Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

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ANNO 2023

GLI STATISTI

SECONDA PARTE

 

 

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

  

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2023, consequenziale a quello del 2022. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

 

 

 

GLI STATISTI

INDICE PRIMA PARTE

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Le carte segrete del Caso Moro.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE. (Ho scritto un saggio dedicato)

Ricordando il Divo.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE. (Ho scritto un saggio dedicato)

I Secessionisti.

Ingiustizia. Il caso Tangentopoli - Mani Pulite spiegato bene.

Ricordando Craxi.

 

INDICE SECONDA PARTE

 

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

L’Italiano per Antonomasia.

La Biografia.

Berlusconi e la Morte.

 

INDICE TERZA PARTE

 

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

Berlusconi e la Salute.

Berlusconi e gli Affari.

Berlusconi e la Politica.

Berlusconi e lo Sport.

Berlusconi ed i Media.

Berlusconi e la Chiesa.

Berlusconi e la Cultura.

Berlusconi e la Gastronomia.

Berlusconi e gli Animali.

Berlusconi e la Famiglia.

Berlusconi e le Donne.

Berlusconi e la Giustizia.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Al tempo del Nazismo.

Al tempo del Fascismo.

 

INDICE QUINTA PARTE

 

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Gli eredi del Duce.

 

 

 

 

 

 

 

 

Sommario

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

·       L’Italiano per Antonomasia.

·       La Biografia.

·       Berlusconi e la Morte.

La Morte.

Le Cause.

I Necrologi.

Funerali di Stato.

Il Mausoleo.

L’Erede Politico.

Il Testamento e l’Eredità.

Le reazioni della Politica Italiana.

Le reazioni della Politica Estera.

Le reazioni della Stampa Estera.

I Nemici.

Le Dieci Domande.

L’intitolazione.  

 

 

GLI STATISTI

SECONDA PARTE

 

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        L’Italiano per Antonomasia.

"Morire o Bunga Bunga?". Silvio Berlusconi e la barzelletta con protagonisti quei "due sfigati" Bondi e Cicchitto. Estratto da huffingtonpost.it – articolo del 27 settembre 2015 

[…] Silvio Berlusconi in un'ora e mezza di intervento alla convention FareFuturo si concede anche una barzelletta, che ha come protagonisti due ex di Forza Italia. Gheddafi chiede a Berlusconi di inviare una delegazione in Libia. "Chi mando? Mando due sfigati: Cicchitto e Bondi.

Questi vanno e cadono nelle mani dell'unica tribu' ribelle. Cosi' finiscono legati al palo della tribu'. E attorno a loro danza un coro di guerrieri, dove si riconoscono solo due parole: bunga bunga. Lo stregone dice a Cicchitto: morire o bunga bunga? E Cicchitto risponde: 'bunga bunga'. E tutti i guerrieri profittarono di lui. A questo punto lo stregone si rivolge a Bondi: morire o bunga bunga? E Bondi vista la fine che aveva fatto Cicchitto dice 'morire'. E lo stregone risponde: "sì bene morire, ma prima un po' di bunga bunga".

DAGOREPORT il 12 giugno 2023.

Certo che è dura. Durissima dover ammettere che un Peron con i tacchetti, uno Stalin mediatico, un Silvio Bellico a rotelle, un fabbricante di miliardi col volto perennemente grigliato come un pollo dai raggi Uva, un bignè in doppiopetto sempre truccato e tricologicamente trapiantato, un seduttore tradito dalla prostata, con cinque figli e due mogli, sgradevolmente donnaiolo, che ne ha combinate di cotte e di crude, è stato e rimarrà, per chissà quanto tempo, l’incarnazione dell’Arci-italiano.

La grande Natalia Aspesi non si fa troppi problemi ad ammetterlo: "Sono terrorizzata dagli italiani. Più il Paese corre verso l'autodistruzione, più loro adorano i propri carnefici - tuona la giornalista - è come se si fossero trasformati in tanti piccoli lemuri che si precipitano entusiasti in fondo al burrone". 

Ma la domanda, a questo punto di non ritorno, è un’altra ed è terribile: come mai una tale moltitudine di italiani, tra Destra e Sinistra, si è gettata gettarsi sul "Centro-frivolo" del berlusconismo senza limitismo? Perché un paese che si sbatte dalla mattina alla sera per arrivare alla fine del mese, da oltre vent’anni ha perso la testa per un miliardario donnaiolo che all’etica delle istituzioni ha sempre preferita la cotica dei propri affari?

Perché dentro di noi c’è il folle e sovente inconfessabile desiderio di essere un Berlusconi. Come canta Giorgio Gaber: “Non temo Berlusconi in sé. Temo Berlusconi in me”. Massì: come il Cavalier Pompetta, ogni italiano sembra essere tutto e il contrario di tutto: furbo e fesso, mammone e maschilista, drammatico e melodrammatico, geniale e pasticcione, coraggioso e vigliacco, razzista e tollerante, credente e miscredente, colto e ignorante, vitale e cialtrone, di destra e di sinistra. Un Berluscone che, quando gli chiedono qual è il complimento più bello che abbia mai ricevuto, risponde radioso: “La volta che, all’uscita da San Siro, un ultrà si gettò contro il parabrezza della mia auto gridando: sei una bella figa!”.

Sondare l’anima di Berlusconi è peggio che difficile. E’ inutile. Simpaticissimo come tutti i mascalzoni, implacabile negli affari come un rullo compressore (”Una volta per riagganciare un cliente gli ho anche tolto la forfora dalla giacca”, professionalmente così frenetico che faceva apparire un battaglione di marines come un gruppo di perdigiorno (“Una volta all’Edilnord ho disegnato persino le fogne. Pensavo: se ho sbagliato le pendenze si sveglieranno tutti nella cacca”), narci-effervescente naturale fino alle bollicine (“E’ importantissimo la mattina guardarsi allo specchio e piacersi, piacersi, piacersi”), Berlusconi ha intuito fin dall’inizio che il vero mistero del mondo è ciò che si vede, non l’invisibile.

A mo’ di lezione, aggiunge: “Ricordiamoci che il nostro pubblico ha fatto la terza media e non era neanche fra i primi della classe”. La mejo, da incorniciare: “Gli sfigati non esistono. Esistono solo dei diseducati al benessere”. Da qui i suoi modi da piazzista che sa mettere insieme cose dissimili, incongrue, se non addirittura incompatibili: come trasformare una azienda in un centro di potere, una cena in una congresso elettorale, un partito in un party, un contratto in una fregatura.

Come quella volta che, giovane editore in ascesa, firmò di venerdì un accordo per dividersi gli spazi pubblicitari con la Rai che sarebbe scattato dal lunedì successivo. Subito dopo riunì in ufficio i suoi agenti di Publitalia: “Avete sabato e domenica per acchiappare tutta la pubblicità che potete”. E quando il lunedì l’accordo entrò in vigore, non c’era più niente su cui accordarsi.

Quante gliene hanno dette in questi anni, giudici e giornalisti, a quest’uomo unico al mondo (noi italiani, si sa, non ci facciamo mai mancare niente). Da “Psico-nano” (Beppe Grillo) a “Caimano” (Nanni Moretti), da “Banana” (Altan) a “Al Tappone” (Travaglio). Ma la miglior descrizione del fenomeno appartiene ad Aldo Busi: "Tutti dicono che se non ci fosse stato Craxi non ci sarebbe stato Berlusconi, ma questo si può dire di qualsiasi imprenditore italiano. Nessun imprenditore di fama ha la coscienza a posto con lo Stato italiano. Sono tutti dei criminali. E allora perché criminalizzare solo Berlusconi? Pensiamo al Banco Ambrosiano. Io non credo che Berlusconi abbia lo zampino nella più grande catastrofe che sia successa in Italia e che ancora è irrisolta, cioè piazza Fontana. Come si può demonizzare Berlusconi quando ci sono molti altri demoni prima di lui che devono prendere corpo?".  

Verità o leggenda? Con Berlusconi la verità è leggenda e viceversa, lui stesso non è che le distingua sempre bene. “Da giovane dicevo: pensa quante donne al mondo vorrebbero venire a letto con me e non lo sanno. La vita è un problema di comunicazione”. Ecco perché, già prima del Biscione, era presente come comparsa in un Carosello. Quando nel novembre del '79 un colpo di fulmine scoccato da Cupido lo trafisse era seduto al teatro Manzoni di Milano: Veronica Lario, 23 anni, era protagonista  della commedia di Crommelynck "Il magnifico cornuto". Impazzito d’amore Silvio fece interrompere le repliche della commedia. Come? Comperando il Manzoni.

Ah, la vanità. "Raccontano i collaboratori che è un terribile accentratore: se avesse una puntina di seno, sarebbe anche tentato di sostituire l'annunciatrice", scrive Enzo Biagi. D'altra parte, visto dall'alto, la Natura è stata davvero taccagna. Quando scoprì che il centravanti Galderisi era alto come lui proibì ai collaboratori di chiamarlo "nanu". Lui si gonfia così: "Ho fatto l'Italia un po' più bella". Oppure: "Vedo tutto d'istinto, come ha detto una volta la mia mamma. Sono una specie di strega". Ancora: "Io sono come quel gran condottiero rinascimentale di Bergamo. Sì, come quel Bartolomeo Colleoni che da madre natura ne ebbe tre e non due". 

Troppo testosterone. Avido di donne, di divertimento, di strapazzi mondani, perennemente avvolto dal consenso femminile, non si chiude in Parlamento ma in Camera (da letto). Polaroid '99 della prima volta di Silvio nel salottificio capitolino dell'avvocato Giuseppe Consolo. Eccolo che parlotta al telefonino, quindi lo passa a Gianfranco Fini che fa: "Veronica, stai tranquilla. Silvio sta con me".

Ah, la fregola del cavaliere... Racconta Enzo Mirigliani, patron di Miss Italia: "Nel '79 appare per la prima volta al concorso anche Silvio Berlusconi, in maglietta e bermuda, accompagnato da Giorgio Medail e alla guida di una piccola troupe della neonata Telemilano".

Cerca la risata altrui. Sempre. Ovunque. Senza temere di esserne seppellito. E’ più forte di lui: abbia di fronte Clinton, i suoi apostoli di Forza Italia o il temibile comunista di turno, Silvio Berlusconi quando ce l’ha-ce l’ha (la barzelletta), la deve sparare. Ne ha un repertorio vastissimo. Che modella, personalizza, strumentalizza. Ricicla, se necessario. A volte oscilla pericolosamente tra il cattivo gusto e la gaffe: e allora sono smentite, sottili distinguo.

Non esistono colonne d’Ercole che la vena barzellettiera del Cavaliere non oltrepassi. A suo rischio, naturalmente. Come nell’agosto del ’94 quando, da pochi mesi a palazzo Chigi, sentendosi perseguitato dai giornalisti, sfogò così la sua insofferenza: “Al Pontefice cade il breviario in acqua e il premier, camminando sulle acque, glielo va a prendere. Titoli dei quotidiani: "Il presidente del Consiglio non sa nemmeno nuotare". Il Vaticano tacque per qualche giorno poi, con tono vagamente piccato, fece sapere che il Papa l’aveva già sentita nell’83 quella barzelletta, in Polonia, dopo il colpo di Stato: al posto di Berlusconi c’era il generale Jaruzelski.

Con quel gaudente di Clinton, invece, il Cavaliere è sempre andato a nozze. Come quando, in pieno caso Lewinsky, non esitò a raccontargli di quello che si era fatto disegnare un neo sul pene: “L’ho fatto perché così, quando mi eccito, il neo diventa un moscone”. E l’altro: “Io invece mi sono fatto tatuare le lettere "So": così, quando mi eccito, compare la scritta "Saluti da San Benedetto del Tronto".

La controffensiva della barzelletta fu affidata al Manifesto: “Berlusconi muore e va in Paradiso. C’è una lunga coda, il Cavaliere pretende da San Pietro una corsia preferenziale. San Pietro telefona al Padreterno: "C’è uno che vuole passare davanti agli altri. Dice di chiamarsi Berlusconi". E Dio: "E’ un impostore. Berlusconi sono io".

I guai maggiori il Cavaliere li ebbe con quella dei banditi che entrano nell’ufficio, gridano “questa è una rapina» e un impiegato risponde: "Meno male, credevo fosse la Guardia di Finanza”: si beccò una querela dalla Fiamme Gialle. O quando sciorinò la storia del malato di Aids al quale il medico aveva consigliato di fare le sabbiature £così si abituerà a stare sotto terra”: insorse mezza Italia. 

Era fatto così. Ho avuto occasione di incontrarlo due volte. La prima, nel ’92, a casa di Mario Cecchi Gori, con il quale Berlusconi aveva fondato la Penta Cinematografica, come autore di un filmetto, “Mutande Pazze”. C’era mezzo cinema italico, da Benigni a Verdone. Quando ci incrociammo parlammo di “Quelli della notte”, di Arbore che mai avrebbe lasciato la Rai per Mediaset, poi sparò due conveniveli con Chiara, la mia compagna di allora, infine ci chiese: “siete innamorati?”, ricevuto l’inevitabile risposta affermativa congiunse le nostre mani e ci dichiarò marito e moglie, tra un calicino e una pizzetta…

La seconda volta, quindici anni dopo, a casa di Sandra Carraro. Dopo i soliti convenevoli, mi prese da parte e mi chiese, serie serio: “Hai tatuato anche il tuo pisello?”. Al telefono, vista la grande schiera di ottimi imitatori della sua cadenza brianzola, non sapevo mai se avevo come interlocutore davvero “il presidente”, come veniva annunciato.

Politicamente, lo stregone del Bunga Bunga, egocentrico in stile "Dall'Io all'eternit", ha fallito. Cannibalizzando delfini e pretendenti al trono, per ritrovarsi oggi con un partito nanizzato all’8 per cento. Se esiste uno spostamento a destra anche dell’elettorato democristo-conservatore, specie al Nord, egli ne porta la responsabilità. Per circa venticinque anni ha occupato il palcoscenico e non è riuscito o non ha voluto costruire un vero partito di centro, con una struttura organizzativa e una classe dirigente. In fondo Giorgia Meloni ha occupato un vuoto. Il suo vuoto.

L’era glaciale. Addio all’uomo che ha dominato la scena pubblica per oltre 30 anni, lasciandola esattamente com’era. Francesco Cundari su L'Inkiesta il 13 Giugno 2023.

L’impressione è che il nostro paese, al termine dell’era berlusconiana, è più o meno dove Berlusconi l’aveva trovato all’inizio della sua esperienza politica, che coincide non per niente, tutta intera, con la Seconda Repubblica

Per i giovani d’oggi i capi del centrodestra si chiamano Giorgia Meloni e al limite Matteo Salvini, il leader dei populisti si chiama Giuseppe Conte (e prima, semmai, Beppe Grillo), persino la figura del palazzinaro passato dalla tv alla politica con tutti i suoi conflitti d’interesse, il suo narcisismo, i suoi problemi giudiziari e tricologici evoca il nome di Donald Trump, prima che quello di Silvio Berlusconi (Trump in tv ci andava, non la possedeva, ma non è una differenza essenziale).

Per la generazione che la televisione la guarda sul telefonino (anzi non la guarda proprio, se non in streaming) e i propri idoli della musica o dello sport li segue su Instagram, il fondatore di Forza Italia, padre della tv commerciale, presidente e rifondatore del Milan degli anni ottanta aveva ormai da tempo un ruolo politico marginale, e un’influenza anche minore sul terreno della cultura popolare e del costume (molto meno non dico di Chiara Ferragni, ma pure dell’ultimo influencer di Tik Tok).

I giornali di oggi dedicheranno giustamente decine di pagine all’uomo che più d’ogni altro ha dominato la scena pubblica italiana per oltre trent’anni, praticamente in ogni campo, ma è innegabile che tra il protagonista di quelle vicende e l’uomo spentosi ieri all’ospedale San Raffaele di Milano corresse ormai, da tempo, una notevole differenza. Più o meno analoga a quella che corre tra il Milan di Van Basten, Gullit, Rijkaard e il Monza di oggi.

Adesso, come è naturale che sia, ammiratori e sodali ci spiegheranno in lungo e in largo le epocali innovazioni introdotte da Berlusconi nella politica, nella televisione, nella cultura popolare e nel costume. E come è forse altrettanto naturale, in ogni caso inevitabile, i suoi detrattori ci spiegheranno con non minore dovizia di dettagli quanto Berlusconi abbia distrutto la politica, rovinato la televisione, involgarito la cultura popolare e corrotto i costumi (e non solo i costumi).

Eppure, guardando all’Italia di ieri e a quella di oggi, è difficile resistere alla tentazione di dare torto agli uni e agli altri. L’impressione è che il nostro paese, al termine dell’era berlusconiana, comunque la si voglia datare, è più o meno dove Berlusconi l’aveva trovato all’inizio della sua esperienza politica, che coincide non per niente, tutta intera, con quella lunga stagione che i giornali hanno pigramente battezzato Seconda Repubblica. Una stagione che non ha visto nessuna particolare rivoluzione (tantomeno nel costume, come testimonia il ritardo accumulato nel campo dei diritti civili e l’arretratezza di tutte le relative discussioni e legislazioni in materia), ma neanche chissà quale svolta autoritaria. È stata piuttosto un’era glaciale, segnata dall’immobilismo politico, dalla stagnazione economica, dal declino demografico e sociale.

Come TeleMike e La ruota della fortuna non hanno avuto, nel forgiare l’identità italiana, il peso che hanno avuto la Divina commedia, i Promessi sposi o Libro Cuore, così un partito chiamato Forza Italia – nome che ormai ci sembra normale, perché col tempo ci si abitua a tutto, ma dovrebbe pur dirci qualcosa – non ha svolto una funzione nemmeno lontanamente paragonabile a quella della Democrazia cristiana.

Nei libri di storia, dove finirà a brevissimo, Forza Italia sarà ricordata come quello che è sempre stata l’intera avventura politica berlusconiana: una gigantesca, eccezionale, riuscitissima operazione di marketing. E nient’altro.

Il primo vero campione dell’economia del sé (cit.), il primo e il più gigantesco di tutti gli influencer, obiettivamente, è stato proprio Silvio Berlusconi. Di sicuro non è stato uno statista, anche se, almeno per quanto riguarda la costruzione del consenso e il mantenimento del potere, è stato un politico geniale. Ma la sua idea di polis non ha mai oltrepassato i confini delle sue proprietà.

Socialista e conservatore in politica interna, ultra-atlantista e ultra-putiniano in politica internazionale, oligopolista e liberista in economia, libertino e tradizionalista nel costume, Berlusconi non è mai stato in realtà nient’altro che berlusconiano. Non ha salvato l’Italia e non l’ha affossata. L’ha semplicemente lasciata dov’era, alla fine della cosiddetta Prima Repubblica, dopo il crollo del Muro di Berlino e la tempesta giudiziaria di Mani Pulite, e da dove purtroppo non si è mai mossa.

L’età del Cav. Berlusconi conteneva moltitudini, ma ha regnato più che governato. Christian Rocca su L'Inkiesta il 12 Giugno 2023.

L’epopea dell’uomo che ha innovato la società e la politica italiana e che è finito, al contrario di quanto previsto nel Caimano, col rovinare prevalentemente sé stesso e la sua eredità

Silvio Berlusconi si contraddiceva perché era vasto, conteneva moltitudini. Era tutto e il contrario di tutto, un bauscia e un libertino, un intrattenitore e un criminale, un imprenditore politico e un politico imprenditore. Era comico ed era tragico, mentiva, mentiva tanto, spesso per il piacere di farlo e molto di più per tornaconto personale.

Berlusconi ha cambiato la società e la politica, da principio innovando sia l’una sia l’altra, ma a guardare bene in realtà ha regnato più che governato.

Le fioriere ben curate di Palazzo Chigi e le alte uniformi dei picchetti d’onore sono state più importanti dei dossier di Stato e dell’economia italiana, sebbene poi si sia messo velocemente da parte quando la situazione si è fatta incontrollabile anche per colpa sua e abbia cambiato la politica estera italiana da filo araba a filo israeliana e dall’essere l’ultima ruota del carro franco-tedesco fino a diventare quella del più importante alleato europeo degli Stati Uniti dopo la Gran Bretagna.

Berlusconi ha realizzato il Sessantotto, come ha scritto in un libro, naturalmente della berlusconiana Einaudi, il poeta Valerio Magrelli, un intellettuale non sospettabile di intelligenza col Biscione, portando l’immaginazione al potere, più incubo che sogno ovviamente, più matericità dell’illusionismo che illusioni del materialismo.

Berlusconi è stato tutto tranne che un leader di plastica, «meno male che Silvio c’è» non è solo una canzonetta, ma l’invocazione viva e pseudo religiosa del suo popolo. Berlusconi è stato un leader carnale, altro che di plastica.

Gli avversari non l’hanno mai capito, ma solo demonizzato, anche se a volte hanno ceduto al fascino del grande seduttore e firmato contratti sugosi con le sue tv e le sue case editrici.

Gli adulatori non l’hanno mai ben servito, impegnati a ottenere qualcosa per sé e non a costruire qualcosa per il paese. Una per tutte, la battaglia per la giustizia giusta. Berlusconi ha subìto una persecuzione giudiziaria senza precedenti nella storia repubblicana, a volte era innocente e un paio di volte no, ma non era “estraneo” come Enzo Tortora alle cose per cui veniva regolarmente mascariato. La battaglia garantista in mano a molti dei suoi scagnozzi era sacrosanta, ma il risultato finale è stato Fofò Dj a Via Arenula e il trionfo dei mozzorecchi in tutto il paese, talmente squinternata e poco credibile è apparsa la doppia morale dei berlusconiani garantisti con Berlusconi e giustizialisti con i suoi avversari.

Ha costruito Milano due e con Milano due anche uno dei maggiori centri di eccellenza sanitaria, il San Raffaele, per convincere con le buone oltre che con le cattive a cambiare le rotte degli aerei da e per Linate che disturbavano i pazienti di Don Verzé e soprattutto i potenziali clienti immobiliari di Berlusconi. Ma Berlusconi è anche il responsabile della rinascita di Milano uno, la nuova metropoli-place-to-be, quella dei gastropub sotto le torri delle archistar e della riscossa cosmopolita, che è stata progettata negli anni in cui i suoi hanno governato la città.

Berlusconi è stato tutto tranne che il Caimano, uno dei ritratti più infelici fatti sui suoi anni. Non ha lasciato macerie, alla sua uscita di scena non ci sono stati fuoco e fiamme, più banalmente non ha lasciato niente di credibile e di accettabile né nella politica né nella società, e laddove era stato innovatore è tristemente diventato irrilevante.

L’unica cosa che ha distrutto è stato sé stesso, la sua immagine, la sua legacy con le cene eleganti e con gli ominicchi di cui si è circondato, lui che era partito con Colletti, Ferrara, Vertone, Mentana, e Urbani e Martino, finanche con Santoro a Mediaset e con Annunziata a presiedere la Rai, ma che è finito con Mario Giordano e la setta dei retequattristi.

Berlusconi ha rovinato tutto quello che poteva rovinare e che aveva creato con genialità e sregolatezza: le tv che avevano innovato la società italiana trasmettono pressoché spazzatura, la Mondadori non ha più i giornali e i suoi libri non sono più rilevanti, al posto del Milan gli è rimasto il Monza.

Berlusconi ha ammaliato un terzo dei nostri connazionali con l’idea di un nuovo miracolo italiano, una versione indigena del sogno americano, ma è finito a raccontare barzellette sconce a un plotone di reduci e di badanti.

Lui che ha provato a portare la Russia dentro la Nato per chiudere davvero la Guerra Fredda una volta per tutte ha tragicamente concluso la carriera politica da portavoce del criminale Vladimir Putin, già arruolato come professore di liberalismo all’università di Villa Gernetto.

Lui che ha fatto carriera politica denunciando le atrocità del regime di Mosca e pubblicando il famigerato libro nero dei crimini del comunismo è lo stesso che durante una conferenza stampa ha mimato una raffica di mitra contro la giornalista russa, collega di Anna Politkovskaya e di tanti altri giornalisti uccisi dal Cremlino, perché aveva osato fare una domanda irriguardosa a Putin.

Per non parlare della ripugnante sceneggiata di Villa Pamphilii concessa a Gheddafi, alle sue amazzoni, ai cavalli e alle tende beduine. Eppure Berlusconi è stato soprattutto il leader che ha accolto Bill Clinton, che ha ospitato inbandanato Tony Blair, che ha parlato al Congresso americano come il nuovo De Gasperi.

Solo su Trump, Berlusconi non si è mai contraddetto, prendendo subito le distanze dal Cialtrone in Chief, probabilmente spazientito dai paragoni poco lusinghieri tra la sua epopea e quella dell’immobiliarista tamarro diventato presidente degli Stati Uniti.

Agli amici americani che ridacchiavano su Berlusconi al potere, e poi si sono ritrovati con Trump alla Casa Bianca, ho sempre ricordato che Berlusconi ha governato l’Italia per vent’anni, ha vinto e perso le elezioni senza nessun contraccolpo politico e sociale, lasciando l’Italia sempre al suo posto, senza sciamani e proud boys pronti a menare le mani e a sovvertire i processi democratici: avrebbero potuto dire la stessa cosa, loro, se Trump fosse stato rieletto per un secondo mandato?

L’Italia era il paese che Berlusconi amava, gli italiani hanno ricambiato.

Il Cav. e noi. Berlusconi e la formidabile dottrina del facciamo un po’ come cazzo ci pare. Guia Soncini su L'Inkiesta il 13 Giugno 2023.

Impossibile restare indifferenti a un uomo terrificante e d’altri tempi, ma mai noioso, come il cavaliere. Sopravvalutato da estimatori e da detrattori, divisi equamente in due curve contrapposte, anche adesso che è morto

«Dice: mezza Italia è contenta, dico: ci hanno fatto un bonifico?, dice: è morto Berlusconi, ah, io i giornali non li guardo mai». Non voglio intromettermi nella conversazione tra la barista e il cliente cui sta spiegando come ha appreso la notizia del giorno, sennò le direi che fa benissimo: mai leggere i giornali sarà inutile quanto in questi giorni di pezzi confermativi e finte contrapposizioni tra «Silvio Berlusconi vulnus della democrazia» e «non Berlusconi in sé ma Berlusconi in me».

Di tutte le banalità che verranno scritte in questi giorni, la più innegabile è che nessuno che sia stato adulto in Italia negli ultimi trent’anni ha avuto una vita scevra di Silvio Berlusconi, era come se la settimana di Sanremo durasse tutto l’anno, anche se ti piccavi di non guardarlo o di essergli indifferente comunque non potevi prescinderne.

Io, poi, ho avuto in sorte l’avere vent’anni negli anni dell’unica storia rilevante dei decenni recenti – quella che parte dalle dimissioni di Cossiga, passa per Mario Chiesa, per Falcone e Borsellino, per il lancio di monetine, per lo sciopero delle sigarette, per il ritorno delle bombe nelle città italiane, per i puff imbottiti di soldi, per la morte di Fellini e per quella di Gardini, e arriva lì: alla cena bolognese per raggiungere la quale ho preso un treno, perché devo essere tra i miei amici intelligenti, tra gli adulti che capiscono la politica, devo poter un domani raccontare che in quel marzo del 1994 io sono tra i giusti, quando la civiltà sconfigge Silvio Berlusconi.

Sono passati quasi trent’anni, e i miei amici che all’epoca avevano quaranta o cinquant’anni ne hanno settanta o ottanta e, incapaci di elaborare la loro sconfitta di osservatori (io avevo ventun anni, ma come faceva un adulto a non accorgersi della giacca marròn di Occhetto? Faceva, perché ancora adesso i ceti medi riflessivi di tutto il mondo sono pieni di gente incredula che non ha mai conosciuto un elettore di Silvio Berlusconi o di Donald Trump e quindi mica possono aver vinto davvero), dicono che è colpa di Silvio.

Non ritengono di dover fornire una scusa per il loro non aver mai capito il mondo, perché ritengono di averlo capito. Qualche anno fa, osservando non ricordo quale degli scappati di casa politici di questo secolo, un mio coetaneo ha sospirato «ma ti rendi conto che noi pensavamo che l’abisso culturale e la fine della democrazia fosse un parlamento con Lucio Colletti», e io allora ho iniziato a usare per ogni verifica di scemenza quella frase della de Beauvoir cinquantaduenne a proposito dei propri vent’anni: «Avevamo torto pressoché su tutto».

Loro, quelli che erano già adulti allora e sono attaccati alle loro convinzioni di allora, hanno accolto irritati la notizia precisando che, certo, Berlusconi avrà pure cambiato l’Italia, ma loro preferivano l’Italia di prima. Seriamente convinti che esistesse un’Italia di prima – l’Italia di cui si fantastica ogni 25 aprile, quando decine di milioni di italiani accorrono sui social a ricordarci genitori e nonni e bisnonni partigiani, cento milioni di partigiani – e anche che il mondo di prima sarebbe continuato, se non fosse stato per l’egemonia d’un signore ricco di pessimo gusto (della preferenza italiana per i soldi ereditati dei quali non si percepisce la fatica, e quindi del nostro vezzo di trovare Gianni Agnelli più elegante di Silvio Berlusconi, di quello parliamo un’altra volta).

Quando gli dici che no, che l’Italia è com’è per colpa degli italiani, non di Silvio Berlusconi, che le tv scollacciate negli anni Ottanta le hanno avute l’Inghilterra e la Germania, e questo non ha impedito molti anni di Merkel al potere, e se le donne italiane faticano a imporsi non è colpa di Tinì Cansino, e che ci sono state la Brexit e Trump e un intero mondo che ha avuto esattamente la nostra stessa deriva senza aver mai guardato i tg di Emilio Fede, prendono i toni dei cinquenni che non vogliono sentire che babbo Natale non esiste e ti dicono no, tu non capisci, il berlusconismo è stato una rovina morale. Ne concludo che Silvio Berlusconi è parimenti sopravvalutato da estimatori e detrattori.

Rispetto alle donne, alle barzellette, ai pullman di figa, al gesto davanti a Michelle Obama, a tutto quello su cui ci è piaciuto indignarci per decenni, mi è sempre sembrato bizzarro che nessuno tenesse mai conto del fatto che era un uomo nato negli anni Trenta. Sì, lo so che avete tutti avuto genitori partigiani e femministi e illuminati, ma veramente non vi siete mai accorti di quanto il mondo sia cambiato negli ultimi decenni e di quanto sia ovvio che i codici comunicativi e la soglia dell’inaccettabilità siano diversi?

E questo ci porta a: è morto, parliamo di quella volta che l’ho incontrato. Non ero più la ventenne convinta che il futuro fosse del Pds (che tenerezza), ma neanche ero un’adulta con una qualche lucidità. Ero una trentaequalcosenne in uno studio televisivo in cui Berlusconi dava un’intervista elettorale, dovevo scriverne, ero dietro le telecamere e osservavo. A fine diretta, il conduttore me lo presenta, e lui ci resta male: ah, ma quindi è qui per lavoro, io pensavo fosse un’ammiratrice, «le avevo anche schiacciato l’occhio».

La me trentenne raccontava questa scena dicendo ma ti rendi conto, che uomo viscido, e poi passava a concentrarsi sulla stranezza estetica di Berlusconi visto dal vivo, l’hai visto tante di quelle volte in foto che sei convinta lo riconoscerai, e invece è una specie di contrario delle anoressiche che sembra sempre abbiano la testa enorme: lui aveva le spalline della giacca talmente imbottite che la testa sembrava minuscola.

La me adulta sa che il dettaglio notevole è che non dice «le ho fatto l’occhiolino», dice «schiacciato l’occhio», un’espressione che non credo d’aver mai sentito da nessuno ma che sarebbe stata benissimo addosso a mia nonna, che diceva «bàule» e beveva il rosolio.

Nella scena che piace tanto citare a tutti, quella di Berlusconi che spolvera la sedia dov’è stato seduto Travaglio nello studio di Santoro, Berlusconi lo fa tirando fuori dalla tasca un fazzoletto di stoffa. L’ultima volta che ho visto fazzoletti di stoffa è stato nell’armadio di mio padre negli anni Settanta. Niente mi dice «altri tempi» come il fazzoletto di stoffa.

Kendall Roy ha un fazzoletto di stoffa – color nero luttuoso, perdipiù – al funerale del padre. Logan Roy era un miliardario che s’era fatto da solo, il che in America è meno straniante che in Italia, essendo la loro matrice letteraria Jay Gatsby e non la divina provvidenza del Manzoni; Kendall deve improvvisare un’orazione, e dice che suo padre ha costruito una civiltà dal fango, e che sì era un bruto, ma avercene, io spero che quella natura lì sia in me, «perché, se non riusciamo a eguagliare la sua fregola, Dio sa che il futuro sarà inerte e grigiastro»: ecco, sì, quello che ha preso il signore.

Mi aspetto che Succession sia citatissimo negli articoli, gli eredi non all’altezza del patriarca, il patriarca che era un uomo di merda ma mai noioso, mai vissuto di rendita, mai uno di questi qua (continuo a pensare al sottotitolo di quel libro di Ceccarelli, “Da De Gasperi a questi qua”). Io sto fantasticando che Veronica Lario faccia come Marcia Roy: si riappropri del cadavere come la separazione non fosse mai avvenuta, cacciando la tapina che ha il merito e la colpa d’esser stata carne fresca.

Ora non è che, in un universo nel quale non abbiamo ancora trovato un modo non tifoso di raccontare una guerra di ottant’anni fa, in ventiquattr’ore veniamo a capo di Silvio Berlusconi: se ne occuperanno tra secoli senza i nostri tic da curva di tifoseria; io mi limito a cercare (invano) di ricordare quand’ho cominciato a dire «devo votarlo, non esiste che muoia senza che io l’abbia mai votato». Poi non l’ho fatto, ma un po’ mi dispiace: sarebbe stata una buona chiusura di cerchio per una vita adulta partita ritenendolo il massimo male del mondo e proseguita dovendo ammettere che in confronto a questi qua era Churchill.

Non l’ho fatto ma l’ho detto così spesso che l’amica che m’ha telefonato per darmi la notizia m’ha detto solo «Non l’hai votato». Dov’eri quando morì Berlusconi, mi chiederanno tra decenni. Ero senza un coccodrillo pronto, perché come si fa ad affrontare la morte d’un pezzo di paesaggio, non sai da che parte prenderla. Ero senza il voto che m’ero ripromessa di dargli per completare la redenzione della me ventenne. Ed ero reduce da una serata trascorsa a guardare attonita una scrittrice che raccontava d’aver stracciato il suo contratto con Mondadori perché Berlusconi era il nemico, «sono passata a Einaudi», «ma pure Einaudi è di Berlusconi», «che c’entra».

Quand’ero piccola Michele Santoro faceva un programma le cui puntate si aprivano con uno slogan irresistibile: «Comunque la pensiate, benvenuti a Samarcanda». Non era vero. Non è mai stato vero. Siamo sempre stati tifosi, e Berlusconi ha incarnato con la tigna di nessuno quella polarizzazione lì, quella vocazione di noi gente qualunque a stare con qualcuno o contro qualcuno. Mentre lui aderiva a un’unica curva, quella di sé stesso. Come ha detto l’unico politologo lucido degli ultimi trent’anni, Corrado Guzzanti, riassumendone la linea politica e umana: facciamo un po’ come cazzo ci pare.

Era il corpo pulsante del Paese in cui gli italiani si specchiavano. Francesco Maria Del Vigo il 13 Giugno 2023 su Il Giornale.

Amici e nemici in lui vedevano realizzati desideri e ambizioni. Ricco, potente ma immerso nel popolo. Coi video anticipò i social

Silvio Berlusconi non era solo Silvio Berlusconi. Era il corpo del Paese, l'autobiografia di una nazione, il romanzo popolare di tutti gli italiani. Anche di quelli che lo hanno detestato. Perché la sua vita assolutamente unica e non replicabile rappresentava, per paradosso, quella di milioni di cittadini che in lui specchiavano le loro ambizioni e i loro desideri. La sua sterminata, pirotecnica e caleidoscopica biografia, è il riassunto del sogno italiano.

Ed è anche con la sua storia e la sua fisicità che ha ringiovanito e rivoluzionato una politica ancora imbolsita e ingessata in riti arcaici.

Lo storico video della discesa in campo, quello del gennaio 1994, non è solo un terremoto politico, ma è uno tsunami comunicativo. Il corpo di Silvio Berlusconi fa irruzione nelle case di milioni di italiani, si inventa la disintermediazione prima ancora che i social network cambino la grammatica di ogni tipo di linguaggio. C'è un prima e un dopo la discesa in campo, il Cavaliere illumina col technicolor una politica che sembrava ancora in bianco e nero, si rivolge con tono amicale a quei cittadini che si sentivano dare del lei dalle istituzioni.

È una rottura maiuscola con la vecchia politica, ma è allo stesso tempo la cosa più naturale del mondo trovarsi nel salotto di casa un signore che ha costruito un impero e ha dimore degne di un imperatore. Perché Berlusconi, nonostante fosse il più ricco e il più potente dei suoi concittadini, era innanzitutto uno di loro, uno di noi. Non c'è distacco, scollatura, distanza sociale o snobismo. Berlusconi è un magnate, ma non ha niente a che fare con le élite algide e distaccate.

Perché innanzitutto è un italiano, con i suoi clamorosi successi e gli incidenti di percorso, le fortune alternate a momenti di persecuzioni e ingiustizie. Berlusconi costruttore, imprenditore, politico, padre di famiglia, nonno, sportivo e tifoso. C'è un Berlusconi per ogni tipologia di italiano, all'interno della sua biografia sono stipate decine di vite che prendono corpo anche nei giganteschi manifesti elettorali da «presidente operaio» o nelle infinite foto coi cappelli legati alle professioni più svariate: da quello da ferroviere alla bustina da pizzaiolo.

Berlusconi che rompe i protocolli, anticipa le mode, si mette le bandane, fa i «tagliandi», racconta le barzellette, scherza con le donne, movimenta i vertici internazionali, si commuove e piange per gli immigrati morti in mare. Il re delle televisioni è anche un antennista bravissimo a sintonizzarsi sulle frequenze degli italiani, ad anticiparne le decisioni, a intercettarne le necessità, a intuirne le problematiche. Si muove in elicottero, ma conosce l'uomo della strada. Berlusconi che ci mette la faccia, sempre e comunque, e ci aggiunge pure il suo celeberrimo sorriso che ha sfoderato incessantemente, dal primo giorno in cui ha iniziato a vendere lotti di terreno fino all'ultimo minuto della sua esistenza.

Anche negli ultimi video dal San Raffaele Berlusconi, già provato dalla malattia, ci ha messo il corpo e la faccia. E su quel viso, stanco ma sereno, si è allargato ancora una volta il suo sorriso. Ancora una volta, l'ultima, ha voluto mostrarsi fisicamente al suo popolo, alla scrivania, con i fogli in mano, un tricolore alle spalle e quella lezione di infinita dignità nell'«essersi messo la camicia e la giacca». Ma c'è un'immagine su tutte che, nella su tragicità, racconta la tempra dell'uomo, il suo rapporto scenico, umano e soprattutto fisico con il suo popolo, con la folla, il suo desiderio di stare sempre tra la gente: 13 dicembre 2009, Berlusconi è presidente del Consiglio e ha appena tenuto un comizio in piazza del Duomo a Milano per la campagna di tesseramento del Pdl. Mentre sta per rientrare nella sua auto, circondato dalla folla, viene colpito al volto con una statuetta del Duomo. L'impatto è devastante, il Cavaliere portato a braccia nella vettura dagli uomini della sua scorta. Ma pochi istanti dopo ne riemerge e sale, barcollante, sul predellino dell'auto. Il volto è tumefatto, i denti distrutti, la bocca è impastata di sangue. È una scelta spericolata, coraggiosa, ma ai limiti dell'incoscienza: se l'attentatore non fosse stato solo o fosse stato ancora a piede libero avrebbe potuto assestargli il colpo finale. Ma è anche la scelta più berlusconiana in assoluto, di un Berlusconi che non teme di farsi vedere ferito, fragile e in pericolo e che vuole guardare in faccia il suo aggressore e tranquillizzare il suo popolo. L'istantanea di combattente indomito che non ha mai smesso di lottare, fino all'ultimo.

Un posto nella Storia. È finita un'epoca. Davvero. Non è una frase fatta perché Silvio Berlusconi è uno dei pochi uomini, davvero rari, che hanno caratterizzato un intero periodo storico nella vita di un Paese. Augusto Minzolini il 13 Giugno 2023 su Il Giornale.

È finita un'epoca. Davvero. Non è una frase fatta perché Silvio Berlusconi è uno dei pochi uomini, davvero rari, che hanno caratterizzato un intero periodo storico nella vita di un Paese. L'Italia degli ultimi trent'anni ha vissuto sulla figura del Cavaliere. È lui il filo conduttore di una narrazione che attraversa tre decenni. È un dato che nessuno può smentire o nascondere: né amici, né avversari, né fan, né detrattori. Non puoi parlare dell'Italia a cavallo tra il secondo e il terzo millennio senza parlare di lui. E ancora oggi ne era il punto di equilibrio politico e non solo. Per questo è complesso immaginare un'Italia senza il Cavaliere e per lo stesso motivo è difficile credere che la sua assenza non determini dei cambiamenti. Già solo questa constatazione dimostra che, come il Paese ha dato molto a Berlusconi, anche Berlusconi ha dato molto al Paese.

È una verità che dovranno riconoscere tutti in sede storica, lontano dalle polemiche che alimentano l'agone politico. Anche perché è difficile nel vissuto di un solo uomo trovare il grande imprenditore, il grande uomo di sport, il grande uomo politico. Tre primati che hanno un tratto comune: lo spirito indomito, l'ardire di lanciare il cuore sempre e comunque oltre l'ostacolo, l'ottimismo di pensare una frase che ripeteva spesso che da un male può sempre venire un bene.

Ne era convinto anche all'inizio del calvario che lo ha portato via in due mesi, quando parlando della sua malattia mi disse con tono determinato al telefono: «Ce la farò anche questa volta». E ne era sicuro anche due settimane fa, quando andai a trovarlo ad Arcore. In un momento in cui eravamo rimasti soli, gli chiesi se in queste settimane avesse mai avuto paura e lui che ha sempre avuto il coraggio di chiamare le cose con il loro nome ammise: «Due volte, quando ho avuto la bruttissima sensazione di non respirare». Una confessione forse figlia di un presentimento, oppure la consapevolezza che questa volta l'impresa era ardua ma la battaglia andava combattuta fino alla fine. Per una ragione più profonda di quanto possa apparire.

Berlusconi non ha mai avuto timore della morte, ma sentiva dentro il bisogno di dare un ricordo vero di se stesso all'Italia, al di là degli odi e dei rancori che partorisce un Paese sempre diviso in guelfi e ghibellini, in comunisti e fascisti, in berlusconiani e anti-berlusconiani. È questo il vero cruccio con cui ha convissuto in quest'ultima parte della sua vita: essere ricordato per quello che era realmente e non per come i suoi avversari lo hanno dipinto per anni, massacrandone l'immagine per fini di parte. Ricordo come se fosse ora una telefonata che mi fece all'una di notte lo scorso 23 aprile. Era ricoverato al San Raffaele, ma mi chiamò per farmi una confidenza, per lasciarsi andare ad uno sfogo che gli sgorgava dall'anima: «Io voglio vivere perché non posso lasciare di me l'immagine deturpata e falsa che mi hanno appiccicato addosso i miei avversari, quelli che mi odiano. Io sono un imprenditore che ha costruito città, un presidente del Milan che ha vinto tutto. Come politico ho evitato che l'Italia finisse nelle mani di una sinistra che non era quella di oggi ma quella dei comunisti, come uomo di governo ho tentato in tutti i modi di modernizzare il Paese. Eppure sono stato oggetto di una persecuzione durata una vita, dal punto di vista giudiziario e non solo. Voglio ristabilire la verità. Lo devo ai miei cinque figli e agli italiani».

Ristabilire la verità, appunto, ma non solo per se stesso, ma anche per pacificare un Paese che per trent'anni si è inventato uno scontro ideologico tra berlusconiani e anti-berlusconiani. Un assurdo per un personaggio che ha sempre avuto l'ambizione di essere un pacificatore, che sul moderatismo e su una visione liberale e cristiana del Paese ha fondato un partito. Basterebbe un minimo di onestà intellettuale per riconoscerlo. E in fondo a guardare i giudizi espressi in Italia e a livello internazionale, i riconoscimenti ricevuti dalla politica e dai leader di tutto il mondo, si può dire che Berlusconi ha vinto anche la sua ultima battaglia: quella di salvaguardare la sua memoria e di veder riconosciuto da amici e avversari (a parte quelli che lo hanno trasformato nella loro fobia) il posto che gli spetta nella Storia.

Era il corpo pulsante del Paese in cui gli italiani si specchiavano. Amici e nemici in lui vedevano realizzati desideri e ambizioni. Ricco, potente ma immerso nel popolo. Coi video anticipò i social. Francesco Maria Del Vigo il 13 Giugno 2023 su Il Giornale.

Silvio Berlusconi non era solo Silvio Berlusconi. Era il corpo del Paese, l'autobiografia di una nazione, il romanzo popolare di tutti gli italiani. Anche di quelli che lo hanno detestato. Perché la sua vita assolutamente unica e non replicabile rappresentava, per paradosso, quella di milioni di cittadini che in lui specchiavano le loro ambizioni e i loro desideri. La sua sterminata, pirotecnica e caleidoscopica biografia, è il riassunto del sogno italiano.

Ed è anche con la sua storia e la sua fisicità che ha ringiovanito e rivoluzionato una politica ancora imbolsita e ingessata in riti arcaici.

Lo storico video della discesa in campo, quello del gennaio 1994, non è solo un terremoto politico, ma è uno tsunami comunicativo. Il corpo di Silvio Berlusconi fa irruzione nelle case di milioni di italiani, si inventa la disintermediazione prima ancora che i social network cambino la grammatica di ogni tipo di linguaggio. C'è un prima e un dopo la discesa in campo, il Cavaliere illumina col technicolor una politica che sembrava ancora in bianco e nero, si rivolge con tono amicale a quei cittadini che si sentivano dare del lei dalle istituzioni.

È una rottura maiuscola con la vecchia politica, ma è allo stesso tempo la cosa più naturale del mondo trovarsi nel salotto di casa un signore che ha costruito un impero e ha dimore degne di un imperatore. Perché Berlusconi, nonostante fosse il più ricco e il più potente dei suoi concittadini, era innanzitutto uno di loro, uno di noi. Non c'è distacco, scollatura, distanza sociale o snobismo. Berlusconi è un magnate, ma non ha niente a che fare con le élite algide e distaccate.

Perché innanzitutto è un italiano, con i suoi clamorosi successi e gli incidenti di percorso, le fortune alternate a momenti di persecuzioni e ingiustizie. Berlusconi costruttore, imprenditore, politico, padre di famiglia, nonno, sportivo e tifoso. C'è un Berlusconi per ogni tipologia di italiano, all'interno della sua biografia sono stipate decine di vite che prendono corpo anche nei giganteschi manifesti elettorali da «presidente operaio» o nelle infinite foto coi cappelli legati alle professioni più svariate: da quello da ferroviere alla bustina da pizzaiolo.

Berlusconi che rompe i protocolli, anticipa le mode, si mette le bandane, fa i «tagliandi», racconta le barzellette, scherza con le donne, movimenta i vertici internazionali, si commuove e piange per gli immigrati morti in mare. Il re delle televisioni è anche un antennista bravissimo a sintonizzarsi sulle frequenze degli italiani, ad anticiparne le decisioni, a intercettarne le necessità, a intuirne le problematiche. Si muove in elicottero, ma conosce l'uomo della strada. Berlusconi che ci mette la faccia, sempre e comunque, e ci aggiunge pure il suo celeberrimo sorriso che ha sfoderato incessantemente, dal primo giorno in cui ha iniziato a vendere lotti di terreno fino all'ultimo minuto della sua esistenza.

Anche negli ultimi video dal San Raffaele Berlusconi, già provato dalla malattia, ci ha messo il corpo e la faccia. E su quel viso, stanco ma sereno, si è allargato ancora una volta il suo sorriso. Ancora una volta, l'ultima, ha voluto mostrarsi fisicamente al suo popolo, alla scrivania, con i fogli in mano, un tricolore alle spalle e quella lezione di infinita dignità nell'«essersi messo la camicia e la giacca». Ma c'è un'immagine su tutte che, nella su tragicità, racconta la tempra dell'uomo, il suo rapporto scenico, umano e soprattutto fisico con il suo popolo, con la folla, il suo desiderio di stare sempre tra la gente: 13 dicembre 2009, Berlusconi è presidente del Consiglio e ha appena tenuto un comizio in piazza del Duomo a Milano per la campagna di tesseramento del Pdl. Mentre sta per rientrare nella sua auto, circondato dalla folla, viene colpito al volto con una statuetta del Duomo. L'impatto è devastante, il Cavaliere portato a braccia nella vettura dagli uomini della sua scorta. Ma pochi istanti dopo ne riemerge e sale, barcollante, sul predellino dell'auto. Il volto è tumefatto, i denti distrutti, la bocca è impastata di sangue. È una scelta spericolata, coraggiosa, ma ai limiti dell'incoscienza: se l'attentatore non fosse stato solo o fosse stato ancora a piede libero avrebbe potuto assestargli il colpo finale. Ma è anche la scelta più berlusconiana in assoluto, di un Berlusconi che non teme di farsi vedere ferito, fragile e in pericolo e che vuole guardare in faccia il suo aggressore e tranquillizzare il suo popolo. L'istantanea di combattente indomito che non ha mai smesso di lottare, fino all'ultimo.

Vivere con B. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 13 Giugno 2023 

«Le do una dritta: quando uscirà la notizia della mia morte, prima di prenderla per buona lasci passare tre giorni…». Un po’ ci spero, perché si fa fatica a immaginare una vita senza Silvio Berlusconi. 

Mi tenne compagnia fin dalla prima giornata di lavoro. Era il 1986 e il mio vicino di scrivania, un fiero comunista che sembrava disegnato da lui — lanciava una scarpa contro il televisore ogni volta che apparivano i baffoni di Lech Walesa, gridando «servo della Cia» — mi mostrò una foto del neopresidente del Milan che sorrideva in mezzo a Baresi e Maldini: «Vedrai che, entro sei mesi, al posto di Maldini e Baresi ci saranno due carabinieri!». La sinistra non ci ha proprio mai preso, con quell’uomo. 

Sei mesi dopo, al posto dei carabinieri, c’erano due prelati che gli sussurravano: «Dottore, come da accordi, lei parlerà prima del Santo Padre…». Ci trovavamo in un salone dei palazzi vaticani per l’udienza del Milan con Papa Wojtyla. Altro che «accordi»: dalla smorfia di Berlusconi compresi che nessuno lo aveva avvertito. Gli restavano dunque soltanto dieci minuti per improvvisare un discorso al Sommo Pontefice. Lo seguii di nascosto, lungo i velluti di un corridoio laterale: mi incuriosiva vederlo all’opera in una situazione inaspettata. Camminava avanti e indietro, contorcendo la bocca e componendo arabeschi con le mani. Alla fine della passeggiata indossò il suo miglior sorriso celentanoide e affrontò il Papa con poche e leggendarie parole. 

«Santità, Lei assomiglia al mio Milan», fu il suo esordio, a cui Wojtyla reagì rimanendo impassibile, mentre qualche porporato oscillò vistosamente. «Anche Lei, come noi, è spesso in trasferta, a portare in giro per il mondo un’idea vincente, che è l’idea di Dio». 

Mai nessuno aveva osato definire Dio «un’idea vincente». Non in quei palazzi, almeno. Berlusconi si era trascinato al seguito una falange di milanisti, giornalisti e inserzionisti del suo impero - il Gruppo, come si chiamavano tra loro - e li presentò al Papa uno alla volta: «Santità, questo è il grande Nils Liedholm, 359 presenze nel Milan da giocatore, 81 gol e un solo passaggio sbagliato». Wojtyla abbozzò un sorriso di cortesia. «E questo invece è Gigi Vesigna, direttore di Sorrisi e Canzoni: un milione di copie, molte più di Panorama!», il settimanale della Mondadori, che ancora non gli apparteneva. Il Papa si illuminò: «Panorama! Io leggo sempre Panorama!». Berlusconi ci rimase talmente male che credo abbia deciso in quel momento di comprare la Mondadori. 

Avevo ventisei anni e mi faceva già così ridere e così paura. Era il cumenda moderno, simpatico e spietato, generoso e megalomane, circondato da ondate concentriche di servilismo e devozione a cui faceva di tutto per non sottrarsi. Calava sull’allenamento del Milan da un elicottero direttamente sul prato di gioco (ma lui diceva «giuoco»), si toglieva l’impermeabile beige e lo lanciava alle sue spalle, dove c’era sempre un aspirante portiere pronto alla parata. Quando gli chiesi qual era stato il momento più bello della sua vita, non ebbe dubbi: «La volta in cui nell’antistadio di Como un tifoso mi urlò: Silvio sei una bella f…». 

Già allora esisteva un doppio Berlusconi: quello «con il sole in tasca» delle apparizioni in pubblico e il personaggio enigmatico che aveva potuto disporre a meno di trent’anni di prestiti ingenti. 

Nei lunghi pomeriggi di Milanello, a tenere banco tra i cronisti sportivi erano due storie extracalcistiche. Una riguardava il famoso esperimento sul tasso di credulità degli italiani. Berlusconi aveva piazzato il suo autista all’ingresso di una convention di imprenditori scafatissimi, presentandolo a tutti come «Ingegner Kwai, autore del ponte sul fiume omonimo». Sebbene si trattasse di una palese citazione cinematografica, sosteneva che oltre la metà degli illustri convenuti aveva stretto calorosamente la mano all’«ingegner Kwai», facendogli grandi complimenti. E chiosava: «È incredibile come persino le persone intelligenti finiscano per bersi qualsiasi balla». Chissà perché gli interessava tanto scoprirlo. 

L’altra storia riguardava il famoso patto di Segrate: quando Canale 5 e Retequattro, non ancora sua, avevano firmato un accordo solenne di venerdì pomeriggio per spartirsi la pubblicità televisiva a partire dal lunedì seguente. Dopo le foto di rito, Berlusconi rientrò nei suoi uffici e, così almeno narra la leggenda, si rivolse ai collaboratori come in un film d’azione: «Sincronizzate gli orologi: abbiamo poco più di 48 ore prima che l’accordo entri in vigore. Rastrellate tutta la pubblicità che c’è in giro!». Arrivò il lunedì e i proprietari di Retequattro si trovarono senza più neanche uno spot, tanto che di lì a qualche tempo dovettero vendergliela. Questo aneddoto, forse un po’ romanzato (magari proprio da lui) è il test che ho utilizzato negli anni per capire gli orientamenti politici dei miei interlocutori. Chi reagiva dicendo «vergogna, che disprezzo per le regole!» votava a sinistra. Ma la maggioranza commentava: «Intanto lui nel week-end ha lavorato». 

Lasciai Milano per Roma, convinto che non lo avrei incrociato mai più. Lo rividi una notte a Barcellona, con la Coppa dalle grandi orecchie fra le braccia, mentre catechizzava la folla: «Un giorno vorrei fare l’Italia come il Milan!». Tutti a darsi di gomito, tranne i giornalisti sportivi che lo seguivano da una vita. Loro sapevano di che cosa fosse capace. 

Una sera di novembre (del 1993) il giornale mi mandò in Parlamento per raccogliere pareri sul suo ventilato ingresso in politica. Montecitorio era deserta, ma da una porticina apparve l’allora capogruppo del Pds, Massimo D’Alema: «Smettetela con queste sciocchezze. Berlusconi non fonderà mai un partito. M-a-i!». Compresi che la discesa in campo era questione di ore. 

Nei mesi successivi l’Italia intera scoprì le sue manie e le sue megalomanie, ma anche la sua genialità. Le videocassette con la finta libreria dietro le spalle e la calza vera sopra la telecamera. Il miracolo italiano e la «narrazione» irresistibile dell’uomo di successo che viene dalla «trincea del lavoro». L’inno con le parole intercambiabili scritte da lui: «E Forza Italia per fare per credere...». Le frasi memorabili: «Non esistono i poveri, ma solo i diseducati al benessere». 

Ero esterrefatto. A cosa era servito scappare dallo sport, se me lo ritrovavo di nuovo addosso? «Prova a parlare d’altro», mi scongiuravano i lettori, ma non esisteva argomento in cui non c’entrasse Berlusconi.

La politica? Lui.

Il calcio? Lui.

La tv? Lui.

La pubblicità? Lui.

Il cinema? Lui.

La cronaca rosa? Lui.

La giudiziaria? Lui.

L’economia? Lui, lui, lui. 

Per distrarmi, un giorno comprai una rivista di botanica: c’era una sua foto nel giardino di Arcore mentre potava le rose. Dopo l’ennesimo exploit, scrissi: «Che cosa potrà ancora inventarsi quest’uomo per stupirci? Giuro che non me ne occuperò più, a meno che non faccia esplodere un vulcano». Era giugno. Resistetti fino a Ferragosto, quando dalla Costa Smeralda arrivò un’agenzia di stampa: «Scoppia finto vulcano nella villa di Berlusconi, panico tra i villeggianti». 

Difficile non trasformarlo in un’ossessione. Il culmine lo raggiunsi durante la mia prima e ultima vacanza in un paradiso esotico, nell’anno della vittoria elettorale dell’Ulivo. Bagno notturno, la luna, gli amici, il mormorio del mare. Curzio Maltese (scomparso quest’anno anche lui) mi si avvicinò con aria corrucciata: «Stavo pensando che se Prodi non fa subito la legge sul conflitto di interessi...». «Ti prego, basta Berlusconi! Almeno qui…». Però aveva ragione Curzio: gli ulivisti non fecero la legge. 

Forse erano su qualche spiaggia esotica anche loro. Entrai nella fase dell’apostolato: volevo convincere il prossimo che Berlusconi non era un liberale, ma un monopolista. Mi arresi subito, durante un trasloco, quando un operaio mi abbordò con una certa preoccupazione: «Dottò, lei che segue la politica, non è che Berlusconi pensa di vendere le televisioni?». «Ne dubito, ma se succedesse diventeremmo un Paese normale, non crede?». «Se vende le tv, io non lo voto più. Finché le ha, è ricco. E finché è ricco, non ruba». «Ma così farà sempre e soltanto gli affari suoi». «Sì, ma facendo i suoi, sarà costretto a fare un po’ anche i nostri. Se invece vende le tv, diventa un politico come gli altri». 

La sinistra sosteneva che l’italiano medio era vittima delle bugie di Berlusconi. Invece in molti casi era solo un Berlusconi più povero. Il suo nome restava il più amato o il più osteggiato, comunque il più evocato. Mai nessuno aveva diviso tanto gli italiani. Un fanatico dei girotondi di Nanni Moretti mi scrisse di avere rinunciato a corteggiare una donna che gli piaceva dopo avere scoperto che aveva votato per lui. La democrazia si era trasformata in un referendum continuo, pro o contro una singola persona che incarnava un mondo che gli uni consideravano sguaiato e gli altri vitale. E quella persona era il cumenda che tanti anni prima avevo visto spiegare Dio al Papa e lanciare l’impermeabile all’aspirante portiere del Milan. 

Siamo invecchiati insieme, nel senso che mentre io perdevo i capelli, lui li ritrovava. Non ha mai cercato di convertirmi. Solo una volta, saputo dei miei trascorsi liberali, mi chiese: «Ma se non è un comunista, perché non sta con noi?». 

Berlusconi era un genio della semplificazione: per lui era comunismo tutto ciò che stava a sinistra di Emilio Fede. Vedeva gli italiani per come sono. Mussolini avrebbe voluto farne dei soldati-contadini come gli antichi romani, la Dc dei cittadini probi e laboriosi, e anche il Pci aveva un fondo pedagogico e moralista. Invece Berlusconi li esortava ad andare fieri dei loro difetti, considerandoli sintomi di libertà. Ne dava egli stesso l’esempio, con soprassalti di individualismo e cadute di gusto che indignavano gli stranieri e chi tale si sentiva anche in patria, ma confermavano nei suoi elettori la convinzione che lui fosse «uno di noi». Non li ha peggiorati. Li ha sdoganati. La sua eredità culturale resta racchiusa nell’esortazione che rivolgeva agli autori dei suoi programmi: «Ricordatevi che una parte del nostro pubblico ha fatto la seconda media e non era neanche tra i primi della classe». Quel pubblico che la Rai democristiana e comunista cercava di spingere verso il liceo a colpi di prediche e polpettoni, Berlusconi lo ha trattenuto nel paese dei Balocchi, ammannendo svago e facilità come l’omino di burro che trasforma Pinocchio in un ciuchino. Anche se, quando glielo dissi, mi rispose che il personaggio della favola in cui più si riconosceva era la Fata Turchina.

Uno, nessuno, centomila B. Massimo Gramellini  su Il Corriere della Sera il 14 Giugno 2023 

Se fossi chiamato a tenere un discorso ai funerali di Stato, cosa che per fortuna dello Stato non avverrà, e mi venisse chiesto un aneddoto — uno solo — in grado di illustrare l’essenza dell’uomo, credo che ignorerei le tv, la politica, il sesso e gli affari, e mi concentrerei su una monetina. Una monetina da cento lire, come quella che, nella primavera del 1990, dagli spalti dello stadio di Bergamo planò sulla testa del centrocampista Alemao, consentendo al Napoli di vincere la partita a tavolino e di precedere il Milan in classifica.

Berlusconi non se ne fece mai una ragione. Dapprima ordinò una perizia, nientemeno che all’università di Stoccarda, dalla quale risultò che la parabola compiuta dalla monetina per scavalcare la recinzione che separava il campo dalle gradinate ne aveva ridotto sensibilmente la velocità, rendendola più innocua di un petalo di rosa. «Ma essendo come san Tommaso» si infervorava nelle convention, «ho voluto sperimentare anche di persona. Ho mandato mio figlio (in realtà il maggiordomo) al primo piano di Arcore e gli ho ordinato di tirarmi una monetina sulla testa. Poiché non ho sentito nulla, l’ho pregato di salire al secondo e di tirarmela da lì: ho avvertito un dolore risibile. Solo quando sono stato colpito dal terzo piano mi è venuto un bernoccolo guaribile in tre giorni».

Era dunque questo, Berlusconi? Un uomo che per avere ragione adorava presentarsi come vittima, al punto da arrivare ad infliggersi il martirio da solo? Dopo avere letto i giornali di ieri, compresi quelli stranieri che quasi all’unanimità lo dipingono ingiustamente come un fenomeno da baraccone, mi sono accorto che ognuno di noi ha il suo Berlusconi, apparentemente incompatibile con quello degli altri. Come se ci fosse impossibile accettare che nella stessa persona possano coesistere il nostro pregiudizio e il suo contrario.

Marchionne, che era un po’ italiano e un po’ no, non si capacitava che l’uomo capace di accoglierlo a Palazzo Chigi dicendo «sai perché i cannibali piangono mentre gli esploratori bianchi cuociono in pentola? Per intenerirli» riuscisse a conciliare lo spiritaccio da animatore di villaggio-vacanze con il senso del business. Quando Marchionne disse che non aveva tempo da perdere con le storielle, avendo molto da lavorare, l’altro gli rispose che quello per lui era il lavoro: condire gli affari di barzellette e di barzellette gli affari. Berlusconi era davvero tante cose, in contemporanea. Il playboy vanesio del bunga-bunga, ma anche il classico italiano medio che la sera costringeva le sue ospiti di palazzo Grazioli a sedersi davanti a uno schermo per sorbirsi il rito a tutti noi tragicamente noto del Filmino delle Vacanze, che per lui erano i viaggi di Stato all’estero: Silvio con Bush, Silvio con Putin e Silvio con Silvio, il suo preferito.

L’implacabile trasvolatore di regole e ricercatore di scorciatoie che denunciavano i suoi critici, ma anche il commendatore col cuore in mano che ogni anno si rifiutava di licenziare un dipendente ladro perché lo sapeva padre di un disabile, come mi raccontò Maurizio Costanzo. Fedele Confalonieri, forse la persona che lo ha conosciuto meglio, una volta lo definì “un Ceausescu buono”, cioè un dittatore dolce, ma nessuno può avere la risposta giusta, dal momento che lo sono un po’ tutte.

Lui stesso faticava ad accettare di contenere moltitudini, un miscuglio di luci e ombre. Una sera, in volo sul mar Tirreno dopo un comizio, chiese al giornalista che lo stava intervistando, Pino Corrias, che cosa volessero davvero i giudici da lui. Corrias rispose: «Credo sospettino che lei abbia usato capitali non suoi, agli inizi». Berlusconi, troppo stanco per cavarsela con una battuta, sospirò: «Nella mia vita di soldi ne ho usati tanti. E i soldi si prendono dove ci sono». Non riusciva a capire che cos’avesse fatto di male, e soprattutto di diverso, da tanti altri imprenditori di prima generazione.

Alla fine, come succede a tutti, sarà la sua eredità a definirlo. L’impressione è che abbia lasciato un segno ovunque, tranne che in politica. Lì ha imparato fin troppo bene il mestiere, ma a differenza dei grandi leader del dopoguerra non ha saputo legare il suo nome a una riforma in grado di sopravvivergli. In fondo i suoi elettori gliene chiedevano una sola: la riduzione drastica delle tasse. Il 28 marzo 1994, nel commentare l’inatteso trionfo elettorale, disse: «Abbiamo fatto la cosa più difficile, fermare i comunisti. Ora non ci resta che la più facile, governare». Invece si direbbe l’unica che non gli è riuscita.

Cari commensali, vi dico chi era il vero Berlusconi. Non l’imprenditore, non il politico, non il presidente del Milan: ecco il Berlusconi privato. Nicola Porro il 13 Giugno 2023 su Nicolaporro.it

Silvio Berlusconi era un personaggio che chiunque abbia seguito la Zuppa in questi anni sa quanto fosse un punto di riferimento per noi, nel suo parlare chiaro e nell’essere sempre contro-intuitivo. Per noi, ovviamente, viene a mancare un grandissimo punto di riferimento culturale più che politico.

Sia io che i commensali non abbiamo sempre condiviso le sue scelte. L’abbiamo criticato per alcune decisioni che pensavamo politicamente non fossero nell’idea e nello spirito originario del berlusconismo del ’94 (quello di Martino, dei professori, per intenderci). Tuttavia, Berlusconi può essere letto sotto tanti punti di vista: l’imprenditore straordinario, quello che fece Milano 2 dove nessuno pensava si potesse fare una speculazione immobiliare perché era un terreno paradossale e vicino all’aeroporto, insomma il posto più inospitale per inventarsi un villaggio che era avveniristico. Berlusconi è anche colui che si è inventato la televisione quando, da citofono di Milano 2, è diventata una televisione nazionale. E’ stato spregiudicato come tutti gli imprenditori debbono essere e come nel Far West delle televisioni non si poteva non essere, inventandosi quel sistema per cui con le cassette andava in diretta quando c’era quella legge sbagliata, sbagliatissima, per cui soltanto la Rai aveva la possibilità di trasmettere in tutta Italia.

Era un grandissimo alleato dei potenti che comandavano, era il tratto della sua politica quello di essere comunque sempre un po’ con il suo carattere vicino a quelli che hanno qualcosa da dire. Berlusconi, oltre a un grande imprenditore, è stato un grande politico: nel ’94 ha fatto una cosa eccezionale che gli viene riconosciuta anche dai nemici. Vale a dire l’idea di inventarsi un partito e con questo battere quella gioiosa macchina da guerra che forse, se avesse vinto, avrebbe fatto le cose in maniera molto diversa.

Quel Berlusconi del ’94 con Martino, Pera, Colletti, Urbani, Marzano e Saverio Vertone era un Berlusconi veramente incredibile che fu preso in giro come pochi per la valigetta, il kit del candidato, l’inno di Forza Italia, i congressi e per il colore azzurro. Insomma, quel Berlusconi del ’94 è arrivato a governare 3.500 giorni a Palazzo Chigi. Non c’è nessun governo che abbia governato ininterrottamente così tanto. Uno potrebbe dire che la rivoluzione liberale sia stata solamente promessa, però certamente ha cambiato l’agenda della politica.

Questo è il Berlusconi che tutti quanti voi conoscete: il Berlusconi imprenditore, politico e sportivo. Già, anche sportivo: ricorderete il Berlusconi presidente del Milan che atterrava con l’elicottero e comprava gli olandesi. Insomma, il grandissimo Berlusconi che entra nello sport e, a differenza di tanti cialtroni che oggi pensano che comprare una squadra di calcio gli permetta di entrare nella Serie A nell’establishment italiano, Berlusconi questa cosa l’ha realizzata e l’ha fatta.

Tutta questa premessa per dire che questo non è il vero Berlusconi. È solamente il Berlusconi che abbiamo letto sui giornali, visto in televisione e negli stadi. Solamente chi ha avuto a che fare con il Cavaliere sa chi è il vero Berlusconi: era una persona che non si nascondeva, che ti telefonava, che quando eri malato ti dava una mano. E poi il Berlusconi che a Palazzo Chigi saliva le scalinate, stringeva la mano ai lancieri di Montebello, uno per uno, anche non a beneficio della stampa. Il Berlusconi generoso, che aiutava tutti quanti i suoi dipendenti, che aiutava i suoi conoscenti, che elargiva soldi come se non fossero suoi, eppure erano suoi, perché Berlusconi era di una generosità incredibile.

Il Berlusconi che ti telefonava, l’ha fatto anche a me nei momenti un po’ più difficili, mi chiamò e mi assunse quando mi fecero fuori dalla RAI, mi chiamò quando avevo il Covid, io non ero affatto preoccupato, era preoccupato più lui di quanto lo fossi io, e che ti stava a sentire ogni giorno sulle tue preoccupazioni. Lo stesso Berlusconi che proprio qualche giorno fa mi ha chiamato per dirmi grazie per essere rimasto a Mediaset, cosa che gentilmente mi aveva chiesto di fare.

Questo è un Berlusconi privatissimo. Non è il Berlusconi delle barzellette, non è il Berlusconi del Milan, non è il Berlusconi dell’impresa e dei miliardi, non è il Berlusconi della politica che va ovviamente – e giustamente – a compromessi con gli altri. È il Berlusconi umano che coloro che hanno avuto il privilegio di conoscere sanno che questo era il suo vero tratto.

I luoghi di Berlusconi a Milano: le scuole dai Salesiani, il primo business immobiliare in via Alciati, la discesa in elicottero all'Arena Civica. Giampiero Rossi su Il Corriere della Sera il 12 Giugno 2023

La città lombarda ha segnato la vita personale, imprenditoriale e politica del Cavaliere: nel 1994 si candidò nel centro storico, nel 2007 in piazza San Babila la «svolta del predellino», due anni dopo l'aggressione in piazza Duomo da parte di uno squilibrato che lo colpì al volto con una statuetta 

La geografia milanese di Silvio Berlusconi parte da via Volturno 34, quartiere Isola, dove la famiglia si stabilisce dopo la guerra. Qui, tra gli altri, incontrerà l’amico di tutta la vita, Fedele Confalonieri, insieme al quale frequenta le scuole salesiane di via Copernico, poco distante, dove nel 1954 prende la maturità classica, per poi laurearsi in giurisprudenza all’Università Statale, in via Festa del perdono.     

Silvio Berlusconi è morto: ha cambiato la politica e l’Italia

Gli orizzonti metropolitani e professionali del primogenito figlio di un funzionario della banca Rasini si allargano con il primo business immobiliare: nel 1961 fonda la Cantieri Riuniti Milanesi Srl insieme al costruttore Pietro Canali e acquista un terreno in via Alciati – tra via San Gimignano e via D’Alviano – per 190 milioni di lire. Il passo successivo, tre anni più tardi, è una più ampia operazione a Brugherio, dove con la neonata Edilnord realizza un quartiere residenziale.  

A quel punto il mondo popolare dell’Isola è già soltanto un ricordo: la mamma, Rosa Bossi, si trasferisce in via San Gimignano, e anche Silvio Berlusconi si muove in ben altri ambienti urbani, come Foro Buonaparte 24, la casa-ufficio passata alla storia per la visita dei boss palermitani Francesco Di Carlo, Stefano Bontade e Mimmo Teresi del 1974, e dove nel 1977 l’ormai noto costruttore si fa ritrarre con una pistola appoggiata sul tavolo.  

I successivi salti di qualità imprenditoriale avvengono di nuovo fuori porta, a Segrate. Prima che finiscano gli anni Settanta Berlusconi realizza Milano 2, il suo primo progetto di «città giardino», dove sta sorgendo anche l’ospedale San Raffaele, che contribuisce alla complicata operazione che conduce alla modifica delle rotte degli aerei in partenza e in arrivo al vicinissimo scalo di Linate. E sempre da Segrate, con l’acquisto di Telemilano, parte l’avventura televisiva destinata a svilupparsi nel colosso Fininvest e poi Mediaset, con quartier generale a Cologno Monzese. E sede centrale in via Paleocapa vicino al Castello Sforzesco. E a legare la geografia berlusconiana alla cronaca nera è proprio la palazzina Fininvest di via Rovani, dove nel 1986 e 1988 si verificano due attentati dinamitardi.  

Nel 1980, al Teatro Manzoni, da un anno proprietà del Cavaliere, conosce l’attrice Veronica Lario, che diventa la sua seconda moglie. Nel frattempo Silvio Berlusconi cambia di nuovo indirizzo: ora abita a Villa San Martino, ad Arcore, destinata a diventare punto di riferimento della vita politica italiana. Ma lui diventa ancora più protagonista della vita milanese quando, nel 1986, acquista il Milan. Per celebrare solennemente l’operazione, il 18 luglio 1986 organizza un grande evento rossonero all’Arena civica, dove lui arriva direttamente in elicottero. Da quel momento lo stadio Meazza per le partite e il ristorante Giannino di via Sciesa per le cene di festeggiamento, diventano nuove tappe della sua presenza in città. E tra il 1988 e il 1994 sotto i colori rossoneri della Polisportiva Milan, Berlusconi volle riunire anche squadre impegnati nei campionati di hockey su ghiaccio, baseball, volley e rugby: entrano così nel perimetro del Biscione anche impianti sportivi come il PalaCandy di via dei Ciclamini, il centro sportivo Kennedy di via Olivieri, il Palalido di piazzale Stuparich e il campo Giuriati di via Pascal.  Prima che finiscano gli anni Ottanta, il Cavaliere acquisisce il controllo anche dei grandi magazzini Standa, tra gli altri aperti in luoghi centrali come piazza Cordusio e via Torino, e del cinema multisala Odeon, in via Santa Radegonda.  

Poi arriva la discesa in campo. Nel bene o nel male, Milano accompagna anche la lunga stagione politica di Berlusconi: dalla prima vittoria elettorale del 1994, quando lui è candidato nel Collegio 1, quello del centro storico, fino alla «svolta del predellino» del 18 novembre 2007, quando in piazza San Babila da leader dell’opposizione annuncia a sorpresa la nascita di una nuova formazione di centrodestra: il Popolo delle libertà. Due anni più tardi, 13 dicembre 2009, in piazza Duomo al termine di un comizio da presidente del Consiglio al te viene colpito al volto con una miniatura della cattedrale da uno squilibrato. Ma prima e dopo questi eventi, e oltre alle sedi di Forza Italia di viale Isonzo e viale Monza, c’è un altro punto di Milano che diventa – suo malgrado – una costante nell’agenda berlusconiana: corso di Porta Vittoria, Palazzo di giustizia. 

Silvio Berlusconi è morto, aveva 86 anni: il racconto di una vita fuori dall’ordinario. Antonio Polito su Il Corriere della Sera il 12 Giugno 2023 

Silvio Berlusconi è morto alle 9:30 di oggi all’ospedale San Raffaele di Milano: ex premier, leader di Forza Italia e fondatore di Mediaset aveva 86 anni. I funerali si terranno mercoledì nel Duomo di Milano 

Silvio Berlusconi è morto alle 9:30 di oggi all’ospedale San Raffaele di Milano. Il leader di Forza Italia e fondatore di Mediaset aveva 86 anni. Berlusconi era tornato al San Raffaele lo scorso venerdì, dopo un lungo ricovero — di 45 giorni — terminato poche settimane fa, a causa di una polmonite e di una leucemia mielomonocitica. In mattinata, il fratello Paolo e i figli erano accorsi in ospedale, dove già si trovava Marta Fascina; hanno lasciato il San Raffaele intorno alle 12, quando il corpo di Berlusconi è stato portato ad Arcore. I funerali si terranno mercoledì alle 15 nel Duomo di Milano.

L’agonia finale, questi tre giorni in cui un po’ alla volta è svanita la speranza di chi gli voleva bene che potesse riprendersi anche stavolta, sconfiggere la leucemia com’era stato capace in passato di superare un tumore, un intervento al cuore, una polmonite bilaterale da Covid, ha esposto davanti agli occhi del Paese la fragilità umana, estenuata dal male, che si nascondeva dietro la scorza di combattente. Ora è il momento del cordoglio e dell’affetto, che da amici e nemici, estimatori e spregiatori (con qualche poco lodevole eccezione), sta arrivando alla famiglia naturale e a quella politica di Silvio Berlusconi. 

E però, come capita solo a chi entra da protagonista nella storia di una nazione, onorarne la scomparsa è anche riflettere sul suo tempo, sulla sua dimensione di «numero uno», nell’impresa, nello sport, nella politica, nella guida del Paese. E se si dovesse fare l’anatomia di un istante, nella straordinaria vita di Silvio Berlusconi, forse si dovrebbe scegliere la sera dell’8 novembre 2011. Perché un uomo di Stato è definito dal modo in cui lascia il potere, almeno quanto non lo sia dal modo in cui l’ha conquistato.

La sua biografia, dunque, potrebbe cominciare non dal giorno in cui aprì il suo primo cantiere edile, a Brugherio, nel 1964, o fondò la Fininvest, nel 1975, aprendosi la via di un impero televisivo e finanziario che lo rese uno degli uomini più ricchi del mondo. Né dal giorno in cui scese in campo, avviandosi a vincere tre elezioni e mezzo e a guidare quattro governi per il tempo record di nove anni. Né dalla volta che scese con l’elicottero sul campo dell’Arena per inaugurare l’epopea del Milan , con lui vincitore di cinque Champions e otto scudetti in trentuno anni. 

Berlusconi si è preso nella sua vita tanto di quel potere, che il vero magic moment, l’istante da raccontare, è forse quello in cui l’ha perso. Le cose stavano così: l’Italia andava a rotoli per via dell’attacco dei mercati al nostro debito pubblico. Spread oltre 500 punti. Merkel e Sarkozy che ridevano in pubblico di lui. L’Europa che aveva paura di affondare insieme all’Italia. Gianfranco Fini si era fatto un partito ed era passato all’opposizione. Otto deputati, tutti ex «fedelissimi», tradiscono il Cavaliere in un voto decisivo, facendogli perdere la maggioranza a Montecitorio.

Ma lui vuole resistere. Non mollare. Non dimettersi da premier. «Così deve fare Berlusconi», gli suggeriscono tutti quelli intorno a lui, che hanno sempre vissuto di luce riflessa e vogliono tenerla accesa. Ma poi arrivano due telefonate. La prima è di Ennio Doris, amico e antico socio in Mediolanum: «Silvio, se non ti dimetti l’Italia crolla». La seconda è del figlio Luigi, che lavora nella City a Londra: «Papà, se l’Italia crolla crollano anche le nostre aziende». Così il “Cavaliere nero”, il Caimano che nel film interpretato da Nanni Moretti alla fine sobilla la rivolta popolare pur di non cedere il potere, si dimette accettando la logica inesorabile della politica democratica. E in un solo pomeriggio l’argomento più usato contro di lui, il «conflitto di interessi» tra aziende private e funzione pubblica, si rovescia nel suo contrario. 

Dopo aver inseguito il potere, secondo i suoi nemici solo per il suo interesse, deve rinunciare al potere anche nel suo interesse. La dimensione «larger than life», fuori dall’ordinario, della vicenda umana e politica del Cavaliere è tutta nel momento in cui lasciò per sempre Palazzo Chigi (e che lui poi più volte derubricherà a mero «complotto», facendo così torto innanzitutto a se stesso e alla scelta responsabile che fece). A quella giornata a suo modo storica non fecero onore i cori di «buffone, buffone» sotto Palazzo Chigi e le ali di folla festanti davanti al Quirinale per le sue dimissioni. Come nella sera delle monetine a Craxi, si mostrò allora un’Italia capace di codardo oltraggio, dopo lunghi anni di servo encomio. Perché Berlusconi è stato un fenomeno: volontà di potenza, certo, ma anche necessità storica. Insieme il frutto del male italiano e allo stesso tempo il suo tentativo di cura. Non il malfattore che conquista un popolo ingenuo con dosi da cavallo di imbonimento televisivo, come è stato descritto; ma neanche il salvatore della patria che libera il suo paese dai cosacchi di Occhetto, il primo dei tanti leader della sinistra da lui sconfitti. 

Piuttosto, nel bene e nel male, il fondatore di una nuova destra e di una nuova politica, con ambizioni liberiste e tratti populisti, che ha fatto scuola nel mondo e ha dominato la scena italiana per un ventennio, anche quando era all’opposizione. E che poi è finita con lui, tant’è che per tornare a vincere ha dovuto cambiare pelle, sesso, età, e incarnarsi in Giorgia Meloni, antropologicamente il suo contrario. 

I professionisti dell’antiberlusconismo l’hanno accusato di ogni crimine. Ed è vero che più di venti processi sono stati intentati contro di lui, con imputazioni varie, talvolta particolarmente infamanti, come lo sfruttamento della prostituzione minorile nella persona di Ruby Rubacuori, una delle tante partecipanti alla sarabanda di ragazze che ospitava nelle sue ville; o come il sospetto di collusione con la mafia che ha portato uno dei suoi più grandi amici e compagni d’arme, Marcello Dell’Utri, alla condanna e al carcere; o addirittura l’accusa di aver ordito le stragi del 1993 per accelerare il proprio trionfo politico. Da quasi tutte le imputazioni è uscito assolto, prosciolto o comunque prescritto, anche grazie alle arti dilatorie del suo stuolo di avvocati, guidato dal fido e ormai scomparso Ghedini. 

E dunque, se si deve credere alla Legge, quella dei giudici e delle sentenze e non solo quella dei procuratori e delle intercettazioni, Berlusconi ha compiuto un solo reato: frode fiscale, per cui è stato condannato con sentenza definitiva. Gli è costata una rapida defenestrazione dal Senato, la cui maggioranza del tempo non perse l’occasione di ricorrere allo scrutinio palese pur di sancirne l’incompatibilità (il Cavaliere ha poi avuto piena riabilitazione giudiziaria, e si è potuto ricandidare ed essere eletto, prima al parlamento europeo e poi di nuovo al Senato, dove ha ripreso il suo posto). Naturalmente l’uomo non era per niente uno stinco di santo, anzi: aveva i suoi vizi privati e pubblici e sapeva come giocare sporco. C’è chi gliel’ha rimproverato fino all’ultimo, senza pietà, come il suo arci-nemico Carlo De Benedetti, che perfino mentre l’avversario era in ospedale col Covid gli fece sì gli auguri, ma ribadendo che per lui era pur sempre «un imbroglione». 

Tante macchie ne hanno oscurato la vita pubblica. L’origine dei capitali con i quali Berlusconi ha iniziato la sua attività di imprenditore è ancora avvolta nel mistero. L’uso della maggioranza parlamentare per varare leggi ad personam al fine di difendersi dai processi si sostituì alle promesse di riforma del sistema giudiziario mai mantenute. E l’impero televisivo, nato con uno stratagemma per aggirare il divieto, la diffusione delle cassette registrate a una rete di tv locali, fu legittimato con un decreto legge da Craxi, suo amico e testimone delle nozze con Veronica Lario, che lo salvò dal sequestro ordinato da tre pretori. 

Però, come sempre nella sua vita, ognuna di queste vicende ha il suo risvolto. Per esempio: chi può negare che la fine del monopolio pubblico della televisione fosse ormai matura, non più giustificata dalla greppia dei partiti sulla Rai, un fattore di modernizzazione che ha cambiato l’Italia? Berlusconi colse con spregiudicatezza la mela, e si fece aiutare da chi allora era più in alto di lui. Però così cambiò, oltre che la sua fortuna, anche la vita degli italiani, soprattutto dei più isolati, anziani, poveri e meno scolarizzati, che poterono riempire le loro serate dei quiz di Mike Bongiorno e delle telenovelas brasiliane, per giunta gratis, senza canone. 

Più volte la sinistra ha sbattuto la testa contro questo spigolo: ciò che lei trovava intollerabile e insopportabilmente populista in Berlusconi, la gente semplice lo trovava ammirevole. Il mito, così americano, dell’uomo che si era fatto da sé, sedusse il popolo, espropriandone la sinistra. Soprattutto Berlusconi scoprì «le grand bleu» della politica italiana, il mare azzurro e profondo degli elettori moderati, o comunque ostili alla sinistra. Il Cavaliere, complice il passaggio al sistema elettorale maggioritario nel 1994, riuscì a prendersi il centro, sulle spoglie della Dc, e a riunirlo con la destra nordista di Bossi e sudista di Fini. Per la prima volta dal 1876, l’Italia conobbe l’alternanza. Uno schieramento vinse le elezioni e passò dall’opposizione al governo. Forse fu proprio la radicalità e la partigianeria di questa nuova politica (che un altro amico di Berlusconi, Cesare Previti, sintetizzò brutalmente con la frase «noi non facciamo prigionieri»), a fare scandalo in un paese abituato al «connubio» tra Cavour e Rattazzi e al «compromesso storico» tra Moro e Berlinguer. 

Di certo Berlusconi ci mise del suo. Aveva il gusto, o l’improntitudine, di scandalizzare l’uditorio con dichiarazioni politicamente scorrettissime , che hanno fatto il giro del mondo e lo hanno trasformato in un personaggio pittoresco per la stampa estera: come quando diede dell’«abbronzato» a Obama, alludendo al colore della sua pelle. O come quando, nella foto ufficiale di un vertice europeo, fece il gesto delle corna dietro le spalle del suo omologo spagnolo, come un studente liceale in gita. Ma anche in Italia ne ha dette. La magistratura «cancro del Paese» fu forse la frase più contestata. Un certo scalpore fece anche il discorso in cui affermò di non poter credere che «ci siano in giro così tanti coglioni» disposti a votare contro di lui. Si è sempre sentito un uomo cui il successo consentiva di mettersi al di sopra delle convenzioni, se non delle leggi. L’andirivieni delle «olgettine» nelle sue residenze private non aveva, è vero, rilevanza penale, come i processi hanno poi accertato; ma la rivelazione delle sue «cene eleganti» ha avuto una notevole rilevanza nel cristallizzare in molti un giudizio negativo sull’uomo di Stato, che in ben altre faccende dovrebbe essere affaccendato (oltre a costargli il matrimonio con Veronica Lario). 

Eppure il bilancio finale del Berlusconi politico non è negativo a causa di tutte le cose che ha minacciato di fare o che i suoi avversari gli hanno imputato di aver fatto; ma piuttosto per quelle che aveva promesso e che non è riuscito a fare. Il più longevo premier della storia della Repubblica ha lasciato sulla carta la «rivoluzione liberale», fatta di meno tasse e più crescita, la promessa che lo aveva portato al governo. Non ha potuto cambiare come voleva la Costituzione, perché la sua riforma fu sonoramente battuta nel referendum. Non riuscì neanche - né davvero ci provò veramente mai - a riscrivere il sistema giudiziario italiano in un senso più garantista e meno dominato dalle Procure, preferendo il piccolo cabotaggio delle leggi «ad personam». 

Non ha mai neanche lontanamente accettato l’idea di costruire una successione, tagliando anzi la testa uno a uno a tutti i potenziali «delfini», e così presumibilmente portando alla fine con sé la sua creatura, Forza Italia. La quale, negli ultimi anni del declino fisico ed elettorale del Cavaliere, si è infatti trasformata in una corte medievale, dove le fortune o le disgrazie dipendono dai favori della fidanzata (l’ultima, Marta Fascina, è diventata «moglie» amorevole, per mesi al suo capezzale), o dall’ambizione dell’ultima assistente, o dalle manovre dell’ultimo cortigiano. Berlusconi ha avuto tutto per cambiare l’Italia, consenso, successo, forza, soldi, potere; e non ce l’ha fatta. 

A 86 anni, ha persino sperato per un non breve momento di suggellare la sua straordinaria biografia trasformandola in leggenda, con l’elezione al Quirinale. Il semplice fatto che l’abbia sognato ci ha detto tutto sul tramonto della sua era. Ha molti alibi. E non solo nel testardo accanimento delle procure (Milano in testa) contro di lui. I due tragici eventi epocali che sconvolsero il mondo proprio all’inizio dei suoi governi, l’attacco alle Torri Gemelle nel 2001 e la crisi dei subprime nel 2008, sicuramente ne frenarono le ambizioni. Ma il suo passaggio nella storia politica dell’Italia ha lasciato anche tracce indelebili: per esempio il bipolarismo, stagione da lui dominata, e forse non a caso subito finita appena lui è uscito di scena, per ridare spazio negli ultimi anni agli antichi vizi italiani del trasformismo e delle maggioranze che cambiano come gli abiti col cambiare delle stagioni. Neanche l’ultimo «miracolo» gli è riuscito. Una volta don Verzè, fondatore del San Raffaele di Milano di cui era amico e benefattore, rivelò che gli aveva chiesto «di campare fino a 150 anni per mettere a posto l’Italia». Contava sui progressi della scienza, o forse scherzava su un suo diritto all’immortalità. Si è spento in quello stesso ospedale a 86 anni, appena due in più della media nazionale. A conferma della sua natura di «arci-italiano», di autobiografia della nazione, di quell’Italia di cui in un celebre incipit disse «è il Paese che amo».

Estratto dell’articolo di Filippo Cecarrelli per “la Repubblica” il 13 giugno 2023.

Per metterla giù con solenne e sproporzionata gravità: il berlusconismo, da considerarsi come una vera e propria età storica pari a quella giolittiana, al ventennio fascista o all'era cosiddetta democristiana, fu un grande esperimento sociale e di potere. Punto. Se poi, deposti i ridicoli paramenti storiografici, detto esperimento sia riuscito o meno esula da questo ricordo che, detto in sincerità, preferisce rovistare alla periferia degli eventi, molti dei quali spesso bizzarri e, dato il soggetto da cui ha tratto il nome, altamente imprevedibili. 

Durato almeno un quarto di secolo, a occhio il berlusconismo ha certamente contribuito a far perdere all'Italia un bel po' di tempo, pure generando epigoni di gran lunga inferiori alla statura del fondatore, oltre che avversari e nemici che lo hanno contrastato ciecamente e a volte fanaticamente al punto da introiettarlo.

[…] 

In compenso il ciclo di comando del Cavaliere ha recato in dote e per certi versi addirittura in omaggio al gentile pubblico di questa nazione qualcosa - un quid, un senso, un gusto, una passione - che gli italiani desiderano sommamente: il divertimento, specie quando assume le forme e la sostanza dell'eccesso vistoso, racconto da generare emozioni e sentimenti, quindi faziosità, astio, sberleffi, lacrime, sorpresa, meraviglie e incredulità, dalla discesa in campo al bunga bunga, dai boati degli stadi ai servizi sociali presso la Sacra Famiglia di Cesano Boscone, dai tanti malori alle altrettante resurrezioni, fino a questo giorno che ci fa tutti più vecchi anche se non più consapevoli. 

Sembra anzi di poter riconoscere in questo scambio tra un uomo e il suo Paese un che di magico e di folle, che peraltro Berlusconi stesso, a suo tempo imboccato prefatore di Erasmo, ha sempre relativo rivendicato, per quanto aggiustandoselo, dialogando con la folla, nel senso soggettivo ed esclusivo della sua propria lungimiranza.

In realtà era un tratto di pazzia del genere istrionico, buffonesco e melodrammatico, che sta dentro i cromosomi del comando all'italiana, a partire da Cola di Rienzo - “et in sua bocca sempre riso appariva in qualche modo fantastico” - ma forse anche prima, vedi Nerone, evocazione che a proposito di Berlusconi si deve a Umberto Eco, forse in un giorno di cattivo umore. 

[…]  e la memoria viva e insidiosa, ma pure decisamente onirica, alla rinfusa trova subito il modo di inseguire e insieme dribblare Veronica, Bondi& Cicchitto, Apicella, lo stalliere, il cuoco Michele, Mamma Rosa, don Verzè, il ragionier Spinelli, la Pitonessa Santanché , il dottor Zangrillo e prima ancora Scapagnini che dichiarò il Cavaliere “tecnicamente immortale”, povero lui, e l'igienista dentale e/o mentale, e Pascale, la Regina Fascina, un numero considerevole di cerchi magici, aiuto!

E mentre nella testa exeunt omnes, se ne vanno tutti, svaniscono dissolvendosi nel Grande Nulla, ecco che il ricordo dei ricordi finalmente approda al vivente non umano, a Dudù, il barboncino psicopompo a cui Putin, sulla copertina di “Chi”, tirava la palletta, seguito da una quantità di altri cani in vetrina su magnifici prati di magnifici parchi in magnifiche foto magnificamente somministrate a tutti ea nessuno nel tempo ultimativo della democrazia del pubblico. 

[…] 

Una tempesta di imitazioni e di satira, qualche censura, una dozzina almeno di film, altrettanti documentari e opere teatrali, un paio di musical all'estero, un'intera pinacoteca, da ritratti in costume alla street art, oltre a diverse statue, tipo lui in costume da Superman appeso con una corda a un elicottero per far divertire i nipotini, sempre lui iper realisticamente e precocemente disteso era il 2012: aveva ciabatte a forma di Topolino e mano nella patta - dentro una teca di cristallo.

Allo stesso modo è impossibile contare le installazioni d'arte contemporanea, teste sgretolate, ritratti a mosaico realizzati con coriandoli di giornaletti porno e altre opere dell'ingegno comprese una saponetta spacciata come figlia del grasso tratto da una liposuzione. 

Converrà aggiungere che in questa ventata di immaginaria però anche piuttosto concretamente fantasmagoria, in parte grazie a Berlusconi, in parte a prescindere, le istituzioni hanno cessato di essere quelle che erano state per le ultime generazioni: anche un modo per contenere la volontà di potenza e quindi pure le mattane dei governanti. Forse è per questo che il Cavaliere le ha premuroso, a cominciare dal Parlamento, un impiccio, un impaccio, una perdita di tempo e, personalmente, un mistero e una fonte di dispiacere.

Ma a pensarci bene la stessa democrazia è rimasta travolta sotto la pressione del regime degli spettacoli per poi finire seppellita - non suoni troppo irrispettoso - dalla messa in scena, dalla finzione, dalla simulazione e giù, giù, a palate, dal raggiro clownesco, dalla sòla piagnucolosa, dalla frode e dall'impostura, che in Italia sanno farsi creativi come in nessun altro luogo, annunciano come sono al genio. 

Beato chi oggi riesce a dire quale sia stata la politica di Berlusconi, a meno di non intenderla come una sottospecie di cultura totalitaristicamente liberaloide che in ogni caso s'identificava e s'immedesimava in lui stesso, nella sua visione auto-replicatissima, nelle continue peripezie del suo corpo, dei suoi quattrini di cui tutti volevano impossessarsi, compresi quanti possono a buon titolo essere considerati comprimari della sua rovina politica. 

Più una politica, forse, si è trattato di una specie di sensibilità post-politica, vissuta e sfruttata dai suoi amici e adulatori, e magari patita dalla sua stessa famiglia che egli, offuscato dai successi, ha sempre considerato una stirpe, un casato, una famiglia reale. 

Perché nei simboli della sua maestà Berlusconi non è stato per tre o quattro volte un semplice presidente del Consiglio, come tutti gli altri, ma sempre ha vissuto il suo comando come un sovrano, un re, un monarca all'inizio aziendale, poi non più solo come attestato dai palazzi, le ville, la corte con ciambellano, maggiordomo, cuoco, preparatore atletico, giardiniere, cuoco, musico, avvocati legislatori, poeti encomiastici, ruffiani, cortigiane, guardie, servi e buffoni. 

[…]

Senza Berlusconi non ci sarebbe stato Renzi, non ci sarebbe stato Grillo, non ci sarebbero Salvini, né Meloni, da lui ribattezzata in pubblico “la Trottola”. Senza Berlusconi non ci sarebbero stati, sia pure sagomati alla rovescia, né Prodi, né Monti, né Letta e in misura qualche nemmeno Mattarella e Draghi. Senza Berlusconi, molto probabilmente, non ci sarebbe stato Trump. E qui ci si fermerebbe: ancora una volta l'Italia laboratorio di forma e sostanza politica. E tanto, troppo si è già detto oltrepassando la soglia del sensato, del ragionevole, ma osando l'inosabile vale la pena azzardare che senza Berlusconi non ci sarebbe un pezzettino di tutti noi.

E come congedo, tra milioni di stimoli e sbigottimenti, immagini tristi e liete ricordi, con temerario arbitrio pare di vedere ancora, piccoletto e pieno d'energia, dirigere l'orchestra che intona “Fratelli d'Italia”, e a quel verso fatale - “siam pronti alla morte” - Silvio Berlusconi sorride e fa così così con la mano, calma, un momento, siamo pronti fino a un certo punto, anzi non siamo pronti, nessuno è mai pronto, mai, però mannaggia succede a tutti, e così sia.

Dagospia il 13 giugno 2023. Il regista Franco Zeffirelli, che nel 1989 alla tivù francese confessò a dentiera stretta di essere stato l'amante di Luchino Visconti, con Piero Chiambretti rincarò la dose: "Io sono una gran troia, andrei a letto con tutti, anche con Silvio Berlusconi, ma lui non ci sta purtroppo. E' tutto d'un pezzo".

Anni Ottanta. Il giornalista Cesare Lanza raggiunge Arcore a bordo di una berlina con autista messa a disposizione da Silvio Berlusconi. Al termine del colloquio, il Cavaliere accompagna il giornalista verso il parcheggio. Avvicinandosi all’automobile, Lanza nota che il volto di Berlusconi si rabbuia, poi diventa nero, quindi si trasforma in un oggetto contundente infilandosi nella macchina dove afferra il cappello dell’autista e sempre più furibondo glielo sbatte sul capoccione: “Te l’ho detto mille volte che devi portare il berretto…”.

C’era una volta Vittorio Feltri che decide di lasciare l’Indipendente per andare a sostituire il dimissionato Indro Montanelli al Giornale. Il grande giornalista smania per portarsi il suo editorialista preferito, Massimo Fini, sulla prima pagina del quotidiano di Paolo Berlusconi. Fini prima dice no, poi ci ripensa e quindi sale le scale per formalizzare il contratto con l’amministratore Crespi. Questi propina all’attonito Fini una pappina di strategie aziendali. Tanto per cambiare discorso, Fini fa: “Lei per quale squadra tiene?”. E Crespi: “Io tifavo Juve, siccome mi piace il bel gioco tengo al Milan”. Fini si rigira nel cervello quel “mi piace il bel gioco”, quindi gira i tacchi e getta nel cestino la bozza di contratto con Il Giornale.

L’Espresso del 18 luglio 1996 incornicia sotto l’occhiello, “Errori di gioventù”. Di “Stock and spot” non è certa l’autenticità: è Berlusconi o non è Berlusconi il biondino che sorridente e in mutande da calciatore reclamizza in un manifesto la Coppa dei Campioni, un gelato della Motta? Ed è Silvio o non è Silvio quel bel tenebroso che in uno spot protagonista Orson Welles del 1966 ordina: «A me uno Stock 84»?

“L’Espresso” dedica una copertina a “La Repubblica delle barzellette” (28 febbraio 2001). Cento sono quelle sul Cavaliere, ormai in lizza con i carabinieri per l’Oscar del Pirla, raccolte da volonterosi redattori. Divertente questa: «Sapete perché gli afgani hanno scelto Bin Laden e noi Berlusconi? Perché loro hanno scelto per primi». Facile quest’altra: «Come si chiamerebbe Berlusconi se lo facessero papa? Pio tutto». Non male pure questa: «Nell’auto di Berlusconi c’è una piccola foto di Gesù con scritto: “Papà non correre”».

Il giorno che precedette il battesimo del Tg5 - 12 gennaio 1992 - Silvio di tutti i Berlusconi, allora solo editore della Fininvest, scese dalla Brianza a dare il bocca al lupo alla sparuta pattuglia di giornalisti che si raccoglievano attorno al conducator Enrico Mentana, attorniato da uno stuolo di funzionari e dirigenti Fininvest, capitanati da Paolo Vasile e Dede Cavalleri, che dimostravano con orgoglio le meraviglie tecnologiche della regia (“Guarda che Betamax!”), quindi entrarono a passo di carica nello studio del Tg5.

Il manipolo dei nostri eroi cercava di capire anche dal più minuscolo gesto o espressione di Sua Emittenza quanto apprezzasse la scenografia. Ma Berlusca sembrava un gatto di marmo. Cortese come sempre, salutava giornalisti e tecnici e truccatrici e accennava a sorrisi di circostanza, ma il suo volto non tradiva quell’espressione detta di approvazione. 

Se ne ebbe prova qualche mese dopo quando, d’improvviso, le squadre di tecnici e giornalisti alle prese con un edizione del tg delle ore 13 pensarono di essere finiti nella morsa di Scherzi a parte.

Entrarono e si trovarono immersi in un ambiente che non avevano mai visto: la postazione del conduttore collocata al lato apposto rispetto alla sera precedente e l’intera scenografia modificata. Probabilmente per meri motivi di budget furono risparmiate le scrivanie. Nessuno – nemmeno Mentana – era stato messo al corrente della trasformazione decisa del leader maxino. 

Da liberoquotidiano.it il 13 giugno 2023.

Da quando ha lasciato Palazzo Chigi, Silvio Berlusconi ha ritrovato lo smalto e la verve dei tempi belli. Ospite d'onore all'Harry's Bar di Roma alla festa dei 20 anni del Tg5, circondato da Gianni Letta ed ex direttori, da Enrico Mentana a Emilio Carelli fino a Clemente Mimun, il presidente del Pdl si concede a frizzi e lazzi e si esibisce in una delle sue ormai celebre barzellette. Per l'occasione, come riferisce il video pubblicato da RepubblicaTv, ha tirato fuori dal cilindro la 'storia di Carletto': piccante siparietto in salsa brianzola nella romantica ambientazione dl lago di Como. Si addice poco a un ex premier? "Vabbè - scherza Silvio -, tanto ormai siamo stati declassati...".

L'altro protagonista, insieme al commendator Bestetti, delle barzellette in milanese del leader di Arcore è 'il povero Carletto': era il 2012, quando a una festa di Mediaset Berlusconi inscenò la disavventura osé del malcapitato protagonista, costretto nella suite di Villa d'Este, sul lago di Como, ad assecondare le fantasie sessuali della 'contessina', che per concedersi chiede vento, lampi, tuoni e pioggia. 'Il Carletto' l'accontenta e simula la tempesta, ma va in bianco, per scelta, perché "come si fa a ciulare con un tempo così?", si lamenta con gli amici.

Estratto dell'articolo di Andrea Malaguti per “la Stampa” Dagospia il 13 giugno 2023. 

Barbara D'Urso, chi era per lei Silvio Berlusconi?

«Una mente geniale, che ha avuto il coraggio di creare la prima tv privata in Italia e l'ardire di dare un'opportunità anche a me». 

TeleMilano58, anni Settanta, lei era poco più che maggiorenne.

«Eravamo io, Massimo Boldi, Teo Teocoli, Diego Abatantuono, Claudio Lippi e Patricia Pilcher. Un'avventura meravigliosa. A Milano 2, sotto l'Hotel Jolly. Berlusconi veniva tutte le sere. Voleva sapere che cosa stavamo facendo e che cosa avremmo detto. Aveva un'energia incredibile. E la trasmetteva a tutti. Eravamo orgogliosi di far parte di quel progetto». 

Era un ambiente sessista?

«No. Sono passati 45 anni, ma ricordo ancora perfettamente l'entusiasmo spettacolare di quei giorni».

Qual era il suo ruolo?

«Eravamo agli inizi di una tv sperimentale. Partecipavo a una trasmissione con Claudio Lippi, ero nel cast di Goal e facevo anche l'annunciatrice». 

Pagava bene, Berlusconi?

«Sinceramente non lo so più. Certamente non era quello il punto. Nessuno di noi lavorava per il denaro. Eravamo dentro a un'avventura che avrebbe portato alla nascita di Mediaset». 

Torna a casa in tutta fretta, c'è il Biscione che ti aspetta.

«Era il nostro slogan. Silvio lo aveva fatto stampare sul pullman che usava come ufficio e col quale andava sempre in giro. Noi non lo sapevamo, ma Silvio aveva visto il futuro».

Lei però tradì per andare in Rai. 

«Nessun tradimento. In Rai c'ero già stata per partecipare a Concertazione, una trasmissione in bianco e nero super cool di Enzo Trapani. Quando Baudo mi chiamò decisi di fare un'altra esperienza. È durata fino a quando Piersilvio mi ha riportato a Milano. Sono 23 anni che lavoro in esclusiva per Mediaset». 

Che cosa le ha insegnato Berlusconi?

«La dedizione assoluta per il lavoro. L'attenzione per i dettagli. Io sono una maniaca del controllo. Proprio come lo era Silvio. Innamorato pazzo del suo lavoro, da sempre e per sempre. Anche negli ultimi mesi gli capitava di chiamare se durante un programma in prima serata vedeva qualcuno che gli sembrava vestito in maniera poco adatta». 

La voce del padrone?

«Ma si figuri. La voce della passione. Era una persona gentile. Quando arrivava in studio stringeva ogni mano. Conosceva chiunque personalmente, dai cameramen ai conduttori, dagli elettricisti ai cantanti. Era disponibile con tutti allo stesso modo». 

In studio da lei, nel 2013, annunciò la sua nuova candidatura alla presidenza del Consiglio.

«Lo fece prima di andare da Santoro. Ricorda la famosa sera in cui pulì la sedia con un fazzoletto a Servizio Pubblico?».

Chi non lo ricorda.

«Comunque, da me, nel corso di quell'intervista politica annunciò anche il fidanzamento con Francesca Pascale. Esattamente come ha fatto pochi mesi fa, l'ultima volta che è venuto in studio, quando ha raccontato la forza del suo legame con Marta Fascina». 

Si sono sposati davvero?

«Non lo so. Ma so quanto Marta, donna stupenda, fosse importante per lui».

L'attenzione del Cavaliere per le donne è piuttosto nota.

«Io parlo del mio percepito.

Quello che pensano gli altri non mi interessa».

Berlusconi ha raccontato di averla corteggiata molto.

«Anche questo lo ha fatto in diretta da me. Ne parlo solo per questo. Aggiunse anche che io avevo rifiutato». 

Perché non accettò?

«Non capisco perché avrei dovuto dire di sì». 

Scusi, domanda stupida.

«Con Berlusconi ho avuto un rapporto professionale, limpido, pulito e di grande affetto. Qualunque altro tipo di coinvolgimento avrebbe cambiato le cose». 

Cosa fece per cercare di conquistarla?

«Sono passati mille anni. Manco mi ricordo».

Era vanitoso?

«Beh sì, come tutti gli uomini. È noto che amava l'eleganza. Ma la vanità è diversa dal narcisismo. Difetto che certamente non aveva. Bastava vedere come parlava di figli e nipoti». 

Lei che rapporti ha con la famiglia?

«Ottimo. Con Marina e Piersilvio ci vogliamo bene. E il lavoro non c'entra nulla».

Che cosa cambia, adesso, per Mediaset?

 «Non lo so. Non ne ho proprio idea. Non me la sono chiesta. La notizia della morte di Silvio è stata violenta e improvvisa. Sapevo ovviamente del ricovero, ma non potevo immaginare quello che è successo». 

Si è chiusa un'era. «Si è chiusa un'era e siamo tutti molto tristi. Per me è venuto a mancare un punto di riferimento fondamentale».

(...)

Vespa e Berlusconi: «Gli contestai le donne e tutto quel trucco in tv. L’amicizia con Putin? Fu davvero molto forte». Storia di Monica Guerzoni  su Il Corriere della Sera il 13 giugno 2023.

Un’amicizia lunga trent’anni, basata «sulla fiducia reciproca». Bruno Vespa aveva una confidenza tale con Silvio Berlusconi da potergli offrire suggerimenti anche sul piano dell’estetica: «Perché non ti mostri in tv senza trucco e con i tuoi capelli? Al naturale stai benissimo».

E lui? «Sorrise, ma non raccolse».

È vero che l’ex premier ha presentato tutti i suoi libri? «Per 29 anni, anche nei momenti peggiori e con una generosità incredibile. Appena arrivavo a Villa Certosa per intervistarlo lui mi portava a spasso nel parco per mostrarmi gli ampliamenti e i cactus. Dopo pranzo gli veniva l’abbiocco e non si combinava nulla. Così decidemmo di vederci ad Arcore».

Che ricordi ha degli ultimi incontri? «Nell’ottobre 2021 e 2022 ad Arcore eravamo in tre a tavola. Marta Fascina è stata sempre silenziosa, tranne poche parole oggettivamente di buon senso. Berlusconi le era molto legato. Mi ha colpito che portasse la fede al dito, perché prima non gliel’avevo mai vista».

Come spiega l’amicizia con Putin? «Era un’amicizia veramente molto forte, ad Arcore mi portò a vedere il famoso letto che Putin gli aveva regalato».

A lei Berlusconi dichiarò che Putin «voleva solo sostituire Zelensky con persone perbene». «L’amicizia per Putin era così forte da portarlo a dire cose al di là del ragionevole. Poi si è corretto, ha capito che era una posizione insostenibile. Putin lo aveva deluso».

E il? Davvero lo teneva appeso dietro la porta del bagno? «Quando me lo fece vedere pensai lo avesse messo per me. Invece lo aveva mostrato anche a Renzi, che lo ha confermato lunedì a Porta a Porta. Ho invitato anche D’Alema e con mia piacevole sorpresa è venuto per questo tributo finale, nonostante le divisioni».

sarà la sua erede politica? «Lei con grande buon senso ha chiuso le porte a eventuali esodi fino alle Europee. C’è bisogno che Forza Italia sopravviva, sia per riguardo nei confronti di Berlusconi sia per il disegno di far alleare popolari e conservatori».

Potrebbe avere successo un’opa di? «Renzi è il figlio politico che Berlusconi non ha avuto, tra i due c’è stata sempre una forte simpatia. Ma la politica è imprevedibile, non mi sento di fare previsioni».

È stato più amato o più odiato? «Il Paese era diviso, ma penso che nonostante tutto sia stato più amato che odiato. Ho visto scene di adorazione impressionanti, come per nessun altro leader».

Lei è stato anche molto criticato da sinistra. È stato troppo schierato e morbido con Berlusconi? «Aspetto che qualcuno mi dica qual è la domanda che non gli ho fatto. L’11 maggio 1994, nella sua prima intervista da premier, gli chiesi come pensasse di risolvere il conflitto di interessi. Anche sulle donne c’è stato sempre un grande contrasto tra noi».

Come giustificava Ruby e le «cene eleganti»? «Diceva che quella era la sua vita privata e io, sia in tv che nei libri, obiettavo che la vita privata di un premier ha dei limiti».

Resta convinto che sia stato vittima di accanimento giudiziario? «Ha avuto una sola condanna, anche molto discussa. Non c’è stato al mondo un leader che in 30 anni abbia avuto sempre almeno un processo. Qualche problema c’è, soprattutto da parte delle Procure».

Aveva il potere di creare ciò che non c’era e ricreare ciò che non c’era più. Storia di Ferdinando Camon su Avvenire il 13 giugno 2023.

Quando Berlusconi annunciò che “scendeva in campo” ero con la vicedirettrice di “Panorama”, per il quale scrivevo, e lei esclamò: «Ci squalifica tutti!» Perché Berlusconi si schierava con Fini e lei prevedeva che avrebbe perso di brutto e tutta l’azienda sarebbe stata qualificata come neo-fascista. Non andò così. Berlusconi non perse e l’azienda continuò a esser qualificata come prima. Berlusconi aveva una visione politica lunga.

Mi son trovato più volte a convegno con esponenti di Forza Italia e ne approfittavo per porre loro la domanda: «Chi è Berlusconi per voi?». Rispondevano: «Un imprenditore dal fascino immenso». Erano ammaliati da lui. Perciò Berlusconi aveva potere. Hai potere quando puoi influire sulle vite altrui, e Berlusconi nominava, incaricava, spostava, creava, distruggeva. La prima volta che salì su un palco per raccogliere consensi, un ascoltatore della prima fila urlò ad alta voce: «Silvio, facci luce!». Sono convinto che fu un intervento concordato.

Niente nelle apparizioni pubbliche di Berlusconi era improvvisato, tutto era studiato. Anche quel foglio bianco e vuoto, in formato A 4, piegato verticalmente in due, che stringeva nella mano destra e agitava continuamente in aria. Molti si son chiesti cosa ci fosse scritto. Probabilmente nulla. Ma stare seduto davanti alla telecamera agitando un foglio piegato in due, dà l’impressione che chi ha quel foglio ha informazioni, dati segreti, conoscenze. Chi ha dato a Berlusconi quel foglio in mano gli ha dato un’arma, un foglio bianco in tv è come una pistola.

A me Berlusconi m’ha rovinato la vita, ha preso un mio figlio, che lavorava per lui a Canale 5, e l’ha mandato a Los Angeles come suo rappresentante, e a Los Angeles è ancora. L’ho perduto. Mi chiedo se quel figlio si sentisse più legato al padrone o al padre. Al padrone, probabilmente. Berlusconi aveva il potere di creare ciò che non c’era e ricreare ciò che non c’era più. Aveva due reti tv e tutti si chiedevano se non erano troppe, in quel momento sul mercato si offrì una terza rete, che andava economicamente male, Berlusconi la comprò e subito quella rete cominciò a generare profitti, dunque il nuovo padrone era un Re Mida, ciò che toccava diventava oro.

I detrattori di Berlusconi ripetono che la sua fortuna dipendeva da Craxi: Craxi lo favoriva, e Berlusconi fioriva. Lo favoriva lasciando che si sviluppasse selvaggiamente il campo delle tv private. Berlusconi ne approfittò, ma nessun altro aveva intuìto le enormi potenzialità economiche e politiche del nuovo business. Era un uomo d’affari e di potere. Non di famiglia. Le olgettine, la nipote di Mubarak, le cene eleganti, la seconda e terza moglie, sono le tristanzuole ombre che un biografo benigno deve sforzarsi di cancellare. Ma questo è un problema onnipresente in tutte le biografie.

Cavaliere animalista. L’eredità ambientale di Berlusconi, tra dipendenza dal gas russo e impegni Ue sabotati. Ferdinando Cotugno Linkiesta il 13 Giugno 2023

Anche sui temi verdi, l’ex presidente del Consiglio era sintonizzato sul carattere degli italiani, pronti a tollerare un’estinzione della biodiversità a patto però che si mettano pene severissime con chi abbandona i cani in autostrada. Sulla carta, restano poche azioni positive e tanto rumore di fondo

Come spesso capita al conservatorismo senile italiano, in tarda età e con la marginalizzazione politica Berlusconi aveva scoperto l’animalismo. C’è stato un momento in cui andava lanciando il nuovo soggetto politico pet friendly di Michela Vittoria Brambilla, la Greta Thunberg dei liberali italiani, come una potenziale rifondazione in stile discesa in campo 1994, con una prospettiva da venti per cento. 

All’inizio di quella parabola si era affidato al calcio (chiamare «Forza Italia» giusto prima dei mondiali), trent’anni dopo gli sembrava di poter fare la stessa cosa con i canetti. Un po’ il capo di Forza Italia lo diceva per la sua natura di people pleaser di massa, un po’ anche perché c’era qualcosa di genuino nel suo adottare cani, salvare agnelli prima di Pasqua, baciare le capre e tutto quel tipo di proiezioni sentimentali su cui abbiamo visto alcune delle foto più memorabili della sua epopea. 

Ce l’aveva con i circhi e addirittura ha speso parole severe contro gli allevamenti intensivi, e fa sorridere, o riflettere, perché non ci sono molti altri leader di partito in Italia che anche solo si azzardino a pronunciare questa formula – «allevamenti intensivi» – nel discorso pubblico italiano. Ovviamente, senza nessuna consequenzialità, l’animalismo di Berlusconi era quello di una delle tante anziane signore che gli sono rimaste fedeli fino alla fine: piccoli cani fotogenici.  

Anche in questo, Berlusconi era naturalmente sintonizzato sul carattere degli italiani, pronti a tollerare un’estinzione di biodiversità con le proporzioni di un meteorite preistorico, la distruzione del clima e il collasso di ogni ecosistema, a patto però che si mettano pene severissime con chi abbandona i cani in autostrada. Aveva capito che Forza Italia era il partito con l’elettorato più anziano d’Italia, e che gli animali domestici sono l’ultimo welfare rimasto a questo Paese, per i suoi sondaggi Dudù contava più di Tajani, poteva perdere Carfagna e Gelmini, ma in compenso aveva acquisito Lupo e Drago (la semantica onomastica era un po’ slittata, si era fatta più aggressiva, chissà cosa voleva dire, non lo sapremo mai). 

La sua ultima proposta ambientale era stata perfettamente in linea con lo spirito dei tempi e con il suo linguaggio, sempre fondato sull’enfasi, l’entusiasmo della reinvenzione della ruota e le generiche milionate. In vista delle ultime elezioni politiche, aveva usato il TG5 per fare la sua proposta shock: un milione di nuovi alberi all’anno sul territorio nazionale. Doveva sembrargli tantissimo, perché hey, un milione è sempre tanto, di qualsiasi cosa, posti di lavoro come faggi e abeti, ma nessuno lo aveva avvertito che il Pnrr già ne prevedeva oltre sei milioni in tre anni (con tutte le difficoltà e i limiti del caso). Non era nemmeno colpa sua. La visione ambientalista di Berlusconi era semplicemente quella di molti italiani: a digiuno di qualunque senso sia della scala del problema che delle soluzioni necessarie per affrontarlo. 

Quando mettono l’abito culturale buono, i suoi alleati parlano di Roger Scruton e, quando riescono, anche di Wendell Berry, ma tutto l’ambientalismo di Meloni, Procaccini, Pichetto Fratin e Giubilei è in realtà figlio di Berlusconi, che con un decennio o due di anticipo aveva già scavato il solco in cui si sarebbero mossi i suoi eredi. Al picco del potere e del consenso, prima del declino a colpi di spread, cene eleganti e condanne, Berlusconi aveva organizzato il G8 a L’Aquila. Era il 2009, un anno chiave, quello della grande sconfitta della Cop15 di Copenaghen, il fallimento che costò sei anni di margine e tempo alla lotta contro la crisi climatica. 

Per l’Italia, tutto gestito in casa Silvio. Fa impressione leggere gli impegni di quel G8: tenere l’aumento delle temperature sotto i due gradi centigradi, ridurre le emissioni del cinquanta per cento entro metà secolo, sostegno ai Paesi in via di sviluppo. Uno spiazzante senso di déjà vu in tono minore. Pochi mesi prima, il governo Berlusconi aveva addirittura portato a casa nel Castello Maniace un documento chiamato Carta di Siracusa sulla biodiversità, un arto fantasma come tanti nella storia del greenwashing: si parlava di tutte le cose di cui si parla oggi, servizi ecosistemici, legame tra biodiversità e clima, uso sostenibile delle risorse naturali. 

Cosa è rimasto di quegli impegni? Ovviamente niente. Spazzatura mediatica e rumore di fondo, oggi come allora, dove contava il governo Berlusconi sabotava gli impegni europei. Qual era il Paese sulle barricate contro la proposta del Consiglio europeo di aumentare i tagli delle emissioni UE dal venti al trenta per cento? L’Italia di Berlusconi e Prestigiacomo (allora ministra dell’Ambiente), ovviamente. 

Il periodo tra il protocollo di Kyoto e l’accordo di Parigi (1997-2015) è stato un buco nero in cui si è perso tutto il tempo necessario a fare una transizione più graduale, e non è stata certo solo colpa dell’Italia, ma Berlusconi ha governato per quasi la metà di quegli anni, facendo dell’Italia esattamente quello che è oggi: un Paese con poca voce, poco peso e poche idee, e quelle poche comunque contrarie all’urgenza della crisi. 

I vertici internazionali per la forma e la bella figura (oggi anche su quella vacilliamo, col commercialista berlusconiano Pichetto Fratin all’ambiente, altra eredità da mettere in conto), la politica europea per la sostanza. Il tutto condito con la retorica contro «ambientalismo ideologico e del “no”», che solo in un posto senza memoria di sé come l’Italia può essere ancora usato come una formula nuova e originale nel 2023. 

È durante i governi delle fasi di vero potere di Berlusconi (2001-2005 e intorno agli anni Dieci) che si è imposta la linea della Russia come «Texas d’Europa» e si è moltiplicata la dipendenza dal gas e in particolare dal gas di Mosca, con Paolo Scaroni – amministratore delegato di Eni tra 2005 e 2014 – come figura decisiva. Si firmavano accordi decennali che impegnavano il trenta per cento dei nostri consumi energetici e che – come ribadito da Scaroni di recente nella sua prima intervista da presidente di Enel – erano fatti con l’avallo dei governi del tempo, quasi tutti di Berlusconi, a parte la breve parentesi di Prodi.

In quegli anni Berlusconi e Putin vivevano il loro bromance geopolitico e, nel frattempo, l’Italia diventava primo cliente mondiale di Gazprom. All’epoca i cablo della diplomazia Usa rivelati da Wikileaks nel 2010 parlavano apertamente dei rischi energetici legati a quell’amicizia personale tra Berlusconi e Putin. 

Ogni problema ambientale e geopolitico esploso nel 2022 ha radici in quella fase, quella delle vacanze in Dacia e del lettone di Putin. È questa l’eredità ambientale di Berlusconi: un’Italia fossile e cemento, in cui il conflitto di interesse era un problema molto più ampio della semplice questione mezzi di informazione o leggi ad personam come sembrava all’epoca. 

Quel conflitto d’interesse è stato il metodo fondativo della Seconda repubblica di cui Berlusconi è stato il politico più potente, e ha lasciato una serie di eredità tossiche che stiamo ancora dipanando. Però la vita e la storia d’Italia sono anche piene di paradossi interessanti: come ha ricostruito Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia, per la newsletter di Tommaso Perrone “Il Climatariano”, negli anni di Berlusconi ci fu anche l’unica vera accelerazione delle rinnovabili in Italia: undici gigawatt nel 2011, numeri con i quali Ultima Generazione sostituirebbe la vernice col prosecco. Era un innesco attivato dai governi precedenti, ma fa comunque impressione. 

Mesi prima della Cop15 di Copenaghen del 2009, Greenpeace fece una finta prima pagina dell’Herald Tribune in cui raccontava le cronache di un evento che – a differenza di come andò davvero – portava un accordo storico e vincolante sul clima. Era una piccola, innocua ucronia adatta a tempi in cui le Ong non avevano ancora i social media per diffondere il proprio messaggio e le proprie speranze. 

Insomma, era un gioco di immaginazione. In quel gioco, si raccontava che la Francia di Sarkozy rinunciava al nucleare e che si era trovato un accordo per un taglio del quaranta per cento delle emissioni entro il 2020: oggi è il 2023 e le emissioni da tagliare sono il cinquanta per cento entro il 2030. In quell’edizione utopica, distribuita in migliaia di copie e decine di paesi, ai copy di Greenpeace era anche un po’ scappata la mano: raccontavano che Berlusconi, nella festa dell’accordo raggiunto, era stato ricoverato in ospedale perché aveva inalato troppi coriandoli. La più vegana delle cene eleganti.

Estratto dell’articolo di Giuliano Ferrara per “il Foglio” il 13 giugno 2023.

[…] Silvio Berlusconi, […] Ora che è morto a una venerabile età, notizia attesa che non esclude come un moto acre di sorpresa, lo sprazzo di dolore e il morso del ricordo sono di tutti gli italiani di un paio di generazioni. 

Con lui l’inimmaginabile è diventato cronaca e storia di una nazione intera saziata del cibo che solum è suo, calcio, tv, politica, sesso e galanteria, humour sboccato e fantasia sfrenata. “Fortis imaginatio generat casum (Una forte immaginazione genera l’evento), dicono i dotti. […] il grande brianzolo d’adozione […] veniva spronato dallo stigma dell’immaginazione.

Inutile ripercorrere il labirinto delle sue grandezze, dei suoi errori, delle sue sconcezze culturali, delle sue invenzioni clamorose, delle sue raffinatezze, del suo linguaggio benigno e oltraggioso, dei suoi incantamenti. Fu osteggiato in politica come nemico della democrazia, e ci ha lasciato l’alternanza di forze diverse al governo. Fu dileggiato per il suo pseudoliberalismo, e ha reso il mercato aperto un tema di azione e intrattenimento popolare, dilatando marketing e consumi prosperosi.

Fu vilipeso come criminale, e ancora adesso si fanno i conti con la casta codina che ha derubato il paese di una vera giustizia. Fu impiccato alle sue bugie bianche, numerose e versatili, […] Gli diedero anni di galera poi cancellati per i suoi rapporti festaioli con le donne, e fu invece celebrato dal paese che ama come una macchina desiderante in azione spericolata e selvaggia al culmine della crisi di un matrimonio. Fu leale con Craxi come con la signora El Mahroug […] Chi fu contro di lui, in quel labirinto ci si perderebbe di nuovo. Chi fu con lui, e lo fu con accanimento, convinzione, affetto, conosce già la via d’uscita. Chi lo ha accusato con animosità va lasciato nella sua bolla di invidia astiosa.  

Estratto dell’articolo di Annalisa Cuzzocrea per “la Stampa” il 13 giugno 2023.

«Berlusconi aveva il costante bisogno di capire cosa accadesse nel mondo reale», lontano dalla vita ricca e privilegiata che conduceva. «Cercava una connessione e la trovava nei nostri racconti», dice Alessandra Ghisleri, la sondaggista che più ha collaborato con l'ex presidente del Consiglio. Fin dal 1999, quando aveva solo 27 anni. 

[…] «Berlusconi ha dato vita al sogno americano, che è diventato un sogno italiano». 

Il self-made man?

«Ha messo su aziende, ha dato lavoro, ha vinto scommesse importanti. Ha portato un numero uno come Mike Bongiorno all'intrattenimento, un altro come Enrico Mentana all'informazione. Per tante persone ha rappresentato la possibilità di crederci».

E ha costruito un racconto di sé che va dal pianobar sulle navi da crociera all'impero immobiliare e televisivo.

«Nelle elezioni del 2001, che consacrarono il suo successo politico, mandò nelle case degli italiani un libro con la sua storia. Voleva scegliere come essere raccontato». 

[…] Studiava i sondaggi personalmente?

«Certo. E mi richiamava se la grafica non era bella, se c'era un carattere che non gli piaceva. Tutti di dimensione 18, per il vezzo di non portare gli occhiali. Un giorno mi rimandò indietro un report con scritto di suo pugno quale sua fotografia dovesse esserci, quando ne testavamo la popolarità».

Vanità?

«Perfezionismo. In tutto. Anche nella strategia politica. Ogni mossa, dal discorso di Onna al predellino, veniva decisa molto prima e testata con alcune persone, poi con altre. Ascoltava tutti e alla fine decideva». 

[…] Spesso sembrava voler sedurre anche gli avversari.

«Dopo il discorso di Onna, quando mise il fazzoletto dei partigiani, lo chiamai, era in elicottero con Bonaiuti. Gli dissi che aveva il 75 per cento di indice di fiducia. Ci fu un momento di silenzio».

 E poi?

«Chiese: "Quell'altro 25 per cento che non mi ama, perché? Quando fece il predellino mi spiegò, dalla macchina, le sue ragioni: doveva tenere unita una situazione che si stava sfarinando». […] «Nonostante tutto quel che accadeva la fiducia non veniva scalfita. A farlo, più di tutto, è stata la seconda lettera della moglie Veronica». 

Più dei processi?

«Assolutamente. Mi chiamò nella notte dicendomi che dovevamo capire come gestire la situazione». 

Perché il colpo veniva dall'interno?

«Perché veniva dalla famiglia. Berlusconi era un uomo con 17 nipoti, ha sempre messo al centro della narrazione il valore della famiglia». 

La frase sulle «vergini che si offrono al drago» lo ha danneggiato più di ogni altra cosa?

«Sì, soprattutto per il voto delle donne, che era sempre stato un suo punto di forza». 

Glielo disse?

«Certo. Lo sapeva perfettamente. Ma sentiva anche una grandissima responsabilità. A novembre 2012 decise di ricandidarsi perché il partito era in calo. Nonostante tutto, senza lui a fare da traino, sarebbe stato spacciato».

La morte del leader FI. Chi era veramente Silvio Berlusconi, il piazzista che ha fatto la rivoluzione. Il kit del propagandista e l’inno-jingle del partito di plastica sarebbero serviti a poco senza l’abilità di smerciare qualsiasi cosa senza lasciarti il tempo di capire perché stai aprendo il portafogli. David Romoli su L'Unità il 13 Giugno 2023

Lo stupore con cui ieri è stata accolta la notizia rende ragione di quanto Silvio Berlusconi abbia inciso, nel bene e nel male, nel dna di questo Paese. Era un uomo anziano e molto malato, la sua scomparsa era prevedibile eppure ha spiazzato tutti perché Berlusconi ha segnato tanto profondamente un’epoca da rendere difficile immaginare che non ci sia più. Chi lo ha amato lo ha amato molto, chi lo ha odiato continua a detestarlo anche da morto, basta fare un salto sui social per rendersene conto. Capita a quelle figure che gli anglosassoni definiscono larger than life.

Quando il 26 gennaio 1994 tutte le televisioni diffusero il videomessaggio che aveva registrato a Macherio, “L’Italia è il Paese che amo…”, pochissimi capirono di trovarsi di fronte a una rivoluzione destinata a sconvolgere i modelli della comunicazione politica. Quando presentò il suo prodotto, un partito costruito in laboratorio dai suoi dipendenti di Publitalia, col nome rubato all’urlo dello stadio, il colore scippato alla maglia della Nazionale, liste formate arruolando a destra e manca, nessuno si rese conto di avere a che fare non con un’anomalia bizzarra ma con l’alba di una nuova normalità. La politica come prodotto. Il leader come testimonial.

La “linea politica” in secondo piano rispetto al rapporto emotivo e fiduciario garantito dalla persona del leader, dalle sue doti di grande venditore. La proposta programmatica rimpiazzata dalla comunicazione empatica di un leader col quale, a differenza che con le figure carismatiche del passato, si potevano identificare tutti e molti in effetti si identificavano. Un italiano, anzi un arci-italiano che ce l’aveva fatta. C’è chi sostiene che Berlusconi avesse costruito in anticipo i suoi elettori grazie alla tv e forse un po’ è vero. Prima e forse più che con la politica il Cavaliere ex palazzinaro aveva trasformato l’Italia e gli italiani con le sue reti: Telemilano, acquistata nel 1976 e trasformata in Canale 5 due anni dopo, poi Italia 1 nell’82 e Rete 4 nell’84.

Finivest insomma, con i suoi film spezzati dalla valanga di spot, i lustrini e la spregiudicatezza sconosciuta a Mamma Rai, la scoperta di una comicità lombarda che deflagrava in uno show-biz che da sempre parlava e rideva solo in romano. I pretori di tre città oscurarono la rete che, grazie a un sotterfugio, aggirava il divieto di programmazione nazionale. Craxi intervenne con mano pesante e salvò l’amico, personificazione stessa del craxismo, emblema rampante della Milano da bere. Nel ‘90 la legge Mammì mise fine al contenzioso legalizzando quel che era già reale pur se illegale. Cinque ministri della sinistra Dc – tra loro un futuro presidente della repubblica – si dimisero per protesta. Il presidente del consiglio Andreotti li sostituì nel giro di poche ore.

E’ vero, negli anni ‘80 le reti Fininvest, poi Mediaset, avevano trasformato gli elettori in acquirenti pronti a farsi abbagliare dallo sfarzo a basso conto delle tv di Sua Emittenza, dal kit del propagandista distribuito nella prima caotica e affollatissima “convention” azzurra a Roma, dall’inno-jingle del partito di plastica: “E’ Forza Italia, per essere liberi…”. Ma tutto questo sarebbe servito a poco senza l’abilità di venditore del leader, uno di quelli capaci di smerciare qualsiasi cosa senza lasciarti il tempo di capire perché stai aprendo il portafogli. Uomo della prima Repubblica come pochi altri, si presentò come il campione della rivoluzione liberale senza che la nobile bandiera gli impedisse di arruolare gli ufficiali allo sbando dei partiti distrutti da tangentopoli.

L’azzardo, e di azzardo si trattava perché se sconfitto l’ira dei vincitori sarebbe stata implacabile, non sarebbe riuscito senza una manovra politica della cui portata, invece, qualcuno prese atto subito: la fondazione della destra italiana, quella che oggi governa, per la quarta volta ma per la prima senza Berlusconi al timone, il Paese. In fondo ciò che molti non perdonano a Berlusconi e per cui molti altri sono stati disposti a soprassedere su tutto, le bugie su Ruby nipote di Mubarak, le olgettine, l’attenzione sempre desta agli interessi privati, l’editto bulgaro che nel 2002 cacciò dalla Rai i tre principali giornalisti non allineati, è proprio aver costruito la destra in un Paese che ne era privo. Oggi sembra una cosa ovvia, trent’anni fa non lo era affatto. Lo stesso Berlusconi, nella prima fase, si sbracciava per chiarire che la sua Fi non era “di destra o di sinistra” ma un partito “del fare”.

L’alleato Bossi, già tesserato del Pci, si definiva “erede della lotta partigiana” e il 25 aprile sfilò a Milano nella gigantesca manifestazione contro il governo. Gli esponenti di un Msi non ancora An bisognava tenerli quasi nascosti, lontano dai ministeri. L’alchimia era tanto improbabile che il governo nato dalla trionfale vittoria del Polo delle Libertà del 27 marzo 1994 durò appena pochi mesi, poi la Lega staccò la spina e detronizzò “Berluskaiser”, come lo chiamava Bossi.

Eppure il vero miracolo di Berlusconi è stato proprio questo: creare la destra assemblando aree e pezzi di mondo politico apparentemente incompatibili. Gli ci sono voluti anni, dalla caduta rovinosa del dicembre 1994 alla vittoria nelle elezioni del 2001 e del 2008. E’ stata una storia costellata da rotture, quella con Bossi poi ricucita, quelle con i centristi cattolici di Casini, con Fini, la più insanabile, con il delfino Alfano. E’ un progetto che ha cambiato nome e ragione sociale a ripetizione: Polo delle libertà, Casa delle libertà, Popolo della libertà, cioè il partito unico Fi-An annunciato sbrigativamente da un predellino a latere di una manifestazione e altrettanto sbrigativamente franato. Ma sin dall’inizio, dalla vittoria a sorpresa del 1994, è stato chiaro che in Italia non c’erano più solo un centro oscillante da un lato all’altro dello spettro politico e una sinistra e che con la destra si sarebbero dovuti da quel momento in poi fare i conti.

Quella di Berlusconi è stata una destra che ha puntato sulla diffidenza degli italiani nei confronti dello Stato, che ha coscientemente incentivato alcune tra le tendenze peggiori del Paese, dall’abusivismo all’evasione fiscale. Ma è stata anche una destra democratica non solo in superficie. Se e quanto sia destinata a restarlo senza più il padre fondatore è tutto da verificare. Molto prima del M5S, il padre padrone di Fi ci teneva a chiarire che lui non era un politico di professione: “il teatrino della politica” era la sprezzante definizione con la quale innescò e sfruttò per primo il populismo antipolitico. Non era solo sceneggiata: per Berlusconi i confini tra personale e politico sono sempre stati evanescenti.

Ha sopportato il dissenso politico, mai quelli che a torto o a ragione gli sembravano tradimenti personali. Si è inventato una politica estera basata sui rapporti personali, su lettoni regalati da Putin e sui presidenti americani invitati in villa, e forse è quanto di meglio abbia fatto come uomo di governo. Ma ha anche considerato normale rendere la difesa dei suoi interessi e dei suoi problemi legali una priorità politica e spesso la priorità politica assoluta, e forse è il peggio che abbia fatto come presidente del Consiglio. Berlusconi è stato garantista, certamente per necessità, forse anche per virtù. Considerava una persecuzione il mostruoso moltiplicarsi di inchieste a suo carico, a partire da quell’avviso di garanzia che fu essenziale per far cadere il suo primo governo e che si trovò spiattellato sul Corriere della Sera, senza essere stato avvertito del fattaccio, proprio mentre presiedeva un vertice internazionale sulla criminalità.

Una vena persecutoria in quelle inchieste c’era davvero, non perché non ci fossero spesso gli estremi per indagare ma perché se le stesse forze fossero state dispiegate per fare le pulci a tutti gli industriali non se ne sarebbe probabilmente salvato nessuno. Ha costretto una destra forcaiola a seguirlo e difenderlo ma scommettere oggi su quanto garantista resterà ora che è in mano solo a Giorgia Meloni e Matteo Salvini significherebbe rischiare grosso.

Berlusconi è stato un sovrano senza discendenza politica. Lui stesso si è preoccupato pochissimo di garantire un futuro alla sua creatura, ha considerato la successione un particolare trascurabile. In un certo senso si riteneva immortale, o almeno si comportava come se lo fosse, sino all’ultimo straziante messaggio del maggio scorso del san Raffaele. Le possibilità di sopravvivenza del suo partito sono ora esigue. La destra invece è ormai in grado di fare a meno del fondatore ma non resterà la stessa e probabilmente sarà peggiore di quella che è stata nei decenni del berlusconismo e dell’antiberlusconismo, accoppiata perdente che ha fatto alla cultura politica di questo Paese infiniti danni. David Romoli 13 Giugno 2023

Estratto dell'articolo di Fabrizio Roncone per il Corriere della Sera il 14 giugno 2023.

La sera andavamo a Palazzo Grazioli. Lui era lì. La politica era lì. Un gin tonic al bar Doria, i cronisti delle agenzie che si davano il cambio davanti all’uscita secondaria, le luci — lassù, al secondo piano — sempre accese. Mille metri quadrati dove nessuno può dire di aver visto tutto. Ma dove è successo tutto. 

 Epicentro del potere per l’intera seconda Repubblica, è il luogo dove il Cavaliere ha officiato più a lungo e dentro autentica magnificenza: tra ministri veri e ministri miracolati, sottosegretari e sottopanza, adulatori e aspiranti fidanzate, badanti e arrampicatori sociali, Barbara e Terry che si scattano selfie nei bagni dorati e le convocazioni in decine di processi, (...) le lunghe telefonate con Putin e con Gheddafi, Giampi con le sue amichette e il cuoco Michele che prepara le penne tricolori — solo Umberto Bossi grugniva: «Fanno schifo!»; il professor Giulio Tremonti, con eleganza, fingeva di gradire, continuando a spiegare la posizione della Bce

(...) Denis Verdini — per una stagione potente capogruppo a Montecitorio, con l’orologio d’oro massiccio al polso e ai piedi le babbucce come quelle di Flavio Briatore — discute con Renato Brunetta, perde la pazienza e lo solleva, di peso, da terra. Il parapiglia fa innervosire Dudù, il barboncino di Francesca Pascale, che comincia ad abbaiare e tenta di mordere Daniele Capezzone (succederà altre volte, purtroppo).

La Pascale è riuscita nel capolavoro sentimentale di fidanzarsi con il Cavaliere partendo dalla piazzetta che affaccia sull’uscita secondaria, dove manifestava sotto al sole a picco infilata in una t-shirt con la scritta «Meno male che Silvio c’è». Per far capire che, a Palazzo, gli equilibri sono cambiati, va in cucina e chiede: «Quanto li paghiamo i fagiolini al chilo?». Le rispondono una cifra da mutuo. 

Lei s’infuria e tutti, a quel punto, capiscono chi è che comanda (certo, chi vuole parlare con il Cavaliere deve però sempre chiedere il permesso a Maria Rosaria Rossi, poi diventata celebre in certe cronache giudiziarie per aver affittato il castello di Tor Crescenza e per la frase cult detta a Emilio Fede, che le annunciava al cellulare il suo arrivo: «Oh, no… bunga bunga, le due di notte!»).

Un pezzo di Sardegna

Che inverni memorabili, a Palazzo Grazioli. Quanta politica, quanto potere concreto, quanti eccessi. Poi, la liturgia berlusconiana, l’estate prevedeva il trasferimento a Villa Certosa, Costa Smeralda, Porto Rotondo: molto più che una tenuta. Letteralmente, un pezzo di Sardegna.

Parco di 580 mila metri quadrati (considerate che un campo da calcio ne misura circa 7 mila), un immobile con 68 vani, 4 bungalow, una palestra, un teatro, un finto vulcano (la prima volta che il Cavaliere lo accese, accorsero i vigili del fuoco). Ospiti variegati: da Putin (erano proprio amici) a Lele Mora, da Aznar a Zapatero, dall’ex capo della Repubblica Ceca Topolanek (paparazzato nudo sotto la doccia, insieme ad alcune amiche in topless) a Tony Blair con la moglie Cherie.

Con Blair, quell’indimenticabile estate, il Cavaliere sfoggia la leggendaria bandana (prima di lui, in Italia, solo Alberto Sordi: ma in un film, «Lo sceicco bianco»). Poi, non soddisfatto, gli mostra la collezione di 400 cactus fatti arrivare da ogni parte del pianeta. Blair è basito. La sera, nei vialetti del parco, ci sono carretti che offrono gelati a tutti. Il gelato libero e gratuito impressiona molto soprattutto i notabili di FI. Mariano Apicella alla chitarra è leggenda nota. Come l’Umbertone che nel 1994 — non s’è mai capito se per puro sfregio, o per intuizione mediatica — si presentò indossando una canottiera da muratore.

Disdetto l’affitto di Palazzo Grazioli (troppo costoso, vabbé), ha aperto i cancelli e si è offerto agli obiettivi anche nell’ultima dimora romana, Villa Zeffirelli, poi ribattezzata Villa Grande, sull’Appia Antica, per anni prestata in comodato d’uso al suo amico regista e diventata il set degli ultimi vertici con Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che stavano allestendo il nuovo governo e lei, Giorgia, con dei gran giri di parole diceva no, Presidente, la Ronzulli ministra della Sanità proprio no.

Ma il Cavaliere era già stanco. Incerto sulle gambe. Ed era chiaro a tutti che eravamo ormai dentro il tramonto di una storia cominciata nell’altra grande dimora, da lui adorata, e dove — in un miscuglio di amicizia indistruttibile e stima profonda — ha continuato ad incontrarsi fino all’ultimo con Fedele Confalonieri, Marcello Dell’Utri, Gianni Letta e Adriano Galliani: Villa San Martino (3.500 mq, valore indicativo: 100 milioni).

Lì, alle ore 18 del 29 giugno 1993, fa ingresso il professor Giuliano Urbani, politologo della Bocconi. Berlusconi non è ancora del tutto Berlusconi. Così gli evita la visita ai roseti e al mausoleo di Pietro Cascella, e va subito al dunque: «Vorrei fondare un partito. Secondo lei, è un’idea che agli italiani potrebbe piacere?». 

Estratto dell’articolo di Maddalena Oliva per ilfattoquotidiano.it il 14 giugno 2023.

“La maggioranza degli italiani vorrebbe essere come me”, “grande amatore dell’altra metà del cielo” che può permettersi di avere sempre alla sua tavola “presenze femminili gradevoli”. Così diceva, mostrando ancora una volta l’affinità elettiva con gran parte del Paese e col pensiero dominante. Di Silvio Berlusconi e del rapporto tra i sessi, della sua concezione della donna e dei ruoli di genere, del velinismo fatto pensiero e politica, si è scritto per decenni. […]

Fino a quando Patrizia D’Addario svelò per prima in diretta tv, ad Annozero di Michele Santoro, quanto fosse realtà il Bagaglino. Era il 2009. Vennero poi Ruby Rubacuori, Marysthell Polanco, Nicole Minetti, il bunga-bunga. Ma Berlusconi, a pensarci bene, non creò nulla. La mercificazione del corpo femminile non nasceva con le sue tv, lo scambio sesso-doni/denaro/carriera, non usava solo dalle parti di Palazzo Grazioli o di Arcore (a raccontarcelo sarebbe stato il #metoo).

Fu in grado di interpretarla, la realtà: lo fece in modo strabiliante e sfrontato, prima con le sue televisioni e il suo immaginario, e poi con la sua politica. Ragazze desnude usate come ornamenti e necessarie “distrazioni”, da Drive-in ai programmi più disparati, dal meteo a Striscia la notizia al Grande Fratello, divenuti all’occasione uffici di collocamento. 

Candidate per le elezioni europee scelte tra veline e modelle avvenenti: “Mi domando in che Paese viviamo, come sia possibile accettare un metodo politico come quello che si è cercato di utilizzare per la composizione delle liste elettorali del centrodestra”, si chiedeva nella celebre lettera del 2009 l’allora moglie Veronica Lario. Era “il ciarpame senza pudore”, “le vergini che si offrono al drago per rincorrere successo e notorietà”.

E per una strana alchimia, scriveva Veronica, il Paese “tutto concede e tutto giustifica al suo imperatore”. L’ordine non era quello del terrore ma del narcisismo, dell’onnipotenza. Soprattutto, di una certa “servitù volontaria”. Le “vergini” non erano vittime sacrificali ma facevano la fila e sgomitavano per far parte della corte (come dimenticare le intercettazioni delle giovani ospiti di Arcore…). 

I “servitori” erano un esercito di uomini e donne che dopo aver occupato posti chiave in partiti, istituzioni, tv e giornali, si prodigavano per chi portava più fanciulle e si facevano grancassa per le bugie e le “coperture” (da Ruby nipote di Mubarak, votata da 232 parlamentari la notte del 27 maggio 2010 – premier Meloni e presidente del Senato La Russa compresi – alla relazione con Francesca Pascale). E ad affrontare Berlusconi, a decretarne l’inizio della fine, non furono i suoi oppositori a cavallo, ma due donne umiliate e offese: Veronica Lario e Patrizia D’Addario. 

[…] Berlusconi, sì, disvelò un’“autobiografia nazionale” e decenni di costruzione di un’immagine paternalista e sessualizzata della donna-oggetto, dalla velina alla “culona inchiavabile” per parlare di Angela Merkel. Ma del corpo delle donne né la politica né la cultura se ne sono occupati più molto. 

Che lo si consideri un maschio alfa o una vittima del suo machismo, nessuno può illudersi che, insieme al suo potere, con Berlusconi si eclissi l’immaginario sessuale che tutti noi abbiamo più o meno inconsapevolmente introiettato. Quel suo volto liftato e così invecchiato è la maschera di un sistema di valori e di ruoli che per molti, e molte, resta ancora gradito, “naturale”.

Estratto dell’articolo Michele Masneri per “il Foglio” il 14 giugno 2023.  

]Jas Gawronski […] è stato tra le altre cose anche portavoce di Silvio Berlusconi al suo primo incarico di governo nel fatale 1994. […] “Avevo lavorato come giornalista alla Fininvest, conducendo ‘Big Bang’, che era una specie di Quark, negli anni Ottanta. L’idea era quella di emulare Piero Angela, ma non ci andammo neanche lontanamente vicini”, […]  “Fui favorito credo dal fatto che ero amico dell’Avvocato Agnelli”, dice Gawronski. “Berlusconi venne una prima volta a Torino, a villa Frescot, a trovare Agnelli, che l’aveva invitato spinto a sua volta da una forte curiosità per questo personaggio, per cui provava un misto di interesse antropologico, invidia, divertimento”. Invidia per cosa? “Per il successo con le donne, e per il business della televisione”.

[…]  “Agnelli trovava Berlusconi molto simpatico e un po’ lo prendeva in giro, ma solo finché non è diventato presidente del Consiglio, poi mai più; aveva un sacro rispetto delle istituzioni”, […]  “Per il Cav.  l’Avvocato era un mito. Ha sempre sostenuto di avere la sua foto incorniciata sul comodino”.

Estratto da liberoquotidiano.it il 15 Giugno 2023.

Tutto e il contrario di tutto si può dire su Silvio Berlusconi, ma non si può negare che fosse un esteta. 

A sottolineare quest’aspetto della sua personalità e a commentare negativamente l’ultima foto che è stata pubblicata del Cavaliere a poche ore dalla sua dipartita è Ivan Zazzaroni, direttore del Corriere dello Sport e ospite de La Vita In Diretta, talk di Rai1 condotto da Alberto Matano e che ha dedicato l’ultima puntata interamente ai funerali di Stato dell’ex-presidente del Consiglio: 

“Lui non avrebbe mai permesso, visto come era attento anche alla sua immagine, che quella foto orribile che circola insieme al bambino venisse resa pubblica”.

Lo scatto in questione ritrae Berlusconi seduto con accanto un bambino, all’interno di un bar di Milano 2. Visibilmente provato dai medicinali, la foto ha svelato le sue condizioni nei momenti finali della sua vita e Zazzaroni non ha gradito affatto la cosa: “Noi (inteso come redazione del Corriere dello Sport, ndr) non faremo mai vedere quella foto”. (…)

 Dagospia il 15 Giugno 2023. “Kakà è il tipo di uomo a cui tutti i padri e le madri vorrebbero dare in sposa le proprie figlie”. Sui social gira un video-stracult di Berlusconi, in una epica puntata di “Controcampo”, durante la quale il Cav si scatenò in un divertente corteggiamento nei confronti di Elisabetta Canalis. 

L’ex velina fece capire di non avere nel suo pantheon maschile il brasiliano dalla faccia d’angelo: “Lo vedo molto bimbo, molto ragazzino. Io li preferisco un po’ più maturi”. E Silvio piazzò la sua zampata: “Elisabetta ha bisogno di uomini già fatti come me”. E la Canalis, di rimando: “Guardi, non mi sopporterebbe neanche lei…”. Berlusconi insiste: “Non mettiamo limiti alla pazienza, lascia decidere a me”. Sandro Piccinini interviene: “Il presidente non perde occasione…”. La chiosa di Silvio: “Faccio tanto il galletto perché mia moglie è a New York e non vede la trasmissione

Anticipazione da “Oggi” il 21 giugno 2023.

Matilde Simonetto, detta Mity, dal 1992 al 2010 al fianco di Silvio Berlusconi come consulente d’immagine, parla in esclusiva al settimanale OGGI, in edicola da domani, dopo aver superato molte resistenze: «Ogni aggettivo riferito al Dottore, anche se declinato al superlativo, mi sembra sminuente». 

C’è lei, per esempio, dietro gli spot della discesa in politica del Cavaliere: le inquadrature, la scrivania, le luci, lo sfondo con la libreria e le foto di famiglia, insomma, la regia e la scenografia, che nel berlusconismo superano per importanza la sceneggiatura. «Li giravamo alle 6 del mattino, perché poi Berlusconi non avrebbe avuto tempo. 

Faceva un freddo terribile: il Dottore stava ristrutturando la villa di Macherio, lo studio era stato “sventrato”. Da una parte c’eravamo noi con le sciarpe e i cappellini di lana. Dall’altra lui, splendido in doppiopetto, seduto alla sua scrivania, sorridente, con una luce stupenda, caldissima… 

Feci razzia delle foto di famiglia, gliele sistemai dietro, alcune le avevo “organizzate” io. Una volta dovetti mandare qualcuno a comprare dei jeans per i bimbi, che avevano solo pantaloni eleganti». 

E la calza sull’obiettivo della telecamera per spianare le rughe? «Una leggenda. Allora, tra l’altro, non le aveva, le rughe. Usavamo dei filtri, questo sì, e delle luci trattate. Ma niente collant».

Unico disaccordo «la cipria anti-lucido, per evitare i riflessi nelle foto o in tv. Per i miei gusti, ne usava un po’ troppa. Si teneva in tasca un piumino secco: appena io mi voltavo, lo tirava fuori e si incipriava, poi lo rimetteva in tasca credendo che io non lo vedessi». 

E la famosa bandata esibita a Porto Cervo nell’estate del 2004? «Decise lui, forse c’era un trapianto da proteggere, lui lo coprì così. Ero in vacanza a Viareggio, quando vidi le immagini mi prese un colpo». 

Mity Simonetto aveva già lasciato l’incarico all’epoca dei primi scandali non giudiziari: la D’Addario, la separazione da Veronica Lario, Ruby. «Erano questioni troppo grandi e lontane da me, non avrei saputo gestirle. Se gli ho mai consigliato di frenare le sue frequentazioni femminili? Eravamo in tantissimi a dirglielo. Lui ascoltava tutti, ma nelle decisioni era un uomo solo: soltanto sua madre Rosa avrebbe potuto influire sul suo comportamento, ma aveva già 90 anni».

Estratto da La Stampa il 24 giugno 2023.

Ah, Silvio… Lo incrociavo spesso al Torre di Pisa, il ristorante in Brera dove andavamo a cenare in quegli anni: noi circondati da ragazze splendide, lui seduto al tavolo con amici e collaboratori, sempre ingrigiti, sempre a parlar d’affari e a squadrarci con invidia. Una sera mi ferma e mi offre un caffè. 

E mi dice: “Sai, anch’io voglio avere donne in quantità industriale e quindi ho deciso: farò la televisione commerciale. Il futuro appartiene a me”. Lo so, può sembrare una tesi strana, ma sono fermamente convinto che lui, affamato di successo, abbia fatto quello che ha fatto solo per questo motivo». Tesi originale, certo, ma forse neanche tanto, vista l’indole e la caratura dei personaggi in gioco. 

Era la metà degli Anni Settanta e mentre Berlusconi fantasticava lo sbarco nell’etere, Beppe Piroddi brillava come una stella all’apogeo della sua carriera mondana: un principe della bella vita, un ricco «sciupafemmine» capace di conquistare le donne più desiderate del pianeta.

Ovvero, il numero uno degli «amateur», che è concetto molto più profondo del semplice «playboy»: «Il playboy è uno che “gioca”, che colleziona, che fa parlare il cuore ma anche la testa», spiega lui, in un ristorante sul lungomare di Genova. «L’amateur, invece, insegue solo il piacere: vuole assaporare fino in fondo le sensazioni, abbandona il campo quando questo non avviene più. Questione di divertimento: ecco la bussola che ha governato la mia vita».

Una giostra di incontri ed emozioni. Beppe Piroddi si è fatto aiutare dall’amico giornalista Gigi Moncalvo e c’ha riempito un libro: «Amateur», Mursia edizioni, quattrocento pagine di feste, donne fatali, stelle del cinema, vacanze a Saint-Tropez e spedizioni passionali a New York e a Londra. Senza dimenticare, ovviamente, i locali da lui stesso fondati: i Number One e i Caffè Roma aperti a Milano, Roma e in America, tra le «mecche» della vita notturna di quegli anni. Da dove iniziare? 

Classe 1940, nato a Genova e di buona famiglia, Piroddi è figlio del medico che inventò la dieta mediterranea. Cresce con le spalle coperte tra la Liguria e il Lago Maggiore. E’ un bel ragazzo, ha charme. E ci sa fare così tanto con l’altro sesso che a vent’anni diventa l’uomo-oggetto delle signore più in vista della società genovese. Poi il grande salto, nel 1963, quando al night Chatham di Torino conquista l’attrice francese Odile Rodin, splendida moglie del diplomatico (nonché mitico playboy) Porfirio Rubirosa.

Sarà lei a lanciarlo nell’empireo del jet set internazionale. «Né romanticismo svenevole né tornaconto economico: con le donne ho sempre seguito la chimica», dice, cercando di spiegare i segreti di un’infinita serie di attrazioni fatali. «Ho usato la mia peculiarità: avvertivo subito se una ragazza mi accendeva e, soprattutto, se lei era attratta da me». (...)

Estratto dell’articolo di Natalia Aspesi per il Venerdì il 25 giugno 2023. 

(…)

Ho visto grasse massaie in tv che piangevano sconsolatamente questo ignoto miliardario facendosi la croce: lutto nazionale per sette giorni. Anche per lei che due buone parole per il defunto le ha dette, o quasi: "È venuto a mancare il Cavaliere... Ho sempre pensato che fosse una calamità...". E poi giù a parlare dei fatti suoi, tanto più importanti per lei, tipo "Mi trascino quando mi porto in giro la perfida Olivia (il cane)...". E poi confessa di averlo chiamato per almeno un decennio "un Vecchio Indecente", e qui mi scusi, entro io a fare quella cosa odiosa che è la propaganda e a dire con tutta sincerità e forse per la prima volta, il mio pensiero su Repubblica.

Credo che oggi questo giornale di carta, quello che nessuno avrebbe più voglia di leggere, ha scelto una strada sicura e dura, che lo rende il solo quotidiano, cartaceo, a parlar del Pd come se fosse vero. C'è sul suo sito una interessante trasmissione, Metropolis, dove può incontrare i giovani (ahi noi!) che paiono nuovi e sono molto bravi, una gran consolazione rispetto agli orribili quotidiani di destra o che approvano, come se fosse normale, la destra. Insomma, Repubblica, per ora, è decisamente di sinistra. Lei è di quegli uomini che non resistono senza il quotidiano, anche lì, ad Ascoli, ed è lì che il giornale deve ripartire.

Poi lo sa, anche io sono frivola, e se posso sgridare il Cavaliere, a parte i 32 o quasi processi da cui è uscito indenne anche facendosi le leggi sue, c'è una cosa che non gli perdono: aver tentato di trasformare uomini che più invecchiavano più diventavano belli in uomini che hanno imparato da lui a farsi decine di pessime operazioni estetiche, diventando spaventosi vecchi, di cui lui era il maestro. Poi c'era a lui accanto la signora Fascina, 33 anni contro gli 86, nonno molto vecchio e nipote giovane, una bella signora calabrese, diventata del tutto sconosciuta onorevole a Portici, mai vista in Parlamento, sempre usata come compagna di Berlusconi per sorvegliarlo, e con 53 anni in meno.

·        La Biografia.

