Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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WEB TV: TELE WEB ITALIA
NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
ANNO 2022
LO SPETTACOLO
E LO SPORT
TERZA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
INDICE PRIMA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Il Vintage.
Le prevendite.
I Televenditori.
I Balli.
Il Jazz.
La trap.
Il musical è nato a Napoli.
Morti di Fame.
I Laureati.
Poppe al vento.
Il lato eccentrico (folle) dei Vip.
La Tecno ed i Rave.
Alias: i veri nomi.
Woodstock.
Hollywood.
Spettacolo mafioso.
Il menù dei vip.
Il Duo è meglio di Uno.
Non è la Rai.
Abel Ferrara.
Achille Lauro.
Adria Arjona.
Adriano Celentano.
Afef Jnifen.
Aida Yespica.
Alan Sorrenti.
Alba Parietti.
Al Bano Carrisi.
Al Pacino.
Alberto Radius.
Aldo, Giovanni e Giacomo.
Alec Baldwin.
Alessandra Amoroso.
Alessandra Celentano.
Alessandra Ferri.
Alessandra Mastronardi.
Alessandro Bergonzoni.
Alessandro Borghese.
Alessandro Cattelan.
Alessandro Gassman.
Alessandro Greco.
Alessandro Meluzzi.
Alessandro Preziosi.
Alessandro Esposito detto Alessandro Siani.
Alessio Boni.
Alessia Marcuzzi.
Alessia Merz.
Alessio Giannone: Pinuccio.
Alessandro Haber.
Alex Britti.
Alexia.
Alice.
Alfonso Signorini.
Alyson Borromeo.
Alyx Star.
Alvaro Vitali.
Amadeus.
Amanda Lear.
Ambra Angiolini.
Anastacia.
Andrea Bocelli.
Andrea Delogu.
Andrea Roncato e Gigi Sammarchi.
Andrea Sartoretti.
Andrea Zalone.
Andrée Ruth Shammah.
Angela Finocchiaro.
Angelina Jolie.
Angelina Mango.
Angelo Branduardi.
Anna Bettozzi, in arte Ana Bettz.
Anna Falchi.
Anna Galiena.
Anna Maria Barbera.
Anna Mazzamauro.
Ana Mena.
Anna Netrebko.
Anne Hathaway.
Annibale Giannarelli.
Antonella Clerici.
Antonella Elia.
Antonella Ruggiero.
Antonello Venditti e Francesco De Gregori.
Antonino Cannavacciuolo.
Antonio Banderas.
Antonio Capuano.
Antonio Cornacchione.
Antonio Vaglica.
Après La Classe.
Arisa.
Arnold Schwarzenegger.
Asia e Dario Argento.
INDICE SECONDA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Barbara Bouchet.
Barbara D'urso.
Barbra Streisand.
Beatrice Quinta.
Beatrice Rana.
Beatrice Segreti.
Beatrice Venezi.
Belen Rodriguez.
Bella Lexi.
Benedetta D'Anna.
Benedetta Porcaroli.
Benny Benassi.
Peppe Barra.
Beppe Caschetto.
Beppe Vessicchio.
Bianca Guaccero.
BigTittyGothEgg o GothEgg.
Billie Eilish.
Blanco.
Blake Blossom.
Bob Dylan.
Bono Vox.
Boomdabash.
Brad Pitt.
Brigitta Bulgari.
Britney Spears.
Bruce Springsteen.
Bruce Willis.
Bruno Barbieri.
Bruno Voglino.
Cameron Diaz.
Caparezza.
Carla Signoris.
Carlo Conti.
Carlo Freccero.
Carlo Verdone.
Carlos Santana.
Carmen Di Pietro.
Carmen Russo.
Carol Alt.
Carola Moccia, alias La Niña.
Carolina Crescentini.
Carolina Marconi.
Cate Blanchett.
Catherine Deneuve.
Catherine Zeta Jones.
Caterina Caselli.
Céline Dion.
Cesare Cremonini.
Cesare e Mia Bocci.
Chiara Francini.
Chloe Cherry.
Christian De Sica.
Christiane Filangieri.
Claudia Cardinale.
Claudia Gerini.
Claudia Pandolfi.
Claudio Amendola.
Claudio Baglioni.
Claudio Cecchetto.
Claudio Lippi.
Claudio Santamaria.
Claudio Simonetti.
Coez.
Coma Cose.
Corrado, Sabina e Caterina Guzzanti.
Corrado Tedeschi.
Costantino Della Gherardesca.
Cristiana Capotondi.
Cristiano De André.
Cristiano Donzelli.
Cristiano Malgioglio.
Cristina D'Avena.
Cristina Quaranta.
Dado.
Damion Dayski.
Dan Aykroyd.
Daniel Craig.
Daniela Ferolla.
Daniela Martani.
Daniele Bossari.
Daniele Quartapelle.
Daniele Silvestri.
Dargen D'Amico.
Dario Ballantini.
Dario Salvatori.
Dario Vergassola.
Davide Di Porto.
Davide Sanclimenti.
Diana Del Bufalo.
Dick Van Dyke.
Diego Abatantuono.
Diego Dalla Palma.
Diletta Leotta.
Diodato.
Dita von Teese.
Ditonellapiaga.
Dominique Sanda.
Don Backy.
Donatella Rettore.
Drusilla Foer.
Dua Lipa.
INDICE TERZA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Eden Ivy.
Edoardo Bennato.
Edoardo Leo.
Edoardo Vianello.
Eduardo De Crescenzo.
Edwige Fenech.
El Simba (Alex Simbala).
Elena Lietti.
Elena Sofia Ricci.
Elenoire Casalegno.
Elenoire Ferruzzi.
Eleonora Abbagnato.
Eleonora Giorgi.
Eleonora Pedron.
Elettra Lamborghini.
Elio e le Storie Tese.
Elio Germano.
Elisa Esposito.
Elisabetta Canalis.
Elisabetta Gregoraci.
Elodie.
Elton John.
Ema Stokholma.
Emanuela Fanelli.
Emanuela Folliero.
Emanuele Fasano.
Eminem.
Emma Marrone.
Emma Rose.
Emma Stone.
Emma Thompson.
Enrico Bertolino.
Enrica Bonaccorti.
Enrico Lucci.
Enrico Montesano.
Enrico Papi.
Enrico Ruggeri.
Enrico Vanzina.
Enzo Avitabile.
Enzo Braschi.
Enzo Garinei.
Enzo Ghinazzi in arte Pupo.
Enzo Iacchetti.
Erika Lust.
Ermal Meta.
Eros Ramazzotti.
Eugenio Finardi.
Eva Grimaldi.
Eva Henger.
Eva Robin’s, Eva Robins o Eva Robbins.
Fabio Concato.
Fabio Rovazzi.
Fabio Testi.
Fabri Fibra.
Fabrizio Corona.
Fabrizio Moro.
Fanny Ardant.
Fausto Brizzi.
Fausto Leali.
Federica Nargi e Alessandro Matri.
Federica Panicucci.
Ficarra e Picone.
Filippo Neviani: Nek.
Filippo Timi.
Filomena Mastromarino, in arte Malena.
Fiorella Mannoia.
Flavio Briatore.
Flavio Insinna.
Forest Whitaker.
Francesca Cipriani.
Francesca Dellera.
Francesca Fagnani.
Francesca Michielin.
Francesca Manzini.
Francesca Reggiani.
Francesco Facchinetti.
Francesco Gabbani.
Francesco Guccini.
Francesco Sarcina e le Vibrazioni.
Franco Maresco.
Franco Nero.
Franco Trentalance.
Francis Ford Coppola.
Frank Matano.
Frida Bollani.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Gabriel Garko.
Gabriele Lavia.
Gabriele Salvatores.
Gabriele Sbattella.
Gabriele e Silvio Muccino.
Geena Davis.
Gegia.
Gene e Charlie Gnocchi.
Geppi Cucciari.
Gérard Depardieu.
Gerry Scotti.
Ghali.
Giancarlo Giannini.
Gianluca Cofone.
Gianluca Grignani.
Gianna Nannini.
Gianni Amelio.
Gianni Mazza.
Gianni Morandi.
Gianni Togni.
Gigi D’Agostino.
Gigi D’Alessio.
Gigi Marzullo.
Gigliola Cinquetti.
Gina Lollobrigida.
Gino Paoli.
Giorgia Palmas.
Giorgio Assumma.
Giorgio Lauro.
Giorgio Panariello.
Giovanna Mezzogiorno.
Giovanni Allevi.
Giovanni Damian, in arte Sangiovanni.
Giovanni Lindo Ferretti.
Giovanni Scialpi.
Giovanni Truppi.
Giovanni Veronesi.
Giulia Greco.
Giuliana De Sio.
Giulio Rapetti: Mogol.
Giuseppe Gibboni.
Giuseppe Tornatore.
Giusy Ferreri.
Gli Extraliscio.
Gli Stadio.
Guendalina Tavassi.
Guillermo Del Toro.
Guillermo Mariotto.
Guns N' Roses.
Gwen Adora.
Harrison Ford.
Hu.
I Baustelle.
I Cugini di Campagna.
I Depeche Mode.
I Ferragnez.
I Maneskin.
I Negramaro.
I Nomadi.
I Parodi.
I Pooh.
I Soliti Idioti. Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio.
Il Banco: Il Banco del Mutuo Soccorso.
Il Volo.
Ilary Blasi.
Ilona Staller: Cicciolina.
Irama.
Irene Grandi.
Irina Sanpiter.
Isabella Ferrari.
Isabella Ragonese.
Isabella Rossellini.
Iva Zanicchi.
Ivan Cattaneo.
Ivano Fossati.
Ivano Marescotti.
INDICE QUINTA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
J-Ax.
Jacopo Tissi.
Jamie Lee Curtis.
Janet Jackson.
Jeff Goldblum.
Jenna Starr.
Jennifer Aniston.
Jennifer Lopez.
Jerry Calà.
Jessica Rizzo.
Jim Carrey.
Jo Squillo.
Joe Bastianich.
Jodie Foster.
Jon Bon Jovi.
John Landis.
John Travolta.
Johnny Depp.
Johnny Dorelli e Gloria Guida.
José Carreras.
Julia Ann.
Julia Roberts.
Julianne Moore.
Justin Bieber.
Kabir Bedi.
Kathy Valentine.
Katia Ricciarelli.
Kasia Smutniak.
Kate Moss.
Katia Noventa.
Kazumi.
Khadija Jaafari.
Kim Basinger.
Kim Rossi Stuart.
Kirk, Michael (e gli altri) Douglas.
Klaus Davi.
La Rappresentante di Lista.
Laetitia Casta.
Lando Buzzanca.
Laura Chiatti.
Laura Freddi.
Laura Morante.
Laura Pausini.
Le Donatella.
Lello Analfino.
Leonardo Pieraccioni e Laura Torrisi.
Levante.
Liberato è Gennaro Nocerino.
Ligabue.
Liya Silver.
Lila Love.
Liliana Fiorelli.
Liliana Cavani.
Lillo Pasquale Petrolo e Greg Claudio Gregori.
Linda Evangelista.
Lino Banfi.
Linus.
Lizzo.
Lo Stato Sociale.
Loredana Bertè.
Lorella Cuccarini.
Lorenzo Cherubini: Jovanotti.
Lorenzo Zurzolo.
Loretta Goggi.
Lory Del Santo.
Luca Abete.
Luca Argentero.
Luca Barbareschi.
Luca Carboni.
Luca e Paolo.
Luca Guadagnino.
Luca Imprudente detto Luchè.
Luca Pasquale Medici: Checco Zalone.
Luca Tommassini.
Luca Zingaretti.
Luce Caponegro in arte Selen.
Lucia Mascino.
Lucrezia Lante della Rovere.
Luigi “Gino” De Crescenzo: Pacifico.
Luigi Strangis.
Luisa Ranieri.
Maccio Capatonda.
Madonna Louise Veronica Ciccone: Madonna.
Mago Forest: Michele Foresta.
Mahmood.
Madame.
Mal.
Malcolm McDowell.
Malena…Milena Mastromarino.
Malika Ayane.
Manuel Agnelli.
Manuela Falorni. Nome d'arte Venere Bianca.
Mara Maionchi.
Mara Sattei.
Mara Venier.
Marcella Bella.
Marco Baldini.
Marco Bellavia.
Marco Castoldi: Morgan.
Marco Columbro.
Marco Giallini.
Marco Leonardi.
Marco Masini.
Marco Marzocca.
Marco Mengoni.
Marco Sasso è Lucrezia Borkia.
Margherita Buy e Caterina De Angelis.
Margherita Vicario.
Maria De Filippi.
Maria Giovanna Elmi.
Maria Grazia Cucinotta.
Marika Milani.
Marina La Rosa.
Marina Marfoglia.
Mario Luttazzo Fegiz.
Marilyn Manson.
Mary Jane.
Marracash.
Martina Colombari.
Massimo Bottura.
Massimo Ceccherini.
Massimo Lopez.
Massimo Ranieri.
Matilda De Angelis.
Matilde Gioli.
Maurizio Lastrico.
Maurizio Pisciottu: Salmo.
Maurizio Umberto Egidio Coruzzi detto Mauro, detto Platinette.
Mauro Pagani.
Max Felicitas.
Max Gazzè.
Max Giusti.
Max Pezzali.
Max Tortora.
Melanie Griffith.
Melissa Satta.
Memo Remigi.
Michael Bublé.
Michael J. Fox.
Michael Radford.
Michela Giraud.
Michelangelo Vood.
Michele Bravi.
Michele Placido.
Michelle Hunziker.
Mickey Rourke.
Miku Kojima, anzi Saki Shinkai.
Miguel Bosè.
Milena Vukotic.
Miley Cyrus.
Mimmo Locasciulli.
Mira Sorvino.
Miriam Dalmazio.
Monica Bellucci.
Monica Guerritore.
INDICE SESTA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Nada.
Nancy Brilli.
Naomi De Crescenzo.
Natalia Estrada.
Natalie Portman.
Natasha Stefanenko.
Natassia Dreams.
Nathaly Caldonazzo.
Neri Parenti.
Nia Nacci.
Nicola Savino.
Nicola Vaporidis.
Nicolas Cage.
Nicole Kidman.
Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko.
Nicoletta Strambelli: Patty Pravo.
Niccolò Fabi.
Nina Moric.
Nino D'Angelo.
Nino Frassica.
Noemi.
Oasis.
Oliver Onions: Guido e Maurizio De Angelis.
Oliver Stone.
Olivia Rodrigo.
Olivia Wilde e Harry Styles.
Omar Pedrini.
Orietta Berti.
Orlando Bloom.
Ornella Muti.
Ornella Vanoni.
Pamela Anderson.
Pamela Prati.
Paola Barale.
Paola Cortellesi.
Paola e Chiara.
Paola Gassman e Ugo Pagliai.
Paola Quattrini.
Paola Turci.
Paolo Belli.
Paolo Bonolis e Sonia Bruganelli.
Paolo Calabresi.
Paolo Conte.
Paolo Crepet.
Paolo Rossi.
Paolo Ruffini.
Paolo Sorrentino.
Patrizia Rossetti.
Patti Smith.
Penélope Cruz.
Peppino Di Capri.
Peter Dinklage.
Phil Collins.
Pier Luigi Pizzi.
Pierfrancesco Diliberto: Pif.
Pietro Diomede.
Pietro Valsecchi.
Pierfrancesco Favino.
Pierluigi Diaco.
Piero Chiambretti.
Pierò Pelù.
Pinguini Tattici Nucleari.
Pino Donaggio.
Pino Insegno.
Pio e Amedeo.
Pippo (Santonastaso).
Peter Gabriel.
Placido Domingo.
Priscilla Salerno.
Pupi Avati.
INDICE SETTIMA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Quentin Tarantino.
Raffaele Riefoli: Raf.
Ramona Chorleau.
Raoul Bova e Rocio Munoz Morales.
Raul Cremona.
Raphael Gualazzi.
Red Canzian.
Red Ronnie.
Renato Pozzetto e Cochi Ponzoni.
Renato Zero.
Renzo Arbore.
Riccardo Chailly.
Riccardo Cocciante.
Riccardo Manera.
Riccardo Milani.
Riccardo Scamarcio.
Ricky Gianco.
Ricky Johnson.
Ricky Martin.
Ricky Portera.
Rihanna.
Ringo.
Rita Dalla Chiesa.
Rita Rusic.
Roberta Beta.
Roberto Bolle.
Roberto Da Crema.
Roberto De Simone.
Roberto Loreti, in arte e in musica Robertino.
Roberto Satti: Bobby Solo.
Roberto Vecchioni.
Robbie Williams.
Rocco Papaleo.
Rocco Siffredi.
Roman Polanski.
Romina Power.
Romy Indy.
Ron: Rosalino Cellamare.
Ron Moss.
Rosanna Lambertucci.
Rosanna Vaudetti.
Rosario Fiorello.
Giuseppe Beppe Fiorello.
Rowan Atkinson.
Russel Crowe.
Rkomi.
Sabina Ciuffini.
Sabrina Ferilli.
Sabrina Impacciatore.
Sabrina Salerno.
Sally D’Angelo.
Salvatore (Totò) Cascio.
Sandra Bullock.
Santi Francesi.
Sara Ricci.
Sara Tommasi.
Scarlett Johansson.
Sebastiano Vitale: Revman.
Selena Gomez.
Serena Dandini.
Serena Grandi.
Serena Rossi.
Sergio e Pietro Castellitto.
Sex Pistols.
Sfera Ebbasta.
Sharon Stone.
Shel Shapiro.
Silvia Salemi.
Silvio Orlando.
Silvio Soldini.
Simona Izzo.
Simona Ventura.
Sinead O’Connor.
Sonia Bergamasco.
Sonia Faccio: Lea di Leo.
Sonia Grey.
Sophia Loren.
Sophie Marceau.
Stefania Nobile e Wanna Marchi.
Stefania Rocca.
Stefania Sandrelli.
Stefano Accorsi e Fabio Volo.
Stefano Bollani.
Stefano De Martino.
Steve Copeland.
Steven Spielberg.
Stormy Daniels.
Sylvester Stallone.
Sylvie Renée Lubamba.
Tamara Baroni.
Tananai.
Teo Teocoli.
Teresa Saponangelo.
Tiberio Timperi.
Tim Burton.
Tina Cipollari.
Tina Turner.
Tinto Brass.
Tiziano Ferro.
Tom Cruise.
Tom Hanks.
Tommaso Paradiso e TheGiornalisti.
Tommaso Zanello alias Piotta.
Tommy Lee.
Toni Servillo.
Totò Cascio.
U2.
Umberto Smaila.
Umberto Tozzi.
Ultimo.
Uto Ughi.
Valentina Bellucci.
Valentina Cervi.
Valeria Bruni Tedeschi.
Valeria Graci.
Valeria Marini.
Valerio Mastandrea.
Valerio Scanu.
Vanessa Scalera.
Vasco Rossi.
Vera Gemma.
Veronica Pivetti.
Victoria Cabello.
Vincenzo Salemme.
Vinicio Marchioni.
Viola Davis.
Violet Myers.
Virginia Raffaele.
Vittoria Puccini.
Vittorio Brumotti.
Vittorio Cecchi Gori.
Vladimir Luxuria.
Woody Allen.
Yvonne Scio.
Zucchero.
INDICE OTTAVA PARTE
SOLITO SANREMO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Solito pre Sanremo.
Terza Serata.
Quarta Serata.
Quinta Serata.
Chi ha vinto?
Simil Sanremo: L’Eurovision Song Contest (ESC)
INDICE NONA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
I Superman.
Il Body Building.
Quelli che...lo Yoga.
Wags e Fads.
Il Coni.
Gli Arbitri.
Quelli che …il Calcio I Parte.
INDICE DECIMA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Quelli che …il Calcio II Parte.
INDICE UNDICESIMA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
I Mondiali 2022.
I soldati di S-Ventura. Un manipolo di brocchi. Una squadra di Pippe.
INDICE DODICESIMA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
I personal trainer.
Quelli che …La Pallacanestro.
Quelli che …La Pallavolo.
Quelli che..la Palla Ovale.
Quelli che...la Pallina da Golf.
Quelli che …il Subbuteo.
Quelli che…ti picchiano.
Quelli che…i Motori.
La Danza.
Quelli che …l’Atletica.
Quelli che…la bicicletta.
Quelli che …il Tennis.
Quelli che …la Scherma.
I Giochi olimpici invernali.
Quelli che …gli Sci.
Quelli che si danno …Dama e Scacchi.
Quelli che si danno …all’Ippica.
Il Doping.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
TERZA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Barbara Costa per Dagospia il 17 luglio 2022.
Lei è ossessionata dal sesso anale. A lei piace ogni volta anale, lo cerca ripetutamente anale, lo pretende anale, e se ancora non è DAP, è per farci sospirare di porno desiderio. Ma lei fa DP, fa DPP, fa GS, A2M, CUM SWAP, ed è TOTAL BALD. Tutti queste sigle sono pane quotidiano per chi ama il porno ma quello strong, crudo, fatto di atti estremi, di eccessi, sesso intenso, di cavalcate al limite della (per noi) sopportazione.
E sono tutte sigle che per chi non le sa ora spiego e però non prima di avervi detto che sono sigle che descrivono le abilità porno di Eden Ivy, nuovo portento del "gonzo" e aridaje con le sigle, vabbè, però questa la conoscete, gonzo è porno di solo sesso, senza dialoghi o manfrine: solo sesso recitato violento, e senza respiro.
E nei gonzo dell’angelica Eden solo la DAP è assente, ovvero la doppia penetrazione anale. Di DAP il c*letto di Eden Ivy è (fino a che scrivo) porno vergine, ma non lo è di rimming (slinguate anali, date e prese), di squirting, anali e vaginali, né di A2M (pene che Eden prende nell’ano e poi in bocca).
Se Eden Ivy non fa (per ora) DAP, è però radiosa in ogni selvaggia DPP (doppia penetrazione vaginale), è padrona di ogni furibonda DP (prende un pene davanti, e uno di dietro), ed è scintillante sotto ogni GS (doccia dorata, cioè doccia che le fanno con la pipì, e pipì che Eden riceve pure in bocca, dissetandosi di più peni insieme). E se ancora non mi avete mollato per andarvi a sballare con uno dei magnetici video di Eden, vi aggiungo che è abbagliante in un altro atto, porno, che non tutte fanno e sanno fare: Eden Ivy è regale nei suoi CUM SWAP, ossia quando si fa venire in bocca, e sputa quello sperma nella bocca di altri/e.
Siamo dentro il porno il più eccessivo: niente romanticherie per Eden Ivy, 23 anni, canadese, di Montreal, modella (anche hot), ma da qualche tempo nel pieno del porno duro che conta. L’ha scelto lei, lo vuole lei, lo sa fare lei, e che sia una patita del sesso anale è nient’altro che la verità: l’anale è il sesso che Eden Ivy preferisce, l’ha detto lei, raccontato con minuzia a Rocco Siffredi il quale ha scritto su misura del suo visetto pulito e del suo corpo esile e incantevole "Introspection", nuovo lavoro di casa Siffredi, con Siffredi che dirige Eden nella sua ricerca, fame, idea fissa di peni e sex toys ("particolari" sex toys) di cui godere nel suo ano.
Introspection è un porno in 5 episodi che vi potete scaricare dal sito di Siffredi, ma attenzione perché, per chi di Eden Ivy fosse affamato e delle sue ninfomanie allupato, può ammirarsela pure con Marika Milani e alle prese con due stalloni neri negli episodi di "Rocco’s Sex Clinic", ma pure su un divano bianco al collaudo anale (e in ogni snodatissima posizione!) direttamente col penone di Siffredi.
Il lato B di Eden Ivy è in massiccia attività, e specie e tanto in Europa: lei lascia il Canada anche per periodi di 3 mesi per Praga, per i tipi di "Legal Porno", e cioè per gli esperti del porno quello anale che la fessura che hai tra le natiche te la porno martellano, te la porno crivellano, e tutto con l’entusiastico e completo consenso della protagonista di turno. E Eden Ivy è altresì la protagonista di porno esagerati, analmente smisurati, straripati dalla lussuria del nostro Giorgio Grandi.
Sebbene nel porno curriculum di Eden Ivy non manchino prove SOLO LEZ (sesso con sole ragazze), è del suo corpo tatuato, delle sue espressioni innocenti, e della sua pelle eterea, intimamente BALD (vagina/ano depilatissimi) che quote in costante aumento di pubblico sono estasiate. Eden Ivy è solamente all’inizio ma è tostissima. Abbandonate ogni preoccupazione. È una numero 1 nata, e terrà le redini del porno per lungo tempo, e ovunque il suo irresistibile posteriore vorrà fare e contento sperimentare.
Pietro Senaldi per “Libero quotidiano” il 16 luglio 2022.
Il Gatto e la Volpe alla soglia dei cinquant' anni si sono fatti ancora più furbi e infingardi. «Il nostro Paese resta prigioniero di Collodi, anche se la grande Balena non c'è più». Edoardo Bennato è tornato sul palco e gira l'Italia dopo il Covid. Tre ore di concerto a 76 anni, quasi come Mick Jagger, che ne ha tre di più.
«Sono andato a vederlo a San Siro tre settimane fa; anch' io feci 80mila persone paganti sul pratone, era il 19 luglio 1980. Avevamo lo stesso manager ai tempi, Friz Rau, anche se in realtà è Mick l'implacabile manager di se stesso. Me lo ritrovai in camerino a Colonia, con tutti i Rolling Stones. Arrivò in tuta, lui fa jogging prima di salire sul palco, suo padre era maestro di atletica. Il suo è tutto marketing, la sua vita dissoluta è una clip, non c'entra niente con la generazione no future, di cui è coetaneo, quella di Sid Vicious, Jim Morrison e Jimi Hendrix secondo i quali esisteva solo il presente, tanto poi si moriva a 27 anni».
Anche tu sei longevo e in forma...
«Non bevo e non fumo, gioco ancora a calcio, faccio windsurf e sci nautico. Ma non sono longevo, sono tardivo, ho dato il mio primo bacio a 23 anni, ho fatto mia figlia Gaia, la cocca di papà, a 58 e ho avuto la mia prima chitarra a 12 anni. Eravamo tre fratelli maschi, mamma non voleva che perdessimo tempo nelle lunghe vacanze estive, convinta che l'ozio sia il padre dei vizi, e cercò un'insegnate d'inglese».
Non la trovò, si capisce dai tuoi jingle, dove farfugli un americano inventato...
«A Bagnoli negli anni Cinquanta non era impresa facile e ripiegò sulla musica. Lì però imparammo noi tre in fretta, due anni dopo eravamo già in America a suonare. Ci pagò il viaggio un signore distinto che ci aveva sentito in strada. Disse: "Siete bravi, se sarete promossi vi mando oltre Oceano". La tv venezuelana ci fece un contratto, perché tanti italiani vivevano laggiù. Allora era una nazione prospera e democratica. Il successo però arrivò dopo una gavetta lunga e umiliante».
Ma se hai esordito con la Ricordi...
«Avevo già 28 anni e un ricco curriculum di porte sbattute in faccia. Pensavo di avercela fatta, era il 1973 e riuscii a pubblicare Non farti cadere le braccia, un album praticamente di sole hit, c'erano anche Campi Flegrei, Un giorno credi, Rinnegato...».
E infatti arrivò il successo...
«Invece no. Le radio non passavano i miei pezzi. Sostenevano che avessi una voce sgradevole. Mi chiamò un dirigente della Ricordi dicendo che era meglio chiudere il contratto e che avrei fatto bene a fare l'architetto. Imparai subito che nel nostro mestiere è bello quel che viene enfatizzato dai media; ma per mandare in onda le tue canzoni ed enfatizzarle, qualcuno deve avere un interesse».
Già nel primo album avevi scritto la tua storia...
«Non mi sono fatto cadere le braccia. Ho messo nel cassetto le canzoni incise, ho preso la chitarra, l'armonica e il tamburello a pedale e mi sono messo davanti alla Rai a cantare quattro nuovi pezzi, versione punk: Arrivano i buoni, Salviamo il salvabile, Bravi ragazzi e Il buono, uno sfottò del presidente della Repubblica del tempo, il mio concittadino Giovanni Leone, allora si poteva picchiare in alto.
Arrivarono i giornalisti di Ciao 2001, mi ritrovai a cantare al Festival di Civitanova Marche di fronte a tutta l'intelligentia musical-culturale e qualcuno decise che, meridionale e figlio di un operaio dell'Italsider, io potessi rappresentare il disagio giovanile. D'un tratto divenni intonato e i miei pezzi furono trasmessi in tutta Italia come fossero il Vangelo. Giravo i festival dell'Unità, di Liberazione, di Autonomia Operaia».
Parli così perché sei deluso?
«Non sono deluso, non mi sono mai illuso. Io sono un privilegiato perché, anche se ai tempi supplementari, sono riuscito a fare il mestiere che mi piace. Anche Gaia è una privilegiata, però sono molto preoccupato per il suo futuro, anche se parla inglese e non fa la musicista...».
Edoardo Bennato vorrebbe che per lui parlassero solo le sue canzoni; anzi, «le vibrazioni che la gente sente quando viene ai miei concerti, perché io sono un artista, non un professore o un sociologo, parlo astruso, se uno mi sente, si chiede: ma dove vuole arrivare questo? E poi, come si dice? In certe circostanze c'è sempre qualcuno che ti ricorda che ogni cosa che affermi può ritorcersi contro dite».
Cavargli una frase dalla bocca è come estrarre un dente del giudizio. E infatti ogni sillaba è una sentenza.
«Che devo dire su chi vuole fermare il concerto dei Maneskin per evitare una nuova ondata di Covid? Loro sono bravissimi, ma potrebbero essere nati in qualsiasi parte del mondo. Sanno le istituzioni se è giusto fermare i concerti, loro rappresentano la comunità; o no? Io e mio fratello, durante il lockdown della primavera 2020 abbiamo fatto una canzone, Non può essere questa la realtà. Però già nel '74 cantavo "c'è il coprifuoco, e pensare che all'inizio sembrava un gioco, fate i bravi ragazzi e vedrete che sistemeremo tutto". Ero stato ottimista però, l'avevo messo all'una di notte».
Oggi la protesta giovanile la cantano i rapper delle periferie, per lo più immigrati di seconda generazione. Testi molto violenti, quasi inni alla delinquenza. Ti piacciono quelle canzoni?
«Tu hai l'autorevolezza per dire certe cose, io no. Il rap mi piace perché ha in sé un tocco di blues. Ma la musica che ha un costante riferimento all'attualità, quella impegnata è il rock e il punk ne è un'espressione straordinaria per descrivere una società che si autodefinisce sensata invece è schizofrenica. Ecco, questo faccio, evidenzio le schizofrenie umane. E vado ad ascoltare certi colleghi, come i Green Day per ricaricarmi, giù dal palco».
Che pensi dei tuoi colleghi impegnati?
«Cosa intendi per impegno? L'impegno spesso è un camuffamento, come quello del Gatto e la Volpe. Mi sembrano più onesti Orietta Berti e Al Bano, finché la barca va e la felicità in un bicchiere di vino e un panino. Fanno pop, per loro la musica dev' essere solo evasione e te lo dicono diretto in faccia. Meglio loro di chi si dà toni da impegnato ma finisce per essere leggero e sconclusionato».
Hai scritto un brano durissimo contro la sinistra...
«Già... "ma com' è sinistro, ma com' è feroce il tuo sguardo quando parla della pace.
Lo faresti a pezzi chi ti contraddice e difendi il gregge, ma sei tu il lupo". Era il 2008 anche se sembra oggi. Come d'altronde Stop America, non esagerare con la severità. Era il 2003, l'album Uomo Occidentale, sono passati vent' anni ma quando canto quei pezzi al concerto, se uno non lo sa, non se ne accorge».
Sei un anti-americano?
«Ma sei matto? Mai. Tutti noi, volenti o nolenti, abbiamo l'America come riferimento culturale. E tutti noi vediamo che è una bella donna, che abbiamo seguito innamorati ma è invecchiata e si tinge i capelli».
Perché tu no?
«Parli dei capelli? Io però sono un uomo occidentale atipico. Non ho, come lui, "il dovere di mantenere, senza orgoglio o presunzione, l'equilibrio mondiale". Anche se questo non significa che non lo cerchi».
E dove lo cerchi?
«Ho scritto un libro, Codex Latitudinis, con delle proposte per il futuro del pianeta Terra».
Modestia a parte...
«Dev' esserci al mondo qualcosa, un parametro, in grado di metterci d'accordo tutti sui problemi etici, morali e politici del nostro tempo. Lo troveremo sull'orlo del baratro, quindi tra poco».
E chi non è d'accordo, lo diamo in bocca a Mangiafuoco?
«Capisco il rischio. Però non possiamo andare avanti in eterno con i guelfi e i ghibellini. Il Paese è prigioniero di due fazioni che si scontrano ferocemente senza esclusioni di colpi e senza regole. Porteranno la nostra Italietta allo sfascio totale».
Le notti magiche d'altronde non ci sono più. È la seconda volta di fila che buchiamo le qualificazioni per i Mondiali...
«Quanto mi costò quella canzone. Quando Caterina Caselli e Gianna Nannini mi chiesero di scriverla, domandai loro se fossero impazzite. Sapevo che per la spocchiosa élite culturale rappresentavo l'eversione e non sarei mai stato perdonato, se avessi fatto un inno patriottico. Poi alla fine la scrissi, con il mio amico di cortile, Gino Magurno. Fu bellissimo tornare a suonare a San Siro davanti a una folla festante ma venni contestato subito, ci rimasi male e ancora oggi mi dispiace. D'altronde, cosa si aspettavano?».
Li avevi già delusi?
«Erano diventati scettici nei miei confronti, ai concerti di Autonomia Operaia, quando chiudevo la performance suonando con una trombetta sia Bandiera Rossa sia Faccetta Nera. "Nella mia categoria è tutta gente poco seria, di cui non ci si può fidar". Quelle Notti Magiche hanno dato loro il colpo di grazia. Per consolarsi, gli restano quelli che cantano ma non appartengono alla mia categoria».
A me Notti Magiche piace, anche se non abbiamo vinto...
«Lo sport è legato a un numero, che ti dà il tuo valore. Sbagli il rigore e passa un altro.
Nella mia categoria c'è sempre qualcuno che decide che "non puoi rifiutarti, che sei pazzo e incosciente, un irriconoscente, un sovversivo un mezzo criminal". Però quella canzone mi ha lasciato un regalo».
È il momento dell'aneddoto.
«Nel 1991 a Pistoia suonava B. B. King. Gli chiesero se voleva duettare con me e lui rispose "Bennato, chi è costui?" Quando gli dissero che ero quello dell'inno dei Mondiali, acconsentì e sul palco intonammo Signor Censore, "che fai lezioni di morale e hai l'appalto per separare il bene e il male". Risuonammo insieme in Sardegna e lui mi salutò dicendo, "Ehi man, tu puoi suonare il blues". Il mio Mondiale l'ho vinto».
E l'Italia oggi com' è, guelfi e ghibellini a parte?
«Traballa su tacchi a spillo, "un rapido sempre in ritardo, una spiaggia libera, un rischio da evitare"».
Per fortuna noi italiani vogliamo bene alla mamma...
«Ma la mia era degli anni Cinquanta, aveva i piedi per terra...».
Stefania Ulivi per il Corriere della Sera il 29 aprile 2022.
Piano A: diventare calciatore («Sono stato un adolescente morigerato: non bevevo, non fumavo, niente stravizi, il sabato sera non uscivo, lo sport era tutto. Fino a 21 anni, quando ho smesso, sono stato molto disciplinato»). Piano B: diventare insegnante («Merito o colpa di un insegnante di italiano, Giaime Rodano: per la prima volta nella mia vita ho incontrato qualcuno che faceva un lavoro per passione. Non ne conoscevo. Nonno contadino a Sutri, mia nonna pescivendola, mio padre, che si era smarcato dalla campagna per venire a lavorare a Roma negli anni Settanta, aveva amici che facevano gli elettricisti, cose così. Tutti gran lavoratori ma per necessità, non passione»).
Professione certificata: attore, regista e sceneggiatore. Edoardo Leo precisa che è capitato un po’ per caso. «Andavo ai provini perché volevo pagarmi l’università da solo, volevo dimostrare ai miei che non era una pazzia essermi iscritto a Lettere dopo essermi diplomato a fatica al liceo scientifico. Mi sembrava un lavoro come gli altri: ho fatto il pony express, con un amico scaricavamo il latte di notte, ho lavorato al chiosco del cimitero di Sutri dei miei zii. Puntavo agli spot: poco tempo, buon guadagno».
Ha appena compiuto i 50 anni, il 21 aprile, giorno del Natale di Roma.
«È una banale coincidenza, ma ogni coincidenza la si può vedere in modo romantico. Pensare di essere nato lo stesso giorno della mia città mi sembra un piccolo destino per chi come me racconta storie. I 50 non sono una data che mi spinge a fare resoconti, a guardarmi indietro, me la faccio scivolare addosso».
Niente festone?
«Cena con le persone più intime. La festa è stata avere in sala Power of Rome, associare la mia faccia a quella della mia città sugli autobus di tutta Roma. Non posso più girare in motorino, sempre dietro a me stesso. Non sono autocelebrativo ma questo, ammetto, mi fa piacere».
La sua vita (professionale) comincia a 40 anni. La trilogia di «Smetto quando voglio», l’approdo alla regia, il successo straordinario di «Perfetti sconosciuti», il Dopofestival, «La Dea Fortuna» di Ozpetek, il doc su Gigi Proietti, la tournée, ripartita da poco, di «Ti racconto una storia».
«Ho alle spalle trent’anni di gavetta, non di carriera. Sembro professionalmente giovane».
In principio ci furono le bocciature all’Accademia Silvio D’Amico e al Centro Sperimentale.
«Se rivedessi il mio esame all’accademia forse mi boccerei anch’io. Ricordo che mi dissero: “sai urlare”. Ci ho sofferto, ho pensato di non essere all’altezza. Ho sviluppato quello che è stato un motore della la mia vita: un senso di rivalsa. Volevo emanciparmi dagli stereotipi.
Non ero figlio d’arte e pensavo di poter fare comunque l’artista, non venivo da una famiglia di gente che ha studiato e mi sono laureato, convinto che così mi sarei potuto affrancare dall’immagine del ragazzotto con la faccia da calciatore e le spalle larghe. La voglia di rivalsa se non ti logora ti aiuta. Anche a fare il regista. Ho scritto la sceneggiatura di Diciotto anni dopo ma nessuno voleva dirigerla, così l’ho fatto io. Ed è cambiato tutto».
Per spirito di rivalsa si inventò un diploma alla Scuola La Scaletta? Che ora, per la cronaca, la segnala tra i suoi allievi sul suo sito.
«Ha funzionato. Grazie a quel curriculum mi arrivò un provino per una coproduzione italofrancese e il primo ruolo, uno psicopatico di nome Olmo. Poi sono arrivate tante cose. Ho fatto un sacco di fiction brutte, ma pure alcuni film brutti. Non avevo possibilità di scelta. Si chiamava “pagare gli affitti”. Ho vissuto anche una grande frustrazione. Pensavo di meritare più possibilità di quante me ne davano. Ho vissuto periodi difficilissimi, sono stato pure cacciato da una serie televisiva dopo due settimane».
Che serie era?
«Non voglio riaprire il file, era un produttore allora molto famoso. È qualcosa che a 27, 28 anni ti mette in crisi».
L’ha incontrato di nuovo quel produttore?
«Sì ma non l’ho salutato, sono stato mandato via in maniera cattiva. Dopo un periodo un po’ di depressione mi sono risvegliato. Mi hanno aiutato altri incontri, fortunati, come Nino Manfredi, uno dei miei supereroi con Scola. E Proietti. Mi smontò subito. Lui mi ha cambiato».
In che modo?
«Non ho studiato con lui, ci ho lavorato per la prima volta in teatro per Dramma della gelosia. Mi disse: “Non provare a fare il figo, perché non sei figo. Tu fai ridere”. Aveva ragione, mi immaginavo nei panni dell’eroe, mi ha fatto capire che ero destinato a fare l’antieroe. Però ci ho messo un po’ a fare la commedia perché non mi prendevano in considerazione per i ruoli buffi. Era pure colpa mia, facevo foto in cui cercavo di fare il figo e non lo ero».
Veramente è considerato un bello del nostro cinema, ci dovrebbe fare pace con questa cosa.
«Cito ancora Proietti. Nel mio doc dice: “non ho la tempra del divo”. Ecco, la tempra del figo la devi avere, io non ce l’ho. Ho smesso di preoccuparmi del mio aspetto fisico, della parte glamour, se vedo le foto anche solo di 15 anni fa con la sigaretta, l’occhio a fessura, lo sguardo rivolto all’orizzonte mi faccio ridere. Faccio pochi servizi fotografici, vado poco in tv».
Ha fatto il «Dopofestival» nel 2018, però.
«Condurre non è il mio pane. È stato bello ma anche in quel caso ci misi tanto a dire di sì. Il problema è che io sono lento a valutare le cose, ho in comune con Roma la lentezza, anche a scrivere».
La chiamassero a Sanremo andrebbe? Fa pure il cantante con l’Orchestraccia.
«Mi chiamassero al festival, andrei, mi divertirebbe. L’Orchestraccia è nata perché ci piace cantare le canzoni delle nonne, mi ero accorto che tanti ragazzi non le sanno. Le canzoni tradizionali romane sono molto violente, tragiche, c’è sempre qualcuno morto ammazzato. La violenza sembra un destino quasi genetico di questa città, che si fonda, tra leggenda o realtà, su un fratricidio. Anche la storia dell’Impero romano oscilla tra volontà di dominio e autodistruzione. Quella violenza ce la portiamo dentro, oggi meno fisica e sempre più verbale. Viviamo una contraddizione, odio e avversione per chi ci governa e una forma di accettazione ossequiosa, non se ne esce».
Errori di cui è pentito?
«Diversi quando non potevo scegliere, per bisogno. Ora che posso farlo, mi rimprovero forse di fare troppe cose. Ma ho fatto talmente poco fino ai 40 anni, che in questi ultimi 10 un po’ di bulimia magari ci sta».
Adolescente ligio alle regole, sarà stato un idillio con i suoi genitori.
«Ho litigato con mio padre per decenni, ormai il conflitto si è risolto per fortuna. Litigavo per lo studio, mi sono diplomato con il minimo dei voti, lui il diploma l’ha preso alle scuole serali, lavorava, aveva già un figlio. Poi quando ho deciso di fare l’attore, litigate feroci, non ci siamo parlati per un po’ di tempo. Però io studiavo di notte, mai aperto un libro prima delle nove di sera, scrivo di notte anche ora. Per una famiglia di impiegati come la mia, una cosa strana. Sono il primo laureato. Quel 110 e lode aveva anche il valore del riscatto. E ho tenuto fede alla promessa stupida che mi ero fatto».
Ovvero?
«Che se avessi preso il massimo dei voti l’avrei messo in bagno. Il diploma di laurea sta lì, incorniciato sopra la tazza».
È riservatissimo in tema di vita privata, non parla mai di sua moglie e dei suoi figli. Perché?
«È una scelta a priori a cui tengo fede da sempre. Magari ho perso qualche copertina sui giornali per il mancato racconto dei miei affetti privati. Secondo me faccio bene, per tanti motivi. Non ultimo il fatto che è complicato fare il padre quando la tua faccia sta in giro, devi mantenere equilibrio e sobrietà, è facile perdersi. È un punto che mi sono dato. Non è difficile, davvero».
C’entra anche una forma di timidezza?
«Riservato, timido no. Posso stare nudo in palcoscenico ma se devo entrare nella sala di un ristorante piena di gente vorrei scomparire, mi sento gli occhi addosso: al di fuori del mio mestiere non mi piace».
Disordinato, notturno, ritardatario, gli stessi amici, le stesse canzoni. Lei si racconta così.
«Non c’è granché da dire. Ho un ufficio, vado, scrivo, non è una biografia eroica. Ai ragazzi che vogliono fare questo lavoro dico: leggete le biografie degli attori. Io le adoro. Quelle degli altri».
Tifoso giallorosso: meglio un David di Donatello per la regia o cinque minuti in campo all’Olimpico?
«Cinque minuti in campo con la Roma. Magari un David prima o poi arriva. Quando sono in teatro davanti a 3.000 persone da solo, sento una vertigine simile a quella che credo provi un calciatore che segna davanti ai suoi tifosi».
A calcio gioca ancora?
«Da più di 15 anni, con lo stesso gruppo di amici. Uno ha una tavola calda a Montesacro, ci chiudiamo dentro dopo la partita. Per me è un’oasi. Nessuno di loro fa il mio mestiere, ascolto vita, lì conta solo come ho giocato non quello che faccio. Non ci rinuncio mai prendo treni, aerei per esserci. A fare l’attore c’è il rischio di chiuderti in una bolla. Vivere dentro a un Ncc. Preferisco la Vespa».
Ha tradotto l’Otello in napoletano e romano.
«Per il nuovo film, Non sono quel che sono. L’ho tenuto in serbo per anni, doveva essere il mio esordio alla regia. Ambientato ai giorni nostri, io recito Iago. Nel cast ci sono Ambrosia Caldarelli, Jawad Moraqib e Antonia Truppo. Il mio sogno sarebbe poi portarlo in teatro, al Globe. Non so ancora la data di uscita».
Rimpianti?
«No, ma secondo me ho fatto poco. Per un po’ mi è pesato che certi registi non mi considerassero. Poi sono arrivati Genovese, Ozpetek. Mi piacerebbe lavorare con Virzì, lo conosco bene, e poi Salvatores, Garrone, Sorrentino. Con autori che non mi hanno chiamato. Mai dire mai».
Massimiliano Castellani per “Avvenire” l'1 agosto 2022.
«Che finimondo per un capello biondo che stava sul gilet, sarà volato, ma com' è strano il fato, proprio su di me...», canta Myss Keta in questa calda estate 2022. Ma non è un brano della misteriosa cantante mascherata che si aggira per le vie e i locali della Milano post da bere, ma si tratta di un testo di Carlo Rossi, del 1961, e della prima storica hit di Edoardo Vianello.
«Poche sere fa in piazza a Mesagne, la cantavano anche i bambini, la sapevano tutta! », dice incredulo il più longevo (romano classe 1938) e anche il più popolare della categoria "old is gold" coniata dal "ripescatore" di evergreen, Pasquale Mammaro.
Con la cover de Il capello Vianello torna in classifica «un disco d'oro a mia insaputa, ma come si permettono?», sorride divertito l'uomo da 60 milioni di dischi venduti in una carriera senza fine. «Ho appena archiviato il Covid e adesso mi aspetta un agosto pieno di serate», e forse lo attende anche qualche altra scalata di classifica internazionale. Tipo quella di Billboard, estate 2017: complice la serie tv Master of none, in cui i protagonisti improvvisano un twist domestico sulle note di Guarda come dondolo. Il giorno dopo il brano sbancava nella classifica americana.
Ma come se lo spiega questo flusso vintage che parte dagli Usa e arriva fino ai rapper nostrani che per incassare con il tormentone estivo coverizzano o ricopiano i ritmi dei brani anni '60?
Semplice, la musica attuale è talmente deviata che per ritrovare una logica, una strada dritta e veloce, bisogna tornare alla nostra musica. Questi si sono dimenticati della melodia... Allora i più furbi che fanno? Realizzano a tavolino una canzone di successo ricostruendo quell'atmosfera unica di cui noi "old is gold", come dice Mammaro, siamo gli ultimi testimoni.
Estate 1960, al cinema danno La dolce vita di Fellini e lei si prepara ad andare a Sanremo (prima volta nel '61) con la canzone Che freddo! che poi avrebbe inciso anche Mina.
È stata una stagione breve ma intensa, in cui si respirava a pieni polmoni il vento del cambiamento epocale. C'era aria di euforia collettiva. Eravamo una generazione che aveva poco, ma quel poco sapeva apprezzarlo e sognava di migliorare ancora. E questo si rifletteva anche nella musica.
C'era forse anche una voglia di condividere tra voi artisti che si è smarrita nel tempo? Prima che finissimo nella grande casa comune della Rca, che, per creare lo spirito di scuderia organizzava molti eventi, noi cantanti ci incontravamo spesso e condividevamo tante serate.
Con i miei tre più cari amici, Domenico Modugno, Franco Migliacci e Gianni Morandi, l'appuntamento notturno era al "Quo vadis", sull'Appia Antica. Lì su quel palco, appena il locale si svuotava, ci esibivamo. Non vedevamo l'ora di far sentire, l'uno all'altro, l'ultima canzone che avevamo scritto, magari quel pomeriggio stesso.
Il suo primo grande successo fu proprio Il capello che inaugura il sodalizio con Carlo Rossi.
Era un grande Carlo, un paroliere di 20 anni più grande di me. E si sentiva la differenza di età, però la mia musica con i suoi testi furono una miscela esplosiva. Se a questo ci aggiungi le trovate di quel genio di Ennio Morricone, ecco spiegate le ragioni del successo delle canzoni che vennero dopo.
Un poker di successi che scaldavano l'estate di sessant' anni fa: Pinne fucile ed occhiali, Guarda come dondolo, Abbronzatissima e i Watussi.
Tutte trattate dal grande Morricone che ha letteralmente inventato l'arrangiamento.
Ennio giocava con le mie canzoni e le ha caratterizzate, una per una, rendendole di fatto immortali.
Stregato dalla luna di Vianello anche Dino Risi che nel suo film cult Il sorpasso (1962) inserì Pinne fucile ed occhiali e Guarda come dondolo..
Non sapevo che le avrebbe messe nella colonna sonora e quando lo incontrai gli chiesi cosa lo avesse spinto a farlo. E Risi rispose: «Quelle due canzoni, rappresentavano esattamente l'estate che volevo raccontare». Un altro genio assoluto.
Estate 1963, ormai all'apice del successo generosamente regala alla "debuttante" Rita Pavone il brano La partita di pallone.
La prima volta che l'ascoltai fu al "Festival degli sconosciuti" di Ariccia e rimasi sbalordito dalla grinta e dalle doti canore incredibili di quella ragazzina. Avevo quella canzone rimasta inutilizzata, tagliata apposta per una voce femminile. Prima di partire in turné dissi a Carlo Rossi di portare il promo a Rita Pavone... Oh quando rientrai in Italia aveva fatto il botto!
Cambio in corsa: nello stesso anno passa dalle canzonette alla "mistica" O mio Signore. Una conversione improvvisa?
Macché. Al "Quo Vadis" conobbi Mogol che mi diede un consiglio azzeccato dei suoi: «Edoardo - disse - finora hai fatto cose divertenti, ma adesso è il momento di dare uno schiaffo al pubblico con qualcosa che non si aspetta...
Andammo a casa mia e quella notte venne fuori questa "preghiera laica" in cui c'è tanto della mia educazione cristiana e di quella fede che mi ha aiutato a superare momenti terribili, come la perdita di mia figlia Susanna...
Lei è stato il primo a credere anche in Franco Califano.
Lo spinsi a incidere la sua prima canzone, Da molto lontano. Franco, mio coscritto del '38, era un ragazzo fantastico.
La prima volta che lo incontrai lui era il "bello" e io il "famoso". Mi chiese se poteva leggermi una sua poesia... Beh rimasi stupito: quel testo era l'esatto contrario del personaggio che lo rappresentava. Gli spiegai come scrivere una canzone e dopo pochi giorni tornò e alle sue parole aggiunsi la mia musica.
Insieme diventaste produttori.
La notte dell'allunaggio, 20 luglio 1969, davanti alla diretta Rai decidemmo che la nostra etichetta (una delle sette satellite che faceva capo alla Rca) si sarebbe chiamata come la navicella spaziale americana, l'Apollo Records. Mettemmo sotto contratto Renato Zero, Amedeo Minghi e quei quattro ragazzi amici di Franco, i Ricchi e Poveri.
Con loro pubblicammo La prima cosa bella e per Che sarà al Festival di Sanremo del 1971 ci diedero l'accoppiata con Josè Feliciano all'ultimo minuto, ma quella è una di quelle canzoni che resterà per sempre.
Da Sanremo 1966 uscì anche il suo primo successo internazionale Parlami di te.
Fu un insuccesso sanremese, anche se entrammo in finale, ma grazie alla versione francese di Francoise Hardy ha girato il mondo. Quando andai in Brasile fu la prima canzone che mi chiesero di eseguire.
Quali sono i Paesi in cui le sue canzoni sono degli evergreen?
Tutti quelli di lingua spagnola. In Argentina sbarcai alla grande grazie alla scia de Il Sorpasso. E poi è stato tutto un trionfo di vendite di dischi e di concerti: in Cile, Messico, Brasile, Uruguay. Anche negli Stati Uniti e in Canada, ma lì alle serate veniva e viene ancora prevalentemente pubblico di origine italiana.
Storia di chi ce l'ha fatta, nonostante suo padre, il poeta futurista Alberto Vianello, non era affatto d'accordo sul figlio cantante.
Papà è stato il mio nemicoamico. La scuola non faceva per me, ero il più rimandato di Roma. Il suo scetticismo mi sfidava continuamente, ma io testardo e appassionato, con i primi soldi comprai una chitarra e andavo a suonarla di nascosto in cantina. Ai Watussi comunque papà si è arreso, aveva capito che anche economicamente fare il cantante non era il peggiore dei mestieri.
Altra svolta artistica anni '70: con la sua ex moglie, Wilma Goich, diventate iVianella e cantate Semo gente de borgata..
È stata un'intuizione di Califano. Eravamo in una fase discendente e allora pensò bene che per rilanciarci occorreva ripartire dal basso, dalle borgate care a Pasolini, anche se distanti dalle radici borghesi di uno come me nato a San Giovanni. Oh, c'hanno contestato: a tanti non andava bene quella filosofia che nella vita bisogna accontentarsi...
«Stamo mejo noi che nun magnamo mai», sono versi che suo nipote Andrea Vianello, direttore di Rai Radio 1, non avrebbe mai scritto per lei...
Andrea è geniale - sorride - soprattutto perché non riuscirò mai ad imparare a memoria una sua canzone. Ha scritto tanti testi per me, ma sono tutti intercambiabili, senza consecutio, un flusso di impressioni. Non ci mette mai una banalità e ha abolito il ritornello che purtroppo è il sale delle canzoni di grande successo.
Ma per chi anche questa sera canta «Nel continente nero, alle falde del Kilimangiaro», il sale della vita qual è?
Io l'ho trovato nella scrittura. Con gli appunti raccolti nei miei taccuini ho realizzato 86 puntate per Radio Italia anni 60 e alla fine mi sono accorto che la mia vita era già tutta scritta in quello che diventerà un libro: Nel continente c'ero (Nave di Teseo). In quelle pagine ho messo tutti i ricordi della mia infanzia, i miei genitori, gli amici, le persone più care. È rispuntata perfino la mattonella in cui giocavo da bambino... E certo, anche l'estate dei '60 e «quei giorni in riva al mar che non potrò dimenticar».
· Eduardo De Crescenzo.
La sfida di De Crescenzo: "Voglio togliere i luoghi comuni della canzone napoletana". Antonio Lodetti il 25 Maggio 2022 su Il Giornale.
L'autore pubblica "Avvenne a Napoli", disco e libro che rileggono le radici.
«Sono orgogliosa di accompagnare come editore (nella doppia veste di editore di libri e di editore musicale) Eduardo De Crescenzo in un'opera che è già un classico contemporaneo». Questa la presentazione di Elisabetta Sgarbi alla preziosa opera di De Crescenzo che, con il libro e con il disco Avvenne a Napoli, va alla riscoperta filologica e culturale della vera canzone napoletana, quella che nei secoli scorsi ha dato forma e vita all'attuale canzone d'autore. De Crescenzo lo fa con calore e passione, con la sua voce estesa e colorita e l'ausilio del liquido pianoforte di Julian Mazzariello, che mette da parte la sua verve jazzistica per colorire di suggestioni un pugno di classici napoletani. «Avevo cominciato questo progetto - ha detto De Crescenzo - come un percorso a ritroso nella storia e un recupero della mia infanzia. Man mano che ci lavoravo però, vagliando tutti i materiali possibili, ho scoperto che spesso erano stati fraintesi e traditi, relegati nel folklore, manipolati con riletture superficiali». Eduardo si è così innamorato di un ampio corpus di canzoni, che dall'800 in poi generarono una vera e propria rivoluzione culturale.
«Non tutti potevano permettersi un pianoforte - prosegue De Crescenzo - quindi molti brani erano accompagnati dalla fisarmonica. Noi abbiamo cercato di ricostruire la forma originale di pezzi di cui non esisteva neppure una versione registrata ma che prendono il cuore».
Brani come Luna rossa, scritta da Giorgio Consolini e Claudio Villa e reinterpretata persino da Frank Sinatra ed Ella Fitzgerald (curioso scoprire che anche Bob Dylan, nella sua trasmissione radiofonica, trasmetteva questo pezzo), I' te vurria vasà, Santa Lucia luntana, Voce e' notte, Fenesta vascia, la vibrante Che t'aggia dì, Marechiare di cui è uscito il videoclip.
«Ho sentito l'esigenza di tornare alle origini», sottolinea De Crescenzo. Un'operazione ambiziosa che De Crescenzo fa con vero amore, per «rimediare a molte storture, perché l'anima e lo spirito di questi pezzi erano stati fraintesi e traditi, ma erano fatti da innovatori geniali, che hanno inventato la canzone come viene praticata oggi. Allora c'era solo la lirica, il cantante di questo tipo di canzoni era sottovalutato mentre compiva una vera rivoluzione culturale».
Federico Vacalebre, scrittore e studioso, è un altro dei deus ex machina di questa operazione e ha partecipato con entusiasmo al progetto cui De Crescenzo e definisce l'operazione «una genesi del restauro gentile in un mondo in cui un cantante come Salvatore Di Giacomo e la sua musica dovrebbero essere tutelati dall'Unesco», per la loro centralità nell'arte.
Edwige Fenech: dalle commedie sexy all’amore con Montezemolo. Redazione spettacoli su Il Corriere della Sera il 25 giugno 2022.
L’attrice, amatissima da legioni di fan, tra cui Quentin Tarantino, festeggia questa nuova cifra tonda. Una vita piena di traguardi, tra cui decine di ruoli e la sua casa di produzione
Le origini tunisine
Edwige Fenech (protagonista oggi di Dottor Jekyll e gentile signora alle 7.15 su Canale 34) , il cui vero nome è Edwige Sfenek, è nata in Tunisia, a Annaba, il 24 dicembre del 1948. La madre era italiana, siciliana, il padre maltese. Lei è stata presto naturalizzata italiana, diventando una delle più grandi dive del nostro Paese
Le relazioni d’amore
Alcuni degli amori di Edwige Fenech sono celebri: è stata legata per circa undici anni al regista e produttore Luciano Martino. In seguito, un altro grande amore, durato 18 anni, è stato quello con Luca Cordero di Montezemolo. Il manager ha ricordato in tv le “critiche feroci” che la coppia dovette affrontare quando c’era chi diceva che Fenech fosse in tv solo perché raccomandata da lui. L’attrice inoltre ha un figlio di nome Edwin Fenech, nato nel 1971, la cui paternità è stata oggetto di gossip scandalistico, perchè inizialmente proprio l’attrice l’aveva attribuita a Fabio Testi, con cui aveva avuto una relazione per circa tre anni. In seguito ha smentito tale paternità ripetutamente, senza però voler rivelare l’identità del padre.
Oggi produttrice
Oggi Fenech oltre che attrice è anche una produttrice affermata e la mamma di un figlio, Edwin Fenech, nato nel 1971, la cui paternità è stata oggetto di gossip ma mai rivelata
Icona sexy
La bellezza dell’attrice non è mai passata inosservata. Il primo film in cui ha recitato è stato «Samoa, regina della giungla», del 1968. Da allora, non sono più mancate le occasioni per stare davanti alla macchina da presa, diventando presto un’icona sexy
Quel gran pezzo dell’Ubalda
Per Edwige Fenech, la consacrazione arriva negli anni Settanta, principalmente con due film: «Quel gran pezzo dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda» di Mariano Laurenti e successivamente con «Giovannona Coscialunga» disonorata con onore. Poco dopo è la volta del film «Innocenza e turbamento» è del 1974
Sul palco dell’Ariston
La sua fama non è mai mutata nel tempo: ha anche condotto il Festival di Sanremo, con Andrea Occhipinti , nel 1991
L’impegno dietro le quinte
Qui nel 2009. Ma è a partire dagli anni 1990 incomincia a occuparsi a tempo pieno di produzione televisiva e cinematografica con la sua società Immagine e cinema
Il ritorno alla recitazione
Nel 2007 è tornata anche davanti alla macchina da presa. Qui è nei panni dell’imperatrice Caterina di Russia nella fiction «La figlia del capitano» del 2010
Radiosa
Qui sulla passerella del Palazzo del Cinema di Venezia prima della presentazione del film fuori concorso «Fragile»
Bellezza
Qui con Carlo Conti nella prima delle quattro serate tv che porteranno all’elezione di Miss Italia, nel 2004
Sensualità
Qui in una scena del film «40 gradi all’ombra del lenzuolo», quando era già tra le dive sexy più amate. Sentimentalmente, l’attrice è stata per 18 anni ala compagna di Luca Cordero di Montezemolo.
