Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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WEB TV: TELE WEB ITALIA
NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA
L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
ANNO 2022
LO SPETTACOLO
E LO SPORT
SECONDA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
INDICE PRIMA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Il Vintage.
Le prevendite.
I Televenditori.
I Balli.
Il Jazz.
La trap.
Il musical è nato a Napoli.
Morti di Fame.
I Laureati.
Poppe al vento.
Il lato eccentrico (folle) dei Vip.
La Tecno ed i Rave.
Alias: i veri nomi.
Woodstock.
Hollywood.
Spettacolo mafioso.
Il menù dei vip.
Il Duo è meglio di Uno.
Non è la Rai.
Abel Ferrara.
Achille Lauro.
Adria Arjona.
Adriano Celentano.
Afef Jnifen.
Aida Yespica.
Alan Sorrenti.
Alba Parietti.
Al Bano Carrisi.
Al Pacino.
Alberto Radius.
Aldo, Giovanni e Giacomo.
Alec Baldwin.
Alessandra Amoroso.
Alessandra Celentano.
Alessandra Ferri.
Alessandra Mastronardi.
Alessandro Bergonzoni.
Alessandro Borghese.
Alessandro Cattelan.
Alessandro Gassman.
Alessandro Greco.
Alessandro Meluzzi.
Alessandro Preziosi.
Alessandro Esposito detto Alessandro Siani.
Alessio Boni.
Alessia Marcuzzi.
Alessia Merz.
Alessio Giannone: Pinuccio.
Alessandro Haber.
Alex Britti.
Alexia.
Alice.
Alfonso Signorini.
Alyson Borromeo.
Alyx Star.
Alvaro Vitali.
Amadeus.
Amanda Lear.
Ambra Angiolini.
Anastacia.
Andrea Bocelli.
Andrea Delogu.
Andrea Roncato e Gigi Sammarchi.
Andrea Sartoretti.
Andrea Zalone.
Andrée Ruth Shammah.
Angela Finocchiaro.
Angelina Jolie.
Angelina Mango.
Angelo Branduardi.
Anna Bettozzi, in arte Ana Bettz.
Anna Falchi.
Anna Galiena.
Anna Maria Barbera.
Anna Mazzamauro.
Ana Mena.
Anna Netrebko.
Anne Hathaway.
Annibale Giannarelli.
Antonella Clerici.
Antonella Elia.
Antonella Ruggiero.
Antonello Venditti e Francesco De Gregori.
Antonino Cannavacciuolo.
Antonio Banderas.
Antonio Capuano.
Antonio Cornacchione.
Antonio Vaglica.
Après La Classe.
Arisa.
Arnold Schwarzenegger.
Asia e Dario Argento.
INDICE SECONDA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Barbara Bouchet.
Barbara D'urso.
Barbra Streisand.
Beatrice Quinta.
Beatrice Rana.
Beatrice Segreti.
Beatrice Venezi.
Belen Rodriguez.
Bella Lexi.
Benedetta D'Anna.
Benedetta Porcaroli.
Benny Benassi.
Peppe Barra.
Beppe Caschetto.
Beppe Vessicchio.
Bianca Guaccero.
BigTittyGothEgg o GothEgg.
Billie Eilish.
Blanco.
Blake Blossom.
Bob Dylan.
Bono Vox.
Boomdabash.
Brad Pitt.
Brigitta Bulgari.
Britney Spears.
Bruce Springsteen.
Bruce Willis.
Bruno Barbieri.
Bruno Voglino.
Cameron Diaz.
Caparezza.
Carla Signoris.
Carlo Conti.
Carlo Freccero.
Carlo Verdone.
Carlos Santana.
Carmen Di Pietro.
Carmen Russo.
Carol Alt.
Carola Moccia, alias La Niña.
Carolina Crescentini.
Carolina Marconi.
Cate Blanchett.
Catherine Deneuve.
Catherine Zeta Jones.
Caterina Caselli.
Céline Dion.
Cesare Cremonini.
Cesare e Mia Bocci.
Chiara Francini.
Chloe Cherry.
Christian De Sica.
Christiane Filangieri.
Claudia Cardinale.
Claudia Gerini.
Claudia Pandolfi.
Claudio Amendola.
Claudio Baglioni.
Claudio Cecchetto.
Claudio Lippi.
Claudio Santamaria.
Claudio Simonetti.
Coez.
Coma Cose.
Corrado, Sabina e Caterina Guzzanti.
Corrado Tedeschi.
Costantino Della Gherardesca.
Cristiana Capotondi.
Cristiano De André.
Cristiano Donzelli.
Cristiano Malgioglio.
Cristina D'Avena.
Cristina Quaranta.
Dado.
Damion Dayski.
Dan Aykroyd.
Daniel Craig.
Daniela Ferolla.
Daniela Martani.
Daniele Bossari.
Daniele Quartapelle.
Daniele Silvestri.
Dargen D'Amico.
Dario Ballantini.
Dario Salvatori.
Dario Vergassola.
Davide Di Porto.
Davide Sanclimenti.
Diana Del Bufalo.
Dick Van Dyke.
Diego Abatantuono.
Diego Dalla Palma.
Diletta Leotta.
Diodato.
Dita von Teese.
Ditonellapiaga.
Dominique Sanda.
Don Backy.
Donatella Rettore.
Drusilla Foer.
Dua Lipa.
INDICE TERZA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Eden Ivy.
Edoardo Bennato.
Edoardo Leo.
Edoardo Vianello.
Eduardo De Crescenzo.
Edwige Fenech.
El Simba (Alex Simbala).
Elena Lietti.
Elena Sofia Ricci.
Elenoire Casalegno.
Elenoire Ferruzzi.
Eleonora Abbagnato.
Eleonora Giorgi.
Eleonora Pedron.
Elettra Lamborghini.
Elio e le Storie Tese.
Elio Germano.
Elisa Esposito.
Elisabetta Canalis.
Elisabetta Gregoraci.
Elodie.
Elton John.
Ema Stokholma.
Emanuela Fanelli.
Emanuela Folliero.
Emanuele Fasano.
Eminem.
Emma Marrone.
Emma Rose.
Emma Stone.
Emma Thompson.
Enrico Bertolino.
Enrica Bonaccorti.
Enrico Lucci.
Enrico Montesano.
Enrico Papi.
Enrico Ruggeri.
Enrico Vanzina.
Enzo Avitabile.
Enzo Braschi.
Enzo Garinei.
Enzo Ghinazzi in arte Pupo.
Enzo Iacchetti.
Erika Lust.
Ermal Meta.
Eros Ramazzotti.
Eugenio Finardi.
Eva Grimaldi.
Eva Henger.
Eva Robin’s, Eva Robins o Eva Robbins.
Fabio Concato.
Fabio Rovazzi.
Fabio Testi.
Fabri Fibra.
Fabrizio Corona.
Fabrizio Moro.
Fanny Ardant.
Fausto Brizzi.
Fausto Leali.
Federica Nargi e Alessandro Matri.
Federica Panicucci.
Ficarra e Picone.
Filippo Neviani: Nek.
Filippo Timi.
Filomena Mastromarino, in arte Malena.
Fiorella Mannoia.
Flavio Briatore.
Flavio Insinna.
Forest Whitaker.
Francesca Cipriani.
Francesca Dellera.
Francesca Fagnani.
Francesca Michielin.
Francesca Manzini.
Francesca Reggiani.
Francesco Facchinetti.
Francesco Gabbani.
Francesco Guccini.
Francesco Sarcina e le Vibrazioni.
Franco Maresco.
Franco Nero.
Franco Trentalance.
Francis Ford Coppola.
Frank Matano.
Frida Bollani.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Gabriel Garko.
Gabriele Lavia.
Gabriele Salvatores.
Gabriele Sbattella.
Gabriele e Silvio Muccino.
Geena Davis.
Gegia.
Gene e Charlie Gnocchi.
Geppi Cucciari.
Gérard Depardieu.
Gerry Scotti.
Ghali.
Giancarlo Giannini.
Gianluca Cofone.
Gianluca Grignani.
Gianna Nannini.
Gianni Amelio.
Gianni Mazza.
Gianni Morandi.
Gianni Togni.
Gigi D’Agostino.
Gigi D’Alessio.
Gigi Marzullo.
Gigliola Cinquetti.
Gina Lollobrigida.
Gino Paoli.
Giorgia Palmas.
Giorgio Assumma.
Giorgio Lauro.
Giorgio Panariello.
Giovanna Mezzogiorno.
Giovanni Allevi.
Giovanni Damian, in arte Sangiovanni.
Giovanni Lindo Ferretti.
Giovanni Scialpi.
Giovanni Truppi.
Giovanni Veronesi.
Giulia Greco.
Giuliana De Sio.
Giulio Rapetti: Mogol.
Giuseppe Gibboni.
Giuseppe Tornatore.
Giusy Ferreri.
Gli Extraliscio.
Gli Stadio.
Guendalina Tavassi.
Guillermo Del Toro.
Guillermo Mariotto.
Guns N' Roses.
Gwen Adora.
Harrison Ford.
Hu.
I Baustelle.
I Cugini di Campagna.
I Depeche Mode.
I Ferragnez.
I Maneskin.
I Negramaro.
I Nomadi.
I Parodi.
I Pooh.
I Soliti Idioti. Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio.
Il Banco: Il Banco del Mutuo Soccorso.
Il Volo.
Ilary Blasi.
Ilona Staller: Cicciolina.
Irama.
Irene Grandi.
Irina Sanpiter.
Isabella Ferrari.
Isabella Ragonese.
Isabella Rossellini.
Iva Zanicchi.
Ivan Cattaneo.
Ivano Fossati.
Ivano Marescotti.
INDICE QUINTA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
J-Ax.
Jacopo Tissi.
Jamie Lee Curtis.
Janet Jackson.
Jeff Goldblum.
Jenna Starr.
Jennifer Aniston.
Jennifer Lopez.
Jerry Calà.
Jessica Rizzo.
Jim Carrey.
Jo Squillo.
Joe Bastianich.
Jodie Foster.
Jon Bon Jovi.
John Landis.
John Travolta.
Johnny Depp.
Johnny Dorelli e Gloria Guida.
José Carreras.
Julia Ann.
Julia Roberts.
Julianne Moore.
Justin Bieber.
Kabir Bedi.
Kathy Valentine.
Katia Ricciarelli.
Kasia Smutniak.
Kate Moss.
Katia Noventa.
Kazumi.
Khadija Jaafari.
Kim Basinger.
Kim Rossi Stuart.
Kirk, Michael (e gli altri) Douglas.
Klaus Davi.
La Rappresentante di Lista.
Laetitia Casta.
Lando Buzzanca.
Laura Chiatti.
Laura Freddi.
Laura Morante.
Laura Pausini.
Le Donatella.
Lello Analfino.
Leonardo Pieraccioni e Laura Torrisi.
Levante.
Liberato è Gennaro Nocerino.
Ligabue.
Liya Silver.
Lila Love.
Liliana Fiorelli.
Liliana Cavani.
Lillo Pasquale Petrolo e Greg Claudio Gregori.
Linda Evangelista.
Lino Banfi.
Linus.
Lizzo.
Lo Stato Sociale.
Loredana Bertè.
Lorella Cuccarini.
Lorenzo Cherubini: Jovanotti.
Lorenzo Zurzolo.
Loretta Goggi.
Lory Del Santo.
Luca Abete.
Luca Argentero.
Luca Barbareschi.
Luca Carboni.
Luca e Paolo.
Luca Guadagnino.
Luca Imprudente detto Luchè.
Luca Pasquale Medici: Checco Zalone.
Luca Tommassini.
Luca Zingaretti.
Luce Caponegro in arte Selen.
Lucia Mascino.
Lucrezia Lante della Rovere.
Luigi “Gino” De Crescenzo: Pacifico.
Luigi Strangis.
Luisa Ranieri.
Maccio Capatonda.
Madonna Louise Veronica Ciccone: Madonna.
Mago Forest: Michele Foresta.
Mahmood.
Madame.
Mal.
Malcolm McDowell.
Malena…Milena Mastromarino.
Malika Ayane.
Manuel Agnelli.
Manuela Falorni. Nome d'arte Venere Bianca.
Mara Maionchi.
Mara Sattei.
Mara Venier.
Marcella Bella.
Marco Baldini.
Marco Bellavia.
Marco Castoldi: Morgan.
Marco Columbro.
Marco Giallini.
Marco Leonardi.
Marco Masini.
Marco Marzocca.
Marco Mengoni.
Marco Sasso è Lucrezia Borkia.
Margherita Buy e Caterina De Angelis.
Margherita Vicario.
Maria De Filippi.
Maria Giovanna Elmi.
Maria Grazia Cucinotta.
Marika Milani.
Marina La Rosa.
Marina Marfoglia.
Mario Luttazzo Fegiz.
Marilyn Manson.
Mary Jane.
Marracash.
Martina Colombari.
Massimo Bottura.
Massimo Ceccherini.
Massimo Lopez.
Massimo Ranieri.
Matilda De Angelis.
Matilde Gioli.
Maurizio Lastrico.
Maurizio Pisciottu: Salmo.
Maurizio Umberto Egidio Coruzzi detto Mauro, detto Platinette.
Mauro Pagani.
Max Felicitas.
Max Gazzè.
Max Giusti.
Max Pezzali.
Max Tortora.
Melanie Griffith.
Melissa Satta.
Memo Remigi.
Michael Bublé.
Michael J. Fox.
Michael Radford.
Michela Giraud.
Michelangelo Vood.
Michele Bravi.
Michele Placido.
Michelle Hunziker.
Mickey Rourke.
Miku Kojima, anzi Saki Shinkai.
Miguel Bosè.
Milena Vukotic.
Miley Cyrus.
Mimmo Locasciulli.
Mira Sorvino.
Miriam Dalmazio.
Monica Bellucci.
Monica Guerritore.
INDICE SESTA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Nada.
Nancy Brilli.
Naomi De Crescenzo.
Natalia Estrada.
Natalie Portman.
Natasha Stefanenko.
Natassia Dreams.
Nathaly Caldonazzo.
Neri Parenti.
Nia Nacci.
Nicola Savino.
Nicola Vaporidis.
Nicolas Cage.
Nicole Kidman.
Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko.
Nicoletta Strambelli: Patty Pravo.
Niccolò Fabi.
Nina Moric.
Nino D'Angelo.
Nino Frassica.
Noemi.
Oasis.
Oliver Onions: Guido e Maurizio De Angelis.
Oliver Stone.
Olivia Rodrigo.
Olivia Wilde e Harry Styles.
Omar Pedrini.
Orietta Berti.
Orlando Bloom.
Ornella Muti.
Ornella Vanoni.
Pamela Anderson.
Pamela Prati.
Paola Barale.
Paola Cortellesi.
Paola e Chiara.
Paola Gassman e Ugo Pagliai.
Paola Quattrini.
Paola Turci.
Paolo Belli.
Paolo Bonolis e Sonia Bruganelli.
Paolo Calabresi.
Paolo Conte.
Paolo Crepet.
Paolo Rossi.
Paolo Ruffini.
Paolo Sorrentino.
Patrizia Rossetti.
Patti Smith.
Penélope Cruz.
Peppino Di Capri.
Peter Dinklage.
Phil Collins.
Pier Luigi Pizzi.
Pierfrancesco Diliberto: Pif.
Pietro Diomede.
Pietro Valsecchi.
Pierfrancesco Favino.
Pierluigi Diaco.
Piero Chiambretti.
Pierò Pelù.
Pinguini Tattici Nucleari.
Pino Donaggio.
Pino Insegno.
Pio e Amedeo.
Pippo (Santonastaso).
Peter Gabriel.
Placido Domingo.
Priscilla Salerno.
Pupi Avati.
INDICE SETTIMA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Quentin Tarantino.
Raffaele Riefoli: Raf.
Ramona Chorleau.
Raoul Bova e Rocio Munoz Morales.
Raul Cremona.
Raphael Gualazzi.
Red Canzian.
Red Ronnie.
Renato Pozzetto e Cochi Ponzoni.
Renato Zero.
Renzo Arbore.
Riccardo Chailly.
Riccardo Cocciante.
Riccardo Manera.
Riccardo Milani.
Riccardo Scamarcio.
Ricky Gianco.
Ricky Johnson.
Ricky Martin.
Ricky Portera.
Rihanna.
Ringo.
Rita Dalla Chiesa.
Rita Rusic.
Roberta Beta.
Roberto Bolle.
Roberto Da Crema.
Roberto De Simone.
Roberto Loreti, in arte e in musica Robertino.
Roberto Satti: Bobby Solo.
Roberto Vecchioni.
Robbie Williams.
Rocco Papaleo.
Rocco Siffredi.
Roman Polanski.
Romina Power.
Romy Indy.
Ron: Rosalino Cellamare.
Ron Moss.
Rosanna Lambertucci.
Rosanna Vaudetti.
Rosario Fiorello.
Giuseppe Beppe Fiorello.
Rowan Atkinson.
Russel Crowe.
Rkomi.
Sabina Ciuffini.
Sabrina Ferilli.
Sabrina Impacciatore.
Sabrina Salerno.
Sally D’Angelo.
Salvatore (Totò) Cascio.
Sandra Bullock.
Santi Francesi.
Sara Ricci.
Sara Tommasi.
Scarlett Johansson.
Sebastiano Vitale: Revman.
Selena Gomez.
Serena Dandini.
Serena Grandi.
Serena Rossi.
Sergio e Pietro Castellitto.
Sex Pistols.
Sfera Ebbasta.
Sharon Stone.
Shel Shapiro.
Silvia Salemi.
Silvio Orlando.
Silvio Soldini.
Simona Izzo.
Simona Ventura.
Sinead O’Connor.
Sonia Bergamasco.
Sonia Faccio: Lea di Leo.
Sonia Grey.
Sophia Loren.
Sophie Marceau.
Stefania Nobile e Wanna Marchi.
Stefania Rocca.
Stefania Sandrelli.
Stefano Accorsi e Fabio Volo.
Stefano Bollani.
Stefano De Martino.
Steve Copeland.
Steven Spielberg.
Stormy Daniels.
Sylvester Stallone.
Sylvie Renée Lubamba.
Tamara Baroni.
Tananai.
Teo Teocoli.
Teresa Saponangelo.
Tiberio Timperi.
Tim Burton.
Tina Cipollari.
Tina Turner.
Tinto Brass.
Tiziano Ferro.
Tom Cruise.
Tom Hanks.
Tommaso Paradiso e TheGiornalisti.
Tommaso Zanello alias Piotta.
Tommy Lee.
Toni Servillo.
Totò Cascio.
U2.
Umberto Smaila.
Umberto Tozzi.
Ultimo.
Uto Ughi.
Valentina Bellucci.
Valentina Cervi.
Valeria Bruni Tedeschi.
Valeria Graci.
Valeria Marini.
Valerio Mastandrea.
Valerio Scanu.
Vanessa Scalera.
Vasco Rossi.
Vera Gemma.
Veronica Pivetti.
Victoria Cabello.
Vincenzo Salemme.
Vinicio Marchioni.
Viola Davis.
Violet Myers.
Virginia Raffaele.
Vittoria Puccini.
Vittorio Brumotti.
Vittorio Cecchi Gori.
Vladimir Luxuria.
Woody Allen.
Yvonne Scio.
Zucchero.
INDICE OTTAVA PARTE
SOLITO SANREMO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Solito pre Sanremo.
Terza Serata.
Quarta Serata.
Quinta Serata.
Chi ha vinto?
Simil Sanremo: L’Eurovision Song Contest (ESC)
INDICE NONA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
I Superman.
Il Body Building.
Quelli che...lo Yoga.
Wags e Fads.
Il Coni.
Gli Arbitri.
Quelli che …il Calcio I Parte.
INDICE DECIMA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
Quelli che …il Calcio II Parte.
INDICE UNDICESIMA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
I Mondiali 2022.
I soldati di S-Ventura. Un manipolo di brocchi. Una squadra di Pippe.
INDICE DODICESIMA PARTE
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)
I personal trainer.
Quelli che …La Pallacanestro.
Quelli che …La Pallavolo.
Quelli che..la Palla Ovale.
Quelli che...la Pallina da Golf.
Quelli che …il Subbuteo.
Quelli che…ti picchiano.
Quelli che…i Motori.
La Danza.
Quelli che …l’Atletica.
Quelli che…la bicicletta.
Quelli che …il Tennis.
Quelli che …la Scherma.
I Giochi olimpici invernali.
Quelli che …gli Sci.
Quelli che si danno …Dama e Scacchi.
Quelli che si danno …all’Ippica.
Il Doping.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SECONDA PARTE
SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
· Barbara Bouchet.
Barbara Bouchet: "Nessun problema con il nudo, ma rifiutai 'La chiave' e 'Histoire d'O'". Redazione Spettacoli su La Repubblica il 27 Novembre 2022.
"Mai avuto problemi con il nudo. In casa eravamo sei fratelli in una stanza, il nudo era naturale". Barbara Bouchet, una delle stelle del cinema italiano anni 70, si racconta al Torino Film Festival, testimonial del restauro, da parte del Centro sperimentale di cinematografia - Cineteca nazionale, di Milano Calibro 9, il poliziottesco del 1972 diretto da Fernando Di Leo. Nel film Bouchet è la ballerina Nelly, che lavora in un night club, ex amante di Ugo Piazza interpretato da Gastone Moschin.
Una lunga carriera, quella di Barbara Bouchet, iniziata alla metà degli anni 60 e decollata dagli anni 70 in poi che la videro tra le attrici più apprezzate delle commedie sexy italiane. Ma tra le tante proposte, due le rifiutò: disse no - racconta a Torino - a Histoire d'O di Just Jaeckin, poi interpretato da Corinne Cléry e a La chiave di Tinto Brass, che ebbe come protagonista Stefania Sandrelli.
Un personaggio, quello di Milano Calibro 9, che Bouchet è tornata a interpretare di recente nel film Calibro 9 diretto da Toni D'Angelo, sequel ideale del film di Fernando Di Leo. Nel film del 2021 è "mamma" Nelly, che dal personaggio di Moschin ha avuto un figlio, Fernando (Marco Bocci) al quale ha voluto dare un destino diverso da quello paterno, facendolo studiare da avvocato.
Barbara Bouchet: «Ho una sorella bisessuale, lotto per i diritti civili. Mio figlio chef? È stato travisato». Francesca Angeleri su Il Corriere della Sera il 24 Aprile 2022.
L’attrice cult: «Alessandro ha fatto una grande gavetta in locali che spesso chiudevano, ritrovandosi in mezzo a una strada. Edwige Fenech? Mai state amiche (ma neanche nemiche)»
«Sono cresciuta in una famiglia in cui non nessuno ha mai fatto differenze di alcun genere. Non per il colore della pelle, non per la religione, tanto meno per il sesso. Mia sorella è sempre stata bisessuale e non è mai stato neppure lontanamente un problema per noi». Barbara Bouchet sarà la madrina della 37 esima edizione del Lovers Film Festival diretto da Vladimir Luxuria che inaugura martedì e fino al 1 maggio si svolgerà presso il Cinema Massimo.
Martedì sera, all’inaugurazione, Bouchet dialogherà a 360° con la direttrice Luxuria parlando a tutto tondo di una carriera di oltre 60 anni che l’ha portata ad essere amata e apprezzata da tutti e tutte. Quentin Tarantino e donne italiane comprese.
Come è nato questo suo madrinaggio al Lovers?
«Un giorno ero in Stazione Centrale a Milano e ho incontrato per caso Vladimir. Abbiamo fatto due chiacchiere poi ci siamo salutate. È tornata indietro e mi ha chiesto il numero di telefono perché, diceva, le era venuta un’idea. Ed eccoci qui».
Quale sarà il suo apporto al festival?
«Porto la mia condivisione, il mio dire assolutamente Si ai diritti civili per tutti. Sostengo che la comunità Lgbtq+ debba avere gli stessi diritti di tutti gli altri».
Quando lei arrivò, l’Italia era razzista?
«All’inizio no. Venivo dalla California dove si conviveva con altre comunità diverse per colore, religione, gusti sessuali. Nessuno lo trovava strano in alcun modo. Ho certamente più amici gay che etero, sono persone squisite con cui ho una grande affinità. Non so dove sarei senza di loro».
Le donne ai tempi dei suoi film sexy morivano di gelosia per lei?
«Le donne italiane mi hanno sempre portato rispetto e dimostrato affetto. Sono loro molto grata. Ancora oggi mi fanno i complimenti che, fatti da una donna, per me, valgono dieci volte di più. Le mie migliori amiche sono tutte donne: Iva Zanicchi, Gloria Guida, Marisa Laurito. Più di tutte Corinne Clery».
Quando era piccola, anche lei è stata una profuga. Cosa ricorda?
«Sono un’immigrata da sempre. La mia famiglia ha dovuto lasciare la Cecoslovacchia a causa dell’invasione russa. Dissero a mio nonno di prendere il suo cappello e di andarsene. Vennero sfollati in un campo profughi in Germania. I bambini, se intorno non ci sono gli orrori della guerra, trovano fortunatamente sempre il modo di adattarsi. Poi siamo andati con i miei genitori in America, raccoglievamo tutti il cotone nei campi. Mi sono sempre arrangiata. Quando vedo cosa sta accadendo in Ucraina, con le vite delle persone in fuga stipate nei loro trolley, la sofferenza mi invade. Prego solo finisca pesto».
Cosa desidera oggi?
«Mi piace tanto il mio lavoro. Le mattine in cui mi sveglio e ho un set dove andare sono felice. Accetto tutto, i ruoli da bisnonna anche. Non sono tormentata dal mio passato, dal ‘Ero considerata una donna bellissima, un simbolo del sesso...’. Mi basta continuare a lavorare e stare bene in salute».
Polemizza sulla mancanza dei ruoli per donne mature?
«È vero, non ci sono, neppure negli Stati Uniti. L’unico posto dove si trovano è la Francia. Io però non mi lamento, piuttosto mi accontento dei ruoli minori».
Era vera la rivalità tra lei e Edwige Fenech?
«Non siamo mai state amiche ma neanche nemiche. Facevamo talmente tanti film entrambe che eravamo ogni giorno occupate su qualche set. I produttori volevano sempre l’una o l’altra».
Suo figlio Alessandro Borghese è in una bagarre mediatica per le sue affermazioni circa il lavorare gratis in cucina per imparare. Cosa ne pensa?
«Credo che sia stato un po’ travisato. Entrambi i miei figli sono stati cresciuti con l’insegnamento di cavarsela da soli, senza aiuti finanziari da parte mia. Alessandro ha fatto una grande gavetta, entrando e uscendo da cucine che spesso chiudevano e ritrovandosi in mezzo a una strada. È un grande lavoratore. Anche io ho fatto gavetta, tenevo gli occhi aperti per capire, imparare».
Le piace Torino?
«Tantissimo. Qui c’è il migliore pubblico teatrale d’Italia. Al Museo del Cinema regalerò tutti i miei premi che ho ricevuto nella carriera e anche tante altre cose».
Tarantino?
«Grazie a lui tutti i miei film hanno rivissuto una seconda giovinezza. Sarebbero finiti nel dimenticatoio. Non ci volevo credere quando ha detto che ero la sua attrice preferita. Pensare che io non avevo mai visto un suo film, non amo gli splatter».
Vede altri amori nel suo futuro?
«Ho avuto un lungo matrimonio. Sono una che sta bene con se stessa, anche da sola. Se arriva un nuovo amore sono qui ad aspettarlo. Altrimenti va bene così».
Ha un suo film preferito?
«Impossibile dirlo con 120 film alle spalle. Alcuni sono stati pubblicizzati meglio e quindi hanno un posto speciale per il pubblico, come Spaghetti a mezzanotte, Milano calibro 9, Casino Royale…».
Dagospia. Anticipazione dell’articolo di Azzurra Della Penna per “Chi” l'8 marzo 2022.
«Cara Barbara non sono un corteggiatore in prova, non lo ero neanche allora. Semplicemente sono stato con Barbara per un anno. E quello che a me davvero secca, è che i miei tre ragazzi, che adoro, mi hanno fatto presente che era stata detta questa cosa e c’erano rimasti male.
E siccome per me i miei figli sono l’unica cosa che conti davvero, mi sono irrigidito e, pur non volendo fare grandi dichiarazioni, voglio capire meglio».
Così Francesco M. Zangrillo, il broker assicurativo che per un anno è stato legato a Barbara D'urso, mette i puntini sulle” i” in una intervista esclusiva pubblicata dal settimanale “Chi”, dopo le dichiarazioni che la conduttrice ha fatto a “Verissimo” definendolo “un corteggiatore in prova” .
«Io sono una persona per cui uno più uno fa due», spiega Zangrillo a “Chi”. «Se sto con una donna ci sto, siamo una coppia; ho vissuto una relazione, un rapporto bello, le cose possono chiudersi, ma questo non significa... Poi lei è sempre stata attentissima a tutto, non capisco questa scivolata.
Molto probabilmente non sono stati visti bene, accettati nella maniera giusta i motivi della fine. Ci siamo lasciati di comune accordo quando si è compreso che non si andava avanti; io volevo un rapporto di coppia normale, non volevo pubblicità, ma neanche vivere nel segreto di Pulcinella. Ripeto, la nostra è stata una bella storia e lei è una donna fantastica, però, so che a parti invertite sicuramente avrebbe detto qualcosa, dunque lo dico anche io: “Non ho gradito”».
E con un tocco di umorismo propone: «Se proprio non possiamo dire “fidanzato”, troviamo una parola che vada bene a entrambi, anzi, che vada bene a tutti, ai figli e ai genitori. E facciamolo non solo per me, ma anche per i prossimi futuri fidanzati che, probabile, non saranno mai fidanzati».
Andrea Malaguti per la Stampa il 7 maggio 2022.
Maria Carmela d’Urso, detta Barbara, come festeggia i 65 anni?
«Non è la mia età. Cioè: lo è, ma anche no».
Non mi è chiarissimo.
«Non mi importa tanto dell’età. L’età non esiste».
Lo dice lei che ha il vantaggio del janefondismo, il suo corpo si rifiuta di invecchiare.
«Anche la mia testa. Potrei innamorarmi di un uomo di vent’anni come di 80. I 65 non mi pesano, come non mi sono pesati i 60 o i 50. In ogni caso li festeggio con amici. E non vedo l’ora di celebrare i 70. L’energia non mi manca e il cielo mi vuole bene».
Prega ancora la Madonna prima di andare a dormire?
«La prego. Ma non prima di andare a dormire. Io odio gli obblighi e gli incatenamenti. Mi rivolgo alla Madonna quando ne ho bisogno».
E’ molto credente?
«A modo mio».
Qual è il suo modo?
«Sento l’energia. Ce n’è una buona, bianca, positiva. Ma anche una nera, cattiva, che qualcuno cerca di scaricarti addosso. E naturalmente esiste l’energia universale. Ciò detto, nella Madonna ci credo».
Perché la Madonna?
«Per me è importante. Ho anche un ritratto della Madonna del Carmelo qui in camerino».
E’ da lei che viene il suo nome?
«Da lei. Mio padre era di Laurenzana, in provincia di Potenza, dove facevano la processione e mia madre accettò di chiamarmi Maria Carmela per riavvicinarsi alla nobile famiglia del marito che la guardava con qualche sospetto. In privato, però, mi ha sempre chiamato Carmelita. Carmelita D’Urso, non è magnifico?»
Lo è. Ma lei lo ha tradito cambiandolo in Barbara.
«Ma si rende conto? Mi serviva un nome più nordico».
Se la ricorda sua madre che la chiama Carmelita?
«Confusamente. Ero molto piccola quando stava bene. Ho questa immagine di lei a letto che per punirmi mi batte il cucchiaio di legno sul sedere e dice: Carmelita, Carmelita, Carmelita. E’ morta che avevo undici anni, dopo quattro anni di malattia. Ricordo gli aghi nelle sue braccia. I lividi neri. Il dolore mio e dei miei fratelli».
Lo ha mai superato il senso di abbandono?
«Mai. E’ rimasto lì, nel profondo. Assieme all’appesità».
Appesità è una parola molto bella. Ma che significa?
«Non è italiano, lo so. Ma è una distinzione che io vedo con chiarezza. Da una parte c’è l’attesa, che può essere bellissima, magari per una cena o per un appuntamento galante. Dall’altra c’è l’appesità, il limbo, l’impossibilità di sapere cosa sta per succedere, quel vi prego ditemi qualcosa a cui nessuno sa rispondere e che io identifico con la malattia e la morte di mia madre».
Ha fatto psicoterapia per elaborare l’appesità?
«Moltissima. Ma non solo per quello. L’ho fatta anche per analizzare il rapporto con Mauro Berardi, il padre dei miei figli. Lui è più grande di me. E ha un carattere – come dire – molto ben delineato».
Perché lo scelse?
«Ero follemente innamorata di lui. E lui di me. E’ stato un incontro magico».
Anche il carattere di suo padre Rodolfo era «molto ben delineato».
«Vero. Dice che c’è un nesso?».
C’è?
«Per tutte le figlie il padre è l’uomo della vita. Ci siamo lasciati e ritrovati».
Una volta le tirò due scudisciate col frustino da cavallo.
«Sì. Avevo detto che ero a una festa, ma non era così. Non è mai più successo, ma me le ricordo ancora. Era un uomo severo. Come tutta la sua famiglia di nobili lucani. E severa era mia madre».
Lei è severa?
«Lo sono. Perseguitata da questo rigore morale da cui non so scappare. Se rinasco di sicuro mi comporto in modo più allegro».
A scappare da Napoli invece ci riuscì.
«Avevo 18 anni. Che potevo fare a Napoli? Mi dissi: ci provo, vado a Milano. Magari faccio la modella. E’ arrivata la tv».
Suo padre come la prese?
«Male. Se te ne vai sei morta. Non ci parlammo per quattro anni».
TeleMilano 58, allora. Teo Teocoli, Claudio Lippi, Silvio Berlusconi. Era un ambiente sessista?
«Per niente. C’era un’atmosfera fantastica. Ogni sera Silvio Berlusconi faceva le riunioni e ci chiedeva dei contenuti dei programmi».
Vi faceva la scaletta?
«No. Ma voleva sapere. Io sono nata con la sua tv».
Come si resiste al corteggiamento di Berlusconi?
«Rispondo solo perché è una cosa di cui parlò lui. Mi fece la corte e io gentilmente la respinsi».
Le mandava dei fiori?
«No, era semplicemente carino. Faceva capire. Girava con un enorme pullman d’acciaio grigio col Biscione stampato sopra. Ricorda? Torna a casa in tutta fretta, c’è il Biscione che ti aspetta. Era la metà degli Anni 70».
Non c’era chimica tra di voi?
«Ma no, che c’entra. Lui era molto affascinante. Ma era anche il proprietario. Proprio non si poteva. Il rigore morale, appunto. Ho sempre preteso di farcela con le mie forze».
Ha mai pensato: mannaggia, se avessi detto di sì…
«No. Ma in tutti questi anni ci siamo visti molte volte. Con lui, con Marina, con Pier Silvio. Ci vogliamo bene davvero. Qualche anno fa il Cavaliere mi ha detto: Barbara lo sai quello che hai perso, ma sei ancora in tempo. Ci abbiamo riso sopra».
Lei che rapporto ha con il suo corpo?
«Un rapporto bello. Il corpo mi parla. Mi segnala i miei limiti e le mie possibilità. A lei il corpo non parla?»
Temo in modo diverso dal suo.
«Io sono stata molto fortunata. Non ho mai dovuto fare interventi o ritocchi. Vede anche qui, dietro le orecchie, nessuna cicatrice. È il dna».
Il suo dna è finito sulla copertina di Playboy e di Playmen. Perché lo fece?
«Non saprei dirlo esattamente. Playmen fu in parte una furbata del fotografo. Playboy fu una scelta vera. Lo avevano fatto anche Stefania Sandrelli e Ornella Muti. Io allora ero molto conosciuta per Domenica In con Pippo Baudo e per lo sceneggiato con Alida Valli».
La Casa Rossa.
«Esatto. Playboy me lo chiese e io dissi di sì. La copertina era bellissima. E si vedeva solo la parte superiore».
A ripensarci, si imbarazza o non gliene frega niente?
«Non ho mai fatto cose di cui mi sono pentita».
Suo padre che le disse?
«Nulla, non ci parlavamo».
Come ha recuperato il rapporto con lui?
«Merito di mia sorella Daniela che organizzò l’incontro. Recuperai anche la fede nunziale di mia madre, con incisa la scritta Rodolfo, 26 luglio 1956. Dieci mesi prima che io nascessi. E’ la fede che porto al dito anche oggi».
Lei è aggressiva?
«Non direi. Certamente sono passionale».
Ha mai menato nessuno?
«Parla di Scherzi a parte?».
Di quello.
«Mi fecero trovare l’uomo con cui stavo da 5 anni – Sandro, un antiquario che aveva 15 anni meno di me – a letto con una che da tempo ci provava».
Non la prese bene.
«Mi avventai su di lui sputandogli addosso. E poi tirai addosso a lei gli occhiali da sole quando cercò di giustificarsi. Per fortuna c’era mio fratello a tenermi. Pochi mesi dopo, in piazza del Gesù, stavo girando un film. Un signore mi riconobbe e urlò: ueee, quella è Barbara D’Urso che ha sputato addosso a quell’omme e mmerda».
Berlusconi a parte, ha detto molti no?
«Ovvio. Come tutti. In Rai, per esempio».
Chi?
«Ma si figuri se lo dico».
Era Pippo?
«Noooooo. Però l’ho visto in mutande in camerino».
Beppe Grillo?
«Figuriamoci. Un amico».
Regali spocchiosi ricevuti?
«Uno spasimante torinese arrivò davanti al mio terrazzo in elicottero e lanciò delle uova di cioccolato».
Servì?
«A niente».
Parliamo di Memo Remigi?
«No».
Di Vasco Rossi?
«Nemmeno».
Neanche per dire come vi siete conosciuti?
«In casa discografica. Un’etichetta che aveva solo me e lui. Lui aveva appena inciso Albachiara, io ero più famosa. Era stupendo, e sua madre, Novella, straordinaria».
C’è una mitologia sulle canzoni che le avrebbe dedicato.
«Mitologia».
Ieri il suo Pomeriggio 5 ha fatto il 18%.
«Siamo passati in uno studio più piccolo, ma la gente continua a volerci molto bene».
Resta a Mediaset anche l’anno prossimo?
«Certo».
Perché le voci di un suo addio, allora?
«Provo a spiegarlo in un modo carino. Ci sono persone ossessionate da me. L’ossessione può spingere a commissionare delle cose da scrivere anche se non sono vere. Magari per fare più click. Uno scrive che sono fidanzata con un Panda, però di pelouche, e il gioco è fatto. Parte la giostra e non si ferma più. Ma io non sono fidanzata con un panda di pelouche e il prossimo anno sarò ancora a Mediaset. Inutile smentire i siti. Né io né l’azienda lo facciamo».
Resta a Milano, quindi?
«Resto a Milano. E probabilmente farò anche teatro».
Cosa?
«Lo dirò al momento giusto. Ma il progetto è stupendo».
Le danno fastidio le critiche?
«No. Le maldicenze e le bugie un po’ di più, almeno un tempo. Ma ho capito che la vita è troppo breve per lasciarsi condizionare da chi è ossessionato da te».
Lei non ha ossessioni?
«Una sola: che i miei figli stiano bene».
Colleghi che stima?
«Carlo Conti e Gerry Scotti».
Donne?
«Maria de Filippi».
Lo dice perché deve.
«Lo dico perché è vero. Il suo successo è un bene per la rete. Dunque anche per me, per Gerry, per Bonolis e viceversa. Una rete illuminata è un vantaggio per tutti. E ai colleghi che stimo aggiungo Silvia Toffanin. Bravissima».
Non vale. È la moglie del capo.
«Vale. Perché a me di chi sia moglie interessa zero».
Si offende quando dicono: Barbara D’Urso è la regina del trash?
«Non mi offendo, penso solo che le persone non sappiano che cosa significa la parola trash. Ci sono trasmissioni molto più trash della mia. Ma parlare di me è più facile».
Ha paura di morire?
«Certo. Ma non ci penso. Spero solo sia sul colpo».
All’atomica ci pensa?
«Non penso neanche a quella».
Lo ha visto Lavrov su Rete 4?
«No».
Non ne vuole parlare.
«Non l’ho visto».
Draghi le piace?
«Mi piace».
Conte o Salvini?
«Niente trappole, grazie».
Gruber o Berlinguer?
«Berlinguer. La guardo e mi piace. E poi ha un cognome che per me significa molto».
Vota ancora a sinistra?
«Dipende».
Prima o poi ci entra in politica?
«Prima o poi lo faccio».
Maria Carmela Carmelita Barbara d’Urso, le secca che i suoi figli non abbiano il doppio cognome?
«Mi rode il culo da morire, si può dire?».
L’ha detto.
«Mi secca moltissimo. Ma loro sono molto discreti e già si infastidiranno per le cose che le sto raccontando».
Un anno fa a Candida Morvillo, disse: ho un corteggiatore in prova. L’ha superata?
«In effetti no. Sono sola, ma con un sacco di gente che mi vuole bene. Ogni volta che entro in un bar faccio almeno quaranta selfie».
Soffocante?
«Piacevole».
Persino il Papa si è spazientito per l’invadenza di una pellegrina cinese.
«Forse sono più paziente di lui. Certo lui è più santo di me».
Barbra Streisand: gli 80 anni della “Woman in love” più premiata della storia. Un'ex ragazzina di Brooklyn cresciuta con l'idea che il destino e volontà sarebbero state le chiavi del suo successo. ALICE PENZAVALLI su Io Donna.it il 25 Aprile 2022.
Attrice, cantante, produttrice, regista, attivista, diva. Sono molteplici le categorie con cui Barbra Streisand viene comunemente definita, impossibile infatti trovare una sola parola che sintetizzi appieno sessant’anni di carriera. Sei decadi in cui Babs ha ricevuto qualsiasi premio e conquistato la vetta dell’Olimpo delle star più amate di tutti i tempi.
Oggi, all’età di 80 anni, ha diradato le apparizioni pubbliche, ma non ha alcuna intenzione di andare in pensione. L’ultimo album, Release me 2, è uscito lo scorso agosto e ha confermato un importante primato: è l’unica donna ad aver avuto almeno un disco in classifica ogni decade dal 1960 a oggi.
Una carriera musicale folgorante, iniziata quando Barbra aveva circa 20 anni. L’incontro con la musica però è arrivato molti anni prima. Quando, ancora tredicenne, cantava tra le vie di Brooklyn e chiunque conosceva quella ragazzina dalla voce singolare. Una voce ereditata dalla madre, la quale ai sogni di gloria ha sempre preferito la concretezza.
Ciononostante, Barbra continua a cantare, a cercare quel riconoscimento, ma prima del canto arriva la recitazione.
All’età di 13 anni assiste a Il diario di Anna Frank, pièce di Broadway con Susan Strasberg. È un colpo di fulmine. Il sacro fuoco dell’arte inizia a farsi strada e decide che diventerà un’attrice. Un bisogno necessario, forse per trovare una morbida via d’uscita dalla difficile quotidianità.
L’armonia familiare di casa Streisand era stata distrutta dalla morte del padre, quando Barbra aveva solo un anno. «Volevo fare l’attrice. Penso che rappresentasse la mia fuga dalla realtà», ha spiegato in una recente intervista rilasciata a Zane Lowe.
Da quel momento, prova con tutte le sue forze a realizzare il suo sogno, ma senza successo. I no e le porte in faccia non la fermano, perché gli anni a Brooklyn, trascorsi tra difficoltà economiche familiari e contrasti con la madre, l’avevano già fortificata. In quegli anni, Barbra impara a sognare, a sperare in una vita migliore in cui possa essere riconosciuta, ma impara soprattutto ad aggirare l’ostacolo.
«Sono diventata una cantante perché non riuscivo a trovare lavoro come attrice. Sapevo di avere una bella voce perché quando ero piccola a Brooklyn ero conosciuta per essere quella dalla bella voce e senza padre. In un certo senso ero unica».