BIOGRAFIA DI SILVIO BERLUSCONI. Da cinquantamila.it - la storia raccontata da Giorgio Dell'Arti

Silvio Berlusconi, nato a Milano il 29 settembre 1936. Politico. Imprenditore

• «Il Cavaliere» • «B» • Padrone di Mediaset. Padrone della Mondadori. Già padrone del Milan, venduto nel 2017 all’imprenditore cinese Li Yonghong

• Patrimonio personale stimato in 6 miliardi e 300 milioni di dollari (nel 2020, secondo la rivista Forbes). Sesto uomo più ricco d’Italia. Numero 308 nella lista dei più ricchi al mondo

[…] Dorme poco di notte. Legge i giornali alle due del mattino. Guarda i dossier col «dottor Letta» alle due e mezza. Qualche volta, la notte, compra oggetti alle televendite, qualificandosi 

• «I venditori di Berlusconi erano fortemente disincentivati dal fumare, portare la barba, i baffi o i capelli lunghi e disordinati, veniva detto loro di avere sempre l’alito fresco, di stare attenti alla forfora e di non avere mai, cascasse il mondo, le mani sudate» (Stille) 

• Detesta l’aglio

• Passione assoluta per il giardinaggio, di cui è grande intenditore: a Villa Certosa in Sardegna ha realizzato, senza badare a spese, un parco di grande bellezza (per esempio un agrumeto contenente 140 specie di aranci, cioè tutti quelli esistenti, ecc.) 

• Pur possedendo tre cellulari le cui suonerie sono segrete, non ne tiene in tasca neanche uno: risponde il caposcorta e glieli passa (di recente, però, avrebbe imparato a scrivere gli sms e durante le riunioni noiose si divertirebbe a fare scherzi coi messaggini) 

• Il suo cruccio è l’altezza. Ad Augusto Minzolini disse: «Lei quanto è alto? Un metro e 78? Non esageri. Venga qui allo specchio, vede, io sono alto un metro e 71. Ma le pare che un uomo alto un metro e 71 possa essere definito un nano?»

• Nel 2020 contrasse il coronavirus

• Ad Arcore ha un mausoleo dove intende essere sepolto.

• Nel novembre 2006, chiacchierando nel salotto di Daniela Santanché, Berlusconi stesso ha fatto il punto sulle sue ricchezze: 13 case, 14 piscine (perché una è coperta), quattro jet di cui uno rotto, sei panfili, duemila conti in banca, 56 mila collaboratori, una squadra di calcio, una di pallavolo (campioni d’Italia e d’Europa), una di hockey (idem). Aveva prodotto fino a quel momento 110 film (e sostiene di essersi fidanzato con il 60 per cento delle attrici). Le case, cioè le ville, possedute sono in realtà 14: Macherio (Villa Belvedere), Arcore (Villa San Martino), Portofino, Porto Rotondo (La Certosa), Cernobbio, due alle Bermuda, sette ad Antigua (Piccole Antille)

• Quattro volte presidente del Consiglio: nel 1994 (Berlusconi I), per tutta la XIV legislatura, dal 2001 al 2006 (Berlusconi II e III), poi di nuovo dal 2008 al 2011 (Berlusconi IV) • Eletto alla Camera nel 1994, 1996, 2001, 2006, 2008; fu eletto al Senato nel 2013, ma il 27 novembre di quello stesso anno, dopo che la Corte di Cassazione lo condannò in via definitiva per frode fiscale, e dopo che la Corte d’appello di Milano gli comminò due anni di interdizione dai pubblici uffici, l’aula votò la sua decadenza

• Tornato candidabile nel 2018, è stato eletto europarlamentare alle europee del 2019. È stato il più anziano degli eurodeputati 

• «Un uomo di gomma laddove Mussolini si atteggiava a uomo di ferro» (Eugenio Scalfari) • «Se avesse un puntino di tette farebbe anche l’annunciatrice» (Enzo Biagi) • «Come tutti i grandi imprenditori, Berlusconi non ha la purezza di San Francesco» (Bruno Vespa) 

• «La Standa è mia / Il Milan è mio / e la Marini / la Cuccarini / le cucco io / Mentana, Fede / Paolo Liguori / La Fininvest, Publitalia, Mondadori / Vittorio Feltri / i due Vianelli / e se obbediva, forse, Indro Montanelli / c’ho Panorama / assicurazioni/ Milano 2, Milano 3, Sorrisi e canzoni» (Roberto Benigni, a Tuttobenigni 1995)

• «Venne allo Sporting di Montecarlo per la serata di gala di Publitalia. Mi disse che ero bravo, che avrei fatto tanta strada se avessi tenuto la testa sulle spalle. Mi disse: impara da Mike. Poi si bloccò, stava passando una bellissima ragazza e mi disse: chi è quella bella gnocca?» (Fiorello) 

• A una bambina, nel 2007: «“Quanti anni hai, piccolina?” “Sette”. “Sai, io alla tua età ne avevo già nove”». 

Titoli di testa «Hanno fatto un sondaggio tra le ragazze italiane tra i 20 e i 30 anni. La domanda era: vorresti fare sesso con Silvio Berlusconi? Il 30 per cento ha risposto: magari! E il 70 per cento: ancora?!». 

Vita «Sono uno che è stato povero, che si è costruito da solo, che ama il calcio, ama la vita, ama divertirsi» • Primo dei tre figli di Luigi Berlusconi (Saronno 1908 - Milano 1989), funzionario e poi direttore della Banca Rasini; e di Rosa Bossi, già stenografa-dattilografa alla Pirelli (defunta nel 2008). I due fratelli si chiamano Paolo e Maria Antonietta. Infanzia qualunque a Milano, medie e liceo al Sant’Ambrogio dei salesiani di via Copernico 9, laurea alla Statale con una tesi intitolata Il contratto di pubblicità per inserzione (lode e premio di due milioni come primo classificato al concorso indetto dalla Manzoni).

Ha 25 anni e parecchie esperienze lavorative alle spalle: a 14 anni tre mesi di barista a Clusone, durante l’università fotografo di matrimoni e funerali (Time), agente immobiliare, rappresentante di elettrodomestici, cantante nel complessino di Fedele Confalonieri con cui andava anche in crociera. Appena laureato si dà all’edilizia, partendo da un terreno in via Alciati a Milano, 190 milioni garantiti dal padre. La madre Rosa su questo inizio che i suoi avversari qualificano come oscuro: «Carlo Rasini, proprietario della banca dove lavorava mio marito, gli concesse un prestito. Noi gli demmo tutto quello che avevamo da parte. “Però ricòrdati che di figli ne ho tre”, gli disse suo padre, “perciò un giorno dovrai aiutare la Maria Antonietta e il Paolo”. Alla fine mio marito lasciò la banca per seguire le imprese di Silvio. In casa avevamo valigie piene di cambiali. Ogni tanto el me Gino diseva: “Rosella, me buti giò de la finestra”» (Stefano Lorenzetto)

• Costruisce a Brugherio e poi a Segrate Est il complesso oggi noto come Milano 2 (Alexander Stille: «un bizzarro mix tra la città ideale del Rinascimento italiano e una versione sterilizzata e un po’ kitsch del sogno suburbano americano»). Entra poi nel business della tv per offrire agli abitanti di Milano 2 un servizio in più, una televisione via cavo riservata. La chiama Telemilano e comincia a trasmettere il 24 settembre 1974 

• Guido Medail, che partecipa all’impresa: «La prima trasmissione fu un’intervista fatta in francese e senza traduzione al capo della resistenza curda. Trasmettevamo soprattutto dibattiti politici. Accettarono di venire anche Eugenio Scalfari (che non aveva ancora fondato Repubblica), Giorgio Bocca, Massimo Fini. Qualche film che piratavamo ai preti delle edizioni San Paolo. Berlusconi si faceva sentire di rado» (Maurizio Caverzan)

• Nel 1976 la Corte Costituzionale sentenzia che in Italia l’emittenza privata è ammessa, ma solo in ambito locale. Medail racconta di aver sentito Berlusconi calcolare ad alta voce che a quel punto Telemilano avrebbe potuto produrre programmi da vendere alle altre tv private (in quel momento erano 434) finanziandosi con la pubblicità da inserire nelle trasmissioni. “Telemilano via cavo” fu perciò trasformata in “Telemilano 58”, rete locale via etere, ed ebbe inizio l’escalation televisiva le cui tappe fondamentali furono: 1) assunzione di Mike Bongiorno; 2) assunzione di Adriano Galliani; 3) inter-connesione funzionale, un grimaldello giuridico che consente a Telemilano, ribattezzata intanto Canale 5 al Nord e Canale 10 al Centro e al Sud, di trasmettere in tutta Italia: in pratica si trattava di registrare una cassetta del programma e di farla avere subito alle altre emittenti, in modo che la trasmissione, sia pure distanziata di qualche minuto o di qualche secondo, venisse di fatto irradiata su tutto il territorio nazionale; 4) acquisizione dei diritti del Mundialito; 5) acquisto di Italiauno da Rusconi; 6) acquisto di Retequattro da Mondadori

• Racconta Mike Bongiorno: «In Rai guadagnavo 20 milioni l’anno e mi dovevo fare il mazzo con le serate per racimolare qualche lira. Lui mi ha offerto 600 milioni ed è stata la svolta» 

• Racconta Raimondo Vianello: «Un giorno si presenta a casa nostra. Ci dice che è pronto a darci un programma, che ci aspetta a braccia aperte. Ha uno stile asciutto, convincente. È un venditore. In quegli anni la Rai è un ministero, non si capisce con chi parlare di nuovi progetti, nuove idee. Avremmo dovuto realizzare un unico programma a Canale 5 e poi tornare a Viale Mazzini. Berlusconi offre patti chiari. E soldi. Insomma, ha argomenti convincenti. A un certo punto gli chiedo se vuole bere qualcosa. Lui mi risponde: “Non avrebbe un panino?”. Mi assale un dubbio: ma questo è davvero miliardario?»

• Nell’ottobre 1984 i pretori di Roma, Torino e Pescara gli oscurano le reti, sostenendo che l’interconnessione funzionale sia fuori legge. Berlusconi allora chiede aiuto al suo grande protettore 

• Bettino Craxi, in quel momento è a Londra in visita ufficiale. Torna di corsa a Roma ed emana un decreto che consente a Berlusconi di trasmettere in attesa della legge che avrebbe regolamentato il settore e che il parlamento italiano approverà poi solo nel 1990 (la legge Mammì) 

• Il ruolo di Craxi, segretario del Partito socialista italiano dal 1976, è fondamentale nell’ascesa di Berlusconi per almeno tre ragioni: 1) gli consente di operare in regime di “deregulation”, cioè senza norme che ne limitassero l’attività (fino al 1990); 2) opera attraverso il presidente socialista della Rai, Enrico Manca, affinché l’azienda di Stato tenga un profilo concorrenziale basso (pax televisiva); 3) gli procura un vasto credito bancario, imperniato soprattutto sulla Banca Nazionale del Lavoro, di cui il Psi era il referente politico

• Nel 1986 acquista il Milan da Giussi Farina, dopo una formidabile opera di potenziamento la rende una delle squadre più vincenti della storia del calcio. Acquista il pacchetto di maggioranza assoluta del quotidiano di Indro Montanelli, Il Giornale, di cui aveva preso il 12 per cento nel 1977 e il 37,5 nel 1979 (passato poi al fratello Paolo quando la legge Mammì proibisce ai proprietari di televisioni di possedere anche quotidiani). Acquista la casa editrice Mondadori al termine di un’aspra battaglia legale e finanziaria con Carlo De Benedetti (l’erede Luca Formenton s’era impegnato a vendere la sua quota a De Benedetti e cambiò idea, cedendola a Berlusconi, poco prima che il patto sottoscritto venisse a scadenza). Entra nel mondo della finanza (Mediolanum con Ennio Doris) e della distribuzione (Standa)

• Comincia a operare attraverso un’imponente rete di società, le principali delle quali sono la capogruppo Fininvest, posseduta inizialmente da 20 lussemburghesi (oggi dismesse), la Mediaset, dove furono raggruppate le reti televisive, e Publitalia, incaricata di vendere gli spot da mandare in onda su Canale 5, Italiauno e Retequattro (in ordine di importanza). L’esplodere di Tangentopoli – l’inchiesta che a partire dal 1992-93 mette in luce un vasto giro di corruzione politica – e la conseguente scomparsa dalla scena di Craxi inducono Berlusconi a intraprendere l’attività politica («scendere in campo», secondo la sua espressione).

Esordio vero il 24 novembre 1993 quando, interrogato da un cronista sulle imminenti elezioni per il sindaco di Roma, dice che tra Francesco Rutelli, candidato delle sinistre, e Gianfranco Fini, candidato della destra e soprattutto segretario del “partito fascista”, voterebbe senz’altro per Fini (battuta che di fatto sdoganò il Msi). E infatti, quando si presenta alle elezioni del 1994, Berlusconi guida un cartello formato dal partito Forza Italia, da lui fondato nel 1993, dal Msi-An, dalla Lega Nord – la formazione di Umberto Bossi che predicava la secessione dall’Italia della Padania – dal Centro cristiano democratico e dall’Unione del centro democratico (due formazioni di risulta della Dc scomparsa causa Tangentopoli)

• Come mai Berlusconi, che pare diventato un imprenditore molto ricco e potente, sente il bisogno di entrare in politica dopo la caduta di Craxi? Bruno Vespa: «Nel 1993 la Fininvest aveva 3.500 miliardi di debiti e si può immaginare che se le elezioni del 1994 avessero spazzato via Berlusconi come un fuscello, non tutti i banchieri sarebbero stati generosi con lui. Il Cavaliere restò spiazzato quando la Banca Nazionale del Lavoro, sul cui appoggio contava, gli chiese di rientrare. Enrico Cuccia voleva affondarlo» 

• L’annuncio della discesa in campo provoca una eco enorme. Berlusconi registra un discorso su una cassetta e la manda a tutti i telegiornali. Si fa riprendere in una luce morbida, dietro una scrivania, circondato dai libri e con le foto dei cari, incorniciate, bene in vista. Sorridente, rassicurante, inappuntabile: «Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a un passato politicamente ed economicamente fallimentare. Affinché il nuovo sistema funzioni, è indispensabile che alla sinistra si opponga un Polo delle Libertà capace di attrarre a sé il meglio di un paese pulito, ragionevole, moderno». 

Processi Contro Berlusconi, specialmente da quando annunciò la decisione di entrare in politica, si è scatenata una pubblicistica di mole impressionante. I processi che gli sono stati intentati dalla magistratura non si contano. Diamo qui la lista delle imputazioni principali: 

• Le origini della ricchezza di Berlusconi sono misteriose e si sa comunque che, ai tempi in cui faceva il costruttore, ha pagato un mucchio di tangenti per costruire in deroga ai piani regolatori, per piazzare appartamenti altrimenti invendibili, per far spostare le rotte degli aerei che davano fastidio agli inquilini di Milano 2 ecc.; 

• Ha assunto come stalliere nella sua villa di Arcore un mafioso, Vittorio Mangano, e questo - insieme con altri indizi - dimostra che è sempre stato alleato con la mafia. I contatti con la mafia li teneva il palermitano Marcello Dell’Utri, suo braccio destro, che ha fatto per molto tempo la spola tra Milano e Palermo;

• Ha corrotto i parlamentari per farsi approvare la legge Mammì che, nel 1990, rese legali le sue reti televisive; 

• Ha corrotto i giudici che, nella vertenza contro Carlo De Benedetti, gli assegnarono la Mondadori; 

• Ha partecipato all’opera di corruzione relativa alla mancata vendita della Sme da parte dell’Iri di Romano Prodi a Carlo De Benedetti (1985-86: Berlusconi intervenne sostenendo l’offerta di una cordata concorrente per fare un piacere a Craxi che non voleva far prendere la Sme a De Benedetti, nel 2007 fu assolto dall’accusa di concorso in corruzione);

• Ha corrotto la Guardia di Finanza e ha pagato in nero, con complessi giri estero su estero, molti diritti su film, soap opera ecc; 

• Si è iscritto alla loggia massonica P2 (26 gennaio 1978, tessera 1816) e ha poi fatto lavorare per sé il faccendiere Flavio Carboni, coinvolto anche nell’affare Roberto Calvi; 

• Nel 2010 telefonò alla questura di Milano per chiedere che tale Karima El Mahroug, detta Ruby Rubacuori, allora minorenne, in arresto per furto, fosse liberata. «È la nipote di Mubarak». Quando si scoprì che la El Mahroug era stata più volte ospite ad Arcore e aveva ricevuto somme di denaro, fu accusato, oltre che di concussione, di favoreggiamento della prostituzione minorile; 

• Da quando si è dedicato alla politica, è in perenne conflitto di interessi: controlla il 50 per cento dell’informazione televisiva e, quando occupa Palazzo Chigi, anche l’altro 50 per cento, attraverso la Rai. Essendo poi presente come imprenditore in tutti i settori dell’economia, qualunque legge va a suo beneficio. L’unica sentenza di condanna passata in giudicato è quella sul processo Mediaset, in cui era accusato di frode fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita e creazione di fondi neri nella gestione dei diritti tivù Mediaset. Il 1° agosto 2013 la Corte di Cassazione lo condannò a quattro anni di reclusione, di cui tre condonati grazie all’indulto del 2006. Il 15 aprile 2014 il Tribunale di sorveglianza di Milano dispose per lui l’affidamento in prova ai servizi sociali. Andò ad aiutare gli anziani di una casa di riposo di Cesano Boscone, in provincia di Milano. Raccontò. «Sono soddisfatto. Ce ne sono alcuni che mangiano solo se ci sono io. È venuto da me un anziano dicendo di essere comunista ma di aver deciso di votare Forza Italia». L’8 marzo 2015 riacquisì la piena libertà. Amori «Ho la fila di donne che mi vogliono sposare. Punto primo: sono simpatico. Punto secondo: ho un po’ di grano, si sa. Punto terzo: la leggenda dice che ci so fare. Punto terzo: loro dicono: lui è vecchio, muore subito, io eredito tutto»

• Prima moglie: «Berlusconi, una mattina, passa davanti alla Stazione Centrale. Lo attende l’imprevisto. Si chiama Carla Elvira Lucia Dall’Oglio (La Spezia 12 settembre 1940). Sta aspettando l’autobus. Improvvisamente Berlusconi dimentica tutto. Si presenta, scherza, si offre di accompagnarla a casa. Lei tergiversa e infine accetta» (da Storia di un italiano). Si sposarono il 6 marzo 1965. Due figli: Marina e Piersilvio 

• Seconda moglie, l’attrice bolognese Miriam Bartolini, in arte Veronica Lario: «Il caso volle che mi trovassi a Milano. Una persona, che lavorava nella compagnia di Alberto Lionello e di cui ero amica, mi invitò a partecipare a una cena in casa del giovane imprenditore che da poco aveva comprato il teatro Manzoni... Il padrone di casa ci accolse “scompagnato” e mi sembrò single nel modo di porsi ai presenti. Era la prima volta che lui entrava nella mia vita e col tempo imparai che quel suo modo di voler apparire “solitario” era una costante della sua personalità. Imparai che già era accaduto prima e negli anni sarebbe accaduto anche dopo... Anch’io, come le altre e numerose giovani ospiti della serata, ottenni un poco della sua svolazzante e onnipresente attenzione. Nel suo sforzo appassionato non fu ingeneroso di sorrisi... A parte i sorrisi, quella sera finì lì» 

• Berlusconi e Veronica si frequentarono benché lui fosse ancora sposato. La sistemò, con la madre, in un appartamento vicino al suo ufficio. Nel 1984 nacque Barbara. L’anno dopo divorziò dalla Dall’Oglio che si trasferì poi nel Dorset, in Inghilterra. Nel 1986, sempre dalla sua relazione con Veronica, nacque Eleonora, nel 1988 Luigi. Si sposarono il 15 dicembre 1990, testimoni i coniugi Craxi (Bettino aveva già fatto il padrino di battesimo a Barbara), Fedele Confalonieri, Gianni Letta 

• «L’ossessione femminile, ben nota in azienda e poi nel mondo politico romano, è diventata di pubblico dominio nel 2009, dopo l’apparizione al compleanno della diciottenne Noemi Letizia e le testimonianze sulle feste a Villa Certosa e a Palazzo Grazioli. B. dapprima ha negato, poi ha abbozzato (“Sono fedele? Frequentemente”), alla fine ha accettato la reputazione (“Non sono un santo”). Le rivelazioni non l’hanno danneggiato: ha perso la moglie, ma non i voti. Molti italiani preferiscono l’autoindulgenza all’autodisciplina; e non negano che lui, in fondo, fa ciò che loro sognano» (Beppe Severgnini, Corriere della Sera, 27/10/2010) 

• Dal 2012 legato sentimentalmente a Francesca Pascale, napoletana, ex valletta, tra le fondatrici dei club «Silvio ci manchi», 49 anni più giovane di lui • Dal 2020, finita la relazione con la Pascale, sta con l’onorevole Marta Fascina, deputata di Forza Italia, 54 anni meno di lui. 

Religione «Quando, nel 1994, mi disse che credeva nei valori cristiani, mi prendo un tempo comico di silenzio e domando: quali? Mi voleva ammazzare» (Giovanni Minoli).

Curiosità Dorme poco di notte. Legge i giornali alle due del mattino. Guarda i dossier col «dottor Letta» alle due e mezza. Qualche volta, la notte, compra oggetti alle televendite, qualificandosi

• «I venditori di Berlusconi erano fortemente disincentivati dal fumare, portare la barba, i baffi o i capelli lunghi e disordinati, veniva detto loro di avere sempre l’alito fresco, di stare attenti alla forfora e di non avere mai, cascasse il mondo, le mani sudate» (Stille)

• Detesta l’aglio

• Passione assoluta per il giardinaggio, di cui è grande intenditore: a Villa Certosa in Sardegna ha realizzato, senza badare a spese, un parco di grande bellezza (per esempio un agrumeto contenente 140 specie di aranci, cioè tutti quelli esistenti, ecc.) 

• Pur possedendo tre cellulari le cui suonerie sono segrete, non ne tiene in tasca neanche uno: risponde il caposcorta e glieli passa (di recente, però, avrebbe imparato a scrivere gli sms e durante le riunioni noiose si divertirebbe a fare scherzi coi messaggini)

• Il suo cruccio è l’altezza. Ad Augusto Minzolini disse: «Lei quanto è alto? Un metro e 78? Non esageri. Venga qui allo specchio, vede, io sono alto un metro e 71. Ma le pare che un uomo alto un metro e 71 possa essere definito un nano?» • Nel 2020 contrasse il coronavirus • Ad Arcore ha un mausoleo dove intende essere sepolto.

Dalla A di amore alla Z di Zelensky: l’alfabeto di Berlusconi. Gian Antonio Stella su Il Corriere della Sera il 13 Giugno 2023

Discesa in campo, fuoriclasse, Milan, telenovelas: tutte le parole che hanno caratterizzato la vita di Berlusconi 

Silvio Berlusconi è morto alle 9:30 di lunedì 12 giugno all’ospedale San Raffaele di Milano. L’ex premier, leader di Forza Italia e fondatore di Mediaset aveva 86 anni 

A

Africani - «Non posso accettare che quando circoliamo nelle nostre città ci sembra di essere, e mi è capitato nel centro di Milano, in una città africana e non in una città europea per il numero di stranieri che ci sono. Bisogna continuare con la politica dei respingimenti. Da quando abbiamo cominciato non è più arrivato nessun africano» (Chiusura della campagna elettorale; «Corriere della Sera», 5 giugno 2009). 

Amore - «Al contrario della sinistra che è il partito dell’invidia e dell’odio sociale, noi siamo il partito della tolleranza, del benessere, dell’amore... Io, poi, sono la persona più buona che esiste, tollerante, e chi bussa la mia porta la trova sempre aperta. Io aiuto i poveri, ho amore per tutti, Non voglio dividere nessuno e anzi se c’è qualcuno che vuole unire quello sono io» (al programma di SkyTg24 «grande politico», Ansa 6/4/06). 

Antropologicamente - «Questi giudici sono doppiamente matti! Per prima cosa, perché lo sono politicamente, e secondo sono matti comunque. Per fare quel lavoro devi esser mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Fanno quel lavoro perché sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana». (a Boris Johnson, allora direttore di “The Spectator” poi sindaco di Londra e Nicholas Farrel, editorialista de “La Voce di Rimini”, commentando l’accusa ad Andreotti di essere mafioso, 4-9-03. Commento di Giuliano Ferrara sul Foglio del giorno dopo: «Un adorabile mattocchio che non conosce i confini tra i soldi, la politica, la legge e il teatro»). 

B

Baffetti - In tv c’era D’Alema e «quei suoi baffetti sottili gli tremavano per una specie di sconcia allegria» (Motivazione per spiegare come mai era sceso in campo. Corriere 29/3/94. Fedele Confalonieri conferma: «Da un certo punto in avanti guardava solo dibattiti e tavole rotonde»). 

Bahamas - «Uno come me, che ha un patrimonio di 20.000 miliardi, deve perdere tempo con voi! Vorrà dire che, quando mi sarà passata, visto che sono una persona gentile, vi scriverò qualche cartolina dalle Bahamas» (Sfogo con gli alleati non allineati, citato da Filippo Ceccarelli; «la Repubblica», 17 luglio 2005). 

Bambini - «Mi accusano di aver detto più volte che i comunisti mangiano i bambini: leggetevi Il libro nero del comunismo e scoprirete che nella Cina di Mao i comunisti non mangiavano i bambini, ma li bollivano per concimare i campi» (Ansa 26/3/06. Comunicato del ministero degli Esteri cinese: «Siamo contrariati da queste affermazioni infondate. Le parole e le azioni dei leader italiani dovrebbero favorire la stabilità e lo sviluppo di relazioni amichevoli tra la Cina e l’Italia»). 

Bossi - «Io non mi siederò mai più ad un tavolo in cui ci sia il signor Bossi. Non sosterrò mai più un governo che conti su Bossi come sostegno. È una persona totalmente inaffidabile» (Ansa, 2/2/95) «Venni a sapere che Bossi aveva recitato un mea culpa privato. Parlò con un mio amico, gli spiegò che molte cose erano cambiate... Si era convinto che volessi cambiare il Paese, anzi gli dispiaceva molto per le cose che aveva detto contro di me. “Che peccato – diceva – sicuramente Silvio non vorrà più parlarmi.” Nell’autunno scorso invitai Bossi a cena ad Arcore... mi buttò le braccia al collo». (Corriere 14/4/00). 

Bustarelle - «Dovevo fare lunghe file per seguire una pratica e poi passare da un ufficio all’altro con l’assegno in bocca, perché così si usava nella pubblica amministrazione » (Raccontando i suoi rapporti da costruttore con gli uffici pubblici; Ansa, 9 maggio 2003). 

C

Cancro - «La magistratura in Italia è un cancro, una metastasi. Abbiamo avuto le Brigate rosse che usavano i mitra, ma certi pubblici ministeri sono peggiori perché usano il potere giudiziario, sono più pericolosi per la democrazia» (Il 13 aprile 2011, conferenza stampa con i corrispondenti esteri ripresa da tutte le agenzie). Cene eleganti - «Una volta al mese do delle cene nelle mie case perché c’è tanta gente che vuole incontrarmi e stare con me. Hanno detto: “Ma perché lascia il telefonino?”. Perché in queste cene tutto ciò che accade è corretto, dignitoso, elegante e quindi tutti possono filmare o fotografare qualunque cosa capiti in queste cene» (Tg La7, 29 novembre 2010). 

D

Danneggiato - «Dov’è questo conflitto di interessi? Quando si accende la televisione e si leggono i giornali hanno tutti una visione di sinistra a me ostile... L’attività pubblica ha sempre danneggiato i miei affari e non il contrario. Perché non ho mai venduto? Lo volevo fare, ma i miei figli non hanno voluto, loro amano le mie aziende, vogliono continuare a dirigere quello che il padre ha costruito» («New York Times», 10 10/5/03). 

De Gasperi - «Il governo che ho l’onore di presiedere si muove sulla stessa strada segnata da De Gasperi» (Alla commemorazione dei cinquant’anni dalla scomparsa dello statista trentino; «la Repubblica », 15 ottobre 2003. Immediata la protesta delle figlie Cecilia e Paola: «Desideriamo far sapere di non condividere affatto né l’analisi del pensiero e dell’opera di nostro padre fatta da Berlusconi, né la sua pretesa di esserne l’erede»). 

Democratico - «Io sono assolutamente certo di essere l’uomo più democratico che sia mai giunto ad essere primo ministro d’Italia» (Asca, 25/1/02). 

Discesa in campo - «La gente veniva da me a migliaia, sotto le mie finestre, a casa mia... Ero l’unico italiano con una popolarità oltre il 90%, popolare perfino tra la sinistra, potevo rappresentare un’alternativa. Mi sono detto: devo farlo per dare dignità al passato degli elettori e per dare loro speranze per il futuro» (a Jane Kramer, New Yorker, 3/11/03). 

E

Establishment: «Io sono la personificazione dell’anti-establishment. In tutta la mia vita sono stato considerato dall’establishment come quello che disturba gli unici manovratori autorizzati. In breve: sono l’outsider italiano. Ritengo di essere geneticamente, istintivamente, un innovatore» («Panorama», 30 gennaio 1997). 

F

Faniguttun - «Rutelli è un faniguttun» (Ansa, 22 ottobre 2000: l’espressione, in milanese, significa qualcosa di simile a scansafatiche. Il Cavaliere la userà più volte per parlare di avversari o alleati che hanno fatto solo politica). 

Fedele (Confalonieri) - «Quando sono andato dai salesiani ho conosciuto Fedele e con Fedele c’è stato un sodalizio per cui i punti di contatto erano il calcio, io centravanti e lui centromediano e poi subito dopo la musica e il pianoforte. Lui suonava l’organo in chiesa e io cantavo e quindi cominciammo a presentarci e dopo il liceo andai all’università a fare legge e lui studiò legge come me, studiò in parte sui miei bigini, perché io scrivevo i bigini e li davo alla libreria di fronte all’università che li stampava e li vendeva...» (Parlando di Fedele Confalonieri, da sempre il suo migliore amico e oggi presidente di Mediaset; Paolo Guzzanti, Guzzanti vs Berlusconi, Aliberti, Reggio Emilia 2009). 

Fidanzate - «A noi i capelli sono caduti per le troppe fidanzate. Anzi, no. Ho fatto una visita tricologica e mi hanno spiegato che facendo politica il cervello mi si è ingrossato e ha espulso i capelli » (L’Unità, 4 luglio 2003). 

Fuoriclasse - «Io sono un fuoriclasse che ha salvato l’Italia dal default preparato da Romano Prodi quando ha permesso il cambio lira-euro» (Colloquio con alcuni ospiti a una cena organizzata da Alessandra Mussolini; Ansa, 29/9/11). 

G

Gates - «Non permetto a nessuno di fare paragoni tra me e Aznar, perché Berlusconi ha una caratura non paragonabile a nessun europeo. Non lo dico per vantarmi, ma l’Italia ha una persona che ha costruito un impero. (...) L’America però si difende... (...)Lì c’è Bill Gates che mi fa ombra...» («Corriere della Sera», 6 aprile 2000). Golpisti - «In una democrazia liberale i magistrati politicizzati non possono scegliersi, con una logica golpista, il governo che preferiscono. Questo diritto spetta agli elettori (…) E gli eletti devono essere in grado, secondo la lezione costituzionalistica del ‘48, di discernere tra le inchieste giudiziarie valide, che riguardano un deputato o un senatore alla stregua di qualsiasi altro cittadino, e quelle frutto di prevenzione, parzialità ideologico-politica e sospette di spirito persecutorio» (Lettera al Foglio 30/4/03). 

H

Hockey: «L’ho riletto, ci sono anche alcuni errori, sono sbagliate tutte le date di nascita dei miei figli, mancano molti dei miei successi, nel volley, nell’hockey, non si dice che il mio tema della maturità fu premiato» (A Paola Di Caro, a proposito dell’opuscolo agiografico «Una storia italiana», spedito per le politiche di quell’anno a 12 milioni di famiglie; «Corriere della Sera», 20 aprile 2001). 

I

Intercettazioni - «Credo che tutti preferiscano avere in circolazione dei truffatori, o anche un omicida, piuttosto che sentirci tutti prigionieri del Grande Fratello che ci sorveglia e che ci può ricattare» (ansa 15-8-05, da Portorotondo) Internet: «Io di internet a casa non ho bisogno. Ho il mio internet umano, che è Gianni Letta» (Ansa, 4 settembre 2009). 

Italiano vero - «Gli italiani si riconoscono in me; sono uno di loro, sono uno che è stato povero, che si è costruito da solo, si interessa di calcio, ama la vita, ama divertirsi, sa sorridere, ama gli altri... e ama soprattutto le belle donne, come tutti gli italiani che si rispettano» (Ai giovani del Pdl; Ansa, 9 settembre 2009). 

J

Juventus - «C’erano due mezzi rigori per il Milan, che messi insieme potevano fare un rigore intero » (Ai giornalisti, durante l’intervallo della partita Milan-Juventus a San Siro; Ansa, 22 febbraio 1987). 

K

Kapò - «Signor Schulz, so che in Italia c’è un produttore che sta montando un film sui campi di concentramento nazisti. La proporrò per il ruolo di Kapò. Lei è perfetto» (Sfida nell’aula del Parlamento Ue all’allora capo-gruppo socialista tedesco Martin Schulz che criticava le posizioni xenofobe del suo governo con la Lega; 2/7/03. Risposta di Schulz: «Il rispetto che ho per le vittime del nazifascismo mi impedisce di rispondere con qualsiasi commento». Ancora Berlusconi: «Il signor Schulz mi ha offeso gravemente sul piano personale gesticolando e con un tono di voce che quello sì non è ammissibile in un Parlamento come questo. Io ho detto con ironia quello che ho detto. Se non siete in grado di capire l’ironia mi spiace»). 

Kazakistan - «Ho visto i sondaggi fatti da una autorità indipendente che ti hanno assegnato, Nursultan, il 92% di stima e amore del tuo popolo. È un consenso che non può non basarsi sui fatti...» (Ansa 2/12/10, visita ufficiale ad Astana a Nursultan Nazarbayev, despota del Kazakistan dal 1991: lascerà solo nel 2019). 

L

Lapide - «Mi piacerebbe che sulla mia lapide fosse scritto che ero una persona buona e giusta» (A Maria Latella; SkyTg24, 25 gennaio 2006). 

Laurà - «L’è un laurà de la Madonna » (Sfogo ripetuto un mucchio di volte negli anni, nelle occasioni più diverse, per sottolineare la fatica di governare; tra le altre, Ansa, 17 marzo 2001). Laurea - «Mi devo confrontare con gente che non ha fatto nulla nella vita, non ha nemmeno preso una laurea. Devo essere considerato alla pari con chi non vincerebbe nemmeno un concorso per archivista» (Corriere della Sera, 6/4/00). 

M

Mafia - «Vogliamo passare alla storia per aver sconfitto la mafia» (Ansa, 3 ottobre 2010). 

Meloni (prima) - «La sua scelta di non partecipare al governo Draghi appartiene al passato. Noi abbiamo preferito essere protagonisti di una azione di governo che ha permesso di contenere la pandemia e di far ripartire il Paese, ma ora dobbiamo guardare al futuro. E Giorgia ha dei meriti: è stata buon ministro nel mio governo, non manca di tenacia e di coraggio, e soprattutto ha ridato prospettiva a una comunità di destra che è da sempre una parte importante» (Ansa 3/8/22, vigilia elezioni). 

Meloni (dopo) - «Supponente, prepotente, arrogante e offensiva» (aggettivi usati per definire la leader di FdI in un appunto scritto dal Cavaliere furente ai banchi del Senato contro la premier Giorgia Meloni accusata di giocare troppo da sola e maliziosamente fatto vedere alle telecamere il 14/10/22. Risposta velenosa: «Mi pare che tra i punti ne mancasse uno: non sono ricattabile»). 

Morte - «Ha paura della morte?» «No, non ci penso. Non ci penso mai.» «Come vorrebbe morire?» «Amando» (Ad Alfonso Signorini; «Chi», 19 marzo 2008). 

Mussolini - «Mussolini non ha mai ammazzato nessuno, Mussolini mandava la gente a fare vacanza al confino» (Intervista a Nicholas Farrell e Boris Johnson de «The Spectator» e «La Voce di Rimini», 11 settembre 2003, quando il futuro premier inglese collaborava al settimanale britannico. Il giorno stesso dell’uscita Berlusconi preciserà all’Ansa: «Non ho inteso fare una analisi storica del fascismo né del suo leader, né rivalutare Mussolini. Semplicemente ho reagito da patriota, da italiano vero non ho accettato la sua comparazione, e quella del mio Paese, che non ha nessun fondamento storico, ad un altro dittatore e un’altra dittatura, quella di Saddam Hussein, che ha provocato milioni di morti»). 

N

Nessuno - «Abbiamo fatto tante cose che nessun governo nella storia repubblicana potrà equipararsi a questo per la mole di lavoro che noi e voi siamo stati capaci di svolgere» (Ansa, 10 marzo 2009). 

O

Occidente - «Negli ultimi dieci anni c’è stata in Italia una guerra civile. I giornalisti stranieri non vogliono prendere atto che è stata spazzata via da una parte della magistratura un’intera classe politica, quella di origine democratica e occidentale. È stata utilizzata illegittimamente la giustizia a fini di lotta politica» (“Panorama” 11/11/2001). 

P

P2 - «La P2 raccoglieva gli uomini migliori del Paese; iscriversi non fu un errore ma un incidente senza colpa» (A Giovanni Minoli, per spiegare come mai era entrato nella loggia segreta di Licio Gelli, 21 febbraio 1994; vedi anche «Corriere della Sera», 10 marzo 1994). «Quando ricevetti la tessera c’era scritto che ero apprendista muratore e io, che allora ero un grande costruttore di case, non potei fare a meno di farmi una grande risata» (TeleLombardia, 6 marzo 2000). 

Perbene - «Putin è caduto in una situazione veramente difficile e drammatica. Dico che è caduto perché è stata una missione delle due Repubbliche filorusse del Donbass che è andata a Mosca a parlare con tutti quanti, con le radio, la stampa, le tv, la gente del partito e i ministri del partito, poi sono andati da lui in delegazione e gli hanno detto “Zelensky ha aumentato gli attacchi delle sue forze sui nostri confini, siamo ormai arrivati a 16mila morti, per favore difendeteci perché se non lo fai tu non sappiamo dove potremo arrivare”. E Putin è stato spinto dalla popolazione russa, dal suo partito, dai suoi ministri a inventarsi questa operazione speciale, così era stata chiamata agli inizi, per cui le truppe russe dovevano entrare in Ucraina e in una settimana raggiungere Kiev, sostituire con un governo di persone perbene il governo di Zelensky, e in un’altra settimana tornare indietro. Invece hanno trovato una resistenza imprevista e imprevedibile da parte delle truppe ucraine che poi sono state anche foraggiate con armi di tutti i tipi da parte dell’Occidente» (a Bruno Vespa, Porta a porta, 22/9/22, alla vigilia delle Politiche). 

Percezione - «Nel sentire della gente non è considerato reato ciò che non danneggia gli altri. La magistratura insegue fatti che non sono considerati come reati nella coscienza della gente» (ansa, 15/7/98, conferenza stampa coi giornalisti stranieri, citando un sondaggio Datamedia di Luigi Crespi secondo cui «il 53,4 % degli italiani reputa il reato per cui è stato condannato nel processo sulle tangenti alla Guardia di Finanza ‘’poco grave’’ e il 35% “per nulla grave’’») Perseguitato - «Io sono il maggiore perseguitato dalla magistratura di tutte le epoche, nella storia degli uomini, in tutto il mondo. Perché ho subito più di 2500 udienze. E ho la fortuna, avendo lavorato bene nel passato, avendo messo da parte un patrimonio importante, di aver potuto spendere piu di 200 milioni di euro per consulenti e giudici... ehm... avvocati. La persecuzione naturalmente continua...» (Conferenza stampa 9-10-09).

Putin - «Putin, come persona, è il contrario di come viene dipinto dalla stampa occidentale. È sensibile, aperto, ha il senso dell’amicizia, ha rispetto per tutti, soprattutto per le persone umili, e una profonda comprensione della democrazia» (Ansa, 22 ottobre 2010).

Q

Qualunquista - «Io sono un qualunquista da questo punto di vista perché quando tutti sono preoccupati, che siamo in crisi di governo, ho degli amici che mi telefonano da New York e mi dicono: “Ah perbacco, ti va male, non hai il governo...”. Io invece gli dico: “Guarda che sto brindando a champagne, mi auguro che non ci sia per molto tempo!”» (Intervista alla tv svizzera Rsi per il programma Milano su misura, 1981). 

Quote rosa - «Il voto sulle quote rosa non è stato contro le donne ma una legittima difesa. Alcuni deputati hanno fatto i calcoli ed hanno ragionato così: “Già rischiamo molto passando al proporzionale. Se poi ogni tre di noi ci mettono una signora...”. Ma a noi le signore, soprattutto quelle belle, in Parlamento ci piacciono molto» (Ansa, 18/12/05). 

R

Record - «In totale più di cento procedimenti, 900 magistrati che si sono occupati di me e del mio gruppo, 587 visite della polizia giudiziaria e della guardia di finanza, 2500 udienze in quattordici anni, più di 180 milioni di euro per le parcelle di avvocati e consulenti. Dei record davvero impressionanti, di assoluto livello non mondiale ma universale, dei record di tutto il sistema solare» (a Bruno Vespa, libro «Viaggio in un’Italia diversa», settembre 2008). 

Russia - «Speravamo di poter convincere la Russia, che è assolutamente un paese europeo per storia, per tradizione, per religione, per la sua letteratura, per la sua musica, per il suo stile di vita, ad entrare nella nostra Europa, mettendo cosi’ fine al pericolo che incombe su di noi di un’espansione del globalismo cinese anche sul nostro continente. Ottenni da Putin il via su questa operazione, tutti i paesi europei furono d’accordo eccetto Germania e Francia, che si opposero temendo, bisogna dire a ragione, con l’ingresso della Russia nell’Unione Europea, di perdere la loro primazia in Europa. È stato un gran peccato» (Ansa, 17/12/22). 

S

Salvini (prima) - «Ho bisogno di mantenere un buon rapporto con la Lega, perché ci sarà da fare un nuovo governo di centrodestra. Ma a furia di stare lì a condividere le decisioni sbagliate dei 5 stelle ogni tanto mi viene voglia di mandarlo a quel Paese, mi capita» (a L’Aria che Tira, su La7, 15/2/19). 

Salvini (dopo) - «Una cosa di cui sono abbastanza convinto è che io voglio più voti della Lega. Con la Lega noi andiamo d’accordissimo perché io ho nutrito un’amicizia fruttuosa con Matteo Salvini, che è una brava persona. Ha bisogno di essere un po’ inquadrato, anche lui non ha lavorato mai; per cui io farò il regista del governo». (Corriere, 25/9/22). 

Superiorità - «Da quando siamo al governo è successo di tutto, dall’11 settembre, alla stagnazione, ad alluvioni e terremoti, dunque mi sta venendo un complesso di superiorità: meno male che ci sono io, perché un altro che avrebbe fatto?» (Corriere 4/12/02).T

Tagli tasse - «Ho la speranza di arrivare al 23% e 33% entro la fine della legislatura. Se non ci riuscirò non mi ricandido» (Ansa, 2 aprile 2004). 

Telenovelas - «Mi hanno criticato tanto per le telenovelas e le soap opera, ma ho cambiato la vita a tante donne di Italia, che avevano i pomeriggi in cui non facevano assolutamente nulla» (a Paolo Guzzanti, Guzzanti vs Berlusconi, Aliberti, Reggio Emilia 2009). Toghe rosse - «I Ds sono i mandanti delle toghe rosse. Noi non attacchiamo la magistratura, ma pochi giudici che si sono fatti braccio armato della sinistra per spianare a questa la conquista del potere». (Corriere 1/12/99). 

Tremonti - «Do la parola a Tremonti, che vi dirà cose geniali» (Puntura di spillo a un vertice internazionale. Al che il ministro risponde: «Di solito in questi vertici lavorano molto gli sherpa, i nostri assistenti, moltissimo i ministri e quasi nulla i capi di governo. Qui a Londra è stato il contrario. Noi ministri non abbiamo fatto nulla e hanno fatto tutto i capi di governo, lavoravano e si applaudivano anche da soli, fra loro...». Ancora Berlusconi: «In compenso voi ministri stavate al cesso...» («Corriere della Sera», 3 aprile 2009). 

U

Unesco - «L’Italia è il paese che ha regalato al mondo il 50% dei beni artistici tutelati dall’Unesco. Più di 100.000 chiese e monumenti, 40mila dimore storiche, 3500 musei, 2500 siti archeologici e più di mille teatri. Lo sapevi? Approfitta delle tue vacanze per scoprire l’Italia che ancora non conosci. Questa nostra magnifica Italia. Da scoprire e da amare» (Spot del marzo 2011 girato come testimonial di «Magica Italia», promosso dal governo e poi modificato per eccesso di vanità: il nostro già allora era sì il paese con più siti Unesco al mondo ma erano comunque il 5% dei 911 siti protetti). 

V

Veronica - «L’ho vista recitare nel Magnifico Cornuto al Teatro Manzoni di Milano, che tra l’altro avevo appena acquistato, perché sono un amante dell’arte. L’ho vista lì sulla scena e che posso dire? È stato subito amore. Ho sentito un fulmine, ma non c’era il temporale...» (Da Una storia italiana, opuscolo agiografico spedito per le politiche del 2001 a 12 milioni di famiglie). 

Videomessaggio - «L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare... (Messaggio discesa in campo distribuito a tutte le tv il 26/1/94). 

Vocina - «Ogni volta che entro in Bicamerale sento una vocina che mi dice “Papà!”» (spiegando di sentirsi un padre costituente prima di affossare la Commissione presieduta da Massimo D’Alema per riscrivere le regole costituzionali, Corriere 27/1/98). 

W

Washington - «E quando l’amministrazione repubblicana non fece e non mosse un dito e lasciò fallire Lehman Brothers, questo signore andò a Washington e spese un giorno intero con il presidente americano e venne fuori una decisione: destinare 700 miliardi di dollari affinché le banche americane non fallissero, altrimenti sarebbe stato il disastro» (parlando di sé in terza persona per il voto di fiducia al governo sulla manovra, 30/9/10). 

X

Xenofobia - «Ma perché questa parola dovrebbe avere un significato così negativo?» (a Porta a Porta; vedi Corriere 27/8/02). 

Y

Yes-man - «Non ha la tendenza a circondarsi di yes-man?» «No. Sono continuamente alla ricerca di gente che manifesti negli occhi le bollicine dell’intelligenza» (Ad Alberto Statera; «Epoca», 15/5/88). 

Yéspica - «Caro Hugo ti passo una tua ammiratrice...» (Al presidente venezuelano Hugo Chávez in visita a Milano, passandogli al telefono Aida Yéspica, la modella venezuelana concorrente dell’Isola dei famosi; «la Repubblica», 19/10/05). 

Z

Zelensky - «Io a parlare con Zelensky, se fossi stato il presidente del Consiglio, non ci sarei mai andato, perché stiamo assistendo alla devastazione del suo paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili. Bastava che cessasse di attaccare le due repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe accaduto. Quindi giudico, molto, molto negativamente il comportamento di questo signore» (Ansa, 12/2/23). 

Zia Marina - «La pubblicità è l’anima del commercio. Questa è l’applicazione di una legge che chiamo di mia zia Marina. Si metteva davanti allo specchio indossando un abito e si diceva da sola in milanese: “Marina come sei bella, Marina come sei bella”. Quando le chiedevo: “Ma zia perché te lo dici da sola?” Mi rispondeva: “Certo, perché non me lo dice nessuno”» (Ansa, 30/5/09). 

Zia Silvana - «”Dimmi la verità, Silvio, ti sei pentito di quello che hai fatto?”, mi ha chiesto zia Silvana» «Zia no, te lo dissi anni fa. Ho come una fiamma nel petto che mi suggerisce di fare qualcosa per il Paese» (La Stampa 14/8/94).

Zie Suore - «Io sono in collegamento continuo con lassù. Mi aiuta il circuito delle mie zie suore» (Corriere 24/4/95).

·        Berlusconi e la Morte.

La Morte.

Le Cause.

I Necrologi.

Funerali di Stato.

Il Mausoleo.

L’Erede Politico.

Il Testamento e l’Eredità.

Le reazioni della Politica Italiana.

Le reazioni della Politica Estera.

Le reazioni della Stampa Estera.

I Nemici.

Le Dieci Domande.

L’intitolazione.

La Morte.

«Papà sta morendo»: la corsa dei cinque figli di Berlusconi nel traffico di Milano e il «ciao» sulla torre Mediaset. Sara Bettoni e Gianni Santucci su Il Corriere della Sera il 13 Giugno 2023

Luigi, il più giovane, era già al San Raffaele dal mattino presto. Appena scatta l’allarme si precipitano da diversi punti della città anche Marina, Eleonora, Barbara e Pier Silvio 

Intorno alle 9 di lunedì mattina, un’ora dopo che le agenzie di stampa hanno diffuso la notizia che Silvio Berlusconi ha passato una «notte tranquilla», la terza di ricovero nel padiglione Q del San Raffaele, quattro auto scure si mettono in moto da diversi punti della città, e di fretta attraversano il traffico verso la zona Nord di Milano. Sono dirette tutte in via Olgettina 60, l’ingresso dell’ospedale, e corrono a poca distanza l’una dall’altra, perché tutti, all’interno di quelle auto, hanno ricevuto telefonate allarmate, frasi di famiglia che s’avvertivano di fare il più presto possibile, perché le condizioni di Silvio Berlusconi si erano aggravate, all’improvviso e in maniera irreversibile. 

L’Italia e il mondo, in quel momento, non conoscono ancora le voci scambiate ai telefoni, e che la famiglia entrando al San Raffaele nasconde dietro grossi occhiali scuri, «papà sta morendo», «non c’è più niente da fare». La prima auto che attraversa il vialetto dell’ospedale è quella di Paolo, il fratello di Silvio Berlusconi. Pochi minuti dopo, da un’altra macchina scura scende Marina, la primogenita. Poi arriva Eleonora; dopo qualche minuto i fotografi inquadrano Barbara sul sedile del passeggero d’un’altra auto; quasi nello stesso momento entra in ospedale anche Pier Silvio. E questo accorrere così serrato, questi arrivi affrettati e affannati danno forse una certezza: che tutta la famiglia sapesse da giorni della gravità della situazione clinica, ma che allo stesso tempo nessuno immaginasse la possibilità d’una morte imminente.

Nel pomeriggio l’ospedale spiegherà che il fondatore di Fininvest e di Forza Italia è morto alle nove e trenta del mattino, proprio nel momento in cui suo fratello e i suoi figli correvano verso via Olgettina nella speranza di portare un ultimo saluto. L’unico che nessuno vede entrare è il figlio più giovane di Berlusconi, Luigi, e il motivo è che era già al San Raffaele: era andato a far visita al padre al mattino presto, probabilmente quando i medici avevano una percezione già netta dell’aggravamento, ma senza ancora rendersi conto che il tracollo potesse essere così vicino. Tra le stanze e i corridoi del padiglione Q, in questo tempo, c’è sempre stata l’ultima compagna di Berlusconi, Marta Fascina, che i pochi medici e infermieri vedranno camminare con gli occhi pieni di pianto, vicina a suo fratello.

Per più di un’ora dal momento del decesso, la notizia resta chiusa e sospesa all’interno dell’ospedale, condivisa soltanto con pochissimi parenti e amici; poi inizia a circolare anche negli ambienti della politica, e diventa pubblica alle 10.41. A quel punto è ormai alto il primo sole veramente estivo di Milano, che inizia ad arroventare i marmi e l’asfalto dei parcheggi intorno al San Raffaele, e in questa luce accecante, un paio d’ore dopo, i familiari di Berlusconi lasciano la struttura, tra medici e infermieri che escono per la pausa pranzo, il consueto brulichio di pazienti, alcuni ragazzi appena laureati che sorridono e s’abbracciano e forse non sanno che sui siti di tutti i notiziari del pianeta compare proprio il nome del «loro» ospedale. Poco dopo le 13 la salma dell’ex leader di Forza Italia lascia il San Raffaele e viene portata ad Arcore, a Villa San Martino, per la camera ardente familiare. Nel pomeriggio la nipote di Berlusconi, Luna, dice: «Ci mancherà tantissimo».

Era molto più ordinato l’ospedale il giorno prima, domenica. Paolo e Marina Berlusconi erano andati a far visita all’ex presidente del Consiglio a metà mattinata, e s’erano trattenuti fino al pomeriggio. L’altra figlia, Eleonora, era invece al teatro Manzoni per il saggio di danza della figlia, insieme alla madre Veronica Lario. Apparivano tranquille, non mostravano particolare apprensione.

È un po’ la stessa impressione che lunedì mattina presto ha fatto Marina ai suoi collaboratori: la preoccupazione dei giorni precedenti, intensa, ma non diversa da quella di domenica, o di sabato. Nel tardo pomeriggio, i figli affidano il loro saluto a una scritta che campeggia sulla torre Mediaset, quella con le grandi parabole di Cologno Monzese, che svetta sul principale centro di produzione della tv privata in Italia. Quel pinnacolo, a suo modo, rappresenta insieme lo skyline di Milano e la storia di Berlusconi. Fino a notte, la scritta dice: «Ciao papà».

Estratto dell’articolo di Daniela Seclì per fanpage.it il 12 giugno 2023.

È morto Silvio Berlusconi. La notizia è giunta nella mattinata di lunedì 12 giugno. In diretta su Canale5, era in onda il programma Mattino Cinque, condotto da Federica Panicucci e Francesco Vecchi. 

È spettato alla conduttrice e al giornalista, dare la notizia al rientro da una pausa pubblicitaria. I due sono apparsi visibilmente provati. 

Al ritorno dalla pausa pubblicitaria, Francesco Vecchi e Federica Panicucci avevano la voce rotta dal pianto. Il giornalista ha spiegato: "Abbiamo una brutta notizia da dare".

E la conduttrice: "È la cosa peggiore che noi potessimo fare, per noi di Mediaset, perché è morto Silvio Berlusconi". Federica Panicucci ha chiesto al collega di continuare perché lei non se la sentiva di parlare: "Francesco fai tu, perché io…". Vecchi, anche lui molto provato, ha preso la parola: "Capisco, credo che questo riguardi tutti quelli che lavorano qua". E Panicucci: "Abbiamo appreso la notizia anche noi adesso, quindi chiudiamo qui, c'è il TG5". Vecchi le ha fatto eco: "C'è lo speciale del TG5, grazie per averci seguito". […]

E’ morto Silvio Berlusconi. Proclamato lutto nazionale. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 12 Giugno 2023 

Il Cavaliere si è spento a 86 anni. Era ricoverato al San Raffaele per controlli dopo che ad aprile aveva trascorso un mese in ospedale. Da tempo lottava contro una leucemia mielomonocita cronica

Silvio Berlusconi, era ricoverato nel reparto di degenza del padiglione Q da venerdì scorso all’ospedale San Raffaele di Milano per degli accertamenti programmati per la sua “patologia ematologica”, ed aveva trascorso un’altra notte tranquilla. Si sono aggravate improvvisamente nelle prime ore del giorno le sue condizioni. Un aggravamento dovuto alla leucemia, malattia di cui soffriva ormai dal 2021. Al mattino, quando si è capito che non c’era più nulla fare, sono stati chiamati i familiari.

L’ ex presidente del Consiglio, ieri aveva ricevuto le visite del fratello Paolo e dei figli Marina e Piersilvio Berlusconi che In mattinata sono accorsi in ospedale intorno alle 9.30, a pochi minuti di distanza l’uno dall’altra, dove già si trovava Marta Fascina. Pochi minuti dopo, anche gli altri figli Barbara e Piersilvio hanno raggiunto il nosocomio

 I funerali si terranno nel Duomo di Milano

Sarà sposata nella sua casa, a Villa San Martino ad Arcore, il corpo dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi morto questa mattina al San Raffaele di Milano. Lo si apprende da fonti qualificate. Fino ai funerali, la salma di Silvio Berlusconi resterà ad Arcore. Per motivi di ordine pubblico l’ingresso sarà riservato esclusivamente ai familiari più stretti. È quanto apprende l’ANSA da una fonte vicina alla famiglia Berlusconi.. Si svolgeranno nel Duomo di Milano mercoledì prossimo alle 15 i funerali di Stato dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.. Lo confermano dalla Curia di Milano. Sarà l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, a celebrare i funerali .

Bandiere a mezz’asta fino a mercoledì, giorno dei funerali di Stato di Silvio Berlusconi, in tutti gli uffici pubblici, le ambasciate e i consolati italiani all’estero. È quanto stabilito dal governo con un dispositivo firmato in queste ore dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Il presidente del Repubblica Sergio Mattarella – secondo quanto si apprende – parteciperà ai funerali di Stato del presidente Silvio Berlusconi a Milano. 

Tutti gli ‘acciacchi’ precedenti del Cavaliere

Non era la prima volta che il presidente di Forza Italia si fermava per un pit stop sanitario. La sua storia politica si è sempre intrecciata a problemi fisici e malattie, con periodi più o meno lunghi di convalescenza e guarigioni. Ogni acciacco fisico è stato puntualmente dato in pasto ai media, in nome di quel principio caro a un comunicatore come lui, che il ‘corpo del capo’ esibito gioca un ruolo di primo piano in politica, anche come acchiappa consensi. In realtà i primi ricoveri sono rimasti segreti, ignoti ai più, talvolta per anni. 

Poi, è iniziata l’era dei bollettini medici ufficiali, quasi dettati in tempo reale, con nugoli di telecamere e cronisti asserragliati in via Olgettina, davanti all’ingresso principale dell’ospedale milanese dal San Raffaele, in cerca di qualche novità, anche sui minimi sviluppi della degenza. “Al punto che la cartella di Silvio è diventata una questione di Stato’‘, scherza un parlamentare azzurro di lungo corso.

Ventitre giorni fa l’ex premier era stato dimesso dopo un lungo e delicato soggiorno di 45 giorni, a causa di una infezione polmonare legata a una leucemia mielomonocitica cronica. Tre giorni fa il ‘rientro’ nel nosocomio lombardo (nel reparto di degenza ordinaria) dopo che erano stati rilevati alcuni valori sballati a Villa San Martino, dove veniva costantemente monitorato.

Tra le ‘sfide superate’ dal leader azzurro c’è quella molto complicata e dolorosa di un tumore alla prostata per cui fu venne operato nel ’97 in gran segreto proprio al San Raffaele da lui co-fondato. Non se ne seppe nulla per molto tempo. E’ stato poi lo stesso Cavaliere a raccontarlo nel 2000, prima a un gruppo di giovani in una comunità di recupero in Veneto e poi in una intervista (“Ero convinto di avere un male incurabile, invece, per fortuna, il male era localizzato ed è stato possibile combatterlo“). Il calvario medico era appena cominciato. Nel 2006 Berlusconi viene operato al menisco dal prof Marc Martens in una clinica belga.

Già allora al suo fianco c’era Alberto Zangrillo, diventato medico personale, quasi un’ombra. Pochi mesi dopo, a fine anno, il patron di Mediaset ha un malore a Montecatini: sviene e si accascia sul palco, ma si riprende poco dopo, rifiutando l’ambulanza. Poi resterà al San Raffaele per 2 giorni in osservazione. Sarà operato negli Usa, a Cleveland, in Ohio, un mese dopo quando gli impiantano un peacemaker.

La sera del 13 dicembre 2009 in televisione arrivano le immagini del volto del Cavaliere insanguinato a seguito di una ‘statuina’ del Duomo lanciata a breve distanza da Massimo Tartaglia, arrestato per lesioni pluriaggravate. Il bollettino medico parlerà di una ferita lacero-contusa con frattura del setto nasale e due denti lesi, di cui uno superiore fratturato e prognosi di 20 giorni: lascerà l’ospedale il 17 dicembre. L’attentatore dovrà scontare sei anni di libertà vigilata. Negli anni successivi, a causa del colpo subito, l’ex premier dovrà sottoporsi a diversi interventi alla mandibola. 

L’imprenditore brianzolo torna al San Raffaele nel 2013 per curare l’uveite, fastidiosa patologia oculare che lo costringe a un nuovo pit stop nel 2014. Famosa la foto che lo ritrae al Senato con occhialoni neri: sarà costretto a indossarli per qualche settimana durante il giorno come protezione dalla luce.

Negli anni successivi a impensierire Zangrillo e la sua équipe è soprattutto il cuore del Cavaliere. Nel 2015 l’operazione del pacemaker al San Raffaele. Un anno dopo lo attende quello che lui definirà una ”prova molto dolorosa”: l’operazione a cuore aperto per la sostituzione della valvola aortica ancora una volta al San Raffaele. Nel giorno dell’intervento conquistano i media le lacrime della compagna di allora, Francesca Pascale, che piange con un fazzoletto in mano, affacciata da una finestra del sesto piano dell’edificio D dove era degente il Cav. ”Ha davvero rischiato la vita”, disse Zangrillo.

Nel novembre 2019 il leader forzista viene ricoverato alla clinica ‘La Madonnina‘ dopo una caduta a Zagabria, dove era impegnato nei lavori del congresso del Ppe: solo una contusione e tanto spavento perché in un primo tempo si era temuta una frattura del femore. Nell’aprile dello stesso anno Berlusconi va di nuovo sotto i ferri dei chirurghi, stavolta per un’occlusione intestinale: sarà dimesso dopo alcuni giorni. Il 2020 del leader forzista sarà segnato dal Covid: il 2 settembre, dopo il soggiorno estivo a Villa La Certosa in Sardegna, risulta positivo e due giorni più tardi viene ricoverato al San Raffaele per un inizio di polmonite bilaterale: lascerà l’ospedale milanese dieci giorni dopo, il 14 settembre. Redazione CdG 1947

«È morto Berlusconi»: la folla ad Arcore, il lutto nazionale. Il giorno prima dell’ultimo ricovero il congedo da Milano 2, con un giro in auto per i viali. Marco Imarisio su Il Corriere della Sera il 13 Giugno 2023 

Il leader si è spento alle 9.30 di ieri al San Raffaele L’annuncio dato un’ora più tardi, dopo l’arrivo in ospedale della famiglia. I messaggi del Papa e del Capo dello Stato 

L’unica cosa che non è riuscito a fare durante i suoi 86 anni di vita esagerata, è stata l’ultima. «Questa è la mia casa» ripeteva ai dirigenti Fininvest ai quali mostrava le meraviglie della villa di Arcore. «È qui che voglio andarmene quando arriverà il momento, è qui che voglio essere seppellito con i miei amici e la mia famiglia». Silvio Berlusconi invece è morto alle 9.30 di ieri mattina nella sua stanza al primo piano dell’Ospedale San Raffaele.

Tutti sapevano che era appeso a un filo, perché la diagnosi era infausta per una persona di quell’età, e tutti sapevano che presto sarebbe arrivato il tempo in cui fare i conti con una figura così grande, così importante per questo Paese, un compito che infine sarà riservato più ai libri di storia che alla cronaca del presente. La notizia della scomparsa dell’uomo che fu imprenditore di successo, inventore della televisione privata, presidente più vincente del calcio italiano e non solo di quello, il fondatore di Forza Italia nonché il presidente del Consiglio che più a lungo ha guidato il Paese durante la Seconda repubblica, è in ogni caso arrivata inattesa. Anche perché lui ci aveva abituati bene, con continue risurrezioni, non solo in senso clinico. L’Italia che si è fermata di colpo, non era preparata a dire addio all’uomo che da oltre quarant’anni ha colonizzato il nostro immaginario collettivo, diventandone estasi e ossessione a seconda del giudizio di ognuno. Mai indifferente, mai. La verità è questa. Così tutti ricorderemo dove eravamo e cosa stavamo facendo quando abbiamo saputo, e sono cose che si possono dire di pochi istanti della vita repubblicana.

Il crollo

Ma morire, morire davvero, è un attimo e basta. Per tutti. Quando succede, non si è mai pronti. La situazione precipita sul finire della notte scorsa. Le sue condizioni si aggravano di colpo. Fino all’ultimo Berlusconi si è sottoposto alla chemioterapia, ha trascorso la penultima notte della sua vita guardando la finale di Champions League. Sperava di farcela anche questa volta, anche se i collaboratori più stretti rivelano ora come fosse sempre più consapevole del fatto che il suo tempo stava per finire.

Il giorno prima dell’ultimo ricovero, aveva fatto un giro in auto per i viali di Milano 2, dove tutto è cominciato, e forse in qualche modo, era una specie di congedo. Ci sperava anche la sua famiglia, naturalmente. Marina e Pier Silvio sono alle prese con una riunione di lavoro quando ricevano la telefonata che li invita a precipitarsi al San Raffaele. Il comunicato ufficiale ci mette un’ora a uscire, perché non era pronto. Davanti alla sua stanza, Marta Fascina si dispera, non ci crede che sia potuto davvero succedere. Alle 9.30 arriva suo fratello Paolo, che entra a bordo della sua auto da un passaggio riservato. Pochi minuti dopo, la primogenita Marina, su una macchina dai vetri oscurati, poi Eleonora, poi Barbara, seguite pochi minuti dopo da Pier Silvio. Un’ora dopo, mentre si rincorrono le voci, la notizia della scomparsa diventa ufficiale. Silvio Berlusconi è morto. E diventa subito chiaro che ci sarà un prima e un dopo. È una giornata come tante, i siti delle principali testate nazionali aprono sulla controffensiva ucraina che avanza, la direzione del Pd, l’economia. Scompare tutto, subito. Se i social sono davvero specchio della società, come qualcuno crede, l’effetto fa impressione. Ogni rumore di fondo tace.

Tra la gente

Sulla linea rossa della metropolitana, solo per fare un esempio tra i tanti, si sale a Lotto che è la solita Italia e si scende dopo cinque minuti che è un’Italia senza più «il Silvio», come lo chiamano le persone che si fermano sulla piazzola a compulsare i telefonini, e come a lui non dispiaceva essere chiamato, con quell’articolo che fa tanto Milano, la sua città, che amava tanto. «Comunque la si pensi su di lui, è stato un gigante» afferma un signore in giacca e cravatta che spiega di avere 45 anni, e di non avere mai votato in vita sua a un’elezione dove non ci fosse Berlusconi o la sua creatura politica. 

«Dite quello che volete voi giornalisti, ma ha avuto una vita incredibile, ha cambiato questo Paese e ha combattuto come un leone», commenta una ragazza che ha sulle spalle lo zaino dell’Inter che racconta di essere appena rientrata da Istanbul e di non avere mai votato per lui. Ogni commento è intriso di una emotività collettiva che può essere ignorata solo dagli odiatori di professione. Davanti ai cancelli della villa di Arcore si raduna una folla muta, come ai vecchi tempi, quando c’era Silvio. Quando arriva il feretro, parte un applauso composto. Poi, di nuovo silenzio. La camera ardente sarà privata, forse la giusta conclusione del cammino di un uomo che ha vissuto la sua intera vita in pubblico. Sulla torre Mediaset di Cologno Monzese appaiono due messaggi. «Ciao papà» e «Grazie Silvio».

Le reazioni

In ordine cronologico, ma possiamo sbagliare, tale è la mole di commenti che riempie i media fin da subito, la prima reazione del mondo politico nostrano è quella di Matteo Renzi, un avversario. «Il suo impatto sulla vita politica ma anche economica, sportiva, televisiva è stato senza precedenti» scrive su Twitter il capo di Italia Viva. Giorgia Meloni annulla ogni impegno fino a dopo i funerali, che si terranno domani nel Duomo di Milano, dichiara una giornata di lutto nazionale e registra subito un video alquanto spontaneo. «Con lui l’Italia ha imparato che non doveva mai farsi imporre dei limiti, ha imparato che non doveva mai darsi per vinta. Con lui noi abbiamo combattuto, vinto, perso, molte battaglie e anche per lui porteremo a casa gli obiettivi che insieme ci eravamo dati. A Dio, Silvio». Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella affida il suo pensiero a una nota che si apre con la sua profonda tristezza. «È stato un grande leader politico che ha segnato la storia della nostra Repubblica, incidendo su paradigmi, usi e linguaggi».

L’onda emotiva

La morte di un personaggio così larger than life, come scrivono i media internazionali, che poi significa straordinario, fuori dal comune, è una questione che non riguarda solo noi. Nel suo telegramma inviato alla famiglia, Papa Francesco, lo ricorda come «un protagonista della vita politica italiana, che ha ricoperto pubbliche responsabilità con tempra energica». Arrivano messaggi dai leader di tutto il mondo, fa discutere quello di Putin, che solleva l’ira del governo ucraino, arrivano dichiarazioni di protagonisti dello sport, dello spettacolo, della cultura, di vecchi amici e di vecchi nemici, persino quello della procura di Milano. Basterebbe quest’onda emotiva per capire come quella di ieri è stata una giornata particolare per l’intero Paese. Nel bene o nel male, comunque la si pensi, nessuno mai come Silvio Berlusconi.

(ANSA il 12 giugno 2023) - Non ci sarà nessuna camera ardente per Silvio Berlusconi domani negli studi televisivi di Cologno monzese. Lo rende noto l'ufficio stampa Mediaset. Poco fa è terminato un sopralluogo dei carabinieri del comando provinciale di Milano. Questa decisione sarebbe legata a questioni di ordine pubblico

(ANSA il 12 giugno 2023) - Il carro funebre che trasporta il feretro dell'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, è arrivato poco fa a Villa San Martina, ad Arcore, in Brianza.

(ANSA il 12 giugno 2023) - Sarà l'arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, a celebrare i FUNERALI dell'ex premier Silvio Berlusconi che si terranno mercoledì prossimo alle 15 nel Duomo di Milano.

(Adnkronos il 12 giugno 2023) - Niente lavori di Aula nella giornata dei funerali. E' la proposta che a quamnto apprende AdnKronos il presidente del Senato, Ignazio La Russa porterà nella conferenza dei capigruppo di domani a palazzo Madama (Sai/Adnkronos) ISSN

(LaPresse il 12 giugno 2023) - Bandiere a mezz'asta a palazzo Chigi in segno di lutto per la scomparsa di Silvio Berlusconi. Anche la Camera e il Senato avevano deciso di esporre le bandiere a lutto in memoria del leader di FI, morto questa mattina a 86 anni all'ospedale San Raffaele di Milano, dove era ricoverato da venerdì scorso per accertamenti legati alla leucemia mielomonocitica cronica di cui soffriva da tempo.

(ANSA il 12 giugno 2023) - È proclamato il lutto nazionale per mercoledì, la giornata dei funerali di Stato di Silvio Berlusconi. Lo dispone il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. 

Nella stessa disposizione firmata da Mantovano, si prevede che da oggi a mercoledì siano esposte a mezz'asta la bandiera italiana e quella dell'Unione europea sugli edifici pubblici dell'intero territorio nazionale e sulle sedi delle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane all'estero

Muore a 86 anni Silvio Berlusconi, uomo di spettacolo che ha sconvolto la politica e la cultura italiana.

(ANSA il 12 giugno 2023) - "Berlusconi era più del bunga bunga". È questo il titolo della Bild online, in Germania, sulla morte dell'ex premier italiano. Il tabloid tratta la figura dell'ex premier con un lungo articolo, concludendo che il fondatore di Fi "non ha reso l'Italia un paese migliore. E questo nonostante abbia amato, come da lui asserito migliaia di volte, il Paese. 

Gli italiani hanno fatto a lui meglio di quanto lui abbia fatto agli italiani. E come incorreggibile amico di Putin alla fine è morto dalla parte sbagliata della storia", si legge. A firmare un lungo articolo su Berlusconi è Albert Link, che aveva fatto un'intervista all'ex presidente del Consiglio.

"Il suo marchio fuori dall'Italia era quello di un polit-clown. Ma questa era solo una parte della verità. Berlusconi è stato soprattutto un unicum, con almeno due volti, che non si è mai riusciti a far entrare in un'unica etichetta tedesca". "Da una parte io ho visto in lui un atteggiamento e un'aura così governativa che qui si sarebbe vista in Helmut Kohl o in Helmut Schmidt", continua. 

"Dall'altra poteva essere così volgare che addirittura Mario Barth (comico tedesco, ndr) si sarebbe vergognato di una delle sue barzellette, per le quali io - su sua richiesta - avevo dovuto spegnere il registratore". "Aveva un chiaro messaggio: gli bruciava che il governo Merkel alla fine del suo mandato da premier praticamente lo ignorasse - scrive ancora -. E voleva chiarire che lui non era un nazionalista, ma un europeista e soprattutto che era amico dei tedeschi".

(ANSA il 12 giugno 2023) - Morte di Silvio Berlusconi: "La fine di colui che si credeva immortale". Titola così Le Soir, il più prestigioso quotidiano francofono belga, annunciando la morte di Silvio Berlusconi. "Amava la vita in modo così viscerale che gli italiani lo immaginavano immortale", scrive il quotidiano. "Nato il 29 settembre 1936, primogenito di una famiglia della piccola borghesia milanese, questo formidabile uomo d'affari e leader politico atipico lascia cinque figli, un impero mediatico e finanziario e una reputazione controversa", afferma tra l'altro, per ripercorrere quindi le tappe principali della vicenda Berlusconi. (ANSA).

Estratto dell’articolo di Matteo Castagnoli per milano.corriere.it il 12 giugno 2023.

Sullo sfondo nero, campeggia un cuore rosso spezzato in due. Sopra, una scritta bianca a contrasto. Recita: «Addio presidente». È l'ultimo saluto, via social con una storia Instagram, di Karima El Mahroug, in arte Ruby, a Silvio Berlusconi, morto nella mattina di lunedì all'ospedale San Raffaele dov'era ricoverato da venerdì scorso. 

Il commiato arriva un paio d'ore dopo che la notizia inizia a circolare e si unisce al cordoglio della famiglia, degli amici, della politica e un po' di tutta l'Italia nei confronti del Cavaliere. Quello di Ruby, però, suona particolare. Sarà per la storia giudiziaria, quella dei tre processi sulle «cene eleganti» ad Arcore mentre Berlusconi era premier. 

Nel «Ruby uno», Berlusconi fu imputato di prostituzione minorile e concussione per aver avuto rapporti nel 2010 con l’allora 17enne marocchina e per aver telefonato alla questura di Milano, dove la ragazza era stata portata dopo un fermo per furto. In quell'occasione disse che era la nipote di Mubarak. Condannato in primo grado a 7 anni, viene assolto in appello e Cassazione. Poi, di nuovo imputato per corruzione in atti giudiziari nel Ruby ter con l’accusa di aver pagato i silenzi e le falsità della giovane, il 16 febbraio è stato assolto.

Estratto dell'articolo di ilmessaggero.it il 12 giugno 2023.

«Caro presidente, le chiedo scusa ma non trovo le parole. Io e lei ci siamo capiti». Così su Twitter Alberto Zangrillo, medico personale dell'ex premier Silvio Berlusconi deceduto oggi al San Raffaele di Milano, postando una foto che lo ritrae insieme al presidente di Forza Italia. 

«Non ho niente da dire. Non è giornata». Queste le uniche dichiarazioni di Zangrillo [...] arrivato poco fa a piedi a Villa San Martino, ad Arcore, dove si trova il feretro del leader di Forza Italia, morto questa mattina.

DAGONOTA il 12 giugno 2023.

Silvio Berlusconi è stato più volte eletto alla Camera dei deputati, per ben sei volte, in  legislature che gli hanno tributato i maggiori successi politici e governativi. Soltanto due legislature invece al Senato. 

Una terribile, quella del 2013, dalla quale decadde per gli effetti della legge Severino  a seguito della condanna per frode fiscale nell'inchiesta sui diritti tv Mediaset. 

Successivamente riabilitato, è tornato a Palazzo Madama. Appare quindi paradossale che l'uomo che ha cambiato la politica italiana, che ha inaugurato l'elezione diretta del presidente del Consiglio a costituzione invariata, non sia omaggiato con una camera ardente a Montecitorio, dove è stato eletto per ben 6 volte, o a Palazzo Madama.

(ANSA il 12 giugno 2023) - Il feretro di Silvio Berlusconi sarà trasportato a Villa San Martino, ad Arcore. La camera ardente sarà invece allestita allo studio 20 di Mediaset a Cologno Monzese a partire da domani. 

(DIRE il 12 giugno 2023) Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, appresa la notizia della morte dell'ex Presidente Silvio Berlusconi, ha annullato tutti gli appuntamenti istituzionali in agenda.

(Adnkronos il 12 giugno 2023) - La morte di Silvio Berlusconi ha sconvolto Forza Italia. Nelle chat azzurre tanti messaggi di cordoglio e vicinanza, in particolare a Marta Fascina, deputata forzista e compagna del Cav da tre anni. Il capogruppo alla Camera, Paolo Barelli, avrebbe chiesto di sospendere i lavori del'Aula di Montecitorio, per oggi e domani, in segno di lutto.

(ANSA il 12 giugno 2023) - Sarà sposata nella sua casa, a Villa San Martino ad Arcore, il corpo dell'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi morto questa mattina al San Raffaele di Milano. Lo si apprende da fonti qualificate. Le operazioni per il trasporto della salma sarebbero già in corso.

(ANSA) -  L'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è deceduto questa mattina intorno alle 9:30. La conferma arriva dall'ospedale San Raffaele.

(ANSA il 12 giugno 2023) - Si va verso funerali di Stato nel Duomo di Milano per Silvio Berlusconi, l'ex presidente del Consiglio deceduto oggi all'ospedale San Raffaele. La certezza della cerimonia nella cattedrale si avrà nel momento in cui saranno proclamati i funerali di Stato, che paiono scontati.

Lutto nazionale e funerali di Stato: cosa sono e cosa succede? «Le scuole invitate a far rispettare un minuto di silenzio». Storia di Giulia Arnaldi su Il Corriere della Sera il 12 giugno 2023. 

Insieme a papi, eroi di guerra, grandi personalità della Repubblica, anche Silvio Berlusconi, morto stamattina alle 9.30 all’ospedale San Raffaele, avrà i funerali di Stato, che si terranno mercoledì 14 giugno al Duomo di Milano, e nello stesso giorno è stato dichiarato un giorno di lutto nazionale. A deciderlo, come previsto dalla legge, è stata la presidenza del Consiglio dei Ministri che ha predisposto «dal 12 al 14 giugno l’esposizione a mezz’asta delle bandiere nazionale ed europea sugli edifici pubblici dell’intero territorio nazionale e sulle sedi delle rappresentanze diplomatiche consolari italiane all’estero». Mentre «nella giornata di celebrazione delle esequie di Stato, è dichiarato lutto nazionale». La gestione del funerale di Stato e del lutto nazionale è a carico di un ufficio specifico, a Palazzo Chigi, il «Cerimoniale di Stato».

Cos’è il lutto nazionale?

Bandiere a mezz’asta, quindi, ma non solo. Il lutto nazionale prevede anche che le bandiere esposte all’interno abbiano due strisce di velo nero a cravatta. Inoltre, se a scomparire è il titolare di un organo pubblico, la camera ardente potrà essere allestita nella sede della stessa istituzione di rappresentanza (ma non è più questo il caso: infatti la camera ardente dell’ex premier si terrà in forma privata nella villa di Arcore, suo paese natale). Rimane comunque la famiglia dello scomparso a decidere in merito al luogo delle esequie, in accordo però con l’Ufficio del cerimoniale di Stato della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Durante il giorno di lutto, gli esponenti del governo sono obbligati quindi a cancellare tutti gli impegni in agenda: nel periodo di lutto, infatti, le personalità pubbliche possono partecipare solo a eventi di beneficenza. La vita dei privati cittadini, invece, non dovrebbe essere particolarmente alterata, se non fosse per l’invito che in questi casi viene fatto alle scuole di rispettare un minuto di silenzio in memoria del defunto e per la possibilità che alcuni negozi decidano di tenere le serrande abbassate durante tutta la giornata o durante la celebrazione delle esequie. Durante i funerali di Stato, invece, è prevista una cerimonia ben precisa, dettata sempre dal medesimo ufficio di Palazzo Chigi: il feretro è contornato da 6 carabinieri in alta uniform e (o da appartenenti allo stesso Corpo dello scomparso), vengono riservati onori militari al feretro all’ingresso e all’uscita dal luogo della cerimonia, è presente almeno un rappresentante del Governo e viene recitata un’orazione commemorativa ufficiale.

Chi ha diritto ai funerali di Stato e al lutto nazionale

Solitamente, i funerali di Stato sono riservati ai presidenti degli organi costituzionali, anche dopo la cessazione del loro mandato, e ai ministri deceduti durante la permanenza in carica. Inoltre, il Consiglio dei Ministri può deliberare di concedere gli stessi onori a personalità che abbiano offerto particolari servizi al Paese, o a cittadini che abbiano reso particolarmente onore alla Nazione, o che siano caduti durante l’adempimento del servizio militare in situazioni particolarmente notevoli, o a vittime di azioni terroristiche e di criminalità organizzata, o, infine, alle vittime di disastri naturali. Di recente il funerale di Stato fu disposto anche per l’ex ministro leghista, Roberto Maroni. Negli ultimi 30 anni i funerali di Stato sono stati riservati a 3 ex presidenti del Consiglio: nel 1994 per Giovanni Spadolini, nel 1999 per Amintore Fanfani e nel 2001 Giovanni Leone, che è stato anche Presidente della Repubblica. Il lutto nazionale, invece, non è mai stato dichiarato per un ex presidente del Consiglio, fatta eccezione per gli ex Presidenti della Repubblica Leone e Ciampi.

I giorni di lutto nazionale in Italia

In Italia, ci sono stati diversi casi celebri in cui è stato dichiarato lutto nazionale: nel 1958, vengono annunciati 3 giorni di lutto nazionale per la morte di Papa Pio XII; nel 1963, di nuovo 3 giorni di lutto nazionale per la morte di un altro Papa, Giovanni XXIII; nel 1978 vengono annunciati tre giorni anche per Papa Paolo VI e, nel 2005, per Papa Giovanni Paolo II, sono previsti tre giorni di lutto nazionale, più quello del funerale. Il 18 novembre del 2003 è giornata di lutto nazionale per ricordare i caduti nell’, mentre nel 2016, dal 27 al 24 agosto, è stato annunciato il lutto nazionale per ricordare i 298 morti del terremoto che ha colpito il Centro Italia. L’ultima giornata di lutto nazionale è stata il 24 maggio 2023, per ricordare le vittime dell’...

 Fa record anche sui social: 7 su 10 si dicono commossi. Marco Leardi il 14 Giugno 2023 su Il Giornale.

"L'amore vince sempre sull'invidia e sull'odio". Silvio Berlusconi lo scrisse in un suo libro pubblicato oltre dieci anni fa

«L'amore vince sempre sull'invidia e sull'odio». Silvio Berlusconi lo scrisse in un suo libro pubblicato oltre dieci anni fa. E figurarsi, già allora i soliti detrattori non mancarono di riderci sopra con la tipica spocchia. Il tempo è stato galantuomo: aveva ragione il Cavaliere. Anche in quel caso. Nel giorno più triste, quello della sua scomparsa, l'ex premier ha ricevuto un ideale e commosso abbraccio da parte dei milioni di italiani che frequentano la rete. L'amore come recitava quel motto ha vinto davvero. A registrare il cordoglio veicolato attraverso i social network è stato un report realizzato da Human, piattaforma di web e social listening di Vis Factor, gruppo societario leader nella consulenza strategica politica, istituzionale e aziendale. La rilevazione ha considerato le conversazioni social prodotte nelle 24 ore successive alla ferale notizia, attestando per l'appunto un diffuso affetto nei confronti di Berlusconi. Su 73mila contenuti analizzati, il 72% esprimeva sentimenti di tristezza. «Oltre tre persone su quattro hanno avuto un moto di commozione e questo è un dato di assoluta rilevanza. Il Cavaliere viene consegnato alla storia come persona non classificabile secondo i tradizionali schemi», ha osservato Tiberio Brunetti, fondatore di Vis Factor. L'emozione degli utenti ha spiegato l'esperto - «non è dovuta al fatto che Berlusconi fosse il presidente di Forza Italia, del Milan, il premier più longevo d'Italia o un comunicatore visionario, bensì è provocata dalla sua figura entrata nel quotidiano degli italiani».

L'ex premier era considerato da molti uno di famiglia e infatti in diversi commenti social viene chiamato «zio Silvio». In 23 milioni di interazioni generate dall'argomento, le parole associate a Berlusconi sono «Italia», «presidente», «politica», «Milan» e «tv». Gli ambiti nei quali il Cavaliere ha lasciato la sua indelebile impronta. «Le reazioni addolorate hanno sovrastato e isolato le poche voci contrarie, apparse fuori luogo», ha analizzato Brunetti di Vis Factor, osservando come «mediaticamente, questo lutto sia per noi paragonabile a quello per la regina Elisabetta, giusto per capire la portata del personaggio». Il linguaggio d'odio, spesso presente sui social, in questo caso è stato residuale: a produrlo, solo un italiano su dieci. Berlusconi, con la sua scomparsa, ha suscitato una toccante ondata di partecipazione proprio da parte di quel mondo virtuale che egli stesso osservava e frequentava con la curiosità divertita di un ragazzino. «La commozione e il sentimento di prossimità umana sono stati pressoché plebiscitari». E la partecipazione, con il passare delle ore, non accenna a diminuire.

L'addio a Berlusconi, il ricordo di Al Bano: «Ho perso un amico». Il cantante tornato per qualche giorno nel suo buon retiro delle Tenute di Cellino, parla della scomparsa di Silvio Berlusconi cercando di nascondere il nodo in gola. VINCENZO SPARVIERO su La Gazzetta del Mezzogiorno il 14 Giugno 2023

 «Eh sì, ho perso un amico. Un carissimo amico». Al Bano, tornato per qualche giorno nel suo buon retiro delle Tenute di Cellino, parla della scomparsa di Silvio Berlusconi cercando di nascondere il nodo in gola.

«Ha dimostrato di essere il grande uomo che è stato nel momento peggiore della mia vita - racconta il cantante -. Una vicinanza che in quei giorni terribili mi è stata di grande conforto».

Il periodo è quello della scomparsa della figlia Ylenia: quando Al Bano e Romina facevano la spola tra l’Italia e gli Stati Uniti alla ricerca di tracce dell’amata primogenita.

«Ogni giorno una telefonata o un telegramma: ogni giorno, quasi fosse uno di famiglia», ricorda al Bano.

Ma non soltanto una vicinanza affettiva. Berlusconi, per essere vicino ai coniugi Carrisi, fece qualcosa di più.

«Mise a disposizioni il suo aereo privato per alcuni dei miei spostamenti, in modo da accelerare i tempi - ricorda Al Bano -: non potrò mai dimenticare questo gesto di grande generosità nei nostri confronti in un momento di disperazione e dolore».

Era il 1994, ma l’amicizia con il patron di Canale 5 era cominciata molto prima, ovviamente per motivi di carattere professionale. Berlusconi teneva molto alla coppia per antonomasia della canzone italiana.

«Siamo stati ospiti delle sue Tv a più riprese - spiega Al Bano -. E lui era sempre presente».

Poi, una punta di polemica. «Gliene hanno fatte di cotte e di crude - dice il cantante - ma lui è uscito sempre vincitore, perché era un vincente. In Italia e anche nel mondo ha cambiato il modo di fare politica, rendendola più umana, più vicina alla gente. Lui, nel privato era come appariva in tv: generoso e cordiale con tutti, non solo con noi artisti. So per certo che è stato generoso con tanta gente sconosciuta. Eppoi, nelle sue aziende ha dato lavoro a migliaia di persone, senza mai licenziare qualcuno. Con le sue tv, dopo il monopolio Rai, ha contribuito a far crescere tante altre aziende italiane che potevano contare sulla pubblicità trasmessa dalle sue reti».

«Un’umanità a prova di bomba quella del cavaliere - conclude -. Mancherà a me, mancherà di certo anche agli italiani».

Berlusconi, il terrone di Milano e i successi al Sud. Così disinnescò la secessione di Umberto Bossi. ROBERTO CALPISTA su La Gazzetta del Mezzogiorno il 13 Giugno 2023

Un napoletano nato a Milano, stregato da Roma, ammaliato dalla Sardegna e protagonista di una relazione aperta e richiusa con la Puglia «traditrice». Il rapporto viscerale di Silvio Berlusconi con il Sud è sempre stato rafforzato dall’alta capacità di far casa sua di qualsiasi posto.

In realtà era un terrone nell’anima, un po’ guappo, assai tombeur de femmes, propenso al canto, alle barzellette, a spararla grossa, ma nonostante tutto con un visione ampia che poteva essere amata ovvero odiata. Un Masaniello che al Mezzogiorno non ha mai voltato le spalle, ampiamente ricambiato da urne all’eterna ricerca del capopopolo cui affidare il sogno di una vita da sogno.

In fin dei conti, mentre nei salotti e nei circoli dell’Italia di sotto si discuteva e si discute ancora dei danni dell’autonomia differenziata, fu lui, il Cav, ormai decenni fa a disinnescare la mina della secessione leghista utilizzando la sottile arma della presa per i fondelli ai danni del pure astuto Umberto Bossi.

In ogni caso una delle città a cui l’uomo simbolo meneghino è stato più legato è il capoluogo partenopeo. Qui «rapì» e rese se non ricco, benestante lo chansonnier Apicella. E all’ombra del Vesuvio ribadì: «Sono un napoletano nato a Milano». Un affetto contraccambiato dalla città, poi tradito quando alla figura politica, ormai offuscata dall’età e piegata dalle malattie e dalle inchieste giudiziarie, è stata preferita quella degli ancor più populisti portatori di reddito di cittadinanza.

Eppure a Napoli l’ex presidente del Consiglio è stato l’unico leader ad aver presieduto un G7 (quello dell’ormai famoso avviso di garanzia) e due G8. Alle pendici del Vesuvio si sono consumati, nel bene e nel male, anche episodi finiti nella bufera mediatica, dal gossip alle relazioni sentimentali.

Episodi simili, sono alla base della «rottura» con la Puglia. Fino ad allora, a Bari fece scalpore, il 13 aprile del 2013, un corso Vittorio Emanuele strabordante. Silvio sul palco, i pugliesi in adorazione e tra questi l’allora sindaco Michele Emiliano, suo avversario politico e anche suo grande ammiratore. Altri tempi, altre storie, come quella raccontata in una pasticceria di piazza Garibaldi, dove Berlusconi vedendo un pensionato male in arnese, si inventò il bonus occhiali e gliene regalò un paio.

Rosa, la mamma di Berlusconi nel 2005: «Dà l’anima per amore dell’Italia, insomma la sua vita poteva essere diversa».  L'intervista alla madre dell’ex premier alla Rotonda Besana di Milano a Natale del 2005. Nino Luca / CorriereTv  su Il Corriere della Sera il 14 Giugno 2023 

Silvio Berlusconi è morto la mattina del 12 giugno all’ospedale San Raffaele di Milano. In questa intervista del 2005 mamma Rosa parlava del figlio. 

Memo Remigi e le sue canzoni, panettone e spumante. Correva l'anno 2005, alla Rotonda della Besana andava in scena la festa degli anziani promossa dagli assessorati alle Politiche sociali e ai Grandi eventi. Più di mille ospiti con Tiziana Maiolo a tirare le fila la cantante Wilma De Angelis, Tony Dallara, Paolo Limiti ad animare il pomeriggio... Fra gli invitati Rosa Berlusconi, la mamma del premier, 95 anni. Incredibilmente possiamo avvicinarla e porle qualche domanda sul figlio presidente del Consiglio: l'infanzia, il rapporto con il fratello Paolo, gli studi, i primi lavori e l'impegno in politica. Ne esce fuori un inedito amorevole ritratto di madre: «Gli voglio molto bene, ha fatto tanto per l'Italia... insomma la sua vita poteva essere diversa».

L’analisi del direttore del Corriere della Sera sul leader che ha caratterizzato la storia politica italiana degli ultimi 30 anni. Luciano Fontana / Luciano Fontana / CorriereTv  su Il Corriere della Sera il 14 Giugno 2023 

Silvio Berlusconi (morto il 12 giugno all’età di 86 anni, all’ospedale San Raffaele di Milano) è il leader politico che ha seguito tutta la storia politica italiana degli ultimi 30 anni: è stato il leader che ha garantito la continuità al centrodestra. Ha cambiato la politica radicalmente, prima perché ha cercato di mettere insieme l’Italia silenziosa che si è ritrovata sotto alchimie politiche particolari (le alleanze con Bossi e Fini). Per tanti anni ha diviso l’Italia tra berlusconiani e anti-berlusconiani.

Berlusconi ha avuto sempre un rapporto diretto con gli elettori e ha plasmato il suo campo, sapeva semplificare, sapeva “vendere” prima nel campo delle imprese, poi nel campo della politica. 

«Quella foto con mio figlio milanista al bar di Milano 2 prima del ricovero. Silvio Berlusconi era provato ma ha scherzato con tutti». Matteo Castagnoli  su Il Corriere della Sera il 13 Giugno 2023 

Massimiliano Albanese, proprietario del «Maximilian Bistrot», racconta l'incontro di venerdì con l'ex premier e Marta Fascina: «Ha chiesto ghiaccioli» 

Primo pomeriggio di venerdì 9 giugno. «Verso le 14». Dalla porta del «Maximilian Bistrot», al centro di Milano 2, entra Silvio Berlusconi. L’ultima volta che lo si vedrà in pubblico prima del ricovero, il giorno stesso, al San Raffaele dove lunedì mattina morirà. È vestito di scuro. Sulla giacca la spilla di Forza Italia. Con lui la compagna Marta Fascina e gli uomini della scorta. «Si è seduto a un tavolo vista lago e ha mangiato dei ghiaccioli. Era provato, si vedeva, ma aveva ancora quella forza per scherzare e salutare tutti. Anche mio figlio di 7 anni» ricorda Massimiliano Albanese, 53 anni, cresciuto in zona e proprietario del locale sulla piazza del Laghetto sotto gli ex uffici Mediaset a Palazzo dei Cigni, nato al posto dell’iconico «La Sorbetteria» a Segrate. Nel cuore di Milano 2. Che nel cuore è sempre rimasta anche a Berlusconi, come la sua prima creatura. 

Albanese, cosa le ha detto Berlusconi?

«Ha chiesto che fosse pulita la colonna-monumento della piazza (l'opera celebrativa della costruzione di Milano2, ndr). L’aveva vista sporca. Poi ha ricordato come in passato gli alberi intorno al laghetto avessero una targa con il nome: voleva fossero rimesse. Ma soprattutto teneva alla colonna».  

Avete soddisfatto questo desiderio?

«Sì, martedì l'hanno pulita. Come in passato, avevamo segnalato la situazione al comprensorio».   

Cosa l’ha colpita di quell’incontro?

«La forza di scherzare, nonostante lo stato di salute. Era provato, e si vedeva. Ma era sempre socievole, fino all’ultimo. Poi alcuni frasi si sarebbero capite solo giorni dopo». 

Ha salutato suo figlio. 

«Che è un tifoso del Milan. E sempre col sorriso. Come ha fatto anche con due studenti di Medicina, nostri clienti, di passaggio».  

E ha chiesto dei ghiaccioli.

«Non uno, ma due o tre. Fascina gli diceva “Ma quanti ne stai prendendo?”. E lui: “Tanto è tutta acqua”».  

Era già passato altre volte? 

«Sì, poco meno di un anno fa. E anche in quell’occasione, ovviamente era più in forma, aveva chiesto che fosse pulita la sua statua». 

Che ricordo conserverà?

«Col senno di poi è strano. Ma in generale posso dire che anche io nel mio piccolo sono un imprenditore e per me Berlusconi ha rappresentato un riferimento». 

Estratto dell’articolo di Monica Guerzoni per il Corriere della Sera il 14 giugno 2023.

Un’amicizia lunga trent’anni, basata «sulla fiducia reciproca». Bruno Vespa aveva una confidenza tale con Silvio Berlusconi da potergli offrire suggerimenti anche sul piano dell’estetica: «Perché non ti mostri in tv senza trucco e con i tuoi capelli? Al naturale stai benissimo».

E lui?

«Sorrise, ma non raccolse». 

(...) 

Che ricordi ha degli ultimi incontri?

«Nell’ottobre 2021 e 2022 ad Arcore eravamo in tre a tavola. Marta Fascina è stata sempre silenziosa, tranne poche parole oggettivamente di buon senso. Berlusconi le era molto legato. Mi ha colpito che portasse la fede al dito, perché prima non gliel’avevo mai vista». 

Come spiega l’amicizia con Putin?

«Era un’amicizia veramente molto forte, ad Arcore mi portò a vedere il famoso letto che Putin gli aveva regalato». 

A lei Berlusconi dichiarò che Putin «voleva solo sostituire Zelensky con persone perbene».

«L’amicizia per Putin era così forte da portarlo a dire cose al di là del ragionevole. Poi si è corretto, ha capito che era una posizione insostenibile. Putin lo aveva deluso». 

E il contratto con gli italiani? Davvero lo teneva appeso dietro la porta del bagno?

«Quando me lo fece vedere pensai lo avesse messo per me. Invece lo aveva mostrato anche a Renzi, che lo ha confermato lunedì a Porta a Porta. Ho invitato anche D’Alema e con mia piacevole sorpresa è venuto per questo tributo finale, nonostante le divisioni». 

Giorgia Meloni sarà la sua erede politica?

«Lei con grande buon senso ha chiuso le porte a eventuali esodi fino alle Europee. C’è bisogno che Forza Italia sopravviva, sia per riguardo nei confronti di Berlusconi sia per il disegno di far alleare popolari e conservatori». 

Potrebbe avere successo un’opa di Renzi su FI?

«Renzi è il figlio politico che Berlusconi non ha avuto, tra i due c’è stata sempre una forte simpatia. Ma la politica è imprevedibile, non mi sento di fare previsioni». 

(...)

Lei è stato anche molto criticato da sinistra. È stato troppo schierato e morbido con Berlusconi?

«Aspetto che qualcuno mi dica qual è la domanda che non gli ho fatto. L’11 maggio 1994, nella sua prima intervista da premier, gli chiesi come pensasse di risolvere il conflitto di interessi. Anche sulle donne c’è stato sempre un grande contrasto tra noi». 

Come giustificava Ruby e le «cene eleganti»?

«Diceva che quella era la sua vita privata e io, sia in tv che nei libri, obiettavo che la vita privata di un premier ha dei limiti». 

Resta convinto che sia stato vittima di accanimento giudiziario?

«Ha avuto una sola condanna, anche molto discussa. Non c’è stato al mondo un leader che in 30 anni abbia avuto sempre almeno un processo. Qualche problema c’è, soprattutto da parte delle Procure».

Dagospia il 14 giugno 2023. Da “Un Giorno da Pecora” – Rai Radio1

“Berlusconi mi mancherà: con lui non ci si annoiava mai in politica. Il Cavaliere ha creato un bipolarismo personale: l’Italia era divisa tra suoi fan e antiberlusconiani, e noi del Fatto eravamo i protagonisti per questi ultimi, venivamo accolti come rockstar nei palazzetti pieni. Una volta dissi a Berlusconi che lui aveva fatto la fortuna dei suoi amici ma soprattutto dei suoi avversari: noi vendevamo più copie, sono stati scritti libri e fatti film. Noi ad esempio, quando il Cav. ha cominciato a declinare, noi del Fatto abbiamo perso copie”. 

Così a Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, l’editorialista del Fatto Quotidiano Antonio Padellaro, ospite della trasmissione condotta da Giorgio Lauro e Geppi Cucciari.  “Quando lui venne sostituito da Monti, ci fu chi al Fatto stappo’ una bottiglia per festeggiare. Io entrai in redazione e dissi: siete degli imbecilli, state segando il ramo su cui siamo seduti”.

Il fondatore di Fi chiamò mai per lamentarsi per uno dei vostri pezzi? “Una volta ci chiamò e ci disse che era gravissimo che avessimo scritto che aveva i capelli finti, invitandoci ad andare a palazzo Grazioli per sincerarci che fossero veri”. 

E’ vero che una volta cenaste insieme? “Si, eravamo a casa di Melania Rizzoli, lui venne con Francesca Pascale. Cav. mi portò in regalo una scatola di cravattoni, stile manager di Mediaset, che ancora conservo gelosamente. E nella stessa occasione – ha spiegato a Un Giorno da Pecora il giornalista - si eccitò parlando di Balotelli, all’epoca giocatore del suo Milan: ci raccontò di come gli aveva spiegato come si fa gol...”

Estratto da fanpage.it il 16 giugno 2023.

L’attore e comico, ospite nella redazione di Fanpage.it subito dopo i funerali di Silvio Berlusconi, celebrati in Piazza del Duomo a Milano, ha condiviso le sue emozioni e il suo personale ricordo: “Mi disse: ‘Farò una nuova tv, vieni con noi!”. Il regalo alla prima firma del contratto: “50 milioni in contanti a me e Teocoli. Questo era Berlusconi”. 

Cosa ha fatto bene e male in politica? "Le polemiche fanno parte del gioco, ma se il Berlusconi politico ha fatto bene o male, non sta a me dirlo. Di sicuro Berlusconi oggi non c'è più. E che cosa sarà di Forza Italia, questo non lo posso immaginare". 

(…) Allora, "Ora tocca a te" l'ho scritto sotto un tweet di Giorgia Meloni dove parlava della scomparsa di Silvio Berlusconi. Quando è andato in rete, certi amici che l'hanno letto mi hanno subito  detto "ma che hai fatto"? Ma vi spiego perché ho fatto questa cosa.

Anni fa, Goffredo Fofi con Franca Faldini, l'ultima moglie di Totò, avevano scritto un libro, di cui ora non ricordo bene il titolo, forse "La maschera e l'uomo", e Franca Faldini me lo dedicò scrivendo proprio "adesso tocca a te", intendendo che non essendoci più Totò, ora tocca a te far ridere. Io ho fatto la stessa cosa con Giorgia Meloni, cioè tocca a te continuare a far politica come l'ha fatta Silvio Berlusconi.

Boldi ha poi dichiarato di aver avuto un immediato chiarimento con la premier, con la quale c'è stato un veloce scambio telefonico: "Fortunatamente ho il numero privato di Giorgia Meloni, mi ha subito risposto dicendo di aver subito capito che era quello il senso. Poi oggi l'ho anche abbracciata insieme ai familiari, dietro al feretro". 

Estratto del libro “Silvio - La vita vera di Berlusconi” di Paolo Guzzanti il 19 Giugno 2023.

Inizio a scrivere alle nove e trentacinque di lunedì 12 giugno 2023, appena saputo della morte di Silvio Berlusconi. Una morte che, per oltre tre mesi, ha respinto recalcitrando e apparendo in un paio di video in cui si nota drammaticamente lo sforzo fisico e il tentativo di nascondere la sofferenza di una respirazione compromessa: «Per voi mi sono messo per la prima volta dopo mesi in giacca e camicia». 

Aveva passato una notte di torpore e all’alba si è svegliato, ha chiesto aiuto, ma il suo corpo non ne voleva più sapere. Un minuto dopo, tutto il mondo sapeva, tutti i politici e tutti i giornali e telegiornali commentavano l’uscita di scena di Silvio Berlusconi.

L’avevo visto per l’ultima volta il 3 marzo 2023, nella sua villa di Arcore dove ero stato altre tre volte in trent’anni. La prima fu quando mi mostrò dalla finestra del suo salotto dei distinti signori che oscillavano in giardino con dei calici in mano. Mi fecero l’effetto di fenicotteri, ma erano illustri professori e politologi, oltre che giornalisti e parlamentari, che avevano scelto di giocare la sua partita. 

Berlusconi aveva radunato un gruppo di persone di varia origine e molte qualità, fra cui il filosofo comunista Lucio Colletti e tanti altri. Sussurrò anche a me il segretissimo nome che aveva creato per il nuovo partito: Forza Italia. «Non è geniale?» Risposi con una smorfia abbozzando un vago sorriso. No, non mi sembrava geniale un partito che si chiamasse Forza Italia. 

Ero snob e i fatti gli dettero ragione: quel nome da stadio e da tifoseria nazional-popolare ebbe un immediato e poi lunghissimo successo. I detrattori lo definirono «partito di plastica» e la sinistra in genere si dedicò con i suoi giornali a rendere ridicola, goffa, vagamente indecente quella formazione politica messa su in quattro e quattr’otto che diventò l’asse di una alleanza impensabile, impossibile, contro tutte le leggi della politica.

E che però funzionò benissimo, mettendo dalla stessa parte, senza collegarli direttamente, gli ex neofascisti di Gianfranco Fini, che aveva chiuso i battenti del Msi, con i separatisti della Lega Nord di Umberto Bossi: un partito sostenuto dal politologo Gianfranco Miglio, cultore dei seguaci di Max Weber, Carl Schmitt e del federalismo di Carlo Cattaneo, che voleva andarsene dall’Italia al grido di «Roma ladrona!», mandare al diavolo i terroni del Sud che sbafano le ricchezze prodotte dal laborioso Nord.

Ex fascisti e leghisti si odiavano a morte e Berlusconi organizzò un meccanismo di alleanze geniale che funzionava in un modo al Nord e in altro al Sud, con Forza Italia nel mezzo che faceva da catalizzatore. Forza Italia era nata nella mente di Berlusconi come erede dei grandi e piccoli partiti che avevano ricostruito l’Italia repubblicana e che erano stati spazzati via in pochi mesi da un’inchiesta giudiziaria dal nome “Mani pulite” che già esisteva sui fascicoli di molti procuratori americani come “Clean hands”, un progetto di ripristino della legalità contro la corruzione e la mafia, cui aveva partecipato anche Giovanni Falcone e negli Stati Uniti il procuratore Rudolph Giuliani, che poi sarà l’eroico sindaco di New York, colpita l’11 settembre del 2001 dagli attentati dei terroristi di al-Quaeda.

Quell’inchiesta iniziò il 17 febbraio del 1992, quando il pubblico ministero Antonio Di Pietro chiese e ottenne un ordine di cattura per l’ingegnere Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio. Nessuno poteva immaginare che da quell’arresto sarebbe seguita quel giorno la chiusura di tutti i partiti storici della Repubblica italiana, salvo quello comunista, che però cambiò nome, dal momento che si era dissolta l’Unione Sovietica. 

Ma sparirono, dopo lunga agonia, la Democrazia cristiana, il Partito socialista di Bettino Craxi, che si andò a rifugiare e a morire in Tunisia, il Partito socialdemocratico e quello liberale. La Repubblica era stata decapitata. Da allora molti pensarono e pensano che quella eliminazione di una intera classe politica che aveva governato per quasi quarant’anni non fosse casuale ma che dietro ci fosse, se non un complotto, almeno un piano politico: essendo finita (così allora si pensava) la Guerra fredda e il conseguente divieto nei Paesi della Nato di portare dei ministri comunisti al governo, la cosa più ragionevole pareva essere quella di favorire una vittoria elettorale dell’ex Pci trasformatosi in Pds.

Non soltanto l’imprenditore Silvio Berlusconi, ma gran parte dell’imprenditoria italiana, entrò in allarme insieme a quella larga e maggioritaria parte del Paese che, senza essere di destra, non aveva mai visto di buon occhio una politica dirigista con la vocazione naturale della pressione fiscale. 

Berlusconi si dette da fare con tutti i politici con cui era in confidenza per cercare una nuova alleanza capace di esprimere un governo che favorisse la produzione della ricchezza, anziché la sua confisca. Ma non ci riuscì. Era sulla cresta dell’onda, in quel momento, il democristiano Mario Segni, figlio del presidente della Repubblica Antonio Segni. Ma nella fase finale della vita della Democrazia cristiana prevaleva l’idea di mettere insieme una maggioranza di sinistra per un governo di sinistra.

Berlusconi si rendeva conto che la maggioranza degli italiani – come poi le urne confermarono – non era affatto di questa idea e soltanto quando dovette prendere atto che non ci sarebbe stata alcuna alternativa a un futuro governo guidato dagli stessi uomini e donne del Pci, prese la decisione di «scendere in campo», giocare la partita con chi ci stava, preparandosi a una guerra su due fronti.

Il primo, quello di battere la «gioiosa macchina da guerra» di Achille Occhetto, ultimo segretario del Pci, e dei suoi alleati della sinistra democristiana. Il secondo fronte sarebbe stato quello della compattezza della sua maggioranza, che infatti non fu mai raggiunta e mai consolidata e che gli dette molto filo da torcere nei suoi quattro governi. Per di più, l’inchiesta Mani pulite aveva scatenato nel Paese un gran sommovimento giustizialista e l’accusa feroce e generica secondo cui i politici sono tutti ladri, che poi darà spazio al movimento creato da Beppe Grillo. 

Ma le televisioni e i giornali vicini a Berlusconi si abbandonarono all’opinione prevalente secondo cui «i partiti sono guidati da ladri». Berlusconi quindi decise che il suo nuovo partito, Forza Italia, non sarebbe stato un partito, ma un movimento, almeno finché non si fosse cicatrizzata la ferita inferta dalla magistratura.

Così nacque il nuovo soggetto politico concepito dal dinamicissimo imprenditore Berlusconi, un uomo che aveva lavorato come intrattenitore sulle navi da crociera, cantando e suonando le canzoni di Charles Trenet. Aveva cominciato come costruttore di Milano Due, poi era passato alle televisioni e alla finanza. Di colpo, o quasi, conquistò la maggioranza dei voti degli italiani ed entrò a Palazzo Chigi, nuovo protagonista assoluto della politica italiana. 

È un protagonista – come si dice oggi – divisivo, nel senso che ha funzionato come il test di Rorschach, quello delle macchie d’inchiostro. Le macchie non significano nulla, ma chi le guarda può vedere ciò che affiora dalla sua mente. Da ciò che la gente vede nelle macchie, gli psicologi traggono informazioni sulle persone, non sulle macchie. Berlusconi è stato tutt’altro che una macchia d’inchiostro insignificante, ma la gente lo ha amato, odiato, disprezzato, perdonato, adorato sulla base di ciò che Berlusconi ha significato per ciascun italiano.

Per lui è stata recuperata la figura già nota dell’Arcitaliano, che più italiano di così non è possibile: le donne, il calcio, le barzellette scollacciate, l’ingegno, il colpo di testa e la letale convinzione secondo cui tutto sia perdonabile in nome della simpatia. Berlusconi è stato anche questo.

Siamo rimasti amici fino all’ultimo, anche dopo il mio abbandono di Forza Italia, che mi costò ovviamente il seggio al Parlamento della Repubblica e, dopo tredici anni al Senato e alla Camera, mi ha riportato a vivere del mio vecchio lavoro artigiano. Scrivo cronache, alcuni libri e dipingo qualche quadro. D’altra parte, anche io come molti, ma non moltissimi, sono un buon testimone.

Quando vidi Berlusconi per l’ultima volta, il 3 marzo di questo 2023, arrivai dalla Stazione Centrale di Milano, mi aprirono dalla portineria e due cagnetti mi corsero incontro abbaiando. In casa trovai Silvio Berlusconi e la sua amatissima Marta seduti su un divano e lo vidi segnato dalla sofferenza. Chiacchierammo per un po’ e disse di sentirsi molto male, ma non accennò alla morte. Occhiaie profonde, un malumore che lo distraeva e scatti di insofferenza quando si veniva alla guerra in Ucraina.

«Questi sono pazzi», disse senza specificare a chi si riferisse, «sono pazzi completi a credere di poter contenere Vladimir Putin e insegnargli la buona educazione inviando sempre più armi agli ucraini. Loro non sanno che Vladimir non si potrà arrendere mai, e che se lo costringeranno ad arrendersi lui non alzerà le mani, ma spingerà un tasto rosso e sarà la fine del mondo: muoia Sansone con tutti i filistei». 

Questa dichiarazione-dossier esplicita mi ha raggelato il sangue perché suppongo che Berlusconi conosca piuttosto bene il suo amico Vladimir. Ma non faccio in tempo a fargli una domanda perché lui, con un gesto vago e ampio del braccio destro, indica la vetrata e il fuori, il giardino, quel po’ di cielo che si ritaglia tra le mura. «Ho due alternative per il futuro. La prima è trasferirmi, armi e bagagli con la mia famiglia, in Australia, e metterci lì al sicuro. Oppure, guarda, vedi quella casetta? Lì potrei fare l’ingresso di un grande rifugio atomico in cui campare per anni. Ma la verità è che non abbiamo tempo né per trasferirci in Australia né per scavare un buco sottoterra».

La conversazione a questo punto si ingessò perché eravamo tornati alle ragioni della nostra antica rottura che avvenne nel 2008, quando Putin, o meglio l’armata russa, entrò in uno Stato sovrano che si chiama Georgia e cominciò a occuparlo. Io ero allora membro della Camera, dopo sette anni di Senato, e uscivo da un’esperienza terribile, passata per lo più inosservata – perché da qualche parte così fu deciso – in cui persi alcuni uomini che conoscevo e altri che non ho mai visto ma che furono uccisi in Russia per aver aiutato Alexander Litvinenko a fornire le informazioni disponibili sull’atteggiamento di Putin nei confronti dell’inchiesta del Parlamento italiano.

Fu allora che Berlusconi convocò nella sala del Mappamondo tutti i gruppi della sua maggioranza alla Camera e al Senato per riferirci sulle nuove iniziative del suo governo. Soltanto verso la fine disse parole che non dimenticherò mai e che mi spinsero ad andarmene. Disse: «Il mio amico Vladimir mi ha detto che quando avrà preso il presidente georgiano Saakashvili lo inchioderà per le palle contro un albero».

Io uscii dalla porta e, in quel partito, fui di fatto l’unico parlamentare italiano, sia di destra che di sinistra, a ribellarsi apertamente contro quella che mi sembrava un’oscena novità dopo la fine della Seconda guerra mondiale: e cioè che uno Stato sovrano con la bandiera e l’esercito con le uniformi oltrepassi la frontiera di un altro Stato sovrano limitrofo e lo invada per derubarlo del suo territorio e delle sue ricchezze. 

Quando, il 1° settembre del 1939, l’esercito tedesco varcò la frontiera della Polonia, seguito due settimane dopo dall’esercito sovietico, si innescò quel catastrofico evento che è stato la Seconda guerra mondiale. Ma in realtà nessuno aveva idea che quell’invasione, una delle tante, fosse l’inizio della più grande catastrofe dell’umanità. Accadde che la Francia e l’Inghilterra, allora, avendo dato la loro parola ai polacchi, che sarebbero intervenuti in caso di aggressione, dichiararono guerra alla Germania. Quella guerra, benché dichiarata, per alcuni mesi fu chiamata la strana guerra, drôle de guerre, funny war.

Ma i pacifisti dei pochi Paesi liberi e democratici come la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti si indignarono moltissimo. Non per l’invasione nazista e sovietica della Polonia, ma per le dichiarazioni di guerra, peraltro svogliate, di Parigi e Londra. Un’altra guerra? Con qualche analogia con ciò che accadde durante l’invasione russa dell’Ucraina, i pacifisti sostennero che fosse criminale opporre le armi a Hitler, mentre tutti i partiti comunisti occidentali, seguendo le direttive di Iosif Stalin, si schierarono con i tedeschi. Contro la democrazia francese e gli imperialisti inglesi. 

Il Partito comunista francese fu messo al bando in Francia per alto tradimento e la Resistenza comincerà soltanto quando Hitler, cogliendo di sorpresa Stalin, invaderà l’Unione Sovietica. Come finì, lo sappiamo: gli invasi russi esercitarono il diritto di inseguire gli invasori fino a Berlino, dove Hitler si suicidò.

Ma da allora, benché ci siano state guerre e guerriglie di ogni genere, non era più accaduto che uno Stato sovrano invadesse un altro Stato sovrano. O meglio: ci fu un caso, quello dell’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq di Saddam Hussein. In quel caso l’Onu decise di intervenire militarmente affinché fosse ribadito il principio per cui non è consentito a uno Stato di invaderne un altro per occuparlo e depredarlo. 

Così, per la prima volta dopo tanti anni dalla nostra rottura, accennai al fatto che Vladimir Putin non fosse nuovo a imprese come quella dell’Ucraina, perché l’aveva già fatto nel 2008 invadendo la Georgia, di cui ha catturato illegalmente due regioni. Berlusconi, stupendomi, mi volle raccontare come andarono le cose nel 2008: «La guerra contro la Georgia la fermai io», disse.

«Era accaduta una cosa gravissima: dalla Georgia era stata sparata una cannonata che si abbatté su una festa di nozze in cui morirono gli sposi e molti invitati. L’opinione pubblica inferocita chiese a Putin di dare una lezione ai georgiani e lui si mosse, ma io riuscii a bloccarlo. “Vladimir”, gli dissi, “se non ti fermi subito, te la faranno pagare cara: diranno che tu vuoi ingrandirti con le guerre e troveranno ogni pretesto per colpirti. Credi a me, credi al tuo amico Silvio: ritira le tue truppe”». E, ricordava Berlusconi, Putin ritirò le sue truppe. Salvo quelle ancora in Abkhazia e Ossezia. 

Ma penso che il motivo di questa versione dei fatti nascesse da una profonda amarezza: quella di non aver ricevuto dal governo Meloni un ruolo con cui spendere la propria influenza su Putin per mettere fine alla guerra in Ucraina. Si aspettava di essere eletto presidente del Senato per poter usare il ruolo di seconda autorità dello Stato. Ne era certo, e quando vide Ignazio La Russa eletto alla prima votazione – quella che in genere va a vuoto perché i partiti votano il loro candidato di bandiera – si sentì tradito. 

«Sai come è fatto Putin: lui non può sentirsi sconfitto. E quale altra arma avrebbe se non la bomba atomica? Muoia Sansone con tutti i filistei. Ecco che cosa temo. Seguitano a mandare armi a Kiev, ma fanno un errore catastrofico. Stavo pensando se fosse meglio andare in Australia oppure farmi fare lì in giardino un rifugio antiatomico con tutti i comfort. Ma non abbiamo più tempo».

(Adnkronos il 19 Giugno 2023) - "Silvio Berlusconi mi ha telefonato due giorni prima della sua morte. Lui con voce flebile: 'Come stai? Tua moglie? I ragazzi? E' tutto a posto? Hai bisogno di qualcosa?'. E io: 'Si, ho bisogno che ti riposi, ti rilassi e che ci si veda presto con te in forze'. Alla fine della telefonata ero cupo, consapevole che, probabilmente, non l'avrei più sentito. 

E ho immaginato che Berlusconi avesse cominciato a chiamare tutti i suoi amici per congedarsi. Per questo mi sono sentito crescere una terribile angoscia e una grande tristezza". Lo racconta il direttore del Tg5 Clemente Mimun, in una lettera al quotidiano 'il Messaggero'. "Avevo previsto un fine settimana di due-tre giorni in Umbria nelle quiete di casa Mogol, ma dopo neanche una giornata e mezza, ho deciso di rientrare a Roma, al Tg5: troppa inquietudine - continua - E purtroppo la mia sensazione si è rivelata giusta.

La notizia della sua morte mi ha colpito profondamente, ho avvertito tristezza e un grande vuoto, quel che capita a chi perde un amico caro. Eppure Berlusconi è stato a lungo il mio editore, poi un politico di successo, il presidente di un Milan che ha anche scippato uno scudetto alla mia Lazio, oltre a comprare - ma salvando la società del mio cuore - dai biancocelesti Alessandro Nesta, uno dei migliori difensori del mondo". 

"Ma siamo diventati presto amici, anche se ho sempre mantenuto un atteggiamento di rispetto nei suoi confronti. Berlusconi - lo hanno ammesso tutti - era uomo che accorciava le distanze, faceva prevalere il rapporto umano, era profondamente buono, educato e gentile - sottolinea Mimun - E poi nei momenti di difficoltà degli altri c'era, eccome. Non tanto per le sue disponibilità economiche, ma perché si interessava davvero ai problemi degli altri, consigliava e sapeva infondere coraggio".

"Capitò con un giovane giornalista del Tg5, condannato a pochi mesi di vita a causa di un male incurabile. Io pensai di liberarlo dall'impegno quotidiano, per farlo stare accanto alla moglie e alla sua famiglia - ricorda Mimun - Lo raccontai al presidente che mi disse: fammi chiamare, o digli di venirmi a trovare quando vuole. Lo incontrò e lo invitò a continuare a darsi da fare per non farsi schiacciare dalla tristezza e dall'angoscia. 

Lui, si chiamava Matteo Mastromauro, gli diede ascolto, non mollò e riuscì a vivere altri quattro anni, invece dei pochi mesi previsti dai medici. Prevalse la forza di volontà". "Io stesso fui confortato da Berlusconi nel momento più difficile della mia vita. Nel 2012 un ictus mi mise al tappeto. Non parlavo, farfugliavo. 

Avevo la bocca storta e un occhio mezzo chiuso e, soprattutto, non potevo camminare, avendo tutta la parte sinistra del corpo paralizzata - prosegue - Dopo sei giorni di coma indotto, al mio risveglio, chiamai Marinella (la storica assistente di Berlusconi) e le chiesi di farmi parlare col presidente.

Era in mezzo ad una riunione di governo molto delicata, ma, poiché avevo detto che era urgentissimo, mi rispose. Gli raccontai quel che mi era capitato e lo pregai di sostituirmi al telegiornale, perché avevo di fronte una lunga ed incerta convalescenza". "Replicò: 'Cerco di venirti a trovare domani' - riferisce Mimun – 

Puntuale come un orologio svizzero, preceduto da un solo agente di scorta in borghese, lui, vestito con una semplice tuta e un paio di sneakers piombò nella mia stanza e chiese al presidente della clinica Santa Lucia di convocare una riunione dei neurologi e fisioterapisti che mi avrebbero seguito. Ascoltò la diagnosi e dispensò una serie di consigli ai medici.

Primo suggerimento tra tutti: non limitarsi a tre ore di fisioterapia alla settimana, ma ad almeno un'ora al giorno dal lunedì al sabato. E cosi' fu, non solo per me, ma per tutti i ricoverati, che ne trassero, naturalmente un gran giovamento". 

"Finita la riunione provò a riaccompagnarmi in stanza, ma fu assalito da una moltitudine di persone che chiedevano selfie ed autografi. Gentilmente declinò ogni invito ('Per favore no, sono venuto a trovare un amico, non a fare campagna elettorale'), ma non potè sottrarsi alla preghiera dei molti che chiedevano di andare a salutare i loro congiunti malati.

Il giro durò un'ora e mezza. Berlusconi carezzò e confortò vecchi e giovani vittime di guai neurologici o di incidenti spaventosi", ricorda il direttore del Tg5. "Poi mi riaccompagnò in stanza. Gli chiesi di nuovo di sostituirmi alla direzione del Tg5, per potermi dedicare completamente alla riabilitazione - conclude - Lui uscì dalla stanza fece una telefonata e 10 minuti dopo arrivò un impiegato Mediaset con un personal computer dotato di telecamera. Berlusconi lo mise su un tavolino e mi disse: 'Le riunioni puoi farle anche da qui, buon lavoro e fatti sentire'. Chissà se uomini così ce ne sono molti. Io ne dubito".

L’uomo-icona che «sentiva» l’Italia più vera. Maurizio Belpietro su Panorama il 20 Giugno 2023

In edicola, con Panorama e La Verità, un volume speciale dedicato a Silvio Berlusconi e a come il settimanale Panorama lo ha raccontato sulle sue pagine in tutte le sue fasi della vita. 

Era il 25 aprile di 14 anni fa. Tre settimane prima un terremoto aveva raso al suolo L’Aquila e molti paesi dell’Abruzzo. Silvio Berlusconi aveva deciso di commemorare la Festa della Liberazione fra le macerie, per richiamare la necessità di unire l’Italia nella sfida della ricostruzione. Ricordo le immagini del presidente del Consiglio che, con il fazzoletto partigiano al collo, abbracciava le persone e prometteva a una pensionata senza dentiera un aiuto per pagarsi il dentista. Credo che quello abbia rappresentato il punto di massimo consenso raggiunto dal Cavaliere. Così come ricordo la scena di Berlusconi fra la gente, ho memoria anche di un collegamento con Dario Franceschini dai medesimi luoghi. A quell’epoca il parlamentare ed ex ministro del Pd era il segretario del partito, carica che aveva occupato quando dopo l’ennesima sconfitta elettorale Walter Veltroni aveva deciso di farsi da parte. Prima che iniziassero le riprese ufficiali, Franceschini se ne stava in silenzio, impettito fra la folla, aggiustandosi la cravatta. Tra lui e i terremotati c’era un muro invisibile. In attesa della diretta, era palpabile la separazione tra i due mondi: quello del compagno segretario e quello della gente rimasta senza casa. Non c’era empatia, non c’era umana solidarietà. Solo freddezza: una scena da eseguire per ragioni di copione televisivo. Il contrario di quanto avevano trasmesso nelle abitazioni di milioni di italiani le immagini del Cavaliere in mezzo alla folla. Ecco, se si vogliono capire le ragioni dello straordinario successo politico di Berlusconi e l’incredibile durata del consenso di cui ha goduto per anni bisogna partire da lì, da Onna, e da quel 25 aprile che celebrò il suo quarto ritorno al governo, dopo la parentesi durata appena due anni del secondo Romano Prodi. Il Cavaliere sapeva entrare in sintonia con le persone, anche con quelle più semplici. Aldo Cazzullo, sul Corriere, ha notato la curiosa contraddizione di un ricco che piaceva ai poveri. Per anni la classe operaia era andata in sezione, poi con Berlusconi aveva scelto di andare in paradiso, perché se il Pci e la Cgil propugnavano un futuro di lotte, il padrone di Mediaset, l’uomo che aveva inventato in Italia la tv commerciale, assicurava un futuro più roseo, con meno tasse, più diritti, garantendo che con lui sarebbero stati tutti padroni in casa propria. Sì, la sinistra voleva fare la rivoluzione, ma poi precisava che la rivoluzione non è mai un pranzo di gala e dunque serviva prepararsi a soffrire. Il fondatore di Forza Italia invece non solo prometteva una rivoluzione liberale, che già suona meglio, ma in sovrappiù aggiungeva che sarebbe proprio stato un pranzo di gala, dove tutti avrebbero potuto stare meglio. Qualcuno per questo lo ha accusato di populismo, ma ad imputargli di fare promesse non realizzabili era una sinistra che fino al giorno prima aveva illuso i suoi sostenitori con il Sol dell’avvenir, assicurando una redistribuzione di ricchezza che non è mai arrivata in nessun Paese socialista, ma anzi ha condannato le classi più povere a un ribasso dei redditi. Berlusconi conquistò i ceti popolari, mentre la sinistra si accaparrò le élite. I giornali lo disprezzavano, i giudici lo inseguivano, ma la maggioranza degli italiani votava per lui, perché a differenza degli abitanti delle cosiddette Ztl parlava un linguaggio comprensibile e diretto. Niente discorsi da prima repubblica, nessuna convergenza parallela, nessuna genuflessione nei confronti dell’establishment, ma un rapporto diretto con il suo elettorato, al quale parlare non in una sezione, bensì direttamente in tv, spazzando via le noiose tribune politiche per sostituirle con un’informazione vivace, i cosiddetti talkshow. Berlusconi ha ribaltato i canoni della politica, mettendo il suo nome e la sua vita in prima fila. Se il personale è politico, come una volta dicevano quelli di sinistra applicando l’ideologia anche alle storie private, la sua vita era non solo un romanzo, ma anche un sogno da seguire in diretta, meglio di una delle soap opera con cui aveva fatto ricche le sue televisioni. Silvio Berlusconi non era solo popolare, ma era un’icona pop che travalicava la politica per identificarsi con i costumi. Anni fa, dopo la sconfitta del 2006, era entrato in una sorta di depressione da astinenza del potere, tanto che si cominciò a parlare della possibilità che passasse la mano. Ricordo che ad un certo punto parve crescere la stella di Maria Vittoria Brambilla, che, si diceva, avrebbe potuto anche essere candidata dal Cavaliere come futuro presidente del Consiglio. Poi, all’improvviso tutto cambiò e Berlusconi tornò a essere il leader che tutti hanno conosciuto. Ricordo che in quei giorni, incontrandolo a Macherio, nel meraviglioso gazebo in vetro che la moglie Veronica aveva fatto erigere in mezzo al prato, gli chiesi che cosa lo avesse ritemprato. «Vedi», mi spiegò, «settimane fa sono stato invitato a chiudere la campagna elettorale a Lucca, dove si votava per il sindaco. E mentre lasciavo il palco ho sentito una donna che mi chiamava urlando più volte il mio nome. Mi sono girato e ho visto che teneva tra le braccia un bambino. Voleva che mettessi la mano sulla testa di suo figlio». Quel giorno gli bastò per sentirsi un po’ papa e da lì in poi, ripreso il contatto con il suo elettorato, tornò il Berlusconi di sempre fino alla fine.

Il ritratto di Silvio Berlusconi, una figura archetipica del Paese. Capriccioso, gaudente, vanitoso, il Cavaliere è stato un po’ Rigoletto, un po’ interprete della commedia all’italiana. Filippo La Porta su L'Unità il 20 Giugno 2023

A proposito di Silvio Berlusconi ho ascoltato in questi due giorni un profluvio di discorsi, alcuni molto celebrativi – fino alla agiografia – altri puntuti e critici, a riprova di una libertà di espressione che continua a essere una delle qualità del nostro dibattito pubblico e che è la migliore smentita a chi parla di democrazia autoritaria. Ora, non essendo un cronista politico, e invece appassionandomi la storia e descrizione degli “stili”, vorrei limitarmi a un commento che riguarda l’aspetto antropologico del berlusconismo.

Piero Gobetti ha detto che il fascismo rappresentava l’autobiografia della nazione, qualcuno lo ha ripetuto per Berlusconi, sdoganatore dei vizi nazionali, fedele interprete della commedia all’italiana cinematografica (una volta Cesare Garboli osservò che al suo repertorio mancava solo di fare “il gesto dell’ombrello” con il braccio, come Sordi nei Vitelloni). Non nego che pezzi anche consistenti di fascismo e berlusconismo si trovino nel nostro Dna, però credo che la veridica autobiografia degli italiani l’abbia scritta soltanto la Dc, la quale infatti ha governato il nostro paese per cinquant’anni, non per un ventennio e neanche per i cinque o sei anni sparsi dei governi Berlusconi. È vero, la nostra storia è costellata di guerre civili, municipalismi, lotte fratricide tra gli staterelli (contro cui protestò già Petrarca in “Italia mia, benché il parlar sia indarno”).

Ma a ben vedere, gli italiani, anche memori di questo passato, sono diventati assai più accomodanti, opportunisti per quieto vivere e saggiamente flessibili di quanto non siano faziosi e rissosi. E passiamo a Berlusconi. Sappiamo che i due animali simbolici cui per Machiavelli doveva conformarsi l’azione del Principe erano il leone e la volpe, la forza e l’astuzia. Il leone, o “lione”, aveva non solo virilità e ferocia ma anche socievolezza, mentre la volpe è più fredda e calcolatrice. Bene, chi potrebbe obiettare a Berlusconi che non fosse “socievole”? Spiritoso, friendly e compagnone con tutti, e specie con gli esponenti del “popolo”(in TV, lo ricordava Santoro, fraternizzava con macchinisti e operai!).

Sempre di buonumore e con la inesauribile voglia di scherzare. Eppure nel suo stile politico più ancora che nei programmi, e almeno fino all’ultima, diversissima fase (invece improntata a ecumenismo irenico), si annidava una componente estremista che non appartiene davvero al carattere degli italiani (e che probabilmente lui avrebbe giustifi cato in parte come simmetrico a quello dei suoi persecutori). Si potrebbe parlare di un “estremista di centro”. Dovete immaginare un prepotente Duca di Mantova, dunque un libertino perlopiù capriccioso, gaudente, vanitoso, ma con il gusto insolente della buffoneria di Rigoletto.

Penso alle battute gratuitamente sprezzanti rivolte agli avversari politici – fianco sui loro presunti difetti fisici – dei quali avversari ci dispensava volentieri imitazioni perfidamente divertite, o alla spavalderia con cui rivendicava con puntiglio un poco infantile anche le gaffe più indifendibili (cito a memoria: “È vero che i comunisti mangiano i bambini, in Cina accade, ne ho le prove!”). Tutto questo, beninteso, esprimeva una energia tellurica – appunto l’affascinante Duca di Mantova – che ipnotizzava e stregava, anche perché senza alternativa. Nessuno era bravo come lui a occupare la scena. E, si sa, il nostro è un paese che ama il teatro, in qualsiasi ambito.

Eppure dopo la prima straordinaria ondata di consensi e l’exploit elettorale di Forza Italia, la sua energia performativa non ha convinto gli italiani proprio per quell’estremismo al fondo divisivo – dark side della convivialità allegramente informale – che oggi sentiamo come estraneo, inadeguato. Se ne è accorto probabilmente a tempo scaduto. Per essere un grande statista, un politico visionario e saggio, e un “principe” capace di governare a lungo il conflitto, Berlusconi ha corretto la rotta troppo tardi. In questo senso Giorgia Meloni, che non è affatto la sua erede politica, che lo ha combattuto aspramente (ricambiata), e che viene da tutt’altra storia (assai più di destra e illiberale), ha però trovato il terreno spianato antropologicamente dallo “stile” di Berlusconi, un terreno impastato di veleni, divisioni e odi malcelati. Filippo La Porta 20 Giugno 2023

Estratto dell’articolo di Silvia Fumarola per repubblica.it il 24 giugno 2023.

Iva Zanicchi lo ripete: "Guardi, io ho voluto veramente bene a Silvio. Gli sono riconoscente, non posso che parlarne bene". 

Parliamone.

"Intanto era generosissimo, capiva le persone e vedeva lontano perché era un visionario. Ai tempi di Ok il prezzo è giusto, non avevo mai pensato di fare la conduttrice. E glielo dissi chiaro e tondo: 'Ma che c'entro? Io canto, ho sempre e solo cantato'. Ma per lui ero quella giusta e non cambiò idea". 

Che le disse?

"Mi convocò - era il 1986 - e mi spiegò perché secondo lui ero perfetta per la trasmissione: 'Hai una grande capacità di comunicare con la gente, provaci. Lo fai per un paio di mesi, poi se non va pazienza, è un'esperienza. Secondo me ti diverti'. Era bravo a convincere le persone. Un paio di mesi... Sono rimasta a fare il programma dodici anni. Aveva visto lungo".

In cosa era diverso dagli altri?

"Era empatico, gli piaceva il contatto con la gente, era curioso. Sapevo tutto delle persone che lavoravano con lui. All'epoca feci anche altri programmi, che non hanno avuto successo come Ok il prezzo è giusto e anche serate musicali. Lui c'era sempre. Era così generoso, le racconto una cosa per farle capire".  

(...) L'ultima telefonata me l'ha fatta quando ho finito Ballando con le stelle. 'Non sapevo che fossi una grande ballerina, sei stata bravissima. Però le barzellette le racconto meglio io'. Ho scherzato: 'Attento che ora vado alla Scala'. È vero che raccontava le barzellette, ma le sue erano sempre le stesse, però. Poi fu veramente carino, salutandomi mi disse: 'Devi tornare a casa, e fare un grande spettacolo per noi'". 

Lei ha fatto anche politica. Come la consigliò? 

"Veramente ho fatto politica contro la sua volontà, mi disse solo: 'Hai l'amore della gente, perché vuoi farlo? Hai un gioco che ti ha dato la popolarità, l'affetto di tante persone, arriveranno le beghe, le cattiverie: sei proprio sicura? Ti candido ma ti arrangi da sola'. E io gli ho fatto vedere che la gente sapevo conquistarmela, sono andata per mercati, ovunque. Lui rimase colpito. E sono andata in Europa".

(...)

Le Cause.

Quando Scapagnini disse: «Berlusconi è tecnicamente immortale». Storia di Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera il 30 giugno 2023.

Caro Aldo, Umberto Scapagnini, che era il suo medico personale, aveva definito «Berlusconi tecnicamente immortale» grazie al suo elisir di lunga vita. Possiamo dedurne che entrambi si sbagliavano? Franco Bissi, Roma

Caro Franco, Sono un po’ responsabile di quell’espressione. Era un periodo in cui mi capitava a volte di intervistare i personaggi-chiave del berlusconismo, e di riferire le loro immaginifiche lodi al capo. Ricordo ad esempio Pietro Lunardi dire che con Berlusconi si sarebbe ritrovato lo spirito dei grandi costruttori, «tipo Cheope» (fallii invece nel fargli dire che il Ponte sullo Stretto si sarebbe dovuto intitolare a Berlusconi; Lunardi pensava agli «Italiani nel mondo»). Enrico La Loggia fece tutto da solo: assistetti a un comizio in cui annunciava che gli anni si sarebbero contati da prima e dopo il governo Berlusconi, tipo Gesù. La cosa divertente di quegli articoli era che gli antiberlusconiani ne traevano conferma delle loro convinzioni, sulla megalomania di Berlusconi e la piaggeria dei suoi uomini; ma ai berlusconiani tutto pareva naturale, financo giusto. Era il 2004 e Umberto Scapagnini era sindaco di Catania. Andai a trovarlo nei giorni della festa di sant’Agata, inizio febbraio. L’elisir era questo: «Provitamine, antiossidanti, immunostimolanti, enzimi, amminoacidi, e soprattutto minerali, magnesio e selenio attivato. Gli stessi che assorbono i centenari che ho incontrato sulla via della Seta, a Sud di Urumqi e nelle oasi tra il deserto del Taklamakhan e il Gobi — raccontò —. Poi un olio particolare, un certo yogurt», e quasi nessuno dei segreti che avevano alimentato suggestioni da alchimia medievale, criniera di unicorno, lacrime di vergine, rugiada delle notti di plenilunio. «Il criterio è rigorosamente scientifico — sosteneva Scapagnini —. C’è un metodo per calcolare la differenza tra l’età anagrafica e l’età biologica, tra i dati teorici e l’effettiva attività mentale, fisica, sessuale». Lui, Scapagnini, per l’anagrafe aveva allora 62 anni, che in realtà erano undici di meno. Berlusconi ovviamente era meglio: meno 12. Il record apparteneva a Mike Bongiorno: meno 17. Ovviamente nessuno di loro era tecnicamente quasi immortale; però insomma un po’ di chiasso in questi anni l’hanno fatto.

Berlusconi, il racconto delle ultime ore e l'improvviso aggravamento. Il Tempo il 12 giugno 2023

L’allarme per Silvio Berlusconi è scattato all’alba all’ospedale San Raffaele. Il leader di Forza Italia, ricoverato di nuovo dal 9 giugno nell’Irccs milanese (non in terapia intensiva), si è aggravato in maniera improvvisa, veloce e abbastanza inaspettata, secondo le prime informazioni, riferite dall’Adnkronos, che filtrano dall’ospedale. Un evento acuto - legato alla malattia con cui l’ex premier conviveva da circa due anni, la leucemia mielomonocitica cronica, e a una produzione del midollo osseo non più equilibrata - ha cambiato il quadro in maniera repentina. Del resto, già venerdì 9 giugno gli esami a cui il leader azzurro veniva costantemente sottoposto per un monitoraggio attento della patologia ematologica avevano dato dei segnali precisi. La Tac invece non aveva evidenziato altre patologie ed escludeva anche segni che potevano avere a che fare con la polmonite (il problema che nel precedente ricovero, conclusosi appena 20 giorni prima, lo aveva portato in terapia intensiva per una decina di giorni). 

I valori emersi dagli esami di controllo avevano portato comunque alla decisione di anticipare, secondo quanto riportava il bollettino, i controlli programmati per la leucemia e di procedere al ricovero. Poi l’aggravamento nelle prime ore del mattino di oggi. La macchina di Alberto Zangrillo, direttore delle Terapie intensive generale e cardiochirurgica dell’ospedale San Raffaele di Milano e medico dell’ex premier, viene intravista all’alba arrivare in via Olgettina. Il legame del camice bianco con Berlusconi è anche personale, come ha avuto modo di spiegare, ripetendolo proprio di recente durante il ricovero di aprile, quando lo aveva definito «un grande amico» e aveva aggiunto: «Non posso negare anche un grande coinvolgimento personale». 

Poche le dichiarazioni del medico in quei giorni, segno della difficoltà del momento. Questa mattina presto, anche i figli di Berlusconi e il fratello Paolo sono accorsi in ospedale, dove si trovava già la compagna del leader azzurro, Marta Fascina, sempre al suo fianco. Subito dopo il loro arrivo, intorno alle 9.30, Berlusconi è morto, lasciando la famiglia e tutti i fedeli elettori ad 86 anni.

Com’è morto Silvio Berlusconi, la malattia e gli ultimi ricoveri: poi l’ultimo saluto dei sui cari. Redazione Web su L'Unità il 12 Giugno 2023

Alle 9.30 di lunedì 12 maggio l’annuncio: è morto Silvio Berlusconi. Aveva 86 anni. Il leader di Forza Italia se ne è andato dopo essere stato nuovamente ricoverato al San Raffaele venerdì ufficialmente per controlli di routine. Berlusconi negli ultimi mesi era stato ricoverato a lungo destando non poca preoccupazione tra i suoi. Poi, di prima mattina, sono arrivati a stretto giro Paolo Berlusconi e poco dopo a bordo di auto diverse i figli Marina, Eleonora, Barbara e Pier Silvio Berlusconi. E allora è stato chiaro che per lui non c’era più niente da fare.

Il fondatore del partito, classe 1936, il 29 settembre prossimo avrebbe compiuto 87 anni. Era tornato al San Raffaele lo scorso venerdì, dopo un lungo ricovero — di 45 giorni — terminato poche settimane fa, a causa di una polmonite e di una forma di leucemia mielomonocitica cronica. Sembrava che stesse meglio dopo quel lungo periodo trascorso in parte in terapia intensiva dal 5 aprile. Poi il 16 aprile era stato trasferito nel reparto di degenza ordinaria.

Berlusconi “ – si leggeva nel bollettino diffuso dai sanitari – è attualmente ricoverato in terapia intensiva per la cura di un’infezione polmonare. L’evento infettivo si inquadra nel contesto di una condizione ematologica cronica di cui egli è portatore da tempo: leucemia mielomonocitica cronica, di cui è stata accertata la persistente fase cronica e l’assenza di caratteristiche evolutive in leucemia acuta”, si legge in una nota del San Raffaele firmata dai professori Alberto Zangrillo e Fabio Ciceri. La strategia terapeutica in atto, si leggeva ancora nella nota, “prevede la cura dell’infezione polmonare, un trattamento specialistico citoriduttivo mirato a limitare gli effetti negativi dell’iperleucocitosi patologica e il ripristino delle condizioni cliniche preesistenti”.

Già a marzo aveva destato preoccupazione un suo ricovero sempre al San Raffaele. In quella occasione sarebbe stata la compagna Marta Fascina ad accompagnare il leader di Forza Italia in ospedale a seguito di un malore. L’agenzia Ansa aveva scritto a stretto giro che Berlusconi era stato ricoverato a causa di problemi cardiovascolari e che era arrivato in ospedale “con affanno respiratorio”. Adnkronos aveva invece parlato di “un’infezione con affaticamento respiratorio” che i medici stavano trattando con un terapia antibiotica. Il Corriere della Sera ha scritto che l’ex premier era ricoverato in condizioni delicate ma stazionarie, in terapia intensiva cardiochirurgica, per una polmonite. Si profilava qualche giorno di ricovero, lo staff aveva fatto sapere che non ci sarebbe stato alcun bollettino medico. Berlusconi era stato sottoposto a una tac.

“Silvio Berlusconi parla ed è stato ricoverato perché non era stato risolto il problema precedente”, aveva dichiarato nelle prime ore del pomeriggio il ministro degli Esteri Antonio Tajani, coordinatore nazionale di Forza Italia. “Ringrazio tutti coloro che in questi giorni hanno voluto dedicarmi un pensiero di vicinanza e affetto – aveva scritto dopo le dimissioni – sono già tornato al lavoro sui temi principali di questi giorni, pronto e determinato a impegnarmi, come sempre ho fatto, per il Paese che amo“. Poi la drammatica notizia che ha scosso il mondo della politica e non solo.

Di cosa è morto Berlusconi e gli ultimi giorni: ha visto la finale di Champions e fino alla fine ha lavorato sui dossier. Simona Ravizza su Il Corriere della Sera il 13 Giugno 2023

Ricoverato con i globuli bianchi alle stelle: fatale la leucemia «Ma la morte non era nei suoi progetti» e ha dettato appunti finché ha potuto. Poi il tracollo nella notte tra domenica e lunedì

Chi gli sta vicino fino all’ultimo sa che Silvio Berlusconi teme la morte, ma non l’aspetta. Il leader di Forza Italia e fondatore di Mediaset non pensa mai che può davvero essere finita: «Non era tra i suoi progetti». Gli infermieri che lo assistono 24 ore su 24 negli ultimi 21 giorni trascorsi a Villa San Martino ad Arcore, e poi dal 9 giugno ancora al San Raffaele, usano rispetto nel definirlo «ossessionato». Il pensiero sempre lì, alla riorganizzazione di FI. E la preoccupazione costante per il conflitto in Ucraina e una sua eventuale degenerazione in scontro nucleare. Anche nelle sue ultime ore, Berlusconi è quello che il medico di fiducia Alberto Zangrillo, in occasione di uno dei suoi innumerevoli ricoveri nel giugno 2016, definisce «un leone che non si può tenere in gabbia». Con il suo bisogno di essere un uomo del popolo. Di qui il lavoro, fino alla fine.

Un paziente consapevole ma combattivo

Da paziente l’ex premier è da sempre razionale: più volte — dall’intervento a cuore aperto del giugno 2016 dopo il malore causato da un’insufficienza aortica, fino alla battaglia contro il Covid nel settembre 2020 — ha la consapevolezza che la situazione può sfuggire di mano, allo stesso tempo s’affida ai medici con la volontà di farcela. Ed è così anche venerdì 9 giugno alle 15 quando ritorna al San Raffaele ad appena 21 giorni di distanza dall’ultimo ricovero, il più lungo, il più difficile, quello tra il 5 aprile e il 19 maggio. Di nuovo i suoi esami sono fuori controllo: globuli bianchi alle stelle, piastrine impazzite. Il corpo che non regge più. M a lui non vuole mollare: continua a prendere appunti Silvio Berlusconi, li fa battere, poi li corregge. È il suo modo, forse, di esorcizzare la morte: di certo, il suo desiderio è di essere fino alla fine un uomo impegnato per l’Italia. Zangrillo avrebbe voluto mandarlo in pensione, a godersi ciò che ha costruito, già dopo l’intervento al cuore, che cadeva sette anni fa in questi stessi giorni, il 14 giugno. Non ce l’ha fatta allora a convincerlo e stavolta viene da pensare che il medico non ci abbia neppure provato.

Il «pit-stop» ospedaliero

Nel lungo fine settimana che si conclude con la morte dell’ex premier, alle 9.30 di ieri, la speranza è quella di un pit-stop ospedaliero: controlli medici tipici per chi soffre di leucemia già programmati, ma anticipati alla luce dei risultati degli esami del sangue. Poi la tac ai polmoni che, dopo la polmonite per cui l’ex premier aveva già rischiato di morire, adesso sono puliti; un esame anche al cervello per precauzione massima. L’insufficienza renale superata. Nonostante ciò il pit-stop si trasforma in un ricovero di cui, appare subito chiaro, non è possibile prevedere la durata.

La finale di Champions League

La vita appesa a un filo. Ma, anche nelle ultime ore, lo sguardo gli si illumina ogni volta che guarda i suoi figli, con i quali condivide la passione per il calcio. Ancora sabato, il leader di FI vuole vedere la finale di Champions League tra l’Inter e il Manchester City. Non c’è più quella solitudine che tanto gli pesava durante il ricovero per il Covid di quasi due settimane, nel settembre 2020.

Il peggiorare della leucemia

La sua condanna è la leucemia, diagnosticata per la prima volta agli inizi di dicembre 2021 e che, tranne una pausa per Natale, lo tiene in ospedale anche nel gennaio 2022, in concomitanza con le elezioni del presidente della Repubblica. Un ricovero in quel momento giustificato come solo un’infezione alle vie urinarie. Allora la malattia appare in forma cronica, quasi una patologia senile. Poi, gli episodi acuti, l’ultimo dei quali gli è fatale. Come già successo a due suoi fraterni amici: il presidente di banca Mediolanum Ennio Doris e l’avvocato Niccolò Ghedini.

Il tracollo improvviso

Il paradosso è che la sua morte in qualche modo se l’aspettano tutti, eppure sorprende tutti. Solo venerdì Zangrillo insieme con l’onco-ematologo Fabio Ciceri firma un bollettino per dire che la situazione non desta allarmi né criticità. Il tracollo è improvviso, nonostante la sua prevedibilità. La situazione clinica di Silvio Berlusconi precipita nella notte tra domenica e lunedì. L’auto di Zangrillo che varca alle 4 i cancelli del San Raffaele è il segnale più temuto. Già poco prima delle 6 si capisce che questa volta — al contrario di tutte le altre — l’ex premier può non farcela. Tanto che i figli fanno appena in tempo ad arrivare per salutarlo.

Le sfide con la morte

Difficile non pensare adesso a tutte le volte in cui il leader di Forza Italia vince la sfida con la morte. «È stata una prova molto dolorosa» (giugno 2016). «Grazie al cielo e alla professionalità dei medici ho superato quella che considero la prova più pericolosa della mia vita» (settembre 2020). «È stato un periodo angoscioso e difficile, ma dopo il buio ho vinto ancora. Non mi sono mai sentito solo e ho continuato a nutrire speranza e fiducia. L’incubo è finito» (maggio 2023). In una narrazione che, come ripetuto più volte, assume ormai una connotazione con richiami al miracoloso. «Silvio Berlusconi mi ha chiesto di farlo campare fino a 150 anni per mettere a posto l’Italia», rivela del resto un giorno in un’intervista don Luigi Verzé, fondatore dell’ospedale San Raffaele, quando il sacerdote condivide con Berlusconi il sogno di un ospedale dedicato alla Medicina predittiva. E, quando il 13 dicembre 2009 da premier viene colpito al volto con una statuetta souvenir in Piazza Duomo a Milano, si accascia, viene fatto sedere all’interno della sua vettura dalle guardie del corpo, ma poi torna un attimo fuori dall’auto per farsi vedere, per far capire che è vivo, prima di risalire sulla macchina ed essere trasportato in ospedale.

Le ultime apparizioni in pubblico

Non è mai stato facile per il fondatore di Mediaset darsi una misura nell’affrontare la malattia, anche a costo di apparire in pubblico con tutti i segni della fatica, come nei video trasmessi alla convention di FI il 6 maggio e quello con l’invito a votare per le elezioni amministrative del 14 e 15 maggio. E anche nei momenti più difficili non mancano le battute all’infermiera, il cenno di sorriso a chi gli fa la tac, l’impegno per tornare a camminare senza il deambulatore, gli esercizi di riabilitazione respiratoria. «Forza Presidente, ce l’abbiamo fatta tante volte...», si sentiva dire ancora ieri mattina.

I Necrologi.

Berlusconi, il necrologio di De Benedetti: «Indomito combattente». Storia di Claudio Del Frate su Il Corriere della Sera il 13 giugno 2023.

E alla fine è arrivato anche l’onore delle armi da parte del «nemico» di una vita: «Sentite condoglianze a un indomito combattente» recita il lapidario necrologio per Silvio Berlusconi che compare sul Corriere di oggi. E poi la firma che non ti aspetti: Carlo De Benedetti. C’è anche lui tra i tantissimi hanno voluto onorare e ricordare con un «obituary» la figura del Cavaliere morto lunedì.

L’Ingegnere contro il Cavaliere, la Cir dell’ex patron di Olivetti contro la Fininvest dell’uomo di Arcore. E poi ancora il personaggio amato dai salotti chic di sinistra contro il «parvenu» dai modi troppo esibiti. Il duello tra De Benedeti e Berlusconi ha occupato la cronache politico finanziarie per oltre un ventennio. Anche in tempi recenti erano volate parole al vetriolo («Berlusconi ha fatto affari con Putin» le parole di De Benedetti dopo lo scoppio della guerra) , segno di una rivalità che il tempo non aveva contribuito a smorzare.

Almeno la morte ha contribuito a far riemergere un rispetto che - chissà - forse è sempre esistito. Il arriva da Lugano: «Carlo De Benedetti porge sentite condoglianze alla famiglia di Silvio Berlusconi, indomito combattente» è il testo del necrologio che sembra chiudere un duello esploso negli anni ‘80.

Agevolazioni per pensi...

«La guerra di Segrate» fu ribattezzato il conflitto che vide contrapposti sulla scena pubblica ma soprattutto nei tribunali il Cavaliere e l’Ingegnere. Riguardò il controllo della casa editrice Mondadori che alla fine degli anni ‘80 è in mano a tre soggetti: la famiglia Formenton (erede del fondatore Arnoldo Mondadori), la Cir di De Benedetti e Berlusconi, che nel frattempo ha acquisito Retequattro. Formenton prima raggiunge un accordo di cessione all’ingegnere, poi cambia idea e vende le sue quote a Fininvest.

Per dirimere la lite Interviene un lodo arbitrale («lodo Mondadori», per l’appunto) che il 20 giugno 1990 dà ragione a De Benedetti. Ma la Corte d’Apello di Roma ribalta il verdetto riconsegnando la casa editrice di Segrate a Berlusconi, Parte anche un processo per corruzione dei giudici dal quale Berlusconi esce per prescrizione ma che si trascina a carico degli altri imputati (tra cui l’avvocato di Fininvest Cesare Previti ). Nel 2007 la Cassazione conferma che la sentenza favorevole a Berlusconi sulla Mondadori fu frutto di una corruzione e nel 2013 condanna il gruppo a risarcire oltre 500 milioni di euro a De Benedetti.

Una prima moglie è per sempre. Cremlinologia del berlusconismo attraverso i necrologi sul Corriere. Guia Soncini Linkiesta il 14 Giugno 2023

La lunga vita del Cavaliere ha lasciato meno domande di quelle dei Borgia, ma in realtà sappiamo poco della sua formazione sentimentale. Forse a capire chi era importante e chi comanderà ci può aiutare Pupi Avati

L’unica cosa che vorrei sapere è: chi è la Paola Zuccotti di Berlusconi? Non perché ritenga che dietro ogni grande uomo ci sia una grande donna (peraltro non so come siano fatti, né i grandi uomini né le grandi donne, e chi decida che sono tali), ma perché come tutti sono bramosa di pettegolezzi biografici.

Dei necrologi di Silvio Berlusconi sul Corriere ho notato le cose che avete notato anche voi. Innanzitutto quello della prima moglie messo lassù in alto, per primo, a sancire un principio che tutti gli italiani conoscono: una prima moglie è per sempre.

L’autobiografia di Marcella De Marchis Rossellini s’intitolava “Un matrimonio riuscito” nonostante i due si fossero separati dopo sei anni e nonostante, di Roberto Rossellini, tutti ricordino soprattutto il successivo matrimonio con Ingrid Bergman; figuriamoci se Carla Elvira Dall’Oglio, madre di Marina e di Piersilvio, gli unici due figli di Berlusconi sui cui nomi non ci confondiamo, non fa il primo necrologio.

Poi la presenza di Marina in un numero di necrologi molte volte superiore a quelli in cui compare Piersilvio; non so se, mentre leggete, la situazione si sarà pareggiata: il Corriere ha scritto che i necrologi ieri non ci stavano tutti e una parte verrà pubblicata oggi, il che significa che Silvio muore e a risorgere sono gli incassi dei giornali.

So però che tutti corrono a porgere le loro condoglianze a Marina con la prontezza con cui nel film andavano da Michael Corleone, mica da suo fratello o da sua sorella: una prima moglie è per sempre, ma pure un capofamiglia.

In un’intervista d’un paio di mesi fa a Repubblica, il regista Pupi Avati, nato due anni dopo Silvio Berlusconi, raccontava di Paola Zuccotti, la ragazzina che seguiva nel 1952. La seguiva nel senso che la forma di corteggiamento era quella: lei nel pomeriggio faceva i suoi giri, e tu la seguivi, senza rivolgerle mai la parola. E infatti nella strepitosa ricostruzione Avati dice che non aveva idea di che voce avesse, la Zuccotti, pur avendola seguita per due anni.

«In due anni, non si è mai girata una volta. È questo che mi è rimasto nel cuore. Questa mancanza di reciprocità fa sì che una persona ti resti dentro». Dopo aver sospirato di sollievo perché i giornali non li legge più nessuno e nessuno accuserà Avati di stalking, io sono rimasta col desiderio di sapere le Zuccotti di gioventù di tutti gli uomini d’altri tempi.

Chi era la Zuccotti di Silvio? Ci aveva mai ripensato? Anche lui, come Avati, ci era rimasto malissimo quando gli avevano detto che era morta? Forse saprei tutto se non fossi stata una ventenne scema che non pensava di dover conservare “Una storia italiana” (mi toccherà ricomprarlo su eBay pagandolo come un appartamento). Invece, mi rendo conto col pentimento di quando muore David Bowie e ti tocca andare a comprare i cd perché chissà che fine hanno fatto e sembri una parvenue che lo ascolta solo da morta, non so nulla della formazione sentimentale di Silvio.

E pochissimo anche del presente. Delle vicende degli ultimi anni, quella che mi aveva più appassionato era, all’inizio dello scorso decennio, Nadia Macrì, che in tv raccontò che, la prima volta che si erano visti, lui come un vero gentiluomo aveva chiesto cosa facesse lei nella vita, e lei aveva risposto: «Presidente, cosa vuole che faccia: le marchette».

Poi Ruby, che è impossibile non sapere e che lunedì ha pubblicato una storia su Instagram con un cuore spezzato, un po’ come Avati quand’è morta la Zuccotti (ma Avati non si esprime a mezzo disegnini, c’è un divario generazionale). L’anno scorso girava per editori la proposta d’un’autobiografia di Ruby che credo nessuno abbia ancora pubblicato. Il dettaglio migliore era lei che telefona entusiasta alla madre dopo quella prima sera di burlesque e altre amenità: «Sono stata a cena a casa del capo dell’Italia».

Sono due giorni che leggo post indignati di gente secondo cui non viene raccontato abbastanza che losco criminale fosse Berlusconi e che paese ideale di onestà ed efficienza e produttività fosse l’Italia prima di lui, e come sarebbero fiorite le carriere dei millennial sotto i governi di – di chi? Forse di Bertinotti, che si vestiva assai meglio.