Con Celentano
Richiestissima, ha recitato in decine di film, tra cui «Asso» con Celentano
La passione di Quentin Tarantino
Qui nel 2007, anno in cui Quentin Tarantino l’ha chiamata per un cameo in «Hostel: Part II»: il regista le ha fatto autografare la propria collezione dei suoi film. Non solo. Nel suo «Bastardi senza gloria» il personaggio interpretato da Mike Myers si chiama «Ed Fenech», proprio in omaggio all’attrice.
Con Fiorello
Con Fiorello nel 2011, in un momento dello show Rai «Il più grande spettacolo dopo il week end»
Sguardo elegante
Tra le sue frasi celebri, c’è questa: «Oggi una donna di volontà riesce a farsi strada. Ma deve dimostrare sempre molte più cose di un uomo»
Bellissima
Un’altra bellissima immagine dell’attrice.
· El Simba (Alex Simbala).
El Simba (Alex Simbala), talento rap nato in carcere a Milano: ora il concerto al Castello Sforzesco. Giovanna Maria Fagnani su Il Corriere della Sera il 14 Agosto 2022.
Il rapper, 22 anni, ha scoperto la passione per la scrittura al Beccaria dove è entrato a 17 anni. Don Gino Rigoldi. «Abbiamo bisogno di rapper come lui. La trap un modo per parlare ai giovani, ma oggi i testi sono pieni di aggressività e violenza»
«Siamo umani abbiamo fatto errori...Pensateci prima di parlare, ragionate prima di giudicare. Aiutateci per un futuro migliore. Siamo rinchiusi in un labirinto dove ci sono milioni di storie».
Alex ha 22 anni e canta gli sguardi giudicanti che sente su di sé. Nelle sue rime rap canta di un «peccato che ormai è fatto» di un passato che «ormai è morto non lo voglio risorto». E del futuro che si affaccia: «Non voglio la guerra voglio la pax». Alex Simbala, in arte El Simba, da bambino voleva seguire le orme del nonno e fare il meccanico. E invece venerdì 19 salirà sul palco di «Milano è viva», al Castello Sforzesco, per il suo primo concerto da solista (ore 21, ingresso libero, prenotare su Mailticket). Una performance intitolata «Una speranza mille sentimenti» (come il suo nuovo singolo), che alterna canzoni, danza e narrazione.
Il talento di Alex per il rap si è rivelato negli anni di detenzione al carcere minorile Beccaria. Ci è entrato a 17 anni. Gliene restano 2 e mezzo da scontare, ma ha ottenuto a marzo la messa in prova. È tornato a vivere in famiglia e ha già un lavoro: è assunto fra le maestranze di Puntozero Teatro, che gestisce la sala teatrale del Beccaria, pronta a riaprire al pubblico a settembre. «Sono molto emozionato, è il mio debutto come cantante e sarà su un palco così importante — racconta —. Scrivo canzoni da circa 3 anni e ne ho incise 9. Prima avevo molta rabbia dentro di me. Al laboratorio teatrale mi sono avvicinato, sono sincero, solo perché c’erano anche le ragazze. Invece poi mi sono innamorato del loro progetto e della scrittura. Ho capito che posso sfogare la mia rabbia per gli errori che ho fatto, raccontare la paura, la speranza di potercela fare non con la violenza, ma con un foglio, una penna e una base. Il teatro mi ha aperto un nuovo mondo».
Nato in Ecuador, Alex ha raggiunto i genitori emigrati in Italia, a Pioltello, a 8 anni. «L’impatto con una nuova cultura, una nuova lingua, non è stato semplice». Dopo le medie, il giovane si iscrive a meccanica, ma, dopo un anno, lascia. «Me ne fregavo, avevo atteggiamenti sprezzanti». Finisce in un gruppo di coetanei che commette reati. Arriva la condanna. «La felicità è la libertà. La perdi, lasci la famiglia vuota, il tuo cuore è spezzato a metà. Ti manca l’affetto di mamma e papà» canta ora. La compagnia Puntozero, composta da 15 persone, fra detenuti e volontari, opera al Beccaria dal 1995. «Facciamo corsi di tutte le professionalità teatrali: tecnico luci, fonico, macchinista, addetti alle trasmissioni in streaming. Mestieri che puoi spendere anche in altri contesti. lL teatro diventa un occasione per riappassionarsi allo studio» racconta il direttore artistico Giuseppe Scutellà.
Tra i primi fan di El Simba c’è don Gino Rigoldi, cappellano del Beccaria, che venerdì sarà in platea. E invita a non sottovalutare il rap e la trap. «Alcuni ragazzi che seguo vivono con me. Io metto su Chopin, loro cambiano e mettono la trap. E sentono la stessa canzone 20 volte di fila. È importante inserirsi anche in questa nuova forma di comunicazione, per raggiungerli. Senza moralismi, accettando anche qualche esagerazione o parolacce». La trap «è un modo di comunicare con cui ragazzi, che gravitano soprattutto attorno alle periferie e alle carceri, parlano dei loro sentimenti e desideri. Sono molto ascoltati e questo non è da sottovalutare, perché i loro testi sono pieni di aggressività e violenza» aggiunge don Gino. I testi di El Simba invece «Non girano attorno a quattro luoghi comuni ma fanno riflettere. Abbiamo bisogno di rapper come lui».
Da Moretti a Genovese, è l’attrice del momento. Intervista a Elena Lietti, l’attrice del momento tra Moretti e Genovese: “Tutto è iniziato con il Miracolo”. Federico Fumagalli su Il Riformista il 21 Gennaio 2022.
È stata diretta da Nanni Moretti, Giuseppe Piccioni, Paolo Virzì. Ma non si chiama Margherita Buy. Di cui, secondo tanti, Elena Lietti è degna erede. «Di essere considerata la nuova Buy, proprio non ne avevo idea – ride l’attrice, al telefono (ed è una meraviglia ascoltare la sua risata, intensa e spontanea) –. Certo mi lusingherebbe, la ammiro moltissimo. Margherita è una soldatessa del set, come Nanni dice di lei». Moretti le ha volute entrambe nel suo ultimo film, Tre piani. «Ma le storie dei nostri personaggi sono parallele, non abbiamo quasi mai recitato insieme».
Stessa sorte avranno le colleghe, insieme nel cast ma divise dagli intrecci narrativi del nuovo film di Paolo Genovese, Il primo giorno della mia vita. Quello del regista di Perfetti sconosciuti e del recente Supereroi è un tassello del prestigiosissimo tridente di assalto al botteghino (speriamo!) e alla stagione dei premi, con cui Elena Lietti si presenterà al pubblico nei prossimi mesi. Gli altri due titoli sono l’atteso Siccità di Paolo Virzì e Le otto montagne, dal romanzo Premio Strega di Paolo Cognetti, con Alessandro Borghi, Luca Marinelli e Filippo Timi. «In un momento così disgraziato, mi è capitato di partecipare a storie belle – racconta Lietti –. Di questi tre film ancora non posso dire nulla, se non che mi è piaciuto molto girarli. Spero ci siano altri begli incontri, dopo questi. A fine riprese, ogni volta mi domando: ma quando mi ricapita, una fortuna del genere?».
L’età dell’oro di questa interprete profonda e sensibile, classe 1977, si è fatta attendere. È iniziata nel 2017 con Il miracolo, prima serie tv del romanziere Niccolò Ammaniti («una perla di scrittura»). «Ho spesso pensato che ciò che mi sta accadendo, tutto insieme, sia dovuto a residui di vite passate. O parallele, come in Costellazioni». E’ lo spettacolo che Elena Lietti porta sulla prestigiosa scena milanese del Teatro Franco Parenti, fino al 6 febbraio, con la regia di Raphael Tobia Vogel. Il testo, del britannico Nick Payne, ragiona su una teoria della fisica quantistica, che sostiene l’esistenza di un infinito numero di universi.
E applica questa affascinante teoria a un rapporto di coppia, uomo-donna. Sul palcoscenico, insieme a lei c’è Pietro Micci.
Io e Pietro siamo molto felici di essere riusciti a portare Costellazioni al Franco Parenti. Quello di Nick Payne è un testo di forte interesse e risonanza internazionale. Ci ha incuriosito vederlo in cartellone nei teatri inglesi e Off-Broadway, con interpreti prestigiosi (fra loro anche il divo Jake Gyllenhaal, ndr.). È uno spettacolo molto voluto.
Quello degli universi paralleli è un tema affrontato da tanto cinema hollywoodiano contemporaneo. Come nei film dei supereroi Marvel, ad esempio. Le piacciono?
Assolutamente sì! Spero di non stare esagerando con mio figlio Leo, che ha solo sei anni. Ma insieme abbiamo già visto gli Avangers e l’ultimo Spiderman. Un film galattico, davvero. Quello degli altri universi è un tema molto frequentato e di grande interesse. In questi blockbuster c’è sia la voglia di intrattenere il pubblico, sia la necessità di affrontare riflessioni fondamentali. Come la tragedia greca, conducono lo spettatore a una catarsi.
Sul set ha più volte affrontato il tema della maternità. Alcune volte dolorosa (L’Arminunta), altre spensierata (la sitcom Alex & Co.). Ruoli che l’hanno aiutata essere mamma di Leo?
Sono stata mamma per finta prima di esserlo per davvero. Il mio lavoro mi ha concesso un punto di vista illuminante, su una faccenda reale. Viceversa, non è necessario sperimentare per interpretare.
Lei è nata a Saronno, in provincia di Varese. Vive a Milano, dove ha studiato e si è formata come attrice. La sua biografia è distante da Roma, cuore produttivo del cinema in Italia.
Sono un animale esotico, collocato nella romanità (ride, ndr.). Una nordica, c’è poco da fare! A Milano mi sono laureata in legge, all’Università Cattolica, e ho studiato recitazione da “Quelli di Grock” (storica scuola cittadina ndr.). Questa condizione comporta anche vantaggi. Perché consente di avere un punto di vista diverso, su un posto che non è il tuo. Coglierne meglio lo spirito e l’energia. Vale per Roma, come per qualsiasi altra città.
Suo marito è l’insegnante di recitazione Michael Margotta. Nato in Usa nel 1946, è membro dell’Actor’s Studio e una vera istituzione nel settore. Michael ha influenzato il suo modo di recitare?
Come vuole il luogo comune più ovvio, prima di innamorarmi del maestro sono stata una sua allieva. Mio marito mi ha insegnato tutto e continua a essere per me una fonte di ispirazione. È un folle, ossessionato dall’anima dei personaggi. Da lui ho imparato a lavorare, spero, senza paura.
Ci sono maestri di recitazione invece, che applicano un approccio duro nei confronti dei loro allievi.
Ho incontrato anche io maestri che, come metodo di insegnamento, applicavano il giudizio. Su di me, però, l’intimidazione funziona poco.
L’ultimo Festival di Cannes ha rappresentato per lei una ribalta internazionale. Tre piani era in corsa per la Palma d’Oro. Crede tornerà anche quest’anno? Magari con Siccità?
Spero soprattutto che la gente abbia voglia di tornare al cinema. Dovesse ricapitarmi Cannes, ben venga. Ma prima di occuparci dei festival, dobbiamo pensare alle sale.
Di Festival in Festival. Quest’anno a Sanremo ci sono cinque attrici-conduttrici, da Ornella Muti a Sabrina Ferilli. Se in futuro venisse chiamata anche lei, ci andrebbe?
È una eventualità che trovo molto improbabile ma, nel caso, certo che ci andrei. Sono una fan del Festival. Pensi, faccio addirittura il FantaSanremo (gioco online che consiste nel comporre squadre con i cantanti in gara, “acquistati” con una moneta virtuale: il “baudo” ndr.). Vuole sapere chi è la mia punta di diamante?
Prego …
La coppia Mahmood-Blanco. Ho speso un sacco per averli. Nei giorni di Sanremo sarò in scena con Costellazioni. Ma il nostro spettacolo è breve, poco più di un’ora. Confido sulla lunga durata del Festival, per riuscire a tornare a casa a vederlo. Federico Fumagalli
Elena Sofia Ricci compie 60 anni: figlia della prima scenografa italiana, il rapporto con il padre, 9 segreti su di lei. Arianna Ascione su Il Corriere della Sera il 29 Marzo 2022.
L’attrice, nata a Firenze il 29 marzo 1962, interpreterà prossimamente la profiler della polizia protagonista della serie Rai tratta dal romanzo di Ilaria Tuti «Fiori sopra l'inferno»
La mamma scenografa
«Appena c’era qualcosa che anche solo ricordava un palcoscenico ci salivo. Era sufficiente il dislivello di un gradino nel salotto della casa di Firenze, dove sono cresciuta: quello per me era chiaramente un palco. Avevo tre o quattro anni: lì ho capito che non avrei potuto fare altro». Nata nel capoluogo toscano il 29 marzo 1962 Elena Sofia Ricci (Elena Sofia Barucchieri all’anagrafe) compie 60 anni. Una carriera, la sua, costellata di numerosi successi: oggi è nel cuore dei telespettatori nei panni di Suor Angela in «Che Dio ci aiuti», ruolo che sta per abbandonare per affrontare nuove sfide come la serie Rai di prossima realizzazione tratta dal romanzo «Fiori sopra l'inferno» di Ilaria Tuti (interpreterà Teresa Battaglia, profiler della polizia alle prese con una scia di omicidi). L’attrice, residente a Roma dall'età di 8 anni, ha frequentato l'ambiente del cinema fin da giovanissima: sua madre infatti era Elena Ricci Pocetto, la prima scenografa italiana. «Mi portava con lei a Cinecittà - ha raccontato in un’intervista al Corriere. Mi ricordo i capannoni in cui c’erano i tessuti: i teli arrivavano fino al soffitto e a me sembrava arrivassero all’infinito, come delle tele di Caravaggio. Impazzivo, così come nelle sartorie. Vedevo questo esercito di persone, questa vastità di oggetti. Dietro un film, un concerto o uno spettacolo c’è un mondo che fatica a far capire che esiste». Ma questa non è l’unica curiosità su di lei.
Il rapporto con il padre
L’attrice ha raccontato al Corriere di aver recuperato il rapporto con suo padre, lo storico Paolo Barucchieri, soltanto a 30 anni: «Ero stata programmata, educata per detestare mio padre. Ovviamente tutto questo mi è costato qualche anno di analisi, ma alla fine ho capito che potevo imparare ad amare tutti per quello che erano. Per fortuna ho recuperato sia con lui che con i miei fratelli, appunto, totalmente incolpevoli. Tra l’altro, nostro padre si era separato anche dalla loro mamma. Averli nella mia vita è stata una ricchezza, l’amore si eleva a potenza, non è una torta da dividere».
Gli inizi nella danza
Elena Sofia Ricci ha mosso i suoi primi passi artistici nella danza: «Ho frequentato la scuola di Mimma Testa, che ora, a causa della pandemia, ha chiuso dopo 60 anni: ho pianto, veramente - ha raccontato al Corriere -. In quella scuola mi sono formata: ho imparato ad amare la danza, la musica ma anche la letteratura e la pittura. Era un ambiente unico, un patrimonio disperso. Ai primi saggi che facevo, mi sono resa conto che quello che mi piaceva era raccontare delle storie attraverso il mio corpo. Non ero così dotata fisicamente, non avevo il corpo della ballerina, ma mi davano sempre la parti più importanti perché ero espressiva». Anche sua sorella Elisa Barucchieri si è avvicinata molto presto alla danza e oggi è una danzatrice affermata.
Ha interpretato Veronica Lario
Elena Sofia Ricci ha iniziato a lavorare nel mondo del cinema nel 1980 (ha recitato, non accreditata, in «Arrivano i gatti» di Carlo Vanzina). Negli anni è stata diretta da registi come Pupi Avati («Impiegati», 1985), Carlo Verdone («Io e mia sorella», 1987), Luigi Magni («In nome del popolo sovrano», 1990) e Ferzan Özpetek («Mine vaganti», 2010). Per Paolo Sorrentino è stata Veronica Lario, la moglie di Silvio Berlusconi («Loro», 2018): per questo ruolo ha conquistato il suo terzo David di Donatello (il primo come attrice protagonista). A proposito di premi Elena Sofia Ricci ha ottenuto anche 3 Nastri d'argento, un Globo d'oro, 4 Ciak d'oro, una Grolla d'oro, un Premio Rodolfo Valentino, un Premio Alberto Sordi, un Premio Kineo Diamanti alla Mostra del Cinema di Venezia e due Telegatti.
Elisa, Lucia…non solo Suor Angela
Per il piccolo schermo Elena Sofia Ricci ha interpretato personaggi come Rita Levi-Montalcini nella omonima fiction del 2020, Francesca Morvillo - moglie di Giovanni Falcone - in «Giovanni Falcone - L'uomo che sfidò Cosa Nostra» (2006) e Costanza Colonna in «Caravaggio» (2008). Oltre a Suor Angela di «Che Dio ci aiuti» (2011-2021) due sono i ruoli che ancora oggi il pubblico televisivo ricorda con affetto: Elisa nella serie tv «Caro maestro» con Marco Columbro (1996-1997) e Lucia Liguori, moglie di Giulio (Claudio Amendola), ne «I Cesaroni» (2006-2012). «Nessuno aveva mai raccontato quanto possa essere bella una grande famiglia allargata - diceva l’attrice al Corriere a proposito della serie cult di Canale 5 -. I Cesaroni hanno di colpo liberato tutti dai perbenismi, dalle impostazioni ottocentesche sull’idea del nucleo famigliare per far scoprire che l’amore può aumentare: quanti più siamo meglio sarà. Vederlo in tv è stato come un sospiro di sollievo per tantissimi. Io a scuola ero l’unica figlia di separati, la mia prima figlia, Emma, era tra i tanti figli di genitori separati mentre la piccola, Maria, è tra le pochissime figlie di genitori che stanno ancora insieme».
L’amore per il teatro
Nella vita di Elena Sofia Ricci - accanto alla tv e al cinema - c’è da sempre anche il teatro, da «La scuola delle mogli» (1981) a «La dolce ala della giovinezza» (2021) di Tennessee Williams. «Per anni comunque ho rinunciato al teatro, che amo profondamente, perchè il teatro prevede delle tournée che signfica essere assente per mesi. Quando le mie figlie erano piccole, con un po’ di fatica, ho detto no. Erano più importanti loro, non ho mai avuto dubbi su questo» raccontava nel 2019 al Corriere.
Giurata a Sanremo
Nel 2019 è stata tra i giurati - della giuria di qualità - al Festival di Sanremo: «Magari qualcuno si chiederà: che ci fa quella? Però pur non essendo una esperta musicista, non sono una analfabeta totale - ha detto al Corriere -: vengo dalla danza, ho studiato chitarra classica, e ho sposato un compositore e direttore d’orchestra».
Vita privata
Nel 1991 Elena Sofia Ricci è convolata a nozze con lo scrittore Luca Damiani. Il matrimonio però è durato soltanto un anno: è finito per il tradimento di lui con Nancy Brilli. «Frequentava la mia casa, mi ascoltava e mi consolava come farebbe una buona amica, ma allo stesso tempo andava a letto con mio marito - ha svelato anni fa Ricci ad Oggi -. Mi parlava anche di un suo fidanzato misterioso che solo dopo ho scoperto essere Luca» («Con Elena Sofia Ricci non mi sono comportata bene - dichiarò una volta Brilli -. L'avevo incontrata in un viaggio in Brasile e c'era anche il marito Luca Damiani. Tra noi durò pochissimo»). Qualche anno dopo Elena Sofia Ricci ha iniziato una relazione con l’attore e doppiatore Pino Quartullo, da cui nel 1996 ha avuto la prima figlia Emma. Dal 2003 invece è sposata con il compositore Stefano Mainetti, da cui ha avuto una figlia di nome Maria.
Un grande dolore nel suo passato
«Ora che mia mamma è venuta a mancare, posso parlare con libertà: a 12 anni sono stata abusata»: soltanto nel 2019 Elena Sofia Ricci ha parlato pubblicamente del dolore che ha portato dentro di sè per 45 anni. «Non l’ho mai dichiarato prima - ha detto in un’intervista al quotidiano Libero - perché purtroppo è stata mia madre a consegnarmi inconsapevolmente nelle mani del mio carnefice, mandandomi in vacanza con un amico di famiglia. Non volevo che avvertisse il senso di colpa». L’uomo in seguito è stato arrestato dopo la denuncia di altre persone «perché non ero la sua unica vittima. Purtroppo i casi come il mio sono molti e non tutte riescono a uscirne. Io stessa non ne sono ancora fuori del tutto: è come avere un imprinting, che non ti scegli ma ti ritrovi addosso».
Piero Degli Antoni per il Resto del Carlino il 15 agosto 2022.
Elenoire Casalegno, è tornata al mondo musicale, quello da cui era partita parecchio tempo fa. «A 18 anni debuttai con 'Jammin'. Ora su Italia 1 in prima serata è partito 'Battiti Live - Msc crociere - Il viaggio della musica' che presento con Nicolò De Devitiis . Nella seconda puntata, che andrà in onda l'11 aprile, abbiamo grandi ospiti (da Irama a Elodie, da Tommaso Paradiso a Noemi, da Giusy Ferreri a Ermal Meta e altri, ndr). Ma la vera novità è che la trasmissione si svolge su una nave da crociera».
Come arrivò a Jammin'?
«Il mondo della moda e dello spettacolo non mi ha mai interessato. Spesso, quando viaggiavo con i miei genitori, qualcuno mi chiedeva se desiderassi fare la modella, ma rispondevo di no perché il mio sogno era fare il magistrato. Falcone e Borsellino erano i miei modelli. Una mia amica però mi iscrisse a mia insaputa a 'Look of the Year', io non sapevo cosa fosse, credevo si trattasse di sfilate.Poiché ero minorenne mi accompagnarono i miei e solo quando arrivai scoprii che si trattava di un concorso di bellezza!
Corsi in camera e scoppiai a piangere. Non volevo farlo, ma non volevo nemmeno deludere l'agenzia che mi aveva preso in carico, e i miei genitori. In realtà fu un'esperienza molto divertente. Non mi accorsi neanche di aver vinto, finché la ragazza accanto a me mi diede una gomitata nel fianco: 'Guarda che hai vinto tu! Devi andare avanti'».
Torniamo a 'Jammin'...
«Venti giorni dopo 'Look of the year' Italia 1 mi chiamò per un provino alla conduzione. Mi mandarono davanti a un liceo di Milano a intervistare gli studenti. Dopo 3 minuti mi fermarono: sei perfetta».
Lei si è definita una 'madre colonnello'...
«Sono gli altri che mi chiamano così! Certo nell'educare mia figlia Swami (oggi ha 23 anni, ndr) sono stata molto severa. Ho riportato l'educazione con cui sono stata cresciuta. Ricordo mia mamma quando diceva: vedrai quando sarai madre...Aveva ragione! Ho avuto mia figlia a 23 anni, siamo cresciute insieme, anche i nonni sono giovani, mio padre ha 64 anni».
Da giovanissima è stata fidanzata con Vittorio Sgarbi, deve essere stato difficile rimanere accanto a un uomo che è un vulcano...
«Ma quando avevo 20 anni era difficile anche stare dietro a me! Siamo due caratteri molto forti. Siamo stati insieme tre mesi ma il gossip ne ha parlato per anni. Allora erano tempi diversi, il pettegolezzo prosperava sui giornali. Oggi con i social è tutto diverso, per sapere cosa fa un personaggio basta seguirlo su Instagram. E non faccio la falsa moralista, ammetto che anche a me piace farmi gli affari degli altri. Siamo tutti voyeur».
Lei ha avuto la fortuna di lavorare con Raimondo Vianello a 'Pressing'.
«Avevo vent' anni, ero pazzerella. Un giorno vado nel suo camerino e lo trovo in mutande e canottiera. Lo trascino fuori in corridoio e lo costringo a ballare la lambada. Quando rimasi incinta non lo dissi a nessuno. Ma, durante le registrazioni, avevo i caratteristici malesseri delle donne incinte. Così mi sforzavo di arrivare fino all'interruzione di pubblicità e poi correvo in bagno. Alla terza volta che accadeva, Raimondo mi si avvicinò e mi disse: 'Lei ha una brutta malattia'. Allora gli rivelai che ero incinta. Lui rimase in silenzio per un secondo, poi mi chiese: 'Ma lei sa chi è il padre?' Al secondo anno non volevo più fare Pressing, avevo troppi impegni, ero cotta. Cominciarono i provini per trovare una sostituta, ma dopo due settimane ancora non c'erano riusciti. Allora Raimondo disse: se Elenoire non fa la trasmissione, non la faccio più neanche io. Insomma, mi convinsero a restare. E ringrazio Dio per questo».
Lei salvò la vita a Omar Pedrini, allora suo fidanzato...
«Una notte si sentì male, aveva dolori di pancia. Lo accompagnai in farmacia dove gli misurarono la pressione: perfetta. Gli diedero qualcosa contro una presunta congestione e tornammo a casa. Gli consigliarono di riposarsi. Dopo un po' tentai di svegliarlo, ma lui non voleva, ripeteva 'Lasciami dormire'. Così lo sollevai di peso - uno sforzo non facile con un uomo alto 1,90 - lo caricai in auto, lo portai in ospedale. Gli fecero gli esami e scoprirono che aveva un aneurisma aortico, da operare subito. Il chirurgo mi avvertì: 'Guardi che le possibilità di successo sono il 20%'. Lui ce la fece».
Dice che la parola 'dieta' le suscita l'orticaria...
«Sono cresciuta in Romagna, posso osservare una dieta? Ho un ottimo metabolismo, un mio amico medico dice che ce l'ho di tipo maschile. Mangio di tutto, bevo anche vino, non come quelle che mangiano una foglia di insalata e poi dicono che hanno un ottimo metabolismo».
Lei non è contraria alla chirurgia estetica, ma agli eccessi della chirurgia estetica.
«La vita si è allungata, ma non è che si invecchia più tardi. Se uno può fare in modo di piacersi di più, perché no? Una volta si parlava di ritocco, di una rinfrescata. Oggi ci sono 18-20enni che si rifanno completamente, allora c'è un problema. E la bellezza è proporzione».
Anche lei ritiene di avere qualche difetto che in futuro potrebbe correggere?
«Altroché, decine di difetti! Ma con l'età si acquista una certa saggezza, cominci a dire 'chi se ne frega'. A 20 anni sei più insicura. Quando mi chiedono se tornerei ai vent' anni, rispondo mai al mondo! L'età ideale, secondo me, è 35-36 anni».
Elenoire Casalegno, ex modella e conduttrice tv, ritorna con Battiti Live: ecco quello che non sapete di lei. Maria Volpe e Arianna Ascione su Il Corriere della Sera l'11 Aprile 2022.
Donna bellissima e passionale ha una figlia, Swami di 21 anni, nata dalla relazione con il dj Ringo. Tra i suoi amori Vittorio Sgarbi, Omar Pedrini, Sebastiano Lombardi.
Battiti Live
Secondo appuntamento - lunedì 11 aprile su Italia 1 in prima serata - per Battiti Live Msc Crociere - Il viaggio della musica: sul palco di questo format itinerante, che toccherà quattro porti del Mar Mediterraneo (Palermo, Malta, Barcellona e Marsiglia), saliranno alcuni dei nomi più importanti della musica italiana e internazionale come Fedez, Achille Lauro, Sangiovanni, La Rappresentante di Lista, Pinguini tattici nucleari, Kungs, Dargen D’Amico, The Kolors, Irama, Sophie and the Giants, Federico Rossi, Gué Pequeno, Topic, Deddy, Berna, Follya e Gemelli Diversi. Alla guida delle serate ci sarà una coppia inedita formata da Nicolò De Devitiis ed Elenoire Casalegno.
Elenoire e Vittorio Sgarbi
Dunque una nuova avventura per Elenoire Casalegno nata a Savona, il 28 maggio 1976. Una donna bellissima, ex modella, conduttrice e passionale. Un amore che la pose al centro dell’attenzione fu quello con il critico d’arte Vittorio Sgarbi, una relazione che durò dal 1993 al 1997.
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A «Pressing» con Raimondo Vianello
Elenoire si trasferisce da adolescente a Ravenna e nel 1994 partecipa al concorso per aspiranti modelle «Look of the year» grazie alla sua bellezza e alla sua altezza di 180. Debutta subito con la conduzione del programma musicale di Italia 1 «Jammin», fino al 1997. Poi per due anni un’esperienza fondamentale che le regala la notorietà: affianca Raimondo Vianello nella conduzione in «Pressing». Seguono tante trasmissioni per lei : «Scherzi a parte», «Festivalbar». E nel 1998 fa un cameo nel film Paparazzi, dove interpreta se stessa.
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Il sogno erotico degli italiani
Nel 2001 Casalegno diventa il sogno erotico di molti italiani è la protagonista del calendario Maxim, con foto di nudo di Marino Parisotto. Un grande successo. L’anno successivo passa in RAI dove conduce con Fabrizio Maffei «Mondiale sera» in occasione dei Mondiali di calcio 2002. Successivamente presenta il Festival di Castrocaro con Claudio Cecchetto
Il lungo amore con Omar Pedrini
Omar Pedrini è un noto cantante diventato famoso negli Anni Novanta grazie al gruppo dei Timoria, di cui faceva parte pure Francesco Renga.Poi ha cominciato una carriera da solista. Poi il lungo grande amore con Elenoire Casalegno che alla fine della loro relazione, dopo sette anni, dichiarò al settimanale Chi: «Ho vissuto, anzi abbiamo vissuto una crisi che è durata per un anno. Sì un anno! Per capire che dovevamo lasciarci Omar e io ci abbiamo impiegato così tanto tempo … Ora si ricomincia». Insieme avevano anche avviato una produzione di vini.
Dj Ringo, padre di sua figlia
Elenoire è mamma di una giovane ragazza, Swami Anaclerio, nata il 22 novembre 1999, dal suo legame con il noto dj Ringo (al secolo Rocco Anaclerio). Tra i due una passione travolgente che però non è mai sfociata in un matrimonio. «Non era un’esigenza che avevo in quel momento, ma non perché non fosse un amore importante, altrimenti non ci avrei fatto una figlia», ha spiegato l’ex concorrente del Grande Fratello Vip. Oggi Elenoire e Ringo sono in ottimi rapporti e non hanno avuto problemi a crescere Swami insieme, seppur separati.
Swami e il suo profilo Instagram
Bellissima come mamma Elenoire e grintosa come papà Ringo da cui ha ereditato invece la passione per la musica e per le due ruote (in particolare di Valentino Rossi), Swami si racconta attraverso il suo profilo Instagram at_swamianaclerio_, tra istantanee di vita familiare, viaggi e selfie.
Swami nella casa del Gf a salutare la mamma
Unica comparsata tv per Swami: un saluto alla mamma dentro la casa del Grande Fratello Vip. «Ogni sera prima di andare a letto Swami mi dice sempre: “Ti voglio bene”. È il mio capolavoro, meglio non potevo fare» dichiarò la Casalegno al Grande Fratello Vip, prima del grande abbraccio con Swami tra le lacrime. «Ha una bella anima. È decisamente migliore di me». «Swami è nata all’ottavo mese di gravidanza e in 24 minuti, viva per miracolo. Aveva due giri di cordone ombelicale intorno al collo, stava già spingendo per uscire. Spesso penso sia stata lei a salvarmi. Se non ci fosse stata, non so dove sarei finita, forse avrei preso una strada sbagliata».
Il matrimonio con Sebastiano Lombardi
Nel 2014 Elenoire Casalegno sposa l’allora direttore di Retequattreo Sebastiano Lombardi: il matrimonio dura tre anni, e nel 2017 la fine della relazione viene annunciata con un post su Instagram. «Ci sono momenti in cui preferirei restare in silenzio, tutelando la mia privacy, e quella delle persone a me care. Purtroppo, non sempre è possibile. Negli ultimi mesi molto si è detto, romanzato, ma la verità, dolorosa, non si trova in superficie, dimora nello strato più profondo della nostra intimità. Ogni scelta della mia vita è stata dettata dal cuore, e così anche il mio matrimonio. Avrei sperato non fosse questo l’epilogo, ma accetto ciò che la vita mi propone, anche i momenti di sofferenza, perché insieme ad essi, ci sono ricordi di gioia e felicità. L’unica certezza che rimane è l’affetto che continuerò a provare per colui che è stato mio marito»
Andrea, il nuovo amore (quasi top secret)
Dal 2019 Elenoire Casalegno ha un nuovo amore, di cui si sa poco a parte il nome (Andrea) e la professione (broker finanziario). «È un uomo del tutto estraneo al mio ambiente e vorrei proteggere questa storia - ha raccontato al settimanale F -. Posso solo dire che è arrivato in un momento inaspettato della mia vita, dove non cercavo una relazione perché stavo bene da sola. Però è una delle poche persone nella mia vita con cui riesco a rilassarmi: per la prima volta non sono io che devo sobbarcarmi la responsabilità di tutta la storia. In passato il maschio ero io nella coppia, quella che portava avanti la relazione da sola, e se non si è in due non si va da nessuna parte. Ora io ho qualcuno che mi accudisce».
Gf Vip, Elenoire Ferruzzi sconvolgente: "Chi mi sono portata a letto". Francesco Fredella su Libero Quotidiano il 23 settembre 2022
Eleonoire Ferruzzi si racconta senza freni a Chi, il settimanale diretto da Alfonso Signorini. Entra al GfVip e conquista tutti. Il suo passato lo racconta in tv in una clip che diventa subito virale. "Non scriva transessuale, queer, intersex, binario o non binario. Scriva, semplicemente: Elenoire", precisa ad Alessio Poeta di Chi. Per lei tutto ciò "genera distacco e confusione".
Poi dice: "Il mio pensiero va compreso. Io sono oltre. Non mi conformo in nulla. Il mio transessualismo l’ho trasformato in un atto di potere e di orgoglio. Il mio corpo e il manifesto stesso della liberazione. Lei non sa quante persone si rispecchiano in me, per la forza che io emano. La generazione Z sta crescendo senza pregiudizi e senza etichette".
La Ferruzzi, che si chiamava Massimo, racconta la sua esperienza. "Le sembrerà assurdo, ma non l’ho appreso in prima persona. Sono stati gli altri a farmi sentire sbagliata, diversa. Per me era tutto al posto giusto: mi sentivo una femminuccia. Poi, con le prime vessazioni, iniziai a capire che il corpo non si sposava appieno con la mia anima". Elenoire s'innamora del compagno di banco alle elementari. Non viene capita, erano altri tempi. "Si chiamava Paolo. Durante qualche lezione iniziai a disegnare sul diario un cuore rosso con, vicini, i nostri nomi. La maestra, dal nulla, prese il diario, lo mostro a tutta la classe e inizio ad urlare: 'Avete visto il vostro compagno che cosa sta facendo? Vergogna!'. Da li tutti a ridere. Tornai a casa distrutta, affranta, delusa. La scuola avrebbe dovuto rappresentare l’inclusione, mentre per me era diventata un vero e proprio inferno. Mia madre si accorse subito del mio malessere e, in tempi non sospetti, ancor prima di cambiarmi scuola, ne disse di ogni alla maestra, ricordandole i principi fondamentali del suo mestiere. Quel gesto così duro di mia mamma mi fece sentire, forse per la prima volta in tutta la mia vita, protetta, accolta, compresa. Purtroppo però, anche cambiando scuola, la storia era sempre la stessa. Ricordo ancora oggi il pulmino che mi portava da casa all’istituto come uno dei posti peggiori di sempre. Insulti, prese in giro e botte".
Alla fine racconta persino di aver subito bullismo. "Ma ho fatto sesso con chi mi bullizzava", assicura. Ha rischiato anche di morire a causa del Covid. "Sono stata in coma quattro lunghi mesi. Più di una volta chiamarono mia madre per dirle: 'E questione di ore, non ce la farà'. Durante l’incoscienza avevo sangue infetto, polmoni bucati. C’era una macchina che respirava per me. Stavo morendo. Ho avuto delle visioni. Mia nonna, da non so dove, mi diceva che mi avrebbe salvata».
Alessio Poeta per “Chi” il 22 settembre 2022.
Andare oltre le apparenze quando si ha anche fare con chi, dell’apparenza, ha fatto la sua cifra, non e assolutamente facile. «Riuscirci, pero, da sempre una grande soddisfazione» afferma, con un tono che oscilla tra il sarcastico e il divertito, Elenoire Ferruzzi: performer, attrice, opera d’arte vivente e social star. E ora anche protagonista del Grande fratello Vip. «Non scriva transessuale, queer, intersex, binario o non binario. Scriva, semplicemente: Elenoire», ci ha detto in questa intervista realizzata poco prima dell’ingresso nella Casa.
Domanda. Le definizioni, quindi, non le piacciono?
Risposta. «Generano distacco e confusione».
D. Sara contenta la comunità LGBTQ+.
R. «Sbaglia. Il mio pensiero va compreso. Io sono oltre. Non mi conformo in nulla. Il mio transessualismo l’ho trasformato in un atto di potere e di orgoglio. Il mio corpo e il manifesto stesso della liberazione. Lei non sa quante persone si rispecchiano in me, per la forza che io emano. La generazione Z sta crescendo senza pregiudizi e senza etichette».
D. Le altre, invece?
R. «Sono pronte. Vanno solo preparate ed educate».
D. Facciamo un passo indietro. Lei quando avverte di essere nata nel corpo sbagliato?
R. «Le sembrerà assurdo, ma non l’ho appreso in prima persona. Sono stati gli altri a farmi sentire sbagliata, diversa. Per me era tutto al posto giusto: mi sentivo una femminuccia. Poi, con le prime vessazioni, iniziai a capire che il corpo non si sposava appieno con la mia anima».
D. Diamo un riferimento temporale.
R. «Presto, prestissimo. Alle elementari, per esempio, ero innamorata del mio compagno di banco. Si chiamava Paolo. Durante qualche lezione iniziai a disegnare sul diario un cuore rosso con, vicini, i nostri nomi. La maestra, dal nulla, prese il diario, lo mostro a tutta la classe e inizio ad urlare:
“Avete visto il vostro compagno che cosa sta facendo? Vergogna!” Da lì tutti a ridere. Tornai a casa distrutta, affranta, delusa. La scuola avrebbe dovuto rappresentare l’inclusione, mentre per me era diventata un vero e proprio inferno.
Mia madre si accorse subito del mio malessere e, in tempi non sospetti, ancor prima di cambiarmi scuola, ne disse di ogni alla maestra, ricordandole i principi fondamentali del suo mestiere. Quel gesto così duro di mia mamma mi fece sentire, forse per la prima volta in tutta la mia vita, protetta, accolta, compresa. Purtroppo pero, anche cambiando scuola, la storia era sempre la stessa. Ricordo ancora oggi il pulmino che mi portava da casa all’istituto come uno dei posti peggiori di sempre. Insulti, prese in giro e botte».
D. Chi asciugava le sue lacrime?
R. «Mia mamma Giovanna».
D. Lei che infanzia ha avuto?
R. «Stupenda. Ho dei genitori fantastici, che non mi hanno mai lasciata sola. I problemi veri sono arrivati quando ho iniziato a interfacciarmi con la società».
D. A conti fatti, per vivere bene meglio ricordare o rimuovere, Elenoire?
R. «Bisogna ricordare tutto. Io, oggi, non ho più rancori, nè rabbie represse. Ho perdonato tutti».
D. Ha mai più rincontrato quei bulli?
R. «E capitato. Con qualcuno ci ho anche fatto l’amore. Non mi aveva riconosciuta: del resto io sono cambiata molto! Tanto che, quando gli rivelai la mia identità, rimase a bocca aperta e mi disse: “Ti chiedo scusa per tutto il male che ti ho fatto. Ai tempi io non avevo i mezzi per capire”. Una vera rivincita».
D. Un percorso come il suo, banalmente, e stato più costoso o doloroso?
R. «Costoso, duro, devastante, alienante, tutto. Pero sono fiera di quella che sono
diventata».
D. La morbosità sull’intervento finale?
R. «Una cosa tipicamente italiana e prettamente maschile. Alle donne non interessa assolutamente».
D. Una domanda del genere la fa sentire violentata?
R. «No, ma la trovo limitante. Una persona non si definisce dai genitali. La chirurgia, nel mio caso, non e mai stata vissuta come una forma correttiva».
D. Piuttosto, non pensa di aver esagerato?
R. «L’esagerazione e negli occhi di chi guarda. Per me, questo corpo e arte».
D. Ha delle unghie importanti.
R. «Sono vere».
D. Quali sono stati i suoi eccessi?
R. «L’eccesso e la mia normalità».
D. Allora mi dica il momento più difficile della sua esistenza.
R. «Quando mi sono ammalata di Covid. E’ stata una prova di sopravvivenza niente male. Mi ha cambiato la vita».
D. Ce ne parli.
R. «Sono stata in coma quattro lunghi mesi. Piu di una volta chiamarono mia madre per dirle: “E questione di ore, non ce la farà”. Durante l’incoscienza avevo sangue infetto, polmoni bucati. C’era una macchina che respirava per me. Stavo morendo».
D. Che ricordo ha del coma?
R. «Ho avuto delle visioni. Mia nonna, da non so dove, mi diceva che mi avrebbe salvata. Il trauma e stato il risveglio. Non avevo la percezione del tempo che era passato e in quel momento ho avuto un crollo emotivo, psicologico, oltre che fisico. Ero circondata da sacche di cortisone. Non muovevo più braccia e gambe. Non avevo voce. Ho perso più di 40 chili. Tanto era il dolore che chiedevo di morire. Il mio corpo era stremato».
D. Le sue posizioni no vax fecero discutere.
R. «Nessuna posizione no vax, visto che per me non c’è mai stata par condicio tra scienza e scemenza. Io ero soltanto scettica su alcune restrizioni. Vivo della mia arte, del mio lavoro e, restando a casa, non mangiavo. A differenza di altre categorie, io non avevo sussidi o tutele da parte dello Stato».
D. Che cosa le ha insegnato quel momento?
R. «Sembrerà assurdo agli occhi dei più, ma che anche nel dolore possono accadere cose straordinarie».
D. Ce ne dica una.
R. «L’affetto delle persone una volta uscita, il rapporto umano con i medici, ma anche la chiamata di Alfonso Signorini per il GfVip. Una gioia, oltre che una grande opportunità. La mia presenza nella Casa più spiata d’Italia sarà una battaglia di libertà e di diritti per tutti».
D. La sieropositività di Giovanni Ciacci ha fatto già discutere.
R. «Inorridisco. Ho appreso, in questi giorni, di alcune petizioni per non ammetterlo a Cinecittà. Qui il problema non e soltanto la stupidita, e l’ignoranza.
La sua storia, ne sono certa, sarà molto più utile al pubblico da casa di quanto si possa pensare».
D. La sua, invece?
R. «Io sarò il riscatto per tutte quelle persone che vengo- no emarginate e discriminate dalla società. Non rappresento niente e nessuno se non me stessa, ma difendo una causa: i diritti sono qualcosa di cui si capisce l’importanza solo quando non li hai più. Mai darli per scontati».
D. Partecipa per vincere?
R. «No, per convincere».
D. Chi la incuriosisce degli altri inquilini?
R. «Dei pochissimi nomi che conosco, Pamela Prati. Non si può ridurre un personaggio come lei a una gogna mediatica di un certo tipo. Le truffe amorose esistono».
D. L’amore, invece, che ruolo occupa nella sua vita?
R. «Inesistente».
D. L’ultima volta che l’ha provato?
R. «Quando ho ordinato una Birkin» (ride, ndr).
D. Seriamente invece?
R. «La speranza di trovare un grande amore c’è, ma non forzo più nulla. Io sono pronta».
Eleonora Abbagnato: «Danzo insieme con mia figlia, saremo Giulietta in età diverse». Valeria Crippa su Il Corriere della Sera il 30 Giugno 2022.
L’étoile Abbagnato: ha 10 anni, è determinata e in lei mi rivedo bambina.
Non si è mai fatta mancare nulla Eleonora Abbagnato. Un debutto a 11 anni in tv, ballando per Pippo Baudo, a 13 anni l’esordio come piccola Aurora nella Bella addormentata di Roland Petit. Una carriera da étoile al Ballet de l’Opéra de Paris, da cui si è ritirata un anno fa. Una seconda carriera da direttrice del ballo all’Opera di Roma, intrapresa dal 2015. Una vita privata piena, da moglie dell’ex calciatore Federico Balzaretti e da madre di due figli (Julia, 10 anni, Gabriel, 7) cresciuti dalla coppia insieme alle due figlie di lui. E ora, a 44 anni, per Abbagnato teatro e vita privata si toccano per la prima volta. Il 19 e 22 luglio al Teatro Romano di Verona, poi il 23 al Festival di Nervi, accanto a lei in scena ballerà la figlia Julia nel ruolo di Giulietta bambina, mentre Eleonora danzerà la versione adulta. Lo spettacolo, ideato da Daniele Cipriani, si intitola Giulietta: tre quadri sviluppano il personaggio shakespeariano visto come una donna contemporanea in età diverse, su tre partiture ispirate a Romeo e Giulietta. Le coreografie sono di Sasha Riva e Simone Repele (su Ciaikovskij), Uwe Scholz (da Il Rosso e il Nero su Berlioz), Giorgio Mancini (su West Side Story di Bernstein).
La storia si ripete: anche sua figlia è un prodigio.
«In Julia mi rivedo bambina, la chiamano già “mini Ele”: è determinata, ci mette il cuore. È cresciuta guardandomi da dietro le quinte, il palcoscenico le piace, studia alla Scuola di Ballo dell’Opera e ha già fatto brevi apparizioni come piccola Biancaneve per Preljocaj. Ma non l’obbligherò a consacrarsi alla danza. Julia non è l’unica precoce in famiglia: Gabriel segue le orme del padre, è un pulcino della Roma».
Nel 2012, appena nata Julia, aveva dichiarato: non vorrei che mia figlia facesse la ballerina, il mondo della danza è in crisi. Cos’è cambiato?
«Soprattutto dopo la pandemia, c’è molta voglia di ripartire. Dal mio insediamento a Roma, abbiamo lavorato molto su nuove produzioni, con coreografi affermati e autori giovani. E sul repertorio. In ottobre riprenderemo la coreografia di Giselle della Fracci. L’evoluzione si misura nella risposta del pubblico».
Quella sensazione di crepuscolo del balletto è finita?
«Ho avuto il privilegio di lavorare con Petit, Bausch, Forsythe, Neumeier. C’è poi stata una ripartenza con nuovi nomi come Christopher Wheeldon, Alexander Ekman, Crystal Pite. Per la mia generazione il repertorio è fondamentale, ma per i giovani bisogna aprire al contemporaneo».
In tv c’è più spazio per i balletto? E TikTok diffonde la danza tra i ragazzi?
«Sicuramente la Rai trasmette oggi molti più balletti e questo allarga il pubblico. Lo streaming dei teatri, negli ultimi due anni, ha contribuito a rilanciare l’interesse. Credo che TikTok sostenga la creatività anche in ragazzi che non studiano danza. Alcuni video sono geniali: sviluppano così rapidamente la memoria di gesti difficili che, quando Julia li imita, faccio fatica a starle dietro».
Anche lei, come Bolle, è andata alla Camera dei Deputati per sostenere la causa della danza.
«Stiamo lavorando al “tavolo della danza” istituito dal Ministero. La pandemia ha dato una sferzata al nostro mondo. La crisi ci ha scosso, da quarant’anni non si registrava uno slancio così».
Da liberoquotidiano.it il 28 febbraio 2022.
Un racconto intimo e molto doloroso quello che Eleonora Giorgi ha fatto a Verissimo, nel salotto di Silvia Toffanin. L'attrice, in particolare, ha parlato del periodo della droga, un momento molto difficile del suo passato. Tutto era iniziato dopo che la Giorgi, da giovane, aveva perso il suo fidanzato, morto in un incidente. In quel momento si è sentita sola e la sua famiglia non le è stata accanto: "La droga arrivò per disperazione. Lì c’è stato un grande vuoto, soprattutto di mia madre”.
L'attrice ha spiegato che solo in un secondo momento decise di tornare a casa di suo padre: "Cercavano di curarmi, avevano chiamato tutti i dottori, ma ormai io ero sprofondata”. L'ospite della Toffanin, però, non ha ricordato solo i momenti più brutti e bui della sua vita.
C'è stato spazio anche per quelli più belli. A tal proposito la Giorgi non ha potuto non parlare del suo nuovo nipotino. Poco tempo fa, infatti, è diventata nonna di Gabriele, il figlio di Paolo Ciavarro e Clizia Incorvaia, che l'hanno salutata a distanza, in collegamento con la trasmissione.
La Giorgi ha confessato di essere letteralmente impazzita per il bimbo. Durante il collegamento, poi, Paolo Ciavarro ha raccontato di non essere riuscito a entrare per assistere al parto. Ma non ha nascosto di essere stato parecchio teso in quei momenti.
Michela Proietti per il “Corriere della Sera” il 26 marzo 2022.
La minigonna con le calze colorate, la canottiera di Lucio Dalla, i riccioli biondi (che in realtà erano una parrucca) e la gomma da masticare: era il 1982 ed Eleonora Giorgi con Borotalco regalava alla storia del cinema Nadia, uno dei personaggi femminili più belli. «Con quel finale poi... "e baciami scemo"», sorride l'attrice romana, 68 anni, ricordando quel lungo bacio finale tra lei e Sergio-Carlo Verdone.
Quest' anno «Borotalco» ha compiuto 40 anni, perché ha segnato così tanto l'immaginario collettivo?
«A Roma ci sono delle gastronomie che in vetrina espongono sopra alle olive la scritta "so' greche", come la celebre battuta del suocero salumaio interpretato da Angelo Brega. Era un cast eccezionale, con Moana Pozzi con poco seno e il genio di Angelo Infanti, che rappresentava quel genere mai estinto, il "cazzarone" romano».
E Nadia le somigliava?
«Parecchio, perché Carlo mi aveva permesso di ritagliarmi su misura il personaggio insieme al costumista Luca Sabatelli. Ero all'apice del successo e qualcuno mi disse: "Ma perché perdi tempo con questa cosetta?"."Sarà un film leggero e profumato come il talco", mi disse Carlo dopo aver deciso finalmente il titolo».
E con quel film ha vinto il David di Donatello come migliore attrice protagonista.
«Più che una consacrazione, è stato lo zenith. Perché poi sono arrivate altre parti importanti, è vero, come Mani di Fata. In quel periodo rifiutai persino Fantastico 83 con Gigi Proietti per non "sporcare" il cinema con la televisione. Ma di lì a poco sarebbe stato il cinema a far fuori me, che ci vivevo da quando ero piccola».
Era la classica bambina tutta un provino?
«Per nulla. Nasco "pariolina", la mia famiglia era piuttosto conosciuta: madre super cattolica, cinque figli nati in 15 anni, una nonna inglese che guidava la macchina e parlava come Stanlio, la gente quando passava in auto scappava al grido di "c'è una donna al volante!". A un certo punto papà ha lasciato baracca e burattini perché si è innamorato di Giulia Mafai, la sorella di Miriam, compagna di Pajetta. Sono cresciuta con questo contorno: è stata Giulia a convincermi a far delle pubblicità, lei aveva una mente libera».
Che genere di pubblicità?
«Una per un paio di collant e credo che neppure si vedesse la faccia. L'altra era per Annabella taglie forti giovani: all'epoca andava Twiggy e a me debordava il seno».
Però il primo provino è subito un successo.
«Era un film di genere conventuale, con Tonino Cervi. Avevano provinato parecchie persone: arrivo io e conquisto la parte credo per il look. Indossavo un cappello di paglia, una camicia di seta anni Quaranta, la gonna a balze, le zeppe e le stelline disegnate in viso. Cervi rimase senza parole: ero molto moderna in quella Roma».
E inizia la «rivalità» con Ornella Muti, sua compagna di set nel secondo film .
«La sola competizione tra me e la Muti era sull'altezza delle nostre zeppe. Quando l'ho vista davanti a me, a 18 anni, ho pensato fosse la ragazza più bella del mondo: i suoi denti radi erano come perle nella bocca di una bimba golosa. Aveva già la Kelly di Hermès, una borsa che avevo visto solo alle mamme dei Parioli. La mia era ricavata dai vecchi jeans di Gabriele, il mio fidanzato: divento la Lolita d'Italia avendo baciato e fatto sesso con un solo uomo».
Il successo però vi divide.
«Ero così disperata per la fine della nostra storia che di nascosto compero a un'asta la sua moto, una Honda 750. E la presto ad Alessandro Momo, il mio secondo ragazzo, che aveva già fatto un gran successo con il film Malizia: lui cade e muore, io scivolo nella tossicodipendenza. Ma continuo a essere quadrata nel lavoro».
Come si libera dalla droga?
«Grazie ad Angelo Rizzoli, che poi diventa mio marito: la persona più buona del mondo. Io stavo male e pesavo poco più di 40 chili, lui a 34 anni aveva tutto il peso del gruppo. Il mio lato dolente incontra il suo e non ci lasciamo più».
Come vi siete conosciuti?
«Ci ha presentati Tina Aumont, un'attrice. Mi disse che c'era un amico editore che aveva visto i miei film e voleva conoscermi. Mi era sembrato avesse fatto il nome di Rusconi. Andai al primo appuntamento, in inverno, senza cappotto: il mio stato alterato mi rendeva atermica».
Colpo di fulmine?
«Iniziamo a parlare e non smettiamo più: per lui decido di disintossicarmi in un rehab. Ci siamo sposati in Laguna: avevo una tunica di Kenzo, pantaloni jaipur e un velo antico di Venezia ».
Una romana e un milanese: funziona?
«Un milanese che voleva fare il romano e una romana che si sentiva milanese: Angelo partiva per Milano il lunedì e il mercoledì era di ritorno. Io invece per indole un po' "danubiana", come mi descrisse Moravia, mi trovavo bene tra le sciure, anche se non ho dato loro soddisfazione. Da una Rizzoli si aspettavano una maggiore partecipazione alla vita sociale di Milano, invece ero una donna lavoratrice e per di più attrice: quando loro uscivano dalla Scala io staccavo dal set».
Una sciura imperfetta.
«Abbastanza. Alla Scala con Angelo ci andavo, ma con i capelli asciugati con il phon, il tuxedo di Saint Laurent e senza collant. Lui amava mostrarmi: mi ricordo dei pranzi deliziosi al Quirinale con il presidente Pertini».
Un'unione solo apparentemente perfetta.
«Pagavo il prezzo di quel cognome. L'Unità recensì la mia interpretazione in Mia moglie è una strega con la frase: "La Giorgi lucida i dobloni della cassaforte dei Rizzoli". Angelo mi difendeva: "Non sono io a convincere milioni di persone ad andare al cinema". All'epoca non c'era Twitter e la macchina del fango funzionava solo in una direzione: non si poteva rispondere».
In che modo vi difendevate?
«A un certo punto gli proposi di andare a New York e ricominciare: lui aveva la Libreria Rizzoli, io qualche contatto. Mi rispose: "E la tua carriera"'? Ad Angelo piaceva il mondo dello spettacolo: al Vascello, la villa che affittò per noi e dove oggi vive Renato Zero, ricevevamo molti amici, da Renzo Arbore ai Gatti di Vicolo Miracoli, con una sconosciuta Alba Parietti. Io tenevo banco, sentendomi però Nora in Casa di Bambola ».
Nasce Andrea. Che genitori siete stati?
«Interrotti. Quando ci lasciamo Andrea ha 3 anni: per questo con lui ho un legame forte».
Inizia poco dopo una vita: la campagna, un nuovo marito e un altro figlio.
«A casa di Vittorio Cecchi Gori rivedo Massimo Ciavarro con il quale avevo recitato in Sapore di mare . Mi chiese il numero ma non mi telefonò per mesi: una domenica di ritorno dal mare trovo i ladri in casa e il telefono che squillava. Era Massimo: "Scusa ti devo lasciare, c'ho i ladri"».
Che amore è stato?
«Compravamo casali in rovina per rimetterli a nuovo, restauravamo mobili e avevamo Paolo, il bambino più bello del mondo: ma Massimo era sempre un po' scontento. Lui al contrario della gente del cinema non si è mai dato arie: la prima volta che l'ho visto sul set mi ha detto "io non te garantisco niente... tutte 'ste battute da dire"».
Il cinema le ha offerto sempre meno ruoli.
«A un certo punto ho scoperto che a 60 anni una donna nel cinema non esiste più: nella vita reale esistono magistrate, imprenditrici, insegnanti ultracinquantenni. Ma non nei film. Per fortuna la televisione ha il pubblico che decide e quindi abbiamo Mara Venier, Barbara D'Urso. Questo ovviamente non vale per gli uomini».
Il Grande Fratello.
«A un certo punto potevo stare tutto il giorno in giardino a fumare, senza l'assillo delle chiamate dell'avvocato, del commercialista. Dai tempi in cui mi svegliavo all'alba per andare sul set sognavo di dormire a Cinecittà: il sogno si era avverato. Purtroppo il cast non era un granché».
Si è sentita fuori luogo?
«No, ma uscendo mi sono vista con una immagine cupa, drammatica. A 48 anni già dimostravo 10 anni in più e mi sono fatta il primo lifting. E dopo il Grande Fratello mi sono fatta il secondo: continuo a sentirmi "bionda" e difendo le donne». Una femminista che fa il lifting? «Non escludo di fare il terzo: il corpo annuncia la morte e io voglio sentirmi viva fino all'ultimo giorno».
Un'amica speciale?
«Oriana Fallaci. Ho ancora un pacco di sue lettere mandate da New York in una scatola».
Un amore meno noto?
«Pino Daniele. Minà mi aveva mandato a intervistarlo per Blitz . All'epoca stavo con Angelo, arrivai con la scorta: dopo il concerto mi disse "lasciali a terra e andiamo a cena, sali sul bus". In quel momento, con i tamburi e le canzoni dal vivo, ho respirato quella libertà che mi mancava. Dopo la separazione ci siamo rivisti».
E poi Massimo Troisi.
«Di notte il suo cuore ticchettava come una sveglia, nel buio: mi chiamava di nascosto da Benigni, che era un po' geloso. Sono stata io a convincere Massimo a tagliarsi i capelli».
Il grande amore chi è stato? «A un certo punto Andrea De Carlo, ma avrei dovuto conoscerlo a 16 anni. Mi ha dedicato tre libri. Voleva essere l'ospite d'onore della mia vita».
Ora anche un nipote, figlio di suo figlio Paolo e Clizia Incorvaia.
«Sono diventata nonna tardi e sarò molto indulgente. Adesso aspetto il figlio di Andrea!».
Che rapporto ha con sua nuora?
«Somiglia a me in tante cose: anche lei usciva da un matrimonio disastrato (con Sarcina, ndr ), anche lei è più grande di lui come io ero più grande del papà di Paolo, anche lei come me aveva già una bambina. E sdrammatizza: c'è un fatto gravissimo in corso? Ti invita fuori a mangiare un gelato: un balsamo per me».
Ha mai ricevuto una proposta indecente?
«Alain Delon a 20 anni mi invitò a dormire nella sua stanza d'albergo. Finsi di non capire».
Vittorio Feltri per “Libero quotidiano” il 26 marzo 2022.
Ieri il Corriere della sera ha intervistato- una pagina intera- Eleonora Giorgi, attrice per molti anni, e moglie in un periodo abbastanza breve di Angelo Rizzoli, che del giornalone milanese fu a lungo proprietario.
L'editore mi assunse in via Solferino nel 1974, quando Montanelli stava fondando il Giornale in polemica con Piero Ottone che era un progressista, mentre Indro un conservatore. Serbo per lui, purtroppo morto, una immensa gratitudine per avermi voluto nella sua azienda. Le cose andarono male a causa della nota vicenda P2 e Angelo, di nome e di fatto, fu addirittura incarcerato e poi assolto a dimostrazione che era innocente.
Nel frattempo però sua moglie, cioè Eleonora Giorgi, ruppe il matrimonio, forse per convenienza, e sottolineo forse. Sta di fatto che quando ella lasciò Rizzoli, questi era in disgrazia, il che non mi sembra un bel gesto.
Oggi l'artista rammenta il suo passato nella citata intervista. E sottolinea la sua nuova vita, ormai mica tanto nuova, con un altro marito e un secondo figlio. Non c'è nulla di straordinario in tutto questo, ma c'è un ma.
Anche Angelo più tardi si sposò per la seconda volta con una donna straordinaria, Melania, chirurga, oncologa, che gli diede due figli, Arrigo e Alberto, bravi ragazzi che hanno fatto molta strada, entrambi laureati e impegnati in lavori di alto profilo. Il secondo matrimonio di Rizzoli fu felice e ricco di soddisfazioni.
