensivi situati nel nord Italia ha confermato le condizioni denunciate da Animal Equaltity e ha consentito la proposta di adesione di LIDL all’European Chicken Commitment (ECC).

I pesci allevati per il consumo alimentare non proveranno mai la sensazione di nuotare nelle profondità dei mari. Migliaia di specie diverse vengono allevate fino a due anni in vasche di terra o gabbie di rete in mare, in cui vengono fatti riprodurre e crescere. In ognuna di queste gabbie possono vivere fino a 300mila pesci. Le condizioni sono estreme. I pesci vivono in uno spazio vitale ridotto e per via dello stress spesso presentano comportamenti aggressivi. Alcuni sono addirittura ricoperti da parassiti e soffrono di infezioni batteriche causate dalla scarsa igiene e dal sovraffollamento. Inoltre, secondo alcune indagini, le tecniche di abbattimento presentano ancora forti limiti.

Le pratiche più forti avvengono nei macelli. Gli animali, spaventati e consapevoli che stanno andando incontro alla morte, sono forzati ad entrare nella camera di stordimento. L’esecuzione a volte avviene davanti agli occhi dei propri compagni, ancora del tutto coscienti nonostante la legge italiana lo vieti espressamente. I metodi di stordimento possono risultare del tutto inefficaci, provocando sofferenze atroci agli animali. Molto spesso vengono condotti al macello anche animali in stato di gravidanza: secondo l’Autorità europea per la sicurezza alimentare, in Europa le mucche gravide ad essere macellate in via del tutto legale sono il 3% del totale, percentuale che si alza in Italia, dove si attesta al 4,5%. [di Roberto Demaio]

I monatti. Report Rai PUNTATA DEL 05/11/2023 di Giulia Innocenzi

Collaborazione di Greta Orsi e Giulia Sabella

A quasi quattro anni dal Covid le telecamere di Report tornano in Cina.

Le telecamere di Report vanno in Cina e a quasi quattro anni dal Covid tornano a Wuhan ed entrano nei mercati umidi nel sud del paese, dove vengono ancora venduti cani e gatti per essere macellati. E prime in assoluto con Giulia Innocenzi entrano negli allevamenti grattacielo, dove vengono allevati milioni di maiali. Una bomba ecologica, secondo gli esperti, un fortino contro i virus, secondo il governo cinese, che ha puntato su queste strutture dopo che la peste suina ha sterminato centinaia di milioni di maiali. E ora la peste suina è riuscita a entrare negli allevamenti italiani, dove sono stati abbattuti 40.000 maiali. Report mostrerà in esclusiva le immagini di alcuni abbattimenti finanziati dalla Regione Lombardia con diverse irregolarità. Sono stati fatti tutti i controlli necessari? 

I MONATTI di Giulia Innocenzi Collaborazione: Greta Orsi, Giulia Sabella Immagini: Fabio Martinelli, Davide Fonda Montaggio e grafica: Giorgio Vallati Ricerca Immagini: Eva Georganopoulou

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Sono passati quasi quattro anni da quando Wuhan, la capitale dell’Hubei nella Cina centrale, fu la prima città al mondo a essere colpita dal Covid e a entrare in lockdown. Questo è il principale indiziato da cui sarebbe partito il virus: il mercato di Wuhan. Oggi il mercato è chiuso, coperto da dei pannelli e protetto dal filo spinato, mentre al piano di sopra, come prima del Covid, si vendono occhiali. Ma non vogliono che foto e video escano da qui e così veniamo fermati.

CUSTODE Non potete fare foto, potete solo guardare.

GIULIA INNOCENZI Ah, c’è proprio un cartello che dice che non si può filmare.

CUSTODE Sotto sono andati tutti via. Si sono spostati al mercato nord di Hankou.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ci dirigiamo allora a nord, per vedere il nuovo mercato di Wuhan. Appena arrivati sentiamo un forte odore di animali, ma non facciamo in tempo a capire dove si trovino che veniamo subito intercettati dalle guardie del mercato.

GUARDIA DEL MERCATO Mi spiace, ma qui è vietato fare foto, per favore uscite.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO La guardia non solo ci invita a uscire, ma non ci molla più. Insieme a un suo collega, sempre in motorino, ci scortano gentilmente all’uscita, non prima però di averci fatto diverse foto.

TRADUTTORE Ma perché ci hai fatto le foto? Cosa devi fare?

GUARDIA DEL MERCATO Niente, niente, tranquillo.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ci spostiamo allora a Nanning, capitale da otto milioni di abitanti del Guangxi, nel sud della Cina, per visitare un grosso mercato umido al centro della città, come ce ne sono ancora tanti nel paese, simile a quello di Wuhan da dove sarebbe partito il Covid. Umido perché per terra c’è il sangue degli animali comprati vivi e macellati sul posto.

GIULIA INNOCENZI Questi si possono mangiare tutti?

VENDITORE Sì.

GIULIA INNOCENZI Qual è il più buono?

VENDITORE Questo, sono 90 yuan.

GIULIA INNOCENZI Poco più di 10 euro. E il più caro?

VENDITORE Questo.

GIULIA INNOCENZI Quanto?

VENDITORE 300 yuan.

GIULIA INNOCENZI Ma perché è così caro?

VENDITORE Guarda quanto è grande.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E i serpenti vengono comprati anche per le loro proprietà terapeutiche.

VENDITORE Per fare la medicina al serpente devi estrarre il veleno. Gli metti sulla bocca un apparecchio fatto apposta e procedi all’estrazione.

GIULIA INNOCENZI Compro il serpente, lo tengo a casa vivo, gli estraggo il veleno per fare cosa?

VENDITORE Per fare una medicina molto efficace contro l’artrosi. Questo è il migliore per fare la medicina.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Insieme ai serpenti vengono vendute anche tartarughe e rane.

GIULIA INNOCENZI Sta comprando le rane?

SIGNORA Sì.

GIULIA INNOCENZI Cosa ci cucina?

SIGNORA Le salto in padella, poi sono buonissime con riso e verdure.

GIULIA INNOCENZI E con le tartarughe cosa ci farebbe?

SIGNORA Ci fai la zuppa, è buonissima.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E del maiale, anche qui, non si butta via niente. Letteralmente.

GIULIA INNOCENZI Questo è il naso di maiale?

VENDITRICE Sì.

GIULIA INNOCENZI E va a ruba il naso del maiale?

VENDITRICE Sì, sì. Ma anche quelli.

GIULIA INNOCENZI Questo cos’è?

VENDITRICE L’orecchio.

GIULIA INNOCENZI L’orecchio, l’orecchio. E qui l’occhio, l’occhio.

VENDITRICE E questa è la lingua. L’occhio è croccante, ottimo alla brace.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Fra pochi giorni è la festa dei fantasmi, dove per tradizione viene consumata la carne di anatra.

GIULIA INNOCENZI Si macella qui oppure me la porto a casa e la uccido io l’anatra?

VENDITORE Se preferisci puoi comprarla viva e macellarla da te. Altrimenti la compri qui e te la fai macellare più avanti, dentro il mercato.

GIULIA INNOCENZI È qui che macellate gli animali?

VENDITRICE Sì, vendo i polli vivi e li macello direttamente io, gratis.

GIULIA INNOCENZI Lui cosa sta facendo?

VENDITRICE Li sta scuoiando.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Il problema è che nei mercati umidi ci sono specie diverse di animali, alcuni delle quali in natura non si incontrerebbero mai. E animali già macellati con dietro gli animali vivi, chiusi nelle gabbie che aspettano il loro turno, tutti nello stesso luogo, e in condizioni igieniche molto precarie.

CLAUDIO BANDI - PROFESSORE DI MICROBIOLOGIA - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO Magari l’uomo non è immediatamente pronto diciamo a essere ricettivo per un virus di un pipistrello, però potresti avere ospiti intermedi che se convergono nello stesso mercato possono determinare sostanzialmente degli ospiti cosiddetti di passaggio; è un crogiolo dal punto di vista evoluzionistico.

PETER LI - PROFESSORE DI AFFARI CINESI E POLITICHE LEGATE AGLI ANIMALI - HOUSTON UNIVERSITY Tutti i mercati umidi andrebbero chiusi, a causa dei rischi che comportano per la salute pubblica. Il governo deve essere molto determinato e fare una grande opera di educazione nei confronti di chi fa ancora la spesa in questi mercati, soprattutto gli anziani convinti che la carne da animali appena macellati sia più sicura.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Le cose sembrava dovessero cambiare in fretta anche per cani e gatti. Negli ultimi anni città come Shenzen e Zhuhai, e anche il ministro dell’Agricoltura, li avevano classificati come animali da compagnia e non bestie destinate al consumo umano. Nonostante questo, soprattutto nel sud della Cina, ci sono ancora gatti e cani venduti per essere mangiati.

GIULIA INNOCENZI A quanto lo vende uno?

VENDITRICE 150 yuan.

GIULIA INNOCENZI 20 euro. Ma poi dopo si mangia?

VENDITRICE Certo, si può mangiare anche adesso.

GIULIA INNOCENZI Ma non è troppo piccolo? La carne è poca!

VENDITRICE No, no, la carne è molto buona.

VENDITORE Questo è un cane tipico cinese, ha la lingua nera. Si chiama Kaxiluo. Questo invece, guardate, ha un bellissimo pelo.

GIULIA INNOCENZI Ma ci sono quelli che lo comprano per tenerselo a casa?

VENDITORE No, se ci sono persone che li comprano è per mangiarli.

GIULIA INNOCENZI Qui sotto cosa c’è?

VENDITORE Tutto ciò che è stato acquistato ed è pronto per la consegna.

GIULIA INNOCENZI Quindi i cani messi qua in questi sacchetti.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E infatti arriva il legittimo proprietario e porta via diversi cuccioli nei sacchi, tutti destinati al consumo. E al mercato troviamo anche un bambino che vende cani e gatti.

GIULIA INNOCENZI Ma stai aiutando tua mamma o tuo papà?

BAMBINO Sì, stanno riposando.

GIULIA INNOCENZI Il gatto pronto per essere macellato è questo?

BAMBINO Sì, ma consiglio comunque di mangiarlo tra un po’.

GIULIA INNOCENZI Si può macellare direttamente qui al mercato?

BAMBINO Sì, se vuoi sì, basta che vai di là.

GIULIA INNOCENZI Questi sono gli arnesi per macellare il gatto. Il gatto viene preso con questo punzone che chiude il collo e purtroppo il gatto poi viene tirato su e sgozzato. Qui c’è un cane che aspetta di essere macellato perché qui è direttamente espresso, viene macellato qui.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Nel mercato troviamo diversi banchi che vendono cani già macellati, a circa 10 euro al chilo.

GIULIA INNOCENZI Qual è la parte più costosa del cane?

VENDITRICE Non c’è una parte più costosa, solitamente lo si vende intero. Ma adesso si vende poco, va di più quando fa freddo.

GIULIA INNOCENZI La ricetta più buona per il cane?

VENDITRICE Consiglio di scaldarlo e saltarlo in padella e aggiungere le spezie. Sta molto bene con il cumino.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Le cose però in Cina stanno cambiando e sempre più persone, soprattutto giovani, hanno a casa cani e gatti come animali domestici.

GIULIA INNOCENZI Vuole comprare quel cagnolino?

RAGAZZA Ancora non lo so.

GIULIA INNOCENZI Per mangiarlo o per tenerlo in casa?

RAGAZZA No, in casa, non mangio i cani! Mai mangiati in vita mia.

PETER LI - PROFESSORE DI AFFARI CINESI E POLITICHE LEGATE AGLI ANIMALI - HOUSTON UNIVERSITY Sulla questione in Cina è in corso ormai una guerra civile, anche perché la maggior parte dei cani venduti per essere macellati sono rubati, appartengono a famiglie che li accudivano come animali domestici. Il mercato della carne di cane è un danno enorme per la reputazione della Cina e dovrebbe essere vietato.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E in un negozio, oltre a cani e gatti, come animale domestico in vendita troviamo anche un maialino, con davanti un cartello.

NEGOZIANTE Pesa massimo 10 chili, mangia riso, frutta, verdura e cibo per cani. E riesce ad andare in bagno.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Contraddizioni: da una parte la carne di maiale è quella preferita dai cinesi, dall’altra, grazie anche alla pressione internazionale, della comunità internazionale, stanno diminuendo le macellazioni degli animali da compagnia. L’Ambasciata italiana in Cina è stata tra le prime a condannare la macellazione dei cani a uso alimentare, però resta alta la preoccupazione per i wet market, i mercati umidi, perché sono gli incubatori ideali per lo scambio, il passaggio del virus. Non solo, ma anche ideali per il salto di specie, e quello che può arrivare a contagiare l’uomo. Stiamo ancora leccando le ferite del Covid quando invece nel nostro Paese stiamo facendo i conti con una pandemia silenziosa: la peste suina africana. Sta decimando gli allevamenti del Nord-Ovest del nostro Paese, non colpisce l’uomo tuttavia basta un solo suino contagiato che vengono abbattuti anche quelli apparentemente sani. Da agosto a oggi sono stati abbattuti 40mila suini nel nostro Paese e la Regione Lombardia ha incaricato una ditta olandese specializzata, che gira con dei container per gasare i maiali, e costa 100mila euro al giorno di soldi pubblici. Sono ditte che dicono che pensano a tutto quanto loro, non vogliono però gli occhi indiscreti intorno. Perché, se è tutto regolare e avviene anche sotto il controllo dell’autorità sanitaria nazionale? Però, ecco, anche sotto il controllo della nostra Giulia Innocenzi, tra 30 secondi vedremo che cosa accade.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO È l’alba del 20 settembre. Al rifugio Cuori Liberi, in provincia di Pavia, arrivano le camionette della polizia. L’ordine è di abbattere i nove maiali presenti, perché lì è entrata la peste suina africana. La situazione degenera in fretta. Gli attivisti che bloccano il passaggio vengono manganellati e portati via, e una decina di loro finisce all’ospedale. I poliziotti riescono a sfondare l’ingresso e i veterinari possono così eseguire l’ordine: i maiali vengono tutti abbattuti. Contro l’abbattimento dei suini e gli episodi di violenza sono scese in piazza a Milano 10mila persone, ma il rifugio è soltanto uno dei numerosi focolai di peste suina africana che si è abbattuta sulla provincia di Pavia. Il contagio anche di un solo animale in un allevamento sembra trasformarsi in una condanna a morte per tutti, perché il virus non ha né cure né vaccini.

FRANCESCO FELIZIANI - RESPONSABILE LABORATORIO NAZIONALE PER LE PESTI SUINE In oltre il 90% dei casi di infezione porta a una morte e a una morte anche atroce, direi.

GIULIA INNOCENZI Perché?

FRANCESCO FELIZIANI - RESPONSABILE LABORATORIO NAZIONALE PER LE PESTI SUINE Perché è una malattia emorragica, non riescono ad alzarsi, non riescono a mangiare, non riescono ad abbeverarsi.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO I primissimi maiali a cui è stata trovata la peste suina africana erano qui, in un agriturismo a conduzione familiare.

ALLEVATRICE Ce ne siamo accorti perché non uscivano per mangiare. Allora abbiamo chiamato i veterinari perché sembrava strano, anche perché non si alzavano in piedi. Il giorno prima essere a 160 maiali, il giorno dopo non ce n’è più neanche uno, ti dicono… è peste suina, da che parte arriva, non lo sa nessuno.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Tutti i maiali di questo agriturismo sono stati abbattuti. Nonostante la tempestività dell’intervento, il virus non si è fermato e ha colpito questo allevamento intensivo da mille maiali a Zinasco, che dista circa 30 chilometri dall’agriturismo. Ma qui l’allevatore per non rimetterci avrebbe mandato i maiali già contagiati a tre macelli diversi.

GIULIA INNOCENZI Non sono stati denunciati 400 maiali che erano morti…

ALLEVATRICE Lo dice lei questo. 400? Da noi?

GIULIA INNOCENZI Questo è quello che dice l’Ats. Sono finiti in tre macelli diversi i maiali con la peste suina africana, questo è il problema.

ALLEVATRICE Lo vedremo con le agenzie e gli enti pubblici, non con lei. Grazie

GIULIA INNOCENZI Ma siete stati sentiti anche dai carabinieri, vero?

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO I carabinieri del Nas starebbero indagando perché, nonostante già dagli inizi di agosto i maiali avessero cominciato a morire in massa, fino a raggiungere 400 suini morti su un totale di mille, l’allevatore, con il beneplacito del veterinario aziendale, aveva mandato in tre macelli diversi - in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna - i 600 maiali restanti, potenzialmente affetti da peste suina africana.

ALLEVATORE Io parlo solo con l’Asl e non parlo con nessun giornalista, guardi.

GIULIA INNOCENZI Sì, però visto che è una questione di interesse pubblico, nel senso che la peste suina si è diffusa, volevamo capire da lei cos’era successo.

ALLEVATORE Mi spiace, arrivederci.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Fra gli allevatori suona l’allarme. Confagricoltura organizza una riunione d’urgenza, cui partecipa anche l’assessore all’agricoltura della Regione Lombardia.

MATTEO BEDUSCHI - ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA - REGIONE LOMBARDIA – 28/03/2023 Questo è davvero un Covid che si abbatte sulla nostra categoria e sui nostri allevatori. L’atteggiamento leggero, o a volte sconsiderato, di chi sottovaluta questa malattia può pregiudicare l’intera filiera.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Difatti la peste suina non si è fermata. Qui siamo al terzo allevamento contaminato, che dista in linea d’aria meno di tre chilometri dal secondo stabilimento infetto.

GIULIA INNOCENZI L’Ats Lombardia comunica che questa è un’area contaminata da peste suina africana e l’area è quindi sottoposta a fermo di tutti gli animali e dei loro resti.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Eppure, il vascone dei liquami, che sono potenzialmente infetti e quindi pericolosi, ha la recinzione aperta in più punti.

GIULIA INNOCENZI Quindi qualunque animale può entrare, contaminarsi con i liquami e diffondere il virus.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Troviamo il responsabile di questo e di altri tre allevamenti, tutti svuotati perché i maiali sono stati abbattuti, che prova a giustificare così le recinzioni divelte.

ERMINIO PANIGATI - ALLEVATORE Sono stati già trattati, cioè sono stati aperti perché sono stati trattati. Sono stati trattati con la soda caustica.

GIULIA INNOCENZI Anche se sono stati trattati sono comunque considerati pericolosi, quindi dovrebbe chiudere lì la recinzione. L’Ats non le ha detto niente di quella recinzione?

ERMINIO PANIGATI - ALLEVATORE Sì, sì, la chiudiamo. Perché sono venuti ieri, guardi.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma i suoi allevamenti erano già stati nel mirino di un’investigazione qualche anno fa, quando la Lav aveva trovato animali molto sporchi, carcasse lasciate nei recinti e mangiate dagli altri maiali e un’infestazione di topi. Tutte condizioni contrarie alle misure di biosicurezza per difendere un allevamento dalla propagazione di malattie.

ERMINIO PANIGATI - ALLEVATORE La pulizia deve essere fatta tutti i giorni.

GIULIA INNOCENZI E adesso come stavano i maiali in quel suo allevamento?

ERMINIO PANIGATI - ALLEVATORE Benissimo.

GIULIA INNOCENZI Benissimo.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Proprio sul piazzale di uno degli allevamenti di Panigati sono stati eseguiti gli abbattimenti, che ormai hanno superato la quota di 40mila maiali. Per farlo è stata chiamata una ditta dall’Olanda, la TCC, specializzata in abbattimento di animali in situazioni di emergenza.

RUUD LAARMAN – AMMINISTRATORE DELEGATO TCC La situazione è molto delicata. Durante il mio lavoro a Pavia sono stato seguito da alcune persone fino al mio albergo ed ero sotto scorta dei carabinieri 24 ore su 24 ore solo per poter fare il mio lavoro.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Le forze dell’ordine sono presenti sul campo per evitare contaminazioni esterne. Ma l’olandese vuole evitare che vengano registrate immagini su come sono abbattuti gli animali. Nel giro di un paio d’ore gli investigatori di Last Chance for Animals vengono fermati quattro volte. Laarman chiede addirittura di arrestarli.

RUUD LAARMAN – AMMINISTRATORE DELEGATO TCC Voglio che vengano arrestati, portateli via. Se c’è il drone in volo aspetto, nessun problema. Tanto vengo pagato lo stesso.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Il proprietario della ditta si rifiuta di lavorare se c’è il drone che li riprende. Si vedono i suini che vengono fatti scendere dal camion, spinti verso il container con il gas da cui ne escono carcasse. Il problema è che alcuni di questi animali non riescono a muoversi e vengono spostati con dei calci. All’apparenza il loro stato potrebbe corrispondere a un maiale affetto da peste suina.

FRANCESCO FELIZIANI - RESPONSABILE LABORATORIO NAZIONALE PER LE PESTI SUINE Hanno sintomi tali che non riescono a muoversi, quindi non seguono le sollecitazioni di nessun tipo.

RUUD LAARMAN – AMMINISTRATORE DELEGATO TCC Erano tutti molto grassi, quindi facevano fatica a muoversi. Erano sani, soltanto che erano pigri.

GIULIA INNOCENZI Quindi lei dice che non si muovono non perché malati ma perché pigri? Pronto?

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E ci chiude il telefono in faccia. Laarman nega categoricamente che fossero animali malati, ma se così fosse non potevano in alcun modo trasportati proprio per evitare la diffusione della malattia. Infatti, quelli provenivano da un allevamento limitrofo, costretto ad abbattere i maiali in via preventiva. Ma il problema è anche la biosicurezza, e cioè le misure da adottare per evitare che il virus possa uscire dall’allevamento.

FRANCESCO FELIZIANI - RESPONSABILE LABORATORIO NAZIONALE PER LE PESTI SUINE Ci si sveste della tuta.

GIULIA INNOCENZI E che fine fanno la tuta e i guanti?

FRANCESCO FELIZIANI - RESPONSABILE LABORATORIO NAZIONALE PER LE PESTI SUINE Vanno inseriti in questi famosi sacchi per lo smaltimento.

GIULIA INNOCENZI Ci si deve disinfettare, lavare…

FRANCESCO FELIZIANI - RESPONSABILE LABORATORIO NAZIONALE PER LE PESTI SUINE Tutto.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma non è quello che sembra aver fatto il veterinario dell’Ats.

VETERINARIO ATS Sono il veterinario ufficiale che sta gestendo il focolaio. Io ho richiesto l’intervento delle forze perché di là c’è il focolaio, io mi ritrovo il dispositivo sopra che riprende.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Che potrebbe essere uscito da un allevamento contaminato con indosso la tuta protettiva e gli stivali per cercare di fermare le riprese col drone. È preoccupato dal fatto che eventuali ritardi causati dalla troupe che sta effettuando le riprese degli abbattimenti, possano incidere sui costi.

VETERINARIO ATS Lui ha detto che se noi non gli garantiamo che nessuno fa riprese, lui si ferma. E quello costa a chi lo paga.

INVESTIGATRICE - LAST CHANCE FOR ANIMALS Ma anche noi stiamo perdendo del tempo e ci stanno pagando.

VETERINARIO ATS 100mila euro al giorno?

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO L’ultimo allevamento infetto si trova a Pieve del Cairo. Qui c’erano più di 6mila maiali, fra scrofe e suinetti. Il 25 settembre, fatte le dovute analisi, l’Ats ha autorizzato il trasferimento di circa 2mila maiali dall’allevamenti di Pieve del Cairo a quello di Mantova. Ma due giorni dopo, a Pieve del Cairo si scopre che c’è una scrofa positiva alla peste suina africana, e così viene ordinato anche l’abbattimento di tutti i maiali dell’allevamento di Mantova.

GIULIA INNOCENZI E quanti animali avete dovuto abbattere?

ALLEVATORE 4800.

GIULIA INNOCENZI Qui è stato abbattuto il suino in maniera preventiva.

ALLEVATORE In maniera preventiva.

GIULIA INNOCENZI Visto quello che è successo forse non andava autorizzata la partenza.

ALLEVATORE Sono tutti fenomeni dopo.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Quello che però è successo dopo è che sono stati abbattuti tutti i maiali presenti in allevamento per scongiurare che il virus potesse diffondersi nella zona di Mantova, che insieme a Brescia e Cremona è una delle province con più suini in Italia.

ALLEVATORE Non si sente un guaito, non si vede soffrire nulla.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma a vedere le immagini in possesso di Last Chance for Animals, che noi di Report possiamo mostrarvi in esclusiva, non sembra sia così. Siamo a Pieve del Cairo, l’allevamento da cui sono partiti i suinetti per Mantova. Gli animali vengono fatti uscire dai capanni e attraverso un percorso raggiungono il punto dove l’operaio procederà all’abbattimento.

ALLEVATORE Con i miei fratelli abbiamo anche l’industria di macellazione, perciò abbiamo messo a disposizione le nostre conoscenze, perciò facciamo un percorso obbligato per gli animali…

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Qualcosa nel camminamento però non funziona, visto che sono tante le scrofe che riescono a scappare, con gli operai che le inseguono per l’allevamento. Questa scrofa riesce a scappare persino nel momento in cui sta per essere abbattuta, e per farla tornare indietro, bastonate sul muso. Ed è proprio nel camminamento che soprattutto un operaio dà calci alle scrofe in maniera gratuita, ripetutamente, anche sul muso, addirittura di rovescio, mentre sono nel recinto che aspettano di essere abbattute. Usa anche il pannello che servirebbe per spostare gli animali per picchiarli, oppure il bastone e insegna agli altri suoi colleghi a farlo.

ALLEVATORE Attacca, attacca, non lasciarlo andare. Attacca, attacca, sì bravo, così.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Fra le mani tiene un oggetto appuntito, un coltellino o un punteruolo, con cui colpisce ripetutamente gli animali, praticamente trafiggendoli. Un oggetto del genere è assolutamente vietato.

GIULIA INNOCENZI Cioè, è maltrattamento d’animale?

FRANCESCO FELIZIANI - RESPONSABILE LABORATORIO NAZIONALE PER LE PESTI SUINE Sì, si può benissimo definire così.

GIULIA INNOCENZI Ma il veterinario dell’Ats presente che vedeva, perché si è visto passare, gli operai lavorare in questo modo, non sarebbe dovuto intervenire?

FRANCESCO FELIZIANI - RESPONSABILE LABORATORIO NAZIONALE PER LE PESTI SUINE Io credo che se il veterinario dell’Ats avesse visto queste cose sarebbe intervenuto, evidentemente non li ha visti.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Eppure, il veterinario che dovrebbe garantire la correttezza delle procedure potrebbe essere proprio quello con la tuta blu. Qui è davanti al camion dove ci sono i suinetti che sono già stati abbattuti e sembra indicare a un operaio dei cuccioli ancora vivi. Così il lavoratore si fa passare la pinza per dare un’altra scossa elettrica, mentre alcuni suoi colleghi sembra che prendano alcuni suinetti e li sbattano contro le pareti del camion, probabilmente per dargli il colpo finale. Una pratica assolutamente scorretta ma a cui assisterebbe il veterinario, come anche il proprietario dell’allevamento, che è di fianco a lui e che per ovviare al problema degli abbattimenti e dei suoi costi esorbitanti propone una soluzione alternativa.

ALLEVATORE Macelliamo tutti i suini della provincia di Pavia e congeliamo tutta la carne. La facciamo cuocere piano piano e la mandiamo sui mercati. Mercati poveri, tipo l’Africa e altri Paesi, che possono avere bisogno di proteine animali. Io da allevatore, e lo dico con sofferenza, perché quando vediamo i nostri suini essere abbattuti, cioè, è il nostro capitale, sono i nostri bambini…

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E chiama ad aiutare anche quello che potrebbe essere il figlio che, unendosi agli altri operai, dà qualche calcio ai maiali. Per l’operazione di abbattimento è stata chiamata la ditta che ha vinto la gara con la Regione Lombardia, la Bidente.

ALLEVATORE La gente che è arrivata qua molto qualificata… Non ho nulla da dire.

ALLEVATORE Ci sono quei tre marocchini che mi hanno fatto incazzare, gli ho dato una botta in testa. Quando si lavora si lavora. OPERAIO Dobbiamo rispettare le regole.

ALLEVATORE Infatti, la regola è che chi è pagato deve lavorare, punto. Se io ti dico tira il maiale, tu lo tiri.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Sembrerebbe che ci sia della tensione con la ditta a cui avrebbe espressamente chiesto di abbattere gli animali con l’elettrocuzione.

ALLEVATORE Io mi sono opposto all’utilizzo della CO2.

GIULIA INNOCENZI E come mai?

ALLEVATORE Perché c’è subito lo shock elettrico e c’è la morte cerebrale in meno di una frazione di secondo. Se si colpisce bene il suino.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Queste sono le pinze alle cui estremità ci sono gli elettrodi con cui viene fatta l’elettrocuzione, e cioè si dà una forte scossa elettrica alle tempie ed eventualmente al cuore. Ma proprio come diceva l’allevatore, non sempre vengono applicati nel posto giusto, come in questo caso in cui la scossa viene fatta sopra la testa anziché ai lati, così l’animale ci mette molto più tempo a morire. E in diversi casi esce un grosso fumo nero dagli animali, probabilmente perché gli elettrodi sono sporchi e creano quindi delle ustioni.

FRANCESCO FELIZIANI - RESPONSABILE LABORATORIO NAZIONALE PER LE PESTI SUINE Diciamo che qualcosa, nella normale esecuzione del processo, non è andato. Non voglio dire che è corretto, no, perché chiaramente l’applicazione scolastica dell’elettrodo andrebbe fatta sulle tempie.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Sarà anche per questo che quando qualcuno tira fuori un cellulare, viene subito sgridato.

OPERAIO Nooo! Non fare foto, noooo! Ma dimmi tu.

PERSONA CON CELLULARE Ho fatto una foto alla pancia, non si vede niente. Non ti preoccupare, dai.

GIULIA INNOCENZI Abbiamo delle immagini rispetto agli abbattimenti fatti dalla ditta italiana, purtroppo sono filmati i maltrattamenti sui maiali, che sono stati abbattuti, non so se lo sapeva, con l’elettrocuzione, che è un sistema che non andrebbe fatto su migliaia di maiali.

ALESSANDRO BEDUSCHI – ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA – REGIONE LOMBARDIA Io credo che, ho visto delle situazioni difficili, perché chiaramente bisogna agire in grande velocità, ma però credo che la tutela dell’animale debba essere prevalente e sono sicuro che questo è stato.

GIULIA INNOCENZI Però non ha visto le immagini che mostriamo a Report.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Che conterrebbero diverse irregolarità, almeno a giudicare dalle immagini, che mostrano anche il container con le carcasse infette rimasto aperto per tutta la notte, condizione critica per la biosicurezza. C’è da chiedersi: perché è stata chiamata la ditta italiana a fare l’elettrocuzione? Forse c’è un problema di costi, visto che il veterinario si era lasciato scappare che gli olandesi costavano 100.000 euro al giorno?

GIULIA INNOCENZI Ma lì c’era il veterinario dell’Ats però e sono successe queste cose, quindi cosa si può fare?

ALESSANDRO BEDUSCHI – ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA – REGIONE LOMBARDIA Tutti sono uomini e tutti possono sbagliare, io credo che di errori, se ne sono stati fatti…

GIULIA INNOCENZI Finanziato coi soldi pubblici!

ALESSANDRO BEDUSCHI – ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA – REGIONE LOMBARDIA No, guardi, noi stiamo molto attenti alla qualità.

GIULIA INNOCENZI Ma noi stiamo finanziando la ditta che ha fatto questi abbattimenti.

ALESSANDRO BEDUSCHI – ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA – REGIONE LOMBARDIA E credo che se ci sono delle cose che non vanno saremo i primi a essere…

GIULIA INNOCENZI Se lei è interessato noi la informeremo su tutto.

ALESSANDRO BEDUSCHI – ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA – REGIONE LOMBARDIA Sì. Con piacere.

GIULIA INNOCENZI Grazie.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Perché è stato autorizzato l’abbattimento di 10mila suini con la scossa elettrica? Perché il veterinario non è intervenuto di fronte ai maltrattamenti animali o al mancato rispetto delle normative per la biosicurezza? Ecco, insomma, abbiamo visto operai senza tute, senza guanti, senza calzari, carcasse di maiali abbandonate all’aperto. Insomma, è un paradosso perché questo virus è super resistente, riesce a sopravvivere oltre un anno nelle carni cotte o surgelate e poi per debellarlo siamo costretti a spendere altri soldi pubblici per gasare gli animali. Ecco, che cosa avremmo potuto fare di più e di meglio per evitare la diffusione del virus?

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO A oggi l’unica soluzione è l’abbattimento perché la peste suina è molto difficile da combattere. A differenza di altri virus, è super resistente.

CLAUDIO BANDI - PROFESSORE DI MICROBIOLOGIA, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO La trasmissione avviene per via diretta attraverso il contatto che può esistere fra gli animali ma appunto attraverso il consumo di alimenti infetti e, l’aspetto diciamo straordinario di questo virus, è la sua sopravvivenza, la sua resistenza, diciamo, all’interno delle carcasse, all’interno delle carni, all’interno diciamo del fango che può contaminare uno scarpone o la ruota di un camion. Si stima che nelle carni preparate, come può essere un prosciutto crudo, come può essere un salame, potrebbe resistere veramente per mesi, parlano di record che superano l’anno.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Diversi paesi, come Giappone e Corea, hanno vietato l’importazione di carne di maiale dall’Italia. Dopo il primo ritrovamento in Piemonte di un cinghiale morto per il virus già nel gennaio del 2022, la peste suina africana è diventata una priorità per il governo. Chiediamo allora a Francesco Lollobrigida se non sia stato perso del tempo prezioso per fronteggiare la peste suina.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA - MINISTRO DELL’AGRICOLTURA E DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE Vi presento l’autrice di bestseller importantissimi, io non lo riesco a trovare, “Il Tritacarne”, sarei curioso di sapere la consapevolezza… e non l’ho letto. L’altro, Meglio fottere che…“, magari è superato, poi… Ormai al governo ci siamo andati.

GIULIA INNOCENZI Ministro ma secondo lei abbiamo fatto tutto il possibile per scongiurare l’ingresso della peste suina africana negli allevamenti, per esempio le recinzioni che avrebbero dovuto circoscrivere i cinghiali potenzialmente infetti?

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA - MINISTRO DELL’AGRICOLTURA E DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE Per la verità, l’aggressione della peste suina che è stata in crescita in questi anni non ha visto grandi soluzioni negli anni passati. Dove sono state utilizzate in territori pianeggianti alcune formule ha portato accanto ad altri interventi, a una riduzione. In Italia così non è stato.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E così non è stato perché si è perso tempo prezioso nel costruire le recinzioni

CLAUDIO BANDI - PROFESSORE DI MICROBIOLOGIA, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO Purtroppo, le recinzioni che avrebbero dovuto essere realizzate per contenere la peste suina africana diciamo in quella sorta di triangolo in cui era partita, diciamo tra l’Appennino piemontese e ligure, non sono state realizzate secondo i tempi, quindi la peste suina è uscita.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA - MINISTRO DELL’AGRICOLTURA E DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE C’è stato uno spreco di denaro…

GIULIA INNOCENZI Le recinzioni potevano essere una soluzione, no?

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA - MINISTRO DELL’AGRICOLTURA E DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE Le hanno fatte. Le hanno fatte.

GIULIA INNOCENZI Fatte in tempo. Non sono state fatte in tempo.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA - MINISTRO DELL’AGRICOLTURA E DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE Noi governiamo da un anno, questo problema della peste suina non è certamente in evoluzione da ora. E quindi non abbiamo ritenuto che fosse l’unica delle soluzioni possibili e che…

GIULIA INNOCENZI Però è stata ostacolata.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA - MINISTRO DELL’AGRICOLTURA E DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE Da chi?

GIULIA INNOCENZI Da attività ricettive, da attività venatoria…

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA - MINISTRO DELL’AGRICOLTURA E DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE Non mi risulta.

GIULIA INNOCENZI Nelle regioni Piemonte e Liguria.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA - MINISTRO DELL’AGRICOLTURA E DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE È male informata.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma a smentire il ministro è responsabile del laboratorio nazionale per le pesti suine.

FRANCESCO FELIZIANI - RESPONSABILE LABORATORIO NAZIONALE PER LE PESTI SUINE Le reti che dovevano essere piazzate entro il termine massimo di luglio sono state cominciate a piazzare proprio a luglio. L’infezione era già al di là del tracciato delle reti. E quindi a quel punto totalmente inutili. Sono state osteggiate da molti stakeholders che hanno visto queste recinzioni come un impedimento, in particolare il turismo venatorio.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Che il virus sarebbe potuto entrare in un allevamento nel Pavese era già chiaro a marzo scorso, quando il responsabile dei servizi veterinari per la Lombardia, che oggi non vuole più parlare con noi, ci rilasciò questa intervista.

MARCO FARIOLI - DIRIGENTE UNITÀ ORGANIZZATIVA VETERINARIA LOMBARDIA – 28 MARZO 2023 L’unica area lombarda che è interessata dal problema della peste suina africana è la provincia di Pavia, particolarmente attenzionata per evitare che il virus da questa zona poi passi nella Pianura Padana.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Se il virus riuscisse a uscire dal Pavese, sarebbe una catastrofe per l’industria suinicola. La Lombardia, infatti, ospita metà della produzione nazionale di maiali. Gli allevatori, come qui a Mantova, corrono ai ripari.

ALLEVATORE Ora stiamo facendo recinzioni in modo che non possa, anche la selvaggina, avvicinarsi alle stalle o poter andare a contatto.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Peccato però che il termine ultimo per fare le recinzioni sia scaduto a luglio scorso, ma questo allevamento non è il solo a non essersi messo in regola per tempo. Ai ritardatari ci pensa la Regione Lombardia, che li premia con più di 2 milioni di euro messi a disposizione per recinzioni e altre misure di biosicurezza.

GIULIA INNOCENZI Se per legge lo dovevano già fare da soli…

FRANCESCO FELIZIANI - RESPONSABILE LABORATORIO NAZIONALE PER LE PESTI SUINE Questo va da sé.

GIULIA INNOCENZI Premiarli… È un po’ paradossale.

FRANCESCO FELIZIANI - RESPONSABILE LABORATORIO NAZIONALE PER LE PESTI SUINE Questo sicuramente…

GIULIA INNOCENZI Come Regione Lombardia avete stanziato molti fondi

ALESSANDRO BEDUSCHI – ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA – REGIONE LOMBARDIA Per la biosicurezza.

GIULIA INNOCENZI Per combattere la peste suina africana, fra cui 2 milioni di euro per le recinzioni degli allevamenti. Ma se queste recinzioni andavano già fatte con scadenza luglio 2023, voi così premiate i ritardatari, che non avevano fatto queste recinzioni.

ALESSANDRO BEDUSCHI – ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA – REGIONE LOMBARDIA No guardi, c’è un nuovo bando in uscita che avrà anche la logica della retroattività, perché è giusto che chi…

GIULIA INNOCENZI Ma se le dovevano fare senza fondi perché voi premiate quelli che non li avevano fatte, i ritardatari?

ALESSANDRO BEDUSCHI – ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA – REGIONE LOMBARDIA È chiaro che c’è un’emergenza, noi dobbiamo proteggere un tesoro, che è quello produttivo della nostra Regione.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Per contenere la peste suina africana, il governo tira fuori una soluzione dal cilindro: la caccia ai cinghiali.

GIULIA INNOCENZI Lei propone come soluzione per ridurre il pericolo della peste suina africana, l’implementazione della caccia ai cinghiali.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA - MINISTRO DELL’AGRICOLTURA E DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE No, lei anche su questo denota una ricerca abbastanza orientata.

GIULIA INNOCENZI Ci spieghi.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA - MINISTRO DELL’AGRICOLTURA E DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE Il depopolamento di alcune specie, l’uomo è un bio regolatore, quando una specie supera un limite, dati scientifici, non miei, che prevede per esempio la presenza di ungulati, in particolare i cinghiali, in Italia, dal 2018 sette volte superiore rispetto alla media europea, devi provare a depopolare. Questo depopolamento non c’entra niente con l’attività venatoria, si chiama attività selettiva.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Una soluzione, quella di cacciare i cinghiali, condivisa anche dagli allevatori, che addirittura vorrebbero che si cacciasse intorno agli allevamenti.

ALLEVATORE Noi dobbiamo innanzitutto fare intorno agli allevamenti di suini e tutti gli allevamenti in generale, fare delle zone di caccia o allenamento cani. Poi non stiamo a discutere se è giusta la caccia o meno.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma in questo caso il rimedio potrebbe essere peggiore del male.

CLAUDIO BANDI - PROFESSORE DI MICROBIOLOGIA, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO Una battuta di caccia, laddove la peste suina ci sia, potrebbe determinare risposte di fuga dei cinghiali che possono percorrere chilometri o decine di chilometri.

GIULIA INNOCENZI Quindi di diffusione ulteriore della peste suina.

CLAUDIO BANDI - PROFESSORE DI MICROBIOLOGIA, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO Quindi di diffusione!

GIULIA INNOCENZI Ma la peste suina africana però gli esperti ci dicono che la caccia ai cinghiali potenzialmente infetti potrebbe essere un ulteriore pericolo di diffusione perché si disperderebbero in altre zone.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA - MINISTRO DELL’AGRICOLTURA E DELLA SOVRANITÀ ALIMENTARE Io non so che frequenta lei

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Quelli che cita la nostra Giulia sono proprio gli esperti che sono i consulenti del Ministero della Salute nel contrasto alla diffusione della peste suina. Già a luglio scorso avevano stilato una circolare in cui avvertivano che il depopolamento di un’area senza la preventiva e totale recinzione rischia di movimentare le popolazioni di cinghial infette, quindi rischia di diffondere il virus. Insomma, proprio le recinzioni dovevano essere fatte immediatamente, quando a gennaio del 2022 è stata ritrovata la prima carcassa di cinghiale infetto e però, insomma, dovevano evitare che dal Piemonte e dalla Liguria il virus uscisse ed entrasse negli allevamenti della Lombardia, che sono i più numerosi del nostro Paese. Tuttavia, a contrastare l’iniziativa sarebbero stati, secondo il consulente governativo Feliziani, proprio i cacciatori e gli operatori turistici, e così a luglio del 2022 il governo è stato costretto a emanare un decreto con il quale si imponeva da parte degli allevatori delle misure di biosicurezza, recinzioni in particolare. Però, insomma, non tutti gli allevatori si sono messi in regola così la Regione Lombardia che cosa ha fatto? Li ha incentivati, ha premiato anche i ritardatari stanziando due milioni di euro. Nel frattempo il virus si è diffuso e non resta che l’abbattimento dei maiali, ma bisogna correre ai ripari immediatamente se non si vuole mettere a rischio i grandi marchi, quello del prosciutto del consorzio di Parma o quello del San Daniele, altrimenti saranno costretti a comprare i prodotti in Cina, proprio quella Cina che se l’è vista brutta in tema di peste suina, Nel 2018, pensate, sono stati costretti ad abbattere 200 milioni di suini, il 30% dell’intera produzione. Questo ha provocato un duro colpo all’economia cinese ma ha anche destabilizzato addirittura il Paese. Il governo ha detto: mai più, perché si rischiava di affamare la popolazione. E allora qual è stata la soluzione? Quella di incentivare i mega allevamenti. Grattacieli di 26 piani, dentro ci infilano due milioni di maiali con anche i dipendenti che devono controllare. Luoghi inaccessibili, non fotografabili per tutti tranne che per i nostri inviati: Giulia Innocenzi e Fabio Martinelli.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO C’è una parte della Cina dove le costruzioni basse e le tradizioni sono sopravvissute ai grattacieli e allo sviluppo a tutti i costi. È lo Yunnan, provincia meridionale al confine con il Tibet, una delle più povere di tutta la Cina, dove vive la minoranza Bai. Oggi qui è festa, si sfoggiano i vestiti tradizionali e a tavola la fa da padrona la carne di maiale.

CUOCO Questo è un piatto tipico di questa zona, lo preparano le nostre mogli. La carne è molto tenera.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ci invitano a pranzare con loro, non prima però del brindisi, che qui lo fanno ancora augurando 10mila anni di vita all’ex presidente del partito comunista cinese Mao Tse-tung.

COMMENSALE È grazie al presidente Mao che è iniziato lo sviluppo qui in Cina.

GIULIA INNOCENZI Non ha paura però che le vostre tradizioni possano scomparire, visto il tanto progresso del paese?

COMMENSALE Guarda, noi siamo ancora qui a celebrare le nostre feste. Come ha detto Deng Xiaoping, abbiamo bisogno delle grandi aziende, ci portano ricchezza e sviluppo, l’importante è che convivano con le piccole realtà locali

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Tra le grandi aziende su cui sta puntando il governo, ci sono quelle che possono garantire i mega allevamenti di maiali. Uno dei più grandi gruppi del settore è Yangxiang, che nel 2018 ha aperto un maxi-allevamento al centro della montagna Yaji, nella Cina meridionale. Arriviamo dopo ore di strade di montagna e ci troviamo davanti un cancello.

GUARDIANO Mi dispiace, ma nessuno può entrare senza fare la disinfestazione, neanche noi che lavoriamo per il gruppo. E poi serve un’autorizzazione.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Chiediamo allora a dei locali se ci sia un punto da cui si riesce a vedere l’allevamento.

GIULIA INNOCENZI Si vede l’allevamento dei maiali da qui sopra?

SIGNORE Cosa?

GIULIA INNOCENZI Un grande allevamento di maiali, sono palazzi molto alti. SIGNORE Non saprei, non l’abbiamo mai visto. Provate a salire ancora.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Per poterlo vedere bisogna arrampicarsi sulla montagna di fronte. In rete però riusciamo a trovare anche dei video. Da fuori sembrano palazzi normali, quattro stabilimenti da sette e nove piani, e altri due stabilimenti da 12 piani in costruzione. Ma all’interno ci sono oltre 80mila scrofe con i loro suinetti, per una produzione totale di 840mila maiali l’anno. Il costo dell’operazione è di 277 milioni di euro, anche perché l’idea dell’azienda è di arrivare a una produzione di 2 milioni di maiali l’anno. Ma c’è chi è già riuscito a superare questi numeri, Muyuan Foods, che hanno aperto questo allevamento, per un investimento di 650 milioni di euro, nel febbraio 2020. Secondo l’azienda, sarebbe il più grande al mondo: 21 stabilimenti di sei piani, per una capienza totale di 2 milioni e 100mila maiali.

AUTISTA Vengono dall’Italia, vorrebbero parlare con qualcuno dell’allevamento.

GUARDIANO Io non sono autorizzato a far entrare nessuno.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma dopo un po’ di insistenze riusciamo a farci accogliere dall’addetta alle delegazioni straniere.

ADDETTA ALLE DELEGAZIONI - MUYUAN FOODS L’allevamento ospita 930 mila maiali, attualmente usiamo gli ultimi piani come magazzino, ma stiamo costruendo altri edifici, cosicché arriveremo a un totale di 2 milioni e centomila maiali, speriamo entro la fine di quest’anno.

GIULIA INNOCENZI Perché avete deciso di farli in altezza? Sei piani di allevamento…

ADDETTA ALLE DELEGAZIONI - MUYUAN FOODS Nel 2018 la peste suina africana in Cina ha ucciso centinaia di milioni di maiali. Da allora il governo ha deciso di imporre degli standard di controlli e di biosicurezza altissimi. Per questo si è puntato molto sui grandi allevamenti.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Il controllo dei virus qui è maniacale, come ci spiega la dirigente davanti al plastico che raffigura l’allevamento grattacielo in miniatura.

ADDETTA ALLE DELEGAZIONI - MUYUAN FOODS Gli operai prima di entrare devono lavarsi e disinfettarsi due volte: una all’ingresso del palazzo, e la seconda all’ingresso dell’allevamento. E, cosa fondamentale, i dipendenti vivono all’interno l’allevamento. Poi hanno anche la biblioteca, il centro sportivo…

GIULIA INNOCENZI Quindi i dipendenti non è che escono ed entrano.

ADDETTA ALLE DELEGAZIONI - MUYUAN FOODS hanno quattro giorni di riposo al mese. Solo i figli dei dipendenti escono, per andare a scuola.

GIULIA INNOCENZI Vengono anche tanti stranieri come noi a visitare l’allevamento?

ADDETTA ALLE DELEGAZIONI - MUYUAN FOODS In passato sono venuti qui anche brasiliani, coreani e giapponesi, e qualche giorno fa è venuta una delegazione dall’Olanda. Purtroppo, non potete entrare, ma se prendete quel visore potete vedere com’è dentro i palazzi.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Indossiamo il visore, che è l’unico modo con cui possiamo vedere l’allevamento all’interno. Ci sono le scrofe chiuse in gabbia, attualmente al quarto piano, e i suini da ingrasso chiusi nei recinti.

GIULIA INNOCENZI Tutto il sistema è automatizzato, il mangime, tutto. È un tipico allevamento intensivo.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma quando ci vedono filmare i vari stabilimenti da fuori, veniamo subito fermati.

GUARDIANO Deve cancellare le foto scattate.

GIULIA INNOCENZI Sono solo foto!

GUARDIANO Qui è vietato fare foto. Dammi la scheda della tua macchina fotografica così la metto nel pc e cancello direttamente io le foto.

FABIO MARTINELLI Ma non può leggere questa sim, non la può leggere questa sim.

AUTISTA Andiamo via, andiamo via, ce ne andiamo.

PETER LI - PROFESSORE DI AFFARI CINESI E POLITICHE LEGATE AGLI ANIMALI - HOUSTON UNIVERSITY Il governo cinese punta su questi maxi-allevamenti perché la sicurezza alimentare è fondamentale per la stabilità del regime. I cinesi che hanno più di 60 anni si ricordano la fame, il Paese ha sofferto diverse carestie nella sua storia recente. Pensate che se voi occidentali per salutarvi dite: “come stai?”, i cinesi fino a poco tempo fa dicevano: “hai mangiato oggi?”.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Grazie a questi maxi-allevamenti intensivi che hanno abbassato il costo di produzione, la carne di maiale si sta diffondendo sempre di più.

VENDITRICE La lingua, le orecchie, il muso, l’intestino, queste sono quelle che vendo di più.

GIULIA INNOCENZI E quella è la coda.

VENDITRICE Sì, e anche lo stinco e la zampa. Il maiale è l’animale preferito dei cinesi!

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO In vendita troviamo anche la pancetta, il salame e persino il prosciutto, che qui costa 8 euro al chilo.

GIULIA INNOCENZI Qual è il prodotto di questi lavorati che vende di più?

VENDITORE L’intestino con la salsa piccante. È buonissimo o col tofu o con le verdure, gli dà un sacco di sapore.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E in un banco troviamo in vendita anche il muso intero del maiale.

VENDITORE È molto buono se lo metti in salamoia.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Lo uno chef He Xintao ha lavorato per ristoranti stellati francesi. I suoi piatti riprendono la cucina tradizionale cinese e dunque il maiale. Annovera costolette al vapore, prosciutto su quadratini di fagioli conditi con olio di pollo e intestino, lonza, funghi e spezie, tutti preparati con uno speciale maiale bianco e nero allevato all’aperto che costa dieci volte di più del maiale normale. Ma cosa pensa lo chef della qualità della carne di maiale proveniente dai maxi-allevamenti?

HE XINTAO - CHEF Da cuoco, non mi piacciono. I maiali cresciuti lì dentro non sono molto saporiti, proprio come le verdure coltivate nelle serre. Ma per la stragrande maggioranza dei cinesi è tutta una questione di prezzo.

GIULIA INNOCENZI Quindi ai cinesi non interessa tanto che un maiale venga dal ventesimo piano di un palazzo?

HE XINTAO - CHEF L’importante è che la carne che esce da lì risponda agli standard di sicurezza imposti dal governo.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Le immagini di questi palazzi di 26 piani a meno di 100 km da Wuhan, in Cina, hanno fatto il giro del mondo. Da fuori sembrano normali edifici residenziali. All’interno, però, non ci sono persone, ma maiali. È l’allevamento più alto al mondo, realizzato da una società specializzata in costruzioni, la Zhongxin Kaiwei. Abbiamo provato a contattarli dall’Italia, ma abbiamo trovato solo porte chiuse. Così ci presentiamo di persona.

GUARDIANO No, mi dispiace. Bisogna essere autorizzati per entrare.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Intercettiamo qualcuno che sta entrando nell’edificio e ci fingiamo imprenditori del settore, venuti dall’Italia perché interessati a importare la tecnologia degli allevamenti grattacielo.

JIN LIN - DIRETTORE GENERALE DELL’ALLEVAMENTO Ho capito, voi volete vedere il nostro sistema di controllo, come funziona l’allevamento, ma oggi è impossibile, avreste dovuto prendere un appuntamento molto tempo fa.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Mentre ci parliamo, però, scopriamo che dall’Italia eravamo entrati in contatto proprio con lui, che è il direttore generale dell’allevamento; a un certo punto era diventato sospettoso e aveva interrotto le comunicazioni.

GIULIA INNOCENZI Ad aprile vi avevamo contattato.

JIN LIN - DIRETTORE GENERALE DELL’ALLEVAMENTO Ah, siete voi? Sì, mi ricordo, ci eravamo sentiti tanto tempo fa.

GIULIA INNOCENZI Se riusciamo a farci una chiacchiera che scendiamo dalla macchina così ci spiega due cose, quanti maiali, come si fa con l’ascensore…

JIN LIN -DIRETTORE GENERALE DELL’ALLEVAMENTO Va bene, ma senza foto.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Riusciamo a unirci a un incontro già fissato con una delegazione venuta dalla provincia confinante, l’Anhui, anche loro interessati ad aprire un allevamento grattacielo.

JIN LIN - DIRETTORE GENERALE DELL’ALLEVAMENTO Abbiamo costruito a una media di un piano a settimana, cinque piani al mese. Quando anche il secondo palazzo sarà ultimato, produrremo un milione e 200mila maiali l’anno. Abbiamo ottimizzato al massimo il terreno a disposizione. Al posto di quasi 500 ettari ce ne sono serviti soltanto 20. Abbiamo risparmiato così il 95% di suolo. L’intero investimento è costato mezzo miliardo di euro.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Veniamo invitati a pranzo, dove vengono offerti diversi piatti a base di maiale proveniente da uno dei 26 piani di questo allevamento. Poi il direttore ci mostra l’interno: solo dallo schermo però, per scongiurare il rischio dei virus.

JIN LIN - DIRETTORE GENERALE DELL’ALLEVAMENTO Questa è la nostra sala di controllo. Ogni postazione controlla un singolo piano, da lì si possono modificare le impostazioni di temperatura, acqua o mangime di ogni stanza. Abbiamo puntato molto sull’automatizzazione del lavoro. Bastano quattro persone per piano.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Che significa un lavoratore per quasi 6mila maiali, che sono o chiusi in gabbia o nei recinti.

DELEGAZIONE ANHUI Se investiamo per fare questo tipo di allevamento da noi, potete mandarci i vostri tecnici?

JIN LIN - DIRETTORE GENERALE DELL’ALLEVAMENTO Tranquilli, vi possiamo seguire noi. Bisogna fare attenzione a un sacco di cose, per esempio all’impianto di energia elettrica. In un allevamento così grande non puoi permetterti di avere dei blackout. In una giornata calda significherebbe la morte del 70% dei maiali. Ma ancora più importante è la biosicurezza. Qui chiunque entra in allevamento deve fare un test, stare un giorno in quarantena, farsi un minimo di tre docce e lavare i vestiti a 70 gradi. Dentro i nostri lavoratori hanno tutto, presto anche palestra e piscina.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Il responsabile dell’allevamento ci invita a un colloquio privato con lui, e passiamo davanti a quelli che sembrano gli alloggi dei lavoratori, per ora alquanto fatiscenti.

JIN LIN - DIRETTORE GENERALE DELL’ALLEVAMENTO Da quanto capisco, in Italia avete un problema di spazio e vi manca la tecnologia. Su questo possiamo aiutarvi noi.

GIULIA INNOCENZI Però bisogna vedere se in Italia ci danno le autorizzazioni per andare in alto.

JIN LIN - DIRETTORE GENERALE DELL’ALLEVAMENTO Neanche in Cina potevamo costruire questo tipo di allevamenti, ma le cose sono cambiate in fretta per tre motivi: l’aumento del consumo di carne di maiale, la necessità di risparmiare i terreni e un maggior controllo del virus. Ah, a proposito, ieri è venuta una delegazione di spagnoli in visita qui da noi.

GIULIA INNOCENZI E anche gli spagnoli sono interessati a fare i grattacieli?

JIN LIN - DIRETTORE GENERALE DELL’ALLEVAMENTO Sì.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Risparmio del consumo di suolo, controllo delle malattie, produrre più carne per abbassare il prezzo. Sembra la nuova strada intrapresa dai grandi gruppi industriali, rischia di diffondersi anche fuori dalla Cina, ma siamo sicuri che siano impenetrabili dai virus?

CLAUDIO BANDI - PROFESSORE DI MICROBIOLOGIA - UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO Noi potremmo considerare questi allevamenti come una bomba biologica perché diciamo abbiamo 600mila suini, un milione di suini, all’interno di un’unica struttura. Potrei immaginare che in un allevamento in una situazione di questo tipo possa eventualmente un agente infettivo che si presenti in una forma paucisintomatica, cioè un agente infettivo che non vedi, possa avere una sua evoluzione all’interno di un ecosistema come questo.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO E se si insinuasse un virus dalle modalità di contagio fino ad oggi sconosciute cosa accadrebbe? Siamo certi che la soluzione giusta sia quella di infilare gran parte delle riserve alimentari in un unico posto? Insomma, i cinesi, l’abbiamo visto, sono pronti a condividere la loro tecnologia, la loro esperienza, sono andati a trovarli dei gruppi olandesi e anche quelli spagnoli e a proposito, abbiamo chiesto al Ministero dell’Agricoltura spagnolo se avessero ricevuto domande per fare allevamenti grattacielo in Spagna, ci hanno risposto che nell’Unione europea vigono tra gli standard più alti al mondo per quanto riguarda il benessere animale. Insomma, non è proprio la risposta alla domanda che abbiamo fatto quindi il dubbio rimane: dobbiamo aspettarci anche noi quel tipo di allevamento, il grattacielo?

La scossa. Report Rai PUNTATA DEL 03/12/2023

di Giulia Innocenzi

Collaborazione di Greta Orsi e Giulia Sabella

Dopo l'inchiesta del 5 novembre, in cui Report aveva mostrato che per contrastare la peste suina erano stati abbattuti in Lombardia oltre 10.000 suini con l'elettrocuzione, e che erano stati commessi diversi maltrattamenti sugli animali, la procura di Pavia ha aperto un fascicolo e il ministro dell’agricoltura Lollobrigida è stato chiamato alla Camera dei deputati a dare spiegazioni. Chi ha autorizzato l'elettrocuzione, pratica sconsigliata su così tanti maiali, e perché? Giulia Innocenzi è inoltre entrata in possesso di alcune immagini sull'allevamento dove sono stati fatti gli abbattimenti. C'è un' emergenza benessere animale, fondamentale anche per evitare il rischio di propagazione di malattie?

LA SCOSSA di Giulia Innocenzi Collaborazione: Greta Orsi, Giulia Sabella Immagini: Giovanni De Faveri, Carlos Dias, Paolo Palermo Montaggio e grafica: Giorgio Vallati

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Grazie alle immagini in possesso di Last Chance for Animals vi avevamo mostrato diverse irregolarità nell’abbattimento a Pieve del Cairo. Non sempre gli elettrodi sono stati applicati nel posto giusto, come in questo caso in cui la scossa viene fatta sopra la testa anziché sulle tempie, così l’animale ci mette molto più tempo a morire. E in diversi casi esce un grosso fumo nero dagli animali, probabilmente perché gli elettrodi sono sporchi e creano quindi delle ustioni.

FRANCESCO FELIZIANI - RESPONSABILE LABORATORIO NAZIONALE PER LE PESTI SUINE È giusto puntare l’attenzione perché le cose bisogna correggerle.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Il nostro servizio mostrava anche alcuni operai che maltrattavano gli animali, dando calci e usando pannelli e punteruoli per colpirli, e il container con le carcasse infette è rimasto aperto per tutta la notte, condizione critica per il rispetto della biosicurezza. Alla Camera dei deputati si è acceso il dibattito

ELEONORA EVI – DEPUTATA ALLEANZA VERDI E SINISTRA – 29/11/2023 QUESTION TIME CAMERA DEI DEPUTATI Sono scioccanti le immagini andate in onda nella trasmissione Report, sono stati abbattuti migliaia di maiali con modalità che dire scandalose è dire poco.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma il ministro Lollobrigida difende l’operato di chi ha fatto gli abbattimenti.

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA - MINISTRO DELL’AGRICOLTURA – 29/11/2023 QUESTION TIME CAMERA DEI DEPUTATI Risulta che le operazioni sono state eseguite da ditte specializzate sotto il controllo del personale dell’agenzia di tutela della salute di Pavia, secondo le buone prassi del caso in osservanza delle norme sia in termini di biosicurezza che nel rispetto del benessere animale.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Last Chance for Animals, insieme alla Rete dei santuari di animali liberi, ha deciso di sporgere denuncia alla Procura di Pavia.

MONIA SABATELLI - PORTAVOCE LAST CHANCE FOR ANIMALS EUROPE Vogliamo che i responsabili dei gravi fatti della nostra inchiesta vengano individuati. Gli animali devono essere soppressi rispettando la loro etologia.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Andiamo a cercare il proprietario dell’allevamento dove sono stati fatti gli abbattimenti, che era presente mentre erano in corso i maltrattamenti ma che a noi aveva detto che era tutto a posto.

GIUSEPPE PAPETTI - ALLEVATORE La gente che è arrivata qua molto qualificata… Non ho nulla da dire.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma una persona che esce dal suo allevamento ci dice che non c’è perché sarebbe stato sentito sulle irregolarità degli abbattimenti che abbiamo mostrato.

UOMO È andato a testimoniare… Doveva andare, l’hanno chiamato a testimoniare…

GIULIA INNOCENZI A testimoniare per cosa? UOMO Per quell’affare che hanno fatto! Perché voi avete fatto vedere che picchiavano i maiali…

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Così gli chiediamo conferma se è vero che sia già stato sentito in merito a un’indagine in corso.

GIUSEPPE PAPETTI - ALLEVATORE Se lo sa perché me lo chiede.

GIULIA INNOCENZI Per avere la sua versione, cos’è successo…

GIUSEPPE PAPETTI - ALLEVATORE Guardi, io però purtroppo con giornalisti del suo livello non parlo.

GIULIA INNOCENZI Perché?

GIUSEPPE PAPETTI - ALLEVATORE Perché ha dimostrato di essere di una bassezza impressionante.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO L’allevatore Giuseppe Papetti con Report non vuole parlare, è il proprietario dell’allevamento Pieve del Cairo in Lombardia dove sono stati abbattuti degli animali perché colpiti dalla peste suina africana. Nella regione Lombardia complessivamente sono stati abbattuti oltre 40mila maiali. Gli esperti consigliano di utilizzare il gas quando si tratta di una mole di animali così importanti da abbattere, ed è per questo che avevamo visto i giorni scorsi una ditta olandese specializzata che girava con dei container gassificatori per uccidere, abbattere gli animali sul posto. Ma costa 100mila euro al giorno. Si tratta di contributi regionali, poi saranno rimborsati dal Ministero della Salute. E così però qualcuno ha pensato di rivolgersi a qualcuno di più economico, alla cooperativa del Bidente che fa capo al signor Ido Bezzi, insomma, che usa la scossa elettrica per uccidere i maiali. La nostra Giulia Innocenzi ha scoperto ha scoperto che i casi di maltrattamento sugli animali che aveva ripreso la volta scorsa insomma non sono un caso isolato.

GIULIA INNOCENZI Volevo chiederle alcune cose sull’elettrocuzione che era avvenuta.

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Guardi per favore lei vada.

GIULIA INNOCENZI Era stata autorizzata dall’Ats?

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Intanto lei mi fa sparire lui per favore, chiama la polizia, non me ne frega un cazzo.

GIULIA INNOCENZI Siamo la televisione quindi.

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Non me ne frega un cazzo!

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Lui è Ido Bezzi, titolare della Cooperativa del Bidente, la ditta che è stata incaricata di abbattere oltre 10mila maiali a Pavia, dove la peste suina africana ha colpito diversi allevamenti. L’abbattimento è stato fatto con l’elettrocuzione, e cioè con una pinza si dà una scossa alle tempie dell’animale per portarlo alla morte. Ma non andrebbe fatta su tanti suini.

FRANCESCO FELIZIANI - RESPONSABILE LABORATORIO NAZIONALE PER LE PESTI SUINE L’elettrocuzione sui maiali andrebbe evitata nei grandi numeri perché il trattamento individuale di tanti suini è complicato da gestire.

GIULIA INNOCENZI È stata fatta l’elettrocuzione su 10mila maiali.

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Aspetti, chiamo il 113.

GIULIA INNOCENZI Li chiami, noi abbiamo il diritto all’informazione quindi possiamo filmare.

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE L’informazione la do se mi pare, no no.

GIULIA INNOCENZI Ma io le sto facendo delle domande. L’ho cercata per lo scorso servizio per sapere chi ha deciso di fare l’elettrocuzione su oltre 10mila maiali, perché non andrebbe fatta su così tanti maiali.

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Ascolti dottoressa, mi lasci in pace! Lei non ha diritto a farmi delle domande.

GIULIA INNOCENZI Ma perché non può rispondere?

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Lei non si preoccupi del perché. Non si preoccupi, si vada a informare, prima di fare servizi del cazzo. Lei ha fatto un servizio del cazzo. E lei smetta di filmarmi.

GIULIA INNOCENZI Cosa abbiamo sbagliato mi scusi?

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Lei smetta di filmarmi!

GIULIA INNOCENZI No, no, mi scusi, non minacci…

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Io non minaccio, la denuncio!

GIULIA INNOCENZI Ci denunci pure ma noi siamo qui per…

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Lei non mi può filmare!

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Com’è stato possibile che l’abbattimento dei suini sia stato fatto con l’elettrocuzione anziché col gas e con diversi episodi di maltrattamento?

FRANCESCO FELIZIANI - RESPONSABILE LABORATORIO NAZIONALE PER LE PESTI SUINE È stato fatto da professionisti ma con un bagaglio di esperienza piuttosto limitato. Sono i primi suini in focolai importanti abbattuti.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO È davvero così? Siamo alle porte di Roma. In un allevamento vicino, poco più di un anno fa, viene trovato un animale positivo alla peste suina. E così arriva l’ordine di abbattimento anche per i 44 maiali della scuderia di Marco Tosi.

MARCO TOSI - ALLEVATORE Si sono presentati qui l’Asl con la polizia. Io ho cercato di impedire l’entrata, tenendo chiuso il cancello. E niente. Alla fine, hanno rotto il cancello, sono entrati…

MARCO TOSI - ALLEVATORE Ecco, adesso vi faccio vedere come li uccidono eh! Guardate che fenomeni che sono, guardate che fenomeni.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO L’ allevatore Marco Tosi filma con il suo cellulare le operazioni di abbattimento. Viene passata una pinza all’interno del recinto, perché anche qui viene usata l’elettrocuzione. Gli operatori provano a immobilizzare gli animali perché devono applicargli gli elettrodi per fare la scossa, ma non ci riescono. Prendono allora un cordino metallico, riescono ad acchiappare un suinetto e gli fanno una prima scossa, che però non funziona perché l’animale riesce a divincolarsi. Ne fanno una seconda che riesce invece a uccidere il maiale. Il proprietario degli animali dà in escandescenza contro il titolare della ditta che fa gli abbattimenti.

MARCO TOSI - ALLEVATORE Bravo, te ne devi andare, perché non puoi lavorare così. Uno perché non sei bono, perché non sei bono manco ad acchiapparli tu. Hai capito? Lascia perde, cambia mestiere. Perché manco li sai acchiappare! Cambia mestiere! Dammi retta. Guarda che hai fatto. Non lo tocco, non si preoccupi, non sono scemo.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO La persona contro cui sta imprecando sembra proprio Ido Bezzi, il responsabile degli abbattimenti in provincia di Pavia, oltre che di quelli vicino Roma. Perché allora a distanza di un anno ha continuato a usare lo stesso metodo che presenta diverse criticità?

GIULIA INNOCENZI Io le devo chiedere anche degli abbattimenti nella regione Lazio, dove mi risulta siano stati fatti dalla sua cooperativa sempre con l’elettrocuzione, senza però bloccare i suini che scappavano di qua e di là e li rincorrevate con la pinza. Posso chiederle come sono stati fatti questi abbattimenti? Ho visto i video, ho visto i video di come sono stati fatti gli abbattimenti.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ci sarebbe anche Bezzi a cercare di bloccare i suini, che però continuano a scappare. Un operatore riesce ad agganciare al volo un maiale con la pinza, che dopo un po’ muore. Difficilmente in queste condizioni gli elettrodi vengono applicati nella maniera corretta.

FRANCESCO FELIZIANI - RESPONSABILE LABORATORIO NAZIONALE PER LE PESTI SUINE Queste sono cose molto importanti, che è giusto che vadano approfondite, anche perché questa ditta non sarà probabilmente l’ultima volta che verrà chiamata in campo.

GIULIA INNOCENZI Ha vinto un bando per mi sembra cinque anni gestire sia per la peste suina che l’influenza aviaria.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E non solo in Lombardia. Siamo arrivati fino a Minerbe, campagna nei dintorni di Verona, perché sempre la cooperativa Bidente sta abbattendo i polli di un allevamento dove è riuscita a entrare l’influenza aviaria. Ma il responsabile della ditta, pur di non rispondere alle nostre domande, chiede l’intervento dei carabinieri.

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Intervenite subito che ho la televisione che mi sta molestando. Raitre mi sta importunando.

GIULIA INNOCENZI Report.

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Report mi sta importunando. Per favore intervenite subito.

GIULIA INNOCENZI Fare domande è molestare secondo lei?

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Sì, fare domande è molestare. Le sto rispondendo che non voglio essere filmato nella mia persona, e ne ho diritto. Si ricordi che lo so anch’io quali sono i miei diritti.

GIULIA INNOCENZI E noi abbiamo diritto di cronaca!

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Sì, ma mi stanno seguendo continuamente, mi stanno venendo dietro anche al bagno! Sono venuti all’interno…

GIULIA INNOCENZI All’interno no mi scusi.

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Adesso sono usciti!

GIULIA INNOCENZI No, mai entrati.

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Lei è venuta qui.

GIULIA INNOCENZI No mai mai.

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Lei può intervenire BIP a Minerbe, sì o no? Sennò mi dica di no.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma i carabinieri non intervengono e prima di andare via ci tiene a commentare il nostro servizio.

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Lei dottoressa, l’ho vista la sua trasmissione, mi fa vomitare.

GIULIA INNOCENZI Perché abbiamo raccontato che avete fatto l’abbattimento ai suini con l’elettrocuzione?

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Lei non si preoccupi.

GIULIA INNOCENZI Non era da fare col gas in quel caso?

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Lei non si preoccupi che non capisce un cazzo di queste cose!

GIULIA INNOCENZI Me l’ha detto l’esperto consulente del governo, non me le invento io queste cose.

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE Non capite un cazzo non siete acculturati!

GIULIA INNOCENZI Tramite lei, se mi risponde.

IDO BEZZI – PRESIDENTE COOPERATIVA AGRICOLA DEL BIDENTE La si culturi! Se volete andate al servizio veterinario, non a noi!

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Non solo ci eravamo rivolti al servizio veterinario della Lombardia, che non ci ha mai risposto, ma anche all’assessore all’Agricoltura, visto che è la Regione a elargire i sussidi pubblici per gli abbattimenti, e quindi dovrebbe vigilare ulteriormente.

GIULIA INNOCENZI Abbiamo delle immagini rispetto agli abbattimenti fatti dalla ditta italiana, purtroppo ci sono filmati i maltrattamenti sui maiali, che sono stati abbattuti, non so se lo sapeva, con l’elettrocuzione, che è un sistema che non andrebbe fatto su migliaia di maiali.

ALESSANDRO BEDUSCHI – ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA – REGIONE LOMBARDIA Io credo che ci siano, ho visto delle situazioni difficili, perché chiaramente bisogna agire in grande velocità, ma però credo che la tutela dell’animale deve essere prevalente e sono sicuro che questo è stato. GIULIA INNOCENZI Però non ha visto le immagini che mostriamo a Report.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO C’è da chiedersi: perché è stata chiamata la ditta italiana a fare l’elettrocuzione? Forse perché costa molto meno dei 100mila euro al giorno della ditta olandese specializzata che dispone di container con il gas per abbattere gli animali? Il tutto è avvenuto davanti agli occhi di un veterinario dell’ Ats.

GIULIA INNOCENZI Ma lì c’era il veterinario dell’Ats, però, e sono successe queste cose, quindi cosa si può fare?

ALESSANDRO BEDUSCHI – ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA – REGIONE LOMBARDIA Tutti sono uomini e tutti possono sbagliare, io credo che di errori, se ne sono stati fatti…

GIULIA INNOCENZI Finanziato coi soldi pubblici!

ALESSANDRO BEDUSCHI – ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA – REGIONE LOMBARDIA No, guardi, noi stiamo molto attenti alla qualità.

GIULIA INNOCENZI Ma noi stiamo finanziando la ditta che ha fatto questi abbattimenti.

ALESSANDRO BEDUSCHI – ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA – REGIONE LOMBARDIA Credo che se ci sono delle cose che non vanno saremo i primi a essere…

GIULIA INNOCENZI Se lei è interessato noi la informeremo su tutto.

ALESSANDRO BEDUSCHI – ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA – REGIONE LOMBARDIA Sì. Con piacere.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E dopo il nostro servizio, alla Camera dei deputati, il ministro Lollobrigida si dice d’accordo sul fatto che…

FRANCESCO LOLLOBRIGIDA - MINISTRO DELL’AGRICOLTURA – 29/11/2023 QUESTION TIME CAMERA DEI DEPUTATI Chi riceve ristori da parte del bilancio pubblico sia tenuto al puntuale rispetto della normativa che regola la materia e che debba operare nella piena legalità. Allo stesso tempo però ritengo che spetti all’autorità giudiziaria, verificare se siano stati commessi reati. Non può essere compito di una trasmissione televisiva perseguire presunti colpevoli di reati, né tanto meno emettere condanne sommarie. Informare è corretto invece.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Insomma, non possiamo che esser d’accordo con quello che ha detto il ministro. E abbiamo del resto condiviso le informazioni proprio per accertare i fatti. Però se la questione è sbarcata nella Camera dei deputati, insomma nell’Assemblea regionale lombarda tutto tace. L’assessore Beduschi è tornato a parlare di peste suina ma solo per ricordare la questione dei risarcimenti. Evidentemente quello ha cuore, non le modalità con cui vengono abbattuti i maiali, né i maltrattamenti. Anzi, annunciando anche che venivano allentate le restrizioni per via della peste suina nell’area di Pavia, ha ricordato come l’Europa si sia complimentata con la Regione Lombardia per la serietà con cui ha affrontato il tema della peste suina africana. Per quello che riguarda invece le modalità con cui sono stati abbattuti, cioè con la scossa, nella Regione Lazio i maiali, la Asl Roma 1 ci fa sapere che è stata usata solo su mille maiali perché il gas era improponibile in quanto quell’area non era, quella struttura non era ermetica. Ed è per questo che gli olandesi vanno in giro con i container, però costano cento mila euro al giorno. E ora vediamo invece quello che accade quando in un allevamento si introduce un’investigatrice all’insaputa del proprietario dell’allevamento.

ALLEVATORE Allora, sei scioccata?

INVESTIGATRICE No, alla fine no.

ALLEVATORE Settimana prossima andiamo a prendere gli abiti. Perché l’anno prossimo dobbiamo avere tutti la stessa uniforme, stessa divisa, si lasciano qui, si lavano, ci cambiamo… Eh?

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Allora, qualche puntata fa avevamo documentato il modo in cui venivano abbattuti e anche maltrattati alcuni animali colpiti dalla peste suina africana. Dopo la nostra inchiesta la Procura di Pavia ha aperto un fascicolo, ascoltato fra gli altri anche un allevatore, Giuseppe Papetti, lo stesso che ai microfoni della nostra Giulia Innocenzi aveva detto: voi non potete capire il dolore che proviamo quando vengono abbattuti i nostri animali, i nostri bambini. Ecco, sul dolore e l’amore che prova nei confronti dei suoi animali ha raccolto una corposa documentazione un’investigatrice di Essere animali che si è infiltrata nel suo allevamento e ha lavorato fianco a fianco con lui per due mesi.

ALLEVATORE Allora, sei scioccata?

INVESTIGATRICE No, alla fine no.

ALLEVATORE Settimana prossima andiamo a prendere gli abiti. Perché l’anno prossimo dobbiamo avere tutti la stessa uniforme, stessa divisa, si lasciano qui, si lavano, ci cambiamo… Eh?

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO L’uomo che parla con in mano un suino che ha appena sgozzato ci risulta essere Giuseppe Papetti, il proprietario dell’allevamento dove sono stati fatti gli abbattimenti per peste suina africana finiti al centro di un’inchiesta a seguito del nostro servizio. Chi sta filmando è una collaboratrice dell’associazione Essere animali, che ha lavorato proprio per il suo allevamento per due mesi, fra fine 2019 e inizio 2020.

CHIARA CAPRIO – RESPONSABILE RELAZIONI ISTITUZIONALI ESSERE ANIMALI Si è proposta ed è stata presa come lavoratrice all’interno di questo allevamento di suini. Il compito fondamentalmente era di gestire la quotidianità dell’allevamento, eseguiva quello che le veniva indicato sia dal proprietario che dagli altri operai.

GIULIA INNOCENZI Aveva un contratto?

GIUSEPPE PAPETTI - ALLEVATORE No.

GIULIA INNOCENZI Quindi è stata pagata in nero?

GIUSEPPE PAPETTI - ALLEVATORE Sì.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO L’allevamento aveva più di 6mila animali, fra scrofe e suinetti. Nell’allevamento venivano dati diversi medicinali agli animali. OPERATRICE Questo antibiotico, di questo c’è bisogno di 20 cc. INVESTIGATRICE Invece l’altra che dai per farle dormire?

OPERATRICE 5cc. Uno qua, una di là.

INVESTIGATRICE Ok. Che cos’è?

OPERATRICE Per tutti, deve mangiare tutti.

INVESTIGATRICE È una medicina?

OPERATRICE Sì.

INVESTIGATRICE Indicato nelle infezioni sostenute da germi.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Il veterinario aziendale dà indicazioni sui trattamenti farmacologici da fare ai suinetti appena nati.

VETERINARIO AZIENDALE Noi avevamo detto di fare a tre giorni l’antibiotico. Se per caso gli viene la diarrea fallo a tutti, anche se ce l’hanno solamente in due tre, fallo a tutti i suinetti.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Cioè dà indicazioni contrarie ai regolamenti europei, che hanno messo uno stop al trattamento antibiotico in via preventiva a tutti gli animali.

CHIARA CAPRIO – RESPONSABILE RELAZIONI ISTITUZIONALI ESSERE ANIMALI A un certo punto le viene indicato di smaltire questi farmaci in maniera non regolare. Si reca appena al di fuori dell’allevamento e con un martello, con un piccolo martello, distruggere i farmaci. Sono rifiuti speciali, quindi di sicuro non andrebbero smaltiti in questo modo.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO In allevamento ci sono diversi suinetti malati o moribondi, che quando muoiono vengono raccolti e messi in dei cestini. Anche l’investigatrice è costretta a farlo. Ma le carcasse vengono lasciate per diversi giorni in questi carrelli, all’aperto.

CHIARA CAPRIO – RESPONSABILE RELAZIONI ISTITUZIONALI ESSERE ANIMALI Normalmente gli animali morti all’interno di un allevamento vengono raccolti e messi in una cella frigorifera che garantisce l’isolamento dei cadaveri. In questo caso non è così.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Per i gatti, presenti in maniera numerosa, una gran scorpacciata. Molto pericolosa però, perché potrebbe aiutare il diffondersi di malattie. Un giorno una scrofa partorisce tutti suinetti morti. Il veterinario aziendale la spiega così:

VETERINARIO AZIENDALE Preso botta! Le abbiamo spostate gravide, sul camion…

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Di fatti anche gli spostamenti non venivano fatti in maniera corretta. Questa scrofa ha le zampe lacerate. Per farla muovere l’operatrice la colpisce ripetutamente col pannello. Dopo uno scarico di animali dal camion, questa scrofa gravida viene lasciata per terra perché non riesce a muoversi. Le legano una catena alla zampa e la trascinano. Quello che trascina la scrofa sarebbe proprio il proprietario dell’allevamento. Eppure ci aveva detto:

GIUSEPPE PAPETTI - ALLEVATORE Più animalisti di noi non c’è nessuno. Noi doniamo la vita.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Questa volta ha meno voglia di parlare.

GIULIA INNOCENZI Abbiamo delle immagini di lei che trascina una scrofa con una corda legata alla zampa, poi abbiamo dei suini lasciati all’aperto. Poi c’è lei che fa la macellazione all’interno del suo allevamento, aveva le autorizzazioni per farlo?

GIUSEPPE PAPETTI - ALLEVATORE Ah, guardi, io quello che ho fatto l’ho fatto perché sono autorizzato.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO L’investigatrice sposta un carrello con diversi suinetti fino a un recinto dietro l’allevamento. Da lì l’operatrice ne preleva uno.

GIUSEPPE PAPETTI - ALLEVATORE Eh, quante cose che ti insegniamo…

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E quello che sembra il proprietario dell’allevamento lo sgozza con un coltellino, senza prima procedere allo stordimento, come invece è previsto dalla legge, proprio per alleviare le sofferenze all’animale. L’operazione viene fatta più volte e i suini vengono lasciati morire sul pavimento. Presenti ancora una volta i gatti, pronti a mangiare i resti della macellazione. E i suinetti nei carrelli che devono assistere mentre aspettano il loro turno.

CHIARA CAPRIO – RESPONSABILE RELAZIONI ISTITUZIONALI ESSERE ANIMALI Era a tutti gli effetti una macellazione clandestina. Non c’era un’area adibita alla macellazione, non vi era la supervisione di un veterinario, la strumentazione non era pulita, adeguata…

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Eppure il proprietario dell'allevamento sembra che destini questa carne anche al consumo umano, e infatti la offre a un operaio lì presente.

GIUSEPPE PAPETTI - ALLEVATORE Vuoi una porchetta? Prendine una. Fatti dare un cellophane dall’Ilaria, un sacco dell’immondizia.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E si organizza per venderli esternamente.

 GIUSEPPE PAPETTI - ALLEVATORE Mi devono confermare per i maialini.

INVESTIGATRICE Ah va bene.

GIUSEPPE PAPETTI - ALLEVATORE Prima mi hanno detto che li volevano, poi mi hanno detto di no questa mattina, ma adesso me lo devono confermare.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Il proprietario dell’allevamento, dopo averci chiuso il telefono in faccia… Chiama anche i carabinieri

GIULIA INNOCENZI Buongiorno.

CARABINIERI Che succede?

GIULIA INNOCENZI Noi siamo qui aspettando il signor Papetti. Siete stati chiamati da qualcuno?

CARABINIERI Ci hanno chiesto un intervento ora…

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Così entrano nell’allevamento ed escono poco dopo.

CARABINIERI La sua volontà è quella di non rilasciare alcuna dichiarazione. Per quanto mi riguarda noi abbiamo finito.

GIULIA INNOCENZI La ringrazio, buon lavoro, arrivederci.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Insomma, l’associazione Essere animali ha presentato una denuncia presso la Procura di Pavia, che ha aperto un’indagine ma poi è stata archiviata perché non è stato possibile identificare i responsabili. Allora, le immagini le avete viste, insomma: macellazione clandestina, animali tirati con la catena, uso di antibiotici in maniera preventiva, carcasse abbandonate all’aperto. Ora, la nostra Giulia Innocenzi ha chiesto a Giuseppe Papetti. ma sei tu quello che si vede nelle immagini? Insomma, non ha risposto, ha preferito chiamare i carabinieri. Insomma, probabilmente anche Papetti riceverà i ristori per gli abbattimenti dei suini colpiti dall’epidemia di peste suina africana. Insomma, basta che abbia rispettato però i criteri di biosicurezza, insomma. Poco importa invece se ha maltrattato gli animali, poco importa se ha osservato il benessere animale quando invece sarebbe stato importante perché anche osservare il benessere animale tutela dalla diffusione delle malattie, anche ai danni dell’uomo.

Che macello! Report Rai. PUNTATA DEL 05/06/2023 di Bernardo Iovene

Collaborazione di Lidia Galeazzo e Greta Orsi

I lavoratori che si occupano del disosso della carne sono a rischio malattie professionali: come vengono tutelati?

All’interno degli stabilimenti Inalca del gruppo Cremonini, l’Inail ha riconosciuto a 35 lavoratori malattie professionali dovute alla modalità di lavorazione del disosso della carne. Ma secondo le testimonianze di lavoratori e alcuni sindacati la situazione sarebbe ancora più grave. Anche l’Ats di Milano è intervenuta con prescrizioni che prevedono più pause e ritmi meno elevati. I sindacati Cgil e Usb denunciano un rapporto difficile con l’azienda in ambito di sicurezza e le prescrizioni dell’ATS non basterebbero a evitare malattie muscolo-scheletriche ai lavoratori. Report ha intervistato un medico del lavoro dell’ATS oggi in pensione, che aveva effettuato un controllo all’interno dell’azienda del gruppo Cremonini per verificare il nesso con il lavoro svolto e 6 casi di malattie e lesioni agli arti. Racconta il suo stupore sia sulla metodologia del lavoro che nel rilevare che all’interno c’erano stati altri 60 casi di patologie simili. 

CHE MACELLO! di Bernardo Iovene Collaborazione di Lidia Galeazzo e Greta Orsi Filmaker: Paco Sannino Grafiche: Federico Ajello

SIMONE MONTUSCHI – PORTAVOCE ESSERE ANIMALI ONLUS Il sistema di produzione intensivo della carne è crudele per gli animali, ma è crudele anche per i lavoratori, sicuramente.

BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO La carne prima di arrivare sulla nostra tavola nei macelli viene sezionata e disossata. Un processo crudele per gli animali, ma anche per i lavoratori che manualmente, per ore, impiegano sega e coltelli per disossare le parti.

SIMONE MONTUSCHI – PORTAVOCE ESSERE ANIMALI ONLUS E qui si vedono chiaramente la macellazione anche di molti, molti capi, uno dietro l'altro, a ritmi comunque molto molto veloci.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Bentornati. Allora parliamo di un luogo dove si sa già in anticipo che i lavoratori si ammaleranno di quelle patologie legate alle attività che svolgono. Parliamo dei macelli Inalca, il braccio produttivo del Gruppo Cremonini, player mondiale della carne bovina. Nei 28 stabilimenti sparsi in tutto il mondo lavorano la bellezza di 500 mila tonnellate di carne e i poco meno 19 mila dipendenti contribuiscono con il loro lavoro ai ricavati di oltre 5 miliardi di euro ogni anno. Il nostro Bernardo Iovene.

BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Questa è una procedura standard ma quando i ritmi di produzione aumentano i lavoratori accusano problemi di carattere muscolo-scheletrici, la segnalazione ci viene da sindacati e lavoratori del macello Inalca del gruppo Cremonini che con i suoi marchi è la più grossa del settore.

ROBERTO MONTANARI - RESPONSABILE USB PIACENZA Bisogna applicare una forza, tagliare, recidere. Abbiamo una tipologia che è quella del tunnel carpale, che è quella più diffusa, ma abbiamo problemi alla spina dorsale, quindi ernie e via dicendo.

BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO L’Inail all’interno di Inalca ha riconosciuto 35 lavoratori con malattie professionali. Jonathan ha lavorato per 12 anni all’interno e oggi ha tanti problemi.

BERNARDO IOVENE Sono quattro ernie.

JHONATAN IVAN ARMIJOS ROMERO – EX OPERAIO INALCA Questo è il tendine rotto 10,5 mm.

BERNARDO IOVENE Da operare.

JHONATAN IVAN ARMIJOS ROMERO – EX OPERAIO INALCA Se io vado avanti così mi fa lesionare gli altri tendini. Rx spalla sinistra che ho calcificazione ed operazione la cuffia della spalla, mi riempio di OKI per farmi passare il dolore. A 39 anni sono rovinato così.

BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Jhonatan è stato licenziato proprio per i problemi legati ai giorni di malattia. E Scopriamo che in tema di sicurezza sul lavoro oltre a USB anche la CGIL ha rapporti problematici con l’azienda.

DAVIDE TORBIDI - SEGRETARIO GENERALE FLAI CGIL LODI Si fa fatica a discutere con questa azienda di sicurezza, sui ritmi di lavoro che troppo veloci, che quindi causano anche un aumento di infortuni.

ROBERTO MONTANARI - RESPONSABILE USB PIACENZA Esatto questa è la foto di una, di una, di una cosa abbastanza consueta un taglio di coltello alla mano visto che si lavora con quelle, si lavora troppo forte, i ritmi sono troppo alti non sono ritmi umani e non lo diciamo noi lo ha riconosciuto l’ ATS e siamo nel terzo millennio in Italia.

BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Tuttavia, il clima che si respira all’interno dell’azienda è quello di ostilità nei confronti di chi si iscrive al sindacato.

ROBERTO MONTANARI - RESPONSABILE USB PIACENZA Magari perdi una serie di indennità, di bonus, di riconoscimenti economici che prima avevi.

DAVIDE TORBIDI - SEGRETARIO GENERALE FLAI CGIL LODI Significa magari essere spostati di reparto. Sono i famosi reparti punitivi? No, non gli vengono riconosciute le ferie o dei permessi.

BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Addirittura, quando ci sono le assemblee ci sono dei responsabili aziendali che filmano gli interventi.

DAVIDE TORBIDI - SEGRETARIO GENERALE FLAI CGIL LODI Se un responsabile filma nessun lavoratore si sente tranquillo poi… e quindi ho aperto una querela.

BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Del resto, Inalca non riconosce il contratto nazionale alimentare, non l’ha firmato.

DAVIDE TORBIDI - SEGRETARIO GENERALE FLAI CGIL LODI Poi ci sono tutte le norme previste dal contratto nazionale. L'azienda riconosce la parte economica punto, tutto il resto basta.

BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO I ritmi elevati sono stati anche riconosciuti dall’ATS di Lodi che ha dato anche delle prescrizioni sulle pause

DAVIDE TORBIDI - SEGRETARIO GENERALE FLAI CGIL LODI Ma non mi sembra che abbiano apportato dei grandi risultati. Io so soltanto che spesso qualche mio delegato mi dice: domani viene l’ATS.

BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO L’ATS è l’Agenzia di tutela della salute, l’ASL lombarda pare che a Inalca tutti siano al corrente quando arriva per i controlli.

JHONATAN IVAN ARMIJOS ROMERO – EX OPERAIO INALCA Poi quando ci sono le visite e i controlli, un’ora prima mettono tutto a posto. Il nastro va pianissimo che ci guardiamo in faccia tutti. Come mai? Finita quella mezz'oretta lì, noi dobbiamo recuperare pure quella mezz’oretta che siamo stati fermi, e il ritmo aumenta. E lì non è che vai a lavorare, lì vai in guerra praticamente.

BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO L’USB attraverso simulazioni del lavoro e un video dell’attività reale girato all’interno di Inalca ha fatto un’analisi ergonomica con il sistema Ocra index.

FRANCESCO TUCCINO - ERGONOMO Si basa su tre fattori di rischio velocità e qui abbiamo una velocità di oltre 90 azioni per minuto che è molto alta. Poi sulle posture assunte con le braccia, si sta con le braccia ad 80 gradi e oltre. E poi l'altro fattore di rischio primario è la forza che si applica, più forza, eccola e questa.

BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Questo metodo, riconosciuto dal testo unico sulla salute e sicurezza, stabilisce il livello di rischio certo per gli arti superiori se con le analisi si ottiene un valore superiore a 3,5.

FRANCESCO TUCCINO - ERGONOMO Io nell'analisi che ho fatto con il software di Ocra Index ho ottenuto un valore di indice di rischio di 3000.

BERNARDO IOVENE Però mi faccio capire 3,5 è il limite, tre unità. Invece abbiamo 3000?

FRANCESCO TUCCINO - ERGONOMO 3000. Siamo in una condizione di rischio certo.

CARLO GUGLIELMI - AVVOCATO INCARICATO DA USB C'è un'organizzazione del lavoro che prevede solo, come dire, due possibili esiti: o ti sei ammalato o ti stai per ammalare. La cosa straordinaria è che, nonostante anni di denunce, non solo questo sistema di lavoro va avanti, ma nessuno degli enti pubblici preposti a intervenire sia significativamente intervenuto.

BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO ATS ed Inalca dopo vari solleciti non hanno voluto rilasciare interviste noi però abbiamo rintracciato il dott. Mendicino che è stato 40 anni in ATS Milano nel servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro. Nel maggio 2022 ha affiancato come medico del lavoro un collega in un’ispezione nell’azienda Inalca di Cremonini. C’era da verificare se su sei casi di malattie e lesioni agli arti, esistesse un nesso con il lavoro svolto.

CLAUDIO MENDICINO - EX ISPETTORE ATS MILANO Mi è parso immediatamente evidente che il nesso tra queste patologie e l'attività che svolgevano questi lavoratori fosse evidente.

BERNARDO IOVENE In base alla sua esperienza qualsiasi ispettore andava lì avrebbe potuto constatare questa cosa.

CLAUDIO MENDICINO - EX ISPETTORE ATS MILANO Avrebbe dovuto constatare.

BERNARDO IOVENE Ah, avrebbe dovuto!

BERNARDO IOVENE All'interno di INALCA vi hanno detto che c'erano stati un'altra sessantina di casi del genere.

CLAUDIO MENDICINO - EX ISPETTORE ATS MILANO Si.

CLAUDIO MENDICINO - EX ISPETTORE ATS MILANO Con una naturalezza che obiettivamente mi ha sbalordito. Cioè come se 60 patologie professionali dello stesso tipo nella stessa azienda in un numero concentrato di anni non fosse qualcosa di straordinario, invece lo è.

BERNARDO IOVENE Ma lei avesse avuta la possibilità che prescrizioni avrebbe dato?

CLAUDIO MENDICINO - EX ISPETTORE ATS MILANO Ridurre i capi da disossare, aumentando magari il personale impiegato sulla linea, e soprattutto inserendo delle pause compensative del riposo che la parte articolare deve avere per recuperare. Ciò che doveva essere fatto non è stato fatto. Se poi questo avviene per compiacenza, per incapacità, per altri motivi, non sono davvero in grado di poterlo dire.

BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Ci sarebbe il sindacato, ma la situazione all’interno di Inalca è complicata, alcuni ribelli dell’USB hanno avuto addirittura dall’azienda un incentivo all’esodo, il sindacato più rappresentativo però è la Cisl.

BERNARDO IOVENE La Cisl la pensa come voi?

DAVIDE TORBIDI - SEGRETARIO GENERALE FLAI CGIL LODI Io mi sono sempre trovato da solo fuori da quei cancelli a difendere questi problemi della sicurezza. Mi sono trovato da solo a chiedere un incontro al prefetto.

BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO La CISL attraverso il suo ente di formazione lo Ial, organizza per Inalca corsi di formazione per la lavorazione e vendita delle carni. Gran parte dei partecipanti sono assunti poi nello stabilimento del gruppo Cremonini, abbiamo chiesto al segretario di Lodi se i loro iscritti sono discriminati come quelli di Usb e Cgil.

BERNARDO IOVENE A voi risultano queste cose?

ALESSANDRO CERIOLI - SEGRETARIO GENERALE FAI CISL PAVIA-LODI No, ai nostri iscritti non sono discriminati.

BERNARDO IOVENE Non succede nulla. ALESSANDRO CERIOLI - SEGRETARIO GENERALE FAI CISL PAVIA-LODI No no.

BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Il segretario si differenzia anche sui ritmi di lavoro.

BERNARDO IOVENE Sono già diminuiti secondo lei questi ritmi?

ALESSANDRO CERIOLI - SEGRETARIO GENERALE FAI CISL PAVIA-LODI Sono già diminuiti. La macellazione è diminuita ed è aumentato il numero di personale? Questo basta? No, non basta perché nelle proposte che abbiamo fatto, ma io vorrei farle a un tavolo sindacale.

BERNARDO IOVENE Siete più vicini a USB su queste cose immagino. Visto che…

DAVIDE TORBIDI - SEGRETARIO GENERALE FLAI CGIL LODI Se parliamo di sicurezza sicuramente siamo più vicini all'USB, se parliamo di sicurezza su questo non c'è dubbio.

BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Insomma, la divisione che si percepisce tra CGIL, CISL e Uil sul tema della sicurezza del lavoro è grave, come è gravissima l’accusa del segretario della Camera del Lavoro. Un’affermazione che non avremmo mai voluto sentire nel 2023.

GUIDO SCARPINO - SEGRETARIO ORGANIZZATIVO CAMERA DEL LAVORO CGIL LODI Manca da questa impresa il rispetto per le persone, il rispetto per la loro dignità. Tanto Gli animali che entrano, tanto i lavoratori che ci operano dentro sono considerati credo alla stessa stregua, mi dispiace dire una cosa del genere.

BERNARDO IOVENE Una cosa però forte, grave questa cosa.

GUIDO SCARPINO - SEGRETARIO ORGANIZZATIVO CAMERA DEL LAVORO CGIL LODI Eh, sì però.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Lavoratori come bestie. Questo è il pensiero del responsabile della Cgil di Lodi. Dopo le nostre interviste, ci fanno sapere che il clima tra le sigle sindacali si è un po' disteso, ed è un bene quando si parla di sicurezza dei lavoratori. Sul merito Inalca invece ci fa sapere che sono pochi i dipendenti che si lamentano delle condizioni di lavoro. Respinge carenze, le accuse di carenze gestionali e anche sulla mancata sicurezza. Mentre ATS ci conferma che lo stabilimento è stato oggetto di ispezioni da parte del servizio "Prevenzione e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro”. Vedremo intanto i risultati. Però insomma qualcosa per migliorare le condizioni di questi lavoratori si potrebbe fare. A cominciare, per esempio, a mettere i pezzi di carne da tagliare su un nastro orizzontale, questo aiuterebbe la postura delle spalle e delle braccia perché si lavorerebbe più in basso. Poi si potrebbe un po' allentare il ritmo delle lavorazioni e anche assumendo più personale e magari aumentando anche le pause. Ora va detto che dopo le prescrizioni di Ats sono state incrementate un po' le pause da parte di Inalca ma sono pause da dieci minuti e, se si considera che un operatore lavora nel freddo e lavora anche in un ambiente molto sporco, deve ogni volta spogliarsi, lavarsi, uscire, rientrare, rivestirsi. Insomma, il tempo per queste operazioni assorbe praticamente tutta la pausa. Per questo per gli operatori, lavoratori sono viste un po' come delle beffe.

Il Bracconaggio.

Caccia, il governo le prova tutte per favorire la lobby delle doppiette. Simone Valeri su L'Indipendente mercoledì 20 settembre 2023.

Nonostante l’Unione Europea sia prossima ad aprire una procedura d’infrazione nei confronti dell’Italia in materia di caccia, il governo Meloni sta continuando la propria crociata a favore del settore venatorio e contro la tutela della fauna selvatica e della popolazione. In particolare, inserendo una serie di emendamenti in un decreto legge che non ha nulla a che vedere con la caccia, l’esecutivo di destra ha intenzione di: scavalcare il divieto comunitario che impone di non utilizzare le cartucce al piombo, togliere potere ai giudici amministrativi in caso di ricorsi sui piani venatori e depotenziare l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale in favore degli interessi dei cacciatori. Ad esempio, riguardo l’uso delle dannose munizioni al piombo, la possibile ammenda penale è stata declassata in sanzione amministrativa ed è stato persino ridefinito il concetto di “zone umide”. Non sarà di certo un caso che l’attuale ministro dell’agricoltura competente in materia di attività venatorie, Francesco Lollobrigida, faccia proprio parte della categoria dei cacciatori e che, nel complesso, la lobby delle doppiette assicura ai partiti di maggioranza una valanga di voti ad ogni elezione.

La stagione venatoria ha avuto ufficialmente inizio il 17 settembre, ma è dal 15 febbraio scorso che è entrato in vigore il regolamento UE vincolante che vieta l’uso delle munizioni al piombo nelle zone umide dell’Unione. La decisione di vietare tali munizioni nei pressi di fiumi, laghi, laghetti e torbiere è legata perlopiù alla tutela della salute pubblica. Il piombo, che è uno dei metalli pesanti in assoluto più tossici, entra infatti facilmente nella catena alimentare e finisce sulle nostre tavole. In Italia si stima che, a causa della caccia, vengano rilasciati nei boschi e nei corsi d’acqua, circa 240 tonnellate di piombo l’anno. “L’esposizione ad esso – come ha scritto il Parlamento Europeo – è associata a effetti sullo sviluppo neurologico, compromissione della funzione renale e della fertilità, ipertensione, esiti avversi della gravidanza e decesso”. Ciononostante, il governo italiano le sta provando tutte per aggirare la norma. Ad esempio, i ministeri di Ambiente e Agricoltura hanno diffuso una circolare finalizzata a sconfessare le disposizioni europee, sebbene la loro priorità dovrebbe essere quella di tutelare gli ecosistemi naturali e la produzione agricola. Di conseguenza, le associazioni ambientaliste hanno ricorso al TAR, i cui giudici l’hanno, per ovvie ragioni, sonoramente bocciata. Nel frattempo, come anticipato, la Commissione europea ha inviato al governo una lettera di costituzione in mora per ricordare al nostro Paese che non sta rispettando le norme comunitarie. Il richiamo dell’UE, propedeutico ad una procedura d’infrazione vera e propria, tra l’altro specifica che le doppiette dei cacciatori italiani stanno abbattendo uccelli in stato di declino anche nei periodi di nidificazione.

Ma nulla, sotto più di una pressione da parte delle associazioni venatorie, Fratelli d’Italia e Lega hanno comunque presentato la serie di emendamenti, nel decreto legge 104 del 10 agosto 2023, finalizzati ad aggirare la direttiva UE. Ancor più grave poi è il tentativo di indebolire sia il potere dei giudici amministrativi che dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA). In particolare, così, verrebbe meno la possibilità di correggere i calendari venatori proposti annualmente da ciascuna regione. Fino ad oggi, quando questi sono apparsi in contrasto con le norme a tutela della fauna selvatica, le associazioni ambientaliste hanno fatto ricorso ai Tribunali amministrativi affinché venissero sospesi in via cautelativa. «L’emendamento proposto – ha spiegato il legale e responsabile tutela giuridica della natura del WWF – prevede invece che il decreto monocratico cautelare non possa più essere adottato prima che si celebri l’udienza in contraddittorio tra le parti. In tal modo, l’attività venatoria andrà avanti con i relativi effetti dannosi. Infine la parte inerente all’ISPRA – il cui parere scientifico, seppur non vincolante, deve essere sempre richiesto prima dell’adozione di ogni calendario – è scomparsa del tutto». [di Simone Valeri]

Dalle minacce in stile mafioso al paradiso dei volatili: così la Sicilia ha battuto il bracconaggio. Alessandro Sala su Il Corriere della Sera il 2 Aprile 2023

Dalle prime coraggiose iniziative di Anna Giordano ai successi di oggi che vedono in prima linea Wwf, Lipu, Man e le forze dell’ordine. Così è stato salvato uno dei principali corridoi di migrazione per oltre 300 specie di uccelli

Bunker di cemento armato dello stesso colore delle rocce, con feritoie puntate sul mare, in grado di garantire una visibilità ottimale e da cui poter sparare a colpo pressoché sicuro senza essere visti. Non sono i residuati di una guerra, fortificazioni di difesa del territorio, ma opere costruite per consentire ai bracconieri di sparare a specie volatili di ogni genere, anche quelle protette, durante le loro migrazioni. Li hanno costruiti apposta per ammazzare cogliendo le prede alla sprovvista e sono la dimostrazione più plastica della follia del bracconaggio. Lo Stretto di Messina è sempre stato un punto privilegiato di passaggio per i volatili diretti verso l’Africa (e viceversa). Oggi è un percorso sicuro e nel 2022 su 52.289 rapaci che vi sono transitati non si è registrata alcuna uccisione. Ma nel 1984 a fronte di 3.198 rapaci contati durante un primo campo di osservazione erano stati registrati anche 1.187 spari. E un numero altissimo di volatili morti.

In 40 anni le cose sono fortunatamente cambiate e questo lo si deve in particolare ad una persona, Anna Giordano, che allora era una giovane appassionata di natura che aveva avuto il coraggio di sfidare una «tradizione» sanguinaria e gli uomini armati che vi stavano dietro. Di non tirarsi indietro difronte alle minacce, all’auto data alle fiamme, agli avvertimenti in stile mafioso con animali morti recapitati a casa accompagnati da messaggi minatori. Non molto diverso dalla testa di cavallo nel letto della famosa scena del Padrino di Francis Ford Coppola. Ma qui non si parla di un film. Giordano non si è piegata, ha continuato la sua battaglia, ha messo insieme un numero via via sempre maggiore di persone arrivate anche da altre nazioni che l’hanno affiancata nelle osservazioni durante i campi antibracconaggio organizzati ogni anno nel periodo delle migrazioni e nelle proteste per rivendicare il rispetto della legalità. E la sua battaglia alla fine è stata vinta.

Questi quattro decenni in prima linea sono stati celebrati a Messina con un evento promosso dal Wwf Italia e dall’Associazione mediterranea per la natura (Man) che hanno voluto non solo ricordare i pionieri delle lotte in difesa dei migratori ma anche premiare le forze dell’ordine che in questo periodo sono state sempre più coinvolte nell’opera di prevenzione e di repressione del fenomeno. Il Wwf Italia è stato rappresentato proprio da Anna Giordano, che ha raccontato la storia dell’antibracconaggio in Sicilia, ovvero la sua storia, e da Domenico Aiello, Responsabile Tutela giuridica della Natura, mentre per la MAN era presente Deborah Ricciardi. L’evento si è concluso con la liberazione di alcuni rapaci curati nel Centro di recupero della fauna selvatica provinciale di Messina, gestito dalla stessa Man.

«Il 7 aprile del 1981 fu il giorno che cambiò la mia vita – ha raccontato Anna Giordano - . Quel giorno, a monte Ciccia, con un compagno di osservazioni, vedemmo uccidere davanti a noi 17 rapaci su 34 che passarono in poche ore. I bracconieri erano nei bunker, da 3 a 12/15 per ogni appostamento. Quando capirono che non eravamo dei semplici gitanti ci circondarono in 30. Tutti armati». E ancora: «Il mondo adulto, tranne i nostri genitori, ci diceva che era battaglia persa, nulla sarebbe cambiato. Che non valeva la pena rischiare la pelle per un falco. Davanti alla mia macchina bruciata sentii una persona dire “se l’è cercata”. A seconda del periodo eravamo “drogati”, “radicali”, “estremisti”. Ma la nostra era una battaglia di legalità».

