Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

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ANNO 2023

GLI STATISTI

SECONDA PARTE

 

 

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

  

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2023, consequenziale a quello del 2022. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

 

 

 

GLI STATISTI

INDICE PRIMA PARTE

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Le carte segrete del Caso Moro.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE. (Ho scritto un saggio dedicato)

Ricordando il Divo.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE. (Ho scritto un saggio dedicato)

I Secessionisti.

Ingiustizia. Il caso Tangentopoli - Mani Pulite spiegato bene.

Ricordando Craxi.

 

INDICE SECONDA PARTE

 

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

L’Italiano per Antonomasia.

La Biografia.

Berlusconi e la Morte.

 

INDICE TERZA PARTE

 

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

Berlusconi e la Salute.

Berlusconi e gli Affari.

Berlusconi e la Politica.

Berlusconi e lo Sport.

Berlusconi ed i Media.

Berlusconi e la Chiesa.

Berlusconi e la Cultura.

Berlusconi e la Gastronomia.

Berlusconi e gli Animali.

Berlusconi e la Famiglia.

Berlusconi e le Donne.

Berlusconi e la Giustizia.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Al tempo del Nazismo.

Al tempo del Fascismo.

 

INDICE QUINTA PARTE

 

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Gli eredi del Duce.

 

 

 

 

 

 

 

 

Sommario

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

·       L’Italiano per Antonomasia.

·       La Biografia.

·       Berlusconi e la Morte.

La Morte.

Le Cause.

I Necrologi.

Funerali di Stato.

Il Mausoleo.

L’Erede Politico.

Il Testamento e l’Eredità.

Le reazioni della Politica Italiana.

Le reazioni della Politica Estera.

Le reazioni della Stampa Estera.

I Nemici.

Le Dieci Domande.

L’intitolazione.  

 

 

GLI STATISTI

SECONDA PARTE

 

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        L’Italiano per Antonomasia.

"Morire o Bunga Bunga?". Silvio Berlusconi e la barzelletta con protagonisti quei "due sfigati" Bondi e Cicchitto. Estratto da huffingtonpost.it – articolo del 27 settembre 2015 

[…] Silvio Berlusconi in un'ora e mezza di intervento alla convention FareFuturo si concede anche una barzelletta, che ha come protagonisti due ex di Forza Italia. Gheddafi chiede a Berlusconi di inviare una delegazione in Libia. "Chi mando? Mando due sfigati: Cicchitto e Bondi.

Questi vanno e cadono nelle mani dell'unica tribu' ribelle. Cosi' finiscono legati al palo della tribu'. E attorno a loro danza un coro di guerrieri, dove si riconoscono solo due parole: bunga bunga. Lo stregone dice a Cicchitto: morire o bunga bunga? E Cicchitto risponde: 'bunga bunga'. E tutti i guerrieri profittarono di lui. A questo punto lo stregone si rivolge a Bondi: morire o bunga bunga? E Bondi vista la fine che aveva fatto Cicchitto dice 'morire'. E lo stregone risponde: "sì bene morire, ma prima un po' di bunga bunga".

DAGOREPORT il 12 giugno 2023.

Certo che è dura. Durissima dover ammettere che un Peron con i tacchetti, uno Stalin mediatico, un Silvio Bellico a rotelle, un fabbricante di miliardi col volto perennemente grigliato come un pollo dai raggi Uva, un bignè in doppiopetto sempre truccato e tricologicamente trapiantato, un seduttore tradito dalla prostata, con cinque figli e due mogli, sgradevolmente donnaiolo, che ne ha combinate di cotte e di crude, è stato e rimarrà, per chissà quanto tempo, l’incarnazione dell’Arci-italiano.

La grande Natalia Aspesi non si fa troppi problemi ad ammetterlo: "Sono terrorizzata dagli italiani. Più il Paese corre verso l'autodistruzione, più loro adorano i propri carnefici - tuona la giornalista - è come se si fossero trasformati in tanti piccoli lemuri che si precipitano entusiasti in fondo al burrone". 

Ma la domanda, a questo punto di non ritorno, è un’altra ed è terribile: come mai una tale moltitudine di italiani, tra Destra e Sinistra, si è gettata gettarsi sul "Centro-frivolo" del berlusconismo senza limitismo? Perché un paese che si sbatte dalla mattina alla sera per arrivare alla fine del mese, da oltre vent’anni ha perso la testa per un miliardario donnaiolo che all’etica delle istituzioni ha sempre preferita la cotica dei propri affari?

Perché dentro di noi c’è il folle e sovente inconfessabile desiderio di essere un Berlusconi. Come canta Giorgio Gaber: “Non temo Berlusconi in sé. Temo Berlusconi in me”. Massì: come il Cavalier Pompetta, ogni italiano sembra essere tutto e il contrario di tutto: furbo e fesso, mammone e maschilista, drammatico e melodrammatico, geniale e pasticcione, coraggioso e vigliacco, razzista e tollerante, credente e miscredente, colto e ignorante, vitale e cialtrone, di destra e di sinistra. Un Berluscone che, quando gli chiedono qual è il complimento più bello che abbia mai ricevuto, risponde radioso: “La volta che, all’uscita da San Siro, un ultrà si gettò contro il parabrezza della mia auto gridando: sei una bella figa!”.

Sondare l’anima di Berlusconi è peggio che difficile. E’ inutile. Simpaticissimo come tutti i mascalzoni, implacabile negli affari come un rullo compressore (”Una volta per riagganciare un cliente gli ho anche tolto la forfora dalla giacca”, professionalmente così frenetico che faceva apparire un battaglione di marines come un gruppo di perdigiorno (“Una volta all’Edilnord ho disegnato persino le fogne. Pensavo: se ho sbagliato le pendenze si sveglieranno tutti nella cacca”), narci-effervescente naturale fino alle bollicine (“E’ importantissimo la mattina guardarsi allo specchio e piacersi, piacersi, piacersi”), Berlusconi ha intuito fin dall’inizio che il vero mistero del mondo è ciò che si vede, non l’invisibile.

A mo’ di lezione, aggiunge: “Ricordiamoci che il nostro pubblico ha fatto la terza media e non era neanche fra i primi della classe”. La mejo, da incorniciare: “Gli sfigati non esistono. Esistono solo dei diseducati al benessere”. Da qui i suoi modi da piazzista che sa mettere insieme cose dissimili, incongrue, se non addirittura incompatibili: come trasformare una azienda in un centro di potere, una cena in una congresso elettorale, un partito in un party, un contratto in una fregatura.

Come quella volta che, giovane editore in ascesa, firmò di venerdì un accordo per dividersi gli spazi pubblicitari con la Rai che sarebbe scattato dal lunedì successivo. Subito dopo riunì in ufficio i suoi agenti di Publitalia: “Avete sabato e domenica per acchiappare tutta la pubblicità che potete”. E quando il lunedì l’accordo entrò in vigore, non c’era più niente su cui accordarsi.

Quante gliene hanno dette in questi anni, giudici e giornalisti, a quest’uomo unico al mondo (noi italiani, si sa, non ci facciamo mai mancare niente). Da “Psico-nano” (Beppe Grillo) a “Caimano” (Nanni Moretti), da “Banana” (Altan) a “Al Tappone” (Travaglio). Ma la miglior descrizione del fenomeno appartiene ad Aldo Busi: "Tutti dicono che se non ci fosse stato Craxi non ci sarebbe stato Berlusconi, ma questo si può dire di qualsiasi imprenditore italiano. Nessun imprenditore di fama ha la coscienza a posto con lo Stato italiano. Sono tutti dei criminali. E allora perché criminalizzare solo Berlusconi? Pensiamo al Banco Ambrosiano. Io non credo che Berlusconi abbia lo zampino nella più grande catastrofe che sia successa in Italia e che ancora è irrisolta, cioè piazza Fontana. Come si può demonizzare Berlusconi quando ci sono molti altri demoni prima di lui che devono prendere corpo?".  

Verità o leggenda? Con Berlusconi la verità è leggenda e viceversa, lui stesso non è che le distingua sempre bene. “Da giovane dicevo: pensa quante donne al mondo vorrebbero venire a letto con me e non lo sanno. La vita è un problema di comunicazione”. Ecco perché, già prima del Biscione, era presente come comparsa in un Carosello. Quando nel novembre del '79 un colpo di fulmine scoccato da Cupido lo trafisse era seduto al teatro Manzoni di Milano: Veronica Lario, 23 anni, era protagonista  della commedia di Crommelynck "Il magnifico cornuto". Impazzito d’amore Silvio fece interrompere le repliche della commedia. Come? Comperando il Manzoni.

Ah, la vanità. "Raccontano i collaboratori che è un terribile accentratore: se avesse una puntina di seno, sarebbe anche tentato di sostituire l'annunciatrice", scrive Enzo Biagi. D'altra parte, visto dall'alto, la Natura è stata davvero taccagna. Quando scoprì che il centravanti Galderisi era alto come lui proibì ai collaboratori di chiamarlo "nanu". Lui si gonfia così: "Ho fatto l'Italia un po' più bella". Oppure: "Vedo tutto d'istinto, come ha detto una volta la mia mamma. Sono una specie di strega". Ancora: "Io sono come quel gran condottiero rinascimentale di Bergamo. Sì, come quel Bartolomeo Colleoni che da madre natura ne ebbe tre e non due". 

Troppo testosterone. Avido di donne, di divertimento, di strapazzi mondani, perennemente avvolto dal consenso femminile, non si chiude in Parlamento ma in Camera (da letto). Polaroid '99 della prima volta di Silvio nel salottificio capitolino dell'avvocato Giuseppe Consolo. Eccolo che parlotta al telefonino, quindi lo passa a Gianfranco Fini che fa: "Veronica, stai tranquilla. Silvio sta con me".

Ah, la fregola del cavaliere... Racconta Enzo Mirigliani, patron di Miss Italia: "Nel '79 appare per la prima volta al concorso anche Silvio Berlusconi, in maglietta e bermuda, accompagnato da Giorgio Medail e alla guida di una piccola troupe della neonata Telemilano".

Cerca la risata altrui. Sempre. Ovunque. Senza temere di esserne seppellito. E’ più forte di lui: abbia di fronte Clinton, i suoi apostoli di Forza Italia o il temibile comunista di turno, Silvio Berlusconi quando ce l’ha-ce l’ha (la barzelletta), la deve sparare. Ne ha un repertorio vastissimo. Che modella, personalizza, strumentalizza. Ricicla, se necessario. A volte oscilla pericolosamente tra il cattivo gusto e la gaffe: e allora sono smentite, sottili distinguo.

Non esistono colonne d’Ercole che la vena barzellettiera del Cavaliere non oltrepassi. A suo rischio, naturalmente. Come nell’agosto del ’94 quando, da pochi mesi a palazzo Chigi, sentendosi perseguitato dai giornalisti, sfogò così la sua insofferenza: “Al Pontefice cade il breviario in acqua e il premier, camminando sulle acque, glielo va a prendere. Titoli dei quotidiani: "Il presidente del Consiglio non sa nemmeno nuotare". Il Vaticano tacque per qualche giorno poi, con tono vagamente piccato, fece sapere che il Papa l’aveva già sentita nell’83 quella barzelletta, in Polonia, dopo il colpo di Stato: al posto di Berlusconi c’era il generale Jaruzelski.

Con quel gaudente di Clinton, invece, il Cavaliere è sempre andato a nozze. Come quando, in pieno caso Lewinsky, non esitò a raccontargli di quello che si era fatto disegnare un neo sul pene: “L’ho fatto perché così, quando mi eccito, il neo diventa un moscone”. E l’altro: “Io invece mi sono fatto tatuare le lettere "So": così, quando mi eccito, compare la scritta "Saluti da San Benedetto del Tronto".

La controffensiva della barzelletta fu affidata al Manifesto: “Berlusconi muore e va in Paradiso. C’è una lunga coda, il Cavaliere pretende da San Pietro una corsia preferenziale. San Pietro telefona al Padreterno: "C’è uno che vuole passare davanti agli altri. Dice di chiamarsi Berlusconi". E Dio: "E’ un impostore. Berlusconi sono io".

I guai maggiori il Cavaliere li ebbe con quella dei banditi che entrano nell’ufficio, gridano “questa è una rapina» e un impiegato risponde: "Meno male, credevo fosse la Guardia di Finanza”: si beccò una querela dalla Fiamme Gialle. O quando sciorinò la storia del malato di Aids al quale il medico aveva consigliato di fare le sabbiature £così si abituerà a stare sotto terra”: insorse mezza Italia. 

Era fatto così. Ho avuto occasione di incontrarlo due volte. La prima, nel ’92, a casa di Mario Cecchi Gori, con il quale Berlusconi aveva fondato la Penta Cinematografica, come autore di un filmetto, “Mutande Pazze”. C’era mezzo cinema italico, da Benigni a Verdone. Quando ci incrociammo parlammo di “Quelli della notte”, di Arbore che mai avrebbe lasciato la Rai per Mediaset, poi sparò due conveniveli con Chiara, la mia compagna di allora, infine ci chiese: “siete innamorati?”, ricevuto l’inevitabile risposta affermativa congiunse le nostre mani e ci dichiarò marito e moglie, tra un calicino e una pizzetta…

La seconda volta, quindici anni dopo, a casa di Sandra Carraro. Dopo i soliti convenevoli, mi prese da parte e mi chiese, serie serio: “Hai tatuato anche il tuo pisello?”. Al telefono, vista la grande schiera di ottimi imitatori della sua cadenza brianzola, non sapevo mai se avevo come interlocutore davvero “il presidente”, come veniva annunciato.

Politicamente, lo stregone del Bunga Bunga, egocentrico in stile "Dall'Io all'eternit", ha fallito. Cannibalizzando delfini e pretendenti al trono, per ritrovarsi oggi con un partito nanizzato all’8 per cento. Se esiste uno spostamento a destra anche dell’elettorato democristo-conservatore, specie al Nord, egli ne porta la responsabilità. Per circa venticinque anni ha occupato il palcoscenico e non è riuscito o non ha voluto costruire un vero partito di centro, con una struttura organizzativa e una classe dirigente. In fondo Giorgia Meloni ha occupato un vuoto. Il suo vuoto.

L’era glaciale. Addio all’uomo che ha dominato la scena pubblica per oltre 30 anni, lasciandola esattamente com’era. Francesco Cundari su L'Inkiesta il 13 Giugno 2023.

L’impressione è che il nostro paese, al termine dell’era berlusconiana, è più o meno dove Berlusconi l’aveva trovato all’inizio della sua esperienza politica, che coincide non per niente, tutta intera, con la Seconda Repubblica

Per i giovani d’oggi i capi del centrodestra si chiamano Giorgia Meloni e al limite Matteo Salvini, il leader dei populisti si chiama Giuseppe Conte (e prima, semmai, Beppe Grillo), persino la figura del palazzinaro passato dalla tv alla politica con tutti i suoi conflitti d’interesse, il suo narcisismo, i suoi problemi giudiziari e tricologici evoca il nome di Donald Trump, prima che quello di Silvio Berlusconi (Trump in tv ci andava, non la possedeva, ma non è una differenza essenziale).

Per la generazione che la televisione la guarda sul telefonino (anzi non la guarda proprio, se non in streaming) e i propri idoli della musica o dello sport li segue su Instagram, il fondatore di Forza Italia, padre della tv commerciale, presidente e rifondatore del Milan degli anni ottanta aveva ormai da tempo un ruolo politico marginale, e un’influenza anche minore sul terreno della cultura popolare e del costume (molto meno non dico di Chiara Ferragni, ma pure dell’ultimo influencer di Tik Tok).

I giornali di oggi dedicheranno giustamente decine di pagine all’uomo che più d’ogni altro ha dominato la scena pubblica italiana per oltre trent’anni, praticamente in ogni campo, ma è innegabile che tra il protagonista di quelle vicende e l’uomo spentosi ieri all’ospedale San Raffaele di Milano corresse ormai, da tempo, una notevole differenza. Più o meno analoga a quella che corre tra il Milan di Van Basten, Gullit, Rijkaard e il Monza di oggi.

Adesso, come è naturale che sia, ammiratori e sodali ci spiegheranno in lungo e in largo le epocali innovazioni introdotte da Berlusconi nella politica, nella televisione, nella cultura popolare e nel costume. E come è forse altrettanto naturale, in ogni caso inevitabile, i suoi detrattori ci spiegheranno con non minore dovizia di dettagli quanto Berlusconi abbia distrutto la politica, rovinato la televisione, involgarito la cultura popolare e corrotto i costumi (e non solo i costumi).

Eppure, guardando all’Italia di ieri e a quella di oggi, è difficile resistere alla tentazione di dare torto agli uni e agli altri. L’impressione è che il nostro paese, al termine dell’era berlusconiana, comunque la si voglia datare, è più o meno dove Berlusconi l’aveva trovato all’inizio della sua esperienza politica, che coincide non per niente, tutta intera, con quella lunga stagione che i giornali hanno pigramente battezzato Seconda Repubblica. Una stagione che non ha visto nessuna particolare rivoluzione (tantomeno nel costume, come testimonia il ritardo accumulato nel campo dei diritti civili e l’arretratezza di tutte le relative discussioni e legislazioni in materia), ma neanche chissà quale svolta autoritaria. È stata piuttosto un’era glaciale, segnata dall’immobilismo politico, dalla stagnazione economica, dal declino demografico e sociale.

Come TeleMike e La ruota della fortuna non hanno avuto, nel forgiare l’identità italiana, il peso che hanno avuto la Divina commedia, i Promessi sposi o Libro Cuore, così un partito chiamato Forza Italia – nome che ormai ci sembra normale, perché col tempo ci si abitua a tutto, ma dovrebbe pur dirci qualcosa – non ha svolto una funzione nemmeno lontanamente paragonabile a quella della Democrazia cristiana.

Nei libri di storia, dove finirà a brevissimo, Forza Italia sarà ricordata come quello che è sempre stata l’intera avventura politica berlusconiana: una gigantesca, eccezionale, riuscitissima operazione di marketing. E nient’altro.

Il primo vero campione dell’economia del sé (cit.), il primo e il più gigantesco di tutti gli influencer, obiettivamente, è stato proprio Silvio Berlusconi. Di sicuro non è stato uno statista, anche se, almeno per quanto riguarda la costruzione del consenso e il mantenimento del potere, è stato un politico geniale. Ma la sua idea di polis non ha mai oltrepassato i confini delle sue proprietà.

Socialista e conservatore in politica interna, ultra-atlantista e ultra-putiniano in politica internazionale, oligopolista e liberista in economia, libertino e tradizionalista nel costume, Berlusconi non è mai stato in realtà nient’altro che berlusconiano. Non ha salvato l’Italia e non l’ha affossata. L’ha semplicemente lasciata dov’era, alla fine della cosiddetta Prima Repubblica, dopo il crollo del Muro di Berlino e la tempesta giudiziaria di Mani Pulite, e da dove purtroppo non si è mai mossa.

L’età del Cav. Berlusconi conteneva moltitudini, ma ha regnato più che governato. Christian Rocca su L'Inkiesta il 12 Giugno 2023.

L’epopea dell’uomo che ha innovato la società e la politica italiana e che è finito, al contrario di quanto previsto nel Caimano, col rovinare prevalentemente sé stesso e la sua eredità

Silvio Berlusconi si contraddiceva perché era vasto, conteneva moltitudini. Era tutto e il contrario di tutto, un bauscia e un libertino, un intrattenitore e un criminale, un imprenditore politico e un politico imprenditore. Era comico ed era tragico, mentiva, mentiva tanto, spesso per il piacere di farlo e molto di più per tornaconto personale.

Berlusconi ha cambiato la società e la politica, da principio innovando sia l’una sia l’altra, ma a guardare bene in realtà ha regnato più che governato.

Le fioriere ben curate di Palazzo Chigi e le alte uniformi dei picchetti d’onore sono state più importanti dei dossier di Stato e dell’economia italiana, sebbene poi si sia messo velocemente da parte quando la situazione si è fatta incontrollabile anche per colpa sua e abbia cambiato la politica estera italiana da filo araba a filo israeliana e dall’essere l’ultima ruota del carro franco-tedesco fino a diventare quella del più importante alleato europeo degli Stati Uniti dopo la Gran Bretagna.

Berlusconi ha realizzato il Sessantotto, come ha scritto in un libro, naturalmente della berlusconiana Einaudi, il poeta Valerio Magrelli, un intellettuale non sospettabile di intelligenza col Biscione, portando l’immaginazione al potere, più incubo che sogno ovviamente, più matericità dell’illusionismo che illusioni del materialismo.

Berlusconi è stato tutto tranne che un leader di plastica, «meno male che Silvio c’è» non è solo una canzonetta, ma l’invocazione viva e pseudo religiosa del suo popolo. Berlusconi è stato un leader carnale, altro che di plastica.

Gli avversari non l’hanno mai capito, ma solo demonizzato, anche se a volte hanno ceduto al fascino del grande seduttore e firmato contratti sugosi con le sue tv e le sue case editrici.

Gli adulatori non l’hanno mai ben servito, impegnati a ottenere qualcosa per sé e non a costruire qualcosa per il paese. Una per tutte, la battaglia per la giustizia giusta. Berlusconi ha subìto una persecuzione giudiziaria senza precedenti nella storia repubblicana, a volte era innocente e un paio di volte no, ma non era “estraneo” come Enzo Tortora alle cose per cui veniva regolarmente mascariato. La battaglia garantista in mano a molti dei suoi scagnozzi era sacrosanta, ma il risultato finale è stato Fofò Dj a Via Arenula e il trionfo dei mozzorecchi in tutto il paese, talmente squinternata e poco credibile è apparsa la doppia morale dei berlusconiani garantisti con Berlusconi e giustizialisti con i suoi avversari.

Ha costruito Milano due e con Milano due anche uno dei maggiori centri di eccellenza sanitaria, il San Raffaele, per convincere con le buone oltre che con le cattive a cambiare le rotte degli aerei da e per Linate che disturbavano i pazienti di Don Verzé e soprattutto i potenziali clienti immobiliari di Berlusconi. Ma Berlusconi è anche il responsabile della rinascita di Milano uno, la nuova metropoli-place-to-be, quella dei gastropub sotto le torri delle archistar e della riscossa cosmopolita, che è stata progettata negli anni in cui i suoi hanno governato la città.

Berlusconi è stato tutto tranne che il Caimano, uno dei ritratti più infelici fatti sui suoi anni. Non ha lasciato macerie, alla sua uscita di scena non ci sono stati fuoco e fiamme, più banalmente non ha lasciato niente di credibile e di accettabile né nella politica né nella società, e laddove era stato innovatore è tristemente diventato irrilevante.

L’unica cosa che ha distrutto è stato sé stesso, la sua immagine, la sua legacy con le cene eleganti e con gli ominicchi di cui si è circondato, lui che era partito con Colletti, Ferrara, Vertone, Mentana, e Urbani e Martino, finanche con Santoro a Mediaset e con Annunziata a presiedere la Rai, ma che è finito con Mario Giordano e la setta dei retequattristi.

Berlusconi ha rovinato tutto quello che poteva rovinare e che aveva creato con genialità e sregolatezza: le tv che avevano innovato la società italiana trasmettono pressoché spazzatura, la Mondadori non ha più i giornali e i suoi libri non sono più rilevanti, al posto del Milan gli è rimasto il Monza.

Berlusconi ha ammaliato un terzo dei nostri connazionali con l’idea di un nuovo miracolo italiano, una versione indigena del sogno americano, ma è finito a raccontare barzellette sconce a un plotone di reduci e di badanti.

Lui che ha provato a portare la Russia dentro la Nato per chiudere davvero la Guerra Fredda una volta per tutte ha tragicamente concluso la carriera politica da portavoce del criminale Vladimir Putin, già arruolato come professore di liberalismo all’università di Villa Gernetto.

Lui che ha fatto carriera politica denunciando le atrocità del regime di Mosca e pubblicando il famigerato libro nero dei crimini del comunismo è lo stesso che durante una conferenza stampa ha mimato una raffica di mitra contro la giornalista russa, collega di Anna Politkovskaya e di tanti altri giornalisti uccisi dal Cremlino, perché aveva osato fare una domanda irriguardosa a Putin.

Per non parlare della ripugnante sceneggiata di Villa Pamphilii concessa a Gheddafi, alle sue amazzoni, ai cavalli e alle tende beduine. Eppure Berlusconi è stato soprattutto il leader che ha accolto Bill Clinton, che ha ospitato inbandanato Tony Blair, che ha parlato al Congresso americano come il nuovo De Gasperi.

Solo su Trump, Berlusconi non si è mai contraddetto, prendendo subito le distanze dal Cialtrone in Chief, probabilmente spazientito dai paragoni poco lusinghieri tra la sua epopea e quella dell’immobiliarista tamarro diventato presidente degli Stati Uniti.

Agli amici americani che ridacchiavano su Berlusconi al potere, e poi si sono ritrovati con Trump alla Casa Bianca, ho sempre ricordato che Berlusconi ha governato l’Italia per vent’anni, ha vinto e perso le elezioni senza nessun contraccolpo politico e sociale, lasciando l’Italia sempre al suo posto, senza sciamani e proud boys pronti a menare le mani e a sovvertire i processi democratici: avrebbero potuto dire la stessa cosa, loro, se Trump fosse stato rieletto per un secondo mandato?

L’Italia era il paese che Berlusconi amava, gli italiani hanno ricambiato.

Il Cav. e noi. Berlusconi e la formidabile dottrina del facciamo un po’ come cazzo ci pare. Guia Soncini su L'Inkiesta il 13 Giugno 2023.

Impossibile restare indifferenti a un uomo terrificante e d’altri tempi, ma mai noioso, come il cavaliere. Sopravvalutato da estimatori e da detrattori, divisi equamente in due curve contrapposte, anche adesso che è morto

«Dice: mezza Italia è contenta, dico: ci hanno fatto un bonifico?, dice: è morto Berlusconi, ah, io i giornali non li guardo mai». Non voglio intromettermi nella conversazione tra la barista e il cliente cui sta spiegando come ha appreso la notizia del giorno, sennò le direi che fa benissimo: mai leggere i giornali sarà inutile quanto in questi giorni di pezzi confermativi e finte contrapposizioni tra «Silvio Berlusconi vulnus della democrazia» e «non Berlusconi in sé ma Berlusconi in me».

Di tutte le banalità che verranno scritte in questi giorni, la più innegabile è che nessuno che sia stato adulto in Italia negli ultimi trent’anni ha avuto una vita scevra di Silvio Berlusconi, era come se la settimana di Sanremo durasse tutto l’anno, anche se ti piccavi di non guardarlo o di essergli indifferente comunque non potevi prescinderne.

Io, poi, ho avuto in sorte l’avere vent’anni negli anni dell’unica storia rilevante dei decenni recenti – quella che parte dalle dimissioni di Cossiga, passa per Mario Chiesa, per Falcone e Borsellino, per il lancio di monetine, per lo sciopero delle sigarette, per il ritorno delle bombe nelle città italiane, per i puff imbottiti di soldi, per la morte di Fellini e per quella di Gardini, e arriva lì: alla cena bolognese per raggiungere la quale ho preso un treno, perché devo essere tra i miei amici intelligenti, tra gli adulti che capiscono la politica, devo poter un domani raccontare che in quel marzo del 1994 io sono tra i giusti, quando la civiltà sconfigge Silvio Berlusconi.

Sono passati quasi trent’anni, e i miei amici che all’epoca avevano quaranta o cinquant’anni ne hanno settanta o ottanta e, incapaci di elaborare la loro sconfitta di osservatori (io avevo ventun anni, ma come faceva un adulto a non accorgersi della giacca marròn di Occhetto? Faceva, perché ancora adesso i ceti medi riflessivi di tutto il mondo sono pieni di gente incredula che non ha mai conosciuto un elettore di Silvio Berlusconi o di Donald Trump e quindi mica possono aver vinto davvero), dicono che è colpa di Silvio.

Non ritengono di dover fornire una scusa per il loro non aver mai capito il mondo, perché ritengono di averlo capito. Qualche anno fa, osservando non ricordo quale degli scappati di casa politici di questo secolo, un mio coetaneo ha sospirato «ma ti rendi conto che noi pensavamo che l’abisso culturale e la fine della democrazia fosse un parlamento con Lucio Colletti», e io allora ho iniziato a usare per ogni verifica di scemenza quella frase della de Beauvoir cinquantaduenne a proposito dei propri vent’anni: «Avevamo torto pressoché su tutto».

Loro, quelli che erano già adulti allora e sono attaccati alle loro convinzioni di allora, hanno accolto irritati la notizia precisando che, certo, Berlusconi avrà pure cambiato l’Italia, ma loro preferivano l’Italia di prima. Seriamente convinti che esistesse un’Italia di prima – l’Italia di cui si fantastica ogni 25 aprile, quando decine di milioni di italiani accorrono sui social a ricordarci genitori e nonni e bisnonni partigiani, cento milioni di partigiani – e anche che il mondo di prima sarebbe continuato, se non fosse stato per l’egemonia d’un signore ricco di pessimo gusto (della preferenza italiana per i soldi ereditati dei quali non si percepisce la fatica, e quindi del nostro vezzo di trovare Gianni Agnelli più elegante di Silvio Berlusconi, di quello parliamo un’altra volta).

Quando gli dici che no, che l’Italia è com’è per colpa degli italiani, non di Silvio Berlusconi, che le tv scollacciate negli anni Ottanta le hanno avute l’Inghilterra e la Germania, e questo non ha impedito molti anni di Merkel al potere, e se le donne italiane faticano a imporsi non è colpa di Tinì Cansino, e che ci sono state la Brexit e Trump e un intero mondo che ha avuto esattamente la nostra stessa deriva senza aver mai guardato i tg di Emilio Fede, prendono i toni dei cinquenni che non vogliono sentire che babbo Natale non esiste e ti dicono no, tu non capisci, il berlusconismo è stato una rovina morale. Ne concludo che Silvio Berlusconi è parimenti sopravvalutato da estimatori e detrattori.

Rispetto alle donne, alle barzellette, ai pullman di figa, al gesto davanti a Michelle Obama, a tutto quello su cui ci è piaciuto indignarci per decenni, mi è sempre sembrato bizzarro che nessuno tenesse mai conto del fatto che era un uomo nato negli anni Trenta. Sì, lo so che avete tutti avuto genitori partigiani e femministi e illuminati, ma veramente non vi siete mai accorti di quanto il mondo sia cambiato negli ultimi decenni e di quanto sia ovvio che i codici comunicativi e la soglia dell’inaccettabilità siano diversi?

E questo ci porta a: è morto, parliamo di quella volta che l’ho incontrato. Non ero più la ventenne convinta che il futuro fosse del Pds (che tenerezza), ma neanche ero un’adulta con una qualche lucidità. Ero una trentaequalcosenne in uno studio televisivo in cui Berlusconi dava un’intervista elettorale, dovevo scriverne, ero dietro le telecamere e osservavo. A fine diretta, il conduttore me lo presenta, e lui ci resta male: ah, ma quindi è qui per lavoro, io pensavo fosse un’ammiratrice, «le avevo anche schiacciato l’occhio».

La me trentenne raccontava questa scena dicendo ma ti rendi conto, che uomo viscido, e poi passava a concentrarsi sulla stranezza estetica di Berlusconi visto dal vivo, l’hai visto tante di quelle volte in foto che sei convinta lo riconoscerai, e invece è una specie di contrario delle anoressiche che sembra sempre abbiano la testa enorme: lui aveva le spalline della giacca talmente imbottite che la testa sembrava minuscola.

La me adulta sa che il dettaglio notevole è che non dice «le ho fatto l’occhiolino», dice «schiacciato l’occhio», un’espressione che non credo d’aver mai sentito da nessuno ma che sarebbe stata benissimo addosso a mia nonna, che diceva «bàule» e beveva il rosolio.

Nella scena che piace tanto citare a tutti, quella di Berlusconi che spolvera la sedia dov’è stato seduto Travaglio nello studio di Santoro, Berlusconi lo fa tirando fuori dalla tasca un fazzoletto di stoffa. L’ultima volta che ho visto fazzoletti di stoffa è stato nell’armadio di mio padre negli anni Settanta. Niente mi dice «altri tempi» come il fazzoletto di stoffa.

Kendall Roy ha un fazzoletto di stoffa – color nero luttuoso, perdipiù – al funerale del padre. Logan Roy era un miliardario che s’era fatto da solo, il che in America è meno straniante che in Italia, essendo la loro matrice letteraria Jay Gatsby e non la divina provvidenza del Manzoni; Kendall deve improvvisare un’orazione, e dice che suo padre ha costruito una civiltà dal fango, e che sì era un bruto, ma avercene, io spero che quella natura lì sia in me, «perché, se non riusciamo a eguagliare la sua fregola, Dio sa che il futuro sarà inerte e grigiastro»: ecco, sì, quello che ha preso il signore.

Mi aspetto che Succession sia citatissimo negli articoli, gli eredi non all’altezza del patriarca, il patriarca che era un uomo di merda ma mai noioso, mai vissuto di rendita, mai uno di questi qua (continuo a pensare al sottotitolo di quel libro di Ceccarelli, “Da De Gasperi a questi qua”). Io sto fantasticando che Veronica Lario faccia come Marcia Roy: si riappropri del cadavere come la separazione non fosse mai avvenuta, cacciando la tapina che ha il merito e la colpa d’esser stata carne fresca.

Ora non è che, in un universo nel quale non abbiamo ancora trovato un modo non tifoso di raccontare una guerra di ottant’anni fa, in ventiquattr’ore veniamo a capo di Silvio Berlusconi: se ne occuperanno tra secoli senza i nostri tic da curva di tifoseria; io mi limito a cercare (invano) di ricordare quand’ho cominciato a dire «devo votarlo, non esiste che muoia senza che io l’abbia mai votato». Poi non l’ho fatto, ma un po’ mi dispiace: sarebbe stata una buona chiusura di cerchio per una vita adulta partita ritenendolo il massimo male del mondo e proseguita dovendo ammettere che in confronto a questi qua era Churchill.

Non l’ho fatto ma l’ho detto così spesso che l’amica che m’ha telefonato per darmi la notizia m’ha detto solo «Non l’hai votato». Dov’eri quando morì Berlusconi, mi chiederanno tra decenni. Ero senza un coccodrillo pronto, perché come si fa ad affrontare la morte d’un pezzo di paesaggio, non sai da che parte prenderla. Ero senza il voto che m’ero ripromessa di dargli per completare la redenzione della me ventenne. Ed ero reduce da una serata trascorsa a guardare attonita una scrittrice che raccontava d’aver stracciato il suo contratto con Mondadori perché Berlusconi era il nemico, «sono passata a Einaudi», «ma pure Einaudi è di Berlusconi», «che c’entra».

Quand’ero piccola Michele Santoro faceva un programma le cui puntate si aprivano con uno slogan irresistibile: «Comunque la pensiate, benvenuti a Samarcanda». Non era vero. Non è mai stato vero. Siamo sempre stati tifosi, e Berlusconi ha incarnato con la tigna di nessuno quella polarizzazione lì, quella vocazione di noi gente qualunque a stare con qualcuno o contro qualcuno. Mentre lui aderiva a un’unica curva, quella di sé stesso. Come ha detto l’unico politologo lucido degli ultimi trent’anni, Corrado Guzzanti, riassumendone la linea politica e umana: facciamo un po’ come cazzo ci pare.

Era il corpo pulsante del Paese in cui gli italiani si specchiavano. Francesco Maria Del Vigo il 13 Giugno 2023 su Il Giornale.

Amici e nemici in lui vedevano realizzati desideri e ambizioni. Ricco, potente ma immerso nel popolo. Coi video anticipò i social

Silvio Berlusconi non era solo Silvio Berlusconi. Era il corpo del Paese, l'autobiografia di una nazione, il romanzo popolare di tutti gli italiani. Anche di quelli che lo hanno detestato. Perché la sua vita assolutamente unica e non replicabile rappresentava, per paradosso, quella di milioni di cittadini che in lui specchiavano le loro ambizioni e i loro desideri. La sua sterminata, pirotecnica e caleidoscopica biografia, è il riassunto del sogno italiano.

Ed è anche con la sua storia e la sua fisicità che ha ringiovanito e rivoluzionato una politica ancora imbolsita e ingessata in riti arcaici.

Lo storico video della discesa in campo, quello del gennaio 1994, non è solo un terremoto politico, ma è uno tsunami comunicativo. Il corpo di Silvio Berlusconi fa irruzione nelle case di milioni di italiani, si inventa la disintermediazione prima ancora che i social network cambino la grammatica di ogni tipo di linguaggio. C'è un prima e un dopo la discesa in campo, il Cavaliere illumina col technicolor una politica che sembrava ancora in bianco e nero, si rivolge con tono amicale a quei cittadini che si sentivano dare del lei dalle istituzioni.

È una rottura maiuscola con la vecchia politica, ma è allo stesso tempo la cosa più naturale del mondo trovarsi nel salotto di casa un signore che ha costruito un impero e ha dimore degne di un imperatore. Perché Berlusconi, nonostante fosse il più ricco e il più potente dei suoi concittadini, era innanzitutto uno di loro, uno di noi. Non c'è distacco, scollatura, distanza sociale o snobismo. Berlusconi è un magnate, ma non ha niente a che fare con le élite algide e distaccate.

Perché innanzitutto è un italiano, con i suoi clamorosi successi e gli incidenti di percorso, le fortune alternate a momenti di persecuzioni e ingiustizie. Berlusconi costruttore, imprenditore, politico, padre di famiglia, nonno, sportivo e tifoso. C'è un Berlusconi per ogni tipologia di italiano, all'interno della sua biografia sono stipate decine di vite che prendono corpo anche nei giganteschi manifesti elettorali da «presidente operaio» o nelle infinite foto coi cappelli legati alle professioni più svariate: da quello da ferroviere alla bustina da pizzaiolo.

Berlusconi che rompe i protocolli, anticipa le mode, si mette le bandane, fa i «tagliandi», racconta le barzellette, scherza con le donne, movimenta i vertici internazionali, si commuove e piange per gli immigrati morti in mare. Il re delle televisioni è anche un antennista bravissimo a sintonizzarsi sulle frequenze degli italiani, ad anticiparne le decisioni, a intercettarne le necessità, a intuirne le problematiche. Si muove in elicottero, ma conosce l'uomo della strada. Berlusconi che ci mette la faccia, sempre e comunque, e ci aggiunge pure il suo celeberrimo sorriso che ha sfoderato incessantemente, dal primo giorno in cui ha iniziato a vendere lotti di terreno fino all'ultimo minuto della sua esistenza.

Anche negli ultimi video dal San Raffaele Berlusconi, già provato dalla malattia, ci ha messo il corpo e la faccia. E su quel viso, stanco ma sereno, si è allargato ancora una volta il suo sorriso. Ancora una volta, l'ultima, ha voluto mostrarsi fisicamente al suo popolo, alla scrivania, con i fogli in mano, un tricolore alle spalle e quella lezione di infinita dignità nell'«essersi messo la camicia e la giacca». Ma c'è un'immagine su tutte che, nella su tragicità, racconta la tempra dell'uomo, il suo rapporto scenico, umano e soprattutto fisico con il suo popolo, con la folla, il suo desiderio di stare sempre tra la gente: 13 dicembre 2009, Berlusconi è presidente del Consiglio e ha appena tenuto un comizio in piazza del Duomo a Milano per la campagna di tesseramento del Pdl. Mentre sta per rientrare nella sua auto, circondato dalla folla, viene colpito al volto con una statuetta del Duomo. L'impatto è devastante, il Cavaliere portato a braccia nella vettura dagli uomini della sua scorta. Ma pochi istanti dopo ne riemerge e sale, barcollante, sul predellino dell'auto. Il volto è tumefatto, i denti distrutti, la bocca è impastata di sangue. È una scelta spericolata, coraggiosa, ma ai limiti dell'incoscienza: se l'attentatore non fosse stato solo o fosse stato ancora a piede libero avrebbe potuto assestargli il colpo finale. Ma è anche la scelta più berlusconiana in assoluto, di un Berlusconi che non teme di farsi vedere ferito, fragile e in pericolo e che vuole guardare in faccia il suo aggressore e tranquillizzare il suo popolo. L'istantanea di combattente indomito che non ha mai smesso di lottare, fino all'ultimo.

Un posto nella Storia. È finita un'epoca. Davvero. Non è una frase fatta perché Silvio Berlusconi è uno dei pochi uomini, davvero rari, che hanno caratterizzato un intero periodo storico nella vita di un Paese. Augusto Minzolini il 13 Giugno 2023 su Il Giornale.

È finita un'epoca. Davvero. Non è una frase fatta perché Silvio Berlusconi è uno dei pochi uomini, davvero rari, che hanno caratterizzato un intero periodo storico nella vita di un Paese. L'Italia degli ultimi trent'anni ha vissuto sulla figura del Cavaliere. È lui il filo conduttore di una narrazione che attraversa tre decenni. È un dato che nessuno può smentire o nascondere: né amici, né avversari, né fan, né detrattori. Non puoi parlare dell'Italia a cavallo tra il secondo e il terzo millennio senza parlare di lui. E ancora oggi ne era il punto di equilibrio politico e non solo. Per questo è complesso immaginare un'Italia senza il Cavaliere e per lo stesso motivo è difficile credere che la sua assenza non determini dei cambiamenti. Già solo questa constatazione dimostra che, come il Paese ha dato molto a Berlusconi, anche Berlusconi ha dato molto al Paese.

È una verità che dovranno riconoscere tutti in sede storica, lontano dalle polemiche che alimentano l'agone politico. Anche perché è difficile nel vissuto di un solo uomo trovare il grande imprenditore, il grande uomo di sport, il grande uomo politico. Tre primati che hanno un tratto comune: lo spirito indomito, l'ardire di lanciare il cuore sempre e comunque oltre l'ostacolo, l'ottimismo di pensare una frase che ripeteva spesso che da un male può sempre venire un bene.

Ne era convinto anche all'inizio del calvario che lo ha portato via in due mesi, quando parlando della sua malattia mi disse con tono determinato al telefono: «Ce la farò anche questa volta». E ne era sicuro anche due settimane fa, quando andai a trovarlo ad Arcore. In un momento in cui eravamo rimasti soli, gli chiesi se in queste settimane avesse mai avuto paura e lui che ha sempre avuto il coraggio di chiamare le cose con il loro nome ammise: «Due volte, quando ho avuto la bruttissima sensazione di non respirare». Una confessione forse figlia di un presentimento, oppure la consapevolezza che questa volta l'impresa era ardua ma la battaglia andava combattuta fino alla fine. Per una ragione più profonda di quanto possa apparire.

Berlusconi non ha mai avuto timore della morte, ma sentiva dentro il bisogno di dare un ricordo vero di se stesso all'Italia, al di là degli odi e dei rancori che partorisce un Paese sempre diviso in guelfi e ghibellini, in comunisti e fascisti, in berlusconiani e anti-berlusconiani. È questo il vero cruccio con cui ha convissuto in quest'ultima parte della sua vita: essere ricordato per quello che era realmente e non per come i suoi avversari lo hanno dipinto per anni, massacrandone l'immagine per fini di parte. Ricordo come se fosse ora una telefonata che mi fece all'una di notte lo scorso 23 aprile. Era ricoverato al San Raffaele, ma mi chiamò per farmi una confidenza, per lasciarsi andare ad uno sfogo che gli sgorgava dall'anima: «Io voglio vivere perché non posso lasciare di me l'immagine deturpata e falsa che mi hanno appiccicato addosso i miei avversari, quelli che mi odiano. Io sono un imprenditore che ha costruito città, un presidente del Milan che ha vinto tutto. Come politico ho evitato che l'Italia finisse nelle mani di una sinistra che non era quella di oggi ma quella dei comunisti, come uomo di governo ho tentato in tutti i modi di modernizzare il Paese. Eppure sono stato oggetto di una persecuzione durata una vita, dal punto di vista giudiziario e non solo. Voglio ristabilire la verità. Lo devo ai miei cinque figli e agli italiani».

Ristabilire la verità, appunto, ma non solo per se stesso, ma anche per pacificare un Paese che per trent'anni si è inventato uno scontro ideologico tra berlusconiani e anti-berlusconiani. Un assurdo per un personaggio che ha sempre avuto l'ambizione di essere un pacificatore, che sul moderatismo e su una visione liberale e cristiana del Paese ha fondato un partito. Basterebbe un minimo di onestà intellettuale per riconoscerlo. E in fondo a guardare i giudizi espressi in Italia e a livello internazionale, i riconoscimenti ricevuti dalla politica e dai leader di tutto il mondo, si può dire che Berlusconi ha vinto anche la sua ultima battaglia: quella di salvaguardare la sua memoria e di veder riconosciuto da amici e avversari (a parte quelli che lo hanno trasformato nella loro fobia) il posto che gli spetta nella Storia.

Era il corpo pulsante del Paese in cui gli italiani si specchiavano. Amici e nemici in lui vedevano realizzati desideri e ambizioni. Ricco, potente ma immerso nel popolo. Coi video anticipò i social. Francesco Maria Del Vigo il 13 Giugno 2023 su Il Giornale.

Silvio Berlusconi non era solo Silvio Berlusconi. Era il corpo del Paese, l'autobiografia di una nazione, il romanzo popolare di tutti gli italiani. Anche di quelli che lo hanno detestato. Perché la sua vita assolutamente unica e non replicabile rappresentava, per paradosso, quella di milioni di cittadini che in lui specchiavano le loro ambizioni e i loro desideri. La sua sterminata, pirotecnica e caleidoscopica biografia, è il riassunto del sogno italiano.

Ed è anche con la sua storia e la sua fisicità che ha ringiovanito e rivoluzionato una politica ancora imbolsita e ingessata in riti arcaici.

Lo storico video della discesa in campo, quello del gennaio 1994, non è solo un terremoto politico, ma è uno tsunami comunicativo. Il corpo di Silvio Berlusconi fa irruzione nelle case di milioni di italiani, si inventa la disintermediazione prima ancora che i social network cambino la grammatica di ogni tipo di linguaggio. C'è un prima e un dopo la discesa in campo, il Cavaliere illumina col technicolor una politica che sembrava ancora in bianco e nero, si rivolge con tono amicale a quei cittadini che si sentivano dare del lei dalle istituzioni.

È una rottura maiuscola con la vecchia politica, ma è allo stesso tempo la cosa più naturale del mondo trovarsi nel salotto di casa un signore che ha costruito un impero e ha dimore degne di un imperatore. Perché Berlusconi, nonostante fosse il più ricco e il più potente dei suoi concittadini, era innanzitutto uno di loro, uno di noi. Non c'è distacco, scollatura, distanza sociale o snobismo. Berlusconi è un magnate, ma non ha niente a che fare con le élite algide e distaccate.

Perché innanzitutto è un italiano, con i suoi clamorosi successi e gli incidenti di percorso, le fortune alternate a momenti di persecuzioni e ingiustizie. Berlusconi costruttore, imprenditore, politico, padre di famiglia, nonno, sportivo e tifoso. C'è un Berlusconi per ogni tipologia di italiano, all'interno della sua biografia sono stipate decine di vite che prendono corpo anche nei giganteschi manifesti elettorali da «presidente operaio» o nelle infinite foto coi cappelli legati alle professioni più svariate: da quello da ferroviere alla bustina da pizzaiolo.

Berlusconi che rompe i protocolli, anticipa le mode, si mette le bandane, fa i «tagliandi», racconta le barzellette, scherza con le donne, movimenta i vertici internazionali, si commuove e piange per gli immigrati morti in mare. Il re delle televisioni è anche un antennista bravissimo a sintonizzarsi sulle frequenze degli italiani, ad anticiparne le decisioni, a intercettarne le necessità, a intuirne le problematiche. Si muove in elicottero, ma conosce l'uomo della strada. Berlusconi che ci mette la faccia, sempre e comunque, e ci aggiunge pure il suo celeberrimo sorriso che ha sfoderato incessantemente, dal primo giorno in cui ha iniziato a vendere lotti di terreno fino all'ultimo minuto della sua esistenza.

Anche negli ultimi video dal San Raffaele Berlusconi, già provato dalla malattia, ci ha messo il corpo e la faccia. E su quel viso, stanco ma sereno, si è allargato ancora una volta il suo sorriso. Ancora una volta, l'ultima, ha voluto mostrarsi fisicamente al suo popolo, alla scrivania, con i fogli in mano, un tricolore alle spalle e quella lezione di infinita dignità nell'«essersi messo la camicia e la giacca». Ma c'è un'immagine su tutte che, nella su tragicità, racconta la tempra dell'uomo, il suo rapporto scenico, umano e soprattutto fisico con il suo popolo, con la folla, il suo desiderio di stare sempre tra la gente: 13 dicembre 2009, Berlusconi è presidente del Consiglio e ha appena tenuto un comizio in piazza del Duomo a Milano per la campagna di tesseramento del Pdl. Mentre sta per rientrare nella sua auto, circondato dalla folla, viene colpito al volto con una statuetta del Duomo. L'impatto è devastante, il Cavaliere portato a braccia nella vettura dagli uomini della sua scorta. Ma pochi istanti dopo ne riemerge e sale, barcollante, sul predellino dell'auto. Il volto è tumefatto, i denti distrutti, la bocca è impastata di sangue. È una scelta spericolata, coraggiosa, ma ai limiti dell'incoscienza: se l'attentatore non fosse stato solo o fosse stato ancora a piede libero avrebbe potuto assestargli il colpo finale. Ma è anche la scelta più berlusconiana in assoluto, di un Berlusconi che non teme di farsi vedere ferito, fragile e in pericolo e che vuole guardare in faccia il suo aggressore e tranquillizzare il suo popolo. L'istantanea di combattente indomito che non ha mai smesso di lottare, fino all'ultimo.

Vivere con B. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 13 Giugno 2023 

«Le do una dritta: quando uscirà la notizia della mia morte, prima di prenderla per buona lasci passare tre giorni…». Un po’ ci spero, perché si fa fatica a immaginare una vita senza Silvio Berlusconi. 

Mi tenne compagnia fin dalla prima giornata di lavoro. Era il 1986 e il mio vicino di scrivania, un fiero comunista che sembrava disegnato da lui — lanciava una scarpa contro il televisore ogni volta che apparivano i baffoni di Lech Walesa, gridando «servo della Cia» — mi mostrò una foto del neopresidente del Milan che sorrideva in mezzo a Baresi e Maldini: «Vedrai che, entro sei mesi, al posto di Maldini e Baresi ci saranno due carabinieri!». La sinistra non ci ha proprio mai preso, con quell’uomo. 

Sei mesi dopo, al posto dei carabinieri, c’erano due prelati che gli sussurravano: «Dottore, come da accordi, lei parlerà prima del Santo Padre…». Ci trovavamo in un salone dei palazzi vaticani per l’udienza del Milan con Papa Wojtyla. Altro che «accordi»: dalla smorfia di Berlusconi compresi che nessuno lo aveva avvertito. Gli restavano dunque soltanto dieci minuti per improvvisare un discorso al Sommo Pontefice. Lo seguii di nascosto, lungo i velluti di un corridoio laterale: mi incuriosiva vederlo all’opera in una situazione inaspettata. Camminava avanti e indietro, contorcendo la bocca e componendo arabeschi con le mani. Alla fine della passeggiata indossò il suo miglior sorriso celentanoide e affrontò il Papa con poche e leggendarie parole. 

«Santità, Lei assomiglia al mio Milan», fu il suo esordio, a cui Wojtyla reagì rimanendo impassibile, mentre qualche porporato oscillò vistosamente. «Anche Lei, come noi, è spesso in trasferta, a portare in giro per il mondo un’idea vincente, che è l’idea di Dio». 

Mai nessuno aveva osato definire Dio «un’idea vincente». Non in quei palazzi, almeno. Berlusconi si era trascinato al seguito una falange di milanisti, giornalisti e inserzionisti del suo impero - il Gruppo, come si chiamavano tra loro - e li presentò al Papa uno alla volta: «Santità, questo è il grande Nils Liedholm, 359 presenze nel Milan da giocatore, 81 gol e un solo passaggio sbagliato». Wojtyla abbozzò un sorriso di cortesia. «E questo invece è Gigi Vesigna, direttore di Sorrisi e Canzoni: un milione di copie, molte più di Panorama!», il settimanale della Mondadori, che ancora non gli apparteneva. Il Papa si illuminò: «Panorama! Io leggo sempre Panorama!». Berlusconi ci rimase talmente male che credo abbia deciso in quel momento di comprare la Mondadori. 

Avevo ventisei anni e mi faceva già così ridere e così paura. Era il cumenda moderno, simpatico e spietato, generoso e megalomane, circondato da ondate concentriche di servilismo e devozione a cui faceva di tutto per non sottrarsi. Calava sull’allenamento del Milan da un elicottero direttamente sul prato di gioco (ma lui diceva «giuoco»), si toglieva l’impermeabile beige e lo lanciava alle sue spalle, dove c’era sempre un aspirante portiere pronto alla parata. Quando gli chiesi qual era stato il momento più bello della sua vita, non ebbe dubbi: «La volta in cui nell’antistadio di Como un tifoso mi urlò: Silvio sei una bella f…». 

Già allora esisteva un doppio Berlusconi: quello «con il sole in tasca» delle apparizioni in pubblico e il personaggio enigmatico che aveva potuto disporre a meno di trent’anni di prestiti ingenti. 

Nei lunghi pomeriggi di Milanello, a tenere banco tra i cronisti sportivi erano due storie extracalcistiche. Una riguardava il famoso esperimento sul tasso di credulità degli italiani. Berlusconi aveva piazzato il suo autista all’ingresso di una convention di imprenditori scafatissimi, presentandolo a tutti come «Ingegner Kwai, autore del ponte sul fiume omonimo». Sebbene si trattasse di una palese citazione cinematografica, sosteneva che oltre la metà degli illustri convenuti aveva stretto calorosamente la mano all’«ingegner Kwai», facendogli grandi complimenti. E chiosava: «È incredibile come persino le persone intelligenti finiscano per bersi qualsiasi balla». Chissà perché gli interessava tanto scoprirlo. 

L’altra storia riguardava il famoso patto di Segrate: quando Canale 5 e Retequattro, non ancora sua, avevano firmato un accordo solenne di venerdì pomeriggio per spartirsi la pubblicità televisiva a partire dal lunedì seguente. Dopo le foto di rito, Berlusconi rientrò nei suoi uffici e, così almeno narra la leggenda, si rivolse ai collaboratori come in un film d’azione: «Sincronizzate gli orologi: abbiamo poco più di 48 ore prima che l’accordo entri in vigore. Rastrellate tutta la pubblicità che c’è in giro!». Arrivò il lunedì e i proprietari di Retequattro si trovarono senza più neanche uno spot, tanto che di lì a qualche tempo dovettero vendergliela. Questo aneddoto, forse un po’ romanzato (magari proprio da lui) è il test che ho utilizzato negli anni per capire gli orientamenti politici dei miei interlocutori. Chi reagiva dicendo «vergogna, che disprezzo per le regole!» votava a sinistra. Ma la maggioranza commentava: «Intanto lui nel week-end ha lavorato». 

Lasciai Milano per Roma, convinto che non lo avrei incrociato mai più. Lo rividi una notte a Barcellona, con la Coppa dalle grandi orecchie fra le braccia, mentre catechizzava la folla: «Un giorno vorrei fare l’Italia come il Milan!». Tutti a darsi di gomito, tranne i giornalisti sportivi che lo seguivano da una vita. Loro sapevano di che cosa fosse capace. 

Una sera di novembre (del 1993) il giornale mi mandò in Parlamento per raccogliere pareri sul suo ventilato ingresso in politica. Montecitorio era deserta, ma da una porticina apparve l’allora capogruppo del Pds, Massimo D’Alema: «Smettetela con queste sciocchezze. Berlusconi non fonderà mai un partito. M-a-i!». Compresi che la discesa in campo era questione di ore. 

Nei mesi successivi l’Italia intera scoprì le sue manie e le sue megalomanie, ma anche la sua genialità. Le videocassette con la finta libreria dietro le spalle e la calza vera sopra la telecamera. Il miracolo italiano e la «narrazione» irresistibile dell’uomo di successo che viene dalla «trincea del lavoro». L’inno con le parole intercambiabili scritte da lui: «E Forza Italia per fare per credere...». Le frasi memorabili: «Non esistono i poveri, ma solo i diseducati al benessere». 

Ero esterrefatto. A cosa era servito scappare dallo sport, se me lo ritrovavo di nuovo addosso? «Prova a parlare d’altro», mi scongiuravano i lettori, ma non esisteva argomento in cui non c’entrasse Berlusconi.

La politica? Lui.

Il calcio? Lui.

La tv? Lui.

La pubblicità? Lui.

Il cinema? Lui.

La cronaca rosa? Lui.

La giudiziaria? Lui.

L’economia? Lui, lui, lui. 

Per distrarmi, un giorno comprai una rivista di botanica: c’era una sua foto nel giardino di Arcore mentre potava le rose. Dopo l’ennesimo exploit, scrissi: «Che cosa potrà ancora inventarsi quest’uomo per stupirci? Giuro che non me ne occuperò più, a meno che non faccia esplodere un vulcano». Era giugno. Resistetti fino a Ferragosto, quando dalla Costa Smeralda arrivò un’agenzia di stampa: «Scoppia finto vulcano nella villa di Berlusconi, panico tra i villeggianti». 

Difficile non trasformarlo in un’ossessione. Il culmine lo raggiunsi durante la mia prima e ultima vacanza in un paradiso esotico, nell’anno della vittoria elettorale dell’Ulivo. Bagno notturno, la luna, gli amici, il mormorio del mare. Curzio Maltese (scomparso quest’anno anche lui) mi si avvicinò con aria corrucciata: «Stavo pensando che se Prodi non fa subito la legge sul conflitto di interessi...». «Ti prego, basta Berlusconi! Almeno qui…». Però aveva ragione Curzio: gli ulivisti non fecero la legge. 

Forse erano su qualche spiaggia esotica anche loro. Entrai nella fase dell’apostolato: volevo convincere il prossimo che Berlusconi non era un liberale, ma un monopolista. Mi arresi subito, durante un trasloco, quando un operaio mi abbordò con una certa preoccupazione: «Dottò, lei che segue la politica, non è che Berlusconi pensa di vendere le televisioni?». «Ne dubito, ma se succedesse diventeremmo un Paese normale, non crede?». «Se vende le tv, io non lo voto più. Finché le ha, è ricco. E finché è ricco, non ruba». «Ma così farà sempre e soltanto gli affari suoi». «Sì, ma facendo i suoi, sarà costretto a fare un po’ anche i nostri. Se invece vende le tv, diventa un politico come gli altri». 

La sinistra sosteneva che l’italiano medio era vittima delle bugie di Berlusconi. Invece in molti casi era solo un Berlusconi più povero. Il suo nome restava il più amato o il più osteggiato, comunque il più evocato. Mai nessuno aveva diviso tanto gli italiani. Un fanatico dei girotondi di Nanni Moretti mi scrisse di avere rinunciato a corteggiare una donna che gli piaceva dopo avere scoperto che aveva votato per lui. La democrazia si era trasformata in un referendum continuo, pro o contro una singola persona che incarnava un mondo che gli uni consideravano sguaiato e gli altri vitale. E quella persona era il cumenda che tanti anni prima avevo visto spiegare Dio al Papa e lanciare l’impermeabile all’aspirante portiere del Milan. 

Siamo invecchiati insieme, nel senso che mentre io perdevo i capelli, lui li ritrovava. Non ha mai cercato di convertirmi. Solo una volta, saputo dei miei trascorsi liberali, mi chiese: «Ma se non è un comunista, perché non sta con noi?». 

Berlusconi era un genio della semplificazione: per lui era comunismo tutto ciò che stava a sinistra di Emilio Fede. Vedeva gli italiani per come sono. Mussolini avrebbe voluto farne dei soldati-contadini come gli antichi romani, la Dc dei cittadini probi e laboriosi, e anche il Pci aveva un fondo pedagogico e moralista. Invece Berlusconi li esortava ad andare fieri dei loro difetti, considerandoli sintomi di libertà. Ne dava egli stesso l’esempio, con soprassalti di individualismo e cadute di gusto che indignavano gli stranieri e chi tale si sentiva anche in patria, ma confermavano nei suoi elettori la convinzione che lui fosse «uno di noi». Non li ha peggiorati. Li ha sdoganati. La sua eredità culturale resta racchiusa nell’esortazione che rivolgeva agli autori dei suoi programmi: «Ricordatevi che una parte del nostro pubblico ha fatto la seconda media e non era neanche tra i primi della classe». Quel pubblico che la Rai democristiana e comunista cercava di spingere verso il liceo a colpi di prediche e polpettoni, Berlusconi lo ha trattenuto nel paese dei Balocchi, ammannendo svago e facilità come l’omino di burro che trasforma Pinocchio in un ciuchino. Anche se, quando glielo dissi, mi rispose che il personaggio della favola in cui più si riconosceva era la Fata Turchina.

Uno, nessuno, centomila B. Massimo Gramellini  su Il Corriere della Sera il 14 Giugno 2023 

Se fossi chiamato a tenere un discorso ai funerali di Stato, cosa che per fortuna dello Stato non avverrà, e mi venisse chiesto un aneddoto — uno solo — in grado di illustrare l’essenza dell’uomo, credo che ignorerei le tv, la politica, il sesso e gli affari, e mi concentrerei su una monetina. Una monetina da cento lire, come quella che, nella primavera del 1990, dagli spalti dello stadio di Bergamo planò sulla testa del centrocampista Alemao, consentendo al Napoli di vincere la partita a tavolino e di precedere il Milan in classifica.

Berlusconi non se ne fece mai una ragione. Dapprima ordinò una perizia, nientemeno che all’università di Stoccarda, dalla quale risultò che la parabola compiuta dalla monetina per scavalcare la recinzione che separava il campo dalle gradinate ne aveva ridotto sensibilmente la velocità, rendendola più innocua di un petalo di rosa. «Ma essendo come san Tommaso» si infervorava nelle convention, «ho voluto sperimentare anche di persona. Ho mandato mio figlio (in realtà il maggiordomo) al primo piano di Arcore e gli ho ordinato di tirarmi una monetina sulla testa. Poiché non ho sentito nulla, l’ho pregato di salire al secondo e di tirarmela da lì: ho avvertito un dolore risibile. Solo quando sono stato colpito dal terzo piano mi è venuto un bernoccolo guaribile in tre giorni».

Era dunque questo, Berlusconi? Un uomo che per avere ragione adorava presentarsi come vittima, al punto da arrivare ad infliggersi il martirio da solo? Dopo avere letto i giornali di ieri, compresi quelli stranieri che quasi all’unanimità lo dipingono ingiustamente come un fenomeno da baraccone, mi sono accorto che ognuno di noi ha il suo Berlusconi, apparentemente incompatibile con quello degli altri. Come se ci fosse impossibile accettare che nella stessa persona possano coesistere il nostro pregiudizio e il suo contrario.

Marchionne, che era un po’ italiano e un po’ no, non si capacitava che l’uomo capace di accoglierlo a Palazzo Chigi dicendo «sai perché i cannibali piangono mentre gli esploratori bianchi cuociono in pentola? Per intenerirli» riuscisse a conciliare lo spiritaccio da animatore di villaggio-vacanze con il senso del business. Quando Marchionne disse che non aveva tempo da perdere con le storielle, avendo molto da lavorare, l’altro gli rispose che quello per lui era il lavoro: condire gli affari di barzellette e di barzellette gli affari. Berlusconi era davvero tante cose, in contemporanea. Il playboy vanesio del bunga-bunga, ma anche il classico italiano medio che la sera costringeva le sue ospiti di palazzo Grazioli a sedersi davanti a uno schermo per sorbirsi il rito a tutti noi tragicamente noto del Filmino delle Vacanze, che per lui erano i viaggi di Stato all’estero: Silvio con Bush, Silvio con Putin e Silvio con Silvio, il suo preferito.

L’implacabile trasvolatore di regole e ricercatore di scorciatoie che denunciavano i suoi critici, ma anche il commendatore col cuore in mano che ogni anno si rifiutava di licenziare un dipendente ladro perché lo sapeva padre di un disabile, come mi raccontò Maurizio Costanzo. Fedele Confalonieri, forse la persona che lo ha conosciuto meglio, una volta lo definì “un Ceausescu buono”, cioè un dittatore dolce, ma nessuno può avere la risposta giusta, dal momento che lo sono un po’ tutte.

Lui stesso faticava ad accettare di contenere moltitudini, un miscuglio di luci e ombre. Una sera, in volo sul mar Tirreno dopo un comizio, chiese al giornalista che lo stava intervistando, Pino Corrias, che cosa volessero davvero i giudici da lui. Corrias rispose: «Credo sospettino che lei abbia usato capitali non suoi, agli inizi». Berlusconi, troppo stanco per cavarsela con una battuta, sospirò: «Nella mia vita di soldi ne ho usati tanti. E i soldi si prendono dove ci sono». Non riusciva a capire che cos’avesse fatto di male, e soprattutto di diverso, da tanti altri imprenditori di prima generazione.

Alla fine, come succede a tutti, sarà la sua eredità a definirlo. L’impressione è che abbia lasciato un segno ovunque, tranne che in politica. Lì ha imparato fin troppo bene il mestiere, ma a differenza dei grandi leader del dopoguerra non ha saputo legare il suo nome a una riforma in grado di sopravvivergli. In fondo i suoi elettori gliene chiedevano una sola: la riduzione drastica delle tasse. Il 28 marzo 1994, nel commentare l’inatteso trionfo elettorale, disse: «Abbiamo fatto la cosa più difficile, fermare i comunisti. Ora non ci resta che la più facile, governare». Invece si direbbe l’unica che non gli è riuscita.

Cari commensali, vi dico chi era il vero Berlusconi. Non l’imprenditore, non il politico, non il presidente del Milan: ecco il Berlusconi privato. Nicola Porro il 13 Giugno 2023 su Nicolaporro.it

Silvio Berlusconi era un personaggio che chiunque abbia seguito la Zuppa in questi anni sa quanto fosse un punto di riferimento per noi, nel suo parlare chiaro e nell’essere sempre contro-intuitivo. Per noi, ovviamente, viene a mancare un grandissimo punto di riferimento culturale più che politico.

Sia io che i commensali non abbiamo sempre condiviso le sue scelte. L’abbiamo criticato per alcune decisioni che pensavamo politicamente non fossero nell’idea e nello spirito originario del berlusconismo del ’94 (quello di Martino, dei professori, per intenderci). Tuttavia, Berlusconi può essere letto sotto tanti punti di vista: l’imprenditore straordinario, quello che fece Milano 2 dove nessuno pensava si potesse fare una speculazione immobiliare perché era un terreno paradossale e vicino all’aeroporto, insomma il posto più inospitale per inventarsi un villaggio che era avveniristico. Berlusconi è anche colui che si è inventato la televisione quando, da citofono di Milano 2, è diventata una televisione nazionale. E’ stato spregiudicato come tutti gli imprenditori debbono essere e come nel Far West delle televisioni non si poteva non essere, inventandosi quel sistema per cui con le cassette andava in diretta quando c’era quella legge sbagliata, sbagliatissima, per cui soltanto la Rai aveva la possibilità di trasmettere in tutta Italia.

Era un grandissimo alleato dei potenti che comandavano, era il tratto della sua politica quello di essere comunque sempre un po’ con il suo carattere vicino a quelli che hanno qualcosa da dire. Berlusconi, oltre a un grande imprenditore, è stato un grande politico: nel ’94 ha fatto una cosa eccezionale che gli viene riconosciuta anche dai nemici. Vale a dire l’idea di inventarsi un partito e con questo battere quella gioiosa macchina da guerra che forse, se avesse vinto, avrebbe fatto le cose in maniera molto diversa.

Quel Berlusconi del ’94 con Martino, Pera, Colletti, Urbani, Marzano e Saverio Vertone era un Berlusconi veramente incredibile che fu preso in giro come pochi per la valigetta, il kit del candidato, l’inno di Forza Italia, i congressi e per il colore azzurro. Insomma, quel Berlusconi del ’94 è arrivato a governare 3.500 giorni a Palazzo Chigi. Non c’è nessun governo che abbia governato ininterrottamente così tanto. Uno potrebbe dire che la rivoluzione liberale sia stata solamente promessa, però certamente ha cambiato l’agenda della politica.

Questo è il Berlusconi che tutti quanti voi conoscete: il Berlusconi imprenditore, politico e sportivo. Già, anche sportivo: ricorderete il Berlusconi presidente del Milan che atterrava con l’elicottero e comprava gli olandesi. Insomma, il grandissimo Berlusconi che entra nello sport e, a differenza di tanti cialtroni che oggi pensano che comprare una squadra di calcio gli permetta di entrare nella Serie A nell’establishment italiano, Berlusconi questa cosa l’ha realizzata e l’ha fatta.

Tutta questa premessa per dire che questo non è il vero Berlusconi. È solamente il Berlusconi che abbiamo letto sui giornali, visto in televisione e negli stadi. Solamente chi ha avuto a che fare con il Cavaliere sa chi è il vero Berlusconi: era una persona che non si nascondeva, che ti telefonava, che quando eri malato ti dava una mano. E poi il Berlusconi che a Palazzo Chigi saliva le scalinate, stringeva la mano ai lancieri di Montebello, uno per uno, anche non a beneficio della stampa. Il Berlusconi generoso, che aiutava tutti quanti i suoi dipendenti, che aiutava i suoi conoscenti, che elargiva soldi come se non fossero suoi, eppure erano suoi, perché Berlusconi era di una generosità incredibile.

Il Berlusconi che ti telefonava, l’ha fatto anche a me nei momenti un po’ più difficili, mi chiamò e mi assunse quando mi fecero fuori dalla RAI, mi chiamò quando avevo il Covid, io non ero affatto preoccupato, era preoccupato più lui di quanto lo fossi io, e che ti stava a sentire ogni giorno sulle tue preoccupazioni. Lo stesso Berlusconi che proprio qualche giorno fa mi ha chiamato per dirmi grazie per essere rimasto a Mediaset, cosa che gentilmente mi aveva chiesto di fare.

Questo è un Berlusconi privatissimo. Non è il Berlusconi delle barzellette, non è il Berlusconi del Milan, non è il Berlusconi dell’impresa e dei miliardi, non è il Berlusconi della politica che va ovviamente – e giustamente – a compromessi con gli altri. È il Berlusconi umano che coloro che hanno avuto il privilegio di conoscere sanno che questo era il suo vero tratto.

I luoghi di Berlusconi a Milano: le scuole dai Salesiani, il primo business immobiliare in via Alciati, la discesa in elicottero all'Arena Civica. Giampiero Rossi su Il Corriere della Sera il 12 Giugno 2023

La città lombarda ha segnato la vita personale, imprenditoriale e politica del Cavaliere: nel 1994 si candidò nel centro storico, nel 2007 in piazza San Babila la «svolta del predellino», due anni dopo l'aggressione in piazza Duomo da parte di uno squilibrato che lo colpì al volto con una statuetta 

La geografia milanese di Silvio Berlusconi parte da via Volturno 34, quartiere Isola, dove la famiglia si stabilisce dopo la guerra. Qui, tra gli altri, incontrerà l’amico di tutta la vita, Fedele Confalonieri, insieme al quale frequenta le scuole salesiane di via Copernico, poco distante, dove nel 1954 prende la maturità classica, per poi laurearsi in giurisprudenza all’Università Statale, in via Festa del perdono.     

Silvio Berlusconi è morto: ha cambiato la politica e l’Italia

Gli orizzonti metropolitani e professionali del primogenito figlio di un funzionario della banca Rasini si allargano con il primo business immobiliare: nel 1961 fonda la Cantieri Riuniti Milanesi Srl insieme al costruttore Pietro Canali e acquista un terreno in via Alciati – tra via San Gimignano e via D’Alviano – per 190 milioni di lire. Il passo successivo, tre anni più tardi, è una più ampia operazione a Brugherio, dove con la neonata Edilnord realizza un quartiere residenziale.  

A quel punto il mondo popolare dell’Isola è già soltanto un ricordo: la mamma, Rosa Bossi, si trasferisce in via San Gimignano, e anche Silvio Berlusconi si muove in ben altri ambienti urbani, come Foro Buonaparte 24, la casa-ufficio passata alla storia per la visita dei boss palermitani Francesco Di Carlo, Stefano Bontade e Mimmo Teresi del 1974, e dove nel 1977 l’ormai noto costruttore si fa ritrarre con una pistola appoggiata sul tavolo.  

I successivi salti di qualità imprenditoriale avvengono di nuovo fuori porta, a Segrate. Prima che finiscano gli anni Settanta Berlusconi realizza Milano 2, il suo primo progetto di «città giardino», dove sta sorgendo anche l’ospedale San Raffaele, che contribuisce alla complicata operazione che conduce alla modifica delle rotte degli aerei in partenza e in arrivo al vicinissimo scalo di Linate. E sempre da Segrate, con l’acquisto di Telemilano, parte l’avventura televisiva destinata a svilupparsi nel colosso Fininvest e poi Mediaset, con quartier generale a Cologno Monzese. E sede centrale in via Paleocapa vicino al Castello Sforzesco. E a legare la geografia berlusconiana alla cronaca nera è proprio la palazzina Fininvest di via Rovani, dove nel 1986 e 1988 si verificano due attentati dinamitardi.  

Nel 1980, al Teatro Manzoni, da un anno proprietà del Cavaliere, conosce l’attrice Veronica Lario, che diventa la sua seconda moglie. Nel frattempo Silvio Berlusconi cambia di nuovo indirizzo: ora abita a Villa San Martino, ad Arcore, destinata a diventare punto di riferimento della vita politica italiana. Ma lui diventa ancora più protagonista della vita milanese quando, nel 1986, acquista il Milan. Per celebrare solennemente l’operazione, il 18 luglio 1986 organizza un grande evento rossonero all’Arena civica, dove lui arriva direttamente in elicottero. Da quel momento lo stadio Meazza per le partite e il ristorante Giannino di via Sciesa per le cene di festeggiamento, diventano nuove tappe della sua presenza in città. E tra il 1988 e il 1994 sotto i colori rossoneri della Polisportiva Milan, Berlusconi volle riunire anche squadre impegnati nei campionati di hockey su ghiaccio, baseball, volley e rugby: entrano così nel perimetro del Biscione anche impianti sportivi come il PalaCandy di via dei Ciclamini, il centro sportivo Kennedy di via Olivieri, il Palalido di piazzale Stuparich e il campo Giuriati di via Pascal.  Prima che finiscano gli anni Ottanta, il Cavaliere acquisisce il controllo anche dei grandi magazzini Standa, tra gli altri aperti in luoghi centrali come piazza Cordusio e via Torino, e del cinema multisala Odeon, in via Santa Radegonda.  

Poi arriva la discesa in campo. Nel bene o nel male, Milano accompagna anche la lunga stagione politica di Berlusconi: dalla prima vittoria elettorale del 1994, quando lui è candidato nel Collegio 1, quello del centro storico, fino alla «svolta del predellino» del 18 novembre 2007, quando in piazza San Babila da leader dell’opposizione annuncia a sorpresa la nascita di una nuova formazione di centrodestra: il Popolo delle libertà. Due anni più tardi, 13 dicembre 2009, in piazza Duomo al termine di un comizio da presidente del Consiglio al te viene colpito al volto con una miniatura della cattedrale da uno squilibrato. Ma prima e dopo questi eventi, e oltre alle sedi di Forza Italia di viale Isonzo e viale Monza, c’è un altro punto di Milano che diventa – suo malgrado – una costante nell’agenda berlusconiana: corso di Porta Vittoria, Palazzo di giustizia. 

Silvio Berlusconi è morto, aveva 86 anni: il racconto di una vita fuori dall’ordinario. Antonio Polito su Il Corriere della Sera il 12 Giugno 2023 

Silvio Berlusconi è morto alle 9:30 di oggi all’ospedale San Raffaele di Milano: ex premier, leader di Forza Italia e fondatore di Mediaset aveva 86 anni. I funerali si terranno mercoledì nel Duomo di Milano 

Silvio Berlusconi è morto alle 9:30 di oggi all’ospedale San Raffaele di Milano. Il leader di Forza Italia e fondatore di Mediaset aveva 86 anni. Berlusconi era tornato al San Raffaele lo scorso venerdì, dopo un lungo ricovero — di 45 giorni — terminato poche settimane fa, a causa di una polmonite e di una leucemia mielomonocitica. In mattinata, il fratello Paolo e i figli erano accorsi in ospedale, dove già si trovava Marta Fascina; hanno lasciato il San Raffaele intorno alle 12, quando il corpo di Berlusconi è stato portato ad Arcore. I funerali si terranno mercoledì alle 15 nel Duomo di Milano.

L’agonia finale, questi tre giorni in cui un po’ alla volta è svanita la speranza di chi gli voleva bene che potesse riprendersi anche stavolta, sconfiggere la leucemia com’era stato capace in passato di superare un tumore, un intervento al cuore, una polmonite bilaterale da Covid, ha esposto davanti agli occhi del Paese la fragilità umana, estenuata dal male, che si nascondeva dietro la scorza di combattente. Ora è il momento del cordoglio e dell’affetto, che da amici e nemici, estimatori e spregiatori (con qualche poco lodevole eccezione), sta arrivando alla famiglia naturale e a quella politica di Silvio Berlusconi. 