Sottolineo questi particolari perché mi sembra scorretto che la Giorgi, parlando del primo marito, dimentichi di sottolineare il suo secondo matrimonio, foriero di felicità. Melania mi risulta abbia curato il coniuge, affetto da problemi di salute, garantendogli una vita abbastanza lunga e scevra di preoccupazioni. Purtroppo un lustro fa Angelo fu nuovamente e ingiustamente arrestato, evento che lo fece perire nell'angoscia. Anche stavolta la sua consorte lo assistette con premura, addossandosi poi l'onere di gestire con sacrifici i problemi rilevanti della successione.
Ma Eleonora nella intervista non ha speso una sola parola né per ricordare Rizzoli né per riconoscere a Melania di avergli donato una esistenza serena per decenni. Io non la rimprovero, non ne avrei diritto, mi limito a dire a chiare lettere che il mio vecchio editore era un galantuomo a cui devo la mia carriera al Corriere, che mi ha dato una spinta notevole. Per me la gratitudine non è il sentimento della vigilia. E riconosco a Melania, anche se le sto sulle palle, di essere una donna di grande valore. Capito, Giorgi?
Eleonora Pedron compie 40 anni: da Miss Italia alla tv con Emilio Fede e all’ex Biaggi. Federica Bandirali su Il Corriere della Sera il 13 Luglio 2022.
E’ stata incoronata la più bella d’Italia nel 2002 e da lì il decollo della carriera. La showgirl, oggi legata a Fabio Troiano, ha passato un’infanzia difficile
Infanzia difficile
Eleonora Pedron compie 40 anni il 13 luglio. Un’infanzia difficile e segnata da lutti, la sua: quando aveva nove anni ha perso la sorella Nives in un incidente d’auto (la madre, che era nella stessa auto, è rimasta illesa). Sempre per colpa di un incidente, però, Eleonora perso il padre nel 2002 mentre la stava accompagnando al provino di “Striscia La Notizia”.
Miss Italia ed Emilio Fede
La carriera di Eleonora Pedron è iniziata nel 2002, quando è stata eletta Miss Italia, dopo che vi aveva già partecipato nel 1999 una prima volta. Il suo sorriso e la sua eleganza hanno conquistato Rete4 tanto che dal settembre del 2003 fino alla primavera del 2004 è stata celta per il programma Meteo 4 dall’allora direttore Emilio Fede.
Max Biaggi
Eleonora Pedron è stata fidanzata per 12 anni con il campione di motociclismo Max Biaggi: la loro storia d’amore ha appassionato non solo gli amanti delle due ruote ma anche i fan della modella. Da lui ha avuto due figli, Inés e Leòn, ma tra i due la relazione è finita nel 2015.
L’amore con Troiano
Il cuore della showgirl di Camposampiero è iniziato a battere nel 2019 per l’attore Fabio Troiano.“Ci siamo conosciuti su un treno, eravamo nella stessa carrozza, anche se non ci siamo parlati durante il viaggio; ci siamo detti le prime parole solo quando siamo arrivati a destinazione. Poi abbiamo iniziato a frequentarci” aveva detto la Pedron a Verissimo.
Long Covid
Nel febbraio 2021 ha raccontato di aver contratto il Covid-19 insieme ai suoi figli: una volta guarita non ha mai nascosto di aver avuto strascichi post malattia.
Il libro
Pedron è anche scrittrice: ha scritto un libro, uscito nell’ottobre 2021, dal titolo L’ho fatto per te, dove racconta della sua vita e delle perdite che l’hanno segnata.
Passione tatuaggi
Eleonora ha tanti tatuaggi, piccoli e sparsi per tutto il corpo. I disegni si vedono anche grazie alle foto condivise su Instagram.
Elettra e Ginevra Lamborghini: qual è il rapporto tra le due? Una storia familiare. Teresa Cioffi su Il Corriere della Sera il 26 Settembre 2022.
Non si parlano da anni, non si vedono nemmeno a Natale. Ginevra, tra i concorrenti del GF VIP, ha parlato pubblicamente della sorella e ha ricevuto una diffida dall’avvocato di Elettra. Tutto quello che c’è da sapere sul loro rapporto
Più nemiche che amiche
La competizione, gli errori e le incomprensioni. <<I parenti sono come le scarpe, più sono stretti e più fanno male>> diceva Totò. Per alcuni è vero mentre per altri no, ma certo è che tra Elettra e Ginevra, le sorelle Lamborghini, non scorre buon sangue. Le due non si parlano da anni, una situazione familiare resa nota dopo l’entrata di Ginevra nella casa del Grande Fratello Vip. La più piccola delle sorelle ha raccontato di una forte competizione, cresciuta insieme a loro. << Mio padre ci ha messo più volte a confronto. Mi chiamava principessina, mentre ad Elettra diceva che era un maschiaccio e le faceva notare i chili di troppo>>. Dopo le dichiarazioni, la risposta della sorella maggiore non si è fatta attendere e l’avvocato di Elettra ha diffidato Ginevra, la quale non potrà più parlare di lei durante il reality. Ma quali sono le motivazioni del contrasto tra le due? Alfonso Signorini ha indagato, ricevendo però risposte sempre vaghe. Solo il passato delle sorelle Lamborghini può svelare qualche dettaglio in più su un rapporto che pare sempre più tormentato.
Chi è Ginevra Lamborghini
Ginevra Lamborghini è, come Elettra, la nipote di Ferruccio, storico fondatore della casa automobilistica. Ha 30 anni ed è tra le protagoniste della nuova edizione del GF Vip. Ha studiato Scienze Politiche a Milano, facoltà che ha abbandonato per iscriversi all’Università di Bologna, dove ha studiato Cultura e Tecnica del Fashion. Ha lavorato nell’azienda di famiglia, occupandosi di comunicazione. Nello stesso periodo ha iniziato ad emergere sui social e nel 2020 ha pubblicato il suo primo brano, <<Scozzese>>. In realtà ha lavorato anche all’estero, esperienza che recentemente ha raccontato agli altri concorrenti del reality: << Ho lavorato in Cina, è stato un periodo stupendo. Non è durato tanto, ma la permanenza è stata intensa perché facevo due lavori. Di giorno lavoravo in un hotel, sotto copertura, nel senso che nessuno sapeva che mi chiamavo Lamborghini. La sera invece lavoravo in un jazz club, dove andavo a cantare>>. E pare che lo scontro con la sorella sia stato alimentato proprio dalla sua passione per il canto.
La rottura del rapporto e le dichiarazioni
<<Non parliamo dal 2019>> ha raccontato Ginevra Lamborghini, sostenendo che probabilmente nemmeno Elettra si ricorda il motivo alla base di questa rottura. Pare però che l’antipatia sia tanta che cantante di <<Pistolero>> non abbia neanche invitato la sorella al suo matrimonio. L’ha bloccata su tutti i social e pare che non abbia il piacere di incontrarla nemmeno a Natale. Elettra non parla mai della sorella, mentre Ginevra non perde l’occasione. E ad Alfonso Signorini ha raccontato che la loro competizione non riguarda solo i rapporti familiari, ma soprattutto la carriera professionale. Musica e reality, un percorso intrapreso anche da Elettra, che all’inizio della sua carriera partecipò ai programmi Super Shore e a MTV Riccanza. << Ha paura di essere oscurata da me quando ho iniziato a cantare – ha raccontato Ginevra Lamborghini – non so se è così ma certe cose potremmo farle insieme>>.
Ginevra come Elettra?
Nella casa di Canale 5 c’è chi prende le difese di Elettra e sostiene che la sorella minore voglia imitarla oltre i limiti: << Ginevra si vuole mettere al centro dell’attenzione, ha vissuto per anni all’ombra di Elettra e ora cerca di fare la sua copia – ha raccontato la modella Giaele De Donà – ma le copie non sono mai originali. Si vede proprio che si sforza. Il modo in cui parla è di Elettra, il modo in cui si atteggia sembra quello di Elettra, in modo in cui canta… un po’ troppo dai. Ognuno deve crearsi un’identità>>. Molti dei fan di Ginevra però l’hanno difesa sui social, mentre lei continua la sua partecipazione al GF VIP senza tirarsi mai indietro.
<<Due mondi opposti>>
Intervistata da Fanpage, Ginevra Lamborghini ha dichiarato che ascolta un po’ di tutto: << Ho passato la metà della mia adolescenza ad ascoltare Nina Simone, Aretha Franklin e soprattutto Etta James e con loro ho imparato ad aprire la mia voce. Poi ho assorbito tante altre influenze, un po’ anche dalla musica elettronica>>. Ci si chiede se anche Elettra sia stata tra i suoi riferimenti. A questo proposito Ginevra ha dichiarato: << C’è chi pensa che siamo molto legate, ma in realtà no, abbiamo due caratteri molto diversi. Abbiamo fatto percorsi opposti, se mi viene chiesto se la carriera di Elettra mi è servita per emergere io dico di no. Con tutto il rispetto per la carriera di Elettra. Veniamo da due mondi separati, io vengo da Venere e lei da Marte. Come tutte le famiglie ci sono fratelli e sorelle che bisticciano. Penso sia normale, lo abbiamo sempre fatto anche da piccoline. Però le voglio bene e le auguro il meglio per la sua carriera, è bravissima in quello che fa e spero di fare altrettanto nel mio>>.
Un cognome non facile
Le due sorelle hanno in comune la stessa voglia di emergere nel mondo dello spettacolo. Sui social contano migliaia di follower ed entrambe hanno pubblicato delle foto di quando erano piccole. Nessuna foto insieme però. Entrambe però hanno dichiarato di aver dovuto fare i conti con il proprio cognome in diverse occasioni. Elettra aveva spiegato: << Spesso è una grande rogna avere un cognome importante perché devi combattere contro mille pregiudizi e non tutte le persone hanno il piacere di apparire vicino a te>>. Ginevra aveva raccontato la stessa sensazione a Fanpage: << Sono cresciuta in un contesto ricco di pregiudizio, ovunque e sempre. Il continuo essere messa sotto mire con “Sei la figlia di, quindi sei così” mi ha portato a dire no. Ad oggi magari non so chi sono ancora veramente ma so quello che non sono. E non sono la ragazza viziata che vive in un mondo di lussi estremi. Ho sempre dimostrato di essere una ragazza normale>>.
Gli altri membri della famiglia
Elettra e Ginevra non sono le uniche figlie di Tonino Lamborghini e Luisa Peterlongo. Ci sono anche Lucrezia e Flaminia, gemelle e testimoni di nozze per Elettra al suo matrimonio. Flaminia si è diplomata al liceo artistico, mentre di Lucrezia si sa che si è iscritta all’Università di Bologna. Sono le più piccole della famiglia e sono molto riservate, ma Elettra ha pubblicato di recente una foto con loro su Instagram. C’è anche un fratello, che ha preso il nome del nonno: Ferruccio, primogenito della famiglia che ha sempre preferito stare lontano dai riflettori. Ama l’azienda di famiglia e i motori, tanto che lavora in Lamborghini e si è contraddistinto anche come pilota. La moda però lo appassiona ed è stato il creatore di una linea di accessori per il brand Tonino Lamborghini dedicata agli orologi. Nel 2019 si era sparsa la voce di un’altra figlia, Flavia, nata da una relazione fuori dal matrimonio. Voce però smentita dallo stesso Tonino Lamborghini.
Le rivelazioni al Grande Fratello: "Non mi ha invitata nemmeno al suo matrimonio". Perché Ginevra Lamborghini e la sorella Elettra hanno litigato: “Non ci parliamo dal 2019”. Vito Califano su Il Riformista il 22 Settembre 2022.
Ginevra ed Elettra Lamborghini non si vedono dal 2019. E la vicenda si annuncia come uno dei leitmotiv di questa edizione del Grande Fratello Vip 7: una relazione tormentata e al momento a quanto pare all’impasse tra le due figlie di Luisa Peterlongo e dell’imprenditore Tonino Lamborghini, nipoti dell’imprenditore Ferruccio che fondò a inizio anni ’60 l’omonima e mitica azienda automobilistica.
Ginevra è molto meno nota della sorella: Elettra Miura è ormai da anni sulla cresta dell’onda con la sua musica, ha partecipato anche al Festival di Sanremo, le sue hit estive diventano puntualmente dei tormentoni. Hanno altre due sorelle, Flaminia e Lucrezia, e il fratello Ferruccio. Ginevra è nata a Bologna nel settembre 1992. Dopo il diploma al liceo ha studiato scienze politiche e relazioni internazionali all’Università Cattolica di Milano. Poi cultura e tecnica del fashion all’Università di Bologna. Alla fine degli studi ha cominciato a lavorare nell’ambito della comunicazione nell’azienda di famiglia. Anche lei si dedica alla musica: sui social postava sue interpretazioni di cover e nel 2020 ha pubblicato il suo primo singolo, Scorzese. Lo stesso anno avrebbe dovuto partecipare al Grande Fratello ma la clausola che le avrebbe permesso di non parlare mai della sua famiglia fece saltare tutto. Condizione evidentemente saltata.
“Pensa che a me fa strano quando la vedo in tv perché non me la ricordo più. Non saprei neanche dirti quanto è alta. È come quando vedi una persona per tanto tempo, non senti la voce dal vivo, cominci a dimenticartene”, ha raccontato ad altri concorrenti inquilini della Casa. “Facciamo tutto separato da tre anni: Natale, i compleanni, tutto. La cosa brutta è che spesso sono stata io l’esclusa delle situazioni. Natale dell’anno scorso è stato terrificante perché mia madre, alle 7 della sera del 24 dicembre, mi chiese se potessi andarmene perché non ero gradita a cena. E io ci sono rimasta malissimo, perché ho detto: ‘Ma come?’. Mi disse: ‘Raggiungici tra due ore, ceniamo con te alle 21’. Io, col cuore nella mer**, sono tornata a casa, ho preso i regali però non ho aspettato fino alle 21. Ho aspettato mezz’ora e sono tornata a cena da mia madre e c’erano tutti. È stato bruttissimo perché in una situazione come Natale, nessuno ha avuto il contatto visivo con me”.
Ginevra ha espresso un’ipotesi per risalire alla radice dei dissapori con la sorella. “Io glielo vorrei chiedere: ‘Che cosa è successo?’. Non abbiamo litigato, c’è semplicemente stata una rottura. Credo sia qualcosa che debba essere recuperato nel nostro passato, quando eravamo piccole. Mio padre ci ha messo molto a confronto. Mi chiamava la principessina, diceva: ‘Guarda che bella Ginevra’; invece a Elettra diceva: ‘Sei un maschiaccio’, le faceva notare il chiletto in più. È normale che lei sia cresciuta con una competizione nei miei confronti”.
Ginevra ha anche raccontato di essere stata “l’unica della nostra famiglia a non essere invitata al suo matrimonio“. Le nozze tra Elettra Lamborghini e il discjockey Afrojack si sono celebrate nel settembre del 2020 a villa Balbiano (sul lago di Como). “Ci soffro ma ho provato in tutti i modi a trovare un dialogo. Quando sarà pronta, sono qui”. Quanto sarà possibile una riconciliazione, o una resa dei conti tra le due nel corso della trasmissione, certo è impossibile prevederlo. Sicuramente è quello che sperano tanti telespettatori.
Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.
Al Gf Vip la sorella della Lamborghini: "Ecco perché non ci parliamo da anni..." Prima di entrare nella Casa, Ginevra Lamborghini ha svelato di essere in pessimi rapporti con la cantante e di non essere stata invitata neppure al suo matrimonio. Novella Toloni il 20 Settembre 2022 su Il Giornale.
Che tra Ginevra e Elettra Lamborghini non corresse buon sangue era risaputo, almeno agli amanti del gossip. Ma la sorella della cantante ha voluto precisarlo davanti a milioni di telespettatori poco prima di varcare la porta rossa della casa e diventare una nuova concorrente del Grande fratello vip. Facile così intuire che i panni sporchi della famiglia potrebbero essere lavati in diretta.
Nella clip di presentazione, che ha anticipato il suo ingresso nel reality, Ginevra Lamborghini ha ribadito i pessimi rapporti che ci sono tra lei e Elettra. Un distacco che si protrae da diverso tempo e che risale a prima della pandemia. "Mia sorella e io facciamo musica diversa - ha esordito nel video di presentazione - Non abbiamo più rapporti dal 2019. Sono stata l'unica della nostra famiglia a non essere invitata al suo matrimonio. Non credo sia molto contenta di sapermi qui".
Una confessione amara che l'ereditiera della famiglia Lamborghini ha deciso di fare pubblicamente, infrangendo il "voto" fatto due anni fa, quando Signorini la scritturò per il Gf Vip dell'epoca. Nel 2020, infatti, Ginevra sarebbe dovuta entrare nella casa. Il suo nome era già nell'elenco dei vipponi ma l'accordò salto all'ultimo per la sua richiesta di inserire una clausola nel contratto, che le garantisse di non dovere parlare della sorella e dei loro problemi.
"Schiantati sull'erba". Paura in volo per la Lamborghini
In questi due anni qualcosa sembra essere cambiato e ora Ginevra Lamborghini è pronta a farsi conoscere al pubblico del piccolo schermo, parlando anche della sorella Elettra. "Ci soffro ma ho provato in tutti i modi a trovare un dialogo. Quando sarà pronta, sono qui", ha concluso la 29enne, la quale si è detta single e predisposta a incontrare l'amore anche nella casa del Gf Vip. Se il confronto con la cantante ci sarà, però, non è possibile ancora saperlo. Ma c'è chi è pronto a scommettere che Signorini potrebbe riuscire nell'impresa di portare nella Casa Elettra Lamborghini per un faccia a faccia con la sorella.
Da fanpage.it il 19 giugno 2022.
Arriva da Riccione un episodio spiacevole che ha coinvolto Elettra Lamborghini. In discoteca per un dj-set, la cantante ha interrotto una esibizione per rispondere a un hater che l’aveva insultata mentre stava cantando. È stata lei stessa a condividere i video del momento tra le sue Instagram stories per poi spiegare l’accaduto ai suoi follower.
Elettra Lamborghini: “Ero in imbarazzo”
Subito dopo l’esibizione, andata avanti dopo avere rimesso al suo posto l’uomo che l’aveva insultata, Elettra ha raccontato l’accaduto ai suoi follower: “Questa sera ho fatto un dj-set in un locale che conosco molto bene perché ci ho passato la mia infanzia. Salgo sul palco, questo era il mio outfit (top e pantaloni, ndr). Di solito metto un body con la ‘ciapet’ un po’ di fuori e la calza, non si vede niente altrimenti non lo farei. Mi sono ritrovata in una situazione un po’ imbarazzante. Mi sento di parlare a nome di tante artiste che si sono ritrovate nella mia stessa situazione, perché non mi era mai capitato. Su TikTok sta andando questo trend stupidissimo di prendere il cellulare, andare a un concerto e tirare dei nomi all’artista. Questa sera è capitato a me. Chi mi conosce sa che non le mando a dire. Mi è uscita l’Elettra di qualche anno fa che prende a pizze le persone. Vi metto il video di quello che è successo e poi continuo a parlare”.
È stata la stessa Elettra a pubblicare i video dell’episodio in questione. Nel filmato, un istante prima che l’artista interrompesse il dj-set, si sente un uomo insultarla. La cantante è a disagio, resiste per qualche istante poi si ferma per replicare all’hater e cacciarlo: “C’è uno di questi sfigati qua davanti che ha detto una parolina che non doveva dire. Se avete le palle, prendete e andate fuori dai cogl***”. Poi, tornata su Instagram, ha concluso: Ero a disagio. Di solito ballo, ma ero pietrificata. Questa gente aveva la bava. In queste discoteche ci sono dei fake imprenditori . Dei loser che fanno i finti ricchi e poi non vi pagano nemmeno la cena. Guardavo questo tizio mentre cantavo. Quando gli ho detto ‘Scemo, scemo’ mi ha risposto ‘Tiratela di meno’. Non so chi tu sia ma sei un povero cogl*** senza palle. Questa cosa non può passare come normale. Non siete autorizzati a fare quello che vi pare. Indipendentemente da come sono vestita. Non può dirmi che me la tiro perché non è così, è una questione di rispetto.
(ANSA il 18 febbraio 2022) - Stasera messa in onda al fil di cotone per la prima puntata della seconda edizione di Belve, il venerdì in seconda serata su Rai2, che parte con stop and go per la polemica con Elettra Lamborghini che doveva essere ospite del primo appuntamento, anche con Pamela Prati. Francesca Fagnani spiega all'ANSA lo scontro che ha portato a questo cambio in corsa.
''E' successo che per l'intervista - spiega Fagnani - l'agente di Elettra Lambroghini mi ha chiesto le domande prima e poi di vedere la puntata. Io ovviamente dico di no, come faccio sempre e per tutti, per rispetto del mio lavoro, di quello della redazione, e della professione giornalistica. Poi ci mancherebbe che il girato Rai si possa mandare in giro per il mondo. Io stessa quando sono io intervistata, le domande non chiedo mai di rileggere se accetto mi fido, se non mi piace la mia performance imparerò. Quindi io ho detto di no alla richiesta. Ma l'avvocato ieri, che era il giorno prima della puntata, ha vincolato la messa in onda previa visione della puntata. Io ho seguito la linea che seguo per tutto. Ma la Rai invece ha poi deciso di bloccarla''.
Pensa di aver sbagliato qualcosa? ''Noi non abbiamo sbagliato nulla, nessun passaggio''. Perchè allora questa decisione da parte della Lamborghini, che cosa diceva? ''Non c'erano dati sensibili, ed era un'intervista fresca e simpatica. Mi dispiace per lei e per la Rai perchè era era molto giovane e divertente. Sinceramente spero che ci ripensi. Ma lei ha chiesto di sistemare due-tre domande che non le erano piaciute. Secondo me, ripeto, ha sbagliato perchè faceva una bella figura di persona divertente e spontanea. Devo dire che è proprio mal consigliata. Io l'avrei mandata in onda in ogni caso mentre la Rai ha scelto evidentemente un atteggiamento prudente''.
Il tema delle domande comunque pare fosse quello della sessualità della cantante. Ora quindi stasera nella prima puntata sarà Pamela Prati a parlare intervistata senza filtri e svelerà a Francesca Fagnani alcuni clamorosi e inediti particolari sulla sua vicenda pubblica e privata. Gli inizi "sexy", i film erotici, gli anni gloriosi del Bagaglino e poi quelli neri dell'isolamento dopo la vicenda di Mark Caltagirone Arriva poi Paola Ferrari che parla del suo matrimonio con Marco De Benedetti, dei rapporti con Carlo De benedetti, delle sue amicizie pericolose negli ambienti dell'estrema destra milanese durante gli anni di piombo. E alla richiesta di raccontare le cause della rottura della lunghissima amicizia con Daniela Santanchè, la Ferrari afferma: "Era un'amica mi chiese un aiuto e io glielo diedi.
Lei si sentiva perseguitata politicamente dal capo del suo partito Fini, cose molto pesanti. Poi ho capito che le cose non erano proprio così, ma non le posso dire altro perché coinvolgono persone troppo importanti. La Fagnani incalza: "Troppo importanti…potenti?". "Si, anche in questo momento…". Belve è un programma ideato e scritto da Francesca Fagnani con Graziamaria Dragani, Pietro Galeotti e Antonio Pascale. Regia Flavia Unfer.
Ivan Rota per Dagospia il 18 febbraio 2022.
Come ormai tutti sanno Elettra Lamborghini sarebbe l’ospite della prima puntata della nuova stagione di Belve, ma dopo un tira e molla fra il suo agente e la produzione del programma, mamma Rai ha deciso di annullare tutto.
Pare si chiedesse di eliminare domande e risposte riguardanti la sessualità e figurati se una conduttrice come Francesca Fagnani avrebbe accettato.
La cantante però non è nuova a episodi di questo tipo. Agli inizi della sua carriera fu scoperta da Piero Chiambretti nel programma Grand Hotel Chiambretti dove, oltre a parlare dei diamanti che si è fatta innestare sotto la pelle, disse a sorpresa che avrebbe voluto girare un film hard.
La famiglia dell’ereditiera sobbalzò sulle sedie e si incavolò con Elettra che chiamò in redazione per dire che era stata “fraintesa”. Vista la giovane età e la scarsa esperienza televisiva, Chiambretti la richiamò per darle là possibilità di chiarire e lei disse che lo aveva detto per scherzo… come vedete, la Lamborghini ha sempre avuto una marcia in più nel non tenere la bocca chiusa.
Alberto Dandolo per Dagospia il 18 febbraio 2022.
Fermi tutti! Dopo la Dago-anticipazione sulla censura dell'intervista ad Elettra Lamborghini a "Belve", programma della seconda serata del venerdì di Rai 2 ideato e condotto da Francesca Fagnani, il caso si è notevolmente "ingrossato".
A renderlo duro più che mai è, in verità, un retroscena intrigante sulla "zampina" che ha innescato il cortocircuito legale con la Rai. Pare che a bloccare l'intervista della Lamborghini sia stata la sua agente Paola Benegas, per gli amici Paoletta, ceo e fondatrice della "Benegas management & production", molto nota a Milano.
Ma chi è e chi si crede di essere Paola Benegas? Argentina, bella, matura e molto inserita negli ambienti meneghini che contano (i soldi). Amante degli spacchi inguinali e grande esperta di pubbliche relazioni, Paoletta si è fatta strada come talent scout di potenziali celebrità. Tutte donne. Tutte bellissime. Quasi tutte from Latino America.
E' lei ad aver scoperto Aida Yespica, Belen Rodriguez, Arianna Romero, Dayane Mello ma anche le italianissime Paola Di Benedetto e Elettra Lamborghini. Ha interrotto i rapporti professionali con quasi con tutte le sue "creature". Memorabile la separazione non consensuale (per ragioni economiche?) con Belen e l'addio burrascoso con la Di Benedetto.
A lei però dobbiamo rendere un cafonalissimo merito: fu sua l'idea di far sfilare, praticamente in mutande, le sensualissime Giulia Salemi e Dayane Mello alla Mostra del cinema di Venezia del 2016.
Elettra Lamborghini e il giallo delle multe prese a Buccinasco: «Non so neanche dove sia». E il sindaco la invita. Giovanna Maria Fagnani su Il Corriere della Sera il 12 febbraio 2022.
L’ereditiera, cantante e influencer sanzionata nel paese alle porte di Milano: «In quei giorni non ero neppure passata da lì». Il sindaco Rino Pruiti: «Vieni a visitare la nostra bella città e a verificare i verbali».
Lei ha compulsato subito l’«archivio» personale di Instagram per controllare dove fosse in quei giorni e ha concluso che «non sono mai venuta lì» a tradire il Codice della strada. Lì, a Buccinasco, 27 mila abitanti appena fuori Milano. «Non so nemmeno dove c… sta Buccinasco!». Il sindaco, il pd Rino Pruiti, sa invece benissimo chi sia lei, Elettra Lamborghini, cantante e influencer, 27 anni, origini bolognesi. E infatti le ha risposto prontamente via social: «Cara Elettra, visto che non conosci il nostro Comune, ti invito a venirci a trovare per visitare la nostra bella città e per verificare queste multe!».
Le contravvenzioni
Ah, giusto: le multe. L’ereditiera del toro dorato è stata beccata in divieto nella cittadina al confine Ovest del capoluogo lombardo . Ma era proprio lei? La targa della sua auto? Oppure c’è stato un errore? Non è che qualcuno — un truffatore — sta girando le strade con la targa «clonata» a Lamborghini? Lei ha raccontato la faccenda nelle sue stories, agitando i verbali e illustrando i dubbi: «Non hai altro da fare che mandarmi i multoni?», oh Buccinasco sconosciuto? «Ragazzi è una settimana che dal comune di Buccinasco mi arrivano multe...». Ora ci sono almeno 7 milioni di ragazzi (i follower) interessati al «Buccinasco gate»: chi ha ragione? I vigili urbani o Elettra Lamborghini?
Le multe a domicilio
Partiamo dalla fine. La rampolla Lamborghini ha ricevuto a casa una serie di multe spedite dalla Polizia locale di Buccinasco. Lei ne sorride: sono innocente. E argomenta, sarcastica: «Ti vieto di farmi le multe Buccinasco, non sono mai venuta lì, non ti permettere mai più!». E ancora: «Non è che ti fanno le multe e ti lasciano l’avviso, così uno capisce cosa ha sbagliato... Te le fanno arrivare a casa, quindi non so manco cosa è successo, magari non ero manco io. Ho visto tramite l’archivio Instagram e io non ero neanche lì...». Di chi sarà stata la manina che ha firmato la contravvenzione? «Eri una donna — sorride ironica Lamborghini — birichina che mi hai fatto la multa, non si fa, non si fanno mai le multe a me, sono molto brava a guidare... Prendi nota, non lo fare mai più!». Vista l’eco social della faccenda, il sindaco Pruiti ha usato Instagram per lanciare il suo invito: «Vieni a Buccinasco e controlliamo i verbali». Si attende contro-controreplica.
Valeria Paglionico per fanpage.it il 30 gennaio 2022.
Elettra Lamborghini potrà pure essersi presa una pausa dalla tv ma continua a essere seguitissima sui social, dove ama avere un rapporto diretto con i fan. Tra foto e Stories documenta ogni dettaglio della sua quotidianità, dai viaggi in giro per il mondo col marito Afrojack agli shooting fotografici di cui è protagonista.
Complice il ritorno nella casa bolognese di famiglia e il ritrovamento degli hardisk dei sui vecchi computer, sui social ha condiviso diversi ricordi del passato, rivelando com'era da adolescente: ecco la foto che mostra l'incredibile trasformazione dell'ereditiera.
Elettra Lamborghini, la foto da teenager
Elettra Lamborghini è molto legata al suo passato e sui social non ci pensa su due volte ad aprire gli "album dei ricordi". Come da lei stessa dichiarato, non è mai stata ossessionata dalla chirurgia estetica, avrebbe fatto solo un ritocco al seno ma per il resto è rimasta naturale al 100% e sottolinea con orgoglio che sia il naso che il lato b prorompente sono suoi.
Com'era prima che il décolleté diventasse esplosivo? Lo ha rivelato lei stessa con una foto in costume di quando aveva 17 anni, nella quale, oltre a essere meravigliosa, vantava anche un seno naturalmente procace.
Elettra Lamborghini senza il tattoo sul sedere
Qual è l'altra cosa che è cambiata col passare del tempo nel look di Elettra? Ha ricoperto il corpo di tatuaggi e piercing di diamanti, anche se è soprattutto il disegno che ha impresso con l'inchiostro indelebile sul lato b che ha rivoluzionato la sua immagine.
Nello scatto postato sui social non aveva ancora il grosso tattoo leopardato, ormai diventato il suo "marchio di fabbrica", ma, fatta eccezione per quel dettaglio, sembra non essere cambiata. Già all'epoca, infatti, portava i capelli a caschetto e i micro bikini che mettevano in risalto la silhouette. Insomma, sebbene da allora sia passato un decennio, la Lamborghini non ha perso la bellezza e la sensualità che da sempre la contraddistinguono.
"Bella Ciao ha rotto il ca...", l'analisi tecnica di Rocco Tanica. L'anima di Elio e le Storie tese nonché attore e autore televisivo infrange un tabù: la canzone dei partigiani ormai ha stufato tutti. Sui social è un tripudio: «Hai ragione, è una lagna, come la musica balcanica». Francesco Specchia su Libero Quotidiano il 06 dicembre 2022
Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...
Serviva l'autocandidatura a segretario di Elly Schlein, giovane Barbra Streisand del Pd una Seracchiani che ce l'ha fatta, secondo i compagni più ustori- per propalare l'innegabile verità: «Bella e simbolica e tutto quanto; ciò detto, Bella Ciao ha rotto il cazzo». Così, tranchant.
Che non è la dichiarazione di un fascio eversore, bensì lo sfogo comprensibile di Sergio Conforti alias Rocco Tanica, classe '64. Autore e cantautore, corpo e anima degli Elio e le Storie Tese, autore e attore televisivo (grande interpretazione ne La compagna del Cigno su Raiuno) titillatore di nonsense in equilibrio tra Achille Campanile e gli stand up comedians newyorkesi, maestro di una generazione di satirici allegramente militanti alla Zoro, anarcoide di un'anarchia caricata a peyote: Rocco Tanica, dal quel popò di curriculum ha postato su Twitter le immagini del discorso del volto Dem.
DOPO IL PD «Sulle note di Bella ciao, Elly Schlein ha lanciato la sua candidatura alla segreteria del Partito Democratico: "Non siamo qui per una resa dei conti identitaria ma per dare vita a un partito plurale"». E, qualunque cosa ciò significhi, Rocco ha aggiunto la sua larvata critica alla canzone. Ed è stato subito un tripudio di retweet. Tutti a favore dell'esegesi roccotanichesca del testo. Roba fantazziona, tipo da «La corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca» col capufficio cinefilo Guidobaldo Maria Riccardelli in ginocchio sui ceci, nello scroscio di 92 minuti di applausi ininterrotti.
Dopo il post di Tanica, ecco dunque il florilegio dei commenti più disparati: «Un po' come la musica Balcanica, bella e tutto quanto, ma alla lunga rompe i coglioni...». «C'è una versione balcanica di Bella Ciao?». «Dottor Tanica qui bisogna assolutamente comporre il nuovo inno della sinistra».
«Ha ragione maestro, Bella Ciao è proprio una lagna. Non potrebbe scriverlo lei il nuovo anthem in cambio di moltissimi danari ?».
E l'animo artistico di Tanica è già avanti. Prima propone come nuovo inno della sinistra Aborto dei suoi Elio («Aborto aborto batti un colpo se ci sei/Aborto aborto, come andiamo, è tutto occhei?/Obiettori e referendum che follia/ Ma in aborto vince la tua fantasia»).
Ma è, diciamo, poco tarato sui valori Dem. Poi a chi insiste nell'essere più pop e terragno Rocco propone Vogliamo andare avanti del mitico Duo di Piandena, anno 1972: «Vogliamo andare avanti, avanti/ avanti nella democrazia e il mondo socialista è la tua garanzia/ Vogliamo andare avanti.../E torna a minacciare il centurione di ridurre l'Italia una galera, ma è solo il ruggito del piccione, è tramontata la camicia nera». «Ci sarebbe questo, ma non è centrato», si scusa Tanica. E, in effetti, il brano suddetto sarebbe perfetto per l'associazione partigiani o per Fratojanni, ma col Pd non c'entra una beata fava. Tra l'altro, nel post successivo Tanica pubblica le proposte da La Stampa sui nuovi nomi del nuovo Pd; e tra essi spiccano "Padel- Italia rimbalza"della "mozione cura di sé" e "Sushi-In regalo le salse", la mozione asiatica del "partito all you can it", che tra l'altro non è cumulabile con altre offerte. Ricorda molto i vecchi sketch di Corrado Guzzanti /Veltroni sulla "mozione Amedeo Nazzari segretario, ma purtroppo è morto».
Ecco. In questa giostra di surrealtà emerge tutto il carico narrativo dell'ex cantico delle mondine trasformato prima in canto partigiano must del 25 aprile, e poi nella sigla di una fiction spagnola dal successo planetario. Tra l'altro, anche la Casa di carta con Bella ciao non c'entra una fava, però ne escono dei balletti meravigliosi davanti alla cassaforte zecca di Stato imbottita di tritolo. Bella ciao è sempre stata materia infiammabile.
MATERIA INFIAMMABILE Qualche mese, fa Laura Pausini si rifiutò di cantarla in tv per non prendere posizioni politiche. E la sinistra ispano-italiana le cucì addosso una camicia di forza intessuta nell'orbace. Ancora prima, nel 2019, i Marlene Kuntz e Skin fornirono a Riace, in appoggio del rinviato a giudizio Mimmo Lucano, di Bella ciao una versione trascinata e sofferta, quasi intestinale; roba che Dean Martin sembrava un assolo dei Led Zeppelin. Ora, Bella ciao è indubbiamente orecchiabile. E, di valore storico. E pregna di un suo carico simbolico. Però, sentendosi a ogni latitudine non solo ha perso la carica eversiva, ma tende a produrre sensazioni orchitiche che vanno oltre le oltre le aspirazioni degli etnomusicologi e dei partigiani superstiti. Forse ha ragione Tanica. Puoi penetrare le coscienze dei popoli. Ma quando hai rotto il cazzo, «hai rotto il cazzo».
Elio, il figlio Dante sul palco con le Storie Tese: "Sono autistico e ne vado fiero". La Repubblica il 17 Luglio 2022.
Il ragazzino di 12 anni ha partecipato al Concertozzo che ha visto il ritorno degli Elio e le Storie Tese di nuovo insieme a Bergamo per celebrare la "fine della sfiga".
Dante, 12 anni e mezzo, non ha avuto timore di salire sul palco, prendere il microfono e parlare davanti a 7.500 persone. E senza esitazioni ha detto: "Sono autistico e ne vado fiero". Lo ha fatto durante il concerto del papà Elio che è tornato a suonare con le sue Storie Tese per celebrare "la fine della sfiga", cioè il ritorno dopo la pandemia degli eventi live.
Coronavirus, insieme per salvare la musica. Elio e le storie tese: "Un concertone per la fine della pandemia"
Tutto è accaduto all'Arena Fiera di Bergamo che ha ospitato il Concertozzo, questo il nome della serata che ha registrato il tutto esaurito con il ricavato devoluto all'organizzazione umanitaria Cesvi per i profughi in arrivo dall'Ucraina. Tra i grandi classici degli Elii, da John Holmes a Cara ti amo, c'è stato spazio per parlare di autismo con Nico Acampora, fondatore del progetto PizzAut con ristoranti gestiti da lavoratori autistici, che ha prima incontrato il sindaco di Bergamo Giorgio Gori dietro le quinte e poi dal palco ha raccontato come "questi ragazzi attraverso il lavoro hanno scoperto altre caratteristiche della loro vita", con due camerieri di PizzAut che, per esempio, sono diventati musicisti.
Lo stesso Acampora ha poi presentato "il mio aiutante Dante" al quale ha passato il microfono: "Ciao Bergamo, fatevi sentire", ha urlato il ragazzo, a suo totale agio davanti al pubblico del Concertozzo, di fianco a papà Elio che lo osserava divertito. "Il mio nome è Dante, il cognome è Belisari ma, vabbè, a nessuno interessa, e sì, sono autistico e ne vado fiero", ha detto. "Vi chiedo una cosa in particolare. Per prima cosa godetevi lo spettacolo, vi lascio in pace, ma come seconda cosa per favore, rispettate tutte le persone autistiche", ha aggiunto per poi concludere con "un'ultima cosa: la terra dei cachi è la terra dei cachi, ciao Bergamo", tra gli applausi generali.
"Si vede che è figlio d'arte", ha commentato Acampora, ma Dante è anche fratello gemello di Ulisse e proprio la sua presenza ha portato a un confronto cognitivo che ha consentito una diagnosi precoce dell'autismo. Malattia per la quale Elio da anni si spende per sensibilizzare "l'Italia che è ancora all'anno zero, anzi sottozero" per quanto riguarda l'assistenza a persone che in moltissimi casi non sono autosufficienti. E quindi anche una serata nata con il Trio Medusa e Radio Deejay per celebrare il ritorno della musica live è diventata un'ottima occasione per parlarne. Grazie soprattutto a Dante e alle sue idee chiare".
Elio: "Io non rompo. È già stato rotto tutto". Alba Solaro su La Repubblica l'11 gennaio 2022.
Elio, giudice e conduttore di Italia’s Got Talent 2022 insieme a Frank Matano, Mara Maionchi, Lodovica Comello e Federica Pellegrini
In tv a "Italia’s Got Talent". A teatro con "Ci vuole orecchio". In libreria con un volume sul baseball. A tu per tu con il musicista e comico milanese: «Se fosse per me i programmi inizierebbero alle 5 del pomeriggio»
A Elio, “quello delle Storie Tese”, al secolo Stefano Belisari, classe 1961, si potrebbe applicare quello che lui dice di Enzo Jannacci: «È una persona seria, che sa anche far ridere». Oggi che il non prendersi sul serio è diventato un lusso, lui torna a lusseggiare in tv (ormai ci ha preso gusto, «e ovviamente non c’è paragone con i guadagni che fai a teatro o con la musica»).
Caterina Ruggi D'Aragona per corriere.it il 31 marzo 2022.
«All’asilo ero stato scelto per interpretare San Giuseppe. Prima di entrare in scena, feci ridere la bambina che interpretava la Madonna. E fui squalificato», racconta Elio (delle Storie Tese) durante il viaggio in auto direzione Toscana per portare al Politeama Pratese lo spettacolo «Ci vuole orecchio. Elio canta e recita Enzo Jannacci» che arriva qui dopo una cinquantina di repliche in tutta Italia.
Dai pezzi più surreali degli esordi fino a quelli più malinconici degli ultimi anni: una selezione di brani anche poco noti, inframmezzati da ricordi di Umberto Eco e Dario Fo, Francesco Piccolo, Marco Presta e Michele Serra, restituiscono il ritratto di Jannacci a tutto tondo: una scoperta per buona parte del pubblico. «Stiamo riscontrando un tale entusiasmo che, credo, andremo avanti almeno un altro anno con questo spettacolo», commenta Elio. Non chiamatelo Stefano Belisari.
Se l’artista ha a lungo tenuto nascosto il suo vero nome, prendendosi gioco degli interlocutori con false identità, è per la decisa volontà di tenere la vita privata ben distinta dal personaggio. Con un’unica, serissima, eccezione: la «storia tesa» di suo figlio, che l’ha spinto a metterci la faccia per promuovere una corretta informazione e azioni concrete a sostegno delle famiglie con figli autistici. «Siamo ancora all’anno zero. Anzi, sottozero, perché il servizio pubblico non si è ancora messo in moto per sostenere le 600 mila persone autistiche che ci sono in Italia: praticamente un partito politico», dice.
Parliamo di musica, comicità e autismo. Di vita. Perché, come avrebbe detto Jannacci: chi non ride non è una persona seria.
«Posso dire di aver fatto mia questa frase. Purtroppo in Italia chi fa ridere viene visto come un artista di serie B. Io sono invece convinto che Jannacci andrebbe collocato nel Pantheon dei grandi cantautori, accanto a Dalla e a De André. Questo è uno dei motivi per cui ho pensato di dedicargli uno spettacolo che, in verità, è soprattutto un atto di egoismo: cantare i suoi pezzi mi diverte; è una grande occasione di allegria per me e i cinque della band».
Quando ha «incontrato» il «poetastro»?
«Molto presto. È stato compagno di classe di mio padre. Abbiamo sempre avuto i suoi dischi. E anche se non ci siamo mai incrociati, è sempre stato uno di casa».
Cosa ha rappresentato per lei Jannacci quando ha scelto di studiare musica?
«Non ho mai pensato a lui coscientemente come un faro. Ma voltandomi indietro mi accorgo di avere fatto tante cose simili. A cominciare dal Conservatorio (Elio è diplomato in flauto, ndr) e dagli studi scientifici (medicina lui, ingegneria io). E poi la milanesità, l’anticonformismo e la comicità. Quando ho dovuto decidere cosa fare, è stato facilissimo pensare a qualcosa che mettesse assieme la musica con la mia capacità di fare ridere».
Perché ha studiato ingegneria?
«Per convenienza: era ed è, credo, la laurea che apre maggiori possibilità di assunzione. Pensavo tra l’altro di essere portato per le materie scientifiche più che per quelle umanistiche. Quello che è venuto poi è l’ennesima prova che nella vita le cose vanno come vogliono loro. Comunque, consiglierei a tutti di studiare ingegneria, perché insegna un metodo con cui si può affrontare tutto. Anche fondare Le Storie Tese».
Per la Giornata mondiale sull’autismo, sabato 2 aprile, La Compagnia di Firenze proietta in anteprima nazionale, alle ore 16, il documentario «I mille cancelli di Filippo», per il quale lei ha scritto la musica…
«Gli autistici hanno una “passione” (se così la possiamo chiamare). Filippo Zoi è un esperto di cancelli. Sono partito da lì per raccontare, attraverso la musica, un mondo che io stesso ignoravo prima che nascesse mio figlio».
Di figli con sua moglie Camilla ne ha due: Dante e Ulisse, nati nel novembre 2009. Proprio grazie al confronto con lo sviluppo cognitivo del fratello gemello, Dante ha potuto avere una diagnosi precoce…
«Ci dicevano che bisognava aspettare i 3 anni. Ma già a un anno i segnali possono essere tanti. Il problema è che esistono poche figure specializzare in grado di intercettarli, per intervenire al più presto. Anche ora che Dante ha 12 anni, dobbiamo noi da casa guidare gli insegnanti di sostegno. Esiste una terapia comportamentale che aiuta ragazzi e ragazze autistici a essere inclusi e costruirsi le armi per vivere una vita autonoma e indipendente. Ma nelle scuole non ci sono le competenze. Non lo dico solo da genitore inviperito. Penso anche che stiamo lasciando indietro potenziali uomini e donne che domani potrebbero pagare le tasse, piuttosto che essere un costo».
Cosa manca?
«La volontà dello Stato per affrontare, come ha fatto con il Covid, questa malattia che si sta diffondendo, sulla quale circolano ancora tante fake news».
Per cosa bisogna oggi avere orecchio?
«Dobbiamo avere attenzione a ciò che ci sta attorno; stare attenti agli altri; volerci bene».
Fulvia Caprara per “la Stampa” il 21 aprile 2022.
Anche gli attori soffrono. E non solo per fiction. Dalla Casa del Cinema di Roma è partito ieri, con l'incontro intitolato «Gli attori italiani valgono zero virgola», il grido di dolore di una categoria che fatica a far sentire la propria voce perché è difficile spiegare al pubblico che anche nel dorato mondo dello spettacolo c'è chi subisce ingiustizie e disparità.
Il compito se lo assumono i nomi celebri (tra i presenti Neri Marcorè, Paolo Calabresi, Vinicio Marchioni , Cristiana Capotondi, Fabrizia Sacchi, Urbano Barberini, Paolo Sassanelli e altri) che hanno parlato soprattutto per i colleghi meno fortunati, oggetto di un torto grave perpetrato da anni: «La prestazione dell'attore - spiega Elio Germano - viene liquidata alla fine delle riprese, al di là di quale sia il risultato del film al botteghino, e questo succede da sempre.
Da un po' di anni la Comunità Europea ha diramato una direttiva riguardante il "diritto connesso al diritto d'autore": una legge che stabilisce che agli artisti esecutori di un'opera debba essere riconosciuta una parte dello sfruttamento di quell'opera nel momento in cui passa su tv, piattaforme e tutto il resto, ovvero quando acquisisce un valore dato dalle pubblicità collocate prima o dopo la presentazione».
L'espansione dello streaming, ore e ore di film, fiction e serie avrebbero potuto incrementare gli introiti degli interpreti, anche quelli a cui vengono affidati piccoli ruoli. Perchè non è stato così?
«La legge servirebbe a riconoscere cifre che possono diventare importanti, sappiamo quanto può valere uno spot pubblicitario, in prima serata, o nelle fasce più seguite. Insomma, sarebbero numeri consistenti che potrebbero fare la differenza, dando la possibilità ai colleghi di sopravvivere facendo questo lavoro, invece di dedicarsi ad altro».
E invece?
«Per far funzionare questa legge bisognerebbe che gli utilizzatori, ovvero tv e piattaforme, fornissero i dati. Insomma, dovrebbero essere trasparenti, dire cosa si trasmette, a che ora, e a quanto ammonta il guadagno che ne deriva. La remunerazione dovrebbe essere adeguata all'incasso lordo dell'emittente».
Perché questo non accade?
«Abbiamo ereditato un meccanismo forfettario poco chiaro per cui i diversi "utilizzatori" hanno pagato per anni una cifra, sempre la stessa, che non corrispondeva a nessun dato oggettivamente verificato».
Risultato?
«Da 15 anni prendiamo le stesse quote, se la direttiva fosse stata correttamente applicata non ci sarebbe stato bisogno di pesare sui bilanci dello Stato". Alla musica viene riconosciuto un 2 per cento, a noi lo zero virgola". Insomma c'è una forte discrepanza, bisogna che venga riconosciuto un compenso adeguato all'epoca storica e anche alla situazione mutata, un tempo la discografia la faceva da padrone, noi attori ci siamo mossi poco e adesso ereditiamo una situazione che ci penalizza. I nostri volti vengono sfruttati ovunque, ma noi non ne ricaviamo nulla».
La mobilitazione è il segno di una solidarietà che nel mondo degli artisti italiani si è ultimamente rafforzata. Come mai?
«Il volto noto prende già il suo compenso, gli altri sono costretti a mantenersi facendo altri lavori. Con il collettivo "Artisti 7607" abbiamo scelto di mettere a disposizione di chi ne ha bisogno i fondi che derivano dai diritti connessi, abbiamo realizzato una politica mutualistica, così siamo riusciti a far pagare i provini, cosa che prima non accadeva, diamo avvocati e commercialisti gratis, proviamo a rendere più facile la vita dei colleghi».
Perché di tutto questo si sa così poco?
«Il pubblico non sa tante cose, per esempio che i protagonisti delle serie più famose, a cui tutti siamo tanto legati, hanno preso, al momento del loro primo ingaggio, stipendi bassissimi perché erano persone sconosciute. Poi sono diventate persone talmente celebri da non riuscire a girare liberamente per strada, ma hanno continuato a prendere sempre quello stesso stipendio. È noto che quando noi attori parliamo di compensi la reazione più comune somiglia a quella di quando parlano i calciatori "ma che volete voi che già siete pieni di soldi?". La nostra è una battaglia per chi è sfruttato. Non chiediamo una legge nuova, la legge c'è già, risale al '98».
Da ilfattoquotidiano.it il 28 ottobre 2022.
Il “corsivo” magari dà un’effimera notorietà. Ma evidentemente non dà da vivere. Così Elisa Esposito, che ha reso celebre sul web quella parlata strascicata (e fastidiosissima) presentandosi appunto come “la prof di cörsivœ”, in realtà si è creata da un anno la sua immagine sexy su OnlyFans, la piattaforma su cui mostrarsi (a pagamento) più o meno in déshabillé.
Ma ora attacca la piattaforma: “Distrugge psicologicamente, è un lavoro di m…”. E aggiunge: “Porta soldi ma toglie tutto il resto”. Non è evidentemente un periodo facile per lei. Le sue “lezioni” di corsivo sono diventate popolarissime, ma le hanno attirato le contumelie degli odiatori. Anche il rapporto con OnlyFans non dev’essere così sereno. Tanto che su un’altra piattaforma di più larga popolarità tra i giovani e i giovanissimi come TikTok ha pubblicato questo lungo messaggio.
Scrive Elisa: “Tutti dicono che OnlyFans sia una piattaforma in cui si possono pubblicare foto e video senza censura. Ovviamente chi si iscrive non è obbligato per forza a pubblicare quel tipo di contenuti, però comunque è nato per quello”. Ma che cosa la indispone? “Una cosa che mi dà troppo fastidio è quando le persone dicono: ma tanto è facile fare OnlyFans. No, non è come sembra. Le uniche cose facili di OnlyFans sono i soldi e fare l’iscrizione. Ma prima di farla pensateci su due volte, e anche di più”.
Insomma, cerca di dissuadere chi pensa di aver trovato una facile scorciatoia per fare soldi in fretta. E passo passo, così come nelle sue celebri lezioni di corsivo, spiega quali sono le insidie: “Una volta che effettui l’iscrizione devi mettere in preventivo diverse cose. La prima è che sicuramente, è un dato di fatto, perderai persone che non sono d’accordo con questa tua scelta. Ogni creator che ha Only Fans può confermare”.
Capitolo successivo: “La seconda è che prenderai insulti 24 ore su 24. Se non sei pronta psicologicamente a questo, non aprirlo. La terza è che verrai vista in modo diverso da tutti. Agli occhi di tutti, anche se sei la persona più santa del mondo risulterai una poco di buono”. E’ una scelta, spiega, che rischia di portare con sé uno stigma morale. Magari negli ambienti degli amici. Delle persone care, dei parenti.
Poi c’è il rischio non nascosto di fare brutti incontri: “Ormai ho OnlyFans da quasi un anno e vi giuro che psicologicamente vi distrugge. Porta soldi o cose, ma vi distruggerà tutto il resto. La scelta è vostra: o i soldi o la vera felicità. Tutto questo per colpa della gente che è davvero cattiva e frustrata”.
Intanto Elisa continua a condividere (ma non pubblicamente) i suoi scatti più casti su Instagram. Si presenta in bikini fucsia, sfoderando un fisico invidiabile. D’altronde i social sono le sua dimensione. Elisa vive a Milano e a fine 2020 ha aperto il profilo su TikTok con grande successo: quasi 800 mila follower e oltre 27 milioni di like, ai quali si aggiungono i 270mila follower su Instagram.
Ma proprio da quest’ultimo social era partita la rivolta contro la scelta di apparire su OnlyFans. Tanto che aveva tolto per qualche tempo l’immagine profilo: “L’ho fatto perché tante volte gli insulti iniziano ad essere pesanti, molto pesanti, soprattutto riguardo a OnlyFans”.
Elisabetta Canalis: «La mia nuova vita da combattente. Il lato luminoso della forza». Michela Proietti su Il Corriere della Sera il 2 Settembre 2022
La ex soubrette a un nuovo giro di boa: a Torino ha vinto il suo primo incontro di kickboxing. Contro una 21enne. E a 7 racconta: «C’è una nuova forma di bellezza, il corpo forte che combatte mi ha dato il controllo sul ring e fuori»
Elisabetta Canalis, 44 anni il prossimo 12 settembre, durante l’incontro di kickboxing vinto ai punti contro Rachele Muratori, a destra nella foto, 21 anni, alla Reggia di Venaria, Torino, lo scorso giugno (foto Gianluca Nidasi)
«Brava, però adesso smetti di combattere, perché così non sei più sexy. Non mi piace vederti fortissima, agguerrita, non ti si addice». A bordo ring, dopo la vittoria di kickboxing alla reggia di Venaria Reale, Elisabetta Canalis, 44 anni il 12 settembre, ha raccolto applausi e commenti. Tutti maschili. «Neppure una donna a dirmi: mi stai deludendo, stai cambiando troppo, non è questa l’immagine che ho di te», racconta Elisabetta, ex velina, soubrette, attivista per i diritti degli animali e ora a un nuovo giro di boa della sua vita, che l’ha portata a combattere sul ring e a vincere contro un’avversaria di 21 anni.
LA PASSIONE PER LO SPORT: UN PUGNO ASSESTATO ALL’IMMAGINARIO DI CHI L’HA SEMPRE VISTA COME LA DONNA DA METTERE IN VETRINA, QUELLA CHE PUÒ PARLARE DI CALCIO MA NON DARE CALCI
Figlia della buona borghesia di Sassari, ragazza da calendario, fidanzata del bomber, poi del divo, poi moglie di Brian Perri, un chirurgo (come il padre) di Los Angeles di lontane origini italiane, naturalizzata americana, mamma di Skyler Eva, sportiva e sexy, più a suo agio nelle palestre di L.A. che a qualche provino hollywoodiano (come molti avevano pronosticato). L’ultimo cambio d’abito è il più spiazzante: campionessa di kickboxing. Un pugno assestato all’immaginario di chi l’ha sempre vista come la donna da mettere in vetrina, quella che può parlare di calcio ma non dare calci. Un pugno, soprattutto, ai cliché che la vorrebbero eternamente un morbido sogno maschile. Una farfalla potente che si libera da un bozzolo patinato, guardata ora con curiosità da alcuni e applaudita da chi da tempo cerca di aprire la “definizione” di femminilità. Non più legata (solo) al potere della bellezza, bensì centrata sulla forza del proprio corpo in connessione con la mente.
ALESSANDRA CHIRICOSTA: «PLATONE TIRAVA DI BOXE, MA NESSUNO CE LO HA MAI RACCONTATO. QUANDO ERO INCINTA, RIUSCIVO A TRACCIARE SCIABOLATE PERFETTE»
«Anche io da filosofa quando ho iniziato a combattere sono stata vista come una chimera, a volte un innesto spaventoso: ma prima di mettermi in discussione mi sono ricordata che all’origine del nostro pensiero c’è il corpo. Platone tirava di boxe e nessuno ce lo ha mai raccontato, non ci hanno detto tante cose che potrebbero farci capire molte cose in più», racconta Alessandra Chiricosta, filosofa marzialista e docente in Gender Studies, imprevedibile compagna di viaggio di Elisabetta Canalis in questo racconto che esplora nuove frontiere di forza e bellezza.
ELISABETTA CANALIS: «HO SEMPRE USATO IL MIO CORPO PER LAVORARE, SE METTO UN BIKINI O UNA LINGERIE, STO LAVORANDO, TUTTO QUI. MA CHI MI CONOSCE BENE SA CHE LA VERA ELISABETTA È QUELLA CHE COMBATTE, CHE STA SUL RING E SI SPORCA»
Un dialogo tra due donne con due percorsi diversi che si sono ritrovate a un incrocio, quello di una nuova forza, che non significa rinunciare alla femminilità ma potenziarla attraverso un corpo che combatte: Elisabetta Canalis e Alessandra Chiricosta, ospiti domenica 11 settembre al Tempo delle Donne (in Triennale-Milano) per raccontare come si può combattere con il corpo e con il pensiero, iniziano qui su 7 una riflessione su cosa significa rompere gli schemi, anche salendo su un ring. «E se questo crea disagio a qualcuno è un suo problema», dice Elisabetta problema», dice Elisabetta Canalis. «Ho sempre usato il mio corpo per lavorare, se metto un bikini o una lingerie, sto lavorando, tutto qui. Ma chi mi conosce bene sa che la vera Elisabetta è quella che combatte, che sta sul ring e si sporca. Quella che si infila la t-shirt al rovescio e se ne accorge più tardi».
ELISABETTA CANALIS: «MIO MARITO DICEVA: “È BELLO CHE TI VEDA CON I LIVIDI?”. ORA È DALLA MIA PARTE, DECIDO IO COME VOGLIO ESSERE»
Decidere di usare la propria forza, fisica e mentale, è un percorso che richiede una maturazione?
Canalis: «Questa sicurezza l’ho acquisita dopo un po’ di anni, ho deciso di affiancare a una immagine che mi facevo corrispondere anche quella di una Elisabetta più reale. Oggi ho il potere di decidere come voglio essere. Anche io ho a casa un marito che quando tornavo dai test di krav maga (un’arte marziale, ndr ) con i graffi al collo e tremante mi diceva: “Secondo te è bello che veda mia moglie così”? Io gli rispondevo: “Supportami, tu vai a fare surf e non so neppure se tornerai vivo, perché è pieno di squali. Ho paura, ma mi interessa che tu sia soddisfatto”. Oggi Brian è il mio primo sostenitore, insieme a mia figlia, che quando ho vinto a Torino si è messa a piangere per l’emozione. Non permetto a nessuno di mettersi tra me e questo sport».
Chiricosta: «Dico sempre che mia figlia, oggi dodicenne, ha fatto kung fu intrauterino: quando ero incinta mi allenavo con la sciabola, non ho mai fatto forme così precise come in quel periodo, la pancia mi permetteva di disegnare sciabolate perfette. Oggi le insegno a combattere, perché è una forma di educazione che deve partire dai primissimi anni di vita, lo dico anche nei miei corsi di autocoscienza combattente».
Perché a un certo punto si decide di combattere?
Chiricosta: «Perché è divertente! Non certo per dimostrare qualcosa: deve essere un piacere sano che va contro le narrazioni tossiche».
Canalis: «Quando sferri un colpo dimentichi il genere, l’età: ci sono solo due forze, due strategie, una contro l’altra. È vero quello che dice Alessandra: combattere è divertente, io torno indietro ai miei 8 anni. Uno dei miei coach spesso mi chiede: perché ridi quando sei sul ring? La risposta è che mi diverto: se prendo un colpo la prima cosa che mi viene è una risata, mi sento buffa».
Chiricosta: «Un mio maestro vietnamita mi diceva: “Una lezione in cui non si è riso almeno una volta è una lezione persa”. Che poi significa conoscersi, riflettere bene su cosa dice di me quel colpo: combattere significa entrare in un gioco di danza con gli altri, capire come sei fatta, canalizzare l’energia... Per quanto mi riguarda ho dovuto rompere un altro importante stereotipo: quello di intellettuale razionale e persona che agisce con il corpo e lo sa fare bene».
ELISABETTA CANALIS: «LA MIA ETÀ NON È UN LIMITE, NEPPURE LE MIE SPALLE LUSSATE O I PROBLEMI ALLA SCHIENA. POSSIAMO AZZERARE IL VITTIMISMO»
Cosa vi ha insegnato il combattimento?