Una battaglia, appunto, vinta. Anna Giordano non ha mai smesso di monitorare i «suoi» rapaci. «Oggi facciamo prevenzione e ricerca — racconta — e la durata del campo si è estesa a due mesi, dall’1 aprile al 30 maggio. Abbiamo scoperto nel tempo che lo Stretto è la rotta migratoria primaverile più importante al mondo per quattro specie di rapaci: l’albanella pallida, il grillaio, il falco cuculo e il lodolaio ma quest’area è attraversata da moltissime specie, alcune delle quali a rischio di estinzione. Abbiamo scoperto che i migratori che passano sullo Stretto sono quelli che in mezzo pianeta affrontano le più ampie distese di ambienti ostili: 2.700 km di deserto in Sahel e Sahara e non meno di 140 km di mare, sopra il canale di Sicilia. La mortalità in questi ambienti è altissima. Ecco perché quando li vediamo lo consideriamo un miracolo».

Un miracolo raccontato anche dai numeri. Sono 328 le specie diverse di uccelli censite sullo Stretto di Messina. In alcuni anni sono state effettuate rilevazioni da record. Tra il 3 aprile al 13 maggio 2006, per esempio, il radar della stazione ornitologica svizzera ha censito 4 milioni e 300 mila uccelli in volo di notte sullo Stretto di Messina. Il record giornaliero è invece del 5 maggio del 2000, con 9729 rapaci che volarono in volo cieco e nella nebbia.

In 40 anni le cose sono molto cambiate ma, avvertono Wwf e Man, non bisogna mai abbassare la guardia perché episodi di bracconaggio saltuariamente tornano a verificarsi e solo il presidio continuo e il coinvolgimento dell’opinione pubblica possono permettere di evitare che si espanda. È il «mutamento culturale» sottolineato da Fulco Pratesi, presidente onorario del Wwf Italia, che ha voluto far arrivare un messaggio di sostegno in occasione di questo importante anniversario. E in ogni caso non c’è solo il bracconaggio: i volatili vanno incontro ad altri pericoli legati alla distruzione degli habitat, all’impatto contro le strutture aeree, all’avvelenamento o all’intossicazione. A queste va aggiunto in prospettiva anche il Ponte sullo Stretto, un’opera che, se realizzata, creerà sicuramente problemi alle migrazioni.

Il Regolamento di condominio.

Regolamento di condominio e animali, come regolarsi. Ecco cosa dice l'articolo 1138 del Codice civile

   Redazione su idealista.it il 4 Aprile 2023

Nel caso in cui ci si interroghi in tema di regolamento di condominio e animali, chiedendosi se è possibile che l’assemblea deliberi una serie di regole che vanno di fatto a rendere difficile poter avere un “amico a quattro zampe” nel proprio appartamento, bisogna tenere in considerazione l’articolo 1138 del Codice civile. Vediamo nello specifico di cosa si tratta, quanto stabilisce e come comportarsi.

Regolamento di condominio, cosa dice l’articolo 1138 del Codice civile

In seguito alla legge 220/2012, il testo del nuovo articolo 1138 del Codice civile, “Regolamento di condominio”, stabilisce:

Quando in un edificio il numero dei condomini è superiore a dieci, deve essere formato un regolamento, il quale contenga le norme circa l’uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell’edificio e quelle relative all’amministrazione. 

Ciascun condomino può prendere l’iniziativa per la formazione del regolamento di condominio o per la revisione di quello esistente. 

Il regolamento deve essere approvato dall’assemblea con la maggioranza stabilita dal secondo comma dell’articolo 1136 ed allegato al registro indicato dal numero 7) dell’articolo 1130. Esso può essere impugnato a norma dell’articolo 1107. 

Le norme del regolamento non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino, quali risultano dagli atti di acquisto e dalle convenzioni, e in nessun caso possono derogare alle disposizioni degli articoli 1118, secondo comma, 1119, 1120, 1129, 1131, 1132, 1136 e 1137. 

Le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici”.

Animali domestici in casa, il regolamento di condominio non li può vietare

Secondo quanto indicato dall’articolo 1138 del Codice civile, dunque, il regolamento di condominio non può vietare di possedere o detenere animali domestici. Nello specifico, l’articolo post riforma del condominio fa riferimento agli animali domestici, non più agli “animali da compagnia”, andando così a comprendere un insieme più ampio di animali da affezione.

Come spiegato dal Sole 24 Ore, l’assemblea di condominio può comunque disciplinare “l’uso degli spazi o dei servizi comuni da parte dei proprietari di animali, nonché il comportamento che essi devono tenere all’interno del complesso condominiale”. Questo considerando il presupposto che "il diritto di ciascun condomino di usare e di godere a suo piacimento dei beni comuni trova limite nel pari diritto di uso e di godimento degli altri".

L’Estinzione.

Cento milioni di specie animali: un mondo da salvare tra San Francesco e Linneo. Paola D’Amico su Il Corriere della Sera martedì 3 ottobre 2023.

Solo una minuscola parte di specie viventi (due milioni) è attualmente conosciuta: ognuna di queste ha un ruolo ecologico. Da San Francesco a Linneo: gli esempi del passato e le urgenze di oggi 

Narra una leggenda che Francesco prima di morire recitò un’ultima volta il suo «Cantico delle Creature» e come per prodigio le allodole, che sono solite cantare al mattino mentre in quel momento era buio, lo accompagnarono con la loro voce melodiosa fino alla fine. «Laudato sie, mi Signore cum tucte le Tue creature» recita infatti una strofa della poesia che assieme alla iconografia e a molte altre leggende ci chiarisce come per il Santo la voce «creature» includesse tutti gli esseri viventi, animali compresi. Egli anticipò quello che la Scienza avrebbe poi confermato e che essi, cioè, sono «esseri senzienti», dotati di sensi e sensibilità; creature che le Leggi tutelano, dal Codice penale alla Costituzione (art.9/2022).

Non è un caso, dunque, che la Giornata Mondiale degli animali si celebri il 4 ottobre, giorno che il calendario liturgico dedica al «poverello» di Assisi. Questa tra le Giornate mondiali è una tra le prime nate. Cominciò a pensarci Heinrich Zimmermann, uno scrittore tedesco che negli anni Venti pubblicava una rivista interamente dedicata ai canidi. Purtroppo, non è bastato l’esempio di Francesco, che parlò al lupo che terrorizzava Gubbio, né dell’editore Zimmermann a salvare una specie che fu perseguitata nel XIX secolo fin quasi all’estinzione (e nonostante le tutele non è da tutti amata anche oggi). Nonostante tutto, però, la consapevolezza che ogni specie ha un suo ruolo ecologico e dunque una ragione di esistere è ormai più radicata. E assieme a quella anche la certezza che sappiamo ancora molto poco dei «non umani».

Ci provò un medico e botanico svedese, Carl Nilsson Linnaeus a classificare l’universo degli organismi viventi. Era il 1758, in pieno illuminismo, la cosiddetta età della ragione, e «Linneo« si domandò quante sono le specie che vivono sulla Terra? Arrivando poi a classificarne 400mila di botaniche e un milione di animali. Un niente, in realtà, se pensiamo che al momento diversi studi stimano che il numero delle specie viventi sul pianeta possa arrivare a cento milioni e che solo una minuscola parte (un paio di milioni) è attualmente conosciuta. E fa ben sperare a questo proposito il progetto «Ocean census», un’alleanza globale che riunisce esploratori e scienziati di tutto il mondo, che il 27 aprile scorso ha inaugurato una corsa contro il tempo per trovare almeno 100mila specie marine entro la fine del decennio, con l’ambizioso obiettivo di evitare l’estinzione della vita nel mare a causa del riscaldamento degli oceani.

«Un milione di specie sono a rischio estinzione, la metà entro fine secolo». Silvia Morosi su Il Corriere della Sera il 26 Aprile 2023 

Secondo l’ultimo rapporto dell’Ipbes ci sono mezzo milione di «dead species walking», specie che esistono ancora ma che sono condannate a sparire in pochi decenni a causa del degrado o della distruzione dei loro habitat 

Un milione di specie viventi - sugli otto milioni che conosciamo - sono oggi a rischio di estinzione. A lmeno 500mila prima della fine del secolo. Un allarme chiaro quello lanciato da Ipbes – la Piattaforma intergovernativa di politica scientifica sulla biodiversità e i servizi ecosistemici, fondata nel 2012 —, secondo il quale ci sono fondate certezze di veder sparire entro questo secolo la metà delle specie ad oggi viventi. D’altra parte, dall’inizio del XVI secolo in poi, almeno 680 vertebrati, dal dodo al lupo di Sicilia e la tigre di Tasmania, sono già scomparsi quasi sempre per cause umane. Non a caso gli autori dello studio «Assessment Report on the Different Value and Valuation of Nature» (presentato a Roma in una conferenza organizzata dall’Ispra nella sede italiana del Parlamento Europeo) — 82 esperti di scienze sociali, economiche e umanistiche — hanno coniato l’espressione «dead species walking» per le circa 500mila specie non ancora estinte, ma che a causa della distruzione degli habitat a loro disposizione e ad altri fattori legati alle attività umane (sovra-sfruttamento, inquinamento, cambiamenti climatici e diffusione di specie aliene invasive) vedono ridurre le loro probabilità di sopravvivenza nel lungo periodo. 

Nello specifico, è minacciato di estinzione il 25% delle specie animali e vegetali; oltre il 40% delle specie di anfibi; quasi il 33% dei coralli che formano la barriera corallina e dei mammiferi marini. Per gli insetti, i dati disponibili fanno ritenere che almeno il 10% delle specie sia minacciato. E ancora, negli ultimi cento anni l’abbondanza media di specie autoctone, nella maggior parte degli habitat terrestri, è diminuita di almeno il 20%. Sempre secondo Ipbes, la biomassa dei mammiferi selvatici è diminuita dell’82%. 

Gli scenari sviluppati, sulla base dei dati oggi disponibili, indicano che gli attuali tassi di estinzioni delle specie in natura sono da cento a mille volte superiori alla media delle estinzioni della storia del pianeta. Questi numeri portano a riferire il tempo che stiamo vivendo come sesta estinzione di massa, dopo quelle precedenti causate da eventi cosmici e planetari, tra le quali tutti conoscono quella che portò all’estinzione i dinosauri, 65 milioni di anni fa.

Pesca vietata dei ricci di mare in Puglia per tre anni. Nelle pescherie e ristoranti solo prodotti importati. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 28 Marzo 2023.

Il consiglio regionale pugliese ha approvato proposta di legge depositata da Pagliaro, condivisa e firmata da una larghissima maggioranza (49 voti su 51, compreso quello del governatore Emiliano). Il divieto vale per ogni tipo di attività di pesca, che sia professionale o sportiva, ed eliminati i permessi concessi ai pescatori professionisti di catturare giornalmente fino a mille esemplari, ed a quello sportivo di fermarsi a 50

Arriva lo stop alla pesca di ricci di mare in Puglia per tre anni. La proposta di legge presentata dal consigliere Paolo Pagliaro – e sottoscritta da 49 consiglieri su 51, fra cui lo stesso presidente della Regione, Michele Emiliano – è stata approvata dal consiglio regionale per cercare di salvaguardare il riccio di mare, diventato ormai sempre più raro nelle acque pugliesi. È una decisione, quella del consiglio regionale pugliese, sulla scia di quanto già realizzato nell’autunno 2021 in Sardegna, anche se il consiglio regionale sardo che aveva approvato la legge ha successivamente fatto marcia indietro autorizzando fino al 30 aprile 2023 “la raccolta, il trasporto e la commercializzazione del riccio di mare e prodotti derivati” .

È un fermo necessario, anzi indispensabile, – ha dichiarato il consigliere regionale Pagliaro – per non perdere definitivamente questa specie ormai decimata e a rischio estinzione, e per darle il tempo di riprodursi. Il voto unanime di oggi è un segnale di coerenza importante. Il fermo pesca è un passo decisivo per bloccare il prelievo massiccio dei ricci di mare, anche al di sotto della misura minima consentita per legge di sette centimetri di diametro“.

La Regione Puglia ha deciso di imporre lo stop fino al 2025, altrimenti non vi sarebbero altre soluzioni alternative per salvare il riccio di mare: “Non c’è più tempo da perdere – ha aggiunto Paolo Pagliaro – se cinquant’anni fa si potevano contare fino a dieci esemplari per metro quadrato nelle secche marine, oggi sono rarissimi e spesso di dimensioni inferiori a quelle consentite per il prelievo. Già in questi giorni è ripresa la razzia di ricci di mare, e bisogna intervenire con lo stop“.

Va però ricordato che nel corso degli anni la richiesta del riccio di mare è cresciuta sensibilmente, con la complicità dei ristoranti e dei turisti, al punto tale che il precedente blocco della pesca per alcuni mesi dell’anno per consentire il ripopolamento è una realtà da diverso tempo. Il divieto imposto dalla legge approvata in consiglio regionale vale per ogni tipo di attività di pesca, che sia professionale o sportiva, e  quindi quei limiti che finora avevano permesso – nei mesi concessi – al pescatore professionista di catturare giornalmente fino a mille esemplari, a quello sportivo di fermarsi a 50, sono saltati.

Morta Kiska, l’«amica» dell’orca Keiko di «Free Willy». Furono catturate insieme al largo dell’Islanda. Alessandro Sala su Il Corriere della Sera il 14 marzo 2023

Aveva circa 47 anni e dal 1979 viveva nel parco Marineland di Niagara Falls, in Canada. Con la sua scomparsa, nel Paese non ci sono più esemplari di questa specie in cattività

Non era forse famosa come Keiko, l’orca che ha ispirato il film «Free Willy», ma ne aveva condiviso la stessa sorte: catturata nel 1979 nelle acque islandesi, nella stessa battuta di caccia che aveva tolto la libertà a Keiko, Kiska è morta nei giorni scorsi al parco Marineland di Niagara Falls, in Canada, che da 44 anni era diventata la sua casa-prigione. Anche Keiko, all’inizio, era stata in questa struttura dell’Ontario, prima di essere trasferita a metà degli anni 80 prima in Messico e poi in un parco Sea World negli Stati Uniti.

Kiska aveva circa 47 anni ed era l’ultimo esemplare di questa specie detenuto in cattività in Canada: non ce ne saranno altri, visto che non saranno più autorizzati spettacoli con le orche e da tempo anche i grandi parchi tematici hanno smesso di procurarsene di nuovi o di allevarli. Nell’ultimo decennio Kiska non ha partecipato alle esibizioni e ha vissuto da sola in una vasca separata in una delle tante aree tematiche di cui è composto il parco, il Friendship Cove, dove vivono anche i beluga. Una situazione che, oltre che della libertà, l’ha privata anche dei pochi momenti di socializzazione delle sue giornate tutte uguali.

Il parco Marineland ha dichiarato al quotidiano Niagara Falls Review che la salute dell’orca era recentemente peggiorata «nonostante gli interventi intensivi» da parte dello staff del parco e di un team internazionale di veterinari. Secondo quanto riporta l’agenzia Lapresse, venerdì è stata condotta un’autopsia sul corpo dell’animale alla presenza dei funzionari della provincia. La stessa provincia ha condotto ispezioni nel parco - che ospita circa 4 mila animali tra marini e terrestri — qualcosa come 160 volte da gennaio 2020, ma non ha resi noti pubblicamente i risultati delle ispezioni.

Come tutti i parchi che ospitano grandi mammiferi marini costringendoli a vivere in spazi limitati, considerate le loro dimensioni e le loro abitudini di nuotatori di lunghissimo corso, il Marineland era stato in passato anche preso di mira da diversi gruppi animalisti. La sua vita solitaria era stata oggetto di diverse campagne di sensibilizzazione. Alcuni anni fa, una card con l’hashtag #FreeKiska, è circolata parecchio sui social network mostrandola alle prese con uno pneumatico appeso poco sopra il pelo dell’acqua e con in sovrimpressione la scritta: «È il mio unico amico...». La Lapresse riporta anche la voce di Christine Santos, l’addestratrice che si è occupata di Kiska per 12 anni fino a quando perse il lavoro nel 2012. Santos ha dichiarato di essere rimasta scioccata dalla notizia della morte di Kiska, «ma allo stesso tempo sono davvero sollevato che non sia più sola».

Le linci iberiche ripopolano l’Andalusia: erano quasi estinte, ora sono più di mille. Gloria Ferrari su L'Indipendente il 23 Dicembre 2022.

Sono cinque le linci iberiche, note per i lunghi ciuffi neri che spuntano dall’estremità delle orecchie, rimesse in libertà nel sud della Spagna, nella zona montuosa della Sierra Arana, nella provincia andalusa di Granada. Il loro ritorno in natura, allo stato selvaggio, è uno degli step del programma messo a punto dal Paese per incentivare la riproduzione – e quindi la conservazione – della specie felina, una fra quelle che maggiormente rischia di estinguersi. Saturno e Sotillo, i due maschi allevati in cattività, sono sfrecciati via dalle loro gabbie in fretta e furia, così come le tre femmine Solera, Ilexa e la sua piccola Terre, tutte nate e cresciute allo stato selvatico.

«L’obiettivo specifico di questo progetto è creare qui un’area di reintroduzione», ha detto il coordinatore del programma, Javier Salcedo, soddisfatto per l’ennesimo passo avanti fatto in questa direzione. Nel 2002, infatti, la lince iberica era praticamente considerata ormai estinta: bracconaggio, incidenti stradali e perdita dell’habitat per via dell’espansione agricola sembravano aver cancellato definitivamente ogni traccia della sua esistenza. In quegli anni i database degli addetti riportavano la presenza di soli 94 esemplari in Spagna, zero in Portogallo. Grazie all’introduzione di tali progetti, nel 2015, a distanza quindi di poco più di dieci anni, l’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) ha abbassato il livello di minaccia per la specie, che è passato da “in pericolo critico” a “in pericolo”. Alla fine del 2020 la popolazione di lince iberica, tra Portogallo e Spagna vantava più di 1.000 esemplari, di cui 522 Solo in Andalusia.

«Siamo stati in grado di quintuplicare il censimento critico che avevamo 20 anni fa», ha commentato Giuseppe Aloisio, direttore del dipartimento regionale andaluso delle foreste e della biodiversità, dopo il rilascio delle ultime cinque linci. La specie tuttavia non può essere ancora considerata fuori pericolo. Per far sì che questo accada, secondo il WWF la “popolazione” deve almeno raggiungere (meglio se superare) le 3.000 unità, tra cui 750 femmine in grado di riprodursi.

Oltre a quella della lince, fra le circa otto milioni di specie viventi che abitano la Terra, almeno un milione risulta ad oggi in via di estinzione. Secondo l’Unione internazionale per la conservazione della natura, solo in Europa sono 1677 le specie a rischio. Le più minacciate sono lumache, vongole e pesci, mentre tra i mammiferi ci sono la volpe artica, il visone europeo, la foca monaca del Mediterraneo, la balena franca nordatlantica e l’orso polare. Anche gli impollinatori non se la passano meglio: una su dieci fra le specie di api e farfalle è a rischio estinzione. Secondo un rapporto dell’IUCN del 2015, in Europa si sono già estinte invece 36 specie, tra cui molti pesci d’acqua dolce.

Dei rischi che la diversità biologica continua a correre se n’è occupata anche la COP15 di Montréal, culminata con l’approvazione di un accordo per certi versi storico: il Global Biodiversity Framework. Un’intesa secondo cui, entro il 2030, 192 Paesi si impegnano al ripristino globale del 30% degli ecosistemi degradati e alla conservazione della stessa percentuale di aree terrestri e marine e di tutte le creature che ci vivono dentro. D’altronde, secondo la più ampia analisi fatta sul tema, ad opera dell’Ipbes (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) «siamo di fronte a un declino senza precedenti della diversità biologica» e la scomparsa di animali e vegetali a cui stiamo assistendo oggi viaggia mille volte più velocemente rispetto a quello che prevedrebbero i ritmi naturali. [di Gloria Ferrari]

Squali e razze sono gli animali più a rischio del mondo. Redazione Animalia su Il Corriere della Sera il 17 Gennaio 2023.

Lo studio condotto nelle barriere coralline. Per i ricercatori delle università Simon Fraser e James Coock le maggiori responsabilità sono da attribuire alla pesca eccessiva e cambiamenti climatici. Le aree più critiche sono Brasile, Tasmania e Indonesia

Sono gli squali e le razze gli esemplari più a rischio della fauna marina che gravita attorno alla barriera corallina. Non solo: su di loro grava un rischio di estinzione che è doppio rispetto alle specie simili ma che vivono in ambienti diversi. E questo ne fa il gruppo di animali più minacciato al mondo. A rivelarlo è uno studio congiunto di due università, la canadese Simon Fraser University e l’australiana James Cook University, pubblicato oggi sulla rivista Nature Communications.

Il team di ricercatori, guidato da Samantha Sherman della Fraser e Colin Simpfendorfer della James Cook, ha compiuto una ricognizione che, partendo dalla lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (Iucn), ha preso in considerazione tutte le 134 specie di squali e razze associate alla barriera corallina. E le ha messe in relazione sia con il resto delle popolazioni marine che vivono nelle stesse aree, sia con i loro simili che «abitano» altrove. E in entrambi i contesti questi animali sono emersi come quelli maggiormente in pericolo.

I fattori di rischio sono legati alla pesca intensiva, che depaupera i mari riducendo le possibilità di nutrimento, ma anche al mutamento e al ridimensionamento degli habitat dovuti a inquinamento e cambiamento climatico. La conclusione è che senza azioni immediate per migliorarne la conservazione, il declino di queste specie potrebbe essere inevitabile, con gravi ripercussioni sugli equilibri della stessa barriera corallina che vive in stretta relazione con le specie che la popolano. E con conseguenze anche per le popolazioni umane delle aree che dalla barriera traggono sostentamento, sia per la pesca sia per le attività turistiche.

Nello specifico, i ricercatori sono giunti alla conclusione che il 59% del gruppo di squali e razze che vivono nella barriera è a rischio di estinzione. Il rischio è risultato maggiore per le specie di grandi dimensioni più comuni, come lo squalo toro e la manta della barriera corallina, entrambe presenti nelle acque di oltre 60 Paesi. Inoltre, la minaccia è grande soprattutto in quelle nazioni dove la pressione esercitata dalla pesca è forte e le politiche regolatorie deboli, come Brasile, Tanzania e Indonesia.

Madagascar, minacciati 23 milioni di anni di evoluzione. «Restano solo 5 anni per invertire la rotta». Silvia Morosi su Il Corriere della Sera l’11 Gennaio 2023.

Secondo lo studio pubblicato su Nature Communications delle 249 specie classificate 30 sono già scomparse e più di 120 potrebbero estinguersi nei prossimi decenni

Un aye-aye del Madagascar in via di estinzione

Se tutte le specie del Madagascar attualmente in pericolo andassero perdute, l’umanità sarebbe colpevole della scomparsa di oltre 20 milioni di anni di evoluzione, 23 milioni per l’esattezza. Un arco di tempo che ha sorpreso i ricercatori dell’Università di Groningen, del Naturalis Biodiversity Center, nei Paesi Bassi e dell’Associazione Vahatra, in Madagascar che hanno curato lo studio, pubblicato su Nature Communications (qui la ricerca completa). Il team, guidato da Luis Valente, ha esaminato il rischio di estinzione di specie animali e vegetali considerati in pericolo secondo la Red List dell’Unione internazionale per la conservazione della natura. Secondo gli autori della ricerca, restano solo 5 anni per salvare il Madagascar dal punto di non ritorno. «I 23 milioni di anni stimati rappresentano un arco temporale molto più ampio rispetto a quello che studi precedenti hanno calcolato per altre isole - sottolinea Valente - come la Nuova Zelanda o i Caraibi». Tra le specie più minacciate rientrano ad esempio il lemure dalla coda ad anelli e l’aye-aye, ch abbiamo imparato a conoscere «da vicino» anche grazie al film di animazione «Madagascar».

Ma come si è arrivati a questo risultato? Per quantificare il rischio in corso, i ricercatori hanno messo insieme una quantità di dati senza precedenti, che descrivono le relazioni evolutive tra tutte le specie di mammiferi che erano presenti nel Madagascar al momento della colonizzazione, 249 in tutto (30 delle quali si sono già scomparse e più di 120 che potrebbero estinguersi nei prossimi decenni). Utilizzando simulazioni al computer, gli autori dello studio sono riusciti a calcolare il tempo impiegato da questa biodiversità per evolversi ed il tempo che impiegherebbe l’evoluzione per «sostituire» tutti i mammiferi in caso di estinzione. Il ripristino delle specie già perse nell’area, precisano gli autori, necessiterebbe di circa tre milioni di anni, ma la situazione potrebbe assumere una piega ancora peggiore. Il Madagascar rappresenta — infatti — un esempio di biodiversità unico al mondo, con circa il 90 per cento delle specie endemiche dell’isola, oltre duecento specie di mammiferi. Oltre la metà di queste forme di vita, però, è considerata in pericolo di vita, principalmente a causa della presenza umana (qui l’articolo «Biodiversità minacciata se non fermiamo il traffico internazionale di animali a rischio estinzione»).

«Nei prossimi decenni - commenta Valente - se non verranno intraprese azioni di conservazione immediate ci si aspetta un’ondata di estinzioni con un profondo impatto evolutivo. Con un adeguato programma di conservazione sarebbe però possibile preservare oltre 20 milioni di anni di storia evolutiva». Sapevamo che il Madagascar «rappresenta un tesoro prezioso in termini di biodiversità - concludono gli autori - il nostro lavoro contestualizza l’importanza di queste forme di vita. I risultati sottolineano i potenziali guadagni della conservazione della natura in Madagascar da una nuova prospettiva evolutiva».

Abusi sessuali. Estratto dell'articolo di corriereadriatico.it il 23 gennaio 2023.

Scavalca il recinto e fa sesso con capre e galline. […] ieri in tribunale a Pesaro, davanti al giudice monocratico, si è aperto il processo nei confronti di un immigrato di 27 anni, di origini ghanesi. Oggi il giovane risulta irreperibile e il giudice ha esteso le ricerche […]

Secondo l’accusa e la denuncia del proprietario degli animali, lo straniero sarebbe stato visto in più occasioni “congiungersi carnalmente” con capre e galline […] Di qui l’accusa di maltrattamenti su animali aggravati anche dal fatto di aver provocato la morte di una gallina in una occasione. […] Per il ghanese c’è anche l’accusa di furto perché un giorno sarebbe entrato nel recinto da cui avrebbe rubato una bicicletta che apparteneva al proprietario degli animali.

Di qui anche la violazione di domicilio per aver scavalcato il cancello della zona adibita a ricovero di attrezzi e oggetti utilizzati per la cura degli animali da cortile. Il reato di maltrattamento di animali […] è punito con la reclusione da tre a diciotto mesi o con la multa da 5.000 a 30.000 euro.

Il ghanese, che ha già vari precedenti, potrebbe però farla franca. Secondo le ultime notizie è un senza fissa dimora che stazionerebbe a Pesaro, ma senza residenza e cancellato dalle liste anagrafiche. Se resterà irreperibile, il processo potrebbe chiudersi con un nulla di fatto. […]

Maltrattamenti.

Avvocati bestiali. Boom di cause civili per gli animali domestici: dai cani "contesi" alla "mala veterinaria". E ora molti studi legali si convertono. Stefano Zurlo l'1 Ottobre 2023 su Il Giornale.

Racconta l'evoluzione del Paese meglio di tanti sociologi. «Fino a dieci anni fa mi occupavo del diritto di famiglia. Separazioni, divorzi, i bambini sballottati di qua e di là». Ma oggi le cose sono cambiate: «A un certo punto mi sono reso conto che l'oggetto del contendere non erano più i minori, ma i cani e i gatti, e allora mi sono adeguato».

Filippo Portoghese è l'avvocato due punto zero. In studio, a due passi dal Palazzo di Mani pulite, si parla solo di quadrupedi, al massimo di pappagalli, il civile tradizionale ormai è retroguardia. «Un tempo sarebbe stato impensabile, ma oggi le cause formato minizoo si moltiplicano con il crescere di presenze a quattro zampe nelle nostre città. A Milano, dove vivo, siamo sommersi da migliaia di procedimenti e c'è un moltiplicarsi di specializzazioni. Del resto anche l'Ordine degli avvocati ha istituito una commissione per studiare i diritti degli animali. E poi è tutto un fiorire di seminari, convegni, pubblicazioni». Il filone più importante che vale a spanne la metà delle carte bollate è quello relativo alla «mala veterinaria» che per molte famiglie ha sostituito o affiancato la malasanità tradizionale. «I veterinari sono in forte espansione, si spendono per le cure cifre folli. Ma se un professionista sbaglia, scattano le richieste di risarcimento.»

Quanto? «Quattro o cinquemila euro di media, ma ho visto sborsare otto mila euro per un gatto che era stato rovinato da una mano incerta». Poi, a ventaglio, ecco le altre materie che finiscono in tribunale: «le liti condominiali, aggiornate ai tempi liquidi di oggi e alle incursioni sul pianerottolo di Micio e Fido; le coppie che si spaccano e non sanno trovare un'intesa per condividere l'animale domestico; infine, la giungla metropolitana: i cani che mordono altri cani e talvolta li spediscono all'altro mondo. «Nelle case succede di tutto e il cane è spesso l'origine della guerra fra vicini ma più spesso ancora è la proiezione di ansie e frustrazioni. Mi è capitato il caso di un'infermiera che tornava dall'ospedale al mattino e puntualmente un bassotto la svegliava, abbaiando furiosamente nel cortiletto del palazzo. In una città del Piemonte invece, la querelle riguarda gli inquilini di due villette vicine. I latrati provenienti dalla prima disturbano la signora che vive nella seconda e lei risponde con effetti speciali. Punta i riflettori sull'altro edificio e diffonde a tutto volume registrazioni di cani che abbaiano ingigantendo il problema. Così, dal civile si arriva al penale, alle risse e agli spintoni, alle telefonate ai carabinieri, addirittura in una circostanza alla denuncia per stalking, che il giudice ha derubricato nel più tradizionale disturbo della quiete pubblica.»

Ma non ci sono solo le orecchie, c'è anche il naso: «Oggi nelle aule di giustizia si disserta di molestia olfattiva con tutto quello che ne consegue». Poi c'è il capitolo di quelli che non sanno dirsi addio. Drammatico. Cupo. Faticosissimo. «La coppia scoppia e a quel punto uno dei due si prende Fido e se lo porta via. Dall'oggi al domani il partner perde il contatto con il cane che prima coccolava tutti i giorni. Ho appena sbloccato una situazione incancrenita: lei ha passato sei mesi pesantissimi. Poi finalmente hanno raggiunto la pace e lei ora mi manda le foto sorridenti di loro due di nuovo in posa. Con queste immagini di una felicità ritrovata potrei ormai allestire una mostra».

Portoghese ha scritto anche un libro che è tutto un programma: Mio padre aveva paura dei cani. Il figlio invece ci va a nozze. In un susseguirsi di situazioni quasi surreali: ecco la condanna, appena confermata dalla cassazione, di una signora che teneva nel suo appartamento 33 gatti. E dietro le porte avanzano anche altre specie, a formare un'Arca che suscita mille battibecchi. «C'è una famiglia milanese che ha quattro pappagalli. I loro gorgheggi hanno esasperato i vicini, arrivati quasi al contatto fisico. Ora pur di non perdere i loro tesori, marito e moglie meditano il trasloco». Così le coppie di oggi, in pieno inverno demografico, fanno talvolta grandi sacrifici. E il frutto delle loro fatiche va con loro al guinzaglio.

Il benessere degli animali è tutelato dalla legge. L’Ordinanza Martini si occupa dei cavalli, e poi altre norme proteggono gli animali domestici. Impariamo a conoscerle per il loro bene. Viola Carignani su L'Espresso il 14 settembre 2023 

La legge non ammette ignoranza. E anche la vita e la morte dei nostri amati animali è affidata alla legge. Quindi da buoni compagni di vita di una bestiola è bene sapere cosa dicono le regole per non cadere dal pero nel momento in cui si dovesse verificare qualche situazione complicata. Di leggi e leggicole è piena la nostra legislatura e per di più cambiano continuamente. La miglior lettura per essere informati è la Gazzetta Ufficiale. 

Quanti di voi l’hanno mai consultata? Io a volte per lavoro. Pesante e di difficile comprensione. Pochi giorni fa è stata ripubblicata l’Ordinanza Martini che si occupa del benessere degli animali. Entrò in vigore la prima volta nel 2009. Da quel giorno ogni anno l’ordinanza viene pubblicata con qualche aggiustatina ma non è mai stata trasformata in legge. Di solito ha validità per un anno. Questa volta, invece, solo per quattro mesi. Un segnale importante perché significa che l’intenzione è quella di trasformare l’ordinanza in legge nel giro di poco tempo. 

Al centro i cavalli atleti, cioè quelli impiegati in competizioni di equitazione o nelle corse al galoppo o nelle rievocazioni popolari. Nell’aria c’è un giro di vite. Di leggi che dovrebbero tutelare gli animali il nostro sistema legislativo è strapieno. Ma da qui a vedere applicata ogni nuova norma, ce ne corre. Come sempre in Italia è difficile che le regole vengano rispettate e soprattutto è difficile capire chi e come debba fare i controlli di rito. L’attenzione delle associazioni animaliste è focalizzata sulle manifestazioni popolari, palii e giostre, meno sulle competizioni sportive o regolate da scommesse. Chissà se continueremo a vedere concorsi ippici con cavalli e pony impegnati a saltare sotto il sole alle due del pomeriggio in agosto, o la lingua legata nei cavalli da corsa. 

Per quanto riguarda i cani, siamo molto più avanti nella sensibilità e nella conoscenza. L’unico neo che ancora persiste è quello dei collari addestrativi. Sono collari che prevedono l’uso di una scossa elettrica per estinguere un comportamento indesiderato. Un conto sono i collari con vibrazione o con richiamo sonoro, che hanno una loro utilità nei cani che lavorano a distanza, un conto è infliggere una pena inutile. L’uso di questi strumenti sarebbe vietato, ma si possono acquistare senza incorrere in sanzioni. Pubblicità di questi collari anti-abbaio o addestrativi si trovano sia on line che nelle riviste specializzate. La Corte di Cassazione ha di recente stabilito con una sentenza (35843/2023 ndr) che l’uso del collare anti-abbaio è incompatibile con il benessere e la natura del cane. I collari elettrici però sono ancora di libera vendita. Tra palii, sagre e concorsi ippici sotto il solleone, i cavalli patiscono numerosi maltrattamenti 

CAREZZE

Per essere buoni proprietari di animali - cani, gatti, cavalli - è bene conoscere la legge. Le norme cambiano spesso e quindi è utile tenersi informati per sapere cosa si può o non si può fare e come ci si deve comportare di fronte a determinate situazioni. La conoscenza di diritti e doveri aiuta i nostri compagni a quattro zampe. 

E GRAFFI

Purtroppo è ancora lecito acquistare i collari anti abbaio con vibrazione elettrica, così come legare la lingua ai cavalli nelle corse regolari. Il Parlamento è chiamato a legiferare sul benessere degli animali. L’ordinanza Martini è stata rinnovata per soli quattro mesi. Segnale che qualcosa si sta muovendo. Dita incrociate.

La capretta uccisa e l’insostenibile “normalità” della gogna pubblica. Blitz degli animalisti tra Anagni e Fiuggi contro i giovani accusati di quanto accaduto: il Questore pensa al foglio di via. Simona Musco su Il Dubbio il 4 settembre 2023

«Metteteli alla gogna». Quella degli animalisti è stata una vera e propria chiamata alle armi. Un invito alla vendetta fatta in casa, perché il codice penale non basta mai. E quindi tanto vale sfilare in piazza con foto, nomi e indirizzi di chi ha preso brutalmente a calci una povera capretta provocandone la morte, anche se minorenni.

Foto corredate da una didascalia che non lascia spazio a dubbi: «Sono l'assassino della capretta, ovvero un infame!». È la giustizia 2.0, quella di chi non crede nelle aule di Tribunale ma ne allestisce decine in ogni spazio pubblico, specie se virtuale, così da diventare virale, come la cattiva sorte di chi ci incappa. E poco importa quale sia la verità: la versione proposta dalla piazza, le cui dimensioni diventano esponenzialmente più ampie di secondo in secondo, è quella che vincerà su qualsiasi parola venga pronunciata da chi ne ha facoltà, in nome del popolo italiano.

Un modo per colmare i “vuoti” del codice penale, che secondo gli animalisti punisce in modo troppo blando chi si accanisce contro un povero animale - da quattro mesi a due anni - lasciando il reato, di fatto, a loro modo di vedere impunito. Un reato terribile, immotivato, agghiacciante, data la ferocia con la quale quei ragazzi - 12 per ora quelli coinvolti - si sono lanciati inspiegabilmente sul povero e innocuo animale, ma non dissimile da quello invocato da chi oggi vorrebbe vedere sottoposti allo stesso trattamento - metaforicamente, si spera - i giovani autori del gesto.

L’invito degli animalisti ha portato in piazza circa 200 persone, prima ad Anagni, dove si trova l’agriturismo in cui è accaduto il fatto, e poi a Fiuggi, in prossimità della casa del giovane accusato di aver colpito l’animale, gente alla quale Enrico Rizzi, attivista per i Diritti degli animali, ha promesso di non mollare «di un centimetro, a qualsiasi costo, fin quando questo Paese non metterà in campo pene esemplari per chi maltratta ed uccide gli animali». Ma l’invito alla gogna ha attirato anche l’attenzione del Questore di Frosinone, che ha avviato un procedimento amministrativo nei confronti degli attivisti, valutando anche la possibilità di emettere un foglio di via obbligatorio dal Comune di Fiuggi.

«Su di me si può dire qualsiasi cosa ma non mi ritengo un soggetto potenzialmente pericoloso», ha commentato Rizzi, secondo cui incitare la folla contro dei ragazzini è un fatto, tutto sommato, di poco conto. L’effetto è, ancora una volta, quello di spostare i processi in piazza, dove tutto diventa lecito. Gogna compresa, fenomeno che appare ormai assolutamente normale, fino ad invocare - come nel caso dello stupro di Palermo - la violenza carnale in carcere per gli autori di reati sessuali. I piani finiscono così per sovrapporsi: vittime e carnefici, preventivamente identificati senza possibilità di contraddittorio, si scambiano i ruoli in un valzer ipnotico che fa perdere a tutti il senso del limite, facendo dimenticare cosa conta davvero in questi casi, ovvero il diritto. Sulla cui base si fondano i rapporti tra i membri di una comunità e che serve proprio ad evitare che per ogni occhio cavato se ne strappi via un altro, senza cognizione di causa.

Così, dopo la manifestazione, Rizzi si è trovato dall’altra parte della barricata, bloccato in un Commissariato assediato da gente inferocita contro di lui. Un contrappasso immediato, che rischia di materializzarsi anche in una cacciata da Fiuggi, dove i manifestanti invocavano la galera per i giovani. «Nessuno ha pronunciato la parola rieducazione - ha commentato Gaetano Vellucci, legale del 17enne individuato come autore del pestaggio dell’animale, come riporta Fanpage -. Tra l'altro l'attivista Enrico Rizzi ha sfidato le famiglie dei ragazzi a denunciarlo per poter esporre le sue ragioni. Ebbene, sarà accontentato. Nelle sue frasi ci sono espressioni estremamente diffamanti che lasciano senza parole. Ne riferirò alla magistratura. Presenteremo denuncia per diffamazione».

Un concetto ribadito in una nota: «Il mio assistito – ha aggiunto Vellucci – non ha ancora ricevuto formale comunicazione di essere indagato dalla procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori di Roma ma – nel frattempo – è assolutamente doveroso che soggetti terzi non esprimano giudizi affrettati, gravemente diffamatori e intimidatori, incompatibili con una situazione che non vede il mio assistito ancora indagato e, comunque, ancora lontano da un procedimento giudiziale. Sarà la magistratura minorile - ha aggiunto -, unica autorizzata dallo Stato, a giudicare la posizione del mio assistito, il quale – nel frattempo – non può essere travolto da gogna mediatica, caratterizzata, in taluni casi, da pesantissime minacce, che sta avendo non solo il sapore di un anticipato giudizio di colpevolezza ma che si sta manifestando, ingiustificatamente, con toni connotati da una ferocia espressiva assolutamente incompatibile con la riservatezza che deve caratterizzare le indagini giudiziarie».

Estratto dell'articolo Valeria Costantini e Aldo Simoni per il “Corriere della Sera” giovedì 31 agosto 2023.

«Fuori i nomi». C’è persino un hashtag che gira sui social, un invito a dare la caccia ai ragazzi che hanno massacrato la capretta nell’agriturismo di Anagni, in provincia di Frosinone. Il clima a Fiuggi, città dove vivono i giovanissimi coinvolti, è molto teso. Troppa l’indignazione per quel video in cui l’animale viene ucciso durante una festa di compleanno: una serie di calci e, in sottofondo, le risate. 

Una violenza brutale e le grida di incitamento a colpirla riprese dagli smartphone e poi il video postato sui social. […]  Ed è proprio sul web che ora i ragazzi sono diventati bersagli, come anche nella città termale che conta appena diecimila persone. Tutti si conoscono. Non si parla d’altro e si è scatenata la caccia ai responsabili.

Insulti, accuse e minacce di morte sono rimbalzate nelle chat della località ciociara. Ore di paura e recriminazioni tra le famiglie coinvolte che adesso temono conseguenze – non solo giudiziarie – per i propri figli. «Ogni famiglia sta cercando di capire il grado di coinvolgimento dei ragazzi», dice preoccupato Alioska Baccarini, sindaco di Fiuggi, nonché avvocato. 

[…] In un canale social chiamato «non ci sono problemi», sono presenti proprio gli stessi giovani del video con l’uccisione della capretta che pubblicizzano le loro scorribande, mostrandosi mentre contano banconote da 50 euro o quando inseguono auto dei carabinieri.

«Eravamo ubriachi, non ci siamo resi conto di quello che stavamo facendo. Non pensavamo che l’animale morisse...». Hanno tentato di giustificarsi così i due ragazzi minorenni, indagati per i maltrattamenti dopo aver ucciso la capretta. I militari dell’Arma di Anagni stanno ascoltando diversi testimoni della cena di compleanno nell’agriturismo Sant’Isidoro di Anagni: il pm della procura per i minorenni di Roma Maria Teresa Leacche ha disposto verifiche sui titolari per l’eventuale somministrazione di alcolici ai minorenni. 

[…] 

«Noi eravamo al tavolo, non ci siamo accorti di nulla», ha detto Stefania Cinti, madre della 18enne festeggiata e comandante dei carabinieri forestali del vicino paese di Filettino. «Nessun genitore vorrebbe che accadesse una cosa simile, ma c’è un’inchiesta in corso quindi preferisco non entrare nel merito». Il papà della ragazza attacca: «Tutti bravi a criticare ma vedrete che la realtà è ben diversa e presto la conoscerete». […]

Capretta uccisa a calci: “Gogna pubblica per i colpevoli. Figli violenti di politici e poliziotti”. Animalisti in piazza con nome e foto dei 12 ragazzi. Marco Carta su La Repubblica il 2 settembre 2023. 

La duplice protesta attraverserà Anagni, dove si trova l’agriturismo e Fiuggi. “Per i reati sugli animali pene sono troppo basse”. Ma la scelta è estrema. L’attivista Rizzi: “Pronto ad assumermi tutte le conseguenze”. Sale a 12 il numero di denunciati, di cui 5 minorenni

“I responsabili meritano la gogna pubblica. Tutti devono sapere chi ha ucciso la capretta”. A Fiuggi - mentre sale a 12 il numero di denunciati, di cui 5 minorenni, per le violenze sulla bestiola - è arrivato il momento della vendetta e della giustizia fai da te. A prometterla sono gli animalisti che questo pomeriggio manifesteranno per sensibilizzare l’opinione pubblica.

È stata ribattezzata “Fuori i nomi” la duplice protesta che attraverserà prima Anagni, dove si trova l’agriturismo in cui domenica scorsa è stata uccisa la capra, e poi Fiuggi, città di origine dei giovanissimi protagonisti del massacro.

È qui che saranno esibiti cartelli con il nome e le foto di chi ha picchiato e ucciso l’animale durante una festa di compleanno.

Una scelta estrema, ai limiti della legalità, per la quale uno degli organizzatori della protesta, l’attivista Enrico Rizzi, è pronto ad assumersi tutte le conseguenze. “Per i reati sugli animali nessuno va in carcere perché le pene sono troppo basse. Dal momento che lo stato è assente vogliamo che tutti sappiano chi è il responsabile. Tu maltratti un animale e, visto che lo stato non ti punisce come si deve, è giusta la gogna pubblica. Tutti devono sapere il nome e il cognome”.

Il primo appuntamento è alle 17 in piazza Cavour ad Anagni. Poi è prevista una passeggiata a Fiuggi. La decisione di questa protesta, annunciata con anticipo, è anche quella di rompere il silenzio intorno alla vicenda.

“Soprattutto a Fiuggi ci siamo ritrovati di fronte un muro di omertà”, aggiunge Rizzi. Molti dei protagonisti, che hanno partecipato alla festa di 18 anni della figlia della comandante della Forestale di Filettino, il maresciallo Stefania Cinti, sono i figli della ‘Fiuggi bene’".

Tra gli oltre 50 invitati, infatti, c’era anche il figlio dell’assessora alle Politiche educative, servizi per l’infanzia, sport e giovani del Comune di Fiuggi, Laura Latini e il figlio di un altro dirigente comunale. Ma non solo.

Uno dei due minorenni denunciati dai carabinieri di Anagni alla procura dei minori per il reato di maltrattamento agli animali è figlio di un poliziotto. Mentre almeno 4 maggiorenni sono indagati per istigazione a commettere un reato. I carabinieri li hanno individuati interrogando i presenti e vagliando il video del massacro, che uno dei ragazzi ha diffuso su Instagram.

“Forza, colpitela!”. Nel filmato sono diverse le persone che incitano i protagonisti ad andare avanti. 

Nell’agriturismo Sant’Isidoro, dove è avvenuto il fatto, intanto regna ancora l’incredulità. Nessuno sa darsi una spiegazione di quello che è accaduto. Di certo tutti sono sicuri che la capra non fosse “già agonizzante”, come ha scritto in una lettera la madre di uno dei ragazzi che hanno partecipato alla festa.

L’area dove si vivono gli animali da cortile, come caprette e asinelli, è separata da quella in cui si trovavano gli ospiti. Il titolare della struttura, che ha sporto denuncia, ieri è stato ascoltato di nuovo dagli inquirenti per ricostruire meglio lo scenario della festa, a cui hanno partecipato più di 50 persone. Un diciottesimo come tanti, che si è concluso però in maniera drammatica.

“È stato un gesto inqualificabile e ignobile - commenta Daniele Natalia, sindaco di Anagni - l’idea più preoccupante è che una violenza del genere oggi è su un animale, ma domani potrebbe essere contro una persona. Bisogna fare una riflessione e aiutare queste nuove generazioni, che vivono in un mondo particolare. Siamo arrivati al punto che si fanno le cose solo per poi mostrarle in rete. Le nuove generazioni hanno bisogno di punti fermi, delle guide. Se un figlio arriva a fare certe cose il primo che si deve interrogare è il genitore”.

La battaglia contro il primo allevamento intensivo di polpi in Spagna. Silvia Morosi su Il Corriere della Sera il 21 marzo 2023.

Animali tenuti in vasche illuminate tutto il giorno e abbattuti a -3 gradi, con enorme sofferenza. I dettagli rivelati dalla Bbc riguardano il nuovo allevamento che la società Nueva Pescanova vuole costruire alle Canarie

Un piano per costruire in Spagna, entro la fine del 2023, il primo allevamento intensivo di polpi al mondo. A dare l’allarme la Bbc, che ha visionato i documenti riservati della società Nueva Pescanova, consegnati all’emittente dall’organizzazione Eurogroup for Animals. A Las Palmas, a Gran Canaria, le associazioni animaliste sono scese in campo per contrastare la proposta: secondo l’ong “Compassion in World Farming”, infatti, i polpi potrebbero essere costretti a trascorrere gli ultimi mesi di vita in vasche illuminate 24 al giorno, prima di venire abbattuti a una temperatura di - 3 gradi, con enormi sofferenze.

Oltre ai motivi etici, relativi all’intelligenza e alla sensibilità dei polpi (la scienza negli anni ha dimostrato che vivono poco ma sono super.intelligenti: usano i tentacoli come apribottiglie, riciclano i gusci di cocco per costruire dei rifugi, risolvono le situazioni di conflitto con il linguaggio del corpo), non bisogna dimenticare che siamo di fronte ad animali solitari che abitualmente vivono nell’oscurità, ma nell’allevamento intensivo sarebbero tenuti in vasche comuni e talvolta esposti a luce costante (ci sarebbero circa 10-15 polpi in ogni metro cubo di acquario). Ad oggi non ci sono regole che assicurino il benessere dei polpi, anche se diversi gli studi hanno dimostrato che questo metodo di macellazione causa una morte lenta e stressante . L’Organizzazione Mondiale della Sanità Animale (OIE) ha condannato questo metodo di abbattimento, chiarendo come dando il via libera a questo nuovo allevamento intensivo si crei un pericoloso precedente.

Secondo le carte, il complesso dovrebbe raccogliere ogni anno circa un milione di polpi per sopperire alla crescente domanda sul mercato. Come raccontato su Corriere, negli ultimi decenni c’è stata una vera e propria corsa alla scoperta del segreto per allevare i polpi in cattività, dato che — solo per fare un esempio — l’Italia ha il primato del consumo nella Ue, con circa 60 mila tonnellate (dato del 2018) provenienti dalla pesca in mare. Nueva Pescanova avrebbe stimato che nell’allevamento di Las Palmas ci sarà «un tasso di mortalità del 10-15%», una percentuale secondo Jonathan Birch, professore associato presso la London School of Economics che ha condotto una revisione di oltre 300 studi scientifici sull’argomento «non dovrebbe essere accettabile per nessun tipo di allevamento».

A Bruxelles l’Italia vota per difendere gli interessi degli allevamenti intensivi di carne. Gloria Ferrari su L'Indipendente il 22 marzo 2023.

Il governo italiano, rappresentato a Bruxelles dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin, ha votato contro un accordo sul testo della Direttiva Emissioni Industriali raggiunto dagli altri Stati membri. Il diniego del nostro Paese è giunto perché all’interno del documento, che regola le emissioni industriali, sono stati inclusi per la prima volta anche gli allevamenti intensivi di animali per la produzione di carne. La disposizione era richiesta da tempo da gruppi ambientalisti e per i diritti degli animali, ma l’Italia ha negato il suo consenso, erigendosi di fatto a portavoce degli interessi delle grandi aziende della carne.

«Le soglie per i bovini sono per noi inaccettabili», ha dichiarato senza mezzi termini Pichetto Fratin. Dello stesso parere anche il Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, per cui «le soglie indicate per i bovini rischiano di portare alla desertificazione di un settore produttivo primario in Europa».

La direttiva attualmente in vigore, la 2010/75/UE, che stabilisce norme per la prevenzione e la riduzione dell’inquinamento da attività industriali, ha riguardato fino ad oggi esclusivamente gli allevamenti avicoli e suinicoli di maggiore dimensione (cioè il 5% del totale). Con la nuova direttiva, approvata nonostante il no italiano, le regole riguarderebbero anche gli allevamenti di bovini. Più in generale l’ambito di applicazione della direttiva si estenderebbe a tutte quelle aziende zootecniche per allevamenti intensivi con un numero di unità di bestiame adulto superiore a 350 per bovini e suini, a 280 per il pollame e a 350 per le aziende agricole miste. Dunque, con vincoli più rigidi, all’interno della direttiva rientrerebbe il 50% degli allevamenti (e non più il 5%).

Quello degli allevamenti intensivi è un settore economicamente rilevante per l’Italia ma, nonostante una certa narrazione politica porti a crederlo, il Belpaese è lontano dall’essere il maggior produttore europeo in relazione alla propria economia. L’Olanda, ad esempio, conta un’impressionante popolazione di 100 milioni di capi di bestiame per 17 milioni di abitanti e dipende largamente da questa industria. Tuttavia il governo di Amsterdam è tra i fautori della direttiva e sta lavorando da tempo per riconvertire l’industria. L’Italia al contrario spende ancora milioni di euro di soldi pubblici per sovvenzionare gli allevamenti intensivi e prepara le barricate in difesa di un settore dannoso dal punto di vista ambientale e non solo.

Dati alla mano, secondo l’European Environmental Bureau, il settore zootecnico dell’Unione europea (UE) rappresenta una delle principali fonti di inquinamento dell’aria, del suolo e dell’acqua, responsabile del 12-17% delle emissioni totali di gas a effetto serra. Ma i problemi di cui gli allevamenti intensivi sono responsabili non si limitano alle emissioni. Il costo sanitario e ambientale dell’inquinamento idrico nell’UE dovuto all’eccesso di azoto e fosforo supera i 22 miliardi di euro all’anno, con costi più alti nelle regioni che ospitano più allevamenti intensivi. In essi, inoltre, per prevenire i problemi di salute e la circolazione di virus favorita dalle condizioni di vita degli animali, si fa ampio uso di antibiotici, un fattore che ne alimenta la resistenza anche tra la popolazione umana, con pesanti ripercussioni sanitarie. Come se non bastasse sono ampiamente documentate, anche in Italia, le condizioni di vita e le sofferenze insopportabili cui sono sottoposti gli animali.

Secondo la Commissione europea, la proposta di includere i bovini e soglie inferiori per gli allevamenti di suini e pollame, comporterebbe un beneficio ambientale e sanitario di 5,5 miliardi di euro all’anno grazie alle minori emissioni di metano e ammoniaca, mentre i costi di conformità e i costi amministrativi sarebbero rispettivamente di soli 265 e 233 milioni di euro. Alcuni di questi costi, tra l’altro, potrebbero essere sostenuti dalla politica agricola comune, che dispone di un bilancio di 54 miliardi di euro per anno. [di Gloria Ferrari]

Estratto dell'articolo di Ilaria Sacchettoni per il “Corriere della Sera” il 15 Gennaio 2023.

[…] restano quattro persone a processo fra cui il regista statunitense Michael Bay (Transformers, Armageddon, Ambulance e altro) con un'accusa, quella di maltrattamento degli animali, che qui parrà bagattellare ma negli Stati Uniti può travolgere solide reputazioni e colossali fortune.

 Nessun animale morto, fortunatamente, come erroneamente riportato da media americani. Ma la seconda sezione del Tribunale monocratico di Firenze dovrà stabilire se Bay e gli altri - Edoardo Martino, socio dello Zoo Grunwald, Costei Padurariu suo dipendente e il colombofilo Giancarlo Alpini - abbiano messo a repentaglio il benessere e l'equilibrio di una folta rappresentanza di piccioni, che sono una specie protetta.

 L'accusa ha preso il via dalla denuncia di un agente della polizia municipale che ha assistito alle riprese di « 6 Underground» dalla finestra dell'ufficio. Tutto ha origine ad agosto 2018 sul set del film, con protagonista Ryan Reynolds, girato fra Toscana e Lazio. Il nodo sta in una scena d'azione: un'auto lanciata a folle velocità per le vie di Firenze. La sceneggiatura prevede di utilizzare piccioni per l'occasione.

Un ostacolo alla visibilità del protagonista spettacolarmente lanciato lungo le strade della città toscana. […] Ed ecco che, secondo l'accusa nata dal vigile e rappresentata dalla pm fiorentina Christine Fumia Von Borries, anziché far semplicemente alzare in volo i piccioni, li si «getta» con forza contro il parabrezza della vettura in movimento.

[…] Il volo artificioso dei piccioni sarebbe costato ai volatili un trauma del quale tuttavia non v' è traccia essendo i piccioni vivi e vegeti: […] Tutto senza preoccuparsi della presenza di un veterinario accusa la pm, mentre l'avvocato Fabrizio Siggia, che assiste Bay, smentisce in modo deciso: «Una produzione importante, direi monumentale, prende tutte le necessarie precauzioni in questi casi. Da convinto animalista Bay ha rispettato tutte le regole del caso» taglia corto. […] Dagli Usa Bay ha rilasciato un'intervista alla rivista The Wrap: «In trent' anni di carriera non ho mai ferito un animale»

Simona Carradori per bestmovie.it il 15 Gennaio 2023.

Una notizia che ha dell’incredibile è stata riportata nelle ultime ore in esclusiva da The Wrap: il regista americano Michael Bay sarebbe sotto accusa da parte delle autorità italiane per un incidente avvenuto sul set del suo penultimo film, 6 Underground, le cui riprese si sono tenute nel 2018 anche nel nostro Paese – precisamente nelle città di Firenze, Siena, Taranto e Roma.

Proprio nella capitale sono state girate le sequenze incriminate, durante le quali un piccione sarebbe stato colpito da un dolly – attrezzatura cinematografica su cui vengono montate le cineprese – perdendo la vita. L’animale, così come gli altri volatili, è una specie protetta nell’Unione Europea, con una legge che rende illegale ferire, uccidere o catturare qualsiasi uccello selvatico.  

Michael Bay – stando a quanto riportato dal sito – ha negato l’accaduto, cercando di chiarire più volte i fatti con le autorità italiane, che dal canto loro avrebbero ricevuto la denuncia da parte di una fonte anonima che afferma di aver assistito all’incidente, fornendo delle prove fotografiche.

 “Sono un noto amante degli animali e un grande attivista per la loro protezione”, ha spiegato Bay in una dichiarazione a TheWrap. “Nessun animale coinvolto nella produzione è stato ferito o ucciso. Così come per qualsiasi altra produzione a cui ho lavorato negli ultimi 30 anni”.

Il regista ha poi affermato di avere a sua volta prove video che smentiscono le accuse, con tanto di testimoni oculari e diversi agenti di sicurezza pronti a confermare la sua versione dei fatti. “C’è un caso giudiziario in corso, quindi non posso entrare nei dettagli, ma sono fiducioso che avremo la meglio in tribunale”.

6 Underground, ricordiamo, è un action del 2019 che vede nel cast Ryan Reynolds, Mélanie Laurent, Manuel Garcia-Rulfo, Adria Arjona, Corey Hawkins e Ben Hardy. Nel film, dopo aver inscenato la propria morte, un miliardario recluta una squadra di agenti per una pericolosa e violenta missione alla ricerca di un brutale dittatore.

Lo Sfruttamento.

La guerra all’avorio del principe degli abissi. Redazione su L'Identità il 28 Maggio 2023

di GIADA BALLOCH

Divieto di vendita di avorio di orca, tricheco e ippopotamo: Il Regno Unito si Impegna nella protezione della fauna selvatica. A Londra, il governo ha annunciato un divieto totale sulla vendita del materiale nel paese, con l’obiettivo di proteggere queste specie minacciate e porre fine al commercio illegale di tali prodotti. Questa iniziativa è un passo significativo nel contrastare il bracconaggio e nella salvaguardia della fauna selvatica, dimostrando un impegno concreto per la conservazione degli animali marini e terrestri. Un’azione che afferma uno schieramento importante. Quello contro questa pratica distruttiva. La nuova legislazione seguirà le direttive stabilite dalla Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora selvatiche minacciate di estinzione (CITES), un accordo internazionale che mira a regolare e limitare il commercio di specie in pericolo. L’Inghilterra, la Scozia, il Galles e Irlanda del Nord si impegnano a porre fine a tale commercio all’interno dei loro confini. Tuttavia secondo gli esperti, l’effetto positivo di questa misura potrebbe andare ben oltre le frontiere nazionali. La domanda illegale di materiale alimenta una rete di bracconieri e trafficanti che operano a livello globale. Il divieto imposto dal Regno Unito invia un segnale forte alla comunità internazionale e spera di ispirare altri paesi a intraprendere azioni simili per la protezione delle creature.

Il Ministro dell’Ambiente britannico, in una dichiarazione ufficiale, ha inoltre sottolineato l’importanza della fine del commercio: “Questa misura è un passo fondamentale per garantire un futuro sostenibile”. L’avorio è un materiale pregiato e ambito da molti acquirenti, ma la sua richiesta ha portato ad un’eccessiva strage. La legge garantirà che i prodotti a base di avorio proveniente da queste specie non possano essere commercializzati sul suolo britannico, né esportati all’estero.

L’orca, anche conosciuta come balena assassina, è una delle creature più maestose degli oceani. Questi intelligenti mammiferi marini sono stati a lungo oggetto di bracconaggio per il loro avorio, che viene utilizzato nella produzione di ornamenti e gioielli. L’innegabile verità è che la caccia e il commercio illegale hanno portato al declino delle popolazioni di questi animali in tutto il mondo. Allo stesso modo, i trichechi e gli ippopotami sono specie a rischio. Il tricheco, un mammifero marino noto per la sua mole imponente e il suo aspetto caratteristico, è considerato vulnerabile. Come molti altri, il numero di animali presenti sulla Terra è drasticamente diminuito negli ultimi decenni a causa del bracconaggio e della distruzione dell’habitat.

La vivisezione non è accettabile”: Così 8 italiani su 10 la bocciano. Ivano Tolettini su L'Identità il 28 Maggio 2023

Gli italiani continuano a non avere dubbi sul fatto che la vivisezione come metodo di sperimentazione animale a fini scientifici per lo sviluppo dei farmaci non è accettabile. Mercoledì scorso l’istituto Eurispes, che si occupa anche di studi sociali, oltre che politici ed economici, ha pubblicato il 35° Rapporto Italia che conferma che quasi 8 italiani su 10, il 76,9%, è contrario a questa sperimentazione e che – come del resto L’identità negli ultimi due numeri del 14 e 21 maggio si è occupata – bisogna spingere sulla sperimentazione dei mini organi e dei chip multi organi. Come del resto abbiamo visto già avviene al centro ricerche della Fondazione Città della Speranza di Padova, dove la strada alternativa all’uso degli animali è sempre più praticata con risultati sempre più confortanti. Oltre tutto, come non mancano di sottolineare molti scienziati il modello sperimentale basato sugli animali oltre ad avere indubbi riflessi etici ha dei limiti intrinsechi perché sono una specie diversa rispetto agli uomini.

MODELLO ALTERNATIVO

Gli oppositori alla vivisezione sottolineano in questo momento storico della ricerca scientifica a fini farmacologici, che il settore alternativo è molto affascinante perché consiste nella ricostruzione in vitro di modelli di organo umano che consentono il superamento della specie diversa. In questa maniera i ricercatori lavorano direttamente su materiale che è umano e si vede subito con un altissima affidabilità qual è la risposta dei farmaci. Ecco che l’affermazione di questa nuova branca della ricerca con i cosiddetti organoidi consente la realizzazione di mini intestini che consentono di studiare ad esempio più da vicino i meccanismi di proliferazione di certe malattie oncologiche o rare, oltre che vedere immediatamente l’impatto farmacologico messo a punto

PERSONALIZZATA

Se dunque esistono già metodi sostitutivi approvati per la ricerca alternativa all’uso degli animali, perché come dicono gli scienziati a nessuno piace fare ricerca con le cavie non solo per questioni etiche, ma anche per gli elevati costi, una parte del mondo scientifico replica che non appena ci si trovi a studiare gli effetti di una sostanza tossica in ambienti più complicati come la ricerca medica c’è necessità di ricorrere ancora alla vivisezione. Ma è davvero così? C’è che afferma che i mini organi tumorali realizzati in laboratorio per una terapia individuale contro il cancro già oggi garantiscono risultati apprezzabili, tali da indurre in tanti laboratori alla sostituzione degli animali. Gli organoidi permettono una medicina personalizzata perché in considerazione della circostanza che tutti gli organi hanno le proprie cellule staminali, da ognuno si può approfondire e realizzare in laboratorio un modello complesso e variegato che assomiglia a un organo reale. SDi comprende bene che la nuova frontiera della ricerca personalizzata può avvenire solo con gli organoidi perché i medicinali per sconfiggere i tumori, che hanno abitualmente effetti collaterali tali da indebolire il paziente, attraverso l’organoide tumorale personalizzato coltivato in laboratorio può permettere di scoprire la terapia puntuale per il paziente.

ANALISI

Tornando al piano sociale, dunque, come certifica l’istituto Eurispes il 76,9% dei nostri connazionali è contrario alla vivisezione e auspica c he in tempi molto c eleri si approdi a un sistema veramente alternativo che sia anche più rispondente alle esigenze farmacologiche di affidabilità. Tra l’altro, emerge anche dal 35° Rapporto Italia che il 69% è contrario alla caccia, sebbene l’anno prima gli italiani che avversano le doppiette fossero il 76,1%, e il 73,9% continua a condannare l’uso delle pellicce. Non solo. Emerge anche dall’indagine che il 75,6% non ritiene più tollerabile l’uso degli animali nei circhi, condannato peraltro dall’81,7% dei 18-24enni, che ai rilevatori si dichiarano fermamente contrari, seguiti dal 79,8% dei 25-34enni, dal 76,4% dei 35-44enni, dal 74% dei 45-64enni e dal 73,5% degli ultra sessantaquattrenni. Insomma, la sensibilità in favore degli animali cresce sempre di più e si chiede una legislazione che sia sempre più rispondente a queste diffuse esigenze etiche.

Più spazio, più socialità, tanto latte e più foraggio: le linee Ue per i vitelli. Redazione Animalia su Il Corriere della Sera il 29 marzo 2023

Pubblicate le raccomandazioni dell’Agenzia per la sicurezza alimentare sull’allevamento dei bovini da latte e da carne. Nuovi passi avanti verso la nuova legge europea sul benessere animale

Ogni vitello allevato dovrebbe poter disporre di uno spazio che gli consenta di mantenere una posizione rilassata, di almeno 3 metri quadrati. Ma questo spazio non deve essere un angusto stallo individuale, bensì in un ricovero più ampio che l’animale possa condividere con un piccolo gruppo di suoi simili, tenendo conto che per assecondare le esigenze minime di movimento servirebbe un’area di non meno di 20 metri quadrati. Sono queste alcune delle raccomandazioni contenute nel report diffuso oggi dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa). Il rapporto, come altri diramati nel corso degli ultimi mesi e che hanno avuto come oggetto i trasporti di animali vivi e le condizioni di allevamento di maiali, polli, conigli e galline ovaiole, servirà come parere per la Commissione Europea guidata da Ursula von der Leyen, che è alle prese con una revisione globale delle normative sul benessere animale. Un provvedimento in materia è atteso entro la fine di quest’anno.

Le raccomandazioni dell’Efsa riguardano sia i vitelli da latte sia quelli destinati al consumo diretto. Per tutti, spiegano i ricercatori, andrebbe evitata la pratica oggi diffusa di custodire i nuovi nati in box individuali. Per gli scienziati è invece opportuno creare gruppi di 2-7 animali della stessa età, in modo da favorire un minimo di socializzazione. Viene inoltre raccomandato di non separare subito il vitello dalla madre, lasciando che trascorrano insieme almeno una giornata, per evitare un trauma da distacco dannoso per entrambi.

Quanto all’alimentazione, l’Efsa ricorda che i vitelli necessitano nelle prime quattro settimane di un quantitativo di latte pari ad almeno il 20% del loro peso. E che sarebbe utile poi alimentarli con foraggio fibroso a taglio lungo, come il fieno, partendo dalle due settimane di vita e incrementando via via il quantitativo. Questo per assecondare l’attitudine inatta alla ruminazione e apportare un adeguato quantitativo di ferro.

Thailandia: un santuario per salvare gli elefanti dallo sfruttamento Francesca Naima su L'Indipendente il 18 Marzo 2023.

Un esempio eclatante di come l’essere umano possa devastare la natura e altri esseri viventi arriva dalla Thailandia dove, nonostante gli elefanti siano animali di fondamentale importanza per la biodiversità oltre che per la cultura e la storia del Paese, essi vengono letteralmente sfruttati duramente per il diletto dei turisti, i quali vengono trasportati sulla schiena degli animali causandone la deformazione e, di conseguenza, forti sofferenze. Si tratta di un’attrazione di grande successo, ma che rappresenta una vera e propria tortura per gli animali: a dimostrarlo sono le immagini delle schiene completamente deformate di alcuni esemplari. Con il fine di salvare i mammiferi la Wildlife Friends Foundation Thailand (WFFT) ha creato un rifugio dedicato, con l’obiettivo di insegnare ai turisti come curare gli animali e creare con loro un rapporto, senza provocare inutili sofferenze.

Gli elefanti rappresentano l’animale nazionale della Thailandia, al punto che dal 1998 vi è dedica una giornata celebrativa – il National Thai Elephant Day o Chang Thai Day, che si festeggia il 13 marzo. Eppure mammiferi tanto importanti per la storia thailandese sono diminuiti a dismisura nel corso degli anni, tra il bracconaggio e l’intervento invasivo dell’uomo che ha danneggiato il loro habitat naturale. Stando ai dati della WFFT, poco più di trenta anni fa si contavano 100.000 elefanti nel Paese, mentre ora gli esemplari selvatici sono circa 2.000. I pachidermi in cattività sono ben più numerosi: se ne contano dai 3.000 ai 4.000, spesso catturati illegalmente e poi messi a servizio del settore turistico.

Gli elefanti vengono addestrati con violenza e sfruttati senza limite alcuno al fine di portare quanti più turisti possibili in giro per il Paese. A causa del continuo peso sostenuto, innaturale per la loro specie, la schiena degli elefanti risulta deformata. Alcuni esemplari sono costretti a portare per ore fino a sei turisti contemporaneamente e, quando viene tolto il classico sedile in cui i viaggiatori si accomodano (chiamato howdah), le conseguenze sono evidenti: i dorsi degli animali, invece che arrotondati, sono letteralmente piegati in due. Danni fisici permanenti spesso sottovalutati, per via della forza che nell’immaginario comune viene attribuita a questi animali in ragione della loro stazza.

Nel Rifugio degli Elefanti WFFT, il primo santuario di questo genere mai realizzato in Asia, i mammiferi vengono salvati dallo sfruttamento legato all’impiego in ambito turistico o nel settore del disboscamento. La WFFT dà possibilità ai turisti di visitare il santuario e creare un rapporto pacifico e rispettoso con gli animali, i quali vivono finalmente in libertà. Rimane però la battaglia più difficile per i volontari del WFFT e gli animalisti in generale, attivi da anni ma troppo di rado ascoltati dalle autorità competenti: non esistono ancora leggi che vietino di maltrattare gli elefanti e finché così sarà, anche garantirne il totale benessere risulterà impossibile. [di Francesca Naima]

I Sacrifici religiosi.

Cani, gatti, conigli: quelle frasi "scomode" del Papa sugli animali. Da giorni Francesco viene criticato dagli animalisti per aver rimproverato una donna con un cagnolino. Ma non è la prima volta che accade...Nico Spuntoni il 12 Maggio 2023 su Il Giornale.

In più di dieci anni di pontificato, mai c'erano state così tante critiche a Francesco come in questa settimana. Almeno all'esterno della Chiesa. Colpa di un passaggio del discorso ai partecipanti alla terza edizione degli Stati Generali della Natalità pronunciato venerdì scorso. All'Auditorium di Via della Conciliazione, Bergoglio ha raccontato un episodio che gli sarebbe capitato quindici giorni fa al termine di un'udienza generale del mercoledì. Vale la pena riportare per intero il racconto che tante polemiche ha scatenato sui social e non solo:

"Sono arrivato davanti a una signora, cinquantenne più o meno - ha detto il Papa - saluto la signora e lei apre una borsa e dice: 'Me lo benedice, il mio bambino': un cagnolino! Lì non ho avuto pazienza e ho sgridato la signora: 'Signora, tanti bambini hanno fame, e lei con il cagnolino!'".

Parole che hanno fatto infuriare le associazioni di animalisti che hanno deciso di esprimere il loro dissenso pubblicamente. Walter Caporale, presidente della onlus Animalisti italiani onlus, ad esempio, ci ha tenuto a dire di non essere "affatto d'accordo sulla considerazione relativa alla relazione uomo-animale, una relazione altrettanto complessa e ricca d'amore, pari a quella tra genitori e figli". Ancora più duro il comunicato dell'Associazione Italiana Difesa Animali ed Ambiente AIDAA sostenendo che "Francesco non si smentisce mai nel contrapporre i bambini agli animali domestici".

I precedenti

In effetti, non è la prima volta che Francesco utilizza l'esempio dell'eccessivo amore per i cani in contrapposizione all'inverno demografico. Non solo: la storiella della signora redarguita per la richiesta di benedire il cane nella borsa è molto simile ad un altro episodio che aveva raccontato nell'udienza ai membri Forum delle Associazioni familiari lo scorso dicembre, che pochi giorni prima il suo segretario passando per piazza San Pietro aveva visto una signora un passeggino. "Voleva guardare i bambini… e c’era dentro un cagnolino!", aveva detto Bergoglio, definendo questa scena un simbolo e facendo un appello a fare figli.

Prima ancora, parlando a braccio in un'udienza generale di gennaio 2022, aveva detto che "cani e gatti occupano il posto dei figli" perchè "tante coppie non vogliono" fare figli "ma hanno due cani, due gatti". Più di recente, in un'udienza alle suore canossiane, il Papa aveva definito questa tendenza delle coppie a preferire gli animali domestici ai figli un "affetto programmato". Questa è una ferrea convinzione di Francesco che ciclicamente, quando affronta il tema della bassa natalità, ripete l'esempio della preferenza per cani e gatti.

Non è un punto su cui si è focalizzato negli ultimi anni. Nel 2018, nel discorso che tenne a braccio in un'altra udienza coi membri del Forum delle associazioni familiari dopo aver messo da parte quello preparato giudicato "troppo freddo", raccontò della volta in cui aveva incontrato "due sposi da dieci anni, senza figli poi ho saputo che non li volevano, ma avevano tre cani e due gatti". Ma già nel 2014, nell'omelia della Messa celebrata a Santa Marta, aveva criticato i matrimoni senza figli dicendo sarcasticamente: "Ma forse è meglio, è più comodo avere un cagnolino, due gatti e l'amore va ai due gatti e al cagnolino".

Figli e conigli

Se la contrapposizione tra figli e cani in fatto di natalità gli è valsa le critiche di associazioni ed animalisti vari, paradossalmente proprio una dichiarazione di senso opposto ha provocato polemiche tra i cattolici.

Il riferimento è a quanto disse Francesco sul volo di ritorno dalle Filippine nel 2015. Anche in quel caso, il Papa raccontò di un rimprovero che aveva fatto ad una madre "perché era incinta dell’ottavo dopo sette cesarei". E poi aggiunse: "Alcuni credono che, scusatemi la parola, per essere buoni cattolici dobbiamo essere come conigli, no? No. Paternità responsabile". Una frase che causò più di un imbarazzo e che non a caso oggi non compare nel resoconto di quella conferenza stampa aerea sul sito ufficiale della Santa Sede.

La benedizione degli animali

L'episodio raccontato venerdì all'Auditorium con il rimprovero alla signora che aveva chiesto di benedire il cagnolino ha introdotto anche il dibattito sull'opportunità o meno della benedizione degli animali domestici. Bisogna ricordare che è una suggestiva tradizione la benedizione degli animali in piazza San Pietro il 17 gennaio, giorno in cui si celebra la memoria liturgica di Sant'Antonio abate che è anche patrono dei quadrupedi.

Il "no" di Bergoglio alla signora con il cagnolino nella borsa ha preso il sopravvento nella narrazione sull'intervento del Papa all'edizione degli Stati Generali della Natalità. Non è una sorpresa, però, perché - come abbiamo visto - quella di tirare le orecchie a chi tratta cani e gatti come fossero figli è una costante nei discorsi sulla natalità fatti in questi quasi undici anni da Francesco. D'altra parte, è vero che quel 13 marzo 2013 in Cappella Sistina, il gesuita Jorge Mario Bergoglio scelse di chiamarsi col nome del Santo di Assisi, ma è anche vero che lo fece come omaggio ai poveri e non agli animali.

Pasqua: il sacrificio dell’agnello di Dio “che toglie i peccati del mondo”. Raffaele De Luca su L'Indipendente l’8 aprile 2023.

Con l’arrivo della Pasqua molti italiani, come da tradizione, passeranno il pranzo in famiglia. Secondo le stime di Coldiretti su oltre 4 tavole su 10 non mancherà la carne di agnello, un dato che si prevede in aumento del 13% rispetto allo scorso anno. Proprio in occasione della Pasqua viene infatti acquistata la “gran parte dei circa 1,5 chili di carne di agnello consumati a testa dagli italiani in tutto l’anno“. Una tradizione ebraica fatta propria anche dal cattolicesimo, il cui sacrificio – secondo il Nuovo Testamento – “leva i peccati dal mondo”. L’agnello, secondo i testi sacri, è chiamato al sacrificio per la redenzione dell’umanità. E quello che passa un agnello, nella moderna filiera industriale dell’alimentazione, è effettivamente un sacrificio estremo e poco conosciuto: fatto di trasporti inadeguati, macellazioni inumane e maltrattamenti costanti.

Innanzitutto, però, bisogna fornire alcune informazioni di base. Come riportato dall’associazione Essere Animali nell’ambito di un’inchiesta, la produzione di carne di agnello è strettamente collegata a quella del latte di pecora, per il cui ottenimento le pecore devono aver partorito gli agnelli: se sono femmine, saranno allevate per il latte, mentre se sono maschi a soli 30 giorni dalla nascita verranno uccisi per diventare carne. Ma come vengono allevati gli agnelli? Stando a quanto riportato in un vecchio articolo dell’organizzazione Compassion in World Farming (CIWF) Italia, “come un po’ ovunque” anche nel nostro Paese gli agnelli “hanno accesso al pascolo”, con la loro breve vita che viene trascorsa in “allevamenti non intensivi”. Un modus operandi che ad oggi sembra sostanzialmente confermato: in Italia gli allevamenti di pecore allo stato brado sono quelli prevalenti, mentre nelle immagini della sopracitata inchiesta condotta da Essere Animali in Sardegna – la regione italiana con il maggior numero di ovini allevati – si vedono gli animali pascolare. Niente di cui preoccuparsi dunque? Assolutamente no. La notizia emersa dall’inchiesta, infatti, non è certo quella del pascolo riservato agli agnelli, bensì quella delle violenze sugli stessi.

Grazie all’ispezione di venti allevamenti, dall’inchiesta è emerso “un sistema diffuso di illegalità e maltrattamenti”, con gli investigatori che hanno filmato confessioni di allevatori che “ammettono di uccidere gli agnelli nei periodi di bassa richiesta di carne, perché antieconomico allevarli”, nonché “pratiche vietate perché causa di sofferenza per gli animali”. L’illegale pesatura per sollevamento, ad esempio, “viene effettuata prima del trasporto al macello”, mentre “gravi irregolarità sono state riscontrate anche in un grande macello nonostante la presenza dei veterinari”. Gli animali “assistono alla morte dei loro simili”, con alcuni che “subiscono due volte la scarica elettrica di stordimento, perché gli operatori attendono troppo a iugularli e nel frattempo si svegliano”, ed altri che “sono uccisi ancora coscienti”.

Prima di morire, però, a volte gli agnelli devono sopportare “viaggi estenuanti che durano anche 30 ore”: a riportarlo è sempre Essere Animali, precisando come 1 agnello su 3 di quelli macellati in Italia provenga dall’estero. Un dato preoccupante, soprattutto poiché secondo un’inchiesta diffusa recentemente da Animal Equality il trasporto risulta caratterizzato da “violazioni delle norme sul benessere animale e condizioni di viaggio pessime”, con gli animali schiacciati uno sull’altro. A soffrire prima di morire, dunque, oltre agli agnelli italiani sono anche, e forse in maniera maggiore, quelli stranieri. Ad essere sicuro, però, è il destino comune riservato a tutti loro: la morte. Ogni anno in Italia vengono macellati oltre 2 milioni di agnelli, di cui 375mila solo a ridosso delle festività pasquali: certo, dal 2010 al 2016 le loro macellazioni sono diminuite quasi del 50%, ma da allora risultano sostanzialmente stabili.

Sarà forse anche per questo che la tradizione in passato è stata criticata anche dal mondo cristiano. Famiglia Cristiana, ad esempio, già nel 2017 si era schierata contro di essa, con l’ex direttore don Antonio Rizzolo che l’aveva definita come «un’abitudine alimentare superabile», aggiungendo che non rispettandola sarebbero state evitate «inutili stragi e maltrattamenti sia nell’allevamento che nel trasporto». Al momento, tuttavia, non si registrano cambiamenti significativi, e tantissimi agnelli devono ancora fare i conti con una sanguinosa tradizione.

[di Raffaele De Luca]

Ammassati, affamati, feriti: i viaggi dell’orrore degli agnelli che arrivano in Italia per Pasqua. Francesco De Augustinis CorriereTv su Il Corriere della Sera il 5 Aprile 2023

L’inchiesta sul campo di Essere Animali evidenzia le inaccettabili condizioni di trasporto di centinaia di migliaia di capi importati vivi dai Paesi dell’Est europeo e destinati ai macelli di casa nostra. I controlli della polizia stradale. Le proposte di modifica delle regole da parte della Ue e le resistenze di alcuni Stati (tra cui l’Italia)

Teste incastrate tra sbarre di ferro, sovraffollamento, nessun accesso all’acqua, animali in viaggio senza essere stati neanche svezzati. Sono queste le condizioni in cui viaggiavano migliaia di agnelli stipati in alcuni camion provenienti dall’Est Europa, denunciati negli ultimi giorni alle autorità dall’associazione animalista Essere Animali.

«Sono messi male, ce ne sono diversi incastrati! Se guarda nello schermo della telecamera, si vede che è incastrato», sono le parole di un attivista che mostra a un agente della polizia stradale la situazione dentro un camion sovraccarico di agnelli, fermato in autostrada per le condizioni irregolari in cui trasportava gli animali. «I nostri investigatori sono riusciti a fare fermare un camion in arrivo dalla Romania all’altezza di Altedo Bolognese — racconta Simone Montuschi, presidente dell’associazione —. Vi erano 200 agnelli in più del numero che il mezzo poteva trasportare, gli animali nel mezzo si calpestavano praticamente tra di loro. Abbiamo allertato la polizia che a sua volta ha allertato l’Asl locale, e il veterinario una volta sopraggiunto ha deciso di sopprimere tre agnelli per porre fine alle loro sofferenze. È una cosa gravissima».

Nel corso di pochi giorni di monitoraggio, Essere Animali ha segnalato alle forze dell’ordine sette camion di più piani che arrivavano da Romania, Ungheria e Slovacchia, di cui sei sono stati sanzionati. L’associazione svolge ogni anno un’attività di monitoraggio dei carichi di animali in arrivo dall’Est Europa proprio nei giorni prima di Pasqua, quando i viaggi si moltiplicano per l’impennata della domanda e del consumo di carne di agnello. «Nel 2022, su un totale di 2.199.832 agnelli macellati nel nostro Paese (fonte Istat), ben 653.303 animali (fonte Eurostat Comext) provenivano dall’estero, principalmente da Ungheria e Romania», riferisce l’associazione. «Si tratta di animali spesso ancora non svezzati, strappati alle loro madri a pochissime settimane di vita e costretti a sopportare viaggi della durata anche di 30 ore all’interno di camion che possono essere inadeguati e sovraffollati. Nell’Unione europea, l’Italia è il primo importatore di agnelli vivi, davanti a Francia e Grecia».

Secondo Montuschi, «nel 2019, 1,6 miliardi di animali hanno viaggiato, o tra Paesi dell’Unione Europea o verso Paesi Terzi. Parliamo solo di animali che viaggiano per scopi di allevamento, riproduzione, ingrasso. Animali allevati a scopo alimentare».

Trasporti fuori controllo Il dibattito sul trasporto degli animali vivi tra Paesi europei e verso Paesi extra UE tiene banco da alcuni mesi a Bruxelles, dove la Commissione Europea è alle prese con la stesura di una proposta di revisione della normativa UE sul benessere animale, nell’ambito della strategia «Farm to Fork». «Il trasporto e l’abbattimento degli animali sono due aspetti estremamente importanti della normativa sul benessere animale, su cui sono determinata a sollecitare sostanziali modifiche», ha detto nei giorni scorsi la Commissaria europea per la salute e la sicurezza alimentare Stella Kyriakides, in occasione di una conferenza sul benessere animale a Bruxelles. «Diverse iniziative dei cittadini europei sulla protezione degli animali hanno dimostrato l’interesse dell’opinione pubblica sul tema del benessere animale — ha aggiunto —, vorrei quindi assicurarvi che stiamo ascoltando molto attentamente questi appelli in vista della revisione della normativa».

Il lavoro della Commissione Europea è basato su alcuni pareri scientifici, tra cui quelli dell’Agenzia Europea per la Sicurezza Alimentare (Efsa), che ha pubblicato delle raccomandazioni rispetto alle principali problematiche legate al benessere animale nel trasporto di animali vivi. «Ogni anno vengono trasportati circa 4 milioni di bovini tra stati membri Europei — afferma Denise Candiani, esperta scientifica del team benessere animale di Efsa —. Numeri simili si osservano per i suini, mentre sono numeri minori per cavalli e piccoli ruminanti e numeri enormi quando parliamo di polli, si parla di miliardi di polli». A questi numeri, precisa l’esperta, vanno aggiunti i dati degli animali vivi trasportati verso Paesi extra UE, su cui i dati sono meno puntuali. «Ci sono tre o quattro aree comuni a tutte le specie animali, che chiamiamo raccomandazioni chiave — afferma Candiani —. La verifica dell’idoneità al trasporto è un passaggio chiave, perché spesso vengono trasportati animali che non sono in condizione. Quindi bisogna evitare di trasportare animali che siano feriti, che presentino lesioni, presentino zoppie o animali nel terzo periodo di gestazione».

Un’altra raccomandazione riguarda le temperature massime a cui far viaggiare gli animali: «Soprattutto in Sud Europa nei mesi estivi gli animali sono sottoposti a quello che si chiama lo stress termico, in questo caso stress da caldo — spiega ancora l’esperta —. Il caso più eclatante è quello del caldo dei mesi estivi, parliamo di viaggi in Spagna, in Italia, le temperature salgono molto in certi mesi». C’è poi il tema della densità e la raccomandazione di garantire spazi minimi per ogni capo: «Gli animali spesso viaggiano con molto poco spazio disponibile, sono quasi ammassati». Infine c’è il tema della durata del viaggio: «Gli animali sono tenuti a digiuno prima di un viaggio anche per 12 ore prima di essere trasportati, e questo viene fatto per questioni igieniche durante il viaggio. Però immaginiamo un animale digiuno da 12 ore, parte per un viaggio di 4 ore e fa già 16 ore di digiuno, l’animale inizia a aver fame. Se questo viaggio diventa di 8, 10, 12, 16 o 20 ore, la fame diventa sempre più severa».

La posizione dell’Italia

Una proposta di regolamento da parte della commissione è attesa per l’autunno, e darà poi vita a un dibattito tra la stessa Commissione e il Parlamento Europeo che potrebbe durare ancora un paio d’anni. «E proprio lì che i decisori italiani dovranno dare il proprio peso», afferma Montuschi, che parla di «un’occasione un po’ unica, perché questo processo di revisione non viene fatto tutti gli anni. Per questo dobbiamo cercare di ottenere il più possibile». Per quanto riguarda il governo italiano sul tema trasporti animali, nelle scorse settimane il ministero della Salute ha diramato una nota in cui ha chiesto di «intensificare i controlli su strada e a destino sulle partite di agnelli diretti ai macelli nel nostro Paese» in vista delle feste di Pasqua. Analogamente, la scorsa estate il governo ha diramato una nota per vietare i trasporti di animali con temperature oltre i 30 gradi - sebbene gli animalisti abbiano denunciato frequenti violazioni. Di contro l’Italia finora ha tenuto una posizione conservativa in Europa. In particolare in una riunione del Consiglio Agricoltura e Pesca lo scorso 30 gennaio il ministro Italiano Francesco Lollobrigida ha sostenuto una mozione presentata dal Portogallo e altre otto delegazioni, che - pur ammettendo la necessità di nuove norme - chiedeva regole meno stringenti per il trasporto animale, definito «un’attività fondamentale per i sistemi di produzione animali in Europa e nel mondo».

"Sì al sacrificio di animali". La cittadina Usa cede all'Islam. su Il Giornale il 13 Gennaio 2023.

Sì al sacrificio di animali per motivi religiosi. Africa? Medio Oriente? No, accade negli Stati Uniti, alle porte di Detroit. Siamo ad Hamtramck, cittadina che conta una popolazione di 28.000 abitanti, dei quali più della metà sono di origine yemenita o bengalese di fede islamica. Dopo diversi mesi di controversi dibattiti e pressioni da parte dei residenti musulmani, martedì sera il consiglio comunale di Hamtramck ha votato "sì" al sacrificio religioso di animali in casa. Accade durante la ricorrenza nota anche come "Festa del Sacrificio": i fedeli, ricorda Euronews, macellano un animale, per ricordare l'uccisione di un montone da parte di Abramo, nell'episodio, raccontato dalla Bibbia e dal Corano, in cui il fondatore della tribù d'Israele aveva accettato di sacrificare a Dio suo figlio (Isacco nella Bibbia, Ismaele nel Corano). L’animale che viene comprato per il sacrificio viene macellato per chiedere perdono ad Allah per gli errori e i peccati commessi.

Hamtramck, la cittadina si piega all'islam

Il consiglio comunale ha votato a favore della proposta, con il sindaco Amer Ghalib che ha espresso un ulteriore voto positivo, modificando così l'ordinanza cittadina che ora consente il sacrificio religioso di animali presso la propria casa. Dopo il voto di approvazione, sono scoppiati gli applausi del pubblico, che ha gremito l'assemblea per prendere la parola prima del voto. "Se qualcuno vuole farlo, ne ha il diritto", ha detto il consigliere musulmano Mohammed Hassan durante l'incontro, trasmesso anche in live streaming. Alcuni residenti e sostenitori dei diritti degli animali hanno espresso la loro opposizione alla modifica dell'ordinanza, affermando che questa misura è crudele nei confronti degli animali e crea problemi di igiene ad Hamtramck, una delle città più densamente popolate del Michigan.

Preoccupazione anche per i bambini, che vedranno capre, agnelli e mucche fatte a pezzi nei cortili delle abitazioni. Ghalib e altri sostenitori della nuova ordinanza affermano che la legge statale e federale protegge i loro diritti religiosi ai sensi della Costituzione degli Stati Uniti, ricordando una decisione della Corte Suprema di 30 anni fa che proibiva i divieti cittadini sui sacrifici animali praticati dai seguaci della religione "Santeria" (culto sincretico di origine cubana che associa elementi del cattolicesimo alla religione praticata dagli schiavi).

Cortocircuito della sinistra

Ghalib ha affermato che vietare la macellazione degli animali potrebbe portare a cause legali contro la città per presunte violazioni dei diritti civili. Dello stesso parare il procuratore della città, il quale ha sottolineato che le modifiche all'ordinanza sono perfettamente legali. Che dice ora la sinistra vegana ed eco-chic? Il multiculturalismo non è il paradiso che si propagandava? Come notava tempo fa su Foreign Affairs Rafaela Dancygier, il problema della centrale delal sinistra è questo: "I gruppi di elettori immigrati più grandi e in rapida crescita provengono da paesi a maggioranza musulmana e spesso portano con sé le tradizioni socialmente conservatrici delle loro terre d'origine. Questo avviene proprio quando i partiti di sinistra si sono proclamati campioni di laicismo, cosmopolitismo e femminismo appellandosi alla loro base della classe media sempre più liberal". Il risultato, sottolineava, è uno scontro di valori, che si svolge più spesso nelle città, "dove le comunità musulmane hanno replicato i legami del villaggio, le strutture patriarcali e le pratiche religiose dei loro paesi d'origine accanto a enclave laiche e progressiste della classe media". D'altronde, cosa c'è di progressista nell'islam politico? Proprio nulla. Ben arrivati nella realtà.

La Sterminazione.

La campagna bestiale contro fratello lupo e compare orso. A Bolzano e Trento i partiti si interrogano su come convivere con il lato selvaggio della civiltà. Vittorio Macioce l'11 Settembre 2023 su Il Giornale.

Attenti al lupo, come in una vecchia canzone di Lucio Dalla che allora, anno di grazia 1990, era un’allegra filastrocca e adesso sembra quasi profetica, in tutti i sensi. «Amore mio, non devi stare in pena. Questa vita è una catena, qualche volta fa un po' male». A Bolzano ogni primo sabato del mese c’è il mercatino delle pulci, le bancarelle segnano la passeggiata lungo il fiume Talvera, e qui quando è tempo di raccogliere voti i politici di tutte le parti ogni tanto si fanno vedere. Di solito prometto investimenti, posti di lavoro e tutto il benessere che arriva dalla sacrosanta autonomia. L’Alto Adige è il nord del nord o il sud di una patria perduta, dipende da come lo si vede. Solo che queste sono storie che non tirano più, adesso la questione è lui, il feroce predatore, quello antico delle favole, che è tornato a fare paura. Che fare dei lupi?

Qui il 22 ottobre si conta il consenso e a quanto pare chi sta con il lupo si farà male. La data è la stessa delle regionali.

Le elezioni per le due province autonome ci saranno pure a Trento. Non è che le cose siano tanto diverse, ma qui si cammina su un altro lato selvaggio. Il lupo? Sì, magari il lupo fa sempre un po’ paura, ma vuoi mettere la disgrazia dell’orso? Quello ormai ti arriva quatto quatto sotto il balcone di casa o te lo ritrovi alle spalle nei sentieri sperduti del bosco. Se vuoi però capire cosa accomuna l’orso e il lupo devi seguire i soldi. Sono la tassa naturale che colpisce allevatori e contadini e l’interesse elettorale è soprattutto lì. Nessuno vuole perdere i voti degli uomini della frontiera e dei proprietari terrieri che da queste parti fanno la differenza.

È così che Arno Kompatscher, presidente uscente della provincia di Bolzano, nato a Fiè allo Sciliar, una carriera nel Südtiroler Volkspartei, giacca liberal logorata dal potere, si ritrova a firmare l’ordinanza per l’abbattimento di due lupi che non si vogliono arrendere. Allo stesso modo Maurizio Fugatti, presidente a Trento in provincia e regione, cresciuto a Avio, leghista per Salvini, ci mette la faccia sulla sorte dell’orsa F36, a cui nessuno qui se la sente di dare un nome e viene battezzata con una sigla che da lontano ricorda una Ferrari o un caccia. È un modo per esorcizzare il senso della tragedia. Ora se si va in Trentino o in Alto Adige, dove in genere non si va d’accordo su nulla, buona parte di quelli che senti parlare, anche chi ama sinceramente gli animali, ti dice che il problema della natura selvaggia non si può liquidare con un appello alle buone intenzioni. Il problema esiste e sono tanti i motivi per cui non si riesce a convivere con l’orso e con il lupo.

Il principale è che per anni in pochi si sono posti il problema. L’inatteso è che ora Kompatscher e Fugatti, e molti degli altri candidati, stanno in questo autunno del 2023 a improvvisarsi capi villaggio di una sorta di medioevo, costretti a promettere alla popolazione che le fiere non entreranno in città. Scacceremo la paura.

È una seduta di psicoterapia, quasi un modo più o meno inconscio per scaricare la paura verso l’altro, verso il prossimo, quella respirata negli anni della pandemia, sull’orso e sul lupo. È un transfert. È una promessa di sicurezza verso il lato oscuro dell’esistenza. È in questi casi che servirebbe un santo, uno di quelli grossi. Come si fa a convivere con le ombre del bosco? Ti viene in mente la leggenda di San Francesco. «Apparì nel contado di Gubbio un lupo grandissimo, terribile e feroce, il quale non solamente divorava gli animali, ma perfino gli uomini. Tanto che tutti andavano in giro armati, come se andassero a combattere». San Francesco come si sa parlò con fratello Lupo e lo convinse che era meglio convivere in santa pace.

Si accucciò ai suoi piedi, come in cerca di coccole.

A Bolzano non sembra ci siano santi e non c’è da aspettarsi miracoli. Neppure a Trento.

La soluzione sulla convivenza spetterebbe agli umani, anche perché gli altri animali in genere non votano. È che al momento sull’orso e sul lupo è partita una appassionata, e un po’ surreale, giostra di parole.

Arrivano i buoni e fanno picchetti in città, qualcuno così esagerato da far pensare che l’orso sia Yoghi e il lupo Alberto. Arrivano i cacciatori e brindano a una vaga idea dell’Europa di togliere ai lupi lo status di animale protetto. Il sospetto è che siano già li pronti a salvare la nonna e Cappuccetto Rosso. Arrivano i coltivatori diretti e cifre alla mano lamentano che i lupi in Italia sono 3300 e le pecore in un lustro sono diminuite del 5 per cento. Ergo: salviamo gli agnelli. E di questo se ne riparlerà a Pasqua, che anche quest’anno cade dopo le elezioni. Vittorio Macioce

Quanto vale un elefante? Circa 2,5 milioni di dollari «ma solo se è vivo». Massimo Sideri su Il Corriere della Sera il 07 giugno 2023 

L’economista Robert Chami ha dato un valore ai pachidermi e alle balene basandosi sulla loro capacità di ripulire l’atmosfera dall’anidride carbonica. «Sto dialogando con tutte le big tech che devono ridurre il saldo delle loro emissioni» 

Quanto vale un elefante? Anzi: qual è il costo di un elefante vivo che cammina sopra le nuvole? Può sembrare una domanda ingenua, forse sconveniente, quasi sospetta. Chi vuole prendersi un elefante in casa o in uno zoo privato? Oppure farlo volare? E invece è un rompicapo per il riscaldamento globale a cui ha lavorato un personaggio molto particolare, Robert Chami («si legge con il suono sc e sono mezzo greco e mezzo libanese» come si presenta orgoglioso delle proprie origini mediorientali). Chami parla a suo agio in mezzo alle sue chitarre Fender («ho una band, se lei suona possiamo provare»). Ma non è un hippy-attivista fuori tempo massimo. È un apprezzato economista con oltre venti anni di lavoro al Fondo Monetario Internazionale e un passato accademico. Nel 2017 durante un viaggio, come racconta in un suo Ted molto quotato (un milione e mezzo di visualizzazioni), ha scoperto che proprio grazie alla sua esperienza poteva aiutare il mondo rispondendo a domande scomode del tipo: quanto vale una balenottera azzurra?

«Gli scienziati, con un certo grado di frustrazione, sapevano già una cosa: che le balene come gli elefanti (cioè gli animali più grandi in mare e sulla terraferma, ndr ) catturano grandi quantità di biossido di carbonio. Solo che non sapevano cosa farci di questa informazione». Da qui l’eureka: valgono milioni di dollari! Ma andiamo per gradi. «Era proprio la mia specializzazione: non sono uno scienziato ma il mio lavoro è valutare le cose». Chami parla con l’entusiasmo di chi ha trovato una ragione per cui valga la pena di essere ottimisti. Se un ottimista è un pessimista che ha letto molti libri lui non sono ne ha letti tanti, ma ne ha anche scritti. Ha preso un anno di aspettativa dal Fondo monetario internazionale per tornare a insegnare come visiting professor e lavorare a un modello economico di valutazione dei beni immateriali come l’acqua dell’oceano, l’atmosfera, le piante e gli animali: «Noi riusciamo a valutare cose intangibili come l’arte, un quadro che ammiriamo in un museo. Ma quando parliamo di natura il nostro sistema economico» ci spiega dalla sua abitazione fuori Washington «tende a dare un prezzo alle cose solo quando sono morte. Un albero ha un costo quando viene tagliato perché possiamo farci un tavolo». 

Natura, flora e fauna in vita non sono gratuite

È come quando andiamo da bravi turisti ad assistere all’asta del tonno nel mercato di Tokyo. Quanto vale? Anche milioni quel giorno, sotto una sciabola pronta a trasformarlo in sushi. È la legge della domanda e dell’offerta. Se nessuno compra allora non si innesca il meccanismo. «Ma il difficile è domandarci: quanto vale da vivo? Per noi la natura, la flora e la fauna in vita sono gratuite. Quindi nella nostra testa possiamo tagliare, possiamo inquinare. Pensiamo che sia una commodity infinita. E visto che è infinita il prezzo allora è zero. L’umanità ha fatto questo errore fin dalla prima rivoluzione industriale: estraiamo petrolio e gas dal sottosuolo e inquiniamo buttando tutto nell’atmosfera per produrre considerando il capitale naturale gratuito». Esiste un’alternativa? In economia si chiama costo opportunità, il costo di non fare qualcosa. Il punto è che se si valuta tutto in dollari si cade in un vortice inestricabile di danni che si autoalimentano. Ma la soluzione sta proprio in questo strumento: «Dollari e centesimi, è l’unico valore che capiamo».

CO2 nemico pubblico, ma c’è anche il rischio acqua

Oggi Chami sta preparando le valigie per venire a Milano a confrontarsi con altri economisti alla Ocean Week organizzata dalla One Ocean Foundation presso la Bocconi di Milano e il suo contributo si soffermerà sul nemico pubblico numero uno della società, intangibile ma respirabile, naturale ma dannosissimo: la CO2, il principale dei gas serra (ce ne sono altri ma parliamo generalmente di CO2 equivalente - CO2e - proprio per avere un parametro con cui misurare il danno). Abbiamo dato un valore enorme ai codici binari costruendoci sopra la più importante economia del pianeta. Possibile che non si riesca a valutare correttamente la risorsa più diffusa e più preziosa: l’acqua da cui dipende la vita stessa? Oggi sappiamo con certezza che esiste una correlazione diretta tra CO2 emessa dalle attività antropiche e il riscaldamento globale. Ma Chami va oltre: non possiamo limitarci a ridurre la produzione di C02 ma dobbiamo anche riassorbire quella che abbiamo immesso nella nostra fragile e sottile atmosfera. È quello che raccontano tutti gli astronauti: se già la Terra sembra una piccola e fragile biglia nell’Universo ancora più impressione fa il sottile strato che dovrebbe difenderci. E qui casca l’elefante. 

Calcolate quanta CO2 ripulisce un pachiderma

L’elefante lungi dall’essere quell’ingombrante pachiderma che dovrebbe rompere tutti i cristalli in un negozio di bicchieri riesce invece anche a camminare sulle nuvole! «Io sono un economista finanziario, non un economista ambientale. Ma proprio per questo ho potuto fornire il mio contributo valutando una vecchissima tecnologia naturale per pulire l’atmosfera. Il prezzo della CO2 è andato da zero a centinaia di dollari a tonnellata. Microsoft già compra CO2 catturata (cioè riassorbita) dall’ambiente 800 dollari per tonnellata. Per le balene vale la stessa cosa: hanno un valore solo quando vengono uccise e mangiate (ancora in Giappone, Norvegia e, con sempre meno convinzione in Islanda dove dopo la grande crisi finanziaria del 2008 si sono convertiti al turismo e hanno compreso che le balene erano una risorsa per il whale watching ). Queste balene catturano la CO2. Se potessero parlare direbbero che le cose vanno male perché le stiamo uccidendo».

La forza dei numeri: fitoplancton come 4 Amazzonie

I numeri sono impressionati. « In natura esiste già un sistema di purificazione perfettamente ingegnerizzato. Il fitoplancton cattura la CO2 dall’atmosfera: 37 miliardi di tonnellate all’anno, pari a 4 foreste amazzoniche. Il krill mangia il fitoplancton. Le balene si cibano di krill. Una sola balena ne assorbe in un anno 33 tonnellate. Nell’arco di una vita il valore di una balena considerando solo la CO2 assorbita supera i 3 milioni di dollari». Questo è l’uovo di Colombo: «Io uso il prezzo per rendere visibile la natura. Perché oggi è invisibile in quanto tutta l’umanità tende a capire solo i soldi. Allora la domanda è: quanto vale un elefante morto? Può valere circa 30 mila dollari se vendiamo l’avorio. Ma sa quanto vale un elefante se consideriamo il suo lavoro ingegneristico per aiutare gli alberi a catturare l’ambiente? Qui ha avuto un ruolo l’Italia».

Le big tech e la protezione dei giganti

«Tre anni fa — prosegue — mi chiamò da Parigi lo scienziato italiano Fabio Berzaghi che pubblica sulle principali riviste scientifiche e lavora in Congo. Mi disse: Ralph tu hai un modello per valutare le balene che catturano la CO2. Ma io lavoro in Congo e so che gli elefanti fanno la stessa cosa. E con lo stesso modello un elefante vivo vale circa 2,5 milioni di dollari». Per questo camminano sulle nuvole: «Sto dialogando con tutte le big tech che producono CO2 con i cloud. Potrebbero proteggere elefanti e balene e ridurre il saldo delle proprie emissioni». C’è bisogno di aggiungere altro? I soldi non dormono mai, nemmeno in natura. «Sfortunatamente dobbiamo riportare tutto a un linguaggio che tutti capiamo: dollari e centesimi». Ma possiamo usarli per salvare la natura grazie a persone come Chami.

Estratto dell’articolo di Alessandro Saragosa per “il Venerdì di Repubblica” l'1 maggio 2023.

Ora è ufficiale, le zebre sono gli unici animali al mondo ad aver inventato un tipo di mimetismo utile al tempo stesso contro i grandi e i piccoli predatori: dai leoni ai tafani, si potrebbe dire. Sì, parliamo delle loro strisce, sulla cui esatta funzione gli zoologi dibattono da decenni, arrivando ad almeno 18 spiegazioni diverse: dall'uso come identificazione personale (sono in effetti uniche per ogni individuo), fino a un'azione rinfrescante (i colori alternati creerebbero correnti d'aria intorno al corpo).

La spiegazione più gettonata fra gli zoologi, però, è che le strisce, rompendo il profilo del corpo, confondono leoni, leopardi e iene, soprattutto quando le zebre si muovono in branco, rendendo difficile capire dove finisca un individuo e ne cominci un altro. 

E se è vero che a noi un animale a righe bianche e nere contro il verde o arancio della savana pare tutt'altro che mimetizzato, è vero anche che la visione a colori dei grandi predatori non è dettagliata come la nostra. Per cui la teoria del "mimetismo a strisce" resta la preferita.

Adesso, però gli zoologi Tim Caro e Martin How, dell'Università di Bristol, hanno finalmente dimostrato che con le strisce le zebre hanno evoluto uno dei sistemi più raffinati del mondo animale per eludere l'attacco non dei grandi predatori, ma dei più piccoli: gli insetti che succhiano il sangue.

Per confermare che l'ipotesi "repellente per insetti" fosse giusta, i ricercatori inglesi hanno ripetuto in modo più approfondito un test che avevano fatto nel 2019, mettendo a un cavallo una gualdrappa che imitava le strisce di una zebra, e constatando che su di esso si posavano meno tafani che sul suo normale manto. L'esperimento indicava un effetto, ma non spiegava perché le strisce respingessero gli insetti. […]

Le analisi ottiche delle varie superfici mostrano che a contare nell'effetto repellente per i tafani è il tasso di contrasto della superficie: più è alto e meno gli insetti lo amano. "Questo è coerente con il modo in cui i tafani trovano le prede usando il loro apparato sensoriale: a distanza le individuano seguendo il loro calore, quando sono più vicini si dirigono verso la massa scura contro lo sfondo, e poi scelgono con i loro occhi composti, che non hanno una grande risoluzione, il punto di atterraggio. 