«La musica mi ha aperto la strada per diventare attrice». Alla fine la tenacia l’ha premiata. Merito non solo del talento, ma anche del modo in cui ha sempre guardato alla vita. «Ho sempre creduto nel caso e destino, ma soprattutto nella forza di volontà. Quando mi chiedono: come sapevi che saresti diventata famosa? Rispondo: perché lo volevo». Una donna tutta d’un pezzo, che è riuscita a realizzare il sogno più grande, percorrendo una strada diversa, altrettanto di successo.
Oltre 150 milioni di dischi venduti e 2 Oscar
Il debutto nel mondo discografico è del 1963 con The Barbra Streisand Album ed è subito un tripudio di riconoscimenti. Tra questi, due Grammy Awards e un disco d’oro. Un esordio potente, che segna l’inizio di una carriera inarrestabile e che l’ha vista diventare una delle cantanti più amate al mondo. Fino ad oggi, ha inciso più di 50 album, per un totale di oltre 150 milioni di copie vendute. Inoltre, ha vinto 10 Grammy Awards. A questi premi, però, vanno aggiunti quelli ottenuti in qualità di attrice.
Sì, perché se si dovesse scegliere un aggettivo per indicare la Streisand, forse sarebbe poliedrica. Benché la grande occasione non sia arrivata subito, ha saputo resistere e persistere, dimostrando la propria caratura anche nel settore che aveva scelto come ripiego.
Il trionfo nella musica, intatti, fa sì che anche il cinema si accorga di lei. Il debutto arriva nel 1968 con Funny Girl, che le vale un Premio Oscar come Migliore attrice protagonista. Non male per un’esordiente che sognava di fare lo stesso mestiere di Anna Magnani, una delle sue muse ispiratrici.
Il grande schermo continua a scritturarla e Barbra Streisand recita in 19 film. Tra questi, oltre Funny girl, Hello, Dolly! e Come eravamo, in cui recita accanto a Robert Redford. Ancora, Funny Lady e A star is born, con cui vince il secondo Oscar per la canzone Evergreen.
Nel 1983 debutta come regista con Yentl, esperienza che ripete nel 1991 con Il principe delle maree e nel 1996 con L‘amore ha due facce, in cui recita accanto a Jeff Bridges e Lauren Bacall.
Nel 2004 e nel 2010 è il turno delle commedie Mi presenti i tuoi? e Vi presento i mostri, mentre nel 2012 torna al cinema con Parto con mamma. Oltre ai due Oscar e ai due Grammy, in sessant’anni di carriera ha collezionato anche 5 Emmy, un Tony Award e ben 11 Golden Globe.
Gli amori, gli omaggi e l’impegno politico
Una carriera longeva e piena di successi, andata di pari passo con una vita privata altrettanto intensa. Nel 1967 dà alla luce il figlio James, nato dall’amore con il primo marito Elliott Gould. Successivamente è stata legata a Jon Peters, Ryan O’Neal, Andre Agassi e Omar Sharif. Nel 1998, dopo due anni di fidanzamento, ha sposato James Brolin.
Sono diversi gli omaggi che il cinema e la musica hanno dedicato a Barbra Streisand. Tra questi, il singolo omonimo dei dj americani Duck Sauce, uscito nel 2010. Di recente, invece, è stata oggetto di una citazione in Licorice Pizza, l’ultimo film di Paul Thomas Anderson in cui Bradley Cooper interpreta l’ex fidanzato Jon Peters.
Tra i suoi spasimanti, un nome spicca tra tutti. Quello del principe Carlo. Il loro incontro risale alla metà degli anni ’70 e si dice che l’erede al trono d’Inghilterra non rimase indifferente al carisma dell’artista.
«Se avessi giocato le mie carte», ha rivelato la Streisand, «sarei diventata la prima principessa ebrea». Oltre a essere una star dello showbiz, è anche una fervida attivista Lgbt e sostenitrice del Partito Democratico americano.
Caterina Soffici per “la Stampa” il 20 aprile 2022.
Quando mi hanno chiesto di scrivere qualcosa per gli 80 anni di Barbra Streisand (li compie il 24 aprile) sono andata su Youtube per riascoltare qualche sua vecchia canzone. L'algoritmo ti propone subito le più famose: Woman in love; Guilty; The Way We Were; Papa, can you hear me? Non so a che punto è entrato nella stanza mio figlio, ventenne. Io questa voce la conosco, ha detto. Sai chi è? ho chiesto sbalordita. Certo, la Streisand. Ecco, in queste tre parole di un ventenne - certo la Streisand - c'è già tutto.
Di come si diventa leggenda globale, icona universale e transgenerazionale è difficile spiegare. Altri artisti hanno scavalcato la loro epoca e sono entrati nelle playlist e nell'immaginario dei ventenni. Ma Barbra Streisand è qualcosa di diverso e piuttosto unico per il modo in cui ha raggiunto il successo, cioè non adattandosi ai modelli di donna necessari ad imporsi, ma imponendo il proprio modello. Che è quello dell'eroina coraggiosa che sfida le avversità, segue i propri sogni, non scende a compromessi e raramente ottiene il lieto fine.
Una bruttina di successo, insomma. Una donna in cui tutte si possono riconoscere, perché il lieto fine oltre a essere stucchevole, accade raramente e solo per brevi periodi. Lei lotta, ma raramente ne esce vittoriosa.
Quella lotta, ovviamente, è il motivo per cui la amiamo. Come ha osservato il biografo Neal Gabler, i suoi ammiratori apprezzano Streisand non perché rappresenti un ideale irraggiungibile, ma perché si identifiano con lei: «Non sembrava una star del cinema. Somigliava a noi, parlava come noi, si comportava come noi, soffriva come noi».
La sua voce è innegabile, ma il suo personaggio - il perdente sfacciato e ambizioso - sembra ancora più essenziale per decretarne l'ingresso nella categoria delle donne-icona.
Ho riguardato anche alcuni spezzoni di due suoi film. Prima di tutto Funny girl (del 1968), che contiene elementi fortemente autobiografici. Fanny, una ragazza ebrea di New York con una voce celestiale non riesce a trovare una parte e iniziare la sua carriera teatrale perché non è bella e non corrisponde ai canoni comuni delle ragazze colorate e cinguettanti, doti necessarie per salire sul palco.
La protagonista otterrà la parte e il successo grazie alla sua voce e poi rovinerà tutto per colpa del suo carattere e per non voler fare alcune scelte.
Ma il capolavoro rimane Come eravamo (del 1973, regia di Sydney Pollack), il film che l'ha consacrata come icona della perdente che tutte vorremmo essere. Anche qui è un'ebrea newyorkese super impegnata politicamente, comunista, pacifista e femminista che ritrova il suo amore del college, il bellissimo e biondissimo Robert Redford nei panni di un conservatore super Wasp (alta borghesia bianca protestante), con cui prova a ricostruire la storia d'amore e da cui avrà anche un figlio, ma dal primo momento lo sai che andrà a finire male, perché troppi sarebbero i compromessi morali da accettare per abbandonarsi all'amore con il tuo opposto, che pure ti attrae.
Lo scambio di battute nella scena finale è da incorniciare: «Tu non molli mai, eh?», chiede lui.
«Solo quando ci sono proprio obbligata. Però so perdere molto bene». «Meglio di me». «Io ho fatto più pratica». Lui se ne va, lei torna a distribuire volantini contro la guerra.
Barbra la perdente, anche se si fatica a definirla così se guardiamo alla carriera di questa donna che ha vinto tutto e di più: 2 Oscar (con questi due film), 5 Emmy, 10 Grammy, 11 Golden Globe, 1 Tony Award, insomma tutti i più alti riconoscimenti nella musica, nel cinema e nel teatro. Più di 50 album, 30 dischi di platino, oltre 370 milioni di dollari guadagnati in una carriera che dura da oltre 60 anni, filantropa e attivista per i diritti civili.
Barbra l'ebrea dal nasone e dalla lingua tagliente, nei panni di personaggi femminili che sono alieni alle altre donne e non si capisce mai bene se sia l'identità ebraica a fare la differenza e a renderli così estranei. Barbra l'eroina alla rovescia, Barbra che non rinuncia alla lotta, per ottenere ciò che merita, ma che raramente ne esce vittoriosa.
Le bombe sexy degli schermi della sua generazione morivano di amore romantico e/o tragico oppure si sposavano con il principe azzurro. I personaggi di Barbra vengono lasciati spesso da uomini spaventati dalla sua intensità o dal suo carattere o dalla sua fermezza morale, o vengono traditi. Ma che sollievo vedere che queste donne imperfette, anche insopportabili certe volte, sopravvivono lo stesso e non si strappano i capelli se non arriva il vissero tutti felici e contenti.
Da corriere.it il 17 Dicembre 2022
Ormai per la notorietà si è disposti a tutto. E arrivare secondi a X Factor evidentemente non basta. Beatrice Quinta, una delle cantanti più note dell’ultima edizione del talent, che aveva colpito il pubblico per le canzoni, lo stile e il modo di stare sul palco, ha pubblicato un video hot venerdì pomeriggio. Sulla sua pagina social c’è appunto una clip - che in poco meno di un’ora ha già oltre 50mila visualizzazioni - con un estratto della sua canzone “Se$$o”, presentata proprio al talent di Sky.
Nel video si vede la Quinta con un paio di stivali azzurri fino al ginocchio, occhiali da sole neri e una pelliccia fucsia con il colletto nero. La cantautrice cammina, a Milano, sul binario della metropolitana gialla e quando arriva il treno si volta verso la telecamera, apre la pelliccia e la lascia cadere a terra. Restando, inevitabilmente, nuda, anche se il video è pixelato. «Io che prendo la metro e vengo da te» si legge come didascalia (che poi è anche un verso della canzone).
La cantante siciliana è seguita su Instagram da oltre 100.000 followers. Sui social sono arrivate anche molte battute sulla possibile reazione di Rkomi, che durante il programma aveva manifestato il suo interesse nei confronti della cantante.
Una volta finito il talent, la seconda classificata è stata interpellata sulla possibilità di vederla al fianco di Rkomi e ha risposto così: “Non credo proprio. In questo momento sono troppo concentrata su X Factor e sul prossimo futuro. Sono stata sempre una donna che ha seguito gli uomini, in questo momento della mia vita vorrei, invece, curarmi di me e in particolare che il focus mio e del pubblico sia sulla mia musica. Sento il bisogno, francamente, di essere seguita in quanto Beatrice ed artista e non perché Rkomi mi vuole sc**are“.
Leonetta Bentivoglio per “il Venerdì di Repubblica” l'11 luglio 2022.
Buone notizie, ogni tanto: la 29enne leccese Beatrice Rana è oggi una pianista osannata ovunque. È come una fresca bandiera della cultura italiana nel mondo. Questa ragazza snella e intensamente bruna, che sorride con solarità magnetica, corre nel successo a una velocità formidabile. Arduo non divenire vanitosi o supponenti se si è applauditi fin dall'infanzia.
Figlia di due pianisti, Beatrice affrontava lo strumento con una speciale disinvoltura già a tre anni. Eppure, malgrado la sua storia, è sbocciata nell'età adulta come una donna equilibrata e generosa.
Intanto si moltiplicavano le conferme del suo talento d'eccezione. Poco prima dell'esame di maturità vinse il concorso pianistico di Montréal e nel 2013 ottenne il secondo posto nell'ottimo concorso nordamericano creato dal pianista Van Cliburn. Da allora l'astro nascente vola nei cieli delle star. Quando suona cattura le platee con la sua ineffabile compostezza. Sembra immune dall'ansia.
Controlla la tastiera con un piglio sovrano. È una regina che possiede il dono della calma. Filtra in una spontaneità apparente un patrimonio tecnico impressionante. Entra nei sentimenti della musica come se fosse libera da tutto.
Benché acclamata nelle migliori sale del pianeta, Rana non dimentica il suo luogo d'origine, «a cui mi sento legatissima», riferisce durante il nostro incontro. «Mi piace restare ancorata alle radici e restituire qualcosa alla mia terra».
Con quest' obiettivo, sei anni fa ha inventato a Lecce e nella zona circostante il festival Classiche Forme, che tra pochi giorni, dal 17 al 23 luglio, proporrà concerti in preziosi luoghi storici pugliesi e nella campagna del Salento.
Questa densa sfilata di musica cameristica si è sviluppata nel tempo in modo sempre più significativo: «Ormai gli spettatori giungono anche dall'estero per godere di una settimana di musica incorniciata da contesti informali», spiega lei. «Intanto il pubblico locale, anche quello giovanile, si è fatto partecipe e coinvolto». L'identità del festival, dove naturalmente suonerà pure Beatrice, è data dalla costituzione di gruppi di musica da camera formati da giovani promesse e stelle consacrate.
L'edizione 2022 s' intitola Contrasti, riferendosi sia al gioco di accostamenti tra solisti di fama e nomi nuovi, sia al fatto che il cartellone, insieme al repertorio più illustre, presenta pagine rare. Risuoneranno tra masserie, frantoi, giardini, campi di ulivi e antichi chiostri.
Beatrice Rana, possiamo definire Classiche Forme un matrimonio tra arte e natura?
«Vorrebbe esserlo. La bellezza del Salento, che derivi dall'arte umana o dagli straordinari paesaggi naturali, accoglie la beltà immateriale della nostra musica.
Nei dodici appuntamenti ho cercato di modellare impaginazioni non prevedibili, che rendano ogni evento un'esperienza unica per gli interpreti e il pubblico, disegnando mappe di percorsi eterogenei per tonalità, stili, forme e organici. L'intento è quello di suscitare ogni volta curiosità e coinvolgimento emotivo».
Pezzi sconosciuti vengono eseguiti accanto a brani di autori come Ciaikovskij e Shostakovich.
«È la filosofia "contrastata" che anima la rassegna. Amo prendere rischi.
Nella prima edizione, temendo che non venisse nessuno, programmai solo musiche famose.
Quel mio festival iniziale fu un azzardo e un banco di prova in un territorio non abituato a imprese del genere. Ora mi spingo anche in dimensioni musicali ignote o trascurate e vivo queste indagini come estensioni del mio essere pianista».
Si è sentita sempre profondamente salentina?
«Ho capito di esserlo quando sono stata invasa dalla nostalgia. Prima cercavo la fuga. Dopo aver studiato in Puglia, a Monopoli, con Benedetto Lupo, andai in Germania, nel Conservatorio di Hannover.
Furono quattro anni fondamentali. Però in quella fase mi resi conto fino a che punto mi mancava la mia regione con il suo clima, il suo cibo, il suo mare, i suoi colori Quando Lupo divenne docente nei corsi di perfezionamento a Santa Cecilia, fui ben felice di tornare in Italia per proseguire gli studi guidata da lui. Hannover era grigia, squadrata. A Roma trovai un'esplosione di sole e di cose stupende da vedere. Ho scelto di abitarci, prendendo casa nel quartiere Prati. E appena posso vado a rigenerarmi in Puglia».
Applica il suo talento organizzativo pure alla sua carriera?
«Ho 80 o 90 concerti fissati ogni anno, sempre con molto anticipo. So già gli impegni del prossimo triennio. La tabella di marcia dev' essere strutturata e rigorosa. Sono io a decidere i miei appuntamenti e mi consulto soltanto con poche persone: la mia famiglia, il mio maestro Benedetto Lupo, il mio compagno Massimo Spada, che è un pianista. Mi ero ripromessa: con un pianista mai! E invece».
Dove brilla in questo periodo Beatrice Rana, oltre che nel festival leccese?
«Ho appena finito di registrare un disco dedicato a Bach e a giugno ho fatto una bella tourneé negli Stati Uniti, dove tra l'altro ho debuttato con la New York Philharmonic. In questo mese di luglio, a Baden-Baden, prima di andare a Lecce per Classiche Forme, suono pezzi sia di Robert Schumann che di sua moglie Clara.
Riproporrò un progetto sugli Schumann a Roma nell'arco della prossima stagione concertistica di Santa Cecilia, dove nel 2022-2023 sarò "artista in residenza" e collaborerò con i direttori Antonio Pappano e Jakub Hrua.
Mi sto immergendo nella lettura degli scritti di Clara, che confessava di temere di non essere accettata come compositrice in quanto donna. Fu un'autrice meravigliosa e merita un ampio riconoscimento».
Beatrice Rana: «Le donne nella musica classica? La battaglia è solo all’inizio». Emanuele Coen su L'Espresso il 25 Maggio 2022.
La prevalenza maschile di compositori e direttori d’orchestra («Spesso mi definiscono “bella e brava”: a un uomo non potrebbe succedere»). La tournée negli Usa («Suonerò i grandi russi, sul palco la guerra non esiste»). Il festival "Classiche Forme” e il legame con la sua terra. Colloquio a tutto campo con la grande pianista salentina.
La sua terrazza è un lembo di Salento nel quartiere Prati, a Roma. Sul pavimento le “chianche”, le lastre di pietra leccese che brillano al sole, tutto intorno vasi di piante grasse, a terra le “fiasche”, i tipici bottiglioni verdi. «Le ho ereditate dai miei nonni, facevano il vino», dice Beatrice Rana, orgogliosa della sua terra. Tra una tournée e l’altra, infatti, la grande pianista leccese, 29 anni e un bel numero di premi, ritaglia uno spazio per “Classiche Forme” (17-23 luglio, sesta edizione), il festival internazionale di musica da camera da lei ideato per musicare i luoghi d’arte e le campagne del Salento tra memorie d’infanzia, cultura contadina ed eccellenze storiche. Attorno a sé raduna amici provenienti da ogni parte del mondo, talenti e star affermate, che si esibiscono in luoghi non convenzionali: antichi chiostri, masserie, abbazie, biblioteche. Da qui comincia la nostra chiacchierata, in cui la concertista riflette sulle questioni di genere, sul ruolo della donna nel mondo della musica e nella società, sui compositori russi e la guerra.
Beatrice Rana, con quale spirito nasce il festival “Classiche Forme”?
«Quest’anno si intitola “Contrasti”, in ragione dell’apparente contrasto tra i luoghi che musichiamo e i repertori che presentiamo. Di solito la musica classica trova spazio sui grandi palcoscenici, in “ClassicheForme” invece i concerti si svolgono nei luoghi iconici del Salento più autentico. Il festival è nato in un frantoio ipogeo, poi l’abbiamo portato nelle masserie, in un chiostro, in campo aperto tra gli ulivi. È un modo per coniugare le mie due grandi passioni: la musica, ovvero la mia professione, e la mia terra, il Salento, dove ho vissuto fino a diciotto anni prima di trasferirmi in Germania».
Si sente legata al Salento?
«Paradossalmente ho imparato ad amare di più la mia terra quando me ne sono andata. La musica mi ha portato in giro per il mondo, amo tantissimo viaggiare, ma oggi sono davvero riconoscente nei confronti del Salento».
È cresciuta insieme a sua sorella Ludovica, anche lei musicista, violoncellista. Che rapporto avete?
«Un rapporto molto viscerale, di solidarietà e sorellanza in senso stretto come si direbbe oggi. Siamo sempre state compagne di avventura, fin da piccole, e la musica ci ha unite ulteriormente, suoniamo spesso insieme e siamo l’una la migliore amica dell’altra. E anche la peggiore nemica se c’è qualcosa che non condividiamo: ce ne diciamo di tutti i colori finché non troviamo un accordo».
Lei è nata in un paesino, Arnesano. E oggi è una donna di successo. La sua storia sfata molti luoghi comuni.
«Quando si parla di Sud tutti immaginano una società patriarcale e maschilista, ma chi conosce meglio il Salento e la Puglia sa che la nostra società è profondamente matriarcale. Penso alla mia famiglia, a modi di dire come: “Vado a casa di mia madre” anche se si va da entrambi i genitori. Non so in quale maniera, consapevole o meno, questo aspetto abbia influito sulla mia vita. Certo, mi ha aiutato il fatto di avere dalla mia parte due genitori musicisti, che non hanno mai posto limiti alla mia immaginazione. Detto questo, sono felice di essere una donna del terzo millennio: cinquant’anni fa per una ragazza come me sarebbe stato impensabile fare la pianista».
La storia della musica classica è stata scritta dagli uomini: compositori, interpreti e direttori d’orchestra. Per quale motivo?
«In realtà le compositrici sono sempre esistite, ma non potevano pubblicare musica con il proprio nome. Mi viene in mente Fanny Mendelssohn, una donna meravigliosa, sorella del famoso compositore tedesco Felix Mendelssohn. Lei pubblicava i propri lavori con il nome del fratello, un po’ come Emily Brontë. Oppure un tempo le compositrici usavano degli pseudonimi. Per quanto riguarda i direttori d'orchestra, invece, credo che il motivo del ritardo sia culturale. La figura di leader, capo dell'orchestra, è sempre stata maschile, legata all’idea di comando».
Oggi la situazione è cambiata?
«C’è ancora molto da fare, la battaglia non è ancora finita. Penso alle recensioni in cui mi definiscono “bella e brava”: gli verrebbe mai in mente di descrivere un interprete maschile “bello e bravo”?»
È favorevole alle quote rosa?
«Da donna mi sento offesa quando sento parlare di quote rosa: credo che una persona debba raggiungere posizioni di rilievo per merito, non per legge. Tuttavia, mi rendo conto che questo argomento serve a scuotere le coscienze, la sensibilità dell’opinione pubblica. In futuro riusciremo a trovare un equilibrio di buon senso, perché una cosa è certa: uomini e donne devono avere le stesse le stesse opportunità».
Già da qualche tempo, tuttavia, le soliste hanno molto spazio. È una moda?
«La mancanza di equità infatti non riguarda le strumentiste, ma compositrici e direttrici d'orchestra. Nel mio piccolo, sono reduce da una tournée in Germania in cui ho suonato il concerto di Clara Schumann, donna favolosa dell'Ottocento, piena di talento, che scrisse questo concerto all’età di 14 anni. Arrivata alla maggiore età si sposò e accantonò la sua attività. “Scrivere musica non è compito di noi donne. Come faccio a pretendere una cosa del genere?”, disse».
Come si può invertire la rotta?
«Quando ho iniziato a fare i primi concorsi pianistici avevo otto o dieci anni. A vincere erano sempre la bambine: diligenti, brillanti, brave. Ma crescendo il loro numero si riduceva drasticamente. Ancora oggi all’età di vent’anni la proporzione è del tutto a favore dei maschi. E non è un problema solo italiano».
Perché accade?
«Non riesco a dare una spiegazione precisa. Forse la disillusione perché non esistono tante figure femminili di riferimento: oggi le pianiste, tanto per fare un esempio, rappresentano solo il 10 per cento del totale».
Nel mondo della musica è in corso una guerra di genere?
«Forse è un po’ esagerato definirla così. Il caso di Clara Schumann, tuttavia, dimostra che anche nel mondo della musica si avverte la necessità di un cambiamento culturale. Oggi c'è maggiore consapevolezza della questione di genere delle programmazioni artistiche, anche se molto resta da fare. L'altro giorno su Twitter ho visto la classifica del numero di lavori femminili programmati dalle orchestre americane, ancora il divario è fortissimo».
A proposito, nelle prossime settimane attraverserà gli Stati Uniti per una lunga tournée. Cosa si aspetta?
«Sono molto eccitata all’idea. Il pubblico americano è molto caloroso, spesso mi hanno applaudito con standing ovation. Sono già stata a marzo scorso, alla Carnegie Hall di New York, un luogo straordinario. Per la prima volta ho suonato nella sala grande, incredibile pensare che lì siano passati tutti, da Vladimir Horowitz a Miles Davis».
In America eseguirà esclusivamente brani di due autori russi: Petr Ilic Cajkovskij e Sergej Rachmaninov. Non ha pensato di modificare il programma dopo lo scoppio della guerra in Ucraina?
«Assolutamente no. I veri crimini di guerra, secondo me, consistono nel fare vittime ingiustificate, e oscurare i compositori russi significherebbe fare una vittima ingiustificata. La musica russa è straordinaria, fondamentale, e nel festival “ClassicheForme” ospiteremo anche un duo di musicisti ucraini. Il palcoscenico è un luogo pacifico, magico, in cui le bassezze umane non esistono».
Cosimo Curatola per mowmag.com il 29 maggio 2022.
Beatrice Segreti, in arte Bea Secrets: 25 anni, un profilo OnlyFans e decine di interventi a La Zanzara. Su Instagram si fa vedere sempre coperta da una maschera di pizzo, racconta che ha venduto una bustina di pipì a 120 euro, che non bacia gli altri uomini con cui va a letto assieme al marito.
E che spesso, nelle sue fantasie, preferisce non raggiungere l'orgasmo. Ha venduto un video a mille dollari ma non bestemmierebbe mai per un cliente. L’abbiamo contattata per una lunga intervista in cui ha parlato di tutto, da quando vinceva le gare di nuoto sincronizzato alle prime volte in un club per scambisti.
Quando le chiediamo se ha mai pensato ad un film porno risponde “se fosse, sarebbe solo con Rocco” e, tra i volti della TV, sceglie Alberto Angela. Nella vita di tutti i giorni però, si sente una casalinga e non dà importanza al denaro. Partiamo dall’inizio.
Chi è Bea Secrets?
“Ho 25 anni, nel mio privato mi sento una casalinga. Ho mio marito e una casa che mi piace curare. Sono stata istruita un po’ come mamma casalinga, apprezzo tantissimo lo stare a casa.
Sai, sono stata costretta nel mio paese per un periodo molto lungo della mia vita e finalmente, all’età di 18 anni, sono riuscita a riprendermi un po’ la mia indipendenza. Sotto un certo punto di vista ho sofferto l’adolescenza. Anche se la mia famiglia non mi ha mai fatto mancare nulla volevo scoprire il mondo, sono molto curiosa”.
Come è iniziato tutto? La tua voglia di farti vedere, OnlyFans: come è successo?
“Sono un’esibizionista di natura, da quando sono piccola mi piace mostrarmi. Da piccola facevo nuoto sincronizzato, sono stata anche una campionessa e mi è sempre piaciuta un po’ di competizione. Adesso nel mio lavoro non c’è, ma mostrarmi è rimasto...
E nel tempo è diventato più sessuale, fisico. Alle medie ho avuto un periodo in cui mi sentivo molto maschiaccio, ero anche leggermente sovrappeso. Quando mi sono ripresa ho detto va bene, adesso voglio essere considerata. Anche perché le cose belle nella vita vanno godute, giusto?”.
Giusto.
“Prima di Alex (il marito, ndr.) era divertimento, sesso ed esibizionismo, tutto però più adolescenziale: ti metti la minigonna, lo spacco quando esci in discoteca, cose che fanno un po’ tutti. Con Alex è stato diverso, abbiamo 18 anni di differenza e quando ci siamo conosciuti ero molto giovane.
Lui è stato bravissimo, voleva stare un po’ al passo di questa ragazza calorosa e ha iniziato a fotografarmi. Da lì abbiamo capito che avevamo scatti bellissimi, così abbiamo iniziato a pubblicare le foto in piattaforme che consentivano il nudo. Inizialmente è stato artistico, poi con la richiesta dei fan è diventato un nudo più esplicito.
La gente ha iniziato a seguire, a chiedere: a quel punto è nato un gioco di coppia in cui abbiamo cominciato a mostrarci un po’ anche fuori dal nostro ambiente privato. Stuzzicare al ristorante, al bar, cose così... tutto molto naturale comunque”.
Che periodo era?
“Parliamo del 2018, 2019”.
Il tuo lavoro oggi cos’è? Lavori sulla base di quello che ti chiedono i fan, seguite una scaletta, ti lasci ispirare?
“Soprattutto l’ultima, mi faccio ispirare dalle situazioni. Magari ci eccita l’idea di fare una sega o un pompino a uno sconosciuto - tipo che passiamo in macchina e gli chiediamo se vuole salire - e se ci piace cerchiamo di renderlo un prodotto, anche se OnlyFans certe cose non le consente. Comunque non lo facciamo ogni giorno, a volte diventa lavoro e altre volte sono cose che ci teniamo solamente per noi. È giusto anche suddividere le due cose”.
La prima volta che sei andata in un locale per scambisti? Come è stato?
“Posso dire di aver fatto parecchie esperienze, all’inizio ero molto curiosa. Si tratta un po’ del mio habitat, lì sono tutti un po’ esibizionisti e si fanno vedere, ci si stuzzica. Col tempo però mi sono resa conto che per me è tutto troppo scontato e superficiale, il gioco in questi locali si limita solamente a quello che vedi.
Per me invece è importante la mente, la situazione inaspettata, il non programmare nulla, la trasgressione con una persona che non se l'aspetta: non è eccitante vedere un uomo che mi guarda con l’uccello in mano come succede spesso nei club scambisti. Finché non mi stuzzichi la testa... il corpo viene dopo. Anche perché io non vado a guardare il corpo, ho anche gusti abbastanza particolari".
Per esempio?
“Mi piacciono gli uomini maturi, dai quaranta in sù. Non è per il numero, è il modo di fare, il fascino, è una cosa che si sente e si vede. E soprattutto pretendo di essere trattata come una donna, non come carne da macello. E pretendo anche di essere essere scopata bene, non da film porno.
Quello spesso è un riferimento per i ragazzi più giovani, a volte pensano che basta trivellare una donna per dare piacere. A me piace farlo in maniera passionale, mentale, usando tutti i cinque sensi e tutti i piaceri che le varie parti del corpo possono dare.
La parte più bella è proprio quella iniziale, del flirt, del desiderio… e pensare a cosa succederà di lì a poco. Questo mi fa impazzire. Ma se lo pretendo è perché io, in primis, mi sento di dare tutto al mio partner. Per me fare un pompino è una delle cose più eccitanti e piacevoli al mondo, perché il piacere dell’uomo a cui lo faccio (o degli uomini) diventa il mio piacere.
Non lo faccio tanto per fare, mi sento molto geisha in questo. Se parliamo di estetica invece mi piacciono quelli grossi e abbastanza alti, barba e capelli brizzolati mi fanno impazzire... Ma in realtà mi piacciono anche quelli calvi. Apprezzo molto il tipo curato, poi però puoi essere come vuoi: parti sempre dalla mente e dall’eleganza, smettiamola di dire che l'abito non fa il monaco. Se un uomo si veste bene e tiene al proprio aspetto, naturalmente per me è più attraente perché prima di tutto bisogna trattare bene sé stessi”.
L’amore secondo Beatrice Segreti?
“Allora, non è che quando ci si mette assieme, o ci si sposa, bisogna lasciarsi andare. No, ogni giorno è un impegno, i giochi che facciamo io e Alex sono anche uno dei modi più efficaci per mantenere la relazione interessante. Noi esseri umani siamo condannati ad annoiarci e io sono una che si annoia molto.
Se fossi più fisica che mentale probabilmente scoperei ogni giorno e mi annoierei. Invece no, molto spesso quando mettiamo in pratica una di queste fantasie decido di non venire. Perché così rimane una grande eccitazione, un desiderio che riesco ad usare per avere ancora più voglia di fare, di creare. L'orgasmo, nonostante tutto, in un certo senso spezza questo stato di grazia. Non deve diventare lo scopo di tutto. Se si impara questo piccolo autocontrollo, dopo ci si gode ancora di più".
La richiesta più folle di un cliente?
“Di richieste ne ho avute tante, non voglio dire assurde perché nella sfera sessuale tutto è molto soggettivo. Tempo fa un cliente mi ha chiesto di fare la gattina: mi sono vestita da gatta, ho messo un plug con la coda e una ciotola di latte per terra.
Dovevo fare la gattina, girare attorno alla ciotola e leccare il latte. Mentre facevo questo mi masturbavo. Inizialmente è stato strano, poi eccitante. Mi sono sentita animale, a tratti impotente”.
Ci sono cose però che non faresti mai.
“Il primo tabù che abbiamo come coppia, ed è fondamentale, è niente baci in bocca con altri uomini. Questo gesto lo riserviamo a noi due, è la nostra piccola esclusiva, per ora. In futuro poi non lo so. Con donne sì, assolutamente. Poi le cose troppo aggressive, come i dildo grossi nel culo, quelli non mi fanno eccitare.
Di video con dildo anal ne ho fatti pochissimi e uno l’ho venduto a mille dollari. Ultimamente ne ho fatto un altro molto costoso ma con una o due dita, perché per fare anal devo essere veramente eccitata. L'anal è stupendo ma richiede il suo tempo per apprezzarlo e per goderselo fino in fondo.
Preferisco farlo nel mio intimo e semmai filmare e pubblicare. Altra cosa che mi hanno chiesto e che ho sempre rifiutato sono le bestemmie. Io sono molto credente, non religiosa ma credente. E non mi piacciono neanche le parolacce, magari ‘sono la tua puttana’, ‘ scopami come una troia’ va bene, anzi mi piace, però niente cattiveria. Faccio fatica”.
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“Di Dubai? Si, certo! (Il porta potty, ndr.) Con le mie amiche ci chiediamo quale sarebbe il prezzo per cui inizi davvero a pensarci. Secondo me si parte dal presupposto che i soldi non sono tutto. Io non prenderei 500.000 euro per baciare un altro uomo lontano da mio marito. Questa storia della cacca posso capirla per gente che lo fa per soldi, per bisogno. Però non credo lo farei mai.
Il tema qui è che chi ha tutto in realtà non ha niente. Se finisci a chiedere una cosa del genere, così schifosa ed estrema, è perché non c’è più niente che ti rende felice. Però non penso sia una gioia cagare in bocca a una tipa, poi cosa ti rimane? Ecco perché credo che i soldi non abbiano potere nella felicità”.
Ti hanno mai chiesto di spedirne?
“Sì, ma non lo farei mai. La cacca assolutamente no, è un altro mio tabù. Già il pissing, per me, è difficile da ricevere. Probabilmente lo farei nel mio intimo, con il mio partner e un altro uomo, ma devo essere molto eccitata. In video però no, non credo”.
Dici spesso ‘nel mio intimo, con il mio partner e un altro uomo’. Essere in tre è alla base del sesso per voi?
"La base siamo io e il mio partner. Da qui parte tutto. A letto io e Alex facciamo il sesso migliore possibile. Sesso appagante unito ad un amore profondissimo. Tutto il resto è qualcosa in più, che non deve diventare una necessità ma che amplifica i piaceri e l'eccitazione.
La terza persona per noi è un toy, un gioco. E magari lo sono anche io per lui. Tutto dipende dalla serenità che si crea tra di noi, se al mio compagno non piace questa persona allora è sicuramente esclusa anche per me. Quando scegliamo un terzo - che è quasi sempre un uomo - cerchiamo di creare sempre situazioni un po’ particolari”.
L’ultima volta che hai fatto sesso solo per gusto, senza le telecamere?
“Ieri sera. Ma te l'ho detto, io faccio sesso sempre per gusto, con o senza telecamere. Non cambia nulla. Altrimenti non farei quel che faccio".
E per lavoro?
"Ieri pomeriggio. Dopo pranzo ho fatto un video dove mi masturbavo per un mio fan storico. Mi è piaciuto molto, ho provato un nuovo toy. Spesso dopo aver fatto sesso con una telecamera voglio un momento solo per me e Alex, dove possiamo fare l'amore e rivivere con la fantasia quanto accaduto poco prima.
Certe esperienze te le porti dietro per settimane, anche mesi, e sono un mezzo per eccitarsi. Amo parlare mentre faccio sesso, il sesso silenzioso è come un concerto a basso volume.”
Quanto guadagni in un mese?
“Potrebbe essere tanto per alcuni, molto poco per altri. Comunque siamo attorno ai 30.000 dollari al mese, dai quali bisogna togliere la percentuale di OnlyFans, le tasse e altre spese".
OnlyFans è molto competitivo, però sei riuscita ad emergere. Secondo te perché?
“Tutti partono dal presupposto che con OnlyFans si facciano i soldi facilmente e che tutte le ragazze guadagnino cifre da capogiro. Non è vero, niente di più sbagliato: è un messaggio fuorviante, anche e soprattutto per le ragazze che, leggendo queste cose, si illudono che mostrare le tette o il culo, per quanto bello sia, farà loro guadagnare.
In realtà le performer come me e altre ragazze in Italia sono pochissime. Su OnlyFans il 99% delle ragazze (una percentuale che non dico a caso, è proprio quella reale) possono guadagnare 100, 500, massimo mille dollari al mese, e comunque con parecchio lavoro. Poi c'è il rimanente 1% che arriva a 20, 50, 150 mila dollari.
Le ragazze di questo 1%, in Italia, sono una trentina. In tutto il mondo le cosiddette 'Top 1%' sono qualche migliaio e io in questo momento sono nella 'Top 0,3%'. È un po' come fare lo scrittore: chi sfonda fa tanti soldi, chi non ci riesce rimane nella sua cerchia. Le percentuali sono così in ogni mestiere.
Quanti tennisti o calciatori ricchi e famosi ci sono rispetto a chi gioca a tennis o a calcio occasionalmente? Probabilmente lo 0,1%. Ecco, OnlyFans è uguale. C’è chi vende un quadro a 50 euro e chi invece a 50 mila euro. Potrei fare mille esempi”.
Chiarissimo.
“E comunque c’è una montagna di lavoro dietro, non basta un corpo bello o un video in cui lo metti dentro per bene. Questa è un’illusione, come quella di fare tanti soldi mostrando poco. Ci vuole coraggio per fare quel che faccio.
E chi dice che è un lavoro facile, perché non ci prova? Poi tra un anno ne riparliamo. Io posso dire che mi è andata bene perché non lo faccio per guadagno ma per divertimento. E la gente lo capisce, anche dietro a uno schermo, se lo stai facendo per piacere o per soldi. La chiave è il divertimento, ma anche l'eccitazione”.
Lo faresti un film con Rocco Siffredi?
“Non so neanche se riuscirei a bagnarmi sul set, io mi sento una ragazza normale. Con Rocco però sarebbe diverso, è una curiosità che ho verso di lui. E non intendo un qualsiasi porno attore famoso, perché ho avuto tante richieste e ho sempre detto di no.
Rocco dà l’idea di uno che sa proprio farci con una donna, che sa come prenderla, emana un calore molto selvaggio. E non è un ragazzino, sa come comportarsi. Credo mi scoperebbe molto bene”.
Ti senti femminista?
“Lo dici perché ho i peli sotto le ascelle? Ora sto sudando come una vacca per questi peli, ma non ho bisogno di farlo per emanciparmi dalla società: a me non frega un cazzo di nessuno. E non ho neanche bisogno di sbatterti in faccia che mi sento obbligata, lo faccio perché per me è sexy, mi piace. A volte le spiegazioni di certe scelte sono molto più banali di quanto si pensi. Ho molti iscritti che mi chiedono di vedere un po' di pelo. Poi magari tra una settimana lo tolgo completamente".
Ok, chiudiamo coi titoli. Ti dico una professione, tu rispondi col nome di quello che ti porteresti a letto più volentieri. Partiamo con il politico.
“Ah, d’accordo. Come politico dico Luca Zaia, per il suo carisma e determinazione. È uno dei pochi politici che mi ispira fiducia, non per il partito di cui fa parte che non mi interessa ma perché dà l'impressione di pensare prima ai cittadini e poi alle apparizioni in tv e a tutto quello che non dovrebbe essere un politico”.
Uno sportivo?
“Marcell Jacobs. Nel mondo sportivo faccio fatica ad identificare un uomo che mi catturi particolarmente, sono tutti molto giovani. Ma Jacobs mi sembra un ragazzo molto bello e mi dà l'impressione di essere una persona semplice, genuina”.
Ok, sai che MOW è anche motorsport, quindi ti chiedo un pilota.
“Tutta la vita Alex Zanardi. Il suo spirito guerriero, la tua tenacia. E' un esempio per chiunque, anche per me”.
Un personaggio televisivo?
“Alberto Angela. Il perfetto esempio che la prima parte del corpo da scoparmi è il cervello!”.
Va bene. Un attore?
“Diego Abatantuono. Per i suoi primi film, che mi hanno sempre fatto impazzire dal ridere e per il fascino che emana oggi. Lo adoro!”.
Per ultima, una risposta scontata: un giornalista?
“Giuseppe Cruciani. E' affascinante, brillante e soprattutto dice quello che pensa senza preoccuparsi dei giudizi altrui. Adoro quando dice ‘il massimo della violenza verbale, il minimo della violenza fisica’.
E concordo totalmente con lui quando dice che la fedeltà non esiste. Nel senso, non è una condizione del corpo. È un valore che appartiene al cuore, non agli organi genitali. La fedeltà fisiologica è solo una ridicola convenzione borghese imposta da questa nostra società”.
Aldo Grasso per il "Corriere della Sera" il 27 novembre 2022.
Il rumore sottile della critica. Il maestro (desidera essere chiamata così) Beatrice Venezi, consigliere per la musica del ministero della Cultura, vorrebbe istituire un albo per la professione di critico professionista, dopo «un percorso di formazione» (o di rieducazione?). La proposta inquieta: «Oggi chiunque sia dotato di uno smartphone si erge a critico. E certe "critiche", possono esaltare o affossare la carriera di un artista. Ecco perché penso a un percorso di formazione specializzato e a un albo dei critici professionisti».
Da anni si parla di «morte della critica», del sempre minore spazio che le tocca nei media, della sua sempre più debole capacità di agire sulla cultura contemporanea, ma quello che sembra allarmare il maestro sono i giudizi sconclusionati sui social. Ma come può un «albo» porre freno alla natura stessa della Rete, dove chiunque è libero di dire la sua? E poi l’istituzione di tale albo ci ritufferebbe in periodi neri della nostra storia: torniamo alle corporazioni?
L’analisi critica può non servire a nulla, ma insegna una sola cosa: la libertà di pensiero, del come si sta al mondo da critici e non da manutengoli.
Al consigliere Venezi, grande star di spot tricologici, suggerirei di vedere il film Ratatouille, dove un vecchio topo spiega a cosa serve la critica.
Lettera del M° Beatrice Venezi al "Corriere della Sera" il 2 dicembre 2022.
Esimio Dott. Grasso, è evidente che con la mia proposta abbia toccato un Suo nervo scoperto. La Sua irritazione si evince dalla Sua reazione scomposta e da alcune definizioni ignobili e offensive da Lei utilizzate, quale ad esempio «manutengoli», termine che Le chiedo pubblicamente di esplicitare in considerazione della gravità dello stesso.
Manutengoli di chi, per l'esattezza?
Su una cosa ha ragione: la critica è morta, e proprio da questa riflessione nasce la mia proposta. Per quanto Lei cerchi di strumentalizzarla, le mie parole sono chiare: ridare valore alla critica di qualità attraverso persone qualificate e competenti che possano trovare il giusto spazio nei quotidiani e nelle riviste specializzate. Una critica competente, avulsa da rapporti di forza o di convenienza e supportata da una congrua formazione. Nelle mie parole, per quanto Lei si sforzi di mistificarle, non può trovare traccia di alcuna volontà di censura; ognuno è e sempre sarà libero di scrivere le proprie opinioni sui social, su un blog o altro, ma ritengo sia giusto ridare dignità alla figura del critico musicale o artistico, così come avviene nella stragrande maggioranza dei Paesi che frequento per lavoro in Europa e al di fuori.
Lei, dall'alto della Sua posizione di barone del giornalismo italiano, cerca di sminuire e ridicolizzare il mio valore e la mia carriera addirittura con frasi sessiste (citazione tricologica); ma noi giovani siamo per natura irriverenti e Le rispondo che i suoi patetici tentativi di gettare discredito non mi intimoriscono, né mi feriscono, anzi, rafforzano in me la convinzione della bontà della proposta. Questo è un bell'autogol, egregio Dott. Grasso, e la prova che il livore confonde l'intelletto.
Inoltre, non ho mai avuto il piacere di vederLa ad un mio concerto, pertanto Le chiedo: su che cosa si basa la Sua critica nei miei confronti, oltre alle offese? Ed ancora, Lei in quanto critico televisivo ha anche competenze musicali nello specifico mondo della lirica e della sinfonica o recensisce solo il Grande Fratello e gli influencer? Io ho esperienza del mondo musicale al di fuori dei confini nazionali e proprio il confronto con altre realtà internazionali mi porta a fare proposte che possano aiutare il nostro Paese a migliorare lo stato dell'arte.