Canalis: «Grazie a questo sport sto capendo tanto di me stessa, ho imparato a modulare la mia “cazzimma”, caratteristica di noi sardi: prima quando combattevo ci mettevo stizza, quasi rabbia, poi ho imparato a controllarla e questo mi ha portato a un atteggiamento più equilibrato anche fuori dal ring. Sono più consapevole e controllata, ma in senso positivo, non frenata. Avere più padronanza del corpo mi ha fatto sentire più sicura anche in alcune situazioni di vita quotidiana: mi spavento molto meno se devo portare in giro il cane la notte o posteggiare in un parcheggio sotterraneo, senza però avere un atteggiamento remissivo. L’importante è azzerare il vittimismo che contribuisce a portare le donne a essere dominate dagli uomini: vorrei evitare quel pregiudizio per il quale le donne sono vittime naturali e predestinate».
ALESSANDRA CHIRICOSTA: «NON C’È NULLA DI PIÙ PERICOLOSO IN NATURA DI UNA TIGRE CHE HA APPENA PARTORITO I FIGLI: MATERNITÀ E ISTINTO DI DIFESA NON SI CONTRADDICONO»
Chiricosta: «Giusto Elisabetta, anche perché non c’è nulla di più pericoloso in natura di una tigre che ha appena partorito i figli: maternità e istinto di difesa non si contraddicono. Questo non significa non riconoscere quando una donna ha invece subìto violenza, o negarla. Quando organizzo i corsi nei centri antiviolenza faccio sempre un paragone con il fiore di loto: per essere la meraviglia che è deve avere una piccola ferita e pescare nel torbido, perché c’è la possibilità di guarire e trasformare. La risposta deve essere anche culturale, sociale e politica: l’eterna rappresentazione della vittima genera un piagnisteo poco costruttivo».
ELISABETTA CANALIS: «LA FORZA FISICA È UNA PARTE DELLA COSTRUZIONE SOCIALE DELLA VIRILITÀ, PER CUI GLI UOMINI SI SENTONO SFIDATI IN CASA, VEDONO IN PERICOLO LA LORO IDENTITÀ: ACCETTARLA È UNO SFORZO INCREDIBILE, LO CAPISCO, MA SI DEVONO ADEGUARE»
Quanto questa nuova immagine di donna combattente può mettere a rischio la femminilità e la popolarità?
Canalis: «Per molti uomini è irritante vedere donne che praticano sport maschili. La forza fisica è una parte della costruzione sociale della virilità, per cui gli uomini si sentono sfidati in casa, vedono in pericolo la loro identità: accettarla è uno sforzo incredibile, lo capisco, ma si devono adeguare. Quando ho iniziato il mio percorso credevo non fregasse nulla a nessuno di quello che stavo facendo e non capisco neanche la grande reazione che c’è stata, ma mi fa piacere. Se ce l’ho fatta io, ce la possono fare altre donne, la mia età non è un limite, non lo sono neppure le mie spalle lussate o i problemi alla schiena. Ma soprattutto non è un limite l’immagine che di me posso restituire. Quando mi dicono “non credi che questo sport così violento e aggressivo finirà per danneggiare la tua immagine”, allora sai che cosa mi scatta dentro? Che lo farò dieci volte di più».
Chiricosta: «Una praticante celebre porta meravigliosamente il messaggio. L’esperienza di Elisabetta ci sta illuminando su un aspetto del combattimento, che è una nuova presentazione di sé stesse alla società, un contributo che smonta il luogo comune. Non ci saranno più in futuro bambine che penseranno di essere escluse da un certo tipo di sport, ad esempio. Ma lo sapete che nella antica Roma esistevano le gladiatrici?». (continua a leggere dopo il sommario e i link)
LA NONA EDIZIONE DEL ‘TEMPO DELLE DONNE’, FESTA-FESTIVAL DEL CORRIERE DELLA SERA, SI SVOLGE IN TRIENNALE (A MILANO) E IN STREAMING SU CORRIERE.IT IL 9, 10, 11 SETTEMBRE
Pierre de Coubertin, dirigente sportivo, pedagogo e storico francese, fondatore dei Giochi Olimpici moderni, a cui è attribuita la famosa frase “l’importante è partecipare”, pensava che il corpo delle donne sotto sforzo fosse inguardabile e riservava a loro solo il ruolo di cingere con l’alloro il collo dei campioni maschi.
Canalis: «Mi fa tornare in mente un aneddoto del passato, quando Giampiero Mughini, scherzando, diceva che l’unico sport femminile che guardava con piacere era la pallavolo, perché le atlete hanno i pantaloncini corti ...».
Chiricosta: «Combattere significa anche questo, essere altro dall’oggetto dello sguardo. Se ti “deifico”, ti tolgo di soggettività, non esisti fuori da me e dalla mia interpretazione. Sono stanca di agire sempre in risposta, io ho un mio progetto forte, che si sviluppa non come reazione».
Canalis: «Non tutte abbiamo la stessa forza. Alcune colleghe mi hanno detto: “Tu parli perché sei sicura di te stessa. Ma noi ancora ci sentiamo condizionate da giudizi maschili che ci dicono non dimagrire, non ingrassare”. Di questo atteggiamento ho compassione, che è un qualcosa che va oltre l’arrabbiarsi».
Combattere significa lottare contro il maschio alfa e i suoi desideri?
Canalis: «No, piuttosto è l’affermazione di un tipo diverso di virilità che conduce a una consapevolezza, secondo me, liberatoria: che anche gli uomini non devono nascondere le loro insicurezze».
Chiricosta: «Tempo di sciogliere un nodo, non si deve sempre agire nel solco di un femminismo reattivo. Bisogna fare qualcosa che ci piace al di là del dover “dimostrare”. Come combattere».
Nicola Balice per corriere.it il 19 giugno 2022.
La prima volta non si scorda mai. Ed Elisabetta Canalis, questa prima volta sul ring, difficilmente potrà dimenticarla. Non tanto e non solo per i colpi presi ma soprattutto dati. Ma perché il match di kickboxing combattuto nell’elegantissima Reggia di Venaria Reale è un evento che va oltre. Anche il concetto di paura.
Dopo quattro anni di allenamento con un coach come l’ex campione del mondo Angelo Valente, la prima volta è durata 3 round da 90 secondi. Può sembrare poco solo per chi su un ring come questo non c’è mai salito. E alla fine sono solo sorrisi smaglianti, non perché abbia vinto al termine di un match vissuto tutto all’attacco («Tira piano, non lo ripeto più», ha dovuto redarguirla l’arbitro).
Ma proprio perché sul ring, Elisabetta, c’è salita: «Sono tornata, al cento per cento», ha dichiarato al termine dell’incontro. Che l’ha vista completamente a suo agio: «È stato molto divertente», ammette. Dopo aver stupito tutti per disinvoltura e aggressività: «Sembravo una iena? Ma no, è che avevo fame, quando ho fame sono sanguigna», scherza.
Il match
D’altronde le prime parole sussurrate all’avversaria appena tolto il paradenti sono state di conforto, consapevole di non essersi risparmiata per nemmeno un secondo: «Tutto bene, sì?». Forse non troppo per Rachele Muratori, a sua volta debuttante con un solo anno di allenamenti alle spalle, ma che a 21 anni e al secondo anno di università (studia Lingue) sogna invece di seguire le orme di Elisabetta, con l’obiettivo di diventare una fashion influencer e di entrare nel mondo della moda.
La prima volta di Elisabetta è avvenuta all’interno dell’evento «The night of kick and punch-Black tie edition», un nome che spiega chiaramente il contesto. Non poteva forse essere diversa la cornice, suggestiva oltre che bellissima, la Citroniera progettata da Filippo Juvarra all’interno della Reggia.
Attorno al ring decine di tavoli da notte di gala, nella lunga serata sono stati messi in palio anche due titoli italiani e altrettanti mondiali. Eppure gli occhi di tutti non potevano che essere per l’ex velina: in sala tanti smoking e abiti lunghi, per lei parastinchi, pantaloncini, guantoni, caschetto e paradenti. Volano calci e pugni, combatte, combatte per davvero, non si tira indietro. Anzi attacca, fin dal suono della campanella, è lei ad affondare i primi colpi pesanti. Fino alla vittoria ai punti.
La famiglia al seguito
Non era sola comunque, presenti tanti amici, insieme al marito Brian Perri e alla piccola Skyler Eva: per loro i primi baci e abbracci, non poteva essere diversamente. C’era anche Federica Fontana, ring announcer per l’occasione, ma soprattutto tifosa di Elisabetta: «Una grande amica, una grande donna. Che effetto mi fa stare su un ring? Provo paura, provo molta paura», racconta lei.
Che pure già da un po’ sta subendo il pressing di Canalis per seguirla in questa folle avventura: «Non ci si può improvvisare, sono qui per imparare e supportare. Un appuntamento per provare comunque già l’ho preso», ha spiegato Federica. Mentre Elisabetta chissà, magari pensa già a una seconda volta: «Facciamo la prima e poi vediamo», raccontava nei giorni precedenti al match. A vedere quanto si è divertita, forse ci sarà davvero. Intanto la prima volta, di sicuro, non la scorderà mai.
Da ilmessaggero.it il 15 febbraio 2022. Non si placano le polemiche sullo spot promozionale di Elisabetta Canalis «La mia Liguria», andato in onda durante il Festival di Sanremo 2022. La showgirl sarda, come ha riferito il presidente della Regione Liguria Giovanni Toti rispondendo a un'interrogazione in Consiglio regionale del capogruppo Ferruccio Sansa (Lista Sansa), è stata pagata 100 mila euro per fare da testimonial.
Elisabetta Canalis e lo spot «La mia Liguria»
«Lo spot ha avuto un ascolto medio di 10 milioni di telespettatori, è andato in onda per la prima volta al Festival di Sanremo nell'ambito di una campagna promozionale complessiva del valore di 204 mila euro che andrà avanti tutto l'anno con ulteriori passaggi su più emittenti, comprensiva di registrazione di due spot, testimonial, diritti, due campagne stagionali, ricerca dei personaggi di pubblico rilievo. - sottolinea Toti - È stata individuata come primo testimonial Elisabetta Canalis per un importo complessivo di 100 mila euro. Questi costi parametrati al pubblico che ha visto il Festival di Sanremo valgono lo 0,01% per contatto, una delle campagne pubblicitarie migliori che ricordo nella mia ventennale esperienza nelle tv commerciali».
«La Liguria sceglie un sardo che parla da Los Angeles per promuovere la Liguria e lo paga 100 mila euro - polemizza Sansa - Presidente mi perdoni, ma l'aspetto logico lo colgo solo nella scelta della Canalis di prendersi 100 mila euro». «L'idea di base è che non solo un ligure può apprezzare le bellezze della Liguria, altrimenti avremmo un turismo autarchico. - replica Toti - Siccome Canalis è stata protagonista di un Festival di Sanremo, si tendeva a proporre un'idea dei ricordi che restano parte del proprio bagaglio di esperienze personali in Liguria, anche vivendo ormai lontani dalla nostra Regione».
Dagospia l'1 marzo 2022. Riceviamo e pubblichiamo: Grazie a una nostra interrogazione Giovanni Toti ha dovuto ammettere che i due spot con Elisabetta Canalis sono costati oltre 240mila euro (IVA compresa).
Ecco le diverse voci:
1. Euro 120mila per il compenso della Canalis
2. Euro 70mila per la produzione dello spot
3. Euro 55mila per "la ricerca del personaggio di pubblico rilievo".
In totale fanno oltre 240mila euro per 60 secondi. Per la cifra record di 4mila euro al secondo per vedere una soubrette sarda che parla di Liguria dalla sua casa di Los Angeles.
Aggiungiamo una domanda cui Toti non ha risposto: per realizzare i video è stato scelto come "consulente progettuale" Pietro Pisano. Il signor Pisano è addetto stampa dell'ospedale pubblico San Martino e (nessuno pare si sia mai posto la questione di opportunità) del gruppo Montallegro, re della sanità privata ligure e finanziatore della campagna elettorale di Toti.
Domanda: in base a quali criteri l'addetto stampa del nostro maggiore ospedale è stato scelto come consulente per realizzare il video della Canalis? Quanto è stato pagato?
Attendiamo risposte
Ferruccio Sansa, Consigliere regionale della Liguria
Chiara Maffioletti per il “Corriere della Sera” il 3 luglio 2022.
Sono sei anni che Elisabetta Gregoraci conduce «Battiti Live» (al via martedì su Italia 1, per cinque prime serate che la vedranno sul palco con Alan Palmieri) eppure ne parla come di «un sogno che si realizza».
Non è una frase fatta. «Quando ero una bambina i programmi musicali erano i miei preferiti - racconta -. Li seguivo in famiglia, con mia mamma, papà e la mia sorellina, mangiando un ghiacciolo in veranda, nelle calde serate calabresi».
Si sognava cantante?
«No, piuttosto ballerina. Ma con mia sorella, mentre guardavamo quelle trasmissioni, canticchiavamo le canzoni, ci divertivamo. E io, appunto, sognavo di essere sul palco a condurre».
Obiettivo raggiunto.
«Quest' anno siamo tornati alla formula itinerante (si parte da Bari, ndr .), davanti a 10 mila persone... ne avevamo bisogno: per reggere quattro ore di diretta serve il supporto del pubblico. Per fortuna ho iniziato presto questo lavoro: in Calabria conducevo le serate dei concorsi grazie ai quali ero diventata miss Calabria e miss Sorriso. Avevo 17 anni, ho imparato molte cose».
La gavetta quindi serve? Anche nell'era dei social, in cui si diventa famosissimi senza mai salire su un palco?
«La gavetta, gli eventi dal vivo, ti danno sicurezza. Servono a non farti prendere dal panico di fronte a qualche intoppo, che non manca mai, o anche solo davanti a così tanta gente: ancora adesso poco prima di salire sul palco penso a chi me lo ha fatto fare, poi vinco la paura e mi diverto».
Quale «intoppo» ricorda?
«Durante una puntata di "Battiti" dovevo introdurre una cantante che era rimasta bloccata in ascensore. Non arrivava più, così abbiamo stravolto la scaletta al momento».
Suo figlio ha iniziato ad andare ai concerti con gli amici?
«Da solo? Non se ne parla, ha 12 anni. Però viene dietro le quinte di "Battiti" e lo vedo chiacchierare con i cantanti, mi fa piacere. Anni fa mi ha stupita quando, senza dire nulla, ha preso il microfono ed è andato sul palco a parlare col pubblico... certo non è timido. Però ai concerti deve andarci ancora con mamma».
Lei e il suo ex marito Flavio Briatore sembrate in ottimi rapporti: non è sempre detto.
«Sì, in tanti mi chiedono come ci siamo riusciti. Abbiamo cercato da subito un equilibrio pensando a nostro figlio. A volte è difficile: un po' cedo io, un po' cede lui, non è tutto perfetto e ovviamente si discute. Ma in generale posso dire che sì, siamo riusciti a stabilire un ottimo rapporto».
Ha fatto parlare una foto che avete condiviso in cui ci siete voi due con due storiche ex di Briatore: Naomi Campbell e Heidi Klum.
«C'è una bellissima amicizia tra tutti noi e posso dire che c'è sempre stata. Quella immagine nasce semplicemente perché avevo portato mio figlio al Gran Premio di Montecarlo, lì ci siamo ritrovati tutti e abbiamo scattato questa foto».
Solo su Instagram la seguono quasi due milioni di persone.
«I social ti danno tanto: hai un contatto immediato con le persone, senti il loro affetto. Ma come non si improvvisa il lavoro sui social, non si può improvvisare nemmeno quello che si fa in tv. Serve grande intelligenza e preparazione».
Ama anche la recitazione.
«Molto, specie se mi mette alla prova, se no evito. Ho fatto film molto belli e impegnativi, in cui mi invecchiavano, imbruttivano ed era quello che mi piaceva: essere diversa da come ci si sarebbe aspettati.
Anche se avverto un po' di pregiudizio. Anche Calopresti, con cui ho girato un film bellissimo come Aspromonte - La terra degli ultimi , mi diceva, quasi sconsolato: certo, tu sei proprio tanto famosa... avverto che non sempre è un bene, anche se poi, alla fine, penso di aver fatto dei bei ruoli e di essere riuscita anche a riempire qualche sala grazie alla fama».
E' sulla torre e deve scegliere: condurre Sanremo o recitare in un film che lascia tutti a bocca aperta.
«Scelgo il film. Vorrei fosse drammatico o super adrenalinico. Dopo tutto lo sport che ho fatto mi vedrei bene in un film tipo Soldato Jane ».
Nino Luca per video.corriere.it il 5 settembre 2022.
Alla 79esima edizione della Mostra del Cinema un debutto tanto interessante quanto atteso. Elodie fa il suo ingresso nel mondo del cinema in «Ti mangio il cuore» di Pippo Mezzapesa (attualmente impegnato sul set della serie, la prima del regista, sul caso di Sarah Scazzi), in concorso nella sezione ‘Orizzonti’.
La cantante, che non si sente una Diva, anzi non esistono più, parla della sua prima scena di nudo su un set: «Nessun imbarazzo. Ho da sempre un rapporto sereno con il mio corpo. Un seno è un seno. Ce l'ho io come lei, sono abbiamo ghiandole diverse. È da un po' che penso alla possibilità di fare un'esperienza come attrice, ma attendevo la magia, qualcosa che mi colpisse. Mi sono innamorata di questo progetto, da parte mia è stato pretenzioso accettare ma è stata per me un'occasione profonda, distante da quello che faccio».
Non si limita al cinema Elodie e risponde anche alle domande di politica: «So già chi votare. So anche chi non votare. Hillary Clinton ha detto che una donna premier è già una cosa buona? Non sono d'accordo. L'unico pregio della Meloni è che è determinata». Arso dal sole e dall'odio, il promontorio del Gargano è conteso da criminali che sembrano venire da un tempo remoto governato dalla legge del più forte. Una terra arcaica da far west, in cui il sangue si lava col sangue.
A riaccendere un'antica faida tra due famiglie rivali è un amore proibito: quello tra Andrea (Francesco Patanè), riluttante erede dei Malatesta, e Marilena (Elodie), bellissima moglie del boss dei Camporeale. Una passione fatale che riporta i clan in guerra. Ma Marilena, esiliata dai Camporeale e prigioniera dei Malatesta, contesa e oltraggiata, si opporrà con forza di madre a un destino già scritto. «Cominciare con un ruolo così complesso non è da tutti, è stata coraggiosa», ha detto il regista Pippo Mezzapesa, «ma posso dire che è nata una diva». Completano il cast Tommaso Ragno, Francesco Di Leva, Michele Placido e Brenno Placido. ´Ti mangio il cuore' arriva nelle sale dal 22 settembre con 01 Distribution e dal 2023 sulla nuova piattaforma Paramount+
Estratto dell’articolo di F. Cap. per “La Stampa” il 5 settembre 2022.
(…) Nelle ultime settimane ha duettato via social con Giorgia Meloni, prendendo una posizione chiara. Che cosa si augura che succeda con le prossime elezioni?
«Penso che, prima di fare politica, bisognerebbe interessarsi dei diritti delle donne, delle comunità Lgbt, dei profughi, dei più fragili, ho l'impressione che la Meloni sia stata strumentalizzata, che abbia una certa confusione sui temi fondamentali della vita.
È brutto vedere che ci sia stato proposto un modello maschile, patriarcale, con la voce di una donna. Non voglio farmi etichettare, confesso che, ad esempio, non ho mai votato Pd.
Indipendentemente da come andranno le cose, credo, però, che anche i cattivi esempi possano poi diventare buoni esempi, magari faremo un giro un po' più largo, ma poi raggiungeremo gli obiettivi importanti, sono ottimista. Sul fronte Lgbt si sono fatti passi tanti passi avanti, oggi anche in terza elementare si parla di fluidità, anche se, certo, ci sarà sempre chi la pensa diversamente». (…)
Secondo lei in che modo le ragazze di oggi vivono il femminismo?
«Ho tante amiche con cui ho rapporti importanti, donne che stimo e che mi stimano, per esempio Diletta Leotta, e poi mia madre, mia sorella. Certe volte, tra donne, il confronto è difficile, io, per esempio, sono spesso irruenta, credo però che stiamo iniziando a vederci non più come nemiche, adesso tante cose sono cambiate, siamo diventate autonome, indipendenti, tanto che gli uomini si spaventano se hai il conto in banca, infatti io spesso dico "fai finta, fai come se avessi il pisello, così questo problema non ce l'hai"».
Estratto dell’articolo di Gloria Satta per “il Messaggero” il 5 settembre 2022.
«Scritturare Elodie era un'idea pazza, ma lei è la più pazza di tutti e ha detto subito sì», racconta Pippo Mezzapesa che ha diretto la cantante romana nel film Ti mangio il cuore, applauditissimo ad Orizzonti e atteso in sala il 22 settembre (da gennaio 2023 sulla piattaforma Paramount +). (…)
Lei ha attaccato Giorgia Meloni dicendo che il suo programma le fa paura.
«Mi dispiace che, pur essendo una donna, veicoli un modello patriarcale. Esiste una soglia minima dei diritti oltre la quale non si dovrebbe mai andare. Ma io non ho etichette politiche: non ho mai votato Pd e se ci fosse un candidato di destra con idee interessanti sarei disposta a votarlo».
Un artista deve esprimersi su temi sociali e politici?
«Io ragiono da cittadina e sono un'istintiva. Penso che parlare sia fondamentale, amo il confronto. E sono sconvolta dalle critiche sessiste, destinate a svalutarmi, che accolgono il mio desiderio di partecipazione».
Ha fatto pace con i social che le stanno addosso?
«Io sono sempre me stessa. Mi interessano le critiche costruttive, del chiacchiericcio chi se ne frega».
Esiste la sorellanza?
«Tra noi donne c'è ancora tanta rivalità, astio, perché continuiamo ad appoggiarci alla visione che gli uomini hanno di noi. Non facciamo squadra... essendo irruenta, a volte ho un rapporto complesso con le mie amiche, ma ne ho tantissime e le adoro. Smettiamola di sentirci nemiche».
E i maschi?
«Sono spaventati dalle donne indipendenti. Quando un uomo ha paura del mio conto in banca gli dico: fai finta che abbia il pisello».
Estratto dell’articolo di Arianna Finos per “la Repubblica” il 5 settembre 2022.
«Fumo una sigaretta? Tra tutti i vizi mi pare il più accettabile, così me lo tengo», sorride Elodie, l'espressione buffa e il corpo mozzafiato avvolto a intermittenza da un bell'abito nero. Alla Mostra, sezione Orizzonti, accompagna Ti mangio il cuore , film che Pippo Mezzapesa ha tratto dal libro-inchiesta di Carlo Bonini e Giuliano Foschini, trasformandolo in un romanzo western, storia di vendette e passioni in una Puglia - siamo sul promontorio del Gargano - rurale e atavica, fotografata in bianco e nero.
L'amore proibito che si consuma tra il figlio di un boss (Francesco Patanè) e la moglie del latitante capo di una famiglia rivale (Elodie), rompe la tregua tra i Malatesta e i Camporeale, dando il via a un'inesorabile crescendo di efferati delitti. (…)
Ha avuto un passato difficile, con il quale, anche rispetto ai suoi genitori, ha fatto pace?
«Sì, ho fatto pace perché in realtà è anche stata, diciamo, croce e delizia. Ma mi ha reso quel che sono, mi dato la visione della vita che ho oggi. Non sarei qui. Avrei voluto crescere più serena, ma allo stesso tempo sto vivendo la mia infanzia adesso».
Finalmente spensierata?
«Sì, abbastanza spesso. È la mia fortuna ma anche una pecca - perché viene scambiata per egoismo - la determinazione a volermi vivere tutto: nessuno si deve mettere in mezzo tra me e la mia libertà, tra me e le mie scelte, neanche Dio, se esiste. La vita è una e sento di volerla vivere ogni giorno, con istintività».
I momenti difficili che ha vissuto sono però diventati un serbatoio dal quale attingere emozioni da portare sul set?
«Sì, un serbatoio a cui attingo: in questo personaggio ci ho messo la mia vita, le mie esperienze. È una vicenda distante da me ed è così dolorosa che posso solo immaginarla. Però, nel mio piccolo, le cose che mi sono successe nella vita le ho messe lì. È stato un po' catartico: ho tirato fuori la rabbia, la frustrazione. Anche solo nell'essere donna in una società patriarcale, cosa che mi crea insofferenza, che mi fa arrabbiare. Ho sfogato anche determinate frustrazioni».
Sullo schermo la sua è una presenza forte. Cosa ha pensato rivedendosi?
«Sono molto critica con me stessa. Ma nella mia interpretazione ci ho visto l'onestà e mi piacerebbe continuare. Non vedo l'ora di far vedere il film alla mia famiglia, allargata e non».
Parlando di politica, è ottimista rispetto al futuro del paese?
«Voglio essere ottimista. Penso d'altra parte che, anche se ci fossero forzature da parte di una certa forza politica andata al governo, che la generazione Z, che è quella a cui appartengo, sarebbe pronta a non farsi mettere i piedi in testa, in materia di diritti. Su certe cose non si potrà tornare indietro»
Dagospia il 14 luglio 2022. Da La Confessione
"Marracash è la persona che amerò di più in tutta la mia vita. Un prossimo fidanzato non sarà contento di questo? Tanto non sarà mai all'altezza". Elodie, ospite del finale di stagione de La Confessione di Peter Gomez, domani alle 22.45 su Nove, non si nega nel rispondere alle domande sulla relazione con l'ex (?) compagno, il rapper Marracash. Anzi.
Prima racconta come sia stato proprio lui a convincerla che fosse un bene non nascondere più le sue origini, a spingerla a raccontare da dove venisse. "E' rimasto molto affascinato da me come essere umano perché ero diversa da quello che facevo vedere in tv - spiega la cantante romana di origini creole - Mi diceva: 'La tua storia in realtà è un punto di forza'. Io, però, avevo ancora molta paura della critica, cosa che oggi ho sempre meno. - prosegue l'ex finalista della 15 esima edizione di Amici - Fabio tuttora è una persona molto importante per me. Se ho bisogno di un parere, se ho un'idea, un dubbio, spesso mi confronto con lui".
"Allora parliamo sempre di Marracash - insiste il conduttore - 'Nessuno mi ha mai fatto l'effetto che mi ha fatto lui. È animalesco', ha detto lei una volta. Adesso me la spiega. 'Animalesco' in che senso?", domanda Gomez. "In realtà ho detto che lui è entrambe le cose: - racconta l'artista che è stata vista in prima fila al live di Marracash allo Stupinigi Sonic Park a Torino pochi giorni fa - È un uomo. Ha una silhouette elegante, ha sia l'eleganza che un animo animalesco. E' tante cose, è difficile spiegare Fabio (Fabio Bartolo Rizzo è il vero nome del rapper milanese, ndr), questa è la verità, è molto difficile. Però la cosa che mi piace è nello sguardo di una persona che non è mai...", dice Elodie lasciando in sospeso la frase con aria sognante tanto che il direttore de Ilfattoquotidiano.it chiede:
"Lei ne sta parlando in una maniera... Io glielo devo dire, ma non è che siete ancora un po' innamorati?". "Io sono innamoratissima ovviamente, è la persona che amerò di più in tutta la mia vita sicuramente ed è una grande fortuna. - risponde sicura l'artista, che vedremo nel film 'Ti mangio il cuore' di Pippo Mezzapesa - Non è detto che capiti. Io l'ho capito adesso cos'è l'amore
Francesca Galici per ilgiornale.it il 15 luglio 2022.
Elodie torna a parlare di Giorgia Meloni e lo fa incalzata da Peter Gomez nel programma La confessione, in onda sul Nove. La cantante sarà l'ultima ospite di questa stagione del programma nella puntata che andrà in onda questa sera a partire dalle 22.45. Stando alle anticipazioni riportate da il Fatto quotidiano, nel corso dell'intervista il giornalista ha stuzzicato la cantante sul tema politico, ben consapevole dell'orientamento di pensiero della cantante, che non si è lasciata sfuggire l'occasione, parlando di "fascismo" in riferimento a Giorgia Meloni.
Durante la chiacchierata, che solitamente nel programma di Peter Gomez si svolge per temi, il conduttore ha mostrato a Elodie una foto di Giorgia Meloni, e la cantante, senza farselo ripetere due volte ha attaccato: "La verità? Io non capisco... Non ha delle cose più importanti da fare? Gestire un Paese, fare delle cose anche più burocratiche che stare a decidere cosa è giusto e cosa è sbagliato per le persone? Non sta a te, non sei Dio, non ti ci avvicini neanche a Dio se dovesse mai... Ovviamente magari esiste, non lo so...".
Il riferimento è al comizio della leader di FdI in Spagna, che già era stato criticato da Elodie, che non si esime dal menzionare il fascismo nel discorso incentrato sulla leader di Fratelli d'Italia: "È questo che a me disturba di più. Cioè, del fascismo è questo che mi disturba. Possiamo avere idee diverse, vedere la vita in modo diverso, ma non c'è bisogno con tutto quel livore, quella cattiveria... Incazzata... La lobby... Stai calma". Quindi, Elodie si spinge perfino a dare un consiglio a Giorgia Meloni su come fare politica: "Posso capire che dici: 'Ma io sono lontana da quella vita lì...', però non te ne frega un cazzo. Ci sta, ok? Non è che poi dobbiamo per forza... Cioè, non è che viviamo nella montagna del sapone. Ognuno ha la sua vita, il suo modo di vedere le cose. Però ci sono modi e modi di dire, di parlare e di fare politica. Non credo che sia questo il modo giusto".
Quindi, Elodie chiude il concetto con una spennellata di idealismo: "Dovremmo, anzi, cercare di capire come convivere tutti insieme nelle nostre diversità". E sul perché Giorgia Meloni sia ora il partito più apprezzato dagli italiani, come dimostrano i sondaggi, Elodie ha una sua personalissima visione: "La gente ha paura, ha tanta paura, perché non ha il coraggio di fare un passo verso gli altri. Quindi è molto più semplice additare, sfogarsi, incazzarsi col prossimo per le frustrazioni che però non riguardano molto la vita degli altri. Riguarda sempre il nostro modo di vivere". Quindi, ha concluso: "È molto più facile dire: stronzi, vaffanculo, te sei nero, te sei gay... Mi dispiace, perché è veramente una perdita di tempo enorme".
Non è la prima volta che Elodie attacca la leader di Fratelli d'Italia, in passato ha puntato in dito anche contro Matteo Salvini, com'è avvenuto al gay pride di Roma. E Peter Gomez ha colto la palla al balzo per ottenere nuove dichiarazioni.
Elodie, contro Meloni e Salvini: quando la musica non basta per farsi notare. Francesca Galici il 27 Giugno 2022 su Il Giornale.
Attacchi contro Matteo Salvini, la Lega e Giorgia Meloni da parte della cantante romana che così fa breccia sul pubblico buonista
Da qualche tempo, la cantante Elodie è beneficiaria di una straordinaria attenzione da parte dei media, che in pochi capiscono. Certo, non si può negare che sappia cantare, ci mancherebbe, ma di certo non è 'sta grandissima voce della quale l'Italia non può fare a meno. Eppure, la cantante romana originaria del popolare quartiere del Quartaccio, viene osannata come la nuova Madonna. E scegliete voi quale delle due si intende, vista la devozione che la circonda. Elodie è entrata nelle grazie del pubblico che conta, quello che fa più rumore: la lobby dei buonisti e dei paladini del politicamente corretto, che sui social hanno il dominio totale.
È stata furba in questo, c'è da ammetterlo, perché è andata a far leva con forza sui temi che scuotono maggiormente quella comunità, fatta prevalentemente di giovani alla ricerca del proprio idolo da venerare e innalzare a semi-Dio. Elodie ha innalzato il livello, perché ormai sono tutti bravi a professarsi paladini del politicamente corretto, dei diritti Lgbt+, amanti della schwa e tante altre belle cose "cool", ma lei è andata oltre e ha puntato direttamente l'obiettivo grosso: i leader politici più invisi da quella comunità. Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono finiti nel mirino di Elodie, come già erano finiti in quello dei Ferragnez qualche mese prima, per dire. La cantante romana è un'ottima stratega e ha ottenuto l'attenzione di quelli che passano le loro giornate a insultare i due leader sui social, tra bandierine arcobaleno e inviti alla pace. Perché la coerenza non è mai di casa da quelle parti.
"Indegni, siete omotransfobici" E Elodie sbraita contro la Lega
Chiamata come madrina del Pride di Roma, Elodie durante la sua presentazione che fa? Attacca Matteo Salvini. Copione abbastanza scontato di questi tempi, che in quel contesto le ha fatto racimolare facili consensi. Una risposta volpina, la sua, che a pensar male si direbbe perfino studiata: "Non vorrei aprire il discorso Salvini, però quando leggo determinate cose, quando devo sentire determinate cose, mi sembra veramente assurdo. Certe cose non vorrei proprio sentirle perché stiamo parlando della base, della correttezza, di essere un essere umano corretto". Non certo il primo attacco contro la Lega da parte della cantante, che ha definito i suoi eletti "indegni".
Vista l'acclamazione ricevuta parlando di Matteo Salvini, Elodie pochi giorni fa (dopo il successo al primo turno di Fratelli d'Italia), è entrata a gamba tesa anche su Giorgia Meloni: "Vedo una donna molto arrabbiata, mi dispiace per lei". Poi ha aggiunto: "Io pure sono arrabbiata, ma vado in terapia e non la sfogo sugli altri". Una strategia comunicativa che porta i suoi frutti, visto che di Elodie si parla soprattutto quando esterna certe dichiarazioni, piuttosto che per la sua musica. Bella, ci mancherebbe, ma evidentemente poco incisiva se ha bisogno di certi trucchetti per farsi notare.
Parla Elodie: «Io sono figlia mia. Marracash? L’essere che più mi ha agitato, tra paura e desiderio». Luca Mastrantonio su Il Corriere della Sera il 24 Giugno 2022.
Intervista a Elodie, tra rabbia, orgoglio e amore. «Per capire cosa è giusto o sbagliato devi sbagliare. La mia famiglia? A volte la amo di più, a volte di meno. Marracash? Acciuffarci è stato difficile, difficilissimo».
Elodie Di Patrizi è nata nel 1990 a Quartaccio, periferia di Roma ovest.
Da piccola andava con il padre, Roberto, che suonava in strada, vicino al Pantheon. C’era anche la madre, Claudia, cubista di origini caraibiche, che girava con il cappello, e la sorella, più piccola di tre anni, Fey.
Dal Quartaccio al centro della Capitale sono circa 7 chilometri, in linea d’aria. Oggi la distanza è la stessa, ma l’aria per Elodie è cambiata, e al cuore di Roma, fino al Colosseo, ci è arrivata da madrina del Pride, facendo ballare il popolo arcobaleno al ritmo della sua recente hit Bagno a mezzanotte («Uno, due, tre alza, il volume nella testa...»).
La nostra regina delle classifiche, per biografia e indole, è una paladina naturale di chi reclama diritti uguali per tutti. La sorellanza, ad esempio, per Elodie non è un concetto astratto, perché l’ha sperimentata sulla sua pelle, con la sorella, in una famiglia con problemi vari (anche di tossicodipendenza) e in un quartiere difficile, dove se la sono cavata da sole. Per difendersi dai bulli ha imparato a fare la bulla, il suo femminismo è dal basso.
L’istinto protettivo, verso sé stessa e i più deboli, ha temprato il carattere e indurito, ma senza sciupare, un viso dalla bellezza magnetica per il mix di fascino e determinazione. Gli occhioni da cucciola non fanno prigionieri né sconti e nessun sorriso è regalato.
La incontriamo a Milano, dove ha da poco comprato casa dopo anni di affitto: «Sono felicissima» dice «ma è strano, ne ho cambiate tante di case, per me una casa è un letto, il posto dove ricaricarmi. Ora avrò un luogo mio che devo capire come rendere mio. Per ora so solo che quando mi trasferirò mi porterò queste piante. La sterlizia, che amo, e l’orchidea, muore e rinasce ogni anno».
Che emozione le ha lasciato il Pride di Roma?
«Il senso di comunità, di comunione, di famiglia. C’era mia nonna, mia mamma, mia sorella e la compagna. Quando siamo partite dal Qube per arrivare a piazza della Repubblica, la prima tappa delle 4, mi sono commossa. Nella vita non ti immagini di finire in determinati posti con determinate persone. Penso a me da piccola, al fatto che sì volevo cantare, e ci sono riuscita. Ma come persona, come essere umano, avrei voluto essere quella che sono, che sa stare dalla parte giusta».
Come si fa capire qual è la parte giusta?
«Quando c’è amore e comprensione e ci si ascolta sei nel posto giusto, è bello. È brutto quando le persone limitano la libertà degli altri, è la parte sbagliata. Possiamo chiamare i filosofi, i plurilaureati e parlarne per anni, con chiunque, anche con dio se scende in terra, se esiste... c’è poco da fare: dobbiamo tutti avere gli stessi diritti».
La Russia di Putin vede nei Gay pride un simbolo di decadenza occidentale. Dove ci sono i pride è la parte giusta?
«Sì, direi di sì». Sua sorella, Fey, prima di fare coming out, temeva di non essere capita, soffriva i pregiudizi, temeva anche il suo di pregiudizio? «Da noi i pregiudizi erano fuori da casa, dentro non ci sono mai stati, siamo state fortunate in questo, c’è stata grande libertà di espressione».
E a scuola? O nel quartiere? In certe periferie non c’è spazio per il politicamente corretto.
«Ecco cosa mi stupisce: se sei un emarginato, un dislocato, uno discriminato in quanto nero se sei nero o una discriminata in quanto donna se sei donna, dovresti essere orgoglioso di stare vicino agli altri discriminati: chi subisce un pregiudizio dovrebbe essere più sensibile. E invece no, mette su difese su difese e combatte il pregiudizio che subisce con altri pregiudizi sugli altri. Magari la sensibilità c’è, ma è nascosta da queste corazze; anche io ce l’ho avuta la corazza, facevo finta di niente, anche mia sorella. Ma è un peccato».
La destra conservatrice può pescare in questo disagio. Lasciamo stare il solito Matteo Salvini. Prendiamo Giorgia Meloni: di recente, in Spagna, ha attaccato la lobby Lgbt in difesa della famiglia naturale…
«Vedo una donna molto arrabbiata, mi dispiace per lei, non dovrebbero esserci queste distinzioni, e mi spiace ci siano persone che le fanno. Famiglie di serie A, serie B, serie Z… I diritti sono per tutti e poi bisogna capire come vivere bene, in società, assieme. C’è troppa rabbia in queste persone. Io pure sono arrabbiata, ma vado in terapia e non la sfogo sugli altri. Solo che devi essere cosciente di questo problema con la rabbia».
In passato ho letto che non si era trovata bene con la psicoterapia, che era come una setta… Ha cambiato idea sulla terapia? O terapista?
«Prima seguivo un metodo un po’ aggressivo, che creava dipendenza con il terapista e non credo vada bene: con la co-dipendenza non risolvi niente. Il metodo che sto usando adesso è l’EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing, ndr), che insegna ad affrontare i traumi, soprattutto infantili, secondo il principio della convivenza e non dell’eliminazione. Nelle sedute non ci sono i classici lettini e le lunghe chiacchiere, il paziente rivive fisicamente il trauma, il dolore fisico grazie a stimolazioni sonore e non solo».
Anche recitare è terapeutico. Lei ha lavorato in un film d’autore di prossima uscita Ti mangio il cuore, di Pippo Mezzapesa. Interpreta una donna della mafia del Gargano, moglie di un boss che poi rompe e si pente, se non sbaglio.
«Ci sono figure femminili con un vissuto complesso che non hanno la libertà di scegliere e se fanno una scelta sbagliata poi è difficile rimediare, anche perché i loro uomini hanno un forte senso del possesso. Da donna libera e indipendente quale sono penso a donne in situazioni simili, immagino che sarebbe potuto accadere anche a me... E mi è piaciuto interpretare il punto di vista di una donna facilmente giudicabile».
Al Pride c’era anche sua nonna. Su Instagram c’è un video in cui ballate assieme. Che tipo è?
«Nonna si chiama Marise Victorine, è una donna complessa, e io le somiglio. È molto rigida, una rigidità dettata dal vissuto, lei ha messo dei paletti per non far avvicinare troppo le persone nei momenti di fragilità. Anche io faccio così. Poi lei ha una visione precisa della sua vita e di come una donna deve essere al mondo. Dice “fa quello che vuoi, la tua strada cercala, sii libera”».
Con il divorzio dei vostri genitori, i problemi che c’erano in famiglia, lei e sua sorella siete praticamente cresciute da sole. Lei ha detto che «non si è mai sentita figlia».
«Non è che non mi sono mai sentita figlia. Ma a un certo punto ho detto vabbè, io sono figlia mia, padrona della mia vita. Non mi sono più sentita figlia. Ovviamente ho un legame con la mia famiglia, a volte la amo di più a volte di meno, è la normalità. Diciamo che è vero che non mi sento figlia, ma mi sento tanto frutto loro. Non li vorrei diversi da quello che sono perché sarei diversa io. Su certe cose mi viene da rimproverarli e su altre mi viene da dirgli bravi».
Per cosa li rimprovera? E per cosa li ringrazia?
«Sono stati molto onesti e molto egoisti».
Lei è molto schietta, è anche egoista?
«Io nel corso della mia vita sono stata egoista, altrimenti probabilmente avrei fatto spazio per un’altra persona, che invece non c’è».
Il diritto all’egoismo per le donne è nuovo?
«È importantissimo, è anche il diritto a esser scorretti. Per capire cosa è giusto o sbagliato devi sbagliare, non puoi solo leggerlo nei libri. Abbiamo diritto a non essere sempre gentili, brave, dolci, mai sboccate… Devi darti la possibilità di avere difetti per poter essere onesta e provare a limarli, i difetti, se li neghi no, non ci puoi lavorare».
Un primo piano intenso di Elodie con uno dei tanti look che l’hanno caratterizzata. Capelli lunghissimi, corti, rosa, platino, neri...
Ho letto che una delle sue letture preferite è Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, la storia d’amore tra il signor Darcy ed Elizabeth, che vince l’orgoglio e i pregiudizi di classe...
«Austen l’ho letta al liceo, poi ho visto il film, bello, a me piace tutto quello che è in costume, quel vecchio modo di parlare, lontano da come parlo io che sono irruenta; mi piace come si prendevano tempi lunghissimi per parlarsi, incontrarsi e innamorarsi. Ero affascinata da questo amore che era evidente e palese nell’aria, ma lontano».
Qual è la persona più simile al signor Darcy che ha conosciuto nella sua vita?
«Forse non l’ho mai conosciuto un signor Darcy, tra l’altro l’ho sempre associato a Colin Firth, al personaggio del Diario di Bridget Jones, che è la versione pop di Austen. Però non ho mai incontrato questa tipologia di uomo inglese, elegante, che fa tutto per la donna che ama senza mostrarsi».
Cosa sta leggendo ora?
«La danza della realtà (di A. Jodorowski, ndr)».
Tra i suoi grandi crucci, c’è il non aver dato l’esame di maturità, ricorda quel momento?
«Che follia, era maggio, a un mese dall’esame mi ritiro, con giustificazioni stupide, tipo: non ho bisogno di farmi giudicare, inizierò a lavorare... In realtà avevo paura del rifiuto, di non essere all’altezza, di esser bocciata. Bisogna lavorare sulla paura del rifiuto. L’insuccesso fa parte dell’impegno, senza impegno non c’è successo e allora bisogna accettare che il fallimento fa parte del successo».
Della scuola ha qualche bel ricordo? Compagni di classe, professori...
«C’era una professoressa, di latino e storia, Rossella Riccioni, non l’ho mai più incontrata, una donna molto decisa, sapeva da quale parte stare, era eccentrica e io ero innamorata di lei. Aveva una visione sana delle cose e poi aveva una sua follia e le persone folli sono le più interessanti».
Follie. A 19 anni lei lascia Roma, va a Lecce e convive con un uomo più grande di lei.
Finirà male. Come vi eravate conosciuti? «Per caso, era amico di una amica. Mi piaceva come sfogliava il giornale. Mi sono innamorata di una movenza, niente di più. Si dice il colpo di fulmine, poi a ritroso non me lo ricordo quasi».
Forse le ricordava il signor Darcy...
«Esatto, un uomo elegante, molto elegante. C’era qualcosa di familiare... Ma aveva troppi problemi irrisolti, e io i miei, ne abbiamo fatto una matassa e ne siamo usciti male. Io peggio, ero più piccola di 15 anni. Ma da lì ho imparato che devo iniziare da me: è un errore scappare senza risolvere i problemi, li ritrovi sotto un nuovo nome».
Comunque sta facendo un grande spot per la lettura dei giornali, almeno tra i maschi. Da domani, tutti a leggerli, con eleganza...
«Beh, per me l’uomo colto è sexy».
Cos’altro la colpisce di un uomo?
«Lo sguardo che trema, la sua verità animale, quello colpisce. Deve esserci un mix».
A Lecce si manteneva come cameriera e poi cubista, il mestiere che da piccola rinfacciava a sua madre. Poi in un locale incontra Mauro Tre, che la riavvicinerà alla musica, da cui si era allontanata, anche per alcuni insuccessi alle selezioni di X Factor.
«Ricordo che non cantavo da anni, ero in questo locale a Lecce, a fine serata non c’era nessuno, stavano facendo una jam session e ho detto quasi quasi mi faccio una cantata, la canzone credo che fosse Ain’t no sunshine e lui mi dice sei pazza, cantiamo insieme, conosci il jazz? E io no... e poi da lì mi sono infarinata di musica, sono stata a casa sua, lui suonava il piano, io cantavo, ho iniziato a scoprire cose nuove, anche la mia voce, che prima non mi piaceva, in quell’abito jazz mi piaceva. È stato il mio primo amore anche per la mia voce. È stato un bel momento con Mauro. Che è stato un padre e un maestro».
Suo padre, musicista di strada, era geloso?
«Mio padre e io in quel momento eravamo molto distanti. Con la mia famiglia all’epoca non avevo molti rapporti, quello con Mauro a Lecce è stato un momento mio, personale».
Poi arriva Amici, Sanremo, le canzoni in testa alla classifica... e l’incontro con Fabio Bartolo Rizzo, in arte Marracash, che nel 2019 canta con lei nel video di Margarita. Era già amore?
«Durante il video il flirt era già vero. È stato molto forte con Fabio: l’effetto che mi ha fatto lui nella vita non me l’ha mai fatto nessuno. È animalesco, ha quel tormento animale, e poi mi stupisce quante cose sa e quante me ne ha insegnate nel tempo. È elegante, era molto bello vederlo scrivere le sue canzoni. Ed è stato l’essere umano che più mi ha agitato. C’erano paura e desiderio, ci studiavamo ed era difficile acciuffarci. Molto difficile. Molto molto. Difficile. Sì. Difficilissimo».
Nel video del 2021 di Crazy love con Marracash vi sfidate a scherma fino all’ultimo sangue. L’epilogo reale però non è stato così violento...
«Come ha detto lui di recente, ci vogliamo molto bene, abbiamo un rapporto non convenzionale, che esiste, è molto forte, complesso».
State trasformando l’amore in amicizia?
«Per il momento è complicato. Io in questo momento provo tanto amore e non mi interessa come poi si trasformerà, ma so di esserne più cosciente. Quando le cose sono difficili, sono cose per gli adulti. Certe volte scappi, ma io l’ho già fatto nella mia vita, questa volta ho deciso che voglio essere adulta e fare quello che veramente sento e non quello che è più semplice».
La scena finale è ispirata a una performance di Marina Abramovich. Lei, Elodie, tende la corda di un arco puntata su Marracash: non temeva che potesse partire la freccia?
«In quel momento c’era fiducia».
Elodie, vi ricordate questa foto? Bomba di Dagospia: "Avevamo ragione, oggi...", quale testa salta. Libero Quotidiano il 14 aprile 2022.
Cambio look per la cantante Elodie, ma anche cambio stylist. La regina della trasformazione colpisce ancora. La romana, amata per le sue hit ma anche per i suoi look provocanti ha deciso di cambiare un elemento del suo team. La sua stylist. Il suo abbigliamento non sarà più quindi curato da Ramona Tabita che le aveva creato l’ultimo look per il videoclip della canzone Bagno a Mezzanotte. La stilista oltre a essersi occupata finora della cantante, veste anche Sabrina Ferilli e Bella Thorne.
L’ultimo video del singolo che ha fatto cantare tutta l’Italia ha fatto impazzire il web. La si vede ballare sinuosa come non mai e questo non è di certo passato inosservato ai suoi fan che tanto l’hanno apprezzata. Ma tanti altri anche criticata dandole della “smandrappata”. Lei aveva risposto sui social: “Non mi sento offesa. Io sono una donna libera, mi piace il mio corpo e mi piace mostrarlo. Ho fatto la cubista tanti anni, sono abituata, me ne hanno dette di tutti i colori”.
L’ex del rapper Marracash, dopo aver partecipato nel 2009 a XFactor, esordisce nel 2016 ad Amici, programma che l’ha portata al successo e dove si è classificata al secondo posto e vincendo il Premio della critica giornalista Vodafone e il Premio RTL 102.5. Da quel momento la cantante è entrata nel cuore del pubblico e ogni suo pezzo crea tendenza. Chi è quindi il nuovo stylist della romana? Si è affidata a Lorenzo Posocco, stilista che cura anche la cantante internazionale Dua Lipa. I fan non vedono quindi l’ora cosa di ammirare cosa Posocco creerà per lei.
Elodie: «Mi arrabbio spesso, perché mi difendo. L’amore? Credo sia bello condividere la vita, senza progettare troppo». Walter Veltroni su Il Corriere della Sera il 27 Marzo 2022.
La cantante è appena uscita con il singolo Bango a mezzanotte e si mette a nudo sul suo passato, sul suo presente e anche sul suo futuro.
«Dove le parole falliscono, parla la musica». È una frase di Hans Christian Andersen. All’autore di mille fiabe meravigliose, così come ai fratelli Grimm o a George Sand, sono intitolate molte strade del quartiere di Roma dove Elodie Di Patrizi è nata e vissuta. Si chiama Quartaccio e nacque negli anni Ottanta con l’ambizione di costituire un modello urbanistico di quartiere vivibile nella periferia della città. Ma quel lembo di Roma diventò rapidamente complicato, perché la città era scucita.
Dice Elodie ora: «L’emarginazione è totale, quando sei emarginato è una condizione fisica, sociale, psicologica. E più cresci e più diventa difficile interagire con il resto della società perché ti sentirai sempre un po’ fuori posto. È come entrare in un negozio di lusso e avere la sensazione che non è il tuo luogo, che non ti senti a tuo agio».
Elodie appartiene a una generazione musicale che non è la mia. Io ho conosciuto e amato i cantautori. E più erano complicate le loro parole, più magici i mondi che descrivevano e più noi eravamo rapiti. Ora, come si dice, la musica è cambiata. In meglio, in peggio, chi può dirlo. Per questo cerco di capire il personaggio di Elodie, che ha un suo mistero, con lo stesso spirito e la stessa curiosità, si parva licet, con cui ricordo Enzo Biagi e Sergio Zavoli intervistare Gianni Morandi o Rita Pavone. Ora è uscito un nuovo singolo di Elodie, «Bagno a mezzanotte», e ha appena girato il suo primo film, per la regia di Pippo Mezzapesa. Dice: «Devolverò tutti i guadagni del brano a Save the Children. Voglio aiutare le donne e i bambini coinvolti in questa guerra assurda. Almeno cerco di essere, nel mio piccolo, utile in questa tragedia».
Elodie ha fama di essere reattiva, di perdere le staffe facilmente, di reagire duramente se attaccata. Io ho visto, forse mi sbaglio — le prime impressioni sono sempre solo una sensazione — una persona orgogliosa e fragile. Orgogliosa di avercela fatta. Orgoglio legittimo per chi non è nato e cresciuto nella bambagia, per chi la fatica di vivere l’ha incontrata presto. Lei li chiama «contesti un po’ più complicati». Ma poi aggiunge che anche lì «...tutto è possibile se c’è impegno, se c’è amore, se c’è rispetto e se sei in grado di sognare. Sembra una cosa per i bambini, ma i bambini sono molto più adulti degli adulti. Loro sanno cosa significa diventare adulti, avere un obiettivo, edificare un futuro e non rimpiangere un passato. Devono fare, non hanno fatto. Ho imparato che si può realizzare quello che si vuole nella vita. Nessuno ci può imporre dove dobbiamo stare, in quale contenitore essere. Nessuno ci può inchiodare al posto dove siamo nati, dove siamo cresciuti. Nessuno può decidere che noi dobbiamo essere emarginati per tutta la vita. È una condizione che ho sofferto. Ma poi ho lottato, mi sono difesa. Non mi sono fatta attribuire un destino da altri».
Questa ragazza sa che il successo non è per sempre, in questo tempo frettoloso: «Ho sempre paura che quello che ho costruito nel tempo mi venga tolto da un giorno all’altro. Con quest’ansia convivrò sempre. Ognuno convive con i propri mostri. Questo è il mio». Le chiedo da dove nasca la fama di essere suscettibile. «È vero, mi arrabbio spesso. Mi arrabbio perché mi difendo. Mi rendo conto che ci sono dei meccanismi difensivi che però ormai sono troppo grande per utilizzare. In realtà uso la rabbia perché mi sento fragile. Sono grande, ho trent’anni e quando mi sento ferita, ma anche da cose che apparentemente sono niente, reagisco comunque con rabbia. Mi difendo subito, ho paura di non essere presa sul serio, ho paura di non sembrare intelligente, cerco di difendere la mia posizione, sempre. Talvolta esagero e mi scuso».
I suoi genitori si sono separati quando lei e sua sorella erano bambine. Ne parla con tenerezza, dice: «...ho sempre visto i miei genitori come essere umani... ho sempre cercato di capire chi avevo di fronte, di confrontarmi con i limiti che abbiamo tutti, io per prima. Ho cercato di prendere le cose per come erano, anche se non era facile». Però poi aggiunge: «Non mi sono mai sentita figlia. Anche oggi faccio sempre un po’ fatica a capire cosa veramente mi renda così reattiva, quasi animalesca. È la paura della solitudine, banalmente. Credo che ce l’abbiamo un po’ tutti, io mi sono sentita tanto sola nella mia vita». Le chiedo che rapporto abbia con le case, come luogo di rifugio o come prigione: «Io vivo da sola da dodici anni, forse qualcosa di più. Negli ultimi anni mi sono trasferita a Milano e mi sono resa conto di aver cambiato una casa ogni anno. Dalla prima volta in cui sono andata a vivere da sola, a diciannove anni, ho fatto tantissimi traslochi fino a trovare l’appartamento dove vivo ora. Per me le case sono sempre state dei luoghi da lasciare. La mia vita era fuori dalla casa, non l’ho mai sentita mia, non ho mai sentito una vita tra le mura. Conta sempre l’imprinting, nella vita. Adesso, dalla pandemia in poi, ho capito invece quanto sia importante un luogo sicuro, dove tutto sia familiare, dove sentire calore».
Le chiedo se sia single, so che ha avuto una lunga storia con Marracash, uno dei protagonisti di quella che ora viene chiamata, chissà perché, «la scena musicale»: «Credo sia bello condividere la vita. Senza progettare troppo, perché a me la progettazione mette tensioni. Rende definitivo ciò che invece deve essere vissuto e costruito. Progettare troppo non è il mio forte, però credo che sia bello condividere». Le chiedo quando ha cominciato a cantare. La immagino bambina tosta, al Quartaccio. O forse solo bambina, tra quelle strade con i nomi da fiaba: «Avrò avuto undici anni. Il primo “concerto” in assoluto è stato il battesimo di mia cugina, in cui ho cantato un pezzo di Mina e uno di Battisti. Erano i primi brani che ho imparato a memoria Grande, grande, grande e Amarsi un po’. Ho ascoltato tanta musica dei cantautori e tanto pop. La prima ti cura, si preoccupa di farti più bello, migliore, ti fa crescere. Come leggere un libro. L’altro l’ho sempre visto come un modo per rimanere piccoli, bambini. Il pop è un modo per giocare, ti fa venire voglia di essere altro da te, di immaginare, ti fa sognare. La prima canzone che ho ascoltato e mi ha colpito è stata Sally di Vasco Rossi. Ero sul pullman scolastico per andare in gita, e mi ricordo l’effetto dirompente. Non so, c’era un prima e un dopo aver ascoltato quel pezzo musicale. Non accade tante volte, nella vita. E non sai, non saprai mai, perché».
Com’era Elodie negli anni delle gite scolastiche? «Al liceo volevo solo diventare grande, ero stanca di essere adolescente. L’adolescenza non l’ho vissuta con rispetto, l’ho detestata moltissimo. A scuola ero rispettata perché ero molto attenta agli altri, molto protettiva anche nei confronti della classe, dei professori che amavo. Però un po’ spaventavo perché ero molto aggressiva, ho sempre esposto i miei pensieri con molta veemenza. Diciamo che non lasciavo correre e le cose le dicevo in modo abbastanza diretto». Le chiedo quando si è resa conto di essere bella. Perché Elodie è bella: «La bellezza è molto legata al modo in cui mi sento come donna, a come cammino per strada, a quanto sono orgogliosa di me, quanto mi piaccio. Ci sono stati momenti in cui mi sono piaciuta molto: al liceo mi sentivo bellissima perché mi piacevo io, mi piaceva il mio carattere, mi sembrava di avere personalità e questo mi faceva sentire bella. Poi ho avuto momenti in cui sono stata più triste, a vent’anni, mi sono rasata, ho pensato che fossi troppo legata all’estetica, al voler sembrare bella e quindi ho cercato di spostare lo sguardo degli altri all’interno di me. Per alcuni anni mi sono disinteressata del mio aspetto. Ora invece lo curo molto, perché sono anche più equilibrata. Mi piaccio esteticamente perché mi piaccio anche io. Penso di essere una brava persona. E in più sono vanitosa, mi piace, in questo momento della mia vita. Mi diverte anche essere leggera».
Le racconto di aver visto un tweet di una ragazza che ha scritto: «Oggi mi sono svegliata carina, poi ho visto Elodie...».«Scherzano... È evidente che io sono una delle artiste italiane che gioca di più sulla fisicità, anche sulla sensualità. Spingo molto su quel linguaggio che non è il mio linguaggio quotidiano. Quello è il mio alter ego». Trattengo, quando il collegamento si spegne, l’immagine di una persona fragile e intensa. Mi viene in mente una frase scritta proprio da Hans Christian Andersen, quello del Quartaccio: «Limitarsi a vivere non è abbastanza. C’è bisogno anche del sole, della libertà e di un piccolo fiore
Alberto Dandolo per Oggi del 13 gennaio 2022.
Vacanze da "single" per Elodie alla Maldive. La cantante ha trascorso il Capodanno al mare con la sorella Fey. Tanto relax e poco social. Dell'ultima fiamma (Davide Rossi) dopo la fine della storia d'amore con Marracash nessuna traccia. Si riuniranno a Milano? Ah, saperlo...
Da leggo.it il 27 gennaio 2022.
Elodie e Marracash non sono più una coppia. La cantante italiana è di nuovo single e al settimanale «Grazia» racconta il perché della fine della loro storia.
La cantante «nata» nel programma di Amici di Maria De Filippi, sarà comunque presente nella copertina del nuovo disco di Marracash. La loro storia, infatti, è finita proprio nei giorni di preparazione del nuovo album del rapper.
«Per me lui continua a essere famiglia. Come mai è tra noi è finita? Le crisi sono le mie, ma poi le subiscono anche gli altri di riflesso». Elodie parla così a Grazia, per la prima volta, della fine della sua storia d'amore.
«E adesso sono single. Non ci poteva essere spazio per un bambino, sarebbe venuto al mondo da una spinta vitale pazzesca, ma sai quanti problemi avrebbe avuto», ha dichiarato la cantante.
«Ora come ora io ho solo bisogno di stare da sola con me stessa. E comunque che cosa significa che sono la 'tua' fidanzata, che significa che quello è il 'mio' ex? Io odio le regole che impone la coppia e anche in questo Fabio è come me. Non c’entra la questione della fedeltà, se io mi sento libera, posso darti tutto, forse addirittura troppo», ha concluso Elodie.
Dagoreport il 12 marzo 2022.
La decrescita infelice che tutto permea ci ha imposto un downgrade anche nello showbusiness. Guardatevi intorno: in tv, sui set, nei teatri, dalla “celebrità” siamo precipitati alla più modesta “notorietà”.
Siamo circondati da “vipponi” da reality, da gorgheggiatori della hit estiva, da attorini da serie tv low cost. Divetti dal successo fragile, divosi dell'effimero, soprattutto poco strutturato. La telecamera s’accende, il pubblico deve applaudire, il conto corrente gonfiarsi. Fine. Altro, nella “notorietà”, non è contemplato altro che: un soggetto, un verbo, un complimento... Figuriamoci le critiche.
Sì, le critiche. Quelle che le celebrità di un tempo, ben consigliate da astuti press agent, incassavano con una scrollata di spalle, un sorriso, un vattelapijànderculo magari. Ma erano in grado di maneggiare i commenti velenosi, le perfidie, le frecciatine della carta stampata. Che poi rappresentano l’unica, vera, seccatura del successo.