Ma se la superficie è coperta di piccole strutture ad alto contrasto, siano esse quadretti o strisce, il tafano pare non riesca a determinare bene cosa sia sfondo e cosa sia animale, e spesso, disorientato, rinuncia e vola via". È insomma come se la zebra avvicinandola si "dissolvesse" agli occhi del tafano. […]

I crimini contro la natura sono tra i più redditizi al mondo. Gloria Ferrari su L'Indipendente il 24 aprile 2023

Il nostro è un Paese così tanto ricco di biodiversità che abbiamo finito per criminalizzarla. Data la sua posizione geografica, la Penisola italiana è infatti diventata fulcro di rotte commerciali di traffici illeciti interni e internazionali di specie animali e vegetali protette, e, più in generale, territorio in cui la propensione al compimento di crimini contro la fauna e la flora selvatiche è decisamente aumentata. Ma non siamo gli unici. Basti pensare che tale pratica rappresenta la quarta attività criminale più redditizia al mondo, preceduta solo dal traffico di droga, dalla contraffazione e dal contrabbando di armi. In termini economici, il mercato generato dagli illeciti ai danni della natura genera entrate per 280 miliardi di dollari l’anno. È quanto emerge dal report Il danno invisibile dei crimini di natura: analisi e proposte del WWF Italia, realizzato nell’ambito del progetto europeo SWiPE di cui l’associazione è tra i partner.

A cadere vittime di bracconaggio, caccia, prelievo di uova sono soprattutto gli uccelli, tra cui aquile e falchi, ungulati e anatidi: animali che una volta finiti nei mercati illeciti fruttano grosse somme di denaro. Non sono al sicuro neppure lupi e orsi né rettili o anfibi, già in uno stato di conservazione piuttosto precario. Con loro anche pesci d’acqua dolce o altre specie marine, tra cui ricci di mare, datteri, coralli e tartarughe. E se non si riescono a catturare vivi, sono redditizie pure parti singole del corpo degli animali, staccate dal resto. È frequente ad esempio il contrabbando di avorio, delle corna di rinoceronte, o della pelle di leopardo. A rischio anche le specie vegetali protette, come le radici della genziana lutea, parecchio ricercate perché utilizzate nella preparazione di distillati.

I dati raccolti in Italia dicono che tutto questo ci riguarda da vicino. Nel solo 2018 i Carabinieri hanno emesso multe contro la criminalizzazione di fauna e flora pari a 5 milioni e mezzo di euro (e di oltre un milione nel 2020). La Regione in cui ci sono stati più illeciti (dati dal 2016 al 2019) è la Lombardia, con 5.256 denunce, seguita da Veneto con 2.526 e Toscana con 2.247 denunce. Tuttavia, da nord a sud, non esiste territorio che ne sia privo.

Il motivo risiede anche nel fatto che non riusciamo a risolvere il problema alla radice e in maniera efficace. Partendo dall’ordinamento giuridico, il report dice che in Italia tra il 41 e il 46% degli illeciti vengono archiviati prima del dibattimento, e tra il 38-50% vanno in prescrizione. Dunque alla fine solo una piccola percentuale di questi arriva a condanna. Gli altri probabilmente finiscono per essere dimenticati, visto che non esiste una banca dati centralizzata sui crimini di natura, che le sanzioni sono molto basse e che pagando un migliaio di euro, chi uccide una specie protetta può tranquillamente ripulire la propria fedina penale da quanto commesso.

E poi manca il personale addetto: spesso si tratta di operatori di vigilanza volontari (come quelli del WWF, che durante i 5 mesi della stagione venatoria 2021-2022 hanno salvato in Campania 120 animali, segnalato alle autorità 97 violazioni penali, effettuato 77 sequestri e altro ancora). Quando invece si fa riferimento alle guardie appartenenti alle forze di polizia, queste risultano troppo striminzite e mal ripartite sul territorio nazionale.

Probabilmente perché quello dei crimini contro la natura è un fenomeno ancora troppo sottovalutato o considerato isolato, riconducibile cioè a qualche singolo cacciatore che si diverte a sparare. La verità, invece, è un’altra, ed ha una portata molto più vasta: il bracconaggio e il traffico di specie protette ci sono, esistono, e ci inglobano in un mercato dell’illecito mondiale, oltre ad avere «impatti gravi sulla biodiversità e possono essere veicolo di diffusione di patologie», spiega Luciano Di Tizio, presidente WWf Italia. [di Gloria Ferrari]

Il Bestiario, l'Animaligno. L’Animaligno è un virus leggendario che si impossessa delle persone e gli fa credere che gli animali siano migliori degli uomini. Giovanni Zola il 20 Aprile 2023 su Il Giornale.

L’Animaligno è un virus leggendario che si impossessa delle persone e gli fa credere che gli animali siano migliori degli uomini.

L’Animaligno è un virus molto diffuso in tutto il mondo, più di quello che si possa immaginare, tanto che spesso si scoprono persone apparentemente sane che invece sono state infettate da un Animaligno dormiente. Quando si risveglia, il terribile virus si impossessa della mente dell’infettato che comincia a scrivere sui social slogan senza senso del tipo #iostoconlorso. L’Animaligno colpisce prevalentemente quelle persone con “difese umanitarie” basse che sostengono di essere state deluse dal genere umano cattivo ed egoista. Il virus si inserisce proprio in questa ferita compromettendo la capacità di ragionare del soggetto che inizia a rivendicare a gran voce l’innocenza del genere animale e, mettendo indebitamente sullo stesso piano uomo e animale.

Così accade che la persona infettata dall’Animaligno venga colta dalla smania di ripopolare alcune regioni con animali pericolosi, non avendo niente di meglio da are, che in breve tempo si moltiplicano diventando un numero fuori controllo e arrivando addirittura ad uccidere. Ed è qui che la persona posseduta dal terribile virus perde totalmente l’uso della ragione sostenendo, ad esempio, che l’animale sia stato disturbato nel suo “habitat naturale” quando appare evidente che lì l’animale non ci sarebbe stato se non fosse stato portato.

Insomma l’Animaligno prende possesso delle categorie della logica e della ragione del suo povero ospite e le stravolge completamente facendogli dimenticare che l’uomo, a differenza dell’animale, possiede lo spirito, la coscienza, il logos (pensiero e parola). Gli fa dimenticare che l’uomo è qualitativamente superiore all’animale, rappresenta un salto di specie irriducibile al mondo animale. Gli fa dimenticare che per Aristotele l’uomo è un animale, razionale e libero. Animale: fatto di istinti biologici primari. Razionale: la capacità di costruire le piramidi, scoprire la teoria della relatività e andare sulla luna. Libero: può decidere di fare cose buone come di fare cose terribili perché è l’unico essere vivente libero di scegliere tra il bene e il male. L’animale non ha possibilità di scelta e dunque non può essere innocente. L’Animaligno fa dimenticare che l’uomo essendo ontologicamente superiore al genere animale, lo domina e lo governa e non viceversa come l’Animaligno vorrebbe farci credere.

Orsi e lupi in Trentino: la verità dei numeri contro la retorica. Stefano Baudino su L'Indipendente l'8 Luglio 2023 

I danni provocati da orsi e lupi in Trentino sono calati. Inoltre, il numero di esemplari presenti sul territorio provinciale non sta aumentando in maniera esponenziale: si registra, invece, solo un lieve e fisiologico incremento, in linea con le previsioni. A certificarlo sono i dati presentati all’interno del nuovo Rapporto Grandi Carnivori, finalmente pubblicato dalla Provincia di Trento dopo mesi di sollecitazioni da parte di tecnici e ambientalisti, che sconfessano la narrazione allarmistica resa finora sul fenomeno dalle autorità provinciali, ansiose di ottenere il permesso per procedere ad abbattimenti indiscriminati sull’onda di una presente emergenza di pericolo per gli abitanti delle zone.

Il rapporto, che offre una dettagliata fotografia su numeri, tendenze e abitudini di tutti i grandi carnivori (tra cui anche la lince e lo sciacallo dorato), sottolinea come l’entità dei danni causati insieme da lupi e orsi in ambito provinciale non superi nemmeno i 150mila euro. ”Al momento della stesura del presente rapporto – si legge nel documento – sono stati liquidati 145.679,52 € di indennizzo, di cui 76.786,51 € per danni da orso e 68.893,01 € per danni da lupo”. Una situazione che, specie in relazione agli anni passati, si dimostra essere dunque sotto controllo: ”I dati relativi al numero di danni 2022 fanno registrare, rispetto al 2021, una sostanziale stabilità per l’orso e un calo del 15% per il lupo”, è scritto nella relazione.

Il report chiarisce che la popolazione complessiva degli esemplari di lupi ed orsi in Trentino è incrementata solo di poco. Per quanto riguarda gli orsi, si parla, infatti, di 25 nuovi cuccioli nel 2022, di cui 2 peraltro già morti (”un cucciolo dell’anno è deceduto per investimento stradale”, un altro cucciolo “è scomparso per cause sconosciute”): nel 2020 erano stati 22-24. I dati non sono comunque chiari: ”Il monitoraggio del 2022 – viene scritto nel rapporto – condotto in un quadro che prevede il monitoraggio genetico intensivo ad anni alterni […] non consente di effettuare una nuova stima della popolazione con i criteri utilizzati in altri anni. L’alto numero di cucciolate suggerisce peraltro un possibile proseguimento del trend positivo finora registrato (ultima stima disponibile: 73-92 esemplari, piccoli dell’anno esclusi, a fine 2021)”.

Sul versante lupi, la relazione attesta come i branchi siano leggermente aumentati di numero: prima erano 26, adesso sono 29. Ma si conferma come, essendosi ampliato il loro raggio d’azione, 5 di essi abbiano “gravitato sul territorio Trentino in misura marginale“: si tratta, nello specifico, dei “gruppi familiari” presenti “nelle aree di Campobrun e nella Lessinia orientale (gravitanti più nelle limitrofe province di Vicenza e Verona)”, in quelle “Agordino-Cereda e Vette Feltrine-Val Noana (gravitanti più nella limitrofa provincia di Belluno)” e “nella zona Baldo-Novezza (gravitante più nella limitrofa provincia di Verona)”. Se nel 2021 se ne inquadravano 175 (con la segnalazione di 10 decessi), nel 2022 è stata attestata la presenza di 194 esemplari. Nel corso dell’anno ne sono stati trovati morti 14: 6 maschi, 7 femmine e 1 indeterminato, principalmente a causa di investimenti stradali o ferroviari e cause naturali. Insomma, rispetto al periodo precedente se ne contano solo una ventina in più.

Per quanto riguarda l’attività degli orsi classificati come “problematici“, nel 2022 sono stati monitorati intensivamente alcuni esemplari, tra cui M62 e F43 – un maschio e una femmina nati nel 2018 -, e la nota JJ4, considerata al momento “l’esemplare più pericoloso”. Nel report si legge che M62, dopo essere stato “radiocollarato”, già nel 2020 e nel 2021 è stato “sottoposto a costante attenzione” e a “ripetute azioni di dissuasione quando si rendeva protagonista di comportamenti indesiderati, come l’ingresso in centri abitati”. Tali azioni di dissuasione, però, “non sembrano aver sortito gli effetti auspicati” e, nel 2022, il comportamento dell’animale “si è confermato”. F43, invece, è deceduta il 5 settembre dell’anno scorso, nell’ambito “di un’attività di cattura dell’esemplare allo scopo di sostituire il radiocollare”. L’orsa è infatti morta “durante l’anestesia nonostante i tentativi di rianimazione dell’equipe veterinaria presente”, probabilmente a causa di un “soffocamento a seguito della compressione delle vie respiratorie indotta dalla posizione assunta all’interno della trappola tubo nel momento in cui il narcotico ha avuto effetto”.

Dopo un ping-pong di pronunce, lo scorso maggio il Tar di Trento ha deciso di sospendere l’uccisione di JJ4 e di un altro orso, MJ5, accogliendo la domanda cautelare avanzata da una serie di associazioni animaliste. Per contro, solo pochi giorni fa, l’assessora provinciale all’Agricoltura, Foreste, Caccia e pesca Giulia Zanotelli, in accordo con il Presidente della Provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti, ha espresso la volontà da parte della giunta di apportare “alcune modifiche” alla legge provinciale del 2018, così da consentire una maggiore celerità ed efficacia nella gestione di esemplari problematici o pericolosi di grandi carnivori, dunque orsi o lupi”. Il tiro alla fune continua. [di Stefano Baudino]

Lupo, orso, aquila reale: come far funzionare i piani di conservazione. Alessandro Sala su Il Corriere della Sera il 23 Aprile 2023

Bastano 5 cani bene addestrati per tenere un lupo o un orso lontano da un gregge. Perché le istituzioni dovrebbero lavorare per la prevenzione. «Ma gli animali selvatici vanno trattati e rispettati come tali, non sono una variante del cane o del gatto di casa»

Nel Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi dal 2015 non si registra alcun episodio di predazione da parte dei lupi, che pure sono presenti in grande quantità. Le aziende agricole del territorio sono principalmente dedite all’allevamento di ovini e caprini, che del lupo sarebbero prede di elezione. Ma è stato sufficiente mettere a disposizione degli allevatori cani bene addestrati per la guardiania, le risorse per mantenerli e adottare piccoli accorgimenti come il ricovero notturno delle greggi per azzerare completamente il numero degli assalti mortali. Al di fuori dei confini del parco, i casi di predazione invece continuano e ne vengono registrati di nuovi ogni settimana. La convivenza tra attività umane e presenza dei grandi carnivori è possibile, ma a patto che venga gestita nel modo giusto.

Dal lupo all’orso il passo può essere decisamente breve. Quanto sta accadendo in Trentino è oggetto di grande dibattito e nel mirino c’è il progetto Life Ursus che alla fine degli anni Novanta ha finanziato la reintroduzione del plantigrado nei boschi dell’Adamello-Brenta, con l’obiettivo di ricreare una popolazione che a quel tempo era avviata all’estinzione. E con l’idea che gli animali si potessero poi espandere su un vasto areale comprendente più regioni e più nazioni. Le cose non sono andate però per il verso giusto. Il numero minimo di 50 esemplari che si pensava di raggiungere in una quarantina d’anni è stato abbondantemente superato, di fatto raddoppiato, nella metà del tempo. E gli animali non si sono sparpagliati sull’arco alpino, ma sono rimasti concentrati perlopiù nel Trentino occidentale. Dopo la morte del runner Andrea Papi, ucciso dall’orsa JJ4 nei boschi sopra Caldes, il piano di conservazione viene ora da più parti messo in discussione.

Che qualcosa non abbia funzionato è chiaro, è se ne è molto parlato in queste settimane. Ma l’Italia vanta numerosi progetti di salvaguardia e di conservazione andati a buon fine. Quello citato all’inizio è solo uno dei tanti. «Funziona ed è esportabile anche all’esterno delle aree protette – sottolinea Luca Santini, che del Parco delle Foreste Casentinesi è il presidente e che da qualche settimana guida anche Federparchi, l’associazione che raccoglie le aree protette del nostro Paese -. Ma occorre un cambio di mentalità. Le Regioni devono investire in prevenzione e non solo mettere a disposizione fondi per i risarcimenti. L’utilizzo dei cani di guardiania, per esempio, tutela realmente gli allevatori. E sono denari pubblici bene investiti, non a fondo perduto. Un animale selvatico non è stupido, capisce quando rischia di ferirsi o di soccombere: piuttosto che affrontare cinque cani da guardia per catturare una pecora preferisce andare nelle foreste alla ricerca di altre prede». Così come l’assenza di cibo facile che gli fa passare la tentazione di avvicinarsi agli insediamenti umani, da cui non sarebbe altrimenti attratto.

Il lupo non è stato oggetto di reintroduzione, ma è bastata una legge che lo considerasse specie protetta a evitarne la scomparsa e a favorirne il progressivo ritorno in diverse zone d’Italia. Ma perché sono importanti i piani di conservazione? «Perché la biodiversità è alla base della sopravvivenza del genere umano stesso - commenta ancora Santini —. Negli ultimi 5 mila anni abbiamo perso un numero enorme di specie e non sappiamo questo a cosa ci porterà. Il pianeta vive sulla base di un equilibrio fatto di interazioni, che potrebbe rompersi se solo una specie venisse a mancare. Non sappiamo quale specie in particolare, ma sappiamo che potrebbe accadere. Per questo è importante la conservazione. E per questo è importante, a volte, anche provare a reintrodurre specie già vicine all’estinzione. Non lo facciamo per loro, lo facciamo per noi».

Vale anche per l’orso. Come tutti i grandi carnivori al vertice della catena alimentare, contribuisce a mantenere in equilibrio il bosco evitando il proliferare incontrollato di altre specie. L’orso trentino, e ancor più il marsicano che vive nel Parco Nazionale di Abruzzo Molise e Lazio, ha un’alimentazione in gran parte vegetariana, ma non disdegna di predare altri animali. Proprio per la prevalenza vegetale della sua dieta ha una importante funzione anche nella diffusione di semi non digeriti che, grazie ai suoi spostamenti su lunghe distanze, vengono redistribuiti su vaste aree contribuendo a mantenere vivo anche il patrimonio arboreo. «Molte specie vegetali si affidano al mondo animale per la loro riproduzione – fa notare Santini —. Accade con le api, con gli uccelli ma anche con i mammiferi. Ed è appunto il caso dell’orso». Si dibatte molto sul numero di orsi in circolazione in Trentino, ma secondo Santini si tratta di un falso problema: «Gli animali trovano sempre il modo di distribuirsi sul territorio – spiega l’esperto - e se sono troppi semplicemente se ne vanno altrove. I casi di animali confidenti con l’uomo, che si avvicinano ai centri abitati in cerca di cibo o per curiosità, non dipendono dal numero degli esemplari, ma dalla presenza di qualcosa che li attrae».

E si torna al tema della gestione, di quello che viene fatto o non fatto per gestire la convivenza prevenendo problemi. Alla base di tutto c’è la consapevolezza: se si condivide un territorio con la natura e con i suoi abitanti occorre adottare comportamenti adeguati. Per esempio evitando di lasciare cibo a disposizione degli animali. Oppure creando le condizioni per una distribuzione più efficace degli animali sul territorio. «Servono corridoi verdi per collegare le diverse aree naturali – sottolinea Renata Briano, già europarlamentare, presidente del comitato scientifico della Fondazione Una (acronimo che sta per uomo, natura e ambiente), nata per iniziativa di alcune associazioni venatorie e dell’Università di Urbino, che opera per la conservazione e la biodiversità -. Il tema di fondo è ampliare gli spazi disponibili, permettere agli animali di muoversi sul territorio. In Abruzzo per esempio ci si è riusciti e gli orsi sono riusciti a spingersi fino al Gran Sasso».

La presenza di biodiversità non è solo un vantaggio dal punto di vista naturalistico o scientifico, lo è anche sotto l’aspetto economico. «Tutte le specie che suscitano impatto emotivo – evidenzia Santini -, come l’orso, il lupo, l’aquila o il gipeto, sono molto attrattive. E sta agli enti parco gestire al meglio i flussi turistici. Per avere un’idea di quanto valga questa fetta di turismo, si può ricordare che il sistema delle aree protette italiane ha registrato nel 2022 circa 13 milioni di visitatori, quando Venezia, che è a ragione considerata uno dei principali poli turistici del nostro Paese e richiama visitatori da tutto il mondo, ne ha messi insieme 9 milioni. Gli animali hanno un appeal davvero importante». «E non solo nei boschi – aggiunge Briano -. Basti pensare alla presenza di delfini e balene nel Santuario dei cetacei Pelagos, al largo di Liguria e Toscana. Questo ovviamente pone il tema di come gestire questi flussi, perché la presenza delle persone può portare a comportamenti sbagliati che cambiano anche le abitudini degli animali».

Ma resta il fatto che il turismo indotto dalla presenza di biodiversità è molto forte. Non è necessario che i turisti vedano o incontrino davvero animali come l’orso e il lupo, cosa di per sé particolarmente rara: è sufficiente sapere che in un’area questi animali vivono per percepirla come un territorio ecologicamente sano. Il Parco dell’Adamello Brenta ha da sempre un orso come simbolo, da ben prima che il progetto Life Ursus venisse avviato. Sulla strada per la Val di Genova un fregio con l’orso era posizionato sui pali dell’illuminazione. E nei negozi di souvenir di Pinzolo e Madonna di Campiglio sono tuttora presenti numerosi gadget che hanno l’orso come protagonista. Insomma, l’orso è un testimonial turistico indiretto e ha sempre svolto bene questo ruolo.

Però i problemi di convivenza ci sono e la presenza antropica non può essere ignorata. La differenza fra il Trentino occidentale e l’Abruzzo, che ha un territorio meno urbanizzato, forse sta anche in questo. Ma si può ipotizzare anche una diversa consapevolezza da parte della popolazione. Convivere con la fauna selvatica significa adottare comportamenti adeguati. Nei giorni scorsi, dopo la morte di Andrea Papi, aveva fatto scalpore la notizia di un altro orso avvistato su una pista ciclabile. Ma è passato quasi in secondo piano il fatto che quella pista ciclabile subito dopo la diffusione della notizia si sia riempita di persone armate di macchine fotografiche e telefonini, tanto da indurre il sindaco di quel comune a far scattare delle multe per i curiosi.

«Bisogna evitare che gli animali selvatici diventino confidenti con l’uomo perché poi questa confidenza diventa un pericolo, per le persone e per loro stessi, dato che per qualcuno diventano all’improvviso dei nemici di cui sbarazzarsi» rileva Santini. «Chi vive in città – aggiunge Briano – spesso ha il piacere di andare in mezzo alla natura ma a volte tende a considerare gli animali selvatici come se fossero il cane o il gatto di casa. Si cerca di offrire loro del cibo, per farli avvicinare e fotografarli, addirittura c’è stato il caso di patatine fritte date alle volpi. Abbiamo visto video di persone che prendono in braccio piccoli caprioli, condannandoli a morte perché poi il nostro odore estraneo fa sì che vengano isolati e abbandonati. Gli animali selvatici vanno considerati e rispettati come tali se li si ama davvero».

Fondazione Una e Federparchi portano avanti progetti comuni per contrastare la perdita di biodiversità, affrontando tutte le cause che contribuiscono a determinarla: cambiamenti climatici, perdita di habitat, pesticidi, cementificazione. Una delle minacce più forti oggi è rappresentata dal bracconaggio, ovvero da un’azione criminale che non ha nulla a che vedere con la caccia. «I cacciatori sono anzi a volte sentinelle e preziosi alleati nella conservazione» rivendica Briano. Come lo sono tutti coloro che vivono sul territorio e non sono semplici turisti. Sono in corso progetti Ue del gruppo Life, lo stesso che ha finanziato la reintroduzione dell’orso in Trentino, per sostenere la pastorizia perché, spiega Santini, «è importante mantenere anche aree aperte ed evitare che boschi e foresta vadano a riconquistare in maniera indiscriminata i pascoli, perché ci sono specie arboree e animali che hanno bisogno anche di spazi naturali privi di vegetazione elevata». «Bisogna lavorare anche per la conservazione di specie che possono essere più conflittuali – dice ancora Briano – con una attenzione particolare al coinvolgimento della popolazione locale, senza la quale ogni iniziativa di questo genere è destinata al fallimento. Il successo della convivenza tra l’uomo e l’orso marsicano in Abruzzo nasce proprio dalla partecipazione degli abitanti di quelle terre: se non si fosse creato questo ecosistema in cui ciascuno ha fatto e fa la propria parte, avremmo sicuramente perso».

Ci sono diversi esempi di piani di conservazione e di reintroduzione che in Italia hanno funzionato. Il gipeto nel parco del Gran Paradiso, il falco pescatore nel parco della Maremma, il cervo sulla dorsale appenninica, il capriolo italico nel Sud Italia, l’aquila reale, che è stata protetta dalla legge assieme all’orso e al lupo. E si ritorna infine a lui, al cattivo delle favole per antonomasia, che in realtà cattivo non è, con cui abbiamo iniziato questa riflessione. Il lupo italico rischiava di scomparire, ma oggi gode di buona salute, ce ne sono più di 3 mila esemplari tra Alpi e Appennini. In questo caso il vero successo sta nel fatto che non sono servite aree protette o finanziamenti europei: il lupo ha fatto tutto da solo. È bastato impedire che gli si sparasse senza motivo.

L’Alto Adige vuole approvare una norma per permettere l’abbattimento di orsi e lupi. Gloria Ferrari su L'Indipendente il 23 marzo 2023.

Se l’Unione Europea non si opporrà in alcun modo, il primo aprile nel Tirolo entrerà in vigore una legge sulla caccia, che sancisce la possibilità di ordinare l’abbattimento di lupi ad alto rischio o dannosi, senza la possibilità di ricorso da parte dei Tribunali. Una procedura, a detta di Josef Geisler, il vicepresidente del Tirolo, che «snellirà la pratica di abbattimento». Una questione che in verità riguarda da vicino anche l’Italia, ed in particolare l’Alto Adige, dove da tempo le autorità stanno cercando modi per intervenire contro i grandi animali selvatici. I responsabili del settore venatorio della Provincia autonoma di Bolzano, infatti, hanno affermato che valuteranno quello che accadrà sul territorio austriaco dopo l’adozione della nuova legge – che si applicherà ai grandi predatori come il lupo, l’orso, la lince e lo sciacallo dorato – e giudicheranno se adottarla a loro volta.

Certo, come ha spiegato l’Assessore provinciale all’agricoltura e foreste dell’Alto Adige, Arnold Schuler, «anche se il Trentino dovesse aderirvi, si tratta di una notevole differenza rispetto al nostro quadro giuridico per quanto riguarda l’abbattimento dei lupi». Perché «anche se abbiamo una legge provinciale valida che ci concede la possibilità di catturare i lupi, un decreto di abbattimento basato su di essa sarebbe immediatamente impugnabile davanti al Tribunale amministrativo». Che poi è quello che distingue il nostro ordinamento da quello tirolese, visto che la legge europea sulla protezione delle specie, che concede al lupo il massimo status di protezione possibile, si applica anche in Austria. Ma nel Paese la situazione giuridica è diversa da quella dell’Alto Adige: i Länder, cioè gli Stati federati dell’Austria, hanno competenze più ampie rispetto alle Province e alle Regioni italiane.

Anche se la linea adottata nel nostro Paese non sarebbe comunque così dura come quella austriaca (Josef Geisler ha detto che «finché l’Ue non ridurrà lo status di protezione del lupo, non abbiamo altra scelta. Correremo questo rischio in ogni caso. Il punto è dichiarare guerra ai lupi in Tirolo»), la posizione di osservatrice della regione dell’Alto Adige desta in egual modo preoccupazione. Quella di poter abbattere ‘liberamente’ i lupi è una priorità che l’amministrazione locale si è data ormai da diversi mesi, anche se i danni causati dall’animali incidono poco sul territorio provinciale.

Nel 2021 la provincia di Bolzano ha registrato una perdita di circa 54mila euro di bestiame a causa degli attacchi dei lupi, mentre, dal punto di vista della presenza fisica dei predatori, gli animali in loco appartengono quasi tutti a branchi a scavalco con altre Province: in totale, si calcolano poco più di una trentina di esemplari. Si tratta di numeri piuttosto piccoli, ma che spingono comunque i responsabili del settore venatorio a tenere gli occhi aperti sugli sviluppi tirolesi. La Regione infatti lamenta non tanto la legislazione già attiva sul territorio, ma la sua attuazione, che prevede – per l’abbattimento – un iter che passa dall’approvazione dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e che, solitamente, finisce in Tribunale.  «Le ordinanze di abbattimento di specie animali protette vengono sempre impugnate davanti al Tribunale amministrativo e l’esperienza dimostra che le ordinanze vengono anche sospese dal Tribunale, mentre in Tirolo ciò non è possibile in questa forma», ha detto Arnold Schuler. E per questo si guarda al modello dei ‘vicini’.

Oggi il lupo è presente in molte aree del nostro Paese, dalla Calabria alle Alpi, e anche in zone fino a qualche decennio fa ritenute non idonee per la specie. Ma la sua popolazione è cresciuta insieme ai rischi, che per la specie sono sempre più diffusi e maggiori. “Ogni tanto si leggono articoli di situazioni descritte come rischiose o addirittura pericolose per l’uomo. Tuttavia, bisogna ricordare che l’ultima aggressione in Italia di un lupo ad un uomo risale al 1825”, scrive il WWF. Tuttavia, nonostante non rappresenti una minaccia diretta per l’uomo, le predazioni che, in alcune situazioni, avvengono ai danni del bestiame domestico, suscitano reazioni avverse e persecutorie nei confronti del lupo, e causano ogni anno l’uccisione (con veleni o fucilate) di centinaia di esemplari – si stima tra i 200 e i 500. [di Gloria Ferrari]

In Corea del Sud stanno finalmente chiudendo molti allevamenti di cani da carne. Gloria Ferrari su L'Indipendente il 23 marzo 2023.

La Humane Society International (HSI), un’organizzazione internazionale che si batte per la protezione degli animali, ha annunciato la chiusura di un allevamento di cani con 200 esemplari destinati al macello per il consumo umano, situato a Hoengseong, in Corea del Sud. I cuccioli, appartenenti a razze diverse tra cui Chihuahua, Siberian Husky, e Barboncino, erano rinchiusi in gabbie piccole e strette e in condizioni antigeniche. Si tratta del diciottesimo allevamento di cani da carne chiuso definitivamente nella regione, per un totale di 2.700 animali salvati dal 2015: i cuccioli hanno trovato famiglie adottive negli Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Paesi Bassi e in alcuni casi nella stessa Corea del Sud.

Negli ultimi tempi nel Paese pare esserci un clima favorevole all’abbandono definitivo di tale pratica. L’anno scorso Kim Keon-hee, moglie del Presidente Yoon Suk Yeol, ha chiesto espressamente di vietarla e anche la popolazione sembra d’accordo. Nei sondaggi la maggior parte dei sudcoreani (85%) ha dichiarato di non mangiare carne di cane e per il 56% degli intervistati sarebbe giusto introdurre un divieto per legge.

Persino il signor Yang, il proprietario dell’ultimo stabilimento chiuso, nonostante abbia allevato cani per il consumo umano per ben 27 anni – e in maniera legale, a differenza di molte altre strutture -, ora concorda sul fatto che la soluzione migliore sia porre fine gradualmente l’industria della carne di cane. «Nei primi anni dell’industria della carne di cane, nessuno ha denunciato allevamenti di carne di cane per violazioni o criticato l’industria. Ma con il passare del tempo sono apparsi gruppi di animalisti e il mondo sta cambiando, così come i coreani. Ho intenzione di darmi alla coltivazione del cavolo ora, e condividere i miei raccolti con la gente del posto. HSI salverà gli animali», ha commentato.

Fin dall’inizio della sua campagna, HSI ha scelto, per questo motivo, di lavorare proprio in cooperazione con persone come il signor Yang, allevatori cioè che vogliono cambiare vita ma che spesso non sanno come fare o non hanno i mezzi di sussistenza per riuscirci. Sangkyung Lee, a capo della campagna ‘End Dog Meat’, ha detto che «gli allevatori come il signor Yang sono simboli del cambiamento in Corea del Sud. Spero che il governo ascolti e che il nostro impegno gli dimostri che c’è un desiderio di cambiamento e una strada per un nuovo futuro in cui i cani sono solo amici, non cibo».

Secondo le stime riportate da HSI, in Corea del Sud sono ancora presenti migliaia di allevamenti di cani, che contengono fino a 1 milione di esemplari, allevati e rinchiusi in condizioni spaventose fino al giorno del macello, che solitamente avviene per folgorazione.

Per fortuna intanto qualcosa si muove, almeno rispetto al passato. Nel 2021 il sindaco della città di Namyangju, Cho Kwang-han ha chiuso il Nakwon Auction House, considerato il più grande mercato di carne di cane della Corea del Sud. Nello stesso anno, la deputata Han Jeong-ae, ha proposto di inserire esplicitamente nella legge sulla protezione degli animali la macellazione dei cani. Piccoli passi che, si spera, portino tutti in un’unica grande direzione.

La carne di cane è ancora considerata un alimento in diversi Paesi al mondo. Ancora oggi è utilizzata come cibo in Asia (alcune regioni della Cina e in Vietnam oltre che in Corea) e presso alcune etnie africane (specie in Nigeria e Namibia). [di Gloria Ferrari]

La provincia di Trento ha condannato a morte un orso. Gloria Ferrari su L'Indipendente il 13 marzo 2023.

Un orso maschio di 18 anni, nato nel 2005 da due esemplari sloveni (Maja e Joze), già classificato nei database della provincia autonoma di Trento e denominato MJ5, rischia di essere abbattuto per aver aggredito domenica 5 marzo il trentanovenne Alessandro Cicolini, fratello del Sindaco di Rabbi (provincia di Trento).

L’uomo, colpito alle spalle e ferito a un braccio e sulla testa mentre percorreva un sentiero a 1.800 metri di quota con il proprio cane, in un bosco sul monte di Pracorno, è stato ricoverato all’ospedale di Cles e dimesso dopo tre giorni. Nonostante si tratti di un orso che non ha mai dato problemi di questo tipo prima d’ora – e che vive da tanti anni in Trentino – la provincia di Trento procederà alla cattura e poi all’abbattimento, a meno che l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) non esprima parere contrario.

Secondo il WWF, proprio in virtù del fatto che l’animale non si è mai reso protagonista fino ad oggi di episodi di interazione con persone, è necessaria la massima attenzione nella gestione del caso, del quale ancora non si conoscono molti dettagli nella dinamica dell’aggressione (non è ancora noto, per esempio, se il cane fosse slegato o al guinzaglio). Una precisione d’indagine che ci si aspetta che ISPRA, in base alle sue stesse direttive del 2021 sulla gestione degli orsi problematici – quelli cioè che non hanno manifestato comportamenti simili in precedenza –  metta in campo nella sua valutazione.

Infatti, prima di considerare l’ipotesi di abbattimento o rimozione, il WWF spiega che vanno analizzate con cautela le dinamiche che hanno portato all’attacco, compreso il comportamento della persona coinvolta. Invece la provincia autonoma di Trento “continua a considerare l’orso come una specie naturalmente pericolosa, pretendendo una gestione completamente autonoma e non ritenendo il parere di Ispra vincolante in alcun modo”, si legge in un comunicato dell’Organizzazione.

Come già ribadito dal Consiglio di Stato, che nel 2022 ha bocciato le linee guida provinciali che prevedevano una gestione territoriale di orsi e lupi e l’automatismo tra i danni causati o l’aggressione compiuta da un orso e l’abbattimento dell’animale, il ricorso agli abbattimenti dovrebbe essere sempre l’ultima soluzione, da applicare cioè quando la pericolosità dell’animale è conclamata e non esistono altre soluzioni valide.

Questo soprattutto perché, negli anni, si è fatta molta fatica a reintrodurre gli orsi fra i monti italiani. Quando alle porte degli anni 2000 l’orso bruno era quasi completamente scomparso dalle Alpi, UE e Italia si impegnarono insieme in un progetto di re-introduzione dell’animale nel Parco Naturale Adamello Brenta, in collaborazione con Provincia Autonoma di Trento e ISPRA. Il reintegro degli esemplari, importati dalla vicina Slovenia e appartenenti alla stessa specie italiana, fu accompagnato dalla stipula del Piano d’Azione interregionale per la conservazione dell’Orso bruno sulle Alpi centro-orientali pensato per la gestione e salvaguardia dell’Orso bruno nelle zone interessate – e che prevede anche il radiocollaraggio, senza arrivare alla soppressione – anche in relazione alla sua coesistenza con gli esseri umani. “La convivenza con questi animali passa soprattutto per l’adozione di un adeguato comportamento da parte nostra, e volto ad evitare un incontro”, specifica il WWF.

A tal proposito, è bene infatti tenere a mente che comunque la presenza di una popolazione di orsi implica che il “rischio zero” non esiste. Perciò, prima di mettersi in cammino, è fondamentale informare ed essere informati di quale sia il comportamento idoneo da adottare, creando le condizioni per farsi sentire dagli animali ed evitando l’incontro. Una prudenza che, oltre a metterci in sicurezza, salva pure la vita stessa degli orsi.

Quello – eventuale – di MJ5, infatti, non sarebbe l’unico caso di abbattimento degli ultimi anni. È nota alle cronache la vicenda di KJ2, un’orsa uccisa nel 2017 dagli agenti del Corpo forestale della Provincia autonoma di Trento per aver aggredito un settantenne che passeggiava in un bosco, in zona laghi di Lamar, con il suo cane. Sarebbe stata proprio la reazione del cane alla vista dell’orsa a scatenare l’ira di KJ2. Ma il dubbio sulla dinamica dell’incidente non è bastato a salvarle la vita. [di Gloria Ferrari]

Estratto dell'articolo di repubblica.it il 10 marzo 2023.

Ha un nome l'orso che ha aggredito il fratello del sindaco di Rabbi, in Trentino, domenica 5 marzo scorso. Si tratta di un esemplare già classificato nei data base della Provincia autonoma di Trento, ha spiegato il presidente Maurizio Fugatti, denominato MJ5, un maschio di 18 anni nato nel 2005 da Maja e Joze, orsi sloveni che hanno dato avvio al progetto Life Ursus sulle Alpi negli anni Novanta.

 L'orso è presente da tanti anni in Trentino e ha viaggiato molto, ha detto Fugatti: "Dal 2006 al 2022 ha frequentato tutto il Trentino occidentale e si muove molto è stato anche in Provincia di Bolzano. la zona più frequentata è quella del Brenta meridionale".

La Provincia di Trento procederà alla cattura e poi all'abbattimento dell'animale, che viene ritenuto "problematico", anche se "va detto che si tratta di un orso che non ha mai dato queste problematiche prima d'ora. Ma ora rispetto al percorso dal Pacobace, che disciplina le azioni messe in campo dalle autorità della Pat. Qui si tratta di una fattispecie prevista, con un orso che ha avuto contatto fisico e non un falso attacco. In questo caso si prevede la cattura per mettere il radiocollare oppure la cattura per abbattimento [...]”

"L'identificazione dell'orso coinvolto nell'incidente con l'uomo e il suo cane in Val di Rabbi, l'orso Mj5, è coincisa immediatamente con una dichiarazione di condanna a morte del plantigrado. Come Protezione animali ci opporremo con ogni mezzo a questa decisione ingiusta che sa tanto di campagna elettorale", commenta in una nota l'Ente nazionale di protezione animali (Enpa). [...] 

La reazione della politica e le proteste degli animalisti. Giù le mani dall’orso del Trentino, la natura non è un peluche: il caso dell’aggressione in Val di Rabbi in Trentino. Antonio Lamorte su Il Riformista il 6 Marzo 2023

E pensate, non è ancora uscito nei cinema italiani Cocainorso. Quali fantasie e oscuri presagi potrebbe scatenare questo film esagerato su un orso strafatto di cocaina che semina panico e terrore se si invoca al ministero appena un orso si comporta da orso. Perché questo è successo in Val di Rabbi, domenica mattina, dove un plantigrado ha aggredito un uomo. Fortunatamente Alessandro Cicolini non è in gravi condizioni. È stato ferito, ieri sera operato. Tempestive le parole di Maurizio Fugatti, presidente della Provincia Autonoma di Trento che ieri in giornata ha contattato il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin e parlato di “un problema che non può più essere tenuto in sospeso”. Quello degli orsi ovviamente: quando non sono sponsor turistici non vanno quasi mai bene.

Erano le 8:30 circa di domenica mattina, nel bosco a monte dell’abitato di Pracorno, a circa 1.800 metri di quota. Alessandro Cicolini era solo, passeggiava con il cane. È stato ferito alla testa e al braccio dall’orso che sarebbe apparso all’improvviso, avrebbe aggredito il 38enne alle spalle. Cicolini è stato trasportato subito all’ospedale di Cles, dov’è stato operato. “Non è un territorio dove l’orso è stabile, può essere di passaggio. Di aggressioni non ne abbiamo mai viste. Le prime ipotesi è che si tratti di una femmina con i cuccioli”, ha dichiarato al Telegiornale Regionale della Rai Lorenzo Cicolini, fratello dell’uomo aggredito e sindaco di Rabbi. Il servizio Fauna della Provincia di Trento ha acquisito campioni e indumenti dell’uomo per procedere all’analisi genetica e identificare l’animale.

I sospetti sarebbero indirizzati a JJ4, un’orsa libera il cui radiocollare risulta difettoso da alcuni mesi. Era il 2020 quando lo stesso esemplare aggredì padre e figlio sul Monte Peller, alla fine della battaglia legale venne lasciato libero. Almeno in altri due casi le persone aggredite dagli orsi in Trentino erano a spasso con il cane. Non è mai morto nessun essere umano, nelle aggressioni degli ultimi anni. Due le orse uccise, Daniza e KJ2, abbattute volontariamente o meno. Il Presidente, leghista, e l’assessore all’agricoltura e foreste, Giulia Zanotelli, sono stati tempestivi. “Ho segnalato la gravità di questo ennesimo episodio al ministro all’ambiente, Pichetto Fratin, con l’impegno di tenerlo costantemente aggiornato e l’invito ad affrontare assieme un problema che non può più essere tenuto in sospeso“. Perché quando l’orso smette di essere orsacchiotto, peluche, fattore attrattivo per il turismo non va più bene.

Secondo l’ultimo Rapporto Grandi Carnivori sono circa un centinaio gli esemplari nel territorio della Provincia. Quando si parla degli orsi in Trentino si parla di una re-introduzione: quando la popolazione era ridotta a poche unità vennero importati degli esemplari della stessa identica specie dalla Slovenia. Come ha fatto notare la zoologa Laura Scillitani qui l’orso è come qualcosa di bellissimo o di molto pericoloso, un orso a dondolo. L’orso abruzzese, che si è più abituato a vivere a contatto con gli esseri umani e che rappresenta un unicum nella sua specie, è descritto più come un orsacchiotto. Tutta comunicazione. Solo qualche giorno fa è stato confermato che l’orsa Sonia è stata uccisa da altri due orsi cui era legata lo corso mese di dicembre.

Si parla sempre più – e menomale – di ambiente, di biodiversità, di protezione dell’ambiente e della biodiversità mentre aumenta esponenzialmente il turismo verso destinazioni naturali, scalate ed escursioni. Lo spazio antropico si allarga anche così. Qualcosa propagandato – anche da certa cultura animalista e ambientalista – come univocamente sano, sempre splendente, come se non possa risultare pericoloso incrociare un animale selvatico, come se a inciampare in una zona impervia non ci si possa far del male. È così banale: la natura non è buona né cattiva in sé, può essere buona per i selfie e le foto dei panorami in sé, punto. Un orso, come ogni altro essere vivente, è dotato di un suo registro linguistico, di sue esigenze e istinti. Non è un cucciolo o un mostro. Può scappare, terrorizzato. Può essere capace di uccidere.

Il collettivo Centopercentoanimalisti ha affisso uno striscione all’uscita del casello di Trento Sud con la scritta: “Benvenuti in Trentino, provincia ammazza orsi”. Anche l’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) è insorta, l’Enpa ha chiesto alla Provincia di interdire a persone e cani l’accesso alle zone con presenza di femmine di orso con cuccioli. Rabbi dovrà forse affrontare la sua posizione negli itinerari dei plantigradi. Si dovrà perciò identificare l’animale e valutarne il livello di aggressività. Si dovrebbe tutti lavorare a favore di comportamenti e politiche e comunicazione più attente e rispettose nel senso della prevenzione. L’orso non può essere orso, e quindi vivo, solo quando è un orso come lo vogliamo noi.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

L'annuncio del Presidente della PAT Fugatti. Condannato a morte l’orso della Val di Rabbi: ma MJ5 “non ha mai creato problemi”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 10 Marzo 2023

MJ5 ha vissuto per 18 anni in Trentino. Non ha “mai dato queste problematiche”, ovvero non ha mai aggredito alcun essere umano. Prima di domenica scorsa, 5 marzo, quando ha ferito un uomo a passeggio con il cane in un bosco a Rabbi, nell’omonima Valle. Il Presidente della Provincia Autonoma e l’assessora alle foreste Giulia Zanotelli erano stati tempestivi nello scrivere al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin per “affrontare assieme un problema che non può più essere tenuto in sospeso”. Giusti i presentimenti degli animalisti: se fosse per la PAT si procederebbe insomma per la forca, l’abbattimento dell’animale senza alcun Appello. “Benvenuti in Trentino, provincia ammazza orsi”, lo striscione affisso dal collettivo Centopercentoanimalisti all’uscita del casello di Trento Sud dopo le prime dichiarazioni delle autorità.

L’uomo ferito è Alessandro Cicolini, 39 anni. Si trovava su un sentiero a 1.800 metri di quota, in un bosco sul monte di Pracorno, frazione di Rabbi. Ha raccontato di essere stato aggredito alle spalle, ferito a un braccio e sulla testa. È stato soccorso e ricoverato all’ospedale di Cles, fortunatamente senza gravissime conseguenze. Ha lasciato l’ospedale ed è stato dimesso dopo tre giorni. Il sindaco Lorenzo Cicolini, fratello della vittima, aveva sollecitato l’abbattimento: “In uno Stato democratico, prima vengono le persone. Un animale così va tolto di mezzo, subito”. Sul posto erano accorsi i forestali per acquisire campioni e risalire all’identità dell’animale. Si era ipotizzato potesse essere JJ4, l’orsa che aveva aggredito padre e figlio sul Monte Peller in Val di Non e che era stata radiocollarata dopo quell’episodio. Recidiva. E invece no, si tratta di un orso estraneo a ogni tipo di aggressione fino a pochi giorni fa.

MJ5 era già classificato nei database della PAT. Ha 18 anni, è un maschio nato nel 2005 da Maja e Joze, orsi sloveni tra quelli che hanno dato avvio al progetto Life Ursus sulle Alpi negli anni ‘90. Fugatti ha dichiarato che “dal 2006 al 2022 ha frequentato tutto il Trentino occidentale e si muove molto, è stato anche in Provincia di Bolzano. La zona più frequentata è quella del Brenta meridionale”. La Provincia di Trento procederà alla cattura e poi all’abbattimento dell’animale anche se “si tratta di un orso che non ha mai dato queste problematiche prima d’ora. Ma ora rispetto al percorso dal PACOBACE (Piano d’azione interregionale per la conservazione dell’orso bruno nelle Alpi centro-orientali, ndr), che disciplina le azioni messe in campo dalle autorità della Pat. Qui si tratta di una fattispecie prevista, con un orso che ha avuto contatto fisico e non un falso attacco. In questo caso si prevede la cattura per mettere il radiocollare oppure la cattura per abbattimento”.

Fugatti ha “informato il ministro Pichetto Fratin. Ci aspettiamo una espressione di Ispra conforme alla gravità del fatto accaduto, dopodiché noi procederemo comunque“, ha detto Fugatti. Prima ci sarà “un’azione di cattura del soggetto e contestualmente la comunicazione ad Ispra dove diciamo che nostra intenzione procedere all’abbattimento”. Pichetto Fratin appena una settimana fa, in occasione della Giornata mondiale della fauna selvatica, dichiarava che proteggere la fauna selvatica “è un nostro dovere imprescindibile”. Si vedrà in questo caso se quelle erano soltanto parole.

Dalla PAT al momento non una parola sulla prevenzione. Non importa che molte delle aggressioni in Trentino si siano verificate con cani al guinzaglio dei padroni. Non una parola su come la Val di Rabbi vorrà pianificare le sue politiche sul tema dopo l’aggressione. Quando alla fine degli anni ’90 l’orso bruno si era quasi completamente estinto dalle Alpi, ridotto a poche unità, venne co-finanziata dall’Unione Europea una re-introduzione dal Parco Naturale Adamello Brenta in collaborazione con Provincia Autonoma di Trento e ISPRA (allora INFS). Il ripopolamento venne attuato con esemplari della stessa identica specie importati dalla Slovenia. Il PACOBACE venne redatto per assicurare l’esistenza degli animali e tutelare la coesistenza dei plantigradi con gli esseri umani.

L’ultimo abbattimento in Trentino era stato quello di KJ2, protagonista di due aggressioni sul Monte Bondone nel 2017. Quella volta il Presidente della Provincia Ugo Rossi venne assolto dopo il processo perché l’abbattimento venne definito una decisione “per necessità”. Altri due esemplari, dopo altri episodi, erano stati catturati e trasferiti in Ungheria. Le associazioni animaliste sono insorte dopo le dichiarazioni odierne Fugatti. Per l’Ente nazionale di protezione animali (Enpa) la decisione è “errata e immotivata”, l’esemplare è “vittima di manovre elettorali” e fa notare che “il Pacobace preveda anche il radiocollaraggio, senza arrivare alla soppressione”. L’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) ha chiesto accesso agli atti in vista di un ricorso al Tar.

Oggi per MJ5 non si prospetta alcuna grazia, soltanto la forca.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

Vittorio Feltri, dopo i cinghiali vogliono fare fuori i piccioni. Vittorio Feltri su Libero Quotidiano il 31 dicembre 2022

Mentre a Roma ci si arma per contrastare i cinghiali che scorrazzano in centro e in periferia attratti dai rifiuti disseminati in città, e che gli amministratori locali non sanno eliminare, qui a Milano ci sono vari deficienti i quali hanno dichiarato guerra ai poveri piccioni, esseri inoffensivi. Motivo? Si dice che la loro cacca imbratti i monumenti di ogni tipo rovinando piazza Duomo e perfino i cimiteri, i cui "residenti" per altro non sono in grado di lamentarsi per ovvie ragioni. Qualsiasi essere vivente, umani compresi, produce escrementi e i volatili non fanno eccezione.

Non mi sembra una grave colpa. I cui effetti si possono eliminare pulendo i luoghi imbrattati, basta un po' di organizzazione comunale e un minimo di buona volontà. Se non che passa sempre l'idea di uccidere gli animali, sia i cinghiali sia i colombi che non disturbano nessuno, e a nessuno fanno del male. Nonostante ciò si è affermata l'idea che essi diffondano malattie, cosa falsa, tanto è vero che si ignora quali siano i morbi dei quali siano responsabili. Tutte balle inventate da gente talmente stupida e credulona che ha paura di uccelli innocui che svolazzano sui centri abitati alla ricerca di cibo. Sono buoni, si posano qua e là incuriositi dai traffici del popolo, a cui chiedono soltanto, senza recriminare, di non essere infastiditi. Non esiste un solo motivo per cercare di eliminarli. Tra l'altro sono esseri molto intelligenti, mediamente più del volgo, e non disturbano chi li rispetta.

Venezia è piena di piccioni e nessuno pensa di sterminarli, per fortuna. Nella mia città natale, Bergamo, in piazza Vecchia, questi volatili la fanno da padroni e nessuno si sogna di ammazzarli. Il loro guano viene regolarmente eliminato e non produce effetti sgradevoli. Chissà perché invece a Milano sta per aprirsi la caccia agli uccelloni miti che hanno aiutato i nostri antenati a stabilire canali di comunicazione tra i più rapidi ed efficaci. Mi riferisco ai piccioni viaggiatori, esseri intelligentissimi e veloci a cui era affidato il compito delicato di trasmettere messaggia centinaia di chilometri dal punto di partenza. Personalmente sono talmente amico di questi simpatici volatili al punto che nella buona stagione, come documentato dalla foto a corredo del presente articolo, la sera vado al bar Brera a bere l'aperitivo, e mi siedo a un tavolino. Come poso i glutei sulla poltroncina, decine di colombi miti mi raggiungono, perché offro loro qualche pistacchio e noccioline varie che essi divorano con la rapidità di un fulmine. Non appena mi vedono spuntare da via Fiori Oscuri, mi riconoscono e mi contornano festanti in attesa di bocconcini. Alcuni si posano sulle mie ginocchia, i più sfacciati si accomodano sulle mie mani. E a me viene da ridere. Voglio bene a tutti gli animali ad eccezione delle zanzare che talvolta uccido per legittima difesa. Ma per favore non toccatemi i piccioni, amici miei cari. 

Barbara Costa per Dagospia il 29 aprile 2023. 

Uomini, finitela di soffrire di invidia del pene, perché, se proprio volete penare per l’invidia del pene altrui, non è per la mazza dei vostri simili che vi dovete angustiare, bensì per quella animale, e di alcuni animali in particolare. E infatti, che fate, scoppiate, se vi dico che ci sono animali che di peni ne hanno due? Fin dove vi sale, la rosicata penica, se vi dico che esistono insetti, chiamati forbicine, che hanno due peni ma non li usano in contemporanea, preferiscono quello destro, ma, se uno glielo stacchi, sc*pano con l’altro senza problemi.

Gli insetti forbicine hanno questo nome per la forma a forbice (a pinza): pure noi donne abbiamo i nostri motivi per invidiare le forbicine femmine, e non per il doppio pene che le sbatte, ma per questioni di letto più importanti. Lo sapevate che le forbicine tra loro si sforbiciano per ore, e cioè si accarezzano per eccitarsi un’ora, minimo, mentre il coito vero e proprio – inserimento e spinte e non ho capito se raggiungimento dell’orgasmo di lui e/o di lei – dura 40 minuti, e in media!

Anche certi squali hanno due peni, scelgono quale utilizzare a seconda del lato dove si accosta la femmina, e anche certi serpenti hanno due peni, ma ne alternano l’uso a seconda dell’arrapamento, cioè di quale testicolo hanno più pieno. Queste e tante altre curiosità, sessuali e no, le leggete in "I Gatti Lo Sanno. Comportamenti Incredibili Dal Mondo Animale", scritto dalla scienziata Giulia Bignami (Giunti ed.). E cosa sanno i gatti che noi non sappiamo? Sanno dove noi siamo. Sempre. E che cosa facciamo. 

Tutto di noi sanno, indovinano, imparano, sfruttano, noi non ce ne rendiamo conto ma 'sti furbastri pelosi sembra che “poltriscano, e invece tutto di noi capiscono, e dalla nostra voce”. Sanno riconoscere i nostri stati d’animo dalla nostra intonazione. Miagolano molto di più per farsi capire da noi, che per capirsi in gattesco tra di loro. Perché siamo sempre noi, che non li capiamo, non il contrario. 

Tornando alle animali indiscrezioni sessuali, chi lo sapeva che la seppia luttuosa è etero ma trav, gli piacciono le femmine ma gli piace pure travestirsi sì, “assume sembianze e colori femminili (a chiazze) da un lato e maschili (a striscette pulsanti) dall’altro: un maschio seppia può conquistare una femmina seppia con il suo lato maschile, e allo stesso tempo ingannare un possibile rivale dello stesso sesso col suo lato femminile”.

Le signore polpo sono rissose, picchiano i maschi polpo zozzoni che le importunano, e li menano non in senso figurato: gli tirano fango e conchiglie, e li centrano perché sanno prender la mira. Le lumache di mare sono ermafrodite, possono essere maschio e femmina ma non si auto fecondano: quando c’hanno voglia lo fanno a trenino, e ci sono certe lumache di mare, texane, che sono arrapate esagerate, e si accoppiano a orge. Le lumache banana – di colore banana – lo fanno a 69, e sono pure chiamate “lumache mangia-pene” perché a volte nel 69 gli succede di rimanere incastrate, e per liberarsi del pene lì inguaiato, se lo mangiano, l’altrui, il proprio, a volte tutti e due.

Le chiocciole da giardino sc*pano dalle due alle sei ore (!!!), e non disdegnano l’orale, reciproco (!!!), e soprattutto nei preliminari. Per rimediare una sc*pata, l’uccello giardiniere deve mostrare qualità edili fuori dal comune: deve costruire un nido a dimensione prospettica adeguata, munito di vialetto di un metro, e con rifiniture di pregio. Le giardiniere femmine la danno al giardiniere maschio che, a loro personale insindacabile giudizio, è più bravo a costruire nidi.

I maschi spesso si azzuffano non per amorosa competizione, ma perché uno ruba all’altro i materiali migliori, petali, penne, sassolini, finanche vetro e plastica. Tutta questa fatica, e per ogni sc*pata, perché l’uccello giardiniere non è monogamo, e degli eventuali figli se ne frega. Le giardiniere femmina di solito si concedono ai maschi più maturi sicché più esperti nel mettere su nidi, ma sono scostumate: non si fanno scappare occasionali sveltine con giardinieri toy-boy.

Estratto dell'articolo di Valeria Aiello per fanpage.it l'8 giugno 2023.

Le femmine di coccodrillo possono deporre le uova senza accoppiarsi, ricorrendo a una strategia riproduttiva nota come partenogenesi – dal greco παρθ?νος (vergine) e γ?νεσις (nascita), ovvero riproduzione virginale. Lo ha scoperto un team di ricerca americano guidato dal biologo evoluzionista Warren Booth del Virginia Polytechnic Institute and State University di Balcksburg, che per la prima volta ha documentato tale capacità nella specie.

Finora, la partenogenesi è stata descritta in più di 80 specie di vertebrati, tra cui lucertole, serpenti, squali e razze, ma non era mai stata osservata nei coccodrilli. Ciò apre alla possibilità che anche i loro antichi antenati, gli archosauri […] 

Questa modalità di riproduzione è stata documentata la prima volta in Costa Rica, al Parque Reptilandia, dove una femmina di coccodrillo (Crocodylus acutus) che viveva da sola in cattività da 16 anni ha deposto una covata di uova, con una contenente un feto distinguibile, una femmina come sua madre. […] il feto in via di sviluppo era effettivamente costituto da materiale genetico proveniente solo dalla madre, dunque mancava della diversità genetica degli animali che nascono per riproduzione sessuale. 

Anche se le uova non si sono mai schiuse – in altre specie, i tassi di uova partenogenetiche che si schiudono sono molto bassi, arrivando ad appena il 3% – i ricercatori non hanno escluso la possibilità che i coccodrilli utilizzino la partenogenesi per produrre prole vitale. 

 “Con boa e pitoni tendiamo a vedere i partenogeni nati esteriormente sani – spiega Warren Booth, interpellato da IFLScience – . Con serpenti velenosi, come serpenti a sonagli e cobra, vediamo invece il contrario. La maggior parte dei partenogeni sono morti o nascono gravemente deformati”.

Giuliano Aluffi per “il Venerdì della Repubblica” il 3 Gennaio 2023.

Dominano i loro gruppi con la forza - anche ricorrendo all'intimidazione fisica e al bullismo - o con un'astuzia che permette loro di prevalere sulla volontà dell'altro sesso. Le femmine di tante specie animali sono più determinate e intraprendenti dei maschi, e molto diverse in spirito da una remissiva casalinga vittoriana.

 A spiegarci il bizzarro paragone è la giornalista e biologa britannica Lucy Cooke, autrice di un saggio dal titolo provocatorio: Bitch: a revolutionary guide to sex, evolution and the female (Cagna: una guida rivoluzionaria al sesso, all'evoluzione e alla femmina animale, edizioni Doubleday). «Darwin nell'Origine dell'uomo (1871), descrivendo la teoria della selezione sessuale scriveva "I maschi di quasi tutte le specie hanno passioni più forti delle femmine, che sono ritrose e passive".

In questo giudizio subiva, e perpetuava, l'influenza culturale della società vittoriana. Questa visione manichea è durata a lungo» spiega Cooke. «Solo negli ultimi decenni si è avuto un quadro più realistico del rapporto tra sessi grazie agli studi delle scienziate femministe di cui parlo nel libro».

 Come Allison Jolly, pioniera degli studi sul matriarcato nei lemuri. Nel 90 per cento delle 111 specie di lemuri del Madagascar le femmine sono dominanti. Non è così invece per gli altri primati, dove la teoria della selezione sessuale di Darwin - ovvero la competizione tra maschi per l'accesso alle femmine - li ha resi via via più grossi e aggressivi. 

Nelle società matriarcali più note, ad esempio tra le iene o le talpe glabre, questa disparità fisica è ribaltata: le "femmine alfa" sono più prestanti e più aggressive dei maschi, e vengono da queste bullizzati.

 La stranezza è che nei lemuri i due sessi hanno la stessa stazza: «L'ipotesi dell'antropologa Rebecca Lewis, che ha studiato a lungo i sifaka, è che per il loro modo di muoversi tra gli alberi, fatto di continui salti, anche di parecchi metri, tra tronchi invece che spostamenti lungo i rami, un corpo più pesante sarebbe un ostacolo» racconta Cooke.

 «I sifaka vivono in gruppi di una dozzina di membri, composti da una matriarca, i suoi figli e un paio di maschi adulti, obbligati dalla "femmina alfa" a lasciarle i posti più soleggiati sui rami e il cibo migliore».

 Che aggiunge: «Quando un maschio coglie un frutto di baobab, dopo aver faticato a lungo con i denti per penetrare la dura scorza e arrivare ai gustosi semi, viene spesso raggiunto da una femmina che gli dà uno scappellotto e si appropria del frutto pronto per il consumo. A lungo andare i maschi più intelligenti si rassegnano a cercare solo i rimasugli di cibo sul suolo». Diverse le scoperte di Allison Jolly.

 «Provò che le femmine si occupano del grosso della difesa territoriale, ed emettono grandi quantità di composti chimici, come gli esteri, per segnalare forza, cosa che in natura è più tipica dei maschi» dice Cooke. «E infatti i lemuri maschi spesso sono spaventati dalle femmine».

 Ma anche quando non sono le più grosse, le femmine sanno imporre la loro volontà: un esempio è il modo in cui le leonesse evitano che un nuovo maschio, desideroso di sottrarle all'allattamento e rimandarle in estro, uccida i loro piccoli. «È una strategia che ho osservato nella riserva di Masai Mara (Kenya)» spiega Cooke. «Ero con l'etologo Ludwig Siefert, che studia la comunicazione tra leoni. Eravamo su una jeep e avevamo appena usato un altoparlante per emettere ruggiti e vedere cosa succede quando i leoni di un'area sentono il verso di un estraneo».

Dopo qualche minuto sono arrivati tre leoni. «Mentre i due maschi, non trovando tracce dell'autore del ruggito, sono tornati nella savana, la leonessa si è sdraiata di fronte a noi, bloccandoci per due ore» ricorda Cooke. «Voleva accoppiarsi con l'intruso che ha sentito ruggire. Nel loro periodo fertile le leonesse amoreggiano anche cento volte con più maschi. Così questi si asterranno, in futuro, dall'uccidere cuccioli che potrebbero essere figli loro».

 La promiscuità anti infanticidio è una strategia adottata in molte specie, e la pioniera di questa teoria è stata la primatologa femminista Sarah Blaffer Hrdy con i suoi studi su una scimmia asiatica, l'entello. Ma più affascinanti sono i casi in cui la promiscuità è segreta, come nella classe degli uccelli, tradizionalmente simboli di monogamia.

 «Per Darwin le femmine degli uccelli erano per lo più monogame, e questo è quello che si è creduto per un secolo» nota Cooke. «Ma oggi sappiamo che nel 90 per cento delle specie aviarie le femmine copulano con più maschi e le uova in un nido possono avere padri diversi».

Il caso più estremo è lo scricciolo azzurro superbo (Malurus cyaneus): «Le femmine all'alba si defilano dal nido e copulano con i maschi del vicinato: oltre tre quarti dei figli hanno un padre diverso dal partner ufficiale.

 Così si aumenta la robustezza della specie» spiega Cooke. «Le "fedifraghe" sono molto abili nell'agire di soppiatto: si è iniziato a scoprire la loro promiscuità solo con l'analisi del Dna nelle uova, e la pioniera di questo approccio è stata la biologa femminista Patricia Gowaty».

 In certe specie, come gli albatri di Laysan del Pacifico settentrionale (Phoebastria immutabilis) le femmine intraprendenti relegano il maschio al mero ruolo di donatore di sperma: «Sono più avventurose, e a differenza dei maschi lasciano presto il luogo natale in cerca di nuovi orizzonti» osserva Cooke.

 «Queste migrazioni fanno sì che, nei luoghi di arrivo, le femmine siano in sovrannumero sui maschi locali, già tutti impegnati. Il problema è presto risolto: le nuove arrivate ricorrono a un fugace accoppiamento e poi costruiscono un nido "maschio-free" dove una coppia di femmine si divide il compito della cova».

(ANSA lunedì 25 settembre 2023) - "La Vespa velutina è un insetto alieno molto pericoloso, che è arrivato anche nel nostro Paese, dalla Liguria alla Toscana, provenendo dalla Francia, mettendo così a rischio non soltanto il comparto dell'apicoltura nazionale, e quindi della produzione di miele, ma soprattutto le api, un insetto pronubo essenziale per l'impollinazione sia delle piante coltivate che di quelle spontanee". A lanciare l'"allerta massima" è Flavio Pezzoli, presidente dell'Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali (Odaf) della provincia di Roma. 

"Noi agronomi - aggiunge Pezzoli - da tempo teniamo sotto controllo la presenza di questo insetto e le Regioni hanno un sistema di allerta molto efficiente, ma invitiamo tutti i cittadini e tutti gli agricoltori che dovessero avvistare una Vespa velutina, in zone dove non è stata avvistata prima, a segnalarla prontamente al sistema fitosanitario regionale di riferimento per il censimento e l'intervento delle Istituzioni per contenere l'insetto".

 "La Vespa velutina - prosegue Pezzoli - è riconoscibile in quanto, a differenza della Vespa crabro, presente in tutta Italia, è diffusamente nera, con un'ampia banda tra il giallo e l'aranciato sulla parte terminale dell'addome e una stretta linea gialla sul primo segmento addominale. Le zampe sono nere con la parte terminale gialla. Il capo, visto frontalmente, appare anch'esso giallo/arancio, mentre dall'alto appare nero. La dimensione è molto grande rispetto a quella delle api e poco più grande dei nostri calabroni".

"Questo insetto - conclude Pezzoli - è quindi molto pericoloso e si sta diffondendo nel nostro territorio scendendo verso sud. Stiamo tenendo sotto controllo la Vespa anche nel territorio di Roma, dove fortunatamente non è ancora stata avvistata, e la Regione Lazio ha attivato da tempo i suoi sistemi di allerta. Teniamo comunque l'attenzione molto alta".

Estratto dell'articolo di Nicolas Lozito per “la Stampa” mercoledì 13 settembre 2023.

Dal granchio blu alla formica rossa. Il mondo, Italia compresa, è un arcobaleno di invasioni aliene.. […] Basta un numero per capire perché: i danni economici causati sono stimati per 423 miliardi di dollari all'anno (circa 400 miliardi di euro). Lo sostiene un nuovo e importante report dell'Ipbes – l'ente delle Nazioni unite che si occupa di ecosistemi naturali. 

[…] Una specie aliena diventa anche invasiva quando si stabilizza in un luogo e la sua diffusione ha un impatto negativo per la biodiversità, gli ecosistemi e ovviamente le nostre attività e alla nostra qualità della vita. […]

Una specie invasiva molto spesso si diffonde in maniera rapidissima proprio perché arriva in un'area non preparata ad accoglierla. Nel caso degli animali, mancano i loro predatori naturali, quindi il loro numero cresce senza contrappesi naturali (come gli ippopotami di Escobar in Colombia). Si impongono come mega-predatori, monopolizzando le risorse: è il caso del famigerato granchio blu arrivato nei nostri mari, ma anche dello scoiattolo americano, quello dalla coda nera: se fino a vent'anni fa gli scoiattoli in Italia avevano la coda rossa e ora non più è proprio a causa di questa "invasione". Le piante invece possono avere bisogno di tutta l'acqua disponibile, o soffocare la vegetazione più bassa.

Può succedere sulla terra ferma così come in acqua. Chi vive a Torino e in altre decine di città italiane attraversate da fiumi, conosce la storia della Elodea nuttallii, la pianta acquatica americana che è stata importata per abbellire gli acquari ed è finita negli scarichi: ora emerge dai corsi d'acqua come un'emorragia dal profondo. Un ultimo esempio, ancora più recente: gli incendi alle Hawaii sono stati alimentati anche dalle erbe non autoctone cresciute nella zona, come la Megathyrsus maximus e la Cenchrus ciliaris, entrambe africane.

Gli autori del report Ipbes hanno dimostrato che dal 1970 a oggi i costi delle invasioni biologiche sono cresciuti del quattrocento per cento ogni decennio. Almeno 3.500 specie aliene invasive dannose sono state registrate a livello globale. In Italia le specie aliene (anche quelle non invasive) sono più di tremila, +96% rispetto a trentanni fa. […]

 Il rapporto dell'Onu ci offre un ultimo numero: il 60% delle estinzioni riconosciute nell'ultimo secolo è causata dalle specie aliene, un dato che cresce al 90% quando si tratta delle biodiversità delle isole. Insetti, animali di ogni tipo, piante e ovviamente microbi: li abbiamo trasportati ovunque, evocando una forza ora difficile da controllare. […]

L'allarme in Italia. Cos’è la formica di fuoco arrivata anche in Italia: i pericoli per la puntura velenosa e i primi nidi in Sicilia. Redazione su L'Unità il 12 Settembre 2023 

L’allarme è scattato quando in un’area di poco meno di 5 ettari in provincia di Siracusa, in Sicilia, sono stati trovati 88 diversi nidi di Solenopsis invicta, la “formica di fuoco”. Allarme ben giustificato: si tratta infatti di una delle specie più invasive al mondo ed è la prima volta che viene individuata in Europa.

Originaria del Sud America, la formica di fuoco è quindi una specie alloctona o aliena: è l’azione diretta o indiretta delle persone che l’ha spostata dal suo “habitat” naturale. Ad oggi i “movimenti” della Solenopsis invicta erano stati accertati soli in Australia, Cina, Caraibi, Messico e Stati Uniti: l’Italia è il primo paese europeo a dover fare i conti con questa specie che mette seriamente a rischio l’agricoltura e l’ecosistema ambientale nostrano, anche a causa dell’estrema velocità di diffusione della specie dovuta alla creazione delle cosiddette supercolonie, che prevedono la presenza di più formiche regine.

Cosa sono le formiche di fuoco

Di una lunghezza tra i due e i quattro millimetri e dal caratteristico colore bruno rossastro, le formiche di fuoco sono dotate di un pungiglione velenoso che, in caso di puntura, provoca un dolore chiaramente percettibile dall’uomo, simile alla scottatura dovuta ad una piccola fiamma, da cui anche il nome con cui è stata ribattezzata la Solenopsis invicta. Occasionalmente le sue punture possono portare anche allo shock anafilattico.

Le regine di questa specie hanno invece una lunghezza che va dai 6 agli 8 millimetri e sono di colore molto simile a quello delle operaie. L’alimentazione preferenziale della S. invicta è costituita dalle sostanze proteiche che ricava dagli insetti che preda: dieta che può contemplare varie componenti di origine animale (invertebrati e vertebrati) o vegetale, incluse sostanze oleose e zuccherine, sebbene non consumi spesso nettare extrafloreale e non eserciti raramente attività di raccolta.

L’allarme degli scienziati

L’allarme sulla presenza delle formiche di fuoco in Italia è stato lanciato da uno studio pubblicato sulla rivista Current Biology e guidato dall’Istituto spagnolo di Biologia evoluzionistica, e al quale hanno collaborato anche l’Università di Parma e l’Università di Catania.

Secondo lo studio gli abitanti della zona della provincia di Siracusa dove sono stati trovati i nidi segnalano punture di questo tipo già del 2019, cosa che fa pensare che l’ampiezza delle colonie potrebbe essere anche superiore a quella stimata.

I ricercatori si sono dunque recati sul posto dopo aver osservato inizialmente le foto scattate in Sicilia: così hanno potuto rinvenire di persona gli 88 nidi di Solenopsis invicta, ognuno abitato da molte migliaia di formiche operaie.

I ricercatori, spiega l’Ansa, non sono riusciti a determinare come esattamente le formiche di fuoco siano arrivate in Italia, ma dopo averne analizzato il Dna hanno concluso che questa particolare popolazione proviene probabilmente dagli Stati Uniti o dalla Cina.

Uno degli autori dello studio, Mattia Menchetti dell’Istituto spagnolo di Biologia evoluzionistica (IBE), ha spiegato all’Ansa che i “principali tipi di danni per l’uomo riguardano le apparecchiature elettriche e di comunicazione, e l’agricoltura”. Le formiche di fuoco possono infatti infestare apparecchiature elettriche presenti anche in automobili e computer, possono danneggiare i raccolti ma soprattutto hanno un impatto sulle specie autoctone degli ecosistemi in cui si diffondono: “È un predatore generalista, e nei luoghi in cui si insedia causa la diminuzione della diversità di invertebrati e piccoli vertebrati”.

Secondo Menchetti “i cittadini potrebbero svolgere un ruolo chiave nell’individuazione di S. invicta, considerando che si trova frequentemente nelle aree urbane e limitrofe”, anche perchè “è possibile individuare questa formica a causa delle sue punture dolorose e dei caratteristici cumuli dei loro formicai, anche se è necessaria la conferma di un esperto”.

Inoltre utilizzando modelli di distribuzione, i ricercatori hanno osservato che questa specie aliena potrebbe potenzialmente stabilirsi in circa il 7% del continente. Molte città europee (il 50%), come Roma, Barcellona, Londra e Parigi, infatti, presenterebbero condizioni ambientali adatte al suo insediamento. Redazione - 12 Settembre 2023

Caldo, non solo granchio blu. Sos Coldiretti: solo specie aliene. By Angelo Vitolo su L'Identità il 9 Settembre 2023

Non solo granchio blu. Specie aliene, per l’agricoltura un nemico insidioso quanto l’inflazione e l’aumento del costo delle materie prime. Granchio blu, cimice asiatica, pappagallini, cinipide del castagno, xylella, moscerino dagli occhi rossi, calabrone asiatico fanno danni nei campi e nei mari, secondo Coldiretti, per oltre un miliardo. Evidente la causa dell’invasione: la tendenza al surriscaldamento.

Se il granchio blu originario delle coste atlantiche Usa e endemico nei fondali dell’Adriatico stermina vongole veraci, cozze, uova, altri pesci e molluschi, la cimice marmorata asiatica cinese prolifica con 300-400 esemplari alla volta e rovina la frutta. Il pappagallino o parrocchetto monaco sudamericano fa strage di frutta e mandorle nel Centro Sud. Nell’arco alpino il bostrico tipografo scava gallerie sotto la corteccia di abeti rossi, larici, abeti bianchi, pini silvestri uccidendoli in poche settimane. La xylella ha contagiato 21 milioni di ulivi in Puglia, 8mila km quadrati infettati, avanzando 20 chilometri all’anno. Danni a ciliegie, mirtillo e uva dalla drosophila suzukii, il moscerino killer. Strage di castagne per il cinipide galligeno cinese. Minacce al miele dal calabrone asiatico vespa velutina e dal coleottero africano aethina tumida, che annientano il polline e la covata di api. Il punteruolo rosso asiatico fa strage di palme dal 2004. Per il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, sotto accusa “il sistema di controllo Ue con frontiere colabrodo che ha lasciato passare materiale vegetale infetto e parassiti senza cautele e quarantene mentre estenuanti negoziati pesano sull’export dei prodotti nazionali. Ora, serve sostegno per accompagnare all’innovazione le imprese “chiamate alla sfida dell’agricoltura 4.0 con droni, robot e satelliti fino alla nuova genetica no ogm”.

Estratto dell’articolo di blitzquotidiano.it l'1 agosto 2023.

Una tartaruga alligatore è stata ritrovata in un parco a Torino. Il suo morso è più potente di quello di un leone o di uno squalo bianco […] 

La Macrochelys temminckii (il nome scientifico) è originaria delle zone paludose del bacino del Mississippi, negli Stati Uniti del Sud. Può raggiungere i 100 kg di peso e il metro e mezzo di lunghezza. Oltre all’abitudine di vivere in ambiente fluviale, è accomunato all’alligatore per il possente morso, in grado di tranciare di netto le dita delle persone.

Il rettile catturato in Italia dai Carabinieri CITES del Comando di Torino per la Tutela della biodiversità e dei parchi è stato trovato nel Comune di Pianezza, nella città metropolitana del capoluogo piemontese, in un parco frequentato da bambini nei pressi del torrente Rio Fellone. 

È stato poi consegnato ai veterinari del Centro Animali Non Convenzionali, con sede a Grugliasco, che lo hanno visitato e lo hanno trovato in salute. 

La testuggine alligatore è lunga 60 centimetri e pesa circa 15,7 kg. Ora è stata inserita all’interno di uno speciale recinto per animali pericolosi, presente nell’oasi del CANC, in attesa di essere trasferita in un bioparco attrezzato.

La detenzione e il commercio di tartarughe non autoctone sono vietati dalla legge sugli animali esotici del 1992. Come hanno spiegato i carabinieri del CITES “l’esemplare rientra nelle specie selvatiche che costituiscono un pericolo per la salute e l’incolumità pubblica”. 

La testuggine alligatore può causare molti danni all’ambiente, visto che la proliferazione di animali alloctoni può far estinguere le specie locali, occupandone la nicchia biologica, come è avvenuto nel Po con il pesce siluro. 

E’ anche un problema per l’essere umano, visto che il suo morso è pari a 1.000 psi (libbre forza per pollice). Basti pensare che quello della tigre e della iena maculata arrivano a circa 1.100 psi e quello dei grizzly a 1.160 psi. […]

Il ritrovamento. Cos’è la testuggine alligatore, la tartaruga aggressiva abbandonata nel torinese: “Morso più potente del leone e dello squalo”. L'esemplare ritrovato nel torinese, nei pressi di un parco frequentato da bambini. Sequestrata e portata in un Centro Animali Non Convenzionali. Redazione Web su L'Unità il 28 Luglio 2023 

Ad accorgersi che non si trattava di una tartaruga come le altre è stato un passante. Si trovava in uno stagno di Pianezza, in provincia di Torino, un pericoloso esemplare di testuggine: una tartaruga alligatore. È scattata la caccia all’uomo, nel torinese, dopo l’avvistamento e l’intervento sul posto, in un ristagno d’acqua del Rio Fellone, dei carabinieri del nucleo C.IT.E.S. Gli accertamenti hanno confermato che l’animale era una Macrochelys temminckii, non una consueta testuggine domestica da compagnia ma una tartaruga aggressiva dotata di un morso più potente di quello del leone o dello squalo bianco. Presumibilmente importata illegalmente in Italia.

La cosiddetta testuggine alligatore è la più grande del Nord America. Può raggiungere una grandezza di un metro e mezzo di lunghezza e pesare anche più di cento chili. È una specie selvatica che costituisce pericolo per la salute e l’incolumità pubblica. È stato stimato che il suo morso può raggiungere una pressione di settantuno chilogrammi per centimetro quadrato. Per dare una misura, come riporta Il Corriere della Sera, è stata paragonata a quelli del leone o dello squalo bianco ed è stata giudicata anche più potente, al pari di quello della tigre.

La tartaruga alligatore si trova soprattutto negli Stati Uniti Sud-Orientali, in particolare nel bacino del Mississippi. Si nasconde sui fondali e aggredisce le sue prede per nutrirsi, soprattutto di notte. È classificata come specie vulnerabile, anche a causa del suo impiego in ambito culinario: le sue carni sono ricercate per produrre il brodo di tartaruga. La sua commercializzazione e detenzione è vietata.

L’esemplare ritrovato nel torinese nei pressi di un parco giochi frequentato da bambini è in buona salute, pesa 15,7 chili e il suo carapace è lungo quarantotto centimetri. L’animale è stato ritrovato e sequestrato dai carabinieri del nucleo Raggruppamento CITES del Comando carabinieri di Torino per la tutela della biodiversità e dei parchi, è stato trasportato al Canc, il Centro Animali Non Convenzionali di Grugliasco, dov’è stato visitato dai veterinari. È stata inserita nel recinto animali pericolosi dell’Oasi del Canc, in attesa del suo trasferimento in bioparchi idonei. È stata aperta un’indagine a carico di ignoti per abbandono, violazione della normativa sull’importazione e la detenzione di animali pericolosi.

Redazione Web 28 Luglio 2023

Estratto dell’articolo di Andrea Capitani per “Il Giorno” venerdì 25 agosto 2023.  

Il pescatore tira su le reti e appare, impietosa, l’immagine di questa estate da incubo: dieci anguille e cento granchi blu. […] di questa invasione non è immune la Laguna di Orbetello, nella Maremma grossetana. 

[…] Giancarlo Lombardi, uno dei soci della cooperativa “I Pescatori“, salpa con la sua barca per svuotare le reti. Fino a un anno fa era abituato a tirare su solo anguille, adesso non fa altro che trovare granchi blu. […] Una macchina da guerra, letale per i molluschi e i piccoli pesci. E, ovviamente, anche per le anguille, tanto che i pescatori a volte le trovano recise a metà nelle reti. Si pescano praticamente solo granchi blu, tanto che al giorno ne vengono presi più di 200. E le anguille? «Poche, tanto che a volte le lasciamo al ristorante della cooperativa, senza poterle mettere in vendita», racconta Giancarlo il pescatore.

L’attività di prelievo dei crostacei va avanti soprattutto per cercare di toglierne il più possibile dalla laguna di Orbetello. […] «Nel danno, abbiamo almeno la fortuna che è ottimo da mangiare – sottolinea Giancarlo Lombardi, mentre è ancora impegnato a prelevare i granchi dalle reti – Anche se il loro prezzo è crollato, perché ce ne sono un’infinità. Quanti ne prendiamo? Una media di 35 chili al giorno. Dobbiamo cercare di diminuire la loro presenza in mare il più possibile. Adesso in una settimana catturiamo meno di venti chili di anguille, che in tempi normali sarebbero almeno 4-5 quintali». Una catastrofe.

«I granchi fanno danni alle reti e creano buchi da dove le anguille escono – aggiunge il pescatore – Li abbiamo visti per la prima volta l’anno scorso in piccole quantità, quest’anno è una cosa devastante. Si riproducono molto velocemente e, non avendo a disposizione in laguna cozze e vongole, mangiano i piccoli pesci. Questa estate la pesca alle anguille è un dramma, il rischio è che nella fase invernale succeda anche per le orate e le spigole. Bisogna fare un lavoro preventivo per adattarci, sperando che lo Stato ci aiuti». […]

«Il granchio blu ci rovina, tonnellate nelle reti. Vongole quasi sparite, per noi pescatori è la fine». Storia di Giusi Fasano, inviata a Porto Tolle (Rovigo), su Il Corriere della Sera venerdì 25 agosto 2023.  

Il padre di tutti i granchi blu d’Italia fu avvistato la prima volta nel 1949. Era lontanissimo da casa, quell’essere con le chele cangianti. Che ci fa nel Mediterraneo?, si chiesero pescatori e biologi marini. Oggi abbiamo la risposta a quella domanda. Era arrivato dalle coste orientali degli Stati Uniti con l’acqua di zavorra che le navi caricano per stabilizzare la navigazione. Che cosa sia successo fra le segnalazioni di quel lontano 1949 e oggi nessuno sa dirlo, perché non esistono monitoraggi o studi approfonditi sull’evoluzione del granchio blu nel Mediterraneo. Ma una cosa è certa: lui, il granchio, ha trovato il modo di adattarsi, crescere e moltiplicarsi a dismisura. Ha colonizzato (in sordina) le aree lagunari del Veneto, dove ha messo radici stabili una quindicina di anni fa (secondo i pescatori) e dove ha cominciato a essere piuttosto invadente dal 2007-2008.

La relazione

Dal suo punto di vista è comprensibile. Vongole, cozze, ostriche, crostacei, piccoli pesci, vermi, meduse, anguille...tutto lì, a portata di chela. Una tavola imbandita, in sostanza. La popolazione dei granchi blu «in questi ultimi anni è cresciuta in modo molto preoccupante», fino a diventare «un reale pericolo per il mantenimento della biodiversità locale», dice una relazione inviata al governo dal presidente della Regione Luca Zaia, che chiede lo stato di emergenza per l’invasore blu.

Emergenza

Emergenza perché da maggio a questa parte, spiega la stessa relazione, «la situazione è letteralmente esplosa», con un «aumento esponenziale e incontrollato» del nemico, che a questo punto compromette «il futuro di tutta l’economia» lagunare. Quindi servono «misure straordinarie per contenere il fenomeno, indennizzare gli operatori e riorganizzare le semine», perché «senza tali prospettive sicuramente ci saranno gravissime tensioni sociali e probabili problemi di ordine pubblico». Ci sono numeri, in questa storia, che dicono più delle parole. Alcuni vengono dallo stesso governatore Zaia. «Qui si producono 52 mila quintali di vongole, che sono quasi il 40% della produzione nazionale, più 20 mila quintali di cozze», dice. «L’anno scorso la produzione è salita del 10%, quest’anno scenderà dell’80-90%». Ed è tutta colpa del granchio blu.

La proliferazione

Nel 2019, per dire, nelle lagune del Veneto furono pescati 87 chili di granchi blu. Nel 2023 siamo già a più di 450 tonnellate. Altro dato impressionante: la femmina si accoppia e riproduce una sola volta nella vita, a fine estate, e in condizioni ideali può arrivare a otto milioni di uova, che feconda poi fra i due e i nove mesi successivi. Se a diventare granchietti fosse anche solo il 10% di quelle uova (ma è molto di più), parliamo già di 800 mila esemplari che vengono al mondo a ogni schiusa. Un numero enorme. Quest’anno è stata la tempesta perfetta. Gli esperti dicono che la salinità e l’aumento della temperatura dell’acqua uniti alla sostanziale assenza di predatori naturali hanno creato le condizioni ideali per una crescita esponenziale. E infatti basta avvicinarsi all’acqua in un punto qualsiasi delle aree lagunari per vederne a frotte.

«Una catastrofe»

Al Consorzio delle cooperative e pescatori del Polesine — 14 coop per quasi 1.500 pescatori, 45% donne — definiscono tutto questo «una disgrazia». Emanuele Finotti, 50 anni, è uno di loro. Ci accompagna in barca nella laguna davanti a Porto Tolle. «La prego non scriva che per noi il granchio blu è una opportunità perché non è vero. È una catastrofe. Noi siamo pescatori e allevatori di vongole, da queste parti c’è la cozza dop, le ostriche rosa...insomma, è la nostra identità, la nostra vita. Non può passare il messaggio che da ora in poi ci dedichiamo al granchio blu. Anche perché di 170-180 quintali al giorno che peschiamo, al consumo alimentare vanno solo 4-5 quintali. Il resto al macero. Abbiamo vongole fino ai primi di ottobre poi non si sa che faremo, come vivremo. Quello ci ha distrutto i vivai di vongole veraci di tutte le taglie. E che fai? Investi e semini di nuovo sapendo che è ancora lì? Abbiamo chiesto a un biologo marino se c’è una soluzione. Ci ha risposto: pescare, pescare, pescare».

Trasformare il granchio blu in biogas

E il pescato, che aumenta ogni giorno di più, sta diventando un problema per lo stoccaggio. Così dalla Coldiretti propongono un esperimento: trasformare i granchi blu in biogas. La direttrice regionale della Coldiretti Veneto, Marina Montedoro, dice che «ci proverà un’azienda di Venezia con 450 quintali, a partire da lunedì. Vedremo come andrà». Nell’Atlantico il granchio blu vive in un ambiente oceanico, ha dei predatori. Nella «pozza» Mediterraneo possiamo contare (forse) sull’aiuto di qualche uccello, confidare nella possibilità che si estingua per una malattia o sperare in un inverno molto freddo, visto che sotto i 3 gradi non sopravvive. Oppure possiamo dargli una caccia spietata, perché alla fine gli unici veri predatori siamo noi.

Estratto dell’articolo di Chiara Amati per corriere.it sabato 19 agosto 2023.

«Il granchio blu infestante? Un disastro annunciato. Quando ne abbiamo avuto consapevolezza — era il 2019 — lo abbiamo studiato per bene: già allora minacciava gli allevamenti di cozze, vongole, ostriche di cui è ghiotto e tagliava le reti da pesca. Quindi lo abbiamo testato in cucina. L’anno successivo è entrato nel nostro menu e non è più uscito. Dai fondi ai brodi agli antipasti, con questo crostaceo si possono realizzare ricette davvero gustose». 

Veronese, classe 1985, […] Chiara Pavan, insieme al compagno Francesco Brutto, firma la cucina ambientalista del «Venissa», ristorante una stella Michelin […] a Mazzorbo, piccola isola veneziana a est di Burano.

Chiara, lei parla di disastro annunciato. Perché?

«Il granchio blu è una specie infestante da anni, ma ora siamo arrivati a un punto di non ritorno con i ragazzini che lo pescano per gioco in ogni dove. Il cambiamento climatico […] e l’overfishing […]hanno creato un ambiente ottimale per la sua proliferazione». 

Lei lo cucina. Che tipo di prodotto è?

«Valido. Il sapore è leggermente più dolce di quello del granchio a cui siamo abituati. La polpa, morbida e abbondante, si trova per lo più nella parte ventrale e nelle chele.

Particolarmente gustosi sono gli esemplari femmina, ancor più quando hanno le uova all’interno. E le uova che, per dare un’idea assomigliano al caviale, sono un gran prodotto. Se mi chiede di che cosa sappiano, direi che sono una via di mezzo tra il profumo del mare e il sapore del tuorlo d’uovo. 

Ma non è finita qui: con il carapace, che in genere uno butta, si preparano fondi e brodi squisiti, nutrizionalmente proteici come la polpa, del resto. Tutto ciò fa di questo granchio un alimento intrigante soprattutto per chi […] cerca di proporre una cucina etica, a basso impatto ambientale. Il nostro menu, ad esempio, è realizzato solo con specie infestanti». 

Si spieghi.

«Ci stiamo mangiando il Pianeta. Se vogliamo salvaguardare la stabilità di ecosistemi e habitat, occorre limitare il consumo delle proteine animali. Ad esempio: perché mai ci ostiniamo a consumare seppie, che scarseggiano, o pesce spada che, da grande predatore qual è, concorre a mantenere saldo l’equilibrio dei nostri mari? Senza contare che, nel caso specifico, la soluzione è davanti agli occhi. Il granchio blu è una preziosa alternativa al consumo senza controllo della carne che, ricordiamolo, concorre ad alimentare il global warming». 

[…] «[…] mangiare granchio blu al ristorante sarà sufficiente? Ahimè no. Sono fermamente convinta che serva un programma puntuale e concreto, che incentivi l’industria a lavorare il granchio blu fino a farlo diventare fonte proteica su larga scala e a costi accessibili. Noi lavoriamo con il cibo artigianale ma, se arrivassimo a tanto, non avremmo problemi ad aprirci all’industria».

Pensa che in questo modo il granchio blu avrebbe mercato?

«Sì. La nostra è una clientela internazionale. Ad esempio, gli americani conoscono bene il prodotto, lo ritengono una prelibatezza. […] La gente del luogo, invece, è un po’ più reticente: “Nol xe neanca bon”, mi dicono spesso. […]». 

Costa molto?

«Io lo propongo a 3 euro al chilogrammo, ma in passato […] si trovava anche a 8-10 euro al chilogrammo. I pescatori del posto, che vedono lungo, lo pescano nella fase della muta: personalmente trovo che sia ancora meglio delle nostre moeche».

Una ricetta che si possa realizzare anche a casa?

«Il chilli crab. Rosolate un trito finissimo di peperoncino, aglio, zenzero e olio. Aggiungete il granchio blu tagliato in quattro parti. Quando comincia a diventare rosso, versate un po’ d’acqua, o del fumetto di pesce, e del concentrato di pomodoro, quindi cuocete per 15-20 minuti circa. A questo punto togliete il granchio, fate ridurre la salsa, quindi rimettete il granchio. Servite come zuppa con qualche goccia di limone, del coriandolo o, se preferite, un battuto di prezzemolo. Si fidi: è un piatto facile, veloce, economico. Alla portata di tutti».

Granchio blu, l’export negli Usa.  Angelo Vitolo su L'Identità il 17 Agosto 2023

Al via l’export negli Usa del granchio blu pescato in Emilia Romagna. E’ partito ed è in viaggio verso le coste della Florida, destinazione Miami, il primo container carico di 15,75 tonnellate di crostacei semilavorati.

Lo ha comunicato la Regione Emilia Romagna, spiegando che i granchi blu pescati dalle imprese ittiche della Sacca di Goro, del territorio di Comacchio e nel Delta del Po, “potranno essere venduti nel Paese di cui è originaria questa specie alloctona che tanti danni sta creando agli allevamenti di vongole e novellame, minando il delicato equilibrio ambientale dell’area del Delta”.

Regista dell’operazione è la società di Rimini Mariscadoras, una start up tutta al femminile nata nel 2021 e ideatrice del progetto “Blueat – La pescheria sostenibile”, per promuovere l’utilizzo alimentare e gastronomico delle specie aliene marine invasive, a partire appunto dal granchio blu, tra le più dannose attualmente presenti nel Mediterraneo, a causa della sua voracità e assenza di predatori naturali. Da qui l’accordo di collaborazione dell`azienda riminese con un’azienda di trasformazione di Mestre per la lavorazione e la trasformazione dei granchi in polpa e sughi, che stanno approdando sul mercato domestico ed estero.

“Questa prima spedizione di quasi 16 tonnellate che dà il via all’export di granchio blu è la dimostrazione concreta che ci sono le condizioni per provare a creare una filiera in grado di fornire prodotto semilavorato di qualità e una redditività anche alle nostre imprese ittiche – dice l’assessore regionale all’Agricoltura e Pesca, Alessio Mammi. E’ un obiettivo cui come Regione siamo fortemente impegnati: trasformare quella che attualmente è un’emergenza in una possibile opportunità”. “Per fare questo stiamo lavorando in più direzioni, in stretta collaborazione con il mondo della pesca e dell’acquacoltura: un primo passo è stata l’autorizzazione alla cattura, al prelievo e alla commercializzazione, ma questo non basta” ha proseguito Mammi, precisando che “non tutto il prodotto ha le caratteristiche per essere venduto, mentre i danni che questa specie sta provocando a un intero settore pongono in primo piano il tema degli indennizzi, oltre a quello dello smaltimento del prodotto non adatto alla vendita”.

Temi questi che saranno al centro dell’incontro in programma lunedì 21 agosto a Goro e a Comacchio, dove l’assessore Mammi e l’assessore al Bilancio, Paolo Calvano, incontreranno le associazioni della pesca e dell’acquacoltura per fare il punto sulle diverse questioni aperte e già oggetto di un documento, condiviso con Veneto e Friuli Venezia Giulia e inviato al Governo.

Nella sua nota, la Regione sottolinea che il carapace del granchio blu è particolarmente ricco di calcio e magnesio e per questo, oltre che in campo alimentare, potrebbe avere interessanti applicazioni come integratore di minerali per l’alimentazione animale: un filone di ricerca su cui sta lavorando l’Università di Bologna, con il coordinamento del professore Alessio Bonaldo. Oltre a studiare come i cambiamenti climatici abbiano influenzato l’aumento della popolazione del granchio blu nell`Adriatico e nel Mediterraneo, il gruppo di ricerca è anche impegnato nell’analisi dei possibili impieghi in campo nutraceutico, grazie all’estrazione di una molecola, la chitina, un polisaccaride che ha funzioni di protezione strutturale. 

Granchio blu, l’alieno del Mediterraneo che il governo vorrebbe eradicare.  Simone Valeri su L'Indipendente l'8 agosto 2023.

Nel cosiddetto Decreto Omnibus il governo Meloni, tra le varie misure, ha incluso un piano finalizzato ad affrontare un’emergenza finora passata in sordina. Stiamo parlando dell’invasione del granchio reale blu (Callinectes sapidus), un crostaceo nativo delle coste atlantiche americane negli ultimi tempi sempre più diffuso anche nel bacino del Mediterraneo. Quindi, una specie aliena che, a causa del riscaldamento globale, sta trovando sempre più favorevoli le condizioni termiche e di salinità delle nostre acque. I primi avvistamenti risalgono al 2008, ma da allora è proliferato un po’ ovunque causando danni tutt’altro che trascurabili al già fragile ecosistema mediterraneo. La specie è infatti caratterizzata da un’elevata tolleranza alle alte temperature e una spiccata capacità di adattamento in termini nutritivi: vive bene tra i 3 e 35 gradi centigradi e mangia un po’ di tutto.

In Italia, da una manciata d’anni, si è iniziato così a parlare di vera e propria emergenza ecologica, ma anche economica. Ad oggi, si è infatti già registrato un calo di oltre il 50% nella produzione di vongole e cozze imputabile proprio al granchio blu, il quale si nutre sia di individui adulti che di novellame. Nel complesso la specie, tra l’altro a rapida riproduzione, è estremamente ghiotta anche di anguille, orate e spigole di allevamento. Oltre a predare piccoli pesci, risale persino le sponde per mangiare le uova. Pertanto, “al fine di contenere il fenomeno della diffusione della specie e di impedire l’aggravamento dei danni inferti all’economia del settore ittico, a decorrere dal primo agosto 2023 – scrive l’esecutivo nella bozza del provvedimento – è autorizzata la spesa di 2,9 milioni di euro a favore dei consorzi e delle imprese di acquacoltura che provvedono alla cattura ed allo smaltimento”. Al riguardo, spetterà al Ministero dell’Agricoltura il compito di individuare le aree geografiche colpite dall’emergenza, i beneficiari e le modalità di presentazione delle domande.

Un esemplare di Callinectes sapidus (detto granchio blu o granchio reale) 

Al via quindi un timido sostegno economico, il quale potrebbe però presto risultare insufficiente. Già da anni, nelle zone di acqua dolce e salmastra di Veneto, Emilia Romagna e Toscana, i pescatori stanno infatti sostenendo costi da capogiro per lo smaltimento e la cattura della specie: non meno di 100mila euro al giorno secondo delle stime di Fedagripesca-Confcooperative. L’obiettivo della misura, comunque, sarebbe quello di debellare l’alieno con ogni mezzo possibile. Anche cucinandolo. In molti, ad esempio, già hanno pensato di dar vita ad una nuova filiera gastronomica: la polpa del granchio blu avrebbe infatti un sapore simile a quello dell’astice e, data l’abbondanza, potrebbe essere venduta ad un prezzo inferiore ai 10 euro al chilo. Il paradosso vuole che in America il granchio blu sia considerato una specie protetta dove, per chi pesca esemplari inferiori a 14 cm, scattano multe piuttosto salate. Ad ogni modo, anche laddove il granchio blu divenisse una nuova prelibatezza mediterranea, difficilmente la strategia porterebbe ad un efficace controllo della sua popolazione. In termini ecologici, ad esempio, l’effetto sarebbe del tutto insignificante.

Il granchio blu, tra l’altro, non è l’unica specie aliena che sta infestando il Mar Mediterraneo a causa del cambiamenti climatici. Anzi, il Mare Nostrum, in quanto uno dei bacini più ricchi di specie aliene invasive, già detiene un triste primato in questo senso. Allo stato attuale, sono già quasi un migliaio quelle censite e il tasso di arrivo e insediamento di nuove specie è solo che destinato ad aumentare. Il problema, che non è solo marino ma anche terrestre, risiede nel fatto che tali organismi competono con quelli autoctoni al punto tale da portare questi ultimi sempre più vicini alla soglia dell’estinzione. Le specie aliene, in alcuni casi, sono accidentalmente introdotte dall’uomo perlopiù attraverso le vie del commercio, in altri, arrivano da sole proprio perché ‘attratte’ dalle nuove condizioni indotte dal cambiamento climatico. Basti pensare che le temperature del Mediterraneo stanno aumentando il 20% più rapidamente rispetto alla media globale, il che rende il bacino un habitat sempre più ideale per molte specie tropicali. [di Simone Valeri]

Abbiamo preso un granchio! Report Rai PUNTATA DEL 10/07/2023

di Giulia Innocenzi Con la collaborazione di Greta Orsi, Giulia Sabella

La produzione di vongole minacciata dal granchio blu

A Comacchio e Goro, i comuni del ferrarese sul Delta del Po, viene prodotto il 55% delle vongole consumate in Italia. Ma questa produzione è messa seriamente in pericolo da una specie aliena, che ha cominciato a proliferare massicciamente dal mese di maggio, subito dopo la prima alluvione che ha colpito l'Emilia-Romagna: il granchio blu. Che fare per salvare un'economia che vale 100 milioni di euro? Giulia Innocenzi ha parlato con i pescatori e ha intervistato l'assessore all'Agricoltura e alla Pesca dell'Emilia-Romagna Alessio Mammi per capire le soluzioni immediate da mettere sul tavolo.

ABBIAMO PRESO UN GRANCHIO Di Giulia Innocenzi Collaborazione Greta Orsi e Giulia Sabella Immagini di Alfredo Farina, Carlos Dias Montaggio e grafica Giorgio Vallati

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO A Comacchio, sul Delta del Po, è alta stagione per la pesca delle vongole, un settore da cui dipendono 300 famiglie. Ma di vongole ce ne sono sempre meno e la causa la si può cercare nelle reti dove, più che pesci, rimangono impigliate centinaia di esemplari di una specie aliena.

GIULIA INNOCENZI Ecco i primi granchi.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Il granchio blu, che fino a poco tempo fa in laguna non esisteva.

GIULIA INNOCENZI Ma è praticamente una pescata di solo granchi blu qua.

PESCATORE Sì, noi peschiamo solo granchi blu adesso.

SECONDO PESCATORE Spaccano la vongola così, poi la aprono e se la mangiano. Vedi?

PESCATORE Ecco, questi sono i morsi alle vongole.

SECONDO PESCATORE Vedete. Tutte aperte col taglio. Guarda quante ce n’è qua. Guarda, sono tutte così.

PESCATORE Questo è il nostro granchio, granchio comachese. Non esistono così più perché loro se li sono mangiati tutti.

GIULIA INNOCENZI E queste ostriche ce l’hanno il mollusco dentro?

PESCATORE No, sono stati mangiati.

GIULIA INNOCENZI Già tutti mangiati? Ma sono tutte spacciate? Dice che non ce n’è neanche una?

PESCATORE Guardi è aperta. Se l’è mangiata lui, quelle piccole.

GIULIA INNOCENZI Non c’è più niente.

PESCATORE Perché mettono anche le uova loro all’interno.

GIULIA INNOCENZI Il granchio blu mette le uova nell’ostrica?

PESCATORE Sì.

GIULIA INNOCENZI Ma da questa pesca eccetto il granchio blu non si può salvare niente?

PESCATORE Niente. È tutto morto.

GIULIA INNOCENZI Lei da quanti anni è che fa questo mestiere?

PESCATORE Dall’89.

GIULIA INNOCENZI Ha mai visto una cosa del genere?

PESCATORE Mai!

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Il problema è che il granchio blu non ha predatori. E così può riprodursi indisturbato.

PESCATORE Questa è una femmina.

GIULIA INNOCENZI Queste sono le uova.

GIULIA INNOCENZI E ogni femmina quanti granchi può fare?

PESCATORE Dalle 1500 a 1700.

GIULIA INNOCENZI 1700 granchi a femmina?

PESCATORE Sì, da 1500 a 1700, due volte all’anno

GIULIA INNOCENZI Quindi ha una proliferazione enorme.

PESCATORE Enorme. Le uova le mangiano i branzini, che non ci sono più, e le anguille, che non ci sono più.

GIULIA INNOCENZI Quindi voi puntate soprattutto a pescare le femmine.

PESCATORE Adesso è il momento di prenderle e distruggerle un po’. Così ne prendi uno ma ne hai presi 1500, 1700. Noi li ammazziamo questi.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Comacchio e Goro sono due comuni che si affacciano sul Delta del Po, è l’area ideale per coltivare e allevare le vongole. Ecco, in quella sacca vengono coltivate il 55% delle vongole che verranno poi commercializzate nel resto del Paese e il 40% di quelle commercializzate in Europa. È un’attività particolare quella dei vongolari che si svolge in un ecosistema molto fragile, che è messo a rischio quest’anno dal proliferare anomalo del granchio blu. È una specie aliena che proviene dal Nord America, dalle coste del Nord America ed è stata importata sul Delta del Po probabilmente dalle navi mercantili quando imbarcano l’acqua per equilibrare il peso quando viaggiano vuote. Il primo avvistamento c’è stato nel 1940 in Adriatico però a maggio, dopo la prima alluvione in Emilia-Romagna, c’è stata una evoluzione, una proliferazione anomala. È diventato un problema che rischia di mettere in ginocchio un’intera comunità ed una economia che vale cento milioni di euro l’anno. La nostra Giulia Innocenzi.

GIULIA INNOCENZI Lei ha avuto molti danni per il granchio blu?

LUCA BOVOLENTA - PESCATORE In questa zona quasi il 100%.

GIULIA INNOCENZI E come mai proprio qui in questa zona?

LUCA BOVOLENTA - PESCATORE Perché è una zona probabilmente che ha risentito di più dell’acqua dolce che entrava dal Po. Quando è entrata l’acqua dolce loro sono come… Non so, impazziti.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Luca Bovolenta è uno dei 1500 pescatori di vongole di Goro, e ha la concessione proprio fra i due imbocchi del Po. Sarebbe un’area privilegiata per la coltura delle vongole, se non fosse che lo è anche per il granchio blu.

DIEGO VIVIANI - BIOLOGO - SINDACO DI GORO (FE) - DAL 2016 AL 2021 Questo granchio qui ha la particolarità di risalire anche i fiumi finché trova un minimo di salinità, perché resiste fino a un tre per mille di salinità. Però è chiaro che con le piene dei fiumi c’è stata una migrazione di questi granchi dal letto dei fiumi alle lagune.

LUCA BOVOLENTA - PESCATORE A metà marzo erano stati seminati due quintali di seme da 800, mille pezzi chilo, a partire dalla prima settimana di maggio, quando è entrata la prima acqua dolce, il primo sbalzo di salinità, nel giro di 15 giorni le hanno mangiate completamente. Il 100%.

GIULIA INNOCENZI Quindi il granchio blu le ha mangiato tutte le vongole?

LUCA BOVOLENTA -PESCATORE Tutte, dalla prima all’ultima. Non ce n’è più una. Il risultato è questo, vedi. Le spaccano, le mangiano e le distruggono.

GIULIA INNOCENZI Cioè, proprio il granchio blu la taglia.

LUCA BOVOLENTA - PESCATORE Sì. GIULIA INNOCENZI Sono tutte spaccate.

LUCA BOVOLENTA - PESCATORE Tutte, tutte. Una non la trovi. Questa che sembra viva, nulla, non la trovi.

GIULIA INNOCENZI Ninete.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Il danno per Bovolenta al momento ammonta a circa 20 mila euro e queste vongole sarebbero arrivate sul mercato fra Natale e primavera prossimi. Ma ora c’è da preservare i semi delle vongole, che vanno tenuti nelle buste prima di essere seminati e che costituiscono la raccolta dell’anno prossimo. LUCA BOVOLENTA - PESCATORE Questa è una struttura e queste sono tutte le buste. Ci sono delle buste con già della roba pronta da maggio e le ho lasciati nelle buste.

GIULIA INNOCENZI Quanto le sono costati questi semi?

LUCA BOVOLENTA - PESCATORE Ogni anno spendo intorno ai 40, 45 mila euro di semi.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Bovolenta è stato uno dei primi ad avere la coltivazione delle vongole divorata dal granchio blu che per i pescatori è un vero incubo, al punto che per capire meglio cosa stia succedendo hanno calato delle webcam sui fondali dove si vede chiaramente come questo granchio usi le chele robuste come coltello e forchetta per aprire i molluschi e mangiarli. Video che si stanno diffondendo nelle chat dei pescatori che terrorizzano ancora di più i vongolari.

