Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

NOTA BENE

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L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

ANNO 2022

LO SPETTACOLO

E LO SPORT

SESTA PARTE

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

 

 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

INDICE PRIMA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Il Vintage.

Le prevendite.

I Televenditori.

I Balli.

Il Jazz.

La trap.

Il musical è nato a Napoli.

Morti di Fame.

I Laureati.

Poppe al vento.

Il lato eccentrico (folle) dei Vip.

La Tecno ed i Rave.

Alias: i veri nomi.

Woodstock.

Hollywood.

Spettacolo mafioso.

Il menù dei vip.

Il Duo è meglio di Uno.

Non è la Rai.

Abel Ferrara.

Achille Lauro.

Adele.

Adria Arjona.

Adriano Celentano.

Afef Jnifen.

Aida Yespica.

Alan Sorrenti.

Alba Parietti.

Al Bano Carrisi.

Al Pacino.

Alberto Radius.

Aldo, Giovanni e Giacomo.

Alec Baldwin.

Alessandra Amoroso.

Alessandra Celentano.

Alessandra Ferri.

Alessandra Mastronardi.

Alessandro Bergonzoni.

Alessandro Borghese.

Alessandro Cattelan.

Alessandro Gassman.

Alessandro Greco.

Alessandro Meluzzi.

Alessandro Preziosi.

Alessandro Esposito detto Alessandro Siani.

Alessio Boni.

Alessia Marcuzzi.

Alessia Merz.

Alessio Giannone: Pinuccio.

Alessandro Haber.

Alex Britti.

Alexia.

Alice.

Alfonso Signorini.

Alyson Borromeo.

Alyx Star.

Alvaro Vitali.

Amadeus.

Amanda Lear.

Ambra Angiolini.

Anastacia.

Andrea Bocelli.

Andrea Delogu.

Andrea Roncato e Gigi Sammarchi.

Andrea Sartoretti.

Andrea Zalone.

Andrée Ruth Shammah.

Angela Finocchiaro.

Angelina Jolie.

Angelina Mango.

Angelo Branduardi.

Anna Bettozzi, in arte Ana Bettz.

Anna Falchi.

Anna Galiena.

Anna Maria Barbera.

Anna Mazzamauro.

Ana Mena.

Anna Netrebko.

Anne Hathaway.

Annibale Giannarelli.

Antonella Clerici.

Antonella Elia.

Antonella Ruggiero.

Antonello Venditti e Francesco De Gregori.

Antonino Cannavacciuolo.

Antonio Banderas.

Antonio Capuano.

Antonio Cornacchione.

Antonio Ricci.

Antonio Vaglica.

Après La Classe.

Arisa.

Arnold Schwarzenegger.

Asia e Dario Argento.

 

INDICE SECONDA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Barbara Bouchet.

Barbara D'urso.

Barbra Streisand.

Beatrice Quinta.

Beatrice Rana.

Beatrice Segreti.

Beatrice Venezi.

Belen Rodriguez.

Bella Lexi.

Benedetta D'Anna.

Benedetta Porcaroli.

Benny Benassi.

Peppe Barra.

Beppe Caschetto.

Beppe Vessicchio.

Biagio Antonacci.

Bianca Guaccero.

BigTittyGothEgg o GothEgg.

Billie Eilish.

Blanco. 

Blake Blossom.

Bob Dylan.

Bono Vox.

Boomdabash.

Brad Pitt.

Brigitta Bulgari.

Britney Spears.

Bruce Springsteen.

Bruce Willis.

Bruno Barbieri.

Bruno Voglino.

Cameron Diaz.

Caparezza.

Carla Signoris.

Carlo Conti.

Carlo Freccero.

Carlo Verdone.

Carlos Santana.

Carmen Di Pietro.

Carmen Russo.

Carol Alt.

Carola Moccia, alias La Niña.

Carolina Crescentini.

Carolina Marconi.

Cate Blanchett.

Catherine Deneuve.

Catherine Zeta Jones.

Caterina Caselli.

Céline Dion.

Cesare Cremonini.

Cesare e Mia Bocci.

Chiara Francini.

Chloe Cherry.

Christian De Sica.

Christiane Filangieri.

Claudia Cardinale.

Claudia Gerini.

Claudia Pandolfi.

Claudio Amendola.

Claudio Baglioni.

Claudio Bisio.

Claudio Cecchetto.

Claudio Lippi.

Claudio Santamaria.

Claudio Simonetti.

Coez.

Coma Cose.

Corrado, Sabina e Caterina Guzzanti.

Corrado Tedeschi.

Costantino Della Gherardesca.

Cristiana Capotondi.

Cristiano De André.

Cristiano Donzelli.

Cristiano Malgioglio.

Cristina D'Avena.

Cristina Quaranta.

Dado.

Damion Dayski.

Dan Aykroyd.

Daniel Craig.

Daniela Ferolla.

Daniela Martani.

Daniele Bossari.

Daniele Quartapelle.

Daniele Silvestri.

Dargen D'Amico.

Dario Ballantini.

Dario Salvatori.

Dario Vergassola.

Davide Di Porto.

Davide Sanclimenti.

Diana Del Bufalo.

Dick Van Dyke.

Diego Abatantuono.

Diego Dalla Palma.

Diletta Leotta.

Diodato.

Dita von Teese.

Ditonellapiaga.

Dominique Sanda.

Don Backy.

Donatella Rettore.

Drusilla Foer.

Dua Lipa.

 

INDICE TERZA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Eden Ivy.

Edoardo Bennato.

Edoardo Leo.

Edoardo Vianello.

Eduardo De Crescenzo.

Edwige Fenech.

El Simba (Alex Simbala).

Elena Lietti.

Elena Sofia Ricci.

Elenoire Casalegno.

Elenoire Ferruzzi.

Eleonora Abbagnato.

Eleonora Giorgi.

Eleonora Pedron.

Elettra Lamborghini.

Elio e le Storie Tese.

Elio Germano.

Elisa Esposito.

Elisabetta Canalis.

Elisabetta Gregoraci.

Elodie.

Elton John.

Ema Stokholma.

Emanuela Fanelli.

Emanuela Folliero.

Emanuele Fasano.

Eminem.

Emma Marrone.

Emma Rose.

Emma Stone.

Emma Thompson.

Enrico Bertolino.

Enrica Bonaccorti.

Enrico Lucci.

Enrico Montesano.

Enrico Papi.

Enrico Ruggeri.

Enrico Vanzina.

Enzo Avitabile.

Enzo Braschi.

Enzo Garinei.

Enzo Ghinazzi in arte Pupo.

Enzo Iacchetti.

Erika Lust.

Ermal Meta.

Eros Ramazzotti.

Eugenio Finardi.

Eva Grimaldi.

Eva Henger.

Eva Robin’s, Eva Robins o Eva Robbins.

Fabio Concato.

Fabio Rovazzi.

Fabio Testi.

Fabri Fibra.

Fabrizio Corona.

Fabrizio Moro.

Fanny Ardant.

Fausto Brizzi.

Fausto Leali.

Federica Nargi e Alessandro Matri.

Federica Panicucci.

Ficarra e Picone.

Filippo Neviani: Nek.

Filippo Timi.

Filomena Mastromarino, in arte Malena.

Fiorella Mannoia.

Flavio Briatore.

Flavio Insinna.

Forest Whitaker.

Francesca Cipriani.

Francesca Dellera.

Francesca Fagnani.

Francesca Michielin.

Francesca Manzini.

Francesca Reggiani.

Francesco Facchinetti.

Francesco Gabbani.

Francesco Guccini.

Francesco Sarcina e le Vibrazioni.

Franco Maresco.

Franco Nero.

Franco Trentalance.

Francis Ford Coppola.

Frank Matano.

Frida Bollani.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Gabriel Garko.

Gabriele Lavia.

Gabriele Salvatores.

Gabriele Sbattella.

Gabriele e Silvio Muccino.

Geena Davis.

Gegia.

Gene e Charlie Gnocchi.

Geppi Cucciari.

Gérard Depardieu.

Gerry Scotti.

Ghali.

Giancarlo Giannini.

Gianluca Cofone.

Gianluca Grignani.

Gianna Nannini.

Gianni Amelio.

Gianni Mazza.

Gianni Morandi.

Gianni Togni.

Gigi D’Agostino.

Gigi D’Alessio.

Gigi Marzullo.

Gigliola Cinquetti.

Gina Lollobrigida.

Gino Paoli.

Giorgia Palmas.

Giorgio Assumma.

Giorgio Lauro.

Giorgio Panariello.

Giovanna Mezzogiorno.

Giovanni Allevi.

Giovanni Damian, in arte Sangiovanni.

Giovanni Lindo Ferretti.

Giovanni Scialpi.

Giovanni Truppi.

Giovanni Veronesi.

Giulia Greco.

Giuliana De Sio.

Giulio Rapetti: Mogol.

Giuseppe Gibboni.

Giuseppe Tornatore.

Giusy Ferreri.

Gli Extraliscio.

Gli Stadio.

Guendalina Tavassi.

Guillermo Del Toro.

Guillermo Mariotto.

Guns N' Roses.

Gwen Adora.

Harrison Ford.

Hu.

I Baustelle.

I Cugini di Campagna.

I Depeche Mode.

I Ferragnez.

I Maneskin.

I Negramaro.

I Nomadi.

I Parodi.

I Pooh.

I Soliti Idioti. Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio.

Il Banco: Il Banco del Mutuo Soccorso.

Il Volo.

Ilary Blasi.

Ilona Staller: Cicciolina.

Irama.

Irene Grandi.

Irina Sanpiter.

Isabella Ferrari.

Isabella Ragonese.

Isabella Rossellini.

Iva Zanicchi.

Ivana Spagna.

Ivan Cattaneo.

Ivano Fossati.

Ivano Marescotti.

 

INDICE QUINTA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

J-Ax.

Jacopo Tissi.

Jamie Lee Curtis.

Janet Jackson.

Jeff Goldblum.

Jenna Starr.

Jennifer Aniston.

Jennifer Lopez.

Jerry Calà.

Jessica Rizzo.

Jim Carrey.

Jo Squillo.

Joe Bastianich.

Jodie Foster.

Jon Bon Jovi.

John Landis.

John Travolta.

Johnny Depp.

Johnny Dorelli e Gloria Guida.

José Carreras.

Julia Ann.

Julia Roberts.

Julianne Moore.

Justin Bieber.

Kabir Bedi.

Kathy Valentine.

Katia Ricciarelli.

Kasia Smutniak.

Kate Moss.

Katia Noventa.

Kazumi.

Khadija Jaafari.

Kim Basinger.

Kim Rossi Stuart.

Kirk, Michael (e gli altri) Douglas.

Klaus Davi.

La Rappresentante di Lista.

Laetitia Casta.

Lando Buzzanca.

Laura Chiatti.

Laura Freddi.

Laura Morante.

Laura Pausini.

Le Donatella.

Lello Analfino.

Leonardo Pieraccioni e Laura Torrisi.

Levante.

Liam Neeson.

Liberato è Gennaro Nocerino.

Ligabue.

Liya Silver.

Lila Love.

Liliana Fiorelli.

Liliana Cavani.

Lillo Pasquale Petrolo e Greg Claudio Gregori.

Linda Evangelista.

Lino Banfi.

Linus.

Lizzo.

Lo Stato Sociale.

Loredana Bertè.

Lorella Cuccarini.

Lorenzo Cherubini: Jovanotti.

Lorenzo Zurzolo.

Loretta Goggi.

Lory Del Santo.

Luca Abete.

Luca Argentero.

Luca Barbareschi.

Luca Barbarossa.

Luca Carboni.

Luca e Paolo.

Luca Guadagnino.

Luca Imprudente detto Luchè.

Luca Pasquale Medici: Checco Zalone.

Luca Tommassini.

Luca Zingaretti.

Luce Caponegro in arte Selen.

Lucia Mascino.

Lucrezia Lante della Rovere.

Luigi “Gino” De Crescenzo: Pacifico.

Luigi Strangis.

Luisa Ranieri.

Maccio Capatonda.

Madonna Louise Veronica Ciccone: Madonna.

Mago Forest: Michele Foresta.

Mahmood.

Madame.

Mal.

Malcolm McDowell.

Malena…Milena Mastromarino.

Malika Ayane.

Manuel Agnelli.

Manuela Falorni. Nome d'arte Venere Bianca.

Mara Maionchi.

Mara Sattei.

Mara Venier.

Marcella Bella.

Marco Baldini.

Marco Bellavia.

Marco Castoldi: Morgan.

Marco Columbro.

Marco Giallini.

Marco Leonardi.

Marco Masini.

Marco Marzocca.

Marco Mengoni.

Marco Sasso è Lucrezia Borkia.

Margherita Buy e Caterina De Angelis.

Margherita Vicario.

Maria De Filippi.

Maria Giovanna Elmi.

Maria Grazia Cucinotta.

Marika Milani.

Marina La Rosa.

Marina Marfoglia.

Mario Luttazzo Fegiz.

Marilyn Manson.

Mary Jane.

Marracash.

Martina Colombari.

Massimo Bottura.

Massimo Ceccherini.

Massimo Lopez.

Massimo Ranieri.

Matilda De Angelis.

Matilde Gioli.

Maurizio Lastrico.

Maurizio Pisciottu: Salmo. 

Maurizio Umberto Egidio Coruzzi detto Mauro, detto Platinette.

Mauro Pagani.

Max Felicitas.

Max Gazzè.

Max Giusti.

Max Pezzali.

Max Tortora.

Melanie Griffith.

Melissa Satta.

Memo Remigi.

Michael Bublé.

Michael J. Fox.

Michael Radford.

Michela Giraud.

Michelangelo Vood.

Michele Bravi.

Michele Placido.

Michelle Hunziker.

Mickey Rourke.

Miku Kojima, anzi Saki Shinkai.

Miguel Bosè.

Milena Vukotic.

Miley Cyrus.

Mimmo Locasciulli.

Mira Sorvino.

Miriam Dalmazio.

Monica Bellucci.

Monica Guerritore.

 

INDICE SESTA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Nada.

Nancy Brilli.

Naomi De Crescenzo.

Natalia Estrada.

Natalie Portman.

Natasha Stefanenko.

Natassia Dreams.

Nathaly Caldonazzo.

Neri Parenti.

Nia Nacci.

Nicola Savino.

Nicola Vaporidis.

Nicolas Cage.

Nicole Kidman.

Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko.

Nicoletta Strambelli: Patty Pravo.

Niccolò Fabi.

Nina Moric.

Nino D'Angelo.

Nino Frassica.

Noemi.

Oasis.

Oliver Onions: Guido e Maurizio De Angelis.

Oliver Stone.

Olivia Rodrigo.

Olivia Wilde e Harry Styles.

Omar Pedrini.

Orietta Berti.

Orlando Bloom.

Ornella Muti.

Ornella Vanoni.

Pamela Anderson.

Pamela Prati.

Paola Barale.

Paola Cortellesi.

Paola e Chiara.

Paola Gassman e Ugo Pagliai.

Paola Quattrini.

Paola Turci.

Paolo Belli.

Paolo Bonolis e Sonia Bruganelli.

Paolo Calabresi.

Paolo Conte.

Paolo Crepet.

Paolo Rossi.

Paolo Ruffini.

Paolo Sorrentino.

Patrizia Rossetti.

Patti Smith.

Penélope Cruz.

Peppino Di Capri.

Peter Dinklage.

Phil Collins.

Pier Luigi Pizzi.

Pierfrancesco Diliberto: Pif.

Pietro Diomede.

Pietro Valsecchi.

Pierfrancesco Favino.

Pierluigi Diaco.

Piero Chiambretti.

Pierò Pelù.

Pinguini Tattici Nucleari.

Pino Donaggio.

Pino Insegno.

Pio e Amedeo.

Pippo (Santonastaso).

Peter Gabriel.

Placido Domingo.

Priscilla Salerno.

Pupi Avati.

 

INDICE SETTIMA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Quentin Tarantino.

Raffaele Riefoli: Raf.

Ramona Chorleau.

Raoul Bova e Rocio Munoz Morales.

Raul Cremona.

Raphael Gualazzi.

Red Canzian.

Red Ronnie.

Reya Sunshine.

Renato Pozzetto e Cochi Ponzoni.

Renato Zero.

Renzo Arbore.

Riccardo Chailly.

Riccardo Cocciante.

Riccardo Manera.

Riccardo Milani.

Riccardo Scamarcio.

Ricky Gianco.

Ricky Johnson.

Ricky Martin.

Ricky Portera.

Rihanna.

Ringo.

Rita Dalla Chiesa.

Rita Rusic.

Roberta Beta.

Roberto Bolle.

Roberto Da Crema.

Roberto De Simone.

Roberto Loreti, in arte e in musica Robertino.

Roberto Satti: Bobby Solo.

Roberto Vecchioni.

Robbie Williams.

Rocco Papaleo.

Rocco Siffredi.

Rolling Stones.

Roman Polanski.

Romina Power.

Romy Indy.

Ron: Rosalino Cellamare.

Ron Moss.

Rosanna Lambertucci.

Rosanna Vaudetti.

Rosario Fiorello.

Giuseppe Beppe Fiorello.

Rowan Atkinson.

Russel Crowe.

Rkomi.

Sabina Ciuffini.

Sabrina Ferilli.

Sabrina Impacciatore.

Sabrina Salerno.

Sally D’Angelo.

Salvatore (Totò) Cascio.

Sandra Bullock.

Santi Francesi.

Sara Ricci.

Sara Tommasi.

Scarlett Johansson.

Sebastiano Vitale: Revman.

Selena Gomez.

Serena Dandini.

Serena Grandi.

Serena Rossi.

Sergio e Pietro Castellitto.

Sex Pistols.

Sfera Ebbasta.

Sharon Stone.

Shel Shapiro.

Silvia Salemi.

Silvio Orlando.

Silvio Soldini.

Simona Izzo.

Simona Ventura.

Sinead O’Connor.

Sonia Bergamasco.

Sonia Faccio: Lea di Leo. 

Sonia Grey.

Sophia Loren.

Sophie Marceau.

Stefania Nobile e Wanna Marchi.

Stefania Rocca.

Stefania Sandrelli.

Stefano Accorsi e Fabio Volo.

Stefano Bollani.

Stefano De Martino.

Steve Copeland.

Steven Spielberg.

Stormy Daniels.

Sylvester Stallone.

Sylvie Renée Lubamba.

Tamara Baroni.

Tananai.

Teo Teocoli.

Teresa Saponangelo.

Tiberio Timperi.

Tim Burton.

Tina Cipollari.

Tina Turner.

Tinto Brass.

Tiziano Ferro.

Tom Cruise.

Tom Hanks.

Tommaso Paradiso e TheGiornalisti.

Tommaso Zanello alias Piotta.

Tommy Lee.

Toni Servillo.

Totò Cascio.

U2.

Umberto Smaila.

Umberto Tozzi.

Ultimo.

Uto Ughi.

Valentina Bellucci.

Valentina Cervi.

Valeria Bruni Tedeschi.

Valeria Graci.

Valeria Marini.

Valerio Mastandrea.

Valerio Scanu.

Vanessa Incontrada.

Vanessa Scalera.

Vasco Rossi.

Vera Gemma.

Veronica Pivetti.

Victoria Cabello.

Vincenzo Salemme.

Vinicio Marchioni.

Viola Davis.

Violet Myers.

Virginia Raffaele.

Vittoria Puccini.

Vittorio Brumotti.

Vittorio Cecchi Gori.

Vladimir Luxuria.

Woody Allen.

Yvonne Scio.

Zucchero.

 

INDICE OTTAVA PARTE

 

SOLITO SANREMO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Solito pre Sanremo.

Prima Serata.

Terza Serata. 

Quarta Serata.

Quinta Serata.

Chi ha vinto?

Simil Sanremo: L’Eurovision Song Contest (ESC)

 

INDICE NONA PARTE

 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

I Superman.

Il Body Building.

Quelli che...lo Yoga.

Wags e Fads.

Il Coni.

Gli Arbitri.

Quelli che …il Calcio I Parte.

 

INDICE DECIMA PARTE

 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Quelli che …il Calcio II Parte.

 

INDICE UNDICESIMA PARTE

 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

I Mondiali 2022.

I soldati di S-Ventura. Un manipolo di brocchi. Una squadra di Pippe.

 

INDICE DODICESIMA PARTE

 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

I personal trainer.

Quelli che …La Pallacanestro.

Quelli che …La Pallavolo.

Quelli che..la Palla Ovale.

Quelli che...la Pallina da Golf.

Quelli che …il Subbuteo.

Quelli che…ti picchiano.

Quelli che…i Motori.

La Danza.

Quelli che …l’Atletica.

Quelli che…la bicicletta.

Quelli che …il Tennis.

Quelli che …la Scherma.

I Giochi olimpici invernali.

Quelli che …gli Sci.

Quelli che… l’acqua.

Quelli che si danno …Dama e Scacchi.

Quelli che si danno …all’Ippica.

Il Doping.

 

 

 

 

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

SESTA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        Nada.

Nada: «Sono ancora qui, non mi arrendo e continuo a lottare». Sandra Cesarale su Il Corriere della Sera il 3 ottobre 2022.

L’urlo arriva alla fine della seconda canzone, Io sono qui. «Lo uso spesso — racconta Nada — può nascere da un’esigenza musicale, ma anche dalla disperazione… Guai se non ci fosse. L’arte e la creatività, parole che non mi riguardano perché come dice il mio nome io sono niente, devono inquietare, smuovere emozioni, porre domande. E poi, sì, è un modo per dire che ci sono, non mi arrendo e continuo a lottare. Percorro la mia strada, non sono mai andata via».

A tre anni di distanza da È un momento difficile, tesoro, Nada torna con La paura va via da sé se i pensieri brillano, in uscita venerdì. E il 21 ottobre partirà da Genova il suo tour nei club che si concluderà a Milano il 14 gennaio. «Il titolo dell’album — dice — è zen, una piccola riflessione. A volte serve aver paura, ci frena. Però non dobbiamo lasciarci sopraffare da lei, facendoci prendere dalle angosce, dalle ansie». Il disco è prodotto da John Parish (PJ Harvey, Eels, Tracy Chapman), alla terza avventura musicale con Nada. Ed è stato registrato e mixato in Inghilterra, fra Bath e Bristol. Contiene dieci canzoni che vivono di luci e ombre, sorrisi e turbamenti («Come tutti anche io ho i miei momenti di sconforto, ma è dal dolore che viene fuori la vita»), parlano dell’esistenza, come In mezzo al mare: «È una metafora, il mare del nostro vivere. Bisogna buttarcisi dentro e godere di quello che abbiamo».

Il nuovo singolo si intitola Chi non ha. «L’ingiustizia umana è egoismo, prepotenza, arroganza, cecità del potere. Causa sofferenza, dentro c’è tutto il male che vediamo intorno a noi. Non penso che siamo tutti uguali. Ognuno ha la sua vita, il suo percorso, i suoi valori, le sue qualità. Ma ci sarebbe bisogno di un minimo, oltre il quale non si scende. Non lo scopro io il divario sociale, esiste da tempo. Però è insopportabile. Ci sono persone che non hanno niente per poter affrontare la vita con dignità e migliorare la loro condizione culturalmente, socialmente, materialmente. E nessuno se ne frega».

Dall’adolescente che «non voleva cantare» — titolo del film tv basato sulla sua vita, girato da Costanza Quatriglio nel 2021 — che nonostante tutto conquistò il successo con Ma che freddo fa e Il cuore è uno zingaro, all’incontro con Piero Ciampi, cantautore con uno smisurato talento ma troppo spesso ignorato, che la spinse a scrivere. E ancora: la recitazione con Sandro Bolchi e Dario Fo, le vette delle classifiche pop (negli 80) e le sterzate verso la musica d’autore. Oggi, a 69 anni (li compirà il 17 novembre), Nada è una signora della musica italiana, padrona della sua arte. «Sono stata fra le prime a svincolarmi dalle case discografiche. Negli anni Novanta, quando c’erano le etichette indipendenti. Mi piaceva lavorare con qualcuno capace di sganciarsi da regole che a me stavano strette. Mancava il dialogo con le major, non ascoltavano. Ho smesso di frequentarle da allora. La libertà ha un prezzo e un valore. Ho fatto le mie scelte, a volte faticose. Mi dicono che sono incosciente... sarà, ma cambiare ora è dura. E non mi interessa, mi sento dalla parte giusta». Non si dà mai delle scadenze per incidere album o scrivere i suoi libri. «Sto lavorando a un nuovo romanzo da due anni, chissà quando sarà pronto».

Nada: «Mia mamma era depressa e io cantavo per farla felice». Renato Franco su Il Corriere della Sera il 31 dicembre 2021.

La cantante ha scritto «Il mio cuore umano» da cui è tratto il film andato in onda su Rai1 nella primavera del 2021, «La bambina che non voleva cantare». Oggi racconta: «Ho avuto paura di ereditare la sua malattia».  

Riproponiamo qui una delle interviste più lette del 2021, quella di Renato Franco alla cantautrice Nada, uscita nella primavera del 2021 in occasione della messa in onda del film Rai a lei dedicato, «La bambina che non voleva cantare».

La storia di Nada è quella di una bambina dalla voce straordinaria, diventata cantante per caso e per forza. Nel 1969 a soli 15 anni debutta a Sanremo con Ma che freddo fa (con i Rokes, subito un successo), due anni dopo vince in coppia con Nicola Di Bari (Il cuore è uno zingaro). Ora «La bambina che non voleva cantare» diventa un film, in onda in prima serata su Rai1. 

Come fu gestire un successo così precoce?

«È stato complicato, ero troppo piccola e non avevo il fuoco sacro, l’inizio fu traumatico, lasciare il mio paese fu una tragedia, poi si è illuminato qualcosa. Aveva ragione la mia mamma che diceva a tutti che avevo talento». 

Fu sua madre a spingerla a cantare.

«Il rapporto con mia mamma è stato bello perchè c’era un grande amore, ma complicato perché soffriva di depressione da quando sono nata. Ho sempre vissuto tra questi alti e bassi, sempre a rincorrere e capire l’amore di questa donna che mi sfuggiva continuamente perché aveva un problema molto serio».

Cantava per farla felice?

«Mia mamma nei momenti di lucidità si appassionò alla mia voce, l’interesse da parte sua nei miei confronti si accendeva solo quando cantavo. Cantavo per lei, non per me. Eppure non mollava, insisteva, ne aveva fatto una sua ragione di vita finché qualcuno mi ascoltò e da lì partì tutto». 

E quando ha iniziato a cantare per se stessa e non per sua madre?

«Quando ho preso in mano la mia vita, a fare le mie scelte, a cantare perché lo volevo io... A quel punto mia mamma mi disse che non era più sicura, che aveva sbagliato a spingermi su quella strada. Non eravamo mai d’accordo con quella meravigliosa donna. Oggi però sono felice e grata a mia madre». 

Ha avuto paura della depressione, che potesse soffrirne anche lei?

«Per anni ho avuto paura, anche perché eravamo una famiglia abbastanza provata, non c’era solo mia mamma a soffrirne... Io sembro leggera, ma ho molti alti e bassi da sempre. Sono stata fortunata e forte a superare tutte le difficoltà senza cadere in quell’abisso».

Il film è liberamente ispirato al suo libro «Il mio cuore umano» (edito da Blu Atlantide). Non è strano un film su una persona ancora in salute?

«Ero titubante anche io, perché insomma, sono ancora viva, ma la regista Costanza Quatriglio ha visto nella mia storia le dinamiche di una bambina che cresce e si trova a risolvere da sola problemi più grandi di lei perché intorno ci sono persone che non riescono a capirne le esigenze, distratti dalle incombenze degli adulti. È una bambina — mi fa effetto parlare di me in terza persona — che si barcamena e si trova coinvolta in qualcosa più grande di lei. Ecco la regista ha visto la dimensione umana, che è di tutti». 

Perché ha sentito l’esigenza di raccontare la sua storia?

«Per le donne del paese (Gabbro, in provincia di Livorno) che curavano me bambina con la mamma malata. Ho sentito l’urgenza di scrivere questo libro proprio per loro, come ringraziamento, perché non avevo più avuto modo di incontrare queste persone in una maniera normale perché ormai mi vedevano come quella della televisione». 

Le faceva male essere «quella delle televisione»?

«Mi faceva molto male, i rapporti si erano interrotti, l’amore era cambiato». 

Eppure le sue radici sono ancora lì.

«Quel mondo semplice in cui sono cresciuta è stato importante perché mi ha tenuto sempre con i piedi per terra, mi ha fatto vedere la realtà del quotidiano più che l’illusione del mondo dello spettacolo. Con il tempo ho capito quanto per me è stata fondamentale quella dimensione, mi ha aiutato nei momenti di difficoltà, in cui mi sentivo persa, in balia di cose che non capivo, mi ha aiutato a prendere il coraggio di certe decisioni. Quando mi spaventavo perché non volevo fare una cosa che mi chiedevano di fare mi tornavano in mente queste donne semplici che nella vita avevano lavorato, faticato, combattuto. Il mio istinto di ribellione, il mio coraggio, sono nati lì, io sono così e così voglio essere. Scrivere è un viaggio nella memoria e scrivendo molte cose si chiariscono». 

Nel libro le figure femminili sono centrali, il coraggio viene da lì?

«Mio padre era un uomo silenzioso, sempre presente e vicino, timido e importante per noi. Ma sono stata cresciuta da una famiglia di donne, le donne sono forse più incoscienti, prendono spesso le situazioni in mano, hanno più dimestichezza con il dolore».

In ogni suo album una canzone parla di sua madre... È riuscita a «perdonarla»?

«Quello con mia madre è stato un rapporto di dipendenza, soprattutto da parte mia; scrivere di lei mi è sempre venuto fuori spontaneamente, al di là che lo volessi fare o meno; sono cose che uno ha dentro ed escono prepotentemente, esistono, le hai. Nel mio ultimo disco O madre è quasi come una liberazione, credo che si concluda questo conflitto, come se alla fine avessi capito e avessi sposato tutte le cose buone o sbagliate che può fare una madre perché fa parte della vita, dei sentimenti grandi, degli amori veri. Quando uscirà il mio prossimo disco, non ci sarà nessuna canzone dedicata a lei». 

Si riconosce in Tecla Insolia che la interpreta nel film?

«Guardando il film mi sono dimenticata di me, è una storia di emozioni, di sentimenti veri: non è importante la cantante, è la persona che conta. Ho capito che le cose che ho vissuto io le hanno vissute altre persone in contesti diversi. I sentimenti sono quelli, la forza dei libri è che narrano storie di altre persone in cui riconoscersi». 

Come si convive con il talento?

«Faccio le cose che sento, che voglio fare. Ho scoperto che il mio nome significa suono in sanscrito. Ero predestinata, ho accettato questo mio destino e ho cercato di farlo diventare mio e non lasciarlo in mano agli altri».

·        Nancy Brilli.

Da liberoquotidiano.it il 24 novembre 2022. 

Ci mancava Gabriel Garko. Nella sua esplosiva intervista a Belve, da Francesca Fagnani su Rai2, Nancy Brilli ha regalato perle e rivelazioni a tratti sconcertanti sulla sua vita e il rutilante mondo dello spettacolo italiano. Chiamando in causa colleghe e colleghi con dettagli, spezzo, compromettenti e imbarazzanti.

Dal punto di vista del gossip, un momento chiave è stato il passaggio dell'attrice romana dalla scuderia dell'agente dei vip Lele Mora alla potentissima (allora) Ares, l'agenzia creata da Alberto Tarallo che per molti anni ha di fatto dato le carte alla tv, producendo le fiction di maggior successo di Mediaset e creando da zero (e a volte distruggendo in poche settimane) le carriere di tanti divi. Tra questi, per esempio, Manuela Arcuri e Gabriel Garko, coppia su alcuni fortunati set e anche nella vita per qualche anno. Due anni fa però è venuta a galla la verità: Garko, dopo anni di voci sussurrate, ha ammesso di essere gay.

Su Tarallo invece è piovuta l'accusa di averlo manovrato e messo in scena finti fidanzamenti etero (dalla Arcuri alla giovane Adua Del Vesco - al secolo Rosalinda Cannavò) solo per fare pubblicità. La Arcuri ha sempre negato che la sua storia con Gabriel fosse falsa, ma la Brilli a Belve regala un passaggio "illuminante", per così dire: "Mi è stato proposto di fare un finto fidanzamento con Gabriel Garko, ma dissi di no. Non so neanche se Gabriel lo sapeva. Tarallo li chiamava ‘scoop’. Ma rifiutai. Me lo offrì anche con Garko, ma non so se lui lo sapesse. Gabriel veniva offerto come fidanzato a tutte? Sì".

Maria Giuseppina Buonanno per “Oggi” il 19 novembre 2022.

Nei giorni scorsi è tornata a casa, a Roma, dopo le riprese, sull’isola di Malta, del film “Un weekend particolare”. Intanto, Nancy Brilli, 58 anni, è al cinema con “Amici per la pelle” e si prepara a tornare in teatro, a febbraio, con “Manola”, testo tratto dal libro di Margaret Mazzantini. 

L’attrice interpreta Anemone, donna sensuale e spumeggiante, e ha appena scattato delle foto un po’ osé. «Le ho fatte un po’ per gioco durante la tournée teatrale», dice Nancy. È decisamente sexy, ma non c’è un segreto particolare in questa sua essenza. «Credo conti molto imparare a volersi bene. Ho lavorato tanto con me stessa per superare la mancanza di autostima. Col tempo ho capito che, a partire da Francesco, mio figlio, ho fatto cose buone nella vita». 

Dove porta la sua origine ucraina?

«Lontanissimo. Credo al bisnonno del bisnonno paterno. Mio padre era dirigente d’azienda, a Roma. Mia  madre, segretaria in una casa discografica, era romana da otto generazioni. Comunque, alla pace tra Ucraina e Russia devo credere. La speranza deve illuminare».

A 10 anni ha perso sua madre, per un tumore: che cosa le è mancato di più di quella assenza?

«Ho perso lei e improvvisamente tutta la famiglia. La parte materna e quella paterna hanno cominciato a guerreggiare tra loro. Sono cresciuta pensando di non interessare a nessuno. Il periodo più difficile per me è stato quello dell’adolescenza. Non mi sentivo ascoltata. Volevo scappare, mi sentivo sbagliata. Mi dicevano che ero sbagliata. Sono andata via di casa a 18 anni. Molto dopo ho cercato di essere la madre che avrei voluto avere».

In Amici per la pelle è mamma di un ragazzo che affronta un trapianto di fegato. Il film si ispira a una storia vera e lei recita con Massimo Ghini, che interpreta suo marito e che nella vita lo è  stato davvero: com’è questo intreccio di relazioni?

«Questo per me è un film di affetti. Nella vita, io e Massimo siamo amici dell’attore Rodolfo Laganà, padre di Filippo, protagonista del film nel ruolo di sé stesso. Io interpreto Gloria, madre di Filippo ed ex moglie del chirurgo Roy de Vita, che è stato mio compagno per 15 anni. In questo caso il cinema è vita vissuta, carne viva, sentimenti. Il set del film è stato emotivamente intenso. Filippo ci teneva a raccontare la sua storia, anche se ha riportato alla memoria sofferenza. E poi c’è Rodolfo, che combatte con la sclerosi multipla».

Come si è ammalato Filippo?

«Tre anni fa, durante un viaggio in America, Filippo, che oggi ha 28 anni, per una malattia congenita ha avuto un problema grave al fegato che ha richiesto il trapianto. Lo ha fatto in Italia. Gloria, figlia di un luminare della medicina, mi ha raccontato il loro dramma». 

È per la donazione degli organi o non ci pensa?

«Ci ho già pensato. Sono favorevole». 

Che rapporto ha lei con salute e malattia? È ipocondriaca, spensierata, razionale?

«Sono fatalista. Ma cerco di tenermi sotto controllo. Ho sempre combattuto con l'endometriosi che mi portava un ciclo mestruale continuo, anemia, e mi dava dolori forti, da cadere per terra. A 30 anni, per una cisti tumorale, mi hanno tolto un ovaio e una tuba. Ho fatto otto operazioni. Ma poi è nato Francesco. Sono stata fortunata».

Francesco è nato dal suo matrimonio con il regista Luca Manfredi, figlio di Nino.

«La gravidanza e la nascita di mio figlio hanno rappresentato il periodo più felice della mia vita. Non ci speravo, ero consapevole delle difficoltà. Per questioni ormonali, anche gli alti e bassi dell'umore scomparvero. Oggi Francesco, che ha 22 anni e mezzo e si è laureato a Londra in Fashion business con il massimo dei voti, sta facendo un tirocinio in un'azienda di moda italiana». 

Lei e Massimo Ghini, coniugi nel film, siete stati moglie e marito dal 1987 al 1990: che effetto le ha fatto ritrovarlo in questo ruolo?

«lo e Massimo ci siamo sposati per allegria. Stavamo bene insieme, ridevamo molto e dopo sei mesi eravamo moglie e marito. Il matrimonio non è andato male, è andato corto». 

Come mai?

«Diciamo che a me piace la fedeltà e lui era un tipo generoso nelle relazioni amorose. Il matrimonio è stato breve, ma felice. E siamo anche oggi buoni amici. Poi, quando ho sposato Luca, ho sentito un grande senso di famiglia. Ho creduto che il matrimonio potesse essere per sempre. Avevo "sposato" anche i suoceri. Invece, è finito tutto. Lui ha sempre altro da fare. Oggi fa la sua vita. Ha quattro figli».

Come erano i rapporti con i suoceri?

«Con Nino misurati: non era un uomo molto espansivo e affettuoso. A Erminia sono stata molto legata. Poi sono arrivati gli schieramenti contrapposti». 

Ora è innamorata, fidanzata?

«Né innamorata, né fidanzata. L'ultima storia d'amore lunga è stata quella con Roy. Si dice che ci voglia la metà del tempo della durata di una relazione per superare la separazione. Non so se passeranno sette anni e mezzo. Ora sono a quattro. Ma non sono a caccia di nuovi amori. In questo periodo mi hanno corteggiata anche uomini sposati: mi fanno tristezza. La fedeltà è un valore importante. Il tradimento può capitare, ma non può essere uno stile di vita».

Le è capitato di tradire?

«Sono stata tradita spesso. E mi è capitato di chiudere una storia, anche da un giorno all’altro, perché mi piaceva un altro». 

Con Roy de Vita che rapporti ha?

«Con Roy è rimasto un senso di famiglia tra mio figlio e suo figlio. Francesco va in vacanza con loro. Per il resto, gli auguro di essere felice. Se ci sono stati tradimenti? Con gli anni, si scelgono direzioni diverse. Lo abbiamo fatto entrambi».

La storia d'amore con il cantautore Ivano Fossati è stata tormentata...

«L'amore con Ivano è stato molto passionale, anche tumultuoso. Litigavamo spesso. Venivamo alle mani. Ma in maniera impulsiva, senza avere intenzione di farci del male. Eravamo innamorati pazzi. Ora non ci sentiamo più. Mi chiamò dopo la nascita di mio figlio. Aveva visto delle foto proprio su Oggi e mi telefonò per dirmi che era contento per me e per la mia maternità». 

È stata compagna di classe di Vittoria Squitieri, figlia di Pasquale, che l'ha fatta debuttare nel 1984 nel film Claretta. Fare l'attrice era il suo sogno?

«Studiavo in un istituto d'arte, pensavo che mi sarei occupata di grafica pubblicitaria e fotografia. Poi il primo set non mi aveva particolarmente sedotta. Squitieri durante le riprese sapeva essere anche duro, violento. Aveva un rapporto complicato con la compagna, Claudia Cardinale. Mi sono innamorata della recitazione grazie al teatro, quando dopo cinque provini, fatti per sfida con un amico, sono stata scelta per il musical Se il tempo fosse un gambero. Recitare, cantare, ballare al Sistina è stata una rivelazione. Quando ho messo piede sulla passerella, ho pensato: io qui mi sento a casa».

Estratto dell'articolo di Ilaria Ravarino per “il Messaggero” il 31 ottobre 2022.

Al cinema da giovedì scorso con Amici per la pelle di Pierluigi Di Lallo, vincitore del Sorriso Diverso Roma Award, la 58enne romana Nancy Brilli si mette alla prova in un ruolo drammatico: quello di una madre che affronta, insieme al marito (Massimo Ghini), l'improvvisa malattia del figlio 25enne. [...]

Perché?

«Se hai fatto bene un ruolo, pare che devi ripeterlo per tutta la vita. Film di Natale ne ho fatto uno, Natale in crociera, ma sono tutti convinti che ne abbia girati 100. Il dramma non me lo offrono. Tempo fa è capitato, ma erano film con scene di sesso o di nudo. Che io non faccio». 

Pentita?

«Nemmeno per sogno. Il nudo è una cosa che non so proprio gestire».  

Nel dramma come si vede?

 «Sono un'attrice, faccio quello che serve. Qui c'è una fotografia durissima, la mia faccia è inquadrata da vicino. Si vede che non ho le labbra strane. E che sono una signora».  

Che intende? 

«Che posso essere credibile anche come la mamma di un ragazzo di 25 anni. Invece continuano a mandarmi copioni da vecchia pin-up». [...] 

I suoi problemi di salute li ha risolti? 

«Ho avuto per tutta la vita una cisti endometriosica. Alla fine, dopo otto operazioni, ha vinto lei: ho risolto il problema asportando utero e ovaia».  

Cosa l'ha aiutata in quei momenti? 

«I libri più della famiglia. Ho studiato, mi sono documentata, sono stata in analisi. Oggi continuo a spendermi per chi ne soffre».  

Selvaggia Lucarelli l'ha accusata, via social, di sostenere cause che non conosce. 

«Ognuno è libero di parlare. Ma non mi faccio toccare se i post sono volgari o fuori contesto. Tanta gente commenta a vanvera». [...] 

Le piacerebbe trasformarsi, alla Pierfrancesco Favino? 

«Sono ingrassata per Caterina e le sue figlie (nel 2007, ndr) e in questo film, in alcune scene, sono un mostro. Ma va benissimo. Chissà perché si pensa che le attrici vogliano essere le belle figheire del film. Io non voglio fare la biondina col punto vita per sempre».  

Le donne e il cinema: dopo il metoo va meglio? 

«Mah, insomma. Prenda una come Paola Cortellesi, bravissima. Una che ha il suo gruppo di lavoro e che si è scritta i ruoli per sé: altrimenti col cavolo che le facevano fare la coatta o la borgatara. Un giorno De Laurentiis (il produttore, ndr) mi disse: Mettiti in testa che questo lavoro è maschilista, le donne non portano la gente al cinema. Io dissi: Scusa, ma se una come me riempie i teatri, forse al cinema manca solo il coraggio di scommettere, no?. Mi rispose: No. E finì lì». 

Il cinema. E la tv? 

«Non andavo a genio una persona, una donna, che mi chiuse la porta in faccia. Non dico chi. Ma sono 17 anni che non lavoro in Rai e sei che non lavoro a Mediaset».  

E tornerebbe se? 

«Se mi facessero condurre una seconda serata folle. Mi ci vedrei».  

Però pochi giorni fa è stata a Drag Race, su Discovery. Nancy Brilli icona gay? 

«Io adoro le drag, ma non so se sono un'icona. Ora si sentono tutte icone gay, autodefinirsi così va di moda. Ma sinceramente, o sei Patty Pravo, o meglio se fai un gran passo indietro». 

Nancy Brilli: «Con Fossati ci siamo traditi, per gelosia e per ripicca. E quello schiaffo a Virzì mai chiarito». Valerio Cappelli su Il Corriere della Sera il 31 Marzo 2022.

L’attrice si racconta tra grandi amori, incontri sbagliati e prospettive future. 

In alcuni artisti, vita e arte si intrecciano e si fondono. Sorprende di più quando accade a chi per professione deve mettere la gente di buonumore. Dopo la fine della storia col chirurgo plastico Roy De Vita, Nancy Brilli si prese del tempo per riflettere e riprendere possesso della vita.

Adesso a che punto è?

«Quel tempo è stato anche troppo lungo, poi è arrivato questo mostro, il Covid. Terribile. Ogni progetto iniziava e si bloccava. La tournée teatrale di A che servono gli uomini, con la regia di Lina Wertmüller, si è bloccata sul nascere. C’è stata una causa col produttore, tanti hanno preso la palla al balzo del lockdown, un tira e molla bestiale. Fino a quando ho ripensato a Manola di Margaret Mazzantini, che avevo portato in scena con lei 25 anni fa, la prima regia di suo marito, Sergio Castellitto. Tre anni di successi. Ora accanto a me c’è Chiara Noschese. Io sono Anemone, irriverente, gaudente, scopereccia; lei è Ortensia, profonda, rompiballe, vagamente iettatoria. Giriamo l’Italia, ne approfitto per fare la turista. E ho imparato a usare bene i social».

Lei era già su Instagram...

«Ma ho fatto un corso, volevo capire come vengo recepita. Al di là del brava e come ti mantieni bene, tutti mi parlano di umanità. La gente ha bisogno di essere ascoltata, c’è voglia di condividere anche cose banali. I corteggiatori? Sì ci sono ma quelli via, scialla, non rispondo. C’è un nutrito gruppo di feticisti dei miei piedi. Porto il 36. Mi mandano in continuazione scarpe strane, smaltate, uno mi ha regalato una cavigliera di diamanti. Gwyneth Paltrow ha prodotto una candela col profumo della sua patatina. Parliamo di un premio Oscar. Io, col piede, potrei aprire una piccola industria del piede».

Perché non le hanno più proposto film?

«Perché alcune dirigenze Rai hanno avuto i loro gusti, lì funziona così. La cosa particolare è che per tutto questo tempo mi è stato riconosciuto il ruolo di star, come cachet di ospite nelle prime serate. Non mi è stato negato il ruolo, però non mi arrivavano proposte. L’ex capo della Rai preposta a decidere era una donna: mi disse, le vere femmine non sono più le ragazze degli Anni 90. Cosa vuol dire? Io sono un’attrice che recita. Non c’è cosa peggiore delle donne di potere che imitano gli uomini peggiori».

Lei come reagì?

«All’inizio mi lasciò sconvolta».

Perché non s’è fatta avanti con i registi?

«Sorrentino fa come gli pare, ma tranne i fuoriclasse, sono le dirigenze a decidere i cast. Pensai che dovessi smettere questo mestiere, l’ho iniziato così presto, a 19 anni con Garinei al Sistina, è qualcosa che mi definisce come identità. Mi chiesi dove avessi sbagliato. Sono combattiva, ho recuperato energie ed eccomi in pista».

Brutti incontri sul sofà dei produttori?

«Ce n’è stato uno, con un produttore corpulento che non c’è più e non aveva rivali all’epoca. Una cosa becera, pesante, schifosa. Avevo un contratto di tre anni. Ho pagato caro il mio rifiuto, per molto tempo non ho lavorato. E non potevo farci niente. Non esisteva il Me Too».

Lei non ha mai fatto scene di nudo.

«Una foto può andare, ma nuda in movimento mi dà fastidio. Non sono mai stata disponibile alle scene di sesso».

Emma Thompson, 62 anni, in «Good luck to you» esibisce il suo primo nudo frontale. Non lo trova un gesto coraggioso, contro la tirannia dei corpi perfetti?

«Sì, e ha tutta la mia stima. È un guardarsi allo specchio senza giudicarsi. Io non riuscirei a mettere il filtro dell’attrice, sentirmi le mani addosso... È un mio limite. Infatti ho rifiutato tanti ruoli che prevedevano scene di nudità. La scena di Caos Calmo con Isabella Ferrari, così dura e forte, io non sarei mai stata in grado di farla».

Non è femme fatale e nemmeno nonna...

«Come ci siamo detti una volta? Al cinema sono troppo giovane per fare la vecchia e troppo vecchia per fare la giovane. Scavallati i 55 anni, sono pronta per interpretare la vecchia. Ma io non pongo mai il problema dell’età, sono gli altri a mettere l’accento».

Premesso che è ancora bellissima: la mascella riattaccata, il naso rotto due volte, un’anca piena di chiodi...

«Eh, ne mancano tante... Mancano le forbici per sistemarmi i capelli dimenticate e finite in una chiappa, una vertebra ruotata, una congiuntivite gigantesca che ha creato una bolla di siero in un occhio, un dito del piede rotto. E un brutto Covid. E sapesse quanto mi ha rotto le scatole la dirigenza Rai di cui sopra, siccome ero stata con un chirurgo plastico, era convinta che io fossi una specie di robot siliconato. Lei diceva di cercare donne vere. Discorsi di una bassezza...».

Lei ha avuto quattro grandi amori.

«Massimo Ghini, il mio primo marito, simpatico, genuino, farfallone, giocherellone; il secondo marito è stato Manfredi, piuttosto assente, comunque una persona perbene. E poi ha un sedere bellissimo. Evidentemente ci voleva l’ormone Manfredi per fare un figlio (Francesco, 22 anni appena compiuti), con una donna a cui avevano sempre detto che non poteva rimanere incinta. Con Roy De Vita per anni abbiamo costruito una famiglia, che di fatto sopravvive nei nostri figli: Francesco, Andrea che è figlio di Roy e Matteo, uno dei figli di Luca. Sono cresciuti insieme, si vedono sempre. Roy ama cose che io non amo, i salotti, frequentare... Quando i gusti di vita sono così diversi è difficile andare avanti. Prima di lui c’è stato un cantautore».

Ivano Fossati.

«Qualità di vita altissima di pensiero, un amore che si è cannibalizzato. Ci sono stati tradimenti. Mi ha tradita perché mi voleva sempre con lui, e io l’ho tradito per ripicca. Ci siamo infilati in un buco nero che ha portato tristezza e un gran male a tutti e due. I tradimenti non li sopporto nemmeno nell’amicizia. Quando hai la mia fiducia, è totale; è come l’onestà: o sei onesto o non lo sei».

Si può amare senza gelosia?

«No. Io ho subìto scenate di gelosia mostruose. Col senno di poi, chi le ha fatte predicava bene e razzolava male. Ho anche picchiato per amore, ma per difendermi, non per attaccare. Non sono una che sta lì a prenderle, se uno mi dà uno schiaffo cerco di ridarglielo».

Lei però diede uno schiaffo a un regista.

«A Paolo Virzì. Mi disse che non potevo fare l’operaia al cinema se andavo il sabato sera in tv da Pippo Baudo. Ero inferocita. Non c’è stata occasione di chiarire l’episodio. E mi spiace molto perché in Italia è diventato il regista più bravo a raccontare le donne».

Gli uomini sono un capitolo chiuso?

«Per un fidanzato al momento non ho pazienza, dovrebbe arrivare un supereroe; uomini ogni tanti li incontro; corteggiatori alcuni».

È stato facile gestire il clan Manfredi?

«Non c’è stato modo di gestirlo. Il racconto della grande famiglia unita è continuo: nella vita reale invece è piuttosto discontinuo. Conservo un affetto speciale per Erminia, la moglie di Nino, una donna grande e forte, spero che campi 150 anni. Ovviamente ci sono i parteggiamenti nel sangue. Avrei voluto che fossero più presenti con mio figlio. Non è qualcosa su cui si può contare. Ma quando si vedono si stanno simpatici».

Ma lei è davvero sicura di aver cercato di costruire quello che non ha mai avuto nell’infanzia, una famiglia?

«Sì, ma in modo sbagliato: da persona bisognosa. Da adulto ti puoi scegliere gli amici, le persone, e dunque la famiglia che vuoi. Io ho Giovanna, Simona, Fabio...».

Sua madre?

«La mia infanzia non la ricordo, di mamma niente, eppure avevo 10 anni quando la persi. Scomparsa dalla mia vita. Ho provato sotto ipnosi. Niente. Troppo dolore. Se guardo una sua foto, è come una sconosciuta. Sono cresciuta con nonna paterna e zie. L’adolescenza, il periodo più brutto della mia vita».

Va ancora in analisi?

«Non più. Ho cambiato tipologie. Ho risolto. Mi hanno aiutato le buone letture, L’uomo e i suoi simboli di Jung, Guarire la frammentazione del sé di Janina Fisher...».

Tornando al lavoro, perché non compie il percorso inverso a Monica Vitti?

«Cioè andare dal comico al drammatico? L’ho appena cominciato a fare. E mi diverte. Ho girato per Rai1 il film di Pierluigi Di Lallo. Si intitola Amici per la pelle, una storia vera, un ragazzo che ha avuto problemi fisici in America, rischia di lasciarci le penne, rientra in Italia, fa il trapianto di fegato. Io sono la mamma».

Gli incontri professionali della sua vita?

«A Pasquale Squitieri devo l’ingresso in questo mondo, anche se non ero convinta di fare l’attrice, mi sembravano tutti matti. Uomo colto, intelligente, aggressivo. Con uno strano rapporto con Claudia Cardinale, quasi sadomaso. Pietro Garinei al Sistina mi mise su un palco importante di cui non ero consapevole. Se aveva un atteggiamento paterno? Per niente, era distaccato, dava del lei a tutti; quando ho compiuto 40 anni mi ha detto: Signora Brilli, possiamo cominciare a chiamarci per nome. In Se il tempo fosse un gambero ho avuto un approccio gioioso e incosciente, il protagonista era Enrico Montesano, in scena era un drago. È diventato un leader dei No Vax? L’ho visto cambiare pelle tante volte, quand’è così significa che sei alla ricerca di qualcosa, che devi fare i conti con le tue insicurezze. Poi Carlo Verdone in Compagni di scuola: nessuno dirige gli attori come lui. Gigi Proietti, un genio: ricordo un viaggio in Sudafrica, aveva paura dell’aereo, mi disse: o mi ubriaco o ti parlo tutto il tempo... In quelle ore mi fece scoprire la fisica quantistica. Carlo Vanzina, adorato, misconosciuto, bistrattato, un tecnico eccezionale di questo lavoro su una certa volgarità dell’Italia, ma non l’ha inventata lui: l’ha raccontata».

Lei la mattina sorride, poi l’umore cambia.

«Lavoro su me stessa. Non è facile ma ci provo ad avere una stabilità, ad avere un atteggiamento positivo verso le cose».

·        Naomi De Crescenzo.

Da fanpage.it l'11 giugno 2022.

Naomi De Crescenzo è la seconda italiana più famosa di OnlyFans. Ospite di "Zona Bianca", la sexy influencer ha raccontato il suo lavoro a Giuseppe Brindisi, conduttore del talk show che non le ha risparmiato le domande più importanti: guadagni, richieste particolari, paura dei rischi che si corrono in questo tipo di mestiere. Naomi, che su Instagram conta 620mila fan, ha i piedi ben piantati a terra: "Guadagno più di un politico e questo tipo di lavoro non mi preoccupa, ha dignità come tutti gli altri lavori". Paga regolarmente le tasse: "Più del 40% dei miei guadagni". 

Le parole di Naomi De Crescenzo

Naomi De Crescenzo ha raccontato il suo lavoro alla presenza anche di una signora navigata dello spettacolo, come Iva Zanicchi, che non si è sorpresa quando ha sentito parlare di guadagni molto alti: «Guadagno molto, guadagno più di un politico. È un lavoro come gli altri, ha una dignità uguale. Le tasse? Il primo anno è stato forfettario, dal secondo in più quasi il 40% è tutto in tasse». 

Le richieste particolari dei suoi fan

I fan che sono abbonati al servizio privato di Naomi De Crescenzo fanno richieste particolari, ma anche assolutamente lecite, come il voler semplicemente parlare. Altri, invece, pagano per essere telefonati e chiamati per nome.

Cosa fanno con me? Alcuni vogliono semplicemente parlare. Ma OnlyFans è un sito di intrattenimento. Potrei anche fare la chef, non è il mio caso. Io metto contenuti erotici. Quello che probabilmente mi differenzia rispetto ai pornoattori e alle pornoattrici, è il fatto che io sia reale, sia una di loro. 

Naomi De Crescenzo non è una escort

Naomi si è detta consapevole del fatto che quello che lei fa, presuppone anche un rischio, ma sa di essere tutelata anche dalla piattaforma. Non è una escort: "La mia regola principale è non incontrare nessuno". 

Sono molto consapevole di quello che faccio, è la mia parola chiave. Chi inizia a fare questo lavoro, deve essere consapevole di tutti i rischi. Il web è un mondo pericoloso. Richieste strane? Sì, assolutamente. Incontri personali, cose assurde, ma io non incontro. Non comunico e il sito mi tutela perché ognuno degli utenti è lì con documenti registrati.

Sempre più modelle professioniste stanno aprendo un profilo su Only Fans. Una delle ultime è stata Dayane Mello, ma c'è anche il profilo di Denis Dosio e della stessa Malena, la pornostar più famosa d'Italia.

·        Natalia Estrada.

Anticipazione da Oggi il 5 ottobre 2022.

«I reality? Me li hanno proposti tutti, non vedo perché dovrei andare in tv a mostrare le mie miserie». Nell’intervista rilasciata al settimanale OGGI in edicola giovedì, Natalia Estrada rivela di aver ricevuto (e rifiutato) molte offerte televisive. E di non avere nessun rimpianto. «So presentare discretamente, ballare, se volessi tornare in tv avrei altro da offrire. Ma il mio stile di vita non ha prezzo: abito in campagna, curo i miei cavalli e vivo col cappello da cowboy in testa, se lo tolgo mi sento a disagio». 

Estrada, che vive in un ranch sulle colline forlivesi con il marito Andrea Mischianti, ha da poco compiuto 50 anni. «Li ho festeggiati in Colorado, con una torta a tema equino e una grande grigliata». Quando ha incontrato Andrea, all’inizio le stava antipatico, rivela Estrada, che su OGGI racconta anche della sua relazione con Paolo Berlusconi. La figlia Tali, avuta dall’ex marito Giorgio Mastrota, le ha dato due nipotini. «Nonna è solo un nome, come 50 è solo un numero. I bambini hanno già un pony, vengono con me a cavalcare. Sono la “nonna dei cavalli”».

Natalia Estrada compie 50 anni, dalla nuova vita in un ranch alla storia con Paolo Berlusconi. Federica Bandirali su Il Corriere della Sera il 3 Settembre 2022.

La conduttrice e attrice, diventata famosa con il film “Il Ciclone” del 1997, oggi vive tra i cavalli con il marito Andrea Mischianti. Non ha i social e si sveglia ogni mattina alle cinque e mezzo

“Il ciclone”

Natalia Estrada compie 50 anni il 3 settembre. Nata in Spagna, a Gijón, la Estrada attualmente gestisce, insieme con il marito Andrea Mischianti, un maneggio in provincia di Asti. Ha dunque lasciato definitivamente il mondo dello spettacolo dopo esserne stata protagonista negli anni Novanta. Il grande successo lei arriva nel 1996, quando fa il suo debutto cinematografico nella commedia cult “Il ciclone”, al fianco di Leonardo Pieraccioni e Massimo Ceccherini.

La musica

Nel 1997 canta nella 34esima edizione del Festivalbar, con la canzone “Banana y Frambuesa”, versione spagnola della celebre “Banane e lampone” di Gianni Morandi e nel 1999 esce il suo primo album musicale, “Natalia”.

Le nozze con Mastrota

Nella vita privata Natalia Estrada è stata sposata con il conduttore televisivo Giorgio Mastrota, da cui si è separata nel 1998, dopo cinque anni di matrimonio. Un po’ inaspettatamente. Mastrota sta per risposarsi e Natalia non è stata invitata alle nozze.

Paolo Berlusconi

Archiviato il suo matrimonio nel 2000, Natalia ritrovò la serenità accanto a Paolo Berlusconi, fratello dell’ex premier Silvio, con cui è rimasta fino al 2006. La loro è stata una storia molto chiacchierata, negli anni della massima popolarità della conduttrice.

Il ranch

La passione per i cavalli è nata quasi per caso: Claudio Lippi la invitò in campagna dove per la prima volta salì in sella e «fu come un colpo di fulmine che ti succede o non ti succede» ha detto Natalia a Mara Venier. «Sveglia alle cinque e mezzo, monto due o tre cavalli, cucino, pranzo, e poi lavoriamo con gli allevamenti» ha dichiarato la Estrada raccontando la sua nuova vita.