Oggi chi è affetto da notorietà, malattia prepuberale del successo, si dimena, scalcia, s’infuria se nel coro di follower adoranti qualcuno spernacchia. Come osa, l’infame? È un affronto, quasi lesa maestà. È capitato con la cantante Emma, ad esempio. Quando il critico tv Davide Maggio, vedendola esibirsi a Sanremo, scrisse: “Se hai una gamba importante eviti di mettere le calze a rete”, successe il finimondo.
“È bodyshaming”, tuonarono tutti.
Indignazione istantanea dei ragioneri della morale, pensosi editoriali a difesa del “corpo delle donne”. I follower di Emma, fiutando l’odore del sangue, andarono a vendicarsi sugli account social di Maggio praticando contro di lui un bodyshaming elevato a potenza, gravido di odio. Condanne furibonde dispensate a colpi di tweet, coccole alla “vittima” Emma, benedizioni finali, andate in pace.
Di quell’episodio cosa resta? Davide Maggio mosse una critica, e per questo fu travolto da una tempesta di liquame. Aveva ragione? Non ci interessa. Ognuno ammiri le cosce che merita.
La domanda che conta è: aveva diritto a esprimere la sua opinione? Certo, certissimo, certamente! Come ha fatto questo disgraziato sito commentando la clip dell’ultima canzone di Elodie, “Bagno a mezzanotte”.
Un brano come tanti, di facile beva, di quelli da ascoltare in macchina mentre si sfreccia verso Capocotta per uno spaghettino a vongole “Dar Zagaia”. Una roba così, senza impegno. Ci siamo dedicati con più attenzione al video.
Elodie, forse per nobilitare un brano loffietto, lo ha compensato sguainando le chiappe divise da un perizoma interdentale. Benissimo, vivaddio! Chi ha un corpo da urlo, lo mostri. Non saremo noi ad opporci. Anche perché i moralismi non sono nel nostro dna.
Abbiamo solo fatto notare il look da “panterona smandrappona”. Dove “smandrappona” (derivato da “smandrappata”), come precisa la Treccani, significa “mal vestita”. Poderosa sintesi: abbiamo scritto che Elodie, pur gnocchissima, s'era conciata così così.
Sapete come ha reagito la cantante, che ha fatto la cubista per tanti anni? Ha consegnato ai social questo sfogo: “Non mi sento offesa, sono una donna libera. Mi piace il mio corpo, mi piace mostrarlo. Mi dispiace che la libertà femminile metta in crisi questi uomini piccoli, confusi, spaventati. Io so’ sfacciata e lo sarò sempre. All’estero è normale, se andiamo a prendere i video di 30 anni fa di Madonna, è normale. Non c’è niente di male. E comunque non si scrivono certe cose, è proprio da vili”.
“Vili”, “piccoli”, “confusi”? Ah Elodie, ma chi te conosce?! Ma che stai a dì? Abbiamo ironizzato sul tuo look, sostenendo fosse un modo furbetto per dare spessore alla tua canzoncella frou frou. Che la chiappa, l’erotismo, il corpo, siano condimento dello spettacolo, Dagospia lo racconta ogni giorno da più di vent’anni.
Scendi dal piedistallo bacchettone dove ti hanno piazzato i tuoi follower, le copertine patinate e le interviste concordate. Non diventare una di quelle che invoca lo scudo ideologico della “difesa del corpo delle donne”. O etichetta tutto come “sessimo” o “machismo” solo perché incapace di gestire una critica. Di queste paraculaggini da "body-scema", anche basta. Rivendichi di essere una “smandrappa orgogliosa” e poi ci accusi di essere “vili”. Ripristiniamo la connessione tra logica e cervello.
L'Ego-latrina è una brutta bestia. Chi è sotto i riflettori accetti le critiche, le osservazioni sgradite, anche le più innocue, le più goliardiche. A colpi di consenso social si rischia di trasformarsi in divinità egizie intoccabili. E lo scriviamo soprattutto a quelle teste di cocco che strepitano per la libertà di stampa negata dalle autarchie e poi in Italia invocano bavagli, censure, chiusure per le testate sgradite.
Ps: come ha fatto notare “Repubblica”, abbiamo rimosso dal titolo il tanto contestato “smandrappona”. Che è un’inezia e come tale la rivendichiamo. L'abbiamo fatto per protesta.
Perché informare o fare satira dove soprattutto i giovani artisti linciano il dissenso, aizzano i loro follower, sono incapaci di un confronto dialettico, pretendono pigiamini di saliva dai media (e spesso li ottengono) è diventato faticosissimo. Così faticoso da averci smandrappato i cabasisi.
Elodie parla della rottura con Marracash: «Sono single. Lui continua a essere famiglia, ma non riuscivo a pensare a me e lui genitori». Redazione Spettacoli su Il Corriere della Sera il 27 Gennaio 2022.
La cantante, in un’intervista al settimanale «Grazia», ha ripercorso la storia d’amore con il rapper.
La fine della loro storia è stata anche immortalata nel videoclip di «Crazy Love» , brano dell’ultimo album di Marracash, ma per la prima volta è Elodie a parlare esplicitamente della rottura con il rapper: «Mi fa strano parlare di fine fra me e lui. Il nostro amore non è finito, si è trasformato. Fabio per me continua a essere famiglia. Le persone mica si dimenticano da un giorno all’altro». La cantante si è raccontata sul settimanale Grazia, in un’intervista alla scrittrice Chiara Gamberale. Ha detto di fidarsi della sua parte bambina: «È lei che fa tutto, quando salgo su un palco. Fabio è la sola persona con cui l’ho condivisa nell’intimità, è stato e rimane il compagno di giochi che mi era sempre mancato».
Elodie, 31 anni, ha aggiunto di essere attualmente single e di avere bisogno, per il momento, di stare da sola. Della relazione con Marracash ha aggiunto: «Non abbiamo mai vissuto insieme e non riesco a pensare a me e a lui genitori, è troppo assoluto quello che ci unisce, non ci poteva essere spazio per un terzo bambino, sarebbe venuto al mondo da una spinta vitale pazzesca, ma sai quanti problemi avrebbe avuto?».La cantante ha anche ammesso di avere «una sindrome dell’abbandono grande quanto me. Forse è per questo che, proprio quando mi sto per consegnare a qualcuno, faccio il disastro».
Dagotraduzione da Pagesix il 29 marzo 2022.
Elton John ha raccontato che nel 2009 avrebbe voluto adottare un orfano ucraino insieme al marito David Furnish, ma non gli è stato permesso a causa della loro sessualità. Il cantante di "Rocket Man" lo ha rivelato nel podcast di Dua Lipa, raccontando che gli è stata negata l'opportunità di adottare un bambino sieropositivo di 14 mesi di nome Lev.
«Ho portato in giro questo ragazzino per ore. Alla fine abbiamo tenuto una conferenza stampa e ci hanno detto: “Sembri molto affezionato a questo ragazzino. Penseresti di adottarlo?” e ho detto “Mi piacerebbe davvero!”», ha ricordato in "Dua Lipa: At Your Service" su iHeartRadio.
«Ma dato che ero gay, non mi era permesso comunque», ha detto. «Dopo che è successo, David ha detto: “Beh, cosa ne pensi dell'avere figli?”. Ho sempre detto di no, ma questo ragazzino mi diceva qualcosa. Stava dicendo "Dai, puoi essere papà", ed è allora che abbiamo deciso di avere figli per via di questo ragazzino in Ucraina».
La legge ucraina richiede che un genitore adottivo non abbia più di 45 anni, significativamente più giovane del cantante britannico, che all'epoca aveva 62 anni. La legge richiede anche che i genitori siano sposati, ma l'Ucraina non riconosce l'unione gay come matrimonio.
«Elton John non potrà adottare un bambino ucraino e se presenterà tale richiesta, sfortunatamente la rifiuteremo», ha detto all'epoca il ministro ucraino della Famiglia, della Gioventù e dello Sport Yuriy Pavlenko. «La legge è la stessa per tutti: per un presidente, per un ministro, per Elton John».
John, che ora ha 75 anni, e Furnish, 59 anni, hanno due figli: Elijah, 9 anni, e Zachary, 11 anni.
Elton John compie 75 anni: storia dei suoi amori, dall’ex fidanzata Linda all’unione con David Furnish (che dura da 28 anni). Arianna Ascione su Il Corriere della Sera il 24 Marzo 2022.
Le tappe della tormentata vita sentimentale dell’acclamata superstar britannica, che il 25 marzo festeggerà il suo 75mo compleanno.
La ex fidanzata Linda
«Voglio essere amato. La mia vita negli ultimi sei anni è stata un film Disney e ora devo avere una persona nella mia vita»: negli anni Settanta il giovane Reginald Kenneth Dwight (più tardi diventato famoso come Elton John) era ancora alla disperata ricerca dell’amore. Da ormai 28 anni il cantautore, oggi acclamata superstar britannica, ha trovato la stabilità così a lungo cercata accanto al suo amato David (con cui sicuramente, il 25 marzo, festeggerà il suo 75mo compleanno). Ma per anni ha lottato duramente per trovare la felicità. Prima di fare pubblicamente coming out negli anni Ottanta agli inizi della carriera ebbe una fidanzata, Linda Woodrow, menzionata nella canzone «Someone Saved My Life Tonight»: Linda aiutò Reg e il paroliere Bernie Taupin - soprattutto economicamente - quando ancora erano artisti sconosciuti. Lei ed Elton si sarebbero dovuti sposare ma, un mese prima delle nozze, John fece saltare tutto. «Mi svegliò, ubriaco, e mi disse che era finita - ha raccontato Woodrow, che conserva ancora l’anello di fidanzamento, al Daily Mirror -. Poi ha chiamato il suo patrigno perché venisse a prenderlo. È uscito e basta. Ero così scioccata. Lo amavo moltissimo e pensavo che mi amasse». Linda ed Elton si sono poi persi di vista per 50 anni, fino a quando nel 2020 lei gli ha chiesto pubblicamente aiuto per pagare alcune ingenti spese mediche (e il cantautore non si è tirato indietro).
Il primo amore: John Reid
Figura centrale nella scena musicale inglese degli anni Settanta John Reid, manager della Tamla Motown (seguì anche i Queen dal 1975 al 1978), incontrò per la prima volta Elton John - all’epoca ancora Reg Dwight - a Londra nel dicembre 1970, ad una festa di Natale dell’etichetta discografica (non a casa di Mama Cass a Los Angeles come mostrato nel film «Rocketman»). «Ricordo questo giovane alla moda e timido - ha ricordato Reid allo Scottish Daily Mail -. C'era una goffa dolcezza in lui. Era il mio primo grande amore, e io ero il suo». I due andarono subito a vivere insieme, e mentre la loro relazione sentimentale durò soltanto cinque anni, quella professionale continuò fino al 1998. Finì molto male: quell’anno i revisori dei conti di John scoprirono un ammanco di 20 milioni di sterline. Così il cantautore portò il suo ex manager in tribunale: «Mi fidavo di lui - disse il cantautore in aula -, non avrei mai pensato che mi avrebbe tradito, ma mi ha tradito». In seguito Reid e John si accordarono in via extragiudiziale.
Il matrimonio con Renate (e il coming out)
Intervistato da Rolling Stone, e interrogato a proposito della sua vita privata, nel 1976 Elton John si dichiarò bisessuale: «Non c'è niente di sbagliato nell'andare a letto con qualcuno del tuo stesso sesso. Penso che tutti siano bisessuali in una certa misura. Non credo di esserlo soltanto io. Non è una brutta cosa esserlo. Penso che tu sia bisessuale. Penso che lo siano tutti». Il coming out vero e proprio, sempre attraverso Rolling Stone, sarebbe arrivato soltanto nel decennio successivo, in seguito al divorzio da Renate Blauel: il pianista di Pinner aveva sposato l’ingegnera del suono tedesca, conosciuta durante la lavorazione dell’album «Too Low for Zero» (1983), nel 1984 - nel giorno di San Valentino - a Darling Point in Australia, dopo averle fatto la proposta durante una cena in un ristorante indiano. «Molti anni fa ho scelto l'Australia per il mio matrimonio con una donna meravigliosa per la quale ho tanto amore e ammirazione. Volevo più di ogni altra cosa essere un buon marito, ma ho negato chi ero veramente, il che ha causato tristezza a mia moglie e mi ha causato un enorme senso di colpa e rimpianto» ha raccontato John a proposito dell’unione, che in tutto durò quattro anni. Nel luglio 2020, per via dell’autobiografia dell’artista «Me» e del film «Rocketman», Blauel citò in giudizio il suo ex marito per violazione della privacy (un portavoce dell’artista ha poi fatto sapere, qualche mese dopo, che il caso si era risolto amichevolmente).
Elton e David, insieme dal 1993
«Ero tornato a casa mia a Windsor per un po' - ha raccontato qualche anno fa Elton a Parade -. Volevo incontrare nuove persone, quindi ho chiamato un amico a Londra e gli ho detto: “Potresti per favore invitare alcune persone nuove a cena qui sabato?”». Tra loro c’era David Furnish, ex dirigente pubblicitario (oggi regista), classe 1962. «Sono stato attratto da David immediatamente. Era molto ben vestito, molto timido. La sera successiva abbiamo cenato insieme». Da quel momento i due non si sono più lasciati: il 21 dicembre 2005 (giorno in cui entrarono in vigore le unioni civili nel Regno Unito) John e Furnish si unirono civilmente alla Windsor Guildhall, e quando nel 2014 fu reso legale il matrimonio tra persone dello stesso sesso si sposarono.
I due figli Zachary ed Elijah
«È fantastico essere papà. Ma dieci anni fa, se me lo avessi detto, ti avrei risposto che eri matto. Ho imparato che la capacità di amare di un genitore è infinita». A coronamento del loro amore Elton e David hanno avuto due figli tramite madre surrogata: Zachary Jackson Levon, nato in California il giorno di Natale del 2010, ed Elijah Joseph Daniel, nato l'11 gennaio 2013. «Entrambi desideravamo ardentemente avere figli, ma il fatto che ora abbiamo due figli è quasi incredibile - ha dichiarato la coppia a Hello! -. La nascita del nostro secondo figlio completa la nostra famiglia nel modo più prezioso e perfetto».
Rocket Man, la hit che fece litigare Elton John e David Bowie. Carlo Antini, Testi e musica le mie ascisse e ordinate, su Il Tempo il 24 marzo 2022.
Non era facile far infuriare David Bowie. Elton John ci è riuscito 50 anni fa, nell’aprile del 1972, quando pubblicò «Rocket Man». Le avventure del suo astronauta ricordavano molto «Space Oddity», la super hit del Duca Bianco uscita solo tre anni prima dalla mente dello stesso produttore. Bowie non riuscì a trattenere il fastidio. E durante una delle BBC Sessions lanciò una frecciata di fuoco all’amico Elton inserendo nel suo testo lo sfogo «I’m just a rocket man!». A buon intenditor...
La realtà, però, era ben diversa. Almeno a sentire il racconto dell’autore del testo, il paroliere Bernie Taupin, che ammise di aver pensato a «Rocket Man» per la prima volta nel 1971 durante un viaggio in auto verso la casa dei suoi genitori: «Avevo da poco riletto “Il gioco dei pianeti” di Ray Bradbury, la raccolta di racconti di fantascienza del 1951. Il mio preferito è sempre stato “L’astronauta” (The Rocket Man). La storia parla di un uomo che trascorre tre mesi alla volta nel suo razzo lontano dalla moglie e dal figlio. È combattuto. Vuole essere a casa con la famiglia ma, nello stesso tempo, adora vivere tra le stelle. Alla fine il suo razzo precipita nel sole». Il racconto di Bradbury ha tanti punti in comune anche con «Space Oddity», in effetti.
A onor del vero c’era anche un altro precedente. Un pezzo del 1970 scritto da Tom Rapp (dei Pearls Before Swine), e intitolato ugualmente «Rocket Man». Così, per non essere da meno, decise di scrivere un brano spaziale anche lui. «Ho iniziato a immaginare una canzone sulla fatica della vita da astronauta - ha svelato il paroliere - Mentre pensavo a come cominciare, la prima strofa è nata da sola: “She packed my bags last night, pre-flight zero hour 9 a.m. and I’m gonna be high as a kite by then”. Poi in un’intervista di qualche tempo dopo l’ammissione definitiva: «Io e Elton non l’abbiamo rubata a Bowie, l’abbiamo fregata a un altro ragazzo, Tom Rapp. Quando uscì il nostro pezzo, nell’aprile del 1972, quasi nessuno conosceva la canzone dei Pearls Before Swine. Così i critici indicarono “Space Oddity” come riferimento principale. Io, però, all’epoca non ascoltavo musica pop alla radio. Ascoltavo il blues di Chicago, il country e principalmente la musica americana».
Il resto è storia. Nell’aprile del ’72 «Rocket Man» divenne subito un singolo, raggiungendo la seconda posizione nel Regno Unito e la sesta negli Stati Uniti. Elton John riusciva finalmente ad abbracciare sonorità diverse. «Rocket Man» aprì un periodo nuovo e spianò la strada che avrebbe portato il musicista britannico a coprire oltre il 2% delle vendite dei dischi mondiali nel 1975. Il mito di «Rocket Man» è proseguito fino a oggi attraverso mille cover e il recente omonimo film biografico diretto da Dexter Fletcher e uscito nelle sale solo tre anni fa. La pellicola, vincitrice del premio Oscar per la miglior canzone, narra la vita di Elton John (che il 25 marzo compirà 75 anni) a partire dalla Royal Academy of Music fino ad arrivare agli anni Ottanta. Nella colonna sonora anche «(I’m gonna) Love me again» composta appositamente per la pellicola e cantata in duetto dal cantante con l’attore Taron Egerton.
«La frase di “Rocket Man” che mi ha sempre colpito è “Just my job five days a week” (soltanto il mio lavoro cinque giorni a settimana, ndr) - ha detto Elton John in occasione dell’uscita del film - Questo ragazzo normale è bloccato lassù e vorrebbe essere a casa. Più volte mi sono sentito così sul palco: mi piaceva stare lì ma volevo tanto tornare a casa e, nello stesso tempo, sapevo di non essere più in grado di vivere una vita normale. Sono felice di essere diventato un cantante, è la cosa che amo fare di più al mondo. Ma all’inizio interpretare un personaggio che ti sei inventato può essere molto pericoloso e farti perdere di vista chi sei». Chissà se a David Bowie è bastato per perdonarlo davvero.
Anticipazione stampa da OGGI il 2 novembre 2022.
La conduttrice radiofonica e concorrente di «Ballando con le stelle» Ema Stokholma svela a OGGI, in edicola da domani, come la trasmissione l’ha cambiata nel profondo: «Faccio un percorso in analisi da tanti anni e mi sono resa conto che c’era un muro: non accettavo la mia immagine. I tatuaggi, i capelli rosa sono un modo per nascondere il mio corpo... in poche settimane è cambiato tutto. È come se avessi scoperto di avere un corpo, una postura, una sensualità».
Poi parla dei traumi infantili, con una madre inadeguata che la picchiava: «Mia madre non c’è più e non mi ha mai chiesto scusa, non c’è motivo di perdonarla. Ho preferito capirla, provare empatia per lei. Perdonare vorrebbe dire: ok, riparto da zero, invece no. Io mi ricordo tutto quello che è stato fatto a me e a mio fratello. Ma ora so che anche lei era una vittima, non stava bene».
E le difficoltà del passato: «Ho fatto la squatter, dormivo nelle case occupate, perché ero stanca di seguire le regole della società, ho toccato il fondo e poi mi sono detta: basta, voglio andare dove c’è la luce, dove c’è l’aria, voglio respirare. Non mi perderò mai più».
Infine, guardando al futuro, confida a OGGI: «Essere single è l’unico modo per essere felici. Non ho bisogno di niente, sono indipendente, è difficile per me fare entrare qualcuno in questo paradiso che mi sono costruita, che è la mia vita». E poi: «Mi sono pentita di avere fatto i tatuaggi, sto cercando di cancellarli tutti, anche se sarà impossibile. Se posso dare un consiglio, non fateli».
Ema Stokholma: «Invecchiare mi fa sentire sempre più forte». Greta Privitera su Il Corriere della Sera l'8 Febbraio 2022.
La domanda è gigantesca: che cos’è per te la forza oggi? Le risposte intense: «La forza è il sapere», dice la filosofa Francesca Rigotti; «La mia forza è invecchiare», continua la conduttrice radio e tv Ema Stokholma; «accettare le debolezze», per l’arbitra Clara Munarini; «tenere presente che molte cose sono effimere», per la comica Michela Giraud. Sono solo alcune delle risposte che ascolterete nella nona puntata di Fortissime - il podcast di Barbara Stefanelli, vicedirettrice vicario del Corriere della Sera e fondatrice con Luisa Pronzato de La 27Ora, e Greta Privitera, . Questa puntata parte dalla domanda che ha dato inizio al nostro viaggio nel teatro della Triennale di Milano, durante il Tempo delle Donne: «Che cos’è la forza?». Lo abbiamo chiesto a donne molto diverse tra loro, per età, lavoro e sogni. Alla risposta ci siamo arrivate dopo un percorso a tappe: siamo passate dalle origini delle loro vite, dalle battaglie che hanno combattuto e dai desideri che le hanno guidate fino a qui . Le loro storie ci hanno aiutato a esplorare il mito della forza che è un fragile e sorprendente equilibrio tra mente e muscoli - cuore compreso. La scrittrice Rossella Postorino, tra le protagoniste di Fortissime, non è sicura di sentirsi ancora forte, ma sembra aver capito che cosa sia per lei esserlo: «La capacità di capire davvero in maniera autentica quali sono i miei più profondi desideri, accettando che alcuni sono stati realizzati e altri forse non si realizzeranno mai», ci dice. Quindi, forza è anche accettare che non tutto vada come speriamo, forza è anche accogliere la debolezza. A questo punto interviene quella che per noi è stata una mentore, ispiratrice di questo viaggio, l’accademica e marzialista Alessandra Chiricosta: «Il Tai Chi Chuan mi insegna che la debolezza è una gran forza. La debolezza spesso è una capacità di farsi cavo, cioè rimanere in ascolto di una forza altrui, in modo tale da capirla bene in tutte le sue manifestazioni e saperla trasformare». Ascolterete le voci e le storie di Francesca Rigotti, Ema Stokholma, Clara Munarini, Mara Navarria, Antonia Rinaldi, Carmen Leccardi, Amalia ed Elvina Finzi, Rosella Postorino, Michela Giraud e Alessandra Chricosta.
Emanuela Fanelli: «Facevo la maestra d’asilo, a 36 anni recito con Virzì». Micol Sarfatti su Il Corriere della Sera il 26 Settembre 2022.
L’attrice, arrivata al successo (anche social) con il programma Una pezza di Lundini, è tra i protagonisti di Siccità. «Cornuta, apatica ma poi...»
Emanuela Fanelli, 36 anni, ha debuttato a teatro. È nel cast di «Siccità», ultimo film di Paolo Virzì. Presentato fuori concorso alla Mostra del Cinema di Venezia sarà nelle sale dal 29 settembre
Uno degli ultimi post Instagram di Emanuela Fanelli, 36 anni, attrice diventata virale con il programma di RaiDue Una pezza di Lundini, la ritrae sul Red Carpet della Mostra del Cinema di Venezia. Vi ha sfilato perché recita in Siccità, il nuovo film di Paolo Virzì presentato fuori concorso, nelle sale dal 29 settembre. Nella didascalia si schermisce: «Ecco le mie foto Getty Images con annessi ringraziamenti per dimostrare che anche io faccio parte dello sciobiz e non dormo da piedi ma soprattutto per farmi canzonare dagli amici, primo fra tutti Valerio Lundini».
Ma come Fanelli, ormai è un’attrice affermata, non mi dica che non si sente a suo agio nel glamour.
«Invece glielo dico. A Venezia avevo paura di sembrare fuori luogo, ma grazie a Paolo e al resto del cast (in cui ci sono Monica Bellucci, Max Tortora, Valerio Mastandrea ndr ), questa esperienza si è trasformata in un grande campo scuola. La visione in sala del film è stata bellissima».
È il debutto sul grande schermo?
«No, il primo ruolo me lo ha dato Claudio Caligari in Non essere cattivo. Però è il primo dopo la popolarità televisiva ed è stato un regalo. Negli ultimi due anni sono stata conosciuta soprattutto per i pezzi umoristici, non sono nella fase in cui dico “questa dell’allegria è una maschera, ora voglio farvi commuovere”, ma sono felice di aver interpretato un personaggio che non fa solo ridere».
La sua Raffaella in Siccità , film su una Roma sconvolta dalla mancanza d’acqua in cui si intrecciano varie storie, è una rampolla di buona famiglia annoiata e depressa, che, al momento del bisogno, mostra risorse inedite
«È un gran personaggio. Sembra la peggiore di tutti, ma non lo è affatto. È cornuta, apatica, poi tira fuori una grande vitalità che la cambia».
È stato difficile passare dal registro comico a quello drammatico?
«No. La mia preoccupazione era non far sembrare Raffaella una matta. Sarebbe stato ingiusto perché somiglia a tutti noi. Molti rinchiudono le proprie crisi in una dimensione privata, lei le fa uscire. Non ha paura della continua ricerca di affetto».
Ha avuto un successo tardivo, a più di 30 anni, come mai?
«Ho sempre sognato di fare l’attrice, ma non ho mai avuto il coraggio di buttarmici. Ho iniziato a studiare teatro al laboratorio del mio liceo: il classico Marco Tullio Cicerone di Frascati. Lo frequentavano i fighetti e allora mi sono convinta. A quell’età si teme il giudizio altrui, ero contenta “facesse figo”. Il mio insegnante aveva una compagnia e ho cominciato a lavorare con lui. Non ho più smesso di fare spettacoli».
Perché la sua carriera non decollava?
«Perché la recitazione non era la mia carriera. Pensavo che il mondo dello spettacolo non avesse un disperato bisogno di me. Non mi cercavo un agente, figura fondamentale. Poi, come in un filmetto americano, una sera del 2015 a una serata di stand up comedy a Testaccio, mi sono sentita bussare alla spalla da colei che poi è effettivamente diventata la mia agente e ho iniziato a lavorare in un altro modo».
È vero che ha fatto la maestra d’asilo?
«Per 10 anni, prima ho fatto anche la cameriera e l’educatrice ai campi estivi. Ma questo è il mestiere che ho amato di più. Non era il sogno, come la recitazione, ma mi è piaciuto tanto e mi ha aiutata come attrice. Con i bambini devi essere te stessa, ma metterti sempre in discussione. Sentono se stai facendo con loro qualcosa che a te non piace. Così il pubblico capisce se stai interpretando un ruolo che non è tuo».
Deve essere stato uno spasso averla come insegnante
«Ero quella buona e simpatica a cui i bimbi confidavano le marachelle. Mi divertivo a raccontare le storie con un finale diverso, li facevo ridere. Sono ancora in contatto con tanti di loro, ormai sono grandicelli. È stato un periodo bello, molto stancante. Stavo tutto il giorno a scuola e la sera recitavo in teatro».
Le battute e i personaggi di Una pezza di Lundini da due anni sono virali sui social. Se lo aspettava?
«No, perché non li ho inventati con quel proposito. Io, in tv e al cinema, faccio solo ruoli che mi piacciono, senza altri scopi, però ne sono felice. Simonetta, la truccatrice della Magnani o l’agente scelto Marilena Licozzi erano nella mia testa da tanto tempo, poi ci ho lavorato con gli autori Giulio Somazzi e Valerio Vestoso. Nascono dalle fissazioni del nostro tempo: la body positivity a tutti i costi o l’idea di portare avanti battaglie senza capirci troppo. Molti comici sono diventati famosi grazie ai social, ma sono piattaforme che non ho mai sentito vicine. Non mi viene di mettermi da sola in una stanza a premere Play per riprendermi con il telefonino».
Rec...
«Ecco appunto, mi confondo. Non è proprio roba mia. Quando faccio cose che non mi somigliano è come se mi vedessi da fuori e scoppio a ridere».
Però Chiara Ferragni ha utilizzato un suo sketch per convincere i follower a votare i Maneskin all’Eurovision .
«Chiara Ferragni mi è molto simpatica ed è bravissima nel suo, ma per quelle stories ho ricevuto una valanga di messaggi di congratulazioni. C’è chi mi ha scritto “sono felice, te lo meriti davvero”. Non ho avuto riscontri così nemmeno per il ruolo con Virzì. Questo la dice lunga sui tempi in cui viviamo».
Sul lavoro è secchiona?
«Molto. Nel privato sono disordinatissima».
Ambiziosa?
«Vorrei diventare sempre più brava e alzare l’asticella. Da sola non è semplice, devi avere qualcuno che ti permette di farlo. Siccità è stato una grande occasione».
È anche bella, ma sembra non crederci troppo.
« Me difendo, dai. Però è vero, è una dote su cui non ho mai investito. Pure da adolescente puntavo sulla simpatia. Forse ho paura che non venga preso in considerazione quello che faccio».
Così però si sminuisce.
«La verità è che io prendo molto sul serio il mio lavoro. Non mi piace arrivare in ritardo o impreparata, ci tengo a restituire al regista la parte che vuole. Sono una frana nella promozione. A me non viene da fare la foto in camerino con #newproject. Anche qui mi faccio ridere, ma è un problema mio. Chi lo fa non sbaglia. L’unica cosa che davvero non sopporto è la mitomania, mi spaventa. Per questo la esorcizzo con i miei personaggi».
Un’ultima domanda...
«Non mi chiederà mica se ho il fidanzatino»
Ha il fidanzatino?
«Eddai! Ma avete tutti paura che non mi sistemi?» .
Ha un sogno?
«Vorrei fare ogni anno un programma come Una pezza di Lundini e un film con Virzì. Vorrei non farmi prendere dalle lusinghe e che questo momento durasse per sempre. Ci vuole molta pazienza».
Marco Menduni per “Specchio – La Stampa” il 25 aprile 2022.
La carriera di Emanuela Folliero prende il volo quando la sceglie Silvio Berlusconi dopo un provino. La predilige per il sorriso rassicurante e non solo. «Mi hanno spiegato - racconta- che gli piacqui perché ero leggermente strabica».
Ancora oggi ci ride su: «Potrò avere tanti altri difetti, ma non sono mai stata strabica. Ancora oggi mi chiedo perché Berlusconi abbia detto così. Forse ero così concentrata sull'obiettivo che lo sarò sembrata davvero». Fatto sta che da quel momento in poi la Folliero diventa uno dei volti più noti del piccolo schermo. Annunciatrice, un ruolo che il tempo ha man mano cancellato dalla tv. Ma allora era un marchio distintivo della Fininvest. Poi diventerà la regina di Retequattro.
«Nel 1990 non ero una sprovveduta. Avevo studiato dizione, ero già stata in passerella, ero stata presentatrice di Telenova. Eravamo in settanta al provino. Alla fine della settimana, il venerdì, Berlusconi decideva tra una rosa che i suoi collaboratori avevano già scremato». Giura: «Mi presentai con una giacca e una camicia chiusa fino all'ultimo bottone». Ci scherza un po', sulla sua prorompenza: «Sicuramente non fu quella ad agevolarmi, avevo nascosto tutto!».
Ma ora non è l'occasione di guardare troppo all'indietro: «Pochi giorni fa ho letto una mia biografia e mi sono detta: quante cose ho fatto, ma neanche me le ricordo.
Mai cullarsi nel passato».
Oggi Emanuela Folliero è una dominatrice dei social. La sua pagina Instagram ha più di 300mila follower e lei sforna foto a getto continuo.
«Ovviamente non c'è solo questo - racconta ancora - perché lavoro sempre in tv. Certo, non come ai tempi in cui la gente era abituata a vedermi tutti i giorni, in cui ero un'abitudine quotidiana. Sono ospite in diversi programmi, ho degli sponsor per i quali lavoro. Ho ricevuto ancora proposte televisive. Le sto valutando, alcune mi allettano altre no».
Scrive per due periodici, «uno che parla di benessere, mentre sull'altro rispondo alle lettere più svariate. Questo contatto diretto con le persone fa parte di me, della mia persona». L'universo dei social le dà grandi soddisfazioni: «È anche una grande fonte di contatti lavorativi, mi sono adattata a questi nuovi linguaggi e mi diverto, moltissimo».
Un recente episodio le ha confermato la forza di questo tipo di comunicazione. Una disavventura. Qualche settimana fa, uscendo dal parrucchiere, è inciampata su una buca del marciapiede ed è caduta rovinosamente, infortunandosi a una gamba. L'immagine di lei a terra, dolorante, finisce su Instagram.
«Ovviamente non l'ho scattata io. L'ha fatta il mio amico parrucchiere, che mi ha pregato: Emanuela, non sei la prima a cadere per colpa di quella buca ma nessuno fa nulla, per favore, se ne parli tu magari qualcosa succede».
Quello che Emanuela evidenzia ora è l'immediato riscontro: «In poche ore la notizia del mio capitombolo e la relativa fotografia erano su tutti i siti d'informazione del web.
L'hanno letta tutti. Ho avuto la riprova: ci ritroviamo tra le mani un mezzo di comunicazione straordinario, per il suo impatto e per la sua immediatezza».
Così prosegue su questa strada: «Con due amiche, Giulia e Deborah, stiamo preparando dei programmi a pillole sui social. Con un grande senso di libertà. Faccio io le mie scelte, se va bene bene, se no amen». Alle sue scelte personali ha sempre tenuto moltissimo: «Coniugare la vita lavorativa con quella privata è una scommessa e da giovane avevo altre priorità.
Non date spazio alle persone che vi bloccano nei sogni e nelle aspirazioni. Tagliatele. L'indipendenza di una donna fa la sua libertà e io allora volevo un lavoro che mi piacesse e che realizzasse, appunto, la mia indipendenza economica». La famiglia? «Non rimpiango niente, niente. Ho avuto un figlio in età adulta. Ognuno di noi ha i suoi tempi e ne sono contenta. Ho anche voluto che avesse il doppio cognome e ci sono riuscita».
Emanuele Fasano, il «pianista della Stazione», torna con il nuovo singolo dopo anni di oblio. Giovanna Maria Fagnani su Il Corriere della Sera il 25 gennaio 2022.
A Natale 2015 aveva 21 anni: suonò in Centrale e il video ebbe 6 milioni di visualizzazioni su Facebook. Il primo contratto, poi la rottura con la casa discografica. Ora ci riprova con «Note in tempesta».
Il «pianista della Stazione» oggi suona sul mare in tempesta. E prepara un futuro da compositore e cantautore. Sette anni fa, nel 2015, Emanuele Fasano era un ventunenne indeciso se iscriversi all’università. «Studiavo pianoforte e componevo, sentivo che il mio destino era quello, ma non ne ero ancora certo. Poi quel giorno, alla stazione, mi ha fatto capire che dovevo fare questo nella vita». Era l’antivigilia di Natale ed Emanuele, diretto a Roma dal papà Franco (autore di brani indimenticabili: «Ti lascerò», «Mi manchi», «Io amo»), si sedette al pianoforte della Stazione Centrale e suonò una sua composizione. La gente si fermava ad ascoltarlo. Un passante riprese tutto e lo postò su Facebook: il video arrivò a sei milioni di visualizzazioni. Da lì fu un crescendo: nel giro di pochi mesi il primo contratto discografico, il disco d’esordio «La mia ragazza è il piano» e un’ospitata a Sanremo Giovani nel 2017. Poi il declino.
Il giovane pianista sparisce dalle scene e arriva anche la rottura con la casa discografica. Per un paio d’anni si trasferisce a Barcellona. Ora, per la gioia dei fan, è tornato a Milano e ricomincia con un nuovo singolo il suo primo videoclip. Il brano «Note in tempesta» è uscito nei giorni scorsi su Spotify e sulle altre piattaforme. Il video, che ritrae Emanuele mentre suona su una barca al largo di Alassio, sotto una pioggia battente, è stato prodotto da Lorenzo Bramati (che ha girato anche per Blanco, Salmo, Fedez).
«Ho scritto il brano alcuni anni fa in Sardegna, mentre ero ospite su una barca. Nel luglio del 2020 l’abbiamo incisa e una settimana fa è uscito il singolo, dedicato a Marco, un carissimo amico che oggi non c’è più, ma che mi ha presentato a Bramati» racconta Emanuele. Per girare il video c’è voluta una notte intera. «Ho suonato per dodici ore, sulle onde e sotto la pioggia. Poi, l’alba dorata che si vede nel video. Ho preso un bel respiro, ho capito che sarebbe uscito un lavoro bellissimo e che era una nuova alba anche per me: dovevo riprendere in mano me stesso e il mio percorso musicale». La strada è ancora lunga. «È difficile che una major investa un budget grosso per un pianista pop. Con la società di Lorenzo, la “Filetto” stiamo cercando investitori. Sono convinto che anche ai ragazzi che ascoltano la trap possa arrivare la mia musica».
I fan hanno risposto con entusiasmo: in pochi giorni 140 mila visualizzazioni. «Inoltre continuerò con i concerti: la mia forza sono i live, dove il suono del pianoforte è pulito, non mediato». Quel piano che è sempre lo stesso, lo Yamaha bianco della sua casa di Rodano, regalatogli dal papà.
Eminem compie 50 anni: 7 cose che non sapete di lui. Barbara Visentin su Il Corriere della Sera il 17 Ottobre 2022.
Il rapper americano fra difficoltà e successo, fra dipendenze e accuse di misoginia
Le rime velocissime
Compie 50 anni Eminem, uno dei rapper più importanti al mondo, artista bianco capace di affermarsi in una cultura musicale nera, scoperto da Dr Dre e conosciuto fin dagli anni 90 per i testi che oscillano fra ironia e dolore, contenuti spesso violenti, e la velocità micidiale del suo flow. Nel 2020 con il brano «Godzilla» Eminem ha battuto il suo record personale, rappando 10,65 sillabe in un secondo e 300 parole in 30 secondi
L’infanzia traumatica
Eminem è il nome d’arte di Marshall Bruce Mathers III. Il rapper è nato il 17 ottobre 1972 da una coppia di musicisti rock che ben presto si sono separati. Durante l’infanzia, lui e la madre Debbie si sono spostati più volte fra il Missouri e Detroit, vivendo in situazioni di fortuna e in precarie condizioni economiche. Nei sobborghi neri di Detroit Marshall fu spesso picchiato e bullizzato (di un episodio in particolare racconta in «Brain Damage»), ma i rapporti difficili furono soprattutto con la madre, con cui litigava frequentemente.
Le dipendenze
Proprio al pessimo rapporto con la madre (protagonista, fra le varie cose, della celebre «Cleaning out my closet» e non certo in termini lusinghieri) Eminem attribuisce almeno in parte la responsabilità per i suoi anni di abusi di sostanze. Il rapper fu dipendente da vari tipi di pasticche: «Viaggiavo al ritmo di 20 pillole al giorno, fra Vicodin, Valium e Ambien. Ormai non le contavo più, perché erano così tante che nemmeno sapevo distinguerle». Tentò di ripulirsi una prima volta nel 2002, ma i suoi eccessi con le pillole continuarono, nel tentativo di curare l’insonnia, e lo portarono anche a un forte aumento di peso.
Il tentato suicidio
La vita di Eminem è stata una lotta continua per la sopravvivenza e per il riuscire ad affermarsi anche quando tutte le circostanze gli remavano contro. E tutte queste difficoltà si riversano nella sua musica. Da giovane, uno dei momenti più bui lo portò anche a un tentativo di suicidio: nel 1997 aveva perso il lavoro, gli sforzi di avere successo con l’hip hop non stavano andando a buon fine, il rapporto con la fidanzata di allora, Kim, da cui nel 1995 aveva avuto la figlia Hailie stava andando male e così Marshall provò a togliersi la vita.
L’overdose
Nel 2007 Eminem fu ricoverato per un’overdose di metadone: secondo i medici aveva ingerito l’equivalente di quattro sacchetti di eroina e se non fosse stato soccorso, sarebbe morto nel giro di un paio d’ore. Da lì a poco i suoi tentativi di disintossicarsi presero fortunatamente una piega positiva, iniziò a correre e fare esercizio fisico e fu aiutato nei suoi sforzi di restare pulito da Elton John che lo chiamava una volta a settimana per sapere come andasse. Dal 2008 il rapper non fa più uso di sostanze
Il successo
Poco dopo il periodo buio, arriva il successo: «My name is» lancia Eminem verso l’Olimpo dell’hip hop, il suo disco «The Marshall Mathers LP» (del 2000) diventa l’album rap con le vendite più veloci di sempre, «The Eminem Show» nel 2002 rompe tutti i record dell’anno. Fra premi e primati, arriva anche un Oscar con «Lose Yourself», colonna sonora del film «8 Mile» di cui il rapper è anche protagonista. È la prima canzone hip hop della storia ad aggiudicarsi la statuetta.
Le accuse di misoginia
I testi di Eminem hanno spesso scatenato controversie e accuse di razzismo, omofobia o misoginia. A finire nel mirino, oltre alla madre, è stata spesso la storica fidanzata Kim, poi sposata, protagonista di più di un brano: il rapper nelle sue rime vagheggia di ucciderla, mentre nella vita reale il dolore per queste parole portarono la donna a tentare il suicidio. L’unica persona per cui Eminem ha sempre pensieri positivi nei suoi brani è la figlia Hailie.
Emma e il docu «Sbagliata - Ascendente leone»: «Ho accettato la malattia ma viviamo in un medioevo bigotto». Andrea Laffranchi su Il Corriere della Sera il 29 Novembre 2022
Esce su Prime Video il documentario sulla vita della cantante. «Ho perso le ovaie. Bisogna sapere reagire, ma per farlo bisogno essere informati. Io ho congelato gli ovuli per il diritto ad avere un figlio»
«L’ascendente l’ho scoperto su internet. Non ci capisco nulla di queste cose ma suonava bene nel titolo e nel testo del brano della colonna sonora... Ecco, ancora una volta rispondo in maniera naturale, senza nessuno che mi dice cosa è meglio dire... sono fatta così». Emma in una frase, quella del titolo del documentario «Sbagliata - Ascendente leone» e quella della risposta al perché di quel titolo. Il docu esce oggi su Prime Video e lei non l’ha ancora visto. Troppe emozioni a giudicare dalla voce che le si rompe spesso nel raccontare questi due anni e mezzo di vita.
Quella pubblica di «X Factor», del tour estivo in epoca di prudenza pandemica («Sono un capitano che non abbandona la nave: la mia squadra aveva bisogno di lavorare»), della serie con Muccino e di Sanremo. E quella privata in cui la si vede felice in famiglia o con gli amici attorno a una tavolata o con il bicchiere in mano («Sono conviviale e una brava cuoca»), in lacrime quando racconta della sua malattia, soprattutto di quel terzo intervento che proprio non si aspettava di dover fare. «Non sono l’unica donna ad aver perso le ovaie in giovane età. Bisogna saper accettare ma anche reagire. Per reagire però devi essere informato e sapere che puoi intervenire prima, nei casi come il mio ad esempio per conservare i tuoi ovuli. La medicina ha fatto passi da gigante ma viviamo in un medioevo bigotto in cui il diritto di avere un figlio è visto come egoismo e non come un atto d’amore».
Non si tiene sassolini nelle scarpe. «Ho imparato a non far salire le persone sul carro dei vincitori, lo vedrete quando tornerò a brillare nel mondo della musica». Non pare una carriera offuscata... Ecco ancora la Emma «sbagliata», quella che si sente sempre «a disagio, mai giusta». «Non voglio parlare della scomparsa di papà, ma ho vissuto un periodo di m... e più che una percezione che arriva dal pubblico ero io a non sentirmi al massimo nella musica». Nel docu la si vede lavorare a nuove canzoni. «Sarà una bomba, gli amici cui ho fatto sentire qualcosa dicono che canto in maniera diversa, meno potenza e più tonalità medio basse ma anche falsetto. Con quello che è successo mi sono allontanata un po’ dall’arte e ho ripreso da poco. Spero di non ricevere pressioni da chi continua a chiedermi un disco: devo imparare a camminare da zero».
Emma Marrone: "Ho conservato il mio tessuto ovarico per diventare madre senza un uomo". Giovanni Gagliardi su La Repubblica il 16 Novembre 2022.
Le dure parole della cantante e attrice per come in Italia vengono trattate le donne: "Ne conosco tante che si sono dovute trasferire all'estero per concepire un figlio da sole. Non siamo libere di gestire il nostro corpo. Questa è una violenza""
Emma Marrone su Twitter ha scritto che su 8 miliardi di persone che ci sono al mondo, nessuno vuole fidanzarsi con lei. Ma intanto scopriamo che la cantante e attrice salentina ha pronto un piano B: anni fa ha voluto far conservare il proprio tessuto ovarico per poter diventare madre anche senza un compagno. L'artista lo ha confidato in una intervista a Vanity Fair in cui ha affrontato, tra l'altro, il tema delle madri che decidono di diventare tali da sole. Una questione che in Italia è ancora molto spinosa. Ovviamente, nel corso dell'intervista si è parlato anche del suo docu-film in uscita, ma le dure parole della cantante sui diritti delle donne hanno colpito nel segno, facendo subito il giro del web.
"Non siamo libere di gestire il nostro corpo"
"Viviamo in un Paese in cui una donna per avere un figlio da sola deve andare all'estero perché la fecondazione assistita non è prevista", ha detto la cantante 38enne. "Non puoi andare dal tuo ginecologo e chiedere il seme di un donatore perché vuoi un figlio, nemmeno quando hai 40 anni e sai benissimo che l'amore della tua vita non lo troverai presto", ha spiegato Emma. "Quante donne perdono la fertilità a 40 anni per la leucemia e non c'è un medico che spiega loro la conservazione degli ovuli? E cosa ti rispondono? Se Dio non lo vuole, allora non va bene", ha aggiunto. "Non siamo libere di gestire il nostro corpo e questa è una violenza", ha sottolineato l'artista.
"Ho conservato il mio tessuto ovarico"
L'ex giudice di X Factor ha rivelato poi di avere "conservato il mio tessuto ovarico" per poter diventare madre senza bisogno di un uomo. Una decisione che, secondo Emma, non dovrebbe essere vincolato all'esistenza di una figura maschile stabile nella vita di una donna. "Mi infervoro su questi argomenti perché conosco tante donne che si sono dovute trasferire all'estero per concepire un figlio da sole. Perché qui bisogna essere costrette a fare un figlio solo con un uomo".
Donne e lavoro
Infine, un parere anche sulla condizione lavorativa delle donne: "In Italia, poi, un uomo studia e può raggiungere una posizione di potere, una donna fatica il doppio e viene messa in dubbio alla prima maternità. Questa, ripeto, è violenza", ha detto Emma.
Il docu-film
Come detto, nel corso dell'intervista Emma ha parlato anche di Sbagliata ascendente Leone, il documentario sulla sua vita diretto da Bendo, il duo composto dai registi Lorenzo Silvestri e Andrea Santaterra, che sarà su Prime Video dal 29 novembre. Le immagini sono accompagnate da un brano inedito scritto appositamente. E la cantante promette: "Mi amerete ancora di più".
Emma, il dramma privato: "Troppo arrabbiata con la vita". Libero Quotidiano il 27 novembre 2022
"Adesso che lui non c'è più sono un'altra persona": Emma Marrone, ospite dell'evento "Luce!" a Firenze, è tornata a parlare della morte di suo padre Rosario, scomparso due mesi fa. La cantante, nel frattempo, ha detto addio ai lunghi capelli biondo platino ed è tornata al suo colore naturale, il castano, preferendo un taglio molto più corto. "Sono troppo arrabbiata con la vita in questo momento - ha detto Emma intervistata sul palco -. Quando succedono queste cose così enormi e tragiche, è come se si resettasse tutto quello che sei stata e che hai fatto".
"Io so chi ero quando c'era lui e tutta una serie di cose, ora è come se stessi ricominciando da capo - ha proseguito l'artista -. Adesso che lui non c'è più sono un'altra persona e lo sto vedendo ogni giorno. La vita ti cambia tutto all'improvviso e lo sto capendo. Sono appena nata".
L'emozione per Emma è stata tanta, soprattutto quando ha raccontato chi era suo papà Rosario: "Lo chiamavo Peter Pan perché non voleva mai crescere. Di lui ho sempre apprezzato la generosità. Faceva l’infermiere e quando qualcuno non riusciva ad andare in ospedale si recava di persona a casa a fare le medicazioni".
Emma Marrone perde il padre Rosario, il suo scopritore musicale. Cordoglio anche da Aradeo. L'artista pubblica sui social la scomparsa: «Fai buon viaggio Papà. Ti amo e ti amerò per sempre». Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 05 Settembre 2022.
«Fai buon viaggio Papà. Ti amo e ti amerò per sempre». E' con queste parole, pubblicate sul suo profilo Instagram, che la cantante salentina Emma Marrone ha oggi annunciato la scomparsa del padre Rosario. Scomparso nelle scorse ore all'età di 66 anni, era fortemente legato alla figlia, sia umanamente che artistico, visto il gene musicale a lei trasmesso. Rosario Marrone aveva infatti inserito la figli all'età di nove anni nei Karadreon e in qualche occasione anche negli H2O, gruppi dei quali era chitarrista.
Al messaggio di Emma Marrone pubblicato nelle prime ore di questa giornata sui social sono immediatamente seguite reazioni da parte di diversi personaggi del mondo dello spettacolo vicini all'artista. Tra questi Paola Turci, Andrea Delogu, Francesca Michielin che l'aveva affiancata a Sanremo lo scorso, così come l'ex compagno Stefano De Martino, che ha definito "vecchio lupo" l'uomo che aveva evidentemente conosciuto nel periodo della relazione con l'artista salentina conosciuta ai tempi della partecipazione al talent show Amici.
A rendere noto il lutto per la famiglia della cantante erano state le pagine social ufficiali del comune di Aradeo, la località in provincia di Lecce dove la famiglia Marrone viveva ormai da anni. Un comunicato, quello pubblicato sui social dal comune, che include le condoglianze del sindaco dell'amministrazione comunale.
CORDOGLIO DALLA CITTÀ DI ARADEO
«Ricordiamo Rosario per il suo impegno nella nostra comunità, come uomo di politica, ex amministratore e presidente del Consiglio nel nostro Comune. Un uomo eclettico, disponibile, forte e schietto che ricorderemo sempre con grande affetto». Così Giovanni Mauro, il sindaco del comune salentino di Aradeo dove è nato e vissuto il papà di Emma Marrone, esprime cordoglio sulla pagina ufficiale del comune per il lutto che ha colpito la cantante. «Ci stringiamo commossi" alla famiglia - scrive - «per l’improvvisa perdita del caro Rosario».
Morto il papà di Emma Marrone: “Ti amerò per sempre, buon viaggio”. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 5 Settembre 2022.
Rosario Marrone aveva una grande passione per la musica ed è stato il primo talent scout della figlia, tanto da portarla in giro ad esibirsi sin da piccola, diventato anche manager personale di Emma e ne ha seguito da vicinissimo la carriera.
Rosario Marrone, il papà della nota cantante Emma, è morto improvvisamente ieri sera a soli 66 anni, anche se le cause della morte non sono state rese note. “Fai buon viaggio Papà. Ti amo e ti amerò per sempre. La tua Chicca“, questo il messaggio pubblicato su Instagram dalla cantante leccese, che si trovata fuori per lavoro ed è rientrata di cosa di ritorno nel corso della notte in Salento.
Al messaggio di Emma Marrone sono immediatamente seguite le reazioni da parte di diversi colleghi e amici dell’artista, da Paola Turci ad Andrea Delogu, da Francesca Michielin insieme alla quale Emma ha partecipato all’ultimo Festival di Sanremo, a Stefano De Martino, che ha definito Rosario “un vecchio lupo“, a Elodie, attualmente a Venezia per la presentazione del suo primo film.
Ad annunciare il decesso è stato anche il Comune di Aradeo, nel Leccese, con un post su Facebook: “È con profonda tristezza che ci stringiamo commossi alla Famiglia Marrone, alla Presidente del Consiglio Clarissa Quido (la compagna del figlio Francesco, ndr) per l’improvvisa perdita del caro Rosario. Ricordiamo Rosario per il suo impegno nella nostra comunità, come uomo di politica, ex amministratore e Presidente del Consiglio nel nostro Comune. Un uomo eclettico, disponibile, forte e schietto che ricorderemo sempre con grande affetto. Ciao Rosario” si legge nel messaggio firmato dal sindaco Giovanni Mauro a nome di tutta la comunità.
Questa mattina si sono recati in tanti presso la casa della famiglia Marrone per portare il loro cordoglio, godendo di grande stima e affetto nel suo paese, dove era considerato da tutti persona sensibile e rispettosa. Non si è fatto attendere un comunicato di cordoglio dell’amministrazione comunale, di cui il papà di Emma era stato consigliere comunale, ricoprendo pura la carica di Presidente del consiglio comunale. Ruolo oggi appartenente a Clarissa Quido, che è la compagna del figlio Francesco, fratello di Emma. I funerali si svolti questo pomeriggio nella chiesa madre di Aradeo. Lascia la moglie Maria Marchese, i figli Emma e Francesco, ma anche il papà Leandro, tre fratelli e altrettante sorelle. Il 18 settembre avrebbe compiuto 67 anni.
Emma Marrone con il padre e la madre
Rosario Marrone è stato il primo talent scout della figlia, tanto da portarla in giro ad esibirsi sin da piccola, aveva una grande passione per la musica, tanto da aver fondato la band H2O ed essersi esibito in diverse occasioni con la figlia sul palco. Musicista per passione, era diventato anche manager personale di Emma e ne ha seguito da vicinissimo la carriera. Qualche anno fa, per “Amici Big” all’Arena di Verona, salì sul palco e la affiancò in un divertente fuori programma. “Il mio vecchio lupo“, era il modo simpatico con il quale Emma era solita chiamare il padre, che da anni è sposato con Maria Marchese, la mamma della cantante salentina.
La Direzione, redazione e collaboratori del Corriere del Giorno si stringono al dolore immenso che ha colpito Emma Marrone e tutta la sua famiglia. Redazione CdG 1947
Emma ai fan dopo la morte del papà Rosario: «È morto di leucemia. Il mio grazie all'ospedale di Tricase». E lancia un appello: «Diventate donatori di midollo». La Gazzetta del Mezzogiorno l'8 settembre 2022.
«Ciao a tutti, ci tenevo a ringraziarvi innanzi tutto per l’amore che ci avete dimostrato in questi giorni così difficili e dolorosi». Comincia con queste parole il video postato da Emma su Instagram in cui spiega che il papà Rosario, scomparso a 66 anni, è morto di leucemia.
«Avrei anche voluto commentare tutti quei soggetti che stanno speculando sul buon nome di mio padre, tirando su le solite illazioni fantasiose e ignoranti sulla questione dei vaccini», sottolinea la cantante, maglietta nera, capelli raccolti, la voce rotta dalla commozione. «Mio papà da ottobre scorso stava lottando contro la leucemia e non smetterò mai di ringraziare il dottor Enzo Pavone e tutti i medici e infermieri dell’ospedale di Tricase nel reparto di oncologia che ci hanno seguito e aiutato in un momento così difficile».
«E a tutte quelle persone che in questi giorni mi stanno chiedendo 'che cosa possiamo fare per te?', rispondo ecco, qualcosa da fare c'è: andate sul sito di admo.it e informatevi su come diventare donatori di midollo perché questo Paese ha bisogno di più donatori. Aiutare gli altri vuol dire aiutare se stessi, più siamo più vite possiamo salvare nel minor tempo possibile. Ecco cosa dobbiamo fare tutti, per noi, per la vita. Grazie a tutti», conclude l’artista.
Emma Marrone in lutto per la morte del papà Rosario: chi era, lavoro, qualche ricordo e il bellissimo rapporto con la figlia. Redazione Spettacoli su Il Corriere della Sera il 5 Settembre 2022.
Rosario Marrone si è spento a 66 anni. Infermiere di Aradeo, suonava e cantava in una band. Una passione per la musica che ha trasmesso alla figlia, che all’inizio aveva timore del palco
Lutto per la cantante
Si è spento all’età di 66 anni Rosario, papà di Emma Marrone. «Fai buon viaggio Papà - ha scritto la cantante sui social, condividendo una foto - Ti amo e ti amerò sempre». E poi si firma «La tua Chicca». Sono stati immediati i commenti dei fan con messaggi di affetto e vicinanza. Nella foto pubblicata da Emma Rosario Marrone suona la chitarra. Una passione di famiglia dunque quella per la musica, che è passata di padre in figlia. La notizia della sua scomparsa è arrivata anche dal comune di Aradeo, in provincia di Lecce, città d’origine di Rosario Marrone. I funerali sono in programma per il pomeriggio di lunedì 5 settembre, alle 17.00. Si svolgeranno nella chiesa madre di Aradeo.
Il lavoro in ospedale e la musica
Rosario Marrone nella sua vita ha trascorso molte ore sul palco, ma la sua quotidianità la viveva in ospedale. Era infatti un infermiere. Ha sempre dato tanto al lavoro ma non ha mai rinunciato alla passione per la musica. Faceva parte di un gruppo, gli H2O, di cui era il chitarrista e cantante. Fu lui in particolare a sostenere Emma agli inizi, aiutandola a sconfiggere quel naturale timore per le esibizioni. Qualche anno fa la cantante aveva ricordato gli inizi della carriera ed era stata diffusa una lettera in cui Emma si rivolgeva direttamente al padre: «Mi hai spinto a calci nel sedere tu sul primo palco. Mi hai insegnato tu a cantare davanti alle persone senza vergognarmi. Ti amo tanto».
L’impegno per la propria comunità
Nel comunicato stampa inviato dal comune di Aradeo, dove Rosario ha vissuto insieme alla famiglia, emerge il ritratto di un uomo che ha sempre voluto darsi da fare per il proprio territorio e per le persone che lo vivono ogni giorno. «È con profonda tristezza - si legge nel messaggio firmato dal sindaco Giovanni Mauro - che ci stringiamo commossi alla Famiglia Marrone, alla Presidente del Consiglio Clarissa Quido per l’improvvisa perdita del caro Rosario. Ricordiamo Rosario per il suo impegno nella nostra comunità, come uomo di politica, ex amministratore e Presidente del Consiglio nel nostro Comune. Un uomo eclettico, disponibile, forte e schietto che ricorderemo sempre con grande affetto. Ciao Rosario»
l messaggi di vicinanza, da Laura Chiatti a Stefano De Martino
Dopo la notizia, a Emma Marone sono arrivati tantissimi messaggi di cordoglio dai fan ma anche da parte dei suoi amici e dei suoi affetti. «Un bacio grande» le ha scritto Stefano De Martino, ex fidanzato della cantante. I due si erano conosciuti ad Amici nel 2010 e avevano dato vita ad una storia d’amore spesso al centro del gossip. In seguito si sono lasciati, ma hanno sempre continuato a volersi bene. Così non poteva mancare il suo messaggio, accompagnato anche dalle parole di altri amici. «Ti stringo, cara Emma» scrive Laura Chiatti. Chiara Ferragni commenta con un cuore, mentre Rocìo Morales le dice «Ti stringo amica».Così come Andrea Delogu, che aggiunge: «Per sempre». Un cuore arriva anche dagli Stadio e da tantissime altre persone, del mondo della musica e non solo.
Un punto di riferimento
Le cause della morte non sono state ancora rese note. Quello che è certo è che Rosario è sempre stato un punto di riferimento costante per Emma. A «Cè Posta per te» il papà della cantante aveva raccontato la sera della vittoria a Sanremo di Emma, nel 2012. In quel racconto aveva spiegato in cosa consiste quell’amore paterno che già manca alla famiglia. «La sera in cui Emma ha vinto Sanremo tornò in albergo alle 4 del mattino. Io e mia moglie abbiamo detto che quella non era ora. Io facevo l’infermiere in rianimazione e spesso non ci sono stato per Emma, ma non smetterò mai di essere suo padre. Anche se mi dicesse: Papà ma vaffa…, io sto sempre là». Così come continuerà ad esserci nei ricordi e negli insegnamenti, nella passione e nella forza che Emma ha imparato guardando il suo papà.
Emma Marrone a Maria De Filippi: “Torno a Sanremo pronta a ricevere critiche e amore. Ma il mio aspetto fisico non è più un problema". La Repubblica il 28 Gennaio 2022.
Dopo due anni da giudice a X Factor sentiva il bisogno di essere di nuovo giudicata. Ecco perché Emma Marrone torna in gara al Festival con un brano "bellissimo, ma super difficile da cantare". Per D, in edicola sabato 29 gennaio, si racconta, senza filtri, alla "signora bionda che le ha svoltato la vita": Maria De Filippi. Qui nell'inedita veste di intervistatrice.