E però, come capita solo a chi entra da protagonista nella storia di una nazione, onorarne la scomparsa è anche riflettere sul suo tempo, sulla sua dimensione di «numero uno», nell’impresa, nello sport, nella politica, nella guida del Paese. E se si dovesse fare l’anatomia di un istante, nella straordinaria vita di Silvio Berlusconi, forse si dovrebbe scegliere la sera dell’8 novembre 2011. Perché un uomo di Stato è definito dal modo in cui lascia il potere, almeno quanto non lo sia dal modo in cui l’ha conquistato.

La sua biografia, dunque, potrebbe cominciare non dal giorno in cui aprì il suo primo cantiere edile, a Brugherio, nel 1964, o fondò la Fininvest, nel 1975, aprendosi la via di un impero televisivo e finanziario che lo rese uno degli uomini più ricchi del mondo. Né dal giorno in cui scese in campo, avviandosi a vincere tre elezioni e mezzo e a guidare quattro governi per il tempo record di nove anni. Né dalla volta che scese con l’elicottero sul campo dell’Arena per inaugurare l’epopea del Milan , con lui vincitore di cinque Champions e otto scudetti in trentuno anni. 

Berlusconi si è preso nella sua vita tanto di quel potere, che il vero magic moment, l’istante da raccontare, è forse quello in cui l’ha perso. Le cose stavano così: l’Italia andava a rotoli per via dell’attacco dei mercati al nostro debito pubblico. Spread oltre 500 punti. Merkel e Sarkozy che ridevano in pubblico di lui. L’Europa che aveva paura di affondare insieme all’Italia. Gianfranco Fini si era fatto un partito ed era passato all’opposizione. Otto deputati, tutti ex «fedelissimi», tradiscono il Cavaliere in un voto decisivo, facendogli perdere la maggioranza a Montecitorio.

Ma lui vuole resistere. Non mollare. Non dimettersi da premier. «Così deve fare Berlusconi», gli suggeriscono tutti quelli intorno a lui, che hanno sempre vissuto di luce riflessa e vogliono tenerla accesa. Ma poi arrivano due telefonate. La prima è di Ennio Doris, amico e antico socio in Mediolanum: «Silvio, se non ti dimetti l’Italia crolla». La seconda è del figlio Luigi, che lavora nella City a Londra: «Papà, se l’Italia crolla crollano anche le nostre aziende». Così il “Cavaliere nero”, il Caimano che nel film interpretato da Nanni Moretti alla fine sobilla la rivolta popolare pur di non cedere il potere, si dimette accettando la logica inesorabile della politica democratica. E in un solo pomeriggio l’argomento più usato contro di lui, il «conflitto di interessi» tra aziende private e funzione pubblica, si rovescia nel suo contrario. 

Dopo aver inseguito il potere, secondo i suoi nemici solo per il suo interesse, deve rinunciare al potere anche nel suo interesse. La dimensione «larger than life», fuori dall’ordinario, della vicenda umana e politica del Cavaliere è tutta nel momento in cui lasciò per sempre Palazzo Chigi (e che lui poi più volte derubricherà a mero «complotto», facendo così torto innanzitutto a se stesso e alla scelta responsabile che fece). A quella giornata a suo modo storica non fecero onore i cori di «buffone, buffone» sotto Palazzo Chigi e le ali di folla festanti davanti al Quirinale per le sue dimissioni. Come nella sera delle monetine a Craxi, si mostrò allora un’Italia capace di codardo oltraggio, dopo lunghi anni di servo encomio. Perché Berlusconi è stato un fenomeno: volontà di potenza, certo, ma anche necessità storica. Insieme il frutto del male italiano e allo stesso tempo il suo tentativo di cura. Non il malfattore che conquista un popolo ingenuo con dosi da cavallo di imbonimento televisivo, come è stato descritto; ma neanche il salvatore della patria che libera il suo paese dai cosacchi di Occhetto, il primo dei tanti leader della sinistra da lui sconfitti. 

Piuttosto, nel bene e nel male, il fondatore di una nuova destra e di una nuova politica, con ambizioni liberiste e tratti populisti, che ha fatto scuola nel mondo e ha dominato la scena italiana per un ventennio, anche quando era all’opposizione. E che poi è finita con lui, tant’è che per tornare a vincere ha dovuto cambiare pelle, sesso, età, e incarnarsi in Giorgia Meloni, antropologicamente il suo contrario. 

I professionisti dell’antiberlusconismo l’hanno accusato di ogni crimine. Ed è vero che più di venti processi sono stati intentati contro di lui, con imputazioni varie, talvolta particolarmente infamanti, come lo sfruttamento della prostituzione minorile nella persona di Ruby Rubacuori, una delle tante partecipanti alla sarabanda di ragazze che ospitava nelle sue ville; o come il sospetto di collusione con la mafia che ha portato uno dei suoi più grandi amici e compagni d’arme, Marcello Dell’Utri, alla condanna e al carcere; o addirittura l’accusa di aver ordito le stragi del 1993 per accelerare il proprio trionfo politico. Da quasi tutte le imputazioni è uscito assolto, prosciolto o comunque prescritto, anche grazie alle arti dilatorie del suo stuolo di avvocati, guidato dal fido e ormai scomparso Ghedini. 

E dunque, se si deve credere alla Legge, quella dei giudici e delle sentenze e non solo quella dei procuratori e delle intercettazioni, Berlusconi ha compiuto un solo reato: frode fiscale, per cui è stato condannato con sentenza definitiva. Gli è costata una rapida defenestrazione dal Senato, la cui maggioranza del tempo non perse l’occasione di ricorrere allo scrutinio palese pur di sancirne l’incompatibilità (il Cavaliere ha poi avuto piena riabilitazione giudiziaria, e si è potuto ricandidare ed essere eletto, prima al parlamento europeo e poi di nuovo al Senato, dove ha ripreso il suo posto). Naturalmente l’uomo non era per niente uno stinco di santo, anzi: aveva i suoi vizi privati e pubblici e sapeva come giocare sporco. C’è chi gliel’ha rimproverato fino all’ultimo, senza pietà, come il suo arci-nemico Carlo De Benedetti, che perfino mentre l’avversario era in ospedale col Covid gli fece sì gli auguri, ma ribadendo che per lui era pur sempre «un imbroglione». 

Tante macchie ne hanno oscurato la vita pubblica. L’origine dei capitali con i quali Berlusconi ha iniziato la sua attività di imprenditore è ancora avvolta nel mistero. L’uso della maggioranza parlamentare per varare leggi ad personam al fine di difendersi dai processi si sostituì alle promesse di riforma del sistema giudiziario mai mantenute. E l’impero televisivo, nato con uno stratagemma per aggirare il divieto, la diffusione delle cassette registrate a una rete di tv locali, fu legittimato con un decreto legge da Craxi, suo amico e testimone delle nozze con Veronica Lario, che lo salvò dal sequestro ordinato da tre pretori. 

Però, come sempre nella sua vita, ognuna di queste vicende ha il suo risvolto. Per esempio: chi può negare che la fine del monopolio pubblico della televisione fosse ormai matura, non più giustificata dalla greppia dei partiti sulla Rai, un fattore di modernizzazione che ha cambiato l’Italia? Berlusconi colse con spregiudicatezza la mela, e si fece aiutare da chi allora era più in alto di lui. Però così cambiò, oltre che la sua fortuna, anche la vita degli italiani, soprattutto dei più isolati, anziani, poveri e meno scolarizzati, che poterono riempire le loro serate dei quiz di Mike Bongiorno e delle telenovelas brasiliane, per giunta gratis, senza canone. 

Più volte la sinistra ha sbattuto la testa contro questo spigolo: ciò che lei trovava intollerabile e insopportabilmente populista in Berlusconi, la gente semplice lo trovava ammirevole. Il mito, così americano, dell’uomo che si era fatto da sé, sedusse il popolo, espropriandone la sinistra. Soprattutto Berlusconi scoprì «le grand bleu» della politica italiana, il mare azzurro e profondo degli elettori moderati, o comunque ostili alla sinistra. Il Cavaliere, complice il passaggio al sistema elettorale maggioritario nel 1994, riuscì a prendersi il centro, sulle spoglie della Dc, e a riunirlo con la destra nordista di Bossi e sudista di Fini. Per la prima volta dal 1876, l’Italia conobbe l’alternanza. Uno schieramento vinse le elezioni e passò dall’opposizione al governo. Forse fu proprio la radicalità e la partigianeria di questa nuova politica (che un altro amico di Berlusconi, Cesare Previti, sintetizzò brutalmente con la frase «noi non facciamo prigionieri»), a fare scandalo in un paese abituato al «connubio» tra Cavour e Rattazzi e al «compromesso storico» tra Moro e Berlinguer. 

Di certo Berlusconi ci mise del suo. Aveva il gusto, o l’improntitudine, di scandalizzare l’uditorio con dichiarazioni politicamente scorrettissime , che hanno fatto il giro del mondo e lo hanno trasformato in un personaggio pittoresco per la stampa estera: come quando diede dell’«abbronzato» a Obama, alludendo al colore della sua pelle. O come quando, nella foto ufficiale di un vertice europeo, fece il gesto delle corna dietro le spalle del suo omologo spagnolo, come un studente liceale in gita. Ma anche in Italia ne ha dette. La magistratura «cancro del Paese» fu forse la frase più contestata. Un certo scalpore fece anche il discorso in cui affermò di non poter credere che «ci siano in giro così tanti coglioni» disposti a votare contro di lui. Si è sempre sentito un uomo cui il successo consentiva di mettersi al di sopra delle convenzioni, se non delle leggi. L’andirivieni delle «olgettine» nelle sue residenze private non aveva, è vero, rilevanza penale, come i processi hanno poi accertato; ma la rivelazione delle sue «cene eleganti» ha avuto una notevole rilevanza nel cristallizzare in molti un giudizio negativo sull’uomo di Stato, che in ben altre faccende dovrebbe essere affaccendato (oltre a costargli il matrimonio con Veronica Lario). 

Eppure il bilancio finale del Berlusconi politico non è negativo a causa di tutte le cose che ha minacciato di fare o che i suoi avversari gli hanno imputato di aver fatto; ma piuttosto per quelle che aveva promesso e che non è riuscito a fare. Il più longevo premier della storia della Repubblica ha lasciato sulla carta la «rivoluzione liberale», fatta di meno tasse e più crescita, la promessa che lo aveva portato al governo. Non ha potuto cambiare come voleva la Costituzione, perché la sua riforma fu sonoramente battuta nel referendum. Non riuscì neanche - né davvero ci provò veramente mai - a riscrivere il sistema giudiziario italiano in un senso più garantista e meno dominato dalle Procure, preferendo il piccolo cabotaggio delle leggi «ad personam». 

Non ha mai neanche lontanamente accettato l’idea di costruire una successione, tagliando anzi la testa uno a uno a tutti i potenziali «delfini», e così presumibilmente portando alla fine con sé la sua creatura, Forza Italia. La quale, negli ultimi anni del declino fisico ed elettorale del Cavaliere, si è infatti trasformata in una corte medievale, dove le fortune o le disgrazie dipendono dai favori della fidanzata (l’ultima, Marta Fascina, è diventata «moglie» amorevole, per mesi al suo capezzale), o dall’ambizione dell’ultima assistente, o dalle manovre dell’ultimo cortigiano. Berlusconi ha avuto tutto per cambiare l’Italia, consenso, successo, forza, soldi, potere; e non ce l’ha fatta. 

A 86 anni, ha persino sperato per un non breve momento di suggellare la sua straordinaria biografia trasformandola in leggenda, con l’elezione al Quirinale. Il semplice fatto che l’abbia sognato ci ha detto tutto sul tramonto della sua era. Ha molti alibi. E non solo nel testardo accanimento delle procure (Milano in testa) contro di lui. I due tragici eventi epocali che sconvolsero il mondo proprio all’inizio dei suoi governi, l’attacco alle Torri Gemelle nel 2001 e la crisi dei subprime nel 2008, sicuramente ne frenarono le ambizioni. Ma il suo passaggio nella storia politica dell’Italia ha lasciato anche tracce indelebili: per esempio il bipolarismo, stagione da lui dominata, e forse non a caso subito finita appena lui è uscito di scena, per ridare spazio negli ultimi anni agli antichi vizi italiani del trasformismo e delle maggioranze che cambiano come gli abiti col cambiare delle stagioni. Neanche l’ultimo «miracolo» gli è riuscito. Una volta don Verzè, fondatore del San Raffaele di Milano di cui era amico e benefattore, rivelò che gli aveva chiesto «di campare fino a 150 anni per mettere a posto l’Italia». Contava sui progressi della scienza, o forse scherzava su un suo diritto all’immortalità. Si è spento in quello stesso ospedale a 86 anni, appena due in più della media nazionale. A conferma della sua natura di «arci-italiano», di autobiografia della nazione, di quell’Italia di cui in un celebre incipit disse «è il Paese che amo».

Estratto dell’articolo di Filippo Cecarrelli per “la Repubblica” il 13 giugno 2023.

Per metterla giù con solenne e sproporzionata gravità: il berlusconismo, da considerarsi come una vera e propria età storica pari a quella giolittiana, al ventennio fascista o all'era cosiddetta democristiana, fu un grande esperimento sociale e di potere. Punto. Se poi, deposti i ridicoli paramenti storiografici, detto esperimento sia riuscito o meno esula da questo ricordo che, detto in sincerità, preferisce rovistare alla periferia degli eventi, molti dei quali spesso bizzarri e, dato il soggetto da cui ha tratto il nome, altamente imprevedibili. 

Durato almeno un quarto di secolo, a occhio il berlusconismo ha certamente contribuito a far perdere all'Italia un bel po' di tempo, pure generando epigoni di gran lunga inferiori alla statura del fondatore, oltre che avversari e nemici che lo hanno contrastato ciecamente e a volte fanaticamente al punto da introiettarlo.

[…] 

In compenso il ciclo di comando del Cavaliere ha recato in dote e per certi versi addirittura in omaggio al gentile pubblico di questa nazione qualcosa - un quid, un senso, un gusto, una passione - che gli italiani desiderano sommamente: il divertimento, specie quando assume le forme e la sostanza dell'eccesso vistoso, racconto da generare emozioni e sentimenti, quindi faziosità, astio, sberleffi, lacrime, sorpresa, meraviglie e incredulità, dalla discesa in campo al bunga bunga, dai boati degli stadi ai servizi sociali presso la Sacra Famiglia di Cesano Boscone, dai tanti malori alle altrettante resurrezioni, fino a questo giorno che ci fa tutti più vecchi anche se non più consapevoli. 

Sembra anzi di poter riconoscere in questo scambio tra un uomo e il suo Paese un che di magico e di folle, che peraltro Berlusconi stesso, a suo tempo imboccato prefatore di Erasmo, ha sempre relativo rivendicato, per quanto aggiustandoselo, dialogando con la folla, nel senso soggettivo ed esclusivo della sua propria lungimiranza.

In realtà era un tratto di pazzia del genere istrionico, buffonesco e melodrammatico, che sta dentro i cromosomi del comando all'italiana, a partire da Cola di Rienzo - “et in sua bocca sempre riso appariva in qualche modo fantastico” - ma forse anche prima, vedi Nerone, evocazione che a proposito di Berlusconi si deve a Umberto Eco, forse in un giorno di cattivo umore. 

[…]  e la memoria viva e insidiosa, ma pure decisamente onirica, alla rinfusa trova subito il modo di inseguire e insieme dribblare Veronica, Bondi& Cicchitto, Apicella, lo stalliere, il cuoco Michele, Mamma Rosa, don Verzè, il ragionier Spinelli, la Pitonessa Santanché , il dottor Zangrillo e prima ancora Scapagnini che dichiarò il Cavaliere “tecnicamente immortale”, povero lui, e l'igienista dentale e/o mentale, e Pascale, la Regina Fascina, un numero considerevole di cerchi magici, aiuto!

E mentre nella testa exeunt omnes, se ne vanno tutti, svaniscono dissolvendosi nel Grande Nulla, ecco che il ricordo dei ricordi finalmente approda al vivente non umano, a Dudù, il barboncino psicopompo a cui Putin, sulla copertina di “Chi”, tirava la palletta, seguito da una quantità di altri cani in vetrina su magnifici prati di magnifici parchi in magnifiche foto magnificamente somministrate a tutti ea nessuno nel tempo ultimativo della democrazia del pubblico. 

[…] 

Una tempesta di imitazioni e di satira, qualche censura, una dozzina almeno di film, altrettanti documentari e opere teatrali, un paio di musical all'estero, un'intera pinacoteca, da ritratti in costume alla street art, oltre a diverse statue, tipo lui in costume da Superman appeso con una corda a un elicottero per far divertire i nipotini, sempre lui iper realisticamente e precocemente disteso era il 2012: aveva ciabatte a forma di Topolino e mano nella patta - dentro una teca di cristallo.

Allo stesso modo è impossibile contare le installazioni d'arte contemporanea, teste sgretolate, ritratti a mosaico realizzati con coriandoli di giornaletti porno e altre opere dell'ingegno comprese una saponetta spacciata come figlia del grasso tratto da una liposuzione. 

Converrà aggiungere che in questa ventata di immaginaria però anche piuttosto concretamente fantasmagoria, in parte grazie a Berlusconi, in parte a prescindere, le istituzioni hanno cessato di essere quelle che erano state per le ultime generazioni: anche un modo per contenere la volontà di potenza e quindi pure le mattane dei governanti. Forse è per questo che il Cavaliere le ha premuroso, a cominciare dal Parlamento, un impiccio, un impaccio, una perdita di tempo e, personalmente, un mistero e una fonte di dispiacere.

Ma a pensarci bene la stessa democrazia è rimasta travolta sotto la pressione del regime degli spettacoli per poi finire seppellita - non suoni troppo irrispettoso - dalla messa in scena, dalla finzione, dalla simulazione e giù, giù, a palate, dal raggiro clownesco, dalla sòla piagnucolosa, dalla frode e dall'impostura, che in Italia sanno farsi creativi come in nessun altro luogo, annunciano come sono al genio. 

Beato chi oggi riesce a dire quale sia stata la politica di Berlusconi, a meno di non intenderla come una sottospecie di cultura totalitaristicamente liberaloide che in ogni caso s'identificava e s'immedesimava in lui stesso, nella sua visione auto-replicatissima, nelle continue peripezie del suo corpo, dei suoi quattrini di cui tutti volevano impossessarsi, compresi quanti possono a buon titolo essere considerati comprimari della sua rovina politica. 

Più una politica, forse, si è trattato di una specie di sensibilità post-politica, vissuta e sfruttata dai suoi amici e adulatori, e magari patita dalla sua stessa famiglia che egli, offuscato dai successi, ha sempre considerato una stirpe, un casato, una famiglia reale. 

Perché nei simboli della sua maestà Berlusconi non è stato per tre o quattro volte un semplice presidente del Consiglio, come tutti gli altri, ma sempre ha vissuto il suo comando come un sovrano, un re, un monarca all'inizio aziendale, poi non più solo come attestato dai palazzi, le ville, la corte con ciambellano, maggiordomo, cuoco, preparatore atletico, giardiniere, cuoco, musico, avvocati legislatori, poeti encomiastici, ruffiani, cortigiane, guardie, servi e buffoni. 

[…]

Senza Berlusconi non ci sarebbe stato Renzi, non ci sarebbe stato Grillo, non ci sarebbero Salvini, né Meloni, da lui ribattezzata in pubblico “la Trottola”. Senza Berlusconi non ci sarebbero stati, sia pure sagomati alla rovescia, né Prodi, né Monti, né Letta e in misura qualche nemmeno Mattarella e Draghi. Senza Berlusconi, molto probabilmente, non ci sarebbe stato Trump. E qui ci si fermerebbe: ancora una volta l'Italia laboratorio di forma e sostanza politica. E tanto, troppo si è già detto oltrepassando la soglia del sensato, del ragionevole, ma osando l'inosabile vale la pena azzardare che senza Berlusconi non ci sarebbe un pezzettino di tutti noi.

E come congedo, tra milioni di stimoli e sbigottimenti, immagini tristi e liete ricordi, con temerario arbitrio pare di vedere ancora, piccoletto e pieno d'energia, dirigere l'orchestra che intona “Fratelli d'Italia”, e a quel verso fatale - “siam pronti alla morte” - Silvio Berlusconi sorride e fa così così con la mano, calma, un momento, siamo pronti fino a un certo punto, anzi non siamo pronti, nessuno è mai pronto, mai, però mannaggia succede a tutti, e così sia.

Dagospia il 13 giugno 2023. Il regista Franco Zeffirelli, che nel 1989 alla tivù francese confessò a dentiera stretta di essere stato l'amante di Luchino Visconti, con Piero Chiambretti rincarò la dose: "Io sono una gran troia, andrei a letto con tutti, anche con Silvio Berlusconi, ma lui non ci sta purtroppo. E' tutto d'un pezzo".

Anni Ottanta. Il giornalista Cesare Lanza raggiunge Arcore a bordo di una berlina con autista messa a disposizione da Silvio Berlusconi. Al termine del colloquio, il Cavaliere accompagna il giornalista verso il parcheggio. Avvicinandosi all’automobile, Lanza nota che il volto di Berlusconi si rabbuia, poi diventa nero, quindi si trasforma in un oggetto contundente infilandosi nella macchina dove afferra il cappello dell’autista e sempre più furibondo glielo sbatte sul capoccione: “Te l’ho detto mille volte che devi portare il berretto…”.

C’era una volta Vittorio Feltri che decide di lasciare l’Indipendente per andare a sostituire il dimissionato Indro Montanelli al Giornale. Il grande giornalista smania per portarsi il suo editorialista preferito, Massimo Fini, sulla prima pagina del quotidiano di Paolo Berlusconi. Fini prima dice no, poi ci ripensa e quindi sale le scale per formalizzare il contratto con l’amministratore Crespi. Questi propina all’attonito Fini una pappina di strategie aziendali. Tanto per cambiare discorso, Fini fa: “Lei per quale squadra tiene?”. E Crespi: “Io tifavo Juve, siccome mi piace il bel gioco tengo al Milan”. Fini si rigira nel cervello quel “mi piace il bel gioco”, quindi gira i tacchi e getta nel cestino la bozza di contratto con Il Giornale.

L’Espresso del 18 luglio 1996 incornicia sotto l’occhiello, “Errori di gioventù”. Di “Stock and spot” non è certa l’autenticità: è Berlusconi o non è Berlusconi il biondino che sorridente e in mutande da calciatore reclamizza in un manifesto la Coppa dei Campioni, un gelato della Motta? Ed è Silvio o non è Silvio quel bel tenebroso che in uno spot protagonista Orson Welles del 1966 ordina: «A me uno Stock 84»?

“L’Espresso” dedica una copertina a “La Repubblica delle barzellette” (28 febbraio 2001). Cento sono quelle sul Cavaliere, ormai in lizza con i carabinieri per l’Oscar del Pirla, raccolte da volonterosi redattori. Divertente questa: «Sapete perché gli afgani hanno scelto Bin Laden e noi Berlusconi? Perché loro hanno scelto per primi». Facile quest’altra: «Come si chiamerebbe Berlusconi se lo facessero papa? Pio tutto». Non male pure questa: «Nell’auto di Berlusconi c’è una piccola foto di Gesù con scritto: “Papà non correre”».

Il giorno che precedette il battesimo del Tg5 - 12 gennaio 1992 - Silvio di tutti i Berlusconi, allora solo editore della Fininvest, scese dalla Brianza a dare il bocca al lupo alla sparuta pattuglia di giornalisti che si raccoglievano attorno al conducator Enrico Mentana, attorniato da uno stuolo di funzionari e dirigenti Fininvest, capitanati da Paolo Vasile e Dede Cavalleri, che dimostravano con orgoglio le meraviglie tecnologiche della regia (“Guarda che Betamax!”), quindi entrarono a passo di carica nello studio del Tg5.

Il manipolo dei nostri eroi cercava di capire anche dal più minuscolo gesto o espressione di Sua Emittenza quanto apprezzasse la scenografia. Ma Berlusca sembrava un gatto di marmo. Cortese come sempre, salutava giornalisti e tecnici e truccatrici e accennava a sorrisi di circostanza, ma il suo volto non tradiva quell’espressione detta di approvazione. 

Se ne ebbe prova qualche mese dopo quando, d’improvviso, le squadre di tecnici e giornalisti alle prese con un edizione del tg delle ore 13 pensarono di essere finiti nella morsa di Scherzi a parte.

Entrarono e si trovarono immersi in un ambiente che non avevano mai visto: la postazione del conduttore collocata al lato apposto rispetto alla sera precedente e l’intera scenografia modificata. Probabilmente per meri motivi di budget furono risparmiate le scrivanie. Nessuno – nemmeno Mentana – era stato messo al corrente della trasformazione decisa del leader maxino. 

Da liberoquotidiano.it il 13 giugno 2023.

Da quando ha lasciato Palazzo Chigi, Silvio Berlusconi ha ritrovato lo smalto e la verve dei tempi belli. Ospite d'onore all'Harry's Bar di Roma alla festa dei 20 anni del Tg5, circondato da Gianni Letta ed ex direttori, da Enrico Mentana a Emilio Carelli fino a Clemente Mimun, il presidente del Pdl si concede a frizzi e lazzi e si esibisce in una delle sue ormai celebre barzellette. Per l'occasione, come riferisce il video pubblicato da RepubblicaTv, ha tirato fuori dal cilindro la 'storia di Carletto': piccante siparietto in salsa brianzola nella romantica ambientazione dl lago di Como. Si addice poco a un ex premier? "Vabbè - scherza Silvio -, tanto ormai siamo stati declassati...".

L'altro protagonista, insieme al commendator Bestetti, delle barzellette in milanese del leader di Arcore è 'il povero Carletto': era il 2012, quando a una festa di Mediaset Berlusconi inscenò la disavventura osé del malcapitato protagonista, costretto nella suite di Villa d'Este, sul lago di Como, ad assecondare le fantasie sessuali della 'contessina', che per concedersi chiede vento, lampi, tuoni e pioggia. 'Il Carletto' l'accontenta e simula la tempesta, ma va in bianco, per scelta, perché "come si fa a ciulare con un tempo così?", si lamenta con gli amici.

Estratto dell'articolo di Andrea Malaguti per “la Stampa” Dagospia il 13 giugno 2023. 

Barbara D'Urso, chi era per lei Silvio Berlusconi?

«Una mente geniale, che ha avuto il coraggio di creare la prima tv privata in Italia e l'ardire di dare un'opportunità anche a me». 

TeleMilano58, anni Settanta, lei era poco più che maggiorenne.

«Eravamo io, Massimo Boldi, Teo Teocoli, Diego Abatantuono, Claudio Lippi e Patricia Pilcher. Un'avventura meravigliosa. A Milano 2, sotto l'Hotel Jolly. Berlusconi veniva tutte le sere. Voleva sapere che cosa stavamo facendo e che cosa avremmo detto. Aveva un'energia incredibile. E la trasmetteva a tutti. Eravamo orgogliosi di far parte di quel progetto». 

Era un ambiente sessista?

«No. Sono passati 45 anni, ma ricordo ancora perfettamente l'entusiasmo spettacolare di quei giorni».

Qual era il suo ruolo?

«Eravamo agli inizi di una tv sperimentale. Partecipavo a una trasmissione con Claudio Lippi, ero nel cast di Goal e facevo anche l'annunciatrice». 

Pagava bene, Berlusconi?

«Sinceramente non lo so più. Certamente non era quello il punto. Nessuno di noi lavorava per il denaro. Eravamo dentro a un'avventura che avrebbe portato alla nascita di Mediaset». 

Torna a casa in tutta fretta, c'è il Biscione che ti aspetta.

«Era il nostro slogan. Silvio lo aveva fatto stampare sul pullman che usava come ufficio e col quale andava sempre in giro. Noi non lo sapevamo, ma Silvio aveva visto il futuro».

Lei però tradì per andare in Rai. 

«Nessun tradimento. In Rai c'ero già stata per partecipare a Concertazione, una trasmissione in bianco e nero super cool di Enzo Trapani. Quando Baudo mi chiamò decisi di fare un'altra esperienza. È durata fino a quando Piersilvio mi ha riportato a Milano. Sono 23 anni che lavoro in esclusiva per Mediaset». 

Che cosa le ha insegnato Berlusconi?

«La dedizione assoluta per il lavoro. L'attenzione per i dettagli. Io sono una maniaca del controllo. Proprio come lo era Silvio. Innamorato pazzo del suo lavoro, da sempre e per sempre. Anche negli ultimi mesi gli capitava di chiamare se durante un programma in prima serata vedeva qualcuno che gli sembrava vestito in maniera poco adatta». 

La voce del padrone?

«Ma si figuri. La voce della passione. Era una persona gentile. Quando arrivava in studio stringeva ogni mano. Conosceva chiunque personalmente, dai cameramen ai conduttori, dagli elettricisti ai cantanti. Era disponibile con tutti allo stesso modo». 

In studio da lei, nel 2013, annunciò la sua nuova candidatura alla presidenza del Consiglio.

«Lo fece prima di andare da Santoro. Ricorda la famosa sera in cui pulì la sedia con un fazzoletto a Servizio Pubblico?».

Chi non lo ricorda.

«Comunque, da me, nel corso di quell'intervista politica annunciò anche il fidanzamento con Francesca Pascale. Esattamente come ha fatto pochi mesi fa, l'ultima volta che è venuto in studio, quando ha raccontato la forza del suo legame con Marta Fascina». 

Si sono sposati davvero?

«Non lo so. Ma so quanto Marta, donna stupenda, fosse importante per lui».

L'attenzione del Cavaliere per le donne è piuttosto nota.

«Io parlo del mio percepito.

Quello che pensano gli altri non mi interessa».

Berlusconi ha raccontato di averla corteggiata molto.

«Anche questo lo ha fatto in diretta da me. Ne parlo solo per questo. Aggiunse anche che io avevo rifiutato». 

Perché non accettò?

«Non capisco perché avrei dovuto dire di sì». 

Scusi, domanda stupida.

«Con Berlusconi ho avuto un rapporto professionale, limpido, pulito e di grande affetto. Qualunque altro tipo di coinvolgimento avrebbe cambiato le cose». 

Cosa fece per cercare di conquistarla?

«Sono passati mille anni. Manco mi ricordo».

Era vanitoso?

«Beh sì, come tutti gli uomini. È noto che amava l'eleganza. Ma la vanità è diversa dal narcisismo. Difetto che certamente non aveva. Bastava vedere come parlava di figli e nipoti». 

Lei che rapporti ha con la famiglia?

«Ottimo. Con Marina e Piersilvio ci vogliamo bene. E il lavoro non c'entra nulla».

Che cosa cambia, adesso, per Mediaset?

 «Non lo so. Non ne ho proprio idea. Non me la sono chiesta. La notizia della morte di Silvio è stata violenta e improvvisa. Sapevo ovviamente del ricovero, ma non potevo immaginare quello che è successo». 

Si è chiusa un'era. «Si è chiusa un'era e siamo tutti molto tristi. Per me è venuto a mancare un punto di riferimento fondamentale».

(...)

Vespa e Berlusconi: «Gli contestai le donne e tutto quel trucco in tv. L’amicizia con Putin? Fu davvero molto forte». Storia di Monica Guerzoni  su Il Corriere della Sera il 13 giugno 2023.

Un’amicizia lunga trent’anni, basata «sulla fiducia reciproca». Bruno Vespa aveva una confidenza tale con Silvio Berlusconi da potergli offrire suggerimenti anche sul piano dell’estetica: «Perché non ti mostri in tv senza trucco e con i tuoi capelli? Al naturale stai benissimo».

E lui? «Sorrise, ma non raccolse».

È vero che l’ex premier ha presentato tutti i suoi libri? «Per 29 anni, anche nei momenti peggiori e con una generosità incredibile. Appena arrivavo a Villa Certosa per intervistarlo lui mi portava a spasso nel parco per mostrarmi gli ampliamenti e i cactus. Dopo pranzo gli veniva l’abbiocco e non si combinava nulla. Così decidemmo di vederci ad Arcore».

Che ricordi ha degli ultimi incontri? «Nell’ottobre 2021 e 2022 ad Arcore eravamo in tre a tavola. Marta Fascina è stata sempre silenziosa, tranne poche parole oggettivamente di buon senso. Berlusconi le era molto legato. Mi ha colpito che portasse la fede al dito, perché prima non gliel’avevo mai vista».

Come spiega l’amicizia con Putin? «Era un’amicizia veramente molto forte, ad Arcore mi portò a vedere il famoso letto che Putin gli aveva regalato».

A lei Berlusconi dichiarò che Putin «voleva solo sostituire Zelensky con persone perbene». «L’amicizia per Putin era così forte da portarlo a dire cose al di là del ragionevole. Poi si è corretto, ha capito che era una posizione insostenibile. Putin lo aveva deluso».

E il? Davvero lo teneva appeso dietro la porta del bagno? «Quando me lo fece vedere pensai lo avesse messo per me. Invece lo aveva mostrato anche a Renzi, che lo ha confermato lunedì a Porta a Porta. Ho invitato anche D’Alema e con mia piacevole sorpresa è venuto per questo tributo finale, nonostante le divisioni».

sarà la sua erede politica? «Lei con grande buon senso ha chiuso le porte a eventuali esodi fino alle Europee. C’è bisogno che Forza Italia sopravviva, sia per riguardo nei confronti di Berlusconi sia per il disegno di far alleare popolari e conservatori».

Potrebbe avere successo un’opa di? «Renzi è il figlio politico che Berlusconi non ha avuto, tra i due c’è stata sempre una forte simpatia. Ma la politica è imprevedibile, non mi sento di fare previsioni».

È stato più amato o più odiato? «Il Paese era diviso, ma penso che nonostante tutto sia stato più amato che odiato. Ho visto scene di adorazione impressionanti, come per nessun altro leader».

Lei è stato anche molto criticato da sinistra. È stato troppo schierato e morbido con Berlusconi? «Aspetto che qualcuno mi dica qual è la domanda che non gli ho fatto. L’11 maggio 1994, nella sua prima intervista da premier, gli chiesi come pensasse di risolvere il conflitto di interessi. Anche sulle donne c’è stato sempre un grande contrasto tra noi».

Come giustificava Ruby e le «cene eleganti»? «Diceva che quella era la sua vita privata e io, sia in tv che nei libri, obiettavo che la vita privata di un premier ha dei limiti».

Resta convinto che sia stato vittima di accanimento giudiziario? «Ha avuto una sola condanna, anche molto discussa. Non c’è stato al mondo un leader che in 30 anni abbia avuto sempre almeno un processo. Qualche problema c’è, soprattutto da parte delle Procure».

Aveva il potere di creare ciò che non c’era e ricreare ciò che non c’era più. Storia di Ferdinando Camon su Avvenire il 13 giugno 2023.

Quando Berlusconi annunciò che “scendeva in campo” ero con la vicedirettrice di “Panorama”, per il quale scrivevo, e lei esclamò: «Ci squalifica tutti!» Perché Berlusconi si schierava con Fini e lei prevedeva che avrebbe perso di brutto e tutta l’azienda sarebbe stata qualificata come neo-fascista. Non andò così. Berlusconi non perse e l’azienda continuò a esser qualificata come prima. Berlusconi aveva una visione politica lunga.

Mi son trovato più volte a convegno con esponenti di Forza Italia e ne approfittavo per porre loro la domanda: «Chi è Berlusconi per voi?». Rispondevano: «Un imprenditore dal fascino immenso». Erano ammaliati da lui. Perciò Berlusconi aveva potere. Hai potere quando puoi influire sulle vite altrui, e Berlusconi nominava, incaricava, spostava, creava, distruggeva. La prima volta che salì su un palco per raccogliere consensi, un ascoltatore della prima fila urlò ad alta voce: «Silvio, facci luce!». Sono convinto che fu un intervento concordato.

Niente nelle apparizioni pubbliche di Berlusconi era improvvisato, tutto era studiato. Anche quel foglio bianco e vuoto, in formato A 4, piegato verticalmente in due, che stringeva nella mano destra e agitava continuamente in aria. Molti si son chiesti cosa ci fosse scritto. Probabilmente nulla. Ma stare seduto davanti alla telecamera agitando un foglio piegato in due, dà l’impressione che chi ha quel foglio ha informazioni, dati segreti, conoscenze. Chi ha dato a Berlusconi quel foglio in mano gli ha dato un’arma, un foglio bianco in tv è come una pistola.

A me Berlusconi m’ha rovinato la vita, ha preso un mio figlio, che lavorava per lui a Canale 5, e l’ha mandato a Los Angeles come suo rappresentante, e a Los Angeles è ancora. L’ho perduto. Mi chiedo se quel figlio si sentisse più legato al padrone o al padre. Al padrone, probabilmente. Berlusconi aveva il potere di creare ciò che non c’era e ricreare ciò che non c’era più. Aveva due reti tv e tutti si chiedevano se non erano troppe, in quel momento sul mercato si offrì una terza rete, che andava economicamente male, Berlusconi la comprò e subito quella rete cominciò a generare profitti, dunque il nuovo padrone era un Re Mida, ciò che toccava diventava oro.

I detrattori di Berlusconi ripetono che la sua fortuna dipendeva da Craxi: Craxi lo favoriva, e Berlusconi fioriva. Lo favoriva lasciando che si sviluppasse selvaggiamente il campo delle tv private. Berlusconi ne approfittò, ma nessun altro aveva intuìto le enormi potenzialità economiche e politiche del nuovo business. Era un uomo d’affari e di potere. Non di famiglia. Le olgettine, la nipote di Mubarak, le cene eleganti, la seconda e terza moglie, sono le tristanzuole ombre che un biografo benigno deve sforzarsi di cancellare. Ma questo è un problema onnipresente in tutte le biografie.

Cavaliere animalista. L’eredità ambientale di Berlusconi, tra dipendenza dal gas russo e impegni Ue sabotati. Ferdinando Cotugno Linkiesta il 13 Giugno 2023

Anche sui temi verdi, l’ex presidente del Consiglio era sintonizzato sul carattere degli italiani, pronti a tollerare un’estinzione della biodiversità a patto però che si mettano pene severissime con chi abbandona i cani in autostrada. Sulla carta, restano poche azioni positive e tanto rumore di fondo

Come spesso capita al conservatorismo senile italiano, in tarda età e con la marginalizzazione politica Berlusconi aveva scoperto l’animalismo. C’è stato un momento in cui andava lanciando il nuovo soggetto politico pet friendly di Michela Vittoria Brambilla, la Greta Thunberg dei liberali italiani, come una potenziale rifondazione in stile discesa in campo 1994, con una prospettiva da venti per cento. 

All’inizio di quella parabola si era affidato al calcio (chiamare «Forza Italia» giusto prima dei mondiali), trent’anni dopo gli sembrava di poter fare la stessa cosa con i canetti. Un po’ il capo di Forza Italia lo diceva per la sua natura di people pleaser di massa, un po’ anche perché c’era qualcosa di genuino nel suo adottare cani, salvare agnelli prima di Pasqua, baciare le capre e tutto quel tipo di proiezioni sentimentali su cui abbiamo visto alcune delle foto più memorabili della sua epopea. 

Ce l’aveva con i circhi e addirittura ha speso parole severe contro gli allevamenti intensivi, e fa sorridere, o riflettere, perché non ci sono molti altri leader di partito in Italia che anche solo si azzardino a pronunciare questa formula – «allevamenti intensivi» – nel discorso pubblico italiano. Ovviamente, senza nessuna consequenzialità, l’animalismo di Berlusconi era quello di una delle tante anziane signore che gli sono rimaste fedeli fino alla fine: piccoli cani fotogenici.  

Anche in questo, Berlusconi era naturalmente sintonizzato sul carattere degli italiani, pronti a tollerare un’estinzione di biodiversità con le proporzioni di un meteorite preistorico, la distruzione del clima e il collasso di ogni ecosistema, a patto però che si mettano pene severissime con chi abbandona i cani in autostrada. Aveva capito che Forza Italia era il partito con l’elettorato più anziano d’Italia, e che gli animali domestici sono l’ultimo welfare rimasto a questo Paese, per i suoi sondaggi Dudù contava più di Tajani, poteva perdere Carfagna e Gelmini, ma in compenso aveva acquisito Lupo e Drago (la semantica onomastica era un po’ slittata, si era fatta più aggressiva, chissà cosa voleva dire, non lo sapremo mai). 

La sua ultima proposta ambientale era stata perfettamente in linea con lo spirito dei tempi e con il suo linguaggio, sempre fondato sull’enfasi, l’entusiasmo della reinvenzione della ruota e le generiche milionate. In vista delle ultime elezioni politiche, aveva usato il TG5 per fare la sua proposta shock: un milione di nuovi alberi all’anno sul territorio nazionale. Doveva sembrargli tantissimo, perché hey, un milione è sempre tanto, di qualsiasi cosa, posti di lavoro come faggi e abeti, ma nessuno lo aveva avvertito che il Pnrr già ne prevedeva oltre sei milioni in tre anni (con tutte le difficoltà e i limiti del caso). Non era nemmeno colpa sua. La visione ambientalista di Berlusconi era semplicemente quella di molti italiani: a digiuno di qualunque senso sia della scala del problema che delle soluzioni necessarie per affrontarlo. 

Quando mettono l’abito culturale buono, i suoi alleati parlano di Roger Scruton e, quando riescono, anche di Wendell Berry, ma tutto l’ambientalismo di Meloni, Procaccini, Pichetto Fratin e Giubilei è in realtà figlio di Berlusconi, che con un decennio o due di anticipo aveva già scavato il solco in cui si sarebbero mossi i suoi eredi. Al picco del potere e del consenso, prima del declino a colpi di spread, cene eleganti e condanne, Berlusconi aveva organizzato il G8 a L’Aquila. Era il 2009, un anno chiave, quello della grande sconfitta della Cop15 di Copenaghen, il fallimento che costò sei anni di margine e tempo alla lotta contro la crisi climatica. 

Per l’Italia, tutto gestito in casa Silvio. Fa impressione leggere gli impegni di quel G8: tenere l’aumento delle temperature sotto i due gradi centigradi, ridurre le emissioni del cinquanta per cento entro metà secolo, sostegno ai Paesi in via di sviluppo. Uno spiazzante senso di déjà vu in tono minore. Pochi mesi prima, il governo Berlusconi aveva addirittura portato a casa nel Castello Maniace un documento chiamato Carta di Siracusa sulla biodiversità, un arto fantasma come tanti nella storia del greenwashing: si parlava di tutte le cose di cui si parla oggi, servizi ecosistemici, legame tra biodiversità e clima, uso sostenibile delle risorse naturali. 

Cosa è rimasto di quegli impegni? Ovviamente niente. Spazzatura mediatica e rumore di fondo, oggi come allora, dove contava il governo Berlusconi sabotava gli impegni europei. Qual era il Paese sulle barricate contro la proposta del Consiglio europeo di aumentare i tagli delle emissioni UE dal venti al trenta per cento? L’Italia di Berlusconi e Prestigiacomo (allora ministra dell’Ambiente), ovviamente. 

Il periodo tra il protocollo di Kyoto e l’accordo di Parigi (1997-2015) è stato un buco nero in cui si è perso tutto il tempo necessario a fare una transizione più graduale, e non è stata certo solo colpa dell’Italia, ma Berlusconi ha governato per quasi la metà di quegli anni, facendo dell’Italia esattamente quello che è oggi: un Paese con poca voce, poco peso e poche idee, e quelle poche comunque contrarie all’urgenza della crisi. 

I vertici internazionali per la forma e la bella figura (oggi anche su quella vacilliamo, col commercialista berlusconiano Pichetto Fratin all’ambiente, altra eredità da mettere in conto), la politica europea per la sostanza. Il tutto condito con la retorica contro «ambientalismo ideologico e del “no”», che solo in un posto senza memoria di sé come l’Italia può essere ancora usato come una formula nuova e originale nel 2023. 

È durante i governi delle fasi di vero potere di Berlusconi (2001-2005 e intorno agli anni Dieci) che si è imposta la linea della Russia come «Texas d’Europa» e si è moltiplicata la dipendenza dal gas e in particolare dal gas di Mosca, con Paolo Scaroni – amministratore delegato di Eni tra 2005 e 2014 – come figura decisiva. Si firmavano accordi decennali che impegnavano il trenta per cento dei nostri consumi energetici e che – come ribadito da Scaroni di recente nella sua prima intervista da presidente di Enel – erano fatti con l’avallo dei governi del tempo, quasi tutti di Berlusconi, a parte la breve parentesi di Prodi.

In quegli anni Berlusconi e Putin vivevano il loro bromance geopolitico e, nel frattempo, l’Italia diventava primo cliente mondiale di Gazprom. All’epoca i cablo della diplomazia Usa rivelati da Wikileaks nel 2010 parlavano apertamente dei rischi energetici legati a quell’amicizia personale tra Berlusconi e Putin. 

Ogni problema ambientale e geopolitico esploso nel 2022 ha radici in quella fase, quella delle vacanze in Dacia e del lettone di Putin. È questa l’eredità ambientale di Berlusconi: un’Italia fossile e cemento, in cui il conflitto di interesse era un problema molto più ampio della semplice questione mezzi di informazione o leggi ad personam come sembrava all’epoca. 

Quel conflitto d’interesse è stato il metodo fondativo della Seconda repubblica di cui Berlusconi è stato il politico più potente, e ha lasciato una serie di eredità tossiche che stiamo ancora dipanando. Però la vita e la storia d’Italia sono anche piene di paradossi interessanti: come ha ricostruito Giuseppe Onufrio, direttore di Greenpeace Italia, per la newsletter di Tommaso Perrone “Il Climatariano”, negli anni di Berlusconi ci fu anche l’unica vera accelerazione delle rinnovabili in Italia: undici gigawatt nel 2011, numeri con i quali Ultima Generazione sostituirebbe la vernice col prosecco. Era un innesco attivato dai governi precedenti, ma fa comunque impressione. 

Mesi prima della Cop15 di Copenaghen del 2009, Greenpeace fece una finta prima pagina dell’Herald Tribune in cui raccontava le cronache di un evento che – a differenza di come andò davvero – portava un accordo storico e vincolante sul clima. Era una piccola, innocua ucronia adatta a tempi in cui le Ong non avevano ancora i social media per diffondere il proprio messaggio e le proprie speranze. 

Insomma, era un gioco di immaginazione. In quel gioco, si raccontava che la Francia di Sarkozy rinunciava al nucleare e che si era trovato un accordo per un taglio del quaranta per cento delle emissioni entro il 2020: oggi è il 2023 e le emissioni da tagliare sono il cinquanta per cento entro il 2030. In quell’edizione utopica, distribuita in migliaia di copie e decine di paesi, ai copy di Greenpeace era anche un po’ scappata la mano: raccontavano che Berlusconi, nella festa dell’accordo raggiunto, era stato ricoverato in ospedale perché aveva inalato troppi coriandoli. La più vegana delle cene eleganti.

Estratto dell’articolo di Giuliano Ferrara per “il Foglio” il 13 giugno 2023.

[…] Silvio Berlusconi, […] Ora che è morto a una venerabile età, notizia attesa che non esclude come un moto acre di sorpresa, lo sprazzo di dolore e il morso del ricordo sono di tutti gli italiani di un paio di generazioni. 

Con lui l’inimmaginabile è diventato cronaca e storia di una nazione intera saziata del cibo che solum è suo, calcio, tv, politica, sesso e galanteria, humour sboccato e fantasia sfrenata. “Fortis imaginatio generat casum (Una forte immaginazione genera l’evento), dicono i dotti. […] il grande brianzolo d’adozione […] veniva spronato dallo stigma dell’immaginazione.

Inutile ripercorrere il labirinto delle sue grandezze, dei suoi errori, delle sue sconcezze culturali, delle sue invenzioni clamorose, delle sue raffinatezze, del suo linguaggio benigno e oltraggioso, dei suoi incantamenti. Fu osteggiato in politica come nemico della democrazia, e ci ha lasciato l’alternanza di forze diverse al governo. Fu dileggiato per il suo pseudoliberalismo, e ha reso il mercato aperto un tema di azione e intrattenimento popolare, dilatando marketing e consumi prosperosi.

Fu vilipeso come criminale, e ancora adesso si fanno i conti con la casta codina che ha derubato il paese di una vera giustizia. Fu impiccato alle sue bugie bianche, numerose e versatili, […] Gli diedero anni di galera poi cancellati per i suoi rapporti festaioli con le donne, e fu invece celebrato dal paese che ama come una macchina desiderante in azione spericolata e selvaggia al culmine della crisi di un matrimonio. Fu leale con Craxi come con la signora El Mahroug […] Chi fu contro di lui, in quel labirinto ci si perderebbe di nuovo. Chi fu con lui, e lo fu con accanimento, convinzione, affetto, conosce già la via d’uscita. Chi lo ha accusato con animosità va lasciato nella sua bolla di invidia astiosa.  

Estratto dell’articolo di Annalisa Cuzzocrea per “la Stampa” il 13 giugno 2023.

«Berlusconi aveva il costante bisogno di capire cosa accadesse nel mondo reale», lontano dalla vita ricca e privilegiata che conduceva. «Cercava una connessione e la trovava nei nostri racconti», dice Alessandra Ghisleri, la sondaggista che più ha collaborato con l'ex presidente del Consiglio. Fin dal 1999, quando aveva solo 27 anni. 

[…] «Berlusconi ha dato vita al sogno americano, che è diventato un sogno italiano». 

Il self-made man?

«Ha messo su aziende, ha dato lavoro, ha vinto scommesse importanti. Ha portato un numero uno come Mike Bongiorno all'intrattenimento, un altro come Enrico Mentana all'informazione. Per tante persone ha rappresentato la possibilità di crederci».

E ha costruito un racconto di sé che va dal pianobar sulle navi da crociera all'impero immobiliare e televisivo.

«Nelle elezioni del 2001, che consacrarono il suo successo politico, mandò nelle case degli italiani un libro con la sua storia. Voleva scegliere come essere raccontato». 

[…] Studiava i sondaggi personalmente?

«Certo. E mi richiamava se la grafica non era bella, se c'era un carattere che non gli piaceva. Tutti di dimensione 18, per il vezzo di non portare gli occhiali. Un giorno mi rimandò indietro un report con scritto di suo pugno quale sua fotografia dovesse esserci, quando ne testavamo la popolarità».

Vanità?

«Perfezionismo. In tutto. Anche nella strategia politica. Ogni mossa, dal discorso di Onna al predellino, veniva decisa molto prima e testata con alcune persone, poi con altre. Ascoltava tutti e alla fine decideva». 

[…] Spesso sembrava voler sedurre anche gli avversari.

«Dopo il discorso di Onna, quando mise il fazzoletto dei partigiani, lo chiamai, era in elicottero con Bonaiuti. Gli dissi che aveva il 75 per cento di indice di fiducia. Ci fu un momento di silenzio».

 E poi?

«Chiese: "Quell'altro 25 per cento che non mi ama, perché? Quando fece il predellino mi spiegò, dalla macchina, le sue ragioni: doveva tenere unita una situazione che si stava sfarinando». […] «Nonostante tutto quel che accadeva la fiducia non veniva scalfita. A farlo, più di tutto, è stata la seconda lettera della moglie Veronica». 

Più dei processi?

«Assolutamente. Mi chiamò nella notte dicendomi che dovevamo capire come gestire la situazione». 

Perché il colpo veniva dall'interno?

«Perché veniva dalla famiglia. Berlusconi era un uomo con 17 nipoti, ha sempre messo al centro della narrazione il valore della famiglia». 

La frase sulle «vergini che si offrono al drago» lo ha danneggiato più di ogni altra cosa?

«Sì, soprattutto per il voto delle donne, che era sempre stato un suo punto di forza». 

Glielo disse?

«Certo. Lo sapeva perfettamente. Ma sentiva anche una grandissima responsabilità. A novembre 2012 decise di ricandidarsi perché il partito era in calo. Nonostante tutto, senza lui a fare da traino, sarebbe stato spacciato».

La morte del leader FI. Chi era veramente Silvio Berlusconi, il piazzista che ha fatto la rivoluzione. Il kit del propagandista e l’inno-jingle del partito di plastica sarebbero serviti a poco senza l’abilità di smerciare qualsiasi cosa senza lasciarti il tempo di capire perché stai aprendo il portafogli. David Romoli su L'Unità il 13 Giugno 2023

Lo stupore con cui ieri è stata accolta la notizia rende ragione di quanto Silvio Berlusconi abbia inciso, nel bene e nel male, nel dna di questo Paese. Era un uomo anziano e molto malato, la sua scomparsa era prevedibile eppure ha spiazzato tutti perché Berlusconi ha segnato tanto profondamente un’epoca da rendere difficile immaginare che non ci sia più. Chi lo ha amato lo ha amato molto, chi lo ha odiato continua a detestarlo anche da morto, basta fare un salto sui social per rendersene conto. Capita a quelle figure che gli anglosassoni definiscono larger than life.

Quando il 26 gennaio 1994 tutte le televisioni diffusero il videomessaggio che aveva registrato a Macherio, “L’Italia è il Paese che amo…”, pochissimi capirono di trovarsi di fronte a una rivoluzione destinata a sconvolgere i modelli della comunicazione politica. Quando presentò il suo prodotto, un partito costruito in laboratorio dai suoi dipendenti di Publitalia, col nome rubato all’urlo dello stadio, il colore scippato alla maglia della Nazionale, liste formate arruolando a destra e manca, nessuno si rese conto di avere a che fare non con un’anomalia bizzarra ma con l’alba di una nuova normalità. La politica come prodotto. Il leader come testimonial.

La “linea politica” in secondo piano rispetto al rapporto emotivo e fiduciario garantito dalla persona del leader, dalle sue doti di grande venditore. La proposta programmatica rimpiazzata dalla comunicazione empatica di un leader col quale, a differenza che con le figure carismatiche del passato, si potevano identificare tutti e molti in effetti si identificavano. Un italiano, anzi un arci-italiano che ce l’aveva fatta. C’è chi sostiene che Berlusconi avesse costruito in anticipo i suoi elettori grazie alla tv e forse un po’ è vero. Prima e forse più che con la politica il Cavaliere ex palazzinaro aveva trasformato l’Italia e gli italiani con le sue reti: Telemilano, acquistata nel 1976 e trasformata in Canale 5 due anni dopo, poi Italia 1 nell’82 e Rete 4 nell’84.

Finivest insomma, con i suoi film spezzati dalla valanga di spot, i lustrini e la spregiudicatezza sconosciuta a Mamma Rai, la scoperta di una comicità lombarda che deflagrava in uno show-biz che da sempre parlava e rideva solo in romano. I pretori di tre città oscurarono la rete che, grazie a un sotterfugio, aggirava il divieto di programmazione nazionale. Craxi intervenne con mano pesante e salvò l’amico, personificazione stessa del craxismo, emblema rampante della Milano da bere. Nel ‘90 la legge Mammì mise fine al contenzioso legalizzando quel che era già reale pur se illegale. Cinque ministri della sinistra Dc – tra loro un futuro presidente della repubblica – si dimisero per protesta. Il presidente del consiglio Andreotti li sostituì nel giro di poche ore.

E’ vero, negli anni ‘80 le reti Fininvest, poi Mediaset, avevano trasformato gli elettori in acquirenti pronti a farsi abbagliare dallo sfarzo a basso conto delle tv di Sua Emittenza, dal kit del propagandista distribuito nella prima caotica e affollatissima “convention” azzurra a Roma, dall’inno-jingle del partito di plastica: “E’ Forza Italia, per essere liberi…”. Ma tutto questo sarebbe servito a poco senza l’abilità di venditore del leader, uno di quelli capaci di smerciare qualsiasi cosa senza lasciarti il tempo di capire perché stai aprendo il portafogli. Uomo della prima Repubblica come pochi altri, si presentò come il campione della rivoluzione liberale senza che la nobile bandiera gli impedisse di arruolare gli ufficiali allo sbando dei partiti distrutti da tangentopoli.

L’azzardo, e di azzardo si trattava perché se sconfitto l’ira dei vincitori sarebbe stata implacabile, non sarebbe riuscito senza una manovra politica della cui portata, invece, qualcuno prese atto subito: la fondazione della destra italiana, quella che oggi governa, per la quarta volta ma per la prima senza Berlusconi al timone, il Paese. In fondo ciò che molti non perdonano a Berlusconi e per cui molti altri sono stati disposti a soprassedere su tutto, le bugie su Ruby nipote di Mubarak, le olgettine, l’attenzione sempre desta agli interessi privati, l’editto bulgaro che nel 2002 cacciò dalla Rai i tre principali giornalisti non allineati, è proprio aver costruito la destra in un Paese che ne era privo. Oggi sembra una cosa ovvia, trent’anni fa non lo era affatto. Lo stesso Berlusconi, nella prima fase, si sbracciava per chiarire che la sua Fi non era “di destra o di sinistra” ma un partito “del fare”.

L’alleato Bossi, già tesserato del Pci, si definiva “erede della lotta partigiana” e il 25 aprile sfilò a Milano nella gigantesca manifestazione contro il governo. Gli esponenti di un Msi non ancora An bisognava tenerli quasi nascosti, lontano dai ministeri. L’alchimia era tanto improbabile che il governo nato dalla trionfale vittoria del Polo delle Libertà del 27 marzo 1994 durò appena pochi mesi, poi la Lega staccò la spina e detronizzò “Berluskaiser”, come lo chiamava Bossi.

Eppure il vero miracolo di Berlusconi è stato proprio questo: creare la destra assemblando aree e pezzi di mondo politico apparentemente incompatibili. Gli ci sono voluti anni, dalla caduta rovinosa del dicembre 1994 alla vittoria nelle elezioni del 2001 e del 2008. E’ stata una storia costellata da rotture, quella con Bossi poi ricucita, quelle con i centristi cattolici di Casini, con Fini, la più insanabile, con il delfino Alfano. E’ un progetto che ha cambiato nome e ragione sociale a ripetizione: Polo delle libertà, Casa delle libertà, Popolo della libertà, cioè il partito unico Fi-An annunciato sbrigativamente da un predellino a latere di una manifestazione e altrettanto sbrigativamente franato. Ma sin dall’inizio, dalla vittoria a sorpresa del 1994, è stato chiaro che in Italia non c’erano più solo un centro oscillante da un lato all’altro dello spettro politico e una sinistra e che con la destra si sarebbero dovuti da quel momento in poi fare i conti.

Quella di Berlusconi è stata una destra che ha puntato sulla diffidenza degli italiani nei confronti dello Stato, che ha coscientemente incentivato alcune tra le tendenze peggiori del Paese, dall’abusivismo all’evasione fiscale. Ma è stata anche una destra democratica non solo in superficie. Se e quanto sia destinata a restarlo senza più il padre fondatore è tutto da verificare. Molto prima del M5S, il padre padrone di Fi ci teneva a chiarire che lui non era un politico di professione: “il teatrino della politica” era la sprezzante definizione con la quale innescò e sfruttò per primo il populismo antipolitico. Non era solo sceneggiata: per Berlusconi i confini tra personale e politico sono sempre stati evanescenti.

Ha sopportato il dissenso politico, mai quelli che a torto o a ragione gli sembravano tradimenti personali. Si è inventato una politica estera basata sui rapporti personali, su lettoni regalati da Putin e sui presidenti americani invitati in villa, e forse è quanto di meglio abbia fatto come uomo di governo. Ma ha anche considerato normale rendere la difesa dei suoi interessi e dei suoi problemi legali una priorità politica e spesso la priorità politica assoluta, e forse è il peggio che abbia fatto come presidente del Consiglio. Berlusconi è stato garantista, certamente per necessità, forse anche per virtù. Considerava una persecuzione il mostruoso moltiplicarsi di inchieste a suo carico, a partire da quell’avviso di garanzia che fu essenziale per far cadere il suo primo governo e che si trovò spiattellato sul Corriere della Sera, senza essere stato avvertito del fattaccio, proprio mentre presiedeva un vertice internazionale sulla criminalità.

Una vena persecutoria in quelle inchieste c’era davvero, non perché non ci fossero spesso gli estremi per indagare ma perché se le stesse forze fossero state dispiegate per fare le pulci a tutti gli industriali non se ne sarebbe probabilmente salvato nessuno. Ha costretto una destra forcaiola a seguirlo e difenderlo ma scommettere oggi su quanto garantista resterà ora che è in mano solo a Giorgia Meloni e Matteo Salvini significherebbe rischiare grosso.

Berlusconi è stato un sovrano senza discendenza politica. Lui stesso si è preoccupato pochissimo di garantire un futuro alla sua creatura, ha considerato la successione un particolare trascurabile. In un certo senso si riteneva immortale, o almeno si comportava come se lo fosse, sino all’ultimo straziante messaggio del maggio scorso del san Raffaele. Le possibilità di sopravvivenza del suo partito sono ora esigue. La destra invece è ormai in grado di fare a meno del fondatore ma non resterà la stessa e probabilmente sarà peggiore di quella che è stata nei decenni del berlusconismo e dell’antiberlusconismo, accoppiata perdente che ha fatto alla cultura politica di questo Paese infiniti danni. David Romoli 13 Giugno 2023

Estratto dell'articolo di Fabrizio Roncone per il Corriere della Sera il 14 giugno 2023.

La sera andavamo a Palazzo Grazioli. Lui era lì. La politica era lì. Un gin tonic al bar Doria, i cronisti delle agenzie che si davano il cambio davanti all’uscita secondaria, le luci — lassù, al secondo piano — sempre accese. Mille metri quadrati dove nessuno può dire di aver visto tutto. Ma dove è successo tutto. 

 Epicentro del potere per l’intera seconda Repubblica, è il luogo dove il Cavaliere ha officiato più a lungo e dentro autentica magnificenza: tra ministri veri e ministri miracolati, sottosegretari e sottopanza, adulatori e aspiranti fidanzate, badanti e arrampicatori sociali, Barbara e Terry che si scattano selfie nei bagni dorati e le convocazioni in decine di processi, (...) le lunghe telefonate con Putin e con Gheddafi, Giampi con le sue amichette e il cuoco Michele che prepara le penne tricolori — solo Umberto Bossi grugniva: «Fanno schifo!»; il professor Giulio Tremonti, con eleganza, fingeva di gradire, continuando a spiegare la posizione della Bce

(...) Denis Verdini — per una stagione potente capogruppo a Montecitorio, con l’orologio d’oro massiccio al polso e ai piedi le babbucce come quelle di Flavio Briatore — discute con Renato Brunetta, perde la pazienza e lo solleva, di peso, da terra. Il parapiglia fa innervosire Dudù, il barboncino di Francesca Pascale, che comincia ad abbaiare e tenta di mordere Daniele Capezzone (succederà altre volte, purtroppo).

La Pascale è riuscita nel capolavoro sentimentale di fidanzarsi con il Cavaliere partendo dalla piazzetta che affaccia sull’uscita secondaria, dove manifestava sotto al sole a picco infilata in una t-shirt con la scritta «Meno male che Silvio c’è». Per far capire che, a Palazzo, gli equilibri sono cambiati, va in cucina e chiede: «Quanto li paghiamo i fagiolini al chilo?». Le rispondono una cifra da mutuo. 

Lei s’infuria e tutti, a quel punto, capiscono chi è che comanda (certo, chi vuole parlare con il Cavaliere deve però sempre chiedere il permesso a Maria Rosaria Rossi, poi diventata celebre in certe cronache giudiziarie per aver affittato il castello di Tor Crescenza e per la frase cult detta a Emilio Fede, che le annunciava al cellulare il suo arrivo: «Oh, no… bunga bunga, le due di notte!»).

Un pezzo di Sardegna

Che inverni memorabili, a Palazzo Grazioli. Quanta politica, quanto potere concreto, quanti eccessi. Poi, la liturgia berlusconiana, l’estate prevedeva il trasferimento a Villa Certosa, Costa Smeralda, Porto Rotondo: molto più che una tenuta. Letteralmente, un pezzo di Sardegna.

Parco di 580 mila metri quadrati (considerate che un campo da calcio ne misura circa 7 mila), un immobile con 68 vani, 4 bungalow, una palestra, un teatro, un finto vulcano (la prima volta che il Cavaliere lo accese, accorsero i vigili del fuoco). Ospiti variegati: da Putin (erano proprio amici) a Lele Mora, da Aznar a Zapatero, dall’ex capo della Repubblica Ceca Topolanek (paparazzato nudo sotto la doccia, insieme ad alcune amiche in topless) a Tony Blair con la moglie Cherie.

Con Blair, quell’indimenticabile estate, il Cavaliere sfoggia la leggendaria bandana (prima di lui, in Italia, solo Alberto Sordi: ma in un film, «Lo sceicco bianco»). Poi, non soddisfatto, gli mostra la collezione di 400 cactus fatti arrivare da ogni parte del pianeta. Blair è basito. La sera, nei vialetti del parco, ci sono carretti che offrono gelati a tutti. Il gelato libero e gratuito impressiona molto soprattutto i notabili di FI. Mariano Apicella alla chitarra è leggenda nota. Come l’Umbertone che nel 1994 — non s’è mai capito se per puro sfregio, o per intuizione mediatica — si presentò indossando una canottiera da muratore.

Disdetto l’affitto di Palazzo Grazioli (troppo costoso, vabbé), ha aperto i cancelli e si è offerto agli obiettivi anche nell’ultima dimora romana, Villa Zeffirelli, poi ribattezzata Villa Grande, sull’Appia Antica, per anni prestata in comodato d’uso al suo amico regista e diventata il set degli ultimi vertici con Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che stavano allestendo il nuovo governo e lei, Giorgia, con dei gran giri di parole diceva no, Presidente, la Ronzulli ministra della Sanità proprio no.

Ma il Cavaliere era già stanco. Incerto sulle gambe. Ed era chiaro a tutti che eravamo ormai dentro il tramonto di una storia cominciata nell’altra grande dimora, da lui adorata, e dove — in un miscuglio di amicizia indistruttibile e stima profonda — ha continuato ad incontrarsi fino all’ultimo con Fedele Confalonieri, Marcello Dell’Utri, Gianni Letta e Adriano Galliani: Villa San Martino (3.500 mq, valore indicativo: 100 milioni).

Lì, alle ore 18 del 29 giugno 1993, fa ingresso il professor Giuliano Urbani, politologo della Bocconi. Berlusconi non è ancora del tutto Berlusconi. Così gli evita la visita ai roseti e al mausoleo di Pietro Cascella, e va subito al dunque: «Vorrei fondare un partito. Secondo lei, è un’idea che agli italiani potrebbe piacere?». 

Estratto dell’articolo di Maddalena Oliva per ilfattoquotidiano.it il 14 giugno 2023.

“La maggioranza degli italiani vorrebbe essere come me”, “grande amatore dell’altra metà del cielo” che può permettersi di avere sempre alla sua tavola “presenze femminili gradevoli”. Così diceva, mostrando ancora una volta l’affinità elettiva con gran parte del Paese e col pensiero dominante. Di Silvio Berlusconi e del rapporto tra i sessi, della sua concezione della donna e dei ruoli di genere, del velinismo fatto pensiero e politica, si è scritto per decenni. […]

Fino a quando Patrizia D’Addario svelò per prima in diretta tv, ad Annozero di Michele Santoro, quanto fosse realtà il Bagaglino. Era il 2009. Vennero poi Ruby Rubacuori, Marysthell Polanco, Nicole Minetti, il bunga-bunga. Ma Berlusconi, a pensarci bene, non creò nulla. La mercificazione del corpo femminile non nasceva con le sue tv, lo scambio sesso-doni/denaro/carriera, non usava solo dalle parti di Palazzo Grazioli o di Arcore (a raccontarcelo sarebbe stato il #metoo).

Fu in grado di interpretarla, la realtà: lo fece in modo strabiliante e sfrontato, prima con le sue televisioni e il suo immaginario, e poi con la sua politica. Ragazze desnude usate come ornamenti e necessarie “distrazioni”, da Drive-in ai programmi più disparati, dal meteo a Striscia la notizia al Grande Fratello, divenuti all’occasione uffici di collocamento. 

Candidate per le elezioni europee scelte tra veline e modelle avvenenti: “Mi domando in che Paese viviamo, come sia possibile accettare un metodo politico come quello che si è cercato di utilizzare per la composizione delle liste elettorali del centrodestra”, si chiedeva nella celebre lettera del 2009 l’allora moglie Veronica Lario. Era “il ciarpame senza pudore”, “le vergini che si offrono al drago per rincorrere successo e notorietà”.

E per una strana alchimia, scriveva Veronica, il Paese “tutto concede e tutto giustifica al suo imperatore”. L’ordine non era quello del terrore ma del narcisismo, dell’onnipotenza. Soprattutto, di una certa “servitù volontaria”. Le “vergini” non erano vittime sacrificali ma facevano la fila e sgomitavano per far parte della corte (come dimenticare le intercettazioni delle giovani ospiti di Arcore…). 

I “servitori” erano un esercito di uomini e donne che dopo aver occupato posti chiave in partiti, istituzioni, tv e giornali, si prodigavano per chi portava più fanciulle e si facevano grancassa per le bugie e le “coperture” (da Ruby nipote di Mubarak, votata da 232 parlamentari la notte del 27 maggio 2010 – premier Meloni e presidente del Senato La Russa compresi – alla relazione con Francesca Pascale). E ad affrontare Berlusconi, a decretarne l’inizio della fine, non furono i suoi oppositori a cavallo, ma due donne umiliate e offese: Veronica Lario e Patrizia D’Addario. 

[…] Berlusconi, sì, disvelò un’“autobiografia nazionale” e decenni di costruzione di un’immagine paternalista e sessualizzata della donna-oggetto, dalla velina alla “culona inchiavabile” per parlare di Angela Merkel. Ma del corpo delle donne né la politica né la cultura se ne sono occupati più molto. 

Che lo si consideri un maschio alfa o una vittima del suo machismo, nessuno può illudersi che, insieme al suo potere, con Berlusconi si eclissi l’immaginario sessuale che tutti noi abbiamo più o meno inconsapevolmente introiettato. Quel suo volto liftato e così invecchiato è la maschera di un sistema di valori e di ruoli che per molti, e molte, resta ancora gradito, “naturale”.

Estratto dell’articolo Michele Masneri per “il Foglio” il 14 giugno 2023.  

]Jas Gawronski […] è stato tra le altre cose anche portavoce di Silvio Berlusconi al suo primo incarico di governo nel fatale 1994. […] “Avevo lavorato come giornalista alla Fininvest, conducendo ‘Big Bang’, che era una specie di Quark, negli anni Ottanta. L’idea era quella di emulare Piero Angela, ma non ci andammo neanche lontanamente vicini”, […]  “Fui favorito credo dal fatto che ero amico dell’Avvocato Agnelli”, dice Gawronski. “Berlusconi venne una prima volta a Torino, a villa Frescot, a trovare Agnelli, che l’aveva invitato spinto a sua volta da una forte curiosità per questo personaggio, per cui provava un misto di interesse antropologico, invidia, divertimento”. Invidia per cosa? “Per il successo con le donne, e per il business della televisione”.

[…]  “Agnelli trovava Berlusconi molto simpatico e un po’ lo prendeva in giro, ma solo finché non è diventato presidente del Consiglio, poi mai più; aveva un sacro rispetto delle istituzioni”, […]  “Per il Cav.  l’Avvocato era un mito. Ha sempre sostenuto di avere la sua foto incorniciata sul comodino”.

Estratto da liberoquotidiano.it il 15 Giugno 2023.

Tutto e il contrario di tutto si può dire su Silvio Berlusconi, ma non si può negare che fosse un esteta. 

A sottolineare quest’aspetto della sua personalità e a commentare negativamente l’ultima foto che è stata pubblicata del Cavaliere a poche ore dalla sua dipartita è Ivan Zazzaroni, direttore del Corriere dello Sport e ospite de La Vita In Diretta, talk di Rai1 condotto da Alberto Matano e che ha dedicato l’ultima puntata interamente ai funerali di Stato dell’ex-presidente del Consiglio: 

“Lui non avrebbe mai permesso, visto come era attento anche alla sua immagine, che quella foto orribile che circola insieme al bambino venisse resa pubblica”.

Lo scatto in questione ritrae Berlusconi seduto con accanto un bambino, all’interno di un bar di Milano 2. Visibilmente provato dai medicinali, la foto ha svelato le sue condizioni nei momenti finali della sua vita e Zazzaroni non ha gradito affatto la cosa: “Noi (inteso come redazione del Corriere dello Sport, ndr) non faremo mai vedere quella foto”. (…)

 Dagospia il 15 Giugno 2023. “Kakà è il tipo di uomo a cui tutti i padri e le madri vorrebbero dare in sposa le proprie figlie”. Sui social gira un video-stracult di Berlusconi, in una epica puntata di “Controcampo”, durante la quale il Cav si scatenò in un divertente corteggiamento nei confronti di Elisabetta Canalis. 

L’ex velina fece capire di non avere nel suo pantheon maschile il brasiliano dalla faccia d’angelo: “Lo vedo molto bimbo, molto ragazzino. Io li preferisco un po’ più maturi”. E Silvio piazzò la sua zampata: “Elisabetta ha bisogno di uomini già fatti come me”. E la Canalis, di rimando: “Guardi, non mi sopporterebbe neanche lei…”. Berlusconi insiste: “Non mettiamo limiti alla pazienza, lascia decidere a me”. Sandro Piccinini interviene: “Il presidente non perde occasione…”. La chiosa di Silvio: “Faccio tanto il galletto perché mia moglie è a New York e non vede la trasmissione

Anticipazione da “Oggi” il 21 giugno 2023.

Matilde Simonetto, detta Mity, dal 1992 al 2010 al fianco di Silvio Berlusconi come consulente d’immagine, parla in esclusiva al settimanale OGGI, in edicola da domani, dopo aver superato molte resistenze: «Ogni aggettivo riferito al Dottore, anche se declinato al superlativo, mi sembra sminuente». 

C’è lei, per esempio, dietro gli spot della discesa in politica del Cavaliere: le inquadrature, la scrivania, le luci, lo sfondo con la libreria e le foto di famiglia, insomma, la regia e la scenografia, che nel berlusconismo superano per importanza la sceneggiatura. «Li giravamo alle 6 del mattino, perché poi Berlusconi non avrebbe avuto tempo. 

Faceva un freddo terribile: il Dottore stava ristrutturando la villa di Macherio, lo studio era stato “sventrato”. Da una parte c’eravamo noi con le sciarpe e i cappellini di lana. Dall’altra lui, splendido in doppiopetto, seduto alla sua scrivania, sorridente, con una luce stupenda, caldissima… 

Feci razzia delle foto di famiglia, gliele sistemai dietro, alcune le avevo “organizzate” io. Una volta dovetti mandare qualcuno a comprare dei jeans per i bimbi, che avevano solo pantaloni eleganti». 

E la calza sull’obiettivo della telecamera per spianare le rughe? «Una leggenda. Allora, tra l’altro, non le aveva, le rughe. Usavamo dei filtri, questo sì, e delle luci trattate. Ma niente collant».

Unico disaccordo «la cipria anti-lucido, per evitare i riflessi nelle foto o in tv. Per i miei gusti, ne usava un po’ troppa. Si teneva in tasca un piumino secco: appena io mi voltavo, lo tirava fuori e si incipriava, poi lo rimetteva in tasca credendo che io non lo vedessi». 

E la famosa bandata esibita a Porto Cervo nell’estate del 2004? «Decise lui, forse c’era un trapianto da proteggere, lui lo coprì così. Ero in vacanza a Viareggio, quando vidi le immagini mi prese un colpo». 

Mity Simonetto aveva già lasciato l’incarico all’epoca dei primi scandali non giudiziari: la D’Addario, la separazione da Veronica Lario, Ruby. «Erano questioni troppo grandi e lontane da me, non avrei saputo gestirle. Se gli ho mai consigliato di frenare le sue frequentazioni femminili? Eravamo in tantissimi a dirglielo. Lui ascoltava tutti, ma nelle decisioni era un uomo solo: soltanto sua madre Rosa avrebbe potuto influire sul suo comportamento, ma aveva già 90 anni».

Estratto da La Stampa il 24 giugno 2023.

Ah, Silvio… Lo incrociavo spesso al Torre di Pisa, il ristorante in Brera dove andavamo a cenare in quegli anni: noi circondati da ragazze splendide, lui seduto al tavolo con amici e collaboratori, sempre ingrigiti, sempre a parlar d’affari e a squadrarci con invidia. Una sera mi ferma e mi offre un caffè. 

E mi dice: “Sai, anch’io voglio avere donne in quantità industriale e quindi ho deciso: farò la televisione commerciale. Il futuro appartiene a me”. Lo so, può sembrare una tesi strana, ma sono fermamente convinto che lui, affamato di successo, abbia fatto quello che ha fatto solo per questo motivo». Tesi originale, certo, ma forse neanche tanto, vista l’indole e la caratura dei personaggi in gioco. 

Era la metà degli Anni Settanta e mentre Berlusconi fantasticava lo sbarco nell’etere, Beppe Piroddi brillava come una stella all’apogeo della sua carriera mondana: un principe della bella vita, un ricco «sciupafemmine» capace di conquistare le donne più desiderate del pianeta.

Ovvero, il numero uno degli «amateur», che è concetto molto più profondo del semplice «playboy»: «Il playboy è uno che “gioca”, che colleziona, che fa parlare il cuore ma anche la testa», spiega lui, in un ristorante sul lungomare di Genova. «L’amateur, invece, insegue solo il piacere: vuole assaporare fino in fondo le sensazioni, abbandona il campo quando questo non avviene più. Questione di divertimento: ecco la bussola che ha governato la mia vita».

Una giostra di incontri ed emozioni. Beppe Piroddi si è fatto aiutare dall’amico giornalista Gigi Moncalvo e c’ha riempito un libro: «Amateur», Mursia edizioni, quattrocento pagine di feste, donne fatali, stelle del cinema, vacanze a Saint-Tropez e spedizioni passionali a New York e a Londra. Senza dimenticare, ovviamente, i locali da lui stesso fondati: i Number One e i Caffè Roma aperti a Milano, Roma e in America, tra le «mecche» della vita notturna di quegli anni. Da dove iniziare? 