Natalia Estrada: «I miei primi 50 anni: oggi vivo tra ranch e cavalli. Tornare in tv? No, basta distrazioni». CHIARA AMATI su Il Corriere della Sera il 3 Settembre 2022.

Classe 1972, icona anni Novanta, quando imperversava al cinema e in tv (anche assieme a Giorgio Mastrota), Natalia Estrada oggi compie cinquant’anni e fa un bilancio: «Sono nonna di due nipoti, vivo senza schemi. Nella buona cucina, tra cavalli e musica country, ho trovato la mia dimensione. Il ritorno in tv? È finito il tempo delle distrazioni» 

«I numeri non sono mai stati di grande interesse per me. Vero è che un cinque davanti può fare una certa impressione ma, se penso a quello che potevo fare e volevo fare trent’anni fa e quello che sto vivendo ora, ogni mia esperienza è stata e continua a essere frutto di scelte oculate, non certo di condizionamenti “anagrafici”». 

Classe 1972, Natalia Estrada, attrice, ballerina e conduttrice televisiva spagnola naturalizzata italiana, nel giorno del suo cinquantesimo compleanno,oggi 3 settembre, fa un bilancio dalla sua ranch academy in America. 

«Che mi trovi a metà della vita oppure sia a godermi il mio ultimo giorno, senza fatalismi, credo che i conti vadano fatti pensando ai progetti, ai sogni da tramutare in realtà e all’impegno nel trasmettere ai più piccoli della famiglia — sono nonna di due nipoti, Marlo e Sasha, oltre che mamma di Natalia — una visione del mondo da cui ho tratto insegnamenti. Che metto al loro servizio affinché possano maturare una propria idea critica, affatto manipolata. In due parole non convenzionale». 

Estrada mostra molta consapevolezza e nessun rimpianto dei tempi d’oro — la nostalgia, casomai, è nostra — , di quegli psichedelici anni Novanta che l’hanno vista protagonista della televisione e del cinema italiani. 

Rispetto a Penelope de «Il Ciclone», film di Leonardo Pieraccioni campione di incassi nel 1996, le priorità sono cambiate.

«Dico spesso che ho vissuto vite diverse, tante pagine di un libro divise in capitoli: dalla danza classica alla tv, dai cavalli e dalla vita in campagna all’allevamento di bestiame brado, fino alla cucina sana, mai la stessa. Un libro, dicevo, che ha ancora ha tante pagine bianche da scrivere. Emozionante: mi fa sentire pronta, ogni giorno, a una nuova avventura». 

Natalia, oggi la sua avventura qual è?

«Una, nessuna, centomila. Da anni mi occupo di cavalli, una passione sanguigna. Tanto quanto il desiderio di capire profondamente il loro comportamento e il modo che hanno, misterioso, di comunicare tra loro. Tutto questo mi ha portato ad approfondire in maniera compulsiva. Ho viaggiato in lungo e in largo e conosciuto il mondo da un’altra prospettiva. Grazie ai cavalli ho anche incontrato l’amore della vita, Drew (Mischianti, ndr): per loro ho deciso di voltare pagina e dedicarmi soltanto all’arte dell’equitare. Perché sì, l’equitare è un’arte che, oltretutto, ha molte analogie con la danza classica, il mio universo sin da bambina. Nel tempo ho trovato la giusta dimensione. Ho continuato a cercare, insieme a loro, l’armonia e la semplicità, la purezza e l’eleganza, l’equilibrio e la bellezza. I cavalli aiutano a prendere atto dei nostri punti deboli e della forza interiore. Lontano da speculazioni esistenziali, ci tengono ancorati alla natura, alla Terra con la T maiuscola, a quello che veramente conta: l’amore». 

Guardando al passato, quali sono i suoi ricordi più belli?

«Tanti, tantissimi. Questo perché ogni mia esperienza ha avuto grande importanza e lasciato in me segni indelebili. Penso alla nascita di mia figlia Natalia nel 1995, quando mi trovavo nel turbinio “ciclonico” di tv e cinema. Penso anche ai viaggi in America, la prima volta in sella, un cowboy nella mia quotidianità, la bellezza di diventare “nonna Natalia che balla con i cavalli”… Una vita densa di avventure, lontana da routine e schemi fissi, che a un certo punto ho evitato con cura, senza eccessi o follie: non ne ho mai avuto bisogno».

Insomma, è felice. Rimpianti?

«Nessuno. Finché si vive con energia tutto è possibile, quindi anche un’opportunità persa o un desiderio sfumato si possono recuperare in corsa. Anzi, al galoppo e quando meno te l’aspetti». 

Le suggerisco tre parole: animali, cibo e musica. Che cos’hanno in comune?

«Facile: l’essenzialità. I cavalli che alleviamo ed educhiamo con cura e dedizione aiutano me e mio marito Drew nella gestione delle mandrie di bovini che alleviamo allo stato brado in modo naturale, come si faceva una volta. La musica — classica, country e flamenco — è la colonna sonora di tutte le mie giornate. Il cibo l’elemento primario per mantenere mente e corpo sani e vigorosi. Ecco, se fossimo in cucina potrei dire che sono i tre ingredienti irrinunciabili per essere felici ogni giorno». 

Restiamo in cucina. Come si alimenta l’equilibrio tra mente e corpo?

« Con costanza e curiosità. Io, sin da piccola, ho allenato naso e palato assaggiando di tutto, persino i fiori che trovavo in campagna. E poi frutti selvatici con in mezzo qualche insetto. Conosco molto bene il mal di pancia (ride, ndr). Però devo dire che mi è servito. Con mia figlia Natalia ho viaggiato in posti a rischio insieme a diverse Onlus, motivata dal desiderio di portare aiuti umanitari là dove c’era bisogno. Posti che sembravano dimenticati da tutto, senza acqua potabile e con scarse condizione igieniche. Ecco, la resistenza sviluppata da bambina ha fatto sì che, mentre altri si ammalavano ed erano costretti a profilassi, cure, vaccini e trattamenti, mia figlia e io ce la siamo sempre cavata. La routine alimentare, a mio parere, è sinonimo di chiusura. Parlo di culture e tradizioni che, oltre a essere fonti di ispirazione, aiutano a restare creativi e curiosi in maniera trasversale, non solo in cucina. Cucina che, peraltro, io amo e lo dimostro ogni volta che siedo a tavola. Mangio di tutti, mi piace, e tendo a variare spesso i menu. In tavola, a rotazione, metto carne, uova, latte, formaggio, verdure, pochi carboidrati e pochi zuccheri. Sto molto attenta alla provenienza delle materie prime: alcune le produciamo noi. Altre le acquistiamo direttamente da allevatori e agricoltori locali. Una scelta tutto sommato facile per una come me che vive in campagna. Ho amici più “urbani” che pur desiderandolo, non sempre riescono a comprare a km zero. A loro consiglio a chi rivolgersi, anche in città».

Un esempio di un menu giornaliero?

«Premetto che non ho una tabella di marcia fissa. Il mio essere non convenzionale mi porta a non avere schemi anche in cucina. Questione di coerenza. In linea di massima, se restiamo al ranch per un periodo lungo, prediligiamo la cena che resta il pasto più corposo della giornata. Meno impegnativo il pranzo a cui facciamo seguire una siesta rigenerante: bastano 20 o 30 minuti.

Cominciando dal mattino, la sveglia è alle 6 con una tazza di caffè, latte e dello yogurt fresco. Alle 9.30 è bread time, rigorosamente fatto in casa, con un velo di burro del pastore e della marmellata di frutti raccolti nel bosco. In alternativa qualcosa di salato: un piccolo assaggio di uova del pollaio e, magari, del bacon dai nostri maiali che pascolano liberi. A pranzo, ore 13 circa, ottima è la tartare oppure un hamburgerdella nostra prelibata Angus, con insalata dell’orto o patate di montagna. Quanto basta per arrivare all’aperitivo rurale delle 17: un bicchiere di vino biodinamico oppure un piccolo boccale di birra artigianale e “tapas” che preparo, in anticipo, al mattino. Infine la cena, intorno alle 20.30: un rito perché, in campagna, è il solo momento in cui ci si ferma a raccontarsi. In tavola c’è di tutto: le costate alla griglia, gli arrosti cucinati in pentola di ghisa, la selvaggina con contorno di spinaci; poi funghi di bosco, melanzane, carciofi e tutto ciò che di buono la stagione ha da offrire. E ancora, il mio “chili campero ”, una “tortilla” di patate, una zuppa di legumi asturiana, a volte un risotto, più raramente una pasta. Di tanto in tanto anche del salmone selvaggio che affumico su una tavoletta di cedro. E della pizza fatta in casa, lievitata lentamente e con cura, quindi cotta in un forno a legna speciale. Niente dolce: mio marito e io non li amiamo. Preferiamo concederci qualche buon formaggio di fattoria con il miele dell’apicoltore di fiducia». 

Con una cena così, il vino è d’obbligo.

«Io arrivo dalla Spagna Celtica, Asturias, Gijòn per l’esattezza: la mia bibita ufficiale sarebbe la “sidra”, ma è difficile da reperire e richiede una grande tecnica nel versarla. Quando capita me la concedo. Diversamente mi do al vino: bevuto con moderazione giova a mente e corpo. Per i bianchimi affido a una lavorazione bio-dinamica con metodi tradizionali: non hanno solfiti aggiunti, quindi nessuna controindicazione. Castello di Tassarolo nella zona del Gavi produce i miei preferiti. Se, invece, penso all’aperitivo vado su un classico di Andalucia, il vino fino fatto con uve “palomino” che hanno dato il nome a uno dei mantelli equini più belli, il palomino, appunto. In quanto ai rossi, oltre agli spagnoli veraci de La Rioja, amo quelli del Sud Italia: da “masticare” come il Satyricon di Luigi Tecce della Cantina del Taburno. Inebriante». 

Natalia, la cucina per lei è italiana o spagnola?

«Eh, amo gli assaggi e la varietà: per cui vince la cucina spagnola con il menu a base di tapas». 

Ai fornelli chi sta, lei o suo marito?

«Dentro casa io, assolutamente io. Non che Drew non lo sappia fare. Diciamo che temo lo spettacolo apocalittico post cena: pentole e piatti ovunque. Lui si occupa del bbq all’aperto: griglie, affumicatori e via discorrendo sono il suo pane e il suo burro. È nato per vivere in libertà, lo amo anche per questo». 

Il suo piatto preferito?

«La nostra carne in “tutte le salse” perché la seguo dall’inizio e so cosa comporta a livello di sforzo quotidiano, di cuore, di preoccupazioni, di etica e impegno. Quando si demonizza la proteina animale mi rendo conto di quanta disinformazione vi sia. Ma questo è un tema che meriterebbe una puntata a sé». 

Il piatto del cuore?

«Huevos fritos con patatas y chorizo. Per voi in Italia, uova all’occhio di bue con patate fritte e salsiccia alla paprika». 

Il piatto del ricordo?

« Il serpente a sonagli. L’ho mangiato in una piccola bettola in Arizona. Doveva essere una prova di coraggio gastronomico: superata senza problemi. Il gusto lo ricordo ancora oggi…». 

Il piatto che proprio non le piace?

«Nessuno. Diciamo però che ho una certa antipatia per gli alimenti chiamati in modo improprio: latte di soia o hamburger vegano. Prodotti di origine vegetale che nulla hanno a che fare con latte o carne, ma che mantengono comunque un’immagine collegata a essi. Trovo che non sia corretto, si genera confusione». 

Natalia, tornerà mai in tv?

«Vedo un futuro con le città in lontananza, senza muri intorno, senza sale prova, senza cene di lavoro, senza luci artificiali, senza routine, senza scadenze forzate. Dalla tv continuo a ricevere l’affetto e la nostalgia che programmi e film hanno lasciato nel cuore della gente, ma credo proprio che quella tappa durata ben 20 anni della mia vita — il primo programma tv in Spagna a 17 anni — si sia chiusa elegantemente e del tutto, anche se in questi ultimi mesi ci sono state offerte molto allettanti». 

Qualche tentazione?

«Le rispondo citando Hemingway: “Sei nato per essere felice, non distrarti”. Accettare compromessi e galleggiare nell’attesa di scrivere una storia diversa da quella che stiamo vivendo — accontentandosi del solito e dell’ovvio —, costruirsi barricate di limiti attorno, credere che i sogni debbano restare nel cassetto ad ammuffire non ha molto senso. Per essere davvero appagati possiamo ancora cambiare il nostro mondo, basta volerlo. E io l’ho sempre voluto, con tutte le mie forze. Sono nata per essere felice… non mi distraggo. Non più».

·        Natalie Portman.

L’attrice pronta a nuove sfide. La rivelazione di Natalie Portman: “Sono stata influenzata da Elena Ferrante”. Chiara Nicoletti su Il Riformista l'8 Luglio 2022 

Nel mondo dei film tratti dai fumetti, i cosiddetti cinecomic, dove ormai le supereroine cominciano a farla da padrone, Natalie Portman non ci sta a tornare semplicemente a vestire i panni dell’astrofisica Jane Foster, ex amore del dio del tuono di Chris Hemsworth ed in Thor: love and thunder, dal 6 luglio al cinema, passa dall’essere “solo” una donna straordinaria ad avere poteri straordinari. L’attrice e regista israeliana, a Roma per presentare l’uscita di questo quarto capitolo dedicato a Thor e nuovo tassello dell’universo Marvel, conferma che la sua Jane acquisterà fisicità da supereroina e martello di Thor, combattendo al fianco di quest’ultimo un villain d’eccezione come Christian Bale nei panni di Gorr, il Macellatore di Dèi.

È dal 2011 che Natalie Portman veste i panni di Jane Foster e il suo personaggio, nei fumetti come al cinema, è in continua evoluzione. Chi mastica un po’ di mitologia nordica unita alla passione per i fumetti, saprà che in Love and Thunder, diretto nuovamente dal neozelandese Taika Waititi Jane diventerà Mighty Thor, l’unico essere umano degno di sollevare, brandire e usare il Mjolnir, il famosissimo martello del Dio del Tuono. Nell’incontro con la stampa, Natalie Portman parte dalla forza della sua Jane per aprirci le porte di questa nuova avventura supereroistica che la vede finalmente più protagonista.

Che può dirci di questo mix tra vulnerabilità e forza che caratterizza Jane Foster?

Devo dire che è quello che amo più di ogni altra cosa del personaggio. Personalmente trovo difficile rapportarmi con figure così dure e sempre così toste in ogni momento. Ammiro chi ha queste qualità ma non è una cosa che mi appartiene. Lei invece è più vera e anche più femminista se vogliamo, perché è una donna che ha paure, dubbi, sfide a cui far fronte e debolezze ma al tempo stesso è potente, dura, tosta e questo mi piace.

Che importanza ha che Jane prenda il martello di Thor e diventi una supereroina in questo particolare momento storico in cui il cinema finalmente riconosce il rilievo dei personaggi femminili?

È molto importante vedere come adesso le supereroine sono di più, anche se non basta ancora. Si sarebbe portati a dire che avere queste figure di donne come eroi abbia dell’incredibile ma invece non dovrebbe sorprenderci, perché questa dovrebbe essere la normalità. Certo, in questo film ho il piacere di avere, anche al mio fianco, il personaggio interpretato da Tessa Thompson e siamo una squadra al femminile. Questo è un messaggio importante anche per i giovani, i bambini, che devono potersi riconoscere in eroi e supereroi di qualunque genere. Vogliamo che si possano rapportare a questi personaggi per la loro personalità. Quando ero bambina c’era un solo riferimento per me nel panorama dei supereroi, invece ora ce ne sono tante.

Il personaggio di Jane Foster è stato introdotto 10 anni fa nel Marvel Cinematic Universe e ha subito un’evoluzione notevole. Come descriverebbe questo viaggio?

Devo dire che per me è stato un viaggio entusiasmante. Dieci anni fa, poter interpretare la parte di un astrofisica in un film di quelle dimensioni è stato straordinario, anche se il film non verteva su questo. Però, il fatto che ci sia stato questo personaggio, ha rappresentato una svolta, perché sappiamo che ancora adesso sono troppo poche le ragazze che scelgono di studiare scienza, tecnologia, ingegneria, matematica, le cosiddette discipline stem. Tra l’altro, la Marvel ha avviato un programma negli Usa per sostenere le giovani che decidono di intraprendere questo percorso. È stato un dono fare un personaggio che fosse al tempo stesso astrofisica e supereroe. Aggiungo anche, a titolo personale, che quando stavamo girando questo film ho festeggiato i miei 40 anni e trovo rivoluzionario il fatto che Taika e la Marvel abbiano avuto la fantasia di voler dare questo ruolo e potere ad una mamma di due bambini, ebrea, quarantenne, alta 1.60 cm che si trasforma in una supereroina bionda. Devo dire di essere stata particolarmente contenta.

Come si è approcciata a questa nuova versione di Jane e all’evoluzione a Mighty Thor?

Ho studiato molto, ho riflettuto molto su questo personaggio e le sfide che potevano essere affrontate e ho capito che tutto questo me lo dovevo lasciare alle spalle perché si è trattato di improvvisare parecchio. Questo è quello che voleva Taika. Io ero agitata all’inizio ma poi ho capito che bisogna lasciarsi andare, bisogna essere aperti di mentalità, questa la lezione. È stato un po’ un ritrovare il senso proprio del nostro lavoro come attore, il gioco che dà sfogo a una fantasia infantile. In fondo, girare le scene di battaglia, con armi finte contro un nemico invisibile, ha richiesto che ci ricordassimo come giocavamo a 5 anni.

Ha intenzione di continuare anche con la carriera di regista?

Spero di riuscire a tornare alla regia. Ho voglia di nuove sfide, questo è indubbio. Voglio continuare a poter esplorare diverse modalità di espressione come nel caso della regia. Sto già ovviamente lavorando su un progetto che è Lady in the lake, una serie Apple TV, e questo è un modo diverso di utilizzare la mia voce perché per 30 anni, tutto sommato, ho fatto sempre la stessa cosa, sono stata l’acqua in un contenitore. Io ora vorrei essere colei che crea il contenitore.

Cosa le interesserebbe raccontare?

A me interessa l’esperienza, il punto di vista delle donne. In tal senso sono stata influenzata da scrittrici italiane come Natalia Ginzburg e Elena Ferrante e mi interessa la prospettiva che hanno. Scrittrici come queste per me hanno rappresentato un momento di rivelazione.

Quali sono i temi più importanti esplorati nel film?

Taika Waititi in questo film ci tiene molto a esplorare l’amore in tutte le sue forme e questo, diciamo, è ciò che credo sia la cosa più bella per tutti noi. L’amore , ripeto, in tutte le sue forme, quello romantico, tra amici, tra genitori e figli, per il lavoro, per se stessi, sono il modo per dare senso alla propria esistenza.

Chiara Nicoletti

·        Natasha Stefanenko.

Natasha Stefanenko, "Tu sei russa...": la frase che la imbarazza, poi reagisce così. Libero Quotidiano il 16 maggio 2022.

Natasha Stefanenko da tantissimi anni vive in Italia, ma ha origini russe, è nata in Russia. E così ieri durante una lunga chiacchierata con Francesca Fialdini nel salotto di Da noi a Ruota libera, si è lasciata andare a un commento su quanto sta succedendo in Ucraina. Dopo aver parlato della carriera e della sua famiglia, la Stefanenko ha dovuto rispondere in modo preciso a una domanda della Fialdini. La conduttrice rivolgendosi a lei ha pronunciato questa fase: "Tu sei russa e...". Subito l'ha interrotta la Stefanenko che ha precisato immediatamente: "Beh io sono anche italiana...". La Fialdini però ha proseguito: "Tu sei una donna russa, cosa significa in questo momento?".

La Stefanenko ha risposto così: 2Guarda per me è difficile parlarne, la guerra non va mai fatta, non si possono risolvere i problemi con la violenza". E ancora: "Io sono metà russa e metà ucraina, infatti il mio cognome finisce per ko che è tipico dei cognomi ucraini. Io ribadisco che la violenza non deve mai essere usata, ma voglio dire un'altra cosa".

A questo punto la Stefanenko lancia un messaggio chiaro: "La Russia non è solo questo, la Russia è anche arte, storia, scienza e tanto altro". Insomma la showgirl e attrice ha voluto rivendicare le sue origini provando a staccare l'immagine della Russia da quella di Putin. Purtroppo negli ultimi mesi le due cose camminano di pari passo...

·        Natassia Dreams.

Barbara Costa per Dagospia il 12 novembre 2022.

Il pene non c’è più. Al suo posto, una vagina. Nuova. Perfetta. E porno perfettamente funzionante!!! Natassia Dreams è pornostar nata maschio, vissuta 25 anni come trans, e da qualche mese femmina a tutti gli effetti. E scrivo femmina e non donna perché Natassia è ora una persona con un sesso femminile che se si sente donna buon per lei, ma donna è costruzione maschile, in sé e per sé concetto ancora dal principio costruire. E Natassia è una persona nata in un corpo altro, e oggi con seno e cure ormonali e assegnazione del sesso a cui sanamente sente di appartenere. 

È una newyorchese, di 44 anni, bisex, con un sex appeal potente, e padrona di un fisico importante, che dispone tra porno e moda. Natassia non è la prima pornostar ex trans a essersi sottoposta a riaffermazione di genere: è però la prima a seguitare nel porno come prima. 

Dopo il lungo e laborioso percorso di preparazione mentale e fisica all’operazione, l’articolata operazione in sé, e il seguente iter di recupero durato quello fisico sui tre mesi, quello psichico tuttora in corso con sedute dal terapeuta… dopo siffatta ascesa Natassia si è presentata sul set con la nuova "socia" di lavoro e l’ha fatta debuttare in "Single Black Female", porno con Kira Noir e dove la neo vagina è messa alla porno prova con sex toys, linguate, sforbiciate, lubrificata a volontà, e dita e ogni atto che le due si sono scoperte in agio a eseguire. 

La stessa Natassia specifica che il rientro sui set non combacia con il battesimo del suo vergine sesso: lei dice di averla personalmente testata prima masturbandosi e poi con un uomo che l’ha penetrata ma solo con dita e le ha fatto sesso orale. La sua vagina risponde entusiasta.

Natassia è la prima ex trans che torna sui set dopo l’operazione e ne riscuote orgasmi e approvazione. Mi duole dirlo ma va forte denunciato: il porno è trans vecchio!!! O meglio, era trans vecchio prima che Natassia Dreams lo catapultasse nel presente: prima, alle pornostar trans era sconsigliatissimo togliere il pene, ovvero ciò per cui erano chiamate a lavorare.

Non importava che queste persone vivamente sentissero il bisogno di operarsi: la rimozione del loro sesso maschile segnava la fine del loro lavoro nel porno. Al pari della prostituzione trans, per cui la rimozione del pene significa la perdita considerevole dei clienti, così nel porno se sei trans sei – eri! – imprigionata al tuo pene. In massa le pornostar operate sono state dal porno rifiutate. Un rifiuto imperniato sul fatto che il porno è un business, e che la perdita del tuo pene equivale alla perdita di chi il tuo porno col tuo pene compra.

Natassia Dreams ha sconvolto questo assioma decimando guaste certezze. Sta scrollando il porno da fondamenta marce a cui s’era illuso e aggrappato. Natassia guida una rivoluzione che segue la scelta di attori etero di pornare con attrici trans sebbene solo da attivi. Il passivo lo fanno gli attori pansex, come Dante Colle, lui pure condottiero di un ribaltone senza precedenti: Dante gira con donne e uomini e gay e trans e chiunque tu sessualmente sia.

Non si fomenta il caos sessuale bensì si schiodano steccati semi arrugginiti! Natassia Dreams è nel porno da quasi 20 anni, cioè da quando il porno era tutt’altro: lei ha iniziato proprio quando il genere trans mutava da nicchia a produzione industriale, e però rimanendo al suo interno… un ghetto! Nell’ambiente porno chi si esibiva con performer trans finiva "macchiato": per troppo tempo i e le trans sono stati erroneamente percepiti a maggiore rischio contagio di malattie.

 Sono stati gli attori porno a cambiar le cose, come Jessica Drake, tra le prime a crearsi il suo studios dove girare con chi le pare, trans comprese. Però tale porno di Drake e accoliti è oggi dequalificato a stereotipo: troppa enfasi sul pene trans e sulla sua turgidità ed erezione, e fin troppa enfasi sulla sottomissione del corpo trans.

La rivoluzione di Natassia Dreams marcia sul crollo dei cliché, cerca un nuovo pubblico, e lo trova: il riscontro del suo porno con Kira Noir e dei seguenti lo attestano. Le/i trans – ex e no – nel porno muovono affinché la categoria "trans" sia abolita, per performer che sono persone, con identità sessuale propria e tale nel loro privato ma che non deve motivare il porno che fanno. Quando Pornhub, nel 2017, ha posto i video trans come genere a sé e non più tra i feticismi, fu criticato per il ritardo. E ora, che fa? Quando trillerà la "trans non più" sveglia?

·        Nathaly Caldonazzo.

Nathaly Caldonazzo compie 53 anni: l’esordio al cinema, l’amore con Massimo Troisi, 9 segreti su di lei. Arianna Ascione su Il Corriere della Sera il 24 maggio 2022.

Tutto quello che c’è da sapere sulla showgirl - nata a Roma il 24 maggio 1969 - tra carriera e amori

Il provino per «Fratelli d'Italia»

Compie oggi 53 anni la showgirl Nathaly Caldonazzo: nata il 24 maggio 1969 a Roma è figlia della ballerina e coreografa olandese Leontine Snell (ex componente delle Bluebell, il corpo di ballo del Lido di Parigi) e dell'imprenditore romano Mario Caldonazzo. Dopo aver mosso i suoi primi passi come modella e ballerina in alcuni show della Rai (l’esordio nel 1989 a Stasera Lino) è arrivata al cinema quasi per caso. «Ho accompagnato una mia amica ad un provino del film Fratelli d’Italia con Christian De Sica. Io avevo appena fatto un incidente bruttissimo, avevo il gesso ma la accompagnai e rimasi lì, sul divano ad aspettarla, tutta timida. La mia amica invece tutta preparata e cotonata. Uscendo il regista si avvicina e mi chiede “E tu?” Io dissi che avevo solo accompagnato la mia amica ma lui mi disse “Voglio te”. E così è iniziata». Ma questa non l’unica curiosità su di lei.

Ha fatto parte del Bagaglino

«Il Bagaglino è stata un’esperienza super top che ho voluto fare per quello che faceva la mia mamma a Parigi, ne rimasi folgorata», ha raccontato qualche mese fa nella Casa del Grande Fratello Vip la showgirl, entrata nella compagnia di Pier Francesco Pingitore nel 1997. Nel 2001 Caldonazzo ha fatto parte del varietà televisivo Saloon, in onda in prima serata su Canale 5, come primadonna insieme a Eva Grimaldi, Milena Miconi e Pamela Prati.

Tra cinema, tv e teatro

Nathaly Caldonazzo negli anni si è alternata tra cinema («Paparazzi», «Romanzo di un giovane povero», «Abbronzatissimi»), tv («Fantastico 10», «Cocco», «CentoVetrine») e teatro («Orfeo a Manhattan», «Il malato immaginario», «Passo a due pas de deux»). Il suo impegno più recente è lo spettacolo teatrale «Parlami d'amore» di Philippe Claudel diretto da Francesco Branchetti.

I reality

Il 20 dicembre 2021 Nathaly Caldonazzo ha varcato la soglia del Grande Fratello VIP, condotto da Alfonso Signorini. Non è il suo primo reality: nel 2017 aveva partecipato come concorrente all’Isola dei Famosi.

L’infanzia difficile

Uscita dalla casa del Grande Fratello Vip, in un’intervista a Verissimo, la showgirl si è raccontata a cuore aperto: «Mio padre era molto bello, molto affascinante, molto forte. Vide mia madre in televisione e, non conoscendola, perché lei faceva parte delle Bluebell, disse “questa me la sposo” . Quindi la cercò, la trovò e lei si innamorò subito di lui, ma non fu una vita molto facile, perché lui si dimostrò subito abbastanza violento, emotivamente ma anche fisicamente. All’apparenza era per tutti un uomo simpaticissimo, però poi in casa, con mia madre soprattutto, aveva questa forma di violenza emotiva, era molto manipolatore. Purtroppo ho assistito molte volte a scene di violenza anche dentro casa, scene molto pesanti». In seguito alla prematura scomparsa del genitore Caldonazzo lo ha perdonato: «Mio padre l’ho amato e, al contempo, odiato. Lui con me è stato un padre molto severo, ogni tanto perdeva le staffe e alzava le mani e ricordo delle scene abbastanza brutte. Però a un certo punto, quando poi è morto, ed è morto giovane - a 53 anni - l’ho perdonato».

La passione per la pittura

Da diversi anni Nathaly Caldonazzo dipinge. L’arte si è rivelata una terapia per superare i difficili momenti vissuti in passato, come ha svelato al settimanale Nuovo: «Avevo la passione per la pittura da tempo, ma lo facevo solo per hobby. Di recente però ho cominciato a dipingere quadri piuttosto violenti che raffiguravano Barbie distrutte. Mi piace l’arte pop, perché con i colori molto accesi ti consente di sconvolgere e portare all’estremo la realtà. Purtroppo questa violenza l’ho subita sulla mia pelle da bambina. Ho subito questo odio da parte di un uomo: era mio padre, una persona violenta, sia con mia madre che con me. Mi ricordo che quando avevo fra i 6 e gli 8 anni, mi trovavo ad assistere a scene terribili. Avevo una reazione tremenda: prendevo le mie bambole e le sbattevo contro il muro per distruggerle. Non potete immaginare il senso di disperazione». Risale al 2021 il progetto Squartalized sul tema della violenza contro le donne, realizzato insieme all'artista Vito Bongiorno.

L’amore con Massimo Troisi

Nei primi anni Novanta Nathaly Caldonazzo ha vissuto una grande storia d’amore con Massimo Troisi: «Ci siamo conosciuti in un ristorante di Roma, Troisi mangiava e mi fissava - ha raccontato a Vieni Da Me nel 2019 -. Uscendo io l’ho salutato, perché mi aveva fissato per tutto il tempo. Lui è rimasto stupito. Poi mi ha cercato per una settimana ed è riuscito a trovare il mio numero di telefono, cosi siamo usciti a bere un caffè. Avevo 24 anni, lui 39. Siamo stati insieme i suoi ultimi due anni». La relazione purtroppo è stata funestata dai gravi problemi di salute dell’attore e regista. Nel 1993 la coppia ha trascorso un mese e mezzo a Houston, in Texas, ma l’intervento al cuore a cui Troisi si era sottoposto non era andato bene. Avrebbe avuto bisogno di un trapianto, sempre rimandato: «Massimo mi ha sempre detto che quando una persona viene operata al cuore dopo cambia. Se non avesse fatto “Il Postino” forse sarebbe ancora vivo: avrebbe dovuto subire un trapianto di cuore prima di fare questo film, ma lui diceva sempre che voleva fare il film con il suo cuore». Il 4 giugno 1994 Troisi ha chiuso gli occhi per sempre, 12 ore dopo aver terminato le riprese della pellicola: «È presto per una ragazza di 24 anni subire un lutto d’amore. Quando va via il tuo compagno di vita stai male. Ci ho messo tanto a riprendermi, ma sono contenta di averlo conosciuto. Aveva paura della morte, ma da buon napoletano esorcizzava, faceva finta di non avere quella patologia».

La figlia Mia

Con l’imprenditore napoletano Riccardo Sangiuliano nel 2004 Nathaly Caldonazzo ha avuto una figlia, Mia, chiamata così in onore di Mia Farrow. Mia è apparsa qualche mese fa al Gf Vip (ha fatto una visita a sorpresa a sua madre).

A Temptation Island VIP con l’ex

Nathaly Caldonazzo nel 2019 ha preso parte a Temptation Island Vip con l’allora fidanzato Andrea Ippoliti (con cui stava da tre anni), ma è uscita dal programma da single: Ippoliti infatti, nel corso del programma, si è avvicinato alla «tentatrice» Zoe Mallucci. «È stata la delusione più grande della mia vita - ha detto poi Nathaly a Vieni da Me a proposito della relazione -. Non pensavo di provare una sensazione da film horror. Una storia in cui credevo tantissimo, ho rinunciato al 90% di me stessa e mi sono ritrovata in una realtà scioccante».

·        Neri Parenti.

Edoardo Semmola per corrierefiorentino.corriere.it il 16 agosto 2022.

«Quando ero bambino, vicino a casa, in Oltrarno, la sala parrocchiale degli Artigianelli con cento lire ti faceva vedere due film con un panino al pomodoro o un’acqua e zucchero. Non davano film di prima visione, e solo quelli approvati dalla censura del prete, ma quasi tutti i pomeriggi dei primi anni Sessanta, io e il figlio dell’editore Olschki, il mio migliore amico allora, ci siamo concessi molte proiezioni. Tiravi due calci al pallone dopo pranzo e poi dove andavi, se non al cinema? Ivanohe e Il Corsaro dell’Isola Verde li avrò visti dieci volte ciascuno. È grazie a loro che mi è rimasta la passione per i film di avventura».

Neri Parenti sulla sedia da regista è arrivato presto. Grazie soprattutto al suo essere bilingue: figlio del rettore dell’Ateneo fiorentino Giuseppe Parenti e di madre britannica, era tra i pochi a padroneggiare l’inglese così bene da trovarsi presto spalancate le porte di Cinecittà in una stagione, i primi Settanta, in cui il cinema italiano si stava aprendo agli attori stranieri. Due anni fa nel libro Due palle di Natale ha svelato come sia giunto per caso alla commedia. In realtà il suo sogno era diventare uno Spielberg italiano e dirigere film d’avventura. «Sognavo Indiana Jones. Ma non ho mai potuto nemmeno avvicinarmi, peccato — sospira — In Italia per via dei costi e di attori considerati poco credibili per quei ruoli, non c’era verso: su un Indiana Jones italiano non avrebbe scommesso nessuno». 

Com’è entrato nel mondo del cinema?

«Era il 1967, avevo 17 anni, subito prima della contestazione, e partecipai a un concorso che tra Lazio, Emilia Romagna e Toscana metteva in palio degli apprendistato nel giornalismo. Mi classificai terzo. Il primo lo presero a LaNazione, il secondo al Resto del Carlino. Al terzo era riservata la Rai, a Roma. Per fortuna mio padre, docente di statistica e presidente dell’Inarcassa che aveva contribuito a creare l’Isolotto a Firenze e il Villaggio olimpico a Roma, aveva una casa là. Ma alla Rai non sapevano cosa farsene di un diciottenne fiorentino che nemmeno conosceva la città. Stavano co-producendo Addio fratello crudele di Patroni Griffi con Fabio Testi, Olivier Tobias e una giovane Charlotte Rampling, e mi mandarono a fare il reportage dal set. Non avevo mai visto realizzare un film. Ma da bilingue ero tra i pochissimi a capire cosa diceva la Rampling, sempre imbufalita, mentre si lamentava che il bagno era sporco, il cestino del pranzo faceva schifo, la costumista le aveva stretto troppo il vestito, o protestava perché voleva il weekend libero per visitare Firenze. Entrai nelle grazie dell’organizzazione e mi presero come braccio destro per altri film con attori americani. Poi una cosa tira l’altra». 

La gavetta è stata fare da aiuto regista a Pasquale Festa Campanile...

«E poi con Steno con cui ho fatto la serie dei Piedoni con Bud Spencer. Quando girammo Piedone l’Africano in Namibia ci fu una tempesta di sabbia che mandò all’aria mezzo film e per rimediare venne deciso di dividere il lavoro in due unità: mi affidarono la parte inglese e sudafricana, di fatto realizzai da solo metà film». 

Il suo debutto da regista però fu una parodia de La febbre del sabato sera...

«Mi offrirono questo John Travolto perché mi stavo specializzando nelle commedie. Era un film assurdo dove fu ingaggiato un cuoco, Giuseppe Spezia, che non sapeva recitare ma era un sosia perfetto di John Travolta. Fu un flop. Però venne venduto in tutto il mondo, perché Spezia era talmente uguale a Travolta che molti pensarono fosse quello vero. Così il produttore Goffredo Lombardo guadagnò moltissimi soldi e quando si trattò di affiancare Paolo Villaggio nella realizzazione dei vari Fantozzi, dopo che aveva divorziato da Salce e stavano lavorando al terzo film, chiamarono me: non si fidavano di Paolo Villaggio, volevano affiancargli qualcuno che sembrava innocuo. Cioè io».

Perché non si fidavano di Villaggio?

«Era un genio ma impossibile da gestire. Voleva per forza partecipare alla stesura della sceneggiatura con Benvenuti e De Bernardi che però potevano lavorare con noi solo la mattina, perché il pomeriggio scrivevano con Sergio Leone C’era una volta in America. Ma Villaggio la mattina non veniva mai. De Bernardi convinse Leone a invertire: lui la mattina, Villaggio al pomeriggio. Ma Paolo non si presentava nemmeno il pomeriggio. Quando gliene chiesero conto, da mascalzone geniale, rispose “preferisco non venire di pomeriggio”. E scappò via».

Addirittura scappò?

«Una volta in Kenya lo fece letteralmente. Mentre stavamo girando ci guardò e disse “devo andare un attimo in bagno”. Cinque minuti dopo alziamo lo sguardo e vediamo una mongolfiera che se ne andava con lui a bordo. Disse “eh, ormai l’avevo prenotata”».

Un rapporto complicato...

«Paolo diceva che eravamo come padre e figlio. Il punto però, era che lui era il figlio e io il padre. Ma alla fine abbiamo fatto 20 film».

Lei ha lavorato con tutti i mostri sacri della comicità anni Ottanta e Novanta: Villaggio, Lino Banfi, poi la stagione dei cinepanettoni con Boldi e De Sica. Un mondo che non esiste più…

«Ai tempi dei “mostri sacri” in Italia si giravano 300 film all’anno. Ora se ne fanno 30 e anche se abbiamo attori bravi, come Favino e Mastandrea, si è creato un solco tra il mondo della farsa, che facevamo io e i Vanzina, e i film da David di Donatello. Anche gli attori si sono spostati in quella direzione. La differenza è tutta nella quantità: Mastroianni girava Una giornata particolare e Ieri oggi e domani. Sordi faceva Il vedovo e Un borghese piccolo piccolo. Quando i film sono diventati pochi, è cambiato tutto». 

Con i cinepanettoni si è attirato tante critiche. Si aspetta che vengano riscoperti in senso positivo come è avvenuto con Franco e Ciccio?

«Per Villaggio e i suoi Fantozzi è accaduto. Ma i cinepanettoni sono ancora considerati un’onta. Non siamo arrivati ad “accettare” il mondo Boldi-De Sica. Sono farse e vanno prese come tali. Penso che quei film siano stati uno specchio della nostra società di inizio millennio: noi italiani eravamo così, il berlusconismo, un certo cinismo, uno stile di vita. Erano film politicamente scorretti che facevano ridere. Oggi se proponi un film che fa ridere, ti guardano male. Non si possono più fare battute sugli omosessuali o le donne di facili costumi: ti salterebbero al collo. Tutto va trattato coi guanti bianchi, e se metti i guanti bianchi a quel tipo di commedia, l’ammazzi in partenza».

Il film che ha subito forse più polemiche di tutti è stato il prequel di Amici Miei ambientato nel Rinascimento...

«Eppure l’idea nacque molti anni prima, con Monicelli. E con gli attori originali. Poi, per vari motivi, tra cui la morte di Ugo Tognazzi, fu accantonato, ma il soggetto era scritto. Dieci anni dopo, lavorando con Benvenuti e De Bernardi, ci sembrava un’idea molto bella. Monicelli era ancora vivo e io avrei dovuto aiutarlo. Poi cambiò idea e Piero e Leo decisero di proporlo a De Laurentiis che volle rivoluzionare il cast: non più Alessandro Benvenuti, Marco Messeri e Gerard Depardieu come in origine, perché a suo dire non erano comici puri. Dovevamo iniziare a girare a Volterra quando De Laurentiis ebbe paura dei costi troppo alti e impose attori di cartello. Hanno detto che abbiamo profanato qualcosa di sacro, ma a noi non sembrava di profanare niente, con quelle premesse». 

Di cosa va più orgoglioso?

«Di aver fatto 52 film avendo litigato con un solo attore».

Chi?

«Con Anna Maria Barbera, la “Sconsolata”, di Christmas in Love, dove c’è anche Ron Moss, il Ridge di Beautiful che ha un’amnesia e lei gli fa credere che siano sposati. A un certo punto iniziò a sostenere che Ron non mostrava abbastanza passione sul set, si sentiva colpita nel suo femminile, si impuntò e non voleva più dire le battute. Povero Ridge, non capiva l’italiano, non si rendeva conto di nulla. Per convincerla a finire il film è dovuto venire De Laurentiis con l’elicottero. Finimmo le riprese senza parlarci». 

Alla sua passione per il calcio ha dedicato il film Tifosi...

«Sono tifosissimo della Fiorentina e quando Cecchi Gori era presidente avevo un’esclusiva con lui e andavamo sempre a parlare dei film alla Certosa del Galluzzo insieme alla squadra in ritiro. Ho avuto anche un rapporto particolare con Batistuta, grande amante della caccia che si lamentava di non riuscire ad andarci per la troppa burocrazia. Gli ho fatto conoscere una persona che si occupava di queste cose e così è riuscito a cacciare in Toscana».

Che progetti ha per il futuro?

«Con la gente che non va più al cinema, e col fatto che i generi che faccio io vivevano del supporto dell’incasso al botteghino, la vedo difficile... La tv ha costi e tempi diversi e le piattaforme come Netflix vogliono film da vendere a livello internazionale, la commedia che si capisce solo in Italia non la prendono. Ma di andare in pensione non ho voglia».

Steve della Casa per “La Stampa” il 15 giugno 2022.

«Come scelgo i nomi dei miei personaggi? Non ho un metodo. Nei cinepanettoni è chiaro che uno che si chiama Trivellone è sempre in caccia di donne, se invece è soprannominato Faina è un furbo di tre cotte mentre Zebrone tifa la Juve e Ciro 3000 è pazzo per il Napoli. 

Ma non è sempre così semplice, spesso mi sono affidato al caso. I nomi dei personaggi de I pompieri sono... figli del raccordo anulare, nel senso che mi sono annotato tutti i nomi che vedevo scritti sui capannoni e li ho trasferiti nel film». A Neri Parenti piace minimizzare il suo lavoro, e questo non è che uno degli esempi possibili che si ricavano dalla sua divertente autobiografia Due palle di Natale.

Il 10 giugno sarà ospite del festival di Castiglione del Lago, che porterà nella bella cittadina sul lago Trasimeno molti protagonisti dello spettacolo italiano, da Neri Marcorè a Enrico Vanzina, da Giuseppe Piccioni a Margherita Buy. Ma il suo incontro è uno dei più attesi, perché l'esperienza di colui che prima con Fantozzi e poi con la coppia Boldi-De Sica ha realizzato forse gli incassi più alti degli ultimi 40 anni sarà oggetto di un'attenta analisi nel festival organizzato dall'Ente dello Spettacolo. 

E di storie da raccontare Neri Parenti ne ha davvero tante. Per esempio quanto gli è accaduto in un giorno di settembre nel 2001, quando era all'aeroporto di Roma in attesa di partire per l'America con Boldi, De Sica e tutta la troupe che doveva girare Natale a New York.

Per non perdere tempo girarono molte scene nella sala Vip di Fiumicino, facendo finta che fosse altrove. Finite le riprese, lessero che il volo era cancellato. E non poteva non essere così: quel giorno era l'11 settembre 2001, le Torri Gemelle erano state attaccate, i voli sospesi. In tempo reale spostarono l'ambientazione da New York ad Amsterdam, girando nella capitale olandese solo gli esterni mentre gli interni furono realizzati in un albergo di Madrid. 

Il titolo fu modificato in Merry Christmas, il film incassò 15 milioni di euro, New York fu cancellata. Ma non totalmente, perché se si guarda con attenzione il labiale di certe scene si capisce benissimo che gli attori dicono Amsterdam ma le labbra pronunciano New York.

Oppure il suo rapporto con Bruno Altissimi, il produttore che con lui ha fatto alcuni film di Fantozzi. Gli proponeva per la scenografia sedie «tonnate» che erano ovviamente Thonet, e viaggiava su un Boiler 747 che era in realtà un Boeing, e lavava la frutta perché era sta trattata con «l'anticristogamico»: però sul lavoro era preciso, puntuale, capace. 

O anche il suo incontro con Paolo Villaggio, per il quale sarà il regista di ben 18 film.

Villaggio, dopo i primi due Fantozzi che erano stati diretti da Luciano Salce, aveva saputo che il regista non sarebbe più stato alla guida del prossimo Fantozzi. Gli proposero il suo aiuto, per l'appunto Neri Parenti, e Villaggio aderì entusiasta dicendo che la scelta gli piaceva.

Così Parenti si recò a casa di Villaggio per concludere l'accordo. Villaggio si presentò in sandali e caffetano, e gli chiese chi fosse. Parenti timidamente disse il suo nome, e Villaggio: «Ah, ma io credevo che Neri Parenti fosse un altro, te non ti conosco». Parenti mesto stava andandosene quando Villaggio lo apostrofò: «Beh, visto che sei venuto fin qui, prendiamo te». La loro storia iniziò così. E, come abbiamo detto, è una storia molto lunga, molto intensa. Insieme facevano scherzi crudeli, tipo quello al povero Filini (Gigi Reder) che era notoriamente superstizioso. 

La macchina che gli veniva mandata per portarlo sul set spesso era un carro funebre adattato per l'occasione, con Reder che si profondeva in ogni tipo di scongiuro. Oppure a un giovane Massimo Boldi che iniziava a esibirsi al Derby di Milano e, avendo una gran paura del pubblico, chiese consiglio a Villaggio su come fare per vincerla. Villaggio gli consigliò di spremere due limoni, mescolarli con ghiaccio e tenerli il più possibile sotto la lingua. La paura non passò, in compenso la lingua fu come paralizzata togliendo al povero Boldi la fluidità di parola.

A Castiglione sul Lago Neri Parenti ritroverà Enrico Vanzina. «Ci credono rivali, siamo amicissimi. Io ho fatto l'assistente per Steno, suo padre, un gran signore. E tutti ci confondono, ogni tanto qualcuno si presenta e mi dice: signor Vanzina, mi fa l'autografo? Ho firmato più autografi con il suo nome di quanti ne abbia rilasciati con il mio, ma non è un problema».

Edoardo Semmola per corrierefiorentino.corriere.it il 4 aprile 2022.

Immaginare Enrico Brignano in versione Il Trono di Spade è qualcosa che sfida tutte le leggi del marketing cinematografico. Ma le vie della comicità sono infinite e un regista dalle spalle larghe e dallo sguardo lungo come Neri Parenti lo sa. E ci crede. Questo fantasy comico con protagonista Brignano lo gireranno a giugno. Uscirà nel 2023. Non ha ancora un titolo ma è sicuramente una sfida tra le più difficili che la commedia italiana si possa mettere in testa di provare. 

È anche in un certo senso un regalo che il regista fiorentino di tanti cinepanettoni fa a se stesso: lui che ha girato solo farse ma che fin da bambino ha covato il sogno di fare film d’avventura. «Con le persone che non vanno più al cinema, e col fatto che i generi di cui mi occupo io vivono più del supporto dell’incasso al botteghino che dei contributi, la situazione è difficilissima. La tv poi, è inaccessibile: le piattaforme come Netflix vogliono film che possano essere venduti a livello internazionale, la commedia che si capisce solo in Italia non la prendono. Ma non voglio andare in pensione e a giugno girerò questo fantasy comico con Enrico Brignano per il 2023, sperando che non ci sia più il Covid». 

Sono tempi bui, eh, Parenti...

«Nerissimi. Il remake di “Altrimenti ci arrabbiamo” di Bud Spencer e Terence Hill che è uscito ora incasserà meno del prezzo che avranno speso per il catering». 

Perché questo sogno di fare un film d’avventura?

«Perché da bambino, negli anni Sessanta in Oltrarno a Firenze, passavo i pomeriggi agli Artigianelli dove con cento lire ti potevi vedere due film e mangiare un panino col pomodoro o un acqua e zucchero. Mi sarò visto una decina di volte “Ivanohe” e “Il Corsaro dell’Isola Verde”. Ed è grazie a loro che mi è rimasta la passione per i film di avventura». 

Perché non ci ha mai provato?

«Gli attori italiani sono da sempre considerati poco credibili in quei ruoli: a un Indiana Jones italiano non ci avrebbe mai creduto nessuno». 

Non aveva un Indiana Jones, ma ha fatto 20 film con Paolo Villaggio.

«Era un genio del tutto inaffidabile. Per il terzo Fantozzi voleva per forza partecipare alla stesura della sceneggiatura con Benvenuti e De Bernardi che però potevano lavorare con noi solo la mattina, perché il pomeriggio scrivevano con Sergio Leone. Villaggio la mattina non veniva mai. De Bernardi convinse Leone a invertire: lui la mattina, Villaggio al pomeriggio. Ma Paolo non si presentava nemmeno il pomeriggio. Da mascalzone geniale qual era, rispose “preferisco non venire di pomeriggio”. E scappò via».

Addirittura scappava?

«Una volta in Kenya mentre stavamo girando ci guardò e disse “devo andare un attimo in bagno”. Cinque minuti dopo alziamo lo sguardo e vediamo una mongolfiera che se ne andava con lui a bordo. Ci disse “eh, ormai l’avevo prenotata”». 

Un rapporto complicato....

«Paolo diceva sempre che eravamo come padre e figlio. Ma il figlio era lui, io il padre». 

Però nel tempo il vostro lavoro è stato anche rivalutato dalla critica.

«Quelli sì, i cinepanettoni invece sono ancora considerati un’onta. Eppure erano uno specchio preciso della nostra società nel primo decennio del nuovo millennio: il berlusconismo, un certo cinismo, uno stile di vita. Ci descrivevano come italiani. Facevano ridere ed erano politicamente scorretti. Oggi se fai delle battute sugli omosessuali o le donne di facili costumi ti saltano al collo. Tutto va trattato con i guanti bianchi, e se metti i guanti bianchi a un certo tipo di commedia l’ammazzi in partenza».

·        Nia Nacci.

Barbara Costa per Dagospia il 20 agosto 2022.

Mi dicono: stai troppo sul porno americano. E faccio bene!!! Ma dove altro le peschi bellezze del genere??? Io qui in giro non ne vedo, voi sì? Beati voi, e poi lo voglio proprio confessare: dopo le vietnamite, le indios sono la mia passione! E da par suo indios è lo schianto in foto, il suo nome è Nia Nacci, ed è uno scandalo, una vera indecenza che non sia nei primi posti della classifica di Pornhub! Amori p*pparoli, che succede, si batte la porno fiacca? Una tale femmina non merita i vostri riguardi? State ben poco con lei, e non va bene! Solo a mio parere Nia Nacci detiene tra i corpi i più sensazionali in porno circolazione? Ma guardate che fulgore di seni e fianchi e gambe, dio santo… Non vi "smuovono" nulla?

Nia Nacci è un pericolo pubblico: ostenta le sue curve in tal modo attiranti dai 15 anni! Lei ne è fiera, e lo sa, il potere sessuale che ha: maliziosa ci tiene a dire che le sue forme – petto compreso – hanno fatto la sua comparsa già alla puberale età di 12 anni, per poi svilupparsi e così stazionarsi tre anni dopo. Nia Nacci è metà indios e metà afroamericana, ed è nata a Tulsa, in Oklahoma, e da una famiglia numerosa: lei ha sei tra fratelli e sorelle.

Nia e il suo visetto incantevole, perfettissimo per i porno facial, performance che lei gradisce e gira assai, han fatto il loro ingresso nel porno giovanissimi, a soli 18 anni perché, sebbene la cara Nia abbia perso la verginità a 17 anni, e sebbene prima di entrare nel porno abbia avuto solo due fidanzati, più un assaggio di rapporto lesbico, lei ha deciso di fare sul serio e di trovarsi un lavoro che la mantenesse appena preso il diploma superiore.

Nia ha girato qualche porno su smartphone col suo ex ragazzo, per divertimento ma, trovatosi un agente, ha lesta capito che girare porno sui set, a livello iper professionale, è tutto un altro mondo, tutto un altro discorso: “La prima volta sul set ero nervosissima e non per la mia nudità né per il sesso in sé, ma per il fatto che persone estranee mi guardavano, mi guidavano, mi dicevano che fare e come”.

Nia si inserisce e allarga la divaricazione che sta segando il porno in due filoni sì comunicanti e però sempre più rivali: il porno home-made e il porno fatto sui set. Il prodotto che si dà agli utenti è diverso per la modalità di svolgimento e per il contenuto, e chi fa porno professionista, se da una parte ha il suo canale OnlyFans e/o su piattaforme simili, non ci vuole più stare a far passare quali attrici e attori porno chi fa porno da sé. Sono per lo più esecutori, non attori. Tesi che sembra trovar conferme nell’evidenza che sono in numero esiguo i performer che passano dal porno homemade ai set, perché ciò che un set richiede è raro loro possano assolverlo, per lo meno a quei gradi di preparazione.

Nia Nacci ha un corpo tutto naturale di cui due sono i gioielli che fermano le attenzioni del pubblico: il suo viso "pulito", eccellente a sperma schizzarlo, e il suo lato b. Degno di nota il fatto che Nia non abbia mai provato l’anal nella sua vita privata, e che da quel versante abbia deciso di dire addio alla castità sul lavoro. E non si pensi a una passeggiata: Nia ha fatto l’anale due mesi dopo il suo esordio, ma sotto l’esperta guida del regista, e del partner di scena. Ancor più degno di nota che, se i porno lesbici di Nia sono nettamente seducenti e ti incollano al video, Nia Nacci è davvero una porno attrice rilevante perché… a lei le donne non piacciono!

L’ha ammesso, senza problemi, come senza problemi fa sesso con le partner a cui la abbinano. Non è insolito che una attrice porno faccia porno lesbico senza attrazione, l’orgasmo femminile si può e con convinzione recitare, e non è detto che femminei e sapienti istigazioni di lingua e dita, e abbinate a sex toys, non producano esplosioni di reale piacere, finanche squirtico.

Nia Nacci promette di rimanere nel porno a lungo e facciamo il pieno di buone notizie: non risulta nemmeno fidanzata. Uomini, fatevi avanti, e di ogni età: l’ultimo amore di Nia era un uomo di 30 anni più grande di lei, e uno che voleva farle da sugar daddy, ovvero mantenerla, e così tenerla legata a sé soddisfandone ogni capriccio. Nia lo ha mollato. La dignità e l’indipendenza di una tal donna sono fuori mercato.

·        Nicola Savino.

Nicola Savino: «Con Linus un’alchimia che ti capita una volta ogni cento anni. Il mio problema? L’assenza di mio padre». Chiara Maffioletti su Il Corriere della Sera il 9 Febbraio 2022.  

Il racconto del conduttore che parte dai genitori. «Il mio problema è l’assenza del padre: fino ai miei 14 anni non c’era mai. Poi si è ammalato gravemente di depressione» 

Sembra l’amico che tutti vorrebbero avere. Quello simpatico, sorridente e gentile, divertente ma mai gradasso. «Ecco, mi viene in mente l’espressione di mia moglie quando incontro qualcuno per strada che mi dice cose come queste — commenta Nicola Savino —. Di solito mentre la gente parla c’è lei che fa: “Uhhhhh...”». In realtà, spiega: «Non sono una persona con cui è facile convivere. Sono piuttosto permaloso e ansioso... dormo anche poco e male, di base in due tempi: solitamente qualche ora, poi mi sveglio, magari leggo il giornale in piena notte e alla fine mi riaddormento». Il pieno prende forma grazie al vuoto e, nel caso di Savino, il vuoto si riassume in una parola: papà. «La sua assenza è il mio problema».

Come mai parla di assenza?

«Lui lavorava spesso all’estero, in Medio Oriente, per l’Eni. Quando tornava dai suoi lunghi viaggi mi portava delle radio, che io poi smontavo, forse nella speranza di trovarci dentro lui. Da quando sono nato ai miei 14 anni non c’è stato praticamente mai».

E poi?

«Ha avuto una depressione fortissima. Si è ammalato proprio quando sono nato io, ma poi è peggiorata. Non è semplice per un figlio crescere con un genitore gravemente depresso. Eppure posso dire con certezza che nonostante la malattia non ha mai fatto mancare a me e alle mie sorelle l’amore».

Quando ha realizzato che suo padre stava così male?

«Da piccolo non avevo gli strumenti per capire cosa fosse quello che allora chiamavano “l’esaurimento nervoso”. Tu vuoi che tuo padre giochi con te a pallone, ti porti a vedere la partita... vuoi insomma che sia un padre, ma questo non era possibile. Lo facevano i miei zii, forse provando anche un pizzico di compassione per quel bambino piuttosto solo, visto che le mie sorelle erano più grandi. Crescendo, mi è capitato poi di vedere mio papà in stato confusionale... momenti rari, per fortuna, ma sono successi. Cerco di non pensarci sempre perché mi dò fastidio da solo e l’analisi prova a lenire il problema, ma quando ti manca qualcosa di così importante da piccolo, superarlo non è semplice».

Ci è riuscito?

«Negli ultimi 15 anni della sua vita abbiamo recuperato. Con i primi guadagni di “Colorado” (la trasmissione che conduceva su Italia 1, ndr) gli ho comprato una piccola casetta vicino alla mia: l’ho seguito, accudito, stava bene. Per tutto quel tempo siamo stati molto vicini. Quattro mesi prima che morisse, nel 2014, c’è stata anche questa scena madre, da film, in cui mi ha abbracciato e mi ha detto: “Non sono stato un buon padre”. Gli ho risposto che era stato fantastico e l’ho abbracciato a mia volta... ed è davvero stato così. Lui amava me, io amavo lui. Lui ha avuto dei problemi».

E sua mamma?

«Era mamma ed era papà. Lavorava anche lei però doveva badare a tre figli. Adesso capisco tutta la fatica e ho grande stima e ammirazione per i miei. Mi hanno trasmesso una cultura profonda per il lavoro, un grande rispetto. Ancora oggi mi ci rivedo e mi piace anche».

Lei è mancata quando la sua carriera televisiva stava esplodendo.

«È successo poco prima del mio debutto a “Quelli che il calcio”, che era sicuramente la cosa professionalmente più importante che avessi fatto fino a quel momento. L’ho vissuta con addosso il lutto più tragico ma non ne parlavo con nessuno allora. Ero dentro un tunnel e non lo sapevo. Per tutti i primi mesi ero distrutto, come se mi avessero tolto la pelle dal corpo, ma dovevo spingere, andare avanti. I lutti sono difficilissimi da mettere nei cassetti: sono come un cerchio di fuoco attraverso cui tu passi. In quel periodo mi fu molto di conforto anche la religione, che adesso pratico meno. Ero in mezzo al mare e mi sono aggrappato anche a quella cosa».

Cultura del lavoro. Non a caso, lei ha sempre lavorato: in ruoli differenti, su media differenti...

«Ho fatto tutta la filiera, sì. Un passo alla volta, forse con un po’ troppa umiltà. E torno alla mia famiglia: eravamo borghesi, si può dire, eppure non vivevamo a Milano ma a San Donato. Avevamo una casa al mare con un giardinetto, ma piccolo e non a Forte dei Marmi ma a Lido di Camaiore. Insomma, il titolo di tutto era: “Ma non sarà troppo?”. Il che ti consegna un senso di colpa perenne... lo stesso per cui penso, a volte, di aver buttato via molto tempo, lavorativamente parlando, tra i miei venti e i trent’anni. Ma il risultato di cinque-sei anni di analista è che ora, almeno, vivo in centro».