La ragazza con la valigia è arrivata a Roma dal Salento su un treno notte, ricca di sogni e di «tre vestiti in croce», per affrontare il provino di Amici condotto da Maria De Filippi. Dodici anni dopo, è proprio la «signora bionda» che per prima le ha dato fiducia a intervistare per D Emma Marrone, che ricorda la vittoria di quel talent come l’inizio di una carriera ben oltre l’immaginazione – nella musica, ma anche al cinema e in tv – e che ora prevede una nuova tappa al Festival di Sanremo: dopo la vittoria del 2012, e il ruolo di presentatrice al fianco di Carlo Conti nel 2015, è infatti di nuovo in gara...
Da corriere.it il 9 febbraio 2022.
«Buongiorno a tutti dal Medioevo, il body shaming con il linguaggio politically correct, non so se è più imbarazzate o noioso»: così Emma Marrone, sul suo profilo Instagram, dopo le parole del blogger Davide Maggio che ha commentato il suo abbigliamento a Sanremo 2022 (un abito in pizzo nero con un paio di collant a rete): «Se hai una gamba importante eviti di mettere le calze a rete».
«Mi rivolgo soprattutto alle ragazze, a quelle giovanissime: evitate di ascoltare o leggere commenti del genere — dice nel suo video Emma —. Il vostro corpo è perfetto così com’è, dovete amarlo e rispettarlo e soprattutto dovete vestirvi come vi pare, sia che abbiate gambe importanti o meno.
Anzi, con le calze a rete abbinate anche una minigonna e mostratele queste gambe importanti. E questo mi fa rendere conto che la mia canzone («Ogni volta è così», sul palco dell’Ariston diretta da Francesca Michielin, ndr), oltre a essere bellissima, a quanto pare era necessaria a Sanremo perché è ancora necessario parlare di femminismo e di donne e del rispetto delle donne».
«Mi raccomando ragazze — continua Emma — non ascoltate questo genere di commenti. Siate orgogliose del vostro corpo e mostratelo per quello che è. Le persone si dimenticano che le parole hanno un peso specifico e un peso importante.
C’è chi le sa reggere e le vive con ironia e c’è chi purtroppo, soprattutto sui social, dove tutti parlano, giudicano, insultano, non si rendono conto che magari c’è qualcuno che legge ed è molto fragile e rischia di cadere in un buco nero senza fine. È davvero tutto molto imbarazzate. Io ora torno a fare un sacco di cose belle, ma era necessario per me dire questa cosa perché non si può più stare zitti di fronte al fatto che chiunque possa parlare di un’altra persona in un modo così scorretto».
Monica Caradonna per corriere.it il 9 febbraio 2022.
Emma Marrone, vittima o carnefice? Body shaming e shitstorm giocano a ping pong in un match che se fosse stato costruito ad hoc per lanciare la canzone sanremese di Emma - che parla sì d’amore ma soprattutto della condizione femminile - sarebbe stata una scelta di marketing che ha funzionato.
Ma a scapito di chi? Di Emma, forse; di Davide Maggio sicuramente, travolto dalla violenza verbale dei follower della cantante salentina che da ieri senza sosta sui canali social lo hanno aggredito con insulti ed epiteti.
Proviamo a ricostruire i fatti: durante il Festival della Canzone italiana il giornalista e critico di TV Davide Maggio è stato un riferimento nelle trasmissioni televisive e radiofoniche. Ha accumulato ospitate in Rai - dalla Vita in Diretta a Domenica In – fino alla presenza fissa come commentatore al fianco di Anna Pettinelli su Rds.
Ogni sera, al termine del Festival, Davide ha dato spazio per le pagelle sui look dei cantanti all’influencer Paolo Stella. Nel corso delle dirette notturne il giornalista e l’influencer hanno commentato in maniera ironica e talvolta goliardica gli outfit di cantanti e co-conduttirci, senza risparmiare le giacche glitterate di Amadeus.
Il commento di Davide sull’uso delle calze a rete sulle «gambe importanti» di Emma non è piaciuto alla cantante che ha inteso la definizione un’offesa al limite del body shaming.
Davide cosa hai combinato?
«Ho espresso un punto di vista a corredo del commento di Paolo Stella sul look di Emma dicendo che avrei evitato su una gamba importante delle calze a rete. Un mero commento personale sui look che sono frutto del lavoro degli stylist che, sempre a mio parere, non l’hanno valorizzata in quell’occasione».
Quindi hai insultato il suo corpo?
«Ecco il corpo qui non c’entra niente. Mi fa sorridere che mi si accusi di body shaming proprio tramite un social sul quale chi mi segue conosce bene le mie posizioni di totale inclusione nei confronti di qualunque – per dirla alla Drusilla Foer - ‘unicità’. Se Emma ritiene che una ‘gamba importante’ sia un problema, allora diventa tutta una questione di accettazione. Perché per me non lo è assolutamente».
Anche perché con la tua fisicità non saresti credibile a fare body shaming.
«Esattamente, proprio così. Parli con uno che è orgoglioso delle sue gambe importanti».
Emma però pare non la pensi come te. È stata estrapolata una parte della diretta tua e di Paolo Stella e ne ha tratto delle conclusioni...
«…affrettate, decontestualizzate e non corrispondenti alla realtà. Hai presente il gioco del telefono senza fili? È stata ripresa una parte del tutto. La sensazione più amara, tuttavia, e lo dico da giornalista, è che purtroppo la critica non abbia più diritto di cittadinanza nel nostro Paese; è la morte del senso critico. Si trattava di un commento a delle pagelle dei look fatte con un esperto di moda. Commento che mi è costato molto caro».
Cioè?
«Purtroppo ad Emma sarebbe bastata una telefonata chiarificatrice, invece, ha preferito etichettare l’accaduto come body shaming davanti ai suoi 5,5 milioni di follower che da ieri non fanno altro che offendermi, augurandomi anche la morte. Dalle me parti questo si chiama incitazione all’odio».
Vabbè come finirà questa storia?
«Dalle più grandi incomprensioni nascono i migliori rapporti… Ogni volta è così».
I PARACULI DEL BODYSHAMING: DICONO DI COMBATTERLO E POI LO PRATICANO CONTRO I "NEMICI". Dagonota il 10 febbraio 2022.
Quella che leggete di seguito è una rassegna sintetica delle offese rivolte a Davide Maggio, sul suo account Facebook, dalle truppe s-marronate di Emma, a cui il giornalista aveva mosso dei rilievi sull'outfit sanremese: “Se hai una gamba importante, eviti di mettere le calze a rete”.
L’elenco dà la misura di quanto la battaglia contro il body-shaming sia spesso strumentale e ideologica: si dice di contrastarlo e si finisce per praticarlo all’ennesima potenza contro “il nemico” di turno.
Chi vuole combattere i giudizi sul corpo non può nascondersi dietro il paravento paraculo di frasi come “chi la fa, l’aspetti”, “se l’è cercata”, “chi di spada ferisce, di spada perisce” altrimenti mostra ipocrisia e doppiopesismo, quello sì davvero “importante”.
- Manco il nero ti snellisce. Pachistano peloso. Se per bontà divina qualche donna l’hai avuta, è solo per il ruolo che ricopri"
- Ma che faccione hai?? Ma una maschera non puoi metterla? Facci sto piacere dai!!
- Panzone mettiti a dieta
- Ma ti sei visto, sí? Vai a correre e leva un po' di carboidrati, prima di fare il sommelier della figa
- Così decretò l'uomo dal girovita importante
- Ne approfitto per dirti che voi g..y e la vostra lobby avete proprio rotto in tutto e per tutto. In oltre ti invito ad ingoiarti la lingua, viperetta quale sei, prima di parlare di Emma
- Ma da quale pulpito ! Sembri un cesso a pedali
- Certo che ci vuole del coraggio a fare commenti sul fisico di altre persone quando con il proprio fisico ci si vergogna a mettersi in costume al mare
- Davide, te la faccio breve: Sai na sega delle cosce delle donne
- Pure le panze importanti andrebbero ridimensionate, non trovi?
- Ciao ciccione!
- Se hai una pappagorgia importante dovresti evitare certe immagini profilo
- Abbassa le mutande e vediamo se almeno lì sei importante
- Con una faccia importante come la tua bisognerebbe evitare di andare in giro senza sacchetto sulla testa
- Dovresti evitare di sì sparare cazzate... E mettere a posto quel fisichello da barba papà
- Davide Maggio ce l'ha piccolo piccolo piccolo
- Per non parlare del doppio mento che cerchi di camuffare con la barbetta
- Comunque se uno ha una stempiatura cosi importante non deve portare i capelli così lunghetti
- Pensa alla tua di firma fisica invece di criticare gli altri che sembri un tacchino
- U porco spiaggiato
Stefano Zecchi per “il Giornale” il 10 febbraio 2022.
Se noi andassimo in giro nudi, avremmo una disgustosa immagine di vermi, diceva il noto studioso di estetica Gillo Dorfles, che è stato anche mio professore all'università. Dunque, l'abito è il nostro stesso corpo e parla di noi: il nostro modo di vestire è il nostro linguaggio, e come ogni linguaggio può essere elegante o volgare, di buon gusto odi cattivo gusto, assolutamente normale o trasgressivo.
E molto altro ancora. Quindi se il prof. Zecchi si presenta in una trasmissione tv con una canottiera a vista e giacca di pelle nera con l'addobbo di una catenella al collo corredata da curioso pendaglio di civiltà indefinibile, chi già lo conosce dirà che si è bevuto il cervello, chi lo vede per la prima volta dirà che appartiene alla comunità di metallari... o qualcosa del genere.
Così come Emma è stata criticata dal giornalista Davide Maggio per le calze a rete usate a Sanremo, che a suo dire non donerebbero alle sue forme. Insomma, non c'è niente da fare: a chi ci osserva, la nostra immagine arriva prima delle nostre parole, perché la nostra immagine è un linguaggio che il più delle volte è maggiormente comunicativo delle stesse parole. Nei limiti della decenza e del rispetto dei luoghi (una chiesa è una chiesa, non un palcoscenico o una piazza; un tribunale è un tribunale, non una discoteca o il campo per un raduno rock; naturalmente, una scuola...), una persona ha il diritto di vestirsi come vuole, cioè usare il linguaggio con cui crede meglio esprimersi. Io osservo e così ascolto il linguaggio che quella persona mi comunica col suo abito sul suo corpo.
Posso permettermi di giudicarla? Supponiamo che una persona mi legga delle sue poesie. Posso permettermi di giudicarla? Certo, le dico che mi fanno schifo. Lei protesta; io le spiego qual è una vera poesia e perdo del tempo con l'analisi di una lirica di Leopardi. Sono in grado di farlo, e lei con un po' di umiltà potrebbe imparare. Invece va in giro, dicendo che l'ho voluto umiliare, frustrare nella sua creatività.
Per me può scrivere tutte le poesie che vuole, ma se le leggo, ho il diritto di dire che sono porcherie, e il mio giudizio non è soltanto estetico ma anche pedagogico, perché semmai qualcuno leggesse quelle porcherie, non pensasse che quella roba è poesia, sentendosi così in diritto di scrivere schifezze simili, ritenendole poesie. Naturalmente, il linguaggio poetico è più complesso del linguaggio di un abito sul nostro corpo, ma anche quest' ultimo è espressione di un significato che si inserisce in una struttura comunicativa. Dunque, riprendiamo la prima domanda a cui non avevo dato risposta.
Certo che posso giudicare il modo in cui si veste una persona: giudico il suo linguaggio, la forma della comunicazione, il suo significato. È evidente che ci sia modo e modo nel formulare il giudizio: ovvio che non può essere impositivo e moralistico, ma un giudizio estetico non solo si può esprimere, ma si deve pronunciare, proprio sotto il profilo pedagogico, perché l'educazione estetica è il fondamento dell'educazione sentimentale.
Quando si comunicano i propri sentimenti, questo processo avviene attraverso il linguaggio delle parole e il linguaggio del corpo: il controllo dell'espressione, affinché essa sia, per esempio, affettuosa o irritata, sentimentale o fredda, dipende dalla capacità di comprendere la qualità estetica del linguaggio che si usa.
La cantante desidera evidenziare le sue cosce? Padronissima di farlo e di suggerire a tutte le ragazze del mondo di seguire il suo esempio. Ma senza aggressività e inutile ironia posso dirle che con un abito diverso sul suo corpo poteva esprimere un linguaggio più bello. Non le interessa? Neppure a me interessa convincerla, proprio come nel caso della poetessa di prima, felice delle sue poesie che non capisce che sono porcherie.
C'è modo e modo, certamente: un giudizio, anche il più elementare, deve sempre essere rispettoso, e la persona che viene giudicata deve pretendere il rispetto. Ma una società non potrà mai prescindere dalla comunicazione dei suoi membri: la comunicazione è forma della società stessa, e il giudizio sul linguaggio della comunicazione di necessità diventa imprescindibile per la stessa struttura sociale. Affermare che non si può e non si deve giudicare, è un'ipocrisia.
Emma, Davide Maggio, le calze a rete e «le gambe importanti»: il solito refrain sul corpo delle donne che si doveva evitare. Chiara Maffioletti su Il Corriere della Sera il 10 febbraio 2022.
La cantante risponde al blogger Davide Maggio: «Imbarazzante bodyshaming».
E ancora una volta siamo finiti lì, a parlare del corpo delle donne. Terminato il Festival di Sanremo, spente le luci dell’Ariston, restano alcune belle canzoni e una polemica che si doveva evitare. Durante la sera della finale, in una diretta Instagram, il giornalista e produttore Davide Maggio, titolare dell’omonimo blog, nel commentare il look dei cantanti si è soffermato su quello, elegantissimo, di Emma Marrone . Dicendo: «Se hai una gamba importante eviti di mettere le calze a rete».
Una sola frase ma che condensa un pensiero preciso, secondo cui, ancora oggi, è lecito dire cosa una donna può indossare e cosa invece è meglio che eviti, basandosi poi su canoni chissà da chi decisi ma interiorizzati al punto da farli diventare regola. Emma Marrone ha sintetizzato definendolo «il Medioevo». Lo ha fatto sui suoi seguitissimi profili social. Viso struccato e sguardo dritto in camera, ha detto: «Il body shaming con il linguaggio politically correct non so se è più imbarazzante o noioso». Poi, si è rivolta alle donne, «soprattutto alle ragazze, a quelle giovanissime: evitate di ascoltare e leggere commenti del genere, il vostro corpo è perfetto così com’è. Dovete amarlo e rispettarlo e dovete vestirvi come vi pare, sia che abbiate le gambe importanti o meno. Anzi, alle calze a rete abbinate una bella minigonna e mostratele queste gambe importanti».
Un messaggio chiaro, che è detonato in migliaia di commenti, molti dei quali rivolti contro il giornalista. Lei che su quel palco, nei giorni scorsi, aveva trovato già più volte il modo di mandarlo, parlando di femminismo con un gesto, attraverso la sorellanza con la sua direttrice d’orchestra, Francesca Michielin, ma anche nelle strofe della sua canzone (E ogni volta è così, ogni volta è normale. Non c’è niente da dire, niente da fare. Ogni volta è così, siamo sante o puttane). Una canzone che, ha aggiunto Emma, «oltre a essere bellissima, a quanto pare era necessaria in questo Sanremo. Perché è fondamentale parlare di femminismo, di donne e del rispetto delle donne. Quindi mi raccomando ragazze siate orgogliose del vostro corpo e mostratelo per quello che è, perché le persone si dimenticano che le parole hanno un peso importante: c’è chi le sa reggere, e le vive con ironia, e chi purtroppo, soprattutto sui social, dove tutti giudicano e commentano, rischia di cadere in un tunnel senza fine... era necessario per me dire questa cosa perché non si può più stare zitti davanti al fatto che chiunque possa parlare di un’altra persona in modo così scorretto».
Parole che non hanno convinto Maggio: «Mi fa tanta tenerezza — ha replicato —, punta sul body shaming per giustificare semplicemente una scelta di stile. Da lei proprio non me l’aspettavo. Anche perché sa benissimo che quando aizza i suoi fan... la shitstorm che scatena è ben più pesante di un commento estetico. Vergognati». Emma non lo ha fatto, così come i tanti che l’hanno sostenuta pubblicamente. Tra loro, Gabriele Muccino, che l’ha anche diretta nella sua ultima serie tv Sky, A casa tutti bene. Su Twitter, il regista ha scritto: «Gambe importanti?!. Ma chi sono questi uomini che si esprimono così?! Io sono uomo ma non riesco nemmeno a comprendere l’espressione. Dico sul serio. Con quale sguardo osservano il mondo?! Cosa vedono che io non vedo?! Sono piccoli uomini, Emma. Piccoli uomini parlanti».
? Gambe importanti?!?.
Ma chi sono questi uomini che si esprimono così?! Io sono uomo ma non riesco nemmeno a comprendere l?espressione. Dico sul serio. Con quale sguardo osservano il mondo?! Cosa vedono che io non vedo?! Sono piccoli uomini, Emma. Piccoli uomini parlanti.
Dello stesso parere Ermal Meta. «Penso che Emma abbia della gran belle gambe così come una schiena forte a reggere il peso dell’essere donna in un’Italia spesso medievale». Mentre la blogger e conduttrice Daniela Collu ha spiegato che le gambe della cantante sono davvero importanti, anzi «importantissime: l’hanno portata sui palchi di tutta Italia, di fronte a centinaia di migliaia di persone nel corso della sua carriera. Sono gambe fondamentali, la prossima volta le calze a rete mettitele d’oro...».
Emma si vesta come vuole. Ma pure la critica è un diritto. Stefano Zecchi il 10 Febbraio 2022 su Il Giornale.
Il giudizio estetico su un abito, e non solo, è educativo e non lede alcuna libertà. L'abuso è volerlo impedire.
Se noi andassimo in giro nudi, avremmo una disgustosa immagine di vermi, diceva il noto studioso di estetica Gillo Dorfles, che è stato anche mio professore all'università. Dunque, l'abito è il nostro stesso corpo e parla di noi: il nostro modo di vestire è il nostro linguaggio, e come ogni linguaggio può essere elegante o volgare, di buon gusto o di cattivo gusto, assolutamente normale o trasgressivo. E molto altro ancora. Quindi se il prof. Zecchi si presenta in una trasmissione tv con una canottiera a vista e giacca di pelle nera con l'addobbo di una catenella al collo corredata da curioso pendaglio di civiltà indefinibile, chi già lo conosce dirà che si è bevuto il cervello, chi lo vede per la prima volta dirà che appartiene alla comunità di metallari o qualcosa del genere. Così come Emma è stata criticata dal giornalista Davide Maggio per le calze a rete usate a Sanremo, che a suo dire non donerebbero alle sue forme. Insomma, non c'è niente da fare: a chi ci osserva, la nostra immagine arriva prima delle nostre parole, perché la nostra immagine è un linguaggio che il più delle volte è maggiormente comunicativo delle stesse parole.
Nei limiti della decenza e del rispetto dei luoghi (una chiesa è una chiesa, non un palcoscenico o una piazza; un tribunale è un tribunale, non una discoteca o il campo per un raduno rock; naturalmente, una scuola), una persona ha il diritto di vestirsi come vuole, cioè usare il linguaggio con cui crede meglio esprimersi. Io osservo e così ascolto il linguaggio che quella persona mi comunica col suo abito sul suo corpo. Posso permettermi di giudicarla? Supponiamo che una persona mi legga delle sue poesie. Posso permettermi di giudicarla? Certo, le dico che mi fanno schifo. Lei protesta; io le spiego qual è una vera poesia e perdo del tempo con l'analisi di una lirica di Leopardi. Sono in grado di farlo, e lei con un po' di umiltà potrebbe imparare. Invece va in giro, dicendo che l'ho voluto umiliare, frustrare nella sua creatività. Per me può scrivere tutte le poesie che vuole, ma se le leggo, ho il diritto di dire che sono porcherie, e il mio giudizio non è soltanto estetico ma anche pedagogico, perché semmai qualcuno leggesse quelle porcherie, non pensasse che quella roba è poesia, sentendosi così in diritto di scrivere schifezze simili, ritenendole poesie.
Naturalmente, il linguaggio poetico è più complesso del linguaggio di un abito sul nostro corpo, ma anche quest'ultimo è espressione di un significato che si inserisce in una struttura comunicativa. Dunque, riprendiamo la prima domanda a cui non avevo dato risposta. Certo che posso giudicare il modo in cui si veste una persona: giudico il suo linguaggio, la forma della comunicazione, il suo significato. È evidente che ci sia modo e modo nel formulare il giudizio: ovvio che non può essere impositivo e moralistico, ma un giudizio estetico non solo si può esprimere, ma si deve pronunciare, proprio sotto il profilo pedagogico, perché l'educazione estetica è il fondamento dell'educazione sentimentale. Quando si comunicano i propri sentimenti, questo processo avviene attraverso il linguaggio delle parole e il linguaggio del corpo: il controllo dell'espressione, affinché essa sia, per esempio, affettuosa o irritata, sentimentale o fredda, dipende dalla capacità di comprendere la qualità estetica del linguaggio che si usa.
La cantante desidera evidenziare le sue cosce? Padronissima di farlo e di suggerire a tutte le ragazze del mondo di seguire il suo esempio. Ma senza aggressività e inutile ironia posso dirle che con un abito diverso sul suo corpo poteva esprimere un linguaggio più bello. Non le interessa? Neppure a me interessa convincerla, proprio come nel caso della poetessa di prima, felice delle sue poesie che non capisce che sono porcherie. C'è modo e modo, certamente: un giudizio, anche il più elementare, deve sempre essere rispettoso, e la persona che viene giudicata deve pretendere il rispetto. Ma una società non potrà mai prescindere dalla comunicazione dei suoi membri: la comunicazione è forma della società stessa, e il giudizio sul linguaggio della comunicazione di necessità diventa imprescindibile per la stessa struttura sociale. Affermare che non si può e non si deve giudicare, è un'ipocrisia. Stefano Zecchi
Barbara Costa per Dagospia il 3 aprile 2022.
Che bella ragazza. Minuta, seno come appena sbocciato, tutta curve. Che effetto ti fa? Davvero non ti gireresti a guardarla mentre ti passa accanto, vestita con jeans attillati e top? Avresti l’audacia di chiederle il numero, e i suoi contatti social? L’hai capito sì o no che ha un pisello tra le gambe? È importante? È con quel pisello meno donna, meno attraente, meno conturbante?
Emma Rose è una trans, una pornostar trans, fresca vincitrice del Best Performer by TEA (gli Oscar del Porno Trans) e una delle pornoattrici di punta di Brazzers. Il porno brand a doppia Z, da quando ha aperto a coiti tra donne trans e uomini etero, non si ferma più, e drizza i riflettori su corpi trans non meno che incantevoli. I confini tra generi e orientamenti sessuali stanno svanendo e il porno da tempo li sta unendo, fondendo, e infatti Emma Rose va "A Letto Con La Ex" Angela White in un porno lesbo tra due fidanzate diventate ex, che si dicono addio con sesso bollente.
È corretto scrivere lesbo in una scena di sesso tra una donna e una trans? Sì, e lo dice la stessa Emma Rose, che racconta con naturalezza (anche in social stories) la sua vita di trans 26enne svelando una risposta a una domanda che chi non è trans non sa e non si fa: un o una trans, da bambino/a, come si pensa da grande?
Dice Emma Rose che una trans nata maschio da bambino, quando "sa" ma ancora non ha le parole e i concetti per dirselo, sogna su se stesso come adulto donna: “Ho sempre avuto percezione della mia identità, fin da piccola”, svela Emma Rose, “e quando mi immaginavo nel futuro, mi vedevo come una moglie, come una donna che lavora, sempre in ruoli e in fattezze femminili”. Con autenticità istintiva un bambino internamente trans si pensa da grande donna, e una bambina internamente trans si pensa da grande uomo.
Ma non è solo questo che Emma Rose ti svela: è difatti fuorviante individuare la futura identità sessuale di un bambino/a basandosi sui giochi che sceglie e fa. Conta come egli si pensa, come su di sé fantastica, e non che un maschio giochi con le bambole, o una femmina a calcio. E pesa, e tanto, e se lo porta dietro, il posto in cui cresce e con chi. Emma Rose è nata nell’entroterra di Tampa, Florida, ed è cresciuta in una fattoria in una famiglia "redneck", chiusa e conservatrice in usanze e mentalità.
Emma ha preso piena coscienza della sua transessualità da adolescente, ed è andata via da quell’ambiente rurale a 18 anni, andando al college per laurearsi in marketing, e pagandosi gli studi ballando lap-dance nei locali dove si celava con spesso nastro adesivo il pene, passando così per femmina.
È stata con un uomo per 2 anni prima di iniziare la transizione a 21; in seguito, in piena cura ormonale, ha avuto una storia con un uomo molto più grande di lei. Ha poi preso atto di essere una trans bisex, che sta bene anche senza un partner fisso: a lei piace uscire a tre, con coppie formate da una lei e un lui: “Io non sono etero e non sono gay”, ti dice Emma, “e mi piacciono le ragazze come mi piacciono i ragazzi, e le coppie sono il mio ideale”.
Emma Rose è una stella porno su OnlyFans, piattaforma su cui è riuscita ad emergere anche grazie alla "confidenza" che instaura con chi la segue.
Su OnlyFans hanno successo i porno creator che sì fanno e si fanno pagare video personalizzati, o girati con altri creator o instagrammer o attori porno professionisti (con i quali dividono i guadagni e moltiplicano gli utenti, sicché i soldi) ma pure hanno successo i creator che sanno "seguire" (o spesso far seguire dai loro social-assistenti) i loro fan, rispondendo puntuali alle loro domande, presenziando le loro social esistenze, facendoli partecipi della loro vera vita mostrandone tratti intimi oltre il porno (ad esempio Emma su OnlyFans ha organizzato un "Face Reveal" post chirurgia estetica, cioè ha svelato il suo nuovo viso dopo la prima operazione e le altre a cui ha dovuto sottoporsi per riparare una infezione alla mascella e ascessi non previsti.
A tale social-appuntamento, i suoi fan sono accorsi in massa). Per tante persone OnlyFans, oltre che privata ricreazione onanistica, vale come mezzo per piegare solitudini e crearsi una amorosa vita parallela a quella reale e poco saziante. Infatti, un trionfo simile non si spiegherebbe unicamente con video hot da OnlyFans resi imbattibili in fruibilità.
Emma Stone, dagli attacchi di panico al cinema. Vittorio Vaccaro il 18 Gennaio 2022 su Il Giornale.
Prima del successo, Emma Stone ha trascorso un'infanzia e un'adolescenza in preda agli attacchi di panico: terapia e recitazione sono state per lei la chiave.
Tutti sappiamo quanto possa essere difficile il periodo dell’infanzia, in cui tutto appare più grande di noi, in cui ci si sente spesso fuori luogo e in cui le paure e le ansie a volte prendono il sopravvento. È il caso del premio Oscar Emma Stone.
All’età di sette anni subisce un vero e proprio trauma trovandosi in mezzo a un incendio scoppiato a casa di una sua amichetta. Prendono fuoco il letto, le sedie, le tende, le coperte, i giocattoli, insomma tutta la casa, ma lei si salva, fortunatamente, grazie al fatto che l’incendio non è reale, ma è solo nella sua testa. Tutto ciò che appare reale per Emma è, in realtà, frutto del suo primo attacco d’ansia.
Nasce nel 1988 in Arizona, Stati Uniti. Il periodo della scuola elementare è difficile, spesso si trova in infermeria in attesa che la madre vada a recuperarla per dei forti mal di pancia e inoltre subisce l’imbarazzo nei confronti della classe, si sente giudicata e non capisce cosa le succede, fino a quando un medico le diagnostica questi attacchi di panico.
Le difficoltà sono parecchie, la portano a una vita limitata: esce poco, evita i luoghi troppo affollati, viaggia di rado e non guida l’auto. Emma comunque è una ragazza forte e cerca di affrontare il problema sia con uno psicoterapeuta sia basandosi sulle proprie forze e sui propri interessi, e questo fa sì che possa trovare qualcosa che l'aiuti: la recitazione.
E proprio la passione per il teatro e il cinema la portano a trasferirsi, a quindici anni, con la madre a Los Angeles. Da subito inizia a lavorare in alcune serie televisive, poi in alcuni importanti film, fino a essere presente in un paio di episodi di Spider Man e poi raggiungere nel 2017 l’Oscar come migliore attrice per il musical La La Land.
La rivista Forbes nello stesso anno la indica come l’attrice più pagata del 2017 con la modesta cifra di ventisei milioni di dollari di cachet. Insomma con un po’ di lavoro, pazienza e buona volontà, Emma Stone ha cambiato la propria vita.
Un consiglio di questa meravigliosa guerriera:
Trovare quella cosa dentro di te da cui sei fortemente attratto.
E anche questa volta abbiamo conosciuto chi da ragazzina era considerata la "scema del villaggio", ma da grande è diventata un "genio del mondo". Vittorio Vaccaro
Dagotraduzione da Daily Mail il 10 Giugno 2022.
Emma Thompson e i suoi peli pubici: intervistata nel talk show di Emma Barnett “Women's Hour” in occasione dell’uscita del suo nuovo film “Good Luck to You, Leo Grande”, l’attrice ha voluto approfondire il suo rapporto di odio amore col “boschetto”.
Thompson nel nuovo film interpreta una donna di 55 anni che non ha mai avuto un orgasmo e che assume un gigolò, interpretato da Daryl McCormack, per rimediare.
Nel film la star, che ha 63 anni, ha girato la sua prima scena di nudo integrale.
Dalla scena di nudo, l’intervista ha quindi virato su un argomento molto intimo: la depilazione integrale delle parti intime.
Thompson ha spiegato di non essere "del tutto a suo agio" con i peli del proprio corpo, di radersi regolarmente le gambe e ha raccontato in precedenza, di aver tolto anche i peli pubici.
“Io penso che sia da rimpiangere profondamente la scomparsa del cespuglio completo. Penso che sia un grande peccato, è triste, vero?” ha detto.
Non mi riferisco solo ai peli pubici femminili. "Anche gli uomini, voglio dire, riesci a immaginare il dolore?"
L'attrice ha ammesso che una volta, in passato si è sbarazzata di tutti i suoi peli pubici.
"Una volta ho fatto l'intera cosa, anni fa, ma davvero, me ne pento ancora, perché non è tornato del tutto come mi piaceva prima, ma del resto sto anche invecchiando", ha detto.
E poi ha spiegato: “Dire "dobbiamo sbarazzarci di tutti i nostri peli" è strano, vero? E, probabilmente, non è molto sano”.
Nell’intervista l’attrice anche detto che il fatto che ci siano donne che non hanno mai avuto un orgasmo è "una tragedia e una grande sconfitta per tutti noi” ed è “anche alla radice delle violenze”.
"Di recente mi è stato chiesto se fosse una cosa generazionale", ha detto a Emma Barnett.
'Mia nonna a 88 anni, mi disse chiaramente che non aveva mai provato alcun piacere sessuale. Che il sesso, l'aveva “sopportato”.
"Mia madre, che era presbiteriana, ha avuto solo mio padre come partner. Penso che si divertissero, perché lavoravano a teatro, erano tutto un po' più libero e bohémien," ha ammesso.
Emma Thompson ha poi continuato: “La mia generazione è stata vittima di bullismo; se non eri permanentemente in uno stato di orgasmo, c'era qualcosa che non andava in te”.
L’attrice ha continuato dicendo che anche la generazione di sua figlia, Gaia Romilly Wise, 22 anni, ha un modo diverso di affrontare il sesso.
"Le ragazze dell’età di mia figlia, alcune di loro hanno un bel po' di margine di manovra e di discussione al riguardo, ma non tutte", ha detto Emma.
"E ho anche avuto discussioni con amiche di mia figlia sue coetanee che hanno rivelato che nel loro gruppo ci sono molte ragazze che non hanno avuto orgasmi, non hanno mai provato piacere, si sentono come se dovessero esibirsi nel piacere, si sentono come se non potessero essere oneste sul sesso, se si sono divertite o meno nel farlo”.
"C’è chi pensa che non puoi offendere l’altro suggerendo che quello che sta facendo non è molto divertente."
L'attrice ha detto che essere sessualmente insoddisfatti è "uno spreco di passione, energia, tempo, denaro e scopi nella vita".
Enrico Bertolino: «Invento scherzi per mia figlia e lei dice che non faccio ridere. Il mare l’ho visto a 18 anni». Maria Volpe su Il Corriere della Sera il 14 maggio 2022.
Il comico: «Per 11 anni ho fatto il formatore nelle aziende, poi mi proposero di salire sul palco. Ho iniziato nei locali facendo lo scaldapubblico».
Quando si diventa famosi, dopo i 40 anni, è molto difficile montarsi la testa. Quando poi si decide di tenersi sempre un altro lavoro «perché non si sa mai», si resta inevitabilmente persone normali. E la normalità nel mondo dello spettacolo è merce rara. Enrico Bertolino è nato a Milano nel 1960. È alto, garbato, colto. Assomiglia un po’ a Raimondo Vianello, anche se lui allo humour inglese, preferisce la comicità graffiante, talvolta ruspante, la satira politica.
Bertolino cominciamo dall’infanzia. Serena o complicata?
«Quando da piccolo comunicai che volevo fare l’attore, i miei genitori mi dissero che non c’erano soldi. Mio fratello maggiore, facoltà di Lettere e poi insegnante e preside, aveva già deluso le aspettative di mio padre che faceva l’idraulico. Ci fu una mezza tragedia. Sono solo riuscito a rifiutare ragioneria, e ho fatto il turistico. Mia mamma pensava che mi preparassero a fare il turista. Fatto sta che, finite le superiori, la Kuoni mi ha preso per uno stage: facevo i biglietti e imbustavo programmi per le fiere. Almeno ho imparato le lingue: italiano, portoghese, francese, inglese».
Com’erano le sue vacanze?
«Fino a 18 anni solo a Locana Canavese, dai nonni. Mai visto il mare fino a quell’età».
Poi arriva il militare
«Sono finito in una Base Nato di Abano Terme. Io ero in servizio la notte di Ustica. Ricordo che hanno spento tutti i radar e ci hanno mandato via».
E finito il militare ha dovuto trovare lavoro?
«Mio padre mi disse di mandare i curricula in banca perché c’era bisogno di soldi in casa. Ne ho inviati sette, alle banche che avevano una sede bella in centro a Milano. E mi chiamò la Standard & Chartered Bank in piazza Meda».
E resta in banca, ben 11 anni...
E resta in banca, ben 11 anni...
«Sì. Con la liquidazione ho comperato la pelliccia a mia mamma. Lei mi disse incavolata: “Ma tanto dove vado!”. In effetti non la mise mai, ma quando era anziana, sulla sedia a rotelle, voleva la mia pelliccia».
Chiuso il capitolo banche, che succede?
«Succede che la mia fidanzata di allora, a una cena mi presenta Gianluca che ha una attività di consulenza e formazione manageriale. Mi dice: “Saresti una risorsa interessante. Cerchiamo uno che abbia voglia di mettersi in gioco e di fare un corso in Danimarca”. Accetto. Mi licenzio dalla banca e a mio padre dico che prendo una lunga aspettativa. È morto pensando che io fossi ancora in aspettativa».
Va in Danimarca a studiare o a divertirsi?
«Tutte e due le cose. Lì ci insegnano come pianificare il tempo, come organizzare la giornata lavorativa. Ci sono altri “studenti” di tante nazionalità e sembra di vivere al Grande Fratello. Torno a Milano e comincio a girare le aziende come formatore. Per 11 anni insegno a gestire il tempo, a parlare in pubblico».
Banche, consulenze... Ma quando entra nella sua vita il mondo dello spettacolo?
«Avevo 37 anni. In tanti mi dicono: “Fai tv, sei bravo”. Vado alla “Ca’ Bianca”, un locale di Milano e mi propongono di fare lo scaldapubblico: “Fai 10 minuti, poi arriva l’artista”. Gli rispondo: “Io sono stato dirigente, vengo a fare il pagliaccio?”. E il capo: “Qui bisogna far ridere”. Accetto la sfida e per tre anni,oltre al mio lavoro, il venerdì, sabato e domenica salgo sul palco. Ovviamente perdo tutte le fidanzate perché lavoro sempre».
Però almeno una è riuscita a trattenerla...
«Sì. Avevo 35 anni, ero in aereo e tornavo da una vacanza in Brasile. Davanti a me ci sono due ragazze brasiliane bellissime: Adriana (Lima) e Edna. Mentre aspettiamo i bagagli chiedo a Edna se mi dà una mano a migliorare il portoghese. Mi dice sì e cominciamo a frequentarci. Siamo ancora insieme, ma non ci siamo mai sposati. Abbiamo una figlia, Sofia, di quasi 13 anni».
Ritratto di Enrico privato
«La mia vita privata risente molto del mio lavoro, sono spesso via. Che papà sono? Molto apprensivo essendo genitore tardivo».
Che rapporto ha con Sofia?
«Molto bello. Lei è tanto avanti, ha 12 anni ma questi ragazzi vanno trattati da ventenni. Percepiscono tutto della vita, hanno grande proprietà di linguaggio. Insomma lei va avanti, io regredisco. Le faccio gli scherzi con il naso di gomma e lei mi dice “Papà ma sei scemo, non fai ridere!”. È la tik tok generation, più veloce».
Vuol dire che lei si sente vecchio?
«Diciamo anziano. Il mio show teatrale “Instant theather”, uno spettacolo itinerante e “modulare” come l’Ikea, prevede l’anzianometro. Ci sono vecchie sigle dei programmi tv. Comincio con “Dove eravamo rimasti?” (la frase con cui ricominciò Enzo Tortora a “Portobello”) e la gente si ricorda... Allora capisco che ci sono gli anziani in sala...».
Lei è un uomo tanto impegnato nel sociale. Ha fondato anche una onlus in Brasile
«Nel 2004, io e Edna siamo partiti per Pititinga, nello Stato di Rio Grande del Nord e abbiamo comperato una piccola casa sulla spiaggia. Da lì con l’aiuto di Smemoranda, Gino e Michele e il gruppo di Zelig, abbiamo creato la “Pititinga Fundaçao”. Ora la Fondazione è gestita direttamente dai brasiliani, ma sono felice, è stato un bel progetto».
Tanti amici sono venuti a trovarvi in Brasile e hanno comperato casa, è vero?
«Si, dopo essere venuti da noi, si sono innamorati del luogo e hanno preso casa Natasha Stefanenko, Fabio Testi, Bio Brioschi di Smemoranda; Giovanni Storti (di Aldo, Giovanni e Giacomo). Li ho aiutati a comperare casa, se no venivano sempre ospiti da noi...».
E poi la sua frequentazione dell’Opera San Francesco a Milano e la sua amicizia con fra Marcello
«Sì lui è il priore di questo ente benefico che dà da mangiare ai poveri. Fra Marcello è un grande: parliamo sempre di fede, gli chiedo consiglio, se c’è il limbo oppure no. Abbiamo un progetto di girare le abbazie in bicicletta».
Torniamo allo spettacolo. Dopo tre anni di scaldapubblico, arriva la svolta?
«Sì comincio a fare i miei spettacoli. C’erano Raul Cremona, Mago Forest. Ale e Franz. Ricordo tutti noi, un capodanno alle 4 del mattino, seduti aspettando di essere pagati. Poi di corsa alle 5 del mattino a fare il doppio spettacolo a Zelig».
Arrivano i primi successi televisivi con «Ciro, il figlio di Target» che poi si chiamerà in diversi modi. Lei comincia lanciando il suo personaggio del Meneghetti, un avido imprenditore milanese, e poi diventa conduttore del programma per varie edizioni
«Sì l’ho condotto con Natasha Stefanenko, una partner con cui c’è sempre stato grande affiatamento. Siamo rimasti tanto amici, venivamo da momenti difficili e abbiamo stabilito un rapporto davvero profondo. Poi tante edizioni, tanti comici».
Quali sono i comici che le piacciono?
«Max Angioni, Antonio Ornano, Michela Giraud sono i nuovi giovani talenti che mi piacciono. E continuo a ridere con Mago Forest e Raul Cremona che sono la sublimazione del mago stupido. Come mi fa ancora ridere tanto la panchina di Ale e Franz».
La sua comicità è diversa da quella di oggi?
«Quando vedo Lol per me è un altro mondo. Uno come Corrado Guzzanti che è una icona di comicità secondo me si sente a disagio a Lol».
E quel simpatico siparietto al Costanzo Show, tanti anni fa?
«Si parlava di ragazzi autonomi e indipendenti. Io dissi: “Non avevo un becco di un quattrino, sono rimasto a casa fino a 30 anni”. Costanzo basito: “Ma lei non è mai cresciuto!”. E io: “Ma mia mamma mi faceva il vitello tonnato, metteva la lavanda nel colletto della camicia!”.Costanzo sempre più sbalordito, a quel punto fa chiamare mia madre al telefono che conferma tutto e mi chiede in diretta, in puro milanese, come avessi 5 anni: “Nani, come te sté”».
C’è un momento buio nella sua carriera televisiva e umana...
«Mi è stato proposto “Festa di classe” su Rai 2. La prima puntata fa il 20%. La seconda, nove punti in meno. Alla terza puntata non ci sono arrivato: venni sostituito. Restai chiuso nella stanza di un residence romano per giorni e ho saputo dalla sarta che non dovevo più condurre perché il mio abito lo stava provando Pippo Franco».
Ne è uscito massacrato?
«Non è stato facile certo, ma è stata colpa mia: non ero adatto a “Festa di classe”, ero sbagliato. Io non so far piangere la gente».
Come ne è uscito?
«Per fortuna avevo il mio lavoro e allora pensai: “Basta, con la tv ho chiuso. Basta figure di merda”. Ma Gregorio Paolini mi ha richiamato per condurre “Convenscion” a Napoli. Gli dissi: “Senti, già Roma mi ha ucciso, figurati Napoli”. Invece mi sono innamorato di Napoli, ora è la mia seconda città, piena di gente meravigliosa. Il programma andò bene e mi sono riconciliato con la tv».
E poi infatti arriva «Glob» satira politica molto divertente su Rai 3, tra il 2005 e il 2014. Con uno stop di due anni: Berlusconi non la amava molto...
«Ormai ci scherzo su, ma effettivamente Berlusconi non gradì e per due anni la Rai non mi fece il contratto. Prendevamo in giro la Carfagna, ma ammetto che lo facemmo in malo modo. Fatto sta che il ministro Bondi scrisse una lettera definendo il programma “volgare e ributtante”».
Cosa la fa felice oggi?
«Sono risolto, sto bene, per me il lavoro è dignità. La rivincita dei normali mi fa felice: penso per esempio ad Amadeus, me lo ricordo a Napoli, faceva una fatica. Oggi è inutile fare i fenomeni, la normalità è la vera trasgressione»
Enrica Bonaccorti: le cose che non sapete di lei. Federica Bandirali su Il Corriere della Sera il 17 Novembre 2022.
Dagli abusi da bambina al grande amore con Renato Zero. Le curiosità sulla conduttrice tra le più amate della televisione italiana
La carriera
Enrica Bonaccorti (nata a Savona il 18 novembre 1949) è tra le più famose conduttrici televisive, ma è anche stata spaeker radiofonica, paroliera e attrice. Ha esordito nei primi anni settanta come attrice di teatro, di cinema e di prosa televisiva, collaborando anche con la compagnia di Paola Quattrini e Domenico Modugno, per il quale ha scritto diversi brani . Il successo è stato raggiunto durante gli anni ottanta con programmi come «Italia sera» per poi passare a Mediaset a condurre la prima edizione del varietà «Non è la Rai». Nel 2019 approda a Sky Italia conducendo il programma tardo-pomeridiano «Ho qualcosa da dirti», trasmesso su TV8.
Il volto tumefatto
La conduttrice tv ha condiviso sui social network a fine settembre una foto in cui appariva con il volto tumefatto. Un’immagine che ha immediatamente fatto il giro del web suscitando preoccupazione tra i follower. «Realtà truccata! Non mi ha menata nessuno… Sono caduta di faccia e mi sono sbriciolata la spalla» ha scritto la conduttrice con quel pizzico di ironia che l’ha sempre contraddistinta.
La perdita del figlio
In un’intervista ha parlato del giorno più difficile della sua vita, quando ha perso suo figlio. “Mi hanno portato via in ambulanza in una clinica, dove sono rimasta per tre settimane. Sono rimasta immobile, ferma, per qualche giorno. E il bambino era andato via. Aveva quasi quattro mesi. La cosa più brutta è stata quando hanno fatto il raschiamento. Due infermiere non professionali mi hanno detto che il bimbo aveva la mia bocca, le spalle larghe”.
Vita privata
Bonaccorti stata sposata con Daniele Pettinari con il quale ebbe la figlia Verdiana Pettinari. È stata legata sentimentalmente a diversi uomini: Michele Placido, Arnaldo Del Piave, Carlo Di Borbone, Francesco Villari e Renato Zero.
L’amore per Verdiana
Riferendosi alla figlia, Verdiana Pettinari, Bonaccorti ha sottolineato a Verissimo di "averla cresciuta da sola", evidenziando come ci fosse anche questo tra i motivi della fine del suo matrimonio. Come ogni mamma, ha detto che il suo amore per lei è immenso: "E’ stato molto importante supportarla, farle sentire la sua vicinanza e l’affetto. Il mio sogno è che mia figlia sia felice, che le persone accanto a me stiano bene e che io possa sempre dare qualcosa. Considero i miei fan come la mia famiglia e auguro loro il meglio”, ha detto a Silvia Toffanin.
Gli abusi
A “Storie Italiane” Bonaccorti ha fatto una rivelazione scioccante. La conduttrice ha infatti raccontato di aver subito delle molestie sessuali quando era solo una bambina.” Sono stata abusata anch’io, avevo 8 anni – ha detto Enrica Bonaccorti mentre nel settembre 2020 in tv – Di esperienze negative ne ho avute molte dagli 8 ai 19 anni e da quando ho iniziato a lavorare avrei molti altri episodi da raccontare. Non sono rimasta traumatizzata per le mie brutte esperienze. Sono figlia di una cultura che all’epoca dava per scontate certe cose. Non basta dare un calcio per difendersi, specie se si ha 8 anni e chi abusa è un adulto. Mi pento di averlo detto perché ora i giornali ci ricameranno sopra. Sono stata molestata da persone molto vicine alla mia famiglia, persone i cui nomi non potevano mai essere fatti.
La truffa a “Non è la Rai”
C’è un episodio molto noto di quando Bonaccorti condusse “Non è la Rai”. Proprio durante questo programma è stata lei a smascherare una truffa telefonica da parte di una concorrente. Momento che è ricordato da tutti come “Truffa del cruciverbone”:
Niente amori estivi
La conduttrice ha rivelato di non aver mai avuto un amore estivo. L'unica cotta avuta nella stagione più calda dell'anno era quella per un ragazzino di 15 anni che, però, non "filava di striscio" la piccola Enrica. "Era il 1962" ha concluso, con una punta di nostalgia a “Estate in diretta”
Candida Morvillo per corriere.it il 14 maggio 2022.
Enrica Bonaccorti, come dove quando e perché scrisse per Domenico Modugno «la lontananza sai, è come il vento. Che fa dimenticare chi non s’ama»?
«Avevo 19 anni, partii da una frase scritta a 14 sul mio diario. Eravamo in tournée a Cuneo e, dopo lo spettacolo, Mimmo m’insegnava a scrivere canzoni. Mi fece sentire una musica e mi ricordai delle frasi appuntate quando ero stata costretta a lasciare il mio primo amore: papà era poliziotto e, dalla Sardegna, era stato trasferito a Roma. Mimmo impazzì, saltava, diceva: sarà un successo, continua, scrivi quello che ti ricordi. Totò ha fatto il militare a Cuneo, io a Cuneo ho fatto La Lontananza».
Per Mister Volare, Bonaccorti scrisse anche Amara Terra mia, ma non è come paroliera che è conosciuta, quanto come conduttrice di una televisione che ha lasciato il segno fra gli anni ’80 e ’90, da Italia sera di Raiuno a Non è la Rai sulla nascente Fininvest. Tre Telegatti, tante copertine, qualche sceneggiato in gioventù, molti programmi in radio, da Per chi suona la campana, premio Maschera d’argento 1975. Oggi fa l’opinionista tv e scrive romanzi, Condominio, addio! è appena uscito per Baldini + Castoldi.
Che ne è stato di quel primo fidanzatino?
«Lo annovero fra i miei quattro grandi amori, tutti colpi di fulmine. Gli altri tendo a dimenticarli, più che a perdonarli. La nostra vita è come quella degli alberi: migliora potando. L’amore più grande è stato l’ultimo, Giacomo Paladino, mancato a settembre, dopo 24 anni insieme. Gli ho dedicato il nuovo romanzo: la sua leggerezza, ironia, eleganza mi hanno accompagnata in ogni pagina, anche se alla fine ci è arrivato prima lui. Leggeva tutto, via via che scrivevo».
Come sta sopportando la perdita?
«Facendo finta che ci sia: gli parlo di continuo; faccio le cose che mi ha insegnato, sono puntuale, ordinata. Era un signore gentile».
Gli altri due amori nel mezzo?
«Un jazzista con cui ho vissuto dai 27 ai 32 anni e un francese con cui ho vissuto per tre anni».
Carlo di Borbone delle Due Sicilie. Per stare con lui, lasciò la televisione.
«Io l’ho sempre chiamato Charles. Ma lasciai la tv soprattutto perché, da dieci anni, ero sempre in diretta e trovavo strano il mio excursus, da un programma giornalistico come Italia sera a uno leggero come Non è la Rai. Da due anni dicevo a Maurizio Costanzo: voglio staccare. E lui: sei pazza, poi rientrare è difficile. Mamma mia, come aveva ragione».
Rientrò, ma da ospite.
«Commisi un errore di superficialità, ma in quei tre anni stavo su un altro pianeta, era un film dai colori pastello. Era intesa totale. Però mi rendo sempre conto delle cose dopo, capisco il successo dopo che l’ho avuto, capisco dopo che era un principe vero, ho capito dopo i 60 quanto ero carina da giovane. Arrivo sempre in ritardo».
Perché finì col principe?
«Era iniziata col foglio di via in mano. Mi disse subito che non poteva sposarmi. Gli feci una risata in faccia, dissi: vabbè, che sarà mai. La famiglia non era così felice di me: ero un’artista, lui aveva 29 anni, io 42, ero divorziata. L’avevo sempre saputo, ma, dopo, è stato come guardare un vetro che va in frantumi. Mia madre ha sempre detto: il problema è che non sei ambiziosa. In effetti non ho mai lottato per le cose: quello che arrivava mi sembrava già troppo».
Se non lottando, come sono arrivate le cose?
«Per caso».
«Il caso vive di luce propria, il caso basta a se stesso», scrive nel suo ultimo romanzo. Perché tiene al caso?
«Per me è come la provvidenza per i credenti. Il teatro, che avevo sempre sognato, arriva alzando la mano, come a scuola. Studiavo Lettere e Filosofia, il pomeriggio m’infilavo nei teatrini off per assistere alle prove. Un giorno si fa male un’attrice, io alzo la mano: posso sostituirla io. Feci due mesi di tournée, dormendo su due fogli di gommapiuma gialla, accampata dove capitava. A Tindari, mi vide l’agente di Modugno».
E si trovò in scena con lui e Paola Quattrini.
«Era M’è caduta una ragazza nel piatto: dicevo tre battute. Poi il caso vuole che la seconda attrice, Tamara Baroni, abbandoni due giorni prima che arrivassimo al Manzoni di Milano. Era coinvolta nello scandalo del tentato omicidio della moglie dell’industriale Pierluigi Bormioli, per il quale finirà in carcere e poi assolta. La sua era una parte lunga: nessuno poteva impararla in due giorni. Alzai la mano e dissi: io la so».
Anche la tv arriva per caso?
«Avevo superato tre provini per essere la protagonista dell’Amadeus di Peter Shaffer al teatro Argentina. Purtroppo, dovevo aprire la camicetta e mostrare il seno. Disperata, mi feci operare per ridurmelo. Dopo sei ore d’intervento, mi sveglio col braccio come morto e la lingua penzoloni. Dovetti rinunciare all’Argentina. Stavo a casa e, come diceva Eduardo De Filippo, chi ti dice che è una disgrazia? Chiama la Rai: sappiamo che non fa la stagione, vorremmo incontrarla. Era per Italia sera, il nome lo inventai io. Con Mino Damato e Piero Badaloni, serviva una donna, decorativa. Ma prima d’iniziare Badaloni rinuncia e il mio ruolo decorativo si espande».
Quanto temeva l’insuccesso quando prese il posto di Raffaella Carrà a «Pronto chi gioca»?
«Arrivo e Gianni Boncompagni mi dice: non ti preoccupare, tanto andrà tutto malissimo. Mi lasciò senza indicazioni di regia. Abitavo in un seminterrato, sulla mia testa passava l’autobus, la sera prima mi chiedevo come infortunarmi per non andare in onda. Vado, invece, e non c’era un copione. Iniziai a presentare i ballerini uno per uno, lessi i biglietti dei fiori arrivati in studio. Alla fine, battemmo Pronto Raffaella?».
Perché viveva in un seminterrato?
«Ci ho abitato finché sono stata in Rai. Non sono mai stata brava a farmi valere e farmi pagare. Per decenni non ho avuto agente o addetto stampa. Ho sempre lavorato con lo spirito della professoressa che avrei dovuto essere. Mai avuto frequentazioni importanti, non vado nei salotti, anche perché non riconosco le persone: condivido con Brad Pitt la prosopagnosia. A un evento Fininvest chiacchieravo con un signore. Chiedo: di cosa ti occupi adesso? Lui mi fa pat pat sulla spalla: faccio sempre il presidente della Fininvest. Era Fedele Confalonieri».
In Fininvest, alla fine, era andata per uscire dal seminterrato?
«Passai direttamente dal seminterrato alla villa. Mi diedero una cifra stratosferica, mi corteggiavano da anni. Ma fu perché il caso volle che in Rai mi avevano dato, e tolto prima di iniziare, Domenica In 1987».
Questo perché osò annunciare in diretta che era incinta?
«I dirigenti sapevano che l’avrei detto. I giornali parlarono di uso privato di servizio pubblico. Mentre, oggi, in tv, si mostrano pure le ecografie... La cosa peggiore è che in camerino mi sentii male, poi persi il bambino».
«Non è la Rai» fu accompagnato da polemiche furibonde.
«Parlavano di Lolite, ma la vera storia è che i primi tre mesi potevo fare interviste e interagivo con quelle giovinette».
Da qui, la nostalgia del giornalismo.
«Me ne andai dopo lo scandalo del Cruciverbone: una concorrente diede la risposta prima che io facessi la domanda. Dissi: datemi una mitragliatrice, è una truffa. Non so come mi venne. I dirigenti mi rimproverarono la reazione».
Fra gli amori, non ha messo Renato Zero, che di lei ha detto: «Mi ricordo ancora i brividi».
«Resta un amico. Era Renato Fiacchini che diventava Zero, io fingevo di essere la sua agente, mettevo un abito serio e andavo a vendere le sue serate nei bar. A volte mettevo una tutina nera con le frange e mi esibivo con lui, inventando finte pubblicità. Avevamo vent’anni, ci accomunava un sogno di futuro che di certo avremmo conquistato, senza pensare al come, al cosa».
Padre in divisa, che educazione ha avuto?
«Severa. I primi 13 anni in caserma. E papà era colonnello, ma mamma era generale. Era colta, a vent’anni era già laureata. Mio padre è morto che avevo 19 anni e lei mi ha sostenuta in tutto. Senza, non avrei potuto crescere Verdiana. Mi ero sposata per amore, poi ero incinta e ci sfrattarono. Andammo a stare da mamma, e undici mesi dopo la nascita, persi di vista mio marito».
Tipo: esco a comprare le sigarette?
«Mi aveva dato una spinta mentre tenevo in braccio la bimba, gli dissi: non mi toccherai più. Se ne andò, nostra figlia non ha mai avuto gli auguri al compleanno. Però andò al suo funerale».
Come era stato il suo ’68?
«Meraviglioso. Occupammo il Lucrezio Caro, leader Giuliano Ferrara, io unica donna. Ci caricarono su una camionetta e ci picchiarono coi manganelli. Ci portano in caserma, il commissario mi fa: proprio lei, figlia del colonnello, sono stupito. Rispondo: sono molto stupita io, a un mio amico avete rotto il setto nasale. E lui: forse, inconsapevolmente, vi sarete urtati fra di voi. Poi, per tre mesi, me ne andai in giro con “Gli Uccelli”, con Paolo Liguori, detto Straccio, con Diavolo, con Apache... Cinque uomini e io. Facevo l’autostop da sola e poi caricavo gli altri».
E dove andavate?
«Da Carlo Levi o da Giuseppe Ungaretti. Dicevamo: sei compagno? Allora, devi farci entrare. E ci accampavamo. Abbiamo dormito pure sui biliardi del Circolo Comunisti di Fucecchio».
Fu allora che Ungaretti le accarezzò una gamba, come raccontò in pieno MeToo?
«No, fu una volta che lo accompagnavo con la 500, fu un attimo. Aveva 60 anni più di me».
Chi è Francesco Maria von Altemberger dei marchesi Isvardis del «Condominio» e ora di «Condominio, addio!»?
«Un personaggio che mi sono divertita a raccontare. In cerca sempre di un altrove che non sia il suo palazzo, la sua identità prestabilita. L’insoddisfazione che lo attraversa è anche mia. E il suo sarcasmo è il mio: avrei l’irrisione facile, ma mi trattengo: la gente si offende. Allora, tutte le cose che vorrei dire, le faccio dire a lui».
Renato Franco per il Corriere della Sera il 18 aprile 2022.
«Io sono superbuono con i buoni, supercattivo con i cattivi, superdemocratico con i democratici e stalinista con i fascisti: questo è il quadro che mi raffigura alla perfezione».
Anche fascista con i comunisti?
«Fascista è il termine peggiore che chiunque mi possa rivolgere, racchiude insieme un'idea criminale e allo stesso tempo stupida. Mi è rimasta sempre in mente una frase che dissero i fratelli Rosselli quando erano in esilio: il fascismo è tutto ciò che è contrario all'intelligenza».
Enrico Lucci non si definisce un comunista nostalgico e neppure folkloristico, piuttosto un comunista degli anni 3000, ipercontemporaneo. Con la sua cifra urticante (perché mette a nudo le incoerenze altrui) ha saputo raccontare i personaggi pubblici e il vuoto del pensiero dominante in tutte le sue declinazioni perché spesso è lì che si annida il paradosso, il cortocircuito; e l'estro di Lucci sta nel cogliere sempre con uno sguardo laterale e ironico le contraddizioni della realtà che ci circonda, la bizzarria del pensiero (poco pensato) corrente. Il tutto impastato di veracissima romanità, un misto di disincanto e cinismo, il gergo dialettale (non parla mai in «italiano») ad aggiungere (anche in quest' intervista) sarcasmo.
La domanda sempre nella carne viva dell'intervistato, senza sconti: la faccia tosta in qualunque situazione da dove le viene?
«È l'insegnamento dell'Istituto di studi comunisti Palmiro Togliatti, la scuola delle Frattocchie, che è stata la scuola centrale del Partito comunista. Lì ho imparato lo sviluppo della cosiddetta coscienza critica, che io ho rimodulato in incoscienza critica».
Lei è uomo da marciapiede...
«Anche uomo del tombino, della fogna».
Sempre in strada a inseguire politici e personaggi pubblici. Ha fatto 20 anni da Iena.
«Sono stati anni meravigliosi, quelli della crescita e della formazione, i miei primi anni alla ribalta dopo la mia esperienza, ancora acerbo, a Rai3. Ora sono a Striscia la notizia che rappresenta l'ascesa in Paradiso».
Perché ha bussato alla porta di San Antonio Ricci?
« Striscia è sempre stata un ambiente che mi interessava, a me simile, mi sono ritrovato con persone con cui ho una affinità ideologica televisiva; il cervello di Ricci mi sembrava un buon mare in cui poter navigare. L'ho chiamato e gli ho chiesto: te serve uno ? In due ore si è sviluppata una spirale di entusiasmo ed eccomi qua».
A chi deve dire grazie se è arrivato fin quassù?
«A Claudio Ferretti (giornalista, conduttore radiofonico e televisivo scomparso due anni fa).
Mi ha preso da una televisione di Genzano, che non si vedeva manco fuori dal palazzo. Mi madre per guardarmi doveva dirigere l'antenna da Ariccia verso Genzano per intercettare il segnale. A Ferretti devo tutta la mia esistenza».
Come nacque il vostro incontro?
«Io facevo parte degli universitari della Pantera, chiamò il Tg3 che voleva uno studente per raccontare il fenomeno e l'assemblea mandò me. A intervistarmi c'era lui, Claudio Ferretti. Io stavo ad Ariccia e le televisioni locali in seguito alla legge Mammì erano obbligate a mettere in piedi un telegiornale, c'era 'sta tv de Genzano che gli serviva uno. Non un giornalista. Uno.