TERZO PESCATORE Abbiamo sforzato al massimo per portare a terra più vongole possibili perché vengono mangiate. Invece di fare un mese lavoriamo una settimana e dopo però siamo a casa.

QUARTO PESCATORE Io sono andato con questo attrezzo qua nel mio vivaio per pulire un po’ anche dalle alghe e nel frattempo in un’oretta abbiamo preso questi granchi qua.

GIULIA INNOCENZI Cioè, in un’ora lei ha preso quattro casse di granchi. È totalmente invaso quindi il vivaio.

QUARTO PESCATORE È una cosa allucinante.

GIULIA INNOCENZI E le vostre vongole al momento come stanno?

PESCATRICE Si prega.

GIULIA INNOCENZI Lei ha già seminato per l’anno prossimo?

QUARTO PESCATORE Ma me le hanno già mangiate tutte.

QUINTO PESCATORE Abbiamo seminato questo inverno ma questo animale qua ce le ha mangiate tutte. Se non si trova qualcosa non c’è più futuro.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Al momento l’unica soluzione, in mancanza di altri predatori, è pescarli. Ma il mercato deve riconoscere il giusto prezzo al granchio blu, cosicché i pescatori siano incentivati a prenderli.

MASSIMO PENNINI - PESCATORE Questo è un granchio blu.

GIULIA INNOCENZI Questo qualcosa le varrà visto che è grosso.

MASSIMO PENNINI - PESCATORE Qua ultimamente non troppo. Questo è un piccolo che qui al mercato oggi non ha nessun valore. Pagato 55 centesimi al chilo.

GIULIA INNOCENZI Cioè niente.

MASSIMO PENNINI - PESCATORE Niente.

GIULIA INNOCENZI Non conviene assolutamente pescarli.

MASSIMO PENNINI - PESCATORE Ma certo che no eh!

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Oggi che c’è troppa offerta i commercianti, che all’asta del pesce con il loro telecomando decidono il prezzo, non vogliono più saperne di granchio blu.

COMMERCIANTE Adesso lui mi ha detto prima, “Ne compro neanche uno”, e dai! Tutti i giorni granchi, tutti i giorni granchi, la gente si stanca.

GIULIA INNOCENZI E cozze e vongole come stanno messe adesso?

COMMERCIANTE Male! Male! 10 euro al chilo.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E il prezzo delle vongole potrebbe salire molto più se non ci sarà un intervento immediato. Tutti gli occhi ora sono puntati sulla Regione Emilia-Romagna.

ALESSIO MAMMI - ASSESSORE ALL’AGRICOLTURA E AGROALIMENTARE, CACCIA E PESCA – REGIONE EMILIA-ROMAGNA Noi stiamo lavorando a un provvedimento che consenta ai nostri acquacoltori di poter raccogliere questo granchio e poi anche il 12 di luglio è stato convocato un incontro dal ministero perché poi c’è da regolarizzare, normare la possibile commercializzazione del granchio blu. La proliferazione deriva molto probabilmente anche dall’aumentare della temperatura delle acque. Da quando sono assessore ogni sei mesi più o meno ho dovuto affrontare un problema legato agli stravolgimenti climatici in atto.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Allora, l’unica soluzione sarebbe quella di incentivare a pescarlo questo granchio. L’esempio virtuoso viene da Lesina, sul Gargano, dove il CNR ha messo a disposizione uno strumento per pescare esclusivamente il granchio e valorizzarne la commercializzazione. Ora, se si vuole salvare un habitat, l’ecosistema così fragile, Delta del Po bisogna intervenire subito perché siamo in una fase in cui c’è una proliferazione incontrollata di questo granchio blu, una femmina è capace addirittura di depositare fino a due milioni di uova. Però non bisogna intervenire con la logica della pezza ogni tanto perché è come svuotare l’oceano con un cucchiaino. Si costringerebbe i pescatori alla cosiddetta fatica di Sisifo. Fino a quanto potranno reggere?

Una specie abita le zone più oscure dell’oceano. Taiwan, l’emersione da 1000 metri di profondità del Regaleco (o pesce Remo) e la leggenda dei terremoti e maremoti. Redazione su Il Riformista il 18 Luglio 2023 

Un istruttore subacqueo a Taiwan ha registrato un raro filmato di un pesce remo (Regalecus glesne) nuotando in acque poco profonde al largo della costa nord-orientale dell’isola. Il pesce remo vive in profondità insondabili nelle acque dell’Oceano Atlantico, del Mediterraneo e di alcune zone dell’Oceano Pacifico orientale. Gli scienziati ritengono plausibile che il pesce remo possa essere presente anche in altre regioni oceaniche, eccetto i mari polari, anche se al momento mancano prove concrete a supporto di questa ipotesi.

È la prima volta in oltre dieci anni di immersioni che incontra questa specie. Il pesce aveva due cicatrici rotonde, probabilmente segni di morsi di uno squalo. Secondo la credenza popolare, l’emersione di questo pesce dai fondali è associata all’attività sismica nonostante non esistano prove scientifiche di alcun tipo.

Poco dopo l’avvistamento, si è verificato un terremoto di magnitudo 7,2 nell’Alaska settentrionale, ma l’allerta tsunami è stata successivamente annullata. L’Alaska registra molti terremoti all’anno, ma la maggior parte sono troppo piccoli per essere avvertiti.

Di fatti non c’è nessuna correlazione tra gli eventi sismici e le apparizioni del pesce. Il tutto nasce dal folklore giapponese dove è conosciuto come Ryugu no Tsukai, o Messaggero del Palazzo del Dio del Mare. Il sismologo Yoshiaki Orihara in un articolo del 2019 pubblicato sul Bulletin of the Seismological Society of America afferma che “non si può certo confermare l’associazione tra i due fenomeni”.

Le apparizioni tra l’altro sembrerebbero collegate con il riscaldamento del mare. Uno studio del 2018 ha trovato una correlazione tra gli avvistamenti di pesci remo e gli anni di El Niño, quando l’acqua dell’Oceano Pacifico equatoriale centrale e orientale è molto più calda del solito.

Nel regno sommerso di Moby Dick. Redazione su L'identità il 13 Maggio 2023.

di GIADA BALLOCH

Nelle profondità dell’oceano, Moby Dick regna sovrano, mentre i capodogli sono guardiani di un mondo segreto e immenso, intrecciando il destino dei marinai con le loro leggende ancestrali. I misteriosi abitanti degli abissi continuano ancora oggi a suscitare meraviglia e curiosità negli studiosi di mammiferi marini di tutto il pianeta. Appartengono alla famiglia degli odontoceti e sono i più grandi esseri dentati viventi, con gli adulti che possono raggiungere una lunghezza media di 15-18 metri e un peso di circa 40-50 tonnellate. I denti possono raggiungere una lunghezza di 20 centimetri e vengono utilizzati per combattere tra di loro e per catturare prede come calamari e pesci. Per ricercare il cibo sono veri e propri campioni di immersione, in grado di raggiungere profondità impressionanti fino a 3000m. Hanno sempre catturato l’attenzione dell’immaginario collettivo grazie al loro fascino unico. L’opera letteraria “Moby Dick” di Herman Melville, pubblicata nel 1851, ha contribuito a consolidare la fama di questi cetacei. Il romanzo, narra la storia del capitano Ahab e della sua ossessione per la balena bianca che gli ha strappato la gamba. Questo classico riflette la potenza e la maestosità di queste creature marine. Quello che non molti sanno però è che in realtà l’animale altro non era che un capodoglio. È infatti importante sottolineare che sono molto diversi dalle altre balene, sia per le loro caratteristiche fisiche che per il loro comportamento sociale. Una delle differenze più evidenti tra i capodogli e le altre balene è la forma della loro testa. Mentre la maggior parte ha una testa relativamente piccola rispetto al corpo, i capodogli presentano una capo massiccio e squadrato che rappresenta circa un terzo della loro lunghezza totale. Questa testa imponente ospita il celebre spermaceti, una sostanza oleosa di colore bianco giallastro che si trova all’interno del cranio. Il prezioso olio ha reso questi animali a lungo oggetto di caccia dei balenieri. Tra le sue diverse funzioni troviamo la regolazione della galleggiabilità e la creazione di suoni tipici per l’orientamento. Altro elemento distintivo è il loro complesso sistema di comunicazione. Essi utilizzano una vasta gamma di suoni, tra cui clic e fischi, per comunicare tra loro e navigare nel vasto ambiente oceanico. Questi suoni, emessi attraverso una cavità nella testa chiamata “melon”, possono essere uditi a grandi distanze e consentono loro di coordinarsi durante la caccia al cibo o di avvisarsi reciprocamente dei pericoli. Questa sofisticata forma di comunicazione è una delle ragioni per cui sono considerati animali estremamente intelligenti e sociali.

Parlando di intelligenza, i capodogli si distinguono anche per le loro abilità cognitive. Studi condotti sugli esemplari in cattività hanno dimostrato la loro capacità di apprendimento, risoluzione dei problemi e cooperazione. Molti ricercatori li considerano come una delle specie animali più intelligenti in assoluto. La loro presenza negli oceani è essenziale e continua a ispirare i biologi marini a scoprire sempre più informazioni su di loro.

Carlo Ottaviano per “il Messaggero” il 28 maggio 2023. 

La saggezza popolare (che non sbaglia mai) suggerisce di mangiare le cozze - piatto icona dell'estate - nei mesi senza R (come appunto luglio o agosto), nonostante la pesca (o raccolta che dir si voglia) maggiore sia in autunno inizio inverno. È lungo l'elenco delle differenze tra una cozza e un'altra.

Di sesso (il mollusco femmina più dolce e carnoso è arancione vivo mentre tende al giallo il maschio); di origine (250 allevamenti di peoci in Veneto, denti di vecchia nel Comacchio, mòscioli nella Marche e così ancora in Puglia, Sicilia, Sardegna, Friuli. Perfino il nero può essere più o meno nero: tanto è bella la carissima Portonovo di Ancona (nera violacea all'esterno e madreperlaceo all'interno), quanto brutta la cozza pelosa di Bari (strepitosa però da mangiare cruda).

E poi le diverse ricette: nel guazzetto di pomodoro, in pastella e fritte, allo zafferano e ripiene, gratinate, in sotè (variante made in Napoli del sautè francese). Piatti che da regione a regione cambiano nome. Tranne uno riso patate e cozze che per essere perfetto deve chiamarsi Tiella pugliese, sintesi di mare e campagna e di luoghi lontani. «Non è fatto solo di ingredienti pugliesi racconta Emanuele Natalizio, chef a Bitonto quindi è replicabile in ogni parte d'Italia».

Tutti prodotti popolari anche nel costo. Il piatto nasce nella Puglia rurale interna. Inizialmente senza cozze, solo con ortaggi, riso e patate. Nei paesi di mare vengono aggiunti i mitili e il matrimonio di gusto diventa ideale. A condizione di non sbagliare la scelta delle varietà. Il riso (ben sciacquato per evitare che diventi colloso) deve essere a chicco grosso, con ottime capacità di assorbimento, tipo Arboreo o Carnaroli (i cuochi pigri sono invitati a dimenticare i risi trattati parboiled impermeabili ai sapori).

Le patate devono essere a pasta gialla (contengono più amido). Il pecorino è il romano (vade retro grana e parmigiano) e l'olio extravergine di oliva. Zucchina sì, zucchina no è uno dei temi più combattuti. Nel rispetto della stagionalità, andrebbe comunque solo d'estate. «Si usa afferma Natalizio - per rendere il piatto più succoso. Se si usano, le zucchine vanno posizionate sempre prima del riso». L'acqua delle cozze va filtrata alla perfezione almeno tre volte. «Non apritele aggiunge il cuoco - sul fuoco, devono assolutamente essere pulite alla perfezione e aperte a mano».

Determinante su tutto nella riuscita del piatto è il recipiente per la cottura. Tradizione delle nonne pretende una specie di tegame circolare in terracotta. Che, appunto, si chiama tiella (con le dovute varianti: tièdde a Bari, taieddhra nel Salento). Il suggerimento di Natalizio è «di cuocere al massimo della temperatura, perché il coccio ci mette molto di più a riscaldarsi, ma anche molto tempo a raffreddarsi». Tanti, infine, i grandi chef che giocano con riso e cozze. 

Intrigante è la Zuppetta di Marco Baglieri a Noto. Qui la parte popolare e di antica tradizione è il caciocavallo. «La parte iodata delle cozze spiega lo chef - si sposa perfettamente con quella grassa di questa eccellenza del territorio che si adatta amabilmente col mitile. Aggiungo un ulteriore elemento iodato che è la salicornia (asparago di mare) e una cialdina di riso nero soffiato». 

Estratto dell'articolo di Carlo Ottaviano per “il Messaggero” il 16 maggio 2023. 

Di oro hanno il nome Golden ma non il prezzo. Sono le italianissime ostriche dal guscio color oro che in Europa crescono solo lungo il Delta del Po, in provincia di Ferrara, scoperte otto anni fa dai pescatori di Goro e Gorino. […] Identica storia per l'elegantissima Black, nero-violacea.

«Attualmente - racconta Vadis Paesanti che è vicepresidente di Fedagripesca Confcooperative dell'Emilia - ne produciamo solo 130-150 quintali l'anno. Un ottimo inizio». Quantità ben maggiori per le altre varietà (sia concave che piatte) made in Italy. Sempre sul Delta del Po c'è la Rosa di Scardovari (diversa dalla francese Tarbouriech); in Liguria la Verde del Golfo dei Poeti; in una decina di siti in Sardegna; in Puglia con la Bianca del Gargano; nelle Marche.

LE REGOLE

Quasi tutte in vendita nei supermercati a prezzi alla portata di tutti: tra 1,30 e 1,80 euro ciascuna. «Eppure denuncia Paesanti vengono considerate un lusso e gravate dall'Iva al 22%. In Francia è al 5%, in Portogallo al 4%. Perfino il costosissimo tartufo è al 10%». Vadis ricorda che l'ostrica «si degusta, non si inghiotte come fossimo cormorani».

Ecco le sue regole: «Apritela 10 minuti prima. Non usate forchettine, fatela scivolare in bocca, dove dovrete tenerla 20-30 secondi come si fa col vino. Crescerà la salivazione, ne capirete la freschezza e l'acidità; accarezzatela con la lingua, quindi masticatela dolcemente per coglierne carnosità e croccantezza. La Black è cremosa, sembra mascarpone fresco. La Golden è salmastra, né troppo dolce, né troppo salata. In entrambe coglierete gli odori della Laguna, la brezza primaverile».  Le ostriche al 70% sono fatte di acqua. Ovviamente conta il territorio dove sono allevate. «Per il vino si parla di terroir, per le ostriche di marroir», spiega Gian Marco Zedrino, fondatore assieme a Renato Ravizza di I.Wai. 

GLI ALLEVATORI

In 10 anni da semplici importatori sono diventati allevatori in Italia con metodi innovativi. Nel portafoglio, tra le altre varietà, la famosa Mamer di Olbia, la candida, perlata e carnosa Sandalia di Tortolì sempre in Sardegna e l'adriatica Lucrezia («che in bocca spiega provoca il contrasto che troviamo tra il burro salato e la pungente frutta secca»). Tutte le ostriche italiane sono molto polpose e carnose. «Se in Francia spiega Zedrino la definizione di "special" spetta solo a quelle che superano il 10% di polpa rispetto al totale del peso (guscio e acqua compresi), allora le nostre sono "super special" perché superano abbondantemente il 20-25 % di polpa». […]

Dietro la carne di pollo c’è una filiera di soprusi e sfruttamento. L’Unione europea importa pollame dalla Thailandia, dove l’industria usa immigrati cambogiani pagandoli meno di 200 euro al mese per 10 ore di lavoro al giorno in condizioni disumane: «Serve fissare un regolamento per evitare lo sfruttamento di persone e ambiente». Chiara Sgreccia su L'Espresso il 22 Giugno 2023 

Con il caldo l’odore del sangue diventa più acre. Accanto a Phea i bambini saltano i sacchi di plastica pieni di pollo, appoggiati sul pavimento di cemento crepato da cui trabocca la terra. Al gioco partecipano anche un meticcio scodinzolante e una madre che insegue il più piccolo dei suoi bambini. La temperatura è di quasi 40° anche se sta per piovere. Due uomini tirano i sacchi dentro al furgone all’ingresso dell’azienda, altri finiscono in un congelatore scoperchiato da ore.

Phea taglia il pollo senza alzare lo sguardo: senza sforzo, assuefatta, in silenzio. Con una mano sposta la lama, con l’altra avvicina le ossa. Un guanto è di stoffa, l’altro di plastica rotta.

Dorme a poche centinaia di centimetri dal tavolo sporco di sangue rappreso su cui trascorre 10 ore al giorno, per uno stipendio di 190 euro al mese. Dentro a una baracca di lamiera, con il materasso che occupa tutto lo spazio e l’armadio diffuso lungo le pareti.

«Sono arrivata a Saraburi, in Thailandia, due anni fa alla ricerca di un’occupazione», racconta la lavoratrice d’origine cambogiana, cresciuta in un villaggio vicino al confine poroso tra i due Stati. Vive dentro la piccola azienda, con altri lavoratori e le loro famiglie. Sono tutti stranieri. Non ha tempo libero, non ha vita privata. Non ha documenti, un’assicurazione sanitaria, un contratto, un mezzo di trasporto per raggiungere il mercato attraverso la strada a scorrimento veloce che arriva fino a Bangkok. I figli non vanno a scuola. Così per ogni necessità dipende dalla datrice di lavoro.

Phea non conosce il nome della sua posizione lavorativa ma trita il pollo, uno degli step della filiera avicola: dall’allevamento alla produzione della carne. Che anche l’Europa importa, nel 2021 la Thailandia era il terzo fornitore di pollame dell’Ue. Un settore che cresce attira sempre più lavoratori: i cambogiani emigrati nel Regno di Maha Vajiralongkorn sono almeno un milione, alla ricerca di condizioni di vita migliori. Perché, sebbene i ritmi di lavoro siano estenuanti e i diritti scarsi, i soldi servono.

«Anche per ripagare il debito che la maggior parte di noi contrae quando lascia casa per una nuova occupazione», racconta Nu dal mercato di Lopburi, pieno di lavoratori che, appena finito il turno nella grande azienda di pollame a poche centinaia di metri, passano per fare la spesa. Sono colleghi di Nu, ne riconosce alcuni con cui scherza prima che montino sui motorini e sfreccino via alzando una nuvola di polvere bianca. 

A pochi passi dal mercato, alla fine di una salitina fatta di terra e fango, ci sono i palazzoni che ospitano i lavoratori, quelli che non possono permettersi una residenza privata. «Ci detraggono il costo dell’affitto direttamente dallo stipendio. Così come quello delle bollette, dell’assistenza sanitaria, i soldi necessari per i documenti che ci servono per stare in Thailandia. Alla fine quello che mi resta per vivere è poco, anche perché mando una parte dei guadagni alla mia famiglia in Cambogia. Ma non importa: esco poco, non ho tanti amici. Mi sono trasferita per lavorare e fare soldi, ed è quello che sto facendo. Non mi interessa un’occupazione migliore, un avanzamento di carriera, non voglio più responsabilità», conclude la lavoratrice impiegata nella filiera del pollo, senza un contratto a quanto dice, in una delle aziende più grandi e conosciute del Paese.

Nu ha 35 anni ed è arrivata a Lopburi 6 anni fa da Phnom Penh, la capitale del Regno di Cambogia: «È stato difficile andarmene, ogni volta che torno a casa scoppio a piangere. Ma ormai la mia vita è questa, ho scelto così». Dorme in una stanza con altre tre colleghe sui materassi bassi che poggiano sul pavimento. Per cucinare utilizza un’apparecchiatura simile ai fornellini da campeggio. Quando è in fabbrica, durante il turno, altre quattro lavoratrici occupano i posti nella camera da letto per riposarsi. Per ottimizzare tempi e spazi. 

«Con la Corporate sustainability due diligence directive, che il 1° giugno ha incassato il voto favorevole del Parlamento, l’Unione europea, si impegna affinché le aziende tutelino l’ambiente e i diritti dei lavoratori. Non solo per la propria attività ma anche per quelle dei partner nella catena del valore. L’economia dovrà essere sostenibile anche nei territori extra-Ue dove spesso le legislazioni sono meno capaci di tutelare questi aspetti», spiega Margherita Romanelli, coordinatrice policy e advocacy di WeWorld, e della campagna #OurFoodOurFuture, che contrasta le conseguenze del lavoro minorile, sfruttamento, degrado ambientale.

Per far sì che le aziende rispondano dell’impatto che generano sulle persone e sul pianeta e per garantire l’accesso alla giustizia alle vittime degli abusi, con particolare attenzione ai soggetti più vulnerabili come donne, migranti, e popolazioni indigene, We World ha aderito anche alla campagna “Impresa 2030: Diamoci una regolata”. «Un’azione urgente perché i comportamenti scorretti danneggiano tutti, incluse le  imprese virtuose che subiscono una concorrenza sleale». 

Come chiarisce Romanelli, si tratta una necessità chiara soprattutto ai più giovani che nel 77 per cento dei casi, si capisce da un’indagine condotta da WeWorld, pensa che le attuali abitudini di consumo non siano sostenibili.

«E che sia necessario un modello economico diverso e più sostenibile. Così la direttiva punta a fare in modo che le aziende adottino condotte responsabili e rispettose dei diritti umani e dell’ambiente. Prevenendo le pratiche di sfruttamento, imponendo sanzioni. Garantendo risarcimenti a chi subisce le violazioni. Ma il lavoro da fare è tanto, come le lacune da colmare. Anche in vista del dialogo tra Commissione, Parlamento e Consiglio dell’Ue». Per fare in modo che i diritti non abbiano un valore diverso sulla base del Paese di provenienza. Ma anche per frenare la concorrenza sleale.

Che polli! Report Rai. PUNTATA DEL 09/01/2023 di Giulia Innocenzi 

Collaborazione di Giulia Sabella e Greta Orsi

Nel mondo ci sono 26 miliardi di polli, 500 milioni solo in Italia.

La maggioranza di tutti questi polli cresce negli allevamenti intensivi, che secondo gli scienziati sono l'incubatoio dove potrebbe svilupparsi la prossima pandemia. Cosa stiamo facendo per evitare nuovi pericolosi virus? E come sono gli allevamenti in Italia? E quelli biologici? Report mostrerà delle immagini esclusive su come vengono allevati i polli in quella che è considerata un'eccellenza del comparto degli allevamenti biologici. Come sono allevati quei polli? Le strutture che li ospitano sono conformi? E chi controlla che tutto venga fatto nel rispetto rigoroso della legge?

Le risposte di Fileni alla redazione di Report inviate il 9 gennaio 2023 alle ore 18.18

Egregi Signori, rileviamo che ad onta non solo delle diffide, ma anche delle informative che Vi erano state inviate, ancora nella mattinata del 7 gennaio avete continuato a pubblicare sul web anticipazioni di un servizio palesemente diffamatorio e chiaramente volto ad istigare il sabotaggio di Fileni Rileviamo altresì che, addirittura nell’edizione odierna della testata Il Fatto Quotidiano, è stato pubblicato un articolo intitolato “Altro che pollo allevato bio: Fileni nel mirino di Report”, volto a dare ulteriori anticipazioni sui contenuti diffamatori della puntata del Vostro programma, articolo che ulteriormente conferma il vostro sleale modus operandi, in quanto dimostra come Report abbia anticipato al Fatto Quotidiano dati e informazioni di dettaglio mai comunicati a Fileni (che pure aveva ripetutamente chiesto di potere esaminare i riscontri della Vs. inchiesta), con buona pace del Vs. professato intendimento di garantire il fattivo contraddittorio con l’Azienda. Lo stillicidio di anticipazioni denigratorie sul web sta inoltre proseguendo in queste ore, con la pubblicazione su facebook di altri estratti documentali, su cui non avete mai permesso a Fileni di interloquire in maniera consapevole e documentata. Detto ciò, riportiamo di seguito le risposte ai quesiti da Voi posti solo lo scorso 4 gennaio, affinché, da un lato, abbiate l’ennesima riprova dell’assoluta infondatezza della Vostra inchiesta e, dall’altro, non osiate affermare che Fileni si è sottratta alle Vs. (peraltro strumentali e capziose) domande. • Ci risulta, da prove documentali raccolte la scorsa estate, che alcuni polli che insistono nei vostri allevamenti di Monte Roberto, Ripa Bianca e Mucciolina vengano uccisi dagli operai con la tecnica della torsione del collo, pratica ritenuta non sarebbe legale. Chiediamo se siete a conoscenza di tale pratica e se fosse vera quali correzioni ritenete di intraprendere. InvitandoVi a diffidare di “prove documentali” della cui genuinità non siate in grado di fornire sicura evidenza, segnaliamo che Fileni rispetta e promuove quanto previsto dalla legge in tema di benessere animale (d.lgs. 181/2010): i capi-allevamento ed i soccidari ricevono, infatti, una formazione ad hoc erogata in collaborazioni con le ASL, che concerne, tra le altre cose, anche le corrette modalità di abbattimento. Un team interno di veterinari e tecnici è, inoltre, continuamente impegnato nel monitoraggio e nell'implementazioni di azioni migliorative. L’abbattimento ordinariamente avviene all’interno degli impianti di macellazione, con il sistema automatizzato del taglio del collo, come previsto dalle procedure per il contenimento della sofferenza animale. Può accadere che, prima di quella fase, animali malati o sofferenti vengano soppressi dagli addetti dei singoli allevamenti, come previsto dalla legge (Cfr. art. 9, all. 1 al d.lgs. 181/2010). I nostri operatori sono formati per praticare correttamente l’abbattimento, nel rispetto della normativa di settore, che contempla la torsione, previa distensione anche manuale del collo (c.d. dislocazione) espressamente prevista e autorizzata dall’art. 4 del Regolamento Europeo 1099/2009, relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento (cfr. All. 1 – Tab. 1, punto n. 5). Il mancato rispetto delle corrette modalità di esecuzione di questa manovra costituisce una violazione delle procedure aziendali, passibile di sanzioni a carico degli operatori negligenti. Con particolare riferimento al contenuto di un video asseritamente raccolto dalla LAV e pubblicato solo nella mattinata odierna sulla pagina Facebook di Report, che illustrerebbe il calpestamento di polli ad opera di un addetto presso il sito di Monte Roberto, è appena il caso di rilevare che: i) non sono evincibili le circostanze di luogo e di tempo in cui il video sarebbe stato realizzato, onde l’Azienda – mai prima d’ora messa in condizione di esaminare quel materiale – si riserva ogni più opportuna verifica interna; ii) ove anche si trattasse davvero di un allevamento riconducibile a Fileni, la ricezione e l’utilizzo da parte di Report di immagini evidentemente “rubate” ed acquisite indebitamente solleverebbe diversi interrogativi in punto di liceità (finanche penale); iii) in considerazione di ciò, è tutt’altro che peregrino il sospetto che quelle immagini possano costituire il frutto di un allestimento ad hoc in pregiudizio dell’Azienda, se non una vera e propria forma di deliberato sabotaggio “con il favor di telecamera”. Detto questo, ribadiamo che ogni eventuale condotta non corretta tenuta da singoli addetti agli allevamenti configurerebbe una violazione dei doveri collegati al rapporto di lavoro (assumendo anche rilevanza disciplinare) e non può certo essere spacciata per una policy aziendale, né per una prassi favorita o tollerata dalla società, che – prima di oggi – non aveva mai avuto segnalazioni in tal senso, neppure dalla Lav. • Come viene controllato il lavoro degli operatori per evitare, ad esempio, degli abbattimenti arbitrari? Premesso che non si capisce per quale ragione gli operai dovrebbero cimentarsi in “abbattimenti arbitrari”, che non giovano né a loro, né all’azienda, si segnala che i capi-allevamento supervisionano l'andamento del ciclo produttivo e interagiscono almeno due volte a settimana con veterinari o tecnici con cui condividono eventuali problematiche sanitarie. Sotto indicazione del servizio veterinario istruiscono poi gli operatori su terapie fitoterapiche o abbattimenti da implementare per evitare inutili sofferenze ad animali malati. L'azienda valuta gravemente comportamenti non in linea con le indicazioni veterinarie e – si ripete – non ricava ovviamente nessun vantaggio da abbattimenti arbitrari. Detto questo, come certo Vi è noto, le leggi italiane vietano di filmare i dipendenti sui luoghi di lavoro per controllarne a distanza l’attività, onde la sorveglianza visiva h 24 (che la Vs. inchiesta sembra indicare come unica soluzione per un effettivo contrasto ai comportamenti scorretti) è semplicemente impraticabile. Peraltro, con particolare riferimento alle immagini da Voi pubblicate su Facebook nella mattinata odierna, nel richiamare tutto quanto sopra già contestato circa la rilevanza e la valenza delle stesse, segnaliamo che dette immagini non consentono di affermare con certezza che gli animali abbattuti dall’operatore (nelle 3-4 sequenze da Voi filmate) non versavano davvero in quelle gravi condizioni di sofferenza che, ai sensi di legge, legittimano la soppressione in allevamento: l’affermazione che si tratta di animali uccisi arbitrariamente per mancato raggiungimento di un fantomatico “accrescimento ponderale” è quindi una mera insinuazione, suggestiva e inutilmente denigratoria. Quanto al documento aziendale da Voi citato (peraltro per estratto), da cui risulterebbe che nell’allevamento di Ripa Bianca si sono registrati fino a 280 abbattimenti in un sol giorno, rileviamo – con riserva delle più opportune verifiche sulla genuinità del documento e sulla correttezza del dato – che il numero in questione (280 animali su un impianto che ne alleva diverse decine di migliaia) non consente di postulare l’esistenza di pratiche di decimazione, men che meno arbitraria, tanto più che quel picco di mortalità (che risulta un unicum all’interno dalle stesso documento da Voi esibito per estratto) potrebbe spiegarsi in ragione di specifici eventi eccezionali e/o con ragioni sanitarie. Del resto, lo stesso veterinario da Voi intervistato nel video Vi rammenta la necessità di valutare quei numeri nella loro incidenza percentuale, ciò che – considerati i numeri complessivi dell’allevamento di Ripa Bianca – conferma la scarsa incidenza degli abbattimenti in allevamento e, al contempo, non consente certo di parlare di sistematiche uccisioni arbitrarie. Sulla scorta delle prime verifiche che l’Azienda ha potuto svolgere in queste ore, il documento citato nel servizio si riferisce al ciclo accasato il 27 maggio 2022 nel box 6 dell’allevamento di Ripa Bianca, ciclo che – complessivamente considerato – ha avuto un tasso di mortalità cumulativa perfettamente in linea con i parametri indicati dall’ASL per il benessere animale. Sempre in base ai primi accertamenti, si è inoltre appurato che il picco di 280 abbattimenti, da Voi tanto enfatizzato, dipese da ragioni sanitarie legate ad alcuni casi di osteomielite, che creavano evidenti difficoltà di deambulazione: il problema è stato quindi trattato nel rispetto dei protocolli sanitari vigenti, che prevedono l’abbattimento degli animali sofferenti. • Da prove documentali esaminate anche da competenti autorità veterinarie emergerebbe che negli allevamenti Fileni di Monte Roberto, Ripa Bianca e Mucciolina avverrebbero abbattimenti arbitrari di polli. Vorremmo sapere se Fileni ne è al corrente e se sì, quali sono le motivazioni. Nell’invitarVi nuovamente a diffidare di “prove documentali” dalla dubbia genuinità (inclusi eventuali video, asseritamente riferibili alle prassi aziendali, ma magari frutto invece di manipolazioni e sabotaggi di antagonisti della Società), ribadiamo che Fileni non ha nessun interesse ad abbattere “arbitrariamente” un numero di animali maggiore di quello strettamente necessario, pratica che sarebbe non solo inutilmente crudele, ma anche antieconomica. Per questo, al di fuori dei casi di macellazione ordinaria, l'abbattimento di animali avviene solo al fine di interrompere esistenti stati di sofferenza incurabile o di prevenirne l'aggravamento. Ogni eventuale accesso o abuso compiuto in violazione di tale principio, vedrebbe l’azienda quale soggetto danneggiato e le darebbe titolo di agire nei confronti dei responsabili di tali condotte. Affermare o insinuare che Fileni promuova, incoraggi o anche solo ammatta “abbattimenti arbitrari” sarebbe contrario a verità, oltre che a logica, e dunque diffamatorio per l’Azienda. Vi esortiamo a non fare da cassa di risonanza a eventuali dichiarazioni di segno contrario provenienti da chi, non avendo mai segnalato all’Azienda nessuna presunta anomalie, si sia invece rivolto alla stampa con dichiarazioni denigratorie (sulle cui ragioni e reali finalità dovreste attentamente riflettere). Si richiama inoltre quanto specificato nelle precedenti risposte. • Dalla testimonianza rilasciata da un dipendente ci risulta che Fileni multi i soccidari quando caricano i polli non cresciuti idoneamente che possono creare problemi in fase di macellazione, in particolare se troppo piccoli per arrivare al cosiddetto taglio del collo. Da prove documentali i polli più piccoli ci risulta che vengono abbattuti. È quanto risulta a Fileni? L’inaffidabilità della “testimonianza” da Voi raccolta si appalesa già solo nella semantica del lessico impiegato, posto che Fileni non ha (né potrebbe avere) il potere di “multare” nessuno e men che meno i propri soccidari. Il contratto di soccida prevede piuttosto che – a fronte dell’affidamento di un determinato numero di pulcini da allevare – il soccidario consegni, al termine del ciclo produttivo, un determinato quantitativo di capi idonei alla macellazione. Ovviamente, il mancato raggiungimento dell’obiettivo determina una proporzionata riduzione del compenso per il soccidario. Si tratta di un meccanismo assolutamente ordinario nei contratti di fornitura (valevole anche per gli ortaggi!) che non riguarda né pregiudica il benessere animale, trattandosi anzi di un meccanismo (sembra persino banale evidenziarlo) che incentiva il soccidario a prendersi cura dei capi a lui affidati, allevandoli al meglio. Non è poi per nulla chiaro il senso della seconda parte della Vostra domanda, non essendoci dato sapere né da quali (non meglio precisate) “prove documentali” tragga spunto, né che cosa s’intenda per “polli più piccoli”. Da parte nostra, significhiamo che le procedure aziendali prevedono la macellazione di tutti gli animali giunti a maturazione, secondo procedure automatizzate e previo stordimento degli animali effettuato in conformità alle prescrizioni normative e regolamentari. Tutte le fasi della macellazione sono supervisionate e monitorate da operatori specializzati, che intervengono manualmente (come previsto dalla normativa di riferimento) per risolvere eventuali problemi, con ciò quindi garantendo la regolare e non dolorosa macellazione anche degli animali le cui dimensioni (“troppo piccole”) risultino incompatibili con le procedure meccaniche. Al di fuori del processo di macellazione, l’abbattimento preventivo in allevamento è previsto e praticato solo nei casi di malattie e/o stati sofferenza non risolvibili con gli ordinari processi di cura, come previsto dal ricordato d.lgs. 181/2010. Prima di stigmatizzare presunte irregolarità nell’abbattimento/macellazione degli animali, Vi esortiamo ad approfondire la conoscenza di tutta la normativa di riferimento (cui Fileni si uniforma), ovvero: ▪ D. L. vo 333/98. Attuazione della direttiva 93/119/CE relativa alla protezione degli animali durante la macellazione o l’abbattimento. ▪ Regolamento (CE) n° 852/04 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29/04/04 sull’igiene dei prodotti alimentari. ▪ Regolamento (CE) n° 882/04 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29/04/04 relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere animale. ▪ Regolamento (CE) n° 1/2005 del 22/12/04 sulla protezione animale durante il trasporto e le operazioni correlate che modifica le direttive 64/432/CE e 93/119/CE e il Regolamento (CE) 1255/97. ▪ Regolamento (CE) n° 1099/99 del Consiglio del 24/09/09 relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento e successive modifiche e rettifiche. ▪ Circolare del Ministero della Salute. DGSAF 0000213-P-07/01/2013. Prime indicazioni per l’applicazione del Regolamento (CE) 1099 del 24 settembre 2009 relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento. ▪ Circolare del Ministero della Salute. DGSAF 0004972-P-11/03/2013. Prime indicazioni per l’applicazione del Regolamento (CE) 1099 del 24 settembre 2009 relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento. Correzione deroghe. ▪ D.L.vo 6 novembre 2013, n. 131. Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni di cui al Regolamento (CE) n. 1099/2009 relativo alle cautele da adottare durante la macellazione o l’abbattimento degli animali. ▪ Circolare del Ministero della Salute DGSAF 0027265- 23/12/2014. Reg.(CE) n°1099/2009 – richiesta di misure correttive sul benessere animale durante la macellazione. ▪ Circolare del Ministero della Salute DGSAF 0002022-28/04/15. Richiesta di misure correttive sul benessere animale durante la macellazione. Articolo 8 del Regolamento CE n°1099/2009 – istruzioni per l’uso dei dispositivi di immobilizzazione e di stordimento. ▪ Nota del Ministero della Salute DGSAF 0004213- 19/02/2016. Monitoraggio al macello del benessere dei polli da carne- d.lgs.181/10. ▪ Circolare del Ministero della Salute DGSAF 0011214_23/04/2019. Regolamento CE n°1099/2009 del Consiglio, del 24 settembre 2009, relativo alla protezione degli animali durante l’abbattimento-Nota esplicativa Allegato II. ▪ Ribadiamo che le sequenze video diffuse nella odierna mattinata (fermi i limiti già evidenziati in punto di riferibilità ad allevamenti Fileni, genuinità delle stesse e liceità del loro utilizzo) non permettono di generalizzare gli episodi di maltrattamento ivi rappresentati, episodi che – se comprovati – costituirebbero delle violazioni imputabili agli operatori che le hanno poste in essere. • Da testimonianze documentali, e da testimonianze di dipendenti ci risulta che negli allevamenti dove vengono utilizzati gli uscioli automatizzati ci siano dei problemi di utilizzo. In particolare, ci è stato riferito che quando vengono richiusi automaticamente, talvolta schiacciano e uccidono gli animali che rimangono impigliati; vorremmo sapere qual è il commento di Fileni a riguardo; Fileni non ha contezza di una siffatta problematica, che – al più – potrebbe essersi verificata in maniera episodica. Di nuovo, Vi si invita a riflettere sul fatto che l’azienda non ha nessun interesse a che gli animali restino impigliati negli uscioli, perendo atrocemente prima della macellazione. Al contrario, per monitorare al meglio le fasi di allevamento, inclusi i processi automatizzati di apertura/chiusura degli uscioli, l'attivazione degli stessi viene sempre presidiata da uno o più operatori. Ribadiamo quindi che eventuali problematiche del tipo di quelle che ci segnalate, oltre che episodiche, sarebbero contrarie agli interessi e alle procedure aziendali e non possono quindi essere strumentalmente utilizzate per mettere pubblicamente alla berlina le prassi di allevamento dell’intera Filiera Fileni. • Da che età fate uscire i polli e per quanto tempo? In alcuni allevamenti ci è stato detto dai 10 giorni in poi, in altri da 30; Come dovreste sapere, se avete davvero approfondito l’argomento, non vi sono prescrizioni chiare, né vincolanti sul momento a partire dal quale l’animale biologico deve potere fruire degli spazi aperti, poiché l’unica prescrizione normativa concerne il fatto che i broiler bio devono poter trascorrere almeno 1/3 di vita all’aperto. Il che è peraltro ovvio perché, trattandosi di esseri viventi, sarebbe assurdo imporre età od orari di uscita obbligatori per tutti, dovendosi considerare le caratteristiche degli animali e delle condizioni meteo. Così ad esempio (ma si prova un certo imbarazzo nello spiegare l’ovvio), nella stagione più rigida è opportuno attendere il raggiungimento di un certo livello di sviluppo e robustezza, prima di esporre i capi alle intemperie, laddove – in periodi più miti – anche i pulcini più giovani possono temprarsi al sole. Anche la razza può incidere sulle tempistiche di esposizione, in ragione delle diverse propensioni all’accrescimento più o meno lento dei vari genotipi allevati. È quindi normale che l’inizio delle aperture possa variare, non solo da allevamento ad allevamento (come da Voi riscontrato), ma persino da capannone a capannone o da stagione a stagione. Infine, segnaliamo che l’avicoltura biologica si caratterizza non solo per l’allevamento all’aperto (per almeno 1/3 del ciclo vitale), ma anche per molte altre caratteristiche, che ne determinano il maggior costo di produzione (come il tipo di alimentazione, i maggiori spazi di stabulazione, ecc.): pertanto, Vi invitiamo a riflettere sul fatto che l’avicoltore biologico non ha nessun rilevante vantaggio economicoproduttivo dal tenere gli animali al chiuso, piuttosto che all’aperto, onde non si comprende la logica e l’interesse giornalistico di un servizio che (peraltro falsamente) rimproveri a Fileni di non rispettare i parametri normativi sul punto. • Ci risulta che negli allevamenti di Borghi e Ostra Vetere non ci siano le finestre per far filtrare la luce naturale, come previsto dal regolamento CE 889/2008; Nei due allevamenti citati, la luce naturale entra attraverso le finestre di ventilazione (Borghi) o attraverso gli uscioli di policarbonato trasparente (Ostra Vetere) e si combina con quella artificiale, nel pieno rispetto delle prescrizioni regolamentari (cfr. Regolamento CE 889/2008, in particolare art. 12.4) che prevedono espressamente la combinazione di diverse ‘fonti’ di luce. Come avete avuto modo di vedere, gli impianti di Borghi e Ostra Vetere sono strutture di vecchia concezione, in parte riconvertiti al biologico sempre nel rispetto della normativa di settore, ma con i limiti obiettivi delle strutture originali. Fileni sta apprestando un importante programma di ammodernamento, volto ad allineare anche i capannoni più vetusti agli standard degli allevamenti di nuova generazione, ove peraltro è già oggi accasata la maggior parte dei polli biologici. • Abbiamo avuto modo di vedere la presenza di calcinacci nell'allevamento di Borghi, nei parchetti adibiti al razzolamento degli animali: quali sono le caratteristiche che devono avere i parchetti e perché vi erano presenti dei calcinacci? Nell’impianto di Borghi, durante lo scorso mese di ottobre si è provveduto a compiere opere di manutenzione straordinaria per il miglioramento della gestione delle acque di lavaggio, in corrispondenza di una fase del ciclo produttivo in cui non era prevista l’uscita all’aperto degli animali: proprio i calcinacci da Voi rilevati attestano lo svolgimento dei predetti lavori. Nello stigmatizzare il suggestivo tentativo di mistificare o interpretare malevolmente le dichiarazioni estorte agli operatori dell’impianto, da Voi intervistati con fare inquisitorio, facciamo presente che le spiegazioni che Vi sono state offerte durante l’accesso della Vs. troupe dello scorso 26 ottobre (anche alla luce di quanto da Voi pubblicato nelle anticipazioni del servizio diffuse sul web) sono assolutamente corrette, posto che gli animali all’epoca accasati a Borghi non avevano ancora iniziato il proprio ciclo all’aperto. Ciò vale intuitivamente per i capi presenti dentro al capannone di fronte al quale Giulia Innocenzi ha chiesto perché non vi fossero animali all’esterno: come veridicamente spiegato alla Vs. inviata, tale locale accasava infatti pulcini di pochi giorni, evidentemente inidonei all’uscita. Nell’anticipazione pubblicata on-line il 2 gennaio, avete accusato l’azienda di avere mentito sulla giovane età dei pulcini, sostenendo (con riprese videografiche) che gli animali presenti nel capannone erano “belli grandi”. Nella contestazione subito inviataVi il 3 gennaio, Vi avevamo replicato che, in realtà, gli animali da Voi filmati si trovavano all’interno di un altro capannone e non avevano nulla a che vedere con i pulcini di cui Vi aveva parlato la nostra operaia. A quel punto, pur ammettendo di avere effettivamente scambiato i capannoni, avete cionondimeno continuato ad attaccare Fileni, ripubblicando un’anticipazione del servizio sulle Vs. pagine social in data 7 gennaio, dal provocatorio titolo “liberi di razzolare all’aperto?”, in cui fate credere – contrariamente al vero – che nell’allevamento di Borghi non vengano rispettati i periodi di allevamento all’aperto. Pur essendo ormai evidente la malafede che anima il Vs. operato e la Vs. ostinata indisponibilità ad un leale confronto con i Vs. interlocutori, segnaliamo che i “polli belli grandi”, ripresi da Giulia Innocenzi in uno dei vari capannoni in cui si compone l’allevamento di Borghi, erano animali di ca. 30 giorni di vita, vale a dire animali che – pur non essendo più pulcini (come quelli accasati nel primo capannone oggetto di Vs. interesse) – non avevano ancora raggiunto la fase dell’apertura dell’aia. Come infatti comunicato all’ASL di zona, l’apertura dei primi capannoni di Borghi è avvenuta il successivo 3 novembre, il che è assolutamente in linea con le prescrizioni regolamentari sull’allevamento biologico che richiedono almeno un terzo di vita all’aperto. Ed invero, se solo aveste la cura di considerare che il ciclo di vita di un pollo bio è compreso (a seconda della razza) dai 71 agli 81 o più giorni, è evidente che il fatto di aprire le aie dopo i primi 30 giorni di vita è assolutamente conforme a regolamento e non legittima a sollevare nessun dubbio sulla correttezza di Fileni. • Nell'allevamento di Ostra Vetere abbiamo visto che i parchetti bio non sono recintati: non c'è il rischio che gli animali scappino o che siano vittime di predazione? Premesso che la normativa non prescrive una particolare tipologia di recinzioni, ma solo l’adozione di misure idonee ad evitare che i gruppi di animali si mescolino o confondano tra loro, tanto all’esterno, quanto all’interno degli impianti, è ovvio che l’installazione di sistemi contenitivi volti ad evitare la fuga o la predazione degli animali che razzolano all’aperto è (come potete ben immaginare) un’esigenza primaria dell’avicoltore (che sarebbe il primo danneggiato da quegli eventi). Per quanto consta a Fileni, l’allevamento di Ostra Vetere (che peraltro è di proprietà di un soccidario) è attualmente dotato di barriere mobili per contenere gli animali nelle fasi di razzolamento all’aperto e in attesa di interventi di ammodernamento e manutenzione straordinaria, volti a consolidare un sistema di recinzione fissa. Se (come riteniamo) la Vostra “visita” è coincisa con un periodo in cui non era prevista l’uscita degli animali, non vi è nessuna anomalia nell’avere rilevato l’assenza di recinzioni, posto che le reti mobili ben avrebbero potuto essere rimosse in quella particolare fase del ciclo di allevamento. • Vorremmo inoltre avere una precisazione sulla questione dei livelli di ammoniaca rilevati dalla campagna odorigena fatta dall'Arpam tra l'agosto e il settembre del 2022: premesso che non esiste un limite di legge, l'Arpam ha comunque rilevato valori di ammoniaca superiori a quelli del piano previsionale: visto che studi scientifici accreditati hanno documentato i danni sulla salute umana nel lungo termine e nel breve termine, vorremmo sapere se Fileni ha intenzione di prendere provvedimenti a riguardo. Come noto ad Arpam, se è vero che i valori rilevati nella citata campagna di monitoraggio sono risultati talvolta più alti rispetto ai valori stimati nello studio previsionale di impatto atmosferico, è altrettanto vero che i valori medi giornalieri misurati nella predetta campagna di monitoraggio rispettano il valore guida limite giornaliero della WHO pari a 270 microgrammi/metrocubo. I valori "alti", infatti, si riferiscono a specifici picchi orari, che - ponderati con le altre ore giornaliere - rientrano nel suddetto limite di 270. Peraltro, le misurazioni dell’Arpam sono state effettuate tutte in un solo punto (per di più posto in posizione prevalentemente sottovento rispetto all'allevamento) e non sono mai stati confrontati con rilevazioni a monte, come sarebbe stato necessario fare per potere caratterizzare correttamente un’area su cui insistono non solo l’allevamento, ma anche terreni agricoli (con potenziali pratiche di spandimento di liquami e fertirrigazione) e altre attività (come il depuratore comunale da 60000 abitanti equivalenti) che possono contribuire, anche significativamente, alla produzione e rilascio di ammoniaca nell'aria. A proposito dei livelli di ammoniaca, è il caso di ricordare come, nelle più recenti pubblicazioni di ARPA Lombardia, si dia conto del fatto che in ambiente rurale i valori di picco di ammonica rilevabili arrivano fino a 900 ppb (circa 650 microgrammo/metrocubo) ben al di sopra di quelli rilevati nella campagna Arpam da Voi citata. L’assenza di pericoli per la salute umana eziologicamente collegabili alle emissioni degli allevamenti Fileni è confermata anche dai valori di PM10 e PM 2,5 rilevati negli ultimi anni dalle centraline provinciali (validati dall'ARPAM): valori che non hanno subito nessun significativo incremento a seguito della realizzazione ed esercizio degli allevamenti Fileni, ma che evidenziano anzi un trend in diminuzione. Ed invero Fileni rispetta e si adegua a tutta la complessa normativa di settore sulle emissioni: direttiva quadro sulle acque, direttiva sui nitrati e direttiva sulle emissioni industriali, oltre alle migliori tecniche disponibili del 2017 – BAT, applicabili per gli impianti con allevamento di pollame e suini. Inoltre, Fileni non solo usa sistemi di mitigazione esclusivi ed all’avanguardia, ma cerca anche un costantemente miglioramento ed ammodernamento degli stessi, ad esempio intervenendo in “fine tuning” su questi sistemi e collaborando a progetti di studio e ricerca con Università ed istituzioni scientifica (come quello attualmente in corso con gli Atenei di Milano e Camerino). • Per quanto riguarda la questione dei 400mila polli dell'allevamento di Monte Roberto, vorremmo sapere perché sono stati introdotti contrariamente alla sentenza del Consiglio di Stato e se sono stati venduti. Come Vi è già stato puntualmente spiegato nei precedenti scritti, Monte Roberto era stato autorizzato ad operare regolarmente, accasando anche nuovi cicli, sino al 31 ottobre 2022. Al di là delle articolate vicende processuali (che Fileni ha impugnato, dando luogo al contenzioso puntualmente ricostruito nella diffida del 30 dicembre u.s.), Vi confermiamo che, dopo il 31 ottobre, nessun nuovo animale è stato “introdotto” a Monte Roberto, ma si è solo provveduto a portare a maturazione i cicli precedentemente accasati sulla scorta del regime autorizzativo adottato proprio a seguito della sentenza del Consiglio di Stato, anticipando anche le catture rispetto alle tempistiche normalmente osservate. L’impianto è completamente vuoto e inattivo dallo scorso 9 dicembre. • Da una testimonianza documentale ci risulta che durante la scorsa estate nell'allevamento bio di Ostra Vetere le luci siano rimaste accese tutta la notte con i polli presenti nel capanno, mentre la normativa prevede otto ore di buio continuative. Siete a conoscenza di questo? Anche a prescindere dall’attendibilità della testimonianza, ci chiediamo quale sia l’interesse giornalistico a menzionare un siffatto episodio, che (se anche fosse comprovato) sarebbe occasionale e di nessuna rilevanza sociale. Si ripete peraltro che la mancata osservanza delle prescrizioni sulle specifiche dell’allevamento biologico (tra cui rientra l’osservanza del periodo di buio) costituirebbe una violazione del soccidario, al quale Fileni (che non gestisce direttamente Ostra Vetere) avrebbe titolo per chiedere danni. Peraltro, di nuovo non si comprende quale vantaggio economico potrebbe trarre l’avicoltore dal lasciare le luci accese (sostenendone i relativi costi) anche nel periodo notturno, tanto più che – come riferito dalla lettura scientifica in argomento – il periodo di riposto favorisce la conversione del mangime e quindi la stessa crescita dell’animale. In ultimo, segnaliamo che (come certo non Vi sfuggirà) gli elementi che ci fornite sono troppo vaghi per svolgere un approfondimento istruttorio sull’accaduto, tanto più che l’episodica sospensione del periodo di riposo/buio (all’interno del capanno che ci segnalate) potrebbe spiegarsi con specifiche esigenze avicole (es. somministrazione in corso di fito-terapie, verifiche straordinarie sugli impianti tecnici, ecc.) e che comunque, ove anche fosse (per assurdo) frutto di una effettiva negligenza occasionale non riveste nessun interesse giornalistico, né potrebbe fondare una critica generalizzata e diffusa alle tecniche di allevamento dell’intera Azienda. • L’azienda nel Bilancio di Sostenibilità 2021 dichiara di non usare mangime OGM né per la produzione bio, né per quella convenzionale. Tuttavia, abbiamo potuto leggere fuori dall’allevamento di riproduttori in provincia di Bologna la presenza di OGM sull’etichetta del mangime caricato nei silos. Abbiamo potuto inoltre leggere nella Dichiarazione per ottenere il marchio B Corp che “La maggioranza degli animali Fileni sono allevati con mangime convenzionale, che può essere un mix di OGM e non OGM”. Perché la Dichiarazione fatta a B Lab non corrisponde a quanto dichiarato nel Bilancio di Sostenibilità? E’ vero come dichiarato a B Lab che “La maggioranza degli animali Fileni sono allevati con mangime convenzionale, che può essere un mix di OGM e non OGM”? La domanda muove da una premessa errata, perché in nessun punto del bilancio di sostenibilità affermiamo di avere bandito qualsiasi tipo di ogm da tutti i nostri impianti. L’impiego di componenti ogm (per mais e soia) è invero circostanza normale e comune per tutto il settore avicolo e, a ben vedere, anche per tutto il food europeo, salvo in quei prodotti dove viene espressamente escluso l’uso di ogm per la preparazione (o, nel caso dell’allevamento, per l’alimentazione degli animali). Come l’attenta lettura che Vi invitiamo ad effettuare evidenzia, quando – nel nostro Bilancio di Sostenibilità – affermiamo di non usare OGM, ci riferiamo specificamente ed esclusivamente: a) ai prodotti commercializzati con marchio “Fileni” (o, va da sé, “Fileni bio”); b) ai nostri prodotti biologici (commercializzati con marchio “Fileni” o venduti senza marchia ad altri distributori); c) alle nostre preparazioni (per esempio cotolette) i cui ingredienti sono ogm-free. Confermiamo che tutte le carni vendute con marchio Fileni derivano da animali alimentati con mangimi OGM-free e che tutti i prodotti commercializzati a marchio Fileni sono privi di componenti ogm, come veridicamente indicato nel Bilancio di Sostenibilità. Detto questo, è chiaro (ed è sempre stato dichiarato al pubblico e al mercato) che il Gruppo pratica anche avicoltura convenzionale e produce carni che vengono commercializzate senza il marchio Fileni, ma con quello dei propri clienti. Nonostante l’impegno e gli investimenti effettuati sul biologico, le linee convenzionali vendute non a marchio costituiscono ancora – in termini di volumi – la parte più consistente della produzione aziendale, ragione per cui – del tutto correttamente e senza nessuna contraddizione con il Bilancio di Sostenibilità – ai fini della certificazione B-Corp si è dato atto anche dell’utilizzo di mangimi convenzionali. L’ulteriore denigratoria anticipazione che avete pubblicato sul profilo Facebook di Report in data 8 gennaio, in cui sostenete che vi sia contraddizione tra quanto dichiarato nel bilancio di sostenibilità e quanto dichiarato per la certificazione B-Corp, è il frutto – da un lato – di una lettura superficiale e sbrigativa dei predetti documenti e – dall’altro – del Vs. conclamato intento di diffamare l’azienda. Ripetiamo che l’uso di mangimi con componenti OGM è normale e comune a tutto il settore avicolo convenzionale e non è mai stata negata da Fileni (come attesta sia la dichiarazione B-Corp, sia l’etichettatura dei silos che Giulia Innocenzi si è premurata di andare ad esaminare); ma – del pari ripetiamo – che (come dichiarato nel bilancio di sostenibilità) tutti i prodotti venduti a marchio Fileni sono Ogm-free. Sulla correttezza e trasparenza della comunicazione aziendale Vi invitiamo nuovamente a tenere conto delle positive statuizioni della stessa AGCM (richiamate nelle precedenti diffide), invitandoVi a rimuovere immediatamente il video pubblicato oggi ed il suo insinuante titolo, che per la formulazione suggestiva e denigratoria non fa che ribadire il mendacio di cui avete falsamente accusato l’azienda (“Fileni si vanta pubblicamente di usare mangimi OGM free per i suoi polli. Noi però abbiamo trovato mangimi con soia e granturco geneticamente modificati. Quando gliel'abbiamo chiesto, l'azienda ci ha risposto che gli OGM vengono usati solo per i polli commercializzati senza il marchio Fileni”). • Nell'allevamento di Borghi abbiamo potuto filmare che i tubi del silos del mangime con riportato la scritta "Rusticanello" vanno al primo piano dello stabilimento, quindi senza l'accesso all'esterno. Tuttavia, la linea "Rusticanello" di Fileni prevede, come dice l'etichetta, che i polli razzolino all'aperto. Siete a conoscenza di questo? Qual è la spiegazione? La domanda evidenzia un’osservazione tanto speciosa (e prevenuta) delle attività del Gruppo, quanto fuorviata da una inesatta conoscenza delle loro caratteristiche. Occorre premettere che il termine “Rusticanello”, di per sé, non indica né una razza avicola, né una specifica tecnica di allevamento, ma il nome convenzionalmente dato all’interno dell’azienda ad alcune linee di eccellenza: si tratta, per lo più, dei polli a lenta crescita di genotipo “Collo Nudo/Hubbard” (commercializzati con il marchio “Rusticanello bio” o con altri marchi, proprietà di alcuni clienti), allevati biologicamente all’aperto ed alimentati con mangimi ad hoc. Ma si tratta anche di polli a lenta crescita di razza “Collo Nudo/Hubbard” allevati con metodo non biologico (e commercializzati con marchio “Rusticanello” o con altri marchi), ma comunque con tecniche migliorative rispetto a quelle convenzionali: mangimi vegetali e rigorosamente OGM free, cicli vitali più lunghi e minori densità di stabulazione. In questi casi, l’allevamento all’aperto è una caratteristica variabile, assicurata a tutti gli animali commercializzati con marchio “Rusticanello”, ma non a tutti i Collo Nudo/Hubbard (che, se allevati al chiuso, non ricevono ovviamente il marchio “Rusticanello”, né tanto meno “Rusticanello bio”, in fase di commercializzazione). Nell’impianto di Borghi, come peraltro Vi è già stato riferito, è presente sia una linea biologica (allevata al piano terra con accesso alle aree aperte), sia una linea convenzionale (allevata al piano superiore). Gli animali convenzionale appartengono al genotipo “Collo Nudo/Hubbord” e sono alimentati con il mangime specificamente preparato per questa razza, che, nel gergo aziendale e a soli fini interni, viene indicato come mangime “Rusticanello”: il che spiega perché gli animali ospitati nella parte convenzionale dell’allevamento di Borghi ricevono mangime “Rusticanello”, pur non essendo allevati all’aperto (e non essendo poi commercializzati con il predetto marchio). • Nell'Autorizzazione Integrata Ambientale dell'allevamento di Ripa Bianca risulta che al capanno 7 FIleni alleva il Rusticanello, ma c'è scritto che "per il pollo Rusticanello si seguono le stesse modalità di allevamento del convenzionale", con l'unica differenza che ci sono meno animali per metro quadro. Com'è possibile che i polli Rusticanello vengano allevati senza la possibilità di accedere all'esterno, visto che la linea Rusticanello prevede che abbiano accesso all'aperto? Nel rinviare a quanto illustrato nel punto che precede a proposito delle diverse razze e della natura meramente convenzionale delle denominazioni aziendali, facciamo presente che – come noto e come ovvio – l’Autorizzazione Integrata Ambientale non si occupa del genotipo dell’animale allevato, né delle modalità di alimentazione, etichettatura o commercializzazione, ma disciplina unicamente le specifiche caratteristiche di impatto ambientale dell’allevamento (come dimensioni, densità, rapporto peso/superfici, ecc.). Nel capannone 7 di Ripa Bianca, dove al momento sono accasati broiler di genotipo “Ross 308”, sono osservate le stesse densità (15 capo/mq) praticate per i polli a lenta crescita di razza Collo Nudo/Humbord, ciò che è stato sinteticamente indicato (ai fini dell’AIA) con il riferimento alla “linea Rusticanello”, essendo comunque chiarito (nello stesso progetto presentato ed autorizzato in sede di AIA), che si tratta di un “allevamento convenzionale antibiotic-free” e non già di un allevamento biologico o all’aperto (conseguentemente le carni del capannone 7 non vengono commercializzate con il marchio “Rusticanello”, né tanto meno “Rusticanello bio”). Ci stupiamo che Report possa seriamente pensare di fare un’inchiesta di taglio critico su Fileni, muovendo da un’osservazione a dir poco superficiale di alcuni dettagli (la marchiatura di un tubo o un isolato passaggio di un atto amministrativo) senza conoscere le prassi aziendali e senza avere puntualmente verificato, in un leale e trasparente contradditorio con l’Azienda, la fondatezza di censure basate su rilievi frettolose ed incompetenti. • Da testimonianza documentale ci risulta che i polli del capanno 7 dell'allevamento di Ripa Bianca siano stati cibati con mangime OGM, con grassi animali e con coccidiostatico la scorsa estate. Sempre la linea Rusticanello prevede che il mangime sia senza OGM e senza grassi animali. Siete a conoscenza di questa circostanza? Inoltre, i coccidi sono presenti quando c'è scarsa igiene. Siete a conoscenza del fatto che il mangime dato ai polli avesse il coccidiostatico? Avendo già chiarito che nel capannone 7 di Ripa Bianca non si fa (né si dichiara di fare) allevamento biologico, ma si seguono alcune specifiche migliorative in tema di densità e cicli vitali, ribadiamo che tali specifiche non riguardano (né devono riguardare) né i genotipi, né la loro alimentazione, onde è del tutto lecito che gli animali accasati nel predetto capannone (nel rispetto delle densità previste dall’AIA) siano alimentati con mangimi convenzionali. Detto questo, segnaliamo che i coccidi sono normali parassiti intestinali del pollo, peraltro ubiquitari e non eziologicamente collegati all’assenza di igiene. Per il contrasto a questi parassiti, l’azienda utilizza diverse modalità (tutte normativamente previste e scientificamente corrette): per i polli di razza “Collo Nudo/Hubbard” e per quelli “Classic Ranger” si somministra il vaccino anticoccidosi, mentre per i polli convenzionali di razza “Ross 308” (inclusi quindi quelli allevati nel capanno per cui avete mostrato tanto interesse) si utilizza l’anticoccidostatico nel mangime. Avendo così dato puntuale ed esaustiva risposta a tutti i Vostri quesiti, si è certi di avere dimostrato non solo l’inconsistenza delle censure e dei sospetti avanzati sul conto di Fileni in ragione ora di meri pregiudizi, ora di osservazioni parziali ed episodiche (ove non chiaramente mistificatorie), ma anche l’infondatezza – sotto il profilo dell’interesse giornalistico – a pubblicare un servizio che, rimproverando a Fileni circostanze false o del tutto insignificanti, pregiudica gravemente la credibilità di un’azienda virtuosa, che tanti sforzi ha compiuto per migliorare l’avicoltura convenzionale ed aumentare sempre più quella biologica. Ci si attende quindi che il servizio programmato per il 9 gennaio venga annullato o rinviato all’esito di un pieno contraddittorio con l’Azienda, che così come si è sempre detta disponibile ad un confronto leale e trasparente, non intende ovviamente prestarsi ad imboscate mediatiche volte solo a denigrarla come quelle cui chiaramente mirava la Vs. inaccettabile richiesta di intervista al buio.

CHE POLLI! Di Giulia Innocenzi Collaborazione Greta Orsi e Giulia Sabella Immagini di Giovanni De Faveri, Davide Fonda, Marco Ronca e Fabio Martinelli Montaggio di Andrea Masella e Giorgio Vallati

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO A proposito di presepe capito spesso di vedere i polli che razzolano davanti alla grotta della natività però purtroppo non è sempre quella la realtà.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO L’Italia, il nostro Paese, è uno dei più colpiti dall’influenza aviaria. La preoccupazione è che se i polli entrano in contatto con gli uccelli selvatici possono contrarre il virus. Nell’ultimo anno in Europa sono stati uccisi 48 milioni di animali infettati dall’aviaria, un record e l’Italia è il secondo Paese per contagi negli allevamenti. David Quammen, colui che predisse il Covid otto anni prima che stravolgesse le nostre vite, considera proprio l’influenza aviaria H5N1 come il virus candidato a provocare la prossima pandemia.

DAVID QUAMMEN - AUTORE DI “SPILLOVER” E “SENZA RESPIRO” Esiste negli uccelli selvatici, dopo la sua mutazione, ora, è in grado di uccidere questi uccelli, passa dagli uccelli selvatici ai polli, ai tacchini e alle anatre. Più chance ha questo virus di mutare, più aumentano le possibilità che il virus infetti l’uomo in una forma violenta. Di tutti i virus che abbiamo visto finora sul pianeta l’H5N1 è potenzialmente il più pericoloso.

GIULIA INNOCENZI Cosa pensa che dovremmo fare per prevenire il pericolo dell’influenza aviaria?

DAVID QUAMMEN - AUTORE DI SPILLOVER E SENZA RESPIRO Abbiamo 26 miliardi - miliardi - di polli in questo momento sul pianeta, se vogliamo mangiare carne di pollo, dovremo allevarli in stabilimenti piccoli e diversi fra loro. Se continueremo ad allevare 26 miliardi di polli su questo pianeta finiremo nei guai.

GIULIA INNOCENZI Perché pensa che allora stiamo continuando ad aprire nuovi allevamenti intensivi come, per esempio, sta succedendo in Italia? Pensa che stiamo sottostimando il problema?

DAVID QUAMMEN - AUTORE DI SPILLOVER E SENZA RESPIRO Continuiamo a farlo perché trattiamo il mondo come se esistesse solo per soddisfare i nostri piaceri. Il problema è che le persone che vivono nei paesi più ricchi mangiano più carne del necessario e quella carne è prodotta in mega allevamenti intensivi.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO È l’animale più sfruttato del pianeta. Ne alleviamo 26 miliardi ogni anno, ogni giorno ne vengono macellati 71 milioni, 824 macellati al secondo. In Italia ne alleviamo 500 milioni nei nostri allevamenti intensivi. Ne produciamo più di quanti ne avremmo bisogno perché non ci basta un pollo solo, ce ne vogliono tanti perché scegliamo la coscia, le sovracosce, le ali, soprattutto il petto perché è più magro. Ecco, questo ha comportato una deformazione all’interno dei nostri allevamenti, è stato che sfiora quasi la manipolazione genetica, è stato selezionato un pollo che ha un petto enorme al punto che fatica a stare in piedi, ma ha il pregio di crescere in fretta e di finire in fretta al mattatoio. Cresce in fretta, a poco costo, a qualsiasi costo perché potrebbe rischiare di fare anche una brutta fine. È il paradigma alla base della GDO, la grande distribuzione che rifornisce supermercati e le grandi catene alimentari di ristorazione. Ma come si concilia questo paradigma con il concetto di sostenibilità e con le pratiche del biologico? Una delle più grandi aziende di polli biologici è la Fileni: è una storia tutta italiana, una bella storia italiana nata nel 1965 da Giovanni, ultimo di tre figli nati da una coppia di mezzadri, ha continuato a fare il meccanico nella sua piccola officina; tuttavia, poi ha aperto un capannone e ci ha infilato dentro 5mila polli, che ha venduto porta a porta alle casalinghe marchigiane. Oggi Fileni è la terza azienda italiana per quello che riguarda la produzione di polli, ne alleva 50 milioni ogni anno ad è gestita dai figli, ed è famosa appunto per il biologico. Ha ricevuto lo scorso anno la prestigiosa certificazione B Corp, perché è un’azienda giudicata sostenibile, responsabile e soprattutto trasparente, qualità di cui beneficia la comunità sul territorio e anche l’ambiente. Ora, noi di Report siamo abituati a guardare la realtà attraverso le grate di un tombino e anche la più bella città può apparire brutta. Tuttavia, lo facciamo con il solo scopo di contribuire alla conoscenza e correggere, se ce ne sono, delle anomalie, e anche ricordare che forse il metodo della nonna non è sempre quello più giusto. La nostra Giulia Innocenzi.

GIULIA INNOCENZI Quanti siete qui a lavorare?

OPERAIO FILENI Operai?

GIULIA INNOCENZI Sì, operai.

OPERAIO FILENI Noi due. Facciamo i lavori dentro paglia, raccogliamo i morti tutti i giorni.

GIULIA INNOCENZI Quelli che muoiono in allevamento perché non stan bene.

OPERAIO FILENI Vabbè, non è che ne muore tanti.

GIULIA INNOCENZI FUORI ONDA Per evitare che si diffondano le malattie negli allevamenti, gli operai devono raccogliere le carcasse dei polli morti tutti i giorni.

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE La carcassa di per sé si deteriora e può creare anche fenomeni di cannibalismo.

GIULIA INNOCENZI Quindi va rimossa subito.

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Due volte al giorno deve passare l’operatore per fare la verifica delle mortalità.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Le immagini ricevute dalla Lav, l’associazione per i diritti degli animali, riprendono i polli in un allevamento biologico di Fileni. Se ne vede uno che potrebbe essere morto da poco, altri invece sembrano essere abbandonati da più tempo. Le telecamere, all’insaputa degli operai, hanno filmato anche altre immagini all’interno degli allevamenti intensivi di Fileni e cioè a Monte Roberto, Ripa Bianca e Mucciolina. Report è in grado di mostrarle in esclusiva.

GIULIA INNOCENZI Posso farle vedere delle immagini?

DARIO BUFFOLI – VETERINARIO - EX MEMBRO NUCLEO INVESTIGATIVO REATI A DANNO DI ANIMALI – CORPO FORESTALE Se non sono troppo crude, sì. Però sono abituato a tutto, quindi.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Siamo nell’allevamento Fileni di Monte Roberto. Si vedono gli operatori mentre girano per il capanno e uccidono i polli.

DARIO BUFFOLI – VETERINARIO - EX MEMBRO NUCLEO INVESTIGATIVO REATI A DANNO DI ANIMALI – CORPO FORESTALE È una torsione

GIULIA INNOCENZI Sì.

DARIO BUFFOLI – VETERINARIO - EX MEMBRO NUCLEO INVESTIGATIVO REATI A DANNO DI ANIMALI – CORPO FORESTALE E poi lo sbatte lì.

GIULIA INNOCENZI E poi lo lancia…

DARIO BUFFOLI – VETERINARIO - EX MEMBRO NUCLEO INVESTIGATIVO REATI A DANNO DI ANIMALI – CORPO FORESTALE Lo lancia.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E cioè uccide i polli con la torsione del collo e poi li lancia dall’altro lato del capanno. L’operazione viene fatta più volte.

GIULIA INNOCENZI Un operaio può abbattere un pollo in allevamento?

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Se ritiene che sia in una situazione, diciamo, di non poter continuare a vivere perché un tuono o un lampo che li fa ammassare su un lato del capannone e va da sé che ci potrebbero essere dei fenomeni di schiacciamento.

GIULIA INNOCENZI Comunque parliamo di cose abbastanza particolari, rare.

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Rare, rare.

GIULIA INNOCENZI Si può abbattere lì, all’interno del capannone, in mezzo agli altri animali?

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Preferibilmente no. Viene portato, spostato in un locale adibito all’animale sofferente e poi il veterinario che si organizza aziendalmente passa a verificare se è il caso di procedere in un modo o in un altro.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma nell’allevamento di Monte Roberto ci sono soltanto gli operatori che, anziché spostare l’animale nell’infermeria per farlo valutare, lo uccidono sul posto e con una pratica che sembra sempre la stessa: la torsione del collo.

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Noi abbiamo ancora in mente la nonna che girava il collo…

GIULIA INNOCENZI Sì.

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE No, non è così.

GIULIA INNOCENZI Quindi non si fa così. Men che meno poi buttarlo via, per dire. No?

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE È inappropriato.

GIULIA INNOCENZI Perché sennò cosa si configura, un maltrattamento di animale?

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Quello è sicuramente un maltrattamento.

GIULIA INNOCENZI Tu hai mai dovuto ammazzare i polli?

EX OPERAIO FILENI Certo che sì.

GIULIA INNOCENZI E chi la insegna la tecnica, quella della torsione del collo?

EX OPERAIO FILENI A me hanno dato un foglio dove veniva descritta.

GIULIA INNOCENZI E cosa diceva il foglio?

EX OPERAIO FILENI Ti insegnava la presa per il collo, per la zampa, sull’animale. Però poi ogni operaio usava la propria tecnica.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E infatti, come dice l’ex operaio, ognuno ha la sua tecnica…

GIULIA INNOCENZI Mette il pollo sotto il piede e…

DARIO BUFFOLI – VETERINARIO - EX MEMBRO NUCLEO INVESTIGATIVO REATI A DANNO DI ANIMALI – CORPO FORESTALE No, no, questo… è un animale, il quale sente dolore. Sente lo schiacciamento. Visto che è un essere senziente, sente questo peso che lo soffoca. E poi va beh, gli viene tirato il collo…

GIULIA INNOCENZI Quindi questa è una pratica scorretta.

DARIO BUFFOLI – VETERINARIO - EX MEMBRO NUCLEO INVESTIGATIVO REATI A DANNO DI ANIMALI – CORPO FORESTALE Notevolmente scorretta! Qui anche lui ha utilizzato il piede, e poi getta l’animale. Non lo tiene sotto controllo, non accudisce l’animale nel periodo della sofferenza maggiore.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E poi succede questo. L’operaio mette il pollo sotto il piede e gli tira il collo e poi getta l’animale. Si mette al cellulare, il pollo agonizza, e lui gli dà un calcio.

ROBERTO BENNATI – DIRETTORE GENERALE LAV Quello è un delitto, è un reato di maltrattamento e uccisione degli animali, quel momento specifico è punito nel nostro ordinamento giuridico con una pena fino a due anni di reclusione.

GIULIA INNOCENZI Il pollo è qui che continua a dimenarsi…

DARIO BUFFOLI – VETERINARIO - EX MEMBRO NUCLEO INVESTIGATIVO REATI A DANNO DI ANIMALI – CORPO FORESTALE E possiamo contare anche i secondi, i minuti… Un altro pollo gettato.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E qui c’è l’operaio che vede un pollo che ancora agonizza e si agita, lo tira fuori, dalla carriola prende in mano una carcassa, così ripone il pollo ancora vivo e gliela mette sopra. In una sola giornata l’operatore è stato filmato mentre uccideva 34 polli. Un numero molto alto confermato anche dall’ex operaio che lavorava per Fileni.

EX OPERAIO FILENI A Monte Roberto si facevano le carriole, mi faceva vedere le foto l’operaio che lavorava lì. Poi la mattina, quando facevi il giro morti, o sei tu che ritiri le carcasse, o sei tu che devi uccidere uno scarto.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Cosa intende l’ex operaio per scarto?

DARIO BUFFOLI – VETERINARIO - EX MEMBRO NUCLEO INVESTIGATIVO REATI A DANNO DI ANIMALI – CORPO FORESTALE Perché sceglie quello lì? È sua discrezione, non mi sembra un pollo così sofferente. Ecco, questo probabilmente è nel famoso mancato incremento ponderale.

GIULIA INNOCENZI E quindi non va bene per il commercio, questo.

DARIO BUFFOLI – VETERINARIO - EX MEMBRO NUCLEO INVESTIGATIVO REATI A DANNO DI ANIMALI – CORPO FORESTALE Esatto.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Mancato incremento ponderale: è una formula elegante per indicare i polli che non crescono abbastanza. E quindi, come sembra in questo caso, vengono uccisi perché non rendono.

GIULIA INNOCENZI Non si possono abbattere animali perché per esempio più piccoli di altri.

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Da veterinario per me questo tipo di pratica non esiste nel mio modo di pensare.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Invece le telecamere hanno documentato l’uccisione degli animali, probabilmente perché crescono meno, in altri due allevamenti. Sembra una prassi per facilitare le operazioni in mattatoio.

EX OPERAIO FILENI Quando qualcuno si incula il tecnico e il tecnico poi ovviamente se la prende con l’indiano? Quando arriva al mattatoio.

GIULIA INNOCENZI Perché? EX OPERAIO FILENI Perché non arriva al taglio del collo. Nonché, devono essere tutti della stessa altezza perché loro mettono la lama a una certa altezza, e se quello è più basso e non arriva al taglio del collo è un problema. Dal macello viene redatto poi sempre un report con le varie problematiche riscontrate.

GIULIA INNOCENZI Quindi Fileni multa?

EX OPERAIO FILENI Certo, multa le soccide.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Dunque, Fileni multerebbe quelle società che hanno in gestione gli allevamenti se creano problemi al macello. Per esempio, quando caricano polli meno cresciuti. Ma la pratica di uccidere i polli perché crescono poco è da considerarsi legale?

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Non è contemplato questo.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Allora gli mostriamo un documento di cui siamo entrati in possesso e che riguarda proprio l’allevamento Fileni di Ripabianca: è il registro dove sono segnati tutti i polli abbattuti. E risultano fino a 280 animali uccisi al giorno.

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Va fatto un discorso in percentuale.

GIULIA INNOCENZI Prima lei mi ha detto che è un evento raro il trauma. Eh, adesso c’è un trauma tutti i giorni?

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Qui stiamo parlando di 33 mila animali.

GIULIA INNOCENZI Sì, però lei prima mi ha detto che un operatore che abbatte un animale in allevamento è un evento raro.

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Non so cos’altro risponderle.

DARIO BUFFOLI – VETERINARIO - EX MEMBRO NUCLEO INVESTIGATIVO REATI A DANNO DI ANIMALI – CORPO FORESTALE In allevamento l’abbattimento di routine non è consentito.

GIULIA INNOCENZI Si può fare solo in emergenza davanti a casi di sofferenza. DARIO BUFFOLI – VETERINARIO - EX MEMBRO NUCLEO INVESTIGATIVO REATI A DANNO DI ANIMALI – CORPO FORESTALE Esatto.

GIULIA INNOCENZI Questi numeri lei come li valuta? Sono abbattimenti di emergenza o abbattimenti di routine?

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Non le rispondo a questa domanda.

GIULIA INNOCENZI Perché?

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Mi permetta ma io non mi assoggetto a questo tipo di modalità di intervista perché non la reputo corretta così fatta.

GIULIA INNOCENZI Ma se ci sono due classificazioni di abbattimento perché non mi può dire che è uno o l’altro?

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Non stiamo contestualizzando le cose.

GIULIA INNOCENZI Ma scusi quando un operatore abbatte un animale sofferente… le sto chiedendo se è un abbattimento di emergenza o di routine.

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Se andiamo avanti con l’intervista in questo modo io non sono disposto a proseguire. Si fa passare il concetto che si uccide di routine. Non è questa l’informazione. No.

GIULIA INNOCENZI Voglio capire se queste cose sono, corrispondono a quello che dice la legge oppure no e lo chiedo a lei.

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Lo stabilisce l’autorità competente che avrà visto queste schede...

GIULIA INNOCENZI Ma è lei l’autorità competente!

ALBERTO TIBALDI – DIR. FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE AZ. SAN. UNICA REGIONALE - MARCHE Rientrano nelle mortalità standard, quello che le ho detto già prima.

GIULIA INNOCENZI Quindi sì. La risposta è sì.

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Sì.

ROBERTO BENNATI – DIRETTORE GENERALE LAV Dentro a questi allevamenti è praticamente impossibile il controllo dato questo elevatissimo numero di allevamenti e di animali che ci sono all’interno. Ma l’illegalità si radica proprio in questo. La presenza costante, tutti i giorni della malattia, e cioè del far stare male un animale e accettare che questa malattia sia economicamente tollerabile rispetto ai volumi di produzione. Ma significa sostanzialmente creare un allevamento malato.

GIULIA INNOCENZI Sempre questo regolamento 1099 del 2009 dice che nessuno può uccidere più di 70 animali al giorno. Cosa vuol dire questa legge?

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Non le so rispondere su questo. Non le rispondo su questo.

GIULIA INNOCENZI Perché? ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Perché non le rispondo. Non ho competenze specifiche per cui non rispondo.

GIULIA INNOCENZI Ma come non ha competenze specifiche? È il responsabile dei servizi veterinari delle Marche! È veterinario!

ALBERTO TIBALDI – DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Io sono veterinario.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Ma dice di non avere competenze per intervenire. Allora chi è che dovrebbe averle? Sarebbe importante saperlo visto che lui che è il responsabile dei veterinari delle Marche ha giudicato non legali gli abbattimenti avvenuti attraverso la torsione del collo del pollo e ha giudicato come maltrattamenti i comportamenti degli operai che gettavano in aria i polli agonizzanti. Ora, quelle immagini sono state girate all’interno di tre allevamenti intensivi della Fileni, il responsabile dei servizi veterinari delle Marche ha detto: sì, è possibile abbattere un pollo però di fronte a dei casi d’urgenza, quando cioè il pollo è sofferente a causa di un trauma o perché è malato, e comunque va gestito con la presenza di un veterinario e comunque dovrebbe trattarsi di casi rari. Qui invece è spuntato fuori un documento che proverebbe che all’interno dell’allevamento di Ripa Bianca della Fileni sarebbero stati abbattuti fino a 280 polli in un giorno. Per quale motivo? Erano malati? Avevano subìto un trauma? Un ex operaio ci dice che capita che vengano abbattuti anche quei polli anche per mancato incremento ponderale, cioè che sono cresciuti di meno, perché creano un problema al macello, il macello fissa a un’altezza standard una lama e quando passano dei polli più bassi non arrivano alla recisione del collo. Ora, i mattatoi sono di Fileni che compila dei report in base ai quali poi verrebbero anche multate le società che caricano i polli che sono in mattatoio, che sono cresciuti di meno. Solo che sopprimere un pollo perché è un cresciuto meno di altri non è contemplato, anzi, potrebbe essere addirittura punito dal codice penale che condanna e punisce con la reclusione chi provoca la morte senza necessità o per crudeltà di animali. È vietato anche dal regolamento del consiglio dei ministri europei, 1099 del 2009, che vieta per negligenza di provocare intenzionalmente del dolore o della sofferenza agli animali, e l’articolo 9 della Costituzione tutela tutti gli esseri senzienti, cioè tutti quegli esseri che sentono, avvertono dolore e sofferenza. Ora, l’operaio Fileni, l’ex operaio Fileni ci ha detto che viene consegnato un foglietto a tutti gli operai dove sono descritte le modalità per sopprimere un pollo, poi però ogni operaio fa di testa sua. Noi abbiamo chiesto a Fileni: Fileni alla domanda se è a conoscenza della pratica della torsione del collo nei suoi stabilimenti ci risponde che i tempi sono troppo stretti per rispondere a domande tecniche e per operare un’attenta verifica. Sui maltrattamenti poi ci scrive che da una vera e propria mistificazione della realtà risultano, poi, affette le criticità che pretendete di ravvisare sulle questioni del benessere animale. Ora, Fileni potrebbe non sapere come si comportano gli operai all’interno dei suoi stabilimenti, e men che mai sapere come si comportano gli operai, invece, delle società che la riforniscono, però a questo punto come fai a garantire la sostenibilità e la trasparenza, come fai a firmare l’European Chicken Agreement che dovrebbe garantire gli standard più alti per il benessere animale? Benessere animale che soprattutto per gli allevamenti bio dovrebbe garantire che un terzo della vita, pur breve dei polli, venga passata all’aperto.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Le maglie della legge sul bio negli anni si sono allargate per permettere alla grande industria di entrare nel mercato. Prima i mangimi dovevano essere al 100% bio, oggi è sufficiente che lo siano per il 95%, è tollerata anche la presenza accidentale di OGM. Sono ammesse anche vitamine sintetiche e le vaccinazioni. Così i produttori non sono più costretti dal dover allevare le razze rustiche, che sono più resistenti ma impiegano più tempo a crescere, che significa costi. Per questo anche negli allevamenti bio usano le razze ibride commerciali. La più comune che si trova soprattutto negli allevamenti intensivi è il broiler.

ROBERTO BENNATI – DIRETTORE GENERALE LAV Questo è l’animale che ha subito la più grande manipolazione del suo patrimonio genetico. Noi ogni anno togliamo un giorno al tempo necessario per raggiungere l’età di macellazione. Negli anni ‘50 si allevava un pollo in sei mesi, oggi si alleva un pollo in 34 giorni.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E come è possibile questo?

ROBERTO BENNATI – DIRETTORE GENERALE LAV Selezioniamo il fatto che questo pollo deve avere delle parti molto sviluppate, ad esempio il petto, hanno un petto enorme e non hanno neanche la forza, i muscoli e le gambe, non hanno neanche la forza di tenerli in piedi; quindi, questo solo la manipolazione senza regole lo consente. GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma è proprio fuori dall’allevamento fiore all’occhiello di Fileni, quello bio di Monte Cappone, dove non vogliono farci riprendere.

OPERAIO FILENI Perché fai foto?

GIULIA INNOCENZI Stiamo filmando l’allevamento.

OPERAIO FILENI Perché?

GIULIA INNOCENZI Perché stiamo facendo un servizio.

OPERAIO FILENI Non può fare così, aspetta.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Che vediamo quelli che sembrano proprio i polli broiler.

GIULIA INNOCENZI E sono broiler?

CECILIA MUGNAI - PROFESSORESSA IN SCIENZE E TECNOLOGIE ANIMALI UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO Sì. Sono principalmente femmine e pochi maschi.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Tuttavia il tecnico dell’allevamento di Jesi Cannuccia nega che i broiler vengano utilizzati per il bio.

GIULIA INNOCENZI La razza, che razza è questa qua del bio?

ADRIANO DELZERI - TECNICO FILENI Solo razze a lenta crescita.

GIULIA INNOCENZI Quindi non fate mai broiler biologico?

ADRIANO DELZERI - TECNICO FILENI No, non lo facciamo.

GIULIA INNOCENZI Mai. ADRIANO DELZERI - TECNICO FILENI No.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Il broiler è il pollo tipicamente usato negli allevamenti intensivi, come ci racconta un operaio di una società che lavora in esclusiva polli per la Fileni.

EX OPERAIO ALLEVAMENTO IN SOCCIDA FILENI Il pollo bianco ciccione io lo chiamo schifo. Il pollo che dopo 25 giorni andava giù di gambe, si fermava a terra, e io non facevo più assolutamente nulla all’interno del capannone perché era un tappeto di roba bianca che non si spostava neanche a zampate. Il broiler è davvero un problema.

GIANLUCA GREGORI – RETTORE UNIVERSITÀ POLITECNICA DELLE MARCHE Allora aspettiamo anche la dott.ssa Fileni… Roberta. GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Il marchio Fileni è noto soprattutto per la sua produzione biologica e lo scorso anno ha ottenuto il prestigioso riconoscimento B Corp, che certifica le aziende più sostenibili del pianeta. L’ha ricordato con grande orgoglio all’Expo di Dubai Roberta Fileni, vicepresidente del gruppo insieme al fratello. Il rettore dell’Università Politecnica delle Marche, Gianluca Gregori, fa da padrone di casa. C’è anche il ct della nazionale Roberto Mancini a tessere le lodi di quella che è anche la sua regione.

ROBERTA FILENI - VICEPRESIDENTE FILENI ALIMENTARE – EXPO DUBAI – 21/02/2022 Siamo diventati B Corp, significa che l’obiettivo che perseguiamo come impresa non è soltanto quella del profitto ma è quella del bene comune, è quella di valorizzare i nostri lavoratori, è quello di valorizzare il territorio e le comunità che ci sono vicine. Noi siamo la prima impresa produttrice di carne al mondo ad avere ottenuto questa certificazione.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Questo è l’allevamento biologico più grande di Fileni: 10 capannoni per un totale di 275.000 polli l’anno. Quando arriviamo noi non c’è neanche un pollo fuori. La legge dice che i polli biologici devono passare un terzo della loro vita all’aperto. Ma a spiegarci perché i polli non sono fuori è il tecnico dell’azienda, che vediamo seduto a tavola nella pubblicità del buono e bio Fileni.

ADRIANO DELZERI - TECNICO FILENI Hanno fatto già il loro ciclo all’aperto, adesso stasera siccome questo lo carichiamo…

GIULIA INNOCENZI Cioè hanno già fatto un terzo di vita all’aperto?

ADRIANO DELZERI - TECNICO FILENI Sì sì.

GIULIA INNOCENZI Ma come la organizzate questa cosa, ogni quanto li fate uscire?

ADRIANO DELZERI - TECNICO FILENI Li apriamo la mattina e li liberiamo, e li rimettiamo dentro la sera.

GIULIA INNOCENZI E allora perché oggi non sono fuori?

ADRIANO DELZERI - TECNICO FILENI No, perché stasera li carichiamo, poi dopo per il digiuno, loro devono fare il digiuno, si devono svuotare.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Quindi oggi i polli non sono fuori perché la sera stessa andranno tutti al macello. Torniamo fuori dall’allevamento il giorno dopo, e quello dopo ancora. E con nostra sorpresa vediamo i polli fuori dai capannoni. Ma se dovevano andare tutti al macello, come fanno a razzolare sull’erba?

GIULIA INNOCENZI Magicamente adesso sono comparsi i polli. Sono rimasta un po’ sorpresa. Sto chiedendo spiegazioni per capire come funziona.

OPERAIO FILENI Non lo so neanch’io in realtà, non lo so, mi dispiace.

GIULIA INNOCENZI Ho capito, ma i polli ogni quanto li fate uscire, giusto per capire?

OPERAIO FILENI So soltanto che non potete entrare, punto.

GIULIA INNOCENZI Ma mi può chiamare il tecnico con cui ho parlato due giorni fa? No.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E anche quando andiamo fuori da un altro allevamento bio di Fileni, quello di Falconara Marittima, non troviamo polli che razzolano all’aperto.

GIULIA INNOCENZI Sono qui fuori dai capannoni bio, non ci sono gli animali fuori.

OPERAIO FILENI Sono piccoli, come li mando fuori?

GIULIA INNOCENZI E quanto possono uscire?

OPERAIO FILENI Dopo 30 giorni, cominciano a uscire tanto.

GIULIA INNOCENZI Ma tanto tipo quanto?

OPERAIO FILENI Allora, sii gentile, non mi fare quelle domande, c’è il tecnico di Fileni e fai con loro, io sono operaio…

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO La Lav ha ricevuto delle immagini girate in tre allevamenti biologici di Fileni presenti nelle Marche. Questo a Ostra Vetere è stato filmato per un giorno, quello più grande di Jesi Cannuccia per 4 giorni, e quello di Falconara Marittima per 6 giorni di fila. Sono immagini che risalgono alla scorsa estate e sono state fatte da diverse angolazioni e dimostrano che i polli non sono mai usciti durante le giornate di ripresa, nonostante le telecamere li abbiano filmati dentro diversi capannoni. Addirittura non sono mai stati aperti gli uscioli che avrebbero consentito ai polli di razzolare nei parchetti. Una pratica che invece per un animale allevato sarebbe necessaria.

CECILIA MUGNAI - PROFESSORESSA IN SCIENZE E TECNOLOGIE ANIMALI UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO Non si ammalano facilmente, assume alimenti al pascolo, quindi ad esempio gli Omega 3 che sono molto presenti nell’erba fresca, arricchendo quindi la carne e le uova, i loro prodotti, o le vitamine antiossidanti.

GIULIA INNOCENZI Quindi è una carne più nutriente.

CECILIA MUGNAI - PROFESSORESSA IN SCIENZE E TECNOLOGIE ANIMALI UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO Sì, sotto il profilo dietetico nutrizionale è migliore.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma a raccontarci come funzionano le cose da dentro è un ex operaio che ha lavorato proprio per l’allevamento bio più grande di Fileni.

EX OPERAIO FILENI A Cannuccia bio io sono stato un mese e non sono mai usciti.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Il perché i polli non uscirebbero quanto necessario, l’operario lo scopre quando viene trasferito nell’allevamento di Montecappone, fiore all’occhiello di Fileni, al punto da essere mostrato nei video promozionali dell’azienda.

EX OPERAIO FILENI Perché rimangono incastrati nelle portelle, quelle per uscire, le portelle si chiudono tutte insieme e quando vado a riaprire ho fatto trenta morti! Mi posso permettere di fare trenta polli morti ogni volta? No. Allora quasi quasi a questo punto non li faccio neanche più uscire.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Per usare le portelle manuali, presenti in un capannone e che risolverebbero il problema dei polli che rimangono schiacciati, ci vorrebbero molti più operai. Manodopera che però è un costo. Quindi è più economico puntare sulle portelle automatizzate.

EX OPERAIO FILENI Chi paga tre persone che fanno il giro di ogni capannone per far entrare 80 mila polli dentro? Nessuno! Infatti, c’è solo una persona che fa tutte queste cose.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma la situazione più anomala l’abbiamo trovata nei nuovi allevamenti biologici di Fileni a Borghi, nell’entroterra romagnolo. Nuovi si fa per dire: sono vecchi allevamenti intensivi a due piani riconvertiti a biologici al piano terra.

GIULIA INNOCENZI Ma adesso avete i polli dentro?

OPERAIA FILENI Eh… Sì sì.

GIULIA INNOCENZI E dove li fate uscire? Perché non li vedo adesso.

OPERAIA FILENI No, perché adesso son piccolini piccolini, hanno una settimana quindi non ci sono adesso fuori.

GIULIA INNOCENZI E ogni quanto li fate uscire?

OPERAIA FILENI Dai 10 giorni in poi fino alle catture.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Sembra che l’azienda sia in allarme. Sul cellulare del lavoratore arriva un sms con le indicazioni su come comportarsi se qualche giornalista si presenta davanti all’allevamento.

GIULIA INNOCENZI Cos’è, vi hanno mandato un messaggio di allerta ho visto?

CAPO OPERAIO FILENI No, ma ce l’ho…

GIULIA INNOCENZI Se si avvicina qualcuno…

CAPO OPERAIO FILENI Perché io sono capo azienda qui, perché non deve entrare nessuno.

GIULIA INNOCENZI E adesso non ci sono i polli fuori.

CAPO OPERAIO FILENI Non ci sono perché non è l’età per mandare i polli fuori.

GIULIA INNOCENZI Quindi adesso quanto avranno questi polli che ci son dentro?

CAPO OPERAIO FILENI Mi metti in difficoltà.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Allora proviamo ad avvicinarci a un altro capannone.

GIULIA INNOCENZI Qua c’è la ventola, vediamo se vediamo gli animali dentro. Sì, son grandi! Lui aveva detto che erano piccoli e per questo non uscivano. Invece sono polli grandi.

GIULIA INNOCENZI Perché mi avevi detto che i polli erano piccoli, invece sembrano belli grandi i polli.

CAPO OPERAIO FILENI Non ho… non ti posso dare nessuna risposta.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E anche le immagini ricevute dalla Lav negli allevamenti di Borghi di Fileni mostrano i polli dentro i capanni ma neanche un pollo all’aperto. Ma questo non sarebbe l’unico problema.

GIULIA INNOCENZI Questo è un parchetto di un allevamento bio.

CECILIA MUGNAI - PROFESSORESSA IN SCIENZE E TECNOLOGIE ANIMALI UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO Ah!

GIULIA INNOCENZI Come le sembra questo?

CECILIA MUGNAI - PROFESSORESSA IN SCIENZE E TECNOLOGIE ANIMALI UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO Eh, non mi piace!

GIULIA INNOCENZI Perché, cos’ha che non va?

CECILIA MUGNAI - PROFESSORESSA IN SCIENZE E TECNOLOGIE ANIMALI UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO Beh, a parte il degrado, la presenza di punti in cui eventualmente gli animali si possono anche ferire, ci sono calcinacci, macerie. La recinzione è aperta, quindi lì l’ingresso dei cani selvatici è garantito. Non è idoneo, no.

GIULIA INNOCENZI Ma è quello il parchetto del bio?

CAPO OPERAIO FILENI Ti saluto e buon lavoro.

GIULIA INNOCENZI Ma è lì dove escono i polli?

CAPO OPERAIO FILENI Non ti posso dire niente.

GIULIA INNOCENZI Cioè, è quello il parchetto 4 metri quadri per pollo all’aperto bio?

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma un problema sui parchetti sembrano averlo anche gli allevamenti bio nuovi di zecca nelle Marche.

GIULIA INNOCENZI Mi aspettavo di venire qui e vedere gli animali fuori, comunque. Ma dove razzolano, scusi, per capire?

ADRIANO PANZERI - TECNICO FILENI E, c’hanno i parchetti là… dove ci sono gli ulivi.

GIULIA INNOCENZI Ma lì nel recinto ci sono 4 metri quadri per pollo?

ADRIANO DELZERI - TECNICO FILENI No, no, c’hanno tutto il terreno quello in fondo. Ci sono delle aperture che loro possono razzolare fino in fondo.

GIULIA INNOCENZI Ma dopo come fate a portare dentro gli animali se stanno…

ADRIANO DELZERI - TECNICO FILENI Ma la sera si avvicinano. Si avvicinano loro in modo naturale.

GIULIA INNOCENZI E, però quanti animali avete per capannone?

ADRIANO DELZERI - TECNICO FILENI Troppe domande… Pronto?

GIULIA INNOCENZI Migliaia, no?

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO In quest’altro allevamento bio di Fileni, a Ostra Vetere, mancano persino le recinzioni.

CECILIA MUGNAI - PROFESSORESSA IN SCIENZE E TECNOLOGIE ANIMALI UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI TORINO La predazione è uno dei problemi principali dell’allevamento biologico, quindi è fondamentale che siano ben recintati.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Fileni dichiara di rispettare il naturale bioritmo degli animali attraverso l’utilizzo di luce solare e artificiale. Ma nell’allevamento di Borghi non ci sarebbero neanche delle finestre adatte per permettere ai polli anche della luce solare e da una registrazione ricevuta dalla Lav risulta che in quello di Ostra Vetere in una notte non hanno mai spento la luce, mentre sono obbligatorie 8 ore di buio.

DARIO BUFFOLI – VETERINARIO - EX MEMBRO NUCLEO INVESTIGATIVO REATI A DANNO DI ANIMALI – CORPO FORESTALE Maggiore è la quantità di luce, nell’arco della giornata, più i polli mangiano, più i polli crescono.

GIULIA INNOCENZI E quindi porta più chili poi al macello.

DARIO BUFFOLI – VETERINARIO - EX MEMBRO NUCLEO INVESTIGATIVO REATI A DANNO DI ANIMALI – CORPO FORESTALE Dovrebbe essere così, in genere.

GIULIA INNOCENZI Però questo è vietato dalla legge.

DARIO BUFFOLI – VETERINARIO - EX MEMBRO NUCLEO INVESTIGATIVO REATI A DANNO DI ANIMALI – CORPO FORESTALE Questo non è consentito dalla normativa italiana.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO L’azienda pubblicamente si vanta di usare mangimi senza OGM: i nostri lavorati senza OGM; una carne senza OGM; contraddistingue la filiera Fileni, sia tradizionale che biologica un’alimentazione esclusivamente non OGM. Tuttavia, noi stessi abbiamo potuto leggere attaccate nei silos dell’allevamento di riproduttori in provincia di Bologna nel mese di ottobre le etichette che dichiarano esattamente l’opposto.

GIULIA INNOCENZI Sull’etichetta del mangime qui c’è scritto: viene usato la soia e il granturco geneticamente modificato.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma è la stessa azienda, nella domanda presentata per ottenere il prestigioso marchio B Corp, ad ammettere che la maggioranza degli animali Fileni è allevata con mangime convenzionale, che può essere un mix di OGM e non OGM. Ma sempre a Borghi in Romagna, dove Fileni ha un allevamento su due piani, a terra c’è il bio, al primo piano sembrerebbe che Fileni allevi un pollo che non è bio, ma che da disciplinare, come scrive sull’etichetta, dovrebbe essere allevato all’aperto e alimentato esclusivamente da mangimi vegetali: il Rusticanello. Infatti, osservando i tubi che distribuiscono il mangime dai silos, vediamo che mentre al piano terra ci va il bio, al piano superiore arriva il mangime destinato ai polli Rusticanello. Come si fa ad allevare un pollo che dovrebbe razzolare all’aperto, se lo si alleva al piano alto del capannone?

OPERAIO FILENI Se l’hai visto lo deve valutare lei come… come stanno. Io le risposte te le do nel momento in cui mi dicono.

GIULIA INNOCENZI Se fosse al secondo piano sarebbe un problema perché deve essere allevato all’aperto, sicuramente non è che può volare dal secondo piano.

CAPO OPERAIO FILENI Non ti posso dire, non ti posso dire niente.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma i quattro stabilimenti romagnoli di Borghi sono al centro di un’altra anomalia. Come dimostrano i codici di riferimento, l’ente certificatore CCPB certifica che lì ci sono 88mila polli bio nel 2021. Ma come ha fatto se l’Arpa li certificherà biologici solo nell’agosto del 2022? E poi viene indicata Maiolo che si trova a 45 minuti di macchina da lì. Quando arriviamo troviamo capannoni a 3 piani completamente diroccati, tetti divelti e macerie. E scopriamo che ci sono i lavori in corso. GIULIA INNOCENZI Allora, qua nel cartello del cantiere dice che la delibera regionale è del 4 aprile 2022, il committente è Società Agricola Biologica Fileni, e quindi i lavori sono cominciati da dopo lo scorso aprile. Salve, qua state facendo i lavori?

OPERAIO Sì

GIULIA INNOCENZI Questo sarà un allevamento bio poi OPERAIO Sì tutto bio GIULIA INNOCENZI Sono qui perché questo allevamento è comparso nel 2021 in un certificato bio ma qua mi conferma che è così sotto lavori

OPERAIO Ma l’hanno preso da poco, ce stanno a fà i lavori adesso la Fileni

GIULIA INNOCENZI I lavori quando finiranno ci vorrà un po’

OPERAIO Tre anni

GIULIA INNOCENZI Tre anni!

OPERAIO Secondo me sì.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO L’allevamento biologico saràà il più grande di tutti. Ma non saràà pronto prima di 3 anni, quindi come ha fatto a finire nella certificazione biologica di Fileni? Perché i loro 88.000 polli sono stati conteggiati come bio già un anno prima e collocati sulla carta in un capannone diroccato che ci vorranno anni per ristrutturarlo?

OPERAIO Lì ci verrà un capannone grosso GIULIA INNOCENZI Ah là. OPERAIO Sì, e qui ci verrà un capannone grosso lungo fino a laggiù. Poi sopra ci verrà un altro capannone da quell’altra parte ma immenso, solo di tubo saranno 18 chilometri.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Anche nell’allevamento marchigiano di Ripa Bianca, il pollo Rusticanello che dovrebbe essere allevato all’aperto, viene allevato al chiuso nel capanno 7. Fileni stessa scrive nell’autorizzazione integrata ambientale che viene cresciuto con le stesse modalità dell’allevamento convenzionale, cioè quello intensivo ma ci sono meno polli per metro quadro. Anche qui non c’è un parchetto per farli razzolare. Come fanno allora a dichiarare sull’etichetta che crescono razzolando all’aperto?

GIULIA INNOCENZI Mi immagino vi arriva l’Autorizzazione integrata ambientale, Fileni scrive: io qui ci allevo il Rusticanello, poi nessuno però nessuno gli dice il Rusticanello c’è scritto che andrebbe allevato all’aperto e neanche su carta c’è un parchetto, niente.

ALBERTO TIBALDI - DIRETTORE FUNZIONE VETERINARIA E SICUREZZA ALIMENTARE ASUR - MARCHE Se parliamo di benessere, sanità animale, è addirittura una densità inferiore rispetto alle altre, quindi io dal punto di vista di stato di salute dell’animale che cosa posso dire, se non che va bene?

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Andrà pure bene dal punto di vista sanitario, ma non da quello del rispetto della veridicità dell’etichetta, che dovrebbe essere controllato dagli enti certificatori. Anche perché l’etichetta dice anche che il mangime è no OGM e senza grassi animali aggiunti. Dalle immagini ricevute dalla Lav, invece, risulta che nel capanno 7, dove si legge che viene allevato il Rusticanello, è stato dato granturco e soia geneticamente modificati e anche grassi animali. Tutti elementi vietati per il Rusticanello. In più il mangime è con Coccidiostatico, che serve per debellare i coccidi, che sono parassiti che possono proliferano in luoghi con scarsa igiene.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Ma essere bio aumenta il prestigio, per questo Fileni non perde occasione nella sua comunicazione di puntare su questo aspetto. Lo scorso anno a Dubai ha dichiarato di essere stata la prima azienda produttrice di carni al mondo a fregiarsi della certificazione B Corp, che significa sostenibilità, responsabilità e trasparenza, e poi in ogni brochure scrive che è OGM free, scrive che gli animali allevati bio possono godere della luce e di un bioritmo naturale. B Corp invece ci ha risposto che Fileni non è la prima azienda al mondo ad aver ottenuto il certificato B Corp; inoltre, per quello che riguarda gli OGM, è la stessa azienda Fileni che ha dichiarato nella domanda per accedere alla certificazione B Corp di utilizzare mangimi misti, contenenti OGM, come ha documentato del resto la nostra Giulia, e per questo abbiamo chiesto conto a Fileni, e Fileni ci ha risposto che l’OGM si trova solo nei mangimi che vengono dati a quegli animali che verranno poi venduti, la cui carne verrà venduta senza il marchio Fileni. Poi, insomma, va anche detto che Fileni alleva ogni anno 50 milioni di polli, ma non ha mai dichiarato quanti sono effettivamente bio, noi gliel’abbiamo chiesto e ci ha risposto e ha detto che solo l’11% della produzione è bio. Insomma, ne va da sé che il rimanente 89% proviene dagli allevamenti intensivi; per quello che poi riguarda il rispetto del bioritmo naturale degli animali allevati bio, insomma, avete visto che cosa ha raccolto la nostra Giulia, a partire dalla testimonianza dell’ex operaio che ha detto che quando lui si è trovato in quegli allevamenti dove c’è la portella automatica, quello di bio Cannuccia, insomma, si rischia che quando viene chiusa rimanga qualche posso schiacciato e così alla fine si decide di lasciare i polli al chiuso, chiuso dove può capitare, come nell’allevamento di Ostria Vetere, che rimanga la luce accesa tutta la notte: questo sarebbe vietato ma consente ai polli anche di mangiare di più. Poi anche volendo invece quei polli che potrebbero e vorrebbero razzolare non possono farlo, come i polli broiler che hanno un petto talmente importante, talmente cresciuto, che è stato selezionato negli anni, che gli impedisce sostanzialmente di stare in piedi. Li usano anche i Fileni perché ovviamente è un pollo che cresce in fretta e che rende parecchio, proprio nelle parti del petto, però lo usano anche negli allevamenti bio dove dicono: li stanno sostituendo. Ora, Fileni ci fa sapere comunque che tutti gli impianti della filiera biologica assicurano almeno un terzo di vita all’aperto a tutti gli animali. Evidentemente la nostra Giulia, e chi ha girato quelle immagini negli stabilimenti che sono state poi consegnate alla Lav, sono stati sfortunati perché hanno sempre trovato i polli al chiuso. Tra 30 secondi vedremo invece qual è l’impatto dell’allevamento intensivo sul territorio.