Se dovesse invece descrivere i suoi vent’anni?

«Sono stati bellissimi. Ripenso a un gruppo di amici, che era quello formato da Claudio Cecchetto, tutti impegnati a far bene un mestiere, ancora una volta. La popolarità era quasi un effetto collaterale. Per tutti le star erano quelle sui giornali, non noi. Io poi, avevo il cartellino, facevo la regia. Avevo scritto il mio curriculum per Radio Deejay con la macchina da scrivere. In quegli anni poi, per la prima volta mi relazionavo seriamente e a lungo con delle figure maschili».

Come è stato?

«La lente era un po’ distorta. Sentivo le persone più grandi fare racconti diciamo da bar sulle loro serate e pensavo che il rapporto con le ragazze fosse quello... ci ho messo un po’ a capire che non era così. Ho avuto però la grande fortuna di incontrare Fiorello in quel periodo: eravamo gli ultimi arrivati, anche se lui a differenza mia andava in onda. Era in grado di fare amicizia con chiunque. Una volta esploso il suo successo lo accompagnavo quando faceva delle serate: ho visto cose che voi umani... ecco, è stato molto divertente e formativo. Ma è stato anche avere vent’anni, tanto che quando vedo oggi qualcuno della mia età che fa cose scomposte, dettate da Bacco, Tabacco e Venere, mi viene da sorridere e anche un po’ di compassione».

Quando ha realizzato che la sua voce era adatta per andare in onda?

«Nessuno me lo ha mai detto, in realtà. Mi sono sempre dilettato con le imitazioni. Per via di quel pudore che ho sempre avuto nel dire “sono bravo”, le imitazioni erano per me delle maschere con cui riuscivo a dire delle cose che altrimenti non sarebbero uscite. Ripenso a quando ho imitato Berlusconi, subito dopo l’annuncio della sua discesa in campo: non lo faceva nessuno. Vedevo la gente piangere dal ridere e non me ne capacitavo».

Poi è arrivato Linus...

«Casualmente. Ho l’ossessione per la didascalia, per la spiegazione di cose che altri danno per scontate, così, mentre lavoravo in redazione, come autore, ero interpellato da lui come “uomo della strada”. Tutto è iniziato in questo modo. La nostra è un’alchimia che ti capita una volta ogni cento anni. Penso che il segreto sia stato crescere assieme. Linus è cresciuto tantissimo, prima era molto più superficiale di adesso. Ora è veramente profondo e sensibile. Poi, a differenza mia, che leggo quasi solo giornali, lui legge molti libri. Io con i libri mi annoio, confesso. Ma ci arriverò. Intanto a casa tiene alta la bandiera mia moglie, che ne divora uno a settimana».

Cosa le è piaciuto di lei?

«La leggerezza d’animo. Poi la curiosità, il gusto, l’amore per i viaggi anche da ferma, magari ordinando del cibo etnico. Stiamo insieme da ventidue anni, sono tanti. E come dicevo, convivere con me non è una passeggiata. Avevo già un matrimonio alle spalle, dai 24 ai trent’anni. Quando è arrivata lei mi sono detto: basta».

Avete una figlia. Come è stato diventare padre?

«Esistono varie fasi. La prima è quella in cui vuoi fare finta che non sia cambiato nulla. Noi andavamo sempre a bere il caffè in un certo bar e ricordo che quando siamo tornati dall’ospedale, la prima cosa che abbiamo fatto, ancora prima di andare a casa, è stato fermarci lì con il trasportino. Che va bene, per carità, se non fosse che poi ti accorgi che c’è poco da fare, le cose cambiano. Sarebbe stato curioso e inedito confrontarmi con un figlio maschio, visto che sono sempre stato in un gineceo, ma va benissimo così».

Rivede i suoi genitori nel suo modo di essere genitore a sua volta?

«Accidenti, anche se pensi di esserti emancipato li devo tenere distanti con i secchi di olio bollente. L’adolescenza poi è un’esperienza molto intensa. Ti trovi di fronte a un essere umano che davvero perde la pelle e questo è doloroso. Inoltre, non ci sono istruzioni per l’uso. L’unica cosa da fare, penso, sia stare vicino a questi ragazzi. Che vuol dire anche chiedere: “Come va?” e sentirsi rispondere: “Vaff...”. È molto difficile. La sensazione è che i figli vogliano una sponda, vogliano sapere fino a dove possono andare. Dopodiché io vedo mia figlia straordinaria, speciale. Ha una sensibilità fuori dal comune, anche se un suo tormentone è: “Papi, non fai ridere”».

Ha qualche sogno professionale per il suo futuro?

«Intanto continuare con la radio finché Linus non avrà voglia di smettere. Perché, sia chiaro, io non smetterò mai. Tra noi c’è una specie di guerra di nervi alla base della domanda: quando finirà? Ecco, io non voglio essere quello che molla per primo».

E oltre alla radio?

«Chiedo spessissimo informazioni sul teatro, è una cosa che mi incuriosisce tanto. Non penso necessariamente al recital del personaggio televisivo, ma parlo proprio del teatro classico. Ecco, mi piacerebbe fare quella roba lì... poi non so bene se sia per la solita questione del pudore, se insomma non ho il coraggio di dirmi che vorrei fare il Nicola Savino show. Di certo con un Amleto ci sarebbe già pronto un buon copione, l’ha scritto uno bravo». 

·        Nicola Vaporidis.

La rinascita di Nicolas Vaporidis, vincitore dell’Isola dei famosi. Maria Volpe su Il Corriere della Sera il 28 Giugno 2022.

Il successo a 25 anni grazie ai film di Fausto Brizzi come «Notte prima degli esami», il matrimonio e il divorzio con Giorgia Surina, il silenzio, la crisi e ora la rivincita. 

È stato l’idolo delle ragazzine, ha raggiunto la popolarità a soli 25 anni, grazie a film come Ti amo in tutte le lingue del mondo di Pieraccioni, ma soprattutto grazie ai 4 film di Fausto Brizzi Notte prima degli esami, Notte prima degli esami - Oggi, Maschi contro femmine, e Femmine contro maschi.

Nicolas Vaporidis, 41 anni, lunedì sera ha vinto «L’Isola dei famosi» resistendo 100 giorni in Honduras (l’edizione più lunga di tutte). Una vittoria che ha il sapore della rivincita dopo anni di silenzio. Anche se le sue prime parole dopo la vittoria sono state: «L’Isola è stata una sfida più che una rivincita, un’esperienza che se non avessi fatto, mi sarei pentito. Avevo paura. Cinque o dieci anni fa non sarei stato in grado di farla: avrei dato di matto. A quarant’anni ho fatto un percorso che mi ha aiutato a essere quello che già ero».

L’attore — che ha cominciato il reality il 21 marzo con il piede sbagliato, in modo aggressivo e superbo, per poi riprendere la rotta, diventando punto di riferimento per tutti i concorrenti — era consapevole di aver giocato male le sue carte. Tra il 2006 e il 2017, ha trascorso una decina d’anni al culmine del successo, lavorando incessantemente sul grande schermo, richiesto dai registi, amato dal pubblico, specie dalle giovanissime che lo avevano eletto idolo, per quella faccia da finto bravo ragazzo, in realtà canaglia, cui si perdona tutto. È stato fidanzato con bellissime colleghe: Cristina Capotondi, Ilaria Spada e poi Giorgia Surina sposata a Roma e anche a Mykonos con una cerimonia super romantica. Ma in amore — e non solo — è sempre stato irrequieto Nicolas. Tempo fa in un’intervista sulla sua popolarità, che lo ha sopraffatto giovanissimo, ammise di aver compiuto qualche errore di valutazione. Dichiarò: «Mi sono fatto travolgere da uno tsunami, invece di cavalcare l’onda l’ho presa in pieno».

Tanto che a un certo punto si allontana dal mondo dello spettacolo. Si trasferisce a Londra dove apre due locali. Uno è il suo ristorante del cuore: Taverna Trastevere London che propone piatti tipici della tradizione italiana e romana. Ma evidentemente la carbonara non è bastata a spegnere il sacro fuoco dell’artista e Vaporidis ha deciso di accettare la proposta e salpare sull’Isola, sapendo che poteva essere una rinascita. E chissà se Brizzi ha visto il reality.

"Il gioco e le scorrettezze...". Nicolas Vaporidis a gamba tesa dopo l'Isola. Francesca Galici il 2 Luglio 2022 su Il Giornale.

Finita l'Isola dei famosi, Nicolas Vaporidis ne ha per tutti: dal fratello di Belen Rodriguez a Clemente e Laura Russo, naufraghi insieme a lui.

Nicolas Vaporidis è tornato dall'Isola dei famosi da vincitore, con molti chili in meno ma con una consapevolezza in più sulla sua personalità. È come se in Honduras l'attore di origine greca abbia mostrato i due lati diversi del suo carattere. In una prima fase del gioco, infatti, è stato quasi aggressivo sia con gli altri naufraghi che con gli opinionisti in studio. La discussione con Vladimir Luxuria, per esempio, avrebbe potuto incidere sul suo percorso. Poi ha come ammorbidito alcuni lati della sua personalità, pur senza cedere mai alla tentazione del buonismo e del volemose bene. Un modo di fare che, alla fine, ha pagato.

"Non ho dissimulato. Io sono così anche nella realtà. Il mio è uno scudo di difesa. La mia timidezza, il mio imbarazzo mi fanno sembrare teso, snob, altezzoso. Ma non sono così. Il tempo mi ha aiutato ad aprirmi. Anche i miei amici dicono che non sono facile agli inizi, ma quando poi mi apro è tutta un’altra storia", ha spiegato Nicolas Vaporidis al Corriere della sera. E questo suo modo di fare non gli ha comunque reso facile l'esperienza sull'Isola, viste le numerose liti di cui si è reso protagonista: "Nessuna affinità con Lory Del Santo: ho discusso tanto con lei. Non ho capito né condiviso il suo pensiero. Anche con Jeremias Rodriguez (fratello di Belén), Clemente Russo e la moglie Laura non c’è stata nessuna affinità. Abbiamo valori opposti". Sulla coppia sportiva, l'attore ha un giudizio piuttosto severo: "Sono giocatori veri, con profonda conoscenza delle dinamiche dei reality, io non avevo consapevolezza di ciò, sono entrato naif. Mi auguro solo che loro nella vita privata non siano come sull’Isola, anche se temo che il gioco e le scorrettezze che fai nel gioco, siano lo specchio di ciò che sei nella vita".

Diverso, invece, il rapporto con Carmen Di Pietro, iniziato in salita con qualche diffidenza e poi cambiato nel corso del gioco: "Io non avevo capito il suo registro e all’inizio l’ho osteggiata, criticata. Quando poi ho capito il suo genio comico, mi ha fatto morire dal ridere. È un Checco Zalone al femminile". Ancora più forte è stato il rapporto con Edoardo Tavassi: "Lui mi ha aiutato ad aprire la mia porta leggera, giocosa, ludica, meno seriosa".

Nicola Vaporidis, l’amore con Capotondi, Spada e il matrimonio (finito) con Surina. Maria Volpe su Il Corriere della Sera il 9 Maggio 2022.

L’attore di origine greca è ora un concorrente sull’«Isola dei famosi» dove si è reso protagonista di diversi litigi. Da tempo ha lasciato il cinema. E ha aperto un ristorante a Londra.

Nicola all’«Isola», naufrago litigioso

Nicola Vaporidis sta partecipando come concorrente alla sedicesima edizione de «L’isola dei famosi» condotta da Ilary Blasi su Canale 5. L’attore per la verità non sta dando il meglio di sè. E’ piuttosto litigioso , ha avuto scontri duri praticamente con quasi tutti i partecipanti, tende a lamentarsi o a fare la vittima. Sono rara i momenti in cui riusciamo a vedere un uomo sereno e appagato. Pochi giorni fa uno scontro anche con Vladimir Luxuria, opinionista del talent che gli ha detto: “Abbi rispetto delle opinioni degli altri“.

«in 13dici a tavola» primo film da protagonista

Nicolas Vaporidis nato a Roma il 22 dicembre 1981, da padre greco e madre romana. Da giovanissimo decide di trasferirsi a Londra, dove rimarrà più di un anno lavorando come cameriere, seguendo corsi di inglese e frequentando i corsi di recitazione presso lo Lee Strasberg Theatre Institute. Tornato in Italia frequenta soltanto per pochi mesi la scuola di recitazione Teatro Azione fino a che nel 2002 interpreta il primo film, Il ronzio delle mosche, regia di Dario D’Ambrosi, con Greta Scacchi. L’anno seguente Enrico Oldoini gli affida la parte di protagonista in 13dici a tavola (2004), con Giancarlo Giannini e Kasia Smutniak. Il film vincitore dei Los Angeles Italian Film Awards.

«Notte prima degli esami», l’amore con Capotondi

Nel 2006 è protagonista del film di grande successo Notte prima degli esami, diretto da Fausto Brizzi, nel quale recita accanto a Cristiana Capotondi, con la quale avrà una relazione di un anno. Vaporidis interpreta Luca Molinari, diciannovenne spensierato, non brillante a scuola, ragazzo gentile, simpatico, ed estroverso. I suoi migliori amici sono Massi, Riccardo, Alice e Simona. Si innamorerà di Claudia (Capotondi) , figlia del prof di lettere Martinelli (Giorgio Faletti) da lui odiato, ma che durante il film gli farà conoscere molte cose sulla vita fino a instaurare con lui un rapporto speciale. Nicolas Vaporidis e Cristiana Capotondi si sono innamorati sul set e sono stati insieme per alcuni mesi per rivedersi poi, sempre nei ruoli degli innamorati, in Come tu mi vuoi.. Alcuni anni dopo, Nicolas Vaporidis aveva svelato qualche retroscena sul loro rapporto: “Con Cristiana ci siamo scannati. Ci tiravamo i piatti, ci siamo mandati a quel paese. Ma è stato un grande amore. Anche se non siamo amici, le voglio bene e sono fiero dei suoi successi. È una bella persona. Con lei ho vissuto un momento importante della vita. Quando è finita è finita. Con Cristiana eravamo molto confusi, ma anche questo aiuta a crescere”.

La relazione con Ilaria Spada

Sempre su un set di un film, questa volta Questa notte è ancora nostra (2008), Nicola si innamora ancora: conosce Ilaria Spada (oggi felicemente sposata con il famoso attore Kim Rossi Stuart) e con lei vive una profonda storia d’amore, anche se durata pochi mesi, subito dopo essersi lasciato con Cristiana Capotondi.

Il matrimonio a Mykonos con Giorgia Surina

L’attore ha sposato la collega Giorgia Surina nel 2012, ma il loro amore è sfumato irreversibilmente dopo due anni. Giorgia Surina e Nicolas Vaporidis sono diventati marito e moglie con una romantica cerimonia a Mykonos: il loro è stato un grande amore, di quelli difficili da superare. «Ti crolla tutto e pensi di aver creduto in una favola. Mi sono lasciata attraversare dal dolore, senza combatterlo, come fosse un fulmine: così come è entrato, è anche uscito», aveva confessato lei a Vanity Fair dopo il divorzio.

Il film con Ridley Scott

Nel 2017 ha lavorato con Ridley Scott in Tutti i soldi del mondo. Poi ha lasciato piccolo e grande schermo, a parte un cameo nel 2019, nella pellicola di Volfango De Biasi “L’agenzia dei bugiardi”. Da allora Nicolas si è allontanato dalle scene, decidendo di dedicarsi prevalentemente alle produzioni teatrali.

Il suo ristorante a Londra e la sua paura della folla

Vaporidis è anche proprietario di un ristorante a Londra, Taverna Trastevere London, specializzato in cucina romana. Un uomo dunque dai tanti interessi e dai tanti volti. Uno emerso all’Isola è quello di una sua fragilità: Nicola soffre da molti anni di demofobia (Timore ossessivo degli affollamenti). «Crescendo la nevrosi è peggiorata, non riesco proprio a stare alle feste o alle occasioni pericolose. I miei amici sostengono che dovrei farmi curare…» ha detto l’attore.

La perdita dei capelli

In una vecchia intervista di Radio Club 19, Vaporidis ha raccontato come ha vissuto la perdita dei capelli: «È stato un trauma, un lutto con tanto di cerimonia annessa. I pochi rimasti li chiamo per nome e cognome. Li ho tagliati tutti e alé, la vita continua. E alla fine questo look piace e poi da ragazzino li portavo sempre così. È una decina d’anni più o meno che mi sono arreso, al massimo metto la protezione per il sole sulla testa quando c’è e mi ricordo. All’inizio rosichi un po’, poi ti arrendi e alla fine te ne sbatti e stai bene uguale. Non sei Sansone, non è nei capelli la tua forza».

·        Nicolas Cage.

Roberto Croci per “il Venerdì - la Repubblica” il 10 agosto 2022.

"Accettare questo ruolo è stata la decisione più pazza, più stupida che ho preso in vita mia". Un Oscar e un Golden Globe vinti per Via da Las Vegas, nel curriculum film come Rusty il selvaggio, Cotton Club, Peggy Sue si è sposata, Stregata dalla luna, Arizona Junior, Cuore selvaggio e poi action movie come Con Air e Face/Off, ritroviamo Nicolas Cage nel film sorpresa del festival SXSW Il talento di Mr. C, scritto e diretto da Tom Gormican, in cui interpreta con autoironia una versione parodistica di se stesso.

La trama: creativamente insoddisfatto e di fronte alla rovina finanziaria, l'attore Nick Cage (una versione romanzata dello stesso Cage) deve accettare un'offerta da un milione di dollari per partecipare al compleanno di un pericoloso super fan (Pedro Pascal). Le cose precipitano quando Cage è costretto a interpretare i propri personaggi più iconici e amati sullo schermo per salvare se stesso e i suoi cari. Già disponibile sulle piattaforme a pagamento e in homevideo, il 15 agosto alle 21.15 sarà su Sky Cinema Uno, in streaming su Now e on demand.

Lo aveva rifiutato quattro volte, perché alla fine ha scelto di fare il film?

"Perché quando Gormican mi ha spedito una lettera che assomigliava a un piccolo romanzo, con i dettagli per il ruolo, ho deciso che non potevo non farlo. Inizialmente ero spaventato dall'idea di interpretare un personaggio con il mio stesso nome, avevo paura che volesse fare una macchietta stile sketch di Saturday Night Live, dove sarei stato una patetica parodia di me stesso. Poi leggendo la lettera ho capito che Tom era un fan del mio lavoro,  genuinamente entusiasta di raccontare attraverso una versione di me stesso alcune esperienze e incidenti di percorso dei miei primi film".

Ad esempio?

"Ho conversazioni immaginarie con una versione più giovane di Nick, modello Cuore selvaggio di Lynch. E ci sono riferimenti a The Rock, Via da Las Vegas, Face/Off, e anche al capolavoro Il gabinetto del dottor Caligari, con una sequenza di vignette. Piccoli momenti magici che mi hanno convinto". 

E l'aspetto più difficile?

"È stato il ruolo più impegnativo della mia carriera, un bell'esercizio mentale. Il regista pensa che la versione nevrotica di Nick Cage sia il miglior Nick Cage che esista. Onestamente, non mi trovo così nevrotico, quando sono in famiglia sono molto tranquillo, faccio cose normali come tutti, guardo le news, leggo Murakami, mi occupo dei figli... Nick è un padre narcisista e distaccato, io sono proprio l'opposto. Ma alla fine mi sono incuriosito, volevo capire dove poter arrivare e anche ricordare al pubblico che ho delle forti doti comiche, sono un po' un buffone. Alla fine sono stato così coinvolto nel progetto che sono anche diventato produttore del film". 

Nella carriera ha sempre scelto con grande coerenza i ruoli. Stavolta?

"Forse qui mi sono esposto come mai avevo fatto nella mia vita, oppure, per la prima volta, potrebbe essere vero anche il contrario. Quello che mi ispira di più di questo lavoro è proprio il fatto che non mi interessano le opinioni che Hollywood o i critici si fanno di me. Questo ruolo è stato terrificante sotto molti aspetti, perché era un'idea completamente nuova, non avevo mai fatto nulla del genere in quarant'anni di cinema. È per questo che sono diventato attore, perché sono e sarò sempre uno studente, sto ancora imparando il mestiere, spesso trovo che i ruoli di cui ho paura siano quelli migliori per me, con cui posso crescere".

Cosa pensa del fatto che la sua filmografia sia diventata un punto di riferimento della cultura pop?

"Non ci penso mai. Sono cresciuto amando il cinema, sono davvero un nerd, un cinefilo appassionato, e questo lo devo a Marlon Brando. Di lui mi ha sempre sconvolto la sua schiettezza, la sua originalità è tale che ho sempre pensato di essere l'unico a capirlo veramente, anche se ovviamente non è così. Dal punto di vista invece di icona pop...  onestamente sono interessato a cosa pensa il pubblico, di quello che prova con la mia recitazione, desidero che abbia un contatto profondo e personale con quello che voglio trasmettere. Alla fine sono io il primo alla ricerca della verità, spero che gli spettatori sentano la mia sincerità e non pensino che stia solo recitando".

È anche grande appassionato di storia. Il suo periodo preferito?

"Gli Stati Uniti degli anni 50, con la nascita di Elvis Presley e il lavoro straordinario di James Dean e Marlon Brando. Certo era anche un periodo tragico per la gente di colore, ma musicalmente è stato molto divertente. Anche dal punto di vista del design eravamo all'avanguardia, basta pensare a Raymond Loewy e Harley Earl. E avevamo grandi romanzieri come Kerouac, Salinger, Bukowski, Fitzgerald". 

Quanto ha influito sulla sua carriera lavorare con registi come David Lynch, i Coen, Oliver Stone, Paul Schrader, Werner Herzog?

"Sono stati fondamentali per rendermi imprevedibile, per non venire inscatolato negli stessi ruoli. Quando ho visto Blood Simple - Sangue Facile ho voluto lavorare con i fratelli Coen, ero talmente determinato che per Arizona Junior ho fatto almeno dieci audizioni. Herzog è stato molto importante perché quando ho lavorato con lui in Il cattivo tenente-Ultima chiamata New Orleans non stavo passando un bel periodo, ero confuso sulle scelte dei miei ruoli e Werner mi ha riportato ai film indipendenti, mi ha dato l'opportunità di scavare nelle mie radici, di riflettere sul mio lavoro e fare scelte più originali. Lynch... è un padre per me".

Per affinare la sua recitazione ha scelto di studiare Kabuki. Perché?

"Laurence Olivier diceva: 'Cosa è la recitazione se non menzogna e cosa è la buona recitazione se non una menzogna convincente?'. Io penso esattamente il contrario, quando recito sono alla ricerca della verità, e trovo che il teatro Kabuki sia la forma più libera di recitazione". 

L'anno prossimo nel film Renfield interpretarà il conte Dracula. Che cos'ha portato di innovativo a un classico così iconico?

"E come potevo rifiutare Dracula? Ovviamente ho accettato perché avevo paura, anche perché è stato interpretato da grandi attori come Bela Lugosi, Christopher Lee, Frank Langella e lo stupendo Gary Oldman. È un ruolo difficile perché è facile farne una versione brutta e scontata, anche se la mia è più sul genere commedia horror come Un lupo mannaro americano a Londra, non è cupa come l'espressionista Nosferatu interpretato da Max Schreck, anche se mi sono ispirato al suo linguaggio del corpo. Per il tono di voce e l'accento invece mi sono modellato su mio padre, August Coppola". 

Perché?

"Mio padre era un intellettuale, faceva simposi, scriveva libri. Non ha mai avuto il successo economico del fratello Francis, però amava darsi un'aria sofisticata, distinta e quindi imitava proprio Christopher Lee, a cui peraltro assomigliava moltissimo. Io non ho mai capito perché fingesse quell'accento, un giorno gli chiesi perché parlava strano. E lui mi disse che i soldi, o la mancanza di essi, non determinano l'importanza di una persona. Era bizzarro ma la sua motivazione mi ha convinto e quindi ho deciso di riportarlo in vita, come omaggio al suo istrionismo, che non credo di avere ereditato, ma forse apparirà avanzando con l'età!".

Nel cinema tutti vorrebbero il suo cognome, lei no. Perché lo ha cambiato?

"Legalmente mi chiamo ancora Nicolas Coppola, ma ho scelto Cage perché ho sempre ammirato il compositore John Cage, e poi Cage significa gabbia e io dovevo volare libero. Amo la mia famiglia, la mia scelta non è stata fatta mancando di rispetto alla loro genialità, ma all'inizio della mia carriera dovevo trovare la mia strada, non potevo presentarmi alle audizioni facendomi scegliere come raccomandato. Quando ho ottenuto il primo ruolo come Cage ho capito che mi avevano scelto per il mio talento, la cage-gabbia si è aperta e sono diventato l'attore che ho sempre sognato di essere".

Nicolas Cage compie 58 anni: le origini del nome d’arte, i cinque matrimoni e gli altri 7 segreti su di lui. Arianna Ascione su Il Corriere della Sera il 7 gennaio 2022. Nato il 7 gennaio 1964, figlio del professore August Coppola e della ballerina Joy Vogelsang, è nipote del regista Francis Ford Coppola e dell'attrice Talia Shire.

Non ama essere definito «attore»

«Dopo un paio di flop, mi sono reso conto di essere stato emarginato dagli studios e che non mi avrebbero più richiamato. Ho sempre saputo che per me ci voleva un giovane regista che si ricordasse di alcuni dei miei film, mi ritenesse adatto alla sua sceneggiatura e mi riscoprisse». Proprio qualche giorno fa Nicolas Cage si è sfogato sulle pagine di Variety in una lunga intervista, citando anche il nome del suo «salvatore» Michael Sarnoski, regista di uno dei film - «Pig» - che negli ultimi tempi ha fatto ritornare sulla cresta dell’onda la star (che il 7 gennaio compie 58 anni). Cage nel corso della stessa intervista ha dichiarato di non amare essere definito «attore»: «Per me implica sempre “oh, è un grande attore, quindi è un grande bugiardo”. Quindi, con il rischio di sembrare uno s****** pretenzioso, mi piace la parola “thespian” perché significa che ti stai dirigendo verso il tuo cuore, o nella tua immaginazione, o nei tuoi ricordi o nei tuoi sogni, per riportare qualcosa che ti permette di comunicare con il pubblico». Ma questa non è l’unica curiosità su di lui.

Nipote di Francis Ford Coppola

Il vero nome dell’attore - figlio del professore August Coppola e della ballerina Joy Vogelsang - è Nicolas Kim Coppola. Il regista Francis Ford Coppola e l'attrice Talia Shire (pseudonimo di Talia Rose Coppola) sono suoi zii mentre Sofia Coppola, Jason Schwartzman, Robert Carmine e Roman Coppola sono suoi cugini. Ha adottato il suo nome d’arte agli inizi della sua carriera, e ha spiegato di aver cambiato il suo cognome in omaggio al personaggio dei fumetti Luke Cage.

Colleziona fumetti

A proposito di fumetti: Nicolas Cage è un grande appassionato. Negli anni ha acquistato (e rivenduto) molti albi rari e nel 2007 ha creato un fumetto con suo figlio Weston («Voodoo Child», poi pubblicato dalla Virgin Comics).

Ha recitato in circa 117 film (e ha vinto un Oscar)

Nel corso della sua carriera Nicolas Cage ha recitato in circa 117 film, tra cui «Rusty il selvaggio» (diretto da suo zio Francis Ford Coppola, in cui ebbe il suo primo ruolo di spicco), «Stregata dalla luna», «Face/Off», «Birdy - Le ali della libertà» e «Ghost Rider». Nel 1995 ha vinto l’Oscar come miglior attore per la sua interpretazione in «Via da Las Vegas», quinto attore più giovane di sempre ad ottenere l’ambito riconoscimento (aveva 32 anni).

Ex marito di Lisa Marie Presley (e non solo)

La vita privata di Nicolas Cage è sempre stata parecchio movimentata. È convolato a nozze per la prima volta nel 1995 con l’attrice Patricia Arquette (lui le aveva fatto la proposta lo stesso giorno in cui si erano incontrati per la prima volta, nei primi anni Ottanta). I due divorziarono nel 2000 e due anni dopo Cage sposò la figlia di Elvis e di Priscilla Presley, Lisa Marie. La coppia in seguito ruppe a un mese e mezzo dalle nozze. Nel 2004 un nuovo matrimonio: con Alice Kim, cameriera di un sushi bar, da cui Cage un anno dopo avrà il secondo figlio Kal-el (il primo figlio, Weston, era nato nel 1990 dalla relazione con la modella Christina Fulton). Con Alice Kim è durata fino al 2016. Nel 2019 l’attore è andato nuovamente all’altare, questa volta con la make up artist Erika Koike, ma quattro giorni dopo ha chiesto l’annullamento. Il 16 febbraio 2021 infine si è sposato a Las Vegas con la 26enne Riko Shibata.

È una delle star più generose di Hollywood

L’attore è stato definito come una delle star più generose di Hollywood: in passato ha donato 2 milioni di dollari ad Amnesty International e 1 milione di dollari alle vittime dell'uragano Katrina. Inoltre è stato insignito di un premio umanitario dalle Nazioni Unite e nominato ambasciatore delle Nazioni Unite per la giustizia globale nel 2009 e nel 2013.

Conti in rosso (e guai con il fisco)

Generosità, ma anche eccessi: Nicolas Cage negli ultimi anni ha attraversato diversi guai finanziari, dai problemi con il fisco nel 2018 (il debito ammontava a 14 milioni di dollari) al rischio bancarotta per aver sperperato buona parte della sua fortuna tra auto, jet privati, yacht, gioielli, proprietà immobiliari, opere d'arte, animali e persino un teschio di tarbosauro (poi restituito al governo mongolo in quanto risultato rubato).

Cacciato da un locale di Las Vegas

Qualche mese fa, nel settembre 2021, è stato cacciato dal Lawry's The Prime Rib, una lussuosa steak house di Las Vegas, dopo aver litigato con un membro del personale. Alcuni testimoni hanno raccontato che «era così ubriaco che riusciva a malapena a mettersi le infradito prima di essere scortato fuori» e che «era in un pessimo stato e andava in giro senza scarpe. Il personale ci ha detto che aveva bevuto shot di tequila e whisky Macallan 1980».

Doveva essere Superman (ma sarà Dracula)

Forse non tutti sanno che negli anni Novanta Tim Burton avrebbe dovuto girare un film su Superman con Cage nei panni del supereroe, ma poi il progetto non è andato in porto. Se non è riuscito ad interpretare il suo personaggio preferito l’attore (che non a caso ha chiamato suo figlio Kal-el, proprio come il supereroe di Krypton) potrà consolarsi con il conte Dracula: lo interpreterà nel film «Renfield», il suo prossimo impegno cinematografico. 

·        Nicole Kidman.

Stefania Ulivi per il “Corriere della Sera” il 29 gennaio 2022.

«Sono passati vent' anni. Certo, mi piacerebbe vincere, già sono contenta che se ne parli, era da anni che non succedeva». Quattro candidature agli Oscar, una sola vittoria, The Hours di Stephen Daldry, nei panni impegnativi di Virginia Woolf. Era il 2003. Ma quest' anno Nicole Kidman spera in un bis per un ruolo che, come quello della grande scrittrice, ha accettato con riluttanza, per timore di non farcela. 

Quello di Lucille Ball in Being the Ricardos di Aaron Sorkin al fianco di Javier Bardem, per cui ha vinto il Golden Globe. Al telefono dalla sua casa australiana, Kidman non fa finta che non le interessi: «Ho dedicato la mia vita al cinema, alla recitazione, a girare il mondo alla ricerca di storie da raccontare, a supportare i registi.

È la mia passione, sono stata molto fortunata a farlo per così tanto tempo». Quarant' anni. Ha cominciato giovanissima, in curriculum ha una novantina di film, oltre alla tv e all'attività di produttrice. «Con Aaron e Javier, ci siamo detti: "Siamo arrivati fino a qui, e salteremo dal tetto insieme". Vedremo come va». 

Sembra essersi divertita parecchio nelle scene brillanti, come quella in cui pigia l'uva. Più commedie all'orizzonte?

«Ne sarei felice. Ora sono in Australia a prendermi cura di mia madre, che non sta molto bene. Sto con mio marito, le mie figlie, non sto lavorando adesso, vivo la mia vita normale. Ma mi piacerebbe tanto fare qualcosa di divertente, è liberatorio.

Quando ho visto il film con il pubblico e li ho sentiti ridere, è stata la sensazione più bella che potessi provare. È qualcosa che non conoscevo bene, faccio più spesso ruoli drammatici. Con la pandemia è ancora più importante. E il nostro film va in profondità, parla di resilienza, ispirazione, capacità di gestire il fallimento e rialzarsi, far nascere un successo da ogni fallimento». 

Lucille Ball era un'attrice, fondò la sua compagnia di produzione, la Desilu, cercò la quadra tra lavoro e famiglia, aveva un marito musicista. Le suona familiare?

«Mi sono sorpresa nel trovare così tante cose in comune con lei, in cui potermi immedesimare tra vita privata e carriera. È stata una pioniera, non c'erano molti comici, figurarsi comiche. Voleva creare una compagnia di produzione, ma non c'era nessuno a cui ispirarsi, nessuna lo aveva fatto prima.

E poi la sua relazione con il matrimonio, con Desi, davvero una grande storia d'amore, dal punto di vista creativo e romantico. Hanno avuto dei problemi, come molti altri, e non ha funzionato alla fine, ma è quello che chiamerei un matrimonio di successo per ciò che hanno creato, la loro arte e i loro figli». 

Ha iniziato a recitare a 14 anni, ha tenuto testa ai più tosti registi del mondo, a partire da Stanley Kubrick. Non le è venuta voglia di mettersi al loro posto?

«Ho visto al lavoro i più grandi, conosciuto la loro ossessione, la loro energia, so cosa vuol dire essere un regista. Ho due figlie che sto crescendo, mio marito, la mia carriera da attrice e produttrice, e penso di non avere quella cosa lì.

Non ho l'occhio, semplicemente non è la mia passione. Cerco di fare attenzione a come impiego il mio tempo, è davvero prezioso. Faccio al meglio la mia parte, recitare».

Nel 2002 ha fondato la sua casa di produzione, si aspettava che la tv avrebbe dato grandi soddisfazioni con serie come «Big Little Lies» o «The Undoing»? Ora avete in cantiere «Roar» e «Expats»...

 «Sinceramente no, è stata una sorpresa vedere quanto la tv sia diventata forte, come riesca a intercettare pubblico diverso in tutto il mondo. Quando si riesce a tenere il livello del cinema, è una grandissima opportunità per registi, attori e scrittori.

E sono moto fiera che siamo riusciti a far lavorare le persone durante la pandemia, anche se è molto stressante. Abbiamo trovato modo di raccontare storie, contro ogni previsione. I film, gli show sono ripartiti, magari in maniere diverse, ma sono ancora lì. Lo trovo davvero molto toccante, perché le storie e l'arte, non verranno mai fermati. Sono felice di esserne parte». 

Parla spesso di amicizia e sorellanza. Con Jane Campion siete legate da decenni.

«Mi pare da sempre. Lei conosce molte cose, è un'amica saggia. È molto curiosa, entrambe amiamo l'Italia, ci abbiamo passato tantissimo tempo, è così bello anche solo camminare a Roma.

Condividiamo idee, arte, filosofia, mi ha fatto scoprire Elena Ferrante abbiamo un'amicizia davvero profonda, è la cosa che importa. Mi sento davvero di ringraziarla. Questa è la vera bellezza del nostro lavoro. Non è solo per un film, ma un viaggio insieme per tutta la vita». Ama l'Italia, dice. E il cinema? «Anche. Vorrei tantissimo lavorare con un vostro regista. Luca, Paolo (Guadagnino, Sorrentino, ndr ), io ci sono».

·        Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko.

«Carla Fracci, poco prima di morire, ci ha insegnato l’amore con Giselle». Alessandro Cannavò su Il Corriere della Sera il 28 Agosto 2022.

L’unione dei numeri primi (ballerini) è stata rivelata all’arena: proposta di nozze sul palco (con regia di Bolle). Qui Nicoletta e Timofej raccontano tutto dall’inizio.

Nicoletta Manni, 31 anni, salentina e il futuro marito Timofej Andrijashenko, 28, originario di Riga: si sposeranno il prossimo anno

Due minuti di gioia e romanticismo. A rivedere su Youtube la proposta di matrimonio che Timofej Andrijashenko ha fatto a Nicoletta Manni sul palcoscenico dell’Arena di Verona il mese scorso, verrebbe voglia di autosospendersi dalle pressioni dell’attualità e abbandonarsi alle favole. E non è certo un caso che quel video continui a essere protagonista sulla Rete. Sì certo, Nico e Timo non sono stati i primi, nel mondo dello spettacolo, a suggellare platealmente il loro amore in quello scenario. Ma stavolta c’è stata qualcosa in più: la grazia, l’eleganza che scaturisce dal balletto classico. Lui, chiaro e biondo con gli occhi azzurri che si inchina come un principe, il piede davanti ruotato “en déhors”; lei, soave bellezza mediterranea, che gli si avvicina incredula e sorpresa, eterea e con le mani al petto («davvero non mi era venuto il pur minimo sospetto, eppure in teatro lo sapevano da tre mesi; tutti nello staff artistico-tecnico, e persino i nostri genitori, sono stati coinvolti nell’organizzazione»); e poi i baci affettuosi e prolungati, gli abbracci intensi. E sullo sfondo, gli applausi di Roberto Bolle, vero regista di uno show fuori programma, padrino artistico di questa coppia lettone-salentina, entrambi primi ballerini della Scala. Ora beniamini, insieme, di un pubblico ben più vasto dei ballettomani.

La loro estate

Timo e Nico si sono goduti le vacanze a casa della famiglia di lei, in Puglia. «A Santa Barbara, California» precisa Nicoletta ironicamente. «È una frazione di Galatina, provincia di Lecce. Non c’è nemmeno un bar». «Sembra di stare nel Far West» aggiunge lui divertito. «Una strada dritta e due file di case ai lati». I soliti riti: al mare sullo Jonio o sull’Adriatico a seconda del vento e della folla, qualche sgarro culinario tra ciceri e tria, friselle, il polpo alla pignata, cicorie e fave. Per un po’ niente musiche di Ciaikjovskij o Profofiev, nelle orecchie la voce di Giuliano Sangiorgi e di Diodato. «Abbiamo un’ammirazione per Raphael Gualazzi, conosciuto in una Notte della Taranta», dicono insieme. Nell’estate dei rimbombi di guerra, dell’incubo siccità, degli spettri energetici, bello pensare a questa voglia di normalità di una coppia che unisce il Nord e il Sud, l’Est e l’Ovest. In nome dell’amore. «Sì, ci dicono che abbiamo un’aura d’altri tempi» affermano insieme. «Forse perché siamo partner sul palcoscenico già prima di esserlo nella vita. Quel mondo di romanticismo in qualche modo influisce nella nostra vita quotidiana».

TIMO: «LA INVITAVO A CENA, L’ACCOMPAGNAVO AL TRAM, MA LEI NIENTE»

NICO: «NON AVEVO CAPITO! ORA LUI MI PARLA IN DIALETTO LECCESE»

Carattere d’acciaio

Fuori dalla scena, la bellezza e la nobiltà un po’ altera dei loro personaggi lascia il posto alla naturalezza di una coppia navigata. Giselle e Albrecht, Giulietta e Romeo, Marguerite e Armand diventano due fidanzati che si intendono con uno sguardo e si completano a vicenda le frasi . Nicoletta ora sfoggia al dito un bellissimo solitario: «La nostra professione si basa sulla disciplina, il rigore e su tanto allenamento fisico, ma io in più caratterialmente sono molto decisa, determinata, devo avere tutto sotto controllo. Ecco perché questa sorpresa della proposta di matrimonio mi ha spiazzato, mi ha messo in discussione. Lui no, lui è molto istintivo». Tosto Timo nel cercare di conquistare il cuore di Nicoletta. «L’ho corteggiata per un bel po’, le portavo fiori, la accompagnavo alla fermata del tram, la invitavo a cena. Ma lei niente…». «Io non avevo proprio capito» sorride lei. «Per me Timo era solo un compagno di lavoro con cui si era creata una grande amicizia. Poi alcuni colleghi mi hanno aperto gli occhi… Per un po’ mi sono distaccata, avevo paura che si rovinasse tutto. E poi ero in linea di principio contraria ad avere una storia con un collega...» Lui: «Ti sei allontanata un mesetto…» Lei: «No, di più». Lui (con un po’ di ironia): «Ho cercato di distrarmi in quel periodo ma il mio cuore rimaneva qui. E comunque è stato nulla rispetto al risultato che ho raggiunto».

I due ballerini fidanzati: Nicoletta viene dalla Puglia, Timofej è di Riga, in Lettonia, ma si è trasferito a Genova per studiare danza quando aveva 14 anni.

La determinazione di Timofej

La determinazione di Timofej è già nel suo perfetto italiano, attento ai congiuntivi, con una leggera cadenza meridionale. Gli piace fare le battute in salentino: Frate meu, nu sai ci sta passu, fratello mio, non sai che sto passando. «Neppure le parolacce gli vengono in russo» dice lei. «Io ho tentato di impararlo, anche perché quella lingua è una sonorità molto presente nel nostro lavoro». «Macché, hai fatto tre lezioni e i compiti te li completavo io», ribatte lui. La tempra di Timofej è stata forgiata a Riga, «bella città con il bosco a ridosso e il mare vicino. Ma il tempo è orribile. Al balletto ci sono arrivato per punizione. Alle elementari ero un bambino pigro e svogliato, non facevo i compiti, mi annoiavo a scrivere. Così i miei genitori mi spedirono all’Accademia statale di danza, nota per la sua disciplina militaresca. Insomma, fare il ballerino poteva essere una salvezza per raddrizzare il mio carattere, e poi avevo già fatto karate e possedevo una flessibilità fuori dal comune, riuscivo già nelle spaccate, tenevo la gamba dritta in alto ferma, per un bambino una cosa rara». Nessun pregiudizio dei compagni per la scelta della danza classica? «Altro che! Vivevamo in un complesso di palazzoni di periferia in stile sovietico, costruiti con un grande cortile comune. Quando dissi questa cosa ai miei amici di giochi, mi arrivò ogni tipo di insulto. I bambini sanno essere molto cattivi, noi poi eravamo lasciati un po’ allo stato brado, da mattina a sera in questo spazio condominiale. Fu pesante, poi però tra scuola e lezioni di danza non ebbi più tempo per giocare: sparii dalla circolazione».

Il salto di Nicoletta, a 12 anni da Lecce alla Scala di Milano

Anche Nicoletta è stata una bambina chiamata a scelte da adulta. Ma in questo caso per sua libera volontà. «Mia mamma è un’insegnante di danza che conduce due scuole a Mesagne e a Copertino, sono cresciuta col balletto. A 12 anni ho chiesto di poter fare l’esame di ammissione alla Scala. Siamo partiti tutta la famiglia col treno notturno: io, mamma, papà, che è un informatico della Sanità, e il mio fratellino di due anni, ne ha dieci anni meno di me. A scuola ero un anno avanti e dunque ho dovuto sostenere anche per la danza un esame destinato alle bambine più grandi di me. Andò bene. Stavo dalle suore. Tutto all’inizio mi sembrava meraviglioso, poi mi accorsi che le altre compagne ospiti, originarie di città non lontane da Milano, nel fine settimana tornavano a casa. Allora mi veniva la malinconia. Così ho cominciato a tornare a casa anch’io un weekend sì e uno no. Mamma prenotava il vagone letto per sole donne e si faceva passare al telefono tutte le occupanti».

Timofej, l’arrivo in Italia e il legame con la famiglia

Timo invece, scoperte le sue doti a Riga, arrivò in Italia a 14 anni per continuare gli studi al Russian College di Genova. «Mi accompagnò mio padre, che è morto dieci anni fa. A lui piaceva il balletto; a Mosca, da studente di medicina, andava a vederlo al Bolscioi, allo Stanislavskij, al Cremlino. La mamma no, lei ha lavorato come impiegata al dipartimento di Polizia di Riga. Viene agli spettacoli solo perché ci sono io. Bello, siete stati bravissimi, mi dice. A volte le chiedo: ma ci hai capito qualcosa? E la metto in crisi… Alla fine di ogni spettacolo, penso sempre a cosa avrebbe detto di me papà».

La guerra

Non è facile organizzare questo matrimonio che entusiasma il mondo della danza scaligero, «una famiglia con tante coppie». Agli impegni professionali si aggiungono le difficoltà della guerra in Ucraina nel far arrivare i parenti in Italia. Per Timofej, al di là della tragedia dei bombardamenti, si tratta di una crisi identitaria per tutto l’Est europeo. «Mio padre era di San Pietroburgo, ho parenti in Russia e in Kirghizistan, dove furono deportati da Stalin per popolare zone disabitate dell’Urss; e anche in Ucraina. Il governo della Lettonia vuole marcare la distinzione dalla Russia ma ora è difficile recidere il cordone ombelicale, bisognava pensarci quando abbiamo ottenuto l’indipendenza. E poi si sa che siamo un Paese off shore degli oligarchi di Mosca». «Mi ha colpito che a Riga nei negozi, Timo parla in russo come fanno tutti, ma le commesse sono obbligate a rispondere in lettone», aggiunge lei. Riprende Timo: «Quest’anno per il 9 maggio, giorno in cui si celebra la fine della seconda guerra mondiale, non è stato possibile deporre i fiori al monumento della Vittoria. Tutto transennato, sono stati i poliziotti a portarli sotto la statua e all’alba del giorno dopo le ruspe hanno spazzato via tutto. C’è stata una protesta pacifica, la gente ha riportato i fiori, sono avvenuti scontri e qualche arresto. Ma ognuno di noi ha da commemorare un padre o un nonno che ha combattuto in quella guerra. Non mi sembra giusto quello che è successo». E poi le polemiche sulla compresenza di ballerini russi e ucraini nei galà di beneficienza per le vittime della guerra. «Ci sono rimasto molto male, nella mia ingenuità ho sempre visto l’arte come una salvezza, uno strumento di pace e fratellanza». «Oltretutto si contestano artisti russi che vivono in Occidente e hanno dunque fatto una chiara scelta di distacco dalle autorità di Mosca», aggiunge Nicoletta.

L’equilibrio tra corpo e mente

È un mondo, quello del balletto classico, intriso di cultura russa: nelle storie danzate, nella tecnica, negli esempi. «Il personaggio che mi ha fatto crescere è stato Tatjana nell’ Oneghin insieme con Marguerite nella Dama delle camelie: richiedono maturità interpretativa più che tecnica», dice Nicoletta. E Timo: «Armand nella Dama: devo passare repentinamente dalla disperazione di vedere all’asta tutto il mondo di Marguerite alla felicità della rievocazione del loro amore. Un teatro nel teatro». Ma dove sta l’equilibrio tra forza e bellezza, tra corpo e mente? Qui i due anni e mezzo in più di Nicoletta rispetto a Timofej fanno la differenza. «A 31 anni sono nell’età in cui devo riuscire a raggiungere il massimo delle possibilità del corpo ma con l’esperienza artistica acquisita. È una finestra di tempo breve in una carriera peraltro molto corta». «Il corpo dotato è un’ottima base ma serve poco se non si sviluppa un’intelligenza motoria», dice Timofej, che non ritiene ancora di aver raggiunto i vertici delle sue potenzialità. E la concentrazione? Timo e Nico hanno a questo proposito un aneddoto legato alla serata dell’Arena. Racconta lei: «Abbiamo ballato il passo a due del Romeo e Giulietta di McMillan, un’opera passionale, spensierata e poi drammatica, dunque ancora più tragica nell’epilogo. Mia madre ogni volta si commuove e mi dice: basta, non voglio più vederti morire in scena. Ci sono anche dei momenti tecnici piuttosto complicati, lui a un certo punto è in ginocchio e lei si deve avvinghiare a un suo braccio teso». «Ma quella sera ero troppo concentrato sulla sorpresa di fine spettacolo» riprende Timo. «Ho avuto un black out, non ho teso il braccio». Lei: «Gliel’ho sussurrato… braccio!! Ma lui ha capito abbraccio!! E mi ha abbracciata…». Una variazione coreografica non proprio irrilevante.

La danza come sinonimo di libertà

Che valore ha la danza classica in un’epoca di talent, di nuovi sport, di visibilità social? Lei: «Per quanto possa essere associata al rigore, nelle costrizioni delle posizioni, dei passi accademici, per noi è sinonimo di libertà. Mi sento libera di essere me stessa o diversa da me stessa. Mi aiuta a conoscere la mia personalità». Lui: «Mi fa sentire vivo, anche quando sto male nell’immedesimarmi in certi personaggi. Faccio delle strategie per cambiare il loro carattere da una recita all’altra. Albrecht in Giselle lo posso rendere snob, un ragazzo che con Giselle vuole solo divertirsi; oppure in un’altra recita un giovane annoiato e triste di stare nella sua dimora ed è in cerca di un vero amore». Lei: «Non saremo mai popolari come i cantanti pop ma i social ci avvicinano molto al pubblico». Lui: «Commovente quando ti scrivono che abbiamo regalato momenti di bellezza in un periodo brutto della vita. Capisci che non facciamo solo intrattenimento».

Nicoletta Manni tra Roberto Bolle, guest artist al Royal Ballet, e Timofej Andrijshenko. Bolle è il primo ballerino al mondo a essere stato Etoile della Scala di Milano e Principal Dancer dell’America Theatre Ballet di New York.

Carla Fracci e Roberto Bolle

«Ragazzi, ricordatevi quanto in scena sia importante dare valore a ogni gesto, a ogni sguardo» disse loro la “signora Fracci”. «Trascorse un paio di settimane con noi in preparazione della nostra Giselle, poco prima di morire. Un dono inestimabile». E poi c’è Bolle: «Per me un’icona» dice Timofej. «Le sue variazioni sono un manuale della danza». «Un esempio di costanza, impegno e professionalità. E anche di umiltà. Mi ha invitata sin da molto giovane nei suoi spettacoli in tour e in tv, mi ha voluto come sua partner. Ha avuto coraggio», aggiunge Nicoletta.

Il matrimonio

Il matrimonio, si spera, nel 2023; più prudenza per l’orizzonte dei figli. Quanti ne vorreste? «Non veniamo da famiglie numerose: diciamo due». Per ora basta la casa sui Navigli che hanno messo su con meticolosa dedizione. Ma dove vi immaginate fra vent’anni, quando non ballerete più? «A Sud, al mare», dice subito Timo. «È lui che ha l’animo terrone» commenta Nicoletta. «In fondo, in Puglia ci sono tanti ragazzi normanni, biondi e con gli occhi azzurri: non è un marziano».

Il bacio tra i due ballerini dopo la proposta di matrimonio fatta da Timofej all’Arena di Verona.

·        Nicoletta Strambelli: Patty Pravo.

Mattia Marzi per “il Messaggero” il 23 maggio 2022.

«Le passo la signora», risponde dall'altra parte del telefono l'assistente di Patty Pravo. La cantante si avvicina alla cornetta una decina di secondi più tardi. «Buongiorno», dice con calma. Sono le 15.30. In questi giorni, a 74 anni, il suo calendario è pieno. La voce di Pazza idea sta girando l'Italia con il tour Minaccia bionda, condividendo i palchi dei teatri con l'amico Pino Strabioli per ripercorrere tra canzoni e aneddoti una straordinaria carriera ultracinquantennale da 120 milioni di dischi venduti (farà tappa al Parco della Musica di Roma giovedì).

Lo stesso Strabioli, nella prefazione al libro che dà il titolo alla tournée, l'ha definita «un'opera d'arte» vivente, capace di attrarre poeti come Léo Ferré e Vinícius de Moraes, artisti come Tano Festa e Mario Schifano (nel suo studio a Campo de' Fiori, nel 66, mentre Ragazzo triste si preparava a scalare le classifiche, incontrò pure degli strafatti Rolling Stones), musicisti come David Bowie e Jimi Hendrix (girarono per Roma di notte fumando una canna a bordo di una Cinquecento, prima di essere fermati dalla polizia lo racconta nel libro La cambio io la vita che). «Mai guardarsi indietro, nella vita», è la sua filosofia. 

Non ha mai pensato di chiedere a qualche sceneggiatore di trasformare il libro in un film?

«Onestamente un'operazione del genere non mi interessa, nonostante il genere stia andando parecchio». 

Perché?

«Non mi piace ripensare al mio passato. Non passo le giornate a guardarmi indietro. Guardo avanti, piuttosto». 

Il suo presente com' è?

«Pieno di impegni. Sto lavorando a un nuovo disco, il primo dopo tre anni. Conterrà brani inediti». 

L'attrice perfetta per il ruolo della protagonista di questo ipotetico film?

«Non ne ho la più pallida idea. Lei mi fa delle domande alle quali non so davvero come rispondere. Ma non dovevamo parlare dello spettacolo?».

Certo. Ma racconta il suo passato, e lei ha detto che preferisce guardare avanti.

«Il fatto è che non sono una nostalgica. C'è da dire, però, che a Roma sarà una serata speciale, quanto a ricordi. Gioco in casa. Avevo 17 anni quando arrivai al Piper». 

Come ci arrivò?

«Partendo da Londra a bordo di un Maggiolino bianco. Mi aveva parlato del locale un ragazzo italiano che avevo conosciuto a Londra, dove mi ero trasferita per studiare la lingua. Erano gli anni dei Beatles. C'era un profumo particolare, che si percepiva in tutto: nei ragazzi, nella musica, nei club, nelle idee. Lo ritrovai tra le pareti del locale di via Tagliamento, che diventò nel giro di poco tempo il crocevia principale per la musica dal vivo in Italia». 

È vero che al Piper litigò anche con i Pink Floyd?

«Sì. Vennero a suonare a Roma nel 68. Accusarono me e il dj Beppe Farnetti di avergli rubato l'idea di un effetto psichedelico di luci da proiettare sui muri durante i concerti. Uno di loro si avvicinò tutto serio: L'idea è nostra. Andai su tutte le furie». Come finì? «Capì che avevamo avuto la stessa pensata. Mi tese la mano: Piacere, Roger Waters». 

Le hanno detto che Virginia Raffaele la imita a teatro? «Sì, l'ho saputo. È brava, no?». Non se l'è presa?

«Avrei dovuto?».

Ornella Vanoni non fu contentissima della sua imitazione: Mi fa passare per una rimbambita, disse.

«Io ci ho riso su. Ci siamo divertite insieme».

Le capita mai di passare davanti al Piper, oggi?

«È successo una volta e ho provato tristezza. La magia svanì già negli Anni '70, con la disco music. Buttarono via anche i dipinti di Warhol. Peccato che nessuno abbia fatto niente per valorizzarlo come luogo di culto, come il Cavern Club di Liverpool».

Alessio Poeta per Chi il 30 marzo 2022.

«Stia in silenzio e si guardi attorno. Poi, lentamente, chiuda gli occhi e si affidi totalmente alla bellezza». Un tramonto, il rumore del vento e il garrito incessante dei suoi amati gabbiani. 

«Li sente?», domanda emozionata. È racchiuso qui, in una terrazza in pieno centro storico a Roma, a pochi passi dal Quirinale, il concetto di serenità di Patty Pravo. Creatura mitologica e ultima diva della musica italiana sospesa, da sempre, tra sacro e profano. Leggenda per molti, opera d’arte per altri, si prepara alla partenza della “sua” Minaccia Bionda: «Più che una tournée, un viaggio».

Domanda. Direzione?

Risposta. «La vita! Sarà uno spettacolo diverso. Un vagabondaggio continuo tra canzoni, aneddoti e filmati, con la voce narrante di Pino Strabioli. Chiudo qui, dopo un libro e una prima serata su RaiUno, un capitolo importante della mia vita».

D. Poi?

R. «Assisterò alla mia ennesima evoluzione». 

D. Quante ne ha avute?

R. «Non ne ho memoria: i ricordi non fanno parte del mio Dna e lasciarsi catturare dalla nostalgia, mi creda, è soltanto uno spreco di energie. Sono sempre stata interessata a far capire ciò che sono e non quel che ero». 

D. Per vivere bene, quindi, meglio rimuovere?

R. «Non cancello, ma voltarsi indietro può essere pericoloso, oltre che di una tristezza infinita. A oggi ho sempre seguito l’istinto e il mio faro è, tuttora, l’incoscienza». 

D. Il 9 aprile compirà 74 anni.

R. «Lo scriva: in quei giorni sarò nel pieno delle prove. Chi mi conosce sa che la mia posizione sul compleanno non è poi così stabile. Gli auguri fanno piacere, per carità, ma potrei farne tranquillamente a meno. Solo una volta ci rimasi malissimo, salvo poi scoprire che non era il mio genetliaco. Avevo sbagliato data» (ride, ndr). 

D. Da ragazzina era indecisa se morire nel pieno della vita o alla fine del cammino...

R. «La morte è un passaggio. Quella dichiarazione la feci agli inizi della mia carriera. Mi dissi: “È un miracolo se arriverò sana e salva ai 30 anni”».

D. Ribelle e rivoluzionaria, è stata la prima a parlare d’indipendenza, libertà sessuale, divorzio.

R. «La mia vita, in qualche modo, rispecchiava quei valori lì. La Bambola divenne un inno femminista a mia insaputa». 

D. All’anagrafe lei è Nicola: nome maschile.

R. «Mai avvertito come un problema. A Venezia mi chiamavano tutti Nina. Successivamente diventai Nicoletta, Guy Magenta e, infine, Patty Pravo. Io, per dovere di cronaca, mi chiamo “la Strambelli”. Amo l’originalità del mio cognome: “strambi, ma belli”». 

D. La sua sessualità, almeno all’inizio, era elemento di discussione...

R. «Pensavano tutti fossi un uomo! Andarono persino da mio padre per averne conferma».

D. E lei?

R. «Ci risi su. Del resto, anche se fosse, dove sarebbe stato il problema? Una smentita, poi, non è nient’altro che una notizia data due volte». 

D. Così come una mancata smentita conferma una sconveniente verità..

R. «Hanno iniziato a scrivere di me quando avevo 17 anni e, a oggi, non hanno ancora smesso. Sa quante cose avrei dovuto rinnegare? È stato detto e scritto di tutto: eccessi, droghe mai viste, amori inesistenti, viaggi mai fatti. Oggi, forse, mi vogliono più bene, ma in passato, per disintossicarmi da certe chiacchiere, scappai persino all’estero». 

D. Scrissero: “Patty Pravo alla deriva economica”.

R. «Mentre vivevo allo Chateau Marmont di Los Angeles!» (ride, ndr).

D. Libera e innamorata?

R. «Libera, sempre. Innamorata, talvolta». 

D. Cos’ha capito dell’amore?

R. «Che non sono solo farfalle nello stomaco. L’amore è un mare profondo dove perdersi».

D. Cinque mariti non se li possono permettere tutti.

R. «Il primo fu Gordon Faggetter, il batterista dei Cyan Three. Ci promettemmo che se ci fossimo lasciati non avremmo mai avuto un figlio con nessun altro». 

D. Rimpianti?

R. «Nessuno: un figlio non è possibile con la vita d’artista».

D. Poi?

R. «Seguì Franco Baldieri – l’unico che non aveva a che fare con la musica – Riccardo Fogli e i due Paul: Martinez e Jeffrey». 

D. Con gli ultimi due fu un “threesome”, un triangolo...

R. «Casuale, nulla di voluto. Ai tempi sembrava impensabile, oggi è normalità. Vivevamo anche assieme. L’ultimo fu Jack Johnson: da lì tutte le chiacchiere su bigamia e trigamia». 

D. Potrebbe sposarsi di nuovo...

R. «Ma per carità! L’amore si trasforma, mentre i matrimoni finiscono, tutti. Per onestà, agli uomini che ho amato ho mostrato subito il peggio di me, così da evitare brutte fregature». 