Quanto alla tricologia, è un'esperienza di cui vado fiera perché mi ha consentito di mantenere me stessa e i miei studi senza chiedere niente a nessuno. E anzi La ringrazio per la citazione perché il Suo intervento ha aumentato sicuramente le mie quotazioni e quelle dell'azienda.
In conclusione, forse dovrebbe informarsi meglio prima di scrivere un articolo, a meno che non confonda questo pressapochismo astioso e ridicolo con il diritto di critica che tanto si affanna a difendere.
Risposta di Aldo Grasso
Esimio maestro Beatrice Venezi, mi spiace molto che lei non abbia un amico o un'amica cui far leggere una lettera prima di inviarla a un giornale.
Forse avrebbe potuto evitare alcuni inconvenienti, come confondere l'ironia con l'astio, il diritto di critica con il discredito. La sua lettera, così violenta e «irriverente», dimostra innanzitutto che lei ha letto con superficialità il Padiglione di domenica scorsa (succede ai «giovani»), che lei non sa bene in cosa consista l'esercizio della critica, che lei confonde problemi oggettivi con insofferenze personali. Se scrivo che la libertà di pensiero insegna come si sta al mondo da critici e non da manutengoli (etimo: tenere mano) non mi riferisco a lei ma a un problema generale. Curioso poi che lei riconosca tutte le persone che vengono ai suoi concerti, non devono essere molte.
Confesso: non sono mai venuto ma l'ho vista più volte in tv, spot compresi, e non intendo certo occuparmi di critica musicale né ho mai espresso alcun giudizio sul suo lavoro. Si ritenga fortunata che non c'è più Paolo Isotta. Altrettanto, però, potrei dire di lei: non conosce che mestiere faccio, non conosce i miei libri, nemmeno quelli dedicati specificatamente al tema della critica. Un'amica o un amico l'avrebbero aiutata a evitare tanta mal posta veemenza e tanto pressapochismo, ora che ricopre una carica istituzionale.
Beatrice Venezi: «Penso a un albo per i critici musicali. Morgan? La sua visione sarà necessaria». Roberta Scorranese su Il Corriere della Sera il 21 Novembre 2022
La popolare direttrice d’orchestra è stata nominata consigliere per la musica dal ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano. «Il Fus? Servono più controlli, non deve essere utile solo a ripianare i debiti degli enti. Parlerò con Morgan, lui è prezioso»
Maestro Venezi, se lo aspettava?
«Diciamo che con il ministro Gennaro Sangiuliano ne stiamo parlando da un po’».
E da poco è arrivata l’ufficialità: lei è stata scelta come consigliere per la musica, «scavalcando» Morgan.
«Con Marco (Castoldi, in arte Morgan, ndr.) ci siamo scritti dei messaggi. Lui ha ironizzato sull’aver pianto per questa sua esclusione, ma io gli ho ribadito che la sua visione sarà necessaria nel percorso che stiamo per intraprendere, perché non c’è solo la musica classica, che è il mio ambito di lavoro, ma c’è anche altro, in cui lui può essere prezioso».
Maestro, di cose da fare ce ne saranno tante.
«Può dirlo forte. Purtroppo la pandemia ha assestato duri colpi al settore dello spettacolo e in particolare della musica, dunque prima di tutto io devo pensare alla tutela e alla valorizzazione degli artisti. Prendiamo il caso della musica: l’artista è pagato a prestazione, dunque le spese anticipate per le prove, per esempio, non sono coperte. Penso che sia da rivedere questo meccanismo, prendendo esempio da altri paesi, come la Francia, per dire, dove all’artista è riconosciuto uno status ben diverso e dunque le tutele sono maggiori».
Da dove intende cominciare?
«Per esempio da una diversa regolazione del Fus, fondo unico per lo spettacolo. Nella visione che vorrei proporre, non devono essere fondi che servono unicamente a ripagare i debiti degli enti, ma un supporto vero agli artisti. Gli scopi del Fus sono buoni, lo voglio sottolineare, ma c’è bisogno di maggiori controlli prima e dopo l’erogazione, a mio parere. E poi mi lasci dire qualcosa a proposito dell’identità».
Un tema che le è molto caro.
«Sì, perché penso che non si conosca abbastanza il nostro patrimonio culturale. Chi segue il mio lavoro sa bene che per me la divulgazione della musica e la vicinanza con le generazioni più giovani sono importanti. Penso a dei tavoli incrociati con il ministero dell’Istruzione, per esempio. E poi c’è la questione del merito. L’artista va valorizzato per quello che sa fare. E sostenuto anche economicamente».
Forse quello del merito è qualcosa che riguarda anche i critici.
«Lei tocca un altro punto che mi sta a cuore. Vedo che oggi chiunque sia dotato di uno smartphone si erge a critico. E certe “critiche”, chiamiamole così, possono esaltare o affossare la carriera di un artista. Ecco perché penso a un percorso di formazione specializzato e a un albo dei critici professionisti. Nella mia visione mi spingo oltre: non solo per la musica, ma per la critica tout court. Penso che ci sia bisogno di inquadrare meglio i ruoli».
Sembra di capire che lei voglia lavorare soprattutto sulla figura dell’artista, è così?
«Proprio così. E le dirò di più. In Italia c’è troppa esterofilia. Cantanti, musicisti, direttori d’orchestra di altri Paesi riempiono i cartelloni. Per carità, il merito è merito e con questo non voglio dire di essere contraria ad ingaggiare professionisti non italiani. Ma penso che ci sia bisogno di sostenere anche i nostri. Non solo in Italia, ma anche quando si espongono all’estero, in contesti internazionali».
Infine, un dettaglio sulla qualifica: lei ha insistito per essere chiamata Maestro e non Maestra, dicendo che «Maestro» è un titolo accademico preciso. Ora, «Consigliere» non è un titolo accademico: chiederà di essere chiamata «Consigliera»?
«Io preferirei essere chiamata “Consigliere per la musica”. Ma se a qualcuno scappa il femminile non ne farò una questione di principio, mettiamola così».
Da repubblica.it. il 30 Agosto 2022.
“Mi vergognerei se avessi una madre come la Cirinnà, che pubblica la foto ‘Dio, Patria e famiglia, che vita di m…’, che invece sono proprio i miei valori”. Beatrice Venezi, giovanissima e popolare direttrice d’orchestra, o meglio, “direttore”, come ha ribadito più volte che vuole essere chiamata, fa suo il motto “Dio, patria, famiglia”, coniato dall’ex segretario del Partito Nazionale Fascista, Giovanni Giurati. Il padre di Venezi, come ha più volte ricordato la figlia, è un dirigente di Forza Nuova.
E lo fa chiamando in causa Monica Cirinnà, dirigente del Pd e candidata al Senato in uno dei collegi romani. Venezi fa riferimento a un cartello contro il motto fascista portato dalla senatrice in piazza in durante una delle tante mobilitazioni femministe organizzate in occasione dell’8 marzo 2019 e che non mancò di scatenare polemiche.
La frase, pronunciata da Venezi durante un’intervista, è stata poi ripresa da Fratelli d’Italia che l’ha fatta sua usandola per una card pubblicata sui social.
Puntuale, e sempre via social, arriva anche la risposta di Cirinnà: “Ringrazio la direttrice (anzi il direttore, non vorrei si offendesse!) Beatrice Venezi e Fratelli d’Italia per avere ricordato che loro si rifanno agli stereotipi patriarcali del ventennio e noi, invece, no”.
Venezi è finita in questi giorni sotto i riflettori della campagna elettorale: prima il suo nome è comparso nel toto-candidati di Fratelli d’Italia, (candidatura rifiutata per non togliere tempo al suo lavoro), poi per aver ottenuto il ruolo di direttrice artistica della Fondazione Taormina Arte, facendo scoppiare un caso diplomatico con il sindaco della città Mario Bolognari, all’oscuro alla nomina.
Beatrice Venezi: «La destra riconosce il valore della cultura musicale per il Paese. La sinistra no». Concerti in tutto il mondo, libri e un album dedicato alle eroine dimenticate della tradizione lirica. E poi la politica e la leadership. Dialogo a tutto campo con l’artista e direttore d’orchestra. «Rivendico il diritto di non allinearmi». Sabina Minardi su L'Espresso il 27 giugno 2022.
“Fortissima” hanno titolato le Éditions Payot la traduzione francese del suo ultimo libro, “Le sorelle di Mozart”. Folgorante attributo di un’intensità che scavalla musica e partiture. E descrive un modo di muoversi, nella vita e nel lavoro: a 32 anni, Beatrice Venezi, nata a Lucca, direttore d’orchestra tanto più fedele alla tradizionale nomenclatura maschile quanto più numerose le reazioni provocate, si muove rapidissima da un’apparizione televisiva a un palcoscenico internazionale, da uno spot a Spotify, da un memoir a un nuovo album, dal red carpet di Cannes al palco allestito davanti a Buckingham Palace per celebrare la regina Elisabetta II. E con un piglio da numero uno esercitato nello spietato microcosmo che è un’orchestra, tira dritto: sulle diatribe sessiste e sull’essere diventata un emblema accattivante della destra al potere. Rivendicando un’immagine glamour e una vivace presenza sui social. «È stato un anno davvero intenso, di soddisfazioni. Ma soprattutto di grandi prospettive. Sono fatta così: non riesco a crogiolarmi in ciò che vivo, continuo a guardare avanti, a ciò che deve essere fatto».
Il coraggio, la resilienza, la tenacia, la forza di volontà. Con “Heroines”, il suo ultimo album, ha compiuto un viaggio tra le eroine della tradizione lirica e tra esempi diversi di femminilità. Quale di queste qualità le appartiene di più?
«Un po’ tutte. Nell’album, ma anche nel mio ultimo libro, “Le sorelle di Mozart”, che parla di compositrici dimenticate, volevo rendere omaggio a donne che hanno avuto un ruolo specifico e forte nella musica. Un modo per contribuire a un cambio di narrazione della storia femminile. Si parla sempre di eccezioni alla regola, invece di storie di successo di donne ce ne sono tante non sufficientemente raccontate. È importante portarle alla luce, perché possono creare una nuova consapevolezza, soprattutto tra le più giovani, del nostro valore nella storia».
Giovanna D’Arco, Isotta, Evita, la Regina di Saba... C’è, tra queste figure, una che sente più “sorella”?
«Forse Ildegarda di Bingen, perché ribalta l’idea del Medioevo come periodo oscuro e di grandi privazioni. Dimostra, al contrario, di essere una donna liberissima, nella composizione, nel pensiero, nel parlare in pubblico, nell’essere consigliere di Federico Barbarossa e nel redarguirlo addirittura: la sua è una storia estremamente moderna. Un’altra figura che ho sentito vicina è quella di una compositrice francese, Louise Farrenc, che nell’Ottocento lottò per la parità salariale, e la ottenne. E poi ci sono le eroine dell’opera, che mi fanno sempre riflettere. La prima di tutte è Lady Macbeth di Shostakovich, vessata, umiliata, molestata per tutta la vita, che a un certo punto decide di conquistare la sua libertà. E lo fa attraverso l’omicidio, ben consapevole della reazione a catena che potrà scatenare, ma abbracciando lo stesso la sua scelta, nel modo più amorale possibile. O immorale: interessante la nuance dell’italiano, no?».
Sprovvisto di morale. O apertamente contro…
«Ecco: io ho sospeso il giudizio morale rispetto a queste eroine. Le donne sono sempre le prime a essere giudicate sotto il profilo morale, e a giudicarsi tra di loro. Io, sia che si parli di Giovanna D’Arco, eroina per eccellenza, che di Evita Perón che lotta per il suffragio universale, di Lady Macbeth o di Medea che uccide i figli, ho sospeso il giudizio. E evidenziato i tratti comuni: la determinazione, il coraggio, la forza di uscire dal coro. Anche quando sanno perfettamente a quali conseguenze porteranno le loro azioni, queste donne hanno il coraggio di andare avanti».
Oggi è una donna di successo. È più contenta per sé o per ciò che questo successo può rappresentare per altri giovani artisti?
«In questo momento ho la possibilità di rappresentare tante cose di cui sono fiera: prima di tutto, l’italianità in contesti internazionali. Ma rivendico anche l’essere contro il sistema, l’accademia, contro quell’atteggiamento elitario che cerca di tenere fuori le novità. Detta in parole povere: io non vengo da una famiglia di musicisti, cosa che spesso succede nel mio ambiente, pieno di “figli di”. E non discendo neppure da quei grandi direttori d’orchestra che considerano i propri allievi come loro filiazione, una forma di emanazione del loro potere. C’è in me il desiderio di rappresentare tutte quelle persone che decidono di uscire dal coro. Da ribelle quale sono, rivendico il diritto di non allinearmi».
Ribelle. E con una precisa idea di leadership: l’ho sentita intervenire più volte sull’argomento.
«È vero, spesso vengo chiamata nelle aziende per parlare di questa tematica. Mi piace diffondere l’idea di una leadership più partecipativa, più coinvolgente, che tributi il giusto riconoscimento alle persone. Credo che promuovere questo tipo di cultura stia diventando un’urgenza. Anche perché, se ci pensiamo, l’unica cosa che una persona vuole nella vita è essere riconosciuta per il proprio valore. Nel nostro Paese si fa ancora fatica».
Per raggiungere riconoscibilità e successo, serve un’appartenenza politica? Glielo chiedo perché lei ha diretto l’orchestra dei Virtuosi italiani al Concerto del Primo maggio di Fratelli d’Italia. Alla Conferenza è intervenuta con un appassionato discorso, dicendo che non si sente rappresentata da uno Stato che consente discriminazioni sul lavoro, sulla base del genere, della propria opinione e della simpatia politica. È una donna di destra? E quanto conta?
«Credo che sia necessario distinguere tra schierarsi dal punto di vista partitico e schierarsi contro un sistema. L’essere stata presente alla convention è stato un impegno personale e professionale. Il fatto che venisse finalmente richiesta la musica classica, la grande tradizione del nostro Paese, all’interno di un concerto del Primo Maggio, mi ha dato un senso di liberazione: finalmente qualcuno si rendeva conto, in un contesto politico importante, di quella che è la nostra radice culturale. Perché quello che non si vede in questi anni è proprio questo: considerare la cultura come valore fondante di un Paese. Trovare una parte politica che riconosce ciò è raro. E personalmente è una cosa che apprezzo molto».
Come apprezza Giorgia Meloni: più volte le ha apertamente espresso la sua stima.
«Sì. Ho molta stima di Giorgia Meloni, come donna, prima di tutto. Una donna del genere nel nostro panorama politico italiano, e non solo, non l’abbiamo ancora vista, sinceramente. Queste sono considerazioni personali che faccio, più che una vera e propria appartenenza a uno schieramento politico. Apro le braccia a una parte politica che finalmente riconosce l’importanza della cultura e della nostra tradizione come valore fondante di un Paese. Ed è la prima volta che lo vedo».
A sinistra non ha trovato la stessa apertura?
«Assolutamente no. E ricordo anche che, durante il lockdown, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto che gli artisti sono quelli che ci fanno tanto divertire. Se noi siamo questo, vuol dire che alla cultura e all’intrattenimento culturale non è riconosciuto alcun valore fondante e decisivo per il Paese. Questo almeno è ciò che viene è percepito. Ed è una percezione sempre diffusa nel mio ambiente. Che pure, notoriamente, sta da un’altra parte. Ma proprio quella parte politica che negli ultimi venti-trenta anni doveva essere di supporto alla cultura è stata la prima a utilizzarla per mantenere dei baluardi di potere. E basta».
La politica la tenta?
«No, al momento no. Mi piace l’idea della politica come l’origine della parola suggerisce, come cura del bene comune. Mi piace lavorare nella cultura. Adesso, per esempio, ho lanciato un progetto di educazione musicale con De Agostini Scuola per le scuole medie, per proporre un’educazione all’ascolto, cioè un’educazione alla scoperta del nostro patrimonio culturale e musicale. Credo in questo tipo di azioni politiche».
E con i social che rapporto ha?
«I social sono un modo per comunicare in modo diretto con un pubblico con il quale è necessario recuperare un rapporto, a maggior ragione dopo il Covid. E mentre è difficile riportare le persone a teatro, mi fregio del fatto che quasi tutti i miei concerti sono sold out. E c’è un motivo: perché riesco ad intercettare anche un pubblico di non addetti ai lavori, a incuriosirlo e a portarlo a teatro. Questo è il motivo per il quale sono così esposta mediaticamente e utilizzo i social».
Anche gli abiti sono una passione?
«Adoro. Ma questo ormai è... spoilerato».
"Le lobby culturali sono solo a sinistra. Meglio l'estero: lì l'ideologia non conta". Sabrina Cottone il 30 Aprile 2022 su Il Giornale.
Il direttore d'orchestra domani all'evento Fdi: "Giorgia ricorda una fanciulla del West vittoriosa, perché è una donna coraggiosa".
Maestro Beatrice Venezi, dal suo podio in quale opera vedrebbe Giorgia Meloni?
«Non so se glielo auguro perché la stragrande maggioranza delle eroine dell'opera fa una brutta fine. Forse una Fanciulla del West vittoriosa, perché è una donna coraggiosa, sicura di sé, forte dei propri valori, che prende posizioni anche scomode».
E per Fratelli d'Italia?
«Non conosco la realtà dall'interno. Il concerto del Primo maggio al MiCo, vivaddio di musica classica, per me è un impegno professionale e non politico. Se ci sono lobby culturali non sono a destra, ma a sinistra».
Allora non vuole candidarsi?
«Non è nei miei orizzonti, nessuno me l'ha chiesto ma mai dire mai».
Lei vuole essere chiamata direttore e non direttrice, non ama le quote rosa, ha criticato gli eccessi del Me Too. Non ha mai subito molestie?
«Vere e proprie molestie no, battute di persone da cui mi sono tenuta lontana. Ma è altrettanto violento non poter prendere posizione liberamente senza paura di ritorsioni».
Lei si esprime liberamente.
«Infatti lavoro e ricevo riconoscimenti per lo più all'estero, dove le simpatie politiche e ideologiche non contano».
Che ne pensa del doppio cognome per i figli?
«È la prassi anche in Paesi apparentemente più conservatori di noi, come la Spagna. Ci sono donne che vogliono prendere il cognome del marito e altre no. Credo stia alla sensibilità personale».
Prenderebbe il cognome di suo marito?
«Forse no. Mi piace il mio cognome. Sono fidanzata e innamorata, aspetto il momento propizio per avere figli. Non dico che sia facile coniugare lavoro e famiglia, anzi per il primo maggio bisognerebbe impegnarsi in questo senso».
Aiuti alle donne che desiderano fare le casalinghe?
«Anche. Ci sono Paesi che sostengono economicamente le donne che decidono in libertà di stare a casa e occuparsi dei figli».
Ha diretto l'orchestra di Odessa e ha lavorato in numerosi Paesi dell'Est. Che cosa ha cambiato la guerra?
«Sta portando a un cancel culture della cultura russa. Giovani pianisti non hanno potuto esibirsi. Sono stati cancellati concerti di Chajkovskij e ostakovi».
Il momento più difficile della sua carriera?
«È una difficoltà quotidiana dover essere sempre pronta, schivare cattiverie e invidie gratuite».
A trentadue anni che significa per lei far parte della consulta femminile del Pontificio consiglio per la Cultura?
«Rimarrei ore a bocca aperta ad ascoltare il cardinale Ravasi. Ci sono donne di tutte le fedi ed è un grande arricchimento».
Il suo autore preferito è Mozart?
«Non lo escludo dalla rosa dei miei preferiti, ma sono una pucciniana doc».
A che cosa sono ispirati i suoi abiti?
«Mi volevano far dirigere vestita da uomo ma più mi dici che non posso fare una cosa e più la faccio».
Daniela Lanni per “La Stampa” il 5 ottobre 2022.
Quella di ieri sera per Belén Rodríguez è stato un ritorno in tv molto atteso che le ha permesso di indossare la duplice veste di conduttrice e, per la prima volta, di inviata de Le Iene. «Quando è arrivata la notizia scalpitavo dalla felicità, mettere un po' di me e del mio mestiere nella trasmissione, mi ha emozionata» racconta il giorno dopo.
È protagonista in prima serata, su Italia 1, insieme a Teo Mammucari della nuova stagione del programma di Davide Parenti, dallo stile irreverente e satirico. Tra i servizi della prima puntata il suo, su un argomento molto delicato, la dismorfofobia. Un disturbo psicologico che nasce dall'eccessiva preoccupazione per difetti fisici, anche immaginari, che porta chi ne soffre a vivere uno stato di inadeguatezza e disagio profondo.
Ha incontrato persone affette dalla patologia, psicologi e specialisti. Cosa l’ha colpita?
«Il fatto che è un argomento molto attuale e può colpire tutti. Nello specifico in studio abbiamo invitato una persona che non accetta il suo naso. In realtà è piccolo, bello, eppure lei lo vede diversamente, facendolo diventare un problema. È un tema delicato perché può incidere a livello comportamentale. C’è chi si chiude, interrompe tutti i rapporti sociali e si rintana in casa».
Il tema è l’accettarsi o farsi accettare?
«Il riflesso di noi che dà lo specchio è completamente diverso da come gli altri ti vedono. Soprattutto come ti vedono sui social. Noi siamo i primi a costruirci un’immagine che spesso è dissonante da quella che è la nostra realtà. Secondo me di questo disturbo ne soffriamo tutti un po’. Spesso i social media ci portano a recitare una parte e perdiamo di vista la realtà di tutti i giorni. Mai come oggi».
Come preservarsi dai social?
«Ci vuole un approccio ponderato ma la consapevolezza la acquisisci con l’età. Se segui le tendenze ti senti spesso inadeguata. Anche io sono stata vittima di attacchi sui social e tante volte mi sono sentita fuori moda. Mi è servito smettere di guardare spesso Instagram o Tik Tok e concentrarmi su quello che volevo comunicare, ciò che è consono alla mia vita, alla mia età, alle mie capacità e interessi. Altrimenti diventa un’ossessione, nulla di costruttivo, ma una macchina che ti può fregare il cervello».
A lei è capitato?
«Ho una signora, un vero leone da tastiera, di cui non dico il nome, che da otto anni si crea mille profili per insultarmi. Solo qualche giorno fa ha diffuso un’ultima notizia fake su di me. C’è da aver paura. Bisognerebbe che le autorità intervenissero affinché ciò non accada. Ci vorrebbero maggiori controlli. Io sono un personaggio famoso, ora so reagire e mi dissocio da queste notizie, ma chi non è abituato a ricevere insulti oppure offese può subire gravi ripercussioni».
Quali situazioni l’hanno messa maggiormente in difficoltà?
«Mi hanno ferito molto quando hanno puntato il dito sui miei figli e me, scrivendo frasi come “non sei una brava mamma” o “cosa ci fai con questo vestito troppo corto”. A causa del mio lavoro sono una persona esposta. Lo so. E non sono contro chi fa commenti o evidenzia cose che non vanno bene. Credo, però, che si debba parlare per aiutare a migliorare qualcuno, non per offendere e basta. Si dovrebbe essere costruttivi».
Anche le donne belle hanno problemi con sé stesse. Lei che rapporto ha con la bellezza?
«Mi interessa essere in forma e mi curo molto. Sicuramente la bellezza è stata lo strumento che ho utilizzato per entrare nel mondo dello spettacolo. Ma in modo sano, senza strane fisse. Certo anche io ho dei giorni in cui mi vedo bene, altri in cui mi piaccio meno. Però, oggi, sono più concentrata sulla crescita personale dei contenuti. La bellezza è effimera. Un giorno ce l’hai e il giorno dopo se n’è andata via perché gli anni passano per tutti».
Ha raggiunto i 15 anni di carriera. Nel curriculum la moda, la tv, il cinema. Va oltre il suo immaginario?
«Sono la persona più felice del mondo. Soddisfatta perché ho raggiunto dei traguardi giganteschi che non mi sarei aspettata. E posso dire forte che oggi inizia la mia seconda carriera».
E pensare che suo papà che frequentava la chiesa protestante non le faceva accendere la tv perché “non era costruttiva”. Ha cambiato idea?
«Mio papà è molto fiero. Oggi lo ringrazio per l’educazione che mi ha dato. Anche mia mamma. Devo dire che i miei genitori sono i miei primi fan».
Il 2012 è l’anno in cui ha conosciuto Stefano De Martino. Tra alti e bassi ora siete tornati insieme. Quale corda ha toccato suo marito per avere sempre un posto nel suo cuore?
«Stefano le ha toccate tutte: do, re, mi, fa, sol, la, si. E oggi siamo davvero molto felici».
Belen, la dismorfofobia e l'odio subito: "I social possono fregarti il cervello". Tornata nel doppio ruolo di conduttrice e inviata de Le Iene, Belen Rodriguez ha parlato del potere dei social network e della necessità di accertarsi prima di mostrarsi. Novella Toloni il 5 Ottobre 2022 su Il Giornale.
Le Iene sono tornate a mordere. Il ritorno su Italia Uno del programma più irriverente di Italia Uno ha segnato una grossa novità. Il doppio ruolo di Belen Rodriguez, conduttrice al fianco di Teo Mammucari e inviata. E nella sua prima inchiesta la showgirl argentina è partita forte, trattando il delicato argomento della dismorfobia, un disturbo psicologico che scaturisce da una preoccupazione cronica e immotivata per un difetto fisico (spesso immaginario) che porta chi ne soffre a sentirsi inadeguato.
Belen alle Iene ha parlato proprio di questo. Un tema che, seppur in piccola parte, colpisce ciascuno di noi persino la stessa Belen che - intervistata da La Stampa - ha ammesso: "Anche io ho dei giorni in cui mi vedo bene, altri in cui mi piaccio meno. Ma oggi, a quarant'anni, so che la bellezza è effimera e sono concentrata su altro". Chi soffre di dismorfofobia, come la figlia di Paul Gascoigne, Bianca, trova impossibile accettare i propri difetti, molto spesso presunti e immaginari, arrivando a isolarsi o addirittura a rifiutare se stesso. E Belen ha spiegato: "Noi siamo i primi a costruirci un'immagine che spesso è dissonante da quella che è la nostra realtà. Secondo me di questo disturbo ne soffriamo tutti un po'. Spesso i social media ci portano a recitare una parte e perdiamo di vista la realtà di tutti i giorni".
Belen su Instagram e i social
Secondo la showgirl argentina, l'approccio al web dovrebbe essere differente, ma non a tutte le età si ha la consapevolezza necessaria per poter affrontate il giudizio degli altri: "Ci vuole un approccio ponderato ma la consapevolezza la acquisisci con l'età. Se segui le tendenze ti senti spesso inadeguata. Anche io sono stata vittima di attacchi sui social e tante volte mi sono sentita fuori moda". Lei oggi ha superato quell'impasse, limitando l'accesso ai social network (Instagram e Tik Tok) e concentrarmi su quello che volevo comunicare per evitare di cadere in "un’ossessione, in una macchina che ti può fregare il cervello".
"Io e Stefano...". Belen confessa: cosa è successo col giudice
Degli hater, invece, aveva già parlato poche settimane fa, invitandoli a fare un "giro sulla giostra" per provare sulla loro pelle attacchi e giudizi sprezzanti. E poi ha raccontato di essere perseguitata da molti anni da una donna. "C'è una signora, un vero leone da tastiera, di cui non dico il nome, che da otto anni si crea mille profili per insultarmi. Solo qualche giorno fa ha diffuso un'ultima notizia fake su di me. C'è da aver paura", ha rivelato Belen parlando della necessità di un intervento mirato da parte delle autorità contro i profili fake e gli hater.
Belen Rodriguez: «Sono dovuta fuggire dall’Argentina. Così ho salvato la mia famiglia». Teresa Ciabatti su Il Corriere della Sera il 30 Settembre 2022.
La showgirl: «A casa era vietato vedere programmi tv con contenuto mondano e non religioso, così guardavamo ‘La casa nella prateria’ . Con i primi soldi ho comprato ai miei un appartamento sicuro, nel posto dei ricchi»
Belen Rodriguez è nata a Buenos Aires il 20 settembre 1984: diplomata al liceo artistico si è poi iscritta a Scienze della comunicazione e dello spettacolo ma non ha completato l’università (fotoservizio Ignazio Sguera)
Questa intervista di Teresa Ciabatti alla modella e conduttrice televisiva Belen Rodriguez è il servizio di copertina del magazine 7 in edicola il 30 settembre. La pubblichiamo online per i lettori di Corriere.it
Le Iene?
«Ho ossessionato Davide Parenti, telefonate su telefonate. A un certo punto, per dissuadermi, lui dice: “Se prendo te, il programma diventa un’altra cosa, tu sei una star “».
E lei si arrende?
«Il contrario. “Non sono una star, dico, tu devi incontrarmi, arrivo”. E sono andata».
Perché Le Iene ?
«È il miglior programma della televisione italiana. Il più innovativo, il più coraggioso».
Ciò che si desidera si chiede?
«Per un po’ ho anche provato la strategia dell’attesa: non ha funzionato. Non arrivava niente. Bisogna andare incontro alle cose».
Quanto ha contribuito il luogo di nascita nella formazione del suo carattere?
«Tantissimo, credo».
Primi lavori in Argentina?
«A diciotto anni distribuivo volantini del cinema per strada. A diciannove facevo la pizzaiola in un ristorante».
Lavoro di suo padre?
«Venditore di attrezzi agricoli e di giardinaggio».
Lavoro di sua madre?
«Mia madre è la donna più bella che io abbia mai visto. Gli amici le dicevano di fare la modella, ma lei no, poi un giorno partecipa a una sfilata, vede le altre che si spogliano con disinvoltura, rimangono in costume, mentre lei si tiene la pelliccia. Inizio e fine della sua carriera di modella. Da lì sceglie di fare l’insegnante ai bambini disabili».
La vostra casa?
«Quando Menem sale al potere vende le aziende statali agli americani, incluse le grandi aziende come la Pepsi Cola di cui mio nonno era vicedirettore, ebbene in quel momento l’Argentina cade in una profonda crisi economica. La gente ipoteca la casa, la macchina».
Voi?
«Anche noi, da un giorno a un altro perdiamo la casa, senza poter prendere niente: divani, letti, piatti, asciugamani».
Quella casa.
«Ancora so il numero di telefono a memoria».
Cioè?
«567 89 90».
Chiamato?
«Rispondevano i nuovi proprietari, e io riattaccavo».
Perché telefonare?
«Quella casa significava anche mia nonna che intanto era morta. Comporre il vecchio numero era un tentativo di riportare il tempo indietro. La speranza scema che al telefono potesse rispondere lei».
La zia di Belen col fratello Jeremias, la madre di Belen, Veronica, e la showgirl
Crisi economica.
«Andiamo ad abitare in campagna, non lontano dalla favela».
Un’immagine della nuova vita?
«La casetta sull’albero costruita da mio padre».
Animali?
«Cinque cani e due conigli. La mia preferita, Rebecca, una bastardina che un giorno muore investita da una macchina. A me dicono: “Si è innamorata ed è scappata”».
Lei ci crede?
«Ho creduto a Babbo Natale fino a quindici anni, quando mio cugino decide di dirmi la verità. Grande delusione, nonostante non amassi Babbo Natale».
Motivo?
«Dicevano: arriva dalla Finlandia, con le renne, e io me lo ritrovavo in Argentina smanicato, abbronzatissimo. Ho ancora le foto con i diversi Babbo Natale abbronzati nei centri commerciali. Pensavo: ma quanti sono? Qualcosa non tornava».
I tre fratelli: Belen, Cecilia e Jeremias
Un giorno di festa nell’infanzia?
«Andare da McDonald».
Belen bambina?
«Siccome mio padre frequentava la chiesa protestante, noi figli avevamo molti divieti, tra cui: vietato vedere programmi televisivi con contenuto mondano e non religioso».
Quindi?
«Guardavamo La casa nella prateria ».
Appassionante?
«Io mi identificavo in Laura Ingalls, la figlia che lottava per la giustizia scegliendo quasi sempre la soluzione sbagliata».
Esempio?
«Laura sa che la ragazzina ricca finge di non camminare. Per sbugiardarla la lancia da una rupe con la sedia a rotelle. Peccato che quella si faccia male, e Laura passi dalla parte del torto, col padre che cerca di spiegarle che va bene battersi per la verità ma non così».
Belen irruente come Laura Ingalls?
«A quindici anni muore il padre della mia migliore amica e io voglio andare al funerale, però la scuola me lo vieta. Al che fuggo, scavalco il cancello e vado».
Punita?
«Cacciata».
Reazione?
«Cambio scuola».
Già allora niente è di ostacolo?
«Mio padre - sempre per le regole della chiesa protestante - non mi permetteva di andare a ballare, né di partecipare ai viaggi di scuola. Vietato mettere gonne corte, vietato ascoltare musica, tranne le canzoni religiose. Insomma, non potevo fare niente, a parte frequentare la chiesa e prendere parte alle iniziative religiose tipo le escursioni».
Belen Rodriguez in barca con il marito Stefano De Martino
Un’escursione?
«In montagna, senonché ci perdiamo e arriva la notte».
Cosa fate?
«Camminiamo sul sentiero stretto, in fila indiana, mano nella mano».
Spavento?
«Nei tratti pericolosi io chiudevo gli occhi e stringevo forte la mano di Mariano, il ragazzino che mi piaceva. Allora pensavo: vorrei che questa notte durasse tantissimo».
Ragione?
«Per la sensazione speciale di fidarci l’uno dell’altro».
Cos’era in quegli anni la paura?
«Non la notte, non il bosco».
Ma?
«La vita quotidiana. Il fatto che la gente non avesse da mangiare. Saccheggiavano i supermercati, entravano nelle case, rubavano e uccidevano le famiglie».
Quel giorno.
«Un giorno arrivano da noi. In otto, armati e drogati di colla. Io ero in giardino, mi prendono per i capelli, mi trascinano dentro».
E?
«Ci legano, pistole puntate alla testa».
I genitori della conduttrice, Veronica Cozzani e Gustavo Rodriguez
Oggetti rubati?
«Dalle tazzine di caffè alle forchette. Dalla televisione alle lenzuola. Vestiti, scarpe, mutande, il mio book fotografico da modella».
Non lasciano niente?
«Con lo stipendio del volantinaggio avevo comprato un paio di stivali a rate. Neri, con le borchie, il mio orgoglio. Così, mentre loro saccheggiano casa, io, con le mani legate, riesco a spostarmi e a prendere gli stivaletti per nasconderli nella fessura del divano letto».
Stivaletti salvi?
«Salvi».
Poi?
«Mi chiamano in bagno. Da sola».
Immagina il peggio?
«Penso: se non mi uccidono tutto il resto va bene, il resto lo posso dimenticare».
Quanto ha dovuto dimenticare del suo passato?
«Niente. Perché nonostante le difficoltà, che comunque non erano solo nostre ma di un Paese intero, io ho avuto un’infanzia meravigliosa».
Un’altra persona esibirebbe un passato difficile come il suo.
«Non c’è niente da esibire».
Torniamo al sequestro: nel bagno?
«Vogliono sapere il numero del conto corrente di mio padre. Nient’altro».
Conclusione?
«Dopo otto ore vanno via con tutte le nostre cose, ma ci lasciano vivi».
Belen con la sorella. Belen Rodriguez ha incominciato la carriera di modella di biancheria intima in Argentina a 17 anni. Ha lavorato anche a Miami e in Messico. Si è trasferita in Italia nel 2004
In seguito?
«Decido di andarmene. Vengo in Italia con un contratto di modella».
Lavoro già iniziato in Argentina?
«Avevo posato in costume per un giornale, e quando la chiesa era venuta a saperlo, ci aveva scomunicato».
Dispiacere?
«Liberazione. Vedevo tanto fanatismo nei divieti e negli obblighi come quello di donare il dieci per cento dello stipendio, cosa che mio padre faceva».
Prima tappa in Italia?
«Riccione. Eravamo in otto ragazze senza permesso di soggiorno, istruite su cosa dire in caso di fermo».
E?
«Una più bella dell’altra, i poliziotti ci fermano subito: “Motivo del viaggio?” domandano».
Risposta?
«”Una festa”. Ci avevano detto di rispondere che dovevamo andare a una festa».
Conseguenza?
«Bloccate in aeroporto per 48 ore. Io riesco a fare una doccia con una monetina regalatami da una signora gentile».
Vi rilasciano.
«Arriviamo a Riccione e scopriamo che il nostro lavoro non è di modelle bensì di ragazze immagine. Noi che avevamo immaginato passerelle, foto, ci ritroviamo nei locali a ballare sui cubi».
Il passaggio alla tv?
«Trovo l’indirizzo di un’agenzia di moda di Bologna dove vado di nascosto. Quindi, tramite l’agenzia, inizio a fare provini per la televisione».
Da quel momento?
«Sono tutti sì».
Belen con Teo Mammucari in una puntata de «Le Iene»
Il regalo fatto ai suoi genitori coi primi guadagni?
«La casa. Una casa nel posto dei ricchi, con sicurezza h 24 e cancelli».
A quel punto?
«Inizio a dormire la notte. La mia famiglia era al sicuro. Finalmente li sapevo al sicuro».
Oggi?
«Oggi che loro sono qui, in Italia, è come essere tornati indietro nel tempo. Domani mio padre arriva a Napoli per costruire una casa sull’albero a Santiago. Da settimane guarda tutorial su You Tube».
La casa sull’albero come quella della sua infanzia?
«Dice che per Santiago farà un’aggiunta di terrazzo».
Cosa si vedrà dal terrazzo?
«Io vedrò mio marito e i miei figli. Vedrò il tappeto elastico montato da Stefano insieme a suo padre».
Belen salta?
«Dopo due salti mi scappa la pipì».
Dunque?
«Salto lo stesso».
Sicuri di conoscere veramente Belen Rodriguez? E se fin qui, distratti dalla bellezza, l’avessimo raccontata in modo incompleto? Questa non è la storia di una ragazza bellissima, questa è principalmente la storia di una ragazza nata in Argentina, ben lontana dal privilegio, partita un giorno per conquistare il mondo che di fatto conquista attraversandolo, quel mondo che visto da laggiù poteva intimorire.
La parole della showgirl a Le Iene. Belen Rodriguez conferma il ritorno di fiamma con Stefano De Martino: “Finché non ci rilasceremo”. Redazione su Il Riformista il 7 Aprile 2022.
Dopo settimane di rumors, è arrivata la conferma ufficiale. Belen Rodriguez e Stefano De Martino sono tornati insieme (per la terza volta).
È stata la stessa showgirl a rivelarlo nel corso dell’ultima puntata de Le Iene, andata in onda mercoledì 6 aprile su Italia Uno.
“Fra poco ci rilasceremo”
La storia tra Belen Rodriguez e Stefano De Martino va avanti dal 2012. Prima l’arrivo di Santiago, nell’aprile del 2013; e poi le nozze, celebrate il 20 settembre dello stesso anno.
Nonostante le successive separazioni (la prima nel 2015 e la seconda nel 2020) i due non hanno mai divorziato. Gli indizi di un ritorno di fiamma c’erano tutti: gli avvistamenti a Milano, le stories su Instagram dell’argentina da casa De Martino, il weekend insieme nel resort di lusso. Qualche settimana fa lei aveva parlato di una situazione ‘in evoluzione’. Fino alle parole della showgirl che di fatto hanno ufficializzato la relazione.
Nello spazio dedicato alle domande del pubblico del programma di Italia Uno, Belen ha infatti letto un tweet di una fan che ha nominato l’ex ballerino: “Belén io un po’ ti capisco. Perché ormai è chiaro che Stefano De Martino è come il vino buono che invecchiando migliora. Me lo faresti assaggiare?” Una domanda a cui lei ha replicato, ironica: “Vuoi assaggiare Stefano? Allora, ce la potresti fare perché fra poco ci rilasceremo e lui andrà con altre donne, quindi potresti essere una scelta”.
Non è la prima volta che la showgirl parla dell’infedeltà del marito: “È il più sensuale, ma anche il più infedele” aveva detto di lui in un’intervista. Una frecciatina all'(ex) marito, ma anche la conferma che è di nuovo amore, nonostante tutto.
Un’intesa ritrovata dopo la rottura con Antonino Spinalbese, padre di Luna Marì, nata lo scorso luglio.
Belen Rodriguez e Stefano De Martino, i dettagli intimi sulla riappacificazione: "Tutte le notti...". Il Tempo il 19 marzo 2022.
“Un amore più forte dei tradimenti”. Ancora un giro di tango per Belen Rodriguez e Stefano De Martino. La showgirl argentina e il conduttore napoletano sono tornati insieme e tutti si chiedono se sarà la volta buona, quella che li farà invecchiare insieme. Nelle more di scoprirlo, il settimanale Oggi rivela dettagli intimi della riappacificazione: “Era fine dicembre scorso. La Rodriguez aveva già messo un punto alla sua relazione lampo con Antonino Spinalbese, padre della piccola Luna Marì. Decise per una toccata e fuga a Napoli in cui si fece immortalare con il comico Francesco Paoloantoni, amico fraterno di De Martino. E De Martino era in realtà lì con loro”.
Si sono rivisti e le ripicche, le amarezze, il rancore sono svaniti in nome di una “passione rovente”. E la rivista aggiunge numerosi particolari come i reciproci tradimenti: “Un amore che resiste all’orgoglio, alle corna e anche alle pubbliche pressioni. Da quegli ultimi giorni del 2021 Belu e Stefano sono inseparabili” e come le notti insieme: “Non sono tornati ancora a vivere sotto lo stesso tetto. Ma vivono ogni notte dentro lo stesso letto. Che sia quello della casa di lui, di lei o di una suite prenotata all'ultimo momento”. Adesso niente convivenza, domani si vedrà.
Alberto Dandolo per Oggi il 19 marzo 2022.
"Nadie nos quita lo bailado!", "nessuno ci può togliere quello che abbiamo ballato". Lo ripete spesso ai suoi amici più cari Belen Rodriguez.
È un detto argentino. Terra in cui il tango è metafora della vita.
Se alla fine le cose sono andate male, quello che abbiamo vissuto, ballato, i momenti belli e felici, nessuno ce li potrà mai togliere. Quei ricordi saranno nostri per sempre.
E quello che sembra essere il terzo ballo, quello che riconsegna al presente il riscatto di una passione che pareva essere divenuta un ricordo è in realtà per Belen Rodriguez e Stefano De Martino null'altro che la continuazione di quel passo a due mai davvero interrotto.
Fu proprio Oggi a raccontare e in tempi non sospetti della ripresa del "ballo" tra la bella argentina e lo scugnizzo napoletano. Era fine dicembre scorso. La Rodriguez aveva già messo un punto alla sua relazione lampo con Antonino Spinalbese, padre della piccola Luna Marì. Decise per una toccata e fuga a Napoli in cui si fece immortalare con il comico Francesco Paoloantoni, amico fraterno di De Martino. E De Martino era in realtà lì con loro. È stato quello il preciso momento in cui hanno ripreso a volteggiare assieme sulla pista della vita.
Una passione rovente. Un amore che resiste all' orgoglio, alle corna e anche alle pubbliche pressioni. Da quegli ultimi giorni del 2021 Belu' e Stefano sono inseparabili. Non sono tornati ancora a vivere sotto lo stesso tetto. Ma vivono ogni notte dentro lo stesso letto. Che sia quello della casa di lui, di lei o di una suite prenotata all'ultimo momento come due fidanzatini freschi di farfalle nello stomaco.
L'ultima foto postata da Belen sulla sua pagina Instagram racconta proprio di questa loro intimità ritrovata. Un letto, luci basse e lei che si appoggia teneramente al fianco del suo compagno di ballo. Per ora la convivenza è solo un progetto. Realistico sì, ma un progetto.
Questo loro terzo ritorno di fiamma sarà quello definitivo? Sarà davvero questa la volta buona?
Questa non è la loro terza volta. Questa è forse solo la continuazione di quell' unica volta, quella in cui iniziarono a ballare e a cui sempre hanno fatto ritorno.
Gian Paolo Serino per Dagospia il 10 febbraio 2022.