Classe 1940, nato a Genova e di buona famiglia, Piroddi è figlio del medico che inventò la dieta mediterranea. Cresce con le spalle coperte tra la Liguria e il Lago Maggiore. E’ un bel ragazzo, ha charme. E ci sa fare così tanto con l’altro sesso che a vent’anni diventa l’uomo-oggetto delle signore più in vista della società genovese. Poi il grande salto, nel 1963, quando al night Chatham di Torino conquista l’attrice francese Odile Rodin, splendida moglie del diplomatico (nonché mitico playboy) Porfirio Rubirosa.

Sarà lei a lanciarlo nell’empireo del jet set internazionale. «Né romanticismo svenevole né tornaconto economico: con le donne ho sempre seguito la chimica», dice, cercando di spiegare i segreti di un’infinita serie di attrazioni fatali. «Ho usato la mia peculiarità: avvertivo subito se una ragazza mi accendeva e, soprattutto, se lei era attratta da me». (...)

Estratto dell’articolo di Natalia Aspesi per il Venerdì il 25 giugno 2023. 

(…)

Ho visto grasse massaie in tv che piangevano sconsolatamente questo ignoto miliardario facendosi la croce: lutto nazionale per sette giorni. Anche per lei che due buone parole per il defunto le ha dette, o quasi: "È venuto a mancare il Cavaliere... Ho sempre pensato che fosse una calamità...". E poi giù a parlare dei fatti suoi, tanto più importanti per lei, tipo "Mi trascino quando mi porto in giro la perfida Olivia (il cane)...". E poi confessa di averlo chiamato per almeno un decennio "un Vecchio Indecente", e qui mi scusi, entro io a fare quella cosa odiosa che è la propaganda e a dire con tutta sincerità e forse per la prima volta, il mio pensiero su Repubblica.

Credo che oggi questo giornale di carta, quello che nessuno avrebbe più voglia di leggere, ha scelto una strada sicura e dura, che lo rende il solo quotidiano, cartaceo, a parlar del Pd come se fosse vero. C'è sul suo sito una interessante trasmissione, Metropolis, dove può incontrare i giovani (ahi noi!) che paiono nuovi e sono molto bravi, una gran consolazione rispetto agli orribili quotidiani di destra o che approvano, come se fosse normale, la destra. Insomma, Repubblica, per ora, è decisamente di sinistra. Lei è di quegli uomini che non resistono senza il quotidiano, anche lì, ad Ascoli, ed è lì che il giornale deve ripartire.

Poi lo sa, anche io sono frivola, e se posso sgridare il Cavaliere, a parte i 32 o quasi processi da cui è uscito indenne anche facendosi le leggi sue, c'è una cosa che non gli perdono: aver tentato di trasformare uomini che più invecchiavano più diventavano belli in uomini che hanno imparato da lui a farsi decine di pessime operazioni estetiche, diventando spaventosi vecchi, di cui lui era il maestro. Poi c'era a lui accanto la signora Fascina, 33 anni contro gli 86, nonno molto vecchio e nipote giovane, una bella signora calabrese, diventata del tutto sconosciuta onorevole a Portici, mai vista in Parlamento, sempre usata come compagna di Berlusconi per sorvegliarlo, e con 53 anni in meno.

·        La Biografia.

BIOGRAFIA DI SILVIO BERLUSCONI. Da cinquantamila.it - la storia raccontata da Giorgio Dell'Arti

Silvio Berlusconi, nato a Milano il 29 settembre 1936. Politico. Imprenditore

• «Il Cavaliere» • «B» • Padrone di Mediaset. Padrone della Mondadori. Già padrone del Milan, venduto nel 2017 all’imprenditore cinese Li Yonghong

• Patrimonio personale stimato in 6 miliardi e 300 milioni di dollari (nel 2020, secondo la rivista Forbes). Sesto uomo più ricco d’Italia. Numero 308 nella lista dei più ricchi al mondo

[…] Dorme poco di notte. Legge i giornali alle due del mattino. Guarda i dossier col «dottor Letta» alle due e mezza. Qualche volta, la notte, compra oggetti alle televendite, qualificandosi 

• «I venditori di Berlusconi erano fortemente disincentivati dal fumare, portare la barba, i baffi o i capelli lunghi e disordinati, veniva detto loro di avere sempre l’alito fresco, di stare attenti alla forfora e di non avere mai, cascasse il mondo, le mani sudate» (Stille) 

• Detesta l’aglio

• Passione assoluta per il giardinaggio, di cui è grande intenditore: a Villa Certosa in Sardegna ha realizzato, senza badare a spese, un parco di grande bellezza (per esempio un agrumeto contenente 140 specie di aranci, cioè tutti quelli esistenti, ecc.) 

• Pur possedendo tre cellulari le cui suonerie sono segrete, non ne tiene in tasca neanche uno: risponde il caposcorta e glieli passa (di recente, però, avrebbe imparato a scrivere gli sms e durante le riunioni noiose si divertirebbe a fare scherzi coi messaggini) 

• Il suo cruccio è l’altezza. Ad Augusto Minzolini disse: «Lei quanto è alto? Un metro e 78? Non esageri. Venga qui allo specchio, vede, io sono alto un metro e 71. Ma le pare che un uomo alto un metro e 71 possa essere definito un nano?»

• Nel 2020 contrasse il coronavirus

• Ad Arcore ha un mausoleo dove intende essere sepolto.

• Nel novembre 2006, chiacchierando nel salotto di Daniela Santanché, Berlusconi stesso ha fatto il punto sulle sue ricchezze: 13 case, 14 piscine (perché una è coperta), quattro jet di cui uno rotto, sei panfili, duemila conti in banca, 56 mila collaboratori, una squadra di calcio, una di pallavolo (campioni d’Italia e d’Europa), una di hockey (idem). Aveva prodotto fino a quel momento 110 film (e sostiene di essersi fidanzato con il 60 per cento delle attrici). Le case, cioè le ville, possedute sono in realtà 14: Macherio (Villa Belvedere), Arcore (Villa San Martino), Portofino, Porto Rotondo (La Certosa), Cernobbio, due alle Bermuda, sette ad Antigua (Piccole Antille)

• Quattro volte presidente del Consiglio: nel 1994 (Berlusconi I), per tutta la XIV legislatura, dal 2001 al 2006 (Berlusconi II e III), poi di nuovo dal 2008 al 2011 (Berlusconi IV) • Eletto alla Camera nel 1994, 1996, 2001, 2006, 2008; fu eletto al Senato nel 2013, ma il 27 novembre di quello stesso anno, dopo che la Corte di Cassazione lo condannò in via definitiva per frode fiscale, e dopo che la Corte d’appello di Milano gli comminò due anni di interdizione dai pubblici uffici, l’aula votò la sua decadenza

• Tornato candidabile nel 2018, è stato eletto europarlamentare alle europee del 2019. È stato il più anziano degli eurodeputati 

• «Un uomo di gomma laddove Mussolini si atteggiava a uomo di ferro» (Eugenio Scalfari) • «Se avesse un puntino di tette farebbe anche l’annunciatrice» (Enzo Biagi) • «Come tutti i grandi imprenditori, Berlusconi non ha la purezza di San Francesco» (Bruno Vespa) 

• «La Standa è mia / Il Milan è mio / e la Marini / la Cuccarini / le cucco io / Mentana, Fede / Paolo Liguori / La Fininvest, Publitalia, Mondadori / Vittorio Feltri / i due Vianelli / e se obbediva, forse, Indro Montanelli / c’ho Panorama / assicurazioni/ Milano 2, Milano 3, Sorrisi e canzoni» (Roberto Benigni, a Tuttobenigni 1995)

• «Venne allo Sporting di Montecarlo per la serata di gala di Publitalia. Mi disse che ero bravo, che avrei fatto tanta strada se avessi tenuto la testa sulle spalle. Mi disse: impara da Mike. Poi si bloccò, stava passando una bellissima ragazza e mi disse: chi è quella bella gnocca?» (Fiorello) 

• A una bambina, nel 2007: «“Quanti anni hai, piccolina?” “Sette”. “Sai, io alla tua età ne avevo già nove”». 

Titoli di testa «Hanno fatto un sondaggio tra le ragazze italiane tra i 20 e i 30 anni. La domanda era: vorresti fare sesso con Silvio Berlusconi? Il 30 per cento ha risposto: magari! E il 70 per cento: ancora?!». 

Vita «Sono uno che è stato povero, che si è costruito da solo, che ama il calcio, ama la vita, ama divertirsi» • Primo dei tre figli di Luigi Berlusconi (Saronno 1908 - Milano 1989), funzionario e poi direttore della Banca Rasini; e di Rosa Bossi, già stenografa-dattilografa alla Pirelli (defunta nel 2008). I due fratelli si chiamano Paolo e Maria Antonietta. Infanzia qualunque a Milano, medie e liceo al Sant’Ambrogio dei salesiani di via Copernico 9, laurea alla Statale con una tesi intitolata Il contratto di pubblicità per inserzione (lode e premio di due milioni come primo classificato al concorso indetto dalla Manzoni).

Ha 25 anni e parecchie esperienze lavorative alle spalle: a 14 anni tre mesi di barista a Clusone, durante l’università fotografo di matrimoni e funerali (Time), agente immobiliare, rappresentante di elettrodomestici, cantante nel complessino di Fedele Confalonieri con cui andava anche in crociera. Appena laureato si dà all’edilizia, partendo da un terreno in via Alciati a Milano, 190 milioni garantiti dal padre. La madre Rosa su questo inizio che i suoi avversari qualificano come oscuro: «Carlo Rasini, proprietario della banca dove lavorava mio marito, gli concesse un prestito. Noi gli demmo tutto quello che avevamo da parte. “Però ricòrdati che di figli ne ho tre”, gli disse suo padre, “perciò un giorno dovrai aiutare la Maria Antonietta e il Paolo”. Alla fine mio marito lasciò la banca per seguire le imprese di Silvio. In casa avevamo valigie piene di cambiali. Ogni tanto el me Gino diseva: “Rosella, me buti giò de la finestra”» (Stefano Lorenzetto)

• Costruisce a Brugherio e poi a Segrate Est il complesso oggi noto come Milano 2 (Alexander Stille: «un bizzarro mix tra la città ideale del Rinascimento italiano e una versione sterilizzata e un po’ kitsch del sogno suburbano americano»). Entra poi nel business della tv per offrire agli abitanti di Milano 2 un servizio in più, una televisione via cavo riservata. La chiama Telemilano e comincia a trasmettere il 24 settembre 1974 

• Guido Medail, che partecipa all’impresa: «La prima trasmissione fu un’intervista fatta in francese e senza traduzione al capo della resistenza curda. Trasmettevamo soprattutto dibattiti politici. Accettarono di venire anche Eugenio Scalfari (che non aveva ancora fondato Repubblica), Giorgio Bocca, Massimo Fini. Qualche film che piratavamo ai preti delle edizioni San Paolo. Berlusconi si faceva sentire di rado» (Maurizio Caverzan)

• Nel 1976 la Corte Costituzionale sentenzia che in Italia l’emittenza privata è ammessa, ma solo in ambito locale. Medail racconta di aver sentito Berlusconi calcolare ad alta voce che a quel punto Telemilano avrebbe potuto produrre programmi da vendere alle altre tv private (in quel momento erano 434) finanziandosi con la pubblicità da inserire nelle trasmissioni. “Telemilano via cavo” fu perciò trasformata in “Telemilano 58”, rete locale via etere, ed ebbe inizio l’escalation televisiva le cui tappe fondamentali furono: 1) assunzione di Mike Bongiorno; 2) assunzione di Adriano Galliani; 3) inter-connesione funzionale, un grimaldello giuridico che consente a Telemilano, ribattezzata intanto Canale 5 al Nord e Canale 10 al Centro e al Sud, di trasmettere in tutta Italia: in pratica si trattava di registrare una cassetta del programma e di farla avere subito alle altre emittenti, in modo che la trasmissione, sia pure distanziata di qualche minuto o di qualche secondo, venisse di fatto irradiata su tutto il territorio nazionale; 4) acquisizione dei diritti del Mundialito; 5) acquisto di Italiauno da Rusconi; 6) acquisto di Retequattro da Mondadori

• Racconta Mike Bongiorno: «In Rai guadagnavo 20 milioni l’anno e mi dovevo fare il mazzo con le serate per racimolare qualche lira. Lui mi ha offerto 600 milioni ed è stata la svolta» 

• Racconta Raimondo Vianello: «Un giorno si presenta a casa nostra. Ci dice che è pronto a darci un programma, che ci aspetta a braccia aperte. Ha uno stile asciutto, convincente. È un venditore. In quegli anni la Rai è un ministero, non si capisce con chi parlare di nuovi progetti, nuove idee. Avremmo dovuto realizzare un unico programma a Canale 5 e poi tornare a Viale Mazzini. Berlusconi offre patti chiari. E soldi. Insomma, ha argomenti convincenti. A un certo punto gli chiedo se vuole bere qualcosa. Lui mi risponde: “Non avrebbe un panino?”. Mi assale un dubbio: ma questo è davvero miliardario?»

• Nell’ottobre 1984 i pretori di Roma, Torino e Pescara gli oscurano le reti, sostenendo che l’interconnessione funzionale sia fuori legge. Berlusconi allora chiede aiuto al suo grande protettore 

• Bettino Craxi, in quel momento è a Londra in visita ufficiale. Torna di corsa a Roma ed emana un decreto che consente a Berlusconi di trasmettere in attesa della legge che avrebbe regolamentato il settore e che il parlamento italiano approverà poi solo nel 1990 (la legge Mammì) 

• Il ruolo di Craxi, segretario del Partito socialista italiano dal 1976, è fondamentale nell’ascesa di Berlusconi per almeno tre ragioni: 1) gli consente di operare in regime di “deregulation”, cioè senza norme che ne limitassero l’attività (fino al 1990); 2) opera attraverso il presidente socialista della Rai, Enrico Manca, affinché l’azienda di Stato tenga un profilo concorrenziale basso (pax televisiva); 3) gli procura un vasto credito bancario, imperniato soprattutto sulla Banca Nazionale del Lavoro, di cui il Psi era il referente politico

• Nel 1986 acquista il Milan da Giussi Farina, dopo una formidabile opera di potenziamento la rende una delle squadre più vincenti della storia del calcio. Acquista il pacchetto di maggioranza assoluta del quotidiano di Indro Montanelli, Il Giornale, di cui aveva preso il 12 per cento nel 1977 e il 37,5 nel 1979 (passato poi al fratello Paolo quando la legge Mammì proibisce ai proprietari di televisioni di possedere anche quotidiani). Acquista la casa editrice Mondadori al termine di un’aspra battaglia legale e finanziaria con Carlo De Benedetti (l’erede Luca Formenton s’era impegnato a vendere la sua quota a De Benedetti e cambiò idea, cedendola a Berlusconi, poco prima che il patto sottoscritto venisse a scadenza). Entra nel mondo della finanza (Mediolanum con Ennio Doris) e della distribuzione (Standa)

• Comincia a operare attraverso un’imponente rete di società, le principali delle quali sono la capogruppo Fininvest, posseduta inizialmente da 20 lussemburghesi (oggi dismesse), la Mediaset, dove furono raggruppate le reti televisive, e Publitalia, incaricata di vendere gli spot da mandare in onda su Canale 5, Italiauno e Retequattro (in ordine di importanza). L’esplodere di Tangentopoli – l’inchiesta che a partire dal 1992-93 mette in luce un vasto giro di corruzione politica – e la conseguente scomparsa dalla scena di Craxi inducono Berlusconi a intraprendere l’attività politica («scendere in campo», secondo la sua espressione).

Esordio vero il 24 novembre 1993 quando, interrogato da un cronista sulle imminenti elezioni per il sindaco di Roma, dice che tra Francesco Rutelli, candidato delle sinistre, e Gianfranco Fini, candidato della destra e soprattutto segretario del “partito fascista”, voterebbe senz’altro per Fini (battuta che di fatto sdoganò il Msi). E infatti, quando si presenta alle elezioni del 1994, Berlusconi guida un cartello formato dal partito Forza Italia, da lui fondato nel 1993, dal Msi-An, dalla Lega Nord – la formazione di Umberto Bossi che predicava la secessione dall’Italia della Padania – dal Centro cristiano democratico e dall’Unione del centro democratico (due formazioni di risulta della Dc scomparsa causa Tangentopoli)

• Come mai Berlusconi, che pare diventato un imprenditore molto ricco e potente, sente il bisogno di entrare in politica dopo la caduta di Craxi? Bruno Vespa: «Nel 1993 la Fininvest aveva 3.500 miliardi di debiti e si può immaginare che se le elezioni del 1994 avessero spazzato via Berlusconi come un fuscello, non tutti i banchieri sarebbero stati generosi con lui. Il Cavaliere restò spiazzato quando la Banca Nazionale del Lavoro, sul cui appoggio contava, gli chiese di rientrare. Enrico Cuccia voleva affondarlo» 

• L’annuncio della discesa in campo provoca una eco enorme. Berlusconi registra un discorso su una cassetta e la manda a tutti i telegiornali. Si fa riprendere in una luce morbida, dietro una scrivania, circondato dai libri e con le foto dei cari, incorniciate, bene in vista. Sorridente, rassicurante, inappuntabile: «Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a un passato politicamente ed economicamente fallimentare. Affinché il nuovo sistema funzioni, è indispensabile che alla sinistra si opponga un Polo delle Libertà capace di attrarre a sé il meglio di un paese pulito, ragionevole, moderno». 

Processi Contro Berlusconi, specialmente da quando annunciò la decisione di entrare in politica, si è scatenata una pubblicistica di mole impressionante. I processi che gli sono stati intentati dalla magistratura non si contano. Diamo qui la lista delle imputazioni principali: 

• Le origini della ricchezza di Berlusconi sono misteriose e si sa comunque che, ai tempi in cui faceva il costruttore, ha pagato un mucchio di tangenti per costruire in deroga ai piani regolatori, per piazzare appartamenti altrimenti invendibili, per far spostare le rotte degli aerei che davano fastidio agli inquilini di Milano 2 ecc.; 

• Ha assunto come stalliere nella sua villa di Arcore un mafioso, Vittorio Mangano, e questo - insieme con altri indizi - dimostra che è sempre stato alleato con la mafia. I contatti con la mafia li teneva il palermitano Marcello Dell’Utri, suo braccio destro, che ha fatto per molto tempo la spola tra Milano e Palermo;

• Ha corrotto i parlamentari per farsi approvare la legge Mammì che, nel 1990, rese legali le sue reti televisive; 

• Ha corrotto i giudici che, nella vertenza contro Carlo De Benedetti, gli assegnarono la Mondadori; 

• Ha partecipato all’opera di corruzione relativa alla mancata vendita della Sme da parte dell’Iri di Romano Prodi a Carlo De Benedetti (1985-86: Berlusconi intervenne sostenendo l’offerta di una cordata concorrente per fare un piacere a Craxi che non voleva far prendere la Sme a De Benedetti, nel 2007 fu assolto dall’accusa di concorso in corruzione);

• Ha corrotto la Guardia di Finanza e ha pagato in nero, con complessi giri estero su estero, molti diritti su film, soap opera ecc; 

• Si è iscritto alla loggia massonica P2 (26 gennaio 1978, tessera 1816) e ha poi fatto lavorare per sé il faccendiere Flavio Carboni, coinvolto anche nell’affare Roberto Calvi; 

• Nel 2010 telefonò alla questura di Milano per chiedere che tale Karima El Mahroug, detta Ruby Rubacuori, allora minorenne, in arresto per furto, fosse liberata. «È la nipote di Mubarak». Quando si scoprì che la El Mahroug era stata più volte ospite ad Arcore e aveva ricevuto somme di denaro, fu accusato, oltre che di concussione, di favoreggiamento della prostituzione minorile; 

• Da quando si è dedicato alla politica, è in perenne conflitto di interessi: controlla il 50 per cento dell’informazione televisiva e, quando occupa Palazzo Chigi, anche l’altro 50 per cento, attraverso la Rai. Essendo poi presente come imprenditore in tutti i settori dell’economia, qualunque legge va a suo beneficio. L’unica sentenza di condanna passata in giudicato è quella sul processo Mediaset, in cui era accusato di frode fiscale, falso in bilancio, appropriazione indebita e creazione di fondi neri nella gestione dei diritti tivù Mediaset. Il 1° agosto 2013 la Corte di Cassazione lo condannò a quattro anni di reclusione, di cui tre condonati grazie all’indulto del 2006. Il 15 aprile 2014 il Tribunale di sorveglianza di Milano dispose per lui l’affidamento in prova ai servizi sociali. Andò ad aiutare gli anziani di una casa di riposo di Cesano Boscone, in provincia di Milano. Raccontò. «Sono soddisfatto. Ce ne sono alcuni che mangiano solo se ci sono io. È venuto da me un anziano dicendo di essere comunista ma di aver deciso di votare Forza Italia». L’8 marzo 2015 riacquisì la piena libertà. Amori «Ho la fila di donne che mi vogliono sposare. Punto primo: sono simpatico. Punto secondo: ho un po’ di grano, si sa. Punto terzo: la leggenda dice che ci so fare. Punto terzo: loro dicono: lui è vecchio, muore subito, io eredito tutto»

• Prima moglie: «Berlusconi, una mattina, passa davanti alla Stazione Centrale. Lo attende l’imprevisto. Si chiama Carla Elvira Lucia Dall’Oglio (La Spezia 12 settembre 1940). Sta aspettando l’autobus. Improvvisamente Berlusconi dimentica tutto. Si presenta, scherza, si offre di accompagnarla a casa. Lei tergiversa e infine accetta» (da Storia di un italiano). Si sposarono il 6 marzo 1965. Due figli: Marina e Piersilvio 

• Seconda moglie, l’attrice bolognese Miriam Bartolini, in arte Veronica Lario: «Il caso volle che mi trovassi a Milano. Una persona, che lavorava nella compagnia di Alberto Lionello e di cui ero amica, mi invitò a partecipare a una cena in casa del giovane imprenditore che da poco aveva comprato il teatro Manzoni... Il padrone di casa ci accolse “scompagnato” e mi sembrò single nel modo di porsi ai presenti. Era la prima volta che lui entrava nella mia vita e col tempo imparai che quel suo modo di voler apparire “solitario” era una costante della sua personalità. Imparai che già era accaduto prima e negli anni sarebbe accaduto anche dopo... Anch’io, come le altre e numerose giovani ospiti della serata, ottenni un poco della sua svolazzante e onnipresente attenzione. Nel suo sforzo appassionato non fu ingeneroso di sorrisi... A parte i sorrisi, quella sera finì lì» 

• Berlusconi e Veronica si frequentarono benché lui fosse ancora sposato. La sistemò, con la madre, in un appartamento vicino al suo ufficio. Nel 1984 nacque Barbara. L’anno dopo divorziò dalla Dall’Oglio che si trasferì poi nel Dorset, in Inghilterra. Nel 1986, sempre dalla sua relazione con Veronica, nacque Eleonora, nel 1988 Luigi. Si sposarono il 15 dicembre 1990, testimoni i coniugi Craxi (Bettino aveva già fatto il padrino di battesimo a Barbara), Fedele Confalonieri, Gianni Letta 

• «L’ossessione femminile, ben nota in azienda e poi nel mondo politico romano, è diventata di pubblico dominio nel 2009, dopo l’apparizione al compleanno della diciottenne Noemi Letizia e le testimonianze sulle feste a Villa Certosa e a Palazzo Grazioli. B. dapprima ha negato, poi ha abbozzato (“Sono fedele? Frequentemente”), alla fine ha accettato la reputazione (“Non sono un santo”). Le rivelazioni non l’hanno danneggiato: ha perso la moglie, ma non i voti. Molti italiani preferiscono l’autoindulgenza all’autodisciplina; e non negano che lui, in fondo, fa ciò che loro sognano» (Beppe Severgnini, Corriere della Sera, 27/10/2010) 

• Dal 2012 legato sentimentalmente a Francesca Pascale, napoletana, ex valletta, tra le fondatrici dei club «Silvio ci manchi», 49 anni più giovane di lui • Dal 2020, finita la relazione con la Pascale, sta con l’onorevole Marta Fascina, deputata di Forza Italia, 54 anni meno di lui. 

Religione «Quando, nel 1994, mi disse che credeva nei valori cristiani, mi prendo un tempo comico di silenzio e domando: quali? Mi voleva ammazzare» (Giovanni Minoli).

Curiosità Dorme poco di notte. Legge i giornali alle due del mattino. Guarda i dossier col «dottor Letta» alle due e mezza. Qualche volta, la notte, compra oggetti alle televendite, qualificandosi

• «I venditori di Berlusconi erano fortemente disincentivati dal fumare, portare la barba, i baffi o i capelli lunghi e disordinati, veniva detto loro di avere sempre l’alito fresco, di stare attenti alla forfora e di non avere mai, cascasse il mondo, le mani sudate» (Stille)

• Detesta l’aglio

• Passione assoluta per il giardinaggio, di cui è grande intenditore: a Villa Certosa in Sardegna ha realizzato, senza badare a spese, un parco di grande bellezza (per esempio un agrumeto contenente 140 specie di aranci, cioè tutti quelli esistenti, ecc.) 

• Pur possedendo tre cellulari le cui suonerie sono segrete, non ne tiene in tasca neanche uno: risponde il caposcorta e glieli passa (di recente, però, avrebbe imparato a scrivere gli sms e durante le riunioni noiose si divertirebbe a fare scherzi coi messaggini)

• Il suo cruccio è l’altezza. Ad Augusto Minzolini disse: «Lei quanto è alto? Un metro e 78? Non esageri. Venga qui allo specchio, vede, io sono alto un metro e 71. Ma le pare che un uomo alto un metro e 71 possa essere definito un nano?» • Nel 2020 contrasse il coronavirus • Ad Arcore ha un mausoleo dove intende essere sepolto.

Dalla A di amore alla Z di Zelensky: l’alfabeto di Berlusconi. Gian Antonio Stella su Il Corriere della Sera il 13 Giugno 2023

Discesa in campo, fuoriclasse, Milan, telenovelas: tutte le parole che hanno caratterizzato la vita di Berlusconi 

Silvio Berlusconi è morto alle 9:30 di lunedì 12 giugno all’ospedale San Raffaele di Milano. L’ex premier, leader di Forza Italia e fondatore di Mediaset aveva 86 anni 

A

Africani - «Non posso accettare che quando circoliamo nelle nostre città ci sembra di essere, e mi è capitato nel centro di Milano, in una città africana e non in una città europea per il numero di stranieri che ci sono. Bisogna continuare con la politica dei respingimenti. Da quando abbiamo cominciato non è più arrivato nessun africano» (Chiusura della campagna elettorale; «Corriere della Sera», 5 giugno 2009). 

Amore - «Al contrario della sinistra che è il partito dell’invidia e dell’odio sociale, noi siamo il partito della tolleranza, del benessere, dell’amore... Io, poi, sono la persona più buona che esiste, tollerante, e chi bussa la mia porta la trova sempre aperta. Io aiuto i poveri, ho amore per tutti, Non voglio dividere nessuno e anzi se c’è qualcuno che vuole unire quello sono io» (al programma di SkyTg24 «grande politico», Ansa 6/4/06). 

Antropologicamente - «Questi giudici sono doppiamente matti! Per prima cosa, perché lo sono politicamente, e secondo sono matti comunque. Per fare quel lavoro devi esser mentalmente disturbato, devi avere delle turbe psichiche. Fanno quel lavoro perché sono antropologicamente diversi dal resto della razza umana». (a Boris Johnson, allora direttore di “The Spectator” poi sindaco di Londra e Nicholas Farrel, editorialista de “La Voce di Rimini”, commentando l’accusa ad Andreotti di essere mafioso, 4-9-03. Commento di Giuliano Ferrara sul Foglio del giorno dopo: «Un adorabile mattocchio che non conosce i confini tra i soldi, la politica, la legge e il teatro»). 

B

Baffetti - In tv c’era D’Alema e «quei suoi baffetti sottili gli tremavano per una specie di sconcia allegria» (Motivazione per spiegare come mai era sceso in campo. Corriere 29/3/94. Fedele Confalonieri conferma: «Da un certo punto in avanti guardava solo dibattiti e tavole rotonde»). 

Bahamas - «Uno come me, che ha un patrimonio di 20.000 miliardi, deve perdere tempo con voi! Vorrà dire che, quando mi sarà passata, visto che sono una persona gentile, vi scriverò qualche cartolina dalle Bahamas» (Sfogo con gli alleati non allineati, citato da Filippo Ceccarelli; «la Repubblica», 17 luglio 2005). 

Bambini - «Mi accusano di aver detto più volte che i comunisti mangiano i bambini: leggetevi Il libro nero del comunismo e scoprirete che nella Cina di Mao i comunisti non mangiavano i bambini, ma li bollivano per concimare i campi» (Ansa 26/3/06. Comunicato del ministero degli Esteri cinese: «Siamo contrariati da queste affermazioni infondate. Le parole e le azioni dei leader italiani dovrebbero favorire la stabilità e lo sviluppo di relazioni amichevoli tra la Cina e l’Italia»). 

Bossi - «Io non mi siederò mai più ad un tavolo in cui ci sia il signor Bossi. Non sosterrò mai più un governo che conti su Bossi come sostegno. È una persona totalmente inaffidabile» (Ansa, 2/2/95) «Venni a sapere che Bossi aveva recitato un mea culpa privato. Parlò con un mio amico, gli spiegò che molte cose erano cambiate... Si era convinto che volessi cambiare il Paese, anzi gli dispiaceva molto per le cose che aveva detto contro di me. “Che peccato – diceva – sicuramente Silvio non vorrà più parlarmi.” Nell’autunno scorso invitai Bossi a cena ad Arcore... mi buttò le braccia al collo». (Corriere 14/4/00). 

Bustarelle - «Dovevo fare lunghe file per seguire una pratica e poi passare da un ufficio all’altro con l’assegno in bocca, perché così si usava nella pubblica amministrazione » (Raccontando i suoi rapporti da costruttore con gli uffici pubblici; Ansa, 9 maggio 2003). 

C

Cancro - «La magistratura in Italia è un cancro, una metastasi. Abbiamo avuto le Brigate rosse che usavano i mitra, ma certi pubblici ministeri sono peggiori perché usano il potere giudiziario, sono più pericolosi per la democrazia» (Il 13 aprile 2011, conferenza stampa con i corrispondenti esteri ripresa da tutte le agenzie). Cene eleganti - «Una volta al mese do delle cene nelle mie case perché c’è tanta gente che vuole incontrarmi e stare con me. Hanno detto: “Ma perché lascia il telefonino?”. Perché in queste cene tutto ciò che accade è corretto, dignitoso, elegante e quindi tutti possono filmare o fotografare qualunque cosa capiti in queste cene» (Tg La7, 29 novembre 2010). 

D

Danneggiato - «Dov’è questo conflitto di interessi? Quando si accende la televisione e si leggono i giornali hanno tutti una visione di sinistra a me ostile... L’attività pubblica ha sempre danneggiato i miei affari e non il contrario. Perché non ho mai venduto? Lo volevo fare, ma i miei figli non hanno voluto, loro amano le mie aziende, vogliono continuare a dirigere quello che il padre ha costruito» («New York Times», 10 10/5/03). 

De Gasperi - «Il governo che ho l’onore di presiedere si muove sulla stessa strada segnata da De Gasperi» (Alla commemorazione dei cinquant’anni dalla scomparsa dello statista trentino; «la Repubblica », 15 ottobre 2003. Immediata la protesta delle figlie Cecilia e Paola: «Desideriamo far sapere di non condividere affatto né l’analisi del pensiero e dell’opera di nostro padre fatta da Berlusconi, né la sua pretesa di esserne l’erede»). 

Democratico - «Io sono assolutamente certo di essere l’uomo più democratico che sia mai giunto ad essere primo ministro d’Italia» (Asca, 25/1/02). 

Discesa in campo - «La gente veniva da me a migliaia, sotto le mie finestre, a casa mia... Ero l’unico italiano con una popolarità oltre il 90%, popolare perfino tra la sinistra, potevo rappresentare un’alternativa. Mi sono detto: devo farlo per dare dignità al passato degli elettori e per dare loro speranze per il futuro» (a Jane Kramer, New Yorker, 3/11/03). 

E

Establishment: «Io sono la personificazione dell’anti-establishment. In tutta la mia vita sono stato considerato dall’establishment come quello che disturba gli unici manovratori autorizzati. In breve: sono l’outsider italiano. Ritengo di essere geneticamente, istintivamente, un innovatore» («Panorama», 30 gennaio 1997). 

F

Faniguttun - «Rutelli è un faniguttun» (Ansa, 22 ottobre 2000: l’espressione, in milanese, significa qualcosa di simile a scansafatiche. Il Cavaliere la userà più volte per parlare di avversari o alleati che hanno fatto solo politica). 

Fedele (Confalonieri) - «Quando sono andato dai salesiani ho conosciuto Fedele e con Fedele c’è stato un sodalizio per cui i punti di contatto erano il calcio, io centravanti e lui centromediano e poi subito dopo la musica e il pianoforte. Lui suonava l’organo in chiesa e io cantavo e quindi cominciammo a presentarci e dopo il liceo andai all’università a fare legge e lui studiò legge come me, studiò in parte sui miei bigini, perché io scrivevo i bigini e li davo alla libreria di fronte all’università che li stampava e li vendeva...» (Parlando di Fedele Confalonieri, da sempre il suo migliore amico e oggi presidente di Mediaset; Paolo Guzzanti, Guzzanti vs Berlusconi, Aliberti, Reggio Emilia 2009). 

Fidanzate - «A noi i capelli sono caduti per le troppe fidanzate. Anzi, no. Ho fatto una visita tricologica e mi hanno spiegato che facendo politica il cervello mi si è ingrossato e ha espulso i capelli » (L’Unità, 4 luglio 2003). 

Fuoriclasse - «Io sono un fuoriclasse che ha salvato l’Italia dal default preparato da Romano Prodi quando ha permesso il cambio lira-euro» (Colloquio con alcuni ospiti a una cena organizzata da Alessandra Mussolini; Ansa, 29/9/11). 

G

Gates - «Non permetto a nessuno di fare paragoni tra me e Aznar, perché Berlusconi ha una caratura non paragonabile a nessun europeo. Non lo dico per vantarmi, ma l’Italia ha una persona che ha costruito un impero. (...) L’America però si difende... (...)Lì c’è Bill Gates che mi fa ombra...» («Corriere della Sera», 6 aprile 2000). Golpisti - «In una democrazia liberale i magistrati politicizzati non possono scegliersi, con una logica golpista, il governo che preferiscono. Questo diritto spetta agli elettori (…) E gli eletti devono essere in grado, secondo la lezione costituzionalistica del ‘48, di discernere tra le inchieste giudiziarie valide, che riguardano un deputato o un senatore alla stregua di qualsiasi altro cittadino, e quelle frutto di prevenzione, parzialità ideologico-politica e sospette di spirito persecutorio» (Lettera al Foglio 30/4/03). 

H

Hockey: «L’ho riletto, ci sono anche alcuni errori, sono sbagliate tutte le date di nascita dei miei figli, mancano molti dei miei successi, nel volley, nell’hockey, non si dice che il mio tema della maturità fu premiato» (A Paola Di Caro, a proposito dell’opuscolo agiografico «Una storia italiana», spedito per le politiche di quell’anno a 12 milioni di famiglie; «Corriere della Sera», 20 aprile 2001). 

I

Intercettazioni - «Credo che tutti preferiscano avere in circolazione dei truffatori, o anche un omicida, piuttosto che sentirci tutti prigionieri del Grande Fratello che ci sorveglia e che ci può ricattare» (ansa 15-8-05, da Portorotondo) Internet: «Io di internet a casa non ho bisogno. Ho il mio internet umano, che è Gianni Letta» (Ansa, 4 settembre 2009). 

Italiano vero - «Gli italiani si riconoscono in me; sono uno di loro, sono uno che è stato povero, che si è costruito da solo, si interessa di calcio, ama la vita, ama divertirsi, sa sorridere, ama gli altri... e ama soprattutto le belle donne, come tutti gli italiani che si rispettano» (Ai giovani del Pdl; Ansa, 9 settembre 2009). 

J

Juventus - «C’erano due mezzi rigori per il Milan, che messi insieme potevano fare un rigore intero » (Ai giornalisti, durante l’intervallo della partita Milan-Juventus a San Siro; Ansa, 22 febbraio 1987). 

K

Kapò - «Signor Schulz, so che in Italia c’è un produttore che sta montando un film sui campi di concentramento nazisti. La proporrò per il ruolo di Kapò. Lei è perfetto» (Sfida nell’aula del Parlamento Ue all’allora capo-gruppo socialista tedesco Martin Schulz che criticava le posizioni xenofobe del suo governo con la Lega; 2/7/03. Risposta di Schulz: «Il rispetto che ho per le vittime del nazifascismo mi impedisce di rispondere con qualsiasi commento». Ancora Berlusconi: «Il signor Schulz mi ha offeso gravemente sul piano personale gesticolando e con un tono di voce che quello sì non è ammissibile in un Parlamento come questo. Io ho detto con ironia quello che ho detto. Se non siete in grado di capire l’ironia mi spiace»). 

Kazakistan - «Ho visto i sondaggi fatti da una autorità indipendente che ti hanno assegnato, Nursultan, il 92% di stima e amore del tuo popolo. È un consenso che non può non basarsi sui fatti...» (Ansa 2/12/10, visita ufficiale ad Astana a Nursultan Nazarbayev, despota del Kazakistan dal 1991: lascerà solo nel 2019). 

L

Lapide - «Mi piacerebbe che sulla mia lapide fosse scritto che ero una persona buona e giusta» (A Maria Latella; SkyTg24, 25 gennaio 2006). 

Laurà - «L’è un laurà de la Madonna » (Sfogo ripetuto un mucchio di volte negli anni, nelle occasioni più diverse, per sottolineare la fatica di governare; tra le altre, Ansa, 17 marzo 2001). Laurea - «Mi devo confrontare con gente che non ha fatto nulla nella vita, non ha nemmeno preso una laurea. Devo essere considerato alla pari con chi non vincerebbe nemmeno un concorso per archivista» (Corriere della Sera, 6/4/00). 

M

Mafia - «Vogliamo passare alla storia per aver sconfitto la mafia» (Ansa, 3 ottobre 2010). 

Meloni (prima) - «La sua scelta di non partecipare al governo Draghi appartiene al passato. Noi abbiamo preferito essere protagonisti di una azione di governo che ha permesso di contenere la pandemia e di far ripartire il Paese, ma ora dobbiamo guardare al futuro. E Giorgia ha dei meriti: è stata buon ministro nel mio governo, non manca di tenacia e di coraggio, e soprattutto ha ridato prospettiva a una comunità di destra che è da sempre una parte importante» (Ansa 3/8/22, vigilia elezioni). 

Meloni (dopo) - «Supponente, prepotente, arrogante e offensiva» (aggettivi usati per definire la leader di FdI in un appunto scritto dal Cavaliere furente ai banchi del Senato contro la premier Giorgia Meloni accusata di giocare troppo da sola e maliziosamente fatto vedere alle telecamere il 14/10/22. Risposta velenosa: «Mi pare che tra i punti ne mancasse uno: non sono ricattabile»). 

Morte - «Ha paura della morte?» «No, non ci penso. Non ci penso mai.» «Come vorrebbe morire?» «Amando» (Ad Alfonso Signorini; «Chi», 19 marzo 2008). 

Mussolini - «Mussolini non ha mai ammazzato nessuno, Mussolini mandava la gente a fare vacanza al confino» (Intervista a Nicholas Farrell e Boris Johnson de «The Spectator» e «La Voce di Rimini», 11 settembre 2003, quando il futuro premier inglese collaborava al settimanale britannico. Il giorno stesso dell’uscita Berlusconi preciserà all’Ansa: «Non ho inteso fare una analisi storica del fascismo né del suo leader, né rivalutare Mussolini. Semplicemente ho reagito da patriota, da italiano vero non ho accettato la sua comparazione, e quella del mio Paese, che non ha nessun fondamento storico, ad un altro dittatore e un’altra dittatura, quella di Saddam Hussein, che ha provocato milioni di morti»). 

N

Nessuno - «Abbiamo fatto tante cose che nessun governo nella storia repubblicana potrà equipararsi a questo per la mole di lavoro che noi e voi siamo stati capaci di svolgere» (Ansa, 10 marzo 2009). 

O

Occidente - «Negli ultimi dieci anni c’è stata in Italia una guerra civile. I giornalisti stranieri non vogliono prendere atto che è stata spazzata via da una parte della magistratura un’intera classe politica, quella di origine democratica e occidentale. È stata utilizzata illegittimamente la giustizia a fini di lotta politica» (“Panorama” 11/11/2001). 

P

P2 - «La P2 raccoglieva gli uomini migliori del Paese; iscriversi non fu un errore ma un incidente senza colpa» (A Giovanni Minoli, per spiegare come mai era entrato nella loggia segreta di Licio Gelli, 21 febbraio 1994; vedi anche «Corriere della Sera», 10 marzo 1994). «Quando ricevetti la tessera c’era scritto che ero apprendista muratore e io, che allora ero un grande costruttore di case, non potei fare a meno di farmi una grande risata» (TeleLombardia, 6 marzo 2000). 

Perbene - «Putin è caduto in una situazione veramente difficile e drammatica. Dico che è caduto perché è stata una missione delle due Repubbliche filorusse del Donbass che è andata a Mosca a parlare con tutti quanti, con le radio, la stampa, le tv, la gente del partito e i ministri del partito, poi sono andati da lui in delegazione e gli hanno detto “Zelensky ha aumentato gli attacchi delle sue forze sui nostri confini, siamo ormai arrivati a 16mila morti, per favore difendeteci perché se non lo fai tu non sappiamo dove potremo arrivare”. E Putin è stato spinto dalla popolazione russa, dal suo partito, dai suoi ministri a inventarsi questa operazione speciale, così era stata chiamata agli inizi, per cui le truppe russe dovevano entrare in Ucraina e in una settimana raggiungere Kiev, sostituire con un governo di persone perbene il governo di Zelensky, e in un’altra settimana tornare indietro. Invece hanno trovato una resistenza imprevista e imprevedibile da parte delle truppe ucraine che poi sono state anche foraggiate con armi di tutti i tipi da parte dell’Occidente» (a Bruno Vespa, Porta a porta, 22/9/22, alla vigilia delle Politiche). 

Percezione - «Nel sentire della gente non è considerato reato ciò che non danneggia gli altri. La magistratura insegue fatti che non sono considerati come reati nella coscienza della gente» (ansa, 15/7/98, conferenza stampa coi giornalisti stranieri, citando un sondaggio Datamedia di Luigi Crespi secondo cui «il 53,4 % degli italiani reputa il reato per cui è stato condannato nel processo sulle tangenti alla Guardia di Finanza ‘’poco grave’’ e il 35% “per nulla grave’’») Perseguitato - «Io sono il maggiore perseguitato dalla magistratura di tutte le epoche, nella storia degli uomini, in tutto il mondo. Perché ho subito più di 2500 udienze. E ho la fortuna, avendo lavorato bene nel passato, avendo messo da parte un patrimonio importante, di aver potuto spendere piu di 200 milioni di euro per consulenti e giudici... ehm... avvocati. La persecuzione naturalmente continua...» (Conferenza stampa 9-10-09).

Putin - «Putin, come persona, è il contrario di come viene dipinto dalla stampa occidentale. È sensibile, aperto, ha il senso dell’amicizia, ha rispetto per tutti, soprattutto per le persone umili, e una profonda comprensione della democrazia» (Ansa, 22 ottobre 2010).

Q

Qualunquista - «Io sono un qualunquista da questo punto di vista perché quando tutti sono preoccupati, che siamo in crisi di governo, ho degli amici che mi telefonano da New York e mi dicono: “Ah perbacco, ti va male, non hai il governo...”. Io invece gli dico: “Guarda che sto brindando a champagne, mi auguro che non ci sia per molto tempo!”» (Intervista alla tv svizzera Rsi per il programma Milano su misura, 1981). 

Quote rosa - «Il voto sulle quote rosa non è stato contro le donne ma una legittima difesa. Alcuni deputati hanno fatto i calcoli ed hanno ragionato così: “Già rischiamo molto passando al proporzionale. Se poi ogni tre di noi ci mettono una signora...”. Ma a noi le signore, soprattutto quelle belle, in Parlamento ci piacciono molto» (Ansa, 18/12/05). 

R

Record - «In totale più di cento procedimenti, 900 magistrati che si sono occupati di me e del mio gruppo, 587 visite della polizia giudiziaria e della guardia di finanza, 2500 udienze in quattordici anni, più di 180 milioni di euro per le parcelle di avvocati e consulenti. Dei record davvero impressionanti, di assoluto livello non mondiale ma universale, dei record di tutto il sistema solare» (a Bruno Vespa, libro «Viaggio in un’Italia diversa», settembre 2008). 

Russia - «Speravamo di poter convincere la Russia, che è assolutamente un paese europeo per storia, per tradizione, per religione, per la sua letteratura, per la sua musica, per il suo stile di vita, ad entrare nella nostra Europa, mettendo cosi’ fine al pericolo che incombe su di noi di un’espansione del globalismo cinese anche sul nostro continente. Ottenni da Putin il via su questa operazione, tutti i paesi europei furono d’accordo eccetto Germania e Francia, che si opposero temendo, bisogna dire a ragione, con l’ingresso della Russia nell’Unione Europea, di perdere la loro primazia in Europa. È stato un gran peccato» (Ansa, 17/12/22). 

S

Salvini (prima) - «Ho bisogno di mantenere un buon rapporto con la Lega, perché ci sarà da fare un nuovo governo di centrodestra. Ma a furia di stare lì a condividere le decisioni sbagliate dei 5 stelle ogni tanto mi viene voglia di mandarlo a quel Paese, mi capita» (a L’Aria che Tira, su La7, 15/2/19). 

Salvini (dopo) - «Una cosa di cui sono abbastanza convinto è che io voglio più voti della Lega. Con la Lega noi andiamo d’accordissimo perché io ho nutrito un’amicizia fruttuosa con Matteo Salvini, che è una brava persona. Ha bisogno di essere un po’ inquadrato, anche lui non ha lavorato mai; per cui io farò il regista del governo». (Corriere, 25/9/22). 

Superiorità - «Da quando siamo al governo è successo di tutto, dall’11 settembre, alla stagnazione, ad alluvioni e terremoti, dunque mi sta venendo un complesso di superiorità: meno male che ci sono io, perché un altro che avrebbe fatto?» (Corriere 4/12/02).T

Tagli tasse - «Ho la speranza di arrivare al 23% e 33% entro la fine della legislatura. Se non ci riuscirò non mi ricandido» (Ansa, 2 aprile 2004). 

Telenovelas - «Mi hanno criticato tanto per le telenovelas e le soap opera, ma ho cambiato la vita a tante donne di Italia, che avevano i pomeriggi in cui non facevano assolutamente nulla» (a Paolo Guzzanti, Guzzanti vs Berlusconi, Aliberti, Reggio Emilia 2009). Toghe rosse - «I Ds sono i mandanti delle toghe rosse. Noi non attacchiamo la magistratura, ma pochi giudici che si sono fatti braccio armato della sinistra per spianare a questa la conquista del potere». (Corriere 1/12/99). 

Tremonti - «Do la parola a Tremonti, che vi dirà cose geniali» (Puntura di spillo a un vertice internazionale. Al che il ministro risponde: «Di solito in questi vertici lavorano molto gli sherpa, i nostri assistenti, moltissimo i ministri e quasi nulla i capi di governo. Qui a Londra è stato il contrario. Noi ministri non abbiamo fatto nulla e hanno fatto tutto i capi di governo, lavoravano e si applaudivano anche da soli, fra loro...». Ancora Berlusconi: «In compenso voi ministri stavate al cesso...» («Corriere della Sera», 3 aprile 2009). 

U

Unesco - «L’Italia è il paese che ha regalato al mondo il 50% dei beni artistici tutelati dall’Unesco. Più di 100.000 chiese e monumenti, 40mila dimore storiche, 3500 musei, 2500 siti archeologici e più di mille teatri. Lo sapevi? Approfitta delle tue vacanze per scoprire l’Italia che ancora non conosci. Questa nostra magnifica Italia. Da scoprire e da amare» (Spot del marzo 2011 girato come testimonial di «Magica Italia», promosso dal governo e poi modificato per eccesso di vanità: il nostro già allora era sì il paese con più siti Unesco al mondo ma erano comunque il 5% dei 911 siti protetti). 

V

Veronica - «L’ho vista recitare nel Magnifico Cornuto al Teatro Manzoni di Milano, che tra l’altro avevo appena acquistato, perché sono un amante dell’arte. L’ho vista lì sulla scena e che posso dire? È stato subito amore. Ho sentito un fulmine, ma non c’era il temporale...» (Da Una storia italiana, opuscolo agiografico spedito per le politiche del 2001 a 12 milioni di famiglie). 

Videomessaggio - «L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare... (Messaggio discesa in campo distribuito a tutte le tv il 26/1/94). 

Vocina - «Ogni volta che entro in Bicamerale sento una vocina che mi dice “Papà!”» (spiegando di sentirsi un padre costituente prima di affossare la Commissione presieduta da Massimo D’Alema per riscrivere le regole costituzionali, Corriere 27/1/98). 

W

Washington - «E quando l’amministrazione repubblicana non fece e non mosse un dito e lasciò fallire Lehman Brothers, questo signore andò a Washington e spese un giorno intero con il presidente americano e venne fuori una decisione: destinare 700 miliardi di dollari affinché le banche americane non fallissero, altrimenti sarebbe stato il disastro» (parlando di sé in terza persona per il voto di fiducia al governo sulla manovra, 30/9/10). 

X

Xenofobia - «Ma perché questa parola dovrebbe avere un significato così negativo?» (a Porta a Porta; vedi Corriere 27/8/02). 

Y

Yes-man - «Non ha la tendenza a circondarsi di yes-man?» «No. Sono continuamente alla ricerca di gente che manifesti negli occhi le bollicine dell’intelligenza» (Ad Alberto Statera; «Epoca», 15/5/88). 

Yéspica - «Caro Hugo ti passo una tua ammiratrice...» (Al presidente venezuelano Hugo Chávez in visita a Milano, passandogli al telefono Aida Yéspica, la modella venezuelana concorrente dell’Isola dei famosi; «la Repubblica», 19/10/05). 

Z

Zelensky - «Io a parlare con Zelensky, se fossi stato il presidente del Consiglio, non ci sarei mai andato, perché stiamo assistendo alla devastazione del suo paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili. Bastava che cessasse di attaccare le due repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe accaduto. Quindi giudico, molto, molto negativamente il comportamento di questo signore» (Ansa, 12/2/23). 

Zia Marina - «La pubblicità è l’anima del commercio. Questa è l’applicazione di una legge che chiamo di mia zia Marina. Si metteva davanti allo specchio indossando un abito e si diceva da sola in milanese: “Marina come sei bella, Marina come sei bella”. Quando le chiedevo: “Ma zia perché te lo dici da sola?” Mi rispondeva: “Certo, perché non me lo dice nessuno”» (Ansa, 30/5/09). 

Zia Silvana - «”Dimmi la verità, Silvio, ti sei pentito di quello che hai fatto?”, mi ha chiesto zia Silvana» «Zia no, te lo dissi anni fa. Ho come una fiamma nel petto che mi suggerisce di fare qualcosa per il Paese» (La Stampa 14/8/94).

Zie Suore - «Io sono in collegamento continuo con lassù. Mi aiuta il circuito delle mie zie suore» (Corriere 24/4/95).

·        Berlusconi e la Morte.

La Morte.

Le Cause.

I Necrologi.

Funerali di Stato.

Il Mausoleo.

L’Erede Politico.

Il Testamento e l’Eredità.

Le reazioni della Politica Italiana.

Le reazioni della Politica Estera.

Le reazioni della Stampa Estera.

I Nemici.

Le Dieci Domande.

L’intitolazione.

La Morte.

«Papà sta morendo»: la corsa dei cinque figli di Berlusconi nel traffico di Milano e il «ciao» sulla torre Mediaset. Sara Bettoni e Gianni Santucci su Il Corriere della Sera il 13 Giugno 2023

Luigi, il più giovane, era già al San Raffaele dal mattino presto. Appena scatta l’allarme si precipitano da diversi punti della città anche Marina, Eleonora, Barbara e Pier Silvio 

Intorno alle 9 di lunedì mattina, un’ora dopo che le agenzie di stampa hanno diffuso la notizia che Silvio Berlusconi ha passato una «notte tranquilla», la terza di ricovero nel padiglione Q del San Raffaele, quattro auto scure si mettono in moto da diversi punti della città, e di fretta attraversano il traffico verso la zona Nord di Milano. Sono dirette tutte in via Olgettina 60, l’ingresso dell’ospedale, e corrono a poca distanza l’una dall’altra, perché tutti, all’interno di quelle auto, hanno ricevuto telefonate allarmate, frasi di famiglia che s’avvertivano di fare il più presto possibile, perché le condizioni di Silvio Berlusconi si erano aggravate, all’improvviso e in maniera irreversibile. 

L’Italia e il mondo, in quel momento, non conoscono ancora le voci scambiate ai telefoni, e che la famiglia entrando al San Raffaele nasconde dietro grossi occhiali scuri, «papà sta morendo», «non c’è più niente da fare». La prima auto che attraversa il vialetto dell’ospedale è quella di Paolo, il fratello di Silvio Berlusconi. Pochi minuti dopo, da un’altra macchina scura scende Marina, la primogenita. Poi arriva Eleonora; dopo qualche minuto i fotografi inquadrano Barbara sul sedile del passeggero d’un’altra auto; quasi nello stesso momento entra in ospedale anche Pier Silvio. E questo accorrere così serrato, questi arrivi affrettati e affannati danno forse una certezza: che tutta la famiglia sapesse da giorni della gravità della situazione clinica, ma che allo stesso tempo nessuno immaginasse la possibilità d’una morte imminente.

Nel pomeriggio l’ospedale spiegherà che il fondatore di Fininvest e di Forza Italia è morto alle nove e trenta del mattino, proprio nel momento in cui suo fratello e i suoi figli correvano verso via Olgettina nella speranza di portare un ultimo saluto. L’unico che nessuno vede entrare è il figlio più giovane di Berlusconi, Luigi, e il motivo è che era già al San Raffaele: era andato a far visita al padre al mattino presto, probabilmente quando i medici avevano una percezione già netta dell’aggravamento, ma senza ancora rendersi conto che il tracollo potesse essere così vicino. Tra le stanze e i corridoi del padiglione Q, in questo tempo, c’è sempre stata l’ultima compagna di Berlusconi, Marta Fascina, che i pochi medici e infermieri vedranno camminare con gli occhi pieni di pianto, vicina a suo fratello.

Per più di un’ora dal momento del decesso, la notizia resta chiusa e sospesa all’interno dell’ospedale, condivisa soltanto con pochissimi parenti e amici; poi inizia a circolare anche negli ambienti della politica, e diventa pubblica alle 10.41. A quel punto è ormai alto il primo sole veramente estivo di Milano, che inizia ad arroventare i marmi e l’asfalto dei parcheggi intorno al San Raffaele, e in questa luce accecante, un paio d’ore dopo, i familiari di Berlusconi lasciano la struttura, tra medici e infermieri che escono per la pausa pranzo, il consueto brulichio di pazienti, alcuni ragazzi appena laureati che sorridono e s’abbracciano e forse non sanno che sui siti di tutti i notiziari del pianeta compare proprio il nome del «loro» ospedale. Poco dopo le 13 la salma dell’ex leader di Forza Italia lascia il San Raffaele e viene portata ad Arcore, a Villa San Martino, per la camera ardente familiare. Nel pomeriggio la nipote di Berlusconi, Luna, dice: «Ci mancherà tantissimo».

Era molto più ordinato l’ospedale il giorno prima, domenica. Paolo e Marina Berlusconi erano andati a far visita all’ex presidente del Consiglio a metà mattinata, e s’erano trattenuti fino al pomeriggio. L’altra figlia, Eleonora, era invece al teatro Manzoni per il saggio di danza della figlia, insieme alla madre Veronica Lario. Apparivano tranquille, non mostravano particolare apprensione.

È un po’ la stessa impressione che lunedì mattina presto ha fatto Marina ai suoi collaboratori: la preoccupazione dei giorni precedenti, intensa, ma non diversa da quella di domenica, o di sabato. Nel tardo pomeriggio, i figli affidano il loro saluto a una scritta che campeggia sulla torre Mediaset, quella con le grandi parabole di Cologno Monzese, che svetta sul principale centro di produzione della tv privata in Italia. Quel pinnacolo, a suo modo, rappresenta insieme lo skyline di Milano e la storia di Berlusconi. Fino a notte, la scritta dice: «Ciao papà».

Estratto dell’articolo di Daniela Seclì per fanpage.it il 12 giugno 2023.

È morto Silvio Berlusconi. La notizia è giunta nella mattinata di lunedì 12 giugno. In diretta su Canale5, era in onda il programma Mattino Cinque, condotto da Federica Panicucci e Francesco Vecchi. 

È spettato alla conduttrice e al giornalista, dare la notizia al rientro da una pausa pubblicitaria. I due sono apparsi visibilmente provati. 

Al ritorno dalla pausa pubblicitaria, Francesco Vecchi e Federica Panicucci avevano la voce rotta dal pianto. Il giornalista ha spiegato: "Abbiamo una brutta notizia da dare".

E la conduttrice: "È la cosa peggiore che noi potessimo fare, per noi di Mediaset, perché è morto Silvio Berlusconi". Federica Panicucci ha chiesto al collega di continuare perché lei non se la sentiva di parlare: "Francesco fai tu, perché io…". Vecchi, anche lui molto provato, ha preso la parola: "Capisco, credo che questo riguardi tutti quelli che lavorano qua". E Panicucci: "Abbiamo appreso la notizia anche noi adesso, quindi chiudiamo qui, c'è il TG5". Vecchi le ha fatto eco: "C'è lo speciale del TG5, grazie per averci seguito". […]

E’ morto Silvio Berlusconi. Proclamato lutto nazionale. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 12 Giugno 2023 

Il Cavaliere si è spento a 86 anni. Era ricoverato al San Raffaele per controlli dopo che ad aprile aveva trascorso un mese in ospedale. Da tempo lottava contro una leucemia mielomonocita cronica

Silvio Berlusconi, era ricoverato nel reparto di degenza del padiglione Q da venerdì scorso all’ospedale San Raffaele di Milano per degli accertamenti programmati per la sua “patologia ematologica”, ed aveva trascorso un’altra notte tranquilla. Si sono aggravate improvvisamente nelle prime ore del giorno le sue condizioni. Un aggravamento dovuto alla leucemia, malattia di cui soffriva ormai dal 2021. Al mattino, quando si è capito che non c’era più nulla fare, sono stati chiamati i familiari.

L’ ex presidente del Consiglio, ieri aveva ricevuto le visite del fratello Paolo e dei figli Marina e Piersilvio Berlusconi che In mattinata sono accorsi in ospedale intorno alle 9.30, a pochi minuti di distanza l’uno dall’altra, dove già si trovava Marta Fascina. Pochi minuti dopo, anche gli altri figli Barbara e Piersilvio hanno raggiunto il nosocomio

 I funerali si terranno nel Duomo di Milano

Sarà sposata nella sua casa, a Villa San Martino ad Arcore, il corpo dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi morto questa mattina al San Raffaele di Milano. Lo si apprende da fonti qualificate. Fino ai funerali, la salma di Silvio Berlusconi resterà ad Arcore. Per motivi di ordine pubblico l’ingresso sarà riservato esclusivamente ai familiari più stretti. È quanto apprende l’ANSA da una fonte vicina alla famiglia Berlusconi.. Si svolgeranno nel Duomo di Milano mercoledì prossimo alle 15 i funerali di Stato dell’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.. Lo confermano dalla Curia di Milano. Sarà l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, a celebrare i funerali .

Bandiere a mezz’asta fino a mercoledì, giorno dei funerali di Stato di Silvio Berlusconi, in tutti gli uffici pubblici, le ambasciate e i consolati italiani all’estero. È quanto stabilito dal governo con un dispositivo firmato in queste ore dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. Il presidente del Repubblica Sergio Mattarella – secondo quanto si apprende – parteciperà ai funerali di Stato del presidente Silvio Berlusconi a Milano. 

Tutti gli ‘acciacchi’ precedenti del Cavaliere

Non era la prima volta che il presidente di Forza Italia si fermava per un pit stop sanitario. La sua storia politica si è sempre intrecciata a problemi fisici e malattie, con periodi più o meno lunghi di convalescenza e guarigioni. Ogni acciacco fisico è stato puntualmente dato in pasto ai media, in nome di quel principio caro a un comunicatore come lui, che il ‘corpo del capo’ esibito gioca un ruolo di primo piano in politica, anche come acchiappa consensi. In realtà i primi ricoveri sono rimasti segreti, ignoti ai più, talvolta per anni. 

Poi, è iniziata l’era dei bollettini medici ufficiali, quasi dettati in tempo reale, con nugoli di telecamere e cronisti asserragliati in via Olgettina, davanti all’ingresso principale dell’ospedale milanese dal San Raffaele, in cerca di qualche novità, anche sui minimi sviluppi della degenza. “Al punto che la cartella di Silvio è diventata una questione di Stato’‘, scherza un parlamentare azzurro di lungo corso.

Ventitre giorni fa l’ex premier era stato dimesso dopo un lungo e delicato soggiorno di 45 giorni, a causa di una infezione polmonare legata a una leucemia mielomonocitica cronica. Tre giorni fa il ‘rientro’ nel nosocomio lombardo (nel reparto di degenza ordinaria) dopo che erano stati rilevati alcuni valori sballati a Villa San Martino, dove veniva costantemente monitorato.

Tra le ‘sfide superate’ dal leader azzurro c’è quella molto complicata e dolorosa di un tumore alla prostata per cui fu venne operato nel ’97 in gran segreto proprio al San Raffaele da lui co-fondato. Non se ne seppe nulla per molto tempo. E’ stato poi lo stesso Cavaliere a raccontarlo nel 2000, prima a un gruppo di giovani in una comunità di recupero in Veneto e poi in una intervista (“Ero convinto di avere un male incurabile, invece, per fortuna, il male era localizzato ed è stato possibile combatterlo“). Il calvario medico era appena cominciato. Nel 2006 Berlusconi viene operato al menisco dal prof Marc Martens in una clinica belga.

Già allora al suo fianco c’era Alberto Zangrillo, diventato medico personale, quasi un’ombra. Pochi mesi dopo, a fine anno, il patron di Mediaset ha un malore a Montecatini: sviene e si accascia sul palco, ma si riprende poco dopo, rifiutando l’ambulanza. Poi resterà al San Raffaele per 2 giorni in osservazione. Sarà operato negli Usa, a Cleveland, in Ohio, un mese dopo quando gli impiantano un peacemaker.

La sera del 13 dicembre 2009 in televisione arrivano le immagini del volto del Cavaliere insanguinato a seguito di una ‘statuina’ del Duomo lanciata a breve distanza da Massimo Tartaglia, arrestato per lesioni pluriaggravate. Il bollettino medico parlerà di una ferita lacero-contusa con frattura del setto nasale e due denti lesi, di cui uno superiore fratturato e prognosi di 20 giorni: lascerà l’ospedale il 17 dicembre. L’attentatore dovrà scontare sei anni di libertà vigilata. Negli anni successivi, a causa del colpo subito, l’ex premier dovrà sottoporsi a diversi interventi alla mandibola. 

L’imprenditore brianzolo torna al San Raffaele nel 2013 per curare l’uveite, fastidiosa patologia oculare che lo costringe a un nuovo pit stop nel 2014. Famosa la foto che lo ritrae al Senato con occhialoni neri: sarà costretto a indossarli per qualche settimana durante il giorno come protezione dalla luce.

Negli anni successivi a impensierire Zangrillo e la sua équipe è soprattutto il cuore del Cavaliere. Nel 2015 l’operazione del pacemaker al San Raffaele. Un anno dopo lo attende quello che lui definirà una ”prova molto dolorosa”: l’operazione a cuore aperto per la sostituzione della valvola aortica ancora una volta al San Raffaele. Nel giorno dell’intervento conquistano i media le lacrime della compagna di allora, Francesca Pascale, che piange con un fazzoletto in mano, affacciata da una finestra del sesto piano dell’edificio D dove era degente il Cav. ”Ha davvero rischiato la vita”, disse Zangrillo.

Nel novembre 2019 il leader forzista viene ricoverato alla clinica ‘La Madonnina‘ dopo una caduta a Zagabria, dove era impegnato nei lavori del congresso del Ppe: solo una contusione e tanto spavento perché in un primo tempo si era temuta una frattura del femore. Nell’aprile dello stesso anno Berlusconi va di nuovo sotto i ferri dei chirurghi, stavolta per un’occlusione intestinale: sarà dimesso dopo alcuni giorni. Il 2020 del leader forzista sarà segnato dal Covid: il 2 settembre, dopo il soggiorno estivo a Villa La Certosa in Sardegna, risulta positivo e due giorni più tardi viene ricoverato al San Raffaele per un inizio di polmonite bilaterale: lascerà l’ospedale milanese dieci giorni dopo, il 14 settembre. Redazione CdG 1947

«È morto Berlusconi»: la folla ad Arcore, il lutto nazionale. Il giorno prima dell’ultimo ricovero il congedo da Milano 2, con un giro in auto per i viali. Marco Imarisio su Il Corriere della Sera il 13 Giugno 2023 

Il leader si è spento alle 9.30 di ieri al San Raffaele L’annuncio dato un’ora più tardi, dopo l’arrivo in ospedale della famiglia. I messaggi del Papa e del Capo dello Stato 

L’unica cosa che non è riuscito a fare durante i suoi 86 anni di vita esagerata, è stata l’ultima. «Questa è la mia casa» ripeteva ai dirigenti Fininvest ai quali mostrava le meraviglie della villa di Arcore. «È qui che voglio andarmene quando arriverà il momento, è qui che voglio essere seppellito con i miei amici e la mia famiglia». Silvio Berlusconi invece è morto alle 9.30 di ieri mattina nella sua stanza al primo piano dell’Ospedale San Raffaele.

Tutti sapevano che era appeso a un filo, perché la diagnosi era infausta per una persona di quell’età, e tutti sapevano che presto sarebbe arrivato il tempo in cui fare i conti con una figura così grande, così importante per questo Paese, un compito che infine sarà riservato più ai libri di storia che alla cronaca del presente. La notizia della scomparsa dell’uomo che fu imprenditore di successo, inventore della televisione privata, presidente più vincente del calcio italiano e non solo di quello, il fondatore di Forza Italia nonché il presidente del Consiglio che più a lungo ha guidato il Paese durante la Seconda repubblica, è in ogni caso arrivata inattesa. Anche perché lui ci aveva abituati bene, con continue risurrezioni, non solo in senso clinico. L’Italia che si è fermata di colpo, non era preparata a dire addio all’uomo che da oltre quarant’anni ha colonizzato il nostro immaginario collettivo, diventandone estasi e ossessione a seconda del giudizio di ognuno. Mai indifferente, mai. La verità è questa. Così tutti ricorderemo dove eravamo e cosa stavamo facendo quando abbiamo saputo, e sono cose che si possono dire di pochi istanti della vita repubblicana.

Il crollo

Ma morire, morire davvero, è un attimo e basta. Per tutti. Quando succede, non si è mai pronti. La situazione precipita sul finire della notte scorsa. Le sue condizioni si aggravano di colpo. Fino all’ultimo Berlusconi si è sottoposto alla chemioterapia, ha trascorso la penultima notte della sua vita guardando la finale di Champions League. Sperava di farcela anche questa volta, anche se i collaboratori più stretti rivelano ora come fosse sempre più consapevole del fatto che il suo tempo stava per finire.

Il giorno prima dell’ultimo ricovero, aveva fatto un giro in auto per i viali di Milano 2, dove tutto è cominciato, e forse in qualche modo, era una specie di congedo. Ci sperava anche la sua famiglia, naturalmente. Marina e Pier Silvio sono alle prese con una riunione di lavoro quando ricevano la telefonata che li invita a precipitarsi al San Raffaele. Il comunicato ufficiale ci mette un’ora a uscire, perché non era pronto. Davanti alla sua stanza, Marta Fascina si dispera, non ci crede che sia potuto davvero succedere. Alle 9.30 arriva suo fratello Paolo, che entra a bordo della sua auto da un passaggio riservato. Pochi minuti dopo, la primogenita Marina, su una macchina dai vetri oscurati, poi Eleonora, poi Barbara, seguite pochi minuti dopo da Pier Silvio. Un’ora dopo, mentre si rincorrono le voci, la notizia della scomparsa diventa ufficiale. Silvio Berlusconi è morto. E diventa subito chiaro che ci sarà un prima e un dopo. È una giornata come tante, i siti delle principali testate nazionali aprono sulla controffensiva ucraina che avanza, la direzione del Pd, l’economia. Scompare tutto, subito. Se i social sono davvero specchio della società, come qualcuno crede, l’effetto fa impressione. Ogni rumore di fondo tace.

Tra la gente

Sulla linea rossa della metropolitana, solo per fare un esempio tra i tanti, si sale a Lotto che è la solita Italia e si scende dopo cinque minuti che è un’Italia senza più «il Silvio», come lo chiamano le persone che si fermano sulla piazzola a compulsare i telefonini, e come a lui non dispiaceva essere chiamato, con quell’articolo che fa tanto Milano, la sua città, che amava tanto. «Comunque la si pensi su di lui, è stato un gigante» afferma un signore in giacca e cravatta che spiega di avere 45 anni, e di non avere mai votato in vita sua a un’elezione dove non ci fosse Berlusconi o la sua creatura politica. 

«Dite quello che volete voi giornalisti, ma ha avuto una vita incredibile, ha cambiato questo Paese e ha combattuto come un leone», commenta una ragazza che ha sulle spalle lo zaino dell’Inter che racconta di essere appena rientrata da Istanbul e di non avere mai votato per lui. Ogni commento è intriso di una emotività collettiva che può essere ignorata solo dagli odiatori di professione. Davanti ai cancelli della villa di Arcore si raduna una folla muta, come ai vecchi tempi, quando c’era Silvio. Quando arriva il feretro, parte un applauso composto. Poi, di nuovo silenzio. La camera ardente sarà privata, forse la giusta conclusione del cammino di un uomo che ha vissuto la sua intera vita in pubblico. Sulla torre Mediaset di Cologno Monzese appaiono due messaggi. «Ciao papà» e «Grazie Silvio».

Le reazioni

In ordine cronologico, ma possiamo sbagliare, tale è la mole di commenti che riempie i media fin da subito, la prima reazione del mondo politico nostrano è quella di Matteo Renzi, un avversario. «Il suo impatto sulla vita politica ma anche economica, sportiva, televisiva è stato senza precedenti» scrive su Twitter il capo di Italia Viva. Giorgia Meloni annulla ogni impegno fino a dopo i funerali, che si terranno domani nel Duomo di Milano, dichiara una giornata di lutto nazionale e registra subito un video alquanto spontaneo. «Con lui l’Italia ha imparato che non doveva mai farsi imporre dei limiti, ha imparato che non doveva mai darsi per vinta. Con lui noi abbiamo combattuto, vinto, perso, molte battaglie e anche per lui porteremo a casa gli obiettivi che insieme ci eravamo dati. A Dio, Silvio». Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella affida il suo pensiero a una nota che si apre con la sua profonda tristezza. «È stato un grande leader politico che ha segnato la storia della nostra Repubblica, incidendo su paradigmi, usi e linguaggi».

L’onda emotiva

La morte di un personaggio così larger than life, come scrivono i media internazionali, che poi significa straordinario, fuori dal comune, è una questione che non riguarda solo noi. Nel suo telegramma inviato alla famiglia, Papa Francesco, lo ricorda come «un protagonista della vita politica italiana, che ha ricoperto pubbliche responsabilità con tempra energica». Arrivano messaggi dai leader di tutto il mondo, fa discutere quello di Putin, che solleva l’ira del governo ucraino, arrivano dichiarazioni di protagonisti dello sport, dello spettacolo, della cultura, di vecchi amici e di vecchi nemici, persino quello della procura di Milano. Basterebbe quest’onda emotiva per capire come quella di ieri è stata una giornata particolare per l’intero Paese. Nel bene o nel male, comunque la si pensi, nessuno mai come Silvio Berlusconi.

(ANSA il 12 giugno 2023) - Non ci sarà nessuna camera ardente per Silvio Berlusconi domani negli studi televisivi di Cologno monzese. Lo rende noto l'ufficio stampa Mediaset. Poco fa è terminato un sopralluogo dei carabinieri del comando provinciale di Milano. Questa decisione sarebbe legata a questioni di ordine pubblico

(ANSA il 12 giugno 2023) - Il carro funebre che trasporta il feretro dell'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, è arrivato poco fa a Villa San Martina, ad Arcore, in Brianza.

(ANSA il 12 giugno 2023) - Sarà l'arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, a celebrare i FUNERALI dell'ex premier Silvio Berlusconi che si terranno mercoledì prossimo alle 15 nel Duomo di Milano.

(Adnkronos il 12 giugno 2023) - Niente lavori di Aula nella giornata dei funerali. E' la proposta che a quamnto apprende AdnKronos il presidente del Senato, Ignazio La Russa porterà nella conferenza dei capigruppo di domani a palazzo Madama (Sai/Adnkronos) ISSN

(LaPresse il 12 giugno 2023) - Bandiere a mezz'asta a palazzo Chigi in segno di lutto per la scomparsa di Silvio Berlusconi. Anche la Camera e il Senato avevano deciso di esporre le bandiere a lutto in memoria del leader di FI, morto questa mattina a 86 anni all'ospedale San Raffaele di Milano, dove era ricoverato da venerdì scorso per accertamenti legati alla leucemia mielomonocitica cronica di cui soffriva da tempo.

(ANSA il 12 giugno 2023) - È proclamato il lutto nazionale per mercoledì, la giornata dei funerali di Stato di Silvio Berlusconi. Lo dispone il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano. 

Nella stessa disposizione firmata da Mantovano, si prevede che da oggi a mercoledì siano esposte a mezz'asta la bandiera italiana e quella dell'Unione europea sugli edifici pubblici dell'intero territorio nazionale e sulle sedi delle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane all'estero

Muore a 86 anni Silvio Berlusconi, uomo di spettacolo che ha sconvolto la politica e la cultura italiana.

(ANSA il 12 giugno 2023) - "Berlusconi era più del bunga bunga". È questo il titolo della Bild online, in Germania, sulla morte dell'ex premier italiano. Il tabloid tratta la figura dell'ex premier con un lungo articolo, concludendo che il fondatore di Fi "non ha reso l'Italia un paese migliore. E questo nonostante abbia amato, come da lui asserito migliaia di volte, il Paese. 

Gli italiani hanno fatto a lui meglio di quanto lui abbia fatto agli italiani. E come incorreggibile amico di Putin alla fine è morto dalla parte sbagliata della storia", si legge. A firmare un lungo articolo su Berlusconi è Albert Link, che aveva fatto un'intervista all'ex presidente del Consiglio.

"Il suo marchio fuori dall'Italia era quello di un polit-clown. Ma questa era solo una parte della verità. Berlusconi è stato soprattutto un unicum, con almeno due volti, che non si è mai riusciti a far entrare in un'unica etichetta tedesca". "Da una parte io ho visto in lui un atteggiamento e un'aura così governativa che qui si sarebbe vista in Helmut Kohl o in Helmut Schmidt", continua. 

"Dall'altra poteva essere così volgare che addirittura Mario Barth (comico tedesco, ndr) si sarebbe vergognato di una delle sue barzellette, per le quali io - su sua richiesta - avevo dovuto spegnere il registratore". "Aveva un chiaro messaggio: gli bruciava che il governo Merkel alla fine del suo mandato da premier praticamente lo ignorasse - scrive ancora -. E voleva chiarire che lui non era un nazionalista, ma un europeista e soprattutto che era amico dei tedeschi".

(ANSA il 12 giugno 2023) - Morte di Silvio Berlusconi: "La fine di colui che si credeva immortale". Titola così Le Soir, il più prestigioso quotidiano francofono belga, annunciando la morte di Silvio Berlusconi. "Amava la vita in modo così viscerale che gli italiani lo immaginavano immortale", scrive il quotidiano. "Nato il 29 settembre 1936, primogenito di una famiglia della piccola borghesia milanese, questo formidabile uomo d'affari e leader politico atipico lascia cinque figli, un impero mediatico e finanziario e una reputazione controversa", afferma tra l'altro, per ripercorrere quindi le tappe principali della vicenda Berlusconi. (ANSA).

Estratto dell’articolo di Matteo Castagnoli per milano.corriere.it il 12 giugno 2023.

Sullo sfondo nero, campeggia un cuore rosso spezzato in due. Sopra, una scritta bianca a contrasto. Recita: «Addio presidente». È l'ultimo saluto, via social con una storia Instagram, di Karima El Mahroug, in arte Ruby, a Silvio Berlusconi, morto nella mattina di lunedì all'ospedale San Raffaele dov'era ricoverato da venerdì scorso. 