D. Qual è il suo lato peggiore?

R. «Ho un carattere importante. Che poi, nell’ultimo periodo, mi sono anche piuttosto addolcita: la pandemia mi ha cambiata...». 

D. In?

R. «Direi “in meglio”. Chieda a Simone (Folco, ndr), il mio braccio destro». 

D. Quasi 50 anni in meno. È con lui che esercita la parte accuditiva?

R. «È il contrario: è lui che la esercita su di me, tenendo a bada il mio temperamento. Abbiamo un’affinità elettiva fuori dal comune. Un lampo amoroso di natura diversa».

D. Il primo?

R. «A 14 anni. Nevicava molto e, invece di andare a scuola, provai il sesso in un campo innevato. Piacere carnale e visivo. Poi tornai a casa, lo dissi ai nonni e chiesi loro se potevo tornarci nel pomeriggio. Ci tornai». 

D. L’ultimo?

R. «Qualche tempo fa. Oggi ci sentiamo: telefonate, messaggi e niente più».

D. Lei è cresciuta con i nonni paterni.

R. «Infanzia felice, a riprova che la differenza la fa chi ti cresce e non ti chi ti mette al mondo». 

D. I suoi genitori?

R. «Belli e sfortunati. Arrivo da un parto difficile e doloroso, nato da un amore prematuro, che portò mia madre a vivere fuori da tutto e tutti. La prima a prendermi in braccio fu proprio nonna Maria: donna speciale. Libera e liberale. Io e mamma ci ritrovammo superati i miei 50 anni». 

D. Odio, rabbia e rancore nei suoi confronti?

R. «Tre sentimenti che non mi appartengono. L’amore trionfa, assolvo tutto e tutti».

D. La depressione l’ha conosciuta?

R. «Mai. Un solo attacco di panico nel 2014». 

D. E ha mai dato un volto o un motivo a quel crollo emotivo?

R. «No, perché è arrivato così, d’emblée. Non ho chiamato nessuno e me la sono gestita in solitudine». 

D. L’autodiagnosi?

R. «Stress».

D. Che cosa le genera ansia oggi?

R. «La guerra: mi sento male solo a parlarne. Che ne sarà di quei bambini, di quelle donne e di tutte quelle famiglie? E del domani?». 

D. Lei, il suo domani, come se lo immagina?

R. «Vediamo cosa mi prospetterà il futuro. L’incoscienza è tutta qui».

D. Prega?

R. «Mai! Non ho fede. A monsignor Roncalli, che frequentava casa nostra prima di diventare Papa, dissi che non volevo entrare nell’esercito del Signore. Si fece una risata e invitò nonna a lasciarmi libera nei miei dubbi. “Avrà tempo di trovare le sue risposte”». 

D. E a conti fatti?

R. «Non le ho ancora trovate, ma non è finita qui».

·        Niccolò Fabi.

Niccolò Fabi, festa in Arena: «Una carriera di vita e verità». Andrea Laffranchi su Il Corriere della Sera il 03 ottobre 2022.

Domenica 2 ottobre show per i 25 anni di musica: all’esordio non mi riconoscevo nel personaggio 

Il toro non è il primo animale cui viene in mente di paragonare Niccolò Fabi. Più che alla potenza steroidea, alla forza virile, la musica del cantautore ha preferito affidarsi alla fragilità e alla delicatezza della ricerca sentimentale. Eppure è quello il parallelo che Niccolò si è scelto in «Di aratro e di arena», canzone inedita che ha voluto mettere a chiusura della scaletta dello show di domenica 2 ottobre all’Arena di Verona con cui ha celebrato 25 anni di carriera: «Una canzone astrologica più che zoologica — spiega il cantautore —. Anni fa qualcuno mi disse che nelle caratteristiche del mio segno zodiacale c’era una coesistenza fra due elementi distanti: il muscolare, l’essere votato alla fatica e all’impegno nell’ombra; e una predisposizione alla vanità, all’essere al centro dell’attenzione».

Al centro del palco dell’Arena c’è lui. In solitudine, voce, chitarre e racconto, per la prima parte del concerto, mentre nella seconda si fa accompagnare dall’orchestra Notturna Clandestina, diretta da Enrico Melozzi, e da Roberto Angelini (chitarra) e Filippo Cornaglia (batteria). «Il principio guida è stato quello di spingere sugli estremi e dare a livello emotivo il massimo sia per sottrazione che per addizione — racconta —. Ecco allora la sensazione di solitudine, l’uomo piccolo in un luogo così grande, le basi comunicative elementari, e l’opposto diametrale, il suono esponenziale dell’ensemble arricchito da elementi elettronici».

Gli anni rappresentati nella serata, però, sono solo 24, mancano del tutto le canzoni dell’album di debutto, quello lanciato da un tormentone come «Capelli» che Sanremo Giovani 1997 trasformò Niccolò in un teen idol... «La mia prima apparizione nel mondo spettacolo è stata traumatica. Si era costruito, attraverso radio e tv e per fortuna che all’epoca non c’erano i social, un personaggio mediatico con cui avevo difficoltà a colloquiare. Non reputo le canzoni di quel periodo al di sotto della dignità artistica, ma non era quello che volevo fare. Di “Capelli”, ad esempio, venne cambiato l’arrangiamento. Erano altri a guidare la macchina. Col secondo album mi sembrava di essere in un frullatore, ho messo la mano fuori dal finestrino e mi sono aggrappato al palo per fermare tutto: da quel momento le due rette, quella del personaggio con il mio nome e la mia si sono avvicinate».

Non è ancora il momento per far pace con quell’epoca. «Non so se capiterà mai. E anche rifare “Capelli” in un modo diverso, come mi sono sentito forzato a fare in passato, scontenterebbe tutti: quelli a cui piace e quelli che non la sopportano». «Di aratro e di arena» e la ballad «Andare oltre», uscita nelle scorse settimane, sono le due canzoni nuove che andranno a completare «Meno per meno», album in uscita il 2 dicembre, in cui Fabi rileggerà il suo repertorio con l’orchestra.

Ha abituato chi lo ascolta al cambiamento, al non affidarsi alla comfort zone: l’ultimo «Tradizione e tradimento» era cantautorato che si appoggiava a degli inserti elettronici; quello prima, «Una somma di piccole cose», era nato in una casa ed era poco più di voce e chitarra. In futuro potrebbe essere punk... «Sono curioso pure io, ma credo che ci dovrà essere una forte discontinuità... Non posso prescindere dalla verità e dalla vita, ma potrebbe essere qualcosa di spigoloso e acuminato, magari mettendo meno emotività per poter giocare di più». Nelle regole, però, non c’è un altra partecipazione a Sanremo, per chiudere il cerchio con il passato: «Non fa parte dei miei giochi. Il Festival è una cosa troppo seria per me».

·        Nina Moric.

Giulia Turco per fanpage.it il 3 novembre 2022.

Nina Moric fa impazzire Francesca Fagnani. Una lunga e confusa intervista quella andata in onda nella puntata di Belve di mercoledì 2 novembre, in cui la giornalista fatica a seguire il filo del discorso di Moric che si contraddice a distanza di pochi minuti, che afferma e smentisce se stessa ogni tre per due. 

Dal suo passato e le presunte violenze subite dai genitori, il matrimonio travagliato con Fabrizio Corona e il rapporto di oggi con il figlio Carlos, fino al suo periodo di "estrema destra". 

Le presunte violenze da parte dei genitori

Che belva si sente Nina Moric? "Una volta avrei detto pantera, oggi invece sono un essere umano, che è la bestia più feroce di tutte", spiega fiera della risposta. " 

Mi sono sempre spogliata mettendomi a nudo, ma non ho mai perso la dignità. Sono fiera della donna che sono oggi. Il mio nome? L'ho tatuato sul braccio per paura di perdermi". È un susseguirsi di dichiarazioni delle quali è difficile tenere il filo. "Dicono che sono malata di mente, ma nessun medico me lo ha mai diagnosticato". Fagnani la mette davanti ad alcune sua dichiarazioni passate, quando ammise di aver subito violenze psicologiche, dalla sua famiglia. Ma di una cosa è certa: "Non sono una bugiarda, oggi dico la pura verità. In passato mi sono creata delle verità parallele".

Ogni volta in base a come mi sentivo davo una versione diversa, magari non è accaduto niente, magari devo solo ricordarmi che ho avuto due genitori che hanno fatto del loro meglio. Si tratta di auto flagellazione. Mi sono fatta soltanto del male da sola. 

Il rapporto con Fabrizio Corona e il figlio Carlos

"Nella mia vita è sempre mancato un punto fermo, una famiglia", ammette. "Con Corona eravamo due persone infelici, entrambi molto fragili". Ecco perché la situazione sarebbe sfociata nel caos più totale. Tra gli episodi più dolorosi le accuse dell'ex marito di aver rubato 50mila euro. Corona coinvolse anche il figlio Carlos. "Da mio figlio non me l'aspettavo. Non ho mai rubato nulla. La cosa più triste è che mi abbia attribuito un valore economico, come se valessi quei soldi. Carlos non ha rancore nei miei confronti, ha solo paura del padre e come madre io non sento di aver sbagliato nulla". 

La vicinanza a Casapound nel periodo Favoloso

Fagnani ripercorre il periodo di estrema destra di Nina Moric. “Ma quale donna di destra”, smentisce lei. “Sono dislessica, non so neanche qual è la destra e la sinistra. Ho abbracciato quella battaglia, ma non capivo niente. Sono stata manipolata per interessi di altri”. 

Al suo fianco in quel periodo c’era Luigi Favoloso e la modella arrivò persino a volersi candidare per Casapound. La giornalista è spiazzata dai suoi continui giri di parole, che la confondono: “Lei si è sempre dichiarata di destra. Ora dice che lo ha fatto perché è stata manipolata, ma non gliene importava nulla. Però non lo rinnego”. Nina Moric sbotta: “Allora vedi che non mi segui”. Fagnani chiude con classe: “No no, ci sto provando, in tutti i modi”.

Dalla malattia della madre all'allontanamento del figlio: la crisi di Nina Moric. Novella Toloni il 26 Marzo 2022 su Il Giornale.

La modella croata ha raccontato il difficile momento che sta attraversando tra la malattia della madre e i complicati rapporti con gli uomini e l'ex compagno.

Nina Moric torna in televisione e lo fa con un'intervista toccante e a tratti complicata. Difficile per lei parlare degli ultimi mesi, nei quali ha preso le distanze da Fabrizio Corona, è stata travolta dai gossip e si trova ad affrontare la malattia della madre. "Sono in una fase transitoria della mia vita. Sto tornando in Croazia perché mia mamma non sta bene: ha la demenza senile. Voglio starle vicino e cercare di dare un equilibrio alla mia vita", ha raccontato la Moric a Verissimo.

Ospite nel salotto televisivo di Silvia Toffanin, Nina Moric ha parlato degli ultimi mesi, un periodo che la sta mettendo a dura prova. La modella croata è stata lontana dalla televisione negli ultimi due anni e si è concentrata su se stessa e sul figlio Carlos Maria. Ma questo non l'ha tenuta lontano dalle difficoltà. "Il mio passato mi perseguita nonostante abbia cercato di nascondere i miei demoni. Non sempre si riescono a gestire le cose come si vorrebbe", ha confessato nell'intervista rilasciata a Verissimo in onda sabato 26 marzo.

Quella felicità ritrovata al fianco dell'ex compagno, Fabrizio Corona, e del figlio Carlos Maria - mostrata sulla prima pagina del settimanale Chi ad agosto 2020 - sembra essere solo un lontano ricordo. La modella ha rivelato di avere preso le distanze da Corona: "Con lui non ci sono rapporti. Per il mio benessere, mi devo voler bene. Se continuo con questa cosa non ci sarà mai un lieto fine". Complesso anche il rapporto con il figlio che oggi, ha confessato: "Non sta più studiando e questo mi spiace. Per lui sono e sarò sempre un porto sicuro, lo amo più della mia stessa vita".

Nina Moric: "A 16 anni sono andata via di casa"

Oggi Nina Moric è concentrata sulla madre e sulla sua salute. Parlare di amore e uomini non le interessa. Dopo la fine della tormentata relazione con Mario Luigi Favoloso e la storia con un ragazzo più giovane di lei, Nina ha messo da parte l'amore: "Non credo più di essere capace di essere una compagna. Ormai mi sono svuotata, sono diventata cinica. È meglio che gli uomini stiano lontano da me perché potrei essere soltanto un danno". La modella ha confessato di essere scesa più volte a compromessi pur di non sentirsi sola. Una scelta che oggi non vuole più fare.

Verissimo, Nina Moric furiosa: "Terzo grado?", la domanda scomoda sul figlio di Silvia Toffanin. Libero Quotidiano il 26 marzo 2022.

Non è mancato un momento di tensione nello studio di Verissimo tra Silvia Toffanin e Nina Moric. Quest’ultima mancava dalle scene televisive da un po’ di tempo e ha scelto in contenitore storico del sabato pomeriggio di Canale 5, anche se poi non ha gradito alcune delle domande, che erano doverose, dato che se si parla ancora della Moric è anche per via dei rapporti con il figlio Carlos e con l’ex Fabrizio Corona.

La 45enne croata è apparsa a tratti irrequieta, soprattutto quando si è parlato di suoi figlio, al punto da non aver voluto guardare le immagini che la ritraevano assieme a lui. Al rientro in studio la Toffanin ha provato a indagare su questo atteggiamento, provocando la reazione scomposta della Moric. “Ma è un terzo grado?”, ha affermato con un sorrisetto piuttosto infastidito. La Toffanin le ha risposto con il solito garbo che la contraddistingue: “No, non è un terzo grado. Se non ti va di parlarne…”. “Sono stufa di avere sempre questo bagaglio in ogni trasmissione”, ha aggiunto la Moric.

La quale poi ha provato a cambiare discorso: “Non voglio venire in tv in queste vesti da vittima. Io sono grande, emancipata ed evoluta. Ho 45 anni, non sono una ragazzina. Sono in una fase transitoria: sto tornando in Croazia perché mia madre non gode di buona salute, ha la demenza senile, ma alla fine sta meglio di noi perché meglio dimenticare certe cose”.

Andrea Pelagatti blitzquotidiano.it il 14 gennaio 2022.

Nel corso dell’ultima puntata del Grande Fratello Vip, il chirurgo Giacomo Urtis ha svelato una notizia di gossip ad un’altra concorrente Sophie Codegoni. Secondo il suo racconto, avrebbe avuto una relazione a tre con Fabrizio Corona e quella che all’epoca era sua moglie Nina Moric. Sulle sue dichiarazioni, è intervenuto lo stesso Corona. Infatti l’ex fotografo dei vip ha scritto sui social: “Amore mio unico grande e solo… era un nostro segreto… dai!”. 

“Lui non ne ha mai fatto mistero. Vivevo in Sardegna e non conoscevo nessuno. Mi ha presentato tutti lui… Mi diceva di andare a vivere da lui. Ci siamo conosciuti in aeroporto. Ho visto un braccio tutuato, pieno di gioielli, mi sono girato e ho detto ‘Piacere Giacomo’, e lui ‘Piacere Fa….”.

La replica di Fabrizio Corona a Giacomo Urtis attraverso Instagram

Le dichiarazioni di Urtis hanno scatenato un polverone sul web e sui siti di gossip. Così Corona ha preso la palla al balzo e ha commentato nel seguente modo tramite Instagram: “Amore mio unico grande e solo… era un nostro segreto… dai!”. 

Insomma, l’ex fotografo dei vip ci ha scherzato su ma allo stesso tempo non ha nemmeno smentito questa notizia di gossip. Purché se ne parli… 

Dagonews il 14 gennaio 2022.  

A tirare in ballo Nina Moric è stata quella pazzariella, dalla lingua biforcuta, di Giacomina Urtis. Nel corso dell’ultima puntata del Grande Fratello Vip, il "visagista delle dive", parlando con Sophie Codegoni, ha sostenuto di aver avuto una relazione a tre con Fabrizio Corona e quella che all’epoca era sua moglie, cioè Nina Moric. 

Quella di Urtis è una vecchia storia di trasgressione o una millanteria da pavoncello botulinato? Dagospia lo ha chiesto direttamente alla Moric.

Ha sentito cosa ha rivelato Urtis: avete avuto una storia a tre, con Corona "condiviso"?

Lo giuro su mio figlio, non sono io il terzo incomodo di questa storia. Io a quell'epoca ero già separata da Fabrizio Corona, che già stava con Belen Rodriguez…

Facciamo ordine con le date…

Ho conosciuto Giacomo Urtis in Sardegna nel 2005. Ero in vacanza ed ebbi un incidente in mare: fui morsa dalle meduse. In quell'occasione mi fu presentato come estetista e dermatologo. A quell'epoca era ancora etero e mi fece conoscere la sua fidanzata. 

Quindi niente sesso a tre?

Ma io ne so gestire a malapena uno, figuriamoci due! E poi mi viene il vomito al solo pensiero di vedere a letto Urtis e Fabrizio…

Allora perché Urtis ha raccontato questa storia?

Finché siamo stati insieme, Fabrizio neanche lo conosceva Urtis. Sì, Giacomo aveva il desiderio di agganciarlo ma sono diventati amici solo dopo dicembre 2008, quando noi ci siamo lasciati e Fabrizio stava già con Belen. Quindi non posso essere io la donna del triangolo… 

·        Nino D'Angelo.

Luigi Bolognini per “la Repubblica” il 23 febbraio 2022.

Estate 1985, Londra. Un gruppo di studenti valtellinesi, desiderosi di cibo vero, afflitti e stremati da giorni di agnello alla menta e pasticcio di rognone, è accolto dal gestore napoletano di una pizzeria con un accorato: "Ma voi che venite dall'Italia, è vero che Nino D'Angelo è morto in un incidente in motorino?". 

La risposta a questa leggenda parte metropolitana e partenopea sta nel tour che Nino D'Angelo ha messo in piedi per il quarantennale del suo personaggio dello scugnizzo, il ragazzino col caschetto biondo 'Nu jeans e 'na maglietta che sfrecciava proprio in scooter per Napoli cantando l'amore per le ragazze e il calcio, soprattutto dopo l'arrivo di Maradona.

A marzo si parte il 3 da Pescara per toccare tra l'altro Palermo (9), Torino (18), Roma (27) e ad aprile Napoli (9), Milano (11) per chiudere a Parma il 7 maggio. 

D'Angelo, altro che morte nel 1985: il caschetto biondo un po' è cascato e un po' si è incanutito, ma lei è sempre qui e anche se di anni ne ha quasi 65 continua a sentirsi come quel ragazzino di allora.

«Beh no, per fortuna sono cambiato, altrimenti sarebbe ben triste. Ma certo quel ragazzino mi sta molto simpatico per la sua leggerezza, la sua felicità, anche la sua povertà. E non sa quante leggende tipo quella londinese giravano: ogni due per tre venivo dato per morto. Forse mi hanno allungato la vita. Di sicuro io ricomincio a vivere adesso, con questo tour». 

Fa male cancellare tutto e stare a casa in lockdown, vero?

«Una cosa esagerata, non ho mai aspettato di cantare come in questo momento, il pubblico è una droga, anche più di quanto pensassi. Il palco è come l'aria, il vaccino che ti leva la malattia.

Io sono stato abituato a girare, muovermi, recitare, cantare. Il mio lavoro è tutto, la mia vita. Se e quando mi ritirerò farò come quegli operai che vanno in pensione dopo 50 anni di lavoro, ma che già passate le prime 2-3 settimane si ritrovano a guardare i cantieri con gli altri vecchietti. Comedite, umarell, giusto?». 

Giusto. Ma allora lei sa parlare. Glielo chiediamo perché il tour si intitola "Il poeta che non sa parlare", come la sua divertente autobiografia, edita da Baldini+ Castoldi.

«Nel libro spiego questo soprannome: me lo diede la professoressa di italiano delle medie. A scuola parlavo napoletano, non italiano, facevo errori grammaticali, ma secondo lei scrivevo cose profonde, capaci comunque di arrivare al cuore. All'inizio mi parve una cosa brutta, in realtà era un magnifico complimento. 

Trasformerò tutto in uno spettacolo di teatro canzone alla Giorgio Gaber, raccontandomi grazie alle mie canzoni». 

Ma quali canzoni? Ovvero, con una carriera così lunga come fa a sceglierle?

«Facile: non ci pensi, perché sai che comunque qualcuno scontenti se non fai un concerto di otto ore. Poi vai di equilibrio tra anni Ottanta, Novanta e Duemila. Di sicuro il periodo dello scugnizzo non può mancare mai, e non solo perché questo è un tour celebrativo: quelle sono le mie origini, lì c'è la mia povertà, che non rimpiango, ma neppure rinnego perché mi bastava poco per essere felice, E poi quelle canzoni furono davvero una rivoluzione». 

Addirittura?

 «Lei non è napoletano, vero?». 

Non esattamente.

 «Allora non può capire. Ma le spiego. Io dovevo essere, per sua stessa dichiarazione, l'erede di Mario Merola nella sceneggiata napoletana. Grandioso artista, grandioso genere, ma io volevo fare il pop. E le mie canzoni del periodo scugnizzo hanno portato i giovani napoletani ad amare la canzone della loro città. Le scrivevo mentre mia moglie faceva le pulizie per casa. Le dissi: "Che fortuna che hai, ti ho risolto i problemi con queste musiche". Anche se non fu facile».

Perché?

«Perché ero ostracizzato. Tanti prendevano posizione contro di me per pregiudizio, perché ero come mi vedevano. Io sono stato amatissimo da un certo pubblico e odiatissimo da quest' altro, che poi è passato ad amarmi quando c'è stata la mia rivalutazione. 

Ma spesso in Italia alla lunga si viene rivalutati. Io volevo essere amato da tutti, essere figlio di tutta Napoli, invece mi dicevano "di una certa Napoli". Questo è stato per tanto tempo il mio errore, che mi ha buttato in depressione, ma dico sul serio.

Invece alla lunga ho avuto ragione io: ha cominciato a cambiare tutto quando sono andato a Sanremo con Senza giacca e cravatta. E ora ho un pubblico composito, il minimo del colto accanto al massimo del colto. E sono felice». 

A proposito di felicità, qual è stato il suo momento più alto, nella sua vita artistica?

«Il concerto per i 60 anni allo stadio San Paolo. Mi è passata tutta la vita davanti agli occhi. Ed ero nella curva B, la mia curva, quella dove andavo a tifare Maradona. Uno che ha pagato i suoi errori con la vita, un campione, ma umile come me. Ecco, ovviamente non oso per nulla accostare il mio talento al suo, ma lui ci ha messo sempre la faccia, Come ho fatto e faccio io».

·        Nino Frassica.

Luca Pallanch per “La Verità” il 3 novembre 2022.

Da quasi quarant' anni è un volto riconosciuto del mondo dello spettacolo, una presenza rassicurante per il pubblico di ogni età. Nino Frassica gioca sulla scena con le parole, coltivando l'arte del nonsense che nel mondo della musica ha avuto l'illustre precedente di Rino Gaetano. Due uomini del Sud che hanno fatto fortuna nella Capitale, non tradendo mai le loro origini, evocate nel caso del comico dal suo inconfondibile accento messinese. 

Quali sono i suoi progetti?

«In questo momento sto aspettando l'uscita del mio nuovo libro, prevista per il 15 novembre». 

Un altro libro?

«Sì, questa volta è un romanzo, diverso dai precedenti. Ci tengo molto, sono emozionato». 

Come si intitola?

«Paola, sottotitolo Una storia vera (edito da Mondadori, ndr), però non è vero assolutamente niente. Mi sono sbizzarrito, ci ho messo dentro di tutto. È la storia surreale, di una donna alla quale succede qualsiasi cosa: ha genitori particolari, amici particolari, fidanzati particolari, vive in un luogo particolare, è tutto particolare!». 

Come le è venuta in mente?

«Volevo uscire dal solito genere del gioco di parole, che non rinnego e continuerò a farò, e fare un racconto». 

Quindi non è autobiografico «Per niente!». La sua autobiografia era molto ironica.

«Era 70 per cento vero, 80 per cento falso, per fare un titolo spiritoso, ma la verità è che era tutta falsa». 

Quindi deve ancora scrivere un'autobiografia!

«Non la voglio fare. Voglio scherzare e basta». 

Un'intervista ha sempre qualcosa di autobiografico. Ha avuto fin da piccolo questa vocazione alla spettacolo?

«C'era un momento in cui non avevo capito che cosa volessi fare: mi piaceva suonare e cantare, ma cantavo male, scrivere poesie e canzoni d'autore, ma non erano belle, poi siccome mi veniva facile far ridere, mi sono specializzato nella comicità».

Ricorda la prima volta che si è esibito in teatro?

«Come no: il 2 marzo 1970, il teatro Laudà, lo spettacolo si intitolava C'è, ci fu, ci sarà la scuola e l'ho scritto io, oltre a recitare insieme ad alcuni miei compagni di scuola». 

Come è andata?

«Bene, naturalmente con tutte le ingenuità possibili di chi non ha mai fatto niente, però c'era senso dell'umorismo, la gente rideva. Non eravamo Gassman, però eravamo divertenti. Tra l'altro, ho scelto i miei compagni non tanto come attori, perché nessuno lo era, ma per le facce toste. Chi ha la faccia tosta ha qualcosa dell'attore. Ho trovato i più figli di buona madre e abbiamo fatto lo spettacolo». 

Com' è riuscito a entrare nelle radio e tv private dell'epoca?

«Perché avevano bisogno di ragazzi per coprire il palinsesto. Di solito mettevano dischi e dicevano: "Ciao ciao", io invece tentavo di fare il varietà. Erano trasmissioni comiche torniamo all'impreparazione, all'ingenuità, però erano varietà. 

Poi ha fatto una telefonata a Renzo Arbore

«Sì, per farmi conoscere, gli sono piaciuto e mi ha chiamato».

Che messaggio gli lasciato?

«Non gli chiedevo di lavorare, facevo lo spiritoso. La prima volta era: "Sono un ammiratore, al mio tre stacco tre". Ho staccato. Poi: "Non ti sto trovando. Magari provo a chiamarti alle quattro di mattina". Ovviamente non lo chiamavo. Poi finalmente ho lasciato detto: "Mi chiamo Frassica, sono di Messina, il mio numero di telefono è questo"». Lui mi ha chiamato per dirmi: "Sei forte, che fai, che non fai?"». 

Come mai proprio Arbore?

«Perché facevo quella comicità là. Era più giusto lui rispetto a Corrado, Mike Bongiorno o Pippo Baudo, che facevano una tv più classica». 

Il numero come lo avevi avuto?

«Sull'elenco del telefono. Arbore Lorenzo, via Bruno Bruni, la vecchia casa».

Per Quelli della notte le ha fatto un provino?

«No, lui aveva fatto il cast, insieme a Ugo Porcelli, chiamando le persone che voleva in quel salotto e io ero uno dei primi. Mi conosceva perché mi aveva chiamato per tre anni alla radio». 

Aveva già fatto una particina nel film diretto da Arbore F.F.S.S. cioè «...che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene?».

«Sono andato a trovarlo alla Safa Palatino e lui mi ha buttato in mezzo, io non sapevo manco che dovevo fare! 

Ha improvvisato. Mi ha detto: "Mettiti là, fai questo"». Che ricordi ha di Quelli della notte?

«All'inizio non capivamo niente di cosa stesse succedendo, poi piano piano è esploso il fenomeno Arbore. Con ognuno di noi lui faceva due passaggi solamente, perché poi c'erano la musica, tante rubriche, altre cose, e io al primo passaggio facevo il concorso cuore d'oro e al secondo il nanetto di Sani Gesualdi». 

Quelli della notte le ha cambiato la vita. Come ha vissuto il successo?

«Cercavo di stare attento a scegliere bene perché mi facevano mille proposte».

Le hanno proposto subito di fare un film?

«Mica solo un produttore, tutti! Ho accettato la proposta di Giovanni Bertolucci perché mi ha detto: "Scegli tu con chi scriverlo e chi vuoi come regista". Ed è nato Il Bi e il Ba, diretto da Maurizio Nichetti». 

Com' è stato accolto?

«È andato bene, però non è stato un successone, come penso meritasse, perché era troppo surreale, troppo diverso da tutta la comicità che si faceva in quel periodo. Forse perché era 30 anni, 40 anni avanti, forse doveva uscire ora». 

In Indietro tutta! era la figura di raccordo di tutto il programma. Com' è nato?

«Arbore mi voleva nelle vesti di un presentatore di un programma sballato e, parlando parlando, è venuto fuori Indietro tutta!». 

Improvvisavate?

«Il 90 per cento. La bellezza era quella. Il comune denominatore era la capacità di improvvisare. Tutti quelli che chiama, Renzo vuole che non si perdano d'animo e vadano avanti qualunque cosa succeda, e poi che abbiano lo stesso gusto suo, una comicità intelligente e moderna». 

I giochi di parole li usava già prima di incontrare Arbore?

«Sì. La prima cosa che usa spesso il comico è storpiare, prendere fischi per fiaschi.

Io però non storpiavo le parole e basta: rovinavo la logica, le cose che dicevo erano assurde. Questa è la mia comicità. Io non faccio virtuosismi e cambiamenti di voce». 

È tutto giocato sull'uso della lingua, quindi occorre una padronanza assoluta dell'italiano per sovvertirlo.

«No, basta la terza media! In realtà, la storpiatura non è così facile, ci vuole un'associazione di idee e suono: è musica».

Che studi aveva fatto?

«Ragioneria. Puntavo a essere promosso». 

Ha mai guardato a qualche comico del passato come modello?

«Come no! Totò prima di tutti, poi Cochi e Renato, Mario Marenco, anche Diego Abatantuono». 

A un certo punto ha intrapreso anche una carriera cinematografica. Che opinione ne ha?

«Cinematograficamente sono ancora in credito, credo di non aver dato quello che avrei potuto dare, in televisione sì, ne ho fatta tanta, forse ne potevo fare di meno». 

Ha un ruolo al cinema che ama?

«In realtà, cerco di far somigliare il personaggio a me, fin quando si può, non lo caratterizzo. Il cinema naturalmente è diverso dal varietà, devi sottostare alla sceneggiatura, però anche sul set, se mi lasciano improvvisare, improvviso». 

Qual è il film che le ha dato più soddisfazione?

«La scomparsa di Patò, dal romanzo di Andrea Camilleri». 

I film natalizi?

«Il primo è stato Vacanze di Natale '91. Io non lo volevo fare, però mi hanno detto che c'era anche Alberto Sordi. Allora ho detto: "Se accetta Sordi". Poi ne ho fatti vari, anche perché mi piaceva lavorare con Enrico Oldoini e con Carlo Vanzina». 

Negli ultimi anni ha lavorato spesso con Maccio Capatonda.

«Sono un suo ammiratore e lui è un mio ammiratore. Ci ammiriamo a vicenda Io l'ho chiamato alla radio, in una trasmissione della Rai, adesso ogni cosa che fa mi chiama e questo mi fa piacere». 

Oltre a lui, chi apprezza tra i nuovi comici?

«Herbert Ballerina, Valerio Lundini, Massimo Bagnato, Ficarra e Picone, Checco Zalone. Mi piacciono quelli che fanno del surrealismo». 

Ha mai pensato di passare alla regia?

«No, perché fisicamente non ce la farei. Il regista pensa a troppe cose: secondo me, è una cosa faticosissima. Mi piacerebbe però dirigere i colleghi».

Nella sua carriera cinematografica si è tolto varie soddisfazioni, come essere diretto da Sofia Coppola, che l'aveva scelta come presentatore in Somewhere.

«Lei da bambina era venuta con suo padre a Milano per la cerimonia dei Telegatti e voleva raccontare questo episodio della sua vita, quindi abbiamo simulato una serata di Telegatti in cui io e Simona Ventura presentavamo gli ospiti. Mi ha chiamato perché ha cercato su Youtube "presentatori italiani" e ha visto dei miei filmati da "bravo presentatore", pensando che io fossi veramente in quel modo!».

Poi ha inseguito Johnny Depp in The Tourist di Florian Henckel von Donnesmarck.

«Ho fatto un carabiniere. Il regista è tedesco e sua madre è una mia fan in Don Matteo, che viene trasmesso in televisione perché Terence Hill è molto popolare in Germania.

Il figlio le aveva promesso che "appena devo fare un film in Italia mi invento una cosa e lo chiamo". 

Così è stato. Quella scena dell'inseguimento poteva farla anche un altro attore, invece ha voluto proprio me per fare un regalo a sua madre. Lo ha raccontato nella conferenza stampa». 

Con Terence Hill ha legato umanamente?

«Siamo molto amici, ci sentiamo spesso. Abbiamo fatto 260 puntate assieme, grazie a Oldoini, che ha diretto la prima stagione di Don Matteo. Enrico mi apprezzava e mi ha voluto, dopo avermi diretto in varie commedie, come Anni 90 e Miracolo italiano».

Nino Frassica, tutte le curiosità: «Da ragazzo saltavo la scuola per andare al cinema. Poi l’incontro con Arbore e la carriera». Teresa Cioffi su Il Corriere della Sera il 2 Settembre 2022.

Dall’adolescenza ai messaggi in segreteria lasciati ad Arbore, dagli amori a quella volta che Terence Hill gli ha salvato la vita: tutto quello che c’è da sapere su Nino Frassica

Energia e passione

Attore, cabarettista, conduttore, volto amato della comicità italiana, Nino Frassica ha iniziato la sua carriera negli anni ‘80. Prima il teatro e la televisione a livello locale, poi il grande debutto nel 1985 nel varietà «Quelli della notte». In seguito la scalata verso il successo, alimentata da quell’energia e da quell’amore per la recitazione che gli hanno sempre donato una marcia in più. Nino Frassica è passato dal «bravo presentatore» di «Indietro tutta!» al cinema e alle serie tv, fino a interpretare il ruolo del Maresciallo Cecchini in «Don Matteo». Un’avventura iniziata nel 2000 con Terence Hill, che nei panni di Don Matteo mette il naso nelle indagini della polizia di Gubbio e regolarmente suggerisce quell’indizio indispensabile per risolvere il caso. I due personaggi sono amatissimi e da 22 anni lavorano sul set di «Don Matteo», una produzione alla quale Frassica è affezionato. D’altronde, come potrebbe non esserlo un attore che si è innamorato del mondo dello spettacolo quando era ancora un ragazzo?

Saltava le lezioni per andare al cinema

Nino Frassica è nato a Messina l’11 dicembre del 1950. Sin da giovane ha sempre avuto chiaro cosa significasse seguire la strada dei propri sogni. E lui iniziò a farlo da giovanissimo. La mattina, invece di uscire di casa e camminare sulla via che lo avrebbe portato a scuola, era solito a deviare il percorso e dirigersi verso il cinema. Lo ha raccontato lui stesso in un’intervista: «Mio padre voleva che facessi il geometra, a me non piaceva perché l’istituto era frequentato tutto da maschi, mentre la vicina scuola di ragioneria era piena di femmine - ha spiegato- Per ubbidienza frequentai il primo anno da geometra, venni bocciato per le assenze, perché la mattina mi chiudevo nei cinema a guardare film a ripetizione. In seguito passai alla ragioneria». E poi Nino Frassica passò alla scuola di Renzo Arbore, maestro che lo prese sotto braccio e lo accompagnò nei programmi televisivi più noti, a partire da «Quelli della notte».

I messaggi lasciati in segreteria telefonica ad Arbore

«Io ero cresciuto a pane e Alto gradimento, la mia scuola, la mia luce, ne ero un ammiratore sfegatato. L’idea di chiamare Arbore, il numero lo avevo trovato semplicemente sull’elenco telefonico, mi era venuta leggendo che Andy Luotto gli aveva telefonato e lo showman, dopo averlo ascoltato, lo aveva convocato e poi scritturato». Si potrebbe pensare che il rapporto professionale e di amicizia tra Renzo Arbore e Nino Frassica sia nato da una semplice chiamata. In realtà ricevere una risposta da Arbore non fu semplice, così l’attore adottò una strategia precisa: lasciare in segreteria dei messaggi particolari. «Per esempio, gli dicevo: sono un mio ammiratore, e questa è la mia segreteria telefonica... conto fino a tre, al tre stacco... Oppure: sono un comico dilettante e non cerco lavoro... Lui, incuriosito, mi richiama e dice: se ti trovi a passare da Roma, vieni a trovarmi. Io vivevo a Messina e, guarda caso, il giorno dopo mi capita di passare per Roma».

Gli amori

Così inizia ufficialmente la carriera sul piccolo schermo. Qualche tempo dopo, nel 1983, debutta al cinema con «FF.SS – Cioè…che mi hai portato a fare sopra Posillipo se non mi vuoi più bene». Due anni più tardi torna sul piccolo schermo per «Quelli della notte», dove interpreta Frante Antonino. Sempre nel 1985 si sposa con l’attrice Daniela Conti, un matrimonio che dura fino al ‘93. Il secondo matrimonio arriva nel 2018. A dire il fatidico «sì» a Frassica è Barbara Exignotis , ex attrice per fil m per adulti conosciuta con lo pseudonimo di Blondie. I due non hanno avuto figli insieme, anche se lei ha una figlia ormai grande avuta da una relazione precedente.

Terence Hill gli ha salvato la vita

In un’intervista al settimanale DiPiù Nino Frassica ha raccontato di un incidente sul set di «Don Matteo, dal quale è uscito incolume grazie alla prontezza di Terence Hill. «Ho rischiato di morire sul set, Terence mi ha salvato. Dovevamo girare una scena sopra il tetto di una casa, io e lui. Era pure notte. A un certo punto sono scivolato. Stavo per precipitare di sotto ma Terence mi ha immediatamente afferrato e mi ha salvato la vita». I due attori sono molto amici. «Don Matteo», in quell’occasione, era riuscito a tirar fuori dai guai il «Maresciallo Cecchini» ancora una volta. «Se fossi caduto di sotto sarei morto - aveva specificato - mi ha tenuto stretto e ancora oggi lo ringrazio e con me lo ringrazia anche mia moglie. Quando ricordiamo quell’episodio, le vengono i brividi».

Ha scritto un libro sui Vip(p)

Si intitola «Vipp. Tutta la Veritàne» l’ultimo libro di Nino Frassica, pubblicato nel 2021. In un’intervista rilasciata a «Da noi...a ruota libera» ha definito il testo come «un’antologia», raccontando che «così chi lo leggerà tra 50 anni saprà cosa succedeva negli anni ‘20». «Ho semplicemente scritto tutto quello che so» ha spiegato Frassica a Francesca Fialdini. La conduttrice sfoglia le pagine del libro e rivela che ci sono anche dei consigli su come raggiungere il successo: « Ad esempio io non sapevo che conviene chiamarsi Giovanna nella vita, perché chi si chiama Giovanna fa strada» spiega la conduttrice. Soprattutto è l’ironia che accompagna il racconto dei vip che Frassica ha incontrato nel suo percorso. La comicità è ben presente quando Frassica parla degli altri ma anche di sé (e delle sue esperienze passate): « Ho fatto il venditore di ostriche - scherza - l’ostetrica» e poi si mette a ridere anche lui.

Il linguaggio di Frassica

«Ho studiato l’ironia perché la comicità surreale non ha limiti, confini o barriere e può sorprenderti, mentre quella classica a un certo punto stanca» aveva raccontato in un’altra intervista. Il linguaggio di Nino Frassica ha una sua logica. Storpia le parole, inventa neologismi, crea relazioni che non ci si aspetta. Ma, sempre, raggiunge l’obiettivo della sua comunicazione, cioè quello di far ridere e sorridere. «Quando rovini la logica, la realtà, i luoghi comuni, il primo passo da fare è rovinare la lingua, l’italiano. La parola è più immediata, fa ridere subito, è il primo passaggio; quello successivo è destrutturare la logica: la gente pensa che una cosa si faccia in un determinato modo mentre io la faccio apparire in un altro, questa è la mia forza. Iniziare a dire una parola per un’altra e poi capire un concetto per un altro, significa vivere in un mondo diverso, in un universo alieno. Quando faccio l’artista io non sono terrestre». Così vede il mondo Nino Frassica, lo guarda come se fosse su una navicella e lo ricostruisce rovesciandolo e reinventandolo. E bisogna sempre farsi una risata perché é inutile «piangere sul latte macchiato».

Emilia Costantini per il “Corriere della Sera” il 27 maggio 2022.

Nino Frassica, raccontiamo finalmente il contenuto della famosa telefonata che fece a Renzo Arbore, grazie alla quale entrò nella sua squadra. Che vi siete detti?

«Premetto che, quando ho iniziato, la tv era in bianco e nero, non esistevano i social e come era possibile farsi conoscere? Citofonando ai produttori, ai registi, agli attori famosi o... mandando messaggi dentro le bottiglie di vetro? Io ero cresciuto a pane e Alto gradimento , la mia scuola, la mia luce, ne ero un ammiratore sfegatato. 

L'idea di chiamare Arbore, il numero lo avevo trovato semplicemente sull'elenco telefonico, mi era venuta leggendo che Andy Luotto gli aveva telefonato e lo showman, dopo averlo ascoltato, lo aveva convocato e poi scritturato. 

All'epoca non esistevano i cellulari e non ci fu una vera e propria telefonata, mi limitavo a lasciargli vari messaggi sulla segreteria del telefono di casa. Per esempio, gli dicevo: sono un mio ammiratore, e questa è la mia segreteria telefonica... conto fino a tre, al tre stacco... Oppure: sono un comico dilettante e non cerco lavoro... Lui, incuriosito, mi richiama e dice: se ti trovi a passare da Roma, vieni a trovarmi. Io vivevo a Messina e, guarda caso, il giorno dopo mi capita di passare per Roma». 

Tra voi, amore a prima vista?

«Mi guarda ed esclama: sembri un napoletano... non ho mai capito il perché della sua affermazione, ma era un complimento, i napoletani sono simpatici. Di sicuro, Renzo era colui che poteva capirmi meglio». 

Rispetto a chi?

«Quando cercavo lavoro, non sono andato da Pippo Baudo, come facevano i siciliani cercando una complicità regionale e chiedendogli un aiuto... La mia era una comicità diversa, simile a quella degli attori di cui si serviva Arbore e con lui, Gianni Boncompagni, Mario Marenco, Bracardi, iniziai alla radio, nel programma Radio anghe noi , poi in tv: Quelli della notte e Indietro tutta! ».

Dove impersona il frate Antonino da Scasazza...

«Sì, mi propone di fare questo fratacchione, personaggio di cui non sapevo nulla, ma ho subito accettato: avrei detto sì anche se mi avesse proposto di impersonare un astronauta o un pompiere... Però dovevo prepararmi perché l'improvvisazione, che mi ha insegnato Renzo, non è mai veramente improvvisata. Nei suoi programmi non esisteva un copione, ma un canovaccio, sulla base del quale creare le tue battute. Insomma, il fascino della diretta, che però una volta poteva farmi finire davvero molto male». 

Che cosa accadde?

«Mentre ci esibivamo in Cacao Meravigliao , mi metto in bocca una fetta di limone che, cantando e ballando, mi va per storto: stavo soffocando, ma gli altri pensavano che scherzassi, che facesse parte della scenetta. Per fortuna uno dei tecnici si è accorto che non era uno scherzo, mi ha assestato due botte sulla schiena e mi ha salvato». 

Ma la sua vis comica, Frassica, dove, come e quando nasce? Da chi l'ha ereditata?

«Più da parte di padre, molto spiritoso, che di madre, ma soprattutto nasce come reazione alla noia della provincia dove sono nato, Galati Marina, alla periferia di Messina. Sono sempre stato pigro e nell'ozio mi piaceva organizzare degli scherzi. La mia carriera ha preso il via come "scherzista" nel bar Suaria del mio quartiere: lo scherzo, di per sé, è già una forma di teatro». 

Per esempio?

«Negli anni della propaganda in cui la Dc cercava voti, organizzava camion pieni di pacchi regalo che distribuiva nei paesi. Un modo sfacciato per comprare i consensi degli elettori. Una volta, forse a Natale o a Pasqua, mi invento di fare una locandina, che appesi nella piazza della chiesa, dove si annunciava che la domenica bisognava presentarsi alle 9 del mattino, portando la carta d'identità. Sarebbe arrivato il camion con i regali da distribuire alla popolazione. I paesani si presentano puntuali, col documento in tasca, aspettando la "provvidenza", convinti di ricevere i pacchi... e invece c'ero io che, con i miei amici, ridevo a crepapelle. Un altro scherzo divertente, quello nella cabina telefonica...».

Cioè?

«Era un periodo in cui accadeva spesso, lì a Galati, che le cabine venivano massacrate da atti vandalici. Non se ne trovava più nessuna funzionante e allora io, un giorno, mi infilo in una che era un po' meno massacrata, sia pure col telefono sfasciato. Faccio finta di intrattenere una lunga telefonata, vengo avvistato da qualcuno che, convinto di aver trovato finalmente una cabina che non fosse fuori uso, aspetta il suo turno, si forma una fila... Io continuo a recitare il botta e risposta con il fantomatico interlocutore, mentre quelli fuori cominciano a sbuffare per l'attesa... A un certo punto, fingo di salutare il mio interlocutore, esco dalla cabina e scappo dietro l'angolo per assistere a una scena esilarante. I poveretti entravano dentro, componevano il numero, ma il telefono era morto... Non rendendosi conto della burla, dicevano: ma quello come ha fatto a telefonare?». 

Altre cattiverie?

«Poco fuori il paese, c'era un torrente, la Fiumara, che era ormai secco, trascurato e ridotto a uno scarico di spazzatura. Con i soliti amici, andammo in giro a dire che proprio là ci era apparsa la Madonna... e qualcuno c'ha creduto». 

Una delle caratteristiche della sua comicità è storpiare le parole, oppure capovolgere le frasi, dando un senso opposto a quello originale, un non senso tipo: beati gli ultimi perché saranno umiliati...

«La mia grande passione è il teatro dell'assurdo, tanto che da ragazzo chiamai la mia prima compagnia amatoriale a scuola I cantatori pelosi sono figli della cantatrice calva , un omaggio a Ionesco». 

Che scuola ha frequentato?

«Mio padre voleva che facessi il geometra, a me non piaceva perché l'istituto era frequentato tutto da maschi, mentre la vicina scuola di ragioneria era piena di femmine». 

E allora: geometra o ragioniere?

«Per ubbidienza frequentai il primo anno da geometra, venni bocciato per le assenze, perché la mattina mi chiudevo nei cinema a guardare film a ripetizione. Poi passai a ragioneria».

Il cinema lo ha frequentato poi non solo da spettatore, anche da attore in tanti film...

«A cominciare da quello di Arbore: FF.SS.- Cioè, che mi hai portato a fare sopra a Posillipo se non mi vuoi più bene? Che ricordo divertente». 

Ma lei ha recitato anche in un film diretto da Sofia Coppola, Somewhere , e in The Tourist , con Johnny Depp e Angelina Jolie.

«Sì, quest' ultimo diretto da un regista tedesco con un nome difficilissimo: Florian Henckel von Donnersmarck... pronunciarlo, una fatica». 

Coppola la scelse proprio per aver visto «Indietro tutta».

«Mi offrì un piccolo ruolo, dovevo impersonare un presentatore italiano pacchiano e lei pensava che lo fossi veramente! Solo che non aveva capito una cosa fondamentale: io per fare quel personaggio nel programma di Arbore, mi ero ispirato proprio ai presentatori pacchiani delle tv americane. Insomma, americaneggiavo , era una presa in giro della tv americana, e la Coppola volendo prendere in giro la tv italiana aveva scelto me: un circolo vizioso». 

Con Depp e Jolie com' è andata?

«Venni scritturato perché la madre del regista, quello col nome difficile, era un'appassionata di Don Matteo , fiction molto nota in Germania, e le era piaciuto tanto il mio Maresciallo Cecchini. Quando il figlio doveva girare alcune scene del suo film in Italia, mi cercò per fare un omaggio alla madre e si inventò un ruolo per me: la guardia che insegue Depp a Venezia sul Canal Grande». 

Come si è trovato sui set internazionali?

«Era come andare allo zoo, più che attore mi sentivo spettatore di quello che avveniva intorno a me e ho visto tanta esagerazione...».

In che senso?

«Per Depp e Jolie uno spiegamento di guardie del corpo da far invidia al presidente degli Stati Uniti e poi un catering eccessivo, sproporzionato. Tanto fanatici 'sti americani». 

E con quale regista italiano vorrebbe lavorare?

«Paolo Sorrentino. Lo ammiro da spettatore e nei suoi film ho visto dei ruoli che mi sarebbe piaciuto fare». 

Si è stancato di interpretare il Maresciallo di Don Matteo?

«No. Mi sarei stancato se il mio ruolo fosse limitato al militare che interroga i colpevoli, o insegue gli assassini. Invece l'evoluzione della commedia è un continuo stimolo a fare cose diverse. Mi piace il personaggio Cecchini nel suo aspetto del privato quotidiano e non dell'investigatore di polizia». 

La più grande soddisfazione avuta nella sua carriera?

«Una piccola medaglia, che però ricordo con piacere. Erano i primi anni Ottanta, vado ai Giardini Naxos per assistere ai premi della regia televisiva. Per ben tre anni di seguito non riesco a entrare come spettatore, perché non avevo il biglietto, né un invito e, non essendo conosciuto, senza una raccomandazione non potevo essere ammesso. Ma nel 1985 succede il miracolo. Là dove non mi facevano entrare, quella sera c'era una marea di gente che inneggiava Nino! Nino! Nino! Ero diventato famoso in tv e... anch' io tra i premiati».

Lei ha pubblicato vari libri, non le è mai venuta voglia di scrivere una sua sceneggiatura?

«Come no! Ne ho scritta una a metà strada tra fiction e sit-com dove si improvvisa molto. Racconta di una "banda" scalcinata, una specie di "soliti ignoti" che vogliono rubare i soldi della lotteria... e l'ho intitolata "L'abanda"».  

Nino Frassica: «Io rovino la lingua per smontare la logica comune: è liberatorio e fa ridere». di Renato Franco su Il Corriere della Sera l'11 Aprile 2022.

La sua carriera è cominciata con un messaggio lasciato nella segreteria telefonica di Renzo Arbore: disse di essere un suo ammiratore (di Frassica, non di Arbore). «Ho studiato l’ironia perché la comicità surreale non ha limiti, confini o barriere e può sorprenderti, mentre quella classica a un certo punto stanca» 

L’ amore per il surreale quando nasce?

«È una scelta. Ho studiato l’ironia e mi sono specializzato, ma la comicità classica, diciamo normale, a un certo punto stanca, mentre la comicità surreale può meravigliarti sempre; con il surreale non ci sono limiti, non ci sono ostacoli, confini, barriere. Io mi sento di appartenere al Pianeta Surreale».

Il sistema solare di Nino Frassica è diverso, come diverso è il suo approccio alla realtà perché sa cogliere il lato incongruente, il dettaglio che spiazza, l’angolo cieco che menti assuefatte alle logiche della convenzione hanno bisogno che qualcuno rischiari. Tutto è cominciato grazie a un messaggio che lasciò nella segreteria telefonica di Arbore: disse che era un suo ammiratore (suo di Frassica) e voleva parlare con lui (lui Arbore). Quasi 40 anni dopo è ancora un protagonista della tv, con Don Matteo, da Fazio, da Maria De Filippi dove ogni settimana propone il suo onirico Amici Senior («A che numero abita? Il 18? No, il 18 è poco, facciamo il 250»).

«HO STUDIATO RAGIONERIA PER FAR CONTENTI I MIEI: IN REALTÀ A SCUOLA ORGANIZZAVO SPETTACOLI E D’ESTATE GESTIVO UN DANCING»

Chi popola il Pianeta Surreale oltre a lei?

«Marenco, il più bravo con cui ho lavorato, Maccio Capatonda, Herbert Ballerina, il Mago Forest, Lillo e Greg, Valerio Lundini. Non siamo tantissimi, ma qualche abitante c’è. Anche loro sono di un altro pianeta, diciamo che siamo co-pianetisti, siamo della stessa razza. Io dovrei abitare lì, il mio posto non è Zelig, o Made in Sud, o Colorado. Il mio posto è stato Indietro Tutta e Quelli della notte, ora è il Tavolo di Fazio, sono i luoghi dove mi muovo immediatamente bene».

Fazio è il suo nuovo Arbore dunque?

«Fabio ha creato un momento che fa bene pure a lui. Prima tira un treno pesante, poi in quell’oretta finale, al Tavolo, stacca la spina e diventa un goliarda, trova il gusto del divertimento, torna giovane».

I suoi modelli?

«Il primo è stato Alto gradimento: quando la radio era tutta dischi, barzellette, al massimo un piccolo sketch e una battutina, sono arrivati Arbore, Boncompagni, Bracardi e Marenco ed è comparso il mio pianeta: hanno rivoluzionato la radio sovvertendo i luoghi comuni, sono stati come i Beatles per la musica, hanno dimostrato che si poteva fare anche altro. L’altro modello, in tv, erano Cochi e Renato, apparivano loro e si aprivano altre porte, nuovi universi: il loro surrealismo così chiaro e semplice è stata un’altra rivoluzione».

Quando ha capito di saper far ridere?

«È un talento naturale, o di famiglia: mio padre, mio fratello, gli zii, erano tutti spiritosi, con un gran senso dell’umorismo. E io sono come loro; loro però non se ne sono accorti e hanno vissuto facendo i simpatici con gli altri, io invece l’ho studiato e l’ho fatto diventare un mestiere».

Uno dei suoi pezzi forti è storpiare le parole...

«Quello è un vestito, non è il contenuto. Quando rovini la logica, la realtà, i luoghi comuni, il primo passo da fare è rovinare la lingua, l’italiano. La parola è più immediata, fa ridere subito, è il primo passaggio; quello successivo è destrutturare la logica: la gente pensa che una cosa si faccia in un determinato modo mentre io la faccio apparire in un altro, questa è la mia forza. Iniziare a dire una parola per un’altra e poi capire un concetto per un altro, significa vivere in un mondo diverso, in un universo alieno. Quando faccio l’artista io non sono terrestre».

Per luogo comune il ragioniere è l’opposto del comico: eppure lei è diplomato in ragioneria.

«Andavo a scuola per accontentare i miei genitori e prendere il famoso pezzo di carta. In realtà a scuola organizzavo gli spettacoli musicali e il teatro, mi occupavo del giornaletto; in estate invece gestivo un dancing, prendevo il microfono e cominciavo a dire le mie prime fesserie, del ragioniere non so che cosa è rimasto».

Attore, intrattenitore, comico: chi è Nino Frassica?

«Mi definirei un umorista che crea delle situazioni che fanno ridere. Poi le declino nel varietà, nella fiction, a teatro, al cinema. Mi piace far ridere e sorridere gli altri».

Ora declina il suo umorismo nella nuova stagione di «Don Matteo». Il suo maresciallo Cecchini è tra i protagonisti fin dall’inizio, era il 2000, e ora siamo alla 13ª stagione, quella della svolta: Terence Hill sparisce «sostituito» da Raoul Bova.

«In realtà don Matteo non va via definitivamente, non sparisce del tutto, non muore, ma si allontana. Nella puntata clou molti si faranno domande, fa parte del giallo. Arriva un nuovo prete (don Massimo, interpretato da Raoul Bova) e all’inizio il maresciallo non lo sopporta, non crede nemmeno che sia un prete, ma poi riuscirà a farsi amare».

Raoul Bova potrà mai sostituire Terence Hill?

«Raoul è un altro personaggio, non fa don Matteo. Nessuno può fare don Matteo come Terence, e infatti il nuovo personaggio interpretato da Raoul si chiama don Massimo. Piacerà? Penso di sì, non è Terence, ma ha un passato misterioso, un’apertura mentale spiccata, è un bel prete pure lui. Sul set ricordo la prima timidezza di Raoul che entrava in un mondo, in una famiglia, che non erano i suoi ma che ora lo sono diventati; umanamente è una bella persona, professionalmente un attore bravo. Poteva essere un punto interrogativo, invece è stato promosso a pieni voti».

Con Terence Hill vi conoscete da 20 anni.

«Non ho mai incontrato una persona come Terence, così cortese, aggettivo che non si usa mai. È veramente perbene, un gran signore. Noi siamo affiatati, ci basta poco, conosciamo i nostri personaggi e ci identifichiamo con loro, ci muoviamo liberamente, è come interpretare noi stessi. In fondo bisogna assomigliare al personaggio che si porta in scena e farlo da tanti anni aiuta: noi siamo entrati totalmente dentro il loro carattere... È logico che si sentirà la mancanza di Terence, ma la storia va avanti e gli autori si sono impegnati tantissimo sapendo che lui faceva solo quattro puntate...».

Certo che Cecchini senza don Matteo non ce la fa.

«Cecchini è uno di noi, è umano, arriva fino a un certo punto; don Matteo con l’aiuto dall’alto, dal Super Capitano, è avvantaggiato, in questo senso è raccomandato».

«LA PENSIONE? IL NOSTRO È UN LAVORO A OLTRANZA, NON SIAMO BALLERINI CHE A UN CERTO PUNTO SI DEVONO FERMARE, NOI BALLIAMO FINO ALL’ULTIMO RESPIRO»

Ascolti sempre altissimi da oltre 20 anni: se ci fosse un segreto sarebbe replicabile. Qui qual è l’alchimia che funziona?

«Ci rivolgiamo a un pubblico trasversale, a chi ama la commedia, a chi il giallo, a chi la linea rosa, a chi le storielle di ragazzini e adolescenti; gli ingredienti sono buoni per Rai1, poi certo rimane quel pezzo di mistero... magari è la nostra simpatia, perché no? O la nostra bravura, perché no?».

Lei che voto si dà?

«Il mio solito 8».

Fu preso da Woody Allen per «To Rome with Love» ma poi è stato tagliato dal film. Una rosicata.

«È rimasto il dispiacere del taglio ma conservo il piacere del ricordo, come uno spettacolo di cui non rimane traccia ma sei contento di aver vissuto; di quell’esperienza mi sono portato dietro solo tre o quattro foto. Anche se Woody Allen non capiva l’italiano e io non parlavo inglese, ho recitato con lui e l’ho fatto ridere: già mi basta quell’immagine, l’ho scolpita nella mente. Allen ha girato molto di più di quello che gli serviva, ha sforato di 50 minuti, chissà perché ha sbagliato così tanto...».

Sofia Coppola invece non ha sbagliato e l’ha tenuta nel ruolo del bravo presentatore pacchiano ed eccessivo.

«Quell’anno, nel 2010, ho recitato per quattro premi Oscar contemporaneamente: Sofia Coppola (Somewhere), Tornatore (Baarìa), Woody Allen e Florian Henckel von Donnersmarck (The Tourist con Depp e Jolie). Ma per me non c’è nessun Oscar, il mio meglio non l’ho dato certo là. In realtà le cose più belle le ho fatte in casa, non è la piccola partecipazione che fa di me un grande artista, quelle sono passeggiate di piacere. Però con quelle esperienze ho provato l’emozione del provinciale che va sul set americano».

Un regista con cui vorrebbe lavorare?

«Sorrentino, Garrone. E poi i grandi maestri come Bellocchio, Avati. Con i bravi registi mi piacerebbe sempre lavorare, ma è normale. È come dire: cosa preferisci? Un vestito buono o uno cattivo? Io dico sempre quello buono».

Il lato positivo del successo?

«Quando ti presenti in pubblico la gente è ben disposta. Faccio le stesse battute: ma da famoso hanno più successo che da sconosciuto».

Il lato negativo?

«La privacy. Ci sono posti dove non puoi andare perché tutti ti guardano, ti assalgono. Alla fine rinunci».

La pensione?

«Il nostro è un lavoro a oltranza, non siamo ballerini che a un certo punto si devono fermare, possiamo ballare fino all’ultimo». 

·        Noemi.