Nel ravanare gli archivi che ormai caratterizza sempre le morti, qualcuno ha tirato fuori uno strepitoso confronto tra i due, moderati da una giovane Annunziata, in cui Silvio dice che Fausto è vestito «con tutti i colori dell’autunno». Altro che dare interviste impreparate a Vogue: c’è stato un tempo in cui i politici italiani avevano sensibilità per la moda, poi ci siamo trovati con questi qua.

Sono due giorni che leggo gente incapace di assumersi la responsabilità dei propri fallimenti che ha trovato un nuovo capro espiatorio – ah, come avrei prosperato senza Silvio – e sono due giorni che ripenso a quella scena del “Terzo uomo” in cui Orson Welles dice: «In Italia per trent’anni sotto i Borgia ci furono guerra, terrore, omicidi, carneficine: ma vennero fuori Michelangelo, Leonardo Da Vinci, e il Rinascimento. In Isvizzera non ci fu che amore fraterno: ma, da cinquecento anni di pace e democrazia, che cosa ne è venuto fuori? L’orologio a cucù».

Sono due giorni che penso tantissimo a Marta Fascina. Come sarà andata? Si saranno sposati di nascosto e i figli lo scopriranno solo all’apertura del testamento? Avrà figliato di nascosto, e anche qui servono telecamere all’apertura del testamento? Si sarà limitato a intestarle dei conti all’estero? Avrà la benedizione di Marina, che diversamente da Piersilvio andò alle finte nozze giacché Marta aveva evidentemente capito ben prima che uscissero i necrologi che solo la primogenita contava?

La lunga vita di Silvio Berlusconi lascia meno domande di quelle dei Borgia, ma molte più di quelle degli inventori degli orologi a cucù, e del Toblerone, e dei conti esteri. Molto prima delle Cayman, quei piccoli aspiranti Berlusconi di cui l’Italia era piena prima di sapere chi fosse Berlusconi, i borghesi medi, portavano i soldi in Svizzera.

In quegli anni novecenteschi che si collocano dopo le Zuccotti ma prima dell’euro. Quelli che il revisionismo storico dei poveri inattrezzati millennial ha trasformato in epoca di persone perbene, invece di rendersi conto che era solo un’epoca la cui fittizia prosperità si fondava sull’evasione fiscale a nord, sulle finte pensioni d’invalidità a sud, e sui posti fissi per tutti.

Estratto dell'articolo di Cesare Zapperi per corriere.it il 13 giugno 2023.

L’agenzia di comunicazione Armando Testa ha addirittura comprato una pagina del Corriere: «All’uomo che ha sempre creduto nel valore della comunicazione, e che con grande passione ha reinventato il nostro mestiere. Grazie». C’è anche questo modo, tra i tanti, per ricordare e rendere omaggio a Silvio Berlusconi. 

Ma il più tradizionale, di fronte ad un lutto, è quello del necrologio, poche dense righe tra l’amore, l’affetto, l’amicizia, in un impasto di dolore e riconoscenza che dà la misura della perdita. 

Sull’edizione di oggi del Corriere della Sera i messaggi di cordoglio sono centinaia (e per ragioni di spazio non è stato possibile pubblicare tutti quelli arrivati). Compaiono i nomi di parenti, amici, compagni di partito, avversari, imprenditori, uomini di spettacolo. In quei necrologi c’è tutto il mondo di Berlusconi. 

Il primo è quello dell’ex moglie Carla Elvira Dall’Olio: «Carissimo Silvio, sei stato un grande uomo e uno straordinario padre per i nostri figli». E poi via, un fiume interminabile di necrologi, a partire da quelli dei suoi più stretti collaboratori in Mediaset e degli amici. Il medico di fiducia, Alberto Zangrillo, scrive: «Presidente, ho sempre voluto darle del lei, solo oggi mi permetto di dirti ciao Silvio».

Giorgio Armani così ricorda Berlusconi: «Imprenditore di raro acume e coraggio, politico di fine intelletto, comunicatore dal fascino assoluto». Flavio Briatore sottolinea che «nessuno ti potrà mai dimenticare». Il regista Luca Guadagnino (con Carlo Antonelli) immagina la scena di una film: «Abbiamo passeggiato tutto il pomeriggio per Milano 2, ripensandoti.- Le villette color mattone, i ponticelli, la vecchia sede di molti uffici tuoi, il lago dei cigni che ogni tanto gettavano per te l’ultimo canto.- Poi, ai margini, i bagliori dei ceri dietro le finestre di case regalate.- E dappertutto, nelle strade vuote, l’eco delle tue risate». 

[…] Anna e Stefania Craxi, nel ricordo di Bettino, sottolineano: «Con lui se ne va anche un pezzo della nostra famiglia». L’ex presidente dell’Inter Ernesto Pellegrini ricorda: «con nostalgia le innumerevoli battaglie sportive nella nostra Milano caratterizzate sempre da rispetto e lealtà». Miti Simonetto, la professionista che ha sempre curato l’immagine di Berlusconi, assicura: «Caro Dottore, la tristezza come l’amore è un sentimento che non si può descrivere.

Io continuerò a curare la sua immagine per tutta la vita». Dal mondo dello spettacolo arrivano, tra gli altri, i messaggi di Claudio Bisio, Afef e Gerry Scotti. Dal mondo dei media, ecco i necrologici di Alfonso Signorini, Silvana Giacobini, Monica Mosca e tanti altri che hanno guidato o guidano testate giornalistiche. 

[…] Un messaggio arriva anche dalla proprietà cinese dei rivali dell’Inter: «Il presidente Steven Zhang e tutta FC Internazionale Milano esprimono il proprio profondo cordoglio per la scomparsa del presidente Silvio Berlusconi La sua figura ha lasciato un segno indelebile nella storia del nostro Paese. Le sfide tra l’Inter e il suo Milan hanno reso la città di Milano il cuore del calcio mondiale». 

[…] Ma su tutti prevalgono i messaggi di chi ha condiviso tratti di strada con Berlusconi. Come la famiglia di Ennio Doris, fondatore di Mediolanum: «Massimo, Sara e Lina Doris piangono l’amico di sempre Silvio e si stringono attorno alla famiglia tutta in questo momento di profondo dolore. Uomo lungimirante, imprenditore innovativo e straordinario, che ha creduto nel grande sogno di Ennio Doris. Il suo ricordo ci accompagnerà per sempre».

Paolo Landi per Dagospia il 20 giugno 2023.

La morte di Berlusconi ha riacceso i riflettori sul necrologio, un esercizio di stile che avrebbe affascinato Raymond Queneau: lo scrittore francese scrisse novantanove versioni della stessa storia, raccontata ogni volta con un tocco differente; dei necrologi per Berlusconi, apparsi sui principali quotidiani nazionali, si perde il conto, un lavoraccio mettersi a sommarli. Leggerli poi, così ripetitivi, senza le invenzioni scoppiettanti di Queneau, si rischia di morire dalla noia: tuttavia il necrologio è ancora un saldo attivo nelle entrate della stampa quotidiana cartacea che, come si sa, non se la passa troppo bene.

L'avvocato Agnelli ebbe circa duemila necrologi: se calcoliamo l'ingombro medio di un modulo a quattrocento euro ciascuno, il totale è praticamente uguale alla cifra che il Corriere chiede per una pagina pubblicitaria. Mentre gli articoli non li legge quasi più nessuno e si diffonde a macchia d'olio il tic di noi giornalisti di rileggerci, per cui impariamo a memoria quello che peraltro avremmo scritto noi, continuando a ignorare quel che scrivono i nostri colleghi, i necrologi vengono avidamente compulsati per vedere chi li ha inviati: è il gioco mondano di vedere chi c'è, cosa dice, misurando il grado di intimità col defunto.

Difficile trovare necrologi dignitosi: o sono burocratici, con quelle formule copiate, o sono patetici; qualcuno che conosceva bene il morto ne riconosce alcuni ipocriti; ogni tanto sono involontariamente comici: "Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela" ripetuto tredici volte e nient'altro da Ornella Vanoni nel suo necrologio per la morte della Melato, mentre i fanatici del camp collezionavano quelli di Valentina Cortese, molto teatrali, finché anche lei se n'è andata, come scrisse qualcuno "con il suo foulard"; "è stato fischiato un ingiusto fuorigioco e tu sei uscito dal campo della vita" sarebbe toccato leggere a Mihajlovic se, per sua fortuna, non fosse stato già morto; gli aneddoti sarebbero degni di essere antologizzati:

la scrittrice Luce (D'Eramo) che si spegne, "si è seduto al banchetto celeste" (lo chef), "stavolta ce l'hai fatta grossa" (ricorrente nei necrologi di chi al morto non perdona nulla, nemmeno di morire per far dispetto a chi rimane). Fuori antologia i necrologi dei fuoriclasse Carlo Antonelli e Luca Guadagnino, che cominciarono a uscire poco più di una anno fa sul Corriere, con l'addio alla regina d'Inghilterra ("Rosa, celeste, verde pallido, rosso acceso, rosso scuro, blu profondo, blu cobalto, verde pisello, giallo... 

Tutti i colori del mondo, il mondo che cercava comunque di dominare e che era ancora impero per Sua Maestà Regina Elisabetta II"), a Raffaella Carrà ("Questa volta non serve unirsi alla commozione e alla gratitudine che stanno travolgendo il mondo per la partenza verso universi paillettati e dove il collo non si spezza per il colpo di frusta all'indietro, che hanno accolto la compagna umanista Raffaella Carrà"); fino al necrologio per Silvio, diviso in due parti e uscito sempre sul Corriere: "Abbiamo passeggiato tutto il pomeriggio a Milano 2 ripensandoti.

Le villette color mattone, i grattacieli, la vecchia sede di molti uffici tuoi, il lago dei cigni che ogni tanto gettavano per te l'ultimo canto. Poi, ai margini, i bagliori dei ceri dietro le finestre di case regalate. E dappertutto, nelle strade vuote, l'eco delle tue risate. Quante risate...Troppe. Roma, 12 giugno 2023". E, nella seconda parte: "Il giorno dopo ti abbiamo celebrato di nuovo, facendo tanti giochi, i tuoi preferiti: il monopoli truccato senza imprevisti, o probabilità; il karaoke; lo scarabeo per scrivere paroline eleganti tutte imbellettate come te per far passare ogni pensiero; la seduta spiritica per svegliare il demone nella pancia del Paese. Abbiamo urlato tutta la notte. Roma, 14 giugno 2023". 

Il trattamento post mortem riservato a Berlusconi, la cura igienica di conservazione e presentazione estetica della sua immagine dopo la sua dipartita, è riassunta in queste paginate di necrologi. A forza di  essere lavata e spugnata, pulita e ripulita ma soprattutto negata e scongiurata, è successo che la morte di Silvio Berlusconi è stata sottoposta a un trattamento igienico da pubblicità del profondo, quella che Roland Barthes in Miti d'oggi attribuiva a una rappresentazione epica dei turbolavaggi promessi dai detersivi, per cui perfino la sua morte, come la sua vita, è stata vetrificata, criogenizzata, truccata. 

Bisogna soffermarsi su Antonelli e Guadagnino o fare un giro su TikTok per vedere incrinarsi questa mitologia, dove la morte entra in scena come un ostacolo ostile ai buoni propositi del capo, che non capisce, e si pone domande superflue ("che ci faccio qui?" racconta di aver pensato, in un video) nel suo letto di ospedale. "Era un uomo tutto case e famiglie" pubblica uno, mentre su Facebook si moltiplicano le riscritture dell'omelia del cardinal Delpini: "Vivere. Vivere e spernacchiare la vita. Vivere e desiderare che la vita sia facile, soprattutto per sé e per i parenti...vivere e sentire le forze esaurirsi, soffrire il declino e contrastarlo con le pasticche, i trapianti, le punture...". 

Quella di Berlusconi non è stata una morte "naturale", che è arrivata, come per tutti, alla fine dell'esistenza. È stato il tentativo di far arretrare i limiti della vita, intesa come processo di accumulazione: una strategia quantitativa che ha enumerato possedimenti immobiliari, televisivi, finanziari, calcististici, politici, umani, in una sorta di passaggio dalla vita al capitale-vita, nel tentativo di esorcizzare i limiti che né la scienza né la tecnica possono mettere al desiderio di essere immortali.

Ecco quindi che il necrologio di Carlo Antonelli e Luca Guadagnino riporta l'attenzione su di noi, "fruitori" di questa morte mediatica, trasformando la solita carrellata esibizionistica di luoghi comuni dell'obituary del quotidiano milanese, in un gesto artistico, una specie di "détournement situazionista", che rivela l'usura e la perdita di importanza dei cliché, illuminando le parole fasulle, sbandierate come sentimenti autentici, di una luce malandrina.

Funerali di Stato.

Estratto dell’articolo di Filippo Di Giacomo per “il Venerdì di Repubblica” il 30 giugno 2023.

«Parce sepulto», perdona a chi è sepolto dice lo spirito di Polidoro ad Enea nel terzo libro del capolavoro di Virgilio. Però, dopo i funerali di Stato di metà giugno, un certo disagio rimane e ci si chiede perché l'Italia continui ad usare la messa cattolica come cerimonia ufficiale per il lutto statale. In Francia, l'hommage national si svolge (di solito per i militari) nel cortile dell'Hotel des Invalides oppure nella piazza del Panthéon: […] le spoglie vengono restituite alla famiglia che […] può decidere chiesa e località dove celebrare il rito funebre religioso. 

In Spagna vige il luto oficial anche per il re: la camera ardente è posta nel Congreso de los Diputados […] e l'omaggio al feretro si svolge davanti alla sede del Parlamento. I funerali religiosi semmai li chiede […] la famiglia. Soltanto in Italia la Chiesa è obbligata a svolgere il ruolo di gran cerimoniere del lutto nazionale, riducendo la messa a un rito della civil religion […] in virtù del Concordato del 1929 che stabiliva il cattolicesimo come religione di Stato.

Non lo è più, quindi che senso ha obbligare un uomo colto come l'arcivescovo Delpini (l'omelia per i funerali di Berlusconi andrebbe studiata nei seminari: un capolavoro retorico e pastorale, abile e non convenzionale) ad arrampicarsi sugli specchi per non tradire le aspettative statali in un Duomo gremito da persone per lo più non interessate ai riti religiosi? Forse è il momento, in un'Italia pluralista, di liberare la Chiesa da questo gravame culturale e liberare lo Stato da un incongruo retaggio.

Misure di sicurezza eccezionali per i funerali di Silvio Berlusconi. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 14 Giugno 2023 

Un imponente sistema di sicurezza. Controlli ai varchi di piazza Duomo, ingressi selezionatissimi per le autorità nella Cattedrale, tiratori scelti e bonifiche antiterrorismo

L’organizzazione dei funerali  di Stato di Silvio Berlusconi a Milano, che si terranno oggi mercoledì 14 giugno, prevede un piano di ordine pubblico senza precedenti per gestire innanzitutto la presenza di 32 esponenti governativi e di personalità politiche e diplomatiche in arrivo dall’estero.  La funzione sarà presieduta dall’arcivescovo della città monsignor Mario Delpini  che rientrerà soltanto poco prima da Gazzada, in provincia di Varese, dove da due giorni si trova per la riunione annuale del Consiglio episcopale milanese. Al momento non sono previsti, in chiesa, altri interventi di politici o famigliari. 

La lista dei partecipanti alle esequie, è ancora strettamente riservata, ma stanno trapelando i primi nomi. Oltre al commissario europeo Paolo Gentiloni, dovrebbero arrivare dall’estero il presidente ungherese Orban, il presidente iracheno Abdul Latif Rashid e forse anche l’emiro del Qatar, Hamad Al Thani. Ci saranno anche 32 esponenti del Governo e un numero imprecisato di senatori e deputati, oltre a ex ministri dei Governi di Berlusconi e molti sindaci di Forza Italia. 

Dentro alla cattedrale ci saranno solo 2.300 posti a sedere, anche se per altre occasioni istituzionali e religiose ci sono state fino a cinquemila persone sedute. Motivi di sicurezza hanno indotto la prefettura e il cerimoniale di Palazzo Chigi a ridurre notevolmente le presenze. Un contributo importante, vista la presenza di esponenti di primo piano del governo, arriverà anche dall’Aisi, i servizi segreti interni. 

In prefettura a Milano si sono svolte riunioni senza sosta, a cominciare dal Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, presieduto dal prefetto Renato Saccone, con il questore Giuseppe Petronzi, il comandante provinciale dei carabinieri Iacopo Mannucci Benincasa e tutti i vertici delle forze di polizia, il Comune e la Protezione civile.

Questa notte verranno disposte le transenne per contenere la gente che potrà accedere alla piazza senza pass ma solo fino a esaurimento posti entrando da via Mazzini e da via Torino, oltre che da via Mercanti. Si prevede che gli operai e i tecnici saranno impegnati tutta la notte per allestire la piazza.

Una macchina organizzativa complessa si è attivata in pochissime ore e che prevede un piano “modulabile” anche in base alla presenza di capi di Stato stranieri. Il fine principale è quello di  garantire la sicurezza dell’area intorno al Duomo. Per questo saranno adottate le misure antiterrorismo già collaudate negli eventi di piazza più importanti con la presenza di equipaggi di Api, Sos dei carabinieri e Uopi della polizia addestrate per muoversi in scenari di alta sicurezza. Redazione CdG 1947

Tutta l'Italia si ferma per l'addio a Silvio: l'abbraccio del suo popolo. Cristina Bassi il 14 Giugno 2023 su Il Giornale.

Nella cattedrale le autorità siederanno a sinistra e i familiari a destra. Misure di sicurezza tra Linate e il Duomo. Ingressi contingentati, ma ci saranno due maxi-schermi

A Milano, in Duomo, ci saranno autorità e cittadini comuni, capi di Stato e giornalisti, il governo al completo e la famiglia. Per l’ultimo saluto a Silvio Berlusconi oggi arriveranno migliaia di persone. Un afflusso eccezionale, che comporterà una complessa gestione della logistica e imponenti misure di sicurezza.

La città si ferma, in silenzio, per i funerali di Stato dell’ex premier. E accoglie nel giorno del lutto nazionale tutta la politica riunita. L’agenda di governo è sospesa, così come restano chiuse quelle dei singoli ministri, sono rinviate le riunioni di partito. Alla Camera e al Senato le commissioni sono sconvocate, inoltre non ci saranno votazioni per tutta la settimana. Nella piazza del Duomo transennata dalle ore 10 la folla sarà governata con il protocollo collaudato dei concerti gratuiti. Nessun pass necessario, ma ingressi contingentati e limitati a circa 10mila e ai varchi controlli accurati delle forze dell’ordine con il metal detector. Si entrerà da via Mazzini, da via Torino e da via Mercanti. Ci saranno un’area riservata agli operatori tv e alla stampa e corridoi di sicurezza per i soccorsi. Nel pomeriggio di ieri si sono svolti i sopralluoghi con le delegazioni della Prefettura, della Questura, dei carabinieri, del Comune, della Diocesi, della Veneranda fabbrica del Duomo, di Palazzo Chigi e del Quirinale.

In mattinata in Prefettura al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza l’assessore comunale Marco Granelli aveva spiegato: «Noi abbiamo proposto il sistema che utilizziamo di solito per i concerti. C’è stato un lavoro intenso coordinato da Palazzo Chigi e dalla Prefettura. Utilizzeremo l’esperienza ormai consolidata di tutto il rapporto tra Questura, Prefettura e polizia locale con il Comune, tutto supervisionato da Palazzo Chigi». Anche la viabilità subirà variazioni. Dalle ore 10 fino al tardo pomeriggio la stazione della metropolitana di Duomo sarà chiusa. Dalla stessa ora le linee di tram e autobus che attraversano il centro saranno deviate o rallentate. In piazza sono stati allestiti due maxi schermi che permetteranno al pubblico di seguire in diretta le esequie celebrate dall’arcivescovo di Milano, Mario Delpini. Le due strutture segneranno anche il limite oltre il quale non si potrà andare, a differenza di quanto accade per i concerti, quando la piazza è tutta disponibile e possono entrare fino a 20mila spettatori. L’inizio della funzione è fissato per le ore 15, l’ingresso in piazza sarà possibile fino a esaurimento dei posti. È prevedibile quindi che i cittadini cominceranno ad arrivare dalla mattina.

Per quanto riguarda l’interno della Cattedrale, la capienza sarà intorno alle 2.300 persone. Le presenze all’interno sono state ridotte rispetto alla reale capienza, per ragioni di sicurezza. Le autorità entreranno dal lato sud del Duomo. La famiglia di Berlusconi sarà seduta alla destra della navata centrale, guardando l’altare, mentre le personalità pubbliche saranno a sinistra.

Sempre per ragioni di sicurezza non sono stati diffusi tutti i nomi dei capi di Stato stranieri presenti. Confermati però il premier ungherese Viktor Orban, il presidente dell’Iraq Abdul Latif Rashid e l’emiro del Qatar Hamad bin Tamim Al Thani. Il feretro partirà da Arcore alle 13.30, affiancato da un corteo di auto, e alle 14.30 è previsto l’arrivo in piazza, dove sosterà alcuni minuti sul sagrato. Le autorità saranno fatte entrare in Duomo alle 14.45 e alle 14.50 entrerà la bara dal lato dell’Argentario. Per ultimo entrerà il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Le auto delle alte cariche si fermeranno in piazza Fontana, dove dalla mezzanotte è scattato il divieto di sosta. La polizia locale gestisce il traffico sulle strade che da Linate arrivano in centro. La sicurezza della piazza è l’aspetto più delicato. Le bonifiche anti terrorismo sono quelle previste per gli appuntamenti che vedono la partecipazione delle massime cariche dello Stato e anche degli esponenti dei governi stranieri, sono in campo i nuclei speciali delle forze dell’ordine e i servizi segreti. La giornata promette di essere piuttosto calda e anche le strutture di primo soccorso saranno allestite in vari punti con particolare attenzione.

Oltre agli agenti e ai carabinieri che presidieranno i varchi, ce ne saranno altri che sorveglieranno il perimetro esterno della piazza e i dintorni.

L’estremo saluto a Silvio Berlusconi sarà accompagnato dal coro della Cattedrale. Non è prevista dopo la cerimonia officiata dall’arcivescovo Delpini alcuna orazione funebre da parte di qualcuno tra familiari e amici. Tutta la funzione sarà trasmessa in diretta televisiva da Rai e Mediaset. Sarà Mediaset a fornire il segnale tv alle altre emittenti. Ieri le troupe esterne della tv pubblica e del gruppo fondato dall’ex premier hanno allestito tutte le attrezzature necessarie in collaborazione con i tecnici della Veneranda Fabbrica del Duomo. Ieri invece a Biella è stata celebrata da don Paolo Boffa Sandalina, vicario generale della Diocesi, una messa in ricordo di Berlusconi organizzata dal Coordinamento provinciale di Forza Italia.

L’ABBRACCIO Al centro, uno degli striscioni apparsi fuori da Villa San Martino, dove è stata portata la salma del Cavaliere dopo il decesso all’ospedale San Raffaele In basso, il ministro degli Esteri e coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani insieme all’ex sottosegretari o Gianni Letta ad Arcore Sotto la premier Giorgia Meloni al suo arrivo a villa San Martino.

Berlusconi, i funerali di Stato in Duomo. L’abbraccio commosso tra i cinque figli. La pagina del giornale: “Dolcissimo Papà”. Redazione su Il Riformista il 14 Giugno 2023 

Oggi è il giorno del lutto nazionale. Familiari e amici si sono ritrovati ad Arcore per dare l’ultimo saluto al Presidente. Nella cappella di villa San Martino ieri c’è stato l’abbraccio tra il fratello di Berlusconi, Paolo, e i cinque figli riuniti attorno al feretro. Un momento di profondo raccoglimento, riportato tra le pagine del Corsera, per salutare per l’ultima volta il Cavaliere che ha cambiato l’italia.

Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi. Tutti insieme, forti come non mai in un momento in cui devono andare avanti con le loro forze, in un momento in cui non hanno perso una guida oltre che un padre. Un senso di unità che hanno comunicato sulle pagine dei principali quotidiani. La pagina acquistata su Il Riformista nella quale si rivolgono al «Dolcissimo papà», e gli dicono: «Grazie per la vita. Grazie per l’amore. Vivrai sempre dentro di noi». Firmato semplicemente Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora, Luigi, sopra una foto di Berlusconi di profilo, sorridente.

Telecamere, fotografi e la folla di cittadini e istituzioni. È tutto pronto in piazza Duomo a Milano per rendergli il doveroso omaggio. I figli, uniti come voleva il padre, siederanno nelle panche sulla destra nella navata centrale del Duomo. Per il Cavaliere sono previsti lutto nazionale e funerali di Stato. Come ha confermato la curia di Milano, le esequie saranno presiedute da Mario Delpini, arcivescovo del capoluogo lombardo e vedranno la partecipazione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Funerali di Stato

A differenza delle esequie solenni, a cui partecipano le massime cariche istituzionali ma che non sono finanziate dal Governo, i funerali di Stato prevedono entrambi i punti, secondo la legge n. 36 del 7 febbraio 1987. Tra le spese a carico dello Stato figurano non solo l’organizzazione del rito funebre ma anche il trasporto della salma e la sua sepoltura.

Normalmente, le esequie di questo tipo sono riservate, e anzi obbligatorie – salvo diverse indicazioni dalla famiglia – per il presidente della Repubblica, del Senato, della Camera dei deputati, del Consiglio dei Ministri della Corte costituzionale.

Per queste cariche, i funerali di Stato sono previsti in qualsiasi circostanza, sia che siano ancora in carica che se la scomparsa avvenga successivamente al loro mandato. Tra coloro ai quali Palazzo Chigi paga le esequie rientrano anche i ministri della Repubblica, ma solo se sono in carica al momento del decesso. 

Il cerimoniale

Le norme scandiscono i momenti e i gesti della cerimonia, e dispongono indicazioni sul dress code dei partecipanti, sulle onorificenze, sull’allestimento della camera ardente e sull’esposizione della bandiera nazionale.

In tema di vestiario, abiti scuri o neri sono previsti sia per gli uomini sia per le donne, con l’aggiunta di qualche accorgimento in più nel caso di funerali di presidenti o ex presidenti della Repubblica. In questa circostanza, agli uomini è richiesto di indossare la cravatta nera lunga e, a volte, anche frac e gilet nero, insieme con l’onorificenza a forma di rosetta. Per le donne, invece, obbligo di abito nero lungo con onorificenza a forma di spilla e velo nero a coprire il viso. Militari e appartenenti a corpi armati, infine, indosseranno in ogni caso la divisa, seguendo le indicazioni dei dipartimenti di appartenenza.

La camera ardente in genere deve essere chiusa all’accesso dei cittadini entro un’ora dal tramonto e può essere allestita anche nelle sedi degli organi a cui il defunto apparteneva. Nel caso specifico di Berlusconi, tuttavia, non è stata allestita alcuna camera ardente, per garantire l’ordine e la sicurezza pubblica e la bandiera del Paese non avvolgerà la sua bara.

Quest’ultima, infatti, è un plus che si riserva a presidenti o ex presidenti della Repubblica, militari o dipendenti pubblici caduti per la Patria, vittime di azioni terroristiche o di attentati della criminalità organizzata e Medaglie d’oro al Valore militare.

Gli onori militari al feretro all’ingresso e all’uscita della Cattedrale milanese; la presenza di un rappresentante del Governo, in questo caso lo stesso presidente Mattarella, con una corona in posizione di rilievo rispetto alle altre; un’orazione commemorativa ufficiale.

La proclamazione del governo. Funerali di Stato e lutto nazionale per Berlusconi: cosa sono, come funzionano e le polemiche. Per la prima volta proclamato il lutto nazionale per un ex Presidente del Consiglio. La decisione del governo Meloni. Redazione Web su L'Unità il 13 Giugno 2023 

Per la prima volta nella storia della Repubblica italiana per i funerali di un ex Presidente del Consiglio – soltanto Presidente del Consiglio – è stato proclamato il lutto nazionale. Si terranno domani, al Duomo di Milano, le esequie dell’ex premier Silvio Berlusconi, morto ieri all’Ospedale San Raffaele di Milano dov’era stato ricoverato venerdì scorso. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano ha proclamato il lutto nazionale. Dal 12 al 14 giugno “saranno esposte a mezz’asta la bandiera italiana e quella dell’Unione Europea sugli edifici pubblici dell’intero territorio nazionale e sulle sedi delle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane all’estero”.

Lutto nazionale e funerali di Stato sono due cose diverse. La legge italiana prevede che funerali di Stato vengano disposti alla morte di tutti gli ex capi di governo. Sono regolati dalla legge n.36 del 7 febbraio 1987. All’articolo 1 si legge che “sono a carico dello Stato le spese per i funerali del presidente della Repubblica, del presidente del Senato, del presidente della Camera dei deputati, del presidente del Consiglio dei ministri e del presidente della Corte costituzionale, sia che il decesso avvenga durante la permanenza in carica, sia che avvenga dopo la cessazione della stessa”. A occuparsi della cerimonia è un apposito ufficio di Palazzo Chigi. “Si intendono comprese, oltre quelle per i funerali, anche quelle di trasporto e sepoltura della salma, con il medesimo decreto con cui si assumono a carico dello Stato le spese stesse viene determinato il limite massimo delle spese da sostenere”.

Il mausoleo di Berlusconi ad Arcore, la storia della “Volta celeste” destinata al Cavaliere (e 36 familiari e fedelissimi)

Un preciso cerimoniale accompagna le esequie – il procedimento prevede che il feretro venga scortato da sei carabinieri in alta uniforme e che gli vengano riservati onori militari all’ingresso e all’uscita della cerimonia. La legge del 1987 prevede che i funerali di Stato possano essere concessi su indicazione del governo anche a “personalità che abbiano reso particolari servizi alla Patria, nonché di cittadini italiani e stranieri o di apolidi che abbiano illustrato la Nazione italiana nel campo delle scienze, delle lettere, delle arti, del lavoro, dell’economia, dello sport e di attività sociali”. La maggior parte degli ex premier in passato ha preferito funerali in forma privata. Gli unici ad avere funerali di Stato prima di Berlusconi erano stati Giovanni Spadolini, Amintore Fanfani e Giovanni Leone.

Il governo di centrodestra guidato dalla premier Giorgia Meloni ha deciso in questo caso che il giorno dei funerali sarà proclamato anche lutto nazionale. Il lutto nazionale non è normato da una legge precisa ma viene disposto di volta in volta a discrezione del governo. Si legge in una circolare dell’esecutivo del 2022 che il lutto nazionale prevede l’esposizione a mezz’asta delle bandiere sugli edifici pubblici e l’aggiunta di due strisce di velo nero sulle bandiere esposte all’interno. Le autorità pubbliche, nei giorni di lutto, devono astenersi da impegni sociali con l’eccezione di iniziative benefiche. Al lutto nazionale si ricorre in casi di particolari gravità – come disastri naturali, come le alluvioni in Emilia Romagna, episodi tragici, come il crollo del Ponte Morandi a Genova – , per la morte di personaggi particolarmente importanti come Presidenti della Repubblica e Papi.

Non era mai successo per un ex premier – Berlusconi è stato Presidente del Consiglio per quattro volte. Era successo soltanto nei casi di Carlo Azeglio Ciampi e Giovanni Leone, che però erano stati anche Presidenti della Repubblica. Gli ultimi funerali di Stato che si erano svolti presso il Duomo di Milano erano stati per il cardinale Dionigi Tettamanzi, nel 2017. Precedentemente quelli del cardinale Carlo Maria Martini, del conduttore Mike Bongiorno e della poetessa Alda Merini. Sui social le espressioni “lutto nazionale” e “funerale di Stato” sono tra le più ricercate e dibattute nelle ultime ore. Come ogni cosa abbia riguardato Berlusconi, si è innescato un confronto divisivo. C’è chi pensa che le cerimonie non siano opportune di un uomo condannato in via definitiva – una sola volta in trent’anni di processi -, chi sostiene si tratti di uno “schiaffo a Falcone e Borsellino”, chi lo descrive uno scandalo per “un massone condannato in via definitiva e interdetto dai pubblici uffici”. Redazione Web 13 Giugno 2023

Berlusconi, ai funerali Mattarella, Meloni e leader di mezzo mondo. Polemica sul lutto nazionale. Il Tempo il 13 giugno 2023

Il Capo dello Stato Sergio Mattarella, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni con il governo al gran completo, ex premier, leader di partito, presidenti di Regione, e poi rappresentanti della finanza, dello sport e dello spettacolo. Istituzioni, politica italiana e internazionale, mondo imprenditoriale e dello showbusiness saranno presenti a Milano per l'ultimo saluto a Silvio Berlusconi. I funerali di Stato del leader di Forza Italia, morto lunedì a 86 anni all'ospedale San Raffaele, saranno presieduti dall'arcivescovo metropolita di Milano monsignor Mario Delpini e cominceranno alle ore 15 nel Duomo. Tra i partecipanti non mancheranno gli ex premier Mario Monti, Mario Draghi e Matteo Renzi, mentre non ci sarà Romano Prodi a causa dell'improvvisa scomparsa della moglie Flavia Franzoni. La Commissione europea sarà rappresentata dal commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni.

Oltre a governo ed esponenti della maggioranza, poi, hanno confermato la propria presenza anche il leader di Azione, Carlo Calenda, e la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein. Quest'ultima sarà al Duomo assieme ai capigruppo dem di Camera e Senato, Chiara Braga e Francesco Boccia. Per il Pd parteciperà alle esequie dell'ex premier, morto ieri all'ospedale San Raffaele, anche il segretario regionale Vinicio Peluffo. Non ci sarà invece il presidente del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, né i rappresentanti dell'alleanza Verdi-Sinistra: Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni hanno infatti deciso di non prendere parte alle esequie dell'ex premier, nonostante proprio nel capoluogo lombardo inizierà la festa di Sinistra italiana 'Ambientale è sociale'. 

Nella giornata di celebrazione delle esequie di Stato il governo ha dichiarato il lutto nazionale. Scelta però non condivisa da Rosy Bindi. "I funerali di Stato sono previsti ed è giusto che ci siano, il lutto nazionale per una persona divisiva com'è stato Berlusconi secondo me non è una scelta opportuna - le parole dell'ex parlamentare del Pd -. Penso che il lutto nazionale si debba riservare a persone che hanno unito il Paese, non che lo hanno diviso. Poi il Parlamento che si ferma, siamo in una fase di santificazione che credo non faccia bene all'Italia, il berlusconismo va elaborato".

Berlusconi, lutto e stop ai lavori di Camera e Senato: politica paralizzata. Il Tempo il 13 giugno 2023

La politica si ferma per ricordare Silvio Berlusconi. La scomparsa del leader di Forza Italia ha comportato, ieri, anche l’immediata interruzione dei lavori parlamentari, che rimarranno sospesi per alcuni giorni, con differenze tra Camera e Senato, e lo stop alle agende politiche, con la sola eccezione del Comitato di Forza Italia, riunito per l’approvazione del bilancio. Per quanto riguarda il Pd, al momento non è stata riconvocata la direzione nazionale, annullata ieri. A Montecitorio la ripresa in Aula è prevista per giovedì, mentre a Palazzo Madama fino a lunedì prossimo, a una settimana dalla morte del leader di FI, che era anche senatore, non si tornerà nell’emiciclo. Il nuovo calendario è stato messo a punto questa mattina dalle conferenze dei capigruppo dei due rami del Parlamento. In entrambi si terrà anche una commemorazione per Berlusconi, i cui funerali di Stato sono in programma domani alle 15 al Duomo di Milano. 

Al Senato, il presidente, Ignazio La Russa, ha annunciato che la cerimonia si terrà martedì 20 alle 15, mentre alla Camera non è stata al momento definita la data. A Montecitorio restano dunque sospesi ancora per domani, giorno dei funerali del Cav, i lavori d’Aula, che riprenderanno giovedì alle 12 con la discussione generale delle mozioni sulle pensioni minime, saltata ieri. Sono poi confermate venerdì alle 9.30 le interpellanze urgenti. Tutto il resto slitta alla prossima settimana: lunedì 19 è prevista la discussione generale sulla pdl su prevenzione e contrasto a bullismo e cyberbullismo e la discussione generale sulla perseguibilità del reato di surrogazione di maternità. Martedì 20 alle 11 sono in programma interpellanze e interrogazioni, poi il seguito dell’esame delle mozioni sul Pnrr, a seguire l’esame delle mozioni sulla pdl per il voto dei fuorisede. In seguito l’esame delle mozioni sulle pensioni minime. Infine seguito dell’esame della pdl sull’istituzione della Commissione Covid e seguito dell’esame della pdl sulla maternità surrogata. Dalle 19 è prevista la discussione generale sul decreto Enti pubblici, che poi proseguirà mercoledì. Martedì verrà anche recuperata la votazione per l’elezione dei due nuovi segretari di presidenza, che si sarebbe dovuta tenere domani. Venerdì 23 alle 9.30 è invece in programma la discussione generale sul Dl Lavoro. Nella stessa giornata la discussione generale sulla pdl sul salario minimo. 

In Senato, dove giovedì riprenderà solo il lavoro di alcune commissioni, si tornerà in Aula lunedì 19 giugno, al mattino, con la discussione generale sul decreto sulla Pubblica amministrazione, già approvato dalla Camera e in scadenza il 21 giugno. Si va verso la fiducia, il cui voto potrebbe tenersi nella mattinata di martedì 20. Sempre martedì arriverà in Aula il decreto Lavoro, al termine della commemorazione per Berlusconi, mentre il voto dovrebbe tenersi l’indomani, mercoledì 21.

Berlusconi, “esagerazione e fatto improprio”. Giannini imbufalito per il lutto nazionale. Il Tempo il 13 giugno 2023

È giusto o è troppo il lutto nazionale per Silvio Berlusconi? È questa la domanda con cui Giovanni Floris, conduttore di DiMartedì, apre l’intervista a Massimo Giannini, direttore de La Stampa, ospite nella puntata del 13 giugno del talk show serale di La7. “La pietas umana che si deve nei confronti di Berlusconi l’abbiamo espressa tutti in queste ore, ed è ovvia, logica e giusta. Dopo di che, se passiamo ad una valutazione più politica e pensiamo in quali altre circostanze in passato il lutto nazionale è stato decretato nei confronti di grandi personaggi della Repubblica, allora verifichiamo che questo è accaduto nel caso di ex presidenti del Consiglio solo in due circorstanze, una per Giovanni Leone e l’altra per Carlo Azeglio Ciampi, che erano stati anche presidenti della Repubblica ” metti in evidenza il giornalista. 

Giannini poi continua: “In questa occasione io dico che i funerali di Stato ci stanno, Berlusconi è  stato un protagonista della politica italiana ed ha ricoperto per tre volte il ruolo di premier, ma il lutto nazionale mi sembra francamente un’esagerazione. Non si può dimenticare che dal punto di vista politico è stato un personaggio importante, ma è stato forse il più controverso degli ultimi trent'anni. È un personaggio che divide politicamente il Paese. Il lutto nazionale mi sembra assolutamente improprio, non è stato decretato per l’assassinio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un po' di misura ecco…”. 

Berlusconi, Augias: "Lutto nazionale non va bene". Redazione Adnkronos 13 giugno 2023

"Capisco i funerali di Stato per un ex presidente del Consiglio. Ma il lutto nazionale per un leader politico" come Silvio Berlusconi "che è stato così profondamente divisivo, volutamente divisivo, aggressivamente divisivo, non va bene". Sono le parole con cui Corrado Augias, a Di Martedì, commenta la decisione di proclamare il lutto nazionale per Silvio Berlusconi, morto ieri all'età di 86 anni. "Scompare una parte di storia di ognuno di noi, non c'è dubbio. Nessun leader che io ricordi è durato 30 anni e ha inciso così profondamente sul costume più che sulla politica", aggiunge.

Bonino: "Eccessivo e fuori luogo bloccare i lavori in Parlamento per Berlusconi". Giovanna Casadio  su La Repubblica il 14 Giugno 2023  

La leader di +Europa: "Erano sufficienti i funerali di Stato, l'enfasi della destra punta a ereditare il consenso. La riforma della giustizia? Vedremo cosa ci sarà"

"Bloccare Camera, Senato e la politica per una settimana è un eccesso, una cosa fuori luogo. La destra vuole anche celebrare se stessa. Un giorno bastava, d'altra parte anche a Mediaset si lavora e si va in onda". Emma Bonino, ex ministra degli Esteri ed ex commissaria Ue, leader di +Europa, invita alla misura. È preoccupata da garantista per la riforma

Dagospia il 13 giugno 2023. Da “Un Giorno da Pecora” – Rai Radio1

“I funerali di Stato sono previsti ed è giusto che ci siano ma il lutto nazionale per una persona divisiva com’è stato Berlusconi secondo me non è una scelta opportuna”. A dirlo, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, è Rosy Bindi, ex ministra ed esponente del Partito Democratico. 

La volta in cui Berlusconi mi disse in tv 'lei è più bella che intelligente'? “Io gli risposi 'non sono una donna a sua disposizione’. Fu una reazione non pensata, sono parole che escono perché le hai dentro. Dopo quella volta non ho mai fatto pace né ho parlato di nuovo con Berlusconi, lui non mi ha mai più chiesto scusa ma io non ho rimpianti: non so se quelle scuse le avrei accettate”.

A dirlo, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, è Rosy Bindi, ex ministra ed esponente del Partito Democratico. Come si vive la scomparsa di un avversario politico? "In questo momento siamo nella fase della santificazione a parte qualche eccezione e questo non va bene. I conti col berlusconismo non sono stati fatti quando era vivo spero che verranno fatti ora.

Berlusconi - ha proseguito a Un Giorno da Pecora Bindi - non è stato solo un politico, ha fatto l'imprenditore in un certo modo, porta con sé tanti misteri e non riesco ad esaltarlo nelle sue capacità imprenditoriali". Come mai? "Se non avesse avuto la protezione della politica non sarebbe stato un grande imprenditore".

Il "lutto nazionale è del tutto inusuale e inappropriato". Berlusconi santo o satana, la gara a chi la spara più grossa: dal rettore Montanari al Fatto di Travaglio, passando per la Bindi. Phil su Il Riformista il 13 Giugno 2023 

Il campione di questa triste contesa a chi la spara più grossa, è ancora una volta lo storico dell’arte fiorentino, Tomaso Montanari. In qualità di Rettore dell’Università per stranieri di Siena, Montanari ha deciso autonomamente di non mettere le bandiere a mezz’asta per la morte dell’ex presidente del consiglio, con una spiegazione che riassume in pillole decenni di idiosincrasia della sinistra intellettuale verso il fondatore della Tv commerciale. “È vero che Berlusconi ha segnato la storia, ma lo ha fatto lasciando il mondo e l’Italia assai peggiori di come li aveva trovati”, ha scritto il rettore ai docenti, come fosse titolato anche ad assegnare pagelle morali e giudizi definitivi. Come minimo, lo storico dell’arte deve avere una grandissima considerazione di se e del suo ruolo.

Dietro di lui, per il secondo giorno di seguito (continueranno almeno per un mese) la redazione del Fatto Quotidiano: imputato seriale, pregiudicato, con lui la Repubblica delle Banane, per anni ha finanziato Cosa Nostra, i titoli che oggi ci regala il quotidiano di Marco Travaglio. Una riedizione dello stesso livore che il giornalista riservò a Bettino Craxi. In questa macabra galleria, non poteva mancare Vauro, ‘Entri l’imputato’, ‘Veramente avrei l’uveite’, risponde Silvio davanti al giudizio divino. Oggi nella categoria new entry, rientra una vecchia conoscenza, quella Rosy Bindi che tante volte si è esercitata con polemiche violentissime contro Berlusconi, costruendoci di fatto la sua carriera di indomita guerriera.

Ha detto la Bindi ad Un giorno da pecora: ‘il lutto nazionale per una persona divisiva com’è stato Berlusconi secondo me non è una scelta opportuna’. Polemiche che evidentemente non si fermano neanche dopo la morte del ‘nemico’. Si dirà sfottò prevedibili, limitati a qualche estremista della politica, ed è anche vero, ma come al solito sono i social a far esplodere la cloaca delle offese gratuite, dei dileggi, dei giudizi sommari, comunque inappropriati a poche ore dalla morte del leader politico. E se da una parte si può giudicare come intensa la testimonianza di Romano Prodi sull’avversario di sempre oggi sulla stampa, non altrettanto si può dire di alcune reazioni politiche nettamente più scomposte.

A Genova, ieri pomeriggio, durante il minuto di silenzio del Consiglio Municipale congiunto tra il Municipio Centro Ovest e il Municipio Polcevera, i consiglieri Pd e del M5S vedono bene di abbandonare l’aula per protesta. Poco più a sud, a Sesto Fiorentino, alle porte di Firenze, il sindaco Lorenzo Falci (sinistra di Fratoianni) annunciando misure ridotte del suo Comune nel giorno del funerale di Stato, si improvvisa storico e giudice: ‘la decisione della Presidenza del Consiglio dei Ministri in merito all’indizione del lutto nazionale è del tutto inusuale e inappropriata, frutto di valutazioni squisitamente politiche’.

Eccessi che riguardano una parte e l’altra, gli ultraberlusconiani come gli eterni detrattori, che continuano a rendere impossibile una valutazione oggettiva della lunga stagione del Cavaliere e dei cambiamenti positivi e negativi che ha introdotto. Inutile, Silvio deve essere a tutti costi Santo o Satana. Phil

Lutto nazionale e Camere ferme per Silvio Berlusconi, scoppia la polemica. «Una scelta inopportuna». Critiche dal centro-sinistra, dubbi dai politologi. È la prima volta che viene deciso per un ex premier. E per Camera e Senato un stop senza precedenti. Simone Alliva su L'Espresso il 14 Giugno 2023 

Davanti alla morte di Silvio Berlusconi il potere si ferma e non solo. All’indomani della scomparsa del leader di Forza Italia ed ex presidente del Consiglio, si sono bloccati i lavori delle commissioni parlamentari sia alla Camera che al Senato. Tutte le commissioni del Senato, e la maggior parte di quelle della Camera (ma non tutte), sono state sconvocate anche per la giornata di domani, quando si terranno i funerali di Stato, a Milano, giorno in cui è stato indetto il lutto nazionale.

Ed è proprio il lutto nazionale a suscitare polemiche e critiche. 

L'Università per Stranieri di Siena (l'UniStraSi) non esporrà le bandiere a mezz'asta per la morte di Silvio Berlusconi. Lo ha deciso il rettore, Tomaso Montanari, professore ordinario di Storia dell'arte moderna: «Nonostante che la Presidenza del Consiglio abbia disposto le bandiere a mezz'asta su tutti gli edifici pubblici da oggi a mercoledì (giorno dei funerali di Stato e lutto nazionale), mi assumo personalmente la responsabilità di disporre che le bandiere di Unistrasi non scendano. Ognuno obbedisce infine alla propria coscienza e una università che si inchini a una storia come quella non è una università», dice.

Nel Partito Democratico è il senatore Andrea Crisanti il primo non risparmiare critiche. «Non posso non esprimere la mia ferma contrarietà ai funerali di Stato, che ritengo inopportuni, così come al lutto nazionale per il nostro ex presidente del Consiglio. Berlusconi è stato un uomo politico che ha ricoperto importanti ruoli istituzionali e condizionato la vita politica dell'Italia. Ma non dobbiamo dimenticare che alcune sue azioni non hanno avuto alcun rispetto per lo Stato che rappresentava». 

Dello stesso parere Rosy Bindi: «I funerali di Stato sono previsti ed è giusto che ci siano ma il lutto nazionale per una persona divisiva com'è stato Berlusconi secondo me non è una scelta opportuna», ha dichiarato l’ex ministra ed esponente del Partito Democratico.

L’inedito, mai concesso negli ultimi 30 anni a nessun presidente del Consiglio a parte Leone e Ciampi che furono presidenti della Repubblica apre la discussione anche tra giuristi e politologi: «Non c'è giurisprudenza di riferimento. Sono decisioni politico-amministrative. Non starei ad enfatizzare troppo», ha commentato Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale. «Si tratta della morte di un ex premier per molti anni, discusso come possono essere molti. Non mi sembra tema su cui polemizzare. I funerali di Stato sono previsti normalmente dal protocollo, oltre a questo c'è il lutto nazionale, altra modalità di riconoscimento in questo caso collegato alla funzione a lungo esercitata da Berlusconi. Anche se il giudizio sulla persona e l'attività politica svolta può essere il più vario» e conclude «Difficile dire se è stata una scelta inopportuna: il Paese è sempre stato diviso fra forti sostenitori e oppositori. Non saprei esprimere un giudizio su questo punto, il lutto nazionale è una scelta di tipo politico amministrativo». Si dice «Sorpreso” il politologo Roberto D'Alimonte professore universitario presso la Luiss di Roma: «Non mi risulta che sia mai stato proclamato negli ultimi 30 anni o forse più, nel caso di un ex presidente del Consiglio. Lo si fa adesso per un personaggio che ha certamente segnato un'era, ma che è stato anche una figura molto controversa. Mi farebbe piacere sapere le ragioni di chi ha preso questa decisione». 

Cosa dice la Costituzione su funerali di Stato e Lutto nazionale?

I funerali di Stato sono riservati ai presidenti degli organismi costituzionali, agli ex presidenti della Repubblica e agli ex premier, ai ministri deceduti durante la loro permanenza in carica nonché alle persone che hanno reso onore alla nazione, alle vittime del terrorismo.Sono regolati dalla legge n. 36 del 7 febbraio 1987, che all'articolo 1 prevede che "sono a carico dello Stato le spese per i funerali del presidente della Repubblica, del presidente del Senato, del presidente della Camera dei deputati, del presidente del Consiglio dei ministri e del presidente della Corte costituzionale, sia che il decesso avvenga durante la permanenza in carica, sia che avvenga dopo la cessazione della stessa. A decidere è comunque un ufficio della presidenza del Consiglio che gestisce il cerimoniale di Stato.

I funerali di Stato prevedono la presenza di 6 carabinieri in alta uniforme che riservano al feretro in entrata e in uscita dalla chiesa gli onori militari. Così come è prevista una orazione commemorativa ufficiale. Anche il lutto nazionale è deciso dal cerimoniale di Stato in base alle leggi vigenti che riconoscono anche per gli ex presidenti del Consiglio e gli ex presidenti della Repubblica la possibilità di proclamarlo.

In ogni caso, con Silvio Berlusconi è la prima volta che viene deciso il lutto nazionale per un ex premier. Il giorno di lutto nazionale prevede le bandiere a mezz'asta sulle facciate di tutti gli edifici pubblici e due strisce di velo nero per le bandiere interne. Durante il giorno di lutto gli esponenti del governo sono obbligati a cancellare gli impegni pubblici mentre c'è la possibilità per i negozi di decidere di tenere abbassate le serrande per tutta la giornata.

Il lutto per Berlusconi blocca l’Italia. La destra congela le istituzioni. GIULIA MERLO su Il Domani il 13 giugno 2023

Funerali di Stato, tre giorni di lutto nazionale e stop alle camere: Meloni sospende i lavori per onorare il Cavaliere. Polemiche per la decisione: nemmeno Falcone e Borsellino hanno avuto un omaggio simile. Tensione in FI

La morte di Silvio Berlusconi ha congelato l’Italia, almeno quella istituzionale. Mercoledì alle 15 il Duomo della sua città, Milano, ospiterà il funerale del leader di Forza Italia: 2mila persone dentro la chiesa – tra cui Giorgia Meloni, Matteo Salvini e 32 esponenti del governo oltre al capo dello Stato Sergio Mattarella – 20mila attese in piazza. Come previsto dal protocollo per i funerali di Stato, celebrerà l'arcivescovo Mario Delpini e scorteranno il feretro sei carabinieri in alta uniforme, con gli onori militari all’ingresso e all’uscita.

Anche nel ricordo di Berlusconi, però, il governo ha scelto la stonatura: le esequie ufficiali non sono sembrate sufficienti a omaggiare l’ex premier. E allora ecco la proclamazione di tre giorni di lutto nazionale, dal 12 al 14 giugno. Nove in meno di quelli tributati nel Regno Unito alla regina Elisabetta, ma mai concessi a nessun ex presidente del Consiglio italiano e nemmeno dopo le stragi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Un eccesso di zelo che è già un unicum nella storia della repubblica: negli ultimi trent’anni era accaduto solo per Giovanni Leone e Carlo Azeglio Ciampi, che però erano anche ex presidenti della Repubblica. «Inopportuno» secondo il Pd, visto anche il profilo controverso del Cav, ma tant’è. Via tutto: agende dei ministri e anche visite diplomatiche già organizzate, in ossequio ad una celebrazione a reti unificate che supera ogni prassi. 

CAMERA E SENATO

Nulla è sembrato fuori luogo ad una maggioranza evidentemente sotto shock. Camera e Senato sono andate anche oltre: troppo poco il classico minuto di silenzio, si è scelta l’immediata interruzione dei lavori parlamentari, con un cambio di calendario senza precedenti per il parlamento. A Montecitorio l’aula tornerà a riunirsi venerdì e a palazzo Madama addirittura lunedì prossimo. Con il rischio di arrivare con tempi strettissimi alla conversione del decreto sulla Pubblica amministrazione – che contiene le controverse norme che limitano la Corte dei conti – in scadenza il 21 giugno. In entrambe le camere, poi, si terrà anche una ulteriore commemorazione.

La reazione fuori dalle righe, pur nel lutto per una comunità politica, lascia intuire come la scomparsa del Cavaliere – attesa ma improvvisa – abbia colto tutti impreparati. Anche se si tenta di ibernarla, infatti, la politica non si ferma e va trovata una nuova geometria di governo.

Sebbene tutti - dalla premier a Matteo Salvini fino al facente funzioni Antonio Tajani – continuino a ripetere che nulla cambierà, il futuro è lastricato di incognite: Forza Italia era il cuscinetto moderato che serviva da foglia di fico per continuare a definirsi centrodestra anche in Ue e in vista delle elezioni europee, Berlusconi era padre putativo e mediatore tra Salvini e Meloni, entrambi cresciuti alla sua ombra. Crollato uno dei pilastri, le fondamenta del castello traballano.

«Forza Italia potrà continuare formalmente, ma senza leader...», dice una fonte azzurra, convinta che senza il fondatore il partito si trasformerà in un tempio pieno di mercanti. Chi pronto a traghettarsi nella Lega, chi a bussare alla porta di Fratelli d’Italia, che pure Meloni avrebbe già chiuso. Nessuno si muove, almeno per i prossimi mesi, sarebbe l’indicazione della premier.

L’UNICA A MUOVERSI

Invece, l’unica a muoversi in questo momento è Forza Italia, dove le trombe che annunciano la guerra hanno già iniziato a squillare. Il lutto nazionale ha azzerato le agende ma non ha impedito ai vertici del partito ancora sotto shock di convocare un ufficio di presidenza assolutamente inatteso. All’ordine del giorno l’approvazione del rendiconto di esercizio 2022 (l’avanzo di un milione, ma un credito di 90 milioni con il defunto leader e dunque ora con gli ereti), a cui è stata aggiunta improvvisamente anche la ratifica delle «recenti nomine effettuate dal presidente».

Vale a dire, il colpo di mano di Marta Fascina che ha piazzato i suoi fedelissimi in alcuni incarichi ciave, spazzando via l’ex fedelissima Licia Ronzulli. Tutto approvato all’unanimità e senza interventi col ricordo ancora fresco di Berlusconi, ma che ha già provocato i primi veleni. La mossa, infatti, ha irritato – inascoltata – la minoranza e molti esponenti, tutti formalmente chiusi nel silenzio luttuoso, hanno parlato di «stupore» per una scelta che esacerba gli animi.

Considerata inutile, per altro, visto che l’unica certezza è che il futuro del partito è nelle mani della primogenita Marina Berlusconi. Anche il ruolo di Marta Fascina è legato a questo: la sua crescente influenza interna era dovuta al riflesso del Cav, ora che è venuto meno nessun generale intende più piegarsi a meno che su di lei non cali l’imprimatur della famiglia, e anche in quel caso non sarebbe così semplice.

Intanto un primo segnale sugli equilibri arriverà, come per la morte di ogni monarca assoluto, dalle immagini del funerale: chi siederà dove e quanto vicino al feretro.

GIULIA MERLO. Mi occupo di giustizia e di politica. Vengo dal quotidiano il Dubbio, ho lavorato alla Stampa.it e al Fatto Quotidiano. Prima ho fatto l’avvocato.

Berlusconi, lutto nazionale. Come rosicano Rosy Bindi&co. L’odio della sinistra si scaglia anche contro i funerali di Stato per Berlusconi e la scelta di congelare i lavori parlamentari per 7 giorni. Matteo Milanesi su Nicola Porro.it

Quando si parla di anti-berlusconismo, potremmo definire almeno due categorie differenti, entrambe manifestatesi sia prima che dopo la tragica notizia di ieri, ovvero quella della morte del Cavaliere. La prima, quella dei leali avversari, che ha conosciuto al suo interno sia personalità del mondo politico (Matteo Renzi e Massimo D’Alema, per esempio), che di quello giornalistico (Michele Santoro, su tutti). Dall’altra, invece, ci sono i falchi, sia della prima che della seconda ora, quelli che anche da morto non disertano le loro posizioni ideologiche: Berlusconi non era il semplice avversario, era il nemico da abbattere.

L’odio contro Berlusconi

Se nella prima categoria, Renzi e D’Alema – nella puntata speciale di due giorni fa di Porta a Porta – ricordavano piacevolmente la figura del Cavaliere, nei suoi pregi e nei suoi difetti, riconoscendo con onestà intellettuale la “persecuzione” della magistratura nei suoi confronti; nella seconda categoria, invece, si posizionano senza alcuno dubbio i Vauro, i Travaglio, i Montanari, fino ad arrivare ai Fratoianni ed alle Rosy Bindi.

Ebbene sì, poche ore dopo la notizia della scomparsa del Cavaliere, il comunista Vauro se ne usciva con una vignetta da brividi, dove veniva raffigurato una persona dubbiosa con la scritta: “Berlusconi è morto, ma non sono sempre i migliori che se ne vanno?”. Tanto per cambiare, si è aggiunto anche il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, il cui giornale aveva già etichettato B. come l’uomo che finanziò Cosa Nostra, fino a definire il suo ricordo come una “imbarazzante beatificazione”.

Eppure, non finisce qui. Al circo si sono aggiunti rispettivamente: Rosy Bindi, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e la deputata del Partito Democratico, Alessandra Moretti. Il leader pentastellato ha dichiarato che non parteciperà ai funerali dell’ex fondatore di Forza Italia, fissati oggi alle 15 in Piazza Duomo a Milano, seguito anche dal leader di Sinistra Italiana, che ha etichettato come “eccessiva” la scelta di dichiarare il lutto nazionale.

“Funerali di Stato inopportuni”

Per la deputata Moretti, invece, è “davvero esagerato il congelamento dei lavori parlamentari per 7 giorni”, specificando: “Credo che gli italiani facciano fatica a comprendere tale scelta, tanto più visto che ci sono molti dossier in attesa di risposte urgenti, primo tra tutti il Pnrr”. A schiena dritta anche Rosy Bindi, la quale invece condivide i funerali di Stato, ma non il lutto nazionale. Tranchant su ambo i lato, invece, il microbiologo Andrea Crisanti, ora in forza Pd: “Non posso esprimere la mia ferma contrarietà ai funerali di Stato, che ritengo inopportuni, così come il lutto nazionale per il nostro ex Presidente del Consiglio”.

Peccato che i funerali di Stato siano previsti come da protocollo per qualsiasi personalità che abbia esercitato un’alta carica. Nella fattispecie, stiamo parlando del quattro volte premier e del capo di governo che per più lungo tempo ha ricoperto la posizione. Ma si sa, quando l’avversario viene trattato come nemico, l’odio cieco non si ferma neanche dinanzi al ricordo. E Berlusconi, sia da vivo che da morto, li farà impazzire ancora per tanto tempo. Matteo Milanesi, 14 giugno 2023

Funerali di Stato. Il livore finale contro il leader che ha battezzato un pezzo di storia. Francesco Maria Del Vigo il 14 Giugno 2023 su Il Giornale.

Pochi, pochissimi. Ma come al solito sguaiati e chiassosi. Un baccano che potrebbe anche essere un trascurabile rumore di fondo, ma che viene amplificato dal silenzio e dall'abbraccio, questa volta sì maggioritario, degli italiani

Pochi, pochissimi. Ma come al solito sguaiati e chiassosi. Un baccano che potrebbe anche essere un trascurabile rumore di fondo, ma che viene amplificato dal silenzio e dall'abbraccio, questa volta sì maggioritario, degli italiani. La furia antiberlusconiana non si ferma neanche davanti alla morte del fondatore del «core business» (come disse il Cavaliere a Travaglio nella celeberrima puntata di Annozero passata alla storia per la spazzolata) sul quale hanno campato lautamente gli odiatori seriali di ogni risma.

Così, nel giorno della scomparsa del leader di Forza Italia, mentre la maggioranza dei cittadini e dei politici - di destra e di sinistra - rende omaggio a un uomo che ha fatto la storia di almeno tre decadi del nostro Paese, una sparuta pattuglia di irriducibili (senza dignità) continua ad attaccare il Cavaliere anche ora che non può più difendersi.

E il nuovo livello dello scontro - con sprezzo del possibile - è ancora più infimo di quello che abbiamo conosciuto negli anni dell'odio più velenoso. Non solo per le tempistiche degne del peggior sciacallaggio. L'idea è che Silvio Berlusconi non sia abbastanza un uomo di Stato da meritare i funerali di Stato e il lutto nazionale. Silvio Berlusconi, l'uomo che ha seduto per più giorni a palazzo Chigi nella storia della Repubblica italiana e il politico che nel corso della sua carriera ha raccolto un bottino ineguagliato di 240 milioni di preferenze. Ma evidentemente non è abbastanza, non è sufficiente a giustificare una celebrazione non solo doverosa, ma che costituisce solo un minimo risarcimento per le persecuzioni e gli attacchi subiti dal fondatore del centrodestra.

Così, gli ultimi giapponesi della sinistra anti Cav, cercano di mettere a reddito anche i giorni del dolore per guadagnarsi uno strapuntino di visibilità: giurano di non esporre la bandiera a mezz'asta fuori dagli atenei universitari, si lamentano dei ricordi pubblici delle istituzioni come se Berlusconi non ne fosse stato un rappresentante di prim'ordine o, peggio ancora, sminuiscono o trasfigurano il ruolo politico che ha avuto nella nostra storia recente. «Berlusconi catastrofe del Paese», «Egolatra pioniere dell'antipolitica», «La Repubblica del banana» titolano i giornali progressisti, accodandosi, come diligenti scolaretti, ai peggiori istinti della sinistra più violenta.

Gettando benzina su un fuoco che non è più incendio e che, proprio in questi ultimi mesi e anni, aveva iniziato a spegnersi. Trasformando anche un lutto in una lotta, in un'occasione di divisione nazionale, di guerra civile ideologica permanente e strisciante, in sordida tifoseria da stadio. È l'ultima infamia di chi lo ha perseguitato da vivo e ora cerca di infangarlo anche da morto. L'ultima reazione isterica e scomposta di chi sa di avere comunque perso.

(ANSA il 13 giugno 2023) - "Il 13 giugno 1984, esattamente 39 anni fa, Almirante visitò la salma di Berlinguer accolto da Nilde Jotti e Giancarlo Pajetta. I leader dell'opposizione dovrebbero andare tutti al funerale di Berlusconi": di questo è convinto l'ex parlamentare Carlo Cottarelli. "Schlein - ha aggiunto su Twitter - ha fatto bene a decidere di andare. Anche Giuseppe Conte dovrebbe andare. Andare a un funerale non comporta approvazione dell'operare politico: è un fatto di rispetto umano".

Val bene una (non) messa. L’assenza tattica di Conte al funerale di Berlusconi per avere qualche voto in più. Mario Lavia su L’Inkiesta il 14 Giugno 2023

Il leader grillino non sarà presente alla cerimonia al Duomo di Milano per cavalcare l'antiberlusconismo di ritorno

Giuseppe Conte è l’unico leader politico che non parteciperà oggi ai funerali di Silvio Berlusconi, ed è chiaramente una scelta di marketing politico fatta per intestarsi il sentimento di odio verso l’ex presidente del Consiglio che ha dilagato sui social. Parigi (il consenso) val bene una messa (l’assenza ai funerali), e chi se ne frega se si tratta di una cerimonia di Stato, l’importante è seguire Marco Travaglio nel suo solipsistico insultare una persona che non c’è più e Tomaso Montanari che non mette la bandiera a mezz’asta nella “sua” Università (ma sua, di chi?) e vignettisti di pessimo gusto giocando a fare la verginella della politica quando è già scritto nella storia che l’avvocato del populismo ha trattato con tutti pur di conquistare e agganciare il potere – e forse quello che più lo ha schifato è stato proprio Berlusconi. 

Essendo a corto di idee Giuseppe Conte è praticamente costretto a fare la parte del novello Beppe Grillo in stile “vaffa” che non si sporca le mani con il Cavaliere nero nemmeno adesso che riposa in pace: ma è evidente che usare i funerali per una tattica politico-elettoralistica esclude dal novero della civiltà politica chi appunto sfrutta l’occasione per farsi vedere, o non farsi vedere (che in questi caso è più evidente, essendoci oggi al Duomo di Milano proprio tutti, a partire dal presidente della Repubblica). 

Tuttavia Conte ha annusato una certa arietta di mala sopportazione di certi peana che effettivamente in certi casi hanno oltrepassato la misura e soprattutto gli strepiti di hater di vario conio che non sanno discernere il momento del giudizio politico da quello della circostanza più grave che possa riguardare un essere umano, anche l’avversario più duro.

E così, perché non rappresentare tutto il carico di antiberlusconismo di ritorno che si sta manifestando in queste ore? Basta non andare ai funerali e il gioco è fatto, qualche migliaio di voti arriverà. Travaglio e Casalino non potranno che essere d’accordo, anzi, magari gliel’hanno suggerito loro, all’avvocato, di non andare. 

È l’unico sbrego ad un protocollo istituzionale e umano che verrà rispettato, come detto, da tutte le altre forze politiche. Elly Schlein sarà al Duomo pur essendo politicamente e generazionalmente lontanissima da Silvio Berlusconi e dal suo mondo, il che rende a maggior ragione la sua presenza molto significativa che dimostra il senso politico e dello Stato della leader del Pd. Anche perché nel suo partito e dintorni qualche maldipancia c’è stato. 

Non è chiaro se abbia lambito anche il Nazareno. E si è concentrato sulla questione del lutto nazionale deciso dal governo (che, si spera, abbia consultato informalmente anche l’opposizione oltre che il Quirinale), una scelta fortemente criticata da Rosy Bindi, da Brando Benifei e da qualche esponente locale come Paolo Romano, consigliere lombardo molto vicino a Elly Schlein («Lutto nazionale? Non in mio nome») sicché per qualche ora era circolato l’interrogativo sulla presenza della segretaria ai funerali dell’ex presidente del Consiglio. 

Dopodiché sarebbe stato semplicemente impensabile che il Partito democratico non fosse presente all’ultimo saluto a un uomo che pure ha combattuto per tre decenni e sul cui ruolo nella storia d’Italia si discute e si discuterà con pareri opposti tenendo però fermo che un pezzo rilevantissimo di questi Paese è stato con lui fino all’ultimo, e un partito nazionale come è il Pd queste cose le tiene a mente. Chiunque sia il leader pro tempore.

Estratto dell’articolo di Manuela Messina per ilgiornale.it il 14 giugno 2023.

Quindici corone di rose bianche sul sagrato del Duomo e uno striscione con scritto "L'Italia è il Paese che amo", citazione simbolo della discesa in campo del Cavaliere, nel 1994. In piazza Duomo, a Milano, l'Italia intera dà l'ultimo saluto a Silvio Berlusconi. Iniziati alle 15 i funerali di Stato dell'ex presidente del Consiglio, scomparso lunedì mattina all'età di 86 anni, hanno visto la sentita partecipazione, oltre che di migliaia di partecipanti, delle più alte cariche, in primis il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Nella cattedrale, dove l'arcivescovo Mario Delpini ha celebrato il funerale, sono infatti accorsi numerosi esponenti del mondo politico, italiano e internazionale.

14.10

A poche decine di minuti dall’arrivo del feretro stanno arrivando alla spicciolata numerose personalità ed esponenti del mondo politico e imprenditoriale. Tra questi anche la segretaria Pd Elly Schlein, l’ex ministro Claudio Scajola, il critico d’arte Vittorio Sgarbi, il fondatore della Lega Umberto Bossi, il presidente dell’Enel Claudio Scaroni, Steven Zhang, presidente dell’Inter, l’ad nerazzurro Giuseppe Marotta, gli imprenditori Flavio Briatore e Urbano Cairo (guarda il video).

14.20

FUNERALI SILVIO BERLUSCONI PIAZZA DUOMO MILANO

Un lungo applauso in piazza del Duomo ha salutato la partenza del feretro con la salma del fondatore di Forza Italia, Silvio Berlusconi, che ha appena lasciato Villa San Martino diretto in Duomo a Milano. La piazza ha assistito alla partenza dai maxischermi. Il feretro dovrebbe arrivare tra poche decine di minuti nella cattedrale. È appena arrivato l’ex presidente del consiglio Mario Draghi e sta per partecipare il presidente della repubblica Sergio Mattarella.

14.45

Arrivati il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Accolti dall'applauso della folla.

14.55

Il carro funebre con a bordo il feretro è giunto in piazza Duomo, accolto dagli uomini dell'Arma dei Carabinieri davanti alla scalinata della cattedrale.

Da video.corriere.it il 15 Giugno 2023.

Il feretro di Silvio Berlusconi è entrato in Duomo coperto di fuori bianchi e rose rosse. Subito dietro i figli Marina, Pier Silvio, Eleonora, Barbara e Luigi. Anche Marta Fascina ha accompagnato l’ingresso della bara. Pier Silvio ha preso per mano la compagna del padre per qualche secondo prima di salire le scale del sagrato mentre la primogenita del Cavaliere ha accompagnato Fascina sottobraccio. Anche il fratello Paolo era al seguito del feretro del leader di Forza Italia.

Concita De Gregorio per Repubblica.it - - Estratto il 15 Giugno 2023.

Marina Berlusconi e Marta Fascina per mano. La primogenita e l'ultima fra le favorite, l'unica per cui ha messo infine la fede al dito, sarà stata l'età. Tenete a mente questa immagine, perché torneremo qui: alle due donne che da stamattina meneranno la danza, che nemesi. Che testacoda della storia che alla fine siano due donne, per chi delle donne ha fatto strame, a detenere l'eredità dell'impero. Bisognerà che i maschi alfa ci facciano i conti, così va la storia. 

…………. 

Marina Berlusconi tiene per mano Marta Fascina, quando escono dalla Chiesa. Questa sì, è una foto da tenere presente. A parte i devoti del passato, i beneficiari di una vita. Questo, le donne del futuro, è il fermo immagine. Che ne sarà dopo di lui del potere. Dopo che i palloncini blu sono volati via, l'anima è andata. Adesso sono loro due, queste due donne con gli chignon biondo platino. Così lontane, così diverse. Così legate dal capriccio del destino e dal volere del "dottore", invece. Sono loro che portano la partita. Gli altri, tutti figuranti allo spettacolare rito.

Candida Morvillo per Corriere della Sera - Estratto il 15 Giugno 2023.  

Se c’è un momento in cui, nel Duomo dove sta per essere celebrato il funerale, tutti i sussurri e le preghiere si spengono e tutti gli occhi convergono in unico punto è quando, nella navata centrale, entrano Marina Berlusconi, la primogenita che del padre è stata confidente, vestale, braccio destro, e Marta Fascina, la «quasi moglie» sposata solo con una cerimonia simbolica.

Le due si tengono per mano, le dita intrecciate, e questo è il gesto con cui Marina, in questo preciso momento, trova il modo inequivocabile per dire che Marta è della famiglia e che ha un ruolo di primo piano. Questo è l’istante in cui, agli occhi del mondo, Marta, da «quasi moglie» che era, diventa «la vedova», unica e vera.

…………………

A Marta scappano le prime lacrime subito dopo il vangelo di Giovanni. La telecamera indugia sul suo viso, lei ha i capelli raccolti, è l’unica senza orecchini e gioielli. Poi, l’arcivescovo Mario Delpini durante la sua omelia dice: «Vivere è desiderare una vita che non finisce... Vivere è soffrire il declino e continuare a tentare e a soffrire... Ecco cosa si può dire di un uomo che ha desiderato di essere amato...». Ora, Marta singhiozza. Contagia Marina, accanto a lei, che si asciuga una lacrima. Saranno le uniche a non trattenere la commozione. 

Eleonora guarda sempre diritto avanti a sé. Barbara sembra non staccare gli occhi da Marta o da un punto lontano oltre Marta, oltre tutto. Quando viene il momento di inginocchiarsi, Marta di nuovo sta piangendo. Veronica, al capo opposto dietro di lei, resta seduta, fra le sue braccia, dorme la piccola Flora, figlia di Eleonora.

…………. 

La folla è tutta per Marina, scandisce il suo nome, la acclama. Allora, lei scarta di lato tirandosi dietro Marta e dando il la agli altri di famiglia per avvicinarsi alla gente, salutare come farebbe la royal family dal balcone. Eleonora con la mano diritta stile Kate Middleton. Poi, quando Marina sale in auto con Fascina, è impossibile non pensare che, se questa fosse una scena di Succession , a riflettori spenti e a testamento aperto, la quota di legittima forse destinata alla vedova potrebbe essere l’ago della bilancia del nuovo assetto della cassaforte di famiglia, dove tre fratelli pesano più di due, ma forse meno di due più una vedova. Almeno, per ora, però questa è la scena di una saga che si chiude, non che si apre.

Claudio Tito per Repubblica.it – Estratto il 15 Giugno 2023.  

L’immagine finale è quella che racconta meglio come la famiglia Berlusconi abbia vissuto i funerali del patriarca. Marina, Piersilvio e Marta Fascina insieme su uno dei van che seguono il feretro. Barbara, Eleonora e Luigi su un altro, quello posteriore. Un gruppo plasticamente diviso in due. E che anche durante la cerimonia funebre ha mantenuto un distacco. Non plateale, nemmeno voluto o ricercato. Ma netto. Forse un prodromo di quel che accadrà quando il gigantesco impero del Cavaliere dovrà essere separato in cinque assi ereditari.

……………………

Alla fine della cerimonia la primogenita e Marta Fascina si avvicinano alla bara: la toccano con la mano e la baciano. Tutti intorno si crea un’altra fila per salutare la famiglia e la fidanzata. «Grazie per il vostro affetto », ripete Marta. In quel momento, però, si capisce che la “capofamiglia” è diventata Marina. Le condoglianze sono in primo luogo per lei. I parlamentari di Forza Italia spintonano per andare a salutarla. Una “capofamiglia” o una “capopartito”? I due ruoli nel trentennio berlusconiano si sono sistematicamente sovrapposti. 

Estratto da liberoquotidiano.it il 15 Giugno 2023.

Dopo la morte di Silvio sta nascendo un'intesa tra Marina Berlusconi e Giorgia Meloni. Hanno bisogno l'una dell’altra perché per Marina "Giorgia è la sola leader possibile del centrodestra, e dunque la sua stabilità è anche la nostra stabilità" mentre per Giorgia, "senza il sostegno di Marina, non c’è il sostegno di Forza Italia" e il presidente del Consiglio deve augurarsi che Forza Italia sopravviva al Cavaliere. 

Ma attenzione, rivela Il Foglio, perché l'ultimogenito Luigi Berlusconi, non è escluso che "possa un giorno traghettare il cognome in politica", come rivelano fonti sia interne a Forza Italia sia in Fratelli d'Italia.

Estratto dell’articolo di Carmelo Caruso per “il Foglio” il 15 Giugno 2023.

Non significa nulla, può significare tutto. Ha lo stesso nome del nonno, vive nella prima casa milanese del padre, ha assunto Marinella Brambilla, la sua storica segretaria. Luigi Berlusconi, l’ultimo dei figli Berlusconi, può essere l’unicorno? Nella lingua tech, il settore di cui si occupa, si intende l’eccezione strepitosa, la start up che ribalta la storia. L’inatteso. Trentaquattro anni, Ennio Doris come maestro. 

Un’intervista a 19 anni. Poi più nulla. Gli orfani politici di Silvio Berlusconi lo studiano come Luigi studia gli unicorni. Si cerca adesso Berlusconi dopo Berlusconi, la chimera. Quando la bara di Silvio Berlusconi è stata accompagnata fuori dal Duomo di Milano, i figli del patriarca si sono avvicinati l’uno all’altro. L’uomo vestito di grigio, che stava al centro, era Luigi Berlusconi. […] 

Collegio a Monza, università Bocconi, master in JP Morgan, a Londra, uno stage alla Sator di Matteo Arpe e poi sedie nei cda di famiglia e fede, perfino onlus, le visite frequenti in chiesa. Viaggi a Lourdes da volontario, rapporti intensi con la chiesa milanese, quella dell’arcivescovo Mario Delpini, dell’arciprete Borgonovo, una comunità che si ritrova a tavola con Fedele Confalonieri, presidente della Veneranda Fabbrica del Duomo. Dei Berlusconi, Luigi è un enigma. Un unicorno. 

[…] Puntato dai settimanali di gossip, celebrato da Vanity Fair, per il suo matrimonio con Federica Fumagalli, manager di eventi e moda (Ferragamo, Dior, Vogue), il nome di Luigi è in realtà noto tra gli ingegneri, i giornalisti delle pagine “Innovazione”. 

A trent’anni investe in criptovalute, sistemi per pagamenti digitali, app di geolocalizzazione e lo fa insieme alle sorelle Eleonora e Barbara […] A differenza di Marina e Pier Silvio, per tracciare il per- corso dell’ultimo dei Berlusconi è necessario guardare oltre le aziende di famiglia. Luigi sceglie da subito la via bancaria, la via che secondo molti percorrerà Fininvest. […] 

La stampa italiana si accorge di Luigi nel 2014, quando l’Espresso gli dedica pagine, a firma di Denise Pardo, che è stata pure firma di Panorama, il settimanale di Mondadori.

Quando Luigi Berlusconi viene a sapere che Marinella Brambilla, la segretaria di una vita del padre (l’unica che potrebbe sul serio scrivere la biografia del Cav.) era stata cacciata, decide di assumerla per conto proprio. Oggi Luigi è nel cda della Fininvest insieme a Pier Silvio, Barbara, Adriano Galliani, Ernesto Mauri e Salvatore Sciascia. […] In Forza Italia c’è chi crede che Luigi possa possedere il corno della politica.  […]

Ci preoccupavamo più per lui che per noi. L’abbraccio a Berlusconi: il viaggio da Roma, la seconda famiglia del Dottore e quella esitazione prima di andare al San Raffaele. Andrea Ruggieri su Il Riformista il 15 Giugno 2023 

Roma, aeroporto di Fiumicino.

Imbarco del volo per Milano. Pieno di esponenti politici e di volti Mediaset: sono due dei tanti, eterogenei mondi cui Silvio Berlusconi ha dato corpo e che ha tenuto insieme per una vita intera, oltre quelli di sport, cultura, spettacolo ed edilizia. Ognuno ricorda un aneddoto del cavaliere, ognuno sa che sta andando a un appuntamento, triste, con la storia. Arriva Mario Draghi, discreto, eppure consapevole. In aereo, siede due file di dietro di me e chiacchiera con tutti. Atterrati, raggiungiamo il Duomo.

Organizzazione impeccabile, sulla piazza già molte persone, ma un diffuso senso di pace e tranquillità, che ammorbidisce il dolore di tutti. Dietro ai mondi forgiati dal Dottore, una sconfinata, variegata, stupenda compostissima marea di gente. Tra le bandiere, prevalentemente di Forza Italia e Milan, scorgo un cartello: “Il più italiano degli italiani”. Ecco perché tanto trasporto pubblico per il dolore prima, e la morte poi, di un italiano eccellente, che in una nazione dove è quasi impossibile aprire un negozio, è riuscito a creare aziende mastodontiche, grazie a idee ed entusiasmo.

Il popolo di cui Silvio Berlusconi è figlio e rappresentante è lì, commosso e composto come a lui sarebbe piaciuto molto. Lo notano tutti: i volti Mediaset, quelli di Milan e Monza, politici e capi di Stato esteri. Arriva Gianni Letta scortato dal figlio Giampaolo. Per una volta è molto provato. Saluta, l’amico, il compagno di una cavalcata indimenticabile, e siede accanto all’altro indimenticabile complice di mille imprese: Fedele Confalonieri, sereno e contrito. Sono tanti i personaggi che con sé hanno un figlio. Famiglia e lavoro amorevolmente mischiate, all’insegna della continuità: un’altra caratteristica del mondo del Cavaliere.

Io entro in Chiesa, saluto tanti ex colleghi, colleghi attuali, e -in attesa che arrivi la prima- anche la seconda famiglia del Dottore: i cuochi Michele e Davide, gli uomini della sua amorevole scorta, Frank e Ivan, le segretarie Serena, Betti e Stefania. Una vita a prendersi cura del “Dottore”, oggi con l’espressione di chi ancora si preoccupa più per lui che non per sé. Perché’ questa era una inclinazione che Silvio Berlusconi ingenerava spontaneamente in ognuno di noi: ci preoccupavamo più per lui che per noi, pur essendo lui molto più forte di noi. Loro, i suoi collaboratori, lo sapevano: quando il Presidente è uscito di casa per andare al San Raffaele, ha avuto un’esitazione nel salire in auto: si è voltato e ha rivolto uno sguardo profondo, carico di significato, a Villa San Martino. Così era lui: indomito e coraggioso, buono e a volte un po’ malinconico. Ma qualcuno di loro, visto quello sguardo, ha per la prima volta pensato che potesse essere l’ultima volta che salutava il Dottore, e che lui lo sapesse.

La platea si saluta, allarga le braccia, sospira, finalmente sorride. Sugli schermi dentro la chiesa vengono proiettate immagini dalla regia mossa ma dolce di Milano 2 ripresa dall’alto, poi parte la diretta del viaggio di Silvio da Arcore al Duomo. È come se ci dicesse: “Sto arrivando da voi”. E tutto si placa, come quando lui arrivava alle riunioni di partito preceduto in sua assenza da litigi al fulmicotone, e scendeva improvvisamente la calma.

Assieme al feretro, ecco la famiglia di Silvio Berlusconi. Sui volti, ancora i segni delle lacrime. Tutti consapevoli e umili. Belli. Naturalmente intonati alla grande compostezza che avvolge il duomo. L’omelia dell’Arcivescovo di Milano tratteggia l’uomo, bisognoso di amore e assetato di vita. “Vivere per mettere a frutto l’occasione e i propri talenti”. Piersilvio annuisce. Sembra il ritratto del papà. La cerimonia è asciutta e sobria. La regia bellissima, suggestiva. A me tornano in mente molte immagini. Molte espressioni così gravide di espressività del Cavaliere che non mi pare vero di essere al suo funerale. Mi rendo conto di non aver mai nemmeno una volta pensato di dovervi assistere. Eppure, siamo qui. Addio Silvio.

Non ci posso ancora credere. Andrea Ruggieri

Estratto dell’articolo di Massimo Galanto per tvblog.it il 15 Giugno 2023.

Emilio Fede, contrariamente a quanto annunciato nelle scorse ore, non era presente ai funerali di Stato per Silvio Berlusconi che si sono tenuti oggi pomeriggio al Duomo di Milano. Il giornalista, che ieri aveva confidato ad Alberto Gottardo nella trasmissione radiofonica Il Morning Show il desiderio di “sedermi di fianco a lui” 

perché “io gli ho voluto bene come a un fratello”, in un video pubblicato su Instagram (si tratta di una diretta realizzata oggi, proprio mentre erano in corso le esequie, con tanto di diretta tv a reti praticamente unificate) ha raccontato in maniera confusa, affannata e rabbiosa l’inconveniente che non gli ha permesso di presenziare al centro del capoluogo lombardo per dare l’ultimo saluto all’amico di sempre Silvio Berlusconi. Così, appellandosi anche a “Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Pompieri“, l’ex direttore di Tg1 (per poco più di un anno), Studio Aperto (per quasi tre anni) e Tg4 (per vent’anni, fino a marzo 2012) ha detto:

Il mio autista è sparito, non si è fatto trovare – un personaggio squallido che va arrestato – ha bloccato la mia macchina non consentendomi di partire in tempo per raggiungere Piazza Duomo. Già soltanto a dirlo piango di tutto. Questo personaggio ci ha fatto scendere dalla macchina, ha buttato via le chiavi e ci ha lasciato per strada. Oggi è il momento del dolore sì, ma anche della rabbia.

Struggente il finale del video (lo trovate qui sopra in versione integrale), girato mentre viaggiava verso Arcore a bordo della macchina di “un amico giornalista” incrociato per caso dopo il problema vissuto con l’autista. Fede, infatti, ha chiosato rivolgendosi direttamente all’ex Presidente del Consiglio che ha sempre elogiato e mostrato di apprezzare anche davanti alle telecamere: 

Ciao Presidente Berlusconi, sono anche contento di non arrivare in tempo: per lungo tempo guardare una bara sapendo che dentro ci sei tu e avendo la forza dentro che mi occorre di allungare la mano e dire ‘Silvio, vengo con te! Non mi mollare. Io ormai ho 92 anni, voglio raggiungerti al più presto’.

Estratto da liberoquotidiano.it il 15 giugno 2023.

Ai funerali c'erano tutte le mogli e fidanzate storiche di Silvio Berlusconi esclusa la prima consorte Carla Elvira Dall'Oglio. Pino Corrias, ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo, su La7, nella puntata del 14 giugno, parla del rapporto del Cavaliere con le donne: 

"Da arci italiano quale era, di tutte le donne che hanno contato nella sua vita quella che ha contato di più è la madre Rosa Bossi, che gli parlava in dialetto, a cui lui obbediva contento di obbedire".

"Penso anche che la deriva che lui prende dal 2008, facendo in pubblico quello che già faceva in privato, cioè esibendo la sua esuberanza nel frequentare ragazze e ragazzine", attacca Corrias, "non lo avrebbe fatto se sua madre fosse stata viva perché ne avrebbe avuto il terrore". 

"Una volta Maurizio Costanzo in una intervista che ho pubblicato", prosegue, "mi ha detto che lo avrebbe preso a schiaffi se avesse fatto quello che ha fatto dopo, le cosiddette cene eleganti". 

L'altra donna che ha contato molto nella sua vita, aggiunge Pino Corrias, "è Veronica Lario che lo ha lasciato l'anno dopo la morte della madre. Secondo me, e secondo molti dei sodali di Berlusconi, la scomparsa delle due ha terremotato il suo narcisimo, la sua vita pubblica e privata dopodiché c'è un trentennio di televisione commerciale dove il ruolo della donna è quello che è. […]", conclude.

Estratto dell’articolo di S.Chia. per il “Corriere della Sera” il 15 giugno 2023. 

[…] La segretaria del Pd Elly Schlein è entrata nella cattedrale verso le 14 insieme ai capigruppo dem Chiara Braga e Francesco Boccia e all’onorevole Piero Fassino per i funerali di Silvio Berlusconi: […] Unica leader dell’opposizione di centrosinistra, Schlein ha voluto esserci pur evitando qualsiasi commento. A mettere a tacere ogni tentennamento della vigilia in seno al Nazareno ci pensa Boccia: «Sono funerali di Stato, è un suo dovere esserci».

Estratto dell’articolo di Massimo Franco per il “Corriere della Sera” il 15 giugno 2023.

Le opposizioni sono riuscite a dividersi perfino sui funerali di Silvio Berlusconi, e questa è una novità. La segretaria del Pd Elly Schlein è stata presente alla cerimonia religiosa per l’ex leader del centrodestra; il capo del M5S ed ex premier, Giuseppe Conte, assente. […] Per anni, le sinistre hanno avuto sempre dei totem fissi da bersagliare. E il fondatore di Forza Italia era un obiettivo naturale. Ieri, […] i vertici delle due forze principali di minoranza hanno compiuto scelte diverse.

Eppure, quando Berlusconi era morto Conte aveva usato parole non rituali. Ma forse è stato proprio il suo commento iniziale a costringerlo a disertare l’appuntamento di Milano. Le reazioni della base grillina sono state così virulente da prefigurare una sorda rivolta verso il loro capo, accusato di eccessiva indulgenza verso l’odiato Berlusconi. E così, nonostante alla funzione del Duomo fossero stati invitati tutti gli ex premier, Conte non si è visto. […] Il suo ruolo passato, identico a quello di Paolo Gentiloni, Mario Draghi, Matteo Renzi, Mario Monti, che hanno preso parte alla cerimonia, è scivolato in secondo piano.

Conte è stato costretto a sacrificarlo sull’altare degli interessi e degli umori dei Cinque Stelle. È come se l’antiberlusconismo rimanesse una posizione di rendita che non è ancora tempo di abbandonare: soprattutto agli occhi di una base imbevuta di slogan estremistici.

Eppure, la presenza tranquilla e le parole sobrie del capo dello Stato, Sergio Mattarella, hanno rappresentato l’occasione per una pacificazione simbolica del Paese […] Sono servite a riequilibrare in nome della concordia nazionale sia le lodi eccessive e nostalgiche al Cavaliere da parte dei suoi seguaci, sia gli attacchi manichei e spesso scomposti dei suoi nemici. Sono indizi di un ritardo culturale, […] Invece di chiedersi come mai una maggioranza elettorale vota a destra dopo avere premiato per anni Berlusconi, si perpetua un atteggiamento di superiorità che finisce per apparire una fuga dalla realtà. […] rimane la sensazione amara che gli avversari di Berlusconi si siano di nuovo fatti male da soli, rivendicando fuori tempo massimo il proprio antiberlusconismo come una medaglia da sventolare dentro un’alleanza in macerie.

Il look del Cavaliere. Berlusconi, ossessionato dalla sua immagine. Adesso l’armocromia ci fa ridere ma lui fu il primo a ingaggiare una consulente a Palazzo Chigi.  Redazione su Il Riformista il 14 Giugno 2023 

Silvio Berlusconi ha stravolto l’immagine politica. Scrivania, voce rassicurante e foto dei figli sullo sfondo quando nel 1994 per la prima volta spiega agli italiani il suo sogno politico; quello che si sarebbe poi concretizzato in Forza Italia.  Tutto precisamente calcolato per veicolare dei messaggi . C’è stato un prima e un dopo Berlusconi soprattutto nella comunicazione politica.

E dietro tutto questo c’era una persona portata poi anche a Palazzo Chigi. Una persona di fiducia passata da addetta stampa di una neonata Italia Uno a consulente di immagine del Cavaliere. Mity Simonetto ha curato il look del Dottore, come lei lo chiamava, dalla sua discesa in campo fino al 2010. Lei la sola a partecipare alle riunioni del venerdì ad Arcore, lei l’unica alla quale Berlusconi dava del lei.

Lei, la signora che cura l’immagine, scelse uno dei punti vincenti del celebre discorso del ’94. La libreria pulita ed elegante, ma senza essere eccessiva, con la foto di famiglia; uno dei valori più grandi nella vita di Silvio. E adesso, Mity confessa in una vecchia intervista, che non lo rimetterebbe mai dietro a una scrivania. I tempi sono cambiati e si è ormai perso il contatto con la gente. Quindi giù dall’olimpo degli irraggiungibili. “Oggi l’avrei messo in mezzo alla gente, perché si è perso il contatto con i cittadini”.

Mity ha sempre aiutato il Dottore a realizzare quello che lui aveva già in testa. Lui era vanti su tutto, aveva già intravisto da dietro la porta quello che sarebbe successo negli anni a venire. Perfino l’inno di Forza Italia è stato ideato da Berlusconi in persona – “Una volta entrai ad Arcore e sentii le note di un pianoforte. Pensai: che bel motivo. Il Dottore mi chiamò e mi chiese: Che ne pensa?. Così nacque l’inno e piacque subito a tutti “.

Non solo il look è stato fondamentale per il successo politico di Silvio Berlusconi, tutti ricorderemo il contratto con gli italiani portato nel salotto di Bruno Vespa oppure il dettaglio delle apparizioni televisive perennemente con dei fogli in mano. Bianchi ovviamente ma che davano l’impressione di un uomo impegnato, con delle cose da dire, oltre ad aiutare nella gestione televisiva del gesticolare.

Anche con l’ostentazione della ricchezza, Silvio ha giocato una partita vincente. Il popolo non si è allontanato anzi ha voluto assomigliare sempre di più a lui, sognare di poter raggiungere un giorno quel livello. Perché lui in fondo partito come cantante sulle navi da crociera era diventato un leader a 360° dal quale prendere esempio.

Estratto dell'articolo di repubblica.it il 15 giugno 2023.

“Mi sono vestita in bianco perché così piaceva al Cavaliere” RaiNews24 riporta il commento di Maria De Filippi sul suo look ai funerali di Stato di Silvio Berlusconi, in corso al Duomo di Milano. Non una violazione del dress code, ma un omaggio esplicito al Cavaliere, alla cui famiglia la conduttrice è legatissima, al punto di essere seduta accanto a Silvia Toffanin, subito dietro a Pier Silvio Berlusconi, figlio di Silvio e vicepresidente di Mediaset.

Il dress code dei funerali di stato

Per i partecipanti ai funerali di Stato c'è un dress code da osservare: è richiesto che gli uomini indossino un abito scuro con cravatta nera o scura (sarebbe una cravatta nera lunga nel caso delle esequie del presidente della Repubblica), mentre per le donne si richiede un abito nero o scuro [...]

Marina Berlusconi in giacca e pantalone è mano nella mano con Marta Fascina, compagna dal 2020 di Silvio Berlusconi, anche lei in completo pantalone nero ma sotto la giacca ha una camicia in voile di colore blu.

Elegantissima Eleonora Berlusconi con abito nero e cappello con veletta in pizzo nero. Luigi, figlio minore del Cavaliere, è in completo grigio con cravatta scura.

Davanti a lui cammina Barbara Berlusconi con tailleur nero e un elegante cerchietto nero in pelle a tenere i capelli, ai piedi altissime décolleté Christian Louboutin. Infine Pier Silvio in quel tono di blu definito da molti "blu Fininvest". 

[...] 

Ilary Blasi in maglietta nera, scarpe basse e occhialoni scuri a coprire gli occhi, è arrivata accompagnata da Nicola Savino.

Nero senza fronzoli per Federica Panicucci che nei giorni scorsi fatto notizia per aver annunciato in diretta tv la morte di Berlusconi piangendo. Qui è accompagnata dal marito Marco Bacini.

Mara Carfagna completo nero scarpe ballerine e t-shirt bianca (anche questo un omaggio al Cavaliere?). 

A rendere omaggio a Berlusconi anche l'ex moglie Veronica Lario (vicino alla moglie del figlio Luigi, Federica, e a uno dei nipoti), in nero con indosso una collana con grandi perle.

Presente anche l'ex compagna di Silvio Berlusconi, Francesca Pascale, in nero, con t-shirt sotto il completo e capelli raccolti. 

La premier Giorgia Meloni, arrivata assieme al presidente Mattarella e uscita dal Duomo dopo le esequie dopo di lui, veste un sobrio completo nero, e così anche Elly Schlein che però ha scelto una giacca dal taglio maschile  e un pantalone largo.

Letizia Moratti invece rispetta il dress code con una variazione sul tema: t-shirt bianca (anche lei) e giacca a bolli bianchi e neri. 

Alessandra Mussolini con completo nero Matteo Salvini insieme alla compagna Francesca Verdini, con gonna nera con taglio asimmetrico, anfibi e una Kelly di Hermès nera. 

Nel rispetto del dress code, ecco Enrico Mentana con la sua cravatta sottile nera.

Alba Parietti, con mini bag e altissime décolletées.

Assieme Elisabetta Gregoraci e Flavio Briatore, lei con altissimi sandali e mini bag nera Candy Jodie Micro di Bottega Veneta.

Francesca Pascale arriva in Duomo per il funerale di Berlusconi: «Scusate per il mio silenzio, non è il momento». Da corriere.it il 14 giugno 2023.  

L’ex compagna di Silvio Berlusconi Francesca Pascale è arrivata in Duomo per i funerali di Silvio Berlusconi. Molto commossa e con occhiali scuri, Francesca Pascale non ha voluto rilasciare dichiarazioni: «Vi chiedo scusa non è il momento». 

Marta Fascina, Francesca Pascale e Veronica Lario: la compagna e le ex di Berlusconi insieme per la prima volta. Estratto dell’articolo di Lucia Landoni per repubblica.it il 14 giugno 2023.

Insieme per la prima (e chissà se ultima) volta per salutare l'uomo che tutte hanno amato in diversi momenti della sua vita: ai funerali di Stato di Silvio Berlusconi in Duomo non potevano mancare le sue donne, dall'attuale compagna Marta Fascina alla ex Francesca Pascale e alla seconda moglie Veronica Lario. 

Fascina, visibilmente provata dal dolore, ha accompagnato l'ingresso del feretro in chiesa insieme ai cinque figli di Berlusconi, seguendolo lungo la navata centrale e prendendo posto in prima fila sul lato destro dell'altare, accanto alla figlia maggiore Marina Berlusconi. 

[…]  la deputata di Forza Italia, che era da tre anni al fianco di Berlusconi, è stata più volte colta dalle telecamere presenti in Duomo mentre cercava di trattenere le lacrime e sussurrava preghiere a fior di labbra, con le mani giunte e lo sguardo fisso sul feretro. Alle sue spalle i genitori, Orazio Fascina […] e la moglie Angela Della Morte. Al termine della cerimonia, […] Si è poi chinata e ha dato un ultimo bacio al feretro.

Subito dietro ai familiari, in seconda fila ma dallo stesso lato della cattedrale, c'era Veronica Lario, seduta accanto alla nuora Federica Fumagalli, moglie del figlio Luigi, alla compagna di Piersilvio Berlusconi, Silvia Toffanin, e ai genitori di Marta Fascina. Sul suo cartellino segnaposto, Lario […] era indicata con il suo cognome da nubile, Bartolini. 

È arrivata in grande anticipo anche Francesca Pascale, che è entrata in Duomo passando per l'ingresso di piazza Fontana, visibilmente commossa, e vestita con tailleur nero, occhiali scuri e sneakers. ''Vi chiedo scusa, non è il momento'' ha detto ai cronisti che l'hanno intercettata. […] 

Assente invece […] la prima moglie Carla Dall'Oglio - il cui matrimonio con Berlusconi era durato 20 anni (dal 1965 al 1985) - che nei giorni scorsi aveva dedicato all'ex premier un necrologio definendolo "un grande uomo e uno straordinario papà per i nostri figli", ovvero Marina e Piersilvio.

Estratto dell'articolo di Candida Morvillo per il “Corriere della Sera” il 14 giugno 2023.

Il primo necrologio in cima a tutti gli altri sul Corriere della Sera è stato quello della prima moglie di Silvio Berlusconi, Carla Elvira Dall’Oglio, mamma di Marina e di Pier Silvio, la più riservata fra le consorti e le compagne che hanno diviso un pezzo di vita con l’uomo di cui oggi si celebrano i funerali. 

Carla, che oggi ha 82 anni, ha scritto: «Carissimo Silvio, sei stato un grande uomo e uno straordinario papà per i nostri figli.

Ricorderò per sempre la bellezza degli anni trascorsi insieme. Un abbraccio infinito». Per chi un po’ conosce le ere familiari di Arcore, è stata una sorpresa: queste sono anche le uniche parole pubbliche di Dall’Oglio, in generale nella sua vita e, in particolare, da quando sposò Berlusconi nel 1965, divorziando poi nel 1985.

[…]  E nulla disse né fece trapelare in fase di divorzio, sebbene sapesse che Silvio era ancora sposato con lei quando rimase folgorato dall’attrice Veronica Lario. Per questo suo riserbo Berlusconi la apprezzò moltissimo, fino a dichiarare che Carla era stata un «gran signora e una madre perfetta... di discrezione esemplare anche dopo il divorzio». A differenza, lasciò intendere, della seconda consorte, di Veronica. 

Durante la separazione, tanto era stata discreta Carla, infatti, tanto fu loquace Veronica, dapprima chiedendo al marito «pubbliche scuse» per una frase troppo galante rivolta a Mara Carfagna a una cena, poi, scrivendogli una lettera aperta in cui si lamentava di «vergini che si offrono al drago» e di «ciarpame senza pudore». 

Sposata con Silvio dal 1990, Veronica aveva avuto la primogenita Barbara nel 1984, seguita da Eleonora e Luigi, e aveva chiesto il divorzio nel 2009, catalizzando l’attenzione su una vicenda che di privato non ebbe più nulla, neanche le udienze in tribunale. 

Ora, nei giorni del lutto, le due ex mogli ufficiali restano distanti anche nello stile di commiato: pubblico quello di Carla, assente o forse privato quello di Veronica, che non ha pubblicato necrologi né rilasciato dichiarazioni. A metà aprile, l’agenzia Agi aveva scritto di una sua visita all’ospedale San Raffaele, finora mai confermata. 

[…]

Tutte le donne che sono state accanto a Silvio hanno avuto un carattere forte, ognuna a suo modo. Francesca Pascale, che è stata la fidanzata ufficiale dal 2012 per otto anni, ha rilasciato un’intervista per dire che a Berlusconi deve tanto, «per il mondo che le ha fatto conoscere, più che per i viaggi e il lusso che le ha fatto vivere». Oggi che è sposata con la cantante Paola Turci ed è un’attivista dei diritti Lgbtq+, ha detto di aver provato per lui «affetto e un sentimento profondo». 

Impossibile non notare che ha evitato la parola «amore», ma si è appellata al «timore di ferire qualcuno: la persona che amo o i familiari di Silvio», ha detto a Repubblica , puntando il commiato più sulla fine della Francesca che fu che sul Berlusconi che se ne va. «Con lui, muore la mia vecchia vita», ha detto.

E, infine, è rimasto in silenzio l’ultimo amore di Silvio, la «quasi moglie» e onorevole di Forza Italia Marta Fascina, 33 anni, sposata il 19 marzo 2022 con una cerimonia solo simbolica, utile a suggellare il loro amore senza intaccare le quote ereditarie dei cinque figli. Il suo profilo Instagram è fermo a febbraio, il suo necrologio non c’è neanche sul Giornale di famiglia, ma lei accanto a Silvio c’è stata sino alla fine, ogni giorno e ogni notte accanto a lui nella stanza privata del San Raffaele dove lui ha finito i suoi giorni. 

Oggi, al funerale, la «quasi moglie» sarà l’unica vedova: fra tutte, l’unica titolata alla prima fila davanti al feretro, o a salire sull’altare del Duomo per una lettura o per dire una parola definitiva sul Berlusconi più privato.

Westfalia milanese. I funerali poco berlusconiani di Berlusconi e l’Italia che riparte senza di lui. Mario Lavia su L'Inkiesta il 15 Giugno 2023

L’omaggio all’uomo che ha dominato la scena per trent’anni sono stati pieni di commozione e privi di ardore politico. In piazza Duomo si è chiusa una stagione politica e non se ne aprirà nessun’altra similedominato, certo. Nessuna grandiosità, zero politica, fatti salvi i coretti fuoritempo «chi non salta comunista è»: tutto sommato ieri piazza del Duomo è apparsa milanista più che forzista. Commozione, parecchia. In piazza, nel Duomo.

Un addio a Silvio Berlusconi fatto di sguardi, parole sussurrate, canti gregoriani, esattamente come deve essere l’ultimo addio, e la famiglia – anzi, le famiglie –, il mondo di Mediaset, ministri e sottosegretari, stranamente pochi stranieri, il che è un po’ amaro: ma Silvio non aveva tanti amici nel mondo? Begli amici.

Ecco poi Sergio Mattarella, sempre dignitosissimo, che con la sua presenza centrale e riservata ha dato il segnale che la guerra dei trent’anni è finita con questa specie di Westfalia milanese. Una fase si è chiusa e non se ne apre nessun’altra simile a quella. Berlusconiani e antiberlusconiani ora impugneranno altre bandiere e vestiranno nuove armature che l’uomo di Arcore, il bau bau oppure l’Unto del Signore, non è più tra noi e quindi siamo tutti ex antiberlusconiani ed ex berlusconiani.

Una Milano assolata ha dunque salutato il suo cittadino più famoso e lo ha fatto com’è lei, composta, civile, umana. Il più bel teatro del mondo era a pochi metri ed è stato giusto e non casuale che il sipario calasse su un pezzo di storia italiana proprio lì vicino.

In quella bara non enorme di legno di Honduras che – hanno detto – serviva per le chitarre di Jimi Hendrix (ma tu guarda certi meandri della Storia come vanno ad intrecciarsi) oltre all’uomo c’erano trenta inverni, parafrasando Franco Fortini, ed è parso di cogliere sia in piazza che nel Duomo la consapevolezza della fine di un’epoca così lunga: quanti, in quella piazza, non erano nemmeno nati nel giorno della scesa in campo.

Giorgia Meloni, che al tempo era una ragazzina, a un certo punto si è raccolta in meditazione come chi sappia di dover affrontare un giro di giostra più impervio perché la sua responsabilità verso l’ex popolo berlusconiano ora cresce.

Si è rivisto Mario Draghi, serissimo, con accanto Paolo Gentiloni che rappresentava l’Unione europea. Chissà perché Ursula von der Leyen non è venuta, e nemmeno Roberta Metsola, in fondo sono nello stesso Partito popolare europeo. C’era, invisibile, Elly Schlein che ha fatto benissimo a essere presente, a differenza di quel maleducato di Giuseppe Conte, perché ci sono momenti nei quali la sinistra c’è e poi si discute, e ieri era uno di quei momenti.

Il cardinal Mario Delpini ha trovato le parole giuste: «In questo momento di congedo e di preghiera, che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia». Un uomo che lascia un’eredità materiale di cui qui non interessa, se la vedranno tra i familiari almeno ieri tutti apparsi sinceramente uniti, su quella politica volteggia un grande punto interrogativo: a occhio e croce per ora non succederà assolutamente nulla. Dopo le Europee si vedrà: è questo il tacito patto.

Di certo si è fermata una certa idea della politica spericolata, indomita, un lungo dribbling tra le istituzioni e il popolo incedendo, cadendo, rialzandosi, schiaffeggiando le regole e subendo parecchio. Se ne continuerà a discutere, ed è molto improbabile che qualcuno cambi l’idea che del Cavaliere si è fatto in questi anni, per alcuni lo statista innovatore per altri il venditore corruttore di persone e di costumi. L’Italia ricomincia senza Silvio Berlusconi, in parte ci si era già abituata, ma non del tutto. E adesso chiedersi cosa succederà è inevitabile. Per ora, sipario.

Berlusconi, i funerali di Stato: folla davanti al Duomo ed a Arcore. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 14 Giugno 2023 

Sono oltre 10.000 le persone che stanno seguendo le esequie dai due maxi schermi posizionati ai lati della piazza transennata. Per la piazza i responsabili dell’ordine pubblico calcolano una presenza di circa 15 mila persone.

Lutto nazionale in Italia oggi e funerali di Stato alle 15 in Duomo a Milano per Silvio Berlusconi. Sono 2.000 le persone che potranno entrare nella cattedrale, ci saranno aree dedicate alla famiglia, a Mediaset, ai rappresentanti del Governo , ai parlamentari di Fi, a quelli degli altri partiti e alle rappresentanze estere, senza contare quelle per le squadre di calcio. I cittadini che volevano portare il loro ultimo saluto al Cavaliere, hanno avuto accesso libero ai varchi, fino a esaurimento dei posti. Un picchetto d’onore interforze è schierato sul sagrato del Duomo di Milano: ha reso gli onori militari al feretro di Berlusconi al suo arrivo al Duomo di Milano. 

I funerali di Silvio Berlusconi sono iniziati con il canto del Requiem aeternam. Poi la “monizione iniziale” dell’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, che presiederà le esequie. “Invitati a questa celebrazione, memoriale della Pasqua di Cristo, rivolgiamo al nostro fratello Silvio l’estremo saluto della pietà cristiana e dell’affetto. Questo rito consoli il nostro pianto e confermi la nostra speranza. Un giorno ci ritroveremo nella casa del Padre poiché l’amore di Cristo, che tutto vince, trasforma la morte in aurora di vita eterna”. 

La liturgia è proseguita con l’aspersione e l’incensazione del feretro. Segue l’orazione all’inizio dell’assemblea liturgica: “In questa celebrazione, o Dio, noi ti raccomandiamo con cuore filiale e con sicura speranza il nostro fratello defunto Silvio; ti chiediamo di accoglierlo nel tuo regno eterno, dove sono quanti hanno creduto in te e in colui che ci hai mandato, Gesù Cristo, nostro Signore e nostro Dio, che vive e regna con te, nell’unità dello Spirito santo, per tutti i secoli dei secoli“.

Sono oltre 10.000 le persone che stanno seguendo le esequie dai due maxi schermi posizionati ai lati della piazza transennata. Per la piazza i responsabili dell’ordine pubblico calcolano una presenza di circa 15 mila persone. L’ingresso libero, senza pass, ma contingentato. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni è arrivata alle 15. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella arrivato per ultimo, dopodichè è arrivato da Villa San Martino da Arcore il feretro dell’ex premier.

La lettera di Pier Silvio Berlusconi ai dipendenti

Pier Silvio Berlusconi  amministratore delegato di Mediaset ha scritto una lettera ai dipendenti: “Cara Mediaset, carissimi tutti, sento il bisogno di scrivervi perché so quanto era importante per mio padre farvi sapere l’amore e il grande orgoglio che ha sempre provato per la nostra azienda e per tutti noi, Non ci sono parole per descrivere la mia emozione ogni volta che mi diceva ‘Sono orgoglioso di te e di quello che fai’. E io ho sempre saputo benissimo che si rivolgeva a tutti noi: io da solo non avrei potuto fare nulla. Nulla. È stato un uomo che ha dato tanto, tantissimo. Che ha creato tantissimo. E ha sempre considerato la nostra azienda come una sua amatissima creatura“.

Aggiungendo : “Il mio papà, il nostro fondatore, vi ha sempre amato tutti, uno per uno. E adesso il nostro dovere è seguire la sua impronta indelebile, lavorare, lavorare, lavorare. Con entusiasmo e rispetto. Oggi dobbiamo guardare avanti e impegnarci ancora di più, sempre di più. Dobbiamo costruire un Gruppo ancora più forte e ancora più vivo. Lo dobbiamo fare per Mediaset. Lo dobbiamo fare per tutti noi. Ma soprattutto lo vogliamo fare per lui. Vi abbraccio forte. Siete nel mio cuore. E sarete per sempre nel suo cuore”.

Non sarà letto il messaggio figli al funerale

Non c’è stato alcun messaggio pubblico da parte dei figli di Silvio Berlusconi durante il funerale dell’imprenditore e politico che è iniziata alle 15 trasmessa in diretta dalle reti Mediaset, Rai e La7. La famiglia – si apprende da fonti vicine ai Berlusconi – aveva pensato a un breve saluto che sarebbe stato letto durante la cerimonia dalla primogenita Marina, ma la prassi consolidata per questo tipo di funzioni presso il Duomo di Milano esclude questa possibilità. 

Sono a mezz’asta le due bandiere dell’Italia e dell’Unione Europea collocate nella parte alta del Palazzo di Giustizia di Milano, sopra l’ingresso di corso di Porta Vittoria. E ciò, come previsto per tutti gli uffici pubblici, su disposizione della Prefettura e del Ministero dell’Interno in base al lutto nazionale proclamato per oggi in occasione dei funerali di Stato per Silvio Berlusconi.

Monsignor Delpini: “Il suo desiderio vita trova in Dio compimento“

“L’uomo è un desiderio di vita, di amore e di felicità”. Con queste parole l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini nella sua omelia per i funerali di Stato di Silvio Berlusconi, in corso nel duomo di Milano. Proprio sul desiderio di vita “che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento” monsignor Delpini si è concentrato all’inizio dell’omelia. “Vivere. Vivere e amare la vita. Vivere e desiderare una vita piena. Vivere e desiderare che la vita sia buona, bella per sé e per le persone care. Vivere e intendere la vita come una occasione per mettere a frutto i talenti ricevuti. Vivere e accettare le sfide della vita. Vivere e attraversare i momenti difficili della vita. Vivere e resistere e non lasciarsi abbattere dalle sconfitte e credere che ci sia sempre una speranza di vittoria, di riscatto, di vita”, ha detto monsignor Delpini. “Vivere e desiderare una vita che non finisce e avere coraggio e avere fiducia e credere che ci sia sempre una via d’uscita anche dalla valle più oscura. Vivere e non sottrarsi alle sfide, ai contrasti, agli insulti, alle critiche, e continuare a sorridere, a sfidare, a contrastare, a ridere degli insulti. Vivere e sentire le forze esaurirsi, vivere e soffrire il declino e continuare a sorridere, a provare, a tentare una via per vivere ancora”, ha concluso.

“Essere contento e amare le feste. Godere il bello della vita. Essere contento senza troppi pensieri e senza troppe inquietudini”. Questa la terza riflessione che monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, ha utilizzato nella sua omelia per le solenni esequie di Silvio Berlusconi in Duomo a Milano. “Essere contento degli amici di una vita. Essere contento delle imprese che danno soddisfazione – sottolinea Delpini -. Essere contento e desiderare che siano contenti anche gli altri. Essere contento di sé e stupirsi che gli altri non siano contenti. Essere contento delle cose buone, dei momenti belli, degli applausi della gente, degli elogi dei sostenitori. Godere della compagnia. Essere contento delle cose minime che fanno sorridere, del gesto simpatico, del risultato gratificante. Essere contento e sperimentare che la gioia è precaria. Essere contento e sentire l’insinuarsi di una minaccia oscura che ricopre di grigiore le cose che rendono contenti. Essere contento e sentirsi smarriti di fronte all’irrimediabile esaurirsi della gioia. Ecco che cosa si può dire dell’uomo: un desiderio di gioia, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento“, ha concluso monsignor Delpini.

“Silvio Berlusconi è stato un uomo ed ora incontra Dio”: la fine dell’omelia per Silvio Berlusconi pronunciata dall’arcivescovo di Milano Mario Delpini nel Duomo dove si stanno svolgendo i funerali del Cavaliere, è stata salutata dai presenti con un applauso. I familiari, gli amici e Marta Fascina la compagna di Silvio Berlusconi ha un completo nero e camicia blu e i capelli raccolti., hanno seguito commossi la cerimonia funebre del Cavaliere. Accanto alla Fascina Marina Berlusconi, con abito nero e Pier Silvio in completo blu e cravatta grigia. Poi Barbara con giacca e pantaloni neri e un cerchietto nero, Eleonora, in completo nero e che indossa un cappello nero con veletta e Luigi in completo grigio e cravatta nera. Due file indietro Maria De Filippi con una camicia bianca accanto alla compagna di Pier Silvio, la conduttrice Silvia Toffanin con i figli.

Il presidente di Mfe-Mediaset e amico da sempre Fedele Confalonieri è stato uno dei primi «big» dell’economia e della finanza a entrare nel Duomo di Milano per i funerali di Silvio Berlusconi. Oltre a lui si sono visti Guido Barilla, presidente dell’omonimo gruppo, Nerio Alessandri di Technogym, Luigi Ferraris a.d. delle Ferrovie dello Stato, oltre all’ex sindaco di Milano ed ex presidente Ubi, Letizia Moratti, l’ad di Mediobanca Alberto Nagel. Presenti tutti i dirigenti di Mediaset, Publitalia e Mondadori, compreso l’amministratore delegato del gruppo Antonio Porro. Redazione CdG 1947

Berlusconi, l’omelia di Delpini non è stata solo un inno alla nostra vita ma l’inno a Dio per la vita che ci ha dato. Daniela Santanchè su Il Riformista il 17 Giugno 2023

Nel “Si&No” del Riformista spazio alla discussione sull’omelia di Monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, in occasione dei funerali di Stato di Silvio Berlusconi. La domanda che poniamo è la seguente: l’omelia è stata opportuna? Rispondono la ministra del Turismo Daniela Santanché, secondo cui l’omelia di Delpini “non è stata solo un inno alla nostra vita ma l’inno a Dio per la vita che ci ha dato”, e Ludovico Seppilli (giovani Forza Italia) che “avrei molto approvato quello che non è stato detto”

Qui il commento di Daniela Santanché:

L’omelia dell’altro ieri pronunciata dall’Arcivescovo Delpini ai partecipatissimi funerali di Silvio Berlusconi, mi ha sorpreso, e credo abbia sorpreso tutti i presenti nel Duomo di Milano per almeno due ragioni: la forma e il contenuto.

La forma: è tipico della scrittura del teatro sovrapporre due piani distinti, quello locutivo, ovvero sia quello della parola, e quello illocutivo, il gesto. La lettura del testo da parte dell’Arcivescovo va compresa in una forma del tutto particolare di azione: non quella teatrale, ma quella propriamente liturgica. Come azione liturgica l’omelia è stata il punto di saldatura tra la prima parte della celebrazione, i riti introduttivi e le letture, compresa l’anticipazione nel rito ambrosiano del congedo, e la seconda, l’Eucarestia.

Alle musiche gregoriane, senza ritmo, come sospese, la lettura dell’omelia ha dato la quantità, il peso, il corpo, lo spessore, ma anche il ritmo. La tecnica usata è la cosiddetta ripetizione in crescendo, fino a raggiungere un climax: all’inizio in forma anonima, eterea come il gregoriano, alla fine, con un tono che si fa via via sempre più vibrante, sostenuto, e pieno, dando un nome alla parola “uomo”: Silvio. Le ripetizioni -vita, amore, gioia- dal canto senza nome sono diventate la vita concreta non dell’uomo astratto, ma di un ben determinato uomo con un corpo. Alla tecnica della ripetizione, ora ritardata, ora accelerata, si lega il contenuto, tipico di don Giussani: il senso del reale. La vita è reale, è contraddittoria, è cangiante.

L’immanenza terrena cui l’uomo si aggrappa, che percepisce come opportunità da cogliere per far fruttare appieno i propri talenti, il desiderio che essa sia piena, e colorata dalla speranza di un successo persino nel momento della sconfitta, compone la realtà concreta che sarebbe tuttavia senza senso esistenziale se privata del senso ultimo, se privata di Dio.

Vivere e non sottrarsi alle sfide, ai contrasti, agli insulti, alle critiche, e continuare a sorridere, a sfidare, a contrastare, a ridere degli insulti. Vivere e sentire le forze esaurirsi, vivere e soffrire il declino e continuare a sorridere, a provare, a tentare una via per vivere ancora trovano in Dio il compimento e il giudizio, cioè la verità interiore che solo lui conosce, e quella definitiva: l’eternità.

Lo stesso, dicasi per il desiderio di essere amato e temere che l’amore possa essere solo una concessione, una accondiscendenza, una passione tempestosa e precaria. Amare e desiderare di essere amato per sempre e provare le delusioni dell’amore e sperare che ci possa essere una via per un amore più alto, più forte, più grande.

Amare e percorrere le vie della dedizione. Amare e sperare. Amare e affidarsi. Amare ed arrendersi. E anche il desiderio di gioia (essere contento delle imprese che danno soddisfazione. Essere contento e desiderare che siano contenti anche gli altri. Essere contento di sé e stupirsi che gli altri non siano contenti) trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento.

Azione liturgica e giudizio senza pregiudizio di Dio, che conosce prima, e forse proprio per questo perdona. Ma forma e contenuto sono diventati nell’omelia dell’Arcivescovo Delpini la risposta alla musica gregoriana magistralmente eseguita in Duomo. Al coro degli Angeli musicato in Duomo tutti noi siamo stati invitati a intonare l’inno degli uomini a Dio, con tutte le dissonanze che ci appartengono e che Dio, conoscendole prima di noi, non nega, ma può perdonare. Io credo che l’omelia non sia stata quindi un inno alla nostra vita, ma l’inno a Dio per la vita che ci ha dato. Daniela Santanchè

Quello che non è stato detto...Berlusconi, nell’omelia di Delpini avrei voluto sentire altro: prima di affari e politica ha creato una comunità. Ludovico Seppilli su Il Riformista il 17 Giugno 2023

Nel “Si&No” del Riformista spazio alla discussione sull’omelia di Monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, in occasione dei funerali di Stato di Silvio Berlusconi. La domanda che poniamo è la seguente: l’omelia è stata opportuna? Rispondono la ministra del Turismo Daniela Santanché, secondo cui l’omelia di Delpini “non è stata solo un inno alla nostra vita ma l’inno a Dio per la vita che ci ha dato”, e Ludovico Seppilli (giovani Forza Italia) che “avrei molto approvato quello che non è stato detto”

Qui il commento di Ludovico Seppilli:

Qualunque fosse la scelta, non si trattava di un compito facile quello di Monsignor Delpini. Tenere un’omelia in un contesto come quello del Funerale di Stato di una personalità che ha lasciato un segno così forte nelle persone era una sfida ardua. Personalmente, più che disapprovare quello che è stato detto, avrei molto approvato quello che non è stato detto.

Ricordare che nella pienezza dell’esistenza di un uomo c’è anche una vita fatta di affari, di politica e che questi termini non sono, come questi ultimi anni di giornalismo anti-sistema hanno provato a convincerci, termini negativi credo sia stato un tentativo apprezzabile.

Ma, in un contesto religioso come quello di mercoledì, non riesco a comprendere le ragioni per cui si sia omesso il fatto forse più grande che Silvio Berlusconi ha saputo compiere: la creazione di una comunità. Pierluigi Pardo e l’Emiro del Qatar. Sessantenni delle più alte sfere sociali di Milano e giovanissimi con la spilla di Forza Italia nel cuore ancor prima che sulla giacca. Sportivi e top manager. Berlusconi ha saputo disegnare, costruire e regalare un sogno che ha unito cose e persone che sulla carta c’entravano poco o niente.

Cosa c’è di più cattolico dell’immaginare una traiettoria che diventa esempio per migliaia di persone, in decine di ambiti e contesti diversi tra loro quando non opposti? Cosa più dell’uomo stesso, inteso come fatto concreto, può trasmettere il senso più profondo dell’insegnamento cattolico?

“La famiglia non è la somma delle persone che la costituiscono, ma una “comunità di persone”. E una comunità è di più che la somma delle persone. È il luogo dove si impara ad amare, il centro naturale della vita umana. È fatta di volti, di persone che amano, dialogano, si sacrificano per gli altri e difendono la vita” dice Papa Francesco.

Tra le tante grandezze degli 86 anni vissuti da Silvio Berlusconi, quel senso di comunità che si respirava in tutta Piazza Duomo è stata la più tangibile. Ad attendere ore sotto al sole l’arrivo del feretro c’erano migliaia di persone per lo più sconosciute le une alle altre, portate lì dall’aver aderito a una proposta fatta di umanità, semplicità e, come diceva sempre lui, libertà.

Mi sarebbe piaciuto, da cattolico più che da berlusconiano, vedere tutto questo messo ben prima degli affari e della politica. La politica, per Berlusconi come per tutti noi, è uno strumento. Ma quella comunità di persone era il fine. E come tutti i fini che si è prefissato nella sua vita, lo ha raggiunto a pieno.

Ludovico Seppilli

La lettera di Giorgia Meloni: “Berlusconi esce di scena da protagonista: i suoi avversari hanno perso”. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 14 Giugno 2023  

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni: sul suo nome gli italiani si sono divisi e il giudizio della storia sarà diverso da quello della cronaca

Silvio Berlusconi esce di scena da protagonista. Molti in queste ore ne hanno raccontato l’avventura umana, imprenditoriale e politica.Sul suo nome gli italiani si sono divisi e il giudizio della storia sarà diverso da quello della cronaca. Più sereno, meditato ed equilibrato. C’è chi lo ha combattuto politicamente con lealtà e chi invece ha usato mezzi impropri per provare a sconfiggerlo. Anche questo è un dato sul quale riflettere, per l’oggi e il domani, perché alla fine di questa storia i suoi avversari hanno perso.

Berlusconi faceva parte della borghesia imprenditoriale di Milano non per eredità e lignaggio, ma per capacità e intraprendenza. Quanti stereotipi su di lui si addensano in queste ore. La storia della famiglia di Berlusconi è quella di tanti italiani che nel Dopoguerra, con pochi soldi e molte speranze, si sono battuti per migliorare la loro condizione e quella dei propri figli, realizzando quello che è stato chiamato il miracolo italiano. La naturale empatia che molti italiani provavano per Berlusconi deriva da qui: dall’essere uno di loro, uno che ce l’aveva fatta e che non apparteneva a quei mondi esclusivi e inaccessibili, tipici delle storiche famiglie influenti italiane.

Berlusconi è stato il primo della nostra storia repubblicana a diventare presidente del Consiglio dopo essersi affermato nel settore privato. L’imprenditore prestato alla politica che rompeva uno schema ormai consolidato in Italia.

La sua cavalcata nella cronaca è diventata storia perché, a un certo punto, il suo modo di essere nella vita privata è diventato una svolta pubblica, una reazione di fronte alla parabola che in Italia stava assumendo la storia dopo il crollo del Muro di Berlino. Berlusconi ha impedito che i postcomunisti prendessero il potere in Italia pochi anni dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che aveva sancito la fine del comunismo in Europa. Un paradosso storico evitato dalla sua decisione di fondare Forza Italia e federare le forze politiche del centro, della destra e il movimento leghista. È questa, in fin dei conti, la grande colpa che la sinistra non gli ha mai perdonato.

Il suo ingresso nell’arena della politica ha accelerato i processi di trasformazione che erano già in corso a destra e a sinistra. Berlusconi ebbe il tempismo e colse il momento. Quella che doveva essere una lunga stagione di governi di estrazione socialista, senza reali alternative nel campo moderato, si è trasformata nell’era dell’alternanza al governo tra centrodestra e centrosinistra, dando all’Italia una dimensione occidentale e contemporanea, rafforzando così l’intera nazione a livello internazionale. Della sua figura prevalgono le molte luci, sul piano umano e ancor di più su quello politico, essendo stato da leader di partito e da presidente del Consiglio un formidabile difensore del nostro interesse nazionale e del nostro tessuto produttivo e sociale. È questa la grande eredità che Berlusconi lascia all’Italia. Ne sapremo fare buon uso. Grazie Silvio. 

Redazione CdG 1947

Il testo integrale dell’omelia appena pronunciata dall’arcivescovo Mario Delpini, durante il funerale di Silvio Berlusconi, dal titolo “Ecco l’uomo: un desiderio di vita, di amore, di felicità”, pubblicato da editorialedomani.itil 14 giugno 2023.

Vivere e resistere e non lasciarsi abbattere dalle sconfitte e credere che ci sia sempre una speranza di vittoria, di riscatto, di vita. Vivere e desiderare una vita che non finisce e avere coraggio e avere fiducia e credere che ci sia sempre una via d’uscita anche dalla valle più oscura. 

Vivere e non sottrarsi alle sfide, ai contrasti, agli insulti, alle critiche, e continuare a sorridere, a sfidare, a contrastare, a ridere degli insulti. Vivere e sentire le forze esaurirsi, vivere e soffrire il declino e continuare a sorridere, a provare, a tentare una via per vivere ancora. Ecco che cosa si può dire di un uomo: un desiderio di vita, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento.

Amare e desiderare di essere amato. E cercare l’amore, come una promessa di vita, come una storia complicata, come una fedeltà compromessa. Desiderare di essere amato e temere che l’amore possa essere solo una concessione, un’accondiscendenza, una passione tempestosa e precaria. Amare e desiderare di essere amato per sempre e provare le delusioni dell’amore e sperare che ci possa essere una via per un amore più alto, più forte, più grande. 

Amare e percorrere le vie della dedizione. Amare e sperare. Amare e affidarsi. Amare ed arrendersi. Ecco che cosa si può dire dell’uomo: un desiderio di amore, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento.

Essere contento e amare le feste. Godere il bello della vita. Essere contento senza troppi pensieri e senza troppe inquietudini. Essere contento degli amici di una vita. Essere contento delle imprese che danno soddisfazione. Essere contento e desiderare che siano contenti anche gli altri. Essere contento di sé e stupirsi che gli altri non siano contenti. 

Essere contento delle cose buone, dei momenti belli, degli applausi della gente, degli elogi dei sostenitori. Godere della compagnia. Essere contento delle cose minime che fanno sorridere, del gesto simpatico, del risultato gratificante. Essere contento e sperimentare che la gioia è precaria.

Essere contento e sentire l’insinuarsi di una minaccia oscura che ricopre di grigiore le cose che rendono contenti. Essere contento e sentirsi smarriti di fronte all’irrimediabile esaurirsi della gioia. Ecco che cosa si può dire dell’uomo: un desiderio di gioia, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento 

Quando un uomo è un uomo d’affari, allora cerca di fare affari. Ha quindi clienti e concorrenti. Ha momenti di successo e momenti di insuccesso. Si arrischia in imprese spericolate. Guarda ai numeri, forse si dimentica dei criteri. Deve fare affari. Non può fidarsi troppo degli altri e sa che gli altri non si fidano troppo di lui. È un uomo d’affari e deve fare affari.

Quando un uomo è un uomo politico, allora cerca di vincere. Ha sostenitori e oppositori. C’è chi lo esalta e chi non può sopportarlo. Un uomo politico, nei nostri tempi, è sempre un uomo di parte. Quando un uomo è un personaggio, allora è sempre in scena. Ha ammiratori e detrattori. Ha chi lo applaude e chi lo detesta.

Silvio Berlusconi è stato certo un uomo politico, è stato certo un uomo d’affari, è stato certo un personaggio alla ribalta della notorietà. 

Ma in questo momento di congedo e di preghiera, che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. E ora celebriamo il mistero del compimento. Ecco che cosa posso dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio.

Estratto dell’articolo di Lucetta Scaraffia per “la Stampa” il 15 Giugno 2023. 

Immagino che molti italiani abbiano seguito ieri, davanti al televisore, quello che era indubbiamente l'avvenimento del giorno: i funerali di Silvio Berlusconi. […] voglio […] parlare […] del discorso dell'arcivescovo Delpini, al quale è seguito un applauso, mentre il prelato annuiva soddisfatto.

Che Berlusconi sia stato anche un uomo di spettacolo non giustifica la pioggia di applausi che ha segnato il rito. Applaudire ai funerali è un'orribile abitudine che si è diffusa a imitazione degli show televisivi, ma gli applausi sono in genere destinati al morto. In questo caso è stata applaudita l'omelia, ma molto di rado si applaude un'omelia, che è una riflessione, non uno spettacolo. E per di più, in questo caso, gli applausi sono stati mal riposti perché l'omelia era brutta, intessuta di banalità: si vive, si ama e si cerca di essere amati, di essere contenti e – trattandosi di un uomo d'affari – di fare ovviamente buoni affari.

Che il defunto fosse una personalità […] controversa, che si dichiarava cattolica e credente, ma poi smentiva questa dichiarazione con molti comportamenti: di tutto questo non valeva la pena parlare. E così anche in questo funerale si è ripetuto quello che avviene in quasi tutti i funerali: i celebranti non parlano mai della morte e non affrontano il tema del destino di una vita umana, […] Non toccano il tema bruciante del giudizio divino, al quale ormai nessuno pensa più […] 

No, niente di tutto questo: meglio stare allegri, amare ed essere contenti, finché si può, e sorvolare sugli argomenti che rattristano. Ma il cristianesimo è nato e si è diffuso proprio perché era una buona novella relativa alla morte, a ciò che essa significa: la premessa della grande speranza. […] La morte non era più fonte di terrore, ma possibilità di incontro, personale e vero, con il Salvatore che con il proprio sacrificio l'aveva sconfitta.

Ma monsignor Delpini ha deciso di non avventurarsi su questi temi desueti e di imboccare piuttosto il tema dell'obituary di taglio televisivo, come gli applausi hanno confermato. Ha così tracciato una via di fuga dal pensiero della morte per tutti i presenti, dando lui stesso per primo l'esempio. […] Molti penseranno che Berlusconi si meritava un'omelia simile. Io no: ogni morte richiede rispetto, innanzi tutto silenzio, meditazione. Anche la sua.

Chi è Mario Delpini, l’arcivescovo di Milano della discussa omelia ai funerali di Silvio Berlusconi. La polemica sulle parole dell'arcivescovo. "Che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia". Redazione Web su L'Unità il 15 Giugno 2023

Continua a far discutere l’omelia di Mario Delpini, l’arcivescovo di Milano, che ieri ha celebrato i funerali di Silvio Berlusconi al Duomo. “Silvio Berlusconi è stato certo un uomo politico, è stato certo un uomo d’affari, è stato certo un personaggio alla ribalta della notorietà. Ma in questo momento di congedo e di preghiera – il passaggio finale, quello che ha fatto più discutere – , che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. E ora celebriamo il mistero del compimento. Ecco che cosa posso dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio“.

All’uscita dal Duomo il direttore del tg di La7 Enrico Mentana aveva subito osservato come anche l’omelia avesse diviso, “molto forte, perché è sembrata in parte laica. Di ricongiunzione tra la vita, i piaceri e in parte anche le smodatezze della vita e poi il momento della resa dei conti”. Il giornalista aveva riportato di facce sconcertate, “non tutti l’hanno apprezzata allo stesso modo”. Se per il direttore de Il Foglio Claudio Cerasa era stato “gigantesco Delpini. La sua omelia su Berlusconi è un saggio di vita, di fede, di anti moralismo“, per l’ex radicale e già portavoce di Forza Italia Daniele Capezzone l’omelia è stata “costruita in modo furbo, perché suscettibile di interpretazioni opposte. Un orecchio benevolo vi coglierà la naturale tensione di ogni essere umano alla gioia, al desiderio, alla dimensione terrena (su questo registro si muovono i primi due paragrafi). E, al momento della morte, c’è una doverosa e rispettosa sospensione di ogni giudizio, che spetta solo a Dio”.

Delpini ha diviso, o forse è Berlusconi che continua a dividere anche tramite la sua predica. È arcivescovo di Milano dall’estate del 2017. È nato a Gallarate, il 29 luglio 1951, cresciuto nella parricchia di San Giorgio di Jerago. Ha frequentato le scuole medie e i due anni del ginnasio ad Arona, risiedendo nel Collegio De Filippi. È entrato alla sede di Venegono Inferiore del Seminario di Milano nel 1967, ordinato presbitero nel giugno 1975. Fino al 1987 ha insegnato nel Seminario minore della diocesi di Milano, prima a Seveso e poi a Venegono Inferiore. Delpini ha conseguito la laurea in Lettere presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, la licenza in Teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, con sede in Milano, il diploma in Scienze Teologiche e Patristiche presso l’Istituto Augustinianum con sede in Roma.

Rettore del Seminario Minore, del Quadriennio Teologico, Rettore Marrio dei Seminari di Milano, insegnante di Patrologia, Vicario episcopale della Zona Pastorale VI di Melegnano. Papa Benedetto XVI lo ha nominato vescovo ausiliare di Milano e vescovo titolare di Stefaniaco in Albania, l’ordinazione episcopale il 23 settembre dello stesso anno, nella Cattedrale di Milano, dal cardinale Dionigi Tettamanzi. Il suo motto è Plena est terra gloria eius. Dal 2007 al 2016 ha ricoperto l’incarico di segretario della Conferenza Episcopale Lombarda. È diventato vicario generale del cardinale Angelo Scola nel luglio 2012 e vicario episcopale per la formazione permanente del clero nel 2014.

Della complessità dell’omelia è indicativo come giornali lontanissimi, di segno opposto, abbiano lodato ma con prospettive e argomentazioni diverse le parole dell’arcivescovo. Se Giuliano Ferrara ha scritto sul Foglio che Delpini “ha dipinto un perfetto ritratto […] era un uomo contento, una macchina desiderante che cercava ardentemente la felicità, anche nelle feste citate con sprezzo del pericolo conformista dal suo parroco cerimoniere dell’ultimissima ora mondana”, sul Fatto Quotidiano Fabrizio d’Esposito ha scritto che l’arcivescovo ha “ricondotto B. alla sua dimensione terrena di uomo che adesso trova ‘in Dio il suo giudizio e il suo compimento’“.

Un altro passaggio significativo dell’omelia di Delpini: “Quando un uomo è un uomo d’affari, allora cerca di fare affari. Ha quindi clienti e concorrenti. Ha momenti di successo e momenti di insuccesso. Si arrischia in imprese spericolate. Guarda ai numeri e non ai criteri. Deve fare affari. Non può fidarsi troppo degli altri e sa che gli altri non si fidano troppo di lui. È un uomo d’affari e deve fare affari. Quando un uomo è un uomo politico, allora cerca di vincere. Ha sostenitori e oppositori. C’è chi lo esalta e chi non può sopportarlo. Un uomo politico è sempre un uomo di parte. Quando un uomo è un personaggio, allora è sempre in scena. Ha ammiratori e detrattori. Ha chi lo applaude e chi lo detesta”.

Redazione Web 15 Giugno 2023

Il ricordo. Racconto dei funerali di Silvio Berlusconi, fatti a sua immagine e somiglianza. L’arcivescovo Mario Delpini lo saluta parlando della gioia di vivere di colui che fu imprenditore e politico, ma soprattutto “un uomo”, con il suo “desiderio di vita, di amore, di gioia”. E’ per me la descrizione perfetta di Silvio Berlusconi. Tiziana Maiolo su L'Unità il 15 Giugno 2023 

Come faccio a non piangere, mentre nella piazza si asciuga le lacrime il suo popolo e dentro al Duomo vedo la commozione di Marina, di Marta, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi, e quegli occhi chiusi con un leggero tremito delle labbra del Presidente Sergio Mattarella, e i pugni schiacciati sulle palpebre di Giorgia Meloni, e il corpo rannicchiato sulla carrozzina di Umberto Bossi.

E’ l’ultimo giorno di Silvio Berlusconi. Solenni funerali di Stato nel Duomo di Milano. L’arcivescovo Mario Delpini lo saluta parlando della gioia di vivere di colui che fu imprenditore e politico, ma soprattutto “un uomo”, con il suo “desiderio di vita, di amore, di gioia”. E’ per me la descrizione perfetta di Silvio Berlusconi, della sua empatia riconosciuta da chiunque, del suo camminare sempre a testa alta verso il futuro, con il coraggio di non arrendersi mai.

Dall’abitazione di Villa San Martino, affossata da centinaia di mazzi di fiori, striscioni e bandiere e da un lungo corteo, un serpentone accompagna il corteo funebre, applaude fino a che le auto non si vedono più, in fondo alla lunga via. Dalle 14,20 sino alle 14,55 lungo il tragitto sono fiori e applausi, mentre su piazza Duomo ronzano le pale dell’elicottero e da sotto sventolano decine e decine di bandiere del Milan e anche quelle di Forza Italia e un paio di tricolori, e il coro infinito dei tifosi: “Un presidente, c’è solo un Presidente”. Nel nome dei 29 trofei in 31 anni che il “dottore” ha regalato al suo Milan. Per non parlare del miracolo del Monza, trascinato rapidamente dalla C alla serie A. Ci hai portato dal fallimento al tetto del mondo, grazie Presidente, dicono i suoi tifosi. E il cartello di un bambino: “Mi consenta, grazie Silvio”.

Gli sarebbe piaciuto questo suo ultimo saluto. Non per lo sfarzo, i militari in alta uniforme, un intero governo e tutti i governatori regionali e il Presidente della repubblica, e delegazioni da tutta Europa e il presidente del Qatar e quello dell’Ungheria. Dentro la chiesa, si sarebbe aggirato a curare i dettagli fino all’ultimo, poi avrebbe controllato il Requiem e la disposizione dei posti, dei fiori e gli orari. Ma il suo corpo l’avrebbe offerto a quelli che stavano fuori, che si arrampicavano sul monumento equestre dedicato a Vittorio Emanuele secondo, che allungavano il collo fin da piazza Mercanti.

Persino il cuscino di rose bianche e rosse nel verde delle foglie adagiato su un legno che si dice prezioso come quello della chitarra di Jimmy Hendrix, persino quello avrebbe controllato e accarezzato. Avrebbe salutato tutti quelli che in abito scuro erano lì per lui, quattro ex presidenti del consiglio, Renzi, Gentiloni, Draghi e Monti, e nessuno di loro è mai stato dalla sua parte. Si sarebbe dispiaciuto per una grande assenza, quello del suo vecchio antagonista Romano Prodi che pure ha avuto dolci parole per lui e che oggi piange un lutto grande, per l’improvvisa morte della moglie Flavia Franzoni.

Una parte del suo mondo è lì, con le note struggenti e languide del “Silenzio”. Tutti gli storici dirigenti della Fininvest, Mauro Crippa, Paolo Liguori, quelli che c’erano e anche quelli, come Enrico Mentana e Umberto Cairo, che ora sono da un’ altra parte, e il mondo dello sport, i presidenti di squadre e gli ex giocatori come Baresi, tra i pochi non di famiglia ammessi alla camera ardente a Villa San Martino.

La chiesa intera che applaude l’ultimo saluto, la sobrietà elegante della città di Milano rappresentata dal sindaco Beppe Sala e il Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, mentre le reti Mediaset mandano il viso del loro fondatore, e Cesara Buonamici e Barbara Palombelli conducono i telespettatori con le immagini sulla faccia impietrita di Alberto Zangrillo, la commozione di Maria De Filippi, l’unica in bianco contro il cerimoniale dei funerali solenni che suggerisce il nero anche per le signore.

Ma la piazza che lui avrebbe preferito è quella di fuori, piena di ragazzi, troppo giovani per averlo votato, che lo salutano cantando in coro “Berlusconi c’è, Berlusconi alè alè”, Sono quelli di piazza Duomo ma anche quelli che hanno disseminato la zona davanti a Villa San Martino di fiori cartelli e magliette e che hanno aspettato il suo ritorno alle cinque del pomeriggio. E intanto il ministro Nordio presenta le riforme sulla giustizia, nel nome di Silvio Berlusconi. Ma sarà molto impervia la strada, per chi sogna le regole dello Stato di diritto, senza di lui.

DAGOREPORT il 16 giugno 2023.

A proposito di Berlusconi International, sputtanato sulla stampa estera e santificato dai media italici come lo statista che mise fine alla guerra fredda Bush-Putin a Pratica di Mare, bla bla. Bene, alla cerimonia funebre, accanto al povero Mattarella, brillavano il premier ungherese Orban, quello albanese Rama, i rappresentanti di San Marino. 

Il presidente iraniano era lì per caso, visto che era in visita ufficiale in Italia e Roma potentona aveva traslocato a Milano, per squadernare il più grande spot per il governo, l’hanno preso  e spedito sul sagrato del Duomo, come un pacco Amazon. Davanti al feretro del grande statista internazionale, non era presente nessun rappresentante di un governo occidentale.

E i vari Trump, Xi Jinping, Biden, Blair, Clinton, Boris Johnson, Macron, Scholz, Von der Leyen, Trudeau, eccetera (lasciamo perdere la “culona” Merkel), non si sono scomodati nemmeno per un telegramma peloso, per un gesuitico messaggio di cordoglio alla famiglia. Nisba, come dicono in Brianza, anche da parte del Partito Popolare Europeo, di cui si riempiva la bocca  il Silvio dei due mondi. Avete letto una dichiarazione di Manfred Weber, presidente PPE? L’unico leader che voleva baciare la bara era impegnato a gettare bombe su Kiev: Vladimir Putin…

Estratto dell’articolo di Beppe Cottafavi per editorialedomani.it il 16 giugno 2023.

Arrigo Sacchi, Fabio Capello e Max Allegri, i tecnici del calcio; Mario Draghi e Mario Monti, quelli del governo. Maria De Filippi e Barbara D’Urso, le regine della sua tv. Aurelio De Laurentiis che in un sol uomo sintetizza impresa, cinema e calcio. Lele Mora, stanco. Aggrappato al bastone Marcello Dell’Utri. Tutto il governo Meloni. Elly per l’opposizione garbata e Renzi per gabbare il partito. Non pervenuta la politica internazionale. Solo l’emiro del Qatar di fianco a Mattarella. E i capitani reggenti di San Marino, che fa estero. Benedizione religiosa senza moralismo quella dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini, muta e laica quella del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. 

Questa la sintesi del funerale postmoderno di Silvio Berlusconi. Che continua nelle pagine dei necrologi del Corriere, in overbooking di cordoglio. Ieri per esempio si è sciolta la trama del necrologio situazionista in due puntate, quello del regista Luca Guadagnino e del direttore artistico Carlo Antonelli. Luca Guadagnino è un grande regista. Per aver diretto il film Chiamami col tuo nome nel 2017, ha ricevuto il plauso dalla critica e numerosi riconoscimenti tra cui una candidatura al Premio Oscar per il miglior film, al Golden Globe per il miglior film drammatico e due ai British Academy Film Awards per il miglior regista ed il miglior film.

Nel 2022 ha vinto il Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia per la sua regia di Bones and All. Carlo Antonelli, collaboratore di Domani, è stato il direttore di Rolling Stones, Wired, Gq, è amico e socio nella produzione di Guadagnino. Il necrologio è un genere letterario codificato in una scrittura formulaica, dove ogni parola pesa non solo nel suo valore semantico, ma anche in quello economico. Perché il condolersi si paga a parola, come una volta il telegramma. Direi che è la prima volta che il genere viene serializzato. Da un maestro anche delle serie tv, che ha realizzato We Are Who We Are nel 2020. 

Questo il plot della fulminea prima puntata. «Parte prima.

Abbiamo passeggiato tutto il pomeriggio per Milano 2, ripensandoti. Le villette color mattone, i ponticelli, la vecchia sede degli uffici tuoi, il lago dei cigni che ogni tanto gettavano per te l’ultimo canto. Poi, ai margini, i bagliori dei ceri dietro le finestre di case regalate. E, dappertutto, nelle strade vuote, l’eco delle tue risate. Quante risate...troppe». 

Questa la Parte seconda, pubblicata ieri dal Corriere.

«Il giorno dopo ti abbiamo celebrato di nuovo facendo tanti giochi, i tuoi preferiti: il monopoli truccato senza imprevisti o probabilità; lo scarabeo per scrivere paroline eleganti; il karaoke tutte imbellettate come te per far passare ogni pensiero; la seduta spiritica per svegliare il demone nella pancia del Paese. Abbiamo urlato tutta la notte.

Carlo Antonelli, Luca Guadagnino Roma, 14 giugno 2023 I due discoli situazionisti lo avevano già fatto. Per Raffaella Carrà, per la regina Elisabetta, per Lucia Hiriart, vedova di Pinochet, con un icastico «finalmente».

Estratto da ilfattoquotidiano.it il 15 Giugno 2023.

“Il lutto nazionale per la morte di Berlusconi? Esagerato e ridicolo. Purtroppo non avranno mai un lutto nazionale le persone normali, cioè tutte quelle persone che non hanno rubato o che non hanno fatto interesse privato in atti d’ufficio o che non hanno risposto alle 10 domande di Repubblica (sul caso Noemi e Ruby, ndr). 

Trovo tutto eccessivo, dallo stop alle votazioni nelle Camere ai funerali di Stato, che sono stati fatti su misura per lui“. Inizia così, ai microfoni de La Zanzara (Radio24), l’analisi tagliente che il fotografo Oliviero Toscani fa della figura di Silvio Berlusconi, rendendosi protagonista di un fitto botta e risposta coi conduttori Giuseppe Cruciani e David Parenzo.

Toscani aggiunge: “Berlusconi ha inciso sulla storia italiana negli ultimi 30 anni? Anche Mussolini, se è per questo. Non credo proprio che Berlusconi passerà alla storia come Cavour. E io non vorrei mai passare alla storia come Berlusconi. Lui in un certo momento storico aveva una tale maggioranza e un tale potere che avrebbe potuto dimostrare di essere un grande statista. E ha perso questa occasione.  Non è stato un grande statista e non passerà mai alla storia come tale“. 

E rincara: “In un certo senso Berlusconi è stato peggio di Mussolini, perché ci ha tolto una morale e una dignità che prima avevamo. Ci ha fatto diventare un popolo di ballerine, ci ha volgarizzato, ci ha messo rossetto, tacchi. Ci ha messo il culo di fuori”. […]

Il fotografo poi si sofferma sugli scandali sessuali dell’ex Cavaliere: “Quelli erano la cosa meno grave, perché in realtà era tutto grave nella sua condotta. Come Mussolini, aveva sicuramente una concezione maschilista di dominio dell’uomo nel senso tradizionale italiano, per dimostrare che era un uomo e che scopare una donna al giorno era indice di virilità. Secondo me, invece, questo è un segno di debolezza virile”. 

E chiosa: “Lavorare con Berlusconi? Gli dissi di no, perché non avrei mai potuto lavorare per e con lui. […]”

Il popolo di Silvio: l’ultimo saluto dell’Italia a Berlusconi. Eleonora Ciaffoloni su L'Identità il 15 Giugno 2023 

Calorosi applausi lo hanno accompagnato da Arcore a Milano, fino al Duomo e alla sua uscita. Il giorno dell’ultimo saluto a Silvio Berlusconi ha visto un’ampia partecipazione, dal mondo della politica, a quello imprenditoriale e dello spettacolo e fino ai tifosi del Milan e i più fedeli sostenitori. Una folla di oltre 15mila persone ha preso posto in piazza Duomo per assistere – dai maxischermi predisposti – alla cerimonia funebre che si è svolta all’interno della Cattedrale milanese. Lì, sono state circa 2300 le persone, tra famiglia, amici e istituzioni, a prendere parte al funerale. Funerali di Stato e lutto nazionale per il Cavaliere: una decisione, quest’ultima, presa dal Consiglio dei Ministri e che rappresenta una prima volta per un ex Presidente del Consiglio.

L’ADDIO DELLA SUA MILANO

Una giornata partita da Villa San Martino, ad Arcore, dove era stata allestita la camera ardente del presidente per le preghiere e i saluti dei più cari. Lì nella serata di martedì, avevano fatto visita i suoi alleati, la premier Meloni e il vicepremier Matteo Salvini e tantissimi altri amici e colleghi. Da lì ieri, alle ore 14 e 15 circa, il feretro di Silvio Berlusconi è partito alla volta del centro di Milano: un tragitto di circa 45 minuti, che è stato accompagnato dai saluti di molte persone assiepate lungo la strada, fino alla piazza principale meneghina, dove ad accoglierlo erano in migliaia. Prima gli applausi, poi i cori dei tifosi del Milan – “Un presidente, c’è solo un presidente” – fino al silenzio, quasi surreale di tutta la folla. Ad accompagnare la salma del Cav per la cerimonia funebre i figli Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi, insieme alla compagna Marta Fascina, tenuta per mano dai due figli maggiori. Tutti, visibilmente commossi, hanno assistito in prima fila all’ultimo saluto, con la cerimonia celebrata dall’arcivescovo di Milano, Mario Delpini. Il Monsignore nella sua omelia ha reso omaggio a Berlusconi che, oltre ogni sua carica e titolo, è stato uomo: “Silvio Berlusconi è stato certo un uomo politico, è stato certo un uomo d’affari, è stato certo un personaggio alla ribalta della notorietà. ma in questo momento di congedo e di preghiera, che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. E ora celebriamo il mistero del compimento. Ecco che cosa posso dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio”.

L’OMAGGIO DALLA POLITICA ALLO SPORT

A rendere omaggio al Cav vi erano amici, colleghi e tantissimi politici e il governo intero: dalla premier Meloni, ai vicepremier Tajani e Salvini, passando per i presidenti di Camera e Senato Fontana e La Russa. Ma anche altri leader delle varie forze politiche, Matteo Renzi, Carlo Calenda, Elly Schlein, e altri ex premier da Mario Monti a Paolo Gentiloni (a rappresentanza della Commissione Ue) e Mario Draghi. In prima fila anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, assieme ad altri Capi di Stato come il presidente dell’Iraq Abdul Latifi Rashid, l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Tahani ed i reggenti della Repubblica di San Marino Alessandro Scarano e Adele Tonnini. Arrivato da Budapest anche l’amico, nonché primo ministro ungherese Viktor Orban. Non solo il mondo della politica: per Berlusconi erano presenti tanti rappresentanti del mondo imprenditoriale, vecchi amici e tutto il mondo Mediaset – da Maria De Filippi a Jerry Scotti – fino al mondo Milan, con i visibilmente commossi Arrigo Sacchi, Adriano Galliani e vecchie glorie come Savicevic, Baresi, Boban e Inzaghi. Presenti anche il presidente della Fifa Gianni Infantino, il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis, e quello della Juventus Gianluca Ferrero, ma anche una rappresentanza della dirigenza dell’Inter.

IL SALUTO DELLA PIAZZA

Una cerimonia seguita anche dalla piazza e da tantissime persone collegate in televisione. All’uscita del feretro dalla cattedrale sono stati continui gli applausi e i cori dedicati a Silvio Berlusconi. Una partecipazione attiva e sentita che è stata riconosciuta dai familiari del Cav tanto che i figli Marina e Luigi hanno tenuto a ringraziare simbolicamente a mani giunte tutte le persone presenti. La salma è stata accompagnata fuori dalla piazza da un abbraccio collettivo e dalla commozione di tanti. Subito dopo la cerimonia, il feretro ha fatto ritorno ad Arcore, mentre nella giornata di oggi la salma di Berlusconi sarà trasferita a Valenza Po, in provincia di Alessandria, per la cremazione. Le ceneri poi, torneranno a casa a Villa San Martino nel mausoleo voluto dal Cav.

Cori da stadio, pianti e vip. L’ultimo saluto a Berlusconi. TIZIANO SCARPA su Il Domani il 14 giugno 2023

Chi si aspettava un musical è rimasto deluso: la messa per l’ex premier è severa e composta. Ma lui le liturgie le creava

Le bandiere del Milan, la famiglia in lutto e Fascina contrita. Presenti tutti: da Mattarella a Boldi, da Meloni a Lele Mora

Poi parla Delpini che fa l’omelia: si vede che l’arcivescovo conosce bene il Vangelo ed è andato a scuola da Ponzio Pilato

Mi aspettavo un musical, non una messa. La consegna di un Telegatto postumo. Una torta gigante da cui escono Angela Merkel, Michelle Obama e Martin Schulz in bikini. Un carro di Viareggio con una coppa dei campioni monumentale. Uno sfarfallio di cartine dorate dal cielo, il golden buzzer sparso da cento mongolfiere a forma di tetta. Tutto avrei detto, ma una messa no. Una messa era al di là delle mie fantasie più scalmanate.

Ci ho sperato fino all’ultimo momento. Piazza Duomo prometteva bene. Gran sventolare di bandiere milaniste e cori calcistici. La morte come gol al novantesimo minuto. E fra le corone di fiori ci sono anche quelle dell’Inter e della Roma. La parete di corone funebri più assurda che abbia mai visto: Avvocatura dello stato e Maria Belén Rodriguez; Milan Club di Parigi e Mediaset España; emiro del Qatar e Lapo Elkann; presidente regione Lazio e presidente Lega Serie B; residenti di Milano 2 e dipendenti delle sedi di Forza Italia.

Si sente nell’aria che stiamo vivendo una giornata storica, con il tipico eccesso autoriflessivo che contraddistingue i nostri tempi: l’euforia di sapere che “sta succedendo qualcosona!, sta succedendo qualcosona!”, e che mobilita fotografatori e videoclippatori, twittatori e instagrammatori, postatori e descrittori, me compreso. È come se la consapevolezza soverchiasse l’evento. Il commento viene prima della cosa in sé.

CACCIA AL PERSONAGGIO 

Sono arrivato in anticipo, mi sono messo a intercettare anch’io le celebrità che entrano da piazza Diaz, di fianco al Duomo. In un’ora ho avuto un assaggio della dura vita dei videocronisti. Si formano grumi di fotografi e giornalisti, corrono istericamente da un capannello all’altro, angosciati di perdere il Personaggione.

Ascolto da vicino le dichiarazioni epocali di Alba Parietti: «Al ristorante mi dicono “c’è Berlusconi, alzati e vai a salutarlo”, io sono una signora, non mi alzo, ma veniva sempre lui da me». Lele Mora: «trattava tutti bene, ti faceva sentire a tuo agio». Barbara D’Urso: «L’ultima volta mi ha chiamato per dirmi che mi aveva visto in trasmissione, e che però secondo lui stavo meglio nel promo con i capelli raccolti: sempre sul pezzo fino alla fine!». Iva Zanicchi: «Mi ha fatto i complimenti per come ho ballato in tv. Faceva tanta beneficenza senza dirlo a nessuno».

Mi sfilano a due passi Mariastella Gelmini, Lorella Cuccarini, Gianni Letta, Enrico Papi, Giulio Tremonti e altre personificazioni sparse della sua ricetta, la mistura di spettacolo e politica, gli ingredienti con cui ha costruito e mantenuto il suo potere.

La madornale decisione di proclamare il lutto nazionale, le bandiere a mezz’asta, i sette giorni di chiusura del parlamento e il megafunerale al Duomo mostrano quanto sia improbo per la destra compiere questo rito di sepoltura, e quanto ingombrante fosse la sua presenza. Sbarazzarsi di lui è stato il desiderio malcelato di tutte le ipocrite prosternazioni deferenti che gli sono state dedicate in questi ultimi anni. Ora bisogna dimostrare di avergli conferito i dovuti onori, con questa elaborazione del lutto sovradimensionata, per poter dire: “Il nostro dovere l’abbiamo fatto, finalmente se ne è andato, non pensiamoci più”.

Il pomeriggio lasciava sperare per il meglio, nonostante la facciata austera della cattedrale. «Magari dentro il Duomo ci sono gli addobbi», mi sono detto. «Statue colorate: ormai le hanno sdoganate anche gli archeologi. Avranno pittato qualche santa con l’ombretto, il rossetto e il tubino nero, che gli piacevano tanto».

Invece, delusione. Siamo proprio dentro una chiesa. Magari si è convertito in punto di morte. Si sa com’è, invecchiando. Tutto può essere. Prendo posto in una panchina libera. Mi ritrovo tra Francesco Storace, Flavio Tosi e Roberto Castelli. Penso con terrore a quando dovrò scambiare con loro un cattolico segno di pace.

IN CHIESA

Ci sono schermi disseminati nella chiesa, vediamo le immagini dell’auto che trasporta la bara in avvicinamento. La colonna sonora di canti eterei del coro nella cattedrale smaterializza quelle immagini, la macchina scorre sospesa su un asfalto metafisico. Segnerà una svolta negli spot automobilistici di prossima generazione.