STACCO PUBBLICITARIO SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Allora, riecco qua, e quello che abbiamo capito è che è stato fatto di tutto per far entrare queste aziende nel biologico, ed è un bene perché solo così si riesce a diminuire l’impatto degli allevamenti intensivi sul territorio. Però poi dopo far rispettare le leggi a queste grandi aziende sul biologico pedissequamente insomma è un po’ come tenere la marmellata con gli elastici e per questo sono state applicate delle deroghe a quella legge del 1999, proprio per consentire a queste grandi aziende di poter entrare nel mercato. Ma se vogliamo veramente aiutarle non dobbiamo essere né complici, né silenti: se ci troviamo di fronte a delle presunte anomalie bisogna avere il coraggio di denunciarle, purché poi queste aziende non identifichino il problema con chi denuncia.

MASSIMO FILENI - VICEPRESIDENTE FILENI ALIMENTARE – ASSEMBLEA SAN LORENZO IN CAMPO – 05/12/2019 Sono Massimo Fileni, sono uno dei figli del fondatore dell’impresa più grande in Italia e in Europa di carne biologica.

ASSEMBLEA Ehhhhhhhhhh

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO L’intervento di Massimo Fileni è stato accolto dalle proteste dei cittadini di San Lorenzo in Campo, in provincia di Pesaro Urbino. ASSEMBLEA Basta! Vai via!

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Sono infuriati perché Fileni vuole aprire un mega allevamento da oltre 2 milioni di polli l’anno.

CITTADINO - ASSEMBLEA SAN LORENZO IN CAMPO – 05/12/2019 Io non sono contro gli allevamenti di polli e tantomeno contro gli imprenditori, però sono contro quegli imprenditori e quegli insediamenti produttivi che fanno fare gli interessi a pochi e i danni a tanti. Perché a loro vengono i soldi e a me la puzza.

MASSIMO FILENI - VICEPRESIDENTE FILENI Non ho mai sentito un’assemblea così, mai.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Fileni è convinto della regolarità del nuovo allevamento tanto da sfidare i cittadini a usare tutti gli strumenti legali a disposizione per fermarlo.

MASSIMO FILENI - VICEPRESIDENTE FILENI Ci sono tutte le garanzie, tutte le procedure, tutte le opportunità per intervenire. Vi prego di farlo, vi prego di farlo!

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Non si sono fatti pregare molto. Il comitato dei cittadini si è opposto e cosa è successo?

ANDREA LANDINI - PRESIDENTE COMITATO AMBIENTE VIVO VALCESANO È emerso che l’impatto che l’allevamento avrebbe avuto sull’ambiente, quindi un impatto negativo, non era bilanciato in nessun modo da dei vantaggi, per cui anche la Regione ha negato il permesso di via.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Se l’impianto di San Lorenzo in Campo è stato stoppato, gli altri invece godono di ottima salute. Fileni ha aperto nelle Marche 10 maxi-allevamenti negli ultimi 10 anni: parliamo di più 10 milioni di polli ogni anno, che significa quasi 10 ogni abitante della regione, un rapporto che può stravolgere per sempre un territorio. DARIO SEDDI Anziché difendere questo territorio che è meraviglioso ci si trova invece a rovinarlo, perché è rovinato. Io potessi scapperei.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Secondo il presidente della Regione Marche per contrastare la densità dei maxiallevamenti c’è poco da fare.

FRANCESCO ACQUAROLI - PRESIDENTE REGIONE MARCHE Se c’è il rispetto delle leggi, delle procedure, e il diritto e la domanda che viene fatta da un soggetto privato non ha motivo di essere negata, per quale motivo non dovrebbe aprire?

GIULIA INNOCENZI Quando volete però dite di no, per esempio San Lorenzo in Campo…

FRANCESCO ACQUAROLI - PRESIDENTE REGIONE MARCHE Ma lei sta usando il plurale di una vicenda…

GIULIA INNOCENZI Ma io dico come Regione Marche.

FRANCESCO ACQUAROLI - PRESIDENTE REGIONE MARCHE Ma quando è successo San Lorenzo in Campo?

GIULIA INNOCENZI Questo prima di lei.

FRANCESCO ACQUAROLI - PRESIDENTE REGIONE MARCHE Allora perché lo chiede a me?

GIULIA INNOCENZI E no, ho detto: quando la Regione vuole dice di no.

FRANCESCO ACQUAROLI - PRESIDENTE REGIONE MARCHE Ma quando la Regione vuole dice di no lo deve chiedere a chi ha detto di no, è una procedura, io non entro nelle procedure…

GIULIA INNOCENZI No, è che io le chiedo qual è la sua idea politica perché non tutto riesce a convivere, perché dove si apre un mega allevamento non ci può essere una struttura ricettiva di fianco, ovviamente, quindi le chiedo qual è la sua idea.

FRANCESCO ACQUAROLI - PRESIDENTE REGIONE MARCHE Ma questo è giustissimo, allora, ci sono delle norme che noi abbiamo ereditato, che consentono o non consentono la creazione di queste imprese. Noi le vogliamo cambiare con la legge urbanistica per garantire un governo del territorio migliore, vogliamo anche tutelare il paesaggio, ma dobbiamo anche consentire lo sviluppo.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma non sempre si riesce a far convivere tutto. A volte bisogna fare delle scelte. Emerge con chiarezza alla riserva di uccelli di Ripa Bianca del WWF che confina proprio con uno dei maxi-allevamenti Fileni.

DAVID BELFIORI - DIRETTORE RISERVA RIPA BIANCA WWF Questi habitat sono rari. Nel senso, questi sarebbero degli habitat che naturalmente esisterebbero nelle aree accanto ai fiumi, adesso praticamente non esistono più perché si è arrivati a coltivare, a costruire accanto diciamo ai fiumi.

GIULIA INNOCENZI E queste zone umide sono fondamentali per la biodiversità.

DAVID BELFIORI - DIRETTORE RISERVA RIPA BIANCA WWF Assolutamente.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Da quando si è insediata la riserva a inizio degli anni 2000, sono arrivati diversi uccelli migratori che prima non si fermavano in quest’area.

DAVID BELFIORI - DIRETTORE RISERVA RIPA BIANCA WWF Ecco quello è un airone cenerino.

DAVID BELFIORI - DIRETTORE RISERVA RIPA BIANCA WWF Un altro.

GIULIA INNOCENZI E queste sono alcune delle specie che voi proteggete qui.

DAVID BELFIORI - DIRETTORE RISERVA RIPA BIANCA WWF Sì sì, questi hanno una trentina di nidi.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO La distanza della riserva dal maxi-allevamento di Fileni da più di 2 milioni di polli l’anno è di soli 350 metri.

DAVID BELFIORI - DIRETTORE RISERVA RIPA BIANCA WWF Inizialmente dovevano aprire qui due capannoni biologici e l’Istituto zooprofilattico ha detto che non era possibile farlo perché qui la probabilità che entrano in contatto sia animali selvatici, tipo gli anatidi, i germani reali, con i polli è alto, perché logicamente avendo le aree umide, avendo il lago, vengono appunto attirati, e quindi al posto di due capannoni biologici ne hanno fatto uno convenzionale.

DARIO SEDDIO Noi siamo seduti qua, facciamo colazione, guardiamo il sole che sorge e a un certo punto dobbiamo ritirarci, chiudere tutto, infilarci in casa perché odori insopportabili.

GIULIA INNOCENZI E l’allevamento Fileni quanto dista da casa sua?

FIORENZO ANGELETTI Un chilometro e mezzo.

GIULIA INNOCENZI E nonostante un chilometro e mezzo lei sente questi odori.

FIORENZO ANGELETTI Ci si sveglia la notte con l’odore.

GIULIA INNOCENZI Addirittura.

FIORENZO ANGELETTI Sì. Perché l’odore è talmente forte, a volte acre, e praticamente uno nel cuore della notte, alle tre alle quattro della mattina, si sveglia.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO I cittadini sono esasperati e cominciano a sporgere denuncia.

GIULIA INNOCENZI Sono queste le carte di tutte le tue denunce?

FIORENZO ANGELETTI Questa qua è una parte.

GIULIA INNOCENZI Quante denunce ha presentato finora?

FIORENZO ANGELETTI Eh, saranno una cinquantina.

GIULIA INNOCENZI Tutte contro l’allevamento Fileni.

FIORENZO ANGELETTI Sì.

DARIO SEDDIO Con la pec ora è una cosa diciamo anche più veloce da fare, io e mia moglie la sera se sentiamo la puzza la segniamo: oggi alle ore 18.45 c’è odore.

ANDREA TESEI – PRESIDENTE COMITATO PER LA VALLESINA Mandiamo una pec a tutti gli organi: alla Regione, all’Asur, all’Arpam, al comune, ai carabinieri, eccetera.

GIULIA INNOCENZI Lei quante denunce avrà fatto nel corso di questa sua battaglia?

ANDREA TESEI – PRESIDENTE COMITATO PER LA VALLESINA Io ne avrò sporte 50, 80, 70 non lo so.

GIULIA INNOCENZI Presidente, buongiorno, posso chiederle cosa state facendo come Regione rispetto ai problemi che creano diversi allevamenti di polli di Fileni?

FRANCESCO ACQUAROLI - PRESIDENTE REGIONE MARCHE Guardi, la Regione tramite i suoi uffici fa sempre i controlli rispetto a tutte quelle che sono chiaramente le segnalazioni, le procedure per tutti, non solo per…

GIULIA INNOCENZI È che i cittadini è da anni che stanno facendo diverse denunce e si sentono un po’ abbandonati a loro stessi.

FRANCESCO ACQUAROLI - PRESIDENTE REGIONE MARCHE Guardi, io amministro questa Regione da due anni, tra cui uno in pandemia e abbiamo sempre fatto tutto quello che è nel nostro potere.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO L’Arpam, l’Agenzia per l’ambiente, la scorsa estate finalmente ha messo una centralina per misurare gli odori in prossimità dell’allevamento Fileni di Ripa Bianca. In particolare, deve misurare la concentrazione nell’aria di ammoniaca, il gas che rende nauseabonda l’aria. Particolare non trascurabile, dopo qualche mese si accorgono che proprio il rilevatore dell’ammoniaca non funziona.

GIULIA INNOCENZI Siamo arrivati al 2022 dove avete fatto la prima campagna odorigena…

ROSSANA CINTOLI - DIRETTRICE GENERALE AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE DELLE MARCHE E come le dicevo…

GIULIA INNOCENZI …e la centralina era rotta.

ROSSANA CINTOLI - DIRETTRICE GENERALE AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE DELLE MARCHE No.

GIULIA INNOCENZI Come no?

ROSSANA CINTOLI - DIRETTRICE GENERALE AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE DELLE MARCHE No, siamo arrivati nel 2022 a riuscire a fare una campagna di monitoraggio che proseguirà in futuro.

GIULIA INNOCENZI Di cui la prima parte i dati li possiamo buttare nel cestino perché la centralina era rotta. Quando è non funzionante è rotta.

ROSSANA CINTOLI - DIRETTRICE GENERALE AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE DELLE MARCHE La centralina, lo strumento non ha funzionato.

GIULIA INNOCENZI Esatto.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Così chiedono in prestito la centralina per gli odori alla Regione Lazio.

FIORENZO ANGELETTI La mettono allo stesso posto, stesso attacco e tutto quanto.

GIULIA INNOCENZI E cosa succede?

FIORENZO ANGELETTI Dopo tre o quattro giorni, scopriamo come vedere i dati della nuova centralina e ci accorgiamo che l’ammoniaca passa da livelli molto bassi a livelli molto alti.

GIULIA INNOCENZI I valori arrivano anche a superare 200 particelle per metro cubo di ammoniaca.

ROSSANA CINTOLI - DIRETTRICE GENERALE AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE DELLE MARCHE Sì.

GIULIA INNOCENZI I cittadini vedono questi dati su internet e si allarmano.

ROSSANA CINTOLI - DIRETTRICE GENERALE AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE DELLE MARCHE Certo.

GIULIA INNOCENZI Fanno bene ad allarmarsi?

ROSSANA CINTOLI - DIRETTRICE GENERALE AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE DELLE MARCHE È stata una conferma oggettiva del fatto che c’è un fenomeno presente di molestia persistente.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO I valori di ammoniaca finiscono in un’interrogazione parlamentare alla Commissione europea: porta la firma di Eleonora Evi, che chiede se rappresentino un pericolo per la salute umana. Fileni risponde che non esiste un limite di legge per le emissioni di ammoniaca ma questo non significa che non sia un pericolo.

AGOSTINO DI CIAULA - PRESIDENTE COMITATO SCIENTIFICO ASSOCIAZIONE MEDICI PER L’AMBIENTE Lo scorso anno è stato pubblicato un lavoro che ha stimato come ci siano a livello globale circa 537 mila morti indotte da inquinamento soprattutto di ammoniaca generato da allevamenti intensivi. Ma il problema principale ce l’ha trasformandosi in particolato che causa nel mondo circa nove milioni di morti, per cui… ma oltre a questo determina disabilità, malattie croniche, malattie cronico degenerative, alterazioni metaboliche, disturbi della gravidanza.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E alcuni cittadini che vivono a poco più di 100 metri da un altro allevamento di Fileni, che si trova alle porte della città di Jesi, cominciano ad avvertire forti disturbi. CORRADO MICUCCI Sono dei cattivi odori molto fastidiosi che quando arrivano danno prurito agli occhi, prurito in gola, qualche volta creano anche tosse, irritazione, e devo dire purtroppo anche nausea.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Si tratta di sintomi legati all’esposizione a breve termine: più pericolosa è l’esposizione a lungo termine.

GIULIA INNOCENZI La vostra campagna di monitoraggio ha rilevato valori più alti rispetto a quelli che Fileni aveva dichiarato…

ROSSANA CINTOLI - DIRETTRICE GENERALE AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE DELLE MARCHE Nel piano previsionale.

GIULIA INNOCENZI Nel lungo periodo, se si replicassero questi dati come sono stati fatti nel mese di agosto, è una questione da risolvere?

ROSSANA CINTOLI - DIRETTRICE GENERALE AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE DELLE MARCHE Certo che è una questione da risolvere.

GIULIA INNOCENZI Perché sono troppo alte le emissioni di ammoniaca?

ROSSANA CINTOLI - DIRETTRICE GENERALE AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE DELLE MARCHE È una questione su cui bisogna intervenire…

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Come mai le emissioni di Fileni sono molto più alte di quanto previsto inizialmente?

FIORENZO ANGELETTI Ecco guardate, le finestre sono aperte. Le finestre non dovrebbero essere aperte.

GIULIA INNOCENZI Quindi questo significa che l’aria esce senza passare attraverso il sistema di filtraggio.

FIORENZO ANGELETTI Sì, e si sente notevolmente la puzza.

GIULIA INNOCENZI Quindi adesso fa direttamente la foto?

FIORENZO ANGELETTI Sì. GIULIA INNOCENZI E poi con questa foto cosa fa?

FIORENZO ANGELETTI La do a chi la vuole.

GIULIA INNOCENZI Quindi lei ha denunciato già queste finestre aperte.

FIORENZO ANGELETTI Ho chiesto all’Arpam, dico: ma perché non le state chiudendo? Dopo aver tergiversato un po’ al telefono, dice: no, perché c’è il benessere animale. Dico: scusate, c’è il benessere animale ma il benessere delle persone quando arriva? Di fatto noi non chiediamo che facciano delle cose contro la Fileni ma che facciano rispettare la legge.

GIULIA INNOCENZI Io stessa mi sono recata fuori dall’allevamento di Ripa Bianca e ho visto le finestre aperte.

ROSSANA CINTOLI - DIRETTRICE GENERALE AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE DELLE MARCHE Ovviamente nel momento in cui si verifica questa cosa, andrebbe corretta.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E in ben due allevamenti Fileni viene beccata senza deflettori, che servono proprio per abbattere gli odori.

GIULIA INNOCENZI Non è un po’ strano?

ROSSANA CINTOLI - DIRETTRICE GENERALE AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE DELLE MARCHE Non lo deve chiedere a me.

GIORGIO CATENACCI - DIRETTORE TECNICO SCIENTIFICO AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE DELLE MARCHE Però non serve ad abbattere, eh.

ROSSANA CINTOLI - DIRETTRICE GENERALE AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE DELLE MARCHE No, per deviare.

GIORGIO CATENACCI - DIRETTORE TECNICO SCIENTIFICO AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE DELLE MARCHE Per mitigare, deflette l’aria.

GIULIA INNOCENZI Però non li mitiga se non ha i deflettori.

GIORGIO CATENACCI - DIRETTORE TECNICO SCIENTIFICO AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE DELLE MARCHE Se non ce li ha, certamente no.

GIULIA INNOCENZI Voi avete detto che non ce li aveva.

GIORGIO CATENACCI - DIRETTORE TECNICO SCIENTIFICO AGENZIA REGIONALE PROTEZIONE AMBIENTE DELLE MARCHE Ah, sì, no… sì, sì.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Fileni negli ultimi due anni ha ricevuto diversi richiami per varie mancanze nei suoi allevamenti. Questo allevamento invece da due milioni e mezzo di polli l’anno, secondo il Consiglio di Stato deve chiudere perché è stato fatto in una fascia fluviale protetta e avrebbe dovuto richiedere una variante. È lo stesso stabilimento dove le telecamere la scorsa estate hanno ripreso gli operai che sopprimevano i polli con la torsione del collo. Una pratica non contemplata.

ANDREA TESEI – PRESIDENTE COMITATO PER LA VALLESINA È finito il ciclo di allevamento i primi di ottobre e attualmente non ci sono polli.

GIULIA INNOCENZI Perché il Consiglio di Stato ha detto che adesso l’allevamento va chiuso.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ma mentre siamo lì, Tesei segnala dei movimenti sospetti.

ANDREA TESEI – PRESIDENTE COMITATO PER LA VALLESINA Oggi è entrato un camion grossissimo, chissà che cosa era…

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Ogni giorno ci sono anche le macchine degli operai parcheggiate davanti all’allevamento, i silos vengono caricati col mangime e di notte le luci dei capanni restano accese. Tutti elementi che fanno pensare che l’allevamento sia attualmente in funzione.

CARABINIERI TELEFONO Carabinieri forestali San Marcello.

ELEONORA EVI – DEPUTATA EUROPA VERDE Sì, buongiorno io sono Eleonora Evi, parlamentare della Repubblica. Mi trovo davanti allo stabilimento qui a Monte Roberto della Fileni. Questo stabilimento dovrebbe essere chiuso! Quello che ritengo è che in questo momento ci sia un reato in corso e che debba essere accertato.

CARABINIERI TELEFONO Chiedo magari se è possibile farlo questo pomeriggio.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO E al telefono con il comando di Ancona scopriamo che effettivamente…

CARABINIERI TELEFONO Questo stabilimento non ha ottemperato alla sentenza e quindi adesso stiamo valutando il da farsi, dobbiamo parlare con la procura, da capire se vanno sequestrati gli animali, se vanno portati da qualche altra parte, non è una gestione semplice.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Non è semplice perché Fileni ci ha infilato dentro 400 mila polli. Perché l’ha fatto? Per capirlo basta leggere il ricorso al Tar della Fileni contro la decisione della Regione che dettava i tempi di chiusura dell’impianto dopo la sentenza del Consiglio di Stato. L’azienda spiega che nelle cinque settimane in cui i polli di questo allevamento vanno al macello, costituiscono ben la metà del fabbisogno del prodotto di Fileni. E quindi la paura è che i supermercati e la grande distribuzione, qualora venissero a mancare quei polli, si rivolgano alle aziende competitor. Ma il 4 novembre arrivano i carabinieri, seguiti anche dall’Arpam, l’Agenzia per l’ambiente.

OPERAIO FILENI Sì, salve.

MARESCIALLO Sì, salve. Ci può aprire? Carabinieri.

OPERAIO FILENI Sì, per… adesso vengo subito.

MARESCIALLO Dobbiamo fare un sopralluogo.

OPERAIO FILENI Arrivo.

OPERAIO FILENI Non possono entrare persone che non siano forze dell’ordine.

GIULIA INNOCENZI FUORI CAMPO Non ci rimane che documentare da lontano l’intervento dei carabinieri. Le forze dell’ordine accertano la presenza di 400 mila polli e passano la palla in procura, che decide di non sequestrare anche perché dove li metti mezzo milione di polli?

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Già, dove li metti? È la metafora del sistema vittima di sé stesso: Fileni avrebbe dovuto chiudere il ciclo entro il 31 ottobre, poi invece ha prolungato fino alla metà di dicembre. Rischiava di rimanere senza polli sotto il periodo più redditizio e dunque di rimanere vittima dell’altra legge, quella di mercato, quella della GDO, della grande distribuzione che impone abbondanti e continue forniture, altrimenti rischia di farti uscire fuori, di buttarti fuori, rischi come il pollo dal mancato incremento ponderale. Ora, Fileni ha presentato anche un ricorso contro la Regione che ha dettato i tempi della chiusura dello stabilimento. Li detta ora, prima li ha autorizzati a costruire in una fascia fluviale protetta. Deciderà comunque ancora una volta il Consiglio di Stato. A San Lorenzo in Campo invece si son fermati in tempo: adesso al posto dell’allevamento crescerà un polo scientifico agro-tecnologico con un laboratorio anche per la coltivazione delle alghe e laddove doveva esserci invece un allevamento intensivo con due milioni di polli l’anno. Ora, nonostante abbiamo superato il fabbisogno nazionale abbondantemente, alleviamo 500 milioni di polli l’anno, continuiamo ad autorizzare nuovi allevamenti intensivi, quel tipo di allevamenti che in qualche modo, per il numero di animali, giustificano la malattia quotidiana dei polli. E perché poi sia tollerato economicamente dal sistema produttivo messo in piedi, allora viene sacrificato il pollo più fragile, quello che cresce di meno; ecco, frutto di un sistema economico che ormai è diventato un paradigma culturale. Per cambiarlo bisognerebbe che ciascuno di noi cominciasse a rinunciare a qualcosa, bisognerebbe anche aiutare le grandi aziende ad entrare completamente nel biologico. Insomma, non con la complicità o con il silenzio, anche denunciando quelle che sembrano delle anomalie: noi avremmo voluto confrontarci con Fileni su quello che abbiamo visto perché, per capire se abbiamo interpretato male noi o se effettivamente avevano qualcosa da correggere loro. Purtroppo, non è stato possibile. Fino a quando continueremo a concepire e a vivere su questo mondo con un paradigma culturale che fa sembrare questo un mondo in liquidazione, un pianeta in liquidazione, come se avessimo la certezza che una volta esaurito questo ne troveremo un altro pronto a darci rifugio?

L’Estinzione.

Estratto dell’articolo di Tiziano Fratus per “La Verità” il 27 Novembre 2023

Danilo Selvaggi (Matera, 1968) si laurea in filosofia e approfondisce i rapporti tra ecologia, cultura e politiche ambientali. Direttore generale della Lipu, è anche responsabile della Scuola Danilo Mainardi, membro del Comitato per il Capitale Naturale nonché consigliere della Fondazione Caetani che gestisce, tra l’altro, il Giardino di Ninfa. 

In occasione dei sessant’anni dall’uscita di Primavera silenziosa di Rachel Carson, testo epocale che nel 1962 lanciò l’allarme sulla scomparsa degli uccelli […] ha scritto il saggio Rachel dei pettirossi. Primavera silenziosa, Rachel Carson e un nuovo inizio per la cultura ecologica […]. Gli abbiamo rivolto alcune domande.

[…]  Recenti studi ci hanno informato che al mondo, dal 1970 ad oggi, una percentuale variabile tra il 50% e i due terzi della fauna selvatica è letteralmente scomparsa. […]

«I dati dell’Ipbes, la Piattaforma intergovernativa per la biodiversità, dicono che un milione di specie su otto è a rischio di estinzione e che circa il 70% degli habitat naturali è stato modificato dall’azione umana. Sono dati spaventosi anzitutto dal punto di vista tecnico, perché i numeri della crisi sono così alti che anche solo il capire cosa fare è da mal di testa. Il vero problema è però l’analisi delle cause.

Questo ci porta a confrontarci con l’intero sistema di infrastrutture, materiali e immateriali, che compongono il nostro mondo. Il peso e gli impatti di questo sistema sono eccessivi e tra le conseguenze c’è anche quella che dicevamo: perdita di biodiversità e squilibri ambientali. Per fortuna, in questi decenni, anche grazie all’opera di Rachel Carson abbiamo potuto godere di una normativa ricca che, pur spesso disapplicata, ha fatto da argine». 

[…] Oggi la situazione è quella a cui assistiamo ogni giorno: quali sono le difficoltà nella tutela dell’avifauna? Tra mezzo secolo ci saranno ancora uccelli selvatici?

«Più che rispondere alla domanda dovremmo assumere un impegno: devono esserci. Il solo dubbio che possa non accadere, che si possa assistere a cieli vuoti e campagne silenziose è qualcosa che ripugna il senso comune prima ancora che il ragionamento. Il volo degli uccelli ci accompagna dall’alba dei tempi, il canto degli uccelli ci delizia e incanta. 

Gli uccelli sono una meraviglia della natura e un indicatore dello stato di salute di ambienti e pratiche sociali. Gli studi della Lipu in campo agricolo dicono che dal 2000 ad oggi abbiamo perso quasi la metà degli uccelli delle campagne, rondini, allodole, calandri, e questo dipende dal fatto che abbiamo trasformato la terra in industrie a cielo aperto. Agricoltura intensiva, monocolture, stress del terreno, sostanze chimiche, nemmeno un fiore o uno specchio d’acqua. C’è qualcosa che non va, per la natura e per noi. La transizione ecologica è un processo complicato, che richiede tempo e attenzione, ma una cosa è certa: è indispensabile. Possiamo costruire un mondo in cui il benessere sia più autentico, più sano».

Le Oasi Lipu: che funzioni hanno nel paesaggio italiano? Perché sono così fondamentali?

«Oggi la Lipu gestisce 25 Oasi e Riserve in giro per l’Italia. Sono scrigni di natura, con migliaia di specie animali e vegetali, e luoghi di incontro della gente. Ogni anno oltre centomila persone, scuole, ragazzi, adulti, vengono a trovarci. Fanno birdwatching, scoprono la biodiversità, ascoltano il silenzio o appunto i canti degli uccelli. E vanno via con la voglia di tornare al più presto». […]

Le Papere.

Quesiti linguistici. Oca, anatra o papera? Risponde la Crusca. Accademia della Crusca su L'Inkiesta il 5 Agosto 2023

Solo gli Anatidi comprendono cinque sottofamiglie, molte tribù e ancor più abbondanti generi, per un totale di circa centocinquanta specie di volatili

Tratto dall’Accademia della Crusca

Molti lettori ci chiedono di fare chiarezza sulla parola papero: quale animale indichi di preciso, quali ne siano l’etimologia e la storia, se sia una parola di origine toscana; inoltre i lettori si interrogano anche su questioni di carattere morfologico, ossia sull’accettabilità delle forme paparo, anitra ‘anatra’ e dell’insolito plurale anatri.

Risposta

Chi ha la curiosità di scorrere con lo sguardo i rami in cui secondo la tassonomia zoologica si articolano l’ordine degli Anseriformi e, sotto di esso, la famiglia degli Anàtidi, si trova davanti una piccola foresta terminologica. Solo gli Anatidi comprendono cinque sottofamiglie, molte tribù e ancor più abbondanti generi, per un totale di circa centocinquanta specie di volatili: tra queste si contano molte anatre, concentrate nell’albero classificatorio al di sotto della sottofamiglia delle Anatinae, e molte oche, in maggioranza nella sottofamiglia delle Anserinae. Il quadro, già così piuttosto articolato, si complica quando dalla classificazione latina riemergiamo alla superficie linguistica della nomenclatura italiana, dove troviamo, fra le Anserinae, anche volatili che in italiano chiamiamo anatre, e fra le Anatinae volatili che chiamiamo oche. E in questa moltitudine di uccelli dai becchi colorati, dai piumaggi curiosi, diffusi nelle più diverse zone del mondo, uccelli che a volte è solo per corrispondenza onomastica che ci ricordano di essere anatre e oche, troviamo naturalmente specie che già a partire dal nome segnalano quanto sia complesso l’insieme di animali a cui ci riferiamo: cigni, dendrocigne, gobbi, casarche, volpoche, morette, edredoni, orchi, quattrocchi, pesciaiole, smerghi, alzavole, moriglioni, fischioni, codoni, germani.

Quello che ci interessa qui, tuttavia, non è l’esuberanza cui l’evoluzione ha consegnato la realtà zoologica, ma la questione linguistica di come i nomi che normalmente usiamo vi si attagliano. E, a questo proposito, su una cosa possiamo fare subito chiarezza: al termine di nessun ramo di questo albero troviamo un nome italiano che contenga al suo interno la parola papero (o il femminile papera).

Se ci limitiamo alle specie domestiche, ossia a quelle che possiamo trovare nei cortili delle nostre campagne e negli allevamenti, da una parte abbiamo le anatre, che in questo caso discendono quasi tutte da due specie selvatiche: la Chairina moschata, che ha dato origine all’anatra di Barberia (detta anche anatra muta o muschiata), e l’Anas platyrhynchos, Germano reale o anatra selvatica, da cui discendono le altre anatre domestiche: di piumaggio variabile, comunemente conducono vita acquatica e presentano collo tozzo, becco piatto utile nella ricerca di cibo in acqua, zampe corte e palmate, spiccato dimorfismo sessuale (ossia, in individui della stessa specie, caratteristiche morfologiche diverse a seconda del sesso). Dall’altra parte, troviamo le oche: tra le domestiche più comuni ci sono l’oca di Tolosa, grigia cenere, l’oca romagnola, bianca, l’oca padovana, grigia scura, ecc. Si riconoscono perché hanno collo e zampe più lunghi delle anatre, corpo più grosso, becco robusto atto a strappare l’erba, sono più propense alla vita terricola e non presentano, o presentano in misura minore rispetto alle anatre, dimorfismo sessuale. Esclusivamente anatre e oche: eppure molti parlanti italiani, magari digiuni di queste distinzioni tecniche, cercherebbero tra questi animali i referenti della parola papero (o papera), scegliendo indifferentemente tra le varie specie.

Di quanto appena detto si ha una conferma sfogliando le carte dello Sprach- und Sachatlas Italiens und der Südschweiz, atlante linguistico dialettologico in Italia conosciuto come Atlante italo-svizzero – AIS (1928-1940), dove papero e le sue varianti compaiono sia nella carta 1149 (dedicata ai modi locali di chiamare l’oca) sia nella 1150 (che mappa i nomi dell’anatra). In particolare, papero (o secondo il vocalismo locale paparo) ‘oca’ è attestata in certe zone della Toscana (specialmente in una fascia centrale che va dal Mugello alle Colline Metallifere, passando per Firenze, il Chianti, la Valdelsa), il tipo paperone (non direttamente attestato) si registra nelle varianti paparone e babaruni in Umbria e nel Lazio orientale, papera nell’Italia centrale e meridionale (Umbria e Lazio del sud, Marche e da lì in tutto il Meridione peninsulare, dove la variante maggioritaria sembra essere papara). Anche in Sicilia orientale si rilevano le forme papara e papira, che sempre intendono ‘oca’. Ma anche per ‘anatra’ è attestato il tipo papera, e in particolare le forme papara, paparella (sud delle Marche, Abruzzo, nord della Puglia, Campania costiera, nord della Calabria, Sicilia orientale), babara (Lazio orientale) e papaìna (tra Liguria e Toscana).

La possibilità di chiamare papero o papera sia l’oca sia l’anatra è confermata dai risultati della ricerca semplice nel web, dove sono molti a domandarsi quale sia la differenza specifica tra un’oca, un’anatra e un papero (o una papera) e molti a spiegarla (su blog, forum e siti specializzati), dichiarando in qualche caso che comunque

Chi mi conosce sa che io amo generalizzare e le chiamo tutte affettuosamente papere, sia che si tratti di anatre, sia che si tratti di oche. (Blog Mondopapera, 20/3/2010)

Oltre alle numerose richieste di disambiguazione, che a volte sfociano in veri e proprio dibattiti terminologici, la ricerca per “papero” restituisce anche immagini, tra le quali tuttavia le anatre e le oche si trovano felicemente confuse, e convivono insieme ad alcuni personaggi dei fumetti e del cinema assimilabili ora alle une, ora alle altre. La rete, d’altra parte, non fa che rispecchiare il comportamento linguistico dei parlanti, che effettivamente ricorrono a papero e papera in contesti colloquiali e familiari, di registro medio e informale e in cui spesso, più che le precise caratteristiche del referente, a essere centrali nella comunicazione sono altri tratti (come la goffaggine, la rumorosità, l’ingordigia, la tenerezza, la simpatia: tutte caratteristiche che tendiamo ad attribuire ai paperi).

I Cormorani.

I Cormorani. Valeria D'Autilia per “la Stampa” il 10 gennaio 2023.

«È una strage, quando entrano in una gabbia fanno razzia». Nello Totogiancaspro sembra quasi rassegnato, questo è il periodo peggiore. È proprio durante l'inverno che i cormorani, in cerca di temperature più miti, raggiungono l'Italia. E lui assiste impotente alla moria di spigole nel suo allevamento.

 Perché questi uccelli acquatici si cibano di pesce. «Non siamo certo una multinazionale: se questi predatori ci dimezzano la produzione di una vasca per noi significa perdere tutto il guadagno». Come lui, tanti altri colleghi.

A lanciare l'allarme è Coldiretti Puglia che parla di invasione nella regione: «Più che triplicati a causa della tropicalizzazione del clima, con ripercussioni economiche gravi per i pescatori e per gli allevamenti in mare». Già l'anno scorso, c'era stata una denuncia analoga. Ma per il comparto ittico, in casi come questo, non ci sono indennizzi. Le assicurazioni sugli stock ittici coprono calamità come mareggiate o alluvioni, ma non questo tipo di danni.

 Nello allora prova a fare qualche calcolo. La cooperativa «Maricoltura San Vito» che ha fondato a Taranto, insieme ad altri soci, ha una concessione di 90mila metri quadrati. «Significa che abbiamo 13 vasche per l'acquacoltura, dove alleviamo spigole e orate. In ognuna abbiamo una semina di circa 40mila pesci. In qualche caso è capitato persino di vederli dimezzati proprio a causa dei cormorani. Non voglio sembrare anti-ambientalista, ma per noi stanno diventando un serio problema». Perdere la metà della produzione significa veder svanire tutto il guadagno.

 Racconta che in una di queste vasche ha perso oltre il 50% del prodotto allevato. Un danno di 30mila euro. «Quando ti prendono di mira, te li trovi qui tutti i giorni». Sono uccelli acquatici, con loro anche le gabbie messe a copertura delle vasche non sono un deterrente efficace. «Meno male che nella nostra zona la loro presenza è solo nei mesi invernali e poi ritornano nei Paesi d'origine».

E così Nello, da dicembre alla primavera stringe i denti. E aspetta che vadano via. Ma in questi giorni, è costretto a conviverci. Impotente, li osserva entrare nelle gabbie e andare sott' acqua con facilità. «Riescono ad entrare nonostante le reti: prima la testa, poi un'ala. A volte mangiano così tanti pesci che poi hanno difficoltà a riprendere il volo e uscire. Sinceramente mi dispiace anche, ma qualcuno dovrebbe pensare a noi».

 Si cibano dei pesci che non hanno ancora raggiunto grandi dimensioni: «Sulle spigole è una rovina, non so più come fare». L'altro giorno, in una sola gabbia, ne ha trovati una ventina: «Lavorano in gruppo. Se ognuno di questi mangia una media di 5 pesci al giorno, il conto del danno è presto fatto. Siamo una piccola cooperativa: in ognuna di queste gabbie per arrivare alla vendita del prodotto ci vuole oltre un anno.

E quando penso finalmente di poter raccogliere i frutti del mio lavoro, arrivano loro e io non pago nemmeno le spese che ho sostenuto». Non solo spigole che diventano il loro cibo, ma anche esemplari che trova ormai morti: «Spesso non riescono neanche a deglutire: ingoiano il pesce e lo buttano fuori, ma ormai l'hanno ucciso. Adesso sono arrivati da un mesetto e ne siamo pieni».

 A raccogliere le denunce dei pescatori è Coldiretti Puglia. Segnalazioni di una presenza sempre più massiccia arrivano dalla provincia di Bari, dalla costa di Taranto e di Gallipoli, dalla laguna di Varano, dalla diga di Capaccio del Celone a Lucera e dalla palude del lago Salso a Manfredonia.

«Il clima anomalo fa proliferare la fauna selvatica e nella regione i cormorani, da migratori, sono diventati stanziali con danni alla pesca negli allevamenti, in mare ed in laguna». Pietro Spagnoletti è il responsabile di Impresa Pesca dell'associazione di categoria: «Dal Gargano a Taranto, ci sono moltissimi allevamenti acquicoli.

 Purtroppo stimiamo perdite considerevoli: tra cormorani e pesci-serra, parliamo di una perdita di almeno il 20% per ogni gabbia. Da circa 3 anni riceviamo ripetute denunce da parte di allevatori e imprese. Probabilmente è un problema generalizzato anche nel resto d'Italia, ma per la Puglia riveste grande importanza». Da qui la richiesta di migliorare le barriere fisiche e ottenere finanziamenti per l'acquisto.

Le reti in plastica, nylon e poliestere non sembrano funzionare. «Riteniamo necessario un maggiore controllo, come quello che si prevede sui cinghiali - dice Spagnoletti - dunque mirato, controllato e con un coordinamento scientifico. Sia inteso: non è che ci mettiamo a sparare ai cormorani, ma troviamo soluzioni efficaci a tutela del comparto».

 Michela Cariglia, 46 anni, è direttore del consorzio Gargano Pesca di Manfredonia, nel Foggiano. Assieme al fratello Alessandro e alla sorella Francesca, da 25 anni segue l'impianto di acquacoltura. Hanno 100 gabbie e il loro business è l'allevamento di spigole e orate con una produzione annua di 1800 tonnellate. A causa dei cormorani, la produzione ha un segno meno del 25% con «un danno medio l'anno di 950mila euro».

Al contrario di altri allevamenti, non usano dissuasori contro questi animali, ma hanno incrementato le reti di protezione. «Anziché una, ne sistemiamo due. È un piccolo rimedio che non risolve il problema perché i cormorani stanno dimostrando una voracità pazzesca. In primavera diminuiscono leggermente, ma ormai sono stanziali. È un'ecatombe». Spiega che il cambiamento delle temperature sta influenzando anche la presenza di tonni e altre specie. «Ogni 5 orate, tiriamo su un pesce-serra. In poco meno di un decennio è cambiato tutto: il 2014 è come se fosse stato l'anno zero di una nuova era climatica».

I Gorilla.

I Gibboni.

Gli Scimpanzé.

I Gorilla.

Fasano, 57mila firme per liberare il gorilla dello zoo Safari: «È triste e solo». La replica del parco in provincia di Brindisi: i dati dicono altro, ma lavoriamo per dargli compagnia. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 15 Gennaio 2023

Ha già superato quota 57mila firme la petizione che chiede di liberare Riù, il gorilla dalla schiena argento che dal 1994 vive nello zoo Safari di Fasano, in provincia di Brindisi. Lui è stato catturato ancora cucciolo in Africa, portato via dalla sua terra e lontano dalla sua mamma, che non rivide mai più. Una volta in Italia, Riù venne venduto al circo Medrano che acquistò assieme a lui anche Pedro, un altro giovane gorilla. Era il 2 dicembre del 1975 e per i due piccoli vennero pagati 850mila delle vecchie lire, destinati a essere messi in vetrina a vita.

Da allora in poi Riù e Pedro non rividero mai più la libertà, e condivisero la stessa triste sorte rinchiusi fino al 1994 in un circo, e poi nello Zoosafari di Fasano, in Puglia. Riù è ancora rinchiuso nello zoo pugliese, da solo ormai, perché il suo compagno di sventura Pedro lo lasciò il 13 dicembre del 2008, morendo dopo una breve malattia. Ora dopo tanti anni Riù è ormai anziano, rassegnato e infelice, così infelice da essere chiamato il gorilla triste. Meta Parma ha lanciato una petizione per provare a liberarlo.

"Il vero problema di Riù - precisa l'associazione in un nota - non è la solitudine, bensì la prigionia. Mal comune mezzo gaudio, è quello che si potrebbe essere portati a pensare, sapendo che Riù è triste e solo, quasi come se il problema di Riù fosse soltanto la solitudine. Eppure Riù con il suo sguardo infelice e la sua espressione saggia, così dignitosa nonostante la sua tristezza, manda un messaggio forte e chiaro, che arriva a chi può recepirlo: il vero problema è la libertà negata. Riù è un primate, è un individuo, costretto a vivere in una campana di vetro. Crediamo possa definirsi vita, vivere sempre rinchiusi in uno zoo? Riù è rinchiuso da troppi anni, è anziano, ha diritto a poter vivere almeno i suoi ultimi anni, mesi o giorni fuori da quello zoo, glielo dobbiamo" La petizione su change.org/salviamoilgorillatriste ha raggiunto quasi 50mila firme, e viaggia alla velocità della luce. L'appello è al direttore dello zoo pugliese, Fabio Antonio Rausa, per una dichiarazione ufficiale di disponibilità a lasciar andare Riù, per poterlo far trasferire in un luogo migliore, lontano dagli spettatori paganti Nello stesso tempo Meta Parma lancia un appello ai rifugi, santuari, aree protette, affinchè chi ne abbia la possibilità si faccia avanti per accogliere Riù. "Riù è entrato nel cuore di tantissimi cittadini, e speriamo tutti di riuscire a liberarlo e che non debba morirci, in quello zoo. Non c'è più tempo per temporeggiare o aspettare, Riù è anziano, doniamogli almeno questo gesto, siamo in debito con lui. Per il suo compagno Pedro non si è potuto fare nulla, ed è morto in uno zoo, ma per Riù possiamo ancora cambiare almeno il finale".

LA REPLICA DELLO ZOO SAFARI ALL'APPELLO

La struttura faunistica, dal canto suo, spiega: “Che il gorilla si senta solo o che sia triste sono ipotesi dettate dal buon cuore, ma non dalla scientificità dei dati acquisiti. La solitudine è prevista anche in natura per gli esemplari anziani maschi che vivono quindi lontani da qualsiasi altro consimile”.

Sempre la struttura in provincia di Brindisi – meta ogni anno di centinaia di migliaia di visitatori – ha spiegato che presto potrebbero esserci cambiamenti: “Prossimamente avremo un incontro con l’EEP, il Comitato internazionale dedicato a questa specie, per valutare con il coordinatore Neil Bemment, uno dei massimi esperti di gorilla, la possibilità di migliorare ulteriormente la struttura, già migliorata, ampliata e ristrutturata più volte in questi anni. Poi, a seguito di una valutazione quantitativa e qualitativa della futura struttura, decideremo insieme se affiancare al gorilla una compagna o altro esemplare da altro Parco zoologico, come auspichiamo e chiediamo da decenni”. Ma il problema per gli animalisti è tutt’altro: “Con il suo sguardo infelice e la sue espressione saggia, così dignitosa nonostante la sua tristezza, manda un messaggio forte e chiaro, che arriva a chi può recepirlo: il vero problema è la libertà negata“.

Puglia: oltre 200mila firme per liberare Riù, “il gorilla triste”. Iris Paganessi su L'Indipendente il 18 Marzo 2023.

Riù è un gorilla che è stato catturato in Africa quando era solo un cucciolo. Dal 1994 vive nello zoo Safari di Fasano e dal 2008 – anno della morte di Pedro, suo compagno di sventure – è al centro delle attenzioni degli animalisti che chiedono per lui una vita migliore: “Ora dopo tanti anni è ormai anziano, rassegnato e infelice, così infelice da essere chiamato il gorilla triste.” Tra questi l’associazione Meta Parma che ha lanciato la petizione “Salviamo Riù il gorilla triste” su Change.org per liberarlo. In pochissime ora l’esposto ha superato le 50.000 firme e oggi sono diventate 215.000. Meta Parma ha chiesto l’intervento della Regione Puglia con l’obiettivo di restituire una vita dignitosa all’anziano gorilla, catturato da cucciolo e rinchiuso da tutta la sua vita.

Quanto segue è il testo della PEC inviata da Meta Parma alla Regione Puglia, con allegate le 215.000 sottoscrizioni.

Al Presidente della Regione Puglia e all’attenzione del Consiglio Regionale e Giunta Regionale. Egregio Signor Presidente, scrivo per chiedere il Suo intervento per la questione dell’anziano gorilla Riù rinchiuso in uno zoo pugliese, e in allegato consegno le oltre 200.000 firme dei cittadini che hanno firmato per chiederne la liberazione. Riù è chiamato “il gorilla triste” per la sua condizione di reclusione, non tanto per la solitudine in cui vive da circa quindici anni. Riù infatti è rinchiuso da tutta la sua vita, da quasi cinquant’anni, e non ha mai del tutto accettato di dover rinunciare alla sua libertà per essere utilizzato come attrazione. Riù è stato catturato nel lontano 1975 in Africa, portato via dalla sua terra,  lontano dalla sua mamma e dalla sua famiglia. Era un cucciolo quando è stato rapito, aveva una mamma che amava e non ha più rivisto, probabilmente è stata anche uccisa per riuscire a portarlo via da lei. Riù era  piccolo, aveva soltanto un anno, è stato incatenato, imprigionato, piangeva disperato e urlava spaventato durante la cattura, ma non hanno avuto pietà. Era un cucciolo di primate, era un bambino, hanno ucciso la mamma davanti ai suoi occhi e lo hanno tolto all’Africa per portarlo in Italia, come un prigioniero, come uno schiavo. Riù è rinchiuso nello zoo Safari di Fasano, in un recinto di vetro. Riù ha visto la vita passargli davanti attraverso quei vetri, e poi andare via, mentre lui è sempre lì rinchiuso. Sente le risate, le provocazioni dei visitatori, ‘forza Riù batti i pugni’… risate… ci sono vari video che mostrano la sua situazione. Dicono che la sua non è una gabbia perchè i muri non sono di cemento ma di vetro, trasparenti, così che non vengano visti. Dicono che ora arriverà anche una compagna per il vecchio Riù, cioè una nuova gorilla da rinchiudere nel recinto. Riù è molto anziano, ha circa 49 anni e i gorilla in cattività vivono circa 50 anni, era l’ultimo gorilla rinchiuso in uno zoo italiano, chiediamo il suo intervento per evitare che quello che è successo a Riù si ripeta. La petizione che è stata firmata e che oggi consegno, ha chiesto la liberazione di un gorilla, non la reclusione di un altro gorilla.

Non vogliamo altri gorilla rinchiusi in Italia, chiediamo che la Regione Puglia eviti di far arrivare un altro grande primate nello zoo pugliese, tanto più che Riù vive rinchiuso da tantissimi anni ed è molto anziano. Quello che chiediamo invece per Riù è il suo riscatto di individuo libero, non in natura ovviamente perché ciò non è possibile, ma in qualsiasi altro luogo compatibile con il suo benessere e la sua dignità, cioè un rifugio, santuario o area protetta. Quello che vogliamo per Riù è che non venga più utilizzato come attrazione in uno zoo, almeno nei suoi ultimi giorni di vita. Riù è un gorilla, non una star da mettere in vetrina. Confidiamo nell’intervento della Regione Puglia per aiutare Riù e soprattutto per evitare che nello zoo pugliese venga rinchiuso un nuovo gorilla. A nessuna creatura dovrebbe essere tolta ingiustamente la sua vita o libertà, e ricordiamo che nello zoo pugliese sono rinchiusi circa 3.000 animali, tra cui addirittura due orsi polari. La libertà è un diritto di tutti, e noi oggi chiediamo che Riù possa riscattare la sua. In fede, Ruggiero Katia, referente associazione Meta Parma.” [di Iris Paganessi]

Riù libero? Così uccidete il gorilla "triste". Una petizione animalista lo mette in pericolo. Nel nome della retorica. Massimiliano Parente il 16 Gennaio 2023 su Il Giornale.

Sono un frequentatore di zoo, soprattutto del Bioparco di Roma, dove vado spesso a trovare i miei cugini scimpanzé e grazie a un mio appello sul Giornale anni fa riuscii a sbloccare la burocrazia romana per la costruzione di un habitat più grande per gli orango, motivo per cui ho una tessera onoraria e entro gratis. Ora leggo di un altro appello degli animalisti di Meta Pharma, e contro lo zoo di Fasano: riguarda Riù, un gorilla di 47 anni, che gli animalisti vorrebbero fosse liberato, «perché è triste, vecchio e stanco».

Spesso gli animalisti hanno poche idee ma confuse. È vero quando dicono che «Ryu è un primate, un individuo», perché è una delle grandi scimmie antropomorfe a cui apparteniamo anche noi (il nostro antenato in comune con i gorilla si è estinto solo 10 milioni di anni fa). Ma poi scatta la retorica animalista, per la quale tutti gli animali sono uguali (tranne gli animalisti, che non sanno di essere animali), e dicono: «Crediamo possa definirsi vita, vivere rinchiusi in uno zoo? Riù è rinchiuso da troppi anni, è anziano, ha diritto a vivere i suoi ultimi anni, mesi o giorni fuori da quello zoo, glielo dobbiamo». Eh?

Non è che ci voglia molto a capire che un gorilla che ha vissuto per 47 anni in uno zoo lasciato libero morirebbe dopo pochi giorni. Di fame, di sete, ucciso da un altro gorilla. Sul fatto che sia triste (come lo hanno chiamato, «il gorilla triste») vi rimando a un bellissimo libro del neuroetologo Giorgio Vallortigara, Piccoli equivoci tra noi animali (Zanichelli), quegli equivoci che ci fanno vedere il delfino felice (la sua espressione è bloccata così, non è che sorridono) e il gorilla triste perché ha la faccia ingrugnita da gorilla.

Avrei anche da ridire che i primati negli zoo stiano male, è la retorica della natura bella e buona, e della libertà, come se noi scimmie umane fossimo davvero libere. Spesso un essere umano fa un lavoro che non gli piace, passa da un ufficio alla casa, fa figli, invecchia e muore. Riù ha un habitat di 600 metri quadri, alberi, tronchi, piscina con cascata, un prato verde piantumato con essenze speciali, pranzi e cene prelibate e la migliore assistenza medica. Io la vorrei, una vita così, proprio perché Riù è un primate come me: se a Fasano mi prendono mi ci trasferisco, con Riù. Gli animalisti no, vogliono ucciderlo scaraventando un vecchio nella lotta per la sopravvivenza.

I Gibboni.

Il canto dei gibboni? Nella ritmica assomiglia a quello umano. Redazione Animalia su Il Corriere della Sera l’11 Gennaio 2023.

Studio coordinato dall’Università di Torino sui primati che cantano duettando. Registrate molte somiglianze con la musica umana

Quando partono una dopo l’altra e poi tutte insieme fino a sovrapporsi, all’orecchio umano non esperto potrebbero apparire come il suono indistinto di un’orchestra prima dell’inizio di un concerto, quando gli archi verificano l’accordatura. Ma ad ascoltarle bene, le vocalizzazioni dei gibboni sono qualcosa in più di violini che suonano ciascuno per proprio conto: sono una vera e propria armonia. Di più, un canto, con tanto di botta e risposta, che per regolarità ritmiche presenta molte similitudini con la musica umana. È la conclusione a cui sono arrivati gli autori di uno studio dal titolo «Isochrony and rhythmic interaction in ape duetting», pubblicato oggi sulla rivista scientifica Proceedings of the Royal Society B. La ricerca è parte di uno studio a lungo termine condotto da ricercatori dell’Università di Torino, della King Mongkut’s University of Technology Thonburi di Bangkok e dell’Istituto Max Planck di Psicolinguistica di Nijmegen. La ricerca ha preso in considerazione, in particolare, i gibboni dalle mani bianche, tra i più famosi primati «canterini», registrandoli nelle foreste della Thailandia e in alcuni parchi zoologici in Italia. I dati sono poi stati messi a confronto con la ritmica umana, evidenziando interessanti analogie.

Da tempo si studiano i comportamenti di alcune specie animali in natura per trovare spiegazioni sulla biologia e sull’evoluzione della musica tra gli umani. Il team di ricerca internazionale, guidato dai ricercatori senior Marco Gamba (Università di Torino), Tommaso Savini (King Mongkut’s University) e Andrea Ravignani (Max Planck Institute), si è messo dunque alla ricerca delle abilità musicali dei primati. «Da molto tempo cerchiamo di capire quali tratti della musicalità siano condivisi tra specie diverse — fa notare Andrea Ravignani —, ma lo studio degli aspetti ritmici del canto dei primati è davvero agli albori. In questo studio abbiamo indagato il legame tra isocronia, ovvero quanto un ritmo individuale è regolare, e sincronia, quanto due individui si coordinano ritmicamente, in un animale non umano». Una parte del gruppo di ricerca si era già occupata dei canti di un altro primate cantante, il lemure Indri indri del Madagascar, ma i ricercatori volevano confrontare quei risultati con una specie di primate antropomorfo, come i gibboni. Inoltre, avevano come obiettivo quello di far luce sugli effetti di interazione che si manifestano durante i duetti di questi gibboni.

«La presenza di ritmi categorici, come l’isocronia — spiega Teresa Raimondi, dottoranda di Scienze Biologiche e Biotecnologie Applicate e prima autrice del lavoro — è una caratteristica musicale universale presente in tutte le culture umane che qui osserviamo anche in un primate antropomorfo come il gibbone lar. Abbiamo anche dimostrato che l’aumento della frequenza di emissione delle vocalizzazioni durante il canto è legata complessivamente ad un aumento dell’isocronia, suggerendo che i vincoli fisiologici respiratori svolgono un ruolo nel determinare la struttura ritmica del canto».

Giovanni Boris Di Panfilo ha registrato i canti dei gibboni dalle mani bianche allo Huai Kha Khaeng Wildlife Sanctuary in Thailandia, Matteo Pasquali e Martina Zarantonello, tutti studenti di Evoluzione del Comportamento Animale e dell’Uomo, hanno invece lavorato su gruppi familiari in cattività presso il Parco Zoo Falconara e il Parco Faunistico Cappeller vicino a Bassano del Grappa.

«L’isocronia appare anche modulata a seconda del contesto di emissione - dichiara Marco Gamba, docente del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino - Questi animali paiono essere più isocroni quando duettano rispetto a quando cantano da soli. Abbiamo anche osservato una causalità statistica tra le note di un individuo e le note di un altro individuo. Questi studi aprono nuove prospettive di indagine in ottica comparativa e partecipano alla costruzione di un mosaico delle capacità musicali nelle specie animali».

Gli Scimpanzé.

Alessandro Camilli per blitzquotidiano.it il 3 Gennaio 2023.

Scimpanzé, specie di primati con una marcata e complessa vita sociale e in possesso di quella che etologicamente va definita cultura, cioè la capacità di apprendere, sviluppare e trasmettere comportamenti utili all’individuo e alla comunità. Tra questi, come da recenti studi e osservazioni, la capacità di auto curarsi e la trasmissione da esemplare a esemplare del come si fa e con cosa si fa.

Gli scimpanzé applicano e soprattutto reciprocamente si applicano insetti schiacciati, quindi di fatto impacchi di insetti, sulle ferite e sulle infezioni. Replicano quindi il comportamento sociale del cosiddetto grooming  e cioè il reciproco pulire il pelo da parassiti. Un atto che è al tempo stesso di cura, igiene, socialità e rito. Rito di empatia tra esemplari, meglio dire individui, e al tempo stesso comportamento noi umani diremmo di profilassi reciproca e quindi sociale.

Sulla falsariga del grooming che caratterizza tutte le specie che sbrigativamente chiamiamo scimmie, gli scimpanzé praticano un comportamento infermieristico, reciprocamente infermieristico. Una catena di comportamenti l’uno coerente col successivo che non configura una vera e propria “medicina scimpanzé” ma di certo è un curarsi consapevole e non casuale.

 Antibiotico, anti infiammatorio, anti dolorifico: in questa triade la gran parte dei farmaci che la specie umana per sua fortuna e scienza possiede e assume per curarsi. Al plurimillenario (probabilmente qualcosa in più dei millenni) corso dell’evoluzione gli scimpanzé hanno appreso che l’impacco di alcuni insetti applicato alle ferite e infezioni ha effetti… antibiotici, anti infiammatori e anti dolorifici.

E si sono trasmessi e si trasmettono tutt’ora l’informazione di generazione in generazione, da individuo a individuo. Certo non lo fanno né con il linguaggio umano e neanche con umani concetti. Ma lo fanno con consapevolezza: cercano l’insetto, lo catturano, ne fanno poltiglia, l’applicano come medicamento. E lo fanno l’uno con l’altro, di fatto reciprocamente assistendosi e l’un l’altro curandosi.

Non risultano da osservazioni e studi scimpanzé che rifiutino, non ci sono tra gli scimpanzé comportamenti per così dire No Bugs (niente insetti sul mio corpo). Non risultano scimpanzé che respingano la cura perché certi si tratti di un inganno ordito dai coltivatori/venditori di insetti, né si registrano nelle comunità scimpanzé che fingano di applicarsi l’impacco, fingono perché sicuri che in realtà sia un sistema escogitato dal capo branco per controllarli. Sciocchi e primitivi gli scimpanzé non hanno l’astuzia No vax, il No vax è una specialità, pare esclusiva, della specie umana.

Bolzano, la Provincia autonoma autorizza l'abbattimento di due lupi. Storia di Redazione Tgcom24 sabato 9 settembre 2023.

Il presidente della Provincia autonoma di Bolzano Arno Kompatscher ha autorizzato l'abbattimento di due lupi nella zona di Selva dei Molini. Il provvedimento è stato preso in base alla nuova legge altoatesina e alle perizie e alle valutazioni esterne ricevute. L'abbattimento di due lupi è consentito in un raggio di 10 chilometri quadrati dalle predazioni accertate.

Autorizzato l'abbattimento. A partire dal mese di giugno infatti, diversi capi di bestiame sono stati predati in quattro alpeggi designati come aree di protezione dei pascoli, informa la Provincia in una nota. La rimozione è di competenza del Corpo forestale provinciale. "Le malghe in questione appartengono al Comune di Selva dei Molini e ai Comuni limitrofi- si legge nel comunicato -I requisiti di base per un'autorizzazione di rimozione sono soddisfatti, secondo la valutazione degli esperti del Servizio forestale provinciale e degli esperti legali della Provincia”.

Viene inoltre precisato che “la popolazione di lupi in Provincia non è affatto in pericolo: vi sono prove evidenti della presenza di 29 animali e la popolazione è cresciuta costantemente negli ultimi 10 anni. Ciò è confermato anche dal parere del docente universitario Klaus Hackländer, direttore dell'Istituto di biologia della fauna selvatica e gestione della caccia della Università delle risorse naturali e delle scienze della vita di Vienna”.

La rabbia degli animalisti  "La verità è che non esiste alcuna valida e motivata ragione per disporre l'abbattimento dell'orsa se non quella di presentarne lo scalpo in sede di campagna elettorale". Lo dichiarano Lav, Lndc e Wwf Italia in riferimento all'ordinanza del governatore altoatesino Arno Kompatscher per l'abbattimento di due lupi. L'ufficio legale della Lav sta lavorando al ricorso da presentare al Tar di Bolzano contro questo atto violento".

Secondo le associazioni, "È veramente incredibile come la questione degli orsi sia così ideologicamente strumentalizzata dalla politica trentina al punto di credere che un orso morto ammazzato possa determinare l'aggiudicazione di qualche voto in più. Significativa è inoltre la macabra coincidenza che accomuna questo ordine di esecuzione con l'uccisione di Amarena, l'orso bruno marsicano ucciso in Abruzzo da un colpo di fucile al polmone mentre si trovava insieme ai suoi due cuccioli. Se non ci pensa la politica a tutelare gli animali selvatici, i beni comuni e la legalità - concludono le associazioni - noi continueremo a farlo in tutte le sedi e anche scendendo in piazza per chiedere giustizia". 

Per la Commissione Europea “il lupo è un pericolo”: si valuta la revisione della protezione Raffaele De Luca martedì 5 settembre 2023.

«La concentrazione di branchi di lupi in alcune regioni europee è diventata un pericolo reale per il bestiame e potenzialmente anche per gli esseri umani»: è in questi termini che nella giornata di ieri si è espressa la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, esplicando le ragioni alla base di una possibile revisione dello status di protezione del predatore. L’istituzione europea, infatti, deve decidere se modificare le tutele riservate ai lupi, rendendole a sua detta più “flessibili”: una valutazione che la Commissione sostiene di dover effettuare “alla luce dell’evoluzione della specie”, la cui presenza nel territorio dell’UE è aumentata notevolmente negli ultimi anni. Un particolare che – stando alla Commissione Europea – starebbe generando «sempre più a conflitti con le comunità locali di agricoltori e cacciatori», e che proprio per questo rappresenterebbe un problema da affrontare.

Prima di decidere il da farsi, però, l’esecutivo comunitario vuole vederci chiaro, analizzando dettagliatamente i più recenti numeri relativi ai lupi. Proprio per questo, la Commissione ha deciso di aprire una consultazione pubblica a riguardo, invitando “«e comunità locali, gli scienziati e tutte le parti interessate a presentare entro il 22 settembre i dati aggiornati sulla popolazione di lupi e sui loro impatti». I numeri attuali, al momento, sembrano avvolti da un alone di mistero, e ad essere certi paiono solo quelli degli anni scorsi. Come riportato nella risoluzione del Parlamento europeo con cui è stata chiesta alla Commissione la revisione dello status, nel 2018 erano presenti 17.000 lupi nel continente europeo, mentre si stima che essi siano divenuti oltre 21.000 nel 2022. Di questi, si ritiene che 19.000 si trovino nei territori appartenenti all’Unione Europa, che in fin dei conti ospita un numero di esemplari davvero esiguo se rapportato a quello della popolazione. L’UE, infatti, ne ospita molto pochi in senso assoluto: un lupo ogni 24mila persone presenti nel territorio, che a quanto pare spesso non è ben disposto a convivere con i predatori.

In Austria, ad esempio, diverse regioni hanno consentito l’abbattimento dei lupi a causa dell’aumento degli attacchi al bestiame, con le notizie relative all’uccisione degli esemplari che si sono susseguite negli ultimi mesi. Anche in Italia, poi, ultimamente i lupi non se la sono passata nel miglior modo possibile, visto che il Trentino ha di fatto dichiarato guerra ai predatori. Il presidente della Provincia Autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, in seguito alla sospensione del decreto con cui era stato ordinato l’abbattimento di due lupi ha infatti deciso di introdurre un regolamento definito “ammazza-orsi” ed “ammazza-lupi” dall’Ente nazionale protezione animali. Il provvedimento, come ha infatti spiegato l’associazione animalista, non soltanto esautora l’ISPRA (l’Istituto superiore per la promozione e la ricerca ambientale) dalla gestione della fauna selvatica, ma offre alla Provincia autonoma la possibilità di “autorizzare le uccisioni senza dover chiedere il parere (preventivo) dell’Istituto”, consentendo addirittura, a specifiche condizioni, di “sparare a vista” ad orsi e lupi.

Rimedi che dimostrano quanto sia ancora difficile da sviluppare una concezione non esclusivamente antropica della natura: ovvero basata sull’idea che l’uomo sia l’essere dominante con il diritto di preservare in vita solo quelle specie animali che gli servono o che non gli causano danno, rifiutando anche solo di scendere a patti di convivenza con le altre. Da proteggere eventualmente quando si trovano a un passo dall’estinzione, ma allo stesso tempo ritenuti responsabili di problemi spesso prevenibili. Si potrebbe, ad esempio, prestare particolare attenzione ai recinti elettrificati ed ai cani da pastore, così come sottolineato da diverse associazioni animaliste, secondo cui l’unica via percorribile è quella della convivenza. Una coabitazione verso la quale sempre più governi europei mostrano sempre più insofferenza, trovando ora anche una sponda a Bruxelles.

Per ora la Commissione ha esortato le autorità locali e nazionali a “sfruttare appieno” le deroghe già esistenti all’obbligo di protezione degli esemplari, la cui attuale tutela non sembra poi così tanto rigida. Una eventuale modifica dello status di protezione, però, accrescerebbe il potere delle autorità locali e nazionali di “agire laddove necessario”, con la tutela dei predatori che verrebbe conseguentemente ridotta. Eppure, è la stessa Commissione Europea a ricordare che il lupo “svolge un ruolo importante negli ecosistemi europei”, la cui protezione è però evidentemente da porre in subordine alle lamentele di qualche azienda del settore degli allevamenti.

[di Raffaele De Luca] 

Attenti al lupo: da Cia l’ok alla proposta di legge del Pd. Angelo Vitolo su L'Identità il 5 Settembre 2023

Attenti al lupo: chissà cosa ne diranno gli animalisti. Per Cia-Agricoltori Italiani è assolutamente necessario mitigare il conflitto fra lupi e attività agricole nei territori. Dall’associazione, quindi, il favore alla proposta di legge del Pd sulla prevenzione e gli indennizzi dai danni di predazione, al fine di preservare le attività zootecniche dai pericoli della mancata gestione della fauna selvatica. Il provvedimento prevede tre interventi chiave: la predisposizione di un piano di cattura e gestione per contrastare i processi di ibridizzazione del lupo; la creazione di un fondo statale per i risarcimenti dei danni diretti e indiretti alle imprese e l’istituzione di un ulteriore fondo finalizzato alla prevenzione degli attacchi dei predatori.

Per Cia è positiva l’attenzione dedicata al contrasto del fenomeno dell’ibridazione lupo-cane, che salvaguarda la purezza della specie del lupo e limita fortemente la dispersione sul territorio di cani vaganti inselvatichiti. Per il presidente Cia, Cristiano Fini: “E’ necessario incrementare l’attività preventiva e le misure di contenimento per evitare il sovrappopolamento del lupo, a tutela del settore zootecnico e delle comunità rurali, come pure delle peculiarità faunistiche dei nostri territori”.

Nella proposta l’attenzione dedicata ai risarcimenti per i danni indiretti e indiretti subiti dalle imprese è fondamentale per evitare la chiusura degli allevamenti e il conseguente abbandono dei territori, che provocherebbe danni ambientali, economici ed occupazionali. “Per questo sarà necessario innalzare ulteriormente il massimale per gli aiuti europei in regime de minimis,  forte limite all’ottenimento dei risarcimenti alle aziende agricole”, continua Fini.

Il presidente Fini giudica, inoltre, positiva la decisione della Commissione Ue di valutare –dopo aver raccolto dati da tutti i Paesi membri- un’eventuale modifica dello status di protezione del lupo, con l’obiettivo di aggiornare le misure che permettono la prevenzione degli attacchi al bestiame. A esprimersi in merito anche Ursula von der Leyen: “La concentrazione di branchi di lupi in alcune regioni europee è diventata un pericolo reale per il bestiame e potenzialmente anche per gli esseri umani”.

“La protezione di una specie animale -ricorda Fini- deve tenere conto anche della sostenibilità degli allevamenti, soprattutto quelli ovi-caprini, che vedono i greggi costantemente sotto attacco e le aziende prive di indennizzi adeguati. E’ urgente una seria azione di responsabilità, sia nel rispetto dell’ambiente e degli animali selvatici, che nei confronti degli allevatori e degli agricoltori, veri custodi del territorio”.

Trentino, Fugatti approva nuove norme contro lupi e orsi: si potrà sparargli a vista. Stefano Baudino su L'Indipendente martedì 22 agosto 2023.

“Il più classico dei provvedimenti balneari”: con queste parole l’Ente nazionale protezione animali ha definito l’ennesima disposizione avanzata dal presidente della Provincia autonoma di Trento, il leghista Maurizio Fugatti, il quale ha colto l’occasione delle ferie estive per inserire nella legge di assestamento del bilancio un regolamento “ammazza-orsi” e “ammazza-lupi”. Il provvedimento, infatti, non soltanto esautora ISPRA – l’Istituto superiore per la promozione e la ricerca ambientale – dalla gestione della fauna selvatica, ma, come spiega l’associazione animalista, offre alla Provincia autonoma la possibilità di “autorizzare le uccisioni senza dover chiedere il parere (preventivo) dell’Istituto”, consentendo addirittura, a specifiche condizioni, di “sparare a vista” ad orsi e lupi.

A fine luglio, infatti, il Consiglio della Provincia Autonoma di Trento ha approvato – con 22 voti a favore e 10 contrari – il Disegno di Legge concernente l’assestamento di bilancio, che, tra gli articoli deliberati, contempla anche il n.59, in cui sono state inserite due integrazioni relative alla gestione faunistica nel territorio provinciale. Grazie a questo “blitz”, la Provincia avrà mano libera nel disporre “sempre” l’uccisione dell’esemplare ove sussistano determinati presupposti. Le associazioni animaliste hanno giudicato in particolare allarmante il fatto che nel documento si preveda che, per intervenire con l’abbattimento, basti la segnalazione della presenza di un esemplare “in centro residenziale o nelle immediate vicinanze di abitazioni stabilmente in uso” o che l’animale provochi ripetuti danni a (non meglio precisati) “patrimoni per i quali l’attivazione di misure di prevenzione o di dissuasione risulta inattuabile o inefficace“. Al contempo, l’esemplare può essere abbattuto quando “attacca, con contatto fisico”, “segue intenzionalmente delle persone” o “cerca di penetrare in abitazioni, anche frequentate solo stagionalmente”.

La seconda modifica riguarda invece unicamente gli orsi e offre maggiori poteri alla Giunta in caso di danni al settore dell’apicoltura. “La Giunta provinciale – si legge all’interno del provvedimento – può dettare disposizioni attuative di questo articolo con riguardo alle aree geografiche interessate dalla presenza della specie, anche in deroga alle precedenti disposizioni del decreto del Presidente della Provincia del 19 maggio 2017″, cioè il regolamento urbanistico/edilizio.

La nuova norma è arrivata pochi giorno dopo la firma, da parte dello stesso Fugatti, di un’ordinanza che aveva dato il via libera all’abbattimento di due esemplari di lupo appartenenti al branco presente nella zona di Malga Boldera, nel versante trentino dei Monti Lessini, nel Comune di Ala. Esprimendo il proprio parere (obbligatorio ma non vincolante), Ispra aveva dichiarando che la decisione non sembrava “incidere significativamente sullo stato di conservazione della popolazione del Trentino Alto Adige”, precisando che “l’abbattimento di non più di due esemplari ha un carattere sperimentale” e che la Provincia avrebbe dovuto “produrre una sintetica valutazione dei possibili miglioramenti della prevenzione entro tre mesi”. Trattandosi di una prima autorizzazione all’abbattimento, l’Istituto ha infatti manifestato la necessità di “raccogliere informazioni in particolare circa gli effetti del prelievo sulla popolazione di lupi e sulle dinamiche predatorie”. A metà agosto, però, il Consiglio di Stato ha sospeso l’abbattimento dei due lupi: lo stop sarà valido fino al 14 settembre, quando il TAR tornerà a riunirsi collegialmente. [Stefano Baudino]

La provincia di Trento per la prima volta ha ordinato l’abbattimento di due lupi. Gloria Ferrari su L'Indipendente venerdì 28 luglio 2023.

Maurizio Fugatti, presidente della provincia autonoma di Trento, ha firmato un decreto – già autorizzato dall’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) – con cui si ordina l’abbattimento di due esemplari di lupo appartenenti al branco presente nella zona di Malga Boldera, nel versante trentino dei Monti Lessini, nel Comune di Ala. Il provvedimento – il primo caso in Italia in cui si arriva a usufruire delle deroghe alla protezione del lupo previste dall’art. 16 della Direttiva Habitat – arriva dopo alcuni episodi di predazioni da parte dei lupi ai danni dei pascoli della zona. Una decisione che ha provocato le proteste dei gruppi animalisti, con l’Organizzazione internazionale protezione animali (OIPA) che ha accusato le autorità provinciali di stare trasformando il Trentino in «un inferno per la biodiversità», alludendo anche alle misure contro gli orsi prese nelle ultimi mesi dall’amministrazione.

Tra giugno e luglio del 2023 il Corpo Forestale Trentino, stando a quanto si legge nel documento firmato da Fugatti, ha accertato l’uccisione di 2 asini e più di 10 vitelle, e per questo, “vista la Legge provinciale 11 luglio 2018 n. 9, il Presidente della Provincia ha la facoltà di autorizzare il prelievo, la cattura o l’uccisione limitatamente alle specie Ursus arctos e Canis lupus per determinati motivi di rilevante interesse pubblico, tra i quali è ricompreso quello di consentire, in condizioni rigorosamente controllate su base selettiva e in misura limitata, il prelievo di esemplari allo scopo di prevenire gravi danni all’allevamento o per altri motivi”.

Una versione dei fatti che non convince i gruppi animalisti. I pascoli d’alpeggio ricadenti all’interno del compendio di Malga Boldera sono dotati di una recinzione elettrificata anti-lupo, che ha tenuto fino a qualche settimana fa, evitando così che il branco facesse razzia di bestiame. L’Associazione ‘Io non ho paura del lupo’ lo descrive come “un vasto recinto di circa 64 ettari messo in opera nel 2018 e che per cinque anni ha consentito alla società di allevatori che lo utilizza di custodire in sicurezza gli animali, rivelandosi una soluzione efficace contro le predazioni da lupo”. Pare però che di recente, secondo i racconti dell’amministrazione, gli animali siano riusciti a superare la barriera, causando “grossi danni registrati nonostante le misure di prevenzione: la particolare intensità della pressione predatoria del lupo rispetto all’intero territorio provinciale evidenziano come si tratti di un caso di particolare criticità”, si legge nella nota di Fugatti.

Tuttavia l’Associazione ha specificato come nel corso degli anni, e nonostante i recenti accadimenti, questo recinto sia stato un importante punto di partenza “di come potrebbe essere gestito in sicurezza il pascolo in Lessinia”, la cui efficacia può essere incrementata “utilizzando congiuntamente altri elementi come la presenza dell’uomo, dei cani da guardia e il ricovero notturno degli animali più giovani in aree sicure. Ad oggi le predazioni all’interno di questo recinto rimangono dei casi eccezionali e l’efficacia dei mezzi di prevenzione non può essere messa in discussione”. Eppure i danni provocati da orsi e lupi in Trentino sono calati. Lo dice il Rapporto Grandi Carnivori, pubblicato dalla Provincia di Trento dopo mesi di sollecitazioni da parte di tecnici e ambientalisti, che sconfessano la narrazione allarmistica resa finora sul fenomeno dalle autorità provinciali, ansiose di ottenere il permesso per procedere ad abbattimenti indiscriminati sull’onda di una presente emergenza di pericolo per gli abitanti delle zone.

Gli ambientalisti lamentano infatti due cose nello specifico: la drasticità e la rapidità con cui si è giunti ad optare per l’abbattimento, scelto senza prendere in considerazione ulteriori iniziative non-letali volte alla dissuasione dei lupi; e la ‘superficialità’ delle informazioni a disposizione, che in casi come questo non può essere tollerata. “Rimangono poco chiari nel decreto alcuni aspetti fondamentali, tipo quali lupi devono essere abbattuti? (adulti? cuccioli? dominanti o altri esemplari?)”. E ancora: “La deroga tiene conto del fatto che il branco è attualmente impegnato nella crescita dei cuccioli di circa due mesi di età?”.

La risposta contenuta nel decreto è più che eloquente e conferma l’intenzione della provincia di voler avere mano libera per abbattere orsi e lupi: “Eliminare solo due esemplari non incide significativamente sullo stato di conservazione della popolazione di lupo del Trentino Alto-Adige”. [di Gloria Ferrari]

La Svezia avvia la campagna di abbattimento dei lupi, tra le proteste dei cittadini Francesca Naima su L'Indipendente il 4 Gennaio 2023.

In Svezia ha appena avuto inizio il maggiore abbattimento di lupi degli ultimi decenni allo scopo di ridurre la loro presenza nel Paese. Una misura chiesta a gran voce dagli allevatori di bestiame ma contrastata con forza dalla maggioranza della popolazione, che non ritiene giusto uccidere lupi selvatici per tutelare gli investimenti economici degli allevatori. I cacciatori sono stati autorizzati a sopprimere un massimo di 75 lupi su una popolazione complessiva di 460.

La decisione del governo svedese ha preso forma a nemmeno un mese dalla fine della COP15 (Conferenza delle Nazioni Unite sulla Biodiversità) durante la quale i leader mondiali si sono impegnati per il raggiungimento di un accordo storico volto a ridurre le minacce alle specie viventi. Poco prima della COP15 invece, il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione per diminuire lo status di protezione legale per i grandi carnivori. Eppure gli animali che ora incutono tanto timore hanno rischiato l’estinzione nel passato e l’attuale “allarme lupi” che si sta diffondendo metterà nuovamente a rischio la vita di innumerevoli esemplari.

Dall’Associazione dei cacciatori svedesi si parla di un atto di fondamentale importanza in quanto la crescita dei branchi, dicono, è molto preoccupante. Un’opinione opposta giunge invece dall’indignazione di attivisti e associazioni, che hanno ribattuto sottolineando come il numero di animali in Svezia sia ben più basso rispetto ad altri paesi. In Italia per esempio, ce ne sono circa 3.300 (dall’ultimo censimento della primavera del 2021). E infatti, anche nello Stivale, non manca chi – specie gli allevatori – guarda con favore e voglia di emulazione alle misure svedesi.

I lupi per molto tempo sono stati considerati come specie in via d’estinzione; in Italia nel 1970 ne esistevano solo un centinaio e ora è possibile affermare che gli animali siano fuori pericolo. In tutta Europa si contano circa 18.000 esemplari, che gli etologi hanno suddiviso in 9 areali (Scandinavia, Karelia, Baltico, Centro Europa, Carpazi, Balcani, Appennini, Alpi, Penisola Iberica nord-occidentale). L’espansione dei lupi è stata favorita anche dalla protezione messa in atto quando considerati a rischio e quindi identificati come specie protetta. La ricostruzione dell’habitat, la reintroduzione degli animali di cui i predatori si cibano e la caratteristica della dispersione tipica dei branchi, hanno portato al numero attuale che però viene interpretato come “fuori controllo”. Molte le lamentele degli allevatori che denunciano gli attacchi dei predatori, ed ecco come il Parlamento europeo abbia approvato lo scorso novembre, con 306 voti favorevoli, 225 contrari e 25 astensioni la già citata risoluzione. L’obiettivo principale è proteggere le persone e gli animali da allevamento, non cancellando totalmente i dettami della Convenzione di Berna e della Convenzione per la conservazione della vita selvatica e dei suoi biotopi in Europa, elaborata nel 1979 e recepita in Italia con la legge n. 503 del 1981.

Proprio grazie all’azione dei 30 componenti del Comitato permanente della Convenzione di Berna, è stato possibile scongiurare il peggio e vietare gli abbattimenti indisturbati degli animali. Con soli 6 voti contrari, è stato deciso di non abbassare lo stato di protezione dei lupi ma comunque alcuni stessi eurodeputati specchio delle idee estremiste di alcuni agricoltori e cacciatori spingono purché si opti per simil stermini, proprio come sta accadendo in Svezia. Appare infatti più semplice uccidere i lupi che ammettere i problemi e le discordanze che caratterizzano l’allevamento intensivo, come ha fatto ben notare Sabien Leemans, dell’Ufficio per le Politiche Europee del WWF.

La preoccupante diffusione della credenza che i lupi siano il problema non permette di considerare soluzioni esistenti e che, invece, consentirebbero una pacifica convivenza tra gli animali e l’uomo senza che essi compromettano alcuna attività antropica. Esistono infatti misure preventive, come sottolineano diverse associazioni come LAV e WWF, che però non vengono applicate. Eppure sarebbero efficaci. Si tratta di, per esempio, recinzioni elettriche o cani da guardia: sistemi di prevenzione delle predazioni ben più efficaci delle uccisioni dei lupi che in realtà non hanno impatti significativi sulle predazioni. Certo è che le misure preventive devono essere correttamente utilizzate per portare la pace tra predatori ed esseri umani. Sorge allora spontaneo chiedersi come mai si opti facilmente per soluzioni tanto cruente quando basterebbe mettere in atto, con attenzione e serietà, misure già esistenti che risolverebbero efficacemente l’osannato “problema dei lupi” senza spargimenti di sangue. [di Francesca Naima]

Collare o pettorina.

I Tumori.

Il pedigree.

L’Affetto.

L’Amore.

Il Condizionamento.

Lo Sfruttamento.

L’Abbattimento.

Il Fiuto.

Gli Intelligenti.

I Cattivi.

Collare o pettorina.

Collare o pettorina, cosa scegliere per il proprio cane. Viola Carignani su La Repubblica il 6 Febbraio 2023.

Di stoffa o di cuoio, con maniglia o da retriever: ogni cane ha il suo guinzaglio ideale. E i padroni hanno il dovere di decidere e utilizzarli bene. Per il loro benessere e la sicurezza degli altri

Collare o pettorina. Cosa sarà meglio per il nostro cane? Il mondo cinofilo su questo tema si divide. Sui social le polemiche imperversano. Per un neofita, diventa un dilemma insormontabile. Il collare farà male al cane? Alla fine è una striscia di cuoio intorno al collo. Aiuto. Già la sensazione di smarrimento pervade il neofita che è nel negozio per animali e non sa cosa scegliere. Poi si trova di fronte a scaffali pieni di collari di ogni foggia e colore e alla fine, stremato dal dubbio, si fa consigliare dal negoziante. Cerchiamo di fare luce sull’atroce dilemma. Il collare, così come il guinzaglio, sono strumenti o “aiuti”, importanti per la sicurezza del cane e del prossimo.

L’ordinanza Martini all’art. 83 D.P.R. 320/54, prevede che il cane nelle aree urbane, nei luoghi pubblici e nei luoghi aperti al pubblico deve essere sempre condotto mediante un guinzaglio di 1,5 metri di lunghezza massima.Il guinzaglio si aggancia ad un collare. E qui arriva la scelta. Il collare va applicato al collo del cane, dovrà essere della giusta lunghezza in base alle sue misure. Non deve essere né troppo stretto, tanto da soffocarlo, né troppo largo, tanto da permettergli con una mossa veloce di liberarsene.

Ce ne sono di tanti modelli e materiali. Certo un collare di stoffa non andrà bene per un pastore tedesco così come un grosso collare in cuoio non sarà adatto ad un bolognese. Se poi ci sembra che un collare sia un oggetto terribile, possiamo optare per la pettorina. Attenzione. Quelle pesanti e con la maniglia non sono adatte per i cani che vanno a passeggio ma per quelli da ricerca ad esempio, che vengono condizionati a questo tipo di pettorina. Sanno perfettamente che quando la indossano, il loro compito è cercare qualcosa o qualcuno. Per il cane di casa optiamo per quelle leggere. Se di grossa taglia, con il gancio sul petto piuttosto che sulle scapole. Siccome ad ogni forza ne corrisponde una uguale e contraria, meglio non dare adito al cane di appoggiarsi sulle cinghie poste sul petto e tirare sempre di più. Il gancio posizionato sul davanti impedirà al cane di prendere la pessima abitudine di spingere e portarci a spasso. Ma, come tutti gli strumenti e gli “aiuti”, il collare non risolverà il problema del cane che tira. Una menzione speciale va al così detto guinzaglio retriever. È stato creato per toglierlo velocemente ai cani da riporto. Di solito è un cordone o un tubolare in cuoio che scorre in un anello e forma un cappio. Non usatelo se il vostro cane non è perfettamente in sintonia.

Collare e guinzaglio servono per la sicurezza del cane e degli altri, non certo per impedirgli di portarci a zonzo per i giardinetti. Pensate sempre che questi strumenti siano immaginari e impalpabili. Quello che conta è la relazione. Se quella è solida, qualsiasi aiuto sarà solo una formalità.

Carezze e graffi

Per scegliere il collare occorre rivolgersi a un buon educatore cinofilo. Anche il collare va saputo usare perché non si trasformi, come tutti gli altri aiuti, in uno strumento coercitivo.

Il collare a strozzo o retriever è sconsigliato per i proprietari neofiti e per cani che tirano al guinzaglio. Di solito viene usato solo da chi ha il cane perfettamente educato e agli ordini. Non andrà bene per chi è alle prime armi.

I Tumori.

Cani e tumori, quelli grossi e quelli di razza si ammalano prima. Lo studio che aiuta la prevenzione. Test non invasivi sul sangue possono aiutare nella diagnosi precoce. Ma è importante farli nei tempi corretti. Mastini, San Bernardo, Alani e Bulldog le razze su cui intervenire prima. Redazione Animalia su Il Corriere della Sera il 2 Febbraio 2023.

Il pedigree. Il pedigree dei cani di razza è una garanzia anche per la loro salute. Viola Carignani su L’Espresso il 30 Gennaio 2023.

Il benessere di questi animali passa anche dal certificato genealogico, che rassicura anche su una filiera più controllata. Ma pochi sanno qual è il suo valore e rischiano di essere ingannati

Il benessere del cane di razza passa anche attraverso il pedigree. Pochi sanno cosa sia questo pezzo di carta e quale sia il suo valore. E su questo, giocano molti “scucciolatori” senza scrupoli che poco hanno a cuore il benessere dei propri cani e dei cuccioli che venderanno al primo che abbocca. Le razze più richieste sono quelle di taglia piccola e da compagnia.

Prendiamo ad esempio il barboncino. Un cane delizioso e con alte capacità associative, non perde il pelo, non puzza ed è affettuoso. Un barboncino nano o toy quindi, di piccolissima taglia, costa tanto. Poi ci sono i colori che vanno di moda e quelli più rari da trovare. Alla fine un cucciolo di barbone viene a costare sul mercato tra i 1.500 e i 3.500 euro.

L’incauto acquirente comincerà a cercare su Google e troverà un’infinità di proposte. Dagli allevatori con affisso riconosciuto (titolo dell’allevamento, ndr), a privati, fino a furbi commercianti di malcapitati cani. L’incauto acquirente si rivolgerà a quello che offre il miglior prezzo, e con 1.500 euro si porterà a casa un cucciolino delizioso senza il famoso pedigree.

Dietro a quel cucciolo ci sono storie di sofferenze e maltrattamenti. Femmine che arrivano dall’est Europa con il traffico clandestino, dedicate alla riproduzione fino allo sfinimento e poi gettate chissà dove, nessun controllo sulle malattie genetiche ereditarie, vaccinazioni assenti, nessuna sverminazione, cuccioli che vengono tolti alle mamme dopo poche settimane senza pensare al loro benessere. Da quel momento, nove volte su dieci, comincia il calvario. Piano, piano, vengono fuori malattie che, per essere tenute almeno sotto controllo, hanno costi elevatissimi. Qualche allevatore poco serio fa lo sconto se non vogliamo il pedigree. È bene sapere che questo documento vidimato dal ministero (Masaf), costa circa venti euro al nuovo proprietario. Non si tratta quindi del costo intrinseco del pezzo di carta, ma del lavoro che c’è dietro: testimonia l’albero genealogico, i test sulle malattie ereditarie, le vittorie sul campo di genitori nonni e bisnonni. Titoli, dietro ai quali, c’è un grande lavoro con costi elevati.

Cosa dice la legge. Secondo il decreto legislativo n. 529 del 30 dicembre 1992, in Italia è vietato vendere cani senza pedigree spacciandoli per cani di razza. Se anche le sembianze sono ad esempio quelle del barbone, senza il pedigree e la registrazione nell’anagrafe dei cani di razza, sarà solo un meticcio. L’Ente Nazionale della Cinofilia Italiana, prevede che gli allevatori firmino un codice etico di allevamento, in cui viene, ad esempio, stabilita l’età delle femmine per partorire: minima diciotto mesi, massima otto anni, e tutta un’altra serie di vincoli sul benessere degli animali. Se proprio vogliamo un cane di razza, mettiamoci in testa che il pedigree è un documento fondamentale. Va preteso.

CAREZZE

Se desideriamo un cane, ma pagarlo non fa parte dei nostri piani, dovremo rivolgerci ad un canile o ad un’associazione per adottare un meticcio.

...E GRAFFI

Non acquistate mai un cane di “razza” senza il pedigree. Un consiglio che do per due motivi: non solo il cane non sarà di razza, ma meticcio, ma dietro a quel cucciolo si nasconde un maltrattamento.

L’Affetto.

Gianluca Pace per blitzquotidiano.it il 27 gennaio 2023.

Entra in cimitero, si accuccia davanti alla lapide della padrona, resta un po’ lì e poi, con passo lento, va via.

Questa è la storia di Magda, questa è la storia del cane dagli occhi tristi che da anni, a passo lento causa età, entra ed esce dal cimitero di Catanzaro. In questi giorni la sua storia è stata raccontata da diversi giornali locali e non solo.

 Magda e Hachiko

Magda si ferma un po’ sotto la lapide della padrona e poi va via. Una storia, quella di Magda, che non può non richiamare quella di Hachiko, la leggenda tra mito e realtà del cane giapponese che per anni ha aspettato il padrone, ormai morto, alla stazione del treno dove era abituato ad aspettarlo. Leggenda che ha ispirato il film con protagonista Richard Gere.

Magda come Hachiko ha mantenuto negli anni l’amore per la padrona malgrado la morte. E in tanti in questi anni hanno pubblicato foto e hanno parlato di lei sui social. Ma dove va Magda quando si allontana dal cimitero? Ha abbastanza cibo? In molti si stanno preoccupando per lei. Intanto come quella di Hachiko, la storia di Magda già sta diventando una vera e propria leggenda popolare. A Catanzaro e non solo.

L’Amore.

Estratto dell'articolo di Noemi Penna per lastampa.it Il 6 marzo 2023.

[…] La più grande dimostrazione che un cane potrebbe darti del suo “disprezzo” è il non accettare il cibo dalle tue mani. Ma nel caso in cui tutte le leccate e gli scodinzoli che ti fa non fossero abbastanza convincenti, gli scienziati hanno dimostrano quello che già sappiamo: i cani ci adorano. E quando ci amano, ci amano per davvero.

 Dimostrare l’amore non è un’impresa facile. Ma diversi studi sembrano sostenerlo, come quello del neurologo Gregory Berns che […] Ha […] sottoposto ai cani una varietà di odori familiari e sconosciuti, scoprendo che tutti quelli conosciuti attivavano il nucleo caudato, una regione legata a processi mentali di livello superiore come le emozioni e i sentimenti romantici.[…] E un ulteriore tassello si è aggiunto poco dopo con la pubblicazione su Social Cognitive and Affective Neuroscience della conferma che il caudato si accende anche durante l’interazione sociale con gli esseri umani, soprattutto se c’è in palio una ricompensa di cibo.

Il veterinario Takefumi Kikusui dell’Università di Azabu, in Giappone, ha scientificamente dimostrato che i cani piangono quando si ricongiungono con un proprietario dopo una lunga assenza e che le loro emozioni sono mediate dall’ossitocina, esattamente come accade in noi umani. […] E questo significa che l’attaccamento nei nostri confronti è reale, e ha una base biochimica, esattamente come l’innamoramento: prima si attiva il neurotrasmettitore dopamina, poi va in tilt la serotonina e infine interviene l’ossitocina[…]

Prove de fedeltà

[…] un’ulteriore conferma arriva da un esperimento volto a testare fino a che punto il migliore amico dell’uomo potrebbe spingersi per dimostrare il proprio amore, pubblicato su Plos One. Ispirandosi alle storie di cani che durante la Seconda guerra mondiale dissotterravano i corpi dei loro proprietari dopo i bombardamenti di Londra, il team di Wynne ha fatto (crudelmente) credere a 60 cani che i loro umani fossero in serio pericolo. E uno su tre avrebbe fatto di tutto per salvarlo, anche rischiando la propria vita. E gli altri due? Ci hanno provato, ma non hanno trovato il modo.

Il Condizionamento.

Perché i cani sono capaci di condizionarci (e i maiali ancora no). Alessia Colaianni su Il Corriere della Sera il 24 gennaio 2023.

La ricerca dell’università di Budapest mostra che i cani sono capaci di dirigere l’attenzione degli umani verso oggetti interessanti mentre, nelle stesse condizioni, i maiali da compagnia non lo fanno. Il ruolo del processo di domesticazione

Un goloso bocconcino è finito sotto il divano e il vostro cane inizia a coinvolgervi insistentemente con lo sguardo per farsi aiutare a raggiungere l’agognato premio. Ciò che state osservando è un esempio di comunicazione referenziale: l’atto di dirigere l’attenzione di un altro su un oggetto specifico nell’ambiente. Questa capacità dipende dalla domesticazione, ossia dalla selezione artificiale operata dall’uomo e dal lungo cammino storico ed evolutivo che abbiamo percorso con alcuni animali, o c’è dell’altro? Hanno cercato di scoprirlo i ricercatori del Dipartimento di Etologia della Eötvös Loránd University di Budapest, confrontando le risposte di cani (Canis lupus familiaris) e maiali da compagnia (Sus scrofa domesticus) a uno stesso esperimento.

Le premesse sono affascinanti: la domesticazione potrebbe essere una condizione non necessaria per lo sviluppo di questi comportamenti. La comunicazione referenziale non è stata, infatti, rilevata unicamente in animali a noi vicini come cani, capre, cavalli, gatti, ma anche in specie selvatiche quali delfini, lupi, canguri, primati non umani (gorilla e macachi). Il comune denominatore sembrerebbe l’utilizzo efficiente di segnali sociali visivi per la comunicazione e la cooperazione all’interno della specie. È qualcosa che appartiene anche a noi, quando usiamo parole e gesti per indicare un oggetto che desideriamo o, da bambini ancora non in grado di parlare, puntiamo il dito verso la mamma o qualsiasi altra persona, cibo o giocattolo di nostro interesse.

I protagonisti della ricerca pubblicata su Scientific Reports sono stati cani e maiali, due specie domestiche che fanno parte di sistemi sociali complessi. In particolare, i suini coinvolti nello studio appartengono al Family Pig Project, un progetto scientifico a lungo termine che assegna maiali nani a famiglie umane, che li allevano in modo molto simile ai più comuni compagni a quattro zampe. Durante l’esperimento gli animali dovevano entrare in una stanza dove potevano essere soli con il proprietario, soli con una ricompensa (cibo) nascosta da uno sperimentatore oppure insieme al proprietario e alla ricompensa. La ricompensa era stata sistemata in modo da essere irraggiungibile per l’animale ma raggiungibile per il proprietario.

I ricercatori hanno, quindi, osservato che quando cani e maiali erano nella stanza, soli con il proprio compagno umano, gli prestavano entrambi la stessa attenzione. La situazione cambiava dopo che lo sperimentatore nascondeva la ricompensa: mentre i cani cercavano di mostrare dov’era ai proprietari, i maiali tentavano di raggiungerla da soli. Il confronto tra comportamenti delle due specie nella risoluzione di questo tipo di compito ha rivelato che solo per i cani si hanno prove di comunicazione referenziale indirizzata agli esseri umani.

Paula Pérez Fraga, dottoranda di ricerca del Neuroethology of Communication Lab del Dipartimento di Etologia della Eötvös Loránd University e prima autrice dello studio, spiega: «Ai maiali potrebbero mancare caratteristiche importanti che sono cruciali per l’emergere di questo tipo di comunicazione. Sebbene sappiamo che i cani sono particolarmente abili nel comunicare con gli umani, altri animali come cavalli, gatti e persino canguri possono usare la comunicazione referenziale con noi, e tutti loro fanno molto affidamento sulla comunicazione visiva quando interagiscono con i loro compagni. I maiali, al contrario, no». La mancanza di comunicazione referenziale orientata all’uomo nei suini potrebbe essere legata al loro scarso uso di segnali sociali visivi per la comunicazione anche con individui della loro stessa specie che, a sua volta, può essere causata da condizioni fisiche come la vista scarsa e la rigidità del collo.

Tuttavia, gli stessi autori ammettono delle limitazioni dello studio: il numero di animali analizzato è basso (11 maiali e 13 cani) e la possibilità che la comunicazione referenziale si sviluppi nei maiali in una fase della loro vita differente rispetto a quella analizzata. Inoltre, non possono essere escluse le differenti pressioni selettive a cui sono state sottoposte le due specie durante la domesticazione, considerando che i cani si sono evoluti per essere nostri compagni e cooperare con noi nella caccia e in una serie di altri lavori, mentre i maiali sono stati selezionati per diventare una risorsa alimentare.

I dati raccolti sino ad ora ci dicono che la comunicazione referenziale negli animali non dipenderebbe dal processo di domesticazione ma dall’efficienza della comunicazione visiva all’interno di ciascuna specie. Ciò non significa che tra noi e i maiali non possa instaurarsi una relazione. I maiali sanno comunicare, come dimostrato da altri studi (questo, per esempio, dell’Università di Torino). Sarà necessario continuare a studiarli per imparare a capirli meglio e conoscerne meglio le capacità, che sappiamo già essere sorprendenti.

Lo Sfruttamento.

Estratto dell’articolo di Daniela Uva per “il Giornale” il 23 gennaio 2023.

Restano seduti per ore accanto ai loro padroni. Al caldo o al freddo, spesso senza acqua né cibo e con un solo obiettivo: attirare l’attenzione dei passanti nella speranza di ottenere qualche euro in più. In Italia sono migliaia gli animali sfruttati nelle operazioni di accattonaggio. Un fenomeno in costante crescita, nonostante il tentativo di alcune città di vietare questa pratica. Sono soprattutto le grandi città quelle più esposte, anche se negli ultimi tempi si è registrata una crescita delle segnalazioni in centri più piccoli.  […]

Vengono usati gli animali perché l’accattonaggio con i minori rappresenta un illecito penale, mentre quello con gli amici a quattro zampe può comportare solo sanzioni amministrative (fino a 300 euro) previste da alcuni regolamenti comunali. Regolamenti che non sempre sono chiari visto che spesso vietano la pratica solo con i cuccioli o con animali in condizioni di pessima detenzione.

 Così, in mancanza di una norma nazionale ad hoc, lo sfruttamento diventa un vero e proprio business, in alcuni casi gestito da racket che arrivano a rubare cani di razza destinati poi all’elemosina. E a una vita di sofferenze. […]

Gli animali sono infatti spesso maltrattati, sono costretti a vivere al freddo o al caldo, senza acqua e senza cure veterinarie. Condizioni, queste, che però non riguardano la generalità degli animali che accompagnano chi chiede l’elemosina. […]

 «Il fenomeno è in costante aumento – dice il presidente di Oipa -. Gli accattoni con gli animali non si trovano solo nelle vie centrali delle città, ma anche fuori da ipermercati della periferia e comunque in zone di maggior passaggio pedonale. Alla base c’è un dato: l’accattonaggio con gli animali genera un giro di affari alto – prosegue l’esperto -. In alcuni casi si è scoperto che dietro al singolo accattone c’è un vero e proprio racket che fornisce gli animali, scegliendo anche le zone ideali per chiedere l’elemosina».

Nel frattempo la normativa nazionale resta ferma. «Nessuna legge nel nostro Paese vieta l’accattonaggio con animali, a meno che la detenzione sia causa di sofferenze e patimenti e quindi rientri nell’illecito penale delle norme generali per la tutela degli animali – denuncia Comparotto -. Invece molto è stato fatto a livello locale. L’Oipa, con associazioni animaliste, ha presentato ai Comuni proposte di regolamenti per la tutela animali che prevedono il divieto di accattonaggio».

Da molti anni viene utilizzata come punto di partenza la bozza di Regolamento comunale per la tutela del benessere degli animali e la loro convivenza con i cittadini redatta dalla Federazione italiana associazioni diritti animali e ambiente e dall’Associazione nazionale Comuni italiani. «In questo testo, all’articolo 10, viene espressamente previsto il divieto di accattonaggio con animali – ricorda Comparotto -. Da queste verifiche sono scaturisti diversi sequestri amministrativi e penali, spesso in collaborazione con le amministrazioni comunali più sensibili al problema»[…]

L’Abbattimento.

Ogni anno vengono abbattuti 50mila cani galgos. Ma possiamo salvarli. Viola Carignani su L’Espresso il 13 settembre 2023.

Muscolosi, instancabili. I levrieri spagnoli rincorrono la preda grazie a una vista formidabile. Ma ogni anno migliaia vengono soppressi

Magri e muscolosi, i figli del vento galoppano a perdifiato dietro alle lepri nelle immense pianure della Spagna da ottobre a marzo. Sono i galgos, i levrieri spagnoli, creature instancabili nel rincorrere la preda, che a fine stagione di caccia vengono riposti nei canili e molti di loro, si parla di 50 mila ogni anno, vengono abbattuti o abbandonati al loro destino.

Una breve navigazione su un qualsiasi motore di ricerca, e vi farete l’idea di cosa sia la mattanza di questi levrieri che cacciano a vista piccole prede come lepri e conigli selvatici. I “galgueros”, i cacciatori che usano questi cani, li considerano strumenti di lavoro. Se non funzionano come dovrebbero, vengono scartati. Gettati come calzini vecchi. Siamo a marzo. Per noi il mese che prelude alla primavera, per loro l’avvicinarsi di una fine terribile. Decine le associazioni che da ogni Paese organizzano viaggi per il recupero di questi cani per poi darli in adozione. In Italia sono oltre venti i gruppi di volontari che si dedicano al salvataggio e al recupero del Galgo. A differenza dei segugi che hanno un olfatto strepitoso per seguire a terra la traccia della preda, i levrieri usano la vista. I loro occhi riescono a percepire i movimenti delle lepri da molto lontano e grazie alla velocità, riescono a raggiungere e uccidere in pochi minuti e poi lasciare al cacciatore l’onore di raccogliere il trofeo. L’indole del galgo è buona. Sono abituati a vivere in promiscuità ammassati nei recinti e per questo, quando vengono adottati, difficilmente cercheranno la rissa o morderanno umani o altri cani.

Spesso soffrono di ansia da abbandono. La vita di gruppo li rende socievoli e miti, ma una volta soli in un appartamento di città, perdono i punti di riferimento per questo bisogna sempre fare attenzione nei primi tempi. Non hanno competenze per quanto riguarda la vita di città: non conoscono i rumori, il traffico, la metropolitana e gli autobus. Di solito tendono a chiudersi ma, piano piano, riescono a imparare che la vita non è solo quella delle campagne spagnole. L’istinto di caccia, quello, non lo perderanno mai. Quindi attenzione, perché un gatto che corre accende l’istinto predatorio, e per il micio non ci sarà scampo.

State tranquilli che il divano sarà la prima cosa che impareranno a usare. Non puzzano perché non hanno massa grassa, sono eleganti, belli, silenziosi, riservati e affettuosi. Se proprio non volete adottare un galgo perché non rientra nei vostri piani di vita, soffermatevi nelle bancarelle dello shopping solidale delle associazioni che si occupano di questi levrieri o cercate su Internet come fare una donazione. I figli del vento ringraziano.

CAREZZE

Se adottate un galgo, sappiate che ha anche bisogno di correre. Cercate un posto sicuro dove possa esprimere la sua velocità. Lo vedrete ridere felice mentre galoppa a perdifiato. Sono figli del vento, non dimenticatelo mai.

E GRAFFI

Non lasciatelo solo troppo a lungo. Non pensate che possa perdere il suo istinto predatorio. Quindi difficilmente potrà convivere con i gatti o altri piccoli animali. Non ama le discipline cinofile che non siano la caccia.

Il Fiuto.

Estratto dell'articolo di Noemi Penna per repubblica.it il 3 Febbraio 2023.

Non serve avere un cane, una macchina, una moto o una bici, per sapere che gli pneumatici sono fra i luoghi preferiti dai cani per fare pipì. […] Ma come mai hanno questa passione? E, soprattutto, c’è modo di fargli cambiare idea? […]

[…] I cani sono animali territoriali e quindi fanno i loro bisogni in luoghi non a caso, per marcare il territorio e dire agli altri che sono passati da lì. Gli pneumatici, e tutti i mezzi di trasporto in generale, sono un ricettacolo di odori raccolti lungo i loro percorsi, e segnarli con la propria urina vuol dire aggiungere la propria presenza a quel catalogo. […]

[…] Una teoria più “cervellotica” punta tutto sull’intelligenza del cane e sulla conoscenza del mezzo. Secondo alcuni comportamentalisti, infatti, i cani riconoscono che l'automobile è un mezzo di trasporto che circola da un luogo all'altro, e quindi lo percepiscono con un veicolo privilegiato per diffondere il loro odore anche laddove loro non arriveranno mai. Sicuramente interessante come pensiero, ma difficile da credere. Potrebbe essere più realistico il fatto che temendolo quando è in movimento, cerchino di rivendicarne la proprietà per superare questa

Alcuni specialisti hanno rivelato che la gomma degli pneumatici emana una sostanza chimica che attiva la corteccia frontale del cervello del cane incaricata di rilasciare lo stimolo a urinare, e per il quale l’animale sente il bisogno irrefrenabile di fare pipì. Questa teoria include una complicata spiegazione biochimica e non è stata ancora completamente verificata. […]

I cani fiutano le malattie, ma non si sapeva perché: un nuovo studio lo ha rivelato. Cesare Peccarisi su Il Corriere della Sera il 17 Gennaio 2023.

Percepiscono i glicosamminoglicani la cui presenza nel sangue e nelle urine ha, secondo ricercatori del Karolinska Institutet, una specificità del 95% per vari tipi di tumori fra cui quelli mammari, prostatici e polmonari

È noto da tempo che i cani, soprattutto i Labrador, Terranova, Dalmata e San Bernardo, sanno fiutare le malattie, in particolare certi tumori (come quelli mammari, prostatici o polmonari) prima che questi diano luogo a manifestazioni cliniche. Ma cosa fiutano? La risposta potrebbe arrivare casualmente da uno studio su 1.260 soggetti pubblicato su PNAS dai ricercatori svedesi del Karolinska Institutet diretti da Sinisa Bratulic: stavano cercando un metodo non invasivo per individuare precocemente i tumori dalle urine, il cui odore consente ai cani di percepire non solo la presenza di tumori, ma anche quella di diabete o l’arrivo di un attacco epilettico, emicranico o narcolettico con un anticipo di qualche ora.

Glicosamminoglicani

I ricercatori svedesi sono riusciti a identificare precocemente 14 diversi tipi di tumore in base alla concentrazione di glicosamminoglicani (in sigla GAG) che normalmente fanno parte della matrice extracellulare dei tendini a cui conferiscono, insieme a elastina e collagene, proprietà elastiche che ne permettono l’allungamento. Questi polisaccaridi vengono precocemente alterati dai tumori disgregandosi nel sangue e nelle urine: ricercandoli anche nel plasma i ricercatori svedesi sono riuscito ad avere una sensibilità del test compresa fra il 41,6 e il 62,3% e una specificità del 95% per i tumori ancora al primo stadio, un’accuratezza diagnostica che è il doppio di qualsiasi altra metodica oggi disponibile. Che odore hanno i glicosamminoglicani per essere percepiti dai cani? Evidentemente per noi sono inodori, ma non per i nostri amici a quattro zampe il cui olfatto dispone di 150-300 milioni di cellule a seconda della razza, mentre l’uomo ne ha solo cinque con un’area cerebrale per il riconoscimento degli odori di circa cinque cm quadrati, in confronto a quella canina di 150.