Dagospia il 22 novembre 2022. COMUNICATO STAMPA

Noemi a “Belve” non si risparmia e con sincerità parla delle sue fragilità: la crisi a Sanremo 2018 quando dice di essersi resa conto di aver toccato il fondo. I suoi problemi con la vista durati molti anni e infine affronta il delicato tema del rapporto professionale col padre, suo manager per molti anni. 

Noemi parla di quel Sanremo del 2018 quando, essendo in sovrappeso, venne presa in giro sui social con un meme, da una parte lei grassa e dall’altra Michelle Hunziker bellissima  e filiforme: “Mi sono sentita ferita, in quella foto per la prima volta ho visto la mia sofferenza, perché ci sono persone che sono abbondanti ma tu vedi che quella fisicità gli appartiene. Mi sono fatto un pianto e quella è stata la prima volta in cui mi sono detta che dovevo fare qualcosa”. 

Noemi parla anche dei problemi legati alla vista cominciati improvvisamente durante Sanremo del 2012: “soffrivo di derealizzazione, per anni ho visto come da un binocolo, mettevo distanza, era un modo che la mia testa aveva per dirmi: guarda che sei un fantasma, non hai la tua vita in mano.”

Infine, sollecitata dalla domanda della Fagnani che le chiede: “pensa che suo padre che lei ha assunto come manager abbia sempre agito per il suo interesse o qualche problema finanziario gliel’ha creato?” Noemi prima dice: “Senza dubbio delle cose non sono andate bene, ma non volevo che lui si sentisse responsabile”, poi quando la Fagnani insiste: “Ma lo era responsabile di alcuni problemi finanziari?”, noemi risponde: “Tante volte uno mette il cavallo dove vuole il padrone, ero io che gli avevo dato troppe responsabilità”. 

La Fagnani le chiede quali sono state le conseguenze della scelta di lasciare suo padre come manager e nomi rivela: “Per la prima volta nella mia vita mi sono sentita sola, il mio grande consigliere era stato lui, per un paio di anni non sono riuscita ad avere un dialogo con il mio papà e la mia famiglia, non c’era modo di capirsi. Ora che ho recuperato percezione di quella che sono io nel mondo, quando ci vediamo lo vedo che è contento.”

Noemi e il body shaming: "Ho toccato il fondo vedendo la mia foto, in carne, accanto a quella di Michelle Hunziker magrissima". Redazione Spettacoli su La Repubblica il 23 novembre 2022. 

Nella trasmissione di Francesca Fagnani la cantante ha raccontato che il meme che la prendeva in giro sul suo aspetto fisico, dopo il festival del 2018, l'ha ferita profondamente

Noemi ospite di Belve, la trasmissione di Francesca Fagnani, ha raccontato l'esperienza traumatica della partecipazione al festival di Sanremo del 2018, dove la cantante portava Non smettere mai di cercarmi. Dopo la sua esibizione all'Ariston in rete sono comparsi dei meme in cui veniva paragonata a Michelle Hunziker che conduceva Sanremo.

Durante la lunga intervista andata in onda su Rai Due ieri sera Noemi ha parlato molto del suo cambio di immagine spiegando che la sua immagine pubblica era ben lontana rispetto a ciò che sentiva, motivo per cui ha deciso di modificarla. La conduttrice Francesca Fagnani le ha domandato: "Quando ha avuto la percezione di toccare il fondo?". E Noemi ha risposto: "A Sanremo 2018. Oggi si parla molto di body shaming, ma si vede che all'epoca non era di moda. Ero a Sanremo, ero molto in carne. C'era Michelle Hunziker che aveva un vestito simile al mio, aperto sul davanti. Hanno fatto un meme, da una parte lei e da una parte io: ‘Quando lo ordini su ‘Wish’ vs. Quando ti arriva a casa’". "Mi sono sentita ferita, in quella foto per la prima volta ho visto la mia sofferenza, perché ci sono persone che sono abbondanti ma tu vedi che quella fisicità gli appartiene - ha detto Noemi - Mi sono fatta un pianto e quella è stata la prima volta in cui mi sono detta che dovevo fare qualcosa".

"Ho lavorato tanto su me stessa, cercando di fare chiarezza, a un certo punto mi ero sentita totalmente fuori fuoco, chiusa in un vicolo cieco, e invece volevo tornare appassionata di me e di quello che mi circonda - ha raccontato poi Noemi nel 2021 a Gino Castaldo - A cominciare dal mio corpo, volevo sentirmi bene. Ero come un minatore che cerca la vena d'oro".

·        Oasis.

Noel Gallagher compie 55 anni: l’infanzia difficile con il padre alcolista, due matrimoni, 6 segreti su di lui. Arianna Ascione su Il Corriere della Sera il 29 Maggio 2022.

Il cantautore - che con il fratello Liam ha dato vita ai compianti Oasis - è nato a Manchester il 29 maggio 1967.

Il successo con gli Oasis

«Il rock sarebbe morto senza di noi. Oggi tutti gli artisti sono così gentili tra loro. Meno male che ci siamo noi che ogni tanto agitiamo le acque». Così di sse in un’intervista a Q Magazine nel 2019 Liam Gallagher a proposito del rapporto tormentato con suo fratello Noel (che proprio oggi compie 55 anni). Liam e Noel alla fine degli anni Ottanta hanno dato vita agli Oasis, tra le band più amate e rappresentative del brit rock, avventura terminata dopo anni di successi nell’agosto del 2009 al culmine dell’ennesima lite. Ad oggi la reunion sembra ancora un miraggio: Liam nel 2020 ha accusato Noel di aver rifiutato – per «avidità» – 100 milioni di sterline per un tour insieme. Ma il secondogenito dei fratelli Gallagher (nato a Manchester il 29 maggio 1967) ha replicato: «A chiunque possa fregare qualcosa non sono stato informato di alcuna offerta da parte di nessuno per una qualsiasi somma di denaro per rimettere insieme la leggendaria rock band degli Oasis». Capitolo chiuso? Chi può dirlo quando ci sono di mezzo i fratelli Gallagher.

L’infanzia difficile

L’infanzia di Noel Gallagher, così come quella degli altri fratelli Paul (nato nel 1966) e Liam (1972) non è stata facile: la famiglia versava in condizioni economiche difficili e il padre Tommy era un alcolista, che spesso diventava violento con la moglie Peggy e con i tre figli. Nel 1976 Peggy avviò le pratiche per la separazione, ma riuscì soltanto nel 1982 a lasciare il marito violento, portando i bambini con sé.

Ha imparato a suonare la chitarra da autodidatta

Da adolescenti i fratelli Gallagher si mettevano spesso nei guai con la polizia. A 13 anni Noel fu condannato a sei mesi di libertà vigilata per furto in un negozio: fu proprio in quel periodo che imparò a suonare da autodidatta la chitarra che gli aveva regalato sua madre. La sua fonte di ispirazione? Johnny Marr degli Smiths: Noel vide la band esibirsi a Top of the Pops e - come ha poi raccontato - da quel giorno «voleva essere Johnny Marr».

Due matrimoni

Noel Gallagher si è sposato due volte: la prima con Meg Mathews a Las Vegas, in Nevada, il 5 giugno 1997. La coppia nel 2000 ha dato il benvenuto alla figlia Anais, ma pochi mesi dopo Noel e Meg si sono detti addio. Dopo la rottura Noel ha conosciuto in un club di Ibiza Sara MacDonald, con cui ha avuto i figli Donovan Rory MacDonald Gallagher (2007) e Sonny Patrick (2010). Le nozze invece sono arrivate nel 2011: testimone dello sposo è stato il comico, attore e conduttore Russell Brand. A Sara Noel ha dedicato «Waiting for the Rapture», canzone contenuta nell'album degli Oasis «Dig Out Your Soul».

L’incidente durante i festeggiamenti per il Manchester City

Che Noel Gallagher sia super tifoso del Manchester City è cosa nota. Forse però non tutti sanno che qualche giorno fa, per colpa dell’esultanza dopo il terzo gol segnato dalla squadra (risultata poi vincitrice della Premier League), il cantautore è finito in ospedale: il padre di Ruben Dias lo ha involontariamente colpito al volto con una testata. «Mi ritrovo per terra coperto di sangue e non vedo gli ultimi due minuti - ha raccontato -. Devo essere portato in ambulanza in ospedale per essere ricucito».

L’intervista a Che tempo che fa

Nel 2015 Noel Gallagher è stato ospite di Fabio Fazio a Che tempo che fa. Qualche giorno dopo il cantautore in un post pubblicato su Facebook ha definito l’intervista «un vero strazio. E non parlo del playback, ma dell’intervista. Hai una persona in carne e ossa davanti a te che ti fa delle domande in italiano, e un fantasma nell’orecchio che te le traduce in inglese. Di solito è una cosa piuttosto goffa e complicata, ma ecco cosa è successo. E tenete conto che avevo fatte le 5 di mattina, il giorno prima, a fare casino con Nancy».

Andrea Laffranchi per il Corriere della Sera il 21 aprile 2022.  

La festa dei 50 anni la farà in Italia. «In Sicilia. Di voi amo la gente, il cibo, i vestiti. ... e queste cose non le dico in ogni Paese». Liam Gallagher, icona brit anni 90, sta per pubblicare il terzo album solista. Esce il 27 maggio «C'mon You Know», canzoni che, pur con qualche esperimento - sax, cori di bambini, brani reggae e atmosfere gospel - tengono in vita eredità e attitudine rock (collabora anche Dave Grohl) degli Oasis.

Nella title track dice che tutto va bene, canta di sorrisi, di ritorno alla vita... Una reazione alla pandemia?

«Potrebbero essere cose scritte in qualsiasi momento, devi sempre pensare positivo... Che tu abbia 2 o 40 anni sta sempre accadendo qualcosa nel mondo in cui comunque finisci dentro. Quindi forse parla di pandemia... non lo so. Non mi metto mai a scrivere pensando a questo o quel tema. Dopo l'ultimo tour non avevo in progetto un disco nuovo. In lockdown mi sono ritrovato sul divano a fare nulla, ho giocato con la musica e sono nate le canzoni».

Ha pensato che «Moscow Rules», scritta con Ezra Koenig dei Vampire Weekend, è un titolo profetico?

«La canzone non ha nulla a che vedere con la forza di Mosca, è stata solo una questione di tempismo sbagliato». 

Sui social ha postato la sua solidarietà all'Ucraina...

«Dovremmo vivere tutti in piena armonia e dire basta a petrolio, avarizia e puttanate del genere... Io sto con i fratelli e le sorelle ucraini. E anche con il popolo russo che starà pensando: "ci stiamo prendendo merda da tutti per colpa di questo vecchio pazzo". Non è la gente a bombardare, le guerre le fa chi governa».

Come vive il passaggio del mezzo secolo?

«Meglio compierne 50 che 60. E a 60 dirò meglio così che 70... Spirito e mente stanno bene. Mi alzo la mattina, faccio lunghe camminate, non bevo quanto penso che potrei riuscire a bere, idem con il fumo, ma amo questa vita». 

Cambierebbe qualcosa?

«Mi sono divertito e avrei voluto che quei momenti durassero per sempre. Ho fatto errori, non puoi essere perfetto. Ma non cambierei nulla». 

Nemmeno lo scioglimento degli Oasis?

«Non ci saremmo mai dovuti sciogliere». 

Un gesto di pace verso suo fratello Noel?

«No, ma non doveva accadere. Avevamo lavorato molto per arrivare dove eravamo, ma non siamo mai stati grandissimi. Lo eravamo in Inghilterra, ma non altrove. Non eravamo la più grande rock band del mondo. C'era ancora molto da fare».

Lei ha detto che vi avrebbero offerto 100 milioni di sterline per la reunion, ma Noel ha smentito. Dice che a quella cifra l'avrebbe fatto...

«È un bugiardo. Non vuole condividere nulla. Ha paura che chiunque altro possa ricevere attenzione, non è in grado di gestire il tema». 

È lui la rockstar noiosa e morente che cita in «Joker»?

«Non ho idea di chi sia, ma non è lui. Al mondo non c'è solo Noel Gallagher». 

Lei è al terzo album solista, mentre per gli Oasis aveva scritto solo tre canzoni. Una crescita artistica?

«Mi manca essere in una band. Mi manca essere negli Oasis. Erano perfetti per come mi vesto, per come recito, per la camminata, per come parlo... Bisogna prendere quello che passa il convento, ma vorrei essere altrove. Sono stato umiliato. Non scrivevo perché Noel aveva una formula e un suono per gli Oasis: mi andava bene essere solo la rock star, non sono mai andato a dirgli di farmi scrivere. Oggi mi diverto a prendere la chitarra, ma non ho mai preso gusto nello scrivere».

Sarà presto in tour (in Italia a Lucca il 6 luglio): è diverso essere il frontman di se stessi?

«No, è lo stesso. Le canzoni non appartengono a nessuno. Arrivano da un qualcosa di spirituale, da un livello più alto, e passano attraverso noi».

 Ha partecipato a un concerto per i lavoratori della sanità e a uno per il Teenage Cancer Trust... è in arrivo un Liam impegnato?

 « Mi piace cantare dal vivo e se me lo chiedono per la causa giusta lo faccio. Ma non farei una canzone impegnata. Ho le mie idee, so che alla gente piacciono le canzoni politiche, ma non fanno per me». 

Infine, «I' m Free» parte rock e diventa reggae. Sui social usa spesso slang giamaicano...

«Fumando sono arrivato alla marijuana e a Bob Marley. Non fumo ganja da 20 anni ma Marley rimane lassù con John Lennon. Un altro che c'è sempre».

·        Oliver Onions: Guido e Maurizio De Angelis.

Massimo Iondini per “Avvenire” il 26 maggio 2022.

Una cavalcata tra i decenni e le più iconiche musiche di film e sceneggiati tv. Sul palco i loro autori, qui anche in veste di esecutori. Sono Guido e Maurizio De Angelis, ultrasettantenni e immortali Oliver Onions, il più celebre dei loro nomi d'arte. Il tour Future Memorabilia (disco uscito lo scorso ottobre) approda finalmente a Roma e a Milano: stasera al Teatro Brancaccio e il 6 giugno agli Arcimboldi. 

Con loro una super band che vede sul palco Francesco Signorini (tastiere), Federico Paulovich (batteria), Riccardo di Vinci (basso), Giovanni Forestan (sax e percussioni), Filippo Piva e Andrea Garbo alle chiatarre e le coriste Rossana Carraro ed Elena Sbalchiero. A echeggiare le celeberrime note di colonne sonore dei film con Bud Spencer e Terence Hill, Zorro, Sandokan, Orzowei, raccogliendo l'entusiasmo e la nostalgia di almeno tre generazioni.

«Vorremmo fare un concerto di sei-sette ore per riassumere al meglio tutta la nostra carriera, ma siccome dobbiamo limitarci a due ore ecco che l'impresa è stata scremare il più possibile - dicono all'unisono i fratelli De Angelis, laziali di Rocca di Papa -. Suonare davanti a un pubblico che ci segue da decenni è adrenalina pura. Chi ha amato le nostre musiche dei film e degli sceneggiati degli anni Settanta adesso ha i capelli bianchi e per noi abbracciare tutte queste persone ha un valore che va oltre la semplice emozione». 

Perché siete tornati a suonare dal vivo le vostre musiche?

La modalità del concerto è qualcosa che non avevamo mai coltivato prima, per una scelta di vita, per non dover andare in giro. Siamo sempre stati più per la sala di registrazione, mandavamo avanti anzitutto la nostra musica, non sentivamo l'esigenza di essere noi a proporla.

Poi nel novembre 2016 a Budapest, per ricordare Bud Spencer scomparso pochi mesi prima, siamo tornati a suonare live dopo oltre vent' anni, davanti a tredicimila persone con una band di 47 musicisti tra cui l'orchestra sinfonica di Budapest. Fu un fenomenale impatto e ora siamo qui per provare a riviverlo in teatro. A noi e al pubblico piace sentire dal vivo brani composti in una sorta di anonimato. Così ci mostriamo in musica e corpo. 

Non tutte le vostre colonne sonore sono però uscite su disco...

Sì, perchè la caratteristica del comporre colonne sonore comporta che talvolta alcune non siano ritenute dai discografici adatte a uscire su cd. Non sarebbe vantaggioso economicamente. 

Tranne nel caso di produzione di edizioni speciali soprattutto per amatori e collezionisti di colonne sonore, ma si tratta di modalità al di fuori dei normali circuiti commerciali.

Com' è iniziata la vostra carriera, con più di 120 colonne sonore realizzate?

Abbiamo iniziato alla Rca come arrangiatori, tra la fine degli anni 60 e i primi anni 70 quando Morricone era già affermato con i film di Sergio Leone. Quello era davvero un periodo d'oro, ricco di fermento e prospettive. C'era una voglia matta da parte della discografia di scoprire e lanciare talenti, cantanti e cantautori. La Rca era un'autentica fucina di idee. 

In quel periodo ci avevano assegnato alcuni artisti di cui curare gli arrangiamenti per più di un disco anche per dare una certa riconoscibilità sonora. Tra gli altri, avevamo avuto Gabriella Ferri. Poi c'erano cantanti che vendevano milioni di dischi come Gianni Morandi, Nicola Di Bari o Gino Paoli e ci s' imbatteva in personaggi che solo più tardi sarebbero diventati mostri sacri come Lucio Dalla, che viveva letteralmente alla Rca. Una volta lo trovammo persino addormentato in un ascensore. 

Avevate lavorato anche con lui?

Con Lucio abbiamo avuto una bellissima collaborazione facendo gli arrangiamenti del suo secondo album, Terra di Gaiboladel 1970. C'è un brano, Africa, con suoni nostri e del suo gruppo, gli Idoli che fanno già pensare al nostro Sandokan, andato in onda su Rai 1 all'inizio del 1976. 

Invece quando è arrivata la vostra prima colona sonora?

Abbiamo esordito nel 1971 con un grande attore ma al debutto da regista, Nino Manfredi. Componemmo le musiche del film Per grazia ricevuta, premiato a Cannes come migliore opera prima. 

Musiche a tratti struggenti ben diverse dalle successive, scanzonate, per Bud Spencer e Terenche Hill...

Sì, contenevano tanta malinconia perché rispecchiavano il dramma della storia di Benedetto, Manfredi stesso: un uomo combattuto, incapace di avere fede e di amare. Così come c'era tanta malinconia in Quaranta giorni di libertà, uno sceneggiato del 1974.

Ma spesso nelle nostre composizioni c'è questa vena di atavica nostalgia, pur non essendo intenzionale. 

Qual è la vostra "filosofia" compositiva?

 Cerchiamo di trovare sempre un tema da portare avanti sino alla fine per sottolineare lo spirito della narrazione. Oggigiorno però quasi tutti i registi chiedono delle situazioni musicali più epidermiche. La tendenza attuale di cinema e fiction è di escludere un certo tipo di commento sonoro che sviluppi veri e propri temi musicali portanti. C'è la richiesta di brevi interventi sonori che non svolgano un ruolo di vero e proprio commento all'immagine, ma solo di leggero supporto. Si tende ad allontanare la musica dalla centralità della scena. Ma così facendo la si minimizza. Ma il film alla fine ne perde. 

A quale collega avreste voluto carpire qualcosa?

Burt Bacharach, che ha appena compiuto 94 anni. Grande fonte di originalità. Ma all'ammirazione per Bacharach si affianca ovviamente quella per Ennio Morricone. Certo, sembra incredibile che gli abbiano dato l'Oscar per il film di Tarantino e non per i suoi veri capolavori, come Mission o C'era una volta in America. Morricone avrebbe dovuto vincere cinque Oscar. Ma anche questa è Hollywood.

·        Oliver Stone.

Arianna Finos per “la Repubblica” il 24 giugno 2022.

Incontriamo Oliver Stone a mezzogiorno, maglietta rossa e pantaloncini, un caffè, nel salotto antico del Paragon di Ostuni. Il regista è all'Allora Festival che ospita tra gli altri Matt Dillon, Marisa Tomei, Jeremy Irons, Edward Norton, divi che si sono eclissati rinviando, poi disdicendo, le interviste fissate, per evitare di commentare la vicenda di Paul Haggis, ai domiciliari in una masseria con l'accusa di aver violentato una trentenne inglese. Ma il regista di JFK , 75 anni, non è uno che si tira indietro. 

Il festival ha due direttrici, Silvia Bizio e Sol Costales Doulton, una rarità in un panorama mondiale appannaggio di delegati uomini: «Berlino, Cannes, Venezia sono festival grandi, questo è una delle piccole rassegne estive che mi portano in Italia a scoprire luoghi magnifici e a mostrare i miei film - dice Stone - qui proietto Bush al pubblico italiano e ne discutiamo. I miei film sono apprezzati in Francia, Germania, Italia. Anche negli Stati Uniti ho molti fan ma i media sono duri con me perché parlo troppo in libertà».

Come ha reagito quando ha saputo del fermo di Haggis?

«La notizia non poteva arrivare in un momento peggiore. So che è in corso un'indagine approfondita, nessuno vuole un caso alla Amanda Knox. La verità è che con l'era MeToo è aumentata la sensibilità sull'argomento, qualunque accusa su qualunque cosa. Ora è difficile per un uomo e una donna parlare in un ambiente intimo, privato, non sai mai cosa può seguirne. Meglio essere sempre in tre»

Ma nel caso di Haggis le accuse sono molto serie.

«Non conosco il sistema giudiziario italiano, non so se è come in Fuga di mezzanotte , ma mi pare di capire che i giudici hanno molto potere. So che in Brasile il potere dei giudici è forte, Lula è stato fatto fuori da un giudice». 

Nel suo paese Bill Cosby è appena stato condannato a pagare un risarcimento di 500 mila dollari per violenza su Judy Huth, che nel 1975 aveva 16 anni.

«Ma non andrà in prigione, no? La cifra se la può permettere. Le indagini sono sempre complesse e approfondite. Come è stato complesso il lavoro per JFK Revisited , il documentario fatto trent' anni dopo l'uscita del film. Con nuovi materiali verificati da un'indagine ufficiale, federale, che i media americani hanno ignorato. È la nuova censura: omettere. I media tradizionali non cercano la verità. Hanno voluto vedere solo la mano di Lee Harvey Oswald. Era una cazzata allora e lo è oggi. C'è un altro lavoro appena finito a cui tengo molto, sull'energia nucleare». 

È un sostenitore?

«Completamente. È simile a JFK Revisited , due anni di lavoro basato su fatti, quello che sappiamo, ciò che dicono gli scienziati, le paure della gente. È una forma di energia che venne respinta, andrebbe ripresa in considerazione. Mi piacciono le rinnovabili ma costano, richiedono spazi, vento e sole dipendono dalle condizioni atmosferiche, non offrono certezze e grandi volumi»

A parte i documentari lei lavora anche a "White Lies", un film personale su tre generazioni di una famiglia.

«Ho abbandonato il progetto per mancanza di finanziamenti. Ora ne ho un altro, ma non ne parlo finché non avrò maggiori certezze». 

Neanche Francis Ford Coppola ha trovato un finanziatore per il suo "Megalopolis" e lo sta producendo da solo.

«Sì, ma i mei progetti non costano cento milioni». 

Il suo amico Tom Cruise viaggia verso il miliardo di dollari per "Maverick". C'è futuro per il cinema in sala?

«Per film spettacolari come Maverick , per i cartoni, sì. Per altri generi è dura competere con gli schermi di casa, la cui visione è migliorata moltissimo. Le sale diminuiranno».

Lei puntò su Cruise nell'89 e gli fece guadagnare una candidatura all'Oscar con "Nato il 4 luglio".

«Ha talento, avrebbe potuto scegliere qualunque carriera ma è andato avanti sulla via del successo commerciale, funziona alla grande. Fa appello a un pubblico ampio e il militarismo americano ha il suo appeal. Non per me, penso che sia orribile, che l'America sia sulla strada dell'autodistruzione se non rinuncia all'idea della supremazia militare». 

Lei ha realizzato un lungo documentario-intervista su Putin. Che impressione ha avuto a riflettori spenti?

«Quel che so di lui è quel che si vede nel documentario. Dopo, non l'ho visto più di una volta. Non so come il suo pensiero sia cambiato. Ma so che il mondo è diventato difficile per la Russia e che per l'occidente è un rischio usare le sanzioni per ferire gli interessi di altre nazioni. Non ha mai funzionato. Tutti i nostri presidenti, tra cui Obama, direbbero "cosa stiamo facendo?"».

Nel suo doc lei mostra "Il dottor Stranamore" a Putin, che non sembra comprenderlo appieno. Quel film evoca uno scenario che oggi fa paura.

«La nostra energia e la nostra fornitura di cibo dipendono molto dalla Russia. Tutto si ritorcerà contro di noi, lo vediamo già adesso con l'inflazione. L'Ucraina viene usata dagli Usa come arma contro la Russia. Dicono che è una guerra non provocata, io invece penso che lo sia stata. Siamo noi che controlliamo i bottoni. Ora in discussione c'è la leadership: John Kennedy non avrebbe fatto tutto questo, e penso neanche Obama».

·        Olivia Rodrigo.

Barbara Visentin per corriere.it il 4 aprile 2022.

Non c’erano molti dubbi su chi fosse la grande rivelazione musicale degli ultimi 12 mesi, nuova beniamina della Generazione Z, 8 miliardi di stream all’attivo, dischi d’oro e di platino che ne hanno fatto una regina delle classifiche. Ma i 64esimi Grammy Awards hanno consacrato Olivia Rodrigo mettendole tra le mani anche tre grammofoni d’oro: la cantautrice 19enne americana, pur non vincendo alcuni dei premi principali per cui era candidata, è stata incoronata Miglior nuova artista, ha vinto per il Miglior album pop con il suo disco di debutto «Sour» e si è aggiudicata anche la Miglior performance pop solista con «Drivers license», hit dei record che l’ha lanciata.

Sul palco della MGM Gran Garden Arena di Las Vegas, dove domenica notte si è tenuta la cerimonia, il pensiero della ex stellina Disney (ha debuttato nella serie tv «Bizaardvark» e poi in «High School Musical») è andato ai suoi genitori che l’hanno sempre incoraggiata, sia che si trattasse della musica sia di diventare una ginnasta olimpica, percorso che aveva intrapreso prima di virare verso le canzoni: «Questo è il mio più grande sogno che si avvera — ha detto nel ricevere i premi, lunghi capelli scuri e sorriso raggiante —. Voglio ringraziare mia mamma per aver sostenuto così tanto i miei sogni, non importa quanto fossero assurdi. Voglio ringraziare mia mamma e mio papà per essere fieri di me allo stesso modo sia per aver vinto un Grammy sia per quando ho imparato a fare la rovesciata all’indietro».

Classe 2003, brani con cui piangere per le prime delusioni d’amore («Ho 18 anni, di cosa dovrei scrivere, della compilazione delle tasse?», aveva replicato a chi la trovava monotematica e troppo adolescenziale), Rodrigo è nata e cresciuta in California, ma viene da una famiglia in parte filippina, in parte irlandese-tedesca. Figlia degli anni Zero e dell’America multietnica, erede ideale delle sue muse ispiratrici Lorde e Taylor Swift, artisticamente è «figlia» della pandemia che non le ha ancora dato la possibilità di far sentire dal vivo i brani di «Sour». 

Per compensare alla mancanza di concerti, ha realizzato un documentario che racconta il dietro le quinte del disco, «Driving Home 2 U (A Sour Film)», uscito a fine marzo su Disney+. È già stata ospite della Casa Bianca ed è stata testimonial di alcuni video per invitare i giovanissimi a vaccinarsi contro il Covid-19.

Ma dopo un anno a seminare, ora è giunto il momento di raccogliere gli applausi perduti, con un fitto tour in partenza in questi giorni dagli States, sempre sold out, che fa tappa (esauritissima) anche a Milano il 16 giugno: Rodrigo ha messo insieme una band tutta al femminile che dal vivo ha un piglio più rock rispetto al pop del disco. Ne va fiera e reclama la necessità di vedere più donne nel rock: «Non ne ho viste abbastanza da piccola», ha dichiarato.

Proprio lei è stata anche la protagonista di uno dei momenti più virali dei Grammy, beccata dalle telecamere a «flirtare» con V (pseudonimo di Kim Taehyung), uno dei sette componenti dei BTS: i due si parlavano all’orecchio e anche se non c’è modo di sapere cosa si siano detti, sono bastati gli sguardi e le espressioni a far impazzire l’armata di fan del gruppo coreano, che ha reso il video uno dei momenti più condivisi sui social della serata. 

Serata che, d’altro canto, ha incoronato anche un re, ovvero l’eclettico jazzista Jon Batiste: candidato a 11 premi, ne ha vinti ben cinque, incluso l’album dell’anno, «We Are», ispirato al movimento Black Lives Matter, a conferma di un talento già certificato dagli Oscar che in Italia ancora pochi conoscono. Trentacinque anni, attivista oltre che musicista, Batiste guida la lista dei più premiati davanti a un’altra coppia eccellente, quella dei Silk Sonic ovvero Bruno Mars e Anderson .Paak, quattro vittorie su quattro nomination con il loro «Leave the door open» incluse Registrazione dell’anno e Canzone dell’anno.

A mani vuote Billie Eilish che però è stata protagonista sul palco, dove ha cantato «Happier than ever», indossando una t-shirt nera con l’immagine di Taylor Hawkins, batterista dei Foo Fighters appena scomparso. A lui è stato tributato un sentito ricordo, mentre la rock band, comprensibilmente assente, si è aggiudicata tre Grammy. Altro tributo commovente, in una notte senza colpi di scena che ha bilanciato i clamori per lo «slapgate» degli Oscar, quello di Lady Gaga a Tony Bennett, ormai lontano dai riflettori a causa dell’Alzheimer. I due hanno vinto il Grammy per il Miglior album vocale pop tradizionale con «Love for sale» e Gaga ha cantato anche per il 95enne crooner, rimasto a casa.

Non poteva mancare, infine, un pensiero all’Ucraina: il presidente Volodymyr Zelensky è intervenuto con un video registrato (la stessa cosa era stata ipotizzata per gli Oscar, ma non si era infine concretizzata), prima che salisse sul palco John Legend insieme a due artiste e a una poetessa ucraine. «I nostri musicisti mettono il giubbotto antiproiettile invece dello smoking. Cantano per i feriti. Negli ospedali. Anche per quelli che non li possono sentire. Ma la musica riesce a sfondare comunque - ha detto Zelensky -. Riempite il silenzio con la vostra musica. Aiutateci in ogni modo, in ogni modo ma non con il silenzio. E verrà la pace»

·        Olivia Wilde e Harry Styles.

Da rollingstone.it il 6 Settembre 2022.

C’era grande attesa a Venezia 79 per la premiere di Don’t Worry Darling, il film di Olivia Wilde interpretato, tra gli altri, dal suo compagno Harry Styles.

Il film, tra i più chiacchierati della kermesse, è arrivato a Venezia 79 con un bel carico di tensioni interne (in particolare per il possibile litigio tra Wilde e Florence Pugh, l’attrice protagonista della pellicola che non si è presentata – per impegni – alla conferenza stampa di presentazione), rispettando le aspettative, almeno quelle relative al gossip visto che il film, almeno per noi, ha deluso. 

Ad alimentare ulteriormente il fuoco del pettegolezzo, infatti, è stata una clamorosa e inaspettata notizia che ci arriva direttamente dalla premiere: Harry Styles potrebbe aver sputato addosso a Chris Pine, co-protagonista della pellicola.

In un video apparso su Twitter, Styles sta raggiungendo la sua poltrona per assistere alla proiezione del film quando, prima di sedersi accanto a Pine, sembra lasciar cadere della saliva sull’attore. Pine, di reazione, blocca l’applauso e guarda incredulo verso il punto in cui la saliva di Styles potrebbe averlo colpito, rivolge gli occhi al cielo e sospira come incredulo, mantenendo un sorriso impassibile. I due non si rivolgono sguardi e Styles si accomoda in poltrona.

Non è chiaro, ed è probabilmente impossibile capirlo da questo video, se Styles abbia intenzionalmente sputato su Pine o se gli sia solamente sfuggita un po’ di saliva, ma di certo sui social lo Spitgate è iniziato, e il pubblico vuole sapere la verità. Su Twitter già si ironizza: meglio lo sputo o lo schiaffo di Will Smith a Chris Rock?

L'amore femminista di Harry Styles e Olivia Wilde. Anna Lupini su La Repubblica il 6 Settembre 2022.

La coppia si è incontrata e innamorata sul set di Don't worry darling, secondo film da regista di lei, e si mostra per la prima volta insieme sul red carpet alla presentazione del film a Venezia, ma decide di non farlo in coppia. La Wilde ha dichiarato che del cantante e attore ama il fatto che con i suoi look fluidi abbia scardinato i codici di una mascolinità tossica. E che Styles non teme il successo della sua compagna: "la maggior parte degli attori maschi non vuole interpretare ruoli secondari nei film guidati da una regista" ha spiegato la diva. Insomma una coppia che incarna lo spirito del tempo

Olivia Wilde e Harry Styles, la coppia più "sottotraccia" dello star system sbarca a Venezia, e non smentisce lo stile low profile che li caratterizza sin dall'inizio della loro relazione. 

L'amore è un delicato gioco di equilibrio. Figuriamoci per due star di calibro mondiale come loro, che sanno bene che nell'epoca del dominio dei social il passo falso è in agguato.

Harry Styles, 28 anni, e Olivia Wilde, 38, hanno iniziato a frequentarsi proprio durante le riprese del film fuori concorso a Venezia. Harry ha sostituito Shia Labeouf nel ruolo di protagonista, e l'annuncio del suo ingresso nel cast è stato fatto dalla stessa Wilde, che ha annunciato su IG di essere fiera di lavorare con Styles e Florence Pugh, che ha definito "bravi ragazzi". All'epoca l'attrice, divorziata dal suo primo marito, il musicista Tao Ruspoli, era ancora impegnata nella relazione con l'attore Jason Sudeikis, padre dei suoi due figli Otis e Daisy. 

Nel corso della lavorazione del film, i due sono stati visti insieme a un matrimonio e al festival Coachella. I rumors sono diventati inarrestabili, la relazione di Olivia Wilde con Sudeikis è finita, ma da parte della coppia ancora bocche cucite. 

La prima volta che Olivia parla pubblicamente di Harry è nel novembre del 2020, sempre a proposito del film. "Per me Harry è molto moderno davvero privo di qualsiasi traccia di mascolinità tossica, spero che questo sia indicativo della sua generazione e quindi del futuro del mondo", ed elogia la sua sensibilità per lo stile e l'abbigliamento, fondamentale per il film. 

La coppia ufficializza la relazione solo a gennaio 2021 dopo essere stati fotografati mano nella mano a un matrimonio. Nel febbraio dello stesso anno, guarda caso il giorno di San Valentino, Olivia decide di elogiare pubblicamente il suo attore protagonista: "Fatto poco noto: la maggior parte degli attori maschi non vuole interpretare ruoli secondari nei film guidati da donne. L'industria li ha spinti a credere che riduca il loro potere (vale a dire il valore finanziario) accettare questi ruoli, che è uno dei motivi per cui è così difficile ottenere finanziamenti per film incentrati su storie femminili. Non è uno scherzo, è difficile trovare attori che riconoscano che vale la pena consentire a una donna di avere su di sé i riflettori.  Ecco @harrystyles, il nostro 'Jack'. Non solo ha apprezzato l'opportunità di consentire alla brillante @florencepugh di tenere il centro della scena come la nostra "Alice", ma ha infuso ogni scena con un delicato senso di umanità. Non doveva unirsi al nostro carrozzone, ma è salito a bordo con umiltà e grazia e ci ha stupito ogni giorno con il suo talento, il suo calore e la sua capacità di guidare all’indietro".

Dopo la fine del film, e alcuni mesi di tranquilla vita di coppia a Londra, a giugno del 2021 la prima vacanza di coppia. E dove se non in Italia? Le immagini della coppia a Porto Ercole, in Toscana, ci hanno fatto sognare. 

Non è mancata anche un'esternazione sulla differenza di età, una decina d'anni tra i due: è stata ancora una volta Olivia a parlare, dichiarando a Vogue: "Ovviamente verrebbe spontaneo correggere le falsità che si dicono sul proprio conto, ma penso quando sei davvero felice, non importa cosa pensano gli estranei di te. Tutto ciò che conta per te è ciò che è reale, ciò che ami e chi ami".

Sul film, Don't worry darling, aleggia anche aria di burrasca a causa dei presunti dissapori tra la regista Olivia Wilde e l'attrice protagonista Florence Pugh. E in questi dissapori sarebbe coinvolta proprio la relazione tra la regista e il suo attore protagonista.

Quest'ultima, che ha disertato ieri la conferenza stampa, contesterebbe alla Wilde proprio il comportamento sul set, a causa della relazione con Harry Styles. Comunque siano andate le cose, è certo che alla coppia conviene mantenere un basso, bassissimo profilo.

E' per questo che a Venezia, presenti alla mostra del cinema numero 79 per presentare il film, hanno scelto di arrivare separatamente, e percorrere il red carpet allo stesso modo, concedendosi alle foto insieme solo con il resto del cast. Sono attenti e concentrati a non permettere che la loro storia di coppia travolga il lavoro che stanno presentando, e fanno un passo indietro, scegliendo la via della discrezione. 

Lui, una stella della musica prestata al cinema con un talento poliedrico e imprevedibile: l'anno scorso ha lanciato la sua linea di smalti, Pleasing, e ha firmato con Alessandro Michele una collezione di abiti firmati Gucci HA HA HA. E' stato il primo uomo a posare in abito da sera femminile sulla copertina di Vogue, in un servizio che ha fatto epoca, teso a ridicolizzare l'immagine della mascolinità tossica. Lei, oltre ad essere un'attrice bellissima e famosa, è un'attivista per i diritti delle donne e un'attenta sostenitrice della causa ambientalista, a cominciare dalla scelta di essere vegana. Impegnata su molti fronti e attiva come regista e produttrice, in un percorso comune a molte affermate stelle del cinema, sembra ben consapevole di quanto possa essere più accidentato per una donna. 

Cosa accadrebbe se l'amore tra la regista e il primo attore diventasse il centro dell'attenzione? Ecco il probabile motivo della scelta. Per il photocall Harry, che già aveva incantato all'arrivo a Venezia in total loog Gucci con un fantastico set di valigie coordinate, ha scelto proprio un look di questa sua collaborazione con il brand italiano: blazer gessato color panna, pantaloni sartoriali blu con canotta bianca e foulard al collo. Ispirazione seventies e stile, anzi Styles.(ansa)

Olivia Wilde ha invece optato per un completo in tweed verde prato (colore tormentone della prossima stagione) della Fall Winter 2022 di Chanel composto da giacca corta e gonna A-line sotto il ginocchio con tasche e con bottoni gioiello, abbinato a un paio di stivali a gamba morbida, un modello che vedremo spesso per il prossimo autunno. Il completo era indossato senza top, e il reggiseno nero si intravedeva dalla giacca lasciata aperta.

Firmata Gucci la scelta di entrambi per il red carpet serale: Harry in completo blue navy on giacca doppiopetto e camicia con colletto a punta e occhiali da sole squadrati. Olivia in un regale abito giallo limone con lungo strascico e una cascata di fili di cristalli luminosi.

·        Omar Pedrini.

Matteo Crucco per corriere.it il 3 gennaio 2021. «A Capodanno ho visto per la nona volta Pulp Fiction, ma avrei preferito fare altro»: com’è dura la vita del rocker in pandemia, se c’è una categoria con cui il virus si è accanito più di altri, questa è quella dei musicisti. Come Omar Pedrini: aveva due concerti in Sardegna, spazzate via da Omicron: «Viviamo di serate- racconta l’ex leader dei Timoria- il danno economico è stato grande. 

Con tutto l’amore che ho per Papa Francesco, non capisco perché i 20000 all’aperto per la messa di Natale (o gli affollatissimi impianti sciistici) sì e i concerti in piazza no: se l’emergenza è grande, come sembra, forse sarebbe stato meglio chiudere tutto. E invece paghiamo sempre e soltanto noi artisti». 

Se il presente dice dunque male a Omar, il passato prossimo e remoto arridono invece assai a questo 54enne artista poliedrico e dal cuore matto. Che con i Timoria, appunto, ha scritto una pagina gloriosa del rock italiano negli anni 90, simboleggiata dal loro album capolavoro, Viaggio senza vento, anno 1993: il cantante lo ha celebrato prima con un tour («dovevano essere 8 date, sono diventate 49») e ora con un libro. Scritto con Federico Scarioni, corredato da belle foto e illustrazioni, «Dentro un viaggio senza vento» racconta prima i concerti e poi quel disco a raggi x. Evidentemente passato di generazione in generazione «visto che ai live ho visto un sacco di ventenni». Perché? «E’ la storia di un giovane in crisi, tra delusioni amorose e dipendenze tossiche, ma che non si arrende alla sconfitta. Valeva nel 1993, vale oggi».

Joe si chiamava quel ragazzo, sorta di rinnovato Tommy degli Who, un concept album (parola antica…) dove Joe ovviamente era Omar. Che si salvò per un pelo: «Nacque mio figlio Pablo, capii che mi sarei dovuto dare una regolata con le droghe pesanti e partii per l’India in un ashram». Un giro di vite che gli sarebbe servito poi quando una malattia congenita gli avrebbe sconquassato il cuore, a partire dal 2002, con diverse ricadute, l’ultima l’estate scorsa: «Sì, se non avessi smesso in tempo sarei morto».

E al microfono di questa avventura avrebbe rivoluto Francesco Renga che lasciò i Timoria per inseguire lidi più nazionalpopolari nel 1998: «Doveva andare a Sanremo e ha detto no. Ne aveva già fatti otto però, forse a uno poteva rinunciare. Siamo come i Beatles, l’unica rockband italiana a non aver fatto una reunion...» scherza un po’ amaro Omar. 

Sanremo già, i Timoria furono tra i primi a cantarci nel 1991, tra i giovani, quando tra le rockband non usava e anzi era visto come un sacrilegio: «Sì, abbiamo aperto una strada». Un’autostrada vista la vittoria dei Måneskin. A Pedrini piacciono: «Non fanno parte di una scena, come ai nostri tempi, ma hanno la responsabilità morale di diventarne i leader. E se intanto sotto l’albero i ragazzini han chiesto una chitarra elettrica al posto di un telefonino, è sicuramente merito loro». 

·        Orietta Berti.

Orietta Berti: «Il vero fascino nella vita è l'età». Maurizio Caverzan su Panorama il 5 Novembre 2022.

Alla soglia degli 80 anni (il giugno prossimo) la cantante è un monumento della cultura pop italiana, ma anche una «prezzemolina» della contemporaneità. E vive una seconda giovinezza - come racconta in questa intervista - senza fermarsi mai, tra concerti, dischi, libri, tivù. Del resto, finché la barca va... 

Un prodigio della natura. Una cantante tradizionale che surfa sulla modernità. Una matusa, antenata dei boomer, che intrattiene rapper e influencer. Voce e umore squillanti, la vita di Orietta Berti è sempre sull’otto volante. Ci sono i concerti, la promozione del nuovo cofanetto di sei cd (La mia vita è un film - 55 anni di musica), il libro di ricette in arrivo da Feltrinelli, le ospitate… Al Grande Fratello Vip, dove ne succedono di ogni, non s’è scomposta un attimo. Signora Berti, quand’era bambina cosa le dava da mangiare sua madre?

Lasagne, cappelletti, tortelli di zucca, gnocco fritto... la cucina emiliana. Nelle giornate di nebbia, la nonna mi metteva nel caffè un po’ di vino rosso al posto del latte perché diceva che teneva lontana la tosse. A volte, in classe, mi addormentavo sul banco vicino alla stufa rossa. Sa: il vino, il caldo... Ricordo che la maestra chiamò la mamma: «Quando c’è la nebbia questa bambina dorme sempre». Allora la mamma, che gestiva la pesa pubblica e andava al lavoro presto, ne parlò alla nonna e, da quella volta, basta vino. È quello il segreto di tanta energia? Ma no, ho sempre lavorato tanto e dormito poco. Cosa la tiene sveglia? Adesso ci sono tante televisioni. Una volta rompevo le scatole ai miei amici in America e in Canada, lì era giorno... Ho tanto da fare, anche ripassare il repertorio prima dei concerti, bisogna esercitarsi sempre per mantenere la voce. Quando ha scoperto questa capacità di cavalcare la contemporaneità? Ho avuto le occasioni. Tutto è cominciato con il primo libro, Tra bandiere rosse e acquasantiere (Rizzoli, ndr). Poi è venuta la partecipazione all’ultimo Sanremo con Rovazzi. La canzone con Hell Raton, quella con Fedez... Adesso abbiamo pubblicato il cofanetto che era rimasto in frigo un anno e mezzo. Si sta divertendo al Grande Fratello Vip? Sì. Anche se è impegnativo perché vado a Cinecittà il lunedì e torno a casa il martedì, poi di nuovo a Roma il giovedì e riparto il venerdì. Al sabato e la domenica ho i concerti... Che cosa le piace di più? Le storie delle persone che sembrano dei film, ogni vita lo è. Prenda Giovanni Ciacci e la sua sieropositività. Abbiamo consigliato ai giovani di non provare vergogna a parlarne perché se quella malattia non viene affrontata presto, poi non la si può  più curare. Anche l’indifferenza verso i malati di depressione va combattuta. È il male del giorno. Non so se è una malattia o più una forma di disagio. A volte si scontra con l’indifferenza perché tutti siamo indaffarati e non c’è mai tempo. A una persona fragile può bastare una carezza, si può andare a trovare a nonna... Chi non ha avuto un caso in famiglia? Io stessa ne ho sofferto. Dopo il Festival di Sanremo e il suicidio di Luigi Tenco? Esatto. Ma io sono stata fortunata perché mio marito mi è stato vicino. E anche il pubblico. Trovavo tutte le porte chiuse. Solo due persone mi hanno aiutato, Gigi Vesigna e Antonio Lubrano, che difesero il successo di Io, tu e le rose. Gli altri giornalisti non mi potevano vedere. E pensare che proprio loro, nella giuria dei critici, non avevano ripescato la canzone di Tenco. Al Grande Fratello c’è qualcosa che non le piace? Il frasario, le parolacce. E le chiacchiere dietro le spalle. Io sono emiliana e se ho qualcosa da dire lo dico in faccia. Si sparla di uno e poi... ti voglio bene. Anche tutto questo bene va dosato, diciamo la verità. Cos’ha perso non andando più al Tavolo di Fabio Fazio su Rai 3?

Ci tornerò prima o poi per promuovere il cofanetto. L’anno scorso partecipavo anche a The Voice Senior su Rai 2, poi facevo una telenovela su Sky con Manuelito (Hell Raton, ndr) e Quelle brave ragazze. Ma mi piace cambiare, così sono tornata su Canale 5 dov’ero già stata con Maurizio Costanzo dal 2000 al 2005. Ha perso dei programmi, ma economicamente ci ha guadagnato. No, se calcola tutte le trasmissioni. Ho voluto fare qualcosa di nuovo. Tra poco esce anche il mio libro di cucina per Feltrinelli con le ricette afrodisiache. Ci sono quei cibi che fanno venire quel risolino un po’ stupido che fa sentire giovani. Ma afrodisiaco vuol dire un’altra cosa. Il vero afrodisiaco è l’età. Nel libro insegno come si fanno gli stuzzichini in cinque minuti da mangiare quando si fanno le ore piccole come facciamo noi dello spettacolo. E poi le ricette di mia nonna, di mia madre e di mia suocera... Come mai ha aspettato un anno e mezzo per pubblicare il cofanetto? Perché prima c’era il libro, poi a Natale avevo fatto Luna piena con Hell Raton, poi Sanremo. Con il Grande Fratello è venuto il momento giusto. Ha una bellissima copertina, creata da un ragazzo di Bologna che sul dipinto di Rubens di Anna d’Austria ha messo la mia faccia. L’ultimo cd è tutto di canzoni d’amore: l’amore per un cane, l’amore di una madre per il figlio gay, l’amore di una donna che sa di esser tradita, l’amore platonico. Nel quinto cd invece ci sono i duetti e le sigle... Come mai anche i ragazzini cantano le sue canzoni? Devo ringraziare Fedez e Achille Lauro che con Mille mi hanno aperto un mondo. A ogni concerto vedo che adolescenti e ragazzi le sanno a memoria. Un’esperienza bellissima. Parlando di rimpianti, il più grosso è non aver posato per Playboy? Quelle sono stupidaggini. Rimpianti di mancati guadagni. Ma no, sono una che va in giro senza un soldo. Non so neanche cosa prendo al Grande Fratello, fa tutto il mio manager. Non ho ancora firmato i contratti perché non ho mai tempo. E perché sono state scritte certe cifre? Non lo so neanch’io. Di vero c’è che Pier Silvio Berlusconi mi ha proposto uno special sulla mia carriera. Dovevo già farlo in Rai con Bibi Ballandi, ma dopo che è mancato non se n’è più parlato. A Mediaset mi sono sempre trovata bene perché trattano bene chi lavora per loro. Niente Playboy e anche niente Tinto Brass.

Neanche lui. Voleva propormi una parte in Monella, la sorella maggiore o la mamma di Serena Grandi. Non voleva farmi fare cose piccanti, ci mancherebbe altro. Lo sa che un po’ di anni fa il suo giornale mi aveva inserito nelle 20 donne più sexy d’Italia? Pensi un po’ , io... Credevo di essere sexy solo per mio marito. Pensa a lui quando in Mille canta «quando sei arrivato ti stavo aspettando»? Anche ai miei figli che non rispondono al cellulare e tornano a casa alle 3 di notte. È vero che ha anche il padre spirituale? Certo, prima era padre Ugolino, un cappuccino della Certosa di Firenze che è morto. Adesso ho don Guido Colombo, che ha l’età di mio figlio Omar. Anche lui di Firenze? No, lui sta a Roma, ha diverse lauree ed è ben introdotto in Vaticano. Dice messa in latino alla Radio Vaticana. E lei l’ascolta in latino? Anche in latino mi piace. Ma di solito la guardo su Tv2000, in italiano. Parlando del Grande Fratello, don Colombo le ha detto di portare un po’ di normalità: pensa che ci sta riuscendo? Dico la mia opinione con calma... In quel calderone. Ognuno vuole raccontare la sua storia. E quindi noi dobbiamo ascoltare, seguire il comportamento che hanno le persone. Quando Alfonso Signorini mi ha chiamato dopo avermi visto sulla nave a Sanremo, gli ho detto che non l’avevo mai visto. Meglio così, mi ha risposto. Ma cos’è la normalità oggi?

La normalità è non arrabbiarsi. Non parlare in fretta. Non offendere, rispettare sempre la persona che si ha davanti e parlare in modo che possano capire tutti. È contenta che una donna guidi il nuovo governo? Be’ sì, se fa le cose giuste. Largo alle donne, se sanno fare il proprio lavoro. Conta che sia uomo o donna? Conta che le promesse fatte vengano mantenute, almeno in parte. Il fatto che non sia femminista la rende un po’ meno donna? Non si può andare bene a tutti, ognuno dice la propria opinione. Ma contano i fatti. Suo marito il Grande Fratello lo guarda fino all’una e mezza di notte o a un certo punto va a dormire? Lo guarda perché vuole vedere se faccio qualche gaffe. Poi io lo chiamo appena finita la puntata. Qualche volta le fa delle critiche? Finora no, non ho sbagliato i nomi e le cose che dovevo dire. È un giudice benevolo? Perché lei ha visto che ho sbagliato qualcosa? Osvaldo mi ha detto di contare fino a tre prima di parlare perché oggi se appena uno sbaglia viene subito ripreso da tutti. Dopo tutti questi programmi non possiamo nemmeno dire che le manca Sanremo. Quest’anno non ci sarei andata nemmeno se avessi avuto la canzone giusta. Magari potrebbe presentarlo con Amadeus? A chi non piacerebbe, ma Amadeus lo sa fare benissimo. Penso che debba essere un uomo a presentarlo.

L’han fatto tante donne, non sarà maschilista? No, anzi. Però, è una bella responsabilità scegliere le canzoni e fare un buon lavoro d’équipe. Ma lei è una forza della natura. Quando lavoro non mi ricordo quanti anni ho. È quando guardo la carta d’identità che mi spavento. Poi mi faccio una bella risata e vado avanti.

Marinella Venegoni per “la Stampa” il 6 ottobre 2022.

Cara Orietta Berti, siamo alla sua terza vita artistica. Opinionista e show woman commentata e inseguita, deragliante su tutti i binari della tv. «Cinque anni fa ero opinionista con Costanzo, e volevo tornare a Canale 5, dove sono di casa. Quando mi hanno proposto il GF Vip, Osvaldo ha approvato, ma mi sono accorta che dovevo lasciare tante cose, anche "The Voice" dov' ero giudice, e anche "Quelle brave ragazze" su Sky perché non ci sto con i tempi».

Al GF Vip per consolare Ginevra Lamborghini squalificata e piangente, ha raccontato di quando si è suicidato Tenco lasciando quel biglietto di protesta contro la giuria di Sanremo che mandava in finale "Io tu e le rose"...

«Ho sofferto molto, per fortuna mi hanno aiutata. La canzone aveva venduto un milione e mezzo di copie, ma ho avuto una sensazione di isolamento. La tv aveva solo due reti, fino al '68 non ci sono potuta tornare e tutti mi evitavano. Altra fortuna, il pubblico non mi ha mai mollata, ero giovane e alle prime armi... pensi ci fossero stati i social».

Qualche sera prima, da Costanzo, ha ricordato che Playboy la voleva nuda in copertina, e lei disse di no.

«Non solo per il pensiero che mia suocera mi avrebbe portato via mio marito. 55 anni fa, anche mia mamma era una marescialla. Mi dissero al tempo che con i soldi che avrei guadagnato avrei potuto comprare 4 appartamenti, ma intanto avrei messo nel ridicolo Osvaldo. In quel periodo facevano film un po' spinti, con attrici come Edwige Fenech.

Un giorno mi chiamò Tinto Brass, rispose mia mamma: "C'è quello che fa tutti quei film sporchi". Invece lui disse: "Non la faccio spogliare, deve fare la maggiore". Tante altre volte mi ha chiamata: "Ho una parte per lei". Avrei invece volentieri comprato un titolo nobiliare, andai dal marchese Manodori di Reggio Emilia con Osvaldo, sapevo che vendeva il titolo. E comprammo invece due quadri del Seicento che sono ancora nel salone. Lo sa che Serena Dandini è duchessa? Me lo ha detto lei».

E intanto è uscito il 16 settembre un suo monumentale cofanetto con 6 cd, "La mia vita è un film: 55 anni di musica", con 130 brani.

«Ho dovuto rinviarlo perché andava bene il vinile, e ho avuto tanti successi con Mille, e Luna Piena di El Raton mi ha fatto arrivare ai concerti ragazzi e bambini che sanno tutte le canzoni vecchie, Tipitipitì o In via dei ciclamini. Il cofanetto è da appassionati: nel quinto cd ci sono i duetti, con Platinette, Lodo dello Stato Sociale, Maurizio Ferrini; Malgioglio mi ha fatto stravolgere da un dj Innamoramento. Lo presento dovunque, anche fuori da Mediaset. A Verissimo son stata, poi sarò dalla Bortone, da Mara Venier: i soliti giri. Sei in esclusiva, ma per la promozione ti lasciano fare».

Le mancherà il Tavolo di Fazio? Prende il suo posto Mara Maionchi.

«Mi mancherà ma non sono pentita. Il GF mi piace, non credevo mi coinvolgesse. Leggi le bio, parli con gli autori, ci son persone con lati negativi, ma che hanno avuto i loro guai. A volte si lasciano andare, non sanno che sono sempre registrati. Questo patatrac del ragazzo andato in depressione è terribile, Ginevra è stata squalificata per la sua frase sul bullismo. C'è gente che per il bullismo si è tolta la vita. Il mio padre spirituale, che ha l'età di mio figlio Otis, mi ha detto: "Fai bene ad andare, devi portare la normalità". Io non dico bugie, offro la sensazione che mi danno le cose».

Qualche mese fa Natalia Aspesi ha parlato della sua fatica ad adattarsi al pensiero medio contemporaneo: "Far finta di non essere chic essendolo, di amare Orietta Berti se non la si ama". Che ne dice?

«Io sono una donna normale, e faccio questo lavoro da diva. Non ne ho mai avuto l'atteggiamento, però mi vesto da Nicolò Cerioni che veste i Måneskin ,Achille Lauro, Jovanotti. Mi vesto da diva, ma sono normale. Faccio notare che da 40 anni mi produco da sola, dischi e concerti. Se non mi vedete qui è perché canto all'estero.

Ammiro tantissimo Mina e cercavo di imitarla: ma Giorgio Calabrese, il suo autore che mi scoprì, mi disse: "Non devi imitare nessuno, hai una bella voce, usala come sei". Mi ha mandata a un'etichetta internazionale, la Philips. Bisogna essere intelligenti a decidere, con Osvaldo abbiamo sempre cercato di capire da quelli che ne sanno più di noi. È anche bello vivere nella normalità, pensi a quelli che debbono inventare tutto e poi non entrano nel personaggio che si sono creati».

Da leggo.it il 3 ottobre 2022.

Orietta Berti a domanda risponde. La cantante ama raccontarsi e, come è noto, quando si tratta di raccontare dettagli stravaganti o inediti sulla sua carriera non si tira mai indietro. È successo anche venerdì sera quando l'artista, ospite a Maurizio Costanzo Show, ha rivelato che in passato le offrirono molto denaro per posare senza veli per riviste quali Playmen e Playboy.

Orietta Berti senza veli: «Mi offrirono una cifra enorme per posare nuda»

A toccare l'argomento è lo stesso conduttore, al quale Orietta risponde: «Mi hanno proposto una cifra enorme per posare nuda. Con quei soldi, avrei potuto comprarmi quattro appartamenti». A quanto si apprende, l'usignolo di Cavriago non ha mai accettato quelle offerte, puntando sempre e solo sulla sua voce cristallina per farsi conoscere e apprezzare dal pubblico.

Le ragioni di quel rifiuto è la stessa cantante a spiegarle durante il programma: «Oltre a essere una donna che ha del pudore, non ho accettato soprattutto per mia suocera. Voi non l'avete conosciuta, ma lei era molto forte. Mi avrebbe tolto mio marito». Insomma, al successo facile preferì l'amore e da allora non se ne è mai pentita.

Totò Rizzo per leggo.it il 19 settembre 2022.

Per capire com’è caricata a molla Orietta Berti, sulla soglia degli 80 anni, basta farsi raccontare le sue ultime 48 ore. «L’altra sera ho avuto a cena degli amici (a Montecchio, Reggio Emilia, ndr.), ho messo l’ultimo piatto in lavastoviglie a mezzanotte e mezza, alle tre e mezza del mattino è arrivato l’autista per portarmi all’aeroporto di Bologna dove ho preso il volo per Brindisi perché la sera avevo lì un concerto. 

L’indomani sono tornata a casa per fare interviste telefoniche sul cofanetto con 6 cd appena uscito che contiene tutta la mia carriera, 55 anni in 130 canzoni, compresi 20 inediti, e ne ho approfittato per leggere un po’ di biografie dei partecipanti al “Grande Fratello Vip”. Oggi mi vengono a prendere per portarmi a Roma negli studi Mediaset, domani invece…». Ecco, solo a pensarci uno stramazza al suolo, lei invece è una marcia trionfale.

Stasera su Canale 5 sbarca dunque alla corte di Alfonso Signorini come opinionista. «Mi hanno talmente corteggiata…», confessa non senza una punta di vanità. E così, ogni lunedì e giovedì scenderà in campo per tranciare giudizi sui concorrenti autoreclusi nella Casa di Cinecittà. L’altra opinionista sarà Sonia Bruganelli (un ritorno) che non ha certo lesinato “lanci di coltelli” ai partecipanti della scorsa edizione. Per cui, da Orietta, l’Italia affamata di reality si aspetta magari un contrappeso di caritatevole condiscendenza. 