“Non sembri, sei una puttana”. Nessuno sembra essersi accorto di niente ma durante la prima puntata de “Le Iene” Teo Mammuccari apostrofa così Belen Rodriguez.
In tempi di “sexuality correct”, di “me too”, di rispetto dei generi basta guardare il video (3h 39 minuti) per accorgersi dell’offesa alla dignità di Belen.
L’interessata non sembra essersene accorta, forse perché, come ha dichiarato, “Le Iene sono sempre state il sogno della mia vita professionale”. Potrei scrivere, da critico letterario e scrittore, pagine intere ma su Teo Mammuccari in questa occasione stendiamo un velo pietoso e gli ricordiamo soltanto che la libertà di parola l’abbiamo ottenuta, adesso manca il pensiero”.
Da leggo.it il 10 febbraio 2022.
Belen Rodiguez e Stefano De Martino si frequentano di nuovo. Questa, ormai, è cosa nota, ma la showgirl argentina in tv parla proprio di lui.
A Le Iene la prima puntata, che la vede in conduzione assieme a Teo Mammucari, si è conclusa con un gioco finale in cui Belen ha sganciato delle bombe sui suoi ex e su alcune donne della tv. E su Stefano De Martino confida: «È infedele... ma a letto siamo sempre andati d'accordo. Per lui ci sarò sempre e lui per me».
Il gioco è semplice: Teo fa domande e Belen risponde. Non sappiamo a chi sono abbinate le risposte, ma per come parla la showgirl non è difficile accostare il volto alle sue dichiarazioni.
«Questa persona la conosco da 11 anni - dice probabilmente su Stefano De Martino -. Se ci siamo sempre detti la verità su tutto? Ma assolutamente no! Lui è la persona che più mi ha fatto soffrire in assoluto. Mi ha mai tradito? Penso di sì», confida Belen. «Questa persona ha anche sofferto tanto a causa mia devo proprio ammetterlo. Se mi invitasse a cena fuori accetteresti? Sì, perché c’ero a cena ieri. Se è il più sexy che conosco? Direi di sì, ha un sex appeal importante. La più brava a letto? Siamo sempre andati molto d’accordo. Il più infedele? Più o meno. Per lui ci sarò sempre, per quanto mi possa arrabbiare poi mi passa. Credo che anche lui ci sarà per me. Lo descrivo con una parola: neomelodico».
Quando parla di Stefano De Martino, gli occhi di Belen ridono e lei si emoziona, proprio come una donna innamorata. Quando gli occhi, proprio non riescono a mentire...
Ma il gioco non è finito qui e Belen, con schiettezza, parla di tutti i suoi ex più famosi. Il riferimento a Antonino Spinalbese non può certo mancare. I due si sono lasciati da poco e dal loro amore è nata la sua Luna Marì: «Adesso è tutto finito? Sì. Per colpa tua o sua? Entrambi. Io ho sofferto tanto… io ci credevo davvero tanto – dice Belen -. Mi ha conquistata con tanta semplicità, proprio quello di cui avevo tanto bisogno in quel momento. È una persona perbene».
Archiviata la malinconia per Antonino, però, c'è spazio anche per tante risate. Di Andrea Iannone dice che era «spericolato… Folle». Con affetto si riferisce a Fabrizio Corona: «Mi ha voluto veramente bene e me ne vuole ancora. Questa persona è stata molto sfortunata… Io sono stata un plus per lui e lui lo è stato per me… Un suo pregio che non conosce nessuno: è un patatone».
Ma il premio come più bello in assoluto va sicuramente a Marco Borriello: «È stato molto importante per me… Mi ha tradito e per ripicca sul finale anch’io. È stato il mio primo amore, ero molto innamorata. È bellissimo. Ci incontriamo sempre. È un sex symbol».
Poi tocca alle donne della tv. E Belen fa uscire il suo lato da «Iena». La prima a cui si fa riferimento è sicuramente Selvaggia Lucarelli, con la quale non andrebbe certo a cena. Non poteva mancare nemmeno Emma Marrone per la quale Belen nutre molta stima, ma anche tanti sensi di colpa. Infine Alessia Marcuzzi con cui ha condiviso serate, ma con la quale ammette di aver anche litigato: «Mi ha chiamata una volta e mi ha insultata pesantemente».
Maria Volpe per il "Corriere della Sera" l'8 febbraio 2022.
Ha 37 anni Belén, ne dimostra molti meno, anche se dorme poco perché la sua piccola di 6 mesi si sveglia tanto. Inutile dire quanto è bella. Però, colpisce di più quanto è diventata saggia, consapevole, di sé stessa, di tutto. Domani debutta come conduttrice a «Le Iene» su Italia 1 con Teo Mammucari.
Belén, quanto iena è lei ?
«Nella vita privata lo sono diventata per le bastonate che ho preso. Oggi invece mi metto al primo posto. Troppe volte mi sono messa in secondo piano, a disposizione dell'amore. Nella vita professionale, invece iena lo sono sempre stata. Impossibile stare a galla per 17 anni, se non lotti con tutta le forze».
Come si è preparata alla conduzione de «Le Iene»?
«Quando ho incontrato Davide Parenti (ideatore) mi ha detto: "Non ho bisogno di Belén, ma di Maria (secondo nome della showgirl, ndr ). Vorrei tu parlassi come fossi con una tua amica».
Altri consigli?
«Maria De Filippi, la mia mamma televisiva, mi ha detto: "Questo programma fa per te, è arrivato il momento di farti vedere in un'altra veste"».
Lei e Teo avete lavorato insieme per anni.
«Lo stimo molto, mi piace la sua ironia, e il suo finto cinismo. In realtà è tenero».
Ciò non gli impedirà di «massacrarla».
«Lo so, ma ho la corazza, ci sono abituata. Mi massacrano da sempre».
Una delle conduttrici de «Le Iene» è stata Ilary Blasi.
«Ilary non cerca di snaturarsi: romana e caciarona. Funziona».
Poi, Alessia Marcuzzi.
«Grande conduttrice, molto naïf, un misto di donna e bambina, porta freschezza».
Un servizio de «Le Iene» che le è rimasto impresso?
«Tanti, soprattutto quelli sulla pedofilia, la prostituzione, gli immigrati».
Quali situazioni difficili le procurano maggior disagio?
«Le diseguaglianze sociali. Io sono nata in una casetta che non aveva i vetri alle finestre. So cosa vuol dire».
Ha seguito Sanremo?
«Stupendo, uno dei più belli di sempre. Amadeus è riuscito a radunare le diverse fasce d'età».
Drusilla ha parlato di un tatuaggio sulla gamba, citando la sua famosa farfalla mostrata sul palco dell'Ariston...
«Geniale Drusilla, eleganza unica, ero incantata da lei».
Santiago, avuto da Stefano De Martino, ha 8 anni. Luna Marì, avuta da Antonino Spinalbese, ha 6 mesi. Due modi diversi di essere madri?
«Totalmente. Quando è nato Santiago avevo 26 anni, facevo le cose con leggerezza. Oggi sono una mamma attenta, presente».
Sono due bravi papà?
«Ottimi, molto presenti».
Lei si vede con Stefano. C'è un riavvicinamento?
«Non mi va di raccontarmi. Sì ci vediamo, non è una novità. Ma noi donne non abbiamo bisogno per forza di un uomo per essere complete. Vivo sola e felice con i miei figli».
Barbara Costa per Dagospia il 15 agosto 2022.
"F*ck The Police… Letteralmente!". Fan del porno, diamo il benvenuto a una nuova, futura star, la milfona Bella Lexi, al suo debutto porno in una scena di un’ora titolata così perché Bella Lexi è… un ex tenente di polizia! Vera! Sì, Bella Lexi è una ex poliziotta, ha compiuto il suo dovere nelle forze dell’ordine per 28 anni, fino a che – a suo dire – per il porno l’hanno cacciata.
Bella Lexi è una signora di 47 anni, sposata, con due figli di 12 e 15 anni, ed il suo vero nome è Melissa Williams. La signora dalle grandi tette abita nella contea di Arapahoe, e siamo a Denver, in Colorado, ed è qui che svolgeva inflessibile le sue mansioni di poliziotta. Fino a qualche mese fa, ovvero fino a che certi suoi colleghi hanno scoperto che Melissa, sotto il nome di Bella Lexi e la qualifica di "moglie milfona della porta accanto", con suo marito aveva aperto un profilo OnlyFans dove, nel tempo libero, postava foto hard e video hard di giochini di ruolo.
Cinque suoi colleghi “di grado a me inferiore e superiore”, ci tiene a precisare Bella Lexi, sono entrati nel suo account, hanno preso sue foto hot, e le hanno fatte girare in ufficio. Queste foto sono presto giunte al capo di Bella Lexi il quale le ha notificato via mail un avviso: la sua condotta era sotto indagine interna! Bella Lexi si è ribellata: con che diritto i miei colleghi e il mio capo sbirciano nella mia vita privata, nella mia camera da letto, e la giudicano?
Che faccio di male se, consensualmente, con mio marito, metto online il mio privato, e però assolutamente non mischiandolo con il lavoro che svolgo, anche se il mio è un ruolo pubblico? Postare sesso, con il proprio consorte, è illecito per un membro delle forze dell’ordine? Va a incidere sul decoro, e però il decoro, oggi, ha le stesse prerogative che aveva prima, in una società analogica?
Bella Lexi ha accusato il suo ambiente di lavoro di mobbing. Si è presa un avvocato e una pausa di tre mesi per motivi di salute, con bei certificati medici attestanti stress. Ma poi ha concluso un accordo per cui, a seguito di una congrua buonuscita, ha lasciato il suo incarico, e un distretto da lei bollato maschilista e tossico: “Sono sempre stati invidiosi di me, e della mia carriera. Io sono sempre stata brava nel mio lavoro: sono una donna, e attraente, e molto sicura di me”. Bella Lexi non è rimasta ferma.
Smessa la divisa, si è data totalmente a Instagram e alle sue esibizioni su OnlyFans, con e senza il marito, postando foto e video in cui fa la sexy e porna con manette e manganelli e fa strip-tease, e pure in divisa, e rivela che, se per il momento ci ha rimesso in soldi (“su OnlyFans, la mia media mensile è minore del mio stipendio in polizia”) ci ha guadagnato in salute e serenità: “I miei familiari non sono più in ansia per me, perché quello di poliziotta è un mestiere che amavo ma di fatto pericoloso”, dice Bella Lexi, “ora lavoro meno ore, sto a casa tutte le notti, mi alzo quando voglio io, e passo più tempo con la mia famiglia.
Mi sento 10 anni più giovane!”. Famiglia che appoggia la sua svolta professionale ed esistenziale. Oltre che di suo marito, Bella Lexi può contare sul sostegno dei figli, e dei parenti i più aperti, ma non dell’anziana madre, scioccata da una tale decisione. Sul web, le agorà social si contrappongono tra chi vede in questa storia l’ennesimo esempio di machismo patriarcale, e chi sentenzia che, se fosse stata meno narcisa, nessuno gliel’avrebbe tolta, la divisa.
Ma le chiacchiere volano, e non pagano: adesso Bella Lexi è stata presa da "HotMILFsFuck", studios porno di nome e, se la sua prima prova su un set otterrà il gradimento (e il ricavo) previsti, altre occasioni porno sono all’orizzonte. Tipo certe abilità bdsm… in fin dei conti, è sempre una questione di manette. O no?
Daniela Seclì per fanpage.it il 12 ottobre 2022.
Benedetta D’Anna, in arte Benny Green, si è raccontata in una lunga intervista rilasciata a Fanpage.it. Negli ultimi mesi si è parlato tanto di lei. Ex impiegata di banca, è stata licenziata dopo che i suoi superiori hanno scoperto la sua passione per l’hard, tra spettacoli nei club e foto osé su OnlyFans. Oggi è una pornostar, che ha lavorato anche con Rocco Siffredi.
Benedetta D'Anna, però, è anche una mamma di tre figli e una donna che ha iniziato a lottare sin da bambina. Il padre l'ha abbandonata, poi lo spettro della malattia ha funestato gli anni migliori della sua vita: prima un tumore di Wilms, poi l'anoressia, la bulimia e la depressione. Il rapporto conflittuale con la madre, l'ha costretta a farsi coraggio e a rialzarsi da sola. Anche sul posto di lavoro, non sarebbero mancate le vessazioni. Alcuni colleghi le avrebbero chiesto di raggiungerli in bagno, si sarebbero abbassati i pantaloni o le avrebbero proposto sesso a tre con le mogli.
"La mia vita sembra una tragedia, ma sono stata più forte di quello che pensavo, sono riuscita a sopravvivere, a diventare mamma, non mi sono lasciata tentare dalla pericolosa scorciatoia della droga. Per me è motivo di grande orgoglio", ci ha raccontato. Ecco la sua storia.
Benedetta, la tua storia è iniziata in salita. Tuo padre si è allontanato quando eri ancora una bambina. Hai mai provato a recuperare un rapporto con lui?
«Certo, ci ho provato durante la mia infanzia. Sono stata colpita da una bruttissima malattia, un tumore di Wilms, con zero probabilità di riuscita degli interventi, invece ho fatto la chemioterapia e l’ho superato. Neanche sapermi malata, lo ha convinto a riavvicinarsi a me. Dai miei 10 anni in poi, è stato allontanato per decisione del Tribunale dei Minori. Questo, non ti nego, mi ha comportato una serie di problematiche psicologiche, non capivo il motivo di questa scelta».
Tuo padre non ti ha mai motivato la sua decisione di non essere presente nella tua vita?
“Ha sempre incolpato mia madre e la scelta del tribunale. Che cosa sia accaduto davvero e come siano suddivise le responsabilità, credo che non lo saprò mai. Mia mamma è una donna molto chiusa, poco aperta agli affetti e alle parole, ha sempre troncato ogni discussione dicendomi: "Ma insomma, dopo tanti anni ancora ti poni questi interrogativi?". Verso i 20 anni, questo travaglio psicologico, è sfociato in un malessere che sicuramente non ha fatto bene al mio corpo”.
Te la senti di parlarmene?
“Sì, sono stata una di quelle ragazze che ha avuto problemi di anoressia, bulimia e depressione e che passano anni con la testa nel gabinetto a causa dei disturbi alimentari. La mia vita sembra una tragedia, ma sono stata più forte di quello che pensavo, sono riuscita a sopravvivere, a diventare mamma, non mi sono lasciata tentare dalla pericolosa scorciatoia della droga. Per me è motivo di grande orgoglio».
Tua madre, poi, ha sposato Raoul Gramellini, padre del giornalista Massimo Gramellini, che è stato dunque il tuo fratellastro.
«Sì, vivevo con mia madre, Raoul e Massimo Gramellini. Raoul era un uomo di tutto rispetto, all'antica, mi ha insegnato il bon ton. Mi ha dato anche una cultura. Ho frequentato un collegio francese e seguivo mia madre e suo marito nei viaggi di lavoro. Sono stati insieme fino a quando lui si ammalò di un brutto male. Non ha superato questa malattia e mia madre si è ritrovata vedova».
Dopo la morte del padre, avete mantenuto un rapporto con Massimo Gramellini?
«I rapporti tra lui e mia madre si sono interrotti nel momento del decesso di Raoul Gramellini, un po' come da manuale. Dissapori dati dal fatto che non ci fosse una parentela diretta e da interessi comuni. Poi gli anni sono andati avanti, io mi sono fatta la mia vita, lui si è stabilito a Roma, si è risposato e ha proseguito con la sua, ma conservo dei bei ricordi».
Crescendo, hai iniziato a lavorare come bancaria. Un’esperienza lavorativa durata oltre quindici anni. Secondo quanto racconti, però, sul lavoro avresti subito delle vessazioni.
«Considera che due mesi dopo essere stata assunta, ero già caduta in piena anoressia. Quando ho iniziato avevo 22 anni, mi sono gettata a capofitto nel lavoro, ho fatto un corso di studi di economia, perché volevo fare la mia parte. Poi, è iniziato il mobbing, le richieste di post cena, colleghi che mi dicevano: "Vieni nell'archivio con me", "Accompagnami in hotel", “Raggiungimi in bagno”. Mi chiedevano di fare sesso a tre con le loro mogli. Anche se andavo nella stanza accanto a far firmare un documento, i soliti colleghi si riunivano e dicevano: "Io ti metterei sul tavolo", “Baciami”, si abbassavano i pantaloni. Sempre le stesse scene, un direttore di zona mi disse persino: “D’Anna, le colleghe si sentono offese dalle sue gambe”».
Immagino che psicologicamente non sia stato facile reggere quella pressione.
«Mi sono chiusa nel mio misero cosmo. La mia casa, i miei gatti, i miei figli, una relazione che c'era e non c'era e ho portato avanti la vita così, con un'insoddisfazione colossale. Era un ambiente lavorativo pesante, dequalificante, in cui avevo capito che non ci sarebbe stato alcuno sbocco per me. Alla cassa sono stata presa, alla cassa sono stata lasciata. A quel punto mi sono scocciata».
E hai iniziato a muovere i primi passi nel mondo dell'hard. Una passione nata guardando i film di Tinto Brass.
«Sì, da lì ho iniziato a sviluppare una certa curiosità verso il fascino femminile e ho capito che quello poteva essere il mio potere, non una vergogna. Il mio terapista diceva: "Lei utilizza il suo fascino come forma di vendetta verso l'uomo che l'ha tradita da bambina". Può essere. Ma i soldi erano pochi, io ero sola con un mutuo e dei figli e ho iniziato a posare come modella di nudo, da lì sono passata alla piattaforma OnlyFans. Quel momento ha segnato la rottura con quello che ero prima, una ragazza impaurita dal giudizio di sua madre».
In effetti, tua madre non prese bene questa tua svolta a luci rosse.
Si è chiusa in casa, perché in quella fase è stata additata, esclusa, emarginata, come se io fossi l'onta del peccato e della vergogna. Riceveva anche messaggi spiacevoli che contenevano le mie foto.
Ti è capitato di fartene una colpa?
«No, perché mi ha creato tanti di quei problemi nella vita… Anzi, mi sono detta: "Finalmente mi sono affrancata da questo ruolo di schiava psicologica nei suoi confronti". Ho detto basta, pensa quello che ti pare. La mia immagine frivola non fa percepire quello che ho vissuto. Sono stata lasciata in mezzo a una strada un sacco di volte, vinta nelle crisi della mia malattia psicologica. E ho superato tutto da sola. In quelle fasi, mia madre mi chiudeva la porta in faccia. Non voglio vendetta, non voglio farle del male, mi sta bene che ora sia presente nella mia vita, però non posso dire di avere avuto un rapporto idilliaco con lei».
A un certo punto, hai iniziato ad affiancare al lavoro in banca quello di performer nei club. I tuoi superiori lo hanno scoperto e non l’hanno presa bene.
«Ero in malattia e non sono più riuscita a rientrare a lavoro, avvertivo un clima estremamente pesante. Tutti parlavano di queste mie situazioni, c'erano clienti e colleghi iscritti alla mia piattaforma. Poi, mi è arrivata una mail, tramite la quale mi convocavano. Mi sono presentata con il mio avvocato, anche se non volevano che ci fosse. In quell'incontro mi è stata data una lettera di ammonimento, in cui erano elencate tutte le mie pagine Instagram e OnlyFans con il copia e incolla, c'erano persino le emoticon e le descrizioni dei miei video hot, una bassezza infinita. Il mio avvocato, poi, è stato preso da parte e gli hanno detto: "Se la signora se ne andasse garbatamente, potremmo firmare un accordo che convenga ad entrambi". Cosa che non ho fatto, perché non avevo intenzione di dimettermi. A quel punto mi sono sentita autorizzata a intraprendere liberamente anche il lavoro di porno attrice e dopo poco mi è arrivata una lettera di licenziamento»
Cosa hai provato quel giorno?
«Da una parte ero triste perché avevo legato a quel lavoro tutto ciò che ero, era come salutare il mio passato. Ma ho anche provato un grande senso di liberazione, soprattutto psicologica. Mi rendeva orgogliosa avere avuto il coraggio di fare una scelta che andasse contro mia madre, senza avere paura e senza cadere di nuovo nella depressione che mi aveva colpito da ragazzina»
Come è nato il nome d’arte Benny Green?
«Nell'agenzia con cui lavoravo ai tempi, mi chiesero di scegliere un nome d'arte. Le altre ragazze avevano cognomi come Blue, Brown e a me è venuto in mente che ho gli occhi verdi e quindi Green. Da lì Benny – diminutivo di Benedetta, il mio nome – Green. Ad oggi mi sembra una gran porcheria (ride, ndr). Ha lo stile della telenovela, se dovessi sceglierlo ora direi solo Benedetta»
Sei reduce da un progetto con Rocco Siffredi, che ancora oggi è considerato la star indiscussa del mondo del porno. C’è qualcosa che ti ha stupito nel suo modo di lavorare e di approcciarsi alle scene di sesso?
«Girare con Rocco è diverso da ogni tipo di set, quando me l’ha proposto ero lusingata, non mi sembrava vero. Devo dire che non sapevo che lui la vivesse in modo così totalizzante. I suoi set non hanno un inizio e una fine come normalmente succede, non sono meccanici. La frase che dice sempre prima di iniziare è: "Ok guys, let's do sex, enjoy". Intende dire che non stiamo girando una scena, ma che dobbiamo divertirci a fare quello. Mi ha stupito questo suo approccio».
Molte attrici hanno raccontato di avere vissuto con soggezione la prima scena con Rocco Siffredi, è stato così anche per te?
«Pensavo che tra le sue braccia mi sarei sentita una ragazzina cretina e invece no, assolutamente. È molto empatico all'inizio della scena, quindi nessuna soggezione. Poi, io ci metto molta precisione, sono una perfezionista, voglio dare il meglio perché sono esigente con me stessa. Lui rimane un amico, un grande professionista, si spera di fare altri progetti insieme».
Mediamente quanto guadagnavi al mese come impiegata di banca?
«1400 euro al mese».
Ora che il tuo lavoro è fare la performer e la pornoattrice, immagino che i guadagni siano superiori.
«Le scene vengono pagate singolarmente anche 1500 euro, poi guadagno sulla vendita dei miei film, con OnlyFans e poi con i miei cachet quando faccio la performer nei weekend. Prendi lo stipendio che avevo prima e moltiplicalo per sette o otto più o meno. Certo, il lavoro di bancaria avrei potuto portarlo avanti fino ai 75 anni, anche con le stampelle, adesso faccio una professione che va avanti con la mia immagine, che deve essere gradevole. Avrà una durata inferiore, ma spero prosegua dietro le quinte, sempre nel campo delle produzioni. Inoltre, porterò avanti una mia collezione di intimo».
Hai tre figli di 11, 10 e 5 anni, nati da due diverse relazioni, entrambe ormai finite. Che mamma sei con loro?
«Sono una maniaca dell'ordine e una madre molto…militare. Da un lato sono severa, ma dall’altro sono anche quella che canta in auto con loro e li aiuta a fare i TikTok. Loro sanno tutto sulla mia professione. In termini ovviamente adeguati alla loro età. Lo vivono con curiosità. A volte mi dicono: "Ma allora mamma tu sei famosa!". Io, in fondo, sono un'attrice, quello che faccio non ha nulla a che vedere con la mia vita intima, che è proprio diversa. Sul lavoro sono una performer che interpreta un ruolo».
Qual è l’insegnamento che vorresti trasmettere ai tuoi figli con il tuo esempio?
«Vorrei imparassero a non giudicare le persone, ad avere il coraggio delle loro scelte e che comprendessero che la nudità non è una colpa. Siamo nati nudi, vorrei non vedessero malizia nelle cose che non la contemplano. E poi trovo fondamentale l'onestà mentale, se posso trasmettergli questo, qualsiasi scelta facciano un domani sarò soddisfatta».
Cosa consiglieresti ai giovani che iniziano ad approcciarsi al sesso?
«Il sesso occasionale non è sicuro. Il preservativo non è sufficiente, occorre abituarsi a schermarsi facendo più controlli. Fare esami, che nel nostro ambiente ormai consideriamo di routine, significa non diffondere infezioni e malattie. Noi attori facciamo sesso solo in questa maniera, in modo totalmente sicuro. Non si può girare se non sono stati fatti i controlli e non sono risultati perfetti».
Per concludere, c'è un segreto che ti riguarda, che i tuoi ammiratori sarebbero sorpresi di sapere?
Sto riflettendo sul fatto di avere una fidanzata e non più un fidanzato. Mi è già capitato di avere relazioni con donne. Il rapporto tra uomo e donna, nel quotidiano, lo vivo molto male. Non mi ritrovo. Sono vecchio stampo, i rapporti senza regole, molto free, che vedo nella vita quotidiana, non mi rispecchiano. Sono fedele. Anche quando vado a girare o faccio gli spettacoli, la mia testa resta sempre e comunque a un solo uomo. Tutti pensano che chi fa il mio lavoro regali sesso in giro per la città o che non ci basti mai. Ma non è così. Una cosa però devo dirla».
Prego.
«Dopo avere iniziato a fare la porno attrice, sono diventata sessualmente più esigente. Il mio uomo ideale deve essere nero o mulatto. Non c'entra niente ciò che si dice sul fatto che siano superdotati, anche se visivamente non guasta. A me gli uomini neri piacciono da morire. Quindi il mio prossimo amore sarà un uomo nero o una donna, ma non un italiano».
Come mai escludi gli italiani?
«In genere si avvicinano a me chiedendomi se io faccia sesso a pagamento. Non giudico chi lo fa, ma non è il mio caso. L'italiano mi continua a deludere».
Benedetta Porcaroli: «Conoscevo le baby squillo, veniamo dagli stessi ambienti. Mi ha protetto la famiglia». Valerio Cappelli su Il Corriere della Sera il 9 gennaio 2022.
L’attrice del caso dei Parioli e il film sul Circeo: «Sbagliato vietarlo ai minori». Il corpo: «Sono sempre stata filiforme, i ragazzi mi definivano piatta: mi vennero i complessi. A 15 anni un’amica di mia madre agente di cinema mi chiese: vuoi fare un provino?»
Benedetta Porcaroli è diventata un volto noto a soli 20 anni, interpretando la serie tv sulle baby squillo dei Parioli. Da allora non si è più fermata. A giugno compirà 24 anni. È nelle sale con 7 donne e un mistero, una boccata d’ossigeno dopo due film violenti come Baby e La scuola cattolica, sul massacro del Circeo.
Che adolescente è stata, prima di diventare attrice?
«In realtà ho cominciato molto presto, a 15 anni. Un’amica di mia madre è agente di cinema. Mi chiese: ti va di fare un provino? Mi ritrovai su Rai1 in Tutto può succedere. Si sono fidati, hanno visto qualcosa in me. Ero piccola, inconsapevole».
Ma sarà andata a scuola.
«Al Mamiani, liceo storico di Roma, poi mi diplomai privatamente. In quegli anni alcuni compagni mi presero di mira. Sono sempre stata filiforme. I ragazzi cercavano sederi e seni in lungo e in largo, le mie amiche avevano le loro forme, mi vennero un po’ di complessi. Su Facebook avevano creato gruppi: Benedetta Porcaroli piatta. Oggi il mio fisico lo vedo come una salvezza».
Per il cognome, chissà cosa le dicevano.
«Era inevitabile. Ma non sono mai stata veramente preoccupata. Mio padre per smussare mi diceva ironico: un cognome così non passa inosservato, si ricorderanno di te. Papà ha diverse lauree e ha fatto tanti lavori, ora insegna, è stato lui a trasmettermi l’amore per il cinema. Alberto Sordi, Anna Magnani; mamma lavora al Quirinale».
Sette attrici sullo stesso set, divise da 64 anni d’età. Come si sono trovate? Lo raccontano loro: «Nemiche mai»
È vero che ha l’occhio di sua madre tatuato?
«Sì, dietro la spalla. Il messaggio è: guarda che ti osservo, eh... A volte mi diceva che ero una belva. Sono malinconica, diretta, curiosa, riflessiva».
E belva.
«In casa la mia presenza si notava. Sono stata un’adolescente impegnativa e rumorosa, sai quando ti senti in conflitto con tutti? Determinata, prepotente, esigente, ribelle».
È cresciuta a Roma Nord, la stessa zona delle baby squillo dei Parioli. Lei ha detto: se fossi rimasta lì, sarei diventata una stronzetta anch’io.
«L’ambiente è un po’ classista, la media borghesia dove tutto è apparentemente pacifico, sereno; tutto sembra che funzioni alla perfezione e non è così. È strano perché l’ho raccontato in due film (le giovanissime escort e il Circeo) il vuoto cosmico in un’età delicata e di passaggio, quando basta poco per andare alla deriva. È davvero sliding doors. L’importante, com’è avvenuto per me, è sapere che dietro ci sono i genitori. Abbiamo raccontato la mancanza di dialogo tra genitori e figli, la tragedia della borghesia assente».
Una di quelle ragazze si è raccontata in un docu-film.
«Aveva 14 anni quando tutto cominciò. Oggi una di loro lavora in un supermercato. Io alcune le conoscevo, ci si vedeva la sera nei locali, ci salutavamo. Non sapevo cosa ci fosse dietro. Erano tranquille, diverse da come appaiono nella serie. Vestivano sportivo, in maniera semplice. Non erano così abbienti. Quando è venuto fuori lo scandalo mi è preso un colpo. No, non le ho cercate quando giravo il film e loro non hanno cercato me. Ho preso le distanze dai ricordi, il mio personaggio me lo sono inventato. Quei due film sono facce della stessa medaglia, dal punto di vista femminile e maschile. Perché dietro il massacro del Circeo c’è il disprezzo».
Lei alla Mostra di Venezia ci disse: ho potuto solo lontanamente immaginare una donna violata nella mente e nel corpo.
«È così. Mi ha colpito la differenza tra il poco calore dei critici e le reazioni di tantissimi miei coetanei che sapevano poco di quella storia. Raccontarla era doveroso e necessario. I ragazzi sono rimasti indignati dalla censura e dal divieto ai minori di 18 anni. Invece di divulgare il più possibile il film... Quella storia mi ha cambiata, capisci quello che hai».
Poi il sorriso di «7 donne e un mistero».
«Venivo da film cupi, cercavo esperienze nuove, come una commedia al femminile dove sette donne si accusano di un delitto in una girandola di sospetti e ripicche».
Micaela Ramazzotti dice che all’inizio vi guardavate con diffidenza.
«È vero. Ora siamo tutte amiche, abbiamo una chat dove ci scriviamo cose irriferibili. Ho detestato la retorica per cui tra donne o ci si fa la guerra o si diventa sorelle. È un modo per autoghettizzarci. Dopo il Me too c’è più consapevolezza, il femminismo di una volta, che abbiamo ereditato, non esiste più, dovrebbe nascere un movimento che vada oltre i cliché».
Ma com’è crescere troppo in fretta?
«Me lo sono chiesto tante volte. Il mio è un lavoro che ti scombussola. Sul set si vive in una bolla, ti dimentichi anche del Covid. L’importante è non avere la testa soltanto sul cinema. Sono diventata amica di Ornella Vanoni, mi chiama la mia bambina, parliamo d’amore».
Chi è Benedetta Porcaroli?
«Ho ancora tante tappe prima di capirlo veramente».
Chiara Maffioletti per il “Corriere della Sera” il 12 agosto 2022.
Quando sale in consolle si formano le folle. In vent' anni Benny Benassi ha fatto ballare milioni di persone e sulla mensola del suo studio c'è il Grammy che ha vinto, uno dei tredici italiani riusciti nell'impresa.
Superstar della dance ma della porta accanto, Benassi ai jet privati preferisce il suo van.
Una carriera fuori dal comune, esplosa nel 2002 con un singolo, Satisfaction , ora celebrato da un altro super dj come David Guetta, che ne ha fatto una cover (esce oggi). «Ne sono felicissimo, per tanti motivi», racconta Benassi.
Ce ne dica alcuni.
«La Francia è stato il primo Paese a credere in me, lanciando questo brano che è poi esploso nel mondo. Guetta era già tra i miei riferimenti».
A quanto pare anche lei è adesso tra i suoi.
«Ci conosciamo da anni, siamo diventati amici. A Marzo eravamo in consolle a Miami: commentando i suoi remix gli ho detto ridendo che ora toccava a Satisfaction ... un mese e mezzo dopo mi ha mandato la cover... mi è sembrata una bomba. Mi sono sentito come Iggy Pop quando è stato chiamato da David Bowie», scherza.
Se riavvolgiamo il nastro di vent' anni, come era?
«Ero un dj che viveva a Reggio Emilia e cercava di suonare nei club della zona. Lavoravo con mio cugino e così è stato fino a tre anni fa, quando si è preso una pausa. Quel brano è anche suo. Avevo tanta voglia di uscire dall'Italia e nel 2002 è successo: dopo la Francia è arrivata l'Inghilterra e poi il boom con gli Stati Uniti».
Ha suonato diverse volte al Coachella.
«Ho visto crescere nel tempo il palco dell'elettronica. Lì ho suonato con John Legend il nostro brano, che ricordi».
Le hanno dedicato un documentario, «Equilibrio».
«Dovrebbe essere distribuito presto. Racconta la mia storia ma anche quella della dance degli ultimi vent' anni, con i dj diventati superstar».
Tra questi c'è anche lei.
«Lavoro per mantenere il mio di equilibrio, non vorrei cambiare troppo. Mi piace stare a Los Angeles o a New York, mi carico, ma amo che siano periodi definiti: a Reggio Emilia sto bene. In realtà vivo poco fuori, in un paesino sulle colline. Mi conoscono tutti e alle signore che non sanno la storia ha pensato mia mamma a raccontarla».
Una normalità che sembra l'altro lato di una medaglia fatta di notti ad alto volume.
«Ho detto tanti no solo per stare in vacanza con la mia famiglia. Giro col mio van bianco e azzurro, è come se fosse la mia macchina. Andiamo in viaggio, a volte dormendo all'aperto. Ho riscoperto la bellezza dei picnic. A settembre andremo in Bretagna».
Un van? Niente jet privati?
«No, mi fanno paura».
La sua filosofia ricorda quella di un altro divo della dance come Moroder.
«Ho preso casa per l'inverno a Ortisei, spero di rivederlo: è una fonte di ispirazione».
Di recente Moroder, 82 anni, è tornato in consolle. Lei pensa ci starà alla sua età?
«Non lo so. Conta se hai ancora qualcosa da dire. Lavoro con un team di ventenni: il loro punto di vista è importante. Se resterò connesso con loro continuerò, ma non mi ci vedo a fare i party revival».
Rispetto agli altri musicisti, i dj paiono condannati a restare giovani. Perché?
«Un cantautore cresce con il suo pubblico e se è bravo ne conquista i figli. La dance non si consuma ai concerti ma in discoteca. La figlia della mia compagna ha 24 anni e, se non sono lì per suonare, mi guarda male se mi vede a 55 anni in discoteca... io stesso non ci vado più, tranne che per ascoltare qualcuno. Credo sia la grande differenza».
C'è qualche artista che le piacerebbe conoscere?
«David Eric Grohl per chiedergli dei Nirvana. A New York incontravo sempre Patty Smith e mi sono presentato come suo fan: è gentilissima. Andavamo nello stesso ristorante vegano».
È anche vegano?
«Non mangio la carne. Mi piace fare la mia parte per il Pianeta, gli allevamenti intensivi sono un problema».
Prossimi progetti?
«Vado tutti i giorni in studio ma il mio progetto più imminente resta il viaggio col van in Bretagna».
Peppe Barra: «Stavo per nascere sul palco e a 6 anni già recitavo». Emilia Costantini su Il Corriere della Sera il 2 Novembre 2022
Il grande attore napoletano, figlio di Giulio e Concetta Barra, è all’Off/Off Theatre di Roma in «Buonasera a tutti», un viaggio nella sua vita di uomo e di artista
Stava per nascere sul palcoscenico del Teatro Valle. «I miei genitori stavano provando un nuovo spettacolo e a mamma si ruppero le acque — racconta Peppe Barra, figlio di Giulio e Concetta Barra —. Venne subito trasportata nella pensioncina dove erano ospitati. Ebbene sì: io, napoletano doc, ho avuto il privilegio di nascere proprio nella Capitale», ride l’attore, indimenticabile protagonista della Gatta Cenerentola.
«In quella favola, non mi limitavo a interpretare la Matrigna, impersonavo proprio la “cattiveria”: era una fatica, perché indossavo un costume che, tra velluti e merletti vari, pesava circa 40 chili e io non solo recitavo, ma cantavo e ballavo. Aveva proprio ragione Eduardo (De Filippo) quando affermava che, per fare teatro, ci vogliono tre cose: salute, salute, salute. E quando ci venne a vedere, mi disse: piacerebbe anche a me interpretare la Matrigna. E io gli risposi: voi, maestro, vestito da donna? Sarebbe talmente strano, che si rivolterebbe l’Italia!».
Discendente da una famiglia di teatranti, un destino segnato: «Ho cominciato a recitare a 6 anni, in una scuola di Napoli che oltretutto era frequentata dai rampolli dell’alta borghesia e nobiltà napoletana, mentre io ero il rampollo, povero, di una dinastia artistica. Mio padre era un fantasista, cioè un personaggio che in palcoscenico faceva un po’ di tutto: il presentatore, il giocoliere, il prestigiatore, il macchiettista... una sorta di jolly della situazione. Mamma era attrice e cantante».
E con lei si è esibito tante volte. «Era una goduria recitare con Concetta, un’icona popolare che mi ha insegnato tanto. Ma quanto era severa! Una sera, eravamo in coppia nel Duetto buffo di due gatti di Gioachino Rossini e miagolavamo a tutto spiano. Entravamo in scena da parti opposte, mamma inciampa, si regge in piedi per miracolo ma le esce dalla bocca un miagolio stranissimo. Io scoppio a ridere, non riuscivo a frenarmi, mentre lei mi strizzava pizzichi sulla schiena. Finalmente si chiude il sipario e mi allunga uno schiaffo urlando: sei un guitto! sei un guitto! Ci rimasi molto male».
Questa sera debutta all’Off/Off Theatre di Roma in «Buonasera a tutti» Un viaggio nella sua vita di uomo e di artista, più volte definito «le mille e una resurrezione dell’animo partenopeo». «Napoli è di per sé una città teatrale. I napoletani hanno nel dna il dono della comunicazione, perché nei secoli hanno dovuto confrontarsi con tante diverse dominazioni. Inoltre, possediamo nelle viscere l’energia vulcanica del Vesuvio: tuttora attivo, con le sue vibrazioni ci domina dall’alto, come San Gennaro».
Luigi Mascheroni per “il Giornale” il 29 agosto 2022.
Ad esempio. Esce è successo a giugno il film Il giorno più bello, prodotto dalla IBC Movie di Beppe Caschetto, debutto alla regia di Andrea Zalone, artista dell'agenzia di Beppe Caschetto, che da anni è autore e spalla irrinunciabile di Maurizio Crozza, comico sotto contratto di Beppe Caschetto, un film che ha come interpreti Paolo Kessisoglu, Luca Bizzarri e Stefano De Martino, tutti attori della squadra di Beppe Caschetto e con la amichevole partecipazione del bolognese Lodo Guenzi, vicino di casa di Beppe Caschetto, il quale si dice presto passerà all'agenzia di Beppe Caschetto; una pellicola che andrà in onda quest' inverno su La7, rete televisiva per cui lavorano moltissimi clienti di Beppe Caschetto, e intanto è stata lanciata su Raitre da Fabio Fazio, che è l'uomo di punta della ITC 2000 di Beppe Caschetto, e già benissimo recensito dal Corriere della sera, il cui vicedirettore è Massimo Gramellini, fra i giornalisti di punta dell'agenzia di Beppe... sì, esatto: sempre lui. Può succedere.
Per inciso, il film Il giorno più bello racconta di un uomo che gestisce un'azienda di wedding planner il cui scopo nella vita è regalare felicità ai propri clienti (guadagnandoci sostanziose provvigioni). Che, più o meno, è la storia di Beppe Caschetto.
La storia di Beppe Caschetto, 65 anni, baffo bianco ed eminenza grigia, da San Cesario sul Panaro, basso profilo e alta pianura di Modena, la città dei milionari comunisti e conservatori, con la Maserati «Levante» in garage ma la struttura mentale sempre quella della Festa dell'Unità, è il più grande manager della tivù italiana, piccolo schermo e potere enorme, colui che gestisce i volti più noti, firma i contratti più pesanti, indirizza le conduzioni, sceglie le ospitate, decide la fortuna o la sfortuna di un programma.
Voi state comodi sul divano: dovete solo guardare quello che lui ha già deciso. Poi da qui, a caschetto, discende tutto il resto: la forza di imporre spazi e vetrine di primissimo piano a personaggi che non diresti, sistemare i giornalisti più gettonati, i comici più richiesti, gli attori più riciclati. Telemercato, cachet - che a sentire le cifre ti viene il mal di testa - palinsesti e showbiz. Sperando di non scanalare in un conflitto di interessi... Domanda: ma un conduttore, quanti tra ospiti, comici, giornalisti e colleghi della sua stessa agenzia può invitare nel proprio programma?
Cortesie per gli ospiti non è solo il titolo di un bel romanzo di Ian McEwan. Stessa compagnia di giro, stessi scambi di favori io presento te, tu presenti me, insieme presentiamo il mio libro, dopo parliamo del tuo film - stessi conduttori (si chiamano «anchorman» perché quando li vedi dici: «Ma ancora loro!?») che intervistano gli stessi giornalisti che ripetono le stesse opinioni, sulla stessa rete, tutte le sere... Altro esempio: a Che Tempo che fa, programma presentato da Fabio Fazio e Luciana Littizzetto (artisti di Beppe Caschetto), scritto da Piero Guerrera (autore di Beppe Caschetto), ben frequentato da Saviano, Ilaria D'Amico, Brignano, Fabio Volo, Neri Marcoré (tutti dell'agenzia Beppe Caschetto), si presenta il film Fai bei sogni, prodotto da Rai Cinema con la IBC Movie (di Beppe Caschetto), tratto dal romanzo di Massimo Gramellini, che in quel momento è nel cast fisso di Che Tempo che fa e anche della scuderia di Beppe Caschetto...
La sinistra di lotta e palinsesto: il mainstream del pensiero al suo meglio, tenendo fuori il peggio, che sta sempre a destra.
E infatti Beppe Caschetto è ben sintonizzato a sinistra («Mi considero un progressista, di formazione cattolica»): ex funzionario della Regione Emilia-Romagna con un passato nella Cgil, poi introdotto nel mondo dello spettacolo da Bibi Ballandi (che gli regala il motto «Volare bassi per schivare i sassi»), figli della stessa città, Dotta, Grassa e Rossa, quindi casa-agenzia a Bologna, con filale a Milano e diversi collegamenti esterni a Roma, Beppe Caschetto, Mangiafuoco del suo personalissimo teatrino, ha sotto contratto il meglio dell'intellighenzia radio-cine-televisiva nazionalpopolare, da Raitre a La7, dal Nove a Sanremo, ed è davvero difficile mettere in fila così tanti insopportabili, senza essere il capo degli insopportabili. Segue elenco: Formigli, Gramellini, Pif, Enrico Lucci, Salvo Sottile, Lilli Gruber, Floris, l'Annunziata, Saviano, Daria Bignardi, Fabio Fazio, Fabio Volo, la Litizzetto, Crozza, Mia Ceran, Brignano, Geppi Cucciari, Luca&Paolo, Cristina Parodi (e non citiamo Luca Telese perché a noi sta simpatico). Da restare annichiliti. Strano non ci siano Vauro, Chef Rubio e le Sardine.
Com' è il detto evangelico? È più facile che un cammello passi dalla cruna di un ago che uno di destra (sì, è vero, fino a qualche anno fa c'era Nicola Porro) entri nel teleregno di Beppe Caschetto, uno che se passa da Viale Mazzini è solo per salire al settimo piano dal direttore generale.
Ma poi: il demerito è dei vertici delle tv generaliste che non sono in grado nemmeno di buttar giù una scaletta, e comprano tutto fuori, volti e format; o è merito di Beppe Caschetto che fa l'impresario e scova talenti, cioè quello che facevano i televisivi prima di diventare burocrati?