Il commiato arriva un paio d'ore dopo che la notizia inizia a circolare e si unisce al cordoglio della famiglia, degli amici, della politica e un po' di tutta l'Italia nei confronti del Cavaliere. Quello di Ruby, però, suona particolare. Sarà per la storia giudiziaria, quella dei tre processi sulle «cene eleganti» ad Arcore mentre Berlusconi era premier. 

Nel «Ruby uno», Berlusconi fu imputato di prostituzione minorile e concussione per aver avuto rapporti nel 2010 con l’allora 17enne marocchina e per aver telefonato alla questura di Milano, dove la ragazza era stata portata dopo un fermo per furto. In quell'occasione disse che era la nipote di Mubarak. Condannato in primo grado a 7 anni, viene assolto in appello e Cassazione. Poi, di nuovo imputato per corruzione in atti giudiziari nel Ruby ter con l’accusa di aver pagato i silenzi e le falsità della giovane, il 16 febbraio è stato assolto.

Estratto dell'articolo di ilmessaggero.it il 12 giugno 2023.

«Caro presidente, le chiedo scusa ma non trovo le parole. Io e lei ci siamo capiti». Così su Twitter Alberto Zangrillo, medico personale dell'ex premier Silvio Berlusconi deceduto oggi al San Raffaele di Milano, postando una foto che lo ritrae insieme al presidente di Forza Italia. 

«Non ho niente da dire. Non è giornata». Queste le uniche dichiarazioni di Zangrillo [...] arrivato poco fa a piedi a Villa San Martino, ad Arcore, dove si trova il feretro del leader di Forza Italia, morto questa mattina.

DAGONOTA il 12 giugno 2023.

Silvio Berlusconi è stato più volte eletto alla Camera dei deputati, per ben sei volte, in  legislature che gli hanno tributato i maggiori successi politici e governativi. Soltanto due legislature invece al Senato. 

Una terribile, quella del 2013, dalla quale decadde per gli effetti della legge Severino  a seguito della condanna per frode fiscale nell'inchiesta sui diritti tv Mediaset. 

Successivamente riabilitato, è tornato a Palazzo Madama. Appare quindi paradossale che l'uomo che ha cambiato la politica italiana, che ha inaugurato l'elezione diretta del presidente del Consiglio a costituzione invariata, non sia omaggiato con una camera ardente a Montecitorio, dove è stato eletto per ben 6 volte, o a Palazzo Madama.

(ANSA il 12 giugno 2023) - Il feretro di Silvio Berlusconi sarà trasportato a Villa San Martino, ad Arcore. La camera ardente sarà invece allestita allo studio 20 di Mediaset a Cologno Monzese a partire da domani. 

(DIRE il 12 giugno 2023) Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, appresa la notizia della morte dell'ex Presidente Silvio Berlusconi, ha annullato tutti gli appuntamenti istituzionali in agenda.

(Adnkronos il 12 giugno 2023) - La morte di Silvio Berlusconi ha sconvolto Forza Italia. Nelle chat azzurre tanti messaggi di cordoglio e vicinanza, in particolare a Marta Fascina, deputata forzista e compagna del Cav da tre anni. Il capogruppo alla Camera, Paolo Barelli, avrebbe chiesto di sospendere i lavori del'Aula di Montecitorio, per oggi e domani, in segno di lutto.

(ANSA il 12 giugno 2023) - Sarà sposata nella sua casa, a Villa San Martino ad Arcore, il corpo dell'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi morto questa mattina al San Raffaele di Milano. Lo si apprende da fonti qualificate. Le operazioni per il trasporto della salma sarebbero già in corso.

(ANSA) -  L'ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi è deceduto questa mattina intorno alle 9:30. La conferma arriva dall'ospedale San Raffaele.

(ANSA il 12 giugno 2023) - Si va verso funerali di Stato nel Duomo di Milano per Silvio Berlusconi, l'ex presidente del Consiglio deceduto oggi all'ospedale San Raffaele. La certezza della cerimonia nella cattedrale si avrà nel momento in cui saranno proclamati i funerali di Stato, che paiono scontati.

Lutto nazionale e funerali di Stato: cosa sono e cosa succede? «Le scuole invitate a far rispettare un minuto di silenzio». Storia di Giulia Arnaldi su Il Corriere della Sera il 12 giugno 2023. 

Insieme a papi, eroi di guerra, grandi personalità della Repubblica, anche Silvio Berlusconi, morto stamattina alle 9.30 all’ospedale San Raffaele, avrà i funerali di Stato, che si terranno mercoledì 14 giugno al Duomo di Milano, e nello stesso giorno è stato dichiarato un giorno di lutto nazionale. A deciderlo, come previsto dalla legge, è stata la presidenza del Consiglio dei Ministri che ha predisposto «dal 12 al 14 giugno l’esposizione a mezz’asta delle bandiere nazionale ed europea sugli edifici pubblici dell’intero territorio nazionale e sulle sedi delle rappresentanze diplomatiche consolari italiane all’estero». Mentre «nella giornata di celebrazione delle esequie di Stato, è dichiarato lutto nazionale». La gestione del funerale di Stato e del lutto nazionale è a carico di un ufficio specifico, a Palazzo Chigi, il «Cerimoniale di Stato».

Cos’è il lutto nazionale?

Bandiere a mezz’asta, quindi, ma non solo. Il lutto nazionale prevede anche che le bandiere esposte all’interno abbiano due strisce di velo nero a cravatta. Inoltre, se a scomparire è il titolare di un organo pubblico, la camera ardente potrà essere allestita nella sede della stessa istituzione di rappresentanza (ma non è più questo il caso: infatti la camera ardente dell’ex premier si terrà in forma privata nella villa di Arcore, suo paese natale). Rimane comunque la famiglia dello scomparso a decidere in merito al luogo delle esequie, in accordo però con l’Ufficio del cerimoniale di Stato della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Durante il giorno di lutto, gli esponenti del governo sono obbligati quindi a cancellare tutti gli impegni in agenda: nel periodo di lutto, infatti, le personalità pubbliche possono partecipare solo a eventi di beneficenza. La vita dei privati cittadini, invece, non dovrebbe essere particolarmente alterata, se non fosse per l’invito che in questi casi viene fatto alle scuole di rispettare un minuto di silenzio in memoria del defunto e per la possibilità che alcuni negozi decidano di tenere le serrande abbassate durante tutta la giornata o durante la celebrazione delle esequie. Durante i funerali di Stato, invece, è prevista una cerimonia ben precisa, dettata sempre dal medesimo ufficio di Palazzo Chigi: il feretro è contornato da 6 carabinieri in alta uniform e (o da appartenenti allo stesso Corpo dello scomparso), vengono riservati onori militari al feretro all’ingresso e all’uscita dal luogo della cerimonia, è presente almeno un rappresentante del Governo e viene recitata un’orazione commemorativa ufficiale.

Chi ha diritto ai funerali di Stato e al lutto nazionale

Solitamente, i funerali di Stato sono riservati ai presidenti degli organi costituzionali, anche dopo la cessazione del loro mandato, e ai ministri deceduti durante la permanenza in carica. Inoltre, il Consiglio dei Ministri può deliberare di concedere gli stessi onori a personalità che abbiano offerto particolari servizi al Paese, o a cittadini che abbiano reso particolarmente onore alla Nazione, o che siano caduti durante l’adempimento del servizio militare in situazioni particolarmente notevoli, o a vittime di azioni terroristiche e di criminalità organizzata, o, infine, alle vittime di disastri naturali. Di recente il funerale di Stato fu disposto anche per l’ex ministro leghista, Roberto Maroni. Negli ultimi 30 anni i funerali di Stato sono stati riservati a 3 ex presidenti del Consiglio: nel 1994 per Giovanni Spadolini, nel 1999 per Amintore Fanfani e nel 2001 Giovanni Leone, che è stato anche Presidente della Repubblica. Il lutto nazionale, invece, non è mai stato dichiarato per un ex presidente del Consiglio, fatta eccezione per gli ex Presidenti della Repubblica Leone e Ciampi.

I giorni di lutto nazionale in Italia

In Italia, ci sono stati diversi casi celebri in cui è stato dichiarato lutto nazionale: nel 1958, vengono annunciati 3 giorni di lutto nazionale per la morte di Papa Pio XII; nel 1963, di nuovo 3 giorni di lutto nazionale per la morte di un altro Papa, Giovanni XXIII; nel 1978 vengono annunciati tre giorni anche per Papa Paolo VI e, nel 2005, per Papa Giovanni Paolo II, sono previsti tre giorni di lutto nazionale, più quello del funerale. Il 18 novembre del 2003 è giornata di lutto nazionale per ricordare i caduti nell’, mentre nel 2016, dal 27 al 24 agosto, è stato annunciato il lutto nazionale per ricordare i 298 morti del terremoto che ha colpito il Centro Italia. L’ultima giornata di lutto nazionale è stata il 24 maggio 2023, per ricordare le vittime dell’...

 Fa record anche sui social: 7 su 10 si dicono commossi. Marco Leardi il 14 Giugno 2023 su Il Giornale.

"L'amore vince sempre sull'invidia e sull'odio". Silvio Berlusconi lo scrisse in un suo libro pubblicato oltre dieci anni fa

«L'amore vince sempre sull'invidia e sull'odio». Silvio Berlusconi lo scrisse in un suo libro pubblicato oltre dieci anni fa. E figurarsi, già allora i soliti detrattori non mancarono di riderci sopra con la tipica spocchia. Il tempo è stato galantuomo: aveva ragione il Cavaliere. Anche in quel caso. Nel giorno più triste, quello della sua scomparsa, l'ex premier ha ricevuto un ideale e commosso abbraccio da parte dei milioni di italiani che frequentano la rete. L'amore come recitava quel motto ha vinto davvero. A registrare il cordoglio veicolato attraverso i social network è stato un report realizzato da Human, piattaforma di web e social listening di Vis Factor, gruppo societario leader nella consulenza strategica politica, istituzionale e aziendale. La rilevazione ha considerato le conversazioni social prodotte nelle 24 ore successive alla ferale notizia, attestando per l'appunto un diffuso affetto nei confronti di Berlusconi. Su 73mila contenuti analizzati, il 72% esprimeva sentimenti di tristezza. «Oltre tre persone su quattro hanno avuto un moto di commozione e questo è un dato di assoluta rilevanza. Il Cavaliere viene consegnato alla storia come persona non classificabile secondo i tradizionali schemi», ha osservato Tiberio Brunetti, fondatore di Vis Factor. L'emozione degli utenti ha spiegato l'esperto - «non è dovuta al fatto che Berlusconi fosse il presidente di Forza Italia, del Milan, il premier più longevo d'Italia o un comunicatore visionario, bensì è provocata dalla sua figura entrata nel quotidiano degli italiani».

L'ex premier era considerato da molti uno di famiglia e infatti in diversi commenti social viene chiamato «zio Silvio». In 23 milioni di interazioni generate dall'argomento, le parole associate a Berlusconi sono «Italia», «presidente», «politica», «Milan» e «tv». Gli ambiti nei quali il Cavaliere ha lasciato la sua indelebile impronta. «Le reazioni addolorate hanno sovrastato e isolato le poche voci contrarie, apparse fuori luogo», ha analizzato Brunetti di Vis Factor, osservando come «mediaticamente, questo lutto sia per noi paragonabile a quello per la regina Elisabetta, giusto per capire la portata del personaggio». Il linguaggio d'odio, spesso presente sui social, in questo caso è stato residuale: a produrlo, solo un italiano su dieci. Berlusconi, con la sua scomparsa, ha suscitato una toccante ondata di partecipazione proprio da parte di quel mondo virtuale che egli stesso osservava e frequentava con la curiosità divertita di un ragazzino. «La commozione e il sentimento di prossimità umana sono stati pressoché plebiscitari». E la partecipazione, con il passare delle ore, non accenna a diminuire.

L'addio a Berlusconi, il ricordo di Al Bano: «Ho perso un amico». Il cantante tornato per qualche giorno nel suo buon retiro delle Tenute di Cellino, parla della scomparsa di Silvio Berlusconi cercando di nascondere il nodo in gola. VINCENZO SPARVIERO su La Gazzetta del Mezzogiorno il 14 Giugno 2023

 «Eh sì, ho perso un amico. Un carissimo amico». Al Bano, tornato per qualche giorno nel suo buon retiro delle Tenute di Cellino, parla della scomparsa di Silvio Berlusconi cercando di nascondere il nodo in gola.

«Ha dimostrato di essere il grande uomo che è stato nel momento peggiore della mia vita - racconta il cantante -. Una vicinanza che in quei giorni terribili mi è stata di grande conforto».

Il periodo è quello della scomparsa della figlia Ylenia: quando Al Bano e Romina facevano la spola tra l’Italia e gli Stati Uniti alla ricerca di tracce dell’amata primogenita.

«Ogni giorno una telefonata o un telegramma: ogni giorno, quasi fosse uno di famiglia», ricorda al Bano.

Ma non soltanto una vicinanza affettiva. Berlusconi, per essere vicino ai coniugi Carrisi, fece qualcosa di più.

«Mise a disposizioni il suo aereo privato per alcuni dei miei spostamenti, in modo da accelerare i tempi - ricorda Al Bano -: non potrò mai dimenticare questo gesto di grande generosità nei nostri confronti in un momento di disperazione e dolore».

Era il 1994, ma l’amicizia con il patron di Canale 5 era cominciata molto prima, ovviamente per motivi di carattere professionale. Berlusconi teneva molto alla coppia per antonomasia della canzone italiana.

«Siamo stati ospiti delle sue Tv a più riprese - spiega Al Bano -. E lui era sempre presente».

Poi, una punta di polemica. «Gliene hanno fatte di cotte e di crude - dice il cantante - ma lui è uscito sempre vincitore, perché era un vincente. In Italia e anche nel mondo ha cambiato il modo di fare politica, rendendola più umana, più vicina alla gente. Lui, nel privato era come appariva in tv: generoso e cordiale con tutti, non solo con noi artisti. So per certo che è stato generoso con tanta gente sconosciuta. Eppoi, nelle sue aziende ha dato lavoro a migliaia di persone, senza mai licenziare qualcuno. Con le sue tv, dopo il monopolio Rai, ha contribuito a far crescere tante altre aziende italiane che potevano contare sulla pubblicità trasmessa dalle sue reti».

«Un’umanità a prova di bomba quella del cavaliere - conclude -. Mancherà a me, mancherà di certo anche agli italiani».

Berlusconi, il terrone di Milano e i successi al Sud. Così disinnescò la secessione di Umberto Bossi. ROBERTO CALPISTA su La Gazzetta del Mezzogiorno il 13 Giugno 2023

Un napoletano nato a Milano, stregato da Roma, ammaliato dalla Sardegna e protagonista di una relazione aperta e richiusa con la Puglia «traditrice». Il rapporto viscerale di Silvio Berlusconi con il Sud è sempre stato rafforzato dall’alta capacità di far casa sua di qualsiasi posto.

In realtà era un terrone nell’anima, un po’ guappo, assai tombeur de femmes, propenso al canto, alle barzellette, a spararla grossa, ma nonostante tutto con un visione ampia che poteva essere amata ovvero odiata. Un Masaniello che al Mezzogiorno non ha mai voltato le spalle, ampiamente ricambiato da urne all’eterna ricerca del capopopolo cui affidare il sogno di una vita da sogno.

In fin dei conti, mentre nei salotti e nei circoli dell’Italia di sotto si discuteva e si discute ancora dei danni dell’autonomia differenziata, fu lui, il Cav, ormai decenni fa a disinnescare la mina della secessione leghista utilizzando la sottile arma della presa per i fondelli ai danni del pure astuto Umberto Bossi.

In ogni caso una delle città a cui l’uomo simbolo meneghino è stato più legato è il capoluogo partenopeo. Qui «rapì» e rese se non ricco, benestante lo chansonnier Apicella. E all’ombra del Vesuvio ribadì: «Sono un napoletano nato a Milano». Un affetto contraccambiato dalla città, poi tradito quando alla figura politica, ormai offuscata dall’età e piegata dalle malattie e dalle inchieste giudiziarie, è stata preferita quella degli ancor più populisti portatori di reddito di cittadinanza.

Eppure a Napoli l’ex presidente del Consiglio è stato l’unico leader ad aver presieduto un G7 (quello dell’ormai famoso avviso di garanzia) e due G8. Alle pendici del Vesuvio si sono consumati, nel bene e nel male, anche episodi finiti nella bufera mediatica, dal gossip alle relazioni sentimentali.

Episodi simili, sono alla base della «rottura» con la Puglia. Fino ad allora, a Bari fece scalpore, il 13 aprile del 2013, un corso Vittorio Emanuele strabordante. Silvio sul palco, i pugliesi in adorazione e tra questi l’allora sindaco Michele Emiliano, suo avversario politico e anche suo grande ammiratore. Altri tempi, altre storie, come quella raccontata in una pasticceria di piazza Garibaldi, dove Berlusconi vedendo un pensionato male in arnese, si inventò il bonus occhiali e gliene regalò un paio.

Rosa, la mamma di Berlusconi nel 2005: «Dà l’anima per amore dell’Italia, insomma la sua vita poteva essere diversa».  L'intervista alla madre dell’ex premier alla Rotonda Besana di Milano a Natale del 2005. Nino Luca / CorriereTv  su Il Corriere della Sera il 14 Giugno 2023 

Silvio Berlusconi è morto la mattina del 12 giugno all’ospedale San Raffaele di Milano. In questa intervista del 2005 mamma Rosa parlava del figlio. 

Memo Remigi e le sue canzoni, panettone e spumante. Correva l'anno 2005, alla Rotonda della Besana andava in scena la festa degli anziani promossa dagli assessorati alle Politiche sociali e ai Grandi eventi. Più di mille ospiti con Tiziana Maiolo a tirare le fila la cantante Wilma De Angelis, Tony Dallara, Paolo Limiti ad animare il pomeriggio... Fra gli invitati Rosa Berlusconi, la mamma del premier, 95 anni. Incredibilmente possiamo avvicinarla e porle qualche domanda sul figlio presidente del Consiglio: l'infanzia, il rapporto con il fratello Paolo, gli studi, i primi lavori e l'impegno in politica. Ne esce fuori un inedito amorevole ritratto di madre: «Gli voglio molto bene, ha fatto tanto per l'Italia... insomma la sua vita poteva essere diversa».

L’analisi del direttore del Corriere della Sera sul leader che ha caratterizzato la storia politica italiana degli ultimi 30 anni. Luciano Fontana / Luciano Fontana / CorriereTv  su Il Corriere della Sera il 14 Giugno 2023 

Silvio Berlusconi (morto il 12 giugno all’età di 86 anni, all’ospedale San Raffaele di Milano) è il leader politico che ha seguito tutta la storia politica italiana degli ultimi 30 anni: è stato il leader che ha garantito la continuità al centrodestra. Ha cambiato la politica radicalmente, prima perché ha cercato di mettere insieme l’Italia silenziosa che si è ritrovata sotto alchimie politiche particolari (le alleanze con Bossi e Fini). Per tanti anni ha diviso l’Italia tra berlusconiani e anti-berlusconiani.

Berlusconi ha avuto sempre un rapporto diretto con gli elettori e ha plasmato il suo campo, sapeva semplificare, sapeva “vendere” prima nel campo delle imprese, poi nel campo della politica. 

«Quella foto con mio figlio milanista al bar di Milano 2 prima del ricovero. Silvio Berlusconi era provato ma ha scherzato con tutti». Matteo Castagnoli  su Il Corriere della Sera il 13 Giugno 2023 

Massimiliano Albanese, proprietario del «Maximilian Bistrot», racconta l'incontro di venerdì con l'ex premier e Marta Fascina: «Ha chiesto ghiaccioli» 

Primo pomeriggio di venerdì 9 giugno. «Verso le 14». Dalla porta del «Maximilian Bistrot», al centro di Milano 2, entra Silvio Berlusconi. L’ultima volta che lo si vedrà in pubblico prima del ricovero, il giorno stesso, al San Raffaele dove lunedì mattina morirà. È vestito di scuro. Sulla giacca la spilla di Forza Italia. Con lui la compagna Marta Fascina e gli uomini della scorta. «Si è seduto a un tavolo vista lago e ha mangiato dei ghiaccioli. Era provato, si vedeva, ma aveva ancora quella forza per scherzare e salutare tutti. Anche mio figlio di 7 anni» ricorda Massimiliano Albanese, 53 anni, cresciuto in zona e proprietario del locale sulla piazza del Laghetto sotto gli ex uffici Mediaset a Palazzo dei Cigni, nato al posto dell’iconico «La Sorbetteria» a Segrate. Nel cuore di Milano 2. Che nel cuore è sempre rimasta anche a Berlusconi, come la sua prima creatura. 

Albanese, cosa le ha detto Berlusconi?

«Ha chiesto che fosse pulita la colonna-monumento della piazza (l'opera celebrativa della costruzione di Milano2, ndr). L’aveva vista sporca. Poi ha ricordato come in passato gli alberi intorno al laghetto avessero una targa con il nome: voleva fossero rimesse. Ma soprattutto teneva alla colonna».  

Avete soddisfatto questo desiderio?

«Sì, martedì l'hanno pulita. Come in passato, avevamo segnalato la situazione al comprensorio».   

Cosa l’ha colpita di quell’incontro?

«La forza di scherzare, nonostante lo stato di salute. Era provato, e si vedeva. Ma era sempre socievole, fino all’ultimo. Poi alcuni frasi si sarebbero capite solo giorni dopo». 

Ha salutato suo figlio. 

«Che è un tifoso del Milan. E sempre col sorriso. Come ha fatto anche con due studenti di Medicina, nostri clienti, di passaggio».  

E ha chiesto dei ghiaccioli.

«Non uno, ma due o tre. Fascina gli diceva “Ma quanti ne stai prendendo?”. E lui: “Tanto è tutta acqua”».  

Era già passato altre volte? 

«Sì, poco meno di un anno fa. E anche in quell’occasione, ovviamente era più in forma, aveva chiesto che fosse pulita la sua statua». 

Che ricordo conserverà?

«Col senno di poi è strano. Ma in generale posso dire che anche io nel mio piccolo sono un imprenditore e per me Berlusconi ha rappresentato un riferimento». 

Estratto dell’articolo di Monica Guerzoni per il Corriere della Sera il 14 giugno 2023.

Un’amicizia lunga trent’anni, basata «sulla fiducia reciproca». Bruno Vespa aveva una confidenza tale con Silvio Berlusconi da potergli offrire suggerimenti anche sul piano dell’estetica: «Perché non ti mostri in tv senza trucco e con i tuoi capelli? Al naturale stai benissimo».

E lui?

«Sorrise, ma non raccolse». 

(...) 

Che ricordi ha degli ultimi incontri?

«Nell’ottobre 2021 e 2022 ad Arcore eravamo in tre a tavola. Marta Fascina è stata sempre silenziosa, tranne poche parole oggettivamente di buon senso. Berlusconi le era molto legato. Mi ha colpito che portasse la fede al dito, perché prima non gliel’avevo mai vista». 

Come spiega l’amicizia con Putin?

«Era un’amicizia veramente molto forte, ad Arcore mi portò a vedere il famoso letto che Putin gli aveva regalato». 

A lei Berlusconi dichiarò che Putin «voleva solo sostituire Zelensky con persone perbene».

«L’amicizia per Putin era così forte da portarlo a dire cose al di là del ragionevole. Poi si è corretto, ha capito che era una posizione insostenibile. Putin lo aveva deluso». 

E il contratto con gli italiani? Davvero lo teneva appeso dietro la porta del bagno?

«Quando me lo fece vedere pensai lo avesse messo per me. Invece lo aveva mostrato anche a Renzi, che lo ha confermato lunedì a Porta a Porta. Ho invitato anche D’Alema e con mia piacevole sorpresa è venuto per questo tributo finale, nonostante le divisioni». 

Giorgia Meloni sarà la sua erede politica?

«Lei con grande buon senso ha chiuso le porte a eventuali esodi fino alle Europee. C’è bisogno che Forza Italia sopravviva, sia per riguardo nei confronti di Berlusconi sia per il disegno di far alleare popolari e conservatori». 

Potrebbe avere successo un’opa di Renzi su FI?

«Renzi è il figlio politico che Berlusconi non ha avuto, tra i due c’è stata sempre una forte simpatia. Ma la politica è imprevedibile, non mi sento di fare previsioni». 

(...)

Lei è stato anche molto criticato da sinistra. È stato troppo schierato e morbido con Berlusconi?

«Aspetto che qualcuno mi dica qual è la domanda che non gli ho fatto. L’11 maggio 1994, nella sua prima intervista da premier, gli chiesi come pensasse di risolvere il conflitto di interessi. Anche sulle donne c’è stato sempre un grande contrasto tra noi». 

Come giustificava Ruby e le «cene eleganti»?

«Diceva che quella era la sua vita privata e io, sia in tv che nei libri, obiettavo che la vita privata di un premier ha dei limiti». 

Resta convinto che sia stato vittima di accanimento giudiziario?

«Ha avuto una sola condanna, anche molto discussa. Non c’è stato al mondo un leader che in 30 anni abbia avuto sempre almeno un processo. Qualche problema c’è, soprattutto da parte delle Procure».

Dagospia il 14 giugno 2023. Da “Un Giorno da Pecora” – Rai Radio1

“Berlusconi mi mancherà: con lui non ci si annoiava mai in politica. Il Cavaliere ha creato un bipolarismo personale: l’Italia era divisa tra suoi fan e antiberlusconiani, e noi del Fatto eravamo i protagonisti per questi ultimi, venivamo accolti come rockstar nei palazzetti pieni. Una volta dissi a Berlusconi che lui aveva fatto la fortuna dei suoi amici ma soprattutto dei suoi avversari: noi vendevamo più copie, sono stati scritti libri e fatti film. Noi ad esempio, quando il Cav. ha cominciato a declinare, noi del Fatto abbiamo perso copie”. 

Così a Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, l’editorialista del Fatto Quotidiano Antonio Padellaro, ospite della trasmissione condotta da Giorgio Lauro e Geppi Cucciari.  “Quando lui venne sostituito da Monti, ci fu chi al Fatto stappo’ una bottiglia per festeggiare. Io entrai in redazione e dissi: siete degli imbecilli, state segando il ramo su cui siamo seduti”.

Il fondatore di Fi chiamò mai per lamentarsi per uno dei vostri pezzi? “Una volta ci chiamò e ci disse che era gravissimo che avessimo scritto che aveva i capelli finti, invitandoci ad andare a palazzo Grazioli per sincerarci che fossero veri”. 

E’ vero che una volta cenaste insieme? “Si, eravamo a casa di Melania Rizzoli, lui venne con Francesca Pascale. Cav. mi portò in regalo una scatola di cravattoni, stile manager di Mediaset, che ancora conservo gelosamente. E nella stessa occasione – ha spiegato a Un Giorno da Pecora il giornalista - si eccitò parlando di Balotelli, all’epoca giocatore del suo Milan: ci raccontò di come gli aveva spiegato come si fa gol...”

Estratto da fanpage.it il 16 giugno 2023.

L’attore e comico, ospite nella redazione di Fanpage.it subito dopo i funerali di Silvio Berlusconi, celebrati in Piazza del Duomo a Milano, ha condiviso le sue emozioni e il suo personale ricordo: “Mi disse: ‘Farò una nuova tv, vieni con noi!”. Il regalo alla prima firma del contratto: “50 milioni in contanti a me e Teocoli. Questo era Berlusconi”. 

Cosa ha fatto bene e male in politica? "Le polemiche fanno parte del gioco, ma se il Berlusconi politico ha fatto bene o male, non sta a me dirlo. Di sicuro Berlusconi oggi non c'è più. E che cosa sarà di Forza Italia, questo non lo posso immaginare". 

(…) Allora, "Ora tocca a te" l'ho scritto sotto un tweet di Giorgia Meloni dove parlava della scomparsa di Silvio Berlusconi. Quando è andato in rete, certi amici che l'hanno letto mi hanno subito  detto "ma che hai fatto"? Ma vi spiego perché ho fatto questa cosa.

Anni fa, Goffredo Fofi con Franca Faldini, l'ultima moglie di Totò, avevano scritto un libro, di cui ora non ricordo bene il titolo, forse "La maschera e l'uomo", e Franca Faldini me lo dedicò scrivendo proprio "adesso tocca a te", intendendo che non essendoci più Totò, ora tocca a te far ridere. Io ho fatto la stessa cosa con Giorgia Meloni, cioè tocca a te continuare a far politica come l'ha fatta Silvio Berlusconi.

Boldi ha poi dichiarato di aver avuto un immediato chiarimento con la premier, con la quale c'è stato un veloce scambio telefonico: "Fortunatamente ho il numero privato di Giorgia Meloni, mi ha subito risposto dicendo di aver subito capito che era quello il senso. Poi oggi l'ho anche abbracciata insieme ai familiari, dietro al feretro". 

Estratto del libro “Silvio - La vita vera di Berlusconi” di Paolo Guzzanti il 19 Giugno 2023.

Inizio a scrivere alle nove e trentacinque di lunedì 12 giugno 2023, appena saputo della morte di Silvio Berlusconi. Una morte che, per oltre tre mesi, ha respinto recalcitrando e apparendo in un paio di video in cui si nota drammaticamente lo sforzo fisico e il tentativo di nascondere la sofferenza di una respirazione compromessa: «Per voi mi sono messo per la prima volta dopo mesi in giacca e camicia». 

Aveva passato una notte di torpore e all’alba si è svegliato, ha chiesto aiuto, ma il suo corpo non ne voleva più sapere. Un minuto dopo, tutto il mondo sapeva, tutti i politici e tutti i giornali e telegiornali commentavano l’uscita di scena di Silvio Berlusconi.

L’avevo visto per l’ultima volta il 3 marzo 2023, nella sua villa di Arcore dove ero stato altre tre volte in trent’anni. La prima fu quando mi mostrò dalla finestra del suo salotto dei distinti signori che oscillavano in giardino con dei calici in mano. Mi fecero l’effetto di fenicotteri, ma erano illustri professori e politologi, oltre che giornalisti e parlamentari, che avevano scelto di giocare la sua partita. 

Berlusconi aveva radunato un gruppo di persone di varia origine e molte qualità, fra cui il filosofo comunista Lucio Colletti e tanti altri. Sussurrò anche a me il segretissimo nome che aveva creato per il nuovo partito: Forza Italia. «Non è geniale?» Risposi con una smorfia abbozzando un vago sorriso. No, non mi sembrava geniale un partito che si chiamasse Forza Italia. 

Ero snob e i fatti gli dettero ragione: quel nome da stadio e da tifoseria nazional-popolare ebbe un immediato e poi lunghissimo successo. I detrattori lo definirono «partito di plastica» e la sinistra in genere si dedicò con i suoi giornali a rendere ridicola, goffa, vagamente indecente quella formazione politica messa su in quattro e quattr’otto che diventò l’asse di una alleanza impensabile, impossibile, contro tutte le leggi della politica.

E che però funzionò benissimo, mettendo dalla stessa parte, senza collegarli direttamente, gli ex neofascisti di Gianfranco Fini, che aveva chiuso i battenti del Msi, con i separatisti della Lega Nord di Umberto Bossi: un partito sostenuto dal politologo Gianfranco Miglio, cultore dei seguaci di Max Weber, Carl Schmitt e del federalismo di Carlo Cattaneo, che voleva andarsene dall’Italia al grido di «Roma ladrona!», mandare al diavolo i terroni del Sud che sbafano le ricchezze prodotte dal laborioso Nord.

Ex fascisti e leghisti si odiavano a morte e Berlusconi organizzò un meccanismo di alleanze geniale che funzionava in un modo al Nord e in altro al Sud, con Forza Italia nel mezzo che faceva da catalizzatore. Forza Italia era nata nella mente di Berlusconi come erede dei grandi e piccoli partiti che avevano ricostruito l’Italia repubblicana e che erano stati spazzati via in pochi mesi da un’inchiesta giudiziaria dal nome “Mani pulite” che già esisteva sui fascicoli di molti procuratori americani come “Clean hands”, un progetto di ripristino della legalità contro la corruzione e la mafia, cui aveva partecipato anche Giovanni Falcone e negli Stati Uniti il procuratore Rudolph Giuliani, che poi sarà l’eroico sindaco di New York, colpita l’11 settembre del 2001 dagli attentati dei terroristi di al-Quaeda.

Quell’inchiesta iniziò il 17 febbraio del 1992, quando il pubblico ministero Antonio Di Pietro chiese e ottenne un ordine di cattura per l’ingegnere Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio. Nessuno poteva immaginare che da quell’arresto sarebbe seguita quel giorno la chiusura di tutti i partiti storici della Repubblica italiana, salvo quello comunista, che però cambiò nome, dal momento che si era dissolta l’Unione Sovietica. 

Ma sparirono, dopo lunga agonia, la Democrazia cristiana, il Partito socialista di Bettino Craxi, che si andò a rifugiare e a morire in Tunisia, il Partito socialdemocratico e quello liberale. La Repubblica era stata decapitata. Da allora molti pensarono e pensano che quella eliminazione di una intera classe politica che aveva governato per quasi quarant’anni non fosse casuale ma che dietro ci fosse, se non un complotto, almeno un piano politico: essendo finita (così allora si pensava) la Guerra fredda e il conseguente divieto nei Paesi della Nato di portare dei ministri comunisti al governo, la cosa più ragionevole pareva essere quella di favorire una vittoria elettorale dell’ex Pci trasformatosi in Pds.

Non soltanto l’imprenditore Silvio Berlusconi, ma gran parte dell’imprenditoria italiana, entrò in allarme insieme a quella larga e maggioritaria parte del Paese che, senza essere di destra, non aveva mai visto di buon occhio una politica dirigista con la vocazione naturale della pressione fiscale. 

Berlusconi si dette da fare con tutti i politici con cui era in confidenza per cercare una nuova alleanza capace di esprimere un governo che favorisse la produzione della ricchezza, anziché la sua confisca. Ma non ci riuscì. Era sulla cresta dell’onda, in quel momento, il democristiano Mario Segni, figlio del presidente della Repubblica Antonio Segni. Ma nella fase finale della vita della Democrazia cristiana prevaleva l’idea di mettere insieme una maggioranza di sinistra per un governo di sinistra.

Berlusconi si rendeva conto che la maggioranza degli italiani – come poi le urne confermarono – non era affatto di questa idea e soltanto quando dovette prendere atto che non ci sarebbe stata alcuna alternativa a un futuro governo guidato dagli stessi uomini e donne del Pci, prese la decisione di «scendere in campo», giocare la partita con chi ci stava, preparandosi a una guerra su due fronti.

Il primo, quello di battere la «gioiosa macchina da guerra» di Achille Occhetto, ultimo segretario del Pci, e dei suoi alleati della sinistra democristiana. Il secondo fronte sarebbe stato quello della compattezza della sua maggioranza, che infatti non fu mai raggiunta e mai consolidata e che gli dette molto filo da torcere nei suoi quattro governi. Per di più, l’inchiesta Mani pulite aveva scatenato nel Paese un gran sommovimento giustizialista e l’accusa feroce e generica secondo cui i politici sono tutti ladri, che poi darà spazio al movimento creato da Beppe Grillo. 

Ma le televisioni e i giornali vicini a Berlusconi si abbandonarono all’opinione prevalente secondo cui «i partiti sono guidati da ladri». Berlusconi quindi decise che il suo nuovo partito, Forza Italia, non sarebbe stato un partito, ma un movimento, almeno finché non si fosse cicatrizzata la ferita inferta dalla magistratura.

Così nacque il nuovo soggetto politico concepito dal dinamicissimo imprenditore Berlusconi, un uomo che aveva lavorato come intrattenitore sulle navi da crociera, cantando e suonando le canzoni di Charles Trenet. Aveva cominciato come costruttore di Milano Due, poi era passato alle televisioni e alla finanza. Di colpo, o quasi, conquistò la maggioranza dei voti degli italiani ed entrò a Palazzo Chigi, nuovo protagonista assoluto della politica italiana. 

È un protagonista – come si dice oggi – divisivo, nel senso che ha funzionato come il test di Rorschach, quello delle macchie d’inchiostro. Le macchie non significano nulla, ma chi le guarda può vedere ciò che affiora dalla sua mente. Da ciò che la gente vede nelle macchie, gli psicologi traggono informazioni sulle persone, non sulle macchie. Berlusconi è stato tutt’altro che una macchia d’inchiostro insignificante, ma la gente lo ha amato, odiato, disprezzato, perdonato, adorato sulla base di ciò che Berlusconi ha significato per ciascun italiano.

Per lui è stata recuperata la figura già nota dell’Arcitaliano, che più italiano di così non è possibile: le donne, il calcio, le barzellette scollacciate, l’ingegno, il colpo di testa e la letale convinzione secondo cui tutto sia perdonabile in nome della simpatia. Berlusconi è stato anche questo.

Siamo rimasti amici fino all’ultimo, anche dopo il mio abbandono di Forza Italia, che mi costò ovviamente il seggio al Parlamento della Repubblica e, dopo tredici anni al Senato e alla Camera, mi ha riportato a vivere del mio vecchio lavoro artigiano. Scrivo cronache, alcuni libri e dipingo qualche quadro. D’altra parte, anche io come molti, ma non moltissimi, sono un buon testimone.

Quando vidi Berlusconi per l’ultima volta, il 3 marzo di questo 2023, arrivai dalla Stazione Centrale di Milano, mi aprirono dalla portineria e due cagnetti mi corsero incontro abbaiando. In casa trovai Silvio Berlusconi e la sua amatissima Marta seduti su un divano e lo vidi segnato dalla sofferenza. Chiacchierammo per un po’ e disse di sentirsi molto male, ma non accennò alla morte. Occhiaie profonde, un malumore che lo distraeva e scatti di insofferenza quando si veniva alla guerra in Ucraina.

«Questi sono pazzi», disse senza specificare a chi si riferisse, «sono pazzi completi a credere di poter contenere Vladimir Putin e insegnargli la buona educazione inviando sempre più armi agli ucraini. Loro non sanno che Vladimir non si potrà arrendere mai, e che se lo costringeranno ad arrendersi lui non alzerà le mani, ma spingerà un tasto rosso e sarà la fine del mondo: muoia Sansone con tutti i filistei». 

Questa dichiarazione-dossier esplicita mi ha raggelato il sangue perché suppongo che Berlusconi conosca piuttosto bene il suo amico Vladimir. Ma non faccio in tempo a fargli una domanda perché lui, con un gesto vago e ampio del braccio destro, indica la vetrata e il fuori, il giardino, quel po’ di cielo che si ritaglia tra le mura. «Ho due alternative per il futuro. La prima è trasferirmi, armi e bagagli con la mia famiglia, in Australia, e metterci lì al sicuro. Oppure, guarda, vedi quella casetta? Lì potrei fare l’ingresso di un grande rifugio atomico in cui campare per anni. Ma la verità è che non abbiamo tempo né per trasferirci in Australia né per scavare un buco sottoterra».

La conversazione a questo punto si ingessò perché eravamo tornati alle ragioni della nostra antica rottura che avvenne nel 2008, quando Putin, o meglio l’armata russa, entrò in uno Stato sovrano che si chiama Georgia e cominciò a occuparlo. Io ero allora membro della Camera, dopo sette anni di Senato, e uscivo da un’esperienza terribile, passata per lo più inosservata – perché da qualche parte così fu deciso – in cui persi alcuni uomini che conoscevo e altri che non ho mai visto ma che furono uccisi in Russia per aver aiutato Alexander Litvinenko a fornire le informazioni disponibili sull’atteggiamento di Putin nei confronti dell’inchiesta del Parlamento italiano.

Fu allora che Berlusconi convocò nella sala del Mappamondo tutti i gruppi della sua maggioranza alla Camera e al Senato per riferirci sulle nuove iniziative del suo governo. Soltanto verso la fine disse parole che non dimenticherò mai e che mi spinsero ad andarmene. Disse: «Il mio amico Vladimir mi ha detto che quando avrà preso il presidente georgiano Saakashvili lo inchioderà per le palle contro un albero».

Io uscii dalla porta e, in quel partito, fui di fatto l’unico parlamentare italiano, sia di destra che di sinistra, a ribellarsi apertamente contro quella che mi sembrava un’oscena novità dopo la fine della Seconda guerra mondiale: e cioè che uno Stato sovrano con la bandiera e l’esercito con le uniformi oltrepassi la frontiera di un altro Stato sovrano limitrofo e lo invada per derubarlo del suo territorio e delle sue ricchezze. 

Quando, il 1° settembre del 1939, l’esercito tedesco varcò la frontiera della Polonia, seguito due settimane dopo dall’esercito sovietico, si innescò quel catastrofico evento che è stato la Seconda guerra mondiale. Ma in realtà nessuno aveva idea che quell’invasione, una delle tante, fosse l’inizio della più grande catastrofe dell’umanità. Accadde che la Francia e l’Inghilterra, allora, avendo dato la loro parola ai polacchi, che sarebbero intervenuti in caso di aggressione, dichiararono guerra alla Germania. Quella guerra, benché dichiarata, per alcuni mesi fu chiamata la strana guerra, drôle de guerre, funny war.

Ma i pacifisti dei pochi Paesi liberi e democratici come la Francia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti si indignarono moltissimo. Non per l’invasione nazista e sovietica della Polonia, ma per le dichiarazioni di guerra, peraltro svogliate, di Parigi e Londra. Un’altra guerra? Con qualche analogia con ciò che accadde durante l’invasione russa dell’Ucraina, i pacifisti sostennero che fosse criminale opporre le armi a Hitler, mentre tutti i partiti comunisti occidentali, seguendo le direttive di Iosif Stalin, si schierarono con i tedeschi. Contro la democrazia francese e gli imperialisti inglesi. 

Il Partito comunista francese fu messo al bando in Francia per alto tradimento e la Resistenza comincerà soltanto quando Hitler, cogliendo di sorpresa Stalin, invaderà l’Unione Sovietica. Come finì, lo sappiamo: gli invasi russi esercitarono il diritto di inseguire gli invasori fino a Berlino, dove Hitler si suicidò.

Ma da allora, benché ci siano state guerre e guerriglie di ogni genere, non era più accaduto che uno Stato sovrano invadesse un altro Stato sovrano. O meglio: ci fu un caso, quello dell’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq di Saddam Hussein. In quel caso l’Onu decise di intervenire militarmente affinché fosse ribadito il principio per cui non è consentito a uno Stato di invaderne un altro per occuparlo e depredarlo. 

Così, per la prima volta dopo tanti anni dalla nostra rottura, accennai al fatto che Vladimir Putin non fosse nuovo a imprese come quella dell’Ucraina, perché l’aveva già fatto nel 2008 invadendo la Georgia, di cui ha catturato illegalmente due regioni. Berlusconi, stupendomi, mi volle raccontare come andarono le cose nel 2008: «La guerra contro la Georgia la fermai io», disse.

«Era accaduta una cosa gravissima: dalla Georgia era stata sparata una cannonata che si abbatté su una festa di nozze in cui morirono gli sposi e molti invitati. L’opinione pubblica inferocita chiese a Putin di dare una lezione ai georgiani e lui si mosse, ma io riuscii a bloccarlo. “Vladimir”, gli dissi, “se non ti fermi subito, te la faranno pagare cara: diranno che tu vuoi ingrandirti con le guerre e troveranno ogni pretesto per colpirti. Credi a me, credi al tuo amico Silvio: ritira le tue truppe”». E, ricordava Berlusconi, Putin ritirò le sue truppe. Salvo quelle ancora in Abkhazia e Ossezia. 

Ma penso che il motivo di questa versione dei fatti nascesse da una profonda amarezza: quella di non aver ricevuto dal governo Meloni un ruolo con cui spendere la propria influenza su Putin per mettere fine alla guerra in Ucraina. Si aspettava di essere eletto presidente del Senato per poter usare il ruolo di seconda autorità dello Stato. Ne era certo, e quando vide Ignazio La Russa eletto alla prima votazione – quella che in genere va a vuoto perché i partiti votano il loro candidato di bandiera – si sentì tradito. 

«Sai come è fatto Putin: lui non può sentirsi sconfitto. E quale altra arma avrebbe se non la bomba atomica? Muoia Sansone con tutti i filistei. Ecco che cosa temo. Seguitano a mandare armi a Kiev, ma fanno un errore catastrofico. Stavo pensando se fosse meglio andare in Australia oppure farmi fare lì in giardino un rifugio antiatomico con tutti i comfort. Ma non abbiamo più tempo».

(Adnkronos il 19 Giugno 2023) - "Silvio Berlusconi mi ha telefonato due giorni prima della sua morte. Lui con voce flebile: 'Come stai? Tua moglie? I ragazzi? E' tutto a posto? Hai bisogno di qualcosa?'. E io: 'Si, ho bisogno che ti riposi, ti rilassi e che ci si veda presto con te in forze'. Alla fine della telefonata ero cupo, consapevole che, probabilmente, non l'avrei più sentito. 

E ho immaginato che Berlusconi avesse cominciato a chiamare tutti i suoi amici per congedarsi. Per questo mi sono sentito crescere una terribile angoscia e una grande tristezza". Lo racconta il direttore del Tg5 Clemente Mimun, in una lettera al quotidiano 'il Messaggero'. "Avevo previsto un fine settimana di due-tre giorni in Umbria nelle quiete di casa Mogol, ma dopo neanche una giornata e mezza, ho deciso di rientrare a Roma, al Tg5: troppa inquietudine - continua - E purtroppo la mia sensazione si è rivelata giusta.

La notizia della sua morte mi ha colpito profondamente, ho avvertito tristezza e un grande vuoto, quel che capita a chi perde un amico caro. Eppure Berlusconi è stato a lungo il mio editore, poi un politico di successo, il presidente di un Milan che ha anche scippato uno scudetto alla mia Lazio, oltre a comprare - ma salvando la società del mio cuore - dai biancocelesti Alessandro Nesta, uno dei migliori difensori del mondo". 

"Ma siamo diventati presto amici, anche se ho sempre mantenuto un atteggiamento di rispetto nei suoi confronti. Berlusconi - lo hanno ammesso tutti - era uomo che accorciava le distanze, faceva prevalere il rapporto umano, era profondamente buono, educato e gentile - sottolinea Mimun - E poi nei momenti di difficoltà degli altri c'era, eccome. Non tanto per le sue disponibilità economiche, ma perché si interessava davvero ai problemi degli altri, consigliava e sapeva infondere coraggio".

"Capitò con un giovane giornalista del Tg5, condannato a pochi mesi di vita a causa di un male incurabile. Io pensai di liberarlo dall'impegno quotidiano, per farlo stare accanto alla moglie e alla sua famiglia - ricorda Mimun - Lo raccontai al presidente che mi disse: fammi chiamare, o digli di venirmi a trovare quando vuole. Lo incontrò e lo invitò a continuare a darsi da fare per non farsi schiacciare dalla tristezza e dall'angoscia. 

Lui, si chiamava Matteo Mastromauro, gli diede ascolto, non mollò e riuscì a vivere altri quattro anni, invece dei pochi mesi previsti dai medici. Prevalse la forza di volontà". "Io stesso fui confortato da Berlusconi nel momento più difficile della mia vita. Nel 2012 un ictus mi mise al tappeto. Non parlavo, farfugliavo. 

Avevo la bocca storta e un occhio mezzo chiuso e, soprattutto, non potevo camminare, avendo tutta la parte sinistra del corpo paralizzata - prosegue - Dopo sei giorni di coma indotto, al mio risveglio, chiamai Marinella (la storica assistente di Berlusconi) e le chiesi di farmi parlare col presidente.

Era in mezzo ad una riunione di governo molto delicata, ma, poiché avevo detto che era urgentissimo, mi rispose. Gli raccontai quel che mi era capitato e lo pregai di sostituirmi al telegiornale, perché avevo di fronte una lunga ed incerta convalescenza". "Replicò: 'Cerco di venirti a trovare domani' - riferisce Mimun – 

Puntuale come un orologio svizzero, preceduto da un solo agente di scorta in borghese, lui, vestito con una semplice tuta e un paio di sneakers piombò nella mia stanza e chiese al presidente della clinica Santa Lucia di convocare una riunione dei neurologi e fisioterapisti che mi avrebbero seguito. Ascoltò la diagnosi e dispensò una serie di consigli ai medici.

Primo suggerimento tra tutti: non limitarsi a tre ore di fisioterapia alla settimana, ma ad almeno un'ora al giorno dal lunedì al sabato. E cosi' fu, non solo per me, ma per tutti i ricoverati, che ne trassero, naturalmente un gran giovamento". 

"Finita la riunione provò a riaccompagnarmi in stanza, ma fu assalito da una moltitudine di persone che chiedevano selfie ed autografi. Gentilmente declinò ogni invito ('Per favore no, sono venuto a trovare un amico, non a fare campagna elettorale'), ma non potè sottrarsi alla preghiera dei molti che chiedevano di andare a salutare i loro congiunti malati.

Il giro durò un'ora e mezza. Berlusconi carezzò e confortò vecchi e giovani vittime di guai neurologici o di incidenti spaventosi", ricorda il direttore del Tg5. "Poi mi riaccompagnò in stanza. Gli chiesi di nuovo di sostituirmi alla direzione del Tg5, per potermi dedicare completamente alla riabilitazione - conclude - Lui uscì dalla stanza fece una telefonata e 10 minuti dopo arrivò un impiegato Mediaset con un personal computer dotato di telecamera. Berlusconi lo mise su un tavolino e mi disse: 'Le riunioni puoi farle anche da qui, buon lavoro e fatti sentire'. Chissà se uomini così ce ne sono molti. Io ne dubito".

L’uomo-icona che «sentiva» l’Italia più vera. Maurizio Belpietro su Panorama il 20 Giugno 2023

In edicola, con Panorama e La Verità, un volume speciale dedicato a Silvio Berlusconi e a come il settimanale Panorama lo ha raccontato sulle sue pagine in tutte le sue fasi della vita. 

Era il 25 aprile di 14 anni fa. Tre settimane prima un terremoto aveva raso al suolo L’Aquila e molti paesi dell’Abruzzo. Silvio Berlusconi aveva deciso di commemorare la Festa della Liberazione fra le macerie, per richiamare la necessità di unire l’Italia nella sfida della ricostruzione. Ricordo le immagini del presidente del Consiglio che, con il fazzoletto partigiano al collo, abbracciava le persone e prometteva a una pensionata senza dentiera un aiuto per pagarsi il dentista. Credo che quello abbia rappresentato il punto di massimo consenso raggiunto dal Cavaliere. Così come ricordo la scena di Berlusconi fra la gente, ho memoria anche di un collegamento con Dario Franceschini dai medesimi luoghi. A quell’epoca il parlamentare ed ex ministro del Pd era il segretario del partito, carica che aveva occupato quando dopo l’ennesima sconfitta elettorale Walter Veltroni aveva deciso di farsi da parte. Prima che iniziassero le riprese ufficiali, Franceschini se ne stava in silenzio, impettito fra la folla, aggiustandosi la cravatta. Tra lui e i terremotati c’era un muro invisibile. In attesa della diretta, era palpabile la separazione tra i due mondi: quello del compagno segretario e quello della gente rimasta senza casa. Non c’era empatia, non c’era umana solidarietà. Solo freddezza: una scena da eseguire per ragioni di copione televisivo. Il contrario di quanto avevano trasmesso nelle abitazioni di milioni di italiani le immagini del Cavaliere in mezzo alla folla. Ecco, se si vogliono capire le ragioni dello straordinario successo politico di Berlusconi e l’incredibile durata del consenso di cui ha goduto per anni bisogna partire da lì, da Onna, e da quel 25 aprile che celebrò il suo quarto ritorno al governo, dopo la parentesi durata appena due anni del secondo Romano Prodi. Il Cavaliere sapeva entrare in sintonia con le persone, anche con quelle più semplici. Aldo Cazzullo, sul Corriere, ha notato la curiosa contraddizione di un ricco che piaceva ai poveri. Per anni la classe operaia era andata in sezione, poi con Berlusconi aveva scelto di andare in paradiso, perché se il Pci e la Cgil propugnavano un futuro di lotte, il padrone di Mediaset, l’uomo che aveva inventato in Italia la tv commerciale, assicurava un futuro più roseo, con meno tasse, più diritti, garantendo che con lui sarebbero stati tutti padroni in casa propria. Sì, la sinistra voleva fare la rivoluzione, ma poi precisava che la rivoluzione non è mai un pranzo di gala e dunque serviva prepararsi a soffrire. Il fondatore di Forza Italia invece non solo prometteva una rivoluzione liberale, che già suona meglio, ma in sovrappiù aggiungeva che sarebbe proprio stato un pranzo di gala, dove tutti avrebbero potuto stare meglio. Qualcuno per questo lo ha accusato di populismo, ma ad imputargli di fare promesse non realizzabili era una sinistra che fino al giorno prima aveva illuso i suoi sostenitori con il Sol dell’avvenir, assicurando una redistribuzione di ricchezza che non è mai arrivata in nessun Paese socialista, ma anzi ha condannato le classi più povere a un ribasso dei redditi. Berlusconi conquistò i ceti popolari, mentre la sinistra si accaparrò le élite. I giornali lo disprezzavano, i giudici lo inseguivano, ma la maggioranza degli italiani votava per lui, perché a differenza degli abitanti delle cosiddette Ztl parlava un linguaggio comprensibile e diretto. Niente discorsi da prima repubblica, nessuna convergenza parallela, nessuna genuflessione nei confronti dell’establishment, ma un rapporto diretto con il suo elettorato, al quale parlare non in una sezione, bensì direttamente in tv, spazzando via le noiose tribune politiche per sostituirle con un’informazione vivace, i cosiddetti talkshow. Berlusconi ha ribaltato i canoni della politica, mettendo il suo nome e la sua vita in prima fila. Se il personale è politico, come una volta dicevano quelli di sinistra applicando l’ideologia anche alle storie private, la sua vita era non solo un romanzo, ma anche un sogno da seguire in diretta, meglio di una delle soap opera con cui aveva fatto ricche le sue televisioni. Silvio Berlusconi non era solo popolare, ma era un’icona pop che travalicava la politica per identificarsi con i costumi. Anni fa, dopo la sconfitta del 2006, era entrato in una sorta di depressione da astinenza del potere, tanto che si cominciò a parlare della possibilità che passasse la mano. Ricordo che ad un certo punto parve crescere la stella di Maria Vittoria Brambilla, che, si diceva, avrebbe potuto anche essere candidata dal Cavaliere come futuro presidente del Consiglio. Poi, all’improvviso tutto cambiò e Berlusconi tornò a essere il leader che tutti hanno conosciuto. Ricordo che in quei giorni, incontrandolo a Macherio, nel meraviglioso gazebo in vetro che la moglie Veronica aveva fatto erigere in mezzo al prato, gli chiesi che cosa lo avesse ritemprato. «Vedi», mi spiegò, «settimane fa sono stato invitato a chiudere la campagna elettorale a Lucca, dove si votava per il sindaco. E mentre lasciavo il palco ho sentito una donna che mi chiamava urlando più volte il mio nome. Mi sono girato e ho visto che teneva tra le braccia un bambino. Voleva che mettessi la mano sulla testa di suo figlio». Quel giorno gli bastò per sentirsi un po’ papa e da lì in poi, ripreso il contatto con il suo elettorato, tornò il Berlusconi di sempre fino alla fine.

Il ritratto di Silvio Berlusconi, una figura archetipica del Paese. Capriccioso, gaudente, vanitoso, il Cavaliere è stato un po’ Rigoletto, un po’ interprete della commedia all’italiana. Filippo La Porta su L'Unità il 20 Giugno 2023

A proposito di Silvio Berlusconi ho ascoltato in questi due giorni un profluvio di discorsi, alcuni molto celebrativi – fino alla agiografia – altri puntuti e critici, a riprova di una libertà di espressione che continua a essere una delle qualità del nostro dibattito pubblico e che è la migliore smentita a chi parla di democrazia autoritaria. Ora, non essendo un cronista politico, e invece appassionandomi la storia e descrizione degli “stili”, vorrei limitarmi a un commento che riguarda l’aspetto antropologico del berlusconismo.

Piero Gobetti ha detto che il fascismo rappresentava l’autobiografia della nazione, qualcuno lo ha ripetuto per Berlusconi, sdoganatore dei vizi nazionali, fedele interprete della commedia all’italiana cinematografica (una volta Cesare Garboli osservò che al suo repertorio mancava solo di fare “il gesto dell’ombrello” con il braccio, come Sordi nei Vitelloni). Non nego che pezzi anche consistenti di fascismo e berlusconismo si trovino nel nostro Dna, però credo che la veridica autobiografia degli italiani l’abbia scritta soltanto la Dc, la quale infatti ha governato il nostro paese per cinquant’anni, non per un ventennio e neanche per i cinque o sei anni sparsi dei governi Berlusconi. È vero, la nostra storia è costellata di guerre civili, municipalismi, lotte fratricide tra gli staterelli (contro cui protestò già Petrarca in “Italia mia, benché il parlar sia indarno”).

Ma a ben vedere, gli italiani, anche memori di questo passato, sono diventati assai più accomodanti, opportunisti per quieto vivere e saggiamente flessibili di quanto non siano faziosi e rissosi. E passiamo a Berlusconi. Sappiamo che i due animali simbolici cui per Machiavelli doveva conformarsi l’azione del Principe erano il leone e la volpe, la forza e l’astuzia. Il leone, o “lione”, aveva non solo virilità e ferocia ma anche socievolezza, mentre la volpe è più fredda e calcolatrice. Bene, chi potrebbe obiettare a Berlusconi che non fosse “socievole”? Spiritoso, friendly e compagnone con tutti, e specie con gli esponenti del “popolo”(in TV, lo ricordava Santoro, fraternizzava con macchinisti e operai!).

Sempre di buonumore e con la inesauribile voglia di scherzare. Eppure nel suo stile politico più ancora che nei programmi, e almeno fino all’ultima, diversissima fase (invece improntata a ecumenismo irenico), si annidava una componente estremista che non appartiene davvero al carattere degli italiani (e che probabilmente lui avrebbe giustifi cato in parte come simmetrico a quello dei suoi persecutori). Si potrebbe parlare di un “estremista di centro”. Dovete immaginare un prepotente Duca di Mantova, dunque un libertino perlopiù capriccioso, gaudente, vanitoso, ma con il gusto insolente della buffoneria di Rigoletto.

Penso alle battute gratuitamente sprezzanti rivolte agli avversari politici – fianco sui loro presunti difetti fisici – dei quali avversari ci dispensava volentieri imitazioni perfidamente divertite, o alla spavalderia con cui rivendicava con puntiglio un poco infantile anche le gaffe più indifendibili (cito a memoria: “È vero che i comunisti mangiano i bambini, in Cina accade, ne ho le prove!”). Tutto questo, beninteso, esprimeva una energia tellurica – appunto l’affascinante Duca di Mantova – che ipnotizzava e stregava, anche perché senza alternativa. Nessuno era bravo come lui a occupare la scena. E, si sa, il nostro è un paese che ama il teatro, in qualsiasi ambito.

Eppure dopo la prima straordinaria ondata di consensi e l’exploit elettorale di Forza Italia, la sua energia performativa non ha convinto gli italiani proprio per quell’estremismo al fondo divisivo – dark side della convivialità allegramente informale – che oggi sentiamo come estraneo, inadeguato. Se ne è accorto probabilmente a tempo scaduto. Per essere un grande statista, un politico visionario e saggio, e un “principe” capace di governare a lungo il conflitto, Berlusconi ha corretto la rotta troppo tardi. In questo senso Giorgia Meloni, che non è affatto la sua erede politica, che lo ha combattuto aspramente (ricambiata), e che viene da tutt’altra storia (assai più di destra e illiberale), ha però trovato il terreno spianato antropologicamente dallo “stile” di Berlusconi, un terreno impastato di veleni, divisioni e odi malcelati. Filippo La Porta 20 Giugno 2023

Estratto dell’articolo di Silvia Fumarola per repubblica.it il 24 giugno 2023.

Iva Zanicchi lo ripete: "Guardi, io ho voluto veramente bene a Silvio. Gli sono riconoscente, non posso che parlarne bene". 

Parliamone.

"Intanto era generosissimo, capiva le persone e vedeva lontano perché era un visionario. Ai tempi di Ok il prezzo è giusto, non avevo mai pensato di fare la conduttrice. E glielo dissi chiaro e tondo: 'Ma che c'entro? Io canto, ho sempre e solo cantato'. Ma per lui ero quella giusta e non cambiò idea". 

Che le disse?

"Mi convocò - era il 1986 - e mi spiegò perché secondo lui ero perfetta per la trasmissione: 'Hai una grande capacità di comunicare con la gente, provaci. Lo fai per un paio di mesi, poi se non va pazienza, è un'esperienza. Secondo me ti diverti'. Era bravo a convincere le persone. Un paio di mesi... Sono rimasta a fare il programma dodici anni. Aveva visto lungo".

In cosa era diverso dagli altri?

"Era empatico, gli piaceva il contatto con la gente, era curioso. Sapevo tutto delle persone che lavoravano con lui. All'epoca feci anche altri programmi, che non hanno avuto successo come Ok il prezzo è giusto e anche serate musicali. Lui c'era sempre. Era così generoso, le racconto una cosa per farle capire".  

(...) L'ultima telefonata me l'ha fatta quando ho finito Ballando con le stelle. 'Non sapevo che fossi una grande ballerina, sei stata bravissima. Però le barzellette le racconto meglio io'. Ho scherzato: 'Attento che ora vado alla Scala'. È vero che raccontava le barzellette, ma le sue erano sempre le stesse, però. Poi fu veramente carino, salutandomi mi disse: 'Devi tornare a casa, e fare un grande spettacolo per noi'". 

Lei ha fatto anche politica. Come la consigliò? 

"Veramente ho fatto politica contro la sua volontà, mi disse solo: 'Hai l'amore della gente, perché vuoi farlo? Hai un gioco che ti ha dato la popolarità, l'affetto di tante persone, arriveranno le beghe, le cattiverie: sei proprio sicura? Ti candido ma ti arrangi da sola'. E io gli ho fatto vedere che la gente sapevo conquistarmela, sono andata per mercati, ovunque. Lui rimase colpito. E sono andata in Europa".

(...)

Le Cause.

Quando Scapagnini disse: «Berlusconi è tecnicamente immortale». Storia di Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera il 30 giugno 2023.

Caro Aldo, Umberto Scapagnini, che era il suo medico personale, aveva definito «Berlusconi tecnicamente immortale» grazie al suo elisir di lunga vita. Possiamo dedurne che entrambi si sbagliavano? Franco Bissi, Roma

Caro Franco, Sono un po’ responsabile di quell’espressione. Era un periodo in cui mi capitava a volte di intervistare i personaggi-chiave del berlusconismo, e di riferire le loro immaginifiche lodi al capo. Ricordo ad esempio Pietro Lunardi dire che con Berlusconi si sarebbe ritrovato lo spirito dei grandi costruttori, «tipo Cheope» (fallii invece nel fargli dire che il Ponte sullo Stretto si sarebbe dovuto intitolare a Berlusconi; Lunardi pensava agli «Italiani nel mondo»). Enrico La Loggia fece tutto da solo: assistetti a un comizio in cui annunciava che gli anni si sarebbero contati da prima e dopo il governo Berlusconi, tipo Gesù. La cosa divertente di quegli articoli era che gli antiberlusconiani ne traevano conferma delle loro convinzioni, sulla megalomania di Berlusconi e la piaggeria dei suoi uomini; ma ai berlusconiani tutto pareva naturale, financo giusto. Era il 2004 e Umberto Scapagnini era sindaco di Catania. Andai a trovarlo nei giorni della festa di sant’Agata, inizio febbraio. L’elisir era questo: «Provitamine, antiossidanti, immunostimolanti, enzimi, amminoacidi, e soprattutto minerali, magnesio e selenio attivato. Gli stessi che assorbono i centenari che ho incontrato sulla via della Seta, a Sud di Urumqi e nelle oasi tra il deserto del Taklamakhan e il Gobi — raccontò —. Poi un olio particolare, un certo yogurt», e quasi nessuno dei segreti che avevano alimentato suggestioni da alchimia medievale, criniera di unicorno, lacrime di vergine, rugiada delle notti di plenilunio. «Il criterio è rigorosamente scientifico — sosteneva Scapagnini —. C’è un metodo per calcolare la differenza tra l’età anagrafica e l’età biologica, tra i dati teorici e l’effettiva attività mentale, fisica, sessuale». Lui, Scapagnini, per l’anagrafe aveva allora 62 anni, che in realtà erano undici di meno. Berlusconi ovviamente era meglio: meno 12. Il record apparteneva a Mike Bongiorno: meno 17. Ovviamente nessuno di loro era tecnicamente quasi immortale; però insomma un po’ di chiasso in questi anni l’hanno fatto.

Berlusconi, il racconto delle ultime ore e l'improvviso aggravamento. Il Tempo il 12 giugno 2023

L’allarme per Silvio Berlusconi è scattato all’alba all’ospedale San Raffaele. Il leader di Forza Italia, ricoverato di nuovo dal 9 giugno nell’Irccs milanese (non in terapia intensiva), si è aggravato in maniera improvvisa, veloce e abbastanza inaspettata, secondo le prime informazioni, riferite dall’Adnkronos, che filtrano dall’ospedale. Un evento acuto - legato alla malattia con cui l’ex premier conviveva da circa due anni, la leucemia mielomonocitica cronica, e a una produzione del midollo osseo non più equilibrata - ha cambiato il quadro in maniera repentina. Del resto, già venerdì 9 giugno gli esami a cui il leader azzurro veniva costantemente sottoposto per un monitoraggio attento della patologia ematologica avevano dato dei segnali precisi. La Tac invece non aveva evidenziato altre patologie ed escludeva anche segni che potevano avere a che fare con la polmonite (il problema che nel precedente ricovero, conclusosi appena 20 giorni prima, lo aveva portato in terapia intensiva per una decina di giorni). 

I valori emersi dagli esami di controllo avevano portato comunque alla decisione di anticipare, secondo quanto riportava il bollettino, i controlli programmati per la leucemia e di procedere al ricovero. Poi l’aggravamento nelle prime ore del mattino di oggi. La macchina di Alberto Zangrillo, direttore delle Terapie intensive generale e cardiochirurgica dell’ospedale San Raffaele di Milano e medico dell’ex premier, viene intravista all’alba arrivare in via Olgettina. Il legame del camice bianco con Berlusconi è anche personale, come ha avuto modo di spiegare, ripetendolo proprio di recente durante il ricovero di aprile, quando lo aveva definito «un grande amico» e aveva aggiunto: «Non posso negare anche un grande coinvolgimento personale». 

Poche le dichiarazioni del medico in quei giorni, segno della difficoltà del momento. Questa mattina presto, anche i figli di Berlusconi e il fratello Paolo sono accorsi in ospedale, dove si trovava già la compagna del leader azzurro, Marta Fascina, sempre al suo fianco. Subito dopo il loro arrivo, intorno alle 9.30, Berlusconi è morto, lasciando la famiglia e tutti i fedeli elettori ad 86 anni.

Com’è morto Silvio Berlusconi, la malattia e gli ultimi ricoveri: poi l’ultimo saluto dei sui cari. Redazione Web su L'Unità il 12 Giugno 2023

Alle 9.30 di lunedì 12 maggio l’annuncio: è morto Silvio Berlusconi. Aveva 86 anni. Il leader di Forza Italia se ne è andato dopo essere stato nuovamente ricoverato al San Raffaele venerdì ufficialmente per controlli di routine. Berlusconi negli ultimi mesi era stato ricoverato a lungo destando non poca preoccupazione tra i suoi. Poi, di prima mattina, sono arrivati a stretto giro Paolo Berlusconi e poco dopo a bordo di auto diverse i figli Marina, Eleonora, Barbara e Pier Silvio Berlusconi. E allora è stato chiaro che per lui non c’era più niente da fare.

Il fondatore del partito, classe 1936, il 29 settembre prossimo avrebbe compiuto 87 anni. Era tornato al San Raffaele lo scorso venerdì, dopo un lungo ricovero — di 45 giorni — terminato poche settimane fa, a causa di una polmonite e di una forma di leucemia mielomonocitica cronica. Sembrava che stesse meglio dopo quel lungo periodo trascorso in parte in terapia intensiva dal 5 aprile. Poi il 16 aprile era stato trasferito nel reparto di degenza ordinaria.

Berlusconi “ – si leggeva nel bollettino diffuso dai sanitari – è attualmente ricoverato in terapia intensiva per la cura di un’infezione polmonare. L’evento infettivo si inquadra nel contesto di una condizione ematologica cronica di cui egli è portatore da tempo: leucemia mielomonocitica cronica, di cui è stata accertata la persistente fase cronica e l’assenza di caratteristiche evolutive in leucemia acuta”, si legge in una nota del San Raffaele firmata dai professori Alberto Zangrillo e Fabio Ciceri. La strategia terapeutica in atto, si leggeva ancora nella nota, “prevede la cura dell’infezione polmonare, un trattamento specialistico citoriduttivo mirato a limitare gli effetti negativi dell’iperleucocitosi patologica e il ripristino delle condizioni cliniche preesistenti”.

Già a marzo aveva destato preoccupazione un suo ricovero sempre al San Raffaele. In quella occasione sarebbe stata la compagna Marta Fascina ad accompagnare il leader di Forza Italia in ospedale a seguito di un malore. L’agenzia Ansa aveva scritto a stretto giro che Berlusconi era stato ricoverato a causa di problemi cardiovascolari e che era arrivato in ospedale “con affanno respiratorio”. Adnkronos aveva invece parlato di “un’infezione con affaticamento respiratorio” che i medici stavano trattando con un terapia antibiotica. Il Corriere della Sera ha scritto che l’ex premier era ricoverato in condizioni delicate ma stazionarie, in terapia intensiva cardiochirurgica, per una polmonite. Si profilava qualche giorno di ricovero, lo staff aveva fatto sapere che non ci sarebbe stato alcun bollettino medico. Berlusconi era stato sottoposto a una tac.

“Silvio Berlusconi parla ed è stato ricoverato perché non era stato risolto il problema precedente”, aveva dichiarato nelle prime ore del pomeriggio il ministro degli Esteri Antonio Tajani, coordinatore nazionale di Forza Italia. “Ringrazio tutti coloro che in questi giorni hanno voluto dedicarmi un pensiero di vicinanza e affetto – aveva scritto dopo le dimissioni – sono già tornato al lavoro sui temi principali di questi giorni, pronto e determinato a impegnarmi, come sempre ho fatto, per il Paese che amo“. Poi la drammatica notizia che ha scosso il mondo della politica e non solo.

Di cosa è morto Berlusconi e gli ultimi giorni: ha visto la finale di Champions e fino alla fine ha lavorato sui dossier. Simona Ravizza su Il Corriere della Sera il 13 Giugno 2023

Ricoverato con i globuli bianchi alle stelle: fatale la leucemia «Ma la morte non era nei suoi progetti» e ha dettato appunti finché ha potuto. Poi il tracollo nella notte tra domenica e lunedì

Chi gli sta vicino fino all’ultimo sa che Silvio Berlusconi teme la morte, ma non l’aspetta. Il leader di Forza Italia e fondatore di Mediaset non pensa mai che può davvero essere finita: «Non era tra i suoi progetti». Gli infermieri che lo assistono 24 ore su 24 negli ultimi 21 giorni trascorsi a Villa San Martino ad Arcore, e poi dal 9 giugno ancora al San Raffaele, usano rispetto nel definirlo «ossessionato». Il pensiero sempre lì, alla riorganizzazione di FI. E la preoccupazione costante per il conflitto in Ucraina e una sua eventuale degenerazione in scontro nucleare. Anche nelle sue ultime ore, Berlusconi è quello che il medico di fiducia Alberto Zangrillo, in occasione di uno dei suoi innumerevoli ricoveri nel giugno 2016, definisce «un leone che non si può tenere in gabbia». Con il suo bisogno di essere un uomo del popolo. Di qui il lavoro, fino alla fine.

Un paziente consapevole ma combattivo

Da paziente l’ex premier è da sempre razionale: più volte — dall’intervento a cuore aperto del giugno 2016 dopo il malore causato da un’insufficienza aortica, fino alla battaglia contro il Covid nel settembre 2020 — ha la consapevolezza che la situazione può sfuggire di mano, allo stesso tempo s’affida ai medici con la volontà di farcela. Ed è così anche venerdì 9 giugno alle 15 quando ritorna al San Raffaele ad appena 21 giorni di distanza dall’ultimo ricovero, il più lungo, il più difficile, quello tra il 5 aprile e il 19 maggio. Di nuovo i suoi esami sono fuori controllo: globuli bianchi alle stelle, piastrine impazzite. Il corpo che non regge più. M a lui non vuole mollare: continua a prendere appunti Silvio Berlusconi, li fa battere, poi li corregge. È il suo modo, forse, di esorcizzare la morte: di certo, il suo desiderio è di essere fino alla fine un uomo impegnato per l’Italia. Zangrillo avrebbe voluto mandarlo in pensione, a godersi ciò che ha costruito, già dopo l’intervento al cuore, che cadeva sette anni fa in questi stessi giorni, il 14 giugno. Non ce l’ha fatta allora a convincerlo e stavolta viene da pensare che il medico non ci abbia neppure provato.

Il «pit-stop» ospedaliero

Nel lungo fine settimana che si conclude con la morte dell’ex premier, alle 9.30 di ieri, la speranza è quella di un pit-stop ospedaliero: controlli medici tipici per chi soffre di leucemia già programmati, ma anticipati alla luce dei risultati degli esami del sangue. Poi la tac ai polmoni che, dopo la polmonite per cui l’ex premier aveva già rischiato di morire, adesso sono puliti; un esame anche al cervello per precauzione massima. L’insufficienza renale superata. Nonostante ciò il pit-stop si trasforma in un ricovero di cui, appare subito chiaro, non è possibile prevedere la durata.

La finale di Champions League

La vita appesa a un filo. Ma, anche nelle ultime ore, lo sguardo gli si illumina ogni volta che guarda i suoi figli, con i quali condivide la passione per il calcio. Ancora sabato, il leader di FI vuole vedere la finale di Champions League tra l’Inter e il Manchester City. Non c’è più quella solitudine che tanto gli pesava durante il ricovero per il Covid di quasi due settimane, nel settembre 2020.

Il peggiorare della leucemia

La sua condanna è la leucemia, diagnosticata per la prima volta agli inizi di dicembre 2021 e che, tranne una pausa per Natale, lo tiene in ospedale anche nel gennaio 2022, in concomitanza con le elezioni del presidente della Repubblica. Un ricovero in quel momento giustificato come solo un’infezione alle vie urinarie. Allora la malattia appare in forma cronica, quasi una patologia senile. Poi, gli episodi acuti, l’ultimo dei quali gli è fatale. Come già successo a due suoi fraterni amici: il presidente di banca Mediolanum Ennio Doris e l’avvocato Niccolò Ghedini.

Il tracollo improvviso

Il paradosso è che la sua morte in qualche modo se l’aspettano tutti, eppure sorprende tutti. Solo venerdì Zangrillo insieme con l’onco-ematologo Fabio Ciceri firma un bollettino per dire che la situazione non desta allarmi né criticità. Il tracollo è improvviso, nonostante la sua prevedibilità. La situazione clinica di Silvio Berlusconi precipita nella notte tra domenica e lunedì. L’auto di Zangrillo che varca alle 4 i cancelli del San Raffaele è il segnale più temuto. Già poco prima delle 6 si capisce che questa volta — al contrario di tutte le altre — l’ex premier può non farcela. Tanto che i figli fanno appena in tempo ad arrivare per salutarlo.

Le sfide con la morte

Difficile non pensare adesso a tutte le volte in cui il leader di Forza Italia vince la sfida con la morte. «È stata una prova molto dolorosa» (giugno 2016). «Grazie al cielo e alla professionalità dei medici ho superato quella che considero la prova più pericolosa della mia vita» (settembre 2020). «È stato un periodo angoscioso e difficile, ma dopo il buio ho vinto ancora. Non mi sono mai sentito solo e ho continuato a nutrire speranza e fiducia. L’incubo è finito» (maggio 2023). In una narrazione che, come ripetuto più volte, assume ormai una connotazione con richiami al miracoloso. «Silvio Berlusconi mi ha chiesto di farlo campare fino a 150 anni per mettere a posto l’Italia», rivela del resto un giorno in un’intervista don Luigi Verzé, fondatore dell’ospedale San Raffaele, quando il sacerdote condivide con Berlusconi il sogno di un ospedale dedicato alla Medicina predittiva. E, quando il 13 dicembre 2009 da premier viene colpito al volto con una statuetta souvenir in Piazza Duomo a Milano, si accascia, viene fatto sedere all’interno della sua vettura dalle guardie del corpo, ma poi torna un attimo fuori dall’auto per farsi vedere, per far capire che è vivo, prima di risalire sulla macchina ed essere trasportato in ospedale.

Le ultime apparizioni in pubblico

Non è mai stato facile per il fondatore di Mediaset darsi una misura nell’affrontare la malattia, anche a costo di apparire in pubblico con tutti i segni della fatica, come nei video trasmessi alla convention di FI il 6 maggio e quello con l’invito a votare per le elezioni amministrative del 14 e 15 maggio. E anche nei momenti più difficili non mancano le battute all’infermiera, il cenno di sorriso a chi gli fa la tac, l’impegno per tornare a camminare senza il deambulatore, gli esercizi di riabilitazione respiratoria. «Forza Presidente, ce l’abbiamo fatta tante volte...», si sentiva dire ancora ieri mattina.

I Necrologi.