Un cervello in più

La scorsa estate uno studio dei ricercatori delle Università di New York e San Francisco diretti da Philippa Johnson, pubblicato sul Journal of Neuroscience, ha scoperto una rete di cinque connessioni nervose a noi mancanti che si estende dal bulbo olfattivo canino direttamente ad altre aree del cervello: lobo occipitale, tratto spinale corticale, sistema limbico, lobo piriforme e corteccia entorinale. Ciò spiega come il cane possa integrare gli stimoli olfattivi nel suo funzionamento cognitivo, cosicché gli odori diventano per lui un libro aperto.

Non solo tumori

Sono ormai molte le segnalazioni che indicano come i cani siano in grado di percepire l’odore di alcune malattie: per esempio il diabete o le alterazioni della glicemia. D’altro canto il famoso medico Thomas Willis del ‘600 invece dell’olfatto usava il gusto, perché assaggiando le urine dei diabetici scoprì per primo che la loro urina era straordinariamente dolce, come se contenesse zucchero o miele. I cani però fiutano le alterazioni della glicemia ancor prima che s’instauri il diabete e avvisano i loro padroni con comportamenti di anomala ricerca di vicinanza, quasi percepissero che hanno bisogno di accudimento.

Sudore e respiro

La cosa più sorprendente è che percepiscono anche l’imminenza degli attacchi di malattie come l’emicrania, l’epilessia o la narcolessia per le quali ancora nessun test clinico è disponibile. Evidentemente in questo caso, invece che dalle urine, i cani percepiscono nel sudore e nel respiro l’aumento dei marker dello stress indotto dall’arrivo degli attacchi, come scoperto da un recente studio irlandese pubblicato su PLOSone.

Rinforzo positivo

La loro capacità di sentire odori per noi impercettibili li rende preziosi in tutte le situazioni in cui il fiuto è fondamentale, come la ricerca di sopravvissuti a catastrofi naturali o nelle operazioni antidroga, dove la polizia moltiplica queste loro capacità con l’aiuto di educatori cinofili e veterinari usando il cosiddetto metodo del «rinforzo positivo», con cui si premia il riconoscimento di un certo odore.

Gli Intelligenti.

Padova, malore all'alba davanti casa: il pitbull di un vicino abbaia e fa scattare i soccorsi. Nancy Galdi su Il Corriere della Sera il 6 Aprile 2023

Cadoneghe, 57enne salvato dal cane di un condomino. Il proprietario dell'animale: «La mia Kim ringhiava e abbaiava come impazzita, così sono uscito e ho capito». La persona colpita da infezione polmonare è in ospedale

È stata Kim, un pitbull di cinque anni, ad accorgersi che l’uomo si era sentito male e giaceva a terra in un angolo della strada. Ed è grazie a lei se il 57enne ora si trova in terapia intensiva, in condizioni critiche, ma ancora in vita. 

Comportamento inconsueto

Questo è quello che è accaduto all’alba di ieri, mercoledì 5 aprile, in via Bordin, a Cadoneghe, quando Kim ha cominciato ad abbaiare forte e ininterrottamente, svegliando il padrone Francesco Macaluso e qualche vicino di casa. «Ringhiava e abbaiava in modo isterico, quasi come fosse impazzita – racconta Francesco – Spesso i vicini si lamentano perché abbaia e in un primo momento ho pensato che si riferissero a situazioni del genere, ma mi sembrava molto strano perché di solito con me non lo fa mai. Mi sono allarmato, credevo fossero i ladri. Ho acceso le luci per far vedere che ci eravamo svegliati e sono uscito con Kim. Lei è andata direttamente nell’angolo del giardino». Dei ladri neanche l’ombra. Ma la cagnolina continuava ad abbaiare e non si lasciava prendere dal padrone. Si è tranquillizzata solo quando Francesco si è avvicinato a lei: c’era qualcuno a terra. 

Il vicino a terra 

«Ho sentito un suono, come un rantolio pesante – riferisce il padrone – il corpo era in penombra e non riuscivo a vedere bene. Ho chiesto ad alta voce se fosse tutto a posto, ma nessuna risposta. Ho portato il cane in casa e poi sono uscito a controllare. Si trattava di uno dei miei vicini di casa e lo conoscevo solo di vista. Inizialmente ho pensato fosse ubriaco e che fosse caduto, ma mi sbagliavo. Stava male. Biascicava, si era fatto la pipì addosso e perdeva sangue». A quel punto è arrivato anche un altro vicino, pure lui svegliato dall’abbaiare del cane. Insieme lui e Francesco hanno soccorso l’uomo, che nel frattempo era riuscito ad alzarsi, e hanno chiamato il 118. Adesso si trova in rianimazione per un’infezione polmonare. Le condizioni non sono buone, ma per il momento sono stabili. Ed è solo merito di Kim se ora l’uomo sta ricevendo le cure necessarie. Francesco e la sua famiglia l’hanno adottata dalla Sicilia quando era ancora una cucciola e fin da piccola ha sempre dimostrato una spiccata sensibilità. Quella stessa sensibilità che si è rivelata essenziale ieri mattina e che ha salvato la vita al 57enne.

Quali sono i cani più intelligenti? La risposta in uno studio scientifico: le 12 razze più «smart». La ricerca si basa sull'analisi di circa 1000 esemplari suddivisi in 13 razze. I criteri utilizzati riguardano dall'abilità di interpretare i gesti umani al modo di comportarsi di fronte a persone non familiari. Chiara Barison su Il Corriere della Sera il 10 Gennaio 2023.

Lo studio dell'università di Helsinki

Si sa, i cani sono animali intelligenti. Nonostante non siano dotati di parola, sanno spesso come farsi capire dagli umani che li circondano. La lealtà è il tratto del loro carattere che li rende tra gli animali domestici preferiti degli italiani (e non solo). Eppure, nonostante facciano sempre più parte delle nostre vite, gli studi sulle loro facoltà cognitive scarseggiano. L'università di Helsinki ha provato a fare ordine analizzando circa mille esemplari di 13 razze canine diverse. La ricerca, pubblicata su Nature, espone i risultati ottenuti dopo aver testato i cani sulla base di diversi parametri. Tra questi, ci sono la capacità di interpretare i gesti umani, di problem solving, oltre al modo di comportarsi di fronte a una persona non familiare. Chi si sarà aggiudicato il titolo di più intelligente? Vediamo la classifica.

Il Belgian Malinois (pastore belga)

Il più dotato è un cane da pastore belga usato dalle forze di polizia. Ha ottenuto ottimi risultati in particolare nel test di indipendenza dai comandi nello svolgimento di una mansione determinata.

Australian Kelpie (cane da pastore australiano)

L'australian Kelpie si è dimostrato tra i meno aggressivi di fronte agli sconosciuti, riuscendo a tenere un atteggiamento equilibrato che non fosse eccessivamente amichevole o eccitato.

Labrador retriever

Dopo il Belgian Malinois è il cane maggiormente in grado di comprendere la gestualità umana, di conseguenza sa riconoscere più efficacemente gli ordini e le regole imposte dal padrone rispetto alle altre razze sottoposte al test.

Border collie

Il Border collie ha ottenuto il punteggio più alto nel test del cilindro: il cibo viene inserito all'interno di un cilindro trasparente e serve per misurare la capacità di controllo del cane mettendo alla prova la sua impulsività.

Golden retriever

Seppur si tratti di un animale molto docile, il Golden retriever è stato il peggiore nella prova di problem solving. Ha infatti impiegato più di tre minuti a raggiungere il cibo all'interno di un ostacolo a forma di V.

Hovawart

Pur dimostrando un buon livello di indipendenza, l'Hovawart nei test ha dimostrato di esserlo leggermente meno di altri.

Spanish water dog

Di fronte a una situazione senza soluzione praticabile, almeno non per un quattro zampe, lo Spanish water dog si è dimostrato uno dei più perseveranti abbandonando l'impresa solo dopo diversi tentativi.

Shetland sheepdog (pastore delle Shetland)

Lo shetland sheepdog si fida più della propria memoria che non degli ordini impartiti dagli umani.

 English cocker spaniel

Al contrario, il cocker si fida molto più degli umani che non di se stesso.

Pastore australiano

Il pastore australiano non teme gli estranei e nell'incontrarli si è dimostrato molto eccitato e amichevole.

Pastore tedesco

Stesso discorso vale per il pastore tedesco anche se in base ai punteggi lui è stato forse un po' troppo entusiasta nell'accogliere un membro estraneo alla famiglia.

Stesso discorso vale per il pastore tedesco anche se in base ai punteggi lui è stato forse un po' troppo entusiasta nell'accogliere un membro estraneo alla famiglia.

I Cattivi.

Imperia, Patrizia La Marca morta sbranata dal rottweiler del fratello. Alessandro Fulloni su Il Corriere della Sera il 6 Aprile 2023

Per prestare i soccorsi i carabinieri hanno dovuto sparare al cane, ferendolo, che continuava a ringhiare mentre la donna, 53 anni, dirigente di un marchio della grande distribuzione, agonizzava nel cortile

Una scena terribile: una donna si avvicina al cane per porgergli la ciotola con il mangiare e il rottweiler le si rivolta contro, la morde. La sbrana. I soccorsi arrivano subito, arrivano anche i carabinieri. Ma è impossibile avvicinarsi al molosso, che continuava a ringhiare. Per questo un militare è stato costretto a sparare all’animale con la pistola d’ordinanza. A quel punto però Patrizia La Marca, 53 anni, dirigente di un marchio della grande distribuzione, era già gravissima ed è morta poi in ospedale dove era arrivata in condizioni disperate.

È successo ieri pomeriggio (mercoledì), a Soldano, nell’entroterra di Vallecrosia (Imperia). A lanciare l’allarme sono stati alcuni vicini che avevano udito le urla. I medici dell’ospedale Santa Corona di Pietra Ligure (Savona), dove la donna è stata ricoverata in condizioni critiche, hanno tentato di tenerla in vita, ma troppo devastanti sono risultate le ferite: aveva subito lesioni alla testa, all’addome, alle spalle e alle braccia. La donna — sorella di Luigi, sindacalista Uil, e cugina del consigliere regionale Veronica Russo — da giorni, con il fratello in vacanza, accudiva il cane, legato a una catena assieme a una meticcia.

Il primo a prestare il soccorso è stato un vicino, allarmato dalle grida di Patrizia. In qualche modo è riuscito a dare conforto alla donna — che con un filo di voce continuava a ripetere: «Salvatemi...» — tenendo lontano il molosso con una scopa in saggina trovata sul cortile della casa che sta sui primi declivi dell’Appennino. Patrizia è stata portata al Santa Corona in eliambulanza che ha fatto uno scalo al Saint Charles di Bordighera per tentare una prima rianimazione.

È stato complicato ai carabinieri e ai primi soccorritori prestare i primi aiuti perché il molosso continuava a ringhiare. Uno dei militari allora è stato costretto a sparargli, un colpo esploso con estrema cautela alla zampa, badando a non ucciderlo. Il cane, spaventato, si è rintanato in casa accucciandosi con la meticcia sul divano dove poi li hanno trovati i veterinari della Asl 1 di Imperia che hanno provveduto alla sedazione. Il prossimo passo sarà quello di inviare alla magistratura un rapporto su quali fossero le condizioni in cui, in precedenza, hanno vissuto i due cani.

Il rottweiler ora si trova in un canile a Sanremo. Non ci saranno abbattimenti, «non sono più previsti dalla legge» precisano dalla Asl di Imperia. Il destino del molosso sarà quello di essere affidato a un istruttore che ne tenti il recupero.

I cani piccoli sono più aggressivi di quelli grandi. Ma potrebbe dipendere dai loro padroni. I cani di piccola taglia, sotto i nove chilogrammi di peso, tendono ad essere più energici e iperattivi: lo studio sulla rivista scientifica Applied Animal Behavior Science. Elena Tebano su Il Corriere della Sera il 7 Febbraio 2023.

È ormai un dato assodato che i cani piccoli, quelli che pesano meno di 9 chilogrammi, sono più aggressivi dei cani grandi. Bassotti e chihuahua sono infatti più «reattivi» nei confronti degli esseri umani e degli altri cani dei golden retriever, dei labrador e in generale dei cani di taglia grande. Lo hanno dimostrato una serie di studi scientifici, a partire da quello dell’Università della Pennsylvania pubblicato nel 2008 sulla rivista Applied Animal Behaviour Science e diretto dall’allora professore di etica e benessere animale James Serpell.

Nel 2013 sempre Serpell e i suoi collaboratori hanno misurato cranio, altezza e peso di 49 razze di cani e hanno riscontrato che più erano piccoli, più erano aggressivi. I cani leggeri, hanno visto i ricercatori, erano «particolarmente eccitabili, energici e iperattivi». Se sulle differenze di comportamento il consenso è unanime, ci sono più dubbi sulle cause, come racconta il quotidiano tedescoSüddeutsche Zeitung. La comportamentista Nicole Drüschler lo spiega per esempio con la selezione: «Le razze canine di piccola taglia come i bassotti e i Jack Russell terrier venivano allevate come cani da caccia, le specie terrier erano usate per combattere i ratti, i piccoli Spitz dovevano fare la guardia al cortile. Ci volevano audacia e volontà di essere aggressivi» dice. Ma è un’interpretazione che molti mettono in discussione. D’altronde si è visto anche che non è la razza a condizionare in maniera decisiva il carattere dei cani. Serpell per esempio lega piuttosto l’aggressività dei mini-cani alla paura: «Potrebbe essere una reazione dei cani piccoli a un mondo pieno di giganti», spiega.

Studi recenti dimostrano che in ogni caso un elemento fondamentale per determinare l’aggressività dei cani è il loro padrone. «Nel 2019, gli psicologi William Chopik e Jonathan Weaver hanno scoperto che le persone estroverse, tra le altre, valutano i loro cani come attivi ma meno aggressivi. Le persone più ansiose, invece, hanno valutato anche i loro cani come più ansiosi. I proprietari di cani coscienziosi hanno giudicato i loro animali meno aggressivi. Secondo Chopik, questo potrebbe essere legato al fatto che le persone preferiscono un cane con un carattere che si adatti al loro stile di vita, e anche al fatto che un cane viene plasmato dal suo umano» scrive la Süddeutsche Zeitung. Una ricerca del 2021 condotta dalla professoressa Maria Pereira dell’Università di Oporto ha mostrato che l’ansia dei proprietari dei cani è correlata a quella dei loro animali.

Le persone ansiose infatti tendono ad avere un atteggiamento iperprotettivo che può indurre un comportamento ansioso nei cani. L’atteggiamento degli umani è comunque importante anche secondo la comportamentista Drüschler: «Ogni cane ha bisogno di regole e confini chiari e di un padrone che trasmetta sicurezza, rispetto, autorità e affidabilità» dice. Serpell infine suggerisce che i comportamenti aggressivi indesiderati dei cani piccoli siano una conseguenza della tendenza a viziarli dei loro proprietari. «Si può ipotizzare che le persone siano più propense a tollerare l’aggressività nei cani di piccola taglia rispetto a quelli più grandi. In fondo, un animale grande che abbaia forte sembra pericoloso, mentre uno piccolo appare solo fastidioso» spiega la Süddeutsche. Dunque è fondamentale dare limiti chiari ai cani e abituarli fin da cuccioli (le prime 8-10 settimane di vita sono fondamentali) ad avere a che fare con persone diverse e con altri cani. Compresi quelli di dimensioni più grandi di loro e possibilmente adulti tranquilli che facciano loro da modello.

Fulvio Cerutti per lastampa.it il 26 Dicembre 2022.

Tragedia nel giorno di Natale a Concordia sulla Secchia, nel Modenese, dove Iolanda Besutti, una pensionata di 68 anni, è morta dopo essere stata aggredita dai suoi due cani Rottweiler che l'hanno morsa alla testa e a un braccio. Secondo quanto riporta la stampa locale, la donna sarebbe stata attaccata nel giardino di casa. Le condizioni della donna sono apparse subito critiche ed è stata trasportata in codice rosso all'ospedale di Baggiovara, ma è deceduta durante il trasporto. 

A dare l'allarme è stata la figlia della donna: “Credo che mamma andasse a portare il fieno ai cavalli – racconta al Resto del Carlino –. Deve essere successo tutto nel giro di dieci minuti. E’ uno strazio, stavamo preparando il pranzo di Natale. Quando sono uscita mi sono accorta dopo un po’ che era a terra, i cani vicino a lei. Ho visto una pozza di sangue e lei mi ha detto “Non respiro”, quindi ho chiamato subito il 118. Una tragedia inspiegabile”.

Ignote le cause, ma a febbraio aggredirono il giardiniere

I due cani, di uno e quattro anni, appartenevano alla donna e al marito. Su Facebook ne ha pubblicato delle foto, in una li si vede dormire e la donna scrive: "I miei due leoni".

Non sono ancora chiare le cause che possono aver scatenato l'aggressione e la polizia sta indagando. Di certo questa non sarebbe stato il primo episodio di aggressione da parte dei due animali: lo scorso febbraio i due cani avrebbero aggredito un giardiniere di 59 anni, provocandogli profonde ferite a gambe e braccia.

L'uomo stava lavorando con il cognato nel giardino della coppia per potare una siepe quando i due cani sono sfuggiti al controllo del proprietario e si sono avventati sul giardiniere che ha cercato di difenderesi parandosi con le braccia dai morsi diretti al volto. Soccorso e portato in ospedale, l'uomo ha dovuto poi dovuto affrontare due interventi chirurgici per rimediare alle lacerazioni di tendini e muscoli e salvare l'utilizzo degli arti: un primo intervento al braccio sinistro durato sei ore e l’altro, al destro, proseguito per altre tre. La dentatura dei cani ha lasciato segni profondi anche su gambe e cosce. I cani regolarmente vaccinati e con microchip, non sono mai stati sottoposti a sequestro.  Secondo la stampa locale, la stessa donna sarebbe già stata aggredita una volta dagli stessi Rottweiler.

Il Gatto.

Il Leone.

La Tigre.

Il Gatto.

Giulia Villoresi per “il venerdì - la Repubblica” il 5 marzo 2023.

Secondo il celebre veterinario Fernand Méry, "Dio ha creato il gatto per dare all'uomo il piacere di accarezzare la tigre". Chiunque viva con un gatto, in effetti, conosce lo stupore di ritrovarsi i suoi canini piantati nella carne nel bel mezzo di un'effusione.

 Perché lo fa? A questa e altre domande (i gatti ne suscitano molte) prova a rispondere Paola Valsecchi, professoressa di Etologia applicata ed evoluzione dei vertebrati all'Università di Parma, nel libriccino Non dire gatto (Il Mulino). Avendone scritto uno anche sul cane (Attenti ai cani, 2020), Valsecchi ha l'autorità per pronunciarsi su un annoso problema: perché nel gatto sentiamo ancora la tigre, mentre il cane non ci fa pensare al lupo?

Strade evolutive

"I gatti possono avere reazioni più repentine e aggressive, mentre è raro che un cane azzanni il padrone che lo sta accarezzando. Io credo che questa differenza dipenda da un diverso cammino evolutivo".

 Innanzi tutto, nel cane i primi segni di domesticazione compaiono già 26 mila anni fa, mentre per il gatto dobbiamo aspettare il Neolitico: insediamenti stabili di agricoltori, con le loro scorte di cereali, e i loro topi da scacciare.

Inoltre, mentre il cane ha subito fin da subito molte modificazioni, adattandosi a ruoli diversi (aiuto nella caccia, guardiano, conduttore del gregge, compagno di vita), il gatto domestico - il cui unico ruolo era dare la caccia a roditori e serpenti - è rimasto pressoché immutato per molte migliaia di anni.

"E ancora, fino a 50 o 60 anni fa, i gatti erano sostanzialmente animali di campagna; certo, ogni tanto ti salivano in braccio, ma questo era tutto. Vivevano per conto loro. Il gatto di casa, così come lo intendiamo noi, è recentissimo".

Le razze di gatto non compaiono che a fine Ottocento e oggi non superano la cinquantina (contro le circa 400 razze di cane). Si va dall'Abissinian, probabilmente la più antica, alla recentissima Lykoi. Dal minuscolo Singapura al maestoso Maine Coon. "Alcune razze, come il Ragdoll, o il Certosino, sono decisamente più affettuose. Ma in generale è vero che la natura dei gatti, avendo subito meno modificazioni, è più selvatica".

Per un luogo comune fondato, però, ce ne sono altri da smentire. Per esempio, che il gatto sia un opportunista che si affeziona alla casa ma non al padrone. "È stato ampiamente dimostrato che i gatti si legano emotivamente agli umani che si prendono cura di loro, è questo che gli ha consentito di inserirsi con successo nella società umana". Molti studi dimostrano che sanno distinguere le persone familiari da quelle sconosciute anche dalla voce.

il nome del proprietario e anche quelli di eventuali gatti con cui convivono. Che sono in grado di associare correttamente l'espressione di una persona arrabbiata e di una felice. E che l'esposizione a un'emozione umana negativa (anche tramite video) genera in loro una risposta di stress.

Sicuri o ansiosi, dipende da noi

Non così diversamente dai bambini, il loro attaccamento a chi li accudisce può essere di tipo sicuro o insicuro. Nel secondo caso, ricongiungendosi al proprietario dopo una separazione il gatto tende a manifestare un eccessivo bisogno di prossimità, oppure a evitarlo completamente.

"Sono emerse anche alcune interessanti correlazioni fra la personalità del gatto e quella del proprietario, e qui però devo ricordare che una correlazione fra due variabili significa solo che tra quelle due variabili c'è un rapporto e che tendono a muoversi in parallelo: umani con un alto punteggio nel fattore "apertura mentale" tendono ad avere gatti sicuri di sé, non ansiosi e non nervosi, mentre quelli con un alto punteggio di nevroticismo hanno gatti più ansiosi e bisognosi di contatto".

Ai fini del benessere del gatto, è comunque utile conoscere le sue forme di comunicazione, anche le più sottili. Tra queste ce n'è una che solo di recente ha attirato l'attenzione dei ricercatori: l'half blinking, cioè quando il gatto socchiude gli occhi, li chiude per qualche secondo poi li riapre appena, e così via.

 Nuove evidenze sperimentali fanno supporre che questo sia un modo per comunicare emozioni positive. Tra l'altro, i gatti apprezzano che sia reciproco: lo manifestano più frequentemente se i loro proprietari lo hanno fatto con loro, e preferiscono avvicinarsi a un estraneo dopo un'interazione di ammiccamento.

L'importanza del gioco

Di più: "volete sapere se la nuova marca di scatolette gli piace? Osservatelo: se durante il pasto socchiude gli occhi, avete fatto centro. Se invece non gli piace, passerà più tempo ad annusarlo, muoverà la coda nervosamente e dopo si dedicherà alla pulizia del pelo molto più a lungo".

 A proposito del grooming: non lo fanno solo per pulirsi. Oltre a mantenere funzionanti artigli e polpastrelli, pare che possa avere una funzione di termoregolazione: uno studio del 2018 ha dimostrato che bagnando la base del pelo il gatto riesce ad abbassare la temperatura superficiale di quella zona fino a diciassette gradi. Anche le fusa possono trarre in inganno: a volte le emettono quando sono malati.

"Credo che l'errore più comune sia considerare il gatto un animale che non soffre la solitudine" conclude Valsecchi. "I gatti hanno bisogno di contatto e di gioco. E poi di un ambiente sufficientemente complesso. Offritegli quindi scaffalature, graffiatoi, nascondigli. Ma soprattutto, mensole ad altezze diverse, ripiani alti da cui possa controllare l'ambiente: per il gatto è fondamentale la dimensione verticale".

Il Leone.

Il più vecchio leone d'Africa è stato ucciso: aveva 19 anni. Storia di Alessandro Ferro su Il Giornale il 14 maggio 2024.

Si trattava dell'esemplare di leone più vecchio, forse, di tutto l'ecosistema ma quasi certamente il più anziano d'Africa e avrebbe continuato a vivere ancora se non fosse stato ucciso dai pastori: dopo 19 anni anni di vita Loonkito (il suo nome) è stato abbattuto perché aveva fatto razzìa di bestiame.

L'annuncio dei Masai

La notizia è stata data dalla pagina Facebook chiamata Lions Guardians, organizzazione no profit dei guerrieri masai che salvano i leoni dell'Africa orientale fuori dalle aree protette. "La nostra missione è promuovere la convivenza" scrivono sulla descrizione relativa alla loro pagina. "È con il cuore pesante che condividiamo la notizia della scomparsa di Loonkiito (2004 - 2023), il leone maschio più anziano del nostro ecosistema e forse dell'Africa", scrivono su Facebook con la data della morte, 10 maggio 2023 e l'età, 19 anni. Era un simbolo di resilienza e convivenza - hanno aggiunto -Noi di Lion Guardians ci sentiamo privilegiati per aver testimoniato la sua vita e la sua eredità". Nelle prossime settimane hanno intenzione di realizzare un documento in cui sarà raccontata "la straordinaria storia della vita di Loonkiito".

Cos'è successo

Come ricorda la Bbc, l'uccisione è avvenuta nel villaggio di Olkelunyiet, al confine con il Parco Nazionale di Amboseli (nel sud del Kenya) mentre il mammifero era in cerca di cibo a causa della perdurante siccità e la conseguente difficoltà di alimentarsi. "In preda alla disperazione, i leoni spesso si aggirano per prendere il bestiame", ha dichiarato all'emittente britannica il portavoce del Kenya Wildlife Service (KWS), Paul Jinaro, aggiungendo che si tratta di una "situazione difficile per entrambe le parti, il popolo e il leone". Su Loonkito, poi, ha detto che è stato "un simbolo di resilienza e convivenza".

Di solito, l'età media dei leoni è 13 anni la maggior parte dei quali passati in cattività. L'ultimo censimento realizzato nel 2021, ormai due anni fa, afferma che in tutto il continente africano ci sarebbero circa 2.500 esemplari. Nel luglio 2021, un leone ha provocato il panico dopo essersi allontanato dal suo habitat nel Parco Nazionale di Nairobi, in Kenya, per raggiungere un quartiere affollato nell'ora di punta mattutina. Il parco si trova a soli 7 chilometri dal cuore della capitale del Kenya e non era la prima volta che animali del genere raggiungessero le soglie della metropoli abitata da milioni di persone.

Leoni in fuga dalla carestia massacrati dagli allevatori: la strage imbarazza il Kenya. Michele Farina su Il Corriere della Sera il 15 Maggio 2023.

Dieci esemplari uccisi in una settimana perché minacciosi per l’uomo: tra loro anche Loonkiito, il più vecchio dell’Africa 

Se nella terra dei Masai, sul luogo della strage dei leoni, in un sonnacchioso sabato di festa è arrivata in elicottero da Nairobi la ministra del turismo Peninah Malonza, vuole dire che la questione è grave. 

Questione di immagine: la notizia ha fatto il giro del mondo (guerrieri masai uccidono una decina di leoni), il 10% del Pil del Kenya viene dal turismo e i suoi 2.500 re della foresta sono un asset imperdibile. La peggior siccità degli ultimi 40 anni lascerà entro giugno oltre 5 milioni di keniani senza acqua né cibo. Ma questa non-notizia oggi passerebbe inosservata, se non fosse per quei giovani leoni sbandati che venerdì notte sono usciti dall’Amboseli Park (dove anche gli animali sono colpiti dalla carestia). Spinti dalla fame, raccontano le cronache di The Nation, i felini vagano per il villaggio di Nashipa uccidendo 11 capre e un cane. Scatta l’allarme. Arrivano i ranger masai della Big Life Foundation, organizzazione ambientalista con basi in tutto il Paese. Ricacciano tre fiere verso il Parco, mentre sei si piazzano in un pezzo di savana dentro il recinto del quartier generale di Big Life. All’alba si palesano i rinforzi del Kenya Wildlife Service (Kws), racconta il direttore Richard Bonham sul sito della Fondazione. Un veterinario del vicino parco di Tsavo è chiamato a studiare un piano di evacuazione. Si decide di aspettare la notte successiva, ma intanto una folla di ottanta Masai si è radunata intorno alla sede del centro con archi e lance. La tensione sale fino all’attacco finale: i sei leoni rimasti vengono massacrati dalla folla. «Non siamo intervenuti — scrive Bonham — perché c’era il rischio di vittime tra gli umani». Dal 2003, «il Fondo di compensazione per danni da predatori» finanziato da Big Life ha funzionato abbastanza: «solo» 13 leoni sono stati uccisi dai mandriani in quella zona (prima della strage di sabato), contro i 31 ammazzati in un solo anno nel 2002.

Le cose stanno peggiorando. Dieci leoni persi nell’ultima settimana, secondo il Kws. Venerdì in un villaggio non lontano era stato trafitto a morte da un allevatore Loonkiito, 19 anni, forse il più vecchio leone in libertà d’Africa: anche lui in cerca di cibo aveva lasciato il parco di Amboseli, un’area di 400 km quadrati con il Kilimangiaro sullo sfondo. La ministra Malonza scesa dall’elicottero ha auspicato l’«armoniosa convivenza» tra animali e umani. Ma è una parola: l’Africa, tra l’altro, subisce le conseguenze di un cambiamento climatico che non ha prodotto. 

Gli allevatori entrano nei parchi per trovare foraggio per il loro bestiame, i leoni escono dagli stessi buchi per trovare prede fuori. E non solo i leoni. A Njoro Mata la contadina Monica Mutike, intervistata da Ismail Einashe per la Bbc, racconta che issata su una scaletta fa la sentinella al suo campicello di mais e banani. Con alcune migliorie il raccolto era cresciuto e poteva pagare la scuola alla figlia di 10 anni, prima che cominciassero ad arrivare alcuni dei 15 mila elefanti di Tsavo. Di recente, con la siccità imperante, le hanno divorato tutto il raccolto. Un elefante ingolla 150 kg di vegetali e 100 litri di acqua al giorno. La povera Moki usa torce e tamburi per impaurire i magnifici pachidermi. Per lei poca armonia, e zero fondi di compensazione.

La Tigre.

TRAGEDIA SCAMPATA. Ivan Orfei azzannato da una tigre durante uno spettacolo nel Salento.Il 31enne appartenente alla nota dinastia circense si stava esibendo a Surbo e ha riportato profonde ferite al collo e ad una gamba. Fabiana Pacella su La Gazzetta del Mezzogiorno il 29 Dicembre 2022

Si trattava di uno spettacolo che ha sempre fatto da anni, ma questa volta qualcosa non è andato per il verso giusto. Siamo a Surbo nel Leccese, dove da giorni il circo Orfei sta dando vita ad esibizioni in grado di attirare grandi e piccoli dall'intero Salento. Uno dei motivi di attrazione è proprio lo spettacolo con le tigri, e a gestirlo è l'esperto Ivan Orfei, figlio della dinastia Orfei, legata da sempre al mondo circense. Nell'appuntamento di questa sera, però, una tigre non ha risposto ai comandi del domatore e si è avventata contro di lui, azzannandolo al collo e ad una gamba. Il 31enne è vivo per miracolo e ha riportato ferite profonde, ma non è in pericolo di vita. Orfei è stato trasportato d'urgenza all'ospedale Vito Fazzi di Lecce, dove è tutt'ora ricoverato. Sul posto sono intervenuti gli agenti della Questura di Lecce. La tigre verrà sottoposta ad analisi veterinarie. Dopo l’incidente lo spettacolo è stato interrotto. 

Da tgcom24.mediaset.it il 31 dicembre 2022.

Ivan Orfei, il domatore di 31 anni azzannato e ferito da una tigre durante uno spettacolo organizzato dal circo "Amedeo Orfei" a Surbo, in provincia di Lecce, dal letto d'ospedale dice – come riporta la Repubblica Bari - che l'aggressione è stata "un mio errore. Mi sono posizionato di spalle girandomi di scatto ma l'animale in quel momento voleva giocare". "È la tigre quella più giocherellona di tutte e richiede le maggiori attenzioni", ha aggiunto la madre di Orfei, Denise. 

"La tigre rimarrà con noi, ci fermeremo magari per un paio di giorni ma gli spettacoli riprenderanno e proseguiranno fino al 15 gennaio così come inizialmente previsto", ha spiegato la madre dell'uomo. "Mio figlio è in buone condizioni, i medici lo tengono sotto controllo ma siamo tutti tranquilli perché ritornerà qui da noi a breve", ha poi aggiunto Denise. L'uomo è ancora ricoverato in ospedale a Lecce. 

L'aggressione - Giovedì, il domatore del circo "Amedeo Orfei" da qualche giorno installato a Surbo in provincia di Lecce, è stato aggredito e ferito da una tigre durante lo spettacolo. Il numero coinvolgeva due tigri e a mordere Orfei è stato l'esemplare che in quel momento si è trovato alle spalle del domatore. Dopo l'aggressione, l'uomo è stato trasportato in codice rosso da un'ambulanza al pronto soccorso del Vito Fazzi di Lecce, ha riportato profonde ferite al collo e a una gamba. Sul posto sono intervenuti gli agenti della Questura di Lecce. La tigre verrà sottoposta ad analisi veterinarie. Dopo l'incidente lo spettacolo è stato interrotto.  

Allo show c'erano circa 200 persone. Come riporta l'edizione locale di Repubblica, già dai primi momenti dell'aggressione tanti spettatori hanno lasciato le proprie poltroncine. "Abbiamo abbandonato in tutta fretta la nostra postazione perché ci siamo subito resi conto della gravità dell'accaduto. E sinceramente non era una scena a cui volevo far assistere i miei figli. Ad ogni modo spero con tutto il cuore che il domatore stia bene", ha dichiarato il genitore di due ragazzi. 

Il domatore insultato sui social - Intanto, sui social sono comparsi diversi insulti nei confronti del domatore. In tanti gli hanno addirittura augurato la morte. "Nessuna pena per lui. Dovrebbero solo vergognarsi e chiedere scusa agli animali che ancora utilizzano come burattini. Fate schifo" e "A volte capita, si chiama giustizia divina!" sono solo alcuni esempi dei messaggi apparsi sul web, come riporta Il Quotidiano Italiano.  

"Attaccare questo ragazzo o pregare per la sua morte mi sembra ingiusto e vergognoso perché non si conoscono i rischi e la passione che animano chi fa il domatore. Il mestiere del circense comporta determinati rischi. È un po' come il pilota di Formula Uno che sa che quella può essere la sua ultima gara", ha commentato Enrico Perretti, amministratore del circo "Città di Roma".

Claudio Tadicini per corriere.it il 3 Gennaio 2023. 

È ancora in ospedale per sottoporsi a cure antibiotiche Ivan Orfei, 31 anni, domatore del circo «Amedeo Orfei», in questi giorni di tappa a Surbo, assalito la sera del 29 dicembre 2022 da una delle tre tigri con cui si stava esibendo durante uno spettacolo. Un’aggressione che, immortalata dai cellulari di alcuni spettatori, ha fatto il giro di web e tv, scatenando polemiche e insulti nei confronti del malcapitato domatore da parte dei «leoni da tastiera», arrivati persino ad augurargli la morte. Lui, intanto, dall’ospedale scalpita per tornare in pista: «Appena sarò al 100 per cento, tornerò in gabbia».

Dopo questo brutto incidente, ora come sta?

«Ora benissimo. A causa dei morsi, ho riportato un grosso buco vicino al collo e altri tre sulla schiena. Ho anche altri buchi su gamba e polpaccio. Graffi e morsi di tigre portano con loro molte infezioni pericolose: alcuni antibiotici sono disponibili solo in ospedale, altrimenti a quest’ora sarei già tornato a casa». 

Sua madre Denise ha detto che, per come è andata, è stata una «grazia di Dio». La pensa allo stesso modo?

«Sono stato fortunato. Oltre a qualcuno dall’alto, mi ha salvato senz’altro anche Eddy, il ragazzo che è entrato nella gabbia ad aiutarmi. Da solo non avrei potuto fare niente: in quel momento ero solo un pupazzo tra le fauci della tigre». 

Ha avuto paura?

«Nonostante il momento, sono stato abbastanza lucido a controllare quello che rappresentava il problema più grande, ossia le altre tigri: se fosse sceso anche il maschio, sarebbe stata una partita finita. Il mio sguardo, sebbene avessi la tigre addosso, era verso di lui. Quando mi sono accorto che non mi stava calcolando, ho detto: “Ce la farò. Soffrirò, ma mi salverò”. E così è andata: ho cercato di aprire la bocca della tigre con le mani, poi è arrivato Eddy a scacciare la tigre con lo sgabello e a salvarmi». 

Cosa l’ha spinta a diventare domatore? Cosa è accaduto quella sera?

«Nasco come equilibrista sulla fune, ma domare le tigri mi ha sempre affascinato. Amo gli animali da impazzire, lavorare a stretto contatto con animali affascinanti come le tigri è emozionante: insieme ci divertiamo, siamo felici, giochiamo. Al di là dell’accaduto, regalano emozioni uniche: appena pochi minuti prima che Taira mi aggredisse, l’avevo accarezzata sulla testa, come se fosse un cane. Proprio Taira è la più coccolona e la più tranquilla. L’errore è stato solo mio, perché mi sono distratto e quando lavori con questi animali bisogna avere mille occhi: purtroppo, quella sera e solo quella sera, ho sbagliato. Sono stato stupido a controllare troppo le altre tigri, perdendo di vista quella che mi ha poi aggredito».

Tornerà a fare il domatore di tigri?

«Assolutamente sì. Appena sarò di nuovo al 100 per cento, tornerò in gabbia con loro, senza problemi e senza pensieri negativi nei loro confronti. Andrò in gabbia come se non fosse successo niente. Quando tornerò a casa, dopo avere salutato le mie bimbe, andrò a salutare tutti i miei animali. Anche e soprattutto Taira». 

In molti sui social le hanno augurato una pronta guarigione, altri addirittura la morte...

«Per fortuna ho ricevuto tantissimi messaggi di vicinanza da tante persone buone. Altre, invece, mi hanno preso in giro e augurato la morte: con alcuni di essi ho pure parlato, riuscendo a fare cambiare loro opinione. 

Alla fine mi hanno pure chiesto scusa e perdono per quello che avevano scritto nei miei riguardi: ho spiegato loro che noi circensi non siamo persone orribili, che maltrattano gli animali che, invece, vengono amati e trattati come re. Alcuni “leoni da tastiera” sono riuscito a domarli, altri - purtroppo - sono davvero indomabili».

"È stato mio l'errore". Odio social contro Ivan Orfei azzannato dalla tigre. Federico Garau il 30 Dicembre 2022 su Il Giornale.

"Giustizia divina", "Fate schifo", sono solo alcuni degli insulti contro Ivan Orfei, il domatore di 31 anni attaccato da una tigre durante lo show. Il giovane si prende tutta la responsabilità: "La tigre voleva giocare, resterà con noi"

Ha sconvolto tutti quanto accaduto durante lo spettacolo di ieri, giovedì 29 dicembre, al circo Amedeo Orfei. Nel corso dell'esibizione, una delle due tigri coinvolte nel numero ha infatti attaccato il suo domatore, il 31enne Ivan Orfei, ferendolo al collo e a una gamba.

Tanta la paura fra gli spettatori, ma a sorprendere ancora di più è stata la reazione di alcuni utenti dei social, che si sono scagliati in invettive contro Orfei, augurandogli addirittura la morte.

L'aggressione durante lo show

Era in corso lo spettacolo circense a Surbo, in provincia di Lecce, quando, durante lo show con le tigri, uno dei due felini ha assalito Ivan, il suo domatore. Ad attaccare è stato l'esemplare rimasto alle spalle del 31enne, che ha riportato ferite al collo e a una gamba.

I soccorsi si sono attiviti subito: l'esibizione è stata ovviamente interrotta, ed Ivan è stato trasportato al pronto soccorso dell'ospedale Vito Fazzi di Lecce. Al circo, nel frattempo, sono arrivati gli agenti della questura di Lecce per effettuare dei rilievi e ascoltare il racconto della vicenda. Sul posto anche dei veterinari per accertarsi delle condizioni della tigre.

Nessuna grave conseguenza per il giovane artista dell'Amodeo Orfei. Il 31enne non era in pericolo di vita e ha ricevuto tutte le cure del caso. "Mio figlio è in buone condizioni, i medici lo tengono sotto controllo ma siamo tutti tranquilli perché ritornerà qui da noi a breve", è quanto ha riferito Denise, la madre del giovane, come riportato da Repubblica.

Il racconto di Ivan

Raggiunto al telefono, Ivan Orfei ha fornito la sua versione dei fatti. Nessun attacco violento da parte della tigre, che non voleva realmente fargli del male. Abituato a stare a lungo a contatto con questi animali, il 31enne è in grado di comprendere il loro comportamento.

"È stato un mio errore", ammette. "Mi sono posizionato di spalle girandomi di scatto ma l’animale in quel momento voleva giocare".

Il grosso felino, dunque, non intendeva nuocergli. Come assicura anche la madre di Ivan, quella tigre ha un comportamento molto socievole, ama giocare e richiede spesso attenzioni.

All'animale non sarà pertanto fatto alcun male, anzi, resterà nella famiglia del circo. "La tigre rimarrà con noi, ci fermeremo magari per un paio di giorni ma gli spettacoli riprenderanno e proseguiranno fino al 15 gennaio così come inizialmente previsto", ha assicurato Denise Orfei.

Sui social piovono insulti

La vicenda, però, non è finita qui. Subito dopo la diffusione in rete del video con l'attacco della tigre si è scatenata un'accesa polemica. Al centro della bufera, Ivan Orfei, al quale qualcuno ha addirittura augurato la morte.

Insulti e intimidazioni contro il 31enne da parte di chi non accetta che le tigri prendano parte agli spettacoli circensi. "Nessuna pena per lui. Dovrebbero solo vergognarsi e chiedere scusa agli animali che ancora utilizzano come burattini. Fate schifo", tuona qualcuno. E c'è chi parla di "giustizia divina".

"Attaccare questo ragazzo, o pregare per la sua morte mi sembra ingiusto e vergognoso perché non si conoscono i rischi e la passione che animano chi fa il domatore. Il mestiere del circense comporta determinati rischi. È un po’ come il pilota di Formula Uno che sa che quella può essere la sua ultima gara. E poi uccidono più i cani dei felini ma noi non sopprimiamo le tigri. Sono i cani che vengono eliminati", è il commento amareggiato di Enrico Perretti, amministratore del circo "Città di Roma".

Articolo del “The Guardian” – dalla rassegna stampa estera di “Epr comunicazione” il 25 Gennaio 2023.

Bill Gates finanzia una nuova startup che mira a ridurre le emissioni derivanti dalle eruttazioni delle mucche. Bill Gates ha effettuato un nuovo investimento di 12 milioni di dollari in una società australiana che mira a nutrire le mucche con alghe per ridurre le emissioni di metano prodotte dalle loro eruttazioni.

 Breakthrough Energy Ventures, che il co-fondatore di Microsoft ha creato nel 2015, ha guidato il finanziamento della startup con sede a Perth, chiamata Rumin8. Anche Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, e l'imprenditore cinese Jack Ma sono finanziatori del fondo Breakthrough.

Rumin8 sta sviluppando una serie di integratori da somministrare alle mucche per ridurre la quantità di metano, un potente gas serra, che esse emettono. Il mangime comprende alghe rosse e piante di pascolo che "replicano i composti antimetanogeni della natura" e riducono la produzione di metano.

 I ruminanti gassosi non sono spesso considerati cause significative della crisi climatica, a differenza delle automobili o delle centrali elettriche, ma questi animali erbivori possono eruttare 100 kg di metano all'anno, equivalenti alla combustione di 3.400 litri di benzina – scrive The Guardian.

Tutti insieme, questa serie infinita di rutti è una delle principali fonti di metano, un gas che intrappola il calore 80 volte più efficacemente dell'anidride carbonica e che sta aumentando le emissioni a livello globale. Uno studio dello scorso anno ha rilevato che le emissioni combinate di metano di 15 tra le maggiori aziende produttrici di carne e latticini del mondo sono superiori a quelle di alcuni dei più grandi Paesi del mondo, tra cui Russia, Canada e Australia.

Gli Stati Uniti e l'Unione Europea sono tra coloro che hanno firmato un impegno globale per ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030, ma dato che si prevede che il consumo di carne a livello mondiale aumenterà nei prossimi decenni, alcune aziende hanno studiato dei modi per ridurre direttamente l'impatto climatico di 1 miliardo di mucche sul pianeta.

 Una ricerca ha già scoperto che l'aggiunta di alghe al mangime delle mucche può ridurre di oltre l'80% la formazione di metano nel loro intestino. Gates ha già parlato dell'impatto climatico del consumo di carne e ha chiesto che le persone passino completamente al consumo di carne sintetica.

"C'è un desiderio sentito di finanziare soluzioni alle emissioni di metano enterico dal bestiame e fortunatamente per Rumin8, si possono vedere i benefici della nostra tecnologia", ha detto David Messina, amministratore delegato di Rumin8, che utilizzerà il finanziamento per commercializzare il suo prodotto.

"I nostri risultati di laboratorio continuano a dare risultati eccellenti, le nostre prove sugli animali riflettono i risultati di laboratorio e i modelli finanziari che stiamo realizzando indicano che saremo in grado di fornire i nostri prodotti a un prezzo commerciale".

Documentati gli orrori di un allevamento di maiali della “eccellenza italiana” DOP. Simone Valeri su L'Indipendente il 30 Dicembre 2022.

Il gruppo investigativo dell’associazione animalista Animal Equality ha documentato e rivelato le pratiche in uso dentro un allevamento intensivo di maiali, in provincia di Brescia. Animali agonizzanti, incapaci di muoversi e senza accesso all’acqua, capi morti e contenitori pieni di placenta: sono solo alcuni degli oscuri dettagli emersi dall’indagine condotta negli stabilimenti di un’azienda che – spiega l’organizzazione – «rifornisce alcuni consorzi di prodotti a marchio DOP, simbolo della cosiddetta ‘eccellenza’ del Made in Italy». Eventualità, quest’ultima, confermata anche dalla presenza dei codici che vengono apposti sui capi destinati alla produzione di prodotti certificati. Non è la prima volta che Animal Equality porta alla luce le condizioni in cui versano gli animali allevati in contesti intensivi e, nonostante le varie promesse politiche, ad oggi sembra che nulla sia cambiato.

L’azienda nel mirino degli animalisti era già stata interessata, nel 2019, da un esposto depositato presso la Procura della Repubblica. Al tempo, sempre attraverso una video-inchiesta, le immagini avevano evidenziato gravi violenze da parte degli operatori nei confronti degli animali allevati. Successivamente Animal Equality ha continuato a sorvegliare l’allevamento fino alle più recenti evidenze. L’organizzazione ha così presentato integrazioni all’esposto del 2019 per segnalare lo stato di degrado generale dello stabilimento, la violazione delle norme sul benessere animale e il verosimile inquinamento ambientale provocato dall’azienda. Riguardo quest’ultimo punto, in particolare, è stata riscontrata una scorretta gestione dei liquami di scarto e, inoltre, «è stata documentata la presenza di altre zone allagate e di liquido sospetto all’interno del fosso adiacente l’azienda», aggiunge l’associazione precisando che «la carica batterica e i componenti presenti all’interno dei liquami (mistura di deiezioni, acqua piovana ed acque di scolo) non sono adatti allo sversamento a terra e ancor meno allo sversamento in fossato, dove le sostanze irregolarmente sversate possono essere trasportate altrove lungo il percorso di deflusso dell’acqua». Suini in reparto ingrasso [foto di Animal Equality Italia]L’indagine, al di là delle ideologie, ha quindi rafforzato le evidenze sull’insostenibilità etica e ambientale degli allevamenti intensivi. Oltre al benessere animale, che non viene quasi mai garantito, gli allevamenti intensivi rappresentano infatti una delle principali fonti di emissioni di gas serra a livello globale. Il rilascio di gas climalteranti dagli allevamenti intensivi – secondo un’analisi di Greenpeace – contribuirebbe a circa il 17% delle emissioni totali dell’UE, più di quelle di tutte le automobili e i furgoni in circolazione messi insieme. La stessa valutazione ha evidenziato poi come le emissioni annuali degli allevamenti siano aumentate del 6% tra il 2007 e il 2018, un incremento equivalente a 39 milioni di tonnellate di CO2. Ciononostante, ad oggi, un timido ma concreto passo avanti è stato fatto solo in termini di tutela del benessere animale quando, il 30 giugno 2021, la Commissione europea si è impegnata a vietare definitivamente l’uso delle gabbie negli allevamenti entro il 2027. A livello di impatto ambientale e climatico si procede invece ancora in ordine sparso con vari obiettivi strategici ma nessuna valida norma vincolante. Ad ogni modo, abolire completamente queste infrastrutture produttive sarebbe utopico e controproducente, ma una loro conversione a modelli più sostenibili è tanto inevitabile quanto urgente. [di Simone Valeri]

L’importanza del riccio. Nel Cuneese un ospedale per le sentinelle dell’ambiente. Gli studi scientifici segnalano il progressivo decremento degli esemplari, sintomo di un habitat compromesso. A metà Novecento in Europa erano 30 milioni, ora sono 1 milione e mezzo. L’idea del parco sanitario è del veterinario scrittore Massimo Vacchetta. Roberto Orlando su L'Espresso il 25 Maggio 2023

Che cosa potranno mai avere in comune Parigi e Novello, paese di 983 abitanti in provincia di Cuneo? Entrambi avranno presto un ospedale riservato ai ricci e saranno i primi in Europa. Il motivo non è l’eleganza che Mauriel Barbery ha reso proverbiale nel suo best seller e nemmeno la dolcezza di quel musetto che sbuca da un gomitolo di spine. La questione attiene alla sopravvivenza della specie.

Ora qualcuno potrebbe osservare: il riccio è un grazioso animaletto, ma non si direbbe così fondamentale. Invece in realtà è una sentinella dello stato di salute dell’ambiente. Insomma, se sparisce il riccio l’homo sapiens dovrebbe preoccuparsi più di quanto sia già necessario. E se il clima non tornasse alle sue consuetudini, la specie in Europa potrebbe scomparire entro 20 anni.

Ma quanti sono i ricci? Esiste un solo censimento in Europa, quello del People's Trust for Endangered Species, secondo il quale il numero degli esemplari in Gran Bretagna dal 2000 a oggi si è dimezzato. A metà Novecento erano addirittura 30 milioni, ora sono 1 milione e mezzo. E in Italia? Forse 800mila, si calcola a spanne, comunque molti meno di 20 anni fa. L’allarme però è scattato ovunque. A Parigi l’Associazione "Erinaceus 2020” sta per inaugurare nel Bosco di Vincennes - il più grande parco della capitale francese - un ospedale per una trentina di ospiti con sala operatoria, terapia intensiva, area di convalescenza e nursery.

Ma anche a Novello fanno sul serio, in collaborazione con il Dipartimento di scienze veterinarie dell’università di Torino. È già stato avviato uno studio, coordinato dalla professoressa Maria Teresa Capucchio, che ha come primo obiettivo quello di individuare le cause di mortalità della specie. Racconta Massimo Vacchetta, il veterinario fondatore del Centro “La Ninna” di Novello che dopo 8 anni di attività sta per diventare ospedale: «Prima curavo i bovini negli allevamenti. Avevo una vita comoda, una bella macchina... Ma a un certo punto ho avuto una crisi professionale e anche sentimentale: il mio matrimonio è fallito e non sopportavo più la sofferenza che vedevo nelle stalle. Così ho cominciato a collaborare con un collega che si occupa di piccoli animali. Proprio lui una sera mi ha mostrato un riccio appeno nato, la Ninna appunto, e io ho provato una compassione infinita. L’ho allattato giorno e notte per un mese e quando l’ho liberata ho deciso di dedicarmi a questi piccoli mammiferi, considerati ultimi tra gli ultimi. Così ho creato il Centro e ho aperto una pagina Facebook dove scrivevo le storie dei miei ricci, in modo emotivo, di getto...”. Un metodo che funziona: i followers crescono fino a quota 218mila. “Il livello di interattività è incredibile e grazie alle donazioni del gruppo possiamo mantenere l’attività», dice Vacchetta.

Il centro già ora cura 3-400 ricci l’anno, ha sei dipendenti e una ventina di volontari, tra cui il fondatore stesso: «Non ho stipendio e non voglio finanziamenti pubblici. Ho una vita semplice, mi bastano i proventi dei miei libri sulle storie dei ricci». Il primo dei quattro (“25 grammi di felicità. Come un piccolo riccio può cambiarti la vita”) ha venduto 120 mila copie in tutto il mondo. E il centro è diventato meta di pellegrinaggio, persino dall’Australia. La chiave del successo? «Il libro contiene un messaggio semplice: segui la tua passione. Io ho mollato tutto e sono felice», spiega il veterinario scrittore.

Ora Vacchetta sta costruendo l’ospedale: c’è già un apparecchio radiologico digitale, ma servono l’ecografo, la macchina per l’esame del sangue, la sala operatoria, il pronto soccorso, la nursery. E servono presto. L’ambiente si fa sempre più inospitale per i ricci: oltre alle più comuni cause di morte come investimenti, incendi, pesticidi, riduzione dell'habitat, ora ci si mette pure il clima. Con la siccità diminuiscono gli insetti di cui i ricci si nutrono e il caldo prolungato fa impazzire il loro orologio biologico. Spiega il veterinario: «Nel 2021 abbiamo recuperato 70 piccoli nati da cucciolate anomale in autunno, cioè troppo tardi per mettere su il peso necessario ad andare in letargo e superare l’inverno».

In media “La Ninna” rilascia in natura la metà degli animali soccorsi. Gli altri non sopravvivono oppure restano ricoverati perché disabili. Come Casimira, la cui storia si incrocia con quella drammatica di Daniele, il ragazzo che l’aveva salvata. Racconta Vacchetta: «Daniele era stato mandato qui dai servizi sociali. Soffriva di Ahdh, un disturbo che provoca iperattività, ed era tossicodipendente. Aveva 21 anni, piercing dappertutto e occhi da cerbiatto. Adorava gli animali: perché loro non mi giudicano, mi spiegò».

Un giorno Daniele trova un riccio in fin di vita ai bordi di una strada. Ricorda Vacchetta: «Mi ha mandato subito una foto: era una giovane femmina investita da un’auto, sembrava già morta, era gonfia. Non potrò mai dimenticare lo sguardo implorante di Daniele quando mi ha chiesto di salvarla. Passai la notte a operarla, poi la curai per un mese e mezzo e alla fine la riccia sopravvisse. Daniele se ne prese cura con amore. La chiamai Casimira, così, senza un motivo. Poi scoprii che il nome significa portatrice di pace. Era proprio così: Casimira aveva portato la pace nel cuore di quel ragazzo difficile. Dopo il lockdown, quando lui sarebbe dovuto tornare a lavorare qui, ricevetti una telefonata dall’assistente sociale: Daniele era morto di infarto in comunità. Un colpo durissimo». E poco prima di Natale è morta anche Casimira, proprio nel giorno in cui il veterinario ha cominciato a scrivere il capitolo dedicato a Daniele nel suo quarto libro: “Raccontami qualcosa di bello”. Nella pagina Facebook della Ninna l'ondata di cordoglio è stata immensa: in 24 ore sono stati scritti oltre 1.700 commenti.

Se il riccio è a rischio, molte altre specie sono a un passo dall’estinzione: come il falco pellegrino, di cui resistono 7 coppie in Italia, o la lince di cui si contano solo 5 esemplari. E poi il gipeto, l’aquila del Donelli, il capovaccaio, l’avvoltoio monaco... Per occuparsi di loro, l’Università di Bologna, grazie a una donazione, sta aprendo un ospedale che è anche centro di ricerca. Si trova a Ozzano, su una collinetta vicina al Dipartimento di Scienze mediche veterinarie ed è in pratica una sua propaggine. L’idea è del professor Mauro Delogu e lo scopo è anche quello di preparare le nuove generazioni di veterinari alla cura dei selvatici considerando l’ambiente in cui vivono «come un unico grande organismo composto da un insieme di esseri interconnessi tra loro».

L’ospedale dispone di grandi voliere e vaste aree recintate. L’edificio è suddiviso in due parti: una per i selvatici e l’altra per i pets non convenzionali: conigli, criceti, furetti, pappagallini, rettili... Ci sono sale di degenza, radiologia e sala operatoria. La struttura è costata mezzo milione. Il personale? Allievi e specializzandi coordinati da Delogu. Spiega il professore: «Non puntiamo sulla quantità, badiamo di più alla qualità». E fa l’esempio di una coppia di gipeti ospiti del parco Natura Viva di Verona che si sono riprodotti in cattività. «Li abbiamo curati e abbiamo accudito il pulcino finché è stato possibile riportarlo nel suo habitat, addirittura in Andalusia. Per salvare una specie a rischio - sottolinea il docente – non basta curare migliaia di esemplari e rimetterli in libertà, è necessario trovare e rimuovere le cause di mortalità». L’ospedale di Ozzano si propone anche come punto di riferimento nazionale per i Cras, i centri di recupero di animali selvatici istituti per legge e finanziati dalle Regioni.

I Cras sono 101, secondo il censimento dell’Università di Padova che si trova sul sito recuperoselvatici.it. La regione più virtuosa è l’Emilia-Romagna, con 11 centri, seguita da Friuli-Venezia Giulia (10) e Lombardia (9). In coda il Molise che il Cras non ce l’ha. Secondo la legge dovrebbero essere in pratica uno per provincia. Nelle Regioni più generose come la Lombardia i finanziamenti pubblici possono arrivare fino a 35mila euro l’anno che fanno in fretta a finire. Così il funzionamento dei Cras poggia sull’impegno dei rarissimi dipendenti e di numerosi volontari e sulle donazioni private. Ma mentre per le grandi associazioni animaliste - Wwf, Lipu, Enpa - è più facile garantire qualche risorsa, per le piccole realtà reperire fondi con regolarità può essere un problema. E soltanto negli ultimi due anni il ministero dell’Ambiente ha previsto stanziamenti straordinari per i Centri.

Racconta Marco Galaverni, direttore delle Oasi Wwf. «Noi gestiamo 9 centri, da cui passano circa 8mila animali l’anno. I Cras di Vanzago e Valpredina accolgono tutti i selvatici, altri sono più specializzati, come quelli costieri che si occupano di tartarughe marine. Nel 2022 ne abbiamo salvate 350».

Nei Cras arrivano soprattutto ricci, appunto, uccelli feriti per impatti contro cavi della luce e edifici, oppure colpiti da cacciatori e bracconieri, ma anche tanti caprioli e cinghiali, due specie spesso oggetto di campagne di abbattimento. E qui nasce il paradosso, perché da un lato le Regioni finanziano le operazioni di contenimento di alcune specie ritenute dannose e dall’altro sostengono i centri che le curano. Solo di recente, con l’emergenza peste suina, alcune Regioni hanno vietato di accogliere i cinghiali nei Cras. Oltre a trovare soluzioni meno controverse, sarebbe indispensabile un piano nazionale dei centri per garantire una distribuzione più ordinata nel territorio. E Galaverni spiega il perché: «I centri sono la prima interfaccia con patologie o zoonosi (malattie trasmissibili dagli animali all’uomo, n.d.r.) che possiamo intercettare grazie al conferimento degli animali nei centri. È successo di recente con l’influenza aviaria nel Veneto, scoperta grazie a un uccello portato nel nostro centro di Rovigo». Insomma, più Cras e più ospedali per animali selvatici ci sono e meglio è. Per tutti.

Estratto da lastampa.it il 18 gennaio 2023.

Il topo talpa nudo, (Heterocephalus glaber), roditore scavatore originario del Corno d'Africa e del Kenya, è un animale davvero strano. Vive dentro caverne, quasi cieco, totalmente glabro con due lunghi denti sporgenti, ed è l’unico mammifero conosciuto a sangue freddo. Ha una lunghezza variabile tra 8 e 10 centimetri, un’aspettativa di vita che può arrivare ai trent’anni e gli scienziati lo ritengono molto interessante per la sua resistenza alle malattie.

Bello non è, ma intanto l'eterocefalo glabro invecchia lentamente, non si ammala di cancro e non prova dolore. Secondo un team dell'Università di Cambridge, nel Regno Unito, questa specie di ratto possiede un agente anticancro noto come "senescenza cellulare", responsabile del fatto che le cellule difettose non si dividono. […]

 La talpa nuda poi è anche in grado di sopravvivere fino a 30 minuti in condizioni di scarsità o assenza di ossigeno senza riportare danni cerebrali, adattamento scaturito dalla poca disponibilità di ossigeno nei tunnel dove vive. […] 

Millefiori40 giorni, la vita di un’ape operaia che produce 1 grammo di miele. Giulia Salis su L'Inkiesta il 19 Aprile 2023.

Secondo alcuni studi il ciclo medio di vita delle api rispetto agli anni ’70 è dimezzato e il 40% degli impollinatori oggi sarebbe a rischio: non si possono più ignorare i problemi che minacciano questo piccolo esercito dal cui lavoro dipendono la salvaguardia della biodiversità e la produzione agricola stessa

Il 20 maggio si celebrerà per la sesta volta la Giornata mondiale dedicata alle api, insetti piccolissimi ma fondamentali per il nostro ecosistema e per la nostra alimentazione. La maggior parte del cibo che portiamo nelle nostre tavole, infatti, deriva dal lavoro incessante e meticoloso delle api operaie. E può sembrare strano che un essere così minuto e dalla vita breve possa influire in modo tanto considerevole nella vita degli esseri umani. Quasi il 75% degli alimenti di cui ci nutriamo derivano dal loro lavoro di impollinazione, eppure le api operaie hanno un ciclo di vita davvero corto, se paragonato agli effetti del loro impegno nella natura.

Un’ape operaia, infatti, vive in media quaranta giorni. Poco più di un mese, in cui il suo ruolo cambia in base ai bisogni della sua comunità. Nell’ultima parte della vita, diventa bottinatrice, ovvero si occupa della raccolta del polline, andandosi a spostare anche in un raggio di tre chilometri per raccogliere tutti gli elementi nutritivi necessari. Romanzandoci un po’ su, si direbbe che l’ape muore da eroina, concentrando tutte le sue ultime forze nella creazione del suo nettare. Anche se in realtà, a ben vedere, tutto il mondo delle api dovrebbe essere romanzato nel suo racconto. Si tratta infatti di una specie da cui noi dovremmo imparare molto. Pensiamo che per produrre un classico e comune barattolo di miele da 500 grammi serve il lavoro di oltre ventimila api. Un lavoro collettivo, insomma, coordinato e perfetto.

Per questo probabilmente non facciamo abbastanza attenzione a questi piccoli insetti. Ci infastidiscono spesso, perché le confondiamo con le infestanti vespe, ma quel che è certo è che non mostriamo loro la giusta gratitudine. Eppure loro, le api, sono una specie quasi in via di estinzione, minacciata dai cambiamenti climatici e dalla mano dell’uomo. Una ricerca condotta qualche mese fa ha dimostrato, infatti, come il ciclo medio della vita delle api si sia dimezzato rispetto agli anni ’70. E questo non può che essere una notizia infausta anche per la nostra, di razza.

Fortunatamente sono tante le iniziative che si moltiplicano per cercare di tutelare questa specie e per farci capire l’importanza cruciale che ha. Proprio ieri, ad esempio, in Abruzzo, per iniziativa del Wwf, si è svolto un convegno dal titolo “To Bee or not To Bee”: «Con il convegno vogliamo porre l’accento sulla attuale grave situazione di crisi degli impollinatori e sui rischi che, di conseguenza, subiscono l’agricoltura e la nostra stessa salute. Quasi il 90% delle piante selvatiche con fiore e l’80% delle 1.400 piante che ci danno cibo e prodotti dell’industria hanno bisogno dell’impollinazione da parte di api domestiche e selvatiche, ma anche di vespe, farfalle, falene, coleotteri, uccelli, pipistrelli e altri vertebrati. Un vero e proprio esercito con oltre ventimila specie di animali che insieme garantiscono l’impollinazione dei fiori da cui dipende il 35% della produzione agricola mondiale. La distruzione degli habitat, l’uso di pesticidi e i cambiamenti climatici stanno mettendo in pericolo questi preziosi alleati e quindi anche la biodiversità» ha sottolineato Nicoletta Di Francesco, presidente del Wwf Chieti-Pescara in un’intervista rilasciata ad un quotidiano locale.

Argomentazioni che si inseriscono in un dibattito innescato dalle dichiarazioni del ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste Lollobrigida al Consiglio Ue Agrifish: «La tutela delle api non deve mettere a rischio produzione agricola. Sarebbe sbagliato collegare il declino degli impollinatori all’uso dei pesticidi»: aveva detto lo scorso marzo il ministro, rispondendo ad una comunicazione della Commissione europea sul progetto per la tutela degli insetti impollinatori.

La risposta del Wwf non si è fatta attendere, etichettando le parole di Lollobrigida come «sorprendenti e preoccupanti», in quanto «l’interazione tra pesticidi e api preoccupa da tempo gli scienziati di tutto il mondo e un’azione per ridurre la minaccia di estinzione degli insetti impollinatori dovrebbe essere una priorità per i nostri decisori politici se si vogliono davvero salvare le nostre produzioni agroalimentari oltre che tutelare la salute delle persone. È incredibile come il governo italiano arrivi a negare l’evidenza della responsabilità dell’uso dei pesticidi in agricoltura rispetto alla moria delle api, ignorando di fatto anche il loro ruolo fondamentale nella produzione agroalimentare». Secondo i dati dell’associazione, infatti, la correlazione tra pesticidi e estinzione delle api è fortissima: il 40% di questi insetti oggi sarebbe a rischio, numero destinato a moltiplicarsi entro il 2100.

E a questo proposito, infatti, proprio qualche giorno fa si è svolto il Terzo Convegno nazionale di Agroecologia, promosso dall’Associazione Italiana di Agroecologia e dalla coalizione Cambiamo Agricoltura con il sostegno di tante realtà associative, proprio per raccogliere idee per la creazione di un’agricoltura in linea con una sostenibilità ambientale, economica e sociale tangibile e reale. Concetti che ci riportano immediatamente alla necessità di conservazione della biodiversità su tute le scale. Nel cui primo gradino stanno proprio loro, le api.

Questo articolo fa parte del dossier su “Il valore del tempo”, il tema del Festival di Gastronomika 2023 che si terrà a Milano dal 21 al 22 Maggio.

Sentenza storica del Tar: un apicoltore toscano sconfigge gli interessi dei costruttori. Gloria Ferrari su L'Indipendente il 15 Marzo 2023.

Nel comune toscano di Cerreto Guidi si respira aria di festa. E di motivi, per esultare, ce ne sono a sufficienza. Stefano Parisi, apicoltore da ormai oltre dieci anni, che produce miele nella zona del borgo Il Pino, nella frazione di Lazzeretto, ha vinto un’importante battaglia legale in difesa della sua colonia di quasi tre milioni di api. Infatti quest’ultima probabilmente non sarebbe sopravvissuta alla costruzione dell’enorme magazzino da oltre 1300 metri cubi, autorizzato nel 2021 dal Comune e anche dalla Regione, che sarebbe dovuto nascere vicinissimo ai terreni utilizzati da Parisi per ospitare trattori e ruspe. «Si tratta di una sentenza storica, che traccerà un precedente indelebile per le future scelte amministrative riguardanti le opere edili ed le infrastrutture su tutto il territorio Italiano» ha dichiarato Parisi a L’Indipendente.

Dando ragione all’apicoltore il TAR ha concluso che “i mezzi agricoli destinati al magazzino sarebbero fonte di notevole inquinamento acustico e ambientale”, come riporta la sentenza. Il Tribunale ha inoltre reputato la distanza che si sarebbe interposta tra la nuova costruzione e la colonia di api “esigua, insufficiente a impedire che le attività inquinanti svolte nel manufatto si ripercuotano sull’attività di apicoltura”, soprattutto dal momento che “la salvaguardia dell’ambiente costituisce un valore fondamentale meritevole di protezione”. Il TAR ha condannato sia la società Podere il Pino di Simone e Giuseppe Parisi che il comune Di Cerreto Guidi perché la licenza a costruire non rispettava le norme vigenti in materia di ecosostenibilità ed impatto ambientale

Motivo per cui, oltre all’annullamento di tutte le autorizzazioni rilasciate, sia il Comune che la società incaricata dei lavori di costruzione, sono stati condannati a pagare le spese legali a carico dell’apicoltore. Ovvia la gioia dell’apicoltore che vede così terminare una battaglia lunga un anno e cominciata con una raccolta di firme. D’altronde l’enologo ed apicoltore, senza le sue api avrebbe dovuto probabilmente rinunciare ad una vendemmia di qualità e agli oltre 500 kg di miele e propoli, un antisettico naturale prodotto dalle api, utilizzato per combattere le malattie della vite.

In generale, le api – e altre specie di insetti – svolgono un ruolo chiave, seppur ‘invisibile’, per tutti noi. Le api domestiche e selvatiche sono responsabili di circa il 70% dell’impollinazione di tutte le specie vegetali viventi sul pianeta e garantiscono circa il 35% della produzione globale di cibo. E, a fronte di una sempre maggiore presenza umana sulla Terra, negli ultimi 50 anni la produzione agricola ha avuto un incremento di circa il 30% proprio grazie al contributo diretto degli insetti impollinatori. Ma più del 40% di loro – fra api e altri insetti che garantiscono l’impollinazione – rischia di scomparire. Il 9,2% delle specie di api europee è attualmente minacciato dall’estinzione: senza di esse molte specie di piante sparirebbero e gli attuali livelli di produttività potrebbero essere mantenuti solamente ad altissimi costi, attraverso l’impollinazione artificiale.

Come afferma Parisi: «La sentenza crea il primo precedente a salvaguardia delle api, specie importantissima per l’uomo perché dagli impollinatori dipende più del 70% delle derrate agroalimentare indispensabili alla vita umana sulla terra. Api che a causa dei cambiamenti climatici e dell’inquinamento causato dall’uomo non possono più vivere in autonomia senza che gli apicoltori se ne prendano cura». I principali ostacoli alla sopravvivenza degli impollinatori sono infatti i pesticidi e il cambiamento climatico. I primi entrano in contatto con le api mentre queste visitano i campi fioriti per raccogliere il nettare e il polline. Una volta assorbito il veleno, le api possono morire in tempi brevissimi oppure perdere le capacità di rientrare al proprio alveare. Il secondo, invece, influisce negativamente in due modi: provoca inverni miti con fioriture anticipate, che causano una perdita di sincronizzazione tra la fioritura e l’attivazione delle api; oppure causa periodi di elevata siccità in cui i fiori, per rispondere alla carenza d’acqua, riducono la produzione di nettare mettendo a dura prova la sopravvivenza delle api. [di Gloria Ferrari]

Da avvenire.it il 9 gennaio 2023.

Il primo vaccino al mondo per le api da miele è stato approvato per l'uso dal governo degli Stati Uniti, alimentando le speranze di una nuova arma contro le malattie che devastano abitualmente le colonie su cui si fa affidamento per l'impollinazione alimentare.

 Il Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti (Usda) ha concesso una licenza condizionale per un vaccino creato dalla Dalan Animal Health, una società biotecnologica statunitense, per aiutare a proteggere le api mellifere dalla peste americana.

«Il nostro vaccino è una svolta nella protezione delle api» ha affermato Annette Kleiser, amministratore delegato di Dalan Animal Health. «Siamo pronti a cambiare il modo in cui ci prendiamo cura degli insetti, con un impatto sulla produzione alimentare su scala globale».

 Il vaccino, che inizialmente sarà disponibile per gli apicoltori commerciali, mira a frenare la peste, una grave malattia causata dalle larve del batterio Paenibacillus che può indebolire e uccidere gli alveari.

Attualmente non esiste una cura per la malattia, che in alcune parti degli Stati Uniti è stata trovata in un quarto degli alveari, richiedendo agli apicoltori di distruggere e bruciare eventuali colonie infette e somministrare antibiotici per prevenire un'ulteriore diffusione.

Il purosangue arabo.

Abbandoni.

Rapimenti.

Il purosangue arabo.

Il purosangue arabo, il capostipite di tutti i cavalli. Usato da sempre negli incroci per ridare nobiltà, è capace di sopportare distanze incredibili e per questo viene utilizzato nell'endurance. Viola Carignani su L'Espresso il 5 Settembre 2023 

È l’indiscusso principe delle razze equine. C’è a chi piace e a chi no ma sulle sue qualità, resistenza e coraggio, non ci sono dubbi. Il Purosangue Arabo è il capostipite di tutte le razze. Un cavallo antico, piccolo, forte, nevrile. La sua origine si perde nella notte dei tempi. Da sempre viene inserito nella selezione per fare quello che in gergo viene chiamato “lavaggio di sangue”, cioè viene usato negli incroci per ridare nobiltà alle razze.  

Stalloni Arabi sono stati la base per la nascita del Purosangue Inglese, per rendere più aggraziate le razze da sella, per migliorare i cavalli da lavoro di ogni paese. Dove ti volti lo trovi, Lui, il capostipite dei cavalli sportivi.  Chi ha a che fare con questa razza sa bene che la forza non serve. Devi entrarci in sintonia per avere dal piccolo cavallino del deserto, tutto quello che è capace di darti. Ho trascorso tre giorni ad una gara internazionale di Endurance, una sorta di maratona a cavallo. E ho potuto respirare lo spirito che muove i binomi fatti da un cavaliere o amazzone e un cavallo arabo. Una disciplina dura che prevede una preparazione meticolosa per entrambi. Si percorrono tracciati fino a 160 chilometri e certe volte si scende e si cammina a fianco del proprio compagno quadrupede.  

Ho chiesto ad un giovanissimo cavaliere perché si ama un Purosangue Arabo. «È un animale fedele ad una sola persona. Un tempo dormiva nella tenda con il suo uomo guerriero, insieme sfidavano il deserto e gli avversari. Vivevano in simbiosi». E anche oggi i campi di Endurance si trasformano in accampamenti fatti di tende e recinti messi su con semplici picchetti e nastri, dove i binomi riposano insieme prima di riprendere il percorso. In Italia, grazie alla passione degli allevatori sardi, abbiamo linee di sangue molto importanti, ricercate anche da sceicchi ed emiri che nel tempo hanno perso il primato della selezione. Questi cavalli hanno la capacità di sopportare distanze incredibili. Il sistema cardio circolatorio permette loro di percorrere oltre cento chilometri senza incorrere in conseguenze nefaste. Ovvio che devono essere allenati, ma la predisposizione è quella. Niente scatto in partenza ma capacità di tenere il passo per chilometri e chilometri, piedi (zoccoli ndr) forti, articolazioni compatte. Il fascino delle gare di Endurance non è solo nell’infaticabilità di questi animali. Immersi nella natura delle più belle campagne italiane, nelle prove di resistenza, si fatica sempre in due. I controlli veterinari sono strettissimi, niente viene lasciato al caso: dall’alimentazione, alla ferratura, al metabolismo che deve rispondere a criteri severi. Il Purosangue Arabo non è per tutti: è rimasto nei secoli un cavallo guerriero.

Il purosangue arabo non tollera costrizioni o violenza. È un cavallo che non si lascia piegare, va capito e interpretato. Guai a cercare di imporgli qualcosa, lui si chiuderà e non saprà più essere il tuo compagno di viaggio. Fiducia reciproca, è questa la chiave per avere un compagno infaticabile.

Linee di sangue. Il Purosangue Arabo è stato selezionato per impieghi diversi. Ci sono cavalli più adatti a prove di resistenza, quelli da show cioè prove di sola morfologia e da corsa. Ogni linea ha le sue caratteristiche. I più diffusi nell’iconografia sono quelli da show con il tipico muso Camuso, cioè convesso.

Abbandoni.

Il cavallo Remì abbandonato in strada cieco. Ora cerca casa.  Floriana Rullo su Il Corriere della Sera il 13 Gennaio 2023.

Vagava nelle campagne. L'appello del Comune di San Carlo Canavese (Torino), che ha pagato le prime cure, per trovargli nuova sistemazione

Abbandonato in strada perché cieco. Remi, un cavallo di quasi 20 anni, era trovato a vagare da solo nelle campagne di San Carlo Canavese, e della cucciolata abbandonata a Pinerolo cerca casa. 

Il Comune ora sta cercando qualcuno disposto ad adottare il cavallo. L'equino, che ha tra i 18 e i 20 anni, è quasi cieco ma è comunque in buone condizioni. Quando è stato trovato era privo di microchip o tatuaggi di riconoscimento. 

Il Comune si è occupato del suo mantenimento e delle prime cure e lo ha poi affidato temporaneamente a un maneggio del ciriacese. Ora l'amministrazione cerca per Remì, questo il nome che il Comune ha scelto per l'animale, ha bisogno di qualcuno competente in materia che si prenda cura di lui in via definitiva. 

Per lui stanno arrivando telefonate e mail da tutta Italia. Intanto i vigili stanno cercando chi possa averlo abbandonato perché esiste una precisa norma di riferimento, ovvero l’articolo 727 del Codice penale, nel quale si dice che «chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro». 

Un abbandono insolito che però ricorda quello di un altro cavallo che, quattro anni fa, venne ritrovato sui monti di Corio, in una baita diroccata. L'animale non aveva nemmeno la forza di reggersi sulle zampe. Stava aspettando la morte e poi venne salvato dal Rifugio del Cane Vagabondo di Barbania.

Rapimenti.

Il giallo della cavalla Unicka, regina del trotto: dal rapimento al riscatto (fallito) da 500 mila euro. Luigi Ferrarella su Il Corriere della Sera il 27 marzo 2023.

Pisa, la cavalla valeva 1,5 milioni di euro e venne rapita nel 2017. Due condanne in primo grado

È una di quegli ostaggi mai restituita dai suoi misteriosi sequestratori, ed è ormai quasi certo sia stata uccisa. Ma anche se la biondissima Unicka non era una persona, bensì una cavalla da corsa — valutata nel 2017 almeno 1 milione e mezzo di euro — nella scuderia Wave dell’imprenditore toscano delle concerie Gianluca Lami, compare un altro cadavere (quello dell’asserito organizzatore del sequestro) tra le pagine di una sentenza del Tribunale di Pisa: il verdetto di primo grado con cui la giudice Annalisa Dini motiva ora la condanna a 5 anni (per ricettazione e tentata estorsione) del 72enne titolare di furgoni per il trasporto dei cavalli, Francesco Scardi, e a 2 anni (per tentata estorsione) del 63enne quattro volte campione italiano dei guidatori di trotto Pasquale Esposito, entrambi obbligati anche ad anticipare 170.000 euro sul futuro risarcimento a Lami, parte civile con l’avvocato Nicola Zanin. 

Laureata del Derby Italiano 2016 al record della corsa e poi del Gran Premio Orsi Mangelli, erede della popolarità mediatica del sommo Varenne, beniamina del pubblico per quelle coda e criniera dorate al vento che tanto affascinavano al pari del nome profetico, Unicka viene portata via insieme al compagno Vampire Dany la notte del 7 marzo 2017 quando un basista rimasto sconosciuto disattiva i sensori d’allarme nel centro del suo allenatore danese Erik Bondo. 

Il contitolare dell’ippodromo napoletano di Agnano, Pierluigi D’Angelo, riporta a Lami la voce che possano essere in Puglia, a Cerignola. Voce in estate riferita a Lami anche dall’allevatore Marco Folli, nel 2008 vittima a Bologna del sequestro del derbywinner 2003 Daguet Rapid, portato in Puglia e rilasciato a Napoli dopo riscatto in un rapimento per il quale era stato poi indagato un pugliese di Cerignola, Stefano Tango. E Folli a fine agosto 2017 informa Lami di essere stato contattato dal driver campano Pasquale Esposito, a detta del quale era stato Tango a organizzare il rapimento di Unicka, ma poi Tango era stato assassinato (il 24 agosto da un suo ex operaio vendicatosi di prepotenze lavorative in un magazzino di frutta), e chi aveva in mano i cavalli era adesso disponibile a restituirli in cambio di «quattro fattrici dodici e mezzo per ognuna».

Lami, dopo un incontro all’ippodromo di Cesena con Esposito e Folli la sera del Campionato Europeo, l’11 settembre ad Agnano consegna a Esposito una scatola con 50.000 euro, che però dopo mezz’ora Esposito gli restituisce lamentando un equivoco che Folli spiega poi a Lami: gli interlocutori chiedevano non 50.000 ma 500.000 euro di riscatto. Solo allora Lami va dai carabinieri, i quali dai tabulati telefonici rilevano che Esposito, la mattina prima dell’incontro con Lami per il riscatto, si era visto con un pugliese, Francesco Scardi, con il quale era in contatto dal 26 agosto, cioè da due giorni dopo l’assassinio di Tango. I due vengono allora intercettati, e il 26 settembre Esposito chiede a Scardi, che si trova a Candela in provincia di Foggia, di «fotografare dei van» (cioè i due cavalli rapiti) e di «far vedere la data di costruzione dei van»; nel pomeriggio i due si scambiano qualcosa al casello autostradale di Benevento; e subito Esposito telefona a Folli per anticipargli l’invio «dei certificati», in un pacco che il 2 ottobre reca a Lami le foto che provano l’esistenza in vita di Unicka e Vampire Dany quantomeno al 23 settembre, data della prima pagina strappata dalla copia del quotidiano ippico Trotto e Turf. E quando i carabinieri perquisiscono la casa di Scardi, trovano proprio il giornale senza la prima pagina strappata.

Cavalla campionessa di trotto rapita, muore investita mentre torna a casa. Carlotta Rocci su La Repubblica il 21 Dicembre 2022

I ladri si sono resi conto di non avere un mezzo adatto per trasportare l’animale e così l’hanno abbandonata lungo la provinciale. Sul furto e sull’uccisione di animale indagano i carabinieri della compagnia di Chivasso.

Roxette Griff aveva 12 anni ed era una ex campionessa del trotto, valeva decine di migliaia di euro. Domenica notte è stata prima rubata dal suo allevamento e poi investita da un’auto che è scappata dopo averla travolta. La cavalla era gravida: è morta insieme al suo puledro che sarebbe nato in primavera. 

La cavalla, che nella sua carriera aveva collezionato premi per 80mila euro, correva per la scuderia il Grifone di Vigone, ora si era ritirata dalle competizioni nel 2020 e viveva però in un allevamento di San Benigno con altri quattro cavalli che erano sistemati in un recinto elettrificato coperto da una tettoia.

I ladri che l’hanno portata via hanno divelto una parte della recinzione, probabilmente però, si sono resi conto di non avere un mezzo adatto per trasportare l’animale e così l’hanno abbandonata lungo la provinciale. Sul furto e sull’uccisione di animale indagano i carabinieri della compagnia di Chivasso.

L’animale probabilmente stava cercando di tornare alla stalla quando è stato investito da  un veicolo, non è chiaro se un’auto o  un altro tipo di mezzo. Nell’impatto è rimasta ferita gravemente ed è morta poco dopo. L’animale è stato recuperato dai veterinari del’Asl To4. Il conducente che l’ha investita non ha dato l’allarme ritardando di molte ore i soccorsi. Nel recinto c'erano altri quattro cavalli che, per, fortuna non sono scappati nonostante il buco nella recinzione causato dall'intervento dei ladri.

Uccisioni.

Aggressioni.

Uccisioni.

La lenta mattanza degli orsi in Trentino: già sette trovati morti. Stefano Baudino su L'Indipendente venerdì 13 ottobre 2023.

Nella provincia autonoma di Trento, gli orsi continuano a morire. Negli ultimi giorni, nei pressi delle località di Bresimo e Ronzone, altri due plantigradi sono stati rinvenuti senza vita, mentre lo scorso 27 settembre, a Sella Giudicarie (in val Bondone) era stata trovata la carcassa dell’orsa F36. Al momento, le cause dei decessi risultano ignote, ma le associazioni animaliste vogliono vederci chiaro e promettono battaglia: nel solo 2023, infatti, sono ben 7 gli esemplari di orso morti in circostanze da chiarire. Proprio in relazione alla morte di F36, l’ufficio legale di Enpa – rappresentato da Valentina Stefutti – lunedì scorso aveva presentato una denuncia per uccisione di animale, uccisione di specie protetta e uccisione di orso. Ora, alla luce dei nuovi ritrovamenti, ha presentato altre due querele per i medesimi reati.

A dare la notizia del rinvenimento dei cadaveri dei due orsi è stata la provincia di Trento con una stringata nota stampa. “Le carcasse di due orsi sono state rinvenute nei comuni di Bresimo e Ronzone – è scritto nel comunicato -. Il primo dei due esemplari è già stato recuperato e consegnato all’Istituto zooprofilattico delle Venezie”. Enpa ha subito reagito sottolineando in una nota che “complessivamente da inizio anno sono morti, in circostanze ancora da chiarire 7 esemplari di orso, vale a dire quasi uno al mese; una vera anomalia statistica che, secondo l’associazione, non può essere spiegata con la casualità, ma che rende sempre più probabile l’origine dolosa“. Le nuove denunce sporte dall’ente, oltre a voler fare chiarezza sulle cause degli ennesimi decessi, hanno il fine di contribuire a dare impulso alle indagini. “Quello che sta accadendo in questa parte d’Italia è assolutamente inconcepibile ed è il risultato – continua Enpa – di un clima avvelenato, incendiato per motivi elettoralistici. Vorremmo davvero sapere cosa ne pensa il nostro ministro dell’Ambiente chiuso nel suo silenzio. Fino ad ora il ministro Gilberto Pichetto Fratin ha perorato diverse cause, assecondando spesso la politica faunicida avallata dal governo, dalle Regioni e dalla maggioranza. Stiamo ancora attendendo che il ministro spenda una parola per gli orsi del Trentino e si faccia promotore di una forte iniziativa contro il bracconaggio. Come è nelle sue prerogative istituzionali”. A farsi sentire è anche la Lega antivivisezionista (Leal), che ha dato mandato al proprio ufficio legale di depositare una richiesta di accesso agli atti al fine di capire “modi e circostanze del ritrovamento, e la richiesta della presenza nelle fasi autoptiche di un nostro perito veterinario di parte”.

Nella provincia autonoma di Trento, la politica ha fatto del vero e proprio terrorismo psicologico sul tema della fauna selvatica, che potrebbe aver alimentato fenomeni di bracconaggio in un generale clima di impunità. Su questo versante, un ruolo di primo piano lo ha assunto il presidente della provincia Maurizio Fugatti, che nel corso degli ultimi mesi ha firmato varie ordinanze per l’abbattimento di una serie di esemplari di lupi e orsi, in alcuni casi subito sospese dal Tar (come nel caso di F36), in altri, in seconda battuta, dal Consiglio di Stato (JJ4 e MJ5). Lo scorso luglio, Fugatti è riuscito a inserire nella legge di assestamento del bilancio un regolamento “ammazza-orsi” e “ammazza-lupi” che non soltanto esautora l’Istituto superiore per la promozione e la ricerca ambientale dalla gestione della fauna selvatica, ma offre altresì alla Provincia autonoma la possibilità di “autorizzare le uccisioni senza dover chiedere il parere (preventivo) dell’Istituto”. Consentendo addirittura, a specifiche condizioni, di “sparare a vista” ad orsi e lupi. [di Stefano Baudino]

Quella partita sulla pelle degli orsi condannati dalla politica e assolti dai giudici. Da Jj4 all’Orsa Amarena, l’ultima frontiera dello show giudiziario riguarda gli animali. Francesca Spasiano su Il Dubbio il 2 ottobre 2023

Qual è il punto di equilibrio tra tutela degli animali e sicurezza dei cittadini nelle zone popolate dagli orsi? La risposta che la politica non riesce a trovare è quasi interamente nelle mani dei giudici amministrativi, alle prese con decine di ricorsi delle associazioni ambientaliste soltanto nell’ultimo anno. Di certo non è una novità che in Italia un’emergenza finisca in tribunale, se così si può definire la necessità di vigilare su un progetto che forse è scappato di mano. Si tratta del “Life Ursus”, finanziato dall’Unione Europea all’inizio degli anni duemila per ripopolare le Alpi Centrali con gli orsi arrivati dalla Slovenia (e lì nati in libertà). All’inizio solo dieci esemplari, che poi hanno cominciato a riprodursi, con un obiettivo fissato tra i 40-60 in qualche decina di anni.

Attualmente in Trentino ce ne sono oltre un centinaio, secondo le ultime stime del presidente della Provincia di Trento, Maurizio Fugatti. Che di questa storia è in qualche modo il protagonista, oltre che primo nemico delle associazioni ambientaliste. Entrambi hanno ingaggiato un lungo braccio di ferro che non è ancora finito, su ognuno dei casi che hanno fatto cronaca negli ultimi mesi. Tutto è cominciato con l’orsa JJ4, la cui storia in realtà è vecchia di almeno tre anni. Parliamo del plantigrado considerato responsabile della morte di Andrea Papi, il runner di 26 anni aggredito e ferito mortalmente lo scorso 5 aprile nei boschi di Caldes, sul monte Peller. La tragedia del ragazzo ha scioccato il paese, ma ha anche scatenato un’ondata di mobilitazione nei confronti dell’orsa. La famiglia del ragazzo ha puntato il dito sulla politica, senza chiedere la testa dell’animale. Il quale non ha le responsabilità che le vittime si aspettano di giudicare.

Nel caso particolare, la storia di JJ4 non è proprio filata senza intoppi. Nel 2020 viene classificata come pericolosa dopo aver aggredito due persone. La Provincia ne dispone l’abbattimento, le associazioni ricorrono al Tar. Il ministero dell’Ambiente si unisce: nulla di anomalo - ha scritto Stefano Bigolaro su questo giornale - ben può un’amministrazione fare ricorso contro un’altra. Ma è segno di una contrapposizione tra poteri pubblici.

Ne segue un ping pong di sospensioni e revoche. Questa volta la Provincia vuole catturare JJ4 e trasferirla nel centro faunistico del Casteller, luogo di detenzione considerato un “lager” dagli animalisti. L’orsa però se la cava anche questa volta: i giudici annullano l’ordinanza di captivazione, ma sollecitano nuove valutazioni orientate alla tutela dell’incolumità pubblica. Si arriva quindi ad aprile scorso, e al nuovo giro di valzer in tribunale dopo il primo ordine di abbattimento firmato da Fugatti, a cui ne seguono altri. Questa volta la questione è più delicata, perché contro l’orso si imbastisce un processo e un dibattito che hanno connotazioni umane. «I principi di diritto si evolvono e sono frutto della coscienza sociale per cui le persone sarebbero anche disponibili a correre un rischio pur di non vedere sterminata la popolazione di un certo animale», dice l’avvocato della Lega Anti Vivisezione Claudio Linzola.

Un’altra chiave la offre Luigi Spagnolli, senatore del Pd ed ex sindaco di Bolzano, che invece la mette in termini di pena: «Quella di morte per l’uomo è il massimo del peggio. E l’ergastolo è meglio della pena di morte. Per un animale selvatico, però, l’ergastolo è molto peggio della pena di morte, perché un animale deve vivere in libertà». A questo argomento obiettano gli attivisti, i quali si offrono di sostenere le spese per trasferire l’orsa in dei rifugi sicuri, i “santuari”, uno già individuato in Romania.

Comunque sia, ci sono le regole da rispettare. Secondo la “direttiva Habitat” dell’Ue è possibile abbattere un individuo di specie protetta nel caso abbia creato dei conflitti con l’uomo, a meno che non sussista il rischio di estinzione. Deve essere, però, l’extrema ratio: ovvero il centro della questione messa nelle mani dei giudici. I quali hanno deciso che uccidere l’orsa, bene giuridico oggi costituzionalmente protetto, sarebbe stato sproporziona-to. La punizione non c’è stata, e di fatto neanche un progresso sul fronte dell’amministrazione. Che dovrebbe avere a che fare con la prevenzione, la funzionalità dei radiocollari e l’individuazione di spazi adeguati per gli animali considerati “problematici”.

La partita è ancora aperta, e al destino del compagno di cella di JJ4 al Casteller, il leggendario Papillon, si è aggiunto quello di F36. L’orsa trovata morta la settimana scorsa in val Bondone, nel comune di Sella Giudicarie: anche su questo esemplare pendeva una condanna di morte, sospesa anche in questo caso dal Tar. Il ritrovamento ha rimesso le associazioni in allarme, perché gli attivisti non credono che possa trattarsi di una «coincidenza». C’è un rischio concreto di bracconaggio e ad averlo provocato - sostengono gli animalisti - è il clima di odio alimentato dal presidente Fugatti. Che invece vede il mondo al contrario: l’empatia verso gli animali ci ha fatto dimenticare che a prevalere è la tutela della vita umana? Non è giustizia, non è politica, è quasi filosofia. Ed è anche circo mediatico, ma non è anomalo che l’ultima frontiera dello show giudiziario non abbia più gli uomini come protagonisti. In Abruzzo ad esempio c’eravamo appassionati alla storia dell’Orsa Amarena, poco prima che venisse ammazzata con una fucilata la notte tra il 31 agosto e il primo settembre, e i suoi cuccioli cominciassero la fuga. Il cacciatore accusato del fatto, il quale ha dichiarato di avere agito perché spaventato, ha subito minacce e insulti tali da rendere necessaria l’attivazione di servizi di vigilanza.

Si sono mossi i giustizieri fai da te, prima sui social, poi al telefono, poi sotto casa. In qualche modo il “modello linciaggio” è stato importato a un nuovo livello, dove cambiato gli attori ma resta uguale lo schema: la giustizia tribola mentre la politica annaspa, e l’opinione dilaga.

Il giallo dell'orsa F36: andava catturata, trovata morta. Il plantigrado ricercato dopo due episodi di aggressività. Sconosciute le cause del decesso, accuse dagli animalisti. Redazione il 29 Settembre 2023 su Il Giornale.

Doveva essere catturata e rinchiusa nel centro faunistico di Trento, invece l'orsa F36 è stata trovata morta dal personale del corpo forestale della Provincia di Trento nel Comune di Sella Giudicarie. Alla ribalta delle cronache nelle ultime settimane a causa dell'ordinanza di prelievo firmata dal governatore trentino, Maurizio Fugatti, l'esemplare era stato visto in compagnia di un cucciolo in due occasioni.

È stato il radiocollare di cui era dotato ad avvisare, attraverso l'attivazione del sensore di mortalità, il personale provinciale specializzato che ne seguiva gli spostamenti. L'orsa, accidentalmente catturata in passato durante le operazioni di prelievo di un altro plantigrado e dotata di marche di riconoscimento, era stata identificata dalle analisi genetiche come la responsabile dell'aggressione avvenuta lo scorso 30 luglio in località Mandrel, nelle Giudicarie, ai danni di due giovani.

Durante l'attacco, uno dei ragazzi era stato inseguito e scaraventato a terra dall'animale mentre cercava di scappare arrampicandosi su un albero. L'episodio si era concluso senza ulteriori assalti, e l'escursionista era riuscito a darsi alla fuga. Tuttavia, qualche giorno più tardi, F36 è stata avvistata nuovamente in località Dos del Gal da altri due alpinisti, che ne hanno poi segnalato l'atteggiamento aggressivo. In questo caso, il comportamento dell'orsa è stato ritenuto dagli esperti un «falso attacco». I due episodi hanno portato Fugatti a firmare, a inizio mese, il provvedimento di abbattimento, poi sospeso dal Tar di Trento per il ricorso delle associazioni animaliste. Il giudice amministrativo, in considerazione della relazione della Provincia e del parere dell'Ispra, ha però disposto la cattura dell'esemplare in attesa della seduta collegiale. Un ulteriore ricorso delle associazioni animaliste contro il decreto è stato rigettato e il corpo forestale si è attivato per monitorare gli spostamenti dell'orsa e avviare le operazioni di prelievo in sicurezza. Il rinvenimento della carcassa è avvenuta nella serata di mercoledì, ma a causa del luogo impervio in cui si trovava è stata recuperata nella mattina di ieri per essere consegnata all'Istituto zooprofilattico per gli accertamenti del caso. Dal primo esame esterno sulla carcassa dell'orsa, infatti, non è stato possibile avanzare alcuna ipotesi sulle cause della morte. Le associazioni animaliste però temono l'atto di bracconaggio e annunciano il ricorso alla Procura di Trento per fare chiarezza.

Fugatti firma l'ordinanza: l'orsa F36 sarà abbattuta in Trentino. Il presidente della Provincia di Trento Fugatti firma l'ordinanza: l'orsa F36 sarà abbattuta: la protesta della Lega anti vivisezione (Lav), pronta a dar battaglia. Federico Garau l'8 Settembre 2023 su Il Giornale.

Il presidente della Provincia di Trento Maurizio Fugatti ha apposto la propria firma sull'ordinanza che sancisce l'abbattimento dell'orsa F36.

Cosa accadde

L'animale, sulla base dei risultati di specifiche analisi genetiche, sarebbe risultato il responsabile dell'aggressione ai danni di due cacciatori avvenuto lo scorso 30 luglio in località Mandrel e del "falso attacco" a una coppia di escursionisti verificatosi invece in località Dos del Gal la successiva domenica 6 agosto.

Cacciatori inseguiti da un'orsa in Trentino: uno ferito con una zampata nella fuga

Il primo episodio accadde nelle vicinanze di malga Avalina, a circa 1.970 metri sopra l'abitato di Roncone, nelle valli Giudicarie del Trentino Alto Adige. I cacciatori, che stavano percorrendo il sentiero Mandrel, si imbatterono nell'orsa mentre erano alla ricerca di animali selvatici: l'animale stava dormendo insieme al suo cucciolo. Dopo essersi risvegliata, individuando presumibilmente nei due cacciatori una minaccia per il suo piccolo, l'orsa si lanciò al loro inseguimento. A rimanere ferito fu l'uomo che tentò di trovare scampo su un albero: mentre si arrampicava, fu colpito con una zampata dall'animale, che agganciò una delle ghette delle scarpe del cacciatore coi suoi artigli, facendolo finire a terra su una roccia che si trovava alla base della pianta.

Il secondo caso si verificò la settimana successiva in località Dos del Gal, nel comune di Sella Giudicarie, a monte dell'abitato di Roncone. La coppia di escursionisti subì un falso attacco da parte dell'orsa, anche in questo caso accompagnata dal proprio cucciolo e pertanto particolarmente aggressiva perché protettiva nei suoi confronti. L'animale si sarebbe avvicinato ai due fino a una distanza di circa 4 metri, poi avrebbe deciso di tronare sui suoi passi.

La protesta della Lav

"Siamo al puro delirio, Fugatti è oramai fuori controllo e sforna condanne a morte di esseri viventi come si trattasse di giocare con la Playstation", scrive in una nota la Lega anti vivisezione (Lav)."Lav e Lndc Animal Protection sono al lavoro con gli avvocati per depositare il ricorso per fermare questa ennesima oscenità", prosegue il comunicato, "e hanno già inviato una diffida per bloccare Fugatti".

"Facciamo appello ai forestali trentini, pur se dipendenti della Provincia, e al loro senso di responsabilità, perché non si può condannare un'orsa che si è solo trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato", dichiara invece il responsabile Lav animali selvatici Massimo Vitturi. È in programma per il prossimo 16 settembre una manifestazione nazionale per ribadire ancora una volta l'opposizione a qualsiasi azione contro gli orsi: la Lav prenderà parte all'evento nella città di Trento

L’orsa Amarena uccisa a fucilate in Abruzzo, identificato l’uomo che ha sparato: “Fatto gravissimo”. L’orsa Amarena è stata uccisa nella notte a fucilate nella zona di San Benedetto dei Marsi (L’Aquila). Lo comunica il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise. Identificato l’uomo che avrebbe sparato. A cura di Susanna Picone su Fanpage.it il 31 agosto 2023

L'orsa Amarena è stata uccisa a fucilate in Abruzzo, alla periferia di San Benedetto dei Marsi, fuori dal Parco e dall'Area Contigua. La notizia è stata resa nota dal Parco Nazionale sulla sua pagina Facebook. L'orsa è stata uccisa nella serata di ieri, giovedì 31 agosto, e l'uomo che avrebbe sparato è stato già identificato. 

Sul posto sono prontamente intervenute le Guardie del Parco vista l'area in cui Amarena era scesa coi suoi cuccioli. È intervenuto anche il veterinario del Parco che però non ha potuto fare altro che accertare la morte dell'orso. Troppo grave la ferita. L'uomo che le avrebbe sparato è stato appunto identificato dai Guardiaparco e poi sottoposto ai rilievi a cura dei Carabinieri della locale stazione, intervenuti a seguito della chiamata dei Guardiaparco. 

"Uccisa a fucilate l’orsa Amarena. Alle 23:00 circa di questa sera l’Orsa Amarena è stata colpita da una fucilata esplosa dal signor LA alla periferia di San Benedetto dei Marsi, fuori dal Parco e dall’Area Contigua. Sul posto sono prontamente intervenute le Guardie del Parco, in servizio di sorveglianza, vista l’area in cui Amarena era scesa coi suoi cuccioli. Sul posto è intervenuto il veterinario del Parco con la squadra di pronto intervento, che però ha potuto accertare solo la morte dell’orso vista la gravità della ferita. L’uomo è stato identificato dai Guardiaparco e poi sottoposto ai rilievi a cura dei Carabinieri della locale stazione, intervenuti a seguito della chiamata dei Guardiaparco. I rilievi per accertare la dinamica dei fatti sono in corso e andranno avanti tutta la notte, così come il personale del Parco è impegnato a individuare i due cuccioli dell’orsa per valutare il da farsi. L’episodio è un fatto gravissimo, che arreca un danno enorme alla popolazione che conta una sessantina di esemplari, colpendo una delle femmine più prolifiche della storia del Parco. Ovviamente non esistono motivazioni di nessuna ragione per giustificare l’episodio visto che Amarena, pur arrecando danni ad attività agricole e zootecniche, sempre e comunque indennizzati dal Parco anche fuori dai confini dell’Area Contigua, non aveva mai creato alcun tipo di problema all’uomo", è quanto si legge sulla pagina Facebook del Parco.

L'orsa Amarena era conosciuta in zona per le sue diverse incursioni nei centri abitati. 

"La notizia dell'uccisione a colpi di fucile dell'orsa Amarena rappresenta un atto gravissimo nei confronti dell'intera Regione che lascia dolore e rabbia per un gesto incomprensibile. In tutti questi anni le comunità fuori e dentro ai parchi hanno sempre dimostrato di saper convivere con gli orsi senza mai interferire con le loro abitudini. Mai un orso ha rappresentato in Abruzzo un qualunque pericolo per l'uomo, neanche quando si è trovato a frequentare i centri abitati. L'atto violento compiuto nei confronti del plantigrado non ha alcuna giustificazione. Confidiamo nelle indagini che sono state avviate dalle forze dell'ordine e dai vertici del parco, che hanno già individuato il responsabile, affinché la giustizia faccia il suo corso. Sono pronto a costituire la Regione come parte civile contro questo delinquente per tutelare l'immagine e l'onorabilità della nostra gente. Invito le comunità locali e tutti i turisti a continuare ad osservare tutte le norme prescritte affinché gli animali presenti sul territorio possano vivere indisturbati nel loro habitat": così il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio.

Assassinata l’orsa Amarena. I guardiaparco hanno fermato un uomo. Redazione l'01 Settembre 2023 su laquilablog.it.

L’AQUILA – Incredibile ma vero, una nuova tragedia per la ridottissima comunità di orsi marsicani. Nella notte è stata uccisa a fucilate l’orsa Amarena. “Siamo senza parole” uno dei primi commenti dell’associazione di volontariato “Salviamo l’Orso” da anni impegnata in progetti di tutela dell’orso e di gestione della convivenza tra comunità e orsi: “I guardiaparco del PNALM hanno individuato e fermato lo sparatore. I tecnici del Parco stanno valutando come intervenire per tentar di salvare i 2 piccoli rimasti orfani. Non sappiamo altro per il momento ma questa è una notizia tragica per la conservazione dell’orso in Appennino e per tutti coloro che lavorano e si battono per questo da anni”.

Il commento del Parco nazionale d’Abruzzo

“Alle 23:00 circa di questa sera l’Orsa Amarena è stata colpita da una fucilata esplosa dal signor LA alla periferia di San Benedetto dei Marsi, fuori dal Parco e dall’Area Contigua. Sul posto sono prontamente intervenute le Guardie del Parco, in servizio di sorveglianza, vista l’area in cui Amarena era scesa coi suoi cuccioli. Sul posto è intervenuto il veterinario del Parco con la squadra di pronto intervento, che però ha potuto accertare solo la morte dell’orso vista la gravità della ferita.

L’uomo è stato identificato dai Guardiaparco e poi sottoposto ai rilievi a cura dei Carabinieri della locale stazione, intervenuti a seguito della chiamata dei Guardiaparco.

I rilievi per accertare la dinamica dei fatti sono in corso e andranno avanti tutta la notte, così come il personale del Parco è impegnato a individuare i due cuccioli dell’orsa per valutare il da farsi.

L’episodio è un fatto gravissimo, che arreca un danno enorme alla popolazione che conta una sessantina di esemplari, colpendo una delle femmine più prolifiche della storia del Parco.

Ovviamente non esistono motivazioni di nessuna ragione per giustificare l’episodio visto che Amarena, pur arrecando danni ad attività agricole e zootecniche, sempre e comunque indennizzati dal Parco anche fuori dai confini dell’Area Contigua, non aveva mai creato alcun tipo di problema all’uomo.”

“La notizia dell’uccisione a colpi di fucile dell’orsa Amarena rappresenta un atto gravissimo nei confronti dell’intera Regione che lascia dolore e rabbia per un gesto incomprensibile. In tutti questi anni le comunità fuori e dentro ai parchi hanno sempre dimostrato di saper convivere con gli orsi senza mai interferire con le loro abitudini. Mai un orso ha rappresentato in Abruzzo un qualunque pericolo per l’uomo, neanche quando si è trovato a frequentare i centri abitati. L’atto violento compiuto nei confronti del plantigrado non ha alcuna giustificazione. Confidiamo nelle indagini che sono state avviate dalle forze dell’ordine e dai vertici del parco, che hanno già individuato il responsabile, affinché la giustizia faccia il suo corso. Sono pronto a costituire la Regione come parte civile contro questo delinquente per tutelare l’immagine e l’onorabilità della nostra gente. Invito le comunità locali e tutti i turisti a continuare ad osservare tutte le norme prescritte affinché gli animali presenti sul territorio possano vivere indisturbati nel loro habitat”. Lo ha dichiarato il presidente della Regione Abruzzo, Marco Marsilio. 

“Oggi ci siamo svegliati con una notizia grave e triste che ci riempie di indignazione e sgomento, quella dell’uccisione dell’orsa Amarena, ammazzata a fucilate da un uomo identificato dai guardia parco e sottoposto ad accertamenti da parte dei carabinieri. La notizia è in se talmente improvvisa e scioccante che ci lascia senza parole ma con alcune domande, innanzitutto quali sono le motivazioni per cui questo uomo ha imbracciato il fucile e sparato all’orsa e poi cosa ne sarà dei cuccioli dell’orsa uccisa alle porte del Parco di Abruzzo e Lazio? L’unica immediata richiesta che ci sentiamo di fare è quella della carcerazione immediata del responsabile di questa uccisione, quest’uomo non può e non deve restare a piede libero”. Questo il commento a caldo dell’Associazione Italiana Difesa Animali ed Ambiente AIDAA in merito alla notizia dell’uccisione dell’ORSA AMARENA da pate di un uomo identificato dai guardia parco e preso in consegna dai carabinieri che eri sera attorno alle 23 ha ammazzato a fucilate l’orsa più amata d’Italia.