Comunque, definire Caschetto l'uomo più potente della televisione italiana è riduttivo. E «agente delle star» è stucchevole. Prudente e circospetto, grande tessitore di rapporti e diplomazie, uomo che agisce sottotraccia, evita i riflettori, zero vita social e ancor meno mondana, poche o niente interviste, ancor meno fotografie disponibili, uomo dalla visibilità inversamente proporzionale a quella dei suoi assistiti, che sa misurare le parole e soprattutto i silenzi, che telefona raramente e risponde ancora meno, paziente, infaticabile, che parla con pochi ma ascolta tutti, molti clienti, niente amici e tanti nemici, Beppe Caschetto è il Richelieu della televisione.
Astuto, gentile, affabile, riservatissimo è infatti nel canneto che si nascondono le persone più pericolose Caschetto ha due grandi doti. La prima: sa costruire le carriere (e quindi anche distruggerle), abilissimo nel consigliare cosa fare, i programmi da tentare, le mosse da evitare: «Io accompagno i miei clienti nelle loro scelte, li indirizzo, capisco le loro potenzialità e li guido», e c'è chi dice che Alba Parietti e Valeria Marini non siamo più loro da quando non c'è più lui.
La seconda: sa lavorare bene sotto qualsiasi governo, presidente, direttore, capostruttura... Telecomando dell'urbanocairismo e figlio devoto di Mamma Rai, Caschetto traffica, impone e guadagna con qualsiasi tempo che fa; chiunque ci sia a Palazzo, lui piazzerà sempre i suoi, sapendo bene che il potere non sta in alto ma negli interstizi, perché lo stesso Direttore Generale non conta quanto i vivandieri della terrazza romana.
Tu puoi nominare il Presidente della Rai, ma saranno sempre i funzionari, quelli dei piani inferiori a decidere tutto: ti mandano in onda, ti piazzano le pubblicità nei momenti giusti e ti fanno fallire, per poi dire: noi lo spazio alla destra lo abbiamo dato, ma non sa fare tivù...
Beppe Caschetto, occhiali da sole e uomo ombra. Uno che sul cellulare ha il numero di tutti, ma nessuno ha il suo, e che è riuscito a piazzare nello stesso periodo, su tutte le reti, due spot concorrenti: uno della Vodafone con Fabio Volo e uno della Telecom con Pif. Entrambi suoi clienti. Insomma, chapeau. Che nei giri televisivi che contano si dice «Giù il Caschetto».
Novella Toloni per ilgiornale.it il 17 settembre 2022.
È un vero e proprio braccio di ferro quello in atto tra Beppe Vessicchio e l'ufficio legale della Rai. Il popolare direttore d'orchestra, volto televisivo molto amato dal pubblico, porterà in tribunale i vertici di viale Mazzini, i quali non gli avrebbero versato i diritti "connessi" (non i diritti d'autore) dovuti a lui in qualità di produttore fonografico e proprietario di supporti discografici utilizzati in alcuni programmi Rai. Anche se il verdetto spetta ai giudici, il pieno sostegno delle associazioni di categoria a Vessicchio la dice lunga sulle ragioni, che il maestro rivendica.
Al centro della diatriba ci sono le musiche de "La prova del cuoco". Beppe Vessicchio ha prodotto e registrato tutte le musiche, comprese la famosissima sigla, ma oltre ai diritti d'autore - che percepisce regolarmente - il maestro avrebbe dovuto percepire anche i diritti connessi, quelli che spettano al proprietario del supporto discografico. Quando il direttore d'orchestra ha chiesto che gli venissero saldati anche tali compensi, la Rai ha iniziato una "tarantella" - così l'ha definita Vessicchio - senza fine.
"Sono passato da un funzionario all'altro - ha raccontato Beppe Vessicchio al Fatto Quotidiano - mi è stato comunque assicurato che il dovuto sarebbe stato corrisposto. Ma non sono mai andato oltre le rassicurazioni verbali. Così ho iniziato a scrivere raccomandate senza però avere risposte. Fino a quando mi sono presentato direttamente all'ufficio legale di Viale Mazzini dove mi è stato assicurato di non preoccuparmi visto che tramite le raccomandate ero in possesso di una traccia legale della mia azione".
Poco dopo però al maestro Vessicchio è arrivata una nota dell'ufficio legale della Rai, in cui la sua richiesta veniva definita "campata in aria" e la Rai lo intimava a "non proseguire nell'azione" per non essere "citato in giudizio". La cifra - si parla di una somma "sostanziosa" - non è stata quantificata, ma Vessicchio denuncia che "qualcuno quei diritti in realtà li ha incassati" al posto suo.
Così oltre al danno è arrivata anche la beffa. Beppe Vessicchio sarebbe stato estromesso dalle ospitate sui canali Rai, come lui stesso ha dichiarato: "È scattata la clausola ("deterrente", la chiamo io) secondo la quale chi ha contenziosi con la Rai non può avere contratti in essere diretti con l'azienda. E così non ho potuto partecipare a molti programmi, perché l'ufficio legale è intervenuto sull'ufficio scritture artistiche (che stipula i contratti con gli artisti e gli ospiti) ponendo uno stop alla mia presenza". Il maestro sarebbe dovuto essere ospite a "Le parole della settimana", il programma di Massimo Gramellini, ma su di lui incomberebbe un veto.
La palla della disputa passa ora nelle mani dei giudici e del tribunale, ai quali si è rivolto Beppe Vessicchio per ottenere i proventi che la Rai dovrebbe pagargli. Almeno fino a prova contraria: "Intendo andare avanti fino in fondo a questa faccenda, nonostante io sia un "pesce piccolo". Desidero che la verità venga fuori: se avevo torto o meno non deve deciderlo la Rai". Così, per il momento, il maestro rimane fuori dagli studi Rai e si concentra sul cinema.
Beppe Vessicchio: «Sono cresciuto a Bagnoli in mezzo all’amianto. Ornella Vanoni mi lanciò una scarpa». Roberta Scorranese su Il Corriere della Sera il 7 marzo 2022.
Il musicista si racconta. Il primo Sanremo con Mia Martini, il rapporto con Vanoni.
Maestro Vessicchio, è più rischioso il palco di Sanremo o un tour di interi mesi con Le Vibrazioni?
«Ah, che discoli».
Uno come lei, barba affilata e modi d’altri tempi, che viaggia assieme uno spericolato come Francesco Sarcina e alla sua band. E la vostra tournée è stata lunga.
«Le hanno provate tutte per scandalizzarmi. Una sera vengono a prendermi con il furgoncino. Sgommata, si apre la portiera laterale, spunta Sarcina con le braccia allargate come un diavoletto e, dietro, una spessa coltre di fumo».
Che non era di sigaretta.
«Penso proprio di no».
In teatro poi è stata una serata «stonata»?
«Ha presente l’effetto del fumo passivo?».
Lei fuma?
«Non potrei permettermelo, ho 65 anni ma polmoni non perfetti».
Perché?
«Sono nato e cresciuto a Bagnoli, papà era un funzionario dell’ex Eternit. Amianto dappertutto. Stavamo in un comprensorio di palazzine, quattro famiglie: i superstiti oggi sono pochi. Io, mio fratello e mia sorella giocavamo con le vasche d’amianto. Poi c’erano anche gli aghi di ferro dell’Italsider: noi bambini ci divertivamo a riempire dei sacchi di terriccio e poi a passarci sotto dei magneti. Vedevamo gli aghetti».
Lei ha preso il Covid, qualche settimana fa. Ha avuto paura?
«Diciamo che i miei polmoni non sono sanissimi. Papà è morto per complicazioni respiratorie, mia madre di tumore».
E la musica come è entrata in quella casa, «foderata di amianto», come dice lei?
«Noi siamo cresciuti con la musica. Canzoni napoletane da mettere sul giradischi la domenica pomeriggio, quando venivano le zie. Un fratello che cantava sin dal mattino. Io che volevo suonare la chitarra. Ma allora al Conservatorio non c’era il diploma per chitarra, così i miei mi iscrissero al Liceo Scientifico. Però scoprii che potevo frequentare il Conservatorio da uditore: non persi nemmeno una lezione sulle tecniche di direzione d’orchestra. Ero diventato amico di un custode che voleva diventare paroliere, gli davo una mano con i testi e lui mi facilitava l’ingresso, mi indicava gli orari giusti».
Forse senza l’obbligo degli esami si sentiva più libero nell’approccio alla musica.
«Proprio così. Mi ricordo che c’era Enzo Avitabile che studiava il flauto. Per lui e per tutti i professori ero una specie di curiosissimo abusivo».
Che musica le piaceva?
«Vede, molti si chiedono perché i cantautori napoletani siano così venati di blues, rock o jazz. Io ho una mia idea: nel porto di Napoli, negli anni Settanta e Ottanta, c’era un giornalaio che metteva da parte le riviste di musica americana destinate ai marinai statunitensi della vicina base Nato. Anche grazie a loro e ai loro dischi sono nate certe sonorità. Pensi a Pino Daniele. Noi amavamo tutto quello che veniva dal mare e così quando ascoltai per la prima volta Sérgio Mendes con Mas Que Nada capii che a Napoli c’era un potenziale enorme. Non solo per questa commistione tra la canzone napoletana e le sonorità d’Oltreoceano, ma anche per un legame più impercettibile con alcune “repubbliche marinare” come Genova».
Un flash: Fabrizio De André che canta «Don Raffaè», brano su Raffaele Cutolo.
«Precisamente. Oppure pensi a O frigideiro di Bruno Lauzi, che prendeva le mosse dal portoghese. Oppure ancora, per andare sul personale, la mia lunga collaborazione con Gino Paoli».
«Ti lascio una canzone» l’ha scritta lei.
«Conobbi Gino a casa di Maria Pia Fanfani, una cena piena di gente, c’era anche Stefania (Sandrelli, ndr.). Ci sistemammo nella stanza dei cappotti, gli feci ascoltare due miei brani. Concordammo sul migliore e quando io poi gli dissi “Bene, è fatta, lavoriamo assieme?” lui si alzò e, allontanandosi, mi rispose “No, manco so chi sei, non ti ho ancora baciato in bocca”».
Caratteraccio?
«Gli voglio bene. Gino ha una pallottola conficcata nel cuore eppure quando poi iniziammo a lavorare assieme e ci isolavamo a Ischia per giorni interi, lui beveva whisky e si immergeva in mare per oltre tre metri. Uomo fortissimo».
Perché poi lei ha studiato architettura?
«Perché quello che davvero mi interessa è il senso delle proporzioni, dell’armonia. È la prima cosa che cerco nella musica e forse anche nella vita. Ho bisogno di equilibrio, così come ho bisogno di avere vicino mia moglie».
Enrica Mormile, conosciuta a vent’anni.
«E ci siamo sposati dodici anni dopo, faccia lei. Ci siamo incontrati e riconosciuti subito, ma abbiamo aspettato. Volevamo capire, sentire. La scienza studia principalmente il cervello, ma noi siamo fatti di tante altre cose. Per esempio, se mi stacco qualche ora da mia moglie poi ho bisogno di sentirla al telefono, ma non per senso del possesso: è per recuperare una parte di me».
Le Corbusier o Frank Lloyd Wright?
«Le Corbu mi affascina per il senso sottile dell’equilibrio, ma Wright esalta l’unicità di qualcosa, che sia una casa o un individuo. Prenda la Casa sulla cascata: è unica. Io penso che nella musica come nella pittura o nella letteratura ci sia bisogno di una nota che fa la differenza. Diffido delle persone o dei sistemi che tendono a livellare o a ghettizzare. Altro esempio: alcuni dei miei professori dell’università erano legati al progetto delle Vele di Scampia: noi lo vedevamo come una ghettizzazione e ci opponevamo. Quante volte abbiamo occupato l’università».
In ogni caso, poi lei non ha fatto l’architetto ma il musicista. Collaborazioni prestigiose, scrittura di testi e musica, arrangiamenti.
«E cabaret per diversi anni con i Trettré. Ma poi i successi musicali con artisti come Vanoni, Paoli e molti altri hanno deciso per me».
Vanoni, un altro carattere mica facile.
«Eh, Ornella è una grande artista e ci teneva a rimarcare la sua statura. Dopo ogni concerto io scappavo e evitavo il suo camerino perché sapevo che ci sarebbe stata una sfuriata. Una volta lei stava provando, io continuavo a interromperla finché lei mi lanciò una scarpa. Esasperata».
Non tutti sanno che il suo primo vero Sanremo, cioè alla direzione d’orchestra, è stato nel 1990 insieme a Mia Martini.
«Lei cantava La nevicata del ‘56. Mimì, che artista straordinaria. Spessore, profondità. Una volta, in uno studio di Roma, sentii una voce intensissima: era lei che cantava Almeno tu nell’universo. Cominciammo a lavorare assieme e lei, dopo la lunga assenza dalla musica, era come rinata. Ricordo una serata sulla terrazza della mia casa romana: feci arrivare un carico di mozzarelle solo per lei. Era felice, voleva cantare».
E lei, maestro, è felice?
«So far fruttare i momenti difficili. Negli anni ho imparato a seminare durante le cadute. Come fanno i contadini, mondo che conosco bene perché lo frequento da tanti anni (Vessicchio è anche produttore di un vino particolare, che invecchia con la musica, in collaborazione con una azienda vinicola biodinamica di Pietranico, in Abruzzo, ndr.). I contadini sanno approfittare degli inverni, io so sfruttare le fasi calanti».
E questa per lei che fase è?
«Fertile. Sto studiando zone d’ombra della musica mai approfondite, per esempio le connessioni con la fisica. Il fatto che la musica non si percepisce solo con le orecchie. La musica trova altri canali e crea nuovi equilibri. A giugno avrò l’onore di dirigere l’orchestra per i cento anni della Cattolica, c’è un progetto con i Laboratori Nazionali di Fisica del Gran Sasso».
E per Alexa, assistente personale intelligente, lei è il Presidente della Repubblica ideale.
«Se lo dice lei».
Che cosa farebbe se, per assurdo, venisse eletto capo dello Stato?
«Mi batterei per introdurre la musica sin dalle scuole elementari. Perché conosco il valore taumaturgico della musica, so che cosa è in grado di fare. Eppure vedo che in tutti i modi si cerca di alleggerire i nostri ragazzi dall’impegno, come se si temesse di affaticarli. Via il greco, meno latino, la storia dell’arte che non serve: io credo invece che bisogna insegnargli la complessità».
Lo dice lei che è due volte bisnonno.
«Ma ha notato quanto si sono impoverite le canzoni? Non parlo solo dei temi, anzi. Parlo del linguaggio, della metrica, della musica. Non sono canzoni brutte, sono canzoni meno ricche».
La sensazione, guardando le classifiche, è che si produca musica per bambini.
«Sì e le faccio notare un’altra cosa: l’uso dei verbi al futuro, molto frequente. Dipende dal fatto che si cerca l’impostazione dell’inglese, che ha molti monosillabi, parole brevi e effetto tronco. Per esempio, loro hanno la parola spring, noi pri-ma-ve-ra. Dunque cerchiamo un’altra parola, che sia più tronca. Ed ecco l’uso del futuro».
Allora meglio l’operazione Fedez-Orietta Berti, un recupero della canzone anni ‘60?
«Ma certo. Anzi, io amo i rapper, perché, vivaddio, ci hanno restituito una sorta di verismo. Ci stavamo incischiando in un tempo sospeso tra la nostalgia e il futuro. Ma il punto è un altro: la complessità fa paura, il linguaggio più articolato spaventa. Prendiamo la parola immunizzare: tutti i grandi scienziati dicono che l’immunità perfetta non l’abbiamo ancora trovata, eppure continuiamo a usare quel termine come sinonimo di difesa totale e sa perché? Perché non abbiamo voglia, tempo, coraggio intellettuale di trovare una parola diversa. Così nelle canzoni».
Per l’Italia è sempre rassicurante continuare a sentire la frase «dirige l’orchestra il maestro Beppe Vessicchio».
«Posso aggiungere una cosa sola? Io spero che in un tempo dominato dalle ricerche scientifiche — e lo dice uno innamorato della scienza — non si perda di vista il valore dell’arte. Perché, nella storia, i periodi migliori sono stati quelli in cui arte e scienza hanno camminato insieme».
Biagio Antonacci: «Dopo tre anni di stop avevo un po’ di timore». Redazione Spettacoli su Il Corriere della Sera il 10 Novembre 2022.
Mercoledì 9 novembre, giorno del suo compleanno, il cantautore è tornato sul palco, a Roma, prima data del suo «Palco Centrale tour»
Biagio in mezzo e il pubblico intorno. Ecco mercoledì sera il cantautore al debutto a Roma con il «Palco Centrale tour». «Tre anni e tre mesi senza salire sul palco, la mia ultima data con Laura Pausini a Cagliari. Salendo sul palco ero timoroso, non sai più quale sarà la reazione del pubblico, cosa si aspetta. Invece, energia pazzesca», commenta nei camerini dopo lo show, mentre festeggia il 59esimo compleanno. Il palco al centro è una scelta non comune. «È tanto bello quanto impegnativo, è un palco complicato da gestire. Non puoi cantare troppo su un fronte e permetterti la libertà di concentrarti su un lato o l’altro, penso continuamente “poi quelli di là si incavolano”. È un palco inclusivo: un termine che mi piace, indica la condivisione di una bella cosa».
Quasi tre ore di show, 34 brani in scaletta (troppi) e per «Il mucchio» Biagio torna al primo amore e si piazza dietro la batteria. A un certo punto arriva anche Laura Pausini, amica di sempre su «Se è vero che ci sei». «Oggi sono come voi, sono anche io una fan di Biagio!», ha detto Laura. «È stata una sorpresa anche per me, giuro», assicura Antonacci. «Durante il Covid — racconta — ho avuto qualche attacco d’ansia soprattutto quando ho visto che dopo 4-5 mesi la situazione non migliorava. Non ho scritto nulla per due anni, ma mi sono messo a fare il liutaio: ho imparato a riparare chitarre guardando dei tutorial in rete». Il progetto di una residency al Teatro Carcano di Milano resta in attesa: «Tornare a suonare dopo più di 3 anni e farlo solo a Milano mi avrebbe tenuto lontano da una parte del pubblico, non era la cosa giusta».
I tormentoni di Paolo Antonacci: «Imitavo papà Biagio per avere successo con le ragazze». Andrea Laffranchi su Il Corriere della Sera il 3 Settembre 2022.
Il figlio del cantautore è autore di tante hit pop: «Le difficoltà legate al cognome spaventavano più me che papà».
La gara di primavera l’ha vinta con «Sesso occasionale» di Tananai. «Nonostante l’ultimo posto a Sanremo, ero certo che avrebbe funzionato: la cantavo sotto la doccia». E anche sul tormentone estivo «La dolce vita» di Fedez, Tananai e Mara Sattei, c’è la sua firma. Paolo Antonacci, figlio di Biagio e nipote di Gianni Morandi, è uno degli autori che più sta influenzando il suono del pop italiano. Ha scritto anche per Alessandra Amoroso, Annalisa, Irama, Nek, Eros...
«L’estate è il mio momento musicale preferito non tanto per la gara al tormentone, ma perché torna l’idea di un palinsesto che ti arriva addosso anche se non vuoi. Durante il resto dell’anno scegli le tue playlist, d’estate fra chiringuito e macchinate con gli amici ci sono cose che ascolti e ti restano addosso anche se non vorresti. E per questo mi piace chiamarli tormentoni. Non poter scegliere è un po’ come ritornare a quando ero bambino».
È anche fra gli autori di «Mille», tormentone 2021: come è nato il ritorno agli anni Sessanta?
«Per riempire un buco. Per anni ci siamo dimenticati di quel riferimento culturale che è nel nostro dna e ci siamo affidati al pop latino. Dopo la pandemia ci voleva spensieratezza, un ritorno all’ultimo periodo in cui l’Italia è stata bene. “La dolce vita” è ancora più anni 60: come le hit di allora si canta tutta, strofa e ritornello».
La sua carriera di autore?
«A 20 anni avevo delle canzoni da parte, con la velleità di cantarle. E un giorno non escludo di farlo. Le difficoltà legate al cognome, spaventavano più me di papà che è sempre stato un fan, mi hanno fatto cambiare idea».
Prima che figlio d’arte è stato soltanto figlio di...
«Sono cresciuto negli anni Zero, prima dei social, quando i personaggi erano inarrivabili, quasi mitologici. E papà era un mito. I pregiudizi li ho messi subito in conto, ma nessuno ti viene a dire certe cose in faccia. Quello che mi metteva in imbarazzo era la curiosità della gente, le domande. A scuola sceglievo l’ultimo banco, e anche l’autore è quello che sta all’ultimo banco. Da dietro sono riuscito ad arrivare a tutti. L’autorato è un mondo meritocratico».
Il primo pezzo in radio?
«”La stessa” di Alessandra Amoroso. Mi ha liberato sentire che arrivavo alla gente con le mie parole. “Bella storia” di Fedez è stata la prima hit, un sollievo anche in famiglia. Il patema non è solo dei figli, ma anche dei genitori».
La prima canzone scritta?
«Alle elementari. Copiando papà ho imparato a usare il computer per registrarmi. Era una canzone per la mia compagna di classe Bianca. Lei non l’ha mai sentita... Ho iniziato a scrivere perché vedevo che papà aveva successo con le donne mentre io no. Non pensavo che fosse per il suo istrionismo e la mia timidezza, ma per le canzoni».
Aveva un piano b?
«Mi sono laureato in relazioni pubbliche. Più che per avere un piano b per avvalorare il piano a. L’obbligo di fare qualcosa di diverso da quello che vorresti ti dà più spinta».
È appena uscita «Seria», prima volta per papà Biagio.
«Finalmente mi sono sentito in condizione di poterlo fare. La vera soddisfazione è quando qualcuno pensa a un’omonimia».
E per nonno Gianni?
«Mi piacerebbe. È un immortale. Vedo due strade per lui: una ballad alla Sinatra che accenda i riflettori sull’uomo. Però quelli sono brani che fai quando tiri le somme e per lui è ancora presto. E allora va bene che cerchi il tormentone».
La prossima tendenza? Cosa vincerà a Sanremo?
«Chi lo sa. Abbiamo recuperato gli anni 60 spensierati, ma non ancora quelli classici e morriconiani alla “In ginocchio da te”. Non so però se mi prenderò io questo onere».
Novella Toloni per ilgiornale.it il 9 maggio 2022.
Dopo quasi dieci anni di messa in onda Detto Fatto ha chiuso i battenti. La trasmissione del pomeriggio di Rai Due nata con Caterina Balivo e proseguita con Bianca Guaccero ha finito il suo ciclo e l'ultima puntata è stata l'occasione per la conduttrice di togliersi qualche sassolino dalla scarpa.
Caterina Balivo è apparsa visibilmente emozionata sin dal suo ingresso in studio subito dopo la sigla di apertura, mentre i colleghi Carla Gozzi e Jonathan Kashanian l'hanno accolta con un lungo applauso. "Tante volte ho pensato a questo ultimo ingresso in studio, a cosa avrei provato. Emozioni che spero di riuscire a descrivere alla fine prima di salutarvi", ha detto l'attrice e conduttrice ai telespettatori prima di iniziare la puntata finale del suo programma.
Tra rubriche, cambi look, gossip e ricette culinarie Detto Fatto è proseguito sui soliti toni leggeri, che il pubblico aveva imparato a apprezzare nei dieci anni di messa in onda. Ma alla fine dell'ora e mezza di intrattenimento, dopo avere salutato e omaggiato tutto lo staff del programma, Bianca Guaccero si è presa qualche minuto per parlare al pubblico. "Volete sapere perché questo programma finisce? Perché non avete più bisogno di noi. Non abbiamo più niente da insegnarvi, cioè sono 10 anni che ci seguite… voi veramente avete ancora bisogno di qualcuno che vi spieghi come si fa la pasta all’uovo?", ha detto la Guaccero, ringraziando uno degli ospiti fissi Gianpaolo Gambi.
Poi la presentatrice ha preso gli ultimi cinque minuti di diretta per parlare della sua esperienza in tv: "Ho aspettato questi mesi prima dire questo. Sono passati 4 anni da quando ho calcato per la prima volta questa passerella. Sono stati anni felici i primi, di grande scoperta per me. Gli ultimi invece sono statti molto più complicati, tra pandemia e guerra, e intrattenere il pubblico non è stato più soltanto un divertimento ma quasi un dovere. Io volevo ringraziarvi per come mi avete accolta e qui ho trovato una famiglia".
La Guaccero, che nasce come attrice prestata alla conduzione, ha ringraziato i telespettatori per averla accolta e apprezzata come Bianca e non come la protagonista di tante fiction e si è commossa nel ricevere il messaggio a sorpresa dell'ideatrice del format, Caterina Balivo, che si è complimentata con lei per la sua conduzione. Poi alla fine si è tolta gli ultimi sassolini dalla scarpa legati alle voci sui pessimi ascolti, alla sua conduzione e sulla chiusura e alle polemiche nate negli anni: "Ho letto tante cose in questi ultimi mesi di cui non mi interessa neanche parlare. Credo che a parlare per me ci siano i fatti, che sono la cosa più importante. Sono rimasta qui fino all'ultimo giorno fiera di portare questa nave in porto fino all'ultimo giorno. E a voi posso solo dare un consiglio: certe volte non credete proprio a tutto ciò che leggete. Qui so per certo che noi siamo stati onesti, puliti e nessuno, e dico nessuno, può rovinare, deturpare la bellezza perché qui, in questo studio, c'è stata bellezza". Un'ultima nota polemica che non è passata inosservata, ma che ha chiuso un cerchio.
Barbara Costa per Dagospia il 6 febbraio 2022.
Questa qui si mette nuda a cavalcioni e a natiche spalancate a saltare sul suo dildo caz*one, e fa più di 8 milioni di spettatori! Questa qui cambia dildo, lo prende di vetro, ma sempre a misura caz*one, e lo lecca e se lo mette in bocca e lo succhia e ci sputa e se lo infila dietro, e pure senza salti ci orgasma e ci orgasma, e ci inchioda al video più di 11 milioni di persone! Il suo bottino più gramo è quando si sposta in bagno, entra in doccia e si masturba col doccino, e fa ingrifare quasi 2 milioni di sessi.
Questa qui è in 11esima posizione (133 milioni di views) nella classifica generale di Pornhub ora che ne scrivo. Questa qui sta dando bel filo da torcere a star amatorial come pure a pornostar affermatissime… e questa qui non si sa chi è! Sotto il nickname BigTittyGothEgg si cela una 20enne come tante ma che in poco tempo è diventata un asso del più grande sito porno al mondo, e non solo.
BigTittyGothEgg, o GothEgg, è una Tik Tok Star, una Instagram Star, e una che guadagna le sue cifre con ciò che di lei sessualmente fa vedere su OnlyFans, e su Pornhub, e qui non solo milioni e milioni di persone tappano sui suoi video, ma vi ci sbrodolano allegramente, dacché gli apprezzamenti degli stessi quasi mai scendono sotto i 70/80 per cento, e a volte toccano i 90.
Cosa piaccia così tanto di questa ragazza credo non si debba più di tanto affaticare il cervello: banalmente quei suoi grossi meloni mammari, naturali, ché GothEgg solo a strizzarli ti monopolizza l’attenzione, per non parlare di quando li impiega a spagnola coi dildo. Basta così? No. Come si può notare nelle foto di lei le meno ritoccate, GothEgg ostenta un corpo giovane e però pieno e però non perfetto.
Lei indossa minislip o tanga e mette in mostra non solo i suoi bei chiapponi, ma tutta fiera la sua cellulite, e la sua carne. GothEgg si rivela per come è, col suo look scelto e pensato un po’ a metà strada tra una nerd e una goth girl in posa emo fuori tempo massimo, e davanti a una telecamera balla e canta e sc*pa dildo e se stessa godendo a volte a ripetizione in una casa che potrebbe benissimo essere quella dei suoi (ignari?) genitori. E non ci sarebbe niente di scandaloso: oggi nel porno (e non solo) si lavora anche così, si fattura (e bene) anche così.
È saltata ogni regola: il tuo set può efficacissimamente essere la tua camera, il tuo letto, il tuo bidet, il tuo armadio, tu per come sei e vuoi, da quando apri gli occhi e per 24ore ogni giorno se ti va oppure no. Della vita vera, offline, di questa ragazza si sa poco e niente, tranne che il suo vero nome forse è Lee, e che è americana, nata a marzo? o a dicembre? del 2000? o del 1999?, e che è alta 147 cm? 152? per un peso che bio non confermate segnano 57 kg.
Non si sa dove sia nata né dove abiti (si pensa New York, si ipotizza Florida), e di certo convive con 2 gatti, e uno si chiama Egg Roll. Che altro nella vita vera GothEgg faccia si ignora, ed è giusto così poiché non ha importanza per chi punta ogni fiches online. Girano notizie non verificate di ceto benestante e di una famiglia in cui GothEgg sarebbe figlia unica di un militare d’alto grado e di una casalinga. Ha valore? No.
L’unica cosa che conta e che vale è che questa ragazza ha milioni di follower sparsi tra i suoi canali Instagram, Twitter, OnlyFans e "solo" 3,1 milioni sono gli aficionados che la guardano su Tik Tok. Qui, GothEgg è una star per i suoi balletti scemi (scemi nel senso che chiunque se vuole può replicarli, a patto che abbia tette ballonzolanti e sia capace a twerkare) e per i suoi video di lipsync (sincronizzazione labiale). Stop. È la legge dei social! Qui per diventar famosi c’è bisogno di nulla che abbia rapporti col talento, abilità, bravura. Che ci fai? È fama virtuale, basata su non si sa che: da una tale bolgia in pochi emergono con qualcosa di autorevole da dire e mostrare.
Col sesso, invece, se a sprazzi fa la sua comparsa qualche pene reale (subito bollato come quello del suo ragazzo, e non è vero, o meglio, chi lo sa? e chi se ne importa?), le prestazioni porno di GothEgg rientrano nella masturbazione, e poi masturbazione, e uso dei suoi seni nei più solisti perversi masturbatori modi.
Quanto guadagna una star del genere? A differenza delle altre scarsissime notizie, è una processione di cifre del patrimonio presunto di GothEgg: 280.000 dollari? 489.000? 800, 900.000? Supera il milione? Ma chi mette tali cifre in rete, come cavolo fa a stimarle? Ha accesso ai conti?!? Tutte baggianate che sul web passano per vere. Più spontaneo chiedersi quanto e se una tale web-star durerà. E chi può saperlo? Come altri fenomeni della rete, si fa presto a sostituirla con un’altra, e a dimenticarla.
Da deejay.it il 6 febbraio 2022.
Il titolo dell’articolo può sembrare provocatorio. Ma queste parole Billie Eilish le pronunciate davvero: “People are scared of big boobs”. Letteralmente: “Le persone hanno paura delle tette grandi”.
Ovviamente la frase della giovane cantautrice va contestualizzata. Sotto i riflettori dal 2016, quando il suo primo singolo Ocean Eyes ha fatto il botto su Spotify in pochissimo tempo, Billie Eilish, a soli 20 anni, è già destinata a percorrere le orme delle grandi pop star internazionali.
Ha conquistato fan da tutto il mondo anche grazie al suo stile unico: capelli colorati, vestiti oversize, creatività senza limiti. Stile caratteristico e speciale, che però adesso sta cambiando.
Il suo ultimo album, il secondo, Happier than ever, è il manifesto della sua evoluzione: Billie Eilish non è più una teenager e sta esplorando nuovi orizzonti.
“Ho provato emozioni diverse e ho avuto un colore di capelli differente per ogni cosa che ho fatto. Volevo che anche quest’album avesse uno stile unico” - Billie Eilish
La giovane cantante sta cambiando, e si vede: il suo look resta eccentrico, ma in maniera diversa rispetto a quello della “prima Eilish”. E non tutti i fan hanno accolto con piacere questa piccola rivoluzione.
Billie Eilish: “Ho perso 100K followers per colpa delle mie tette”
Ciò che è cambiato, in primis, è il rapporto che Billie Eilish ha con il proprio corpo.
La cantante è passata, in sostanza, dal coprirsi con abiti larghi per non essere giudicata al voler iniziare a trasmettere tutta la sua femminilità.
In una lunga intervista concessa a Elle Usa, la cantante ha percorso le tappe del suo ultimo anno, parlando anche della sua immagine, vistosamente cambiata.
L’aneddoto più curioso è legato anche ai social: Billie Eilish avrebbe perso molti followers quando avrebbe iniziato a mostrarsi più scollata.
Il fatto sarebbe avvenuto dopo aver postato una determinata foto caricata su Instagram, cioè quella che vi riproponiamo qui sotto. I fan sarebbero rimasti sconvolti dalla nuova Billie, la ragazza biondo platino in corsetto e dalle forme esagerate.
“La gente si lega ai vecchi ricordi, ma è una cosa molto disumanizzante”, ha detto nell’intervista la cantautrice. E poi, ridendo, ha aggiunto: “Ho perso 100mila followers solo per colpa delle tette. Le persone sono spaventate dalle tette grandi” - Billie Eilish
Dopo aver postato la foto, dunque, Billie Eilish avrebbe notato un calo vertiginoso del numero dei followers accompagnato da tanti commenti in cui veniva accusata di sessualizzare il proprio corpo.
Parole non facili da digerire per una ragazza che ha subito manipolazioni e abusi dall’ex e che ha un rapporto complicato con la pornografia, come lei stessa ha dichiarato.
Madonna difende Billie Eilish: "Deve sentirsi libera"
Ma Billie è andata oltre e ha continuato a seguire la sua strada. Ha ricordato ai suoi fan che non importa come appare o quale look proverà la prossima volta: resta sempre la stessa ragazza che il mondo ha già conosciuto e amato.
A proposito di star mondiali, persino Madonna, dea della trasgressione, ha preso le difese della 20enne di Losa Angeles: “Il problema è che viviamo in un mondo sessista dove le donne sono divise solo in due categorie: o sei una vergine o sei una puttan*. Billie non ha mai assecondato le masse e ha iniziato non utilizzando la sua sessualità in nessun modo. Le donne dovrebbero essere libere di mostrarsi come vogliono. Se Billie fosse stata un uomo, nessuno avrebbe parlato di tutto questo”.
Parole chiare e dure nei confronti del sistema, pronunciate da un’artista che il mondo dello spettacolo lo conosce piuttosto bene.
Blanco demolito dalla ex: "Per colpa sua sono finita in ospedale", una confessione drammatica. Libero Quotidiano il 19 giugno 2022
Giulia Lisioli, ex fidanzata di Blanco, il quale ora ha una relazione con la ballerina Martina Valdes, parla della rottura con il cantante in una intervista al settimanale Di più. "Ho scoperto che Riccardo (vero nome di Blanco, ndr) aveva un’altra in un video che mi hanno mandato su Internet. Ho visto lui in discoteca che baciava quella ragazza, una che non avevo mai visto prima".
Un tradimento che l'ha fatta soffrire moltissimo a tal punto da mandarla in ospedale. La ragazza, che ha 19 anni e che dice di provare ancora un forte sentimento per Blanco, conosciuto sui banchi di scuola, ha dovuto prendere degli ansiolitici per combattere contro gli attacchi di ansia e di panico. Giulia, dopo essere stata tradita, ha tempestato Riccardo Fabbriconi di messaggi. Tutto inutile, visto che lui non le ha mai risposta.
Solo due mesi dopo i due ex si sono incontrati per chiarire: "Mi ha detto che ci teneva ancora tantissimo a me. Ha sbagliato, forse era in un momento difficile, in cui aveva tanto stress addosso. Io non ho sbagliato niente. L’ho amato, supportato e sopportato: dall’inizio fino a Sanremo. Chi ha sbagliato è solo lui". E ancora: "Per stare dietro a lui spesso mi trascuravo. Forse è stato questo il mio errore ma ero sicura del suo amore. Mettevo davanti a tutto le esigenze di Riccardo, io venivo dopo e mi sembrava giusto così". Ora Giulia sta bene e lavora in un bar: "Vorrei vivere in pace e riuscire a dimenticare tutto. Soprattutto Riccardo".
Blanco in concerto a San Pietro, l'ex ragazzo dell’oratorio che prima dei concerti dà un bacio al crocifisso. Andrea Silenzi su La Repubblica il 17 Aprile 2022.
L’investitura della Cei dopo il successo al festival di Sanremo per il rapper delle canzoni in cui l’amore vince su tutto.
Cantare in Vaticano significa essere immersi nel proprio tempo, rappresentare una voce in grado di scuotere le coscienze, al di là del credo. Blanco è stato contattato subito dopo la sua vittoria a Sanremo in coppia con Mahmood, giudicato l'artista più adatto per dialogare con le migliaia di giovani (circa 60.000) che accorreranno in piazza San Pietro domani per una giornata di festa organizzata dalla Cei.
Il concerto di Blanco dal Papa, a San Pietro, il lunedì di Pasquetta. Redazione Online su Il Corriere della Sera il 17 Aprile 2022.
Blanco, vincitore a Sanremo con Mahmood, scelto dalla Cei per il live a San Pietro: l’evento sarà presentato da Andrea Delogu.
Blanco canterà domani, lunedì dell’Angelo, in piazza San Pietro, nell’evento ideato dalla Cei per il pellegrinaggio a Roma degli adolescenti che arriveranno da tutta Italia. Il pellegrinaggio sarà poi concluso da un incontro tra gli adolescenti e Papa Francesco.
Blanco — all’anagrafe Riccardo Fabbriconi — è da settimane tra gli artisti italiani più seguiti, dopo la vittoria a Sanremo con la canzone «Brividi» interpretata con Mahmood. Le tappe del tour sono tutte, regolarmente, sold out, e ora si prepara all’Eurovision Song Contest che tra un mese lo vedrà sul palco a Torino a rappresentare l’Italia.
L’annunico della partecipazione di Blanco è stato dato dal responsabile dell’Ufficio nazionale della Cei per la pastorale giovanile, don Michele Falabretti. Il numero delle adesioni all’appuntamento organizzato dalla Cei è arrivato a 57 mila.
A condurre l’evento saranno Andrea Delogu e Gabriele Vagnato; sul palco ci saranno anche gli attori Giovanni Scifoni e Michele la Ginestra. A chiudere Matteo Romano, anche lui passato dall’ultima edizione di Sanremo.
Blanco, 19 anni compiuti a febbraio, è il più giovane cantante maschile di sempre a vincere Sanremo. Fino a due anni fa era il capitano degli Allievi della Vighenzi, squadra di Padenghe del Garda, tra le migliori nella provincia bresciana: poi, come ha raccontato Sarvatore Riggio per il «Corriere», «l’addio al pallone (comunicato al suo allenatore, Vittorio Sandrini) e la voglia di intraprendere un nuovo percorso, la musica. Se ormai tutti conosciamo Blanco, pochi conoscono “Fabbro”, che per tutti resta “Fabbro”».
Blanco: «Voglio bene ad Achille Lauro, ma non sarei passato da San Marino per l’Eurovision». Andrea Laffranchi su Il Corriere della Sera il 7 aprile 2022.
Il tour sold out del fenomeno pop dell’anno con un palco come una cameretta.
Nella cameretta di Blanco ci stanno 3 mila persone. C’è un lettone enorme, un orsacchiotto fuori misura, una poltrona gigante e un tavolo-scrivania che nasconde un piano. È il palco del «Blu Celeste» tour, lo show più atteso dell’anno, debutto pochi giorni fa a Padova. «Ho iniziato a fare musica nella mia cameretta e fra lì e la cantina di casa dei miei è nato il debutto “Blu Celeste”. Ho cercato di ricreare la stessa vibrazione», raccontava l’altra sera, prima di salire sul palco del Fabrique di Milano. A fornire la visione è Fabio Novembre, designer di portata globale che per la prima volta si misura con un palco musicale. Sono firmati da lui anche luci e video, tutto in bianco e nero, effetti optical, graffi grafici, statue neoclassiche e l’acqua (quella del lago di Garda da cui arriva Blanco) come elemento ricorrente. «Mi ha sempre affascinato l’idea del ricordo; il bianco e nero lo lego a quello. Tutto il viaggio del concerto è un ricordo di quello che è stato, e non uno sguardo al futuro. Questo tour però non è un traguardo, ma un nuovo inizio». Altro che gen Z proiettata verso il futuro, Blanco fa il saggio: «Se ti scordi del passato non arrivi al futuro». In bianco e nero anche il pubblico: dress code rispettato con percentuali bulgare da tutta la platea. Anche i reggiseni che volano sono bianchi e neri. La sera del debutto ne aveva indossato uno e apriti cielo sui social: «Non era un outfit studiato: è venuto così».
300 mila biglietti
Blanco, all’anagrafe Riccardo Fabbriconi, è lontano anche dagli immaginario modaioli dei rapper: altro che diamanti e Lambo, meglio canotta e mutande per sottolineare il suo essere ragazzo di provincia. È stato il fenomeno del 2021, ben prima della vittoria al Festival di Sanremo in coppia con Mahmood per «Brividi»: quarto disco più venduto dell’anno con «Blu Celeste» e sul podio dei singoli più streammati con «Mi fai impazzire» con Sfera (lo ha raggiunto sul palco, volto nascosto dal baklava-passamontagna, non ha cantato). Un fenomeno unico. Quelli della sua generazione, quella che ha rotto gli schemi del music business, fanno grandi numeri in streaming ma faticano a convertirli in consenso live. Questo tour è andato sold out in pochi giorni: 300 mila biglietti venduti, numeri da veterani del palco.
La scaletta
Blanco ha radunato un pubblico, a trazione femminile fra la fine dei teen e la prima metà dei 20, con una proposta musicale inedita per i giorni d’oggi: energia punk, chitarre, un’urgenza di racconto quasi rap. Senza quel bisogno di smussare gli angoli tipico del pop. La replica sul palco con il trio chitarra (Michelangelo, il suo produttore), Jacopo Volpe alla batteria ed Emanuele Nazzaro al basso. Concerto secco, i brani del disco e due canzoni pre-esordio («Amatoriale» e «Ruggine») che lui ha tolto dalle piattaforme e usa per testare chi c’era veramente dagli inizi, nei bis le hit «La canzone nostra», «Brividi» (senza le parti di Salmo e Mahmood) e «Notti in bianco» in versione elettrica dopo quella acustica a metà show. «Mi è sempre piaciuta la musica con gli strumenti, e lo dico con rispetto di chi usa le basi». Energia a torso nudo di cui fanno le spese un paio di sedie spaccate con gesto da cover di «London Calling» dei Clash. «È meglio che scop... Non ne potevo più di guardare concerti su YouTube. Vasco resta il nostro king e mi dicono che dovrei vedere Jova».
«Non sono un maschio alfa»
C’era la famiglia a seguirlo: «Non voglio fare il maschio alfa... confesso che mi ha emozionato. Vedere mia mamma orgogliosa è stato bello. Quando da bambino ho iniziato a cantare, più che altro gridavo, lei arrivava in camera e diceva “sei un po’ stonato…”». .
L’Eurovision
In mezzo al tour ci sarà l’Eurovision con Mahmood: «Abbiamo deciso: faremo “Brividi” in italiano perché siamo orgogliosi di rappresentare l’Italia. Peccato che per regolamento abbiamo dovuto tagliarne 24 secondi. Voglio bene ad Achille Lauro, ma non avrei cercato la strada di San Marino. Per me e Mahmood andare a Sanremo era un modo di portare la nostra musica su quel palco. L’Esc è arrivato dopo».
Francesco Moscatelli per “La Stampa” il 26 febbraio 2022.
«Grande Blanco. Calvagese è con te». La scritta appare e scompare sullo schermo all'ingresso di Calvagese della Riviera, alternandosi alle informazioni sul meteo e a quelle sulle imposte comunali. La stessa frase è stampata sullo striscione davanti al municipio e su quello appeso sulla strada che porta alle frazioni di Mocasina e Carzago.
È l'effetto Blanco. «Il nome d'arte l'abbiamo inventato insieme - specificano gli amici di sempre -. All'inizio era Blanco Fyrex, poi l'ha semplificato. L'intolleranza ai latticini non c'entra nulla».