L’hanno chiamata per fare un po’ la Grande Mamma, lo ammetta.

«Per niente. Vediamo prima come si comportano e poi bacchetteremo o assolveremo. Non è detto che mi siano tutti simpatici ma cercherò d’essere imparziale».

Come l’ha convinta Signorini ad entrare in questo girone infernale?

«Con Alfonso ci conosciamo da decenni, mi ha sempre telefonato per gli auguri quando ho affrontato una nuova avventura televisiva o canora. E poi tutta Mediaset, sono stati carinissimi, dai dirigenti agli autori del programma. Per me è un ritorno, lì sono stata di casa per tanti anni con Maurizio Costanzo a “Buona domenica”».

La voglia di novità non la abbandona mai.

«Sono una Gemelli: curiosa, mai ferma. Mi annoierei a morte se facessi sempre le stesse cose. Quest’anno sono passata da “Che tempo che fa” con Fazio a “The Voice Senior” con la Clerici, da “Quelle brave ragazze” con la Maionchi e la Milo ai The Jackall per “Indovina la canzone”. Salto da un canale all’altro, sempre in movimento». 

Allora al “GF Vip” non parteciperebbe mai come concorrente.

«Chiusa tra quattro mura per mesi? Mi basta il cachet da opinionista. Mi mancherebbe troppo la mia famiglia. Ho fatto voli di venti ore per tornare in Italia dall’estero e stare anche un solo giorno libero con mio marito e i miei figli».

Non si concederebbe nemmeno la tentazione di un flirt come tanti ne nascono là dentro…

«Un flirt? Io? Mi tengo il buono che ho scelto 55 anni fa, mio marito Osvaldo. Mi girano intorno tanti bei maschi ma ormai possono chiamarmi mamma o nonna».

Dei “vipponi” di Signorini conosce già qualcuno personalmente?

«Giovanni Ciacci. Tanti anni fa lavorava in una sartoria d’alta moda dove sceglievo gli abiti per le serate. Poi Wilma Goich: ci siamo sempre incrociate nei festival, in tv. Di molti, come le ho detto, sto ancora leggendo le biografie». 

Di solito nella Casa del “GF” cucinano schifezze. Se Signorini la invitasse ad andare a preparare qualcosa?

«A me non piace stare ai fornelli, ho abbandonato le pentole tanti anni fa per il microfono. Però sono una brava improvvisatrice in cucina, ho l’estro dell’ultimo minuto. Magari entrerei nella Casa e chiederei: “Ragazzi, cosa avete nel frigo?”».

Parliamo del disco: 130 canzoni, 6 cd, un’autobiografia in note. Ha voluto fare le cose in grande. «La mia vita è un film. 55 ++ anni di musica». Scusi, ma quel ++?

«Sono i due anni che ci ha rubato la pandemia». 

Ma anche in quei due anni lei mica si è fermata, ha fatto Sanremo, i tormentoni estivi…

«Si ma il disco sarebbe dovuto uscire molto prima, solo che in mezzo ci si son messi “Mille” con Fedez e Achille Lauro, poi questa estate “Luna piena” con Hell Raton…»

Orietta, da icona pop a icona rap… chi l’avrebbe mai detto?

(Ride). «Ma sa che adesso ho uno zoccolo duro di fans che vanno dagli 8 ai 15 anni? Prima magari venivano svogliatamente portati dalle mamme o dalle nonne, adesso sono i ragazzini a portarle ai miei concerti».

Anche icona gay. In uno dei cd ha voluto inserire il live di “Dietro un grande amore” la canzone di Paolo Limiti che ha cantato con i Tango Spleen alla festa per l’’unione civile dei suoi amici Nick Cerioni e Leandro Manuel Emede.

«Era una cosa improvvisata ma è venuta talmente bene che ho detto: mettiamola nel disco. Nick è il creatore che cura la mia immagine, Leandro un bravissimo regista. Non è la prima volta. In tempi in cui in Italia non si parlava ancora di unioni civili, proprio con Paolo Limiti abbiamo fatto da testimoni a due nostri amici italiani che si sono sposati a Los Angeles». 

Nella copertina del cofanetto è raffigurata come la regina Anna d’Asburgo dipinta da Rubens.

«Un regalo che mi ha voluto fare un mio fan bolognese, un designer geniale, Andrea Antonucci, in arte Nero blk. Meglio vestita da regina che la classica foto posata».

Ma lei si sente un po’ regina, Orietta?

«Ma per carità, al massimo sono regina a casa mia, con mio marito, i miei figli, le mie nipotine, nove gatti e due molossi».

Per restare sul trono così a lungo, nella vita e nella musica, c’è un segreto?

««Spirito ottimista e fisico forte. Da noi, a tortellini, si viene su bene, sa?».

Da corriere.it il 18 settembre 2022.

Uno dei motivi per cui Orietta Berti sta unanimemente simpatica al pubblico è la sua candida sincerità. La cantante romagnola, 79 anni, l’ha sfoderata anche stavolta, alla vigilia della nuova edizione del «Grande Fratello Vip» su Canale 5 che la vede new entry fra gli opinionisti. In un’intervista al Messaggero, ha infatti spiegato come è stata convinta ad entrare nel programma condotto da Alfonso Signorini, abbandonando Fabio Fazio a «Che tempo che fa».

«Soldi. Tanti - ha detto Orietta senza mezzi termini -. E oltre al ruolo da opinionista al “Grande Fratello Vip” anche uno show tutto mio, in due puntate, di cui stiamo definendo i dettagli e la messa in onda. Sarà una festa per celebrare i 60 anni di carriera, tanti quanti ne sono passati dall’uscita del primo 45 giri, “Non ci sarò/Franchezza”. Era il 1962». Berti ha aggiunto che Fazio inizialmente non ha preso bene il suo addio: «Un po’ ci è rimasto male, gli ho spiegato che era un’offerta che non potevo rifiutare. Alla fine se ne è fatto una ragione», ha detto.

Orietta Berti e Osvaldo Paterlini: «Lui cercò di conquistarmi con una forma di Grana. Lo sento 20 volte al giorno». Roberta Scorranese su Il Corriere della Sera il 28 agosto 2022.

La cantante racconta la lunga storia d’amore con il marito. «Ci sposammo perché io dovevo partire per l’America e lui non poteva accompagnarmi senza la fede al dito». 

I loro sguardi si incrociarono per la prima volta a Montecchio Emilia, tra un pezzo di culatello e uno gnocco fritto, sullo sfondo di una sagra. E da quel lontano giorno del 1964, Orietta e Osvaldo non si sono più lasciati. Tre anni di fidanzamento, cinquantacinque di matrimonio, due figli (Omar e Otis), un numero incalcolabile di rose rosse che lui, ancora oggi, continua a farle trovare ogni volta che lei torna a casa, reduce da una serata, dalla registrazione di uno show televisivo, da un altro dei tanti appuntamenti di lavoro. Perché lei, Orietta Berti, sta vivendo una seconda giovinezza canora a 79 anni e lui, Osvaldo Paterlini, a 80, la guarda come se fosse il giorno del loro primo incontro.

Vi siete conosciuti alla mitica Fiera di San Simone a Montecchio Emilia, vero?

Orietta «Sì, io avevo da poco perso il papà, alcuni amici mi convinsero ad andare con loro per svagarmi. Osvaldo era lì. Magro, discreto. Non faceva il marpione e non raccontava le barzellette come la maggior parte dei miei coetanei di allora. Ma lo sa che in tanti si portavano dietro il libretto delle storielle?».

Osvaldo «Di lei mi piacque lo sguardo, ma anche il modo di fare, allegro e gentile».

Chi fece il primo passo?

Orietta «Lui mi fece sapere, tramite un amico, che avrebbe avuto piacere di venire a trovarmi a casa. Io abitavo con la mamma e la nonna: Osvaldo si presentò con una bella forma di Grana».

Osvaldo «Quello buono».

Orietta «No, non è vero e infatti io ebbi subito da ridire: quello buono lo facevamo noi, a Cavriago, con le vacche rosse».

Ma la mamma e la nonna, quando videro questo ragazzo taciturno e sobrio, che cosa dissero?

Orietta «Nonna mi prese da parte allarmata: “Lascia perdere, è troppo secco, mi sa che è malato”. All’epoca bisognava essere belli grassi per piacere a mamme e nonne. Non la ascoltai, per fortuna».

Osvaldo «Io però le capivo quelle donne e feci di tutto per dimostrare che a Orietta ci tenevo sul serio».

Per esempio?

Orietta «Be’, accettò di sposarmi per potermi accompagnare in America».

Racconti.

Orietta: «Ci siamo frequentati per tre anni. Poi, nel ‘67, Claudio Villa mi telefonò e mi invitò a fare una tournée con lui negli Stati Uniti. Un sogno per me. Ma mica potevo andarci da sola. Mamma non se la sentiva di affrontare quel viaggio, però la buttò lì: “Se Osvaldo ti sposa, ti può accompagnare lui”. Non era una cattiva idea, lui acconsentì».

Osvaldo «Ma c’era un problema: eravamo nel periodo della Quaresima».

Cioè: se vi foste sposati in quel periodo, tradizionalmente chiuso ai matrimoni, in paese avrebbero fatto illazioni su una presunta fretta di andare a nozze.

Orietta «Esattamente. Così andammo dal nostro don Gino Benevelli per esporgli il problema. Lui non fece una piega: “Domenica prossima venite su a Castelnovo, alla Pietra di Bismantova, c’è una chiesa meno frequentata, vi sposo lì”».

Osvaldo «Da allora io l’ho accompagnata dappertutto nella sua carriera. Ho smesso di fare il mestiere che facevo (il rappresentante di una ditta, ndr.). Da qualche anno, però, ho qualche problemino di salute: un brutto glaucoma, sono stato operato otto volte, da un occhio non ci vedo. Così con lei va nostro figlio Otis. Però ci telefoniamo venti volte al giorno».

Venti volte al giorno?

Osvaldo «Sì, ma è lei che è sempre in ansia. Se, per dire, se io vado dal barbiere, che sta a cento metri da casa, Orietta si preoccupa. Mi chiama, vuole sapere sempre dove sono».

Orietta «Lui esagera, io sono dei Gemelli, una esuberante, attiva. Agli inizi della nostra storia sentivo che eravamo molto diversi e avevamo sempre da ridire. Con il passare degli anni, però, abbiamo finito per assomigliarci e così oggi fatico a pensare di dovermi separare da lui, anche solo per qualche tempo».

Osvaldo «Se lei non è in casa per quattro o cinque giorni di fila, mi manca, sono triste. È una forma di gelosia ma non nel senso tradizionale della parola. Sono geloso del suo lavoro, del suo pubblico che può averla vicino. Mi manca fisicamente, voglio sentirla parlare, voglio sentire le sue mille idee quotidiane, alcune assurde, va detto, perché questa donna qui non smette mai di inventarsi cose. Una canzone, un programma, un video. Io cerco di placarla e di farle capire che tutto non si può fare, deve imparare scegliere».

E quando è arrivata la proposta di Fedez per cantare assieme, come l’avete presa?

Orietta «Un poco avevo timore, perché pensavo che la mia partecipazione sarebbe sembrata fuori luogo. Io sono di un’altra generazione, temevo il ridicolo. I nostri figli storcevano il naso: “Mamma, ma ti prenderanno in giro”. Poi però abbiamo capito che il progetto di Fedez rispettava la mia carriera e, soprattutto, la mia voce. È stato un successo enorme e quando si è aggiunto anche Achille Lauro (il terzo interprete del brano Mille, ndr). Ho capito che potevo fidarmi: questi ragazzi sono dei professionisti. Anche se hanno un modo tutto loro di lavorare, io sono di un’altra epoca».

Per esempio?

Orietta «Fanno tutto con i vocali su Whatsapp. Le proposte, le modifiche, le prove. È tutto un vocale con loro, io divento matta».

Ma negli ultimi tempi per lei ci sono stati il «Grande Fratello Vip», Sanremo, il road show «Quelle brave ragazze» su Sky con Maionchi e Milo, le serate, i premi. Ormai, Orietta, lei torna a casa raramente.

Orietta «E quando ci torno, Osvaldo mi fa trovare regali. Lui però mi regala spesso cose che potremo, un giorno, lasciare in eredità ai figli, come dei quadri. L’altro giorno gli ho detto: “No, adesso voglio una cosa solo per me”. Lui ha fatto una cosa bellissima: io avevo visto al polso della mia dottoressa un braccialetto bello e strano. Lui, in gran segreto, si è informato sull’artigiano che lo aveva fatto e me ne ha fatto fare uno uguale».

Osvaldo «Racconta però anche la faccenda delle rose».

Orietta «Ah, sì. Una volta mi ha regalato cinquanta rose rosse ma io non avevo un vaso abbastanza resistente e così quando le ho messe in acqua il vaso si è rotto».

Osvaldo, ma è vero che Orietta è una maniaca della pulizia in casa?

Osvaldo «Non me ne parli. Lei, ogni sera, mette tutto a lavare, dal maglione alle calze. Non viene a letto se non ha lavato tutto, fossero anche le tre di notte. Oddio, è vero che ormai dormiamo pochissimo. Io due o tre ore, lei anche. Quando dormiamo cinque ore per noi è un lusso».

Orietta «Ma io sono fatta così, d’altra parte non ho mai cercato il principe azzurro, que giorno è passato Osvaldo e me lo sono preso. Pace».

Avete avuto il Covid?

Orietta «Quando Osvaldo se lo è preso io sono stata chiara: se ricoverate lui, dovete ricoverare anche me. Io non lascio solo mio marito».

Per fortuna, con i vaccini, tutto bene.

Orietta «Sì ma io ho avuto il Fuoco di Sant’Antonio. Ce n’è sempre una».

Anticipazione da “Chi” il 12 luglio 2022.  

Sul numero di Chi in edicola da mercoledì, Orietta Berti parla per la prima volta del suo ruolo di opinionista al Gfvip, il reality condotto da Alfonso Signorini che torna su Canale 5 a settembre. «Mi incuriosisce vedere tutta quella gente chiusa nello stesso posto per molto tempo. 

Con il carattere che ho, non riuscirei. E poi, anche quando viaggio, devo avere almeno una persona della mia famiglia con me, nella stessa stanza. Ma capisco anche che chi vive da solo, e non ha una famiglia a volte possa stare meglio nella Casa che fuori».

A proposito del rapporto con l'altra opinionista, Sonia Bruganelli, che l'anno scorso fece scintille con Adriana Volpe, ecco cosa dice la Berti: «Ah, perché, c’è anche da litigare? Pensavo che si potesse discutere solo con i concorrenti. Con Sonia capiterà di non essere d’accordo, ogni persona ha la propria maniera di vedere le cose». 

A proposito dei fenomeni come Fedez, i Maneskin, Achille Lauro, Rovazzi, la Berti dice: «Noi eravamo più timidi alla loro età, anche se ricordo Franco Battiato che si vestiva già in modo stravagante. Ma erano altri tempi.

Adesso, invece, te lo aspetti: quando vedi Achille Lauro con un completo e la cravatta ci rimani, perché te lo aspetti nudo. Ma i valori sono gli stessi. Fedez è un padre che si commuove quando sente la voce dei suoi figli. Ho fatto tante cose con questi ragazzi giovani, anche a Sanremo, e li vedo che si atteggiano, sembrano così sicuri, ma, quando parli con loro lontano dalle telecamere, sono dei cuccioloni che hanno voglia di arrivare per dare una gioia ai genitori o alla fidanzata. È sempre uguale, cambia solo il modo di atteggiarsi».

A proposito del Covid, che ha colpito lei e il marito, Osvaldo, nel 2020, la Berti ricorda: «Ci volevano portare in ospedale, ma Osvaldo disse: “Voglio morire qui, nel mio letto”, e io gli risposi “Ok, facciamolo, così siamo insieme”. Pensiamo sempre allo stesso modo, abbiamo vissuto così tanto tempo uniti che la sera non capita mai di dire “non sai cosa mi è successo oggi”». 

E, sul rischio che i tanti concerti estivi possano aumentare la diffusione dei contagi da Covid, spiega: «Spostare un concerto a cui magari tante persone lavorano da un anno è una parola. E poi, se lo sposti di due settimane, cosa cambia? I rischi sono gli stessi, perché questa è una cosa lunga. Meglio andarci con le mascherine: bisogna convivere con il rischio. Sono una donna di spettacolo e magari qualcuno dirà “lo dici perché a voi conviene”. Ma, allora, se bisogna privilegiare la sicurezza, bisogna spostare i concerti avanti di mesi, e farlo con tutti».

Dario Salvatori per Dagospia l'1 giugno 2022.

A proposito dell’intervista di Pierluigi Diaco a “Ti sento”, in onda ieri su Raidue in coincidenza con il compleanno della cantante (79), tanti auguri, Orietta!, c’è da rilevare  qualche passaggio. 

Ha ragione la Berti a dire che i cantanti, almeno fino alla seconda  metà degli anni Settanta, erano dei pupazzi nelle mani dei loro discografici. Soprattutto le donne, comprese le più popolari, da Mina a Milva, da Ornella Vanoni ala stessa Berti. Lei è stata legata per ben 18 anni al gruppo Polydor, ovvero la più potente major europea.

Dal 1962 al 1979 ha potuto fare una carriera straordinaria: 18 milioni di dischi venduti, la partecipazione a 10 Festival di Sanremo (poi ne sarebbero arrivati altri due nella maturità) e soprattutto un affiatatissimo combo autoriale: Pace-Panzeri-Pilat, ovvero la P3 della canzone. Pilat (Lorenzo Pilat), preferì abbandonare il Clan Celentano dove entrò fin dai primi mesi come Pilade,per abbracciare una carriera di autore. Fortunatissima. 

Questi tre signori hanno venduto più di 400 milioni di dischi (estero compreso). Il debutto della Berti: fu rapidissimo: plurivincitrice a “Settevoci” di Pippo Baudo, vincitrice nel 1965 sia del “Disco per l’estate” (con “Tu sei quello”) e del Festival delle Rose (con “Voglio dirti grazie”), due rassegne in quel momento molto importanti, con due vittorie in due mesi.

Il suo brano, “Futuro”, non venne presentato al Festival di Sanremo del 1980, ma nell’edizione 1986, cogliendo un meritato 6° posto. Inoltre non era proprio un’artista “indipendente”:  era passata discograficamente alla Emi ed editorialmente era tutela dalla Chappell. Quindi non proprio abbandonata. Anzi, il suo pubblico non la lasciò sola,  visti i voti che ottenne: 1.381.726!

(ANSA l'1 giugno 2022) - Sfogo di Orietta Berti a "Ti sento": ospite dell'ultima puntata del programma di Pierluigi Diaco, andata in onda ieri 31 maggio in seconda serata su Rai2, la cantante si è tolta qualche sassolino dalla scarpa sul suo percorso professionale: "mi hanno trattata come un oggetto, nel 1980 mi sono ribellata". 

 "Più di una volta mi son sentita un oggetto - ha spiegato la cantante, sollecitata da Diaco -. Perché tu esprimi la tua voglia di fare una cosa e dall'altra parte ti dicono 'no, se facciamo così non c'è abbastanza guadagno'. Tu mi vuoi togliere un'orchestrazione, un maestro bravo per fare un arrangiamento perché dici che dopo non c'è abbastanza guadagno, una soddisfazione me la puoi anche dare".

Per scardinare questo meccanismo, Orietta Berti ha iniziato a prodursi da sola nel 1980. "Sono andata a Sanremo con 'Futuro' che mi producevo da sola. Sono stata una delle prime. Quando ti produci da sola è naturale che non puoi entrare più nelle classifiche perché non hai la forza di una major che ti fa entrare. Però dopo vedi il successo dai concerti che fai, vedi la gente che viene, che ti fa i complimenti che ti apprezza per quello che hai fatto. Io ho sempre avuto dalle persone il premio".

Nel corso dell'intervista, in concomitanza con la mezzanotte del 1 giugno, giorno del 79/o compleanno della cantante, Diaco le ha fatto gli auguri sorprendendola con un mazzo di fiori. Alla domanda "Cosa auguri a te stessa?", ha risposto "Mi auguro di avere una buona salute e di avere sempre questo entusiasmo per la vita e per il mio lavoro. Perché se io mi emoziono so che dopo darò delle emozioni a tante altre persone e le persone hanno bisogno di avere delle emozioni. 

E poi, vedi, nella vita non bisogna mai desiderare le cose che non potrai mai avere. Io non ho mai desiderato le cose che sapevo non sarebbero mai arrivate, però arrivano sempre delle sorprese, e queste sorprese son dei regali che ti manda la vita". Terminata la terza stagione di Ti Sento - il suono delle emozioni, Diaco ha rinnovato l'appuntamento con la versione radiofonica su Rai Radio2 per tutta l'estate.

Orietta Berti: «79 anni? Non mi accorgo di averli. Dopo il suicidio di Tenco nessuno voleva vedermi». Mauro Giordano su Il Corriere della Sera il 31 maggio 2022.  La cantante festeggerà il compleanno con il titolo di commendatrice: «Oggi i miei amici nella musica sono i giovani come Fedez, Rovazzi e i Maneskin. Ho conosciuto tre Papi e il Dalai Lama. I miei figli continuano la tradizione dei nomi in famiglia con le “O”»

Lo sfogo di Orietta Berti da Diaco: «Mi hanno tratta come un oggetto, nel 1980 mi sono ribellata». E Diaco la sorprende con gli auguri di compleanno. Il Corriere della Sera l'1 giugno 2022.  

La cantante ospite di «Ti Sento» di Pierluigi Diaco, il martedì sera su Rai Due

Duro sfogo di Orietta Berti a «Ti sento»: ospite dell’ultima puntata del programma di Pierluigi Diaco, andata in onda ieri 31 maggio in seconda serata su Rai2, la cantante si è tolta qualche sassolino dalla scarpa, esternando una dichiarazione sul suo percorso professionale. «Ti sei sentita un oggetto per un periodo della tua vita?» ha chiesto Diaco. «Sì, una volta… più di una volta mi son sentita un oggetto. Perché tu esprimi la tua voglia di fare una cosa e dall’altra parte ti dicono «no, se facciamo così non c’è abbastanza guadagno» . Tu mi vuoi togliere un’orchestrazione, un maestro bravo per fare un arrangiamento perché dici che dopo non c’è abbastanza guadagno, una soddisfazione me la puoi anche dare».

Nel corso dell’intervista, in concomitanza con la mezzanotte del 1° giugno, giorno del 79° compleanno della cantante, Diaco le ha fatto gli auguri sorprendendola con un mazzo di fiori. Alla domanda «Cosa auguri a te stessa?», ha risposto: «Mi auguro di avere una buona salute e di avere sempre questo entusiasmo per la vita e per il mio lavoro. Perché se io mi emoziono so che dopo darò delle emozioni a tante altre persone e le persone hanno bisogno di avere delle emozioni. E poi, vedi, nella vita non bisogna mai desiderare le cose che non potrai mai avere. Io non ho mai desiderato le cose che sapevo non sarebbero mai arrivate, però arrivano sempre delle sorprese, e queste sorprese son dei regali che ti manda la vita». Terminata la terza stagione di «Ti Sento — il suono delle emozioni», Diaco ha rinnovato l’appuntamento con la versione radiofonica su Rai Radio2. 

Orietta Berti compie 79 anni: la «regola della O», il no a Playboy, 8 segreti su di lei. Arianna Ascione su Il Corriere della Sera l'1 giugno 2022.  

La cantante, soprannominata agli inizi della carriera l'Usignolo di Cavriago, è nata nel comune emiliano il 1º giugno 1943.

Il primo concorso canoro

Oltre sedici milioni di dischi venduti e quasi 60 anni di carriera tra «Tu sei quello», «Io, tu e le rose», «Fin che la barca va», «Tipitipitì» e «Mille», il singolo del 2021 cantato con Achille Lauro e Fedez che le ha regalato una nuova popolarità. Nata a Cavriago il 1°giugno 1943 Orietta Berti - che proprio oggi compie 79 anni- comincia a cantare giovanissima e a studiare musica e canto lirico, spronata dal padre Oreste. Nel 1961 partecipa alla sua prima manifestazione canora: il concorso Voci Nuove Disco d'Oro a Reggio Emilia. Canta «Il cielo in una stanza» di Gino Paoli e, in finale, arriva sesta dietro a Paola Neri (prima) e Iva Zanicchi (seconda). È proprio grazie a questo concorso che conosce l’allora direttore artistico della Karim, Giorgio Calabrese, che le propone un contratto discografico. Ma questa non è l’unica curiosità su di lei. Specialmente per quanto riguarda l’affaire Tenco che la segnò per diversi anni a venire, come vedremo

Sanremo 1967

Nel 1965 Orietta vince Un disco per l'estate con «Tu sei quello». L’anno dopo è per la prima volta al Festival di Sanremo con «Io ti darò di più», scritta da Alberto Testa e Memo Remigi. Partecipa alla kermesse anche nel 1967, edizione diventata tristemente famosa per il suicidio di Luigi Tenco, «atto di protesta contro un pubblico che manda Io, tu e le rose (la canzone con cui Berti era in gara, ndr.) in finale» si legge nel biglietto d’addio. «È un episodio che ha segnato me personalmente e la mia carriera - ha raccontato la cantante al Corriere -. C’è stato un periodo in cui nell’ambiente mi schivavano tutti, i giornalisti non volevano intervistarmi e pensare che erano stati loro a non ripescare la canzone di Tenco. Ma sono convinta che il biglietto non lo avesse scritto lui, c’erano due errori di ortografia che mai avrebbe fatto. Per quella storia sono stata messa nell’angolo. Sono sempre stata tartassata, i giornali non scrivevano una riga su di me, sembravo una cantante fantasma: eppure vendevo un sacco di dischi, eppure le mie canzoni sono state fatte in tutte le lingue, da gruppi famosi in tutta Europa».

Il pranzo con Luigi Tenco

Sempre a proposito del suicidio di Luigi Tenco (a cui Orietta Berti non ha mai creduto) intervistata da Marco Maisano qualche tempo fa la cantante ha raccontato che, nelle ore precedenti alla sua morte, il cantautore non ha mai criticato «Io, tu e le rose»: «Nel pomeriggio dopo aver fatto le prove, non mi sembrava turbato, siamo andati anche a mangiare. Il maestro Pataccini era con noi e mi ha detto: “Che bella questa canzone così semplice”. Lui era lì e non ha detto niente». Nella sua autobiografia «Tra bandiere rosse e acquasantiere» Berti scrive: «Strinsi la mano a Tenco e scambiammo due parole sul fatto che entrambi avevamo cantato in un locale in provincia di Padova, a Piove di Sacco. Più tardi lo rividi a pranzo: non so se fosse soddisfatto delle prove o meno, ma sembrava sereno. Ce l’avevo proprio alle spalle, era seduto vicino a Dalida».

La «regola della O»

Il 14 marzo 1967, tre anni dopo averlo conosciuto ad una fiera, Orietta Berti convola a nozze con Osvaldo Paterlini: «Osvaldo non ha detto "sì" - ha rivelato lei in una puntata di Che tempo che fa -, l’ha fatto solo con la testa, ma il prete l’ha preso per buono». La coppia ha avuto due figli, che si chiamano Omar e Otis: in famiglia infatti vige la cosiddetta «regola della O». Usanza che Otis ha rispettato quando si è sposato: le sue figlie infatti si chiamano Olivia e Ottavia (quest’ultima nata proprio alcune settimane fa).

Non amava «Fin che la barca va»

Orietta Berti inizialmente non voleva cantare «Fin che la barca va» (1970), diventata poi la sua canzone più conosciuta: «Io volevo una canzone d’amore e a me quel testo non piaceva - ha raccontato al Corriere -. L’ho fatta a malincuore, meno male che mi ha convinto mia mamma».

Diretta da Ettore Scola

Forse non tutti sanno che Orietta Berti è stata diretta da Ettore Scola nell’episodio «L'uccellino della Val Padana» del film del 1977 «I nuovi mostri». Ha recitato anche in «Quando c'era lui...caro lei!» (1978) accanto a Paolo Villaggio.

Il no a Playboy e Playmen

«Mi offrirono cifre da capogiro: ma chi l’avrebbe sentite poi mia madre e mia suocera», ha detto Orietta Berti al Corriere a proposito delle offerte che le fecero (per posare senza veli) le riviste Playmen e Playboy negli anni Settanta.

Orietta e la tv

Nel corso della sua carriera Orietta Berti è apparsa spesso in televisione, negli anni Settanta (La cugina Orietta, Aspettando l'alba, Stasera ti dico di no), ma soprattutto a partire dagli anni Novanta: ha partecipato a programmi come Domenica in, Quelli che il calcio, Anima mia e Buona domenica. Nel 2006 era tra i concorrenti di Ballando con le stelle, e nel 2011 è stata giurata di Ti lascio una canzone. Dal 2016 è ospite di Fabio Fazio nelle sue trasmissioni (Che fuori tempo che fa, Che tempo che fa - Il tavolo): «Ormai ci conosciamo da tanti anni, è come un terzo figlio. Ricordo la sua prima telefonata: ti piacerebbe venire a fare l’opinionista qui da me a Quelli che il calcio? Ma io non ho mai guardato per intero una partita di pallone, gli ho detto. È proprio quello che cerco io, mi ha risposto». Negli ultimi anni ha partecipato a Celebrity MasterChef Italia 2 (2018), Il cantante mascherato (2020) e Name That Tune - Indovina la canzone (2020-2021). È stata coach a Ora o mai più (2018-2019) e The Voice Senior (dal 2021) e da qualche settimana possiamo vederla insieme a Mara Maionchi e Sandra Milo nel viaggio on the road targato Sky Quelle brave ragazze.

Il successo dopo Sanremo 2021

«A chi mi chiede se questo è l’anno della mia rinascita rispondo che sono una miracolata». Nel 2021 Amadeus invita Orietta Berti al Festival di Sanremo. «E da lì è cominciato tutto» ovvero si è aperto un nuovo scintillante - come le sue mise - capitolo di successi. «Mille», il singolo cantato con Fedez e Achille Lauro, è stato il tormentone della scorsa estate. «È piaciuta a tutti: bimbi, ragazzi, mamme e nonne. Nessuno si aspettava un successo così clamoroso. Sul web abbiamo raggiunto 50 milioni di visualizzazioni, ma dobbiamo fare bene i conti». Il grande pubblico ha amato la cantante anche per le sue involontarie gaffe (come quando chiamò Ermal Meta e i Måneskin «Ermal Metal e i Naziskin») e per i suoi divertenti aneddoti come l’inseguimento della polizia durante il coprifuoco a Sanremo.

Orietta Berti, la rivincita: «C’è stato un tempo in cui mi schivavano tutti, ora non ho più un momento libero». Renato Franco su Il Corriere della Sera il 2 gennaio 2022. La cantante 78enne Orietta Berti racconta un anno trionfale, culminato col countdown di Amadeus. La hit “Mille” con Fedez e Achille Lauro? «La canto sempre sotto la doccia». Dopo il discorso di Mattarella è arrivata lei a scandire il momento più istituzionale della serata: il countdown di fine anno su Rai1. Orietta Berti ha festeggiato davanti a 10 milioni di spettatori un anno che per lei è stato strepitoso e fucsia come il suo vestito. «Amadeus lo sa, mi ha invitato al Festival di Sanremo e da lì è cominciato tutto. Lì ho conosciuto Fedez che mi ha proposto Mille . Lì ho avuto l’incontro virtuale su Twitch con Manuelito (Hell Raton) ed è nata l’idea di una telenovela per i social, e poi ha voluto produrre la mia nuova canzone, Luna piena che nelle radio sta già andando forte».

Come si vive un successo così popolare in età matura?

«È il successo che arriva a un’età certa... ma non ho il tempo di godermelo fino in fondo, lavoro tutti i giorni, ho registrato spot pubblicitari, faccio tante trasmissioni tv: vado tutte le domeniche da Fazio, per Antonella Clerici sono la coach a The Voice Senior, e poi sono stata all’estero, dove ho girato delle puntate fantastiche con Sandra Milo e Mara Maionchi, il programma si intitola Quelle brave ragazze e sarà su Sky a primavera».

Lavora di più oggi che quando era giovane...

«Come contratti televisivi sì, perché un tempo c’erano meno canali e reti dove poter andare; come concerti ovviamente no, questi due anni di pandemia hanno fermato tutto».

Orietta (Galim)Berti, emiliana da Cavriago, 78 anni e non sentirli, 16 milioni di copie vendute, amata del pubblico, snobbata dalla critica. La prof di solfeggio disse che era stonata («ero come mio papà, talmente timida che non mi usciva la voce»), debuttò cantando le canzoni tradotte della cantautrice belga Suor Sorriso («avevo paura mi etichettassero come una suora»), il suicidio di Tenco ne segnò la carriera («c’è stato un periodo in cui nell’ambiente mi schivavano tutti»).

«Fin che la barca va» è la canzone che la identifica, eppure non le piaceva...

«Non diciamo quante copie ha venduto che poi sono sempre sottoposta a tasse in più... Io volevo una canzone d’amore e a me quel testo non piaceva. L’ho fatta a malincuore, meno male che mi ha convinto mia mamma».

Il testo — direbbe Franca Leosini — era birichino: «Vorrei aprire in fretta il mio cancello / Ma quel cancello io non l’apro mai...».

«Si parlava di tradimenti, quante occasioni si hanno da giovani... però bisogna avere l’intelligenza di scegliere: o il marito o l’amante. Io ho sempre scelto il marito».

Adesso son tempi diversi...

«Adesso la gente si annoia e vuole sempre cambiare. Ma a furia di cambiare non si finisce più».

Caterina Caselli l’ha definita «glaciale». Si riconosce in questo tratto?

«Sono una brava attrice... In realtà chi non si emoziona al Festival di Sanremo? In passato era la manifestazione più importante, la gara era serrata, mentre oggi puoi avere successo anche se non vinci, ci sono le radio per promuovere i brani, la pressione è minore. Io all’epoca mascheravo, ostentavo serenità, però dentro di me c’era un uragano, una tempesta, ma non lo facevo vedere... ma se una persona dentro di sé non si emoziona davvero come fa a emozionare il pubblico?».

C’è stato un periodo in cui la sua popolarità musicale è stata appannata. Ma la tv l’ha sempre cercata. Prima Fazio, poi Costanzo, poi ancora Fazio.

«Ho fatto tre volte Quelli che il calcio, cinque volte Buona Domenica, ora ancora Il tavolo con Fazio. Quando abbiamo finito il primo anno di Buona Domenica sono andato da Costanzo a ringraziarlo e lui mi ha detto: Orietta, in questo ambiente non devi ringraziare nessuno, perché se tu non mi facevi audience, se tu non mi facevi comodo, io ti avrei lasciata a casa e invece ti ho confermato anche per l’anno prossimo».

Con Fazio che rapporto ha?

«Ormai ci conosciamo da tanti anni, è come un terzo figlio. Ricordo la sua prima telefonata: ti piacerebbe venire a fare l’opinionista qui da me a Quelli che il calcio? Ma io non ho mai guardato per intero una partita di pallone, gli ho detto. È proprio quello che cerco io, mi ha risposto. La vita regala spesso grandi occasioni: vai a lavorare con una persona che non è tua coetanea, pensi di avere poche cose in comune, eppure scopri che ci vai d’accordo e la pensi allo stesso modo».

Si sente più spesso con Fedez o con Achille Lauro?

«Quest’estate mi vedevo più spesso con Fedez perché lui veniva alle promozioni di Mille, mentre Achille dava sempre buca. Invece adesso vedo più spesso Lauro, perché lo trovo sempre in ogni trasmissione tv in cui vado».

Cosa la colpisce di Fedez?

«È sempre sul pezzo, per lui il lavoro è molto importante, è sempre molto serio, in questo senso è proprio un vero milanese».

Achille è più romano?

«Ad alcuni può sembrare altezzoso per un suo certo distacco, invece è gentile e ben educato. Sembra sempre svampito, ma è artista, e soprattutto è molto intelligente. Mi trovo benissimo con lui, mi sembra di conoscerlo fin da quando era piccolo. Quando parliamo ho l’impressione di far parte della sua famiglia da sempre, di essere una sua zia alla lontana».

Dopo Fedez e Lauro è arrivato il brano prodotto da Hell Raton...

«Manuelito mi ha detto che voleva farmi cantare sotto cassa, ma io ho capito sotto casa... È il loro gergo, adesso sto imparando dei nuovi termini, moderni. Pensi che un giorno mi ha chiamato e mi ha detto: Orietta sei proprio stata “gigi”. Ma guarda che Gigi è il mio gatto, che l’ho chiamato così in onore di Marzullo. E lui: ma no, “gg” vuol dire good game, una buona giocata, far qualcosa come si deve».

Lo farebbe un duetto con la sua celebre gaffe: i «Naziskin»...

«Con i Måneskin ho già cantato. Quando hanno fatto il tour europeo sono andata in un locale di Zurigo con loro — un locale dove ero stata anche io 20 anni prima, una festa di italo-svizzeri — e abbiamo cantato insieme. Certo che mi piacerebbe cantare con loro, chi non vorrebbe?».

Tra lei e i Måneskin è dura trovare un buco libero...

«Loro sono richiesti in tutto il mondo, se lo meritano; sono dei bei ragazzi, bravi, e fanno una buona musica».

Sfoggia sempre dei vestiti fenomenali, colorati.

«Mi veste da tanti anni Nicolò Cerioni, lo stesso stilista dei Måneskin, di Lauro, Nannini, Jovanotti... a ognuno dà il suo abito, immagina dei vestiti che rispecchiano il carattere e la personalità di chi li indossa. Così mi sento me stessa».

Iva Zanicchi ha proposto un trio: «Io, Berti e Vanoni, e andiamo con l’ossigeno».

«Beh Iva è sempre simpatica, ci sentiamo spesso. Il primo Sanremo invece l’ho fatto in coppia proprio con Ornella Vanoni, che non voleva farsi fotografare con me perché voleva un collega maschio. Adesso siamo amiche, ci sentiamo tutte le settimane... Io sono disposta a duettare con tutti; però quando i giovani ti propongono una canzone ti trasmettono la loro energia, ti viene voglia di cantare in maniera diversa anche perché devi adattarti alla loro ritmica, devi dire tante parole insieme. Quando poi assimili bene il testo è facile. Io Mille la canto di continuo sotto la doccia».

·        Orlando Bloom.

Orlando Bloom compie 45 anni: tutto quello che non sapete sul Legolas del «Signore degli Anelli». Laura Zangarini su Il Corriere della Sera il 13 gennaio 2022.

Sex symbol, star e volto «most wanted» dello showbiz, Orlando Bloom compie 45 anni il 13 gennaio. Ecco un identikit, tra vita professionale e privata, dell’ex Legolas del «Signore degli anelli», il suo ruolo forse più famoso.

Nell’infanzia una rivelazione shock

Orlando Jonathan Blanchard Bloom è nato a Canterbury, il 13 gennaio 1977. Bloom, che ha una sorella maggiore, Samantha, è stato chiamato così in omaggio al compositore del XVI secolo Orlando Gibbons. Bloom sempre creduto che suo padre fosse il marito di sua madre, il romanziere anti-apartheid di origine sudafricana Harry Bloom (1913–1981), morto quando il giovane Orlando aveva quattro anni. Quando aveva tredici anni la madre Sonia Constance Josephine gli rivelò invece che il suo padre biologico era in realtà Colin Stone, suo compagno e amico di famiglia, preside della scuola di lingue Concorde International, divenuto suo tutore legale dalla scomparsa di Harry Bloom.

1997: l’esordio al cinema

Bloom ha frequentato la St Peter’s Methodist Primary School di Canterbury, nel Kent. Affetto da dislessia, la madre lo ha incoraggiato a prendere lezioni di arte e recitazione. Dopo le esperienze al National Youth Theatre e alla British American Drama Academy, il giovane attore ha iniziato la carriera da professionista con piccoli ruoli televisivi in episodi di «Casualty» e «Midsomer Murders». Fino al debutto cinematografico in «Wilde» (1997), al fianco di Stephen Fry, prima di entrare alla Guildhall School of Music and Drama di Londra, dove comincia a studiare recitazione.

2001: Legolas, la svolta

Due giorni dopo essersi diplomato alla Guildhall nel 1999, Bloom è stato scelto per il suo primo ruolo importante: il regista Peter Jackson lo sceglie per interpretare Legolas, l’elfo della stirpe dei Sindar, nella trilogia del film «Il Signore degli Anelli» (2001-2003), benché inizialmente fosse candidato per la parte di Faramir (che non appare fino al secondo film). Il suo personaggio è diventato così popolare nel Regno Unito che ha perfino rilanciato il tiro con l’arco. Durante le riprese di una scena del primo episodio della saga, «La compagnia dell’Anello» (2001), l’attore si è rotto una costola dopo essere caduto da cavallo.

Salvate il soldato Bloom

Sempre nello stesso anno Bloom recita in un breve ruolo (è un marine che riporta una frattura alla schiena dopo una caduta dall’elicottero) nel film di guerra di Ridley Scott «Black Hawk Down». Nel 2002, «Teen People» lo inserisce nella lista delle 25 star più «bollenti» under 25. Nello stesso anno Bloom smette di fumare: una iniziativa lodevole, se non fosse che da quel momento comincia a mangiarsi le unghie. Nel 2004 «People» lo incorona invece lo scapolo più ambito di Hollywood. E lui si converte al Buddhismo di Nichiren, diventando membro del Soka Gakkai International, la cui filosofia si basa sull’idea che l’illuminazione può essere raggiunta in questa vita attraverso azioni corrette, uno stile di vita pacifico e rispettoso della Terra.

2003: arriva Will Turner

Bloom ha poi recitato al fianco di Keira Knightley e Johnny Depp in «Pirati dei Caraibi: La maledizione della perla nera» (2003), di cui è il co-protagonista nei panni del personaggio di Will Turner. L’anno dopo è Paride, l’eroe di origine frigia, figlio di Priamo e di Ecuba, causa prima della guerra e della caduta di Troia, nel blockbuster «Troy» con le star Brad Pitt, Eric Bana e Peter O’Toole

Miranda, il primo amore

Nel 2005, in una «pausa» dal legame molto on/off con l’attrice Kate Bosworth, Bloom ha cominciato a frequentare Kirsten Dunst, sua co-protagonista nel film «Elizabethtown» (nel frattempo legata alla star di «Brokeback Mountain» Jake Gyllenhaal), anche se l’attrice di «Marie Antoinette» ha negato la relazione. Dal 2007 al 2013 è stato compagno e marito della top model australiana Miranda Kerr, dalla quale ha avuto un figlio, Flynn, nato nel 2011. Si sono sposati nel 2010 e separati tre anni dopo. Bloom ha un tatuaggio della parola elfica «nove» sul polso destro, scritta nel raffinato alfabeto di Tengwar: un riferimento al suo coinvolgimento in «Lord of the Ring», in qualità di uno dei nove membri della Compagnia dell’Anello.

Katy e Daisy Dove, le ragazze di Bloom

Nel gennaio 2016 Bloom ha iniziato a frequentare la cantante e cantautrice americana Katy Perry. Una relazione che si è conclusa nel febbraio 2017 ed è poi ripresa un anno dopo, a cui è seguito il fidanzamento ufficiale il 14 febbraio 2019. Il 5 marzo 2020, nel video musicale della canzone di Perry «Never Worn White» veniva rivelato che la coppia aspettava il loro primo figlio. Il 26 agosto 2020 è nata la piccola Daisy Dove.

Uomo (nudo) in mare

Nell’estate 2016 la foto di Bloom al mare in Sardegna (finite su tutti i tabloid), mentre rema completamente nudo sulla tavola da Paddle, con l’allora fidanzata (poi diventata moglie) Katy Perry, rigorosamente in due pezzi, ha fatto il giro del mondo facendo impazzire social.

Ambientalista convinto

Dai primi anni 2000, Bloom fa parte di Global Green, un’azienda ambientale che opera a livello internazionale. Il divo tenta di vivere una vita veramente «verde» nella sua quotidianità, e ha ristrutturato la sua casa di Londra utilizzando pannelli solari, e incorporando materiali riciclati e lampadine a basso consumo energetico. Bloom è stato anche un partecipante attivo e ambasciatore di Global Green, organizzazione ambientalista internazionale indipendente, presente in più di 20 paesi, creata dall’ex presidente russo Mikhail Gorbaciov. L’organizzazione lavora principalmente per fornire acqua potabile pulita ai bisognosi in tutto il mondo ed eliminare le armi di distruzione di massa a livello globale. La star britannica ha anche marciato dietro il suo stendardo per fare pressione sul Presidente degli Stati Uniti affinché intraprenda un’azione più rigorosa e rapida sui cambiamenti climatici.

L’addio al suo amato barboncino

La star de «I pirati dei Caraibi» non si è mai arreso alla scomparsa, nel 2020, del suo migliore amico, Mighty, un barboncino toy. In una intervista al «Santa Barbara News Press» l’attore ha raccontato di averlo perso di vista un attimo mentre giocava con il cane di un’altra coppia. «Le mie due ipotesi sono — ha raccontato — che si sia allontanato ed è caduto in un fosso da cui non è riuscito ad uscire da solo o qualcuno lo ha incontrato e l’ha preso con sé». Nonostante la ricompensa di 5 milioni di dollari offerta dal divo, Mighty non è mai stato ritrovato. L’appello della star, che sui social ha invitato a cercare Mighty ovunque, ha commosso il web. Ma purtroppo non c’è stato un lieto fine. Sette giorni dopo la scomparsa del cagnetto, Bloom ha ritrovato il suo collare e ha capito che Mighty era morto. «Non ricordo una volta nella mia vita in cui abbia sofferto così tanto — ha detto Bloom —. In questi giorni e in queste notti sono stato sveglio pensando al mio ometto smarrito e terrorizzato. Sapendo di non poterlo proteggere, vivo un incubo. Mi sento impotente. Forse come molti di voi che in questo momento stanno perdendo i loro cari. Dobbiamo apprezzare i momenti che condividiamo con le persone che amiamo perché niente ci è promesso in eterno. Non abbiate paura dell’amore, né di poter perderlo. L’amore è eterno. Io sono un padre e un partner devoto. Ma c’è un motivo per cui si dice che il cane è il miglior amico dell’uomo». E per ricordare il suo amico peloso Bloom si è fatto tatuare il nome «Mighty» sul petto.

·        Ornella Muti.

Emilia Costantini per il “Corriere della Sera” l'1 agosto 2022.  

«Ho debuttato al cinema a soli 14 anni e avevo perso mio padre tre anni prima. Avrei avuto bisogno di una figura maschile di riferimento e invece non ce l'avevo. Mi sono affacciata alla vita da "zoppa", senza sapere chi sono gli uomini». 

Ornella Muti ha di sicuro il dono della sincerità e, pur essendo diventata una delle attrici di cinema, teatro e televisione più celebri, non nasconde le sue amarezze di donna. Fu Damiano Damiani a sceglierla, per un ruolo molto particolare, nel film La moglie più bella, che raccontava una storia vera.

«La dura vicenda umana di una vera combattente, Franca Viola, la prima donna siciliana che, nel 1965, si è ribellata al dogma del finto rapimento che sarebbe sfociato nel matrimonio riparatore. Con incredibile coraggio, disse: No, io non mi sposo e andate tutti al diavolo!». 

Come e perché venne scelta lei, una ragazzina di 14 anni?

«Non mi ero candidata per quel film, avevo semplicemente accompagnato mia sorella Claudia, più grandi di me, a fare il provino. Venni scelta io proprio perché avevo l'età del personaggio». 

E pure lo stesso nome della protagonista del film, Francesca...

«È stato Damiani a farmi cambiare nome, da Francesca Rivelli a Ornella Muti, un connubio che si rifà a due opere di Gabriele D'Annunzio: la Ornella della Figlia di Iorio e la Elena Muti del Piacere. Ma a me non è mai piaciuto. Oltretutto, ogni tanto su certi set qualcuno, i primi tempi, mi prendeva in giro, giocando su Muti la muta... vabbé, la cattiveria non manca mai... ci può stare...». 

Quattro anni dopo è diventata madre.

«Ragazza madre. A 18 anni. Non è stato tanto facile». 

Ha pensato all'aborto?

«Innanzitutto erano altri tempi, praticamente la preistoria rispetto a oggi, e poi non ho voluto. Mia madre però me lo chiese: anche se in Italia l'aborto era illegale, all'estero si poteva fare tranquillamente. Persino il mio agente cinematografico di quel periodo me lo consigliò, perché dovevo girare un film. Avrei dovuto abortire per fare un film? Assolutamente no! Quindi ho deciso di portare a termine la gravidanza, altrimenti il Signore mi avrebbe detto "pussa via!"... ed è nata Naike». 

Una ragazza madre coraggiosa. Gli uomini l'hanno delusa?

«Sono una sognatrice, mi creo dei film in testa, mi costruisco dei racconti romantici, favole che non corrispondono alla realtà. Noi donne, a volte, veniamo messe sugli altari dagli uomini, altre volte ci comportiamo come le geishe. Io non appartengo né all'una, né all'altra categoria. L'importante è comunque credere nell'amore, però io sono cieca e vado sbattendo a destra e a manca: in certi casi nella mia testolina bacata non ho voluto vedere ciò che era evidente». 

Nella sua professione ha contato di più la bellezza o la bravura?

«La bellezza mi ha portato avanti, aprendomi molte strade, impossibile negarlo, ma mi ha anche penalizzato, perché esiste il pregiudizio: pensano che sei bella e non brava, quindi devi impegnare il triplo della fatica per dimostrare che non è così. A volte ammetto di aver avuto la sensazione che alcuni registi mi abbiano usato solo per l'aspetto fisico senza preoccuparsi delle mie capacità artistiche». 

Bell'aspetto fisico e voce sexy.

«Sarà pure sexy, ma non è un vezzo, ho un reale problema alle corde vocali. È persino capitato che al telefono mi scambiassero per un uomo».

E adesso è tornata in teatro con lo spettacolo «Mia moglie Penelope», liberamente tratto dal libro «Itaca per sempre» di Luigi Malerba, con Pino Quartullo nel ruolo di Ulisse.

«Interpretare Penelope, una donna che aspetta vent' anni il ritorno del marito, difendendosi dai Proci e proteggendo il figlio Telemaco, è una bella sfida. È una figura femminile forte, che nutre dei sacrosanti dubbi nei confronti di Ulisse, in un gioco di reciprocità. Infatti, anche lui sospetta che lei lo abbia tradito. Ma Penelope, sia pure rattristata dai sospetti del suo uomo, resta ferma nelle proprie convinzioni, è una che ha imparato a difendersi. Nell'impersonarla ci metto la mia anima. Le donne, in fondo, allora come oggi, devono sapersi difendere». 

A lei è capitato spesso di doversi proteggere dalle molestie?

«Ovviamente sì, ogni donna, chi più chi meno, è oggetto di attenzioni sgradite. Voglio essere onesta: tutte abbiamo avuto avances, ma ho saputo difendermi. Quando avvertivo uno sgradito odore di piacioneria molesta, prima di tutto cercavo di non mettermi in condizioni tali per cui qualcuno potesse approfittarne e, quando proprio mi trovavo con le spalle al muro, recitavo la parte di quella che si sentiva male, un improvviso malore... e scappavo via. Il #MeToo è stato un movimento importante, perché le ragazze sono fragili agnelli in un mondo di lupi». 

A proposito di uomini, lei ha lavorato con i più grandi registi. C'è stato fra loro qualcuno più duro con lei, al quale ha reagito dicendo basta?

«Il più duro fu proprio Damiani. Ero piccola, inesperta e mi ha buttato a fare un film drammaticissimo... devo dire che, in certi momenti, non è stato molto carino con me, inutilmente severo. Gli altri, per esempio Marco Ferreri, Mario Monicelli o Dino Risi, tutti registi con forti caratteri, capivano che ero molto ingenua, insicura ed erano accondiscendenti, sapevano che altrimenti sarei fuggita. Cercavano però di tirarmi fuori da quella che definivano la mia Disneyland, dicevano che amavo vedere il mondo come un parco giochi, altrimenti non ce l'avrei fatta a vederlo quant' è brutto».

E con le colleghe? È vero che Romy Schneider e Lisa Gastoni non la vollero nei loro film? Temevano il confronto?

«Ma no... sono pettegolezzi che mi sono stati riportati e chissà se sono veri, magari se li sono inventati gli agenti. Piuttosto, tornando nuovamente agli uomini, un tipo col carattere difficile era Alain Delon: bellissimo, con dei cani cattivissimi... una star che aveva potere e lo dimostrava, te lo faceva pesare. Mentre invece Woody Allen, quando mi scritturò per un minuscolo ruolo in To Rome with Love , mi disse: "Sono onorato di lavorare con te...". Non ci potevo credere che fosse onorato! L'ho trovato così educato, elegante...». 

Lei ha mai avuto la tentazione di fare la diva?

«Cosa significa essere una diva? Non mi sono mai comportata così, non sono una che se la tira, se poi qualche volta appaio tale non lo faccio apposta, non appartiene al mio modo di essere. Sono una persona semplice. Non ho mica salvato milioni di vite, io ho solo fatto ridere o piangere il pubblico, tutto qui». 

E la relazione amorosa, vera, con Adriano Celentano?

«Non è il caso di parlarne... Oltretutto è stato lui, una volta, a fare dichiarazioni in merito con sua moglie presente, un errore da parte sua e io sono rimasta francamente un po' sorpresa. Che ci vogliamo fare? Questo è l'universo maschile: io, a suo tempo, ho avuto rispetto della sua famiglia». 

Abbiamo parlato di bellezza. E che dire degli anni che passano? Ha mai pensato alla chirurgia estetica?

«Il cammino esistenziale è una parabola e occorre farsene una ragione. Ovviamente cerco di mantenermi, faccio yoga facciale, rispetto una dieta seria, ma non è facile stare al passo col tempo che passa. Lo confesso, a volte non mi piaccio, sono molto esigente con me stessa, ma questa sono e non ci posso fare niente...Comunque, sdoganerei la chirurgia: tutti, donne e uomini, dicono che non si sono mai ritoccati, ma diamoci una calmata, e chi se ne importa se ti sei ritoccata. Nel mondo di oggi siamo bene o male tutti sempre esposti: bisogna essere perfetti ed è inutile far finta che l'aspetto esteriore non conti, conta eccome! Oltretutto la vita si è molto allungata e questo, diciamo, non aiuta. Non temo la vecchiaia, mi spaventa la malattia. L'importante è seminare bene gli affetti: io ho i figli e dei nipoti meravigliosi che, per fortuna, quando mi sveglio la mattina non mi dicono: "Nonna, oggi c'hai un occhio gonfio". Ti abbracciano, Ti baciano, Ti accolgono per quella che sei. Loro sono un autentico regalo». 

Dagospia il 24 marzo 2022. COMUNICATO STAMPA.

Torna Belve, il programma ideato e condotto da Francesca Fagnani, il venerdì alle 22.55 su Raidue, con un ciclo di dieci puntate dedicate a donne (e uomini) indomabili, ambiziose, non necessariamente da amare, ma che non si potrà fare a meno di ascoltare. Intervistate con lo stile diretto, graffiante e senza fronzoli della giornalista che fa emergere luci ed ombre delle sue ospiti.

Puntata di Belve molto intensa, intima e sincera. La Fagnani chiede del rapporto che la Muti ha con la Russia: “Con la Russia ha un rapporto stretto, ha la residenza, ha casa, ha chiesto la cittadinanza, ha fatto spettacoli importanti, ha detto che ha un amore per il popolo russo ed è ricambiata: ecco, in questo momento?” “Sono confusa” ammette la Muti. 

Allora la Fagnani ribatte: “Ha dubbi da quale parte stare rispetto alla guerra? “La guerra è inutile, cioè la guerra è sbagliata sempre” “Ma è confusa rispetto a cosa”? Chiede ancora la Fagnani. La Muti risponde” Sono confusa perché sono dispiaciuta, amo molto i russi e i russi mi amano tantissimo, ma...questa guerra è sbagliata” “Quindi” insiste ancora la Fagnani “Diciamo che siamo d’accordo su chi è l’aggressore e chi la vittima?” La Muti annuisce…è un sì.

Un botta e risposta tra Francesca Fagnani e Ornella Muti, durante la quale la nota attrice, considerata a lungo tra le donne più belle del mondo, ripercorre tutta la sua carriera, rivelando alcuni aspetti inediti, per esempio il suo rapporto col sesso: “Ancora stiamo a parlare di sesso, alla mia età!?” In questo momento ho escluso il sesso dalla mia vita” “Non sono mai stata un’esuberante sessuale, se il sesso è accompagnato dall’amore per me ha un senso, non farei mai una botta e via”.   

Quando la Fagnani le chiede del presunto flirt con Celentano, ricordandole ciò che la Mori ha detto:” Non è stato un tradimento d’amore”, la Muti risponde che lei ha un altro ricordo...Incalzata dalla Fagnani, poi, torna sulla questione non risolta della paternità della figlia Naike e sulla rivelazione che il padre non è il produttore cinematografico spagnolo (José Luis Bermùdez de Castro Acaso).

Quando la Fagnani chiede: “Lei è rimasta sorpresa per la prova del DNA?” la Muti guardando la Fagnani risponde: “Non lo so...” Insomma, questa intervista è un viaggio nel tempo, a cavallo tra gli anni ’70 e l’oggi, tra conferme e rivelazioni, una puntata magnetica.

Estratto da ilfattoquotidiano.it il 31 gennaio 2022.

Se la Muti quella sera era a cena con Putin rivogliamo il nostro cachet. È il Teatro di Pordenone ha violare la quarantena sanremese attorno alla celebre attrice che presenterà il Festival 2022 assieme ad Amadeus. Nel 2010 l’interprete di celebri commedie italiane come Innamorato Pazzo e Il Bisbetico domato aveva dato la propria disponibilità per una serata nel teatro friulano, ma all’ultimo istante non si era presentata adducendo ad impedimenti dovuti alla propria salute.

Secondo diverse fonti giornalistiche, invece, la Muti era corsa ad una serata di gala con cena, invitata direttamente dal presidente russo Vladimir Putin (ricordiamo che l’attrice ha la madre di origine russa ndr). La vicenda era finita davanti alla Corte di Cassazione che aveva condannato l’artista a sei mesi di reclusione, 500 euro di multa per truffa aggravata e un risarcimento di 30 mila euro per il teatro. Secondo quanto riportato dal Messaggero Veneto, la Muti avrebbe inviato ventuno bonifici da mille euro al mese per garantirsi la sospensione condizionale della pena. Nelle ultime ore, però, sarebbe intervenuto il legale dal Teatro di Pordenone, Antonio Malattia, comunicando l’auspicio che “il cachet di Ornella Muti a Sanremo venga utilizzato come risarcimento nei confronti del teatro”.

Silvana Palazzo per ilsussidiario.net il 31 gennaio 2022.

Giorgio Armani non vestirà Ornella Muti al Festival di Sanremo 2022. L’attrice ha deciso di indossare altro, anche se lo stilista le ha proposto una creazione delle sue, di alta moda. A svelare il retroscena è Naike Rivelli, secondo cui «sta finendo un pezzo di storia» e la conferma arriva proprio da questa edizione della kermesse. La figlia di Ornella Muti ha pubblicato un lungo post su Instagram in cui dice «addio vecchia moda, benvenuta ecofashion».

Velenoso il riferimento che viene fatto a “Re Giorgio”: «Siamo super fieri di aver rifiutato un look che non è in linea con le nostre scelte di oggi! Ci dispiace ma… anche no! Addio Giorgio Armani». Naike Rivelli quindi spiega che la madre ha deciso di optare «per coloro che hanno capito l’importanza delle nostre scelte in un mondo che sta cambiando, scelte che vanno al di là delle “vecchie amicizie”». A proposito dell’amicizia tra Ornella Muti e Giorgio Armani, la figlia dell’attrice ha spiegato che in generale «vuol dire rispettare le decisioni altrui, non solo quelle ecologiche, ma personali di stile e look».