Berlusconi, il necrologio di De Benedetti: «Indomito combattente». Storia di Claudio Del Frate su Il Corriere della Sera il 13 giugno 2023.

E alla fine è arrivato anche l’onore delle armi da parte del «nemico» di una vita: «Sentite condoglianze a un indomito combattente» recita il lapidario necrologio per Silvio Berlusconi che compare sul Corriere di oggi. E poi la firma che non ti aspetti: Carlo De Benedetti. C’è anche lui tra i tantissimi hanno voluto onorare e ricordare con un «obituary» la figura del Cavaliere morto lunedì.

L’Ingegnere contro il Cavaliere, la Cir dell’ex patron di Olivetti contro la Fininvest dell’uomo di Arcore. E poi ancora il personaggio amato dai salotti chic di sinistra contro il «parvenu» dai modi troppo esibiti. Il duello tra De Benedeti e Berlusconi ha occupato la cronache politico finanziarie per oltre un ventennio. Anche in tempi recenti erano volate parole al vetriolo («Berlusconi ha fatto affari con Putin» le parole di De Benedetti dopo lo scoppio della guerra) , segno di una rivalità che il tempo non aveva contribuito a smorzare.

Almeno la morte ha contribuito a far riemergere un rispetto che - chissà - forse è sempre esistito. Il arriva da Lugano: «Carlo De Benedetti porge sentite condoglianze alla famiglia di Silvio Berlusconi, indomito combattente» è il testo del necrologio che sembra chiudere un duello esploso negli anni ‘80.

Agevolazioni per pensi...

«La guerra di Segrate» fu ribattezzato il conflitto che vide contrapposti sulla scena pubblica ma soprattutto nei tribunali il Cavaliere e l’Ingegnere. Riguardò il controllo della casa editrice Mondadori che alla fine degli anni ‘80 è in mano a tre soggetti: la famiglia Formenton (erede del fondatore Arnoldo Mondadori), la Cir di De Benedetti e Berlusconi, che nel frattempo ha acquisito Retequattro. Formenton prima raggiunge un accordo di cessione all’ingegnere, poi cambia idea e vende le sue quote a Fininvest.

Per dirimere la lite Interviene un lodo arbitrale («lodo Mondadori», per l’appunto) che il 20 giugno 1990 dà ragione a De Benedetti. Ma la Corte d’Apello di Roma ribalta il verdetto riconsegnando la casa editrice di Segrate a Berlusconi, Parte anche un processo per corruzione dei giudici dal quale Berlusconi esce per prescrizione ma che si trascina a carico degli altri imputati (tra cui l’avvocato di Fininvest Cesare Previti ). Nel 2007 la Cassazione conferma che la sentenza favorevole a Berlusconi sulla Mondadori fu frutto di una corruzione e nel 2013 condanna il gruppo a risarcire oltre 500 milioni di euro a De Benedetti.

Una prima moglie è per sempre. Cremlinologia del berlusconismo attraverso i necrologi sul Corriere. Guia Soncini Linkiesta il 14 Giugno 2023

La lunga vita del Cavaliere ha lasciato meno domande di quelle dei Borgia, ma in realtà sappiamo poco della sua formazione sentimentale. Forse a capire chi era importante e chi comanderà ci può aiutare Pupi Avati

L’unica cosa che vorrei sapere è: chi è la Paola Zuccotti di Berlusconi? Non perché ritenga che dietro ogni grande uomo ci sia una grande donna (peraltro non so come siano fatti, né i grandi uomini né le grandi donne, e chi decida che sono tali), ma perché come tutti sono bramosa di pettegolezzi biografici.

Dei necrologi di Silvio Berlusconi sul Corriere ho notato le cose che avete notato anche voi. Innanzitutto quello della prima moglie messo lassù in alto, per primo, a sancire un principio che tutti gli italiani conoscono: una prima moglie è per sempre.

L’autobiografia di Marcella De Marchis Rossellini s’intitolava “Un matrimonio riuscito” nonostante i due si fossero separati dopo sei anni e nonostante, di Roberto Rossellini, tutti ricordino soprattutto il successivo matrimonio con Ingrid Bergman; figuriamoci se Carla Elvira Dall’Oglio, madre di Marina e di Piersilvio, gli unici due figli di Berlusconi sui cui nomi non ci confondiamo, non fa il primo necrologio.

Poi la presenza di Marina in un numero di necrologi molte volte superiore a quelli in cui compare Piersilvio; non so se, mentre leggete, la situazione si sarà pareggiata: il Corriere ha scritto che i necrologi ieri non ci stavano tutti e una parte verrà pubblicata oggi, il che significa che Silvio muore e a risorgere sono gli incassi dei giornali.

So però che tutti corrono a porgere le loro condoglianze a Marina con la prontezza con cui nel film andavano da Michael Corleone, mica da suo fratello o da sua sorella: una prima moglie è per sempre, ma pure un capofamiglia.

In un’intervista d’un paio di mesi fa a Repubblica, il regista Pupi Avati, nato due anni dopo Silvio Berlusconi, raccontava di Paola Zuccotti, la ragazzina che seguiva nel 1952. La seguiva nel senso che la forma di corteggiamento era quella: lei nel pomeriggio faceva i suoi giri, e tu la seguivi, senza rivolgerle mai la parola. E infatti nella strepitosa ricostruzione Avati dice che non aveva idea di che voce avesse, la Zuccotti, pur avendola seguita per due anni.

«In due anni, non si è mai girata una volta. È questo che mi è rimasto nel cuore. Questa mancanza di reciprocità fa sì che una persona ti resti dentro». Dopo aver sospirato di sollievo perché i giornali non li legge più nessuno e nessuno accuserà Avati di stalking, io sono rimasta col desiderio di sapere le Zuccotti di gioventù di tutti gli uomini d’altri tempi.

Chi era la Zuccotti di Silvio? Ci aveva mai ripensato? Anche lui, come Avati, ci era rimasto malissimo quando gli avevano detto che era morta? Forse saprei tutto se non fossi stata una ventenne scema che non pensava di dover conservare “Una storia italiana” (mi toccherà ricomprarlo su eBay pagandolo come un appartamento). Invece, mi rendo conto col pentimento di quando muore David Bowie e ti tocca andare a comprare i cd perché chissà che fine hanno fatto e sembri una parvenue che lo ascolta solo da morta, non so nulla della formazione sentimentale di Silvio.

E pochissimo anche del presente. Delle vicende degli ultimi anni, quella che mi aveva più appassionato era, all’inizio dello scorso decennio, Nadia Macrì, che in tv raccontò che, la prima volta che si erano visti, lui come un vero gentiluomo aveva chiesto cosa facesse lei nella vita, e lei aveva risposto: «Presidente, cosa vuole che faccia: le marchette».

Poi Ruby, che è impossibile non sapere e che lunedì ha pubblicato una storia su Instagram con un cuore spezzato, un po’ come Avati quand’è morta la Zuccotti (ma Avati non si esprime a mezzo disegnini, c’è un divario generazionale). L’anno scorso girava per editori la proposta d’un’autobiografia di Ruby che credo nessuno abbia ancora pubblicato. Il dettaglio migliore era lei che telefona entusiasta alla madre dopo quella prima sera di burlesque e altre amenità: «Sono stata a cena a casa del capo dell’Italia».

Sono due giorni che leggo post indignati di gente secondo cui non viene raccontato abbastanza che losco criminale fosse Berlusconi e che paese ideale di onestà ed efficienza e produttività fosse l’Italia prima di lui, e come sarebbero fiorite le carriere dei millennial sotto i governi di – di chi? Forse di Bertinotti, che si vestiva assai meglio.

Nel ravanare gli archivi che ormai caratterizza sempre le morti, qualcuno ha tirato fuori uno strepitoso confronto tra i due, moderati da una giovane Annunziata, in cui Silvio dice che Fausto è vestito «con tutti i colori dell’autunno». Altro che dare interviste impreparate a Vogue: c’è stato un tempo in cui i politici italiani avevano sensibilità per la moda, poi ci siamo trovati con questi qua.

Sono due giorni che leggo gente incapace di assumersi la responsabilità dei propri fallimenti che ha trovato un nuovo capro espiatorio – ah, come avrei prosperato senza Silvio – e sono due giorni che ripenso a quella scena del “Terzo uomo” in cui Orson Welles dice: «In Italia per trent’anni sotto i Borgia ci furono guerra, terrore, omicidi, carneficine: ma vennero fuori Michelangelo, Leonardo Da Vinci, e il Rinascimento. In Isvizzera non ci fu che amore fraterno: ma, da cinquecento anni di pace e democrazia, che cosa ne è venuto fuori? L’orologio a cucù».

Sono due giorni che penso tantissimo a Marta Fascina. Come sarà andata? Si saranno sposati di nascosto e i figli lo scopriranno solo all’apertura del testamento? Avrà figliato di nascosto, e anche qui servono telecamere all’apertura del testamento? Si sarà limitato a intestarle dei conti all’estero? Avrà la benedizione di Marina, che diversamente da Piersilvio andò alle finte nozze giacché Marta aveva evidentemente capito ben prima che uscissero i necrologi che solo la primogenita contava?

La lunga vita di Silvio Berlusconi lascia meno domande di quelle dei Borgia, ma molte più di quelle degli inventori degli orologi a cucù, e del Toblerone, e dei conti esteri. Molto prima delle Cayman, quei piccoli aspiranti Berlusconi di cui l’Italia era piena prima di sapere chi fosse Berlusconi, i borghesi medi, portavano i soldi in Svizzera.

In quegli anni novecenteschi che si collocano dopo le Zuccotti ma prima dell’euro. Quelli che il revisionismo storico dei poveri inattrezzati millennial ha trasformato in epoca di persone perbene, invece di rendersi conto che era solo un’epoca la cui fittizia prosperità si fondava sull’evasione fiscale a nord, sulle finte pensioni d’invalidità a sud, e sui posti fissi per tutti.

Estratto dell'articolo di Cesare Zapperi per corriere.it il 13 giugno 2023.

L’agenzia di comunicazione Armando Testa ha addirittura comprato una pagina del Corriere: «All’uomo che ha sempre creduto nel valore della comunicazione, e che con grande passione ha reinventato il nostro mestiere. Grazie». C’è anche questo modo, tra i tanti, per ricordare e rendere omaggio a Silvio Berlusconi. 

Ma il più tradizionale, di fronte ad un lutto, è quello del necrologio, poche dense righe tra l’amore, l’affetto, l’amicizia, in un impasto di dolore e riconoscenza che dà la misura della perdita. 

Sull’edizione di oggi del Corriere della Sera i messaggi di cordoglio sono centinaia (e per ragioni di spazio non è stato possibile pubblicare tutti quelli arrivati). Compaiono i nomi di parenti, amici, compagni di partito, avversari, imprenditori, uomini di spettacolo. In quei necrologi c’è tutto il mondo di Berlusconi. 

Il primo è quello dell’ex moglie Carla Elvira Dall’Olio: «Carissimo Silvio, sei stato un grande uomo e uno straordinario padre per i nostri figli». E poi via, un fiume interminabile di necrologi, a partire da quelli dei suoi più stretti collaboratori in Mediaset e degli amici. Il medico di fiducia, Alberto Zangrillo, scrive: «Presidente, ho sempre voluto darle del lei, solo oggi mi permetto di dirti ciao Silvio».

Giorgio Armani così ricorda Berlusconi: «Imprenditore di raro acume e coraggio, politico di fine intelletto, comunicatore dal fascino assoluto». Flavio Briatore sottolinea che «nessuno ti potrà mai dimenticare». Il regista Luca Guadagnino (con Carlo Antonelli) immagina la scena di una film: «Abbiamo passeggiato tutto il pomeriggio per Milano 2, ripensandoti.- Le villette color mattone, i ponticelli, la vecchia sede di molti uffici tuoi, il lago dei cigni che ogni tanto gettavano per te l’ultimo canto.- Poi, ai margini, i bagliori dei ceri dietro le finestre di case regalate.- E dappertutto, nelle strade vuote, l’eco delle tue risate». 

[…] Anna e Stefania Craxi, nel ricordo di Bettino, sottolineano: «Con lui se ne va anche un pezzo della nostra famiglia». L’ex presidente dell’Inter Ernesto Pellegrini ricorda: «con nostalgia le innumerevoli battaglie sportive nella nostra Milano caratterizzate sempre da rispetto e lealtà». Miti Simonetto, la professionista che ha sempre curato l’immagine di Berlusconi, assicura: «Caro Dottore, la tristezza come l’amore è un sentimento che non si può descrivere.

Io continuerò a curare la sua immagine per tutta la vita». Dal mondo dello spettacolo arrivano, tra gli altri, i messaggi di Claudio Bisio, Afef e Gerry Scotti. Dal mondo dei media, ecco i necrologici di Alfonso Signorini, Silvana Giacobini, Monica Mosca e tanti altri che hanno guidato o guidano testate giornalistiche. 

[…] Un messaggio arriva anche dalla proprietà cinese dei rivali dell’Inter: «Il presidente Steven Zhang e tutta FC Internazionale Milano esprimono il proprio profondo cordoglio per la scomparsa del presidente Silvio Berlusconi La sua figura ha lasciato un segno indelebile nella storia del nostro Paese. Le sfide tra l’Inter e il suo Milan hanno reso la città di Milano il cuore del calcio mondiale». 

[…] Ma su tutti prevalgono i messaggi di chi ha condiviso tratti di strada con Berlusconi. Come la famiglia di Ennio Doris, fondatore di Mediolanum: «Massimo, Sara e Lina Doris piangono l’amico di sempre Silvio e si stringono attorno alla famiglia tutta in questo momento di profondo dolore. Uomo lungimirante, imprenditore innovativo e straordinario, che ha creduto nel grande sogno di Ennio Doris. Il suo ricordo ci accompagnerà per sempre».

Paolo Landi per Dagospia il 20 giugno 2023.

La morte di Berlusconi ha riacceso i riflettori sul necrologio, un esercizio di stile che avrebbe affascinato Raymond Queneau: lo scrittore francese scrisse novantanove versioni della stessa storia, raccontata ogni volta con un tocco differente; dei necrologi per Berlusconi, apparsi sui principali quotidiani nazionali, si perde il conto, un lavoraccio mettersi a sommarli. Leggerli poi, così ripetitivi, senza le invenzioni scoppiettanti di Queneau, si rischia di morire dalla noia: tuttavia il necrologio è ancora un saldo attivo nelle entrate della stampa quotidiana cartacea che, come si sa, non se la passa troppo bene.

L'avvocato Agnelli ebbe circa duemila necrologi: se calcoliamo l'ingombro medio di un modulo a quattrocento euro ciascuno, il totale è praticamente uguale alla cifra che il Corriere chiede per una pagina pubblicitaria. Mentre gli articoli non li legge quasi più nessuno e si diffonde a macchia d'olio il tic di noi giornalisti di rileggerci, per cui impariamo a memoria quello che peraltro avremmo scritto noi, continuando a ignorare quel che scrivono i nostri colleghi, i necrologi vengono avidamente compulsati per vedere chi li ha inviati: è il gioco mondano di vedere chi c'è, cosa dice, misurando il grado di intimità col defunto.

Difficile trovare necrologi dignitosi: o sono burocratici, con quelle formule copiate, o sono patetici; qualcuno che conosceva bene il morto ne riconosce alcuni ipocriti; ogni tanto sono involontariamente comici: "Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela Mariangela" ripetuto tredici volte e nient'altro da Ornella Vanoni nel suo necrologio per la morte della Melato, mentre i fanatici del camp collezionavano quelli di Valentina Cortese, molto teatrali, finché anche lei se n'è andata, come scrisse qualcuno "con il suo foulard"; "è stato fischiato un ingiusto fuorigioco e tu sei uscito dal campo della vita" sarebbe toccato leggere a Mihajlovic se, per sua fortuna, non fosse stato già morto; gli aneddoti sarebbero degni di essere antologizzati:

la scrittrice Luce (D'Eramo) che si spegne, "si è seduto al banchetto celeste" (lo chef), "stavolta ce l'hai fatta grossa" (ricorrente nei necrologi di chi al morto non perdona nulla, nemmeno di morire per far dispetto a chi rimane). Fuori antologia i necrologi dei fuoriclasse Carlo Antonelli e Luca Guadagnino, che cominciarono a uscire poco più di una anno fa sul Corriere, con l'addio alla regina d'Inghilterra ("Rosa, celeste, verde pallido, rosso acceso, rosso scuro, blu profondo, blu cobalto, verde pisello, giallo... 

Tutti i colori del mondo, il mondo che cercava comunque di dominare e che era ancora impero per Sua Maestà Regina Elisabetta II"), a Raffaella Carrà ("Questa volta non serve unirsi alla commozione e alla gratitudine che stanno travolgendo il mondo per la partenza verso universi paillettati e dove il collo non si spezza per il colpo di frusta all'indietro, che hanno accolto la compagna umanista Raffaella Carrà"); fino al necrologio per Silvio, diviso in due parti e uscito sempre sul Corriere: "Abbiamo passeggiato tutto il pomeriggio a Milano 2 ripensandoti.

Le villette color mattone, i grattacieli, la vecchia sede di molti uffici tuoi, il lago dei cigni che ogni tanto gettavano per te l'ultimo canto. Poi, ai margini, i bagliori dei ceri dietro le finestre di case regalate. E dappertutto, nelle strade vuote, l'eco delle tue risate. Quante risate...Troppe. Roma, 12 giugno 2023". E, nella seconda parte: "Il giorno dopo ti abbiamo celebrato di nuovo, facendo tanti giochi, i tuoi preferiti: il monopoli truccato senza imprevisti, o probabilità; il karaoke; lo scarabeo per scrivere paroline eleganti tutte imbellettate come te per far passare ogni pensiero; la seduta spiritica per svegliare il demone nella pancia del Paese. Abbiamo urlato tutta la notte. Roma, 14 giugno 2023". 

Il trattamento post mortem riservato a Berlusconi, la cura igienica di conservazione e presentazione estetica della sua immagine dopo la sua dipartita, è riassunta in queste paginate di necrologi. A forza di  essere lavata e spugnata, pulita e ripulita ma soprattutto negata e scongiurata, è successo che la morte di Silvio Berlusconi è stata sottoposta a un trattamento igienico da pubblicità del profondo, quella che Roland Barthes in Miti d'oggi attribuiva a una rappresentazione epica dei turbolavaggi promessi dai detersivi, per cui perfino la sua morte, come la sua vita, è stata vetrificata, criogenizzata, truccata. 

Bisogna soffermarsi su Antonelli e Guadagnino o fare un giro su TikTok per vedere incrinarsi questa mitologia, dove la morte entra in scena come un ostacolo ostile ai buoni propositi del capo, che non capisce, e si pone domande superflue ("che ci faccio qui?" racconta di aver pensato, in un video) nel suo letto di ospedale. "Era un uomo tutto case e famiglie" pubblica uno, mentre su Facebook si moltiplicano le riscritture dell'omelia del cardinal Delpini: "Vivere. Vivere e spernacchiare la vita. Vivere e desiderare che la vita sia facile, soprattutto per sé e per i parenti...vivere e sentire le forze esaurirsi, soffrire il declino e contrastarlo con le pasticche, i trapianti, le punture...". 

Quella di Berlusconi non è stata una morte "naturale", che è arrivata, come per tutti, alla fine dell'esistenza. È stato il tentativo di far arretrare i limiti della vita, intesa come processo di accumulazione: una strategia quantitativa che ha enumerato possedimenti immobiliari, televisivi, finanziari, calcististici, politici, umani, in una sorta di passaggio dalla vita al capitale-vita, nel tentativo di esorcizzare i limiti che né la scienza né la tecnica possono mettere al desiderio di essere immortali.

Ecco quindi che il necrologio di Carlo Antonelli e Luca Guadagnino riporta l'attenzione su di noi, "fruitori" di questa morte mediatica, trasformando la solita carrellata esibizionistica di luoghi comuni dell'obituary del quotidiano milanese, in un gesto artistico, una specie di "détournement situazionista", che rivela l'usura e la perdita di importanza dei cliché, illuminando le parole fasulle, sbandierate come sentimenti autentici, di una luce malandrina.

Funerali di Stato.

Estratto dell’articolo di Filippo Di Giacomo per “il Venerdì di Repubblica” il 30 giugno 2023.

«Parce sepulto», perdona a chi è sepolto dice lo spirito di Polidoro ad Enea nel terzo libro del capolavoro di Virgilio. Però, dopo i funerali di Stato di metà giugno, un certo disagio rimane e ci si chiede perché l'Italia continui ad usare la messa cattolica come cerimonia ufficiale per il lutto statale. In Francia, l'hommage national si svolge (di solito per i militari) nel cortile dell'Hotel des Invalides oppure nella piazza del Panthéon: […] le spoglie vengono restituite alla famiglia che […] può decidere chiesa e località dove celebrare il rito funebre religioso. 

In Spagna vige il luto oficial anche per il re: la camera ardente è posta nel Congreso de los Diputados […] e l'omaggio al feretro si svolge davanti alla sede del Parlamento. I funerali religiosi semmai li chiede […] la famiglia. Soltanto in Italia la Chiesa è obbligata a svolgere il ruolo di gran cerimoniere del lutto nazionale, riducendo la messa a un rito della civil religion […] in virtù del Concordato del 1929 che stabiliva il cattolicesimo come religione di Stato.

Non lo è più, quindi che senso ha obbligare un uomo colto come l'arcivescovo Delpini (l'omelia per i funerali di Berlusconi andrebbe studiata nei seminari: un capolavoro retorico e pastorale, abile e non convenzionale) ad arrampicarsi sugli specchi per non tradire le aspettative statali in un Duomo gremito da persone per lo più non interessate ai riti religiosi? Forse è il momento, in un'Italia pluralista, di liberare la Chiesa da questo gravame culturale e liberare lo Stato da un incongruo retaggio.

Misure di sicurezza eccezionali per i funerali di Silvio Berlusconi. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 14 Giugno 2023 

Un imponente sistema di sicurezza. Controlli ai varchi di piazza Duomo, ingressi selezionatissimi per le autorità nella Cattedrale, tiratori scelti e bonifiche antiterrorismo

L’organizzazione dei funerali  di Stato di Silvio Berlusconi a Milano, che si terranno oggi mercoledì 14 giugno, prevede un piano di ordine pubblico senza precedenti per gestire innanzitutto la presenza di 32 esponenti governativi e di personalità politiche e diplomatiche in arrivo dall’estero.  La funzione sarà presieduta dall’arcivescovo della città monsignor Mario Delpini  che rientrerà soltanto poco prima da Gazzada, in provincia di Varese, dove da due giorni si trova per la riunione annuale del Consiglio episcopale milanese. Al momento non sono previsti, in chiesa, altri interventi di politici o famigliari. 

La lista dei partecipanti alle esequie, è ancora strettamente riservata, ma stanno trapelando i primi nomi. Oltre al commissario europeo Paolo Gentiloni, dovrebbero arrivare dall’estero il presidente ungherese Orban, il presidente iracheno Abdul Latif Rashid e forse anche l’emiro del Qatar, Hamad Al Thani. Ci saranno anche 32 esponenti del Governo e un numero imprecisato di senatori e deputati, oltre a ex ministri dei Governi di Berlusconi e molti sindaci di Forza Italia. 

Dentro alla cattedrale ci saranno solo 2.300 posti a sedere, anche se per altre occasioni istituzionali e religiose ci sono state fino a cinquemila persone sedute. Motivi di sicurezza hanno indotto la prefettura e il cerimoniale di Palazzo Chigi a ridurre notevolmente le presenze. Un contributo importante, vista la presenza di esponenti di primo piano del governo, arriverà anche dall’Aisi, i servizi segreti interni. 

In prefettura a Milano si sono svolte riunioni senza sosta, a cominciare dal Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza, presieduto dal prefetto Renato Saccone, con il questore Giuseppe Petronzi, il comandante provinciale dei carabinieri Iacopo Mannucci Benincasa e tutti i vertici delle forze di polizia, il Comune e la Protezione civile.

Questa notte verranno disposte le transenne per contenere la gente che potrà accedere alla piazza senza pass ma solo fino a esaurimento posti entrando da via Mazzini e da via Torino, oltre che da via Mercanti. Si prevede che gli operai e i tecnici saranno impegnati tutta la notte per allestire la piazza.

Una macchina organizzativa complessa si è attivata in pochissime ore e che prevede un piano “modulabile” anche in base alla presenza di capi di Stato stranieri. Il fine principale è quello di  garantire la sicurezza dell’area intorno al Duomo. Per questo saranno adottate le misure antiterrorismo già collaudate negli eventi di piazza più importanti con la presenza di equipaggi di Api, Sos dei carabinieri e Uopi della polizia addestrate per muoversi in scenari di alta sicurezza. Redazione CdG 1947

Tutta l'Italia si ferma per l'addio a Silvio: l'abbraccio del suo popolo. Cristina Bassi il 14 Giugno 2023 su Il Giornale.

Nella cattedrale le autorità siederanno a sinistra e i familiari a destra. Misure di sicurezza tra Linate e il Duomo. Ingressi contingentati, ma ci saranno due maxi-schermi

A Milano, in Duomo, ci saranno autorità e cittadini comuni, capi di Stato e giornalisti, il governo al completo e la famiglia. Per l’ultimo saluto a Silvio Berlusconi oggi arriveranno migliaia di persone. Un afflusso eccezionale, che comporterà una complessa gestione della logistica e imponenti misure di sicurezza.

La città si ferma, in silenzio, per i funerali di Stato dell’ex premier. E accoglie nel giorno del lutto nazionale tutta la politica riunita. L’agenda di governo è sospesa, così come restano chiuse quelle dei singoli ministri, sono rinviate le riunioni di partito. Alla Camera e al Senato le commissioni sono sconvocate, inoltre non ci saranno votazioni per tutta la settimana. Nella piazza del Duomo transennata dalle ore 10 la folla sarà governata con il protocollo collaudato dei concerti gratuiti. Nessun pass necessario, ma ingressi contingentati e limitati a circa 10mila e ai varchi controlli accurati delle forze dell’ordine con il metal detector. Si entrerà da via Mazzini, da via Torino e da via Mercanti. Ci saranno un’area riservata agli operatori tv e alla stampa e corridoi di sicurezza per i soccorsi. Nel pomeriggio di ieri si sono svolti i sopralluoghi con le delegazioni della Prefettura, della Questura, dei carabinieri, del Comune, della Diocesi, della Veneranda fabbrica del Duomo, di Palazzo Chigi e del Quirinale.

In mattinata in Prefettura al Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza l’assessore comunale Marco Granelli aveva spiegato: «Noi abbiamo proposto il sistema che utilizziamo di solito per i concerti. C’è stato un lavoro intenso coordinato da Palazzo Chigi e dalla Prefettura. Utilizzeremo l’esperienza ormai consolidata di tutto il rapporto tra Questura, Prefettura e polizia locale con il Comune, tutto supervisionato da Palazzo Chigi». Anche la viabilità subirà variazioni. Dalle ore 10 fino al tardo pomeriggio la stazione della metropolitana di Duomo sarà chiusa. Dalla stessa ora le linee di tram e autobus che attraversano il centro saranno deviate o rallentate. In piazza sono stati allestiti due maxi schermi che permetteranno al pubblico di seguire in diretta le esequie celebrate dall’arcivescovo di Milano, Mario Delpini. Le due strutture segneranno anche il limite oltre il quale non si potrà andare, a differenza di quanto accade per i concerti, quando la piazza è tutta disponibile e possono entrare fino a 20mila spettatori. L’inizio della funzione è fissato per le ore 15, l’ingresso in piazza sarà possibile fino a esaurimento dei posti. È prevedibile quindi che i cittadini cominceranno ad arrivare dalla mattina.

Per quanto riguarda l’interno della Cattedrale, la capienza sarà intorno alle 2.300 persone. Le presenze all’interno sono state ridotte rispetto alla reale capienza, per ragioni di sicurezza. Le autorità entreranno dal lato sud del Duomo. La famiglia di Berlusconi sarà seduta alla destra della navata centrale, guardando l’altare, mentre le personalità pubbliche saranno a sinistra.

Sempre per ragioni di sicurezza non sono stati diffusi tutti i nomi dei capi di Stato stranieri presenti. Confermati però il premier ungherese Viktor Orban, il presidente dell’Iraq Abdul Latif Rashid e l’emiro del Qatar Hamad bin Tamim Al Thani. Il feretro partirà da Arcore alle 13.30, affiancato da un corteo di auto, e alle 14.30 è previsto l’arrivo in piazza, dove sosterà alcuni minuti sul sagrato. Le autorità saranno fatte entrare in Duomo alle 14.45 e alle 14.50 entrerà la bara dal lato dell’Argentario. Per ultimo entrerà il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Le auto delle alte cariche si fermeranno in piazza Fontana, dove dalla mezzanotte è scattato il divieto di sosta. La polizia locale gestisce il traffico sulle strade che da Linate arrivano in centro. La sicurezza della piazza è l’aspetto più delicato. Le bonifiche anti terrorismo sono quelle previste per gli appuntamenti che vedono la partecipazione delle massime cariche dello Stato e anche degli esponenti dei governi stranieri, sono in campo i nuclei speciali delle forze dell’ordine e i servizi segreti. La giornata promette di essere piuttosto calda e anche le strutture di primo soccorso saranno allestite in vari punti con particolare attenzione.

Oltre agli agenti e ai carabinieri che presidieranno i varchi, ce ne saranno altri che sorveglieranno il perimetro esterno della piazza e i dintorni.

L’estremo saluto a Silvio Berlusconi sarà accompagnato dal coro della Cattedrale. Non è prevista dopo la cerimonia officiata dall’arcivescovo Delpini alcuna orazione funebre da parte di qualcuno tra familiari e amici. Tutta la funzione sarà trasmessa in diretta televisiva da Rai e Mediaset. Sarà Mediaset a fornire il segnale tv alle altre emittenti. Ieri le troupe esterne della tv pubblica e del gruppo fondato dall’ex premier hanno allestito tutte le attrezzature necessarie in collaborazione con i tecnici della Veneranda Fabbrica del Duomo. Ieri invece a Biella è stata celebrata da don Paolo Boffa Sandalina, vicario generale della Diocesi, una messa in ricordo di Berlusconi organizzata dal Coordinamento provinciale di Forza Italia.

L’ABBRACCIO Al centro, uno degli striscioni apparsi fuori da Villa San Martino, dove è stata portata la salma del Cavaliere dopo il decesso all’ospedale San Raffaele In basso, il ministro degli Esteri e coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani insieme all’ex sottosegretari o Gianni Letta ad Arcore Sotto la premier Giorgia Meloni al suo arrivo a villa San Martino.

Berlusconi, i funerali di Stato in Duomo. L’abbraccio commosso tra i cinque figli. La pagina del giornale: “Dolcissimo Papà”. Redazione su Il Riformista il 14 Giugno 2023 

Oggi è il giorno del lutto nazionale. Familiari e amici si sono ritrovati ad Arcore per dare l’ultimo saluto al Presidente. Nella cappella di villa San Martino ieri c’è stato l’abbraccio tra il fratello di Berlusconi, Paolo, e i cinque figli riuniti attorno al feretro. Un momento di profondo raccoglimento, riportato tra le pagine del Corsera, per salutare per l’ultima volta il Cavaliere che ha cambiato l’italia.

Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi. Tutti insieme, forti come non mai in un momento in cui devono andare avanti con le loro forze, in un momento in cui non hanno perso una guida oltre che un padre. Un senso di unità che hanno comunicato sulle pagine dei principali quotidiani. La pagina acquistata su Il Riformista nella quale si rivolgono al «Dolcissimo papà», e gli dicono: «Grazie per la vita. Grazie per l’amore. Vivrai sempre dentro di noi». Firmato semplicemente Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora, Luigi, sopra una foto di Berlusconi di profilo, sorridente.

Telecamere, fotografi e la folla di cittadini e istituzioni. È tutto pronto in piazza Duomo a Milano per rendergli il doveroso omaggio. I figli, uniti come voleva il padre, siederanno nelle panche sulla destra nella navata centrale del Duomo. Per il Cavaliere sono previsti lutto nazionale e funerali di Stato. Come ha confermato la curia di Milano, le esequie saranno presiedute da Mario Delpini, arcivescovo del capoluogo lombardo e vedranno la partecipazione del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.

Funerali di Stato

A differenza delle esequie solenni, a cui partecipano le massime cariche istituzionali ma che non sono finanziate dal Governo, i funerali di Stato prevedono entrambi i punti, secondo la legge n. 36 del 7 febbraio 1987. Tra le spese a carico dello Stato figurano non solo l’organizzazione del rito funebre ma anche il trasporto della salma e la sua sepoltura.

Normalmente, le esequie di questo tipo sono riservate, e anzi obbligatorie – salvo diverse indicazioni dalla famiglia – per il presidente della Repubblica, del Senato, della Camera dei deputati, del Consiglio dei Ministri della Corte costituzionale.

Per queste cariche, i funerali di Stato sono previsti in qualsiasi circostanza, sia che siano ancora in carica che se la scomparsa avvenga successivamente al loro mandato. Tra coloro ai quali Palazzo Chigi paga le esequie rientrano anche i ministri della Repubblica, ma solo se sono in carica al momento del decesso. 

Il cerimoniale

Le norme scandiscono i momenti e i gesti della cerimonia, e dispongono indicazioni sul dress code dei partecipanti, sulle onorificenze, sull’allestimento della camera ardente e sull’esposizione della bandiera nazionale.

In tema di vestiario, abiti scuri o neri sono previsti sia per gli uomini sia per le donne, con l’aggiunta di qualche accorgimento in più nel caso di funerali di presidenti o ex presidenti della Repubblica. In questa circostanza, agli uomini è richiesto di indossare la cravatta nera lunga e, a volte, anche frac e gilet nero, insieme con l’onorificenza a forma di rosetta. Per le donne, invece, obbligo di abito nero lungo con onorificenza a forma di spilla e velo nero a coprire il viso. Militari e appartenenti a corpi armati, infine, indosseranno in ogni caso la divisa, seguendo le indicazioni dei dipartimenti di appartenenza.

La camera ardente in genere deve essere chiusa all’accesso dei cittadini entro un’ora dal tramonto e può essere allestita anche nelle sedi degli organi a cui il defunto apparteneva. Nel caso specifico di Berlusconi, tuttavia, non è stata allestita alcuna camera ardente, per garantire l’ordine e la sicurezza pubblica e la bandiera del Paese non avvolgerà la sua bara.

Quest’ultima, infatti, è un plus che si riserva a presidenti o ex presidenti della Repubblica, militari o dipendenti pubblici caduti per la Patria, vittime di azioni terroristiche o di attentati della criminalità organizzata e Medaglie d’oro al Valore militare.

Gli onori militari al feretro all’ingresso e all’uscita della Cattedrale milanese; la presenza di un rappresentante del Governo, in questo caso lo stesso presidente Mattarella, con una corona in posizione di rilievo rispetto alle altre; un’orazione commemorativa ufficiale.

La proclamazione del governo. Funerali di Stato e lutto nazionale per Berlusconi: cosa sono, come funzionano e le polemiche. Per la prima volta proclamato il lutto nazionale per un ex Presidente del Consiglio. La decisione del governo Meloni. Redazione Web su L'Unità il 13 Giugno 2023 

Per la prima volta nella storia della Repubblica italiana per i funerali di un ex Presidente del Consiglio – soltanto Presidente del Consiglio – è stato proclamato il lutto nazionale. Si terranno domani, al Duomo di Milano, le esequie dell’ex premier Silvio Berlusconi, morto ieri all’Ospedale San Raffaele di Milano dov’era stato ricoverato venerdì scorso. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano ha proclamato il lutto nazionale. Dal 12 al 14 giugno “saranno esposte a mezz’asta la bandiera italiana e quella dell’Unione Europea sugli edifici pubblici dell’intero territorio nazionale e sulle sedi delle rappresentanze diplomatiche e consolari italiane all’estero”.

Lutto nazionale e funerali di Stato sono due cose diverse. La legge italiana prevede che funerali di Stato vengano disposti alla morte di tutti gli ex capi di governo. Sono regolati dalla legge n.36 del 7 febbraio 1987. All’articolo 1 si legge che “sono a carico dello Stato le spese per i funerali del presidente della Repubblica, del presidente del Senato, del presidente della Camera dei deputati, del presidente del Consiglio dei ministri e del presidente della Corte costituzionale, sia che il decesso avvenga durante la permanenza in carica, sia che avvenga dopo la cessazione della stessa”. A occuparsi della cerimonia è un apposito ufficio di Palazzo Chigi. “Si intendono comprese, oltre quelle per i funerali, anche quelle di trasporto e sepoltura della salma, con il medesimo decreto con cui si assumono a carico dello Stato le spese stesse viene determinato il limite massimo delle spese da sostenere”.

Il mausoleo di Berlusconi ad Arcore, la storia della “Volta celeste” destinata al Cavaliere (e 36 familiari e fedelissimi)

Un preciso cerimoniale accompagna le esequie – il procedimento prevede che il feretro venga scortato da sei carabinieri in alta uniforme e che gli vengano riservati onori militari all’ingresso e all’uscita della cerimonia. La legge del 1987 prevede che i funerali di Stato possano essere concessi su indicazione del governo anche a “personalità che abbiano reso particolari servizi alla Patria, nonché di cittadini italiani e stranieri o di apolidi che abbiano illustrato la Nazione italiana nel campo delle scienze, delle lettere, delle arti, del lavoro, dell’economia, dello sport e di attività sociali”. La maggior parte degli ex premier in passato ha preferito funerali in forma privata. Gli unici ad avere funerali di Stato prima di Berlusconi erano stati Giovanni Spadolini, Amintore Fanfani e Giovanni Leone.

Il governo di centrodestra guidato dalla premier Giorgia Meloni ha deciso in questo caso che il giorno dei funerali sarà proclamato anche lutto nazionale. Il lutto nazionale non è normato da una legge precisa ma viene disposto di volta in volta a discrezione del governo. Si legge in una circolare dell’esecutivo del 2022 che il lutto nazionale prevede l’esposizione a mezz’asta delle bandiere sugli edifici pubblici e l’aggiunta di due strisce di velo nero sulle bandiere esposte all’interno. Le autorità pubbliche, nei giorni di lutto, devono astenersi da impegni sociali con l’eccezione di iniziative benefiche. Al lutto nazionale si ricorre in casi di particolari gravità – come disastri naturali, come le alluvioni in Emilia Romagna, episodi tragici, come il crollo del Ponte Morandi a Genova – , per la morte di personaggi particolarmente importanti come Presidenti della Repubblica e Papi.

Non era mai successo per un ex premier – Berlusconi è stato Presidente del Consiglio per quattro volte. Era successo soltanto nei casi di Carlo Azeglio Ciampi e Giovanni Leone, che però erano stati anche Presidenti della Repubblica. Gli ultimi funerali di Stato che si erano svolti presso il Duomo di Milano erano stati per il cardinale Dionigi Tettamanzi, nel 2017. Precedentemente quelli del cardinale Carlo Maria Martini, del conduttore Mike Bongiorno e della poetessa Alda Merini. Sui social le espressioni “lutto nazionale” e “funerale di Stato” sono tra le più ricercate e dibattute nelle ultime ore. Come ogni cosa abbia riguardato Berlusconi, si è innescato un confronto divisivo. C’è chi pensa che le cerimonie non siano opportune di un uomo condannato in via definitiva – una sola volta in trent’anni di processi -, chi sostiene si tratti di uno “schiaffo a Falcone e Borsellino”, chi lo descrive uno scandalo per “un massone condannato in via definitiva e interdetto dai pubblici uffici”. Redazione Web 13 Giugno 2023

Berlusconi, ai funerali Mattarella, Meloni e leader di mezzo mondo. Polemica sul lutto nazionale. Il Tempo il 13 giugno 2023

Il Capo dello Stato Sergio Mattarella, il presidente del Consiglio Giorgia Meloni con il governo al gran completo, ex premier, leader di partito, presidenti di Regione, e poi rappresentanti della finanza, dello sport e dello spettacolo. Istituzioni, politica italiana e internazionale, mondo imprenditoriale e dello showbusiness saranno presenti a Milano per l'ultimo saluto a Silvio Berlusconi. I funerali di Stato del leader di Forza Italia, morto lunedì a 86 anni all'ospedale San Raffaele, saranno presieduti dall'arcivescovo metropolita di Milano monsignor Mario Delpini e cominceranno alle ore 15 nel Duomo. Tra i partecipanti non mancheranno gli ex premier Mario Monti, Mario Draghi e Matteo Renzi, mentre non ci sarà Romano Prodi a causa dell'improvvisa scomparsa della moglie Flavia Franzoni. La Commissione europea sarà rappresentata dal commissario agli Affari economici, Paolo Gentiloni.

Oltre a governo ed esponenti della maggioranza, poi, hanno confermato la propria presenza anche il leader di Azione, Carlo Calenda, e la segretaria del Partito democratico, Elly Schlein. Quest'ultima sarà al Duomo assieme ai capigruppo dem di Camera e Senato, Chiara Braga e Francesco Boccia. Per il Pd parteciperà alle esequie dell'ex premier, morto ieri all'ospedale San Raffaele, anche il segretario regionale Vinicio Peluffo. Non ci sarà invece il presidente del Movimento 5 Stelle, Giuseppe Conte, né i rappresentanti dell'alleanza Verdi-Sinistra: Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni hanno infatti deciso di non prendere parte alle esequie dell'ex premier, nonostante proprio nel capoluogo lombardo inizierà la festa di Sinistra italiana 'Ambientale è sociale'. 

Nella giornata di celebrazione delle esequie di Stato il governo ha dichiarato il lutto nazionale. Scelta però non condivisa da Rosy Bindi. "I funerali di Stato sono previsti ed è giusto che ci siano, il lutto nazionale per una persona divisiva com'è stato Berlusconi secondo me non è una scelta opportuna - le parole dell'ex parlamentare del Pd -. Penso che il lutto nazionale si debba riservare a persone che hanno unito il Paese, non che lo hanno diviso. Poi il Parlamento che si ferma, siamo in una fase di santificazione che credo non faccia bene all'Italia, il berlusconismo va elaborato".

Berlusconi, lutto e stop ai lavori di Camera e Senato: politica paralizzata. Il Tempo il 13 giugno 2023

La politica si ferma per ricordare Silvio Berlusconi. La scomparsa del leader di Forza Italia ha comportato, ieri, anche l’immediata interruzione dei lavori parlamentari, che rimarranno sospesi per alcuni giorni, con differenze tra Camera e Senato, e lo stop alle agende politiche, con la sola eccezione del Comitato di Forza Italia, riunito per l’approvazione del bilancio. Per quanto riguarda il Pd, al momento non è stata riconvocata la direzione nazionale, annullata ieri. A Montecitorio la ripresa in Aula è prevista per giovedì, mentre a Palazzo Madama fino a lunedì prossimo, a una settimana dalla morte del leader di FI, che era anche senatore, non si tornerà nell’emiciclo. Il nuovo calendario è stato messo a punto questa mattina dalle conferenze dei capigruppo dei due rami del Parlamento. In entrambi si terrà anche una commemorazione per Berlusconi, i cui funerali di Stato sono in programma domani alle 15 al Duomo di Milano. 

Al Senato, il presidente, Ignazio La Russa, ha annunciato che la cerimonia si terrà martedì 20 alle 15, mentre alla Camera non è stata al momento definita la data. A Montecitorio restano dunque sospesi ancora per domani, giorno dei funerali del Cav, i lavori d’Aula, che riprenderanno giovedì alle 12 con la discussione generale delle mozioni sulle pensioni minime, saltata ieri. Sono poi confermate venerdì alle 9.30 le interpellanze urgenti. Tutto il resto slitta alla prossima settimana: lunedì 19 è prevista la discussione generale sulla pdl su prevenzione e contrasto a bullismo e cyberbullismo e la discussione generale sulla perseguibilità del reato di surrogazione di maternità. Martedì 20 alle 11 sono in programma interpellanze e interrogazioni, poi il seguito dell’esame delle mozioni sul Pnrr, a seguire l’esame delle mozioni sulla pdl per il voto dei fuorisede. In seguito l’esame delle mozioni sulle pensioni minime. Infine seguito dell’esame della pdl sull’istituzione della Commissione Covid e seguito dell’esame della pdl sulla maternità surrogata. Dalle 19 è prevista la discussione generale sul decreto Enti pubblici, che poi proseguirà mercoledì. Martedì verrà anche recuperata la votazione per l’elezione dei due nuovi segretari di presidenza, che si sarebbe dovuta tenere domani. Venerdì 23 alle 9.30 è invece in programma la discussione generale sul Dl Lavoro. Nella stessa giornata la discussione generale sulla pdl sul salario minimo. 

In Senato, dove giovedì riprenderà solo il lavoro di alcune commissioni, si tornerà in Aula lunedì 19 giugno, al mattino, con la discussione generale sul decreto sulla Pubblica amministrazione, già approvato dalla Camera e in scadenza il 21 giugno. Si va verso la fiducia, il cui voto potrebbe tenersi nella mattinata di martedì 20. Sempre martedì arriverà in Aula il decreto Lavoro, al termine della commemorazione per Berlusconi, mentre il voto dovrebbe tenersi l’indomani, mercoledì 21.

Berlusconi, “esagerazione e fatto improprio”. Giannini imbufalito per il lutto nazionale. Il Tempo il 13 giugno 2023

È giusto o è troppo il lutto nazionale per Silvio Berlusconi? È questa la domanda con cui Giovanni Floris, conduttore di DiMartedì, apre l’intervista a Massimo Giannini, direttore de La Stampa, ospite nella puntata del 13 giugno del talk show serale di La7. “La pietas umana che si deve nei confronti di Berlusconi l’abbiamo espressa tutti in queste ore, ed è ovvia, logica e giusta. Dopo di che, se passiamo ad una valutazione più politica e pensiamo in quali altre circostanze in passato il lutto nazionale è stato decretato nei confronti di grandi personaggi della Repubblica, allora verifichiamo che questo è accaduto nel caso di ex presidenti del Consiglio solo in due circorstanze, una per Giovanni Leone e l’altra per Carlo Azeglio Ciampi, che erano stati anche presidenti della Repubblica ” metti in evidenza il giornalista. 

Giannini poi continua: “In questa occasione io dico che i funerali di Stato ci stanno, Berlusconi è  stato un protagonista della politica italiana ed ha ricoperto per tre volte il ruolo di premier, ma il lutto nazionale mi sembra francamente un’esagerazione. Non si può dimenticare che dal punto di vista politico è stato un personaggio importante, ma è stato forse il più controverso degli ultimi trent'anni. È un personaggio che divide politicamente il Paese. Il lutto nazionale mi sembra assolutamente improprio, non è stato decretato per l’assassinio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Un po' di misura ecco…”. 

Berlusconi, Augias: "Lutto nazionale non va bene". Redazione Adnkronos 13 giugno 2023

"Capisco i funerali di Stato per un ex presidente del Consiglio. Ma il lutto nazionale per un leader politico" come Silvio Berlusconi "che è stato così profondamente divisivo, volutamente divisivo, aggressivamente divisivo, non va bene". Sono le parole con cui Corrado Augias, a Di Martedì, commenta la decisione di proclamare il lutto nazionale per Silvio Berlusconi, morto ieri all'età di 86 anni. "Scompare una parte di storia di ognuno di noi, non c'è dubbio. Nessun leader che io ricordi è durato 30 anni e ha inciso così profondamente sul costume più che sulla politica", aggiunge.

Bonino: "Eccessivo e fuori luogo bloccare i lavori in Parlamento per Berlusconi". Giovanna Casadio  su La Repubblica il 14 Giugno 2023  

La leader di +Europa: "Erano sufficienti i funerali di Stato, l'enfasi della destra punta a ereditare il consenso. La riforma della giustizia? Vedremo cosa ci sarà"

"Bloccare Camera, Senato e la politica per una settimana è un eccesso, una cosa fuori luogo. La destra vuole anche celebrare se stessa. Un giorno bastava, d'altra parte anche a Mediaset si lavora e si va in onda". Emma Bonino, ex ministra degli Esteri ed ex commissaria Ue, leader di +Europa, invita alla misura. È preoccupata da garantista per la riforma

Dagospia il 13 giugno 2023. Da “Un Giorno da Pecora” – Rai Radio1

“I funerali di Stato sono previsti ed è giusto che ci siano ma il lutto nazionale per una persona divisiva com’è stato Berlusconi secondo me non è una scelta opportuna”. A dirlo, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, è Rosy Bindi, ex ministra ed esponente del Partito Democratico. 

La volta in cui Berlusconi mi disse in tv 'lei è più bella che intelligente'? “Io gli risposi 'non sono una donna a sua disposizione’. Fu una reazione non pensata, sono parole che escono perché le hai dentro. Dopo quella volta non ho mai fatto pace né ho parlato di nuovo con Berlusconi, lui non mi ha mai più chiesto scusa ma io non ho rimpianti: non so se quelle scuse le avrei accettate”.

A dirlo, ospite di Un Giorno da Pecora, su Rai Radio1, è Rosy Bindi, ex ministra ed esponente del Partito Democratico. Come si vive la scomparsa di un avversario politico? "In questo momento siamo nella fase della santificazione a parte qualche eccezione e questo non va bene. I conti col berlusconismo non sono stati fatti quando era vivo spero che verranno fatti ora.

Berlusconi - ha proseguito a Un Giorno da Pecora Bindi - non è stato solo un politico, ha fatto l'imprenditore in un certo modo, porta con sé tanti misteri e non riesco ad esaltarlo nelle sue capacità imprenditoriali". Come mai? "Se non avesse avuto la protezione della politica non sarebbe stato un grande imprenditore".

Il "lutto nazionale è del tutto inusuale e inappropriato". Berlusconi santo o satana, la gara a chi la spara più grossa: dal rettore Montanari al Fatto di Travaglio, passando per la Bindi. Phil su Il Riformista il 13 Giugno 2023 

Il campione di questa triste contesa a chi la spara più grossa, è ancora una volta lo storico dell’arte fiorentino, Tomaso Montanari. In qualità di Rettore dell’Università per stranieri di Siena, Montanari ha deciso autonomamente di non mettere le bandiere a mezz’asta per la morte dell’ex presidente del consiglio, con una spiegazione che riassume in pillole decenni di idiosincrasia della sinistra intellettuale verso il fondatore della Tv commerciale. “È vero che Berlusconi ha segnato la storia, ma lo ha fatto lasciando il mondo e l’Italia assai peggiori di come li aveva trovati”, ha scritto il rettore ai docenti, come fosse titolato anche ad assegnare pagelle morali e giudizi definitivi. Come minimo, lo storico dell’arte deve avere una grandissima considerazione di se e del suo ruolo.

Dietro di lui, per il secondo giorno di seguito (continueranno almeno per un mese) la redazione del Fatto Quotidiano: imputato seriale, pregiudicato, con lui la Repubblica delle Banane, per anni ha finanziato Cosa Nostra, i titoli che oggi ci regala il quotidiano di Marco Travaglio. Una riedizione dello stesso livore che il giornalista riservò a Bettino Craxi. In questa macabra galleria, non poteva mancare Vauro, ‘Entri l’imputato’, ‘Veramente avrei l’uveite’, risponde Silvio davanti al giudizio divino. Oggi nella categoria new entry, rientra una vecchia conoscenza, quella Rosy Bindi che tante volte si è esercitata con polemiche violentissime contro Berlusconi, costruendoci di fatto la sua carriera di indomita guerriera.

Ha detto la Bindi ad Un giorno da pecora: ‘il lutto nazionale per una persona divisiva com’è stato Berlusconi secondo me non è una scelta opportuna’. Polemiche che evidentemente non si fermano neanche dopo la morte del ‘nemico’. Si dirà sfottò prevedibili, limitati a qualche estremista della politica, ed è anche vero, ma come al solito sono i social a far esplodere la cloaca delle offese gratuite, dei dileggi, dei giudizi sommari, comunque inappropriati a poche ore dalla morte del leader politico. E se da una parte si può giudicare come intensa la testimonianza di Romano Prodi sull’avversario di sempre oggi sulla stampa, non altrettanto si può dire di alcune reazioni politiche nettamente più scomposte.

A Genova, ieri pomeriggio, durante il minuto di silenzio del Consiglio Municipale congiunto tra il Municipio Centro Ovest e il Municipio Polcevera, i consiglieri Pd e del M5S vedono bene di abbandonare l’aula per protesta. Poco più a sud, a Sesto Fiorentino, alle porte di Firenze, il sindaco Lorenzo Falci (sinistra di Fratoianni) annunciando misure ridotte del suo Comune nel giorno del funerale di Stato, si improvvisa storico e giudice: ‘la decisione della Presidenza del Consiglio dei Ministri in merito all’indizione del lutto nazionale è del tutto inusuale e inappropriata, frutto di valutazioni squisitamente politiche’.

Eccessi che riguardano una parte e l’altra, gli ultraberlusconiani come gli eterni detrattori, che continuano a rendere impossibile una valutazione oggettiva della lunga stagione del Cavaliere e dei cambiamenti positivi e negativi che ha introdotto. Inutile, Silvio deve essere a tutti costi Santo o Satana. Phil

Lutto nazionale e Camere ferme per Silvio Berlusconi, scoppia la polemica. «Una scelta inopportuna». Critiche dal centro-sinistra, dubbi dai politologi. È la prima volta che viene deciso per un ex premier. E per Camera e Senato un stop senza precedenti. Simone Alliva su L'Espresso il 14 Giugno 2023 

Davanti alla morte di Silvio Berlusconi il potere si ferma e non solo. All’indomani della scomparsa del leader di Forza Italia ed ex presidente del Consiglio, si sono bloccati i lavori delle commissioni parlamentari sia alla Camera che al Senato. Tutte le commissioni del Senato, e la maggior parte di quelle della Camera (ma non tutte), sono state sconvocate anche per la giornata di domani, quando si terranno i funerali di Stato, a Milano, giorno in cui è stato indetto il lutto nazionale.

Ed è proprio il lutto nazionale a suscitare polemiche e critiche. 

L'Università per Stranieri di Siena (l'UniStraSi) non esporrà le bandiere a mezz'asta per la morte di Silvio Berlusconi. Lo ha deciso il rettore, Tomaso Montanari, professore ordinario di Storia dell'arte moderna: «Nonostante che la Presidenza del Consiglio abbia disposto le bandiere a mezz'asta su tutti gli edifici pubblici da oggi a mercoledì (giorno dei funerali di Stato e lutto nazionale), mi assumo personalmente la responsabilità di disporre che le bandiere di Unistrasi non scendano. Ognuno obbedisce infine alla propria coscienza e una università che si inchini a una storia come quella non è una università», dice.

Nel Partito Democratico è il senatore Andrea Crisanti il primo non risparmiare critiche. «Non posso non esprimere la mia ferma contrarietà ai funerali di Stato, che ritengo inopportuni, così come al lutto nazionale per il nostro ex presidente del Consiglio. Berlusconi è stato un uomo politico che ha ricoperto importanti ruoli istituzionali e condizionato la vita politica dell'Italia. Ma non dobbiamo dimenticare che alcune sue azioni non hanno avuto alcun rispetto per lo Stato che rappresentava». 

Dello stesso parere Rosy Bindi: «I funerali di Stato sono previsti ed è giusto che ci siano ma il lutto nazionale per una persona divisiva com'è stato Berlusconi secondo me non è una scelta opportuna», ha dichiarato l’ex ministra ed esponente del Partito Democratico.

L’inedito, mai concesso negli ultimi 30 anni a nessun presidente del Consiglio a parte Leone e Ciampi che furono presidenti della Repubblica apre la discussione anche tra giuristi e politologi: «Non c'è giurisprudenza di riferimento. Sono decisioni politico-amministrative. Non starei ad enfatizzare troppo», ha commentato Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale. «Si tratta della morte di un ex premier per molti anni, discusso come possono essere molti. Non mi sembra tema su cui polemizzare. I funerali di Stato sono previsti normalmente dal protocollo, oltre a questo c'è il lutto nazionale, altra modalità di riconoscimento in questo caso collegato alla funzione a lungo esercitata da Berlusconi. Anche se il giudizio sulla persona e l'attività politica svolta può essere il più vario» e conclude «Difficile dire se è stata una scelta inopportuna: il Paese è sempre stato diviso fra forti sostenitori e oppositori. Non saprei esprimere un giudizio su questo punto, il lutto nazionale è una scelta di tipo politico amministrativo». Si dice «Sorpreso” il politologo Roberto D'Alimonte professore universitario presso la Luiss di Roma: «Non mi risulta che sia mai stato proclamato negli ultimi 30 anni o forse più, nel caso di un ex presidente del Consiglio. Lo si fa adesso per un personaggio che ha certamente segnato un'era, ma che è stato anche una figura molto controversa. Mi farebbe piacere sapere le ragioni di chi ha preso questa decisione». 

Cosa dice la Costituzione su funerali di Stato e Lutto nazionale?

I funerali di Stato sono riservati ai presidenti degli organismi costituzionali, agli ex presidenti della Repubblica e agli ex premier, ai ministri deceduti durante la loro permanenza in carica nonché alle persone che hanno reso onore alla nazione, alle vittime del terrorismo.Sono regolati dalla legge n. 36 del 7 febbraio 1987, che all'articolo 1 prevede che "sono a carico dello Stato le spese per i funerali del presidente della Repubblica, del presidente del Senato, del presidente della Camera dei deputati, del presidente del Consiglio dei ministri e del presidente della Corte costituzionale, sia che il decesso avvenga durante la permanenza in carica, sia che avvenga dopo la cessazione della stessa. A decidere è comunque un ufficio della presidenza del Consiglio che gestisce il cerimoniale di Stato.

I funerali di Stato prevedono la presenza di 6 carabinieri in alta uniforme che riservano al feretro in entrata e in uscita dalla chiesa gli onori militari. Così come è prevista una orazione commemorativa ufficiale. Anche il lutto nazionale è deciso dal cerimoniale di Stato in base alle leggi vigenti che riconoscono anche per gli ex presidenti del Consiglio e gli ex presidenti della Repubblica la possibilità di proclamarlo.

In ogni caso, con Silvio Berlusconi è la prima volta che viene deciso il lutto nazionale per un ex premier. Il giorno di lutto nazionale prevede le bandiere a mezz'asta sulle facciate di tutti gli edifici pubblici e due strisce di velo nero per le bandiere interne. Durante il giorno di lutto gli esponenti del governo sono obbligati a cancellare gli impegni pubblici mentre c'è la possibilità per i negozi di decidere di tenere abbassate le serrande per tutta la giornata.

Il lutto per Berlusconi blocca l’Italia. La destra congela le istituzioni. GIULIA MERLO su Il Domani il 13 giugno 2023

Funerali di Stato, tre giorni di lutto nazionale e stop alle camere: Meloni sospende i lavori per onorare il Cavaliere. Polemiche per la decisione: nemmeno Falcone e Borsellino hanno avuto un omaggio simile. Tensione in FI

La morte di Silvio Berlusconi ha congelato l’Italia, almeno quella istituzionale. Mercoledì alle 15 il Duomo della sua città, Milano, ospiterà il funerale del leader di Forza Italia: 2mila persone dentro la chiesa – tra cui Giorgia Meloni, Matteo Salvini e 32 esponenti del governo oltre al capo dello Stato Sergio Mattarella – 20mila attese in piazza. Come previsto dal protocollo per i funerali di Stato, celebrerà l'arcivescovo Mario Delpini e scorteranno il feretro sei carabinieri in alta uniforme, con gli onori militari all’ingresso e all’uscita.

Anche nel ricordo di Berlusconi, però, il governo ha scelto la stonatura: le esequie ufficiali non sono sembrate sufficienti a omaggiare l’ex premier. E allora ecco la proclamazione di tre giorni di lutto nazionale, dal 12 al 14 giugno. Nove in meno di quelli tributati nel Regno Unito alla regina Elisabetta, ma mai concessi a nessun ex presidente del Consiglio italiano e nemmeno dopo le stragi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Un eccesso di zelo che è già un unicum nella storia della repubblica: negli ultimi trent’anni era accaduto solo per Giovanni Leone e Carlo Azeglio Ciampi, che però erano anche ex presidenti della Repubblica. «Inopportuno» secondo il Pd, visto anche il profilo controverso del Cav, ma tant’è. Via tutto: agende dei ministri e anche visite diplomatiche già organizzate, in ossequio ad una celebrazione a reti unificate che supera ogni prassi. 

CAMERA E SENATO

Nulla è sembrato fuori luogo ad una maggioranza evidentemente sotto shock. Camera e Senato sono andate anche oltre: troppo poco il classico minuto di silenzio, si è scelta l’immediata interruzione dei lavori parlamentari, con un cambio di calendario senza precedenti per il parlamento. A Montecitorio l’aula tornerà a riunirsi venerdì e a palazzo Madama addirittura lunedì prossimo. Con il rischio di arrivare con tempi strettissimi alla conversione del decreto sulla Pubblica amministrazione – che contiene le controverse norme che limitano la Corte dei conti – in scadenza il 21 giugno. In entrambe le camere, poi, si terrà anche una ulteriore commemorazione.

La reazione fuori dalle righe, pur nel lutto per una comunità politica, lascia intuire come la scomparsa del Cavaliere – attesa ma improvvisa – abbia colto tutti impreparati. Anche se si tenta di ibernarla, infatti, la politica non si ferma e va trovata una nuova geometria di governo.

Sebbene tutti - dalla premier a Matteo Salvini fino al facente funzioni Antonio Tajani – continuino a ripetere che nulla cambierà, il futuro è lastricato di incognite: Forza Italia era il cuscinetto moderato che serviva da foglia di fico per continuare a definirsi centrodestra anche in Ue e in vista delle elezioni europee, Berlusconi era padre putativo e mediatore tra Salvini e Meloni, entrambi cresciuti alla sua ombra. Crollato uno dei pilastri, le fondamenta del castello traballano.

«Forza Italia potrà continuare formalmente, ma senza leader...», dice una fonte azzurra, convinta che senza il fondatore il partito si trasformerà in un tempio pieno di mercanti. Chi pronto a traghettarsi nella Lega, chi a bussare alla porta di Fratelli d’Italia, che pure Meloni avrebbe già chiuso. Nessuno si muove, almeno per i prossimi mesi, sarebbe l’indicazione della premier.

L’UNICA A MUOVERSI

Invece, l’unica a muoversi in questo momento è Forza Italia, dove le trombe che annunciano la guerra hanno già iniziato a squillare. Il lutto nazionale ha azzerato le agende ma non ha impedito ai vertici del partito ancora sotto shock di convocare un ufficio di presidenza assolutamente inatteso. All’ordine del giorno l’approvazione del rendiconto di esercizio 2022 (l’avanzo di un milione, ma un credito di 90 milioni con il defunto leader e dunque ora con gli ereti), a cui è stata aggiunta improvvisamente anche la ratifica delle «recenti nomine effettuate dal presidente».

Vale a dire, il colpo di mano di Marta Fascina che ha piazzato i suoi fedelissimi in alcuni incarichi ciave, spazzando via l’ex fedelissima Licia Ronzulli. Tutto approvato all’unanimità e senza interventi col ricordo ancora fresco di Berlusconi, ma che ha già provocato i primi veleni. La mossa, infatti, ha irritato – inascoltata – la minoranza e molti esponenti, tutti formalmente chiusi nel silenzio luttuoso, hanno parlato di «stupore» per una scelta che esacerba gli animi.

Considerata inutile, per altro, visto che l’unica certezza è che il futuro del partito è nelle mani della primogenita Marina Berlusconi. Anche il ruolo di Marta Fascina è legato a questo: la sua crescente influenza interna era dovuta al riflesso del Cav, ora che è venuto meno nessun generale intende più piegarsi a meno che su di lei non cali l’imprimatur della famiglia, e anche in quel caso non sarebbe così semplice.

Intanto un primo segnale sugli equilibri arriverà, come per la morte di ogni monarca assoluto, dalle immagini del funerale: chi siederà dove e quanto vicino al feretro.

GIULIA MERLO. Mi occupo di giustizia e di politica. Vengo dal quotidiano il Dubbio, ho lavorato alla Stampa.it e al Fatto Quotidiano. Prima ho fatto l’avvocato.

Berlusconi, lutto nazionale. Come rosicano Rosy Bindi&co. L’odio della sinistra si scaglia anche contro i funerali di Stato per Berlusconi e la scelta di congelare i lavori parlamentari per 7 giorni. Matteo Milanesi su Nicola Porro.it

Quando si parla di anti-berlusconismo, potremmo definire almeno due categorie differenti, entrambe manifestatesi sia prima che dopo la tragica notizia di ieri, ovvero quella della morte del Cavaliere. La prima, quella dei leali avversari, che ha conosciuto al suo interno sia personalità del mondo politico (Matteo Renzi e Massimo D’Alema, per esempio), che di quello giornalistico (Michele Santoro, su tutti). Dall’altra, invece, ci sono i falchi, sia della prima che della seconda ora, quelli che anche da morto non disertano le loro posizioni ideologiche: Berlusconi non era il semplice avversario, era il nemico da abbattere.

L’odio contro Berlusconi

Se nella prima categoria, Renzi e D’Alema – nella puntata speciale di due giorni fa di Porta a Porta – ricordavano piacevolmente la figura del Cavaliere, nei suoi pregi e nei suoi difetti, riconoscendo con onestà intellettuale la “persecuzione” della magistratura nei suoi confronti; nella seconda categoria, invece, si posizionano senza alcuno dubbio i Vauro, i Travaglio, i Montanari, fino ad arrivare ai Fratoianni ed alle Rosy Bindi.

Ebbene sì, poche ore dopo la notizia della scomparsa del Cavaliere, il comunista Vauro se ne usciva con una vignetta da brividi, dove veniva raffigurato una persona dubbiosa con la scritta: “Berlusconi è morto, ma non sono sempre i migliori che se ne vanno?”. Tanto per cambiare, si è aggiunto anche il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, il cui giornale aveva già etichettato B. come l’uomo che finanziò Cosa Nostra, fino a definire il suo ricordo come una “imbarazzante beatificazione”.

Eppure, non finisce qui. Al circo si sono aggiunti rispettivamente: Rosy Bindi, Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni e la deputata del Partito Democratico, Alessandra Moretti. Il leader pentastellato ha dichiarato che non parteciperà ai funerali dell’ex fondatore di Forza Italia, fissati oggi alle 15 in Piazza Duomo a Milano, seguito anche dal leader di Sinistra Italiana, che ha etichettato come “eccessiva” la scelta di dichiarare il lutto nazionale.

“Funerali di Stato inopportuni”

Per la deputata Moretti, invece, è “davvero esagerato il congelamento dei lavori parlamentari per 7 giorni”, specificando: “Credo che gli italiani facciano fatica a comprendere tale scelta, tanto più visto che ci sono molti dossier in attesa di risposte urgenti, primo tra tutti il Pnrr”. A schiena dritta anche Rosy Bindi, la quale invece condivide i funerali di Stato, ma non il lutto nazionale. Tranchant su ambo i lato, invece, il microbiologo Andrea Crisanti, ora in forza Pd: “Non posso esprimere la mia ferma contrarietà ai funerali di Stato, che ritengo inopportuni, così come il lutto nazionale per il nostro ex Presidente del Consiglio”.

Peccato che i funerali di Stato siano previsti come da protocollo per qualsiasi personalità che abbia esercitato un’alta carica. Nella fattispecie, stiamo parlando del quattro volte premier e del capo di governo che per più lungo tempo ha ricoperto la posizione. Ma si sa, quando l’avversario viene trattato come nemico, l’odio cieco non si ferma neanche dinanzi al ricordo. E Berlusconi, sia da vivo che da morto, li farà impazzire ancora per tanto tempo. Matteo Milanesi, 14 giugno 2023

Funerali di Stato. Il livore finale contro il leader che ha battezzato un pezzo di storia. Francesco Maria Del Vigo il 14 Giugno 2023 su Il Giornale.

Pochi, pochissimi. Ma come al solito sguaiati e chiassosi. Un baccano che potrebbe anche essere un trascurabile rumore di fondo, ma che viene amplificato dal silenzio e dall'abbraccio, questa volta sì maggioritario, degli italiani

Pochi, pochissimi. Ma come al solito sguaiati e chiassosi. Un baccano che potrebbe anche essere un trascurabile rumore di fondo, ma che viene amplificato dal silenzio e dall'abbraccio, questa volta sì maggioritario, degli italiani. La furia antiberlusconiana non si ferma neanche davanti alla morte del fondatore del «core business» (come disse il Cavaliere a Travaglio nella celeberrima puntata di Annozero passata alla storia per la spazzolata) sul quale hanno campato lautamente gli odiatori seriali di ogni risma.

Così, nel giorno della scomparsa del leader di Forza Italia, mentre la maggioranza dei cittadini e dei politici - di destra e di sinistra - rende omaggio a un uomo che ha fatto la storia di almeno tre decadi del nostro Paese, una sparuta pattuglia di irriducibili (senza dignità) continua ad attaccare il Cavaliere anche ora che non può più difendersi.

E il nuovo livello dello scontro - con sprezzo del possibile - è ancora più infimo di quello che abbiamo conosciuto negli anni dell'odio più velenoso. Non solo per le tempistiche degne del peggior sciacallaggio. L'idea è che Silvio Berlusconi non sia abbastanza un uomo di Stato da meritare i funerali di Stato e il lutto nazionale. Silvio Berlusconi, l'uomo che ha seduto per più giorni a palazzo Chigi nella storia della Repubblica italiana e il politico che nel corso della sua carriera ha raccolto un bottino ineguagliato di 240 milioni di preferenze. Ma evidentemente non è abbastanza, non è sufficiente a giustificare una celebrazione non solo doverosa, ma che costituisce solo un minimo risarcimento per le persecuzioni e gli attacchi subiti dal fondatore del centrodestra.

Così, gli ultimi giapponesi della sinistra anti Cav, cercano di mettere a reddito anche i giorni del dolore per guadagnarsi uno strapuntino di visibilità: giurano di non esporre la bandiera a mezz'asta fuori dagli atenei universitari, si lamentano dei ricordi pubblici delle istituzioni come se Berlusconi non ne fosse stato un rappresentante di prim'ordine o, peggio ancora, sminuiscono o trasfigurano il ruolo politico che ha avuto nella nostra storia recente. «Berlusconi catastrofe del Paese», «Egolatra pioniere dell'antipolitica», «La Repubblica del banana» titolano i giornali progressisti, accodandosi, come diligenti scolaretti, ai peggiori istinti della sinistra più violenta.

Gettando benzina su un fuoco che non è più incendio e che, proprio in questi ultimi mesi e anni, aveva iniziato a spegnersi. Trasformando anche un lutto in una lotta, in un'occasione di divisione nazionale, di guerra civile ideologica permanente e strisciante, in sordida tifoseria da stadio. È l'ultima infamia di chi lo ha perseguitato da vivo e ora cerca di infangarlo anche da morto. L'ultima reazione isterica e scomposta di chi sa di avere comunque perso.

(ANSA il 13 giugno 2023) - "Il 13 giugno 1984, esattamente 39 anni fa, Almirante visitò la salma di Berlinguer accolto da Nilde Jotti e Giancarlo Pajetta. I leader dell'opposizione dovrebbero andare tutti al funerale di Berlusconi": di questo è convinto l'ex parlamentare Carlo Cottarelli. "Schlein - ha aggiunto su Twitter - ha fatto bene a decidere di andare. Anche Giuseppe Conte dovrebbe andare. Andare a un funerale non comporta approvazione dell'operare politico: è un fatto di rispetto umano".

Val bene una (non) messa. L’assenza tattica di Conte al funerale di Berlusconi per avere qualche voto in più. Mario Lavia su L’Inkiesta il 14 Giugno 2023

Il leader grillino non sarà presente alla cerimonia al Duomo di Milano per cavalcare l'antiberlusconismo di ritorno

Giuseppe Conte è l’unico leader politico che non parteciperà oggi ai funerali di Silvio Berlusconi, ed è chiaramente una scelta di marketing politico fatta per intestarsi il sentimento di odio verso l’ex presidente del Consiglio che ha dilagato sui social. Parigi (il consenso) val bene una messa (l’assenza ai funerali), e chi se ne frega se si tratta di una cerimonia di Stato, l’importante è seguire Marco Travaglio nel suo solipsistico insultare una persona che non c’è più e Tomaso Montanari che non mette la bandiera a mezz’asta nella “sua” Università (ma sua, di chi?) e vignettisti di pessimo gusto giocando a fare la verginella della politica quando è già scritto nella storia che l’avvocato del populismo ha trattato con tutti pur di conquistare e agganciare il potere – e forse quello che più lo ha schifato è stato proprio Berlusconi. 

Essendo a corto di idee Giuseppe Conte è praticamente costretto a fare la parte del novello Beppe Grillo in stile “vaffa” che non si sporca le mani con il Cavaliere nero nemmeno adesso che riposa in pace: ma è evidente che usare i funerali per una tattica politico-elettoralistica esclude dal novero della civiltà politica chi appunto sfrutta l’occasione per farsi vedere, o non farsi vedere (che in questi caso è più evidente, essendoci oggi al Duomo di Milano proprio tutti, a partire dal presidente della Repubblica). 

Tuttavia Conte ha annusato una certa arietta di mala sopportazione di certi peana che effettivamente in certi casi hanno oltrepassato la misura e soprattutto gli strepiti di hater di vario conio che non sanno discernere il momento del giudizio politico da quello della circostanza più grave che possa riguardare un essere umano, anche l’avversario più duro.

E così, perché non rappresentare tutto il carico di antiberlusconismo di ritorno che si sta manifestando in queste ore? Basta non andare ai funerali e il gioco è fatto, qualche migliaio di voti arriverà. Travaglio e Casalino non potranno che essere d’accordo, anzi, magari gliel’hanno suggerito loro, all’avvocato, di non andare. 

È l’unico sbrego ad un protocollo istituzionale e umano che verrà rispettato, come detto, da tutte le altre forze politiche. Elly Schlein sarà al Duomo pur essendo politicamente e generazionalmente lontanissima da Silvio Berlusconi e dal suo mondo, il che rende a maggior ragione la sua presenza molto significativa che dimostra il senso politico e dello Stato della leader del Pd. Anche perché nel suo partito e dintorni qualche maldipancia c’è stato. 

Non è chiaro se abbia lambito anche il Nazareno. E si è concentrato sulla questione del lutto nazionale deciso dal governo (che, si spera, abbia consultato informalmente anche l’opposizione oltre che il Quirinale), una scelta fortemente criticata da Rosy Bindi, da Brando Benifei e da qualche esponente locale come Paolo Romano, consigliere lombardo molto vicino a Elly Schlein («Lutto nazionale? Non in mio nome») sicché per qualche ora era circolato l’interrogativo sulla presenza della segretaria ai funerali dell’ex presidente del Consiglio. 

Dopodiché sarebbe stato semplicemente impensabile che il Partito democratico non fosse presente all’ultimo saluto a un uomo che pure ha combattuto per tre decenni e sul cui ruolo nella storia d’Italia si discute e si discuterà con pareri opposti tenendo però fermo che un pezzo rilevantissimo di questi Paese è stato con lui fino all’ultimo, e un partito nazionale come è il Pd queste cose le tiene a mente. Chiunque sia il leader pro tempore.

Estratto dell’articolo di Manuela Messina per ilgiornale.it il 14 giugno 2023.

Quindici corone di rose bianche sul sagrato del Duomo e uno striscione con scritto "L'Italia è il Paese che amo", citazione simbolo della discesa in campo del Cavaliere, nel 1994. In piazza Duomo, a Milano, l'Italia intera dà l'ultimo saluto a Silvio Berlusconi. Iniziati alle 15 i funerali di Stato dell'ex presidente del Consiglio, scomparso lunedì mattina all'età di 86 anni, hanno visto la sentita partecipazione, oltre che di migliaia di partecipanti, delle più alte cariche, in primis il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Nella cattedrale, dove l'arcivescovo Mario Delpini ha celebrato il funerale, sono infatti accorsi numerosi esponenti del mondo politico, italiano e internazionale.

14.10

A poche decine di minuti dall’arrivo del feretro stanno arrivando alla spicciolata numerose personalità ed esponenti del mondo politico e imprenditoriale. Tra questi anche la segretaria Pd Elly Schlein, l’ex ministro Claudio Scajola, il critico d’arte Vittorio Sgarbi, il fondatore della Lega Umberto Bossi, il presidente dell’Enel Claudio Scaroni, Steven Zhang, presidente dell’Inter, l’ad nerazzurro Giuseppe Marotta, gli imprenditori Flavio Briatore e Urbano Cairo (guarda il video).

14.20

FUNERALI SILVIO BERLUSCONI PIAZZA DUOMO MILANO

Un lungo applauso in piazza del Duomo ha salutato la partenza del feretro con la salma del fondatore di Forza Italia, Silvio Berlusconi, che ha appena lasciato Villa San Martino diretto in Duomo a Milano. La piazza ha assistito alla partenza dai maxischermi. Il feretro dovrebbe arrivare tra poche decine di minuti nella cattedrale. È appena arrivato l’ex presidente del consiglio Mario Draghi e sta per partecipare il presidente della repubblica Sergio Mattarella.

14.45

Arrivati il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Accolti dall'applauso della folla.

14.55

Il carro funebre con a bordo il feretro è giunto in piazza Duomo, accolto dagli uomini dell'Arma dei Carabinieri davanti alla scalinata della cattedrale.

Da video.corriere.it il 15 Giugno 2023.