Dettagli. La sostanza è un fuoco d'artificio in pieno giorno che ha risvegliato dal torpore una comunità di 3.200 abitanti che più placida sarebbe difficile immaginare.
E l'affetto con cui questa comunità ringrazia un ragazzo di appena 19 anni, autodidatta della musica e vulcanico self-made man dei social, che un minuto dopo aver vinto il Festival di Sanremo insieme a Mahmood con Brividi ha urlato dal palco dell'Ariston: «Calvagese è ovunque». Campanilismo d'antan.
Pardon: local pride. Riccardo Fabbriconi, infatti, l'alter ego in carne, ossa, tatuaggi e canottiera bianca dell'artista che su Spotify e sulle altre piattaforme digitali ha già superato il miliardo di stream, è nato e cresciuto nel più classico dei paesaggi italiani: la provincia.
Che nel suo caso significa l'istituto professionale per acconciatori di Desenzano, i sabati pomeriggio in piazzale Arnaldo a Brescia, le vacanze in Puglia con i genitori e i tre fratelli più grandi e il lago di Garda così vicino che d'estate Blanco ci va a fare il bagno in bicicletta.
E poi il calcio (difensore centrale soprannominato «fabbro», il Lumezzane lo mise sotto contratto quando aveva 7 anni), le trasferte in auto con il papà informatico e la mamma impiegata che gli facevano ascoltare De Andrè, Paolo Conte, Celentano e Nicola Di Bari, i brani trap scritti nelle tavernette dei compagni delle medie con tastiera e amplificatorino, la pizzeria «La diavola» per cui faceva le consegne a domicilio per pagarsi i primi video.
A differenza di tanti, però, Blanco non ha mai glissato sulle sue origini. Anzi. Quasi le ostenta. Come se tutta la normalità che lo circonda fosse la benzina del suo successo, la sua arma segreta.
Lo ha ripetuto anche pochi giorni fa, quando il consiglio comunale lo ha ricevuto con tutti gli onori in mezzo alle tele del Tiepolo e del Canaletto del museo locale: «Essere di Calvagese mi ha forgiato, mi ha fatto restare acqua e sapone. I giovani come me, che vengono dalla provincia, devono sapere che possono fare tutto: bisogna crederci e fare sacrifici».
«Siamo orgogliosi di lui e per l'Eurovision stiamo organizzando qualcosa per dimostrargli la nostra vicinanza - dice il sindaco Simonetta Gabana -. Credo che una realtà come la nostra possa averlo aiutato anche dal punto di vista artistico. C'è molta libertà e un paese piccolo ti porta a muoverti con le tue forze, a darti da fare».
Lo conferma il padre, Giovanni Fabbriconi, seduto sulle sedie di plastica del bar-tavola fredda «Il Sorriso»: «Io vengo da Roma. La chiave per capire questo posto e anche mio figlio è solo una: la semplicità».
Una semplicità che Blanco declina in modo anticonvenzionale, come quando va a correre nudo in mezzo ai boschi e ai filari di Groppello insieme al suo bulldog inglese Bam Bam. In vesti adamitiche, non a caso, appare anche sul nuovo numero di Vanity Fair.
«Non è esibizionismo - precisa subito il papà -, stare senza vestiti lo fa sentire libero». La carriera di Riccardo, partita nel giugno 2020 dopo il primo lockdown con il singolo Belladonna (Adieu), è stata così fulminea da aver spiazzato la sua stessa famiglia.
«Ci siamo accorti di quello che stava succedendo perché mio figlio non ha ancora fatto la patente e dopo un po' portarlo in giro stava diventando un lavoro - continua il papà - . È stato costretto a lasciare la scuola ma vederlo impegnato a tempo pieno con la musica è una grande soddisfazione. Certo, non ho mai pensato che sarebbe finito a lavorare in banca».
«Mollare la scuola è una cosa che, però, sconsiglio a chiunque: avere un'istruzione serve davvero» ribadisce lui nell'intervista a Vanity. In paese sono tutti sicuri che il successo non lo ha cambiato e non lo cambierà.
«È sempre stato un bambino introverso più che timido e credo che lo sia tuttora - dice la barista Simona Roncetti, che è passata dal vendergli le caramelle al ripetere davanti alle telecamere che fa colazione con cappuccino al latte di soya e brioche vegana al cioccolato -. Ho scoperto che era Blanco da mio figlio. Mi ha fatto ascoltare La canzone nostra e mi ha detto: "Ma non lo sai che è Riccardo questo che canta?"».
Vittorio Sandrini, suo allenatore negli Allievi Elite della Vighenzi dal 2017 al 2020, è quasi scosso per la parabola a cui ha assistito. «Bisognava tirargli fuori quello che aveva dentro, adesso lo butta fuori da solo con la musica - pensa a voce alta il mister -. Quando ci ha detto che avrebbe lasciato la squadra per dedicarsi completamente a questo progetto gli abbiamo detto di rifletterci bene.
È sempre stato molto forte e anche se percepivamo che il calcio non era la sua priorità ci sembrava che stesse facendo un errore. Invece aveva ragione lui. Se penso che i primi testi li cantavano i compagni di squadra negli spogliatoi e che adesso non riesco a trovare i biglietti per andarlo a sentire quasi non ci credo».
La conferma che Blanco sia ormai una star trasversale alle generazioni, in ogni caso, arriva dall'imbarazzo con cui Germano Villa, un vicino di casa impegnato a compilare le schedine del Totocalcio sui tavolini del Wine Bar Centrale, ammette di non aver mai ascoltato una sua canzone: «Sono rimasto a Vanna Leali, la cugina di Fausto, che abitava proprio qui dietro. Anche lei partecipò a Sanremo nel 1976. Però prometto che adesso mi aggiorno».
La 72esima edizione del Festival. Chi è Blanco, il cantante in gara a Sanremo con Mahmood e la canzone “Brividi”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 31 Gennaio 2022.
Blanco ha spaccato tutto con la canzone Mi fai impazzire, hit della scorsa estate cantata con Sfera Ebbasta. Sarà alla 72esima edizione del Festival di Sanremo con Mahmood – 29 anni, nome d’arte di Alessandro Mahmoud, è stato il vincitore a sorpresa dell’edizione 2019 con Soldi. I due porteranno Brividi sul palco dell’Ariston, nella serata delle cover invece il capolavoro di Gino Paoli pubblicato nel 1960 Il cielo in una stanza.
Riccardo Fabbriconi, quasi 19 anni, si è avvicinato quasi per caso alla scrittura. Il suo primo brano dedicato a una ragazza. Ha pubblicato a giugno 2020 il suo singolo d’esordio Belladonna (adieu), seguito da Notti in Bianco e da Ladri di Fiori. Ha collaborato con Madame in Tutti Muoiono ed è esploso con Mi fai impazzire con Sfera Ebbasta.
Notti in Bianco è stata certificata doppio disco di Platino con oltre 47 milioni di stream. Ladro di Fiori disco d’Oro. È stato selezionato per Radar Italia, il programma globale di Spotify per la prima volta in Italia per supportare i migliori talenti emergenti della scena
È stato selezionato per far parte delle unplugged session Amazon Music Breakthrough. Il suo album d’esordio Blu Celeste è uscito venerdì 10 settembre: triplo platino. La coppia Mahmood-Blanco è data dai bookmaker come la favorita alla vittoria finale. Loro si smarcano al momento. “Ci siamo incontrati quest’estate per caso nello studio di Michelangelo (il produttore Michele Zocca) a Vescovato, in provincia di Cremona. Da un accordo sbagliato al pianoforte è nato il ritornello. Poi ognuno di noi ha lavorato sulle strofe per raccontare non solo di amore ma di sentimenti secondo i nostri rispettivi punti di vista”, hanno raccontato a Il Corriere della Sera.
Il testo ripercorre un dialogo a distanza dove un uomo si mette a nudo, anche fisicamente, davanti a un altro. “Il tema – ha raccontato Mahmood – è quello della libertà in senso universale. Nel 2022 non si può più stare appresso ai retrogradi, bisogna riuscire a dare dignità a tutte le scelte e spero che lo faccia più che noi artisti chi ha un ruolo di guida nell’Italia. La nostra generazione vive e pensa in modo libero, siamo stanchi di persone che cercano di ghettizzarne altre, il giudizio è come la morte”.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Fabrizio Biasin per “Libero quotidiano” il 7 febbraio 2022.
Hanno (stra)vinto loro, si sa. Da una parte Mahmood, quello di Soldi: è riuscito a fare il bis sanremese e ora chi lo ferma più. Nessuno, neppure Di Maio che pure ci provò nel 2019 con il suo appello a favore del popolo, costretto a digerire il trionfo di questo signore qui. Ebbene, da quel momento, era il 2019, Mahmood ha vinto qualunque cosa, anche la sagra della polpetta.
Sarà per questo che nessuno ha osato dire niente, se non parole buone, a proposito dell'altro vincitore, Blanco, vero nome Riccardo Fabbriconi, giovane rapper di soli 18 anni con alle spalle già un'invidiabile carriera. Del resto, oh, piace a tutti: ragazzine, ragazzini, mamme, padri, figli, etero, omo, fluidi di ogni genere.
Sarà per quello sguardo da bravo ragazzo, sarà per il capello arruffato, sarà per l'abbigliamento angelicato, sarà per quella voce "rara" che si ritrova, sarà per i testi delle sue canzoni, sarà quel che vi pare, ma questo qui non ne sbaglia una da almeno un paio d'anni e ora si è preso pure Sanremo all'età in cui i suoi coetanei è già tanto se ci vanno al mare, a Sanremo.
È "avanti", il ragazzo, e subito dopo essere stato eletto vincitore del Festivàl non ha detto «ora conquisto il mondo», ma è andato a festeggiare con mamma e papà («da piccolo li facevo disperare, subito dopo la proclamazione il babbo mi ha detto "li mortacci tua"»), ma pure con Gianni Morandi che ha preso in braccio come se si trattasse del suo migliore amico (se accadesse, non ci stupiremmo).
'Sto ragazzo nato nella provincia di Brescia, a Calvagese della Riviera, paesino di 3000 anime, si è - come si suol dire - fatto da solo, da ragazzino acchiappava le basi su YouTube e rappava, poi i primi pezzi su Spotify, ma anche l'addio al calcio per star dietro alla sua passione (era una discreta promessa della Feralpi Salò, ruolo difensore, nonché tifoso della Roma).
Inizia a collaborare con la Ecletic Music, si mette sotto, scrive la hit Notti in bianco, al termine del primo lockdown fa uscire l'Ep d'esordio, Quarantine Paranoid (titolo decisamente evocativo), lo nota la Universal e gli propone un sontuoso contratto.
Lo accetta, ovvio. A ottobre 2020 è il momento di un altro singolo di grande successo, Ladro di Fiori, che gli apre la porta delle collaborazioni con artisti prestigiosi, Salmo, per dire.
Con il rapper sardo pubblica il singolo La canzone nostra, un trionfo che lo consegna al grande pubblico. A Marzo 2021 pubblica il singolo Tutti Muoiono insieme a Madame, poi, la scorsa estate, arriva Tu mi fai impazzire con Sfera Ebbasta, che invade le radio per mesi e mesi.
A settembre 2021 ecco il suo primo album, Blu Celeste, un trionfo fatto di primati in classifica e singoli a raffica, ora la consacrazione a Sanremo. Fidanzato con Giulia, pare proprio un bravo ragazzo, soprattutto è capace di mettere insieme rime come quelle di Brividi, canzone che in una settimana ha fatto il giro del mondo e verrà riproposta al prossimo Eurovision, la Champions della musica in programma a maggio a Torino.
«Volete partecipare» gli hanno chiesto dopo la proclamazione, «sììì!» ha risposto lui con la voce emozionata di chi fino a due anni fa neanche immaginava una cosa del genere, al punto che lasciando il palco dell'Ariston ha gridato «Vado a ubriacarmi!». Ci sembra giusto. È un grande talento, e anche nell'era dei cantanti "usa e getta" con lui ce la sentiamo di osare: ne parleremo a lungo, magari non a lungo come con Morandi, ma anche la metà del tempo non sarebbe.
Esplode il fenomeno Blanco. E spuntano le foto da "Brividi" con la fidanzata Giulia. Il Tempo il 07 febbraio.
Mahmood e Blanco trionfano a Sanremo 2022, un'edizione - la terza targata Amadeus - che ha battuto ogni record in termini di ascolti e popolarità, anche grazie alla partecipazione di tanti giovani. La coppia che già era data tra i favoriti alla vigilia si conferma in testa dopo l'ultima serata al teatro Ariston e prenota un posto all'Eurovision Song Contest di Torino. Mahmood c'era già stato nel 2019, dopo la vittoria a Sanremo con il brano 'Soldi'. Stavolta, nell'edizione made in Italy porta con sé anche il 18enne Riccardo Fabbriconi, in arte Blanco che ha già fatto impazzire tutti soprattutto le giovani fan che adesso sulla nuova stella vogliono sapere tutto.
Nato a Calvagese della Riviera, un piccolo paese della provincia di Brescia, il 10 febbraio 2003, il cantante che nei suoi appena diciannove anni scarsi è stato anche un promettente calciatore (due anni fa era difensore e capitano della squadra giovanile di Padenghe) è fidanzato da circa un anno e mezzo con Giulia Lisioli, una ragazza del bresciano come lui conosciuta prima di diventare famoso. I due sono apparsi insieme per la prima volta ai Seat Music Awards 2021, dove si sono presentati mano nella mano. Per l'occasione, il cantante aveva aggiornato il suo profilo Instagram con una foto di coppia. Ma a raccontare via social il loro amore ci pensa soprattutto la studentessa Giulia, che posta spesso foto e video assieme al fidanzato.
Anche lui le ha dedicato un tenero saluto, al termine dell’esibizione sul palco dell’Ariston il giorno della vittoria. “Ciao Giulia”, ha detto Blanco sollevando il mazzo di fiori che gli aveva appena consegnato Amadeus.
Blanco, dal calcio al Festival di Sanremo. La Feralpi Salò: «Tifate con noi per "Fabbro"». Chi è Riccardo Fabbriconi. Salvatore Riggio su Il Corriere della Sera il 4 febbraio 2022.
Lotta insieme a Mahmoud per la vittoria al Festival, ma fino a poco tempo fa aveva una carriera da calciatore davanti e giocava contro l'Under 21 Scalvini
Dai campi di calcio con la maglia del Feralpi Salò e della Vighenzi al palco di Sanremo con la canzone «Brividi», che canta in coppia con Mahmoud . Ma se all’Ariston si chiama Blanco, su un campo di calcio è per tutti Riccardo Fabbriconi, nato il 10 febbraio 2003, grande tifoso della Roma, passione ereditata dal padre.
Fino a due anni fa era il capitano degli Allievi della Vighenzi, squadra di Padenghe del Garda, tra le migliori nella provincia bresciana. All’epoca guidava la difesa, adesso è primo – nella classifica provvisoria – al Festival in attesa delle ultime due serate. Magari ha sì un fisico poco strutturato, ma è dotato di grande intelligenza, che sa applicare a qualsiasi cosa faccia, calcio compreso.
Questo ragazzo, che per tutti resta «Fabbro» (il soprannome, come capita a tanti, è il diminutivo del cognome) è cresciuto nelle giovanili della Feralpi Salò, per poi spostarsi a Padenghe, per completare il percorso giovanile con la Vighenzi. Una promessa, poi l’addio al pallone (comunicato al suo allenatore, Vittorio Sandrini) e la voglia di intraprendere un nuovo percorso, la musica. Se ormai tutti conosciamo Blanco, pochi conoscono «Fabbro».
Era il 15 novembre 2015 quando Riccardo Fabbriconi sfidava Giorgio Scalvini – suo coetaneo e difensore bresciano oggi all’Atalanta (sette presenze, sei in serie A e in Nazionale Under 21) – in Feralpi Salò-Atalanta 0-6 . Se il primo è il talento del momento nella musica, il suo coetaneo gioca in serie A con la Dea e nell’Under 21 di Nicolato.
«I Leoni del Garda» oggi sono in Lega Pro, con una storia unica nel panorama calcistico italiano. Hanno adottato un cane, un setter, di nome Leo, mascotte della società. E in passato, appunto, hanno cresciuto Blanco. Ma con il passare degli anni è sfumata la passione per il pallone e il ragazzo ha sposato la musica. Un coraggio, come mostrava anche in campo quando aiutava ed esortava i suoi compagni di squadra, guidandoli anche nelle partite più delicate. Perché non è da tutti lasciare una strada che gli dava prospettive e percorrerne un’altra. E adesso tutti sostengono il «Fabbro»: «Tifa con noi per la vittoria di Blanco a Sanremo», ha scritto sui social il suo vecchio club, la Feralpi Salò. E ancora: «Che “Brividi” vederti su quel palco. Forza Blanco!», giocando con il titolo della canzone presentata all’Ariston. Con nessun rimpianto.
Barbara Costa per Dagospia il 29 maggio 2022.
È la nuova Jenna Jameson? Ci assomiglia? È meglio? Peggio? È incredibile quanto i capoccia del porno stiano pompando questa tipa qui, Blake Blossom, 22 anni, nata in California ma cresciuta in Arizona, e quanto la sinuosa fanciulla stia salendo in views e porno gradimento s*gante generale. Davvero abbiamo bisogno –il porno ha bisogno – della nuova Barbie, prototipo della ragazza della porta accanto, scoppiante pulizia e salute, viso angelico su un fisico straripante voglie e movenze da indicibile ninfomane?
Evidentemente sì, se è ancora tale la gallina dalle uova d’oro del porno che fa i soldi e li fa girare. Se si porno insegue e fomenta il desiderio di una nuova Jenna Jameson stella ineguagliabile del porno che fu (e facciamo i più grandi auguri di pronta guarigione alla cara Jenna, forza Jenna che poco tempo fa se l’è vista brutta, ricoverata in ospedale per sospetta sindrome di Guillain-Barré: e diagnosi erronea, Jenna Jameson è stata dimessa, anche se non si sa finora l’esatta causa del suo male, in ogni modo si posta in recupero…) e, dicevo, del porno che fu e che non è più… ma non sono solo i capoccia del porno, sono i porno p*pparoli che non se lo tengono nelle mutande davanti a Blake Blossom nuda, e allora ditemelo voi, p*pparoli decisivi giudici porno, cosa ci trovate e vi aizza questa bambola americana, visto che siete stati voi, i primi a dar di matto per le tette grandiose (e naturali) di Blake!
Tutto è iniziato a marzo 2020, proprio a inizio pandemia, quando Blake ha mollato l’università per mettersi su OnlyFans e lì farsi pagare per i suoi show di sesso una cifra minima: 10 dollari a sessione, anche di più ore. Senti i commenti dei suoi primi fan, a sole due settimane dal debutto su OF: “Questa ragazza è un knock-out!”, “molto meglio dei contenuti delle pornostar veterane!!!”, “un c*lo da leccarsi i baffi”, “sembra divertirsi con l’intera faccenda, vale i 10 dollari, ne vale il doppio e di più”.
I boss del porno monitorano tutto, post social compresi, e pure da ciò basano su chi puntare: nel porno che fa i soldi e li fa girare, "Adult Empire" è leader nel quotare il valore di mercato delle porno performer in base a dati di vendita, download, ricerche, views, e potenza sui social. Blake Blossom ha ciò che a Adult Empire chiamano "aurea di vendita": è una che spinge a consumare porno.
Ecco che ne pensa Kayden Kross, boss dello studios Deeper e pluripremiata porno regista, e in passato pure lei pornostar modello Barbie California: “Blake è giovane ma già bella esplosiva nelle prestazioni”, spiega Kayden, che l’ha diretta in "Skirt Scale", “e questo perché è a suo agio col sesso e ne ha il pieno controllo, e lo esprime”.
Se Jenna Jameson era famosa per le sue bagnate fellatio, Blake Blossom prende in bocca senza problemi peni XXL, e se Jenna Jameson snobbava l’interracial, Blake Blossom monta e si fa montare da quel gran manzo di Dredd, uno che, a proposito di peni XXL, sta a quasi 30 cm… ma ci dobbiamo credere che Blake Blossom, prima di darsi al porno, ha avuto esperienze sessuali solo etero e in posizioni standard??? Mah.
Non vorrei deprimere i fan, ma come giudica Blake Blossom in persona il suo successo? Ti risponde che lei è una azienda, un marchio, e che del suo corpo e dei suoi atti porno vuole ricavarne più soldi possibili.
La ragazza è tosta e potete giocarci la pensione di nonna che diverrà chi tra le pornostar – come Asa Akira, o Mia Malkova, o Valentina Nappi – del porno fanno scasso rinvigorendolo col loro guizzo. Blake Blossom ne rimpolpa le ambizioni: “Ho diritto di sedere al tavolo dei vincenti con chiunque nel suo mestiere lo sia: nessuno mi è superiore solo perché io per lavoro faccio e vendo sesso”. Si sotterri ogni moina: Blake è pornoattrice e donna d’affari.
D’altronde la stessa Jenna Jameson fece nobile impresa del suo corpo nel porno fatturante milioni: in tutt’altra realtà ed economia, oggi Blake Blossom e pari colleghe aspirano alla stessa meta e però senza il peso di un passato sciagurato. Se Jenna Jameson prima di diventar porno diva ha avuto una infanzia indigente, e ha subìto violenza, e ha usato droghe, non si hanno simili notizie iellate su queste nuove ragazze del porno. Loro sono come i Måneskin. Dalla prima luce della ribalta che li solleva dall’anonimato, ne fanno gran opera e catapulta che li issa a prodigi. Con naturalezza, professionalità, e tutt’altro cervello, e nulla in comune con chi è venuto prima di loro. E meno male.
Agostino Gramigna per corriere.it il 22 novembre 2022.
Non si chiamava Bob Dylan. Non ancora. Ma Robert Zimmerman, come riportava l’anagrafe in quel 1958, ci stava pensando. Un nome nuovo, una vita nuova. Per rincorrere il sogno: vendere un milione di dischi. Bob Dylan era giovanissimo e condivideva queste aspirazioni con la sua fidanzata del liceo, Barbara Ann Hewitt.
Nelle lettere che le scriveva c’erano i dettagli sulla preparazione per il talent show locale, brevi poesie e naturalmente manifestazioni di affetto. Ora quelle missive d’amore giovanili (circa 150 pagine scritte a mano dal musicista) sono state vendute venerdì scorso da RR Auction, una casa d’aste di Boston specializzata in cimeli unici. La cifra: 669.875 dollari. Il lotto comprendeva 42 missive. Un tesoro custodito da Barbara per oltre 60 anni.
Nel Minnesota
Hewitt era nata nel 1941. Si era stabilita con la sua famiglia a Hibbing, nel Minnesota, durante l’adolescenza. Fu lì che conobbe il diciassettenne Robert, futuro Dylan, al corso di storia del liceo. Si sono dati il primo appuntamento in un freddissimo capodanno del 1957. Nei due anni successivi si sono scambiati diverse lettere. Barbara Ann Hewitt le ha conservate. Fino al 2020, anno della sua morte. Il lotto venduto all’asta include anche un biglietto di San Valentino firmato da Dylan e un biglietto scritto a mano non firmato.
La rottura
La relazione tra i due giovani liceali non durò a lungo. In una lettera Dylan chiese a Barbara di restituirle alcune sue fotografie. Segno dell’avvenuta rottura, forse causata dal rifiuto della giovane Hewitt di seguirlo. Ricorda sua figlia: «Dopo aver raggiunto il successo, negli Anni 60, Dylan chiese a mamma di raggiungerlo in California. Lei però rifiutò». Barbara sposò un uomo da cui divorziò negli anni’ 70. Dylan riuscì a vendere milione di dischi.
Le loro strade non s’incontrarono mai più. Tranne, forse, nei ricordi. Barbara aveva i capelli rossi. Il colore che ritorna in alcuni brani celebri del cantautore, tra cui «Tangled up in blue» del 1975, estratto del disco «Blood on the tracks». C’è un verso del brano in cui Dylan canta: «Se i suoi capelli fossero ancora rossi»...
Il filosofo Dylan vola nel blu dipinto di blu delle grandi canzoni. Il Premio Nobel racconta i brani che ama. Sul piedistallo anche il nostro Modugno. Alessandro Gnocchi il 18 Novembre 2022 su Il Giornale.
Chi capisce meglio la musica? Chi sa leggere uno spartito o chi si mette a piangere quando ascolta un blues? Bob Dylan non ha dubbi: chi si sente le note nelle ossa e nel cuore. Chi è il miglior compositore? Chi dispiega le sue conoscenze nel campo dell'armonia o chi sa scrivere una melodia in pieno accordo con un testo? Bob Dylan non ha dubbi: chi sa essere toccante, anche nella semplicità. Tutto questo, però, senza diventare snob al contrario: se qualcuno conosce la musica può scagliare più frecce e forse ha qualche possibilità in più di andare a segno in quel campo affascinante ma inafferrabile che è la canzone d'autore. Bob Dylan, premio Nobel per la letteratura, pubblica il suo terzo libro dopo Tarantula, un delirio beat uscito ufficialmente nel 1971, e Chronicles vol. 1, una autobiografia molto particolare datata 2004. Ora è il momento di Filosofia della canzone moderna (edito da Feltrinelli come i precedenti, pp. 340, euro 39). Di filosofia ce n'è veramente poca. In compenso, e per fortuna, ci sono molte storie. Dylan «spiega» oltre sessanta canzoni tra le sue favorite. Si addentra raramente in questioni tecniche. Il premio Nobel preferisce far vivere i brani attraverso le traversie e le avventure dei personaggi. Il risultato è straordinario: forse non c'è modo migliore di descrivere il pop, il blues, il bluegrass, il country, il folk. Non c'è quasi spazio per il rock'n'roll che non sia delle origini: niente Beatles, Stones, Hendrix. Ci sono My Generation degli Who e Pump It Up di Elvis Costello e London Calling dei Clash. Largo spazio a Willie Nelson, Johnny Cash, Hank Williams, Frank Sinatra, Dean Martin, Domenico Modugno, Little Richard e anche a eroi «minori».
Molte canzoni sono spunti anche per ampie digressioni dove Dylan espone le sue idee. If You Don't Know Me By Now di Harold Melvin & The Blue Notes è l'occasione per una riflessione sulla fede, un tema centrale per Dylan dai tempi della conversione al cristianesimo all'inizio degli anni Ottanta. Scrive Dylan il predicatore: «Una delle ragioni per cui la gente non si rivolge più a Dio è perché la religione non fa più parte del tessuto delle loro vite. Viene presentata come un'incombenza domestica: è domenica, dobbiamo andare in Chiesa». Ma una volta «la religione era nell'acqua che bevevamo, nell'aria che respiravamo». Ed ecco il salto dalla «teologia» quotidiana alla musica: «I canti di lode davano i brividi come le canzoni carnali, e in effetti ne erano le basi. I miracoli facevano luce sul nostro comportamento e non erano solo uno spettacolo». Cheaper to Keep Her di Johnnie Taylor offre la possibilità di tirare un pugno in faccia alla cultura accademica: «I dischi di musica soul, come lo hillbilly, il blues, il calipso, Cajun, polka, salsa e altre forme di musica indigena, contengono spesso la stessa saggezza che le classi superiori ricevono all'università. Mentre i laureati della Ivy League parlano d'amore in una sfilza di quartine soffuse di qualità astratte e attributi impalbabili, la gente - che abiti a Trinidad o ad Atlanta - canta dei vantaggi di avere per moglie una donna poco attraente e delle altre pure e semplici verità della vita». Poi sua Bobbitudine parte per la tangente e si lancia in un elogio del matrimonio poligamo: «Quante mogli ha un uomo sono solo fatti suoi». È una provocazione dovuta al costo dei divorzi ma possiamo comunque immaginare una torma di femministe andare a caccia di Bob con i forconi in mano.
Il gruppo rock prediletto sono i Grateful Dead, con i quali Bob ha suonato molte volte dal vivo, incidendo anche un album insieme con loro. Qualche dissertazione tecnica qui c'è: la forza dei Grateful Dead è nella sezione ritmica di impronta jazz e nel virtuosismo dei due chitarristi, Bob Weir e Jerry Garcia. Questa band dà l'impressione di essere sempre in viaggio, non si sa in quale direzione, e qui salta fuori un punto di riferimento extra-musicale: William Burroughs e la sua fantascienza del tutto atipica, persa in un trip dove si confondono realtà, sogni drogati e inganni di antichità divinità azteche. Potrebbe sembrare impossibile, almeno a noi italiani, ma in fondo Dylan è più che convincente: anche Nel blu dipinto di blu appartiene alla categoria delle cavalcate psichedeliche, in anticipo di dieci anni sul fenomeno. Scrive Dylan: «Sei abbastanza sicuro di essere diventato una specie di mutazione biologica, non sei più un semplice mortale. Potresti fare a pezzi il tuo corpo e spargere ovunque i tuoi brandelli. (...). Passi rombando come una cometa, sei in fuga verso le stelle. Sarai magari pazzo ma non sei un imbecille». È l'unica canzone italiana ma non è l'unico accenno alla canzone italiana, che Dylan sembra aver sempre presente, e che identifica grosso modo nella tradizione napoletana (rivisitata). Gli italiani, tra l'altro, sono un po' dappertutto. Per lui, Dean Martin è Dino, l'italiano. E anche il vecchio Frank (Sinatra, ovviamente) appartiene alla famiglia allargata dei nostri «paesani».
Per finire un po' di filosofia. Tra le canzoni predilette c'è Your Cheating Heart di Hank Williams. Perfetta nella sua semplicità. Dylan arriva a dire che se fosse suonata «meglio» diventerebbe inascoltabile: «È il problema di molte cose al giorno d'oggi. Tutto è così saturo; tutto ci viene imboccato. Tutte le canzoni parlano di una sola cosa e di una cosa in particolare. Non ci sono chiaroscuri né sfumature, non c'è mistero. Forse questa è la ragione per cui al momento il luogo dove la gente ripone i propri sogni non è la musica. I sogni soffocano in questi ambienti non aerati».
Il diario delle ossessioni. Il nuovo libro di Bob Dylan non è un capolavoro, ma un beffardo divertissement. Stefano Pistolini su L’Inkiesta il 9 Novembre 2022
The Philosophy of Modern Song” è una stravaganza voluta dal cantautore americano che si diverte giocare col pop come il gatto col topo. Il suo obiettivo è aggiungere un tassello al suo affresco della normale follia americana, mondana, grossolana
Beffardo: è il primo aggettivo che viene in mente per descrivere l’ultima opera inviataci dall’81enne Bob Dylan, questa volta di natura apparentemente editoriale, ma in realtà del tutto connessa alla questione musicale nella quale non smette d’essere immerso da quando ha 16 anni. Perché se Dylan pubblica un libro intitolato “The Philosophy of Modern Song” nel quale promette di amministrarci, con il suo abituale tono lirico, oracolare e casuale da bancone del bar, 66 saggetti, ciascuno dedicato ad altrettante canzoni tramite cui si dovrebbe comprendere il senso e il segno di questa mai sufficientemente definita forma d’arte breve, le antenne si rizzano, in attesa della rivelazione. Ma ovviamente Bob è disinteressato e lontanissimo dall’idea dello spiegarci qualcosa – qualcosa di sistematico – su cosa sia una canzone e su cosa istilli nelle sue note quel magic che può farne un’opera compiuta, trasversale, pressoché eterna, così ricca di implicazioni da renderla inesauribile.
Niente di tutto questo: Dylan è noto per non mantenere le promesse, anzi per pronunciarne diverse che già nel momento in cui sono dette contengono la fregatura di cui lui solo è al corrente, ma che in quanto tali costituiscono – miracolosamente? – il perenne rinnovamento del rapporto di dipendenza affettivo del suo pubblico dalle sue idee, più o meno balzane che siano.
Non ha mai completato la monumentale autobiografia che aveva imboccato ai tempi di “Chronicles Vol. 1”, ha sempre giocato a rimpiattino con gli esegeti allorché è venuta alla superficie la questione dei “furti” musicali e lui ha alzato proditoriamente l’asticella, dichiarando che proprio il furto è una legittima forma d’arte popolare.
Ha pubblicato dischi di cover all’insegna del “chissà perché” e adesso scrive un libro programmaticamente di filosofia, che di filosofia non contiene l’ombra, a meno che lui giri il discorso della filosofia a suo piacimento, considerandola il diario delle proprie ossessioni. Che in effetti sono il vero oggetto di questa raccolta di note messe giù vai a sapere in quali occasioni, magari nelle sale d’attesa degli aeroporti, al tavolo di sperduti caffè, o mentre si consumavano le tracce del programma radiofonico di cui Dylan fu il dj e che costituisce il pendant più concepibile di questo volume: si chiamava “Theme Time Radio Hour”, e ne sono andate in onda tra il 2006 e il 2009 più di cento puntate sulla radio satellitare americana in cui lui si occupava di presentare, miagolando e bofonchiando, canzoni che accompagnava con dissertazioni preziose, utili a interpretare il pezzo e a capire un po’ meglio lui.
Tutta musica vecchia, comunque, anzi vecchissima – qualcuno calcolò che l’anno medio di pubblicazione delle songs fosse il 1961, quasi sempre pezzi sconosciutissimi ripescati, sovente cantati da personaggi dimenticati, in sostanza le musiche su cui lui si è formato, che gli sono rimaste addosso, che costituiscono il suo serbatoio immaginario, quello a cui rimarrà leale per sempre. Ecco, adesso Dylan ha deciso – la motivazione non è interamente chiara: forse celebrativa, forse documentaria, forse, appunto, beffarda, per dire “guardate che è questo che dovete ascoltare se volete capire chi sono” – di fare di tutto ciò un libro, ma non un volume serioso e adatto alla consultazione, ma uno di quelli da tavolino buono, con un formato generoso e un contributo iconografico vasto e sorprendente per l’inattesa natura camp, a base di fotogrammi di film classici, copertine di magazine scomparsi alla “Life”, illustrazioni da pulp fiction e pubblicità di automobili d’epoca, tutto campionario di quella buona vecchia America.
Poi lui si diletta a sciorinare la sua sensazione di ciascuno dei pezzi, che per noi è indispensabile andare ad ascoltare antologizzati su una playlist di Spotify (operazione volgare, umiliante, a cui ci costringe in quanto, appunto, beffardo), per ritrovare “Mack the Knife” cantato da Bobby Darin, o “El Paso” di Marty Robbins, il bizzarro Bing Crosby di “Whiffenpoof Song”, “Come On-a My House” di Rosemary Clooney, “You Don’t Know Me” di Eddie Arnold o “There Stands the Glass” di Webb Pierce. Canzoni che sono altrettanti misteri americani e lo sono altrettanto per qualsiasi under-40 d’oltreoceano, ma che lui mette lì, in ordine casuale, infiorettandole di interpretazioni dark, che pullulano di serial killer, alcolizzati, adulteri violenti, perdenti da casinò indiani, diavoli e predicatori.
Un’America-zombie nella quale si diverte poi a incastonare dei classiconi così famosi da essere inaspettati, il Sinatra di “Stranger in the Night”, gli Who di “My Generation”, la concessione modernista dei Clash di “London Calling” (laddove ci informa che il punk era musica di frustrazione e rabbia, ma non nel caso dei Clash, che erano diversi e cantavano una musica di disperazione). Quasi tutta roba americana, pochissime concessioni british, perché il suo è sempre un mondo americano-centrico, frammentato, sparso, confuso, attratto dai margini più che dal centro, più dall’anonimato e dall’anfratto, che dai riflettori.
Figure senza volto, generate dall’essere nate e di vivere là, nella materia strana che resta la fissazione di Dylan, il suo interesse primario: capire cosa significhi essere americani, cosa abbia partorito quell’esperimento artificiale, quella volontà di un posto nuovo dove ricominciare, salvo sbagliare e peccare subito, e dove errore e redenzione non smettono di inseguirsi, come desiderio e pentimento. Le radici – le famose radici a cui sono attaccate la felicità e la mestizia del presente, il senso di caducità e l’allucinata percezione della storia.
Considerate perciò “The Philosophy of Modern Song” una stravaganza voluta da Dylan per aggiungere un tassello al suo affresco della normale follia americana, mondana, grossolana – «non importa di quante sedie disponi, tu hai un solo culo» è il genere di massime in cui vi imbatterete – prona (mi sa sempre beffardamente) al coro critico che si è sollevato ad accogliere il libro – solo 4 canzoni femminili su 66! Dylan deve avere un problema con le donne, che ribattezza «diavolesse», «vamp», «rapinose meretrici»… – niente Joni Mitchell, niente Carol King, piuttosto perfino “Volare” di Domenico Modugno. Ma lui è questo, le sue scelte sono affidate a un istinto esoterico, sacrilego, ingiusto, sapiente e un po’ stronzo.
È Dylan da vecchio, che si diverte al giocare col pop come il gatto col topo e sbatte in copertina una foto di tre splendidi vocalist from the grave, Little Richard, di cui sceglie due canzoni per il suo zibaldone, Eddie Cochran, che invece ignora, e Alis Lesley, che venne chiamata «la risposta femminile a Elvis», ma anche lei del tutto ignorata nell’elenco delle 66. Prendere o lasciare: Bob nel suo più puro approccio hard boiled, l’artista da molto grande, insensibile al contesto, attento soltanto agli echi che sente risuonare dentro di sé.
Estratto di “La filosofia della canzone moderna”, di Bob Dylan (ed. Feltrinelli), pubblicato da “La Stampa” l’8 novembre 2022.
Il canto del lupo solitario, dell'estraneo, dell'alieno, dello straniero e del nottambulo che cerca di cavarsela come può, trafficando in ogni modo e maniera e rinunciando all'amor proprio. Sempre in movimento, senza meta attraverso squallore e oscurità, affettando la torta del sentimentalismo, dividendola senza sosta in pezzettini, scambiando sguardi penetranti e occhiate come pugnali con qualcuno che conosce a malapena.
Vagabondi e anticonformisti, oggetti di affetto reciproco, rapiti l'uno dall'altro e stretti in un'alleanza da loro stessi creata, ignari di tutte le età dell'uomo, l'età dell'oro, l'età elettronica, l'età dell'angoscia, l'età del jazz. Sei qui per raccontare una storia diversa, il tuo piumaggio è diverso da quello degli altri uccelli. Ostenti un carattere ruvido, come un quarto di bue, e sei eccitato e stimolato, con un sorriso che va da un orecchio all'altro, come un gatto del Cheshire, e stai ripensando all'intera tua vita che non ha mai preso forma, il tuo intero essere è pieno del soffio di questa inebriante ambrosia.
Qualcosa nel tuo spirito vitale, nel tuo battito cardiaco, qualcosa che scorre nel sangue, ti dice che devi provare questo tenero sentimento d'amore ora e per sempre, questa essenza d'amore devoto che tieni saldamente in mano, che ti è indispensabile e necessaria per rimanere in vita e ingannare la morte. Intrusi, tipi bizzarri, strani e cattivi, in questa cupa oscurità senza vita combattono per un quadrato di spazio.
Due persone alienate, senza radici, introverse e isolate, si sono aperte la porta l'una all'altra, si sono dette Aloha, Salve, Come stai e Buona sera. Come potevi sapere che gli sbaciucchiamenti e le carezze, l'eros e l'adorazione fossero solo il frastuono di un mambo frenetico lontano uno sguardo da dietro le quinte e una smorfia vogliosa - che da allora, da quel momento di verità, ti ha eccitato e rigirato, ha fatto di te il desiderio dei reciproci cuori.
Coppietta innamorata fin dall'inizio. Fin dall'anteprima inaugurale, l'origine, il punto di partenza. Ora siete aggiogati insieme, una sola carne in perpetua nella vasta eternità, immortalati. Quando Frank Sinatra entrò in studio per registrare Strangers in the Night, I'11 aprile 1966, era un cantante professionista già da 31 anni e incideva dischi dal 1939. Aveva visto mode andare e venire nella popular music, lui stesso aveva creato tendenze e da decenni generava decine di imitatori.
Ma resta un fatto incredibile che la colonna sonora dell'estate 1966, secondo la classifica delle prime cento canzoni pubblicata il 2 luglio su Billboard, fosse dominata da quella piccola pop song. Era pazzesco: nel bel mezzo dell'invasione britannica, la Strangers in the Night dell'uomo venuto da Hoboken batteva Paperback Writer dei Beatles e Paint It Black dei Rolling Stones.
Oggi le classifiche sono così stratificate e di nicchia che non vedreste mai accadere una cosa del genere. Al giorno d'oggi ognuno sta nella sua corsia, assicurandosi i massimi riconoscimenti nella propria categoria, anche se quella categoria è qualcosa come Miglior Performance Vocale Klezmer in Una Colonna Sonora Heavy Metal che Include Campionature Ispirate alla Tradizione Americana. Ma Frank doveva far vedere a tutti chi era il padrone, anche se Strangers era una canzone che odiava e regolarmente liquidava come «un pezzo di merda».
Del resto, non dimentichiamo che Howlin' Wolf una volta disse la stessa cosa della sua prima chitarra elettrica e i fratelli Chess misero quella citazione a caratteri cubitali su una delle copertine dei loro album. Frank magari ha detestato quella canzone, ma resta il fatto che l'ha scelta.
Ed è qui che inizia la storia. Quando Strangers in the Night cominciò a circolare, era già passata attraverso due stesure di testi e già alcuni ne rivendicavano la paternità. E una vicenda confusa che abbraccia un paio di continenti. La presento qui per puro intrattenimento e non giuro sulla sua veridicità.
Molti fumatori di sigari hanno avuto modo di apprezzare l’Avo XO, un ottimo sigaro dominicano. Il noto tabaccaio svizzero Davidoff, di Ginevra, l'ha fatto conoscere al mondo e ora ne vengono venduti più di due milioni l'anno. Proprio questi sigari costituivano un flusso di entrate, dopo un periodo di stagnazione, per un musicista armeno immigrato da Beirut, che viveva a New York e sosteneva di essere stato truffato ed escluso dai profitti di una composizione in quel momento in cima alle classifiche.
Da giovane, Avo Uvezian era stato un pianista jazz; nei primi Anni 49 si era esibito in tutto il Medio Oriente e aveva perfino insegnato allo Shah Reza Pahlavi come eseguire correttamente i passi dello swing. Con l'aiuto dello Shah, che gli era riconoscente, Uvezian si trasferì a New York nel 1947 e si iscrisse alla Juilliard School of Music. Qui è dove la storia diventa complicata. La versione di Uvezian è che lui mandò una delle piccole melodie che aveva composto all'unica persona che conosceva nell'industria musicale: 1 direttore d'orchestra e compositore tedesco Bert Kaempfert.
Oggi quella melodia, con il titolo Strangers in the Night, è registrata come una composizione di Bert Kaempfert. In un modo o nell'altro, la canzone venne presentata a Sinatra. Secondo la leggenda, Frank chiese che il testo venisse modificato. Charles Singleton ed Eddie Snyder vennero reclutati.
Presero una canzone malinconica su due amanti che si separavano, intitolata Broken Guitar, e tornarono una settimana dopo con Strangers in the Night. E interessante notare che Charles Singleton, insieme ad altri, scrisse anche Tryin' to Get to You, una canzone registrata nel 1954 dal gruppo vocale Eagles di Washington, DC. L'anno successivo, quella canzone fu nuovamente registrata da Elvis Presley mentre era sotto con- tratto con la Sun Records.
Anche altri hanno contestato a Bert Kaempfert la paternità di Strangers in the Night. Uno è stato il cantante croato Ivo Robié e un altro il compositore francese Philippe-Gérard, sebbene la loro versione dei fatti non si sia mostrata duratura come quella di Avo Uvezian. Quanto a lui, il suo nome non è sull'etichetta del disco, ma lo trovate sulle etichette di molti sigari. Ha fatto buon viso a cattivo gioco e ha vissuto felicemente oltre i novant'anni.
Sebbene si sia scrollato di dosso il business della musica, non si è scrollato di dosso la musica, esibendosi regolarmente e intrattenendo gli amici al pianoforte mentre si godeva i milioni di dollari che gli venivano dai sigari svizzeri. Non tutte le storie devono avere un finale triste.