Si spalanca il portale della chiesa, la luce dilaga, entrano i pennacchi rossi e blu dei carabinieri, parte l’applauso. La bara percorre la navata. Che cosa ci fa Berlusconi in una chiesa? In quella bara c’è la salma più materialista d’Italia. Non poteva entrarci neanche un soffio di spirito, in quel corpo. Era troppo stipato del suo io. Alla spiritualità aveva sostituito le spiritosaggini.

Che cosa c’entra lui con la messa? Non riesco a concepire due cose più distanti. E non perché fosse un grande peccatore. Figuriamoci, i preti vanno in solluchero proprio nei casi come questo. Quanto più ostinato è il peccato, tanto più si dimostra che c’è bisogno di loro per erogare benedizioni e perdono. Il motivo per cui sento questa incongruenza assoluta è un altro. È che lui le liturgie le inventava, non sopportava di entrare in quelle decise dagli altri.

Come hanno potuto fargli un torto così grande? Bisognava mettere in piedi una cerimonia alternativa. Qui c’è un settore enorme di posti riservati a funzionari e dipendenti Mediaset. E l’azienda, agli ingressi del Duomo, aveva disseminato buttafuori vestiti da ammiragli, torvi e sussiegosi: ho chiesto un’informazione a uno che mi ha rimbalzato scuro in volto, come se avessi importunato il segretario personale di Mattarella. Ma allora, con una rappresentanza così numerosa alle esequie, gli sceneggiatori e i programmisti Mediaset avrebbero dovuto darsi da fare, aizzando la fantasia in omaggio all’estrosità del loro padre fondatore. Che so, organizzare una partita di calcio funerario, magistrati contro politici, atei devoti contro cattolici divorziati: squadre indistinguibili, tutti in campo vestiti di nero, tutti contro tutti, tutti contemporaneamente giocatori e arbitri, come voleva essere lui.

Perché invece siamo qui a capo scoperto? Perché non ci hanno distribuito una bandana da metterci tutti quanti sulla testa?

UN INVENTORE DI RITI 

Silvio Berlusconi è stato un inventore di riti. Non è possibile che ora subisca questo vecchiume in extremis, lui che con le televisioni e le trasmissioni e gli inni di partito ha sfornato decine di rituali nuovi. Li ha dettati lui, alle sue condizioni. E adesso si ritrova nel solito cerimoniale buono per tutti, solo un tantino più affollato.

Fondava nuove liturgie ma era un irrituale, un sovvertitore di cerimonie; dalle frivolezze alle cose serie; dalle corna nelle foto istituzionali alla proclamazione di un partito salendo sul predellino dell’auto. Una volta però l’ho ammirato: quando è andato al cinema con la figlia a Vimercate la sera della prima della Scala, e un’altra volta, mi pare, in pizzeria. Mentre l’Italia che conta faceva sbrilluccicare orecchini e canini nel foyer del teatro, lui sgranocchiava un cornicione di capricciosa su una tovaglia a quadretti rossi. L’uomo più ricco d’Italia che riesce a passare per persona qualunque, con i gusti di tutti, lontano da mondanità e culturaglia. Colpo da maestro.

Mentre ricordo queste cose, mi rendo conto che è l’essere umano di cui so più cose, al di fuori della mia cerchia. Anzi, ora che ci penso ne so di lui più di quanto sappia dei miei amici più cari. Per dire, mica ho sentito le loro intercettazioni telefoniche la mattina dopo che sono andati a letto con una tipa. Di Berlusconi invece so tutto, anche se non l’ho mai visto di persona. Di lui sono stato indotto a fantasticare ciò che non poteva essere documentato e divulgato ma si è saputo comunque, dai rapporti con i boss agli spettacolini privati alla fantomatica telefonata in cui le deputate del suo partito si danno consigli nei dettagli su come gli piaceva essere vezzeggiato. Voglio dire che non c’è persona come lui che sia riuscita a imporsi non solo come immagine, ma anche come immaginazione, come oggetto di fantasticamenti, congetture, apparizioni.

Mi riscuoto dai miei pensieri, ho un sussulto quando sento la lettura tratta dalla Seconda lettera di san Paolo ai Corinzi: «Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo». Ho l’impressione che anche la bara rabbrividisca: persecuzione giudiziaria pure in Paradiso.

Alla fine della Liturgia della Parola, è il momento della lettura del Vangelo di Giovanni. «Colui che viene a me non lo caccerò fuori. Chiunque crede in me avrà la vita eterna», dice. È palesemente apocrifo. Nella mia testa ne risuona un altro, certamente autentico: un brano dal Vangelo secondo Mike.

«In quel tempo, Silvio si recò in un sottoscala di Via Teulada, dove era mugugno e stridor di dentiere. Egli radunò a sé Raimondo, Sandra, Pippo, Corrado, Maurizio, Mike, e disse loro: “Perché languite qui in Rai? Venite a me, io vi farò pescatori di telespettatori”. Ed essi si meravigliarono alquanto, e dissero: “Rabbi, cosa possiamo darti che tu non hai già?”. Ed egli disse: “Gli italiani prenderanno sul serio le mie televisioni se ci vedranno dentro voi, e grazie a voi io conquisterò la pubblicità, l’informazione, la politica e tutto il paese, e voi riceverete vita e vecchiaia eterna sullo schermo, vi lascerò fare i vostri quiz e sketch e talk show e bagattelle fino a che non schiatterete”. Ed essi obbedirono, per vanagloria e avidità di denaro, ed ebbero sulla coscienza la presa berlusconiana del paese, e ora bruciano nel fuoco della Geenna».

L’OMELIA 

L’arcivescovo di Milano fa la sua predica. Dice: «Vivere e amare la vita. Vivere e desiderare una vita che non finisce». Ci sta, Berlusconi aveva dichiarato che poteva arrivare a centovent’anni.

L’arcivescovo dice: «Amare e desiderare di essere amato. Temere che l’amore sia una concessione, un’accondiscendenza». Berlusconi si sarà mai chiesto quanto lo amavano per convenienza? E quanto l’amore conveniente fosse quello più solido su cui contare, invece del volatile affetto sincero, che oggi c’è e domani chissà?

L’arcivescovo dice: «Essere contento e desiderare che siano contenti anche gli altri. Essere contento e stupirti che non siano contenti anche gli altri». Mentre lo ascolto mi chiedo come dev’essere stata una vita passata a cercare di procurare piacere, a sfruttare il piacere procurato ad altri. Nel mio piccolo, l’ho vissuto anch’io. Ho scritto per il teatro: è un’esperienza unica vedere realizzato sul palco una propria fantasia; registi, attori, scenografi, costumisti, tecnici, tutti si adoperano per concretizzarla. Mi è sembrato perfino troppo: l’imposizione di un mio sogno. Moltiplicando la mia esperienza per un milione, posso intuire in quale ebbrezza viveva lui, che è riuscito a imporre il suo sogno agli italiani. Proprio il suo personale, non quello del marketing.

In un primo tempo infatti credevo che ciò che proponevano le sue televisioni fosse il frutto di oculate strategie di mercato, sondaggi sulle preferenze e le debolezze profonde della gente. Il meglio della semiotica e delle scienze umanistiche novecentesche applicate agli schermi: archetipi condivisi, scaltrezza commerciale, estetica dei media. E invece no, mi sbagliavo. È ciò che mi ha impressionato di più, quando è venuto fuori com’era il suo modo di concepire il divertimento privato e i piaceri personali. Stangone, tettone, sorrisoni, dentature sbiancate, siparietti triviali.

Lo spettacolo televisivo che ci ha offerto Berlusconi, da quarant’anni a questa parte, il sogno in cui ci ha risucchiati, era quello che piaceva veramente a lui. Era il suo sogno. Quello che, appena poteva, lui allestiva scenicamente per sé stesso, dal vivo, intorno a sé, a casa sua, a palazzo Grazioli, nella villa in Sardegna, facendolo recitare in carne e ossa dalle sue giovani invitate, dai suoi strimpellatori di chitarra, dagli ascoltatori delle sue barzellette.

L’arcivescovo continua la sua predica, si contiene, sette minuti in tutto. Dice che Berlusconi è un uomo d’affari, e gli uomini d’affari devono fare affari. Dice che Berlusconi è un politico, e i politici dei nostri tempi sono uomini di parte. Dice: «Un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. Ecco che cosa si può dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio». Ottima predica, si vede che l’arcivescovo conosce bene il Vangelo ed è andato a scuola da Ponzio Pilato.

Sono piuttosto indietro nelle file, a tre quarti della navata, ma lo vedo anche sugli schermi; è evidente che lo stanno doppiando. Lo guardo bene, gli leggo il labiale. In realtà sta dicendo: «Berlusconi è stato un grande secolarizzatore. Se mai ha avuto un merito, è stato quello di rendere miscredenti gli italiani; sì, meglio l’ateismo che la nostra ipocrisia clericale. Ma allora come mai oggi pomeriggio noi preti omaggiamo il nostro sterminatore? Colui che ha lavorato alla nostra estinzione, spazzando via ogni afflato verso la trascendenza con il culto del successo, dei soldi, della figa?»

Finita la messa, portata fuori la bara, nel settore della piazza riservato alla gente sventolano i bandieroni del Milan. Dalla folla non sale nessuna preghiera, solo cori da stadio. 

TIZIANO SCARPA.  Romanziere, poeta e drammaturgo. Il suo ultimolibroè La penultima magia (Einaudi 2020). Tra i titoli più recenti, Stabat Mater(Einaudi 2008, premio Strega 2009 e Premio SuperMondello 2009), L’inseguitore (Feltrinelli 2008), Discorso di una guida turistica di fronte altramonto (Amos 2008), Le cose fondamentali (Einaudi 2010 e 2012), La vita, non il mondo (Laterza 2010), Il brevetto del geco (Einaudi 2016 e 2017), Il cipiglio del gufo (2018 e 2020)

Estratto dell'articolo di Luca Bianchin per gazzetta.it il 15 Giugno 2023.

Il feretro arriva sul sagrato del Duomo e la curva canta "un presidente, c’è solo un presidente". La bara esce e gli ultrà fanno ondeggiare i bandieroni. Mettiamola così: non il tipico classico funerale di Stato. Silvio Berlusconi del resto ha mischiato calcio e politica come mai nessuno, in questo Paese. […]mentre i figli e la compagna accompagnavano una bara di legno sulle scale del Duomo. Non lacrime ma cori. Non canti gregoriani ma canti da stadio.

All’interno, lo aspettavano i suoi ragazzi. Adriano Galliani e Ariedo Braida erano presenti […]

Il Milan attuale era a pochi metri. Paolo Scaroni, attuale presidente, è stato legatissimo a Berlusconi e molti ieri lo hanno riconosciuto in tv, in prima o seconda fila con la famiglia. Giorgio Furlani, l’a.d., era in chiesa. Poi certo, gli allenatori e i giocatori di Berlusconi. Franco Baresi, Demetrio Albertini, Zvone Boban, Dejan Savicevic che per esserci ha guidato per 1.200 chilometri da Podgorica, Daniele Massaro, Giovanni e Filippo Galli, Pippo Inzaghi, Giovanni Stroppa. […]

Paolo Maldini era arrivato da poco a Miami quando Berlusconi ha lasciato questo mondo e molti, sui social, hanno fatto notare che tornare per un saluto sarebbe stato un segno di riconoscenza e di affetto. Assenti anche altri grandi milanisti, da Ancelotti a Gattuso, fino agli olandesi Gullit-Van Basten-Rijkaard. […]

Arrigo Sacchi e Fabio Capello invece c’erano. Sacchi tra i più commossi, Capello col completo blu e la camicia bianca, come in tv. In un altro punto della chiesa sedeva Max Allegri, l’allenatore dell’ultimo scudetto, mentre Alberto Zaccheroni, ancora debilitato dopo il lungo ricovero in ospedale, ha desistito all’ultimo. "Berlusconi è stato un grande presidente e un grande uomo - ha detto Sacchi in serata, […]

 L’assenza di Maldini? Per me Paolo è giustificato, non credo meritasse quello che gli hanno fatto la scorsa settimana". […]. Assente anche Luigi De Siervo, Amministratore Delegato della Lega Serie A.

[…]

Estratto dell’articolo di Niccolò Zancan per “la Stampa” il 15 giugno 2023. 

Arrampicati ai piedi del monumento equestre di Vittorio Emanuele II, […] stanno gli amici di Silvio Berlusconi che lui non ha mai conosciuto. […] «Mi chiamo Rodolfo Bianchi, sono vedevo, elettricista in pensione. Ho l'età di Silvio. E se la morte si è preso uno come lui, allora io che speranze ho?». In quel momento dalle casse collegate al maxi schermo risuonano le parole più forti dell'omelia: «Essere contento! E sperimentare che la gioia è precaria!».

Esattamente questo è il sentimento popolare nel giorno del funerale di Silvio Berlusconi: una gigantesca malinconia, una disillusione. Sono passati troppi anni per tutti. E adesso è difficile credere alla felicità. «Un Milan come il suo non lo vedremo mai più» dice l'ex metalmeccanico Roberto Dagostino. Questa è la morte di un personaggio pubblico entrato così tanto nella vita privata degli italiani, che quelli che sono qui adesso a salutarlo è come se si accomiatassero da una parte della propria esistenza.

[…] Parte il coro della curva del Milan: «Un presidente! C'è solo un presidente!». Parte un applauso dalle prime file. Si avvicina un signore per dire quello che gli sta a cuore. «Sai cos'è questa giornata?», chiede retoricamente il cavalier Silvio Ippoliti, già docente universitario e manager. «Questa giornata è il flop totale della magistratura. Dai servizi sociali al funerale di Stato: ha vinto Silvio!».

Quando portano via la bara, restano le bandiere in aria e in terra le carte dei panini. Tutti vogliono un selfie con un capo ultrà. Una prova immanente di Berlusconismo. L'aver trasformato il calcio in spettacolo e ogni persona in un potenziale personaggio. Così all'inizio fanno le foto con Giancarlo Capelli detto «il Barone» perché nessuno come lui rappresenta la Curva Sud del Milan, ma poi fanno le foto con Giancarlo Capelli detto «il Barone» perché sta facendo foto con tutti. «Ma chi è?».

[…] dietro alle transenne, stava il popolo di Silvio. Ecco perché in molti si sono arrampicati lassù. Per avere una vista diretta. Come dal tinello di casa sulla tv commerciale. Applauso per Mario Draghi. Applauso più forte per il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Tifo da stadio per Silvio B. […] Il signor Antonio Petrella da Caserta: «Mi sono svegliato alle 3 del mattino. Ma per Silvio, uno che dormiva 4 ore a notte per lavorare, è il minimo che potessi fare». Il fabbro in pensione Albereto Capitanio: «Non mi importa quello che dicono di lui. Io gli perdono tutto».

E in questo gigantesco cantico delle gesta di Berlusconi, una signora a un certo punto ha detto la frase finale. La frase che spegne la luce. E fa calare il sipario. Lì intorno, tutti si sono voltati a guardare. Guardavano la signora Helen Owie, originaria della Nigeria, da trent'anni in Italia, che mentre ancora applaudiva e ancora piangeva ha detto così: «Menomale che Silvio c'era».

Sogno o son destro. I miei strani trent’anni da milanista di sinistra. Cataldo Intrieri su L'Inkiesta il 16 Giugno 2023

Nessuno ha subito l’effetto divisivo di Berlusconi quanto il tifoso rossonero non simpatizzante per Forza Italia. Alla morte del Cavaliere si tirano le fila di una lunga storia di fede, politica e calcistica 

A quelli come me Silvio Berlusconi ha diviso l’anima in due. Parlo di un tipo particolare e diffuso: l’uomo di sinistra tifoso del Milan. Una condizione condivisa con migliaia e migliaia di consimili, gente a cui lui faceva girare le scatole a ogni tornata elettorale e che poi con lui saltavano e cantavano a ogni coppa levata al cielo. Una storia cominciata dal giudice fallimentare nel 1986 dopo i trionfi dell’era di Nereo Rocco, il paròn, e di Rivera. Al decennio tra gli anni Sessanta e Settanta (due scudetti, due coppe dei campioni, due coppe delle coppe, una coppa intercontinentale, tre coppe Italia) per il Milan era seguito un periodo lunghissimo in cui c’erano state più retrocessioni in serie B (due) che scudetti (uno, con gli ultimi lampi di Rivera e il genio tattico del Barone Liedholm).

Il racconto inizia al suono della cavalcata delle valchirie e degli elicotteri a Milanello, tra le pernacchie di chi pensava che sarebbero serviti come quelli degli americani a Saigon per una fuga precipitosa nella vergogna. Invece l’uomo stava spacciando sogni per bambini cresciuti e nostalgici.

Dopo tre anni, il Milan era in cima al mondo e offriva a noi increduli tifosi partite da leggenda, come una stratosferica cinquina a uno dei tanti mitologici Real Madrid della storia. Non l’avremmo mai voluto ammettere, ma quella che sentivamo era la felicità assoluta del fanciullo che si trova a vivere una favola che credeva perduta nell’infanzia. E il merito era di un destroide cummenda che insultava le tue idee.

Quella schizofrenia sentimentale tra la ragione della politica e l’estasi dei sogni toccò il suo culmine il 18 maggio del ’94, quando nello stesso giorno il primo governo Berlusconi cercava la fiducia in un senato dalla maggioranza ballerina e il Milan invece cercava la sua quinta coppa dei campioni al cospetto del Barça allenato da Johann Crujff, battezzato come il dream team di sempre.

Ci andava senza la coppia centrale di difensori Beppe Baresi/Alessandro Costacurta e senza una prima punta capace di segnare più dei dieci gol stagionali di Daniele Massaro, adattato a improbabile centravanti. Fu un doppio trionfo per lui e l’ennesima lacerazione per il tifoso di sinistra. Ma se devo essere sincero, non avrei mai contrabbandato la caduta in Parlamento della destra con i quattro gol rifilati ai presuntuosi catalani, umiliati da una doppietta del riadattato Massaro e pure con un indimenticabile pallonetto di Dejan Savicevic che impietrì l’arroganza di Crujff e capovolse i pronostici della vigilia. Altro che accontentarsi di un’onorevole sconfitta e crogiolarsi nella mistica da falliti della sfiga avversa come i bauscioni: non c’era alternativa alla vittoria se non il dolore senza consolazione possibile.

Confesso miserevolmente che ogni disfatta politica era lenita dalla speranza che i successi elettorali avrebbero arricchito la dotazione tecnica del Milan. E infatti dopo la sconfitta del ‘96, durante la lunga marcia nel deserto il profilo calcistico fu tenuto volutamente basso (e, ciò nonostante, non ci si poté esimere dal vincere il sedicesimo insperato scudetto, rimontando con sette punti nelle ultime sette partite la stellare Lazio di Sergio Cragnotti). Il cavaliere era improvvisamente rifiorito a nuova vita su tutti i media possibili per appropriarsi dei meriti, ma gli si perdonava tutto in quei momenti e si programmava pure di far tappa durante il viaggio di nozze a Perugia per l’ultima di campionato, sfidando il precoce naufragio matrimoniale.

Ritornato al governo fu di nuovo grandeur: da Rui Costa a Pippo Inzaghi, a Clarence Seedorf e Andrea Pirlo, presi con scambio da plusvalenze all’Inter, cui vennero rifilati due non eccelsi pedatori, a Rivaldo e poi Alessandro Nesta fino a uno sconosciuto talentino brasiliano che suscitò titoli memorabili («Galliani stringe per Kakà»). Fu l’ultimo pallone d’oro del Milan. E quell’abbinamento tra calcio e politica così straziante per il sentimento della sinistra calcistica continuava, nel bene e nel male.

Nel 2005 la sconfitta politica si accompagnò alla rovina di Istanbul, con la beffa di una rimonta di tre gol subita dal Liverpool e il dubbio che fosse finita. Invece dopo due anni Berlusconi e il Milan ritornano a rivincere in politica e in Champions (prendendosi pure la rivincita con gli inglesi). Il declino arriva nel secondo decennio, con la cacciata da palazzo Chigi e la squadra defraudata di uno scudetto per un gol non visto solo dall’arbitro nella partita decisiva con la Juventus. Il golden touch se ne andava, via pure i grandi giocatori, da Kakà a Zlatan Ibrahimovic, per salvare il bilancio, sostituiti da qualche vecchia gloria e mezze figure.

Berlusconi tuttavia è stato capace di finire il suo sogno politico e calcistico al momento giusto, quando non sarebbe stata più possibile l’epica titanica, ma solo una pallida imitazione. Quando il Milan è tornato a vincere per la prima volta senza di lui in trent’anni, spezzando una pericolosa catena sentimentale, ci si è comunque inteneriti a vederlo festeggiare la sera dello scudetto rossonero, come un’ombra di sogni lontani.

L’ultima immagine che resta, tremenda, è quella senza fiato e penosa di un uomo che si chiede: «Cosa ci faccio qui?», sapendo di non avere futuro. E aveva ragione, comunque la si pensi. Non era per lui una vita da mediano ad accontentarsi di una qualche Conference League. Quando finiscono i sogni bisogna andare.

Andrea Carloni, il tifoso del Milan che si svegliò dal coma ascoltando la voce di Berlusconi. Storia di Simone Golia Corriere della Sera il 15 Giugno 2023.

Una volta saputo della morte di Berlusconi, Andrea Carloni si è ammutolito: «Lo ha letto su Facebook — ci racconta Alfio, il papà — pensava fosse una cavolata, uno dei tanti falsi allarmi. Poi ha capito che questa volta era successo davvero». Suo figlio oggi ha 42 anni, ma ne aveva 16 quando — il 28 febbraio 1997, ad Ancona — un’auto sbuca dal nulla e, fregandosene del segnale di precedenza, lo travolge mentre, in motorino, stava tornando verso casa, dove i genitori e la sorella Cristina lo aspettavano per cena. L’impatto col marciapiede è violentissimo, il casco e la tempestività dei soccorsi gli salvano la vita: «È una storia che possiamo raccontare. Quando hai questa fortuna, va bene così», sussurra al telefono Alfio, che per cinque mesi osserverà il figlio immobile sul lettino d’ospedale, con gli occhi chiusi e immerso in un sonno profondo: «Aveva subito un forte trauma cranico. Malgrado le terapie, non dava segnali di risveglio».

La voce di Berlusconi

Poi la svolta. Un collega di Alfio — che lavora come guardia giurata — sa del forte tifo per il Milan da parte della famiglia Carloni. Andrea è un milanista sfegatato, come la madre, da sempre innamorata di Rivera. Prende dunque carta e penna e scrive una lettera a Berlusconi, spiegandogli la situazione e chiedendogli di registrare la voce dei giocatori: «Era convinto che, nonostante il coma, Andrea riuscisse a percepire il suono», prosegue Alfio, che di lì a poco si ritroverà con in mano una bella sorpresa: «Berlusconi aveva inciso personalmente un discorso di 15 minuti in cui esortava mio figlio a svegliarsi e a tornare alla vita di prima. “Andrea, è il tuo presidente che ti parla — iniziava così— Andrea, svegliati. Io e il Milan ti aspettiamo. So che lo puoi fare e noi ti abbracceremo tutti”. Glielo ho fatto ascoltare a tutte le ore. Pochi giorni dopo ha riaperto gli occhi. Quel nastro, ogni tanto, lo risento pure oggi».

La storia suscita da subito grande clamore, le tv la cavalcano, Andrea viene invitato da Bruno Vespa nel salotto di Porta a Porta. «Pensavo che, una volta sentitomi, non avresti più voluto svegliarti!», ci scherza Berlusconi. Che poi mantiene la parola e lo invita a Milano. Prima un giro nella sede di via Turati, poi a Milanello dal suo idolo Kakà: «Lo amava, per un suo compleanno il club gli ha regalato la maglia del brasiliano con tanto di autografo», ricorda Alfio.

«A Berlusconi direi soltanto un grande grazie»

Andrea tocca la Champions vinta l’anno prima ad Atene («Anche se la nostra preferita resta quella di Manchester contro la Juventus»). Poi il pranzo con la squadra e San Siro: «La partita me la ricordo ancora, ultima giornata di campionato. Milan-Udinese 4-1, gol di Pato, Inzaghi, Cafù e Seedorf». Entrando nella loro casa di Ancona c’è una serie di altarini a tinte rosse e nere: «Nel 1999, due anni dopo l’incidente, Berlusconi non si era dimenticato di noi e ci aveva fatto recapitare un orologio per il centenario della società. Tassotti ci portò anche l’ultima maglia indossata da Baresi prima di ritirarsi». Oggi Andrea fatica a camminare e ha una paresi al braccio destro, ma frequenta un laboratorio di mestieri dove segue corsi di teatro, pittura e scultura. Da ormai 20 anni c’è una onlus, l’Associazione marchigiana traumatizzati cranici, che porta il suo nome e che sta vicino ai pazienti nel loro percorso post-ospedaliero: «Cosa direi oggi a Berlusconi se lo potessi salutare per un’ultima volta? Non servirebbero tante parole — conclude Alfio — basterebbe un grande grazie».

Estratto dell’articolo di Alberto Mattioli per “la Stampa” il 15 giugno 2023.

Ei fu. Eppure, mai Silvio Berlusconi è stato tanto presente, protagonista, ingombrante in vita come ieri da morto, con questo funerale di Stato così spettacolare e barocco, insieme alto e basso, sublime e triviale, tragico e lieve, insomma shakespaeriano, anzi no: berlusconiano. Teneva insieme tutto: le massime cariche della Repubblica e gli ultras del Milan, i corazzieri e i comici, i cori gregoriani e quelli di «Chi non salta comunista è». 

I cronisti assediano chiunque sia minimamente noto, Massimo Boldi o Mario Draghi pari sono, con improvvise transumanze di telecamere e microfoni quando arrivano Maria De Filippi o Viktor Orban: che spettacolo, che politica, che politica-spettacolo.

Fuori, in piazza, colma ma non stracolma, 15 mila persone, c’è un popolo, si direbbe, più calcistico che politico, con bandiere del Milan molto più numerose e più grandi di quelle di Forza Italia. Dentro il Duomo, uno straordinario fritto misto anagrafico, sociale, politico: tutto il governo da Giorgia Meloni in giù, tutta Mediaset comprese le Iene vestite da Iene, mezza serie A, anziani cumenda dei tempi eroici sostenuti dai badanti filippini, bodyguard palestrati strizzati in completi grigi troppo stretti che contendono il servizio d’ordine ai sagrestani, sindaci con fascia tricolore, sciure così botulinizzate da non poter nemmeno atteggiare la faccia al cordoglio previsto, corone di fiori, gonfaloni di Comuni e di squadre di calcio (Milan, Monza, Inter, Juve, Toro e Roma) e un tizio pazzesco vestito da cowboy, sì, proprio con il cappellone e la giacca con le frange.

I giornalisti dovrebbero restare fuori dalla chiesa (incredibile, o forse no, nell’epoca delle conferenze stampa senza stampa) ma basta accordarsi e accodarsi al politico amico per entrare al suo seguito, così magari ti godi anche un’Elisabetta Gregoraci irritatissima con Flavio Briatore perché sono seduti troppo di lato e troppo indietro: la conforta subito Lucio Presta, però. Forse per la prima volta, ci si accorge di quanto anziani siano ormai i protagonisti dell’evo del berlusconismo triumphans. […]

Sui maxischermi scorrono le immagini del carro funebre che attraversa la Brianza e poi Milano. In Duomo entra per ultimo, come da protocollo, Sergio Mattarella. Al suo fianco, l’emiro del Qatar e i capitani reggenti di San Marino; nella fila dietro, il premier ungherese Viktor Orban, abbracciato da Matteo Salvini, la prima Visegrad non si scorda mai, e quello albanese Edi Rama. Certo, per essere un funerale di gran respiro internazionale, gli annunciati leader mondiali latitano. Arriva la bara, accolta da un grande applauso e accompagnata dai familiari.

Entrata mano nella mano con Marina, la quasi moglie di Silvio, Marta Fascina, se ne vede comunque riconosciuto lo status: è la più vicina al feretro. Accanto, i figli in ordine d’età, Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi. Il fratello Paolo è commosso. Non partecipa la prima moglie, Carla Dell’Oglio; la seconda, Veronica Lario, invece c’è, ma le hanno sbagliato il nome sul cartellino del posto riservato, Veronica Bartolini, frullando insieme il cognome anagrafico e il nome d’arte, vabbè, non è grave. 

Sbuca anche l’ex fidanzata Francesca Pascale che schiva i cronisti e all’inizio sbaglia porta e resta fuori, e tutti i maligni a malignare: ecco, l’hanno rimbalzata. L’arcivescovo, Mario Delpini, legge un’omelia insolita, molto bella, molto furba e molto applaudita. Il passaggio sul fatto che «essere contento e amare le feste» fosse una caratteristica del de cuius può essere variamente interpretato. Nuovi applausi al Silenzio, mentre dalla piazza si alza l’ennesimo coro di «C’è solo un presidente, solo un presideeeente», non si capisce però se riferito a quello del Consiglio o del Milan.

Giorgia Meloni è con il compagno, Andrea Giambruno, nella doppia veste di first gentleman ma anche di giornalista Mediaset; Matteo Salvini con la fidanzata Francesca Verdini e il suocero Denis, già coordinatore di Forza Italia. Curioso che, di tutti questi strenui difensori della famiglia tradizionale, non ce ne sia uno che l’abbia. In quota opposizione arrivano Elly Schlein con Piero Fassino e Gad Lerner con un misterioso valigiotto. Non pervenuti i grillini.

Estratto dell’articolo di Francesca Sforza per “la Stampa” il 15 giugno 2023.

Orban c'era. E insieme al premier ungherese c'erano anche il presidente dell'Iraq, l'emiro del Qatar e i capitani reggenti della Repubblica di San Marino. Putin sarebbe senz'altro venuto a rendere l'estremo omaggio a Silvio Berlusconi, ma il mandato di cattura internazionale che pende sulla sua testa lo ha impossibilitato a partecipare. Per il resto, Occidente non pervenuto, Grande Oriente tanto meno. Si dirà che all'estero Berlusconi non l'hanno mai capito […]il racconto del "trionfo" di Pratica di Mare […] è una cosa che ci siamo raccontati soprattutto nei nostri Tg. Se Berlusconi siamo noi, nessuno si senta offeso. Ma qualcuno, stavolta, potrà pure sentirsi escluso.

(ANSA il 15 Giugno 2023) - Solo sulle reti generaliste, i funerali dell'ex premier Silvio Berlusconi hanno avuto grande esito di pubblico in tv. Trasmessi in diretta sia da Rai, Mediaset e La7, hanno registrato: 2 milioni 86mila spettatori con il 18.3% di share su Rai1, 2 milioni 352mila con il 21.9% su Canale 5, 323mila spettatori con il 3% su Italia1, 565.000mila spettatori con il 5.2% su Rete4, 268mila spettatori con il 2.4% su La7. 

I funerali di ieri pomeriggio al Duomo di Milano hanno caratterizzato l'intera giornata televisiva, non solo con la diretta ma anche con il racconto e gli approfondimenti nei vari programmi.

Il sorpassato. La Berlusconeide, Black Mirror e la facilissima polemica contro gli youtuber. Guia Soncini su L'Inkiesta il 16 Giugno 2023

Non prendiamocela col Cavaliere. Da Bruno Cortona alle “challenge” sceme, il carattere degli esseri umani esibizionisti si è accentuato in questa epoca in cui ogni mediocre ha una telecamera nel telefono

Cosa resta di Berlusconi – al quinto giorno di berlusconeide, al quinto giorno di «Berlusconi in sé, Berlusconi in me», al quinto giorno di articoli di giornali stranieri che fanno tenerezza quando cercano di trovare un senso a un paese che un senso non ce l’ha – cosa resta?

Il mio dettaglio preferito è «Non ho mai ricevuto una telefonata». Con la voluttà con cui si precipitavano a dire che Gianni Agnelli li chiamava alle sei di mattina – sperando questo dicesse di loro che erano interlocutori interessanti – i giornalisti italiani, se lavorano o hanno mai lavorato per Berlusconi, ci tengono a dire che mai mai mai Berlusconi ha detto loro cosa mandare in onda o mettere in pagina – sperando questo dica di loro che sono così schienadrittisti che mai, altrimenti, avrebbero lavorato per lui.

Sono gli stessi giornalisti che poi però, se scrivono di Milan, spiegano in dettaglio quanto Berlusconi interferisse, desse consigli non richiesti, fosse un’ingombrante presenza. Sarà che gli allenatori non scrivono editoriali e quindi non possono ribadirci che neanche a loro mai, neanche a loro una pressione piccina picciò.

Quindi Berlusconi rompeva i coglioni alle signore dicendo loro come vestirsi (aneddoto analogo a quello che riferivo ieri della Palombelli, l’ha esposto a una telecamera Barbara D’Urso: Silvio e la sua vocazione da guardarobiera); e agli allenatori dicendo loro come allenare. Ma a tutti coloro con un tesserino dell’Ordine dei giornalisti, a quelli neanche un consiglio mai.

Sarà che non ce n’era bisogno? Sarà che poteva contare sui più realisti del re? Sarà che era tutto previsto, anche il dissenso, anche quello fa scena?

Una ribelle di quelle da social, di quelle che si sono premurate di scrivere che il lutto nazionale non è a loro nome, perché loro sono bambine speciali e i rituali collettivi li schifano, una di quelle, pubblicata da una delle case editrici di proprietà di Berlusconi (giacché, lo sappiamo da un secolo: il paese non è di destra o di sinistra, il paese è di Berlusconi), una di loro (più di una, plausibilmente) si è trovata nei commenti alla ribellione da vetrina velate minacce aziendaliste.

Ti dovrebbero stracciare il contratto (segue tag all’editore, giacché a quest’epoca piace moltissimo fare la spia con un clic: se si potesse taggare la Guardia di finanza quando non ci fanno la fattura, avremmo già azzerato l’evasione fiscale).

Di costoro – non delle ribelli, che vabbè: dei minacciosi delatori – mi chiedo sempre come ragionino: non lo sanno che quel mercato residuale che è l’editoria sta su grazie a un’illusione collettiva di controcorrentismo e liberalismo, e se un editore racimola qualche spiccio (qualche spiccio reputazionale, soprattutto) è perché pubblica gente che dice che quell’editore è un manigoldo?

Ieri sono uscite, su Netflix, le nuove puntate di Black Mirror. Black Mirror nasce come prodotto di Channel 4, l’altra tv pubblica inglese, quella che non è la Bbc. Netflix prima si limita a distribuirlo nel resto del mondo; poi, avendo solo sceneggiati uno più irrilevante dell’altro, copre di soldi Charlie Brooker, il suo ideatore, perché faccia le nuove stagioni in esclusiva per loro.

Questa è la quarta stagione che Brooker fa per Netflix (quattro stagioni più uno speciale: lo preciso non perché l’informazione abbia alcuna rilevanza ma perché sennò arriva di sicuro qualche lettore che vuole dimostrarmi che ha Google e mi corregge, e voi non sapete che lavoro usurante sia scrivere in un’epoca di lettori imbecilli smaniosi di dimostrarsi svegli; voi non sapete che fatica sia un pubblico di dodicenni ciucci e arroganti: Silvio lo sapeva, e mi manca moltissimo).

La prima puntata della quarta stagione del multimilionario contratto di Brooker con Netflix, la prima puntata della nuova stagione dell’unica serie di finzione rilevante che Netflix abbia mai avuto, la prima puntata ha come trama: Netflix è unammerda.

Sì, nella finzione non si chiama Netflix: si chiama Streamberry. Per toglierci ogni dubbio circa l’identità della multinazionale dello streaming dissimulata dietro il nome “Streamberry”, della multinazionale cattiva che non esita ad arrubbarsi le vite dei suoi abbonati approfittando delle clausole scritte in piccolo nelle condizioni di servizio che tutti approviamo senza leggere, della multinazionale orrenda da far sembrare Rete4 un cenacolo d’intellettuali, per toglierci ogni dubbio, il logo di Streamberry ha gli stessi caratteri di quello di Netflix, le schermate da cui i personaggi scelgono cosa guardare hanno la stessa interfaccia di Netflix, e insomma Brooker fattura per mettere in onda su Netflix una storia su quanto è distopica Netflix.

Però Brooker ha, credo, troppo senso del ridicolo per puntualizzare agli intervistatori che Netflix gli ha lasciato totale libertà creativa e non gli ha mai fatto pressioni.

Ieri mattina ho aperto i siti dei giornali aspettandomi di trovare in apertura il peschereccio con non so neanche più quante centinaia di morti e dispersi, e invece c’erano quattro scemi che pensavano di fare “Grease” con quarantacinque anni di ritardo (o “Gioventù bruciata” con sessantotto): facevano le corse con le macchine e sono andati addosso a una Smart e hanno ammazzato un bambino di cinque anni.

Non voglio fare una gerarchia delle tragedie (a quella ci pensa il numero di morti, non c’è bisogno la faccia io), voglio solo dire che una storia sulla quale non c’è niente da dire – cosa dobbiamo dire, che è disdicevole fare corse in macchina e ammazzare bambini? Dobbiamo disapprovare per distinguerci da chi? C’è forse un dibattito? C’è qualcuno a favore dell’ammazzare bambini per sbaglio e per like? – è la storia di cui tutti hanno parlato tutto il giorno, ieri. Perché era facilissimo.

Era facilissimo far finta che fosse una bravata da giovinastri, specie ora che la bravata la chiamiamo «challenge» (che tutti, tutti, tutti i giornali scrivono «challange», perché siamo un secolo che ha dimenticato l’italiano senza riuscire a imparare l’inglese); era facilissimo far finta che queste audaci imprese le avesse inventate YouTube, e che la commedia fondativa del carattere italiano contemporaneo, sessantun anni fa, non finisse proprio con Vittorio Gassman che correndo in macchina ammazzava Jean-Louis Trintignant per leggerezza e per esibizionismo.

Era facilissimo dire che avevano fatto una cosa molto brutta e che i giovani d’oggi non hanno proprio ideali (Gassman sì che aveva valori solidi, per non parlare di James Dean); era facilissimo indignarsi d’indignazioni astratte (contro la ricchezza facile, contro il mercato dei like: quelli che arrivano ai cretini che fanno le corse in macchina su YouTube, quelli che arrivano a noi che ci indigniamo sentendoci invece intelligenti); era facilissimo dire «quel bambino potrebbe essere mio figlio».

Quelli nel peschereccio in effetti sono a meno immediata identificazione: se Silvio fosse stato il tipo che telefonava ai suoi tg, avrebbe suggerito di mettere prima un bambino romano, la cui morte è infinitamente più straziante e immedesimabile di quelle di centinaia di bambini forestieri; per fortuna c’era Silvio in noi prima, e c’è anche ora che non c’è più Silvio in sé, e sappiamo da soli che gerarchia cliccabile dare alle notizie.

È stata una giornata istruttiva, per capire che non è mai esistito Berlusconi: è esistito ed esiste il carattere italiano, che poi forse è il carattere degli esseri umani mediocri ed esibizionisti che si accentua nell’epoca in cui ogni mediocre ha una telecamera nel telefono.

Esiste la predisposizione alle scorciatoie (non parlo dei ventenni che fanno i soldi su YouTube: parlo di noialtri che ci scegliamo sempre la causa più facilmente portatrice di cuoricini); esiste l’esibizionismo; esiste, in noi, il Bruno Cortona del Sorpasso, letale e megalomane in ogni scena, e assai più endemico e meno accidentale dei ragazzotti scemi di “Grease”, di “Gioventù bruciata”, di YouTube.

Dagospia il 14 giugno 2023. Comunicato stampa di Mediaset

Appena finito il funerale, Pier Silvio Berlusconi si è spostato in Mediaset dove tutti i dipendenti gli hanno fatto una sorpresa aspettandolo alla fine dell'orario di lavoro. Lui è rimasto di sasso e ha improvvisato un ringraziamento e un saluto molto caldo.

Tra il pubblico, presente anche Gerry Scotti. 

“Tutte le persone che gli hanno voluto bene si sono sentite toccate in qualche modo dalla sua generosità e grandezza, però ragazzi da stasera, da domani, noi facciamo un click e torniamo ad essere un’azienda viva, piena di energia e forza, come è stata tutta la sua vita. Da domani torniamo ad essere quello che siamo sempre stati. Lui rimarrà sempre, sempre, sempre, nei nostri cuori. Continueremo a fare il nostro lavoro”. Infine, la parola più importante: “Noi siamo e saremo sempre una prova di libertà”.

La cronaca dei funerali. I funerali di Stato aziendali di Silvio Berlusconi: non sembra esser mai esistita un’opposizione al “Caimano”. Il Duomo ieri pareva quello raffigurato da Dino Buzzati, un’enorme stalattite. Il defunto innalzato ad apostolo, protomartire della televisione, della politica e di se stesso. Fulvio Abbate su L'Unità il 15 Giugno 2023 

La “Madonnina”, la bara, lo chignon da Eva Kant di Marta Fascina, il labbro superiore in evidenza di Marina Berlusconi, Renzi in terza fila; Umberto Bossi, cravatta verde, su carrozzina, ai lati dell’altare maggiore; i pennacchi dei carabinieri, l’arcivescovo e i concelebranti, le bandiere del Milan in piazza. Voci: “… c’è solo un presidente, c’è solo un presidente”. Omelia: “… l’estremo saluto al fratello Silvio con pietà cristiana”. L’abito blu quasi elettrico di Piersilvio B., le bandiere di Forza Italia, la piccola croce di diamanti al collo di Marina B., l’incenso; Mattarella in prima fila. Paolo Berlusconi, fratello. Toti.

Gli orecchini con disegno di luminaria di Giorgia Meloni. Un cerchietto a trattenere i capelli di Barbara B. La distesa di blazer ministeriali visti dall’abside. Gli autisti, gli uomini di scorta, gli addetti alle pompe funebri decisamente professionali; la foto del deceduto accostata alla bara. Braccia conserte, i carabinieri: solennità, protocollo. Daniela Bongiorno, con lei il ricordo, in dissolvenza incrociata, del funerale sempre in Duomo, di Mike. L’arcivescovo rivolto all’Altissimo: “Ti raccomandiamo con cuore filiale il nostro defunto fratello Silvio”. Luigi B., figlio minore. Lettura dal profeta Daniele: “In quei giorni io, Daniele, piangevo, il gran principe che vigila sui figli del tuo popolo”. Il defunto innalzato ad apostolo, protomartire della televisione, della politica e di se stesso.

Ignazio La Russa e Fontana in prima fila. Ugo Zampetti alle spalle di Mattarella. Lo spettro di Putin ad aleggiare. Rose bianche e rose rosse sul cofano; Jerry Scotti, postura da Buddha con borsello, tra i banchi, poco lontano Fedele Confalonieri, per lui forse la medesima cravatta di La Russa. Mario Monti. Volti, non meno in blazer, da personale Mediaset e delle altre holding del trapassato: editoria, assicurazioni, banche. Il libro delle scritture innalzato al momento dell’Alleluia. L’innaturale capigliatura di Piersilvio. Tajani, probabile-improbabile delfino, per lui le pendenze testamentarie politiche dentro Forza Italia, curatore fallimentare azzurro. Marcello Dell’Utri. Coro dei concelebranti in viola: “… vivere e desiderare una vita piena”. Mario Draghi a capo chino, “… vivere, vivere e desiderare una vita che non finisce…”.

Signora con ventaglio in seconda fila, bionda, corporatura ampia. Ancora il profilo di Marta Fascina. L’apparecchio acustico di Mattarella. Giorgia Meloni adesso a capo chino; testa mussoliniana di Galliani, Barbara D’Urso a mani giunte, dolente. La Toffanin e Maria De Filippi. Ancora l’omelia: “Gli affari e i clienti e i concorrenti, un uomo d’affari deve stare, sempre in scena tra ammiratori e detrattori”. Primo piano di Gianni Letta, il suo volto abituale. “In questo momento di congedo e di preghiera cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo, un uomo che ora incontra Dio”, involontario ogni riferimento alla barzelletta dove il Cavaliere si immaginava al cospetto del Signore. Alessandra Mussolini. Dimenticavo: Gianni Letta è in terza fila, Maria De Filippi in seconda. Fuori il “popolo” di Mediaset, del Milan, di Forza Italia. Il braccialetto d’oro bianco al polso di un Paolo Berlusconi adesso a mani giunte. La diretta indugia anche sull’anello al dito di Marta Fascina. L’espressione interrogativa di Matteo Renzi, accanto a lui Gentiloni.

“Ora scambiatevi un segno di pace”, Renzi che si guarda intorno al momento dell’ostia. Marta Fascina trova ora le lacrime. Un “ghisa”.

Il logo dello speciale Tg5 listato a lutto occupa le tre reti del “Biscione”, funerali di Stato aziendali. La statua cromata di Sant’Ambrogio. La Toffanin senza le luci degli studi di “Verissimo”, Maria Vittoria Brambilla, Giorgetti, Gad Lerner; nuovamente Marta Fascina in primo piano che impalla Mario Draghi fuori fuoco. Pensieri possibili: e adesso il capo scorta brizzolato cosa farà? “Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo, beati gli invitati alla cena dell’agnello”, il pensiero segreto terreno delle “cene eleganti”. Duomo, rondini, ancora bandiere del Milan.

L’arengario di sfondo. Tajani insegue l’ostia. Pier Ferdinando Casini, Boccia, il “cognato” Lollobrigida. Fuori i vessilli delle coppe vinte da rossoneri innalzati con orgoglio, lo stendardo reca scritto: “Grazie presidente!” accompagnato dall’immagine di Berlusconi mentre sigla il “contratto con gli Italiani”, nuove facce e faccine di uomini e donne Mediaset che hanno diritto di vita e di morte professionale sugli aspiranti ospiti dei talk a Cologno. Ci sarà anche Veronica Lario? Subito dietro la corona del presidente della Repubblica, la bara di Berlusconi raggiunge ora il sagrato: corazzieri, carabinieri, i picchetti d’onore militare, ironia del destino anche quello della Guardia di Finanza. Nella foto posta sulla bara Berlusconi si mostra braccia conserte: sembra dire: adesso vi guardo io.

“Lo sguardo impietrito di Alberto Zangrillo come a voler chiedere scusa per non essere riuscito a salvargli la vita”, commentano al Tg5.Claudio Cecchetto. Laggiù a Cologno cinquemila palloncini azzurri si alzano nel cielo subito sopra il tendone da circo di “Striscia la notizia”. Lorella Cuccarini solca la piazza, Giorgia Meloni abbraccia i figli del trapassato socchiudendo gli occhi. Ah, c’è pure Andrea Giambruno, il compagno. Ecco anche Denis Verdini, ecco Salvini, ecco Sgarbi. Una signora applaude tenendo al polso con orgoglio la Louis Vuitton. Un balcone con striscione: “Ciao, Silvio!”, la virgola è azzurra. Eleonora Berlusconi, abito scuro e veletta da Mata Hari, lascia la piazza. Tutto è perdonato, tutto è cancellato. Non sembra esser mai esistita un’opposizione al “Caimano”. Il Duomo adesso sembra quello raffigurato da Dino Buzzati, un’enorme stalattite. “C’è solo un presidente…”, c’era un presidente.

Fulvio Abbate 15 Giugno 2023 

Estratto dell’articolo di Corrado Zunino per “la Repubblica” il 15 giugno 2023.

Molti dicono no, al lutto nazionale. Le iniziative, personali e collettive, sono nate martedì, in ambito universitario, e cresciute sensibilmente proprio nel mercoledì — ieri — delle bandiere esterne a mezz’asta (e le due strisce di velo nero sopra i drappi interni).

Aveva alzato il sipario il rettore dell’Università per stranieri di Siena, Tomaso Montanari, e un pezzo di università se lo è tirato dietro. 

A Bologna si è ribellato il direttore del Dipartimento Beni culturali, sede di Ravenna, il professor Luigi Canetti. Diversi insegnanti dell’Alma Mater hanno poi scritto al rettore Giovanni Molari chiedendogli di prendere posizione contro il lutto obbligato:

«Come docenti di questa gloriosa università pubblica, ti chiediamo di assumere la decisione di non esporre, in forza dell’autonomia innanzitutto morale e intellettuale della nostra comunità accademica, bandiere a mezz’asta all’Università di Bologna». Il rettore Molari non li ha ascoltati. 

I blitz degli studenti Alla Scuola Normale di Pisa ieri pomeriggio alcuni universitari hanno alzato sulla facciata principale del Palazzo Carovana lo striscione “Non il nostro lutto”. È rimasto a vista mezz’ora. L’Unione degli universitari fiorentini (Udu) a sua volta ha ricordato i tagli dei quattro governi Berlusconi ai finanziamenti per la scuola e gli atenei pubblici.

[…] Il direttivo della Società italiana delle storiche, con sede nella Trastevere romana, ha diffuso una nota intitolata “In morte di Silvio Berlusconi”: «L’uomo ha sistematicamente offeso i valori costituzionali». 

[…]A Torino, quando i dirigenti del Teatro Regio hanno chiamato la platea al minuto di silenzio, metà della sala non si è alzata e ha iniziato a scaricare invettive contro Silvio Berlusconi. Mezzo minuto di “buu”, d’altro canto, ha sommerso la chiamata della speaker del Teatro San Carlo di Napoli. 

Una signora ha avuto il coraggio di presentarsi, ieri, nella tarda mattina, in Piazza Duomo indossando una maglietta con la scritta “Io non sono in lutto”, in mano aveva un libro su Giovanni Falcone. È intervenuta la polizia per difenderla da un militante di Forza Italia particolarmente aggressivo. 

Un altro dissidente, lui in maglietta tricolore, è stato preso a ombrellate. A Bologna il comitato cittadino Labas, ospitato in spazi comunali, è andato oltre e ha annunciato un “funeral party”. Nella locandina che annunciava l’evento, comprensivo di deejay, si leggeva: «Sì, ok, era meglio che fosse successo trent’anni fa, ma così non fu, e ora si festeggia comunque senza alcun rispetto». […]

Luigi Valente, rieletto per la terza volta sindaco di Vinchiaturo, in provincia di Campobasso, ha optato per l’asta della bandiera intera: «Non ho voluto ostentare il gesto perché è una scelta di coscienza, un atto moralmente dovuto». A Genova e a Roma consiglieri regionali, comunali e di circoscrizione hanno abbandonato la sala al momento della chiamata del minuto di silenzio lasciando foto di Falcone e Borsellino al loro posto. 

Le transfemministe e antifasciste romane hanno srotolato un lenzuolo davanti all’Altare della Patria: “Oggi non siamo in lutto, siamo in lotta”. A Bari sono stati i militanti della Cgil, dal mattino, a prendere in mano le proteste più visibili: un presidio insieme a pezzi del Pd di fronte all’Azienda sanitaria locale, sul lungomare: «Manifestiamo a tutela del servizio sanitario nazionale, pubblico e universale». […]

E il rapper romano Gemitaiz ha condiviso una foto che annunciava la morte di Silvio Berlusconi con l’aggiunta di un “Alleluja”. A lungo ha difeso la scelta, alla fine anche lui ha chiesto scusa. […]

Chi non ha pianto. “Io non sono in lutto”: l’Italia contro la cerimonia nazionale per Silvio Berlusconi, proteste e disobbedienze. Femministe e collettivi studenteschi, movimenti e privati cittadini. "Oggi non siamo in lutto, siamo in lotta". La protesta di Silvia in Piazza Duomo: "È per i miei figli che sono qui, per persone più meritevoli come Falcone e Borsellino questo onore non c'è stato". Antonio Lamorte su L'Unità il 15 Giugno 2023

Era dalla notizia della morte di Silvio Berlusconi che si discuteva, si polemizzava, per la decisione del governo di indire il lutto nazionale. Non era mai successo per un ex Presidente del Consiglio che non è diventato anche Presidente della Repubblica. Quelle stesse riserve sono state espresse anche nel giorno dei funerali, anche in Piazza Duomo a Milano dove sono state celebrate le esequie dell’ex premier e fondatore di Forza Italia. In tutta Italia ci sono state manifestazioni di protesta contro la procalamazione del lutto nazionale – per il quale non esiste una norma precisa, e viene indetto fondamentalmente a discrezione del governo, a differenza di quanto invece è previsto per i funerali di Stato, previsti per tutti gli ex premier.

L’iniziativa più mediatica è stata quella di Silvia, 56 anni, che si è presentata in Piazza Duomo con una maglietta bianca con la scritta: “Io non sono in lutto”. Non sono mancati momenti di tensione, insulti. “È per i miei figli che sono qui, non volevo che vedessero la tv. Sono qui per queste celebrazioni che Silvio Berlusconi, a mio modesto parere, non merita”, ha detto la donna. “Non sono d’accordo con la proclamazione del lutto nazionale per la morte di Silvio Berlusconi, considerato che per persone molto più meritevoli di lui, come Falcone e Borsellino, questo onore non è stato riservato. Una scelta inopportuna per chi ha fatto dell’illegalità un modello di vita“.

Potere al Popolo ha invitato i suoi sostenitori a scatenare una tweetstorm con l’hashtag #luttostatomafia. Alcuni si sono scattati delle fotografie mentre reggevano nelle mani un cartello con la scritta “non in mio nome” in riferimento al lutto nazionale. A Roma uno striscione firmato “transfemministe e antifasciste di Roma” recitava “Oggi non siamo in lutto, siamo in lotta”. Anche Non una di meno, il collettivo femminista, ha partecipato al sit-in organizzato all’Altare della Patria accusando l’esecutivo di aver proclamato il lutto nazionale “per un uomo bianco, etero, cis, ricchissimo, che ha sempre ostentato sessismo, omofobia, razzismo con cui ha contribuito alla violenza culturale che avvelena la nostra società da anni”.

Le femministe hanno accusato l’ex premier di “aver personificato la maschilità tossica egemonica, sprezzante verso tutti i corpi che non fossero nella norma e nel privilegio. Un uomo che ha dimostrato al Paese che è proprio anche grazie a quella maschilità, sfoggiata come modello vincente, che si può acquisire potere, che si può disporre di qualunque cosa e di chiunque. Il collettivo di studenti Exploit dell’Università di Pisa ha scritto una lettera al rettore criticando la scelta di far aderire l’ateneo al lutto nazionale, al contrario di quanto aveva deciso in disobbedienza lo storico dell’arte Tomaso Montanari, rettore dell’Università degli stranieri di Siena, in segno di disobbedienza. “L’unico lutto nazionale è per le macerie che lasci sulla nostra generazione. Silvio non ci mancherai”.

Contro il lutto anche alcuni studenti e studentesse della Scuola Superiore Normale di Pisa. Il direttivo della Società italiana delle storiche ha pubblicato una nota per dissociarsi dalle celebrazioni per “un uomo che, pur avendo rivestito un ruolo istituzionale, ha sistematicamente offeso i valori costituzionali incrinando la sfera dei diritti e dei doveri propri della cittadinanza. Né sono meno inquietanti e inopportuni gli onori tributati a Berlusconi se si guarda alla sua vicenda da una prospettiva di genere: ha legittimato, nella comunicazione e nei comportamenti pubblici, la reificazione e la mercificazione delle donne e dei corpi femminili, esaltando una maschilità patriarcale e paternalistica e contribuendo così a rallentare, e in qualche caso addirittura a invertire, il percorso verso una società più paritaria e rispettosa delle differenze di genere avviatosi con la caduta del fascismo, la Resistenza e la nascita dell’Italia repubblicana, e poi reso più celere dai femminismi degli anni Settanta del Novecento”.

Estratto dell'articolo di Antonio Bravetti per la Stampa il 14 giugno 2023.

La polemica sul lutto nazionale e quella sullo stop ai lavori parlamentari. Chi si rifiuta di mettere la bandiera a mezz’asta e chi proietta una gigantografia di Silvio Berlusconi sul palazzo della regione: scelte entrambe criticate. Polemiche e scontri politici accompagnano l’addio al Cavaliere. Un confronto che contrappone maggioranza e opposizione, divise sull’importanza e la solennità con cui salutare l’ex premier. 

La polemica più feroce è quella sul lutto nazionale. «È inopportuno», dice Rosy Bindi. «Non ho parole, la scelta che si commenta da sola», rincara Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso dalla mafia. «Scelta eccessiva» la definisce Nicola Fratoianni. Lui e Angelo Bonelli oggi non parteciperanno ai funerali, così come Giuseppe Conte. Di «scelta politica fuori luogo» parla il vicepresidente del gruppo M5S alla Camera Riccardo Ricciardi, che ricorda la condanna per frode fiscale e sottolinea: «Fa un certo effetto vedere una caserma della Guardia di finanza con la bandiera a mezz’asta». A disciplinare i funerali di Stato c’è la legge, che li riserva ai presidenti degli organismi costituzionali, agli ex presidenti della Repubblica e agli ex premier, ai ministri deceduti durante la loro permanenza in carica, alle persone che hanno reso onore alla nazione e alle vittime del terrorismo. Altra cosa è la dichiarazione del lutto nazionale, che spetta al governo.

È la prima volta che viene proclamato per la morte di un ex premier, come ha deciso Giorgia Meloni per Berlusconi, disponendo le bandiere a mezz’asta sulle facciate di tutti gli edifici pubblici dal 12 al 14 giugno. 

Scelta non condivisa da Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena. Che si è rifiutato di far scendere il tricolore e il drappo europeo: «Nessun odio, ma nessuna santificazione ipocrita. Ricordare chi è stato Berlusconi è oggi un dovere civile - spiega - Berlusconi è stato il contrario esatto di uno statista, anzi il rovesciamento grottesco del progetto della Costituzione». 

(...)

Walter Verini, senatore del Pd, guarda con allarme all’annuncio del ministro Carlo Nordio di portare domani in Consiglio dei ministri una riforma della giustizia che molto sarebbe piaciuta a Berlusconi. «Ci auguriamo davvero che un Cdm “dedicato a Berlusconi” - avverte Verini - non sia occasione per provvedimenti laceranti, per riaprire guerre tra politica e magistratura delle quali l’Italia non sente proprio il bisogno».

Estratto dell’articolo di Antonella Mascali per “il Fatto Quotidiano” il 15 giugno 2023.

Un comunicato della Giunta dell’Anm in lode di Silvio Berlusconi, da morto, sta facendo infuriare decine di magistrati che sono tornati a riempire la mailing-list dell’associazione delle toghe. Fra i magistrati “indignati” con l’Anm per aver definito Berlusconi “indiscusso protagonista” della storia del nostro Paese c’è Nino Di Matteo, che quasi mai ha scritto nella mailing list dell’Anm 

Il suo nome, è bene precisarlo, lo possiamo fare perché gli abbiamo chiesto l’autorizzazione a citarlo, dopo aver visionato diverse mail. Per evidenti motivi di privacy, non riportiamo le firme degli autori degli altri messaggi. Possiamo dire che sono sia pm sia giudici i quali si sono dissociati dal comunicato di lunedì in cui si legge che “L’Associazione Nazionale Magistrati si unisce ai sentimenti di cordoglio per la scomparsa del presidente sen. Silvio Berlusconi, indiscusso protagonista, per un lungo e importante periodo, della vita politica del Paese”.

Ha scritto Di Matteo: il comunicato “è fuori luogo e persino irrispettoso dei colleghi che sono stati uccisi dalla mafia nel lungo periodo nel quale Berlusconi ha versato nelle casse di Cosa Nostra centinaia di milioni delle vecchie lire. Lo ha stabilito la sentenza definitiva Dell’Utri. Non mi sento rappresentato da chi ‘dimentica’ queste cose. E sono sicuro che il mio pensiero sia condiviso da molti, moltissimi colleghi”. 

La frase più ricorrente dei messaggi che Il Fatto ha potuto leggere, quella che ha dato inizio alla protesta è “Not in my name, please!”. Le toghe non hanno proprio digerito quell’“indiscusso protagonista”. Si legge nella prima mail, che ha dato il via alla protesta: “Indiscusso? L’Anm è l’associazione dei magistrati italiani o ha cambiato acronimo e sta per Amnesia dissociativa? Ma allora aveva ragione il compianto defunto quando ci definiva ‘matti’, ‘antropologica- mente diversi dalla razza umana’, ‘il cancro peggiore della nostra democrazia’. Ma chi ha scritto questa nota? Not in my name, please!”.

[…] Il silenzio sarebbe stato meglio per molti magistrati: “Viene subito in mente il don Abbondio di Manzoni. Se uno il coraggio e la dignità non li ha certo non se li può inventare. Ma allora magari stare zitti”; “Di fronte alla morte se non si può parlare bene si tace. Quindi l’Anm avrebbe dovuto tacere”;

“Aggregarsi al servo encomio come ha fatto l’Anm significa rendersi complici di una cosa molto grave, la beatificazione del morto, in- giusta e dannosa per i valori di verità che la Costituzione ci impone di difendere”; “Come cristiana ho recitato la mia preghiera per l’anima di Berlusconi (così come per quella di Francesco Nuti, che ha avuto la sventura di morire lo stesso giorno), ma da magistrato non avrei mai sottoscritto un tale comunicato. […]

STUPIDARIO. Perseguitato come Tortora, forte come De Gaulle, Silvio come te non c’è nessuno. La santificazione di Berlusconi. Da Bruno Vespa a Ruby Rubacuori, da Matteo Renzi a Simone Pillon, l’addio al Cavaliere ha avuto diverse declinazioni. E noi le abbiamo raccolte qui. Per farvi scegliere la migliore. Wil Nonleggerlo

(afp) su L'Espresso il 14 Giugno 2023 

In queste ore non si parla d'altro, impossibile schivare l'argomento: il ministro delle Foreste Lollobrigida ed il florovivaismo. Tranquilli, abbiamo comunque deciso di partire da un tema altrettanto importante, l'addio all'Unto del Signore, il Cavalier Silvio Berlusconi: quali le formule scelte – per l'ultimo saluto – da amici di una vita, amiche, stampa affine, politici d'area, pseudo avversari e simil opposizioni? Le abbiamo raccolte per voi: il range va Bruno Vespa a Ruby Rubacuori, da Simone Pillon a Barbara D'Urso, ma ci troverete pure moltissimo altro. Tenetevi forte, il best of è pronto.

“Ciao Silvio”

Così un noto sito di escort saluta Silvio Berlusconi

(Open – 12 giugno)

Premio onestà

Un parlamentare russo ha proposto di istituire il “premio Berlusconi” per i politici onesti

(Agenzia Nova – 14 giugno)

Il lettone di Putin

Come spiega l'amicizia con Putin?

“Era un'amicizia veramente forte, ad Arcore mi portò a vedere il famoso letto che Putin gli aveva regalato”

(Bruno Vespa intervistato dal Corriere della Sera – 14 giugno)

Ruby

Ruby posta un cuore infranto. “Addio Presidente” e l'emoji di un cuore infranto sullo sfondo nero. È un frame della storia pubblicata da Karima Elmahroug sul suo profilo Instagram

(Agi – 12 giugno)

Il nonno d'Italia

“Berlusconi è stato il nostro De Gaulle, è morto il nonno d’Italia”; “Sogno un’Italia in cui potremo atterrare a Roma all’aeroporto Alcide De Gasperi e a Milano all’aeroporto Silvio Berlusconi”

(Gianfranco Rotondi, deputato di Forza Italia, a Fanpage.it – 13 giugno)

Cipollino cancella

Giorgia Meloni, videomessaggio per il Cav su Twitter: “A Dio, Silvio”

Risponde Massimo Boldi: “Ed ora tocca a te”

(12 giugno)

“Storia di un italiano”

“Umano, troppo umano. La generosità infinita del potente più buono”

(Sfogliando Il Giornale – che fu – di famiglia – 13 giugno)

A 24 ore dalla morte di B

E hanno già proposto di intitolargli: - una piazza; - due stadi; - una via in ogni città; - il Ponte sullo Stretto

(@espressosettimanale, Instagram – 12 giugno)

Addirittura

“La cifra umana era questa, Berlusconi era un uomo molto carismatico, molto più di Arafat ad esempio”

(Marco Rizzo, presidente onorario del Pc, a Un Giorno da Pecora su Rai Radio1 –13 giugno)

Perdonaci, Eluana

“Tutto il mio cordoglio ai familiari e agli amici di Silvio #Berlusconi. Di lui ricordo la firma come presidente del consiglio al decreto urgente con cui

tentò di salvare la vita ad Eluana Englaro. Probabilmente sarà tra le prime persone che starà incontrando ora”

(Simone Pillon, ex senatore leghista, su Twitter – 12 giugno)

Body shaving

“Era una scommessa tra me e lui: accadde quel che accadde e, arrivato a casa sua, mi fece trovare a tavola di fianco al piatto un completo con

rasoio, salviette e schiuma da barba.

'Me lo avevi promesso, adesso finalmente tagliatela quella barba'.

L’unico che in 10 anni sia mai riuscito a farmi tagliare la barba, è stato proprio Silvio!

Che comunque la settimana dopo, quando mi vide sbarbato, mi consigliò di farla ricrescere!

Uomo unico, nel lavoro e nel sorriso.

Lasci un grande vuoto Silvio, cercheremo di riempirlo con cose belle”

(Il vicepremier Matteo Salvini su Instagram – 13 giugno)

Come Tortora

Il sottosegretario Vittorio Sgarbi ricorda Berlusconi amico e politico: “Forte, libero e innocente. Perseguitato come Enzo Tortora”

(Fanpage.it – 12 giugno)

Tutti in piedi, dicono i renziani

“Tutti in piedi, e in silenzio, per chi - indipendentemente da come la pensiamo - ha indubbiamente fatto la Storia del paese. Riposi in pace Presidente. #Berlusconi”

(Luigi Marattin, parlamentare di Italia Viva, su Twitter – 12 giugno)

Oro, incensurato e mirra

“Calcolando che Silvio Berlusconi è morto di malattia, oltreché da incensurato perché riabilitato nel 2018, e che poi è morto da senatore e da riferimento della vita politica e governativa italiana, eccetera, forse si potrebbe puerilmente anche dirlo: ha vinto lui”

(Filippo Facci, giornalista di Libero, su Twitter – 12 giugno) 

Papi

“Morto un Papa se ne fa un altro, morto Berlusconi, non si fa un altro Berlusconi”

(Gianfranco Miccichè, storico esponente forzista, a SkyTg24 – 12 giugno)

Il Duce e B.

“Mussolini non ha mai ammazzato nessuno, mandava la gente a fare vacanza al confino”

(Gian Antonio Stella ricorda sul Corsera alcune delle sparate indimenticabili del Cav: questa la rilasciò a Boris Johnson, quando collaborava a The Spectator, nel 2003 – 14 giugno)

Direttore Matteo Renzi

Silvio, “Come te non c'è nessuno”

(Il Riformista, prima pagina – 13 giugno)

Dimmene un'altra

Barbara D'Urso, se potesse dire un'ultima cosa a Silvio Berlusconi quale sarebbe?

“Silvio raccontami un'altra barzelletta”

(La Stampa – 13 giugno)

Ma torniamo a noi, alla politica con la P maiuscola

Open Arms, Richard Gere pronto a testimoniare contro Salvini. Il commento del vicepremier: “Risponderemo con Lino Banfi”

(Open – 12 giugno) 

Politica, donne e florovivaismo

Lollobrigida collega femminicidio e produzione di fiori, polemiche social. “Le donne non si dovrebbero toccare nemmeno con un fiore, diceva un proverbio. E io tratterò un argomento che è quello della produzione dei fiori e delle piante nella nostra nazione, che la normativa di riferimento che abbiamo oggi approvato come schema di disegno di legge recante la delega al governo in materia di florovivaismo”, le parole del ministro Lollobrigida in conferenza stampa a Palazzo Chigi dopo il Consiglio dei Ministri

(CorriereTv – 8 giugno)

Ai suoi tempi

A Otto e mezzo, su La7, si parlava dell’omicidio di Senago, della violenza sulle donne, di problemi culturali. Italo Bocchino se ne esce con questa affermazione: “Qualche tempo fa c’era più rispetto per le donne in una società matriarcale come quella del Sud Italia che io conosco bene”

(Aldo Grasso sul Corriere – 3 giugno)

Tutti in masseria

“(...) La premier Meloni ha cenato nella masseria con la famiglia Vespa dove ha poi trascorso la notte. Per cena, menù di pesce preparato dallo chef stellato Paolo Gramaglia: due i primi - tagliatelle di seppia con salsa di zucchine alla scapece e mentuccia e risotto con pomodorini gialli, granita di riccio, gamberi di nassa e carbone di lampone - un secondo, una cornucopia di orata ripiena di scarola, capperi olive e colatura di alici e una cassatina pugliese. Il tutto accompagnato da vino bianco e rosè di produzione della tenuta Vespa. Meloni, insieme al marito e alla figlia Ginevra, ha dormito in una delle 12 suites imperiali presenti in Masseria”

(Il Messaggero – 9 giugno)

Ah è Putin

Giuseppe Conte infuriato con Vespa: “Mi dà del putiniano?”, scontro in masseria. L'ex premier: “Ah è Putin che non vuole mediare? Ma lei ci ha parlato con Putin?”

(Il Tempo – 11 giugno)

Circolare

Il Caffè Sacher apre a Trieste, ma la torta costa quasi 50 euro. Il sindaco Di Piazza (Forza Italia): “Se hai i soldi vai, se non li hai guardi”

(Open – 5 giugno)

Com'è che poi non è finito al Quirinale?

“Polemiche aspre perché la Regione Lombardia ha rifiutato di patrocinare il Gay pride. Ma gli omosessuali che bisogno hanno di essere sponsorizzati? Facciano quello che vogliono senza di noi. Non li mando affanculo perché ci vanno da soli”

(Vittorio Feltri su Twitter – 8 giugno)

Strano

Il ministro Salvini confuso sulle bici: annuncia in Aula l’obbligo di assicurazione e targa, poi in 48 ore si auto-smentisce. “È solo per i monopattini”

(Fatto Quotidiano – 9 giugno)

Ce lo dice così

“La sinistra dice, ‘vergogna!, stanno prendendo tutti i posti!’: ma davvero pensavano che andavamo al governo e lasciavamo a loro tutti i posti chiave della Nazione?!”

(Giovanni Donzelli, responsabile Fdi, al forum “Prima le idee” – 10 giugno)

Il merito, l'alto profilo, le migliori energie

“Francesco Giubilei si dimette da consigliere del ministro della Cultura Sangiuliano, dopo che il Foglio ha segnalato la concessione di un contributo di 46 mila euro da parte del ministero della Cultura alla Fondazione Tatarella (presieduta da Giubilei)”

(@lucianocapone su Twitter – 11 giugno)

“I marò contro i pirati, ma su quella nave non c’erano pirati”

Immigrazione. Tre denunce per un coltello tra i 15 migranti sulla nave arrembata dalle forze speciali: tra loro due donne (una incinta), tre ricoverati. A sentire Guido Crosetto, che venerdì ha raccontato l’episodio con una certa eccitazione nella masseria di Bruno Vespa, la scena è da film d’azione. “C’è una nave turca che è stata sequestrata da dei clandestini, vicino a Napoli, ci sono le forze speciali italiane che stanno cercando di riprenderla...”, ha detto il ministro, scusandosi per il fatto di guardare il proprio smartphone con una certa frequenza (...)

(Il Manifesto – 12 giugno)

Belle f

“Detto questo, ci sono almeno un paio di belle fiche”. È la battuta che, all'improvviso, martedì scorso, durante le lezioni del pomeriggio, si è sovrapposta sullo schermo al volto del docente di turno alla Scuola  superiore della magistratura di Scandicci. Lui, il docente - Daniele Domenicucci, assistente presso la Corte di giustizia del Lussemburgo, cioè il giudice europeo delle leggi - sul pc stava facendo lezione, ma al contempo chattava con un collega…

(La Repubblica – 11 giugno)

Spettacolo

Virginia Raggi su Facebook: “Stasera siamo al Teatro di Tor Bella Monaca a vedere lo spettacolo di Alessandro Di Battista su Julian Assange”

(@davidallegranti su Twitter – 1 giugno)

Mi sono perso

“Dillo alla mamma, dillo all’avvocato”: la cognata di J-Ax commenta così il video di Luis Sal contro Fedez

(Fq Magazine – 12 giugno)

Io non sono in lutto, la protesta per l’omaggio a Silvio Berlusconi tra social e manifestazioni. Migliaia di commenti online contro il lutto nazionale, le voci contrarie nell’opposizione, le iniziative all’Altare della Patria e al Teatro Regio di Torino. Una parte del Paese fa sentire la sua voce. Simone Alliva su L'Espresso il 14 Giugno 2023 

C’è qualcosa in comune fra il blitz di stamattina all'Altare della Patria di Roma, dov'è comparso uno striscione con la scritta: "Oggi non siamo in lutto, siamo in lotta!" a firma Transfemministe Antifà e le polemiche – soprattutto politiche - di chi assiste perplesso alla scelta di aggiungere ai funerali di Stato anche il lutto nazionale per la morte di Silvio Berlusconi.

Entrambi, il collettivo transfemminista Antifà e la politica di opposizione, rappresentano l’altra parte del paese. Quella che non si adegua, che non si riconosce in «una scelta inopportuna», come l’ha chiamata Rosy Bindi, più volte ministro, vicepresidente della Camera e presidente del Pd: «I funerali di Stato sono previsti ed è giusto che ci siano ma il lutto nazionale per una persona divisiva com'è stato Berlusconi secondo me non è una scelta opportuna», ha spiegato in una intervista. Dalla sua parte i Cinque stelle: «fa sicuramente un certo effetto vedere una caserma della Guardia di Finanza con la bandiera a mezz'asta per ossequiare il ricordo di un uomo che è stato condannato per frode fiscale», sottolinea Riccardo Ricciardi, vice presidente del Movimento 5 Stelle. 

Con eleganza arriva anche il commento di Pier Luigi Bersani che nel 2013 ha sfidato Berlusconi alle politiche: «Con eleganza lo saluterò da lontano, c'è un sacco di gente che ci va. Lasciamo stare, è una cosa intima». Ma anche Tommaso Montanari, rettore dell'università per stranieri di Siena, annunciando che nel suo ateneo non ci saranno le bandiere a mezz'asta così come previsto - o meglio, ordinato - dal Lutto nazionale. E lo ha fatto motivando il suo gesto con parole assai poco diplomatiche: «È vero che Berlusconi ha segnato la storia, ma lo ha fatto lasciando il mondo e l'Italia assai peggiori di come li aveva trovati. Dalla P2 ai rapporti con la mafia via Dell'Utri, dal disprezzo della giustizia alla mercificazione di tutto (a partire dal corpo delle donne, nelle sue tv), dal fiero sdoganamento dei fascisti al governo alla menzogna come metodo sistematico». Sommerso dagli insulti del centrodestra che parla di "caduta di stile" e "strafottenza". Una petizione online a sua difesa ha in poche ore raggiunge oltre 70 mila firme.

Le polemiche dei lettori 

Le leggi e le procedure che regolano funerali di Stato e Lutto nazionale sono complesse. Certo è che la decisione spetta solo a palazzo Chigi, come confermano anche dal Quirinale che si astiene dal commentare. La decisione è stata quindi presa direttamente da Giorgia Meloni dopo una rapida consultazione con i due vice-premier, Antonio Tajani e Matteo Salvini, che ovviamente non hanno avuto nulla da obiettare. Con Silvio Berlusconi è la prima volta che viene deciso il lutto nazionale per un ex premier (che non è stato anche Presidente della Repubblica). Prevede le bandiere a mezz'asta sulle facciate di tutti gli edifici pubblici e due strisce di velo nero per le bandiere interne. Durante il giorno di Lutto gli esponenti del governo sono obbligati a cancellare gli impegni pubblici mentre c'è la possibilità per i negozi di decidere di tenere abbassate le serrande per tutta la giornata.

Poi però c’è il mondo fuori, un mondo reale che non si adegua. Per la prima di Madama Butterfly al Teatro Regio di Torino durante un minuto di silenzio per il Cavaliere, mezza sala si è alzata in piedi, metà del pubblico è rimasto seduto. Dalla platea fischi e contestazioni. «È una violazione etica di legge - si legge tra le migliaia di commenti dei lettori de L’Espresso sui social - rispetto alla quale la coscienza dei cittadini non si adegua». «Un’offesa alla memoria di Falcone e Borsellino», ci scrivono. «La Storia scriverà le pagine buie del nostro Paese e racconterà la verità. Mattarella che si dimise da Ministro quando iniziarono le leggi "ad personam" e trovo fuori luogo che oggi omaggi un personaggio che ha più ombre che luci nel suo passato», «Una cosa indecente. Un personaggio che ha cambiato l'Italia in peggio, colluso con la criminalità, condannato e inquisito per reati vari, i più prescritti grazie alle leggi che si è fatto su misura. Posso solo dire che siamo un Paese ridicolo». 

Funerali Silvio Berlusconi, la folla canta: “Chi non salta comunista è”. E la giornalista si commuove. Redazione su L'Espresso il 14 Giugno 2023  

Nel giorno del lutto nazionale lo spettacolo televisivo regala momenti discutibili su Canale 5. Ma non solo

Quanto è sottile la linea che separa la tragedia dalla farsa. Il giorno dei funerali di Stato di Silvio Berlusconi, piazza del Duomo è gremita di gente. La giornalista del Tg5, rigorosamente vestita a lutto, lutto nazionale si intende, cerca di fare una telecronaca puntuale quando all’improvviso si interrompe per girarsi verso la gente che intona il coro “Chi non salta comunista è”. E si commuove. Cioè gli si spezza letteralmente la voce, troppe emozioni per una sola Elena Guarnieri che deve tenere saldi i nervi, sì, ma c’è un limite a tutto.

Ma la giornata è lunga, e Guarnieri quello spazio smisurato di diretta lo dovrà pure riempire. Così tra un ricordo e l’altro, tra un aneddoto e l’altro ricorda le parole del Presidente: «Una cosa che diceva sempre Silvio Berlusconi, che è sempre stato attento ai particolari era “non vestitevi di scuro ma di chiaro, e se potete con i capelli biondi. Perché il nero non fa passare la luce”». Ecco forse per questo Maria De Filippi è vestita di bianco. L’ha fatta pensando a lui, perché sapeva che a lui piaceva così.

E nel nome di Maria si può cambiare canale. L’emozione passa anche nel servizio del Tg1, primo canale della televisione pubblica. L’inviata, in diretta per l’evento, è Cecilia Primerano che illustra dentro il Duomo quella che è l’occupazione delle navate che si sta componendo. In prima fila a sinistra ci sarà la famiglia, a destra le più alte cariche dello Stato». E qui, a sua insaputa (?) l’inquadratura cade su Maria De Filippi. E come si dice, siamo solo all’inizio.

Gavin Jones per Reuters pubblicato da il Fatto Quotidiano il 15 Giugno 2023.

Per i cori dei tifosi a un certo punto sembrava quasi più una partita di calcio che un funerale. Mi ha sorpreso il lutto nazionale, non indetto per altri premier. Berlusconi è stato molto divisivo e la scelta del governo mi è sembrata una forzatura, un’imposizione agli italiani che non la pensavano come lui. 

Forse sarebbe più naturale indire il lutto nazionale per grandi grandi personaggi non divisivi, come ad esempio Luciano Pavarotti o Renzo Piano. Inoltre Berlusconi è stato un premier che qualche volta ha portato insuccessi e imbarazzo all’Italia, con la sua condanna per frode fiscale, la crisi del debito del 2011 e gli scandali sessuali. Anche di recente le sue parole sull’Ucraina, giuste o sbagliate, hanno creato grosse difficoltà a Meloni. Ora, con la possibile implosione di FI, ci sarà molta incertezza: il futuro di Meloni è un’incognita, può succedere di tutto. Ma penso che l’Italia non farà fatica ad andare avanti senza Berlusconi.

Daniel Verdù per El Pais pubblicato da Il Fatto Quotidiano il 15 Giugno 2023.

I funerali di Stato ci stanno. Anche se certe immagini possono colpire: penso agli onori militari per una persona che ha avuto grossi guai con la giustizia. Invece il lutto nazionale – con la chiusura del Parlamento per 7 giorni e le bandiere a mezz’asta – è una scelta fuori luogo. 

Non ci sono precedenti e poi la sua è una figura controversa. Insomma, il lutto di un intero Paese era da evitare, anche perché molti non la pensavano come lui. Per quanto riguarda la cerimonia, ho trovato strepitosa l’omelia del cardinal Mario Delpini, mentre ha fatto un certo effetto vedere la passerella di esponenti del mondo politico ed economico vicini a B., rappresentanti di un mondo dove nulla sarà più come prima. In Spagna la notizia è stata molto seguita: nel bene e nel male Berlusconi è l’ultimo grande personaggio italiano, quello che ha più inciso nella storia del vostro Paese negli ultimi 40 anni, anche dal punto di vista culturale e antropologico.

Eric Jozsef per Liberation pubblicato da Il Fatto Quotidiano il 15 Giugno 2023. 

Il funerale di Stato si può comprendere, perché Berlusconi è stato quattro volte premier. Trovo eccessivo il giorno di lutto nazionale, perché è stato un personaggio divisivo: amato da metà Italia e odiato dall’altra.

Su Libération l’abbiamo descritto come il grande imbonitore, cercando di raccontare come abbia fatto a dominare la scena per anni. La sua più grande responsabilità è stata quella di non preparare l’Italia ai cambiamenti di un mondo globalizzato e moderno, tenendola bloccata su una narrazione degli anni 50: il miracolo italiano. Si considerava un grande innovatore, è stato invece un grande conservatore. Le sue aziende mi paiono strutturate e riusciranno a restare sul mercato, magari navigando in mare aperto e con meno protezioni politiche. Complicato, se non impossibile, per FI restare sul mercato della politica.

Maria De Filippi, "irriconoscibile": il dettaglio che non è passato inosservato. Libero quotidiano il 15 giugno 2023

Maria De Filippi ha attirato l'attenzione di molti ai funerali di Stato di Silvio Berlusconi. A colpire è stato non solo il suo look, una camicia bianca, ma anche il suo viso. Gli utenti sui social non hanno potuto fare a meno di notare un dettaglio in particolare. Il volto della conduttrice sarebbe apparso gonfio e con delle occhiaie pronunciate. Secondo qualcuno, la colpa sarebbe dell’assenza di trucco e luci adatte. “Semplicemente non ci sono le luci televisive”, ha scritto un utente sui social. “Credo che semplicemente non sia truccata”, ha scritto un altro. E non sono mancati i commenti ironici: "Irriconoscibile, cosa le è successo?". Qualcuno invece ha ipotizzato un uso eccessivo del cosiddetto “botulino“.

Polemiche a parte, durante il funerale la De Filippi è apparsa visibilmente commossa. La conduttrice di programmi Mediaset di successo come Amici e C'è posta per te, era seduta in seconda fila accanto a Silvia Toffanin, nuora del Cav. Le due sono legate da una forte amicizia che va oltre l’ambito professionale. Maria e Silvia si trovavano dietro i figli, il fratello e la compagna dell'ex premier. Sul suo look bianco, invece, pare si trattasse di un omaggio al Cav, che amava ripetere alle donne di vestire di bianco ed essere possibilmente bionde.

Lutto nazionale e Parlamento sospeso: Berlusconi paralizza l’Italia anche da morto. Stefano Baudino su L'Indipendente il 14 giugno 2023.

Il “Re” è morto. E quindi, tutto si ferma, come mai era successo nella storia recente del nostro Paese. In questi giorni, nello stivale, non si respira l’aria di uno Stato repubblicano, ma una sorta di ritorno all’ancien régime. Da lunedì mattina, nei giornali e nelle televisioni continua la beatificazione in pompa magna e a reti unificate di Silvio Berlusconi, che oggi vedrà il suo apice ai funerali di Stato al Duomo di Milano, per i quali sono attese circa 10mila persone. Eppure, nonostante la narcotizzazione politico-mediatica di queste ore, culminata con la scelta del governo di indire il lutto nazionale e delle capigruppo di bloccare i lavori parlamentari, rispetto agli eccessi del cerimoniale berlusconiano si è scatenato il forte dissenso da parte di associazioni e importanti personaggi della cultura.

Dopo la morte di Berlusconi, le conferenze dei capigruppo dei due rami del Parlamento hanno fermato le attività, stoppando i voti alla Camera e i lavori in aula al Senato. Nessuna obiezione è stata sollevata, nemmeno dai partiti di opposizione. Le votazioni alla Camera sono state quindi posticipate alla prossima settimana: L’Aula è riconvocata domani con la discussione generale sulle pensioni minime, mentre venerdì alle 9.30 avranno luogo le interpellanze urgenti. Al Senato, invece, è tutto fermo: tornerà a riunirsi solo dopo il weekend. I lavori delle commissioni, che ieri non hanno avuto luogo (la maggior parte non ce l’avrà nemmeno oggi) riprenderanno regolarmente domani. Il Presidente Ignazio La Russa ha già annunciato che il 20 giugno il Senato celebrerà la memoria di Berlusconi.

Il lutto nazionale viene ufficialmente indetto dal cerimoniale di Stato, gestito dall’ufficio della Presidenza del Consiglio, in base alle leggi vigenti. Quello di Silvio Berlusconi è un unicum nella storia repubblicana: se escludiamo il caso di Aldo Moro, vittima del terrorismo, è infatti la prima volta che viene proclamato per un ex Presidente del Consiglio che non sia stato anche Capo dello Stato. Il giorno di lutto nazionale prevede le bandiere a mezz’asta sulle facciate di tutti gli edifici pubblici e due strisce di velo nero per le bandiere interne. Durante la giornata, i membri del governo hanno l’obbligo di cancellare gli impegni pubblici e le scuole possono essere invitate a osservare un minuto di silenzio in memoria del defunto. I proprietari dei negozi, se lo vogliono, possono tenere le persiane abbassate anche per tutto il giorno. Oggi, anche le sedi della Commisione Europea e del Consiglio Europeo hanno ammainato a mezz’asta le bandiere europee.

Non manca, però, chi si oppone. Il rettore dell’Università per Stranieri di Siena (l’UniStraSi), Tomaso Montanari, ha ad esempio deciso che l’Ateneo non esporrà le bandiere a mezz’asta per la morte dell’ex premier. “Mi assumo personalmente la responsabilità di disporre che le bandiere di Unistrasi non scendano – ha messo nero su bianco in un comunicato Montanari -. Ognuno obbedisce infine alla propria coscienza e una università che si inchini a una storia come quella non è una università”. Una scelta che potrebbe essere foriera di guai giudiziari per il Professore. Infatti, il mancato rispetto del lutto nazionale è sanzionabile secondo l’articolo 650 del Codice penale, fino a tre mesi di carcere o con ammenda fino a 200 euro. E la Procura potrebbe procedere anche in assenza di denuncia.

Ieri è stata lanciata sulla piattaforma charge.org una petizione a supporto di Montanari, che in poche ore ha raccolto oltre 73.000 firme. “Per una larghissima parte dei cittadini italiani, e non solo per questi, l’indizione da parte della presidenza del Consiglio del lutto nazionale per la morte di Silvio Berlusconi risulta in stridente contrasto con le vicende che hanno segnato e caratterizzato la vita del personaggio, ben delineate dal professor Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, nella sua dichiarazione alla comunità”, è scritto nella petizione. “Dalla P2 ai rapporti con la mafia via Dell’Utri, dal disprezzo della giustizia alla mercificazione di tutto (a partire dal corpo delle donne, nelle sue tv), dal fiero sdoganamento dei fascisti al governo alla menzogna come metodo sistematico, dall’interesse personale come unico metro, alla speculazione edilizia come distruzione della natura”, aveva scritto il Professore, parlando di “santificazione ipocrita“.

In molti hanno fatto notare che il lutto nazionale non fu proclamato nemmeno per due grandi figure come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in seguito alle stragi di Capaci e di Via D’Amelio. Il grande paradosso è che invece, ad ottenerlo, è stato un uomo che, come accertato dalla giustizia italiana, Cosa Nostra l’ha finanziata almeno per 18 anni tramite il suo braccio destro Marcello Dell’Utri (condannato per questo a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa) e che è morto da indagato tra i presunti mandanti esterni delle stragi del 1993. Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso il 19 luglio 1992 e fondatore del Movimento delle Agende Rosse, ha firmato la petizione a sostegno di Montanari, esprimendo pubblicamente il suo disappunto per la proclamazione del lutto nazionale dopo la morte di Berlusconi: «Preferirei sperare – ha dichiarato in un’intervista – che non riposi in pace così come non riposeranno in pace tutte le vittime delle stragi di mafia nel nostro Paese e sul quale c’è ancora un forte punto interrogativo». [di Stefano Baudino] 

Se questo è un duomo. Analisi geopolitica delle panche al funerale di Berlusconi. Guia Soncini su L'Inkiesta il 15 Giugno 2023

L’inadeguatezza del rito ambrosiano e i difetti delle regie televisive nel mostrare chi è seduto dove, per non parlare dell’assurdità di chi da giorni dice che se ne parla troppo e che dobbiamo smetterla con la santificazione di quest’uomo

Ci sono dettagli di sceneggiatura che solo le cerimonie fanno risaltare. A «Scambiatevi un segno di pace», Piersilvio resta un paio di secondi col braccio teso vanamente verso Marina, che si è voltata subito a scambiarsi pace con la Fascina, e non è mica ostilità per lui: è che il suo, di segno, non lo vede; è che la liturgia è sceneggiatrice. Chissà se il regista Mediaset che questo momento l’ha inquadrato (diversamente da quello Sky) stamattina ha ancora un lavoro.

A «non abbandonarci alla tentazione», mi sgrido per non aver studiato il rito ambrosiano e ignorare quindi se il cambiamento venga da lì o da dove, è un segno dei tempi?, il padre nostro non è più così stronzo da indurci in tentazione, e al massimo ci abbandona?, è la versione della preghiera che ci possiamo permettere in questo secolo tremebondo in cui ho perso di vista le messe?

Per tutto il resto del tempo, per tutto il resto della diretta televisiva del funerale di Silvio Berlusconi, mi chiedo quand’è che il cattolicesimo sia diventato così inadeguato. Mentre i figli piangono o hanno comunque l’aria distrutta come fossero bambini cui è morto un padre nel pieno delle forze, e non un ottantaseienne con la leucemia, io penso – come chiunque l’avesse visto – a Roman Roy che si proclamava pre-grieved (come lo dici, in verboso italiano? «Vengo col lutto già elaborato»?) e poi crollava.

Penso, come chiunque, a Shiv Roy e a quel suo «Goodbye, my dear, dear world of a father», e mi chiedo ma noi perché no, perché Marina non può parlare, da quand’è che il cattolicesimo ha perso il senso dello spettacolo? I giornalisti dicono che in Duomo c’è il rito ambrosiano che non prevede interventi esterni, e per un attimo penso e allora Elton John?, poi mi rendo conto che sto sovrapponendo il funerale di Gianni Versace e quello di Diana Spencer.

Il vescovo tenta di compensare con una quantità di anafore tale che l’omelia sembra un testo di Vasco Rossi, si sbaglia pure a leggere, mescola congiuntivi e indicativi, «un uomo politico ha chi lo applauda e chi lo detesta», nel testo distribuito in anticipo ai giornali i verbi erano giusti, sarà l’emozione della performance, il vescovo in Duomo come Chiara Ferragni a Sanremo.

Sarà che il Duomo di Milano è più grande della chiesa degli artisti di Roma, ma le regie (ho tenuto accese sia Sky sia Canale 5, sperando di ottenere più scorci) non mi hanno dato una frazione della soddisfazione di quella dei funerali di Maurizio Costanzo nel farmi capire la geografia politica delle panche.

Osservare l’ovvio era facile: nella Milano del Vedovo, Marta Fascina non solo si nota, non solo è vicina a Marina, ma somiglia tantissimo a Leonora Ruffo, che nel film di Risi era colei che tentava invano di prendere il posto di Franca Valeri, che però mica moriva. Si capisce dov’è seduta Maria De Filippi (vicina alla Toffanin), ma non dove sia Francesca Pascale.

Per non parlare della prima moglie che nessuno si sogna di didascalizzarmi: molte inquadrature di Veronica Lario (una delle croniste ha detto che il segnaposto diceva «Bartolini»: il rito ambrosiano non prevederà nomi d’arte) che so riconoscere da sola, per la Dall’Oglio mi sarebbe servito del giornalismo divulgativo, e invece niente.

Grande soddisfazione mi dà però il commento di Canale 5, che continua per ore dopo la fine del funerale, e dove non manca niente e nessuno.

Mimun che precisa che la cravatta che indossa è di Berlusconi (la miglior risposta alle polemiche di questi giorni era il Rutelli di Corrado Guzzanti: «L’Italia non è di sinistra o di destra: l’Italia è di Berlusconi»).

Cesara Bonamici che commenta i palloncini azzurri con «è il colore dell’Italia e del nostro cielo» e sintetizza lo sguardo che Zangrillo rivolge al feretro con «scusa se non sono riuscito a salvarti la vita».

Barbara Palombelli che riferisce dell’unica telefonata che Silvio Berlusconi le abbia fatto in cinque anni di programma Mediaset, una sera che lei s’era messa un golfino «effettivamente molto brutto», e lui la chiamò: «Signora, mi faccia una cortesia: quel golfino non se lo metta più». Sarà sessismo? Sarà dresssplaining? Quanto è d’altri tempi dirti che sei malvestita, e quanto lo è farlo dandoti del lei.

Mi tornano in mente i necrologi di chi gli dà anche da morto del lei nonostante ci abbia lavorato tutta la vita (Mity Simonetto, Niccolò Querci), e quello di Zangrillo, «Presidente, ho sempre voluto darle del lei, solo oggi mi permetto di dirti ciao», e quello di Cairo, «per la prima volta ti do del tu, ti voglio bene, mi mancherai» (and I’m just calling one last time, not to change your mind, but just to say I miss you baby – eccetera).

Durante la messa s’invoca un «perché morissimo per sempre» (per vivere in dio o qualche fantasia del genere), e mi torna in mente Ceccarelli che martedì scriveva che Berlusconi faceva gesti scaramantici al fessissimo «siam pronti alla morte» del nostro (orrendo) inno nazionale.

Dopo la cerimonia Barbara Palombelli dice che insomma, parliamo sempre male dell’Italia, ma questa favolosissima cerimonia ci ha dimostrato che «è un grande paese, Milano è una grande città», e mi viene da ridere e mi si concretizza il sospetto d’avere un problema coi riti e i cerimoniali, chissà cosa direbbe uno psicanalista di quanto mi sembra ridicolo Beppe Sala con la fascia tricolore (sennò non si capisce che è il sindaco?).

Ho certamente torto io, ma mai quanto quelli che da giorni borbottano che insomma, se ne parla troppo, che è ’sta berlusconeide, che sarà mai, dobbiamo smetterla con la mistica della nostra infanzia e la santificazione dell’uomo che ci diede “Uccelli di rovo” e “Dynasty”. Santificazione in effetti pare troppo (ma chi lo santifica, a parte quelli che lavorano per le sue televisioni e mi pare un po’ il minimo?).

Ma, senza aver visto Alexis Carrington Colby che beve champagne nella vasca da bagno, mica lo so se saremmo gli stessi. Quasi tutti i gay milanesi che conosco, per dire, senza quel “Dynasty” di formazione sarebbero etero: il che, converrete, sarebbe un peccato.

 Antonio Lamorte 15 Giugno 2023

Estratto dell’articolo di Stefania Chiale per il “Corriere della Sera” il 15 giugno 2023. 

[…] La salma verrà cremata oggi nel Tempio crematorio Panta Rei di Valenza, in provincia di Alessandria. Le ceneri potranno così essere conservate nel mausoleo di Pietro Cascella, nel parco della villa, accanto al padre Luigi, alla mamma e alla sorella. Era nota da tempo la volontà dell’ex premier di essere cremato: era stato lui stesso a volere la cremazione per i resti dei suoi genitori e della sorella, inizialmente seppelliti al Cimitero Monumentale di Milano.

La scelta è la sola che rende possibile far riposare le spoglie di Berlusconi nel mausoleo, pensato dall’ex premier come il luogo di tumulazione per parenti e amici più stretti. L’impianto di Alessandria, uno dei centri di cremazione più grandi d’Italia, sarà accessibile solo alla famiglia, che al momento tiene il massimo riserbo sulle prossime ore. […]

Berlusconi sarà sepolto nel mausoleo di Arcore: la cremazione in un Tempio ad Alessandria. Le sue ultime volontà. Stefania Chiale su Il Corriere della Sera il 14 Giugno 2023 

Berlusconi sarà cremato nel Tempio Valenziano Panta Rei, vicino ad Alessandria. Fu lo scultore Pietro Cascella a realizzare il mausoleo che già accoglie le ceneri dei genitori e della sorella dell'ex premier. Emilio Fede ha atteso la salma su una panchina nel parco 

L’ultimo viaggio verso casa di Silvio Berlusconi inizia quando sono passate da poco le 16 e le porte bronzee del Duomo di Milano si spalancano per la seconda volta, salutando l’uscita del feretro ricoperto di rose bianche e rosse che era entrato un’ora prima. Il saluto che la famiglia, gli amici più cari e tutti i mondi del fondatore di Forza Italia riuniti gli hanno reso dentro la cattedrale — in un unicum milanese mai riuscito: da Mario Draghi a Massimo Boldi, da Sergio Mattarella a Lele Mora, da Viktor Orbán a Pippo Inzaghi — si è sciolto all’uscita nell’abbraccio della piazza. Bandiere del Milan, del Monza, del partito, dello Sri Lanka o del Veneto, cori, striscioni e applausi. Il corteo funebre percorre al contrario il tragitto che l’ha portato ai funerali di Stato, e torna nella sua Arcore, nella cappella di famiglia dove sono stati celebrati i funerali di mamma Rosa e della sorella Maria Antonietta e dove martedì è stata celebrata una prima messa.

Alle 16.30 l’auto con la salma lascia il Duomo per rientrare a Villa San Martino. La salma verrà cremata nel Tempio crematorio Valenziano Panta Rei, in provincia di Alessandria. Le ceneri potranno così essere conservate nel mausoleo di Pietro Cascella, nel parco della villa, accanto a quelle del padre Luigi, della mamma e della sorella. Era nota da tempo la volontà dell’ex premier di essere cremato: era stato lui stesso a volere la cremazione per i resti dei suoi genitori e della sorella, inizialmente seppelliti al Cimitero Monumentale di Milano. La scelta è la sola che offre l’opportunità di fare riposare le spoglie di Berlusconi nel mausoleo, pensato dall’ex premier come il luogo di tumulazione per parenti e amici più stretti. L’impianto, uno dei centri di cremazione più grandi d’Italia, sarà accessibile solo alla famiglia, che al momento tiene il massimo riserbo sulle prossime ore.

Il corteo attraversa le vie della città da piazza Duomo a viale Monza, passando per piazza Fontana, via Carlo Augusto, corsa di Porta Romane, piazza Cinque Giornate, corso Ventidue Marzo fino a piazzale Loreto. Quindi Monza, Villasanta e Arcore. Poco dopo le cinque il feretro fa ingresso a villa San Martino. Ad accoglierlo, una piccola folla, ma anche l’amico storico Emilio Fede, seduto su una panchina nel prato vicino alla villa: «Non posso pensare che non ci sia più. Un anno fa ho perso mia moglie e adesso lui, che è stato la mia vita», ha detto l’ex direttore del TG4.

C’erano anche gli ultras del Monza, la squadra che Berlusconi ha portato in serie A, a salutare l’ultimo ingresso a casa dell’ex premier. Tra le mani lo striscione: «Nel tuo ultimo cammino il nostro saluto» e una corona di fiori da parte della curva «Davide Pieri». Lasciando Villa San Martino, dopo il rientro del feretro, il figlio Pier Silvio saluta con la mano i cronisti e i fan presenti davanti all’ingresso della residenza. 

«Grazie ancora», dice abbassando il finestrino.

Estratto dell'articolo di Serena Biraghi per “La Verità” il 16 giugno 2023.

Silvio Berlusconi è tornato definitivamente nella sua Arcore. Dopo la cerimonia di cremazione di ieri nel tempio Panta rei di Valenza Po, in provincia di Alessandria, le ceneri del leader di Forza Italia saranno conservate nel mausoleo realizzato da Pietro Cascella nel parco di Villa San Martino, accanto a quelle del padre Luigi, della mamma Rosa e della sorella Maria Antonietta. 

Era stato lo stesso ex premier a lasciare disposizioni chiare sul «dopo»: essere cremato, come lo erano stati i suoi familiari, e riposare nel mausoleo da lui stesso pensato come luogo di tumulazione per parenti ed amici più intimi. Berlusconi, infatti, aveva lasciato un posto anche per Indro Montanelli, che però rifiutò l’offerta.

Il sindaco di Arcore, Maurizio Bono, ha confermato che la tumulazione nel mausoleo «tecnicamente non si può fare. Ma se lo cremano e vogliono trasferire l’urna cineraria ad Arcore, per noi non c’è problema». 

[…] 

Fu dopo la morte del padre e con l’idea che tutta la famiglia dovesse essere insieme nel riposo eterno che nel 1990 l’ex premier, allora soltanto imprenditore, chiamò l’artista toscano Pietro Cascella (scomparso nel 2008) per costruire un mausoleo con 36 loculi sotterranei e una grande scultura all’esterno in marmo bianco (più di 100 tonnellate) delle Alpi Apuane.

«Non farmi una cosa mortuaria con le falci, i teschi», disse Berlusconi, come raccontò lo stesso artista, «e allora ho pensato all’alto, al cielo e ho fatto questa cosa che si chiama Volta celeste. All’interno della Volta celeste, si accede passando per una scala in travertino. Il corridoio che conduce alla camera mortuaria con le tombe è chiuso da una porta scorrevole in pietra. 

Sulle pareti è intarsiato un fregio con delle catene: gli anelli legati uno all’altro sono il simbolo del rapporto familiare. Al centro di tutto, ci sarebbe un sarcofago bianco realizzato proprio per Berlusconi. I lavori del mausoleo terminarono nel 1993.

[…]

Il Mausoleo.

Berlusconi, la verità sul mausoleo di Arcore. La vedova di Cascella: "Nessun simbolo massonico". Il Tempo il 12 giugno 2023

Il feretro di Silvio Berlusconi, scomparso oggi all’età di 86 anni, riposerà nel mausoleo di Arcore, su cui si è tanto favoleggiato. La salma sarà spostata ad Arcore, in attesa dei funerali. Il leader di Forza Italia sarà presumibilmente seppellito proprio a Villa San Martino, dove è già pronta la tomba da lui fatta realizzare. Comprata nel 1973, Berlusconi aveva disposto che fossero realizzati dei lavori di restauro conservativo della porzione Berlusconi aveva fatto collocare all’interno della tenuta un mausoleo personale, opera di Pietro Cascella intitolata ’La volta celeste'.

Cordelia von den Steinen, vedova dello scultore Pietro Cascella, ha spiegato all'Adnkronos che il mausoleo non ospita nessun simbolo massonico, ma è ispirato ad Archimede. "Nessuno sa che ricevemmo una telefonata da Siracusa, volevano dedicare un monumento ad Archimede e proprio la sua passione per l’universo ha portato al primo bozzetto: una piattaforma quadrata con pilastri e corpi celesti. La richiesta, però, sfumò e quando Silvio Berlusconi chiese a Pietro di realizzare una tomba di famiglia per suo padre Luigi, ma senza croci o teschi, allora riprese quell’idea e la elaborò. Temevamo che volesse qualcosa di più ’tradizionale', tipo dei dipinti che potessero rappresentare la sua vita, invece accettò subito il progetto".

Nasce così l’opera La volta celeste realizzata in marmo di Carrara (più di cento tonnellate) con i pilastri posti su una base quadrata e un motivo ricorrente sul travertino del sotterraneo: una sorta di gancio infilato nell’altro a ripetizione come una catena che rappresenta i legami familiari, anche se Berlusconi - che commissionò l’opera intorno alla metà degli anni Ottanta - ha lasciato spazio anche agli amici di una vita (con ben 39 loculi). "Basta guardare le pubblicazioni per vedere che quel bozzetto precede l’incarico di Berlusconi eppure continua da decenni la libidine della maldicenza, ma tanto le parole vanno via e resta l’opera" per la quale ci sono voluti ben tre anni di lavoro. "Vengono date attribuzioni simboliche ad elementi, come la piramide o una squadra massonica, che fanno parte dell’umanità e della scultura di Pietro Cascella. Noi il club segreto della massoneria non lo conoscevamo di certo" sottolinea la vedova dell’artista originario di Pescara che ha ’collaborato' con il Cav per una decina d’anni, prima del suo ingresso in politica. "Ho conosciuto bene Berlusconi, era una persona con lo stesso volto nel pubblico e nel privato. Mi faceva tanti complimenti, come a tutte le donne, era un uomo che incarnava le caratteristiche degli italiani e per questo piaceva molto, credo sia stata uno dei motivi del suo successo" conclude Cordelia von den Steinen. 

Il mausoleo di Berlusconi ad Arcore firmato da Pietro Cascella e il rifiuto di Montanelli: «Non sum dignus» Gianni Santucci su Il Corriere della Sera il 12 Giugno 2023

Il fondatore di Forza Italia commissionò all'amico scultore il monumento sotterraneo come tomba di famiglia per sé e gli amici più stretti. Fede: «Non vi è stato sepolto nessuno»

Una grande sala (con tomba) centrale. Uno scalone monumentale. Un portale di ferro e pietra. Ambiente sotterraneo, cui s’accede dal prato. Il «mistero» del mausoleo di Silvio Berlusconi - morto il 12 giugno -  nel parco della villa di Arcore non ha nulla di misterioso: e anzi l’autore/progettista dell’opera e grande amico del fondatore di Forza Italia, lo scultore Pietro Cascella (morto nel 2008), raccontò ideazione e dettagli del sacrario personale/familiare dell’ex premier. 

«Berlusconi mi disse: senti, io mi trovo a questo punto della vita, ho perso il padre (Luigi Berlusconi, morto nel 1989, ndr), vorrei che tu ti occupassi di questa cosa», raccontava Cascella in un’intervista ancora disponibile su YouTube. «Lui mi disse: non farmi una cosa mortuaria, con le falci, le morti, i teschi, gli scheletri, quell’armamentario cimiteriale – ricordava Cascella –. E allora io dissi: pensiamo all’alto, al cielo. E allora ho fatto questa cosa che si chiama Volta celeste». Nel filmato lo scultore, nel suo studio, mostra il modello del mausoleo: «Qui c’è una porta di pietra scorrevole, e poi si accede all’area in cui ci saranno le sepolture vere e proprie».

Il monumento nel parco della villa di Arcore venne completato all’inizio degli anni Novanta: ma nessuno vi è stato sepolto. Su questo punto, poco dopo la morte di Cascella, in un’intervista a La Stampa, fu Emilio Fede a chiarire: «Non si possono seppellire i morti fuori dal cimitero e infatti anche sua mamma, Rosa (la madre di Silvio Berlusconi, deceduta nel 2008, ndr), ora riposa al cimitero Monumentale nella tomba di famiglia accanto al marito, Luigi». 

E poi l’ex direttore di Rete4, tra i pochi ammessi alla visita del mausoleo, nella stessa intervista ne diede una descrizione: «È un luogo di pace e di grande serenità. Nel parco di villa San Martino, ad Arcore, tra pioppi, roseti e un’immensità di tulipani di tutti i colori si scende per una quindicina di metri e c’è questo grande locale. Non c’è un’atmosfera triste. Non hai l’atmosfera... Come dire?... di una tomba». A un certo punto è circolata anche la leggenda che tra le sculture apparisse un cellulare: «Cellulare? Mai visto – sostenne Fede - I cesti di pane e frutta come simboli di vita sì, li ricordo. E, poi, Cascella ha scolpito delle teste molto belle. Era un grande artista, un vero amico di Silvio Berlusconi». 

Il fondatore di Fininvest concepì l’idea che il monumento potesse essere luogo di sepoltura per i familiari, ma anche per i più stretti amici, e nell’idea iniziale chiese che venissero riservati loro dei posti. Raccontava ancora Fede: «Io ho sempre detto che, come gesto d’affetto, mi piacerebbe far parte di quella cerchia di amici, Confalonieri, Dell’Utri, alla quale Berlusconi dia un posto». 

Come sempre i dettagli di cronaca berlusconiana si sono prestati negli anni a una doppia lettura, in base agli orientamenti politici, posizioni critico/satiriche, contrapposte a spiegazioni/contro critiche: così accadde ad esempio per la descrizione dell’impianto di riscaldamento fatta da Enrico Deaglio (riprendendo sempre le parole di Cascella): «Il committente volle poi fregi di ganci alle pareti a raffigurare il legame dell’amicizia, bassorilievi con frutta, cibo e un telefono portatile, rose a cinque petali di travertino rosso sulla tomba principale e un potentissimo motore Ruggerini a riscaldare e illuminare tutto l’ipogeo. In alto lasciò sbizzarrire l’artista, che innalzò al cielo dodici colonne sovrastate da sfere, mezze sfere, piramidi, cubi… Il tutto per cento tonnellate di pietra e tre anni di lavoro, per un’opera chiamata Volta celeste». 

Fede sminuì il valore di quel gruppo elettrogeno: «Ricordo che una volta mi chiese: "Non è che qui sotto fa troppo freddo?". Gli ho risposto: "E, beh, sai qui sotto...”. Lui, all’epoca non faceva ancora politica, pensava solo di avere un posto in cui un giorno andare senza tristezza, senza malinconia. Sentendosi bene». 

Il monumento è stato mostrato negli anni a molti ospiti, tra cui anche l’ex leader sovietico, Mikhail Gorbaciov. La leggenda dice che Indro Montanelli, alla proposta di avere un posto nel «dormitorium», rispose: «Domine non sum dignus».

L’Erede Politico.

Ecco l’Erede visibile e invisibile di Silvio Berlusconi: Gianni Letta. Alla commemorazione alla Camera del fondatore di Forza Italia, il “portasilenzi” braccio destro del Cavaliere riceve, a ottantotto anni, la prima standing ovation parlamentare della sua vita. E si alza per ringraziare a mani giunte. Se non è una investitura poco ci manca. Susanna Turco su L'Espresso il 22 Giugno 2023 

Come in una versione umana della “Lettera rubata” di Edgar Allan Poe, l’Erede tanto cercato in ogni angolo più nascosto è invece lì, sotto gli occhi di tutti, in mezzo alla piazza della politica. Non a villa San Martino ad Arcore, non dentro le pieghe del Testamento ancora non aperto, non a via delle Olgettine, certamente non a piazza San Lorenzo in Lucina dove ha sede Forza Italia. L’Erede siede nella prima fila di una delle tribunette degli ospiti di Montecitorio, applaude dopo il minuto di silenzio alla commemorazione di Silvio Berlusconi, annuisce parlando con la sua vicina di posto, Licia Ronzulli. È una semplice enorme scritta, e «come le insegne troppo grandi e i manifesti enormi sfuggono all’attenzione perché risultano troppo evidenti»: è Gianni Letta.

Mentre ciascun capogruppo del centrodestra riscrive la storia di trent’anni mettendo al centro Berlusconi e a turno il proprio partito, e Tommaso Foti per i Fratelli d’Italia rivendica lo strappo con Gianfranco Fini per fedeltà al Caro Silvio, e Riccardo Molinari per la Lega fa discendere l’intera seconda repubblica dalla fratellanza con Umberto Bossi, ricordata appena un gradino al di sotto la discesa in campo del Cavaliere, ecco che finalmente, a 88 anni, l’eminenza azzurrina, il portasilenzi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio e primo braccio destro di Berlusconi riceve la sua prima standing ovation in Parlamento della sua vita.

La lancia Paolo Barelli, capogruppo di Forza Italia: «Voglio porgere un rispettoso saluto al dottor Gianni Letta che è con noi anche oggi in quest'Aula, che lo ha visto innumerevoli volte a fianco del presidente Berlusconi nei tanti anni trascorsi nei banchi del governo ad agire nell'interesse del Paese», dice tra gli applausi di tutto il centrodestra.

Uno strano e semplice fuori programma, al quale Gianni Letta risponde in modo altrettanto insolito: si alza in piedi, congiunge le mani in segno di ringraziamento, piega leggermente il busto verso la folla sotto di lui. In qualche modo legittima e “chiama” quell’applauso che nel frattempo si fa sempre più intenso (dai banchi del Pd si aggiunge anche Enrico Letta, suo nipote). Non è forse una investitura, ma gli somiglia.

 Il ritorno di Gianni Letta tra Arcore e i palazzi romani: «In lui è riposta grande fiducia». Storia di Francesco Verderami su Il Corriere della Sera il 16 Giugno 2023

Se il telefono di Arcore squilla ancora è perché lì si è fermato Gianni Letta. Non è mai stato un ospite assiduo della residenza berlusconiana: quando la villa era la capitale dell’impero, sostava giusto il necessario per parlare con il Cavaliere. Poi tornava a Roma. Pensava che il rito si sarebbe protratto nel tempo, «almeno fino all’anno prossimo», perché così avevano detto i dottori spiegando il decorso della malattia di Silvio Berlusconi: «Invece è successo quello che nessuno di noi si aspettava».

Perciò ha deciso di restare ad Arcore, per condividere «questo grande dolore» con i figli del patriarca e aiutarli in un passaggio che si preannuncia complicato. In tutti i sensi. Così ha partecipato con loro alla messa privata di suffragio. Ha osservato il modo in cui Piersilvio si è rivolto al fratello e alle sorelle. E ha ascoltato la loro promessa di «proseguire uniti il lavoro di papà per rendere ». Poi, insieme a Fedele Confalonieri, si è adoperato per le esequie: uno ha presidiato per un giorno intero la prefettura di Milano, l’altro si è adoperato nei contatti con il Quirinale per il funerale di Stato.

«Chiamo io», ha detto Letta, con un tono che ha rassicurato i familiari, travolti dall’emozione. Da giorni quel «chiamo io» si ripete, perché ci sono da disbrigare anche altre faccende. «La vecchia guardia è un bastone al quale i figli di Berlusconi sanno di potersi appoggiare», raccontano dai vertici del Biscione: «E Gianni riveste un ruolo centrale. In lui è riposta grande fiducia». Quello che faceva per il padre continuerà a farlo per i figli, sfruttando le sue relazioni nei palazzi del potere capitolino. Aprendo porte che nessuno di loro a Roma ha mai varcato.

È vero, Marina ha stabilito un rapporto diretto con la premier, ma — come sostiene chi conosce quel mondo — «è comunque necessario avere un punto di riferimento». E Letta lo è. «Letta è l’uomo che manca a Romano Prodi», disse Francesco Rutelli negli anni ruggenti del bipolarismo muscolare, riconoscendo al collaboratore del Cavaliere doti che scarseggiavano nel centrosinistra. Sulle nomine, per esempio, potrà suggerire alla famiglia come muoversi. È un esercizio che pratica da anni: dai posti di vertice delle aziende di Stato fino agli avanzamenti di carriera, c’è sempre un suo «suggerimento» poggiato sulla scrivania di chi deve decidere. Guido Crosetto ha confidato a un collega come «non passi settimana senza che Gianni mi indichi qualcuno nelle Forze Armate».

Inoltre, l’uomo che non ha mai avuto la tessera di Forza Italia, da oggi dovrà occuparsi più direttamente anche della creatura politica di Berlusconi, garantendo un atterraggio morbido quando verrà il momento. Ieri si è sentito con Antonio Tajani: c’è da preparare la lunga marcia verso le Europee dell’anno prossimo e bisognerà decidere come affrontarle. Un paio di giorni prima di peggiorare, il Cavaliere aveva dettato la «carta valoriale» degli azzurri in vista delle elezioni e aveva chiamato «Gianni» per sollecitargli dei suggerimenti. Adesso nell’agenda di Letta la sua segretaria ha appuntato una serie di chiamate: sono i leader centristi che vorrebbero parlargli per capire se c’è l'intenzione di unire le forze in un’unica lista che si richiami al Partito popolare.

«Sono momenti difficili», riconoscono esponenti forzisti. A breve si capirà se decideranno di far presentare Forza Italia alle urne da sola. Giorgia Meloni ha assicurato che non intende lanciare un’Opa sul partito e nei territori ha dato ordine ai dirigenti di FdI di non accogliere azzurri che volessero trasferirsi. Raccontano che in questi giorni i figli di Berlusconi si siano espressi sulle questioni politiche «in modo appropriato». Ma come dice una personalità del centrodestra, «tutti, anche i grandi leader, hanno bisogno di una personale Cassazione». Hanno bisogno cioè di qualcuno a cui affidarsi prima di dire l’ultima parola. Uno come Gianni Letta.

Estratto dell'articolo di Michele Serra per “la Repubblica” il 22 giugno 2023.

Si riparla di Gianni Letta, il più andreottiano tra i viventi, come “fiduciario della famiglia Berlusconi”. Credo che anche il più ferrato (o efferato) tra i costituzionalisti riuscirebbe a osare una lettura “tecnica” di simili mansione. […]  fin qui il fiduciario di famiglia non era una figura prevista da iter e protocolli. 

[…] ne sono entusiasta, e per almeno due motivi. Il primo: si chiarisce definitamente, direi ufficialmente, che Forza Italia è una delle tante proprietà personali di SB e dei suoi numerosi cari. Che a reggerne le sorti sia dunque un “fiduciario della famiglia”, come quando si deve stabilire come disporre dello chalet nel Vallese o del trilocale a Laigueglia senza far litigare gli eredi, è cosa saggia e utile.

Il secondo: all'ottantottenne Letta, nonostante una lunghissima carriera a stretto contatto di gomito con un personale politico non sempre presentabile alla mamma, va riconosciuto un aplomb impeccabile. 

[…] È levigato, sorridente, sempre in regola con il dress code anche quando non c'è alcun dress code. In questa destra, che nella canottiera di Bossi, nella Bestia di Salvini, nei bonifici alle Olgettine, […] e negli svastica-party di qualche fedelissimo meloniano trova i suoi fondamenti antropologici, l'aplomb borghese di Gianni Letta è motivo di rassicurazione. 

Estratto dell'articolo di Susanna Turco per espresso.repubblica.it il 22 giugno 2023.

Come in una versione umana della “Lettera rubata” di Edgar Allan Poe, l’Erede tanto cercato in ogni angolo più nascosto è invece lì, sotto gli occhi di tutti, in mezzo alla piazza della politica. 

Non a villa San Martino ad Arcore, non dentro le pieghe del Testamento ancora non aperto, non a via delle Olgettine, certamente non a piazza San Lorenzo in Lucina dove ha sede Forza Italia. 

L’Erede siede nella prima fila di una delle tribunette degli ospiti di Montecitorio, applaude dopo il minuto di silenzio alla commemorazione di Silvio Berlusconi, annuisce parlando con la sua vicina di posto, Licia Ronzulli. È una semplice enorme scritta, e «come le insegne troppo grandi e i manifesti enormi sfuggono all’attenzione perché risultano troppo evidenti»: è Gianni Letta. 

[…]  ecco che finalmente, a 88 anni, l’eminenza azzurrina, il portasilenzi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio e primo braccio destro di Berlusconi riceve la sua prima standing ovation in Parlamento della sua vita. 

La lancia Paolo Barelli, capogruppo di Forza Italia: «Voglio porgere un rispettoso saluto al dottor Gianni Letta che è con noi anche oggi in quest'Aula, che lo ha visto innumerevoli volte a fianco del presidente Berlusconi nei tanti anni trascorsi nei banchi del governo ad agire nell'interesse del Paese», dice tra gli applausi di tutto il centrodestra. 

Uno strano e semplice fuori programma, al quale Gianni Letta risponde in modo altrettanto insolito: si alza in piedi, congiunge le mani in segno di ringraziamento, piega leggermente il busto verso la folla sotto di lui.

[…] Non è forse una investitura, ma gli somiglia.

Il Testamento e l’Eredità.

Daniela Polizzi e Mario Gerevini per il “Corriere della Sera” il 12 luglio 2023.

L’eredità di Silvio Berlusconi raddoppierà il patrimonio di Barbara, Eleonora e Luigi a circa un miliardo a testa ma quadruplicherà quello di Marina e Pier Silvio: 1,6 miliardi ciascuno. Abbiamo fatto i conti in tasca ai cinque fratelli, immobili personali compresi, anche quelli meno noti come la casa da 70 vani di Barbara Berlusconi in zona Pagano a Milano o l’abitazione che si è comprato Pier Silvio ad Arcore, le società francesi Sci Billy e Sci Cardigan di Marina. E poi la villa a Milano di Luigi: è la ex Villa Borletti, luogo simbolo dell’epopea berlusconiana.

(...) 

L’eredità Berlusconi non è solo Fininvest: sarà assegnato un consistente capitale immobiliare oltre a tutti i beni personali del Cavaliere. In totale 4 miliardi facendo calcoli di massima, non essendoci visibilità su tutto il perimetro. Ma partiamo dalle case dei cinque fratelli, quelle a oggi di loro esclusiva proprietà.

Marina Le proprietà in Costa Azzurra della primogenita fanno capo a società immobiliari francesi dove hanno piccole quote il marito Maurizio Vanadia (Sci Cardigan) e la madre Carla Dall’Oglio (Sci Billy). Di grande valore la villa di Châteauneuf de Grasse, uno dei villaggi più belli dell’entroterra francese, a mezz’ora d’auto dal mare della Costa Azzurra. In Italia la numero uno di Fininvest ha solo un piccolo appartamento in zona Bande Nere a Milano e due piani per 22 vani complessivi di un bel palazzotto in Corso Venezia, nel centro della città.

Pier Silvio Dal portafoglio immobiliare di Pier Silvio spunta la villa di Arcore junior, a un quarto d’ora a piedi dalla senior, Villa San Martino, che il padre ha abitato fino agli ultimi giorni. È una residenza di lusso da 33,5 vani con parco. Proprietario esclusivo Pier Silvio che ha anche un paio di appartamenti a Segrate. L’anno scorso era emerso l’acquisto (per 20 milioni secondo indiscrezioni) della splendida Villa San Sebastiano a Portofino, 1.300 metri quadrati.

Barbara Pagano, due passi dal centro di Milano e da City Life, è in una delle zone più ricercate e care di Milano. Qui gli appartamenti di pregio si vendono a 10 mila euro al metro quadrato. E qui Barbara Berlusconi in un bel palazzo della «vecchia Milano» ha la sua reggia e il suo unico immobile di proprietà: 70 vani più 250 metri quadrati tra box auto e cantine. Considerato che per il catasto un vano è tra gli 8 e i 20 metri quadrati si intuisce che gli spazi non mancano per la numerosa famiglia (Barbara ha cinque figli da uno a 15 anni, tutti maschi).

Eleonora Un appartamento quasi normale (2-300 metri quadri) in centro storico non lontano dalla Basilica di San Nazaro e uno, più piccolo, a poca distanza. Nient’altro per la più riservata tra i figli del Cavaliere.

Luigi Un grande appartamento signorile a tre minuti a piedi dalla chiesa di Santa Maria delle Grazie e dal Cenacolo Vinciano. E poi la sorpresa: la ex villa Borletti a Milano, luogo storico della vita di Berlusconi che qui si trasferì negli anni Settanta. Si sapeva che Luigi ne era affascinato, non che l’avesse comprata. Con i suoi 46 vani in una delle zone più prestigiose di Milano oggi ha un valore altissimo. 

Ma Luigi ha acquistato o è stata una donazione del padre? E gli immobili degli altri fratelli? La questione tocca il patrimonio ereditario: la donazione fatta a legittimari del donante, infatti, è considerata dalla legge un anticipo di eredità e dunque dovrà essere imputata alla quota legittima.

Ai loro beni i cinque fratelli aggiungeranno quelli del padre in base alla ripartizione dell’eredità. Finché c’era Silvio Berlusconi le quote di patrimonio netto Fininvest (4,5 miliardi a fine 2022) di Marina e Pier Silvio valevano, come detto, circa 340 milioni a testa. Quelle degli altri tre circa 320 ciascuno. Ma i tre più giovani sommano i 400 milioni di attività proprie della loro H14 e salgono a 453 milioni ciascuno. Dopo la morte del Cavaliere e la sua decisione di lasciare la quota disponibile dell’eredità (un terzo) solo a Marina e Pier Silvio si rimescolano le carte.

La Fininvest (di cui l’ex premier aveva il 61%) vedrà i due figli già alla guida del gruppo salire dal 15 al 53% e gli altri dal 21 al 47%. Nel portafoglio dei cinque entrano complessivamente 2,74 miliardi di valore Fininvest (patrimonio netto) cioè il 61% ex Berlusconi senior. E poi le grandi ville (Certosa, San Martino, Macherio ecc) e le altre proprietà immobiliari stimabili in 6-700 milioni. Altri 6-700 milioni, secondo valutazioni approssimative, emergerebbero da tutti gli altri beni (opere d’arte, liquidità e investimenti personali, polizze, mobili e arredi ecc.).

Da qui si arriva ai 4 miliardi dell’eredità di cui «solo» 2,74 miliardi è, appunto, quota Fininvest e il resto si divide 60% (Marina e Pier Silvio) 40% (Barbara & C). Risultato (al netto di donazioni in vita): Marina e Pier Silvio avranno un patrimonio da 1,6 miliardi a testa, i tre fratelli poco più di un miliardo ciascuno.

Eredità di Berlusconi, Fascina pagherà 8 milioni di tasse: i conti di tutti gli eredi. Storia di Valentina Iorio su Corriere della Sera il 10 luglio 2023.   

Le tasse sull’eredità Fininvest e l’ipotesi dell’esenzione. Uno dei nodi dell’eredità di Silvio Berlusconi, sia di quella economica lasciata ai suoi discendenti che di quella politica, è legato all’imposta di successione. Un cavallo di battaglia dell’ex premier con il quale ora i suoi eredi dovranno in qualche misura fare i conti. Abolita nel 2001 proprio dal governo Berlusconi, l’imposta è stata poi ripristinata in forma attenuata per i grandi patrimoni nel 2006 dal governo Prodi. Una delle principali incognite sono le tasse sul 61,2% di Fininvest, che i figli del Cavaliere potrebbero non dover pagare grazie all’articolo 3 del Testo unico sulle successioni che prevede l’esenzione totale dall’imposta nel caso in cui la successione riguardi la quota di controllo di società di capitali lasciata ai figli in regime di comunione, come appunto nel caso di Berlusconi. « Il beneficio - dice la norma - si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso». Leggi anche: - Berlusconi, la carta nel cassetto e le 5 anomalie che la rendono impugnabile: ma la famiglia procede compatta

I possibili ostacoli normativi. Tuttavia, come ricorda il Sole 24 Ore, gli eredi potrebbero doversi scontrare con un’interpretazione restrittiva della normativa, come quella derivante dalla sentenza n. 6082 del 28 febbraio 2023 della Corte di Cassazione, secondo la quale l’esenzione non spetta se la società non svolge attività d’impresa. Secondo alcune interpretazioni della sentenza le holding come Fininvest potrebbero essere considerate società che non esercitano attività d’impresa, dato che questa viene esercitata solo dalle partecipate della holding ma non direttamente dalla capogruppo.

L’aliquota del 4% per i figli.

Ipotizzando anche che possano godere dell’esenzione dall’imposta di successione per la quota di Fininvest ereditata dal padre, i figli di Berlusconi dovranno in ogni caso pagare un’aliquota del 4% sul valore dei beni ereditati. La legge 262 del 2006 prevede tasse al 4% per i trasferimenti effettuati in favore del coniuge o di parenti in linea retta, come appunto i figli, da applicare sul valore complessivo del patrimonio con una franchigia di 1 milione per ciascun beneficiario.

Per Paolo Berlusconi tasse per 5,9 milioni.

Anche chi riceve in eredità lasciti in denaro, come nei casi di Paolo Berlusconi, Marta Fascina e Marcello Dell’Utri, è chiamato a versare l’imposta sulle successioni e a presentare la relativa dichiarazione all’Agenzia delle entrate. Per i 100 milioni di euro ricevuti dal Cavaliere il fratello Paolo dovrà versare 5,9 milioni di tasse. La legge, infatti, prevede che i lasciti in favore di fratelli o sorelle siano tassati con un’aliquota del 6% sul valore complessivo netto, con una franchigia di 100 mila euro. L’aliquota è la stessa anche per i trasferimenti in favore di altri parenti fino al quarto grado, degli affini in linea collaterale fino al terzo grado, ma in questo caso non è prevista l’applicazione di alcuna franchigia.

Per Marta Fascina 8 milioni di euro di tasse.

L’ultima compagna di Berlusconi, Marta Fascina, invece, secondo la normativa rientra tra i soggetti non legati da vincolo parentale - dato che il «quasi matrimonio» celebrato a Villa Gernetto non ha vincoli giuridici o civili - e quindi tenuti a versare l’imposta con aliquota pari all’8% su quanto ricevuto senza franchigia. Fascina dovrà versare al Fisco 8 milioni di euro di imposta di successione per il lascito da 100 milioni ricevuto in eredità dall’ex premier.

Marcello Dell’Utri.

Anche Marcello Dell’Utri, amico e collaboratore di Silvio Berlusconi, sarà tenuto a pagare l’imposta di successione con l’aliquota dell’8%. Nel suo caso, avendo ricevuto un lascito in denaro di 30 milioni di euro, dovrà versare al Fisco 2,4 milioni di euro di tasse.

Berlusconi, "maxi-patrimoniale sugli eredi": l'ultimo delirio dei rosiconi di sinistra. Alessandro Gonzato su Libero Quotidiano il 09 luglio 2023

Ci sono giornate talmente bislacche - la giornata dei baci, degli abbracci, del Pi greco, degli ufo, della zanzara, delle zone umide, del gabinetto che però non c'entra con le zone umide - ce ne sono così tante che una seria stonerebbe, eppure in Italia il 6luglio potrebbe essere almeno protempore la giornata degli invidiosi, rosiconi, in romanesco. Il 6 luglio, l’altro ieri, è stato reso pubblico il testamento di Silvio Berlusconi, e la ripartizione delle fortune del Cavaliere ha corroso diversi fegati, tra vip e non.

Tra quest’ultimi Giovanni Paglia, responsabile economico di Sinistra Italiana (il partito di Nicola Fratoianni padre putativo di Aboubakar Soumahoro) il quale ha cinguettato, su Twitter: «Pensate a Dell’Utri, che in virtù dei silenzi resi eredita da Berlusconi 30 milioni di euro, pagandoci l’8% di tasse. Meno dell’Iva su uova, carne e pesce». Ma cosa c’entra? C’è una legge che tassa l’eredità!

Dobbiamo aumentarla perché le bistecche e i calamari costano tanto? Niente. Il Paglia, ex attivista dei centri sociali poi deputato, è andato avanti: «E qualcuno continua a raccontare che sia giusto così. Non è parente e in Francia avrebbe versato il 60%: pure poco». E perché non il 70! Chi offre di più?

CHE RIDERE L’ineffabile Paolo Berizzi che vede fascisti ovunque e anche su Marte stavolta ha visto altro: «Oggi per la mafia è Natale». Oggi era il 6 luglio. «Fai spesso training autogeno?» gli ha risposto beffardamente un utente, sempre su Twitter. «E per il fascismo non è Natale?», altra risposta. Berizzi scrive su Repubblica e il giornale di Maurizio Molinari titola: “Il dono a Dell’Utri nel testamento di Berlusconi: il silenzio è d’oro”. Poi parte il pezzo: «C’è un patto indissolubile che si può anche analizzare come un fatto d’onore, quello che lega Silvio Berlusconi a Marcello dell’Utri. Si parla al presente perché la disposizione testamentaria lasciata dall’ex presidente del Consiglio di 30 milioni al suo amico fidato ci dice che questo legame è ancora in atto. E vive per nutrire il silenzio pagato a peso d’oro». Che rosicamento!

L’INTERVISTA

«Non mi aspettavo un gesto simile», ha commentato Dell’Utri, ma non parla di quello di Repubblica. Neanche alla Stampa hanno letto il testamento col sorriso. «Berlusconi non mi doveva nulla e nulla mi sarei aspettato di ricevere. Sono rimasto commosso. Sarebbe volgare ridurre un’amicizia come la nostra a un conteggio economico. Io e lui ci siamo dati tutto nell’amicizia». “C’è chi pensa che questi soldi siano serviti per comprare il suo ultimo silenzio...”. «Tutti balordi», ha replicato Dell’Utri, «penseranno questo, lo so bene. Sono quelli che non capiscono nulla, che godono nel seminare il male». Riattacca Il quotidiano Il Domani: “Perché Berlusconi dopo una vita di regali a Dell’Utri, per ultimo un vitalizio da 30mila euro al mese, gli ha lasciato anche 30 milioni?

” Poteva mancare l’italo-israeliana filopalestinese Rula Jebreal? Poteva, ma eccola che pubblica sui social un articolo del Telegraph: “Berlusconi dà 25 milioni di sterline all’amico della mafia”. Il vignettista Natangelo sul Fatto Quotidiano disegna Dell’Utri che chiede a Marta Fascina, l’ultima compagna di Berlusconi: «Ma se a me Silvio ha lasciato 30 milioni, e per lui sono andato in galera...Te, per avere 100 milioni cos’hai dovuto...». Fascina: «L’orrore, l’orrore». Altra vignetta: «Ancora champagne, signore?», chiede un cameriere a Dell’Utri. «Grazie caro, sai, misi è seccata la bocca a tenerla chiusa per così tanti anni». I “meme” di Osho invece al solito sì che fanno ridere: c’è una foto di Dudu, l’ex cagnolino di Berlusconi, che pensa: «Sò l’unico che ‘n ha rimediato niente... Se rinasco vojo fa er cane a Capalbio”. Intanto Veronica Lario, ex moglie del Cav, ha dichiarato di non essere a conoscenza del primo testamento, redatto ottobre 2006, e non ne avrebbe saputo niente «fino a due giorni fa». Chissà cosa diranno gli invidiosi quando leggeranno che il direttore scientifico del Parco Natura Viva di Bussolengo (Verona) ha detto all’Adnkronos che il parco è «disposto a ospitare i tre cammelli donati a Berlusconi da Gheddafi, per dare loro un vitalizio». Anche i cammelli, che si trovano nello zoo di Tripoli, fanno parte dell’eredità del Cavaliere. Intanto negli Stati Uniti il 6 luglio è la giornata del pollo fritto.

Estratto dell’articolo di Flavio Bini per “la Repubblica” sabato 8 luglio 2023.

Dopo averla avversata per una vita intera, proprio sull’imposta di successione a Silvio Berlusconi potrebbe essere riuscita la zampata finale: schivarla. Non per tutti e non su tutto, certo, ma sulla parte più consistente del proprio mastodontico patrimonio, quella che riguarda il 61,2% di Fininvest ceduto ai cinque figli. 

Su questo convengono alcuni tributaristi interpellati sulla questione ereditaria, facendo riferimento a una norma ben precisa: l’articolo 3 del Testo unico sulle successioni, che regola proprio le esenzioni dedicate alle imposte di successione.

Un passo indietro è d’obbligo. I figli Berlusconi come tutti devono pagare un’imposta sul valore complessivo del patrimonio lasciato in eredità. La legge prevede che ai familiari di primo grado si applichi un’aliquota del 4% sul valore dei beni ereditati, per la quota eccedente per ciascuno al milione di euro. […] 

Ma il pacchetto più ricco è senza dubbio quello delle quote societarie: il 61,2% di Fininvest. Il grosso del pagamento, per gli eredi, arriverà da qui. O almeno potrebbe arrivare, perché secondo quanto previsto dal Tus, all’articolo 3 comma 4ter, qualora la cessione avvenga in comunione ai familiari e riguardi partecipazioni di controllo — come è il caso della quota in Fininvest (ceduta attraverso le 4 holding) — i trasferimenti "non sono soggetti all’imposta". Con una prescrizione molto chiara però.

"Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento". 

Sul tema è tornata anche l’Agenzia delle Entrate con la circolare 3/E del 22 gennaio 2008 in cui si conferma l’applicabilità della norma nel caso "un soggetto doni l’intero pacchetto azionario posseduto ai suoi tre figli in comproprietà tra loro". […]

Ma quanto risparmierebbero i figli grazie a questa soluzione? Anche su questo l’ex premier sembra essersi più che cautelato. A conti fatti anche non applicando l’esenzione l’esborso dell’ordine di svariate centinaia di milioni di euro ventilato nelle scorse settimane si potrebbe tradurre per i figli in una cifra decisamente più contenuta. 

Lo stesso Testo unico prevede infatti che per le società non quotate la base imponibile a cui applicare l’imposta sia il patrimonio netto evidenziato nell’ultimo bilancio. La cessione però non riguarda la più ricca Fininvest, ma le holding di controllo. Le quattro società partecipate direttamente dal Cavaliere, attraverso partecipazioni incrociate, secondo gli ultimi bilanci depositati, presentano un patrimonio netto complessivo di circa 431 milioni di euro, dunque il 4% per cento si applicherebbe a questa somma e porterebbe il conto a circa 17 milioni di euro. Una cifra molto inferiore a quella dovuta se fosse stata attribuita direttamente la quota Fininvest.

Estratto dell'articolo di Mario Gerevini e Daniela Polizzi per il "Corriere della Sera" sabato 8 luglio 2023.

[…] se qualcuno volesse impuntarsi, se si creasse una crepa nel muro di compattezza, il lato debole e attaccabile del testamento Berlusconi sarebbe indubbiamente il foglio che Marta Fascina ha consegnato il 5 luglio al notaio Arrigo Roveda che l’ha registrato e pubblicato come «Testamento olografo», cioè scritto e datato dal testatore Silvio Berlusconi. 

Anomalie e omissioni

È la carta in cui il Cavaliere, con scrittura stentata, il 19 gennaio 2022, poco prima di essere ricoverato al San Raffaele, invita i suoi eredi (meno uno) a donare 100 milioni al fratello Paolo, altrettanti a Marta Fascina e 30 milioni a Marcello Dell’Utri. Il documento è pubblico e molti, anche esperti giuristi, si sono interrogati su presunte anomalie ed omissioni. […] 

«Cara Marina...»

«Cara Marina, Piersilvio, Barbara e Eleonora. Sto andando al San Raffaele se non dovessi tornare vi prego di prendere atto di quanto segue: dalle vostre eredità di tutti i miei beni dovreste riservare queste donazioni a …». Analizziamo i punti critici. 

Luigi può sfilarsi

1) L’omissione: manca uno dei cinque figli, Luigi, il più giovane. Ma forse si tratta semplicemente di una dimenticanza. Il Cavaliere era in precarie condizioni di salute e non è chiaro se al momento della scrittura fosse assistito. Quando 18 mesi dopo Fascina consegna la busta al notaio, il professionista mette a verbale che si tratta di una “busta non sigillata”. Comunque sia, Luigi potrebbe cogliere la palla al balzo e non contribuire ai 230 milioni. […]

La firma

2) Silvio chiama il figlio “Piersilvio” ma lui è Pier Silvio. Dettaglio minimo ma indicativo della scarsa lucidità dell’ex leader di Forza Italia. Altri dettagli, la firma non per esteso: S. Berlusconi. Tra l’altro è singolare che un padre che scrive ai figli si firmi col nome puntato e il cognome. Dettaglio anche la grafia più piccola per la cifra della donazione a Fascina.

Condizione sospensiva

3) «Se non dovessi tornare …». Ma poi è tornato dopo otto giorni. Quindi? Secondo vari pareri legali si tratta di una condizione sospensiva: la volontà di Berlusconi è chiaramente subordinata al verificarsi dell’evento futuro e incerto (la morte in ospedale). Il rientro a casa avrebbe reso inefficaci quelle disposizioni. E dunque il legato per 230 milioni potrebbe essere messo in discussione. 

I doppi 100 milioni

4) L’indicazione dei 100 milioni da riservare al fratello Paolo era già contenuta in un atto del 5 ottobre 2020 che all’epoca il fondatore di Fininvest consegnò di persona fiduciariamente al notaio Arrigo Roveda. Si era dimenticato dei 100 milioni già disposti a favore del fratello? O quelli del foglio di Arcore sono aggiuntivi? E perché allora non specificarlo?

La busta nel cassetto

5) Quando Silvio torna dall’ospedale, nell’inverno 2022, quella busta rimane in un cassetto di Villa San Martino. Le altre due lettere erano invece nell’archivio del notaio Roveda […] . Perché l’ultimo atto, quello dei 230 milioni, è rimasto nel cassetto e non ha ricevuto una veste più formale come gli altri due? È vero che il pericolo era scampato ma poi i ricoveri si sono susseguiti e il Cavaliere ha avuto più di un anno per dare una forma più solenne a un pezzo di carta che vale 230 milioni e contiene evidenti errori. Non lo ha fatto. 

Il verbale del notaio

Così mercoledì 5 luglio Roveda è chiamato ad Arcore da Marta Fascina che tira fuori la carta. «Alla presenza di testimoni — verbalizza il professionista — mi consegna una busta non sigillata recante la scritta “ai miei figli” e la firma “S. Berlusconi” contenente un foglio di carta intestata composto da due facciate scritto con inchiostro nero, apparentemente da un’unica persona (...) che ritiene essere il testamento olografo del signor Silvio Berlusconi e che mi chiede di pubblicare». […]

Daniela Polizzi e Mario Gerevini per il "Corriere della Sera" sabato 8 luglio 2023. 

È l’ora di fare i conti nel perimetro complesso del patrimonio di Berlusconi, per capire cosa c’è in portafoglio, oltre a quanto già noto, e anche per stabilire come saranno pagati 230 milioni di lasciti a Marta Fascina (100), al fratello Paolo (100) e a Marcello Dell’Utri. Che andranno a formare il passivo dell’eredità.

I consulenti degli eredi dedicheranno le prossime settimane a stimare i singoli beni. 

E un elemento fondamentale sarà anche la valutazione delle donazioni fatte in vita dal Cavaliere. A quanto risulta sarebbero numerose e di importo assai rilevante. Ne hanno beneficiato anche gli eredi?

Potrebbero riassestarsi le cifre in gioco di un’eredità da circa 4 miliardi (non esistono cifre ufficiali) che andrà per due terzi a tutti i cinque figli in parti uguali (la quota legittima) e per un terzo (la quota a disposizione di Berlusconi) solo a Marina e Pier Silvio. La legge considera la donazione fatta a legittimari del donante un anticipo di eredità quindi alla morte del donante dovrà essere imputata alla quota legittima.

Passaggi tecnici in una cornice di «grande serenità», ribadisce una fonte vicina alla famiglia. Ed è con questo spirito di collaborazione che si procede nelle valutazioni. Anche quelle più complicate. L’approdo finale è la divisione 60/40 dei beni. La divisione Il Cavaliere direttamente o con le sue società personali aveva vari conti in banca (con firma singola, doppia o di fiduciari) con liquidità e investimenti. Intesa Private Banking è uno degli istituti di riferimento.

E questa è l’area più sconosciuta e riservata, almeno dall’esterno. Gli immobili, quelli detenuti direttamente o tramite società, sono più facilmente classificabili. Poi c’è Fininvest per la quale il fondatore ha chiaramente indicato la strada della continuità attribuendo il 20% a Marina e Pier Silvio che così saliranno, insieme, alla maggioranza assoluta del 53%. Ma l’intesa tra fratelli non appare per nulla intaccata. Le due anime dei Berlusconi convivono da anni. Marina e Pier Silvio gestiscono Fininvest con le partecipazioni quotate di Mfe-Mediaset, Mondadori e Banca Mediolanum, mentre Barbara, Eleonora e Luigi hanno creato una loro holding proiettata in altri business: si chiama Holding Italiana Quattordicesima, avrà il 47% di Fininvest.

E da un anno ha scisso le sue attività extra Fininvest nella H14. La finanza Le vitamine per la crescita delle due holding — che hanno appena traslocato nei nuovi uffici di Piazza Borromeo a Milano — sono arrivate fin dall’inizio dai dividendi Fininvest. Ma il family office si è gradualmente trasformato in piattaforma per gli investimenti, con un attivo stimato in 400 milioni (escludendo la partecipazione in Fininvest che per ora è del 21,4%). Il patrimonio si autoalimenta proprio grazie ai ritorni sui buoni affari.

Merito anche dell’impegno di Luigi che già nel 2017 era entrato nel board di Soldo ltd, startup nel settore fintech concepita per semplificare la gestione delle spese di famiglia nella quale aveva investito anche la Fininvest, realizzando circa 12 milioni di plusvalenza. Bocconiano, lavoro in JP Morgan a Londra e poi altre esperienze nella finanza. È su queste capacità negli affari che poi la H14 ha spiccato il volo e ora la holding di cui sono soci i tre fratelli è autonoma.

Luigi è il presidente, Barbara l’amministratrice delegata, Eleonora, tre figli, si tiene più in disparte dalla vita aziendale. Ma tra i tre fratelli c’è un flusso costante di informazioni sulle attività. Tutti sono nel consiglio, affiancati da Geronimo La Russa, avvocato, figlio del presidente del Senato Ignazio La Russa. La tecnologia La ricchezza è frutto delle scommesse riuscite su imprese in crescita, nella logica del private equity, soprattutto nel settore della tecnologia e dell’innovazione per le quali Luigi ha passione e talento. Ha una fitta rete di partecipazioni. Spiccano quelle in Jakala, la società di marketing tecnologico fondata da Matteo de Brabant, nella società di consegne Deliveroo, di arredo Westwing, poi Bending spoon. Gli affari della H14 nascono dalla rete di relazioni della famiglia. Tra queste quella con i fratelli Barilla o con Angelo Moratti. In media queste quote restituiscono ritorni rotondi, attorno al 20%.

La H14 investe nelle aziende da supportare anche attraverso la formula del club deal, unendo cioè le forze con altre dinastie imprenditoriali.

Una delle sponde privilegiate per gli affari è Mediobanca private banking. Per la precisione Tec, acronimo di The equity club, la piattaforma per gli investimenti in club creata da Piazzetta Cuccia per captare l’interesse e la liquidità delle grandi famiglie di industriali — dal 2018 porta opportunità di investimento a dinastie come Branca, Doris, Dompé e Marzotto — e indirizzarla sulle imprese più giovani e farle crescere per uscire dal capitale con buoni rendimenti.

[...]

Estratto dell'articolo di Isidoro Trovato per il "Corriere della Sera" domenica 9 luglio 2023.

[...] Alle sei obiezioni più diffuse risponde Giulio Biino, presidente dei notai italiani. 

Ci sono elementi per l’impugnazione del testamento del 2022 consegnato in busta aperta e con la dizione «se non torno»?

«Il fatto che quel testamento fosse contenuto in una busta aperta non ne sminuisce il valore. Certamente la dicitura “se non torno”, ove interpretata asetticamente, può far pensare ad una condizione risolutiva, destinata quindi a far cadere il testamento, ove il testatore, come nel nostro caso, faccia ritorno dall’ospedale, considerato che quella scheda porta la data del 19 gennaio 2022 ed essendo Berlusconi rientrato, all’epoca, dal ricovero all’ospedale San Raffaele, in occasione del quale fu redatto quel testamento. 

D’altra parte si potrebbe anche ritenere che quella disposizione si riferisse ad ogni ricovero in ospedale successivo alla datazione della scheda. Peraltro anche l’uso del condizionale “dovreste riservare queste donazioni”, riferito agli eredi, con riguardo alle disposizioni in favore di Marcello Dell’Utri e di Marta Fascina può ingenerare il dubbio che si trattasse di un semplice desiderio del testatore e non di previsioni dal carattere imperativo». 

Le 36 righe per assegnare un patrimonio di 5 miliardi rappresentano qualcosa di irrituale?

«Di per sé un patrimonio, anche cospicuo, può essere assegnato con una sola riga “nomino mio erede universale Tizio”. È tuttavia evidente che disposizioni più articolate potevano forse rendere più agevole la suddivisione di una galassia composita come il complesso dei beni del Cavaliere». 

Il fatto che Luigi non sia citato nella disposizione del 2022, lo esclude da qualcosa?

«Assolutamente no, perché la disposizione in suo favore della legittima è contenuta nella prima scheda che non viene revocata né dalla seconda, né dalla terza. È stato detto che il non averlo citato lo esclude in ogni caso dal pagamento dei legati in favore di Paolo Berlusconi, di Marcello Dell’Utri e di Marta Fascina.

Occorre tuttavia ricordare che anche Barbara ed Eleonora, benché menzionate, sono escluse da tale obbligo in quanto, come Luigi, beneficiarie della sola legittima, e l’art.549 del Codice Civile prevede che non sia possibile imporre “pesi” (e il pagamento di un legato costituisce un “peso”) sulla legittima». 

La doppia citazione di Paolo Berlusconi è un errore che può suscitare perplessità sulla corretta interpretazione del testamento?

«[…] ove sorgesse una discussione, la corretta intenzione potrebbe essere ricostruita solo in base alle testimonianze dei diretti interessati ovvero di amici e/o conoscenti ai quali fosse stata manifestata».

Il fatto che le 15 righe del testamento olografo siano rimaste in un cassetto fino alla morte di Berlusconi e non depositate nell’archivio del notaio Roveda, le rende attaccabili?

«Il testamento olografo è valido purché ne vengano rispettati i requisiti formali: data, sottoscrizione e autografia. Da un punto di vista squisitamente civilistico, il deposito fiduciario presso un notaio non vi aggiunge alcunché, se non la garanzia della corretta conservazione e quindi della sua pubblicazione al momento della morte del testatore. Il fatto che sia stato tenuto in casa fino alla morte del Cavaliere può unicamente prestare il fianco a illazioni e/o supposizioni del tutto destituite, tuttavia, da qualsivoglia fondamento giuridico».

Berlusconi, "anomalie nella scrittura". I dubbi della grafologa sul testamento. Il Tempo il 10 luglio 2023

“Evidenti differenze nella grafia, segni ed anomalie” ne è certa Patrizia Giachin, grafologa forense intervistata da Il Giorno sul testamento di Silvio Berlusconi. "Il documento del 2022” – quello consegnato dalla compagna del Cavaliere, Marta Fascina, al notaio Arrigo Roveda - “è pieno di elementi che andrebbero approfonditi”. Si infittisce così il mistero delle ultime volontà dell’ex premier, scomparso lo scorso 12 giugno. E l’esperta, da tempo consulente del tribunale di Modena, espone i suoi dubbi sul testo redatto da Berlusconi prima del suo ricovero al San Raffaele nel gennaio 2022, scritto in cui il fondatore di Mediaset stabiliva un lascito di 100 milioni di euro al fratello Paolo, uno della stessa entità alla compagna Marta Fascina e 30 milioni a Marcello Dell’Utri. 

Le differenze “più evidenti” riguarderebbero “le parole "Dalle", "Berlusconi", "per", "quello" e "papà": dove compaiono tratti d’avvio e segni aggiuntivi che meriterebbero ulteriori e più approfonditi esami grafologici, magari analizzando gli originali”. Segni “anomali” imputabili, secondo Giachin, a un’indecisione o un’insicurezza “assolutamente non presente nella grafia degli altri due testamenti”. Dubbi su dubbi, discordanze su discordanze. La più evidente di tutte, prosegue Giachin, “è la firma” che nei due testamenti precedenti – quelli del 2006 e del 2020 – “è ampia, molto più grande del resto del testo, con la S e la B molto larghe e marcate”. Nel documento del 2022 invece “si contrae in una sorta di sigla con solo una S seguita da una B e alcuni segni molto ristretti. La personalità che emerge da questa firma contrasta nettamente con quella che emerge dagli altri due testamenti".

Ci sono anche altri elementi che pongono più di qualche interrogativo. C’è il numero 2 “presente nell’intestazione” e “tracciato in maniera nettamente diversa” rispetto agli altri scritti lasciati da Berlusconi. La parola “milioni” che risulta “scritta in tre diversi modi nel giro di sole tre righe” e presenta una “netta differenza di dimensione e posizione di quella al punto 2, in riferimento alla donazione destinata a Marta Fascina”. C’è poi un errore nella grafia del nome del secondogenito, Pier Silvio, scritto in una sola parola e con due esse. “Elemento molto insolito” – ha sottolineato l’esperta – “perché un padre difficilmente sbaglia il nome del proprio figlio, soprattutto in un testamento”.

Cosa succede adesso? A giudicare dalla volontà dei figli ed eredi non ci sarebbe nessuna controversia all’orizzonte. Le criticità segnalate dalla grafologa rimarranno tali o testimonieranno, come sottolineato dalla stessa Giachin, solo l’età avanzata di Berlusconi e la sua difficile condizione psicofisica. Ma qualora uno dei figli volesse, potrebbe impugnare il testamento: “Ci sarebbe parecchio lavoro per i consulenti grafologici, che dovrebbero effettuare analisi approfondite degli originali con indagini strumentali e comparazioni con altri testi autografi”. E in questo caso, dice Giachin, potrebbe entrare in scena la cosiddetta “mano guidata”, la presenza cioè di una persona terza al momento della scrittura del testamento e la stesura del documento contro la volontà dell’estensore. “Elementi che, se accertati, possono portare all’annullamento del testamento” ha concluso la grafologa.

 Errori e anomalie, il testamento di Berlusconi è impugnabile? Cosa sapere. Storia di Isidoro Trovato su Il Corriere della Sera sabato 8 luglio 2023.

Nessuna contestazione. Dalla famiglia Berlusconi non emergono malumori o delusioni dopo l’apertura delle disposizioni del Cavaliere. Fuori, però, impazzano le voci soprattutto in merito all’ultimo allegato: il testamento olografo consegnato al notaio Roveda da Marta Fascina in busta aperta. Emergono alcune anomalie e qualche errore. Imperfezioni sufficienti a giustificare un’impugnazione qualora qualcuno degli eredi decidesse di contestare le disposizioni di Silvio Berlusconi? Alle sei obiezioni più diffuse risponde Giulio Biino, presidente dei notai italiani.

Le disposizioni testamentarie sono sufficienti a regolare il nuovo assetto azionario di Fininvest e Mediaset o serviranno altri passaggi? « Le disposizioni, così come formulate, consentono senz’altro di determinare il nuovo assetto proprietario di Fininvest e Mediaset all’indomani della morte di Berlusconi. L’esigenza di nuovi passaggi potrebbe derivare eventualmente da particolari previsioni contenute negli statuti delle società stesse, ovvero dal dover sottostare agli obblighi di eventuali patti parasociali».

Ci sono elementi per l’impugnazione del testamento del 2022 consegnato in busta aperta e con la dizione “se non torno”? «Il fatto che quel testamento fosse contenuto in una busta aperta non ne sminuisce il valore. Certamente la dicitura “se non torno”, ove interpretata asetticamente, può far pensare ad una condizione risolutiva, destinata quindi a far cadere il testamento, ove il testatore, come nel nostro caso, faccia ritorno dall’ospedale, considerato che quella scheda porta la data del 19 gennaio 2022 ed essendo Berlusconi rientrato, all’epoca, dal ricovero all’ospedale “San Raffaele”, in occasione del quale fu redatto quel testamento. D’altra parte si potrebbe anche ritenere che quella disposizione si riferisse ad ogni ricovero in ospedale successivo alla datazione della scheda. Peraltro anche l’uso del condizionale “dovreste riservare queste donazioni”, riferito agli eredi, con riguardo alle disposizioni in favore di Marcello Dell’Utri e di Marta Fascina può ingenerare il dubbio che si trattasse di un semplice desiderio del testatore e non di previsioni dal carattere imperativo».

Le 36 righe per assegnare un patrimonio di 5 miliardi rappresentano qualcosa di irrituale? «Di per sé un patrimonio, anche cospicuo, può essere assegnato con una sola riga “nomino mio erede universale Tizio”. È tuttavia evidente che disposizioni più articolate potevano forse rendere più agevole la suddivisione di una galassia composita come il complesso dei beni del Cavaliere».

Il fatto che Luigi non sia citato nella disposizione del 2022 lo esclude da qualcosa? «Assolutamente no, perché la disposizione in suo favore della legittima è contenuta nella prima scheda che non viene revocata né dalla seconda, né dalla terza. È stato detto che il non averlo citato lo esclude in ogni caso dal pagamento dei legati in favore di Paolo Berlusconi, di Marcello Dell’Utri e di Marta Fascina. Occorre tuttavia ricordare che anche Barbara ed Eleonora, benché menzionate, sono escluse da tale obbligo in quanto, come Luigi, beneficiarie della sola legittima, e l’articolo 549 del Codice Civile prevede che non sia possibile imporre “pesi” (e il pagamento di un legato costituisce un “peso”) sulla legittima».

La doppia citazione di Paolo Berlusconi è un errore che può suscitare perplessità sulla corretta interpretazione del testamento? «La perplessità che suscita questa doppia disposizione sta proprio nel fatto che sia stata ripetuta. La volontà del testatore era semplicemente di ribadirla, non ricordando di averla già prevista, oppure era sua intenzione raddoppiare il lascito in favore del fratello? In questo caso, ove sorgesse una discussione, la corretta intenzione potrebbe essere ricostruita solo in base alle testimonianze dei diretti interessati ovvero di amici e/o conoscenti ai quali fosse stata manifestata».

Il fatto che le 15 righe del testamento olografo siano rimaste in un cassetto fino alla morte di Berlusconi e non depositate nell’archivio del notaio Roveda, le rende attaccabili? « Il testamento olografo è valido purché ne vengano rispettati i requisiti formali: data, sottoscrizione e autografia. Da un punto di vista squisitamente civilistico, il deposito fiduciario presso un notaio non vi aggiunge alcunché, se non la garanzia della corretta conservazione e quindi della sua pubblicazione al momento della morte del testatore. Il fatto che sia stato tenuto in casa fino alla morte del Cavaliere può unicamente prestare il fianco ad illazioni e/o supposizioni del tutto destituite, tuttavia, da qualsivoglia fondamento giuridico».

Marta Fascina, "nullo il lascito di 100 milioni di Berlusconi?": bomba dell'avvocato. Libero Quotidiano l'08 luglio 2023

Marta Fascina ha ricevuto 100 milioni da Silvio Berlusconi. La stessa cifra destinata al fratello Paolo, mentre per il vecchio amico Marcello Dell’Utri è stato previsto un “regalo” da 30 milioni. C’è però una possibilità che i lasciti a Fascina e Dell’Utri possano essere considerati nulli. Il perché lo ha spiegato l’avvocata Roberta Crivellaro in un’intervista rilasciata a Repubblica: il dubbio è legato al “se non torno” con il quale nel 2022 Berlusconi fa riferimento al suo ricovero al San Raffaele. 

In quella circostanza il Cavaliere aveva disposto i 100 milioni per la compagna - che lui considerava e chiamava sua “moglie” - e il fratello e i 30 per Dell’Utri. “È un elemento di potenziale debolezza - ha dichiarato Crivellaro - sembra una condizione interpretabile come un ‘se dovessi mancare’, ma una lettura restrittiva e meramente letterale potrebbe mettere in discussione i legati a Fascina e Dell’Utri. Quello al fratello è più solido, essendo già stato espresso in passato”. 