Naike Rivelli non si è sbilanciata riguardo gli abiti e vestiti che indosserà la madre Ornella Muti al Festival di Sanremo 2022, ma ha assicurato che tutti coloro che si occuperanno del suo look «hanno proposto qualcosa di ecosostenibile che “potesse piacere alla mamma” anche brand che non lo avevano mai fatto prima!». Un post duro quello di Naike che però ha optato per un finale più dolce. «Ci tengo a precisare che nonostante Giorgio Armani faccia ecofashion, il look proposto non era giusto. Questo Sanremo sarà pieno di novità, modernità e addio vecchiume evviva #postleathergeneration. Poi ve lo farò vedere, vi faccio vedere il look scelto e mi direte voi».

Chissà come avrà reagito Giorgio Armani, ma comunque Ornella Muti non è l’unica ad aver rifiutato l’alta moda. Anche Drusilla Foer lo ha fatto, come annunciato a Repubblica: «Se qualcuno si aspetta di vedermi con un outfit di chissà quale brand, resterà deluso. Metterò un abito di un atelier di Firenze, di quelli dove in giro è tutto un ago e filo. E poi sfoggerò un paio di mise che ho già da tempo. Eleganza è anche saper ripescare nell’armadio».  

Daniela Fedi per ilgiornale.it il 31 gennaio 2022.

Francesco Scognamiglio ha vestito chiunque nella sua carriera: Madonna, Beyoncè, Jennifer Lopez, Nicki Minaj, la famiglia Kardashian al gran completo e per ben 18 volte negli ultimi 14 anni Lady Gaga. “Eppure prima d'ora non ho mai fatto Sanremo” racconta emozionato come un ragazzino mentre sta per “sdifettare” via zoom il secondo dei due look che ha creato in esclusiva per Ornella Muti. La diva li indosserà sul palco dell'Ariston a San Remo nelle prime due serate di Festival e il designer sta lavorando senza sosta perché tutto sia perfetto. In questa intervista esclusiva il designer racconta il dietro le quinte di quello che è a tutti gli effetti il primo scandalo di questa edizione del Festival.

E' vero che Armani doveva fare il vestito che la Muti indosserà martedì sera e lei quello per la seconda serata?

Sì ed era giusto così: se c'è Armani deve essere il primo

D'accordo, ma pare che Armani non ci si più a causa di un commento postato sul profilo Instagram di Naike Rivelli molto critico sullo stile dell'outfit mandato da Re Giorgio alla madre...

Io so solo che dovevo fare il secondo look e invece faccio anche il primo 

In ogni caso adesso il post è sparito, non le sembra molto probabile che qualcuno si sia arrabbiato?

Non voglio entrare in nessun tipo di polemica. Per me come per chiunque faccia questo mestiere Giorgio Armani è un mito. Senza designer come lui o come Gianni Versace con cui ho avuto l'onore d'iniziare la mia carriera nel 1994, non esisterebbe il fenomeno della moda italiana 

Come mai è stato chiamato da Ornella Muti?

Siamo amici da tanti anni.

Lei si presenta molto poco in giro, è un tipo schivo e riservato, molto lontana dai soliti clichè della diva.

Quando mi ha chiamato non volevo crederci così come non credevo ai miei occhi quando ci siamo incontrati per discutere del look e prendere le misure. Ero convinto che fossero cambiate perché è inevitabile con il passare del tempo. Invece a 67 anni è sempre magrissima e bellissima, un corpo da modella con quel viso sensazionale che ha sempre avuto 

Come l'ha vestita?

Non l'ho solo vestita, curo la sua immagine dalla punta dei capelli a quella dei piedi lavorando a stretto contatto con il suo team di truccatori e parrucchiere. Io la vedo come un eroina e visto che a San Remo parlerà di salvaguardia del pianeta ho scelto solo tessuti naturali a parte il neoprene del corpino per il primo modello che tecnicamente è un abito-scultura. Si tratta di un lungo peplo nero con un profondo spacco a sinistra montato sul bustier di neoprene interamente coperto di jais, ovvero i preziosi cristalli neri che la Regina Vittoria impose come unica decorazione agli abiti femminile dopo la morte del Principe Alberto

Insomma è come se Ornella fosse elegantemente in lutto per la sorte del pianeta

Si può leggere anche così. Il secondo invece è un deciso omaggio alla sensualità delle donne. Si tratta di una tunica in tulle evasione color carne interamente ricamata da canottiglie e Swarovsky nella stessa tinta che tecnicamente si chima Nude. Sotto ha un busto in raso sempre nude ricamato con cristalli 3D. Hanno un effetto pazzesco e il bustier accarezza meravigliosamente il seno di Ornella 

Può dirci qualcosa anche sugli accessori?

Per ora sono sicuro solo dei gioielli appositamente fatti da Delfina Delettrez, figlia primogenita di Silvia Venturini Fendi

"Il tempo che passa non mi fa paura. Sì all'amore a 67 anni". Laura Rio il 20 Gennaio 2022 su Il Giornale.

L'attrice che inaugurerà il Festival con Amadeus si confessa: "Mi mostro per quello che sono e mi godo la mia famiglia".

Su quel palco salirà una diva. Una delle poche del cinema italiano. Un mito, un sex symbol. Nella realtà, una donna che è rimasta semplice e disponibile. A lei spetta il compito di inaugurare il primo febbraio il Festival di Sanremo funestato per il secondo anno dalla pandemia, quando tutta Italia si collega per ritrovare un universale punto di aggregazione.

Signora Muti, si vede come portabandiera di un'Italia che cerca di uscire da un altro inverno durissimo?

«Ahi, che compito difficile, ne sono onorata e spero di essere all'altezza. Sanremo deve tornare a essere un appuntamento di normalità. Dopo tanti mesi di sconquasso fisico e mentale, la gente deve aprire il televisore e dire uau, che bello, ora si canta, per cinque giorni pensiamo solo a stare allegri».

Lei vorrebbe anche parlare di temi importanti.

«Se ci sarà spazio e mi daranno la possibilità mi piacerebbe riflettere su questa pandemia. Nel mio piccolo sto portando avanti una campagna per il rispetto dell'ambiente. Non voglio fare la Greta Thunberg, ma sono convinta che il Covid ci dovrebbe riportare a capire come dobbiamo comportarci con il pianeta che ci ospita. E, poi, oltre al virus ci sono tanti problemi che stiamo dimenticando. Il mio Sanremo sarà tutto ecologico».

Vestirà abiti, gioielli e borse eco-sostenibili.

«Sì, se ne occupa mia figlia Naike. È lei che porta avanti queste battaglie, è molto creativa e trova mille idee per le sue campagne».

Anche postare foto in cui è nuda.

«Per lei è un fatto naturale, un modo per esprimersi, non si vergogna del suo corpo, non ci sono intenti scabrosi. È una donna libera, esuberante, esagerata, provocatoria. Nel privato, poi, fa una vita discreta e serena».

Nella prima sera ci sarà lei come co-conduttrice e i Maneskin super ospiti. La bellezza eterea e il rock duro. Due mondi diversi, entrambi messaggeri dell'Italia nel mondo.

«Bello no? È giusto che Sanremo porti un mix di esperienze e temi diversi. I Maneskin mi piacciano molto, anche se la loro musica per le mie orecchie è un po' hard, hanno mostrato un grande coraggio. Vuol dire che i giovani che vogliono guardare loro saranno costretti a vedere anche me e al contrario i più grandi che cercano me ascolteranno loro».

Nelle serate successive, la seguiranno come presenze femminili Lorena Cesarini, Drusilla Foer, Maria Chiara Giannetta, Sabrina Ferilli.

«Scelte coraggiose. Che affrontano diversi temi, come quello della discriminazione nel caso di Lorena (di madre senegalese). Drusilla (alter ego di Gianluca Gori il cui invito ha suscitato qualche perplessità, ndr) è una grande artista che porta un mondo meno ligio alle etichette. La gente ha paura di quello che non conosce. Invece siamo tutti diversi e questo è meraviglioso».

Pochi giorni dopo il festival, il 9 marzo, lei compirà 67 anni. Per gran parte del pubblico resta la donna sensuale dei film di Monicelli, Ferreri, Risi, Damiani

«Non temo il tempo che passa. Mi mostro per quella che sono adesso, questa è la vita, si invecchia. Sono felice di essere nella mia pelle, sto attenta, cerco di mantenermi in forma, di fare passeggiate, vivere nella natura, avere tempo per riflettere, tenere giovane soprattutto la testa. E, soprattutto, di godermi la famiglia, che è la mia forza».

A breve nascerà il quarto nipotino.

«Sì, primogenito di mio figlio Andrea. Noi siamo una grande famiglia allargata. Oltre ai tre figli e tre nipoti, ci sono anche le due figlie del mio ex marito (Federico Fachinetti). Ancora mi domando perché mi sono lasciata con lui, però sono contenta perché dopo sono nate le sue bambine, Viola e Sofia».

Loro stanno a Roma e lei vive insieme a Naike in campagna, in Piemonte.

«Sì, con tre gatti, due cani e anche due maiali, due femmine di nome Chiara e Federica, che pure stanno in casa con noi. Diventano nervose quando hanno fame, ma basta stare attenti. La mia stampella è Naike, noi ci completiamo, se non ci fosse stata lei non sarei riuscita ad andare via da Roma e vivere da sola».

Dopo alcune relazioni, ora non ha un compagno. È ancora aperta all'amore?

«Mai dire mai. Io ho sempre cercato rapporti importanti, non sono la donna da una notte. Sono una romantica, sempre fedele, coerente con me stessa, anche con il me stessa pazzerella. Alcuni uomini mi hanno ferita, ma in quelle situazioni mi ci sono messa io: mi costruivo idee di quelle persone che non erano reali».

Con Naike ha creato un cannabis medical center.

«Sì, chiamiamola erba medica, così non facciamo confusione, non c'entra nulla con le sostanze illegali. L'obiettivo è quello di aiutare i malati a reperire in tempi brevi la cannabis prescritta da medici che può dare loro grande sollievo».

Ha lavorato con i più grandi registi e attori. Un ricordo che non ha ancora raccontato.

«Citto Maselli mi voleva per Codice privato, dove ero l'unica attrice, io da sola. Ero incinta di Andrea, gli dissi non posso, nasce tra poco. È stato il primo (dopo i familiari) a venirmi a trovare in ospedale, mi ha amato come i registi veri amano i loro attori: ho portato Andrea sul set appena nato e l'ho allattato per tre anni come tutti i miei figli».

Vorrebbe mai tornare a essere chiamata con il nome di battesimo: Francesca Rivelli?

«Chi mi conosce mi chiama così. Per il pubblico sono Ornella». Laura Rio

Ornella Muti, è polemica: foto social con ciondolo con foglie di marijuana. Maria Volpe su Il Corriere della Sera il 31 gennaio 2022.

È arrivata la prima polemica del Festival. Protagonista è la prima delle cinque co-conduttrici, scelta da Amadeus per la serata del debutto: Ornella Muti. Sul suo profilo Instagram, l’attrice ha postato una sua foto in bigodini, in una pausa delle prove al Teatro Ariston. E indossa una collanina con un ciondolo a forma di foglia di marijuana. Accanto a lei c’è la figlia Naike Rivelli: anche lei indossa una collanina con il ciondolo simile a quello della mamma; in più Naike ha anche un paio di orecchini con lo stesso tema. Gioiellini che non sono sfuggiti ai follower.

Subito se ne sono accorti i deputati di Fratelli d’Italia, Federico Mollicone, commissario di Vigilanza Rai, e Maria Teresa Bellucci, capogruppo in commissione Affari Sociali: «Riconosciamo in Ornella Muti una grande icona del cinema italiano, ma riteniamo improprio il sostegno alla liberalizzazione della cannabis espresso in un post da parte della co-conduttrice di Sanremo». Che aggiungono: «Non vorremmo che Sanremo possa diventare il megafono delle posizioni del fronte della cannabis libera e del referendum. Tanto più di fronte ai recenti fatti di cronaca che vedono coinvolta la sorella di Ornella Muti, Claudia, in una maxiretata per smercio di sostanze stupefacenti. La riteniamo un’esternazione impropria. L’uso della cannabis in Italia è illegale, se non per uso terapeutico».

La cannabis è una vera e propria battaglia per mamma e figlia. A settembre avevano lanciato una nuova linea di prodotti realizzati con la cannabis. Sui social avevano annunciato la nascita di una associazione che ha come obiettivo quello di dare supporto ai malati e proporre iniziative di «green economy». Si leggeva su Instagram: «Da oggi ci siamo anche noi! Ci sono 6 milioni di consumatori di cannabis che sono costretti a rivolgersi alle mafie. Noi vogliamo dare voce alle persone che i politici proibizionisti vorrebbero sbattere in galera!».

Non è mancato neppure il forte disappunto di Giovanardi: «E’ una cosa tristissima, vedere che si dà spazio a chi promuove questa cultura della morte».

Grazia Sambruna per mowmag.com il 18 gennaio 2022.

“Ci sono 6 milioni di consumatori di cannabis che ogni anno sono costretti a rivolgersi alle mafie. Vogliamo dare voce a tutte quelle persone che i politici proibizionisti vorrebbero sbattere in galera. Da oggi ci siamo anche noi!”. Questo l’annuncio con cui nel luglio scorso, Ornella Muti e la figlia Naike Rivelli hanno annunciato urbi et orbi l’apertura del loro primo The Hemp Club (notare il sottilissimo acronimo) nel Salento. 

Per la precisione a Nardò, in provincia di Lecce. Praticamente non se ne era accorto nessuno (il profilo Instagram della struttura conta attualmente poche centinaia di follower), ma ora che l’attrice è stata annunciata da Amadeus come co-conduttrice della prima serata del prossimo Festival di Sanremo, viene fin troppo facile immaginarsi la faccia dei vertici Rai davanti a questo side project della famiglia Rivelli. I famosi (e famigerati) fiori di Sanremo non sono mai stati così green! 

Sì, ma cosa diavolo sarebbe un Hemp Club? Arriviamo subito: si tratta di un’associazione culturale (con regolare statuto e possibilità di tesseramento) che si occupa della coltivazione di cannabis a scopo terapeutico. Con prescrizione medica, chiunque può entrare in uno di questi centri (il primo è stato aperto a Milano nel 2020, importando nome e strategia di business dall’omonima catena spagnola) e coltivare da sé oppure vedersi consegnare la dose di marijuana utile a lenire il dolore. All’interno di questi centri, sono previste anche attività come corsi di pasticceria (tutto, dai muffin alle torte) per preparare prelibatezze a base di THC. 

L’Ornella Muti Hemp Club è attivo da luglio 2021 e nasce dalla sofferenza della madre dell’attrice, venuta a mancare l’anno prima a causa di un cancro. Vedendo mamma Ilse attraversare questo calvario, l’attrice ha scelto di scendere in campo affinché tale via crucis non potesse più capitare ad altri pazienti chemioterapici (o a cui basterebbe qualche foglia di cannabis per sentirsi fisicamente meglio).

Un gesto nobile da parte di Ornella e della figlia Naike, ma che, non ne dubitiamo, farà aggrottare più di un sopracciglio in casa Rai. Nel feed del profilo @ornellamutihempclub si trovano anche molti post a sostegno della raccolta firme per il referendum sulla legalizzazione della cannabis, nonché foto e video di Ornella e Naike che attraversano piantagioni di marijuana con aria trasognata. Davvero?  Sì. E ne abbiamo le prove: Solo a ottobre scorso la sorella della Muti, Claudia Rivelli (71 anni!), è stata condannata agli arresti domiciliari per importazione illegale di Gbl (la droga dello stupro) dall’Olanda e per averla spedita, a cadenza regolare, in quel di Londra presso il civico del figlio. “A lui serviva per pulire la macchina, a me per lucidare l’argenteria”, ha spiegato la donna. Tale motivazione, però, non le ha evitato la condanna. 

Quindi: Ornella Muti che attraversa sterminate piantagioni di marijuana nel Salento con aria estatica, la sorella Claudia che fino al mese scorso circolava a piede libero per il deepweb in cerca di Gbl da mandare al figlio in pratiche boccette a cui aggiungeva l’etichetta posticcia “shampoo” per eludere i controlli alla dogana. Naike Rivelli (clamorosamente vestita - ma non sempre, per tener fede al suo credo nudista) a impreziosire il tutto. Stiamo già vivendo il migliore dei Festivàl possibili. Non sappiamo quanti punti valga l’Ornellona in fame chimica sul palco dell’Ariston al Fantasanremo, ma daremmo tutti nostri Baudi pur di poterci scommettere sopra.

Dagospia il 17 febbraio 2022. Poche ore fa è stata rinviata a giudizio Naike Rivelli a seguito della denuncia per diffamazione della neo nonna Barbara D'Urso. La figlia di Ornella Muti in un post aveva scritto: "Voci di corridoio sostengono che la D'Urso abbia un amante a Mediaset". Come andrà a finire la storia? Ah saperlo...

Giada Oricchio per iltempo.it - articolo del 1-7-2020 

È guerra senza quartiere tra Naike Rivelli e Barbara D'Urso: la conduttrice ha denunciato per diffamazione la figlia d'arte. "Mi ha mandato i carabinieri" ha detto Naike e Ornella Muti: "Barbara, ma non eravamo amiche?!". In piena estate scoppia una bomba: Naike Rivelli ha svelato, con un video su Instagram, di aver ricevuto una denuncia penale dalla conduttrice Mediaset.

Naike, vestita di pizzo trasparente, prima ha fatto la parodia del modo di condurre della D'Urso: "Mi sono vestita così per promuovere l'integrità della donna", poi ha sferrato l'attacco: "Nelle tue trasmissioni hai fatto venire gente di ogni genere e in ogni condizione, ricordo bene Francesco Nuti e hai fatto audience su questo. Hai parlato delle emozioni, della disperazione e degli equivoci, quindi cose che potrebbero non essere vere.

Hai creato mega gossip, non voglio entrare in merito al tipo di televisione che crei, però la fai... Quindi chi la fa l'aspetti...Diffamare significa affermare qualcosa di non vero su una persona. Nella trasmissione di Barbara D'Urso vengono affermate regolarmente cose che poi vanno verificate. Dunque nei suoi salotti si può dire di tutto, ma nei salotti di casa propria no e questo mi fa paura".

A questo punto, Naike ha rivelato cosa era successo: "Due indagini penali: una perché pare che io abbia sfruttato il suo nome e una perché l'avrei diffamata. Pare che si riferisca a quando scrissi un post in cui dicevo che voci di corridoio sostenevano che avesse un amante a Mediaset. Voci di corridoio. È venuto Sgarbi nella tua trasmissione e ha detto che sei una raccomandata! Ho riferito voci di corridoio, non ho detto che è così".

Ma la linguacciuta Rivelli chiude con una frecciatina: "Non è che hai la coda di paglia? Chi mette in gioco pubblicamente la vita e le emozioni degli altri non può prendersela quando tocca a lei, anzi dovrebbe affrontare la questione apertamente. Una giornalista vera, beh, parla pubblicamente, non manda delle letterine con i carabinieri. Io ho fatto dello humour su Barbara D'Urso e lei mi ha preso seriamente, va bene, si vedrà anche io ho ottimi legali che si occupano di queste cose. 

Che ironia! Se qualcuno avesse il diritto di fare una diffida a qualcuno, dovremmo essere io e mia madre. Il nostro materiale è stato usato e strumentalizzato regolarmente nei programmi della D'Urso finché io non ho messo un punto. Che ironia, mentre pregava per noi dal pulpito della sua trasmissione, mandava le lettere di diffida. Santa, santa D'Urso non si fa così".

Il lungo filmato si chiude con l'intervento di Ornella Muti che sfoggiando un sorriso tra lo scettico e l'indignato ha detto: "Dai Barbara, davvero hai fatto una denuncia penale a Naike? Non ci posso credere. Ma non eravamo amiche?!". 

In passato, Naike Rivelli è stata ospite di "Domenica Live" e i rapporti con la D'Urso sembravano ottimi finché la stessa Rivelli cambiò idea criticando aspramente quel tipo di televisione e dicendosi pentita di averne fatto parte: "Mai più, mai più. Aveva ragione mia mamma". 

Andrea Ossino per repubblica.it il 10 aprile 2022.

Sono stati travolti dall'inchiesta che ha fermato le due bande di pusher che vendevano "Droga di Hitler" per permettere a un esercito di extracomunitari di lavorare nelle case dei romani senza accusare fame e stanchezza. Sono finiti a processo anche per aver fatto affari con il Ghb, la droga dello stupro. 

E adesso corrono ai ripari. Ventinove delle trentadue persone coinvolte nell'indagine condotta dal pm Giulia Guccione, hanno infatti scelto di essere giudicate con rito abbreviato, una scelta che comporta la riduzione di un terzo dell'eventuale condanna che potrebbe essere emessa. E non è escluso che molti di loro scelgano di patteggiare la loro pena.

 Tra i nomi degli indagati che hanno scelto di essere giudicati con rito abbreviato c'è anche quello di Claudia Rivelli, la sorella 71enne dell'attrice Ornella Muti, che dichiarato di aver acquistato le nuove droghe per inviarle al figlio che, in Inghilterra, "le usa per pulire la macchina". Assistita dall'avvocato Teresa Mercurio, il prossimo 6 luglio sarà costretta a sedere nel banco riservato agli imputati, in un'aula del tribunale di piazzale Clodio.

Stessa sorte per Denny Beccaria. Dalla sua casa di via Coriolano, in zona Tuscolana, il trentaduenne romano coordinava la vendita delle sostanze, inclusa la droga dello stupro. "Il Ghb viene acquistata come droga dello sballo. Si diventa euforici, ci si sente leggeri e si dimentica anche dove ci si trova. Si associa spesso anche all'assunzione di Shaboo e Yaba, droghe molto in ascesa soprattutto dal Covid in poi", aveva spiegato il maggiore Fabio Valletta, della compagnia dei carabinieri di Roma Centro. 

A processo, con rito abbreviato, anche il braccio destro del capo, la zarina del ghb, Clarissa Capone, che non sapendo di essere intercettata, aveva rivelato la sua storia con la "famiglia romana": "Calcola che quando ci stava il Festival del Cinema io là ci andavo con lo zainetto pieno... cioè ci stavano giornalisti... cioè ci stava di tutto e di più... e da là poi so... sono arrivata ad un politico...da che ti fai il giornalista la voce si espande, la voce è arrivata pure all'assistente del politico...".  

Sarebbero stati proprio Clarissa Capone e Danny Beccaria a vendere "sostanza stupefacente del tipo cocaina a S.M. che la ordinava anche per conto di Tommaso Cerno",  il parlamentare, si legge nel decreto di giudizio immediato. L'episodio si riferisce al 9 settembre del 2019, quando 930 euro di polvere bianca sarebbero finite nelle mani dell'onorevole. Un'altra vendita sarebbe avvenuta tre giorni dopo.  

A processo andrà anche l'esercito di persone che ha comprato ingenti quantità su internet, almeno secondo i pm. Tutte accuse che i legali degli imputati, dall'avvocato Teresa Mercurio fino al collega Domenico Naccari passando per i penalisti Giuseppe De Nicola e Sabrina Visone, proveranno a smontare in aula.

(ANSA il 9 febbraio 2022) - La Procura di Roma ha chiesto ed ottenuto il giudizio immediato per una trentina di persone, tra cui anche Claudia Rivelli, attrice e sorella di Ornella Muti, nell'ambito dell'indagine sul traffico di droghe sintetiche (anche Gbl. nota come la droga dello stupro) acquistate sul dark web e dall'estero.  

Il processo è stato fissato al prossimo 12 aprile davanti alla settima sezione penale. 

Gli indagati erano stati raggiunti da una ordinanza cautelare il 27 ottobre scorso al culmine degli accertamenti svolti dal Nas. Per Rivelli erano stati disposti gli arresti domiciliari. 

In particolare l'ex attrice di fotoromanzi è accusata di importazione e cessione di sostanze stupefacenti perché "illecitamente dall'Olanda - è detto nel capo di imputazione dell'ordinanza del gip - con cadenze trimestrali, importava vari flaconi di Gbl provvedendo a inviarne parte al figlio residente a Londra dopo averne sostituito confezione ed etichetta riportante indicazione 'shampoo' in modo da trarre in inganno la dogana"

Da ilgiorno.it il 12 luglio 2022.  

Claudia Rivelli, sorella di Ornella Muti, patteggia una pena per le accuse di traffico di droga. 

L'accordo prevede  una pena di 1 anno e 5 mesi per Claudia Rivelli, attrice di fotoromanzi e sorella di Ornella Muti, nell'ambito dell'indagine su un traffico di droghe sintetiche (anche Gbl, nota come la droga dello stupro) acquistate sul dark web e dall'estero. 

La pena, concordata con la Procura di Roma, verrà ratificata davanti al gup nei prossimi mesi. 

L'ex attrice di fotoromanzi è accusata di importazione e cessione di sostanze stupefacenti perché "illecitamente dall'Olanda - è detto nel capo di imputazione dell'ordinanza del gip - con cadenze trimestrali, importava vari flaconi di Gbl provvedendo a inviarne parte al figlio residente a Londra dopo averne sostituito confezione ed etichetta riportante indicazione shampoo in modo da trarre in inganno la dogana". 

Nel procedimento sono coinvolte una 39 imputati, tre hanno optato per il rito ordinario, gli altri per l'abbreviato e il patteggiamento. Tra chi ha concordato la pena (4 anni) anche Danny Beccaria ritenuto dagli inquirenti a capo della banda dei pusher. 

Ilaria Sacchettoni per roma.corriere.it il 17 novembre 2022.

Ordinata su «Shop and Clean» sito di approvvigionamento di detersivi e accessori casalinghi, consegnata attraverso inconsapevoli rider come una qualunque pizza a domicilio, consumata a piacere a cifre variabili attorno ai 100 euro, la molecola di gammabutirrolattone (Gbl o Ghb) raggiungeva case, club privée ed eventi alla moda. 

Finché non è scattata la sfida repressiva lanciata dalla Procura romana che, solo ieri, ha portato a 7 nuovi arresti, 60 perquisizioni e 200 iscrizioni sul registro degli indagati. Un secondo capitolo dopo il primo che, esattamente un anno fa, aveva partorito decine di arresti e accertamenti su tutto il territorio nazionale. 

In carcere sono finiti il manager di Rcs pubblicità Francesco Supino, il finanziere Domenico Fazzari e il musicista Damyan Ilchegv Tudzharov mentre nei confronti di Emanuela Falconi, Gennaro Russo, Marco Locatelli e Gennaro Quasto gli agenti della Polaria hanno eseguito gli arresti domiciliari.

Quanto a Giovanni Maria Leone, nipote dell’ex presidente della Repubblica e figlio di Claudia Rivelli, sorella dell’attrice Ornella Muti (che ha patteggiato 1 anno e 5 mesi di reclusione per importazione e cessione di sostanze stupefacenti) la gip Francesca Ciranna non ha concesso gli arresti per i quali sarebbe stato necessario un mandato internazionale di cattura (è domiciliato a Londra) ma resta indagato.

 La droga chimica viaggiava ovunque. Non mancava agli eventi ma compariva anche nelle circostanze meno sospette tipo gli uffici di dipendenti pubblici teoricamente immuni da dipendenze del genere. Veicolata alle serate del Gorilla’s, brand del mondo gay e nelle case di professionisti, manager e perfino politici. Nel precedente filone era emerso anche il nome di Tommaso Cerno (Pd) tra i destinatari non indagati di alcune spedizioni, salvo chiarire alla pm Giulia Guccione, titolare dell’altra maxi inchiesta, che non era direttamente lui a consumare questo tipo di sostanze ma un suo ex partner affetto da problemi di dipendenza. 

Dal suo inizio l’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Giovanni Conzo ha portato al censimento di nuovi preparati, fra i quali 16 sostanze oggi confluite nelle tabelle ministeriali di molecole vietate (non lo erano), mentre gli aggiornamenti degli elenchi pubblici sono tuttora in progress. 

Droga dello stupro, negli atti il nome del senatore Tommaso Cerno. La replica: «Frequentavo una persona che incontrava i pusher». Redazione Roma su il “Corriere della Sera” il 15 febbraio 2022.

Nei loro contatti telefonici i pusher della «droga dello stupro» lo chiamavano «il senatore» o «il politico»: ad ascoltarli però c’erano i carabinieri del Nas che lo scorso ottobre, nell’ambito dell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto di Roma Giovanni Conzo, hanno arrestato oltre 30 persone. Tale indagine portò ai domiciliari tra gli altri Claudia Rivelli, 71 anni, attrice e sorella dell’attrice Ornella Muti, e nel corso degli accertamenti i militari si sono imbattuti anche nel nome del politico: si tratta di Tommaso Cerno, senatore e giornalista, che non è indagato. E non risulta avere avuto alcun contatto diretto con gli spacciatori. E adesso è lui stesso il primo a chiarire: «Tre settimane fa sono stato informato di questa vicenda e ho collaborato con i carabinieri. All’epoca ero fidanzato con un ragazzo che evidentemente - io l’ho scoperto soltanto adesso - aveva dei problemi. Quando non ero a casa è possibile che abbia ricevuto gli spacciatori presso la mia abitazione per farsi consegnare cocaina. Io non ne sapevo nulla, né ho mai avuto rapporti con nessuno di loro. Quando mi hanno avvisato, i carabinieri mi hanno anche detto di informarli se ci fossero stati problemi, ma nessuno mi ha mai avvicinato. Ho voluto bene a questa persona e sono molto dispiaciuto per lui anche se la nostra storia è finita da tempo».

I fatti sono avvenuti tra settembre e ottobre 2019. Uno dei presunti capi della banda di pusher e la sua complice sono accusati del reato di concorso in cessione di sostanze stupefacenti «perché in concorso tra loro, con più atti esecutivi di un medesimo disegno criminoso, cedevano sostanza stupefacente del tipo di cocaina» a un ragazzo amico di Tommaso Cerno. Nelle carte compaiono quattro cessioni di droga, tra cui una «corrispondente alla somma di 930 euro». Per il traffico di droghe sintetiche acquistate dall’estero sul web o sul darkweb la Procura la scorsa settimana ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato per oltre 30 persone e il processo si aprirà il 12 aprile prossimo. Una vicenda però che ha toccato Cerno di striscio, indirettamente. Anche se il suo nome è comunque finito nelle carte. «Io non ho compiuto alcun reato e non c’entro nulla con questa inchiesta», precisa l’ex direttore dell’Espresso, oggi parlamentare del Pd.

Fulvio Fiano per il Corriere della Sera il 15 Febbraio 2022.

Quattro consegne di cocaina tra settembre e ottobre del 2019 presso la sua abitazione. Quantitativi imprecisati, con l'eccezione di un caso dove è stato appurato il controvalore della merce: 930 euro. È Tommaso Cerno, del Pd, il senatore citato, ma non indagato, nell'inchiesta sul traffico internazionale di stupefacenti che coinvolge anche la sorella di Ornella Muti, Claudia Rivelli, 71 anni. Cerno compare come presunto cliente della cosiddetta «famiglia romana», nome d'arte del duo Danny Beccaria e Clarissa Capone.

Proprio quest' ultima effettua le consegne a domicilio presso l'abitazione del senatore, che non figura però come acquirente diretto bensì con il tramite di un altro soggetto identificato: «Sapevo tutto di questa vicenda rispetto alla quale sono completamente estraneo e ho collaborato subito con i carabinieri - ha spiegato lo stesso senatore del Pd, per chiarire il caso -. All'epoca ero fidanzato con un ragazzo che aveva dei problemi. Evidentemente quando non ero a casa ha ricevuto gli spacciatori presso la mia abitazione per farsi consegnare cocaina.

Io non ne sapevo nulla, né ho mai avuto rapporti con nessuno di loro. Quando mi hanno avvisato, i carabinieri mi hanno anche detto di informarli se ci fossero stati problemi, ma nessuno mi ha mai avvicinato. Ho voluto bene a questa persona e sono molto dispiaciuto per lui anche se la nostra storia è finita da tempo». 

La sua versione trova conferma nella ricostruzione degli investigatori. A lui si è risaliti dall'indirizzo della consegna e dal telefono del ragazzo che ha materialmente effettuato le ordinazioni, dicendo che erano anche a nome suo. Mai i due pusher hanno svelato l'identità di Cerno negli interrogatori, mentre nelle intercettazioni dei carabinieri del Nas, coordinati dal pm Giulia Guccione e dall'aggiunto Giovanni Conzo, figurava come «il politico» o «il senatore».

Trentanove in totale le persone arrestate nell'ottobre 2019, cinque già mandate a processo con rito immediato, a cui se ne sono aggiunte altre trenta sei giorni fa, dopo la chiusura delle indagini da parte della Procura. Come avveniva a casa di Tommaso Cerno, le consegne avvenivano a domicilio anche nel periodo di lockdown. Ma i centri di spaccio erano anche alcuni locali della Roma «bene». 

La sostanza più richiesta era la cosiddetta «droga dello stupro», facilmente confondibile con altri liquidi cambiandone l'involucro. Un espedente usato anche da Claudia Rivelli, che la smistava al figlio a Londra camuffandola da shampoo (indizio di rilievo, secondo gli inquirenti, a carico dell'ex attrice). Coinvolti anche vigili urbani, funzionari di banca e dell'Agenzia regionale delle case popolari, un alto ufficiale dell'esercito che riceveva le consegne in caserma.

Nelle indagini i Nas hanno individuato e registrato 16 nuove sostanze mai giunte prima in Italia. In totale sono state 290 le spedizioni tracciate dagli investigatori per un volume d'affari stimabile in quasi 5 milioni di euro con importazioni da Olanda, Canada, Polonia, Francia, Croazia e Cina. Gli ordini di «Gilda», «Mafalda», «acqua» o «blue meth», ovvero la metanfetamina blu al centro della serie tv americana «Breaking Bad», erano continui: i clienti normali dovevano recarsi al domicilio dei pusher, quelli importanti invece potevano essere riforniti a casa o per appuntamento all'aperto.

Gli incontri avvenivano soprattutto fra piazza Venezia, piazza Navona e piazza Risorgimento: i corrieri viaggiavano in bici o monopattino travestiti da rider con tanto di borsone colorato per la consegna degli alimenti, dove invece c'era lo stupefacente della qualità richiesta.

Andrea Ossino per "la Repubblica - Edizione Roma" il 16 febbraio 2022.

Un avvocato morto per overdose e un diplomatico brasiliano deceduto dopo una serata a base di pratiche bondage e droghe sintetiche. Due casi diversi e un unico assassino: il Ghb, l'acido idrossibutirrico, la droga dello stupro. 

Dopo le due indagini che hanno fermato il giro di fentanili e di nuove droghe, vendute a chi era in cerca di chemsex o a un esercito di extracomunitari che le assumevano per lavorare senza accusare fame e stanchezza, la procura di Roma apre una terza inchiesta. Fotografa nel modo più drammatico gli effetti delle nuove droghe, facilmente ordinabili su internet.

Il fascicolo aperto dal pm Giulia Guccione e dall'aggiunto Giovanni Conzo mira infatti ad approfondire le dinamiche che hanno portato alla morte due professionisti. Il primo è un avvocato deceduto per un'overdose. Il secondo è un funzionario dell'ambasciata brasiliana. Entrambi sono morti dopo aver assunto Ghb. 

Per questo motivo adesso le indagini si concentrano su chi abbia venduto la sostanza, solitamente assunta per aumentare il piacere sessuale e spesso utilizzata per stordire le vittime di violenza sessuale. 

Due morti e un unico fascicolo, il terzo che vede protagonista le droghe sintetiche, il primo in cui si ipotizza l'accusa di "morte come conseguenza di altro reato", dove per " altro reato" si intende lo spaccio di Ghb. Fascicoli diversi si sono intrecciati tra i corridoi della procura di Roma. L'indagine sul Ghb era ancora in corso quando sul tavolo del sostituto procuratore Maurizio Arcuri è arrivato il caso del diplomatico brasiliano.

Era il 7 aprile del 2020 e poche ore prima la moglie di A.S.G. aveva trovato il corpo del marito riverso sul letto, nudo, nella sua casa di Monteverde. Le indagini del pubblico ministero hanno permesso di risalire a due persone che non avrebbero tempestivamente allertato i soccorsi. Erano i due amici con cui la vittima si dilettava a praticare bondage, assumendo, a quanto pare, anche droghe sintetiche. Uno dei due è un ex capitano dei carabinieri che in passato, in Lombardia, aveva avuto già problemi con la droga. Le indagini, nel 2020, avevano permesso di risalire a chi, secondo la procura, avrebbe potuto salvare la vita del diplomatico e non ha mosso un dito e il procedimento è ancora in corso. Adesso, la nuova inchiesta punta a scoprire chi lo ha ucciso vendendogli quella droga tanto semplice da comprare quanto letale. 

Agli atti delle due indagini con cui nella Capitale è stato fermato il giro di fentanili e di nuove sostanze psicotrope ci sono infatti le telefonate degli assuntori al 118. «Mi serve un'ambulanza, c'è un ragazzo che ha una crisi psicotica e sta facendo un casino terrificante..corre per tutto il bed and breakfast ho paura che si butta dalla finestra » , urla al telefono uno degli indagati intercettato il 9 dicembre 2019. «Il mondo delle nuove sostanze psicoattive - confermano gli atti - si contraddistingue per la rilevanza e diffusione di preoccupanti episodi di intossicazione acuta e reazioni avverse registrate in danno degli assuntori». Il fenomeno è inarrestabile.

Nei laboratori in giro per l'Europa vengono inventate sostanze sempre nuove, molecole che agli occhi della legge neanche esistono e che spesso vengono alla luce solamente in seguito all'intervento dei medici, quando una serata all'insegna dello sballo si trasforma in tragedia. È una corsa contro il tempo. Dal 2005 ad oggi gli inquirenti ne hanno classificate quasi 500. 

L'inchiesta del pm Guccione ha però una peculiarità: è stata condotta su sostanze stupefacenti che in realtà non erano ancora state classificate come tali. "Aiuto, il ragazzo ha una crisi, si butta dalla finestra" Agli atti i pm hanno messo le telefonate al 118 degli assuntori di droga dello stupro Palazzo Madama Agli atti del pm la consegna di una bottiglia da 400ml di Gbl nei pressi del palazzo del Senato.

Tommaso Cerno, "Il senatore"

Gli spacciatori intercettati lo chiamano il "senatore" o "il politico". Ma negli atti viene rivelata la sua identità: è il parlamentare Tommaso Cerno. Senatore eletto con il Partito Democratico, quindi confluito nel Gruppo Misto e infine rientrato tra i ranghi del Pd, il politico viene citato dagli investigatori come un acquirente di cocaina.

È tutto scritto nelle carte. In quegli atti  emerge che i clienti più importanti venivano coccolati recapitando la droga dalle parti di piazza Venezia, in piazza Navona o a due passi da Palazzo Madama, dove un corriere è stato fermato mentre vendeva 400 millilitri di Gbl. 

Compaiono anche alcune compravendite di cocaina. Tra queste ce ne sono quattro che riguardano il senatore Cerno. 

I capi della banda di pusher, Clarissa Capone e Danny Beccaria, "cedevano sostanza stupefacente del tipo cocaina a S.M. che la ordinava anche per conto di Tommaso Cerno", si legge negli atti. L'episodio si riferisce al 9 settembre del 2019, quando 930 euro di polvere bianca sarebbero finite nelle mani dell'onorevole. 

Un'altra vendita sarebbe avvenuta tre giorni dopo. E poi ancora il 10 e il 25 ottobre, con due consegne a domicilio. Gli uomini del Nas hanno ricostruito l'identità del senatore partendo da alcune telefonate intercettate: "Calcola che quando ci stava il Festival del Cinema io là ci andavo con lo zainetto pieno... cioè ci stavano giornalisti... cioè ci stava di tutto e di più... e da là poi so... sono arrivata ad un politico...", diceva al telefono Clarissa Capone.

E ancora: "Sto andando dal politico che abita vicino la Cassazione", dice. E poi: "le consegne ai politici...si calcola che parlavo con l'assistente, poi quando arrivavo a casa ci stava lui, il politico". 

La posizione di Cerno

Cerno, ascoltato dagli investigatori, ha chiarito la sua posizione. E ieri ha spiegato: "A quel tempo aveva una relazione con una persona che ha avuto problemi con la giustizia e che ha frequentato casa mia, ma non ho mai avuto rapporti con i pusher arrestati. Evidentemente non era la persona giusta ma io non ho compiuto alcun reato e non c'entro nulla con questa inchiesta".

Concita De Gregorio per “la Repubblica” il 17 febbraio 2022.

Immagino di avere 16 anni e di essere indotta, per desiderio di piacere, a fare come fanno tutti: mostrare disinvoltura sessuale all'altezza dei video che tutti vedono, assumere droghe che abbattano le (credo) istintive resistenze ad unirsi nel sesso a moltitudini indistinte, procacciarle ad altri così da risultare al gruppo ancor più gradita. 

Leggo di una ragazzina di sedici anni vittima di uno stupro di gruppo figlia, poniamo, di avvocati ambasciatori o insegnanti di violoncello e penso a quei disgraziati genitori, anche. Perché certo è una responsabilità non aver indotto nei propri figli il senso della tutela di sé e del limite, ma poi quando capita non riesco a pensare solo: è colpa loro.

Penso: poveri tutti. La "droga dello stupro", le pasticche, la cocaina come borotalco, tutto proprio come in quella serie tv così realistica, Euphoria , così utile da vedere per capire. Poi leggo di avvocati ambasciatori e insegnanti di violoncello che si fanno recapitare a casa le medesime droghe e provo a pensare povere le mogli, i mariti, i figli di costoro - inconsapevoli. 

Da ultimo leggo che le mogli, i mariti, i figli fanno da corriere, mentono menzogne patetiche, l'argenteria da lucidare, addossano la colpa all'amico disgraziato ospitato in casa. Un senatore, un giornalista a suo tempo osannato come prodigio, un brillante uomo d'affari, una signora dedita al volontariato.

E dunque tutti, i loro figli i fratelli ma forse chissà anche i nonni, intere famiglie fanno uno di nascosto dall'altro ciò che condannano in pubblico e qui vacilla la qualità fondamentale del cronista, mettersi nei panni. Non so più immaginare dove sia, il bandolo. Forse la matassa è inestricabile, forse è da buttare.

Giovanni Sallusti per “Libero quotidiano” il 17 febbraio 2022.  

Mai come oggi Tommaso Cerno apprezzerà di non essere un senatore leghista. E non per turbe ideologiche (l'uomo è parecchio intelligente, tanto da non votare il liberticida Ddl Zan nonostante sia omosessuale dichiarato). Ma per motivi assai più prosaici, dunque dirimenti, essendo la vita al 99% scritta in prosa.

Se avesse in tasca la tessera di Alberto da Giussano, non sarebbe infatti in una posizione comunicativamente antipatica ma tutelata. Si dibatterebbe piuttosto nel tritacarne, sarebbe già materia inerte, l'ennesima, a disposizione delle iene del circuito mediatico-giudiziario. Noi siamo contenti che non sia così, è ovvietà garantista e liberale. Ma quel che segue, a metacampo politica invertita, non sarebbe per nulla ovvio. Cerno spunta negli atti dell'inchiesta della Procura di Roma sul traffico internazionale di stupefacenti che coinvolge anche la sorella di Ornella Muti. 

Cerno compare come "presunto" cliente (come correttamente precisa il Corriere della Sera, voi quante volte ricordate l'aggettivo sacrosanto nelle cronache della storia di Luca Morisi, certo diversa perché lo spin doctor era indagato, ma infarcita di toni splatter?). Il parlamentare democratico è citato, ma appunto non indagato. 

Vengono riportate quattro consegne di cocaina, tra settembre e ottobre 2019, presso la sua abitazione. Cerno (che gli spacciatori intercettati chiamano "il senatore" o "il politico") non figura come acquirente diretto, bensì con il tramite di un altro soggetto identificato. 

E infatti i cronisti danno ampio spazio alla sua versione (inutile chiedervi analogie di metodo col caso Morisi, non trovereste mezza riga), che peraltro per noi è quella vera: «Sapevo tutto di questa vicenda rispetto alla quale sono completamente estraneo. All'epoca ero fidanzato con un ragazzo che aveva dei problemi. Evidentemente quando non ero a casa ha ricevuto gli spacciatori». 

Chiosa a testate unificate: «Non era la persona giusta ma io non ho compiuto alcun reato». Ne siamo certi, lo sono gli inquirenti, lo sono i colleghi, viva Beccaria e il manuale di giornalismo. Chiediamo solo al lettore un piccolo esperimento mentale: dimenticate Cerno, focalizzate l'attenzione su Mario Rossi, senatore della Lega. Pare che a casa di questo Mario Rossi venissero consegnate partite di cocaina, non una, non due, bensì quattro volte. 

Lo mettono nero su bianco dei magistrati (categoria ben al di sopra degli evangelisti) che pare non escludano il Rossi fosse proprio uno dei destinatari («d'altronde abita lì!», sbraiterebbero le brutte copie di Travaglio sparse nelle redazioni, è più che sufficiente per montare la ghigliottina), seppur tramite intermediario. Non solo: ci è dentro talmente fino al collo, questo bifolco, che nelle intercettazioni (le quali non vanno mai contestualizzate, sono il Sacro Graal di noi puri al servizio del popolo, stonerebbe il coro tutto) i pusher lo scomodano, più volte.

E pensate, il Rossi ha perfino il fegato di scaricare l'allora fidanzato (sarà un gay omofobo, oltre che reazionario) come se fosse possibile che lui non ne sapesse nulla. Vergogna, dimissioni, morte sociale, nel sacco dell'indifferenziata giustizialista insieme a Morisi! Al massimo, può comparire in qualche vignetta di ottimo gusto del Fatto Quotidiano, come quella di ieri (lo stesso giorno del giusto trattamento morigerato per Cerno) su Salvini che lavora alla campagna anti-droga mentre un suo collaboratore gli assicura che quella gli cola dal naso è con tutta evidenza farina. Risate, sipario. Davvero, caro senatore Cerno, siamo lieti anche noi che lei non sia leghista.

Luca Monaco e Andrea Ossino per repubblica.it il 17 febbraio 2022.

"A quel tempo avevo una relazione con una persona che ha avuto problemi con la giustizia e che ha frequentato casa mia, ma non ho mai avuto rapporti con i pusher arrestati". È la replica a caldo del senatore Tommaso Cerno, eletto a palazzo Madama nelle liste del Pd, allora in quota renziana. Il suo nome (non è indagato) figura nelle carte dell'inchiesta sull'impressionante giro di Ghb nelle case dell'alta borghesia romana. 

Gli inquirenti hanno ricostruito i traffici di cocaina e Ghb, scoprendo che delle dosi, "per uso personale", sono finite in casa del senatore, consegnate a domicilio da due indagati il 9 settembre, il 23 settembre, il 17 ottobre e il 25 ottobre del 2019.

Cerno non si è fatto nessuno scrupolo a scaricare tutte le responsabilità sul suo ex compagno. "Evidentemente - accusa Cerno - lui non era la persona giusta, ma io non ho compiuto alcun reato e non c'entro nulla con questa inchiesta". È agli atti che a fare da tramite con i pusher sarebbe stato Marco, un ragazzo romano di 35 anni che all'epoca lavorava come cameriere in un bar ristorante in via Cavour. Marco, raggiunto da Repubblica, allarga le spalle. Sembra quasi cadere dalle nuvole. 

Premesso che lei non è indagato, secondo la ricostruzione degli inquirenti avrebbe ordinato per conto del senatore Cerno della cocaina a due indagati, i pusher Danny e Clarissa, che portavano le droghe, Ghb incluso, a domicilio dal senatore. Le risulta?

"Come dice? Sta scherzando. Assolutamente no, quando mai. Cado dalle nuvole, non so nulla di questa indagine. Ascolto le parole che mi sta dicendo e mi sembra tutta una grande bufala". 

I pm hanno ricostruito quattro episodi nei quali Danny e Clarissa hanno recapitato la droga a casa Cerno.

"Io con Cerno non ho mai sentito parlare di cocaina, le assicuro. Né abbiamo mai fatto uso di Ghb". 

Quando vi siete conosciuti con il senatore?

"Guardi si, con lui abbiamo un'amicizia. Ci siamo conosciuti al bar ristorante in via Cavour nel quale lavoravo all'epoca. Lui veniva come cliente. È una vita che non lo sento".

Da quanto tempo non avete più rapporti?

"Saranno otto mesi che non ci parlo. Io a metà del 2019 sono andato via da quel ristorante. Sono andato all'estero, a lavorare a Zanzibar". 

A quell'epoca però intrattenevate una relazione, i fatti li conosce.

"Le ripeto, davvero non so nulla. È la prima volta che sento parlare di tutta questa storia. Adesso dovrò informarmi su cosa è successo, sul perché mi state contattando. Io ero all'estero nel 2019".

Però Danny lo conosce. Nell'inchiesta si annota che lei è andato più volte a casa di Cerno insieme a lui e a Clarissa. Lei ordinava la droga e loro la recapitavano.

"Io, con Danny, non sono mai stato a casa di Cerno. Non so di cosa parla". 

Neanche del giro di Ghb ricorda nulla? Riguarda diversi personaggi noti in città.

"A casa di Cerno non abbiamo mai fatto uso di Ghb. Mi sembra assurdo, è la prima volta che sento parlare di cose del genere, ve lo assicuro".

"Mai usato coca con Cerno", parla l'ex fidanzato del parlamentare Pd. Valeria Di Corrado su Il Tempo il 17 febbraio 2022.

«Io con Cerno non ho mai sentito parlare di cocaina, né abbiamo mai fatto uso di Ghb o Gbl». L’uomo con cui il senatore del Pd Tommaso Cerno avrebbe intrattenuto una relazione sembra cadere dal pero alla notizia che il suo nome compare, accostato a quello del parlamentare, nelle pagine dell’inchiesta della Procura di Roma sul traffico di droghe sintetiche che lo scorso novembre ha portato all’arresto di 39 persone, tra cui Claudia Rivelli, la 71enne sorella dell’attrice Ornella Muti. È bene precisare che né Cerno, né M.S. (il suo ex) sono indagati. Gli inquirenti ritengono piuttosto che quest’ultimo, barman specializzato in cocktail, sia uno dei clienti a cui venivano vendute le sostanze stupefacenti.

Ai pusher Danny Beccaria e Clarissa Capone - che il prossimo 12 aprile si troveranno a processo insieme a un’altra trentina di persone - viene infatti contestato dal gip Roberto Saulino di aver ceduto cocaina a M.S. «che la ordinava anche per conto di Tommaso Cerno»: il 9 settembre 2019 «in un quantitativo imprecisato ma corrispondente alla somma di 930 euro»; il 12 settembre 2019, il 17 e il 25 ottobre 2019 altri quantitativi imprecisati di cocaina «destinati all’uso personale dei clienti» e «trasportati presso l’abitazione del Cerno». Proprio il 17 ottobre 2019, infatti, Danny Beccaria viene intercettato dai Nas mentre parla con Clarissa Capone «Sto andando dal politico… quello lì che abita davanti alla Corte di Cassazione». Capone: «Il senatore?». Beccaria: «Quello lì de... de lungotevere...». Capone: «Ah! Il politico...».

«A quel tempo avevo una relazione con una persona che ha avuto problemi con la giustizia e che ha frequentato casa mia - ha spiegato all’Adnkronos il senatore ed ex direttore dell’Espresso Tommaso Cerno - Ma non ho mai avuto rapporti con i pusher arrestati. Evidentemente non era la persona giusta, ma io non ho compiuto alcun reato e non c’entro nulla con questa inchiesta».

In sostanza il parlamentare ha scaricato tutte le responsabilità sul suo ex compagno, che però smentisce tutto: «È una bufala, non abbiamo mai fatto uso di droghe. Con il senatore ho un’amicizia: l’ho conosciuto al ristorante dove lavoravo, ma non lo sento da una vita... ossia da almeno 8 mesi. Anche perché alla fine del 2019 sono andato a Zanzibar».Le foto pubblicate su Instagram a dicembre 2019 ritraggono il barman sull’isola africana, è andato anche a visitare il museo dedicato a Freddie Mercury. «Non sapevo nemmeno di quest’indagine - conclude M.S. al telefono - mi informerò».

·        Ornella Vanoni.

Marco Travaglio per il Fatto Quotidiano l’11 Dicembre 2022.

Se nei prossimi due mesi siete o capitate a Milano, Brescia, Bologna, Torino, Perugia, Firenze, Genova, non perdetevi l'appuntamento con Ornella Vanoni e il suo concerto Le donne e la musica. Non se ne vedono tanti di questo livello e con queste emozioni. 

L'altra sera a Roma, all'Auditorium della Conciliazione, non cadeva uno spillo e non volava una mosca. Il sipario s' è aperto su Ornella in abito bianco su una poltroncina di design dorata come i suoi ricci, e ci siamo detti: s' è rotta il femore due mesi fa, è un miracolo che sia sul palco, canterà da seduta. Invece, dopo il brano d'esordio Ornella si nasce (l'autoritratto firmato Renato Zero) e il primo monologo autobiografico ("Mi hanno detto di parlare tanto perché alla gente piace"), si arrampica sul cavalletto porta-microfono e fa quasi tutto il concerto in piedi.

Ogni tanto accenna pure a qualche mossa di danza. Ma ciò che conta è la voce, sussurrata, perfetta, se possibile migliorata dagli anni (sono tanti: quanti non sta bene dirlo). 

Canzoni, musica, capricci e ironia: i suoi elisir di giovinezza. E infatti metà del pubblico è di giovani: uno balza sul palco per abbracciarla appena lei dice che il Covid le ha rubato gli incontri ravvicinati ("Oggi le ragazze mi dicono che i ragazzi sono tutti timidi, insicuri... Non si scopa mai! Ai miei tempi ci si incontrava, ci si piaceva e via. Meno male che sono nata prima"). L'accompagna una band di cinque jazziste donne messa su da Paolo Fresu, bravissime ma forse un po' troppo "presenti". 

"Non è quota rosa, è quota bravura" dice lei, femmina da capo a piedi e femminista a modo suo, senza retorica ("Nella mia vita mi hanno punita più le donne degli uomini, ma le ho perdonate tutte: io sono sempre qui, loro dove sono?"). Passano leggere, essenziali, liofilizzate Mi sono innamorata di te, L'appuntamento, Tristezza ("La mia vita è stata un inferno! L'ho passata a piangere, mi piaceva tanto!"), La voglia e la pazzia, Musica musica, Io so che ti amerò, Una ragione di più, la trascinante Ti voglio... Due volte la sala balza in piedi per la standing ovation, ma lei fa cenno al quintetto di attaccare il brano successivo. I veri artisti l'emozione la dissimulano. Meglio l'ironia.

Angelo Carotenuto per “la Repubblica – Edizione Roma” il 5 dicembre 2022.

C'è un chilometro di distanza tra l'Auditorium della Conciliazione e Regina Coeli, una passeggiata d'una dozzina di minuti tra il palco di domani sera e le celle scure dove in fondo tutto è cominciato, dove 'na campana sona a tutti l'ore, il punto metaforico da cui è partita la parabola del successo di Ornella Vanoni. Giorgio Strehler, Fausto Amodei e Fiorenzo Carpi le avevano cucito addosso un repertorio e un personaggio, la cantante della mala. Era una 23enne reduce da un debutto in scena ne I Giacobini di Zardi.

Si inventò un genere, di cui era l'interprete ufficiale. I giornali dell'epoca parlavano di «voce interessante da mezzo soprano, calda e penetrante», di «capacità scenica non frequente» , e in uno dei pezzi più popolari cantava che le Mantellate so' delle suore, ma a Roma so' sortanto celle scure. Era stato costruito apposta perché sembrasse il recupero colto di una tradizione popolare. Invece Strehler era triestino, Amodei torinese, Carpi milanese come lei. Lo presentarono al festival dei due mondi di Spoleto. 

Cantava il mondo chiuso dentro la sezione femminile del carcere di via Lungara, nato dalla trasformazione di un monastero seicentesco delle Carmelitane Scalze, ma di secolare nella canzone non c'era nulla, una fake-song, sebbene stesse bene pure nel repertorio folk di Gabriella Ferri e Lando Fiorini.

La giovane Ornella che aveva preso il diploma per fare l'estetista perché «avevo l'acne», si ritrovò cucita sulla pelle l'etichetta di cantante cerebrale. Nei titoli era accostata spesso così a Laura Betti, capace d'essere insieme sia felliniana sia pasoliniana, oltre che attrice preferita di Bellocchio. L'Ornella delle Mantellate sparì presto dalla scena. Divenne quasi subito molto altro, si diede alla prosa, al cinema, alla musica leggera.

Roma ebbe di nuovo un ruolo, venne per sposare l'impresario Lucio Ardenzi, uscendo dalla figura politicamente scorretta di cantante della mala, quelle esibizioni che erano state raccontate dai critici del 1959 come una "apparizione espressionista, cantava guardando il soffitto, pallida, gli occhi brucianti, le mani bianchissime e lunghe nelle nella semioscurità della sala».

Alla vigilia della tappa romana di questo nuovo tour, dopo il numero zero di Mantova e la prima uscita di Padova, Ornella Vanoni racconta al telefono che «a Roma ho vissuto per 11 anni, ho ricordi belli e brutti, ho fatto molta televisione. Ho abitato prima a Prati e poi sull'Appia Antica, una città bellissima». Anche una cinecittà di lì a poco, con una dozzina di film, il primo per la regia di Corbucci, si intitolava Romolo e Remo. «Se capita - dice in una pausa delle prove - mi rivedo volentieri. I film non sono sono tanti, non tutti sono stati belli ».

Un chilometro oltre le Mantellate e 63 anni più tardi, sul palco con lei c'è un quintetto di sole musiciste: Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani al violoncello, per una rilettura jazz del suo percorso, ogni sera una scaletta da montare e rimontare. « Ho lavorato in passato con jazzisti straordinari e sono eccezionali adesso le musiciste che mi accompagnano. Il fatto che siano tutte donne è per me un valore aggiunto. Sono stata certamente femminista negli anni Settanta, senza potermi dire militante.La mia militanza credo di averla fatta in musica, quando ho cantato Mi sono innamorata di te, il pezzo di Tenco, cambiando il concetto di ciò che a una donna in amore era consentito e cosa no, imponendo l'idea che anche una donna può pensare e dire certe cose in amore».

Tra le Mantellate e l'Auditorium ci sono stati 112 lavori in tutto, tra album originali e raccolte, 55 milioni di dischi venduti, 8 volte al festival di Sanremo, e un frammento di infanzia. « Nessuno cantava in casa mia, quando ero bambina. Forse solo la cameriera».