E, per quanto ne so, nessuno ha mai messo in dubbio chi fosse l'autore del successo di Frank dell'anno successivo, Somethin' Stupid, anche se vale la pena ricordare che fu scritto dal fratello maggiore di Van Dyke Parks, Carson.
Anteprima dal libro di Bob Dylan "Filosofia della canzone moderna” (Feltrinelli) pubblicata da “il Venerdì – la Repubblica” il 6 novembre 2022.
Volare troppo in alto è pericoloso, una mossa sbagliata conduce a un’altra, e la successiva di solito è peggiore di quella precedente. Giurare fedeltà troppo presto può condurre al disastro, ma una volta che si va, si va. Questa è una canzone che si avvicina, sfreccia, continua per la sua strada, procede a piena velocità, si schianta nel sole, rimbalza sulle stelle, esala in una nuvola di fumo come un sogno impossibile e va a esplodere dritta nel Paese delle meraviglie. È singolare e sta sospesa a mezz’aria.
Ti sei fatto un’idea, è Utopia, ed è dipinta di blu. Pittura a olio, cosmetici e cerone, affreschi con il blu stampato sopra, e tu che canti come un canarino. Vedi tutto rosa, cammini sul vento, e allo spazio non c’è fine.
Sei come i gemelli Bobbsey, due menti che pensano in una, e la cosa è fantastica e meravigliosa. Ti senti eccitato, non ti sei mai divertito tanto, è come se ognuno avesse ricevuto una scarica di energia, dai, viviamocela almeno un po’. Un solo saltello e saremo al settimo cielo.
Sei lì che sfrecci via, manovri e improvvisi come un aviatore, nello specchio dei tuoi desideri e con addosso un senso di meraviglia. In volo, passi attraverso il velo, leggero come una piuma, indugiando un poco su rigonfiamenti vaporosi, via dalla pazza folla, dagli esperti, dai giudici e dalle conventicole, tutte quelle organizzazioni, tutto quello che vuole aggrapparsi ai tuoi piedi e riportarti giù a terra.
Sali sempre più in alto intorno al globo, attraverso il labirinto. Non c’è da stupirsi che il tuo cuore felice voglia cantare melodie in tutte le tonalità e in ogni vibrazione dei sensi. Ragtime, bebop, opere e sinfonie. Il suono dei violini ti ronza nella testa ed è tutto intonato al tuo sé mercuriale. Fai acrobazie aeree tra le dimensioni, sei sull’orlo dell’universo, nelle luci scintillanti del gran millennio, e l’unica direzione è verso l’alto.
Sei abbastanza sicuro di essere diventato una specie di mutazione biologica, non sei più un semplice mortale. Potresti fare a pezzi il tuo corpo e spargere ovunque i brandelli, dare un colpo d’ala, salire più in alto e fuori da ogni controllo, dove tutto diventa una macchia sfocata, niente lassù che non sia la tua immaginazione. Svolazzi, veleggi, non c’è niente che non puoi scoprire, anche le cose più nascoste.
Più a fondo vai, più riesci a capire. Cerchi di parlare a te stesso, ma dopo le prime, poche parole la conversazione è finita. Passi rombando come una cometa, sei in fuga verso le stelle. Sarai magari pazzo ma non sei un imbecille.
Magari questa è stata una delle prime canzoni allucinogene, di almeno dieci anni in anticipo su White Rabbit dei Jefferson Airplane. Non è possibile ascoltare né fare esperienza di una melodia più orecchiabile. Anche se non la sentite, la sentite. Si scava la sua via nell’aria. Una canzone da suonare ai matrimoni, ai bar mitzvah e forse ai funerali.
È l’esempio perfetto di quando non si riesce a pensare a nessuna parola che si accompagni a una melodia e si canta solo “oh, oh, oh, oh”. A quanto pare, parla di qualcuno che vuole dipingersi di blu e poi volare via. Volare significa: “Voliamo via nel cielo infinito”. Ovviamente, il cielo senza fine. Il mondo intero può scomparire, ma io sono perso nei miei pensieri.
C’è qualcosa di molto liberatorio nell’ascoltare una canzone cantata in una lingua che non si conosce. Andate a vedere un’opera e il dramma balza fuori dal palco anche se non capite una parola. Ascoltate il fado e la tristezza ne fluisce anche se non avete la minima conoscenza del portoghese. Capita a volte di ascoltare una canzone così piena di sentimento che vi sentite il cuore vicino a scoppiare e quando chiedete a qualcuno di tradurvi il testo scoprite che i versi sono tanto banali quanto “Non riesco a trovare il cappello”.
Per qualche motivo, certe lingue suonano meglio di altre. Di sicuro il tedesco è ottimo per un certo di tipo di polka um-pa-pa da festa della birra, ma datemi piuttosto l’italiano con le sue vocali come caramelle mou e il suo melodioso vocabolario polisillabico.
In origine, Volare era eseguita da un cantante italiano di nome Domenico Modugno, e già il suono del suo nome crea la sua propria canzone. Una canzone che vi può sorprendere in ogni momento, giorno e notte. È sempre la stessa. State sempre volando più in alto del sole.
Anche Bobby Rydell ne ha fatto un grosso successo. Era un cantante di Philadelphia di fine anni cinquanta che ha contribuito alla nascita del Philly sound. Rydell era, a turno, un aspirante Sinatra o un aspirante Bobby Darin. E Darin e Rydell erano più o meno una versione più energetica di Sinatra. Non sentirete molto Dino in nessuno dei due, al contrario che in Elvis. (Phil Spector in Be My Baby ha preso il “whoa, whoa, whoa” da questa canzone.)
È una seduzione in lingua italiana che inizia con una piccola, sognante introduzione pianistica seguita dalla voce di Domenico avvolta dall’organo prima che il ben noto inciso del titolo faccia irruzione.
Il sound del disco è sontuoso, pieno di elementi disparati ma mai affastellati; un batterista che alterna con destrezza spazzole swinganti con l’impatto aggiuntivo delle bacchette, archi danzanti in pizzicato, un organo con un’eco da era spaziale.
La parte vocale è giocata tutta sulla dinamica, un attimo di morbidi, intimi sussurri e il momento dopo un’esaltazione gioiosa, un interludio recitato seguito da una malinconia che non ha bisogno di traduzione.
Estratto dell'articolo di Mattia Marzi per “il Messaggero” il 2 novembre 2022.
Il titolo sembra quello di un saggio di Adorno: Filosofia della canzone moderna. Peccato che a scriverlo sia stato Bob Dylan, uno dei grandi protagonisti di quel rinascimento musicale degli Anni 60 che mise in crisi la teoria del filosofo tedesco sulla banalità e la ripetitività della musica popolare, riscrivendone le regole.
[...] Non è un caso che nel suo saggio su 66 canzoni simbolo della musica popolare non ci siano capitoli dedicati a pezzi rap o pop contemporanei: «Nessuno parla dei propri sogni nelle canzoni oggi: è che i sogni soffocano in questi ambienti senz' aria».
[...] Il brano più vecchio tra quelli esaminati in Filosofia della canzone moderna è Nelly Was a Lady, scritto da Stephen Foster nel 1849. Il più recente è Dirty Life and Times di Warren Zevon, uscito nel 2003. In mezzo c'è un mondo. Da quella Strangers In The Night resa celebre da Frank Sinatra, a My Generation degli Who e London Calling dei Clash, passando per I Got a Woman di Ray Charles.
E a sorpresa c'è anche Nel blu dipinto di blu di Domenico Modugno, tra le canzoni italiane più celebri nel mondo: «Presumibilmente scrive Dylan parla di un uomo che vuole dipingere sé stesso di blu e poi volare via. Volare significa questo: Voliamo via nel cielo infinito. Il mondo intero può anche scomparire, io sono nella mia testa».
[...]Di Little Richard, che tre anni prima aveva pubblicato Tutti Frutti, dice: «Stava dicendo che di lì a poco qualcosa sarebbe successo. Era un predicatore: con Tutti Frutti suonò l'allarme». [...] Quando nel 2016 l'Accademia Reale Svedese ha deciso di assegnargli il Nobel per la letteratura per aver «elevato la musica a forma poetica contemporanea», Robert Zimmerman stava lavorando a questo trattato già da sei anni. [...]
Una curiosità. Ai Beatles, la band che la musica popolare l'ha definita, fa solo un accenno, citando Do You Want to Know a Secret nel capitolo sulla decisamente meno nota A Certain Girl, canzone r&b incisa da Ernie K-Doe nel 61. Con buona pace del vecchio amico Paul McCartney, che recentemente ha ricordato che fu proprio Dylan a far fumare la prima canna ai Beatles negli Anni '60: [...]
Marco Molendini per Dagospia il 3 novembre 2022.
Bob Dylan non ha dubbi: i confini della canzone moderna coincidono con la sua formazione estetica. Lo scrive, lo racconta, si dilunga in un prezioso, elegante (anche per le fantastiche foto vintage) volume che pomposamente ha intitolato The phylosophy of modern song (pubblicato in questi giorni in tutto il mondo), raccolta di saggi sparsi su 65 titoli, divagazioni (Blue suede shoes diventa il pretesto per parlare della canzoni sulle scarpe), collage di riflessioni sparse fuori dal tempo che può apparire casuale (naturalmente Bob si guarda bene dal giustificare le sue scelte), ma che produce un ritratto nitido dell'autore, dei suoi gusti, dei suoi pensieri, della risolutezza dei suoi giudizi. Il risultato è una playlist ideale (da leggere e, magari, da ascoltare) dove vengono esclusi, se non per citazioni casuali, i Beatles, gli Stones, Joni Mitchell, Aretha Franklin, l’hip hop.
Quanto al punk rock, la definizione è questa: «Il punk rock è la musica della frustrazione e della rabbia». E niente jazz, nonostante la notoria ammirazione per Miles Davis (ma con la canzone moderna, in effetti, Miles ha poco a che fare).
Dylan non spiega, ma la spiegazione è ovvia: questo è un viaggio nella propria memoria, fatto con passione, quasi trepidazione nell'andare a scovare cose perdute, non scontate, passando dagli standard, alle oscurità, alle stranezze. E quelle scelte sono, probabilmente, anche una luce accesa sul suo mondo creativo se è vero, come ha raccontato una volta, che il suo metodo compositivo consiste nello scrivere suonando ossessivamente vecchi pezzi nella sua testa finchè non trasfigurano in qualcosa di nuovo.
Nell’elenco dominano gli anni Cinquanta (appunto, la stagione della sua formazione), c'è tanto blues e c'è naturalmente tanto country. C'è qualcosa di soul (Ray Charles con I got a woman), il primo rock & roll, naturalmente Elvis (per parlare delle sue esibizioni, definite da circo Barnum, a Las Vegas), Carl Perkins (“Blue Suede Shoes è sua, ma se Elvis fosse ancora vivo oggi, sarebbe lui ad avere un contratto con la Nike” nota, riferendosi al modello di scarpe lanciato con quel nome). Ovviamente c’è l’eroe di Dylan adolescente, «il maestro del doppio senso» Little Richard: «Elvis che canta Tutti Frutti all’Ed Sullivan sa cosa sta cantando? Pensi che Ed Sullivan lo sappia?».
C’è qualcosa del rock anni Sessanta e Settanta tipo My Generation degli Who, London Calling dei Clash (“probabilmente i Clash al loro massimo”). C'è Frank Sinatra, passione della maturità, ma per parlarne sceglie un pezzo di successo e mediocre come Strangers in the night, che gli serve per sottolineare che, nel bel mezzo di British Invasion, quella «piccola canzone ha battuto nella Billboard Hot 100 Paperback writer dei Beatles e Paint it black dei Rolling Stones». Ci sono giudizi secchi, come la definizione dei Greatful dead come dance band: "Hanno più in comune con Artie Shaw e il be bop che con i Byrds e gli Stones» (che cosa abbia a che fare il be bop con la dance poi è un mistero dylaniano). Johnny Cash viene definito un cantante gospel. Ci sono giudizi scolpiti come quello sullo storico cantante dei Platters, Tony Williams «uno dei più grandi cantanti di sempre: tutti parlano di come Sam Cooke sia uscito dal gospel per entrare nel campo pop. Ma non c'è nessuno che lo batte».
C’è spazio a sorpresa, ma in fondo è logico, per un solo titolo italiano, Volare (come venne conosciuta in America), «cantata da un cantante italiano di nome Domenico Modugno, solo il suono del suo nome crea la sua canzone», occasione per una serie di considerazioni curiose, come quella sulla lingua italiana «con le sue vocali gommose al caramello e il melodioso vocabolario polisillabico». E su Volare scrive: «… potrebbe essere una delle prime canzoni allucinogene, precedente a White Rabbit dei Jefferson Airplane di almeno dieci anni».
Chissà se Dylan sa che Migliacci scrisse il testo ispirandosi a un paio di quadri di Chagall dallo spirito onirico. Nel blù dipinto di blù suggerisce anche una riflessione interessante sul mistero dell’ascolto di brani in una lingua che non si conosce: «C’è qualcosa di molto liberatorio in una canzone cantata in una lingua che non capisci. Vai a vedere un’opera lirica e il dramma salta fuori dal palco anche se non capisci una parola. Ascolta la musica del fado e la tristezza gocciola da essa anche se non parli neanche una parola di portoghese».
Un argomento che, evidentemente, al premio Nobel Dylan, sta a cuore e che riguarda i testi delle canzoni che, quando vengono letti, possono «sembrare così leggeri» perché sono «scritti per l’orecchio e non per l’occhio». Ma poi, come nella commedia teatrale, dove una frase apparentemente semplice può trasformarsi in uno scherzo attraverso la magia della performance, succede una cosa inspiegabile quando le parole vengono messe in musica. Un miracolo.
C’è infine spazio per una digressione cinematografica in cui Bob riprende lo slogan trumpiano America first e sembra crederci, almeno per quanto riguarda il cinema. A suggerirla, la riflessione, è Saturday night at the movies, una canzone dei Drifters, quartetto vocale di metà anni Cinquanta, nel quale aveva militato Ben E.King (il formidabile interprete di Stand by me e Don’t play that song ,lanciati dopo aver abbandonato il gruppo per non aver avuto un aumento di stipendio).
«Fellini Kurosawa e le loro controparti in tutto il mondo hanno girato dei film fantastici, ma sappiamo tutti dove l'industria cinematografica ha ottenuto la sua prima spinta e trasse il suo respiro iniziale. Si continua a parlare di rendere di nuovo grande l'America. Forse si dovrebbe cominciare con i film». Parziale, arbitrario, personale, The philosophy of modern song è imperdibile, sorprendente, un godimento da leggere, ma anche da discutere.
La casa editrice, Simon & Schuster, ha fatto sapere che diventerà anche un audiobook con la voce di Dylan e un certo numero di attori ospiti come Jeff Bridges, Steve Buscemi, John Goodman, Helen Mirren, Rita Moreno, Sissy Spacek, Renee Zellweger.
Bono degli U2: «La morte di mia madre è una ferita ancora aperta, mi sono sentito inutile». Redazione Spettacoli su Il Corriere della Sera il 27 Novembre 2022.
Il leader della band, ospite di Fabio Fazio a «Che tempo che fa», ha anche attaccato Vladimir Putin: «È un bullo e sta bullizzando un’intera Nazione»
«È una ferita aperta, che poi si è spalancata. Mi ha dato emozioni con la musica. L’ultima volta che vidi mia madre fu al funerale di suo padre, mentre la bara stava per essere calata...Lei svenne, mio fratello e mio padre la portarono all’ospedale dove morì. Io mi sentii totalmente inutile». Il leader degli U2 Bono Vox, ospite di Fabio Fazio a «Che tempo che fa» su Rai3, con queste parole ha ricordato la scomparsa prematura di sua madre, avvenuta quando lui aveva appena 14 anni. «Mio padre per superare il dolore non pronunciò mai più il suo nome, così ho pochissimi ricordi di lei», ha aggiunto il rocker. Anche per questo motivo, ha raccontato, ha scritto l’autobiografia «Surrender», «per ritrovare dei ricordi perduti».
L’intervista con Fabio Fazio si è aperta parlando dell’intervento chirurgico al cuore che il cantante ha affrontato nel 2016: «Essere qui in Italia mi fa sentire a casa. Dopo un periodo in cui mi hanno diagnosticato qualcosa di brutto, ho dovuto curarmi ma ora sto bene. Mi ha fatto paura l’idea che mi mancasse l’aria, più che l’operazione in sé». Il rocker ha detto di essere «nato con i pugni chiusi» per raccontare il suo spirito combattivo: «Sto cercando di fare del mio meglio per fare la pace con me stesso e la mia famiglia, ma non sono pronto a farlo con il resto del mondo».
Bono ha poi attaccato il presidente russo Vladimir Putin, schierandosi nuovamente dalla parte dell’Ucraina, come già aveva fatto andando a suonare insieme a The Edge nella metropolitana di Kiev: «Sai cosa non piace agli italiani e cosa non piace a me? I bulli. Putin è di fatto un bullo e sta bullizzando un’intera Nazione, i suoi obiettivi sono le donne e i bambini, questi quartieri popolari; la tua ospite precedente, la Presidente del Parlamento Europeo (Roberta Metsola, ndr) ha detto che l’Italia porterà adesso forza, generatori, energia agli ucraini, questa è l’Italia e io ci credo che lo farete. Gli ucraini credono forse nella libertà più di noi e la libertà è semplicemente una cosa che per me è tutto. Vedi Putin e il suo amico bielorusso Lukashenko, questi vecchi, grigi, noiosi, che sono degli assassini… la libertà è più sexy di tutta questa roba, non perdete la libertà, è la parola più bella al mondo, che vi lega di più»
Giulia Zonca per “La Stampa” il 2 novembre 2022.
Una biografia che inizia con un battito, non può che essere segnata dal ritmo e in «Surrender» la vita cola dalle canzoni scritte da Bono, la rockstar che ha incrociato la storia. Quaranta brani per altrettanti viaggi dentro una band fin troppo grande per reggere tutta l'elettricità che ha attraversato: il libro, edito da Mondadori, non è il racconto di un successo, è lo sforzo costante di rimanere veri pure appesi ai muri del mondo.
Non è l'epopea degli U2, è il percorso di un uomo che si tormenta ancora per una foto in cui ride con Putin, al G8 di Genova, «prima che lui diventasse il male». Ma non senza che lo fosse già. Contraddizioni e sorprese e slanci, soprattutto musica. «Surrender» è il manuale delle istruzioni che spiega perché certe parole restano, certi ritornelli definiscono una generazione, certe chitarre squarciano le ansie. Il rock sa fare la rivoluzione perché ha il potere di ribaltare gli stereotipi e di mettere allo scoperto i sentimenti custoditi da ognuno nell'attesa che qualcun altro chieda di condividerli. Il qualcuno di Bono arriva quasi subito e non si sposta più.
«Surrender» incrocia capi di Stato, geni dell'arte, uomini importanti, filantropi e miliardari, ma gira intorno a una persona sola, la moglie Ali, con lui per 40 anni: «Anche se ora viviamo sotto lo stesso tetto, mi rendo conto che rimane una distanza fra noi. Una distanza entusiasmante. Una distanza carica di tensione che Ali mi sta insegnando a rispettare». La scrittura procede con lo stesso schema, Bono si apre e poi si sottrae di continuo e si aiuta con gli schizzi che lui stesso ha disegnato all'inizio di ogni capitolo e con infinite liste. Le canzoni da ascoltare durante il primo tour (domina il punk e del resto siamo alla fine degli Anni Settanta), gli amici da non dimenticare, quelli che «ti aprono la Fiat 127 con intenzioni dadaiste» ovvero trasformare la vecchia auto sfondata dai chilometri in un oggetto di culto per celebrare le vendite del primo singolo.
L'intimità è accennata e poi negata da un'esistenza che non è solo pubblica, è addirittura collettiva. Se «Songs of Innocence» libera la malinconia per la madre morta quando il cantante era un ragazzino, «mi sarei concesso di sollevare pietre sotto le quali sapevo di trovare spaventosi insetti striscianti», subito dopo si va entro «Sunday Bloody Sunday» dove l'unico strumento che serve è la batteria.
Il rock si fa rabbia per rivelare la natura più essenziale e il libro mescola di nuovo, in modalità centrifuga, la storia personale a quella universale. È Larry, il batterista che ha dato vita al gruppo con il suo annuncio sulla bacheca del liceo, è Larry che testa la percussione dei «troubles», è la tournée che segnerà la svolta e pure il confronto con le tensioni di Irlanda, paese in cui «ai cuori più gentili toccano i colpi più micidiali».
Anni dopo arriveranno anche le minacce dell'Ira solo che in queste 500 pagine di ricordi, la linearità del tempo è continuamente interrotta dagli assoli e la canzone che porta gli U2 in un'altra dimensione è anche quella che segna il loro legame con la politica, che li sposta dal palco al comizio e li costringe a inventarsi una posizione mai vista prima, l'equilibrismo sulla spontaneità.
«Sunday Bloody Sunday» è una necessità, esce dopo al morte di Bobby Sands, dà fastidio a entrambe le fazioni, rischia di essere considerata una trovata pubblicitaria e porta il gruppo in testa alla classifica e al meglio della loro espressione perché è solo con quelle note, nella lucidità del testo, che ognuno trova la definizione del proprio talento. Si scoprono bravi, potenti, vedono e toccano l'effetto che fanno e a quel punto la biografia impazzisce come lo zabaione quando non smetti di frustare.
Non si sa più se è il 1983, anno in cui la canzona circola o il 2015, con la tappe americane tipo adunate e i guai della lontanissima Europa al centro del Texas o il 1985, al concerto dove Bono taglia la bandiera irlandese davanti al pubblico in estasi: via l'arancione e via il verde, rimane solo il bianco, la pace.
Due ore dopo lui è in auto con la moglie e viene circondato: «Qualcosa si era rotto. Eravamo pesci nell'acquario, e i piranha dall'altra parte del vetro erano stati fan degli U2 fino a poche ore prima». Da quel punto in poi si fluttua fra le intuizioni (come far rotolare bottiglie sulle piastrelle per un suono stonato e indispensabile) e gli incontri. Hollywood, il cinema, gli anni a Los Angeles «con il vantaggio di non saper ballare», Bill Clinton e le coperte cucite insieme per manifestare sostegno ai malati di Aids, Nelson Mandela per ridare linfa ai gesti, «il carnevale degli Anni Novanta».
Righe e sonorità accartocciate, quando il rock puro si fa elettrico per reggere le storture della realtà. E Bono che vuole mixare e gli altri che non intendono seguire, ancora in bilico tra genuinità e bisogno di mutare ed essere tutto quello che una band planetaria rappresenta. Essere al tavolo dei potenti come voce della folla e ritrovarsi a ridere con Putin al G8 di Genova nello stesso giorno in cui muore Carlo Giuliani.
Scoprire quanto è difficile non perdersi e quanto una moglie magnetica faccia la differenza. Restare accesi quando ti dicono che al tuo cuore manca un pezzo. Restare fedeli anche quando hai stravolto ogni credo, grazie al rock. Chi lo sa suonare può incrociare la storia e impedire che entri in casa. Può farsi battezzare senza un dio, può illuminare le parole giuste e tatuarle nella memoria della gente. «Surrender» non è la biografia di Bono, è l'anatomia della musica che trasforma un'emozione personale in una passione globale: «Gli amati fratelli ci camminano attorno e sopra. Forse sono felici che tu abbia abbandonato la tua vecchia storia, ma questo non significa che la dimenticheranno».
Estratto da “Surrender. 40 canzoni, una storia”, di Bono Vox (ed. Mondadori), pubblicato dal “Venerdì di Repubblica” il 31 ottobre 2022.
Ed ecco entrare in scena uno dei più grandi showmen di tutti i tempi: Frank Sinatra. Ormai non domina più la classifica dei dischi e dello streaming, ma l'ultima sera del 2008 la passa con me nella calca di un pub a Dublino. Bicchieri che tintinnano, si scontrano e si infrangono nel pieno della baldoria gaelica. Porte a vento, innamorati che si fanno gli auguri di buon anno, faide familiari che ricominciano. Gioia al malto e disperazione allo zenzero pronte a essere servite, un quarto di millennio dopo che Arthur Guinness riempì per la prima volta una pinta di velluto nero liquido.
Dagli altoparlanti esce una voce che ci dà la sveglia: Frank Sinatra in My Way. La sua ode alla sfida sta per compiere quarant'anni, e hanno tutti una vita di ragioni per cantarla. È un'atmosfera interessante quella che stasera accoglie Frank nel fermento dublinese. Una crisi finanziaria. I nuovi capitali irlandesi scommessi e persi; la Tigre Celtica con la coda tra le gambe mentre costruttori e banchieri ridono a fatica ricordando l'anno passato e inghiottono a fatica pensando all'anno nuovo. Sopravvivranno, ma per poco il paese non andrà a fondo, e il prezzo più alto lo pagherà chi si è fatto prestare i soldi per comprare o affittare una casa. Stranamente, Frank è qui per tutti, accusatori e accusati.
C'è una caratteristica che manca alla sua voce: il sentimentalismo.
Nel pieno dell'incertezza nella vita professionale, nella vita privata, nella vita vissuta, perché la voce di Sinatra è come una sirena antinebbia? Tanta sicurezza in tempi irrequieti ci permette di innamorarci, ma se iniziamo a vedere tutto rosa ci riporta bruscamente alla realtà.
Un appello alla credibilità.
Una voce che dice: "Non raccontarmi balle".
Favolosa, non bugiarda. Sincera e affidabile.
Dopo la mezzanotte, l'umore della sala oscilla fra speranza e timore, attesa e trepidazione. Qualunque sia il tuo, la voce di Frank ti prende per mano.
Tornato a casa dal pub, stappo una bottiglia di vino, sapendo che rischia di diventare aceto quando amici e parenti alzano troppo il gomito. Cosa che sto per fare. Di fianco alla porta della cucina, ho una visione gialla di fronte a me: un quadro che Frank mi ha inviato quindici anni fa, dopo che ho cantato I've Got You Under My Skin insieme a lui per il suo album Duets. Un quadro fatto da lui. Una folle tela gialla piena di violenti cerchi concentrici intorno a una pianura deserta.
Francis Albert Sinatra, pittore, modernista. È l'anno nuovo, e io mi concedo una goccia di malinconia. Il proiezionista nella mia testa riavvolge la bobina, mostrandomi i ricordi di un uomo che fingo di conoscere grazie a qualche momento speciale condiviso. Un uomo che in realtà conosco grazie alle sue canzoni.
A tu per tu con Sinatra
Edge e io eravamo a casa sua a Palm Springs, sopra il deserto e le colline. Niente percalle, ma molto Miles Davis. E molte chiacchiere sul jazz.
In quell'occasione Frank mi mostrò il quadro. Il diametro dei cerchi mi ricordava la campana di una tromba, e glielo dissi. Gli dissi anche che avevo sentito che lui era stato una delle principali fonti d'ispirazione per Miles Davis.
"Il quadro si intitola Jazz, e puoi prendertelo."
(Ecco perché lo sto fissando ora, appeso in fondo alle scale a Temple Hill.)
"Sai, figliolo, sei l'unico uomo con l'orecchino che mi sia mai piaciuto."
La signora Sinatra scende le scale con uno splendido vestito rosso, l'eleganza fatta persona. "Barbara" osserva il marito con un ampio sorriso, "sembri un coagulo di sangue!"
"Miles Davis non ha mai sprecato una nota, figliolo, né una parola con uno stupido." E poi quest'altra.
"Il jazz si fonda sul qui e ora. La modernità non è il futuro, è il presente."
Il presente, eh? Ero con Frank Sinatra nel momento in cui si era dimenticato il presente, un momento in cui non era più presente. Era successo quello stesso giorno nel deserto della California, dove ci eravamo trovati per girare il video di I've Got You Under My Skin. Tallonata dal regista Kevin Godley con la sua troupe, una limousine ci aveva portati a un bar di Palm Springs gestito da un amico di Frank.
L'idea era che Kevin ci riprendesse mentre parlavamo del più e del meno. Nella scena iniziale, Frank era al bar ad aspettare che arrivasse un crooner irlandese, cosa che feci. Quando però gli chiesero di ripeterla, una delle telecamere ebbe un guasto, lasciandolo al bar per dieci minuti di troppo. Il "ciak, seconda!" del regista non lo fece uscire solo dal momento; lo fece uscire dal bar e dal video che stavamo girando. Frank era scomparso.
Sentendosi abbandonato, lo showman aveva alzato i tacchi, mollandomi al bar con la troupe e mezzo video da girare.
Più tardi telefonò Barbara. C'era stato un malinteso. Ci avrebbe fatto piacere andare a cena da loro quella sera, con qualche amico e un po' di whiskey? Edge era capace di regolarsi. Io no.
Ora, in questa versione dell'America di solito bevo Jack Daniel's liscio senza ghiaccio, un whiskey del Tennessee da centellinare. E allora perché decisi di rovinare tutto correggendolo con un ginger ale?
"Jack and ginger?" chiese Frank. "Un drink da donne."
Mentre mi studiava, avevo la sensazione che stesse guardando i miei orecchini e formulando il verdetto. La parola che stava cercando, e che non stava dicendo, era senz'altro "effeminato".
Vuotai il bicchiere in un attimo per compensare, e peggio ancora mischiai i drink. Durante la cena - messicana, non italiana - bevemmo tequila da enormi calici. "Mai bere cose più grandi della tua testa" pensai guardando Frank che premeva il naso contro il vetro.
Mentre piegava con cura un tovagliolo turchese, Edge lo sentì mormorare fra sé: "Me lo ricordo quando avevo gli occhi così blu...".
Sul serio.
Più tardi ci spostammo nella sala proiezioni di Frank e Barbara per guardare alcuni film. Dopo essermi addormentato sul divano bianco come la neve, mi svegliai di soprassalto, terrorizzato. Avvertivo una sensazione di umido fra le gambe. Un attimo prima stavo sognando Dean Martin, adesso ero in preda al panico.
Primo pensiero: me la sono fatta addosso, ho urinato di fianco a Frank Sinatra. Secondo: non dirlo a nessuno. Terzo: non ti muovere, con tutto questo bianco vedranno subito la macchia gialla. Quarto: elabora un piano.
Rimasi seduto per venti minuti, vergognandomi come un cane. Muto. Aspettando la fine del film, mi chiesi come avrei spiegato alla star italoamericana quella débâcle irlandese. Quel segno che la mia incontinenza un tempo solo verbale si era trasformata nella prova schiacciante che ero un pesce fuor d'acqua. Ero un coglione. Un turista. Ero tornato piccolo nel mio lettino, un bambino di quattro anni che non ha ancora scoperto cos'è il fallimento.
"Mami, mi asciughi? Ho fatto la pipì."
Be', in realtà non me l'ero fatta addosso. Avevo rovesciato il bicchiere. Dovevo essere ubriaco, strafatto di Frank, una patetica mezza sega all'ombra di un gigante.
"What now, my love? Now that it's over?"
Tornammo in albergo. A sinistra in Frank Sinatra Drive. Ero sicuro che non avrei bevuto mai più in compagnia del grand'uomo. Non mi avrebbe mai più invitato. Avevo torto. Due volte. L'anno dopo, eccomi al bar della suite dirigenziale dello Shrine Auditorium di Los Angeles. Ci sono i Grammy, e Frank mi ha chiesto di presentare il suo Legend Award.
È un tantino angosciato. Anch'io sono un tantino angosciato. Al barista: "Stupiscimi".
Invece di richiamarci all'ordine l'un l'altro, stiamo subissando di ordini i baristi.
Io non bevo per ubriacarmi, vero? Bevo perché mi piace il sapore, vero?
E allora perché mi ritrovo ancora una volta a fare l'imitazione di un ubriacone? Frank mi ha appena preparato un altro drink, ecco perché. Jack Daniel's senza ghiaccio, come piace a lui, servito in una pinta. Sto parlando con Susan Reynolds, addetta stampa e santa protettrice di Frank, e con Ali, mia moglie e santa protettrice. Paul McGuinness chiede a Frank della spilla che porta sul risvolto.
"È la Medal of Freedom, la più grande onorificenza civile, conferita dal presidente."
"Quale?"
"Oh, non lo so, uno di quelli vecchi. Lincoln, forse."
Forte, penso, domandandomi se bisogna essere americani per riceverla. Domandandomi se le mie gambe stanno cominciando a muoversi. Domandandomi se avrei dovuto prepararmi qualcosa da dire casomai Zooropa venisse nominato Best Alternative Album.
Ma no, non è possibile. E invece sì. Le mie gambe mi portano al microfono, dove comunico a duecento milioni di persone che "gli U2 continueranno a fottere il mainstream". Non è la battuta più divertente e felice che si possa immaginare, ma quando torniamo nel bar Frank dichiara ai presenti: "Ero convinto di apprezzare questo ragazzo. Io lo amo, questo ragazzo".
Ho trentatré anni.
Ci prepariamo al grande evento bevendo caffè. Quando entro in scena, sono diventato un insopportabile Giovanni Battista che apre la strada al nostro messia mezzo italiano. Sbruffone, con un sigaretto acceso fra le labbra, ho il sorriso compiaciuto di quando sono molto, molto nervoso. Fumo, quindi sono agitato. Tossisco. Sproloquio.
Quando esco dal palco, lo scenario si apre sul sindaco di qualunque città voglia: Frank nel suo classico smoking, accolto da una standing ovation nella città che ha contribuito a rendere famosa più di chiunque altro. O almeno è ciò che tutti pensano qui. Guarda il pubblico, impassibile, poi parla del barista dietro le quinte e fa qualche battuta. È sinceramente commosso, e all'improvviso perde il filo. I Grammy lo tagliano per mandare la pubblicità. Il presente aveva abbandonato Frank per una frazione di secondo; i produttori e il suo management, in preda al panico, avevano staccato la spina.
La modernità non è il futuro, mi aveva spiegato Frank, è il presente. Essere presente era l'unica cosa che chiedeva a se stesso e alla sua arte: posso solo immaginare il terrore, quando gli era sfuggito di mano. Gli anni ti offrono la longevità, ma in cambio della gloria.
I Boomdabash lanciano «Tropicana»: «C’è chi perde il sonno nella guerra al tormentone ma non siamo noi»«Le hit? Nate per caso». Barbara Visentin su Il Corriere della Sera l'8 Giugno 2022.
La band salentina punta a un nuovo successo estivo insieme ad Annalisa: «È la classica brava ragazza e con noi si diverte» Boomdabash: siamo prolificima non ci facciamo influenzare dalle strategie dei discografici.
Quest’estate si balla «anche se arriva il temporale». Garantiscono i Boomdabash con un ritornello che da venerdì sarà nelle radio, nelle spiagge, negli streaming di tutta la stagione calda, pronto a incollarsi addosso al primo ascolto. Lo canta Annalisa in «Tropicana», nuovo singolo del gruppo salentino, re dei tormentoni e dei dischi d’oro e di platino, incoronato per tre anni di fila agli Rtl Power Hits Estate. Dopo «Non ti dico no» con Loredana Bertè, «Mambo salentino» e «Karaoke» con Alessandra Amoroso, «Mohicani» con Baby K, quest’anno la scelta del featuring è caduta sulla cantautrice savonese: «Partiamo sempre dalla convinzione che ogni canzone sia un vestito e questo era il vestito perfetto per Annalisa — spiega Biggie Bash, portavoce del quartetto formato da Payà, Blazon e Ketra —. Il ritornello di “Tropicana” aveva bisogno di una voce che accarezzasse, delicata ma pungente, e l’unica artista italiana con questa timbrica è lei».
Le decisioni, prosegue Biggie, sono puramente artistiche: «Quando scriviamo un pezzo il cervello in automatico va verso una voce. Non ci sono strategie discografiche, non scegliamo mai pensando se possa vendere o non vendere. Ci dirigiamo su chi può impreziosire e su chi stimiamo anche umanamente». Visti i risultati, c’è da immaginare che saranno sommersi dalle candidature: «Essere prolifici ci rende appetibili, diciamo che abbiamo dalla nostra dei buoni numeri — ammette Biggie, all’anagrafe Angelo Rogoli, 37 anni —, ma non ci facciamo influenzare né da richieste né da calcoli».
«Tropicana», descrive il cantante, «parte come pezzo dancehall, in cui si sente la Giamaica, filone da sempre presente nei Boomdabash. Poi arriva il ritornello ed esplode la house, affacciandosi al mondo dei club e a un immaginario più notturno rispetto alle estati precedenti». Il titolo, richiamo esplicito al successo del Gruppo Italiano che spopolava nei mesi caldi del 1983, «mette in luce il lato vintage del brano, le linee tipiche della dance anni 80-90». Tante contaminazioni, frutto di tanti ascolti: «Non temiamo di ripeterci perché in noi convivono anime completamente diverse e ascoltiamo di tutto, senza barriere». E non avvertono un po’ di ansia da prestazione nel dover fare centro ogni anno con una hit? «Quando raggiungi certi risultati devi cercare di svincolarti dall’idea di dover per forza bissare il successo perché è pericoloso — riflette Biggie —. Il nostro lavoro è fare buona musica, non fare i numeri. Sappiamo che una parte delle persone pensa che i Boomdabash siano un gruppo che si mette a tavolino a fare un pezzo per i soldi: non è così e non è mai stato così. Sarebbe controproducente».
Però la corsa al tormentone, da un po’ di tempo, si è fatta molto affollata: «Sicuramente ormai l’estate è diventata una guerra, ma è così se la percepisci tale. Giustamente tanti artisti fanno uscire il singolo perché è ovvio che si tratti di una stagione in cui gli ascoltatori sono più predisposti. Ci saranno quelli che perdono il sonno per fare il tormentone ad ogni costo, ma di certo non siamo noi».
I Boomdabash pensano piuttosto al divertimento, assicura: «Siamo sempre dei ragazzi di strada, la nostra attitudine è quella di 20 anni fa quando abbiamo iniziato. E Annalisa, con cui passeremo l’estate visto che faremo dei dj set nei club, anziché prenderci per dei pazzi regge benissimo la nostra esuberanza. È quella che definiresti la classica brava ragazza, ma si diverte tantissimo con noi».
«Tropicana» farà parte di un album già in lavorazione «che uscirà verosimilmente l’anno prossimo», anticipa Biggie. E il 13 luglio saranno forse a San Siro a dare man forte all’amica Amoroso? «Non so se si può dire, ma tutto accade e tutto può accadere», dice il cantante. Che poi racconta i suoi «feat» dei sogni: «In questo momento, pensando all’estero, mi piacerebbe collaborare con Post Malone, di cui sono stra-fan. Ma in Italia il nostro obiettivo da anni è Zucchero: per noi è un Dio, un mostro sacro».
Usa: scontro Angelina Jolie - Brad Pitt: "Lui picchiò lei e i figli in aereo". La Repubblica il 4 Ottobre 2022.
Lo rivela il New York Times. Secondo i documenti legali, l'attrice ha detto che l'ex marito avrebbe messo le mani alla gola a un figlio, e colpito un altro in pieno volto
Angelina Jolie ha rivelato nuovi dettagli del famigerato volo aereo del settembre 2016 che portò alla rottura con il marito Brad Pitt. L'attore e icona sexy di Hollywood avrebbe picchiato lei e i figli. In una testimonianza incrociata svolta nella battaglia legale tra le due star, che si contendono i diritti della proprietà di un pregiato vigneto in Francia, Jolie ha raccontato una serie di violenze verbali e fisiche da parte di Pitt, esplose durante il volo sul jet privato che aveva portato la famiglia dalla Francia in California.
Secondo i documenti legali, l'attrice ha detto che l'ex marito avrebbe messo le mani alla gola a un figlio, e colpito un altro in pieno volto, e poi "afferrato Jolie alla testa e strattonata". A un certo punto lui le avrebbe gettato addosso la birra, e versato vino sui figli. Dopo quel viaggio, l'attrice chiese il divorzio. L'episodio è finito sotto inchiesta da parte dell'Fbi, che ha giurisdizione sui voli.
Lorenza Sebastiani per “il Giornale” il 20 agosto 2022.
Giustizia maschilista o femminista? Ormai le coppie di Hollywood si attaccano nei tribunali e spesso la verità diventa un dettaglio indistinguibile, tanto meno dai media. Johnny Depp e Amber Heard ne sono un recente esempio e a processo concluso, quando i social avevano da mesi messo in campo un tifo da stadio a favore dell'attore, è rimasto sospeso lo stesso quesito di sempre. Peggio se sul campo rimane una vittima non creduta o un carnefice innocente e calunniato?
Ed ecco che arriva la stampa, spesso per ultima e utilizzata a turno in modo strumentale dai due epici antagonisti del momento.
Non a caso è appena emersa una sostanziale novità sulla saga dei Brangelina, ossia Brad Pitt e Angelina Jolie, che continuano da anni a scannarsi davanti ai giudici, con la scusa dell'affidamento dei figli.
Lei lo accusa di abuso di alcol e maltrattamenti in famiglia, lui di violenza psicologica e diffamazione. Emblematica la causa che lui le ha intentato a febbraio scorso, per aver venduto a un oligarca russo la sua metà del vigneto francese dove si sposarono, Château Miraval, senza interpellarlo.
Ora lei, dopo mesi di apparente calma mediatica, ha appena calato l'asso. La CNN di colpo ha rivelato il contenuto di un rapporto ricevuto dall'FBI sul famoso episodio del 2016 che la rivista americana People, all'epoca, aveva indicato come la causa del divorzio tra i due. Sei giorni dopo questi accadimenti la Jolie lasciò infatti Pitt e chiese l'affidamento esclusivo dei figli.
Nell'ambito di un volo privato dalla Francia a Los Angeles lui sarebbe salito già ubriaco, avrebbe afferrato l'attrice alla testa sbattendola contro la porta del bagno, imprecando contro di lei e contro la cattiva educazione impartita ai figli. I ragazzi, denuncia l'attrice, avrebbero chiesto «Stai bene mamma?». A quel punto Pitt avrebbe urlato: «No, la mamma non sta bene. Sta rovinando questa famiglia. È pazza». Questo avrebbe suscitato la reazione del primogenito, Maddox, all'epoca 15enne, che ha testimoniato più volte in passato contro Pitt (e oggi non vuole neanche più il suo cognome). Il ragazzo avrebbe detto: «Non è lei, sei tu, stronzo».
L'insulto, si legge nel rapporto dell'FBI, avrebbe mandato l'attore su tutte le furie. Jolie avrebbe allora afferrato il marito per il collo «per impedirgli di attaccare Maddox», e Pitt l'avrebbe spinta contro una parete, procurandole lesioni alla schiena e al gomito, di cui il rapporto contiene foto. Per quell'evento l'attore, che ha negato qualsiasi accusa, è stato indagato sia dai servizi per l'infanzia di Los Angeles sia dall'FBI, ma l'inchiesta fu chiusa in due mesi e senza esito.
CNN ha poi riferito che il vice procuratore Usa avrebbe deliberatamente deciso di non procedere contro Pitt. L'emittente americana ha oggi la certezza che la Jolie abbia di recente intentato una causa anonima contro l'FBI, per ottenere tutti i documenti relativi all'inchiesta federale contro l'ex. La Jolie aveva incassato solo per finta, quindi. Al momento ha la piena custodia dei figli, riottenuta con le unghie e con i denti.
A maggio dello scorso anno Pitt aveva infatti ottenuto l'affidamento di cinque dei suoi sei figli (Pax, Zahara, Shiloh e i gemelli Knox e Vivienne, 18, 17, 16 e 13 anni), ma lei ha chiesto e ottenuto l'estromissione del giudice, reo di non aver ascoltato le testimonianze dei ragazzi e di averle così negato, a suo dire, «un processo equo».
Combattiva «ai limiti della persecuzione», l'ha definita a più riprese Pitt sui media americani. «La mia è una battaglia nel puro interesse dei figli», ha spiegato l'attrice, che si ritiene da sempre, come la Heard, vittima di una giustizia iniqua e viziata.