Così si infrange il “modello Abruzzo” del cowboy e dell’orsa. Eleonora Ciaffoloni su L'Identità l'1 Settembre 2023 

Il “modello Abruzzo” si infrange a San Benedetto dei Marsi: è lì, a pochi metri dal confine del Parco Nazionale, che è stata uccisa a fucilate l’orsa Amarena. C’è ancora il sangue dell’animale sul cancello dell’abitazione dell’uomo che, vedendola all’interno del proprio giardino, ha sparato da distanza ravvicinata. L’uomo, un 56enne del posto, è stato già identificato e interrogato dalle forze dell’ordine, intervenute nell’immediato a seguito dell’abbattimento. Un intervento tempestivo, dovuto a un efficiente sistema di sicurezza, messo in atto – dai carabinieri e dal personale del parco – per la salvaguardia degli orsi marsicani.

E così, sentito il rumore inconfondibile del colpo di fucile, i militari sono arrivati sul posto, trovando l’orsa Amarena già senza vita. Per l’esemplare marsicano non c’è stato nulla da fare, ma le operazioni dell’arma hanno evitato il peggio: a fianco dell’orsa erano presenti ormai da tempo i suoi cuccioli, che sono riusciti a scampare al funesto destino, spaventati dall’arma e dal trambusto provocato. Le forze dell’ordine dopo aver constatato la morte dell’orsa hanno sequestrato il corpo dell’animale – che è stato portato all’Istituto zooprofilattico di Teramo per una necroscopia – e insieme a esso l’arma e il bossolo colpevole dell’abbattimento. Il fucile da caccia utilizzato dall’uomo era legalmente detenuto, ma non per questo finalizzato all’uccisione di animali del Parco.

Difatti, oltre all’arma utilizzata, le forze dell’ordine hanno sequestrato anche tutte le altre armi detenute dal 56enne. Immediatamente indagato, l’uomo ha risposto alle domande degli inquirenti ed è stato accusato dalla Procura di Avezzano di uccisione di animali, con conseguente contravvenzione per l’abbattimento di un esemplare di orso.

Un fatto grave, perché l’orso marsicano è il simbolo del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e Amarena non era un’orsa qualsiasi: negli anni era diventata famosa – senza mai un episodio di pericolo – per le sue “passeggiate” fuori dal Parco, con piccole incursioni nei paesini circostanti in cerca di cibo e di frutta caduta dagli alberi. Non era mai stato denunciato un attacco, non era mai stato registrato alcun danno a cose o a persone. Anzi, negli ultimi giorni l’orsa, assiema ai suoi due cuccioli, era stata immortalata con foto e video – che hanno fatto il giro dei social – a San Sebastiano dei Marsi mentre attraversava le vie della cittadina con grandi e piccoli a osservarla.

Un episodio che spiega bene quali siano le modalità di convivenza tra orsi e persone in Abruzzo. Una convivenza serena, basata sul rispetto dell’animale, dei suoi spazi e della sua natura. Un modello spesso confrontato con altri e, altrettanto spesso, preso ad esempio positivo, come nel caso del Trentino dell’orsa Jj4, per cui era iniziato a formarsi un clima di paura e di odio. La corsa all’abbattimento, alla restrizione o all’allontanamento degli orsi in Abruzzo non era mai arrivata: perché la cultura del rispetto e della conservazione è più importante di un pollaio distrutto o di un orto rovinato.

Il gesto dell’uomo, a quanto ricostruito dallo stesso, è stato fatto “per paura” e così vedendola vicina e nel proprio giardino ha pensato di imbracciare il fucile e di ucciderla. Una paura che, attualmente, non sembrerebbe essere giustificata da un’aggressione da parte dell’animale.

Tuttavia, le dinamiche dell’accaduto sono ancora da chiarire e a farlo ci penseranno gli accertamenti delle indagini. Nei confronti dell’uomo però, sono arrivate le condanne, sia da parte delle istituzioni che delle associazioni animaliste, che si sono proposte – cosa che ha fatto anche la Regione Abruzzo per voce del governatore Marsilio – di sporgere denuncia e di costituirsi parte civile.

Intanto, però, la morte di Amarena non solo mette in pericolo i due cuccioli senza mamma – che ora sarebbero dispersi in una zona agricola in mezzo a capannoni industriali, cambi di mais e canneti, in cui diventa difficile l’individuazione – ma reca anche un danno al parco.

A spiegarlo il direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise Luciano Sammarone: “L’uccisione dell’orsa Amarena è un fatto gravissimo che ha anche arrecato un danno pesante al Parco” spiega. “Abbiamo perso una femmina riproduttiva, molto prolifica e per sostituirla, se tutto va bene, impiegheremo circa sette anni”. Ora anche sull’Abruzzo si accendono i riflettori: l’auspicio è che nessuno colga il cattivo esempio e che vengano rispettati i 60 esemplari rimasti.

Il sangue di Amarena l’orsa-star dell’Abruzzo uccisa da un allevatore: “Ho fatto una scemenza”. Corrado Zunino su La Repubblica il 2 Settembre 2023.   

Indagato l’uomo che ha sparato col fucile. Si cercano i cuccioli: senza la mamma non possono sopravvivere

Un colpo di fucile, uno solo, e l’orsa dal pelo grigio scuro, piuttosto grande per la razza, alza un verso al cielo. Si accascia. Prova a rizzarsi sulle zampe posteriori, crolla. Tenta di allontanarsi dal retro di Villa Leombruni, un cascinale casa-lavoro non ancora finito dove si producono salami e porchette. Lì vive con moglie e figlia il titolare, Andrea Leombruni, 56 anni, cacciatore, cercatore di tartufi. Ha sparato lui.

L’orsa Amarena arriva, ormai strisciando, al cancello elettrico dell’ingresso e lì si spegne, con un buco nel ventre. Intorno all’animale più famoso del Parco dell’Abruzzo, Amarena che amava le ciliegie, ci sono i due cuccioli, sei mesi a testa. Incapaci di avvicinarsi alla mamma agonizzante, incapaci di scappare. Sì, il signor Leombruni era sceso alle undici di giovedì sera dal primo piano di casa, il fucile carico. Quando, esploso il colpo, ha visto alle spalle le due guardie del Parco dell’Abruzzo, da ore sulle tracce dell’orsa, ha scosso la testa: «Ho fatto una cazzata».

I marsicani più audaci, dei settanta autoctoni del Parco dell’Abruzzo, in questa stagione scendono dal Monte Argatone perché assetati: devono prepararsi all’ibernazione invernale. «Con la fine di agosto le chiamate di allarme si sono moltiplicate», dice Luciano Sammarone, direttore della struttura nata nel 1923. Una pattuglia di guardiaparco nella giornata di giovedì si era spostata proprio verso San Benedetto, la frazione più depressa dell’area rurale cresciuta intorno a Pescina. In quel largo insediamento agricolo-artigianale, campi di mais e laboratori con il tetto sfondato, l’orsa Amarena stava lasciando i segni: recinzioni divelte, latrati di cani alla catena. L’ultimo testimone racconta: «L’ho vista all’ingresso della città alle 22 e 15 e ho telefonato ai carabinieri. Era impaurita e le ho lasciato attraversare la strada, i due cuccioli sempre dietro. È entrata in un giardino privato e ho sentito i proprietari uscire di casa e salire in auto: hanno iniziato a suonare i clacson, le hanno sparato gli abbaglianti in faccia. Si stava avvicinando al loro pollaio».

La prima dissuasione allontana Amarena, ma un cammino incerto conduce il piccolo branco verso la casa dei Fratelli Leombruni, “Trasformazione carni”. Mamma orsa entra dal retro e punta le galline, stipate dentro un furgone senza ruote riattato abusivamente a pollaio. Lo starnazzare, e i cani, richiamano Andrea, che prende il fucile, lo carica — in questa fase di fermo caccia, arma e proiettili dovrebbero essere separati e lontani —, scende in cortile, mira, colpisce. «Era entrata nella mia proprietà, ho avuto paura», dirà ai carabinieri forestali. La lunga preparazione fa ipotizzare, piuttosto, una reazione rabbiosa e meditata.

Il vicino di attività, Vincenzo Di Genova, lui carrozziere, conferma il curriculum senza macchia dello sparatore: «È una persona precisa, un lavoratore organizzato. Non si può parlare di un violento». Ottavio Di Genova, il cognome è diffuso, chiede la parola e racconta: «Gli orsi sono entrati anche nel mio orto, quell’uomo ha fatto bene a difendersi con il fucile».

A San Benedetto dei Marsi, che è insieme una periferia del parco, lontano dieci chilometri, e una provincia periferica dell’Abruzzo, gli orsi marsicani non sono di casa. «Ho 66 anni e non ne ho mai visto uno», dice Camillo Ranieri, impiegato in Comune. Individua, così, due strade per la spiegazione di un gesto: la novità spaventa, uno. E, due, a San Sebastiano dei Marsi, venti chilometri da qui, dove quattro giorni fa Amarena scendeva le scalinate del paese protetta dagli uomini e dai bambini, la convivenza con l’animale simbolo è diffusa e sincera. Qui no. Il presidente del Parco, Sammarone, è duro: «Quello sparo è un atto di una gravità incredibile. L’orsa Amarena era prolifica, in due cucciolate aveva fatto sei piccoli. Uno, Juan Carrito, è morto investito nella galleria di Roccaraso. Se sei spaventato non scendi da casa con il fucile, in quella casa ti ci chiudi. Temo per i due cuccioli, non hanno l’esperienza per sopravvivere». Ci sono dodici uomini a cercarli, stanno usando anche i droni.

Dal 1970 al 2022 nel Parco dell’Abruzzo sono morti 132 orsi, solo un quinto per cause naturali. «Non ho mai parlato di un’area modello», dice il direttore, «la convivenza tra gli abruzzesi e gli orsi è diffusa, non universale. E resta complessa». Andrea Leombruni ora è accusato di aver ucciso un animale senza giusta causa.

Dacia Maraini: «Arroganza e viltà, l’orsa Amarena si fidava ma è stata tradita». Storia di Dacia Maraini su Il Corriere della Sera sabato 2 settembre 2023.

Uccidere un'orsa coi cuccioli è una carognata indegna di un essere civile. Quell’animale era arrivato a fidarsi degli umani, ed è stato tradito nella maniera piu vile. Tradirlo è da vigliacchi. Ma noi, i cosiddetti sapiens, tendiamo a tradire, per stupidità, per ignoranza, per egoismo e idiozia, i nostri amici animali. Lo facciamo quando abbandoniamo un cane che ha imparato ad amarci e fidarsi buttandolo in mezzo a una strada. Non tutti gli italiani per fortuna si comportano così, ci sono tante brave persone col cervello e il cuore al loro posto. Ma troppi purtroppo lo fanno, se è vero che ogni anno vengono abbandonati per strada 50.000 cani come testimonia la Lav. Altro che sapiens! Rispetto agli innocenti animali dobbiamo dire che siamo veramente una specie presuntuosa, arrogante e crudele. E la diffusione dei video stanno peggiorando le cose come hanno dimostrato quei ragazzi che hanno ucciso una capretta a calci, solo per divertirsi e mostrare la loro perversità agli amici.

L’orso è nato due milioni di anni prima dell’essere umano e la sua curiosità, la sua intelligenza l’hanno sempre reso un animale disponibile alla convivenza. Nel Medioevo era pratica comune, portarli nelle fiere e farli partecipare a gare di pugilato, o mostrarli nelle giostre. Ma allora ce n’erano tanti. Oggi, avendo noi perso quella confidenza, li vediamo come vuoti a perdere: non è un animale produttivo, non si mangia e non fa la guardia e che ci sta a fare? Per fortuna, la maggiore consapevolezza scientifica e il turismo, l’hanno in parte salvato. Ma sono comunque in pericolo di estinzione e andrebbero difesi.

L’orso fra l’altro è un potente simbolo affettivo. Non a caso i bambini lo tengono abbracciato, come un compagno tenero e casalingo. Come se stringessero al petto un pezzo del lontano passato mitologicamente sopravvissuto. Nei libri e nei disegni poi appare come il re dei fumetti e ci rallegra con le sue storie buffe e festose. Ora purtroppo tende a vagare per i piccoli centri di montagna. Ma chi ha ridotto in maniera drastica i suoi spazi vitali, chi ha tagliato, bruciato le foreste? Chi ha sparso tanto di quel cemento e di quell’asfalto da ridurre il territorio a una estensione sempre piu ampia delle periferie cittadine? Siamo sempre noi, i cosiddetti sapiens che di sapienza ne dimostrano veramente poca.

L’arroganza umana non ha limiti. Gli animali? Se servono, bene, se non sono utili, che spariscano! Senza capire che il mondo vive di un equilibrio a cui partecipano anche gli animali. Le api per esempio, di cui si paventa l’estinzione per via dei pesticidi, sono fondamentali per l’impollinazione delle piante. E così tanti animali selvatici che sono essenziali per l’equilibrio dell’ecosistema. Addio povera Amarena, madre girovaga e socievole... Ti sei fidata, come fossimo amici e invece hai trovato un nemico inatteso e spietato. Ma tu ora andrai dritta in un paradiso di boschi e di fiumi, mentre noi finiremo soffocati in un pantano di immondizie.

Estratto dell’articolo di Fabrizio Caccia per il “Corriere della Sera” mercoledì 6 settembre 2023.

«Ehi Nelia! Ferma la macchina, ferma la macchina, i cuccioli stanno qua...». La guardiaparco ausiliaria Silvia De Michelis, 31 anni, di Poggio Mirteto, è seduta dietro la guidatrice della Panda di servizio, l’agente Nelia Contestabile. Siamo in via Ponte, Aschi Alto, frazione di Ortona dei Marsi. 

Sono le 22.20 di lunedì sera, il momento esatto del grande sollievo dopo la paura. «Eccoli i cuccioli di Amarena, sono loro, guarda che bei sederoni e come corrono», li riconosce e grida, Silvia, col visore a infrarossi perché è buio pesto, siamo fuori dal centro abitato e i due figli dell’orsa uccisa la notte del 31 agosto a San Benedetto dei Marsi si stanno inoltrando nel frutteto che costeggia la strada. [...]

E poi questi sono due orfani, hanno perso la mamma giovedì scorso, uccisa da uno che voleva difendere il proprio pollaio e le ha sparato un colpo di fucile a bruciapelo, nonostante il Parco nazionale d’Abruzzo da sempre risarcisca e indennizzi in poco tempo chiunque subisca danni per le incursioni degli orsi confidenti, quei pochissimi che si avventurano nei paesi fuori e dentro i confini della riserva in cerca di frutteti, apiari e appunto pollai. 

É un momento bellissimo, il momento che tutti qui aspettavano, dopo il tremendo dolore per l’uccisione dell’orsa Amarena, così chiamata perché da cucciola andava a mangiare le ciliegie sugli alberi alla Fonte Gemma, il fontanile di San Sebastiano dei Marsi, frazione di Bisegna, lontano una manciata di chilometri da Aschi Alto. Le pattuglie Ecco, appunto. Sono le 22.20 di lunedì sera e Silvia De Michelis non sta più nella pelle. 

[...] Nel Parco d’Abruzzo scorrazzano pure i lupi e poi ci sono i cani-pastore, i cani randagi e gli orsi maschi adulti. Due orsetti di otto mesi e una decina di chili di peso non avrebbero la minima chance in caso di brutti incontri. Per questo, adesso, i guardiaparco li continueranno a seguire giorno e notte pronti ad intervenire per allontanare da loro eventuali predatori. Ma senza procedere alla cattura, perché sono in buona salute e dimostrano di essere capaci di provvedere a loro stessi, grazie agli insegnamenti ricevuti da mamma Amarena. [...]

Estratto dell’articolo di Mattia Feltri per “La Stampa” mercoledì 6 settembre 2023.

Sta diventando una storia gigantesca. Dunque: l'assassino dell'orsa Amarena viene definito così nonostante, secondo la lingua italiana, assassino è chi uccide un essere umano, non chi uccide un'orsa ma, si sa, la lingua sta diventando un ostacolo alle nostre fantasticherie. […] 

Ma, in effetti, se lo si ritiene assassino, il rilievo pubblico c'è. Giustamente è stata aperta un'indagine, perché uccidere un'orsa non è un assassinio, non secondo la lingua italiana e non secondo il codice penale, ma rimane un reato, e in vista del processo si moltiplicano raccolte di firme per esortare questa e quella istituzione a costituirsi parte civile, di modo che l'assassino li abbia tutti addosso, il più possibile.

Intanto, sui social, si forniscono suggerimenti su come sbarazzarsi di un tale rifiuto della società, con la corda al collo, col plotone d'esecuzione o consegnandolo in pasto ai simili dell'assassinata. 

Anche la politica invoca pene esemplari, altra espressione ignota alla giurisprudenza ma non ai giustizieri della notte, compresi quelli di Lega e Fratelli d'Italia per i quali la difesa è sempre legittima, anzi quasi sempre: lo è se ti entra in casa un immigrato, se ti entra un'orsa no, se spari all'orsa la legittima difesa è esclusa a priori. Mi dispiace molto per l'orsa, che è morta, ma non è che 'sto paese è messo tanto meglio.

Estratto dell’articolo di Vittorio Feltri per “Libero quotidiano” sabato 2 settembre 2023.

Soltanto pochissimi giorni addietro l’orsa Amarena, simbolo della regione Abruzzo, aveva sfilato in un piccolo borgo della provincia dell’Aquila, San Sebastiano dei Marsi, insieme ai suoi orsacchiotti […]. La mamma li attendeva, si voltava ed eccoli giungere quasi rotolando- soffici palle di pelo bruno- sulle scale del paese. 

In un video […] compare la famigliola felice e viene immortalato il momento nonché l’emozione che tale insolita visita ha suscitato negli abitanti del posto, bambini inclusi, che se ne stavano a pochi metri dal plantigrado senza mostrare alcuna paura né l’orsa appariva turbata o infastidita dalla presenza umana, tutt’altro.

Amarena nelle immagini risulta placida, serena, a suo agio, è una comune madre che sicura porta a passeggio la prole in centro e ne segue ogni minimo spostamento […]. il video ha destato in ciascuno di noi non solamente stupore ma anche e soprattutto tenerezza. 

Ci siamo innamorati di questa orsa dal nome simpatico, avremmo desiderato essere anche noi lì, quella sera, in mezzo al gruppo di presenti che ha avuto la fortuna di assistere ad un simile spettacolo della natura. E ieri mattina la notizia che ci ha sconvolti: Amarena è stata fucilata. Una mamma è stata strappata via ai suoi cuccioli, giustiziata senza colpe, ammazzata crudelmente. Due creature restano quindi orfane per volontà e a causa di un uomo che ha preso l’arma e ha sparato contro un essere indifeso, che non rappresentava affatto una minaccia.

[…] lo abbiamo visto tutti che Amarena era inoffensiva. Le prove non mancano. C’è addirittura chi giura che era lei a sembrare intimidita dalle persone, tanto era docile. L’orsa non si è introdotta nella proprietà di chi l’ha trucidata per rubare, per violentare, per assassinare, non aveva intenzione di invadere lo spazio altrui, di compiere un reato, neppure di disturbare. 

La bestiola stava semplicemente passeggiando nel suo habitat naturale e, con la sua ingenua e pura coscienza animale, non era in grado di riconoscere paletti e confini che dividono e distinguono la proprietà pubblica da quella privata. 

Di sicuro non avrebbe potuto prevedere che uno di quegli esseri umani che la osservavano con meraviglia […] le avrebbe potuto fare del male. E così è morta. E questa morte ci scuote collettivamente, ci colpisce, ci indigna, ci fa insorgere, ci inorridisce.

Non ci può lasciare indifferenti, poiché è l’ennesimo sopruso del forte nei confronti dell’indifeso, bestia o persona che sia. Ed è per questo che non possiamo rassegnarci, per via di quella voce che ci sussurra dentro, la voce della nostra umanità, che ancora - evidentemente - è viva. 

Colui che ha preso a fucilate Amarena giovedì sera, […] interrogato dai carabinieri, ha raccontato di avere fatto fuoco per paura, senza l’intento di stroncare l’orsa. […] Per quanto mi riguarda, ho difficoltà a credere a questa ricostruzione. Del resto, se vuoi indurre un animale ad allontanarsi, al massimo spari un colpo in aria e non più colpi verso l’essere disarmato.

Inoltre, che Amarena si aggirasse da quelle parti con i cuccioli e che fosse incapace di fare del male persino ad una mosca erano cose arcinote […]. Intanto, mentre scrivo, oltre un centinaio di carabinieri e forestali sono impegnati nella ricerca dei figli di Amarena che, dopo avere assistito impotenti alla macellazione della propria mamma, […] sono fuggiti spaesati smarrendosi nella vegetazione. Anche loro adesso, soli al mondo, rischiano la vita. Anche loro sono le nostre vittime.

Morto l’orso Juan Carrito. Lo ha investito un’auto. Era il simbolo del Parco Nazionale d’Abruzzo. Storia di Nicola Vaglia e Silvia Morosi su Il Corriere della Sera il 23 gennaio 2023.  

Era diventato, nel bene e nel male, uno dei simboli del Parco Nazionale d’Abruzzo. Famoso per le sue scorribande, l’orso marsicano Juan Carrito è morto: è stato investito da una autovettura nei pressi del tunnel di Roccaraso, sulla statale 17, al bivio per il cimitero di Castel di Sangro. Sul posto sono intervenuti i carabinieri forestali e gli addetti del Parco. L’animale, contrariamente alle abitudini, da alcuni giorni era stato segnalato nei paraggi dell’Altopiano delle Cinque Miglia e non in letargo. L’impatto con il mezzo non è stato subito letale per l’animale: come racconta al telefono al Corriere della Sera — con la voce rotta dall’emozione — Luciano Sammarone, direttore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, «Juan Carrito è morto dopo circa un’ora di agonia. I soccorritori intervenuti sul posto, dopo averlo stabilizzato, lo hanno trasportato nel centro Pnalm di Pescasseroli, ma nonostante le cure non è riuscito a sopravvivere. Ce l’abbiamo messa tutta in questi anni per assicurargli una vita da orso libero. Purtroppo non ce l’abbiamo fatta e questo ci dà tanta tristezza. Se ne è andato uno di famiglia». A due chilometri da questo tratto della statale 17, continua Sammarone, «nella sera di Natale del 2019 era stata già investita e uccisa un’orsa». Da poco sono stati «conclusi di lavori di messa in sicurezza del tratto di statale con la realizzazione di barriere e la riapertura di alcuni sottopassi, grazie al contributo del Parco e di due ong (“Wwf” e “Salviamo l’orso”)», chiude il presidente. Stanno bene, invece, il conducente e i passeggeri del veicolo che lo ha investito. Completamente distrutta, invece, l’auto su cui viaggiavano. L’orso – conosciuto anche come M20 – era nei paesi di montagna e per le visite a pollai e fattorie, alla ricerca di cibo. Venne fotografato mentre beveva a una fontanella pubblica, girovagava in Marsica e scorrazzava sulle piste da sci di Campo di Giove (L’Aquila). Più di un anno fa fu, anche, ripreso in un video mentre provava a giocare con un cane lupo che gli abbaiava contro e nei pressi di una pasticceria in compagnia di alcuni biscotti. Ha fatto il giro del mondo, poi, la sua foto alla stazione di Roccaraso, a passeggio lungo i binari: era il 3 marzo del 2022. Juan Carrito è un esemplare di : è uno dei quattro gemelli di mamma Amarena, nato nel Parco nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise nella primavera del 2020. Era stato catturato e portato temporaneamente nell’area faunistica di Palena (Chieti) per essere osservato e monitorato 24 ore al giorno grazie a un sistema di video-sorveglianza appositamente installato, prima di essere reinserito in natura (qui la scheda che racconta il «modello Abruzzo» per la gestione degli “orsi confidenti”, quelli che oramai non temono l’uomo e che per questo rischiano di mettersi nei guai). «L’esuberanza di Juan Carrito — conclude Sammarone — ci ha messo di fronte a una serie di opere incompiute che mettono a rischio la vita di questi animali. Ad esempio, la cattiva gestione dei rifiuti che per gli orsi, animali molti intelligenti, diventano un’opportunità di cibo che li abitua a sfamarsi in ambienti che non sono idonei alla loro sopravvivenza, esponendoli a tantissimi pericoli. Carrito è diventato, suo malgrado, un evento mediatico». In Italia, in base ai recenti censimenti, sono rimasti circa 60 esemplari di questa sottospecie di orso bruno, unica al mondo. Attraverso i progetti dell’Unione europea l’impegno era di raddoppiare l’areale della specie e il numero di individui presenti entro il 2050.

Il macabro spettacolo di Carrito orso-divo e cucciolo senza regole. Nessun marsicano si è avvicinato così tanto all'uomo. Ma sua mamma era rivoluzionaria. Vittorio Macioce il 25 Gennaio 2023 su Il Giornale.

Il guaio è che si fidava troppo dell'uomo, da sempre. Dicono che sia nato così. La statale 17 è lunga quasi 18 chilometri e va da Castel Di Sangro a Isernia. È l'Abruzzo che si ritrova Molise. Sono due corsie, una per andare e l'altra per tornare, e attraversa undici gallerie. La larghezza totale è poco più di tre metri e mezzo. È una striscia di cemento che scorre tra i monti. Qualche nome lo conosci, perché qui ci sono piste da sci: Roccaraso, Pescocostanzo, Rivisondoli. È un buon posto dove cercare cibo senza troppa fatica. È sera e lui non sa cosa può arrivare dopo un tunnel e ha attraversato la strada nel momento sbagliato. È stato travolto da una Opel Corsa bianca, schiacciato con tutti i suoi 150 chili contro il guard rail. Non è morto subito.

Quando muore un orso marsicano pensi al giorno in cui non ne resterà più nessuno. Le probabilità sono alte. È una lotta contro l'estinzione. Ne sono rimasti una sessantina e vivono nelle zone del Parco nazionale Abruzzo, Lazio e Molise. Non fanno troppo caso ai confini e negli ultimi anni tendono a allargare il loro territorio. Le femmine in media partoriscono due gemelli l'anno, la gestazione dura circa sei mesi. Li protegge la madre, che deve preoccuparsi di troppe cose, compresi i maschi che uccidono i figli.

Ogni nascita è una benedizione. Juan Carrito aveva tre anni e non era un orso qualsiasi. Era un personaggio, un simbolo, un'anomalia, un problema. È finito su Vanity Fair. Parte della sua fama la deve a un documentario. Il marsicano: l'ultimo orso. Il regista è Massimiliano Sbrolla. Nelle valli del parco invece è famoso praticamente da quando è nato. È uno dei quattro figli di Amarena, quasi una leggenda. L'orsa di un'intelligenza sublime, che purtroppo ha fatto crescere i suoi cuccioli nelle strade dei paesi, sfidando i guardia parchi, seminando i suoi inseguitori, stupendo tutti con quel parto quadrigemellare, madre straordinaria. Bella da raccontare. È che gli orsi dovrebbero stare lontano dagli umani. La vita non è un film e Amarena ha rotto un tabù. Si è avvicinata troppo. Non vedeva l'uomo come un nemico. Non si preoccupava e aveva trovato il modo per sfamare i figli senza competere con gli altri orsi. Non te ne stai nei boschi a cacciare, non ti spartisci prede e carcasse, te ne freghi di territori e gerarchie. Amarena, se la guardi con sguardo umano, è femminista e rivoluzionaria. Amarena però a ogni passo ha sfidato la sorte e ha rotto ogni patto di convivenza. Carrito ha fatto di peggio. È andato oltre, cose mai viste per un orso marsicano.

Carrito che da cucciolo insegue le galline nel cortile, Carrito che beve e si fa il bagno nella fontana di Villalago o di Bisegna, Carrito che a volte sembra un labrador, dolce, amichevole, simpatico. Carrito che forse non sa di essere un orso. Carrito che di notte rapina le pasticcerie, Carrito che a Pescasseroli sceglie il meglio tra i cassonetti, di solito il giorno dell'umido, rispettando i giorni della raccolta differenziata. Carrito che si lascia fotografare davanti al ristorante stellato di Niko Romito. È la vita di una star e non finisce bene. C'è un maledetto video che in questi giorni sui social. Sono gli ultimi momenti di via di Juan Carrito, agonizzante. Luciano Sammarone, presidente del Parco, ha detto giustamente che quelle immagini sono una vergogna. La morte di Juan Carrito è un fallimento. La prima regola dei marsicani è un'altra: l'orso senza fama campa più a lungo.

Aggressioni.

(ANSA il 14 luglio 2023) - La Terza sezione del Consiglio di Stato ha accolto l'appello cautelare e sospeso i provvedimenti di abbattimento degli orsi Jj4 e Mj5, impugnati dalle associazioni animaliste. L'ordinanza sarà trasmessa al Tar per la fissazione dell'udienza di merito. Secondo i giudici "il provvedimento che dispone l'abbattimento dell'animale appare sproporzionato e non coerente con le normative sovrannazionali e nazionali che impongono l'adeguata valutazione di misure intermedie, ferma restando la disposta captivazione a tutela della sicurezza pubblica, va sospeso l'ordine di abbattimento dell'animale".

Nel provvedimento si legge inoltre che "Il quadro normativo sovranazionale impone che la misura dell'abbattimento rappresenti l'extrema ratio e che possano essere autorizzate deroghe ai divieti di uccisione delle specie protette 'a condizione che non esista un'altra soluzione valida' e nei soli limiti derivanti dai vincoli europei e internazionali".

Fino al 27 giugno. Salvi gli orsi JJ4 e MJ5, il Tar sospende l’uccisione: “Pericolosità non accertata”. Antonio Lamorte su L'Unità il 26 Maggio 2023

L’abbattimento degli orsi JJ4 e MJ5 disposto dai decreti di cattura ed abbattimento della Provincia Autonoma di Trento è stato nuovamente sospeso dal Tar di Trento. Il tribunale amministrativo ha accolto la domanda cautelare proposta da diverse associazioni animaliste per la sospensione dell’ordinanza. Lo stop all’abbattimento sarà efficace fino al 27 giugno, il termine ultimo per le parti per proporre motivi aggiuntivi. L’udienza di merito è stata fissata per il 14 dicembre. “La vita degli orsi per ora è salva”, esulta la Lav.

JJ4 è l’orsa ritenuta responsabile dell’uccisione di Andrea Papi, il 26enne aggredito lo scorso 5 aprile nei boschi di Caldes. Era stata catturata nella notte tra il 18 e il 19 aprile. Al momento si trova in uno dei recinti per orsi del centro di Casteller. Per il Tar di Trento la sua pericolosità non è stata pienamente accertata. “La misura dell’abbattimento consegue all’affermazione della pericolosità dell’animale, ma tale affermazione non trova spiegazione nell’impugnato decreto, né nei due pareri dell’Ispra” visto che “nel caso in esame non sono stati eseguiti seri accertamenti al riguardo”, hanno precisato i giudici amministrativi. Il tribunale ha chiesto di accertare la dinamica dell’aggressione mortale.

“Sebbene vi sia motivo di ritenere che l’aggressione del giovane Andrea Papi sia dipesa dalla presenza di cuccioli al seguito dell’orsa – aggiungono – tuttavia non v’è traccia degli accertamenti posti in essere dalla Provincia al riguardo, perché non è stata prodotta in giudizio la documentazione richiesta (…) tanto più necessaria se si considera che anche il consulente di parte nella propria relazione, a seguito dell’esame autoptico effettuato sul cadavere del giovane, ha evidenziato la necessità di ulteriori verifiche”.

MJ5 è invece ritenuto aggressivo. È un esemplare di orso maschio, pesa oltre 300 chilogrammi. È ritenuto il responsabile di un’aggressione ai danni di un escursionista di 39 anni lo scorso 5 marzo in Val di Rabbi. I legali del ministero dell’Ambiente avevano rilevato come la gestione degli esemplari problematici sia “di esclusiva competenza della Provincia autonoma di Trento”, riferendo come al momento non siano stati individuati spazi idonei ad accogliere l’esemplare.

La Lav, Lega Anti Vivisezione, aveva presentato ricorso contro le ordinanze di abbattimento con altre associazioni come Enpa e Oipa. Sembrano concrete al momento le possibilità di trasferire gli animali. La Lav depositerà l’approfondimento richiesto per portare in salvo gli animali in un rifugio sicuro, sostenendone interamente le spese. I difensori della provincia di Trento avevano invece evidenziato l’assenza di altre soluzioni percorribili, dato che l’ipotesi di trasferimento non è prevista dalla normativa. Avevano contestato anche le ricostruzioni di alcune associazioni animaliste secondo cui le aggressioni non erano state causate dagli orsi.

La Lav nei giorni scorsi aveva anche presentato i risultati di un’indagine demoscopica condotta da Doxa, dalla quale era emerso che il 57% degli abitanti di Trento (era stato intervistato il 22% della popolazione) e il 47% che vivono nelle vallate (era stato intervistato il 78%), si era espresso contro l’uccisione degli orsi. Secondo il 53% dei trentini poi, negli anni la Provincia, dopo aver reintrodotto gli orsi sul territorio, si è impegnata “poco o per nulla” per fornire ai cittadini tutte le informazioni necessarie a prevenire ed eventualmente gestire gli incontri con gli orsi. Antonio Lamorte

Runner ucciso in Trentino, una perizia potrebbe scagionare l’orsa JJ4 dalla morte di Andrea Papi. Dafne Roat su Il Corriere della Sera l'8 Maggio 2023

Per i veterinari che hanno firmato il documento l’aggressione è stata opera di un orso adulto con una distanza tra i canini di 8-8,5 cm. La Lav: «Lesioni compatibili con l’aggressione di un esemplare maschio» 

La cattura dell'orsa Jj4

C'è una perizia che potrebbe scagionare Jj4, l'orsa accusata di aver ucciso il runner Andrea Papi in Val di Sole il 5 aprile e catturata il 18 aprile. Leal-Lega antivivisezionista e l'organizzazione di volontariato (Odv) Zampe che danno una mano, le due associazioni che si battono per evitare l'abbattimento dell'orsa, hanno in mano un documento firmato dai veterinari Cristina Marchetti e Roberto Scarcella, che, analizzando la perizia della Provincia di Trento, escluderebbe "per una serie di ragioni oggettive il coinvolgimento di un orso di sesso femminile". "Sono state rilevate lesioni identificabili come da penetrazione di coppia di canini caratterizzate da una distanza tipica dei canini di un orso maschio adulto".

L'autopsia

Mattia Barbareschi, direttore dell'unità di anatomia patologica dell'ospedale Santa Chiara di Trento, il 7 aprile aveva firmato l'autopsia sul cadavere di Andrea Papi, che si è svolta alla presenza dei consulenti della procura, i medici Federica Bortolotti, Heidi Hauffe e Alessandro De Guelmi,  e poi alla presenza della consulente di parte lesa Antonia Tessadri. Il documento, al primo punto, evidenziava che "il cadavere presenta innumerevoli lesioni lacero-contuse in gran parte figurate della cute con imbibizione ematica dei tessuti sottostanti, il cui aspetto è compatibile con la azione di penetrazione di elementi dentari e di artigli, riferibili ad un orso adulto. In particolare le lesioni identificabili come da penetrazione di coppia di canini sono caratterizzate da una distanza fra loro di circa 8 – 8,5 cm, che è la distanza tipica dei canini di un orso adulto".

La spiegazione dei veterinari

I veterinari Cristina Marchetti e Roberto Scarcella, periti di parte delle tre associazioni legate agli animalisti (Leal  e Zampe che danno una mano), sono convinti che l'orsa Jj4 sia completamente estranea alla morte di Andrea Papi: "Sono state rilevate lesioni identificabili come da penetrazione di coppia di canini caratterizzate da una distanza tipica dei canini di un orso maschio adulto, le femmine di orso presentano infatti misure inferiori rispetto ai maschi sia come massa corporea sia come misure dentali". I veterinari aggiungono che "le ferite riscontrate non sono riconducibili a una attività predatoria, il corpo, infatti, non presenta segni di consumo. La descrizione delle lesioni non corrisponde nemmeno alle ferite che si riscontrano in caso di attacco finalizzato alla eliminazione dell'avversario".

Il Dna

In merito al fatto che sul corpo di Papi erano state trovate tracce di Dna di Jj4, i veterinari spiegano che "essendo quella trentina una popolazione derivante da pochi soggetti capostipiti, sappiamo che essa è caratterizzata da una limitata variabilità genetica". Per questo chiedono ulteriormente di non insistere con l'abbattimento di Jj4.

Trentino, Fugatti approva nuove norme contro lupi e orsi: si potrà sparargli a vista. Stefano Baudino su L'Indipendente martedì 22 agosto 2023.

“Il più classico dei provvedimenti balneari”: con queste parole l’Ente nazionale protezione animali ha definito l’ennesima disposizione avanzata dal presidente della Provincia autonoma di Trento, il leghista Maurizio Fugatti, il quale ha colto l’occasione delle ferie estive per inserire nella legge di assestamento del bilancio un regolamento “ammazza-orsi” e “ammazza-lupi”. Il provvedimento, infatti, non soltanto esautora ISPRA – l’Istituto superiore per la promozione e la ricerca ambientale – dalla gestione della fauna selvatica, ma, come spiega l’associazione animalista, offre alla Provincia autonoma la possibilità di “autorizzare le uccisioni senza dover chiedere il parere (preventivo) dell’Istituto”, consentendo addirittura, a specifiche condizioni, di “sparare a vista” ad orsi e lupi.

A fine luglio, infatti, il Consiglio della Provincia Autonoma di Trento ha approvato – con 22 voti a favore e 10 contrari – il Disegno di Legge concernente l’assestamento di bilancio, che, tra gli articoli deliberati, contempla anche il n.59, in cui sono state inserite due integrazioni relative alla gestione faunistica nel territorio provinciale. Grazie a questo “blitz”, la Provincia avrà mano libera nel disporre “sempre” l’uccisione dell’esemplare ove sussistano determinati presupposti. Le associazioni animaliste hanno giudicato in particolare allarmante il fatto che nel documento si preveda che, per intervenire con l’abbattimento, basti la segnalazione della presenza di un esemplare “in centro residenziale o nelle immediate vicinanze di abitazioni stabilmente in uso” o che l’animale provochi ripetuti danni a (non meglio precisati) “patrimoni per i quali l’attivazione di misure di prevenzione o di dissuasione risulta inattuabile o inefficace“. Al contempo, l’esemplare può essere abbattuto quando “attacca, con contatto fisico”, “segue intenzionalmente delle persone” o “cerca di penetrare in abitazioni, anche frequentate solo stagionalmente”.

La seconda modifica riguarda invece unicamente gli orsi e offre maggiori poteri alla Giunta in caso di danni al settore dell’apicoltura. “La Giunta provinciale – si legge all’interno del provvedimento – può dettare disposizioni attuative di questo articolo con riguardo alle aree geografiche interessate dalla presenza della specie, anche in deroga alle precedenti disposizioni del decreto del Presidente della Provincia del 19 maggio 2017″, cioè il regolamento urbanistico/edilizio.

La nuova norma è arrivata pochi giorno dopo la firma, da parte dello stesso Fugatti, di un’ordinanza che aveva dato il via libera all’abbattimento di due esemplari di lupo appartenenti al branco presente nella zona di Malga Boldera, nel versante trentino dei Monti Lessini, nel Comune di Ala. Esprimendo il proprio parere (obbligatorio ma non vincolante), Ispra aveva dichiarando che la decisione non sembrava “incidere significativamente sullo stato di conservazione della popolazione del Trentino Alto Adige”, precisando che “l’abbattimento di non più di due esemplari ha un carattere sperimentale” e che la Provincia avrebbe dovuto “produrre una sintetica valutazione dei possibili miglioramenti della prevenzione entro tre mesi”. Trattandosi di una prima autorizzazione all’abbattimento, l’Istituto ha infatti manifestato la necessità di “raccogliere informazioni in particolare circa gli effetti del prelievo sulla popolazione di lupi e sulle dinamiche predatorie”. A metà agosto, però, il Consiglio di Stato ha sospeso l’abbattimento dei due lupi: lo stop sarà valido fino al 14 settembre, quando il TAR tornerà a riunirsi collegialmente. [Stefano Baudino]

Si fa così in tutto il mondo. Perché l’Orsa Jj4 va abbattuta: il Casteller è per gli animali malati non problematici. Maurizio Fugatti su Il Riformista il 5 Maggio 2023

Noi gli orsi problematici vogliamo abbatterli, semplicemente come avviene in tutto il mondo. E siamo fiduciosi che la sentenza di merito dell’organo collegiale del Tar accoglierà le nostre istanze.

Prendiamo atto della decisione del Tar che ha sospeso l’ultimo decreto di abbattimento di Jj4, che ha voluto incidere in maniera sostanziale nella sfera di valutazione amministrativa che compete alla Provincia autonoma di Trento. Auspichiamo che le nostre istanze possano essere finalmente accolte in udienza.

Non nascondiamo certo la nostra sorpresa, che è la sorpresa della comunità trentina: attraverso la documentazione fornita al Tar, credevamo di aver superato le perplessità del giudice. Evidentemente, così non è stato.

Sono sorpreso però che il Tar, nell’ordinanza, sia entrato nel merito della gestione degli orsi, esprimendo anche valutazioni sul fatto che non sia stato ampliato il recinto del Casteller, dove oggi JJ4 è rinchiusa, insieme all’orso M49. Qualcuno dice che non abbiamo adeguato il Centro del Casteller. Che però non è un parco: è una collocazione temporanea, pensata per gli animali malati; non per tenere gli orsi problematici e pericolosi, che invece noi vogliamo abbattere.

Con il Ministero dell’ambiente abbiamo istituito un tavolo tecnico per trovare una nuova collocazione a circa 70 di loro: vanno trasferiti dal Trentino, che già oggi ne conta più di un centinaio.

Sono passati più di venti giorni dalla morte di Andrea Papi, 26 anni e davanti a sé una intera vita da vivere; tutti si sono stracciati le vesti per dirci cosa dobbiamo fare, ma finora solo parole e pochi fatti.

Negli ultimi cinque anni (anche da chi mi ha preceduto) il problema era stato segnalato più volte al governo; eppure non si è mai fatto nulla. Nel 2020 il Tar diede il via libera alla cattura di JJ4, ma il consiglio di Stato rovesciò la sentenza, dicendoci che non potevamo nemmeno catturarlo. Altri orsi problematici come DJ3 e M57 li abbiamo trasferiti senza che nessuno ci desse una mano.

Parlando del progetto Life Ursus gli esperti avevano detto nel lontano 1999 che gli orsi in Trentino dovevano arrivare a 50, ci dissero che si sarebbero dispersi da soli sulle Alpi e che in Trentino ne sarebbero rimasti ben pochi. I fatti ci dicono che non è stato così invece: si sono tutti radicati nel Trentino Occidentale. Ora l’idea è spostare gli orsi in eccedenza in qualche posto in Europa. Ci dicano dove, ma senza attendere oltre.

Infine, un pensiero a favore del popolo Trentino, che ancora oggi è criticato e insultato da animalisti da salotto e persone che conoscono poco il suo splendido territorio. Il popolo trentino ha nel proprio dna il volontariato: quando in Italia succedono tragedie, i primi ad esser chiamati sono i nostri uomini della protezione civile; siamo stati noi i primi ad andare ai confini dell’Ucraina quando è scoppiata la guerra. Quanto sta succedendo è profondamente ingiusto: il Trentino è un territorio che sta già soffrendo per la perdita di uno dei suoi figli; eppure la nostra sofferenza non è finita.

Ciò che ci sta a cuore è riportare le riflessioni alla logica naturale. Non esiste equivalenza: la vita di un uomo vale più di quella di un animale. Nel dibattito in corso si sta mettendo in discussione questo principio, e si rischia di occuparsi più del benessere degli animali, che di quello delle persone. Il mio principale obiettivo, oggi, è quello di occuparmi della sicurezza della popolazione trentina, messa in discussione e pericolo da un rapporto di convivenza uomo-animale sfavorevole agli esseri umani.

Maurizio Fugatti

Il Bestiario, l'Animaligno. L’Animaligno è un virus leggendario che si impossessa delle persone e gli fa credere che gli animali siano migliori degli uomini. Giovanni Zola il 20 Aprile 2023 su Il Giornale.

L’Animaligno è un virus leggendario che si impossessa delle persone e gli fa credere che gli animali siano migliori degli uomini.

L’Animaligno è un virus molto diffuso in tutto il mondo, più di quello che si possa immaginare, tanto che spesso si scoprono persone apparentemente sane che invece sono state infettate da un Animaligno dormiente. Quando si risveglia, il terribile virus si impossessa della mente dell’infettato che comincia a scrivere sui social slogan senza senso del tipo #iostoconlorso. L’Animaligno colpisce prevalentemente quelle persone con “difese umanitarie” basse che sostengono di essere state deluse dal genere umano cattivo ed egoista. Il virus si inserisce proprio in questa ferita compromettendo la capacità di ragionare del soggetto che inizia a rivendicare a gran voce l’innocenza del genere animale e, mettendo indebitamente sullo stesso piano uomo e animale.

Così accade che la persona infettata dall’Animaligno venga colta dalla smania di ripopolare alcune regioni con animali pericolosi, non avendo niente di meglio da are, che in breve tempo si moltiplicano diventando un numero fuori controllo e arrivando addirittura ad uccidere. Ed è qui che la persona posseduta dal terribile virus perde totalmente l’uso della ragione sostenendo, ad esempio, che l’animale sia stato disturbato nel suo “habitat naturale” quando appare evidente che lì l’animale non ci sarebbe stato se non fosse stato portato.

Insomma l’Animaligno prende possesso delle categorie della logica e della ragione del suo povero ospite e le stravolge completamente facendogli dimenticare che l’uomo, a differenza dell’animale, possiede lo spirito, la coscienza, il logos (pensiero e parola). Gli fa dimenticare che l’uomo è qualitativamente superiore all’animale, rappresenta un salto di specie irriducibile al mondo animale. Gli fa dimenticare che per Aristotele l’uomo è un animale, razionale e libero. Animale: fatto di istinti biologici primari. Razionale: la capacità di costruire le piramidi, scoprire la teoria della relatività e andare sulla luna. Libero: può decidere di fare cose buone come di fare cose terribili perché è l’unico essere vivente libero di scegliere tra il bene e il male. L’animale non ha possibilità di scelta e dunque non può essere innocente. L’Animaligno fa dimenticare che l’uomo essendo ontologicamente superiore al genere animale, lo domina e lo governa e non viceversa come l’Animaligno vorrebbe farci credere.

Trento, orso M62 trovato morto, era nella "black list". L'ipotesi inquietante. Il Tempo il 30 aprile 2023

È stato trovato morto l’orso M62, fratello di M57, catturato ad Andalo nel 2020, e di F43, morta lo scorso settembre per una per una dose errata di anestetico iniettatogli durante le fasi di cattura. L’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) invierà nei prossimi giorni una richiesta di accesso agli atti alla Provincia autonoma di Trento e all’Istituto zooprofilattico delle Venezie, cui è stato consegnato il corpo del plantigrado per gli esami di rito. L’Oipa vuole infatti conoscere le cause della morte di un esemplare giovane, di soli quattro anni e nel pieno della sua vitalità.

M62 era stato bollato come «problematico» al pari di JJ4, ritenuta responsabile della morte del runner Andrea Papi, e di MJ5, ritenuto colpevole dell’attacco ai danni di un escursionista nella Val di Rabbi. L’Oipa evidenzia che «M62 era nel mirino di Maurizio Fugatti (il presidente ella Provincia autonoma di Trento, ndr) solo in quanto considerato ’confidentè. Fugatti l’8 aprile scorso dichiarava in una nota stampa di voler procedere alla rimozione anche del povero plantigrado trovato morto oggi». E quanto alla manifestazione di oggi davanti all’abitazione di Fugatti, Oipa Trento fa sapere che non parteciperà «ritenendo che sit-in, proteste e dimostrazioni di dissenso nei confronti della gestione della fauna selvatica condotta dal presidente e dalla sua Giunta vadano organizzate davanti alle opportune sedi, non mescolando la vita privata a quella politica dei rappresentanti istituzionali».

«Siamo addolorati, scioccati ed estremamente preoccupati per la morte di M62, uno degli orsi che Maurizio Fugatti aveva condannato a morte nei giorni scorsi. Non vorremmo che la campagna di odio e di vendette, una vera caccia alle streghe scatenata dal presidente della Provincia di Trento avesse finito per armare la mano dei bracconieri», afferma l'Enpa. L'ente protezione animali «resta in attesa dell’esame necroscopico sul corpo del povero animale. Se dovessero emergere responsabilità umane nella morte di M62 procederemo immediatamente per le vie legali».

Estratto dell'articolo da lastampa.it il 23 aprile 2023.

Il Tar di Trento ha sospeso anche l'ordinanza di abbattimento dell'orso Mj5, mantenendo in vigore solo la cattura. Lo comunica il presidente di Leal Gian Marco Prampolini. "Con nostra grande soddisfazione - afferma - il Tar ha accolto il ricorso di Leal dello scorso 20 aprile e le motivazioni formulate dal nostro ufficio legale. È più che mai necessario mettere punti fermi a una follia di sterminio dei plantigradi perseguita dalla giunta Fugatti". 

"Vogliamo anche contestare - ha proseguito Leal - i criteri di valutazione di pericolosità degli orsi considerati confidenti o 'aggressivi' in quanto vittime essi stessi in primis di azioni di disturbo spesso anche volontarie da parte di curiosi, escursionisti e ancora più spesso cacciatori e bracconieri". In riferimento all'aggressione di MJ5 dello scorso 5 marzo in Val di Rabbi, Leal ribadisce che "le dinamiche non sono chiare e lasciano aperta l'ipotesi che il cane fosse sciolto e, non controllato, abbia innescato la reazione dell'orso". 

A seguito della decisione del Tribunale amministrativo di Trento, la Lav Italia ha deposito al Tar trentino una serie di perizie al fine di far annullare la definizione di 'pericolosita'' di Mj5. 

[…]

Estratto dell'articolo di Andrea Pasqualetto per corriere.it il 23 aprile 2023.

Dottor Roberto Guadagnini, lei conosce bene l’orsa Jj4, l’ha catturata. Ora da veterinario capo la segue nel recinto del Casteller: cosa farebbe?

«Premesso che io sono contrario all’uccisione degli animali, concordo con il mio Ordine: non si può praticare l’eutanasia perché si tratta di un’orsa in salute mentre l’eutanasia si fa quando l’orso è in sofferenza o ferito, incapace di alimentarsi, di vivere. E se non si può praticare il metodo meno cruento a maggior ragione non si dovrebbe usare un sistema diverso, come il colpo di fucile. Ma non serve arrivare a un discorso etico, nel mio caso basta quello deontologico».

È un’orsa aggressiva. Non è un pericolo per l’uomo?

«Ci possono essere varie motivazioni alla base dell’aggressività e varie soluzioni. Una cosa è certa: Jj4 non potrà più essere reimmessa in natura. O vivrà in un contesto controllato o verrà abbattuta». 

Trasferimento?

«Perché no, lei saprebbe adattarsi al nuovo ambiente e potrebbe riprendere una vita normale. Gli orsi sono animali stupendi, di grandi capacità».

[…] 

Lei c’era alla cattura di Jj4: come avete fatto?

«Abbiamo calibrato l’operazione sull’individuo, considerando i movimenti notturni e mettendo le esche vegetali di cui va ghiotta nel tubo trappola. Era notte, Jj4 è entrata con due dei suoi tre cuccioli. Il tubo si è chiuso, da un buco abbiamo sparato un dardo per inocularle l’anestetico, un po’ come una cerbottana. Lei si è addormentata, abbiamo riaperto il tubo per far uscire i due cuccioli che se ne sono andati. Poi ossigeno, flebo e giù al Casteller». 

E i cuccioli?

«Hanno 15 mesi, sono stati già svezzati. Una femmina d’orso partorisce ogni due anni: il primo lo trascorre interamente con i cuccioli, poi resta presente ma quando arriva maggio, il periodo del calore, li allontana per accoppiarsi. E i cuccioli se ne vanno per conto loro. Questi tre staranno insieme ancora un paio di mesi e poi ognuno si farà la propria vita. Sono comunque autosufficienti, nessuno soffrirà il distacco, né loro, né lei».

[…] 

Cosa pensa dell’eccessivo numero di orsi che stanno popolando i boschi trentini?

«Penso che si siano state dette tante falsità. La politica sostiene che siamo andati oltre i numeri previsti dal progetto Life Ursus, che non si doveva andare oltre i 50 orsi in vent’anni, mentre ce ne sono più di 100. Non è vero. Io conosco bene il progetto e l’obiettivo di 40-60 era quello minimo perché si riteneva che al di sotto di questa soglia ci sarebbe stato un rischio d’implosione della popolazione. Quello massimo lo stabilisce la natura ma era più o meno di 300 individui, considerando due orsi per 100 chilometri quadrati. Quindi siamo ben al di sotto di quel numero. Questa è la realtà che tutti travisano».

[…]

La gente ha paura: deve fare i conti con attacchi sempre più frequenti. Com’è possibile la convivenza?

«Quella dell’accettazione sociale è la grande sfida del futuro».

Estratto dell’articolo di Dafne Roat per “il Corriere della Sera” il 3 maggio 2023.

L’orsa Jj4 non sarà abbattuta, almeno per ora. Un nuovo decreto presidenziale del Tar congela i piani della Provincia di Trento sul destino dell’animale ospitato nel Centro faunistico al Casteller, dopo che il 5 aprile ha aggredito e ucciso un runner di Caldes, Andrea Papi. 

I giudici hanno accolto la richiesta degli animalisti e sospeso fino all’udienza del 25 maggio l’ultimo decreto in ordine di tempo firmato dal presidente della Provincia di Trento Maurizio Fugatti giovedì scorso. Il terzo in un mese. 

Pochi giorni dopo la tragedia, l’8 aprile, il governatore aveva firmato una prima ordinanza di abbattimento dell’orsa e il 13 aprile era scattato un secondo provvedimento. L’ultimo atto: il decreto di fine aprile, ma questa volta la Provincia si era richiamata al parere di Ispra sulla pericolosità dell’orsa e aveva sottolineato i «rischi» di una possibile fuga o di una nuova aggressione durante il «trasferimento» in un rifugio.

E questo è uno dei punti critici. Il presidente del Tar, Fulvio Rocco, nel decreto stigmatizza la carenza di motivazione e l’apparente contraddittorietà della linea adottata rispetto al passato. L’estrema «pericolosità dell’operazione» invocata come «impedimento» al trasferimento di Jj4 non è stata considerata allo stesso modo per altri esemplari, come Dj3, ossia Jurka, la mamma di Jj4, e per M57, entrambi ora in una riserva all’estero.

«Un impedimento che evidentemente non è stato ritenuto sussistente — osserva il Tar — neppure per M57, il cosiddetto orso di Andalo, autore dell’aggressione a un carabiniere».

[…]

Esultano gli animalisti. «Siamo molto soddisfatte», dichiarano le avvocate Rosaria Loprete e Giada Bernardi, che rappresentano la Leal e altre associazioni. Mentre Enpa, Leidaa e Oipa sottolineano il passaggio del decreto nel quale il Tar ribadisce la competenza dei carabinieri del Cites. […]

JJ4 e i suoi fratelli. Anche in Slovenia è partita la caccia all’orso. Stefano Lusa su L'Inkiesta il 29 Aprile 2023.

Nel Paese ci sono circa millecento esemplari e i maschi adulti cercano nuovi territori, spostandosi verso le zone abitate, arrivando anche al mare. Per questo il governo ha permesso di abbatterne duecentotrenta

Pubblicato originariamente su Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa

Sino a cent’anni fa gli orsi in Slovenia erano in via di estinzione. Per un lungo periodo sulla loro testa c’era addirittura una taglia. Il loro numero ha cominciato a crescere dalla seconda metà del ventesimo secolo. Negli anni Sessanta erano circa 150, dieci anni dopo erano quasi 300 e nel 2001 erano arrivati a 350, poi la popolazione è cresciuta esponenzialmente e adesso sarebbe arrivata a 1100 esemplari. Secondo alcuni potrebbero essere anche di più.

Inizialmente erano perlopiù confinati nella selva di Kočevje, un ambiente unico ricoperto di foreste vergini, di abeti e faggi, con piante alte anche 50 metri e vecchie addirittura cinque secoli. Un paesaggio non antropizzato dove oggi gli orsi sono tanti, dove sugli alberi si possono vedere le loro zampate. Con un po’ di fortuna, è possibile osservarli nel loro ambiente naturale da apposite stazioni di appostamento. Uno scenario incredibile, misterioso e oscuro, che assomiglia a quello delle favole dei fratelli Grimm, che diventa inquietante davanti al fatto che è stato teatro degli eccidi messi in atto nell’immediato dopoguerra dal regime comunista. Squadre di liquidatori passarono per le armi migliaia di collaborazionisti, che vennero sepolti in fosse comuni. A ricordare quegli eventi, poco sopra Kočevje, una via crucis intagliata nei tronchi d’albero e i cartelli che indicano i luoghi delle esecuzioni.

Sta di fatto che da tempo la foresta vergine non basta più. Senza nemici naturali e con cibo in abbondanza i plantigradi si riproducono con un certo successo e gli esemplari maschi una volta raggiunta la maturità cercano nuovi territori, spostandosi verso le zone abitate. Oramai starebbero arrivando anche al mare. I cacciatori raccontano che alcuni anni fa un orso era stato avvistato anche tra Capodistria e Isola. In questi anni anche in questa regione si è registrato un aumento sempre più consistente della selvaggina. Gli avvistamenti di caprioli e anche di cinghiali anche vicino ai centri abitati e soprattutto nei piccoli insediamenti nell’entroterra sono oramai all’ordine del giorno.

A testimoniare che di orsi in Slovenia ce ne sono proprio tanti la notizia che questa settimana due esemplari sono stati investiti nella stessa giornata su una statale nella parte centro meridionale del paese. Uno è morto sul colpo, l’altro è scappato nei boschi e ora si teme che possa essere ferito e pericoloso.

Le autorità da tempo cercano di gestire la situazione conciliando la necessità di tutelare una specie protetta e dall’altra l’incolumità delle persone. Proprio per questo non mancano decreti di abbattimento nei confronti di orsi che potrebbero mettere a repentaglio la sicurezza degli uomini. Le cronache raccontano di animali trovati a rovistare nei cassonetti delle immondizie o a dormire nei garage.

La soluzione messa in atto da tempo per non far crescere troppo la popolazione è quella degli abbattimenti. La decisione naturalmente è sempre accompagnata da polemiche. Questa volta a storcere il naso è stato lo stesso premier Robert Golob, che ha chiesto chiarimenti prima di dare luce verde all’eliminazione di 230 orsi. L’ordinanza stabilisce esattamente le aree in cui gli animali possono essere cacciati e anche la tipologia. Si va dagli esemplari giovani, sotto i 100 chili a quelli medi fino a 150 e ai grossi esemplari. Proprio questi sono i trofei più ambiti dai cacciatori.

A gestire gli abbattimenti ci pensa la potente Federazione venatoria, organizzata in tante piccole sezioni locali che amministrano i territori di caccia e le concessioni. Saranno loro a stabilire se cacciare da sole gli orsi o se fare cassa vendendo la concessione ai turisti. Il costo potrebbe variare dal 1.000 ai 10.000 euro a seconda dell’esemplare. La loro non è una semplice associazione che riunisce gli appassionati della doppietta, ma una sorta di istituzione, che affonda le sue radici nel passato e che si presenta in pubblico con tanto di divisa. Tradizionalmente l’arte venatoria era una delle passioni accomunava i vecchi leader comunisti jugoslavi. Lo stesso presidente Josip Broz Tito amava girare nei boschi armato di fucile e persino guidare i suoi ospiti ed i suoi compagni di partito in vere e proprie battute di caccia. Le cronache dell’epoca raccontano come in queste occasioni proprio il Maresciallo riusciva sempre ad abbattere il “il trofeo più prestigioso”. Le malelingue dicono che quando la sua mira faceva cilecca erano i guardiacaccia a piazzargli la selvaggina abbattuta per farlo contento.

Dotati di spirito patriottico e di senso di corpo i cacciatori sloveni ci tengono a non venir presentati come gente che ha solo la passione di sparare agli animali. I suoi membri dicono che sono proprio loro a svolgere un ruolo fondamentale nella tutela dell’ambiente: si va dalla gestione e dalla pulizia dei territori di caccia, alla pratica di riempire le mangiatoie nel periodo invernale per aiutare gli animali a sopravvivere. E’ compito loro anche monitorare la presenza delle singole specie sul territorio. Una pratica questa che serve poi a regolare la caccia, che avrebbe la specifica funzione di tenere la natura in equilibrio.

Non tutti sono d’accordo con loro. Per gli animalisti il fucile non sarebbe la soluzione per tenere sotto controllo il numero di capi. Dito puntato sulla pratica del foraggiamento, che non sarebbe un gesto d’amore nei confronti degli animali, come vorrebbero far credere i cacciatori, ma piuttosto un modo per avere prede a sufficienza e una maniera facile per concentrare gli animali in alcune aree in vista della stagione della caccia.

Nuovi trofei stanno per entrare nelle case dei cacciatori, allegri banchetti si preannunciano in quelle associazioni venatorie che riusciranno ad abbattere la preda. Intanto gli chef sloveni sono pronti a offrire ai loro clienti piatti a base di carne d’orso.

Orsa Jj4, Fugatti firma una nuova ordinanza per l'abbattimento. Brambilla: «Faremo ricorso». Matteo Riberto e Chiara Marsilli su Il Corriere della Sera il 28 Aprile 2023 

Il primo provvedimento che mirava all'uccisione dell'esemplare è stato sospeso dal Tar di Trento. Il governatore ci riprova. La Federazione dei biologi: «No all'abbattimento, indagine su responsabilità delle istituzioni»

Il presidente della Provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti ha firmato nella serata di giovedì 27 aprile una nuova ordinanza di abbattimento per l'orsa Jj4, catturata dai forestali e rinchiusa nel recinto del Casteller a Trento dopo aver aggredito e ucciso Andrea Papi, 26 anni, nei boschi di Caldes, in valle di Sole. La prima ordinanza di abbattimento è stata sospesa dal Tar di Trento dopo il ricorso delle associazioni animaliste, che ora annunciano nuovamente battaglia contro il provvedimento approvato ieri sera. La nuova ordinanza di abbattimento di Jj4 è «un atto dovuto, in seguito al decreto del Tar che ha chiesto alla Provincia di Trento di rinnovare il proprio provvedimento con il parere scritto di Ispra», ha spiegato il presidente della Provincia Maurizio Fugatti. «Sostanzialmente non nulla cambia: la nostra posizione è che si debba andare verso l'abbattimento dell'esemplare, proprio in base a quanto rileva Ispra sulla sua pericolosità. Anche la questione del trasferimento non si pone proprio per la pericolosità rilevata da Ispra». 

In Parlamento

Intanto, sempre giovedì, il ministro dell'Ambiente Gilberto Picchetto Fratin, nel corso del dibattito in Parlamento stimolato da un'interrogazione di Fratelli d'Italia, ha aperto all'utilizzo dello spray difensivo anti-orso. Per il momento se ne prevede la dotazione solo agli addetti alla sorveglianza nelle zone dove sono presenti esemplari di orso bruno. 

Zaia: «I corridoi per gli orsi in Veneto non li vogliamo»

Tiene banco, contemporaneamente, il dibattitto intorno al possibile trasferimento degli orsi dal Trentino: la Provincia autonoma di Trento ha più volte evidenziato che gli esemplari in eccesso sarebbero una sessantina. Tra i nodi della questione resta però quello della destinazione, dove eventualmente trasferirli. Che va a braccetto con le ipotesi di creare dei passaggi (corridoi) per la distribuzione degli esemplari nell'arco alpino. «I corridoi per gli orsi noi in Veneto non li vogliamo - ha detto però il presidente del Veneto Luca Zaia - ci spiace per il collega Fugatti ma se il problema fosse a rovescio anche lui direbbe di no, non è una lotta contro il Trentino che ha tutto il nostro aiuto e la nostra solidarietà ci mancherebbe ma noi a corridoi per far venire dal Trentino in Veneto gli orsi, dico di no». 

La federazione biologi: «No all'abbattimento»

Contro l’abbattimento dell’orsa Jj4 si sono espressi anche i biologi. «Diciamo no all'abbattimento dell'orsa Jj4 ed auspichiamo, semmai, una pronta indagine sulle responsabilità delle istituzioni», ha dichiarato in una nota il presidente della Fnob (Federazione nazionale degli ordini regionali dei biologi) Vincenzo D'Anna, esprimendo «forte dolore e grande dispiacere per la morte del runner Andrea Papi». «La domanda che molti si stanno ponendo, è quale colpa possa mai essere attribuita all'orsa per quella mortale aggressione, esprimendo una valutazione di tipo morale che non può essere adottata per un animale che si muove in base al proprio istinto – ha aggiunto D’Anna - il dibattito innescatosi sul drammatico incidente dovrebbe andare oltre l'aspetto empatico ed il singolo evento stesso. Affrontare il problema della convivenza tra l'uomo e gli orsi nei boschi del Trentino, non può prescindere da una valutazione più ampia del rapporto tra l'essere umano e gli ecosistemi di cui esso stesso fa parte. Le conseguenze di una gestione irresponsabile e dello sfruttamento incondizionato delle risorse naturali sono evidenti e, ora come non mai, siamo tutti consci di quanto sia necessario porvi rimedio». 

Brambilla: «Difenderemo Jj4, a partire da un nuovo ricorso»

A difesa dell’orsa anche l’onorevole Michela Brambilla, presidente della Lega italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente: «Jj4 non si tocca – dice Brambilla - Fugatti la smetta con l’ossessione barbarica della legge del taglione da applicare ad un’orsa in cattività che non può far male a nessuno: atteggiamento privo di qualsiasi giustificazione logica, scientifica o giuridica. Il presidente-sceriffo, preda delle proprie pulsioni elettorali, offre in pegno sacrificale la vita di mamma orsa per coprire i propri errori. Ora ci auguriamo che la magistratura amministrativa metta fine a questo festival dell’arroganza, ad un piglio irrispettoso perfino dei sentimenti della famiglia del povero Andrea Papi, la cui umanità giganteggia sulla meschinità politico-amministrativa dell’aspirante “killer di orsi” Fugatti. Lo diffidiamo dal procedere con l’abbattimento: difenderemo Jj4 con ogni mezzo consentito dalla legge, a partire da un nuovo ricorso amministrativo».

Vittorio Feltri, la telefonata: "Cosa mi ha detto il papà del ragazzo ucciso dall'orso". Vittorio Feltri su Libero Quotidiano il 30 aprile 2023

Mi ha telefonato il padre del ragazzo ucciso dall’orsa in Trentino. La nostra è stata una conversazione civile, benché lui avendo letto i miei articoli su Libero e avendomi ascoltato in tv sapesse perfettamente della mia simpatia verso i plantigradi, al punto di essere contrario all’abbattimento dell’assassina. Questo signore pacato e ragionevole mi ha raccontato quello che succede sui monti dove abita, luoghi che io ho visto di sfuggita e non conosco nei dettagli. Egli mi ha detto, e non ho motivo di dubitare della sua sincerità, che suo figlio, laureato in scienze dello sport, raramente faceva quattro passi nei boschi, e usava per meglio camminare due racchettine utili a deambulare in equilibrio. Ed ha aggiunto che quel tragico giorno non era salito sulle vette ma si era limitato a raggiungere i settecento metri, quindi poco più in alto rispetto al paese dove abitava.

Ciò significa che gli orsi non vivono a duemila metri, ma ormai si spingono fino a sfiorare il centro abitato dagli uomini. Ed io ignoravo il particolare, ero convinto che i bestioni se ne stessero in alta quota. Significa che essi ormai si sono moltiplicati e che per trovare nutrimento si avvicinano al consorzio umano dove di riffa o di raffa riescono ad addentare del cibo Tutti gli esseri viventi hanno bisogno di nutrirsi per tirare a campare. Quindi il problema mi pare diverso da come finora è stato descritto. Gli orsi nella regione arrivarono su disposizione dell’Europa che non valutò un fatto: che essi si sarebbero moltiplicati e poiché il numero fa la forza, ovvio che questi animali a me simpatici, a un certo punto si sono sparpagliati fino a lambire i centri abitati. Di qui la loro pericolosità, in quanto essi non sono né ragionieri né dottori pertanto in determinate circostanze, davanti ai cristiani, di cui hanno timore, possono avere reazioni molto violente. Ecco così si spiega l’aggressione al ragazzo che non è riuscito a salvarsi.

A questo punto, in effetti, non ha senso che la comunità voglia vendicarsi del terribile agguato uccidendo l’orsa che lascerebbe tre cuccioli privi di protezione. Qui semmai è necessario trasferire i bestioni, innocenti per definizione, in zone più isolate dove essi possano scorrazzare in libertà senza confliggere con i bipedi. Il discorso mi sembra chiaro. Non bisogna ricorrere al fucile o a iniezioni letali per eliminare il pericolo di essere azzannati, ma serve soltanto trovare un luogo adatto dove ricoverare i giganti pelosi. Ciò richiede organizzazione degli enti pubblici, mentre i cittadini non sono attrezzati a difendersi da soli sotto casa dai giganti stessi affamati.

Quindi non comprendiamo il senso della soluzione prospettata da Fugatti, il presidente regionale, ovvero stecchire l’orsa in questione nella speranza di risolvere il dilemma. Morta la “belva”, in zona rimarrebbero oltre cento esemplari della stessa specie pronti a imitarne le gesta. Da notare che questi selvatici non sono arrivati in Italia con passaporto, ma mediante deportazione. Colpa nostra che li abbiamo ospitati evitando di valutare che non sono agnellini. Come se io adottassi un leone nel mio giardino senza valutare la sua ferocia. Sarei un cretino. Ecco, stiamo proprio parlando di cretini.

Legittima difesa. Ecco perché va fermata. I fatti sono noti, ma vale la pena riepilogarli brevissimamente: lo scorso 5 aprile il runner 26enne Andrea Papi viene ucciso da un'orsa mentre sta correndo nei boschi di Caldes, nella Val di Sole. Francesco Maria Del Vigo il 19 Aprile 2023 su Il Giornale. 

I fatti sono noti, ma vale la pena riepilogarli brevissimamente: lo scorso 5 aprile il runner 26enne Andrea Papi viene ucciso da un'orsa mentre sta correndo nei boschi di Caldes, nella Val di Sole.

L'animale che lo ha aggredito e ammazzato viene riconosciuto come l'orsa Jj4. Nome che ai più non dirà niente, ma dietro al quale si nasconde una storia di ecologismo esasperato, decisioni giudiziarie ideologiche e negligenza umana. A tutto ciò si aggiunge - e non è un fattore secondario - la violenza animale. Concetto che inquieta gli ecologisti da baita di lusso, quelli che pensano che gli orsi siano tutti dei gentiluomini con cappello e cravattino come Yoghi. Ma un conto è la narrazione di Walt Disney, un altro il mondo reale. Esistono gli orsi aggressivi, quelli che adesso - con un impeto di «ambientalmente corretto» - chiamiamo «problematici». E dobbiamo fare i conti anche con loro, fuori dall'oleografia da cartone animato. Jj4 è figlia di due orsi portati in Italia dalla Slovenia nell'ambito del progetto «Life ursus», cioè un programma di ripopolamento del Trentino. Iniziativa partita negli anni Novanta e scappata leggermente di mano: i plantigradi sarebbero dovuti essere 50 e invece sono 100, se non 120; avrebbero dovuto spostarsi dalla zona e invece sono ancora tutti lì. Un gran casino fatto dall'uomo nel nome della difesa assoluta degli animali, anche di quelli che per natura diventano facilmente aggressivi. Jj4 infatti aveva già manifestato la sua indole: nel luglio del 2022 aveva assalito e ferito due persone. Le istituzioni ne avevano chiesto l'abbattimento, ma tutto era stato bloccato dal veto del Tar. Giù le mani dall'animale, tuonarono in coro le associazioni ecologiste e gran parte della politica, plaudendo la scelta delle toghe. Nel frattempo, per non abbattere l'orsa killer, è morto Andrea Papi. Il quale non ha fatto nulla di male, non ha provocato l'orsa, non è stato irrispettoso nei confronti della natura, non doveva - come delirano alcuni - «conoscere meglio come ci si comporta in quegli ambienti»: stava semplicemente facendosi una corsa ed è stato ammazzato. Una constatazione che sembrerebbe pleonastica, ma che diventa necessaria in una società sempre più antropofobica e che umanizza ossessivamente gli animali, facendo un torto a loro e soprattutto agli uomini stessi. Per questo era - ed è - giusto abbattere gli orsi violenti. Prima che loro abbattano noi.

Orso uccide un cane, il Canada l’abbatte. A noi non basta un uomo morto. In Canada, un orso ha ucciso il cane di due escursionisti. I funzionari: “Lo abbattiamo, ha un comportamento predatorio”. Redazione su Nicolaporro.it il 28 Aprile 2023

Mentre in Italia si discute, ormai da diversi giorni, dell’abbattimento dell’orsa Jj4, l’esemplare che ha attaccato e ucciso il giovane 26enne Andrea Papi, mentre praticava attività fisica in un bosco nel Trentino; in Canada, si è verificato un evento del tutto simile a quello italiano, ma con decisioni diametralmente opposte. Se nel nostro Paese la gran parte della popolazione si schiera “a tutela” dell’orsa, quindi contro l’abbattimento, i canadesi non hanno dubbi su quale debba essere l’approccio da adottare in caso di attacchi predatori di questi animali.

L’ultimo fatto di cronaca risale allo scorso fine settimane, quando un orso è stato abbattuto nel Jasper National Park, dopo aver aggredito due escursionisti, insieme ai loro cani. Secondo i funzionari, gli animali domestici stavano correndo liberamente, quando lungo il sentiero hanno visto avvicinarsi un orso nero. A quel punto, uno dei due cani ha cominciato ad abbaiare a protezione dei padroni, mentre un altro si è scagliato contro l’orso che poi ha bloccato l’animale.

A quel punto, sono intervenuti gli escursionisti, prima con uno spray anti-orsi e poi lanciando la bomboletta in testa all’esemplare, senza però riuscire nell’intento di far liberare il cane. Secondo i funzionari, l’orso avrebbe trascinato il cane nella foresta, per poi venire sbranato e ucciso. “Questo approccio ravvicinato e aggressivo da parte di un grande orso nero è un comportamento molto preoccupante”, hanno detto i funzionari del parco. “L’attacco al cane e il successivo caching della carcassa – continuano – indica un comportamento predatorio“. Il che ha portato alla decisione comune dell’abbattiment0, poiché l’orso non ha mostrato paura o reazione agli spray ed ai pugni.

La decisione “estrema” arriva nonostante il fatto che gli escursionisti non abbiano riportato ferite durante l’attacco. Le autorità canadesi, quindi, hanno voluto agire in un’ottica di prevenzione: questa volta, la vittima è stato un animale domestico, ma ciò non può escludere che, in assenza dei due cani, l’orso avrebbe aggredito i due uomini. Insomma, se nel nostro Paese si crea un vero e proprio movimento a tutela ed in “solidarietà” dell’orsa Jj4, in Canada vige un orientamento decisamente meno “buonista”, bensì pragmatico, concreto, che analizza il singolo caso in un’ottica di tutela della sicurezza umana.

Nel frattempo, il presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, ha disposto una nuova ordinanza di abbattimento dell’orsa. E subito la Lav (Lega anti vivisezione) ha annunciato che presenterà a Procura e carabinieri una diffida alla Apss (Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari), contro l’esecuzione dell’animale. Ma il contenuto del decreto del presidente rimane chiarissimo: “In via precauzionale per la salute e l’incolumità pubblica, è ragionevole abbattere l’animale, anziché accettare anche il minimo rischio che lo stesso possa nuovamente venire a contatto con una persona, pure nell’ambito di tutte le fasi operative finalizzate all’eventuale trasferimento dello stesso in altro luogo”. Questo soprattutto perché “la Provincia non dispone di una concreta alternativa (…) ossia quella di un eventuale trasferimento dell’orsa Jj4 in altro sito esterno alla Regione Trentino Alto Adige/ Südtirol, anche estero, che inderogabilmente offra elevati standard per le esigenze di sicurezza e di incolumità per i suoi frequentatori, nonché per gli operatori e per chi dovesse procedere con le operazioni di trasferimento”.

Il ministro Pichetto: “L’orsa Jj4 va abbattuta”. Ma i veterinari si ribellano. L’ordine dei veterinari del Trentino: “Nessun confronto con Fugatti. L’eutanasia nei confronti dell’orsa non è concordata né giustificata”. Il Dubbio il 19 aprile 2023

Come ministro dell'Ambiente mi trovo ad aver istituito un tavolo che riguarda non tanto Jj4 ma più complessivamente l'eventuale eccedenza di numero” di orsi e per quanto riguarda Jj4 “c'è la magistratura e da parte mia il braccio operativo del ministero dell'Ambiente è l'Ispra. Quindi la valutazione del ministro si basa su quella dell'Ispra, che in questo momento al tavolo a Trento ha espresso parere favorevole all'abbattimento". Lo ha detto il ministro dell'ambiente, Gilberto Pichetto, in riferimento al caso dell’orsa JJ4, considerata responsabile dell'aggressione che ha causato la morte del giovane runner Andrea Papi sul monte Peller. Sul plantigrado, catturato ieri e trasferito nel centro faunistico del Casteller, pende un’ordinanza di abbattimento, emessa dal presidente della Provincia di Trento, e al momento sospesa dal Tar, che si pronuncerà sul caso l’11 maggio. 

In questo momento, ha proseguito Pichetto, “l'orsa è nello stesso luogo in cui si trovava quell'altro orso che doveva essere abbattuto 4 anni fa circa e che il Consiglio di Stato invece ha ritenuto di non far abbattere. Pertanto, aspettiamo”. E tornando a Jj4 ha spiegato: “Si sta ponendo un problema che dura da anni, dovuto alla scelta dell'uomo di ripopolare forzatamente con specie di orsi proveniente dalla Slovenia, dall'area dei Balcani e che non è stessa che abbiamo in Abruzzo, dove la convivenza è più facile”.

Ma a prendere posizione ora sono è l'Ordine dei veterinari del Trentino, per i quali “lo stato di salute dell'esemplare JJ4 non giustifica l'intervento eutanasico nell'urgenza, così come prospettato, ma richiede una analisi complessiva della gestione dei plantigradi sul territorio provinciale. Non si rilevano al momento pericoli verso la popolazione in quanto Jj4 risulta catturata e custodita. L'orso risulta specie protetta tutelata con legge dello Stato”. Pertanto, nel documento “si sollecitano i colleghi professionisti veterinari addetti a vario titolo e iscritti all'Ordine di non assumere alcuna iniziativa che possa provocare la morte del soggetto per eutanasia se non in precedenza concordata con il presente Ordine”, si legge nella nota dell’Ordine. “Si precisa a tutela e garanzia delle figure professionali della categoria dei medici veterinari della provincia, e contrariamente a quanto lasciato intendere in occasione della conferenza dal presidente Fugatti, che non vi è stato alcun confronto con il presente Ordine né con altri professionisti veterinari delegati in materia, e pertanto non può esserci stata alcuna condivisione sul parere espresso dal governatore”. 

Dai tecnici dell’Ispra una chance per l’orsa: «Non è necessario abbatterla». Alfio Sciacca su Il Corriere della Sera il 20 Aprile 2023

L’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ha depositato il parere al Tar. Il presidente Laporta: «Per Jj4 accettabile anche il trasferimento». Oltre 200mila le firme per salvare l’animale 

«Fermo restando che si tratta di atti all’interno di un procedimento giudiziario il cui iter va rispettato, posso sinteticamente rispondere che Ispra ha fornito le considerazioni tecniche richieste, che non escludono nessuna delle opzioni che il Tar aveva chiesto di considerare, ossia la soppressione o il trasferimento dell’orsa in un recinto posto al di fuori dal Trentino Alto Adige». Ieri sera Ispra (l’Istituto superiore per la protezione e ricerca ambientale, ndr) ha inviato al Tar le sue valutazioni sulla possibile soppressione dell’orsa Jj4, come stabilito dall’ordinanza del presidente della provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti, temporaneamente sospesa per il ricorso di alcune organizzazioni animaliste. E alla domanda su quale fosse la sostanza del parere inviato al Tar il presidente di Ispra, prefetto Stefano Laporta, anticipa al Corriere che, diversamente da quanto era circolato nei giorni scorsi, non sarebbe stata data un’indicazione univoca.

Insomma, per l’organo di ricerca e consulenza del ministero dell’Ambiente l’orsa responsabile dell’aggressione e dell’uccisione del runner Andrea Papi si può abbattere oppure trasferire altrove. Aggiungendo comunque che «sarà la Provincia di Trento ad assumere la decisione finale». Del resto anche le dichiarazioni rese in giornata dal ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin lasciavano già intuire che anche il governo escludeva di prendere una posizione netta pro o contro l’abbattimento. «La soppressione di Jj4 non può essere una vendetta, ucciderla non ridarà la vita al giovane runner — ha detto il ministro Pichetto Fratin —, ma va considerato che il ripetersi reiterato delle aggressioni agli umani e agli animali ha reso evidente che la gestione degli orsi in Trentino è diventata problematica. Da ministro posso solo esercitare una funzione di indirizzo, che non può che basarsi sul parere scientifico dell’Ispra». Aggiungendo, anche lui, che la decisione finale sulla sorte dell’orsa spetta al presidente della Provincia autonoma di Trento.

Un atteggiamento che ha un po’ il sapore, s e non di una marcia indietro, quanto meno di una maggiore cautela rispetto a qualche giorno fa quando era emerso, anche dalle dichiarazioni dello stesso ministro Picheto Fratin, che l’Ispra fosse favorevole all’abbattimento. «Ispra — replica Laporta — non esprime un parere favorevole o sfavorevole, ma valuta tecnicamente se gli interventi gestionali proposti dalla Provincia di Trento sono coerenti con le linee guida tecniche in materia, in particolare il Piano d’Azione Interregionale per la Conservazione dell’Orso bruno nelle Alpi centro-orientali (Pacobace), adottato dalla Provincia di Trento, da tutte le regioni e province autonome del Nord est, dal ministero e da Ispra». 

La vicenda di Jj4 e degli altri orsi «problematici» del Trentino ha acceso il dibattito e gli animi. Varie sigle e organizzazioni animaliste sono già pronte a scendere in piazza. Gli attivisti della Campagna Stop Casteller annunciano una giornata di mobilitazione per domenica proprio al Casteller di Trento dove sono rinchiusi Jj4 e M49. Altre manifestazioni sono in programma a Milano e altre città d’Italia. Mentre la petizione online lanciata dall’Oipa per liberare Jj4 ha già raggiunto 200 mila firme. Al di là delle singole posizioni l’interrogativo di fondo è semplice: di fronte a un’orsa che ha aggredito e ucciso una persona c’è un’alternativa all’abbattimento?

«Nelle nostre valutazioni — risponde Laporta — consideriamo le misure previste dal Pacobace che per alcuni comportamenti degli orsi prevedono la rimozione, per abbattimento o per la captivazione permanente. Da un punto di vista tecnico, le due forme di intervento non sono molto diverse, perché comunque si sottrae un individuo alla popolazione». Insomma Ispra non preferisce un’opzione rispetto all’altra, ma sembra preoccuparsi solo di trovare una soluzione per gestire gli orsi cosiddetti «problematici». «La destinazione degli esemplari ritenuti pericolosi alla cattività è un’alternativa — afferma il presidente dell’Ispra — dal punto di vista tecnico scientifico, per noi accettabile, in alternativa all’abbattimento».

Estratto dell’articolo di Giampaolo Visetti per “la Repubblica” il 20 aprile 2023.

Signor Papi, condivide la decisione del presidente trentino Fugatti di abbattere l’orsa che ha ucciso suo figlio sul Monte Peller?

«La vita dell’orsa JJ4 non ci restituirà nostro figlio. Troppo comodo cercare di chiudere questa tragedia eliminando un animale, a cui non può essere imputata la volontà di uccidere. Non ci interessano i trofei della politica: noi pretendiamo che ad Andrea venga restituita dignità e riconosciuta giustizia». 

Carlo Papi accetta un colloquio con la Repubblica per chiarire il senso di alcune dichiarazioni che «nelle ultime ore vengono distorte, o usate per uno scontro in cui non vogliamo essere coinvolti e che ci umilia».  […]

Signor Papi, quando chiede giustizia per suo figlio, cosa intende dire?

«Qualcuno deve avere il coraggio di assumersi la responsabilità della morte di Andrea. A costo di fare un passo indietro rispetto al ruolo pubblico che ricopre». 

A chi si riferisce?

«Quella di nostro figlio non è stata una morte naturale. Nessuno si è ancora fatto vivo per chiederci scusa, per spiegarci le cause che hanno contribuito a creare le condizioni di questa tragedia. Confidiamo nella Procura di Trento e nei nostri avvocati: il governo attuale della Provincia, come quelli che l’hanno preceduto, hanno il dovere di chiarire, assieme allo Stato, se è stato fatto il possibile per garantire la sicurezza». 

La reintroduzione degli orsi è stata supportata da atti pubblici attenti alla vita delle persone?

«La morte di Andrea si poteva evitare. Le istituzioni non hanno fatto niente per spiegare alla gente come comportarsi con un numero così alto di orsi: cosa fare per prevenire incontri, quali zone non frequentare, come reagire a un attacco. Hanno lasciato tutti ignoranti e tranquilli, senza nemmeno installare i cassonetti anti-orso in tutti i paesi a rischio. […]». 

Perché dite di essere contrari all’abbattimento di JJ4?

«Le vendette simboliche non ci interessano, la colpa della tragedia non può essere circoscritta a un’orsa. Ucciderla non significa fare giustizia. […]».

(ANSA il 20 aprile 2023) - A circa 48 ore dal lancio, la petizione online lanciata su Change.org da Oipa Trento ha superato le 200mila firme. La petizione chiede al presidente della Provincia di Trento, Maurizio Fugatti, al ministro dell'Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, e al presidente del Consiglio dei ministri, Giorgia Meloni, l'immediata liberazione di Jj4. 

La petizione, inoltre, chiede l'avvio di un progetto di gestione degli orsi in Trentino per una convivenza consapevole e lo stop alle procedure che riguardano gli abbattimenti e le catture degli orsi in Trentino. L'Oipa di Trento ha organizzato un sit-in di protesta davanti alla sede della Provincia autonoma di Trento per presentare alcune proposte sulla gestione del progetto Life Ursus (ore 10.45).

(ANSA il 20 aprile 2023) - "Parte oggi la raccolta firme con cui chiediamo la riduzione del numero di orsi in Trentino e un'apertura a livello nazionale sull'utilizzo dello spray anti-orso. Si tratta di un'iniziativa della Lega ma sappiamo raccoglierà anche il favore di altre sensibilità e le richieste di tutti i territori trentini". Lo afferma, in una nota, il commissario Lega del Trentino, Diego Binelli.

"Sarà anche un'occasione per manifestare al presidente Maurizio Fugatti il supporto e la vicinanza in un momento impegnativo da un punto di vista umano, nonché l'apprezzamento per quanto fin qui portato avanti con fermezza e amore verso il Trentino e la sua gente", aggiunge Binelli.

Dagospia il 20 aprile 2023. Da “Un Giorno da Pecora” – Rai Radio1

L’orsa JJ4? “Forse c’è qualcuno in Germania che è disposto a prenderla, come la fondazione Orso che so per certo è in contatto col governatore Fugatti. Cosa bisognerebbe fare? Se non si riesce a spostarla altrove, non bisogna metterla in gabbia e va soppressa solo ed esclusivamente se non si trovano altre soluzioni. Però non la si può lasciare in Trentino, in questo periodo ci sono troppi orsi, arrivano fino in Bavaria e diventano pericolosi. Mi dispiace moltissimo per quanto successo a quel ragazzo e sono vicino alla sua famiglia”.

A parlare è l’alpinista Reinhold Messner, che a Rai Radio1, ospite di Un Giorno da Pecora, ha ragionato sulla possibilità che l’orsa JJ4, che avrebbe ucciso un runner in Trentino e che ora potrebbe essere soppressa. “Ho sentito dire che c’è stato un hotel che ha dato da mangiare più volte all’orsa JJ4, che trovando sempre dei viveri è tornata lì più volte”, ha rivelato Messner ai conduttori Giorgio Lauro e Geppi Cucciari.

I suoi cuccioli, che hanno due anni, sono in grado di cavarsela da soli? “Si, due anni sono sufficienti per esser autonomi. Ma in generale - ha proseguito Messner a Un Giorno da Pecora - il Trentino è troppo piccolo per i circa 100 orsi presenti su quel territorio. Nella mia vita ho incontrato più volte degli orsi, dalla Siberia al Tibet, ma non mi hanno mai aggredito, perché lì hanno spazi enormi, non hanno motivo di attaccare un uomo”.

Insomma, gli orsi sono un problema per il Trentino. “L’orso non ha nessuna colpa, la natura c’è e va rispettata, almeno una cinquantina di questi esemplari però andrebbero trasferiti dal Trentino ad altri luoghi. E non dimentichiamoci - ha concluso l’alpinista a Rai Radio1 - che i lupi sono un problema ancora più grave: distruggono le nostre malghe, in una notte uccidono anche venti pecore”.

Sulle tracce di JJ4. L’incubo mediatico sugli orsi, mitizzati dal turismo, e i veri colpevoli umani. Valerio Nicolosi su L'Inkiesta il 22 Aprile 2023

Il progetto di ripopolamento Life Ursus non è stato accompagnato dalla comunicazione alla cittadinanza. I cassonetti anti-orso sono arrivati vent’anni dopo e intanto gli animali, che spesso non sono censiti o hanno il radiocollare scarico, si sono avvicinati ai centri urbani, attirati dalla spazzatura

Un orso si alza sulle zampe posteriori e mangia delle mele direttamente da un albero. Inizia con questa immagine un reportage alla ricerca di un animale schivo per natura e che negli anni si è abituato a frequentare sempre di più i luoghi dove la presenza umana è predominante.

Gli orsi sono golosissimi di frutta e la Val di Sole e la Val di Non offrono mele a perdita d’occhio. I filari dei frutteti intensivi si inerpicano lungo le montagne, in alcuni punti entrano nel bosco come un coltello farebbe con un tozzo di pane fresco, incontrando solo quel minimo di resistenza lungo la crosta esterna per poi entrare facilmente dentro il ventre, trovando solo morbida mollica.

L’agricoltura nel corso dei decenni ha conquistato pezzo dopo pezzo un territorio che in principio non era suo, ma che ha reso queste valli famose in tutto il mondo per la qualità dei prodotti.

Gli orsi in passato c’erano, le valli erano un luogo dove la coabitazione era di fatto imposta ma che non sempre ha avuti risultati positivi, tanto che questa specie era destinata all’estinzione se non fosse stato per l’ormai famosissimo progetto Life Urus, che nel 1996 ha iniziato un lento ripopolamento della specie con un degli orsi provenienti dalla Slovenia.

Sono animali schivi dicevamo, tanto che chi nel corso degli anni ha provato a cercarli, a vederli, a riprenderli non ha avuto (quasi) mai successo. Vedere un orso in un bosco è come vedere una balena al centro dell’oceano: può capitare, ma se ci provi a tutti i costi probabilmente non ce la farai, è l’animale a decidere.

Così il turismo si è sviluppato attorno al mito di questo animale, ai bordi dei boschi sono nati centri avventura ed esperienze naturalistiche per i bambini e gli adolescenti: rafting, escursioni, percorsi sugli alberi, il Trentino è un luogo dove poter passare le vacanze ideali per le famiglie.

Quell’orso però dal 5 aprile è diventato un incubo, quantomeno mediatico, che sta incrinando lo status quo e mette a rischio la stagione estiva tra minacce di boicottaggio degli animalisti e paura che il grande predatore possa uccidere di nuovo, dopo averlo fatto con Andrea Papi, nonostante le statistiche ci dicono che negli ultimi 150 anni ci siano stati solo quattro morti in Europa e che quello subìto dal ventiseienne di Caldes è il primo documentato in Italia.

Ma la paura nella Val di Sole nasce prima, la presenza dell’orso è una costante degli ultimi anni e la popolazione ha percepito questa presenza come una minaccia crescente, con le numerose apparizioni nei paesi, nei giardini delle case a ridosso del bosco o proprio sulla montagna, dove MJ5, l’orso adulto sul quale in questo momento pende una delibera di abbattimento da parte della Provincia di Trento, il 5 marzo scorso ha aggredito un uomo e il suo cane in un bosco nei pressi di Rabbi.

Così basta andare al bar di Caldes, l’unico e adiacente alla chiesa, per parlare percepire la paura degli abitanti: «Io non vado nel bosco da anni, per me il bosco era anche lavoro perché tagliavo la legna che mi serviva per l’inverno, senza di quella non ci scaldiamo. Adesso la compro, al bosco non mi avvicino», racconta Cesare, che vive in zona da anni.

«Adesso abbiamo tutti contro perché ci dicono che siamo contro l’orso, però vorrei dirgli di venire qui e di vedere come viviamo. Io nel bosco ci sono sempre andato, gli orsi non c’erano e noi stavamo bene. Sono loro che hanno deciso di riportarli», aggiunge Bernardo, seduto allo stesso tavolo di Cesare e con qualche anno in più. Mentre raccontano indicano il bosco che ricopre il Monte Peller, talmente vicino che dal centro del paese al primo sentiero ci sono meno di dieci minuti a piedi da percorrere, in mezzo, neanche a dirlo, alberi di mele.

Comprensibile da parte loro, le persone hanno paura se un progetto che doveva tutelare la biodiversità è arrivato a incentivare uno scontro tra animali: da un lato quello selvaggio e istintivo, «l’orso fa l’orso» si è sentito spesso, e dall’altro lato quello che nei secoli si è dato una struttura sociale e dei rappresentanti che dovrebbero tutelare la cosa pubblica, compreso bosco e animali.

Invece il progetto Life Ursus non è stato accompagnato da un piano di comunicazione e informazione della cittadinanza e dei turisti, in alcune zone i cassonetti anti-orso, pensati per evitare che i plantigradi possano avvicinarsi sempre più ai paesi in cerca di spazzatura, sono arrivati solo nel 2020, oltre vent’anni dopo l’introduzione. Intanto sono stati creati quelli che vengono chiamati «orsi confidenti», abituati a frequentare i centri abitati e ad associare l’odore dell’uomo al cibo.

Il controllo della popolazione degli orsi non è stato capillare, molti esemplari non sono censiti e altri hanno il radiocollare scarico da tempo, tra queste JJ4 che invece doveva essere una «sorvegliata speciale» dopo che nel 2020 aveva aggredito delle persone ma il Tar aveva sospeso la cattura perché aveva dei cuccioli piccoli.

Nel 2021 la Provincia di Trento ha chiesto un parere per la sterilizzazione dell’orsa, cosa che avrebbe dovuta renderla meno aggressiva, ma nessuno procede e così resta nuovamente incinta, partorisce dei cuccioli nel 2022 e nel 2023 prime uccide un ragazzo che correva in un bosco e poi viene catturata da una trappola a tubo con i suoi tre cuccioli, due dentro con lei e uno fuori, che scappa subito.

I due vengono rilasciati dopo aver sedato la mamma e ora sono nel bosco, non distanti dall’aggressione del 5 aprile e quindi non distante dai paesi, dove potrebbero avvicinarsi per cercare del cibo.

JJ4 invece è stata portata subito nel Centro Vivaistico di Casteller, un luogo a Sud di Trento di proprietà della Provincia dove ci sono tre recinti per gli orsi. Costruito come luogo di accudimento temporaneo, è diventato una sorta di prigione con le reti elettrificate che circondano uno spazio grande poco meno della metà di un campo da calcio, l’unico in cui l’orsa può muoversi.

Vicina a lei c’è M49, l’orso che nella storia recente ha fatto la storia per essere «evaso» due volte da questo luogo fino ad arrendersi, secondo quanto riportano dei verbali dei carabinieri forestali, alla morsa degli psicofarmaci che servono a sedarlo.

Camminando attorno al centro si incontra solo boscaglia e la rete del primo anello di protezione, in passato un gruppo di animalisti l’ha tagliata per avvicinarsi agli orsi mentre in un martedì qualsiasi lungo quei sentieri si incontrano solo donne e uomini di mezza età con il proprio cane.

Alla domanda: «Non ha paura che l’orsa possa scappare?» fanno spallucce, cose se la gabbia che si trova a meno di centocinquanta metri non esista. D’altronde occhio non vede…

La battaglia attorno a JJ4 e a MJ5 è diventata tutta politica, con Maurizio Fugatti, presidente della Provincia Autonoma di Trento e leghista della prima ora, che tira dritto con la richiesta di abbattimento mentre l’Ispra e il Ministero dell’Ambiente che auspicano un trasferito e gli animalisti della Lav pronti a portare l’orsa in un luogo sicuro in Germania o in Giordania.

L’11 maggio il Tar di Trento si esprimerà, sulla decisione potrebbe pesare anche la presa di posizione dell’Ordine dei Veterinari di Trento che ha invitato tutti gli iscritti a non praticare l’eutanasia su un animale in salute che non può arrecare danno. Fugatti sempre più solo quindi, pronto però a dare battaglia visto che in autunno ci saranno le elezioni e il risultato potrebbe essere influenzato da questa vicenda.

 «Ecco come sta l’orsa JJ4 nel centro del Casteller di Trento. Chiusa nella sua “tana”, è impaurita e spaesata».  Silvia Morosi / CorriereTv su Il Corriere della Sera il 22 aprile 2023

Il racconto dell’onorevole Michela Vittoria Brambilla che venerdì mattina si è recata al Centro di recupero della fauna alpina di Trento per verificare le condizioni di JJ4: «Mangia frutta, ma è rinchiusa nella sua “tana”, lontana dai suoi cuccioli»

«È impaurita e spaesata. Non dà alcun segno di aggressività. Vederla dentro una gabbia, mi ha fatto molta tenerezza». A raccontare le condizioni di JJ4, l’orsa responsabile della morte di Andrea Papi, è l’onorevole Michela Vittoria Brambilla, presidente dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e fondatrice della Lega italiana per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente (Leidaa). La deputata animalista si è recata questa mattina al Casteller di Trento per verificare le condizioni dell’animale responsabile dell’aggressione e della morte del runner Andrea Papi. «Sono arrivata alle 9.30 di questa mattina e sono rimasta fino alle 12.30 per monitorare la situazione: in questa struttura, infatti, si trova anche M49 — soprannominato «Papillon», a causa delle due evasioni di cui è stato protagonista - . Lui sta bene: era sdraiato in mezzo al boschetto, nella zona esterna della sua “tana”, e ha a disposizione un ampio spazio in cui muoversi in un territorio di circa 5mila metri quadrati. Non può ovviamente scappare, perché le pareti della zona esterna sono molto alte e sono costituite da un materiale che non permette di arrampicarsi. Non può — fortunatamente — farsi del male perché non c’è corrente elettrica. Si è mostrato tranquillo e non ha dato segnali di aggressività. JJ4, invece, è posizionata in un’area più piccola, in attesa che si abitui alla cattività: nella tana, buia e nascosta, si sente più sicura, ma non può comunque accedere alla parte esterna. Già dal primo giorno in cui è stata catturata si è nutrita delle mele di cui è golosa e ha un vasca a disposizione per fare il bagno», racconta al Corriere della Sera Brambilla. «La visita — spiega — è iniziata un’ora dopo la “sorpresa” al citofono. Siamo comunque — ricorda — all’interno di una prigione, per quanto ben tenuta. Gli animali - sottolinea - devono poter vivere liberi». 

Nel complesso, ribadisce, «sta bene, ma è traumatizzata, spaesata e impaurita — non capisce ancora cosa le sta succedendo — , perché lontana dai propri cuccioli. Prima di aprirle una parte di bosco bisogna aspettare che acquisisca una parte di abitudine alla captivazione. Mi impegno a continuare a vigiliare sulla loro incolumità. Ringrazio il corpo forestale di Trento e il personale del Casteller per il loro impegno. Certo, non dobbiamo dimenticare che questi animali vivono in uno spazio in cui non sono più liberi, in una prigione. Quanto successo è molto triste e rivolgo ancora una volta il mio cordoglio alla famiglia del giovane che ha perso la vita — aggiunge l’norevole — . Certo, tutto questo si poteva evitare». Di fronte a JJ4, Brambilla non ha potuto che ribadire la promessa che da anni porta avanti a favore del benessere degli animali: «Osservando questa mattina il suo musone, ho pensato: “Ti prometto di salvarti e farti tornare libera. L’hai fatta grossa, ma ti faccio una promessa: faremo di tutto per dare a te e all’altro orso la libertà in un luogo giusto perché tu possa finire i tuoi anni facendo l’orsa. Non dobbiamo dimenticare che JJ4 ha 17 anni e vorrei che terminasse la sua vita in libertà, lontana dalle sbarre e da spazi ristretti. E lontana dall’abbattimento. Ucciderla sa di vendetta e non ha alcun senso. Punizione e pena sono concetti di noi umani, inapplicabili agli animali. JJ4 non è un’assassina: ha percepito un pericolo e ha difeso i suoi piccoli. Ora aspetta un verdetto come nel braccio della morte. Io quegli occhi non li dimenticherò mai, quegli occhioni che mi guardavano (qui il podcast che racconta la storia di JJ4, dall’inizio). Brambilla ha lanciato - quindi - un appello alle autorità perché sia consentito il trasferimento di JJ4 e M49 se non in un ambiente naturale, «quantomeno in un luogo più compatibile con le loro esigenze etologiche». L’onorevole ha formalizzato alle autorità competenti la proposta di trasferire l’orsa, eventualmente con i suoi cuccioli, in un luogo dedicato, costruito appositamente per lei e «realizzato grazie alla generosità e alla sensibilità di imprenditori che si sono messi a disposizione».

Pochi giorni fa l’onorevole aveva ribadito come fosse necessario «rimettere la gestione di questo piano interregionale di ripopolamento dell’orso bruno in mano agli esperti» e far sì che la politica facesse «un passo indietro dato il suo fallimento. Bisogna mettere segnaletiche, bisogna avere il coraggio di chiudere i sentieri off-limits per i cittadini là dove si sa che ci sono orsi con i cuccioli. Purtroppo gli orsi sono stati ripopolati nel 2000 e nel 2004 la Provincia autonoma di Trento ha incredibilmente avocato a sé la gestione degli orsi togliendola al ministero, all’Ispra e al Parco dell’Adamello, ma non ha messo in campo nessuna delle iniziative necessarie come fatto, per esempio, dal Parco Nazionale dell’Abruzzo, dove gli orsi convivono tranquillamente con i cittadini senza nessun incidente. Mi sembra ancor più assurdo - conclude - immaginare di abbattere l’orsa, dopo l’apertura al trasferimento da parte dell’Ispra e del ministro dell’Ambiente, che - non dimentichiamolo - rappresenta lo Stato, al cui patrimonio indisponibile appartengono gli animali selvatici. Mi appello alle autorità competenti, perché questi animali possano tornare a vivere liberi».

Fugatti vuole trasferire 70 orsi. I governatori vicini: «Non da noi». Andrea Pasqualetto, inviato a Trento su Il Corriere della Sera il 19 aprile 2023

Il presidente della provincia autonoma firma un’ordinanza per abbattere anche Mj5. I veterinari difendono Jj4: «Non praticheremo l’eutanasia per l’orsa»

«Gli orsi? No, da noi no». Sarà anche l’amico Fugatti a chiedere se qualcuno se li prende, ma tutti scuotono la testa: Veneto, Lombardia, Piemonte, Alto Adige... Nessuno disposto ad accogliere quei 70 esemplari che il presidente della Provincia autonoma di Trento vuole trasferire per rimettere in sicurezza le sue valli. «Se il progetto non ha funzionato da lui, non vedo perché dovrebbe funzionare da me», è la stretta logica di Arno Kompatscher, governatore dell’Alto Adige, vicino di casa e compagno di battaglie di Fugatti proprio su questo fronte. «Sono andato più volte a Roma e Bruxelles con lui, e prima con Ugo Rossi, a dire che andava rivisto il progetto Life Ursus ma nessuno ci ha dato ascolto. Si pensava che arrivassero a 50 e si muovessero su altri territori, invece sono più del doppio e tutti concentrati».

Gli spazi

Il problema, dice, sono gli spazi. «Abbiamo turisti ovunque, sui sentieri, nei boschi, gente che passeggia, fa sport, va a funghi. L’antropizzazione di questa terra non consente di ospitare i suoi orsi bruni». Ma un appoggio a Fugatti lo vuole comunque dare: «Considero l’abbattimento di Jj4 inevitabile». Mercoledì sulla questione è sceso in campo il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin: «Mi attengo alla valutazione di Ispra che si è detta favorevole alla soppressione».

La presa di posizione dei veterinari

Mentre l’Ordine dei veterinari di Trento si è schierato contro l’eutanasia pensata da Fugatti come dolce morte dell’orsa. Lo invitano a non prendere iniziative in questo senso considerandole ingiustificate, visto il buono stato di salute dell’animale. «Si sollecitano i colleghi veterinari — scrive inoltre l’Ordine agli iscritti — di non assumere alcuna iniziativa che possa provocare la morte del soggetto per eutanasia, se non concordata con l’Ordine». Una netta presa di posizione in cui si sottolinea la mancanza di un confronto con la Provincia. Né eutanasia né altra morte per la Lav: «Abbiamo individuato due santuari per orsi problematici, in Germania e in Giordania. Portiamola lì con gli altri che vogliono uccidere».

Chi non vuole gli orsi

Tornando ai governatori, perplessità erano venute da Luca Zaia, collega di partito di Fugatti, da sempre contrario alle soppressioni: «Quest’orsa va catturata, punto», aveva glissato. Quanto ai trasferimenti, no, quello è troppo e l’aveva detto chiaro: «Sono vicino a Fugatti ma non è la soluzione, anche perché c’è il rischio che tornino da dove sono venuti». Le frequentatissime Dolomiti vanno preservate e così anche lui ha agitato le ragioni della scienza: «Antropizzazione, l’uomo si è insediato ovunque». Porte sbarrate pure in Lombardia, dove è già a rischio il confine nordorientale che affaccia sulle montagne trentine. «In Valtellina ne abbiamo avvistati tre che vanno e vengono, cioè vengono e, grazie a Dio, vanno. Altri? Anche no, grazie», sgombra il campo Massimo Sertori, l’assessore leghista alla Montagna. «Ce n’era uno stanziale a Sondrio che mangiava gli asini, poi ’è andato in Svizzera e l’hanno abbattuto. Giusto così, fra l’orso e l’uomo io scelgo l’uomo». Con lui Fabio Carosso, vicepresidente del Piemonte in quota Carroccio con delega alla Montagna: «Sì al trasferimento ma non da noi, abbiamo già un numero spaventoso di lupi». Abbattimento? «Non voglio giudicare».