Tra l’altro un elemento di sorpresa è legato al fatto che Berlusconi abbia spartito un impero che vale miliardi con trentasei righe scritte rigorosamente a mano. “Sembra sorprendente ma non è infrequente che in Italia succeda - ha sottolineato Crivellaro - ci sono ragioni culturali e pesa il fatto che il nostro ordinamento limita la libertà alla sola quota disponibile. Ci sono tecniche civilistiche e societarie per suddividere al meglio gli incarichi operativi tra i figli, riservando a tutti gli stessi diritti patrimoniali. Eviterebbero il rischio di contenziosi, che comunque mi pare in questo caso non ci siano”. 

Estratto dell’articolo di Sara Bennewitz per “la Repubblica” venerdì 7 luglio 2023.

Marina e Pier Silvio Berlusconi consolidano il controllo del 53% di Fininvest e nei corridoi di Mediaset tutti tirano un sospiro di sollievo. […] Chi li conosce dice che si spalleggiano a vicenda. […] Ai primi due eredi va il 26,5% ciascuno della cassaforte, agli altri tre l’11% in meno o il 15,5% a testa. Ma c’è di più, perché Barbara, Eleonora e Luigi devono sottostare allo statuto di Fininvest, che ha una forma giuridica antica, fatta a misura di un’azienda che era padronale, e che quindi non prevede che le minoranze abbiano voce in capitolo.

Lo statuto scarno (solo 8 pagine), redatto dal fidato notaio Arrigo Roveda, prevede che la società abbia una durata fino al 2100, abbia un consiglio composto da un minimo di 3 a un massimo di 11 membri, e che le decisioni vadano prese a maggioranza. In Fininvest comanda chi ha il 51%, certo nessun figlio da solo può decidere, ma l’accordo di Marina e Pier Silvio vince sia sull’assemblea ordinaria, che su quella straordinaria. Senza il via libera di almeno uno dei due, Barbara, Eleonora e Luigi non possono decidere nulla, nemmeno che dividendo distribuirsi.

Le regole sono chiare, ma non è detto che tutti siano felici di rispettarle. Una materia che sarà a lungo discussa dagli avvocati nei prossimi mesi. Il testamento è stato aperto, ma gli eredi non l’hanno ancora accettato, e se l’operatività delle aziende e dei loro 20 mila dipendenti è assicurata, la mappatura del patrimonio deve passare al setaccio dei periti e dei creditori. Dovrà essere trovato un accordo per spartirsi i beni indivisibili, come le ville, le barche, i quadri, tenendo sempre conto che a Marina e a Pier Silvio spetta comunque di più. Formalmente i Berlusconi ostentano una grande unità familiare e d’intenti. […] Ma al momento di dividere il bottino l’amore potrebbe vacillare.

[…] Senza considerare che non essendoci in Fininvest un meccanismo di prelazione, dovranno essere scritte pure le regole su come liquidarsi. Neppure il valore delle aziende quotate è una certezza: la partecipazione di controllo di Mondadori e Mfe, probabilmente vale di più dei prezzi di Borsa, viceversa cedere parte delle quote di Mediolanum in blocco potrebbe comportare un prezzo di realizzo inferiore. 

Estratto dell'articolo di A. Bul. per “il Messaggero” venerdì 7 luglio 2023.

«Tanto amore a tutti voi, il vostro papà». Si chiude così l'ultimo appunto scritto a mano da Silvio Berlusconi per quanto riguarda i lasciti testamentari. Il foglio consegnato mercoledì da Marta Fascina al notaio Arrigo Roveda è datato 19 gennaio 2022. «Cara Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora», si legge: «Sto andando al San Raffaele. Se non dovessi tornare, vi prego di prendere atto di quanto segue». 

(...) 

I DUBBI Eppure e qui sta uno degli aspetti che hanno fatto sorgere più dubbi il figlio minore, il 34enne Luigi, nell'appunto non compare. Una semplice dimenticanza, dettata dal momento di profondo turbamento? Difficile pensarlo. Così come appare poco (o affatto) plausibile l'ipotesi, pur circolata ieri, che in quel momento i rapporti padre-figlio potessero essersi incrinati per qualche motivo.

Al contrario: tutti rimarcano come Berlusconi abbia sempre teso a proteggere allo stesso modo i cinque eredi. E come fosse convinto il testamento lo dimostra che dopo la sua scomparsa non ci sarebbero state divisioni tra loro: «Nessuno deterrà il controllo solitario di Fininvest», hanno ripetuto ieri dalla holding. Certo, le quote di controllo (il 53%) da oggi sono in mano a Marina e Pier Silvio. Ma il motivo di tale scelta è puramente "tecnico": non rivoluzionare la gestione delle aziende di famiglia, esercitata finora dai due figli maggiori.

E l'esclusione di Luigi dalla richiesta di farsi carico delle donazioni, secondo alcuni, sarebbe da leggere in questo senso: una sorta di "compensazione" per l'erede più giovane. Quello che, tra i figli di secondo letto, più degli altri avrebbe ereditato dal padre il senso per gli affari. Come dimostrato con la gestione della Holding Quattordicesima (quella che detiene le partecipazioni in Fininvest dei tre figli minori), che su intuizione di Luigi ha investito in startup e digitale, riportando risultati spesso elogiati dagli addetti del settore. Un modo, insomma, per non gravare troppo sul giovane manager. E in definitiva, per tutelarlo. Altro che dimenticanza. 

Estratto dell’articolo di Raffaele Ricciardi per “la Repubblica” venerdì 7 luglio 2023. 

Ottobre 2006. Silvio Berlusconi sta chiamando alla mobilitazione contro la manovra del governo Prodi, la cui Unione ad aprile l’ha battuto alle urne. Le sue aziende e la famiglia sono toccate dalle vicende giudiziarie del processo Mediaset e i fari sono puntati sui figli Marina e Pier Silvio, non ancora archiviati a quell’epoca. Il nome caldo è David Mills, la questione del momento la compravendita della sua testimonianza per 600mila dollari nei processi All Iberian e sulle tangenti alla Gdf.

E in quei giorni arrivano anche alcune preoccupazioni di salute, non al menisco, operato dal professore dei calciatori Martens, ma al cuore. Nessuno sa niente, fin quando a novembre un malore in pubblico a Montecatini Terme lo tradisce. Un’aritmia al cuore che curerà a dicembre negli Stati Uniti. Ed è forse questo primo acciacco che a ottobre di quell’anno lo porta a prendere carta e penna e scrivere il primo dei tre testamenti, emersi ieri da due atti registrati dal notaio Arrigo Roveda. E’ vergato «in un foglio da blocco note, di colore giallo paglierino» con l’intestazione verde “VILLA S.MARTINO”. Undici righe d’inchiostro nero: «Lascio la disponibile in parti eguali ai miei figli Marina e Pier Silvio. Lascio tutto il resto in parti uguali ai miei cinque figli Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi ».

E’ l’indicazione più forte della sua volontà: la parte di patrimonio di cui il Cavaliere può disporre va ai figli con presenza operativa nelle società (Pier Silvio in Mediaset, Marina in Mondadori e Fininvest). Il resto, la legittima, diviso tra tutti, compresi i figli di Veronica Lario. Che è in quei mesi al suo fianco, ma con la quale il rapporto è ormai lacero. Una distinzione testamentaria tra i figli di primo e secondo letto, di cui forse Veronica viene a sapere e che probabilmente contribuisce al primo e clamoroso attacco pubblico al marito.

A gennaio 2007 l’ex moglie scrive la famosa lettera indirizzata a Repubblica in cui chiede “le pubbliche scuse” per i comportamenti galanti del marito e in cui cita ripetutamente i figli dei due matrimoni e si definisce la «metà di niente». Va cercata in quei mesi la motivazione del primo testamento, che lascia i beni in comunione, come una casa condivisa tra i figli, dove però i primi pesano di più. […] 

Estratto dell’articolo di Daniela Polizzi per il “Corriere della Sera” venerdì 7 luglio 2023. 

E le ville? Le barche? Le opere d’arte? I 116 box auto di Milano 2? Gli investimenti personali? I conti in banca? Tutto sommato è facile dividere tra gli eredi di Silvio Berlusconi il capitale di Fininvest: si tratta di contare le azioni. Ma tutto il resto? Se il rapporto è, grosso modo, 60/40 ovvero 60% del patrimonio a Marina e Pier Silvio e il 40% pro-quota agli altri tre fratelli, si dovranno attribuire i beni con queste proporzioni.

A 4 miliardi di valore complessivo dell’eredità ci si arriva con stime abbastanza attendibili e conservative, considerando nel perimetro il 61% di Fininvest. La holding ha 4,5 miliardi di patrimonio netto consolidato. Dunque il 61% corrisponde a 2,7 miliardi. Poi c’è il resto. E vengono subito in mente le grandi ville. 

Le più rappresentative dell’epopea berlusconiana sono San Martino ad Arcore e Certosa in Sardegna. Di quest’ultima esiste anche un perizia recente che la valuta 259 milioni anche se in passato erano circolate voci di offerte fino a 450 milioni. La villa sarda che ha accolto in ciabatte e bermuda capi di Stato e potenti di mezzo mondo potrebbe essere messa sul mercato.

Da escludere che venga venduta l’abitazione di Arcore […] Nel mausoleo di Villa San Martino sono riposte le ceneri dell’ex premier accanto a quelle della mamma Rosa, del papà Luigi e della sorella Maria Antonietta. Il problema di come dividere tra i fratelli queste lussuose proprietà (ma anche i box auto a Milano 2, Villa La Lampara a Cannes, terreni per 15 milioni in Brianza ecc) non esiste per un semplice motivo: fanno capo a una holding immobiliare, la Dolcedrago, che verrà semplicemente ripartita nelle proporzioni ereditarie: circa 30% ciascuno Marina e Pier Silvio, 13,3% ciascuno Barbara, Eleonora e Luigi.

Questo semplifica la gestione finanziaria e permette di condividere onori e oneri. Per la frequentazione delle residenze, invece, si metteranno d’accordo senza contare le azioni. Fuori da gabbie societarie restano quattro immobili di cui l’ex leader di Forza Italia aveva la proprietà personale. ll primo è la dimora storica di Milano-San Gimignano. Il secondo è il villino “Due Palme” di Lampedusa. Il terzo era uno dei rifugi preferiti da Berlusconi fuori dalla Brianza: Villa Campari sul Lago Maggiore.

Infine, il quarto: due stanze a Trieste lasciate in eredità da un eccentrico artista triestino. Totale immobili, a spanne, 6-700 milioni. Il capitolo più complesso riguarda la ripartizione di tutti quei beni per i quali sarà necessario un inventario: mobili, opere d’arte, arredi ecc. Sulle imbarcazioni ci sarebbe già una tacito accordo di utilizzo tra i fratelli. Il vero punto di domanda riguarda il leggendario hangar con 24 mila quadri. Ci sarà davvero? E, soprattutto, contiene opere di valore?

Da open.online venerdì 7 luglio 2023.

È stato un silenzio lungo e sofferto quello di Gianni Letta dopo la morte di Silvio Berlusconi, sulla cui scomparsa finora non aveva mai voluto dichiarare nulla in pubblico, se non con un breve necrologio pubblicato sui quotidiani. 

Una scelta che solo oggi, dopo tre settimane e il giorno dopo la rivelazione dei testamenti, l’uomo tra i più fidati dell’ex premier spiega in una lettera pubblicata dal Messaggero. Letta spiega di aver voluto tacere «anche per la sensazione che tanti lo celebravano per celebrarsi». In Fininvest dalla fine degli anni Ottanta come vicepresidente e direttore dell’ufficio comunicazioni, Letta è stato nei decenni il collante tra Berlusconi e il mondo della politica e dell’economia romana. Quando il Cav decise di scendere in politica, nonostante lui lo sconsigliasse, accetto l’incarico di sottosegretario alla presidenza del Consiglio nel primo governo Berlusconi nel 1994. Incarico che poi è tornato a ricoprire nel 2001 per i successivi due governi guidati dal leader di Forza Italia.

Un legame antico negli anni e di profonda stima reciproca, come lo stesso Letta ricorda quando parla di vera e propria amicizia. E cita Pascal: «In amicizia, un silenzio vale più del parlare. C’è un’eloquenza del silenzio più penetrante di quel che le parole sarebbero fare». 

Ad aprire la lettera un’altra citazione, stavolta del drammaturgo russo Anton Cechov, a ribadire i motivi della sua scelta del silenzio nelle ultime settimane: «In genere una frase per bella e profonda che sia, agisce soltanto sugli indifferenti, ma non sempre può appagare chi è felice o infelice; perciò, suprema espressione della felicità o dell’infelicità, appare più spesso il silenzio».

LA LETTERA DI GIANNI LETTA DOPO LA MORTE DI BERLUSCONI 

Cari amici,

Non sono riuscito in questi giorni a trovare le parole giuste per ricordare in modo adeguato Silvio Berlusconi, e neppure quelle capaci di esprimere quel sentimento forte che mi porto dentro, e che alla fine ho preferito conservare intatto con tanti ricordi. Meglio il silenzio.

Mi sono anche chiesto se fosse giusto, se non fosse per caso una mancanza, un venir meno al dovere della testimonianza e della gratitudine. Ma poi il clamore di questi giorni mi ha convinto che stava bene così. Anche per la sensazione che tanti Lo celebravano solo per celebrarsi.

Ho preferito allora farmi guidare dai pensieri di Pascal: «In amicizia, un silenzio vale più del parlare. C’è un’eloquenza del silenzio più penetrante di quel che le parole sarebbero fare». 

Non posso però rimanere in silenzio di fronte all’ondata d’affetto che mi ha sommerso, perché non possono rinunciare a dirVi GRAZIE con tutta la forza di cui sono ancora capace. 

Non mi ha sorpreso quell’ondata, ma mi ha commosso; lusingato che in tanti abbiate voluto scegliere proprio me come tramite per salutare Lui.

Ho sentito nella Vostra vicinanza un sentimento autentico, e una sincerità di accenti più vera di quella che ha inondato giornali e Tv. È stato un tributo immenso, senza precedenti, che neppure il vociare irrispettoso e maligno di qualcuno è riuscito a nascondere. Anche questo un segno della grandezza del nostro Silvio. 

Non erano invece parole di circostanza le Vostre: c’era l’affetto, la riconoscenza, ognuno un ricordo, un episodio, un evento, un incontro a conferma della generosità ineguagliabile di un Personaggio irripetibile.

Non riesco a ringraziare tutti come ognuno di Voi meriterebbe, e come anch’io vorrei, ma lo faccio per tutti con il cuore, come se parlassi con ciascuno guardandoci negli occhi. Erano così tanti i messaggi, le lettere, le testimonianze, che non Vi meraviglierete se confesso che li ho potute leggere solo in riardo e… a rate, notte dopo notte, al termine di giornate dolorose e difficili. Adesso che li ho letti tutti (o quasi), Vi dico semplicemente grazie, anche per la comprensione con la quale sono sicuro mi vorrete perdonare. 

Lo faccio nel Suo ricordo e nella certezza della promessa evangelica che abbiamo sentito risuonare nel canto della Liturgia che Lo ha accompagnato nella solennità del Duomo della Sua Milano. 

Una preghiera per Lui, un grazie per Voi. 

Con gratitudine ed amicizia,

Gianni Letta

Testamento Berlusconi, "Figli e..." : lo sconcertante titolo di Repubblica. Libero Quotidiano il 07 luglio 2023

Gli anti-Berlusconi in servizio attivo perenne, anche (anzi, soprattutto) nel giorno del testamento. Superata l'onda emozionale della morte di Silvio Berlusconi, Repubblica ha via via recuperato il fiele smarrito e ha forse superato se stessa con la prima pagina di oggi, venerdì 7 luglio, all'indomani della pubblicazione dei dettagli sull'eredità dell'ex premier.

Una faccenda puramente di famiglia, con il lascito ai cinque figli e alle altre tre persone più importanti della sua vita, il fratello Paolo, l'ultima compagna Marta Fascina, "moglie morganatica" impalmata un anno fa con cerimonia ufficiosa e informale, e l'amico di sempre Marcello Dell'Utri. Le disposizioni di Silvio però non passano indenni dalle forche caudine dei moralisti della redazione guidata dal direttore Maurizio Molinari.  

In prima pagina, il titolo sconcertante: "Berlusconi, nel testamento figli e figliastri", con fondo a supporto dedicato ai due primogeniti: "Marina e Pier Silvio, attenti a quei due", sottolineando come Berlusconi padre sia stato "l'uomo che ha avuto nelle mani una concentrazione di potere come mai si era vista in una democrazia occidentale". Qualcuno potrebbe obiettare che anche il nonno dell'attuale editore di Repubblica (e Stampa) John Elkann, vale a dire l'Avvocato Gianni Agnelli, sia pure in maniera indiretta di potere politico ne abbia avuto parecchio e per parecchi decenni, ma sorvoliamo.

Il riferimento di pessimo gusto ai "figliastri" è motivato a pagina 6, chiarendo come Marina e Pier Silvio siano stati "i preferiti" di papà. Per un semplice motivo: a loro, da sempre coinvolti nei gruppi principali della galassia Berlusconi, Fininvest, Mediaset e Mondadori, il fondatore abbia affidato il 53% complessivo delle azioni. E questo era stato deciso già 17 anni fa, nel 2006. Una scelta logica, vista l'esperienza accumulata nella gestione delle aziende a differenza dei fratelli minori (di secondo letto) che nella vita si sono dedicati sempre ad altro e che detengono comunque il resto del patrimonio. Alla faccia dei "figliastri", insomma. 

Non basta: i 30 milioni lasciati dal Cav a Dell'Utri? "Il silenzio è d'oro", è il titolo del pezzo di Lirio Abbate, che di fatto sostiene come l'uomo dietro i successi di Publitalia e Forza Italia fosse "il custode dei segreti sulle indagini più scottanti" sulla mafia e le stragi. 

Infine, a pagina 7, un pezzone "di colore" di Filippo Ceccarelli che lascia piuttosto perplessi: "Regali, ricompense e tanta roba - titolo -. La ricchezza esibita per sembrare un re". E via con un pistolotto sugli "omaggi ai collaboratori e ai parlamentari, le farfalline: strumenti di un uomo potente". Troppa generosità, insomma. 

Estratto dell'articolo di Filippo Ceccarelli per “la Repubblica” venerdì 7 luglio 2023.

Silvio Berlusconi lascia tanta roba, ma tanta sul serio. Una vertigine, uno sterminio, una tale infinità di soldi, aziende, ville, palazzi e ammennicoli che nell’immaginario italiano, ormai da più di trent’anni, supera la semplice dimensione contabile per entrare in quella incandescente e contagiosa del Mito. Dalla Bibbia, per intendersi, a Paperon de Paperoni che si tuffa e fa il bagno nelle monete. 

E questo anche perché ai veri miliardari “la ricchezza non basta — ha scritto sull’Avvenire Luigino Bruni, economista e grande esegeta delle Scritture: — i veri potenti hanno bisogno che la loro ricchezza sia vista, lodata, invidiata, e quindi deve essere eccessiva, dissipata, sprecata in cose inutili.

(...)

Natali, capodanni, compleanni, cerimonie di fine legislatura, premi per i collaboratori (con Dell’Utri non si pensi mica che è la prima volta), ricompense per le amichette (ciò che gli ha creato un sacco di guai); ogni occasione era buona e Berlusconi regalava automobili, appartamenti da Milano a Palermo, gioielli, costosi bracciali, un tempo palmari e poi telefonini per i suoi parlamentari, una volta anche un tapis-roulant a ciascuno. 

Le sue incommensurabili dotazioni lo portavano, prima delle feste, a regalare i più invidiati e rigogliosi pacchi ai dipendenti (ma guai a chiamarli così) di Mediaset; e portafogli ai giornalisti, vacanze agli agenti di Ps feriti a Genova, banconote in busta per le prostitute redente, bigiotteria alle “farfalline”, compensi ai ruffiani, assegni a don Gelmini e una quantità inimmaginabile di beneficenza, dal rugby l’Aquila alla Baggina fino ai quattrini elagiti brevi manu alla vedova che lo implorava “Commendatore! Commendatore!”.

Oltre alle cravatte di Marinella, Berlusconi ha regalato statue (a Bush), orologi (18 solo a Tony Blair), un volumone con la copertina in marmo pregiato (24 kg) ai leader del G8, quadri (anche a Di Maio) e milioni di euroconvertitori agli italiani per fare i conti quando partì l’euro. 

Era la sua una liberalità istintiva e insieme calcolante: bastava che qualcuno guardasse con desiderio l’orologio del Milan, sul cui quadrante campeggiava quella stessa firma che nel 2001 campeggiava sul “Contratto con gli italiani” e che si è rivista ieri sotto i tre testamenti, perché Berlusconi se lo slacciasse dal polso e lo regalasse seduta stante. Così come ha regalato pacchi di pasta ai pensionati, sul modello di Achille Lauro, senza minimamente vergognarsene. Uno slancio mosso dal piacere di essere amato e dalla necessità di mantenere alta la fama di chi, pieno zeppo di risorse, andava incontro al popolo con il cuore in mano. Molti ne hanno certamente approfittato; ma il Cavaliere ha sempre ignorato tanto i numerosi vampiri quanto i furboni.

Altre contingenze minacciavano il suo patrimonio. Perciò continuava a far scorte di regali prevedendo occasioni e opportunità. Ha raccontato l’avvocato Ghedini dopo l’impiccio di Noemi, quando il gioielliere Damiani venne convocato ad Arcore e il Cavaliere “si mise lì, paziente, a ordinare: 30 collanine, 20 ciondoli, 40 bracciali. Berlusconi — insisteva — è fatto così, gli piace sorprendere e gratificare”. 

Forse c’entra poco, o forse è una pretesa eccessiva cercare di capire oggi se nell’ultimo regalo della sua vita è riuscito a sorprendere e gratificare tutti e cinque i figli intorno ai quali, a partire dalla prima lettera di Veronica (gennaio 2007) s’era venuto a creare, nei criteri di ripartizione tra primo e secondo letto, un discreto, ma stringente groviglio ereditario. Nel frattempo l’eccezionale e debordante ricchezza di Berlusconi ha cessato di essere di un solo uomo. Finisce il Mito, inizia lo spezzatino del vitello d’oro.

 Testamento Berlusconi, bomba di Vittorio Feltri: "30 milioni a Dell'Utri? È stato in galera, quindi..." Libero Quotidiano il 07 luglio 2023

E venne il giorno dell'apertura del testamento di Silvio Berlusconi, un caso che aveva generato una incredibile attesa mediatica. E così, ecco che tra le scoperte relative all'eredità del Cavaliere, ci sono i 30 milioni di euro di lascito a Marcello Dell'Utri, l'amico di una vita. Lascito che ha scatenato il fronte avverso al Cavaliere, che si è subito prodigato in teorie temerarie e lesive nei confronti della memoria dell'ex premier. Ma tant'è.

E su quei 30 milioni, è stato chiesto un parere anche a Vittorio Feltri, direttore editoriale di Libero, il quale è stato interpellato a La Zanzara, il programma di Radio 24 condotto da Giuseppe Cruciani e David Parenzo. Come sempre, il direttore non ha usato giri di parole per commentare la scelta del fondatore di Forza Italia.

"Berlusconi e i 30 milioni a Dell’Utri nel suo testamento? Non me ne frega niente. Se gliel’ha dati avrà avuto i suoi buoni motivi, che tra l’altro sono noti a tutti. Il povero Dell’Utri è stato in galera, Berlusconi invece no, perché evidentemente la giustizia ha sbagliato mira e quindi chiaramente la gratitudine di Berlusconi si è tramutata in un atto notarile", ha rimarcato Vittorio Feltri.

E ancora: "Non me la sento di criticare nessuno anche perché Dell’Utri è molto malato e ciascuno coi propri soldi fa quello che vuole". Vittorio Feltri quindi aggiunge: "Nel suo testamento Berlusconi non mi ha lasciato nulla perché da lui ho avuto tutto prima, quindi non mi aspettavo niente dopo la sua morte. Berlusconi mi ha dato talmente tanto quando era in vita e ho lavorato con lui, che non posso che ringraziarlo", ha concluso il direttore.

 Testamento Berlusconi, choc per Veronica Lario: "Non ne sapevo niente". Libero Quotidiano il 07 luglio 2023

Il caso del testamento di Silvio Berlusconi, aperto poche ore fa dopo una lunga attesa dopo la sua scomparsa, avvenuta il 12 giugno scorso, si arricchisce di ulteriori capitoli. Già, perché abbiamo scoperto che ci sono tre testamenti firmati dal fondatore di Forza Italia, tre versioni ritoccate negli anni. E una di queste risale al 2006, quando ancora era sposato con Veronica Lario, l'annuncio del divorzio arriva infatti nel 2009.

E ora, l'ex moglie del Cavaliere, spiega che di quel testamento non ne sapeva nulla, almeno "fino a due giorni fa", fa sapere Miriam Bartolini. La precisazione arriva in relazione a quanto scritto da Repubblica nell'edizione di oggi, venerdì 7 luglio. "Smentisco categoricamente quanto affermato da Repubblica di oggi che ipotizza una correlazione fra la volontà testamentaria di Silvio Berlusconi dell'ottobre 2006 e la lettera con la quale nel maggio del 2009 presi le distanze dai comportamenti del mio ex marito. "Non ero assolutamente a conoscenza allora del testamento olografo registrato dal notaio Arrigo Roveda nell'ottobre 2006, cosi come non ne ero a conoscenza fino a due giorni fa", spiega Veronica Lario.

Il punto è che in quel testamento Veronica Lario non veniva citata, in verità una circostanza che potrebbe apparire scontata, in quanto moglie. E per le consorti la linea ereditaria è definita per legge (per quanto, ovviamente, un impero come quello di Berlusconi può essere assai più complesso e frastagliato da gestire). Comunque sia, l'ex moglie di Silvio Berlusconi ha poi aggiunto: "Le ragioni del divorzio non sono mai state legate a presunte volontà testamentarie di cui, ribadisco, sono venuta a conoscenza in queste ore attraverso la lettura dei giornali", conclude tranchant Veronica Lario.

Il testamento di Berlusconi: come cambiano gli equilibri in famiglia e in Fininvest. I lasciti a Fascina e Dell’Utri. Storia di Mario Gerevini e Daniela Polizzi su Il Corriere della Sera il 6 luglio 2023.

Il futuro di Fininvest è stato scritto su un foglio di carta il 2 ottobre 2006. Silvio Berlusconi aveva appena compiuto 70 anni. «Lascio la disponibile in parti eguali ai miei figli Marina e Pier Silvio». I l futuro di Marta Fascina è invece in una lettera di 17 anni dopo, scritta su carta intestata Villa San Martino. La lettera è datata 19 gennaio 2022: «Sto andando al San Raffaele», si legge in un foglio consegnato da Marta Fascina al notaio Arrigo Roveda che l’ha pubblicato come testamento olografo. Il Cavaliere si rivolge ai figli: «Cara Marina, Pier Silvio, Barbara ed Eleonora» (dimenticando il più giovane Luigi). Alla compagna degli ultimi tre anni della sua vita, Silvio Berlusconi ha destinato cento milioni. Il fondatore di Fininvest ha voluto ricordare anche il fratello Paolo al quale ha lasciato la stessa cifra. E ha pensato all’assistente e amico di una vita Marcello Dell’Utri al quale vanno 30 milioni. A tutti, «per il bene che gli ho voluto e per quello che loro hanno voluto a me». È una cifra complessiva di 230 milioni che gli eredi dovranno versare «come donazione dalle eredità di tutti i miei beni». Silvio Berlusconi aveva già anticipato a Paolo «in più occasioni, con la straordinaria generosità che lo ha sempre contraddistinto, l’intenzione di lasciare la somma di 100 milioni di euro», ha fatto sapere Paolo Berlusconi.

L’assetto di Fininvest

La ricaduta immediata delle ultime volontà è che un terzo del patrimonio, appunto la quota «disponibile», va esclusivamente ai suoi due primi figli. Così Marina e Pier Silvio salgono alla maggioranza assoluta (53% complessivo suddiviso in quote uguali) del gruppo Fininvest. Come ci sono arrivati? Con la legittima erano saliti al 33% mentre i tre fratelli al 47%. Il padre che aveva il 61% ha lasciato il terzo residuo, cioè circa il 20%, solo ai due figli già operativi nel gruppo. E così ora con il 53% governano in modo autonomo, garantendo quella continuità di gestione che era comunque già stata impostata, e condivisa, in passato. Tant’è che da molti anni la presidenza è affidata a Marina Berlusconi. E mai messa in discussione dai fratelli più giovani Barbara, Eleonora e Luigi, figli di Veronica Lario. A loro dunque, che già dividevano in parti uguali il 21,87%, va solo la parte di legittima, ovvero un 24,99% aggiuntivo che porta la partecipazione dei tre fratelli al 47% di Fininvest. In base alla ripartizione 60/40 dell’eredità — cioè delle percentuali di patrimonio trasferite da una parte a Marina e Pier Silvio e dall’altra ai figli del secondo matrimonio — gli eredi, si faranno carico delle donazioni decise da Silvio Berlusconi per Marta Fascina, Marcello Dell’Utri e Paolo Berlusconi. In questa prospettiva, 138 milioni saranno a carico dei due maggiori.

Lo stile

Ciò che sorprende nelle ultime volontà di Silvio Berlusconi è la semplicità e la sintesi. Poche le parole usate per trasmettere alla seconda generazione una realtà articolata — con un patrimonio netto totale di 4,5 miliardi — fatta da grandi aziende quotate come Mfe-Mediaset e Mondadori, oltreché dalla partecipazione in Banca Mediolanum. Senza dimenticare il Monza Calcio che l’imprenditore ha fatto crescere fino alla massima serie. Niente a che vedere con il ritmo impetuoso usato da Bernardo Caprotti, il fondatore di Esselunga scomparso nel 2016, che aveva disegnato gli scenari futuri del suo gruppo. O quello di Leonardo Del Vecchio dove l’imprenditore aveva ricordato le tappe della crescita del suo impero. Quello di Silvio Berlusconi è uno stile asciutto, come se tutto fosse dato per scontato perché già impostato da tempo. Ai figli grandi lascia nei fatti la gestione di Fininvest con le sue attività strategiche, tra tv ed editoria. Marina e Pier Silvio in assemblea, sia ordinaria sia straordinaria, hanno il controllo blindato, senza quindi l’esigenza di trovare maggioranze qualificate nella governance della società. A Barbara & c resta una minoranza corposa per incassare i dividendi che una buona gestione può portare. Quest’anno 100 milioni da dividere per cinque.

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Gli equilibri familiari

Sono contenti così? «C’è una grande concordia in famiglia e volontà di gestire assieme una fase che è molto delicata», ha fatto sapere l’avvocato Carlo Rimini, esperto di diritto di successione e che assiste Barbara, Eleonora e Luigi Berlusconi. «Non è vero che c’è uno schieramento di fronti — ha chiarito l’avvocato —. Ci sono professionisti che danno una mano a una famiglia coesa a risolvere i problemi». D’altronde da subito i tre giovani avevano preso strade diverse rispetto a Marina e Pier Silvio. Nel 2005 il fondatore decise di aprire il capitale ai «ragazzi», che all’epoca erano poco più che adolescenti (solo Barbara aveva 21 anni), trasferendo loro la proprietà di una quota Fininvest. Un anno dopo il Cavaliere aveva già scritto il primo testamento con l’indicazione di lasciare la «disponibile» ai maggiori. Luigi e Barbara sono stati riconfermati a fine giugno nel board della Fininvest nella quale hanno un ruolo di azionisti. Le loro attività sono concentrate nella holding H14 che per mestiere investe nelle piccole e medie aziende tecnologiche ed è partecipata con quote uguali da tutti e tre. Ora appaiono tutti e cinque ancora più uniti, consapevoli che il momento è delicato e bisogna concretizzare e far quadrare le ultime volontà di Berlusconi con la complessità del gruppo e della procedura, tenuto conto che non è stato nominato un esecutore testamentario.

I prossimi passaggi

E peraltro il perimetro ereditario deve essere ben delimitato: occorre mappare tutti i beni che non sono registrati, i conti correnti, i conti titoli, le polizze, gli investimenti personali. E anche sull’altro lato, eventuali debiti da soddisfare. Una gran parte del patrimonio di Berlusconi è nota mentre ciò che è più personale e riservato dovrà essere rilevato e valutato per essere distribuito nelle quote previste dalla successione. Ma anche l’assenza di rigidi paletti di governance nello statuto Fininvest sembra indicare che la coesistenza tra tutti i soci-famiglia è fondata sulla fiducia. Il fondatore non ha costruito impalcature societarie o introdotto regole statutarie che alzano barriere o impongono strettoie. Lo statuto della Fininvest potrebbe essere quello di una qualsiasi piccola azienda familiare di provincia. Inutile introdurre blocchi azionari, maggioranze qualificate, azioni di serie A e B. E, addirittura, non esiste nemmeno il diritto di prelazione interna nel caso un socio volesse vendere. Semplicemente l’ipotesi non è contemplata. È la stessa semplicità alla base delle ultime volontà del Cavaliere che non si affida a principi del foro e dell’arzigogolo giuridico per dettare passo dopo passo, comma su comma tutto ciò che dovrà essere fatto con il patrimonio che ha tirato su in 60 anni. Poche parole, invece, per ribadire ciò che già aveva messo in chiaro affidando a Marina e Pier Silvio non solo Fininvest, ma anche le sue personalissime quattro Holding Italiana: Prima, Seconda Quarta e Ottava. Cioè il piano attico dell’impero, le custodi del 61% del gruppo. Saranno loro, i figli quasi coetanei di Fininvest, a guidare la holding. Come lo faranno è un problema loro. Il Cavaliere nelle sue asciuttissime righe non ha dato alcuna indicazione, non ha predisposto alcun cordone sanitario. E’ come se avesse detto: adesso arrangiatevi.

Forza Italia

Nella sintesi del testamento non c’è nemmeno una riga su Forza Italia. Ma forse anche questo argomento fa parte di quel testamento non scritto che Berlusconi ha lasciato, confidando sulle parole, le strette di mano, la fiducia personale. Che era un tratto caratteristico anche dell’imprenditore. Resta il fatto che oggi esiste un debito di 90 milioni del partito nei confronti della famiglia. Ora si apre il capitolo tecnico della gestione della procedura ereditaria. I tempi non saranno brevi ma al momento non c’è alcun segnale di attriti tra gli eredi. Anzi i messaggi sono improntati alla compattezza e alla collaborazione. Fininvest ha appena approvato il bilancio 2022 e dunque all’orizzonte non vi sono appuntamenti societari con il nuovo assetto. Il consiglio di amministrazione è stato confermato, così come il ruolo di presidente di Marina Berlusconi. Il gruppo ha chiuso il 2022 con 3,8 miliardi di ricavi e un utile netto consolidato di 200,2 milioni. La holding negli ultimi tre anni ha distribuito dividendi complessivi per 350 milioni.

Quota legittima, disponibile, esecutore: tutte le parole chiave del testamento di Berlusconi. Storia di Massimiliano Jattoni Dall’Asén su Il Corriere della Sera il 6 luglio 2023.

Come ormai tutti sanno, le ultime volontà di Silvio Berlusconi sono state affidate al notaio Arrigo Roveda, che per il cavaliere ha curato la creazione di Forza Italia e le pratiche del divorzio con Veronica Lario. Il notaio ha aperto il testamento il 5 luglio davanti agli avvocati Luca Fossati e Carlo Rimini, per poi passare alla lettura ai 5 figli. A Marina e Pier Silvio, i figli del primo matrimonio di Berlusconi, è andato il controllo congiunto della cassaforte di famiglia, la Fininvest. Nel testamento l’ex Cavaliere ha deciso di assegnare ai primi due figli l’intera quota di patrimonio nella sua disponibilità, che riguarda dunque non solo la holding che custodisce le società quotate (Mfe 50%, Mondadori 53%, Mediolanum 30%) ma anche le società sotto le quali si trovano le ville e le proprietà immobiliari. La quota legittima invece è stata equamente ripartita in 5 parti. Nel testamento, poi, ci sono anche legati per il fratello dell’ex premier, Paolo Berlusconi, per Marta Fascina e per Marcello Dell’Utri. Ma cosa significano “quota disponibile” e “quota legittima”? Cos’è un legato? E Berlusconi era obbligato a nominare un esecutore testamentario? Proviamo a rispondere a queste ed altre domande.

Cosa si intende per “quota di legittima”? La quota legittima nella successione testamentaria rappresenta la porzione di eredità che deve essere devoluta, in forza della legge, ai “legittimari” o “riservatari”, anche se ciò è contrario alla volontà del defunto. Di fatto, la legge italiana protegge i congiunti più stretti (per esempio il coniuge), limitando la libertà di disporre del proprio patrimonio con il testamento. In questo modo, nel testamento una parte del patrimonio deve essere “riservata” a determinate persone. Il nostro codice civile stabilisce chiaramente quali sono le quote disponibili e quali le quote non disponibili, cioè quali parti del patrimonio il testatore può disporre liberamente disporre con il proprio testamento e quali invece devono essere riservate per legge ai legittimari.

Cosa si intende per “quota disponibile”? La parte del patrimonio caduto in successione della quale il testatore può liberamente disporre, senza alcun vincolo di legge, è la “quota disponibile”. Questa quota varia a seconda del numero e della tipologia dei congiunti che hanno diritto alla “quota legittima”.

Chi sono i congiunti che hanno diritto alla “quota di legittima”? I congiunti tutelati dalla legge sono il coniuge, i figli (o i loro discendenti, se i figli sono premorti) e i genitori (ma solo in assenza di figli).

Video correlato: Il notaio del testamento di Berlusconi se ne va via in moto (Dailymotion)

Quali sono le quote riservate agli eredi legittimari? Le quote del patrimonio che per legge il testatore deve riservare ai legittimari variano in base al tipo di legittimari e al loro numero. Nel caso vi sia solo il coniuge, a lui è riservata la metà del patrimonio, oltre ai diritti di abitazione per la casa adibita a residenza familiare (compreso l’uso dei mobili che la arredano), se la casa era di proprietà della persona della cui eredità si tratta. Nel caso in cui l’unico erede siano un solo figlio, a lui è riservata la metà del patrimonio del genitore, mentre l’altra metà è disponibile per le volontà del testatore. Se i figli sono due o più, i due terzi del patrimonio vanno ai figli (art. 537 c.c.), mentre il restante è disponibile. Questo è il caso di Silvio Berlusconi, che ha però disposto di lasciare l’intero patrimonio a tutti i figli, salvo tre donazioni a Marta Fascina, al fratello Paolo Berlusconi e a Marcello Dell’Utri. Nel caso di coniuge e un solo figlio legittimo o naturale, la quota di riserva per il figlio è di un terzo, mentre al coniuge spetta un altro terzo del patrimonio oltre al diritto di abitazione. Il restante terzo è a disposizione del testatore. Nel caso i figli siano due o più, la quota di riserva è di tre quarti: un quarto del patrimonio va al coniuge e un mezzo ai figli, da dividersi in parti uguali tra tutti. Al coniuge spetta inoltre il diritto di abitazione. Qualora sopravvivano al testatore soltanto i genitori, a loro è riservato un terzo del patrimonio (art. 538 c.c.) e il restante è a disposizione delle ultime volontà del testatore. Se oltre agli ascendenti legittimi vi è anche un coniuge, allora ai genitori spetta un quarto del patrimonio e al coniuge la metà (art. 544 c.c.). Al coniuge superstite spetta il diritto di abitazione.

Cos’è un legato testamentario? Il legato è una disposizione testamentaria attraverso cui il testatore attribuisce ad uno o più beneficiari determinati (i legatari) beni o diritti a carico dell’eredità, facendoli subentrare in una posizione giuridicamente rilevante nell’eredità. L’articolo 588 del codice civile dà infatti la possibilità a chi scrive un testamento di disporre “a titolo particolare” o “a titolo universale”. Quando la disposizione è a titolo particolare si parla appunto di legato.

Cos’è l’esecutore testamentario? Il testatore ha la facoltà di nominare nel testamento un soggetto incaricato di prendersi cura dell’esatta ed effettiva esecuzione delle sue ultime volontà. Questa persona viene definita esecutore testamentario. Ciò può essere necessario quando le disposizioni testamentarie siano numerose e complesse o quando il patrimonio ereditario richieda la gestione da parte di una figura professionale. Anche un erede o un legatario può essere nominato esecutore testamentario, possono essere nominati più esecutori testamentari che dovranno agire congiuntamente, può essere nominato un sostituto nel caso in cui il primo nominato non sia in grado o non voglia adempiere la propria funzione. Di regola gli esecutori testamentari operano senza ricevere alcuna retribuzione, ma solo un rimborso spese; il testatore può disporre che siano retribuiti.

Le ultime volontà di Silvio Berlusconi vedranno un esecutore testamentario? Non ci sarà un esecutore testamentario delle volontà di Silvio Berlusconi. L’ex premier, infatti, non ha esercitato la facoltà di indicare una persona che seguisse l’iter di esecuzione delle sue disposizioni testamentarie tant’è che nessun riferimento viene fatto nei documenti aperti ieri nello studio del notaio Arrigo Roveda. Questo non impedisce alla famiglia di individuare uno o più soggetti che possano affiancarla e seguire direttamente l’iter della successione, una volta che l’eredità sarà stata accettata dai figli. Il nome che circola come ipotesi è quello di Giuseppe Spinelli, professionista da tempo vicino ai Berlusconi e presidente delle quattro holding attraverso cui l’ex premier controllava Fininvest.

Marta Fascina e la busta non sigillata consegnata al notaio: cosa sappiamo sul testamento Berlusconi. Storia di Mario Gerevini Daniela e Polizzi su Il Corriere della Sera il 6 luglio 2023.

È il 19 gennaio 2022 e Silvio Berlusconi scrive: «Cara Marina, Piersilvio, Barbara e Eleonora. Sto andando al San Raffaele se non dovessi tornare Vi prego di prendere atto di quanto segue …». Il documento è stato consegnato ieri da Marta Fascina al notaio Roveda ed è stato pubblicato agli atti come «testamento olografo». Una busta e un foglio

È un foglio di carta contenuto in «una busta non sigillata», annota Roveda. È il più informale dei tre atti con cui il Cavaliere dispone del proprio patrimonio. Ai figli (ne vengono indicati solo quattro, manca il più giovane Luigi, probabilmente una dimenticanza) chiede di utilizzare le «vostre eredità di tutti i miei beni» per riservare donazioni al fratello Paolo per 100 milioni, a Marta Fascina per 100 milioni e a Marcello Dell’Utri per 30 milioni «per il bene che gli ho voluto e per quello che loro hanno voluto a me. Grazie, tanto amore a tutti voi. Il vostro papà S. Berlusconi».

Il verbale del notaio

Il notaio ha ricevuto questo documento ieri a Villa San Martino ad Arcore. E ha scritto un verbale. Marta Fascina «alla presenza di testimoni mi consegna una busta non sigillata recante la scritta «ai miei figli» e la firma «S. Berlusconi» contenente un foglio di carta intestata composto da due facciate scritto con inchiostro nero, apparentemente da un’unica persona, sulla prima facciata per quindici righe o parti di riga, che ritiene essere il testamento olografo del signor Silvio Berlusconi e che mi chiede di pubblicare». 

Il lascito

Era noto da tempo che il Cavaliere avesse disposto un lascito rilevante a Marta Fascina. La forma scelta non è stata un’integrazione delle precedenti due schede testamentarie già in possesso del notaio Roveda ma una nuova scrittura. Tuttavia la scelta, una volta che Berlusconi è stato dimesso dal San Raffaele, è stata quella di non dare una veste più formale a queste ultime volontà espresse a gennaio 2022. La scelta del 2006

La prima scheda del 2006 è quella fondamentale perché stabilisce che la quota disponibile (oggi un terzo del patrimonio) sia attribuita in parti uguali a Marina e Pier Silvio. Ed è per questo che ora il 53% di Fininvest (di cui l’ex premier aveva il 61% e dunque disponibile poco più del 20%) fa capo a loro che già avevano il 33% mentre i tre fratelli più giovani sono in minoranza. Il resto del patrimonio viene ora suddiviso 60/40 anche se è una semplificazione per «blocchi». Per esempio la Dolcedrago che possiede tra l’altro le ville di Arcore, Macherio e la Certosa in Sardegna sarà, appunto, 30% ciascuno Marina e Pier Silvio mentre il restante 40% diviso tra gli altri. «A mio fratello»

La seconda scheda del 2020 conferma le volontà precedenti aggiungendo una donazione di 100 milioni «in favore di mio fratello Paolo Berlusconi». Il Cavaliere ha poi affidato fiduciariamente al notaio Roveda queste due schede. E ieri Roveda alla presenza di due testimoni ne ha chiesto la pubblicazione al collega di studio (Rlcd) notaio Filippo Laurini. Dopodiché è corso ad Arcore per l’ultimo dei tre atti testamentari di Berlusconi ricevendo da Marta Fascina la busta e il foglio con l’indicazione ai figli delle tre donazioni per 230 milioni. Compresi 100 a favore del fratello Paolo, presumibilmente ribadendo (e non sommando) le volontà del 2020.

Da repubblica.it il 6 luglio 2023.

“Grazie, tanto amore a tutti voi, il vostro papà". Così Silvio Berlusconi, nel suo testamento ringraziando i figli dopo aver dato le disposizioni che riguardano Marta Fascina e Marcello Dell'Utri, "Per il bene che gli ho voluto e per quello che loro hanno voluto a me". 

Il testo è contenuto in una busta non sigillata, datata Arcore 19 gennaio 2022 con la scritta "ai miei figli” contenente un foglio di carta intestata composto da due facciate scritto con inchiostro nero. In tutto una quindicina di righe. 

Silvio Berlusconi, quando ha scritto la lettera stava andando al San Raffaele. "Cara Marina, Pier Silvio, Barbara e Eleonora, sto andando al San Raffaele, se non dovessi tornare vi prego di prendere atto di quanto segue", scrive indicando le donazioni al fratello, a Fascina e a Dell'Utri. 

Farà discutere la mancata citazione nella lettera dell’ultimogenito Luigi. 

I tre testamenti

Sono dunque tre i testamenti di Silvio Berlusconi depositati presso il notaio Roveda di Milano. 

Il primo, del 2 ottore 2006, riguarda la destinazione della parte di eredità disponibile, che viene lasciata in parti uguali ai figli Marina e Pier Silvio, mentre la parte rimanente viene divisa tra tutti i cinque figli sempre in parti uguali.

Il secondo testamento è del 5 ottobre 2020, in cui Berlusconi aggiunge il lascito di 100 milioni al fratello Paolo. 

Il terzo è in forma di lettera e risale al 19 gennaio 2022, e contiene l'ulteriore lascito per Marta Fascina di 100 milioni, e per Marcello dell'Utri, pari a 30 milioni.

Estratto da repubblica.it il 6 luglio 2023. 

Va a Marina e Pier Silvio, i primi figli di Silvio Berlusconi, il controllo congiunto della cassaforte di famiglia, la Fininvest. E’ quanto disposto dal testamento del fondatore di Forza Italia […] Le ultime volontà sono indicate in due testamenti che rimandano a tre appunti separati, uno datato 2 ottobre 2006, uno 5 ottobre 2020 e l’ultimo 19 gennaio 2022, tutti con l’intestazione Villa San Martino.

Con il primo appunto, quello del 2006, l’ex premier dà l’indicazione più importante […]. "Lascio la disponibile in parti uguali ai miei figli Marina e Pier Silvio. Lascio tutto il resto in parti eguali ai miei 5 figli Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi". In un secondo foglio, datato 5 ottobre 2020, Berlusconi conferma quanto vergato nel 2006 e destina 100 milioni al fratello, Paolo Berlusconi.

L’esclusione di Luigi

Sedici anni dopo le prime volontà, arriva l’aggiunta. In un appunto datato 19 gennaio 2022, infatti, Berlusconi si rivolge a quattro dei suoi cinque figli: Marina, Pier Silvio, Eleonora e Barbara, senza fare riferimento al più giovane, Luigi. A loro chiede di trattenere, dalle loro quote di eredità, 100 milioni per Paolo Berlusconi, 100 milioni per Marta Fascina e 30 milioni per Marcello dell’Utri.  

[…] C’è poi un particolare ulteriore. Il terzo appunto, quello datato 19 gennaio 2022, risulta dai documenti che sia stato consegnato soltanto ieri da Marta Fascina al notaio, a villa San Martino ad Arcore, alla presenza della guardia del corpo e della segretaria, ma non dei legali dei figli, Luca Fossati e Carlo Rimini. 

Costoro, invece, erano presenti all’apertura di un primo testamento, che è avvenuta presso lo studio del notaio in via Pagano, a Milano. Ad Arcore, ricostruisce l’atto del notaio Roveda, "la signora Marta Fascina, alla presenza di testimoni, mi consegna una busta non sigillata recante la scritta “Ai miei figli' e la firma “S Berlusconi'".

Nella busta si trova un foglio di carta intestata composto da due facciate "scritto con inchiostro nero, apparentemente da un'unica persona" che, si specifica, Fascina "ritiene essere il testamento olografo del signor Silvio Berlusconi e che mi chiede di pubblicare". 

Ed è precisamente il terzo appunto, del 19 gennaio 2022, che recita: "Cara Marina, Pier Silvio, Barbara e Eleonora, sto andando al San Raffaele, se non dovessi tornare vi prego di prendere atto di quanto segue", scrive l'ex premier indicando le donazioni al fratello, a Fascina e a Dell'Utri "per il bene che gli ho voluto e per quello che loro hanno voluto a me". E conclude: "Grazie, tanto amore a tutti voi, il vostro papà" […]

(ANSA il 6 luglio 2023) - "Per evitare fraintendimenti e a fronte delle richieste di delucidazioni ricevute da parte di numerosi organi di informazione", Paolo Berlusconi precisa all'Ansa che "il fratello Silvio gli aveva anticipato in più occasioni, con la straordinaria generosità che lo ha sempre contraddistinto, l'intenzione di lasciare allo stesso Paolo la somma di 100 milioni di euro". Le carte rese pubbliche oggi vanno quindi intese come conferma che è questa, riferisce Paolo Berlusconi, la cifra indicata come legato testamentario da parte di Silvio Berlusconi per il fratello.

(Adnkronos il 6 luglio 2023) - Duecento milioni di euro, divisi in due tranche. A tanto ammonterebbe il lascito testamentario di Silvio Berlusconi al fratello Paolo. A quanto si apprende da autorevoli fonti azzurre, il Cavaliere avrebbe disposto a favore del fratello 100 milioni di euro nel testamento del 5 ottobre 2020 e un ulteriore legato sempre di cento milioni di euro, nelle ultime volontà, quelle datate 19 gennaio 2022 e consegnate da Marta Fascina ad Arcore ieri al notaio Roveda.

La compagna dell'ex premier, infatti, avrebbe dato al notaio in una busta non sigillata un foglio di carta intestata (Villa San Martino, Arcore) firmato dal presidente di Fi e composto da due facciate scritte con inchiostro nero, contenente un lascito di 100 milioni di euro alla stessa Fascina, di 30 milioni all'ex senatore Marcello Dell'Utri e una donazione di 100 milioni di euro a Paolo Berlusconi (per un totale lasciato a quest'ultimo di 200 milioni di euro). L'ultimo lascito testamentario di Berlusconi è stato aperto a Villa San Martino ieri pomeriggio (sottoscritto alle 15.10) alla presenza di Roveda, Fascina e di due testimoni, Antonino Battaglia e Stefania Gaiani (due storici e stretti collaboratori del Cavaliere).

Carlotta Scozzari per huffingtonpost.it il 6 luglio 2023. 

Il testamento di Silvio Berlusconi non è uno soltanto, come si pensava. Le ultime volontà del leader di Forza Italia sono distribuite su due distinti testamenti olografi, a loro volta articolati in più documenti. E in uno di questi, nell'elencare i figli, il Cav sembra dimenticare il più giovane, Luigi.

Proprio i movimenti e gli spostamenti in moto di ieri del notaio Arrigo Roveda, registrati dai cronisti appostati sotto il suo studio milanese, aiutano a ricostruire la molteplicità dei documenti in gioco. Il primo testamento olografo è quello che, come si diceva sino a ieri, era custodito dallo stesso Roveda. Quest'ultimo, per pubblicare il documento e depositare i relativi atti, ha dovuto convocare presso il proprio studio in via Pagano 65 a Milano un altro notaio, Filippo Laurini. 

A sua volta […] tale testamento risulta suddiviso in due "fogli da blocco note, di colore giallo paglierino" con l'intestazione "Villa San Martino", ossia la residenza di Arcore dove Berlusconi era domiciliato, "in colore verde". Entrambi i documenti sono stati scritti "con inchiostro nero, apparentemente da un'unica persona", cioè appunto l'ex presidente del Consiglio italiano.

Quanto al contenuto, nella prima scheda testamentaria, datata 2 ottobre 2006 - quando cioè Berlusconi era ancora sposato con Veronica Lario - si prevede che la quota di eredità disponibile vada ai figli del primo matrimonio, Marina e Pier Silvio Berlusconi, che come noto da stamattina salgono così al 53% della cassaforte di famiglia, Fininvest. 

"Lascio tutto il resto in parti uguali ai miei cinque figli Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi" afferma poi il leader di Forza Italia […] riferendosi alla cosiddetta legittima. Ben quattordici anni dopo, il 5 ottobre del 2020, Silvio Berlusconi redige il secondo documento, che rappresenta la seconda scheda testamentaria custodita da Roveda. Nel foglio vengono confermate le precedenti volontà, alle quali si aggiunge una donazione da 100 milioni "a titolo di legato" a favore di Paolo Berlusconi, fratello di Silvio. 

Con il secondo testamento olografo entra in scena Marta Fascina, moglie di Berlusconi (così lui si riferiva a lei) non sposata legalmente. Il documento pubblicato attesta che, nella frenetica giornata di ieri, a un certo punto il notaio Roveda si reca ad Arcore (dove Fascina abitava proprio con Berlusconi). 

Lì l'ultima compagna del Cav, in presenza di due testimoni, consegna a Roveda "una busta non sigillata recante la scritta 'ai miei figli' e la firma 'S Berlusconi', contenente un foglio di carta intestata composto da due facciate scritto con inchiostro nero, apparentemente da un'unica persona". Il notaio verbalizza che Fascina ritiene che si tratti del "testamento olografo del signor Silvio Berlusconi" e che pertanto la donna gli domanda di pubblicarlo. 

Il documento, datato 19 gennaio 2022, inizia così: "Cara Marina, Pier Silvio, Barbara e Eleonora", portando subito a galla una prima criticità: manca Luigi, 34 anni, il più giovane dei figli dell'ex premier. Non è chiaro se si tratti di un errore o di una cosa voluta. Dopdiché Berlusconi comunica ai figli che sta per recarsi all'ospedale San Raffaele di Milano.

"Se non dovessi tornare - scrive (ma poi, quella volta, era ritornato) - vi prego di prendere atto di quanto segue: dalle vostre eredità di tutti i miei beni dovreste riservare queste donazioni a 1) Paolo Berlusconi: euro 100 milioni 2) Marta Fascina: euro 100 milioni 3) Marcello Dell'Utri: 30 milioni, per il bene che gli ho voluto e per quello che loro hanno voluto a me". 

E qui si apre un altro interrogativo: i 100 milioni previsti per Paolo Berlusconi vanno ad aggiungersi a quelli già stabiliti nel 2020 nel testamento in mano a Roveda o è solo un modo per ribadire il concetto precedente? Sembra essere più probabile la prima ipotesi, sicché la donazione complessiva del Cav al fratello dovrebbe essere in tutto di 200 milioni. […]

Estratto dell’articolo di Carlotta Scozzari per huffingtonpost.it il 6 luglio 2023.

[…] nella frenetica giornata di ieri, a un certo punto il notaio Roveda si reca ad Arcore (dove Fascina abitava proprio con Berlusconi).  Lì l'ultima compagna del Cav, in presenza di due testimoni, consegna a Roveda "una busta non sigillata recante la scritta 'ai miei figli' e la firma 'S Berlusconi', contenente un foglio di carta intestata composto da due facciate scritto con inchiostro nero, apparentemente da un'unica persona". Il notaio verbalizza che Fascina ritiene che si tratti del "testamento olografo del signor Silvio Berlusconi" e che pertanto la donna gli domanda di pubblicarlo.

Il documento, datato 19 gennaio 2022, inizia così: "Cara Marina, Pier Silvio, Barbara e Eleonora", portando subito a galla una prima criticità: manca Luigi, 34 anni, il più giovane dei figli dell'ex premier. 

Non è chiaro se si tratti di un errore o di una cosa voluta. Dopdiché Berlusconi comunica ai figli che sta per recarsi all'ospedale San Raffaele di Milano. "Se non dovessi tornare - scrive (ma poi, quella volta, era ritornato) - vi prego di prendere atto di quanto segue: dalle vostre eredità di tutti i miei beni dovreste riservare queste donazioni a 1) Paolo Berlusconi: euro 100 milioni 2) Marta Fascina: euro 100 milioni 3) Marcello Dell'Utri: 30 milioni, per il bene che gli ho voluto e per quello che loro hanno voluto a me". 

[…] In linea di principio, l'assenza di Luigi Berlusconi nel documento potrebbe esonerarlo dal riservare una quota della propria eredità alle donazioni allo zio, oltre che alla compagna e all'amico del padre.

Le ultime volontà. Cosa ha lasciato Silvio Berlusconi a Marta Fascina: il lascito da 100 milioni e la Villa ai figli. Redazione Web su L'Unità il 6 Luglio 2023

“Cara Marina, Piersilvio, Barbara e Eleonora. Sto andando al San Raffaele. Se non dovessi tornare vi prego di prendere atto di quanto segue: dalle vostre eredità di tutti i miei beni, dovreste riservare queste donazioni a: Paolo Berlusconi euro 100 milioni; a Marta fascina euro 100 milioni; a Marcello dell’Utri euro 30 milioni. Per il bene che gli ho voluto e per quello che loro hanno voluto a me. Grazie, tanto amore a tutti voi. Il vostro papà. Silvio Berlusconi”. Con queste parole scritte a penna nera su foglio Bianco, Silvio Berlusconi ha stabilito come dividere ulteriormente il suo patrimonio tra i suoi cari.

Il testo è datato Arcore 19 gennaio 2022, un allegato al testamento. Secondo quanto riportato da Repubblica, la lettera sarebbe stata sempre in mano a Fascina che lo ha consegnato proprio ieri al notaio milanese Arrigo Roveda. Ultime parole prima di un ricovero al San Raffaele per via di una infezione alle vie urinarie. Poi il 19 marzo successivo seguirono le “non nozze” con la 33enne di Portici. Secondo LaPresse quest’ultima parte del testamento, a quanto viene riferito, è stata aperta ieri ad Arcore alla presenza dell’ultima compagna di Berlusconi e di due testimoni.

Nel testamento di Silvio Berlusconi non risulta la concessione dell’usufrutto di Villa San Martino, ad Arcore, a favore della compagna Marta Fascina, così come invece prevedevano le indiscrezioni circolate nelle ultime settimane. A quanto apprende LaPresse da fonti vicine alla famiglia, la tenuta rientrerebbe quindi nel patrimonio dei beni del Cavaliere “extra-Fininvest”, che viene dunque ereditato dai figli: stando a quanto appreso da LaPresse il 60% di questo patrimonio va a Marina e Pier Silvio e il restante 40% agli tre figli Barbara, Eleonora e Luigi. Saranno loro, eventualmente, a decidere se concedere a Fascina l’usufrutto o altro diritto sulla villa di Arcore.

Redazione Web 6 Luglio 2023

L'eredità del premier. Il testamento di Berlusconi: maggioranza Fininvest a Pier Silvio e Marina, 100 milioni a Fascina, 30 a Dell’Utri. Nessun soggetto deterrà il controllo solitario indiretto su Fininvest SpA. Il testo diffuso in esclusiva dall'Ansa. "Grazie, tanto amore a tutti voi, il vostro papà", le parole dell'ex premier. Redazione Web su L'Unità il 6 Luglio 2023 

“Non dirò nulla né oggi ne mai”, aveva assicurato il notaio di Silvio Berlusconi Arrigo Roveda ieri ai giornalisti. “Inutile stare qui, non posso dire niente, da me non saprete nulla né oggi né domani né mai”. All’indomani dell’apertura alla presenza dei figli dell’ex Presidente del Consiglio, imprenditore e leader di Forza Italia cominciano a emergere i dettagli del testamento. Li ha pubblicati in esclusiva l’Ansa. A Pier Silvio e a Marina Berlusconi la maggioranza di Fininvest, un legato di 100 milioni al fratello Paolo Berlusconi, 100 anche alla compagna Marta Fascina, 30 a Marcello dell’Utri. “Grazie, tanto amore a tutti voi, il vostro papà”, le parole di Silvio Berlusconi nel documento. A margine delle disposizioni a favore di Marta Fascina e Marcello Dell’Utri si legge: “Per il bene che gli ho voluto e per quello che loro hanno voluto a me”.

Il testo si trovava all’interno di una busta non sigillata, data e luogo: Arcore 19 gennaio 2022. Erano i giorni della corsa al Quirinale, cui Berlusconi pure aveva provato a inserirsi per diventare Presidente della Repubblica, almeno prima di un malore che lo aveva allontanato dal Parlamento, uno dei tanti ricoveri affrontati negli ultimi anni. Il 29 gennaio sarebbe stato rieletto Sergio Mattarella. “Cara Marina, Pier Silvio, Barbara e Eleonora, sto andando al San Raffaele, se non dovessi tornare vi prego di prendere atto di quanto segue”, scriveva Berlusconi nel documento. Sulla busta la scritta “ai miei figli” con un foglio di carta intestata composto da due facciate scritto con inchiostro nero. Una quidicina di righe in tutto

Cosa vuol dire testamento olografo (come quello di Berlusconi) e che differenze ci sono con quello segreto e speciale

La linea è quella della continuità, nelle aziende e nella vita familiare. Le ultime volontà sono state rese note davanti a due testimoni, gli avvocati Luca Fossati e Carlo Rimini, in “rappresentanza” dei figli, collegati da remoto. A Pier Silvio e Marina Berlusconi, i due figli di primo letto, l’intera quota disponibile di Fininvest. Raggiungono insieme il 53% del gruppo con quote paritarie. Fininvest controlla il gruppo televisivo e Mondadori oltre a una quota del 30% di Banca Mediolanum. “Marina Berlusconi, Presidente del CdA, e Pier Silvio Berlusconi, Barbara Berlusconi e Luigi Berlusconi, amministratori, ricevuta lettura delle volontà testamentarie del padre Silvio Berlusconi, informano che da esse risulta che nessun soggetto deterrà il controllo solitario indiretto su Fininvest SpA, precedentemente esercitato dal padre stesso“, si legge in un comunicato di Fininvest. “Il notaio che ha dato lettura delle volontà testamentarie provvederà nelle prossime ore agli adempimenti di legge”.

Un comunicato del gruppo era atteso questa mattina prima dell’apertura delle borse alla Consob. Mediaset è quotata a Piazza Affari, dove vale 1,8 miliardi di euro. I titoli, nei primi sei mesi dell’anno, hanno segnato una crescita del quarantuno per cento. La decisione su Fininvest sarebbe stata presa nel 2006. Su un blocco note, color giallo paglierino, con l’intestazione Villa San Martino, Silvio Berlusconi, il 2 ottobre, aveva scritto a mano le sue volontà. Undici righe su un foglio e dieci su un altro per il suo testamento, con uno stile asciutto e chiaro. “Lascio la disponibile in parti uguali ai miei figli Marina e Pier Silvio. Lascio tutto il resto in parti eguali ai miei 5 figli Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi”. Nel 2020 avrebbe aggiunto le disposizioni a favore del fratello.

Redazione Web 6 Luglio 2023

Consegnato da Marta Fascina al notaio Roveda. Che cos’è il testamento olografo, le ultime volontà di Berlusconi scritte mentre andava al San Raffaele. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 6 Luglio 2023 

Il testamento olografo lasciato da Silvio Berlusconi non contiene il dettaglio del suo patrimonio né la valutazione di tutti i suoi beni che comprende, oltre a Fininvest anche molti immobili e le numerose ville presenti sia in Italia che all’estero.

Quello scritto da Berlusconi è testamento olografo, cioè redatto dal testatore, colui che lascia le disposizioni sui suoi beni. Il testatore deve scriverlo per intero, datarlo e sottoscriverlo alla fine delle proprie disposizioni. E’ quello più usato perché più semplice da redigere in quanto non c’è bisogno di testimoni o di un notaio durante la stesura e può essere conservato anche in casa propria. Viene pubblicato da terzi dopo la morte di chi ha scritto.

Per il testamento pubblico, invece è richiesta la ricezione da parte di un notaio e la presenza di due testimoni. Alla loro presenza il testatore detta le proprie volontà. In questo caso, la sottoscrizione deve essere da parte del legante, dei testimoni e del notaio. Anche il testamento segreto necessita della presenza di un notaio. Può essere scritto dal testatore o da un terzo. Nel primo caso, deve essere sottoscritto alla fine delle disposizioni testamentarie; se, invece, è redatto in tutto o in parte da altri, o se è scritto con mezzi meccanici, il legante deve sottoscrivere in “ciascun mezzo foglio, unito o separato”.

Il testamento di Berlusconi “aperto nelle prossime ore”, l’eredità ai 5 figli e a Marta Fascina: “Nessuna ripercussione”

Il terzo testamento è stato aperto ieri, mercoledì 5 luglio ad Arcore, alla presenza della compagna dell’ex premier e di due testimoni, Antonino Battaglia e Stefania Gaiani. E’ stato lo stesso Silvio Berlusconi a scrivere il testamento a mano mentre stava andando al San Raffaele il 19 gennaio 2022 (nel testo manca il nome dell’ultimo figlio, Luigi).

“Cara Marina, Pier Silvio, Barbara e Eleonora, sto andando al San Raffaele, se non dovessi tornare vi prego di prendere atto di quanto segue”, scrive l’ex premier indicando le donazioni al fratello, a Fascina e a Dell’Utri “per il bene che gli ho voluto e per quello che loro hanno voluto a me”. E conclude: “Grazie, tanto amore a tutti voi, il vostro papà“. 

A consegnare l’ultimo testamento dell’ex premier, scomparso il 12 giugno scorso all’età di 86 anni, è stata Marta Fascina. Lo ha fatto ad Arcore il 19 gennaio del 2022, oltre un anno e mezzo fa, e lo ha consegnato al notaio Arrigo Roveda. Lo si evince dalla pubblicazione del testamento diffuso oggi. Marta Fascina, è scritto nel documento del notaio, “alla presenza dei testimoni mi consegna un busta non sigillata recante la scritta ‘ai miei figli’ e la firma ‘S.Berlusconi’ contenente un foglio di carta intestata composto da due facciate scritto con inchiostro nero, apparentemente da un’unica persona… che ritiene essere il testamento olografo del signor Silvio Berlusconi e che mi chiede di pubblicare”.

I tre testamenti di Berlusconi dal 2006 al 2022

Il primo testamento depositato da Berlusconi presso lo studio del notaio Roveda risale al 2 ottobre 2006: riguarda la destinazione della parte di eredità disponibile, che viene lasciata in parti uguali ai figli Marina e Pier Silvio, mentre la parte rimanente viene divisa tra tutti i cinque figli sempre in parti uguali. 

Il secondo testamento risale invece al 5 ottobre 2020, in cui Berlusconi aggiunge il lascito di 100 milioni al fratello Paolo. 

Il terzo è in forma di lettera e risale al 19 gennaio 2022, e contiene l’ulteriore lascito per Marta Fascina di 100 milioni, e per Marcello dell’Utri, pari a 30 milioni.

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

Testamento Berlusconi, ecco le ultime volontà del Cavaliere. In una nota diramata dai figli dopo l'apertura del testamento di Silvio Berlusconi, si legge che "nessun soggetto deterrà il controllo solitario indiretto su Fininvest Spa". Francesca Galici il 6 Luglio 2023 su Il Giornale.

Nella giornata di ieri è stato aperto il testamento di Silvio Berlusconi, scomparso lo scorso 12 giugno. In una nota diramata dai figli Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi si legge che in base alle volontà del loro padre "nessun soggetto deterrà il controllo solitario indiretto su Fininvest Spa, precedentemente esercitato dal padre stesso". Quindi si legge in conclusione della nota, "il notaio che ha dato lettura delle volontà testamentarie provvederà nelle prossime ore agli adempimenti di legge".

Pier Silvio e Marina Berlusconi, secondo quanto voluto dal padre, deterranno insieme il 53% del gruppo con quote paritarie. Le decisioni riguardanti Fininvest sono state scritte dal fondatore di Forza Italia nel 2006, appuntate su un blocco note dalle pagine gialle. La primogenita, alla quota già detenuta del 7,81%, aggiunge l'8,33% della quota legittima e il 10,40% dalla quota disponibile, arrivando a detenere il 26,54%. Lo stesso vale per il secondogenito, che arriva ad avere un'identica quota di diritti di voto nella holding. A Barbara, Eleonora e Luigi, che già dividevano in parti uguali una quota del 21,87%, va la parte di legittima, ovvero una quota complessiva del 24,99% che porta la partecipazione dei tre fratelli al 47%. Tutto il resto oltre Fininvest viene diviso fra i figli secondo lo stesso schema: la quota legittima divisa in cinque parti uguali, il 13,32% di tutti i beni, e la quota disponibile divisa in parti uguali tra Marina e Pier Silvio, il 16,65% a ciascuno.

Il 19 gennaio 2022, il Cavaliere scrisse di suo pugno una lettera ai propri figli. Nella lettera, parole dolci dedicate ai figli: "Grazie, tanto amore a tutti voi, il vostro papà". Il foglio autografo di Silvio Berlusconi contiene in tutto 15 righe scritte a mano su carta intestata su entrambe le facce del foglio. La lettera era stata successivamente inserita in una busta non sigillata. Tra le disposizioni testamentarie ci sono anche tre lasciti: due da 100 milioni di euro per Marta Fascina e Paolo Berlusconi, uno da 30 milioni di euro per Marcello Dell'Utri.

Berlusconi, Luigi non è citato nell'ultima lettera: ecco perché. Libero Quotidiano il 06 luglio 2023

Nell'ultima lettera che Silvio Berlusconi ha scritto ai figli e che contiene le sue ultime volontà non c'è il nome di Luigi, il più piccolo. Ma questo non vuol dire che sia stato escluso dell'eredità. Il documento, infatti, non è il testamento (quello fu scritto nel 2006) che dispone in favore di tutti e cinque i figli, ma è solo la richiesta del Cav a Marina, Pier Silvio, Barbara e Eleonora di farsi carico di liquidare, con la loro parte di eredità, lo zio Paolo, Marcello che è quasi un fratello, e Marta la sua quasi sposa. Insomma Berlusconi ha voluto che i lasciti nei confronti di Paolo Berlusconi, Marta Fascina e Marcello Dell’Utri - 230 milioni in tutto - fossero a carico dei quattro più grandi. 

Il motivo è ancora sconosciuto, Perché? È una domanda che resta al momento priva di risposta. Di certo c'è che il piccolo Berlusconi, che porta il nome del nonno paterno, a soli 19 anni è entrato a far parte del consiglio di amministrazione di Mediolanum Spa. Dal 2012 è Amministratore Unico della società B Cinque S.r.l. (che raccoglie l’azionariato dei 5 figli di Silvio Berlusconi) e dal 2014 è Presidente del Cda di Holding Italiana Quattordicesima S.p.A. Inoltre dal giugno 2012 è diventato consigliere di amministrazione di Fininvest, mentre pare abbia declinato l'invito a entrare nei due gruppi paterni Mondadori e Mediaset. Molto abile nell'intercettare start-up promettenti e farle crescere, Luigi ha fondato la onlus Fondazione Opsis, attiva in Lombardia nel settore sociale e impegnata in attività di beneficenza. Sposato con l'ex compagna di Bocconi e coetanea Federica Fumagalli, attiva nel mondo degli eventi, ha due bambini: Emanuele Silvio, nato nel 2021 e così chiamato in onore del nonno, e Tommaso Fabio, nato nel 2022.  Sarà per questi due nipotini che nonno Silvio ha fatto risparmiare il suo Luigi?

Estratto dell'articolo di Emanuele Lauria, Giuliano Foschini per “la Repubblica” venerdì 7 luglio 2023.

I più perfidi, ieri, lo chiamavano «mister cento milioni». Ma dietro il sarcasmo si nascondeva una storia che va avanti da tempo e che in certi ambienti, nelle ultime settimane, aveva preso a correre veloce. 

Nel testamento di Silvio Berlusconi manca il nome di un uomo che, pure, ha avuto un ruolo importantissimo negli ultimi mesi di vita del Cavaliere: Orazio Fascina, il papà di Marta. Apparso sulla scena proprio a cavallo tra dicembre 2021 e gennaio 2022 - quando l’ex presidente del Consiglio decise di scrivere l’ultima parte del suo testamento con la donazione da cento milioni a Marta e di 30 a Marcello Dell’Utri - e poi mai più uscito. 

Uomo riservato ma ambizioso che, raccontano le persone più vicine a Berlusconi in questo periodo, sia stato più di un semplice consigliere negli affari di Arcore tanto che Berlusconi, divertito, diceva di chiamarlo «papà».

Fascina, si diceva, è apparso ufficialmente sulla scena a marzo del 2022, nel giorni delle “quasi” nozze di sua figlia. In realtà già mesi prima era stato visto per le prime volte quando Berlusconi è stato costretto al ricovero. È interessante ricostruire le date: l’integrazione al testamento è del 19 gennaio 2022, quando cioè l’ex presidente del Consiglio doveva decidere se accettare le lusinghe della sua coalizione e offrire la disponibilità alla candidatura come presidente della Repubblica.

Le condizioni di salute del premier però precipitano all’improvviso. E accadono due cose: per non allarmare i compagni di partito Licia Ronzulli e Antonio Tajani (i soli a conoscere la verità insieme con Marta) partecipano a una riunione con un vasto gruppo di leader del centrodestra per discutere del Quirinale fingendo che Berlusconi fosse presente. Accade poi che Silvio promette a Marta: «Se esco vivo dall’ospedale, ti sposo». 

Così sarà. Ma certo è che in quei giorni di trattative frenetiche è proprio Fascina la sola a poter gestire il telefono di Berlusconi. È lei per esempio a non rispondere alle telefonate - siamo al 28 gennaio - di Mario Draghi che cercava Berlusconi per capire che posizione avesse Forza Italia. Tanto che l’allora premier per parlargli deve chiamare sul cellulare una dottoressa che gli passa il paziente B. Orazio si affaccia anche al San Raffaele in quelle ore. 

Per molti è una novità. Ma non per tutti. Il suo nome, e il suo numero di telefono, erano da tempo nelle agende delle segretarie di Berlusconi. Repubblica - come ha già raccontato - ha infatti visionato un documento con una lista di invitati alle feste di Berlusconi tra il 2012 e il 2013. C’è anche il nome della giovane Marta che, da qualche mese aveva coronato un suo sogno: conoscere di persona l’allora premier e frequentare le sue case.

Ma ci sono anche i recapiti del signor Orazio, da contattare evidentemente in caso di necessità (Marta aveva appena 22 anni) e che quindi sapeva perfettamente della frequentazione di sua figlia con l’allora presidente del Consiglio. 

D’altronde, raccontano vecchi amici di Orazio (cancelliere di Melito Porto Salvo, poi trasferito in Campania e da tempo in pensione), non aveva fatto mai mistero della sua ammirazione nei confronti del leader di Forza Italia. Anzi. E quello che stava accadendo nella sua vita era il coronamento di un sogno: recentemente le sue visite ad Arcore erano assai frequenti (avrebbe passato anche delle notti lì, d’altronde era sempre il suocero) e si era fatto addirittura il suo nome per una candidatura alle prossime elezioni europee.

Non accadrà. Ma nel frattempo Marta, con Orazio al suo fianco, si troverà a gestire un patrimonio importante, loro che certo non sono abituati a nulla del genere.

Fascina non risulta intestatario di nulla. E la stessa Marta è entrata in Parlamento dichiarando di possedere una Smart e una vecchia Audi e sette anni dopo in Parlamento, con stipendi dunque non esattamente da classe media, quelle continuano a essere le sue due uniche auto di proprietà. O per lo meno così ha dichiarato al Parlamento. Da oggi però le cose cambiano. Anche se, quando si tratta dell’onorevole Fascina, ogni previsione è un azzardo. In queste settimane senza Berlusconi chi immaginava che il suo profilo potesse in qualche modo cambiare, ha sbagliato. Anzi. Marta la “muta” è diventata Marta “il fantasma”, perché oltre a non esserci sue dichiarazioni è scomparsa anche dall’Aula. 

Osservando un lutto strettissimo, non si è fatta vedere in Parlamento nemmeno per le commemorazioni di suo marito. Ora tutti la attendono a metà luglio per il primo congresso di Forza Italia.

Il partito che ha con Berlusconi un debito, oltre che di riconoscenza, da cento milioni.

Proprio la dote che ora dovrà gestire Marta. Ma, questa, è un’altra storia.

Forse.

Estratto dell’articolo di Paolo Colonnello per “la Stampa” venerdì 7 luglio 2023. 

Quando di mezzo ci sono soldi e Marcello Dell'Utri, inevitabilmente si finisce per pensar male. Adesso che insieme a Marta Fascina e il fratello Paolo Berlusconi, è uno dei tre beneficiari delle donazioni milionarie di Silvio Berlusconi, come si spiega questo lascito? Perché defunto Berlusconi defungono anche gli ultimi eventuali misteri.

E Dell'Utri ne è convinto: quei 30, inaspettati, milioni di euro [...] sono semplicemente l'ultimo, tangibile segno di un'amicizia sessantennale che ha attraversato il secolo breve e quello attuale cambiando, nel bene o nel male, la storia del Paese. E poi c'è l'età, che incanutisce e rende fragili e sentimentali... 

Davvero non aveva mai pensato che Berlusconi avrebbe avuto un ultimo pensiero anche per lei?

«Non mi aspettavo un gesto simile. Nulla, davvero nulla mi doveva e nulla mi sarei aspettato ancora di avere. Così sono rimasto basito, commosso e ancora adesso…» 

Come ha saputo del lascito?

«Questa mattina presto (ieri, ndr). Saranno state le sette e mezza ed è squillato il telefono. Era il notaio. Non le dico la mia meraviglia. Ma lui è stato molto sintetico: "Dottor Dell'Utri, l'ho chiamata perché ho il dovere di dirle, prima che lei lo apprenda dalla stampa, che il testatore nel suo testamento ha previsto per lei una considerevole donazione». 

E lei?

«Io non ho chiesto nemmeno quanto mi aveva lasciato. Ero letteralmente esterrefatto. Ho chiesto soltanto se c'era una motivazione e quando me l'ha letta mi sono commosso alle lacrime, come adesso…» 

[…] Trenta milioni di euro sono una grossa cifra. È il valore della vostra amicizia?

«Sarebbe volgare ridurre un'amicizia come la nostra a un conteggio economico. A parte il fatto materiale, questa è una cosa che sancisce rispetto e valore della amicizia. Io e lui ci siamo dati tutto […]. Lui mi ha fatto fare cose straordinarie che non avrei mai fatto se non lo avessi avuto come ispiratore, come mentore».

Ma non era lei il suo stratega?

«Guardi, Berlusconi senza di me sarebbe stato sempre Berlusconi. Io senza di lui non sarei stato quello che sono». 

C'è chi pensa che questi soldi siano serviti per comprare il suo ultimo silenzio…

 «Tutti i balordi penseranno questo, lo so bene. Sono quelli che non capiscono nulla, che godono nel seminare il male: la verità è un'altra, e sta nei 60 anni di una amicizia vera, solida che ha superato voci e veleni di ogni tipo. In tutto questo tempo sono stato sempre un passo dietro Berlusconi e lui in cambio mi ha illuminato, mi ha dato molto». 

Ma anche tolto: lei ha passato ha passato 4 anni in carcere, uno ai domiciliari con una condanna definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa.

«A parte il fatto che aspetto che la condanna venga annullata, ma quello che è successo è niente ormai, la pena l'ho già scontata. E questo non ha certo intaccato la nostra amicizia. Vede, a settembre compirò 82 anni e mi meraviglio come ci sono arrivato, con tutte queste vicissitudini, il carcere, le inchieste […]» […] «Ora mi sto curando un tumore abbastanza invasivo, con metastasi alle ossa e che viene dalla prostata. L'ho sviluppato quando ero in carcere e lì non me lo hanno fatto curare. Se avessi potuto non sarei arrivato a questo punto. Però ora mi sto sottoponendo a una cura sperimentale per cronicizzare le metastasi. Sembra che funzioni». 

Un ricordo della vostra amicizia?

«La nascita di Forza Italia: Martinazzoli, allora segretario della Dc, se ne era appena andato da Arcore senza voler fondare un nuovo Partito Popolare per contrastare i comunisti del Pds. Erano i primi anni '90. Berlusconi mi venne vicino e mi disse: "Non ha capito niente. Sai che facciamo? Fondiamo noi un partito […]". L'idea del nome Forza Italia, che non piaceva a nessuno, fu ovviamente sua. E si è visto che successo ha avuto». 

[…] Che futuro avrà Forza Italia?

«Non lo so. Ma so che Berlusconi in un certo senso ha lasciato anche un testamento per Forza Italia, con delle regole scritte che credo si stiano rispettando al di là dei contrasti interni che ogni tanto emergono»

[…]  Marta Fascina ha avuto addirittura più di tre volte tanto lei. Che ne pensa?

«Credo sia stato un gesto giustissimo e bellissimo, lei è stata davvero dedita a Berlusconi in maniera impressionante, mai visto una donna così innamorata del presidente. Lui me lo diceva: lei mi ha amato come nessun altro. E poi credo che lei abbia fatto una cosa bellissima soprattutto: ha riunito una famiglia che ultimamente era un po' distante. Lei è stata fantastica, non c'è cifra che possa ripagare questo grande afflato che lei ha costruito intorno a lui». 

Quando aveva sentito l'ultima volta il Cavaliere?

«Tre giorni prima che entrasse in ospedale. Era lucidissimo, stava mettendo per iscritto le regole per la fondazione di Forza Italia. Mi disse: "Ho pensato che tu potresti prendere di nuovo un incarico nel partito, fare la selezione dei candidati alle prossime elezioni, tu sei bravo a scegliere persone giuste"». 

Gliel'ha detto a Tajani?

«No… Ma lui andrà avanti per conto suo, comunque se vuole una mano sa che da me potrà averla sempre, è un amico e si sta comportando bene […] ». 

Cosa succederà nel futuro della dinastia?

«Ho sentito i figli: sono stati fantastici, riuniti come non era mai successo prima, sono legatissimi e non c'è pericolo che possano litigare[…]». […]

Felice Cavallaro per il “Corriere della Sera” venerdì 7 luglio 2023. 

[…] Sorpreso, dottor Marcello Dell’Utri?

«Certo […]. Non me lo aspettavo perché nulla mi doveva il mio amico Silvio. Io ho dato tutto a lui, la mia vita, tutto. Da lui ho avuto in cambio affetto. Ecco perché sono sorpreso e commosso». 

[…] Lo sa che scatterà il refrain sul sospetto che il Cavaliere abbia pagato il suo silenzio sui presunti rapporti con personaggi mafiosi?

«Queste sono cose dette dai seminatori dell’odio». 

Sarebbe il secondo sospetto dopo le polemiche sulla sua villa acquistata, si disse, da Berlusconi a prezzi esorbitanti.

«Falsità assolute. Documentate dai rogiti, dalle carte ufficiali». 

Si parlò di altri venti o trenta milioni per quella favolosa villa su un ramo del lago di Como...

«Per quella villa si parlò di una cifra esagerata. Lo dicevano alla Procura di Palermo.

Sbagliando. Infatti, tre anni dopo, Berlusconi l’ha rivenduta a un magnate russo a maggior prezzo e mi ha pure dato la metà del surplus».

Lei a quanto ha venduto?

«Ventuno milioni di euro». 

E il Cavaliere?

«Ventisette o ventotto, non ricordo. Metà della differenza a me». 

[…] Che ci fa con tutti questi milioni?

«Intanto serviranno anche per un progetto al quale lavoro da un anno. Una biblioteca di libri di letteratura siciliana nel cuore della Valle dei Templi. Sarà il mio dono e anche quello del mio amico Silvio per Agrigento Capitale della Cultura 2025. Sarà pronta per quella data». 

All’interno del Parco archeologico?

«A trecento metri dal Tempio della Concordia. Ma sarà una “donazione modale” […] Significa che io do una cosa a te, a condizione che tu faccia ciò che ti chiedo. E io chiedo l’attivazione di un laboratorio di restauro del libro e della carta, oltre a un master in biblioteca e un master in economia legato a editoria e libri. […]». 

[…] Avrà un nome?

«La farò chiamare “Biblioteca Utriana”». […] 

Quanto le costerà?

«Qualche milione. Elevatissimo il valore dei libri». […]

Dell'Utri sorpreso per il testamento: «Non mi doveva nulla. Scherzavamo sui seminatori d'odio». Felice Cavallaro il 6 luglio 2023.

L'ultimo incontro con il Cavaliere qualche giorno prima della morte: «Non me l'aspettavo, ma a lui ho dato tutto» 

«Trenta milioni? Davvero? Anch’io nel testamento del Cavaliere...». 

Sorpreso, dottor Marcello Dell’Utri?

«Certo che sono sorpreso. Non me lo aspettavo perché nulla mi doveva il mio amico Silvio. Io ho dato tutto a lui, la mia vita, tutto. Da lui ho avuto in cambio affetto. Ecco perché sono sorpreso e commosso». 

Il suo ultimo incontro con Berlusconi?

«Qualche giorno prima della fine. E non pensavo che finisse. Discutevamo di tante cose in quei giorni». 

Nessun accenno ai soldi, alla donazione?

«Mai parlato di queste cose. Lui mi parlava sempre di futuro. Mi parlava di Forza Italia, di nuovi assetti, di come rifondarla. "Perché non ti occupi tu della selezione dei prossimi candidati?". Ma io, Silvio, non mi interesso più di politica. Rispondevo così. E quando insisteva lo assecondavo. Se me lo chiedi tu, certo, posso farlo, lo faccio. "Pensaci e lo facciamo". Non c’è stato tempo. Per me, una perdita grande e dolorosa». 

Lo sa che scatterà il refrain sul sospetto che il Cavaliere abbia pagato il suo silenzio sui presunti rapporti con personaggi mafiosi?

«Queste sono cose dette dai seminatori dell’odio». 

Sarebbe il secondo sospetto dopo le polemiche sulla sua villa acquistata, si disse, da Berlusconi a prezzi esorbitanti.

«Falsità assolute. Documentate dai rogiti, dalle carte ufficiali». 

Si parlò di altri venti o trenta milioni per quella favolosa villa su un ramo del lago di Como...

«Per quella villa si parlò di una cifra esagerata. Lo dicevano alla Procura di Palermo. Sbagliando. Infatti, tre anni dopo, Berlusconi l’ha rivenduta a un magnate russo a maggior prezzo e mi ha pure dato la metà del surplus». 

Lei a quanto ha venduto?

«Ventuno milioni di euro». 

E il Cavaliere?

«Ventisette o ventotto, non ricordo. Metà della differenza a me». 

Solo rapporti di amicizia?

«E cos’altro? Leggevamo le insinuazioni dei ‘seminatori’ e le ignoravamo. Piuttosto scherzavamo sul nome della villa che si chiamava Comalcione. "Ma che nome è?", si stupiva Silvio. E io spiegavo che la radice è Como. ‘No, dobbiamo cambiare nome’. E infatti si chiamò Villa Berlusconi». 

Che ci fa con tutti questi milioni?

«Intanto serviranno anche per un progetto al quale lavoro da un anno. Una biblioteca di libri di letteratura siciliana nel cuore della Valle dei Templi. Sarà il mio dono e anche quello del mio amico Silvio per Agrigento Capitale della Cultura 2025. Sarà pronta per quella data». 

All’interno del Parco archeologico?

«A trecento metri dal Tempio della Concordia. Ma sarà una "donazione modale"». 

Cioè?

«Significa he io do una cosa a te, a condizione che tu faccia ciò che ti chiedo. E io chiedo l’attivazione di un laboratorio di restauro del libro e della carta, oltre a un master in biblioteca e un master in economia legato a editoria e libri. Visto che il Polo universitario di Agrigento ha i docenti dei Beni culturali dell’ateneo di Palermo, tutti insieme si lavori a un’officina del sapere per studenti e ricercatori». 

Immagina la biblioteca della Valle un po’ come la sua biblioteca di via del Senato a Milano?

«La riflette. Servirà per ricercatori e per i turisti ai quali raccontare il meglio di quest’isola». 

Avrà un nome?

«La farò chiamare "Bibliteca Utriana"».

Il suo cognome diventa aggettivo?

«Che male c’è? Ad Agrigento hanno la "Lucchesiana"...». 

Dal 1765, grazie al vescovo Lucchesi Palli, famiglia principesca.

«E adesso grazie a noi, a me, il Cavaliere...». 

Quanto le costerà?

«Qualche milione. Elevatissimo il valore dei libri». 

Anche sui libri e sulle compravendite di tomi antichi non le hanno risparmiato sospetti.

«Dicerie. Su altro invece mi hanno perseguitato e avvelenato. Ma io sono ancora vivo».

Sua Eredità. La schwa di Berlusconi, la cancellazione di Luigi e altri appunti del giallo finanziario dell’estate. Guia Soncini su L'Inkiesta il 7 Luglio 2023

Perché, nell’intestazione dell’ultima nota che emenda i testamenti precedenti, il Cavaliere cita tutti i figli tranne l’ultimo? Cosa farà Marta Fascina con 100 milioni? Per saperlo ci vorrebbe un altro Succession o almeno capire se nel testamento di Logan Roy il nome di Kendall era sottolineato o sbarrato

È molto scortese da parte dei giornali pubblicare il testamento autografo di Silvio Berlusconi quando mancano due settimane al giorno in cui noialtri fanatici avremmo potuto fare ciò che bramiamo: un paragone preciso con gli appunti che vengono ritrovati dopo la morte di Logan Roy.

Come sanno coloro che hanno visto Succession – o anche solo coloro che hanno letto noialtri ossessionati che abbiamo citato Succession negli ultimi mesi con una frequenza che in confronto la settimana di Sanremo non era monotematica – gli appunti ritrovati nella cassaforte di Logan Roy non erano chiari.

Silvio Berlusconi lascia una nota, a gennaio 2022, in cui emenda i precedenti testamenti, e la nota comincia con «Cara Marina, Piersilvio, Barbara, e Eleonora». Sembra proprio un «cara», ma magari era una schwa. Ma soprattutto: dov’è Luigi? Ha tentato invano di ricordarsi il nome del quinto ma niente? Non si può non tornare alla settimana che passammo a chiederci: il nome di Kendall come erede era sottolineato o cancellato? Perché compariva Greg? (Io sono della scuola interpretativa: il vecchio Roy se l’era appuntato per ricordarsi come si chiamasse).

La verità sulla schwa di casa Berlusconi forse non la sapremo mai, ma quella sul tratto di penna sul nome di Kendall noialtri fissati speriamo di scoprirla il 18 luglio, quando finalmente uscirà il volume delle sceneggiature della quarta stagione. L’avessimo avuto adesso, avremmo potuto scrivere più compiuti parallelismi.

Comunque, abbiamo così tanta fede da spingerci a credere che in sceneggiatura tutto sarà descritto con maggior chiarezza, e sapremo ciò che gli attori ci hanno taciuto. Non fate quelle facce: alcuni di voi credono addirittura nella vita eterna.

L’altra sera stavo venendo via dalla proiezione, in piazza Maggiore a Bologna, d’un film degli anni Quaranta, e c’era la platea che ci può essere per un film d’ottant’anni fa nel secolo del presentismo: ceto medio riflessivo, professoresse di storia e filosofia, nessuna apparente plutocrazia.

Ero con una mia amica, una persona sobria e misurata, quindi quando ella si è inchiodata in mezzo alla strada ho capito che era successo qualcosa di rilevante. Il qualcosa di rilevante era che le due signore che ci stavano passando a fianco, con le loro tranquille espadrillas e i loro tagli di capelli che non sapevano di soldi, stavano avendo una conversazione della quale la mia amica aveva percepito la frase essenziale: «Devo sabbiare la barca».

Mi sono fermata anch’io, e in mezzo alla strada abbiamo discusso delle cose davvero importanti: perché noialtre non abbiamo una carena di cui occuparci? Perché non ereditiamo degli appartamenti e viviamo di rendita affittandoli come alcune sceme ma nate dai genitori giusti che conosciamo? (Tutti i proprietari delle case in cui ho abitato avevano figli scemi, il che mi ha convinta che nascere con la contezza che erediterai immobili e potrai sempre vivere di rendita ti renda imbecille: teoria che i figli di Logan Roy hanno confermato).

La tizia che doveva sabbiare la barca (tizia: se ti riconosci nella descrizione, sèntiti libera d’invitarmi, sono un’ottima polena) mi è tornata in mente, scorrendo gli articoli sotto alle foto del testamento autografo di Berlusconi. Articoli che contenevano frasi del genere: «Da notare che non viene fatto nessun riferimento alla villa di Arcore, cioè al fatto che debba diventare la residenza della Fascina. Saranno a questo punto i figli a decidere».

Ma a Marta Fascina, che a trentatré anni incassa cento milioni di euro (per noi del Novecento: duecento miliardi), cosa può fregargliene di vivere in una villa in Brianza? Vorrà comprarsi un fighissimo appartamento in Brera, e gliene avanzeranno abbastanza per non lavorare mai più e mettersi in casa un professionista stipendiato per, ogni tre mesi, farle lo stiraggio chimico ai ricci (almeno io farei così: Marta, se vuoi consigli su come spenderli sèntiti libera di chiamarmi, persino più libera della tizia della sabbiatura alla carena).

Ci potrebbe essere un’interessante trattativa-Succession, come quella (rapidissima) con cui Connor compra la casa di Logan da Marcia, e Marta potrebbe forse rinunciare a dieci (venti? Cinquanta? Non sono ferrata in prezzi di immobili di prestigio, essendo una pezzente) milioni dell’eredità per farsi cedere da Luigi la villa di via Rovani che sta ristrutturando da cent’anni. Già vedo un gran film yasminareziano sull’erede che non vuole cedere un pezzo di memoria famigliare (via Rovani fu il primo, si direbbe sui rotocalchi, nido d’amore di Veronica e Silvio), e la bionda disposta a tutto per entrarne in possesso.

Poiché non possiamo più fantasticare su come finirà con la famiglia Roy, butterò giù uno spunto di trama – certamente irrealistico – sul finale dell’eredità Berlusconi. I cento milioni per Marta Fascina e i trenta per Dell’Utri, «per il bene che gli ho voluto e per quello che loro hanno voluto a me», compaiono nella nota autografa del gennaio 2022 (i cento milioni per Paolo Berlusconi erano già stati scritti nel 2020).

Quella del 2022 è la nota indirizzata a quattro figli su cinque, e quei duecentotrenta milioni da dare ad altri sono segnati così: «Dalle vostre eredità di tutti i miei beni dovreste riservare queste donazioni». Se la logica non è una scienza inesatta, i soldi per Marta e per Marcello e per lo zio Paolo vanno quindi sottratti dalle eredità di Piersilvio, di Barbara, di Marina, di Eleonora – ma non di Luigi. Fossi Luigi, pretenderei fosse così. Fossi Luigi, donerei agli italiani, per il bene che abbiamo voluto a suo padre, il giallo finanziario dell’estate.

Fininvest, 100 milioni di dividendi. Cda invariato, Marina Berlusconi presidente. By adnkronos su L'Identità il 29 Giugno 2023

Via libera al dividendo di 100 milioni di euro da distribuire alle holding. La prima assemblea di Fininvest, dopo la morte di Silvio Berlusconi, è iniziata alle 17 di oggi, giovedì 29 giugno, in via Paleocapa a Milano. L’anno scorso il dividendo staccato alla famiglia Berlusconi era stato di 150 milioni di euro complessivi. 

Resta invariato il consiglio di amministrazione di Fininvest. Stando a quanto si apprende, il cda è stato confermato. Il board resta così composto da 8 membri ed è sempre presieduto da Marina Berlusconi, la primogenita del fondatore di Fininvest, Silvio Berlusconi, scomparso il 12 giugno scorso. A sedere nel cda l'amministratore delegato Danilo Pellegrino, i figli di Berlusconi, Pier Silvio, Barbara e Luigi, Adriano Galliani, Salvatore Sciascia ed Ernesto Mauri. 

Fininvest archivia il 2022 con un risultato netto consolidato pari a 200,2 milioni di euro (360,2 milioni rispetto al 2021). I ricavi consolidati del Gruppo Fininvest sono stati pari a 3.822,5 milioni di euro, in linea con i 3.817,9 milioni di ricavi nel 2021. Il margine operativo lordo risulta pari a 860,1 milioni di euro (921,6 milioni nel 2021). Il risultato operativo di Gruppo è positivo per 248,4 milioni di euro (373,8 milioni del 2021). La flessione rispetto agli straordinari risultati del 2021 "è in parte riconducibile al venir meno di componenti positive non ricorrenti contabilizzate nel precedente esercizio (effetti del buon andamento dei mercati finanziari e la plusvalenza dalla cessione di Towertel da parte di E.I. Towers)" si legge in una nota del gruppo. La posizione finanziaria netta al 31 dicembre 2022 evidenzia un indebitamento (ante applicazione dell’Ifrs 16) di 1.072,6 milioni di euro, rispetto ai 962,1 milioni del 31 dicembre 2021. La posizione finanziaria netta totale, ovvero dopo l’applicazione dell’Ifrs 16, è pari a 1.232,8 milioni. Nel 2022 il Gruppo ha effettuato investimenti per 563,2 milioni di euro (760,2 milioni nel 2021). Il patrimonio netto consolidato totale al 31 dicembre 2022 risulta pari a 4.553,5 milioni di euro. —finanzawebinfo@adnkronos.com (Web Info)

Estratto dell'articolo di Tommaso Labate per il Corriere della Sera il 29 giugno 2023.

Sulla carta, e con ogni evidenza destinati a rimanere là, ci sarebbero anche tre cammelli, regalo personale da Gheddafi mai ritirato dallo zoo di Tripoli, dove i tre esemplari vivevano prima della destituzione del Colonnello. 

Probabile che non siano sopravvissuti al passare del tempo e alla caduta del regime libico. Al contrario del letto gigantesco, nelle carte giudiziarie della vecchia inchiesta della Procura di Bari è identificato come «lettone», omaggio di Vladimir Putin, che stava nella residenza romana di Palazzo Grazioli e che verosimilmente, dopo il trasloco, è stato trasferito a Villa Grande, la casa che era stata di Franco Zeffirelli, ultimo domicilio del Cavaliere nella Capitale.

(...)

Come, per esempio, le cinque repliche della Coppa dei Campioni vinte da presidente del Milan e considerate, dall’ex presidente del Consiglio, una delle prime cose da mostrare quando, in vita, si dilettava a fare da Cicerone a chi andava in visita a Villa San Martino per la prima volta. 

Tutto questo, in linea di principio, può essere entrato a far parte del lascito testamentario e comporre capitoli a parte dello stesso, persino essere smembrato dal luogo in cui si trova attualmente. A cominciare dalle opere d’arte di varia provenienza, comprese le decine di migliaia di dipinti – si parlò di ventimila unità, ma molte sono state regalate nel corso degli anni ad amici e parlamentari – acquistati al telefono alle aste televisive. Tanti ritratti, tante «Venezie», una quantità indefinita di paesaggi, alcuni di provenienza incerta, altri attribuite a una «scuola». In questo bouquet dal numero e dal valore indefinito c’è qualche perla rara, che fa salire il valore totale della collezione – secondo una stima di Vittorio Sgarbi – «a una decina di milioni di euro, ovviamente se tutto viene venduto singolarmente». 

(...)

Nella pinacoteca adiacente alla stanza dei collaboratori di Berlusconi dovrebbe esserci un quadro di Tiziano raffigurante un erede De’ Medici, acquistato anni fa dal Museo di Cleveland. Mentre, tornando in casa, c’è una Gioconda nuda attribuita a Bernardino Luini e una copia dell’Antea del Parmigianino (l’originale si trova al Louvre).

A Villa Gernetto, dove si trova parte del patrimonio artistico comprato alle televendite, c’è anche un pezzo pregiato, un dipinto dell’Ottocento di Francesco Coghetti; e se non fosse stata illegalmente sradicata prima che la Villa passasse nelle mani di Berlusconi, ci sarebbe stata anche una scultura di Canova, poi mirabilmente sottratta all’illegalità da un intervento di Sgarbi, che la rintracciò a Palermo, le fece mettere sopra un vincolo dei Beni Culturali e ne impedì la vendita. Decisamente più semplice il conteggio delle barche. Tra queste, la Principessa VaiVia, barca a vela da 42 metri; la Morning Glory, lunga 48; la Magnum 70, che invece è a motore. Solo questo vale più di venti milioni di euro.

Estratto dell'articolo di Jacopo Iacoboni per “La Stampa” il 29 giugno 2023.

[…] è vero che le ville di Berlusconi valgono una fortuna familiare e dinastica, ma sono state spesso, almeno alcune, il teatro di un'epopea politica, geopolitica, giudiziaria, antropologica, affaristica, erotica, italiana. Secondo l'ultima dichiarazione patrimoniale del Cavaliere, del 2022, il suo imponibile era quasi 18 milioni (17.697.119 euro), ma le sue residenze dirette da sole valgono tra i 100 e i 150 milioni, dalla Villa di Arcore a quella di Macherio, e poi ci sono le case per le vacanze a Porto Rotondo e a Cannes con un valore stimato di 500 milioni.

Da Villa San Martino ad Arcore a Villa Belvedere a Macherio, da Villa Campari (sul lago di Como) a Villa Zeffirelli sull'Appia antica, Immobiliare Idra, la società controllata integralmente da Silvio Berlusconi (i primi due figli ne possiedono solo lo 0,5%), ha in pancia (almeno) 412 milioni di euro. I soli costi di gestione di queste residenze sono 24 milioni di euro all'anno. Il 60% di Brianzadue vale un'altra trentina di milioni (Villa Sottocasa di Vimercate e Villa Gernetto a Lesmo). 

Le società immobiliari (Holding Immobiliare e H14 Spa) sono dentro una finanziaria (Fininvest) con cui la famiglia Berlusconi controlla il 50% di Mfe-MediaforEurope (insomma, Mediaset), il 53,3% della Mondadori, il Teatro Manzoni, il Monza Calcio. Qualcosa che non è azzardato stimare intorno ai sei miliardi complessivi.

Flavio Carboni, condannato per il crac del Banco Ambrosiano, ha dichiarato nel 2017: «L'acquisto di Villa Certosa? Un furto, una rapina. Lo venni a sapere quando ero in carcere a Parma e mandai telegrammi a Berlusconi, Dell'Utri, Confalonieri, diffidandoli dal comprarla. Diedero al mio assistente Emilio Pellicani mi pare 800 milioni di lire, ma non corrispondevano neanche a un ventesimo del suo valore». 

Eppure ricordava con rimpianto quegli anni in cui cominciarono i suoi rapporti immobiliari con Berlusconi: «Eravamo ragazzi, ci siamo presi subito. Cominciai col vendergli, nel '72, centomila metri cubi nel cuore di Porto Rotondo». Villa Certosa è poi diventata leggenda, le foto con Vladimir Putin e le sue due figlie nel 2003, la bandana di Berlusconi accanto a Tony Blair, le grazie del premier ceco Topolanek nudo in giardino in chissà quale after party, le foto di Zappadu e l'inizio della stagione delle feste con tante ragazze molto giovani.

[…]  La Villa ha 4.500 metri quadri, 126 stanze, parco di 120 ettari con duemila cactus, palme e labirinto di camelie, cinquecento ibiscus, un agrumeto con varietà di agrumi di tutto il mondo, più un anfiteatro stile greco-romano. E anche un finto vulcano (che un ferragosto eruttò, spaventando i vigili del fuoco locale). Nel 2021 la villa è stata valutata 259 milioni di euro. 

Non meno fantasmagorica, ma più sinistra, è la storia di Villa San Martino. O più semplicemente: Arcore. Apparteneva al marchese Camillo Casati Stampa di Soncino, che si suicidò il 30 agosto 1970, dopo aver ammazzato la moglie e il suo amante. La proprietà passò alla giovanissima figlia Anna Maria, che fu messa sotto tutore.

Il tutore divenne ministro del governo Andreotti, allora la pratica passò al pro tutore, che poi diventò il legale della Casati Stampa, nel frattempo trasferitasi in Brasile. E chi era questo avvocato, che di fatto vendette la Villa? Cesare Previti. In una vicenda non certo economicamente conveniente alla giovine donna: valutata 1 miliardo e 700 milioni dell'epoca, la villa (compresi pinacoteca e biblioteca di diecimila volumi) fu ceduta per 500 milioni di lire in titoli azionari. L'ereditiera per monetizzare questi titoli dovette accordarsi con gli acquirenti, che li riacquistarono per 250 milioni. […]

Fu allora che Marcello Dell'Utri, il bibliotecario, comparve significativamente sulla scena. E con lui lo stalliere della villa di Arcore Vittorio Mangano. Dell'Utri torna anche nella storia di un'altra villa, Villa Comalcione, a Torno, una residenza di 30 locali, campo da tennis, spiaggia privata, che Berlusconi comprò appunto nel 2012 dall'amico siculo per 21 milioni di euro, quando ne valeva 9. Sebbene fosse stata ipotizzata un'estorsione di Dell'Utri, non fu mai provato il reato.

Così come non fu mai provato il sospetto di esterovestizione nell'acquisto di una (anzi probabilmente sette ville) ad Antigua, per il quale furono notate operazioni che suscitavano domande: Berlusconi aveva bonificato circa 20 milioni al conto di una oscura società venditrice nella discussa Banca Arner, ma nei registri caraibici risultava aver acquistato solo 4 acri di terreno. 

Ma di ville esotiche restò famosa l'altra, alle Bermuda, Villa Blue Horizon, per la foto di Berlusconi che fa jogging con Letta, Confalonieri, Dell'Utri, Galliani e Bernasconi vestiti da marinaretti. Alcune ville sono state pezzi di storia sentimentale, anche nel triste divorzio con Veronica Lario. Villa Belvedere a Macherio, comprata in un'asta assai propizia nell'88 dalla Provincia di Milano, dove Veronica Lario visse a lungo prima del divorzio (dopo il divorzio i conti di gestione li avrebbe dovuti pagare lei, cosa problematica, cifre attorno a 1,8 milioni l'anno per i venti dipendenti). 

Un'altra villa, a Cannes, La Lampara, 500 metri quadrati, 2 mila di giardino, piscina e vista mare fu comprata per 3,55 milioni. Ogni villa è stata un sogno (realizzato), un affare (a volte, eufemismo, intricato), un pezzo di famiglia (quella di via Rovani, o la casa di mamma Rosa in viale San Gimignano a Milano). 

Un capriccio, come quando comprò villa Lampedusa e disse «sono diventato lampedusano»: la più piccola, Villa Due Palme su Cala Francese, nell'isola di Lampedusa, otto posti letto e ampio giardino, dove va spesso il figlio minore Luigi. O un tramonto, come Villa Zeffirelli sull'Appia antica, acquistata per 3 milioni di euro nel 2001 e prestata in comodato d'uso gratuito fino al 2019 al regista, dove un malinconico Cavaliere teneva i sempre più sfinenti vertici di Forza Italia del declino.

 Si era certo divertito di più a Portofino. «C'è una foto – racconta Maurizio Raggio, ex compagno della contessa Francesca Vacca Agusta, grande amico di Bettino Craxi e poi appunto di Berlusconi - indicativamente dovrebbe essere il 1986: avevo conosciuto Berlusconi e ci eravamo visti a Portofino, mi aveva chiamato qualche giorno prima se potevo aiutarlo perché voleva comprare una casa». 

C'erano due ville, ma non andavano bene. Poi a Berlusconi venne l'idea: «Si mise a ridere e mi disse: parlane con Francesca (la contessa Vacca Agusta, che possedeva Villa Altachiara, la villa che svetta su Portofino). Io sorrisi e gli risposi "lo sai che Francesca non vende". Da lì in poi la villa scelta divenne quella di Paraggi».

Qualche anno dopo il tragico suicidio della contessa, ironia di una storia di case miliardarie in cui Berlusconi si è trovato spesso vicino di casa con arabi e russi, villa Altachiara è stata invece comprata da un russo che, secondo l'Fbi, è un prestanome dello yacht di Putin.

Estratto da La Stampa il 24 giugno 2023.

Ah, Silvio… Lo incrociavo spesso al Torre di Pisa, il ristorante in Brera dove andavamo a cenare in quegli anni: noi circondati da ragazze splendide, lui seduto al tavolo con amici e collaboratori, sempre ingrigiti, sempre a parlar d’affari e a squadrarci con invidia. Una sera mi ferma e mi offre un caffè. 

E mi dice: “Sai, anch’io voglio avere donne in quantità industriale e quindi ho deciso: farò la televisione commerciale. Il futuro appartiene a me”. Lo so, può sembrare una tesi strana, ma sono fermamente convinto che lui, affamato di successo, abbia fatto quello che ha fatto solo per questo motivo». Tesi originale, certo, ma forse neanche tanto, vista l’indole e la caratura dei personaggi in gioco. 

Era la metà degli Anni Settanta e mentre Berlusconi fantasticava lo sbarco nell’etere, Beppe Piroddi brillava come una stella all’apogeo della sua carriera mondana: un principe della bella vita, un ricco «sciupafemmine» capace di conquistare le donne più desiderate del pianeta.

Ovvero, il numero uno degli «amateur», che è concetto molto più profondo del semplice «playboy»: «Il playboy è uno che “gioca”, che colleziona, che fa parlare il cuore ma anche la testa», spiega lui, in un ristorante sul lungomare di Genova. «L’amateur, invece, insegue solo il piacere: vuole assaporare fino in fondo le sensazioni, abbandona il campo quando questo non avviene più. Questione di divertimento: ecco la bussola che ha governato la mia vita».

Una giostra di incontri ed emozioni. Beppe Piroddi si è fatto aiutare dall’amico giornalista Gigi Moncalvo e c’ha riempito un libro: «Amateur», Mursia edizioni, quattrocento pagine di feste, donne fatali, stelle del cinema, vacanze a Saint-Tropez e spedizioni passionali a New York e a Londra. Senza dimenticare, ovviamente, i locali da lui stesso fondati: i Number One e i Caffè Roma aperti a Milano, Roma e in America, tra le «mecche» della vita notturna di quegli anni. Da dove iniziare? 

Classe 1940, nato a Genova e di buona famiglia, Piroddi è figlio del medico che inventò la dieta mediterranea. Cresce con le spalle coperte tra la Liguria e il Lago Maggiore. E’ un bel ragazzo, ha charme. E ci sa fare così tanto con l’altro sesso che a vent’anni diventa l’uomo-oggetto delle signore più in vista della società genovese. Poi il grande salto, nel 1963, quando al night Chatham di Torino conquista l’attrice francese Odile Rodin, splendida moglie del diplomatico (nonché mitico playboy) Porfirio Rubirosa.

Sarà lei a lanciarlo nell’empireo del jet set internazionale. «Né romanticismo svenevole né tornaconto economico: con le donne ho sempre seguito la chimica», dice, cercando di spiegare i segreti di un’infinita serie di attrazioni fatali. «Ho usato la mia peculiarità: avvertivo subito se una ragazza mi accendeva e, soprattutto, se lei era attratta da me». (...)

Estratto dell'articolo di Giorgio Dell’Arti per “Oggi” il 24 giugno 2023.

Silvio Berlusconi era un patito delle televendite notturne. Il televenditore Andrea Orlando dice di avergli venduto almeno 2.500 quadri, per circa 3 milioni di euro. Berlusconi teneva i quadri in un hangar. Ventimila opere! Vittorio Sgarbi le ha viste. Dice: «20 mila opere così così. Sarebbe stato meglio averne 2 mila eccelse». 

Che altro aveva, Berlusconi? Patrimonio difficile da perimetrare, sono proprietà che si estendono su tutto il pianeta. Chiacchierando con Daniela Santanchè, intorno al 2006, fece lui stesso un elenco: 13 ville, 14 piscine, 4 jet di cui uno rotto, 6 panfili, 2 mila conti in banca, 56 mila collaboratori, una squadra di calcio, una di pallavolo, una di hockey.

La situazione di oggi non è molto diversa. Le ville dovrebbero essere 14, la squadra di calcio non è più il Milan, ma il Monza, Mediaset si chiama in un altro modo, Mfe, e ha la sede legale ad Amsterdam. Il patrimonio è valutato 6 miliardi e mezzo di euro. Ma ci sono tante cose non registrate, come appunto i quadri. 

A chi andrà tutta questa roba? Ci sono cinque figli. Due di primo letto, tre nati dal secondo matrimonio, con Veronica Lario. A parte le ville, i terreni, i quadri, gli appartamenti e i 116 posti-macchina nel Centro direzionale di Milano Due, a Segrate, l’asset principale è la Fininvest, proprietaria a sua volta delle reti televisive, della Mondadori e di un terzo di Mediolanum. Solo nel 2022, da Fininvest, la famiglia ha staccato un dividendo di 150 milioni. Fininvest è per il 60,9 per cento di Berlusconi e per il resto dei cinque figli.

I veri padroni di Fininvest, a quello che ho capito, sono i due figli di primo letto, Marina e Pier Silvio. Marina è presidente di Fininvest e di Mondadori. Pier Silvio è amministratore delegato della società che possiede le reti televisive. Però se il 60,9 per cento di Berlusconi andasse in parti uguali ai cinque figli, i tre nati da Veronica - Barbara, Eleonora e Luigi – si troverebbero in mano la maggioranza della società. 

[…] Per due terzi tutta la roba di Silvio va divisa equamente tra i cinque figli. Ma il terzo rimanente Berlusconi può averlo destinato a chiunque. Probabilmente – e lo dico guardando al comportamento tenuto sempre – questo terzo è stato lasciato ai primi due figli, in modo che il controllo di Fininvest continui a restare nelle mani di Pier Silvio e soprattutto di Marina. Gli altri tre figli saranno probabilmente ricompensati con una quota maggiore di ville, terreni e quant’altro.

E Marta Fascina? Si dice che Berlusconi, per la compagna del suo ultimo tratto di vita, abbia provveduto con 50 o 100 milioni. In realtà non lo sappiamo, bisogna aspettare il testamento. Fascina, in realtà, puntava, o punta, al partito. L’altro pezzo dell’eredità è costituito da Forza Italia. Forza Italia ha 22 deputati e nove senatori. Una fuga di quattro o cinque parlamentari verso altre formazioni politiche metterebbe in seria difficoltà il governo. 

Giorgia Meloni ha promesso a Marina di difendere l’integrità di Forza Italia almeno fino alle Europee dell’anno prossimo. I berlusconiani, che stanno dentro il Partito popolare europeo, potrebbero essere essenziali per far entrare Fratelli d’Italia nella maggioranza che forse governerà l’Europa a partire dall’anno prossimo. [...]

Ripeto la domanda: e Marta Fascina? La procedura per eleggere il successore di Berlusconi è molto lunga. Per ora, guida il partito Antonio Tajani. Il quale sta tentando di metter pace tra le varie componenti, prima di tutto con i seguaci di Licia Ronzulli. Marina gli ha telefonato e ha garantito che, come sempre, casa Berlusconi non farà mancare i finanziamenti necessari per la campagna elettorale. Forza Italia è indebitata con la famiglia per poco meno di cento milioni.

Estratto dell’articolo di Francesco Manacorda per “la Repubblica” il 19 Giugno 2023.

L’Eredità. E se fino a una settimana fa il richiamo più forte del quadrisillabo testamentario si limitava all’omonima trasmissione di Rai 1, dirottata dai lidi del sospetto sinistroide Flavio Insinna verso il porto sicuro di Pino Insegno, premiato per meriti conclamati e pure un poco atreieutici, adesso tutto cambia. 

Da quel 12 giugno in cui è fulminata la notizia della scomparsa di Silvio Berlusconi, quella stessa parola è rimasta – more solito – tra politica e spettacolo, ma è tornata anche al suo significato abituale, seppur carica di nuovi e pesantissimi significati. 

[…]

E del resto come tralasciarne sfaccettature ed entità, se il patrimonio che fu del Cavaliere viene valutato da Forbes a 6,8 miliardi di dollari e in mezzo ci sono ville e dimore per centinaia di milioni, quadri – si dice – a migliaia, sebbene non tutti di sommo valore, un bel pezzetto della Borsa italiana sotto forma delle partecipazioni in Mediaset, Mediolanum e Mondadori; e poi panfili e mausolei, velivoli e sfizi da ricchi senza ansia di redditività, come il Monza in Serie A o il Teatro Manzoni di Milano? 

Chiamarla Dinasty non si può. Fa subito boomer – prima stagione in Italia nel 1981, presto approdata su Mediaset. In tanti scomodano allora il più recente Succession, e qui ci si sente più al passo con i tempi, anche se troppi particolari non tornano: nessun figlio di primo letto un po’ picchiatello che ambisce a lanciarsi in politica e diventare Presidente come il Connor Roy della serie – i giovani Berlusconi sono stati immunizzati da piccoli, si potrebbe pensare – al posto del figlio ribelle Kendall un ubbidientissimo Pier Silvio, invece della perfida “Shiv”, la composta Marina. 

Dunque, bisogna prendere atto che la grande serie a cui tutta l’Italia sta appesa da una settimana – “Scene da un patrimonio”, titolerebbe o probabilmente ha già titolato il sito Dagospia – è una sceneggiatura a sé, dove come in ogni plot del genere che si rispetti, spuntano personaggi che si erano persi di vista da decenni, mentre quelli di cui si pensava di sapere giù tutto vengono illuminati a nuovo. 

[…] 

La primogenita “martello pneumatico”, come da definizione di Silvio Confalonieri, Pier Silvio che dopo il lutto esorta i “ragazzi” di Mediaset: «Da domani, noi facciamo un click e torniamo ad essere un’azienda viva». 

E ancora, Barbara attorno alla quale spira sempre una certa aria di revanche post defenestrazione non dal Milan, ma del Milan stesso dal perimetro familiare, tanto per evitare complicazioni, l’enigmatica e silente Eleonora, il candido eppur finanziariamente scafatissimo Luigi, che potrebbe riservare più di una sorpresa.

Il turbinio tra giornali e Duomo di Milano di ex mogli ed ex compagne: la prima che lascia un affettuosissimo necrologio, la seconda che assiste alle esequie, si suppone anche per essere vicina ai figli, la terza – Marta Fascina - che non si è ancora capito se sia diventata moglie o meno, mentre Francesca Pascale si caratterizza per un penitenziale dolore che la porta a sottoporsi ai riti di una piazza che ormai è la sua antitesi. 

E poi il cerchio magico del Cavaliere, in buona parte immobilizzato nella storiografia da quella foto scattata alle Bermuda trent’anni fa che lo vede attorniato in tenuta da jogging dai Confalonieri, dai Gianni Letta che oggi tornano in servizio appena scomparso il fondatore, citando l’ “impegno” preso con la famiglia, dai Marcello Dell’Utri che pur piegati dalla vita e dalle condanne vogliono testimoniare che ci sono.

Dagli Adriano Galliani intercambiabili dal seggio calcistico a quello politico. Assieme a loro altri personaggi di cui si pensava di aver perso le tracce, come quel ragionier Giuseppe Spinelli, che all’epoca aveva a libro paga le celebri “olgettine” e che nel dietro le quinte di Arcore regge le fila di tutte le holding che controllano la Fininvest, o il tributarista Salvatore Sciascia, che siede proprio nel consiglio della finanziaria di famiglia. 

Attori e comprimari, tutti misurati in questa storia squisitamente dinastica, dalla distanza rispetto all’uomo che si sentiva e agiva come un sovrano, con tanto di reggia e palazzi accessori: così mentre l’apertura del testamento è attesa nel giro di una decina di giorni – il 29 c’è l’assemblea Fininvest – ci si domanda sì se alla fine si vedranno due rami dei Berlusconi a contendersi il potere, ma anche chi andrà in quella Villa San Martino che con l’ingresso nella cappella delle ceneri del defunto, diventa luogo centrale nel mito fondativo.

[…]

Sarà così questa “Eredità”, titolo provvisorio e però esatto della serie che non vedremo mai sulle reti Mediaset, ma che si svolgerà tutta proprio in casa Mediaset. Sarà, prima e oltre, la sistemazione di pezzi importanti dell’economia e della politica italiana, anche una grande storia “pop”, un capitolo postumo della “storia italiana” di Silvio Berlusconi a cui forse pure questa ultima sovraesposizione non sarebbe dispiaciuta.

Estratto dell’articolo di Rosario Dimito per “Il Messaggero” il 18 giugno 2023.

Silvio Berlusconi lascia ricchezza agli eredi (circa 6,4 miliardi secondo Forbes), pochissimi debiti personali, ma costi di gestione da sostenere. Le splendide residenze di Arcore (Villa San Martino), Macherio (Villa Belvedere), quelle in Sardegna di Porto Rotondo (Villa Certosa e Villa Dattilo), Villa Zeffirelli a Roma e Villa Due Palme a Lampedusa, per manutenerle, hanno oneri pesanti.

Come risulta dal bilancio 2022 di Immobiliare Idra, in possesso del Messaggero, la società real estate con le proprietà immobiliari maggiori, controllata direttamente dallo scomparso Berlusconi al 99,5%, da Marina e Pier Silvio per lo 0,5% residuo, ha «un costo della gestione tipica di 24 milioni, incrementato rispetto al 2021 per 2,8 milioni, a causa dell'aumento generalizzato della manodopera, delle lavorazioni esterne e dei costi di energia». Dalle carte risulta che a fronte di un patrimonio netto di Idra di 176 milioni, il valore del patrimonio immobiliare delle ville ammonta a 412 milioni.

[…] La gestione delle residenze non comporta però solo oneri passivi, ma anche ricavi delle locazioni di circa 20 case e altri immobili di proprietà che fruttano 4,8 milioni, in aumento di 180 mila euro rispetto all'anno prima mentre gli altri ricavi (riaddebiti ai locatari dei costi sostenuti per la gestione delle case), ammontano a 14,8 milioni». 

Sempre nelle carte spuntano alcune curiosità. Per le ville i Berlusconi hanno pagato 369.376 euro di c: la cifra appare modesta ma solo perché l'imposta municipale introdotta dal governo Monti nel 2011 nella manovra salvaItalia, si calcola sui valori catastali e non su quelli reali. 

Altre curiosità messe nero su bianco nel rendiconto firmato da Giuseppe Spinelli, il ragioniere da sempre al fianco del cavaliere, per giornali e abbonamenti a riviste nelle ville sono stati spesi 628 euro, questo significa che si comprava un quotidiano al giorno. La mensa aziendale riservata agli 11 dipendenti iscritti a bilancio è costata 8.577 euro.

[…]

Estratto dell'articolo di Mario Gerevini per il “Corriere della Sera” il 18 giugno 2023. 

«Abitazione categoria A5 di tipo ultrapopolare all’indirizzo di viale Venti Settembre 54», dicono le carte del catasto sotto il codice fiscale di Silvio Berlusconi. Ultrapopolare? Dovrebbe esserci anche questo piccolo immobile nel testamento. 

È tuttora nel suo patrimonio personale, insieme a ville da centinaia di milioni, residenze in Costa Azzurra, a Porto Rotondo e ai Caraibi. «Due vani», specificano le carte. E insieme a tutto il resto dovrebbe essere destinato agli eredi. 

L’origine è assai curiosa e riporta a una storia di qualche anno fa. Il Cavaliere l’ha ereditato da un pittore triestino, Glauco Dimini, morto nel 2015. Era il suo atelier e nelle ultime volontà scrisse proprio che lo lasciava a Berlusconi di cui era grande estimatore. […]

Non c’è soltanto Fininvest, il mattone, piccolo o grande che sia, resta un nodo da sciogliere nella successione. Tutto sommato, è relativamente semplice dividere il capitale di una società. Ma le residenze di famiglia? A chi andrà Villa San Martino ad Arcore, simbolo del potere berlusconiano? E la faraonica Villa Certosa in Sardegna che ha accolto in ciabatte e bermuda capi di Stato e potenti di mezzo mondo? Possiamo immaginare che Arcore sarà venduta? O gli appartamenti di Viale San Gimignano a Milano dove si trasferì negli anni Sessanta Rosa Bossi, mamma del Cavaliere?

Più facile che vengano divise tra gli eredi alcune proprietà da mettere sul mercato e dunque destinate ad essere «monetizzate». Tra queste il principale asset, la villa di Porto Rotondo che una perizia ha valutato 259 milioni ma che sul mercato potrebbe trovare acquirenti anche a prezzi molto superiori. Il nodo da sciogliere, anche qui, è l’esistenza di una società, Immobiliare Idra, che detiene le principali proprietà (Arcore, Certosa ecc), in carico per un valore di 412 milioni. Non ha reddito proprio ma solo i costi di conduzione delle ville che sono intorno ai 20-25 milioni annui.

Di fatto si regge grazie ai finanziamenti del socio (il Cavaliere finora) e, in ultima analisi, al supporto di Fininvest. Quindi rendere autonomi, eventualmente, i singoli asset è una manovra complessa che richiede operazioni di ingegneria finanziaria. 

Alla fine sono soltanto quattro gli immobili di cui l’ex leader di Forza Italia aveva la proprietà personale, non ingabbiati in una società e che dunque potrebbe aver attribuito direttamente agli eredi senza filtri azionari.

Il primo è la dimora storica di Milano-San Gimignano. Il secondo è il villino «Due Palme» di Lampedusa (250 metri quadrati) di cui annunciò l’acquisto nel 2011 dopo essere atterrato sull’isola, assediata dagli sbarchi. Il terzo era uno dei rifugi preferiti da Berlusconi fuori dalla Brianza: Villa Campari sul Lago Maggiore, a Lesa, poco distante dalla casa che fu di Mike Bongiorno. […] Infine, il quarto: le due stanze dell’eccentrico artista triestino. 

[…]  anche le storiche imbarcazioni Principessa Vai Via, il Magnum 70 e la «San Maurizio». E poi le opere d’arte, alcune — si dice — di grande valore. 

Tra i racconti leggendari su Berlusconi, anche quello di un hangar con 24 mila quadri. «Era un divertimento che sostituiva l’amore per le donne — ha detto Vittorio Sgarbi qualche giorno fa smorzando gli entusiasmi sul valore delle opere —. Ma come per tutti i cacciatori, anche per lui non era importante la qualità, ma la quantità. In realtà, sarebbe stato meglio prenderne 2.400 buoni piuttosto che 24 mila così così».

Estratto dell’articolo di Daniela Polizzi e Mario Gerevini per il “Corriere della Sera” il 17 giugno 2023.

Via via che passano i giorni e cresce l’attesa per la successione di Silvio Berlusconi, si fa sempre più nitida e centrale la figura di un ragioniere di Bresso (Mi) che custodisce i segreti delle finanze del Cavaliere. Così vicino all’ex premier che anni fa gli inquirenti non poterono neppure perquisire il suo ufficio di Segrate in quanto risultava di pertinenza di Berlusconi parlamentare. 

Giuseppe Spinelli (81 anni) è il presidente delle quattro finanziarie del fondatore che hanno la maggioranza (61%) del gruppo Fininvest. E con lui, l’altra storica presenza nelle casseforti di famiglia è quella di Salvatore Sciascia (80 anni).

L’ora dell’apertura del testamento, a dar retta ai deboli segnali che circolano, non è ancora arrivata e potrebbe slittare di qualche giorno. Ma non sono da escludere sorprese e improvvise accelerazioni anche perché in gioco, al di là di un paio di miliardi tra ville e altri beni, ci sono gli assetti di una holding che controlla società quotate in Borsa (Mfe-Mediaset, Mondadori) [...] 

In più è alle porte un’assemblea che a fine giugno oltre all’approvazione, scontata, del bilancio 2022, dovrà rinnovare il consiglio di amministrazione. E questo secondo punto all’ordine del giorno potrebbe essere subordinato ai nuovi equilibri che si delineeranno nel capitale. 

In ogni caso qualunque scelta abbia fatto il Cavaliere nel testamento (dove aveva margine per disporre di un terzo del suo patrimonio mentre il resto rappresenta la quota legittima) si dovrà passare da Giuseppe Spinelli, sia per le ville che per la Fininvest. Una vita dietro le quinte, al servizio del capo, più che un segretario, un direttore finanziario, un amministratore delegato ad personam. «Assume la presidenza, a norma di statuto, il presidente del Consiglio di amministrazione, sig. Giuseppe Spinelli»: da tantissimi anni si aprono così le assemblee delle holding personali di Silvio Berlusconi, cioè le quattro sorelle Holding Italiana Prima, Seconda, Terza e Ottava che hanno il controllo di Fininvest.

Il ragioniere presidente, con vice (e analoghi poteri) alternativamente Marina e Pier Silvio Berlusconi. Ma l’ex dipendente della Lodigiani che Berlusconi assunse nel 1978 all’Edilnord è anche il vicepresidente delle due casseforti di Marina e Pier Silvio, il che significa, complessivamente, gestire e rappresentare circa il 76% della capogruppo. 

L’ex premier ha voluto il ragioniere di Bresso, che vive in un anonimo condominio di sette piani nel comune a nord di Milano, anche al governo della Dolcedrago, insieme ad altri due professionisti del team operazioni riservate, Giuseppino Scabini (75) e Marco Sirtori (57), specializzati nell’immobiliare. Dolcedrago presiede una buona parte del mattone di Berlusconi: da Villa Certosa in Sardegna alla Lampara a Cannes, Villa Zeffirelli a Roma.

Non è escluso che il ruolo di Spinelli come esecutore e garante da più di 40 anni della volontà del “capo”, sia riconosciuto anche nel testamento. «Seguo l’amministrazione di quasi tutta la famiglia mica solo il dottor Berlusconi ma anche i figli. E sono responsabile di un po’ di società», disse in aula per il processo Ruby. «Guadagno — aggiunse — 13 mila euro lordi al mese». 

Dieci anni fa il tesoriere di Berlusconi subì con la moglie un sequestro di 11 ore nella sua casa; i rapitori, poi arrestati e condannati, puntavano al denaro del Cavaliere. Un ruolo analogo a quello di Spinelli — ma declinato sugli affari fiscali — lo svolge Sciascia, mantovano, entrato in Fininvest come tributarista nel 1982.

[…] è nel cda della Fininvest ed è sindaco in quelli delle holding di tutti e cinque i figli. Quindi anche della Holding quattordicesima che fa capo ai tre figli minori del Cavaliere, Luigi, Barbara ed Eleonora. Qui Sciascia è il collegamento tra il vecchio e il nuovo mondo rappresentato dai tre fratelli dai quali è amato, rispettato e ascoltato.

Estratto dell’articolo di Carlo Di Foggia per il “Fatto quotidiano” il 15 giugno 2023.

 Silvio Berlusconi la definì “immorale”, […] l’astio per l’imposta di successione è, tra gli altri, uno dei grandi lasciti dell’ex Cavaliere, una battaglia combattuta fin da quando, nel 2001, appena tornato a Palazzo Chigi la abolì nonostante fosse stata ridotta ai minimi termini dal governo Amato. Una battaglia assai poco disinteressata, visto che lascia un’eredità tra le più ingenti degli ultimi anni, seconda solo a quella di Leonardo Del Vecchio, deceduto l’anno scorso. 

Forbes ha stimato il patrimonio di Silvio Berlusconi in 6,4 miliardi. Esagerata o no come valutazione, se va bene (per lo Stato) gli eredi pagheranno briciole, se va male quasi nulla, grazie a esenzioni generosissime senza eguali tra i grandi Paesi europei.

Una breve premessa: che le tasse sulle eredità in Italia siano troppo basse è un dato di fatto. L’ultimo report sul tema, stilato dall’Ocse a maggio 2021, mostra che nei Paesi avanzati l’aliquota media applicata è del 15%. Quasi il doppio di quella massima applicabile in Italia (8%), ma nella stragrande maggior parte dei casi non si paga nulla, visto che la franchigia è comunque di 1 milione per i discendenti diretti (le eredità sopra i 5 milioni sono lo 0,2% del totale). Allora quanto dovranno pagare gli eredi di Berlusconi?

Quella che segue è solo una simulazione senza pretesa di fornire cifre esatte, tanto più che i lasciti testamentari dell’ex premier non sono ancora noti […] La principale eredità di Berlusconi è la quota di controllo di Fininvest, holding dell’impero che controlla, tra l’altro, il 50% di MediaForEurope, 30% di Mediolanum e 53% di Mondadori, 2,4 miliardi a valori di Borsa). B. ne aveva il 61%, il resto – al netto del 2% di azioni proprie – è diviso in quote del 7% circa ciascuno tra i due figli di primo letto, Pier Silvio e Marina, e i tre di secondo, Eleonora, Luigi e Barbara.

La legge prevede un’aliquota del 4% sui lasciti ai discendenti diretti ma il problema è la base imponibile. Se si usasse il valore contabile, l’incasso sarebbe ancor più misero visto che Fininvest ha patrimonio netto di 1,5 miliardi (a bilancio 2021, l’ultimo disponibile), perché non essendo quotata ha meno obblighi di aggiornare i valori delle sue partecipazioni, alcune delle quali sono al “costo storico”, tipo il 30% di Mediolanum, vero piatto forte della casa: vale 1,8 miliardi in Borsa, ma 116 milioni a bilancio, quasi fosse l’aggiornamento all’inflazione dei 280 milioni di lire investiti da Berlusconi a inizio anni 80 nella società dell’amico Ennio Doris (considerati pure i 900 milioni di dividendi incassati, la plusvalenza è stellare).

Di norma, però, il Fisco considera il “valore effettivo”, che non dovrebbe discostarsi molto da quello di Borsa, almeno per le quotate. Per le altre si dovranno vedere i valori di mercato: ciò vale anche per le società immobiliari racchiuse nella holding Dolcedrago controllata da Berlusconi che custodisce alcune delle ville più famose (San Martino ad Arcore, Certosa in Sardegna, Grande a Roma etc.) valutate circa mezzo miliardo. 

A conti fatti, ai valori di Borsa, i figli dovrebbero pagare circa 160 milioni. Applicando quell’aliquota alle stime di Forbes (6,4 miliardi) si arriverebbe a 270 milioni, ma questo solo se Berlusconi decidesse di dare ai figli tutto, compreso il 30% di patrimonio di cui può disporre liberamente, altrimenti la cifra potrebbe salire un po’, visto che i discendenti non diretti devono pagare l’8% (vale per la compagna Marta Fascina che, stando a quanto filtra, potrebbe ricevere circa 100-120 milioni e due ville).

Problema: almeno per Fininvest, gli eredi diretti di Berlusconi potrebbero non dover pagare niente se la cessione viene effettuata in modo da garantire il controllo unitario dell’azienda ai figli, che si impegnano a mantenerlo per almeno 5 anni. È un’esenzione voluta nel 2006 dal governo Prodi, che reintrodusse la tassa di successione ma con questa deroga (permessa anche con il “patto di famiglia”) che l’anno dopo fu estesa anche al coniuge. 

È una norma nata per evitare che guerre dinastiche affossino le imprese, ma nei grandi Paesi Ue l’esenzione si traduce in uno sconto sulla base imponibile, in Italia invece nella cancellazione totale di un’imposta già bassissima […] Finirà così se Berlusconi ha deciso di cedere le quote di controllo a Marina e Pier Silvio. 

[…] In Francia l’imposta di successione su patrimoni multimilionari lasciati a moglie e figli arriva al 45%, negli Usa e nel Regno Unito al 40%, in Spagna al 34%, in Germania al 30%. Se il patrimonio di Berlusconi fosse passato di mano a Parigi le imposte oscillerebbero tra 1,5 e i 2,9 miliardi. Non è un caso che in Italia il gettito sia misero: 766 milioni nel 2019, 429 milioni nel 2020, 831 milioni nel 2021 e 457 nel primo semestre 2022.

[…]

Estratto dell’articolo di Mario Gerevini per il “Corriere della Sera” il 15 giugno 2023.

E adesso al lavoro, direbbe Silvio Berlusconi. […] le ultime volontà del fondatore […] è la sintesi di due parole: continuità e compattezza. […] Tradotto e trasferito sul piano della governance societaria vuol dire che uno spezzatino del Biscione è assai improbabile.

Dunque l’idea che Banca Mediolanum possa «sganciarsi» da mamma Fininvest per avvicinarsi ai tre figli più giovani lasciando campo libero a Marina e Pier Silvio su Mondadori e Mfe-Mediaset, è un’ipotesi che circola ma - secondo fonti convergenti - corre nel vuoto.

È evidente che questi sono i giorni delle congetture anche suggestive. Per esempio c’è chi afferma che le fideiussioni di Berlusconi sui debiti di Forza Italia (92 milioni) sarebbero garantite da patrimonio personale e sarebbero materia di testamento. I fatti concreti, però, li leggerà solo il notaio, dando per scontato ciò che ancora non lo è al 100%, e cioè l’esistenza di un testamento. Tempi brevi I tempi potrebbero essere brevi, il notaio dovrebbe essere Arrigo Roveda di Milano.

[…] Tempi ravvicinati perché l’assemblea Fininvest per bilancio e nomine è alle porte (29 giugno) e poi perché il gruppo ha aziende quotate in Borsa e la speculazione prospera se gli argini informativi si abbassano. Si è intanto fermata la corsa dei titoli Mfe-Mediaset che ieri hanno chiuso in calo (-2,82% per Mfe A e -2,45% per Mfe B), dopo la volata delle ultime sedute (+25% per le azioni di tipo A e +16% per quelle di tipo B, che hanno più peso come diritti di voto e sono meno volatili).

La speculazione sui titoli ruotava sul futuro controllo di Fininvest che, come ormai è noto, sarà chiarito solo all’apertura del testamento. […] Resta il fatto che oggi Mfe con i suoi 1,75 miliardi di capitalizzazione (cioè il valore in Borsa del 100% del capitale) è lontana anni luce dall’essere quel treno ad alta velocità e ricchi dividendi che trainava tutto il gruppo. Il top lo raggiunse nel 1999 con 18 miliardi di capitalizzazione. 

Oggi è Mediolanum (6,2 miliardi di capitalizzazione) la gallina dalle uova d’oro e non solo per le cedole: il 30% di Fininvest è in bilancio a 116 milioni ma vale 1,85 miliardi e dunque la plusvalenza potenziale è enorme. […]

Estratto da open.online il 14 giugno 2023.

Il testamento di Silvio Berlusconi si trova nelle mani del notaio Arrigo Roveda dello Studio RLCD di Milano. Lì sono contenute le ultime volontà dell’ex premier sulla destinazione del 33% del suo patrimonio. La legge infatti stabilisce questa regola per chi non ha coniuge ma ha più figli. La liquidità totale, scrive oggi il Corriere della Sera, dovrebbe ammontare a circa 1,3 miliardi dei 4 totali. Il calcolo si ottiene sommando partecipazioni azionarie e immobili. Mentre le opere d’arte e i beni non registrati sono fuori da questa valutazione. Ma intanto l’ultimo aggiornamento delle disposizioni ha visto una novità. Ovvero la destinazione di una somma di denaro per Marta Fascina.

La spartizione

Il Messaggero scrive oggi che l’ultima modifica del testamento è stata effettuata prima del penultimo ricovero al San Raffaele di Milano. Tra le ultime volontà è stata aggiunta appunto la destinazione di una somma di denaro per la donna che l’ex premier chiamava “moglie”. Ma c’è anche un’altra novità che riguarda le ultime volontà dell’ex Cavaliere.

Berlusconi ha destinato il 61% delle Holding Italiana Prima, Seconda, Terza e Ottava ai figli. Ovvero Marina e Pier Silvio, nati dal primo matrimonio con Carla Elvira Dall’Oglio. E poi Barbara, Eleonora e Luigi arrivati dall’unione con Veronica Lario. Le ultime volontà faranno sì che il controllo di Mediaset resti ai due figli maggiori. Ma Berlusconi ha anche emulato lo spirito dei meccanismi di stabilità di Leonardo Del Vecchio in Delfin. Per avere l’assicurazione che i figli non litighino e non si spacchino sul futuro del gruppo. 

L’85%

In questa ottica Del Vecchio ha deciso che le decisioni straordinarie si potranno prendere solo con la maggioranza qualificata dell’85%. Berlusconi potrebbe essere andato oltre, chiedendo addirittura l’unanimità. Questo significa che chi vorrà provare a comprare le aziende dovrà avere l’ok di tutti i figli. L’altra ipotesi è che l’ex premier abbia fissato un quorum molto alto per le decisioni strategiche. A parte la tv, la ripartizione della parte restante del patrimonio dovrebbe rispecchiare un equilibrio tale da evitare le liti. Il Corriere dettaglia i termini del lascito: il fondatore deteneva il 61%. Il 40% viene assegnato in automatico ai figli, che ricevono una quota dell’8% a testa. Marina e Pier Silvio hanno quindi il 16% ciascuno. Mentre gli altri tre hanno il 46% e quindi la maggioranza relativa. Il dividendo ogni anno è sontuoso: l’anno scorso è stato di 150 milioni, da distribuire per quote del capitale. 

Il lodo Fascina (e altri)

Il quotidiano ipotizza anche che Fascina e altre persone vicine a Berlusconi (come Fedele Confalonieri e Adriano Galliani) possano essere entrati nella cassaforte per volontà dell’ex premier. Ma si tratta di congetture e ipotesi. Di vero c’è sicuramente che la partecipazione di Berlusconi in Fininvest non è diretta ma mediata da quattro holding (H1, H2, H3 e H8). 

L’ex premier ha anche costituito una società semplice chiamata “Forza 5”. Come il numero di figli. Ma a quanto pare dentro c’è soltanto il possesso di una barca. Da anni sono state smantellate le fiduciarie che schermavano la proprietà. Mentre nell’estate 2022 la Holding Italiana 14 è stata divisa in due. Trasferendo una parte consistente del patrimonio in un’altra società. Dove sono finiti anche gli strumenti finanziari di acquisto per tre manager. Il tutto allo scopo di mantenere “pulito” l’azionariato. 

(...)

Estratto dell'articolo di Mario Gerevini per il Corriere della Sera

Il sipario sull’eredità di Silvio Berlusconi potrebbe alzarsi in tempi brevi, addirittura - secondo alcune fonti - nei giorni immediatamente successivi ai funerali. E all’assemblea Fininvest di fine giugno per bilancio e nomine si arriverebbe dunque con gli assetti già definiti. Confermati o modificati? È il principale interrogativo. 

(...)

Il testamento

Dunque se esiste, come pare assai probabile, un testamento, magari con aggiornamenti successivi, lì dentro sono contenute le volontà di Berlusconi sulla destinazione del 33% del patrimonio. Cioè la quota disponibile per chi non ha coniuge ma più figli (5 in totale). Ciò significa grosso modo 1,3 miliardi dei 4 miliardi complessivi, calcolando partecipazioni azionarie e immobili. Altro discorso, sono opere d’arte e beni non registrati che sfuggono a una classificazione e valutazione. Ma in quel 33% dovrebbe rientrare anche la quota Fininvest.

I blocchi 32%-46%

Semplificando (la questione è decisamente più complessa): poiché il fondatore deteneva il 61% questo significa che circa il 40% viene assegnato in automatico ai figli (8% a testa) che sono gli unici altri azionisti della holding alla testa del gruppo. Il risultato è che già oggi Marina e Pier Silvio hanno poco meno del 16% ciascuno (32% cumulato), mentre i tre figli del secondo matrimonio con Veronica Lario (Barbara, Luigi ed Eleonora) vanno complessivamente al 46% e dunque raggiungono la quota di maggioranza relativa. Per dare un’idea terra terra: il dividendo l’anno scorso era stato di 150 milioni da distribuire in percentuale sul capitale.

L’incognita Fascina

Dunque in questa ripartizione (32%-46%) il 20% è dirimente per il controllo. Ed è nella gestione di questo pacchetto che il Cavaliere potrebbe aver deciso di far entrare nella cassaforte Marta Fascina e, ipotizzano altre fonti, anche alcuni storici amici come Fedele Confalonieri e Adriano Galliani. Ma si tratta di pure congetture la cui fondatezza potrà essere verificata solo alla lettura del testamento dal notaio. Nella storia di Fininvest, almeno da quando decenni fa sono state smantellate le fiduciarie che schermavano la proprietà, nessun membro esterno alla famiglia Berlusconi è mai entrato nel capitale.

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Roveda, chi è il notaio del testamento di Berlusconi: «Prima non interessavo a nessuno». Storia di Valentina Iorio su Il Corriere della Sera il 15 Giugno 2023.

Il velo sui futuri assetti azionari di Fininvest, la holding della famiglia che controlla MFE-Mediaset, Mondadori e detiene il 30% di Banca Mediolanum, potrebbe alzarsi presto. Le ultime volontà di Silvio Berlusconi dovrebbero essere nelle mani del suo notaio «storico», il milanese Arrigo Roveda, che ha seguito Fininvest dai tempi delle prime operazioni immobiliari e il Milan. Nella sede di via Mario Pagano a Milano le bocche sono cucite, ma non del tutto.«Non parlo di temi legati alla vicenda di cui i giornali stanno trattando in questi giorni», ha detto il notaio all’Adnkronos. «Lo faremo a bocce ferme», ha aggiunto, semmai dovesse ancora interessare. «E non credo perché prima non interessavo a nessuno».

Chi è Arrigo Roveda

Arrigo Roveda, nato a Milano il 6 agosto 1962, si laurea in Giurisprudenza nel novembre del 1985 presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore con una tesi in Diritto Civile sul contratto di leasing. Diventa notaio nel 1990 ed è uno dei nomi di spicco dello studio RLCD di via Pagano. Poi ha insegnato presso la Scuola di Notariato della Lombardia, diventando prima responsabile del corso «Obbligazioni e Contratti» e poi del corso «Contratto in generale». Attualmente collabora al corso per i Giuristi d’Impresa tenuto dall’Università Bocconi. Dal febbraio 2013 al febbraio 2017 è stato presidente del Consiglio notarile di Milano. Dal 1° gennaio 2021 è direttore di FederNotizie.

Il testamento

Negli anni Roveda ha seguito molte operazioni immobiliari del gruppo Fininvest e del Cavaliere. Come ha ricordato Mario Gerevini sul , 30 anni fa nello studio Roveda nacque «Forza Italia! Associazione per il buon governo», il primo nucleo del partito fondato da Berlusconi. Secondo diverse potrebbe essere lui nei prossimi giorni a leggere il testamento del Cavaliere e a rivelare la destinazione del 33% del patrimonio, ovvero la quota che chi non ha coniuge ma ha più figli può scegliere liberamente a chi destinare. Una quota che corrisponderebbe grosso modo a 1,3 miliardi dei 4 miliardi complessivi.

Le ultime volontà di Berlusconi: gli scritti sulla guerra in Ucraina, il testamento e la successione. A Kiev lo hanno definito "l'amico del dittatore Vladimir Putin". Berlusconi avrebbe lasciato delle prese di posizioni sulla guerra. Il futuro del patrimonio e le stime sull'eredità alla compagna Marta Fascina. Redazione Web su L'Unità il 15 Giugno 2023

A Kiev lo hanno definito “l’amico del dittatore Vladimir Putin”, per le sue posizioni sulla guerra in Ucraina. Alla notizia della morte di Silvio Berlusconi l’agenzia di stampa Unian aveva ricordato che “dopo l’inizio dell’invasione da parte di Mosca nel febbraio 2022 e l’introduzione delle prime sanzioni dell’Occidente, Berlusconi ha giustificato l’azione dell’aggressore, sottolineando che la Russia ‘non poteva far altro che proteggere i cittadini ucraini di origine russa, che considera fratelli'”. Fino a quando è stato possibile, fino a quando le sue condizioni di salute non precipitassero definitivamente, l’ultimo pensiero di Silvio Berlusconi è stato proprio per la guerra in Ucraina. Lo ha detto, all’uscita dai funerali dell’ex Presidente del Consiglio al Duomo di Milano, il direttore del Tg di La7 Enrico Mentana.

L’ultima cosa che l’ex premier aveva preparato era una sorta di breve commento, di presa di posizione sulla guerra in Ucraina e sugli sforzi che l’Europa dovrebbe fare per favorire il negoziato. “Come abbiamo visto dalle ultime foto, sembrava una persona molto vicina all’atto finale, ma ancora lavorava”. Non è chiaro se quelle parole saranno diffuse ma “testimoniano una forza vitale, che è rimasta tale fino a quando non è stato più possibile averla”, ha aggiunto il giornalista. Berlusconi aveva creato scompiglio nelle posizioni atlantiste e occidentali assunte dall’Italia sul conflitto dopo che aveva definito Putin “una persona di pace e sensata”.

Aveva detto di aver ricevuto nonostante le sanzioni dal Presidente russo venti bottiglie di vodka “e una lettera dolcissima” a cui aveva risposto con bottiglie di Lambrusco “e con una lettera altrettanto dolce”. Aveva giudicato “inopportuno” l’incontro della premier Giorgia Meloni con il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev, il quale se avesse voluto evitare la guerra “bastava che cessasse di attaccare le due Repubbliche autonome del Donbass”, aggiungendo di giudicare “molto negativamente il comportamento di questo signore”. Unian nel suo articolo ha ricordato la visita nel 2015 di Berlusconi nella Crimea occupata da Mosca un anno prima e il suo incontro con Putin. Kiev gli aveva vietato l’ingresso sul suo territorio per tre anni. Il sito Myrotvoretz, considerato vicino ai servizi ucraini, aveva pubblicato una foto di Berlusconi con la scritta rossa “liquidato”. L’articolo riportava anche “le fughe di notizie delle registrazioni audio alla fine hanno mostrato che Berlusconi considerava Zelensky il responsabile dell’invasione russa ed era scontento del sostegno dell’Italia a Kiev”.

Putin, ormai da tre mesi destinatario di un mandato di cattura internazionale della Corte Penale Internazionale, alla notizia della morte aveva inviato un telegramma di condoglianze ricordando “una persona cara, un vero amico. Sarà ricordato in Russia come costante e principale sostenitore del rafforzamento di rapporti amichevoli tra i nostri Paesi”. I due erano amici, Putin ha invitato spesso nella sua dacia di campagna Berlusconi, quest’ultimo invitò diverse volte il presidente russo nelle sue proprietà in Sardegna. L’Italia di Berlusconi spinse tantissimo per avvicinare la Russia all’Occidente. Dal 1997 al 2014 il G7 venne allargato alla Russia, nel 2002 furono firmati gli accordi di cooperazione economica e politica tra Russia e NATO nella base militare italiana Pratica di Mare, il maggior successo di Berlusconi che rivendicava ogni volta ne avesse occasione di aver “fermato la Guerra Fredda”. Buoni propositi traditi dall’invasione russa della Georgia nel 2008 e da quella della Crimea, ancora oggi occupata, nel 2014.

Altre indiscrezioni emergono sulle volontà ultime di Berlusconi. Sarebbe stato noto da tempo che l’intenzione dell’ex premier era di essere cremato. Berlusconi aveva voluto lui stesso la cremazione dei resti dei suoi genitori e della sorella, inizialmente seppelliti al Cimitero Monumentale di Milano. La cremazione avverrà nel tempio crematorio Panta Rei di Valenza, in provincia di Alessandria. Le ceneri saranno portate a villa San Martino ad Arcore, presso il mausoleo commissionato a Pasquale Cascella e costruito nel 1993. Ad Arcore era stata celebrata una prima messa martedì scorso. Il testamento di Silvio Berlusconi, al momento sotto la custodia del notaio Arrigo Roveda dello Studio RLCD di Milano, sarà aperto nei prossimi giorni.

I documenti conterrebbero disposizioni sulla successione. Il controllo delle aziende dovrebbe rimanere saldo nelle mani dei cinque figli di Berlusconi. Il tema centrale della successione è la divisione di oltre il 60% di Fininvest in capo al fondatore. Se la quota di Silvio Berlusconi venisse assegnata in parti uguali ai cinque figli, la maggioranza della holding di famiglia farebbe riferimento ai figli Barbara, Eleonora e Luigi. I figli Marina e Piersilvio dovrebbero ereditare il controllo di Mediaset. Confuse le stime sul lascito di Marta Fascina, che oscillano dai 50 ai 120 milioni secondo i giornali, più eventuali immobili.

Redazione Web 15 Giugno 2023

Liquidare l’eredità di Berlusconi: ecco il destino di Marina. GIULIA MERLO su Il Domani l’11 aprile 2023.

La figlia di Berlusconi, eterna possibile guida di Forza Italia e dirigente d’azienda, progetta il futuro, che passa dalla cessione del partito a Meloni e di Mediaset a Vivendi.

Milanese, cronicamente timida ma autoritaria, teme nuovi rischi giudiziari e punta a evitare lotte fratricide per i tesori di famiglia, minando l’equilibrio di una holding ormai europea.

Tuttavia sarà sempre lei, Marina, a tirare le fila per il dopo. Progettando, come è spesso destino per i figli, un futuro lontanissimo dalle speranze paterne.

Della discesa in politica di Marina si parla ogni volta che per Silvio Berlusconi sembra finita, per ragioni giudiziarie o di salute. L’ineluttabilità del passaggio di testimone dal padre alla figlia è diventato ormai un luogo comune della politica, come l’eterna corsa di Pierferdinando Casini per il Quirinale e il dualismo tra Matteo Salvini e Luca Zaia.

Sulla carta sembrerebbe la soluzione giusta per una epopea politica che ha fatto del culto della personalità il suo tratto distintivo: secondo le leggende di Arcore, la primogenita è quella che somiglia di più al padre, per piglio leaderistico più che per carattere. È donna, manager di una delle holding più grandi d’Europa. Soprattutto, di cognome si chiama Berlusconi. Per un partito personale che funziona quasi come una corte medievale, la successione dinastica sarebbe tutt’altro che fuori luogo.

QUANDO TUTTO È COMINCIATO

Lei, Marina, ha pubblicamente sempre smentito l’idea e soprattutto la praticabilità di una dinastia Bush in salsa italiana. L’ultima volta, seccamente, nel 2017 con un comunicato stampa. Si stavano avvicinando le elezioni politiche del marzo 2018 e il panorama di centrodestra era più confuso che mai, con l’ascesa della Lega e del suo leader, Matteo Salvini, e i primi segnali del tramonto su Forza Italia.

Anche allora si immaginava che il Cavaliere rinunciasse all’ennesimo giro di valzer in campagna elettorale e, come sempre in questi momenti, il nome della primogenita era tornato ad alimentare i rumors. «Non è mai stata presa in considerazione né da me né da mio padre e la smentisco ancora una volta nel modo più categorico», ha scritto lei, aggiungendo che «proprio per il grande rispetto e la concezione stessa che ho della politica ritengo che la leadership in questo campo non si possa trasmettere per investitura o per successione dinastica».

Sei anni dopo quel comunicato, però, la saga dell’erede di Arcore continua ad essere più viva che mai.

QUANDO È INIZIATA

La prima vera occasione in cui il nome di Marina è sembrato la soluzione chiara e inevitabile è stata alla vigilia della prima e unica sentenza di condanna che ha colpito il Cavaliere.

L’ultimo governo Berlusconi si era drammaticamente concluso, nel 2011, con la minaccia della Trokia europea, il rischio di dissesto economico e la mossa del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, di insediare a palazzo Chigi il governo dei professori guidato da Mario Monti. Alle elezioni del 2013, il Cavaliere si era presentato sull’onda del suo ultimo colpo di teatro: prima il sì e poi il no alle primarie dell’allora Popolo delle Libertà – il contenitore che inglobava il centrodestra senza la Lega – e una campagna durissima conclusa con una sconfitta di misura contro il centrosinistra di Pierluigi Bersani, passato alle cronache come la «non vittoria». Poi la svolta del predellino, con l’annuncio della rifondazione di Forza Italia.

Poco dopo, però, sul Cavaliere cala la scure giudiziaria: il 1 agosto del 2013 il leader era senatore da pochi mesi e arrivò la condanna in via definitiva per frode fiscale, nell’ambito del cosiddetto processo Mediaset.

Doveva essere il colpo di grazia: una condanna penale con affidamento in prova ai servizi sociali e la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici. Ma soprattutto l’onta della decadenza da senatore per colpa di quella legge Severino approvata dal governo dei professori.

È allora che le voci su Marina si fanno più insistenti che mai. Come fa un leader a guidare il partito da fuori il parlamento? Berlusconi ha già 76 anni e una salute messa alla prova da un’operazione al cuore.

In un agosto infuocato iniziano i retroscena sulla stampa, con il racconto di un tavolo di guerra tenuto ad Arcore con tutti i vertici aziendali proprio come nel 1994 e il casting per selezionare una nuova generazione politica, e le dichiarazioni dei generali del PdL. Da una parte le entusiaste, in particolare l’allora fidanzata di Berlusconi, Francesca Pascale, la fedelissima Maria Rosaria Rossi e l’amazzone Micaela Biancofiore, dall’altra lo scetticiso dei generali come Ignazio La Russa, Renato Brunetta e soprattutto l’aspirante successore attraverso le primarie mai celebrate, l’attuale ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto.

Marina, dopo 14 giorni di silenzio e voci più forti che mai del suo passo avanti, ricorre a una nota: «Dal momento che ogni mia dichiarazione non è servita finora a fermare le voci su una possibile candidatura, devo ribadire ancora una volta, e nel modo più categorico, che non ho mai preso in considerazione l'ipotesi di impegnarmi in politica».

La suggestione, però, rimane sempre lì: un non detto costante. Anche perché lei è sempre un passo dietro al padre ma è pronta a difenderlo anche pubblicamente, con interviste ai giornali di famiglia e soprattutto a Panorama.