Il feretro di Silvio Berlusconi è entrato in Duomo coperto di fuori bianchi e rose rosse. Subito dietro i figli Marina, Pier Silvio, Eleonora, Barbara e Luigi. Anche Marta Fascina ha accompagnato l’ingresso della bara. Pier Silvio ha preso per mano la compagna del padre per qualche secondo prima di salire le scale del sagrato mentre la primogenita del Cavaliere ha accompagnato Fascina sottobraccio. Anche il fratello Paolo era al seguito del feretro del leader di Forza Italia.

Concita De Gregorio per Repubblica.it - - Estratto il 15 Giugno 2023.

Marina Berlusconi e Marta Fascina per mano. La primogenita e l'ultima fra le favorite, l'unica per cui ha messo infine la fede al dito, sarà stata l'età. Tenete a mente questa immagine, perché torneremo qui: alle due donne che da stamattina meneranno la danza, che nemesi. Che testacoda della storia che alla fine siano due donne, per chi delle donne ha fatto strame, a detenere l'eredità dell'impero. Bisognerà che i maschi alfa ci facciano i conti, così va la storia. 

…………. 

Marina Berlusconi tiene per mano Marta Fascina, quando escono dalla Chiesa. Questa sì, è una foto da tenere presente. A parte i devoti del passato, i beneficiari di una vita. Questo, le donne del futuro, è il fermo immagine. Che ne sarà dopo di lui del potere. Dopo che i palloncini blu sono volati via, l'anima è andata. Adesso sono loro due, queste due donne con gli chignon biondo platino. Così lontane, così diverse. Così legate dal capriccio del destino e dal volere del "dottore", invece. Sono loro che portano la partita. Gli altri, tutti figuranti allo spettacolare rito.

Candida Morvillo per Corriere della Sera - Estratto il 15 Giugno 2023.  

Se c’è un momento in cui, nel Duomo dove sta per essere celebrato il funerale, tutti i sussurri e le preghiere si spengono e tutti gli occhi convergono in unico punto è quando, nella navata centrale, entrano Marina Berlusconi, la primogenita che del padre è stata confidente, vestale, braccio destro, e Marta Fascina, la «quasi moglie» sposata solo con una cerimonia simbolica.

Le due si tengono per mano, le dita intrecciate, e questo è il gesto con cui Marina, in questo preciso momento, trova il modo inequivocabile per dire che Marta è della famiglia e che ha un ruolo di primo piano. Questo è l’istante in cui, agli occhi del mondo, Marta, da «quasi moglie» che era, diventa «la vedova», unica e vera.

…………………

A Marta scappano le prime lacrime subito dopo il vangelo di Giovanni. La telecamera indugia sul suo viso, lei ha i capelli raccolti, è l’unica senza orecchini e gioielli. Poi, l’arcivescovo Mario Delpini durante la sua omelia dice: «Vivere è desiderare una vita che non finisce... Vivere è soffrire il declino e continuare a tentare e a soffrire... Ecco cosa si può dire di un uomo che ha desiderato di essere amato...». Ora, Marta singhiozza. Contagia Marina, accanto a lei, che si asciuga una lacrima. Saranno le uniche a non trattenere la commozione. 

Eleonora guarda sempre diritto avanti a sé. Barbara sembra non staccare gli occhi da Marta o da un punto lontano oltre Marta, oltre tutto. Quando viene il momento di inginocchiarsi, Marta di nuovo sta piangendo. Veronica, al capo opposto dietro di lei, resta seduta, fra le sue braccia, dorme la piccola Flora, figlia di Eleonora.

…………. 

La folla è tutta per Marina, scandisce il suo nome, la acclama. Allora, lei scarta di lato tirandosi dietro Marta e dando il la agli altri di famiglia per avvicinarsi alla gente, salutare come farebbe la royal family dal balcone. Eleonora con la mano diritta stile Kate Middleton. Poi, quando Marina sale in auto con Fascina, è impossibile non pensare che, se questa fosse una scena di Succession , a riflettori spenti e a testamento aperto, la quota di legittima forse destinata alla vedova potrebbe essere l’ago della bilancia del nuovo assetto della cassaforte di famiglia, dove tre fratelli pesano più di due, ma forse meno di due più una vedova. Almeno, per ora, però questa è la scena di una saga che si chiude, non che si apre.

Claudio Tito per Repubblica.it – Estratto il 15 Giugno 2023.  

L’immagine finale è quella che racconta meglio come la famiglia Berlusconi abbia vissuto i funerali del patriarca. Marina, Piersilvio e Marta Fascina insieme su uno dei van che seguono il feretro. Barbara, Eleonora e Luigi su un altro, quello posteriore. Un gruppo plasticamente diviso in due. E che anche durante la cerimonia funebre ha mantenuto un distacco. Non plateale, nemmeno voluto o ricercato. Ma netto. Forse un prodromo di quel che accadrà quando il gigantesco impero del Cavaliere dovrà essere separato in cinque assi ereditari.

……………………

Alla fine della cerimonia la primogenita e Marta Fascina si avvicinano alla bara: la toccano con la mano e la baciano. Tutti intorno si crea un’altra fila per salutare la famiglia e la fidanzata. «Grazie per il vostro affetto », ripete Marta. In quel momento, però, si capisce che la “capofamiglia” è diventata Marina. Le condoglianze sono in primo luogo per lei. I parlamentari di Forza Italia spintonano per andare a salutarla. Una “capofamiglia” o una “capopartito”? I due ruoli nel trentennio berlusconiano si sono sistematicamente sovrapposti. 

Estratto da liberoquotidiano.it il 15 Giugno 2023.

Dopo la morte di Silvio sta nascendo un'intesa tra Marina Berlusconi e Giorgia Meloni. Hanno bisogno l'una dell’altra perché per Marina "Giorgia è la sola leader possibile del centrodestra, e dunque la sua stabilità è anche la nostra stabilità" mentre per Giorgia, "senza il sostegno di Marina, non c’è il sostegno di Forza Italia" e il presidente del Consiglio deve augurarsi che Forza Italia sopravviva al Cavaliere. 

Ma attenzione, rivela Il Foglio, perché l'ultimogenito Luigi Berlusconi, non è escluso che "possa un giorno traghettare il cognome in politica", come rivelano fonti sia interne a Forza Italia sia in Fratelli d'Italia.

Estratto dell’articolo di Carmelo Caruso per “il Foglio” il 15 Giugno 2023.

Non significa nulla, può significare tutto. Ha lo stesso nome del nonno, vive nella prima casa milanese del padre, ha assunto Marinella Brambilla, la sua storica segretaria. Luigi Berlusconi, l’ultimo dei figli Berlusconi, può essere l’unicorno? Nella lingua tech, il settore di cui si occupa, si intende l’eccezione strepitosa, la start up che ribalta la storia. L’inatteso. Trentaquattro anni, Ennio Doris come maestro. 

Un’intervista a 19 anni. Poi più nulla. Gli orfani politici di Silvio Berlusconi lo studiano come Luigi studia gli unicorni. Si cerca adesso Berlusconi dopo Berlusconi, la chimera. Quando la bara di Silvio Berlusconi è stata accompagnata fuori dal Duomo di Milano, i figli del patriarca si sono avvicinati l’uno all’altro. L’uomo vestito di grigio, che stava al centro, era Luigi Berlusconi. […] 

Collegio a Monza, università Bocconi, master in JP Morgan, a Londra, uno stage alla Sator di Matteo Arpe e poi sedie nei cda di famiglia e fede, perfino onlus, le visite frequenti in chiesa. Viaggi a Lourdes da volontario, rapporti intensi con la chiesa milanese, quella dell’arcivescovo Mario Delpini, dell’arciprete Borgonovo, una comunità che si ritrova a tavola con Fedele Confalonieri, presidente della Veneranda Fabbrica del Duomo. Dei Berlusconi, Luigi è un enigma. Un unicorno. 

[…] Puntato dai settimanali di gossip, celebrato da Vanity Fair, per il suo matrimonio con Federica Fumagalli, manager di eventi e moda (Ferragamo, Dior, Vogue), il nome di Luigi è in realtà noto tra gli ingegneri, i giornalisti delle pagine “Innovazione”. 

A trent’anni investe in criptovalute, sistemi per pagamenti digitali, app di geolocalizzazione e lo fa insieme alle sorelle Eleonora e Barbara […] A differenza di Marina e Pier Silvio, per tracciare il per- corso dell’ultimo dei Berlusconi è necessario guardare oltre le aziende di famiglia. Luigi sceglie da subito la via bancaria, la via che secondo molti percorrerà Fininvest. […] 

La stampa italiana si accorge di Luigi nel 2014, quando l’Espresso gli dedica pagine, a firma di Denise Pardo, che è stata pure firma di Panorama, il settimanale di Mondadori.

Quando Luigi Berlusconi viene a sapere che Marinella Brambilla, la segretaria di una vita del padre (l’unica che potrebbe sul serio scrivere la biografia del Cav.) era stata cacciata, decide di assumerla per conto proprio. Oggi Luigi è nel cda della Fininvest insieme a Pier Silvio, Barbara, Adriano Galliani, Ernesto Mauri e Salvatore Sciascia. […] In Forza Italia c’è chi crede che Luigi possa possedere il corno della politica.  […]

Ci preoccupavamo più per lui che per noi. L’abbraccio a Berlusconi: il viaggio da Roma, la seconda famiglia del Dottore e quella esitazione prima di andare al San Raffaele. Andrea Ruggieri su Il Riformista il 15 Giugno 2023 

Roma, aeroporto di Fiumicino.

Imbarco del volo per Milano. Pieno di esponenti politici e di volti Mediaset: sono due dei tanti, eterogenei mondi cui Silvio Berlusconi ha dato corpo e che ha tenuto insieme per una vita intera, oltre quelli di sport, cultura, spettacolo ed edilizia. Ognuno ricorda un aneddoto del cavaliere, ognuno sa che sta andando a un appuntamento, triste, con la storia. Arriva Mario Draghi, discreto, eppure consapevole. In aereo, siede due file di dietro di me e chiacchiera con tutti. Atterrati, raggiungiamo il Duomo.

Organizzazione impeccabile, sulla piazza già molte persone, ma un diffuso senso di pace e tranquillità, che ammorbidisce il dolore di tutti. Dietro ai mondi forgiati dal Dottore, una sconfinata, variegata, stupenda compostissima marea di gente. Tra le bandiere, prevalentemente di Forza Italia e Milan, scorgo un cartello: “Il più italiano degli italiani”. Ecco perché tanto trasporto pubblico per il dolore prima, e la morte poi, di un italiano eccellente, che in una nazione dove è quasi impossibile aprire un negozio, è riuscito a creare aziende mastodontiche, grazie a idee ed entusiasmo.

Il popolo di cui Silvio Berlusconi è figlio e rappresentante è lì, commosso e composto come a lui sarebbe piaciuto molto. Lo notano tutti: i volti Mediaset, quelli di Milan e Monza, politici e capi di Stato esteri. Arriva Gianni Letta scortato dal figlio Giampaolo. Per una volta è molto provato. Saluta, l’amico, il compagno di una cavalcata indimenticabile, e siede accanto all’altro indimenticabile complice di mille imprese: Fedele Confalonieri, sereno e contrito. Sono tanti i personaggi che con sé hanno un figlio. Famiglia e lavoro amorevolmente mischiate, all’insegna della continuità: un’altra caratteristica del mondo del Cavaliere.

Io entro in Chiesa, saluto tanti ex colleghi, colleghi attuali, e -in attesa che arrivi la prima- anche la seconda famiglia del Dottore: i cuochi Michele e Davide, gli uomini della sua amorevole scorta, Frank e Ivan, le segretarie Serena, Betti e Stefania. Una vita a prendersi cura del “Dottore”, oggi con l’espressione di chi ancora si preoccupa più per lui che non per sé. Perché’ questa era una inclinazione che Silvio Berlusconi ingenerava spontaneamente in ognuno di noi: ci preoccupavamo più per lui che per noi, pur essendo lui molto più forte di noi. Loro, i suoi collaboratori, lo sapevano: quando il Presidente è uscito di casa per andare al San Raffaele, ha avuto un’esitazione nel salire in auto: si è voltato e ha rivolto uno sguardo profondo, carico di significato, a Villa San Martino. Così era lui: indomito e coraggioso, buono e a volte un po’ malinconico. Ma qualcuno di loro, visto quello sguardo, ha per la prima volta pensato che potesse essere l’ultima volta che salutava il Dottore, e che lui lo sapesse.

La platea si saluta, allarga le braccia, sospira, finalmente sorride. Sugli schermi dentro la chiesa vengono proiettate immagini dalla regia mossa ma dolce di Milano 2 ripresa dall’alto, poi parte la diretta del viaggio di Silvio da Arcore al Duomo. È come se ci dicesse: “Sto arrivando da voi”. E tutto si placa, come quando lui arrivava alle riunioni di partito preceduto in sua assenza da litigi al fulmicotone, e scendeva improvvisamente la calma.

Assieme al feretro, ecco la famiglia di Silvio Berlusconi. Sui volti, ancora i segni delle lacrime. Tutti consapevoli e umili. Belli. Naturalmente intonati alla grande compostezza che avvolge il duomo. L’omelia dell’Arcivescovo di Milano tratteggia l’uomo, bisognoso di amore e assetato di vita. “Vivere per mettere a frutto l’occasione e i propri talenti”. Piersilvio annuisce. Sembra il ritratto del papà. La cerimonia è asciutta e sobria. La regia bellissima, suggestiva. A me tornano in mente molte immagini. Molte espressioni così gravide di espressività del Cavaliere che non mi pare vero di essere al suo funerale. Mi rendo conto di non aver mai nemmeno una volta pensato di dovervi assistere. Eppure, siamo qui. Addio Silvio.

Non ci posso ancora credere. Andrea Ruggieri

Estratto dell’articolo di Massimo Galanto per tvblog.it il 15 Giugno 2023.

Emilio Fede, contrariamente a quanto annunciato nelle scorse ore, non era presente ai funerali di Stato per Silvio Berlusconi che si sono tenuti oggi pomeriggio al Duomo di Milano. Il giornalista, che ieri aveva confidato ad Alberto Gottardo nella trasmissione radiofonica Il Morning Show il desiderio di “sedermi di fianco a lui” 

perché “io gli ho voluto bene come a un fratello”, in un video pubblicato su Instagram (si tratta di una diretta realizzata oggi, proprio mentre erano in corso le esequie, con tanto di diretta tv a reti praticamente unificate) ha raccontato in maniera confusa, affannata e rabbiosa l’inconveniente che non gli ha permesso di presenziare al centro del capoluogo lombardo per dare l’ultimo saluto all’amico di sempre Silvio Berlusconi. Così, appellandosi anche a “Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza e Pompieri“, l’ex direttore di Tg1 (per poco più di un anno), Studio Aperto (per quasi tre anni) e Tg4 (per vent’anni, fino a marzo 2012) ha detto:

Il mio autista è sparito, non si è fatto trovare – un personaggio squallido che va arrestato – ha bloccato la mia macchina non consentendomi di partire in tempo per raggiungere Piazza Duomo. Già soltanto a dirlo piango di tutto. Questo personaggio ci ha fatto scendere dalla macchina, ha buttato via le chiavi e ci ha lasciato per strada. Oggi è il momento del dolore sì, ma anche della rabbia.

Struggente il finale del video (lo trovate qui sopra in versione integrale), girato mentre viaggiava verso Arcore a bordo della macchina di “un amico giornalista” incrociato per caso dopo il problema vissuto con l’autista. Fede, infatti, ha chiosato rivolgendosi direttamente all’ex Presidente del Consiglio che ha sempre elogiato e mostrato di apprezzare anche davanti alle telecamere: 

Ciao Presidente Berlusconi, sono anche contento di non arrivare in tempo: per lungo tempo guardare una bara sapendo che dentro ci sei tu e avendo la forza dentro che mi occorre di allungare la mano e dire ‘Silvio, vengo con te! Non mi mollare. Io ormai ho 92 anni, voglio raggiungerti al più presto’.

Estratto da liberoquotidiano.it il 15 giugno 2023.

Ai funerali c'erano tutte le mogli e fidanzate storiche di Silvio Berlusconi esclusa la prima consorte Carla Elvira Dall'Oglio. Pino Corrias, ospite di Lilli Gruber a Otto e mezzo, su La7, nella puntata del 14 giugno, parla del rapporto del Cavaliere con le donne: 

"Da arci italiano quale era, di tutte le donne che hanno contato nella sua vita quella che ha contato di più è la madre Rosa Bossi, che gli parlava in dialetto, a cui lui obbediva contento di obbedire".

"Penso anche che la deriva che lui prende dal 2008, facendo in pubblico quello che già faceva in privato, cioè esibendo la sua esuberanza nel frequentare ragazze e ragazzine", attacca Corrias, "non lo avrebbe fatto se sua madre fosse stata viva perché ne avrebbe avuto il terrore". 

"Una volta Maurizio Costanzo in una intervista che ho pubblicato", prosegue, "mi ha detto che lo avrebbe preso a schiaffi se avesse fatto quello che ha fatto dopo, le cosiddette cene eleganti". 

L'altra donna che ha contato molto nella sua vita, aggiunge Pino Corrias, "è Veronica Lario che lo ha lasciato l'anno dopo la morte della madre. Secondo me, e secondo molti dei sodali di Berlusconi, la scomparsa delle due ha terremotato il suo narcisimo, la sua vita pubblica e privata dopodiché c'è un trentennio di televisione commerciale dove il ruolo della donna è quello che è. […]", conclude.

Estratto dell’articolo di S.Chia. per il “Corriere della Sera” il 15 giugno 2023. 

[…] La segretaria del Pd Elly Schlein è entrata nella cattedrale verso le 14 insieme ai capigruppo dem Chiara Braga e Francesco Boccia e all’onorevole Piero Fassino per i funerali di Silvio Berlusconi: […] Unica leader dell’opposizione di centrosinistra, Schlein ha voluto esserci pur evitando qualsiasi commento. A mettere a tacere ogni tentennamento della vigilia in seno al Nazareno ci pensa Boccia: «Sono funerali di Stato, è un suo dovere esserci».

Estratto dell’articolo di Massimo Franco per il “Corriere della Sera” il 15 giugno 2023.

Le opposizioni sono riuscite a dividersi perfino sui funerali di Silvio Berlusconi, e questa è una novità. La segretaria del Pd Elly Schlein è stata presente alla cerimonia religiosa per l’ex leader del centrodestra; il capo del M5S ed ex premier, Giuseppe Conte, assente. […] Per anni, le sinistre hanno avuto sempre dei totem fissi da bersagliare. E il fondatore di Forza Italia era un obiettivo naturale. Ieri, […] i vertici delle due forze principali di minoranza hanno compiuto scelte diverse.

Eppure, quando Berlusconi era morto Conte aveva usato parole non rituali. Ma forse è stato proprio il suo commento iniziale a costringerlo a disertare l’appuntamento di Milano. Le reazioni della base grillina sono state così virulente da prefigurare una sorda rivolta verso il loro capo, accusato di eccessiva indulgenza verso l’odiato Berlusconi. E così, nonostante alla funzione del Duomo fossero stati invitati tutti gli ex premier, Conte non si è visto. […] Il suo ruolo passato, identico a quello di Paolo Gentiloni, Mario Draghi, Matteo Renzi, Mario Monti, che hanno preso parte alla cerimonia, è scivolato in secondo piano.

Conte è stato costretto a sacrificarlo sull’altare degli interessi e degli umori dei Cinque Stelle. È come se l’antiberlusconismo rimanesse una posizione di rendita che non è ancora tempo di abbandonare: soprattutto agli occhi di una base imbevuta di slogan estremistici.

Eppure, la presenza tranquilla e le parole sobrie del capo dello Stato, Sergio Mattarella, hanno rappresentato l’occasione per una pacificazione simbolica del Paese […] Sono servite a riequilibrare in nome della concordia nazionale sia le lodi eccessive e nostalgiche al Cavaliere da parte dei suoi seguaci, sia gli attacchi manichei e spesso scomposti dei suoi nemici. Sono indizi di un ritardo culturale, […] Invece di chiedersi come mai una maggioranza elettorale vota a destra dopo avere premiato per anni Berlusconi, si perpetua un atteggiamento di superiorità che finisce per apparire una fuga dalla realtà. […] rimane la sensazione amara che gli avversari di Berlusconi si siano di nuovo fatti male da soli, rivendicando fuori tempo massimo il proprio antiberlusconismo come una medaglia da sventolare dentro un’alleanza in macerie.

Il look del Cavaliere. Berlusconi, ossessionato dalla sua immagine. Adesso l’armocromia ci fa ridere ma lui fu il primo a ingaggiare una consulente a Palazzo Chigi.  Redazione su Il Riformista il 14 Giugno 2023 

Silvio Berlusconi ha stravolto l’immagine politica. Scrivania, voce rassicurante e foto dei figli sullo sfondo quando nel 1994 per la prima volta spiega agli italiani il suo sogno politico; quello che si sarebbe poi concretizzato in Forza Italia.  Tutto precisamente calcolato per veicolare dei messaggi . C’è stato un prima e un dopo Berlusconi soprattutto nella comunicazione politica.

E dietro tutto questo c’era una persona portata poi anche a Palazzo Chigi. Una persona di fiducia passata da addetta stampa di una neonata Italia Uno a consulente di immagine del Cavaliere. Mity Simonetto ha curato il look del Dottore, come lei lo chiamava, dalla sua discesa in campo fino al 2010. Lei la sola a partecipare alle riunioni del venerdì ad Arcore, lei l’unica alla quale Berlusconi dava del lei.

Lei, la signora che cura l’immagine, scelse uno dei punti vincenti del celebre discorso del ’94. La libreria pulita ed elegante, ma senza essere eccessiva, con la foto di famiglia; uno dei valori più grandi nella vita di Silvio. E adesso, Mity confessa in una vecchia intervista, che non lo rimetterebbe mai dietro a una scrivania. I tempi sono cambiati e si è ormai perso il contatto con la gente. Quindi giù dall’olimpo degli irraggiungibili. “Oggi l’avrei messo in mezzo alla gente, perché si è perso il contatto con i cittadini”.

Mity ha sempre aiutato il Dottore a realizzare quello che lui aveva già in testa. Lui era vanti su tutto, aveva già intravisto da dietro la porta quello che sarebbe successo negli anni a venire. Perfino l’inno di Forza Italia è stato ideato da Berlusconi in persona – “Una volta entrai ad Arcore e sentii le note di un pianoforte. Pensai: che bel motivo. Il Dottore mi chiamò e mi chiese: Che ne pensa?. Così nacque l’inno e piacque subito a tutti “.

Non solo il look è stato fondamentale per il successo politico di Silvio Berlusconi, tutti ricorderemo il contratto con gli italiani portato nel salotto di Bruno Vespa oppure il dettaglio delle apparizioni televisive perennemente con dei fogli in mano. Bianchi ovviamente ma che davano l’impressione di un uomo impegnato, con delle cose da dire, oltre ad aiutare nella gestione televisiva del gesticolare.

Anche con l’ostentazione della ricchezza, Silvio ha giocato una partita vincente. Il popolo non si è allontanato anzi ha voluto assomigliare sempre di più a lui, sognare di poter raggiungere un giorno quel livello. Perché lui in fondo partito come cantante sulle navi da crociera era diventato un leader a 360° dal quale prendere esempio.

Estratto dell'articolo di repubblica.it il 15 giugno 2023.

“Mi sono vestita in bianco perché così piaceva al Cavaliere” RaiNews24 riporta il commento di Maria De Filippi sul suo look ai funerali di Stato di Silvio Berlusconi, in corso al Duomo di Milano. Non una violazione del dress code, ma un omaggio esplicito al Cavaliere, alla cui famiglia la conduttrice è legatissima, al punto di essere seduta accanto a Silvia Toffanin, subito dietro a Pier Silvio Berlusconi, figlio di Silvio e vicepresidente di Mediaset.

Il dress code dei funerali di stato

Per i partecipanti ai funerali di Stato c'è un dress code da osservare: è richiesto che gli uomini indossino un abito scuro con cravatta nera o scura (sarebbe una cravatta nera lunga nel caso delle esequie del presidente della Repubblica), mentre per le donne si richiede un abito nero o scuro [...]

Marina Berlusconi in giacca e pantalone è mano nella mano con Marta Fascina, compagna dal 2020 di Silvio Berlusconi, anche lei in completo pantalone nero ma sotto la giacca ha una camicia in voile di colore blu.

Elegantissima Eleonora Berlusconi con abito nero e cappello con veletta in pizzo nero. Luigi, figlio minore del Cavaliere, è in completo grigio con cravatta scura.

Davanti a lui cammina Barbara Berlusconi con tailleur nero e un elegante cerchietto nero in pelle a tenere i capelli, ai piedi altissime décolleté Christian Louboutin. Infine Pier Silvio in quel tono di blu definito da molti "blu Fininvest". 

[...] 

Ilary Blasi in maglietta nera, scarpe basse e occhialoni scuri a coprire gli occhi, è arrivata accompagnata da Nicola Savino.

Nero senza fronzoli per Federica Panicucci che nei giorni scorsi fatto notizia per aver annunciato in diretta tv la morte di Berlusconi piangendo. Qui è accompagnata dal marito Marco Bacini.

Mara Carfagna completo nero scarpe ballerine e t-shirt bianca (anche questo un omaggio al Cavaliere?). 

A rendere omaggio a Berlusconi anche l'ex moglie Veronica Lario (vicino alla moglie del figlio Luigi, Federica, e a uno dei nipoti), in nero con indosso una collana con grandi perle.

Presente anche l'ex compagna di Silvio Berlusconi, Francesca Pascale, in nero, con t-shirt sotto il completo e capelli raccolti. 

La premier Giorgia Meloni, arrivata assieme al presidente Mattarella e uscita dal Duomo dopo le esequie dopo di lui, veste un sobrio completo nero, e così anche Elly Schlein che però ha scelto una giacca dal taglio maschile  e un pantalone largo.

Letizia Moratti invece rispetta il dress code con una variazione sul tema: t-shirt bianca (anche lei) e giacca a bolli bianchi e neri. 

Alessandra Mussolini con completo nero Matteo Salvini insieme alla compagna Francesca Verdini, con gonna nera con taglio asimmetrico, anfibi e una Kelly di Hermès nera. 

Nel rispetto del dress code, ecco Enrico Mentana con la sua cravatta sottile nera.

Alba Parietti, con mini bag e altissime décolletées.

Assieme Elisabetta Gregoraci e Flavio Briatore, lei con altissimi sandali e mini bag nera Candy Jodie Micro di Bottega Veneta.

Francesca Pascale arriva in Duomo per il funerale di Berlusconi: «Scusate per il mio silenzio, non è il momento». Da corriere.it il 14 giugno 2023.  

L’ex compagna di Silvio Berlusconi Francesca Pascale è arrivata in Duomo per i funerali di Silvio Berlusconi. Molto commossa e con occhiali scuri, Francesca Pascale non ha voluto rilasciare dichiarazioni: «Vi chiedo scusa non è il momento». 

Marta Fascina, Francesca Pascale e Veronica Lario: la compagna e le ex di Berlusconi insieme per la prima volta. Estratto dell’articolo di Lucia Landoni per repubblica.it il 14 giugno 2023.

Insieme per la prima (e chissà se ultima) volta per salutare l'uomo che tutte hanno amato in diversi momenti della sua vita: ai funerali di Stato di Silvio Berlusconi in Duomo non potevano mancare le sue donne, dall'attuale compagna Marta Fascina alla ex Francesca Pascale e alla seconda moglie Veronica Lario. 

Fascina, visibilmente provata dal dolore, ha accompagnato l'ingresso del feretro in chiesa insieme ai cinque figli di Berlusconi, seguendolo lungo la navata centrale e prendendo posto in prima fila sul lato destro dell'altare, accanto alla figlia maggiore Marina Berlusconi. 

[…]  la deputata di Forza Italia, che era da tre anni al fianco di Berlusconi, è stata più volte colta dalle telecamere presenti in Duomo mentre cercava di trattenere le lacrime e sussurrava preghiere a fior di labbra, con le mani giunte e lo sguardo fisso sul feretro. Alle sue spalle i genitori, Orazio Fascina […] e la moglie Angela Della Morte. Al termine della cerimonia, […] Si è poi chinata e ha dato un ultimo bacio al feretro.

Subito dietro ai familiari, in seconda fila ma dallo stesso lato della cattedrale, c'era Veronica Lario, seduta accanto alla nuora Federica Fumagalli, moglie del figlio Luigi, alla compagna di Piersilvio Berlusconi, Silvia Toffanin, e ai genitori di Marta Fascina. Sul suo cartellino segnaposto, Lario […] era indicata con il suo cognome da nubile, Bartolini. 

È arrivata in grande anticipo anche Francesca Pascale, che è entrata in Duomo passando per l'ingresso di piazza Fontana, visibilmente commossa, e vestita con tailleur nero, occhiali scuri e sneakers. ''Vi chiedo scusa, non è il momento'' ha detto ai cronisti che l'hanno intercettata. […] 

Assente invece […] la prima moglie Carla Dall'Oglio - il cui matrimonio con Berlusconi era durato 20 anni (dal 1965 al 1985) - che nei giorni scorsi aveva dedicato all'ex premier un necrologio definendolo "un grande uomo e uno straordinario papà per i nostri figli", ovvero Marina e Piersilvio.

Estratto dell'articolo di Candida Morvillo per il “Corriere della Sera” il 14 giugno 2023.

Il primo necrologio in cima a tutti gli altri sul Corriere della Sera è stato quello della prima moglie di Silvio Berlusconi, Carla Elvira Dall’Oglio, mamma di Marina e di Pier Silvio, la più riservata fra le consorti e le compagne che hanno diviso un pezzo di vita con l’uomo di cui oggi si celebrano i funerali. 

Carla, che oggi ha 82 anni, ha scritto: «Carissimo Silvio, sei stato un grande uomo e uno straordinario papà per i nostri figli.

Ricorderò per sempre la bellezza degli anni trascorsi insieme. Un abbraccio infinito». Per chi un po’ conosce le ere familiari di Arcore, è stata una sorpresa: queste sono anche le uniche parole pubbliche di Dall’Oglio, in generale nella sua vita e, in particolare, da quando sposò Berlusconi nel 1965, divorziando poi nel 1985.

[…]  E nulla disse né fece trapelare in fase di divorzio, sebbene sapesse che Silvio era ancora sposato con lei quando rimase folgorato dall’attrice Veronica Lario. Per questo suo riserbo Berlusconi la apprezzò moltissimo, fino a dichiarare che Carla era stata un «gran signora e una madre perfetta... di discrezione esemplare anche dopo il divorzio». A differenza, lasciò intendere, della seconda consorte, di Veronica. 

Durante la separazione, tanto era stata discreta Carla, infatti, tanto fu loquace Veronica, dapprima chiedendo al marito «pubbliche scuse» per una frase troppo galante rivolta a Mara Carfagna a una cena, poi, scrivendogli una lettera aperta in cui si lamentava di «vergini che si offrono al drago» e di «ciarpame senza pudore». 

Sposata con Silvio dal 1990, Veronica aveva avuto la primogenita Barbara nel 1984, seguita da Eleonora e Luigi, e aveva chiesto il divorzio nel 2009, catalizzando l’attenzione su una vicenda che di privato non ebbe più nulla, neanche le udienze in tribunale. 

Ora, nei giorni del lutto, le due ex mogli ufficiali restano distanti anche nello stile di commiato: pubblico quello di Carla, assente o forse privato quello di Veronica, che non ha pubblicato necrologi né rilasciato dichiarazioni. A metà aprile, l’agenzia Agi aveva scritto di una sua visita all’ospedale San Raffaele, finora mai confermata. 

[…]

Tutte le donne che sono state accanto a Silvio hanno avuto un carattere forte, ognuna a suo modo. Francesca Pascale, che è stata la fidanzata ufficiale dal 2012 per otto anni, ha rilasciato un’intervista per dire che a Berlusconi deve tanto, «per il mondo che le ha fatto conoscere, più che per i viaggi e il lusso che le ha fatto vivere». Oggi che è sposata con la cantante Paola Turci ed è un’attivista dei diritti Lgbtq+, ha detto di aver provato per lui «affetto e un sentimento profondo». 

Impossibile non notare che ha evitato la parola «amore», ma si è appellata al «timore di ferire qualcuno: la persona che amo o i familiari di Silvio», ha detto a Repubblica , puntando il commiato più sulla fine della Francesca che fu che sul Berlusconi che se ne va. «Con lui, muore la mia vecchia vita», ha detto.

E, infine, è rimasto in silenzio l’ultimo amore di Silvio, la «quasi moglie» e onorevole di Forza Italia Marta Fascina, 33 anni, sposata il 19 marzo 2022 con una cerimonia solo simbolica, utile a suggellare il loro amore senza intaccare le quote ereditarie dei cinque figli. Il suo profilo Instagram è fermo a febbraio, il suo necrologio non c’è neanche sul Giornale di famiglia, ma lei accanto a Silvio c’è stata sino alla fine, ogni giorno e ogni notte accanto a lui nella stanza privata del San Raffaele dove lui ha finito i suoi giorni. 

Oggi, al funerale, la «quasi moglie» sarà l’unica vedova: fra tutte, l’unica titolata alla prima fila davanti al feretro, o a salire sull’altare del Duomo per una lettura o per dire una parola definitiva sul Berlusconi più privato.

Westfalia milanese. I funerali poco berlusconiani di Berlusconi e l’Italia che riparte senza di lui. Mario Lavia su L'Inkiesta il 15 Giugno 2023

L’omaggio all’uomo che ha dominato la scena per trent’anni sono stati pieni di commozione e privi di ardore politico. In piazza Duomo si è chiusa una stagione politica e non se ne aprirà nessun’altra similedominato, certo. Nessuna grandiosità, zero politica, fatti salvi i coretti fuoritempo «chi non salta comunista è»: tutto sommato ieri piazza del Duomo è apparsa milanista più che forzista. Commozione, parecchia. In piazza, nel Duomo.

Un addio a Silvio Berlusconi fatto di sguardi, parole sussurrate, canti gregoriani, esattamente come deve essere l’ultimo addio, e la famiglia – anzi, le famiglie –, il mondo di Mediaset, ministri e sottosegretari, stranamente pochi stranieri, il che è un po’ amaro: ma Silvio non aveva tanti amici nel mondo? Begli amici.

Ecco poi Sergio Mattarella, sempre dignitosissimo, che con la sua presenza centrale e riservata ha dato il segnale che la guerra dei trent’anni è finita con questa specie di Westfalia milanese. Una fase si è chiusa e non se ne apre nessun’altra simile a quella. Berlusconiani e antiberlusconiani ora impugneranno altre bandiere e vestiranno nuove armature che l’uomo di Arcore, il bau bau oppure l’Unto del Signore, non è più tra noi e quindi siamo tutti ex antiberlusconiani ed ex berlusconiani.

Una Milano assolata ha dunque salutato il suo cittadino più famoso e lo ha fatto com’è lei, composta, civile, umana. Il più bel teatro del mondo era a pochi metri ed è stato giusto e non casuale che il sipario calasse su un pezzo di storia italiana proprio lì vicino.

In quella bara non enorme di legno di Honduras che – hanno detto – serviva per le chitarre di Jimi Hendrix (ma tu guarda certi meandri della Storia come vanno ad intrecciarsi) oltre all’uomo c’erano trenta inverni, parafrasando Franco Fortini, ed è parso di cogliere sia in piazza che nel Duomo la consapevolezza della fine di un’epoca così lunga: quanti, in quella piazza, non erano nemmeno nati nel giorno della scesa in campo.

Giorgia Meloni, che al tempo era una ragazzina, a un certo punto si è raccolta in meditazione come chi sappia di dover affrontare un giro di giostra più impervio perché la sua responsabilità verso l’ex popolo berlusconiano ora cresce.

Si è rivisto Mario Draghi, serissimo, con accanto Paolo Gentiloni che rappresentava l’Unione europea. Chissà perché Ursula von der Leyen non è venuta, e nemmeno Roberta Metsola, in fondo sono nello stesso Partito popolare europeo. C’era, invisibile, Elly Schlein che ha fatto benissimo a essere presente, a differenza di quel maleducato di Giuseppe Conte, perché ci sono momenti nei quali la sinistra c’è e poi si discute, e ieri era uno di quei momenti.

Il cardinal Mario Delpini ha trovato le parole giuste: «In questo momento di congedo e di preghiera, che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia». Un uomo che lascia un’eredità materiale di cui qui non interessa, se la vedranno tra i familiari almeno ieri tutti apparsi sinceramente uniti, su quella politica volteggia un grande punto interrogativo: a occhio e croce per ora non succederà assolutamente nulla. Dopo le Europee si vedrà: è questo il tacito patto.

Di certo si è fermata una certa idea della politica spericolata, indomita, un lungo dribbling tra le istituzioni e il popolo incedendo, cadendo, rialzandosi, schiaffeggiando le regole e subendo parecchio. Se ne continuerà a discutere, ed è molto improbabile che qualcuno cambi l’idea che del Cavaliere si è fatto in questi anni, per alcuni lo statista innovatore per altri il venditore corruttore di persone e di costumi. L’Italia ricomincia senza Silvio Berlusconi, in parte ci si era già abituata, ma non del tutto. E adesso chiedersi cosa succederà è inevitabile. Per ora, sipario.

Berlusconi, i funerali di Stato: folla davanti al Duomo ed a Arcore. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 14 Giugno 2023 

Sono oltre 10.000 le persone che stanno seguendo le esequie dai due maxi schermi posizionati ai lati della piazza transennata. Per la piazza i responsabili dell’ordine pubblico calcolano una presenza di circa 15 mila persone.

Lutto nazionale in Italia oggi e funerali di Stato alle 15 in Duomo a Milano per Silvio Berlusconi. Sono 2.000 le persone che potranno entrare nella cattedrale, ci saranno aree dedicate alla famiglia, a Mediaset, ai rappresentanti del Governo , ai parlamentari di Fi, a quelli degli altri partiti e alle rappresentanze estere, senza contare quelle per le squadre di calcio. I cittadini che volevano portare il loro ultimo saluto al Cavaliere, hanno avuto accesso libero ai varchi, fino a esaurimento dei posti. Un picchetto d’onore interforze è schierato sul sagrato del Duomo di Milano: ha reso gli onori militari al feretro di Berlusconi al suo arrivo al Duomo di Milano. 

I funerali di Silvio Berlusconi sono iniziati con il canto del Requiem aeternam. Poi la “monizione iniziale” dell’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, che presiederà le esequie. “Invitati a questa celebrazione, memoriale della Pasqua di Cristo, rivolgiamo al nostro fratello Silvio l’estremo saluto della pietà cristiana e dell’affetto. Questo rito consoli il nostro pianto e confermi la nostra speranza. Un giorno ci ritroveremo nella casa del Padre poiché l’amore di Cristo, che tutto vince, trasforma la morte in aurora di vita eterna”. 

La liturgia è proseguita con l’aspersione e l’incensazione del feretro. Segue l’orazione all’inizio dell’assemblea liturgica: “In questa celebrazione, o Dio, noi ti raccomandiamo con cuore filiale e con sicura speranza il nostro fratello defunto Silvio; ti chiediamo di accoglierlo nel tuo regno eterno, dove sono quanti hanno creduto in te e in colui che ci hai mandato, Gesù Cristo, nostro Signore e nostro Dio, che vive e regna con te, nell’unità dello Spirito santo, per tutti i secoli dei secoli“.

Sono oltre 10.000 le persone che stanno seguendo le esequie dai due maxi schermi posizionati ai lati della piazza transennata. Per la piazza i responsabili dell’ordine pubblico calcolano una presenza di circa 15 mila persone. L’ingresso libero, senza pass, ma contingentato. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni è arrivata alle 15. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella arrivato per ultimo, dopodichè è arrivato da Villa San Martino da Arcore il feretro dell’ex premier.

La lettera di Pier Silvio Berlusconi ai dipendenti

Pier Silvio Berlusconi  amministratore delegato di Mediaset ha scritto una lettera ai dipendenti: “Cara Mediaset, carissimi tutti, sento il bisogno di scrivervi perché so quanto era importante per mio padre farvi sapere l’amore e il grande orgoglio che ha sempre provato per la nostra azienda e per tutti noi, Non ci sono parole per descrivere la mia emozione ogni volta che mi diceva ‘Sono orgoglioso di te e di quello che fai’. E io ho sempre saputo benissimo che si rivolgeva a tutti noi: io da solo non avrei potuto fare nulla. Nulla. È stato un uomo che ha dato tanto, tantissimo. Che ha creato tantissimo. E ha sempre considerato la nostra azienda come una sua amatissima creatura“.

Aggiungendo : “Il mio papà, il nostro fondatore, vi ha sempre amato tutti, uno per uno. E adesso il nostro dovere è seguire la sua impronta indelebile, lavorare, lavorare, lavorare. Con entusiasmo e rispetto. Oggi dobbiamo guardare avanti e impegnarci ancora di più, sempre di più. Dobbiamo costruire un Gruppo ancora più forte e ancora più vivo. Lo dobbiamo fare per Mediaset. Lo dobbiamo fare per tutti noi. Ma soprattutto lo vogliamo fare per lui. Vi abbraccio forte. Siete nel mio cuore. E sarete per sempre nel suo cuore”.

Non sarà letto il messaggio figli al funerale

Non c’è stato alcun messaggio pubblico da parte dei figli di Silvio Berlusconi durante il funerale dell’imprenditore e politico che è iniziata alle 15 trasmessa in diretta dalle reti Mediaset, Rai e La7. La famiglia – si apprende da fonti vicine ai Berlusconi – aveva pensato a un breve saluto che sarebbe stato letto durante la cerimonia dalla primogenita Marina, ma la prassi consolidata per questo tipo di funzioni presso il Duomo di Milano esclude questa possibilità. 

Sono a mezz’asta le due bandiere dell’Italia e dell’Unione Europea collocate nella parte alta del Palazzo di Giustizia di Milano, sopra l’ingresso di corso di Porta Vittoria. E ciò, come previsto per tutti gli uffici pubblici, su disposizione della Prefettura e del Ministero dell’Interno in base al lutto nazionale proclamato per oggi in occasione dei funerali di Stato per Silvio Berlusconi.

Monsignor Delpini: “Il suo desiderio vita trova in Dio compimento“

“L’uomo è un desiderio di vita, di amore e di felicità”. Con queste parole l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini nella sua omelia per i funerali di Stato di Silvio Berlusconi, in corso nel duomo di Milano. Proprio sul desiderio di vita “che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento” monsignor Delpini si è concentrato all’inizio dell’omelia. “Vivere. Vivere e amare la vita. Vivere e desiderare una vita piena. Vivere e desiderare che la vita sia buona, bella per sé e per le persone care. Vivere e intendere la vita come una occasione per mettere a frutto i talenti ricevuti. Vivere e accettare le sfide della vita. Vivere e attraversare i momenti difficili della vita. Vivere e resistere e non lasciarsi abbattere dalle sconfitte e credere che ci sia sempre una speranza di vittoria, di riscatto, di vita”, ha detto monsignor Delpini. “Vivere e desiderare una vita che non finisce e avere coraggio e avere fiducia e credere che ci sia sempre una via d’uscita anche dalla valle più oscura. Vivere e non sottrarsi alle sfide, ai contrasti, agli insulti, alle critiche, e continuare a sorridere, a sfidare, a contrastare, a ridere degli insulti. Vivere e sentire le forze esaurirsi, vivere e soffrire il declino e continuare a sorridere, a provare, a tentare una via per vivere ancora”, ha concluso.

“Essere contento e amare le feste. Godere il bello della vita. Essere contento senza troppi pensieri e senza troppe inquietudini”. Questa la terza riflessione che monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, ha utilizzato nella sua omelia per le solenni esequie di Silvio Berlusconi in Duomo a Milano. “Essere contento degli amici di una vita. Essere contento delle imprese che danno soddisfazione – sottolinea Delpini -. Essere contento e desiderare che siano contenti anche gli altri. Essere contento di sé e stupirsi che gli altri non siano contenti. Essere contento delle cose buone, dei momenti belli, degli applausi della gente, degli elogi dei sostenitori. Godere della compagnia. Essere contento delle cose minime che fanno sorridere, del gesto simpatico, del risultato gratificante. Essere contento e sperimentare che la gioia è precaria. Essere contento e sentire l’insinuarsi di una minaccia oscura che ricopre di grigiore le cose che rendono contenti. Essere contento e sentirsi smarriti di fronte all’irrimediabile esaurirsi della gioia. Ecco che cosa si può dire dell’uomo: un desiderio di gioia, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento“, ha concluso monsignor Delpini.

“Silvio Berlusconi è stato un uomo ed ora incontra Dio”: la fine dell’omelia per Silvio Berlusconi pronunciata dall’arcivescovo di Milano Mario Delpini nel Duomo dove si stanno svolgendo i funerali del Cavaliere, è stata salutata dai presenti con un applauso. I familiari, gli amici e Marta Fascina la compagna di Silvio Berlusconi ha un completo nero e camicia blu e i capelli raccolti., hanno seguito commossi la cerimonia funebre del Cavaliere. Accanto alla Fascina Marina Berlusconi, con abito nero e Pier Silvio in completo blu e cravatta grigia. Poi Barbara con giacca e pantaloni neri e un cerchietto nero, Eleonora, in completo nero e che indossa un cappello nero con veletta e Luigi in completo grigio e cravatta nera. Due file indietro Maria De Filippi con una camicia bianca accanto alla compagna di Pier Silvio, la conduttrice Silvia Toffanin con i figli.

Il presidente di Mfe-Mediaset e amico da sempre Fedele Confalonieri è stato uno dei primi «big» dell’economia e della finanza a entrare nel Duomo di Milano per i funerali di Silvio Berlusconi. Oltre a lui si sono visti Guido Barilla, presidente dell’omonimo gruppo, Nerio Alessandri di Technogym, Luigi Ferraris a.d. delle Ferrovie dello Stato, oltre all’ex sindaco di Milano ed ex presidente Ubi, Letizia Moratti, l’ad di Mediobanca Alberto Nagel. Presenti tutti i dirigenti di Mediaset, Publitalia e Mondadori, compreso l’amministratore delegato del gruppo Antonio Porro. Redazione CdG 1947

Berlusconi, l’omelia di Delpini non è stata solo un inno alla nostra vita ma l’inno a Dio per la vita che ci ha dato. Daniela Santanchè su Il Riformista il 17 Giugno 2023

Nel “Si&No” del Riformista spazio alla discussione sull’omelia di Monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, in occasione dei funerali di Stato di Silvio Berlusconi. La domanda che poniamo è la seguente: l’omelia è stata opportuna? Rispondono la ministra del Turismo Daniela Santanché, secondo cui l’omelia di Delpini “non è stata solo un inno alla nostra vita ma l’inno a Dio per la vita che ci ha dato”, e Ludovico Seppilli (giovani Forza Italia) che “avrei molto approvato quello che non è stato detto”

Qui il commento di Daniela Santanché:

L’omelia dell’altro ieri pronunciata dall’Arcivescovo Delpini ai partecipatissimi funerali di Silvio Berlusconi, mi ha sorpreso, e credo abbia sorpreso tutti i presenti nel Duomo di Milano per almeno due ragioni: la forma e il contenuto.

La forma: è tipico della scrittura del teatro sovrapporre due piani distinti, quello locutivo, ovvero sia quello della parola, e quello illocutivo, il gesto. La lettura del testo da parte dell’Arcivescovo va compresa in una forma del tutto particolare di azione: non quella teatrale, ma quella propriamente liturgica. Come azione liturgica l’omelia è stata il punto di saldatura tra la prima parte della celebrazione, i riti introduttivi e le letture, compresa l’anticipazione nel rito ambrosiano del congedo, e la seconda, l’Eucarestia.

Alle musiche gregoriane, senza ritmo, come sospese, la lettura dell’omelia ha dato la quantità, il peso, il corpo, lo spessore, ma anche il ritmo. La tecnica usata è la cosiddetta ripetizione in crescendo, fino a raggiungere un climax: all’inizio in forma anonima, eterea come il gregoriano, alla fine, con un tono che si fa via via sempre più vibrante, sostenuto, e pieno, dando un nome alla parola “uomo”: Silvio. Le ripetizioni -vita, amore, gioia- dal canto senza nome sono diventate la vita concreta non dell’uomo astratto, ma di un ben determinato uomo con un corpo. Alla tecnica della ripetizione, ora ritardata, ora accelerata, si lega il contenuto, tipico di don Giussani: il senso del reale. La vita è reale, è contraddittoria, è cangiante.

L’immanenza terrena cui l’uomo si aggrappa, che percepisce come opportunità da cogliere per far fruttare appieno i propri talenti, il desiderio che essa sia piena, e colorata dalla speranza di un successo persino nel momento della sconfitta, compone la realtà concreta che sarebbe tuttavia senza senso esistenziale se privata del senso ultimo, se privata di Dio.

Vivere e non sottrarsi alle sfide, ai contrasti, agli insulti, alle critiche, e continuare a sorridere, a sfidare, a contrastare, a ridere degli insulti. Vivere e sentire le forze esaurirsi, vivere e soffrire il declino e continuare a sorridere, a provare, a tentare una via per vivere ancora trovano in Dio il compimento e il giudizio, cioè la verità interiore che solo lui conosce, e quella definitiva: l’eternità.

Lo stesso, dicasi per il desiderio di essere amato e temere che l’amore possa essere solo una concessione, una accondiscendenza, una passione tempestosa e precaria. Amare e desiderare di essere amato per sempre e provare le delusioni dell’amore e sperare che ci possa essere una via per un amore più alto, più forte, più grande.

Amare e percorrere le vie della dedizione. Amare e sperare. Amare e affidarsi. Amare ed arrendersi. E anche il desiderio di gioia (essere contento delle imprese che danno soddisfazione. Essere contento e desiderare che siano contenti anche gli altri. Essere contento di sé e stupirsi che gli altri non siano contenti) trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento.

Azione liturgica e giudizio senza pregiudizio di Dio, che conosce prima, e forse proprio per questo perdona. Ma forma e contenuto sono diventati nell’omelia dell’Arcivescovo Delpini la risposta alla musica gregoriana magistralmente eseguita in Duomo. Al coro degli Angeli musicato in Duomo tutti noi siamo stati invitati a intonare l’inno degli uomini a Dio, con tutte le dissonanze che ci appartengono e che Dio, conoscendole prima di noi, non nega, ma può perdonare. Io credo che l’omelia non sia stata quindi un inno alla nostra vita, ma l’inno a Dio per la vita che ci ha dato. Daniela Santanchè

Quello che non è stato detto...Berlusconi, nell’omelia di Delpini avrei voluto sentire altro: prima di affari e politica ha creato una comunità. Ludovico Seppilli su Il Riformista il 17 Giugno 2023

Nel “Si&No” del Riformista spazio alla discussione sull’omelia di Monsignor Mario Delpini, arcivescovo di Milano, in occasione dei funerali di Stato di Silvio Berlusconi. La domanda che poniamo è la seguente: l’omelia è stata opportuna? Rispondono la ministra del Turismo Daniela Santanché, secondo cui l’omelia di Delpini “non è stata solo un inno alla nostra vita ma l’inno a Dio per la vita che ci ha dato”, e Ludovico Seppilli (giovani Forza Italia) che “avrei molto approvato quello che non è stato detto”

Qui il commento di Ludovico Seppilli:

Qualunque fosse la scelta, non si trattava di un compito facile quello di Monsignor Delpini. Tenere un’omelia in un contesto come quello del Funerale di Stato di una personalità che ha lasciato un segno così forte nelle persone era una sfida ardua. Personalmente, più che disapprovare quello che è stato detto, avrei molto approvato quello che non è stato detto.

Ricordare che nella pienezza dell’esistenza di un uomo c’è anche una vita fatta di affari, di politica e che questi termini non sono, come questi ultimi anni di giornalismo anti-sistema hanno provato a convincerci, termini negativi credo sia stato un tentativo apprezzabile.

Ma, in un contesto religioso come quello di mercoledì, non riesco a comprendere le ragioni per cui si sia omesso il fatto forse più grande che Silvio Berlusconi ha saputo compiere: la creazione di una comunità. Pierluigi Pardo e l’Emiro del Qatar. Sessantenni delle più alte sfere sociali di Milano e giovanissimi con la spilla di Forza Italia nel cuore ancor prima che sulla giacca. Sportivi e top manager. Berlusconi ha saputo disegnare, costruire e regalare un sogno che ha unito cose e persone che sulla carta c’entravano poco o niente.

Cosa c’è di più cattolico dell’immaginare una traiettoria che diventa esempio per migliaia di persone, in decine di ambiti e contesti diversi tra loro quando non opposti? Cosa più dell’uomo stesso, inteso come fatto concreto, può trasmettere il senso più profondo dell’insegnamento cattolico?

“La famiglia non è la somma delle persone che la costituiscono, ma una “comunità di persone”. E una comunità è di più che la somma delle persone. È il luogo dove si impara ad amare, il centro naturale della vita umana. È fatta di volti, di persone che amano, dialogano, si sacrificano per gli altri e difendono la vita” dice Papa Francesco.

Tra le tante grandezze degli 86 anni vissuti da Silvio Berlusconi, quel senso di comunità che si respirava in tutta Piazza Duomo è stata la più tangibile. Ad attendere ore sotto al sole l’arrivo del feretro c’erano migliaia di persone per lo più sconosciute le une alle altre, portate lì dall’aver aderito a una proposta fatta di umanità, semplicità e, come diceva sempre lui, libertà.

Mi sarebbe piaciuto, da cattolico più che da berlusconiano, vedere tutto questo messo ben prima degli affari e della politica. La politica, per Berlusconi come per tutti noi, è uno strumento. Ma quella comunità di persone era il fine. E come tutti i fini che si è prefissato nella sua vita, lo ha raggiunto a pieno.

Ludovico Seppilli

La lettera di Giorgia Meloni: “Berlusconi esce di scena da protagonista: i suoi avversari hanno perso”. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 14 Giugno 2023  

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni: sul suo nome gli italiani si sono divisi e il giudizio della storia sarà diverso da quello della cronaca

Silvio Berlusconi esce di scena da protagonista. Molti in queste ore ne hanno raccontato l’avventura umana, imprenditoriale e politica.Sul suo nome gli italiani si sono divisi e il giudizio della storia sarà diverso da quello della cronaca. Più sereno, meditato ed equilibrato. C’è chi lo ha combattuto politicamente con lealtà e chi invece ha usato mezzi impropri per provare a sconfiggerlo. Anche questo è un dato sul quale riflettere, per l’oggi e il domani, perché alla fine di questa storia i suoi avversari hanno perso.

Berlusconi faceva parte della borghesia imprenditoriale di Milano non per eredità e lignaggio, ma per capacità e intraprendenza. Quanti stereotipi su di lui si addensano in queste ore. La storia della famiglia di Berlusconi è quella di tanti italiani che nel Dopoguerra, con pochi soldi e molte speranze, si sono battuti per migliorare la loro condizione e quella dei propri figli, realizzando quello che è stato chiamato il miracolo italiano. La naturale empatia che molti italiani provavano per Berlusconi deriva da qui: dall’essere uno di loro, uno che ce l’aveva fatta e che non apparteneva a quei mondi esclusivi e inaccessibili, tipici delle storiche famiglie influenti italiane.

Berlusconi è stato il primo della nostra storia repubblicana a diventare presidente del Consiglio dopo essersi affermato nel settore privato. L’imprenditore prestato alla politica che rompeva uno schema ormai consolidato in Italia.

La sua cavalcata nella cronaca è diventata storia perché, a un certo punto, il suo modo di essere nella vita privata è diventato una svolta pubblica, una reazione di fronte alla parabola che in Italia stava assumendo la storia dopo il crollo del Muro di Berlino. Berlusconi ha impedito che i postcomunisti prendessero il potere in Italia pochi anni dopo il crollo dell’Unione Sovietica, che aveva sancito la fine del comunismo in Europa. Un paradosso storico evitato dalla sua decisione di fondare Forza Italia e federare le forze politiche del centro, della destra e il movimento leghista. È questa, in fin dei conti, la grande colpa che la sinistra non gli ha mai perdonato.

Il suo ingresso nell’arena della politica ha accelerato i processi di trasformazione che erano già in corso a destra e a sinistra. Berlusconi ebbe il tempismo e colse il momento. Quella che doveva essere una lunga stagione di governi di estrazione socialista, senza reali alternative nel campo moderato, si è trasformata nell’era dell’alternanza al governo tra centrodestra e centrosinistra, dando all’Italia una dimensione occidentale e contemporanea, rafforzando così l’intera nazione a livello internazionale. Della sua figura prevalgono le molte luci, sul piano umano e ancor di più su quello politico, essendo stato da leader di partito e da presidente del Consiglio un formidabile difensore del nostro interesse nazionale e del nostro tessuto produttivo e sociale. È questa la grande eredità che Berlusconi lascia all’Italia. Ne sapremo fare buon uso. Grazie Silvio. 

Redazione CdG 1947

Il testo integrale dell’omelia appena pronunciata dall’arcivescovo Mario Delpini, durante il funerale di Silvio Berlusconi, dal titolo “Ecco l’uomo: un desiderio di vita, di amore, di felicità”, pubblicato da editorialedomani.itil 14 giugno 2023.

Vivere e resistere e non lasciarsi abbattere dalle sconfitte e credere che ci sia sempre una speranza di vittoria, di riscatto, di vita. Vivere e desiderare una vita che non finisce e avere coraggio e avere fiducia e credere che ci sia sempre una via d’uscita anche dalla valle più oscura. 

Vivere e non sottrarsi alle sfide, ai contrasti, agli insulti, alle critiche, e continuare a sorridere, a sfidare, a contrastare, a ridere degli insulti. Vivere e sentire le forze esaurirsi, vivere e soffrire il declino e continuare a sorridere, a provare, a tentare una via per vivere ancora. Ecco che cosa si può dire di un uomo: un desiderio di vita, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento.

Amare e desiderare di essere amato. E cercare l’amore, come una promessa di vita, come una storia complicata, come una fedeltà compromessa. Desiderare di essere amato e temere che l’amore possa essere solo una concessione, un’accondiscendenza, una passione tempestosa e precaria. Amare e desiderare di essere amato per sempre e provare le delusioni dell’amore e sperare che ci possa essere una via per un amore più alto, più forte, più grande. 

Amare e percorrere le vie della dedizione. Amare e sperare. Amare e affidarsi. Amare ed arrendersi. Ecco che cosa si può dire dell’uomo: un desiderio di amore, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento.

Essere contento e amare le feste. Godere il bello della vita. Essere contento senza troppi pensieri e senza troppe inquietudini. Essere contento degli amici di una vita. Essere contento delle imprese che danno soddisfazione. Essere contento e desiderare che siano contenti anche gli altri. Essere contento di sé e stupirsi che gli altri non siano contenti. 

Essere contento delle cose buone, dei momenti belli, degli applausi della gente, degli elogi dei sostenitori. Godere della compagnia. Essere contento delle cose minime che fanno sorridere, del gesto simpatico, del risultato gratificante. Essere contento e sperimentare che la gioia è precaria.

Essere contento e sentire l’insinuarsi di una minaccia oscura che ricopre di grigiore le cose che rendono contenti. Essere contento e sentirsi smarriti di fronte all’irrimediabile esaurirsi della gioia. Ecco che cosa si può dire dell’uomo: un desiderio di gioia, che trova in Dio il suo giudizio e il suo compimento 

Quando un uomo è un uomo d’affari, allora cerca di fare affari. Ha quindi clienti e concorrenti. Ha momenti di successo e momenti di insuccesso. Si arrischia in imprese spericolate. Guarda ai numeri, forse si dimentica dei criteri. Deve fare affari. Non può fidarsi troppo degli altri e sa che gli altri non si fidano troppo di lui. È un uomo d’affari e deve fare affari.

Quando un uomo è un uomo politico, allora cerca di vincere. Ha sostenitori e oppositori. C’è chi lo esalta e chi non può sopportarlo. Un uomo politico, nei nostri tempi, è sempre un uomo di parte. Quando un uomo è un personaggio, allora è sempre in scena. Ha ammiratori e detrattori. Ha chi lo applaude e chi lo detesta.

Silvio Berlusconi è stato certo un uomo politico, è stato certo un uomo d’affari, è stato certo un personaggio alla ribalta della notorietà. 

Ma in questo momento di congedo e di preghiera, che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. E ora celebriamo il mistero del compimento. Ecco che cosa posso dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio.

Estratto dell’articolo di Lucetta Scaraffia per “la Stampa” il 15 Giugno 2023. 

Immagino che molti italiani abbiano seguito ieri, davanti al televisore, quello che era indubbiamente l'avvenimento del giorno: i funerali di Silvio Berlusconi. […] voglio […] parlare […] del discorso dell'arcivescovo Delpini, al quale è seguito un applauso, mentre il prelato annuiva soddisfatto.

Che Berlusconi sia stato anche un uomo di spettacolo non giustifica la pioggia di applausi che ha segnato il rito. Applaudire ai funerali è un'orribile abitudine che si è diffusa a imitazione degli show televisivi, ma gli applausi sono in genere destinati al morto. In questo caso è stata applaudita l'omelia, ma molto di rado si applaude un'omelia, che è una riflessione, non uno spettacolo. E per di più, in questo caso, gli applausi sono stati mal riposti perché l'omelia era brutta, intessuta di banalità: si vive, si ama e si cerca di essere amati, di essere contenti e – trattandosi di un uomo d'affari – di fare ovviamente buoni affari.

Che il defunto fosse una personalità […] controversa, che si dichiarava cattolica e credente, ma poi smentiva questa dichiarazione con molti comportamenti: di tutto questo non valeva la pena parlare. E così anche in questo funerale si è ripetuto quello che avviene in quasi tutti i funerali: i celebranti non parlano mai della morte e non affrontano il tema del destino di una vita umana, […] Non toccano il tema bruciante del giudizio divino, al quale ormai nessuno pensa più […] 

No, niente di tutto questo: meglio stare allegri, amare ed essere contenti, finché si può, e sorvolare sugli argomenti che rattristano. Ma il cristianesimo è nato e si è diffuso proprio perché era una buona novella relativa alla morte, a ciò che essa significa: la premessa della grande speranza. […] La morte non era più fonte di terrore, ma possibilità di incontro, personale e vero, con il Salvatore che con il proprio sacrificio l'aveva sconfitta.

Ma monsignor Delpini ha deciso di non avventurarsi su questi temi desueti e di imboccare piuttosto il tema dell'obituary di taglio televisivo, come gli applausi hanno confermato. Ha così tracciato una via di fuga dal pensiero della morte per tutti i presenti, dando lui stesso per primo l'esempio. […] Molti penseranno che Berlusconi si meritava un'omelia simile. Io no: ogni morte richiede rispetto, innanzi tutto silenzio, meditazione. Anche la sua.

Chi è Mario Delpini, l’arcivescovo di Milano della discussa omelia ai funerali di Silvio Berlusconi. La polemica sulle parole dell'arcivescovo. "Che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia". Redazione Web su L'Unità il 15 Giugno 2023

Continua a far discutere l’omelia di Mario Delpini, l’arcivescovo di Milano, che ieri ha celebrato i funerali di Silvio Berlusconi al Duomo. “Silvio Berlusconi è stato certo un uomo politico, è stato certo un uomo d’affari, è stato certo un personaggio alla ribalta della notorietà. Ma in questo momento di congedo e di preghiera – il passaggio finale, quello che ha fatto più discutere – , che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. E ora celebriamo il mistero del compimento. Ecco che cosa posso dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio“.

All’uscita dal Duomo il direttore del tg di La7 Enrico Mentana aveva subito osservato come anche l’omelia avesse diviso, “molto forte, perché è sembrata in parte laica. Di ricongiunzione tra la vita, i piaceri e in parte anche le smodatezze della vita e poi il momento della resa dei conti”. Il giornalista aveva riportato di facce sconcertate, “non tutti l’hanno apprezzata allo stesso modo”. Se per il direttore de Il Foglio Claudio Cerasa era stato “gigantesco Delpini. La sua omelia su Berlusconi è un saggio di vita, di fede, di anti moralismo“, per l’ex radicale e già portavoce di Forza Italia Daniele Capezzone l’omelia è stata “costruita in modo furbo, perché suscettibile di interpretazioni opposte. Un orecchio benevolo vi coglierà la naturale tensione di ogni essere umano alla gioia, al desiderio, alla dimensione terrena (su questo registro si muovono i primi due paragrafi). E, al momento della morte, c’è una doverosa e rispettosa sospensione di ogni giudizio, che spetta solo a Dio”.

Delpini ha diviso, o forse è Berlusconi che continua a dividere anche tramite la sua predica. È arcivescovo di Milano dall’estate del 2017. È nato a Gallarate, il 29 luglio 1951, cresciuto nella parricchia di San Giorgio di Jerago. Ha frequentato le scuole medie e i due anni del ginnasio ad Arona, risiedendo nel Collegio De Filippi. È entrato alla sede di Venegono Inferiore del Seminario di Milano nel 1967, ordinato presbitero nel giugno 1975. Fino al 1987 ha insegnato nel Seminario minore della diocesi di Milano, prima a Seveso e poi a Venegono Inferiore. Delpini ha conseguito la laurea in Lettere presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, la licenza in Teologia presso la Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale, con sede in Milano, il diploma in Scienze Teologiche e Patristiche presso l’Istituto Augustinianum con sede in Roma.

Rettore del Seminario Minore, del Quadriennio Teologico, Rettore Marrio dei Seminari di Milano, insegnante di Patrologia, Vicario episcopale della Zona Pastorale VI di Melegnano. Papa Benedetto XVI lo ha nominato vescovo ausiliare di Milano e vescovo titolare di Stefaniaco in Albania, l’ordinazione episcopale il 23 settembre dello stesso anno, nella Cattedrale di Milano, dal cardinale Dionigi Tettamanzi. Il suo motto è Plena est terra gloria eius. Dal 2007 al 2016 ha ricoperto l’incarico di segretario della Conferenza Episcopale Lombarda. È diventato vicario generale del cardinale Angelo Scola nel luglio 2012 e vicario episcopale per la formazione permanente del clero nel 2014.

Della complessità dell’omelia è indicativo come giornali lontanissimi, di segno opposto, abbiano lodato ma con prospettive e argomentazioni diverse le parole dell’arcivescovo. Se Giuliano Ferrara ha scritto sul Foglio che Delpini “ha dipinto un perfetto ritratto […] era un uomo contento, una macchina desiderante che cercava ardentemente la felicità, anche nelle feste citate con sprezzo del pericolo conformista dal suo parroco cerimoniere dell’ultimissima ora mondana”, sul Fatto Quotidiano Fabrizio d’Esposito ha scritto che l’arcivescovo ha “ricondotto B. alla sua dimensione terrena di uomo che adesso trova ‘in Dio il suo giudizio e il suo compimento’“.

Un altro passaggio significativo dell’omelia di Delpini: “Quando un uomo è un uomo d’affari, allora cerca di fare affari. Ha quindi clienti e concorrenti. Ha momenti di successo e momenti di insuccesso. Si arrischia in imprese spericolate. Guarda ai numeri e non ai criteri. Deve fare affari. Non può fidarsi troppo degli altri e sa che gli altri non si fidano troppo di lui. È un uomo d’affari e deve fare affari. Quando un uomo è un uomo politico, allora cerca di vincere. Ha sostenitori e oppositori. C’è chi lo esalta e chi non può sopportarlo. Un uomo politico è sempre un uomo di parte. Quando un uomo è un personaggio, allora è sempre in scena. Ha ammiratori e detrattori. Ha chi lo applaude e chi lo detesta”.

Redazione Web 15 Giugno 2023

Il ricordo. Racconto dei funerali di Silvio Berlusconi, fatti a sua immagine e somiglianza. L’arcivescovo Mario Delpini lo saluta parlando della gioia di vivere di colui che fu imprenditore e politico, ma soprattutto “un uomo”, con il suo “desiderio di vita, di amore, di gioia”. E’ per me la descrizione perfetta di Silvio Berlusconi. Tiziana Maiolo su L'Unità il 15 Giugno 2023 

Come faccio a non piangere, mentre nella piazza si asciuga le lacrime il suo popolo e dentro al Duomo vedo la commozione di Marina, di Marta, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi, e quegli occhi chiusi con un leggero tremito delle labbra del Presidente Sergio Mattarella, e i pugni schiacciati sulle palpebre di Giorgia Meloni, e il corpo rannicchiato sulla carrozzina di Umberto Bossi.

E’ l’ultimo giorno di Silvio Berlusconi. Solenni funerali di Stato nel Duomo di Milano. L’arcivescovo Mario Delpini lo saluta parlando della gioia di vivere di colui che fu imprenditore e politico, ma soprattutto “un uomo”, con il suo “desiderio di vita, di amore, di gioia”. E’ per me la descrizione perfetta di Silvio Berlusconi, della sua empatia riconosciuta da chiunque, del suo camminare sempre a testa alta verso il futuro, con il coraggio di non arrendersi mai.

Dall’abitazione di Villa San Martino, affossata da centinaia di mazzi di fiori, striscioni e bandiere e da un lungo corteo, un serpentone accompagna il corteo funebre, applaude fino a che le auto non si vedono più, in fondo alla lunga via. Dalle 14,20 sino alle 14,55 lungo il tragitto sono fiori e applausi, mentre su piazza Duomo ronzano le pale dell’elicottero e da sotto sventolano decine e decine di bandiere del Milan e anche quelle di Forza Italia e un paio di tricolori, e il coro infinito dei tifosi: “Un presidente, c’è solo un Presidente”. Nel nome dei 29 trofei in 31 anni che il “dottore” ha regalato al suo Milan. Per non parlare del miracolo del Monza, trascinato rapidamente dalla C alla serie A. Ci hai portato dal fallimento al tetto del mondo, grazie Presidente, dicono i suoi tifosi. E il cartello di un bambino: “Mi consenta, grazie Silvio”.

Gli sarebbe piaciuto questo suo ultimo saluto. Non per lo sfarzo, i militari in alta uniforme, un intero governo e tutti i governatori regionali e il Presidente della repubblica, e delegazioni da tutta Europa e il presidente del Qatar e quello dell’Ungheria. Dentro la chiesa, si sarebbe aggirato a curare i dettagli fino all’ultimo, poi avrebbe controllato il Requiem e la disposizione dei posti, dei fiori e gli orari. Ma il suo corpo l’avrebbe offerto a quelli che stavano fuori, che si arrampicavano sul monumento equestre dedicato a Vittorio Emanuele secondo, che allungavano il collo fin da piazza Mercanti.

Persino il cuscino di rose bianche e rosse nel verde delle foglie adagiato su un legno che si dice prezioso come quello della chitarra di Jimmy Hendrix, persino quello avrebbe controllato e accarezzato. Avrebbe salutato tutti quelli che in abito scuro erano lì per lui, quattro ex presidenti del consiglio, Renzi, Gentiloni, Draghi e Monti, e nessuno di loro è mai stato dalla sua parte. Si sarebbe dispiaciuto per una grande assenza, quello del suo vecchio antagonista Romano Prodi che pure ha avuto dolci parole per lui e che oggi piange un lutto grande, per l’improvvisa morte della moglie Flavia Franzoni.

Una parte del suo mondo è lì, con le note struggenti e languide del “Silenzio”. Tutti gli storici dirigenti della Fininvest, Mauro Crippa, Paolo Liguori, quelli che c’erano e anche quelli, come Enrico Mentana e Umberto Cairo, che ora sono da un’ altra parte, e il mondo dello sport, i presidenti di squadre e gli ex giocatori come Baresi, tra i pochi non di famiglia ammessi alla camera ardente a Villa San Martino.

La chiesa intera che applaude l’ultimo saluto, la sobrietà elegante della città di Milano rappresentata dal sindaco Beppe Sala e il Presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, mentre le reti Mediaset mandano il viso del loro fondatore, e Cesara Buonamici e Barbara Palombelli conducono i telespettatori con le immagini sulla faccia impietrita di Alberto Zangrillo, la commozione di Maria De Filippi, l’unica in bianco contro il cerimoniale dei funerali solenni che suggerisce il nero anche per le signore.

Ma la piazza che lui avrebbe preferito è quella di fuori, piena di ragazzi, troppo giovani per averlo votato, che lo salutano cantando in coro “Berlusconi c’è, Berlusconi alè alè”, Sono quelli di piazza Duomo ma anche quelli che hanno disseminato la zona davanti a Villa San Martino di fiori cartelli e magliette e che hanno aspettato il suo ritorno alle cinque del pomeriggio. E intanto il ministro Nordio presenta le riforme sulla giustizia, nel nome di Silvio Berlusconi. Ma sarà molto impervia la strada, per chi sogna le regole dello Stato di diritto, senza di lui.

DAGOREPORT il 16 giugno 2023.

A proposito di Berlusconi International, sputtanato sulla stampa estera e santificato dai media italici come lo statista che mise fine alla guerra fredda Bush-Putin a Pratica di Mare, bla bla. Bene, alla cerimonia funebre, accanto al povero Mattarella, brillavano il premier ungherese Orban, quello albanese Rama, i rappresentanti di San Marino. 

Il presidente iraniano era lì per caso, visto che era in visita ufficiale in Italia e Roma potentona aveva traslocato a Milano, per squadernare il più grande spot per il governo, l’hanno preso  e spedito sul sagrato del Duomo, come un pacco Amazon. Davanti al feretro del grande statista internazionale, non era presente nessun rappresentante di un governo occidentale.

E i vari Trump, Xi Jinping, Biden, Blair, Clinton, Boris Johnson, Macron, Scholz, Von der Leyen, Trudeau, eccetera (lasciamo perdere la “culona” Merkel), non si sono scomodati nemmeno per un telegramma peloso, per un gesuitico messaggio di cordoglio alla famiglia. Nisba, come dicono in Brianza, anche da parte del Partito Popolare Europeo, di cui si riempiva la bocca  il Silvio dei due mondi. Avete letto una dichiarazione di Manfred Weber, presidente PPE? L’unico leader che voleva baciare la bara era impegnato a gettare bombe su Kiev: Vladimir Putin…

Estratto dell’articolo di Beppe Cottafavi per editorialedomani.it il 16 giugno 2023.

Arrigo Sacchi, Fabio Capello e Max Allegri, i tecnici del calcio; Mario Draghi e Mario Monti, quelli del governo. Maria De Filippi e Barbara D’Urso, le regine della sua tv. Aurelio De Laurentiis che in un sol uomo sintetizza impresa, cinema e calcio. Lele Mora, stanco. Aggrappato al bastone Marcello Dell’Utri. Tutto il governo Meloni. Elly per l’opposizione garbata e Renzi per gabbare il partito. Non pervenuta la politica internazionale. Solo l’emiro del Qatar di fianco a Mattarella. E i capitani reggenti di San Marino, che fa estero. Benedizione religiosa senza moralismo quella dell’arcivescovo di Milano Mario Delpini, muta e laica quella del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. 

Questa la sintesi del funerale postmoderno di Silvio Berlusconi. Che continua nelle pagine dei necrologi del Corriere, in overbooking di cordoglio. Ieri per esempio si è sciolta la trama del necrologio situazionista in due puntate, quello del regista Luca Guadagnino e del direttore artistico Carlo Antonelli. Luca Guadagnino è un grande regista. Per aver diretto il film Chiamami col tuo nome nel 2017, ha ricevuto il plauso dalla critica e numerosi riconoscimenti tra cui una candidatura al Premio Oscar per il miglior film, al Golden Globe per il miglior film drammatico e due ai British Academy Film Awards per il miglior regista ed il miglior film.

Nel 2022 ha vinto il Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia per la sua regia di Bones and All. Carlo Antonelli, collaboratore di Domani, è stato il direttore di Rolling Stones, Wired, Gq, è amico e socio nella produzione di Guadagnino. Il necrologio è un genere letterario codificato in una scrittura formulaica, dove ogni parola pesa non solo nel suo valore semantico, ma anche in quello economico. Perché il condolersi si paga a parola, come una volta il telegramma. Direi che è la prima volta che il genere viene serializzato. Da un maestro anche delle serie tv, che ha realizzato We Are Who We Are nel 2020. 

Questo il plot della fulminea prima puntata. «Parte prima.

Abbiamo passeggiato tutto il pomeriggio per Milano 2, ripensandoti. Le villette color mattone, i ponticelli, la vecchia sede degli uffici tuoi, il lago dei cigni che ogni tanto gettavano per te l’ultimo canto. Poi, ai margini, i bagliori dei ceri dietro le finestre di case regalate. E, dappertutto, nelle strade vuote, l’eco delle tue risate. Quante risate...troppe». 

Questa la Parte seconda, pubblicata ieri dal Corriere.

«Il giorno dopo ti abbiamo celebrato di nuovo facendo tanti giochi, i tuoi preferiti: il monopoli truccato senza imprevisti o probabilità; lo scarabeo per scrivere paroline eleganti; il karaoke tutte imbellettate come te per far passare ogni pensiero; la seduta spiritica per svegliare il demone nella pancia del Paese. Abbiamo urlato tutta la notte.

Carlo Antonelli, Luca Guadagnino Roma, 14 giugno 2023 I due discoli situazionisti lo avevano già fatto. Per Raffaella Carrà, per la regina Elisabetta, per Lucia Hiriart, vedova di Pinochet, con un icastico «finalmente».

Estratto da ilfattoquotidiano.it il 15 Giugno 2023.

“Il lutto nazionale per la morte di Berlusconi? Esagerato e ridicolo. Purtroppo non avranno mai un lutto nazionale le persone normali, cioè tutte quelle persone che non hanno rubato o che non hanno fatto interesse privato in atti d’ufficio o che non hanno risposto alle 10 domande di Repubblica (sul caso Noemi e Ruby, ndr). 