Insomma, la grana è tutta di Fugatti. Lui che dice? «Nessuno si è fatto avanti ma non me lo aspettavo nemmeno e non chiedo agli altri di assumersi questa responsabilità. Io credo che la situazione dovrebbe prenderla in mano il governo per fare accordi internazionali con Paesi esteri. Diversamente sarà il fallimento del progetto Life Ursus e il rischio di nuove aggressioni all’uomo». E mentre lo dice firma una nuova ordinanza di abbattimento: caccia a Mj5, colpevole di un’aggressione in Val di Rabbi.

Ambizione faustiana. Così nei secoli l’umanità si è illusa di dominare la natura e gli animali. Philipp Blom su L'inkiesta il 18 Aprile 2023

Come spiega Philipp Blom ne “La natura sottomessa”, l’Homo sapiens sente di essere il fulcro del creato, il metro di misura mondo, convinto che tutti gli esseri viventi debbano prosternarsi al cospetto della sua incomparabile maestà. Purtroppo per noi, non è così

L’assoggettamento della superficie terrestre e la conquista sempre più capillare della stratosfera sono espressione di un unico delirio collettivo, l’idea ormai onnipresente per cui l’uomo (e non a caso dico «uomo», al maschile) sarebbe un che di superiore alla natura, non un aspetto della natura stessa, e quindi avrebbe il diritto, anzi il dovere di soggiogarla. L’uomo così inteso si percepisce come un essere sovraordinato agli animali e alle altre creature viventi, vede la natura come un palcoscenico delle proprie ambizioni, come una riserva di materie prime. E da quella posizione di presunto privilegio parte alla conquista del pianeta intero, per sottometterlo in modo inesorabile alla sua volontà. Un’ambizione che ha qualcosa di faustiano, di folle.

Al tempo stesso, la febbre del dominio è talmente diffusa e radicata che risulta difficile chiamarsi fuori, osservare il fenomeno a debita distanza, con i suoi mille volti, le sue maschere, le sue smorfie grottesche e affascinanti, che si apprezzano solo da lontano, come appunto quelle delle nuvole, non quando si ha la testa – come si dice – tra le nuvole. La sottomissione della natura è ormai una prassi globale.

Nelle società che si vogliono «illuminate», spesso fiere delle loro tradizioni cristiane, questa concezione delirante dell’essere umano alle prese con il mondo è particolarmente radicata. Le famiglie e la scuola tendono a perpetuarla, i libri di storia la additano a modello, come del resto fanno i film e i videogiochi, le leggi, le opinioni e perfino le barzellette, per il cui tramite il mondo sociale si presenta all’individuo come portatore degli stessi riferimenti.

L’idea del dominio struttura l’autopercezione di molte società che si rifanno a un retaggio condiviso, fondando il loro rapporto con la realtà. La storia, dal punto di vista di quei gruppi umani, altro non sarebbe che il dispiegarsi della civiltà, una marcia trionfale del progresso: un’avanzata che, guarda caso, per ragioni fortuite o provvidenziali, trova la sua espressione suprema nel loro modo di vivere, o in alternative curiosamente simili ad esso. Il passaggio dall’esistenza nomadica all’agricoltura stanziale, l’avvento di una cultura urbana, l’invenzione della ruota, della scrittura, del denaro, della ferrovia, dei diritti umani, delle democrazie liberali e dei mercati planetari: un unico processo che sembra avanzare compatto, mosso da un dinamismo inarrestabile. Così almeno lo hanno descritto dopo il crollo dell’Unione Sovietica gli osservatori del cosiddetto «Occidente». Sennonché la storia ha imboccato subito curiose vie traverse.

L’escatologia liberaldemocratica incentrata sui mercati ha ceduto il passo al tecnofuturismo della Silicon Valley, che ha rimesso a nuovo le vecchie ambizioni mascherandole da transumanismo, colonialismo interplanetario e culto delle intelligenze artificiali. Per altri versi quella narrazione si è scontrata con la dura realtà, dall’incombente catastrofe climatica alla recrudescenza di ferite postimperialiste e vecchie umiliazioni, dal Medio Oriente BLOM5_001-352.indd 17 16/02/23 12:59 18 all’Ucraina. Anche senza contare i conflitti propriamente detti, il nostro disprezzo degli ecosistemi e il collasso della biodiversità, sua diretta conseguenza, stanno accelerando una catastrofe annunciata.

All’orizzonte, più che la Gerusalemme celeste, si profilano Sodoma e Gomorra. Sottomessa e addomesticata, la superficie del pianeta che abbiamo asservito al nostro volere è stremata dall’arbitrio e dalle manipolazioni inconsulte. Nel giro di pochi decenni, degli enormi giacimenti di composti organici immagazzinati nella terra, frutto di milioni di anni di storia, sono stati estratti e proiettati nell’atmosfera. La loro energia ha alimentato la fulminea ascesa di una specie oggi investita di un potere addirittura inconcepibile.

In termini di ecosistemi, però, quell’ascesa ha avuto un prezzo: un delicato intreccio di cicli biologici codipendenti è giunto al collasso, la composizione chimica e la temperatura dei mari e dell’atmosfera stanno cambiando, le correnti oceaniche e i venti di alta quota stanno prendendo nuove direzioni, le calotte polari si sciolgono, le foreste pluviali scompaiono, il livello delle acque si innalza, la biodiversità sta precipitando. La Gerusalemme celeste, ancora inabitata, appare già piuttosto fatiscente.

Il decorso di questi processi naturali è quello previsto dagli studiosi, ma è decisamente più rapido di quanto anticipato dai modelli. Teniamoci pronti: anche gli stadi successivi del riscaldamento globale seguiranno curve già note in partenza, ma la rimozione, il negazionismo e la strumentalizzazione politica rischiano di farsi talmente clamorosi che la verità nuda, osservabile, scientificamente comprovata, potrebbe faticare a imporsi. Sotto gli occhi di tutti, insomma, si consuma una catastrofe. Eppure Homo sapiens, inteso come organismo, non ha nulla di speciale: il suo influsso sui destini del pianeta che lo ospita sarà solo una breve parentesi.

Dopo il nostro passaggio su questa terra saranno i microrganismi a farla da padrone, com’è stato prima del nostro avvento: dal loro punto di vista noi mammiferi siamo tutt’al più dei supporti da parassitare. Sennonché Homo sapiens sente di essere il fulcro del creato, il metro di misura, il signore e padrone della natura: un pensiero che nel quadro complessivo dell’evoluzione non manca di ironia. Sembra davvero convinto che tutti gli esseri viventi debbano prosternarsi al cospetto della sua incomparabile maestà. Esaminato in una luce più sobria, Homo sapiens si rivela per quello che è: un incorreggibile primate che insiste nel sopravvalutarsi, uno snodo tutt’altro che essenziale in un sistema di sistemi che la tradizione occidentale chiama «natura». In termini biologici è un ultimo arrivato, che oggi troviamo alle prese con il ciclo vitale tipico di tutte le specie innovative: massima propagazione, degrado delle risorse, collasso sistemico. La stessa fine che ha fatto l’impero romano. Il soggiogamento della natura è uno dei passaggi cruciali di questo dramma in corso, ma forse in un senso diverso da quello che credevamo.

Da molto tempo, ormai, il dominio è parte dell’intreccio che definisce il nostro modo di pensare e di agire. Tanto che sembra un aspetto autoevidente della vita umana in genere. Eppure è un esito che ha poco di scontato: le vicissitudini di quell’impresa sono più avventurose di molti romanzi. L’idea di soggiogare la natura ha messo radici in un’area geografica e culturale estremamente circoscritta, e per secoli è rimasta confinata in quell’ambito ristretto, prima di assurgere a una vita nuova su scala incomparabilmente più grande. A propagarla nel mondo sono le imbarcazioni, i libri e i cannoni degli europei. Gli illuministi hanno elevato il dominio sul mondo naturale a vocazione suprema dell’uomo.

Gli ingegneri e gli scienziati hanno compiuto passi da gigante verso un futuro di gloria (o sarà parso loro). Capitalisti e comunisti, senza distinzioni, hanno letteralmente dichiarato guerra alla natura, confondendo l’ideale del dominio con la ragion di Stato. In questo libro cerco di ricostruire la strabiliante storia di un delirio di onnipotenza, dai suoi primordi all’epoca aurorale delle prime civiltà storiche, fino al suo inesorabile declino sulla scia della catastrofe climatica. 

Da “La natura sottomessa” di Philipp Blom, Marsilio, 352 pagine, 22 euro

L’orsa da abbattere e quel dilemma: rivincita o ragionevole prevenzione. Redazione su L'Identità il 17 Aprile 2023 

DI CATERINA COLLOVATI

Dimentichiamoci Teddy bear con cappottino, bavaglino, musetto e occhietti tenerissimi: l’orsetto della nostra infanzia.

Chissà che occhi avesse l’orsa Jj4 quando ha sbranato Andrea Papi, il giovane runner aggredito e ucciso mentre si allenava in quei luoghi dove ha sempre vissuto e praticato sport. Chissà cosa pensava Andrea, quando nel tentativo disperato di difendersi, brandiva un ramo trovato in terra mentre era a pochi minuti dalla sua orrenda fine. La morte di un essere umano è sempre una tragedia qualunque sia la dinamica che l’abbia provocata. Forte è la polemica all’indomani della disgrazia che, piaccia o no, vede un uomo vittima di un animale assassino. Un’assassina per l’esattezza, per di più recidiva. Jj4 il suo nome, già due anni fa era stata colpita da mandato di cattura, con ordine di abbattimento, per aver ferito due uomini, poi revocato da una sentenza del TAR, che peraltro nulla sa di bestie selvatiche, le competenze dovrebbero essere solo per fatti amministrativi eppure in quell’occasione stabili’ che il plantigrado in questione dovesse essere salvato e monitorato da un radio collare, una sorta di braccialetto elettronico per animali che, manco a dirlo, si è poi scaricato perdendo la sua funzione, proprio come accade ai braccialetti elettronici per umani scarseggianti o mal funzionanti. Nella scelta tra salvare una giovane vita umana o salvare una vita animale , pur amando incondizionatamente questi ultimi, scelgo, l’uomo. Non vi è dubbio. Andrea Papi aveva tutta la vita davanti, non stava correndo follemente ad alta velocità in macchina in preda ai fumi dell’alcool, semplicemente esercitava un diritto e una passione al tempo stesso: la corsa all’aria aperta, nei boschi , nei sentieri che l’avevano visto nascere e crescere. C’è chi in nome di non si sa bene quale principio ritiene il ragazzo colpevole; ma di cosa? Di vivere, di uscire , di passeggiare là’ dove maldestramente si è pensato attraverso il progetto LifeUrsus di far arrivare nel 1999 una coppia di orsi sloveni, i quali si sono riprodotti a dismisura ed ora i sentieri, i boschi , i prati di quei luoghi sono zeppi di animali che manco lontanamente hanno la dolcezza dell’orso Yoghi. Per capirci i plantigradi si sa, apprezzano la carne umana, tanto da dissotterrare i cadaveri dai cimiteri. Se affamati, come avvenne in Russia nel 2010, precisamente nella Repubblica di Komi. Se poi avvertono il pericolo non esitano a diventare predatori. Quando la bestia diventa letale, non ha senso salvargli la pelle. Non si tratta di vendetta come scioccamente si sente dire. La vita umana ha un valore superiore di quella animale. L’animale va amato, rispettato, accudito, ma nel momento in cui diventa un pericolo pubblico, la convivenza con l’uomo non è consigliabile. Abbattere l’orsa non è una rivincita è ragionevole prevenzione. Significa consentire all’uomo di continuare a vivere senza il terrore di un attacco dal quale non si esce vivi. Cari animalisti smettiamola di preferire gli animali agli umani, di trovare sempre giustificazioni per tutti gli esemplari del mondo animale che aggrediscono e provocano morte. Troppe volte si sente dire per esempio dei cinghiali che sono poverini affamati con i cuccioli al seguito, peccato però che i poverini attraversino la strada all’improvviso e provochino incidenti anche mortali a chi è inconsapevole al volante. I cani di razza aggressiva, poveretti non è colpa loro se il proprietario non li sa gestire e dunque finisce che sbranino anche chi gli porge la ciotola piena, come accaduto pochi giorni fa ad Imperia, un rottwailer ha ucciso la sorella del suo padrone, che lo aveva in custodia. Ed infine l’orsa, ha ridotto a brandelli un ragazzo incolpevole che correva verso la vita. E… non dite se l’è cercata, perché non era Andrea a disturbare l’orso bensì il contrario. È forse forse se la sono cercata quei sapientoni del progetto Life Ursus che 24 anni fa, decisero che quei luoghi ameni non dovessero esserlo più.

Ciao Andrea, quel maledetto giorno non hai incontrato il peluche di quando eri bambino, sul tuo percorso hai incontrato il tuo assassino.

(AGI il 14 aprile 2023) - Il TAR di Trento ha sospeso l'ordinanza di abbattimento dell'orsa 'Jj4'. Lo apprende l'AGI da fonti legali della Lega Anti Vivisezione (Lav Italia). Come riferisce la Lav, rappresentata dall'avvocato Linzola, il TAR ha accolto le motivazioni formulate dalla stessa Lega. Nei confronti dell'orsa 'Jj4' il governatore trentino Maurizio Fugatti aveva ordinato cattura ed abbattimento dopo l'aggressione mortale nei confronti del runner trentino Andrea Papi.

 Il Tar di Trento ha sospeso l'ordinanza fino al mese di maggio. Come apprende l'AGI, il motivo della sospensione e' legata a successive valutazioni. Lav Italia nei giorni scorsi aveva inviato sia al presidente della Provincia Autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, che al ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, la proposta di trasferimento di 'Jj4' in un rifugio sicuro. Il governatore trentino aveva firmato l'ordinanza di cattura ed abbattimento dell'esemplare di 17 anni che la settimana scorsa nei boschi sopra il paese di Caldes in Trentino aveva ferito mortalmente Andrea Papi, appassionato di corsa e di montagna.

Orsi, cacciatori e diverse attenzioni. Gian Antonio Stella su Il Corriere della Sera il 18 Aprile 2023

Tutti a parlare dell’animale che ha ucciso il runner, nessuno parla più del giovane cacciatore di 24 anni trovato morto sul sentiero di Colledizzo 

Che fine ha fatto l’assassino della Val di Sole? Incubo finito: l’hanno catturato proprio ieri, direte voi sotto il diluvio di telegiornali, giornali radio, agenzie, commenti radiofonici, post, interventi pensosi o demenziali sui social. Non è esatto. Quello che è stata catturata, ridotta in cattività e imprigionata vita natural durante (a meno che l’aspirante Giustiziere Maurizio Fugatti, il leghista presidente della provincia autonoma di Trento, non ce la faccia a farla abbattere) è l’orsa «Jj4», rea d’avere ucciso il runner Andrea Papi nel quale si era imbattuta mentre girava per i boschi con i suoi tre cuccioli.

Ma quella è un’assassina incolpevole. Una creatura innocente che San Francesco, pur condividendo come è ovvio l’idea di renderla inoffensiva, non potrebbe che benedire. L’assassino che a novembre ammazzò con un colpo alla nuca tra i boschi della stessa Val di Sole, a pochi chilometri di distanza, il giovane cacciatore Massimiliano Lucietti, invece, è ancora libero. E certo non è stato braccato in questi mesi con la stessa tenacia e lo stesso accanimento da cacciatore di taglie nei confronti dell’orsa. Unico plantigrado dai tempi lontani accusato in Italia d’aver ucciso un uomo.

E certo non occorre essere ambientalisti fanatici per notare l’enorme differenza tra la spropositata attenzione dedicata a mamma orsa e quella riservata all’ennesimo «incidente di caccia» (a meno che non si tratti di una vera e propria esecuzione...) di cui sarebbe rimasto vittima quel ragazzo di 24 anni trovato morto sul sentiero di Celledizzo. Sproporzione aggravata dal fatto che il cacciatore Maurizio Gionta, che aveva scoperto il corpo del poveretto si uccise il giorno dopo lasciando un biglietto: «Non attribuitemi colpe che non ho». Parole che avrebbero ulteriormente confuso la ricostruzione dei fatti.

Tema: vi pare normale che i giornali e le agenzie abbiano dedicato in cinque mesi un grappolo di articoli sempre più piccini al giallo dei due cacciatori morti e centinaia di servizi al tragico incontro tra Andrea Papi e l’orsa con tre piccoli? Ci son numeri, spiegano gli ambientalisti, che dicono tutto. In particolare quelli dell’Associazione vittime della caccia. L’ultimo rapporto, per la stagione 2022-23 dice che i morti (cacciatori e non cacciatori uccisi «per errore») sono stati 22, i feriti 57. E pone una domanda: vi sembrano pochi?

Quando Maurizio Fugatti organizzò un banchetto di carne d’orso: la festa della Lega con il piatto speciale. Redazione su Il Riformista il 18 Aprile 2023 

Quella volta si poteva leggere chiaramente sulla locandina dell’evento, la prima festa estiva in Primiero della Lega Nord Trentino: “Pranzo con menù tradizionale, specialità locali e piatto speciale a base di CARNE D’ORSO“. Era domenica 3 luglio 2011 e ad annunciare e a presenziare a quell’evento era Maurizio Fugatti, allora segretario della Lega Nord Trentino e onorevole, oggi Presidente della Provincia di Trento. JJ4 “noi avremmo voluta abbatterla sul posto” ha chiarito in conferenza stampa il governatore dopo che la notte scorsa è stata catturata l’orsa che ha ucciso il 26enne Andrea Papi. L’orsa è stata trasferita al Centro di recupero della fauna alpina di Casteller, a Trento. La provincia spinge per procedere con l’ordinanza di abbattimento che il Tar ha sospeso fino all’11 maggio.

Quell’iniziativa del 2011 era stata lanciata per “riconquistare il territorio” contro il progetto Life Ursus e suscitò un caso mediatico, perfino una mezza crisi del governo di destra. Alla fine nessuno mangiò la carne di orso: erano stati, scriveva Il Giornale, cotti 28 chili di carne e altri 22 dei 50 acquistati erano stati scongelati. Sul posto arrivarono i Nas dei carabinieri da Vicenza. “Ero ancora ministro degli Esteri – aveva raccontato sui social Franco Frattini – Fugatti, politico locale, organizzò una festa con carne d’orso: feci intervenire la Forestale. Fu allora che lui raccontò di aver comprato la carne in Slovenia: si aprì un caso diplomatico con la Slovenia, dove tutto questo era vietato“. La reazione dei leghisti fu piuttosto turbolenta. “Ci dicono che manca il certificato di importazione della carne. Ma sappiamo che è Roma che ci ha mandato i militari“, aveva lamentato l’ex senatore e parlamentare europeo Enzo Erminio Boso.

Lunedì chiamo Bossi e gli chiedo di lasciare questa maggioranza”, si era spinto a dire secondo quanto scriveva Il Giornale. “Questi ministri hanno alla fine esaltato quello che era il fine della nostra proposta: portare l’attenzione sull’orso, che è un vero problema. Forse è ora di finirla di liberare orsi e sarebbe meglio pensare se hanno creato più benefici o più danni e rivedere eventualmente il progetto “Life Ursus”, che è costato non poche lire al Trentino. Volevamo far arrivare il messaggio sui problemi che crea l’orso in queste valli, lo scopo è stato più che raggiunto”, aveva aggiunto il senatore Sergio Divina. “Comunque domani chiederemo il dissequestro e lo mangeremo in privato”.

Aveva spiegato Fugatti che quell’iniziativa era una maniera per protestare contro il programma Life Ursus, quello che aveva previsto la ri-popolazione sulle montagne del Trentino dell’orso bruno con esemplari importati dalla Slovenia. “Questa iniziativa vuole essere un segnale chiaro ai cittadini, che hanno tutto il diritto di riconquistare il loro territorio e di girare liberi senza mettere a rischio la propria incolumità. Il fallimento del progetto Life Ursus, che prevede l’insediamento degli orsi nelle montagne trentine, è ormai sotto gli occhi di tutti. Per difendere e tutelare le popolazioni nelle zone di montagna del Trentino dalle continue visite degli orsi, noi preferiamo consumarli in questo modo”.

E anche se l’orso bruno era specie protetta, e nonostante il polverone Fugatti aveva replicato. “Non siamo noi della Lega a uccidere l’orso del banchetto. Compriamo la carne in Slovenia dove è legale e tracciata. Posso capire che così su due piedi può sembrare una cosa che indigna, ma noi non vogliamo incentivare o sponsorizzare il consumo di carne d’orso. La nostra è una provocazione perché nessuno ci ascolta. La situazione è davvero pericolosa: ci sono orsi che vanno in giro nei paesi, mettono a repentaglio l’incolumità delle persone e del bestiame. È già successo che rincorressero della gente”.

Contro quell’iniziativa protestarono gli animalisti e gli ambientalisti ovviamente, ma anche i ministri Frattini e la ministra Michela Brambilla che chiesero l’intervento del segretario del Carroccio Umberto Bossi. Di quel banchetto grottesco e surreale resta il ricordo e le tracce nella locandina su internet e gli articoli con dichiarazioni e repliche. Maurizio Fugatti nel novembre del 2018 è diventato Presidente della Provincia Autonoma di Trento e dal luglio 2021 Presidente della Regione Autonoma del Trentino-Alto Adige.

"Noi bloccati da ambientalisti da salotto". Il presidente: "Abbattimento deciso nel 2020, fermati dai ricorsi". Francesco Maria Del Vigo il 14 aprile 2023 su Il Giornale.

Dal giorno della morte di Andrea Papi, il runner ucciso in Trentino dall'orsa Jj4 lo scorso 5 aprile, nel mirino di una parte dell'opinione pubblica è finito - ancor più dell'animale - il presidente della provincia di Trento Maurizio Fugatti.

Presidente, come mai in tanti accusano le istituzioni?

«Noi abbiamo una legge provinciale che prevede che il presidente possa intervenire con una ordinanza, per esempio nel caso di un orso pericoloso. Quando nel 2020 Jj4 attaccò due persone io feci un'ordinanza, ma gli ambientalisti fecero ricorso prima al Tar e poi al Consiglio di Stato».

E voi come avete reagito?

«Noi ricusammo il giudice del Consiglio di Stato, perché alcune sue dichiarazioni pubbliche ci sembrarono ideologiche e preconcette. Perdemmo la ricusazione e poi il Consiglio e il Tar bloccò la nostra ordinanza. A quel punto io non potevo più fare nulla»

E quindi?

«Secondo noi il rischio c'era, la legge prevede che prima di fare un'ordinanza si debba informare Ispra, il cui parere però non è vincolante. Noi abbiamo chiesto due volte, nel 2021 e nel 2022, un parere e Ispra sull'abbattimento, l'ultima volta lo scorso ottobre, e il parere è stato contrario. Siamo stati costretti a lasciarla libera».

C'è molta polemica anche sul collare, che pare fosse scarico.

«Non era scarico, ma guasto. Innanzitutto mettere un collare a un orso non è come metterlo a un cane o a un gatto. Il peso dell'orso varia anche di 50 chili durante il letargo e quindi rischia di rompersi o di venire perso. In più per metterglielo bisogna posizionare una trappola tubo e sedare l'animale, con tutti i rischi del caso. Inoltre la batteria del collare dura un paio d'anni, dopodichè bisogna rifare tutto. Non si può quindi fare su tutti gli orsi, ma solo su quelli più pericolosi. Jj4 era radiocontrollata ma, tra l'altro, era in una parte di montagna dove non prendeva il gps. Ma anche qualora funzioni il radiocollare non garantisce di evitare la tragedia: tu hai solo il segnale di dov'è l'animale».

E quindi qual è la soluzione?

«Gli orsi pericolosi o problematici vanno abbattuti. Al momento in Trentino ne abbiamo tre. Non servirebbe a nulla spostarli, se sono pericolosi qui lo sono anche altrove».

Colpa del progetto di ripopolamento Life ursus?

«Quegli orsi in teoria dovevano spostarsi dal Trentino. Invece sono rimasti tutti qui... Dovevano essere 50 e invece sono 100. Questa situazione per noi è insostenibile. La parte eccedente di orsi rispetto al progetto originario deve essere spostata in altre realtà. Altrimenti il progetto fallirà per eccessivi rischi per la popolazione».

E Jj4?

«Va abbattuta, la stiamo cercando. Sui vari canali social gli ambientalisti da salotto, quelli che conoscono la montagna solo perchè la hanno vista sui giornali, ci dicono: Non abbattetela, ho un posto dove portarla. Non si preoccupino, noi abbiamo una cinquantina di orsi da spostare. Noi intanto abbattiamo quelli pericolosi, gli altri glieli diamo».

Ormai è passato il concetto che l'orso è un animale domestico?

«Pensano che l'orso sia come Yoghi. Lo è da piccolo e fino a quando non ha certi atteggiamenti, cioè quando inizia a mettere a rischio la vita delle persone. Gli scienziati dicono che l'orso non aggredisce l'uomo, ma in Trentino è già successo sei o sette volte. Fino ad arrivare alla morte di Papi. La realtà è diversa da quello che raccontano ambientalisti e animalisti».

Jj4, Sallusti: "Ho più paura dei giudici che dell'orso". Alessandro Sallusti su Libero Quotidiano il 15 aprile 2023

Il Tar salva l’orso. Ma a noi chi ci salverà dal Tar? Già, perché ieri il Tribunale amministrativo regionale di Trento ha accolto il ricorso di due associazioni animaliste contro la prima ordinanza del presidente della Provincia che autorizzava l’abbattimento dell’orsa Jj4 che in Val di Sole ha sbranato un escursionista. Il Tar, come noto, è la sede competente a giudicare sui ricorsi di chiunque si ritenga leso in un proprio interesse da un atto pubblico.

Ora io non dubito che uno si possa sentire leso personalmente nella sua sensibilità e nei suoi principi dal destino di un orso, fino a qui ci sta. Ma quale è il danno che un cittadino subirebbe se Jj4 venisse abbattuta? Ma soprattutto chi, se non l’autorità preposta che vive su quel territorio e del quale territorio è responsabile, può sapere meglio di altri che cosa è giusto o sbagliato per la sicurezza dei cittadini?

Provo a spiegarmi ancora meglio: che cosa ne sa un giudice amministrativo di orsi, di boschi, sentieri e montagne, di quale sia il reale pericolo in base non ad astruse leggi bensì a usi e abitudini del posto? Può essere cioè che un orso sia altamente pericoloso se vaga in un certo luogo, assolutamente innocuo se lo fa in un altro e quindi il da farsi non può essere deciso in base a leggi astratte ma solo dall’esperienza sul campo.

Pensare viceversa che la giustizia, i suoi codici e i suoi riti, le sue competenze ma anche incompetenze, possano risolvere qualsiasi problema è una follia tutta italiana che crea più danni che benefici oltre che svuotare di efficacia altri poteri anch’essi dotati dalla Costituzione, ma evidentemente soltanto in teoria, di poteri autonomi.

Non c’è peggiore tirannia di quella esercitata all’ombra della legge e con i colori della giustizia, scriveva Montesquieu, filosofo della politica e del diritto già trecento anni fa. Ecco, in questa storia l’unica giustizia possibile sarebbe fare decidere la sorte dell’orso a chi in quelle montagne ci vive e lavora, non perché ci debba essere un tribunale del popolo ma perché solo quel popolo sa quale è la cosa giusta e qualsiasi sia la sua sentenza non potrà che essere di buon senso. A me che il Paese, in questo campo ma non soltanto, sia in mano al Tar fa paura, più paura di qualsiasi orso.

«Gli orsi? A ridurre i loro spazi vitali siamo stati noi uomini. E ora cerchiamo vendetta». Dacia Maraini su Il Corriere della Sera il 16 Aprile 2023 

La scrittrice Dacia Maraini dopo la morte di Andrea Papi, ucciso da un orso in Trentino: «Un animale aggressivo si può isolare. È stato un atto predatorio, ma forse la reazione a un incontro sfortunato»

Premetto che sono addolorata per quello che è successo al corridore aggredito dall’orso nel Trentino. Mi dispiace molto che un giovane che amava i boschi e la corsa sia morto. Purtroppo dobbiamo dire che non sappiamo cosa è avvenuto fra i due: un incontro improvviso che ha messo paura all’animale? Una corsa che è stata intesa come una intenzione maligna? Comunque l’orso non ha mangiato pezzi di uomo come farebbe un animale affamato. L’ha unghiato a morte. E questo ci dice che non è stato un atto predatorio, ma probabilmente la reazione a un incontro sfortunato e inatteso.

Eppure, se anche fosse stato un atto di follia omicida, ricordiamo come fra gli umani ci sono alcuni esseri aggressivi e violenti, ma non per questo condanniamo tutti gli uomini della terra. Un orso aggressivo si può isolare, chiudere in un recinto, ma ucciderlo fa pensare tanto a una vendetta e le vendette sono sempre velenose, sia per chi le compie che per chi le subisce. Rimane il fatto che noi umani abbiamo sconvolto l’equilibrio ecologico, abbiamo portato via tutte le risorse degli animali selvatici e questo ha procurato una invasione di molti in zone prima evitate. L’orso fra l’altro è un potente simbolo affettivo della nostra immaginazione. Non a caso i bambini lo tengono abbracciato, che sia di pezza o di peluche, e rappresenta una compagnia tenera. Non a caso è il re dei fumetti e ci rallegra con le sue storie buffe e goffe.

L’Orso è nato due milioni di anni prima dell’uomo, e la sua curiosità, la sua intelligenza, l’hanno sempre reso un animale disponibile alla convivenza. Ma a noi non va bene, perché non è produttivo: non si mangia e non fa la guardia. E allora che ci sta a fare? Per fortuna, la maggiore consapevolezza scientifica e il turismo, anche se in maniera convenzionale, l’hanno salvato. Altrimenti non sarebbe sopravvissuto. Ma chi ha ridotto in maniera drastica i suoi spazi vitali, chi ha tagliato, bruciato crudelmente le foreste? Chi ha sparso tanto di quel cemento e di quell’asfalto da ridurre il territorio a una estensione sempre più ampia delle periferie cittadine ? Non certo l’orso ma i sapiens, che a volte veramente hanno poco del sapiente, ma molto del predatore e del brutale strumentalizzatore. L’arroganza umana non ha limiti. Gli animali? Se servono, bene, se non sono utili, che spariscano! Senza capire che il mondo vive di un equilibrio a cui partecipano anche gli animali. Le api, per esempio, di cui si paventa l’estinzione per via dei pesticidi, sono fondamentali per l’impollinazione delle piante. E così tanti animali selvatici che sono essenziali per l’equilibrio dell’ecosistema.

Se, come dicono gli esperti, sono 150 anni che non si hanno notizie di un orso che assale e uccide un uomo, vorrà dire qualcosa. Fra l’altro, dove io mi ritiro per scrivere, nella piccola cittadina montana di Pescasseroli al centro del Parco nazionale dell’Abruzzo, vivono parecchi orsi, ma sebbene in momenti di siccità o di neve scendano qualche volta nei dintorni dei paesi per trovare qualcosa da mangiare, non hanno mai fatto danni, salvo rubare qualche frutto. I turisti aspettano ore solo per poterli guardare. E i boschi fitti di queste zone montane protette hanno permesso a questi animali di figliare. Si vedono spesso le madri con i cuccioli che corrono sui prati. Ed è una gioia per gli occhi e per la mente che viaggia nel tempo e a cui sembra di acchiappare un brandello di passato lontanissimo e mitologicamente sopravvissuto.

Se non impariamo a rispettare gli animali e l’ambiente, smettendo di rincorrere il mito di una tecnologia che risolve tutti i problemi, finiremo tristi e malati, forniti di centomila strumenti di intelligenza artificiale che continuamente si trasformano in vuoti a perdere, soli e disperati dentro un mare di immondizia.

Come la Slovenia convive con milleduecento orsi. Storia di Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera il 14 aprile 2023.

Caro Aldo, nella risposta al lettore Rigotti, sulla questione orso, lei fa l’esempio della Slovenia. Non dice però che in Slovenia gli orsi, circa 900, vengono gestiti in modo pragmatico anche, e soprattutto attraverso la caccia e questo anche nei parchi. Cacciare un orso in Slovenia (come in Croazia e altre nazioni europee) costa alcune migliaia di euro che vengono poi impiegati anche per la gestione e conservazione della specie. Gli orsi problematici vengono abbattuti e non ci sono problemi di convivenza. Antonio Benciolini, Verona

Caro Antonio, A me risulta che gli orsi in Slovenia siano ancora di più, circa 1.200. Ogni anno il loro numero cresce di 65 unità. Qualcuno viene mandato in Francia e Spagna, a ripopolare i Pirenei. Purtroppo 40 vengono abbattuti dai cacciatori. Dalla Germania e dalla Russia si prenotano con mesi di anticipo, disposti a pagare almeno diecimila euro a preda. Non è una bella cosa. Personalmente la trovo orribile. Non so dirle se gli sloveni lo fanno per il denaro, per tenere sotto controllo la popolazione di orsi, o per entrambe le cose. A chiederlo ti ricordano che lo stesso Tito — padre croato e madre slovena — era un celebre cacciatore. I turisti italiani invece arrivano non per uccidere gli orsi, ma per vederli. Bear watching. È una delle esperienze più belle che si possano fare in Europa. La nostra guida si chiamava Jieronim, Geronimo, e non conosceva una parola di nessuna lingua occidentale. Aveva almeno settant’anni, aveva passato la vita in mezzo agli orsi. Portava il fucile a tracolla perché, spiegava l’interprete, con l’orso non si sa mai; ma assicurava di non usarlo da anni. Geronimo ci depositò con la jeep accanto alla casetta per l’avvistamento. Si sale una scala, ci si siede su una panca, si spalanca la finestrella (ognuno ha la sua, massimo quattro persone), e si aspetta. L’orso prima o poi arriverà. Ovviamente, nessuno sa quando. Questa è la vera impresa: rimanere almeno due ore in assoluto silenzio. «Tiho!» si era raccomandato Geronimo; zitti! L’orso infatti ci vede poco, ma ha un udito finissimo: basta un bisbiglio per indurlo a fuggire, anzi a non venire proprio. Il cellulare non prende. Portarsi un libro è inutile: ogni cinque secondi, l’istinto ti spinge ad alzare gli occhi, per vedere se l’orso è arrivato. Passarono, nell’ordine: due volpi, un cervo, un gregge di pecore, scortato da quattro cani pastori, numero minimo per scoraggiare un orso in crisi di fame. Poi, dopo il tramonto, alla luce del crepuscolo (di giorno d’estate per lui fa troppo caldo, mentre di notte è attivissimo), ecco finalmente l’orso. Enorme. Il capobranco infatti va sempre avanti per primo. Scosta l’asse che protegge un piccolo pozzo, e comincia a mangiare la carne che Geronimo ha nascosto lì dentro. L’orso non viene nutrito direttamente: si abituerebbe a essere sfamato, e si impigrirebbe. Deve fare un minimo sforzo; in questo caso, svellere il legno che nasconde la vista del pasto. Poi l’orso si alza sulle zampe e scuote un trabiccolo dov’è nascosta la frutta secca. Poi sparisce. Dopo mezz’ora arriva l’orsa. Più piccola. Una cicatrice dietro un’orecchia. Ma l’orsa non si fida. Ha sentito un rumore innaturale: il clic della macchina fotografica. Quindi non mangia. Va e viene. Si aggira nervosa. Poi riscompare nella foresta. Per ultimo viene il figlio. Non un cucciolo; un orso che si direbbe adolescente. Prima che faccia del tutto buio, Geronimo riporta tutti a casa in jeep. Ricordo che ci mostrò le trappole crudeli con cui i suoi antenati tenevano a bada i predatori; ma ormai, almeno in Slovenia, l’uomo e l’orso convivono. È proprio impossibile aprire anche in Trentino — dove gli orsi sono molti di meno — un parco naturale, vigilato e protetto, senza cacciatori, dove non accadano tragedie, creando lavoro — guardiaparchi, guide, etologi — e arricchendo la cultura della coesistenza tra l’uomo e l’animale?

Anziché abbattere gli orsi imparare a vivere con loro. Storia di Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera

il 10 aprile 2023.

Caro Aldo, ormai hanno già sentenziato. L’orso va abbattuto senza sapere né i se né i ma dell’accaduto. Forse l’orso ha attaccato tanto per scatenare una guerra con un uomo o forse l’uomo ha voluto sfidare l’orso. Nel dubbio, siccome abbiamo già un morto, facciamone un altro. Da studi e statistiche l’animale se non si sente in pericolo non attacca l’uomo. La vipera attacca solo se ti avvicini troppo, il cinghiale attacca solo per difendere la cucciolata o se è messo in pericolo da un atto volontario dell’uomo. Non parliamo poi di altri carnivori che se ne guardano bene da sfidare l’uomo. Tra l’orso e l’uomo l’essere più intelligente dovrebbe essere il secondo ma anche qui prove alla mano la curiosità dell’uomo lo porta sempre a sfidare se stesso e la natura. Marco Rigotti

Caro Marco, Quando affrontiamo questa vicenda dobbiamo partire dal fatto che c’è un giovane uomo di ventisei anni morto, e c’è una madre addolorata e legittimamente arrabbiata. Qualcosa, nel ripopolamento dei boschi del Trentino, non ha funzionato. Un’operazione delicata e complessa è stata all’evidenza gestita in modo superficiale. Tuttavia, non è colpa dell’orso se fa l’orso. L’idea che gli animali siano buoni o cattivi fa parte di quell’umanizzazione della natura che non è il modo migliore per rispettarla. Nessun animale è buono o cattivo. Ci sono animali domestici legati al padrone. Ci sono animali selvatici che seguono il proprio istinto. Milioni di anni di predazione hanno insegnato agli animali a temere l’uomo. Quasi sempre di fronte all’uomo l’animale fugge, non attacca. Così fa l’orso. Quando è spaventato, o si sente in pericolo, o sente in pericolo i cuccioli, soltanto allora attacca. Per difendersi, non per predare: l’orso non mangia l’uomo. Onestamente non credo che abbattere l’orso sia una soluzione. Occorre semmai evitare incontri fortuiti e pericolosi. Meglio quindi circoscrivere l’area in cui vive l’orso, e farne una riserva naturale dove non si entra così, a caso, per andare a correre, ma in condizioni di sicurezza. In Slovenia, da dove vengono gli orsi trentini, fanno così da anni. Nascondersi nelle apposite capanne e vedere arrivare gli orsi al tramonto per mangiare e bere — prima il maschio a tastare il terreno, poi la femmina, infine i cuccioli — è uno spettacolo commovente. Che oltretutto porta turismo e crea lavoro. Impariamo a convivere con gli orsi e in genere con gli animali selvatici, a rispettarli, e loro rispetteranno noi. Senza che nessuno, uomo o animale, debba morire.

L’orso e noi, da Esopo a Rigoni Stern. Storie di uomini e plantigradi tra incontri, amicizia, incidenti. Gian Antonio Stella su Il Corriere della Sera il 13 aprile 2023

La tradizione degli «orsanti». L’appello di Buzzati per proteggerli. Pirandello si immaginò un esemplare mandato da Dio per testare il coraggio dei missionari

«Una siffatta disgrazia dà a divedere quanto siano le bestie di simil fatta nocive alla società illuminata, giacché non è questo il solo caso di morte che contasi, e che gli orsi diedero ora in uno Stato ed ora nell’altro, per cui ottima provvidenza sarebbe quella che si potessero vedere da questo Stato banditi gli orsi tutti...». Erano le otto di sera del 2 novembre 1844 e Giuseppe Serpagli, Podestà di Bedonia, un paese sull’Appennino ligure-emiliano, scriveva al Pretore della vicina Compiano una lettera d’allarme. Dove spiegava come Bernardo Dallara, detto Bagolone, fosse rimasto «vittima di tre orsi di cui era padrone». Via via, come scrivono Giuliano Mortali e Corrado Truffelli nel libro Per procacciarsi il vitto, si aggiunsero altri dettagli: l’uomo, il padre Pompeo, i fratelli e i figlioletti Bartolomeo e Antonio facevano tutti gli «orsanti» e giravano per fiere e mercati d’Europa fino in Russia, come tante altre famiglie della zona poverissima e soggetta a terribili carestie, tirandosi dietro orsi ammaestrati da mostrare a grandi e piccini. Povere bestie domate e mansuete che talora però, come in questo caso, si ribellavano con innocente ferocia alla prigionia nella loro stessa stalla.

La cronaca e le favole

Furono subito abbattuti, quei tre animali. Né c’erano allora Tar che osassero bloccare questi abbattimenti per questioni amministrative. Eppure simili uccisioni, dicono quasi tutti gli studi, non furono affatto frequenti. Anzi. E la storia e la letteratura raccontano un rapporto tra l’uomo e l’orso antico e non sempre marcato dall’odio reciproco. A partire ad esempio dalla favola dell’Orsa e i viandanti: «Due amici percorrevano la stessa via. Ed essendo apparsa loro un’orsa, uno dei due, salì su un albero e lì si nascose. E l’altro essendo sul punto di essere catturato, lasciatosi cadere sul suolo faceva il morto. E poiché l’orsa accostava a lui il muso e annusava, egli tratteneva il respiro: dicono infatti che l’animale non tocchi cadavere. Ed essendosi essa allontanata, l’altro, sceso dall’albero, gli chiese che cosa l’orsa gli avesse detto all’orecchio. E quello: non viaggiare d’ora in poi con amici che nei pericoli non restano vicini». Scritta da Esopo per ammonire che le sventure selezionano gli amici veri, ripresa da La Fontaine e ancora da Tolstoj ne I quattro libri di lettura ideati per i «suoi» scolari dell’area di Jasnaja Poljana, la favola morale è sempre diversa ma sempre uguale: l’orsa, non attaccata, non attacca.

Sia chiaro, Tolstoj sa bene quanto possa essere pericolosa. Basti leggere A caccia di orsi dove racconta d’una belva ferita: «Davanti a me, tutt’a un tratto, sentii che a perdifiato, come un turbine, si avvicinava qualcosa: soffiava rumorosamente, e spandeva la neve tutt’intorno a sé. Puntai gli occhi in avanti: ed eccolo l’orso, dritto su due zampe e girato verso di me, lì sullo stradello, tra il fitto degli abeti, che galoppava all’impazzata, ed era chiaro che per via dello spavento non capiva più nulla».

Bisogna stare in guardia dagli orsi. Rispettare loro e il loro territorio. Avvertire dei rischi e delle precauzioni gli abitanti del posto e più ancora i turisti. Ma ha senso usarli come statue-simbolo nelle rotatorie montane o sui depliant per poi invocare di colpo «basta orsi»? Si chiedeva già oltre 70 anni fa Dino Buzzati: «Ma che importa — dirà qualcuno — se l’orso scomparisse dalle Alpi? È un po’ come chiedere perché sarebbe un guaio se il Cenacolo di Leonardo andasse in polvere. Sarebbe un incanto spezzato senza rimedio, una nuova sconfitta della già mortificatissima natura; perché quanto più si estende sulla terra vergine il dominio dell’uomo, tanto più diminuiscono le sue possibilità di salvezza, e a un certo punto egli si troverà prigioniero di se stesso, gli verrà meno il respiro e per un angolo di autentico bosco sarà disposto a dar via tutte le sue diaboliche città».

La tutela degli animali

Confermava tre decenni dopo Alfredo Todisco nel suo bellissimo Animali addio come l’orso bruno fosse «sparito da un pezzo dalle Alpi francesi, svizzere, austriache; solo qualche esemplare persiste abbarbicato ai Pirenei e nel Trentino occidentale, non più d’una decina». E meno male che c’era il Parco Nazionale d’Abruzzo nato nel 1923, a ridosso del disegno di legge sul paesaggio di Benedetto Croce, che anche per gli orsi ricordava la natia Pescasseroli come «paese delle fiabe». Perché «non esagerano i pastori quando dicono che l’orso è più forte del leone. Ha però indole bonaria. Non aggredisce l’uomo che per difendersi». E «non è come il lupo che per mangiare qualche chilo di carne sgozza dieci, venti, se può trenta o cinquanta pecore, abbandonandosi all’ebbrezza di uccidere». Ne prende «una ogni tanto». E «la vista di un orso che fugge in piedi, con la pecora in braccio, ha qualcosa di umano e mitico insieme».

Convivenza e pericoli

Sono tanti, gli autori che hanno scritto dell’orso e di ciò che l’orso rappresenta nell’immaginario degli uomini. Da Plinio il Vecchio che come ricorda Daniele Zovi nel libro Italia selvatica, era convinto che «l’accoppiamento non avviene nel modo consueto di tutti i quadrupedi, ma i due animali stanno sdraiati e abbracciati» a William Faulkner, da Luigi Pirandello che nella novella La prova immagina un orso in una chiesa «perché Dio gli ha dato incarico di mettere alla prova il coraggio dei due novelli missionari prima della loro partenza per la Cina» a William Shakespeare che ne Il racconto d’inverno fa ammazzare da un plantigrado uno dei protagonisti.

Per non dire di una deliziosa Ricreazioncella di orsi pubblicata sulla rivista letteraria bolognese «Teatri, Arti e Letteratura» da Victor Hugo dove lo scrittore francese racconta della immensa sorpresa provata durante un viaggio da Claye a Parigi alla vista di un vecchio orso che sbadigliava come «alcuni vecchi frequentatori di teatro quando si rappresentano tragedie» seguito da altri sei o sette orsi «liberati dalla musoliera» e in libera uscita dopo «qualche rappresentazione a Meaux». «Erano attori in congedo».

Sarebbe un peccato, però, chiudere questa carrellata senza ricordare un tenero racconto scritto per Einaudi ragazzi da Mario Rigoni Stern con le illustrazioni coloratissime di Angelo Ruta. Siamo in Siberia. Alla periferia di una città che confina con la foresta. Un bel giorno, tra i bambini, spuntò improvvisamente «un essere buffo e, all’apparenza, goffo. Dapprima stette dubbioso a guardare seguendo con gli occhi attenti i giochi e poi, lentamente, ogni tanto girando la testa, si avvicinò alla brigata chiassosa». Era un cucciolo d’orso. Che dopo qualche titubanza si buttò a giocare anche lui a palle di neve. Fino a sera. Quando i bimbi se ne andarono e lui «si incamminò lentamente verso la madre che l’aspettava al margine del bosco». Quelle mamme-orso così dolci coi loro cuccioli, così feroci nel difenderli...

Fasano, lo Zoosafari pronto ad accogliere l'orsa che ha ucciso il runner. Il sindaco della città rilancia e scrive al presidente della Provincia di Trento: «Non abbattetela, qui starà bene». REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 13 aprile 2023

Lo Zoosafari di Fasano si schiera contro l’abbattimento dell'orsa Jj4, e si dice pronto ad accoglierla.

Arriva dal Salento l'ultima voce a difesa dell'orsa che nei giorni scorsi ha aggredito e ucciso a Caldes (Trento) il 26enne Andrea Papi, mentre era nei boschi per fare running.

Gli amministratori della struttura si sono dichiarati pronti ad accogliere l’animale in Puglia. Esprimendo cordoglio alla famiglia della vittima, i responsabili dello Zoosafari fanno sapere che «non condividendo l'opzione dell’abbattimento» sono disponibili «qualora necessario, ad accogliere l’orsa, eventualmente realizzando un’apposita struttura ex novo, sentite le autorità competenti».

Una proposta condivisa e rilanciata dal sindaco di Fasano, Maurizio Fugatti, che ha già inviato una lettera al presidente della Provincia di Trento, Francesco Zaccaria. «Condivido con orgoglio la proposta dello ZooSafari - dice - e sono disponibile a ogni forma di collaborazione tra gli enti interessati». «Siamo affranti per la tragica tragica e prematura scomparsa del giovane Andrea Papi che ha provocato unanime e sincero sgomento», scrive il sindaco, che invita le istituzioni della Provincia di Trento a valutare la proposta.

Il problema, spiega il primo cittadino potrebbe essere «soprattutto burocratico perché spostare un’orsa dal Trentino alla Puglia prevede una serie di adempimenti complessi». «L'accoglienza - aggiunge Zaccaria - sarebbe assistita da ogni tutela e salvaguardia che il caso richiede, tanto per l'esemplare, quanto per gli altri animali ospitati e per la destinazione che la struttura possiede».

Il sindaco sottolinea che lo zoo è struttura, «seconda in Europa per dimensioni, che si è contraddistinta fin dalla fondazione per la piena attuazione di un modello di gestione dei suoi ospiti che ne garantisce in primo luogo il rispetto della dignità in un ambiente che riproduce fedelmente le caratteristiche delle diverse specie ospitate». 

Intanto l'ordinanza di abbattimento è già stata firmata dal presidente della Provincia di Trento. L'orsa, ricercata, potrebbe essere uccisa in qualunque momento.

La caccia ha ucciso 24 persone in un anno, ma nessuna istituzione chiede interventi speciali. Salvatore Toscano su L'Indipendente il 13 aprile 2023.

Andrea Papi è morto in Trentino in seguito all’aggressione di un orso. Si tratta della prima vittima da quando gli animali sono stati reintrodotti nell’arco alpino negli anni ‘90. Prontamente le istituzioni locali si sono attivate per far fronte all’”emergenza orsi”, disponendo l’abbattimento di Jj4, l’esemplare che ha ucciso Papi, e di altri due orsi ritenuti pericolosi. Una mobilitazione così rapida e precisa da apparire quasi fuori luogo all’interno del contesto italiano, dove spesso le richieste della cittadinanza finiscono nell’oblio. È il caso di un aspetto legato alla sicurezza nei boschi, proprio come le misure disposte contro gli orsi. Nonostante la pressione mediatica pluriennale da parte di decine di associazioni, non è pervenuto infatti nessun interessamento da parte delle autorità nei confronti dell’emergenza che in un anno ha ucciso 24 persone: la caccia. L’associazione vittime della caccia ha riportato che, durante la stagione venatoria 2021/22, sono morte 24 persone a causa di colpi sparati dalle armi dei cacciatori. Estendendo il periodo considerato fino al 2011, i dati sfondano la soglia delle 200 vittime (233) e 748 feriti.

Il dibattito sulle misure da adottare per far fronte al “pericolo orsi” è giunto a Palazzo Chigi in seguito alla decisione del presidente leghista della provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, di disporre l’abbattimento di JJ4 e altri due orsi ritenuti pericolosi. A Roma, il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin ha «raccomandato prudenza» e «massima collaborazione con i nostri scienziati dell’ISPRA» prima di decidere sugli abbattimenti degli animali. In misura uguale e contraria, la pressione mediatica di diverse associazioni non è riuscita a sfondare il muro di indifferenza delle istituzioni, e a livello locale e a livello statale, nei confronti della caccia. L’associazione vittime della caccia ha stilato il bollettino sui morti della stagione 2021/2022: 90 feriti, di cui 24 mortalmente, equamente divisi tra cacciatori e non cacciatori. Tuttavia, nel dibattito pubblico non si scorgono spiragli per introdurre misure di limitazione o messa in sicurezza dell’attività tanto difesa da quella stessa classe politica che ha acclamato la scelta di Fugatti. La Lega, di cui è esponente il presidente della provincia autonoma di Trento, ha fatto parlare spesso di sé per le posizioni pro-caccia. Nel 2019, fecero scalpore gli emendamenti “sparatutto” presentati al decreto Semplificazione consistenti nell’estensione dell’attività venatoria anche a specie non cacciabili. [di Salvatore Toscano]

Runner morto in Trentino, l'orsa che ha aggredito Andrea è Jj4: nel 2020 aveva già ferito due persone. Andrea Pistore su Il Corriere della Sera il 12 Aprile 2023

A colpire non è stato Mj5: per l'orsa c'era già stato un ordine di cattura, poi non eseguito al termine di una lunga battaglia amministrativa

Non l’incontro con un orso maschio ma quello con una femmina di 17 anni è stato fatale ad Andrea Papi, il runner aggredito e ucciso in Val di Sole. Le analisi genetiche sul Dna svolte dalla Procura di Trento, ed eseguite dalla Fondazione Mach, hanno individuato in Jj4 (conosciuto anche come Gaia) l’animale responsabile dell’attacco del 5 aprile nei boschi sopra Caldes. 

I precedenti

Si tratta di un esemplare già noto e protagonista nel 2020 di un'aggressione a padre e figlio cacciatori sul Monte Peller. Dopo quell'episodio Jj4 è stata al centro di una battaglia legale: l’ordinanza di cattura e abbattimento voluta dal presidente della Provincia Maurizio Fugatti era stata annullata dal Tar Trentino dopo il ricorso presentato dalle associazioni Lac, Lav, Lipu, Lndc e Wwf che avevano commentato la decisione come «un grandissimo risultato che ora obbliga il Presidente della Provincia, a disattivare le gabbie di cattura e richiudere i fucili del Corpo Forestale nei loro armadi. Il decreto del Tar chiarisce che la decisione di uccidere l’orsa non sarebbe proporzionata ai fatti accaduti, ancor di più perché lo stesso Pacobace prevede anche altre azioni “energiche” che però non contemplano l’uccisione dell’orsa». L’animale sarebbe tutt'ora munito di radiocollare che però è scarico e quindi non funzionante.

La mamma 

L’orsa è una delle più anziane presenti in Trentino ed è figlia di Jurka, plantigrado fermato nel 2006 dopo aver provocato danni nella zona della Valle di Tovel e importato sei anni prima dalla Slovenia. Jj4 inoltre è uno degli esemplari già indicati dal presidente della Provincia Maurizio Fugatti come problematici. I risultati delle analisi per altro scagionano Mj5, ritenuto in un primo momento l’autore dell’attacco.

La famiglia dell'uomo ucciso dall'orso sul piede di guerra: vuole giustizia. Sotto accusa il progetto LIfe Ursus", la famiglia dell'uomo ucciso dall'orso sul piede di guerra: vuole giustizia. Giampiero Casoni su Notizie.it l’8 Aprile 2023

La famiglia dell’uomo ucciso dall’orso sul piede di guerra: vuole giustizia e da quanto si apprende in queste ore i cari del runner 26enne Andra Papi sono pronti a procedere per le vie legali contro terzi. Il ato, riportato da numerosi media dopo la terribile uccisione e le polemiche social con gli animalisti, è quello per cui la famiglia di Andrea Papi vuole vederci chiaro, in quella morte.

La famiglia dell’uomo ucciso dall’orso: “Giustizia”

Il runner di 26 anni era deceduto a causa dell’aggressione da parte di un orso nei boschi sopra Caldes in Trentino e l’autopsia avrebbe accertato che la morte sia in diretta correlazione con le ferite inferte dal plantigrado. Ecco perché, da quanto si apprende, la famiglia di Andrea ha annunciato l’intenzione di andare a fondo nella vicenda: “Vogliamo sia fatta giustizia”.

Sotto accusa il progetto “Life Ursus”

Lo hanno detto dicono i genitori del giovane. I genitori si sono affidati in tutela legale agli avvocati Marcello Paiar e Maura Cravotto. Lo scopo in punto di Diritto è di contestare le modalità con cui è stato messo in campo il progetto Life Ursus. A parere dei cari di Andrea e dei loro legali quel protocollo sarebbe stato messo in atto “senza un referendum consultivo tra la popolazione della zona”. Gli avvocati hanno detto che la volontà dei genitori del runner è quella di “capire esattamente come loro figlio è stato aggredito. Alla fine delle indagini valuteremo se ci sono gli estremi per un risarcimento”.

Estratto dell'articolo da leggo.it il 6 aprile 2023.

Esce per andare a correre, ma non torna più a casa. Ore dopo viene trovato morto in un bosco della val di Sole in Trentino, forse ucciso da un animale selvatico, probabilmente un orso. È successo ieri, mercoledì 5 aprile. Andrea Papi, questo il nome del runner ucciso, aveva 26 anni. […]

 Andrea Papi era uno studente di scienze motorie a Ferrara. Ieri pomeriggio era uscito per una corsa in montagna. La fidanzata lo aspettava a casa, insieme dovevano andare a cena con un gruppo di amici. Dopo due ore è scattato l'allarme. Il corpo è stato ritrovato alle 3 del mattino, sul territorio del Comune di Cavizzana.

Il giovane aveva sul corpo i segni evidenti dei colpi di un animale selvatico, forse un orso. L'uomo è salito lungo la strada forestale che si snoda sul monte Peller, che sovrasta l'abitato. Cosa sia poi avvenuto dovrà essere stabilito dal medico legale e dalla scientifica, che stanno terminando i lavori sul luogo di ritrovamento della salma che presenta diverse ferite riconducibili all'aggressione di un grosso animale selvatico.

[…]  «In questo momento sono in corso accertamenti a Caldes, dove il cadavere di un uomo - sembrerebbe un giovane ragazzo scomparso ieri pomeriggio dopo essere uscito per una corsa - è stato rinvenuto presso la località conosciuta come 'sesta curva', dove pare sia stato aggredito da un animale selvatico (probabilmente un grande carnivoro). Secondo i primi rilievi, sembrerebbe che il giovane sia stato aggredito sulla strada, trascinato nel bosco e, una volta lì, sventrato». Così Claudio Cia, capogruppo di Fdi in Consiglio nella Provincia autonoma di Trento.

 [...]

 Un mese fa un orso aveva aggredito un escursionista nei pressi di malga Mandriole, in val di Rabbi, che si trova a pochi chilometri di distanza da Cades, dove la scorsa notte è stato trovato morto il runner 26enne. La val di Rabbi è una laterale della val di Sole.

Scientifica e medico legale devono ancora stabilire il tipo di animale che ha ucciso il giovane. Il 5 marzo, Alessandro Cicolini di 39 anni, era in montagna con il cane, quando l' orso quando è stato attaccato improvvisamente da un orso che l'ha ferito al braccio e alla testa. […]

Estratto da repubblica.it il 7 aprile 2023.

Avrà luogo con ogni probabilità oggi l'autopsia sul corpo di Andrea Papi, il runner di 26 anni trovato morto nei boschi del monte Peller, sopra l'abitato di Caldes. La Procura di Trento, che ha aperto un fascicolo modello 45, senza notizia di reato, ha nominato nel pomeriggio di ieri un collegio di tre periti con a capo l’anatomopatologo Mattia Barbareschi.

 (...)

 I medici hanno riscontrato ferite su un braccio, sul viso e una, profonda, al ventre di Papi. Il 26enne ha cercato di difendersi impugnando un grosso bastone, trovato poi nel bosco dalle forze dell'ordine. Ma questa scelta è stata fatale per lui. Gli esperti consigliano infatti di non reagire davanti a un orso nel caso di un incontro nel bosco, ossia di rimanere immobili e di cercare di rendere il meno visibile possibile la propria figura per non spaventare ancora di più il plantigrado. Ma il terrore deve aver offuscato la mente della vittima.

L’animale, dopo aver ferito a morte il runner, si è allontanato dalla radura, senza infierire ulteriormente sul corpo (gli zoologi sottolineano che gli orsi non mangiano gli uomini). Dovrebbe essere uno dei venti esemplari che vivono in Val di Sole ma non è escluso che possa essere uno dei 120 complessivi che si contano oggi in Trentino dopo che una ventina di anni fa è iniziato il ripopolamento con due capi catturati in Slovenia.

 Molti valligiani ormai vivono come un incubo la presenza degli orsi. Il 75% della popolazione trentina nel 2022 si è dichiarata contraria a questi animali nella regione (ha rivelato lo zoologo Andrea Mustoni che li reintrodusse grazie al progetto “Life Ursus”). Tra i contrari anche la madre di Andrea Papi. Franca Ghirardini ieri, appresa la notizia della morte del figlio, si è sfogata con i giornali locali: “Hanno voluto il morto, ora ce l’hanno” ha detto prima di chiudersi nel dolore.

Trentino, c'è l'ordine per abbattere quattro orsi: «Altri 50 andranno eliminati». Marika Giovannini su Il Corriere della Sera l’8 Aprile 2023

Il presidente della Provincia Fugatti fissa il piano della giunta: «Il progetto Life Ursus non è più sostenibile» 

Ha atteso «chiarezza sulle motivazioni della morte» di Andrea Papi, il giovane ucciso da un orso a Caldes. E venerdì, quando chiarezza è stata fatta, come promesso il governatore Maurizio Fugatti ha messo in fila, nella riunione del comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, il piano della giunta provinciale per affrontare la gestione dei grandi carnivori. «Abbiamo comunicato alle autorità — ha sottolineato — le nostre decisioni». Partendo dall’emergenza: il presidente ha firmato «un provvedimento contingibile e urgente per la rimozione dell’orso che ha ucciso il giovane». E che è ricercato dal corpo forestale. «Vogliamo procedere nel minor tempo possibile nell’identificazione genetica e nell’abbattimento dell’esemplare». 

Atteggiamento collaborativo

Perché è pericoloso. E la gente, in valle, ha paura. Per riuscire a stringere i tempi, gli esemplari «indiziati» che saranno catturati attraverso trappole tubo non saranno radiocollarati e liberati, come di consueto, ma saranno custoditi in cattività (al Casteller) in attesa dei risultati dell’identificazione genetica. Ma la Provincia non si ferma qui. «Ho informato il comitato per l’ordine e la sicurezza — ha aggiunto Fugatti — delle successive azioni che la giunta adotterà». Che interesseranno gli orsi problematici già segnalati a Ispra. Tre, in particolare: Jj4 (l’orsa per la quale la giunta aveva già chiesto l’abbattimento ma che è stata «salvata» dal Tar per la presenza di cuccioli), Mj5 (l’orso responsabile dell’aggressione di inizio marzo in val di Rabbi) e M62 (l’orso confidente conosciuto soprattutto nelle zone di Andalo). «Nei prossimi giorni — ha annunciato il governatore — per questi tre esemplari verrà avanzata richiesta di abbattimento». E, ha aggiunto, «abbiamo avuto rassicurazioni verbali dell’accoglimento di questa istanza da parte di Ispra». Di più: «Ci attendiamo da Ispra un atteggiamento collaborativo». Insomma, gli orsi pericolosi, in Trentino, hanno le ore contate: se il responsabile della morte di Papi sarà un esemplare diverso dai tre plantigradi problematici già nel mirino, il numero di animali destinati alla rimozione salirà a quattro.

«Non mi preoccupo delle modalità di cattura»

«La fondazione Fem — ha spiegato Fugatti — sta lavorando per l’identificazione dell’orso che ha ucciso Andrea». E all’inizio della prossima settimana si dovrebbero avere i risultati. C’è però un terzo tassello della strategia della giunta. «Che è sullo stesso piano degli altri due» ha messo in chiaro il governatore. E che guarda in prospettiva: «Ormai è chiaro che il numero di esemplari è eccessivo rispetto alla sostenibilità del progetto Life Ursus». Un progetto «che prevedeva una cinquantina di orsi distribuiti in provincia, ma che oggi ne conta un centinaio». Troppi, per un territorio come il Trentino. «Il progetto — ha osservato il presidente — non è più sostenibile». È necessario quindi «riportarlo alle previsioni iniziali nel minor tempo possibile». Partendo proprio dalla val di Sole, «dove gli esemplari sono troppi». «Ho già parlato con il ministro Gilberto Pichetto Frattin. E la prossima settimana ho appuntamento con lui per iniziare a definire la strategia di riduzione del progetto Life Ursus». L’obiettivo è tracciato. Ma sulle modalità per raggiungerlo si dovrà lavorare: «Il problema non è come riuscire a ridurre il numero di orsi sul territorio — ha tuonato Fugatti — ma è farlo. È un dovere, per preservare la sicurezza pubblica. Le modalità ci sono: l’importante è muoverci in fretta». Guardando anche ai lupi, che popolano il Trentino orientale. «Per troppo tempo — ha alzato la voce il governatore — qui ci si è preoccupati delle problematiche e del benessere degli orsi, dimenticandosi di preservare la convivenza delle comunità con gli animali. Bene, chiediamo alle autorità che questo percorso venga invertito». E in questo senso, ha avvisato Fugatti, «io non mi preoccupo più delle modalità di cattura degli orsi, del loro benessere, mi preoccupo di mettere in sicurezza le comunità. Non mi preoccupo nemmeno di eventuali errori nelle azioni che saranno svolte per identificare il soggetto che dovrà essere abbattuto».

Come si agirà operativamente

A guidare le operazioni in valle, in queste ore, il dirigente generale del Dipartimento protezione civile Raffaele De Col. Che venerdì mattina — in modalità telematica — ha fatto il punto con tutte le strutture operative che sono state impegnate nelle ricerche del giovane runner. «Ringrazio tutti coloro che hanno lavorato e che lo stanno ancora facendo» ha sottolineato Fugatti. Che ha rivolto un pensiero anche ai familiari di Papi, ricordando «la loro sofferenza». Con De Col che, in serata, ha spiegato l’intervento in corso in valle. «Stiamo già lavorando per la localizzazione dell’orso» ha assicurato De Col. Sotto la lente, il versante montuoso tra Mostizzolo e Dimaro, dove il personale del corpo forestale sta presidiando l’area anche per dare informazioni (l’area non è interdetta). Accanto a De Col e Fugatti, il sindaco di Caldes Antonio Maini. «Se il primo giorno il paese era scosso — ha detto il primo cittadino — ora è arrabbiato. Caldes paga un prezzo molto alto». La vita di un suo giovane abitante. E proprio per questo, ha aggiunto subito Maini, «l’ordinanza firmata dal presidente è un dispositivo concreto ma insufficiente per dare risposta alla comunità»: serve, per riuscire ad accogliere le richieste del paese, «procedere anche con le altre proposte della giunta». 

Le reazioni dei sindaci

Duro anche Lorenzo Cicolini, sindaco del Comune di Rabbi e presidente della Comunità della Valle di Sole (nonché fratello dell’uomo aggredito dall’orso a inizio marzo, Alessandro Cicolini): «All’orso una seconda possibilità non si può dare» è stato l’avvertimento. E ancora: «Il progetto Life Ursus è sfuggito di mano. Oggi è il giorno del dolore e della rabbia per un lutto che colpisce tutta la comunità della montagna». Oggi, intanto, il governatore tornerà in val di Sole per incontrare i sindaci e illustrare le strategie messe a punto dalla giunta provinciale in queste ore. Perché, ha concluso Cicolini, «il territorio non può permettersi una seconda vittima. Siamo andati troppo oltre». 

Da lastampa.it l’8 aprile 2023.

Andrea Papi, il 26enne runner trovato senza vita nei boschi del Trentino, è stato ucciso da un orso ed era ancora vivo al momento dell'aggressione. Lo confermano i primi rilievi a seguito di operazioni peritali eseguiti presso la sala autoptica […]. Intanto la Provincia di Trento ha emesso una ordinanza che prevede l'abbattimento dell'esemplare killer.

[…] Papi è stato un orso incontrato nei boschi di Caldes, nella zona della Val di Sole, in Trentino […] dalle prime ipotesi sembra che Andrea Papi stesse correndo giù dalla montagna in direzione di casa e che si sia trovato, dietro a una curva cieca, di fronte all’orso. L'uomo e l’animale si sono spaventati ed è nata una lotta che è risultata mortale per il runner. 

  A pochi metri da lui è stato trovato un bastone insanguinato con cui probabilmente ha provato a difendersi. Scelta che gli è stata fatale: secondo i ripetuti consigli degli esperti si consiglia di non reagire, ma di rimanere immobili e non ulteriormente spaventare l'animale. […]

L'ordinanza della Provincia di Trento: "Abbattiamo quell'orso"

Ora rimane da individuare l'esemplare responsabile dell'aggressione, per cui sono stati disposti gli esami sui campioni di dna prelevato, che verranno eseguiti presso i laboratori della Fondazione Edmund Mach di San Michele all'Adige. […] la Provincia di Trento ha già preso le sue decisioni: "La Giunta provinciale di Trento, venuta a conoscenza dell'esito delle operazioni peritali sul corpo di Andrea Papi, ha comunicato al Comitato provinciale ordine e sicurezza pubblica di un provvedimento contingibile e urgente per la rimozione di un orso pericoloso per incolumità e sicurezza pubblica". 

Lo ha reso noto, in conferenza stampa, il presidente della Provincia di Trento, Maurizio Fugatti, a margine della riunione tenutasi al Palazzo del Governo di Trento. "Il dispositivo prevede che il Corpo forestale dia seguito all'ordinanza, proseguendo il monitoraggio dell'area e procedendo nel più breve tempo possibile all'identificazione genetica dell'esemplare responsabile dell'aggressione e di procedere nell'abbattimento. Eventuali esemplari catturati nelle operazioni potranno essere custoditi in cattività in attesa della conferma genetica".

 Fugatti poi ha aggiunto: "Ad oggi i casi di orso problematico, dei quali è già stata informata Ispra, sono tre. Nei prossimi giorni verrà fatta richiesta di abbattimento di questi tre esemplari, tra cui Mj5 (responsabile dell'aggressione del 5 marzo scorso), Jj4 (di cui già chiesto abbattimento) e M62. […]".

"È ormai acclarata la problematica dell'eccessivo numero di esemplari presenti sul nostro territorio rispetto alla sostenibilità del progetto 'Life Ursus' e della convivenza tra uomo e orso. Crediamo che occorra riportare il progetto alle originarie previsione, partendo proprio dai territori come la valle di Sole, dove gli esemplari sono in sovrannumero. La prossima settimana incontrerà il ministro competente per riduzione del progetto 'Life Ursus' per arrivare alle previsioni iniziali del progetto, che prevedevano una cinquantina di esemplari dagli attuali 100. È stato dimostrato che con questi numeri il progetto non può durare", […] le cose vanno invertite e non mi interessa neanche se viene sbagliato orso da catturare".

Gli animalisti: no alla barbarie dell'occhio per occhio 'Invitiamo alla calma'

"Apprendiamo con tristezza il risultato dell'autopsia su giovane morto in Val di Sole e al contempo invitiamo alla calma e auspichiamo che ora le istituzioni non ricorrano alla barbarie dell'occhio per occhio, dente per dente. […]l'Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa[…]. […]

 "Se il risultato di tanto sforzo è questo, tanto valeva che quello stanziamento di denaro pubblico fosse investito altrove", commenta il responsabile per la Fauna selvatica dell'Oipa, Alessandro PIacenza. […]

Estratto dell’articolo di Filippo Facci per “Libero quotidiano” l’8 aprile 2023.

La notizia è solo che c’è il morto. Per il resto resiste un animalismo di destra che ha piacere che certi boschi italiani ospitino orsi, lupi, volpi, cinghiali, cerbiatti, camosci, daini, cervi, stambecchi e persino linci: ma, non appena capiti l’incidente, […] vorrebbero recintare l’ecosistema che questi animali condividono con noi e vorrebbero imprigionarli o abbatterli: è il primato dell’uomo.

Ma resiste e prospera anche un chiassoso animalismo di sinistra che ha piacere che certi boschi eccetera (vedasi associazioni come Onpa, Enpa, Lac, Lav, Lipu, Lndc e Wwf) ma poi, se capita l’incidente, pazienza, bisogna vedere, non è detto […]: è anch’esso un primato dell’uomo, un altro genere di uomo che si crede in grado di distruggere o ricreare un intero Pianeta, al quale, pure, basterebbe alzare le spalle per spazzarci via e far concludere che lasciarci dirigere il laboratorio delle scimmie antropomorfe è stato sì divertente, ma in definitiva è stata una cattiva idea.

Intanto c’è il morto: un ragazzo che faceva running nel bosco e che involontariamente deve aver spaventato un orso  […]Un mese fa  […] a Caldes, un altro orso (Mj5) aveva aggredito un escursionista al braccio e alla testa, e il presidente della Provincia, il leghista Maurizio Fugatti, aveva parlato di abbattimento. Va detto che Fugatti da anni fa la parte del cattivo solo perché ogni volta ripete un’ovvietà scambiata per crudeltà: che i forestali sono autorizzati ad abbattere gli orsi pericolosi o che si avvicinino troppo a esseri umani. Poi in pratica non succede quasi mai nulla, a parte un paio di orsi che sono stati imprigionati dopo averne combinata d’ogni. 

Va detto che allevatori e albergatori è appunto con Fugatti che si lamentano: e, da tempo, il presidente ha già inviato una nota al governo per informare circa una «fauna selvatica fuori controllo» in Trentino, tanto che a dicembre il governo Meloni aveva tentato d’introdurre la possibilità di uccidere animali selvatici in caso di necessità: ma c’è l’Unione europea che vigila sulle specie protette, e la procedura d’infrazione è sempre in agguato.

[…] Altri attori: una è l’associazione «Life Ursus», che 24 anni fa ripopolò le Alpi con gli orsi presi dalla Slovenia (dove l’estate scorsa ne abbatterono tranquillamente più di duecento) e che secondo Franco Zunino di «Wilderness» sarebbero più cattivelli proprio perché sloveni e non trentini; i quali trentini – gli umani - restano coloro che gli orsi li hanno salvaguardati, curati, monitorati e che risultano essere i maggiori esperti d'Europa […] ma sono anche gli stessi secondo i quali gli orsi si possono anche abbattere - estremo rimedio- perché tenerli in gabbia imbottiti di farmaci è solo peggio: per loro. 

 Certo, il fondatore di «Life Ursus» Andrea Mustoni magari esagera, sostiene addirittura che l’orso non sia un animale carnivoro, quando è classificato tra i «Grandi carnivori in Trentino» persino dalla Provincia, […]

La posizione di «Life Ursus» pare comunque tra le più equilibrate. Invece tra le meno equilibrate – ferma restando la presunzione d’innocenza – c’è quella di Oipa (Organizzazione internazionale protezione animali) e della Lav, Lega anti-vivisezione: secondo quest’ultima le ferite trovate sul runner morto potrebbero essere successive a un decesso avvenuta per altre cause […] 

 All’appello manca la voce degli orsi – raccoglietela voi – che in Trentino sono circa 120 […]Da noi li chiamano orsi bruni, ma per dimensioni corrispondono al massimo a un cucciolo di un grizzly nordamericano, sono inferiori a un panda, si attestano sui 130 chili (ma possono superare i 200) e messi in piedi arrivano a due metri. 

Corrono anche a 50 all’ora ma sono i più piccoli che esistano, non sono neanche d’origine italiana, come detto, perché di italiano ormai resiste solo l’orso marsicano in Abruzzo (una cinquantina) che non fa paura a nessuno. Precedenti di aggressioni ce ne sono, ma non molti: sette in 150 anni. […]

 Le statistiche straniere non fanno testo: si passa dalle due aggressioni in un secolo in Svezia (territorio sconfinato, è quasi impossibile incontrarne) alla Romania dove l’orso è un animale tranquillamente cacciabile. Par di capire, tu guarda, che ogni realtà fa caso a sé, e che andrebbe regolata di conseguenza: ma la regione Trentino non si può dire che brilli per comunicazione ai suoi abitanti.

 Il punto parrebbe molto logico, a parlarne con gli esperti: dice che gli orsi, esattamente come gli uomini, non sono tutti uguali e che come tali andrebbero trattati: dunque occorre conoscerli, sapersi comportare, distinguere chi sia soltanto un animale spaventato da comportamenti cretini, chi tenda invece ad avvicinarsi incautamente agli habitat umani (per singola natura dell’orso, talvolta) e chi sia caratterialmente pericoloso, e andrebbe perciò messo nelle condizioni di non nuocere: quello che gli uomini fanno con altri uomini, a pensarci.

Estratto dell’articolo di Mauro Corona per “La Stampa” il 7 aprile 2023.

O stai sul divano, o vai in montagna e accetti i rischi, compresi l'incontro con gli animali. Mi spiace per quel giovane, ma sarà stato l'orso? Vedremo. In certi periodi l'orso è più pericoloso, soprattutto l'orsa quando ha i cuccioli, poi c'è la storia dei cani che i plantigradi avvertono come nemico.

 E se ci sarà certezza che il giovane è stato ucciso dall'orso, sarà ucciso anche l'orso. Così sarà, ma non si può uccidere l'orso che uccide. L'uomo, al solito, vuole decidere lui, vuole piegare la Natura. Nel mare ci sono gli squali e se ci vai rischi di essere aggredito. Che facciamo? Ammazziamo tutti gli squali, oppure cerchiamo di evitarli? Siamo i padroni del mondo, dalle profondità oceaniche alla punta delle montagne? Ma dai.

[…] E ora, se l'orso ha ucciso un uomo, in quella vallata per un po' non andrà più nessuno e il turismo ci soffrirà. Ecco il punto, si perdono sghei e allora l'orso che uccide deve essere ucciso. Il problema è la cultura del territorio, noi siamo un popolo di improvvisatori. Improvvisiamo soprattutto per ignoranza, dove non vediamo il pericolo.

 A me non viene in mente di prendere una barca e ficcarmi in mare. Che fine farei? Ma il mare ha orizzonti aperti, lontani e fa paura, in montagna ci sono boschi e sentieri e uno va, anche senza conoscere. Pericolo? Non si pone neanche il problema.

Sono anni che dico e ripeto la stessa cosa, mi annoio perfino da solo, ma tanto nessuno mi ascolta: la montagna deve essere insegnata nelle scuole. Nelle classi devono entrare i boscaioli, gli uomini di montagna, le guide e chi conosce gli animali selvatici, dai cinghiali agli orsi che possono essere pericolosi. […] Tuttavia, messo alle strette ogni animale può essere aggressivo. Un amico che gestisce il rifugio Carota d'Alpago un giorno si è trovato circondato da sette lupi, non sapeva che fare. Per fortuna se ne sono andati. […]

Dicevo dei pericoli della montagna, non i ghiacciai o le alte vette, ma quelli sui sentieri dove ci sono i turisti. […] Quante volte ho visto genitori camminare con i bimbi in spalla e senza casco. Basta un corvo per far cadere un sasso, per non parlare dei camosci che corrono e saltano e possono provocare piccole frane. Che fare? Non ci si può difendere dai sassi e così per gli orsi, occorre conoscere le loro abitudini, stare attenti. E se ce sono troppi bisogna recintarli.

 […] Il rispetto della natura passa per la conoscenza e il sapere ci indica che la natura ha anche aspetti pericolosi e altri abitanti oltre a noi. È come prendere l'auto a Torino e mettersi in viaggio per dove volete voi, devi sapere che sulle strade non tutto dipende da te e che l'incidente è possibile. Pensa un po' in montagna. Io quando vado a arrampicare so bene che posso non tornare.

Estratto da repubblica.it il 12 aprile 2023.

È Jj4 l'orsa responsabile dell'uccisione del runner trentino Andrea Papi, di 26 anni, aggredito nei boschi sopra Caldes lo scorso 5 aprile. Lo conferma la Procura della Repubblica di Trento, sulla base delle analisi genetiche effettuate nei laboratori della Fondazione Edmund Mach.

 L'orsa JJ4 era stata responsabile dell'aggressione, a giugno 2020, di padre e figlio sul monte Peller in Trentino, ma non fu abbattuta. Il plantigrado, di 17 anni, è nato in Trentino da due esemplari provenienti dalla Slovenia, Joze e Jurka, rilasciati tra il 2000 e il 2001, nell'ambito del progetto Life Ursus. La Giunta provinciale di Trento ne aveva chiesto l'abbattimento. L'ordinanza di cattura, tuttavia, venne annullata dal Tar. Jj4 è stata dotata di radiocollare, che tuttavia al momento è scarico e non trasmette più i dati relativi agli spostamenti dell'esemplare.

La notizia del riconoscimento dell'orso responsabile dell'uccisione di Papi è stata diffusa dalla Procura, in anticipo rispetto al deposito della relazione conclusiva dei consulenti, per "evidenti motivi di interesse e sicurezza pubblica". La Procura ha aperto un fascicolo modello 45, senza notizia di reato. […]

Estratto dell'articolo di Enrico Martinet per La Stampa il 12 aprile 2023.

Terra troppo piccola perché uomini e orsi possano convivere. È il pensiero degli abitanti del Trentino, di certo di coloro che abitano a Caldes, dove viveva Andrea Papi. Esci di casa e dopo qualche minuto sei nei boschi, habitat ideale per l’orso bruno. Ed è il pensiero anche di Reinhold Messner che dice: «Non si può più aspettare, bisogna agire».

Il «re degli Ottomila» è nato a Bressanone, la sua valle è quella di Funes, con l’orizzonte chiuso dalle splendide guglie delle dolomitiche Odle e con i pascoli che ospitano anche le pecore con gli occhiali della razza Villnösser Brillenschaf, fra le prede dei lupi.

 Che significa agire?

«In Trentino l’orso ha aggredito e ucciso un uomo. Non c’è altro da dire. Orsi e lupi sono diventati un problema, per contadini, allevatori, abitanti, turisti. Ci vuole una legge chiara, che indichi chi decide il da farsi e cosa fare».

Vuol dire per abbattere i predatori?

«Anche. Una normativa che rispetti uomini e animali. I lupi stanno decimando le greggi di pecore e capre, gli allevatori non ne possono più e c’è già chi ha deciso di andarsene. Non si possono abbattere orsi e lupi, ma l’orso ha popolato i boschi in modo esagerato. Occorre dimezzarli. Uccidere l’orso che uccide è una soluzione a metà».

(...)

Le nostre Alpi sono antropizzate e ospitano migliaia di turisti. Non sono nella wilderness. Questa è la realtà. E allora le norme devono decidere che abbattere i predatori è possibile, ma devono stabilire chi e come può ordinarlo. Può essere il sindaco, oppure i presidenti di Provincia o i governatori. Regole da seguire. Oppure si decide di catturare gli orsi e portarli in zone non abitate, selvagge. E poi bisogna far fare pace tra animalisti e mondo agricolo».

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Difficile parlare di abbattimenti.

«Certo, ma in Trentino non si possono avere cento e più orsi bruni. Il progetto era infatti di averne la metà. Circa 120 anni fa l’orso è sparito dalle nostre Alpi e i motivi non sono un mistero, è stato estinto per ragioni economiche. E allora non c’era il turismo come oggi. Come far convivere nei nostri boschi l’orso e il turista? E come riuscire a arginare gli attacchi dei branchi di lupi alle greggi? La risposta non è imbracciare il fucile, ma fare una legge per poter regolare la popolazione dei predatori».

Lei ha incontrato gli orsi...

«Diciamo che li ho visti e qualcuno anche da vicino, certo. Ma nella natura selvaggia, dove io entravo nel loro mondo. In Siberia, piuttosto che in Canada. Territori vastissimi, habitat ideali per l’orso. Ne ho sempre avuto rispetto, ma anche timore che qualche volta si è trasformato in paura. Ho sempre seguito quanto mi dicevano le persone del posto, cioè di evitarli, tornare sui propri passi senza correre, con calma e seguire, se possibile, un itinerario in discesa. Così mi hanno detto anche in Tibet».

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Spray, uccisioni mirate e deportazioni: in arrivo le misure contro il “pericolo orsi”. Salvatore Toscano su L'Indipendente il 12 aprile 2023.

La morte di Andrea Papi, il runner 26enne ucciso in Trentino da un orso, ha riaperto il dibattito pubblico sulla convivenza tra uomo e mondo animale. Il presidente leghista della provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, ha disposto l’abbattimento di JJ4, l’orso che ha ucciso Papi, e di altri esemplari “problematici” del Trentino. «Non mi preoccupa il benessere degli animali e come verranno catturati. E non mi preoccupa neanche se i nostri organi dovessero sbagliare animale nelle azioni che fanno per identificare il soggetto», ha dichiarato Fugatti in conferenza stampa. Da Roma, invece, il ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin (Forza Italia) ha «raccomandato prudenza» e «massima collaborazione con i nostri scienziati dell’ISPRA» prima di decidere sugli abbattimenti degli orsi. Per i circa cento esemplari del Trentino, Fratin avrebbe preparato un piano da presentare in Consiglio dei ministri consistente nel trasferimento della metà della popolazione nelle altre regioni dell’arco alpino e all’estero, dall’Austria alla Slovenia.

Come molti esperti hanno ricordato, gli orsi difficilmente attaccano l’uomo, a meno che non siano spaventati da qualcosa, come potrebbe accadere se si sorprendesse una madre con la propria cucciolata al seguito. Sull’abbattimento degli orsi ritenuti “problematici” si è già espresso positivamente l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA), fatta eccezione per l’orsa JJ4, poiché quando nel 2020 aggredì padre e figlio sul Monte Peller aveva con sé i propri cuccioli. Alla luce dei risultati rivelati dalla Procura di Trento è atteso un nuovo parere, comunque non vincolante, dell’Istituto in merito all’abbattimento di JJ4. Il ministro Fratin ha confermato che la decisione finale spetterà alla Provincia una volta sentito l’ISPRA. A marzo 2022 il Consiglio di Stato aveva invece bocciato l’attribuzione al presidente della Provincia la competenza ad autorizzare il prelievo, la cattura e l’uccisione degli orsi considerati problematici. Adesso «non è una valutazione di tipo ambientale, perché i soggetti hanno un’alta pericolosità e quindi il testo unico Pubblica sicurezza prevede questi percorsi», ha detto Pichetto Fratin. Non si arrestano, però, le critiche contro l’ipotesi abbattimento. «Non paghino gli orsi per quanto non è stato fatto in termini di prevenzione e di tutela», ha dichiarato l’Intergruppo parlamentare per i Diritti degli animali e la tutela dell’ambiente. L’Organizzazione internazionale per la protezione degli animali (OIPA) ha invece sottolineato come la decisione di  Fugatti sia sostanzialmente una dichiarazione di guerra “agli orsi che fanno gli orsi”.

Il capo della Protezione civile di Trento, Raffaele De Col, ha proposto al ministro Fratin di dotare di spray al peperoncino almeno le forze dell’ordine impegnate nei boschi, prendendo

esempio da Yellowstone, il grande parco degli Stati Uniti, dove lo spray contro le aggressioni degli orsi viene fornito anche ai visitatori all’ingresso. Per formalizzare le scelte di Palazzo Chigi è stato istituito un tavolo di lavoro, a cui farà seguito con ogni probabilità l’adozione di un decreto-legge in Consiglio dei ministri.

[di Salvatore Toscano]

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L'orso «assassino», tra leggi della natura e quelle dell'uomo. Egidio Lorito su Panorama il 12 Aprile 2023.

Identificato, intanto, l’esemplare autore dell’aggressione: si tratterebbe di JJ4, una femmina identificata delle analisi biologiche e che aveva già colpito due anni fa. Non venne abbattuta per un ricorso al Tar

Introduzione forzata, fiuto infallibile, trappole olfattive, eco-turismo, aumento spropositato, senso di pericolo. Ecco tutte le possibili tracce che gli esperti dovranno seguire per cercare di dare una spiegazione all’uccisione del 26enne runner Andrea Papi, assalito ed ucciso lungo un sentiero della Val di Sole, nel comune di Caldes, in Trentino. Gli esiti degli esami eseguiti presso i laboratori di analisi della “Fondazione Mach” di San Michele all’Adige hanno permesso di identificare l’orso bruno autore dell’aggressione mortale: si tratterebbe di una femmina, denominata JJ4 e identificata grazie al campione di tessuto cutaneo -pelo, praticamentelasciato sul corpo della giovane vittima. Da quanto si apprende l’esemplare incriminato sarebbe dotato di radiocollare purtroppo scarico, circostanza che potrebbe allungare i tempi della sua cattura. Nell’area della provincia trentina vivono tra i 100 e i 110 orsi, l’85% dei quali schedato, mentre nella sola area dell’aggressione sarebbero non meno di 20 gli esemplari in circolazione e proprio l’esemplare identificato era già stato segnalato come pericoloso e indicato per l’abbattimento, operazione bloccata dopo una sospensiva emessa dal Tar. Proprio la possibile coda giudiziaria potrà, intanto, inasprire la vicenda della problematica convivenza tra gli abitanti delle valli trentine e la comunità di orsi (si tratta del classico orso bruno, c.d. ursus arctos): il presidente della Provincia autonoma di Trento, Maurizio Fugatti, ha già annunciato l’abbattimento dell’orso incriminato e di altri tre esemplari che gli esperti avevano già definito “problematici”. In realtà l’intenzione sarebbe di dimezzare la popolazione degli orsi, innescando, evidentemente, anche una battaglia legale con le diverse associazioni animaliste già sul piede di guerra. Panorama.it ha dialogato con Franco Tassi, storico ambientalista, per capire se l’attacco e l’uccisione del giovane runner possa aprire una nuova fase della difficile convivenza tra uomini e orsi all’interno delle montagne del Trentino. Professore Tassi, la morte del ventiseienne ha colpito l’opinione pubblica. «Si tratta di un episodio tragico che merita tutta l’attenzione della comunità scientifica italiana. Occorre fare chiarezza: l’orso bruno, quello che vive nel territorio italiano, è già da anni al centro dei nostri studi e ricordo bene come proprio dal Trentino, all’epoca della mia mia presidenza del Parco nazionale d’Abruzzo (dal 1968 al 2002, nda), inviarono una delegazione di esperti per studiare le strategie affinchè anche in quella regione si potessero ospitare esemplari dell’orso marsicano». Ai suoi tempi l’Abruzzo era all’avanguardia nella gestione della comunità di questo plantigrado. «Si trattava dell’animale simbolo del territorio sin dai tempi dei Sanniti. Ebbene, quello scambio di visite -occasione ritornatami alla mente in questi ultimi giorni- si concluse con un convegno a Trento nel corso del quale diedi tutta una serie di consigli di natura biologica e antropologica che all’epoca vennero disattesi». Ci perdoni, professore: in che senso disattesi? «Ricordo ancora il mio profondo scetticismo sulla possibilità di introdurre l’orso tra le montagne del Trentino, come se si trattasse di trapiantare un qualunque albero: affermai che l’orso avrebbe sofferto questa “introduzione forzata”. Avevo suggerito, invece, che l’animale potesse arrivare seguendo il suo naturale istinto, esattamente come stavano facendo da qualche anno i primi esemplari dalla Slovenia e dall’Austria, seguendo gli antichi sentieri alpini. Suggerii, in pratica, di limitarsi ad incentivare questa naturale migrazione “alpina” con i classici “attrattori alimentari”, per di più presenti in natura».

Di cosa si tratta? «L’orso, come sappiamo, è dotato di un fiuto potentissimo, in grado di percepire la presenza del cibo già a diversi chilometri di distanza: addirittura tra cospecifici comunicano proprio attraverso gli odori. Avevo suggerito, sempre a quella delegazione del Trentino, di creare dei corridoi ecologici utilizzando le mele locali a condizione che fossero senza pesticidi. In questo modo, utilizzando il naturale odore di quintali di mele, gli orsi ne avrebbero seguito la traccia olfattiva e naturalmente avrebbero fatto ingresso nelle zone loro destinate». In pratica, l’orso si sarebbe scelto l’area da occupare… «Esattamente, in maniera del tutto naturale, senza importazioni contro natura, senza trasferimenti artificiali. Purtroppo i miei consigli scientifici non vennero ascoltati, e nel 1999, il Parco Adamello Brenta, la Provincia Autonoma di Trento e l’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica, grazie ad un finanziamento dell’Unione Europea, diedero il via al progetto Life Ursus: si trattava di salvare l’ultimo branco di orsi sopravvissuti tra le Alpi Centrali grazie alle immissioni di esemplari importati dalla Slovenia». Franco Tassi era contrario a tale operazione, pare di capire! «Dalla mia avevo il conforto della scienza: libri, articoli scientifici ed esperienza specifica in Abruzzo con quello stesso animale, mi permettevano di suggerire altre strade, anche attraverso una preparazione ecologica e socioculturale. Senza dimenticare che la Slovenia si fece pagare bene gli esemplari di orsi da spedire in Trentino…». Ci perdoni, ma in Trentino gli orsi non erano già parte del patrimonio faunistico? «E’ la circostanza assurda di quel progetto! La regione poteva già contare sul suo nucleo indigeno di orsi che, purtroppo, nel tempo vennero letteralmente sterminati, fino all’ultimo esemplare. Poi le autorità si accorsero che si trattava di una forte attrattiva eco-turistica: pensate che sempre durante quel convegno in Tentino cui fui invitato, venne anche quantificato in 1 milione di euro il valore pubblicitario della presenza dell’orso come attrattore turistico. Capite bene, allora, il contesto in cui la reintroduzione dell’animale veniva a muoversi».

E fu così che si decise di riportarlo tra le montagne del Trentino… «Gli esemplari vennero acquistati dalla Slovenia: il trasferimento fu perfetto dal punto di vista organizzativo, con furgoni attrezzati per il monitoraggio dei parametri vitali. Ma si commise l’errore di non considerare che l’orso avrebbe occupato un territorio già fortemente antropizzato, nel quale la gente è abituata a praticare, ad esempio, sport, durante tutte le stagioni. Ecco il conflitto naturale tra gli orsi e chi prima di loro, abitava le valli della provincia di Trento». A proposito di conflitto: ricordiamo cosa accadde con gli allevatori… «Occorreva preparare e attrezzare il territorio, evidentemente non ancora pronto per un massiccio arrivo di orsi: recinzioni, aree di pertinenza, fototrappole, senza dimenticare l’utilizzo dei cani. In Abruzzo, i celebri pastori abruzzesi vengono addestrati da secoli a difendere le pecore dagli attacchi degli orsi; in Trentino, invece, tranne per iniziative personali, è mancato un sistema che separasse gli orsi dalle abitudini della popolazione. Senza dimenticare la mancanza di territorialità, cioè la destinazione in aree ben determinate, per evitare ogni forma di contatto». A proposito di contatto tra orsi e uomini… «E’ il punto che non mi stancherò mai di evidenziare: una parte della montagna va necessariamente lasciata alla natura, rendendola riserva integrale, precludendola cioè all’ingresso degli uomini per ogni tipo di attività, da quelle lavorative a quelle turistiche. In questo senso ritorna utile la vecchia percentuale del 20% del territorio di un parco da lasciare all’utilizzo esclusivo della fauna selvatica, in cui l’uomo non entra». C’è un aspetto da chiarire: la quantità di informazioni sulla vicenda rischia di disorientare il pubblico a casa. «Da giornalista scientifico faccio mio il rischio di una vera “infodemia” sul tragico accadimento trentino. Di sua natura l’orso evita l’uomo, in quanto associa il suo odore al pericolo, anche nei casi -definiti dai media- “problematici”, cioè di esemplari che si avvicinano pericolosamente ai nuclei urbani. Si tratta di una terminologia errata, in quanto non sono gli orsi ad essere tali o “confidenti” (come vengono anche definiti), quanto l’uomo ad esserlo, visto che proprio quest’ultimo ha allargato a dismisura, ad esempio per fini turistico-sportivi, la sua presenza laddove un tempo gli orsi erano signori incontrastati. Alla fine, si sentono minacciati a casa loro e reagiscono difendendosi». Ci chiarisca anche questo aspetto… «Nel 1990, nel saggio monografico “Orso vivrai!” indicai nel termine inglese spoiled quello più confacente alla condizione degli orsi che si avvicinavano all’uomo per ricercare cibo. Viziato, deviato, era la condizione dell’orso che a causa dell’errato comportamento umano, sempre pronto a nutrirlo e sfamarlo, aveva smarrito le sue naturali coordinate di animale selvatico». Il termine “problematico” abbonda sui media. «E’ un termine del tutto errato, carente di giustificazione scientifica. La corretta esperienza abruzzese ha dimostrato, nel tempo, che se non foraggiato, l’orso si mantiene naturalmente nel suo territorio, senza addentrarsi in quello frequentato dagli esseri umani». Lei pone un problema di gestione degli orsi… «Esattamente, e gli esempi cui ho assistito negli anni sono sintomatici. Anche in Abruzzo furono commessi degli errori, e ne racconto uno che potrebbe essere utile per comprendere l’atteggiamento. All’indomani del termine del mio incarico, gli orsi iniziarono a visitare villaggi e centri abitati, e ciò accadeva perché i ricercatori usavano, all’insaputa dell’ente parco nazionale, delle esche olfattive particolarmente attrattive per l’animale, collocate sulle barriere di filo spinato, allo scopo di strappare il pelo dall’animale e mapparne l’impronta genetica. In questo modo, l’orso, attratto dall’invitante odore, veniva praticamente viziato dall’uomo». In Trentino l’orso è arrivato ad uccidere, però… «Sarà molto difficile capire perché ciò sia accaduto. Direi che due potrebbero essere le spiegazioni scientifiche: innanzitutto gli esperti sanno bene che procedendo verso nord gli esemplari acquistano maggiore stazza fisica e, parallelamente, maggiore pericolosità: come per gli esemplari americani di grizzly, quelli russi ed, infine, per l’orso bianco, una macchina da guerra di una tonnellata di peso. Diventano maggiormente carnivori, quindi più aggressivi. Il nostro orso marsicano, per intenderci, è carnivoro solo per la dentatura, ma in realtà mangia di tutto». E poi? «L’altra spiegazione la individuerei nella maggiore abitudine che l’orso indigeno ha di accettare la presenza dell’uomo. In Abruzzo, infatti, l’orso convive con l’uomo da secoli, perché si tratta di esemplare indigeno e stanziale, mentre quello trentino, come detto, è stato introdotto nell’area solo da pochi anni, senza aver ancora avuto la possibilità di metabolizzare la presenza dell’uomo». Due interpretazioni per dare conto di quanto accaduto tragicamente nel piccolo comune della Val di Sole… «Aggiungerei, inoltre, la strana concentrazione di esemplari nella zona della morte dell’escursionista: se la cifra si rivelerà corretta, tenere concentrati una ventina di esemplari in una zona di ridotta estensione potrebbe rivelarsi pericoloso. Si tratta di una pericolosa densità di esemplari, perché gli orsi potrebbero essere stati attratti da una crescente quantità di cibo, tale da indurli a scegliere di spostarsi in massa verso questa zona. Sarebbe il caso di indagare in questo senso». Attendiamo dei suggerimenti, intanto. «Bisognerebbe accrescere nella popolazione la consapevolezza di convivere, in zone spesso isolate, con animali abituati a considerare il territorio come la propria casa, e non disposti a condividerla con gli esseri umani. Partendo dal presupposto che la popolazione locale sapesse della presenza di un numero così alto di esemplari, forse una maggiore prudenza negli spostamenti sarebbe, a questo punto, la precauzione migliore da seguire. Il rumore in genere e l’abbaiare dei cani rappresentano, per studi costanti, dei fattori di allarme per gli orsi che reagiscono per difendere il proprio habitat. Attaccano per difendersi…».

* Franco Tassi, romano, classe 1938, biologo ed entomologo, è l’ambientalista italiano più noto al grande pubblico grazie alle sue storiche battaglie in difesa della natura, attualmente responsabile del Centro Parchi Internazionale. E’ stato per oltre un trentennio prima presidente e poi direttore soprintendente del Parco Nazionale d’Abruzzo, la più antica, importante e famosa area protetta d’Italia. Nella sua lunga carriera di manager-naturalista ha sviluppato un’eccezionale esperienza per conto di molti enti pubblici e ministeri, innovando una disciplina praticamente agli albori nel nostro Paese. Già docente di ecologia applicata alla facoltà di Veterinaria dell'Università di Napoli e di conservazione della natura all'Università di Camerino, è autore di 200 pubblicazioni scientifiche e 20 libri. Suo il contributo scientifico alla nascita del WWF Italia.

Panorama.it Egidio Lorito, 12/04/2023

Estratto dell'articolo di Giampaolo Visetti per repubblica.it il 18 aprile 2023.

La fuga di JJ4 è finita. L'orsa che il 5 aprile ha attaccato e ucciso il runner trentino Andrea Papi nei boschi sopra Caldes in Val di Sole, è stata catturata la scorsa notte a pochi chilometri dal luogo dell'aggressione. 

A partire dal fine settimana, grazie anche a una nevicata che ha reso più visibili le sue orme, due squadre di guardie forestali la stavano braccando con i cani alle pendici delle Dolomiti di Brenta. L'animale, forse anche seguito da tre cuccioli di sedici mesi, si era spostato in un'area più impervia e solitaria rispetto al Monte Peller e al fondo della Val di Sole. 

La sua presenza era stata infine segnalata nella selva sopra i paesi di Carciato e Dimaro, verso la località Folgarida, in direzione Madonna di Campiglio, a quota 1400 metri. Qui, grazie a orme nella neve e fiuto dei cani, capaci di distinguere le sue feci e le tracce del suo pelo, è finita in una trappola a tubo posizionata nell'area dell'ultimo avvistamento. Immediato, grazie al radiocollare, pur spento da agosto, il suo riconoscimento. 

[…]

Dalla scorsa notte l'animale si trova nel recinto per la fauna selvatica del Casteller, sopra Trento, che già ospita M49.

[…]

Il suo destino, secondo l'ordinanza del presidente della Provincia, Maurizio Fugatti, è di essere abbattuta. "Avremmo voluto dare questa notizia nel 2020", ha detto Fugatti in conferenza stampa, "quando la Provincia aveva emesso due ordinanze di cattura e abbattimento, ma non l'abbiamo potuto fare. Oggi quindi c'è soddisfazione, ma anche amarezza e tristezza. La cattura dimostra che le nostre strutture sono in grado di catturare gli esemplari pericolosi in tempi rapidi".

Anche oggi la soppressione di JJ4, dopo il ricorso presentato dalle associazioni animalista Lav e Lac, è però ancora sospesa. Il Tar di Trento venerdì scorso ha autorizzato la cattura ma rinviato l'abbattimento, in attesa del deposito della documentazione completa da parte della Provincia, che certifica l'identità dell'animale e chiarisce le modalità dell'attacco contro Andrea Papi. 

[…]  il presidente Fugatti ha chiesto al Tar di anticipare la propria convocazione per la valutazione del ricorso animalista, fissata l'11 maggio. Il Tar però ha già rigettato l'istanza: esprimerà il proprio giudizio non il 20 aprile ma nella data già fissata, dell'11 maggio appunto.

Alla luce della cattura di JJ4, dei documenti depositati e del sì di Ispra, l'orsa che ha ucciso Papi potrebbe essere abbattuta presto. "Lo strumento individuato assieme ai veterinari", ha detto Raffaele De Col, capo della Protezione civile trentina, "è l'eutanasia, metodo meno cruento rispetto a uno sparo". 

Anche i sindaci delle valli attorno alle Dolomiti di Brenta, dove oggi vivono oltre 120 orsi, sono scesi in campo per chiedere di sopprimere l'animale, minacciando dimissioni in blocco. La famiglia di Andrea Papi invece si è dichiarata contraria alla soppressione, ripetendo solo di "pretendere giustizia per nostro figlio dopo che il progetto Life Ursus è sfuggito di mano alle istituzioni".

A salvare la vita a JJ4, o a rinviare la sua fine, potrebbe essere il nuovo ricorso animalista presentato ieri, o la disponibilità di una riserva ad accogliere l'orsa in sicurezza. Anche su questo il Tar ha già reso noto il proprio orientamento: se una regione italiana, un Paese straniero o un "santuario degli animali" si offrisse per il trasferimento di JJ4, e se questa operazione "non comportasse costi a carico della Provincia di Trento o dello Stato", un'alternativa all'abbattimento si può concretizzare. Dopo la cattura dell'orsa vengono intanto meno in Trentino i pericoli immediati contro la sicurezza pubblica, motivo di grande allarme nelle valli attorno al Brenta. [...]

Trentenne "miracolato". Aggredito da un'orsa e salvato dal suo cane. Il giovane ferito a gamba e addome. A Lecce domatore di circo azzannato da una tigre. Stefano Vladovich il 31 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Aggredito da una femmina di orso, vivo per miracolo. Se l'è vista brutta Antonio Rabbia, di Ausonia nel Frusinate, durante un'escursione nel Parco Nazionale d'Abruzzo. L'uomo, a passeggio con il cane, è stato attaccato dall'animale a difesa dei suoi due cuccioli. «Credevo avessi i secondi contati - racconta, ancora sotto choc - così ho mandato due messaggi vocali alla mia famiglia, uno a mia moglie e uno a mio padre: Mi ha aggredito un'orsa: non ce la faccio a tornare. Non ci rivedremo mai più. Ma sappiate che vi ho sempre amato. Addio».

Di fatto il 33enne, nonostante una ferita all'addome e a una gamba, si allontana dalla provinciale 666 (sic) per Forca d'Acero, fra Lazio e Abruzzo. Il bestione, secondo la vittima, lo avrebbe attaccato all'improvviso mentre camminava, cane al fianco, nel comune di San Donato Valcomino. «Prima mi ha dato una zampata, poi mi ha morso in pancia» dice. Secondo la sua versione Rabbia avrebbe trovato scampo aggrappandosi a un albero nonostante la gamba malconcia. E mentre il suo cane, Biondo, distrae l'orsa, lui raggiunge l'auto. Rabbia allerta due amici e viene ricoverato all'ospedale Santa Scolastica di Cassino mentre del cane si perdono le tracce. Tanto che l'Ente Parco organizza una battuta di due giorni per trovarlo. «Aveva riferito che era al guinzaglio - chiarisce l'Ente Parco - quindi poteva essere rimasto vittima lui stesso dell'aggressione da parte della femmina di orso oppure nella fuga, avendo sempre il guinzaglio, avrebbe potuto restare incagliato nel bosco ed essere vittima di altri predatori. Con i guardiaparco e i cani del nucleo cinofili l'abbiamo cercato fino a quando, nel pomeriggio del 23 dicembre, due giorni dopo, è stato ritrovato a San Donato in buone condizioni ma senza traccia di guinzaglio».

Rabbia, che ha riportato 20 giorni di prognosi, adesso chiede un risarcimento danni. «Non ci sono cartelli o divieti che impediscono l'accesso ai sentieri - dice - E i 60 orsi presenti nel Parco, animali protetti, hanno tutti il microchip?». L'Ente Parco, dal canto suo, nutre alcuni dubbi. In una nota spiega: «I toni della vicenda sono sembrati subito poco chiari - si legge - perché nella zona dei fatti è stata più volte avvistata, anche nei giorni successivi, una femmina di orsa con due cuccioli dell'anno senza che però mai la stessa abbia dato problemi di nessun tipo. A destare perplessità sono state soprattutto le informazioni riferite in merito allo svolgimento dei fatti: L'orsa che aggredisce e morde alla pancia, Giovane e orsa che cadono insieme lungo il dirupo e lui che riesce a tenersi a un albero fermando la caduta, Il cane che sarebbe stato al guinzaglio, quindi davanti al suo padrone, che però evita l'orso e poi viene ritrovato palesemente senza guinzaglio. Il tutto su un sentiero largo alcune decine di centimetri. Di una cosa siamo sicuri: in Appennino non è mai stata registrata nessuna aggressione da orso a una persona e questo sarebbe in assoluto il primo caso. Il condizionale è assolutamente d'obbligo proprio per le circostanze complessive relative a questa vicenda, alla dinamica raccontata e ai molti lati oscuri che il racconto del giovane contiene».

E a Surbo, Lecce, un domatore circense, Ivan Orfei di 31 anni, è stato azzannato durante lo spettacolo del circo Amedeo Orfei da una delle sue tigri. Portato in ospedale per profonde ferite al collo e a una gamba, le sue condizioni restano gravi anche se, fortunatamente, non è in pericolo di vita. «Colpa mia - ha commentato - voleva giocare e mi sono girato di spalle».