Chi frequenta Arcore, poi, sa che è Marina ad essere il baricentro della vita del Cavaliere e lo è diventata nella data spartiacque del 2008, anno della scomparsa della madre Rosa. La «mamma Rosa», che Berlusconi ha continuato a citare in ogni discorso anche recente, è rimasta fino all’ultimo il punto di riferimento del figlio e con la sua morte Marina ne ha preso il posto. Da allora è stata lei a gestire l’alternarsi delle fedelissime ad Arcore, da Maria Rosaria Rossi a Licia Ronzulli, ma anche a dare il placet alle fidanzate, da Francesca Pascale fino a Marta Fascina.

CHI È

Anche se pubblico, tuttavia, il profilo di Marina rimane avvolto nel mistero. Di lei si conosce una biografia cesellata dagli uffici stampa e una manciata di interviste attente, al ritmo massimo di un paio l’anno, tutte a giornali d’area e ben equilibrate, con una prima parte sempre economica e una seconda di lettura più politica, ma sempre attenta a non dire una parola di troppo.

Maria Elvira detta da sempre Marina, primogenita di Berlusconi e della sua prima moglie, la spezzina Carla Elvira dall’Oglio, è nata a Milano nel 1966. Sono gli anni in cui il Cavaliere getta le basi del suo successo economico: ha appena fondato la Edilnord e aperto i primi cantieri nella periferia milanese.

Chi la conosce sostiene che del padre abbia ereditato soprattutto il carattere fumantino e il decisionismo, dalla madre invece l’estrema riservatezza. La separazione dei genitori – nella vita di Berlusconi era già comparsa la seconda moglie, Veronica Lario – è stata forse uno dei pochi momenti di crisi vera tra padre e figli. La madre, Carla Elvira dall’Oglio, accettò la separazione consensuale nel 1985 e ha vissuto gli ultimi trent’anni ben lontana dalle telecamere, tra Londra e Milano. Nessuna dichiarazione pubblica, nessuna comparsata televisiva: l’ultima volta che la si è vista pubblicamente è stato proprio al fianco di Marina, con cui ha un rapporto stretto e costante, per accompagnarla a palazzo Marino, quando nel 2009 il comune di Milano guidato da Letizia Moratti l’ha insignita dell’Ambrogino d’oro.

Poco si conosce nel dettaglio anche della giovinezza di Marina. Si sa che non è mai arrivata alla laurea, dopo due cicli di studi – in giurisprudenza e scienze politiche – abbandonati al primo anno e mai portati a termine. La sua è stata un’istruzione domestica: destinata alla vita nell’azienda di famiglia, il padre le affiancò come mentore Fedele Confalonieri, attuale presidente di Mediaset. Il destino è quello di cominciare presto la gavetta nelle aziende di famiglia, ma che parte subito dall’alto. A 22 anni consigliere d’amministrazione della Standa. Nemmeno trentenne, poco dopo la trionfale discesa in campo di Berlusconi nel 1994, Marina assume la carica di vicepresidente di Fininvest (di cui oggi è presidente) e poi, nel 2003, della Mondadori.

Da quel momento in poi, le sue giornate sono descritte come assorbite dall’azienda e dalla famiglia, coi due figli nati dal matrimonio con il primo ballerino della Scala, Maurizo Vanadia. Da imprenditrice vecchio stampo, la sua vita da oltre trent’anni si svolge metodicamente: secondo il racconto ufficiale, dal lunedì al venerdì nel suo studio all’ultimo piano del palazzo di Segrate - dove si dice che arrivi molto presto la mattina ma in pochi ammettono di averla davvero incontrata - il finesettimana dedicato alla vita domestica e al suo buen retiro in Provenza.

LA SORELLA BARBARA

Inserita da anni nella liste delle donne più influenti del mondo dalla rivista americana Forbes, Marina ha attentamente costruito la sua immagine pubblica di manager con una precisa campagna di stampa. Dai primi anni, la sua ombra è stata l’ex giornalista di Panorama Franco Currò, oggi a capo della comunicazione di Fininvest.

Proprio lui sarebbe il suggeritore, come ghostwriter, delle sue interviste. Tutte rigorosamente scritte e nessuna televisiva, nonostante l’impero berlusconiano sia stato fondato soprattutto su Mediaset.

Il segreto peggio custodito di Arcore - e forse la prima ragione per cui una discesa in campo di Marina è difficilmente immaginabile – è infatti la terribile timidezza di Marina. Un limite, questo, che le impedisce di parlare in pubblico e che le renderebbe impossibile replicare quella che è stata la cifra comunicativa del padre.

Nessuno, infatti, ne conosce la voce, che si può ascoltare solo in qualche breve video di dichiarazioni strappate dai cronisti appostati fuori dalla sede dell’Antitrust dopo la multa inflitta a Mediaset nel 2016 e nell’atrio davanti alla sede di Mondadori.

Proprio questo difetto sarebbe stato vissuto come un dramma privato da Marina, così legata al mito del padre, ma anche ragione di scontri e invidie con la sorellastra Barbara. Proprio con lei, figlia di secondo letto di vent’anni più giovane, Marina ha avvertito più forte la rivalità, sia per ragioni ereditarie che personali. La disputa tra le due ha fatto tremare i muri di Arcore nel 2009 – era il periodo dello scandalo Ruby e della separazione di Silvio dalla seconda moglie Veronica Lario - quando Barbara tentò di strapparle la poltrona al vertice di Mondadori, a cui aspirava anche nell’ottica di riequilibrare i rapporti tra fratelli, e che Marina ha difeso strenuamente. Silvio, per calmare gli animi senza umiliare la primogenita, dirottò Barbara verso il consiglio d’amministrazione del Milan.

Ad acuire la tensione c’è stato però anche il fatto che Barbara è l’unica tra i Berlusconi di cui qualcuno si è azzardato a ipotizzare l’attitudine per la successione politica.

Le due hanno poco in comune. Timida e introversa Marina, ossessionata dalla privacy e riservatissima in famiglia. Esuberante e solare Barbara, cinque figli con due compagni diversi e flirt da copertina con vip, come quello con il calciatore del Milan Alexandre Pato quando la squadra era ancora proprietà di famiglia. Chi l’ha vista crescere ne ricorda anche le frequentazioni giovanili coi figli di Ignazio La Russa e Giulio Tremonti, ma soprattutto la nascita sotto la stella della politica, visto che il suo padrino di battesimo fu l’ex leader socialista Bettino Craxi.

In quel 2013 della condanna definitiva di Berlusconi, anche di Barbara si iniziò a fare il nome come erede: inaspettatamente, infatti, la terzogenita era scesa in campo in prima persona per difendere pubblicamente il padre, partecipando al forum di Cernobbio e attaccando duramente i magistrati nelle interviste, e privatamente tentando di convincerlo a firmare la richiesta di grazia.

LA PAURA DELLA GIUSTIZIA

Al netto dei diversi tratti caratteriali e all’attitudine alla leadership, però, il vero timore di tutti i figli e in particolare di Marina sarebbe uno: «La persecuzione giudiziaria del padre l’ha segnata profondamente: ha visto cosa gli hanno fatto i tanti processi dal 1994 ad oggi», dice un ex parlamentare azzurro che ha partecipato alla fondazione di Forza Italia. La convinzione di Marina, infatti, sarebbe che una nuova discesa in campo significherebbe rimettere le aziende di famiglia nel mirino di quella che Berlusconi chiamava la “magistratura rossa”. Da manager quale è, lei ragiona in termini di utili e perdite e ha ben presente quale può essere il rischio aziendale di voler perpetrare lo sforzo politico della famiglia.

Per questo, l’ipotesi più accreditata in questi giorni in Transatlantico è che Marina abbia già silenziosamente messo in atto una sua personale strategia successoria, che più si attaglia al suo carattere. Partendo dall’assunto che, negli ultimi anni, la politica è stata più un cruccio che un guadagno per la famiglia Berlusconi.

Oggi, infatti, Forza Italia è considerato un asset improduttivo e piuttosto costoso, visto l’indebitamento per 90 milioni garantito da due fideiussioni personali di Silvio. Ma soprattutto, secondo i figli, sarebbe una sorta di veleno per il padre, ancora ammalato di politica al punto da aver voluto condurre, nonostante le sue precarie condizioni di salute legate alla leucemia, anche la campagna elettorale di settembre e da creduto davvero di poter aspirare al Quirinale, nel gennaio 2022. «Anche in quell’occasione era stata sempre Marina a tentare in tutti i modi di dissuaderlo, per tentare di preservarlo non solo dal punto di vista fisico, ma anche dell’immagine», racconta un forzista che era in parlamento al momento del voto.

Per questo, l’obiettivo della figlia è quello di rendere produttiva la politica, trattando Forza Italia esattamente come le altre società del gruppo, ma senza che possa più nuocere alla sua famiglia.

A questo sarebbe servita la svolta governista del mese scorso, orchestrata con il placet del vicepremier Antonio Tajani e l’aiuto del braccio in parlamento della compagna Marta Fascina. La primogenita ha così allacciato un contatto diretto e personale con la premier Giorgia Meloni, con cui le telefonate sono diventate più frequenti, e ha riportato al tavolo delle trattative coperte Gianni Letta. Ma soprattutto ha negoziato anche il passo successivo, che non avverrà in tempi brevi ma che è già pronto e nasce dalla valutazione dell’attuale scenario interno a Forza Italia.

Il partito è diviso in tre: alcuni singoli, che fanno gioco a sé e si continueranno a muovere autonomamente; il blocco capitanato da Ronzulli che ora è in minoranza e guarda verso la Lega; la compagine di maggioranza guidata dal duo Tajani-Fascina, che invece è orientato verso Fratelli d’Italia. Tutti e tre i gruppi, tuttavia, hanno un problema: nessuno è portatore di consenso elettorale, perché FI ha sempre goduto della forza trainante del suo leader. «Questo li rende radioattivi: in qualsiasi partito vadano saranno malvisti, perché occuperanno posti senza portare voti», è l’analisi di un ex azzurro della prima ora. Come uscirne, dunque? Secondo fonti interne a FI, la via d’uscita contrattata da Marina sarebbe quella di una aggregazione almeno della compagine di maggioranza dentro il partito di Meloni, in cambio dello stop alla belligeranza dentro al centrodestra, visto che i voti di Forza Italia sono determinanti per la tenuta parlamentare.

IL FUTURO DELLE AZIENDE

Il futuro di Forza Italia, tuttavia, è solo uno – e nemmeno il primo – dei pensieri di Marina.

La famiglia Berlusconi, infatti, somiglia alle altre grandi famiglie industriali italiane, dai Del Vecchio ai Benetton. Tutte con lo stesso problema di fondo: il passaggio e la sopravvivenza dalla prima alla seconda generazione, con figli cresciuti all’ombra dell’ego ingombrante dei genitori e a cui il testimone viene passato tardi.

Se la famiglia Agnelli ha sempre avuto come regola non scritta che la guida sarebbe stata mantenuta da un solo erede designato dal patriarca, per il clan Berlusconi un argomento tabù tanto quanto la leadership di Forza Italia è la futura divisione ereditaria degli asset di quella che ormai è una holding europea e non più un’azienda solo italiana.

«La chiave per capire il futuro è la vendita del Giornale», viene suggerito. In altre parole: negli ultimi anni, l’impero di Berlusconi si è mosso con criteri imprenditoriali anche nei settori più vicini al cuore del leader, come l’editoria. Nonostante la poca convinzione del Cavaliere, una società poco produttiva è stata ceduta – pur mantenendo come da sua richiesta una quota di minoranza – in modo da ridurre le perdite, in un settore che progressivamente ha smesso di essere il fulcro degli affari dell’impero di Arcore. Proprio questo stesso futuro, secondo le voci ormai sempre più forti tra i lobbisti di settore, toccherà a breve anche per Mediaset – ora MediaforEurope con sede in Olanda – per cui sarebbe già pronto come acquirente il francese Vincent Bollorè.

Proprio sullo smembramento di Mediaset, infatti, si gioca quell’eredità di cui Marina rappresenta solo un quinto.

La televisione di famiglia, che è progressivamente sempre più debole sul piano industriale, era un asset fondamentale e inscindibile dalla stessa Forza Italia, di cui è stata strumento di propaganda. Berlusconi creò un polo televisivo privato per contrastare i colossi pubblici, coltivando coltivato i suoi telespettatori-elettori in un connubio inscindibile. Oggi, però, quel mondo non esiste più.

È invece presente e attuale il problema della futura spartizione tra i cinque figli di un colosso in difficoltà e ormai sempre più minoritario rispetto al core business della holding. Mantenendo la proprietà di Mediaset e dividendone le quote alla pari, i due figli di primo letto sarebbero in minoranza rispetto agli altri tre, è il grande non detto. Anche per questo ha iniziato a farsi strada in modo sempre più forte l’ipotesi della vendita e conseguente liquidazione pro quota, così che ognuno possa finanziare le proprie singole ambizioni imprenditoriali all’interno del gruppo, senza aprire lotte fratricide. Gli occhi sono tutti puntati sulla stanza all’ultimo piano del San Raffaele e la speranza rimane quella che il patriarca regga ancora lo scettro. Tuttavia sarà sempre lei, Marina, a tirare le fila per il dopo. Progettando, come è spesso destino per i figli, un futuro lontanissimo dalle speranze paterne.

GIULIA MERLO. Mi occupo di giustizia e di politica. Vengo dal quotidiano il Dubbio, ho lavorato alla Stampa.it e al Fatto Quotidiano. Prima ho fatto l’avvocato.

Le reazioni della Politica Italiana.

Morto Silvio Berlusconi, le reazioni della politica italiana. Giovanni Capuano su Panorama il 12 Giugno 2023

Tutti i messaggi di cordoglio che hanno accompagnato l'addio all'ex leader di Forza Italia scomparso all'età di 86 anni

La scomparsa di Silvio Berlusconi ha suscitato profondo cordoglio nelle istituzioni e nella politica italiana. Pochi minuti dopo la notizia, tutti i leader politici del Paese hanno espresso il loro messaggio di cordoglio a partire dal presidente del Consiglio e leader attuale del centro destra italiano, Giorgia Meloni.

Umberto Bossi, fondatore della Lega Nord e a lungo alleato politico di Silvio Berlusconi negli anni Novanta e all'inizio degli anni Duemila, ha affidato a una nota il suo cordoglio: "Sono commosso. Per tanti anni è stato come un fratello". “Io sono stato un amico personale e per me è stato una sorta di fratello maggiore, anche se lui non piaceva, perché mi considerava un suo coetaneo, pur avendo 16 anni di più. Una cosa è sicura: c'è un'Italia prima che Berlusconi scendesse in politica e una Italia dopo. Lui ha cambiato la politica italiana ma anche tante altre cose", sono state le parole dettate in diretta telefonica al TG1 dal presidente del Senato Ignazio La Russa.

Elly Schlein, segretaria del Partito Democratico: “Di fronte alla scomparsa di Silvio Berlusconi vogliamo far arrivare tutta la nostra vicinanza al dolore della sua famiglia, dei suoi cari e di tutta Forza Italia, così come vogliamo che arrivi al Governo e alle forze di maggioranza. Con la morte di Silvio Berlusconi si chiude un'epoca. Tutto ci ha divisi e ci divide dalla sua visione politica, resta però il rispetto che umanamente si deve a quello che è stato un protagonista della storia del nostro Paese”.

Anche il mondo dello sport e del calcio si sono mobilitati per ricordare l'uomo che è stato presidente del Milan per un trentennio portando il club rossonero a primeggiare in Italia, in Europa e nel Mondo. "Lascia un vuoto enorme nel paese e nel mondo sportivo che ha caratterizzato. È una brutta notizia per la nostra nazione - ha detto il ministro dello Sport, Andrea Abodi -. "L'ho conosciuto tanti anni fa, un uomo incredibile. Faccio fatica a pensare che sia mancato. Un combattente che sembrava non dovesse arrendersi mai. Si pensava che potesse attingere sempre a qualcosa in più degli altri. Su questo ci scherzava anche. È stato un uomo di sport - ha proseguito Abodi - molto orientato alla vittoria come tutti i grandi uomini con la caparbietà orientata all'obiettivo e quando è uscito dal Milan lo ha fatto con dolore per come ha interpretato il ruolo. Poi ha ripreso con ambizione e umiltà dal Monza, una sfida che sembrava non alla sua altezza e l'ha portata alla sua altezza". Abodi parla di "eredità difficile e grande riconoscimento all'uomo nonostante tutto quello che gli è stato fatto pesare nel corso della vita" AC Milan profondamente addolorato piange la scomparsa dell’indimenticabile Silvio Berlusconi e si stringe con affetto alla famiglia, ai collaboratori e agli amici più cari.

Le reazioni alla morte di Silvio Berlusconi. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 12 Giugno 2023 

Era tornato al San Raffaele lo scorso venerdì, dopo un lungo ricovero — di 45 giorni — terminato poche settimane fa, a causa di una polmonite e di una forma di leucemia

Il presidente Mattarella: “Profonda tristezza la notizia della morte di Silvio Berlusconi”

“Apprendo con profonda tristezza la notizia della morte di Silvio Berlusconi, fondatore e leader di Forza Italia, protagonista di lunghe stagioni della politica italiana e delle istituzioni repubblicane”. È quanto scrive il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in un messaggio di cordoglio per la scomparsa di Silvio Berlusconi. “Le sono profondamente grato per il cordoglio da lei espresso per la morte dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e per le vittime dell’alluvione in Romagna”. Così il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella durante il colloquio con il Presidente iracheno Abdul Latif Rashid, in visita di Stato in Italia. Mattarella ha appreso la notizia della scomparsa del leader di Forza Italia poco prima dei colloqui con il presidente e la delegazione irachena. Da quanto si apprende, l’ufficio stampa del Quirinale diffonderà un comunicato sulla scomparsa di Berlusconi al termine dell’incontro con il presidente iracheno.

Il Papa: “Un protagonista della vita politica italiana”

Papa Francesco ha inviato un telegramma di condoglianze alla famiglia di Silvio Berlusconi per la scomparsa dell’ex premier. Bergoglio ha espresso “sentita partecipazione al lutto per la perdita di un protagonista della vita politica italiana, che ha ricoperto pubbliche responsabilità con tempra energica“. “Sua Santità – sottolinea il telegramma – invoca dal Signore la pace eterna per lui e la consolazione del cuore per quanti ne piangono la dipartita. Mi unisco al cordoglio con un fervido ricordo nella preghiera“. 

Il premier Meloni: “Era un coraggioso combattente“

Il commento della premier Giorgia Meloni: “Era un coraggioso combattente”. Con un videomessaggio ha aggiunto: “Con lui l’Italia ha imparato che non doveva mai farsi imporre dei limiti. Ha imparato che non doveva mai darsi per vinta. Con lui noi abbiamo combattuto, vinto, perso molte battaglie. E anche per lui porteremo a casa gli obiettivi che, insieme, ci eravamo dati. Addio Silvio”. “Silvio Berlusconi era soprattutto un combattente, era un uomo che non aveva mai avuto paura a difendere le sue convinzioni e sono state esattamente quel coraggio e quella determinazione a farne uno degli uomini più influenti della storia d’Italia, a consentirgli di imprimere delle vere e proprie svolte nel mondo della politica, della comunicazione e dell’impresa”. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, secondo quanto riferiscono fonti di Palazzo Chigi, appresa la notizia della morte dell’ex presidente Silvio Berlusconi, ha annullato tutti gli appuntamenti istituzionali in agenda. 

Tajani: “Un dolore immenso“

Così su Twitter il ministro degli Esteri e Coordinatore nazionale di Forza Italia, Antonio Tajani che ha deciso di anticipare il rientro dalla sua missione a Washington: “Un dolore immenso. Semplicemente grazie presidente, grazie Silvio”. Il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani, in missione a Washington per incontri istituzionali, sta rivedendo i tempi del viaggio per anticipare il rientro in Italia dopo essere stato raggiunto dalla notizia del decesso di Silvio Berlusconi

“Abbiamo il dovere, come Forza Italia, di andare avanti, seppur feriti. Lo faremo ancora sotto la sua guida morale e spirituale e continueremo a lavorare nel solco delle sue indicazioni”. Lo afferma Tajani, coordinatore nazionale del partito, parlando a Washington della scomparsa di Silvio Berlusconi. “Il destino vuole che io mi trovi oggi qui, negli Stati Uniti, al cimitero di Arlington, un luogo che riassume il percorso umano e politico di Silvio Berlusconi, un luogo dove si testimonia il valore della libertà“, aggiunge il ministro.

Galliani: “Un vuoto che non potrà mai essere colmato, per sempre con noi”.

“Affranto, senza parole, con immenso dolore piango l’amico, il maestro di tutto, la persona che mi ha cambiato la vita per oltre 43 anni. Riposa in pace caro Presidente. Con tanto, tanto amore. Adriano Galliani”.Così Adriano Galliani e tutto l’AC Monza piangono la scomparsa di Silvio Berlusconi morto oggi all’età di 86 anni. Il legame tra Berlusconi e Galliani è di lunghissima data e risale a quando il Cavaliere decise di acquistare il Milan e affidare proprio al suo fido collaboratore la gestione sportiva. Galliani è stato infatti per oltre 30 anni l’amministratore delegato del club rossonero, ruolo che ricopre ora anche al Monza dopo l’acquisto da parte di Berlusconi.

Il Monza ricorda Berlusconi in un video

Le immagini in bianconero di Silvio Berlusconi bambino, poi le immagini a colori degli ultimi anni e in biancorosso delle ultime stagioni. Lo ricorda così il Monza di cui Berlusconi, morto oggi all’età di 86 anni, era il presidente. La voce di Berlusconi riempie la diffusione di foto e video trasmessi dal club sulla sua pagina Instagram: “Chi ci crede combatte, chi ci crede supera tutti gli ostacoli, chi ci crede vince“, scandisce Berlusconi nella frase divenuta simbolo della società. Dove Silvio Berlusconi, con il fratello e presidente onorario Paolo e il vicepresidente vicario Adriano Galliani, l’8 ottobre 2022 aveva intitolato il centro sportivo Monzello alla memoria di Luigi Berlusconi. “Noi vogliamo portare il Monza alla gloria della serie A”, raccontano le parole di Silvio Berlusconi all’acquisizione del club, nel settembre 2018. “L’anno prossimo o l’anno dopo vogliamo vincere lo scudetto”, proseguiva ancora Berlusconi durante una cena con la squadra, all’indomani della prima delle due vittorie stagionali contro la Juventus.

La Russa: “Per me è stato un fratello maggiore”

“Io sono stato un amico personale e per me è stato una sorta di fratello maggiore, anche se lui non piaceva, perché mi considerava un suo coetaneo, pur avendo 16 anni di più”. L’ha detto il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ricordando Silvio Berlusconi, in collegamento telefonico con il Tg1.

Monti: gli sono debitore, consentì all’Italia di superare crisi del 2011

“Negli ultimi trent’anni Silvio Berlusconi ha esercitato un’influenza senza pari sulla politica italiana e, spesso, sulle relazioni internazionali. Rendo omaggio a quest’uomo coraggioso, generoso e controverso, con il quale ho avuto convergenze e dissensi, ma sempre in un rapporto di stima e lealtà“. Così gli rende omaggio il senatore a vita ed ex premier Mario Monti in una nota. “Verso di lui ho due debiti di riconoscenza, uno personale e uno istituzionale, che voglio oggi ricordare. Fu Berlusconi, appena diventato capo del governo nel 1994, a volermi commissario europeo, orientando così il mio intero percorso, del che gli fui sempre grato. Sul piano istituzionale, poi, credo che sia l’Italia a dover dare atto al Presidente Berlusconi di avere, con l’appoggio parlamentare del suo partito, unito a quello del Pd e del Terzo polo in una vera unità nazionale, permesso all’Italia e all’Europa di superare, con misure anche impopolari, la grave crisi finanziaria esplosa nel 2011″, conclude Monti.

Sgarbi: “Eroe della resistenza alla magistratura“

“È stato un eroe della resistenza alla magistratura. Io ero suo amico nel privato, sul piano politico non ho potuto che condividere sue posizioni. L’amicizia è un legame fondamentale ma nessuno, dopo Tortora, è stato al centro di un’indagine giudiziaria così ingiusta. Ha sacrificato la sua vita personale per un’attività per cui non era neanche tanto portato, ma ha resistito alle indagini della magistratura che hanno distrutto tutti i partiti. Per questo è un eroe della resistenza alla magistratura”. Così il sottosegretario alla Cultura, Vittorio Sgarbi, ha commentato all’AGI la morte del fondatore di Forza Italia, Silvio Berlusconi.

Renzi: “Berlusconi ha fatto la storia in questo Paese“

Su Twitter il fondatore e leader di Italia Viva, Matteo Renzi: “Silvio Berlusconi ha fatto la storia in questo Paese. Tanti lo hanno amato, tanti lo hanno odiato: tutti oggi devono riconoscere che il suo impatto sulla vita politica ma anche economica, sportiva, televisiva è stato senza precedenti. Oggi l’Italia piange insieme alla famiglia, ai suoi cari, alle sue aziende, al suo partito. A tutti quelli che gli hanno voluto bene il mio abbraccio più affettuoso e più sincero. In queste ore porto con me i ricordi dei nostri incontri, dei tanti consigli, dei nostri accordi, dei nostri scontri. Ma soprattutto di una telefonata in cui Silvio, non il Presidente, mi ha fatto scendere una lacrima parlando della mamma. Ci mancherai Pres, che la terra ti sia lieve“.

Silvio Berlusconi ha fatto la storia in questo Paese. Tanti lo hanno amato, tanti lo hanno odiato: tutti oggi devono riconoscere che il suo impatto sulla vita politica ma anche economica, sportiva, televisiva è stato senza precedenti. Oggi l’Italia piange insieme alla famiglia,…

Calenda su Twitter: “Ha lottato fino alla fine“

Esprimo le condoglianze mie e di @Azione_it alla famiglia e alla comunità di Forza Italia, per la morte di Silvio Berlusconi. Ha lottato fino alla fine contro la malattia con un coraggio incredibile. Riposi in pace.

Prodi: “Nostra rivalità mai trascesa in inimicizia“

“Partecipo al profondo cordoglio per la scomparsa di Silvio Berlusconi. Lo ricordo come un leader politico che, nel suo lungo e intenso impegno pubblico, ha esercitato una grande influenza nella vita del nostro paese, incidendo non solo sulle Istituzioni, ma anche nella vita di tutti i cittadini” afferma l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi. 

“Nel nostro lungo confronto politico – aggiunge Prodi – abbiamo rappresentato mondi diversi e contrapposti, ma la nostra rivalità non è mai trascesa in sentimenti di inimicizia sul piano personale, mantenendo il confronto in un ambito di reciproco rispetto. Ho apprezzato il suo sostegno alla causa europeista, soprattutto perchè confermato e ribadito in un periodo in cui il nostro comune destino europeo era messo duramente e imprudentemente sotto accusa. Porgo alla sua famiglia e a tutti i suoi cari le mie più profonde condoglianze“. 

Salvini: “Grande uomo, grande italiano“

Gli appuntamenti pubblici di Matteo Salvini sono annullati fino a nuovo aggiornamento. Il Vicepremier e Ministro, questa mattina a Lesa in provincia di Novara, ha chiesto un minuto di silenzio per Silvio Berlusconi definendolo “un grande uomo e un grande italiano”. Lo rende noto la Lega.

Silvio Berlusconi mancherà, però abbiamo ancora tanto da fare. Mi ha detto: “mi raccomando, tante opere che ho cominciato io finitele voi’. Sicuramente sarà più difficile, perché riusciva a mettere d’accordo tutti, a tenere in sintonia tutti, ad avere un pensiero per tutti. Cercheremo umilmente di portare avanti almeno una piccola parte del suo enorme lavoro“. Così il vicepremier Matteo Salvini, all’edizione straordinaria del Tg1. 

Il ministro Crosetto: “Si chiude un’era”

“Un grande, enorme dolore. Lascia un vuoto enorme perché è stato un grande. È finita un’epoca, si chiude un’era. Gli ho voluto molto bene. Addio Silvio”. Lo scrive il ministro della Difesa, Guido Crosetto, in merito alla morte di Silvio Berlusconi.

Arrigo Sacchi piange: “Generoso e geniale“

“Sto male, nonostante tutto non me l’aspettavo”. Arrigo Sacchi piange, al telefono con l’ANSA: lunghe fasi di silenzio, non riesce a gestire il dolore per la morte del suo “amico geniale al quale devo tutto“. “Silvio Berlusconi è stato un uomo generoso – aggiunge l’ex tecnico del Milan che vinse tutto – ed ha cercato di cambiare questo Paese difficile, formato da individualisti. Lo era anche lui? No, pensava di insieme e vedeva lontano: quando mi prese gli dissi «lei o è pazzo o è un genio». Visti i risultati, datemi voi la risposta…”.

 Schlein: “Con lui si chiude un’epoca“

“Di fronte alla scomparsa di Silvio Berlusconi vogliamo far arrivare tutta la nostra vicinanza al dolore della sua famiglia, dei suoi cari e di tutta Forza Italia, così come vogliamo che arrivi al Governo e alle forze di maggioranza. Con la morte di Silvio Berlusconi si chiude un’epoca. Tutto ci ha divisi e ci divide dalla sua visione politica, resta però il rispetto che umanamente si deve a quello che è stato un protagonista della storia del nostro Paese. Le più sentite condoglianze da parte del Partito Democratico“. Ad affermarlo in una nota è la Segretaria del PD, Elly Schlein.

Enrico Letta: “Un momento che coinvolge tutti“

“Berlusconi ha fatto la storia del nostro Paese. La sua scomparsa segna uno di quei momenti in cui tutti, che siano stati vicini o lontani dalle sue scelte, si sentono coinvolti». Lo scrive Enrico Letta su Twitter. “Affetto e vicinanza ai suoi familiari e ai suoi amici. E a tutta la comunità politica di Forza Italia”, conclude l’ex presidente del Consiglio.

Sala: “Ha molto amato Milano, momento di cordoglio e rispetto“

“Milano piange Silvio Berlusconi. Su di lui ogni italiano ha un’opinione, maturata nei lunghi anni della sua centralita’ imprenditoriale, sportiva e politica. Ma questo e’ il momento del cordoglio e del rispetto. Di certo dobbiamo dargli atto di aver molto amato Milano”. Lo scrive su Twitter il sindaco di Milano Giuseppe Sala commentando la morte di Silvio Berlusconi.

Calderoli: “Amico vero, affetto vero, abbiamo pianto, riso, ci siamo abbracciati“

“Ho pianto prima mio padre, poi ho pianto mia madre, come tutti arrivato alla mia età ho pianto alcuni amici carissimi, affetti veri, di cui faccio fatica anche solo a parlare. Oggi piango Silvio, amico di tanti momenti, di tanti anni insieme, di tante risate e anche di tanti momenti difficili. Le rispettive malattie, i rispettivi lutti: tante volte ho ricevuto il suo abbraccio e lui il mio. È difficile dire altro”. Così il ministro per gli affari regionali e le autonomie, Roberto Calderoli. “Quello che ha fatto Silvio Berlusconi da imprenditore, da presidente del Milan e da uomo delle nostre istituzioni lo consegniamo allo storia del nostro Paese, che ha contribuito a rendere grande. Io oggi ricordo l’amico Silvio, piango l’amico, con una preghiera che so che apprezzerebbe, mandando un grande abbraccio alla sua grande famiglia, ai suoi figli, a tutti quelli che gli volevano bene come me“, conclude.

Lorenzo Fontana, profondo dolore

“Con profondo dolore ho appreso la notizia della scomparsa di Silvio Berlusconi, un protagonista assoluto della storia economica, industriale e politica italiana, europea e internazionale. Ai suoi familiari, ai suoi cari, al partito di Forza Italia e a coloro che lo hanno sempre considerato un punto di riferimento esprimo i sentimenti del più profondo cordoglio”. Lo dichiara il Presidente della Camera dei deputati, Lorenzo Fontana.

Abodi: “Lascia vuoto enorme nel Paese e nello sport“

“Berlusconi lascia un vuoto enorme nel Paese e nello sport”. Lo ha detto il ministro dello Sport, Andrea Abodi, ricordando Silvio Berlusconi a margine di un evento “Special Olympics” al Coni. È stato lo stesso Abodi ad annunciare la scomparsa di Berlusconi nel corso della conferenza. «Una brutta notizia per la nostra Nazione», ha detto Abodi, mentre la platea si è alzata in piedi tributando un lungo applauso a Berlusconi. «Lascia un vuoto enorme nel paese e nel mondo sportivo che ha caratterizzato, ha detto Abodi. «L’ho conosciuto tanti anni fa, un uomo incredibile. Faccio fatica a pensare che sia mancato – ha proseguito – Un combattente che sembrava non dovesse arrendersi mai. Si pensava che potesse attingere sempre a qualcosa in più degli altri. Su questo ci scherzava anche». Aggiungendo: «È stato un uomo di sport, molto orientato alla vittoria come tutti i grandi uomini con la caparbietà orientata all’obiettivo e quando è uscito dal Milan lo ha fatto con dolore per come ha interpretato il ruolo. Poi ha ripreso con ambizione e umiltà dal Monza, una sfida che sembrava non alla sua altezza e l’ha portata alla sua altezza». Per Abodi, Berlusconi lascia «un’eredità difficile». Poi ha concluso con un «grande riconoscimento all’uomo nonostante tutto quello che gli è stato fatto pesare nel corso della vita».

Carfagna: “Dolore enorme, entrerà in libri di storia“

“Apprendo con enorme dolore della scomparsa di Silvio Berlusconi. Entrerà nei libri di storia come il leader italiano che ha trasformato la politica, il calcio, la tv, l’economia. Ma oggi voglio ricordare soprattutto l’uomo: il mentore che mi ha dato fiducia, che mi ha spinto a fare politica, che non mi ha mai fatto mancare sostegno e incoraggiamento, con una carica di affetto e stima che non è mai venuta meno, neppure nei momenti di dissenso e disaccordo. Per questo gli sarò sempre riconoscente”. Così, in una nota, Mara Carfagna, presidente di Azione. “Oggi – aggiunge Carfagna – piango con i figli e la famiglia la scomparsa di una persona speciale, geniale, generosa, sorprendente. Lascia un vuoto incolmabile per chi lo ha conosciuto e gli ha voluto bene“.

Metsola: “Ha lasciato il segno, grazie Silvio”

“Silvio Berlusconi: il combattente che ha guidato il centrodestra e che è stato protagonista della politica in Italia e in Europa per generazioni. Padre, imprenditore, eurodeputato, Presidente del Consiglio, senatore. Ha lasciato il segno e non sarà dimenticato. Grazie Silvio”. Lo scrive su Twitter, in italiano, la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola. 

Weber (Ppe): “Ha lavorato con dedizione per Italia e ideali Ue”

“Addolorato per la scomparsa di Silvio Berlusconi. Il mio pensiero va alla sua famiglia e ai suoi cari in questo momento difficile. Non dimenticheremo l’energia e la dedizione con cui ha lavorato per la sua amata Italia, per la sua famiglia politica e per i suoi ideali europei. Riposa in pace”, scrive su Twitter il presidente del Partito popolare europeo, a cui aderisce Forza Italia, Manfred Weber. 

Dell’Utri in lacrime: “Ho perso un fratello”

“Sono sconvolto. Per me è venuto a mancare un fratello. Non me lo aspettavo. Pensavo che superasse anche questa. Sono senza parole”. Lo dice all’Adnkronos, tra le lacrime, Marcello Dell’Utri, l’ex senatore di Forza Italia, commentando la notizia della morte di Silvio Berlusconi. Redazione CdG 1947

(askanews il 12 giugno 2023) - "Sul mio rapporto politico con Silvio Berlusconi sono state dette da entrambi migliaia di parole. Nell'ora della sua dolorosa scomparsa desidero rendergli omaggio ricordandone la grande umanità. 

Nel febbraio 2008 quando, a pochi giorni di distanza, tutti e due perdemmo nostra madre, Silvio fu davvero, in un momento doloroso per entrambi, un amico che mi fu di conforto. Con identico sentimento rivolgo ai figli, ai familiari e alla comunità di Forza Italia le mie sentite condoglianze". Lo dichiara l'ex presidente della Camera Gianfranco Fini, ultimo segretario del Msi e fondatore di Alleanza Nazionale, co-fondatore con Berlusconi della Casa delle Libertà del centrodestra.

Estratto da liberoqutodiano.it il 12 giugno 2023.

Ma il Cavaliere ha avuto anche un grande nemico-amico: Gianfranco Fini. Memorabile il botta e risposta tra i due del 22 aprile del 2010. Quel giorno, durante la direzione nazionale del Popolo della Libertà, è andato in scena un durissimo scontro tra Silvio Berlusconi e Fini, ai tempi presidente della Camera dei deputati. "Gianfranco, se vuoi fare politica, noi ti accogliamo a braccia aperte: dimettiti, vieni a farla nel partito e non da presidente della Camera" disse il presidente Berlusconi. La risposta di Fini, diventata un cult, fu: "Altrimenti che fai? Mi cacci?". […]

(ANSA il 12 giugno 2023) Silvio Berlusconi "mancherà, però abbiamo ancora tanto da fare. Mi ha detto, 'mi raccomando, tante opere che ho cominciato io finitele voi'. Sicuramente sarà più difficile, perché riusciva a mettere d'accordo tutti, a tenere in sintonia tutti, ad avere un pensiero per tutti. Cercheremo umilmente di portare avanti almeno una piccola parte del suo enorme lavoro". Così il vicepremier Matteo Salvini, all'edizione straordinaria del Tg1. 

"È stato un grande politico e un grande uomo, anche gli avversari non possono non riconoscerne l'unicità, la rivoluzionarietà - ha detto ancora il ministro dei Trasporti -. Il patrimonio che lascia non è economico ma di affetti. Quando arrivavo la prima e l'ultima cosa di cui parlava erano la sua famiglia, i suoi figli, i nipoti, Marta. L'ho sentito sabato sera dopo la partita dell'Inter, alle 11 di sera stava lavorando per le Europee, per l'Italia, per Forza Italia, per il governo. mi piace pensare che abbia lavorato fino a 20 secondi prima, perché non si accontentava mai".

Salvini ha spiegato di aver ricevuto la notizia della morte dell'ex premier mentre era "a Lesa, sul Lago Maggiore per lavoro, con la Guardia costiera, che era una delle sue affezionate mete. Al di là della grandezza politica, imprenditoriale, sportiva, televisiva - ha notato con la voce rotta dalla commozione - c'è l'aspetto umano, l'immensa generosità, l'affetto. Non aveva mai digerito che portassi la barba, poi alla fine se la faceva andare bene. Al mio compleanno mi ha regalato un set di camicie blu, perché 'Matteo ti sta meglio il blu, togliti quel bianco'. E oggi cacchio ho la camicia bianca". 

Estratto dell’articolo di Carlo Bertini per lastampa.it il 12 giugno 2023.

Di ricordi ne ha tanti, alcuni lo fanno scoppiare a ridere ancora oggi, l’ultimo però lo racconta commosso. Dopo la rielezione di Mattarella, grato per aver trovato in Berlusconi uno dei sostenitori alla sua candidatura al Quirinale, Pierferdinando Casini lo va a trovare ad Arcore. 

«Era gennaio, faceva freddo, abbiamo parlato di tante cose e dopo colazione mi ha fatto fare un giro nel giardino. Lui si appoggiava a me...capivo che non era saldo sulle gambe. Gli ho chiesto se avesse freddo e mi ha detto: “Sai Pier, mi chiedo a volte cosa ancora rimango a fare a questo mondo”. Io, preso alla sprovvista, gli ribatto subito: “Ma cosa stai dicendo Silvio, non scherzare! Milioni di italiani ti vogliono bene, devi combattere”. Certo, è paradossale che glielo dicessi io che non avevo condiviso tanti passaggi politici ma negli anni aveva preso il sopravvento l’aspetto umano».

A caldo, come sta vivendo questa scomparsa?

«Beh, da un lato c’è il rimpianto per la sua scomparsa, dall’altro è come quando pensi che una persona cara stia soffrendo: credo che questa vicenda della malattia abbia posto fine a sofferenze difficili da sopportare, per un uomo come lui, dinamico, con mille idee, costretto a stare a letto o in poltrona».

E quando ci ha parlato la prima volta?

«Erano gli anni ’80, quando seguivo per Forlani segretario della Dc la televisione: […] avevamo fatto monitoraggi dai quali emergeva che tutte le tv di Berlusconi sfacciatamente privilegiavano i socialisti. Forlani, che non voleva sporcarsi le mani con queste cose, ci disse di andarci a lamentare con lui […] Ricordo che avemmo un incontro con Berlusconi, Confalonieri e Letta nella casa di via dell’Anima. Più che un incontro ci fu uno scontro...lui ci raccontò che aveva delle zie suore e io gli dissi, “si va bene, ma bisogna che appaiano in video queste suore, se no non ci importa nulla”. Fu uno scontro abbastanza forte, fui io che andai in avanscoperta. Ma poi da lì maturò un sentimento di simpatia mai venuto meno». 

Anche quando scese in campo nel 1993?

«Le racconto un episodio: prima della discesa in campo, era una giornata di autunno, vado da lui ad Arcore. Lui mi racconta il suo progetto per allearsi al sud con l’Msi di Fini e al nord con Bossi e la Lega. E io gli dico: Silvio, non capisci nulla di politica, impossibile fare un’alleanza con la destra e la Lega che sono come cani e gatti». 

E lui?

«Io guardavo il giardiniere che tirava su le foglie e lui mi rispose così: “Hai appena detto la stessa frase che mi disse il presidente della Sampdoria, Mantovani quando gli annunciai che avrei preso il Milan e avrei vinto la Coppa dei Campioni. Vediamo come va a finire questa volta». 

Poi però vi fu la rottura del 2008. Lì che vi siete detti?

«I nostri valori non sono in vendita, devi imparare che in Italia non si compra tutto, gli dissi cose così. Ma poi ho sempre mantenuto un buon rapporto. A differenza di Fini...». 

Con Fini non si prendevano, anche se fu lui a sdoganarlo nel 1992, giusto?

«Si, con Fini non si sono mai presi, non ho mai capito bene perché, con lui i rapporti sono sempre stati aspri, mentre con me tutto sommato, salvo in quei mesi del 2008, il rapporto è stato sempre buono». 

La risata più grande che ricorda?

«Mah, son talmente tante, alcune non sono ripetibili. Le dico una cosa seria e una scherzosa. Quando morì mio padre trovò le parole giuste, “ci sono passato anche io Pier, finchè ti muore il padre non diventi mai grande. E oggi lo sei diventato”. Ancora le ricordo perché dimostrava la sua grande umanità. Gli piaceva piacere ma a tutti, non solo ai potenti».

E l’episodio leggero?

«Una sera lo invito a casa mia a cena: avevo una donna di servizio e ad un certo punto va in cucina a parlare con lei, una signora anziana, che gli parla del figlio che non stava bene. Beh, venti giorni dopo torna a cena da me e va dalla signora a chiederle come stia il figlio. Una cosa abbastanza inconsueta ma per lui no». 

[…] Cosa lascia alla politica italiana?

«Nel bene e nel male, è stato un grande innovatore. Il lascito dei partiti personali non è un fatto positivo. Ma ha unificato la destra e la sinistra. E anche a sinistra, tante volte, invece di costruire coalizioni capaci di governare si sono create alleanze capaci solo di battere lui. E questo ha ritardato l’esame di maturirà per le stesse componenti del centrosinistra. Lo stesso vale per la destra, dove le contraddizoni politiche sono state superate sempre nel nome di berlusconismo».

[…] Ora la sua eredità passa a Meloni o Salvini?

«Le eredità politiche non esistono, esiste chi se le prende, il problema è già stato risolto per incorporazione alle elezioni del settembre 2022. Non so che fine farà Forza Italia, non mi sembra problema rilevante». 

Ma potrebbe prenderne il testimone Renzi per un progetto al centro?

«Non lo so e in ogni caso non mi interessa e non ne farei parte».

"Ha scritto storia che sarà difficile da capire". Renzi ricorda Berlusconi: “Un fuoriclasse, più longevo di De Gasperi e Andreotti. Blair mi disse che manteneva gli impegni”. Redazione su Il Riformista il 12 Giugno 2023 

“Berlusconi è stato un fuoriclasse, un personaggio totalmente inclassificabile, e lo dice uno che è stato suo avversario politico. Prima di parlare dell’aspetto politico di Berlusconi, non dimentichiamo che quest’uomo ha rivoluzionato il sistema urbanistico delle città con Milano 2, poi il modello televisivo con Canale 5, poi il modello di partito politico con Forza Italia. Questo non significa essere a favore o contro, ma prendere atto che quest’uomo è stato un’uomo capace di innovare in un modo straordinario”. Sono le parole di Matteo Renzi, leader di Italia Viva e direttore editoriale del Riformista, nel corso del Tg1.

Berlusconi è stato “il presidente del Consiglio più longevo della storia repubblicana, più di De Gasperi e Andreotti come numero di giorni a Palazzo Chigi” osserva Renzi. “Paradossalmente l’esperienza di primo ministro è un’esperienza che non è sufficiente a contenere la straordinaria vita ed esperienza umana di Silvio Berlusconi – aggiunge -. In questo momento ho alla mente i miei ricordi personali con lui, sia quelli positivi che quelli negativi. Quando quel patto del Nazareno l’abbiamo voluto e quando quel patto del Nazareno è saltato, che poi è stato anche l’inizio della mia fine dal punto di vista politico. Ma tutto questo è in secondo piano”.

“Intanto c’è un abbraccio affettuoso alla famiglia e alle persone che l’hanno amato. E il riconoscimento anche da parte di chi l’ha odiato – aggiunge – che è comunque un uomo che ha scritto una storia, che credo sarà innanzitutto difficile da capire, perché è una storia che si intreccia con l’Italia in maniera strepitosa”. Renzi racconta poi un aneddoto legato all’ex primo ministro britannico Tony Blair: “Ho in mente un leader della sinistra europea, Tony Blair, che mi disse: ‘Voi Silvio Berlusconi lo attaccate ma lui, quando facciamo un accordo, gli impegni li mantiene'”.

Hai fatto saltare ogni schema, ogni protocollo. Il successore di Berlusconi non esiste, la sua vita politica tra il folle amore e l’odio ideologico. Matteo Renzi su Il Riformista il 13 Giugno 2023 

Contenere la storia di Silvio Berlusconi nelle tremila battute di un editoriale non è solo impossibile: è assurdo, quasi offensivo. Lasciatevelo dire da chi ha perso la sfida più importante della sua carriera proprio a causa di uno scontro con lui, il referendum dopo la rottura del Patto del Nazareno: Berlusconi era molto più di un leader politico. Sì, certo: stiamo parlando del Presidente del Consiglio che è stato a Palazzo Chigi più giorni di qualunque altro leader repubblicano. Più di De Gasperi, più di Moro, più di Andreotti, più di Fanfani.

Ma l’esperienza di Governo non esaurisce la storia del Cavaliere. Anzi. Berlusconi è stato un self-made man, un innovatore nel mondo dell’edilizia, dello sport, della televisione, della società, della politica. Le opinioni su queste innovazioni sono profondamente diverse ed è doveroso che sia così. Ma nessuno può mettere in discussione il fatto che Berlusconi sia stato una esplosione di fantasia nella vita di questo Paese.

In queste ore tornano alla mente tanti momenti di confronto, di scontro, di scherzo. Sono stato un avversario politico e tuttavia sono orgoglioso di aver contribuito a cambiare il clima tra gli schieramenti introducendo elementi di rispetto umano laddove altri preferivano l’odio ideologico, scegliendo il terreno del confronto politico anzichè quello dell’aggressione giudiziaria.

Ci siamo incontrati più volte. A Palazzo Medici Riccardi (“ma come fa uno che viene dal marketing a vestirsi col velluto marrone come i comunisti?”) come ad Arcore (“Allegri non è comunista, è peggio. È livornese!”). Al Nazareno, alla Camera per le consultazioni, a Palazzo Chigi per i tanti appuntamenti legati al tentativo di cambiare le regole istituzionali, al Senato dove era tornato come per una rivincita.

Leggo discussioni assurde sull’eredità e sulla successione. Tempo perso. Gli eredi di Silvio Berlusconi sono i suoi figli cui vanno le più affettuose condoglianze. Il successore di Berlusconi non esiste. Non è mai esistito e mai esisterà: quelli come Berlusconi non hanno successori. E chi si ritiene tale spesso non è che un patetico imitatore. Oggi non è tempo di valutazioni politiche né sul passato, né sul futuro. Oggi è tempo di rispetto. Rispetto che vale doppio pensando a un uomo che ha vissuto sospeso tra il folle amore e l’odio preconcetto. Io lo ricordo con un sorriso.

Molti critici dicevano che il sorriso di Berlusconi era forzato, finto, eccessivo. Sorriso di plastica, dicevano. In realtà Berlusconi sorrideva perché amava la vita, perché l’ha gustata fino alla fine, perché era capace di ironia e autoironia. Ed è con quel sorriso, caro Presidente, che oggi ti salutiamo. Sei stato incontenibile e imprevedibile. Hai fatto saltare ogni schema, ogni protocollo. Ti ricorderemo come un uomo affamato di vita. Che la terra ti sia lieve

Matteo Renzi. Matteo Renzi (Firenze, 11 gennaio 1975) è un politico italiano e senatore della Repubblica. Ex presidente del Consiglio più giovane della storia italiana (2014-2016), è stato alla guida della Provincia di Firenze dal 2004 al 2009, sindaco di Firenze dal 2009 al 2014. Dal 3 maggio 2023 è direttore editoriale de Il Riformista

Distribuiva opportunità in una nazione avara di chance. Andrea Ruggieri su Il Riformista il 12 Giugno 2023 

Senza Silvio Berlusconi l’Italia è sicuramente più noiosa e povera perché è orfana della sua incontenibile vitalità, del suo vivacissimo talento, del suo sorriso e della sua autoironia. Per me Silvio Berlusconi è quello che durante i funerali delle vittime del terremoto de L’Aquila lascia la prima fila riservata alle autorità e va in mezzo ai parenti delle vittime, tentando di consolarli.

Io perdo un maestro di politica ma soprattutto di vita. Con lui ho riso tantissimo, ragionato molto, ogni tanto anche pianto. L’ho visto sorridere e soffrire per attacchi incessanti quotidiani che giudicava immeritati. L’ho visto immaginare cose che noi nemmeno intuivamo. Ho visto un uomo vero, coraggioso, generosissimo, umile, dolce, che amava l’Italia e gli italiani, che non faceva la minima distinzione tra ricco e povero. Che distribuiva opportunità in una nazione avara di chance.

Molti avranno modo di raccontare aneddoti sulla grandezza sua e di quel che ha realizzato in Italia dove tutto è assai difficile. Io mi limito a dire che Berlusconi mi prese nel suo staff e mi accolse come un nipote, come un figlio. Dormivo sul soppalco dello studio dove lui faceva le sue mitiche registrazioni.

Che lavorare con lui è stata l’esperienza più stimolante e piacevole di tutta la mia vita. Che mi ha insegnato moltissimo: che si può essere decisi ma col sorriso, di successo ma buoni, determinati e sereni. Che nella vita si deve cercare l’armonia con gli altri. Per rimanergli leale c’ho rimesso il posto da parlamentare. Ma va bene così. Grazie a lui sono nato politicamente, con lui me ne vado politicamente. Addio presidente.

Andrea Ruggieri

"Lavorate con me, non per me". Silvio Berlusconi, le vecchiette di Arcore e l’essere figlio del popolo: piango come un bambino. Andrea Ruggieri su Il Riformista il 13 Giugno 2023

“Andrea, è molto bello il rapporto di armonia che hai con la tua fidanzata, si vede che siete complici. Ma non la trascurare mai, ricordati sempre un’attenzione per lei”.

Non saprò scrivere, oggi. Ho 47 anni e piango come un bambino. Avrei troppo da raccontare, per far capire a chi non lo abbia conosciuto, chi fosse Silvio Berlusconi, e quanto sia io stato fortunato ad averlo come maestro. Non solo di politica, ma soprattutto di vita.

Quella raccomandazione, cosi amichevole, me la fece che eravamo in macchina insieme, reduci da una diretta televisiva in cui lo avevo accompagnato come Responsabile della Comunicazione tv; il “Pres.” commentava la cena della sera prima, in cui io e la mia fidanzata del tempo eravamo stati suoi ospiti a Palazzo Grazioli. Ore piacevolissime, al termine di una giornata di lavoro, a parlare di tutto e alternare considerazioni serie e risate che “pulivano la mente alla fine di una giornata dura”, come diceva sempre lui. Per me Silvio Berlusconi è stato questo. Un padre politico che mi ha accolto in casa sua come un figlio, che mi ha ospitato, offerto consigli, raccolto miei dubbi, confidenze personali, e sfoghi. E che ieri se ne è andato, lasciando l’Italia più povera perché orfana del suo immenso talento e della sua sconfinata umanità, e portando con sé anche un pezzo della mia vita, della mia storia.

Ho avuto l’onore di lavorare con lui tre anni, gomito a gomito, dal 2015 al 2018; di condividerci molto, ragionarci tanto, imparare moltissimo. Ogni volta che partivo, specie per l’America, lui mi chiamava alle sue 10 di mattina, cioè le mie 4 di notte. Era curioso di sapere cosa facessi. Io raccontavo, in dormiveglia, poi tornato da lui finivo il resoconto, c’erano tante risate e un desiderio di circostanza: “Un giorno faremo un viaggio insieme e ci divertiremo un sacco”. Mai stato così bene con nessuno come con lui. E non starci più è la cosa che più mi è mancata della politica, dopo esserne uscito nel 2022.

Mi aveva messo a mio agio sin dal primo momento del mio approdo nel suo staff, in cui io ero quello che colorava di birichinate la giornata di lavoro altrimenti troppo seriosa (prima fra tutte quando, sceso a Milanello dal lato sbagliato del suo elicottero, la scorta mi salvò dalle pale, ancora in movimento, dell’elicottero stesso). Silvio Berlusconi era serio ma non serioso, alla mano, ed educato nel senso etimologico del termine: che avesse a che fare col principe, col grande capitano d’azienda, o con una qualsiasi persona umile, lui trattava tutti allo stesso modo: bene.

Grande ammiratore del talento altrui, persino quello dei suoi critici o avversari, era incuriosito dell’altrui allegria, brillantezza, humor; non dal censo, tantomeno dall’estrazione sociale. Arrivo ad Arcore di venerdì. Primo giorno di lavoro. E trovo in fila una decina di vecchiette. Entrato in segreteria, chiedo alle meravigliose segretarie chi fossero quelle signore. “Andrea, sono le vecchine del Presidente…”. Sgrano gli occhi. “Non se la passano benissimo, e allora il Presidente, ogni venerdì, lascia loro dei soldi per andare in boutique e dal parrucchiere a farsi belle per il week end”, mi spiegano.

Questo era Silvio Berlusconi, entusiasta figlio del popolo, che amava il popolo, con cui cercava il contatto fino a costringere la scorta a rincorse disperate. Un uomo che, dal nulla, aveva costruito una realtà per sé e migliaia di famiglie dei dipendenti assunti nel corso degli anni, solo grazie alla forza delle sue idee, al suo essere visionario e ottimista, ma anche immensamente umile e volenteroso. Quante volte scovavo il Dottore (questo, in realtà, l’unico titolo cui veramente teneva, secondo me) intento a rileggere quanto avrebbe dovuto dire, a studiare qualcosa che ritenesse di non sapere come avrebbe dovuto; mai sentito chiedere qualcosa senza aggiungere “per favore” (“Lavorate con me, non per me”).

Inutile ricordare quanto abbia rivoluzionato il costume italiano con Mediaset, aprendo a una libertà di costume altrimenti negata dal bigottismo della Rai monopolista; nell’edilizia, nell’urbanistica, o nel calcio, facendo del Milan la sua creatura prediletta per mentalità, spettacolarità ed efficacia. Se ne va un mio amico, cui ho voluto bene e che me ne ha voluto, un uomo geniale cui ho chiesto consiglio e con cui mi sono confidato anche in momenti difficili della mia vita, ricevendo sempre premura e comprensione affatto scontate.

Quanto alla politica, la vita di Silvio Berlusconi è stata il massimo, e ben più che politica. È stata la vittoria sul comunismo, il diritto di ognuno di noi a più libertà e sicurezza; soci – e non più sudditi – di uno Stato che ci deve considerare rispettabili, e non più solo bancomat da spremere, indisciplinati da educare, o talentuosi da imbrigliare. È stata “Meno tasse” che non è più un capriccio, ma una richiesta legittima; la “libertà” di migliorare la propria condizione un diritto per tutti, e non più una pretesa di avidità riservata a pochi. È stata la casa come sacro baricentro della famiglia; le imprese come luogo dove creare e condividere progetti di lavoro e vita, non più teatro di scontro tra classi sociali l’una contro l’altra (a volte anche armate); il lavoro come priorità concreta con cui realizzare desideri e ricercare la felicità, e non uno slogan antagonista e vuoto da piazza comunista; la difesa di pensioni e risparmio come riconoscimento per gli sforzi di una vita.

È stata la giustizia garantista, ché meglio un colpevole fuori di un innocente dentro, anziché il dominio di qualche Pm potente, moralista e fanatico e della sua cultura del sospetto; il “Viva le nostre Forze Armate e dell’ordine” mentre una certa sinistra in piazza gridava “Dieci, cento, mille Nassiriya”; la standing ovation da pelle d’oca al Congresso Usa mentre dice “Grazie” all’America che a suon di giovani morti ci aveva liberato da un futuro altrimenti di certo dittatoriale. È stata la dignità della concretezza contro la supponenza dell’ideologia. Quella del privato e non solo del pubblico. Il trionfo del fare sul chiacchierare. Ma anche la fine dello status quo della politica: prima circolo chiuso, sempre gli stessi notabili, professionisti di un improduttivo teatrino. Dal 27 marzo 1994 invece, benvenuto a lavoratori e protagonisti dell’Italia reale. È stata l’immenso Antonio Martino, con cui si starà; già sbellicando dalle risate, lassù, e i brillantissimi Lucio Colletti, Giuliano Ferrara, Giulio Tremonti, Renato Brunetta, Maurizio Sacconi, e tantissimi altri che dichiararono guerra a una cappa culturale di sinistra e insopportabile, per issare la bandiera spavalda dell’italianità del fare che pretendeva semplicità ed efficienza, e uno Stato che facesse meno cose ma le facesse meglio. Mai snob, Silvio Berlusconi: mai odiato nessuno.

Valutare, non giudicare. Convincere, non comandare. Sempre in campo con due punte e una mezzapunta, zero catenaccio. Avversari sì, nemici mai. Sempre tutti italiani. È stata i programmi elettorali da sottoporre -prima del voto, e non dopo- a noi, popolo sovrano: le promesse come cose concrete da fare; gli elettori come italiani veri, da rispettare, non sudditi scemi da dirigere. Ma anche i governi non più sorprese a scatola chiusa; i contratti con gli italiani, e non tra partiti, sulla pelle della gente. È stata le donne in politica, più brave e forti del pregiudizio invidioso di un’eventuale bellezza. Se io mi sono appassionato alla politica è stato solo grazie a questo straordinario italiano vero, che si è fatto da solo, che si è indignato, in doppiopetto, per quanto la sua Italia poteva fare di meglio e non faceva. E so che è stata dura: tante sofferenze, le Torri Gemelle, la Grande Crisi internazionale, qualche vergogna consumata in qualche tribunale e più di uno sgambetto da miopi boiardi in qualche Palazzo. Ma tutto questo progresso culturale oggi è patrimonio acquisito, comune, di tutti noi. Persino di chi non lo ha mai votato. Non aspettatevi da me parole sul futuro di Forza Italia. Ho un’idea ben chiara, da tempo, al riguardo. Ma anche solo parlarne, oggi, sarebbe blasfemo. Perdiamo tutti un padre. È il momento del dolore, del lutto, dei ricordi belli. Poi tornerà quello del sorriso, che è come Il Presidente ci vorrebbe da lassù, guardandoci oggi orfani attoniti.

Addio Silvio, genio gentile e coraggioso, deciso ma col sorriso, che hai insegnato che si può essere buoni e di successo. Ti porterò nel cuore e nei comportamenti della mia vita. Sapendo di non poterti eguagliare. Perché eri migliore di noi. Eri il migliore di noi. Ma non ce lo hai mai fatto pesare. Andrea Ruggieri

Un grandissimo, un rivoluzionario ma soprattutto un uomo di grande generosità. Con la morte di Berlusconi il mondo è più piccolo, se ne va il più grande insieme a De Gasperi, Moro e Craxi. Paolo Liguori su Il Riformista il 12 Giugno 2023

Oggi sulla nostra azienda, sulla nostra redazione, su di me e su tanti altri che hanno lavorato in questi anni con Silvio Berlusconi si è abbattuto un lutto dolorosissimo. Io lo vivo così, come la perdita di un amico, di un fratello, un partente. Per chi ha lavorato con Berlusconi è consapevole che la mancanza sarà incolmabile perché le cose che lui ha saputo dare e fare non le avevo mai viste prima.

Eppure è stato così importante anche nelle nostre vite, siamo così attoniti perché non ci sono le parole: è troppo grande la perdita di Berlusconi per essere descritta oggi in un mondo che sembra molto piccolo senza la sua presenza. E’ stato un grandissimo per le cose che ha realizzato, un rivoluzionario ma soprattutto un uomo di grande generosità che non ho visto in altre parti dell’impresa.

In tutta la mia vita professionale di cronista politico posso citare per un intero secolo quattro grandi uomini: De Gasperi, Moro, Craxi e Berlusconi. Per me quest’ultimo è stato il più grande perché ho vissuto la sua epoca, essendo tenuto per mano da una persona che sempre ti consigliava e sapeva essere generoso e spiritoso con un cuore immenso e con la capacità di essere sempre positivo nelle sue cose.

Questa perdita non è colmabile, lo si dice sempre per tante persone, lo si dice per i genitori, ma lo si dice anche per Berlusconi perché nono credo che questo mondo, che si rimpicciolisce senza di lui, possa colmare la perdita di un uomo così. Mi sento vicino ai suoi figli, ai suoi parenti e ai suoi amici. Il ricordo è un ricordo che considero indimenticabile.  Paolo Liguori. Direttore editoriale di Riformista.Tv e TgCom

Craxi: «Quel combattente amico di papà sempre con l’ansia di futuro». La figlia di Bettino al Dubbio: «Lui e mio padre hanno avuto gli stessi avversari o, forse, sarebbe più opportuno dire nemici. Ma l'arma giudiziaria non ha avuto con Silvio la stessa potenza di detonazione che ebbe con papà». Paola Sacchi su Il Dubbio il 13 giugno 2023

«Sono affranta, addolorata», dice, commossa Stefania Craxi, presidente della commissione Esteri e Difesa del Senato, dove Silvio Berlusconi, FI e tutto il centrodestra l'hanno voluta. «Silvio, un amico del mio papà e della mia famiglia, sempre vicino a me in questi 23 anni. Mia mamma, Anna è addolorata, lo aveva sentito a Natale, avrebbero dovuto rivedersi». Silvio e Bettino diversi, ma sul piano giudiziario: «Gli stessi nemici». Aggiunge la cronista un ricordo inedito del Cav in lacrime ai funerali di Craxi. Mi disse: «Lo vede che fine avrebbero voluto far fare anche a me... ma oggi non polemiche».

Stefania Craxi, lei è senatrice di Forza Italia, ma anche da sempre amica personale di Silvio Berlusconi e della sua famiglia. Lo ha conosciuto da bambina, quando veniva in vacanza dal suo papà, Bettino Craxi, a Hammamet.

Sono affranta, addolorata. Con Berlusconi viene a mancare un pezzo della mia vita, la mia mente è affastellata da tanti ricordi e emozioni. Per me, con tutta evidenza, Silvio non è stato solo un leader politico, un uomo che ha segnato la storia di questo Paese, ma un amico con cui ho trascorso intensi momenti di vita famigliare.

Qual è il primo ricordo del Presidente Berlusconi?

Guardi, non saprei dirle. Berlusconi era uno di “casa”. Non era una persona con la quale ci si vedeva e sentiva per ragioni politiche, in occasioni formali o per motivi personali e comunque in circostanze che tendi a ricordare. Era un amico di mio padre e le nostre famiglie a loro volta lo erano e si frequentavano. Ecco, ripensarli insieme nella loro diversità di carattere e di approccio alle persone e alla vita, alla politica stessa, è qualcosa che mi commuove e che testimonia la straordinarietà di questi due uomini.

Quando lo ha sentito l’ultima volta?

Ci siamo parlati lungamente prima del suo precedente ricovero e, come sempre, declinava ogni ragionamento al futuro. Era una caratteristica tipica di Berlusconi che, con il passare del tempo, ti colpiva sempre più. Quell’ansia di futuro non l’ha mai abbandonato, anche e soprattutto in questi anni di malattia.

La caratteristica di 'Silvio' che la ha colpita sempre di più?

Era un combattente. Glielo ripetevo sempre. Una dote non comune, specie tra gli uomini politici di oggi. Ma ciò che impressionava era la sua sensibilità, quel tratto di umanità che si imponeva al di fuori della scena pubblica, nel privato, e che anche alcuni dei suoi più acerrimi detrattori non possono che non riconoscere.

Il suo papà e la sua mamma sono stati anche testimoni di nozze di Berlusconi con Veronica Lario. Cosa le ha detto ora sua mamma, signora Anna?

Cosa vuole che dica? Come tutti noi, ha accusato il colpo. Sa, mia madre ha una età in cui si mette in conto di poter perdere gli amici di sempre e, pur nella forza d’animo e nello spirito di reazione che la contraddistingue e che le invidio, vederli mancare fa soffrire e fa pensare. Si erano sentiti in occasione delle feste di Natale e, tra ricordi e chiacchiere, si erano ripromessi di vedersi… non c’è stato modo e tempo.

Berlusconi nei giorni della fine di suo padre Bettino mandò a Tunisi un aereo Fininvest con a bordo l'equipe medica del San Raffaele per l'ultimo disperato tentativo di salvare suo padre. Come se lo ricorda il Cav nei tristi anni di Hammamet?

È stato un periodo in cui si sono persi pian piano i contatti diretti. Ricordo un Natale in cui non arrivò la sua chiamata. Mio padre non disse niente, ma ci restò male. Sono stati anni duri, tristi. Anni di solitudine. Tanti amici avevano paura. Eravamo radioattivi, degli appestati, tanto più per chi faceva politica. Ma Berlusconi non ha mai fatto mancare in questi 23 anni una sola parola di verità sulla vicenda Craxi. È stato sempre al mio fianco, mi ha aiutato ad impedire che il Caso C. venisse chiuso e ha introiettato la sua eredità politica nel centrodestra.

Ma è vero che fu suo padre a consigliargli di scendere in politica o è una leggenda che non corrisponde a verità, come peraltro suo padre stesso mi accennò?

No, mio padre non lo consiglio di scendere in politica. Berlusconi aveva scelto da sé e, come sempre si era già determinato. Certo, quando Berlusconi maturò questa decisione ne parlò con lui e Craxi non solo vide di buon occhio la nascita di una forza che potesse contrastare la “gioiosa macchina da guerra” ma consigliò a Berlusconi di occupare lo spazio politico che i partiti che avevano reso libera, democratica e progredita l’Italia lasciavano, in primis lo spazio del Psi. Parlò a quegli elettori ma seppe attrarre anche tante intelligenze da quelle aree politiche: penso a Martino piuttosto che a Don Gianni Baget Bozzo.

Craxi mi disse a Hammamet: «Lo colpiranno con l'arma giudiziaria». Vede un parallelo tra suo padre e 'Silvio' che per lo scorso anniversario ha ricordato Craxi così: «Il suo esilio sia da monito all'uso politico della giustizia».

L’ho detto in più occasioni. Hanno avuto gli stessi avversari o, forse, nel loro caso sarebbe più opportuno dire nemici. L’arma giudiziaria non ha avuto con Berlusconi la stessa potenza di detonazione che ebbe con Craxi per svariate ragioni, anche perché in un certo qual modo non era più un’arma originale, il cittadino- elettore era, grazie all’esperienza passata, assai più accorto e meno incline ad assecondare vecchie e nuove rivoluzioni.

La differenza tra Silvio e Bettino?

Erano diversissimi. Come caratteri, come interessi… Mio padre è stato tutto politico. La sua vita è stata consacrata a quella “passionaccia” come amava definirla, mentre Berlusconi è stato molte cose insieme, circostanza che ha rappresentato nella sua esperienza pubblica sia una forza che un limite. Possiamo dire che rispecchiano due tempi diversi della storia e della politica, due stagioni tra loro al contempo vicine e distanti.

Cosa prova da esponente politica di primo piano di Forza Italia in questo momento?

Mi creda. In questo momento prevale il dolore per la perdita di un amico rispetto ad ogni considerazione di carattere simil- politico, che lascia il tempo che trova.

Come immagina il futuro di FI e del centrodestra senza più il Cav?

Non è questo il momento appropriato per immaginare nulla. Oggi, dobbiamo rendere il giusto tributo e il giusto onore ad un uomo straordinario. E poi, il centrodestra così come lo conosciamo è una sua invenzione, la sua eredità politica alla normalizzazione della vita politica del Paese. La sua esperienza, le sue intuizioni, sono un patrimonio da cui tutto lo schieramento e Forza Italia, e aggiungo l’Italia, non potranno prescindere. La democrazia dell’alternanza è suo lascito che va preservato.

Silvio Berlusconi, il mio presidente. Ricordi di una vita da cronista politico. Silvio Berlusconi è deceduto il 12 giugno 2023 alle ore 9.30 all'ospedale "San Raffaele" di Milano. Dagli anni con Montanelli a quelli in Fininvest, passando per Hammamet. Francesco Damato su Il Dubbio il 13 giugno 2023

Vi racconto non Silvio Berlusconi - sarei presuntuoso- ma quello che ho conosciuto - presentatomi a metà degli anni Settanta dal comune amico Roberto Gervaso, quando ero capo della redazione romana del Giornale fondato e diretto da Indro Montanelli. Alla sua morte la vita mi consente di fornire una testimonianza utile forse a comprenderne la complessa personalità che altri - beati loro ritengono di avere capito del tutto per condividerla o contrastarla.

Quando da semplice lettore e ammiratore del Giornale di Montanelli egli divenne editore, fui raggiunto dalla prima telefonata di Berlusconi. Che si lamentava di un controcorrente di Montanelli ancora fresco di stampa in cui l’allora segretario della Dc Flaminio Piccoli veniva preso in giro per avere «perduto anche quello che non ha, la testa» in una riunione di corrente, inveendo contro chi lo aveva criticato o solo chiesto chiarimenti sulla linea politica del partito. «Io - mi disse Berlusconi - sono orgoglioso di avere acquistato il Giornale ma non posso per questo finire di fare l’imprenditore. Non sarebbe utile neppure a voi». Mi trovai in un imbarazzo fottuto, essendo stato io a fornire a Montanelli gli elementi di quel corsivo confidatimi da un giovanissimo Pier Ferdinando Casini neppure ancora parlamentare.

Certo, non potevo vantarmene e tanto meno scusarmene con Berlusconi. Al quale mi permisi di chiedere solo se si fosse già doluto direttamente col direttore. Alla risposta fortunatamente negativa mi permisi di consigliargli di non farlo e di lasciarmi il tentativo di fargli quanto meno ridurre l’ansia che avevo colto nel suo sfogo. E così mi inventai, sempre al telefono, con Montanelli di avare appena raccolto da amici stretti e collaboratori di Piccoli il racconto di sue reazioni quasi isteriche e minacciose a quel controcorrente. Ne raccolsi l’effetto desiderato: un misto di compiacimento e di rimorso con la finale raccomandazione di dare alle nostre cronache e valutazioni “un po’ di tregua” al segretario di un partito fra i cui elettori c’erano anche molti lettori del nostro Giornale.

Vi risparmio altri passaggi per saltare alla mattina in cui, da direttore del Giorno, dove peraltro ero arrivato verso la fine degli anni Ottanta dalla postazione di direttore del primo telegiornale della Fininvest berlusconiana chiamato americanamente Dentro la notizia, raccolsi per telefono un altro sfogo del Cavaliere. Era contro il nostro comune amico Bettino Craxi, che prima lo aveva incoraggiato a scalare la Mondadori, anche a costo di indebitarsi moltissimo, e poi aveva permesso al presidente del Consiglio Giulio Andreotti di puntargli «quasi la pistola alla testa» per chiudere con un compromesso la vertenza apertasi con Carlo De Benedetti ed Eugenio Scalfari, decisi a non lasciargli il controllo anche di Repubblica e giornali locali.

Interpretai, a torto o a ragione, quello sfogo come una richiesta di intervento su Craxi, come quella volta su Montanelli per Piccoli. Il risultato fu un altro sfogo, opposto, di Bettino sorpreso dalle complicazioni giudiziarie della scalata alla Mondadori esclusegli da Berlusconi quando gliene aveva parlato.

Facciamo un altro salto per arrivare ad una domenica dei primi anni Novanta nella tribuna d’onore dello stadio milanese di San Siro. Mentre tirava una brutta aria per il sindaco milanese Paolo Pillitteri, comune amico e cognato di Bettino, commentai la fila che facevano gli spettatori per ottenere da Berlusconi un autografo. Mi venne l’idea di chiedergli se non gli potesse venire davvero la voglia, di candidarsi a Palazzo Marino. Ne ottenni non una risposta ma una smorfia indecifrabile. Altro che sindaco di Milano, il Cavaliere era però destinato a «scendere» in politica puntando direttamente a Palazzo Chigi.

A proposito di quella discesa, maturata ed avvenuta quando ero rientrato in Fininvest, mi sentii chiedere dal comune amico Fedele Confalonieri di consigliare «a Silvio» di non mettersi in politica. Rifiutai ritenendo di non averne il diritto perché mai invitato dall’interessato in prima persona ad esprimere un parere, Seguì una proposta di fargli da portavoce. Io risposi che bisognava sapere bene che cosa Berlusconi avesse in testa di fare. E Berlusconi, parlandomi da un’auto, fece finta di non avere deciso ancora di preciso che cosa fare. Pertanto mi chiese finalmente con chi gli consigliassi di allearsi nel caso in cui avesse voluto compiere il grande passo.

Informato da qualche settimana per altre vie della proposta fattagli o ventilatagli dall’allora segretario della Dc Mino Martinazzoli di lasciarsi candidare da indipendente nelle liste scudocrociate al Senato, mi permisi di consigliare a Berlusconi l’accordo, appunto, con i democristiani. «Ma - mi rispose il Cavaliere - quelli della Lega mi hanno già proposto la presidenza del Consiglio». Nacque così la Casa della Libertà e tutto il resto.

Ci ritrovammo qualche altra volta, per esempio attorno alla bara di Craxi appena interrata ad Hammamet, ma sempre di meno, fino a niente. La terra le sia lieve, presidente, visto che in una vita non certo breve non siamo mai riusciti a darci neppure del tu, come in tanti invece si sono presi il permesso, o ai quali è stato concesso di fare per poi litigare fra le proteste e gli insulti di cortigiani, più che di amici.

Paolo Pillitteri: «Il primo incontro con Berlusconi a TeleMilano. Celebrai il matrimonio con Veronica Lario, era davvero innamorato». Fabrizio Guglielmini su Il Corriere della Sera il 13 Giugno 2023

Il ricordo dell'ex sindaco di Milano:  «Me lo fece conoscere Mike Bongiorno, era affabile ed elegantissimo. Craxi non capì subito che avevamo davanti un fuoriclasse»

Testimone diretto dell’ascesa da imprenditore e da politico di Berlusconi fin dagli anni Settanta, Paolo Pillitteri ricorda così il primo incontro con il futuro presidente del Consiglio, quando era un imprenditore edile già affermato e alle prese con la sua nuova tv.

«Eravamo ai tempi di TeleMilano Canale 58, nell’autunno del 1978. Me lo fece conoscere Mike Bongiorno che dava consigli a Berlusconi per la sua nuova avventura imprenditoriale. Arriva quest’uomo affabile ed elegantissimo e comincia a spiegarmi fin nei minimi dettagli come funzionava lo studio. Mi incuriosì molto e fu l’inizio di una grande amicizia».

Era già un personaggio di primo piano?

«Per Milano sicuramente sì, stava costruendo interi quartieri già a partire dal 1961. Aveva il fare di un uomo di successo e con le tv voleva creare qualcosa di importante come si sarebbe visto dopo con le reti Fininvest diventate poi Mediaset. Canale 5 nacque nel 1980, il tempismo come al solito per Berlusconi fu fondamentale. Bettino Craxi non capì subito che avevamo davanti un fuoriclasse».

Come visse la sua ascesa politica?

«È storia: dopo Mani Pulite e il crollo della Prima Repubblica, Berlusconi intuì subito che si era creato un vuoto enorme e scelse la politica come evoluzione naturale della sua fortunatissima carriera da imprenditore. Dal battesimo e dal boom delle sue televisioni private approdò con un successo senza precedenti ai vertici del potere politico. All’inizio forse ci credeva solo lui, molti gli dicevano “segui le tue televisioni e il Milan e lascia perdere con la politica”. Ma aveva appunto tre reti tv in mano, un vantaggio enorme».

Fu lei a celebrare il matrimonio con Veronica Lario.

«Mi chiamò dicendomi che desiderava una celebrazione laica, voleva un matrimonio discreto, con il “sì” davanti al sindaco ma senza clamori. Io durante la cerimonia lo guardavo di sottecchi e capivo che quell’uomo di grande successo era davvero innamorato e mosso da un grande desiderio di normalità, almeno in quel particolare momento. Ricordo che c’erano i testimoni, Bettino Craxi e la moglie Anna, e pochi altri amici».

Come giudica i primi anni di Forza Italia, dalla metà degli anni 90?

«Berlusconi a Roma sapeva muoversi con notevolissima abilità e con un’eredità che definirei tecnico-politica e che arrivava dalla Democrazia cristiana. Più precisamente — a mio avviso — dalla corrente dei dorotei; aveva intuito che dal serbatoio degli elettori della Dc poteva drenare un gran numero di voti che altrimenti sarebbero andati dispersi».

Quali erano i suoi punti forti?

«Sapeva motivare come nessun altro i deputati, utilizzando un linguaggio che definirei “anti-rivoluzionario”. Forza Italia era un contenitore perfetto per i moderati. Lui diceva: “Io sono il nuovo e al tempo stesso sono rassicurante”. In altre parole si dichiarava il vero garante: con lui tutto sarebbe andato meglio di prima dal punto di vista politico, avrebbe cioè assicurato quella stabilità che dopo il terremoto di Mani Pulite era venuta meno».

Quando vi siete visti l’ultima volta?

«Due o tre anni fa, di corsa, fu giusto un saluto veloce ma cordiale. Ci frequentavamo invece molto a Roma, quando ero deputato; spesso cenavamo nei ristoranti nei dintorni di piazza Navona. C’era spazio per appassionanti analisi politiche ma anche per le sue amate barzellette. Senza dubbio un uomo affascinante ed affabile, potevi stare ore ad ascoltarlo».

Che sfide ha davanti Forza Italia?

«Il partito ha sempre coinciso con la sua leadership: ora dovrà reinventarsi completamente».

In che modo?

«Prima di tutto individuando un leader forte. Mi sembra che da tempo Forza Italia sia fratturata in una serie di micro e macro poteri che anche Berlusconi faticava a tenere insieme, nonostante il suo carisma».

Dagospia il 12 giugno 2023. Da “Un Giorno da Pecora” – Rai Radio1

Berlusconi? "Era anche uno straordinario bugiardo, aveva il gusto della bugia, che raccontava così bene che alla fine lui stesso si convinceva non fossero vere. Erano bugie così politicamente non imbarazzanti che erano quasi un suo esercizio retorico in cui mostrava intelligenza, se ne inventava di sana pianta. Quando tu dici che sta nevicando e c’è il sole è evidente che ti diverte raccontare una bugia.

Noi ci dividevamo: c’era chi gli dava ragione e chi no. Io ero un bastian contrario, anche perché era l’unico modo di stabilire con lui un rapporto paritario”. Così a Rai Radio1, ospite di Un Giorno da Pecora, l’ex parlamentare Fabrizio Cicchitto, intervistato da Geppi Cucciari e Giorgio Lauro.  Lei fu il ‘protagonista’, insieme a Sandro Bondi, della ‘celebre’ barzelletta sul Bunga Bunga…”Me lo ricordo. Fa certamente parte della storia politica di questo paese”, ha ironizzato l’ex parlamentare a Un Giorno da Pecora.

Dagospia il 12 giugno 2023. Da “Un Giorno da Pecora” – Rai Radio1

La scomparsa di Silvio Berlusconi? “Solo con la perdita dei miei genitori ho avuto un dolore superiore o analogo, Berlusconi è stato un amico, una persona sempre ricca di umanità, che ha consentito a me e a tanti altri di fare un percorso insieme”. Così a Rai Radio1, ospite di Un Giorno da Pecora, il vicepresidente del Senato ed esponente di Fi Maurizio Gasparri, intervistato da Giorgio Lauro e Geppi Cucciari. 

Quando vi siete sentiti l'ultima volta? “Giovedì. Io ero a Trento, stavo per prendere la parola prima di un intervento pubblico, e abbiamo parlato dell’organizzazione territoriale e delle elezioni del Trentino. Una telefonata d’amicizia e d’affetto - ha detto il senatore a Un Giorno da Pecora - l’ho sentito un po’ affaticato come lo era ultimamente”.

(DIRE il 12 giugno 2023) "Negli ultimi trent'anni Silvio Berlusconi ha esercitato un'influenza senza pari sulla politica italiana e, spesso, sulle relazioni internazionali. Rendo omaggio a quest'uomo coraggioso, generoso e controverso, con il quale ho avuto convergenze e dissensi, ma sempre in un rapporto di stima e lealtà. Verso di lui ho due debiti di riconoscenza, uno personale e uno istituzionale, che voglio oggi ricordare. 

Fu Berlusconi, appena diventato capo del governo nel 1994, a volermi commissario europeo, orientando così il mio intero percorso, del che gli fui sempre grato. Sul piano istituzionale, poi, credo che sia l'Italia a dover dare atto al Presidente Berlusconi di avere, con l'appoggio parlamentare del suo partito, unito a quello del Pd e del Terzo polo in una vera unità nazionale, permesso all'Italia e all'Europa di superare, con misure anche impopolari, la grave crisi finanziaria esplosa nel 2011". Così il senatore Mario Monti, ex presidente del Consiglio, sulla scomparsa di Silvio Berlusconi.

DAGONEWS il 12 giugno 2023.

A un'ora e mezza dalla sua dipartita, manca il messaggio di cordoglio di Mattarella (in compenso ci sono quelli di Fontana che ignora il protocollo. i presidenti delle Camere parlano sempre dopo il presidente della Repubblica),  Tra i 'nemici' storici,  ha parlato Prodi, mentre non ha ancora parlato Gianfranco Fini e De Benedetti che a differenza di Prodi lo ha detestato per davvero. Ricambiato.

(ANSA il 12 giugno 2023) - "Silvio Berlusconi era soprattutto un combattente, era un uomo che non aveva mai avuto paura a difendere le sue convinzioni e sono state esattamente quel coraggio e quella determinazione a farne uno degli uomini più influenti della storia d'Italia, a consentirgli di imprimere delle vere e proprie svolte nel mondo della politica, della comunicazione e dell'impresa". Così la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio.

(ANSA il 12 giugno 2023) - "Con lui l'Italia ha imparato che non doveva mai farsi imporre dei limiti. Ha imparato che non doveva mai darsi per vinta. Con lui noi abbiamo combattuto, vinto, perso molte battaglie. E anche per lui porteremo a casa gli obiettivi che, insieme, ci eravamo dati. Addio Silvio". Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni in un videomessaggio.

Berlusconi: Calenda, ha lottato con coraggio fino alla fine.  (ANSA il 12 giugno 2023) - "Esprimo le condoglianze mie e di Azione alla famiglia e alla comunità di Forza Italia, per la morte di Silvio Berlusconi. Ha lottato fino alla fine contro la malattia con un coraggio incredibile. Riposi in pace". Così Carlo Calenda, leader di Azione, commenta la morte di Silvio Berlusconi. 

Renzi, amato e odiato ma Berlusconi ha fatto la storia d'Italia. (ANSA il 12 giugno 2023) - "Silvio Berlusconi ha fatto la storia in questo Paese. Tanti lo hanno amato, tanti lo hanno odiato: tutti oggi devono riconoscere che il suo impatto sulla vita politica ma anche economica, sportiva, televisiva è stato senza precedenti. Oggi l'Italia piange insieme alla famiglia, ai suoi cari, alle sue aziende, al suo partito. A tutti quelli che gli hanno voluto bene il mio abbraccio più affettuoso e più sincero". Lo scrive il leader di Italia viva Matteo Renzi sui social. "In queste ore porto con me i ricordi dei nostri incontri, dei tanti consigli, dei nostri accordi, dei nostri scontri - aggiunge l'ex premier -. Ma soprattutto di una telefonata in cui Silvio, non il Presidente, mi ha fatto scendere una lacrima parlando della mamma. Ci mancherai Pres, che la terra ti sia lieve".

Berlusconi: Crosetto, 'si chiude un'era'. (ANSA il 12 giugno 2023) - "Un grande, enorme dolore. Lascia un vuoto enorme perché è stato un grande. È finita un'epoca, si chiude un'era. Gli ho voluto molto bene. Addio Silvio". Lo scrive il ministro della Difesa, Guido Crosetto, in merito alla morte di Silvio Berlusconi. 

Berlusconi: Prodi,esercitò grande influenza nella vita del Paese. (ANSA il 12 giugno 2023) -  "Partecipo al profondo cordoglio per la scomparsa di Silvio Berlusconi. Lo ricordo come un leader politico che, nel suo lungo e intenso impegno pubblico, ha esercitato una grande influenza nella vita del nostro paese, incidendo non solo sulle Istituzioni, ma anche nella vita di tutti i cittadini". Lo dice Romano Prodi. "Nel nostro lungo confronto politico abbiamo rappresentato mondi diversi e contrapposti, ma la nostra rivalità non è mai trascesa in sentimenti di inimicizia sul piano personale, mantenendo il confronto in un ambito di reciproco rispetto. Ho apprezzato il suo sostegno alla causa europeista, soprattutto perchè confermato e ribadito in un periodo in cui il nostro comune destino europeo era messo duramente e imprudentemente sotto accusa. Porgo alla sua famiglia e a tutti i suoi cari le mie più profonde condoglianze", conclude il fondatore dell'Ulivo.

Berlusconi: Letta,nella sua scomparsa tutti si sentono coinvolti. (ANSA il 12 giugno 2023) "Berlusconi ha fatto la storia del nostro Paese. La sua scomparsa segna uno di quei momenti in cui tutti, che siano stati vicini o lontani dalle sue scelte, si sentono coinvolti. Affetto e vicinanza ai suoi familiari e ai suoi amici. E a tutta la comunità politica di Forza Italia". Lo scrive su Twitter l'ex segretario del Pd Enrico Letta. 

Berlusconi: Schlein, con lui si chiude un'epoca. (ANSA il 12 giugno 2023) - "Di fronte alla scomparsa di Silvio Berlusconi vogliamo far arrivare tutta la nostra vicinanza al dolore della sua famiglia, dei suoi cari e di tutta Forza Italia, così come vogliamo che arrivi al Governo e alle forze di maggioranza. Con la morte di Silvio Berlusconi si chiude un'epoca. Tutto ci ha divisi e ci divide dalla sua visione politica, resta però il rispetto che umanamente si deve a quello che è stato un protagonista della storia del nostro Paese. Le più sentite condoglianze da parte del Partito Democratico". Ad affermarlo in una nota è la Segretaria del PD, Elly Schlein. 

Conte, a Berlusconi non mancarono mai coraggio e passione (ANSA il 12 giugno 2023) - "Silvio Berlusconi è stato un imprenditore e un politico che in ogni campo in cui si è cimentato ha contribuito a scrivere pagine significative della nostra storia. Ha acceso e polarizzato il dibattito pubblico forse come nessun altro, e anche chi lo ha affrontato da avversario politico deve riconoscere che non gli sono mai mancati il coraggio, la passione, la tenacia". Lo scrive sui social il presidente del M5s, Giuseppe Conte. "In questo momento di profondo dolore - aggiunge l'ex premier - tengo a far pervenire ai suoi cari e alla sua famiglia il sincero e rispettoso cordoglio mio e del Movimento 5 Stelle".

Berlusconi: Salvini annulla appuntamenti, 'grande italiano'. (ANSA il 12 giugno 2023) - Matteo Salvini ha annullato gli appuntamenti pubblici di oggi dopo la notizia della morte di Silvio Berlusconi. Lo comunica il ministero dei Trasporti. Il vicepremier e ministro, questa mattina a Lesa in provincia di Novara, ha chiesto un minuto di silenzio per il leader di Forza Italia definendolo "un grande uomo e un grande italiano".

NON CI SARÀ UN ALTRO SILVIO MUORE LA SECONDA REPUBBLICA. ROBERTO NAPOLETANO su Il Quotidiano del Sud il  13 GIUGNO 2023

La forza è misurata da un senso di vuoto collettivo che Berlusconi lascia e che va oltre la politica. Come se mancasse qualcosa che appartiene a tutti, che fa parte delle nostre famiglie, che è stato amato e avversato in modo durissimo sul piano politico e giudiziario, ma che è rimasto sempre presente. Per certi versi si riproduce oggi un fenomeno simile a quando si è sciolta la Democrazia Cristiana perché la prima Repubblica era la Democrazia Cristiana, ma era anche l’Italia della Chiesa e delle parrocchie, della scuola per tutti e dell’edilizia popolare, era l’Italia del potere e delle correnti, della laicità del cattolicesimo popolare, aveva sempre un punto di contatto con ognuno degli italiani

Silvio Berlusconi è un uomo che ha avuto mille vite, mille discese e mille risalite, di ogni tipo, politiche, imprenditoriali, in casa e fuori. È un uomo che ha avuto mille conflitti, mille accanimenti e mille vie di uscita dagli angoli più stretti. Soprattutto, però, ha dimostrato con la sua vita di imprenditore e di politico che erano possibili due cose apparentemente impossibili. La prima. Un sistema televisivo privato che facesse concorrenza alla tv pubblica. La seconda. Inventare un partito da zero sulle macerie dei partiti della Prima Repubblica travolti tutti, meno mezzo, da Mani Pulite. Dopo di lui un fenomeno simile non è più successo.

È stato il primo Presidente del Consiglio a non essere espresso dalla politica. Non è uscito dai partiti, ma dall’imprenditoria. Non c’era mai stato un caso di questo tipo in Italia e l’altra novità strettamente collegata a essa è che il capo di questo nuovo partito Berlusconi non lo ha fatto da tecnico ma da politico. Da politico di razza che si è inventato il suo partito su misura e lo ha guidato e gestito da politico che sapeva farsi di gomma e di ferro e da uomo di Stato di statura nazionale e internazionale che ha fatto cose buone e commesso errori ma nei momenti cruciali ha messo l’interesse nazionale prima di tutto.

Chi scrive ne chiese le dimissioni da Presidente del Consiglio con un titolo a caratteri cubitali, FATE PRESTO, dalle colonne del Sole 24 Ore che all’epoca dirigevo, perché erano a rischio il lavoro e il risparmio degli italiani per più di una generazione. Lui non accettò le pressioni ricattatorie del duo Merkel-Sarkozy e, ancora di più, della Lagarde che volevano commissariare l’Italia con i soldi del Fondo Monetario Internazionale, ma non esitò invece a fare il passo indietro che evitò al Paese un default sovrano analogo a quello argentino. Un Paese più ricco e meno popolato di noi che da allora non solo è diventato povero, ma non si è mai più ripreso. Fece il passo indietro da noi richiesto Berlusconi e lo fece, dichiarandolo, perché non si sarebbe mai perdonato che la speculazione internazionale si mangiasse il suo Paese. Silvio Berlusconi ha inventato il bipolarismo che oggi riteniamo classico tra centro destra e centro sinistra, impersonificato da lui e da Prodi, ma prima questo bipolarismo in Italia non era mai esistito e si deve a lui un capitolo importante della storia politica italiana che è quella della seconda Repubblica. Che nessuno potrà mai saltare se vorrà capire chi siamo oggi e che cosa potremo essere domani. La verità dei fatti ci dice che in politica la lunga stagione di Berlusconi riguarda l’ultima età della speranza, dell’ottimismo, dell’idea che il mondo andasse verso un orizzonte molto sereno. Ha ottenuto fiducia in politica per questo.

Questa aspettativa è progressivamente venuta meno. Ha potuto durare più a lungo lucrando abilmente sulla rendita della sinistra dei gufi. Oggi non c’è più un’opposizione speranzosa come era ai suoi tempi. Ai suoi tempi sia lui sia la sinistra di Prodi e Bersani pensavano che si poteva organizzare tutto per il meglio. Berlusconi pensava o dichiarava che si poteva fare senza grandi costi per nessuno, c’era sempre un piccolo o grande sogno da vendere. Memorabile la scena, anche lì c’ero, a Porta a Porta quando nel faccia a faccia con Prodi, dopo avere fatto finta di rispondere all’ultima domanda mia e di Marcello Sorgi, mise gli occhi nella telecamera e non li mollò più ripetendo ossessivamente: tu hai una casa? Tu paghi l’Ici? Vota Silvio, parola di Silvio, e non pagherai più l’Ici! Ricordo che uscendo dagli studi di via Teulada Prodi mi chiese come era andata e mi venne istintivo di rispondergli così: tu hai una casa? Tu paghi l’Ici? Parola mia hai perso un milione di voti”.

In quella stagione del bipolarismo inventato da Berlusconi che è il segno storico della Seconda Repubblica è, però, un dato di fatto che la sinistra pensava anch’essa di organizzare questo mondo migliore puntando ovviamente a una redistribuzione tra le parti, ma è certo che perseguiva lo stesso sogno di andare avanti. Prima, cioè, a quell’epoca, voglio dire questo, tutte e due le parti erano in cammino verso un mondo migliore. Oggi purtroppo invece danno tutti la sensazione di essere in cammino verso una catastrofe con atteggiamenti e comportamenti differenti tra una parte e l’altra. La destra dice: facciamomuro, ci siamo noi. La sinistra dice: l’unica cosa è rovesciare tutto.

Durante il suo primo ricovero al San Raffaele che ha avuto momenti di grande paura ed è durato a lungo mi veniva di pensare a un Berlusconi costretto a guardare questa radicalizzazione che è esattamente il contrario di quello che lui ha espresso politicamente. Anche i conflitti di interesse di oggi sono paradossalmente una sottolineatura dei tempi che cambiano rispetto alla sua stagione dove non era più possibile distinguere tra un imprenditore e un politico e molti imprenditori hanno provato a fare politica. Anche questo conflitto di interessi minore e diffuso di oggi, perché sembra riguardare tutti e tutto in ogni ambito, fa parte del cambio d’epoca rispetto a una stagione che concepiva solo cambi d’epoca non traumatici.

Nell’orizzonte politico di Berlusconi anche sul piano internazionale era concepita e prevista una fine sempre dolce perché non c’era concettualmente spazio per una guerra come quella della Russia in Ucraina. Prevaleva la convinzione che si poteva ricomporre sempre tutto con la risposta dell’ottimi – smo. Pratica di Mare con Bush e Putin intorno a lui è di certo il punto più alto di quella politica estera italiana. Faceva fatica Berlusconi a uscire da questa sua visione del mondo. Perfino davanti a una crisi d’epoca, per intenderci. Questo, purtroppo, è ciò che oggi non è più possibile perché la geopolitica globale è cambiata silenziosamente da competizione a conflitto tra mondo autocratico e mondo occidentale, è cambiato tutto al punto che pandemia globale e guerra di invasione di Putin in Ucraina sono conseguenza non causa di questo drammatico cambiamento di scenario.

Come lo sono stati e lo sono le armi dei russi e i soldi dei cinesi con cui il nuovo dominio autocratico orientale prova a colonizzare Africa e India. Come lo è il disegno imperialista di Putin che ha fatto le sue prove prima in Crimea, Georgia e Cecenia, ora in Ucraina, e se l’Occidente non riuscirà a fermarlo proseguirebbe ancora di sicuro. Tutto o quasi è cambiato perfino nel suo impero comunicativo al contrario di quello che pensava Berlusconi, si torna al capitolo che è meglio essere uno sponsor esterno della politica, non un’espressio – ne politica tout court. Si torna al Berlusconi pre-politico che ha puntato prima su Craxi, poi su Segni, e infine su di lui scandendo bene “de – vo giocare io in prima persona” an – che perché Segni gli disse di no e lui per definizione è in grado di fare tutto. A noi di questa lunga stagione, che meriterebbe ben altri ingrandimenti sulla politica estera e sul capitolo giustizia, resta una lezione per l’oggi. Che è una sola: non si può continuare a gestire situazioni così complesse come sono quelle attuali con la politica degli opposti estremismi di destra e di sinistra.

C’è un disperato bisogno del ritorno di quella via di mezzo della politica che sappia essere un punto di riferimento del Paese. Ecco perché quello che ora prima di tutto bisogna capire è se con la sua scomparsa finisce anche questo bipolarismo o se sopravviverà in modo diverso alla sua scomparsa. Ora bisogna vedere se quel partito che lui ha creato dal nulla riuscirà a sopravvivere e questo vuol dire capire se quell’area centrista che lui tra alti e bassi aveva stabilmente collocato all’interno del centrodestra rimarrà dove è rimasta fino al suo ultimo sospiro o se verrà inglobata dentro la nuova Destra o rinascerà insieme con altre forze collocandosi fuori dai due schieramenti classici del bipolarismo classico inventato da lui. Una cosa, però, è certa: con la scomparsa del più grande combattente della politica e della vita che è stato per tutti Silvio Berlusconi è finita per davvero la Seconda Repubblica.

Anche se il suo partito, Forza Italia, non aveva più la forza di una volta, la scomparsa dell’uomo che ha rappresentato la Seconda Repubblica in questo Paese pone a tutti il tema strategico di come si ricostruirà il sistema politico italiano e che forma prenderà per davvero la Terza Repubblica. La dimensione di questa sfida che la politica tutta ha oggi davanti a sé è misurata da un senso di vuoto collettivo che Berlusconi lascia e che va oltre la politica. Come se mancasse qualcosa che appartiene a tutti, che fa parte delle nostre famiglie, che è stato amato e avversato in modo durissimo sul piano politico e giudiziario dove si è arrivati alla persecuzione, ma che è rimasto nonostante tutto sempre presente. Per certi versi si riproduce oggi un fenomeno simile a quello che è accaduto quando si è sciolta la Democrazia Cristiana, chiusa con un fax da Mino Martinazzoli, perché la prima Repubblica era la Democrazia Cristiana, ma la Democrazia Cristiana era anche l’Italia della Chiesa e delle parrocchie, della scuola per tutti e dell’edilizia popolare, era l’Italia del potere e delle correnti, della laicità del cattolicesimo popolare, aveva sempre un punto di contatto con ognuno degli italiani.

Oggi con la scomparsa di Berlusconi succede qualcosa di analogo per quello che ha rappresentato e continuerà a rappresentare nell’immaginario collettivo. Una figura che non rientra in nessuno dei canoni classici perché li tocca tutti e in modo diverso, ai massimi livelli sempre, con colori e modalità forti, a volte rocambolesche, a tratti miracolose. Una figura segnata dai suoi strepitosi successi e dai suoi eccessi, con una vita privata che un Presidente del Consiglio in carica non può avere ma usata con la clava giudiziaria a fini politici, alla quale pure è incredibilmente sopravvissuto, rialzandosi sempre da combattente. Con una condanna per reati fiscali che lo costrinse alle dimissioni da senatore e ai servizi sociali svolti con la generosità dell’uomo, forse per lui il capitolo più doloroso, e il mistero sopravvissuto a tutto delle 22 fiduciarie con cui il suo gruppo fu quotato in Borsa senza mai averne aperto l’accesso e avendo tutti accettato la dichiarazione che erano possedute interamente dalla famiglia Berlusconi.

Con un capitolo che riguarda i rapporti con Cosa Nostra che ha toccato suoi collaboratori, ma mai lui che ha segnato la sua azione di governo con provvedimenti molto duri contro la criminalità organizzata. Anche questo era un capitolo che sembrava non finire mai nel racconto mediatico italiano e che, di sicuro, molti vorranno fare sopravvivere anche dopo le sue esequie. Parliamo di un uomo, come avete capito, non catalogabile e, forse, neppure classificabile. Ha cambiato il sistema urbanistico italiano con i suoi esordi da costruttore. Ha cambiato il modello televisivo italiano rivoluzionando la comunicazione e l’industria dell’intrattenimento. Ha cambiato il sistema politico con Forza Italia e ha impersonificato la Seconda Repubblica. È stato il Presidente del Consiglio italiano più longevo superando De Gasperi e Andreotti. Ci sono sequenze straordinarie in tutti questi passaggi, e molti altri ancora, e l’orgoglio della sua famiglia che ne raccoglie l’eredità imprenditoriale e avrà un ruolo anche in quella politica. Sono tutte espressione della personalità multiforme di un grande italiano che appartiene alla storia e sapeva parlare al cuore delle persone. Anche questo era Silvio Berlusconi.

Silvio protagonista pop fra politica e tivù, così ha cambiato il Paese. Senza Silvio. L’Italia perde il protagonista della storia recente che più di chiunque altro ne ha interpretato e incarnato, ma anche plasmato e talora distorto, i caratteri viscerali, profondi e al dunque autentici. OSCAR IARUSSI su la Gazzetta del Mezzogiorno il  13 GIUGNO 2023

Senza Silvio. L’Italia perde il protagonista della storia recente che più di chiunque altro ne ha interpretato e incarnato, ma anche plasmato e talora distorto, i caratteri viscerali, profondi e al dunque autentici. Una specie di Fregoli o di Alberto Sordi, se volete. Un genio visionario e un po’ grottesco da Milano 2 a Palazzo Chigi, in grado di battezzare con il suo nome «il ventennio berlusconiano» in cui primeggiò nella politica, dal 1994 in poi.

Ma a ben vedere la lunga stagione azzurra comincia prima della discesa in campo con Forza Italia e copre ormai più di mezzo secolo, dall’avvento di Canale 5 nel 1980 («Corri a casa in tutta fretta c’è un biscione che ti aspetta») al governo che inaugura la Seconda Repubblica dopo il cataclisma di Tangentopoli, fino alle «cene eleganti» (leggi «bunga bunga») e all’autunno del patriarca. Un tramonto che si consuma fra voci di presunte congiure e aspiranti eredi, invero mai contemplati sul serio da Berlusconi e perciò tutti puntualmente bruciati.

Silvio uno e trino - imprenditore, leader, peccatore - è stato il contesto e il pretesto per polemiche senza fine, un duraturo passatempo da Bar Sport che ha coinvolto tanto i fanatici adepti del verbo di Arcore quanto gli strenui oppositori del Caimano, come lo definì Nanni Moretti in un film. Echi di Petronio e di Boccaccio, e naturalmente della Dolce vita felliniana evocata/equivocata dal Cavaliere, hanno scandito il passaggio dell’Italia nel terzo millennio neanche fosse il III secolo a.C., all’insegna del fescennino parodiato da Cetto La Qualunque / Antonio Albanese del «chiù pilu pe’ tutti».

In ciò che resta del Paese più cattolico del mondo, il corpo è un capitale da spendere - annotò Marco Belpoliti in un saggio dedicato al culto della personalità di Berlusconi. Temere lo scandalo? Macché, anzi, lo scalpore è in fondo funzionale al «partito personale» di cui parla un libro rivelatore di Mauro Calise (Laterza 2000). La crisi dei partiti del ‘900 e delle grandi narrazioni (il marxismo e il cattolicesimo popolare) rivela in filigrana una novità travolgente: le identità plurime in una stessa biografia. Identità anfibie, provvisorie, spesso contraddittorie... Sicché Silvio poteva essere e fieramente è stato cattolico e adultero, statista e goliardico, potente e vittimista, ricchissimo e idolo dei poveri. È una dimensione della post-modernità che egli intuisce e concreta per primo, con l’irruenza mercantile e una libido via via più senile e quindi per certi versi impotente. Ma riguarda anche la sinistra: «Noi non siamo innocenti se è nato il populismo», scriverà Alfredo Reichlin.

Tale orizzonte antropologico culturale, nonché politico, corrisponde a una realtà mosaicata, eterogenea, chimerica, eppure disperatamente in cerca di un insieme, di una speranza, di un appiglio contro la solitudine, di un’armonia perduta. Berlusconi lo sa, memore dei primordi da venditore immobiliare di futuro (cos’altro è una casa se non il futuro?), e gli riesce il prodigio di «colonizzare il subconscio» di un popolo intero. Cavalcando i successi di Mediaset fonda la sua egemonia culturale, o «sottoculturale» secondo Massimiliano Panarari, che coniuga Gramsci visto da destra e il Gabibbo «situazionista», la paura del comunismo e la Ruota della Fortuna, le Veline e il Milan... Les jeux sont faits. Del resto, già Enzo Jannacci nel 1975 motteggia in milanese: «La televisiun la g’ha na forsa de leun, la televisiun la g’ha paura de nisun...».

Così il leone catodico diventa il più longevo presidente del Consiglio dalla nascita della Repubblica nel 1946, ancorché sconfitto due volte da Romano Prodi. A proposito, mai visto un dittatore perdere nelle urne, nonostante le larvate accuse di fascismo che a lungo gli rivolsero taluni showman e intellettuali di sinistra, magari gli stessi che pubblicavano libri con la Mondadori acquistata da Berlusconi o che apparivano sulle reti del «satrapo» una sera sì e l’altra pure. Un meccanismo diabolico, questo, che paradossalmente coincide con l’essenza del berlusconismo: il ribellismo mediatico, il consenso e la fama trasformati in valori sul mercato o in Parlamento. Molto più seria resta l’analisi del filosofo Maurizio Viroli dedicata al Cavaliere: «Si difende con l’immenso potere dei suoi mezzi di comunicazione, non con la pressione poliziesca. Più che impaurire vuole persuadere, oltre che comprare con i favori. Vuole essere insomma più amato che temuto».

Berlusconi ci è riuscito, a conti fatti è stato più amato che temuto. Ora l’Italia resta orfana di un personaggio pop dai contorni epocali e con una proiezione ben oltre i confini nazionali (Trump e Putin per aspetti diversi ne hanno emulato qualcosa). Vedremo come i leader di oggi – a cominciare da Giorgia Meloni – sapranno rigenerare l’immaginario, se guardando al futuro o ripiegandosi sul passato che non passa. Riposa in pace Silvio.

(Adnkronos il 12 giugno 2023) - ''Adesso finalmente Berlusconi sarà issato sugli altari: uno per diventare simpatico a tutti deve morire. Ma in vita gliene hanno combinato di tutti i colori per stenderlo''. Sono le prima parole all'Adnkronos di un commosso Vittorio Feltri, che esprime il suo cordoglio e offre un dettagliato ricordo di Silvio Berlusconi. ''Protagonista di questo assalto è stata la magistratura, che è riuscita a condannarlo per reati che non poteva aver commesso perché si era dimesso da tutte le società'', sottolinea Feltri.

Che ripercorre la vita del fondatore e leader di Forza Italia: Berlusconi è stato uno degli uomini più importanti di questo Paese, è riuscito dove nessuno era riuscito. Ha costruito a Milano 2, poi si è dedicato alle tv private, che non c'erano ed è riuscito a fare una concorrenza spietata alla Rai. Ha fondato una banca, Mediolanum, che è una delle più importanti d'Europa, si è buttato nel calcio dove è il presidente mondiale che ha vinto di più ed è riuscito a compiere miracoli anche in un campo che non era il suo. Ha vinto le elezioni dopo tre mesi di campagna elettorale e da allora è sempre riuscito ad andare avanti''.

Poi Feltri entra nel suo rapporto personale con Berlusconi: ''Io non lo ricorderò tanto come politico ma come editore. È stato lui ad assumermi al Giornale dopo l'uscita di Montanelli, e siccome mi è andata di lusso, nel senso che quel giornale, che vendeva 115mila copie, l'ho portato a 156mila copie, la cosa lo aveva esaltato e mi premiò regalandomi il 7% dell'azienda. Mi ha fatto diventare ricco e io non posso che essergli eternamente grato''. 

Recentemente, ricorda ancora Feltri, ''ci eravamo sentiti al telefono e lui aveva un modo un po' sfottente con cui mi chiamava, che era 'numero uno', a me che non sono neanche il numero 'cento'. Aveva una cordialità addirittura eccessiva nei miei confronti e non posso che ricordarlo come un grandissimo uomo, come non ne avevo mai conosciuto uno uguale e come mai ne conoscerò un altro. Davanti alla morte di Berlusconi sono commosso''.

(ANSA il 12 giugno 2023.) - "Raccontare Berlusconi sarebbe cosa molto lunga, fare una sintesi significa concentrarsi sulle cose straordinarie che lui ha fatto e che sono tante, nei due settori che muovono il mondo: l'economia, attraverso le sue iniziative imprenditoriali, e la politica, che in Italia è sempre l'arma e la debolezza del nostro Paese". Così Cesare Previti, ex ministro della Difesa ed ex legale di fiducia di Silvio Berlusconi, ha ricordato l'ex premier intervenendo all'edizione straordinaria del Tg1. "La figura di Silvio - ha aggiunto con voce commossa - è una figura che su due secoli ha spiegato al mondo quello che è giusto e quello che è sbagliato.

Ha tentato di muovere a fondo il sistema Italia, e in buona parte ci è riuscito. Credo che in seguito Meloni sarà forse risolutiva per la modernizzazione e le sorti del nostro Paese, e tutto questo lo dobbiamo a Berlusconi che veramente ha dato una traccia indelebile della sua presenza sempre in positivo: sempre creativo, sempre all'altezza del migliore dei giudizi, naturalmente combattuto dalla mediocrità imperante in Italia, come in tutti i Paesi del mondo. Quindi la morte di Berlusconi veramente segna un fatto dolorosissimo, non solo per la famiglia, per gli amici ma soprattutto per il nostro Paese. Ne avevamo ancora tanto bisogno".

(ANSA il 12 giugno 2023) - "Apprendo con profonda tristezza la notizia della morte di Silvio Berlusconi, fondatore e leader di Forza Italia, protagonista di lunghe stagioni della politica italiana e delle istituzioni repubblicane. Berlusconi è stato un grande leader politico che ha segnato la storia della nostra Repubblica, incidendo su paradigmi, usi e linguaggi". Lo sottolinea il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in una dichiarazione sulla morte di Silvio Berlusconi.

(ANSA il 12 giugno 2023) - "Esprimo il più sentito cordoglio per la morte di Silvio Berlusconi, assoluto protagonista della vita pubblica italiana degli ultimi cinquanta anni". Così l'ex presidente del Consiglio Mario Draghi. "Da imprenditore ha rivoluzionato il mondo della comunicazione e dello sport, con spirito d'iniziativa e innovazione straordinari. Da leader ha trasformato la politica ed è stato amato da milioni di italiani per la sua umanità e il suo carisma. Alla famiglia, ai dipendenti del suo gruppo, alla comunità di Forza Italia, le più sentite condoglianze".

Berlusconi, Occhetto: “La sinistra ha perso contro di lui perché non ha saputo vedere la novità”. Edoardo Sirignano su L'Identità il 12 Giugno 2023

“La sinistra ha avuto il demerito di non aver fatto subito un’analisi alta del fenomeno Berlusconi, di essersi abbandonata semplicemente alle tematiche di tipo moralistico e non invece aver visto in lui una novità”. A dirlo Achille Occhetto, il leader della sinistra battuto dal Cavaliere nel 1995.

Quale il suo ricordo dell’imprenditore di Arcore?

Berlusconi ha cambiato la politica italiana. L’ha fatta passare da quella dei partiti della Prima Repubblica, alla prima sperimentazione di populismo. Stiamo parlando di un modello che ha ispirato persino Donald Trump. Il mio resta un giudizio severo, anche se personalmente ho avuto rapporti umani molto cordiali col mio avversario e la sua famiglia. Non ci siamo mai scontrati oltre il terreno della proposta.

Quali sono le doti che ha apprezzato?

Berlusconi aveva la capacità di essere suadente. Era tipica di un paternalismo funzionale ai propri interessi, una bonomia veramente interessante dietro la quale si nascondeva una sostanziale cattiveria, che lo portava a non considerare qualsiasi regola.

Senza di Berlusconi, il suo progetto sarebbe durato a lungo?

Non so se avremmo avuto un’altra Italia. Il suo progetto era profondamente diverso da quello che pensiamo. In quella famosa campagna elettorale voleva allearsi con la Democrazia Cristiana di Martinazzoli e richiamare in campo Ciampi, un vero liberale, non finto come Berlusconi.

La storia politica così si sarebbe mossa su binari profondamente diversi?

Silvio ha cambiato il gioco politico italiano attraverso una capacità dell’uso cinico delle parole d’ordine. Ha vinto le elezioni, dicendo che c’era il pericolo comunista quando ormai non c’era più in nessuna parte del pianeta. Gli italiani ci hanno creduto, così come hanno fatto quando ha promesso un milione di posti di lavoro e poi non li ha dati. Questo è il classico esempio del populismo, cioè avere la capacità di presentare al di fuori di qualsiasi logica politica normale, cosa che i miei avversari non avrebbero mai fatto.

Ha, quindi, spiazzato tutti?

Può essere considerato da alcuni un merito. Per me è stato un demerito perché ha introdotto nel centro germi di destra destra. In tal senso un apprendista stregone.

Oggi ha un erede?

Berlusconi ha vinto perché ha messo insieme tutti i rimasugli della Prima Repubblica, dicendo solo a parole di essere contro il passato. Ha, poi, unito tutti movimenti giustizialisti, da un lato quello nazionalista di estrema destra e dall’altro quello separatista. Un capolavoro se lo vogliamo vedere dal punto di vista tattico, ma un disastro per un quanto riguarda la strategia.

A cosa si riferisce?

L’Italia si trova senza prospettive politiche e lo stesso Berlusconi senza eredi all’interno del suo partito. L’unico possibile successore, che non è affatto uguale a lui, può essere considerata Meloni, che però si è comportata da apprendista stregone.

La premier Meloni può continuare il progetto del leader di Arcore?

Quello di Silvio si è rotto da tempo. Meloni ne ha un altro. Il successo dell’attuale presidente del Consiglio è un qualcosa che va oltre la volontà di Berlusconi. Non è vero quanto scritto da molti giornali, ovvero che con la dipartita di Silvio è finita un’epoca. Berluscono era già terminato da tempo. Nei giorni della morte, però, la retorica finisce sempre col prendere il sopravvento.

A suo parere perché quello schema inventato dal Cavaliere è riuscito a durare così a lungo?

La sinistra ha avuto il demerito di non aver fatto subito un’analisi alta del fenomeno Berlusconi, di essersi abbandonata semplicemente alle tematiche di tipo moralistico e non invece aver visto in lui una novità. L’imprenditore, quindi, ha potuto intrecciare, accordi, inciuci, senza porre al centro il problema del conflitto di interessi. È falso dire che la sinistra a testa bassa ha combattuto Berlusconi. In realtà lo ha graziato.

Morto Berlusconi. Mattarella: “Ha segnato la storia della Repubblica”. Redazione su L'Identità il 12 Giugno 2023

A unirsi al cordoglio per la morte di Silvio Berlusconi, scomparso all’età di 86 anni questa mattina al San Raffaele di Milano dopo il ricovero per la sua malattia, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

“Apprendo con profonda tristezza la notizia della morte di Silvio Berlusconi, fondatore e leader di Forza Italia, protagonista di lunghe stagioni della politica italiana e delle istituzioni repubblicane. Berlusconi è stato un grande leader politico che ha segnato la storia della nostra Repubblica, incidendo su paradigmi, usi e linguaggi”.

Estratto dell’articolo di Andrea Malaguti per “la Stampa” il 13 giugno 2023.

Massimo Cacciari, giusti i funerali di Stato per Silvio Berlusconi?

«Certo, perché no? È stato quattro volte presidente del Consiglio e da trent'anni è la figura centrale della politica italiana. Mi sembra normale». 

È normale anche il lutto nazionale?

«Non ricordo precedenti per la scomparsa di un presidente del Consiglio, ma mi sembra la minore delle questioni». 

I processi, la P2, Mangano stalliere ad Arcore, le leggi ad personam, il web si è scatenato.

«[…] Berlusconi è stato assolto nel 99% dei molti processi a cui è stato sottoposto e ho sempre considerato suicida la scelta della sinistra di attaccarlo sul fronte giudiziario anziché su quello politico. […] se fosse dipeso da me, il lutto nazionale non lo avrei proposto».

[…] « […]Forza Italia ha rivoluzionato il modo di concepire la politica. Un'innovazione che ha finito per diventare egemone». […] «Lo sbaraccamento della forma tradizionale di partito è cominciata con Forza Italia, che per prima si è presentata come formazione a conduzione carismatica capace di rivolgersi direttamente alla gente. Un'invenzione che ha cambiato le coordinate della politica, fino a condizionare anche le cosiddette sinistre».

[…] La pagella al Berlusconi statista?

«Un totale fallimento. Ma non ha fallito da solo. Lo ha fatto tutta la sua generazione».

[…] «[…] Dopo trent'anni l'Italia sta molto peggio di prima. Non c'è stata nessuna riforma seria istituzionale, amministrativa o dei servizi fondamentali. E la Costituzione è diecimila volte più inattuata». 

Professore, con Berlusconi se ne va anche Forza Italia?

«Non credo. La triplice di governo ha bisogno della componente forzista in vista delle europee. Il disegno in prospettiva è piuttosto chiaro». 

Una maggioranza tra i popolari e la destra?

«Ovvio. E per questo al momento non sono ipotizzabili grandi fughe o strategie di annessione. È vero che Forza Italia è ai minimi storici e che la leadership di Meloni è molto forte, ma è anche vero che dal 1994 la triplice destra-destra, Lega, Forza Italia non si è mai divisa. A differenza di quello che succede a sinistra». 

[…] «[…] L'Europa attuale è totalmente priva di visione strategica e […] autonomia in politica estera per cui, chiunque governi, l'egemonia della Nato e degli Stati Uniti continuerà a imporre la propria linea. E per quello che riguarda l'amministrazione interna ci penseranno come sempre le tecno-strutture, che sono del tutto indifferenti al colore di chi vince le elezioni». 

Chi è il delfino di Berlusconi?

«Non lo vedo». 

Renzi?

«Ha perso il treno del Nazareno. Ormai mi pare fuori tempo massimo». 

Berlusconi presidente del Consiglio aveva accumulato tra le mani un potere senza precedenti. Era accettabile?

«Bisogna distinguere. Formalmente no. Nessun altro leader europeo era nelle sue condizioni. Ma da un punto di vista sostanziale che differenza c'era rispetto all'occidentalissimo sistema americano?». 

[…] «[…] Negli Stati Uniti i conflitti di interesse, anche quelli più bestiali – come i figli nei consigli d'amministrazione o i legami con i grandi comitati d'affari - sono palesi. Quella grande democrazia si basa sulla simbiosi tra potere politico e potere economico. […] il modello di Washington è identico a quello di Mosca o di Pechino».

La democrazia è agonizzante?

«Ovunque e in modo strutturale. Lo dico da anni. Il modello che avevamo nella zucca fino alla fine della guerra fredda non esiste più». 

Putin è stato tra i primi a fare arrivare le proprie condoglianze.

«Me l'aspettavo. È nell'ordine ovvio delle cose. […] io sono inimicissimo di Putin […] Ma sono amicissimo del popolo russo e della sua cultura. E inviterei anche i peggiori guerrafondai a esserlo. Proprio come lo era Berlusconi, che negli ultimi tratti della sua vita poteva mischiare strampalerie evidenti e cose di buon senso. Che il 99% degli italiani sia favorevole a una trattativa per il cessate il fuoco mi sembra fuori discussione. Chi preferisce i massacri a una trattativa? Berlusconi se lo chiedeva da povero nonno».

[…] «[…] Berlusconi diceva le stesse cose che pensa Giorgia Meloni. Solo che lei non può dirlo». 

Che cosa glielo impedirebbe?

«Il realismo. Si metterebbe fuori da tutti i giochi internazionali. Neppure io, al suo posto, potrei sostenere certe posizioni». 

[…] Professor Cacciari, "Non temo Berlusconi in sé, ma Berlusconi in me", è una citazione di attribuzione incerta che ha goduto di grande successo.

«Le influenze che questi trent'anni hanno avuto sulla dissoluzione della forma partito e su molti dei nostri simili sono sotto gli occhi di tutti». […]

D’Alema: «Berlusconi sui magistrati ha avuto qualche ragione: era un combattente». Tommaso Labate  su Il Corriere della Sera il 14 Giugno 2023 

L’ex premier: sulla giustizia sollevava un problema reale, declinandolo però nel modo sbagliato. La sua morte? «Ho provato dispiacere, sapeva suscitare simpatia. Il suo segreto era una miscela di tradizione e innovazione» 

Presidente D’Alema, che cosa ha provato quando ha saputo della morte di Berlusconi?

«Ho provato dispiacere. Berlusconi era un combattente. Un avversario, certo, ma un uomo capace anche di suscitare ammirazione e persino simpatia dal punto di vista umano». 

È d’accordo con il lutto nazionale?

«È una decisione che corrisponde a un sentimento non di tutti, certo, ma di una parte importante degli italiani. Non credo che debba essere materia di polemiche». 

La prima volta che ha incontrato Berlusconi?

«Era il 1992, ero capogruppo alla Camera del Pds e a Montecitorio si discuteva un provvedimento che gli stava molto a cuore. Gianni Letta mi disse che Berlusconi avrebbe voluto incontrarmi. Ci vediamo in un ufficio di Fininvest a Roma, c’era anche Confalonieri. E Berlusconi fu bravissimo: per tutta la durata dell’incontro non fece mai riferimento alla legge che gli interessava». 

E di che cosa parlaste?

«Disse che era molto contento di conoscermi, che era colpito dalla “rara capacità” che avevo di spiegare la politica mentre i politici normalmente parlavano in modo “aggrovigliato”, che si vedeva che avevo fatto il giornalista. E poi mi chiese: “Perché lei non fa qualcosa con noi?”». 

In televisione?

«Sì. Gli dissi che non era possibile, visto che ero deputato della Repubblica. Lui rispose che secondo lui non era un problema tanto più che già Giuliano Ferrara, all’epoca parlamentare europeo del Psi, conduceva Radio Londra su Italia 1. Fu molto carino e mi regalò anche un libro: Il principe di Machiavelli, edito da lui e con una sua prefazione. Ci salutammo con cortesia. Quanto a quel provvedimento, noi continuammo a opporci e alla fine non passò». 

Quando capì che Berlusconi vi avrebbe sconfitti alle elezioni del ’94?

«Abbastanza presto. Anche perché vidi che buona parte dell’elettorato salentino del mio collegio di Gallipoli, tradizionalmente democristiano, stava slittando verso “il candidato di Berlusconi”, un esponente del Movimento sociale che in condizioni normali avrebbe preso il 5%. Mi resi conto che lui era riuscito a mobilitare il corpo profondo del moderatismo italiano contro “il pericolo comunista”». 

Quale fu il segreto del successo di Berlusconi?

«Era riuscito a catalizzare il voto conservatore e a riempire il vuoto lasciato dalla caduta del Caf (Craxi, Andreotti, Forlani, ndr). Nel nome dell’anticomunismo ma anche presentandosi come “il nuovo” contro la vecchia politica dei partiti. Una miscela geniale di tradizione e innovazione». 

D’Alema, per il popolo berlusconiano lei era il nemico numero uno, per un pezzo dell’intellighenzia progressista l’uomo dell’inciucio con Berlusconi. Come lo spiega?

«I primi avevano sostanzialmente ragione. I secondi mancavano di qualche lettura di Gramsci sull’importanza del compromesso in politica». 

Pensa alla Bicamerale?

«La Bicamerale era nelle tesi dell’Ulivo, non nelle volontà di D’Alema. La commissione si concluse con un larghissimo voto favorevole e l’approvazione di una riforma costituzionale di quella ampiezza avrebbe evitato la demonizzazione reciproca di cui ha sofferto la nostra democrazia. Di questo si sono occupati in pochi; gli altri erano concentrati sulle dietrologie, sulle crostate e sugli inciuci. Io credo che la decisione di Berlusconi di rinnegare il voto favorevole e di schierarsi contro in Aula fu un grandissimo errore». 

Pentito di essere andato in visita a Mediaset e averla definita «patrimonio del Paese»?

«Tutt’altro. Era un segnale agli imprenditori, non solo a Mediaset, mentre Berlusconi ci dipingeva come comunisti nemici della libera impresa». 

Nel 2006 Berlusconi le avrebbe sbarrato la strada per il Quirinale. Ancora arrabbiato?

«Dopo la vittoria elettorale del 2006 il mio nome circolò come possibile candidato del centrosinistra e sembrava che Berlusconi non fosse contrario. Poi, forse dopo aver sentito i suoi, mi telefonò con grande cortesia per dirmi che rappresentavo troppo “una parte”. Sa che cosa gli risposi? Che aveva ragione. Mi consultai con Fassino e chiamammo Napolitano. Che poi, ovviamente, Berlusconi non votò». 

L’ultima volta che lo ha visto dal vivo?

«Nel 2015, mi dicono che sta a casa di amici comuni e passo. C’erano le elezioni del presidente della Repubblica. Gli dissi che per noi della minoranza del Pd andavano bene Mattarella e Amato. “Massimo, guardi, io preferisco Amato”, mi rispose. Poi andò da Renzi a dire che Amato andava bene anche a me e fu la fine di quella candidatura». 

Secondo lei, Berlusconi ha avuto qualche ragione nel ritenersi perseguitato da alcuni giudici?

«Probabilmente sì. Ma credo che Berlusconi abbia sollevato un problema reale declinandolo nel modo sbagliato. E cioè interpretandolo come se ci fosse il complotto dei magistrati di sinistra contro di lui. In realtà quello che si era determinato nel nostro Paese era stato uno squilibrio nei rapporti tra poteri dello Stato, questa è la verità. L’indebolimento del sistema dei partiti ha lasciato campo a una crescita del potere “politico” della magistratura, che si è arrogata il compito di fare qualcosa di più che perseguire i reati, come per esempio vigilare sull’etica pubblica e promuovere il ricambio della classe dirigente. Il tema era il riequilibrio, non il complotto contro Berlusconi. E alla fine quel suo scontro con i giudici ha creato un clima nel quale non è stato possibile fare nessuna riforma».

Toh, D’Alema riabilita il Cav ma dimentica i silenzi del Pds. Le amnesie dell’ex presidente del Consiglio dopo la morte del Cavaliere. Davide Vari su Il Dubbio il 14 giugno 2023

In fondo che volete che siano 30 anni? E’ un batter d’ali se consideriamo che Santa Romana Chiesa ha atteso 4 secoli e mezzo prima di riabilitare (ma solo in parte) il povero Giordano Bruno. Trent’anni, dicevamo, il tempo (quasi) esatto per ammettere che sì: forse i giudici hanno un tantino esagerato con Silvio; forse hanno calcato la mano. Lo ha detto a mezza bocca Massimo D’Alema e lo ha fatto dopo 30 anni di “attenzioni” giudiziarie: “L’indebolimento del sistema dei partiti - ha spiegato ieri al Corsera - ha lasciato campo a una crescita del potere politico della magistratura che si è arrogata il compito di fare qualcosa di più che perseguire i reati, come per esempio vigilare sull’etica pubblica e promuovere il ricambio della classe dirigente”.

Certo, qualche maligno ora dirà che la riabilitazione del Cav da parte di D'alema arriva solo post mortem e, soprattutto, dopo l’indagine sul presunto “traffico” d’armi con la Colombia che lo coinvolgerebbe. Ma sono solo malignità. Di più: tentativi di buttarla in caciara. Perché il punto da contestare a D'Alema non è certo un’indagine che, almeno per chi scrive, finirà in un nulla di fatto. La cosa che proprio non torna è un'altra: è la rara abilità con la quale D’Alema schiva la responsabilità, sua e del Pds, sulla sbandata politica di alcune procure che ha determinato la desertificazione di un intero sistema partitico. D’Alema non può certo pensare di cavarsela buttando la croce addosso alle toghe.

D’Alema deve dirci dov’era il suo Pds quando quella mattanza politica si consumava. E la risposta è fin troppo facile: era al fianco di quei magistrati. La mutazione antropologica della sinistra è avvenuta proprio in quei mesi, in quelle settimane, in quei giorni. E ripercorrere quella storia non serve solo a riabilitare il Cavaliere, serve soprattutto a capire cosa è rimasto della sinistra.

La lettera di Meloni: «Berlusconi esce di scena da protagonista: i suoi avversari hanno perso». Giorgia Meloni  su Il Corriere della Sera il 14 Giugno 2023 

La premier: sul suo nome gli italiani si sono divisi e il giudizio della storia sarà diverso da quello della cronaca. 

Silvio Berlusconi esce di scena da protagonista. Molti in queste ore ne hanno raccontato l’avventura umana, imprenditoriale e politica. Sul suo nome gli italiani si sono divisi e il giudizio della storia sarà diverso da quello della cronaca. Più sereno, meditato ed equilibrato. C’è chi lo ha combattuto politicamente con lealtà e chi invece ha usato mezzi impropri per provare a sconfiggerlo. Anche questo è un dato sul quale riflettere, per l’oggi e il domani, perché alla fine di questa storia i suoi avversari hanno perso.

Berlusconi faceva parte della borghesia imprenditoriale di Milano non per eredità e lignaggio, ma per capacità e intraprendenza. Quanti stereotipi su di lui si addensano in queste ore. La storia della famiglia di Berlusconi è quella di tanti italiani che nel Dopoguerra, con pochi soldi e molte speranze, si sono battuti per migliorare la loro condizione e quella dei propri figli, realizzando quello che è stato chiamato il miracolo italiano. La naturale empatia che molti italiani provavano per Berlusconi deriva da qui: dall’essere uno di loro, uno che ce l’aveva fatta e che non apparteneva a quei mondi esclusivi e inaccessibili, tipici delle storiche famiglie influenti italiane.

Berlusconi è stato il primo della nostra storia repubblicana a diventare presidente del Consiglio dopo essersi affermato nel settore privato. L’imprenditore prestato alla politica che rompeva uno schema ormai consolidato in Italia.

La sua cavalcata nella cronaca è diventata storia perché, a un certo punto, il suo modo di essere nella vita privata è diventato una svolta pubblica, una reazione di fronte alla parabola che in Italia stava assumendo la storia dopo il crollo del Muro di Berlino. Berlusconi ha impedito che i postcomunisti prendessero il potere in Italia pochi anni dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che aveva sancito la fine del comunismo in Europa. Un paradosso storico evitato dalla sua decisione di fondare Forza Italia e federare le forze politiche del centro, della destra e il movimento leghista. È questa, in fin dei conti, la grande colpa che la sinistra non gli ha mai perdonato.

Il suo ingresso nell’arena della politica ha accelerato i processi di trasformazione che erano già in corso a destra e a sinistra. Berlusconi ebbe il tempismo e colse il momento. Quella che doveva essere una lunga stagione di governi di estrazione socialista, senza reali alternative nel campo moderato, si è trasformata nell’era dell’alternanza al governo tra centrodestra e centrosinistra, dando all’Italia una dimensione occidentale e contemporanea, rafforzando così l’intera nazione a livello internazionale. Della sua figura prevalgono le molte luci, sul piano umano e ancor di più su quello politico, essendo stato da leader di partito e da presidente del Consiglio un formidabile difensore del nostro interesse nazionale e del nostro tessuto produttivo e sociale. È questa la grande eredità che Berlusconi lascia all’Italia. Ne sapremo fare buon uso. Grazie Silvio.

Le reazioni della Politica Estera.

Berlusconi "liquidato": lo sfregio in Ucraina, sospetti sui servizi di Kiev. Libero Quotidiano il 12 giugno 2023

Un orrore contro Silvio Berlusconi nel giorno della sua morte. Una foto dell'ex premier, scomparso oggi, lunedì 12 maggio, a 86 anni, e una sovrascritta in cirillico che recita: "Liquidato".

La porcheria è apparsa nelle pagine di Myrotvoretz, un sito considerato vicino ai servizi segreti dell'Ucraina, dove è stato pubblicato l'aggiornamento di una lista di proscrizione nella quale vengono resi pubblici nomi e dati di politici, giornalisti e personaggi pubblici di tutto il mondo che vengono considerati nemici di Kiev per un presunto appoggio a Vladimir Putin. 

Insomma, i voti in aula e la linea ultra-atlantista non basta: Berlusconi "liquidato", esultano i servizi di Kiev, che attaccano il fondatore di Forza Italia per alcune sue frasi su Putin nel recente passato. 

Già nel 2015, Silvio Berlusconi finì nel mirino degli ultra-nazionalisti ucraini a causa della sua visita insieme a Putin in Crimea, visita che interpretarono come una legittimazione dell'occupazione russa. In seguito a quella visita, Berlusconi fu dichiarato persona "non gradita" in Ucraina.

Estratto da open.online il 13 giugno 2023.

«L’amico del dittatore Vladimir Putin». Con queste parole, l’agenzia di stampa ucraina Unian ricorda Silvio Berlusconi. […] «Dopo l’inizio dell’aggressione da parte di Mosca e l’introduzione delle prime sanzioni dell’Occidente, Berlusconi ha giustificato l’azione dell’aggressore, sottolineando che la Russia “non poteva far altro che proteggere i cittadini ucraini di origine russa, che considera fratelli”», si legge sul sito dell’agenzia stampa. 

Nell’articolo […] viene inoltre ricordata la visita del Cav. in Crimea. «Nel settembre 2015 Berlusconi ha visitato per diversi giorni la Penisola occupata dalla Russia. Qui, in particolare […] ha avuto un incontro con Putin. In risposta, l’Ucraina gli ha vietato di entrare nel Paese per tre anni». E poi ancora: «Nel 2022, quando la Russia ha lanciato una sanguinosa guerra su vasta scala non provocata, Berlusconi ha continuato a giustificare l’aggressore, sottolineando che Mosca avrebbe voluto solo sostituire il governo di Volodymyr Zelensky con persone perbene», si legge. 

L’agenzia di stampa ricorda infine «l’ultimo anno della sua vita», quando Berlusconi «gravemente malato, in dichiarazioni pubbliche ha incoraggiato l’Ucraina a negoziare con l’aggressore. E le fughe di notizie delle registrazioni audio alla fine hanno mostrato che Berlusconi considerava Zelensky il responsabile dell’invasione russa ed era scontento del sostegno dell’Italia a Kiev”, conclude l’articolo.

Estratto da “Avvenire” il 13 giugno 2023.

Immediata la reazione delle agenzie di stampa internazionali alla notizia delle morte di Berlusconi: la Reuters, poi la Efe che parla di «personaggio chiave della politica italiana», mentre l’Afp ricorda che era stato «soprannominato l’immortale per la sua longevità politica, un imprenditore audace e innovativo che ha inventato la televisione commerciale» «Figura instancabile nella politica italiana, Berlusconi è morto a 86 anni», scrive Le Figaro, mentre Le Monde nota come sia stato una «figura di spicco della destra italiana». 

[…]«Magnate milionario e uomo d’affari - scrive The Telegraph Berlusconi ha anche trasformato il panorama politico del Paese». Per il Guardian, «Berlusconi è stato uno dei politici di primo piano in Italia, tornando in auge come politico nel 2017 nonostante una carriera macchiata da scandali sessuali, innumerevoli accuse di corruzione e una condanna per frode fiscale».

La notizia apre i siti on-line delle agenzie russe che però si limitano a ricordare i tratti biografici dell'ex premier. In Ucraina, Silvio Berlusconi viene ricordato come «l’amico di Putin». Durissimo il titolo sul sito di Radio Svoboda: «Putin ha perso un amico, un politico che non conosceva la vergogna».

(ANSA il 12 giugno 2023) - "Se ne è andato il grande combattente". Lo scrive su Twitter il premier ungherese Viktor Orban pubblicando una foto che lo ritrae con Silvio Berlusconi con scritto, in italiano, "riposa in pace amico mio!".

(ANSA il 12 giugno 2023) - "Sono addolorata per la notizia della scomparsa dell'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Ha guidato l'Italia in un momento di transizione politica e da allora ha continuato a plasmare il suo amato Paese. Porgo le mie condoglianze alla sua famiglia e al popolo italiano". Lo scrive in un tweet la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen.

(ANSA il 12 giugno 2023) - "Addolorato per la scomparsa di Silvio Berlusconi. Il mio pensiero va alla sua famiglia e ai suoi cari in questo momento difficile. Non dimenticheremo l'energia e la dedizione con cui ha lavorato per la sua amata Italia, per la sua famiglia politica e per i suoi ideali europei. Riposa in pace". Così via Twitter il leader del Partito Popolare Europeo, Manfred Weber.

(Dire il 12 giugno 2023) - Il telegramma di cordoglio per la morte del senatore Silvio Berlusconi, avvenuta questa mattina, inviato - a nome del Santo Padre Francesco - dal cardinale segretario di stato Pietro Parolin alla figlia Maria Elvira: "Gent.Ma signora Maria Elvira Berlusconi, PAPA Francesco, informato del decesso dell'amato padre, senatore Silvio Berlusconi, desidera porgere a lei e ai familiari la sua vicinanza, assicurando sentita partecipazione al lutto per la perdita di un protagonista della vita politica italiana, che ha ricoperto pubbliche responsabilità con tempra energica. Sua santità invoca dal Signore la pace eterna per lui e la consolazione del cuore per quanti ne piangono la dipartita. Mi unisco al cordoglio con un fervido ricordo nella preghiera". 

Nino Luca per corriere.it il 13 giugno 2023.

«Io sono russa e nel mio Paese consociamo Silvio Berlusconi dall’inizio degli anni Novanta. Ha portato nel nostro Paese le prime soap opera brasiliane, io ero piccola e mi ricordo che li guardavamo insieme in famiglia. Poi lui è diventato amico del nostro presidente, come se fosse il ponte tra i nostri Paesi. Per noi è un lutto, da noi si piange per Berlusconi. È una grande perdita». Così i fan dell’ex premier si sono radunati ad Arcore appena si è diffusa la notizia della morte di Berlusconi, scomparso a 86 anni il 12 giugno.

(ANSA il 13 giugno 2023) - "Berlusconi se ne va e resta": così la testata economica russa Kommersant rende omaggio alla figura del Cavaliere, con un titolo emblematico degli omaggi che vari media di Mosca gli tributano. 

"L'eccentrica storia italiana - scrive il giornale - decretò che fosse lui a proporre il progetto più importante per lo sviluppo della nuova Italia di fine XX e inizio XXI secolo". Secondo Kommersant, si può dire che Berlusconi sia stato all'origine della tendenza della politica occidentale rappresentata dalla destra carismatica su entrambe le sponde dell'Atlantico, da Donald Trump a Viktor Orban.

E per questo, appunto, "Berlusconi se ne va ma resta". Nella maggior parte dei commenti dei media si sottolinea l'impulso dato da Berlusconi ai rapporti di collaborazione tra Italia e Russia e i suoi rapporti di amicizia con il presidente Vladimir Putin. La testata filo-Cremlikno Izvestiya sottolinea che dal 1994, quando Berlusconi è diventato presidente del Consiglio per la prima volta, al 2013, gli scambi commerciali tra Italia e Russia sono passati da 4,4 miliardi di dollari a 53 miliardi. 

Il giornale riporta anche un episodio particolare menzionato nelle memorie di alti funzionari del Kgb. Secondo queste testimonianze, il Cavaliere avrebbe attirato l'attenzione dello spionaggio sovietico fin da metà anni '70, quando fu avvicinato in un ricevimento da Geovrk Vartanyan, allora responsabile dei servizi segreti di Mosca in Italia, dove era ufficialmente registrato come commerciante di tappeti persiani. 

La testata economica Vedomosti, sotto il semplice titolo 'E' morto Silvio Berlusconi', si sofferma sui suoi rapporti di amicizia con Putin, ricordando che il leader russo fu ospitato nella villa in Sardegna del Cavaliere e poi che Berlusconi partecipò nel 2018 ai festeggiamenti per il compleanno dello stesso Putin. 

Il giornale sottolinea anche la posizione critica assunta da Berlusconi contro l'appoggio incondizionato dei governi occidentali a Kiev nel conflitto in Ucraina e ricorda che il Cavaliere aveva detto di aver mantenuto i contatti con lo stesso Putin con uno scambio di messaggi e doni reciproci di vodka e vino in occasione del compleanno di Berlusconi.

Estratto dell’articolo di Cesare Martinetti per “La Stampa” il 13 giugno 2023.

[…] La cronaca dei rapporti tra Berlusconi e Putin è un fotoromanzo lungo ventidue anni dove in battute e battutacce tutto si mescola: guerra e pace, politica e business, zingarate in Siberia, sul mar Nero, naturalmente in costa Smeralda. Lambrusco, vodka, sesso. Il culmine del trash aneddotico è il “lettone” donato dal presidente russo all’amico italiano, pezzo forte delle cene eleganti di Palazzo Grazioli negli anni trionfanti. 

«Un letto a baldacchino con le tende bianche intorno», secondo la testimonianza in tribunale di una che c’è stata, Patrizia D’Addario e dove il 5 novembre 2008, la storica notte dell’elezione di Barack Obama alla Casa Bianca, il presidente del Consiglio italiano leggeva poesie alle escort reclutate dal faccendiere Tarantini.

Silvio Berlusconi e Vladimir Putin si sono incontrati per la prima volta al G8 di Genova, il 19 luglio 2001. Tutti e due freschi di potere, da appena un mese il presidente del Consiglio, da un anno e mezzo l’ex colonnello del KGB. 

[…] Teatrini, con un momento simbolico alto a Pratica di Mare, il 28 maggio 2002, con gli accordi tra Russia e Nato. Berlusconi fu il celebrante della stretta di mano tra Putin e George W. Bush, e da quel momento in poi si attribuì il merito di aver fermato la Guerra Fredda. In realtà questa era finita dieci anni prima, raider americani e occidentali di tutte le risme attraversavano dal ‘92 le Russie a ovest a est facendo affari con le mafie evolute in “democrazia” dal vecchio modello sovietico.

Ciononostante, Pratica di Mare resta indubbiamente il punto più alto di avvicinamento tra Russia e occidente dalla caduta dell’Urss. Vladimir Putin era un giovane leader che stava prendendo le misure di un impero scassato, […] George W. Bush, con la solidarietà del vecchio nemico, era alle prese con il dopo 11 settembre e stava preparando la guerra a Saddam Hussein. 

Silvio Berlusconi è stato partner entusiasta di tutti e due. Ma in particolare con Putin ha cominciato ad allacciare un rapporto umano e persino famigliare. […] se con altri leader il rapporto è sempre stato alterno, alti e bassi, con regolazione opportunistica a seconda del momento da tutte le parti, […] di Vladimir Putin Berlusconi è diventato un vero supporter, anche quando la rotta del Cremlino ha cominciato a girare e la cifra liberale del leader è presto svanita.

Già nell’ottobre del 2003, quando fu arrestato Mikhail Khodorkovskij (poi rimasto in galera dieci anni), potentissimo oligarca petroliere capo della Yukos con evidenti ambizioni politiche, Berlusconi prese le parti di Putin. E lo stesso ha fatto per giustificare la guerra in Cecenia, un altro feroce massacro, deciso a freddo dal Cremlino e ignorato dall’Occidente. 

[…]  Ci sono poi almeno altri due aneddoti che raccontano questa relazione speciale. Uno tragicamente grottesco, dovuto all’impulso istintivo di Berlusconi di trasformare tutto in caricatura. Nel 2008 a Porto Rotondo in una conferenza stampa congiunta, una giornalista russa chiede a Putin se è vero che sta divorziando. Il glaciale russo, naturalmente non risponde, mentre il presidente del Consiglio italiano, come in un gioco di ragazzi, atteggia le mani come un kalashnikov e fa il gesto di sparare alla giornalista.

Una farsa, tanto più tragica se si pensa che in quel Paese ai giornalisti si spara davvero ed era stata ammazzata da non molto Anna Politkovskaja […]. Nel 2015, un anno dopo l’annessione, Silvio Berlusconi è stato poi il primo (e unico) ex capo di governo a recarsi in Crimea per un incontro con Putin, un rendez-vous tra amici in riva al mare, quattro chiacchiere con i passanti, jeans e giacchetta buttata sulle spalle. Un gesto di enorme simbolo politico subito rilanciato come tale da Mosca […]. Non sapremo mai cosa pensava davvero di Silvio Vladimir Putin, enigmatico autocrate dai tratti asiatici. Si sono usati. Ma tra i due, Berlusconi sembrava persino sincero.

Estratto dell’articolo di Micol Flammini per “il Foglio” il 13 giugno 2023. 

Vladimir Putin ha definito Silvio Berlusconi “un vero amico”, lo ha descritto come  un politico di  quelli che non si trovano più,  con il pregio di essere sempre chiaro, originale, pronto a parlare liberamente. Anche per Berlusconi il presidente russo era un amico, e il rapporto era stretto, frequente, pubblico. 

[…] Non è facile riconoscere di avere per amico un autocrate, un criminale di guerra, anzi peggio, un ricercato internazionale. Non è facile smarcarsi dalla speranza di una Russia parte dell’occidente. E’ complesso riconoscere che al Cremlino non è affatto seduto un presidente pronto ad aprire la Russia al mondo. Ed è la fine di ogni illusione rendersi conto che la Guerra fredda che Berlusconi era sicuro di aver concluso a Pratica di Mare si era presa una pausa per diventare bollente in Ucraina.

[…] La guerra russa contro l’Ucraina non ha soltanto svelato la brutalità di Putin […] ma ha anche sancito la disfatta di Pratica di Mare, dell’apertura tra Russia e occidente, di tutto ciò che era stato salutato come un successo ed era soltanto un’illusione. Il leader di Forza Italia non ha riconosciuto il fallimento,  ha pronunciato parole che hanno fatto infuriare gli ucraini e gli europei, ma il suo partito non ha mai osteggiato la politica dei governi italiani volta a isolare Mosca. 

Nel comunicato inviato al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, Putin ha scritto: “Sono stato letteralmente travolto dalla sua incredibile energia di vita, dal suo ottimismo e dal suo senso dell’umorismo. La sua scomparsa è una perdita irreparabile e un grande dolore”. I toni utilizzati dal capo del Cremlino sono intimi in modo insolito, ma condensano anche quello che Berlusconi è stato per la Russia.

La notizia della morte del leader di Forza Italia era in apertura di tutti i siti di informazione russi, che davano l’annuncio senza fronzoli o giudizi. Berlusconi non piaceva soltanto a Putin, […] ma […] anche […] ai russi, proprio per le caratteristiche enunciate da Putin. Piaceva per l’energia, per la ricchezza fatta di gaudenza e colore, per i sorrisi così estesi che i politici russi fanno di rado. 

Piaceva perché restituiva quell’immagine dell’Italia che è esattamente come certi  russi pensano al nostro paese e che cercavano, prima della guerra, di esagerare nelle sfarzose e ridanciane feste televisive di Capodanno  in cui si cantavano canzoni italiane con  un’allegria sfacciata e deformante, un’energia caricaturale e debordante.

Sappiamo com’è andata a finire: a Putin non piaceva l’occidente, gli piaceva Berlusconi. A Berlusconi non piaceva la Russia, ma ha creduto che Putin fosse l’uomo giusto per trasformarla. Forse erano amici, sicuramente non si erano capiti.

Putin, da Berlusconi contributo inestimabile a partnership. (ANSA il 12 giugno 2023.) - Silvio Berlusconi ha dato "un inestimabile contributo allo sviluppo della partnership russo-italiana reciprocamente vantaggiosa". Lo afferma il presidente russo Vladimir Putin in un messaggio di condoglianze.

Putin, 'per me Silvio è stato un vero amico'. (ANSA il 12 giugno 2023) -  "Per me Silvo è stata una persona cara e un vero amico". Lo afferma il presidente russo Vladimir Putin in un messaggio di condoglianze al presidente Sergio Mattarella per la scomparsa di Berlusconi. 

Estratto dell'articolo di Andrea Greco per “la Repubblica” il 12 giugno 2023.

[…] La liaison con Mosca è stata l'architrave geopolitica dei quattro governi Berlusconi tra 2001 e 2011, cosparsi di numerose visite dell'imprenditore-politico. 

Con ambasciatore o senza, con il consigliere Valentino Valentini (che, si mitizzava, «sapeva il russo ») o no. Sempre tra il Cremlino e la dacia, mischiando pubblico e privato da par suo. […]

Fin dagli anni '90 l'uomo del Biscione, nel guardare a Est, vedeva, più che i "comunisti", mercati promettenti […], in cui mandò in avanscoperta fidi emissari. Prima Marcello Dell'Utri, dirigente e consigliere della prima ora, e compaesano del potente Pietro Fallico, il reuccio dei banchieri italiani a Mosca. 

Poi, già al governo, Bruno Mentasti, amico caro della sua famiglia, già socio in Telepiù (dove gli fece il prestanome) che aveva ceduto l'acqua San Pellegrino e cercava nuove imprese.

[…] Quando il 30 ottobre 2003 Vittorio Mincato - ad dell'Eni che non lasciava ai gruppi rivali neanche una goccia della merce russa - dopo una cena d'affari milanese ebbe dall'allora vicepresidente di Gazprom Komarov un biglietto con su scritto "Mentasti", trasecolò. […] 

Il già socio di Berlusconi doveva intercettare 3 miliardi di metri cubi di gas di spettanza Eni e venderli in Italia. Era già costituita anche la holding Centrex, a Vienna con insieme a Mentasti vari soci schermati in società cipriote. [... ] 

L'affare [...] fu stoppato. Non subito. Il nuovo ad Eni Paolo Scaroni [...], scelto nel 2005 dal Berlusconi III, s' era prestato a firmare l'intesa nonostante diverse critiche nell'ambiente e sulla stampa. 

[…] Ma dopo i rilievi del cda Eni, e dell'antitrust, la fornitura fu riformulata (fine 2006), togliendo la senseria di Mentasti. 

Scaroni è stato il manager che più ha piegato l'ex monopolista italiano alla politica filorussa di quegli anni. Ci sono varie testimonianze, anche se la più smaccata è forse quella che non si vede: il gasdotto South Stream. [...]

Un tubo da far passare sotto il Mar Nero, al costo di 15,5 miliardi, il doppio del rivale Nabucco azero, più gradito agli Usa. Ma l'Italia e l'Eni, fin dal 2007, avevano scelto: solo nel 2014, a lavori già iniziati, il progetto è naufragato, più per le pressioni Usa sulla Bulgaria dopo l'annessione russa della Crimea e le prime sanzioni a Mosca. Oggi quel tubo sarebbe una catena al collo in più per l'Italia. 

Come emerso dai dispacci Wikileaks, parte della diplomazia Usa, ma anche della stampa italiana e degli operatori di settore, arrivò a pensare che l'assiduità di Berlusconi con Mosca celasse tornaconti personali. Si è vociferato di un piccolo giacimento in Kazakistan, intestato al Cavaliere. Lui ha smentito.

Il mio amico Silvio, Gianni Agnelli e l’ingresso nel PPE. Buon viaggio Presidente. Alejandro Agag su Il Riformista il 14 Giugno 2023 

Per un giovane spagnolo, membro del Parlamento Europeo, ricevere una chiamata dall’ufficio dell’avvocato Gianni Agnelli, fu un momento davvero incredibile ed emozionante. Agnelli per me è sempre stato un’icona. Ha rappresentato l’imprenditoria e lo stile dell’Italia, un Paese che ho sempre amato. «L’avvocato vuole incontrarti», fu questo il breve messaggio che mi disse la sua segretaria. Cancellai immediatamente tutti gli impegni che avevo in agenda, organizzai il viaggio e con il collega Walter Gabronsky andammo a Torino. Durante i giorni che mi dividevano dall’incontro, mi chiedevo continuamente: «Perché l’Avvocato vuole vedermi?».E quel giorno arrivó.

Era il maggio del 2001 ed io ero un politico 30enne alle prime armi. Qualche anno prima ero stato eletto Segretario del partito popolare europeo. Il PPE era ai tempi molto forte in Europa, contendendo i partiti di centro destra di tutto il continente. Arrivai allo storico ‘Lingotto’, famoso quartier generale del gruppo FIAT e fui accompagnato direttamente presso l’ufficio dell’Avvocato. Quello fu uno dei momenti più importanti, seppur breve, della mia vita. L’Avvocato era un uomo di grande carisma. Fu estremamente educato, mi chiamò «Caro Segretario», con quel modo speciale di pronunciare la ‘r’ che soltanto lui aveva. Egli andò subito al punto: «Tutti i membri del PPE, in particolare tedeschi e spagnoli, sostengono Berlusconi?». La mia risposta fu altrettanto diretta e inequivocabile: «Il nostro appoggio a Berlusconi è solido come una roccia. Noi lo sosterremo in ogni modo». E così andò. L’incontro terminò in poco tempo. Mi aspettavo di essere congedato in modo rapido ed educato. Immaginavo che l’Avvocato dovesse tornare ai suoi affari. Invece, iniziò una piacevole e lunga conversazione sul mio paese, la Spagna. Parlammo per ore. Scoprii che Agnelli amava la Spagna come io amo l’Italia. Parte della chiacchierata fu incentrato sulla figura di Francisco Franco. L’Avvocato mi raccontò che dopo aver parlato più volte con il Caudillo, la FIAT decise di produrre un’auto diversa: nacque così la 600 che molti spagnoli corsero ad acquistare, mia madre inclusa.

Quando lasciai il suo ufficio per andare all’aeroporto, la prima telefonata che feci fu a Silvio Berlusconi. Prima di andare a Torino lo avevo già avvisato che avrei incontrato Agnelli, al telefono lo aggiornai sull’esito dell’incontro e gli raccontai la conversazione avuta con l’Avvocato. Per contestualizzare quel momento, bisogna ricordare che l’Italia era immersa in un’aspra campagna elettorale, con Berlusconi dato in vantaggio dai sondaggi. Gran parte della stampa estera montò una campagna molto aggressiva, fra chi si interrogava sulle reali possibilità di Berlusconi di essere eletto e chi lo riteneva incapace di governare. In particolare ricordo che The Economist titolò: «È pronto per essere primo ministro?».

Il giorno dopo il mio incontro con l’Avvocato lessi con piacere che Agnelli rilasciò un’intervista a Il Corriere della Sera. Il titolo principale, scritto a caratteri cubitali, fu: «L’Italia non è la Repubblica delle Banane». Fu un chiaro messaggio alla stampa estera: non interferite, l’Italia è in grado di eleggere i propri rappresentanti, i propri leader. Il mio rapporto con Berlusconi era nato anni prima. Quando fui eletto Segretario del PPE, fui incaricato da due grandi leader dell’epoca, Jose Maria Aznar ed Helmut Kohl, di seguire il “Dossier Italia”.

Il nostro obiettivo era quello di battere i socialisti e diventare la forza politica di maggioranza in Europa. Per questo avevamo bisogno di un alleato forte, l’Italia. E il nostro alleato era Silvio Berlusconi. Più facile a dirsi che a farsi. Storicamente la Democrazia Cristiana è stata uno dei pilastri del PPE, fino al dissolvimento e alla balcanizzazione in tanti piccoli partiti. Alcuni sostennero coalizioni di sinistra. La maggioranza dei voti e degli elettori della Dc ‘migrarono’ verso lo schieramento guidato da Berlusconi.

Nonostante il suo ridimensionamento, l’influenza dei post e piccoli partiti democristiani, fu molto importante per la struttura elettorale del PPE. Ci fu un lungo e certosino lavoro affinché supportassero l’ingresso di Forza Italia. Fui molto fortunato, ai tempi, ad avere l’ aiuto di Pier Ferdinando Casini, che era all’epoca il leader dell’UDC, uno dei tanti partiti nati dalla fine della DC. Durante quei mesi ebbi l’onore di incontrare personalità come quelle di Giulio Andreotti, Francesco Cossiga, Franco Marini, Rocco Buttiglione e Clemente Mastella. Ad alcuni piacevo, ad altri non molto ma alla fine la ‘realpolitik’ vinse. Ma per me la chiave dell’ingresso di Forza Italia nel PPE, fppu la consapevolezza che Silvio Berlusconi aveva di se stesso. Il Cavaliere aveva una chiara visione del suo partito e dell’Italia. Per lui FI doveva far parte dello schieramento più grande e forte che c’era in Europa. Berlusconi attirò per questo la rabbia di altri partiti Cristiani Democratici europei, come quello tedesco e belga. Ma ciò non scalfì la sua determinazione. Ricordo ancora la sua felicità quando Forza Italia fu ammessa nel PPE. Lui sapeva bene che quello sarebbe stato uno step decisivo per il suo partito, un momento fondamentale per la sua caratura di leader internazionale.

In quegli anni ebbi la fortuna non solo di conoscerlo ma anche di diventarne amico. Fu uno dei più grandi privilegi della mia vita. Berlusconi è stata una persona difficile da descrivere: generoso, divertente, intelligente. Un grande uomo. Mi mancano le cene a base di pasta con i tre colori: rosso, verde e bianco. Ma anche le sue battute, le sue domande e le sue canzoni con Apicella. Buon viaggio Presidente.

Alejandro Agag

"Io ho perso un amico, il mondo un uomo unico". L'ex premier spagnolo: "Gli sconsigliai la politica ma era convinto di farcela. E si prese un Paese sulle spalle". Manila Alfano il 13 Giugno 2023 su Il Giornale.

José Maria Aznar è commosso. «Ho perso un amico». Sfoglia l'album dei ricordi e parte proprio dal primo, dall'inizio, da quel primo giorno che Silvio Berlusconi andò a trovarlo a Madrid.

«Era il 1993. Non lo avevo mai incontrato di persona, ovviamente avevo seguito la sua storia imprenditoriale, conoscevo i suoi successi, la passione per il Milan e il progetto di costruire una grande squadra, mi affascinava quel suo modo di pensare e sognare in grande. Io ero già in politica da tempo, e tre anni prima avevo ottenuto la guida del Partido Popular, che fino all'anno prima si chiamava Alianza Popular. Il mio percorso per rinnovare profondamente il movimento, per fare del partito una forza centrista e moderata era già ben avviato. Venne a trovarmi per chiedermi consiglio».

Quale?