Trovo tutto eccessivo, dallo stop alle votazioni nelle Camere ai funerali di Stato, che sono stati fatti su misura per lui“. Inizia così, ai microfoni de La Zanzara (Radio24), l’analisi tagliente che il fotografo Oliviero Toscani fa della figura di Silvio Berlusconi, rendendosi protagonista di un fitto botta e risposta coi conduttori Giuseppe Cruciani e David Parenzo.

Toscani aggiunge: “Berlusconi ha inciso sulla storia italiana negli ultimi 30 anni? Anche Mussolini, se è per questo. Non credo proprio che Berlusconi passerà alla storia come Cavour. E io non vorrei mai passare alla storia come Berlusconi. Lui in un certo momento storico aveva una tale maggioranza e un tale potere che avrebbe potuto dimostrare di essere un grande statista. E ha perso questa occasione.  Non è stato un grande statista e non passerà mai alla storia come tale“. 

E rincara: “In un certo senso Berlusconi è stato peggio di Mussolini, perché ci ha tolto una morale e una dignità che prima avevamo. Ci ha fatto diventare un popolo di ballerine, ci ha volgarizzato, ci ha messo rossetto, tacchi. Ci ha messo il culo di fuori”. […]

Il fotografo poi si sofferma sugli scandali sessuali dell’ex Cavaliere: “Quelli erano la cosa meno grave, perché in realtà era tutto grave nella sua condotta. Come Mussolini, aveva sicuramente una concezione maschilista di dominio dell’uomo nel senso tradizionale italiano, per dimostrare che era un uomo e che scopare una donna al giorno era indice di virilità. Secondo me, invece, questo è un segno di debolezza virile”. 

E chiosa: “Lavorare con Berlusconi? Gli dissi di no, perché non avrei mai potuto lavorare per e con lui. […]”

Il popolo di Silvio: l’ultimo saluto dell’Italia a Berlusconi. Eleonora Ciaffoloni su L'Identità il 15 Giugno 2023 

Calorosi applausi lo hanno accompagnato da Arcore a Milano, fino al Duomo e alla sua uscita. Il giorno dell’ultimo saluto a Silvio Berlusconi ha visto un’ampia partecipazione, dal mondo della politica, a quello imprenditoriale e dello spettacolo e fino ai tifosi del Milan e i più fedeli sostenitori. Una folla di oltre 15mila persone ha preso posto in piazza Duomo per assistere – dai maxischermi predisposti – alla cerimonia funebre che si è svolta all’interno della Cattedrale milanese. Lì, sono state circa 2300 le persone, tra famiglia, amici e istituzioni, a prendere parte al funerale. Funerali di Stato e lutto nazionale per il Cavaliere: una decisione, quest’ultima, presa dal Consiglio dei Ministri e che rappresenta una prima volta per un ex Presidente del Consiglio.

L’ADDIO DELLA SUA MILANO

Una giornata partita da Villa San Martino, ad Arcore, dove era stata allestita la camera ardente del presidente per le preghiere e i saluti dei più cari. Lì nella serata di martedì, avevano fatto visita i suoi alleati, la premier Meloni e il vicepremier Matteo Salvini e tantissimi altri amici e colleghi. Da lì ieri, alle ore 14 e 15 circa, il feretro di Silvio Berlusconi è partito alla volta del centro di Milano: un tragitto di circa 45 minuti, che è stato accompagnato dai saluti di molte persone assiepate lungo la strada, fino alla piazza principale meneghina, dove ad accoglierlo erano in migliaia. Prima gli applausi, poi i cori dei tifosi del Milan – “Un presidente, c’è solo un presidente” – fino al silenzio, quasi surreale di tutta la folla. Ad accompagnare la salma del Cav per la cerimonia funebre i figli Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi, insieme alla compagna Marta Fascina, tenuta per mano dai due figli maggiori. Tutti, visibilmente commossi, hanno assistito in prima fila all’ultimo saluto, con la cerimonia celebrata dall’arcivescovo di Milano, Mario Delpini. Il Monsignore nella sua omelia ha reso omaggio a Berlusconi che, oltre ogni sua carica e titolo, è stato uomo: “Silvio Berlusconi è stato certo un uomo politico, è stato certo un uomo d’affari, è stato certo un personaggio alla ribalta della notorietà. ma in questo momento di congedo e di preghiera, che cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo: un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. E ora celebriamo il mistero del compimento. Ecco che cosa posso dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio”.

L’OMAGGIO DALLA POLITICA ALLO SPORT

A rendere omaggio al Cav vi erano amici, colleghi e tantissimi politici e il governo intero: dalla premier Meloni, ai vicepremier Tajani e Salvini, passando per i presidenti di Camera e Senato Fontana e La Russa. Ma anche altri leader delle varie forze politiche, Matteo Renzi, Carlo Calenda, Elly Schlein, e altri ex premier da Mario Monti a Paolo Gentiloni (a rappresentanza della Commissione Ue) e Mario Draghi. In prima fila anche il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, assieme ad altri Capi di Stato come il presidente dell’Iraq Abdul Latifi Rashid, l’emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Tahani ed i reggenti della Repubblica di San Marino Alessandro Scarano e Adele Tonnini. Arrivato da Budapest anche l’amico, nonché primo ministro ungherese Viktor Orban. Non solo il mondo della politica: per Berlusconi erano presenti tanti rappresentanti del mondo imprenditoriale, vecchi amici e tutto il mondo Mediaset – da Maria De Filippi a Jerry Scotti – fino al mondo Milan, con i visibilmente commossi Arrigo Sacchi, Adriano Galliani e vecchie glorie come Savicevic, Baresi, Boban e Inzaghi. Presenti anche il presidente della Fifa Gianni Infantino, il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis, e quello della Juventus Gianluca Ferrero, ma anche una rappresentanza della dirigenza dell’Inter.

IL SALUTO DELLA PIAZZA

Una cerimonia seguita anche dalla piazza e da tantissime persone collegate in televisione. All’uscita del feretro dalla cattedrale sono stati continui gli applausi e i cori dedicati a Silvio Berlusconi. Una partecipazione attiva e sentita che è stata riconosciuta dai familiari del Cav tanto che i figli Marina e Luigi hanno tenuto a ringraziare simbolicamente a mani giunte tutte le persone presenti. La salma è stata accompagnata fuori dalla piazza da un abbraccio collettivo e dalla commozione di tanti. Subito dopo la cerimonia, il feretro ha fatto ritorno ad Arcore, mentre nella giornata di oggi la salma di Berlusconi sarà trasferita a Valenza Po, in provincia di Alessandria, per la cremazione. Le ceneri poi, torneranno a casa a Villa San Martino nel mausoleo voluto dal Cav.

Cori da stadio, pianti e vip. L’ultimo saluto a Berlusconi. TIZIANO SCARPA su Il Domani il 14 giugno 2023

Chi si aspettava un musical è rimasto deluso: la messa per l’ex premier è severa e composta. Ma lui le liturgie le creava

Le bandiere del Milan, la famiglia in lutto e Fascina contrita. Presenti tutti: da Mattarella a Boldi, da Meloni a Lele Mora

Poi parla Delpini che fa l’omelia: si vede che l’arcivescovo conosce bene il Vangelo ed è andato a scuola da Ponzio Pilato

Mi aspettavo un musical, non una messa. La consegna di un Telegatto postumo. Una torta gigante da cui escono Angela Merkel, Michelle Obama e Martin Schulz in bikini. Un carro di Viareggio con una coppa dei campioni monumentale. Uno sfarfallio di cartine dorate dal cielo, il golden buzzer sparso da cento mongolfiere a forma di tetta. Tutto avrei detto, ma una messa no. Una messa era al di là delle mie fantasie più scalmanate.

Ci ho sperato fino all’ultimo momento. Piazza Duomo prometteva bene. Gran sventolare di bandiere milaniste e cori calcistici. La morte come gol al novantesimo minuto. E fra le corone di fiori ci sono anche quelle dell’Inter e della Roma. La parete di corone funebri più assurda che abbia mai visto: Avvocatura dello stato e Maria Belén Rodriguez; Milan Club di Parigi e Mediaset España; emiro del Qatar e Lapo Elkann; presidente regione Lazio e presidente Lega Serie B; residenti di Milano 2 e dipendenti delle sedi di Forza Italia.

Si sente nell’aria che stiamo vivendo una giornata storica, con il tipico eccesso autoriflessivo che contraddistingue i nostri tempi: l’euforia di sapere che “sta succedendo qualcosona!, sta succedendo qualcosona!”, e che mobilita fotografatori e videoclippatori, twittatori e instagrammatori, postatori e descrittori, me compreso. È come se la consapevolezza soverchiasse l’evento. Il commento viene prima della cosa in sé.

CACCIA AL PERSONAGGIO 

Sono arrivato in anticipo, mi sono messo a intercettare anch’io le celebrità che entrano da piazza Diaz, di fianco al Duomo. In un’ora ho avuto un assaggio della dura vita dei videocronisti. Si formano grumi di fotografi e giornalisti, corrono istericamente da un capannello all’altro, angosciati di perdere il Personaggione.

Ascolto da vicino le dichiarazioni epocali di Alba Parietti: «Al ristorante mi dicono “c’è Berlusconi, alzati e vai a salutarlo”, io sono una signora, non mi alzo, ma veniva sempre lui da me». Lele Mora: «trattava tutti bene, ti faceva sentire a tuo agio». Barbara D’Urso: «L’ultima volta mi ha chiamato per dirmi che mi aveva visto in trasmissione, e che però secondo lui stavo meglio nel promo con i capelli raccolti: sempre sul pezzo fino alla fine!». Iva Zanicchi: «Mi ha fatto i complimenti per come ho ballato in tv. Faceva tanta beneficenza senza dirlo a nessuno».

Mi sfilano a due passi Mariastella Gelmini, Lorella Cuccarini, Gianni Letta, Enrico Papi, Giulio Tremonti e altre personificazioni sparse della sua ricetta, la mistura di spettacolo e politica, gli ingredienti con cui ha costruito e mantenuto il suo potere.

La madornale decisione di proclamare il lutto nazionale, le bandiere a mezz’asta, i sette giorni di chiusura del parlamento e il megafunerale al Duomo mostrano quanto sia improbo per la destra compiere questo rito di sepoltura, e quanto ingombrante fosse la sua presenza. Sbarazzarsi di lui è stato il desiderio malcelato di tutte le ipocrite prosternazioni deferenti che gli sono state dedicate in questi ultimi anni. Ora bisogna dimostrare di avergli conferito i dovuti onori, con questa elaborazione del lutto sovradimensionata, per poter dire: “Il nostro dovere l’abbiamo fatto, finalmente se ne è andato, non pensiamoci più”.

Il pomeriggio lasciava sperare per il meglio, nonostante la facciata austera della cattedrale. «Magari dentro il Duomo ci sono gli addobbi», mi sono detto. «Statue colorate: ormai le hanno sdoganate anche gli archeologi. Avranno pittato qualche santa con l’ombretto, il rossetto e il tubino nero, che gli piacevano tanto».

Invece, delusione. Siamo proprio dentro una chiesa. Magari si è convertito in punto di morte. Si sa com’è, invecchiando. Tutto può essere. Prendo posto in una panchina libera. Mi ritrovo tra Francesco Storace, Flavio Tosi e Roberto Castelli. Penso con terrore a quando dovrò scambiare con loro un cattolico segno di pace.

IN CHIESA

Ci sono schermi disseminati nella chiesa, vediamo le immagini dell’auto che trasporta la bara in avvicinamento. La colonna sonora di canti eterei del coro nella cattedrale smaterializza quelle immagini, la macchina scorre sospesa su un asfalto metafisico. Segnerà una svolta negli spot automobilistici di prossima generazione.

Si spalanca il portale della chiesa, la luce dilaga, entrano i pennacchi rossi e blu dei carabinieri, parte l’applauso. La bara percorre la navata. Che cosa ci fa Berlusconi in una chiesa? In quella bara c’è la salma più materialista d’Italia. Non poteva entrarci neanche un soffio di spirito, in quel corpo. Era troppo stipato del suo io. Alla spiritualità aveva sostituito le spiritosaggini.

Che cosa c’entra lui con la messa? Non riesco a concepire due cose più distanti. E non perché fosse un grande peccatore. Figuriamoci, i preti vanno in solluchero proprio nei casi come questo. Quanto più ostinato è il peccato, tanto più si dimostra che c’è bisogno di loro per erogare benedizioni e perdono. Il motivo per cui sento questa incongruenza assoluta è un altro. È che lui le liturgie le inventava, non sopportava di entrare in quelle decise dagli altri.

Come hanno potuto fargli un torto così grande? Bisognava mettere in piedi una cerimonia alternativa. Qui c’è un settore enorme di posti riservati a funzionari e dipendenti Mediaset. E l’azienda, agli ingressi del Duomo, aveva disseminato buttafuori vestiti da ammiragli, torvi e sussiegosi: ho chiesto un’informazione a uno che mi ha rimbalzato scuro in volto, come se avessi importunato il segretario personale di Mattarella. Ma allora, con una rappresentanza così numerosa alle esequie, gli sceneggiatori e i programmisti Mediaset avrebbero dovuto darsi da fare, aizzando la fantasia in omaggio all’estrosità del loro padre fondatore. Che so, organizzare una partita di calcio funerario, magistrati contro politici, atei devoti contro cattolici divorziati: squadre indistinguibili, tutti in campo vestiti di nero, tutti contro tutti, tutti contemporaneamente giocatori e arbitri, come voleva essere lui.

Perché invece siamo qui a capo scoperto? Perché non ci hanno distribuito una bandana da metterci tutti quanti sulla testa?

UN INVENTORE DI RITI 

Silvio Berlusconi è stato un inventore di riti. Non è possibile che ora subisca questo vecchiume in extremis, lui che con le televisioni e le trasmissioni e gli inni di partito ha sfornato decine di rituali nuovi. Li ha dettati lui, alle sue condizioni. E adesso si ritrova nel solito cerimoniale buono per tutti, solo un tantino più affollato.

Fondava nuove liturgie ma era un irrituale, un sovvertitore di cerimonie; dalle frivolezze alle cose serie; dalle corna nelle foto istituzionali alla proclamazione di un partito salendo sul predellino dell’auto. Una volta però l’ho ammirato: quando è andato al cinema con la figlia a Vimercate la sera della prima della Scala, e un’altra volta, mi pare, in pizzeria. Mentre l’Italia che conta faceva sbrilluccicare orecchini e canini nel foyer del teatro, lui sgranocchiava un cornicione di capricciosa su una tovaglia a quadretti rossi. L’uomo più ricco d’Italia che riesce a passare per persona qualunque, con i gusti di tutti, lontano da mondanità e culturaglia. Colpo da maestro.

Mentre ricordo queste cose, mi rendo conto che è l’essere umano di cui so più cose, al di fuori della mia cerchia. Anzi, ora che ci penso ne so di lui più di quanto sappia dei miei amici più cari. Per dire, mica ho sentito le loro intercettazioni telefoniche la mattina dopo che sono andati a letto con una tipa. Di Berlusconi invece so tutto, anche se non l’ho mai visto di persona. Di lui sono stato indotto a fantasticare ciò che non poteva essere documentato e divulgato ma si è saputo comunque, dai rapporti con i boss agli spettacolini privati alla fantomatica telefonata in cui le deputate del suo partito si danno consigli nei dettagli su come gli piaceva essere vezzeggiato. Voglio dire che non c’è persona come lui che sia riuscita a imporsi non solo come immagine, ma anche come immaginazione, come oggetto di fantasticamenti, congetture, apparizioni.

Mi riscuoto dai miei pensieri, ho un sussulto quando sento la lettura tratta dalla Seconda lettera di san Paolo ai Corinzi: «Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo». Ho l’impressione che anche la bara rabbrividisca: persecuzione giudiziaria pure in Paradiso.

Alla fine della Liturgia della Parola, è il momento della lettura del Vangelo di Giovanni. «Colui che viene a me non lo caccerò fuori. Chiunque crede in me avrà la vita eterna», dice. È palesemente apocrifo. Nella mia testa ne risuona un altro, certamente autentico: un brano dal Vangelo secondo Mike.

«In quel tempo, Silvio si recò in un sottoscala di Via Teulada, dove era mugugno e stridor di dentiere. Egli radunò a sé Raimondo, Sandra, Pippo, Corrado, Maurizio, Mike, e disse loro: “Perché languite qui in Rai? Venite a me, io vi farò pescatori di telespettatori”. Ed essi si meravigliarono alquanto, e dissero: “Rabbi, cosa possiamo darti che tu non hai già?”. Ed egli disse: “Gli italiani prenderanno sul serio le mie televisioni se ci vedranno dentro voi, e grazie a voi io conquisterò la pubblicità, l’informazione, la politica e tutto il paese, e voi riceverete vita e vecchiaia eterna sullo schermo, vi lascerò fare i vostri quiz e sketch e talk show e bagattelle fino a che non schiatterete”. Ed essi obbedirono, per vanagloria e avidità di denaro, ed ebbero sulla coscienza la presa berlusconiana del paese, e ora bruciano nel fuoco della Geenna».

L’OMELIA 

L’arcivescovo di Milano fa la sua predica. Dice: «Vivere e amare la vita. Vivere e desiderare una vita che non finisce». Ci sta, Berlusconi aveva dichiarato che poteva arrivare a centovent’anni.

L’arcivescovo dice: «Amare e desiderare di essere amato. Temere che l’amore sia una concessione, un’accondiscendenza». Berlusconi si sarà mai chiesto quanto lo amavano per convenienza? E quanto l’amore conveniente fosse quello più solido su cui contare, invece del volatile affetto sincero, che oggi c’è e domani chissà?

L’arcivescovo dice: «Essere contento e desiderare che siano contenti anche gli altri. Essere contento e stupirti che non siano contenti anche gli altri». Mentre lo ascolto mi chiedo come dev’essere stata una vita passata a cercare di procurare piacere, a sfruttare il piacere procurato ad altri. Nel mio piccolo, l’ho vissuto anch’io. Ho scritto per il teatro: è un’esperienza unica vedere realizzato sul palco una propria fantasia; registi, attori, scenografi, costumisti, tecnici, tutti si adoperano per concretizzarla. Mi è sembrato perfino troppo: l’imposizione di un mio sogno. Moltiplicando la mia esperienza per un milione, posso intuire in quale ebbrezza viveva lui, che è riuscito a imporre il suo sogno agli italiani. Proprio il suo personale, non quello del marketing.

In un primo tempo infatti credevo che ciò che proponevano le sue televisioni fosse il frutto di oculate strategie di mercato, sondaggi sulle preferenze e le debolezze profonde della gente. Il meglio della semiotica e delle scienze umanistiche novecentesche applicate agli schermi: archetipi condivisi, scaltrezza commerciale, estetica dei media. E invece no, mi sbagliavo. È ciò che mi ha impressionato di più, quando è venuto fuori com’era il suo modo di concepire il divertimento privato e i piaceri personali. Stangone, tettone, sorrisoni, dentature sbiancate, siparietti triviali.

Lo spettacolo televisivo che ci ha offerto Berlusconi, da quarant’anni a questa parte, il sogno in cui ci ha risucchiati, era quello che piaceva veramente a lui. Era il suo sogno. Quello che, appena poteva, lui allestiva scenicamente per sé stesso, dal vivo, intorno a sé, a casa sua, a palazzo Grazioli, nella villa in Sardegna, facendolo recitare in carne e ossa dalle sue giovani invitate, dai suoi strimpellatori di chitarra, dagli ascoltatori delle sue barzellette.

L’arcivescovo continua la sua predica, si contiene, sette minuti in tutto. Dice che Berlusconi è un uomo d’affari, e gli uomini d’affari devono fare affari. Dice che Berlusconi è un politico, e i politici dei nostri tempi sono uomini di parte. Dice: «Un desiderio di vita, un desiderio di amore, un desiderio di gioia. Ecco che cosa si può dire di Silvio Berlusconi. È un uomo e ora incontra Dio». Ottima predica, si vede che l’arcivescovo conosce bene il Vangelo ed è andato a scuola da Ponzio Pilato.

Sono piuttosto indietro nelle file, a tre quarti della navata, ma lo vedo anche sugli schermi; è evidente che lo stanno doppiando. Lo guardo bene, gli leggo il labiale. In realtà sta dicendo: «Berlusconi è stato un grande secolarizzatore. Se mai ha avuto un merito, è stato quello di rendere miscredenti gli italiani; sì, meglio l’ateismo che la nostra ipocrisia clericale. Ma allora come mai oggi pomeriggio noi preti omaggiamo il nostro sterminatore? Colui che ha lavorato alla nostra estinzione, spazzando via ogni afflato verso la trascendenza con il culto del successo, dei soldi, della figa?»

Finita la messa, portata fuori la bara, nel settore della piazza riservato alla gente sventolano i bandieroni del Milan. Dalla folla non sale nessuna preghiera, solo cori da stadio. 

TIZIANO SCARPA.  Romanziere, poeta e drammaturgo. Il suo ultimolibroè La penultima magia (Einaudi 2020). Tra i titoli più recenti, Stabat Mater(Einaudi 2008, premio Strega 2009 e Premio SuperMondello 2009), L’inseguitore (Feltrinelli 2008), Discorso di una guida turistica di fronte altramonto (Amos 2008), Le cose fondamentali (Einaudi 2010 e 2012), La vita, non il mondo (Laterza 2010), Il brevetto del geco (Einaudi 2016 e 2017), Il cipiglio del gufo (2018 e 2020)

Estratto dell'articolo di Luca Bianchin per gazzetta.it il 15 Giugno 2023.

Il feretro arriva sul sagrato del Duomo e la curva canta "un presidente, c’è solo un presidente". La bara esce e gli ultrà fanno ondeggiare i bandieroni. Mettiamola così: non il tipico classico funerale di Stato. Silvio Berlusconi del resto ha mischiato calcio e politica come mai nessuno, in questo Paese. […]mentre i figli e la compagna accompagnavano una bara di legno sulle scale del Duomo. Non lacrime ma cori. Non canti gregoriani ma canti da stadio.

All’interno, lo aspettavano i suoi ragazzi. Adriano Galliani e Ariedo Braida erano presenti […]

Il Milan attuale era a pochi metri. Paolo Scaroni, attuale presidente, è stato legatissimo a Berlusconi e molti ieri lo hanno riconosciuto in tv, in prima o seconda fila con la famiglia. Giorgio Furlani, l’a.d., era in chiesa. Poi certo, gli allenatori e i giocatori di Berlusconi. Franco Baresi, Demetrio Albertini, Zvone Boban, Dejan Savicevic che per esserci ha guidato per 1.200 chilometri da Podgorica, Daniele Massaro, Giovanni e Filippo Galli, Pippo Inzaghi, Giovanni Stroppa. […]

Paolo Maldini era arrivato da poco a Miami quando Berlusconi ha lasciato questo mondo e molti, sui social, hanno fatto notare che tornare per un saluto sarebbe stato un segno di riconoscenza e di affetto. Assenti anche altri grandi milanisti, da Ancelotti a Gattuso, fino agli olandesi Gullit-Van Basten-Rijkaard. […]

Arrigo Sacchi e Fabio Capello invece c’erano. Sacchi tra i più commossi, Capello col completo blu e la camicia bianca, come in tv. In un altro punto della chiesa sedeva Max Allegri, l’allenatore dell’ultimo scudetto, mentre Alberto Zaccheroni, ancora debilitato dopo il lungo ricovero in ospedale, ha desistito all’ultimo. "Berlusconi è stato un grande presidente e un grande uomo - ha detto Sacchi in serata, […]

 L’assenza di Maldini? Per me Paolo è giustificato, non credo meritasse quello che gli hanno fatto la scorsa settimana". […]. Assente anche Luigi De Siervo, Amministratore Delegato della Lega Serie A.

[…]

Estratto dell’articolo di Niccolò Zancan per “la Stampa” il 15 giugno 2023. 

Arrampicati ai piedi del monumento equestre di Vittorio Emanuele II, […] stanno gli amici di Silvio Berlusconi che lui non ha mai conosciuto. […] «Mi chiamo Rodolfo Bianchi, sono vedevo, elettricista in pensione. Ho l'età di Silvio. E se la morte si è preso uno come lui, allora io che speranze ho?». In quel momento dalle casse collegate al maxi schermo risuonano le parole più forti dell'omelia: «Essere contento! E sperimentare che la gioia è precaria!».

Esattamente questo è il sentimento popolare nel giorno del funerale di Silvio Berlusconi: una gigantesca malinconia, una disillusione. Sono passati troppi anni per tutti. E adesso è difficile credere alla felicità. «Un Milan come il suo non lo vedremo mai più» dice l'ex metalmeccanico Roberto Dagostino. Questa è la morte di un personaggio pubblico entrato così tanto nella vita privata degli italiani, che quelli che sono qui adesso a salutarlo è come se si accomiatassero da una parte della propria esistenza.

[…] Parte il coro della curva del Milan: «Un presidente! C'è solo un presidente!». Parte un applauso dalle prime file. Si avvicina un signore per dire quello che gli sta a cuore. «Sai cos'è questa giornata?», chiede retoricamente il cavalier Silvio Ippoliti, già docente universitario e manager. «Questa giornata è il flop totale della magistratura. Dai servizi sociali al funerale di Stato: ha vinto Silvio!».

Quando portano via la bara, restano le bandiere in aria e in terra le carte dei panini. Tutti vogliono un selfie con un capo ultrà. Una prova immanente di Berlusconismo. L'aver trasformato il calcio in spettacolo e ogni persona in un potenziale personaggio. Così all'inizio fanno le foto con Giancarlo Capelli detto «il Barone» perché nessuno come lui rappresenta la Curva Sud del Milan, ma poi fanno le foto con Giancarlo Capelli detto «il Barone» perché sta facendo foto con tutti. «Ma chi è?».

[…] dietro alle transenne, stava il popolo di Silvio. Ecco perché in molti si sono arrampicati lassù. Per avere una vista diretta. Come dal tinello di casa sulla tv commerciale. Applauso per Mario Draghi. Applauso più forte per il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Tifo da stadio per Silvio B. […] Il signor Antonio Petrella da Caserta: «Mi sono svegliato alle 3 del mattino. Ma per Silvio, uno che dormiva 4 ore a notte per lavorare, è il minimo che potessi fare». Il fabbro in pensione Albereto Capitanio: «Non mi importa quello che dicono di lui. Io gli perdono tutto».

E in questo gigantesco cantico delle gesta di Berlusconi, una signora a un certo punto ha detto la frase finale. La frase che spegne la luce. E fa calare il sipario. Lì intorno, tutti si sono voltati a guardare. Guardavano la signora Helen Owie, originaria della Nigeria, da trent'anni in Italia, che mentre ancora applaudiva e ancora piangeva ha detto così: «Menomale che Silvio c'era».

Sogno o son destro. I miei strani trent’anni da milanista di sinistra. Cataldo Intrieri su L'Inkiesta il 16 Giugno 2023

Nessuno ha subito l’effetto divisivo di Berlusconi quanto il tifoso rossonero non simpatizzante per Forza Italia. Alla morte del Cavaliere si tirano le fila di una lunga storia di fede, politica e calcistica 

A quelli come me Silvio Berlusconi ha diviso l’anima in due. Parlo di un tipo particolare e diffuso: l’uomo di sinistra tifoso del Milan. Una condizione condivisa con migliaia e migliaia di consimili, gente a cui lui faceva girare le scatole a ogni tornata elettorale e che poi con lui saltavano e cantavano a ogni coppa levata al cielo. Una storia cominciata dal giudice fallimentare nel 1986 dopo i trionfi dell’era di Nereo Rocco, il paròn, e di Rivera. Al decennio tra gli anni Sessanta e Settanta (due scudetti, due coppe dei campioni, due coppe delle coppe, una coppa intercontinentale, tre coppe Italia) per il Milan era seguito un periodo lunghissimo in cui c’erano state più retrocessioni in serie B (due) che scudetti (uno, con gli ultimi lampi di Rivera e il genio tattico del Barone Liedholm).

Il racconto inizia al suono della cavalcata delle valchirie e degli elicotteri a Milanello, tra le pernacchie di chi pensava che sarebbero serviti come quelli degli americani a Saigon per una fuga precipitosa nella vergogna. Invece l’uomo stava spacciando sogni per bambini cresciuti e nostalgici.

Dopo tre anni, il Milan era in cima al mondo e offriva a noi increduli tifosi partite da leggenda, come una stratosferica cinquina a uno dei tanti mitologici Real Madrid della storia. Non l’avremmo mai voluto ammettere, ma quella che sentivamo era la felicità assoluta del fanciullo che si trova a vivere una favola che credeva perduta nell’infanzia. E il merito era di un destroide cummenda che insultava le tue idee.

Quella schizofrenia sentimentale tra la ragione della politica e l’estasi dei sogni toccò il suo culmine il 18 maggio del ’94, quando nello stesso giorno il primo governo Berlusconi cercava la fiducia in un senato dalla maggioranza ballerina e il Milan invece cercava la sua quinta coppa dei campioni al cospetto del Barça allenato da Johann Crujff, battezzato come il dream team di sempre.

Ci andava senza la coppia centrale di difensori Beppe Baresi/Alessandro Costacurta e senza una prima punta capace di segnare più dei dieci gol stagionali di Daniele Massaro, adattato a improbabile centravanti. Fu un doppio trionfo per lui e l’ennesima lacerazione per il tifoso di sinistra. Ma se devo essere sincero, non avrei mai contrabbandato la caduta in Parlamento della destra con i quattro gol rifilati ai presuntuosi catalani, umiliati da una doppietta del riadattato Massaro e pure con un indimenticabile pallonetto di Dejan Savicevic che impietrì l’arroganza di Crujff e capovolse i pronostici della vigilia. Altro che accontentarsi di un’onorevole sconfitta e crogiolarsi nella mistica da falliti della sfiga avversa come i bauscioni: non c’era alternativa alla vittoria se non il dolore senza consolazione possibile.

Confesso miserevolmente che ogni disfatta politica era lenita dalla speranza che i successi elettorali avrebbero arricchito la dotazione tecnica del Milan. E infatti dopo la sconfitta del ‘96, durante la lunga marcia nel deserto il profilo calcistico fu tenuto volutamente basso (e, ciò nonostante, non ci si poté esimere dal vincere il sedicesimo insperato scudetto, rimontando con sette punti nelle ultime sette partite la stellare Lazio di Sergio Cragnotti). Il cavaliere era improvvisamente rifiorito a nuova vita su tutti i media possibili per appropriarsi dei meriti, ma gli si perdonava tutto in quei momenti e si programmava pure di far tappa durante il viaggio di nozze a Perugia per l’ultima di campionato, sfidando il precoce naufragio matrimoniale.

Ritornato al governo fu di nuovo grandeur: da Rui Costa a Pippo Inzaghi, a Clarence Seedorf e Andrea Pirlo, presi con scambio da plusvalenze all’Inter, cui vennero rifilati due non eccelsi pedatori, a Rivaldo e poi Alessandro Nesta fino a uno sconosciuto talentino brasiliano che suscitò titoli memorabili («Galliani stringe per Kakà»). Fu l’ultimo pallone d’oro del Milan. E quell’abbinamento tra calcio e politica così straziante per il sentimento della sinistra calcistica continuava, nel bene e nel male.

Nel 2005 la sconfitta politica si accompagnò alla rovina di Istanbul, con la beffa di una rimonta di tre gol subita dal Liverpool e il dubbio che fosse finita. Invece dopo due anni Berlusconi e il Milan ritornano a rivincere in politica e in Champions (prendendosi pure la rivincita con gli inglesi). Il declino arriva nel secondo decennio, con la cacciata da palazzo Chigi e la squadra defraudata di uno scudetto per un gol non visto solo dall’arbitro nella partita decisiva con la Juventus. Il golden touch se ne andava, via pure i grandi giocatori, da Kakà a Zlatan Ibrahimovic, per salvare il bilancio, sostituiti da qualche vecchia gloria e mezze figure.

Berlusconi tuttavia è stato capace di finire il suo sogno politico e calcistico al momento giusto, quando non sarebbe stata più possibile l’epica titanica, ma solo una pallida imitazione. Quando il Milan è tornato a vincere per la prima volta senza di lui in trent’anni, spezzando una pericolosa catena sentimentale, ci si è comunque inteneriti a vederlo festeggiare la sera dello scudetto rossonero, come un’ombra di sogni lontani.

L’ultima immagine che resta, tremenda, è quella senza fiato e penosa di un uomo che si chiede: «Cosa ci faccio qui?», sapendo di non avere futuro. E aveva ragione, comunque la si pensi. Non era per lui una vita da mediano ad accontentarsi di una qualche Conference League. Quando finiscono i sogni bisogna andare.

Andrea Carloni, il tifoso del Milan che si svegliò dal coma ascoltando la voce di Berlusconi. Storia di Simone Golia Corriere della Sera il 15 Giugno 2023.

Una volta saputo della morte di Berlusconi, Andrea Carloni si è ammutolito: «Lo ha letto su Facebook — ci racconta Alfio, il papà — pensava fosse una cavolata, uno dei tanti falsi allarmi. Poi ha capito che questa volta era successo davvero». Suo figlio oggi ha 42 anni, ma ne aveva 16 quando — il 28 febbraio 1997, ad Ancona — un’auto sbuca dal nulla e, fregandosene del segnale di precedenza, lo travolge mentre, in motorino, stava tornando verso casa, dove i genitori e la sorella Cristina lo aspettavano per cena. L’impatto col marciapiede è violentissimo, il casco e la tempestività dei soccorsi gli salvano la vita: «È una storia che possiamo raccontare. Quando hai questa fortuna, va bene così», sussurra al telefono Alfio, che per cinque mesi osserverà il figlio immobile sul lettino d’ospedale, con gli occhi chiusi e immerso in un sonno profondo: «Aveva subito un forte trauma cranico. Malgrado le terapie, non dava segnali di risveglio».

La voce di Berlusconi

Poi la svolta. Un collega di Alfio — che lavora come guardia giurata — sa del forte tifo per il Milan da parte della famiglia Carloni. Andrea è un milanista sfegatato, come la madre, da sempre innamorata di Rivera. Prende dunque carta e penna e scrive una lettera a Berlusconi, spiegandogli la situazione e chiedendogli di registrare la voce dei giocatori: «Era convinto che, nonostante il coma, Andrea riuscisse a percepire il suono», prosegue Alfio, che di lì a poco si ritroverà con in mano una bella sorpresa: «Berlusconi aveva inciso personalmente un discorso di 15 minuti in cui esortava mio figlio a svegliarsi e a tornare alla vita di prima. “Andrea, è il tuo presidente che ti parla — iniziava così— Andrea, svegliati. Io e il Milan ti aspettiamo. So che lo puoi fare e noi ti abbracceremo tutti”. Glielo ho fatto ascoltare a tutte le ore. Pochi giorni dopo ha riaperto gli occhi. Quel nastro, ogni tanto, lo risento pure oggi».

La storia suscita da subito grande clamore, le tv la cavalcano, Andrea viene invitato da Bruno Vespa nel salotto di Porta a Porta. «Pensavo che, una volta sentitomi, non avresti più voluto svegliarti!», ci scherza Berlusconi. Che poi mantiene la parola e lo invita a Milano. Prima un giro nella sede di via Turati, poi a Milanello dal suo idolo Kakà: «Lo amava, per un suo compleanno il club gli ha regalato la maglia del brasiliano con tanto di autografo», ricorda Alfio.

«A Berlusconi direi soltanto un grande grazie»

Andrea tocca la Champions vinta l’anno prima ad Atene («Anche se la nostra preferita resta quella di Manchester contro la Juventus»). Poi il pranzo con la squadra e San Siro: «La partita me la ricordo ancora, ultima giornata di campionato. Milan-Udinese 4-1, gol di Pato, Inzaghi, Cafù e Seedorf». Entrando nella loro casa di Ancona c’è una serie di altarini a tinte rosse e nere: «Nel 1999, due anni dopo l’incidente, Berlusconi non si era dimenticato di noi e ci aveva fatto recapitare un orologio per il centenario della società. Tassotti ci portò anche l’ultima maglia indossata da Baresi prima di ritirarsi». Oggi Andrea fatica a camminare e ha una paresi al braccio destro, ma frequenta un laboratorio di mestieri dove segue corsi di teatro, pittura e scultura. Da ormai 20 anni c’è una onlus, l’Associazione marchigiana traumatizzati cranici, che porta il suo nome e che sta vicino ai pazienti nel loro percorso post-ospedaliero: «Cosa direi oggi a Berlusconi se lo potessi salutare per un’ultima volta? Non servirebbero tante parole — conclude Alfio — basterebbe un grande grazie».

Estratto dell’articolo di Alberto Mattioli per “la Stampa” il 15 giugno 2023.

Ei fu. Eppure, mai Silvio Berlusconi è stato tanto presente, protagonista, ingombrante in vita come ieri da morto, con questo funerale di Stato così spettacolare e barocco, insieme alto e basso, sublime e triviale, tragico e lieve, insomma shakespaeriano, anzi no: berlusconiano. Teneva insieme tutto: le massime cariche della Repubblica e gli ultras del Milan, i corazzieri e i comici, i cori gregoriani e quelli di «Chi non salta comunista è». 

I cronisti assediano chiunque sia minimamente noto, Massimo Boldi o Mario Draghi pari sono, con improvvise transumanze di telecamere e microfoni quando arrivano Maria De Filippi o Viktor Orban: che spettacolo, che politica, che politica-spettacolo.

Fuori, in piazza, colma ma non stracolma, 15 mila persone, c’è un popolo, si direbbe, più calcistico che politico, con bandiere del Milan molto più numerose e più grandi di quelle di Forza Italia. Dentro il Duomo, uno straordinario fritto misto anagrafico, sociale, politico: tutto il governo da Giorgia Meloni in giù, tutta Mediaset comprese le Iene vestite da Iene, mezza serie A, anziani cumenda dei tempi eroici sostenuti dai badanti filippini, bodyguard palestrati strizzati in completi grigi troppo stretti che contendono il servizio d’ordine ai sagrestani, sindaci con fascia tricolore, sciure così botulinizzate da non poter nemmeno atteggiare la faccia al cordoglio previsto, corone di fiori, gonfaloni di Comuni e di squadre di calcio (Milan, Monza, Inter, Juve, Toro e Roma) e un tizio pazzesco vestito da cowboy, sì, proprio con il cappellone e la giacca con le frange.

I giornalisti dovrebbero restare fuori dalla chiesa (incredibile, o forse no, nell’epoca delle conferenze stampa senza stampa) ma basta accordarsi e accodarsi al politico amico per entrare al suo seguito, così magari ti godi anche un’Elisabetta Gregoraci irritatissima con Flavio Briatore perché sono seduti troppo di lato e troppo indietro: la conforta subito Lucio Presta, però. Forse per la prima volta, ci si accorge di quanto anziani siano ormai i protagonisti dell’evo del berlusconismo triumphans. […]

Sui maxischermi scorrono le immagini del carro funebre che attraversa la Brianza e poi Milano. In Duomo entra per ultimo, come da protocollo, Sergio Mattarella. Al suo fianco, l’emiro del Qatar e i capitani reggenti di San Marino; nella fila dietro, il premier ungherese Viktor Orban, abbracciato da Matteo Salvini, la prima Visegrad non si scorda mai, e quello albanese Edi Rama. Certo, per essere un funerale di gran respiro internazionale, gli annunciati leader mondiali latitano. Arriva la bara, accolta da un grande applauso e accompagnata dai familiari.

Entrata mano nella mano con Marina, la quasi moglie di Silvio, Marta Fascina, se ne vede comunque riconosciuto lo status: è la più vicina al feretro. Accanto, i figli in ordine d’età, Marina, Pier Silvio, Barbara, Eleonora e Luigi. Il fratello Paolo è commosso. Non partecipa la prima moglie, Carla Dell’Oglio; la seconda, Veronica Lario, invece c’è, ma le hanno sbagliato il nome sul cartellino del posto riservato, Veronica Bartolini, frullando insieme il cognome anagrafico e il nome d’arte, vabbè, non è grave. 

Sbuca anche l’ex fidanzata Francesca Pascale che schiva i cronisti e all’inizio sbaglia porta e resta fuori, e tutti i maligni a malignare: ecco, l’hanno rimbalzata. L’arcivescovo, Mario Delpini, legge un’omelia insolita, molto bella, molto furba e molto applaudita. Il passaggio sul fatto che «essere contento e amare le feste» fosse una caratteristica del de cuius può essere variamente interpretato. Nuovi applausi al Silenzio, mentre dalla piazza si alza l’ennesimo coro di «C’è solo un presidente, solo un presideeeente», non si capisce però se riferito a quello del Consiglio o del Milan.

Giorgia Meloni è con il compagno, Andrea Giambruno, nella doppia veste di first gentleman ma anche di giornalista Mediaset; Matteo Salvini con la fidanzata Francesca Verdini e il suocero Denis, già coordinatore di Forza Italia. Curioso che, di tutti questi strenui difensori della famiglia tradizionale, non ce ne sia uno che l’abbia. In quota opposizione arrivano Elly Schlein con Piero Fassino e Gad Lerner con un misterioso valigiotto. Non pervenuti i grillini.

Estratto dell’articolo di Francesca Sforza per “la Stampa” il 15 giugno 2023.

Orban c'era. E insieme al premier ungherese c'erano anche il presidente dell'Iraq, l'emiro del Qatar e i capitani reggenti della Repubblica di San Marino. Putin sarebbe senz'altro venuto a rendere l'estremo omaggio a Silvio Berlusconi, ma il mandato di cattura internazionale che pende sulla sua testa lo ha impossibilitato a partecipare. Per il resto, Occidente non pervenuto, Grande Oriente tanto meno. Si dirà che all'estero Berlusconi non l'hanno mai capito […]il racconto del "trionfo" di Pratica di Mare […] è una cosa che ci siamo raccontati soprattutto nei nostri Tg. Se Berlusconi siamo noi, nessuno si senta offeso. Ma qualcuno, stavolta, potrà pure sentirsi escluso.

(ANSA il 15 Giugno 2023) - Solo sulle reti generaliste, i funerali dell'ex premier Silvio Berlusconi hanno avuto grande esito di pubblico in tv. Trasmessi in diretta sia da Rai, Mediaset e La7, hanno registrato: 2 milioni 86mila spettatori con il 18.3% di share su Rai1, 2 milioni 352mila con il 21.9% su Canale 5, 323mila spettatori con il 3% su Italia1, 565.000mila spettatori con il 5.2% su Rete4, 268mila spettatori con il 2.4% su La7. 

I funerali di ieri pomeriggio al Duomo di Milano hanno caratterizzato l'intera giornata televisiva, non solo con la diretta ma anche con il racconto e gli approfondimenti nei vari programmi.

Il sorpassato. La Berlusconeide, Black Mirror e la facilissima polemica contro gli youtuber. Guia Soncini su L'Inkiesta il 16 Giugno 2023

Non prendiamocela col Cavaliere. Da Bruno Cortona alle “challenge” sceme, il carattere degli esseri umani esibizionisti si è accentuato in questa epoca in cui ogni mediocre ha una telecamera nel telefono

Cosa resta di Berlusconi – al quinto giorno di berlusconeide, al quinto giorno di «Berlusconi in sé, Berlusconi in me», al quinto giorno di articoli di giornali stranieri che fanno tenerezza quando cercano di trovare un senso a un paese che un senso non ce l’ha – cosa resta?

Il mio dettaglio preferito è «Non ho mai ricevuto una telefonata». Con la voluttà con cui si precipitavano a dire che Gianni Agnelli li chiamava alle sei di mattina – sperando questo dicesse di loro che erano interlocutori interessanti – i giornalisti italiani, se lavorano o hanno mai lavorato per Berlusconi, ci tengono a dire che mai mai mai Berlusconi ha detto loro cosa mandare in onda o mettere in pagina – sperando questo dica di loro che sono così schienadrittisti che mai, altrimenti, avrebbero lavorato per lui.

Sono gli stessi giornalisti che poi però, se scrivono di Milan, spiegano in dettaglio quanto Berlusconi interferisse, desse consigli non richiesti, fosse un’ingombrante presenza. Sarà che gli allenatori non scrivono editoriali e quindi non possono ribadirci che neanche a loro mai, neanche a loro una pressione piccina picciò.

Quindi Berlusconi rompeva i coglioni alle signore dicendo loro come vestirsi (aneddoto analogo a quello che riferivo ieri della Palombelli, l’ha esposto a una telecamera Barbara D’Urso: Silvio e la sua vocazione da guardarobiera); e agli allenatori dicendo loro come allenare. Ma a tutti coloro con un tesserino dell’Ordine dei giornalisti, a quelli neanche un consiglio mai.

Sarà che non ce n’era bisogno? Sarà che poteva contare sui più realisti del re? Sarà che era tutto previsto, anche il dissenso, anche quello fa scena?

Una ribelle di quelle da social, di quelle che si sono premurate di scrivere che il lutto nazionale non è a loro nome, perché loro sono bambine speciali e i rituali collettivi li schifano, una di quelle, pubblicata da una delle case editrici di proprietà di Berlusconi (giacché, lo sappiamo da un secolo: il paese non è di destra o di sinistra, il paese è di Berlusconi), una di loro (più di una, plausibilmente) si è trovata nei commenti alla ribellione da vetrina velate minacce aziendaliste.

Ti dovrebbero stracciare il contratto (segue tag all’editore, giacché a quest’epoca piace moltissimo fare la spia con un clic: se si potesse taggare la Guardia di finanza quando non ci fanno la fattura, avremmo già azzerato l’evasione fiscale).

Di costoro – non delle ribelli, che vabbè: dei minacciosi delatori – mi chiedo sempre come ragionino: non lo sanno che quel mercato residuale che è l’editoria sta su grazie a un’illusione collettiva di controcorrentismo e liberalismo, e se un editore racimola qualche spiccio (qualche spiccio reputazionale, soprattutto) è perché pubblica gente che dice che quell’editore è un manigoldo?

Ieri sono uscite, su Netflix, le nuove puntate di Black Mirror. Black Mirror nasce come prodotto di Channel 4, l’altra tv pubblica inglese, quella che non è la Bbc. Netflix prima si limita a distribuirlo nel resto del mondo; poi, avendo solo sceneggiati uno più irrilevante dell’altro, copre di soldi Charlie Brooker, il suo ideatore, perché faccia le nuove stagioni in esclusiva per loro.

Questa è la quarta stagione che Brooker fa per Netflix (quattro stagioni più uno speciale: lo preciso non perché l’informazione abbia alcuna rilevanza ma perché sennò arriva di sicuro qualche lettore che vuole dimostrarmi che ha Google e mi corregge, e voi non sapete che lavoro usurante sia scrivere in un’epoca di lettori imbecilli smaniosi di dimostrarsi svegli; voi non sapete che fatica sia un pubblico di dodicenni ciucci e arroganti: Silvio lo sapeva, e mi manca moltissimo).

La prima puntata della quarta stagione del multimilionario contratto di Brooker con Netflix, la prima puntata della nuova stagione dell’unica serie di finzione rilevante che Netflix abbia mai avuto, la prima puntata ha come trama: Netflix è unammerda.

Sì, nella finzione non si chiama Netflix: si chiama Streamberry. Per toglierci ogni dubbio circa l’identità della multinazionale dello streaming dissimulata dietro il nome “Streamberry”, della multinazionale cattiva che non esita ad arrubbarsi le vite dei suoi abbonati approfittando delle clausole scritte in piccolo nelle condizioni di servizio che tutti approviamo senza leggere, della multinazionale orrenda da far sembrare Rete4 un cenacolo d’intellettuali, per toglierci ogni dubbio, il logo di Streamberry ha gli stessi caratteri di quello di Netflix, le schermate da cui i personaggi scelgono cosa guardare hanno la stessa interfaccia di Netflix, e insomma Brooker fattura per mettere in onda su Netflix una storia su quanto è distopica Netflix.

Però Brooker ha, credo, troppo senso del ridicolo per puntualizzare agli intervistatori che Netflix gli ha lasciato totale libertà creativa e non gli ha mai fatto pressioni.

Ieri mattina ho aperto i siti dei giornali aspettandomi di trovare in apertura il peschereccio con non so neanche più quante centinaia di morti e dispersi, e invece c’erano quattro scemi che pensavano di fare “Grease” con quarantacinque anni di ritardo (o “Gioventù bruciata” con sessantotto): facevano le corse con le macchine e sono andati addosso a una Smart e hanno ammazzato un bambino di cinque anni.

Non voglio fare una gerarchia delle tragedie (a quella ci pensa il numero di morti, non c’è bisogno la faccia io), voglio solo dire che una storia sulla quale non c’è niente da dire – cosa dobbiamo dire, che è disdicevole fare corse in macchina e ammazzare bambini? Dobbiamo disapprovare per distinguerci da chi? C’è forse un dibattito? C’è qualcuno a favore dell’ammazzare bambini per sbaglio e per like? – è la storia di cui tutti hanno parlato tutto il giorno, ieri. Perché era facilissimo.

Era facilissimo far finta che fosse una bravata da giovinastri, specie ora che la bravata la chiamiamo «challenge» (che tutti, tutti, tutti i giornali scrivono «challange», perché siamo un secolo che ha dimenticato l’italiano senza riuscire a imparare l’inglese); era facilissimo far finta che queste audaci imprese le avesse inventate YouTube, e che la commedia fondativa del carattere italiano contemporaneo, sessantun anni fa, non finisse proprio con Vittorio Gassman che correndo in macchina ammazzava Jean-Louis Trintignant per leggerezza e per esibizionismo.

Era facilissimo dire che avevano fatto una cosa molto brutta e che i giovani d’oggi non hanno proprio ideali (Gassman sì che aveva valori solidi, per non parlare di James Dean); era facilissimo indignarsi d’indignazioni astratte (contro la ricchezza facile, contro il mercato dei like: quelli che arrivano ai cretini che fanno le corse in macchina su YouTube, quelli che arrivano a noi che ci indigniamo sentendoci invece intelligenti); era facilissimo dire «quel bambino potrebbe essere mio figlio».

Quelli nel peschereccio in effetti sono a meno immediata identificazione: se Silvio fosse stato il tipo che telefonava ai suoi tg, avrebbe suggerito di mettere prima un bambino romano, la cui morte è infinitamente più straziante e immedesimabile di quelle di centinaia di bambini forestieri; per fortuna c’era Silvio in noi prima, e c’è anche ora che non c’è più Silvio in sé, e sappiamo da soli che gerarchia cliccabile dare alle notizie.

È stata una giornata istruttiva, per capire che non è mai esistito Berlusconi: è esistito ed esiste il carattere italiano, che poi forse è il carattere degli esseri umani mediocri ed esibizionisti che si accentua nell’epoca in cui ogni mediocre ha una telecamera nel telefono.

Esiste la predisposizione alle scorciatoie (non parlo dei ventenni che fanno i soldi su YouTube: parlo di noialtri che ci scegliamo sempre la causa più facilmente portatrice di cuoricini); esiste l’esibizionismo; esiste, in noi, il Bruno Cortona del Sorpasso, letale e megalomane in ogni scena, e assai più endemico e meno accidentale dei ragazzotti scemi di “Grease”, di “Gioventù bruciata”, di YouTube.

Dagospia il 14 giugno 2023. Comunicato stampa di Mediaset

Appena finito il funerale, Pier Silvio Berlusconi si è spostato in Mediaset dove tutti i dipendenti gli hanno fatto una sorpresa aspettandolo alla fine dell'orario di lavoro. Lui è rimasto di sasso e ha improvvisato un ringraziamento e un saluto molto caldo.

Tra il pubblico, presente anche Gerry Scotti. 

“Tutte le persone che gli hanno voluto bene si sono sentite toccate in qualche modo dalla sua generosità e grandezza, però ragazzi da stasera, da domani, noi facciamo un click e torniamo ad essere un’azienda viva, piena di energia e forza, come è stata tutta la sua vita. Da domani torniamo ad essere quello che siamo sempre stati. Lui rimarrà sempre, sempre, sempre, nei nostri cuori. Continueremo a fare il nostro lavoro”. Infine, la parola più importante: “Noi siamo e saremo sempre una prova di libertà”.

La cronaca dei funerali. I funerali di Stato aziendali di Silvio Berlusconi: non sembra esser mai esistita un’opposizione al “Caimano”. Il Duomo ieri pareva quello raffigurato da Dino Buzzati, un’enorme stalattite. Il defunto innalzato ad apostolo, protomartire della televisione, della politica e di se stesso. Fulvio Abbate su L'Unità il 15 Giugno 2023 

La “Madonnina”, la bara, lo chignon da Eva Kant di Marta Fascina, il labbro superiore in evidenza di Marina Berlusconi, Renzi in terza fila; Umberto Bossi, cravatta verde, su carrozzina, ai lati dell’altare maggiore; i pennacchi dei carabinieri, l’arcivescovo e i concelebranti, le bandiere del Milan in piazza. Voci: “… c’è solo un presidente, c’è solo un presidente”. Omelia: “… l’estremo saluto al fratello Silvio con pietà cristiana”. L’abito blu quasi elettrico di Piersilvio B., le bandiere di Forza Italia, la piccola croce di diamanti al collo di Marina B., l’incenso; Mattarella in prima fila. Paolo Berlusconi, fratello. Toti.

Gli orecchini con disegno di luminaria di Giorgia Meloni. Un cerchietto a trattenere i capelli di Barbara B. La distesa di blazer ministeriali visti dall’abside. Gli autisti, gli uomini di scorta, gli addetti alle pompe funebri decisamente professionali; la foto del deceduto accostata alla bara. Braccia conserte, i carabinieri: solennità, protocollo. Daniela Bongiorno, con lei il ricordo, in dissolvenza incrociata, del funerale sempre in Duomo, di Mike. L’arcivescovo rivolto all’Altissimo: “Ti raccomandiamo con cuore filiale il nostro defunto fratello Silvio”. Luigi B., figlio minore. Lettura dal profeta Daniele: “In quei giorni io, Daniele, piangevo, il gran principe che vigila sui figli del tuo popolo”. Il defunto innalzato ad apostolo, protomartire della televisione, della politica e di se stesso.

Ignazio La Russa e Fontana in prima fila. Ugo Zampetti alle spalle di Mattarella. Lo spettro di Putin ad aleggiare. Rose bianche e rose rosse sul cofano; Jerry Scotti, postura da Buddha con borsello, tra i banchi, poco lontano Fedele Confalonieri, per lui forse la medesima cravatta di La Russa. Mario Monti. Volti, non meno in blazer, da personale Mediaset e delle altre holding del trapassato: editoria, assicurazioni, banche. Il libro delle scritture innalzato al momento dell’Alleluia. L’innaturale capigliatura di Piersilvio. Tajani, probabile-improbabile delfino, per lui le pendenze testamentarie politiche dentro Forza Italia, curatore fallimentare azzurro. Marcello Dell’Utri. Coro dei concelebranti in viola: “… vivere e desiderare una vita piena”. Mario Draghi a capo chino, “… vivere, vivere e desiderare una vita che non finisce…”.

Signora con ventaglio in seconda fila, bionda, corporatura ampia. Ancora il profilo di Marta Fascina. L’apparecchio acustico di Mattarella. Giorgia Meloni adesso a capo chino; testa mussoliniana di Galliani, Barbara D’Urso a mani giunte, dolente. La Toffanin e Maria De Filippi. Ancora l’omelia: “Gli affari e i clienti e i concorrenti, un uomo d’affari deve stare, sempre in scena tra ammiratori e detrattori”. Primo piano di Gianni Letta, il suo volto abituale. “In questo momento di congedo e di preghiera cosa possiamo dire di Silvio Berlusconi? È stato un uomo, un uomo che ora incontra Dio”, involontario ogni riferimento alla barzelletta dove il Cavaliere si immaginava al cospetto del Signore. Alessandra Mussolini. Dimenticavo: Gianni Letta è in terza fila, Maria De Filippi in seconda. Fuori il “popolo” di Mediaset, del Milan, di Forza Italia. Il braccialetto d’oro bianco al polso di un Paolo Berlusconi adesso a mani giunte. La diretta indugia anche sull’anello al dito di Marta Fascina. L’espressione interrogativa di Matteo Renzi, accanto a lui Gentiloni.

“Ora scambiatevi un segno di pace”, Renzi che si guarda intorno al momento dell’ostia. Marta Fascina trova ora le lacrime. Un “ghisa”.

Il logo dello speciale Tg5 listato a lutto occupa le tre reti del “Biscione”, funerali di Stato aziendali. La statua cromata di Sant’Ambrogio. La Toffanin senza le luci degli studi di “Verissimo”, Maria Vittoria Brambilla, Giorgetti, Gad Lerner; nuovamente Marta Fascina in primo piano che impalla Mario Draghi fuori fuoco. Pensieri possibili: e adesso il capo scorta brizzolato cosa farà? “Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati dal mondo, beati gli invitati alla cena dell’agnello”, il pensiero segreto terreno delle “cene eleganti”. Duomo, rondini, ancora bandiere del Milan.

L’arengario di sfondo. Tajani insegue l’ostia. Pier Ferdinando Casini, Boccia, il “cognato” Lollobrigida. Fuori i vessilli delle coppe vinte da rossoneri innalzati con orgoglio, lo stendardo reca scritto: “Grazie presidente!” accompagnato dall’immagine di Berlusconi mentre sigla il “contratto con gli Italiani”, nuove facce e faccine di uomini e donne Mediaset che hanno diritto di vita e di morte professionale sugli aspiranti ospiti dei talk a Cologno. Ci sarà anche Veronica Lario? Subito dietro la corona del presidente della Repubblica, la bara di Berlusconi raggiunge ora il sagrato: corazzieri, carabinieri, i picchetti d’onore militare, ironia del destino anche quello della Guardia di Finanza. Nella foto posta sulla bara Berlusconi si mostra braccia conserte: sembra dire: adesso vi guardo io.

“Lo sguardo impietrito di Alberto Zangrillo come a voler chiedere scusa per non essere riuscito a salvargli la vita”, commentano al Tg5.Claudio Cecchetto. Laggiù a Cologno cinquemila palloncini azzurri si alzano nel cielo subito sopra il tendone da circo di “Striscia la notizia”. Lorella Cuccarini solca la piazza, Giorgia Meloni abbraccia i figli del trapassato socchiudendo gli occhi. Ah, c’è pure Andrea Giambruno, il compagno. Ecco anche Denis Verdini, ecco Salvini, ecco Sgarbi. Una signora applaude tenendo al polso con orgoglio la Louis Vuitton. Un balcone con striscione: “Ciao, Silvio!”, la virgola è azzurra. Eleonora Berlusconi, abito scuro e veletta da Mata Hari, lascia la piazza. Tutto è perdonato, tutto è cancellato. Non sembra esser mai esistita un’opposizione al “Caimano”. Il Duomo adesso sembra quello raffigurato da Dino Buzzati, un’enorme stalattite. “C’è solo un presidente…”, c’era un presidente.

Fulvio Abbate 15 Giugno 2023 

Estratto dell’articolo di Corrado Zunino per “la Repubblica” il 15 giugno 2023.

Molti dicono no, al lutto nazionale. Le iniziative, personali e collettive, sono nate martedì, in ambito universitario, e cresciute sensibilmente proprio nel mercoledì — ieri — delle bandiere esterne a mezz’asta (e le due strisce di velo nero sopra i drappi interni).

Aveva alzato il sipario il rettore dell’Università per stranieri di Siena, Tomaso Montanari, e un pezzo di università se lo è tirato dietro. 

A Bologna si è ribellato il direttore del Dipartimento Beni culturali, sede di Ravenna, il professor Luigi Canetti. Diversi insegnanti dell’Alma Mater hanno poi scritto al rettore Giovanni Molari chiedendogli di prendere posizione contro il lutto obbligato:

«Come docenti di questa gloriosa università pubblica, ti chiediamo di assumere la decisione di non esporre, in forza dell’autonomia innanzitutto morale e intellettuale della nostra comunità accademica, bandiere a mezz’asta all’Università di Bologna». Il rettore Molari non li ha ascoltati. 

I blitz degli studenti Alla Scuola Normale di Pisa ieri pomeriggio alcuni universitari hanno alzato sulla facciata principale del Palazzo Carovana lo striscione “Non il nostro lutto”. È rimasto a vista mezz’ora. L’Unione degli universitari fiorentini (Udu) a sua volta ha ricordato i tagli dei quattro governi Berlusconi ai finanziamenti per la scuola e gli atenei pubblici.

[…] Il direttivo della Società italiana delle storiche, con sede nella Trastevere romana, ha diffuso una nota intitolata “In morte di Silvio Berlusconi”: «L’uomo ha sistematicamente offeso i valori costituzionali». 

[…]A Torino, quando i dirigenti del Teatro Regio hanno chiamato la platea al minuto di silenzio, metà della sala non si è alzata e ha iniziato a scaricare invettive contro Silvio Berlusconi. Mezzo minuto di “buu”, d’altro canto, ha sommerso la chiamata della speaker del Teatro San Carlo di Napoli. 

Una signora ha avuto il coraggio di presentarsi, ieri, nella tarda mattina, in Piazza Duomo indossando una maglietta con la scritta “Io non sono in lutto”, in mano aveva un libro su Giovanni Falcone. È intervenuta la polizia per difenderla da un militante di Forza Italia particolarmente aggressivo. 

Un altro dissidente, lui in maglietta tricolore, è stato preso a ombrellate. A Bologna il comitato cittadino Labas, ospitato in spazi comunali, è andato oltre e ha annunciato un “funeral party”. Nella locandina che annunciava l’evento, comprensivo di deejay, si leggeva: «Sì, ok, era meglio che fosse successo trent’anni fa, ma così non fu, e ora si festeggia comunque senza alcun rispetto». […]

Luigi Valente, rieletto per la terza volta sindaco di Vinchiaturo, in provincia di Campobasso, ha optato per l’asta della bandiera intera: «Non ho voluto ostentare il gesto perché è una scelta di coscienza, un atto moralmente dovuto». A Genova e a Roma consiglieri regionali, comunali e di circoscrizione hanno abbandonato la sala al momento della chiamata del minuto di silenzio lasciando foto di Falcone e Borsellino al loro posto. 

Le transfemministe e antifasciste romane hanno srotolato un lenzuolo davanti all’Altare della Patria: “Oggi non siamo in lutto, siamo in lotta”. A Bari sono stati i militanti della Cgil, dal mattino, a prendere in mano le proteste più visibili: un presidio insieme a pezzi del Pd di fronte all’Azienda sanitaria locale, sul lungomare: «Manifestiamo a tutela del servizio sanitario nazionale, pubblico e universale». […]

E il rapper romano Gemitaiz ha condiviso una foto che annunciava la morte di Silvio Berlusconi con l’aggiunta di un “Alleluja”. A lungo ha difeso la scelta, alla fine anche lui ha chiesto scusa. […]

Chi non ha pianto. “Io non sono in lutto”: l’Italia contro la cerimonia nazionale per Silvio Berlusconi, proteste e disobbedienze. Femministe e collettivi studenteschi, movimenti e privati cittadini. "Oggi non siamo in lutto, siamo in lotta". La protesta di Silvia in Piazza Duomo: "È per i miei figli che sono qui, per persone più meritevoli come Falcone e Borsellino questo onore non c'è stato". Antonio Lamorte su L'Unità il 15 Giugno 2023

Era dalla notizia della morte di Silvio Berlusconi che si discuteva, si polemizzava, per la decisione del governo di indire il lutto nazionale. Non era mai successo per un ex Presidente del Consiglio che non è diventato anche Presidente della Repubblica. Quelle stesse riserve sono state espresse anche nel giorno dei funerali, anche in Piazza Duomo a Milano dove sono state celebrate le esequie dell’ex premier e fondatore di Forza Italia. In tutta Italia ci sono state manifestazioni di protesta contro la procalamazione del lutto nazionale – per il quale non esiste una norma precisa, e viene indetto fondamentalmente a discrezione del governo, a differenza di quanto invece è previsto per i funerali di Stato, previsti per tutti gli ex premier.

L’iniziativa più mediatica è stata quella di Silvia, 56 anni, che si è presentata in Piazza Duomo con una maglietta bianca con la scritta: “Io non sono in lutto”. Non sono mancati momenti di tensione, insulti. “È per i miei figli che sono qui, non volevo che vedessero la tv. Sono qui per queste celebrazioni che Silvio Berlusconi, a mio modesto parere, non merita”, ha detto la donna. “Non sono d’accordo con la proclamazione del lutto nazionale per la morte di Silvio Berlusconi, considerato che per persone molto più meritevoli di lui, come Falcone e Borsellino, questo onore non è stato riservato. Una scelta inopportuna per chi ha fatto dell’illegalità un modello di vita“.

Potere al Popolo ha invitato i suoi sostenitori a scatenare una tweetstorm con l’hashtag #luttostatomafia. Alcuni si sono scattati delle fotografie mentre reggevano nelle mani un cartello con la scritta “non in mio nome” in riferimento al lutto nazionale. A Roma uno striscione firmato “transfemministe e antifasciste di Roma” recitava “Oggi non siamo in lutto, siamo in lotta”. Anche Non una di meno, il collettivo femminista, ha partecipato al sit-in organizzato all’Altare della Patria accusando l’esecutivo di aver proclamato il lutto nazionale “per un uomo bianco, etero, cis, ricchissimo, che ha sempre ostentato sessismo, omofobia, razzismo con cui ha contribuito alla violenza culturale che avvelena la nostra società da anni”.

Le femministe hanno accusato l’ex premier di “aver personificato la maschilità tossica egemonica, sprezzante verso tutti i corpi che non fossero nella norma e nel privilegio. Un uomo che ha dimostrato al Paese che è proprio anche grazie a quella maschilità, sfoggiata come modello vincente, che si può acquisire potere, che si può disporre di qualunque cosa e di chiunque. Il collettivo di studenti Exploit dell’Università di Pisa ha scritto una lettera al rettore criticando la scelta di far aderire l’ateneo al lutto nazionale, al contrario di quanto aveva deciso in disobbedienza lo storico dell’arte Tomaso Montanari, rettore dell’Università degli stranieri di Siena, in segno di disobbedienza. “L’unico lutto nazionale è per le macerie che lasci sulla nostra generazione. Silvio non ci mancherai”.

Contro il lutto anche alcuni studenti e studentesse della Scuola Superiore Normale di Pisa. Il direttivo della Società italiana delle storiche ha pubblicato una nota per dissociarsi dalle celebrazioni per “un uomo che, pur avendo rivestito un ruolo istituzionale, ha sistematicamente offeso i valori costituzionali incrinando la sfera dei diritti e dei doveri propri della cittadinanza. Né sono meno inquietanti e inopportuni gli onori tributati a Berlusconi se si guarda alla sua vicenda da una prospettiva di genere: ha legittimato, nella comunicazione e nei comportamenti pubblici, la reificazione e la mercificazione delle donne e dei corpi femminili, esaltando una maschilità patriarcale e paternalistica e contribuendo così a rallentare, e in qualche caso addirittura a invertire, il percorso verso una società più paritaria e rispettosa delle differenze di genere avviatosi con la caduta del fascismo, la Resistenza e la nascita dell’Italia repubblicana, e poi reso più celere dai femminismi degli anni Settanta del Novecento”.

Estratto dell'articolo di Antonio Bravetti per la Stampa il 14 giugno 2023.

La polemica sul lutto nazionale e quella sullo stop ai lavori parlamentari. Chi si rifiuta di mettere la bandiera a mezz’asta e chi proietta una gigantografia di Silvio Berlusconi sul palazzo della regione: scelte entrambe criticate. Polemiche e scontri politici accompagnano l’addio al Cavaliere. Un confronto che contrappone maggioranza e opposizione, divise sull’importanza e la solennità con cui salutare l’ex premier. 

La polemica più feroce è quella sul lutto nazionale. «È inopportuno», dice Rosy Bindi. «Non ho parole, la scelta che si commenta da sola», rincara Fiammetta Borsellino, figlia del magistrato ucciso dalla mafia. «Scelta eccessiva» la definisce Nicola Fratoianni. Lui e Angelo Bonelli oggi non parteciperanno ai funerali, così come Giuseppe Conte. Di «scelta politica fuori luogo» parla il vicepresidente del gruppo M5S alla Camera Riccardo Ricciardi, che ricorda la condanna per frode fiscale e sottolinea: «Fa un certo effetto vedere una caserma della Guardia di finanza con la bandiera a mezz’asta». A disciplinare i funerali di Stato c’è la legge, che li riserva ai presidenti degli organismi costituzionali, agli ex presidenti della Repubblica e agli ex premier, ai ministri deceduti durante la loro permanenza in carica, alle persone che hanno reso onore alla nazione e alle vittime del terrorismo. Altra cosa è la dichiarazione del lutto nazionale, che spetta al governo.

È la prima volta che viene proclamato per la morte di un ex premier, come ha deciso Giorgia Meloni per Berlusconi, disponendo le bandiere a mezz’asta sulle facciate di tutti gli edifici pubblici dal 12 al 14 giugno. 

Scelta non condivisa da Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena. Che si è rifiutato di far scendere il tricolore e il drappo europeo: «Nessun odio, ma nessuna santificazione ipocrita. Ricordare chi è stato Berlusconi è oggi un dovere civile - spiega - Berlusconi è stato il contrario esatto di uno statista, anzi il rovesciamento grottesco del progetto della Costituzione». 

(...)

Walter Verini, senatore del Pd, guarda con allarme all’annuncio del ministro Carlo Nordio di portare domani in Consiglio dei ministri una riforma della giustizia che molto sarebbe piaciuta a Berlusconi. «Ci auguriamo davvero che un Cdm “dedicato a Berlusconi” - avverte Verini - non sia occasione per provvedimenti laceranti, per riaprire guerre tra politica e magistratura delle quali l’Italia non sente proprio il bisogno».

Estratto dell’articolo di Antonella Mascali per “il Fatto Quotidiano” il 15 giugno 2023.

Un comunicato della Giunta dell’Anm in lode di Silvio Berlusconi, da morto, sta facendo infuriare decine di magistrati che sono tornati a riempire la mailing-list dell’associazione delle toghe. Fra i magistrati “indignati” con l’Anm per aver definito Berlusconi “indiscusso protagonista” della storia del nostro Paese c’è Nino Di Matteo, che quasi mai ha scritto nella mailing list dell’Anm 

Il suo nome, è bene precisarlo, lo possiamo fare perché gli abbiamo chiesto l’autorizzazione a citarlo, dopo aver visionato diverse mail. Per evidenti motivi di privacy, non riportiamo le firme degli autori degli altri messaggi. Possiamo dire che sono sia pm sia giudici i quali si sono dissociati dal comunicato di lunedì in cui si legge che “L’Associazione Nazionale Magistrati si unisce ai sentimenti di cordoglio per la scomparsa del presidente sen. Silvio Berlusconi, indiscusso protagonista, per un lungo e importante periodo, della vita politica del Paese”.

Ha scritto Di Matteo: il comunicato “è fuori luogo e persino irrispettoso dei colleghi che sono stati uccisi dalla mafia nel lungo periodo nel quale Berlusconi ha versato nelle casse di Cosa Nostra centinaia di milioni delle vecchie lire. Lo ha stabilito la sentenza definitiva Dell’Utri. Non mi sento rappresentato da chi ‘dimentica’ queste cose. E sono sicuro che il mio pensiero sia condiviso da molti, moltissimi colleghi”. 

La frase più ricorrente dei messaggi che Il Fatto ha potuto leggere, quella che ha dato inizio alla protesta è “Not in my name, please!”. Le toghe non hanno proprio digerito quell’“indiscusso protagonista”. Si legge nella prima mail, che ha dato il via alla protesta: “Indiscusso? L’Anm è l’associazione dei magistrati italiani o ha cambiato acronimo e sta per Amnesia dissociativa? Ma allora aveva ragione il compianto defunto quando ci definiva ‘matti’, ‘antropologica- mente diversi dalla razza umana’, ‘il cancro peggiore della nostra democrazia’. Ma chi ha scritto questa nota? Not in my name, please!”.

[…] Il silenzio sarebbe stato meglio per molti magistrati: “Viene subito in mente il don Abbondio di Manzoni. Se uno il coraggio e la dignità non li ha certo non se li può inventare. Ma allora magari stare zitti”; “Di fronte alla morte se non si può parlare bene si tace. Quindi l’Anm avrebbe dovuto tacere”;

“Aggregarsi al servo encomio come ha fatto l’Anm significa rendersi complici di una cosa molto grave, la beatificazione del morto, in- giusta e dannosa per i valori di verità che la Costituzione ci impone di difendere”; “Come cristiana ho recitato la mia preghiera per l’anima di Berlusconi (così come per quella di Francesco Nuti, che ha avuto la sventura di morire lo stesso giorno), ma da magistrato non avrei mai sottoscritto un tale comunicato. […]

STUPIDARIO. Perseguitato come Tortora, forte come De Gaulle, Silvio come te non c’è nessuno. La santificazione di Berlusconi. Da Bruno Vespa a Ruby Rubacuori, da Matteo Renzi a Simone Pillon, l’addio al Cavaliere ha avuto diverse declinazioni. E noi le abbiamo raccolte qui. Per farvi scegliere la migliore. Wil Nonleggerlo

(afp) su L'Espresso il 14 Giugno 2023 

In queste ore non si parla d'altro, impossibile schivare l'argomento: il ministro delle Foreste Lollobrigida ed il florovivaismo. Tranquilli, abbiamo comunque deciso di partire da un tema altrettanto importante, l'addio all'Unto del Signore, il Cavalier Silvio Berlusconi: quali le formule scelte – per l'ultimo saluto – da amici di una vita, amiche, stampa affine, politici d'area, pseudo avversari e simil opposizioni? Le abbiamo raccolte per voi: il range va Bruno Vespa a Ruby Rubacuori, da Simone Pillon a Barbara D'Urso, ma ci troverete pure moltissimo altro. Tenetevi forte, il best of è pronto.

“Ciao Silvio”

Così un noto sito di escort saluta Silvio Berlusconi

(Open – 12 giugno)

Premio onestà

Un parlamentare russo ha proposto di istituire il “premio Berlusconi” per i politici onesti

(Agenzia Nova – 14 giugno)

Il lettone di Putin

Come spiega l'amicizia con Putin?

“Era un'amicizia veramente forte, ad Arcore mi portò a vedere il famoso letto che Putin gli aveva regalato”

(Bruno Vespa intervistato dal Corriere della Sera – 14 giugno)

Ruby

Ruby posta un cuore infranto. “Addio Presidente” e l'emoji di un cuore infranto sullo sfondo nero. È un frame della storia pubblicata da Karima Elmahroug sul suo profilo Instagram

(Agi – 12 giugno)

Il nonno d'Italia

“Berlusconi è stato il nostro De Gaulle, è morto il nonno d’Italia”; “Sogno un’Italia in cui potremo atterrare a Roma all’aeroporto Alcide De Gasperi e a Milano all’aeroporto Silvio Berlusconi”

(Gianfranco Rotondi, deputato di Forza Italia, a Fanpage.it – 13 giugno)

Cipollino cancella

Giorgia Meloni, videomessaggio per il Cav su Twitter: “A Dio, Silvio”

Risponde Massimo Boldi: “Ed ora tocca a te”

(12 giugno)

“Storia di un italiano”

“Umano, troppo umano. La generosità infinita del potente più buono”

(Sfogliando Il Giornale – che fu – di famiglia – 13 giugno)

A 24 ore dalla morte di B

E hanno già proposto di intitolargli: - una piazza; - due stadi; - una via in ogni città; - il Ponte sullo Stretto

(@espressosettimanale, Instagram – 12 giugno)

Addirittura

“La cifra umana era questa, Berlusconi era un uomo molto carismatico, molto più di Arafat ad esempio”

(Marco Rizzo, presidente onorario del Pc, a Un Giorno da Pecora su Rai Radio1 –13 giugno)

Perdonaci, Eluana

“Tutto il mio cordoglio ai familiari e agli amici di Silvio #Berlusconi. Di lui ricordo la firma come presidente del consiglio al decreto urgente con cui

tentò di salvare la vita ad Eluana Englaro. Probabilmente sarà tra le prime persone che starà incontrando ora”

(Simone Pillon, ex senatore leghista, su Twitter – 12 giugno)

Body shaving

“Era una scommessa tra me e lui: accadde quel che accadde e, arrivato a casa sua, mi fece trovare a tavola di fianco al piatto un completo con

rasoio, salviette e schiuma da barba.

'Me lo avevi promesso, adesso finalmente tagliatela quella barba'.

L’unico che in 10 anni sia mai riuscito a farmi tagliare la barba, è stato proprio Silvio!

Che comunque la settimana dopo, quando mi vide sbarbato, mi consigliò di farla ricrescere!

Uomo unico, nel lavoro e nel sorriso.

Lasci un grande vuoto Silvio, cercheremo di riempirlo con cose belle”

(Il vicepremier Matteo Salvini su Instagram – 13 giugno)

Come Tortora

Il sottosegretario Vittorio Sgarbi ricorda Berlusconi amico e politico: “Forte, libero e innocente. Perseguitato come Enzo Tortora”

(Fanpage.it – 12 giugno)

Tutti in piedi, dicono i renziani

“Tutti in piedi, e in silenzio, per chi - indipendentemente da come la pensiamo - ha indubbiamente fatto la Storia del paese. Riposi in pace Presidente. #Berlusconi”

(Luigi Marattin, parlamentare di Italia Viva, su Twitter – 12 giugno)

Oro, incensurato e mirra

“Calcolando che Silvio Berlusconi è morto di malattia, oltreché da incensurato perché riabilitato nel 2018, e che poi è morto da senatore e da riferimento della vita politica e governativa italiana, eccetera, forse si potrebbe puerilmente anche dirlo: ha vinto lui”

(Filippo Facci, giornalista di Libero, su Twitter – 12 giugno) 

Papi

“Morto un Papa se ne fa un altro, morto Berlusconi, non si fa un altro Berlusconi”

(Gianfranco Miccichè, storico esponente forzista, a SkyTg24 – 12 giugno)

Il Duce e B.