Chiunque. E io già scrivevo in un giornalino che facevano nella sezione Lenin di Ariccia e il direttore, che era lo stesso della tv, mi chiese di propormi come giornalista. Io non avevo niente da fare, non sapevo che fare della mia vita e ce so' annato . Ho iniziato a fare un tg super scrauso e mi sono preso sul serio, ho intravisto una strada. A quel punto mi sono chiesto: chi mi può insegnare questo mestiere? Chi è la persona più importante incontrata nella mia vita?».
Claudio Ferretti...
«L'ho chiamato al fisso in redazione, che i cellulari non c'erano: si ricorda di me? Ovviamente no. Io che stavo nella tv che parlava di galline ho chiesto a lui che stava in Rai - la Rai! - come si costruiva un servizio. Mi ricevette a Roma, in via Teulada. Mi presentai con un servizio che avevo preparato, l'unico che avevo fatto per la verità. Prese la cassetta - quelle vecchie, enormi - la mise nel videoregistratore e si ruppe. Io mi volevo suicidare.
Ma lui tranquillo, l'aggiustiamo, e si è messo lì a ripararla con cacciavite e scotch. Poi pazientemente mi ha spiegato come si faceva un servizio tv. Quando ci siamo salutati non sapeva che aveva firmato la sua condanna, gli ho rotto le scatole per tre anni. Quando lessi che era diventato caporedattore allo sport del Tg3, pensai di nuovo, famme vedè se glie serve quarcuno.
Era agosto, il mese migliore per trovare lavoro perché sono tutti al mare. Lui doveva mettere su un nuovo programma, un po' dovevo piacergli e mi fece un contratto di 9 mesi. Ho iniziato con È quasi gol con lui e Ciotti, poi Anni azzurri e Telesogni. Nel 1997 ero alle Iene : dopo il primo servizio ne sono arrivati altri mille».
La definiscono, con termine più volgare e diretto, rompiscatole...
«Io detesto l'immagine del contestatore, del giustizialista, del provocatore; io prima di fare una domanda penso bene a quello che devo dire. La domanda deve andare al centro di quello che a me sembra un problema, un tema da sviscerare. Non sopporto l'aggressività per se stessa, la provocazione per provocare, ci deve essere sempre un motivo che io ritengo giusto per rompere i c... a qualcuno».
Lei è uno che colpisce al cuore le contraddizioni...
«Detesto chi dice: io non giudico nessuno. Non è vero, tutti giudicano tutti, io lo dico espressamente: giudico qualunque cosa. E sulla base delle mie convinzioni - che ovviamente sono le mie - faccio la domanda opportuna. Mi focalizzo su quello che le persone rappresentano o hanno fatto. Io giudico le azioni».
I social, la vita in mano all'algoritmo: non sembra roba per lei...
«Non sono un luddista, sono un progressista, tutto ciò che migliora la vita dell'essere umano va straordinariamente bene, i social hanno elementi positivi, mettono in contatto le persone.
Noi ragioniamo con le nostre vite ricche, intessute di conoscenze e di rapporti, ma se vedo me 40 anni fa ad Ariccia mi sarei fionnato su qualunque social pur di conoscere un po' di f... Il dramma è che sono diventati la fogna di ogni cattiveria e rancore, sono esibizione del nulla. Poi, certo, dipende sempre da come li usi».
Per questo ha un vecchio telefonino.
«I cellulari li rinnovo solo quando non funzionano più, adesso da due anni ho pure WhatsApp ma solo perché mi ero rotto le scatole di tutti quelli che mi chiedevano perché non ce l'avevo. Sembra che vuoi fare il cavernicolo, l'alternativo, ma spendevo più tempo a spiegare e alla fine mi sono rassegnato».
Il servizio di cui va più fiero?
«Quando feci rinnegare Mussolini a Fini, allora potente capo della destra italiana. Era il 2002 e lui un anno prima aveva detto che il più grande statista del 900 era il Duce. All'epoca stava per diventare ministro degli Esteri e così mi sono chiesto: vediamo che dice ora se gli rifaccio la stessa domanda. Pensa come reagirebbero le cancellerie occidentali. Lo ridirebbe? Lui sbianca. Gli sono stato talmente addosso che alla fine è caduto: No, non lo ridirei più . Per uno come me è stata una medaglia».
Si è definito il romanziere della Grande Scemenza Contemporanea...
«Oggi sono tutti contenti che non esiste più l'ideologia, ma poi si lamentano se l'ambizione più grande di un adolescente è comprarsi le Nike. Non ho niente contro le Nike, ma se quello è il fine della vita tua... La sedicente democrazia liberale millanta prosperità per tutti, ma poi questa prosperità la vedono sempre le solite classi borghesi, mentre resta un'ampia fascia di popolazione che si deve arrabattare. L'America si erge a guida del mondo ma i marciapiedi di Los Angeles sono pieni di neri ubriachi e obesi. E gli americani rompono pure le scatole agli altri volendo insegnare al mondo come si vive. Robe da pazzi».
Lei ha attraversato la politica italiana, dalla Prima Repubblica a oggi.
«Ho iniziato intervistando Gava, Andreotti, un mondo ormai trapassato. Io odio il qualunquismo, banalizzare le tesi, ma se analizzi attentamente la situazione ti accorgi che solo il 4% delle persone che stanno in politica ci credono davvero, vogliono migliorare il mondo. La sedicente democrazia liberale ha davvero raggiunto il massimo dell'inconsistenza, la politica è diventata una guerra tra bande. Posso fare i nomi - ma non li faccio - di cinque persone che hanno ancora una sana motivazione ideale, gli altri sono scappati di casa che cercano solo un palcoscenico».
La sinistra?
«Totalmente appiattita: è diventata il partito dei liberal americani e del Papa».
Dunque comunista anche senza Muro?
«Sì, ancora di più. Non faccio il nostalgico, non è un cliché da intellettuali. Esser comunisti significa avere coscienza critica, analizzare le cose e capire da che parte stare. Non sono aggrappato a un'idea fissa del mondo, il mondo cambia continuamente, devi capire in che modo lo guardi. E un comunista lo vede con gli occhi della ragione».
Berlusconi lo sa chi ha assunto?
«Mediaset è piena di comunisti, è risaputo, non è una novità».
Nessuno scrupolo a lavorare con il «nemico»?
«No. Si lavora dove c'è il lavoro, la libertà la trovi dappertutto, la trovi in un'azienda privata oppure in un'azienda pubblica ma non te la regala nessuno. La libertà non è da nessuna parte ed è dappertutto, la libertà è quello che tu di volta in volta osi».
(ANSA il 29 novembre 2022) - "Sono stato condannato senza processo ed escluso senza possibilità di spiegare le mie ragioni. Un trattamento che non si riserva neanche agli assassini presi in flagranza di reato". A dirlo è Enrico Montesano, escluso da Ballando con le stelle per aver indossato una maglietta della X Mas durante le prove, convinto che "i valori democratici e civili" siano stati "reiteratamente calpestati, così come i diritti della persona tutelati dalla nostra Costituzione". L'attore chiede "formalmente alla Rai" di reintegrarlo nel programma, per avere "la possibilità di spiegare ai telespettatori e all'opinione pubblica la mia posizione".
"Sono stato condannato senza processo ed escluso senza possibilità di spiegare le mie ragioni. Un trattamento che non si riserva neanche agli assassini presi in flagranza di reato", afferma Montesano. "I valori democratici e civili, a cui si è fatto riferimento nel comunicato che annunciava la mia sospensione dal programma, da parte della Rai, sono stati reiteratamente calpestati, così come i diritti della persona tutelati dalla nostra costituzione. Mi sono perfino scusato con chi si è sentito offeso".
"Ho indossato una maglietta, durante le prove, recante simboli della Marina Militare Italiana - sottolinea l'attore - assolutamente legale e legata a momenti non solo bui e dolorosi, ma anche gloriosi e meritevoli di essere celebrati; tanto che in occasione di avvenimenti ufficiali hanno sfilato e sfilano, alla presenza delle più alte cariche dello Stato. Ora la stessa Rai sta realizzando un film sulle eroiche gesta del comandante della X Mas, Salvatore Todaro".
"Chiedo formalmente alla Rai di tornare sui propri passi e di reintegrarmi nel programma, per darmi la possibilità di spiegare ai telespettatori e all'opinione pubblica la mia posizione, altrimenti riuscirebbe difficile non credere ad un accanimento ad personam. Sono un uomo libero, di pace e di dialogo come la mia storia personale ed artistica dimostra. Vorrei tornare a fare il mio lavoro per il pubblico che non mi ha mai lasciato solo e che ringrazio di cuore. A chi ha strumentalizzato la vicenda, dandone una lettura artatamente negativa, per interesse, ignoranza o leggerezza - conclude Montesano - dico che non ho commesso alcun reato, indossare una maglietta non vuol dire inneggiare a nulla e nessuno, come quando si indossano magliette con altri simboli, scritte e immagini".
Caso Montesano, così la Rai si è inginocchiata al politicamente corretto. Sono tantissimi i dubbi che gravitano attorno all'esclusione di Enrico Montesano da Ballando con le stelle: ecco cosa non torna. Francesca Galici su Il Giornale il 21 Novembre 2022.
Il "caso Montesano" ha riempito le cronache dell'ultima settimana e non poteva essere diversamente, vista l'eco mediatica scatenata dalla t-shirt dell'attore. Certo, non una t-shirt qualunque, ma quella recante il logo della X Mas, uno dei corpi di combattimento più famosi della storia del nostro esercito, che durante la Seconda guerra mondiale si schierò al fianco dei tedeschi contro Alleati e partigiani. Enrico Montesano ha indossato la t-shirt durante le prove e le immagini sono state trasmesse nel corso della puntata in diretta di sabato 12 novembre. Il giorno dopo è esploso il caso, lui è stato squalificato, e sono tante le domande che ci si pone.
Una delle prime parte da una considerazione: le immagini trasmesse durante la diretta erano registrate e il "girato" (come si chiama in gergo) è necessariamente passato davanti a decine di occhi prima di finire in prima serata su Rai 1. Possibile che nessuno si sia accorto? Può essere credibile che tra tutti quelli che hanno visionato le immagini, nessuno abbia riconosciuto quel logo, o si sia chiesto, anche solo per scrupolo, cosa rappresenta? Non fosse altro che in Rai esiste un codice etico molto rigoroso, che vieta esibizioni politiche di tutti i tipi ma non solo, perché in un programma come Ballando con le stelle, sono vietati anche i loghi di marchi che non siano quelli di eventuali sponsor, nell'ottica di evitare la pubblicità occulta.
"L'etichetta di nostalgico non l'accetto, adesso basta": lo sfogo di Montesano
Seconda considerazione: come fatto notare dall'avvocato Giorgio Assumma, il logo della X Mas è stato esibito davanti alle più alte cariche istituzionali, anche alla presenza del presidente della Repubblica quando l'inquilino del Quirinale era Giorgio Napolitano. A quel vessillo sono stati fatti i più alti onori istituzionali, quindi su quale base la Rai ha deciso di squalificare Enrico Montesano dalla competizione? E a questo si collega il ragionamento fatto dall'avvocato, che probabilmente risponde alle domande precedenti: "Se l'esposizione di tale simbolo è stata ritenuta lecita e degna di rispetto dalle alte sfere della presidenza della Repubblica e dai vertici delle forze armate, come poteva destare sospetti di illegalità e di offesa ai valori della Repubblica democratica nell'attore Montesano e nei tecnici della Rai addetti alla vigilanza sulla trasmissione?".
Durante l'ultima puntata, Milly Carlucci è rapidamente tornata sull'argomento, dicendo di credere nella buona fede del concorrente e di essere "umanamente dispiaciuta per l'assenza di Enrico". La conduttrice, che del programma è anche direttore artistico, ha detto di essersi uniformata al regolamento Rai, scaricando qualunque responsabilità sull'esclusione che, evidentemente, non arriva dalla produzione della trasmissione. Dal canto suo, ospite de La Zanzara, Montesano è più agguerrito che mai: "Mi sento offeso, mi devono chiedere scusa. Devo essere riabilitato. Non ho questo tipo di storia. C'è il no logo a procedere". L'attore sperava in una sua riammissione al programma, ma le parole di Milly Carlucci in diretta sabato sembrano chiudere ogni possibilità di questo tipo.
"Altro che una maglietta". Mughini smonta l'ipocrisia sinistra su Montesano
Da più parti, proprio in ragione delle considerazioni avanzate dal legale di Montesano e dalle evidenze dei fatti, si avanza il sospetto che l'esclusione dell'attore non sia altro che l'ennesimo atto di un politicamente coretto imperante. Davanti alle sollevazioni social, alimentate dalla denuncia di Selvaggia Lucarelli, la Rai non ha avuto il polso di prendere la questione di petto, spiegando il motivo per il quale nessuno, prima della polemica, aveva considerato offensivo quel logo. Ha preferito chinare la testa davanti alla "dittatura" social, quella composta da un manipolo di utenti capaci di fare un gran casino, minacciando ipotetici boicottaggi agli sponsor e agli ascolti. E stavolta la Rai si è genuflessa, facendo una non bella figura.
Pedro Armocida per “il Giornale” il 22 novembre 2022.
Nella notte del quieto Mare Piccolo dell'Arsenale della Marina Militare di Taranto, espedienti meccanici, con pompe che simulano i flutti, elementi naturali, come un improvviso diluvio, e avveniristici effetti speciali, che in tempo reale restituiscono in digitale il fuoco dei cannoni e il crepitare delle mitragliatrici, si staglia il sommergibile Cappellini completamente ricostruito 73 metri di acciaio per 70 tonnellate di peso dallo scenografo Carmine Guarino per il set di Comandante.
Il film, diretto da Edoardo De Angelis che lo ha scritto con il Premio Strega Sandro Veronesi, interamente dedicato all'eroe di guerra, Salvatore Todaro, interpretato da Pierfrancesco Favino, che, nel 1940 nell'Atlantico, al comando del sommergibile Cappellini venne attaccato da una nave mercantile armata belga che, racconta il regista, «riesce ad affondare ma, quando vede che i marinai in mare vanno verso di lui, invece di seguire le regole che prevedevano che li abbandonasse, li salva tutti. Quando gli stessi 27 naufraghi gli chiedono perché l'abbia fatto, risponde: Noi siamo italiani, noi queste cose le facciamo».
È una curiosa coincidenza che oggi si racconti la storia, quasi incredibile, del giovanissimo Capitano di corvetta Salvatore Todaro, cinque Medaglie al Valore che, nel novembre 1941 passò nella Xª Flottiglia Mas di La Spezia (ri)salita agli onori più prosaici della cronaca tv, nei giorni scorsi, per la famigerata t-shirt di Enrico Montesano che gli è costata la partecipazione a Ballando con le stelle su Rai 1.
Anche perché è un altro pezzo del gruppo pubblico, Rai Cinema, a produrre, insieme alla capofila Indigo Film e a O'Groove, Tramp Ltd., VGroove, Wise e con la collaborazione della Marina Militare, Cinecittà e Fincantieri, il film, dal costo industriale imponente di 14,5 milioni di euro, sul Comandante Todaro che nella Xª Mas partecipò nel maggio 1942 al blocco navale della città di Sebastopoli, sul Mar Nero, nella Crimea dell'odierna guerra in Ucraina, prima di morire con una scheggia nella tempia a 34 anni in Tunisia, nel dicembre dello stesso anno, sul peschereccio armato Cefalo attaccato da uno Spitfire inglese. Quindi prima che la Xª Mas passasse, dopo l'8 settembre del '43, sotto il comando di Junio Valerio Borghese nella Repubblica Sociale Italiana.
E naturalmente non è un caso che una storia di un eroico salvataggio in mare venga riproposta oggi al cinema, quando il tema dei migranti è all'ordine del giorno. Anche se l'idea nasce nel 2018 durante i primi respingimenti del primo governo Conte: «Non mi piaceva come l'Italia si stava comportando - sottolinea lo scrittore Sandro Veronesi - e lo volevo dire attraverso il mio mestiere. Ricordare a noi altri di chi siamo figli e nipoti, la Regia Marina ha formato uomini come Todaro».
Un ufficiale e gentiluomo che recuperò i naufraghi nemici portandoli nel primo porto sicuro anche in un episodio successivo, contro il piroscafo inglese Shakespeare, contravvenendo agli ordini e provocando le ire dell'Ammiraglio Doenitz, il Capo di Stato Maggiore della Kriegsmarine a cui, nel maggio 1945, sarebbe toccata la resa incondizionata tedesca che lo definì come «il Don Chisciotte dei mari». Mettendo pure a repentaglio i suoi uomini perché, con quel carico umano, doveva navigare in emersione: «È una storia limpida su una cosa che, combinazione, è stata messa in discussione dagli ultimi governi che hanno confuso il soccorso con l'accoglienza», prosegue lo scrittore che ha scritto un omonimo romanzo autonomo, a partire dalla sceneggiatura, in libreria da gennaio 2023 con Bompiani.
Gli fa eco il regista: «Ho scoperto questa storia nel 2018 quando l'ammiraglio Giovanni Pettorino la raccontò per dare ai suoi uomini una guida e un memento su quale fosse la missione della Guardia Costiera. Grazie alla moglie e alla figlia di Todaro abbiamo avuto accesso alle sue lettere private».
Comandante vede, come protagonista assoluto, Pierfrancesco Favino che, durante la nostra visita sul set, si è presentato in calzoncini corti ma con la divisa perché, spiega, «è così che è stato svegliato quella fatidica notte». L'attore è sul set, che durerà 8 settimane, tutti i giorni, anche quando non sono previste sue pose, perché vuole immedesimarsi nel ruolo e nel clima dell'epoca tanto che, quando passa davanti al sommergibile, confida di «provare un senso di appartenenza, come se fosse il mio cavallo, appena lo vedi lo vuoi proteggere».
Vedremo come nell'autunno-inverno del 2023 quando il film uscirà nelle sale con 01 Distribution.
Giampiero Mughini per Dagospia il 21 novembre 2022.
Caro Dago, sono uno di quelli che nell’andare a leggere un articolo o un libro del professor Luca Ricolfi non ne vengono mai delusi. Vale per quest’ultimo suo “La mutazione” (Rizzoli, 2022), un libro che ha per attirante sottotitolo “Come le idee di sinistra sono migrate a destra”.
Ne è sugosissimo il capitolo centrale, quello in cui Ricolfi documenta come la difesa anti censoria delle libertà di pensiero e d’arte che in Italia e altrove era stata una prerogativa particolarissima della sinistra viene adesso smentita e arrovesciata dagli stilemi su cui è fondata la cancel culture, e seppure in Italia non siamo agli orrori di cui questo atteggiamento si è macchiato negli Usa (e non solo).
Lì dove – in Texas – è appena nata un’università che difende la libertà di pensiero (di tutti i pensieri) all’insegna di parole così: “Quattro quinti degli studenti di dottorato statunitensi sono disposti a ostracizzare gli scienziati di opinioni conservatrici. Non abbiamo tempo di aspettare che gli accreditati atenei si correggano da soli. Per questo ne fondiamo uno noi”.
Il fatto è, scrive puntualmente Ricolfi, che nei campus universitari americani sono all’ordine del giorno le richieste di no platforming (non fornire il palco), disinvitation (cancellare un precedente invito) se non addirittura di licenziare professori le cui convinzioni non siano politicamente corrette. Da brividi.
A partire dal 2015 i casi di disinvitation tentati negli atenei americani sono stati ben 200 di cui 101 riusciti. E comunque anche quando gli eventi sgraditi non vengono cancellati, gli studenti che chiameremo di sinistra bloccano fisicamente l’accesso alle aule universitarie o intonano canti o percuotono tamburi in modo da impedire l’ascolto di opinioni a loro invise.
Talvolta è addirittura furibondo il fuoco di sbarramento, sui social o su giornali universitari, contro autori classici che rispondono al nome di Omero, Dante, Shakespeare, Cartesio o contro il ben di dio di scrittori moderni quali Melville, Conrad, Fitzgerald, Hemingway. E’ stato bersagliato un pittore immane quale Paul Gauguin che ebbe il torto di avere una relazione sessuale con una quattordicenne polinesiana, un torto simile a quello rinfacciato al nostro Indro Montanelli partito volontario a combattere nell’Etiopia degli anni trenta.
Il culmine dell’abiezione che mira a cancellare il reale com’è stato e sostituirlo con un reale a misura delle odierne minchionerie ideologiche è la volta in cui la “Carmen” di Georges Bizet è stata riscritta col farla finire che è la donna a uccidere l’uomo ed evitare così di mettere in scena un “femminicidio”.
Non so dire se non sia ancora peggio quello che è accaduto tanto nelle carceri americane che in quelle del Canada. Che degli individui nati uomini e che volevano diventare donne ma che ancora mantenevano gli organi maschili fossero stati reclusi nelle stesse celle in cui erano le donne: numerosi i casi di stupro lì in carcere.
No, in Italia non siamo ancora a questo. E pur tuttavia, scrive Ricolfi, ci sono indirizzi allarmanti di cui è impossibile non tener conto. Confesso che non avevo mai letto il testo del decreto Zan contro l’omotransfobia, decreto bocciato in Senato dopo essere stato approvato alla Camera.
Ricolfi punta l’ingranditore sull’articolo 4 di quel decreto, là dove si prospettava la possibilità di punire penalmente “opinioni” che nella valutazione del magistrato fossero “idonee” al compimento di atti discriminatori e violenti.
Una dizione che spalanca il campo all’azione penale contro le opinioni difformi tanto da suscitare il dissenso di un parlamentare del Pd notoriamente omosessuale, l’ex giornalista dell’ “Espresso” e senatore Tommaso Cerno, oltre che di magistrati quali Giovanni Fiandaca e Carlo Nordio fra gli altri. A giudizio di Ricolfi troppo pochi, data la rilevanza giuridica di quell’articolo.
La sinistra? Dalla libertà alla censura. Si potrebbe avere l'impressione che la cancel culture sia un fenomeno montato di recente e che abbia lambito l'Europa come un'onda lunga partita dagli Usa. Matteo Sacchi su Il Giornale il 22 Novembre 2022.
Si potrebbe avere l'impressione che la cancel culture sia un fenomeno montato di recente e che abbia lambito l'Europa come un'onda lunga partita dagli Usa. Indubbiamente la nuova censura preventiva che impera nelle serie, nei film, e persino il livellamento storiografico e scientifico nei temi di dibattito che arrivano dagli Stati Uniti hanno il loro peso. Però esiste una radice tutta italiana al fenomeno. Una radice che viene da sinistra. Per rendersene conto niente di meglio del nuovo libro di Luca Ricolfi: La mutazione. Come le idee di sinistra sono migrate a destra (Rizzoli). Il sociologo e politologo nel libro da lungo spazio all'evoluzione, tutta interna alla sinistra italiana, che ha portato molti dei suoi membri a diventare «Da libertari a censori».
Ricolfi prende atto del fatto che il nostro Paese negli anni Cinquanta e Sessanta vivesse in un clima molto rigido e bacchettone: «Sotto la censura caddero innumerevoli libri, opere teatrali e cinematografiche, programmi televisivi e radiofonici». Per capirci, l'abolizione della censura teatrale arrivò solo nel 1962 con il governo Fanfani. Per il cinema il controllo durò, occhiuto, molto più a lungo. Inutile elencare episodi d'epoca come i famosi mutandoni delle sorelle Kessler nel 1961, basti dire che gli intellettuali dell'epoca, in larga parte orientati a sinistra, si schierarono compatti sempre a favore della libertà d'espressione. Il risultato fu quello che Ricolfi definisce «l'epoca d'oro della satira» che va dal 1976 al 2005. Si andò da Quelli della notte a L'ottavo nano. Poi qualcosa è iniziato a cambiare lentamente. Natalia Ginzburg lo aveva già denunciato negli anni Ottanta: «È stato decretato l'ostracismo alla parola sordo e si dice non udente». Erano arrivate quelle che la Ginzburg chiamava «parole artificiali» fabbricate con «motivazioni ipocrite». Ma questi caveat caddero nel vuoto, anzi pian piano gli intellettuali di sinistra iniziarono a sposare questa nuova censura. Iniziarono a sposare quella che Calvino chiamava «antilingua». Su questo substrato si è innestato il fenomeno del politicamente corretto arrivato dagli Usa che è diventato quasi inarrestabile a partire dal 2013, in un crescendo di aggressività verso chi non si piega ai suoi dettami. Siamo arrivati al «follemente corretto» e a quello che ad alcuni di coloro che sono rimasti a sinistra pare un paradosso. Ovvero che la difesa della libertà di parola sia diventata un appannaggio della destra. Persino posizioni considerate un tempo femministe come la «difesa dell'utero» possono tranquillamente essere considerate ormai «anti lgbtq+». Risultato finale, da libertari a censori, seguendo il ragionamento di Ricolfi il passo è stato breve. E ora la libertà è più facile trovarla svoltando a destra.
Montesano e la maglietta della X Mas: «Sono un collezionista di t shirt». E annuncia una causa alla Rai. Redazione Spettacoli su Il Corriere della Sera il 13 Novembre 2022.
L'attore ha preso le distanze da tutti i totalitarismi: «Li disprezzo profondamente» e ha fatto sapere di aver dato mandato al suo avvocato di esaminare la situazione: «Tutelerò la mia onorabilità la Rai aveva visto tutto senza obiettare»
Nessuna apologia del fascismo, né vicinanza alle idee del Ventennio che anzi «disprezza profondamente».
La maglietta della X Mas indossata da Enrico Montesano durante le prove di «Ballando con le stelle» che gli è costata l’esclusione del programma fa parte di una sua collezione di t-shirt.
Così ha spiegato l'attore scusandosi su Facebook, dopo il polverone sollevatosi domenica quando Selvaggia Lucarelli (lei stessa giudice nello show condotto da Milly Carlucci) ha denunciato l'accaduto, andato in onda sabato in prima serata su Rai1.
«Sono profondamente dispiaciuto e amareggiato per quanto accaduto durante le prove del programma. Sono un collezionista di maglie, ho quella di Mao, dell’Urss, ma non per questo ne condivido il pensiero — ha scritto Montesano, 77 anni —. Non c’era in me nessuna intenzione di promuovere messaggi politici o apologia di fascismo da cui sono profondamente distante. Sono sempre stato un uomo libero e democratico. Credo nei valori della costituzione e mi scuso profondamente con chi si è sentito offeso e turbato. È stata un’ingenuità. Io col nazifascismo e tutti i totalitarismi non c’entro nulla e li disprezzo profondamente. Chiedo ancora scusa».
Montesano aveva già tentato nel corso della giornata di mettere una pezza sulla vicenda, mostrandosi in foto sul suo canale Telegram accanto a un’immagine di Che Guevara, tenendo in mano una vecchia tessera del Psi.
Comprensibilmente ciò non è bastato alla Rai che, dopo il caso di Memo Remigi, si è trovata di nuovo nella bufera (sui social tanti utenti si chiedono come sia stato possibile che nessuno nella rete si sia accorto della maglietta) e ha estromesso un altro personaggio dai suoi programmi, scusandosi con gli spettatori.
Montesano, poi, durante la pandemia si era distinto per le uscite no vax, inneggiando alla disobbedienza civile, e dunque tanti altri utenti online si interrogano sull’opportunità di averlo scelto per la trasmissione, se non con l’intento di creare polemiche.
L'annuncio della causa: «La Rai aveva visionato la maglietta»
L’attore, in serata, ha annunciato anche sapere di aver dato mandato «all’avvocato Giorgio Assumma insieme al suo agente Settimio Colangelo di esaminare la situazione per tutelare al meglio la sua identità personale e la sua onorabilità», visto che la maglietta al centro delle polemiche era stata «vista dai rappresentanti della Rai sia durante le prove della sua prestazione artistica sia durante la registrazione della stessa, sia nel montaggio senza alcuna obiezione» e che il materiale montato «è stato ulteriormente esaminato» senza obiezioni sulla regolarità.
Montesano ha scritto su Facebook: «Avendo avuto notizia che la Rai vorrebbe disporre il mio allontanamento dal programma Ballando con le stelle, dichiaro la mia assoluta buona fede e ricordo di essere stato un parlamentare di sinistra, in linea con la mia fede politica che non può essere certo accostata a quella fascista. Ho precisato che la maglietta da me indossata, che fa parte di una mia collezione da anni è in vendita pubblica nei negozi italiani senza che alcuno abbia mai pensato trattarsi di uno strumento di propaganda antidemocratica. Ricordo che la maglietta contiene una frase di Gabriele D’Annunzio che è liberamente riprodotta anche nei libri di studio di letteratura italiana adottati nelle scuole».
Cos’era la X Mas e qual è il significato di Memento audere semper. Antonio Carioti su Il Corriere della Sera il 14 Novembre 2022.
Due le fasi della flottiglia. La prima in cui i mezzi italiani portarono a segno incursioni contro le basi britanniche del Mediterraneo. E la seconda in cui Borghese decise, dopo l’armistizio, di schierarsi contro gli Alleati e al fianco dei nazifascisti
La X flottiglia Mas è passata alla storia come unità combattente della Repubblica sociale italiana, responsabile di violente rappresaglie ed esaltata negli ambienti neofascisti: per questo la maglietta celebrativa indossata da Enrico Montesano ha suscitato diffusa riprovazione. Ma la vicenda di questa unità dei mezzi d’assalto della Marina italiana è per la verità più complessa, non si esaurisce nella scelta del comandante Junio Valerio Borghese di continuare la guerra, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, contro gli angloamericani e al fianco dei nazisti.
Innanzitutto il motto latino sul retro della maglietta di Montesano, Memento audere semper («Ricordati di osare sempre»), corrispondente alla sigla Mas, nasce in una fase storica precedente alla Rsi e allo stesso fascismo. Lo coniò il poeta Gabriele d’Annunzio nel 1918, durante la Prima guerra mondiale, in seguito alla cosiddetta «beffa di Buccari», l’incursione di Motoscafi armati siluranti (l’acronimo Mas significa anche questo) in una baia dove si trovavano all’ancora navi della flotta austro-ungarica. Poi bisogna considerare che la X Mas era in origine un’unità della Regia Marina e che non tutti i suoi appartenenti aderirono alla Rsi. La stessa denominazione di X fu assunta solo nel marzo 1941, in ricordo della Decima legione prediletta da Giulio Cesare: in precedenza era la I flottiglia Mas.
Insomma la storia della X Mas va divisa in due fasi. La prima vide i mezzi d’assalto italiani compiere audacissime incursioni nelle basi britanniche del Mediterraneo – Suda (Creta), Gibilterra, Malta, Alessandria – ottenendo in alcuni casi significativi successi. L’episodio più importante fu quello di Alessandria, quando gli incursori della X Mas, nel dicembre 1941 entrarono nel porto egiziano sui loro siluri a lenta corsa, i cosiddetti «maiali» e affondarono una petroliera e due corazzate nemiche. Nel maggio 1943 il comando della X Mas fu affidato a Borghese, nato nel 1906, che si era distinto per le azioni compiute dal suo sommergibile Sciré. E pochi mesi dopo si pose il problema di scegliere che fare dopo la conclusione dell’armistizio. Una parte degli incursori rimase fedele al re e andò a costituire un’unita chiamata Mariassalto, che combatté al fianco degli Alleati contro i tedeschi. Ad essa si unirono anche alcuni militari della X Mas che erano stati fatti prigionieri dai britannici dopo aver compiuto l’impresa di Alessandria.
A La Spezia invece, dove c’era la base principale della flottiglia, Borghese manifestò la sua intenzione di proseguire la guerra insieme ai tedeschi. E la X Mas, che mantenne la sua denominazione, venne impiegata come unità terrestre contro gli Alleati, per esempio sul fronte di Anzio e Nettuno, ma soprattutto nella repressione della guerriglia partigiana. Questo secondo impegno vide i fanti di marina al comando di Borghese commettere anche crimini di guerra, di cui è testimonianza la famosa e macabra immagine di un giovane impiccato con al collo un cartello con la scritta «Aveva tentato con le armi di colpire la Decima». Dopo la guerra Borghese fu processato, ma se la cavò con una condanna lieve e venne subito scarcerato. Fu anche per un breve periodo presidente onorario del Movimento sociale italiano. Nel 1968 creò una sua organizzazione di estrema destra, il Fronte nazionale, alla guida della quale tentò un colpo di Stato immediatamente abortito, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970. Si rifugiò poi nella Spagna franchista, dove morì in circostanze poco chiare il 26 agosto 1974.
X Mas: cos’è e che cosa significa ‘Memento audere semper’. Redazione Cultura su La Repubblica il 14 Novembre 2022.
Il simbolo e il motto della formazione militare che fu uno dei simboli della Repubblica Sociale è ancora oggi utilizzato durante le manifestazioni della destra e su magliette e gadget. Ecco perché
Nel marzo del 1941 fu denominato X flottiglia MAS il reparto dei mezzi d’assalto della Marina italiana. All'inizio era formata da poche centinaia di soldati impegnati in missioni di alto rischio. Il motto dannunziano memento audere semper fu utilizzato appunto per creare la sigla MAS, ed è tuttora utilizzato dalle formazioni politiche di estrema destra nelle bandiere e nei gadget, come la maglietta utilizzata da Enrico Montesano a Ballando con le stelle. Nel maggio 1943 il comando della Decima MAS fu assunto da Junio Valerio Borghese (1906-1974).
Dopo l’8 settembre, con la proclamazione da parte del generale Badoglio dell'armistizio con con gli Alleati, Borghese ne fece una formazione militare autonoma che continuasse a combattere al fianco del Terzo Reich, stipulando un patto esclusivo con la Wehrmacht, prima della nascita della RSI. In questa fase, fu impegnata soprattutto nella lotta contro i partigiani.
A La Spezia, sede del comando della Decima, affluirono migliaia di giovani volontari e si costituì il Reggimento San Marco, formato dai battaglioni NP (Nuotatori Paracadutisti), Maestrale (poi Barbarigo) e Lupo. Dopo aver combattuto a Nettuno e Anzio per arginare lo sbarco alleato, la Decima Mas, divenuta Divisione di fanteria di marina, operò con i tedeschi contro le formazioni partigiane del Piemonte, partecipando a rastrellamenti e rappresaglie sanguinose contro i partigiani. La Decima fu anche presente sul fronte dell'Istria e del Carso contro i partigiani di Tito. Nell'inverno del 1944 i battaglioni Lupo e NP furono schierati lungo gli argini del Senio in Romagna.
Marcello Veneziani per “La Verità” il 15 novembre 2022.
Ieri, la mia pagina Facebook è stata oscurata perché ho commentato criticamente il linciaggio e la defenestrazione di Enrico Montesano dalla Rai per la sua maglietta e le sue scritte «fasciste».
Ripeterò qui cosa ho scritto, perché non ho nulla di cui pentirmi. Non sarebbe mai accaduto in altra epoca della mia vita; poi dite che non stiamo perdendo la libertà. Ma quando si fermerà questa caccia al fascista - verosimile, presunto, immaginario - con relativa espulsione da ogni consesso umano e pubblico disprezzo per crimini virtuali contro l'umanità? Quando finirà questa gara di influencer e politicanti, maneggioni e delatori, a chi per primo denuncia alla pubblica autorità chi si è sporcato di nero?
Se il branco di ignoranti, arroganti, intolleranti che ha censurato Enrico Montesano per la sua maglietta oscena sapesse che il motto «Memento audere semper», ricordati di osare sempre, stampato sul retro della sua maglietta, non è fascista ma fu coniato da Gabriele D'Annunzio nella Prima guerra mondiale e ricorda la beffa di Buccari del 1918 contro l'impero austrungarico, con protagonisti lo stesso D'Annunzio e la medaglia d'oro Luigi Rizzo...
Invece, dopo averlo selvaggiamente attaccato, cacciano Montesano dalla Rai spiegando: «Inammissibile che un concorrente indossi una maglietta con un motto che rievoca una delle pagine più buie della nostra storia».
Ma quel motto evoca D'Annunzio, gli eroi e le loro imprese, e la Prima guerra mondiale... Poi la Decima Mas ne continuò la tradizione militare nella Seconda guerra mondiale, si distinse per azioni eroiche. Vi dicono nulla soldati esemplari ammirati per le loro imprese e il loro stile cavalleresco anche dai nemici, come Luigi Durand de la Penne e Teseo Tesei, due medaglie d'oro e molti altri?
No, non vi dicono nulla, purtroppo. Non sapete nulla, non volete sapere nulla ma ciò non vi impedisce di giudicare tutto e tutti, anzi ne è la premessa indispensabile Dopo l'8 settembre, quando l'Italia si spaccò in due, la Decima Mas prestò servizio a nord nella Repubblica sociale con il principe Junio Valerio Borghese, il Comandante, e a sud nel regno d'Italia, a fianco dell'esercito sabaudo di Badoglio. Ma restarono in ambo i fronti dei soldati leali, al servizio della patria.
Non si può continuare all'infinito questo giochino infame, questa acchiapparella con finale espulsione, gogna e vituperio per tutti coloro che cadono nelle grinfie del politically correct, scivolano su una parola, un indumento, un mezzo gesto. Pensate, per cambiare genere ma non intolleranza, alla brutta fine di Memo Remigi. Più di mezzo secolo di musica e di notorietà legata esclusivamente alle canzoni, bruciato a 84 anni per una pur deprecabile mezza pacca ai glutei di una donna.
D'ora in poi Remigi non sarà più il cantautore che conoscevano tramite il suo repertorio romantico, ma resterà «quello della pacca», magari con l'epiteto aggiuntivo di vecchio porco sessista. Così Montesano, più di cinquant' anni di brillante carriera di comico, d'attore e di teatro, buttata via dall'infamia indescrivibile di una maglietta. Sarebbe bastato criticarla, considerarla kitsch, magari, fuori luogo ma senza invocare i soliti Demoni nazisti e il solito Angelo Sterminatore Ma lui, peraltro, è recidivo, fu già linciato come no vax e no green pass.
Come sono lontani i tempi in cui Montesano era europarlamentare e consigliere comunale del Partito democratico della Sinistra e veniva ammirato e chiamato dappertutto, portato in un palmo di mano dai giornali de sinistra che si gloriavano di lui e che oggi lo insultano e lo disprezzano Ma non è di casi personali che vorrei parlare. È del caso Italia, questa decrepita in ostaggio del fascismo e dei suoi aguzzini.
Non può fare un passo, neanche un passo di danza, che scatta la censura al risorgente partito fascista. A proposito, vorrei far notare che perfino la legge Scelba e la norma transitoria della Costituzione (sono passati quasi settant' anni), condannavano la ricostruzione del disciolto partito fascista, ovvero punivano i tentativi politici di rifare il fascismo. Non si preoccupavano minimamente delle chincaglierie nostalgiche, della paccottiglia di regime e neanche delle opinioni storiche divergenti sul passato ventennio. Ma il clima si fa irrespirabile man mano che si allontana la storia.
Un paradosso contronatura. Per dirvene un'altra che mi riguarda personalmente, il 28 ottobre scorso ho rinunciato a partecipare a un convegno di studi sulla marcia su Roma nei pressi di Predappio, per evitare di trovarmi qualche camicia nera in sala e così confondermi col folclore fascista in voga nella giornata. Contemporaneamente, un convegno di un istituto antifascista che mi aveva invitato come correlatore, è riuscito, spostando in extremis il convegno, a mettermi in condizione di rinunciare all'evento, e prima ancora che comunicassi la mia rinunzia avevano data per certa la mia défaillance. Capite? Non si può parlare di fascismo né in un contesto antifascista né in un contesto non antifascista, per motivi diversi ma alla fine convergenti.
Per quel che mi riguarda, il fascismo non rientra più nei miei interessi di studio ormai da diversi anni. Ma penso con fastidio che oggi col fascismo ridotto a puro fenomeno criminale, non potrebbero più scrivere di fascismo né storici seri come Renzo De Felice né filosofi non certo fascisti come Augusto Del Noce, e nemmeno giornalisti e divulgatori come Indro Montanelli e Giorgio Bocca, Arrigo Petacco, Giampaolo Pansa e Oreste Del Buono. Tanto per citare firme di varia estrazione. Bisogna solo allinearsi, indignarsi e inveire. Quando riusciremo a dire semplicemente e perentoriamente basta a questo carnevale fascista-antifascista permanente e alle polizie repressive, a colpi di cancellazioni, algoritmi, espulsioni e sentenze?
Da lastampa.it il 16 novembre 2022.
«Non ho ancora tutti i gli elementi per inquadrare compiutamente la situazione che è stata sottoposta al mio esame da Enrico Montesano. Ma un documento fotografico diffuso da una agenzia stampa poche ore fa mi induce ad una riflessione significativa che credo non possa essere contestata». Comincia così la dichiarazione che l'avvocato di Enrico Montesano, Giorgio Assumma, affida all'Adnkronos spiegando le ragioni principali sulle quali impronterà la difesa del suo assistito in seguito all'espulsione dell'attore dalla trasmissione Ballando con le Stelle per aver indossato, durante le prove, una maglietta con il simbolo della X Flottiglia Mas.
«Nel documento fotografico -spiega l'avvocato Assumma- è effigiato l'allora Presidente della Repubblica Napolitano affiancato dai vertici delle forze armate. Sono tutti sull'attenti per ricevere gli onori militari dalle associazioni d'arma presenti e schierate in occasione di una cerimonia pubblica. Si scorge chiaramente in prima fila un alfiere della rappresentanza della associazione nazionale Marinai d'Italia, X flottiglia Mas, anch'essa schierata, che regge ed espone il vessillo del reparto nel quale è riprodotto esattamente il simbolo impresso sulla maglietta indossata da Montesano».
«La riflessione a cui sono stato indotto è questa -tira dunque le fila il legale di Montesano- Se l'esposizione di tale simbolo è stata ritenuta lecita e degna di rispetto dalle alte sfere della Presidenza della Repubblica e dai vertici delle forze armate, come poteva destare sospetti di illegalità e di offesa ai valori della Repubblica democratica nell'attore Montesano e nei tecnici della Rai addetti alla vigilanza sulla trasmissione?».
Marco Zonetti per vigilanzatv.it il 14 novembre 2022.
La maglietta con il simbolo della X Flottiglia Mas, fregiata dal motto Memento Audere Sempre, è costata cara a Enrico Montesano, raggiunto da un provvedimento della Rai che lo ha defenestrato da Ballando con le Stelle, talent danzante condotto da Milly Carlucci il sabato sera su Rai1.
Il caso era già stato sollevato durante la puntata, quando sui social qualcuno aveva fatto notare che, nella clip trasmessa in diretta prima dell'esibizione di Montesano, quest'ultimo indossava la maglietta con il simbolo fascista durante le prove della coreografia.
Il putiferio è poi deflagrato la domenica mattina dopo la denuncia di Selvaggia Lucarelli, corredata dalle foto tratte dalla clip, e la presa di posizione del Consigliere di Amministrazione in quota Dipendenti Riccardo Laganà che auspicava provvedimenti seri da parte di viale Mazzini.
Dopodiché si sono aggiunti, fra gli altri, la cantante Fiorella Mannoia, il presidente della Federazione della Stampa Beppe Giulietti, la parlamentare del Pd Simona Malpezzi, l'assessore alla Sanità del Lazio Alessio D'Amato, l'Anpi, tutti unanimi nello stigmatizzare l'esposizione di un "simbolo fascista" sulla tv pubblica, invitando chi di dovere a intervenire. Solo nel tardo pomeriggio la Rai ha quindi annunciato la defenestrazione di Montesano da Ballando, esprimendo le scuse ai telespettatori e "in particolare a coloro che hanno sofferto e pagato in prima persona a causa del nazifascismo".
Il comico, che già in giornata aveva categoricamente ribadito di non avere nulla a che fare con fascismo e totalitarismi e di disprezzarli profondamente, ha risposto al comunicato della Rai gettando un altro sasso nello stagno. Un macigno, in realtà. Annunciando di aver dato mandato ai suoi legali per tutelare la sua onorabilità, Montesano ha sottolineato che la clip incriminata "è stata vista dai rappresentanti della Rai sia durante le prove della sua prestazione artistica sia durante la registrazione della stessa, sia nel montaggio senza alcuna obiezione" e che il materiale montato "è stato ulteriormente esaminato" senza obiezioni sulla regolarità.
L'obiezione di Montesano è piuttosto condivisibile, in effetti. Difficile credere che nessuno si sia accorto di nulla prima di montare e mandare in onda la clip, specie in un programma come Ballando con le Stelle dove notoriamente in fase di realizzazione tutto è controllato fin nel minimo dettaglio. Qualcun altro pagherà, dunque? Soprattutto alla luce del fatto che, sabato sera, dopo la messa in onda della clip della discordia e l'esibizione di Montesano, quest'ultimo è stato celebrato dalla giuria e Milly Carlucci lo ha ringraziato pubblicamente per la sua partecipazione al programma (peraltro già fortemente criticata da molti per via delle sue posizioni no vax).
Commentando la decisione di Viale Mazzini di punire il comico, lo stesso Consigliere Rai Laganà ha puntualizzato che "la linea etica è maggiormente credibile quando si individuano e redarguiscono conduttrice, dirigenti e autori responsabili del controllo editoriale di un contenuto, oltretutto registrato".
Per quanto riguarda invece l'opinione di Montesano sul fascismo, VigilanzaTv ha fatto qualche indagine rispolverandone un'intervista rilasciata nell'ottobre 2018 a Peter Gomez nella trasmissione La confessione, in onda sul Nove e visibile a questo link. L'attore - continuando a professarsi "uomo di Sinistra", pur convinto che le distinzioni fra Destra e Sinistra siano ormai superate - confidava a Gomez riguardo a Benito Mussolini: "Penso che lui sia stato un uomo che voleva bene agli italiani, che voleva aiutare gli italiani, ma ha una macchia indelebile troppo grave che sono le leggi razziste, le leggi razziali, su questo non lo perdono". Montesano stigmatizzava altresì la scelta del Duce di "essersi alleato con un pazzo furioso e portato l’Italia in guerra. Lui [Mussolini] sapeva benissimo che non eravamo in grado, voleva solo stare al tavolo della pace, pensando che il pazzo... che il caporale pazzo con i baffetti avrebbe vinto”.
Basteranno queste dichiarazioni a scagionare Montesano dalle accuse di simpatie fasciste? Vedremo.
Frattanto, sempre riguardo a Ballando con le Stelle, è scoppiato un altro caso di più frivola entità. In un flash, il sito Dagospia di Roberto D'Agostino si è infatti domandato come mai la concorrente Marta Flavi, eliminata nella seconda puntata del talent, non partecipi a Domenica In come gli altri membri del cast. Dietro le quinte del programma si vocifera che il motivo possa essere la grande amicizia che lega Mara Venier a Maria de Filippi.
Venier ha più volte parlato del debito di riconoscenza che la lega alla conduttrice di Amici e C'è posta per te, che le offrì lavoro permettendole di restare alla ribalta quando la Rai le diede il benservito anni fa. Ed è noto che Marta Flavi fosse sposata con Maurizio Costanzo quando questi conobbe la Maria nazionale innamorandosene. Il triangolo sentimentale portò fatalmente al divorzio con serratissima battaglia legale tra Flavi e Costanzo, che poi impalmò De Filippi.
La peculiare assenza di Marta da Domenica In è quindi dovuta alla lealtà che lega zia Mara all'amica Maria? L'eternamente giovane fatina Flavi sarebbe dunque una sorta di Rebecca, la prima moglie che è opportuno tenere fuori il più possibile da Domenica In, dove invece più volte è stata ospite De Filippi con tutti gli onori del caso? Questa, almeno, è la voce che ci hanno riferito dai corridoi della Rai. La quale al momento, vedi caso Montesano, ha però una questione ben più delicata per le mani che probabilmente continuerà a tener banco nei prossimi giorni. A tutto beneficio dello share...
Estratto dell’articolo di Silvia Fumarola per “la Repubblica” il 14 novembre 2022.
Enrico Montesano fuori da Ballando con le stelle, con tante scuse al pubblico da parte della Rai. Una domenica di passione. Ci sono volute oltre sette ore perché viale Mazzini decidesse di escludere l'attore - concorrente dello show del sabato di Rai 1 - dal programma. In un filmato era apparso alle prove mentre indossava una maglietta nera della formazione militare fascista X Mas, con il motto dannunziano: "Memento audere semper".
L'attore, fuori dallo show, ha dato «mandato all'avvocato Giorgio Assumma insieme al suo agente Settimio Colangelo di esaminare la situazione per tutelare al meglio la sua identità personale e la sua onorabilità ». Montesano sottolinea che la maglietta al centro delle polemiche «è stata vista dai rappresentanti della Rai sia durante le prove sia durante la registrazione, sia nel montaggio senza alcuna obiezione» e che il materiale montato «è stato ulteriormente esaminato senza obiezioni ». […]
Mirella Serri per “La Stampa” il 14 novembre 2022.
Enrico Montesano questa volta l'ha fatta troppo grossa. Volendo a tutti i costi dimostrare che il suo cuore batte per l'estrema destra (di questi tempi conviene), l'ex «Conte Tacchia», il personaggio che gli diede notorietà, sabato sera si è esibito nelle prove (andate in onda) di «Ballando con le Stelle», lo show di Rai1 condotto da Milly Carlucci, indossando una maglietta total black che aveva stampata sulla schiena la frase «Memento audere semper».
Si tratta del tremendo motto della X Mas, reparto dei mezzi d'assalto della Marina italiana. L'unità militare, nel marzo del 1941, prese il nome di X flottiglia Mas, proprio dalle iniziali della massima dannunziana di cui si fregiava. Nel 1943 il comando della unità combattente fu assunto da Junio Valerio Borghese, il quale, dopo l'8 settembre, la trasformò in una formazione per continuare la guerra e la repressione della Resistenza al fianco del Terzo Reich. Borghese - che nel secondo dopoguerra cercò di seppellire sotto un golpe, fortunatamente fallito, la democrazia italiana - mise insieme truppe feroci che si distinsero per atti di crudeltà.
La prima ad accorgersi della singolare t-shirt è stata una delle giurate, Selvaggia Lucarelli, che ha denunciato l'accaduto su Twitter. Sui social si è scatenata una protesta indignata. E ieri è arrivato l'annuncio dei vertici Rai i quali hanno chiesto «scusa a tutti i telespettatori e, in particolare, a coloro che hanno pagato e sofferto in prima persona a causa del nazifascismo... È decisione della Rai, dunque, di interrompere la partecipazione di Montesano alla trasmissione del sabato sera».
Forse a viale Mazzini si sarebbero dovuti svegliare prima: perché invitare a «Ballando con le stelle» un personaggio che aveva già dato ampia prova della sua vocazione alla provocazione di bassa lega. Tutti ricordano, ad esempio, le sue ripetute apparizioni sulle piazze affollate di No Vax per incitare alla «disubbidienza civile» nei confronti dei provvedimenti governativi che cercavano di contenere la strage da Covid.
Non contento, l'attore-agitatore esortava anche a non pagare il canone Rai.
Evidentemente non c'è limite al perdonismo. Come si giustifica l'ex Conte Tacchia? Replica mostrando una tessera socialista del 1976. «Buona domenica amici! Le fesserie e le strumentalizzazioni lasciamole agli altri!», ha scritto sul suo canale Telegram. Di voltafaccia politici l'attore ne ha fatti parecchi: è stato anche vicino al Pds di Achille Occhetto, che lo ha perfino eletto europarlamentare; poi ha simpatizzato per la destra di Gianni Alemanno e pure per i pentastellati.
L'espulsione dalla trasmissione Rai di un personaggio che poteva essere fermato prima, visti i suoi trascorsi, è un minimo sindacale. Montesano, evocando la X Mas ha offeso la memoria della lotta antifascista. In nome del «dio» share si è spesso chiuso un occhio su comportamenti e proclami di assai dubbio gusto, basti ricordare i litigi e le parolacce che, nella medesima trasmissione, sono volati fra alcuni dei suoi protagonisti. Ma stavolta, invitando questo attore, ormai poco comico e molto desideroso di farsi notare dopo essere stato trascurato dal cinema, nel programma tv a caccia di ascolti di occhi ne sono stati chiusi due.
Spesso ci riempie la bocca con l'espressione «servizio pubblico». Ma proprio nel caso dell'agit prop No Vax, e dati i precedenti, il servizio Rai avrebbe dovuto sorvegliare e impedire l'affronto alla sensibilità dei cittadini e ai valori della Costituzione democratica.
Montesano minimizza e lascia intendere che voleva scherzare. Però l'offesa non si può ridurre a una burla, come non lo sono i travestimenti dei politici che «per scherzo», dicono, si mascherano da SS. Quando il «Conte Tacchia» ha preso la parola a Roma intonando l'inno del mondo No Vax, «La gente come noi non molla mai», faceva sul serio. È legittimo sospettare che facesse sul serio anche in questa occasione e che volesse mandare un messaggio nostalgico. Comunque, quali che siano le motivazioni del cabarettista, consiglieremmo al neoministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, che esorta a sviluppare le sinergie tra mondo della cultura e la tv, di non proporre una fiction con Montesano nei panni del «principe nero» dal 1941 al 1971, anno in cui fu emanato un ordine di cattura per Borghese (poi ritirato).
Francesco Merlo per “la Repubblica” il 14 novembre 2022.
Finalmente c'è riuscito, Er Pomata, a farsi prendere sul serio dall'Anpi e da Fiorella Mannoia: "Madonna! si ce penzo, e che paura!" recitava Totò nella poesia sui morti. Più che di Enrico Montesano, che già da No Vax faceva il rigattiere di simboli guasti, questa maglia nera della Decima Mas ci parla infatti della tristezza italiana, dove il fascismo è diventato cool, nel senso del "feticcio cariato" di cui scriveva Gillo Dorfles, il grande studioso dell'estetica nazionale: che gusto quel disgusto.
Il vecchio, disperato, Enrico Montesano ha infatti esibito la divisa nera non a Predappio e neppure a Salò, ma a Ballando con le stelle che è Sanremo tutto l'anno, è il nostro definitivo genius loci. "La vita è ballo", come variante del capolavoro di Benigni La vita è bella, era già il titolo del profetico e geniale cammeo del 2003 di Ciprì e Maresco dove il nano gobbo ballava vestito con il frac ed era il campione del grottesco che cercava gli sputi del pubblico.
"Minchia, che schifo che fai: puh!" gridavano in sala. E più sputavano - "puh!, ridammi i soldi del biglietto" - e più il nano si scatenava nella danza, proprio come si è scatenato Montesano. Il suo frac "tirasputi" è la divisa nera di quelli che "vi giuriamo che combatteremo là dove Dio volle il tricolore" in rima alternata con "ritorneremo" e con "onore".
Con voluttà Er Pomata di Febbre da cavallo si era già mostrificato in comico engagé contro i vaccini e contro le cospirazioni della finanza, e senza mascherina litigava con i vigli urbani e rifiutava il Green Pass: «Disobbedienza civile», «sono incazzato nero». E coinvolgeva i figli, la famiglia, un piccolo mondo romano esausto e confuso: «Sono romano e a tempo perso pure italiano».
Roma, da Belli ad Aldo Fabrizi, da Trilussa a Sordi, da Petrolini a Proietti è la trippa dell'umorismo italiano, la bonarietà dei difetti nazionali, l'Italia che non si piace ma si compiace. E però qualcosa andò storto nella promettente crescita di maschera romana di Enrico Montesano: «Si devono sciacquare la bocca quando parlano di me, io sono un attore, non un comico.
Imparino prima a ballare, cantare, recitare, fare le imitazioni, inventarsi personaggi e farsi 52 anni di carriera come me: più di 60 film e 10 commedie musicali». Tutto vero. Però Montesano, nonostante la grande popolarità in tv, rimase sempre "la maschera senza qualità", la risata senza dramma, il talento generico.
Mai riuscì a spargere polvere di stelle come Sordi e Manfredi, fu battuto da Proietti che era con lui in Febbre da cavallo, e quando al cinema sembrava che davvero potesse farcela fu lasciato indietro da Verdone. Ecco, provate a immaginare Sordi, Manfredi, Proietti o Verdone che finiscono nell'aceto della Decima Mas. Abbiamo un rapporto speciale con i comici, noi italiani.
Molti di loro ci hanno insegnato trucchi e scorciatoie di grande intelligenza. Abbiamo imparato molte più cose da Totò e da Benigni che non da Gramsci. Totò con il suo "vota Antonio, vota Antonio", ci diceva per esempio che la campagna elettorale dei suoi tempi somigliava già a un canovaccio da commedia dell'arte. Ma nient' altro Totò sapeva, voleva e poteva fare. A guastare (anche) i comici ci ha pensato il vaffa di Beppe Grillo, una scienza politica che l'Italia ha preso sul serio, un pessimo esempio di malumore per tutti gli altri comici in crisi artistica.
Quando Montesano capì che non sarebbe mai diventato il nuovo idealtipo dell'ordinario italiano, il Romano che appunto piace all'italiano che non si piace, non riuscì più a far ridere e cominciò a esibire la trasgressione più trash, rendendo kitsch anche i testi del filosofo liberale Giorgio Agamben, il quale durante la pandemia giudicava l'obbligo della mascherina «un'inaudita manipolazione delle libertà di ciascuno». Nell'Italia impazzita dell'era Meloni gli rimane la risorsa disperata della gagliofferia d'antiquariato. Nella sua bancarella raccoglierebbe di tutto, e ora che il fascismo è diventato cool si espone agli sputi: più ne prende, più gongola. Montesano "arcifascista" è l'epica maschera senza qualità che la Rai di pessima qualità ha chiamato per espellerlo, pensate, come fosse Dario Fo.
Massimo Falcioni per tvblog.it il 14 novembre 2022.
La maledizione del sabato sera. Venticinque anni dopo Enrico Montesano rivive la stessa storia, come Bill Murray in Ricomincio da capo. Anche all’epoca era novembre, anche all’epoca c’era di mezzo Rai1, anche all’epoca al suo fianco c’era Milly Carlucci.
Corsi e ricorsi, coincidenze, casualità. Chiamatele come vi pare. Al centro resta tuttavia la vicenda dell’attore romano, che riscivola sulla buccia di banana del saturday night, seppur con motivazioni diverse.
“La cosa che mi rimprovero di più? Di aver accettato di fare il sabato sera”, confidò Montesano a Nadia Tarantini de L’Unità il 3 novembre 1997. Due giorni prima c’era stato il tracollo d’ascolti del ‘suo’ Fantastico, talmente ‘suo’ che al titolo era stato allegato il nome Enrico, giusto per lasciar intendere il grado di personalizzazione dello show. Montesano mollò e in aiuto del varietà arrivò Giancarlo Magalli, esperto di ingressi in corsa, che la settimana successiva si recò in teatro alla guida di un’ambulanza a sirene spiegate: “Buonasera, sono il pronto soccorso televisivo!”.
Gli spettatori nel giorno di Ognissanti erano stati 4.869.000, pari ad uno share del 22,3%. Corrado, su Canale 5, aveva invece sfiorato i 7 milioni, sfondando il muro del 30%. Un declino che era cominciato diverse settimane prima, con la costante ascesa della Corrida e l’inesorabile crollo della trasmissione abbinata alla Lotteria Italia.
Come detto, a condividere quell’avventura c’era la Carlucci. La stessa che lo scorso agosto aveva ufficializzato la partecipazione di Montesano a Ballando con le stelle. Se l’ingaggio di Montesano a Fantastico apparve coerente e razionale, stavolta il mondo si era capovolto. La pandemia, infatti, aveva restituito un attore spesso al centro di polemiche furenti per via delle sue posizioni negazioniste sui vaccini.
Non che la vigilia di Fantastico Enrico fosse filata liscia. L’ennesima analogia, pertanto, è rappresentata dall’accusa di blasfemia che il cattolicissimo Ente dello Spettacolo rivolse a Montesano a causa del promo che anticipò la messa in onda del programma. Tutta colpa del travestimento da prete all’interno di un confessionale e di un botta e risposta con una voce fuori campo che gli chiedeva: “Quante volte lo fai?”. “Una volta a settimana”, replicava il comico. “E con chi lo fai?”, “Con Milly Carlucci”. Il dialogo si concludeva con la benedizione finale: “Che la Rai sia con voi”.
Bufera ieri, bufera oggi. Eppure, dopo oltre un mese di Ballando tutto pareva dimenticato, grazie a performance apprezzate, applaudite e spesso cucite su misura, con rievocazioni di Rugantino e Febbre da cavallo. Fino al patatrac della t-shirt della ‘Decima Mas’ che ha spinto la Rai a squalificarlo dopo sei puntate. L’altra volta la separazione giunse dopo cinque.
Enrico Montesano cacciato da Ballando. La maglietta della X Mas scatena l'inferno. Il Tempo il 13 novembre 2022
Bufera su Enrico Montesano per la maglietta con la X Mas indossata durante le prove di "Ballando con le Stelle". L'attore è stato aspramente criticato sui social e la Rai è stata costretta correre ai ripari, decidendo l'esclusione del concorrente della trasmissione del sabato sera. A nulla sono bastate le scuse pronunciate dall'attore sulla sua pagina Facebook.