«Se entrare in politica o no. Un consiglio decisamente impegnativo da dare».

E lei cosa rispose?

«Gli risposi come Indro Montanelli. Gli consigliai di lasciar perdere, che la politica era ben più complicata e complessa del mondo dell'imprenditoria. Insomma, suggerii di lasciar perdere. Ma sappiamo come è andata a finire e che non mi ascoltò».

Perché venne proprio da lei?

«Evidentemente in me vedeva una guida, la mia idea di partito era molto simile a quella che aveva in mente lui, un movimento con una grande forza rinnovatrice, in grado di promuovere un cambio generazionale. Era quello che il vostro Paese aveva bisogno allora».

E lui cosa rispose?

«Vede, non si può parlare di Berlusconi senza considerare il suo carattere, il suo modo di essere. Gli chiesi perché un imprenditore di successo avrebbe dovuto scendere in campo con tutto quello che avrebbe determinato. Una complicazione di cui secondo me poteva fare a meno. Mi guardò dritto negli occhi e mi disse: Perché ho avuto successo in tutto quello che ho fatto, riuscirò anche questa volta. Era un grande motivatore, prima di tutto di se stesso, con l'ottimismo sempre in tasca. E la politica è stata, ora si può dire, la sua vita. La sua ambizione più grande fino alla fine».

Dopo quel consiglio siete stati sempre molto legati.

«È vero. Ci ha legato da sempre una profonda amicizia. Berlusconi è sempre stato un grande alleato della Spagna».

Lo aiutò a entrare nel Ppe?

«Per lungo tempo fu considerato un outsider della politica e questo gli ha reso le cose difficili. Molte forze politiche tradizionali lo ostacolavano. Io non la pensavo così: bisognava avere il coraggio di aprire, indebolire l'area nazionalista, insistere sulla destra liberale. Sono sempre stato convinto che Forza Italia doveva entrare a pieno titolo nel progetto. I tempi erano maturi, la Dc non esisteva più, c'erano spazi da colmare, occorreva investire energie per difendere i valori democratici moderati, convincere il gruppo del Ppe ad aprirsi. Dopo l'entrata di Berlusconi, insieme e in squadra lavorammo per accogliere i francesi con Chirac. Insieme siamo riusciti a fare grandi cose, ad esempio il trattato di Nizza che per riformare il quadro istituzionale dell'Ue in vista di nuove adesioni».

In comune con Berlusconi aveva anche una forte visione atlantista.

«Era un atlantista convinto. Con Bush condivideva posizioni fortemente riformatrici. E poi ci fu quell'incontro consegnato alla storia».

Pratica di Mare?

«Esattamente. Fu un fatto storico enorme. Nel 2002, Berlusconi riuscì nell'impresa incredibile di far stringere la mano a Bush e Putin sancendo così la fine della Guerra fredda. E anche in questa occasione straordinaria devo ammettere che il carisma e il carattere dell'uomo furono determinanti. Negli incontri bilaterali è sempre emersa la sua personalità».

Il suo carattere e i suoi modi poco convenzionali erano spesso oggetto di critica. Cosa ne pensa?

«Le racconto un aneddoto. Io e altri leader europei eravamo stati invitati da lui in Sardegna. Siamo a cena, chiacchieriamo, quando uno di noi prende la parola per ammettere: Ora si può dire che Silvio Berlusconi è uno di noi. Io allora controbatto: Mi spiace contraddirti ma Silvio non sarà mai come noi. La sua forza, il suo carisma erano unici».

Quale è stato il suo merito più grande?

«Ha saputo rendere l'Italia una protagonista. Si è preso sulle spalle un Paese con coraggio, volontà e talento».

Con lui il Paese cambiò la politica su Israele. La Knesset pianse per il suo intervento. Il ricordo di chi accompagnò Berlusconi nello storico viaggio del 2010 che rivoluzionò un rapporto fino ad allora ambiguo. Con un discorso memorabile. Fiamma Nirenstein il 13 Giugno 2023 su Il Giornale.

Su un piccolo aereo al seguito del più grande cambiamento della politica italiana verso Israele, accompagnai Berlusconi nel suo viaggio verso la Knesset nel febbraio del 2010. Incontrammo le felicitazioni di Netnayahu e di Shimon Peres: non c'era differenza politica nel riconoscere che Berlusconi era un Europeo diverso, appassionato del popolo ebraico, rivoluzionario rispetto alla politica europea, sospettosa, filoaraba. Ero allora Vicepresidente della Commissione Esteri, nella breve vacanza dal mio lavoro di giornalista in cui sono stata membro del Parlamento italiano. Berlusconi cambiava la storia. L'intervento che preparò lo rilesse prima Giuliano Ferrara, inventore di una grande manifestazione di entusiasmo per Israele e poi lo rilessi anche io, e se racconto in prima persona è perché oggi purtroppo è il giorno adatto a commuoversi ricordando un attore così importante e discusso della politica italiana.

Sugli ebrei e il loro Stato, dopo decenni di giravolte sospette da parte della Democrazia Cristiana andreottiana, e dopo gli atteggiamenti filopalestinesi da Guerra Fredda della sinistra italiana, compreso Bettino Craxi che fece pagare a Israele il suo distacco dalla sinistra italiana, Berlusconi fu illuminato dalla sua posizione di conservatore liberale e atlantista. Con Israele fu se stesso, sapeva che gli ebrei erano nati là, cosa avevano sofferto e che non avevano a che fare con nessuna accusa di colonialismo. La Knesset ascoltandolo aveva le lacrime agli occhi, finalmente un leader europeo fu capace di stabilire con precisione l'indispensabilità dello Stato Ebraico, la sua speranza che entrasse un giorno a far parte dell'Unione Europea (speranza su cui Marco Pannella insistette fino alla fine), la sua ammirazione: «Noi liberali vi ringraziamo per il fatto stesso di esistere» disse agli israeliani chiamandoli, come Giovanni Paolo, «fratelli maggiori».

E sottolineò come Israele risultasse intollerabile ai fanatici, e quindi ai terroristi di tutto il mondo, proprio perché dimostrava che «esiste una possibilità di far vivere la democrazia anche fuori dei confini dell'Occidente». Berlusconi in quel viaggio e nella sua politica non si limitò a esclamazioni ma promise di ottenere «senza perdere tempo» e con «impegno quotidiano, sanzioni contro l'Iran che vuole l'atomica per distruggerlo». Questo era parlar chiaro. Berlusconi cambiò la strada dell'Italia invertendone la politica spinto dalla questione essenziale di un necessario fronte democratico e occidentale al tempo del terrorismo, e quindi decisamente filoamericano oltre che filoisraeliano. Berlusconi riuscì a mantenere un atteggiamento forte e dignitoso: l'Italia aveva combattuto a livello mondiale la sua lotta contro il terrorismo.

Bush, Aznar, Blair e anche Putin, furono allora compagni di strada. L'Italia di Berlusconi tentava strade europee proprie, che evitassero lo scontro con l'asse Franco-tedesco ma ne fossero consapevoli; che nel mondo stringessero migliori patti con gli Stato Uniti anche sul terreno militare. Sgominare la prepotenza di Saddam Hussein e delle fonti di terrorismo, promuovendo la sicurezza del medio Oriente con un profondo accordo con l'unica democrazia, Israele, gli apparve una strada naturale. Fu nel suo periodo che Gianfranco Fini, uomo di destra e presidente della Camera, impegnandosi a porre fine all'eredità ideologica antiebraica, compì una visita storica a Gerusalemme inginocchiandosi al Museo della Shoah, Yad va Shem. Berlusconi fu accolto con stupore e amicizia: era il primo europeo che, pur andando a trovare Abu Mazen, ripeté la sua fede assoluta nella necessità che gli ebrei avessero il loro Stato. Ripeteva sovente, e ho l'onore di aver udito più volte questo racconto, come sua madre Rosa, avesse salvato a rischio della sua propria vita una ragazza ebrea in viaggio su un treno.

Berlusconi amava raccontare, era un vulcano di idee. Durante i miei 5 anni alla Camera ho potuto formare col suo consenso la prima Commissione contro l'antisemitismo mai avuta dal Parlamento e il primo Comitato Interparlamentare fra Camera e Knesset. Ascoltava, incitava a mettere in pratica le idee, correva via, passava ad altro, a volte raccontava prima di andarsene una delle sue barzellette. Io lo pregavo rispettosamente di evitare quelle sugli ebrei, anche se erano certo innocenti. Non mi dava retta.

Blair s'inchina a Berlusconi, 'leader capace e di parola'. Ex premier Gb ne ricorda controversie. 'Ma per me fu un partner'. (ANSA il 12 giugno 2023) - Tony Blair, primo ministro britannico laburista e teorico della cosiddetta 'Terza Via' negli anni dei primi governi guidati in Italia da Silvio Berlusconi, ha commentato oggi la scomparsa dell'ex presidente del Consiglio con toni di amicizia e con parole di elogio per il suo ruolo politico. 

L'ex alfiere del New Labour - che con il Cavaliere condivise fra l'altro sul fronte internazionale il sostegno agli Usa di George W. Bush nella contestata guerra in Iraq - ha definito Berlusconi una personalità "larger than life": espressione inglese che si usa per indicare figure e caratteri fuori dall'ordinario fino all'eccesso. Non ha quindi negato come egli sia stato divisivo e controverso per molti, riservandosi tuttavia, dal suo punto di vista, un giudizio e un ricordo positivi: "Per me - le parole di Blair - Silvio Berlusconi è stato un leader capace, accorto e, ciò che più è importante, di parola".

Berlusconi: Lukashenko, 'era una persona brillante e di talento'. 'Sarà ricordato come uomo di eccezionale carisma, un patriota'. (ANSA il 12 giugno 2023) L'autoproclamato presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko ha espresso le sue condoglianze alla famiglia e agli amici di Silvio Berlusconi per la sua morte. Lo riporta Ria Novosti. "La Repubblica di Bielorussia ha accolto con grande tristezza la notizia della scomparsa dell'ex presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana Silvio Berlusconi, il cui nome è legato ad alcuni eventi importanti per l'Italia e la Bielorussia. 

Grazie al suo personale contributo la cooperazione bielorussa-italiana ha ricevuto un forte impulso. Era una persona brillante e di talento, un imprenditore di successo e un politico autorevole e lungimirante che sapeva valutare autonomamente la situazione, prendere decisioni efficaci e assumersene la responsabilità", si legge in una nota. Lukashenko ha poi sottolineato che Silvio Berlusconi sarà "ricordato come un uomo di eccezionale carisma e un patriota che ha contribuito a consolidare la società italiana e a rafforzare la posizione internazionale del Paese ben oltre i suoi confini"

Berlusconi: tv di Stato turca, fu amico di Erdogan e di Ankara. (ANSA il 12 giugno 2023) "Sebbene le relazioni (della Turchia) con l'Italia sono state descritte in quasi ogni epoca come prive di problemi, il periodo di (Silvio) Berlusconi ha segnato una vicinanza ancora maggiore". Lo si legge in un articolo pubblicato sul sito della tv di Stato turca Trt in cui viene ricordato come Berlusconi e il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si definissero "amici". 

L'articolo sottolinea che Berlusconi partecipò nel 2003, in qualità di testimone di nozze, al matrimonio a Istanbul del secondogenito di Erdogan, Bilal. Nel 2018, dopo la seconda vittoria di Erdogan alle elezioni presidenziali, Berlusconi si recò ad Ankara per partecipare alla cerimonia di giuramento per la riconferma del presidente turco, ricorda l'articolo. (ANSA). 

Berlusconi: Infantino, grazie per averci fatto amare il 'giuoco'. (ANSA il 12 giugno 2023) "Lo voglio ricordare proprio così: una persone che, nel nostro amato sport ha sognato e poi ha trasformato quei pensieri in realtà". Così il presidente della Fifa, Gianni Infantino, rende omaggio a Silvio Berlusconi in una storia sul suo profilo Intagram. Infantino, in particolare, ricorda una frase del neo presidente del Milan alla squadra: 'La nostra missione sarà quella di vincere, in Italia, in Europa e nel mondo. Attraverso il bel giuoco', sottolineando "quella u, che molti consideravano un vezzo. Molti - afferma Infantino - lo consideravano un visionario, e avevano ragione. 

A livello calcistico aveva previsto tutto molto prima degli altri e infatti è diventato il presidente più vincente nella storia del club". "Negli ultimi tempi, da proprietario del Monza, ha realizzato un altro sogno - prosegue il n.1 della Fifa -. Perchè nei sogni le dimensioni non contano. Possono essere anche contenuti in una piccola città". "Un forte abbraccio e sentite condoglianze a tutti coloro che gli hanno voluto bene. E grazie per averci fatto amare quello straordinario gioco. Anzi, giuoco", conclude Infantino.

L’amicizia con Putin e Bush, gli scontri con Merkel, l’antipatia di Obama: Berlusconi e i leader internazionali. Paolo Valentino su Il Corriere della Sera il 12 Giugno 2023 

In quasi trent’anni in politica e quasi dieci al governo Berlusconi è sempre stato protagonista sulla scena internazionale. Il rapporto con molti colleghi era fatto di un misto di familiarità e complicità maschile, rivalità al testosterone e goliardia. L’intesa con George W. Bush e Putin, le battute con Blair e Clinton, il gelo con Obama, gli alti e bassi con Merkel.

Al Consiglio europeo di Copenaghen del 12 dicembre 2002, quello che sancì la conclusione dei negoziati di adesione all’Ue degli ex Paesi del Patto di Varsavia più Cipro, Malta e Slovenia, Silvio Berlusconi e Gerhard Schröder diedero vita a un gustoso teatrino. Si erano visti la sera prima a Dortmund, sulla tribuna d’onore del Westfalenstadion, in occasione della partita di Champions Borussia-Milan vinta dai rossoneri per 1-0. E ora il cancelliere, primo tifoso della squadra tedesca, accusava scherzosamente «Silvio» di aver promesso un premio raddoppiato ai suoi giocatori nell’intervallo tra il primo e il secondo tempo quando era sceso negli spogliatoi, contrariato dalla loro scarsa prestazione: «Solo per questo avete vinto», chiosò Schröder.

Tony Blair, che assisteva allo scambio, strabuzzò gli occhi e rivoltosi a Berlusconi chiese: «Silvio, do you really own that club?, veramente sei il proprietario di quel club. Quello annuì, quasi sorpreso della domanda. Al che il premier britannico esplose: «So, why the hell are you wasting your time with us?», perché diavolo sprechi il tuo tempo con noi. Erano fatti così i rapporti di Silvio Berlusconi con molti dei leader internazionali, conosciuti nei lunghi anni del suo potere.

Prima e oltre la politica, un misto di familiarità e complicità maschile, rivalità al testosterone e goliardia. Come quando al vertice di Napoli del luglio 1994, il primo del G8 con la Russia di Eltsin, dopo la cena nella reggia di Caserta i leader si ritrovarono con le mogli nel parco davanti allo spettacolo della Fontana dei Delfini. Fu lì che Bill Clinton, in piena vena romantica, cinse il fianco di Hillary, che esclamò languida: «Wonderful». «Calmiamoci, altrimenti questa notte aumentiamo la prole», commentò malandrino Berlusconi, facendo sbellicare dalle risa il presidente americano.

Fu lo stesso vertice nel quale, dovendo andare al bagno, si accorse che anche Francois Mitterrand stava per farlo: «Prima gli anziani», gli disse strappando un sorriso al presidente francese, che nei confronti del Cavaliere non si decise mai tra il disprezzo per la sua ruspante giovialità e l’ammirazione per il coté ribaldo e il fiuto imprenditoriale.

Se volessimo ordinare per vicinanza e chimica personale con Berlusconi i potenti del mondo che lo hanno frequentato, due svettano su tutti: Vladimir Putin e George W. Bush. L’amicizia con il presidente russo è stata perfino a prova di guerra in Ucraina, come si è visto ancora di recente. Un’affinità totale tra due maschia alfa, fatta di saune, partite di caccia, fine-settimana pietroburghesi allietati da belle donne, probabili ma mai provati interessi economici (un rapporto dei servizi tedeschi dei primi Anni Duemila, definito «credibile» da una fonte del governo di Berlino, sosteneva che Putin avesse affidato dei fondi a Berlusconi per investirli) e non ultima una significativa convergenza politica sul posto della Russia nell’architettura della sicurezza in Europa.

A Putin è legato il maggior successo politico internazionale di Berlusconi, la creazione del Consiglio Nato-Russia al vertice di Pratica di Mare del 2022, poi stravolto dall’involuzione neo-imperiale e aggressiva di Mosca. Con George W. Bush galeotto fu l’Iraq, nel 2003, quando Berlusconi schierò l’Italia con la «nuova Europa» a favore della guerra, cercando prima di convincere il capo della Casa Bianca a prender tempo, ma poi rifiutandosi di seguire la deriva antiamericana di Francia e Germania.

La ricompensa la ebbe nel 2006, quando Berlusconi era in piena campagna elettorale e Bush lo invitò a Washington per una visita di Stato con tutti gli onori, compreso il discorso a camere riunite. Davanti al Congresso Berlusconi strappò cinque standing ovation, raccontando l’aneddoto di Anzio, dove da ragazzo il padre lo avrebbe portato a visitare il cimitero militare americano per ricordargli il ruolo di liberatori dei soldati Usa. Se non era vero, fu molto ben trovato.

All’estremo opposto della compatibilità con Berlusconi, stanno altri due giganti della politica mondiale degli ultimi venti anni: Barack Obama e Angela Merkel. Col primo, fu tutto sbagliato sin dall’inizio, quando il premier italiano per ben due volte definì «bello e abbronzato» il neoeletto primo presidente afroamericano degli Stati Uniti, prima di insistere in una conferenza stampa che lo aveva detto in senso positivo, visto che in quel momento (sic) «pensava a Naomi Campbell».

Da allora, Obama lo tenne personalmente sempre a distanza, tanto più dopo il gesto di apprezzamento un po’ volgare fatto da Berlusconi nei confronti della moglie Michelle al G20 di Pittsburgh. Questo non impedì al presidente americano nell’intervista che mi diede nello Studio Ovale nel luglio 2010, di elogiare l’Italia e il suo premier per la missione in Afghanistan.

Con Angela Merkel, il rapporto fu complesso. «Lei aveva un grande rispetto per lui come imprenditore e politico, e almeno all’inizio si fidava dei suoi giudizi — mi ha raccontato un ex consigliere della cancelliera —, ma non ne sopportava i modi patriarcali, il continuo sciorinare barzellette tutte o quasi a sfondo sessuale. E poi c’era la questione dei regali, che Berlusconi continuava a portarle e la mettevano in forte imbarazzo, tanto più che ogni volta gli spiegava di non poterli accettare per legge».

Perfino il campo berlusconiano rimane diviso se Merkel sia stata o meno parte attiva in un complotto per farlo fuori. Tempo dopo le dimissioni di Berlusconi, in un colloquio con alcuni colleghi europei, Merkel pronunciò queste parole: «Berlusconi non è stato uno facile. Ma ho lavorato con lui. Ai consigli europei faceva un intervento in apertura e uno in chiusura, ma in mezzo accettava tutto. Era ok. Solo alla fine è diventato un disastro». 

Eppure, i momenti di maggior irritazione di Merkel verso Berlusconi furono dovuti a incomprensioni. La prima è che probabilmente il cavaliere non pronunciò mai l’insulto «culona inchiavabile» che gli è sempre rimasto appiccicato. La seconda accadde al vertice Nato di Baden Baden, nella primavera 2009, quando una cancelliera spazientita aspettò per diversi minuti Berlusconi, che invece di dirigersi verso l’ingresso dove lei lo attendeva, si era appartato sulla riva del fiume per telefonare. Merkel infastidita si allontanò per guidare gli altri leader sopra il ponte sul Reno, dove a metà passerella venne loro incontro il presidente francese Nicolas Sarkozy, un altro che con Berlusconi non si è mai preso.

Berlusconi, ancora al telefono, non c’era. In realtà, si apprese la sera che parlava con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, uno dei leader con cui ha sempre avuto ottimi rapporti personali, facendo opera di persuasione per convincerlo ad accettare la nomina a segretario generale della Nato del danese Anders Fogh Rasmussen, quello che in seguito il Cavaliere avrebbe definito «più bello di Cacciari». La mediazione andò a buon fine.

Tornando a Sarkozy, a parte l’infelice sorrisetto di scherno insieme a Merkel al vertice europeo dell’ottobre 2011 in risposta a una dimanda sul premier italiano, rimase celebre il turpiloquio con cui in un bilaterale a Roma nello stesso anno il presidente francese investì Berlusconi perché intimasse all’italiano Bini Smaghi di dimettersi dal board della Bce, per sbloccare l’accordo che doveva portare Mario Draghi alla presidenza.

Andando agli albori dell’era Berlusconi, con Helmut Kohl non ci fu amicizia, ma un rapporto di convenienza. Durante lo scandalo dei fondi neri che macchiò per sempre la reputazione del cancelliere della riunificazione, il Cavaliere venne citato tra i possibili finanziatori occulti della Cdu, di cui Kohl non fece mai i nomi. Lo stesso Berlusconi, in uno scambio con dei giornalisti a Strasburgo, si lasciò scappare la battuta: «Sapeste quanto ci costa Kohl».

È un fatto che Helmut Kohl fu decisivo per aprire a Forza Italia le porte del Partito popolare europeo, ma qui bisogna dire che l’interesse politico del cancelliere era molto forte: «Ho passato tutta la vita a combattere i socialisti – disse Kohl a un amico italiano, che gli chiedeva il perché dell’apertura a Berlusconi —. Con lui avrò la maggioranza nel Parlamento europeo. Ma nel Ppe conto solo io».

(ANSA il 12 giugno 2023)  Fu sotto la guida di Silvio Berlusconi che, nel 1994, il G7 invitò per la prima volta la Russia a partecipare ai lavori per la parte politica del vertice, tenutosi quell'anno a Napoli. 

Lo ricorda l'agenzia russa Tass, sottolineando che in tal modo il gruppo si allargò per diventare il G8. "Berlusconi - aggiunge l'agenzia - ha sviluppato una relazione personale con il presidente Vladimir Putin attraverso anni di incontri ad alto livello". (ANSA). 

(di Marina Perna) (ANSA il 12 giugno 2023) La sua politica estera è passata alle cronache come 'La diplomazia del cucù', complice quello scherzetto ad Angela Merkel a Trieste per un bilaterale nel 2008. Ma i quasi 30 anni di Silvio Berlusconi sulla scena internazionale sono stati molto di più. E anche se tanti, tra i suoi detrattori, lo ricordano per le corna nelle photo opportunity, le barzellette, i 'Mr Obamaaaa...' con la regina, i weekend con Putin e i sorrisi di sberleffo che gli riservarono Frau Angela e l'amico-nemico Sarkozy, il Cavaliere ha dettato una linea. Fatta soprattutto di rapporti d'amicizia non solo istituzionali ma anche personali con diversi leader mondiali, da George W. Bush a Gheddafi.

E soprattutto con Vladimir Putin, quell'amico da sempre e di sempre che ha fatto fatica a criticare anche di fronte all'invasione ucraina: ha condannato la guerra ma è finito in una bufera quando, era l'ottobre scorso, in un discorso con i parlamentari di Forza Italia ha dato la sua versione. Giustificando, in qualche modo, l'amico Volodia che "non voleva la guerra" e tirando in ballo gli strappi, secondo lui, compiuti negli anni da Kiev. Non senza nascondere la delusione per quel telefono rimasto muto quando provò a chiamare lo zar poche ore dopo l'invasione. Una delusione archiviata con l'annuncio di aver riallacciato i rapporti, con tanto di scambio di "affettuose" letterine e casse di vodka e Lambrusco. 

L'amicizia con Putin ha comunque contribuito alla sua politica estera e a quello 'spirito di Pratica di Mare' che lo vide protagonista della storica mediazione tra Washington e Mosca per l'avvicinamento della Russia alla Nato. Altri tempi e uno scenario lontano anni luce da quello odierno, che però gli fecero segnare punti importanti. Come la questione georgiana in cui anche la sua mediazione con W. Bush da un lato e Putin dall'altro, contribuì a scongiurare una pericolosissima escalation. Si è sempre mosso con un occhio attento a Mosca (e al suo potenziale energetico), uno strettissimo legame con l'America di Bush e il Nord Africa precedente alle primavere arabe.

Molto contestato fu il rapporto con la Libia del colonnello, così come le sue relazioni - sempre 'personali' - con rais del calibro dell'egiziano Mubarack o del tunisino Ben Alì. Con Gheddafi, Berlusconi firmò lo storico trattato di Amicizia chiudendo dopo 70 anni le ferite dell'occupazione coloniale italiana: un accordo che prevedeva il versamento di 5 miliardi di dollari di compensazione a fronte dell'impegno di Tripoli a fermare l'immigrazione e dare spazio alle imprese italiane. Una mossa antesignana di quegli accordi, invocati ancora oggi, di sostegno ai Paesi di origine per fermare i flussi.

Berlusconi nelle lunghe attese nelle tende (anche quella che il colonnello piantò a Roma) si annoiava ma Gheddafi era sempre nella sua agenda. Lo volle al G8 dell'Aquila, dove contribuì alla prima storica stretta di mano tra un presidente Usa in carica, Barack Obama, ed il rais libico. E cercò di contrastare - senza riuscirvi anche per problemi di politica interna - la missione francese in Libia. Ben più complessi invece sono stati i rapporti con l'Unione europea. 

Ad esempio con Sarkozy, con il quale non è mai andato d'accordo. Lo chiamava, in privato, 'il mio avvocato' (Sarkò anni prima di arrivare all'Eliseo seguì, per lo studio Bernheim, un'acquisizione di Fininvest). E di certo l'epilogo del suo governo che lo vide in totale rotta di collisione con l'Europa gli bruciò molto. Proprio per quei sorrisini del duo Sarkozy-Merkel: era l'ottobre del 2011, lo spread dei titoli italiani era alle stelle e nel giorno in cui l'Ue raccomandò all'Italia di fare i compiti a casa obbligandolo a tornare con una 'lettera' di impegni sulle sue riforme, la Merkel e Sarkozy risposero con un sogghigno malevolo a chi gli chiedeva se si sentissero rassicurati da Berlusconi.

(…)

Estratto da ilgiornale.it il 12 giugno 2023. 

La fine della Guerra Fredda, la nuova Russia dalle ceneri dell'Unione Sovietica, la guerra al terrorismo, i conflitti in Afghanistan e Iraq, l'allargamento dell'Unione europea e della Nato, l'attacco alla Georgia, le prime grandi crisi sistemiche, e, all'orizzonte, la Primavera araba e le rivolte nella sponda sud del Mediterraneo. 

La politica estera di Silvio Berlusconi, fatta di alleanze strategiche ma anche di legami eminentemente personali, si è inserita in un contesto di grandi cambiamenti geopolitici. Un continuo movimento tellurico che ha interessato l’estero vicino e quello lontano, e in cui l'Italia ha intessuto una trama diplomatica ancorata all'asse euro-atlantico ma con una certa propensione sia verso la sponda sud ed est del Mediterraneo sia con il dialogo con Mosca. Una scelta difficile e non priva di rischi, in cui Berlusconi, facendo leva sui rapporti tra blocchi e sulla sua personalità, ha inciso mettendo spesso in atto una politica eterodossa, ma non per questo estranea alle tradizionali alleanze e amicizie.

L'amicizia con gli Stati Uniti

Tra queste ultime, centrale quella con gli Stati Uniti, con cui Berlusconi, "figlio" dell'Italia post-bellica e al governo in una fase caratterizzata dalla visione unipolare Usa nel mondo, è sempre stato profondamente legato. Una strada che, a differenza di quanto accade oggi in Europa dopo l'invasione russa dell'Ucraina, non appariva così semplice e scontata. Tra gli Anni Novanta e i primi Duemila, il Vecchio Continente era contraddistinto da posizioni critiche riguardo la politica estera atlantica, e questo si vedeva soprattutto ad altissimo livello. 

Era un'epoca in cui i leader di Francia, Germania e Spagna, da sinistra, criticavano con toni aspri le mosse di Washington, puntando spesso su una via anche di opposizione a certe dinamiche. Berlusconi, legato dall'amicizia con George W. Bush ma non solo, fu un fermo sostenitore della postura atlantica dell'Italia, al punto che il Paese fu in prima linea nelle missioni in Afghanistan e Iraq, diventando centrale anche nel sistema della Nato. 

Il Cavaliere, a conferma di questa sinergia, fu ricevuto al Congresso degli Stati Uniti per parlare di fronte ai rappresentanti Usa in sessione plenaria. E questo atto, insieme ai vari attestati ricevuti sia da parte repubblicana che democratica, ha confermato un legame solido. E questo nonostante la sua politica estera fosse spesso diversa da quella voluta da alcuni apparati Usa, spesso perplessi dall’agenda berlusconiana e dalle modalità con cui ciò avveniva. 

Il sogno (sfumato) di integrare la Russia nell'Occidente

A questo proposito, fondamentali furono i rapporti con la Russia. Criticato per l'amicizia costruita negli anni dei suoi esecutivi con il presidente Vladimir Putin, Berlusconi, sin dalla sua prima esperienza di governo, ha perorato la causa dell'apertura dell'Occidente verso Mosca. 

Nel solco di una tradizione iniziata dalla Prima Repubblica e confermata anche dai governi con cui si è alternato di diversi colori politici, il leader di Forza Italia ha sostenuto i legami tra Italia e Russia promuovendo accordi sul fronte energetico (tra cui il sogno infranto del gasdotto South Stream) e rilanciando partnership di natura commerciale tra aziende di entrambi i Paesi.

Un rapporto che, come preventivabile, ha spesso impensierito Washington e gli alleati Nato più intransigenti, ma che non ha mai fatto venire meno l'asse con gli Stati Uniti. Questo è potuto avvenire anche perché questa tendenza a volere portare Mosca verso ovest andava di pari passo con le aperture di credito fatte dalla maggior parte delle potenze Ue verso il Cremlino, a cominciare da quella tedesca prima con Gerard Schroeder e poi con Angela Merkel. E perché anche Putin - poi anche Dmitri Mevdeved - sembrava ancora affascinato dalle sirene occidentali nella sua prima fase di potere.

Le reazioni della Stampa Estera.

(ANSA il 13 giugno 2023) - "Sono profondamente addolorato per la morte del mio amico, l'ex premier italiano Silvio Berlusconi con il quale abbiamo lavorato per molti anni. Condivido di cuore il dolore della sua famiglia e dei suoi cari e rivolgo le mie sentite condoglianze a tutto il popolo d'Italia". Lo ha scritto il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, in italiano e in turco, in un messaggio sul suo account Instagram.

La notizia della morte di Berlusconi fa il giro del mondo

(ANSA il 12 giugno 2023) -  La notizia della morte di Silvio Berlusconi fa il giro del mondo, in apertura dei siti dei principali media internazionali. Dalla Bbc al Guardian, dalla Cbs a Sky News, da Al Jazeera a Arab News, da Le Monde al El Pais, da Indian Times al Financial Time, da Deutsche Welle al Jerusalem Post, al Japan Times, tutti hanno la breaking news della scomparsa del Cavaliere. 

Morte di Berlusconi breaking news su tutti i media russi 

(ANSA il 12 giugno 2023) -  La notizia della morte di Silvio Berlusconi, legato da un rapporto di amicizia con il presidente Vladimir Putin, è stata data immediatamente come breaking news da tutte le agenzie e i canali televisivi russi. 

Morto Berlusconi: le reazioni della stampa internazionale. Eleonora Ciaffoloni su L'Identità il 12 Giugno 2023

L’addio a Silvio Berlusconi, in decine di lingue, è in apertura sulle pagine online dei principali media del mondo. Dall’Europa, agli Stati Uniti, fino alla Russia, tv e giornali online aprono con il ricordo del ruolo politico, ma e anche alcuni, ricordando i processi e gli scandali extra-parlamentari.

RUSSIA. Impressionante e ampio il ricordo dei media russi. A Mosca lo ricordano a caratteri cubitali: “E’ morto Silvio Berlusconi” titola l’agenzia di stampa Ria Novosti. 

“La notizia è in aggiornamento” si legge in sovrimpressione, alludendo a una diretta con più contenuti, di interesse nazionale anche alla luce del rapporto di amicizia tra il fondatore di Forza Italia e il presidente russo Vladimir Putin. 

FRANCIA. In diretta e in continuo aggiornamento sulla notizia della morte di Berlusconi, anche la versione online del quotidiano francese Le Figaro, che apre in homepage con la foto-notizia. 

REGNO UNITO. Da Londra la BBC:

“Silvio Berlusconi, l’ex primo ministro italiano che è sopravvissuto a scandali sessuali e accuse di corruzione, è morto all’età di 86 anni”.E dopo i dettagli essenziali sul decesso all’ospedale l’emittente continua definendo il Cavaliere “esuberante magnate dei media miliardario”, entrato in carica per la prima volta da presidente del Consiglio nel 1994 e alla guida di quattro governi fino al 2011.

E la versione online di The Guardian che lo definisce così: “Berlusconi è stato uno dei politici più appariscenti d’Italia, tornando in auge nel 2017 nonostante una carriera macchiata da scandali sessuali, innumerevoli accuse di corruzione e una condanna per frode fiscale”. 

STATI UNITI. La notizia dalla versione online del New York Times. 

“Silvio Berlusconi, lo showman che ha rivoluzionato la politica italiana, è morto a 86 anni. Ha introdotto sesso e glamour nella politica italiana, e usato la stessa formula nella politica, dominando il Paese e la sua cultura per più di 20 anni”. Questo il titolo e l’incipit dell’articolo pubblicato sul New York Times. 

GERMANIA. A ricordarlo anche la stampa tedesca, che apre con la notizia della morte del cavaliere nell’edizione web del maggiore settimanale. 

L’edizione online del settimanale Der Spiegel, ricorda così l’ex capo di governo che “ha plasmato la politica italiana per decenni, ha creato un impero economico e ha causato scandali in serie”. 

SPAGNA. In apertura, la versione online di El Pais, da notizia della morte del leader e lo ricorda come uno degli uomini più influenti della storia italiana: “Silvio Berlusconi, tre volte primo ministro italiano e proprietario dell’impero mediatico Mediaset, l‘uomo che ha rivoluzionato le telecomunicazioni e ha attraversato centinaia di scandali legali e personali”.

Estratto dell’articolo di Carlo Bonini per “la Repubblica” Dagospia il 13 giugno 2023.

Tramortito da un'orgia di superlativi, […] a reti unificate […] da un'agiografia da Istituto Luce, il Paese si sarà chiesto ieri, durante un'interminabile maratona informativa […] dai toni della beatificazione laica, per quale diavolo di motivo a un uomo celebrato in punto di morte come un padre della Patria e uno statista di rara fattura, un'istituzione del giornalismo mondiale come la britannica Bbc abbia dedicato un assai più asciutto “necrologio” in cui lo si definiva più sinteticamente “esuberante miliardario ed ex primo ministro italiano sopravvissuto a scandali sessuali e accuse di corruzione” (e a una condanna definitiva per frode fiscale, aggiungiamo noi).

Ebbene […] risposta è nel divorzio dal principio di realtà e nella sua […] manipolazione ad uso politico che il ventennio berlusconiano si sono trasformati in cifra del discorso pubblico (il nostro Parlamento, del resto, certificò con il suo voto che Karima el Mahroug, alias Ruby rubacuori, era “effettivamente” il nipote di Mubarak). È così che la dismisura del ventennio berlusconiano si è riproposta nel racconto del suo ultimo atto. E questa volta […] per mano […] di un mediocre […] coro che, purtroppo, con […] Silvio Berlusconi non hanno nulla a che fare.  

 (ANSA il 13 giugno 2023) - Degli uomini in giacca e cravatta con baffi, cappello Panama e occhiali da sole gettano una bara nel vano per la plastica di un cassonetto della raccolta differenziata. La vignetta si intitola 'Berlusconi è morto' ed è stata realizzata dalla rivista satirica francese Charlie Hebdo, con riferimenti alla mafia e alla chirurgia plastica. La vignetta è stata condivisa sui social, dove gli utenti - anche italiani - si sono divisi tra chi ha criticato il disegno definendolo "disgustoso" e chi invece lo ha apprezzato. 

Ieri la rivista aveva pubblicato un suo personale "omaggio" - definito così dalla stessa pubblicazione - dal titolo 'Il padrino Silvio Berlusconi è morto' in cui il Cavaliere viene accusato di essere "il più mafioso, più corrotto, più abile e più disinibito di tutti" nella politica italiana, ricordandone i processi e il bunga bunga. 

Berlusconi, secondo l'articolo a firma Gérard Biard, "ha aperto la strada a una sottile schiera di avatar, tra cui Trump è senza dubbio il più vincente" e "fu il primo a parlare di "giudici rossi" e a teorizzare il "complotto" dei magistrati". 

E soprattutto, continua la rivista, "è stato il primo a "de-demonizzare l'estrema destra, governando, fin dal suo primo mandato, con i postfascisti di Alleanza Nazionale e i regionalisti xenofobi e antieuropeisti della Lega Nord".

DAGONEWS il 13 giugno 2023.

C’è stato un tempo in cui Silvio Berlusconi era l’uomo più amato dagli italiani. Ora che per lui è arrivata l’ora fatale, è arrivata la conferma che non era l’italiano più amato all’estero. Per avere un’analisi impietosa della parabola politica, imprenditoriale e privata del Cav, più che l’editoriale un po’ spompo di Marco Travaglio oggi sul “Fatto quotidiano”, bisogna leggere i giornali stranieri. 

La tedesca Bild si è spinta molto in là (“Il suo marchio era quello di un polit-clown. Come incorreggibile amico di Putin alla fine è morto dalla parte sbagliata della storia"), il “Guardian” ha aggiunto altro fiele: “Un populista proto-trumpiano dall’ego smisurato, noto per l’abbronzatura permanente, le gaffe e il bunga bunga”. Ma anche il più istituzionale New York Times ha affondato, seppure con toni più morbidi il colpo.

Il quotidiano di Manhattan ha pubblicato un lunghissimo necrologio firmato da Jason Horowitz e Rachel Donadio, in cui già dalle prime righe si capisce il giudizio sul Cav: “Silvio Berlusconi, lo sfacciato magnate dei media che ha rivoluzionato la televisione italiana utilizzando canali privati per diventare il Primo ministro più polarizzato e perseguito del Paese nel corso di molteplici mandati e di un quarto di secolo di influenza politica e culturale spesso scandalosa, è morto lunedì all'Ospedale San Raffaele di Milano. Aveva 86 anni”.

Continua l’articolo: “Per gli italiani, Berlusconi è stato un intrattenimento costante fino a quando non lo hanno fischiato fuori dal palco. Ma lui è tornato. Per gli economisti, è stato l'uomo che ha contribuito a far crollare l'economia italiana. Per i politologi, rappresentava un nuovo e audace esperimento sull'impatto della televisione sugli elettori. E per i giornalisti dei tabloid, era una deliziosa fonte di scandali, gaffe, insulti volgari e scappatelle sessuali. 

Più che sui successi imprenditoriali e sull’influenza culturale del “Banana”, il “New York Times” si concentra sui fallimenti del Berlusconi politico: “I suoi governi hanno dedicato una quantità spropositata di tempo a leggi che sembravano fatte su misura per proteggerlo da decenni di processi per corruzione, un obiettivo che alcuni dei suoi più stretti consiglieri hanno riconosciuto essere il motivo per cui era entrato in politica.

[…] Berlusconi godeva dell'immunità parlamentare, ma nel 2003 il suo governo si è spinto oltre, approvando una legge che gli garantiva l'immunità dai procedimenti giudiziari per tutta la durata del suo mandato, sospendendo di fatto i processi per corruzione. Alcune di queste leggi sono state dichiarate incostituzionali e nel 2009 la Corte suprema del Paese ha annullato la legge sull'immunità. 

Il danno di queste accuse di corruzione è stato poi aggravato dalle accuse di aver pagato per fare sesso con una ragazza minorenne soprannominata Ruby Rubacuori. In seguito è stato assolto, ma la storia ha fatto gola alla stampa scandalistica mondiale.

Così come le notizie secondo cui avrebbe organizzato festini sessuali "bunga bunga" con donne presumibilmente procurate da un conduttore del telegiornale di uno dei suoi canali e da un'ex igienista dentale e showgirl diventata consigliera regionale di Milano”. 

Continuano Horowitz e Donadio: “Gli scandali hanno suscitato proteste su larga scala da parte delle donne. Persino la Chiesa cattolica romana, una forza influente nella politica italiana che spesso aveva tenuto il muso quando si trattava di Berlusconi, ha segnalato che ne aveva abbastanza. 

Ma ciò che ha veramente spodestato Berlusconi dal potere non è stato un improvviso risveglio etico in Italia, ma la crisi del debito europeo e la mancanza di fiducia dei leader europei e dei detentori del debito nel fatto che egli potesse guidare il Paese fuori da questa crisi”.

“Quando alla fine si dimise nel 2011, in mezzo a una frattura della coalizione di governo e a un generale malessere nazionale, una buona parte del danno sembrava essere stata fatta. Molti analisti lo ritenevano responsabile di aver danneggiato la reputazione e la salute finanziaria dell'Italia e consideravano il suo periodo al potere un decennio perduto da cui il Paese aveva faticato a riprendersi. 

Il suo approccio alla vita pubblica, spesso oltraggioso, che stravolge le norme e personalmente sensazionale, che è diventato noto come berlusconismo, lo ha reso il politico italiano più influente dopo Mussolini. Trasformò il Paese e offrì un modello diverso di leader, che avrebbe avuto eco in Donald Trump e non solo. 

Tra un “genio della vittimizzazione” e un “culto della personalità”, l’articolo continua elencando i difetti di Berlusconi, fino ad arrivare alla guerra in Ucraina e alla formazione del governo Meloni: 

“Nel governo più a destra dai tempi di Mussolini, Berlusconi ha sostenuto che avrebbe mantenuto un piede al centro. Ma ha soprattutto messo in imbarazzo la Meloni, difendendo Putin e facendosi beccare, forse di proposito, a scrivere cattiverie sulla sua scrivania al Senato, da cui era stato esiliato per una condanna per frode”. 

La crisi del debito, i “danni” all’economia e alle “istituzioni” italiane, il discusso rapporto con Mangano, le copertine dell’Economist, Veronica Lario: non manca niente.

Berlusconi, vergogna della Bild: "Un volgare clown, muore dalla parte sbagliata della storia". Libero Quotidiano il 12 giugno 2023

"Berlusconi era più del bunga bunga": con queste parole la Bild online, sito di informazione tedesco, dà notizia della morte dell'ex presidente del Consiglio. Al Cav il tabloid ha poi dedicato un lungo articolo, in cui alla fine si legge: "Il fondatore di Forza Italia non ha reso l'Italia un paese migliore. E questo nonostante abbia amato, come da lui asserito migliaia di volte, il Paese". "Gli italiani hanno fatto a lui meglio di quanto lui abbia fatto agli italiani - si legge ancora nell'articolo pubblicato dalla Bild -. E come incorreggibile amico di Putin alla fine è morto dalla parte sbagliata della storia". La firma del lungo articolo su Berlusconi è di Albert Link, che in passato tra l'altro aveva avuto l'opportunità di intervistare l'ex presidente del Consiglio.

L'invettiva poi va avanti: "Il suo marchio fuori dall'Italia era quello di un polit-clown. Ma questa era solo una parte della verità. Berlusconi è stato soprattutto un unicum, con almeno due volti, che non si è mai riusciti a far entrare in un'unica etichetta tedesca". E ancora: "Da una parte io ho visto in lui un atteggiamento e un'aura così governativa che si sarebbe vista in Helmut Kohl o in Helmut Schmidt. Dall'altra poteva essere così volgare che addirittura Mario Barth (comico tedesco, ndr) si sarebbe vergognato di una delle sue barzellette, per le quali io - su sua richiesta - avevo dovuto spegnere il registratore". 

In ogni caso, non è la prima volta che la Bild si esprime in questi termini su Berlusconi. Già nel 2013, quando il Cav aveva avuto un'infiammazione agli occhi nota come uveite, il tabloid tedesco titolava: "Ha veramente una malattia agli occhi?". Mentre nel 2011 titolò "Berlusconi ci trascina con sè nell’abisso”, a seguito del declassamento di rating dell’Italia annunciato dall’agenzia Standard & Poor’s. 

Berlusconi, l'ultimo sfregio di Schulz: "Ogni morte deplorevole. Ma..." Libero Quotidiano il 12 giugno 2023

"So che in Italia c'è un produttore che sta montando un film sui campi di concentramento nazisti. La suggerirò per il ruolo di Kapo". Questa fu la storica risposta di Silvio Berlusconi - nel 2003 presidente del Consiglio europeo - al capodelegazione dei socialdemocratici tedeschi Shulz quando questi parlò del conflitto di interessi del cavaliere. Uno scontro epico al Parlamento europeo che ancora oggi rappresenta un pezzo della storia politica del Cavaliere.

Negli anni successivi Schulz non lesinò certo commenti negativi su Berlusconi soprattutto dopo le dimissioni nel 2011. E oggi, Schulz ricorda, a modo suo, Berlusconi con queste parole: "Ogni morte è triste e deplorevole. Per il resto, la mia opinione sul bilancio politico di Silvio Berlusconi e sui pericoli da questo derivanti è ben nota", ha affermato Shulz all'Adnkronos. Insomma, nemmeno davanti alla morte Schulz riesce a mettere da parte i dissidi del passato. 

Evidentemente a volte il livore che arriva da sinistra non riesce a frenarsi nemmeno davanti alla pietà umana che riguarda la morte. Forse il "signor Schulz" non sa dove sta di casa l'eleganza nei toni: avrebbe dovuto prendere lezioni da Berlusconi, da sempre maestro di stile. Ma evidentemente per Schulz lo scontro in Aula all'Europarlamento non è affatto superato.

Da ilnapolista.it il 12 giugno 2023.

“Noto per la sua abbronzatura permanente, le gaffe, le feste bunga bunga e l’ego smisurato, Silvio Berlusconi è stato un populista proto-trumpiano, l’uomo da battere a Roma per più di due decenni e una delle figure più controverse della politica europea”. Senza giri di parole, questo è l‘attacco di uno dei pezzi che il Guardian dedica al racconto di Silvio Berlusconi nel giorno della sua morte. Quasi tutti i giornali progressisti, soprattutto quelli anglosassoni, ne hanno uno. Anche il New York Times per esempio. Ma quello del Guardian è il più diretto. 

Il Guardian lo definisce “abile nell’arte non solo di resistere allo scandalo, ma di uscirne con il suo profilo e la sua popolarità migliorati. E’ stato perseguito più di 30 volte con accuse tra cui appropriazione indebita, falso in bilancio e corruzione di giudici. Molti casi non sono stati processati, a volte perché Berlusconi ha cambiato la legge in base alla quale era stato accusato. Solo una volta è stato condannato, per frode fiscale, nel 2013. Ciò ha portato a una pena detentiva di quattro anni, di cui tre graziati, un anno di servizio civile e un divieto di sei anni dall’ufficio legislativo – da cui si è immediatamente ripreso, nel 2019, come europarlamentare”.

“È diventato primo ministro nel gennaio 1994 e, sebbene il suo governo di coalizione di centrodestra sia durato appena nove mesi prima di crollare, ha dedicato gran parte del suo primo mandato, secondo i suoi numerosi critici, ad approvare leggi e promuovere politiche che lo avrebbero protetto da procedimenti giudiziari e incoraggiato i profitti delle sue imprese private”. “Il debito pubblico italiano è raddoppiato durante il mandato di Berlusconi”.

Ovviamente non manca il racconto delle sue gaffe più famose, da Martin Schulz “kapò” a Merkel “culona”, a Obama “abbronzato”, “rafforzando una reputazione di lunga data per le gaffe sbalorditive e le digressioni oltraggiose”. “Si è vantato dei suoi stretti legami con Vladimir Putin e ha affermato che la colpa della devastazione del suo paese era del presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelenskiy”. “La sua carriera è stata segnata anche da scandali sessuali e di corruzione correlati, incarnati da racconti raccapriccianti di feste sessuali nella sua lussuosa villa fuori Milano, accuse di sesso illegale con una ballerina di nightclub di 17 anni e successive accuse di manomissione di testimoni”.

Ma soprattutto, chiude il Guardian, “i parallelismi con Donald Trump sono sorprendenti: entrambi gli uomini hanno iniziato come magnati immobiliari, sono diventati star dei media e sono passati alla politica. Entrambi hanno deciso di minare le istituzioni consolidate del loro paese, compresa la stampa e la magistratura. Respinti dalle rispettive istituzioni liberali, entrambi hanno anche risposto – nonostante la grande ricchezza – con la tattica populista di presentarsi come la vera voce del popolo contro un’élite fuori dal mondo e corrotta”. 

Berlusconi “rappresentava una parte dell’Italia che mette il denaro e il potere al di sopra della giustizia e etica. È probabile che la sua eredità non siano i bunga bunga party, l’ostentazione e la volgarità, ma la perdita di fiducia dell’elettorato italiano nella propria classe politica – una perdita che ha portato, ironia della sorte, all’emergere di una nuova generazione di persone più radicali, e politici populisti di estrema destra”.

«Controverso», «divisivo», «scandali sessuali e conflitti di interesse»: la morte di Silvio Berlusconi nella stampa estera. Dal New York Times a Ria Novosti, la notizia della scomparsa dell’ex Cavaliere occupa le prime pagine di tutto il mondo. Spesso con giudizi molto duri. Simone Alliva su L'Espresso il 12 Giugno 2023 

«Silvio Berlusconi, l'esuberante miliardario ed ex primo ministro italiano che una volta si definì il 'Gesù Cristo della politica', è morto in un ospedale di Milano all'età di 86 anni», apre così la Cnn, l'emittente americana, dando la notizia della scomparsa del «politico, che è stato a lungo considerato il personaggio pubblico più colorato d'Italia, è stato eletto primo ministro tre volte e ha servito per un totale di nove anni, più a lungo di chiunque altro dai tempi del dittatore fascista Benito Mussolini». 

La morte dell’ex Cavaliere è sotto gli occhi del mondo: editoriali e commenti montano su quotidiani e agenzie di stampa tedeschi, francesi, nord e sudamericani, russi. 

Il New York Times aggiunge che l'ex premier «introdusse sesso e glamour sulla tv italiana, portando poi la stessa formula nella vita politica, dominando il paese e la sua cultura per più di 20 anni».

Nel darne notizia, di spalla, il Wall Street Journal afferma che «il tre volte premier è stato una figura divisiva che ha condizionato la politica italiana e ne ha incarnato il movimento conservatore durante e dopo il suo mandato». Il giornale parla inoltre di Berlusconi come di «una figura controversa in Italia, è stato oggetto di scherno all'estero per le sue battute oscene, gli scandali sessuali e la sovrapposizione di interessi politici e commerciali».

Per il Financial Times, «la sua morte segna la fine di una controversa carriera politica, durante la quale il magnate ha trasformato la politica italiana, con il suo partito Forza Italia incentrato sulla personalità, costruito utilizzando la sua ricchezza, il marketing moderno e l'apparato del suo vasto impero dell'intrattenimento». Il quotidiano della City di Londra ricorda quindi che Berlusconi è stato «il primo ministro più longevo del dopoguerra, guidando l'Italia per circa nove anni tra indagini penali sui suoi affari e scandali sessuali». Secondo il Ft, «lo stile politico di Berlusconi ha fornito un modello che altri populisti, tra cui l'ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump e l'ex primo ministro thailandese Thaksin Shinawatra, hanno continuato a emulare».

Per il Guardian è stato uno dei politici più controversi d'Europa, con una carriera segnata da scandali sessuali e di corruzione. Il quotidiano progressista che non risparmia critiche all'ex presidente del Consiglio neanche da morto. «Meglio conosciuto per la sua permanente abbronzatura, le gaffe, le feste in stile 'bunga bunga' e l'ego smisurato», si legge nell'articolo a firma di Jon Henley, corrispondente per l'Europa del giornale britannico. Dopo aver percorso la carriera di Berlusconi lungo la recente storia italiana, l'ex premier viene paragonato a Donald Trump. Come l'ex presidente Usa, «entrambi hanno iniziato come magnati immobiliari, sono diventati star dei media e sono passati alla politica. Entrambi hanno deciso di minare le istituzioni consolidate del loro Paese, compresa la stampa e la magistratura». E ancora: «Respinti dalle rispettive istituzioni liberali, entrambi hanno risposto - nonostante la loro grande ricchezza - con la tattica populista di presentarsi come la vera voce del popolo contro un'élite fuori dalla realtà e corrotta». Secondo il Guardian, la vera eredità di Berlusconi non sarà tanto rappresentata dagli scandali o da una certa volgarità ma dalla perdita di fiducia dell'elettorato italiano nella propria classe politica, che ha portato all'emergere di una nuova generazione di esponenti populisti di estrema destra ancor più radicali.

La Bbc dà la notizia prima con un flash e poi in apertura, affermando che «un'era è finita» e che «è morto all'età di 86 anni l'ex premier italiano che si era ripreso dagli scandali sessuali e dalle accuse di corruzione». L'emittente britannica lo definisce «il re della rimonta» che «nel labirintico mondo della politica italiana» era «un uomo che fondeva affari e vita pubblica come nessun altro».

In Francia l’emittente Bfmtv apre ricordando «aveva anche segnato lo Stivale per le sue molteplici scappatelle e cause giudiziarie». Anche Le Figaro mette la notizia in apertura descrivendo Berlusconi come una «figura inarrestabile nella politica italiana». Il giornale lo descrive poi come un «appoggio un po' ingombrante» per la premier Giorgia Meloni «per le sue posizioni sulla guerra in Ucraina, ritenendo Zelensky responsabile dell'aggravarsi delle tensioni con la Russia». Liberation titola «il 'Cavaliere' esce di scena».

In Russia l'agenzia di stampa Ria Novosti sceglie di mettere la notizia in apertura correlata con una foto in primo piano di Berlusconi, definito «il patriarca della politica italiana». Anche la Tass apre con la morte del leader di Forza Italia sottolineando che «ha lasciato un segno significativo nella storia italiana».

Anche i giornali tedeschi aprono con la morte di Silvio Berlusconi. La Bild, il quotidiano più letto in Germania, mette in apertura una foto dell'ex premier sorridente che saluta ricordando che «la carriera di Berlusconi è stata segnata da vari scandali. Il controverso politico è stato accusato di dozzine di presunte accuse economiche e di corruzione e del suo ruolo nelle famigerate feste sessuali Bunga-Bunga. Nel 2013 è stato condannato per frode fiscale».

La Suddeutsche Zeitung lo ricorda come «un maestro nel sedurre il popolo e un modello per molti populisti», affermando che «per vent'anni, Silvio Berlusconi ha monopolizzato la visione mondiale dell'Italia con la sua peculiare comprensione della politica, con i titoli sulle sue provocazioni e processi, i suoi coloriti scandali e affari». 

Tra i media israeliani, il sito di Ynet scrive che «l'ex primo ministro Silvio Berlusconi, un uomo d'affari miliardario che ha creato la più grande società di media italiana prima di trasformare il panorama politico, è morto». La notizia è di apertura anche sul Jerusalem Post, che scrive che «gli elettori hanno ripetutamente accettato la sua esuberanza e Berlusconi è sopravvissuto a una serie di gaffe diplomatiche e scandali». Il giornale afferma poi che «i suoi scandali finanziari e sessuali lo hanno reso la figura più polarizzante dell'Italia moderna».

L'emittente pan-araba al-Arabiya afferma che «il partito di Forza Italia di Berlusconi fa parte della coalizione di destra del premier Giorgia Meloni e, sebbene lui stesso non abbia avuto un ruolo nel governo, la sua morte rischia di destabilizzare la politica italiana nei prossimi mesi». L'agenzia di stampa turca Anadolu pubblica in apertura una foto di Berlusconi sorridente ricordando che «soffriva di complicazioni legate a una leucemia cronica precedentemente sconosciuta».

I Nemici.

DAGO-TRASCRIZIONE il 29 giugno 2023.

Ma perché ce l’hai con me aoh, io sto a lavora per te mannaggia che ingrato. Mi dispiace perché io di carattere nun so cattivo, me viene la rabbia. A Berlusco’, so cinque anni che te portamo l’acqua con le recchie, Berlusconi, ma che ce voi pure la scorza di limone, non lo so… 

A me fa rabbia perché a senti lui il centrosinistra in questi cinque anni non ha fatto niente , semo sfaticati e invece voglio dimostrare, perché c’ho i dati, i grandi risultati del centrosinistra, a Berlusco’.

Prima cosa: in cinque anni di centrosinistra nessuno ha mai toccato il conflitto di interessi, nun t’avemo mai torto un capello, a Berlusco’. Nessuno ha mai toccato la televisione: non te piaceva Prodi, l’abbiamo mandato all’estero. Trappolone, tac: ciao Prodi, mandace la cartolina. Questi so i fatti. 

La prima cosa che fa D’Alema è dire che Mediaset è una grande industria culturale, e te sei un grande statista europeo: Fini se stava a rivoltà, gli abbiamo scatenato Mariotto Segni, è tornato giù. Bossi faceva il drogato, se lo semo presi noi, l’abbiamo disintossicato e te l’abbiamo ridato con la garanzia, ma che dovemo fa di più? Berlusconi, sei un ingrato sei, mannaggia.

Se semo presi tutti i pezzi tuoi: se semo presi la Pivetti, Cossiga, Mastella, Dini, Amadeus e Papi, è roba tua, a Berlusconi, ma perché sei così ingrato? D’Alema tutti i libri li pubblica con Mondadori, non te piaceva Zoff, l’abbiamo cacciato via, pussa via. Rondolino faceva il portavoce di D’Alema, gli serviva un autore per il Grande Fratello, gli abbiamo dato Rondolino. 

Adesso voglio dire una cosa sulla Rai, perché c’ho anche i dati sulla Rai, e il servizio pubblico. Macché pubblico a Berlusco’, ‘a Rai è un servizio tuo! L’abbiamo dato a te: c’abbiamo messo mezza Mediaset dentro, famo dei programmi per far stravincere Canale 5.

T’avemo messo Bruno Vespa, che altro voi? Voi la calza? Metti la calza, nun voi più la calza, leva la calza. Ti dava fastidio Veronesi, uno scienziato che diceva tante cose brutte sulla libertà scientifica, che facevano tanto dispiacere al Sacro Padre . l’abbiamo isolato, hai visto? 

Non se candida più, se n’è annato. Perché noi al Santo Padre lo anticipiamo, nun ce deve manco telefona, capito Silvio Berlusconi? Stiamo sempre lì pronti. A Berlusco’, piuttosto pensate a voi. Qua dai dati risulta che c’avete tutti quattro mogli e dodici amanti, er Santo Padre se incazza, lo sai? Dice, me stanno a coglionà? Aoh: una famiglia, no quattro! E vabbè, mannaggia a me, me dispiace -.

Berlusco’, ma che c’ho che nun te va? So troppo alto? Ti danno fastidio ste gambe lunghe? Me le sego, cammino in ginocchio, so più basso di te, Berlusco! Ma che devo fa, aoh? A me non me frega niente, me consumo un paio di calzoni al giorno, ma lo faccio per te, so contento. C’ho troppi capelli, ti danno fastidio? Dammi la macchinetta, mi taglio i capelli come Berlusconi, me faccio pelato aoh. 

E l’occhi azzurri te danno fastidio, me metto le lenti a contatto marroni, mannaggia. Ma che devo fare? Tutto per te abbiamo fatto, a Berlusconi. Gli ho detto anche: ce voi camminà in testa, camminace in testa, ti chiedo solo di levatte i sopralzi de legno, perché me lascia il segno. Hai capito Berlusconi, è una piccola richiesta. Perché la mia signora la sera me deve leva’ le schegge di legno.

A Sere’, ma che stai a di? Te fai la satira, me fai anche ride, ma qui stiamo a parla de cose serie. Er Paese non è né di destra né di sinistra, il Paese è di Berlusconi, è suo! Ma come state a ragiona? Ma se te te compri una macchina, è di destra o di sinistra? È la tua, no? Se vuoi andà a destra vai a destra, se voi andà a sinistra vai a sinistra, è la macchina tua, ma stai a scherzà?

A Sere’, io non lo so chi lo vince sto conflitto elettorale, non so se vincerà la grande formazione democratica riformista della sinistra o se vincerà questa destra autoritaria e illiberale, io te posso di una cosa sola: se vince Berlusconi. Berlusco’, ricordati degli amici! Ricordati di chi t’ha voluto bene!

Travaglio bullizza Berlusconi anche da morto: "Nano estinto". Hoara Borselli su Libero Quotidiano il 25 giugno 2023

Nell’antichità, ma ancora fino al secolo scorso, in alcune regioni d’Italia il lutto durava 12 mesi. Non sappiamo quanto durerà per Travaglio. Sappiamo di certo che il nostro si comporta come una vedova inconsolabile. Vedova di Berlusconi, intendo. Da quando il fondatore di Forza Italia è morto, Travaglio è disperato. Tutti i giorni parla di lui. Non riesce a farsi una ragione del fatto che non ci sia più chi per trent’anni gli ha dato il pane, il companatico e una buona ragione per esistere. Però il lutto, per Travaglio, come tutte le cose di Travaglio, si esprime in un modo un po’ volgare. Lui lo esprime come in vita espresse la sua ossessione per Berlusconi. Con odio, rancore, rabbia.

Ieri, nell’editoriale del Fatto, uno dei giornaloni della sinistra, lo ha definito il «nano- estinto». Vedete, in politica ci sono molti modi per portare le polemiche al diapason. E bisogna dire che spesso sia a destra che a sinistra le polemiche vengono portate al diapason. Però l’insulto su una tua caratteristica fisica non ricordo essere mai stato usato. Una volta se la presero con la gobba di Andreotti, ma fu usata solo nella satira e in modo bonario.

FALLO DI REAZIONE - Travaglio invece definisce Berlusconi, pochi giorni dopo la sua morte, il «nano- estinto». Naturalmente si possono fare moltissimi ragionamenti di tipo psicoanalitico, o di tipo politico. Poi però bisogna fare anche una riflessione sul piano morale e pedagogico. Il campo psicoanalitico non è il mio. Ci sono tanti scienziati che su questo argomento potrebbero dire molte cose.

Sul piano politico la cosa mi sembra tutto molto più chiara. Per usare un termine calcistico, si tratta di un chiarissimo “fallo di frustrazione” (i telecronisti lo chiamano così): è quello che fanno i calciatori della squadra che sta perdendo e che non riescono a imbastire un’azione decente per rimontare, e vedono che l’avversario è troppo superiore, e allora commettono un fallo non per una ragione di gioco ma solo per smaltire la rabbia.

Travaglio in questa fase della politica italiana deve sentirsi parecchio frustrato. Chiunque passa gli tira un ceffone. Non deve essere stato un colpo facile da incassare quella condanna a un anno e tre mesi di prigione rimediati dal suo intellettuale di riferimento, la sua musa: Piercamillo. Su questo piano, credo, va capito e giustificato. 

Poi c’è quella che, per usare una vecchia terminologia, chiamo “la questione morale”. Definire «nano-estinto» uno dei più grandi statisti italiani del Novecento e di questo inizio secolo (sicuramente il più grande di questo inizio secolo) è un puro e semplice atto di bullismo. Particolarmente volgare perché esercitato nei confronti di una persona che non c’è più. E verso la quale, evidentemente, si soffre di un complesso di inferiorità intellettuale e morale.

Però io mi chiedo: ma noi che scriviamo sui giornali dobbiamo o no sentire una qualche responsabilità nei confronti dell’opinione pubblica che formiamo? E allora, mi chiedo di nuovo, come possiamo permetterci, se facciamo passare sotto silenzio il bullismo di un grande giornale, di rimproverare poi il bullo a scuola? Quello ci dirà: e allora Travaglio? Lo so, la mia domanda cadrà nel vuoto. Vorrei solo dirvi che, per il mio modo di giudicare le cose, in tutta questa vicenda un nano c’è. Un “nano morale”, dico. Indovinate chi?

Estratto dell'articolo di Luigi Mascheroni per “il Giornale” il 19 Giugno 2023.

Matita carogna e vignette bastarde, Vauro Senesi, da Pistoia, terra di bestemmie musicali, lampredotto e uomini discordevoli, crudeli e salvatichi, odia tutti e da tutti è odiato. «Ibboia!». Vauro fa tana a sé, è insofferente del mondo e ringhia - graffi e grafite - contro chiunque. Per lui tutti gli uomini pari sono. Homo homini lapis. 

Forte della massima «La satira deve avere limiti per superarli continuamente», ma anche del detto «Né per scherzo né per burla, intorno al culo un ci vó nulla!», Vauro Senesi – occhialino alla Trotskij e pizzetto alla Lenin, perché la rivoluzione è anche una sfilata di gala – ha infilato il suo matitone in ’ulo a ministri, giornalisti, prelati, capi di Stato, presidenti, Papi e rabbini. Tiè! 

Sempre pericolosamente in bilico fra satira e cattivo gusto, più sbilanciato verso il secondo che la prima, è stato condannato per vilipendio a causa di una vignetta su Gesù. È stato sospeso dalla Rai per un’altra sui terremotati dell’Aquila. Ha attaccato Mattarella. Ha fatto della sua Papeide su Wojtyla un business. Ha ritratto Zelensky col nasone adunco – l’antisemitismo senza limitismo – ma soprattutto ci ha lasciato un monumentale Codice Atlantico con disegni, caricature e vignette di Matteo Salvini, il suo soggetto preferito, declinato in tutti i fascismi possibili; di Silvio Berlusconi, al quale però in fondo ha voluto bene, tanto da volergli dare un bacio in bocca per ragioni di geopolitica ucraina; e con particolare fantasia anche della Meloni: l’Ur-fascismo in matita nera.

(...) 

Uomo di parte, fazioso, toscanaccio di fiche e Vanni Fucci, falce, martello e ribollita, Vladimir Il’ic «Vaurianov» ha vissuto tutte le sfumature del peggior sovietismo all’aglione, sempre schifando il Pd. Ha fatto parte del comitato centrale del Partito dei Comunisti italiani di Cossutta e Diliberto, poi ha sostenuto la Rivoluzione civile di Ingroia, quindi ha fatto fronte con Potere al Popolo!, ha flirtato con la Lista Tsipras e infine votato De Magistris...

 Uno il cui amore per il comunismo è inversamente proporzionale al disgusto per il renzismo. 

Carboncino nero e bandiera rossa, Vauro vive fuori dal tempo – da cui il soprannome «TirannoVauro» - in un eterno ritornello del vecchio inno sovietico, gira solo in motorino e con i mezzi pubblici nel mito del sottoproletariato urbano, cita Majakovskij, di solito a cazzo, veste con abiti comprati a Porta Portese, al banco del russo Stanislao, cinturone da truppa dell’Armata rossa, maglietta a righe bianche e blu, non la tropézienne di Picasso, ma la Tel’njaska della Marina dell’Unione sovietica, Stella Rossa al collo, e nel suo attico immigrazionista al Viminale accumula cimeli e memorabilia sovietiche (alla fine tutti abbiamo il nostro busto di Mussolini in casa), divise originali dell’Armata rossa, tute dei cosmonauti sovietici, i ritratti di Gagarin e di Valentina Tereškova, prima donna nello spazio, epica Cccp e oggi fedelissima putiniana. 

Vauro è così: sopravvive nel crepuscolo della Grande Rivoluzione di Ottobre, venera il despota venezuelano Nicolás Maduro, rimpiange la Cuba castrista, segue con ottimismo la parabola della Corea del Nord. Vauro sembra uscito dalla Casa del Popolo di Quarrata nel film Berlinguer ti voglio bene, e siamo nel 2023... Se la satira dev’essere partigiana, lui lo è di più. 

Settario molto più del necessario, agent provocateur del peggior buonismo d’accatto, moralista che rasenta l’integralismo, consonanti aspirate e spara cazzate, Vauro Senesi nel mazzo del mercante in fiera del grande talk show televisivo è una carta fondamentale, che va bene per qualsiasi rete perché copre in modo straordinario quella fascia lì, quella dei tweet di Rula Jebreal, i commenti queer della Murgi*, le teleprediche piagnucolose di Saviano, le lectio extra lege del professor Montanari, le freddure riscaldate di Bottura, le ripassate antisemite di chef Rubio, i pipponi arcobaleno della Cuzzocrea...

(...)

Sì, va bene «Cuba, qué linda es Cuba!» ma poi le vacanze nostalgiche le lascia ai vecchi militanti e lui va con la famiglia a New York. Bello l’anticapitalismo, discriminante minima per chi si dice comunista, però le tue vignette, caro Vauro-«No big tech»-Senesi, le vendi a 130 euro a botta su Etsy.com. Fare il socio con le multinazionali degli altri. 

Le vignette a volte scalfiscono il potere di coloro cui sono destinate, altre rafforzano l’imbecillità di chi le disegna. Domanda: ma da dove viene, ultimamente, il gusto perverso di Vauro per i bambini e i defunti?

Vauro: c’è chi non lo sopporta e chi non può farne a meno. 

(...)

D’accordo, Vauro non è Vincino (era un’altra cosa: radicale, uomo di mondo, poca ideologia e molta verve), e non è neppure Riccardo Mannelli, altro pistoiese, al confronto un George Grosz della vignetta. Vauro, vignettaro più che vignettista (gli manca l’esprit de finesse) va bene per la sinistra con la bava alla bocca, gli antiberlusconiani di risulta e i berizzi in astinenza da neofascismo. Niente di più. E come ha confessato una volta il collega Makkox, «Diciamo che Vauro mi fa lievemente cagare».

“Prima” era bella solo la mia gioventù. Berlusconi incolpato per la sua morte, la nostalgia per il mondo di “prima” di chi sognava di cambiarlo…Claudio Velardi su Il Riformista il 17 Giugno 2023

Dalle 10 di mattina di lunedì scorso, chiamato – impropriamente, ma così va il mondo – a dire la mia sulla morte di Berlusconi, non ero in grado di andare al di là della più colossale delle banalità: “La sua scomparsa sancisce la fine della Seconda Repubblica”, ripetevo in lungo e in largo (complimenti, che bella scoperta).

Per elaborare pensieri più interessanti, mi sembrava necessario far passare del tempo. Per approfondire che cosa effettivamente ha significato Berlusconi. Perché decise di “scendere in campo” (e come accadde tutto ciò, cosa del massimo interesse per chi fa di mestiere il comunicatore). Quali obiettivi di quelli annunciati nel mitico video (“l’Italia è il paese che amo”) ha realizzato nel trentennio (se mai se ne è realizzato qualcuno). Quale eredità politica lascia, a chi, e se e come la sua morte cambierà gli assetti del sistema Italia.

Domande vere, oggettive, asettiche. Cose da studiare. Nel frattempo però, nelle ore successive, si faceva strada un altro mood, insinuante e velenoso. Di fronte alla sua morte, non solo non veniva meno l’odio, l’astio antico di una parte del paese, ma cresceva un risentimento di fondo di tutti gli antiberlusconiani d’Italia, che cominciavano ad incolpare il Cavaliere per la sua stessa scomparsa (e, naturalmente, per le ritualità pubbliche ad essa collegate).

Era come se tante prefiche fastidiose e lamentose dicessero: “Perché te ne sei andato, maledetto? Senza di te come faremo a dire che “prima” si stava meglio?”. Interrogativi angosciosi sintetizzati qualche giorno dopo su Linkiesta dalla geniale, adorabile Guia Soncini, che ha citato “quelli (…) già adulti allora e (…) attaccati alle loro convinzioni di allora, (che) hanno accolto irritati la notizia precisando che, certo, Berlusconi avrà pure cambiato l’Italia, ma loro preferivano l’Italia di prima”. Eccola, la chiave per capire. Era meglio l’Italia di prima, questa è l’idea che al fondo ha tenuto e ancora oggi tiene insieme antiberlusconiani duri e morbidi, progressisti e legulei, perbenisti e radical chic.

Persone grosso modo della mia generazione, insomma avanti con gli anni, che hanno condiviso esperienze politiche, letture, consumi culturali, la cui diffusissima (egemone?) weltanschauung è stata letteralmente sderenata dall’irruzione in scena di Berlusconi. E da allora non si sono più ripresi, rimanendo a fare la guardia al bidone vuoto del vecchio mondo. Diventando strenui paladini dell’ancien régime, difendendo stanche procedure e finte solennità. Arrivando a sostenere – nella più clamorosa delle eterogenesi dei fini – banchieri e burocrati, conservatori della più bell’acqua e caste di “presentabili”, ingurgitando rospi, portando sulla scena pubblica sepolcri imbiancati benvestiti e capaci di stare a tavola senza sporcare, che avevano il solo obiettivo di preservare propri poteri e prerogative.

E, ovviamente, delegando ai magistrati il compito di presidiare il sistema morente per salvarlo dagli intrusi. Loro, quelli nati e cresciuti nell’illusione di fare la rivoluzione e cambiare la società! Io, che non ho mai votato Berlusconi, non ho nostalgia per il mondo di prima e non voglio che ritorni.

“Prima” era bella solo la mia gioventù, fatta di passioni e amori, ambizioni e follie, senza acciacchi e responsabilità. Per il resto, il “prima” era decisamente peggio dell’”adesso” e – sono abbastanza certo – del “domani”. L’Italia di una volta era bigotta, chiusa, arcideologica, certamente meno libera di quella attuale. E Berlusconi aveva tutte le ragioni a dichiarare di volerla cambiare, sia pure con tutto il carico di demagogia, approssimazioni (e bugie) di cui era capace. Che poi ci sia riuscito a farlo è un’altra storia. Ma certo non devo spiegare io ai lettori di questo giornale come e perché chiunque abbia provato a cambiare questo paese non abbia ottenuto – per usare un eufemismo – i successi sperati. Claudio Velardi

La cricca del Fatto Quotidiano, Bindi e Conte: ecco il podio dei peggiori. Nella settimana di lutto nazionale per la morte di Berlusconi, il partito dell'odio dà il peggio di sé: vignette e articoli irrispettosi, proteste vergognose e biechi sciacallaggi. Ecco il podio dei peggiori. Michel Dessì e Andrea Indini il 17 Giugno 2023 su Il Giornale.

Lunedì 12 giugno, poco dopo le 9.30, il tempo è sembrato fermarsi. Bloccato come in un limbo. Il Paese, intontito dalla notizia della morte di Silvio Berlusconi, si è stretto intorno alla famiglia del Cavaliere. Per tutta la settimana, anche dopo i funerali che si sono tenuti mercoledì pomeriggio nel Duomo di Milano, sono continuati gli omaggi e le attestazioni di stima. Non da tutti. Purtroppo, nemmeno in un momento tanto doloroso, il partito del rancore ha deposto le armi. Gli irriducibili dell'odio hanno sferrato l'assalto finale: non paghi di avergli dato addosso per trent'anni, hanno cercato di deturparne pure la memoria. Invano. Perché i successi e il valore dell'ex premier sono sotto gli occhi di tutti gli italiani. Loro, gli anti Cav, l'unico primato che possono guadagnare è il podio dei peggiori. Ed ecco che li accontentiamo!

Al terzo posto troviamo la cricca del Fatto Quotidiano: Marco Travaglio e compagni. In redazione devono aver festeggiato. Un minuto dopo la pubblicazione della notizia, si sono avventati senza alcuna pietà. "Silvio Berlusconi è morto all'età di 86 anni - il titolo - primo dei populisti, recordman di inchieste dalla corruzione alla mafia, mago della comunicazione". E poi l'affondo: "Per 17 anni è stato il centro indiscusso della politica, per altri 12 ha fatto di tutto per continuare a esserlo, fra processi, scandali, polemiche. Delle sue mirabolanti promesse poco è rimasto. E mentre il mondo girava vorticosamente, l’Italia restava incartata a discutere di lui, dei suoi affari e dei suoi guai giudiziari. A molti è andata bene così". A seguire prime pagine violentissime, una peggio dell'altra. Da veri sciacalli. E se gli articoli del direttore vi hanno indignato, le vignette di Natangelo e Vauro non sono stati certo da meno. Ahinoi, non sono gli unici in giro! Prendete Tomaso Montanari, il rettore dell’Università per stranieri di Siena, che si è rifiutato di lasciare le bandiere a mezz'asta nella sua università. Per non parlare, poi, di quegli altri imbecilli che hanno organizzato feste in concomitanza dei funerali. Sono senza vergogna. Per non dire di peggio!

Subito dopo la morte del Cavaliere è tornata a farsi vedere Rosy Bindi. E lo ha fatto per scagliarsi contro il lutto nazionale deciso dal governo. "Siamo in una fase di santificazione che credo non faccia bene all’Italia - ha detto - il berlusconismo va elaborato". Per questa polemica fuori luogo si becca il secondo posto del podio dei peggiori. Posto che deve condividere con molti colleghi di partito. In primis, Andrea Crisanti. Lo ricordate? Il microbiologo "glorificato" durante l'emergenza Covid e subito dopo salito sul carrozzone dem. Ebbene: contro l'ex premier ha sparato nefandezze di ogni genere urlando sui social che "non meritava né i funerali di Stato né il lutto nazionale". Nessuno nel Pd ha preso le distanze da queste teste calde. Anzi. La segretaria Elly Schlein, dopo una brevissima tregua, si è ributtata nella mischia usando la morte di Berlusconi per attaccare il governo Meloni.

Per anni gli anti Cav hanno cercato di cancellare Berlusconi dalla politica, adesso vorrebbero addirittura sfregiarne la memoria. Sono gli irriducibili dell'odio. Ma tra tutti il peggiore è sicuramente stato Giuseppe Conte che questa settimana troviamo al primo posto. E dire che era partito bene. Il primo post, tutto sommato, non era così male. "Berlusconi è stato un imprenditore e un politico che in ogni campo in cui si è cimentato ha contribuito a scrivere pagine significative della nostra storia", ha scritto il leader del Movimento 5 Stelle riconoscendo al Cavaliere "coraggio, passione e tenacia" e dimostrando alla famiglia "sincero e rispettoso cordoglio". Peccato che, poi, la base grillina abbia dato di matto e l'avvocato del popolo abbia ripiegato sulla linea dettata da Travaglio. E così, alla fine, si è rifiutato di andare al funerale. Davvero una bruttissima pagina politica questa scritta dai Cinque Stelle! Ma davvero ci saremmo aspettati qualcosa di meglio dal partito di Beppe Grillo?

Estratto del'articolo da liberoquotidiano.it il 17 giugno 2023.

Elena Guarnieri dopo essere stata sbeffeggiata da Selvaggia Lucarelli e Fabio Salamida passa al contrattacco. La giornalista che ha seguito per il Tg5 in diretta i funerali di Silvio Berlusconi ad un certo punto si è commossa. E in quel momento sono partiti i cori dei tifosi milanisti e dei sostenitori del Cavaliere che hanno cominciato a cantare: "Chi non salta comunista è". [...] Salamida ha scritto: "Appena partirà ollellè ollallà faccela vede e faccela toccà dovranno interrompere il collegamento perché inizierà a piangere a dirotto".

Quindi la Guarneri non ci ha visto più e ha risposto: "I giornalisti faziosi. Quelli e quelle che difendono le donne a parole ma a fatti le sbeffeggiano, quelle giornaliste pronte a scagliarsi contro gli uomini accusandoli di sessismo, a seconda di chi è la donna sbeffeggiata. 

Maestre e maestri di giornalismo che inseguendo i like, tagliano ad hoc i video per farli sembrare qualcosa che non è. Questi sono solo sciacalli (entrambi i signori sopra iscritti all’ordine dei giornalisti)". E ancora, commentando Salamida sempre sui social: "Un altro che abbocca ai video tagliati in rete. Un altro che non ha visto la diretta e parla. Ma chi mai potrebbe commuoversi per il coro? Al massimo mettersi a ridere. E ci credete pure. Ridicoli veri".

Estratto dell'articolo di liberoquotidiano.it il 17 giugno 2023.

"Nei giorni scorsi ho taciuto qualunque commento, ma semplicemente perché io penso che nei giorni del lutto, specie per gli avversari, il silenzio sia un atto di rispetto": lo ha detto Fausto Bertinotti parlando di Silvio Berlusconi in collegamento con Myrta Merlino a L'Aria che tira su La7. 

L'ex presidente della Camera, poi, ha aggiunto: "La cosa che colpisce è questa prosecuzione di un regime che ha portato un guaio al Paese e un guaio altrettanto serio alla sinistra, cioè un bipolarismo che nasce sulle ceneri della Prima Repubblica". 

"Berlusoni ha drogato la sinistra, che era in crisi e che avrebbe dovuto trovare in sé le ragioni del suo futuro - ha proseguito Bertinotti -. Il bipolarismo italiano, che già secondo me è una forma regressiva della politica, diventava così patologico".

Secondo lui, inoltre, il Cav avrebbe puntato tutto il suo agire politico su delle realtà inesistenti: "Il berlusconismo si proponeva non solo come linea politica ma come un'idea di società inventandosi un avversario che non c'era più, il comunismo. E a sua volta si è proposto come una cosa che non c'era e non ci sarà, cioè la grande area liberale.

Berlusconi disegna uno scontro tra un'Italia liberale e un'Italia comunista in cui quella comunista non c'è più e quella liberale non ci sarà mai. Cosa resta? Il berlusconismo, un'idea del potere e della società che usa lo spettacolo come una leva potente della politica". […]

Gli anti Cav, personaggi (piccoli e bolliti) in cerca di visibilità.  Andrea Indini il 16 Giugno 2023 su Il Giornale.

La cricca del Fatto Quotidiano dà l'ordine di scuderia. Accorrono politici in pensione, pseudo comici ed ex magistrati. E poi la pessima figura di Conte e Schlein. Ecco l'album delle figurine degli anti Cav

Un bruttissimo album di figurine. Di quelle che nessuno vorrebbe mai collezionare, se non forse i fan di Marco Travaglio. Ecco: giusto lì, in allegato al Fatto Quotidiano, potrebbero essere distribuite. Questa ce l'ho, questa mi manca. Le figurine con i volti degli anti Cav. Gli irriducibili dell'odio, quelli del partito del rancore che, un minuto dopo l'annuncio della morte di Silvio Berlusconi, sono rispuntati fuori come funghi velenosi. Uno ad uno, in particolar modo quelli che le cronache politiche avevano giustamente liquidato in un angolino buio, sono tornati alla carica spargendo fiele sui social network e sui giornali amici. Giornalisti, politici in pensione, pseudo comici, ex magistrati: una lunga lista di personaggi (piccoli e bolliti) che, in cerca di visibilità, sono tornati a fare quello che hanno sempre fatto: infangare il Cavaliere. Consci che da domani torneranno nell'ombra da cui sono spuntati.

Sull'odio contro Berlusconi molti hanno costruito carriere ben remunerate. Financo giornali. Non avremmo dovuto, dunque, aspettarci di meglio da questi personaggi. Eppure, sotto sotto, abbiamo sperato fino all'ultimo che, in un momento tanto doloroso, il nemico di una vita potesse avere la statura necessaria a capire che era arrivato il momento di deporre le armi e rendere omaggio. E invece non lo hanno capito. E hanno tirato fuori il peggio. Un esempio: il Fatto Quotidiano. Da lì è partito l'ordine di scuderia. Una collezione di prime pagine che, a scrivere che sono di cattivo gusto, gli si fa forse un complimento. Gli editoriali al vetriolo di Travaglio e le vignette, altrettanto livorose, di Natangelo. E, per restare nella stessa area di gioco (scorretto), Vauro.

La lista degli iscritti al partito dell'odio tornati alla carica negli ultimi giorni è lunga. Tutti nomi noti a chi ha frequentato gli ultimi trent'anni della politica italiana. Molte sono figurine sbiadite. Personaggi del passato che si riaffacciano sulla scena. È il caso, per esempio, di Rosy Bindi, una che in passato ha avuto parecchio da ridire con Berlusconi e che ha subito colto l'occasione per sferrare l'ultimo colpo. Del tutto inopportuna a polemizzare sul lutto nazionale e sui funerali di Stato. Se vedesse la pubblicazione, l'album di figurine degli anti Cav non sarebbe diviso per squadre. Perché giocano tutti nella stessa squadra. E lo fanno in modo scorretto. Come l'ultima sparata di Laura Boldrini. O l'entrata a gamba tesa di Giuseppe Conte. Da cartellino rosso, tanto quanto Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli. E brutto pure il fallo di Elly Schlein. Lei che, in questi giorni era riuscita a non lasciarsi andare a bassezze, ha aspettato i minuti di recupero per far volare le mani. Ma è nelle tempistiche che i due principali esponenti dell'opposizione mostrano il peggio. Se all'inizio l'avvocato del popolo concede al Cav un post di "sincero e rispettoso affetto", la base grillina imbufalita lo obbliga a seguire la linea massimalista del Fatto disertando il funerale. Allo stesso modo la leader dem: prima va in Duomo, poi ci ripensa e torna all'attacco. Da entrambi davvero una pessima giocata.

È fuori dalla politica, però, che si consumano le scorrettezze peggiori. Tomaso Montanari, rettore dell'Università per stranieri di Siena, contro le bandiere a mezz'asta in ateneo; le dichiarazioni dell'ex procuratore aggiunto di Milano Alfredo Robledo (quello dei casi Mills e Mediaset); gli affondi di Corrado Augias, Gad Lerner e Oliviero Toscani; il post obbrobrioso di Corrado Guzzanti ("Rutto nazionale" su sfondo nero). E poi i minuti di silenzio non rispettati da sconosciuti consiglieri municipali e comunali, anche loro in cerca di uno secondo di visibilità sulle cronache nazionali. Inutile riportare i loro nomi: non vi direbbero niente. Come quelli che, nel mondo dello spettacolo, si sono sentiti in dovere di spargere altro fango.

Eccole, dunque, le figurine principali, o perlomeno quelle che si sono "distinte" in questi giorni. Se volessimo ripercorrere gli ultimi trent'anni, ce ne sarebbero molte altre da ricordare. Ma è inutile tediare il lettore. Anche perché queste, come tutte le altre, sono destinate a ingiallire e poi sbiadire fino a scomparire del tutto. 

Quei fanatici anti Cavaliere: vogliono l'odio permanente. Non c'è niente da fare. Non vogliono deporre le armi. Non smetteranno mai o, quanto meno, ci proveranno. L'obiettivo è evidente: protrarre all'infinito l'antiberlusconismo anche in assenza di Berlusconi. Francesco Maria Del Vigo il 16 Giugno 2023 su Il Giornale.

Non c'è niente da fare. Non vogliono deporre le armi. Non smetteranno mai o, quanto meno, ci proveranno. L'obiettivo è evidente: protrarre all'infinito l'antiberlusconismo anche in assenza di Berlusconi. Lo scopo di questa operazione si muove su due binari: uno politico e l'altro meramente personale. Dunque attaccare il Cavaliere e infangarne la memoria è, secondo una certa sinistra sempre più pigra ma anche sempre più minoritaria, il modo migliore per colpire il governo di Giorgia Meloni. E qui valgono tutte le teorie più bizzarre e creative, anche quelle che sfociano nella fantapolitica.

Il secondo scopo (ma non in ordine di importanza) è ancora più chiaro: mantenere comunque una minuscola, ma perpetua, rendita di posizione anche sulla pelle di un nemico morto. È la sempre valida teoria dell'odio permanente, applicata a tutti i più grandi nemici politici che i progressisti hanno incontrato sul loro cammino. Attacchi il tuo avversario, magari fai anche un po' il martire e possibilmente monetizzi la tua rabbia: una ricetta tanto funzionante quanto stucchevole.

Quindi vale tutto: tirare fuori le solite e spuntate accuse giudiziarie contro il fondatore di Forza Italia e dare corda a quella stampa internazionale che, senza capire un accidenti di quello che accade in Italia, continua a blaterare di frottole come il Bunga Bunga et similia.

Non a caso ad aprire, anzi riaprire, le macabre danze è stato il massimo sacerdote dell'antiberlusconismo sempiterno: Marco Travaglio che nel suo commento al funerale del cavaliere rigurgita tutte le antiche contumelie che utilizza da una ventina di anni a questa parte. E, in preda alle convulsioni dopo aver visto i massimi vertici della politica e dello Stato tra le panche del Duomo di Milano, riesce a prendersela persino con Sergio Mattarella che ha avuto l'ardire di partecipare all'ultimo saluto di un uomo che è stato tre volte presidente del Consiglio. Un vero scandalo, no? Poi, non volendo scivolare nel vilipendio del capo dello Stato, si accanisce contro Enrico Mentana - non certo un noto berlusconiano - colpevole di aver sostenuto che quello di Mattarella è un gesto di pacificazione.

Non per caso, uno dei pochi gesti di belligeranza lo ha fatto l'ex premier, vicinissimo al Fatto quotidiano , Giuseppe Conte che a differenza degli altri coinquilini di Palazzo Chigi non si è presentato a Milano. Una scelta politica e dunque legittima, ma che mette a fuoco benissimo lo spirito di una parte politica che non è disposta, nemmeno di fronte alla morte, a rendere l'onore delle armi.

Una parte sempre più striminzita, come ha dimostrato la piazza milanese di due giorni fa, il numero degli italiani che ha seguito le esequie in televisione e le milioni di interazioni social. Certo, restano le accuse violente e fuori dal tempo delle varie Rosy Bindi, i deliri sguaiati del solito Oliviero Toscani o qualche cretino che nascosto dietro una tastiera e un nickname continua a spargere odio in rete.

Ma, ne siamo convinti, nonostante tutti i tentativi che metteranno in atto, alla fine, quel che resta dell'antiberlusconismo che si crede eterno si schianterà contro il muro della storia.

Enrico Mentana, post fiume azzera la sinistra: "Dopo 30 anni a combattere Berlusconi..." Il Tempo il 16 giugno 2023

Qual è il futuro della sinistra? È questa la domanda che dà avvio a un post fiume, pubblicato da Enrico Mentana sui suoi profili social. Attraverso un'attenta analisi dell'era berlusconiana, il giornalista immagina gli scenari politici venturi e inchioda le responsabilità di leader che profetizzano grandi risultati e non offrono soluzioni concrete. "Quando Silvio Berlusconi 'scese in campo' la sinistra era il luogo della difesa dei più deboli, il Pds (allora si chiamava così) era il partito più votato nelle periferie urbane e tra gli operai, nella prospettiva di una maggiore giustizia sociale e nella tutela delle conquiste già raggiunte da quella parte della sinistra che aveva partecipato ai governi del paese. Trent'anni dopo le forze della sinistra sono del tutto minoritarie nelle periferie e tra i ceti più deboli, e invece sono maggioritarie nei centri storici delle grandi città", così esordisce Mentana che scatena il plauso di molti lettori. 

"Sei lustri vissuti a combattere il 'cavaliere nero' ne hanno trasformato connotati e rappresentanza sociale. Non è successo solo in Italia, certo. Ma qui da noi più che altrove quelle forze hanno offuscato la loro tradizionale ragion d'essere, nell'illusione che bastasse la contrapposizione antropologica alla destra ricca, potente e prepotente di Berlusconi", scrive il direttore del TgLa7 che spiega come la sinistra ha governato solo quando ha perso il Cav. "Oppure insieme a lui, 'nell'interesse del paese', per poi essere sistematicamente punite dagli elettori". Insomma, hanno basato la loro linea sull'antberlusconismo "senza elaborazione di una linea alternativa, senza una narrazione di futuro". 

Il lungo sfogo del giornalista, poi, lascia spazio a una sequenza di interrogativi secchi, diretti: "Quali sono gli obiettivi della sinistra di oggi? Che futuro indica? Come spiega a se stessa la sconfitta storica del settembre scorso? Per quest'ultima domanda la risposta è facile: non la spiega. Non c'è stata riunione o assemblea in cui si sia discusso sull'argomento. Ma se non ti votano le periferie, se non ti seguono i ceti più disagiati, se fai incetta di voti nei quartieri alti qualche quesito te lo dovrai pur porre, o no?". Scomparso l'antagonista, tornano le antiche debolezze della sinistra: "Si è già visto che il nuovo riflesso identitario, quello più classico antifascista nei confronti del 'melonismo' non può bastare, allo stesso modo del precedente, e anzi di più, perché la premier non ha conflitti di interessi, strapotere economico, imperi mediatici", afferma Mentana. 

Quindi il direttore del Tg La7 chiama in causa la diretta interessata, la neosegretaria del Pd Elly Schlein, e la riporta alla realtà dei fatti: "Il lavoro che ha davanti a sé Elly Schlein è immane: costringere a studiare, a discutere, a costruire una linea compiuta un partito che sempre si è illuso che le cose tornassero a posto da sole". Il Pd deve ripartire da "popolo e ideali, idea di futuro e strategia" spiega il giornalista che conclude con la "cartolina" dei dirigenti dem ed ex segretari ai funerali di Berlusconi al Duomo di Milano: "Schlein, Renzi e Gentiloni, De Luca, Emiliano e Franceschini". E ora?

Estratto dell’articolo di Gia. Sal. per il “Fatto quotidiano” il 15 Giugno 2023. 

Non vuole parlare di Silvio Berlusconi, […] Ma quel suo discorso alla Camera del 28 febbraio 2002 è passato alla storia come l’emblema del cosiddetto “inciucio” andato avanti per anni tra il centrosinistra e il berlusconismo perché, disse a Montecitorio rivolgendosi ai colleghi del centrodestra, Berlusconi “sa per certo che gli è stata data la garanzia piena – non adesso, nel 1994, quando ci fu il cambio di governo – che non sarebbero state toccate le televisioni”.

Quell’episodio, Luciano Violante oggi vuole spiegarlo. […] Era il 2002 e Violante, allora capogruppo alla Camera dei Democratici di Sinistra sconfitto alle elezioni di un anno prima contro Berlusconi, prese la parola a Montecitorio durante un dibattito parlamentare per spiegare perché il suo partito non poteva essere accusato di “regime” negli anni precedenti in cui avevano governato Romano Prodi e Massimo D’Alema: “Se dovessi applicare i vostri criteri, quelli che avete applicato voi nella scorsa legislatura contro di noi, che non avevamo fatto una legge sul conflitto di interessi, non avevamo tolto le televisioni all’onorevole Berlusconi...”, disse Violante.

E ancora: “Voi ci avete accusato di regime nonostante non avessimo fatto il conflitto di interessi, avessimo dichiarato eleggibile Berlusconi nonostante le concessioni… Durante i governi di centrosinistra il fatturato di Mediaset è aumentato di 25 volte. Dunque, non c’è stata alcuna operazione di questo genere”. 

Dopo quel discorso, Violante è stato accusato di essere il rappresentante principale di un centrosinistra che per vent’anni ha rinunciato a fare una vera opposizione a Berlusconi. E oggi l’ex presidente della Camera, che è diventato anche uno dei principali consiglieri della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, ricorda così quell’episodio: “Era la fine del 1994, il primo governo Berlusconi stava cadendo […] sapevamo che non ci sarebbe stato un governo politico subito dopo e quindi fui mandato dal segretario del mio partito (Massimo D’Alema, ndr) a parlare con Berlusconi del governo Dini che stava per nascere”.

In sostanza, Violante andò a chiedere a Berlusconi di sostenere l’ex ministro del Tesoro Lamberto Dini (che si sarebbe insediato a inizio gennaio 1995) con un grande governo di unità nazionale: “[…] gli dissi […]: visto che quello successivo sarebbe stato un governo tecnico, non avrebbe mai fatto le grandi riforme. Per quelle, infatti, sarebbe servita una maggioranza politica con un mandato elettorale. Tra queste, ovviamente, nemmeno quella delle televisioni e del conflitto d’interessi”.

L’ex presidente della Camera spiega che quel discorso “non valeva in assoluto, da quel momento in poi” ma solo “per la contingenza del governo tecnico di Dini”. […] Berlusconi decise di dare l’appoggio esterno di Forza Italia al governo Dini. E forse non fu un caso. Un anno dopo, era il 1996, in seguito alle elezioni con cui Prodi batté Berlusconi per la prima volta, Violante diventò presidente della Camera. […]

Marco Travaglio per “il Fatto quotidiano” - Estratto il 15 giugno 2023.

Agli innumerevoli delitti commessi da vivo, B. ne ha aggiunto un ultimo da morto. Il più imperdonabile: averci lasciato questa corte di vedove (non le due vere e quella finta: tutte le altre), prefiche, leccaculi, paraculi, piduisti, terzisti, parassiti, prosseneti, camerieri, servi sciocchi e soprattutto furbi che da due giorni lacrimano per finta (solo lui riusciva a piangere davvero a comando) a reti unificate, devastando quel po’ di informazione e di dignità nazionale che gli erano sopravvissute. 

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L’ex direttore del Corriere Paolo Mieli si pente in diretta dell’unico scoop della sua vita, sull’invito a comparire del ’94 a B. per le mazzette alla Guardia di Finanza, accusa i pm di non averlo torchiato a dovere per estorcergli le sue fonti che lui avrebbe senz’altro spiattellato in barba alla deontologia professionale, e comunque si scusa pubblicamente per aver pubblicato una notizia vera.

Renzi, un Berlusconi che non ce l’ha fatta, saltella da una rete all’altra per leccare la bara a distanza, sperando di ereditare qualche briciola dal desco del caro estinto, peraltro invano (a parte i processi). 

………………. Attori, registi e soubrette “de sinistra” spendono capitali in necrologi piangenti per l’amico Silvio, sperando che pure gli eredi si ricordino degli amici. Francesco Gaetano Caltagirone svela finalmente chi fa i titoli e gli editoriali del suo Messaggero, firmandone finalmente uno al posto dei soliti nom de plume: “Un uomo che ha lasciato un’orma profonda”. Più che altro, un’impronta digitale. E un vuoto incolmabile nelle casse dell’erario.

II Corriere fa rivoltare nelle tombe Montanelli, Biagi e Sartori col titolo cubital-vedovile “L'Italia senza Berlusconi", presidiato da una schiera di lingue erette sul presentat'arm e seguito dalla doverosa intervista all'editore Cairo, che parla alla sua tv ma anche al suo giornale, casomai qualcuno pensasse che il berlusconismo è morto con B. 

La Moratti assicura che la sua Rai del '94 era liberissima perché B. l'aveva nominata presidente, ma poi non fece mai pressioni (non ce n'era bisogno), cosi lei poté nominare direttori i berlusconiani Rossella, Mimun e Vigorelli a sua insaputa. 

Le Camere Penali smentiscono persino Coppi (“B. perseguitato dai pm? Mai pensato") e piangono comprensibilmente il cliente più illustre e munifico della categoria, “oggetto di una aggressione politico-giudiziaria che non ha precedenti nella storia della Repubblica", visto che ha subito "decine e decine di indagini e processi, con accuse fino alla collusione mafiosa e al ruolo di mandante di stragi, conclusesi con una sola condanna per elusione fiscale".

A parte il fatto che non fu per elusione né per evasione, ma per una frode fiscale pluriaggravata da 368 milioni di dollari, di cui 360 prescritti (come altri nove processi per gravissimi reati accertati, ma rimasti impuniti perché l'imputato aveva dimezzato i termini di decorrenza, senza dimenticare i fedelissimi finiti in galera al posto suo e i soldi alla mafia consacrati dalla sentenza Dell'Utri), le Camere Penose potrebbero vergare una nota identica per Al Capone: perseguitato con accuse di mafia, ma condannato "solo per elusione fiscale".

Un solo beneficato, Vittorio Feltri, ha il coraggio di dire la verità: "Non posso parlarne male perché mi ha fatto ricco". Tutti gli altri ammantano le pompe funebri di "rivoluzione liberale" che "ha cambiato l'Italia", anche se si scordano le 60 leggi ad personam e non riescono a citare uno straccio di sua riforma che abbia migliorato la vita di qualcuno che non fosse lui.

Infatti vanno forte le corna a Caceres, il cucù alla Merkel, lo sguardo lubrico alla Obama e la spolverata alla sedia, come se uno statista si misurasse dal numero di guittate. Ma il ridicolo eccesso santificatorio non si deve solo al fatto che B. s'è comprato mezza Italia che conta e l'altra mezza avrebbe pagato per vendersi.……. Ma, ora che ha raggiunto il paradiso (fiscale), possiamo dire senza tema di smentita che il padrone morto era molto meglio dei servi vivi.

Il Bestiario, lo Sciacalligno. Lo Sciacalligno è un animale leggendario che sopravvive nutrendosi dell’odio per i propri nemici. Giovanni Zola il 15 Giugno 2023 su Il Giornale.

Lo Sciacalligno è un animale leggendario che sopravvive nutrendosi dell’odio per i propri nemici.

Lo Sciacalligno è un essere mitologico che finge di non comprendere la differenza tra “avversario” e “nemico”. L’avversario lo si combatte all’interno del campo da gioco, con la forza delle idee e della dialettica nell’ambito di un dibattito democratico. L’esempio plastico è quello di Don Camillo e Peppone. Un confronto accesissimo dove venivano tirati anche colpi bassi, ma che non travalicava mai il bene per l’essere umano, per la persona. Il nemico si odia, lo si combatte utilizzando ogni mezzo machiavellico per sopprimerlo, annientarlo, e infine dannare la sua memoria. Questo non può avvenire in uno Stato democratico, questo avviene nelle peggiori guerre dove non si fanno prigionieri. Lo Sciacalligno non è cristiano, cioè non ama l’uomo in quanto uomo. Ed è paradossale in quanto lo Sciacalligno afferma di amare il diverso, ma lo ama in quanto diverso, non in quanto uomo.

Lo Sciacalligno è persuaso di essere il custode della verità, è un moralista che guarda alla pagliuzza nell’occhio dell’altro, ma in realtà maschera dietro a questo atteggiamento, accompagnato da un odioso sorriso beffardo che denota la sua superiorità, un interesse politico ed economico. Non lo dice, ma vuole il potere. E solo Dio sa quanto voleva il potere nel 1994, quando la strada sembrava spianata per conquistare l’Italia. Per questo lo Sciacalligno impazzisce quando il nemico non è controllabile, quando non appartiene ai “poteri forti” (brutta parola astratta, ma che dà l’idea), quando ha idee discordanti dal pensiero dominante, quando afferma che il “realismo” è meglio del “buonismo” (non a caso Silvio e Donald hanno avuto lo stesso trattamento). Lo Sciacalligno va giù di testa soprattutto quando scopre che il nemico ha un popolo che lo segue e per questo odia il popolo, perché il popolo è libero (malgrado il Green Pass).

“E’ un uomo. E ora incontra Dio”, ha detto il vescovo di Milano. Lo Sciacalligno non lo può tollerare, perché non può essere la misericordia di Dio a giudicare, troppo facile. E’ lo Sciacalligno stesso che può e deve dire l’ultima parola e non sarà certo una parola di pace. Lo Sciacalligno non lo sa, ma anche lui vorrebbe essere ricordato con parole di salvezza per la sua anima che non è bianca come quella di tutti. C’è ancora una sedia nello studio dismesso del programma “Servizio pubblico”, che pur essendo stata pulita per bene con un fazzoletto bianco, è rimasta sporca dell’odio dello Sciacalligno.

"Facevo il mio lavoro". L'ipocrisia di Gad Lerner sui funerali di Berlusconi. Dopo aver criticato i funerali di Stato per Berlusconi, il giornalista partecipa alle esequie. "Sono andato per fare il mio lavoro", spiega lui. Ma i social non perdonano: "Ipocrita presenza, dovrebbe rispettare un defunto". Marco Leardi il 15 Giugno 2023 su Il Giornale.

Che faccia tosta. Dopo aver criticato i funerali di Stato per Silvio Berlusconi, Gad Lerner a quelle esequie solenni ci è andato di persona. Nel duomo di Milano, in mezzo alla folla commossa, c'era anche lui, che il Cavaliere lo ha osteggiato fino all'ultimo. In un criticatissimo tweet pubblicato prima del rito funebre, il giornalista era persino riuscito a utilizzare la morte della signora Flavia Prodi per attaccare l'ex premier. "C'è un'Italia migliore...", aveva scritto. E allora che ci faceva pure lui sotto le guglie della cattedrale milanese, là accanto al feretro del compianto presidente?

"Ieri sono andato in Duomo per fare il mio lavoro", ha spiegato Gad all'Adnkronos, respingendo le accuse di ipocrisia piovutegli addosso sui social per quella sua presenza ai funerali. Ma se era così contrario alle esequie di Stato, al punto da esternare quella sua opinione in pubblico, Lerner avrebbe più coerentemente potuto seguire il triste evento a casa propria. Attraverso la tv. Oppure avrebbe potuto starsene fuori dal Duomo, come molti suoi colleghi, dove sarebbe comunque riuscito a osservare quel che accadeva da vicino. Peraltro, in un articolo pubblicato sul Fatto, l'ex conduttore si è messo a fare le pulci all'evento funebre e pure ai convenuti con argomentazioni abbastanza fuori luogo rispetto alla circostanza luttuosa.

"Onorare col lutto nazionale la spregiudicatezza di un uomo che, non dimentichiamolo, davvero ha creduto di poter morire da presidente della Repubblica, era ed è il tassello di un piano mirante allo snaturamento progressivo delle nostre istituzioni", ha sostenuto Lerner nel suo articolo. E ancora: "Si riconosce un progetto, nel funerale di Berlusconi. Forse perfino un regime in formazione dietro di lui, nel suo nome". Ci domandiamo a quale evento abbia assistito il giornalista: probabilmente non lo stesso - sobrio e commovente - che milioni di italiani hanno seguito in tv. Certo non lo stesso descritto dall'arcivescovo Mario Delpini, che nella sua omelia ha messo a tacere la retorica e le speculazioni: "Berlusconi, un uomo che ha vissuto e amato. E ora incontra Dio".

Il ritratto dell'arcivescovo: "Un desiderio di vita e amore"

Ma, riferendosi alla propria presenza alle esequie, Gad ha anche spiegato: "Ho salutato e abbracciato Francesca Verdini perché lei è stata per anni compagna di spiaggia dei miei figli". Il giornalista, alludendo anche alle polemiche per il proprio tweet contestato sui social, ha quindi aggiunto: "Salvini mi ha stretto la mano e non ha fatto alcun cenno al mio tweet, mantenendo il volto serio dovuto alle circostanze. Riguardo alla mia conoscenza affettuosa con Francesca Verdini, mi ha detto: 'Lo so, lo so'. E poi un semplice 'come stai?'...". E per forza: è ovvio che quello non fosse il momento delle polemiche. Anche perché il mondo non ruota certo attorno ai cinguettii dell'ex conduttore, buoni solo a suscitare qualche screzio virtuale.

E infatti è proprio sui social che sono continuate le critiche al giornalista di origini libanesi, massacrato dalle critiche di alcuni utenti. "Ecco la coerenza in persona, Gad Lerner prima fa questo tweet per denigrare Berlusconi, e poi va al suo funerale…", ha scritto ad esempio un commentatore. E un altro: "Il Dr. Lerner dovrebbe rispettare un defunto. Nel caso specifico è riuscito ad oltraggiare il Cavaliere sia prima con il suo tweet, che dopo con la sua ipocrita la presenza".

In molti iniziano a chiedersi dove andrà ora Elly? Lo smarrimento della sinistra alle prese con il post Berlusconi: la pacchia è finita, le ultime 24 ore di Gad Lerner. Phil su Il Riformista il 15 Giugno 2023 

Ed ora che si fa? Una terapia di gruppo? Un raduno monastico? Una scampagnata? Un pellegrinaggio? La sinistra alle prese con il post Berlusconi è costretta ad un precipitoso salto nel vuoto, una cosa che fa tremare le vene ai polsi dei dirigenti di stanza al Nazareno. Il Cavaliere in questi 40 anni è stato epicentro e catalizzatore, ha prodotto i film di Nanni Moretti ed acquistato l’Einaudi, ha garantito un rifugio sicuro alle opposizioni e quel senso di impotenza che ha attraversato tutti i leader dai Ds al Pd che hanno provato a contrastarlo.

Naturale lo smarrimento si dirà. Elly Schlein, ad esempio, con la sua iniziale titubanza ad andare alle esequie, ‘che c’entro io con Berlusconi?’, si chiedeva la segretaria con i collaboratori a poche ore dalla morte del leader di Forza Italia, costretta infine a rispettare il cerimoniale da Dario Franceschini. Elly quindi entra nel Duomo di Milano ma affida a Chiara Gribaudo la netta distanza tra il suo Pd ed il leader fondatore del centrodestra. Una cosa ovvia, risaputa, ma al Nazareno ci tenevano a presidiare il fortino degli antiberlusconiani.

Anche perché nel frattempo è arrivato anche Giuseppe Conte, lui, al contrario di Elly, ai funerali voleva andarci, poi ha prevalso la strategia di marketing dei suoi, e non è andato, ‘per coerenza con la storia del M5S’, ha motivato stamani. D’altra parte è quello che succede da decenni, il rapporto della sinistra politica ed intellettuale con Berlusconi, è un’infinita sequenza di ‘vorrei, non vorrei, ma se vuoi’ che oggi rischia di lasciarla al tappeto, senza più la sua coperta di Linus.

In tre decenni il programma alternativo allo schieramento avverso, di fatto era il programma dello schieramento avverso (per usare il termine di Walter Veltroni) con l’aggiunta di tanti no. Difficile ora avere improvvisamente una vena propulsiva. Dove trovarla? La tentazione è quella di applicare a Giorgia Meloni lo stesso trattamento, ma difficilmente la leader di Fratelli d’Italia riuscirà ad essere così esaustiva. Berlusconi è stato troppe cose racchiuse in una persona, calcio, cultura, spettacolo, televisione, aspirazione dei singoli, vacanze in Sardegna, donne, barzellette. Insomma da Gabriele Salvatores a Drive In.

Lo ha ricordato Claudio Velardi: ‘È stato imprescindibile per chiunque’. Da qui lo smarrimento della sinistra, che deve trovare in fretta, un’altra ragione di vita, che non potranno essere gli striscioni degli studenti della Normale, le insubordinazioni di Tomaso Montanari, i macabri titoli del Fatto Quotidiano. Per tutti loro, la pacchia in qualche modo è finita, tocca cambiare lavoro. Una pena ed uno struggimento che si evincono anche dalle 24 ore trascorse da Gad Lerner, che prima assegna pagelle morali su Twitter, e poi compare alla cerimonia in Duomo. Con i titoli di coda della seconda Repubblica, in molti iniziano a chiedersi dove andrà ora Elly? 

La sua centralità nel gioco democratico. Con Berlusconi finì la mia innocenza politica: i suoi nemici più feroci paradossalmente gli devono tutto. Marco Di Maio su Il Riformista il 15 Giugno 2023

“Devi votare per Franco Marini domani, abbiamo l’accordo con Berlusconi: si chiude sul Quirinale e poi si fa il Governo insieme”. È la notte tra il 17 e 18 aprile del 2013 quando mi telefona uno degli uomini di più stretta fiducia di Pierluigi Bersani per rimproverarmi di aver manifestato la mia indisponibilità a votare per Franco Marini presidente della Repubblica nel corso dell’assemblea dei ‘grandi elettori’ del centrosinistra, riunita poche ore prima. Per me, da appena un mese entrato in parlamento, fu la fine dell’innocenza politica. Di fronte alla telefonata di un braccio destro di Bersani, esponente di quella sinistra che aveva fondato sull’anti-berlusconismo la propria esistenza, capii che in politica il ‘mai’ e il ‘sempre’ valgono solo per il passato.

Chiedere di votare un candidato al Quirinale scelto Berlusconi dopo aver cresciuto una generazione di elettori al grido di “mai con Berlusconi”, era il sintomo più evidente dell’ipocrisia di un certo mondo di centrosinistra (non tutto) da cui decisi in quel momento di allontanarmi. Semplicemente perché era molto diverso da come diceva di essere, lontano anni luce dal sogno riformista di Veltroni (eguagliato successivamente solo da Matteo Renzi) e da ciò che fuori dal palazzo credevano milioni di persone. Perché sì, è doverosa la collaborazione istituzionale anche con gli avversari politici; ma senza perdere la dignità. Nel 2013, all’apice dell’antiberlusconismo alimentato anche dalla spinta iper-populista del M5S che tallonava il Pd dopo quelle elezioni politiche, mi fece sorridere vedere che quella sinistra che aveva fatto della guerra senza quartiere al Cav la propria principale identità, era in realtà segretamente sedotta dall’abbraccio con Berlusconi.

Il Cavaliere ha sempre avuto questa capacità di rimanere centrale nel gioco democratico, condizionare anche il campo avverso, fin dalla sua discesa in campo. Anche quando sembrava finito dopo le dimissioni da premier nel novembre 2011, imposte da Banca d’Italia (a guida Draghi), Bce e Quirinale (dove sedeva Giorgio Napolitano) per lasciare a Mario Monti la guida di un’Italia in balia della crisi del debito sovrano. Lo dimostrò con il sorprendente 21 per cento preso da Forza Italia alle elezioni del 2013 (dentro un centrodestra che per un soffio non riuscì ad imporsi); e con la capacità di influenzare tutti i passaggi politici da quel momento ad oggi.

Berlusconi fu determinante per la rielezione di Napolitano nel 2013, giocando quella ‘partita’ in modo ineccepibile (esemplare la scelta di uscire dall’Aula durante la votazione decisiva su Prodi, affossato dalla stessa sinistra); lo fu per la nascita del governo di Enrico Letta nel 2013 (unico esponente Pd ad aver governato grazie al voto di Berlusconi); lo fu per la scrittura della grande riforma costituzionale del 2015, in cui ogni modifica parlamentare aveva anche la sua ‘firma’. Salvo poi diventare tra i principali oppositori della stessa riforma che aveva contribuito a scrivere, sottraendosi al ‘Patto del Nazareno’ dopo l’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale (e non di Giuliano Amato, che egli avrebbe preferito).

Berlusconi fu determinante nel 2018 per il ‘nulla osta’ alla nascita del governo giallo-verde tra Lega e M5S, dopo aver incassato l’elezione della fedelissima Casellati alla presidenza del Senato; e lo fu di nuovo quando, nel febbraio 2021, dopo l’atto di coraggio politico compiuto da Italia Viva e Matteo Renzi che portò alla caduta del governo Conte II, nacque il governo di Mario Draghi. Che lo stesso Berlusconi contribuì a far cadere inseguendo Matteo Salvini e Giorgia Meloni (spalleggiati da Conte) sulla strada del voto anticipato.

La parabola di Berlusconi ha innegabilmente condizionato la traiettoria del Paese. Ci vorranno anni per rileggere, studiare e capire fino in fondo questi 30 anni che hanno segnato l’Italia e l’impegno politico di almeno due generazioni; per ora la certezza è che il Cavaliere mancherà tanto agli amici che ha avuto accanto, quanto ai suoi nemici. Inclusi i più feroci. Alcuni dei quali, paradossalmente, gli devono tutto.

Marco Di Maio

Berlusconi, la resa dei nemici: gli storici rivali lo onorano. Edoardo Romagnoli su Il Tempo il 14 giugno 2023

Silvio Berlusconi ha diviso l’Italia. Da una parte chi lo sosteneva, a volte adorandolo, dall’altra chi lo combatteva, a volte odiandolo. La morte però rende belli e alla notizia della sua scomparsa anche i più acerrimi nemici hanno voluto rendere omaggio all’uomo prima ancora del personaggio. Un clima di pacificazione dopo anni di battaglie che dovrebbe essere coltivato per fare in modo che non finisca oggi dopo i funerali ma che possa segnare un nuovo corso per la politica. Uno dei primi a rendere l’onore delle armi è stato Michele Santoro: «La tristezza non è solo del popolo berlusconiano, la sento anche io, che pure l’ho sempre contrastato». Inevitabile il ricordo della puntata del 10 gennaio 2013 di «Servizio pubblico» resa celebre dalla «spolverata» di Berlusconi alla sedia su cui era seduto Marco Travaglio. «In una pausa della trasmissione, mi prese per un braccio: "Michele, ma come ci stiamo divertendo?" Questo dice molto sul personaggio». Achille Occhetto, che nel 1994 perse con la sua «gioiosa macchina da guerra» contro Berlusconi, lo ha ricordato come «una persona che merita rispetto» dicendosi «addolorato per la sua scomparsa». Un altro grande avversario politico è stato Romano Prodi che parlando del Cavaliere ha detto: «Lo ricordo come un leader politico che, nel suo lungo e intenso impegno pubblico, ha esercitato una grande influenza nella vita del nostro Paese, incidendo non solo sulle istituzioni ma anche nella vita di tutti i cittadini». Aggiungendo di «aver apprezzato il suo sostegno alla causa europeista, soprattutto perché confermato e ribadito in un periodo in cui il nostro comune destino europeo era messo duramente e imprudentemente sotto accusa». Avversari sì ma senza mai scadere nell’attacco personale. «Nel nostro lungo confronto politico abbiamo rappresentato mondi diversi e contrapposti ma la nostra rivalità non è mai trascesa in sentimenti di inimicizia sul piano personale mantenendo il confronto in un ambito di rispetto reciproco». Pier Luigi Bersani che nel 2013 sfidò il giaguaro alle elezioni politiche i funerali di Silvio Berlusconi saranno «come quelli di un regnante». Per l’ex segretario nazionale del Partito democratico il Cavaliere aveva un dono: «L’empatia, che riguarda molto il rapporto con gli strati popolari». Parliamo di una «personalità non riproducibile, il cui principale tratto era il vitalismo inesausto». In realtà i due si erano già trovati "vicini" il 13 dicembre del 2009 quando Berlusconi venne colpito da una statuetta in pieno volto. Bersani andò a trovarlo in ospedale tenendogli la mano per mezz’ora mentre conversavano o almeno così raccontarono le cronache del tempo. «In verità fu lui a tenere la mia - ha ricordato Bersani - Ci riconoscevamo reciprocamente un tratto di umanità anche se io pensavo che la sua fosse più controversa. Dentro quel vitalismo c’era una capacità che mi ha sempre colpito. Era uno che faceva i suoi affari ma trasmettendo una generosità che affascinava. Ne ho avuto tante prove incontrando la gente anche più umile». Rimanendo nella galassia Dem un messaggio lo ha mandato anche Massimo D’Alema che ha ammesso come: «È indiscutibile il suo contributo alla creazione di una destra democratica europea». In linea anche il messaggio di Debora Serracchiani del Pd: «La sua influenza politica è stata senza pari nel centrodestra». Tanti gli avversari politici ma anche tanti gli avversari togati soprattutto nella Procura di Milano. Come dicevamo però davanti la morte, nonostante alcune eccezioni, anche l’avversario peggiore viene visto sotto una luce più umana e così Marcello Viola, procuratore di Milano, saputa la notizia della scomparsa del Cavaliere ha avuto parole di riconciliazione. «Esprimo un sentimento di umana partecipazione per la famiglia Berlusconi per una persona che ha segnato la storia dell’Italia. In questo momento deve prevalere questo sentimento».

(ANSA il 12 giugno 2023) "Ho continuato a vedere e rivedere quello spezzone, ma sarebbe corretto rivedere tutta la trasmissione per intero. Ora proverò a parlarne e a descriverne l'atmosfera". Lo ha detto Michele Santoro, parlando a Otto e mezzo della celebre puntata di Annozero nella quale Silvio Berlusconi pulì la sedia su cui era seduto Marco Travaglio.

"Tra un avversario leale e quello con cui stabilisci un duello si crea un legame - ha detto ancora -. In questo momento la tristezza non è solo un sentimento del popolo dei berlusconiani, la sento anche io. Quando cominciò quella trasmissione, che era come un Italia-Germania, fece il 33% su La7, lui era molto teso e preoccupato. Io, che sono uomo di spettacolo come lo era lui, ero preoccupato per l'andamento della serata e per questo feci un inizio allegro per tirarlo su. Poi lui si prese la scena, anche se alla fine perse tutti i voti che perse. Durante uno stacco pubblicitario mi fermò, mi tirò per la giacca e mi disse: 'Michele, ma come ci stiamo divertendo!'. L'empatia è questa". 

 "Una volta lo vidi dopo che era morto mio padre - ha detto ancora -. Appena glielo dissi, si appoggiò sulla mia spalla e cominciò a piangere a dirotto. Entrava in un rapporto di grandissima empatia. Fece tante cose che non gli perdonerò mai, ma avremo tempo per parlare di una figura complessa".

Estratto dell’articolo di Massimo Giannini per “la Stampa” il 13 giugno 2023.

[…] C'ero nel '94, quando la "Repubblica" diretta da Eugenio Scalfari si schierò duramente contro la discesa in campo. C'ero nei vent'anni successivi, quando lo stesso giornale diretto da Ezio Mauro combatté, in nome dei principi della liberaldemocrazia, le leggi ad personam e il conflitto di interessi, il bavaglio ai media e l'attacco alla magistratura, fino alle famose "Dieci domande" di Giuseppe D'Avanzo. Fu uno scontro aspro, irriducibile. Per questo, dal 2015 in poi, mai avrei immaginato di poter ricevere due inviti dal Grande Avversario, a Palazzo Grazioli.

Mai avrei pensato di poter trascorrere alcune ore insieme a lui, a scherzare e a ironizzare sul passato, pur mantenendo le rispettive opinioni. Mai avrei creduto di ascoltarlo, mentre mi mostrava due album pieni di fotografie che lo ritraevano insieme ai 100 capitribù libici: «Vede perché non riusciamo a rimettere a posto la Libia? Perché nessuno ha la pazienza di andare a parlare con ciascuno di questi signori!». 

Mai avrei sognato di ringraziarlo, dopo un'altra chiacchierata, mentre mi salutava con una pacca sulla spalla e con cinque scatole griffate Marinella: «Basta con queste cravattine da comunista che porta, si prenda un po' di cravatte serie…». Erano larghissime, una dozzina di centimetri. Le ho fatte stringere, le metto ancora. Più simpatico e più empatico di lui, nessuno mai. Più seducente e più voglioso di piacere, piacendosi, nessuno mai. […]

Lo storico dell’arte con una grandissima considerazione di sé. Abbiamo un vincitore tra gli odiatori: il primo premio va a Montanari. È lui quello che la spara più grossa. Phil su Il Riformista il 14 Giugno 2023 

In qualità di Rettore dell’Università per stranieri di Siena, Montanari ha deciso autonomamente di non mettere le bandiere a mezz’asta per la morte dell’ex presidente del consiglio, con una spiegazione che riassume in pillole decenni di idiosincrasia della sinistra intellettuale verso il fondatore della Tv commerciale. «È vero che Berlusconi ha segnato la storia, ma lo ha fatto lasciando il mondo e l’Italia assai peggiori di come li aveva trovati», ha scritto il rettore ai docenti, come fosse titolato anche ad assegnare pagelle morali e giudizi definitivi.

Come minimo, lo storico dell’arte deve avere una grandissima considerazione di sé e del suo ruolo. Gli insidia il primato Giuseppe Conte, che probabilmente domani sarà l’unico leader a non partecipare al funerale di Silvio Berlusconi. Ben piazzata la redazione del Fatto Quotidiano: imputato seriale, pregiudicato, con lui la Repubblica delle Banane, per anni ha finanziato Cosa Nostra, i titoli che oggi ci regala il quotidiano di Marco Travaglio. Una riedizione dello stesso livore che il giornalista riservò a Bettino Craxi.

In questa macabra galleria, non poteva mancare Vauro, «Entri l’imputato», «Veramente avrei l’uveite», risponde Silvio davanti al giudizio divino. Oggi nella categoria new entry, rientra una vecchia conoscenza, quella Rosy Bindi che tante volte si è esercitata con polemiche violentissime contro Berlusconi, costruendoci di fatto la sua carriera di indomita guerriera. Ha detto la Bindi ad Un giorno da pecora: «Il lutto nazionale per una persona divisiva com’è stato Berlusconi secondo me non è una scelta opportuna». Polemiche che evidentemente non si fermano neanche dopo la morte del ‘nemico’. Si dirà sfottò prevedibili, ed è anche vero, ma come al solito sono i social a far esplodere la cloaca delle offese gratuite, dei dileggi, dei giudizi sommari, comunque inappropriati a poche ore dalla morte del leader politico.

E se da una parte si può giudicare come intensa la testimonianza di Romano Prodi sull’avversario di sempre, non altrettanto si può dire di alcune reazioni politiche nettamente più scomposte. A Genova, ad esempio, durante il minuto di silenzio del Consiglio Municipale congiunto tra il Municipio Centro Ovest e Polcevera, i consiglieri Pd e del M5S vedono bene di abbandonare l’aula per protesta. Poco più a sud, a Sesto Fiorentino, alle porte di Firenze, il sindaco Lorenzo Falchi (sinistra di Fratoianni) annunciando misure ridotte del suo Comune nel giorno del funerale di Stato, si improvvisa storico e giudice: «La decisione della Presidenza del Consiglio dei Ministri in merito all’indizione del lutto nazionale è del tutto inusuale e inappropriata, frutto di valutazioni squisitamente politiche».

Eccessi che riguardano una parte e l’altra, gli ultraberlusconiani come gli eterni detrattori, che continuano a rendere impossibile una valutazione oggettiva della lunga stagione del Cavaliere e dei cambiamenti positivi e negativi che ha introdotto. Inutile, Silvio deve essere a tutti costi Santo o Satana.

Estratto dell’articolo di Mattia Feltri per “la Stampa” il 13 giugno 2023.

[…]Diventa lui l'artefice e il totem del bipolarismo. Non soltanto la destra ma pure la sinistra vive in simbiosi con Berlusconi: la destra esiste in quanto berlusconiana, la sinistra in quanto antiberlusconiana. La storia della Seconda repubblica (al netto della magistratura) è tutta qui. 

Oggi la politica è per intero figlia di Berlusconi. Si vive di sondaggi, per l'evoluzione digitale si vive di like e di follower, si vive di videoclip magari sotto forma di diretta Facebook o monologo per Instagram e TikTok, si vive di battutario, di motteggio, di réclame, la scandalosa Forza Italia ha generato Fratelli d'Italia e Italia Viva e cinque stelle e rinnovamenti e cose così, che vogliono dire tutto e niente. Ma nessuno sa andare oltre Berlusconi: si pigliano gli strumenti nuovi per replicare un insegnamento vecchio.

Vale per la Rai, che ha rincorso per lustri Fininvest e poi Mediaset e oggi si è pienamente canalecinquizzata, pienamente commercializzata, e non ha un'idea per il dopo. Vale per il calcio che dopo le magnificenze degli anni Ottanta e Novanta è rimasto lì a rimirarsi, non ha compiuto un passo in più, osserva senza uno squillo le crapule inglesi, spagnole, francesi e tedesche. Anche in questo siamo rimasti tutti berlusconiani: nemmeno lui da vent'anni ne indovinava più una. 

Ha mancato in pieno la rivoluzione digitale. Le sue tre reti vivono di vecchie glorie (i Bellissimi di Retequattro, le Iene, Striscia la notizia, Maria De Filippi) per un pubblico incanutito, è arrivato per ultimo e ha fallito con la pay tv, le piattaforme di streaming come Netflix e Prime sono il pane quotidiano dei ragazzi di oggi quanto Italia Uno era il pane quotidiano dei ragazzi quando i ragazzi eravamo noi. Usava i social come per il messaggio in vhs con la calza di nylon sull'obiettivo.

Con il Milan ha vissuto un lungo e lento declino (lungo e lento è stato il declino suo e lungo e lento è il declino del suo impero televisivo), fatto di acquisti sbagliati, campionati da comprimario, soprattutto di disponibilità economiche non più allineate alle sue ambizioni, e il finale da patron del Monza è stata una berlusconata minore, squadra portata per la prima volta in serie A, l'unico orizzonte in cui il sole calante poteva ancora fugacemente baciarlo in fronte.

Un Berlusconi da sei e mezzo, diciamo, ancora ricco, ancora protagonista, ancora con un ruolo politico, ma niente più di uno straordinario gestore del suo crepuscolo. E infatti non gli restava che celebrare le date, le ricorrenze, il bel tempo che fu, i trionfi ormai dell'altro secolo. Disposto a stare a ruota di questi ragazzacci fintamente deferenti, le Meloni e i Salvini che lo hanno strapazzato con le sue stesse armi giusto un po' adattate allo smartphone, e infatti il suo scandaloso putinismo non era antiatlantismo ma nostalgia, o più probabilmente autoreclusione nel passato in cui Putin e Bush si scambiavano un segno di pace, e lui era il sommo sacerdote.

Berlusconi è stato un uomo che ha cambiato il mondo e, quando non ha più saputo cambiarlo, si è rifiutato di cambiare col mondo. Ha preferito restare sul trono circondato dalla mitologia di sé stesso, da una finzione allucinata in cui tutti recitavano perché lui ancora si sentisse inarrivabile e immortale. Niente di più respingente, niente di più affascinante di questa lunga vita tutta fuori dall'ordinario.

Estratto dell’articolo di Mauro Giordano per corriere.it il 14 giugno 2023.

Molti lo ricordano come eroe per un giorno perché, grazie al suo istinto da pallavolista, bloccò l’uomo che aveva colpito al volto Silvio Berlusconi con una statua del Duomo in miniatura, proprio nella piazza davanti alla cattedrale milanese che ospiterà i funerali di Stato. Era il 2009 quando Andrea Matteazzi, padovano di Montegrotto Terme, compì il gesto che gli regalò una notorietà improvvisa ma gli attirò anche molti attacchi. 

«Lo rifarei - ha raccontato all’agenzia Ansa - anche se, dopo la gloria, provai delusione». L’aggressore di piazza Duomo si chiamava Massimo Tartaglia e, al termine di un comizio riuscì a ferire Berlusconi procurandogli la frattura del setto nasale e di due denti. Le immagini del premier italiano insanguinato fecero il giro del mondo - tutti le ricordiamo - e in molti si chiesero come sarebbe andata se Matteazzi non fosse intervenuto per bloccare l’aggressore. […]

«Quel giorno - ricorda - ero in piazza Duomo per curiosità, quando vidi un uomo agitare un oggetto, avvolto in un giornale, e scagliarsi contro Berlusconi. Intervenni d’istinto. Lo avrei fatto per chiunque. Mi misi a correre e mi gettai su di lui per immobilizzarlo. Momenti concitati, la gente urlava. A stento le guardie del corpo riuscirono poi a portare l’aggressore oltre le transenne per evitare il linciaggio». 

Poco dopo, avvicinato da giornalisti, curiosi e fotografi mentre la scorta soccorreva il presidente del Consiglio, Matteazzi si dileguò correndo a prendere un treno per tornare a casa. «Ho avuto paura di non riuscire a rientrare e sono tornato subito dalla mia famiglia».

Nei giorni seguenti, «quando finivo di allenarmi trovavo i giornalisti fuori dalla palestra ad aspettarmi. Mi cercavano in tanti - racconta Matteazzi - dai sindaci di Comuni del Padovano all’allora presidente della Regione Veneto Giancarlo Galan a Ennio Doris (socio storico e amico personale di Berlusconi) tutti per complimentarsi ed invitarmi a convegni ed eventi. Ma io avevo solo un desiderio: quello di incontrare nuovamente di persona Berlusconi». 

Il sogno in realtà non si è mai avverato. «Provai pure a contattare Palazzo Chigi - ricorda - ma qualcuno mi spiegò che, anche se Berlusconi era una persona molto generosa, questa circostanza aveva creato un forte imbarazzo. Preferirono lasciar cadere la cosa. Mi rassegnai, anche se non nascondo che mi farebbe piacere avere la possibilità di incontrare uno dei figli del leader di Forza Italia o di ricevere una telefonata. […]».

Estratto da open.online il 12 giugno 2023.

Massimo Tartaglia è l’uomo che il 13 dicembre 2009 aggredì Silvio Berlusconi scagliandogli in faccia la statuina in ferro del Duomo. L’ex Cavaliere ne uscì sfigurato e pieno di sangue. accusato di lesioni pluriaggravate nei confronti dell’ex premier, Tartaglia era stato assolto dal gup Luisa Savoia nel giugno del 2010 perché totalmente incapace di intendere e volere. 

[…] Mentre Berlusconi è malato, torna a parlare con l’edizione milanese di Repubblica. Dicendo in primo luogo che gli dispiace per la diagnosi: «Ho sentito che ha diverse patologie, una leucemia, la polmonite. Che deve fare la chemioterapia. Che è il secondo ricovero nel giro di pochi giorni». 

Poi torna sulla sera dell’aggressione: «Sono passati tredici anni, quella sera io ero fuori, non stavo bene. Adesso mi dispiace per Berlusconi veramente. Non è un mio parente stretto, non voglio essere ipocrita nel dire che sto soffrendo eccetera. Non nascondo nemmeno che all’epoca avevo sviluppato una rabbia e un odio nei suoi confronti. Ma spero tanto che si riprenda. Prego con il cuore per lui». 

Tartaglia racconta di aver scritto all’ex premier una lettera attraverso i suoi avvocati per chiedergli di perdonarlo: «Lo ha fatto. Non ha mai agito nei miei confronti. Avrebbe potuto chiedermi un risarcimento, avrebbe potuto rovinarmi…. E invece niente. Glielo riconosco».  […]

L'ultimo paradosso. La morte di Silvio Berlusconi lascia orfani a destra e sinistra: tutti uniti da un senso di disorientamento. Da una parte coloro che hanno prosperato grazie alla sua discesa in campo, tra prebende e incarichi. Dall’altra coloro che l’hanno osteggiato, indicando in lui il Caimano. Fulvio Abbate su L'Unità il 13 Giugno 2023

La scomparsa di Silvio Berlusconi, nonostante i poco rassicuranti bollettini medici delle ultime settimane, paradossalmente nella percezione comune collettiva appare comunque “improvvisa”. Quasi l’uomo ci avesse abituati a reputarlo eterno. Anche tra chi riteneva che l’esistenza politica stessa del “Cavaliere” imponesse un’opera necessaria di “resistenza”, una eticamente doverosa guerra di liberazione dal contagio del berlusconismo, ravvisando nel fenomeno i tratti di un pericoloso plebiscitarismo populista; il qualunquismo trasformista endemico nazionale.

Penso in primo luogo agli ormai tramontati “girotondi”, movimento d’opinione militante radicato un tempo presso i ceti medi riflessivi cittadini. La sua acme, il suo manifesto programmatico emozionale? Un film, “Il caimano”, a firma Nanni Moretti, così a restituire il volto della minaccia sullo schermo. L’arcitaliano Silvio Berlusconi indicato come segno di una deriva amorale, forse anche paternalistica, propria dell’emisfero destro del consenso nazionale, spettro tombale per il futuro stesso di una sinistra che si sognava infine maggioritaria.

Berlusconi pronto a rappresentare fantasmaticamente un perfetto alibi riguardo ai limiti dello schieramento progressista, incapace di determinarsi, dopo la dissoluzione dei grandi supporti ideologici, come opposizione di governo destinata a contrapporre il proprio immaginario “civile” e democratico alle bugie interessate del “miracolo italiano” suggerito mediaticamente dall’esperimento improvvisato di Forza Italia, partito personale, forte tuttavia dell’armamentario mediatico-spettacolare pervasivo dalle reti Mediaset, contestualmente mobilitate in nome e per conto del “principale”.

Verissimo che da tempo Berlusconi dava sensazione d’essere, se non già postumo politico di se stesso e della sua avventura non più trionfale, un volto di seconda fila, oscurato nella percezione pubblica addirittura dagli “amici”, meglio, dagli alleati ingordi, ora da Matteo Salvini ora, infine, dall’avvento di Giorgia Meloni, e tuttavia il suo “magico” dominio personale sembrava comunque resistere, ritenuto, paradossi della storia e della cronaca minuta, anche dagli stessi “nemici” della sinistra, come diga rassicurante, ago della bilancia, a garanzia che l’asticella del consenso elettorale non schizzi verso l’angolo estremo destro.

Sarà ora interessante scoprire quanti, proprio a sinistra, riterranno, ex post, la sua incarnazione miracolosa nel mondo politico una presenza, comunque “moderata”, in definitiva possibilista, sicuramente cinicamente trasformista, eppure a suo modo “dorotea”, fatto salvo l’interesse primario dell’imprenditore per la propria “roba”; un’ancora di salvezza pronta a contenere il peggio pronto a giungere il mattino del giorno dopo il suo declino, la sua dipartita. Resta ora, su tutto, l’eredità dell’intero immaginario berlusconiano, sia pure in dissolvenza incrociata, nel racconto complessivo dell’ultimo trentennio.

Occorrerà subito intuire quanti rimpiangeranno il “Caimano”, il “presidente operaio”, l’“unto del Signore”, nella convinzione ultima che, a dispetto d’ogni sua possibile improvvisa arroganza, il proteiforme “Cavaliere”, si è detto, dovesse essere ritenuto un elemento di stabilizzazione davanti alle possibili derive reazionarie della destra post-fascista e razzista, interessata a imporre la propria egemonia, planata addirittura fin sul tetto delle istituzioni con l’intento di legittimare l’equiparazione tra antifascismo e il vecchio scarpone del fascismo.

Berlusconi lascia così numerosi orfani, sia tra coloro che fin dalla “discesa in campo” – costretto, parole sue, a “bere l’amaro calice della politica”, proprio lui, imprenditore, inventore di un immaginario spettacolare – gli devono fortune e prebende, carriere, lussi privati e assai poche pubbliche virtù, contratti da opinionisti, evidenza pubblica addirittura apicale nel Palazzo romano, “clientes”… sia in chi dal suo primo “predellino” lo indicava invece come pericolo per la democrazia stessa. Orfani simmetrici, gli uni e gli altri, di un mercante in fiera nazional-popolare, che ne ha appena visto venire giù il sipario per cause naturali; l’Italia dopo l’estate di Arcore. Fulvio Abbate 13 Giugno 2023

La lezione di Berlusconi ai professionisti dell'odio. La sinistra continua a sputare fango sul Cav. Ma Berlusconi non la odiò mai. Matteo Carnieletto il 12 Giugno 2023 su Il Giornale.

Di fronte alla morte di un uomo, di qualsiasi uomo, si dovrebbe provare un solo sentimento: la pietà. Non facile, sia chiaro, per noi che ci portiamo una macchia nell'animo (i cattolici parlano di peccato originale) che ci fa fare il male che odiamo e ci allontana dal bene a cui aspiriamo. Eppure, dovrebbe essere così. Perfino di fronte alla morte di un avversario, perfino di fronte alla morte di un nemico, si dovrebbe provare compassione. Si dovrebbe avere la lucidità di dire che, ora che il nemico è sconfitto (ammesso e non concesso che in questo caso si possa parlare di nemico), è arrivato il momento di seppellire l'ascia di guerra.

Silvio Berlusconi di avversari ne ha avuti molti, soprattutto da quando decise di scendere in campo contro "la gioiosa macchina da guerra" di Achille Occhetto. La storia è nota. Mise in piedi in quattro e quattr'otto un partito, Forza Italia, che sbaragliò la concorrenza. A partire da quel momento, le inchieste giudiziare cominciarono a piovere sulla testa del Cavaliere. I suoi avversari lo vedevano come il male assoluto, sempre e comunque. Era, per la sinistra, il drappo rosso che volteggiava di fronte ai tori. Eppure Berlusconi rispose sempre con l'ironia e l'affabilità. E non scriviamo questo per incensare un uomo defunto. Ma perché il Cav è stato questo e pure i suoi avversari lo hanno ammesso. Prendiamo per esempio un estratto dell'ultimo libro di Antonio Padellaro, pubblicato in anteprima su Dagospia. Per anni parla male, anzi malissimo, di Berlusconi. Una sera, Melania Rizzoli lo invita a cena insieme a Francesca Pascale ed ecco che, all'improvviso, arriva lui insieme alle immancabili cravatte di Marinella: "Lui, il Cavaliere non era previsto ma penso si stesse rompendo le palle solo con Dudù a palazzo Grazioli che alle 21 in punto lo vedo venirmi incontro contento come una Pasqua come fossimo vecchi amiconi". Prosegue il racconto di Padellaro: "Per tutta la serata io e lui ci scrutiamo: tu non oltrepassare il limite e io non oltrepasso il mio. Difficile che in passato gli sia capitato di trascorrere del tempo chiuso in una stanza con qualcuno che per anni lo ha descritto come il male assoluto, un demone che comprando e corrompendo da un ventennio è diventato padrone di altre vite (delle nostre vite). Me lo potrebbe rinfacciare ma non lo fa e io evito perfino qualsiasi velata allusione. Niente di personale, è la regola non scritta".

Perché Berlusconi era così. Quando incontra Marco Travaglio, nel celebre incontro/scontro da Michele Santoro, dopo aver letto il documento preparatogli, ecco che il Cav comincia ad andare a braccio ed è lì che dà il meglio di sé. È un crescendo rossiniano che si conclude con la celebre spolverata alla sedia. Un gesto quasi alla Pierino che, però, fa sorridere tutti (e che fa guadagnare parecchi punti alla coalizione di centrodestra). E ancora: quanti sono i video che circolano in rete in cui, di fronte alla sinistra che gli chiede di andare a casa, Berlusconi risponde: "Mi crea un po' di imbarazzo, perché disponendo di diverse case non saprei in quale andare". Non si arrabbia. Ci scherza su. Che poi è il miglior modo per vivere sereni (e anche far impazzire gli avversari). "L'amore vince sempre sull'invidia e sull'odio", diceva Berlusconi sentendosi un po' Virgilio. Non sempre è così. Di certo lo è stato nel suo caso. Andarsene senza odiare nessuno non è facile ma il Cav ci è riuscito. Con buona pace degli odiatori di professione.

“Da fare schifo”. Cruciani abbatte i moralisti anti-Berlusconi. L’editoriale di Giuseppe Cruciani sulla morte del Cavaliere su Nicolaporro.it il 13 Giugno 2023

Oggi quelli che mi fanno incazzare sono quelli che dicono che Silvio Berlusconi ha devastato la cultura italiana. Molti sottolineano come Silvio sia stato condannato, come se una condanna definitiva ma controversa fosse il timbro con cui riconoscere una persona. “Ha sdoganato i fascisti, ha portato i fascisti ed i leghisti al potere”, dicono. Secondo questi critici, il Cavaliere non lascia nulla all’Italia.

Silvio Berlusconi era, con tutti i suoi difetti innumerevoli, semplicemente un gigante. Silvio era un vincente, un combattente vero, uno che lottava, magari per ideali che molti di voi non condividono, ma comunque uno che lottava. Contro di lui, si è scatenata negli anni una campagna mediatica e giudiziaria spaventosa, condivisa in alcuni periodi pure da chi è qui vicino a me. Quella contro di lui è stata una campagna di aggressione politica e giudiziaria senza precedenti.

Io la penso così e penso anche che l’ultima campagna giudiziaria che ha subito, diciamo quella sul sesso, era intrisa di un moralismo e politicamente corretto da fare schifo.

Marco Giusti per Dagospia il 12 giugno 2023.

Diciamo la verità. Siamo stati vigliacchi, anzi vigliacchissimi nel trattare Silvio Berlusconi al cinema. E, in fondo, i due film più coraggiosi che lo hanno trattato, “Loro” di Paolo Sorrentino con Toni Servillo, che tratta delle “cene eleganti” e delle feste in Sardegna, “Il caimano” di Nanni Moretti che tratta della difficoltà di trovare un modo o tanti modi per metterlo in scena, sono due film molto interessanti, ma non sempre completamente riusciti. 

Il primo racconta quello che si può raccontare in un terreno scivoloso, il sesso, le ragazzine, la vecchiaia, l’alito cattivo, la solitudine. Il secondo è frammentario per scelta, e parte davvero quando Nanni stesso intuisce che deve interpretare lui Berlusconi. Ma è troppo tardi.

Alla fine le scene più riuscite erano quelle di pura invenzione, l’incontro tra Berlusconi e Ennio Doris, interpretato dallo stesso Servillo, le scopate di Scamarcio nel film di Sorrentino, l’idea dei tanti Berlusconi diversi, tutti credibili, nel film di Moretti.  Ma la delusione rimane. 

Trovavo ottimo invece il Berlusconi di Paolo Pierobon nella serie “1992”, il tentativo più riuscito di raccontare quegli anni. Capisco che per il cinema non era facile mettere in scena un personaggio così potente e complesso, che la realtà era spesso più forte di qualsiasi fiction, pensiamo solo alla telefonata- vera – tra Saccà, allora direttore di Rai Uno e Berlusconi, ai racconti dei bene informati sulle intercettazioni tra Berlusconi a Confalonieri sulla composizione dei ministeri (saranno stati veri?), che Berlusconi era comunque un produttore potente di cinema italiano, con la Medusa.

E mettiamo che il nostro cinema è sempre stato così pavido nel raccontare la realtà. Ancora discutiamo sul caso Moro… Alla fine era più divertente vedere le commedie di Neri Parenti dove poteva apparire Maurizio Antonini, il sosia bagaglinesco di Berlusconi, o sentire qualche battuta nei film di Paolo Virzì sul berlusconismo e la nuova destra di governo, che fare finta che le cose andassero come sempre come si vede nei tanti film d’autori del tempo, dove si parla di tutto ma non di politica.

Ricordo un film tedesco diretto da Jan Henrik Stahlberg, e in parte scritto da Marco Travaglio, “Bye Bye Berlusconi”, una satira grottesca dove si fingeva il rapimento di Berlusconi, che passò a Berlino nel 2006, vinse anche un premio. Non era un capolavoro, ma era un film assolutamente curioso. 

Il regista non riusciva a capire perché, malgrado il film fosse stato comprato per il mercato italiano, non fosse stato distribuito. Chi te lo ha comprato? Gli chiesi. Un certo Massimo Ferrero alias Viperetta. Tutto chiaro.

Un altro film spettacolare era un episodio del film diretto da Massimo Ceccherini “La brutta copia”, dove tre evasi da un manicomio, Cecche, Papaleo e Carlo Monni, girano in un’Italia ricoperti di manifesti elettorali di Berlusconi (“meno tasse per tutti”, ecc) con l’idea che Silvio sia un alieno in grado di salvarli dalle loro malattie mentali. Cultissimo. 

Mai distribuito in sala da Cecchi Gori, che se ne guardava bene di offendere Berlusconi, provai a proporlo al Festival di Venezia come anteprima assoluta. Ma, col governo di destra, non passò. Finì a tarda ora sulle piattaforme. Un paio di volte. Per poi sparire nel nulla da dove l’avevo trovato. Ma l’episodio è clamoroso. Finì per anni nel nulla anche un film di Dino Risi, “La stanza del vescovo” che aveva osato battezzare come Berlusconi il personaggio di marito cornuto che torna dall’Africa senza palle interpretato da Max Turilli, sposato con la bellissima e infedelissimo Ornella Muti.

Risi l’aveva fatto per puro spirito goliardico. Chiamiamolo Berlusconi. Bella trovata. Così il film non si riusciva a vedere che a notte fonda. Senza pensare al capolavoro dello spot della famiglia Berlusconi che fa gli auguri di Natale girato, se non sbaglio, da Franco Brusati. Capolavoro assoluto. 

Ma il film più bello mai fatto su Berlusconi e sul suo mito penso che sia “Belluscone” di Franco Maresco, uno dei più grandi film mai fatti non tanto su di lui, quanto sull’Italia di oggi.

Elena Palmieri per rockol.it il 13 giugno 2023. 

Da Caparezza ad Antonello Venditti, da Elio e Le Storie Tese ai Modena City Ramblers, passando per Cristiano Malgioglio: sono molte le canzoni pubblicate negli anni e riferite, delle volte nel bene e altre nel male, a Silvio Berlusconi. Con la notizia della morte dell’ex premier, scomparso oggi 12 giugno all’età di 86 anni, abbiamo raccolto alcuni brani in qualche modo a lui dedicati, seppur non venga sempre citato direttamente ma sottinteso con riferimenti alla sua figura privata e pubblica. 

Ecco, di seguito, alcuni dei brani che parlano di Silvio Berlusconi (qui, invece, le canzoni scritte da lui).

Caparezza, "Legalize the Premier"

Pubblicato il 5 agosto 2011 come terzo estratto dal quinto album in studio "Il sogno eretico", "Legalize the Premier" è un brano reggae politicizzato inciso da Caparezza in duetto con Alborosie. Come raccontato a Rockol in occasione dell'uscita del disco, nel brano l'artista non lo cita mai esplicitamente, ma ci lascia capire bene chi è il suo bersaglio: "Sono un presidente in erba ma me ne fotto della maria perchè io lotto ma per la mia legalizzazione". 

Elio e le Storie Tese, "Il Congresso delle Parti Molli"

Con un intro che riprende quello della canzone "Getting Better" dei Beatles da "Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band", "Il Congresso delle Parti Molli" è un brano originariamente incluso nell'album "Studentessi" di Elio e le Storie Tese, uscito il 19 febbraio 2008. 

Modena City Ramblers, "El presidente"

Tratto dal settimo album in studio dei Modena City Ramblers, "¡Viva la vida, muera la muerte!" del 2004, "El presidente" racchiude una riflessione sulla situazione italiana del tempo e un pensiero della band emiliana sulle vicende berlusconiane: "El Presidente, lo sai, vede, provvede, non sbaglia mai!".

Antonello Venditti, "Il sosia"

Originariamente incluso nel quindicesimo album in studio di Antonello Venditti, "Che fantastica storia è la vita" del 2003, "Il sosia" venne descritta così dallo stesso cantautore in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera nel 2005: "Io non credo che si debba prendere Berlusconi troppo sul serio. Meglio ricorrere, invece, alla satira, alla leggerezza. Sarà anche per questo che tempo fa, nel mio cd Che fantastica strada è la vita, ho scritto una canzone su di lui, Il Sosia , che parla di un uomo che è la copia di Berlusconi e che con questo sbarca il lunario. Ma lui è un pacifista, di sinistra e per di più interista. Molto divertente". 

Carmen Consoli, "AAA Cercasi"

Contenuto nella raccolta "Per niente stanca" del 2010, "AAA Cercasi" di Carmen Consoli è stato composto nella parte musicale da Mauro Lusini e nel testo dalla stessa interprete. Il brano uscì quando in Italia e nel resto del mondo non si faceva altro che parlare dello scandalo Ruby che ha coinvolto in prima persona l'allora Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi. 

Come spiegato da Consoli in un'intervista a "La Repubblica" nel 2011, inizialmente la canzone era ispirata da un fatto di cronaca diverso, anche se poi il senso "si è esteso automaticamente" alla vicenda di Berlusconi. "Mi ero ispirata alla storia di un imprenditore che ricattava i politici e organizzava 'cena e coperta', escort, era lo scandalo di Arzignano Veneto", aveva raccontato la "cantantessa": "Poi ovviamente ho esteso il senso, anzi si è esteso da solo, automaticamente". […]

Giorgio Gosetti per l’ANSA il 13 giugno 2023.

Alla galassia comunicativa che fin dagli anni '90 ha accompagnato la mitologia di Silvio Berlusconi, a fianco di televisione, editoria, sport, spettacolo non poteva mancare il cinema. 

Il cav (allora già furoreggiava il soprannome coniato per lui da Gianni Brera) entra nella storia del cinema italiano nel 1986 quando il suo gruppo Reteitalia entra a far parte (in due anni ne acquisirà la proprietà) di un marchio storico come Medusa specialmente attiva nei filoni più popolari dell'epoca. 

Tre anni dopo, grazie all'attivismo di Carlo Bernasconi (da sempre uomo di fiducia in Fininvest), Berlusconi stringe un'alleanza di grande impatto con Vittorio Cecchi Gori e con lui fonda la Penta Film che ha ambizioni internazionali. I successi si moltiplicano e nel 1991 portano in dote a Gabriele Salvatores l'Oscar per il film straniero con "Mediterraneo".

Sarà il primo trofeo hollywoodiano di un'era destinata (ad oggi) a concludersi con l'altro Oscar (questa volta targato Medusa insieme a Indigo) firmato Paolo Sorrentino per "La grande bellezza". Se l'avventura con Penta avrà vita breve (la società si scioglie nel '95), il rinnovato successo di Medusa, invece si consolida, facendone un gruppo che, al massimo splendore, opera nella produzione, distribuzione ed esercizio con una importante rete di sale cinematografiche oggi vendute. 

Un personaggio come Berlusconi non poteva però rimanere a lungo solo dietro le quinte e il cinema italiano ne farà un protagonista (indiretto) anche sullo schermo. Della prima stagione politica berlusconiana parla già nel 1998 Nanni Moretti con "Aprile" che intreccia documentario, diario intimo e finzione sul filo della "discesa in campo" del Cavaliere. I toni si faranno più duri nel 2006 quando il regista dedicherà al personaggio "Il Caimano" un cupo ritratto dell'Italia al cui centro si staglia un film-nel-film tutto dedicato al leader politico.

Con Berlusconi i cineasti italiani non sono mai stati teneri, benché spesso opere di valore dello stesso periodo recassero il marchio di Medusa come produttore o distributore. Erik Gandini, celebrato documentarista che da sempre lavora in Svezia, gli dedica un pungente profilo ideologico con "Videocracy" presentato alla Mostra di Venezia nel 2009. 

Rincara la dose, attingendo al copioso materiale di repertorio e all'imitazione vocale di Neri Marcorè, il documentario di Roberto Faenza e Filippo Macelloni "Silvio Forever" del 2011. Intanto anche Sabina Guzzanti ha vestito i panni dell'uomo politico nella satira graffiante di "Draquila" (2010) dedicata alle conseguenze del terremoto delle Marche. 

Tocca poi a Paolo Sorrentino ispirarsi alla parabola dell'uomo e del politico con il dittico "Loro" del 2018; l'autore de "La grande bellezza" sceglie però un taglio del tutto diverso e si affida a Toni Servillo, come già ne "Il divo" ispirato a Giulio Andreotti, adottando la cifra del surreale per rappresentare la trasformazione del Paese attraverso una figura iconica e più evocata che descritta o giudicata.

Il giro si chiude (almeno fino a tempi recenti) nel 2019 proprio con la televisione che di Berlusconi ha fatto un tycoon: negli episodi di "1994" (terza parte di una saga che descrive il crollo della prima repubblica e la stagione di "Mani pulite"), il protagonista Leonardo Notte (Stefano Accorsi) intreccia fatalmente la sua parabola con il mondo berlusconiano. E il Cavaliere vi appare brevemente con il volto di Paolo Pierobon.

Berlusconi e il cinema, i film che hanno parlato del Cavaliere. ENRICA RIERA  su Il Quotidiano del Sud il  13 GIUGNO 2023

Da Moretti a Toni Servillo passando per decine di citazioni, Silvio Berlusconi, morto oggi 12 giugno, protagonista anche del cinema italiano, ecco in quali film

ERA il 2006. E nelle sale di tutta Italia veniva distribuito “Il caimano” di Nanni Moretti, in cui il protagonista principale, un produttore di pellicole trash, vorrebbe investire nel progetto cinematografico di una giovane regista: un film su Berlusconi. Un film nel film, dunque, quello di diciassette anni fa.

Un po’ come il recentissimo “Il sol dell’avvenire” in cui Moretti racconta di un regista, interpretato naturalmente da se stesso, che vuole girare un lungometraggio sulla rivoluzione ungherese nel 1956.

A ogni modo a seguito de “Il caimano”, dove Berlusconi è interpretato da Elio De Capitani e la squadra di attori è quella morettiana di sempre (Silvio Orlando, Jasmine Trinca, Margherita Buy), diverse furono le critiche (tutte negative) da parte del Governo dell’epoca; cosa che, invece, non è accaduta per l’ultimo citato film, applaudito per circa quattordici minuti anche allo scorso Festival di Cannes.

Moretti nella sua opera dipinse, infatti, il Berlusconi pieno di ombre: il film nel film si chiudeva con il processo al politico sceso in campo nel 1994, ma per evitare spoiler preferiamo non rivelare l’esito del processo stesso e, dunque, del film che, comunque, si basava e si basa su quell’operazione cara al cinema di Moretti di riscrittura della Storia: e se i fatti, in altre parole, fossero andati diversamente? E se fosse la vita ad imitare l’arte e non viceversa, cosa potrebbe accadere?

BERLUSCONI E IL CINEMA, NON SOLO MORETTI: TANTI I FILM CHE NE RACCONTANO PARTE DELLA VITA

C’è da dire, inoltre, per chiudere la parentesi Moretti-Berlusconi, che il regista dei girotondi aveva già parlato del “Caimano” nel suo “Aprile” del 1998: qui la scena si apriva con Emilio Fede che al Tg4 annunciava la vittoria di Berlusconi alle elezioni politiche del ’94. Nanni Moretti, protagonista ancora una volta nei panni di se stesso, si mostrava sconcertato da questa vittoria e decideva, quindi, di girare un documentario su Silvio Berlusconi incentrato sul conflitto d’interessi. Ma il progetto verrà poi accantonato per un musical.

Ulteriori poi le pellicole e le serie televisive che hanno direttamente o indirettamente parlato del Cav (per non parlare della satira, da Sabina Guzzanti fino a Maurizio Crozza). Per citarne alcune: “1994”, trilogia televisiva di Sky con Stefano Accorsi (2019); “Silvio Forever” (2011) di Roberto Faenza e Filippo Macelloni; “Videocrazy” (2009), documentario di Erik Gandini sul rapporto tra potere mediatico e potere politico. E, in ultimo, i due film di Paolo Sorrentino: “Loro 1” e “Loro 2” del 2018. 

Il Premio Oscar per la “Grande Bellezza”, prima di girare il film su Maradona, ne incentra, pertanto, uno (diviso, per l’appunto, in due parti) su “Silvio”, interpretato da Toni Servillo (abbiamo anche Elena Sofia Ricci nei panni di Veronica Lario che legge i romanzi di Adelphi e Fabio Concato nei panni di se stesso, destinato a “scalzare” Michele Apicella), dove la figura dell’ex presidente del Consiglio viene raccontata attraverso l’umanità corrotta di cui si circonda. È l’epoca del “bunga-bunga”, bellezza.

In conclusione, considerate le cronache post mortem, tra borse al rialzo e giochi di successione, potremmo anche avanzare quanto segue: quanto la storia politica-personale di Berlusconi ricorda il finale della bellissima “Succession”? Probabilmente molto, moltissimo, a segno che può anche capitare, qualche rarissima volta, che la vita imiti l’arte.