Libertà di parola. L'editoriale del direttore Maurizio Belpietro s Panorama il 23 Novembre

Adoro le persone avanti con l’età come Ornella Vanoni, perché superata una certa soglia non hanno più freni e dicono quel che pensano senza curarsi troppo di assoggettare le frasi alle regole del linguaggio politicamente corretto. Un esempio di libertà di parola lo fornisce in questo numero di Panorama Ornella Vanoni, che di anni ne ha 88 e dunque dall’alto della sua fama e della sua esperienza parla senza problemi e, soprattutto, senza compiacere questo o quello. L’intervista di Gianni Poglio comincia con il demolire, pur senza citarlo, il sindaco di Milano, Beppe Sala, il quale, in preda alla smania di trovare una collocazione politica prima che finisca il suo mandato, diventa di volta in volta Verde, inseguendo la dottrina di Greta Thunberg, ma anche democristiano, pronto ad abbracciare Luigi Di Maio sulla via di Impegno civico. In consiglio comunale si vede poco, al punto che qualcuno ha calcolato un tasso di presenza di appena il 17 per cento. Ma non è questo il punto: la questione è che la città è sempre più lasciata a sé stessa. E qui arriva Ornella, che le canta chiare, dicendo che «i marciapiedi sono una gruviera. Per non parlare poi delle biciclette che viaggiano sul marciapiede, come se la figura umana non fosse più prevista». Ma come? Milano non è la città a misura d’uomo, che sotto la regia di Sala ha visto spuntare piste ciclabili ovunque, anche là dove non servono e a prezzo di creare incredibili ingorghi? Non è il capoluogo che ha vietato la circolazione alle automobili più vecchie? Sì, ma forse si è dimenticato dei pedoni e dei loro diritti, di chi ha timore di essere investito da gente che sfreccia in monopattino senza rispetto del codice della strada. Ornella Vanoni, che era pronta a un tour nei teatri, proprio camminando lungo un marciapiede è caduta e si è rotta un femore e ora è indispettita dalla scarsa manutenzione municipale. Ma la donna che cantava Tristezza (per favore vai via) parla in libertà anche di altro. Per esempio, racconta del suo incontro con Gino Paoli e di come le avessero detto che l’interprete del Cielo in una stanza fosse «frocio». Sì, usa proprio questo sostantivo, che in bocca a chiunque altro rischierebbe di essere sanzionato in non politicamente corretto. «Frocio» è considerato un’offesa, anche se un tempo era solo un modo popolare di indicare una persona omosessuale. La volgarità era dovuta al tono con cui veniva pronunciata e alla carica di insulti che in qualche caso seguiva. In sé frocio è l’equivalente di gay, ma essendo gay un termine inglese che sembra più moderno e delicato, ecco che al pari di altri sostantivi di uso comune è stato cancellato dal vocabolario corrente. C’è un altro passaggio dell’intervista di Ornella che mi ha colpito molto. È quando racconta del suo rapporto con Giorgio Strehler, l’uomo che – sono parole sue – l’ha inventata come donna, come attrice e come artista. Si capisce la profondità del rapporto che la legava al grande regista teatrale. E tuttavia, dopo aver premesso che lui è stato l’uomo che l’ha amata di più, senza freni la Vanoni dice: «Da un certo punto in poi non ce l’ho più fatta a sopportare i suoi vizi. Lui, dopo la fine della nostra storia, mi ha stalkerato per anni sul telefono fisso». La chiamava per dirle: «Tu devi tornare con me, dove sei?». Storia di un grande amore, di una grande passione, ma anche probabilmente di un mal coltivato senso di possesso. Di questi tempi, probabilmente finirebbe con una denuncia per le telefonate persecutorie, ma Ornella non sembra neanche prendere in considerazione un comportamento che secondo il nostro Codice penale, se reiterato, rischia di essere un reato. Anzi, commenta: «Io plagiata da Giorgio? Non lo so, ma affascinata di sicuro». Che bello poter leggere cose normali, dirette, senza la mediazione di tutte le attenzioni oggi richieste per non urtare la suscettibilità del conformismo politico. Ce n’è anche su Bettino Craxi, che la Vanoni frequentò fino a essere inserita nell’Assemblea nazionale del Psi, quella che Rino Formica definì un circo di «nani e ballerine». Erano gli anni della Milano da bere, «anni in cui tutti credevamo di essere ricchi e felici. Bettino era un uomo carismatico, un carisma accentuato dal suo modo di parlare, lento e con grandi pause. L’ho frequentato, abbiamo anche trascorso una vacanza insieme con la sua famiglia e altri amici». Ornella precisa di non aver mai voluto entrare in politica, né di aver ricevuto favori in cambio di quella frequentazione, però non rinnega niente, neanche la stima per Craxi. Visto i tanti che, pur essendo stati miracolati dal leader socialista e poi, il giorno della sua caduta, si sono voltati dall’altra parte facendo finta di non conoscerlo, anche questo è un merito. «Una ragione in più» (titolo di un’altra famosa canzone di Vanoni) per inneggiare all’età che spazza via i freni, lasciando le opinioni autentiche e non quelle che 24/11/22, 09:04 Panorama https://www.panorama.it 7/11 p , p q si è costretti a recitare per convenienza. Auguri a lei, ai suoi 88 anni, nella speranza che il suo canto sia «senza fine». COSTUME Anche il sesso è in recessione 23 Novembre 2022 Eros in caduta libera. Dopo un’epoca di esibita, consumata (apparente?) libertà, oggi non ne abbiamo più né la voglia né il coraggio e neppure la fantasia. Un calo del desiderio che si diffonde anche tra i giovani. I motivi? Noia, vite di fretta, lavoro sopra tutto... E rapporti dove alla passione si preferisce il rifugio di una tiepida tenerezza.

Ernesto Assante per “la Repubblica” il 30 settembre 2022.

Canzoni, parole, qualche sorpresa. Ornella Vanoni ha scelto con cura gli ingredienti con i quali preparare lo spettacolo che la porterà in tour in Italia dal 10 novembre al 13 dicembre. 

Divina interprete della migliore canzone italiana e internazionale, non vede l'ora che il giro cominci, forte dei suoi 88 anni, di un'invidiabile vivacità intellettuale e fisica, di un amore per la musica che non l'ha mai abbandonata. E anche di una compagnia completamente originale, una band di sole donne, Sade Mangiaracina al pianoforte, Eleonora Strino alla chitarra, Federica Michisanti al contrabbasso, Laura Klain alla batteria e Leila Shirvani al violoncello. Il tour attraverserà l'Italia, un Paese che Ornella non ha mai abbandonato, anche quando ha avuto il grande successo internazionale, e che ancora ama, «nonostante il risultato delle elezioni - dice - sia stato molto deludente». 

In prima linea in mille battaglie sociali e politiche, Vanoni confessa di capire poco gli italiani: «Non siamo più in grado di incazzarci, neanche quando bisognerebbe, quando le cose non funzionano, le promesse non vengono mantenute. È il paese del "faremo", poi del "ci siamo dimenticati di fare". Non capisco più gli italiani, nemmeno quello che dice la Meloni: "Ogni donna avrà il diritto di non abortire", che significa? Il nostro è proprio un Paese maschilista, anche la Spagna, che sono più latini di noi, non è al nostro livello di machismo». Per tutta risposta ha deciso di fare un tour con sole donne.

«Tutto è nato da una chiacchierata con Paolo Fresu, mi ha detto che al festival jazz di Berchidda erano andate in scena tante ragazze bravissime, chitarriste, pianiste Mi sono detta: se sono così brave perché non fare un gruppo con cinque o sei di queste ragazze. All'estero succede da tempo. Le farò vestire in smoking, io sarò in lungo con i tacchi». 

Perché in smoking?

"Gli italiani dicono che non riescono a suonare con lo smoking, ma io ricordo quando lavoravo con Gerry Mulligan, sassofonista baritono, che mi diceva: "Io suono uno strumento bestiale, pesantissimo, ma ho sempre lavorato in giacca". Perché i jazzisti italiani sono vestiti così male?».

Avete già fatto le prove?

«Ho visto la pianista, la bravissima Sade Mangiaracina. Ha tanti capelli neri e crespi ed è di una simpatia folle, non solo brava. Abbiamo parlato di quello che voglio fare, sta arrangiando tutto e poi lo metteremo in pratica». 

Cosa la spinge ancora a farlo?

«La passione. Mi guida solo quella. Quando vado in scena sono felice. Posso essere stanca, aver fatto un viaggio pesante, avere un po' di febbriciattola, appena salgo sul palco rinasco. Mi diverto ancora a cantare, quando non sarà più così capirò che è ora di smettere».

Ha un repertorio prezioso e infinito. Come ha scelto i brani?

«Sono partita dai pezzi del mio ultimo album, Unica, come quello scritto da Gabbani, Un sorriso dentro al pianto o quello scritto da Giuliano Sangiorgi, Arcobaleno, vorrei proporre anche quella scritta da Renato Zero, Ornella si nasce. Poi penso di scegliere quelle canzoni che non sono super popolari come Il mio trenino va di Lavezzi, Il bambino sperduto che ha scritto Nada... Canzoni che amo molto, mi piace che la gente le ascolti».

Un modo per far scoprire Ornella Vanoni anche a chi la conosce già.

«Un modo per proporre belle canzoni sfuggendo al prevedibile». 

Cerca ancora belle canzoni da cantare?

«Sì, mi muove la curiosità. Sono sempre stata curiosa, non mi piace non sapere quello che accade intorno a me». 

Segue anche la nuova musica italiana?

«Certo, e penso che ci siano cose molto interessanti. Tra quelli del mondo hip hop Marracash è il migliore, penso sia giusto il Premio Tenco. Ma ascolto altre cose, mi piace Cosmo, mi piacciono i Maneskin anche se devono scrivere pezzi nuovi, come so che stanno facendo Ma una cosa su Damiano la devo dire».

Cosa?

«Non sono tipo che si scandalizza ma neanche Mick Jagger, il più peccaminoso dei cantanti, ha fatto vedere sul palco il suo culo nudo. A che serve far vedere le chiappe? Non è una cosa di buon gusto». 

Qualche anno fa, quando la scena era dominata dai talent show, le piacevano?

«Il nostro è un paese piccolo, avere così tanti cantanti non va bene. Quelli della mia generazione ci mettevano del tempo a emergere, facevamo la gavetta, io, Mina, avevamo cominciato a lavorare presto per costruirci una carriera. Adesso dopo due mesi già fanno i palazzetti dello sport e io, dopo un po', non capisco più nemmeno chi sono».

Quando si sveglia al mattino, le piace ancora l'idea di essere Ornella Vanoni?

«Non provo alcuna soddisfazione a essere Ornella Vanoni, non sono mai stata superegocentrata. Ho il mio modo di essere, mi hanno preso per antipatica o snob, la verità è che avevo una timidezza e un'insicurezza mostruose. Le ho curate con il teatro e con Strehler, con il pubblico, la musica». 

Una passione che le ha permesso di restare se stessa tutti questi anni

«Faccio solo le cose che mi piacciono, che mi fanno sentire a mio agio. Ne ho rifiutate tante, anche quando non mi trovavo in sintonia con gli altri. Se ciò che mi propongono non mi assomiglia tendo a rifiutare anche se ci sono soldi interessanti».

Andare in tour è un impegno considerevole.

«Sì, e ho anche una leggera ansietta ma c'è l'emozione che ti spinge a continuare. Alle volte hai voglia di farlo ma non ne hai la forza, allora vado in piscina, mi ricreo. Comunque sono date comode. Perché il cervello è lucido, ma la carcassa si stanca di più».

Ornella Vanoni compie 88 anni: Giorgio Strehler, Gino Paoli, tutti i suoi grandi amori. Arianna Ascione su Il Corriere della Sera il 22 Settembre 2022.

Le tappe della vita sentimentale della cantante di «Senza fine», nata a Milano il 22 settembre 1934

Il biopic

«Invecchiare è bello se emerge il proprio lato infantile, altrimenti la vecchiaia è un inferno». Così diceva Ornella Vanoni qualche mese fa a proposito del suo compleanno, che cade proprio oggi. 88 anni per la signora della canzone italiana, nata a Milano il 22 settembre 1934, protagonista quest’anno del biopic «Senza fine» di Elisa Fuksas, che ha raccontato tutti i suoi grandi amori da Strehler a Gino Paoli. «Da artista, sono felice della vita che ho avuto. Ma dall’amore, sono così delusa che sono sola da vent’anni», dichiarava nel 2019.

Giorgio Strehler

Nei primi anni Cinquanta, per vincere la timidezza, Ornella Vanoni si iscrive alla scuola di recitazione del Piccolo. È lì che incontra il regista Giorgio Strehler, di cui diventa compagna nel 1955. «Il primo anno seguiva in auto il mio tram. Poi mi accompagnò a casa e fu amore», ha rivelato al Corriere. Scoppia lo scandalo, per la differenza d’età (Vanoni all’epoca aveva vent’anni) e perché Strehler era sposato (il divorzio ancora non c’era): «È stato l’uomo che mi ha amata di più. L’ho lasciato, mi faceva soffrire, aveva vizi che non potevo sopportare, non potevo seguirlo nella droga. Però mi ha fatto scoprire la cultura. Lui parlava e io stavo zitta: avevo solo da imparare. Ha intuito che potevo cantare, mi ha fatto scrivere le canzoni della mala».

Gino Paoli

Nel 1960, alla Ricordi, Ornella Vanoni incontra Gino Paoli (all’epoca sposato) e inizia a frequentarlo. Insieme fanno «lunghe passeggiate - ha raccontato al Corriere -. Gino non aveva i soldi neanche per il biglietto del tram; così andavamo sempre a piedi, io gli trotterellavo dietro con i tacchi a spillo, sfinita. Fino a quando, appoggiati a un muretto, gli chiesi: “Ma tu sei frocio?”. Rispose: “No, perché?”. E io: “Mi avevano detto così”. E lui: “A me invece hanno detto che tu sei lesbica, canti male e porti male...”. Siamo scoppiati a ridere. E ci siamo dati il primo bacio». Paoli le scrive una canzone, dal titolo «Me in tutto il mondo», e successivamente le dedica un vero e proprio ritratto musicale: «Senza fine». Ma la storia d’amore tra i due sarà molto turbolenta, anche per via dei continui tradimenti di lui: «Non c’era mai. Sposato, sempre in giro. Uscivamo di casa ognuno con una borsa di gettoni e stavamo ore al telefono. Ora lui mi dice: “Ornella, ti ricordi le risate?”. Ma quali risate, io soffrivo da morire».

Lucio Ardenzi

Ornella pensa ancora a Gino Paoli quando, il 6 giugno del 1960, convola a nozze con il noto impresario teatrale nonché ex cantante Lucio Ardenzi: «Il giorno delle nozze non mi sarei dovuta presentare, avrei dovuto dire la verità, sarebbe stato più leale». Nel 1962 nasce il primo figlio della coppia, Cristiano, ma in quel periodo Ornella e Lucio sono già separati. «Non parlo volentieri di Lucio Ardenzi. L'ho sposato che avevo ventisei anni, l'età giusta, ma non l'uomo giusto. Non l'ho mai amato. Ero una donna sperduta. Avevo lasciato Strehler, mi ero ammalata di tisi, c'era Paoli di mezzo e lui, Lucio, era un uomo così vanitoso. Una vanità sproporzionata. Abbiamo avuto un figlio che amo, Cristiano, e questo giustifica ampiamente la nostra storia».

Sola per scelta

Negli anni Ornella Vanoni avrà altre storie importanti: negli anni Settanta si lega per lungo tempo a Danilo Sabatini (con cui fonderà la sua casa discografica, la Vanilla), mentre negli anni Novanta fa coppia con l'avvocato e manager veneziano Vittorio Usigli. Oggi è nonna di due nipoti, Matteo e Camilla, e da 25 anni vive sola: «Per scelta - ha spiegato lo scorso anno in questa intervista -. Sono rimasta terribilmente delusa da un uomo. Colpa mia: mi sono ostinata a cambiarlo; ma gli uomini non cambiano, se non in peggio; e all’appuntamento lui alla fine non viene. Questa persona ebbe un infarto e le salvai la vita: non aspettai l’ambulanza, la portai al Niguarda in taxi. Il giorno dopo mi odiava. Così sono rimasta con Ondina, il mio cane. Siamo due ragazzine sole. E poi ho due nipoti. Matteo è uno tsunami dolcissimo. È fidanzato con una ragazza stupenda, sono felici. Camilla ha il wanderlust, la gioia dell’andare, quella cosa che Virginia Woolf secondo la sua fidanzata aveva perso. Mia nipote non ancora. A 18 anni mi chiese i soldi per andare in Nuova Zelanda e si è fermata due anni. Ha fatto la cameriera, la baby-sitter, ha raccolto pomodori. Poi è andata in Cambogia e in India, ed è tornata rasta. Ora vive a Fuerteventura, alle Canarie». 

Ornella Vanoni: «Gino Paoli era brutto e povero, ma mi piaceva. Strehler lo lasciai per i suoi vizi». Emilia Costantini su Il Corriere della Sera il 9 Luglio 2022.

Intervista a Ornella Vanoni, protagonista al Vittoriale per il Festival della Bellezza, con un racconto di canzoni sulla sua storia artistica: «Mi definisco spregiudicata perché giro in mutande, ma soprattutto sono sempre stata una donna libera di vivere». 

Ornella si nasce?

«Sì, penso di sì, ma all’inizio non si sa di esserlo e, nel mio caso, lo si diventa. La consapevolezza è arrivata tardiva». La grande Ornella Vanoni il 5 agosto sarà protagonista al Vittoriale per il Festival della Bellezza, con un racconto di canzoni sulla sua storia artistica e la sua presenza sulla scena culturale italiana.

La sua voce è inimitabile, ma qualcuno l’ha imitata?

«Sì, ci ha provato Loretta Goggi con una mia canzone... divertente».

Una vita avventurosa, la sua. Si è definita spudorata in amore, perché?

«Mi definisco spudorata, perché giro in mutande, ma soprattutto sono sempre stata una donna libera di vivere, di volteggiare in aria per poi cadere, e poi volteggiavo di nuovo e ricadevo: un’altalena. Una donna libera è quella che non ha bisogno di appoggiarsi al nome di un marito, può contare su sé stessa e basta. La libertà è complicata soprattutto per le donne, ma anche gli uomini non hanno tanta libertà».

E lei si è innamorata spesso di uomini che non avevano una lira.

«Nutrivo per loro un’attrazione fatale. Un uomo potente, ricco, non permette alla moglie o compagna di costruirsi una propria carriera, perché vuole una donna a fianco. Io mi sono innamorata di Gino Paoli quando non era ricco e mia madre mi diceva: come fai a essere innamorata di un uomo così cesso? Effettivamente non era bello, è migliorato invecchiando».

Una storia importante, quella con Giorgio Strehler...

«Con il quale non ho potuto nemmeno recitare: la nostra storia d’amore fu un grande scandalo. Io vivevo di Strehler ma lui non poteva far recitare la ragazza con cui aveva una relazione. Inoltre, mi diceva: amore hai un grande talento ma se sali sul palco è un miracolo, perché non hai i nervi per fare questo mestiere, e aveva ragione. Il vero problema era la mia timidezza, ho dovuto lottare per superarla, strisciavo lungo i muri, avevo paura persino del mio respiro».

Non poteva recitare, però poteva cantare...

«Infatti, mi faceva cantare delle ballate negli intervalli di tempo, mentre montavano le scene tra un atto e l’altro...Poi, son venute le Canzoni della mala, un grande successo».

Sua madre era contenta della relazione strehleriana?

«Insomma... quando mi vedeva in scena, mi criticava per i riflessi rossi sui capelli, diceva che solo le puttane li tingono di quel colore».

Perché finì la sua relazione con il maestro del Piccolo?

«Durò quattro anni, l’ho lasciato io: non avevo più voglia di seguire certi suoi vizi, che non potevo condividere, ero stufa. Tuttavia, con Giorgio sono stata una spugna: seguivo tutte le prove che faceva con gli attori e una volta gli dissi non sono una lavagna su cui tu puoi scrivere, sono una spugna che assorbe tutto quello che dici. Quando ci siamo lasciati, gli scrissi in una lettera: sono stata la tua migliore allieva, sono cresciuta e diventata brava senza di te».

E lui che le rispose?

«Niente. Non deve avergli fatto piacere e non mi ha risposto».

Con un importante impresario, Lucio Ardenzi, divenuto poi suo marito, invece ha potuto recitare.

«Sì, mi ha spinto a farlo. Al contrario di Giorgio, mi ripeteva: se porti sul palco il tuo lato infantile, sarai idolatrata. Quando interpretai L’idiota di Marcel Achard, il poeta Ignazio Buttitta venne a vedermi, fu entusiasta e andò a dire a Strehler che avevo recitato benissimo. Lui gli rispose: non è possibile».

Invece è stato possibile...

«Non posso lamentarmi della mia carriera, ho fatto di tutto, anche se venni considerata troppo sofisticata quando iniziai a occuparmi di musica leggera. Ero poco popolare. Sfondai la platea con l’Appuntamento: tanta gente mi confessò che si era innamorata del proprio partner grazie a quella canzone».

In quale momento ha capito di avere talento?

«Ne sono diventata cosciente intorno ai quarant’anni. Caterina Caselli mi diceva: tu non sei una cantante, sei un guerriero!».

E con Mina: amiche o nemiche?

«Assolutamente sempre amiche! Ha persino tentato di insegnarmi a giocare a poker, senza riuscirvi. Saper giocare a carte è una questione genetica: mia madre era bravissima, mio padre non sapeva tenere le carte in mano e io ho preso da lui, da cui mi sono sentita tanto protetta».

Quando, in particolare?

«Il ricordo più forte è da ragazzina durante la guerra. Il primo bombardamento a Milano, tutto bruciava, raggiungemmo la stazione per scappare, era un girone infernale e lui, con il suo grande cappotto, mi avvolgeva tra le braccia per proteggermi dalla bolgia. Io, come madre, ho il rammarico di non essere stata abbastanza vicina a mio figlio Cristiano quando era piccolo: troppo presa dal lavoro, e so che ne ha sofferto».

A settembre compirà 88 anni.

«Invecchiare è bello se emerge il proprio lato infantile, altrimenti la vecchiaia è un inferno, e io esprimo un desiderio. Anche Giorgio Armani compie 88 anni e, attraverso il Corriere, gli propongo: perché non festeggiamo insieme?».

Da “il Giornale” il 26 aprile 2022.

S' intitola Com' era bello l'inizio della fine. I grandi incontri della mia vita (in uscita oggi per Mondadori) ed è il nuovo libro di Vittorio Feltri che contiene il racconto dei suoi incontri con alcuni personaggi celebri: da Fausto Bertinotti a Umberto Veronesi, da Nadia Toffa ad Antonio Di Pietro fino a Giulio Giorello e molti altri. Per gentile concessione dell'editore e dell'autore, anticipiamo qui il ritratto di Ornella Vanoni. 

Ornella Vanoni è sempre stata la mia cantante preferita, ero un ragazzino e lei già una cantante che cominciava ad affermarsi quando l'ho vista per la prima volta in tv, e subito ne sono rimasto colpito. La sua voce era tanto particolare che poteva sembrare un po' afona, in verità era molto melodica. 

Allora amavo la musica leggera, invece oggi la detesto perché le canzoni mi risultano tutte uguali, ripetitive e noiose. Poi sono cresciuto, mi sono trasferito a Milano per lavoro e finalmente ho conosciuto di persona Ornella, della quale mi hanno affascinato anche l'eleganza, il tatto, il modo cortese di rapportarsi agli altri. Erano i primi anni Novanta quando siamo capitati in uno stesso ristorante e ci siamo salutati, lei mi conosceva per via della mia professione, abbiamo fatto quattro chiacchiere. Un giorno mi invitò a casa sua, in largo Treves, a Milano, un appartamento magnifico. 

Quella sera eravamo soltanto in tre, oltre alla padrona di casa eravamo Maria Luisa Trussardi e io. Ornella era sola e tesseva anche un po' l'elogio della solitudine, sebbene poi avesse rammentato con malinconia e tenerezza alcuni dei suoi compagni, incluso il cantante Gino Paoli, di cui parlava con grande affetto. 

Mi sono fatto l'idea in quel momento che Ornella Vanoni fosse immortale. Insomma, beveva il suo vino, fumava i suoi spinelli, come ci aveva confessato, era una donna completamente disinibita, talmente libera da non essere in sintonia con la sua generazione, una che se ti deve mandare a quel paese lo fa in due secondi lordi. Mi appariva una dea. 

Si è creato tra noi un feeling, spesso la incontravo nei ristoranti, allora univamo le compagnie. Un giorno un club di Varese mi regalò un cavallo splendido, tra gli invitati alla cerimonia di consegna c'era anche Vanoni. A un certo punto, la dea, ancora nel bel mezzo della manifestazione, mi si avvicina e mi dice: «Vittorio, mi scappa la pipì, dove cazzo vado a farla?». Eravamo in un giardino e io, per scherzare, le ho risposto: «Ti posso dare un consiglio. Vedi, qui c'è un bel prato, lì una bella pianta, vai e sistema la pratica». E Ornella lo ha fatto.

Nascosta dietro la pianta che le avevo indicato si è sollevata la gonna e si è liberata. Va da sé che chiunque avrebbe potuto vederla, dato che l'arbusto la celava appena. E fece il tutto con una disinvoltura invidiabile. Da quel pomeriggio è lievitata enormemente la mia simpatia nei suoi confronti, pure perché quello di fare la pipì ovunque, senza scomporsi, è più un atteggiamento maschile che femminile, una donna che lo faccia con quella nonchalance, in mezzo a centinaia di persone ingessate, è del tutto inusuale e quindi pure divertente.

Adoro la sua brillantezza. Una volta ho partecipato a una trasmissione televisiva in cui lei avrebbe dovuto cantare, anch' io ero sul palco ed ecco che arriva un'altra confessione: «Vittorio, sai che non mi ricordo cosa cazzo devo cantare?». Ed ecco che arriva un altro mio consiglio: «Intona una canzone qualsiasi che ti venga in mente». Come sempre fu un successo clamoroso. Mi è capitato più volte di ascoltarla dal vivo e devo ammettere che è una dominatrice della scena, non soltanto per le sue qualità canore ma altresì per l'ironia, ha sempre la risposta pronta, è più rapida di un comico nel tirare fuori la battuta, tutto le riesce naturale. La sua spontaneità disarma. Osservandola mi sono persuaso che, se fossi nato donna, sarei stato Ornella Vanoni, mentre se Ornella Vanoni fosse nata uomo, sarebbe stata Vittorio Feltri. Entrambi ce ne infischiamo altamente di ciò che pensa la gente sul nostro conto. 

Una sera ero a cena al Baretto e sul tavolino avevo il mio tablet con il quale ascoltavo un po' di musica per rilassarmi. Mi stavo deliziando con le note di una delle sue canzoni, L'appuntamento, la più struggente oltre che in assoluto la mia prediletta, quando entra nella sala proprio Ornella Vanoni. Allora io le faccio notare questa strana coincidenza e lei: «Vittorio, con tutte le canzoni belle che ho fatto mi rompi sempre i coglioni con questa!».

L'ho seguita anche al Festival di Sanremo del 2021, dove Ornella era ospite d'onore. Alla sua veneranda età conserva una voce potentissima nonché la spontaneità, la disinvoltura e l'ironia ineguagliabili. Oggi per me Vanoni è ancora una dea, quantunque l'abbia vista fare la pipì, cosa che dovrebbe renderla ai miei occhi più umana. 

Spero che continui a cinguettare perché quando la sento cantare è come se io regredissi insieme a lei alla mia giovinezza, in quanto le sue note mi riportano a tempi che non rimpiango ma che pure erano pieni di piccole cose andate perdute che mi hanno dato gioia e conforto.

Ornella Vanoni mi ha insegnato che si possono canticchiare le cosiddette «canzonette» senza diventare stucchevoli, banali e melensi. Vanoni interpreta l'amore, però soprattutto la solitudine, quella che prova e vive ella stessa. La solitudine è anche la via per creare, è legata un po' a un dolore esistenziale, non specifico, e ti fornisce la carica per essere più umano. Ed è questa umanità, ossia questa sensibilità, a farti luccicare allo sguardo del pubblico

Luigi Bolognini per “la Repubblica” l'11 aprile 2022.

Forse c'è qualcosa nell'acqua che beve, o più probabilmente nel Dna, fatto sta che Ornella Vanoni, dopo la fantastica carriera che ha avuto (sottolineiamo più quella che gli anni, 87, perché è una signora, e che signora), non ha minimamente voglia di fermarsi. 

E sta per compiere altri due passi dal valore simbolico notevole: il 24 aprile al Casinò di Sanremo riceverà il primo Premio speciale del Club Tenco, esattamente una settimana dopo debutterà sul palco del Concertone del Primo Maggio a Roma. E come sempre parlare con la cantante è tuffarsi in un magico mondo di ricordi, di pensieri e di sentimenti. 

Iniziamo dal Club Tenco che inaugura con lei questo nuovo premio.

«Che gioia, ci siamo sempre voluti bene, mi hanno già premiata due volte nel 1981 come miglior disco (Duemilatrecentouno parole ) e nel 1984 come miglior interprete ( Uomini ). 

E poi è sempre bello andarci perché non c'è gara, la musica non deve essere una gara, ma un incontro. Ci sono invece quelle favolose cene fino all'alba dove ridevo e scherzavo con gente come Guccini e Vecchioni. Sul palco questa volta canterò col pianista Fabio Valdemarin, l'autore e cantautore Fabio Ilacqua e Mauro Pagani per il quale non servono neppure definizioni». 

Dal Tenco a Tenco. L'ha conosciuto bene?

«Abbastanza, non benissimo perché Luigi stava a Genova. Lo conobbi tramite Paoli, suonò per me il sax in Se qualcuno ti dirà , il lato B di Senza fine . Bellissimo, certo, e un gran talento, ma aveva sempre uno spirito soccombente, non pensava mai che ce l'avrebbe fatta, tanto quanto Gino era solare». 

E nel 1967 c'era anche lei al Sanremo in cui morì.

«Dica pure che si uccise. Mai avuto dubbi sul suicidio. Sennò chi sarebbe stato, la Cia? Era uno straccio, in quei giorni. Gli dissi che doveva aprire gli occhi quando cantava, ma sembrava un gufo: era pieno di barbiturici e alcol, non reggeva l'emozione, credo che la Rai gli avesse tagliato un po' il testo di Ciao amore ciao e che l'amore per Dalida in quel momento lo turbasse, era tutto troppo per lui».

E non era forte di carattere come lei.

«Ma guardi che io non lo sono: ho quella che si chiama timidezza del bruco, che mi ha sempre fatto apparire come una donna snob, ma nessuno ha mai creduto che fossi timida. Sono migliorata con l'età, un po'. Mi aiuta anche pensare ai tanti magnifici incontri che ho fatto». 

Alcuni li immaginiamo, Strehler, Paoli. Altri?

«Musicalmente di sicuro Sergio Bardotti, grazie a cui sono entrata in altri mondi: il Brasile col disco assieme a Toquinho, il pop con i New Trolls, il jazz con Argilla . Bardotti era una benedizione. Fuori dalla musica le dico Hugo Pratt, una persona magica da ascoltare, stavi ore coi suoi racconti di viaggio. Corto Maltese era lui. E poi Gianni Versace, che ho conosciuto agli esordi: per due anni ho indossato i suoi abiti di metallo. Non le sto a dire: d'estate schiattavo di caldo, d'inverno congelavo, ma erano magnifici».

Tanti bei ricordi. Ma la guerra attuale le evocherà anche quelli brutti, di bambina.

«Quando in tv sento le sirene dell'Ucraina penso a quelle che suonavano a Varese, dove ero sfollata. Allora dovevamo uscire di casa vestiti alla bell'e meglio e stare nei prati, con papà che mi proteggeva col corpo. E poi l'insegnante di matematica a cui dissi "a domani" e lei "penso di no, sono ebrea". Terribile. 

Adesso mi torna in mente tutto questo, ma ci aggiungo il dolore per i giovani d'oggi, che hanno perso due anni di scuola, di incontri, di amicizie, e adesso si trovano pure la paura dell'atomica».

La musica non la consola?

«Come no: metto un disco qualsiasi di Lucio Dalla e sono felice. Ma so ascoltare anche la musica di oggi, perché dobbiamo vivere il nostro tempo. Mi piace Mahmood, mi piace Marracash, e che bella la sua collaborazione con Vasco. 

Ecco, poi Vasco, ha sempre questa capacità di scrivere in modo semplice, che è difficilissimo, e così sa arrivare a tutti, che è quello che deve fare un artista». 

E arriviamo al Primo Maggio. Un debutto, al concertone.

«Ma adesso è il momento giusto. E a proposito di Sergio Bardotti, porterò una magnifica canzone di Chico Buarque de Hollanda, che lui tradusse e io fui la prima a cantare in Italia: La costruzione . Una canzone dedicata a un operaio che muore cadendo da un'impalcatura. Dove altro potrei cantarla, se non alla Festa dei lavoratori?»

Da ilnapolista.it il 23 febbraio 2022.

Il Corriere Roma intervista Ornella Vanoni. Nel fine settimana esce «Senza fine», il film che racconta la sua vita, diretto da Elisa Fuksas. Ormai non è più solo una cantante, ma un’icona. Perché?

«Perché sono una sopravvissuta, molti colleghi che amavo non ci sono più. Jannacci, Gaber… Ma più di tutti mi manca Lucio Dalla. Pur essendo brutto aveva un fascino estremo. E una marcia in più. Molte ragazze mi fermano: voglio diventare come lei. Intanto bisogna soffrire molto. E diventare felici. E poi lasciarsi andare. Mi diverto e cerco di far divertire gli altri. Se lei mi chiama e io sto facendo la pipì, glielo dico e la faccio aspettare. La libertà è non essere vittime del proprio successo».

Sulla morte e la vecchiaia:

«Ci penso, però non ne sono terrorizzata. Sto vivendo una vecchiaia per niente angosciante, mi sono liberata da tabù e paure. Sono spudorata. Da ragazza ero timidissima. Come ho superato l’insicurezza sul palco? Mi dicevano che col mio fisico e la mia faccia era impossibile, mi davano della snob. Un giorno ho capito che ero brava e ho superato la timidezza». 

Su Strehler, uno dei suoi grandi amori:

«Quando lo conobbi mi disse: hai talento ma non hai i nervi per reggere. Mi ha detto ti amo e ci siamo messi insieme. Lo accompagnavo alle opere, canticchiavo le arie, Gino Negri disse che ero intonata. Così vennero le canzoni della Mala. Ma a un certo punto mi sentii una bambina in un cappotto troppo grande». 

E arrivò Gino Paoli.

«Suonava (male) Il cielo in una stanza. Mi dissero: è un frocio (all’epoca non si diceva gay) che scrive cagate. Gli chiesi di scrivere una canzone per me e aggiunsi: ma tu sei frocio? No. A me hanno detto che tu sei lesbica. E ridendo ci demmo il primo bacio». 

Le chiedono come mai le donne che canta Mina siano diverse dalle sue.

«Io do voce a donne che se ne vanno, come me, se sto male con un uomo mi strappo un braccio ma non rimango. Mina è una donna che sessualmente subisce». 

Sul figlio Cristiano, di cui parla nel film:

«Avrei voluto stargli vicino, ma ero sempre via, lavoravo tanto. Sai, vedere tua madre che preferisce un mondo rutilante. Sognava di mettermi sotto con la macchina. Ora grazie al cielo non più». 

Cos’è la sensualità?

«Non il seno di fuori. Ci sono persone vestite da capo a piedi che lo sono, la gamba fuori l’ho usata anch’io, ma non è quello». 

La canzone che ama e quella che detesta?

«L’appuntamento: non capisco perché piace, una sfigata che sotto la pioggia aspetta un amore che non arriva, mah. Quella che amo, ha presente: E’ uno di quei giorni che rivedo tutta la mia vita…»

Marco Consoli per “il Venerdì di Repubblica” il 20 febbraio 2022.

«Quando sono nervosa mi faccio un piatto di pasta da camionista». Ornella Vanoni racconta così a un nutrizionista la propria battaglia contro l'ansia nel documentario Senza fine, al cinema dal 24 febbraio dopo l'anteprima alla Mostra di Venezia. 

È una delle rivelazioni di un'artista che a 87 anni inanella progetti, perché, come racconta al telefono dalla sua casa di Milano, «invecchiare non avendo niente che ti interessa veramente è mortale, perciò faccio le cose che mi piacciono».

Un esempio è il recente giallo al femminile 7 donne e un mistero e appunto questo curioso documentario in cui Ornella mescola fiction e chiacchierate con la regista Elisa Fuksas, ma anche con Vinicio Capossela, Samuele Bersani, Paolo Fresu. «Sono andata a Castrocaro Terme in questo albergo dove si fanno delle cure» spiega. 

«È un posto interessante, costruito da Mussolini, e così ho chiamato Elisa e l'ho convinta a raggiungermi per girare qui». Perciò il film è un misto di nuotate, camminate, chiacchierate e siparietti in cui l'artista dice di essere esausta. 

Guardando il film sembra che le piaccia un po' torturarsi, accettando impegni di cui magari si pente.

«Tutta la mia vita è stata così, fin da quando Strehler mi convinse a cantare le canzoni della mala e a recitare: dovevo andare in palcoscenico e mi tremavano le gambe. Poi però ogni volta costringevo me stessa ad affrontare la paura.

Per anni ho avuto un'insicurezza totale, poi è scattato qualcosa: mi sono resa conto che in fondo ero brava e paura e imbarazzo sono passati, ed è rimasta invece l'emozione dell'incontro col pubblico». 

Nel documentario racconta di avere fatto l'amore in un androne travolta dalla passione. E negli anni non ha risparmiato dettagli sulla sua vita amorosa con i fedifraghi Strehler e Paoli. Prova il rimorso di essersi esposta troppo?

«Non ho mai condiviso i miei sentimenti più profondi, ma non mi pento di aver raccontato i fatti miei. Ero e sono spudorata, mi piace giocare, fare battute e girare ancora in mutande».

Ancora oggi si mostra senza tabù. Che rapporto ha col suo corpo?

 «Quando andavo a fare le vacanze a Paraggi da ragazza, avevo un sacco di spasimanti che mi dicevano che avevo il culo d'oro. Per molti anni non ci ho pensato granché, finché non ho iniziato ad apprezzare almeno quella parte di me e ho capito che emanavo un certo erotismo». 

Se le ricorda quelle vacanze?

«Facevo la spola tra Paraggi e Portofino, avevo degli amichetti ed ero molto corteggiata, ma ero molto timida. Ricordo che tra gli spasimanti c'era Alfonso di Borbone, che stava in una villa a Levanto e prendeva l'autobus per venirmi a trovare, anche se era un pretendente al trono. Mi portava in giro in barca a remi, era molto gentile, ma un giorno mi ha detto: sei molto carina, ma venire ogni volta a piedi da te è troppo pesante».

Parla sempre della sua timidezza, ma non è un controsenso posare per Playboy come fece nel 1977?

«Si scrisse che la Vanoni aveva posato nuda per Playboy, ma non era vero, perché in quelle foto io ero sempre coperta. Volevano pagarmi, ma io chiesi una sfera di Arnaldo Pomodoro esposta in una galleria di Milano. Solo che costava troppo. Arnaldo però, saputa la cosa, rinunciò al proprio compenso purché potessero comprarmela. E così siamo diventati grandi amici».

Nel film ci sono diverse sue canzoni. È vero, come dice alla regista, che non ama particolarmente L'appuntamento?

 «È una battuta, ma non ho mai capito le coppie che mi dicevano: è la nostra canzone. La musica è incantevole, ma l'avete ascoltato il testo? Secondo me no, perché è dolorosissimo». 

Le propongo un gioco. Io le dico la strofa di una sua canzone e lei mi dice a cosa la fa pensare: "Tristezza, per favore vai via".

«Tristezza l'ho sentita in Brasile, quando mi esibivo nei club: la cantava Jair, e ho deciso di portarla in Italia. Da ragazza non avevo capito che un giorno avrei avuto la depressione, da cui per fortuna poi sono uscita, però ho sempre vissuto una grande malinconia. Mi pare un brano attuale, perché viviamo un momento storico molto difficile».

Che ricordi ha del Brasile?

 «Sergio Bardotti, che era un produttore artista, ne era innamorato. Ci siamo andati per convincere Vinicius De Moraes e Toquinho a fare un disco insieme (La voglia, la pazzia, l'incoscienza, l'allegria, ndr.). Mi sono molto divertita lì: facevo lunghe passeggiate a Copacabana con Caetano Veloso, che aveva 18 anni e portava una salopette. Un giorno fissai un appuntamento di lavoro con Chico Buarque, ma ci ubriacammo e alla fine non combinammo nulla».

Torniamo alle strofe: "Domani è un altro giorno si vedrà".

«La musica era inglese e fu affidata a Giorgio Calabrese, bravissimo paroliere, che scrisse un testo emblema dell'ottimismo». 

Lei è ottimista?

«Né ottimista né pessimista, ma logica». "Costano, le donne costano". «Ricetta di donna l'abbiamo scritta io e Bardotti ed è venuta talmente bene che poi Vecchioni l'ha citata in un suo disco. E poi mi ha chiesto che volesse dire. Che per conquistare una donna non bastano gioielli o belle auto».

Delle canzoni che lei ha scritto, qual è quella a cui tiene di più?

«Sicuramente Lupo, dedicata a mio figlio Cristiano». 

 È vero che l'album che ama di più è Argilla?

«Sì, perché l'ho fatto in assoluta libertà creativa, con Paolo Fresu e altri. Abbiamo preso brani noti e li abbiamo stravolti, compreso I get along without you very well di Chet Baker che non avevo mai interpretato. Quando l'ho registrato piangevamo tutti. Ma il disco non ha venduto». 

Qualche disco l'ha mai delusa?

«Non sono mai stati i dischi a deludermi, ma i produttori. Per esempio quando lavoravo all'Ariston, gestita da un signore (Alfredo Rossi, ndr) che non capiva niente, ho fatto una cosa che non fu apprezzata. Alla Mostra internazionale di musica leggera di Venezia, cantai Mi sono innamorato di te di Tenco. 

Era la prima volta che una donna interpretava un brano maschile. Quell'esibizione ha cambiato per sempre il linguaggio della canzone femminile». 

Le propongo un'altra strofa: "E se è finita corro dentro alla vita senza di te".

«Stella nascente è un brano molto bello di Lavezzi e Mogol. E descrive bene quello che ho fatto per tutta la vita: andare avanti anche senza gli uomini. Dopo aver subito una delusione tremenda a 63 anni sono rimasta senza un compagno. Se mi guardo indietro ho sbagliato a non pensare mai al futuro delle storie che stavo vivendo. Non ho mai lottato per trattenere un uomo». 

Rimanere sola per lei è stata una conquista o una sconfitta?

 «Una conquista, anche se ci vuole coraggio. Non bisogna attribuire agli uomini il compito di regalarci la felicità». 

Le cito un'ultima canzone: "Il paradiso è la meta di chi non ci va".

«La musica di Isola è di Sakamoto e Samuele Bersani ha scritto un testo che è un capolavoro, perché lui è uno dei grandi cantautori che stanno invecchiando. Non so cosa sia l'aldilà, non so se l'energia che abbiamo dentro quando moriamo diventi qualcosa oppure nulla, come mi diceva Strehler, ma a qualcosa bisogna credere e io credo in Gesù: gli parlo e gli racconto un po' di cose».

Se esistessero paradiso e inferno, lei dove finirebbe?

«Sono stata una peccatrice, ma poi mi sono riscattata. Secondo me andrò in paradiso. Il bilancio è positivo».

·        Pamela Anderson.

Pamela Anderson, non solo bagnina di Baywatch: i 5 matrimoni e la passione per le case. Federica Bandirali su Il Corriere della Sera il 7 Novembre 2022.

Al via la docu-serie “Pamela's Garden of Eden”. L'attrice si mostra nell’impegno di ristrutturare la casa che era appartenuta alla nonna. Nel mentre, racconta la sua tormentata vita

La docu-serie

Nel corso degli anni è diventata un’icona. Sotto tanti punti di vista: Pamela Anderson è una modella, una star dello schermo e un'attivista che è stata un nome familiare per decenni. Ora è il momento di vedere Pamela sotto una luce completamente nuova mentre torna nella proprietà della sua famiglia sull'isola di Vancouver per restaurare, progettare e stabilirsi nella casa (che era di sua nonna). Il tutto in una docu-serie dal titolo “Pamela's Garden of Eden”.

Ritorno alle origini

Pamela viene dalla pittoresca cittadina della costa occidentale, Ladysmith. Ladysmith è una piccola città (con una popolazione inferiore a 9.000 abitanti) che dispone di un incantevole lungomare. Loyal Homes lo descrive come un luogo ideale per gli investitori immobiliari grazie agli splendidi paesaggi e alle affascinanti fette del lungomare. In“Pamela's Garden of Eden”, la star fa il suo trionfante ritorno a Ladysmith, per rinnovare la proprietà che ha acquistato 25 anni fa.

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Vegana

Vegetariana sin da quando era un'adolescente (anni prima che le diete a base vegetale diventassero popolari), Pamela vive da decenni uno stile di vita vegano.

Attivista

Pamela è una schietta sostenitrice dei diritti animali e ambientali. Ha collaborato con PETA a numerose campagne, inclusa la campagna "Tutti gli animali hanno le stesse parti" per fermare il traffico di animali. Ha fondato la Pamela Anderson Foundation che serve a proteggere il pianeta sostenendo “organizzazioni e individui che sono in prima linea nella protezione dei diritti umani, animali e ambientali”.

In libreria

L'impero di Pamela non si limita solo ai suoi crediti cinematografici e televisivi. Ha anche pubblicato diversi romanzi ispirati alla sua vita e alle sue esperienze, tra cui la sua autobiografia “Love”, “Pamela” e una serie di libri per bambini.

Bellezza mozzafiato

Pamela è ancora una volta un'icona di stile anche per la Generazione Z che ha trovato ispirazione dal suo look biondo platino, sopracciglia sottili e labbra scure. Posa spesso per servizi fotografici internazionali

La separazione dopo 12 giorni

Il 20 gennaio 2020 con una cerimonia privata a Malibù, Pamela Anderson ha sposato il produttore cinematografico Jon Peters, 74. Si tratta del quinto matrimonio per entrambi. Ma il sogno è durato poco: i due si separano dopo 12 giorni. «Ci prendiamo del tempo a parte per rivalutare ciò che vogliamo dalla vita e l’uno dall’altra» aveva dichiarato all’Hollywood Reporter la bagnina più famosa del mondo.

La confessione choc

Pamela Anderson ha ammesso in diretta tv, nel 2009, di aver sniffato cocaina in passato. Una rivelazione shock che ha colpito tutti anche il presentatore dello show, il britannico Jeremy Kyle. L'ex playmate aveva raccontato davanti all'occhio indiscreto delle telecamere il suo periodo di vita più difficile alle prese con la droga e l'alcool.

Tommy Lee

“Pam e Tommy” è la serie TV che sta andando in onda su Disney+ e racconta l’amore di Anderson e Tommy Lee, primo marito. Pamela Anderson e Tommy Lee si conobbero il 31 dicembre del ’94, in un locale di Los Angeles dov’erano andati a festeggiare con gli amici l’arrivo del nuovo anno. Si racconta che Lee rimase estasiato dalla bellezza di Pamela. All’epoca lui aveva 32 anni e la sua carriera era in stallo, mentre la Anderson, 21, stava sbocciando come attrice e personaggio televisivo.Il matrimonio di Pam e Tommy si celebrò il 19 febbraio 1995 sulla spiaggia di Cancun, alla presenza di sole otto persone. Anche il look degli sposi è passato alla storia: lei indossava un bikini bianco e nient’altro, mentre lui un paio di bermuda dello stesso colore.

Barbara Costa per Dagospia il 2 luglio 2022.

Il pene di Tommy Lee è “grande come un guantone da boxe, è un caz*o di arnese che in bocca nessuna groupie riesce a tenerne più d’un terzo. Mai vista una cosa del genere. Ce l’hai il porto d’armi per quell’affare, Tommy?”. Parola di Ozzy Osbourne. E allora è per questo, è per tali dimensioni, che Pamela Anderson continua a gemere che il suo ex Tommy Lee sarà per sempre l’amore suo! 

Chissà se Tommy “la stanza con pareti imbottite e imbracature al soffitto, per sc*parci legati” l’ha mai divisa con Pamela, se vi ha mai sc*pata legata Pamela… e comunque auguri a Pamela, di buon compleanno, il 1 luglio sono 55… e però io insisto sulla sua fissa per il batterista dei Mötley Crüe Tommy Lee: sui suoi cm penici non si discute, lui ce li ha fatti vedere, in quel sex tape che nei '90 fece sensazione: quel video di sesso rubato, in barca, tra Tommy e Pamela in luna di miele, sposati in bermuda lui, e in bikini bianco lei, dopo sole 96 ore che stavano insieme.

Video di recente riscoperto quale oggetto di una serie tv, e… perché sì che l’abbiamo guardato, quel video sboccato… Dai, su: i sex tape dei famosi li guardiamo perché curiosi marci di sapere come lo fanno loro. Cioè di scoprire che orgasmano come chiunque altro.

Tommy Lee e Pamela Anderson si sono conosciuti al veglione di Capodanno 1995. Lo nota prima Pam, e gli fa arrivare uno shot al suo tavolo. Sedutosi accanto a lei, strafatto di ecstasy, Tommy le ha… leccato la faccia a mo’ di cane! 

Hanno concepito il primo figlio sullo stesso letto dove Pamela lo ha partorito, e Tommy lo ha tirato fuori dalla sua vagina insieme all’ostetrica. Dopo 3 anni e un secondo figlio, e un tentativo di suicidio di lei, Pamela ha mandato per 6 mesi in galera Tommy per violenza domestica (lui è andato fuori di testa perché non trovava la padella per friggere le verdure per cena). Uscito dal carcere, Pamela se l’è risc*pato, e di gusto, e più volte, ma poi l’ha di nuovo mollato, e hanno divorziato.

Si sono rimessi insieme nel 2008, ed è durata 2 anni. Varie groupie dicono che i Mötley Crüe hanno un’aurea sessuale prepotente e intossicante, e Pamelona lo sa bene: prima che con Tommy è uscita e ha sc*pato col cantante dei Mötley, Vince Neil. Lei nega - a Tommy l’ha negato - ma Nikki Sixx dice che è vero, e Nikki è il bassista dei Mötley e lui non ha subito il fascino letale di Pamela (“non me la sc*perei nemmeno coll’uccello di un altro”) ma sa che Pam è stata a letto con Vince: glielo ha detto Vince, e Vince conferma e rilancia che di quella sc*pata c’è pure un loro sex tape: ma quello che c’è sui siti porno, con Vince e due bionde, e una simile a Pamela… non è lei, bensì la ex pornostar Janine Lindemulder, tra le tante passate a letto e telecamera di Vince Neil, un serio cultore del genere…

Ma Pamela, a quella “caz*o di testa sottosviluppata” di Tommy (Tommy Lee dixit) come lo ha spiegato che, se non con Vince Neil, un altro sex tape con lei e un rocker c’è, esiste, e dura 4 minuti, ed è lei con Bret Michaels dei Poison? Che poi quei 4 minuti sono quelli che Pam coi suoi legali non è riuscita a bloccare, visto che un’ora è la versione integrale. 

Raccontano che quando Tommy lo ha saputo, di lei e di Bret, ha dato di matto: evidentemente Bret non ce l’ha grosso come lui ma lo sa usare meglio… ma poi a Tommy che gli frega, di chi Pamela ha sc*pato prima o dopo di lui??? Tommy s’è preso schiaffoni dal secondo marito di Pam, il metal Kid Rock. Da tempo si vocifera di un sex tape pure tra Pam e Kid Rock, ma dove sta, esiste? Mai visto…

In ogni caso si è capito, che per Pamela Anderson è vizio, orgoglio, farsi filmare nelle sue abilità amatorie più goliardiche, e capirai, mica è la sola, bensì è la capostipite, di un metodo - il sex tape trafugato o finto tale - gradino di lancio per la fama mondiale. Kim Kardashian e Paris Hilton è in tal modo che sono diventate "qualcuno". E Rick Salomon, l’ex di Paris con Paris in un sex tape "rubato", Pamela se lo è di suo sposato, e mica una ma due volte, in terze e in quarte nozze…  

Oh, non bestemmiamo! Non mettiamo nome e corpo della Hilton accanto a Pamela! Nessuna è Pamela, nessuna sarà mai Pamela. Le sue tettone sotto quel costume rosso da bagnina hanno fatto e registrato la Storia. Davvero qualcuno crede che nei '90 i cubani stessero ancora appresso a Castro??? Ma quando mai, stavano a trafficare sui balconi, e terrazzi, ovunque ci fosse posto e modo di celare l’antenna (tana migliore, i cassoni dell’acqua, svuotati) per collegarsi con la Florida, e vedersi Baywatch! E davvero c’è chi crede che gli iraniani stessero inchinati a quei religiosi barbuti che li ninnano?

Macché, stavano prodi a rimirarsi le tettoniche falcate della Anderson! Le tette sono pop e sono politica, il c*lo è politica: battono ogni repressione. Le tette di Pamela Anderson hanno avuto la loro parte nello smuover verso la libertà l’Europa Orientale. Nei '90 di cosa avevano tanta paura, al Cremlino, per lagnarsi a Hefner, il quale imponeva su Playboy Russia le forme nude di Pamela?! Che quelle tette, che quel c*lo, la gloria di quel corpo facessero fremere di libertà (e di sesso) le loro donne. Una libertà OCCIDENTALE. Che a parole gli ipocriti spregiano, ma poi, nel pratico…

In Inghilterra vietarono di affiggere i poster di Pamela in metropolitana perché… pericolosi per i viaggiatori! Ma la Anderson non ha mai spaventato nessuno, di sicuro non le donne, solo le donnette. Ecco Pamela Anderson secondo Natalia Aspesi: “Una radiosa e polposa creatura bionda, risata facile, seno debordante e dondolante, teleinventata, artificiale, disposta a farsi fotografare in bikini da un muro umano di professionisti disperati”. Gesù, l’invidia fa sragionare!

La verità è che le donne, quelle senza fisime, Pamela Anderson le ha armate. A migliaia l’hanno imitata, non per inferiorità, ma per p-o-t-e-r-e. Nessuna femminista anni '70, e struccata e inviperita, col suo reggiseno bruciato (e seni penduli) ha avuto un seguito pur minimamente paragonabile a quello di Pamela. Dice Pamela Anderson: “Io sono una professionista e sono indipendente. Ho la fortuna di fare il lavoro che mi piace, e guadagno bene. Siano benedetti hot pants e tacchi alti! Io mi sono sempre mantenuta da sola, e ho cresciuto due figli da madre single. Non ho bisogno di nessuno”. 

Ehi, sarà vero che, nel 1989, al suo primo servizio per Playboy, per il nervoso, Pamela ha vomitato addosso alla truccatrice? E che è stata “amica intima” di Putin? Lo sapremo presto: a breve dovrebbe uscire l’autobiografia di Pamela, dove spero ci spieghi in dettaglio se, quando stava col calciatore Adil Rami, stava pure con Julian Assange, oppure no, era Rami ad avere una doppia vita, già una (ex) moglie, o una amante, o due, o che ne so.

Lucia Resta per gazzetta.it l'1 luglio 2022.  

Una vita travagliata

Sex symbol per eccellenza negli anni '90, Pamela Anderson oggi compie 55 anni e vive una vita molto diversa rispetto al suo tumultuoso passato. Canadese naturalizzata statunitense, la star di Baywatch è passata dai servizi fotografici per Playboy alla tv e il cinema con alterne fortune e nel frattempo ha avuto cinque mariti e due figli. Proprio la sua storia con il primo marito Tommy Lee è diventata una serie tv (Pam & Tommy) in cui a ricoprire il ruolo di Pamela Denise Anderson c'è una irriconoscibile Lily James. Ma vediamo come la vera Pamela Anderson è cambiata negli anni e quanto è stato importante per lei essere una sportiva fin da giovanissima.

Giovane sportiva

Nata a Ladysmith, nella Columbia Britannica, in Canada, Pamela Anderson agli inizi degli anni '80 giocava nella squadra di pallavolo della École Highland Secondary School di Comox. Nel 1988 si è trasferita a Vancouver e iniziato a lavorare come istruttrice di fitness. L'anno dopo, mentre assisteva a una partita di football al BC Place Stadium, è stata inquadrata sul maxischermo mentre aveva addosso una maglietta di un noto brand di birra. Colpito dalla sua bellezza, il pubblico ha fatto un boato e l'azienda produttrice di quella birra l'ha ingaggiata come testimonial. La sua carriera è cominciata così. In seguito si è trasferita a Los Angeles e ha iniziato a posare per Playboy, poi dal 1992 al 1997 è stata una delle protagoniste di Baywatch ed è diventata famosissima in tutto il mondo. 

Il veganesimo

Pamela Anderson è diventata vegetariana molto prima che questo regime alimentare fosse di moda a Hollywood. A spingerla a prendere questa decisione è stato un episodio molto particolare della sua adolescenza: ha visto suo padre mentre puliva un animale che aveva cacciato. In seguito è diventata vegana e negli anni ha partecipato a numerose campagne di sensibilizzazione sui diritti degli animali, schierandosi sempre contro le pellicce e gli allevamenti intensivi. Nel 2016 la PETA (People for the Ethical Treatment of Animals) l'ha nominata "Persona dell'anno". 

L'epatite C e l'eisoptrofobia

Nel corso della sua vita Pamela Anderson ha avuto dei problemi di salute. In particolare nel 2002 ha dichiarato di aver contratto l'epatite C a causa della condivisione degli aghi per un tatuaggio con Tommy Lee, che è stato suo marito dal 1995 al 1998 (sposato dopo soli quattro giorni di conoscenza) e dal quale ha avuto i suoi due figli Brandon Thomas e Dylan Jagger. Nel corso della loro storia, Tommy Lee è anche stato condannato a sei mesi di carcere per violenza domestica. Nel 2006 Pamela ha avuto un aborto spontaneo mentre era sposata con il cantante Kid Rock. Ha inoltre rivelato di soffrire di eisoptrofobia o spettrofobia, ossia la paura di guardarsi allo specchio. Nel 1990 si è sottoposta a un intervento di mastoplastica additiva, ma nel 1999 ha rimosso le protesi.

I 5 mariti

La vita sentimentale di Pamela Anderson è stata molto movimentata. Tutti conoscono la sua storia con Tommy Lee, il batterista dei Mötley Crüe, sposato nel giro di una settimana. Un loro video girato durante la prima notte di nozze è stato praticamente il primo caso di video diventato virale. Ma anche un altro video girato con il musicista Bret Michaels, prima che si mettesse con Lee, ma diffuso anni dopo (nel 1998) ebbe più o meno la stessa sorte.

Dopo la fine della storia con Lee, Pamela Anderson si è sposata altre quattro volte: nel 2006 con Kid Rock, divorziando circa tre mesi dopo il sì; nel 2007 con Rick Salomon, un produttore cinematografico, un matrimonio annullato quattro mesi dopo le nozze; nel 2014 un altro matrimonio con Salomon, finito con il divorzio poco più di un anno dopo; a gennaio del 2020 sono arrivate le nozze con un altro produttore cinematografico, Jon Peters, che Pamela conosceva però già da una trentina d'anni, ma il matrimonio è durato solo 12 giorni e anzi Anderson ha anche detto che non era un vero e proprio matrimonio, ma solo una rimpatriata tra amici; a dicembre del 2020 si è sposata con la sua guardia del corpo Dan Hayhurst, ma ha poi divorziato all'inizio del 2022. Tra le sue tante storie d'amore c'è anche quella del 2019 con l'ex calciatore del Milan Adil Rami, oggi al Troyes, di 18 anni più giovane di lei. 

Pamela Anderson oggi tra attivismo e riservatezza

A differenza di molte star, Pamela Anderson odia i social network, ha un account Instagram, ma non lo usa e segue solo i suoi figli e Miley Cyrus. Si dedica principalmente ai suoi impegni da attivista a sostegno di diverse realtà che si occupano di diritti degli animali e di persone affette da AIDS. Passa molto tempo a leggere e a contatto con la natura, facendo lunghe passeggiate con i suoi cani, mentre non ama andare in palestra né ha un personal trainer, ma ogni tanto fa pilates. Ha parlato a cuore aperto anche degli abusi sessuali subiti da bambina e da giovanissima, per aiutare altre donne a superare questo tipo di traumi.

Pamela Anderson, da icona sexy a simbolo (non autorizzato) del femminismo. Micol Sarfatti su Il Corriere della Sera il 12 Maggio 2022.

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