«Quanto accaduto a "Ballando con le stelle" in onda su Rai1, è inaccettabile». Lo scrive, in una nota, la Rai, dopo le polemiche nate dal fatto che l’attore indossasse una maglia con il simbolo della X Mas nel programma. «Resta inammissibile che un concorrente di un programma televisivo del servizio pubblico indossi una maglietta con un motto e un simbolo che rievocano una delle pagine più buie della nostra storia - si legge ancora nella nota - Chiediamo scusa a tutti i telespettatori e, in particolare, a coloro che hanno pagato e sofferto in prima persona a causa del nazifascismo a cui proprio quella simbologia fa riferimento". "È decisione, dunque, della Rai interrompere la partecipazione di Enrico Montesano alla trasmissione del sabato sera "Ballando con le stelle".
Poi sono arrivate le scuse dell'attore che, però, non gli hanno evitato l'esclusione del programma del sabato sera. «Sono profondamente dispiaciuto e amareggiato per quanto accaduto durante le prove del programma. Sono un collezionista di maglie, ho quella di Mao, dell’Urss, ma non per questo ne condivido il pensiero. Non c’era in me nessuna intenzione di promuovere messaggi politici o apologia di fascismo da cui sono profondamente distante». Lo scrive sulla sua pagina Facebook Enrico Montesano, dopo le immagini che lo ritraggono alle prove di "Ballando con le stelle" con la maglia della X Mas, formazione paramilitare fascista. «Sono sempre stato un uomo libero e democratico. Credo nei valori della Costituzione e mi scuso profondamente con chi si è sentito offeso e turbato. È stata un’ingenuità. Io col nazifascismo e tutti i totalitarismi non c’entro nulla e li disprezzo profondamente. Chiedo ancora scusa», aggiunge il comico. Le scuse però non sono bastate: la Rai ha escluso l’attore dal programma. Soddisfazione per l'eliminazione di Montesano è stata espressa dall'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia. «Apprendiamo dalla stampa che Enrico Montesano è stato escluso dal programma Ballando con le stelle. Una decisione doverosa che ha raccolto l’indignazione di tantissime e tantissimi democratici e antifascisti». Così l’Anpi su twitter.
Ballando con le stelle, Lucarelli infiamma i social contro Montesano: la maglia dello scandalo. Il Tempo il 13 novembre 2022
Selvaggia Lucarelli va all’attacco di Enrico Montesano su Twitter. La giudice di Ballando con le stelle, all’indomani della puntata del 12 novembre del programma tv di Rai1 condotto da Milly Carlucci, ha messo nel mirino l’attore, che ha indossato una maglia particolare per le prove con la maestra di ballo Alessandra Tripoli. “Dalle immagini di ieri vedo Montesano fare le prove di Ballando con la maglietta della Decima mas che, se a qualcuno sfugge, è una formazione militare che ha combattuto accanto ai nazisti contro i partigiani, nonché simbolo del neofascismo” il messaggio social della giurata della trasmissione televisiva.
Montesano indossa una maglietta tutta nera con il simbolo “X Flottiglia Mas” nella parte frontale e la scritta “Memento audere semper” nella parte posteriore. Un utente ha chiesto a Lucarelli il perché del silenzio in tv: “E tu perché non denunci sta cosa in diretta e per protesta non te vai, fermo restando che l'avresti dovuto fare appena hanno annunciato lui come concorrente?”. “Perché non me ne ero accorta, altrimenti glielo avrei detto” la replica di Selvaggia. Nella discussione si è inserita anche Fiorella Mannoia: “Ma si, ora va bene tutto, divise naziste scambiate per travestimenti di carnevale, saluti romani, commemorazioni fasciste, faccette nere, che vuoi che sia un nostalgico attore con una maglietta della 10ma Mas. Pure te che vai a guarda’”. Montesano nei mesi scorsi era già finito al centro di polemiche per le sue posizioni apertamente no-vax sul Covid.
Dagospia il 14 novembre 2022. Dalla pagina Facebook di Enrico Mentana
"N'apocalisse!", esclamava al culmine del suo monologo Felice Allegria, il personaggio che impose all'attenzione del pubblico televisivo Enrico Montesano, ormai mezzo secolo fa. E una apocalisse mediatica si abbatte oggi sull'attore romano, per quella incredibile maglietta della Decima Mas (con tanto di motto inequivocabile, "Memento audere semper" scritto sul dorso) indossata durante le prove del programma a cui partecipa/va, Ballando con le stelle.
Montesano è stato espulso, già lo sapete. Cartellino rosso, via dalla gara. E per quanto vi possa sembrare sconveniente non sono affatto d'accordo. Non do e non accetto lezioni di antifascismo. Se avessero vinto quelli per cui combatteva la Decima Mas non sarei nato, e idealmente starei sempre e comunque con chi sfilava a Milano quel 25 aprile del 1945. Ma il fallo da espulsione contestato a Montesano sta dieci gradini sotto il busto di Mussolini esibito in casa della seconda carica dello Stato. Non solo. Non amo l'indignazione a scoppio ritardato.
Ieri sera, quando le immagini delle prove di ballo con la famigerata maglietta sono state trasmesse, nessuno si è accorto di niente. Nessuno. Nè si era accorto di nulla chi aveva fatto le riprese di quelle prove, chi le aveva montate, chi le aveva visionate, chi le ha messe in onda. Non s'è accorto di niente chi, conduttrice, giuria e ospiti del programma, ha poi interagito con lo stesso Montesano.
Chi era tra il pubblico del Teatro delle Vittorie. E nemmeno i due milioni di spettatori davanti al televisore a seguire la gara. Sapete che se in qualsiasi tg o trasmissione si scivola su un vocabolo, si manda in onda una foto sbagliata, ci si gratta il naso, dopo un minuto i social cominciano a parlarne, tra sfottò e indignazione. Ieri sera niente. Non un tweet, non un post.
E poi, tutta questa fermezza a cosa si deve? Forse al fatto che Montesano non ha, a ogni evidenza, santi in Paradiso?
In tv, da almeno sei mesi, ogni settimana che Dio manda in terra un professore ci spiega che Putin ha ragione. E nessuno lo tocca, giustamente. Ma non per democrazia, perché fa ascolto.
Montesano, che ha combattuto contro i vaccini, il green pass e spesso anche la logica nei mesi duri del Covid - e sapete bene come la penso al riguardo - è stato reclutato in Rai forse proprio per questo, anche se nessuno lo ammetterà.
Avrà una gran confusione in testa, visto che è stato anche eurodeputato del partito di D'Alema, non certo erede dello squadrismo repubblichino. E non credo proprio che sia diventato un nostalgico, semmai un vecchio provocatore.
A cui sarebbe giusto chiedere, davanti ai telespettatori e al pubblico in teatro che ancora ieri lo hanno votato e applaudito, alla giuria che lo ha riempito di giudizi lusinghieri, ai suoi concorrenti nella gara e a tutti noi, "Ma che ti è saltato in mente? Perché avevi quella maglietta? E cosa ne pensi di quel che accadde ottant'anni fa in Italia?". E poi, solo allora, pensare al da farsi (spoiler: un perdono col monito a non farlo più). Beato il paese che non ha bisogno di telemartiri.
Da liberoquotidiano.it il 14 novembre 2022.
Enrico Montesano cacciato da Ballando con le Stelle. Il provvedimento Rai è arrivato dopo che Selvaggia Lucarelli, giurata del programma, ha notato l'attore indossare alle prove una maglietta della X Mas. Da qui l'espulsione e la bufera, arrivata addirittura negli studi di La7.
A Non è l'Arena il tema fa litigare Gad Lerner e Alessandro Sallusti. "Ho lavorato tanti anni in Rai e so cosa succede quando cambiano gli equilibri politici - esordisce Lerner -. Secondo me Montesano, che ha avuto altre tessere di partito, credo ne abbia esibita oggi per giustificarsi anche una del partito socialista di non so quale anno".
Parole che strappano un sorriso al direttore di Libero, che comunque dà all'ospite di Massimo Giletti l'opportunità di finire il discorso. "Montesano - prosegue Lerner - è un cialtrone tra i più assatanati dei no vax. Sono sicuro che quella maglietta non se la sia messa a caso, magari avrà pensato di ingraziarsi, visti i cambiamenti politici, qualche futuro dirigente". "Ma dai - non si trattiene più Sallusti -. È un caso psichiatrico non particolarmente dissimile da quello che ho appena sentito dire da Gad, ossia che adesso lavori in Rai solo se sei della X Mas, è divertente".
Ma non finisce qui, perché il direttore definisce l'attore "un artista sulla via del declino, balla malissimo e ha trovato il modo di far parlare di sé". Insomma, per Sallusti "non c'entra nulla il fascismo e altro, Montesano sa come funziona la comunicazione. Da quando è nato prende per il cu** tutti e stasera lo ha fatto anche con Lerner". Il direttore infatti ricorda che "ora anche loro parlano di lui. Se tu ti inc*** - conclude rivolto a Lerner -, lui è riuscito nella sua trovata".
Da repubblica.it il 17 novembre 2022.
Enrico Montesano dice la sua su tutta la questione che ormai da domenica tiene banco e che gli è costata l'esclusione dallo show Ballando con le stelle.
Prima pubblica un post su Facebook provocatorio poi all'Adnkronos dice: "Adesso avrei fatto addirittura il saluto romano? Ora basta. Tu mi puoi offendere in tutti i modi ma l'etichetta di 'nostalgico' no, non la accetto. Così tu distruggi la reputazione di una persona. Questa etichetta la restituisco al mittente, non la tollero e mi incavolo di brutto. È offensivo, denigratorio, mi devono chiedere scusa per questo danno. Mi devono riabilitare. Sono loro che offendono me".
Secondo Montesano "il video delle prove mostra chiaramente che la coreografia finisce a pugno chiuso. Io scherzavo durante le prove, era un passo di danza che terminava con il braccio alzato, ma io ho detto ad Alessandra, la ballerina, 'no, questo meglio che non lo facciamo, potrebbe essere equivocato', ed ho chiuso il pugno. L'Italia è preoccupante, non si può parlare, muoversi e ora nemmeno vestirsi. Indossare la maglia della X Mas non è vietato, è in vendita in tutta Italia". L'attore evidentemente non intende buttare acqua sul fuoco della polemica per la maglietta della Decima Mas (che gli è costata l'esclusione da Ballando con le stelle) e il gesto da saluto romano nelle prove dello show di Milly Carlucci e anzi sui social sceglie di provocare.
Questa mattina sulla sua pagina Facebook aveva pubblicato una foto della sua commedia del 1984 I due carabinieri di e con Carlo Verdone, insieme a Massimo Boldi, dove si vede il suo personaggio con la mano ingessata nella posa del saluto romano. Tra i commenti sotto il suo post chi inneggia alla Decima Mas e chi lo difende dalle accuse e loda la sua ironia.
C'è chi scrive: "Un film bellissimo è molto comico... quando ancora si era liberi di parlare e di scherzare senza la paura di essere catalogati! Continui a conservare la sua integrità... non essere come certe persone è un grande pregio e valore... se ne deve rallegrare... hanno fatto proprio pena con lei. Ma d'altronde ognuno si distingua per quello che è. Tanti siamo dalla sua parte.. .e ci prendiamo anche noi offese ed ingiurie per questo".
Dagospia il 17 novembre 2022. Da “La Zanzara – Radio24”
Enrico, ti hanno messo un fascio sulla tempia, dice Cruciani, ti hanno bollato come fascista. A La Zanzara su Radio 24 Parla Enrico Montesano: “Fascista? Mi sento offeso, mi devono chiedere scusa. Devo essere riabilitato. Non ho questo tipo di storia. C’è il no logo a procedere”.
Ti hanno dato praticamente del fascista, come rispondi: “Ma come? Pensa che il mio nonno materno Giovanni era tipografo all’Unità e tutta la mia famiglia di mia mamma è una famiglia di antifascisti, repubblicani, persone libere. La mia educazione è stata quella, antifascista. Ho fatto molti pugni chiusi, il saluto romano una sola volta per scherzo. Per giocare”.
Ti accusano di aver fatto il saluto romano: “La coreografia finiva col braccio alzato e la mano aperta. Allora ho detto alla mia maestra: aho, è meglio che non lo facciamo che poi si equivoca. Meglio che famo questo, e ho chiuso il pugno. Lo faceva Baffone, chissenefrega”.
“Nessuno del pubblico ha notato nulla, né prima, né quando è andata in onda. Nessuno si è accorto di nulla. La massa non sa nemmeno che cacchio è quella roba, la X Mas. Di che stamo a parlà? Fuffa, fuffa. E voglio anche scagionare i dipendenti della Rai, i delegati Rai”.
Dovevano controllare, dicono: “Ma se questi simboli hanno sfilato davanti a Napolitano e altri presidenti, perché qualcuno dovrebbe aver avuto il sospetto? La malignità è negli occhi di chi guarda”.
Le magliette vengono indossate dai neofascisti e la X mas esaltata da gruppi neofascisti: “E che c’entro io? E allora se indosso una maglietta che ho mica sono maoista, e se indosso una di Che Guevara mica sono un rivoluzionario. Se avessi indossato una maglietta di Che Guevara, di Mao o Stalin non sarebbe successo nulla.
Per noi sono dei gadget storici che non hanno alcuna valenza politica. Il motto che c’è scritto dietro ricorda le imprese della X Mas. Che è un reparto eroico, ha preso la medaglia d’oro. Andate a guardare il sito del Quirinale”.
Come sei stato trattato dalla Rai: “Era una maglietta per sudare. Le avevo finite, mi sono messo quella. Non pensavo di scatenare questo putiferio. A me non è stata data la possibilità di spiegare. Sono stato trattato come un mafioso pluriomicida. Invece dopo tre giorni stato cacciato su due piedi. Mi dispiace per tecnici e autori, una squadra straordinaria.
Sono addolorato per aver creato disagio. Milly è molto dispiaciuta e affranta. Ma non mi sento in colpa, non ho commesso alcun reato. Ho indossato una maglietta che ha dei simboli che non hanno nulla a che fare col periodo nostalgico, sono simboli militari”.
“Mi sento danneggiato per questa accusa, questo è sicuro – dice ancora Montesano – però mi auguro che mi richiamino. A botta calda c’è stata questa reazione esagerata, adesso dopo i chiarimenti spero che mi facciano tornare. Preferirei non fare causa, ma la questione è in mano al mio avvocato, Assuma. Ma io sono uomo del compromesso, spero si trovi una soluzione”.
Poi aggiunge: “Il sospetto che qualcuno mi abbia voluto far fuori c’è, qualcuno non gradiva la mia presenza li, l’hanno mandata giù obtorto collo. Hanno preso la palla al balzo. Ma io dico: abbiamo tanti problemi, famiglie in difficoltà economica e questa mi sembra una maglietta di distrazione di massa”.
Fini disse che il fascismo fu il male assoluto: “Ma che ha fatto del bene? Ma non scherziamo. Ci ha portato in una guerra assurda. Ma fa parte della nostra storia, chi non ha in casa una cosa che riguarda quel passato?”.
“Oggi – aggiunge – il fascismo è un’altra cosa. Forse è negli algoritmi, in questa nuova agenda mondiale, nel controllo delle persone 24 ore su 24. Predappio che roba è? Mette in pericolo chi? Sui social sono praticamente tutti dalla mia parte, la prendono a ridere”.
Continua: “E’ risibile, ho messo solo una maglietta che si vende da tanti anni in tutti i negozi on line e non ha nulla a che vedere con il periodo tanto vituperato che noi condanniamo. E anch’io lo condanno. Lo ricuso e lo condanno, come ho sempre fatto. Si sono dimenticati che io per vent’anni alla sinistra ho fatto un gran lavoro, ho portato tanti voti”. Conclude: “Ringrazio Mentana pubblicamente, è stato equanime, obiettivo. Ha visto che il fatto non sussiste”.
Giampiero Mughini per Dagospia il 17 novembre 2022.
Caro Dago, c’è che in Italia - e dunque nelle nostre case, nelle nostre famiglie, nei nostri album dei ricordi - sono caterve i segni i simboli le tracce le evocazioni i manufatti d’arte i poster le foto che marcano il fatto che in Italia è esistito per vent’anni e oltre un regime politico dittatoriale che ha nome fascismo. E come potrebbe essere altrimenti? Altro che una maglietta indossata da un noto attore mentre sgambettava in una saletta da ballo.
Finché non ho toccato i vent’anni e ho cominciato a comprare pagandoli ratealmente il ben di dio dei libri Einaudi, la traccia del fascismo con cui avevo più confidenza era la foto di un Benito Mussolini giovane che mio padre teneva alle spalle della sua scrivania da lavoro. Lui era stato fascista negli anni tra le due guerre e lo era stato ardentemente.
Quando con lui e mia madre vivevamo nella Firenze dell’agosto 1944 dove stavano per irrompere le forze alleate (quelle che davvero “liberarono” l’Italia, non certo le pur eroiche formazioni partigiane) mio padre si allontanò da casa per qualche giorno, perché non è detto che se lo avessero trovato avrebbero indossato i guanti bianchi. Durante la sua assenza venne a casa nostra un drappello partigiano che voleva piazzare una mitragliatrice da una delle finestre di casa. Alla fine rinunciarono.
Quella foto di Mussolini la guardavo sempre quando andavo da mio padre, che era separato da mia madre. Fosse stata un vintage l’avrei contesa ai miei fratelli quando mio padre è morto. Era una foto che testimoniava che cosa aveva rappresentato quell’uomo per una generazione, quell’uomo che fa da simbolo delle tragedie della storia italiana del Novecento.
E siccome io a quel tempo vivevo con mia madre in casa dei nonni materni, anche il nonno Pietro teneva delle immagini dietro la sua scrivania. Erano dei calchi in gesso che raffiguravano il pantheon comunista, dato che mio nonno era comunista fin dal 1940 e io ho qui sul tavolo la sua tessera di iscritto al Pci. In bella fila erano i ritratti di Marx Engels Lenin Gramsci Stalin. Dopo il XX Congresso il nonno scalzò via il ritratto di Stalin, e ne rimase la macchia sul muro. Io quattordicenne ricordo, mentre pranzavamo, le aspre discussioni tra mia madre e mio nonno se i russi avessero fatto bene a scaraventare i loro carri armati sulla Budapest del 1956. Più tardi mia madre divenne a sua volta comunista tutta d’un pezzo, e quando ebbe tra le mani il mio “Compagni addio” del 1987 non ce la fece ad andare oltre le prime pagine perché quel libro troppo disturbava le sue convinzioni politiche.
Sì, tutte le case e tutte le famiglie italiane traboccano di segnali che alludono alla storia del fascismo e dunque dell’antifascismo. Vedo che Ignazio La Russa viene trattato poco amicalmente perché conserva un qualche busto di Benito Mussolini. Ebbene, e se il busto fosse quello meraviglioso scolpito dal grande Adolfo Wildt, voi che ne direste e come lo commentereste? Perché di questo si tratta, che il fascismo è stata così tanta parte della nostra storia che molti dei nostri grandi artisti ne hanno fatto l’apologia, a cominciare dai futuristi, il drappello forse il più geniale di tutte le avanguardie italiana del Novecento.
Non che il fascistissimo Mario Sironi fosse stato un futurista, ma uno dei più grandi pittori italiani del Novecento senza alcun dubbio. Ebbene io ho - e lo tengo come sacro da quanto è bello - un suo disegno preparatorio di quella Mostra romana del 1932 sul decennale della Rivoluzione fascista che passa per essere stata indimenticabile. Quel disegno di Sironi lo avevo visto da una gallerista romana mia amica, solo che un suo cliente l’aveva già comprato. Poi accadde che la moglie del cliente non la volesse in casa quell’opera talmente marchiata da un credo politico, e a quel punto io mi precipitai per acquistarla. Adesso troneggia all’ingresso del mio Muggenheim e vorrei ben vedere che qualcuno su Facebook mi pungesse al riguardo.
Sì, perché le discussioni su quel che è stata l’Italia durante i vent’anni e passa del dominio fascista non sono argomenti da Facebook. Persino la storia e l’identità drammaticissima del corpo militare che ha nome X Mas non sono un argomento da Facebook.
Meglio ancora. Nessuno di quegli argomenti è degno di essere trattato come se la guerra civile tra italiani fosse ancora in corso. La guerra civile è la tragedia più grande di un Paese, quella in cui gli uni e gli altri se le danno di santa ragione. Quando trent’anni fa me ne facevo un dovere di incontrare e discutere lealmente con gli intellettuali appartenenti alla destra, a uno di loro che era stato un ufficiale repubblichino ma che io rispettavo, Enzo Erra, dissi pubblicamente che “avevano avuto torto marcio” nello schierarsi dalla parte dei tedeschi. Ciò che non ledeva in nulla, lo ripeto, il rispetto che portavo a Erra e agli altri come lui, il mio vecchio amico Giano Accame tanto per fare un nome. Un rispetto che mi potevo permettere, e che tutti avremmo potuto permetterci, perché la guerra civile era finita da quarant’anni. Potevamo ragionare confrontarci raccontare ciascuno la propria esperienza. Grazie a Dio, potevamo farlo. Ho l’orgoglio di essere stato uno dei primissimi in Italia a farlo.
Cara Selvaggia, Memento Audere Semper…Emanuele Beluffi il 14 Novembre 2022 su Culturaidentita.it.
Fa sorridere per l’inconsistenza il caso Montesano montato dalla Lucarelli a Ballando con le stelle: voleva fare una mandrakata ma non le è riuscita, gli italiani hanno altro a cui pensare
Quando sei in casa e fai dei lavori non è che indossi la divisa d’ordinanza o il doppiopetto o il cashmerino, vesti l’abito che ti è più comodo e fai quel che devi fare. Idem quando stai effettuando delle prove per uno spettacolo. E così ha fatto Enrico Montesano l’altro giorno: si è presentato alle prove dell’ultima puntata di Ballando con le stelle su Rai1 con una maglietta. Sì, il capo in questione era una maglietta nera con il simbolo della Decima Mas e il motto dannunziano Memento audere semper e dunque? Uno non può indossare il vestito che preferisce? C’è una legge che vieta di indossare la maglietta della Decima Mas allo stesso modo in cui c’è una legge che impone la riconoscibilità del volto nelle sedi istituzionali?
La cosa sarebbe passata del tutto inosservata se Selvaggia Lucarelli, nella giuria del programma televisivo, non avesse voluto fare la mandrakata senza riuscirci, pubblicando un post sdegnoso per attenzionare le sentinelle che presidiano la democrazia: “Dalle immagini di ieri vedo Montesano fare le prove di Ballando con la maglietta della Decima Mas che, se a qualcun sfugge, è una formazione militare che ha combattuto accanto ai nazisti contro i partigiani, nonché simbolo del neofascismo”. Eddai.
Inevitabile la polemica, in un mondo dove la comunicazione avviene soprattutto là dove, una volta, come disse Eco, ci si scannava al bar: ed ecco la noterella Rai, dove si giudica “inammissibile che un concorrente di un programma televisivo del servizio pubblico indossi una maglietta con un motto e un simbolo che rievocano una delle pagine più buie della nostra storia”.
Con tanto di scuse ai telespettatori, che sicuramente sanno tutti cos’è la Decima Mas. Non stiamo scherzando: lo può sapere chiunque, è sul sito del Ministero della Difesa mica nel dark web.
Sì, certo, il fascismo, il “principe nero” Junio Valerio Borghese e il presunto “golpe” che non è mai avvenuto et cetera. E allora? La Decima Mas è un monumento storico al pari di tanti altri monumenti fisici, che infatti qualcuno vorrebbe buttare giù perché ricordano, tanto per ri-citare, “una delle pagine più buie della nostra storia”. E quindi non puoi nemmeno indossare una maglietta. Che è pure bella. Ma saranno fatti personali le scelte del capo di vestiario? O siamo ancora al motto settantiano “Il privato è pubblico”?
Montesano l’hanno crocefisso per ‘sta maglietta indossata durante le prove di uno spettacolo, intimandogli di interrompere la sua partecipazione al programma: “Sono profondamente dispiaciuto e amareggiato per quanto accaduto durante le prove del programma. Sono un collezionista di maglie, ho quella di Mao, dell’Urss, ma non per questo ne condivido il pensiero”.
Così ha scritto sul suo profilo Fb. Non senza aver scritto (e poi tolto) su Telegram che a questo mondo ci sono altre cose ben più importanti e rimarcando a scanso di equivoci pure la sua atavica tessera del PSI: “Buona domenica amici! Le fesserie e le strumentalizzazioni lasciamole agli altri!”.
Ma poi: in Rai l’avranno visto passare con indosso quella maglietta ed evidentemente a nessuno è venuto in mente di dirgli di tornare a casa a cambiarsi. Ci è voluto il post della Lucarelli per far suonare l’antifurto e chiamare a rimorchio l’ANPI e i pasdaràn della democrazia.
Ci verrebbe da dire “me ne frego”, ma non vorremmo rischiare di finire in qualche tribunale dell’inquisizione civile e quindi la diciamo così: fai quel che vuoi e ricordati di osare sempre. Tiè.
Da fanpage.it il 14 novembre 2022.
C'è un altro Montesano a Ballando con le Stelle che non c'entra niente con la maglietta nera della X MAS, ma c'entra con Enrico perché è suo figlio: è Oliver Montesano, che figura come scenografo collaboratore di "Ballando con le stelle". Quello che è successo nelle ultime 24 ore ha sconvolto l'economia del programma condotto da Milly Carlucci e ha occupato ogni spazio del dibattito pubblico (basti pensare che oggi la storia della X MAS è la più letta e cercata su Wikipedia).
Chi è Oliver Montesano e perché è a Ballando con le stelle
Ci si è interrogati sin dal principio sui motivi che avrebbero potuto spingere Milly Carlucci e tutta la redazione di Ballando con le stelle a scegliere Enrico Montesano, nonostante su di lui ci fosse già tutta una storia di posizioni contraddittorie e divisive che non hanno pesato sul giudizio di portarlo nello show come concorrente. Come è noto, Oliver Montesano è uno stimato scenografo con diversi allestimenti già all'attivo – tra questi ricordiamo Ultima stagione in Serie A, applaudito dramma sull'omosessualità nel mondo del calcio con Marco Bocci – e potrebbe esserci proprio lui dietro al grande successo – magliette a parte – delle ultime esibizioni di suo padre.
Il successo prima dell'esclusione
Proprio nel corso dell'ultima puntata, Enrico Montesano è andato in scena con Alessandra Tripoli sulle note di "This is me" da "The Greatest Showman" e proprio l'artista, alla domanda di Fabio Canino se fosse coinvolto su tutto "dalla A alla Z", ha dichiarato: "Sembra una sviolinata, ma hanno fatto tutti un lavoro straordinario. Per la giacca, la musica, la grafica". Fabio Canino: "Sono dei numeri da sabato sera, sono contento di essere qui da abbonato Rai in prima fila". Un grande peccato perché Enrico Montesano, che nel frattempo ha dato mandato ai suoi legali per tutelare immagine e dignità artistica, stava mostrando a tutti la caratura di una carriera artistica incredibile. Merito, a questo punto, anche degli allestimenti di suo figlio. Intanto, abbiamo chiesto alla produzione di Ballando con le Stelle il ruolo preciso di Oliver Montesano all'interno del progetto. Siamo in attesa di risposte.
Febbre da no vax. L’ultimo tragico atto di Montesano e la solita tv dei freak. Cataldo Intrieri su L’Inkiesta il 14 Novembre 2022.
Il problema non è solo che l’attore abbia indossato la maglietta nera della X Mas senza che qualcuno abbia qualcosa da eccepire, ma che un negazionista del Covid sia stato invitato in prima serata dimenticando le offese ai morti
In una giornata che ti apre il cuore alla speranza, in cui ti commuovi a vedere gli sventurati di Kherson che abbracciano i liberatori e raccontano gli orrori che hanno visto, quando ti rallegri nel sapere che i democratici negli Stati Uniti hanno la maggioranza al Senato, liquidando se Dio vuole per sempre quel buffone di Donald Trump, c’è proprio bisogno di parlare di un altro buffone di talento come Enrico Montesano?
Vediamo: innanzitutto i buffoni bisogna prenderli sul serio perché sono persone che da sempre possono essere pericolose, pensate a Rigoletto per restare in Italia ma anche alla tradizione dei fools inglesi, cui veniva data libertà di parola e di sberleffo, almeno finché il signore cui prestavano servizio li tollerava.
Montesano è un buffone di indubbio talento, è il mitico Pomata untuoso e scalcinato sola di Febbre da Cavallo, e a quella felice memoria avrebbe potuto consegnarsi come vetta della sua arte. Invece il Montesano degli ultimi tempi, quello dimenticato dall’arte, e della cui bravura di buffone si è persa traccia, è ricomparso sulla tragica scena del covid come leader del movimento no vax. Mica uno qualsiasi, uno iper-presente, uno che trascinava le folle si raduni di piazza san Giovanni, che rifiutava di indossare mascherine e insultava i fessi che si vaccinavano.
Un profeta e uno scienziato incompreso che avvertiva il popolo ignaro che il sangue dei vaccinati si contaminava e diventava pericoloso per le trasfusioni. Un patriota che si batteva contro il fascismo sanitario e visto che c’era anche contro quello ucraino che, pensa te, invece di arrendersi democraticamente al liberatore Putin moriva sui campi di battaglia. Un uomo libero che ha pubblicato la sua personale lista di proscrizione di giornalisti filo americani da contrapporre, si intende democraticamente, agli Orsini putiniani, come fosse la stessa cosa mischiare aggressori e aggrediti.
Ebbene, un gigante di tal fatta è stato ammesso alla ribalta dello show di punta del sabato sera sulla principale rete nazionale e riconsegnato alla sua arte sublime di principe dei buffoni con una pacca sulle spalle, a ricordare compiaciuto di quando «nessuno gli offriva manco un caffè», e invece guarda oggi, sommerso di omaggi e voti manco fosse Rudol’f Nureev.
Tutto dimenticato, le fesserie, gli insulti: lo show continua e lui si gode il miracolo da ripescato.
Sabato sera però l’istinto del buffone ha tracimato e si è presentato alle prove pre gara indossando una maglietta nera della X Mas.
Lo ricordo in un paese smemorato, la X Mas è una formazione di eroici massacratori di partigiani ai tempi di Salò guidata dal principe Junio Valerio Borghese, condannato per collaborazionismo e sospetto autore di un fallito golpe nel 1970.
A giudicare dall’impassibilità della conduttrice e dei giudici della gara nessuno ha avuto da eccepire, forse perché ognuno sa il motivo per cui Montesano sta lì e i tempi che corrono. Ma forse hanno ragione loro, Montesano non è. Egli recita magnificamente il ruolo che ha fatto suo in molti film, quello dell’italiano che si arrabatta senza andare tanto per il sottile. Egli fu comunista, consigliere comunale e addirittura parlamentare europeo del Pds, si dimise nei ruggenti anni berlusconiani quando avvertì forte una nuova spinta politica.
La sua biografia è quella ideale di una nazione senza idee che non siano il tornaconto personale: perché scandalizzarsi?
Se fossimo un altro paese e avessimo un’altra cultura nessuno avrebbe invitato Montesano a uno show, dimenticando le offese ai morti di Covid e ai sacrifici di chi ha sofferto chiuso in casa con il lavoro perduto. Il problema è quel tipo di spettacolo: è la ricerca dello scandalo e del freak da esibire.
E chiudo evocando il tal giudice che gli ha fatto i complimenti paragonandolo a Super Quark: un signore che fa l’opinionista alla radio del gruppo di Repubblica e La Stampa. Sono tutti coinvolti.
Chi è la moglie di Enrico Montesano, Maria Teresa Trisorio: il primo bacio e i figli. Elena Del Mastro su Il Riformista il 13 Novembre 2022.
I due sono sposati da 30 anni. Lui attore, regista e comico, lei la sua manager. Enrico Montesano e Maria Teresa Trisorio hanno due figli: Michele Enrico e Marco Valerio che hanno seguito le orme del padre in teatro. Si sono sposati nel 1992 e da allora la loro relazione è forte e duratura. Tutto sarebbe iniziato a Roma, in Via Veneto, dove i due si sarebbero scambiati il loro primo bacio, come riportano alcune riviste di gossip.
Prima di Teresa Trisorio Montesano è stato legato a Marina Spadaro, madre del primogenito Mattia nato il 12 giugno 1986. Poi il matrimonio con Tamara Moltrasio da cui sono nati Lavinia, Tommaso ed Oliver. Infine, nel 1992 il matrimonio con Teresa Trisorio.
Sul web sulla coppia circola un aneddoto raccontato dall’agenzia di stampa AdnKronos nel 1997: “Maria Teresa Trisorio, la bella moglie di Enrico Montesano, è convinta che negli studi di ”Fantastico’ volteggi un ‘menagramo’. Per esorcizzarlo, ha fatto cospargere con otto chili di sale le entrate dello studio e dei camerini utilizzati per il mega show del sabato sera. Per tre giorni, tra giovedì e sabato scorsi -apprende l’Adnkronos-, il personale dello studio del Teatro delle Vittorie è stato costretto a destreggiarsi tra sentieri di sale sparsi dall’affettuosa consorte del comico affinchè la malasorte lasciasse una volte per tutte lo studio televisivo della Rai”.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
Montesano: “Craxi, Andreotti…meglio la prima Repubblica dei politici attuali”. Emanuele Beluffi su culturaidentita.it il 7 Giugno 2022
Oggi Enrico Montesano compie 77 anni. Ce lo ricordiamo tutti Er Pomata, l’Armando Pellicci che insieme a Mandrake/Gigi Proietti rende un cult quel film cult che Steno gira nel 1976, Febbre da cavallo.
Memorabile il dialogo con Mandrake, dove Proietti dice: “potevo essere un attore de grido! Sai soltanto con il mio sorriso maggico potevo sfonnà! Fatte conto un Dusti Ofman!”. Lui, che “Dusti Ofman” al cinema l’ha doppiato veramente:
Mandrake: Io un mestiere ce ll’ho. Io c’ho un mestiere, che adesso non faccio per vantarmi, ma se non ero un fregnone a quest’ora il sottoscritto poteva essere un attore de grido! Sai soltanto con il mio sorriso maggico potevo sfonnà! Fatte conto un Dusti Ofman…, Steve Mequeen…, Ar Pacino…
Er Pomata: E che sso’? cavalli.
Mandrake: No, so’ fantini.
Er Pomata: E allora che cce frega?
Quel film, grazie alla forza dirompente di Er Pomata e Mandrake e alle loro numerosissime e irresistibili battute, da “filmetto accolto con freddezza”, come afferma lo stesso Proietti, sarà poi presentato alla 67esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Dici poco.
Enrico Montesano, cioè tre David di Donatello -nel 1977, nel 1980 e nel 1985 – e film di successo con i più grandi registi della commedia italiana, da Sergio e Bruno Corbucci a Castellano e Pipolo, da Pasquale Festa Campanile a Mario Monicelli e poi Ruggero Deodato, Lina Wertmuller, Carlo Verdone, Pasquale Festa Campanile, Carlo Vanzina.
Nipote e bisnipote di commedianti e musicisti, dal teatro muove i primi passi nel mondo dello spettacolo fino al debutto in tv nel 1968 con Che domenica amici, dove lancia il primo dei tanti personaggi di successo che il pubblico italiano amerà. Il cinema lo consacra con titoli che sbancano al botteghino e pazienza se la critica li snobba – è sempre così, il pubblico va al cinema e decreta il successo dei film ignorati dai critici chic – come Aragosta a colazione, Qua la mano, Il ladrone, I due carabinieri, Il conte Tacchia, Tre tigri contro tre tigri, Grandi magazzini e naturalmente Febbre da cavallo, ça va sans dire, con un grandissimo Gigi Proietti.
Ma Montesano è anche la cartina di tornasole di come possa evolvere un attore, immerso nella vita vera della società e dei cittadini: già parlamentare europeo, già consigliere comunale, tifoso laziale doc, è un artista a tutto tondo, controcorrente, mai allineato, proprio come Er pomata in Febbre da cavallo. Il nostro Alberto Ciapparoni lo intervista due anni fa, quando durante il lockdown l’attore romano lancia sulla Rete un suo nuovo personaggio, il rapper Femo Blas, per gli amici Blasfemo, ottenendo un grande successo di visualizzazioni fino a diventare il simbolo dei tanti che nel passato pandemico italiano hanno dovuto combattere contro le discriminazioni del green pass e dell’obbligo vaccinale, esprimendo loro la sua solidarietà e pagando questa sua presa di posizione con l’indebita etichetta di “no vax” (lui, che in passato aveva fatto ben quattro vaccini). Senza contare una certa sottile, piccola, quasi “gentile” ostracizzazione culturale.
Perché anche in questo settore Montesano non è uno che le manda a dire. Nell’intervista, fa le pulci alle politiche culturali:
“Del resto, abbiamo mai fatto una politica a favore della cultura? Come al solito c’è una politica assistenziale, si danno dei soldi ma soltanto a qualcuno, un po’ di elemosina, tutti col cappello in mano. Poi ci sono i teatri privati, quelli che faccio io, e non ho mai beccato un soldo, manco uno, e paghiamo un sacco di tasse […]. Se io fossi ministro della Cultura toglierei un po’ di tasse alle compagnie, che sono quelle che producono”.
In un crescendo che, dal livellamento verso il basso della classe politica, arriva alle derive del politicamente corretto e al conseguente abbassamento qualitativo dell’offerta culturale:
“La classe politica della prima Repubblica in confronto agli attuali politici era molto meglio, non c’è paragone. Se uno pensa a Rino Formica, a Giulio Andreotti, a Bettino Craxi […]. In un Paese democratico non bisogna avere il terrore di una battuta, anzi la battuta rafforza la democrazia. Da noi al contrario si ha timore, e allora si preferisce riempire la tv di trasmissioni del bla bla bla, invece di fare programmi intelligenti. Vogliamo spettatori annoiati e inebetiti che stanno davanti al piccolo schermo”.
Oggi Montesano si impegna come portavoce di nuova idea politica, Unione Popolare. Una coalizione per le Libertà, movimento «per le libertà» di tutti quelli che vogliono combattere per «il popolo contro le élites», presentato a Roma lo scorso 22 maggio, mettendo il suo nome al servizio della verità. Dice all’AdnKronos: “In questi due anni non ci ho guadagnato nulla a dire quello che ho detto, anzi: solo insulti da ogni parte. Ma questa è un’idea in cui credo, una lotta dei popoli contro le elites e mi espongo volentieri come ho sempre fatto quando ho creduto in qualcosa”.
Questo grande e amatissimo artista ci mette la sua notorietà, ci mette la sua faccia. E non riusciamo a resistere alla tentazione di chiudere con quella celebre dialogo fra Er Pomata e “Mandrake”/Proietti:
Mandrake: Ahò, c’hai ‘na faccia…!
Er Pomata: Sì, si ce n’avevo due già stavo all’università, sotto spirito!
Enrico Montesano: “Se io fossi ministro della Cultura direi…” Alberto Ciapparoni su Cultutaidentita.it il 15 Settembre 2020.
Ha compiuto 75 anni e merita sicuramente un posto permanente nell’Olimpo della commedia italiana. Ma Enrico Montesano, nipote e bisnipote di commedianti e musicisti, già parlamentare europeo, già consigliere comunale, tifoso laziale doc, è un artista a tutto tondo, sempre controcorrente, mai allineato. Ha interpretato “Er pomata” in “Febbre da cavallo”, ha condotto “Fantastico”, è stato “Rugantino”, e alcuni suoi personaggi sono passati alla storia: chi non ha mai visto il vecchietto Torquato? E le sue avventure non sembrano affatto finite, tutt’altro. All’orizzonte si profila persino il Campidoglio. Sì, proprio la poltrona di primo cittadino della Capitale.
Montesano, è vero che fra poco dovremo chiamarla Sindaco?
E’ nato tutto come uno scherzo e una provocazione, dopo aver letto le dichiarazioni di disponibilità alla candidatura da parte di Massimo Ghini, con il quale eravamo nel Consiglio comunale di Roma nel 1994, all’epoca della prima Giunta Rutelli, allora presi 8.300 preferenze. Io penso che fare il Sindaco di Roma sia una cosa da far drizzare i capelli, una cosa da non dover augurare al peggior nemico, ma sarebbe un grandissimo onore se penso a Luigi Petroselli, a Ernesto Nathan, a Ugo Vetere, il Sindaco che mi ha sposato. Ho detto scherzando a Ghini di fare scapoli contro ammogliati e vediamo chi vince.
Insomma, le piacerebbe.
Io per la mia città sono pronto a sacrificarmi e a farmi mettere in croce, Roma merita questo e altro, io sono una piccola entità, però sono un cittadino romano, e sono stato un consigliere comunale, e quindi un onorevole, come nella tradizione del Senato romano. E come si dice, la lingua batte dove il dente duole, e il dente mi duole parecchio: ci sarebbe da levare la carie, ma qui non c’è rimasto più niente, ‘se so’ magnati pure il dente’. C’è un abbandono completo, ho visto un deterioramento e un peggioramento lenti e inesorabili.
Quindi si riferisce anche alle responsabilità di Virginia Raggi?
Da quarant’anni a questa parte, forse cinquanta, c’è stata una classe dirigente che si è impegnata a fondo per questa degenerazione: qualcosa fanno ma proprio poco. Il litorale romano per esempio è diventato squallido. Per i primi tempi ho difeso l’attale Sindaco, anche perché sono stato un suo elettore, ho creduto nell’azione politica di un nuovo movimento, devo constatare però con amarezza e delusione che le idee e i programmi originari sono andati a finire in cantina e in soffitta. Il primo M5S non lo vedo più.
Raggi bocciata dunque?
All’inizio ho sempre difeso la Raggi, so quali sono le difficoltà e aveva ragione Vetere quando da presidente del I° municipio diceva di vergognarsi perché non aveva i soldi per rimettere a posto la pavimentazione di Piazza Barberini, ovvero il salotto di Roma. Ed è vera la tesi di chi sostiene che quando si capirà che chi va a fare l’amministratore non sta lì per risolvere i problemi della cittadinanza ma i suoi problemi, si sarà capito cos’è la politica; tuttavia, ci sono dei politici che ci provano a risolvere i problemi: Petroselli, ad esempio. Io la Raggi la giustifico per il primo periodo, ma poi se mi si rompe la scala mobile di una fermata della metro a costo di chiamare il mio fabbro di casa, la devo riparare in una settimana, non me ne frega niente delle zavorre. Sono 40 anni che c’è una struttura che non si vede, che non è votata, che sta là fra gli amministrativi, e che blocca tutto: se non si possono cacciare, ruotiamoli… Non so se la Raggi abbia provato o meno, ma che si fa, andiamo avanti così per altri 50 anni? Roma va bene così com’è?
Covid 19, fase 1,2,3, ripartenza: che Italia è, che governo è?
Il mio personaggio che ho lanciato sulla Rete, il rapper Fermo Blas, per gli amici Blasfemo, direbbe: ma che stai a dì, un sacco di pappole! I 25mila euro di prestiti non li ha visti nessuno. Dicono che i sondaggi per l’avvocato del popolo siano alti, ma saranno veri? Come diceva Giulio Andreotti a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si indovina. Parlavo recentemente con un mio amico imprenditore del Veneto e concordavamo: la classe politica della prima Repubblica in confronto agli attuali politici era molto meglio, non c’è paragone. Se uno pensa a Rino Formica, a Giulio Andreotti, a Bettino Craxi. E se qualcuno dice che quelli rubavano, io rispondo, perché questi no? Sono tutti stinchi di santo che fanno tutto per il nostro bene, infatti ho visto la vicenda dei 15 milioni di mascherine nel Lazio?! Se dobbiamo far finta che va tutto bene…
Nel settore cultura, e teatro in particolare dove adesso si riprende con gli spettacoli, la situazione è diversa?
Macché, è tragica, e la gestione del coronavirus potrebbe essere il colpo di grazia finale. Negli anni ’80 io ero al Sistina di Giovannini e Garinei e la gente veniva, adesso si fatica, si va a vedere solo l’evento particolare. Del resto, abbiamo mai fatto una politica a favore della cultura? Come al solito c’è una politica assistenziale, si danno dei soldi ma soltanto a qualcuno, un po’ di elemosina, tutti col cappello in mano. Poi ci sono i teatri privati, quelli che faccio io, e non ho mai beccato un soldo, manco uno, e paghiamo un sacco di tasse, paghiamo l’Irap che è una tassa assurda: ma come, io produco, assumo 20 persone, e tu mi fai pagare l’imposta? Mi dovresti dare un premio. Questi comitati tecnico-scientifici hanno mai amministrato una compagnia teatrale, un teatro? Una fila sì, una fila no, un posto sì, un posto no? C’è da mettersi a piangere tutti assieme. Come si fa? Uno squallore! Il teatro o si rifà come si faceva prima del covid o se no è la fine. Se io fossi ministro della Cultura direi: allora, tutti i soldi spesi per il teatro si possono scaricare. Quindi, toglierei un po’ di tasse alle compagnie, che sono quelle che producono: senza compagnie al posto del teatro ci fai un bel garage.
E se per i teatri l’esecutivo proponesse divisori in plexigas come aveva fatto in un primo momento il ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina per la scuola e i banchi nelle classi?
Al plexiglass gli darei fuoco, è un’assurdità: il virus da destra e sinistra non entra, però potrebbe dall’alto o dal basso… Non capisco, non capisco davvero. Al ristorante per andare al cesso devi metterti la mascherina: che regola è? Basta cercare di stare ad una distanza di sicurezza, che poi è quella che si dovrebbe usare come forma di educazione, non si va sotto alle persone, è maleducato, si mantiene una distanza di rispetto e di riguardo. Così come da sempre mi lavo le mani, non c’è bisogno che me lo dica l’Istituto superiore della Sanità, mia nonna mi diceva prima di cena ‘bambini, lavatevi le mani, e non mettetevi le dita nel naso’. Una cosa buona il covid l’ha fatta…
Quale?
Di fare in modo che i tavoli non stiano troppo attaccati: quando l’esercente tratta meglio i suoi clienti e offre loro un po’ di spazio in più, c’è soddisfazione, è bello poter parlare senza essere ascoltati. Lo stesso si può dire per il mare e per la distanza fra gli ombrelloni.
Quali sono i suoi programmi nell’immediato?
Non lo so, regna l’incertezza, ma mi piacerebbe tanto fare una trasmissione televisiva, però vedo che replicano roba vecchia, dicono che non ci sono soldi, e c’è una programmazione lontana dal varietà.
Ma lei in Rai sta pagando le sue posizioni spesso controcorrente?
Può anche darsi che io metta un po’ di preoccupazione, però poi c’è qualcuno che le battute le fa lo stesso. Molto dipende dai rapporti personali e dalle conoscenze. Io penso che occorra giudicare dal risultato professionale, si diceva nel ‘68 che una risata vi seppellirà, poi non ha seppellito nessuno. In un Paese democratico non bisogna avere il terrore di una battuta, anzi la battuta rafforza la democrazia. Da noi al contrario si ha timore, e allora si preferisce riempire la tv di trasmissioni del bla bla bla e del pettegolezzo, invece di fare programmi di varietà intelligenti, divertenti soprattutto, gradevoli, per intrattenere lo spettatore. Al contrario, vogliamo spettatori annoiati e inebetiti che stanno davanti al piccolo schermo.
In realtà qualche programma di satira c’è, anche se solo contro una precisa parte politica, cioè il centrodestra.
E’ vero, sì, si fa un po’ di satira, pure abbastanza pesante e feroce, però a mio avviso la satira è contro il potere costituito, o perlomeno non dovrebbe avere colore, e colpire a destra e a manca, altrimenti siamo vestali del pensiero unico: ma in Italia si colpisce a destra, a manca un po’ meno, anzi la satira che colpisce a manca manca…
Enrico Papi, doloroso passato: "Dormivo in macchina. Si era sparsa la voce che..." Libero Quotidiano il 05 aprile 2022.
Enrico Papi il successo se l'è sudato. Il conduttore, reduce dal programma di Canale 5 Scherzi a Parte, ha raccontato gli alti e bassi subiti durante la lunga carriera. "A un certo punto si è sparsa la voce che portassi bel tempo e ho avuto un aumento pazzesco delle richieste. Però pagavano poco, - ricorda in un'intervista a Tv Sorrisi e Canzoni - spesso dovevo scegliere se usare il compenso per il ristorante o per l’albergo, perché non bastava per tutti e due. Di solito sceglievo il ristorante e poi dormivo in macchina".
Ora però per Papi è un periodo proficuo, tanto che tornerà a Mediaset con un nuovo programma: Big Show. La trasmissione andrà in onda venerdì e - ricorda Papi "sarà tutto in diretta". La caratteristica? "È basato sulla sorpresa, quindi va guidato così, in maniera un po’ spericolata. A volte vedremo le vittime impadronirsi del palco con sicurezza, altre restare paralizzate". Bocca cucita sui dettagli.
Una cosa tiene comunque a precisare: "Molti spettatori - conclude - mi vedono ancora come ‘quello dei vip’, ma in realtà io preferisco lavorare con i non professionisti". E infatti l'ultimo show lo dimostra: "Praticamente questo è un esperimento per fare uno spettacolo bizzarro, ci sono ospiti famosi ma le vere star sono le persone comuni: faremo sorprese a loro".
Enrico Papi, gli esordi come re del gossip, il successo, l’amore per la famiglia. Maria Volpe su Il Corriere della Sera il 17 Settembre 2022.
Il conduttore torna su Canale 5 con «Scherzi a parte». Agli inizi della carriera veniva chiamato acchiappavip e si è scontrato con numerosi personaggi famosi
Il nuovo show
Enrico Papi torna in tv con Scherzi a Parte su Canale 5 alle 21.20, ma ecco alcune cose che non sapete di lui
L’amore, il matrimonio, i figli.
Enrico Papi è nato a Roma il 3 giugno 1965, dopo il Liceo classico si iscrive alla Facoltà di giurisprudenza interrompendo però gli studi; riprende l’università con Cepu, per il quale tra il 2000 e il 2003 è anche testimonial pubblicitario. Nel 1998 sposa Raffaella Schifino dalla quale ha due figli: Rebecca, nata nel 2000, e Iacopo, nel 2008. Dai primi anni 2000 ha una seconda residenza a Miami, negli Stati Uniti, dove si trasferisce stabilmente nei periodi di inattività televisiva. Sono una famiglia molto solida che vive fuori dai riflettori Durante il lockdown, la convivenza forzata per loro non è stata un problema: «Molte coppie non hanno retto e si sono divise. Ma non è il nostro caso. Quella è stata un’altra occasione per trascorrere più tempo insieme. Con Raffaella abbiamo festeggiato i 23 anni di matrimonio» ha detto
Gli esordi grazie al gossip e la fama di Acchiappavip
Nel marzo 1995 l’allora direttore del TG1 Carlo Rossella gli propone la conduzione di un programma di cronaca rosa a patto che Papi riesca a ottenere prove fotografiche di una lite tra Demetra Hampton e Vittorio Sgarbi, all’epoca fidanzati. Lui riesce nell’impresa anche perchè è uno che non molla mai e così ottiene la conduzione di «Chiacchiere», il suo primo programma di gossip che lancerà definitivamente la sua carriera televisiva. In quegli anni si guadagna i soprannomi di “Acchiappavip” e “Vespina” o “Vespone” grazie alla sua velocità nell’intercettare i personaggi famosi e di “ronzargli” intorno.
Il Dopo Festival di Sanremo con Raffaella Carrà
Nel 2001 Raffaella Carrà lo vuole al suo fianco per il dopo Festival, mentre per la conduzione la affiancano Ceccherini e Megan Gale. Papi però si intrufola anche nel backstage del Teatro Ariston per le interviste e per raccogliere le ultime notizie rispolverando la passione per il gossip. Papi allora disse della grande Raffa: «Abbiamo due cose in comune: siamo entrambi del segno dei gemelli e poi mia moglie si chiama come lei. Scherzi a parte, sono stato ospite del programma di Raffaella all’inizio della stagione. Ci siamo divertiti molto e ci siamo detti che sarebbe stato molto bello fare qualcosa insieme, prima o poi».
Il suo grande successo, Sarabanda
Nel settembre 1997 lascia le rubriche di gossip e comincia a condurre il varietà Sarabanda, poi trasformato in gioco musicale. Ancora in molti ricordano l’Uomo Gatto, pseudonimo del concorrente Gabriele Sbattella, la Professora Antonietta Palladino, Allegria (David Guarnieri), Max l’uomo mascherato (Giulio De Pascale), Coccinella (Marco Manuelli): i campioni che, con la loro bravura e un tocco di originalità, hanno scritto la storia di Sarabanda, tenendo incollati davanti al piccolo schermo, milioni di telespettatori. Dodici anni dopo, la sua ultima messa in onda, il programma musicale più duraturo della televisione italiana, con le sue 1722 puntate trasmesse nella versione quiz (dal 13 ottobre 1997 al 14 marzo 2005), è tornato con tre speciali nel 2017
Le liti coi vip tra torte in faccia e risse
Gli inizi della sua carriera, sempre a caccia di gossip, hanno visto Enrico Papi spesso protagoniste di liti. E’ finito a torte in faccia uno screzio tra Paolo Bonolis ed Enrico Papi, in una discoteca di Fregene. Motivo: l’insistenza con la quale il ‘re’ del gossip televisivo cercava di estorcere al popolare conduttore particolari sulla sua relazione con Laura Freddi. Una quasi rissa acquatica invece tra Enrico Papi e Beppe Grillo, in una caletta di Porto Cervo. Il comico genovese stava facendo il bagno assieme alla moglie Parvin, di origine indiana, quando è stato ‘ disturbato’ dall’acchiappavip e non l’ha presa bene. Anche Raffaella Zardo, la protagonista più discussa dell’inchiesta della Procura di Biella sui sexy-provini, importunata sulla love story con Fabio Testi dal tele-paparazzo non ha esitato a rovesciargli addosso un secchiello di ghiaccio.
Enrico Ruggeri: «Oggi musica senz’arte, solo meteore da consumo». «Il web lascia un mondo peggiore, del quale non resterà nulla». Bianca Chiriatti su La Gazzetta del Mezzogiorno il 03 Agosto 2022.
Sarà Enrico Ruggeri il protagonista della seconda tappa di «Parole e Musica», il format proposto da FMedia che domani (4 agosto), ospiterà il cantante milanese, oltre 40 anni di carriera, due volte vincitore del Festival di Sanremo, Premio Tenco 2021 e Presidente della Nazionale Cantanti. Ruggeri si esibirà alle 20.30 nella piazza principale del Puglia Village di Molfetta, per portare i suoi grandi successi sul palco della Land of Fashion pugliese, e per l’occasione i negozi del distretto rimarranno aperti fino alle 22.
In scena dialogherà con gli speaker di Radio Selene, e presenterà i brani del nuovo album La rivoluzione (Anyway Music), uscito nel marzo scorso, un racconto in undici tracce che parla di rapporti umani, di sogni adolescenziali e di una generazione che si è scontrata con la vita, rappresentata dall’iconico scatto di copertina, una foto della classe del cantante al Liceo Berchet, anno scolastico ‘73-’74: «Il disco racconta del salto che avviene tra adolescenza ed età adulta - racconta Ruggeri alla Gazzetta - assieme a tanti altri aspetti della vita e alle sorprese che ci riserva».
Lei ha tre figli di età molto diverse, come vive questo rapporto con generazioni differenti?
«Sono, appunto, mondi completamente opposti. La mia è la prima generazione che ha consegnato ai figli un mondo peggiore di come l’ha trovato, dopo secoli in cui le cose cambiavano in meglio. Oggi il mondo è più difficile, c'è il web che come un grande fratello sostituisce altri valori, non è semplice neanche per noi, non basta più immedesimarmi e ricordare com’ero io alla loro età».
E dopo quarant’anni di carriera come vede oggi, invece, il panorama musicale?
«Composto da centinaia di meteore che passano velocissime e non lasciano segni, che usano cinquecento parole invece di cinquantamila, e che considerano la musica un riscatto sociale, e non più un’arte. Io ho avuto la fortuna di fare tante cose diverse, sono nato con il rock e il punk, ho amato i cantautori francesi, Bowie, Emerson, Lake & Palmer, i Clash, non mi sembra di scorgere all’orizzonte i nuovi Beatles o Sex Pistols, è un periodo in cui si bada molto al presente. E tutti i grandi che conosciamo, Battiato, Dalla, Gaber e tanti altri, non hanno sfondato subito, facevano discorsi nuovi, portavano contenuti, e sono quelli che costruiscono, poi, carriere quarantennali».
Il suo pubblico negli anni è cambiato?
«I fan sono sicuramente cresciuti, hanno trasmesso la mia musica ai figli, è sempre però gente fuori dal comune, con una sensibilità diversa, che ha voglia di ascoltare musica dal vivo, vera, non chi canta in playback su delle sequenze. Poi il contatto con loro ovviamente grazie ai social è aumentato, ma il web dà voce a tutti, anche alla cattiveria, alla frustrazione e all’improvvisazione, ed ecco che allora Fragolina82 si sente legittimata a scrivermi e a spiegarmi come devo fare i dischi»
Le piace la Puglia?
«E a chi non piace? Si mangia bene, la gente è simpatica, avete posti splendidi, ci torno sempre volentieri. Ormai è famosa in tutto il mondo».
C’è qualcosa che la rende particolarmente contento di questi 40 anni di carriera?
«Il fatto di aver passato una vita facendo ciò che mi piaceva, non è poco. Non c’è stata una mattina in cui mi sia alzato senza aver voglia di lavorare».
Progetti?
«Navigo a vista. Forse comincerò a scrivere qualcosa, o farò un tour teatrale, o condurrò qualcosa in tv. O magari tutte e tre le cose insieme».
“Non ho mai cercato la gloria col politicamente corretto”. Raffaella Salamina su Culturaidentità il 25 Luglio 2022
“Enrico dopo una lunga gavetta è riuscito finalmente ad imporsi alle sue condizioni, stravolgendo logiche consunte e rifiutando l’idiozia massificata della musica leggera italiana: chi ha mai usato il termine Coup de foudre’ in una canzone di Sanremo?”
Il critico Federico Guglielmi, nel 1986, sulle pagine della rivista Il Mucchio Selvaggio raccontava così il salto cantautoriale del frontman biondo platino dei Decibel, fenomeno punk tutto italiano.
Sono passati quasi quarant’anni da quella definizione ed Enrico Ruggeri resta, nel panorama della musica tricolore, un artista meravigliosamente anomalo. Insofferente ai meccanismi del senso comune e alle pericolose derive di un certo neopuritanesimo. Da sempre refrattario ad un conformismo linguistico che oggi tende a levigare, appiattire, le idee e le loro espressioni nel nome del rispetto dell’altrui sensibilità. Sembra che Ruggeri paghi la totale libertà, con un’esclusione dai toni formali quanto intransigente.
Un dannunzianesimo pop che affonda inevitabilmente le sue radici nel fenomeno che, alla fine degli anni Settanta, produsse uno scossone clamoroso nella cultura, nella moda, nella comunicazione e soprattutto nella musica. Una ribellione in nome del rock che ancora oggi, per Ruggeri, resta un punto fermo del suo essere profondamente artista: “Quando io ero ragazzo i cantanti cambiavano il mondo. Ora non è più così”. E lo racconta bene nel suo nuovo concept album Rivoluzione (uscito il 18 marzo con Anyway Music). Alessandro, Glam bang, Non sparate sul cantante, La fine del mondo, Che ne sarà di noi. Undici brani che spaziano tra il pop e il rock, un intenso racconto di formazione. Un poema epico su una generazione al giro di boa dei sessant’anni che non ha alcuna intenzione di arrendersi. I grandi ideali traditi, la ribellione, la celebrazione del vuoto in cui i giovani si sentivano rinchiusi alla fine degli anni Settanta. Ma la vera “rivoluzione” è uno stato dell’anima che riguarda ognuno di noi.
Prima o poi tutti affrontiamo una rivoluzione?
Ogni vita è una rivoluzione. Quello che racconto nell’album è il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. Parto dalla mia personale esperienza, non a caso la copertina ritrae la foto della mia classe della quarta liceo, l’anno scolastico ’73/74 al Berchet di Milano. Nel disco ci sono quei ragazzi, questa è la rivoluzione di cui parlo. Non le barricate o i movimenti dissidenti ma le grandi speranze che avevamo con la loro forza rivoluzionaria.
La foto risale agli anni degli Champagne Molotov, la sua prima band Punk?
Esattamente, è stata la mia adolescenza. Erano gli anni in cui ci chiudevamo in cantina per fare la nostra musica senza avere troppo cura di ciò che ci accadeva intorno. I picchetti, le botte, le molotov, le assemblee, i collettivi fuggivamo da tutto questo.
Però attraverso la musica, di contestazioni lei ne ha fatte, negli anni. Penso ai brani censurati degli Champagne Molotov