I professionisti anti Cav che hanno fatto carriera con livore e invidie.  Alessandro Gnocchi su Il Giornale il 13 Giugno 2023

Berlusconi è stato una manna dal cielo, una benedizione per magistrati, giornalisti, scrittori, attori, cantanti, guitti di ogni ordine e grado. C’è stato un periodo in cui fare professione di antiberlusconismo era il modo più sicuro per lanciare o rilanciare una carriera. Non era soltanto questione di volgare opportunismo. Berlusconi, per molti, era qualcosa di più di un nemico politico. Era un’ossessione, il termine di paragone per ogni cosa, il centro di ogni pensiero, preoccupazione, delirio, odio. Forniva, a una parte d’Italia, sappiamo quale, l’alibi per sentirsi migliore degli «altri», gli elettori rozzi e ignoranti del centrodestra. Da quelli bravi, come Umberto Eco, a quelli inutili, la maggior parte.

L’elettorato di centrodestra si divide in due categorie. C’è quello «Motivato» di cui fanno parte «il leghista delirante», «l’ex fascista», e i malviventi reali o aspiranti, cioè tutti coloro i quali «avendo avuto contenziosi con la magistratura, vedono nel Polo un’alleanza che porrà freno all’indipendenza dei pubblici ministeri». Poi c’è l’elettorato «Affascinato». Vi appartiene chi «non ha un’opinione politica definita, ma ha fondato il proprio sistema di valori sull’educazione strisciante impartita da decenni dalle televisioni, e non solo da quelle di Berlusconi. Per costoro valgono ideali di benessere materiale e una visione mitica della vita». Caratteristica comune ai due gruppi è l’ignoranza: tutti quanti leggono «pochi quotidiani e pochissimi libri». Massimo D’Alema esultò: «Raccogliamo voti tra i più acculturati!». Sì, ma avete perso le elezioni...

Capito Eco, si capisce tutto. La volgarità pura e semplice di Dario Fo, premio Nobel per la letteratura: «Io non capisco le persone che credono che con o senza Berlusconi sia la stessa cosa e non gli interessa. A loro dico co***ni». Capisci Sabina Guzzanti, che parlava di clima ormai «eversivo», di aria «da colpo di Stato», di media «sotto controllo» e di «Paese della censura». Il tutto mentre presentava al Festival di Cannes il film Draquila, critico col governo, e lanciato in prima serata su Raidue. Capisci Maurizio Crozza che si presenta mascherato da Silvio a Sanremo, e alla prima contestazione va in confusione. Capisci perché le battute dell’asilo di «Lucianina» Littizzetto abbiano avuto la ribalta della Rai per un tempo infinito. Capisci perché Michele Santoro abbia imperversato sulle reti Rai, fedele all’antiberlusconismo come il compagno (di prediche) Marco Travaglio. Quando Silvio accettò l’invito di Annozero si impadronì della trasmissione in qualche minuto, col famoso gesto di spazzolare la seggiola, ridicolizzando Santoro e Travaglio. Capisci i film assurdi come Il caimano, metafora del cavaliere, che finisce con il palazzo di giustizia in fiamme, come se Berlusconi stesse preparando la rivoluzione. Capisci Gustavo Zagrebelsky, che coglieva, nella società italiana, il segno di una «malattia degenerativa della vita pubblica». I mezzi di comunicazione (sempre berlusconiani, per definizione) avrebbero creato una «neolingua» in stile 1984. Dietro termini solo all’apparenza innocui si nasconderebbe una pericolosa «idea provvidenziale, di salvezza della società». A esempio, il contratto con gli italiani, firmato in tivù da Bruno Vespa, era «la sanzione dell’avvenuto riconoscimento del salvatore da parte dei salvati, da parte del suo popolo» e ha una funzione «mistica» in quanto «tavola fondativa di un patto indistruttibile e sacro» completamente «al di fuori della logica della democrazia rappresentativa». Firmato: Gustavo Zagrebelsky, autore Einaudi, casa editrice proprietà di Silvio Berlusconi.

Capisci che valore dare a tutte le voci critiche: Corrado Augias (Mondadori), Pietro Citati (Mondadori), Federico Rampini (Mondadori), Roberto Saviano (Mondadori), Michela Marzano (Mondadori), Concita De Gregorio (Mondadori) Eugenio Scalfari (Einaudi) e perfino l’avversario di sempre, il nemico giurato, Carlo De Benedetti (Mondadori). Capisci Alberto Asor Rosa che sosteneva: «Il governo Berlusconi rappresenta senza ombra di dubbio il punto più basso nella storia d’Italia dall’Unità in poi. Più del fascismo? Inclino a pensarlo». Dopo di che inclinò a chiedere l’intervento dei carabinieri, come un fascistello o un golpista nero qualunque. Capisci il moralismo di Gad Lerner, la mancanza di equilibrio di Lilli Gruber, i comizi elettorali per interposto comico, tipo Roberto Benigni, il giustizialismo dei girotondi, i documentari a senso unico come Videocracy, le vignette ripetitive di Vauro, gli appelli ridicoli e le promesse mai mantenute di abbandonare l’Italia in caso di vittoria di Silvio, le trasmissioni Rai usate come pulpiti dai quali scomunicare gli abbonati di serie B, quelli che votavano Berlusconi. Visto il clima di odio, capisci infine perché un uomo qualsiasi si senta legittimato a prendere una statuetta per turisti e a spaccarla in faccia a Berlusconi.

Berlusconi, tutti i suoi nemici e i loro insulti: da Boccassini a De Benedetti. Libero Quotidiano il 12 giugno 2023

Silvio Berlusconi è stato il leader politico italiano più importante degli ultimi 30 anni, il più amato, ma anche il più odiato della Repubblica. Odiato politicamente, da una sinistra che ha fatto dell'antiberlusconismo la sua ragione di vita, odiato da premier e leader europei come Nicolas Sarkozy, Angela Merkel e prima ancora da Martin Schulz. Attaccato dai giudici - Ilda Boccassini e Antonio Di Pietro in primis - per corruzione, per mafia, per le "cene eleganti" di Arcore, per Ruby. Accusato dalla moglie Veronica Lario, da imprenditori come Carlo De Benedetti, da giornalisti come Marco Travaglio e Michele Santoro che hanno vergato pile di articoli e condotto trasmissioni in tv solo per annientarlo.   

Inutile dire che politicamente, il più grande avversario di Berlusconi è stato Romano Prodi. I due ex premier si sono combattuti per vent'anni ma, fondamentalmente, seppur nemici si sono sempre sopportati e rispettati. L'antiberlusconismo invece è stato portato avanti negli ultimi decessi a sinistra dai suoi esponenti più barricadieri anche attraverso i girotondi, il Popolo viola, il no Cav day. "Berlusconi pericolo per la democrazia", "Berlusconi e il conflitto d'interessi" sono stati il loro unico collante. Che purtroppo per loro non li ha portati da nessuna parte, anzi li ha svuotati di contenuti. 

Ma il Cavaliere ha avuto anche un grande nemico-amico: Gianfranco Fini. Memorabile il botta e risposta tra i due del 22 aprile del 2010. Quel giorno, durante la direzione nazionale del Popolo della Libertà, è andato in scena un durissimo scontro tra Silvio Berlusconi e Fini, ai tempi presidente della Camera dei deputati. "Gianfranco, se vuoi fare politica, noi ti accogliamo a braccia aperte: dimettiti, vieni a farla nel partito e non da presidente della Camera" disse il presidente Berlusconi. La risposta di Fini, diventata un cult, fu: "Altrimenti che fai? Mi cacci?".

E voleva sicuramente cacciarlo dalla scena politica italiana e magari sbatterlo in cella Ilda "la rossa", la Boccassini, che ha coordinato molte indagini su Berlusconi ed è stata la protagonista di storici processi che hanno coinvolto Berlusconi, dallo Sme all’Imi-Sir fino al caso Ruby. Ilda che si è schifata quando il Cavaliere si presentò in tribunale a Milano per rilasciare delle dichiarazioni spontanee e lei "fu costretta a stringergli la mano". 

Da parte sua Berlusconi l'ha sempre indicata come componente di una frangia della magistratura, da lui definita "sovietica" e "comunista". Ilda la rossa "aveva delle motivazioni dentro di lei molto forti da tempo per interrogare chiunque pensasse avesse potuto farmi del male. Tutto quel processo è una farsa, è tutto indirizzato a colpire la mia immagine in Italia e all'estero, fa parte di quella tempesta perfetta che è stata realizzata nel 2011 e che ha portato al colpo di Stato con le dimissioni del mio governo", disse di lei Silvio ai tempi del processo Ruby.

E come non ricordare un altro storico e acerrimo nemico del Cavaliere, Carlo De Benedetti. Quello che ha definito Berlusconi "l'Alberto Sordi della politica italiana", "nocivo per il Paese". Per colpirlo ha persino fatto da megafono alle accuse di Veronica Lario pubblicando le sue lettere su La Repubblica, quando ancora ne era l'editore. Una guerra la loro che è cominciata con la sfida in Tribunale al processo Fininvest-Cir e che continua ancora oggi. Quando Il Cavaliere si è beccato il Covid, l'Ingegnere ha commentato: "Gli faccio i miei auguri, ma resta un grande imbroglione", "ha versato alla Cir 562 milioni, che è la più grande goduria che ho avuto nella mia vita, per uno che ha fatto di tutto per ostacolarmi".  

Francesco Merlo e Filippo Ceccarelli, due prime firme del giornalismo di sinistra, ieri hanno intrattenuto il pubblico di “La Repubblica delle idee” - festival politico culturale del famoso quotidiano - parlando e sparlando per un ora della famiglia di Giorgia Meloni, tema fondamentale per il futuro della nazione. Giorgia Meloni ha avuto invece un’altra idea e, abbandonata di domenica la sua famiglia al centro di tanta attenzione, è volata a Cartagine insieme alla presidente dell’Europa, Ursula von Der Leyen, per firmare un accordo storico con la Tunisia. 

Insomma, a sinistra è il momento dei comici rancorosi, a destra è quello degli statisti che provano a cambiare il senso se non della storia almeno della cronaca. Dicevamo di Cartagine, luogo che evoca antiche questioni tra nord e sud Europa, tra Europa e nord Africa. Bene, ieri sotto la regia del governo italiano per la prima volta l’Unione europea si è impegnata a finanziare in modo massiccio la Tunisia, paese che si trova sull’orlo del fallimento economico e della rivolta sociale. L’obiettivo è di stabilizzare l’area e impedire un nuovo caos tipo Libia alle porte di casa. Certo, il presidente Saied non è certo il prototipo del sincero democratico, diritti civili e libertà sono sotto pressione, ma se il tappo dovesse saltare la situazione non potrebbe che peggiorare come è successo in tutto il nord Africa nel 2010, le disastrose “primavere arabe”, proprio da una scintilla parita in Tunisia.

Anche se nessuno può ammettere lo scambio, anzi è una corsa a smentirlo, l’accordo prevede aiuti economici in cambio di una stretta sull’emigrazione clandestina che proprio in Tunisia ha una delle sua basi più importanti. Più o meno la stesso cosa che Berlusconi fece con Gheddafi in Libia e più di recente la Merkel con Erdogan in Turchia, in altre parole parliamo di realpolitik cioè della politica del possibile e utile. Funzionerà? Lo vedremo, certo è che sta funzionando il ruolo del nostro governo e di Giorgia Meloni come punto di riferimento europeo e nord africano per i problemi dell’area mediterranea. Io non so se Merlo e Ceccarelli se ne faranno una ragione, ma questi di destra stanno facendo politica come in Italia non accadeva da tanti anni, gli anni degli inciuci della loro sinistra con chiunque passasse via. Dalla “Repubblica delle idee” siamo finalmente passati a “idee per la Repubblica”, scambio assai vantaggioso per tutti.

Paolo Mieli a "I mille volti di Silvio Berlusconi" ha commentato la scomparsa del Cav insieme a Enrico Mentana su La7. Nello speciale dedicato all'ex premier, il conduttore ha voluto riproporre ai telespettatori "Braccio di ferro", il celebre faccia a faccia del 1994 su Canale 5 tra Silvio Berlusconi e Achille Occhetto. Un tuffo nel passato per comprendere e capire esattamente la natura politica dell'uomo Berlusconi, quel suo modo di porsi in tv e la strategia nel comunicare che gli ha permesso di arrivare a palazzo Chigi per ben quattro volte negli ultimi 30 anni.

Il botta e risposta tra Occhetto e Berlusconi è serrato e di fatto in quell'occasione non ci fu partita: il Cav si prese la vittoria alle elezioni nel marzo 1994. Subito dopo aver mandato in onda un lunghissimo spezzone di quella trasmissione, Mentana commenta: "In quel momento sapevamo tutti che i giochi erano fatti. Anche i sondaggisti sapevano che quel confronto non avrebbe aggiunto nulla. Il sorpasso del centrodestra c'era già stato".

Paolo Mieli non è d'accordo e così ribatte: "Ho una opione diversa. Io quella sera credevo ancora nei giochi aperti con un vantaggio del centrosinistra. Chiedo scusa". Mentana replica: "Ma di cosa ti devi scusare? Mica devi chiedere scusa a me". Mieli chiude gelido: "Allora chiedo scusa a Paolo Mieli...".

Tonia Mastrobuoni, firma di Repubblica, si scaglia contro Silvio Berlusconi a Linea Notte, l'approfondimento del Tg3. Nella tarda serata di ieri, 12 giugno, nello studio di Mannoni si commenta la morte di Silvio Berlusconi.

Gli ospiti in collegamento ricordano l'uomo politico, l'imprenditore, il presidente del Milan e del Monza. Parole sincere nel momento più buio per la famiglia del Cav. Ma a sparigliare le carte è la cronista di Repubblica che appena prende la parola non ricorda il Cavaliere per la sua storia politica, no, va subito all'attacco: "Berlusconi ha umiliato le donne, questo va detto e spero che questa sua impostazione retrograda appartenga ora al passato".

Parole pesantissime che gelano lo studio. La voce della Mastrobuoni è una pugnalata alle spalle del Cav che arriva, come sempre da sinistra, anche nel giorno della morte. Del resto già ieri diversi "esponenti" del mondo anti-Cav avevano messo nel mirino il presidente con vignette (vedi Vauro) ma anche con titoli vergognosi come quello apparso sulla homepage del Fattoquotidiano.it. Insomma davanti al lutto non c'è rispetto. Davanti alla morte di un uomo il silenzio è forse l'atteggiamento più corretto.Ma dalle parti della stampa progressista tutto ciò a quanto pare non esiste. E non è mai esistito. 

(ANSA il 12 giugno 2023) - "Esprimo sentimenti di umana partecipazione per una persona che ha segnato la storia dell'Italia, deve prevalere ora questo sentimento di umana partecipazione al dolore e al lutto della famiglia". Lo ha spiegato il procuratore di Milano Marcello Viola in relazione alla morte di Silvio Berlusconi.

Da liberoquotidiano.it il 12 giugno 2023. 

Silvio Berlusconi è stato il leader politico italiano più importante degli ultimi 30 anni, il più […] odiato della Repubblica. Odiato politicamente, da una sinistra che ha fatto dell'antiberlusconismo la sua ragione di vita, odiato da premier e leader europei come Nicolas Sarkozy, Angela Merkel e prima ancora da Martin Schulz. 

Attaccato dai giudici - Ilda Boccassini e Antonio Di Pietro in primis - per corruzione, per mafia, per le "cene eleganti" di Arcore, per Ruby. Accusato […] da imprenditori come Carlo De Benedetti, da giornalisti come Marco Travaglio e Michele Santoro che hanno vergato pile di articoli e condotto trasmissioni in tv solo per annientarlo.   

Inutile dire che politicamente, il più grande avversario di Berlusconi è stato Romano Prodi. I due ex premier si sono combattuti per vent'anni ma, fondamentalmente, seppur nemici si sono sempre sopportati e rispettati. L'antiberlusconismo […] è stato portato avanti negli ultimi decessi a sinistra dai suoi esponenti più barricadieri anche attraverso i girotondi, il Popolo viola, il no Cav day. "Berlusconi pericolo per la democrazia", "Berlusconi e il conflitto d'interessi" sono stati il loro unico collante. Che purtroppo per loro non li ha portati da nessuna parte, anzi li ha svuotati di contenuti. 

E voleva sicuramente cacciarlo dalla scena politica italiana e magari sbatterlo in cella Ilda "la rossa", la Boccassini, che ha coordinato molte indagini su Berlusconi ed è stata la protagonista di storici processi che hanno coinvolto Berlusconi, dallo Sme all’Imi-Sir fino al caso Ruby. Ilda che si è schifata quando il Cavaliere si presentò in tribunale a Milano per rilasciare delle dichiarazioni spontanee e lei "fu costretta a stringergli la mano".

Da parte sua Berlusconi l'ha sempre indicata come componente di una frangia della magistratura, da lui definita "sovietica" e "comunista". Ilda la rossa "aveva delle motivazioni dentro di lei molto forti da tempo per interrogare chiunque pensasse avesse potuto farmi del male. Tutto quel processo è una farsa, è tutto indirizzato a colpire la mia immagine in Italia e all'estero, fa parte di quella tempesta perfetta che è stata realizzata nel 2011 e che ha portato al colpo di Stato con le dimissioni del mio governo", disse di lei Silvio ai tempi del processo Ruby.

E come non ricordare un altro storico e acerrimo nemico del Cavaliere, Carlo De Benedetti. Quello che ha definito Berlusconi "l'Alberto Sordi della politica italiana", "nocivo per il Paese". Per colpirlo ha persino fatto da megafono alle accuse di Veronica Lario pubblicando le sue lettere su La Repubblica, quando ancora ne era l'editore. Una guerra la loro che è cominciata con la sfida in Tribunale al processo Fininvest-Cir e che continua ancora oggi. Quando Il Cavaliere si è beccato il Covid, l'Ingegnere ha commentato: "Gli faccio i miei auguri, ma resta un grande imbroglione", "ha versato alla Cir 562 milioni, che è la più grande goduria che ho avuto nella mia vita, per uno che ha fatto di tutto per ostacolarmi". 

Igor Greganti e Francesca Brunati per l'ANSA il 12 giugno 2023.

Era il 2003 e intervistato da due giornalisti inglesi il premier Silvio Berlusconi dichiarò: "Per fare il magistrato devi essere mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche", perché "se fanno quel lavoro è perché sono antropologicamente diversi". Parole di fuoco e non certo le uniche nello scontro, tra Silvio Berlusconi e la magistratura alla quale il cavaliere riservò epiteti pesanti come "toghe rosse" di cui si dichiarava "vittima", un perseguitato. 

Un muro contro muro che ebbe anche momenti di distensione, almeno di facciata, come l'ormai storica stretta di mano, con tanto di flash dei fotografi, tra il leader di Forza Italia e la sua antagonista in toga, Ilda Boccassini, nel 2012 al processo Ruby, nel quale in primo grado fu condannato a 7 anni per poi portare a casa un'assoluzione definitiva nel 2015.

Pure qualche sorriso in quell'occasione in cui si trovò di fronte "Ilda la Rossa", appellativo legato al colore dei capelli ma anche utilizzato dai detrattori proprio perché si occupò di diversi processi a carico di Berlusconi, dai casi Sme e lodo Imi-Sir fino all'affaire delle serate a luci rosse ad Arcore. 

E una stretta di mano c'era stata pure nel '99, ai funerali del senatore a vita Leo Valiani, tra il Cavaliere e Gerardo D'Ambrosio a capo della Procura di Milano, mentre era in corso l'inchiesta sul Lodo Mondadori . Anche se non sono mancate indagini e processi in altre sedi, da Bari a Firenze passando per Roma, la vera partita giudiziaria Berlusconi l'ha giocata contro la Procura di Milano, l'unica ad incassare una condanna a suo carico, quella per il caso dei diritti tv Mediaset.

Il conflitto ha avuto come inizio una data precisa, il 22 novembre 1994, giorno in cui l'allora capo del Governo, mentre presiedeva a Napoli la Conferenza delle Nazioni Unite sulla criminalità transnazionale, ricevette un invito a comparire dai pm che stavano indagando sulle tangenti alla Guardia di Finanza. Da lì una valanga di inchieste, processi, scambi di accuse, scontri frontali. ''Non mi dimetto neanche per sogno - reagì subito -. Non credo che nessun tribunale al mondo mi possa condannare perché mi chiamo Silvio Berlusconi. Se lo facessero sarebbe una sentenza politica, un atto sovversivo''. 

Altro pezzo di storia, dall'altro lato della barricata, fu il "resistere resistere resistere" che l'allora procuratore generale di Milano Francesco Saverio Borrelli pronunciò il 12 gennaio 2002 contro le riforme del secondo governo Berlusconi. Cavaliere che, comunque, aveva già rischiato una prima condanna nel '90: la Corte d'Appello di Venezia lo dichiarò colpevole di aver giurato il falso a proposito della sua iscrizione alla loggia P2. Il reato, però, fu dichiarato estinto per amnistia.

L'imputato Berlusconi, tra l'altro, oltrepassò anche i confini nazionali, perché per violazione della legge antitrust e frode fiscale in merito all'attività di Telecinco subì un processo persino in Spagna, finito con un'assoluzione. Tuttavia, come rappresentazione plastica della lotta infinita resta l'immagine del gruppo dei suoi, i parlamentari del Pdl con in testa Angelino Alfano, che entrano, l'11 marzo 2013, nel Palazzo di Giustizia di Milano, arrivando fino davanti all'aula in cui era in corso il processo Ruby.

Sette anni prima l'allora capo del Governo aveva definito "magistrati indegni che con i soldi degli italiani tramano contro il premier" i pm Alfredo Robledo e Fabio De Pasquale, titolari all'epoca dell'inchiesta Mills. Il primo lo querelò e solo lo scorso gennaio la Cassazione ha confermato la condanna per Berlusconi a risarcirlo con 50mila euro. Il secondo no, ma coordinò l'indagine Mediaset finita con la sua condanna. Il 16 settembre 2021, infine, il leader azzurro tornò ad attaccare la magistratura con toni che non metteva in campo da tempo. 

Si scagliò contro la perizia disposta dai giudici del Ruby ter per accertare le sue condizioni di salute e la sua capacità di partecipare al processo, dopo tante istanze di legittimo impedimento. La rifiutò con una lettera ritenendo quella valutazione anche psichiatrica "lesiva della mia storia e della mia onorabilità". Meno di due anni dopo, a metà febbraio scorso, quando fu assolto dagli stessi giudici disse: "Sono stato finalmente assolto dopo più di undici anni di sofferenze, di fango e di danni politici incalcolabili, perché ho avuto la fortuna di essere giudicato da Magistrati che hanno saputo mantenersi indipendenti, imparziali e corretti di fronte alle accuse infondate".

Arcore, il circolo «Arciblob» organizza una festa per la morte di Silvio Berlusconi. Chiara Baldi e Federico Berni su Il Corriere della Sera il 12 Giugno 2023

L'evento a meno di un chilometro da Villa San Martino: «Piscina, musica, brindisi all night long» e la promessa «per i primi 100 spilletta commemorativa in omaggio» 

Nel cordoglio generale di tutta Italia e in particolare della cittadina brianzola dove il Cavaliere abitava, l'«altra Arcore» ha il coraggio di festeggiare. L'annuncio, nel giorno della morte di Silvio Berlusconi, arriva dalle pagine social del circolo «Arciblob», storico luogo di ritrovo della sinistra brianzola aperto a meno di un chilometro da Villa San Martino. 

Una serata che gli organizzatori hanno intitolato «12 giugno 2023 - DI-PARTY-TO», gioco di parole macabro - di pessimo gusto - sulla scomparsa dell'ex Presidente del Consiglio. «Entra con noi nella storia, passa per l'ultimo grande evento targato Silvio», si legge nella presentazione della festa, con una caricatura di Berlusconi ispirata ai Nani di Biancaneve. Seguono immagini di teschi e tibie incrociate e il programma della serata: «piscina, musica, brindisi all night long» e la promessa «per i primi 100 spilletta commemorativa in omaggio». La festa è convocata nella sede di Arciblob, in via Casati ad Arcore. 

Sempre sul fronte delle contestazioni, lunedì mattina, verso mezzogiorno, poco dopo l'annuncio della morte di Berlusconi, un gruppo di ragazzi è passato in macchina davanti alla dimora dell' ex premier sventolando il tricolore e intonando cori di scherno. 

Berlusconi, assurda reazione dal consigliere Pd: un esempio negativo. Il Tempo il 12 giugno 2023

Una reazione scomposta dopo la morte di Silvio Berlusconi. Arriva dal Friuli-Venezia Giulia il commento del consigliere regionale del Partito democratico, Francesco Martines, che fa un quadro più che negativo del Cavaliere, scomparso oggi ad 86 anni: “Esprimo profondo cordoglio ai famigliari e ai dirigenti ed elettori di Forza Italia per la scomparsa di Silvio Berlusconi, un imprenditore privato abile nell'usare i rapporti politici per creare negli anni un impero economico, ma anche un personaggio politico molto controverso. Con le sue televisioni e la sua attività di premier e di leader di partito è stato per un ventennio un esempio culturale negativo per le future generazioni”. 

“Berlusconi - rincara la dose l’esponente dem friulano in una nota - ha inciso negativamente sui modelli culturali e sociali della società italiana, modelli che ancora oggi hanno riflessi sulla nostra quotidianità, e non è riuscito a creare quel partito di destra liberale alla quale aspirava: ci auguriamo che adesso finalmente si faccia chiarezza su un percorso verso una destra democratica di stampo europeo della quale il nostro Paese ha estremo bisogno”.

Quando Silvio asfaltò Santoro e Travaglio. Di Alberto Ciapparoni il 12 Giugno 2023  

articolo pubblicato sul mensile CulturaIdentità, giugno 2021

“Le grandi firme come Biagi mi attaccano? Sono gelosi. L’80% dei giornalisti è di sinistra”. A tirar fuori dal Cavaliere queste dichiarazioni, passate poi alla storia dell’informazione, è nientedimeno che Boris Johnson: sì, proprio lui, il primo ministro inglese, allora direttore di ‘The Spectator’, e autore con Nicholas Farrel, editorialista de ‘La Voce di Rimini’, di un’intervista al premier Silvio Berlusconi (settembre 2003).

La reazione della Federazione nazionale della stampa è furibonda, con il segretario generale, il compagno dei compagni, Paolo Serventi Longhi, che afferma che “La vera anomalia è un premier come Berlusconi: un imprenditore di scarsa tradizione familiare, i cui interessi sono diventati il punto centrale del suo esecutivo”.

Frasi che simboleggiano cos’è stato per tanti anni il presidente di Forza Italia per la gran parte dei media, cioè per il sistema giornalistico di sinistra: un nemico da abbattere. Ma lui Berlusconi non è mai arretrato e ha replicato con gesti memorabili che i libri di storia non potranno non menzionare. A partire dalla spolverata anti-Travaglio.

Gennaio 2013, il leader degli Azzurri si trova nella fossa dei leoni, è da solo alla trasmissione Servizio Pubblico su La 7. Conduce Michele Santoro, c’è Luisella Costamagna, c’è Marco Travaglio: i nomi, emblema della cerchia mediatica progressista, sono già tutto un programma, ma lui ha accettato lo stesso l’invito. Durante la diretta, cambiano tutti posto in un gioco della sedia senza musica. Dopo il primo dei suoi due interventi Travaglio viene bloccato nella postazione di Berlusconi, che chiede a Santoro: “Lo faccia restare vicino, così lo guardo in faccia”. Poi, armato di letterina scritta per l’occasione il Cavaliere si siede sulla scrivania del conduttore e comincia leggere accusando il giornalista di essere “il campione della diffamazione”, e citando 10 condanne per questo reato. Santoro si infuria, Berlusconi torna sulla sua sedia, temporaneamente occupata da Travaglio, e prima di tornare a sedersi, la pulisce ben bene, con i fogli ripiegati dei suoi appunti, poi con il fazzoletto estratto dalla sua tasca destra. ‘Matar el toro’ non riesce, anzi: la schiera nutrita dei compagni riceve un’incornata fatale. Doveva essere un plotone d’esecuzione, invece la cilecca è clamorosa.

Altro anno, altro colpo di teatro: aprile 2018, consultazioni al Colle dopo le ultime elezioni che hanno segnato il sorpasso storico della Lega su Fi, quando tutti gli analisti, specie a sinistra (ma non solo), danno l’ex premier sul viale del tramonto. L’incontro con il Presidente Sergio Mattarella viene seguito dalla dichiarazione congiunta del centrodestra, letta da Matteo Salvini. Ma il capo di Forza Italia all’improvviso si prende la scena: dimostra di conoscere a memoria il discorso dell’alleato, conteggiando con le dita i punti programmatici, e ripetendo con il labiale le parole. Poi, al termine dell’intervento Berlusconi sposta ‘letteralmente’ Salvini e Meloni, impugna i microfoni e raccomanda ai cronisti di “fare i bravi” e finisce menando fendenti ai 5S.

Altro episodio, altro ricordo, questa volta vissuto in prima persona da chi scrive. Palazzo Grazioli, l’ex residenza romana di Berlusconi, piccolo gruppo di giornalisti in attesa del proprio turno di intervista. Si scambiano quattro chiacchere, e come sempre sei circondato dal pensiero di sinistra, che vomita insulti su chi sta per intervistare: ma poi arriva il Cavaliere, offre una caramella, racconta un aneddoto o una barzelletta, ti mette a tuo agio e il collega che va con l’eskimo in redazione diventa improvvisamente più mansueto. Resta alla fine il dato principe: Berlusconi ha lottato contro i nove decimi dei media nazionali. E oggi nel 2021 la situazione non è cambiata tantissimo: la sinistra gode del consenso, della benevolenza e della complicità della maggior parte dei giornalisti. Molti agiscono per fede politica, molti altri seguono il vento della carriera. E quella scritta, per dirla con una battuta di Leo Longanesi, al centro della bandiera italiana: “Ho famiglia”.

Berlusconi, Travaglio a valanga: "Basta beatificazione", raffica di insulti. Il Tempo il 12 giugno 2023

Marco Travaglio scatenato a Otto e mezzo. Per parlare male del deceduto si dovrebbe aspettare almeno il suo funerale, premette il direttore del Fatto Quotidiano, ma dopo la morte di Silvio Berlusconi è partita una "beatificazione imbarazzante" tale da renderlo inevitabile... "Non si può dire di un morto il contrario di quello che si diceva da vivi", argomenta Travaglio che invita a "evitare questa ipocrisia, Berlusconi non ha mai fatto niente per farsi dipingere come un santino. Se lo avesse non avrebbe preso un voto", continua il giornalista. 

Dell'"aspetto morale non gliene importava niente", continua Travaglio che è un fiume in piena, attacca a testa bassa con la salma ancora calda mentre davanti alla conduttrice Lilli Gruber, che non fa una piega. "Questo è il danno peggiore che ha fatto", continua il giornalista che poi elenca le malefatte che attribuisce al Cav: "finanziamenti alla mafia, frodi fiscali, corruzione, ha pagato chiunque e sdoganato quei comportamenti. Porco è diventato bello. Non nel senso sessuale, ma nelle cose che non si devono fare. Ha esaltato l'evasione fiscale e ha screditato il buon nome della destra". "Mi dispiace ricordare queste cose" ma è necessario, conclude Travaglio, perché è già partita la beatificazione del morto. 

Otto e mezzo, Sallusti zittisce e seppellisce Travaglio su Berlusconi: sei già orfano. Il Tempo il 12 giugno 2023

Alessandro Sallusti, direttore di Libero, è tra gli ospiti della puntata del 12 giugno di Otto e mezzo, il talk show pre-serale di La7 che vede Lilli Gruber alla conduzione. Nel corso della trasmissione, in cui sono presenti anche Marco Travaglio e Michele Santoro, si discute della figura di Silvio Berlusconi, scomparso nella giornata di oggi a 86 anni: “Mi spiace che Travaglio si senta già orfano, perché da oggi gli orfani non sono tanto i componenti del popolo di Berlusconi, che non saranno mai orfani di Berlusconi, sono i suoi nemici. Chi per tutta la vita, negli ultimi 20-30 anni, ha sostenuto le cose che sostiene stasera Travaglio. Lui dice che ha esaltato l’evasione fiscale, ma è stato il primo pagatore di tasse per 7 anni consecutivi, non c’è nessuna sentenza che dice che ha pagato la mafia, ma loro vanno avanti come se niente fosse, anche da morto”.

“La verità - dice ancora Sallusti proseguendo il suo discorso contro chi continua ad odiare il Cavaliere - è molto più semplice. Berlusconi è stato un grande visionario, ne nascono pochi ogni secolo, ha messo nel sacco tutti questi signori e i loro mondi, il mondo della sinistra, il mondo del Pd, il mondo dei giustizialisti, il mondo dei Travaglio e ha vinto lui. Questo perché - sottolinea il giornalista - al governo c’è Giorgia Meloni con una maggioranza di centrodestra decisa dagli italiani, non dalle televisioni di Berlusconi. Quel governo è l’eredità che Berlusconi lascia, lui ha inventato Forza Italia, ma soprattutto, visto che Forza Italia da sola non avrebbe vinto neanche un’elezione, ha inventato il centrodestra. Il centrodestra sta facendo impazzire Bersani, Santoro e Travaglio da 30 anni. Ha vinto Berlusconi con questo governo”. In precedenza Travaglio si era scagliato contro il "processo di beatificazione" di Berlusconi, usando i soliti toni sprezzanti verso il Cav.

Berlusconi, il solito Vauro: vignetta choc dopo la morte. Travolto sui social. Il Tempo il 12 giugno 2023

Vauro Senesi non si smentisce. Anche nel giorno della scomparsa dell'"arcinemico" Silvio Berlusconi, il vignettista toscano sferra l'attacco più duro. Su Twitter l'idola della sinistra più militante posta il disegno di un uomo perplesso che afferma: “Berlusconi è morto. Ma non sono sempre i migliori che se ne vanno?”. Sotto al post, i commenti di tanti follower indignati: "Si sa che per i comunisti la vita umana non ha alcun valore", "Non vali un suo tacco rialzato poteva mancare il raglio del Che Guevara de noartri?", "Nemmeno il tempo di fargli il funerale, potevi benissimo aspettare per una vignetta del genere. Vergognati", si legge in calce al post (qui la vignetta di Vauro su Twitter). 

Ieri, aveva fatto indignare molti una vignetta di Natangelo e Vauro, sul Fatto Quotidiano, che rappresentava un becchino con la pala in mano, accanto a una fossa scavata di fresco nel cimitero: “E allora? Si scende in campo?”. Preceduta, 24 ore prima, da un'altra che mostrava lo studio del Cav, deserto.  “Al comando di Forza Italia lascia il suo sostituto”, si legge nella didascalia. Il "sostituto" sulla scrivania è un sex toy vibrante.

Insomma, se anche molti avversari politici nel giorno del lutto hanno evitato giudizi sprezzanti unendosi ai messaggi di cordoglio e vicinanza alla famiglia, la sinistra più militante non ha intenzione di mollare il colpo, anzi.  È il caso di Potere al Popolo che sul suo profilo Twitter ha scritto un messaggio durissimo contro gli italiani che in queste ore stanno dedicando sui social un pensiero al Cav. "No, non era un grande statista, non era una brava persona. E no, non vogliamo dimostrare il nostro cordoglio. Silvio Berlusconi è stato uno dei loro, un nemico. E come tale va ricordato". Firmato: "I soliti comunisti", si legge nel post. 

Vignette, articoli e sfottò: l'odio continuo di Travaglio & Co. Matteo Carnieletto il 13 Giugno 2023 su Il Giornale.

Lunedì 12 giugno, ore 9.30. Immaginate la redazione del Fatto quotidiano: comincia a spargersi la voce che Silvio Berlusconi sta per morire o che, forse, è già morto. Sgomento. Poi sorrisi. L'emozione che sale. Forse qualcuno, per festeggiare, tira fuori la bottiglia buona per portarla a Marco Travaglio, ma poi si ricorda che il direttore, oltre che austero, è pure astemio e la ripone in frigo ("diffido di tutti i bastardi che non bevono", dice Humphrey Bogart). Niente da fare: anche oggi si sboccia domani. Arriva la conferma delle agenzie: il Cav è morto. E allora via con l'apertura, preparata da tempo, dove Berlusconi è davanti all'ultimo giudice, Dio, dal quale non potrà più scappare (ma a noi piace di più la vecchia storia in cui il Cav propone al padreterno di diventare il vicepresidente di una Spa chiamata paradiso). Via con la storia del condannato (una dopo 40 anni di assedio delle toghe). Via con la storia della mafia (mai condannato se non dai forcaioli con il megafono in mano) e del puttaniere (che poi le donne gli si buttassero al collo, "ho un po' di grano, la leggenda dice che ci so fare", conta poco). Via con la Repubblica del banana (che poi è sempre meglio di quella dei travagli, intesi come dolori ovviamente). L'eredità politica inesistente di Berlusconi, il funerale catodico che finisce nel kitsch e l'Italia che diventa un'immensa Canale 5; B. che cercava di comprare tutti; il doppio volto di B che con soldi, tv e anime nere si è preso il Paese; le leggi ad personam; lo Sdoganatore "unto dal Signore" da Fini e Meloni; e poi ovviamente la chiusa di Luttazzi che lo sbatte all'inferno.

E a sfogliare Il Fatto, oltre alla riproposizione del solito schema del nemico, emerge anche una verità: da oggi Travaglio & Co sono orfani. Silvio mancherà... alla satira. E giù una serie di vignette: da Silvio che non si presenta al cospetto di Dio perché ha l'uveite, la solita storia della prescrizione e la scusa della morte per evitare l'udienza in tribunale. In realtà, il Cav, più che alla satira, mancherà al Fatto quotidiano. Non potranno più fare battute su di lui; non potranno più riempire pagine e pagine di livore; non potranno più inventarsi storie mai esistite (no, Berlusconi non ha mai detto che la Merkel è una culona inchiavabile). Ce la immaginiamo la redazione del Fatto dopo la sbornia, rigorosamente senza alcol per compiacere il capo, ora che Silvio non c'è più. Addio core business. Ora resta solamente Giuseppe Conte e un Movimento 5 stelle nella tempesta. E un Beppe Grillo condannato (ma chiudiamo un occhio, qui non siamo forcaioli). Cosa scriverà Travaglio adesso? Continuerà a scrivere satire al posto di editoriali, ma senza la sua musa ispiratrice: il Cav. Forse, Travaglio lo rimpiangerà pure e dirà che si stava meglio quando si stava peggio. Quando il "caimano" era ancora in vita e lo si poteva sfottere allegramente al posto di scrivere "coccodrilli" su di lui. Forse, annuserà ancora una volta "l'odore dei soldi" che Berlusconi, seppur indirettamente, gli ha fatto fare. E si spolvererà da solo le sedie prima di sedersi, in ricordo di un nemico che la buttava sul ridere al posto di intingere la penna nel fiele. 

Estratto dell’articolo di Marco Leardi per ilgiornale.it il 12 giugno 2023.

Una "spolverata" epica. Un colpo di teatro destinato a entrare nella storia della tv. A dieci anni di distanza, il match televisivo tra Silvio Berlusconi e Marco Travaglio (vinto dal leader di Forza Italia) è ancora una delle pietre miliari della tele-politica.

Era il 10 gennaio 2013 quando l'ex premier affrontò il giornalista torinese su La7, nel programma allora condotto da Michele Santoro, e con una mossa geniale delle sue lo mise ko. Nell'anniversario di quella prodezza - che segnò un record assoluto di ascolti - il Cavaliere ha ricordato l'episodio cult sui social, strappando più di un sorriso anche ai più giovani utenti della rete.

E Berlusconi disse: "Ora mi sente". Panorama il 12 Giugno 2023

Da Panorama del 29 marzo 2001

Dopo il successo dell' edizione rilegata di "Scontro finale" (Rai Eri - Mondadori, 165mila copie vendute), Bruno Vespa manda in libreria martedì prossimo l'edizione economica (16.900 lire, distribuita anche nelle principali edicole) nella veste editoriale classica del Giallo Mondadori. In copertina spicca il sovratitolo "Ultimo atto. A camere sciolte". Il libro reca alcuni capitoli di aggiornamento fino alle ultime polemiche sul caso Berlusconi-LuttazziSantoro, una sintesi dei programmi dei due candidati premier e i sondaggi fatti dalla primavera dello scorso anno al febbraio-marzo 2001 dai cinque principali istituti demoscopici. Anticipiamo alcuni brani della nuova introduzione del libro. "Ero appena tornato a casa a Macherio dopo una riunione ad Arcore, quando mi chiamò un mio vecchio collaboratore: "Dottore, guardi Raidue...". Accesi e vidi quello spettacolo che ci portava ai limiti della convivenza democratica". Erano passate da poco le 23 di mercoledì 14 marzo 2001. Mancavano esattamente 60 giorni alle elezioni politiche e Silvio Berlusconi capì che era cominciato l'ultimo atto dello scontro finale... Fu così che la notte tra il 14 e il 15 marzo il centralino di villa Belvedere a Macherio si trasformò in una sala operativa di protezione civile. Berlusconi era furioso e anche visibilmente addolorato, ma come gli accade sempre in questi casi venne sommerso da telefonate così furibonde e da proposte di reazione così dure che finì col sentirsi un moderato. I più teneri si limitarono a suggerirgli di chiedere l' azzeramento dei vertici Rai. Ma nelle telefonate di quella notte a Berlusconi, non mancarono i promotori di manifestazioni di piazza. Il mattino dopo il Cavaliere partì all' alba per Roma e alle 9 era nel suo ufficio di via del Plebiscito con Paolo Bonaiuti. Raggiunse al telefono Fini in Puglia e Bossi a Milano: li trovò entrambi indignati. Il Senatùr, in particolare, usò espressioni più forti dello stesso Berlusconi. Cominciò una processione di visitatori. Il primo fu Maurizio Gasparri di An. Seguirono Massimo Baldini e Paolo Romani, che rappresentano Forza Italia nella Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai. Arrivò anche il presidente della Commissione, Mario Landolfi. Tutti furono ricevuti subito da Berlusconi che non riusciva a star seduto. "Io mafioso?", esclamava uscendo dalla stanza. "E' pazzesco!", ripeteva rientrando. "E' una vergogna!", concludeva infilando di nuovo la porta. A pranzo invitò otto persone: Gianni Letta, Pier Ferdinando Casini, Rocco Buttiglione, i capigruppo di Forza Italia Pisanu e La Loggia, il coordinatore nazionale del partito Claudio Scajola, Giulio Tremonti e Paolo Bonaiuti. Mentre veniva annunciata un' azione civile da 50 miliardi di Mediaset contro la Rai, Casini propose che tutti i parlamentari della Casa delle libertà - a cominciare dai leader - si rifiutassero di apparire in trasmissioni Rai fino a quando non si fossero avute garanzie di equilibrio. Tutti accettarono... Fin dalla notte del mercoledì, Berlusconi era convinto che l' intervista di Travaglio non fosse un incidente, ma facesse parte di un piano politico. Quel giovedì mattina lo colpì la consonanza di dichiarazioni favorevoli a Luttazzi da importanti dirigenti dei Ds. Tacque soltanto Massimo D' Alema e i giornali scrissero che considerava quella trasmissione un autogol. "D' Alema è il migliore dei peggiori", si compiacque il Cavaliere, procurando nuova inquietudine tra quanti nel centrosinistra sospettano sottovoce il presidente dei Ds di intesa col nemico... Nella sala da pranzo di palazzo Grazioli quella sera il maggiordomo Alfredo apparecchiò per tre: gli ospiti di Berlusconi erano soltanto Letta e Bonaiuti e avrebbero cenato seduti accanto al padrone di casa sullo stesso lato del lungo tavolo rettangolare. Bonaiuti aveva infatti chiesto che sull' altro fronte al posto dei commensali ci fosse un televisore, come accade quando vengono trasmesse le partite del Milan. Ma quella sera il Cavaliere sapeva di dover bere l' amaro calice di una partita ben più insidiosa. La trasmissione di Santoro era articolata su due fronti. Il primo era un' intervista al magistrato siciliano Paolo Borsellino registrata da due giornalisti francesi il 21 maggio 1992, due giorni prima dell' attentato mortale a Falcone e due mesi prima della strage in cuì morì Borsellino... Il secondo fronte nella trasmissione di Santoro è stato aperto da Di Pietro: pur non spingendosi a sospettare che l' attività imprenditoriale del Cavaliere fosse partita con i soldi della mafia (come aveva lasciato intendere Travaglio nella trasmissione di Luttazzi), il senatore si associava alle accuse a Berlusconi di aver fondato e mantenuto le società Fininvest all' estero, di aver utilizzato prestanome e denaro contante per sfuggire a ogni controllo e verosimilmente alle imposte. Quando Berlusconi cominciò ad agitarsi sulla sedia, Alfredo aveva appena servito a lui e a Letta un passato di verdure che Bonaiuti aveva respinto rifugiandosi in una insalata. "Non è vero", "E' falso", gridava indignato Berlusconi a ogni frase di Di Pietro. Prese il telefono, chiamò qualche suo collaboratore, si fece cercare il nome del notaio che negli anni Settanta aveva stipulato gli atti. "Adesso chiamo Santoro", disse il Cavaliere guardando il conduttore senza alcuna simpatia ("Quanto è costato quello lì quando era in Mediaset?"). Letta e Bonaiuti indossarono la loro consueta divisa da pompiere e gli dissero di lasciar perdere. Riuscirono così a mangiare gli hamburger e la verdura serviti per secondo. Ma prima che Alfredo tornasse con lo strudel, il Cavaliere esplose e telefonò alla Rai. Santoro lo tenne sulla graticola ancora un quarto d' ora e poi gli dette la linea. Più che una conversazione fu un alterco. Berlusconi disse che nessuna di quelle holding era nata all' estero. Erano nate invece a Milano nello studio del commercialista Minna, uno dei più importanti di Milano, utilizzando società già pronte (e per questo intestate a familiari o a persone di fiducia del professionista), come d' uso per accelerare i tempi. Nessun versamento in contanti, ma solo con assegni circolari e di conto corrente. Per chiarire la posizione di Mediaset verso il fisco, Berlusconi disse che la società paga 1.170 miliardi di imposte all' anno, pari a 4 miliardi al giorno. "La costituzione delle holding avvenne nel 1978 - mi dice Berlusconi - e non equivale affatto alla nascita del mio gruppo. Avevo già venticinque anni di attività imprenditoriale alle spalle che mi era valsa anche la nomina di Cavaliere del lavoro come principale costruttore di centri commerciali e residenziali d' Italia. Il mio cursus honorum imprenditoriale vantava già la realizzazione di molte residenze in Milano città, del Centro Edilnord per 4 mila abitanti, di Milano 2 per 10 mila abitanti e stavo costruendo Milano 3 per 12 mila abitanti e 3.400 abitazioni". Perché costituì quelle holding? "Fu una decisione consigliata a mio padre dai nostri consulenti di fiducia, il dottor Edoardo Piccitto e il dottor Armando Minna, titolari di uno dei più importanti studi professionali milanesi. La nostra attività imprenditoriale cresceva e si differenziava in vari settori. Occorreva quindi pensare al futuro e prevedere una sistemazione delle questioni ereditarie per i figli, per i nipoti e per i diversi membri della famiglia". A Santoro lei ha detto che i versamenti furono attuati per mezzo di assegni circolari e di conto corrente. Ne esiste traccia? "Abbiamo dato mandato a una nota società di revisione di ricostruire tutte le operazioni e siamo già riusciti a risalire a gran parte di esse. E' quasi un miracolo perché, come si sa, e come previsto dalla legge, dopo dieci anni le banche usano mandare al macero le loro documentazioni cartacee". Quei soldi le servirono a far nascere le televisioni? "No. La televisione non assorbì liquidità, la generò. Quando la Rai aveva il monopolio televisivo, la Sipra - è noto - concedeva gli accessi premiando i clienti più generosi con il finanziamento dei giornali di partito che erano tutti in perdita. La nascita di un' alternativa liberalizzò il mercato. Il fatturato di Publitalia passò dai 12 miliardi del primo anno ai 76 del secondo, agli oltre 200 del terzo". Riattaccata la cornetta, il Cavaliere aspettò la fine della trasmissione e per un' ora intera incassò telefonate di complimenti. A mezzanotte e un quarto, deludendo Letta e Bonaiuti che speravano in un commiato, disse: "Bene, prepariamo l' intervento per l' assemblea degli industriali di domani a Parma". Si fecero così le due quando gli amici furono finalmente congedati. Al Cavaliere il maggiordomo Alfredo dette la buonanotte alle cinque e la sveglia alle sette. Quando alle dodici e un quarto entrò nell' enorme auditorium della Fiera di Parma, i seimila imprenditori che l' affollavano lo applaudirono garbatamente, ma senza un entusiasmo preordinato. Berlusconi l' entusiasmo dovette guadagnarselo in cinquantacinque minuti di discorso a braccio che fu accompagnato ventuno volte dagli applausi, prima dell' ovazione finale... Scrisse l' indomani Sebastiano Messina su La Repubblica, il giornale più ostile al Cavaliere: "...Li ha convinti che lui e ciascuno di loro sono la stessa persona. Lui è loro, loro sono lui". La festa continuò la sera stessa a Bologna, nel palazzo del marchese Ippolito Bevilacqua, che per l' occasione aveva riaperto i saloni dove passò Carlo V incoronato a Bologna da Clemente VII e dove si svolsero alcune sessioni del Concilio di Trento. A centocinquanta persone furono serviti polenta con i moscardini, scampi, mousse di cioccolato e lamponi. Furono raccolti quattro miliardi di finanziamento elettorale che ben valevano una conclusione canora con Dans mon ile (al microfono, Silvio Berlusconi) come era avvenuto due mesi prima nella cena milanese a palazzo Brivio Sforza. Né a Parma, né a Bologna Berlusconi disse una parola sulla Rai. Domenica 18 marzo Luigi Crespi, patron di Datamedia, gli telefonò i risultati di un accurato sondaggio fatto prima che i giornali pubblicassero quello stesso giorno che i magistrati siciliani avevano chiesto l' archiviazione del Cavaliere per i fatti di mafia. Il 90 per cento del campione non ha mai creduto che Berlusconi vi fosse coinvolto. Ma quel che interessò di più il presidente di Forza Italia furono i supposti risultati politici delle trasmissioni di Luttazzi e Santoro. La Casa delle libertà veniva accreditata addirittura di quasi il sessanta per cento dei voti ("Che esagerazione!", commentò Berlusconi al quale,pure, l' ottimismo non ha mai fatto difetto) e Di Pietro guadagnava punti erodendo il patrimonio della sinistra e sfondando il muro del quattro per cento. Erano sondaggi, certo. In due mesi molte cose sarebbero potute cambiare. Ma Berlusconi se ne andò ugualmente di buonumore a San Siro a vedere (finalmente) una vittoria del Milan. Poi aspettò il ritorno di Ciampi dall' Argentina per chiedergli, la settimana successiva, di farsi garante che l' ultimo atto dello scontro finale fosse recitato da tutti senza nascondere pugnali dietro la schiena. E di consentire con questo il ritorno dei leader della Casa delle libertà in una televisione "garantista". Anche nella satira. (Satira?). Altrimenti lo "sciopero del video" sarebbe proseguito.

Le Dieci Domande.

L'undicesima domanda a Silvio Berlusconi. L'ex Cavaliere, ottanta anni il 29 settembre, adesso è fuori gioco. Nel 2009 le 10 domande al Cavaliere di Giuseppe D'Avanzo su Repubblica. E oggi è il tempo di porne un'altra. Ezio Mauro su L'Espresso il 26 settembre 2016.

L’Undicesima domanda arriva alla fine del tempo, quando si è chiuso il baldacchino della politica, oltre lo scontro tra destra e sinistra, fuori dai calcoli delle competizioni elettorali e dopo la grande partita per il potere. Quella partita durata vent’anni tra Berlusconi e la sinistra è finita: il Cavaliere è fuori gioco, la sinistra non sa a che gioco deve giocare. 

Ci accorgiamo che quelle due anime perimetravano il campo, lo definivano e a noi assegnavano il posto sugli spalti per uno dei più grandi spettacoli politici del dopoguerra. Adesso il campo è vuoto, e come tutti gli spazi abbandonati è preda di incursioni casuali, episodiche, quasi aliene. Senza passione. Bisogna ammettere che l’ultima grande passione politica, per metà del Paese, è stato lui. E l’altra metà si è appassionata altrettanto all’idea di contrastargli il passo, cercando di fermare il piano di conquista di quello che era in quel momento l’uomo più potente d’Italia. 

Era già tutto pronto anni prima che l’avventura incominciasse ufficialmente. Due anni prima, quando lavoravo a Torino alla "Stampa", l’avvocato Agnelli, editore del giornale, mi disse che avevamo un invito a pranzo ad Arcore con l’imprenditore televisivo Berlusconi e ci saremmo andati insieme, come capitava talvolta con uomini d’impresa ma anche con Luciano Lama. Poi ci fu un contrattempo, e mi presentai da solo. 

Il pranzo che doveva essere a quattro diventò a tre, con il Cavaliere che non conoscevo e Fedele Confalonieri. Parlammo di tutto e di niente, in modo aperto e sciolto. Tanto che a un certo punto domandai: «Ho sentito dire che sta pensando di candidarsi a sindaco di Milano, è vero?». Mi rispose con un gesto infastidito della mano: «Una sciocchezza». Poi mi domandò quante lettere riceveva ogni giorno "Specchio dei tempi", la rubrica di dialogo coi lettori della "Stampa". Più di cento, risposi, pensando che avesse voluto cambiare discorso. Invece lo riprese: «Sa perché glielo chiedo? Perché io ricevo duecento lettere al giorno e sono delle massaie, felici perché ho regalato loro la libertà con le mie televisioni che guardano al mattino mentre fanno i mestieri, come si dice qui a Milano quando si rigoverna la casa. Bene, se pensassi di entrare in politica, io non farei il borgomastro di Milano ma fonderei un partito reaganiano, punterei proprio su quel mondo, prenderei la maggioranza dei voti e governerei il Paese». 

Una sorta di "Bum!" silenzioso risuonò nella stanza, attorno al tavolo dov’eravamo seduti con le finestre aperte. A me quella frase entrò da un orecchio e uscì dall’altro, pensai a una boutade estemporanea, un paradosso gratuito, come se Renzi mi dicesse oggi che pensa di fare il centravanti nella Fiorentina. E infatti quando Agnelli chiamò in macchina per sapere se c’era qualche curiosità in quell’incontro gli raccontai la conversazione, saltando quel piccolo particolare. Glielo avrei ricordato due anni dopo, d’urgenza, quando sullo sfondo di una politica disastrata si avvertivano i primi scalpiccii berlusconiani misteriosi, le voci di vertici segreti a Publitalia, la rete di uomini di Dell’Utri, le simulazioni strategiche e coperte con i giornalisti del gruppo, i sussurri di qualche navigatore democristiano di lungo corso che cercava una scialuppa di salvataggio dopo il grande naufragio, una cena al Cambio con imprenditori torinesi a cui era stato raccontato tutto chiedendo il silenzio come nelle sette, nelle operazioni di marketing, nei blitz militari. 

Io sapevo, anche se non avevo capito nulla. Non avevo considerato che il vuoto chiama il pieno. Che nella grande desertificazione della politica italiana dopo il suicidio di partiti centenari con le tangenti tutto era prosciugato, meno il deposito elementare ma identitario dell’anticomunismo, catalizzatore e collante istintivo: a patto che qualcuno fosse capace di riportare l’istinto in politica dopo l’uniformità scolastica degli anni democristiani e la rigidità monumentale della piramide comunista. Non avevo creduto possibile, soprattutto, che una creatura politica nuova potesse nascere dal nulla, dagli spettri del caos come direbbero i russi, senza il seme di una tradizione culturale, la selezione di un’élite allargata, la rappresentanza esplicita di una base sociale riconoscibile e riconosciuta. 

Eppure, il Cavaliere senza accorgersene mi aveva consegnato il bandolo, la scintilla identitaria con quell’aggettivo buttato sul tavolo dopopranzo: reaganiano. Non democristiano, o moderato, o conservatore o liberale. No: reaganiano. Qualcosa di sconosciuto alla politica italiana, ma qualcosa che contiene il vero elemento fondante dell’intera operazione. L’outsider che in Italia come in America viene da un altro mondo, e guarda caso è il mondo dello spettacolo che dà la temperatura del rapporto con la folla, abitua ai riflettori, evoca intorno a sé un’avventura più che un progetto, in un paesaggio smart di successi, denaro e sorrisi. 

La politica – per Reagan come per il Cavaliere – scoperta in età matura, come un’incursione estranea, senza l’imprinting originario dei professionisti. Proprio per questo, il tocco permanente del grande dilettante che non conosce il vocabolario istituzionale ma sa sfiorare perfettamente i tasti (basta leggere Lou Cannon, il biografo del presidente americano) dell’emozione popolare in ogni occasione, presentandosi come uomo nuovo, estraneo ai professionismi degli apparati. E infine, il nocciolo duro di quell’aggettivo: il profilo reaganiano disegnava fin dall’origine un progetto di destra, destra popolare ma destra vera, che dopo la mediazione democristiana puntava direttamente al comando, più che al governo. 

Naturalmente i denti d’acciaio (con cui il vecchio Gromiko misurava la durezza dei candidati alla guida del Cremlino) erano ben nascosti dentro il sorriso televisivo del Cavaliere, la cui iniziazione è insieme una grande dissimulazione. Deve nascondere i debiti che pesano come una macina al collo dell’azienda («ci vogliono vedere sotto un ponte», diceva allora Confalonieri), il debito politico dell’impero televisivo al Psi per le leggi che hanno consentito alla tv privata il volo nell’etere di Stato, la filiazione diretta del personaggio pubblico Berlusconi dal Caf, l’alleanza d’agonia della Prima Repubblica tra Craxi, Andreotti e Forlani, la macchia imprenditoriale nascosta (i tribunali l’accerteranno più tardi) del grande furto della Mondadori, la tessera P2 numero 625 fin dal 1978, e soprattutto le obbligazioni sotterranee che ne derivano. Proprio queste fragilità e queste ambiguità celate dietro i mausolei berlusconiani auto-eretti consigliavano prudenza ai personaggi più vicini al Cavaliere, secondo un modello democristiano teorizzato da Confalonieri: non vale la pena di gettarsi in politica in prima persona correndo il rischio di rompersi l’osso del collo, anche perché con tre televisioni basta avere pazienza, verrà la politica a cercare il becchime nella tua mano. 

E invece proprio qui c’è il rovesciamento delle aspettative, il ribaltamento delle convenienze. Il Cavaliere si dimostra uomo d’avventura, l’egolatria fino a quel momento tenuta a bada lo trascina ad un protagonismo diretto e gli fa puntare l’intera posta su una nuova partita, dopo quella immobiliare, quella editoriale, quella televisiva: la politica, o meglio il comando, soprattutto il potere. La politica vista come il cuore del potere, ben più che il cuore dello Stato, qualcosa da conquistare più che da governare. C’è in questo la "pazzia" di cui parla Giuliano Ferrara, che tradurrei con l’azzardo di pensare l’impensabile, crederci costringendo gli altri a credere nell’incredibile realizzandolo prima ancora di renderlo plausibile. Farlo senza adattare la propria natura estranea alle regole auree e comunemente accettate del sistema, ma anzi deformando quelle regole e quelle modalità secondo la propria natura. Siamo a un passo – magari senza saperlo – da Carl Schmitt, secondo cui il vero sovrano non è il garante dell’ordinamento esistente ma è colui che crea un nuovo ordinamento decidendo sullo stato d’eccezione. 

Mi sono sempre chiesto, in tutti questi anni, quanto tutto ciò fosse puro istinto di destra – destra reale, realizzata, come c’era il socialismo reale – e quanto invece progetto teorico dissimulato nel rifiuto del "culturame", ma in realtà accumulato con cura. Certo, l’istinto di classe ha convinto fin dall’inizio il Cavaliere a puntare sul ceto medio emergente proponendogli di mettersi in proprio per diventare finalmente soggetto politico, autonomizzandosi sia dalla grande borghesia che dal proletariato. Il progetto lo ha spinto a evocare un vero e proprio sovvertimento della classe dirigente, quasi una ribellione dei garantiti, perché c’è sempre un’élite più o meno ristretta contro cui mostrarsi ribelle. Il calcolo gli ha suggerito di infilarsi nella breccia aperta da Mani Pulite, nel solco della prima seminazione di antipolitica della Lega, e di radunare queste incoerenze sotto il doppiopetto miliardario, paradossalmente credibile proprio perché rivestiva un outsider rispetto all’aristocrazia delle grandi famiglie industriali cresciute nel fordismo e nell’acciaio, che lo consideravano imprenditore dell’immateriale e lo tenevano in fondo al tavolo. Ancora l’istinto barbaro e redditizio lo ha spinto a consigliare al cittadino di disinteressarsi dello Stato cercando un demiurgo, nascondendogli che su questa strada lo Stato avrebbe finito per disinteressarsi di lui, perché quando la sua libertà non si combina con la vita degli altri e l’esercizio dei suoi diritti resta esclusivamente individuale, separato, lui diventa un’entità anonima da rilevare nei sondaggi, realizzando la vera solitudine dei numeri primi. 

Ma questo paesaggio misto, abitato da solitudine e ribellione, era in realtà lo scenario perfetto di un esperimento del tutto nuovo per l’Italia e per le democrazie occidentali. Era nella mia stanza il direttore di un grande giornale europeo, a dicembre del 1994, mentre sul video subito dopo il telegiornale scorrevano riflessi negli addobbi rotondi e lucenti di un gigantesco albero di Natale le immagini di un Berlusconi sorridente, magnanimo, circondato dai bambini su un prato, mentre accarezzava i cani, o alzava le coppe vinte dal Milan. Mascherati da innocenti auguri di Natale erano i primi spot subliminali di un’avventura politica del tutto nuova. «Il solito italiano», disse il mio amico, «manca soltanto la chitarra o il mandolino». Naturalmente arrivarono, insieme all’iperrealismo di una bandana sulla fronte. Ma era tutt’altro che il volto di un arcitaliano, quello che stavamo vedendo: piuttosto l’inizio di un esperimento che l’Europa non aveva ancora conosciuto, e che in questi anni non ho saputo chiamare altrimenti che neo-populismo, qualcosa di modernissimo e primitivo insieme, con la sua neolingua e una dilatata dismisura. 

Ottimismo ad ogni costo, poiché le mani del demiurgo sono sul timone, soluzioni semplici davanti a problemi complessi (l’efficacia del "puerilismo", come lo chiamava Huizinga), invulnerabilità assoluta, tanto che le sconfitte sono sempre colpa di una truffa o di un inganno sopraffattore, in modo che il leader esca comunque dalla prova innocente, magari ferito ma superstite, nel cerchio intatto del carisma perenne. È un investimento sull’indebolimento dello spirito critico, a vantaggio di una visione mitologica dell’avventura eroica. Il cittadino viene autorizzato a farsi i fatti suoi, elevati a cifra privata della nuova dimensione pubblica. In cambio il leader gli parlerà direttamente saltando ogni intermediazione partitica, istituzionale, politica, e mentre provvederà alla guida del Paese gli chiederà soltanto una vibrazione costante di consenso, e una delega elettorale periodica e fissa. Principio e fine di tutto questo, l’evocazione di una destra che il Paese nel dopoguerra non aveva conosciuto, perché il filtro democristiano drenava al centro gli istinti post-fascisti del Paese. Berlusconi ha fatto l’opposto, radicalizzando a destra una propensione politica sconosciuta a se stessa, camuffata e scusata dal doroteismo di potere, liberandola nella sua vera natura. Una destra sdoganata con un progetto puramente elettorale e non culturale, senza chiedere revisioni e abiure, con la complicità dell’intellettuale italiano strabico, che per vent’anni (fino al declino del nuovo potere col calcio dell’asino) non ha usato a destra la pedagogia liberale impiegata giustamente a sinistra con il Pci. 

Il mix ha funzionato tre volte, perché il fuoco in pancia del Cavaliere lo ha trasformato in uno straordinario campaigner (salvo quando ha incontrato Romano Prodi), tanto quanto è risultato sempre un pessimo uomo di governo. A Palazzo Chigi quel fuoco si è ogni volta spento e tra le ceneri brillavano fisse le quattro anomalie del Cavaliere rispetto a qualsiasi moderna destra occidentale: le leggi ad personam, il conflitto d’interessi, lo strapotere economico che gli consentiva di comperare i deputati a grappoli, lo strapotere mediatico che alterava il mercato del consenso. A un certo punto l’uomo della grande avventura diventava un avventuriero, fino al punto di usare l’esecutivo per piegare il legislativo a fermare il giudiziario, con buona pace di Montesquieu. Le coalizioni assemblate senza il crogiuolo di una fusione culturale capace di dare al Paese una destra moderna, ogni volta si sfaldavano perdendo prima Bossi, poi Casini, quindi Fini, con gli intellettuali che se n’erano già andati. Infine la vicenda giudiziaria prese il sopravvento. Lui teorizzò la decapitazione per via processuale. In realtà aveva imposto una tale torsione al sistema che eravamo giunti al dubbio estremo: se la legge era ancora uguale per tutti, oppure no, nel suo unico caso. 

Anche qui, la concezione carismatica del populismo era perfettamente coerente con il rifiuto di essere giudicato, anzi con la giustizia vista come sopruso. Il leader unto dal Signore col voto popolare infatti risponde solo al popolo, ed è per questa sua stessa speciale natura insofferente ad ogni controllo, costituzionale da parte delle autorità di garanza, politico da parte del parlamento, di legalità da parte della magistratura. La legittimità dell’investitura assorbe la legalità fino a soffocarla nell’irrilevanza, l’annulla subordinandola. Ma proprio la specialità di questa eccezione – ecco il punto – rende oggi impossibile sciogliere il nodo gordiano del dopo-Berlusconi. Politicamente, la sua creatura è ancora irrisolta così com’è nata per conquistare il potere e non per cambiare il Paese, ferma al bivio tra moderatismo e radicalità. Leaderisticamente, bisogna prendere atto che ogni successione nel senso democratico e moderno del termine è nei fatti impossibile perché Crono divora ogni possibile figlio tanto che si è davvero pensato al passaggio dinastico come unica soluzione, in quanto avrebbe trasmesso integrale il conflitto d’interessi insieme con il dna familiare, perpetuando l’anomalia berlusconiana nella contemplazione perpetua del peccato originale. 

Siamo davanti alla metafisica di sé, con un’avventura straordinaria che consuma se stessa replicandosi ogni giorno in sedicesimo, come una condanna infernale, ormai fuori dal tempo. E guardando quel poco che resta, da qui nasce l’undicesima domanda: Cavaliere, ne valeva la pena?

Super Silvio show. Edmondo Berselli su L'Espresso il 7 maggio 2009. 

Ci mancava il divorzio del Capo nel circo di Berluscolandia. Il clou di quello che è diventato il reality più amato dagli italiani

Finisce, se poi finisce davvero, la storia estrema del berlusconismo punto 1: il computer italiano si resetta, e il nuovo codice di Matrix, opportunamente 'reloaded', proietta sulla Penisola un nuovo pirotecnico game show patrimoniale. Cioè il "sultanato", "la peggiore delle corti", come illustra nell'ultimo libro Giovanni Sartori, il politologo che dal canto suo si sarebbe accontentato di scorticare l'homo videns, cioè il golem sociale creato da Berlusconi. E una sorta di nuovo 'Truman Show' per la vittima designata, Veronica Lario, messa al centro di un reality lapidatorio. Platee immense e irriflesse per una Weltanschauung televisiva fatta di curve e Wonderbra, cioè più prosaicamente tette e culi, come ebbe a riscontrare nel 1994 lo scrittore cattolico Vittorio Messori a proposito delle reti Fininvest,'per cui Dio non è neanche un'ipotesi'. 

Dietro questo epos scatenatosi nella politica e nella società post-italiana, c'è una narrazione totale, un'opera mondo che non è diventata romanzo autentico, rispecchiamento totale e ottocentesco di un'epoca, perché esisteva bensì il protagonista, figurarsi, addirittura il deus ex machina, ma non il narratore. C'era il balzacchismo, ma non c'è Balzac. I 'Demoni' senza Dostoëvskij. Proust senza madeleine e le nevi d'antan. E da anni nemmeno l'anarchismo borghese di Indro Montanelli, cronista ed esorcista di Sua Emittenza. 

Il circo di Berluscolandia ha frullato dentro di sé ogni lembo di pelle della creati vità secolarizzata; e magari la sorpresa è che la Cei se ne sia accorta con quindici anni di ritardo, dopo le mille evoluzioni del pensiero "mettiamolo alla prova", fra i progettini culturali di Camillo Ruini e gli interessi di una gerarchia a storia azzerata, piena di unzione per l'Unto, e convinta di trarne benefici, sui soldi, sulle scuole cattoliche, addirittura sull'"etica" e i "valori". Adesso 'Avvenire' reclama sobrietà, cioè più o meno chiudere gli studi tv a vacche scappate. E il Cavaliere si preoccupa delle ricadute elettorali, perché un divorzio molto d'autore, spettacolare e mediatico, potrebbe scalfire il fantastico 75 per cento di popolarità, "tre italiani su quattro che mi approvano", e si identificano con la sua italianità al cubo. 

'Non perderò il voto dei cattolici alle europee', giura a dispetto di tremolanti sondaggi laici e malumori vaticani, e per questo deve trascinare "la signora" in una pochade disordinata, in uno scambio di slealtà politiche e morali, dentro una macchinazione ordita da 'la Repubblica', e via alla caccia al "sobillatore", nonché dalla stampa di sinistra che non regge il suo trionfo travolgente. Lei, l'unicum Veronica, era emersa splendente 15 anni fa nella notte della reggia di Caserta, allorché Silvio ammicca alla luna, e a Bill e a Hillary Clinton, "attenzione che qui si aumenta la prole": la steineriana, la pacifista, la pannelliana, l'irenica, l'appenninica, la ragazza di sinistra, l'epicentro new age di un circuito femminile molto attento al 'genere' e ai suoi riti culturali, poteva soltanto inorridire davanti alla volgarità del piccoletto superdotato al meeting in formato 'world' (naturalmente non era ancora nato il Sarkoberlusconismo, con gli amori da Eliseo fra il leader francese e la diva Carlà, e un circuito erotico mondano assai più chic delle feste sarde, finti vulcani rinascimentali compresi). 

D'altronde, era prevedibile che un tipo con l'energia mentale di Berlusconi fosse chiamato a squinternare un intero mondo. La 'robba' alle spalle, gli affari al sicuro a dispetto delle vecchie irrisioni di D'Alema, il tutor Confalonieri a presidiare il trust, e il Parlamento a tutelare il conflitto d'interessi. Davanti a sé una politica da inventare giorno per giorno, prima con i professori d'area, come i Pera, i Melograni, e poi con l'invenzione quotidiana e siderale, il cortocircuito postfascista, lo scoperchiamento del vaso di Pandora dell'anticomunismo, a comunismo liquidato, il meno tasse per tutti, il tremontismo, il brunettismo, i "socialisti di Forza Italia", il predellino in San Babila, il filo egemonico del 51 per cento per il Popolo della libertà. Già, ma non c'era traccia della Camelot di Kennedy e Jacqueline, fra Macherio e Arcore. 

C'erano storie brianzole e napoleoniche di mausolei di famiglia: "Indro, vuoi favorire? Per me sarebbe un onore" (rapida toccata tombale di zebedei dell'altissimo giornalista), gli attentati carineria dello stalliere Mangano, "dal suo punto di vista un eroe", s'intende per i silenzi. E soprattutto divagazioni virili come lo storico jogging alle Bermuda, con la squadra di Dell'Utri e di Gianni Letta tutta schierata in ordine di corsa, e a Roma l'altro eroe Cesare Previti e i giudici sotto pressione, i circoli, l'Aniene, i Canottieri, via del Plebiscito, via dell'Anima, le vie di un potere che si fa metafisica. In questa realtà politica privatizzata, "la signora', forse già allora sventurata vittima di cattivi consigli e furbizie da sinistra, faticava a trovare una funzione. Non first lady, non Second Life, non interprete intellettuale, se non quando scrive di pace per 'Micro- Mega', e fino a quando si infuria e invade il giornale nemico 'la Repubblica' con la sua lettera lamento per essere divenuta "la metà di niente".

'Tendenza Veronica', scrive la sua amica Maria Latella, affidandola idealmente a un vettore di reincarnazioni, insomma un karma politico-esistenziale, che la seconda moglie del Cavaliere non sembra in grado di seguire, schiacciata dalle trovate mozzafiato di un vecchio istrione, che dopo i mignottismi con le starlet le si presenta in Marocco, bardato da beduino, a farsi perdonare con il brillante donato nel corso di una ondeggiante danza berbera, genere Silviò le Mokò.

Perché nel frattempo il marito, quello delle zie suore, il cattolico che si disanima perché la Chiesa non gli lascerebbe fare la comunione e partecipare all'Ecclesia, è decollato, ha dato del kapò a Martin Schultz all'Europarlamento, fra i "turisti della democrazia', ha inflitto le corna allo spagnolo nella photo opportunity, offende le ministre straniere a pranzo ghignando "ma perché non parliamo un po' di calcio e di donne?", e affonda: "Comincia tu, Schröder, che di matrimoni ne hai avuti". 

L'impostatissimo cancelliere tedesco vacilla, così come aveva barcollato ignaro il Rasmussen eletto a miglior rivale di Massimo Cacciari, professione amante filosofico di Veronica ("Sapete quel che si dice, no, povera donna…"); così come aveva piegato il ginocchio la premier finlandese, 'corteggiata' per l'autorità alimentare europea, e quante proteste dallo staff di Helsinki, gente fredda, gente povera di spirito. Forse un tratto di umanità familiare e domestica poteva in effetti venire fuori dagli incontri internazionali di loisir, con Tony e Cherie Blair dopo il trapianto a Ferrara e con la bandana da 'Pirati' di Roman Polansky. Ma oltre alla filibusta si era profilato lo spettro della guerra in Iraq, con Wojtyla che gli aveva inveito contro. E non era stato di gran classe l'incontro con l'amico Putin e il Bagaglino reclutato per l'occasione, non la visione delle sequenze del 'Caimano' di Nanni Moretti ("Un film orrendo") con gli ultimi incendi che bruciano i resti di una democrazia istituzionalmente scalcagnata e ormai, nell'allegoria cinematografica, visibilmente eversiva.L'ultima curvatura della tendenza Veronica, a parte le faccende di avvocati e di soldi, consiste nel suo rifiuto a rivelarsi per quello che il Cavaliere ha confessato con i gesti da tempo: ossia che Lui evidentemente si credeva di avere la moglie giovane, e si è ritrovato fra le ville una suocera, inselvatichita dal risentimento, insofferente delle zingarate notturne ed elettorali del vecchio complice. Figurarsi, lui due ore in discoteca alle tre di notte per dimostrare ai giovani di essere in tiro. L'irruzione nella vecchia sezione romana ex Pci per vedere dal vivo le mummie del comunismo capitolino diventate democratiche. 

Il "ciarpame senza pudore" delle candidature velinonze alle elezioni europee, secondo'la solita trappola della sinistra e lei c'è cascata, e adesso dovrà ammettere l'errore'. La nottata a Casoria di 'Papi' con Noemi, "sia chiaro che non frequento minorenni', però fra un raid e l'altro nel sottosviluppo metropolitano, con relativa dispersione psicologica negli ambigui hinterland del consenso… Ma era già successo tutto già da qualche settimana, e da qualche anno: il mondo di Berlusconi era esploso in un fuoco artificiale di quelli da festa a Porto Cervo. Dopo il tragico esordio del G8 di Genova, più tardi la sindrome diplomatica di Pratica di Mare, ballon d'essai della politica estera fatta con il compensato, era diventata ammirazione compunta per i muscoletti afro di Condoleezza Rice e i bianchi glutei palestrati di George Bush. Il suo consigliere Giuliano Ferrara, con il giornale finanziato da Veronica, ha sempre sostenuto che Berlusconi è un singolare misto di buonsenso esplosivo e di esasperazioni pop. Che sia un'icona a scoppio, è indubbio. 

Che Veronica abbia avuto la desolante sensazione di essere ormai fuori dalla realtà vivibile, nello spazio esterno dominato dalle cyberpassioni di un misirizzi atomico, l'atletico sciancato di Vicenza, il tarantolato del sisma, il "tumorato di Dio" come lo chiamò Gianni Baget Bozzo, il 'teghnico' del Milan a due punte, anche questa è una certezza. E ci mancava, dopo il presidente operaio, e il presidente spazzino a Napoli, ci mancava, per lo sfondamento finale, il terremoto e il presidente partigiano, con le insegne della brigata Maiella. Ma no, neppure questo bastava: si era dovuta vedere la scena da italiano vero con Angela Merkel, l'indice puntato sul cellulare per segnalare la telefonata ultimativa al premier turco Erdogan, fino alla stoccata vociante al cospetto della regina Elisabetta,'Mr Obamaaa… I'm Mr Berlusconi…". 

Adesso succederà l'inevitabile, come annunciato nelle intervistine confidenziali del premier ai direttori del 'Corriere' e della 'Stampa', Ferruccio de Bortoli e Mario Calabresi, con storielle e moniti che attengono al campo delle solidarietà virili e alle avvocatesche minacciosità matrimoniali, ribadite a Bruno Vespa. "Veronica dovrà chiedere scusa". 

Va da sé che questa Dynasty incattivita non terminerà come nella 'Guerra dei Roses'. Ma comunque finisca, c'è poco da fare, il Berlusconi-Lario 'reloaded', storia privata esposta clamorosamente in pubblico con tecniche da Partido rivolucionario institucional, ha tutta l'aria di avere fatto girare random il software nazionale e l'aria italiana, facendo risuonare nei cieli armoniche e amori di contrabbando: in un clima da faccia triste dell'America, di uno strazio firmato Enzo Jannacci che inevitabilmente si chiama e si chiamerà per sempre, nel nome di un kitsch tutto latino e casinista, 'Messico e nuvole'.

Firmato Repubblica, Ezio Mauro: "Così nacquero le 10 domande di D'Avanzo a Berlusconi". Pasquale Quaranta su La Repubblica il 30 luglio 2021. Dieci anni fa moriva Giuseppe D’Avanzo, un grande giornalista di Repubblica. Nel 2009, dopo le rivelazioni sulla vita privata di Silvio Berlusconi, allora presidente del Consiglio, originate dalla lettera a Repubblica di sua moglie Veronica Lario, D’Avanzo pose 10 domande al capo del governo: “Ha frequentato minorenni? Ha ricompensato con candidature e promesse politiche le ragazze che la chiamano papi”? Si è intrattenuto prostitute? Può essere ricattabile?”. I quesiti furono rinnovati sul quotidiano per sei mesi, ma D’Avanzo e Repubblica non ottennero risposte. In compenso, l’iniziativa guadagnò risonanza internazionale. Nella nuova puntata della rubrica “Firmato Repubblica”, Ezio Mauro, allora direttore di Repubblica, ricorda quella campagna e il suo autore Giuseppe D’Avanzo, “cronista del potere”, che inventò così una formula del giornalismo italiano.

Giovedì 14 maggio 2009 il quotidiano Repubblica, amatissimo dal signor B., pubblica “le dieci domande mai poste al Cavaliere”, scrive "E suona Male". L’articolo è di Giuseppe D’Avanzo, e inizia così: «Repubblica ha chiesto, nei giorni scorsi, di rivolgere al presidente del Consiglio dieci domande sulle incoerenze e le omissioni di una storia che molti definiscono “di Veronica” o “di Noemi” e nessuno azzarda a definire per quel che è o appare: un “caso Berlusconi”. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, lunedì, ha chiesto due giorni per dare una risposta. Quella risposta non è arrivata. Per non dissimulare, come vuole il nuovo conformismo dell’informazione italiana, ciò che dovrebbe essere chiarito, pubblichiamo oggi le domande che avremmo voluto rivolgere al premier: nascono dalle contraddizioni che abbiamo creduto di riscontrare tra le sue dichiarazioni e quelle degli altri protagonisti della vicenda.» Giuseppe D’Avanzo poi prosegue per la bellezza di due intere pagine confutando dichiarazioni su dichiarazioni e confrontandole con i fatti noti e meno noti. In conclusione all’articolo, il giornalista tira fuori le dieci domande: domande che hanno sollevato parecchie polemiche ma mai delle risposte. E quelle domande sono rimaste sul quotidiano ogni giorno, in attesa di una risposta. Dopo più di un mese, il 26 giugno 2009, Repubblica decide di pubblicare altre dieci domande, quelle nuove, aggiornate con gli ultimi sviluppi dell’intera vicenda. Eccole qua.

1) Quando, signor presidente, ha avuto modo di conoscere Noemi Letizia? Quante volte ha avuto modo d’incontrarla e dove? Ha frequentato e frequenta altre minorenni?

2) Qual è la ragione che l’ha costretta a non dire la verità per due mesi fornendo quattro versioni diverse per la conoscenza di Noemi prima di fare due tardive ammissioni?

3) Non trova grave, per la democrazia italiana e per la sua leadership, che lei abbia ricompensato con candidature e promesse di responsabilità politiche le ragazze che la chiamano «papi»?

4) Lei si è intrattenuto con una prostituta la notte del 4 novembre 2008 e sono decine le “squillo” che, secondo le indagini della magistratura, sono state condotte nelle sue residenze. Sapeva che fossero prostitute? Se non lo sapeva, è in grado di assicurare che quegli incontri non l’abbiano resa vulnerabile, cioè ricattabile – come le registrazioni di Patrizia D’Addario e le foto di Barbara Montereale dimostrano?

5) È capitato che “voli di Stato”, senza la sua presenza a bordo, abbiano condotto nelle sue residenze le ospiti delle sue festicciole?

6) Può dirsi certo che le sue frequentazioni non abbiamo compromesso gli affari di Stato? Può rassicurare il Paese e i nostri alleati che nessuna donna, sua ospite, abbia oggi in mano armi di ricatto che ridimensionano la sua autonomia politica, interna e internazionale?

7) Le sue condotte sono in contraddizione con le sue politiche: lei oggi potrebbe ancora partecipare al Family Day o firmare una legge che punisce il cliente di una prostituta?

8) Lei ritiene di potersi ancora candidare alla presidenza della Repubblica? E, se lo esclude, ritiene che una persona che l’opinione comune considera inadatta al Quirinale, possa adempiere alla funzione di presidente del consiglio?

9) Lei ha parlato di un «progetto eversivo» che la minaccia. Può garantire di non aver usato né di voler usare intelligence e polizie contro testimoni, magistrati, giornalisti?

10) Alla luce di quanto è emerso in questi due mesi, quali sono, signor presidente, le sue condizioni di salute?

Da quel 14 maggio sono passati quasi quattro mesi. A oggi sono la bellezza di 119 giorni. Centodiciannove giorni di silenzio: per le risposte e non certo per le minacce e le battutine tanto care al signor B., si capisce. Le dieci domande non hanno mai avuto risposta ma hanno continuato a restare sul quotidiano perché questo è il dovere e l’impegno dei giornalisti. Informare i cittadini, qualunque sia l’argomento trattato. Le dieci domande non verranno tolte fino a quando il premier non si deciderà a rispondere. Probabilmente mai. Ma le domande restano. Grazie, Repubblica. Grazie.

Incoerenze di un caso politico: dieci domande a Berlusconi, di Giuseppe D'Avanzo del 15 maggio 2009 su “La Repubblica". Repubblica ha chiesto, nei giorni scorsi, di rivolgere al presidente del Consiglio dieci domande sulle incoerenze e le omissioni di una storia che molti definiscono "di Veronica" o "di Noemi" e nessuno azzarda a definire per quel che è o appare: un "caso Berlusconi". Il sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta, lunedì, ha chiesto due giorni per dare una risposta. Quella risposta non è arrivata. Per non dissimulare, come vuole il nuovo conformismo dell'informazione italiana, ciò che dovrebbe essere chiarito, pubblichiamo oggi le domande che avremmo voluto rivolgere al premier e le contraddizioni che abbiamo ritenuto di riscontrare tra le sue dichiarazioni e quelle degli altri protagonisti della vicenda. Silvio Berlusconi ha detto: "Credo che chi è incaricato di una funzione pubblica, come il presidente del Consiglio, possa accettare la continuazione di un rapporto [con la sua consorte, Veronica Lario] soltanto se si chiarisce chi ha provocato questa situazione". (Porta a Porta, 5 maggio 2009). Repubblica concorda con Silvio Berlusconi. E' evidente che, nonostante il frastuono mediatico di queste ore, non si discute di un divorzio o di una separazione, affare privato di due coniugi. Come ha chiaro il premier, la questione interroga i comportamenti di "un incaricato di una funzione pubblica". In quanto tali, quei comportamenti sono sempre di pubblico interesse e non possono essere circoscritti a un ambito familiare. D'altronde, la signora Veronica Lario, nelle sue dichiarazioni del 29 aprile e del 3 maggio, offre all'attenzione dell'opinione pubblica due certezze personali e una domanda. Le due certezze descrivono, tra il pubblico e il privato, i comportamenti del presidente del Consiglio: "Mio marito frequenta minorenni"; "Mio marito non sta bene". La domanda, posta dalla signora all'opinione pubblica e a chi in vario modo la rappresenta, è invece tutta politica e chiama in causa le pratiche del "potere", il suo modo di essere, che si degrada e si avvilisce pericolosamente quando a rappresentare la sovranità popolare vengono chiamate "veline" senza altro merito che un bell'aspetto e la prossimità al premier. Ha detto la signora Lario: "Quello che emerge oggi, attraverso il paravento delle curve e della bellezza femminile, è la sfrontatezza e la mancanza di ritegno del potere che offende la credibilità di tutte le donne (...). Qualcuno ha scritto che tutto questo è a sostegno del divertimento dell'imperatore. Condivido, quello che emerge dai giornali è un ciarpame senza pudore". (Ansa, 28 aprile, 22:31) Silvio Berlusconi ha replicato, a caldo, evocando un complotto "della sinistra e della sua stampa che non riescono ad accettare la mia popolarità al 75 per cento (...) Tutto falso, nato dalla trappola in cui anche mia moglie purtroppo è caduta. Le veline sono inesistenti. Un'assoluta falsità". (Porta a porta, 5 maggio) E' il primo ingombro che bisogna verificare. Questa storia è soltanto una trappola bene organizzata? E' vero, se di complotto si tratta, che nasconde la mano della sinistra e della "sua stampa"? Tre evidenze lo escludono. Il primo quotidiano che dà conto della candidatura di una "velina" alle elezioni europee è il Giornale della famiglia Berlusconi. Il 31 marzo, a pagina 12, nella rubrica Indiscreto a Palazzo si legge che "Barbara Matera punta a un seggio europeo". "Soubrette, già "Letterata" del Chiambretti c'è, poi "Letteronza" della Gialappa's, quindi annunciatrice Rai e attrice della fiction Carabinieri", la Matera, scrive il Giornale, "ha voluto smentire i luoghi comuni sui giovani che non si applicano e non si impegnano. "Dicono che i ragazzi perdino tempo. Non è vero: io per esempio studio molto"". "E si vede", commenta il giornale di casa Berlusconi. Il secondo giornale che svela "la carta segreta che il Cavaliere è pronto a giocare" è Libero, il 22 aprile. Notizia e foto di prima pagina con "Angela Sozio, la rossa del Grande Fratello e le gemelle De Vivo dell'Isola dei famosi, possibili candidate alle elezioni europee". A pagina 12, le rivelazioni: "Gesto da Cavaliere. Le veline azzurre candidate in pectore" è il titolo. "Silvio porta a Strasburgo una truppa di showgirl" è il sommario. Per Libero le "showgirl", che dovranno superare un colloquio, sono 21 (in lista i candidati a un seggio di Bruxelles, come si sa, sono 72). I nomi che si leggono nella cronaca sono: Angela Sozio, Elisa Alloro, Emanuela Romano, Rachele Restivo, Eleonora Gaggioli, Camilla Ferranti, Barbara Matera, Ginevra Crescenzi, Antonia Ruggiero, Lara Comi, Adriana Verdirosi, Cristina Ravot, Giovanna Del Giudice, Chiara Sgarbossa, Silvia Travaini, Assunta Petron, Letizia Cioffi, Albertina Carraro. Eleonora e Imma De Vivo e "una misteriosa signorina" lituana, Giada Martirosianaite. Difficile sostenere che Il Giornale e Libero siano fogli di sinistra. Come è arduo credere che la Fondazione farefuturo, presieduta da Gianfranco Fini, sia un pensatoio vicino al partito democratico. Il think tank, diretto dal professor Alessandro Campi, vuole "far emergere una nuova classe dirigente adeguata a governare le sfide della modernità e della globalizzazione". Coerentemente critica l'uso di "uno stereotipo femminile mortificante" e con un'analisi della politologa Sofia Ventura avverte che "il "velinismo" non serve". Nell'articolo si legge: "Assistiamo a una dirigenza di partito che fa uso dei bei volti e dei bei corpi di persone che con la politica non hanno molto da fare, allo scopo di proiettare una (falsa) immagine di freschezza e rinnovamento. Questo uso strumentale del corpo femminile, al quale naturalmente le protagoniste si prestano con disinvoltura, denota uno scarso rispetto, da un lato, per quanti, uomini e donne, hanno conquistato uno spazio con le proprie capacità e il proprio lavoro; dall'altro, per le istituzioni e per la sovranità popolare che le legittima". Sofia Ventura conclude: "Le donne non sono gingilli da utilizzare come specchietti per le allodole, non sono nemmeno fragili esserini bisognosi di protezione e promozione da parte di generosi e paterni signori maschi. Le donne sono, banalmente, persone. Vorremmo che chi ha importanti responsabilità politiche qualche volta lo ricordasse". Quando la signora Lario prende (buonultima) la parola per censurare il "velinismo" - e "il ciarpame senza pudore" del potere - non si muove nel vuoto, ma su un terreno già smosso dalle rivelazioni dei giornali vicini al premier e dalle analisi critiche di intellettuali prossimi alla maggioranza di governo. Questo "caso" non ha inizio con un intrigo, come protesta Berlusconi, ma trova la sua trasparente ragione nella preoccupazione di ambienti della destra per un "impoverimento della qualità democratica di un paese" (ancora la Ventura). Rimosso il presunto "complotto", resta il "caso" politico, dunque. Un "caso" che diventa anche familiare, quando Veronica Lario scopre che Silvio Berlusconi ha partecipato a Napoli alla festa di compleanno di una diciottenne (Repubblica, 28 aprile). E ancora una volta politico quando la signora, annunciando la sua volontà di divorziare, denuncia pubblicamente i comportamenti di un marito che, "incaricato di una pubblica funzione", "frequenta minorenni", prigioniero com'è di un disagio che minaccia il suo equilibrio psicofisico. Il presidente del Consiglio ha replicato ai rilievi della signora Lario con due interviste alla carta stampata (Corriere della Sera e la Stampa, 4 maggio) e con un lungo monologo a Porta a Porta (5 maggio). In queste tre sortite pubbliche, la ricostruzione degli avvenimenti di cui si discute (la candidatura di giovani donne selezionate per la loro bellezza e amicizia con il premier; il suo affetto per Noemi Letizia, maggiorenne il 26 aprile; la partecipazione alla festa di compleanno; il lungo sodalizio amicale con la famiglia Letizia) ha avuto, da parte di Berlusconi, una parola definitiva, ma o contraddittoria o omissiva. Berlusconi nega di aver mai avuto intenzione di candidare "soubrette". "Non avevamo messo in lista nessuna "velina"" (Corriere, 4 maggio) Noemi lo chiama "papi". Perché? A chi glielo chiede, replica: "E' uno scherzo, mi volevano dare del nonno, meglio mi chiamino papi. Non crede?" (Corriere, 4 maggio). Berlusconi è più preciso con la Stampa (4 maggio): "Io frequenterei, come ha detto la signora [Lario], delle diciassettenni. E' una cosa che non posso sopportare. Io sono amico del padre punto e basta. Lo giuro!" E' la stessa versione offerta a France2 (6maggio). Quando il presidente del Consiglio spiega le circostanze della frequentazione con Noemi Letizia - si tratta di un'antica amicizia di natura politica con il padre, dice - il giornalista lo interrompe per chiedere: "... dunque [Noemi] non è una ragazza che lei conosceva personalmente?". Berlusconi risponde: "No, ho avuto l'occasione di conoscerla con i suoi genitori. Questo è tutto". La versione di Berlusconi è contraddetta in tutti i suoi elementi dalle interviste che Noemi Letizia concede. Noemi così ricostruisce il suo legame affettivo con il presidente del Consiglio: "Mi vuole bene come a un figlia. E anch'io, noi tutti gli siamo molto legati". (Repubblica, 29 aprile) Al Corriere del Mezzogiorno, il 28 aprile, consegna dettagli chiave. "[Berlusconi, papi] mi ha allevata (...) E' un amico di famiglia. Dei miei genitori (...) non mi ha fatto mai mancare le sue attenzioni. Un anno [per il mio compleanno], ricordo, mi ha regalato un diamantino. Un'altra volta, una collanina. Insomma, ogni volta mi riempie di attenzioni. (...) Lo adoro. Gli faccio compagnia. Lui mi chiama, mi dice che ha qualche momento libero e io lo raggiungo. Resto ad ascoltarlo. Ed è questo che desidera da me. Poi, cantiamo assieme. (...) Quando vado da lui ha sempre la scrivania sommersa dalle carte. Dice che vorrebbe mettersi su una barca e dedicarsi alla lettura. Talvolta è deluso dal fatto che viene giudicato male, gli spiego che chi lo giudica male non guarda al di là del proprio naso. Nessuno può immaginare quanto papi sia sensibile. Pensi che gli sono stata vicinissima quando è morta, di recente, la sorella Maria Antonietta. Gli dicevo che soltanto io potevo capire il suo dolore. (...) [Da grande vorrò fare] la showgirl. Mi interessa anche la politica. Sono pronta a cogliere qualunque opportunità. (...) Preferisco candidarmi alla Camera, al parlamento. Ci penserà papi Silvio". Nel racconto di Noemi c'è la narrazione di un rapporto diretto, intenso con il presidente del Consiglio. Che le fa tre regali per il 16°, 17° e 18° compleanno. Quindi, si può concludere, Berlusconi ha conosciuto Noemi quindicenne. Nel loro rapporto non c'è alcun ruolo o presenza dei genitori. Noemi non vi fa alcun riferimento e non è corretta dalla madre, presente al colloquio con Angelo Agrippa del Corriere del Mezzogiorno. Berlusconi ha tentato di ridimensionare il legame con la minorenne: "Ho incontrato la ragazza due o tre volte, non ricordo, e sempre alla presenza dei genitori". I genitori non hanno ancora confermato le parole del premier. Durante l'incontro con il giornalista, la signora Anna Palumbo - madre di Noemi - interviene soltanto per specificare le circostanze in cui Berlusconi ha conosciuto suo marito, Benedetto "Elio" Letizia. Dice: "[Berlusconi] ha conosciuto mio marito ai tempi del partito socialista. Ma non possiamo dire di più". Noemi non è così evasiva quando affronta una delle questioni decisive per questa storia. E' addirittura esplicita. Ella ritiene di poter ottenere da Berlusconi l'opportunità di fare spettacolo o, in alternativa, di essere eletta in parlamento. Televisione o scranno a Montecitorio. Le aspettative di Noemi, sollecitate dalle attenzioni (o promesse) di Berlusconi, sono in linea con le riflessioni critiche di farefuturo, il think tank di Gianfranco Fini ("Le donne non sono gingilli") e della signora Lario ("Ciarpame senza pudore"). Quando e dove e come si sono conosciuti Berlusconi e Benedetto Letizia è un altro enigma di questa storia che raccoglie versioni successive e contraddittorie. A Varsavia Berlusconi dice: "[Benedetto] lo conosco da anni, è un vecchio socialista ed era l'autista di Craxi". (Ansa, 29 aprile, 16:34) Quando la circostanza è subito negata da Bobo Craxi ("Cado dalle nuvole. L'autista di mio padre si chiamava Nicola, era veneto, ed è morto da qualche anno", Ansa, 29 aprile, 16:57), Palazzo Chigi con un imbarazzato ritardo di venti ore, smentisce a sua volta: "Si rileva che il presidente Berlusconi non ha mai detto che il signor Letizia fosse autista dell'on. Bettino Craxi" (Ansa, 30 aprile, 12:30). Dal suo canto, Letizia non vuole ricordare in pubblico come e dove e quando ha conosciuto Berlusconi. Chi lo interroga raccoglie soltanto parole vuote. "Volete sapere come ho conosciuto Berlusconi? Va bene, ve lo dico, però allora vi racconto anche come ho conosciuto tutte le persone che conosco...". (Corriere, 10 maggio) In qualche altra occasione, il rifiuto di Letizia a raccontare il primo incontro con il futuro premier è ancora più categorico: "Non ho alcuna intenzione di farlo" (Oggi, in edicola il 6 maggio) Anche Noemi non ha voglia di offrire rievocazioni: "Non ricordo i particolari [di come è nato il contatto familiare], queste cose ai miei genitori non le ho chieste. Non è che si siano incrociati sul lavoro: mio padre è un dipendente comunale...". (Repubblica, 29 aprile) Un ricordo vivo del primo incontro tra Berlusconi e Letizia sembra averlo Arcangelo Martino, un ex assessore socialista al comune di Napoli, oggi vicino al partito del presidente del Consiglio. "Fra il 1987 e il 1993 sono stato grande amico di Bettino Craxi. Tutti i mercoledì andavo a trovarlo a Roma all'hotel Raphael, una consuetudine. Mi accompagnava sempre qualcuno del mio staff e quel qualcuno era quasi sempre Elio Letizia (...) Parecchie volte è capitato che al Raphael ci fosse Silvio Berlusconi. E' lì che ho presentato i due che poi hanno fatto amicizia". (Corriere della sera, 10 maggio). Il ricordo di Arcangelo Martino è sconfessato con nettezza ancora una volta da Bobo Craxi. "Escludo categoricamente che il signor Letizia fosse un habitué dell'hotel Raphael (...) Lo stesso Martino credo che sia passato qualche volta a salutare mio padre". (Repubblica, 11 maggio) Chiara anche la smentita di uomini che furono accanto al leader socialista: Gianni De Michelis ("Mai sentito nominare Letizia"); Gennaro Acquaviva ("Mai sentito nominare Letizia, neanche dai napoletani"); Giulio Di Donato ("Questo signor Letizia, nel panorama napoletano e campano dei socialisti, non esisteva, a mia memoria"). Ancora più efficace la contestazione di Stefano Caldoro: "Proprio nei primi anni novanta, abitavo al Raphael tutte le volte che mi fermavo a Roma. Si scherzava sulla intraprendenza di Martino (...) ma escludo categoricamente di aver mai visto e sentito che questo Letizia venisse presentato a Craxi. Perché mai l'avrebbero dovuto presentare? Non era un dirigente, non era un esponente del sociale, non era un militante" (Ancora Repubblica, 11 maggio 2009). L'occasione dell'incontro tra Berlusconi e Letizia è ancora da chiarire. Come i tempi della decisione del presidente del Consiglio di partecipare alla festa di compleanno di Noemi. Al Corriere della sera, 4 maggio, così Berlusconi ha spiegato la sua presenza a Napoli: "Racconto come è andata veramente. Quel giorno mi telefona il padre, un mio amico da tanti anni. E quando sa che in serata sarei stato a Napoli, per controllare lo stato di avanzamento del progetto per il termovalorizzatore, insiste perché passi almeno un attimo al compleanno della figlia. La casa è vicina all'aeroporto. Non molla. Io non so dir di no. Eravamo in anticipo di un'ora e ci sono andato. Nulla di strano, è accaduto altre volte per compleanni e matrimoni". Berlusconi, dunque, partecipa alla festa per un atto di affetto nei confronti di Elio Letizia. Non si parla di Noemi né di altra necessità politica o urgenza di altra natura. Diversa la versione offerta, lo stesso giorno (4 maggio) alla Stampa: "Suo padre, che conoscevo da tempo, mi ha telefonato per chiedermi se lasciavo fuori Martusciello (Flavio, consigliere regionale del PdL) dalle liste per le Europee, io gli ho spiegato che avrei cercato di mettere sia l'ex-questore Malvano (Franco, già candidato a sindaco di Napoli) sia Martusciello e che stavo arrivando a Napoli per dare una spinta ai contratti per i nuovi termovalorizzatori che sono frenati dalla burocrazia. A quel punto lui mi ha interrotto e mi ha detto: "Stavi venendo a Napoli? Io stasera festeggio il diciottesimo compleanno di Noemi, perché non vieni con un brindisi, lo facciamo in un locale poco distante dall'aeroporto. Ti prego vieni sarebbe il più bel regalo della mia vita". Così ci sono andato...". Berlusconi aggiunge qualche dettaglio in più nel solco di questa versione, il 5 maggio, durante Porta a Porta: "Ero al salone del Mobile della Fiera di Rho, imbarazzato per i cori "Meno male che Silvio c'è”, "Magico" e il capitano dell'elicottero mi ha detto che era in arrivo entro mezz'ora un temporale che ci avrebbe costretto ad andare in macchina a Linate. Per questo siamo partiti in anticipo e [visto il tempo a disposizione, prima di] una riunione politica che avevo in serata [con il ristorante a soli tre minuti dall'aeroporto] sono entrato..." Anche questa ricostruzione trova delle evidenze che la contraddicono. Berlusconi giunge a Napoli con un regalo per Noemi, "cerchi concentrici in oro rosa arricchiti da una cascata di diamanti bianchi montati su oro bianco, 6mila euro, il ciondolo è anche nella collezione di Sophia Loren" (Gente, 19 maggio). Si è molto discusso di questa circostanza che, al contrario, non pare molto significativa: il presidente potrebbe aver a bordo del suo aereo dei cadeaux da distribuire secondo necessità. Più interessante è che l'aereo di Berlusconi giunga a Napoli con un'ora di anticipo rispetto all'inizio della festa e il presidente attenda nell'aeromobile per un'ora prima di muoversi ed entrare "cinque minuti dopo l'arrivo in sala di Noemi" (Annozero, 7 maggio). Secondo la testimonianza di un fotografo, ingaggiato dal patron del ristorante "Villa Santa Chiara", si sapeva da sabato 25 aprile dell'arrivo del premier e, in ogni caso, la "bonifica" della sala da parte della polizia è stata predisposta già nella mattinata, "alle 15", per alcune fonti del Dipartimento di sicurezza. (Repubblica, 9 maggio). Sembra di poter dire che non c'è stato alcun cambio di programma a Rho nel tardo pomeriggio di domenica 26 aprile. La partecipazione alla festa di Noemi era già nell'agenda del presidente da giorni, come dimostrano la "bonifica", l'attesa in aereo, l'arrivo nel ristorante subito quasi contestualmente all'ingresso della diciottenne come per un copione precedentemente preparato. C'è un'ultima contraddizione da sciogliere. La scelta o indicazione delle "veline" da candidare è stata opera di Berlusconi? A Porta a Porta, 5 maggio, il presidente del Consiglio sostiene di non aver messo becco nella candidature europee: "Le candidature per le Europee non sono state gestite direttamente dal premier. Ad occuparsene sono stati i tre coordinatori del PdL Bondi, La Russa e Verdini che "da migliaia di segnalazioni sono giunti a 500 schede" per individuare i 72 candidati si sono orientati secondo le indicazioni del congresso, spazio ai giovani e alla donne. Tra questi candidati nessuna è qualificabile come velina" (resoconto delle parole del premier a Porta a porta, 5 maggio, tratto dal Giornale, 6 maggio). Berlusconi ammette però di avere discusso con Elio Letizia (non è un dirigente del PdL né, che si sappia, un iscritto al partito) le candidature di Malvano e Martusciello e per farlo lo raggiunge addirittura a Napoli alla festa di sua figlia. La circostanza appare contraddittoria e, senza altre spiegazioni, inverosimile. Il rosario di incoerenze che si incardina sulla questione politica posta da farefuturo e dalla signora Lario (come Berlusconi seleziona le classi dirigenti) sollecita di rivolgere a Berlusconi dieci domande: 

1. Quando e come Berlusconi ha conosciuto il padre di Noemi Letizia, Elio? 

2. Nel corso di questa amicizia, che il premier dice "lunga", quante volte si sono incontrati e dove e in quale occasioni?

3. Ogni amicizia ha una sua ragione, che matura soprattutto nel tempo e in questo caso - come ammette anche Berlusconi - il tempo non è mancato. Come il capo del governo descriverebbe le ragioni della sua amicizia con Benedetto Letizia? 

4. Naturalmente il presidente del Consiglio discute le candidature del suo partito con chi vuole e quando vuole. Ma è stato lo stesso Berlusconi a dire che non si è occupato direttamente della selezione dei candidati, perché farlo allora con Letizia, peraltro non iscritto né militante né dirigente del suo partito né cittadino particolarmente influente nella società meridionale? 

5. Quando Berlusconi ha avuto modo di conoscere Noemi Letizia? 

6. Quante volte Berlusconi ha avuto modo di incontrare Noemi e dove? 

7. Berlusconi si occupa dell'istruzione, della vita e del futuro di Noemi. Sostiene finanziariamente la sua famiglia?

8. E' vero, come sostiene Noemi, che Berlusconi ha promesso o le ha lasciato credere di poter favorire la sua carriera nello spettacolo o, in alternativa, l'accesso alla scena politica e questo "uso strumentale del corpo femminile", per il premier, non "impoverisce la qualità democratica di un paese" come gli rimproverano personalità e istituzioni culturali vicine al suo partito? 

9. Veronica Lario ha detto che il marito "frequenta minorenni". Al di là di Noemi, ci sono altre minorenni che il premier incontra o "alleva", per usare senza ironia un'espressione della ragazza di Napoli? 

10. Veronica Lario ha detto: "Ho cercato di aiutare mio marito, ho implorato coloro che gli stanno accanto di fare altrettanto, come si farebbe con una persona che non sta bene. E' stato tutto inutile". Geriatri (come il professor Gianfranco Salvioli, dell'Università di Modena) ritengono che i comportamenti ossessivi nei confronti del sesso, censurati da Veronica Lario, potrebbero essere l'esito di "una degenerazione psicopatologica di tratti narcisistici della personalità". Quali sono le condizioni di salute del presidente del Consiglio? 

La sentenza: "Lecite le dieci domande di Repubblica a Berlusconi". Anche in appello i giudici danno torto al leader di Forza Italia: "Fondate su fatti veri, strano se nessuno le avesse fatte", scrive Liana Milella il 4 settembre 2016 su "La Repubblica". "Lecite". "Fondate su fatti veri". Motivate "dal pubblico interesse dei cittadini a conoscere di quale reputazione godesse all'estero Berlusconi quando era a capo del governo". In quegli anni - siamo nel giugno 2009 quando Giuseppe D'Avanzo, su Repubblica, pone all'allora premier le famose 10 domande sui casi Noemi e Ruby - "sarebbe stato strano se, alla luce di ciò che stava accadendo, nessuno le avesse fatte". Di più: quelle domande rispondevano "a un interesse di rango elevato, sicuramente tutelato dalla Costituzione, perché avevano come oggetto notizie che potevano concorrere a definire le scelte politiche individuali". I giudici della Corte di Appello di Roma - il presidente Roberto Reali, i consiglieri Lucio Bochicchio e Riccardo Scaramuzzi - danno ragione a Repubblica e torto a Berlusconi che aveva chiesto un milione di euro per la pubblicazione "reiterata e ossessiva" delle 10 domande e per un articolo di Giampiero Martinotti che raccontava come i giornali stranieri (Nouvel Observateur, Independent, Figaro, Daily Telegraph) descrivessero "il libidinoso Silvio". In una sentenza motivata in 11 pagine il collegio rigetta l'appello del capo dell'allora Pdl e conferma la sentenza di primo grado favorevole a Repubblica. Le tesi di Berlusconi vengono bocciate come del tutto infondate, sia in fatto che in diritto. Fu una grande battaglia di cronaca politica quella del 2009, quando, proprio grazie a Repubblica, prima si scoprì che Berlusconi aveva partecipato alla festa di compleanno dell'allora diciottenne Noemi Letizia, e poi arrivarono le durissime parole di Veronica Lario, moglie del premier, che annunciava di "non poter stare con un uomo che frequenta minorenni". Qualche mese ed ecco esplodere a Milano il caso Ruby, la giovane protagonista delle feste ad Arcore del Cavaliere, e a Bari il caso D'Addario, con le rivelazioni della escort portata a Roma dall'imprenditore Tarantini per altre feste di Silvio. In quel contesto nascono le 10 domande che, scrivono adesso i giudici romani, "non erano spuntate dal nulla, ma nascevano da avvenimenti assolutamente veri che rendevano leciti i dubbi alla base delle stesse domande". Un contesto che "abilitava qualsiasi giornalista, soprattutto se dedito alla cronaca politica, a formulare al primo ministro i quesiti in questione". Berlusconi, nella sua azione civile, bolla quelle domande come "capziose e suggestive". Ma l'ex premier ha torto perché, come scrivono i giudici, "è lecito che una testata giornalistica reiteri domande su circostanze di grande importanza anche politica sul personaggio che guida la nazione". Nessuna responsabilità, ma anzi un merito, per Ezio Mauro, che in quegli anni dirigeva Repubblica, e che Berlusconi ha citato in giudizio. Ha fatto il suo mestiere come Martinotti quando ha riferito le critiche della stampa straniera, non inventandosi nulla ma riferendo puntualmente i contenuti di quegli articoli e ha dato conto di "un giudizio che veramente si stava diffondendo sul capo del governo italiano sulle pubblicazioni estere". In una parola, Repubblica ha fatto corretta cronaca politica, quindi non ha colpe di sorta verso Berlusconi.

Berlusconi risponde alle 10 domande. Affidata a Vespa la replica a Repubblica. Nel libro di Vespa, Berlusconi replica ai dieci quesiti con cui da mesi il giornale di De Benedetti cerca di delegittimarlo. Mai frequentato minorenni, ho una salute di ferro e non sono ricattabile. Mai pensato al Quirinale, meglio Gianni Letta, scrive Vincenzo La Manna, Venerdì 6/11/2009, su “Il Giornale”. Uno, due, tre, quattro... centotrentadue giorni. Uno dopo l’altro. Un tormentone in atto dal 26 giugno, che risparmia le edicole solo il 16 agosto: causa «stop alle rotative» nel dì di Ferragosto. Ma tant’è. Una, due, tre... dieci domande. Parliamo degli ormai arcinoti quesiti di Repubblica, rivolti ogni santa mattina a Silvio Berlusconi, con tanto di manchette in bella vista sull’edizione cartacea. Un martellamento strategico, a corredo di un attacco mediatico sulla vita privata del premier, portato avanti da inizio estate dal quotidiano di Ezio Mauro. Ebbene, forse ci siamo, forse sarà presto acqua passata. Chissà. Perché il Cavaliere, se non a tutti, quantomeno a otto punti interrogativi su dieci, in realtà, ha già risposto. A Bruno Vespa però - come anticipato nei giorni scorsi da Dagospia -, per il suo Donne di cuori, da oggi in libreria. E non certo direttamente al giornale di largo Fochetti, che ha citato in giudizio proprio per quelle domande, considerate «retoriche e palesemente diffamatorie», riproposte di continuo. Già. «Berlusconi risponde di fatto a quasi tutte le domande che gli erano state rivolte nei mesi scorsi da Repubblica», fa sapere l’autore del libro in uscita oggi. Che non a caso aggiunge: «Il presidente del Consiglio non ha ritenuto opportuno un dialogo, sia pure mediato, con il quotidiano romano», ecco perché Vespa ha «riformulato alcune domande che erano state peraltro via via rilanciate anche da esponenti dell’opposizione». Ecco, di seguito, il virtuale botta e risposta a distanza. 

1) Quando ha avuto modo di conoscere Noemi Letizia? Quante volte ha avuto modo di incontrarla e dove? Ha frequentato o frequenta altre minorenni? «Non avuto alcuna relazione con la signorina Noemi e a riguardo si sono dette e scritte soltanto calunnie», ribadisce subito il premier, stoppando così la polemica nata per la sua partecipazione alla festa di Casoria, organizzata per festeggiare i suoi diciotto anni. Vespa, tra l’altro, ricorda che il libro «ricostruisce le quattro occasioni in cui il presidente del Consiglio ha detto di aver visto la ragazza napoletana, sempre in presenza di altre persone». A seguito del clamore mediatico, la moglie del capo del governo, Veronica Lario, annunciò la richiesta di divorzio. 

2) Qual è la ragione che l’ha costretta a non dire la verità per due mesi, fornendo quattro versioni diverse per la conoscenza di Noemi? In Donne di cuori non vi sarebbe alcuna risposta a riguardo. Non si sa se Vespa abbia o no formulato questa domanda. 

3) Non trova grave che lei abbia ricompensato con candidature e promesse di responsabilità le ragazze che la chiamano “papi”? «Non posso trovare grave ciò che non esiste. Ho proposto incarichi di responsabilità soltanto a donne con un profilo morale, intellettuale, culturale e professionale di alto livello». Un punto fermo, questo, rilanciato più volte, a onor del vero, anche durante la campagna elettorale per le elezioni Europee.

4) Lei si è intrattenuto con una prostituta la notte del 4 novembre 2008. Sono decine le “squillo”, secondo le indagini, condotte nelle sue residenze. Sapeva fossero prostitute? «Sulla D’Addario debbo ribadire che c’era una cena con molte persone organizzata dalle militanti dei club “Forza Silvio” e “Meno male che Silvio c’è”. All’ultimo momento ci si infilò anche Tarantini con due sue ospiti». (In una precedente anticipazione del libro, il Cavaliere aveva risposto così). 

5) È capitato che “voli di Stato” senza la sua presenza a bordo, abbiano condotto nelle sue residenze le ospiti delle sue festicciole? «La magistratura ha già archiviato la pratica al riguardo ed io non ho mai utilizzato “voli di Stato” in modo non lecito», è la replica affidata al conduttore di Porta a porta, che ricorda come il presidente del Consiglio «fu anche sospettato di aver messo a disposizione di persone invitate alle sue cene in Sardegna aerei di Stato senza la sua presenza». E poi, aggiunge Berlusconi, «ho cinque aerei privati che posso utilizzare in qualunque momento».

6) Può dirsi certo che le sue frequentazioni non abbiano compromesso gli affari di Stato? Può rassicurare il Paese che nessuna donna, sua ospite, abbia oggi in mano armi di ricatto? «La risposta vale per oggi come per il passato, in quanto io non mi sono mai lasciato ricattare da nessuno, né mi sono mai comportato in modo per cui un simile evento si potesse verificare. Quando nei miei confronti sono state avanzate richieste che secondo il giudizio mio e dei miei legali si configuravano come ricattatorie (vedi il caso Zappadu, ndr), mi sono immediatamente rivolto all’autorità giudiziaria». Tanto per essere chiari, come già fatto trapelare martedì, «nessuno dispone di “armi di ricatto” nei miei confronti». 

7) Le sue condotte sono in contraddizione con le sue politiche: lei oggi potrebbe ancora partecipare al Family Day o firmare una legge che punisce il cliente di una prostituta? Anche in questo caso, come al punto 2, il quesito rimane al momento inevaso. Non si sa se il giornalista abbia o no formulato una domanda simile. 

8) Lei ritiene di potersi ancora candidare alla presidenza della Repubblica? E, se lo esclude, ritiene di poter adempiere alla funzione di presidente del Consiglio? «Non ho mai pensato di candidarmi alla presidenza della Repubblica», riferisce Berlusconi, pronto invece a rilanciare il nome del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta, come avvenuto più volte in passato. «Come molti ricorderanno - prosegue nel corso dell’intervista per il libro di Vespa - ho ripetutamente indicato a titolo di suggerimento, affinché dal Parlamento possa essere compiuta la scelta migliore, un candidato che ritengo sia il migliore in assoluto». 

9) Lei ha parlato di un «progetto eversivo» che la minaccia. Può garantire di non aver usato né di voler usare intelligence e polizie contro testimoni, magistrati, giornalisti? «I violenti attacchi contro di me, sempre avulsi da ogni attinenza alla realtà e frutto solo di preconcetta ostilità, sono sotto gli occhi di tutti. Ma non ho certo mai pensato di impiegare queste risorse contro alcuno. Solo menti distorte e disoneste possono pormi una simile domanda, immaginandosi comportamenti che probabilmente sarebbero i loro se si trovassero al mio posto». 

10) Alla luce di quanto emerso in questi mesi, quali sono, signor presidente, le sue condizioni di salute? «A questa domanda rispondono i fatti. Da quella data a oggi le mie condizioni di salute, a parte un fastidioso torcicollo ormai debellato e la scarlattina che ho avuto a fine ottobre, sono infatti quelle che mi hanno permesso di proseguire e completare sedici mesi di fittissimi impegni, che per brevità così riassumo: 170 incontri internazionali, 25 vertici multilaterali, 9 vertici bilaterali, 80 conferenze stampa, 66 consigli dei ministri, 91 interventi e discorsi pubblici a braccio. Cosa avrei fatto se non fossi stato ammalato?».

«Facciamo un po’ di sana provocazione estremista, quelle che mandano in bestia tutti e specialmente nella sinistra codarda moralmente. Basta con la favola del povero Sud angariato dalla malavita cui è estraneo. Il Sud è esso stesso il terreno di coltura e della complicità con la malavita, mafia, camorra e ‘ndrangheta (senza trascurare la Sacra Corona Unita pugliese) e ovunque il Sud sia emigrato nel mondo, dalla Lombardia all’Australia, dall’Argentina agli Stati Uniti, là ha portato anche (non soltanto, ma anche) le uova della mafia. Oggi la mafia organizza e promuove turpi fiaccolate antimafia e così facendo si protegge coperta da una sinistra codarda moralmente, incapace di denunciare lo stato delle cose e che preferisce fingere che la colpa sia sempre di altri. Così la mafia stravince e controlla l’Italia. L’appuntato D’Avanzo a domanda NON risponde.»

Giornalisti, la Corte d’appello di Roma conferma: «Le 10 domande di Repubblica a Berlusconi erano lecite». Fnsi.it il 5 Set 2016.Le 10 domande di Repubblica a Berlusconi erano lecite, fondate su fatti veri e motivate dal pubblico interesse. Lo ha confermato la Corte d’appello di Roma dando ragione al quotidiano all'epoca diretto da Ezio Mauro. L’allora premier aveva chiesto un milione di euro di danni per la pubblicazione «reiterata e ossessiva» delle 10 domande e per un articolo di Giampiero Martinotti. Le 10 domande di Repubblica a Berlusconi erano lecite, fondate su fatti veri e motivate dal pubblico interesse dei cittadini. Lo ha confermato la Corte d’appello di Roma dando ragione al quotidiano all’epoca diretto da Ezio Mauro. L’allora premier aveva chiesto un milione di euro di danni per la pubblicazione «reiterata e ossessiva» delle 10 domande e per un articolo del collega Giampiero Martinotti. I fatti risalgono al 2009. Giuseppe D'Avanzo, su Repubblica, pone all'allora premier le famose 10 domande sui casi Noemi e Ruby. Il quotidiano del gruppo L’Espresso aveva da poco pubblicato gli articoli sulla presenza di Berlusconi al compleanno della diciottenne Noemi Letizia, la lettera dell’allora moglie del premier, Veronica Lario, i casi Ruby e D’Addario. Quelle 10 domande, scrivono i giudici romani, «non erano spuntate dal nulla, ma nascevano da avvenimenti assolutamente veri che rendevano leciti i dubbi alla base delle stesse domande». Un contesto che «abilitava qualsiasi giornalista, soprattutto se dedito alla cronaca politica, a formulare al primo ministro i quesiti in questione». E rigettando la richiesta di danni avanzata dai legali di Berlusconi, la Corte, confermando il giudizio di primo grado, ribadisce: «È lecito che una testata giornalistica reiteri domande su circostanze di grande importanza anche politica sul personaggio che guida la nazione». Le 10 domande a Berlusconi, una pagina di buon giornalismo.  Raffaele Lorusso il 5 Set 2016.La sentenza con cui la Corte d’Appello di Roma ha confermato il rigetto del ricorso di Silvio Berlusconi contro Repubblica per le dieci domande che gli vennero rivolte con insistenza nei giorni degli scandali a sfondo sessuale in cui fu coinvolto l’ex premier rafforza il diritto di cronaca. E manda un messaggio chiaro ai professionisti delle querele e delle azioni temerarie: in presenza di un interesse pubblico alla conoscenza di determinati fatti è lecito, anzi doveroso, che un giornalista rivolga domande e pubblichi notizie con dovizia di particolari. La tesi dei legali dell’ex premier, secondo cui quelle domande erano "capziose e suggestive", è stata smontata dai giudici della Corte d’Appello di Roma con motivazioni che ribadiscono il rilievo costituzionale del dovere dei giornalisti di informare e del diritto dei cittadini ad essere informati. Non v’era alcun dubbio già nei giorni degli scandali – e la sentenza della Corte d’Appello di Roma ne è ora la conferma – che quelle dieci domande all’ex premier, formulate dal compianto Giuseppe D’Avanzo, fossero dettate dal dovere deontologico di mettere l’opinione pubblica nelle condizioni di fare chiarezza sui comportamenti dell’allora capo del governo (non un cittadino qualunque) e sulle possibili ricadute di quegli atti sull’azione dell’esecutivo e sull’immagine del nostro Paese. Conoscere fatti, circostanze e situazioni era infatti un passaggio essenziale per consentire ai cittadini di formarsi un’opinione e di essere in grado di esercitare, attraverso il suffragio universale, quella sovranità che viene loro assegnata dalla Costituzione. Altro che campagna mediatica. L’insistenza con cui l’allora direttore di Repubblica, Ezio Mauro, ripropose quelle domande, alle quali l’ex premier si sottrasse, fu una pagina di buon giornalismo perché finalizzato a tutelare il diritto dei cittadini ad essere informati. Indipendentemente dalla possibilità che l’ex Cavaliere faccia ricorso in Cassazione, i principi affermati dai giudici della Corte d’Appello di Roma sono destinati a fare giurisprudenza. Innanzitutto perché nella sentenza si dice chiaramente che il diritto dei giornalisti di informare e il diritto dei cittadini ad essere informati sono pilastri di ogni democrazia e – in presenza di un interesse pubblico alla conoscenza- prevalgono anche sul diritto alla privacy, soprattutto se ad essere coinvolti sono personaggi pubblici. Ugualmente rilevante è il messaggio che viene mandato a chi crede di poter intimidire giornalisti ed editori con richieste di risarcimento danni milionarie. Berlusconi aveva chiesto a Repubblica un milione di euro. I giudici gli hanno dato torto. Il passaggio necessario per chiudere il cerchio sarebbe dovuto essere – in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo - la condanna di chi ha promosso l’azione rivelatasi temeraria ad una sanzione pecuniaria proporzionale all’entità del risarcimento richiesto. La mancanza di una norma ad hoc continua a favorire i professionisti della querela perché questi ultimi sanno di non rischiare praticamente nulla. È un vuoto normativo che – come la Federazione nazionale della Stampa italiana chiede da tempo – il Parlamento deve colmare al più presto. Da Articolo21.org

La sentenza: "Lecite le dieci domande di Repubblica a Berlusconi". LIANA MILELLA su La Repubblica il 4 Settembre 2016.

 "Lecite". "Fondate su fatti veri". Motivate "dal pubblico interesse dei cittadini a conoscere di quale reputazione godesse all'estero Berlusconi quando era a capo del governo". In quegli anni - siamo nel giugno 2009 quando Giuseppe D'Avanzo, su Repubblica, pone all'allora premier le famose 10 domande sui casi Noemi e Ruby - "sarebbe stato strano se, alla luce di ciò che stava accadendo, nessuno le avesse fatte". Di più: quelle domande rispondevano "a un interesse di rango elevato, sicuramente tutelato dalla Costituzione, perché avevano come oggetto notizie che potevano concorrere a definire le scelte politiche individuali".

I giudici della Corte di Appello di Roma - il presidente Roberto Reali, i consiglieri Lucio Bochicchio e Riccardo Scaramuzzi - danno ragione a Repubblica e torto a Berlusconi che aveva chiesto un milione di euro per la pubblicazione "reiterata e ossessiva" delle 10 domande e per un articolo di Giampiero Martinotti che raccontava come i giornali stranieri (Nouvel Observateur, Independent, Figaro, Daily Telegraph) descrivessero "il libidinoso Silvio". In una sentenza motivata in 11 pagine il collegio rigetta l'appello del capo dell'allora Pdl e conferma la sentenza di primo grado favorevole a Repubblica . Le tesi di Berlusconi vengono bocciate come del tutto infondate, sia in fatto che in diritto.

Fu una grande battaglia di cronaca politica quella del 2009, quando, proprio grazie a Repubblica, prima si scoprì che Berlusconi aveva partecipato alla festa di compleanno dell'allora diciottenne Noemi Letizia, e poi arrivarono le durissime parole di Veronica Lario, moglie del premier, che annunciava di "non poter stare con un uomo che frequenta minorenni". Qualche mese ed ecco esplodere a Milano il caso Ruby, la giovane protagonista delle feste ad Arcore del Cavaliere, e a Bari il caso D'Addario, con le rivelazioni della escort portata a Roma dall'imprenditore Tarantini per altre feste di Silvio. In quel contesto nascono le 10 domande che, scrivono adesso i giudici romani, "non erano spuntate dal nulla, ma nascevano da avvenimenti assolutamente veri che rendevano leciti i dubbi alla base delle stesse domande". Un contesto che "abilitava qualsiasi giornalista, soprattutto se dedito alla cronaca politica, a formulare al primo ministro i quesiti in questione".

Berlusconi, nella sua azione civile, bolla quelle domande come "capziose e suggestive". Ma l'ex premier ha torto perché, come scrivono i giudici, "è lecito che una testata giornalistica reiteri domande su circostanze di grande importanza anche politica sul personaggio che guida la nazione". Nessuna responsabilità, ma anzi un merito, per Ezio Mauro, che in quegli anni dirigeva Repubblica , e che Berlusconi ha citato in giudizio. Ha fatto il suo mestiere come Martinotti quando ha riferito le critiche della stampa straniera, non inventandosi nulla ma riferendo puntualmente i contenuti di quegli articoli e ha dato conto di "un giudizio che veramente si stava diffondendo sul capo del governo italiano sulle pubblicazioni estere".

In una parola, Repubblica ha fatto corretta cronaca politica, quindi non ha colpe di sorta verso Berlusconi.

CASO MITROKHIN: DA PAOLO GUZZANTI 10 DOMANDE A "LA REPUBBLICA". 10 DOMANDE 10 A GIUSEPPE D’AVANZO, PER VEDERE L’EFFETTO CHE FA. Tre anni fa moriva a Londra Alexander Litvinenko. “La Repubblica” organizzò una serie di interviste devastanti che risultarono poi false e smentite dagli intervistati ancora vivi (Bukovsky e Gordievsky), scrive Paolo Guzzanti il 22 novembre 2009. Quanto a Litvinenko non poté smentire nulla, benché la pretesa intervista fosse vecchia di quasi due anni, perché era appena morto. D’Avanzo da allora impartisce severe lezioni di etica giornalistica nel suo buffo italiano ed è l’autore del tormentone delle 10 domande a Berlusconi su “papi” e Casoria. Ora, a tre anni dalla doppia tragedia che vide l’assassinio sia di Alexander Litvinenko che della Commissione Mitrokhin, Paolo Guzzanti e Gabriele Paradisi pongono le loro 10 domande a D’Avanzo. E vogliono vedere se il severo moralista reagirà comportandosi come Silvio Berlusconi, tacendo e facendo finta di niente, oppure se risponderà seguendo i propri sbandierati canoni etici. Siamo curiosi. (Adnkronos 22 novembre 2009) – A tre anni dalla morte di Alexander Litvinenko avvenuta a Londra il 23 novembre 2006, l’ex presidente della Commissione parlamentare Mitrokhin, Paolo Guzzanti, autore di "Il mio agente Sasha", e Gabriele Paradisi, blogghista e autore del libro inchiesta "Periodista, dì la verdad", pongono sul blog “Rivoluzione Italiana” (paologuzzanti.it) – dieci domande a Giuseppe D’Avanzo di Repubblica. “Nelle domande da noi poste a D’Avanzo -spiega Guzzanti- si documenta che le interviste pubblicate su Repubblica tre anni fa e sulle quali si è fondato il massacro della Commissione Mitrokhin, sono state smentite dagli intervistati (senza che i lettori di Repubblica ne sapessero nulla) e quella a Litvinenko, raccolta due anni prima ma pubblicata dopo la sua morte, è’ priva di qualsiasi elemento di autenticità”.

Dieci domande a Giuseppe D’Avanzo di Repubblica. È giunto il tempo, tre anni dopo, di tirare le somme. Bisogna annotare con cura le bugie ascoltate; interrogarsi sulle ragioni dei troppi silenzi; afferrare il filo rosso che da una storia [l’assassinio di Alexander Litivinenko] mi ha condotto a un’altra [le interviste di Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo a Alexandr Litvinenko, Evgenij Limarev, Oleg Gordievskij e Vladimir Bukovskij] e in un’altra ancora [la scoperta che di quelle interviste non esisteva registrazione audio] fino alla soglia di una quarta [le vibranti smentite degli intervistati mai pubblicate su “Repubblica”]. In tutto questo tempo Giuseppe D’Avanzo ha scritto una serie di articoli offrendo ai lettori lezioni di giornalismo e lamentandosi dello stato dell’informazione in Italia. Parole sante. Ecco, dopo aver letto pochi giorni fa l’ennesima lezione di giornalismo, animato dalla sua stessa ricerca di verità e trasparenza, vorrei porre anch’io 10 quesiti a Giuseppe D’Avanzo.

Premessa. Carlo Bonini e Giuseppe D’Avanzo, a partire dal 26 novembre 2006, ovvero tre giorni dopo la tragica morte di Aleksandr Litvinenko, avvelenato con una dose di polonio 210 il 1º novembre, furono gli autori di una serie di articoli pubblicati su Repubblica incentrati sulla morte del defezionista russo riparato in Gran Bretagna e sulla Commissione parlamentare d’inchiesta concernente il “dossier Mitrokhin” e l’attività d’intelligence italiana, che aveva indagato dal luglio 2002 al marzo 2006 sulle attività dei servizi dell’est nel nostro paese. Se l’archivio online di Repubblica non m’inganna, non risulta che prima di quella data i due giornalisti di punta del quotidiano romano si fossero mai occupati della vicenda Mitrokhin e dei lavori della relativa Commissione parlamentare. Tant’è. Il primo articolo, un colloquio con Alexandr Litvinenko risalente al 3 marzo 2005, è introdotto dalla precisazione che “per espressa volontà dell’ex colonnello, [l'incontro] è interamente “on the record”. Eccone la trascrizione”. Tuttavia, come Carlo Bonini ebbe a scrivermi per e-mail “L’intervista non venne incisa su nastro ma da me “stenografata” e quindi trascritta integralmente il giorno stesso sul mio computer portatile”: in poche parole non era “on the record”, non esisteva un testo scritto controfirmato da Alexandr Litvinenko, non erano riportate nemmeno le domande poste all’intervistato. Tutto questo contrariamente alle abitudini di Bonini e D’Avanzo, i quali, in una deposizione di fronte ai magistrati torinesi il 20 febbraio 2001 riguardante la vicenda Telekom Serbija, avevano spiegato il loro “metodo” di lavoro abituale impiegato nelle vicende di una certa delicatezza. Queste le parole esatte: «In effetti, secondo il nostro metodo, la registrazione, avvenuta in Belgrado il 12 febbraio, venne trascritta, venne redatta l’intervista che era naturalmente fedele al testo registrato e venne poi inviata all’intervistato, data la delicatezza della questione» (il Giornale, 29 settembre 2003). Non solo, nei virgolettati riferibili alle parole di Litvinenko si riscontrano alcune evidenti incongruenze: Litvinenko dichiara di non aver “mai sentito parlare di Prodi”: falso. Ne aveva sentito parlare dal generale Anatolij Trofimov nel 2000 e, oltre ad averne parlato con diverse persone, lo riferì addirittura in un video nel febbraio 2006 e lo scrisse di suo pugno in russo il 13 gennaio 2004. Litvinenko dichiara di aver deciso di concedere quell’intervista perché deluso dal fatto che “sul giornale di Berlusconi” era apparso il suo nome come collaboratore della “Commissione Mitrokhin”: falso. Il fatto risale al 2006, e non al 2005, quando cioè Bonini e D’Avanzo dicono di aver intervistato Litvinenko. La seconda intervista, pubblicata su Repubblica lo stesso 26 novembre 2006, è ad Evgenij Limarev, anche questa risale al 2005 (21 e 22 febbraio). Limarev, come Litvinenko, era un contatto di Mario Scaramella e, secondo quanto dichiarato da lui stesso in seguito, era una fonte anche di Repubblica. L’intervista a Limarev conteneva accuse se possibile ancora più pesanti di quelle di Litvinenko, tanto che il ministro dell’Interno Giuliano Amato, il 27 novembre 2006, ordinò un’ispezione interna al suo Ministero per appurare se veramente agenti di polizia, carabinieri o funzionari del Sisde avessero mai collaborato illegalmente con il presidente della “Commissione Mitrokhin” Paolo Guzzanti. L’indagine del ministro Amato accertò la totale infondatezza delle accuse di Limarev e lo stesso Limarev, in una dichiarazione “on the record” raccolta da Paolo Guzzanti e pubblicata online, ritrattò buona parte di quelle affermazioni. C’è poi una terza intervista, pubblicata il 7 dicembre 2006, è al colonnello Oleg Gordievskij. Anche di questa intervista non esiste registrazione su nastro e anche in questo caso le parole attribuite a Gordievskij vennero seccamente smentite dall’interessato in una sua e-mail inviatami direttamente (e da me girata per conoscenza a Bonini e D’Avanzo). La Repubblica non ha mai dato notizia di questa smentita. La quarta ed ultima intervista della serie, pubblicata il 9 dicembre 2006, è quella a Vladimir Bukovskij. Anche di questa non esiste registrazione. Il 9 febbraio 2007 Vladimir Bukovskij inviò una lunga e-mail a Carlo Bonini, e per conoscenza anche a me, nella quale contestava punto per punto le affermazioni che Bonini e D’Avanzo gli avevano attribuito. La sua smentita non fu mai pubblicata. Infine, l’11 gennaio 2007, Bonini e D’Avanzo scrissero un articolo   intitolato: “Ecco il falso dossier su Prodi che Scaramella preparava a settembre”, nel quale si lasciava intendere che nel PC di Mario Scaramella, arrestato il 24 dicembre 2006 con l’accusa di calunnia nei confronti di un agente ucraino dell’SVR di nome Aleksandr Talik, fosse stato rinvenuto un file-dossier contro Romano Prodi realizzato dallo stesso Scaramella nel settembre 2006 (quindi a Commissione Mitrokhin chiusa). Emerse successivamente che quel documento in realtà era stato redatto da Evgenij Limarev e che Scaramella lo aveva salvato sul suo computer senza apporvi correzioni o aggiungervi considerazioni personali. In quello stesso articolo Bonini e D’Avanzo dichiararono “circostanza falsa” l’informazione contenuta nel file scritto da Limarev e recuperato dagli inquirenti sul PC di Scaramella secondo la quale loro avrebbero cominciato a raccogliere informazioni su Mario Scaramella e Paolo Guzzanti prima che Litvinenko fosse avvelenato (novembre 2006). Tuttavia sappiamo che entrambi si erano recati a Londra per intervistare Litvinenko proprio su Guzzanti e Scaramella già nel marzo 2005 ed avevano intervistato Limarev sugli stessi argomenti nel febbraio dello stesso anno.

Ecco quindi le 10 domande a Giuseppe D’Avanzo:

1) Perché lei e Bonini scriveste che il colloquio con Alexandr Litvinenko era «per espressa volontà dell’ex colonnello, interamente “on the record”» quando invece non lo era?

2) Perché non esiste registrazione di nessuna delle vostre interviste a Litvinenko, Limarev, Gordievskij e Bukovskij quando invece lei ebbe modo di spiegare in dettaglio che è vostra abitudine farlo regolarmente quando si tratta di argomenti delicati?

3) Perché le interviste a Evgenij Limarev e ad Alexandr Litvinenko furono raccolte rispettivamente nel febbraio e marzo 2005, ma vennero pubblicate solo dopo la morte di Alexandr Litvinenko, a 21 mesi di distanza? Perché non pubblicaste quelle interviste esplosive (nelle quali si facevano affermazioni pesanti sulle modalità di lavoro e sulle finalità della “Commissione Mitrokhin”) quando la Commissione era ancora in pieno svolgimento e, secondo le informazioni in vostro possesso, attivamente impegnata a minacciare la sicurezza dello Stato?

4) Perché non pubblicaste quelle interviste quando, il 3 aprile 2006, il deputato inglese al Parlamento Europeo Gerard Batten presentò all’assemblea una richiesta di indagine a carico di Romano Prodi (ex presidente della Commissione Europea) per via di suoi presunti legami con il KGB? Le ricordo che la fonte dell’accusa era proprio Aleksandr Litvinenko e che in quello stesso mese di aprile 2006 si sarebbero tenute in Italia le elezioni politiche (9 e 10 aprile).

5) Perché, il 19 novembre, quando si era ormai diffusa sui media italiani la notizia che Litvinenko era morente, decideste di non pubblicare quella testimonianza e attendeste invece il 26 novembre, quando Litvinenko era già morto da tre giorni?

6) Perché non pubblicaste le secche smentite di Oleg Gordievskij e Vladimir Bukovskij su quanto era stato loro attribuito nelle vostre interviste e perché il vostro direttore Ezio Mauro, da me interpellato in merito, avallò questa decisione?

7) Quando Litvinenko vi confidò di aver scelto di testimoniare a Repubblica il suo disagio nei confronti della Commissione Mitrokhin – perché sul “giornale di Berlusconi” era stata incautamente rivelata la sua collaborazione con la “Commissione Mitrokhin” – fu Litvinenko a leggere nella sfera di cristallo ciò che sarebbe accaduto l’anno dopo, o foste voi, che, col senno di poi, quando due anni dopo decideste di pubblicare l’intervista, trovaste opportuno arricchirla di questa motivazione?

8) Perché dopo che la pubblicazione della vostra intervista a Evgenij Limarev aveva originato un’ispezione del ministero dell’Interno, quando (il 24 gennaio 2007) si appurò l’assoluta infondatezza delle accuse di Limarev contro Guzzanti e Scaramella non vi premuraste di onorare il codice deontologico e non tornaste direttamente sulla notizia ammettendo che l’informazione fornitavi da Limarev era risultata falsa?

9) Perché quando venne alla luce che il “dossier” su Romano Prodi che avevate attribuito alla mano di Mario Scaramella in realtà era stato redatto da Evgenij Limarev, consulente anche di Repubblica, non vi premuraste di informarne i vostri lettori? E per quale ragione in quell’articolo faceste di tutto per radicare nell’opinione pubblica la convinzione che la calunnia di cui era accusato Scaramella fosse nei confronti di Prodi quando sapevate bene che non era così?

10) Perché, sempre nell’articolo del gennaio 2007, dichiaraste “circostanza falsa” l’affermazione di Limarev secondo cui lei e il suo collega Bonini avevate cominciato a raccogliere informazioni su Mario Scaramella e Paolo Guzzanti prima della morte di Litvinenko se, come invece sappiamo, vi eravate recati a Londra per sentire Litvinenko proprio su Guzzanti e Scaramella già nel marzo 2005 ed avevate intervistato Limarev nel febbraio dello stesso anno?

Paolo Guzzanti già Presidente della Commissione Parlamentare Bicamerale sul dossier Mitrokhin, autore de “Il mio agente Sasha – L’assassinio di Litvinenko e della Commissione Mitrokhin”, Aliberti Editore, maggio 2009, pp. 458

Gabriele Paradisi fondatore e direttore del blog “Cieli limpidi”, autore di “Periodista, di la verdad! – Controinchiesta sulla Commissione Mitrokhin, il caso Litvinenko e la repubblica della disinformazione”, Giraldi Editore, Bologna, 2008, pp.324.

Erogazione liberale. Dieci domande di Soncini a Repubblica (un po’ meno surreali di quelle originali). Guia Soncini su L'Inkiesta il 21 Giugno 2023

Si sono messi in quattro a raccontare l’ultima compagna di Berlusconi, come si intuisce dalle tautologie, eppure hanno lasciato molte curiosità da soddisfare: ecco un articolo a schiena dritta per pretendere la verità (specie sui ricci di Fascina)

Uno dei momenti più alti della commedia all’italiana in questo secolo furono le dieci domande di Repubblica a Berlusconi. Chi leggeva i giornali (era il 2009: ancora eravamo più di tredici) se ne ricorda; Ezio Mauro – sempre propenso a prenderla bassa – dice che fu un’invenzione di D’Avanzo, «impegnato in un’indagine permanente sul potere italiano».

Ora non stiamo a cavillare su che diavolo di indagine sul potere sia ripetere domande a uno che non ti risponde (sembra più una puntata delle Iene, ma senza i costumi di scena e i balletti); non cavilliamo neanche sulle dieci domande che in realtà erano la traduzione in linguaggio presentabile d’una domanda sola (presidente, non sarà che le piace un po’ troppo la figa?).

Il dettaglio interessante è un altro, cioè che, dopo mesi di pubblicazione ossessiva di queste dieci domande, Repubblica ottiene udienza da Berlusconi, uno di quegli incontri che si concordano da non pubblicare come interviste (che nei codici dei giornali italiani, giustamente scritti per analfabeti, sono tali solo se ci sono molti a capo e le domande in grassetto), ma come descrizioni ambientali con qualche virgolettato in mezzo.

Il povero inviato a casa di Berlusconi fece il suo compitino, povero: descrisse, virgolettò, pubblicò; e tutti noialtri lettori pensammo: e le dieci domande? Sono mesi che ci ammorbate con le dieci domande, poi ce l’avete davanti e non gliele fate?

(Poi Berlusconi per le dieci domande fece causa – e la perse – perché nella commedia all’italiana nessuno lascia mai che l’altro si copra di ridicolo da solo, bisogna sempre andare in soccorso all’avversario andando per tribunali invece di sedersi sulla riva del fiume a lasciare che la libera stampa muoia di pagliacciate).

Tutto questo per dire che ieri a Repubblica si sono messi in quattro per scrivere un articolo su Marta Fascina che mi ha fatto venire tantissima voglia di fare dieci domande ai giornalisti di Repubblica, e l’undicesima sarebbe: ma, dei quattro, chi decide la forma finale? Perché io un articolo con la punteggiatura altrui mi do fuoco piuttosto che firmarlo: meno male che non faccio la giornalista.

Decima domanda. Marta Fascina è del 1990. Quando esce “Ricordati di me” – il film di Muccino che spiega che le ragazze di questo secolo vogliono fare le Letterine e non sacrificarsi al tornio, e lo spiega anche a quelli troppo stolidi per averlo fin lì capito – è alle scuole medie. La «vecchia insegnante» senza nome che la descrive attratta da «la comunicazione, l’apparire, l’arrivare», come fa a distinguere il ricordo di lei da quello di centinaia (migliaia?) di altre ragazzine cui avrà insegnato in questo secolo? Non è più memorabile una ragazza di questo secolo che voglia entrare in convento?

Nona domanda. «Finita la scuola superiore, Marta annuncia ai suoi (pochi) amici»: cosa mi rappresenta quella parentesi? Mi state dicendo che non c’è da fidarsi di una che non ha almeno cinquemila amici su Facebook? O che, se nel vostro articolo non testimoniano gli amici, è perché la Fascina, come Loredana Berté, amici non ne ha?

Ottava domanda. Nella foto che avete messo anche in prima pagina, Fascina è ritratta, mi spiegate a metà articolo, nel 2011 a una festa di compleanno di Giacomo Urtis, disperato televisivo dell’ampia genìa dei disperati televisivi, quelli che quando li vediamo nei reality non riusciamo a memorizzarne i nomi per quanto siamo parrucchiere di Hannover attente al demi-monde dei vagamente noti. Solo che voi scrivete così: «La festa di compleanno di Urtis, non esattamente un evento accessibile a tutti». Amici di Repubblica, la premessa è: come si fa a essere adulti che vivono a Roma e a ritenere che per una ragazza caruccia sia complicato entrare a una festa di generone?; la domanda invece è: ma ci credete davvero?

Settima domanda. Quando parlate delle «lettere a mano» che la marchesa di Merteuil che questo secolo si può permettere scriveva a Berlusconi, non ce ne mostrate neanche una perché ve le tenete per la seconda puntata? Sono certa che capirete che non è sfiducia, è che parlare di lettere a mano nell’epoca dei messaggi istantanei perde un po’ d’impatto se non avete almeno una foto piccina picciò di una lettera coi cuoricini sulle i.

Sesta domanda. Ma queste «lettere a mano scritte di suo pugno» sono tali per distinguerle dalle lettere a mano scritte da uno scriba all’uopo ingaggiato, o è solo che quando si scrive in quattro poi la prosa fa una fine un po’ così?

Quinta domanda. Poco dopo dite che Silvio B queste lettere forse neppure le ha lette (ma quindi dove sono? chi le ha? qualcuno le ha viste?), ma soprattutto che forse gliel’ha presentata Lele Mora, o forse che Lele Mora neppure la conosce, che forse viene candidata perché amica di Galliani, anzi no forse Galliani non sa chi sia. Amici di Repubblica: è Rashomon o un’inchiesta?

Quarta domanda. Dite che nel «libro mastro» in cui vengono segnate le invitate a cena dal capo dell’Italia (cit.) ci sono, nei casi delle giovani come Marta Fascina, anche i numeri di telefono dei genitori. Amici di Repubblica, io ve lo dico: è un dettaglio stupendo e voi non potete buttarlo via così. Vogliamo sapere tutto: B. dunque chiedeva, come i nostri genitori (d’altra parte della sua stessa generazione), come nascessero le sciamannate che si trovava a tavola, cosa facessero i genitori, chiamava per rassicurarli che le avrebbe fatte riaccompagnare a casa presto? Vogliamo sapere tuttissimo.

Terza domanda. «Erogazione liberale». Non è neanche una domanda, più una supplica: il Grande Romanzo Italiano sta nella causale dei bonifici che Silvio B fa a Marta e alle altre. Erogazione liberale. Voglio crederci (l’hanno scritto su Repubblica, diamine), e voglio che questo GRI qualcuno lo scriva. Prepariamo tutti gli Strega e i Campiello che gli spettano.

Seconda domanda. «Mi scuserà, ma non posso stringere le mani di nessuno», direbbe Marta ai giornalisti che le vengono presentati. E voi la buttate lì e poi cambiate discorso: ma siete proprio degli scaldamutande dei dettagli. Marta detesta toccare gli estranei – come Donald Trump, come me – e ha benedetto la pandemia per aver sospeso le strette di mano – come Donald Trump, come me – o c’è altro? Parlate, santo cielo, basta con questi amuse-bouche.

Prima e più importante domanda. Nella foto che mettete in prima pagina, e di cui quindi capite l’importanza, non vorrei aveste equivocato la ragione della rilevanza. Non vorrei l’aveste messa in prima pagina perché la signora Fascina era in compagnia di Urtis (che in quel giornale siete convinti sia Aristotele Onassis o giù di lì, come difficoltà d’accesso) e di Stefano Ricucci.

Non vorrei non aveste capito che il punto, in quella foto, è che la signora Fascina è riccia. Era una permanente passeggera, o la signora Fascina appartiene alla genìa della Carrà, della Paltrow, delle donne che passano una vita a stirarsi esercitando così una tigna con la quale governare il mondo diventa poi un po’ il minimo?

Vi prego, amici di Repubblica, ve lo chiedo da abbonata: fateci un’inchiesta sullo stiraggio (chimico? Meccanico?) della signora Fascina. È l’unica cosa che interessa davvero a noi tredici che ancora paghiamo per leggere, è uno degli unici due modi per resuscitare gli incassi dei giornali (l’altro sono i necrologi, ma se li è presi tutti il Corriere).

L’intitolazione.

Statistiche. Berlusconi citato su radio e tv ogni 2 minuti e mezzo in 4 giorni. Il Quotidiano del Sud il 17 Giugno 2023.

La morte e i funerali di Silvio Berlusconi hanno catalizzato l’attenzione dei media italiani e non solo. In 4 giorni, infatti, i media hanno scritto e pronunciato il nome del 4 volte Presidente del Consiglio dei ministri 60.318 volte. E ben 2.335 volte solo in radio e televisione ovvero ogni 2 minuti e mezzo.

Lo rileva il monitoraggio sui principali media nazionali ed internazionali svolto da Mediamonitor.it, piattaforma che utilizza tecnologia e soluzioni sviluppate da Cedat 85. L’azienda è attiva da oltre 35 anni nella fornitura dei contenuti provenienti dal parlato. Mediamonitor.it ha rilevato le citazioni relative a Silvio Berlusconi nel periodo che va dalle 9:30 di lunedì 12 giugno alle 9:30 di venerdì 16 giugno. Nel derby Rai-Mediaset sono le televisive pubbliche ad aver nominato di più l’ex Cavaliere: 457 citazioni nei 4 canali Rai (Rai 1, Rai 2, Rai 3, Rai News24) contro le 448 dei 4 canali Mediaset (Canale 5, Rete 4, Italia 1, TgCom24).

Secondo l’analisi di Mediamonitor.it il picco si è registrato nel giorno del decesso con oltre 20.100 citazioni. Sulle radio nazionali il nome di Silvio Berlusconi è stato menzionato 1.049 volte tra il 12 e il 16 giugno. Sono, invece, 1.597 le citazioni su siti web e quotidiani stranieri.

Guardando i singoli canali televisivi scopriamo che a “trainare” sono soprattutto quelli di sola informazione: medaglia d’oro per il canale all news di Mediaset Tgcom 24 con 160 menzioni per il fondatore di Fininvest, seconda piazza al fotofinish per Rai News (con 157 citazioni), seguito da Sky Tg24 con 153. Rai 1 (130) è avanti rispetto a Canale 5 con 122 citazioni. Tuttavia, l’ammiraglia delle reti Mediaset condivide, sempre con 122 menzioni, la quinta posizione con La 7. Seguono nell’ordine Rete 4 (113), Rai 3 (95), Rai 2 (75) e chiude Italia 1 con 53 citazioni.

(ITALPRESS il 19 giugno 2023) - "Penso che il presidente Silvio Berlusconi abbia fatto tanto bene a questo Paese e a tanti italiani, non soltanto dal punto di vista politico e imprenditoriale, ma  soprattutto dal punto di vista sociale e umano". Lo ha detto Matilde Siracusano, sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento e deputata di Forza Italia, intervenendo a "L'aria che tira", su La7. "È normale che ci siano tanti sindaci e tantissimi cittadini che hanno il desiderio di tributargli una strada, una piazza, un aeroporto.  Io gli intitolerei il Ponte sullo Stretto di Messina, che è stata una sua grande intuizione e che sarebbe già realtà se non fosse stato boicottato dalla sinistra che l'ha sempre visto come il 'Ponte di Berlusconi'", conclude.

 (ANSA il 19 giugno 2023) - MILANO, 19 GIU - La giunta regionale della Lombardia nella seduta di oggi ha registrato la "massima condivisione" sulla proposta di intitolare il Belvedere di Palazzo Lombardia a Silvio Berlusconi. Prima di rendere ufficiale l'iniziativa, la Regione, stando a quanto si apprende, metterà al corrente la famiglia dell'ex premier anche per conoscere il suo gradimento.

Intitolato a Berlusconi il Belvedere di Palazzo Lombardia, Fontana: “Una decisione unanime”. A Silvio Berlusconi sarà intitolato il Belvedere al 39esimo piano di Palazzo Lombardia: la giunta regionale ha votato all’unanimità. Ilaria Minucci Pubblicato su Notizie.it il 19 Giugno 2023

Sarà intitolato a Silvio Berlusconi il Belvedere di Palazzo Lombardia: l’iniziativa, che ha avuto il benestare del governato re lombardo Attilio Fontana, è stata approvata all’unanimità dalla giunta regionale.

Intitolato a Berlusconi il Belvedere di Palazzo Lombardia

Le recenti indiscrezioni si sono infine tramutate in realtà. Il Belvedere al 39esimo piano di Palazzo Lombardia, sede della Regione, è stato intitolato a Silvio Berlusconi, ex premier e fondatore di Forza Italia deceduto lunedì 12 giugno.

La decisione è stata presa all’unanimità dalla giunta presieduta da Attilio Fontana che ha, quindi, spazzato via ogni indugio rispetto al dibattito infuriato negli ultimi giorni sulle modalità più consone per omaggiare la memoria dell’imprenditore e politico da sempre legato a doppia mandata a Milano.

“Una decisione unanime per ricordare, con un segno indelebile, l’uomo, il rappresentante istituzionale e l’imprenditore che ha sempre avuto nella Lombardia il suo punto di riferimento principale”, ha dichiarato il presidente della Lombardia, Attilio Fontana.

La decisione della giunta regionale è stata condivisa con la famiglia di Berlusconi e, alla luce di quanto riferito, nei prossimi giorni saranno stabilite le modalità volte a concretizzare l’iniziativa.

Una piazza, no due stadi, anzi il Ponte sullo Stretto: la folle corsa all’omaggio a Silvio Berlusconi. In poche ore da politici di ogni calibro piovono proposte di tipo e dimensione crescente. C’è chi vuole una via in ogni città, o chi vuole dedicargli le riforme. Mauro Munafò su L'Espresso il 13 Giugno 2023 

Quanto sia labile il confine tra l’omaggio e il ridicolo eccesso lo si sta vedendo in queste ore, a poco più di un giorno dall’annuncio della morte di Silvio Berlusconi. Alle polemiche per la decisione del governo di proclamare il lutto nazionale mercoledì (onore fino a oggi mai concesso a un ex presidente del Consiglio e di solito riservato a eventi catastrofici come terremoti e alluvioni), si è aggiunta la corsa alla proposta più faraonica per omaggiare lo scomparso fondatore di Forza Italia.

Dedicargli una piazza, uno stadio (ma anche due), una via in ogni città in Puglia, addirittura il Ponte sullo Stretto: sono tutte iniziative realmente proposte da esponenti politici piccoli e grandi e che in queste ore stanno affollando i lanci di agenzia.

Poco importano le norme restrittive che vorrebbero far passare un certo lasso di tempo prima di modificare la toponomastica cittadina: come lo stesso Berlusconi ha insegnato ai suoi, sull’onda dell’entusiasmo e del furor di popolo tutto si può fare (qualcuno potrebbe ricordare lo slogan guzzantiano della Casa delle libertà: facciamo un po’ come … ci pare).

E allora ecco che un consigliere del comune di Napoli vuole intitolargli una piazza nel capoluogo partenopeo perché B si definiva «un napoletano nato a Milano». Oppure il capogruppo di Forza Italia in Puglia che auspica: «che si promuova l’intitolazione di una via a lui dedicata in tutte le città della Regione, a partire dai capoluoghi di provincia». Troppo locale, troppo poco. Si può fare di più.

E poi ancora il filone calcistico. Il consiglio comunale della città di Monza (città la cui squadra in serie A era di proprietà di Berlusconi) chiede «l’intitolazione dello Stadio Brianteo al Presidente Silvio Berlusconi». Ma come il Monza? Troppo poco. Ed ecco che il Milan (ex squadra di Berlusconi) rilancia: dedichiamo a Berlusconi il nuovo stadio dei rossoneri, propongono il giornalista sportivo Pellegatti e l’ex difensore Filippo Galli.

Sì, va bene, ma manca ancora qualcosa. La ministra Casellati si lancia in un inedito «voglio dedicargli la riforma costituzionale: perché è un progetto che s'ispira al lavoro che lui ha provato a portare avanti». Ma il colpo di genio arriva dal mondo dei sogni: intitoliamogli il Ponte sullo Stretto di Messina, la Grande Opera per eccellenza, con le maiuscole. A proporlo sono, in separata sede, il Comitato Ponte Subito e la Lega in Toscana.

E sono passate appena 24 ore. 

La lista di cose da intitolare a Silvio Berlusconi si sta allungando. Senza senso del ridicolo. Piazze, vie, Ponti sullo Stretto, stadi, aeroporti, riforme: in pochi giorni gli esponenti del centrodestra di ogni ordine e grado si sono lanciati in una specie di competizione a chi la spara più grossa in ricordo del fondatore di Forza Italia. Mauro Munafò su L’Espresso il 19 giugno 2023

Intitolargli qualcosa, qualsiasi cosa. Più è grande, meglio è. Sembravano queste le parole d’ordine a poche ore dalla morte di Silvio Berlusconi: ore in cui, oltre al cordoglio, si è assistito alla corsa alla dichiarazione sull’omaggio più adatto per il fondatore di Forza Italia. E da subito era cominciata una fiera dell’assurdo con la proposta di dedicargli stadi, strade, futuribili Ponti sullo Stretto e chi più ne ha, più ne metta.

Queste proposte, vale la pena ricordarlo, sono arrivate da esponenti politici eletti nel centrodestra a livello locale e nazionale: non si trattava insomma di sortite casuali da parte di semplici elettori. Tanto che, nel giro di pochi giorni, alcune si sono realizzate e altre hanno invece dato il via a una escalation del tributo nomenclatorio. Meglio quindi fare un po’ di ordine dopo la prima settimana.

Dal settore sportivo era arrivata la richiesta di intitolare a Berlusconi il possibile nuovo stadio del Milan, ma anche quello del Monza (proposta dalla minoranza in consiglio comunale), in Puglia si chiedeva “una via di ogni città”, mentre la Lega e il comitato pro ponte si lanciavano nel proporre nientemeno che il Ponte sullo Stretto.

La corsa al vero omaggio l’ha vinta però il comune di Apricena nel foggiano, dove è già stata intitolata la prima “via Silvio Berlusconi”. Nella “sua” Milano invece il sindaco di centrosinistra Beppe Sala si è permesso di ricordare che per legge bisogna aspettare dieci anni prima di dedicare una strada a qualcuno. Ci penserà allora il palazzo della Regione Lombardia (maggioranza centrodestra) a rinominare forse il Belvedere del nuovo Pirellone, mentre Rotondi e Salvini propongono l’aeroporto di Linate, e Formigoni spinge per quello di Malpensa.

Intanto a Roma il ministro degli esteri forzista Tajani punta a una sala della Farnesina, mentre in giro per l’Italia qualche altra amministrazione prova con piste ciclabili e parchi. Premio speciale per Casellati e Sisto che a Berlusconi dedicano le loro riforme e a un deputato russo che vuole intitolargli un premio per i politici onesti.