“Mussolini non ha mai ammazzato nessuno, mandava la gente a fare vacanza al confino”

(Gian Antonio Stella ricorda sul Corsera alcune delle sparate indimenticabili del Cav: questa la rilasciò a Boris Johnson, quando collaborava a The Spectator, nel 2003 – 14 giugno)

Direttore Matteo Renzi

Silvio, “Come te non c'è nessuno”

(Il Riformista, prima pagina – 13 giugno)

Dimmene un'altra

Barbara D'Urso, se potesse dire un'ultima cosa a Silvio Berlusconi quale sarebbe?

“Silvio raccontami un'altra barzelletta”

(La Stampa – 13 giugno)

Ma torniamo a noi, alla politica con la P maiuscola

Open Arms, Richard Gere pronto a testimoniare contro Salvini. Il commento del vicepremier: “Risponderemo con Lino Banfi”

(Open – 12 giugno) 

Politica, donne e florovivaismo

Lollobrigida collega femminicidio e produzione di fiori, polemiche social. “Le donne non si dovrebbero toccare nemmeno con un fiore, diceva un proverbio. E io tratterò un argomento che è quello della produzione dei fiori e delle piante nella nostra nazione, che la normativa di riferimento che abbiamo oggi approvato come schema di disegno di legge recante la delega al governo in materia di florovivaismo”, le parole del ministro Lollobrigida in conferenza stampa a Palazzo Chigi dopo il Consiglio dei Ministri

(CorriereTv – 8 giugno)

Ai suoi tempi

A Otto e mezzo, su La7, si parlava dell’omicidio di Senago, della violenza sulle donne, di problemi culturali. Italo Bocchino se ne esce con questa affermazione: “Qualche tempo fa c’era più rispetto per le donne in una società matriarcale come quella del Sud Italia che io conosco bene”

(Aldo Grasso sul Corriere – 3 giugno)

Tutti in masseria

“(...) La premier Meloni ha cenato nella masseria con la famiglia Vespa dove ha poi trascorso la notte. Per cena, menù di pesce preparato dallo chef stellato Paolo Gramaglia: due i primi - tagliatelle di seppia con salsa di zucchine alla scapece e mentuccia e risotto con pomodorini gialli, granita di riccio, gamberi di nassa e carbone di lampone - un secondo, una cornucopia di orata ripiena di scarola, capperi olive e colatura di alici e una cassatina pugliese. Il tutto accompagnato da vino bianco e rosè di produzione della tenuta Vespa. Meloni, insieme al marito e alla figlia Ginevra, ha dormito in una delle 12 suites imperiali presenti in Masseria”

(Il Messaggero – 9 giugno)

Ah è Putin

Giuseppe Conte infuriato con Vespa: “Mi dà del putiniano?”, scontro in masseria. L'ex premier: “Ah è Putin che non vuole mediare? Ma lei ci ha parlato con Putin?”

(Il Tempo – 11 giugno)

Circolare

Il Caffè Sacher apre a Trieste, ma la torta costa quasi 50 euro. Il sindaco Di Piazza (Forza Italia): “Se hai i soldi vai, se non li hai guardi”

(Open – 5 giugno)

Com'è che poi non è finito al Quirinale?

“Polemiche aspre perché la Regione Lombardia ha rifiutato di patrocinare il Gay pride. Ma gli omosessuali che bisogno hanno di essere sponsorizzati? Facciano quello che vogliono senza di noi. Non li mando affanculo perché ci vanno da soli”

(Vittorio Feltri su Twitter – 8 giugno)

Strano

Il ministro Salvini confuso sulle bici: annuncia in Aula l’obbligo di assicurazione e targa, poi in 48 ore si auto-smentisce. “È solo per i monopattini”

(Fatto Quotidiano – 9 giugno)

Ce lo dice così

“La sinistra dice, ‘vergogna!, stanno prendendo tutti i posti!’: ma davvero pensavano che andavamo al governo e lasciavamo a loro tutti i posti chiave della Nazione?!”

(Giovanni Donzelli, responsabile Fdi, al forum “Prima le idee” – 10 giugno)

Il merito, l'alto profilo, le migliori energie

“Francesco Giubilei si dimette da consigliere del ministro della Cultura Sangiuliano, dopo che il Foglio ha segnalato la concessione di un contributo di 46 mila euro da parte del ministero della Cultura alla Fondazione Tatarella (presieduta da Giubilei)”

(@lucianocapone su Twitter – 11 giugno)

“I marò contro i pirati, ma su quella nave non c’erano pirati”

Immigrazione. Tre denunce per un coltello tra i 15 migranti sulla nave arrembata dalle forze speciali: tra loro due donne (una incinta), tre ricoverati. A sentire Guido Crosetto, che venerdì ha raccontato l’episodio con una certa eccitazione nella masseria di Bruno Vespa, la scena è da film d’azione. “C’è una nave turca che è stata sequestrata da dei clandestini, vicino a Napoli, ci sono le forze speciali italiane che stanno cercando di riprenderla...”, ha detto il ministro, scusandosi per il fatto di guardare il proprio smartphone con una certa frequenza (...)

(Il Manifesto – 12 giugno)

Belle f

“Detto questo, ci sono almeno un paio di belle fiche”. È la battuta che, all'improvviso, martedì scorso, durante le lezioni del pomeriggio, si è sovrapposta sullo schermo al volto del docente di turno alla Scuola  superiore della magistratura di Scandicci. Lui, il docente - Daniele Domenicucci, assistente presso la Corte di giustizia del Lussemburgo, cioè il giudice europeo delle leggi - sul pc stava facendo lezione, ma al contempo chattava con un collega…

(La Repubblica – 11 giugno)

Spettacolo

Virginia Raggi su Facebook: “Stasera siamo al Teatro di Tor Bella Monaca a vedere lo spettacolo di Alessandro Di Battista su Julian Assange”

(@davidallegranti su Twitter – 1 giugno)

Mi sono perso

“Dillo alla mamma, dillo all’avvocato”: la cognata di J-Ax commenta così il video di Luis Sal contro Fedez

(Fq Magazine – 12 giugno)

Io non sono in lutto, la protesta per l’omaggio a Silvio Berlusconi tra social e manifestazioni. Migliaia di commenti online contro il lutto nazionale, le voci contrarie nell’opposizione, le iniziative all’Altare della Patria e al Teatro Regio di Torino. Una parte del Paese fa sentire la sua voce. Simone Alliva su L'Espresso il 14 Giugno 2023 

C’è qualcosa in comune fra il blitz di stamattina all'Altare della Patria di Roma, dov'è comparso uno striscione con la scritta: "Oggi non siamo in lutto, siamo in lotta!" a firma Transfemministe Antifà e le polemiche – soprattutto politiche - di chi assiste perplesso alla scelta di aggiungere ai funerali di Stato anche il lutto nazionale per la morte di Silvio Berlusconi.

Entrambi, il collettivo transfemminista Antifà e la politica di opposizione, rappresentano l’altra parte del paese. Quella che non si adegua, che non si riconosce in «una scelta inopportuna», come l’ha chiamata Rosy Bindi, più volte ministro, vicepresidente della Camera e presidente del Pd: «I funerali di Stato sono previsti ed è giusto che ci siano ma il lutto nazionale per una persona divisiva com'è stato Berlusconi secondo me non è una scelta opportuna», ha spiegato in una intervista. Dalla sua parte i Cinque stelle: «fa sicuramente un certo effetto vedere una caserma della Guardia di Finanza con la bandiera a mezz'asta per ossequiare il ricordo di un uomo che è stato condannato per frode fiscale», sottolinea Riccardo Ricciardi, vice presidente del Movimento 5 Stelle. 

Con eleganza arriva anche il commento di Pier Luigi Bersani che nel 2013 ha sfidato Berlusconi alle politiche: «Con eleganza lo saluterò da lontano, c'è un sacco di gente che ci va. Lasciamo stare, è una cosa intima». Ma anche Tommaso Montanari, rettore dell'università per stranieri di Siena, annunciando che nel suo ateneo non ci saranno le bandiere a mezz'asta così come previsto - o meglio, ordinato - dal Lutto nazionale. E lo ha fatto motivando il suo gesto con parole assai poco diplomatiche: «È vero che Berlusconi ha segnato la storia, ma lo ha fatto lasciando il mondo e l'Italia assai peggiori di come li aveva trovati. Dalla P2 ai rapporti con la mafia via Dell'Utri, dal disprezzo della giustizia alla mercificazione di tutto (a partire dal corpo delle donne, nelle sue tv), dal fiero sdoganamento dei fascisti al governo alla menzogna come metodo sistematico». Sommerso dagli insulti del centrodestra che parla di "caduta di stile" e "strafottenza". Una petizione online a sua difesa ha in poche ore raggiunge oltre 70 mila firme.

Le polemiche dei lettori 

Le leggi e le procedure che regolano funerali di Stato e Lutto nazionale sono complesse. Certo è che la decisione spetta solo a palazzo Chigi, come confermano anche dal Quirinale che si astiene dal commentare. La decisione è stata quindi presa direttamente da Giorgia Meloni dopo una rapida consultazione con i due vice-premier, Antonio Tajani e Matteo Salvini, che ovviamente non hanno avuto nulla da obiettare. Con Silvio Berlusconi è la prima volta che viene deciso il lutto nazionale per un ex premier (che non è stato anche Presidente della Repubblica). Prevede le bandiere a mezz'asta sulle facciate di tutti gli edifici pubblici e due strisce di velo nero per le bandiere interne. Durante il giorno di Lutto gli esponenti del governo sono obbligati a cancellare gli impegni pubblici mentre c'è la possibilità per i negozi di decidere di tenere abbassate le serrande per tutta la giornata.

Poi però c’è il mondo fuori, un mondo reale che non si adegua. Per la prima di Madama Butterfly al Teatro Regio di Torino durante un minuto di silenzio per il Cavaliere, mezza sala si è alzata in piedi, metà del pubblico è rimasto seduto. Dalla platea fischi e contestazioni. «È una violazione etica di legge - si legge tra le migliaia di commenti dei lettori de L’Espresso sui social - rispetto alla quale la coscienza dei cittadini non si adegua». «Un’offesa alla memoria di Falcone e Borsellino», ci scrivono. «La Storia scriverà le pagine buie del nostro Paese e racconterà la verità. Mattarella che si dimise da Ministro quando iniziarono le leggi "ad personam" e trovo fuori luogo che oggi omaggi un personaggio che ha più ombre che luci nel suo passato», «Una cosa indecente. Un personaggio che ha cambiato l'Italia in peggio, colluso con la criminalità, condannato e inquisito per reati vari, i più prescritti grazie alle leggi che si è fatto su misura. Posso solo dire che siamo un Paese ridicolo». 

Funerali Silvio Berlusconi, la folla canta: “Chi non salta comunista è”. E la giornalista si commuove. Redazione su L'Espresso il 14 Giugno 2023  

Nel giorno del lutto nazionale lo spettacolo televisivo regala momenti discutibili su Canale 5. Ma non solo

Quanto è sottile la linea che separa la tragedia dalla farsa. Il giorno dei funerali di Stato di Silvio Berlusconi, piazza del Duomo è gremita di gente. La giornalista del Tg5, rigorosamente vestita a lutto, lutto nazionale si intende, cerca di fare una telecronaca puntuale quando all’improvviso si interrompe per girarsi verso la gente che intona il coro “Chi non salta comunista è”. E si commuove. Cioè gli si spezza letteralmente la voce, troppe emozioni per una sola Elena Guarnieri che deve tenere saldi i nervi, sì, ma c’è un limite a tutto.

Ma la giornata è lunga, e Guarnieri quello spazio smisurato di diretta lo dovrà pure riempire. Così tra un ricordo e l’altro, tra un aneddoto e l’altro ricorda le parole del Presidente: «Una cosa che diceva sempre Silvio Berlusconi, che è sempre stato attento ai particolari era “non vestitevi di scuro ma di chiaro, e se potete con i capelli biondi. Perché il nero non fa passare la luce”». Ecco forse per questo Maria De Filippi è vestita di bianco. L’ha fatta pensando a lui, perché sapeva che a lui piaceva così.

E nel nome di Maria si può cambiare canale. L’emozione passa anche nel servizio del Tg1, primo canale della televisione pubblica. L’inviata, in diretta per l’evento, è Cecilia Primerano che illustra dentro il Duomo quella che è l’occupazione delle navate che si sta componendo. In prima fila a sinistra ci sarà la famiglia, a destra le più alte cariche dello Stato». E qui, a sua insaputa (?) l’inquadratura cade su Maria De Filippi. E come si dice, siamo solo all’inizio.

Gavin Jones per Reuters pubblicato da il Fatto Quotidiano il 15 Giugno 2023.

Per i cori dei tifosi a un certo punto sembrava quasi più una partita di calcio che un funerale. Mi ha sorpreso il lutto nazionale, non indetto per altri premier. Berlusconi è stato molto divisivo e la scelta del governo mi è sembrata una forzatura, un’imposizione agli italiani che non la pensavano come lui. 

Forse sarebbe più naturale indire il lutto nazionale per grandi grandi personaggi non divisivi, come ad esempio Luciano Pavarotti o Renzo Piano. Inoltre Berlusconi è stato un premier che qualche volta ha portato insuccessi e imbarazzo all’Italia, con la sua condanna per frode fiscale, la crisi del debito del 2011 e gli scandali sessuali. Anche di recente le sue parole sull’Ucraina, giuste o sbagliate, hanno creato grosse difficoltà a Meloni. Ora, con la possibile implosione di FI, ci sarà molta incertezza: il futuro di Meloni è un’incognita, può succedere di tutto. Ma penso che l’Italia non farà fatica ad andare avanti senza Berlusconi.

Daniel Verdù per El Pais pubblicato da Il Fatto Quotidiano il 15 Giugno 2023.

I funerali di Stato ci stanno. Anche se certe immagini possono colpire: penso agli onori militari per una persona che ha avuto grossi guai con la giustizia. Invece il lutto nazionale – con la chiusura del Parlamento per 7 giorni e le bandiere a mezz’asta – è una scelta fuori luogo. 

Non ci sono precedenti e poi la sua è una figura controversa. Insomma, il lutto di un intero Paese era da evitare, anche perché molti non la pensavano come lui. Per quanto riguarda la cerimonia, ho trovato strepitosa l’omelia del cardinal Mario Delpini, mentre ha fatto un certo effetto vedere la passerella di esponenti del mondo politico ed economico vicini a B., rappresentanti di un mondo dove nulla sarà più come prima. In Spagna la notizia è stata molto seguita: nel bene e nel male Berlusconi è l’ultimo grande personaggio italiano, quello che ha più inciso nella storia del vostro Paese negli ultimi 40 anni, anche dal punto di vista culturale e antropologico.

Eric Jozsef per Liberation pubblicato da Il Fatto Quotidiano il 15 Giugno 2023. 

Il funerale di Stato si può comprendere, perché Berlusconi è stato quattro volte premier. Trovo eccessivo il giorno di lutto nazionale, perché è stato un personaggio divisivo: amato da metà Italia e odiato dall’altra.

Su Libération l’abbiamo descritto come il grande imbonitore, cercando di raccontare come abbia fatto a dominare la scena per anni. La sua più grande responsabilità è stata quella di non preparare l’Italia ai cambiamenti di un mondo globalizzato e moderno, tenendola bloccata su una narrazione degli anni 50: il miracolo italiano. Si considerava un grande innovatore, è stato invece un grande conservatore. Le sue aziende mi paiono strutturate e riusciranno a restare sul mercato, magari navigando in mare aperto e con meno protezioni politiche. Complicato, se non impossibile, per FI restare sul mercato della politica.

Maria De Filippi, "irriconoscibile": il dettaglio che non è passato inosservato. Libero quotidiano il 15 giugno 2023

Maria De Filippi ha attirato l'attenzione di molti ai funerali di Stato di Silvio Berlusconi. A colpire è stato non solo il suo look, una camicia bianca, ma anche il suo viso. Gli utenti sui social non hanno potuto fare a meno di notare un dettaglio in particolare. Il volto della conduttrice sarebbe apparso gonfio e con delle occhiaie pronunciate. Secondo qualcuno, la colpa sarebbe dell’assenza di trucco e luci adatte. “Semplicemente non ci sono le luci televisive”, ha scritto un utente sui social. “Credo che semplicemente non sia truccata”, ha scritto un altro. E non sono mancati i commenti ironici: "Irriconoscibile, cosa le è successo?". Qualcuno invece ha ipotizzato un uso eccessivo del cosiddetto “botulino“.

Polemiche a parte, durante il funerale la De Filippi è apparsa visibilmente commossa. La conduttrice di programmi Mediaset di successo come Amici e C'è posta per te, era seduta in seconda fila accanto a Silvia Toffanin, nuora del Cav. Le due sono legate da una forte amicizia che va oltre l’ambito professionale. Maria e Silvia si trovavano dietro i figli, il fratello e la compagna dell'ex premier. Sul suo look bianco, invece, pare si trattasse di un omaggio al Cav, che amava ripetere alle donne di vestire di bianco ed essere possibilmente bionde.

Lutto nazionale e Parlamento sospeso: Berlusconi paralizza l’Italia anche da morto. Stefano Baudino su L'Indipendente il 14 giugno 2023.

Il “Re” è morto. E quindi, tutto si ferma, come mai era successo nella storia recente del nostro Paese. In questi giorni, nello stivale, non si respira l’aria di uno Stato repubblicano, ma una sorta di ritorno all’ancien régime. Da lunedì mattina, nei giornali e nelle televisioni continua la beatificazione in pompa magna e a reti unificate di Silvio Berlusconi, che oggi vedrà il suo apice ai funerali di Stato al Duomo di Milano, per i quali sono attese circa 10mila persone. Eppure, nonostante la narcotizzazione politico-mediatica di queste ore, culminata con la scelta del governo di indire il lutto nazionale e delle capigruppo di bloccare i lavori parlamentari, rispetto agli eccessi del cerimoniale berlusconiano si è scatenato il forte dissenso da parte di associazioni e importanti personaggi della cultura.

Dopo la morte di Berlusconi, le conferenze dei capigruppo dei due rami del Parlamento hanno fermato le attività, stoppando i voti alla Camera e i lavori in aula al Senato. Nessuna obiezione è stata sollevata, nemmeno dai partiti di opposizione. Le votazioni alla Camera sono state quindi posticipate alla prossima settimana: L’Aula è riconvocata domani con la discussione generale sulle pensioni minime, mentre venerdì alle 9.30 avranno luogo le interpellanze urgenti. Al Senato, invece, è tutto fermo: tornerà a riunirsi solo dopo il weekend. I lavori delle commissioni, che ieri non hanno avuto luogo (la maggior parte non ce l’avrà nemmeno oggi) riprenderanno regolarmente domani. Il Presidente Ignazio La Russa ha già annunciato che il 20 giugno il Senato celebrerà la memoria di Berlusconi.

Il lutto nazionale viene ufficialmente indetto dal cerimoniale di Stato, gestito dall’ufficio della Presidenza del Consiglio, in base alle leggi vigenti. Quello di Silvio Berlusconi è un unicum nella storia repubblicana: se escludiamo il caso di Aldo Moro, vittima del terrorismo, è infatti la prima volta che viene proclamato per un ex Presidente del Consiglio che non sia stato anche Capo dello Stato. Il giorno di lutto nazionale prevede le bandiere a mezz’asta sulle facciate di tutti gli edifici pubblici e due strisce di velo nero per le bandiere interne. Durante la giornata, i membri del governo hanno l’obbligo di cancellare gli impegni pubblici e le scuole possono essere invitate a osservare un minuto di silenzio in memoria del defunto. I proprietari dei negozi, se lo vogliono, possono tenere le persiane abbassate anche per tutto il giorno. Oggi, anche le sedi della Commisione Europea e del Consiglio Europeo hanno ammainato a mezz’asta le bandiere europee.

Non manca, però, chi si oppone. Il rettore dell’Università per Stranieri di Siena (l’UniStraSi), Tomaso Montanari, ha ad esempio deciso che l’Ateneo non esporrà le bandiere a mezz’asta per la morte dell’ex premier. “Mi assumo personalmente la responsabilità di disporre che le bandiere di Unistrasi non scendano – ha messo nero su bianco in un comunicato Montanari -. Ognuno obbedisce infine alla propria coscienza e una università che si inchini a una storia come quella non è una università”. Una scelta che potrebbe essere foriera di guai giudiziari per il Professore. Infatti, il mancato rispetto del lutto nazionale è sanzionabile secondo l’articolo 650 del Codice penale, fino a tre mesi di carcere o con ammenda fino a 200 euro. E la Procura potrebbe procedere anche in assenza di denuncia.

Ieri è stata lanciata sulla piattaforma charge.org una petizione a supporto di Montanari, che in poche ore ha raccolto oltre 73.000 firme. “Per una larghissima parte dei cittadini italiani, e non solo per questi, l’indizione da parte della presidenza del Consiglio del lutto nazionale per la morte di Silvio Berlusconi risulta in stridente contrasto con le vicende che hanno segnato e caratterizzato la vita del personaggio, ben delineate dal professor Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, nella sua dichiarazione alla comunità”, è scritto nella petizione. “Dalla P2 ai rapporti con la mafia via Dell’Utri, dal disprezzo della giustizia alla mercificazione di tutto (a partire dal corpo delle donne, nelle sue tv), dal fiero sdoganamento dei fascisti al governo alla menzogna come metodo sistematico, dall’interesse personale come unico metro, alla speculazione edilizia come distruzione della natura”, aveva scritto il Professore, parlando di “santificazione ipocrita“.

In molti hanno fatto notare che il lutto nazionale non fu proclamato nemmeno per due grandi figure come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in seguito alle stragi di Capaci e di Via D’Amelio. Il grande paradosso è che invece, ad ottenerlo, è stato un uomo che, come accertato dalla giustizia italiana, Cosa Nostra l’ha finanziata almeno per 18 anni tramite il suo braccio destro Marcello Dell’Utri (condannato per questo a 7 anni per concorso esterno in associazione mafiosa) e che è morto da indagato tra i presunti mandanti esterni delle stragi del 1993. Salvatore Borsellino, fratello del giudice ucciso il 19 luglio 1992 e fondatore del Movimento delle Agende Rosse, ha firmato la petizione a sostegno di Montanari, esprimendo pubblicamente il suo disappunto per la proclamazione del lutto nazionale dopo la morte di Berlusconi: «Preferirei sperare – ha dichiarato in un’intervista – che non riposi in pace così come non riposeranno in pace tutte le vittime delle stragi di mafia nel nostro Paese e sul quale c’è ancora un forte punto interrogativo». [di Stefano Baudino] 

Se questo è un duomo. Analisi geopolitica delle panche al funerale di Berlusconi. Guia Soncini su L'Inkiesta il 15 Giugno 2023

L’inadeguatezza del rito ambrosiano e i difetti delle regie televisive nel mostrare chi è seduto dove, per non parlare dell’assurdità di chi da giorni dice che se ne parla troppo e che dobbiamo smetterla con la santificazione di quest’uomo

Ci sono dettagli di sceneggiatura che solo le cerimonie fanno risaltare. A «Scambiatevi un segno di pace», Piersilvio resta un paio di secondi col braccio teso vanamente verso Marina, che si è voltata subito a scambiarsi pace con la Fascina, e non è mica ostilità per lui: è che il suo, di segno, non lo vede; è che la liturgia è sceneggiatrice. Chissà se il regista Mediaset che questo momento l’ha inquadrato (diversamente da quello Sky) stamattina ha ancora un lavoro.

A «non abbandonarci alla tentazione», mi sgrido per non aver studiato il rito ambrosiano e ignorare quindi se il cambiamento venga da lì o da dove, è un segno dei tempi?, il padre nostro non è più così stronzo da indurci in tentazione, e al massimo ci abbandona?, è la versione della preghiera che ci possiamo permettere in questo secolo tremebondo in cui ho perso di vista le messe?

Per tutto il resto del tempo, per tutto il resto della diretta televisiva del funerale di Silvio Berlusconi, mi chiedo quand’è che il cattolicesimo sia diventato così inadeguato. Mentre i figli piangono o hanno comunque l’aria distrutta come fossero bambini cui è morto un padre nel pieno delle forze, e non un ottantaseienne con la leucemia, io penso – come chiunque l’avesse visto – a Roman Roy che si proclamava pre-grieved (come lo dici, in verboso italiano? «Vengo col lutto già elaborato»?) e poi crollava.

Penso, come chiunque, a Shiv Roy e a quel suo «Goodbye, my dear, dear world of a father», e mi chiedo ma noi perché no, perché Marina non può parlare, da quand’è che il cattolicesimo ha perso il senso dello spettacolo? I giornalisti dicono che in Duomo c’è il rito ambrosiano che non prevede interventi esterni, e per un attimo penso e allora Elton John?, poi mi rendo conto che sto sovrapponendo il funerale di Gianni Versace e quello di Diana Spencer.

Il vescovo tenta di compensare con una quantità di anafore tale che l’omelia sembra un testo di Vasco Rossi, si sbaglia pure a leggere, mescola congiuntivi e indicativi, «un uomo politico ha chi lo applauda e chi lo detesta», nel testo distribuito in anticipo ai giornali i verbi erano giusti, sarà l’emozione della performance, il vescovo in Duomo come Chiara Ferragni a Sanremo.

Sarà che il Duomo di Milano è più grande della chiesa degli artisti di Roma, ma le regie (ho tenuto accese sia Sky sia Canale 5, sperando di ottenere più scorci) non mi hanno dato una frazione della soddisfazione di quella dei funerali di Maurizio Costanzo nel farmi capire la geografia politica delle panche.

Osservare l’ovvio era facile: nella Milano del Vedovo, Marta Fascina non solo si nota, non solo è vicina a Marina, ma somiglia tantissimo a Leonora Ruffo, che nel film di Risi era colei che tentava invano di prendere il posto di Franca Valeri, che però mica moriva. Si capisce dov’è seduta Maria De Filippi (vicina alla Toffanin), ma non dove sia Francesca Pascale.

Per non parlare della prima moglie che nessuno si sogna di didascalizzarmi: molte inquadrature di Veronica Lario (una delle croniste ha detto che il segnaposto diceva «Bartolini»: il rito ambrosiano non prevederà nomi d’arte) che so riconoscere da sola, per la Dall’Oglio mi sarebbe servito del giornalismo divulgativo, e invece niente.

Grande soddisfazione mi dà però il commento di Canale 5, che continua per ore dopo la fine del funerale, e dove non manca niente e nessuno.

Mimun che precisa che la cravatta che indossa è di Berlusconi (la miglior risposta alle polemiche di questi giorni era il Rutelli di Corrado Guzzanti: «L’Italia non è di sinistra o di destra: l’Italia è di Berlusconi»).

Cesara Bonamici che commenta i palloncini azzurri con «è il colore dell’Italia e del nostro cielo» e sintetizza lo sguardo che Zangrillo rivolge al feretro con «scusa se non sono riuscito a salvarti la vita».

Barbara Palombelli che riferisce dell’unica telefonata che Silvio Berlusconi le abbia fatto in cinque anni di programma Mediaset, una sera che lei s’era messa un golfino «effettivamente molto brutto», e lui la chiamò: «Signora, mi faccia una cortesia: quel golfino non se lo metta più». Sarà sessismo? Sarà dresssplaining? Quanto è d’altri tempi dirti che sei malvestita, e quanto lo è farlo dandoti del lei.

Mi tornano in mente i necrologi di chi gli dà anche da morto del lei nonostante ci abbia lavorato tutta la vita (Mity Simonetto, Niccolò Querci), e quello di Zangrillo, «Presidente, ho sempre voluto darle del lei, solo oggi mi permetto di dirti ciao», e quello di Cairo, «per la prima volta ti do del tu, ti voglio bene, mi mancherai» (and I’m just calling one last time, not to change your mind, but just to say I miss you baby – eccetera).

Durante la messa s’invoca un «perché morissimo per sempre» (per vivere in dio o qualche fantasia del genere), e mi torna in mente Ceccarelli che martedì scriveva che Berlusconi faceva gesti scaramantici al fessissimo «siam pronti alla morte» del nostro (orrendo) inno nazionale.

Dopo la cerimonia Barbara Palombelli dice che insomma, parliamo sempre male dell’Italia, ma questa favolosissima cerimonia ci ha dimostrato che «è un grande paese, Milano è una grande città», e mi viene da ridere e mi si concretizza il sospetto d’avere un problema coi riti e i cerimoniali, chissà cosa direbbe uno psicanalista di quanto mi sembra ridicolo Beppe Sala con la fascia tricolore (sennò non si capisce che è il sindaco?).

Ho certamente torto io, ma mai quanto quelli che da giorni borbottano che insomma, se ne parla troppo, che è ’sta berlusconeide, che sarà mai, dobbiamo smetterla con la mistica della nostra infanzia e la santificazione dell’uomo che ci diede “Uccelli di rovo” e “Dynasty”. Santificazione in effetti pare troppo (ma chi lo santifica, a parte quelli che lavorano per le sue televisioni e mi pare un po’ il minimo?).

Ma, senza aver visto Alexis Carrington Colby che beve champagne nella vasca da bagno, mica lo so se saremmo gli stessi. Quasi tutti i gay milanesi che conosco, per dire, senza quel “Dynasty” di formazione sarebbero etero: il che, converrete, sarebbe un peccato.

 Antonio Lamorte 15 Giugno 2023

Estratto dell’articolo di Stefania Chiale per il “Corriere della Sera” il 15 giugno 2023. 

[…] La salma verrà cremata oggi nel Tempio crematorio Panta Rei di Valenza, in provincia di Alessandria. Le ceneri potranno così essere conservate nel mausoleo di Pietro Cascella, nel parco della villa, accanto al padre Luigi, alla mamma e alla sorella. Era nota da tempo la volontà dell’ex premier di essere cremato: era stato lui stesso a volere la cremazione per i resti dei suoi genitori e della sorella, inizialmente seppelliti al Cimitero Monumentale di Milano.

La scelta è la sola che rende possibile far riposare le spoglie di Berlusconi nel mausoleo, pensato dall’ex premier come il luogo di tumulazione per parenti e amici più stretti. L’impianto di Alessandria, uno dei centri di cremazione più grandi d’Italia, sarà accessibile solo alla famiglia, che al momento tiene il massimo riserbo sulle prossime ore. […]

Berlusconi sarà sepolto nel mausoleo di Arcore: la cremazione in un Tempio ad Alessandria. Le sue ultime volontà. Stefania Chiale su Il Corriere della Sera il 14 Giugno 2023 

Berlusconi sarà cremato nel Tempio Valenziano Panta Rei, vicino ad Alessandria. Fu lo scultore Pietro Cascella a realizzare il mausoleo che già accoglie le ceneri dei genitori e della sorella dell'ex premier. Emilio Fede ha atteso la salma su una panchina nel parco 

L’ultimo viaggio verso casa di Silvio Berlusconi inizia quando sono passate da poco le 16 e le porte bronzee del Duomo di Milano si spalancano per la seconda volta, salutando l’uscita del feretro ricoperto di rose bianche e rosse che era entrato un’ora prima. Il saluto che la famiglia, gli amici più cari e tutti i mondi del fondatore di Forza Italia riuniti gli hanno reso dentro la cattedrale — in un unicum milanese mai riuscito: da Mario Draghi a Massimo Boldi, da Sergio Mattarella a Lele Mora, da Viktor Orbán a Pippo Inzaghi — si è sciolto all’uscita nell’abbraccio della piazza. Bandiere del Milan, del Monza, del partito, dello Sri Lanka o del Veneto, cori, striscioni e applausi. Il corteo funebre percorre al contrario il tragitto che l’ha portato ai funerali di Stato, e torna nella sua Arcore, nella cappella di famiglia dove sono stati celebrati i funerali di mamma Rosa e della sorella Maria Antonietta e dove martedì è stata celebrata una prima messa.

Alle 16.30 l’auto con la salma lascia il Duomo per rientrare a Villa San Martino. La salma verrà cremata nel Tempio crematorio Valenziano Panta Rei, in provincia di Alessandria. Le ceneri potranno così essere conservate nel mausoleo di Pietro Cascella, nel parco della villa, accanto a quelle del padre Luigi, della mamma e della sorella. Era nota da tempo la volontà dell’ex premier di essere cremato: era stato lui stesso a volere la cremazione per i resti dei suoi genitori e della sorella, inizialmente seppelliti al Cimitero Monumentale di Milano. La scelta è la sola che offre l’opportunità di fare riposare le spoglie di Berlusconi nel mausoleo, pensato dall’ex premier come il luogo di tumulazione per parenti e amici più stretti. L’impianto, uno dei centri di cremazione più grandi d’Italia, sarà accessibile solo alla famiglia, che al momento tiene il massimo riserbo sulle prossime ore.

Il corteo attraversa le vie della città da piazza Duomo a viale Monza, passando per piazza Fontana, via Carlo Augusto, corsa di Porta Romane, piazza Cinque Giornate, corso Ventidue Marzo fino a piazzale Loreto. Quindi Monza, Villasanta e Arcore. Poco dopo le cinque il feretro fa ingresso a villa San Martino. Ad accoglierlo, una piccola folla, ma anche l’amico storico Emilio Fede, seduto su una panchina nel prato vicino alla villa: «Non posso pensare che non ci sia più. Un anno fa ho perso mia moglie e adesso lui, che è stato la mia vita», ha detto l’ex direttore del TG4.

C’erano anche gli ultras del Monza, la squadra che Berlusconi ha portato in serie A, a salutare l’ultimo ingresso a casa dell’ex premier. Tra le mani lo striscione: «Nel tuo ultimo cammino il nostro saluto» e una corona di fiori da parte della curva «Davide Pieri». Lasciando Villa San Martino, dopo il rientro del feretro, il figlio Pier Silvio saluta con la mano i cronisti e i fan presenti davanti all’ingresso della residenza. 

«Grazie ancora», dice abbassando il finestrino.

Estratto dell'articolo di Serena Biraghi per “La Verità” il 16 giugno 2023.

Silvio Berlusconi è tornato definitivamente nella sua Arcore. Dopo la cerimonia di cremazione di ieri nel tempio Panta rei di Valenza Po, in provincia di Alessandria, le ceneri del leader di Forza Italia saranno conservate nel mausoleo realizzato da Pietro Cascella nel parco di Villa San Martino, accanto a quelle del padre Luigi, della mamma Rosa e della sorella Maria Antonietta. 

Era stato lo stesso ex premier a lasciare disposizioni chiare sul «dopo»: essere cremato, come lo erano stati i suoi familiari, e riposare nel mausoleo da lui stesso pensato come luogo di tumulazione per parenti ed amici più intimi. Berlusconi, infatti, aveva lasciato un posto anche per Indro Montanelli, che però rifiutò l’offerta.

Il sindaco di Arcore, Maurizio Bono, ha confermato che la tumulazione nel mausoleo «tecnicamente non si può fare. Ma se lo cremano e vogliono trasferire l’urna cineraria ad Arcore, per noi non c’è problema». 

[…] 

Fu dopo la morte del padre e con l’idea che tutta la famiglia dovesse essere insieme nel riposo eterno che nel 1990 l’ex premier, allora soltanto imprenditore, chiamò l’artista toscano Pietro Cascella (scomparso nel 2008) per costruire un mausoleo con 36 loculi sotterranei e una grande scultura all’esterno in marmo bianco (più di 100 tonnellate) delle Alpi Apuane.

«Non farmi una cosa mortuaria con le falci, i teschi», disse Berlusconi, come raccontò lo stesso artista, «e allora ho pensato all’alto, al cielo e ho fatto questa cosa che si chiama Volta celeste. All’interno della Volta celeste, si accede passando per una scala in travertino. Il corridoio che conduce alla camera mortuaria con le tombe è chiuso da una porta scorrevole in pietra. 

Sulle pareti è intarsiato un fregio con delle catene: gli anelli legati uno all’altro sono il simbolo del rapporto familiare. Al centro di tutto, ci sarebbe un sarcofago bianco realizzato proprio per Berlusconi. I lavori del mausoleo terminarono nel 1993.

[…]

Il Mausoleo.

Berlusconi, la verità sul mausoleo di Arcore. La vedova di Cascella: "Nessun simbolo massonico". Il Tempo il 12 giugno 2023

Il feretro di Silvio Berlusconi, scomparso oggi all’età di 86 anni, riposerà nel mausoleo di Arcore, su cui si è tanto favoleggiato. La salma sarà spostata ad Arcore, in attesa dei funerali. Il leader di Forza Italia sarà presumibilmente seppellito proprio a Villa San Martino, dove è già pronta la tomba da lui fatta realizzare. Comprata nel 1973, Berlusconi aveva disposto che fossero realizzati dei lavori di restauro conservativo della porzione Berlusconi aveva fatto collocare all’interno della tenuta un mausoleo personale, opera di Pietro Cascella intitolata ’La volta celeste'.

Cordelia von den Steinen, vedova dello scultore Pietro Cascella, ha spiegato all'Adnkronos che il mausoleo non ospita nessun simbolo massonico, ma è ispirato ad Archimede. "Nessuno sa che ricevemmo una telefonata da Siracusa, volevano dedicare un monumento ad Archimede e proprio la sua passione per l’universo ha portato al primo bozzetto: una piattaforma quadrata con pilastri e corpi celesti. La richiesta, però, sfumò e quando Silvio Berlusconi chiese a Pietro di realizzare una tomba di famiglia per suo padre Luigi, ma senza croci o teschi, allora riprese quell’idea e la elaborò. Temevamo che volesse qualcosa di più ’tradizionale', tipo dei dipinti che potessero rappresentare la sua vita, invece accettò subito il progetto".

Nasce così l’opera La volta celeste realizzata in marmo di Carrara (più di cento tonnellate) con i pilastri posti su una base quadrata e un motivo ricorrente sul travertino del sotterraneo: una sorta di gancio infilato nell’altro a ripetizione come una catena che rappresenta i legami familiari, anche se Berlusconi - che commissionò l’opera intorno alla metà degli anni Ottanta - ha lasciato spazio anche agli amici di una vita (con ben 39 loculi). "Basta guardare le pubblicazioni per vedere che quel bozzetto precede l’incarico di Berlusconi eppure continua da decenni la libidine della maldicenza, ma tanto le parole vanno via e resta l’opera" per la quale ci sono voluti ben tre anni di lavoro. "Vengono date attribuzioni simboliche ad elementi, come la piramide o una squadra massonica, che fanno parte dell’umanità e della scultura di Pietro Cascella. Noi il club segreto della massoneria non lo conoscevamo di certo" sottolinea la vedova dell’artista originario di Pescara che ha ’collaborato' con il Cav per una decina d’anni, prima del suo ingresso in politica. "Ho conosciuto bene Berlusconi, era una persona con lo stesso volto nel pubblico e nel privato. Mi faceva tanti complimenti, come a tutte le donne, era un uomo che incarnava le caratteristiche degli italiani e per questo piaceva molto, credo sia stata uno dei motivi del suo successo" conclude Cordelia von den Steinen. 

Il mausoleo di Berlusconi ad Arcore firmato da Pietro Cascella e il rifiuto di Montanelli: «Non sum dignus» Gianni Santucci su Il Corriere della Sera il 12 Giugno 2023

Il fondatore di Forza Italia commissionò all'amico scultore il monumento sotterraneo come tomba di famiglia per sé e gli amici più stretti. Fede: «Non vi è stato sepolto nessuno»

Una grande sala (con tomba) centrale. Uno scalone monumentale. Un portale di ferro e pietra. Ambiente sotterraneo, cui s’accede dal prato. Il «mistero» del mausoleo di Silvio Berlusconi - morto il 12 giugno -  nel parco della villa di Arcore non ha nulla di misterioso: e anzi l’autore/progettista dell’opera e grande amico del fondatore di Forza Italia, lo scultore Pietro Cascella (morto nel 2008), raccontò ideazione e dettagli del sacrario personale/familiare dell’ex premier. 

«Berlusconi mi disse: senti, io mi trovo a questo punto della vita, ho perso il padre (Luigi Berlusconi, morto nel 1989, ndr), vorrei che tu ti occupassi di questa cosa», raccontava Cascella in un’intervista ancora disponibile su YouTube. «Lui mi disse: non farmi una cosa mortuaria, con le falci, le morti, i teschi, gli scheletri, quell’armamentario cimiteriale – ricordava Cascella –. E allora io dissi: pensiamo all’alto, al cielo. E allora ho fatto questa cosa che si chiama Volta celeste». Nel filmato lo scultore, nel suo studio, mostra il modello del mausoleo: «Qui c’è una porta di pietra scorrevole, e poi si accede all’area in cui ci saranno le sepolture vere e proprie».

Il monumento nel parco della villa di Arcore venne completato all’inizio degli anni Novanta: ma nessuno vi è stato sepolto. Su questo punto, poco dopo la morte di Cascella, in un’intervista a La Stampa, fu Emilio Fede a chiarire: «Non si possono seppellire i morti fuori dal cimitero e infatti anche sua mamma, Rosa (la madre di Silvio Berlusconi, deceduta nel 2008, ndr), ora riposa al cimitero Monumentale nella tomba di famiglia accanto al marito, Luigi». 

E poi l’ex direttore di Rete4, tra i pochi ammessi alla visita del mausoleo, nella stessa intervista ne diede una descrizione: «È un luogo di pace e di grande serenità. Nel parco di villa San Martino, ad Arcore, tra pioppi, roseti e un’immensità di tulipani di tutti i colori si scende per una quindicina di metri e c’è questo grande locale. Non c’è un’atmosfera triste. Non hai l’atmosfera... Come dire?... di una tomba». A un certo punto è circolata anche la leggenda che tra le sculture apparisse un cellulare: «Cellulare? Mai visto – sostenne Fede - I cesti di pane e frutta come simboli di vita sì, li ricordo. E, poi, Cascella ha scolpito delle teste molto belle. Era un grande artista, un vero amico di Silvio Berlusconi». 

Il fondatore di Fininvest concepì l’idea che il monumento potesse essere luogo di sepoltura per i familiari, ma anche per i più stretti amici, e nell’idea iniziale chiese che venissero riservati loro dei posti. Raccontava ancora Fede: «Io ho sempre detto che, come gesto d’affetto, mi piacerebbe far parte di quella cerchia di amici, Confalonieri, Dell’Utri, alla quale Berlusconi dia un posto». 

Come sempre i dettagli di cronaca berlusconiana si sono prestati negli anni a una doppia lettura, in base agli orientamenti politici, posizioni critico/satiriche, contrapposte a spiegazioni/contro critiche: così accadde ad esempio per la descrizione dell’impianto di riscaldamento fatta da Enrico Deaglio (riprendendo sempre le parole di Cascella): «Il committente volle poi fregi di ganci alle pareti a raffigurare il legame dell’amicizia, bassorilievi con frutta, cibo e un telefono portatile, rose a cinque petali di travertino rosso sulla tomba principale e un potentissimo motore Ruggerini a riscaldare e illuminare tutto l’ipogeo. In alto lasciò sbizzarrire l’artista, che innalzò al cielo dodici colonne sovrastate da sfere, mezze sfere, piramidi, cubi… Il tutto per cento tonnellate di pietra e tre anni di lavoro, per un’opera chiamata Volta celeste». 

Fede sminuì il valore di quel gruppo elettrogeno: «Ricordo che una volta mi chiese: "Non è che qui sotto fa troppo freddo?". Gli ho risposto: "E, beh, sai qui sotto...”. Lui, all’epoca non faceva ancora politica, pensava solo di avere un posto in cui un giorno andare senza tristezza, senza malinconia. Sentendosi bene». 

Il monumento è stato mostrato negli anni a molti ospiti, tra cui anche l’ex leader sovietico, Mikhail Gorbaciov. La leggenda dice che Indro Montanelli, alla proposta di avere un posto nel «dormitorium», rispose: «Domine non sum dignus».

L’Erede Politico.

Ecco l’Erede visibile e invisibile di Silvio Berlusconi: Gianni Letta. Alla commemorazione alla Camera del fondatore di Forza Italia, il “portasilenzi” braccio destro del Cavaliere riceve, a ottantotto anni, la prima standing ovation parlamentare della sua vita. E si alza per ringraziare a mani giunte. Se non è una investitura poco ci manca. Susanna Turco su L'Espresso il 22 Giugno 2023 

Come in una versione umana della “Lettera rubata” di Edgar Allan Poe, l’Erede tanto cercato in ogni angolo più nascosto è invece lì, sotto gli occhi di tutti, in mezzo alla piazza della politica. Non a villa San Martino ad Arcore, non dentro le pieghe del Testamento ancora non aperto, non a via delle Olgettine, certamente non a piazza San Lorenzo in Lucina dove ha sede Forza Italia. L’Erede siede nella prima fila di una delle tribunette degli ospiti di Montecitorio, applaude dopo il minuto di silenzio alla commemorazione di Silvio Berlusconi, annuisce parlando con la sua vicina di posto, Licia Ronzulli. È una semplice enorme scritta, e «come le insegne troppo grandi e i manifesti enormi sfuggono all’attenzione perché risultano troppo evidenti»: è Gianni Letta.

Mentre ciascun capogruppo del centrodestra riscrive la storia di trent’anni mettendo al centro Berlusconi e a turno il proprio partito, e Tommaso Foti per i Fratelli d’Italia rivendica lo strappo con Gianfranco Fini per fedeltà al Caro Silvio, e Riccardo Molinari per la Lega fa discendere l’intera seconda repubblica dalla fratellanza con Umberto Bossi, ricordata appena un gradino al di sotto la discesa in campo del Cavaliere, ecco che finalmente, a 88 anni, l’eminenza azzurrina, il portasilenzi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio e primo braccio destro di Berlusconi riceve la sua prima standing ovation in Parlamento della sua vita.

La lancia Paolo Barelli, capogruppo di Forza Italia: «Voglio porgere un rispettoso saluto al dottor Gianni Letta che è con noi anche oggi in quest'Aula, che lo ha visto innumerevoli volte a fianco del presidente Berlusconi nei tanti anni trascorsi nei banchi del governo ad agire nell'interesse del Paese», dice tra gli applausi di tutto il centrodestra.

Uno strano e semplice fuori programma, al quale Gianni Letta risponde in modo altrettanto insolito: si alza in piedi, congiunge le mani in segno di ringraziamento, piega leggermente il busto verso la folla sotto di lui. In qualche modo legittima e “chiama” quell’applauso che nel frattempo si fa sempre più intenso (dai banchi del Pd si aggiunge anche Enrico Letta, suo nipote). Non è forse una investitura, ma gli somiglia.

 Il ritorno di Gianni Letta tra Arcore e i palazzi romani: «In lui è riposta grande fiducia». Storia di Francesco Verderami su Il Corriere della Sera il 16 Giugno 2023

Se il telefono di Arcore squilla ancora è perché lì si è fermato Gianni Letta. Non è mai stato un ospite assiduo della residenza berlusconiana: quando la villa era la capitale dell’impero, sostava giusto il necessario per parlare con il Cavaliere. Poi tornava a Roma. Pensava che il rito si sarebbe protratto nel tempo, «almeno fino all’anno prossimo», perché così avevano detto i dottori spiegando il decorso della malattia di Silvio Berlusconi: «Invece è successo quello che nessuno di noi si aspettava».

Perciò ha deciso di restare ad Arcore, per condividere «questo grande dolore» con i figli del patriarca e aiutarli in un passaggio che si preannuncia complicato. In tutti i sensi. Così ha partecipato con loro alla messa privata di suffragio. Ha osservato il modo in cui Piersilvio si è rivolto al fratello e alle sorelle. E ha ascoltato la loro promessa di «proseguire uniti il lavoro di papà per rendere ». Poi, insieme a Fedele Confalonieri, si è adoperato per le esequie: uno ha presidiato per un giorno intero la prefettura di Milano, l’altro si è adoperato nei contatti con il Quirinale per il funerale di Stato.

«Chiamo io», ha detto Letta, con un tono che ha rassicurato i familiari, travolti dall’emozione. Da giorni quel «chiamo io» si ripete, perché ci sono da disbrigare anche altre faccende. «La vecchia guardia è un bastone al quale i figli di Berlusconi sanno di potersi appoggiare», raccontano dai vertici del Biscione: «E Gianni riveste un ruolo centrale. In lui è riposta grande fiducia». Quello che faceva per il padre continuerà a farlo per i figli, sfruttando le sue relazioni nei palazzi del potere capitolino. Aprendo porte che nessuno di loro a Roma ha mai varcato.

È vero, Marina ha stabilito un rapporto diretto con la premier, ma — come sostiene chi conosce quel mondo — «è comunque necessario avere un punto di riferimento». E Letta lo è. «Letta è l’uomo che manca a Romano Prodi», disse Francesco Rutelli negli anni ruggenti del bipolarismo muscolare, riconoscendo al collaboratore del Cavaliere doti che scarseggiavano nel centrosinistra. Sulle nomine, per esempio, potrà suggerire alla famiglia come muoversi. È un esercizio che pratica da anni: dai posti di vertice delle aziende di Stato fino agli avanzamenti di carriera, c’è sempre un suo «suggerimento» poggiato sulla scrivania di chi deve decidere. Guido Crosetto ha confidato a un collega come «non passi settimana senza che Gianni mi indichi qualcuno nelle Forze Armate».

Inoltre, l’uomo che non ha mai avuto la tessera di Forza Italia, da oggi dovrà occuparsi più direttamente anche della creatura politica di Berlusconi, garantendo un atterraggio morbido quando verrà il momento. Ieri si è sentito con Antonio Tajani: c’è da preparare la lunga marcia verso le Europee dell’anno prossimo e bisognerà decidere come affrontarle. Un paio di giorni prima di peggiorare, il Cavaliere aveva dettato la «carta valoriale» degli azzurri in vista delle elezioni e aveva chiamato «Gianni» per sollecitargli dei suggerimenti. Adesso nell’agenda di Letta la sua segretaria ha appuntato una serie di chiamate: sono i leader centristi che vorrebbero parlargli per capire se c’è l'intenzione di unire le forze in un’unica lista che si richiami al Partito popolare.

«Sono momenti difficili», riconoscono esponenti forzisti. A breve si capirà se decideranno di far presentare Forza Italia alle urne da sola. Giorgia Meloni ha assicurato che non intende lanciare un’Opa sul partito e nei territori ha dato ordine ai dirigenti di FdI di non accogliere azzurri che volessero trasferirsi. Raccontano che in questi giorni i figli di Berlusconi si siano espressi sulle questioni politiche «in modo appropriato». Ma come dice una personalità del centrodestra, «tutti, anche i grandi leader, hanno bisogno di una personale Cassazione». Hanno bisogno cioè di qualcuno a cui affidarsi prima di dire l’ultima parola. Uno come Gianni Letta.

Estratto dell'articolo di Michele Serra per “la Repubblica” il 22 giugno 2023.

Si riparla di Gianni Letta, il più andreottiano tra i viventi, come “fiduciario della famiglia Berlusconi”. Credo che anche il più ferrato (o efferato) tra i costituzionalisti riuscirebbe a osare una lettura “tecnica” di simili mansione. […]  fin qui il fiduciario di famiglia non era una figura prevista da iter e protocolli. 

[…] ne sono entusiasta, e per almeno due motivi. Il primo: si chiarisce definitamente, direi ufficialmente, che Forza Italia è una delle tante proprietà personali di SB e dei suoi numerosi cari. Che a reggerne le sorti sia dunque un “fiduciario della famiglia”, come quando si deve stabilire come disporre dello chalet nel Vallese o del trilocale a Laigueglia senza far litigare gli eredi, è cosa saggia e utile.

Il secondo: all'ottantottenne Letta, nonostante una lunghissima carriera a stretto contatto di gomito con un personale politico non sempre presentabile alla mamma, va riconosciuto un aplomb impeccabile. 

[…] È levigato, sorridente, sempre in regola con il dress code anche quando non c'è alcun dress code. In questa destra, che nella canottiera di Bossi, nella Bestia di Salvini, nei bonifici alle Olgettine, […] e negli svastica-party di qualche fedelissimo meloniano trova i suoi fondamenti antropologici, l'aplomb borghese di Gianni Letta è motivo di rassicurazione. 

Estratto dell'articolo di Susanna Turco per espresso.repubblica.it il 22 giugno 2023.

Come in una versione umana della “Lettera rubata” di Edgar Allan Poe, l’Erede tanto cercato in ogni angolo più nascosto è invece lì, sotto gli occhi di tutti, in mezzo alla piazza della politica. 

Non a villa San Martino ad Arcore, non dentro le pieghe del Testamento ancora non aperto, non a via delle Olgettine, certamente non a piazza San Lorenzo in Lucina dove ha sede Forza Italia. 

L’Erede siede nella prima fila di una delle tribunette degli ospiti di Montecitorio, applaude dopo il minuto di silenzio alla commemorazione di Silvio Berlusconi, annuisce parlando con la sua vicina di posto, Licia Ronzulli. È una semplice enorme scritta, e «come le insegne troppo grandi e i manifesti enormi sfuggono all’attenzione perché risultano troppo evidenti»: è Gianni Letta. 

[…]  ecco che finalmente, a 88 anni, l’eminenza azzurrina, il portasilenzi, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio e primo braccio destro di Berlusconi riceve la sua prima standing ovation in Parlamento della sua vita. 

La lancia Paolo Barelli, capogruppo di Forza Italia: «Voglio porgere un rispettoso saluto al dottor Gianni Letta che è con noi anche oggi in quest'Aula, che lo ha visto innumerevoli volte a fianco del presidente Berlusconi nei tanti anni trascorsi nei banchi del governo ad agire nell'interesse del Paese», dice tra gli applausi di tutto il centrodestra. 

Uno strano e semplice fuori programma, al quale Gianni Letta risponde in modo altrettanto insolito: si alza in piedi, congiunge le mani in segno di ringraziamento, piega leggermente il busto verso la folla sotto di lui.

[…] Non è forse una investitura, ma gli somiglia.

Il Testamento e l’Eredità.

Daniela Polizzi e Mario Gerevini per il “Corriere della Sera” il 12 luglio 2023.

L’eredità di Silvio Berlusconi raddoppierà il patrimonio di Barbara, Eleonora e Luigi a circa un miliardo a testa ma quadruplicherà quello di Marina e Pier Silvio: 1,6 miliardi ciascuno. Abbiamo fatto i conti in tasca ai cinque fratelli, immobili personali compresi, anche quelli meno noti come la casa da 70 vani di Barbara Berlusconi in zona Pagano a Milano o l’abitazione che si è comprato Pier Silvio ad Arcore, le società francesi Sci Billy e Sci Cardigan di Marina. E poi la villa a Milano di Luigi: è la ex Villa Borletti, luogo simbolo dell’epopea berlusconiana.

(...) 

L’eredità Berlusconi non è solo Fininvest: sarà assegnato un consistente capitale immobiliare oltre a tutti i beni personali del Cavaliere. In totale 4 miliardi facendo calcoli di massima, non essendoci visibilità su tutto il perimetro. Ma partiamo dalle case dei cinque fratelli, quelle a oggi di loro esclusiva proprietà.

Marina Le proprietà in Costa Azzurra della primogenita fanno capo a società immobiliari francesi dove hanno piccole quote il marito Maurizio Vanadia (Sci Cardigan) e la madre Carla Dall’Oglio (Sci Billy). Di grande valore la villa di Châteauneuf de Grasse, uno dei villaggi più belli dell’entroterra francese, a mezz’ora d’auto dal mare della Costa Azzurra. In Italia la numero uno di Fininvest ha solo un piccolo appartamento in zona Bande Nere a Milano e due piani per 22 vani complessivi di un bel palazzotto in Corso Venezia, nel centro della città.

Pier Silvio Dal portafoglio immobiliare di Pier Silvio spunta la villa di Arcore junior, a un quarto d’ora a piedi dalla senior, Villa San Martino, che il padre ha abitato fino agli ultimi giorni. È una residenza di lusso da 33,5 vani con parco. Proprietario esclusivo Pier Silvio che ha anche un paio di appartamenti a Segrate. L’anno scorso era emerso l’acquisto (per 20 milioni secondo indiscrezioni) della splendida Villa San Sebastiano a Portofino, 1.300 metri quadrati.

Barbara Pagano, due passi dal centro di Milano e da City Life, è in una delle zone più ricercate e care di Milano. Qui gli appartamenti di pregio si vendono a 10 mila euro al metro quadrato. E qui Barbara Berlusconi in un bel palazzo della «vecchia Milano» ha la sua reggia e il suo unico immobile di proprietà: 70 vani più 250 metri quadrati tra box auto e cantine. Considerato che per il catasto un vano è tra gli 8 e i 20 metri quadrati si intuisce che gli spazi non mancano per la numerosa famiglia (Barbara ha cinque figli da uno a 15 anni, tutti maschi).

Eleonora Un appartamento quasi normale (2-300 metri quadri) in centro storico non lontano dalla Basilica di San Nazaro e uno, più piccolo, a poca distanza. Nient’altro per la più riservata tra i figli del Cavaliere.

Luigi Un grande appartamento signorile a tre minuti a piedi dalla chiesa di Santa Maria delle Grazie e dal Cenacolo Vinciano. E poi la sorpresa: la ex villa Borletti a Milano, luogo storico della vita di Berlusconi che qui si trasferì negli anni Settanta. Si sapeva che Luigi ne era affascinato, non che l’avesse comprata. Con i suoi 46 vani in una delle zone più prestigiose di Milano oggi ha un valore altissimo. 

Ma Luigi ha acquistato o è stata una donazione del padre? E gli immobili degli altri fratelli? La questione tocca il patrimonio ereditario: la donazione fatta a legittimari del donante, infatti, è considerata dalla legge un anticipo di eredità e dunque dovrà essere imputata alla quota legittima.

Ai loro beni i cinque fratelli aggiungeranno quelli del padre in base alla ripartizione dell’eredità. Finché c’era Silvio Berlusconi le quote di patrimonio netto Fininvest (4,5 miliardi a fine 2022) di Marina e Pier Silvio valevano, come detto, circa 340 milioni a testa. Quelle degli altri tre circa 320 ciascuno. Ma i tre più giovani sommano i 400 milioni di attività proprie della loro H14 e salgono a 453 milioni ciascuno. Dopo la morte del Cavaliere e la sua decisione di lasciare la quota disponibile dell’eredità (un terzo) solo a Marina e Pier Silvio si rimescolano le carte.

La Fininvest (di cui l’ex premier aveva il 61%) vedrà i due figli già alla guida del gruppo salire dal 15 al 53% e gli altri dal 21 al 47%. Nel portafoglio dei cinque entrano complessivamente 2,74 miliardi di valore Fininvest (patrimonio netto) cioè il 61% ex Berlusconi senior. E poi le grandi ville (Certosa, San Martino, Macherio ecc) e le altre proprietà immobiliari stimabili in 6-700 milioni. Altri 6-700 milioni, secondo valutazioni approssimative, emergerebbero da tutti gli altri beni (opere d’arte, liquidità e investimenti personali, polizze, mobili e arredi ecc.).

Da qui si arriva ai 4 miliardi dell’eredità di cui «solo» 2,74 miliardi è, appunto, quota Fininvest e il resto si divide 60% (Marina e Pier Silvio) 40% (Barbara & C). Risultato (al netto di donazioni in vita): Marina e Pier Silvio avranno un patrimonio da 1,6 miliardi a testa, i tre fratelli poco più di un miliardo ciascuno.

Eredità di Berlusconi, Fascina pagherà 8 milioni di tasse: i conti di tutti gli eredi. Storia di Valentina Iorio su Corriere della Sera il 10 luglio 2023.   

Le tasse sull’eredità Fininvest e l’ipotesi dell’esenzione. Uno dei nodi dell’eredità di Silvio Berlusconi, sia di quella economica lasciata ai suoi discendenti che di quella politica, è legato all’imposta di successione. Un cavallo di battaglia dell’ex premier con il quale ora i suoi eredi dovranno in qualche misura fare i conti. Abolita nel 2001 proprio dal governo Berlusconi, l’imposta è stata poi ripristinata in forma attenuata per i grandi patrimoni nel 2006 dal governo Prodi. Una delle principali incognite sono le tasse sul 61,2% di Fininvest, che i figli del Cavaliere potrebbero non dover pagare grazie all’articolo 3 del Testo unico sulle successioni che prevede l’esenzione totale dall’imposta nel caso in cui la successione riguardi la quota di controllo di società di capitali lasciata ai figli in regime di comunione, come appunto nel caso di Berlusconi. « Il beneficio - dice la norma - si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento, rendendo, contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione in tal senso». Leggi anche: - Berlusconi, la carta nel cassetto e le 5 anomalie che la rendono impugnabile: ma la famiglia procede compatta

I possibili ostacoli normativi. Tuttavia, come ricorda il Sole 24 Ore, gli eredi potrebbero doversi scontrare con un’interpretazione restrittiva della normativa, come quella derivante dalla sentenza n. 6082 del 28 febbraio 2023 della Corte di Cassazione, secondo la quale l’esenzione non spetta se la società non svolge attività d’impresa. Secondo alcune interpretazioni della sentenza le holding come Fininvest potrebbero essere considerate società che non esercitano attività d’impresa, dato che questa viene esercitata solo dalle partecipate della holding ma non direttamente dalla capogruppo.

L’aliquota del 4% per i figli.

Ipotizzando anche che possano godere dell’esenzione dall’imposta di successione per la quota di Fininvest ereditata dal padre, i figli di Berlusconi dovranno in ogni caso pagare un’aliquota del 4% sul valore dei beni ereditati. La legge 262 del 2006 prevede tasse al 4% per i trasferimenti effettuati in favore del coniuge o di parenti in linea retta, come appunto i figli, da applicare sul valore complessivo del patrimonio con una franchigia di 1 milione per ciascun beneficiario.

Per Paolo Berlusconi tasse per 5,9 milioni.

Anche chi riceve in eredità lasciti in denaro, come nei casi di Paolo Berlusconi, Marta Fascina e Marcello Dell’Utri, è chiamato a versare l’imposta sulle successioni e a presentare la relativa dichiarazione all’Agenzia delle entrate. Per i 100 milioni di euro ricevuti dal Cavaliere il fratello Paolo dovrà versare 5,9 milioni di tasse. La legge, infatti, prevede che i lasciti in favore di fratelli o sorelle siano tassati con un’aliquota del 6% sul valore complessivo netto, con una franchigia di 100 mila euro. L’aliquota è la stessa anche per i trasferimenti in favore di altri parenti fino al quarto grado, degli affini in linea collaterale fino al terzo grado, ma in questo caso non è prevista l’applicazione di alcuna franchigia.

Per Marta Fascina 8 milioni di euro di tasse.

L’ultima compagna di Berlusconi, Marta Fascina, invece, secondo la normativa rientra tra i soggetti non legati da vincolo parentale - dato che il «quasi matrimonio» celebrato a Villa Gernetto non ha vincoli giuridici o civili - e quindi tenuti a versare l’imposta con aliquota pari all’8% su quanto ricevuto senza franchigia. Fascina dovrà versare al Fisco 8 milioni di euro di imposta di successione per il lascito da 100 milioni ricevuto in eredità dall’ex premier.

Marcello Dell’Utri.

Anche Marcello Dell’Utri, amico e collaboratore di Silvio Berlusconi, sarà tenuto a pagare l’imposta di successione con l’aliquota dell’8%. Nel suo caso, avendo ricevuto un lascito in denaro di 30 milioni di euro, dovrà versare al Fisco 2,4 milioni di euro di tasse.

Berlusconi, "maxi-patrimoniale sugli eredi": l'ultimo delirio dei rosiconi di sinistra. Alessandro Gonzato su Libero Quotidiano il 09 luglio 2023

Ci sono giornate talmente bislacche - la giornata dei baci, degli abbracci, del Pi greco, degli ufo, della zanzara, delle zone umide, del gabinetto che però non c'entra con le zone umide - ce ne sono così tante che una seria stonerebbe, eppure in Italia il 6luglio potrebbe essere almeno protempore la giornata degli invidiosi, rosiconi, in romanesco. Il 6 luglio, l’altro ieri, è stato reso pubblico il testamento di Silvio Berlusconi, e la ripartizione delle fortune del Cavaliere ha corroso diversi fegati, tra vip e non.

Tra quest’ultimi Giovanni Paglia, responsabile economico di Sinistra Italiana (il partito di Nicola Fratoianni padre putativo di Aboubakar Soumahoro) il quale ha cinguettato, su Twitter: «Pensate a Dell’Utri, che in virtù dei silenzi resi eredita da Berlusconi 30 milioni di euro, pagandoci l’8% di tasse. Meno dell’Iva su uova, carne e pesce». Ma cosa c’entra? C’è una legge che tassa l’eredità!

Dobbiamo aumentarla perché le bistecche e i calamari costano tanto? Niente. Il Paglia, ex attivista dei centri sociali poi deputato, è andato avanti: «E qualcuno continua a raccontare che sia giusto così. Non è parente e in Francia avrebbe versato il 60%: pure poco». E perché non il 70! Chi offre di più?

CHE RIDERE L’ineffabile Paolo Berizzi che vede fascisti ovunque e anche su Marte stavolta ha visto altro: «Oggi per la mafia è Natale». Oggi era il 6 luglio. «Fai spesso training autogeno?» gli ha risposto beffardamente un utente, sempre su Twitter. «E per il fascismo non è Natale?», altra risposta. Berizzi scrive su Repubblica e il giornale di Maurizio Molinari titola: “Il dono a Dell’Utri nel testamento di Berlusconi: il silenzio è d’oro”. Poi parte il pezzo: «C’è un patto indissolubile che si può anche analizzare come un fatto d’onore, quello che lega Silvio Berlusconi a Marcello dell’Utri. Si parla al presente perché la disposizione testamentaria lasciata dall’ex presidente del Consiglio di 30 milioni al suo amico fidato ci dice che questo legame è ancora in atto. E vive per nutrire il silenzio pagato a peso d’oro». Che rosicamento!

L’INTERVISTA

«Non mi aspettavo un gesto simile», ha commentato Dell’Utri, ma non parla di quello di Repubblica. Neanche alla Stampa hanno letto il testamento col sorriso. «Berlusconi non mi doveva nulla e nulla mi sarei aspettato di ricevere. Sono rimasto commosso. Sarebbe volgare ridurre un’amicizia come la nostra a un conteggio economico. Io e lui ci siamo dati tutto nell’amicizia». “C’è chi pensa che questi soldi siano serviti per comprare il suo ultimo silenzio...”. «Tutti balordi», ha replicato Dell’Utri, «penseranno questo, lo so bene. Sono quelli che non capiscono nulla, che godono nel seminare il male». Riattacca Il quotidiano Il Domani: “Perché Berlusconi dopo una vita di regali a Dell’Utri, per ultimo un vitalizio da 30mila euro al mese, gli ha lasciato anche 30 milioni?

” Poteva mancare l’italo-israeliana filopalestinese Rula Jebreal? Poteva, ma eccola che pubblica sui social un articolo del Telegraph: “Berlusconi dà 25 milioni di sterline all’amico della mafia”. Il vignettista Natangelo sul Fatto Quotidiano disegna Dell’Utri che chiede a Marta Fascina, l’ultima compagna di Berlusconi: «Ma se a me Silvio ha lasciato 30 milioni, e per lui sono andato in galera...Te, per avere 100 milioni cos’hai dovuto...». Fascina: «L’orrore, l’orrore». Altra vignetta: «Ancora champagne, signore?», chiede un cameriere a Dell’Utri. «Grazie caro, sai, misi è seccata la bocca a tenerla chiusa per così tanti anni». I “meme” di Osho invece al solito sì che fanno ridere: c’è una foto di Dudu, l’ex cagnolino di Berlusconi, che pensa: «Sò l’unico che ‘n ha rimediato niente... Se rinasco vojo fa er cane a Capalbio”. Intanto Veronica Lario, ex moglie del Cav, ha dichiarato di non essere a conoscenza del primo testamento, redatto ottobre 2006, e non ne avrebbe saputo niente «fino a due giorni fa». Chissà cosa diranno gli invidiosi quando leggeranno che il direttore scientifico del Parco Natura Viva di Bussolengo (Verona) ha detto all’Adnkronos che il parco è «disposto a ospitare i tre cammelli donati a Berlusconi da Gheddafi, per dare loro un vitalizio». Anche i cammelli, che si trovano nello zoo di Tripoli, fanno parte dell’eredità del Cavaliere. Intanto negli Stati Uniti il 6 luglio è la giornata del pollo fritto.

Estratto dell’articolo di Flavio Bini per “la Repubblica” sabato 8 luglio 2023.

Dopo averla avversata per una vita intera, proprio sull’imposta di successione a Silvio Berlusconi potrebbe essere riuscita la zampata finale: schivarla. Non per tutti e non su tutto, certo, ma sulla parte più consistente del proprio mastodontico patrimonio, quella che riguarda il 61,2% di Fininvest ceduto ai cinque figli. 

Su questo convengono alcuni tributaristi interpellati sulla questione ereditaria, facendo riferimento a una norma ben precisa: l’articolo 3 del Testo unico sulle successioni, che regola proprio le esenzioni dedicate alle imposte di successione.

Un passo indietro è d’obbligo. I figli Berlusconi come tutti devono pagare un’imposta sul valore complessivo del patrimonio lasciato in eredità. La legge prevede che ai familiari di primo grado si applichi un’aliquota del 4% sul valore dei beni ereditati, per la quota eccedente per ciascuno al milione di euro. […] 

Ma il pacchetto più ricco è senza dubbio quello delle quote societarie: il 61,2% di Fininvest. Il grosso del pagamento, per gli eredi, arriverà da qui. O almeno potrebbe arrivare, perché secondo quanto previsto dal Tus, all’articolo 3 comma 4ter, qualora la cessione avvenga in comunione ai familiari e riguardi partecipazioni di controllo — come è il caso della quota in Fininvest (ceduta attraverso le 4 holding) — i trasferimenti "non sono soggetti all’imposta". Con una prescrizione molto chiara però.

"Il beneficio si applica a condizione che gli aventi causa proseguano l’esercizio dell’attività d’impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento". 

Sul tema è tornata anche l’Agenzia delle Entrate con la circolare 3/E del 22 gennaio 2008 in cui si conferma l’applicabilità della norma nel caso "un soggetto doni l’intero pacchetto azionario posseduto ai suoi tre figli in comproprietà tra loro". […]

Ma quanto risparmierebbero i figli grazie a questa soluzione? Anche su questo l’ex premier sembra essersi più che cautelato. A conti fatti anche non applicando l’esenzione l’esborso dell’ordine di svariate centinaia di milioni di euro ventilato nelle scorse settimane si potrebbe tradurre per i figli in una cifra decisamente più contenuta. 

Lo stesso Testo unico prevede infatti che per le società non quotate la base imponibile a cui applicare l’imposta sia il patrimonio netto evidenziato nell’ultimo bilancio. La cessione però non riguarda la più ricca Fininvest, ma le holding di controllo. Le quattro società partecipate direttamente dal Cavaliere, attraverso partecipazioni incrociate, secondo gli ultimi bilanci depositati, presentano un patrimonio netto complessivo di circa 431 milioni di euro, dunque il 4% per cento si applicherebbe a questa somma e porterebbe il conto a circa 17 milioni di euro. Una cifra molto inferiore a quella dovuta se fosse stata attribuita direttamente la quota Fininvest.

Estratto dell'articolo di Mario Gerevini e Daniela Polizzi per il "Corriere della Sera" sabato 8 luglio 2023.

[…] se qualcuno volesse impuntarsi, se si creasse una crepa nel muro di compattezza, il lato debole e attaccabile del testamento Berlusconi sarebbe indubbiamente il foglio che Marta Fascina ha consegnato il 5 luglio al notaio Arrigo Roveda che l’ha registrato e pubblicato come «Testamento olografo», cioè scritto e datato dal testatore Silvio Berlusconi. 

Anomalie e omissioni

È la carta in cui il Cavaliere, con scrittura stentata, il 19 gennaio 2022, poco prima di essere ricoverato al San Raffaele, invita i suoi eredi (meno uno) a donare 100 milioni al fratello Paolo, altrettanti a Marta Fascina e 30 milioni a Marcello Dell’Utri. Il documento è pubblico e molti, anche esperti giuristi, si sono interrogati su presunte anomalie ed omissioni. […] 

«Cara Marina...»

«Cara Marina, Piersilvio, Barbara e Eleonora. Sto andando al San Raffaele se non dovessi tornare vi prego di prendere atto di quanto segue: dalle vostre eredità di tutti i miei beni dovreste riservare queste donazioni a …». Analizziamo i punti critici. 

Luigi può sfilarsi

1) L’omissione: manca uno dei cinque figli, Luigi, il più giovane. Ma forse si tratta semplicemente di una dimenticanza. Il Cavaliere era in precarie condizioni di salute e non è chiaro se al momento della scrittura fosse assistito. Quando 18 mesi dopo Fascina consegna la busta al notaio, il professionista mette a verbale che si tratta di una “busta non sigillata”. Comunque sia, Luigi potrebbe cogliere la palla al balzo e non contribuire ai 230 milioni. […]

La firma

2) Silvio chiama il figlio “Piersilvio” ma lui è Pier Silvio. Dettaglio minimo ma indicativo della scarsa lucidità dell’ex leader di Forza Italia. Altri dettagli, la firma non per esteso: S. Berlusconi. Tra l’altro è singolare che un padre che scrive ai figli si firmi col nome puntato e il cognome. Dettaglio anche la grafia più piccola per la cifra della donazione a Fascina.

Condizione sospensiva

3) «Se non dovessi tornare …». Ma poi è tornato dopo otto giorni. Quindi? Secondo vari pareri legali si tratta di una condizione sospensiva: la volontà di Berlusconi è chiaramente subordinata al verificarsi dell’evento futuro e incerto (la morte in ospedale). Il rientro a casa avrebbe reso inefficaci quelle disposizioni. E dunque il legato per 230 milioni potrebbe essere messo in discussione. 

I doppi 100 milioni

4) L’indicazione dei 100 milioni da riservare al fratello Paolo era già contenuta in un atto del 5 ottobre 2020 che all’epoca il fondatore di Fininvest consegnò di persona fiduciariamente al notaio Arrigo Roveda. Si era dimenticato dei 100 milioni già disposti a favore del fratello? O quelli del foglio di Arcore sono aggiuntivi? E perché allora non specificarlo?

La busta nel cassetto

5) Quando Silvio torna dall’ospedale, nell’inverno 2022, quella busta rimane in un cassetto di Villa San Martino. Le altre due lettere erano invece nell’archivio del notaio Roveda […] . Perché l’ultimo atto, quello dei 230 milioni, è rimasto nel cassetto e non ha ricevuto una veste più formale come gli altri due? È vero che il pericolo era scampato ma poi i ricoveri si sono susseguiti e il Cavaliere ha avuto più di un anno per dare una forma più solenne a un pezzo di carta che vale 230 milioni e contiene evidenti errori. Non lo ha fatto. 

Il verbale del notaio

Così mercoledì 5 luglio Roveda è chiamato ad Arcore da Marta Fascina che tira fuori la carta. «Alla presenza di testimoni — verbalizza il professionista — mi consegna una busta non sigillata recante la scritta “ai miei figli” e la firma “S. Berlusconi” contenente un foglio di carta intestata composto da due facciate scritto con inchiostro nero, apparentemente da un’unica persona (...) che ritiene essere il testamento olografo del signor Silvio Berlusconi e che mi chiede di pubblicare». […]

Daniela Polizzi e Mario Gerevini per il "Corriere della Sera" sabato 8 luglio 2023. 

È l’ora di fare i conti nel perimetro complesso del patrimonio di Berlusconi, per capire cosa c’è in portafoglio, oltre a quanto già noto, e anche per stabilire come saranno pagati 230 milioni di lasciti a Marta Fascina (100), al fratello Paolo (100) e a Marcello Dell’Utri. Che andranno a formare il passivo dell’eredità.

I consulenti degli eredi dedicheranno le prossime settimane a stimare i singoli beni. 

E un elemento fondamentale sarà anche la valutazione delle donazioni fatte in vita dal Cavaliere. A quanto risulta sarebbero numerose e di importo assai rilevante. Ne hanno beneficiato anche gli eredi?

Potrebbero riassestarsi le cifre in gioco di un’eredità da circa 4 miliardi (non esistono cifre ufficiali) che andrà per due terzi a tutti i cinque figli in parti uguali (la quota legittima) e per un terzo (la quota a disposizione di Berlusconi) solo a Marina e Pier Silvio. La legge considera la donazione fatta a legittimari del donante un anticipo di eredità quindi alla morte del donante dovrà essere imputata alla quota legittima.

Passaggi tecnici in una cornice di «grande serenità», ribadisce una fonte vicina alla famiglia. Ed è con questo spirito di collaborazione che si procede nelle valutazioni. Anche quelle più complicate. L’approdo finale è la divisione 60/40 dei beni. La divisione Il Cavaliere direttamente o con le sue società personali aveva vari conti in banca (con firma singola, doppia o di fiduciari) con liquidità e investimenti. Intesa Private Banking è uno degli istituti di riferimento.

E questa è l’area più sconosciuta e riservata, almeno dall’esterno. Gli immobili, quelli