Sono lontani i tempi in cui, per i 50 anni del marito, gli regalava un'isola da 12 milioni di dollari. Una cosa l'abbiamo capita, tanto megalomane la storia d'amore che ci propinano, tanto feroce sarà la causa successiva. E la verità è destinata a rivelarsi irrilevante.
(ANSA il 19 agosto 2022) - Angelina Jolie ha accusato Brad Pitt di averla afferrata per la testa e le spalla, averla spinta contro il muro del bagno dell'aereo privato sul quale stavano viaggiando e averle urlato: 'Stai mandando a puttane questa famiglia!'.
Il tutto quando era completamente ubriaco e dopo aver insultato i figli della coppia. L'episodio risale al 2016 ed è stato rivelato dalla Cnn che ha ottenuto un rapporto dell'Fbi sulla vicenda. Pitt non è stato ne' arrestato ne' incriminato per le violenze dopo l'inchiesta dei federal sulle violenze.
La Jolie ha detto agli investigatori che due dei loro figli, i cui nomi sono stati censurati nel rapporto ma erano all'epoca minorenni, "erano fuori dalla porta a piangere e hanno chiesto 'Stai bene mamma?'". A quel punto Pitt avrebbe urlato: "No, la mamma non sta bene. Sta rovinando questa famiglia. È pazza'".
Questo avrebbe suscitato la reazione di uno dei bambini che avrebbe detto: "Non è lei, sei tu, stronzo'". Insulto, si legge nel rapporto dell'Fbi, che avrebbe mandato l'attore su tutte le furie. Pitt, secondo quanto raccontato dalla Jolie, gli è corso incontro "come per picchiarlo" ma lei lo ha bloccato. L'attrice e regista ha anche dichiarato di aver subito lesioni alla schiena e al gomito di cui ha allegato una foto.
Da leggo.it il 18 agosto 2022.
Angelina Jolie ha presentato una causa anonima contro l'Fbi chiedendo perché non ha arrestato Brad Pitt. Secondo i media Usa, l'attrice è stata identificata come la querelante 'Jane Doe' in un procedimento contro il Bureau per il Freedom of Information Act, in cui domanda perché l'agenzia abbia chiuso un'indagine per aggressione nel 2016 sul suo «allora marito».
In quell'occasione Jolie aveva affermato che lui aveva «aggredito fisicamente e verbalmente» lei e i loro figli. A un agente federale aveva detto che Pitt era «pazzo» e si era imbarcato su un aereo privato dalla Francia agli Stati Uniti insieme a lei e ai loro sei figli, lo aveva accusato di aver preso a pugni il soffitto dell'aereo più volte gridando «stai rovinando questa famiglia». Pitt avrebbe poi attaccato uno dei loro figli, lei lo avrebbe difeso e si sarebbe ferita al gomito. Poi l'attrice lo ha accusato di averle versato della birra addosso in un altro momento del volo.
Sei giorni dopo, Jolie ha chiesto il divorzio. I media hanno riferito che il vice procuratore Usa ha incontrato l'agente federale nel novembre 2017 e ha deciso di non procedere con la denuncia contro Pitt. Jolie ha quindi intentato una causa anonima contro l'Fbi nella speranza di ottenere documenti relativi all'inchiesta federale contro l'ex marito, il quale ha negato tutte le accuse.
Da adnkronos.com il 19 agosto 2022.
Angelina Jolie ha accusato Brad Pitt di averla picchiata e di avere insultato lei e i loro figli durante una lite a bordo di un jet privato nel 2016. Lo riferisce un rapporto dell'Fbi che la Cnn ha pubblicato. Secondo quanto è scritto nel rapporto, l'attrice ha detto agli investigatori che durante il viaggio di ritorno in California con Pitt e i loro sei figli, dopo una vacanza di due settimane, il suo ex marito le ha chiesto di accompagnarlo in fondo all'aereo.
Una volta lì, ha riferito Jolie, entrati nel bagno, Pitt l'ha "afferrata per la testa e per la spalla" e spingendola contro la parete del bagno le ha detto "stai fottendo questa famiglia", secondo quanto scritto sul rapporto. Pitt non è stato arrestato o accusato in relazione all'incidente dopo che l'Fbi ha completato l'indagine nel 2016.
La Jolie ha anche detto agli investigatori che due dei loro figli (i cui nomi non sono scritti nel rapporto perché all'epoca erano minorenni) "erano fuori dalla porta a piangere e hanno chiesto: 'Stai bene mamma?'". E Pitt avrebbe urlato in risposta: "No, la mamma non sta bene. Sta rovinando questa famiglia. È pazza".
A questo punto uno dei figli gli avrebbe risposto: "Non è lei, sei tu, stronzo", una reazione che avrebbe fatto infuriare Pitt il quale, sempre secondo il racconto di Angelina Jolie riportato nel rapporto, sarebbe corso incontro al figlio "come per picchiarlo", ma senza riuscirci perché lei lo ha bloccato. Jolie ha affermato di aver subito lesioni alla schiena e al gomito, allegando al rapporto una foto.
La Cnn ha contattato i rappresentanti di Pitt e Jolie per un commento. "Tutte le parti hanno avuto queste informazioni da quasi sei anni e sono state utilizzate in precedenti procedimenti legali. Non c'è niente di nuovo se non l'essere una trovata mediatica destinata a infliggere dolore", ha detto una fonte vicina a Pitt. Un portavoce dell'Fbi ha spiegato alla Cnn che "nessuna accusa è stata presentata in relazione a questa questione e sarebbe inappropriato commentare ulteriormente".
Angelina Jolie accusa Brad Pitt: "Mi ha insultata e picchiata". La Repubblica il 19 Agosto 2022.
L'episodio risale al 2016 ed è stato rivelato dalla Cnn: l'attrice ha fatto causa all'Fbi chiedendo perché non abbia arrestato l'ex marito
Angelina Jolie ha accusato Brad Pitt di averla afferrata per la testa e le spalla, averla spinta contro il muro del bagno dell'aereo privato sul quale stavano viaggiando e averle urlato: "Stai mandando a puttane questa famiglia!". Il tutto quando era completamente ubriaco e dopo aver insultato i figli della coppia.
L'episodio risale al 2016 ed è stato rivelato dalla Cnn che ha ottenuto un rapporto dell'Fbi sulla vicenda. Pitt non è stato né arrestato né incriminato per le violenze dopo l'inchiesta dei federal sulle violenze.
Jolie ha detto agli investigatori che due dei loro figli, i cui nomi sono stati censurati nel rapporto ma erano all'epoca minorenni, "erano fuori dalla porta a piangere e hanno chiesto 'Stai bene mamma?'". A quel punto Pitt avrebbe urlato: "No, la mamma non sta bene. Sta rovinando questa famiglia. È pazzà".
Questo avrebbe suscitato la reazione di uno dei bambini che avrebbe detto: "Non è lei, sei tu, stronzò". Insulto, si legge nel rapporto dell'Fbi, che avrebbe mandato l'attore su tutte le furie. Pitt, secondo quanto raccontato dalla Jolie, gli è corso incontro "come per picchiarlo" ma lei lo ha bloccato.
L'attrice e regista ha anche dichiarato di aver subito lesioni alla schiena e al gomito di cui ha allegato una foto.
Nei giorni scorsi l'attrice ha presentato una causa anonima contro l'Fbi chiedendo perché non ha arrestato Brad Pitt. Secondo i media Usa, l'attrice è stata identificata come la querelante "Jane Doe" in un procedimento contro il Bureau per il Freedom of Information Act, in cui domanda perché l'agenzia abbia chiuso un'indagine per aggressione nel 2016 sul suo "allora marito".
In quell'occasione Jolie aveva affermato che lui aveva "aggredito fisicamente e verbalmente" lei e i loro figli. A un agente federale aveva detto che Pitt era "pazzo" e si era imbarcato su un aereo privato dalla Francia agli Stati Uniti insieme a lei e ai loro sei figli, lo aveva accusato di aver preso a pugni il soffitto dell'aereo più volte gridando "stai rovinando questa famiglia". Pitt avrebbe poi attaccato uno dei loro figli, lei lo avrebbe difeso e si sarebbe ferita al gomito. Poi l'attrice lo ha accusato di averle versato della birra addosso in un altro momento del volo. Sei giorni dopo, Jolie ha chiesto il divorzio.
I media hanno riferito che il vice procuratore Usa ha incontrato l'agente federale nel novembre 2017 e ha deciso di non procedere con la denuncia contro Pitt. Jolie ha quindi intentato una causa anonima contro l'Fbi nella speranza di ottenere documenti relativi all'inchiesta federale contro l'ex marito, il quale ha negato tutte le accuse.
Brad Pitt: «Sono malato, ma nessuno mi crede. Non riconosco i volti delle persone». Maria Volpe su Il Corriere della Sera l'8 Luglio 2022.
L’attore, 58 anni, ha rilasciato un’intervista a GQ dove confida il suo disturbo che gli crea forte disagio. Chiede di conoscere una persona che soffra della stessa patologia.
Una notizia choc arriva da Brad Pitt, 58 anni: in un’intervista a GQ ha rivelato non solo di voler interrompere la recitazione, ma soprattutto ha confidato di soffrire di un grave disturbo neurologico che impedisce di riconoscere i volti delle persone, persino di amici e parenti. La star di Hollywood sostiene di essere malato di prosopagnosia, anche se nessun medico gliel’ha mai diagnosticata. L’attore e produttore americano non associa le facce alle persone che incontra o che ama. Nessuna. Nemmeno Angelina Jolie, nemmeno Jennifer Aniston, nemmeno i 6 figli per cui ha combattuto anni in tribunale. Tantomeno le facce di Hollywood, tanto che ha rivelato di essersi alienato molte persone che lo hanno sempre considerato snob o menefreghista: ma lui non fingeva di non conoscerle, davvero non riusciva a capire chi fossero.
«Nessuno mi crede» confida adesso con un tocco di disperazione ed esprime il desiderio di conoscere qualcun altro con lo stesso disturbo. Pitt sostiene di essere malato dal 2013, motivo per cui sono anni che trascorre la maggior parte del suo tempo in casa. «Nessuno mi crede! Voglio incontrare un’altra persona che ne soffre», ha dichiarato. La prosopagnosia, una condizione anche nota come “cecità facciale”, sarebbe il motivo per cui, senza volerlo, Brad risulta freddo, distaccato ed egocentrico per le persone che lo incontrano. «La verità è che vorrebbe ricordare le persone che incontra, ma si vergogna di non poterlo fare», ha raccontato la giornalista Ottessa Moshfegh autrice dell’intervista a Brad Pitt.
La prosopagnosia è un deficit cognitivo-percettivo che porta a non essere in grado di riconoscere le facce delle persone note e, talvolta, perfino il proprio volto quando si guarda allo specchio od osserva una sua foto. Le cause possono essere legate ad una condizione che un individuo sviluppa nel corso della vita, per effetto di un danno neurologico, oppure può trattarsi di una condizione congenita. La prosopagnosia può avere gravi ripercussioni sulla sfera sociale del paziente e può portare allo sviluppo di depressione e fobia sociale. Per diagnosticare correttamente la prosopagnosia serve l’intervento di un neuropsichiatra e il ricorso a una serie di test.
L’attore lo scorso anno aveva ottenuto la custodia congiunta dei figli, ma la sentenza è stata revocata a causa della rimozione del giudice che presiedeva il caso. Alla fine quindi Jolie ha riottenuto la custodia totale mentre Pitt ha solo il diritto di visita.
Brad Pitt "Soffro di prosopagnosia, non riconosco i volti. E nessuno mi crede". L'attore premio Oscar ha raccontato alla rivista GQ di non avere avuto ancora una diagnosi ma di voler incontrare qualcuno che abbia lo stesso disturbo. La Repubblica l'8 Luglio 2022.
In un'intervista, nel numero di agosto di GQ, il premio Oscar Brad Pitt torna a parlare della prosopagnosia, il disturbo di cui soffre anche se non gli è ancora stato diagnosticato. Nell'intervista il premio Oscar si lamenta del fatto che tende a fare una vita piuttosto casalinga e non partecipare a molti eventi mondani perché "nessuno mi crede, ma io ho delle difficoltà a riconoscere il volto delle persone". In questa lunga chiacchierata con il magazine, in cui si è aperto sul periodo di depressione e sulla scelta di andare in riabilitazione dopo il divorzio da Angelina Jolie, ha quindi espresso la frustrazione per una malattia che ha la conseguenza di attirare l'odio delle persone che si offendono perché, dopo averle incontrate in varie occasioni, non riesce a riconoscerle.
La prosopagnosia è un disturbo neurologico che si concretizza nell'incapacità di riconoscere il viso delle persone e, nei casi più gravi, di distinguere la propria immagine in fotografia o allo specchio. Questo disturbo può essere acquisito o congenito. Il primo tipo è una condizione che un individuo può sviluppare a seguito di una lesione a carico dell'area temporo-occipitale dell'emisfero cerebrale destro. Nel secondo caso la condizione ha cause sconosciute ed è presente fin dalla nascita e anche se l'encefalo è sano. La prosopagnosia può avere gravi ripercussioni sulla sfera sociale e può portare allo sviluppo di depressione e fobia sociale.
Cos’è la prosopagnosia, il disturbo di Enrica Bonaccorti e Brad Pitt. Danilo di Diodoro su Il Corriere della Sera l'11 maggio 2022.
Ne ha parlato Enrica Bonaccorti, che dice di condividere questo problema con Brad Pitt: alcune persone non sanno riconoscere i visi (a volte neppure il proprio). È un problema più diffuso di quanto si pensi, che coinvolge un milione e mezzo di persone solo in Italia.
Ogni essere umano riconosce al volo centinaia di volti. Un’abilità straordinaria che nessuno ha bisogno di imparare, perché innata. Ed è da sempre fondamentale per la sopravvivenza: consente di distinguere senza esitazioni parenti, amici, nemici. Eppure, in una certa percentuale di individui affetti da prosopagnosia, tale capacità è compromessa fin dalla nascita.
Ne ha parlato al Corriere Enrica Bonaccorti, che ha detto di condividere questo problema con l’attore Brad Pitt. È un disturbo di cui soffriva anche Luciano De Crescenzo che raccontava di come a prima vista avesse difficoltà a riconoscere anche cari amici come Marisa Laurito.
Come riconoscere da altri particolari
Chi si trova in questa condizione, soffre di prosopagnosia congenita, un disturbo che colpisce circa il 2-3 per cento della popolazione. Il termine deriva dal greco antico prosopon, che vuol dire, appunto, faccia. Per riuscire a orientarsi nella giungla quotidiana dei visi, chi è affetto da questo disturbo deve fare ricorso a veri e propri stratagemmi. È costretto a imparare come riconoscere le persone da altri segnali, come il taglio dei capelli, la modalità di camminare, la gestualità, perfino i vestiti indossati. A volte si affida invece a un particolare del viso stesso, come la forma della bocca o delle sopracciglia, dal momento che la prosopagnosia è principalmente caratterizzata dalla difficoltà a percepire la faccia nel suo insieme, mentre non è toccata l’abilità di individuare i suoi singoli particolari.
Quanti sono: i dati
Oltre alla forma congenita esiste anche una forma acquisita. In tal caso la persona nasce con la normale abilità a riconoscere i visi, ma poi la perde, solitamente in seguito a un evento traumatico, come un ictus o un trauma cranico encefalico. In ogni caso, si tratta di un disturbo che può avere molta influenza sulla vita sociale.
«Persone con prosopagnosia hanno significative difficoltà nella vita di tutti i giorni», dice il professor Davide Rivolta, associato presso la School of Psychology dell’University of East London, autore del libro “Prosopagnosia: Un mondo di facce uguali” (Ferrari Sinibaldi, Milano). «Per esempio non riconoscono i protagonisti dei film, ma neppure le persone famigliari, quali i vicini di casa, se le incontrano fuori dal contesto abituale. In casi gravi, i prosopagnosici non sono in grado di riconoscere addirittura la propria faccia. In Italia si stima che ci siano circa un milione e mezzo di persone con prosopagnosia congenita, anche se spesso sono poco conosciute e rilevate».
Difficoltà nella diagnosi
I motivi di tale disconoscimento possono essere diversi. Dato che si nasce senza questa abilità, si è portati a pensare che le difficoltà rappresentino la norma e che tutti facciano fatica a riconoscere i volti. Inoltre raramente si parla di questo disturbo e i bambini non vengono testati per le abilità di riconoscere i visi. A tutto ciò si aggiunge il fatto che psicologi, psichiatri e neurologi spesso non sono in grado di diagnosticare, se non sommariamente, la prosopagnosia. «Non esiste una diagnosi universale di prosopagnosia», spiega ancora Rivolta. «Tuttavia esistono oggi strumenti affidabili. Uno su tutti è un test di memoria, il Cambridge Face Memory Test, che richiede ai soggetti di imparare, e poi riconoscere, facce non famigliari in mezzo a molti distrattori. Un ulteriore test che abbiamo sviluppato consiste nel distinguere persone famose da persone non famose. Chi soffre di prosopagnosia, in genere, ha difficoltà nello svolgere correttamente questi test. Il neuropsicologo è la figura professionale di riferimento in grado di diagnosticare e intervenire sulla prosopagnosia».
Altri disturbi con gli oggetti o i corpi
Attualmente si sta anche cercando di identificare tecniche in grado di migliorare la percezione di volti in chi soffre di prosopagnosia. Il gruppo del professor Rivolta ha pubblicato sulla rivista Neuropsychologia uno studio in cui si dimostrano i possibili effetti benefici della stimolazione cerebrale tramite una lievissima corrente in aree deputate al riconoscimento di volti. Alla prosopagnosia acquisita possono associarsi disturbi in altre sfere cognitive, come il mancato riconoscimento di oggetti. Infatti, le aree cerebrali deputate al riconoscimento dei volti e degli oggetti sono vicine, quindi una lesione, anche se principalmente coinvolge l’area dei volti, può colpire in modo più o meno marcato anche l’area di riconoscimento oggetti. Inoltre alla prosopagnosia congenita può associarsi una difficoltà di orientamento spaziale o la difficoltà a riconoscere i corpi, sostenuta da alterazioni a livello del lobo temporale. «Abbiamo osservato questo fenomeno durante uno studio su un gruppo di undici persone affette da prosopagnosia, confrontato con un gruppo di controllo», dice ancora Rivolta. Lo studio, pubblicato su The Quarterly Journal of Experimental Psychology, indica che probabilmente queste difficoltà sono sostenute da un’alterazione dei processi neurobiologici condivisi.
Vedere mostri
Le alterazioni nella percezione dei visi possono anche generare mostri. In questi casi non si tratta più di prosopagnosia, ma di prosopometamorfosia, ossia di metamorfosi delle facce. È una rara sindrome, della quale è stato descritto un caso sulla rivista Lancet da un gruppo di neuroscienziati olandesi, ai quali la paziente era stata indirizzata dal famoso neurologo e scrittore Oliver Sacks. Si trattava di una donna di 52 anni che fin dall’adolescenza vedeva l’immagine di musi di drago comparire all’improvviso davanti ai suoi occhi, mentre anche le facce delle persone attorno a lei si trasformavano in musi di drago: improvvisamente a parenti e amici la pelle del viso diventava scura, le fattezze si allungavano, le orecchie crescevano, gli occhi si ingrandivano e assumevano un colore brillante, giallo, verde, blu o rosso.
Niccolò Dainelli per leggo.it il 25 giugno 2022.
Brad Pitt sconvolge i suoi fan. Dopo aver dichiarato di sentirsi alla fine della sua carriera, facendo capire che il suo ritiro si avvicina, ecco un'altra notizia che lascia a bocca aperta. In un'intervista a GQ, l'attore hollywoodiano rivela di soffrire di una malattia che gli impedisce di riconoscere i volti delle persone: la prosopagnosia. La star del cinema ha dichiarato di soffrire di questa particolare «cecità facciale» non diagnosticata.
Secondo Brad Pitt, a cui non è mai stata formalmente diagnosticata la prosopagnosia, che gli esperti descrivono come una condizione in cui «non è possibile riconoscere i volti delle persone», ha difficoltà a ricordare nuove persone e riconoscere i loro volti, specialmente in contesti sociali come le feste.
Questa sua difficoltà a ricordare i volti, preoccupa molto Brad Pitt, che ha dichiarato di avere spesso la sensazione che le persone incontrate abbiano un'impressione negativa di lui rendendolo agli occhi degli altri sempre molto distaccato ed egocentrico. E per la star di Hollywood questo è un grande problema. Lui vorrebbe sempre ricordare chi incontra e si vergogna molto quando proprio non riesce a riconoscere il volto di una persona già incontrata.
Secondo gli esperti, la prosopagnosia dello sviluppo, che colpisce anche gli individui che non hanno subito danni cerebrali, si riscontra in una persona su 50. La condizione colpisce spesso le persone dalla nascita e in genere rimane un problema per tutta la vita.
«Molte persone con prosopagnosia non sono in grado di riconoscere familiari, partner o amici», affermano gli studiosi, osservando che la condizione può portare a disturbi d'ansia sociale. Una lesione cerebrale o un ictus possono anche portare allo sviluppo della prosopagnosia che, in questo caso, risulta essere acquisita e non dalla nascita.
Parlando con GQ, l'attore ha anche spiegato come nessuno creda alla sua malattia e che avrebbe molto piacere a incontrare un'altra persona con la sua stessa patologia per essere finalmente compreso da qualcuno. Questa non è la prima volta che Brad Pitt parla pubblicamente della sua incapacità di riconoscere i volti e del conseguente impatto che la difficoltà ha sulla sua reputazione.
Le persone la vedono come una mancanza di rispetto, ma il premio Oscar in realtà soffre di prosopagnosia. Questo ha portato l'attore anche a soffrire di depressione, una depressione sconfitta solo nell'ultimo periodo quando i suoi amici e familiari hanno realmente capito il suo stato d'animo e le difficoltà che incontra quotidianamente.
Da vanityfair.it il 23 giugno 2022.
Nella storia di copertina del numero di luglio/agosto di GQ, l’autrice Ottessa Moshfegh incontra l'attore e produttore Brad Pitt nella sua casa sulle colline di Hollywood. Durante la loro conversazione, Pitt è aperto e onesto. Parla del futuro della sua carriera, dei diversi cambiamenti che ha fatto per migliorare la sua salute e del suo senso di solitudine. Racconta anche dei suoi prossimi progetti, tra cui la commedia d'azione Bullet Train.
Pitt è conosciuto come un attore leggendario, una delle personalità più influenti di Hollywood, forse il più grande rubacuori di tutti i tempi. Ultimamente, però, è apparso sullo schermo un po' più sporadicamente concentrandosi maggiormente sul ruolo di produttore cinematografico.
A GQ racconta che sta cercando di riflettere con attenzione sul proprio futuro e sul percorso che vuole tracciare per le fasi finali di una carriera abbondantemente creativa. «Penso di essere arrivato all'ultimo tratto, il semestre o trimestre finale. Cosa racconterà questo capitolo? Come voglio strutturarlo?».
Parte di questo progetto include la sua società di produzione, la Plan B Entertainment. Quest'anno, la Plan B sta producendo Donne che parlano, un adattamento del romanzo di Miriam Toews in cui si narra di donne mennonite che si coalizzano contro i loro stupratori, diretto da Sarah Polley. «È un film profondo come nessun altro realizzato in questo decennio» ha dichiarato Pitt.
Eppure, nonostante i nobili ideali quando veste i panni del produttore e di un attore sempre più selettivo, Pitt presta con gioia il suo talento a qualche blockbuster quando il momento è giusto, soprattutto se esiste un legame personale. Tra questi Bullet Train diretto da David Leitch, il cui rapporto con Pitt risale a Fight Club del 1999, nel periodo in cui il regista faceva da controfigura alla star, ruolo che Leitch ha rivestito in diversi film, tra cui Troy e Mr & Mrs Smith. Nel film, Pitt interpreta Ladybug, un assassino a bordo del treno Tokyo-Kyoto che si è appena ripreso da un esaurimento nervoso e torna alla sua professione ad alto rischio con una fiducia un po' fuorviante sulla propria idoneità a riprendere servizio.
«Sai, fai un mese di terapia», dice Pitt a proposito del suo personaggio, «hai un'epifania, pensi di aver capito tutto e che non sarai mai più smarrito. Questo è quanto. Ho capito, sono pronto a ripartire!».
Inoltre, Pitt racconta a GQ della sua missione per tutelare la propria salute. Dopo aver offerto a Moshfegh una mentina alla nicotina, spiega di aver smesso di fumare durante la pandemia. Sebbene all'inizio abbia cercato di ridurre al minimo la quantità di fumo, si è reso conto che la semplice riduzione delle sigarette non sarebbe stata sufficiente: doveva eliminarle. «Non ho la capacità di fumarne solo una o due al giorno», dice. «Non fa parte del mio modo di essere. Per me o tutto o niente. Mi butto a capofitto nelle cose. Ho perso i miei privilegi».
Si tratta di uno dei numerosi cambiamenti radicali che negli ultimi anni ha adottato per tutelare la propria salute. Dopo che la Jolie ha chiesto il divorzio, nel 2016, ha smesso di bere e ha trascorso un anno e mezzo frequentando gli Alcolisti Anonimi. «Avevo un gruppo maschile molto bello lì, molto riservato e selettivo, quindi era sicuro», racconta a GQ «perché avevo sentito esperienze di altre persone, come Philip Seymour Hoffman, che erano state registrate mentre vuotavano il sacco, e questo per me è semplicemente atroce».
Pitt ha parlato in passato della sua difficoltà a ricordare le persone nuove, a riconoscere i loro volti, e teme che questo dia di lui una certa impressione: che sia distante e distaccato, inaccessibile, egocentrico. Moshfegh, tuttavia, lo trova all'opposto. Pitt è un uomo che sembra profondamente impegnato a creare legami significativi, a sondare i quesiti esistenziali della vita e ad ascoltare le storie personali degli altri.
«Mi sono sempre sentito molto solo nella mia vita» spiega «solo quando ero bambino, solo anche qui fuori, è soltanto di recente che mi sono avvicinato maggiormente ai miei amici e alla mia famiglia. Qual è quella frase, potrebbe essere di Rilke o di Einstein, che ci crediate o no, ma era qualcosa che parlava di quando si riesce a camminare con il paradosso, quando si porta con sé contemporaneamente il vero dolore e la vera gioia, questa è la maturità, questa è la crescita».
Brad Pitt, la solitudine e la depressione: "Così ho rimesso a posto la mia vita". La Repubblica il 23 Giugno 2022.
In un'intervista l'attore racconta la sua vita tormentata e il punto di rottura dopo il divorzio da Angelina Jolie.
La fama non basta a liberarsi da solitudine e depressione. Nessuno scudo per il malessere di Brad Pitt che a 58 anni si confessa rivelando di aver sofferto tutta la vita e spiega come sia riuscito a liberarsi dalla dipendenza da alcol e sigarette. Tutto è stato possibile dopo il divorzio da Angelina Jolie, nel 2016, il punto di rottura. E' stato allora che ha deciso di fare della sua salute una priorità. L'occasione per fare il punto sulla caduta e la ripresa è un'intervista a GQ che gli dedica la copertina con un look Seventies alla C'era una volta a... Hollywood.
Brad Pitt e la depressione: "Per anni sono andato alla deriva"
Innanzitutto è diventato sobrio passando circa un anno e mezzo in un centro di riabilitazione. E durante la pandemia si è sbarazzato del vizio del fumo in un colpo solo. Ma oltre alla salute fisica c'era anche quella mentale e lì c'è voluto un lavoro più intenso. Ha sofferto di solitudine, ha avuto quella che definisce "una leggera forma di depressione". "Credo - ha spiegato - che la gioia sia una scoperta recente. Mi sono sempre mosso con la corrente, alla deriva in senso e poi verso quella successiva. Credo di aver passato anni con una leggera depressione e solo dopo averci fatto i conti, cercando di accettare tutti gli aspetti di me stesso, il bello e il brutto, che sono stato in grado di catturare quei momenti di gioia".
Si è sentito solo tutta la vita. "Mentre crescevo, anche qui a Los Angeles, e solo di recente ho accettato di più la mia famiglia e gli amici". Tra le cose che lo fanno sentire meno solo c'è la produzione e il consumo di arte. La musica lo riempie di gioia.
Angelina Jolie e la custodia dei figli
L'attore ha sei figli con Angelina Jolie: Maddox, Pax, Zahara, Shiloh e i gemelli Knox e Viviennne, rispettivamente di 20, 18, 17, 16 e 13 anni. Lo scorso anno, dopo aver ottenuto la custodia congiunta, la sentenza fu revocata a causa della rimozione del giudice che presiedeva il caso. Jolie ha quindi riottenuto la custodia totale mentre Pitt ha solo il diritto di visita. Lo scorso ottobre, durante un'intervista a E! News ha detto che appoggia i propri figli e ciò che li rende felici. Ha commentato che ormai sono abbastanza grandi da prendere delle decisioni e lui non sarà da ostacolo. Quanto al lavoro, il 15 luglio sarà di nuovo nelle sale nel film Bullet Train.
Brad Pitt trascina in tribunale Angelina Jolie, cosa si è venduta a sua insaputa all'oligarca russo: choc a Hollywood. Libero Quotidiano il 18 febbraio 2022
Tra Brad Pitt e Angelina Jolie non sembra esserci mai pace. A metterli nuovamente l'uno contro l'altra stavolta è il vino. In particolare i vigneti, di cui i due divi sono co-proprietari. L'attore ha fatto causa all'ex moglie, dopo aver scoperto che ha venduto la sua parte della tenuta di Château Miraval nel Sud della Francia ad un miliardario russo Yuri Shefler.
La coppia l'aveva acquistata e fondato un'azienda vinicola con lo stesso nome, nel 2008. E lì si erano anche sposati nel 2014. L'accordo iniziale però prevedeva che nessuno dei due avrebbe potuto vendere la propria quota di partecipazione nell'azienda senza ottenere il consenso dell'altro. Ma la Jolie aveva già chiesto di poter vendere il vigneto. La clausola nel contratto parlava chiaro. La società di Shefler infatti è in concorrenza con quella di Pitt nella produzione dello champagne.
Secondo Pitt, la Jolie on contribuisce più finanziariamente, già da anni, all'attività, mentre l'attore ha continuato a sostenere economicamente l'azienda. Ed è per questo che ha chiesto che sia un tribunale a decidere l'annullamento della vendita e a quanto ammonta il danno economico subito dalla non partecipazione dell'ex moglie alle spese dell'azienda vinicola.
Brad Pitt trascina la Jolie in tribunale: "Lo ha fatto per vendetta, lo dà ai russi". Novella Toloni il 7 Giugno 2022 su Il Giornale.
L'attore accusa l'ex moglie di avere venduto le quote dell'azienda vinicola, che detenevano in comproprietà dal 2008, per vendicarsi di una sentenza sulla custodia dei figli.
Un nuovo capitolo si aggiunge alla saga sulla tormentata separazione tra Brad Pitt e Angelina Jolie. Dopo avere citato in giudizio l'ex moglie per la vendita delle sue quote della cantina Chateau Miraval, l'attore americano ha accusato l'ex moglie di averlo fatto per "vendetta".
Secondo quanto riportato dal tabloid inglese Daily Mail, infatti, i legali del divo di Hollywood avrebbero depositato in tribunale una serie di documenti, che proverebbero che la Jolie avrebbe venduto le quote in comproprietà con l'ex marito con il solo fine di "infliggere danni a Pitt". L'attrice avrebbe venduto circa la metà della cantina vitivinicola nel sud della Francia - acquistata nel 2008 insieme all'ex - al magnate russo Yuri Shefler. Quest'ultimo, secondo Brad Pitt, avrebbe "intenzioni velenose" e un piano preciso per assumere il controllo completo dell'azienda.
"Jolie sapeva che Shefler e i suoi affiliati avrebbero cercato di controllare l'attività che Pitt aveva costruito e di minare l'investimento di Brad in Miraval", si legge nei documenti in possesso del Daily Mail. L'accusa mossa da Brad Pitt contro l'ex moglie si baserebbe sulle tempistiche della vendita dell'azienda vinicola francese. Angelina Jolie avrebbe ceduto le quote subito dopo la sentenza provvisoria, nella quale il giudice concedeva la custodia congiunta dei figli all'attore (sentenza poi revocata).
L'attrice sarebbe stata così furente per la decisione del tribunale da volersi vendicare, vendendo parte dell'azienda a cui Pitt ha dedicato tempo e denaro. Grazie alla sua passione, infatti, i vini rosati prodotti dalla cantina Chateau Miraval sono tra i più apprezzati nel mondo e la cessione delle quote avrebbe danneggiato economicamente Pitt. A complicare il quadro c'è la guerra. Con l'invasione della Russia in Ucraina moltissimi marchi russi sono stati oggetto di embargo in tutto il mondo e anche la società dell'imprenditore Yuri Shefler è stata boicottata. "L'associazione di Miraval con Shefler, che ha acquisito notorietà grazie a tattiche commerciali spietate e associazioni professionali dubbie, mette a repentaglio la reputazione del marchio Pitt così accuratamente costruito", affermano i legali dell'attore americano, che rilanciano: "Shefler mantiene anche relazioni personali e professionali con individui nella cerchia ristretta di Vladimir Putin".
Come se questo non bastasse, Pitt accusa l'ex moglie di avere fatto tutto alle sue spalle. Durante la battaglia legale sull'affidamento dei figli, Jolie e Pitt stavano raggiungendo un accordo per la cessione delle quote all'attore, che sarebbe diventato proprietario unico dell'azienda vitivinicola. Dopo la sentenza del giudice, l'attrice avrebbe fatto saltare l'accordo "tenendo di proposito all'oscuro Pitt sul nuovo compratore e violando consapevolmente i diritti contrattuali di Pitt", che aveva diritto di prelazione. Il divo di Hollywood ora accusa Angelina, Shefler e tre aziende coinvolte nella compravendita di violazione del contratto, violazione della buona fede e interferenza illecita nei rapporti contrattuali e è pronto a trascinare l'ex moglie davanti alla giuria.
Da adnkronos.com il 19 febbraio 2022.
Brad Pitt ha citato in giudizio la sua ex moglie Angelina Jolie per aver venduto la sua quota di partecipazione del vigneto francese Chateau Miraval che avevano comprato insieme nel 2008 per circa 25 milioni di euro e dove sei anni dopo si erano sposati. Secondo Pitt, la Jolie avrebbe deciso di cedere la sua parte di proprietà nel sud-est della Francia senza il proprio permesso, quando invece, secondo un loro precedente accordo, questo sarebbe stato necessario.
Chateau Miraval, che comprende una casa e un vigneto nel villaggio di Correns, "si era trasformato nella passione di Pitt", secondo quanto dichiarato dal suo avvocato, e, sotto la sua guida, è diventato una "storia di successo internazionale multimilionaria": l’attore infatti ha contribuito a garantire la redditività del vigneto, trasformandolo in "una delle aziende di produzione di vino rosato più apprezzate al mondo".
La quota dell’attrice, che non ha rilasciato dichiarazioni, sarebbe andata al produttore di alcolici russo Yuri Shefler, secondo il legale “a insaputa del suo assistito. Ha venduto la sua partecipazione con la consapevolezza e l'intenzione che Shefler e le sue affiliate avrebbero cercato di controllare l'attività a cui Pitt si era dedicato e di minare il suo investimento in Miraval”, con lo scopo di causare "danni gratuiti" all'attore che aveva "investito denaro e fatica nel settore del vino".
Per i Brangelina la vita non è più rosé. Litigano anche per la loro azienda vinicola. Andrea Cuomo il 20 Febbraio 2022 su Il Giornale.
La Jolie vende le sue azioni della provenzale Miraval, lui vuol farle causa.
La vie en rosé non dura mai in eterno. Prendete Angelina Jolie e Brad Pitt. Fino a qualche tempo fa sembravano la coppia perfetta: belli, famosi, ricchi, buoni. Una «ditta» talmente affiatata da meritare una ragione sociale: Brangelina. Poi la love story è finita e le due star non si può dire abbiano brindato al loro divorzio, «celebrato» nel 2020. Comunque, non con il vino della loro tenuta vitivinicola nel Sud della Francia, la Miraval Côtes de Provence. La tenuta di 500 ettari, di cui 50 a vigneto, che i due acquistarono nel 2008 e nella quale si sposarono nel 2014, lei peraltro con un romanticissimo abito firmato Atelier Versace in cui aveva fatto ricamare i ritratti di tutti i loro figli. E che negli ultimi anni è diventata rinomata anche per i vini che vi sono prodotti, in particolare il Miraval Rosé, prodotto con uve Cinsault, Rolle, Syrah e Grenache e considerato uno dei rosati più rinomati del mondo (il suo prezzo, sui siti di e-commerce del vino, si aggira sui 18 euro a bottiglia).
L'azienda è un successo, ma rischia di essere ora travolta dai dissidi tra i due ex innamorati. Brad, oltre all'abbandono, ha dovuto bere un altro amaro calice, la vendita delle sue quote azionarie della tenuta, pari al 40 per cento (il restante 60 è di Brad). Un'operazione che, stando all'attore, nessuno dei due avrebbe potuto fare senza il consenso del socio. Secondo Pitt, l'ex moglie avrebbe dovuto offrire a lui le azioni, prima di cederle a Tenute dal Mondo, la divisione wine» del potente Stoli Group. L'attore ha passato la pratica ai suoi avvocati. I legali di Brad chiedono che un tribunale civile si pronunci sulla querelle, e aggiungono, come aggravante, che Angelina avrebbe «smesso da molto tempo di contribuire alla Miraval».
La Miraval non è solo un magnifico scenario di cartapesta. I due sono veramente appassionati di vini e quando acquistarono il castello con vigneti, decisero di produrre un vino che fosse davvero buono. Per questo si avvalsero della collaborazione della famiglia di enologi Perrin e oggi il Miraval Rosé è molto quotato nelle principali guide: Wine Enthusiast ha dato 91 centesimi alle annate 2015, 2017 e 2020 (l'ultima uscita), mentre Robert Parker ha giudicato da 90 la 2018.
Va detto che gli ex Brangelina hanno nel frattempo avviato un'altra impresa commerciale nel settore vinicolo: la maison Fleur de Miraval, l'unica che produce esclusivamente Champagne rosé. Grazie anche a questo il fatturato è lievitato dal 3 milioni di dollari del 2013 ai 50 milioni del 2021.sato da tre milioni di dollari nel 2013 a oltre 50 milioni di dollari nel 2021. Andrea Cuomo
Domenico Basso per corriere.it il 3 marzo 2022.
Modella, pornoattrice e poi anche deejay. Nel suo articolato viaggio nella vita ha anche conosciuto il carcere che è di suo una esperienza terribile, ma lo è ancor di più se ci finisci per un errore, o meglio per colpe che non sono tue.
E così Brigitta Bulgari, al secolo, Brigitta Kocsis, ungherese di 39 anni, nel 2010 era diventata anche un «Pericolo pubblico». Oggi vive in Veneto dove coltiva le sue nuove passioni e sogna di avere un’altra occasione.
Brigitta, partiamo dall’inizio. Come era arrivata in Italia?
«Avevo iniziato a studiare Legge in Ungheria e ad un certo punto ho deciso di provare a fare la modella. A Milano i primi provini e vari casting con una agenzia».
E come andarono?
«Lavoravo, ma mi sentivo omologata. Tutte le modelle dovevano essere uguali, non c’era spazio per la personalità. Mi dicevano anche come tenere i capelli. Io invece volevo essere considerata per quello che ero e non essere manipolata».
Quindi un’esperienza che durò poco.
«In quegli anni le modelle dovevano anche frequentare molti locali, star fuori la sera fino a tardi ed io, che tra l’altro non fumo e non bevo, mi sentivo proprio fuori posto».
Dai set fotografici a quelli dei film porno. Come avvenne la metamorfosi?
«Ero a Riccione e stavo facendo delle foto e qui mi avvicinò un regista del settore, Andrea Nobili, che mi propose di fare dei film».
E ha accettato subito?
«Ci ho pensato un po’, sono andata a vedere qualche set e poi ho accettato».
Il primo film come fu?
«Era il 2003, si intitolava “Fashion” ed era la storia di una modella».
Com’è stata questa esperienza?
«Diciamo che tornassi indietro non lo farei più».
Brigitta Bulgari nell’immaginario resta, però, per tutti l’ attrice porno.
«Questo purtroppo è un marchio che mi resta cucito addosso e che mi ha poi chiuso altre strade. In quegli anni vivevo un periodo difficile. Me ne ero andata dall’Ungheria dopo che mio padre si era risposato con una donna con la quale non andavo d’accordo.
Mia madre se ne era andata quando avevo un anno. A Milano non riuscivo però a socializzare, stavo spesso sola, ero arrabbiata e soffrivo. Alla fine a fare quei film da un punto di vista lavorativo mi gratificava di più, nell’ambiente mi apprezzavano mentre dai casting per modelle uscivo sempre con le lacrime perché non andava mai bene nulla. Così ho smesso di combattere con un mondo che non mi apparteneva».
Ha fatto molti film hard?
«Non molti, ho girato scene che poi sono state utilizzate in vari film, ma non ho passato la mia vita a girare scene hard».
Ha detto che tornasse indietro non farebbe più la pornostar. Quindi rinnega il suo passato?
«Affatto. Ho vissuto bene, ho viaggiato, ho conosciuto tanta gente. Però è indubbio che sarà un marchio che mi resterà appiccicato per sempre».
Ha smesso di fare la pornostar ma ha poi proseguito con gli spettacoli nei lap dance e nei locali notturni. E una di queste esperienze le è costata cara.
«Sì, ero in un locale di Montebelluna e sono arrivate tre auto con sei carabinieri. Mi hanno fatto scendere dal palco, mi hanno portato in caserma, mi hanno arrestata e portata nel carcere di Belluno».
Era stata accusata di atti osceni e pornografia minorile. Cosa aveva fatto?
«Niente. Ma era stata presentata una denuncia perché mi sarei esibita in un locale a Fossato di Vico, in Umbria, davanti ad un pubblico composto anche da minorenni e da loro mi sarei fatta toccare nelle parti intime».
In quell’occasione si guadagnò anche la copertina del settimanale Panorama che sopra ad una sua foto, titolò ironicamente «Pericolo pubblico». Come finì la storia?
«Un anno dopo fui prosciolta da quelle accuse».
Lei però si fece anche 11 giorni di carcere.
«Sì e in quei giorni avevo pensato anche di togliermi la vita. Provavo rabbia, avevo paura, piangevo ma altre detenute mi hanno aiutato e ho resistito».
Quindi è stata in carcere ingiustamente. È stata risarcita?
«Una cifra ridicola, 3500 euro. Per me il danno è stato enorme e lo è ancora. Quando si scrive il mio nome sui motori di ricerca esce ancora quella storia e questo non mi aiuta nel lavoro».
Ma adesso cosa fa Brigitta?
«I due anni di Covid per me sono stati un modo per guardarmi dentro e riflettere. Ho anche rimodulato la mia vita tornando ad orari per così dire umani. Ho fatto dei corsi. Io amo i cani e la musica.
Ho 4 “bulli” (Bulldog francesi) e ho fatto, in Veneto dove ora abito, un corso con un famoso esperto di tolettatura. Presto spero di aprire un negozio per la cura dei cani. L’altro corso che sto facendo mi sta insegnando a creare musica, una mia musica, e avendo una certa conoscenza di questo mondo penso che metterò a frutto la nuova esperienza».
Lei tra l’altro aveva iniziato l’attività di deejay. Continuerà a farlo?
«Sì avevo iniziato a suonare nei locali. Alla gente piaceva la mia musica. Insomma qualcosa di buono avevo fatto in quel settore ma in molte occasioni il passato di pornostar mi ha chiuso le porte dei locali. Poi è arrivata la pandemia e si è fermato tutto. Adesso spero di ripartire e alcune discoteche mi hanno già cercato».
Le piacerebbe fare tivù?
«Qualche esperienza negli anni l’ho fatta come ospite a “Ciao Darwin” o a “Cronache Marxiane” o al “Chiambretti night”. Mi piacerebbe però provare l’esperienza del Grande Fratello o di un reality. Vorrei poter avere una occasione per dimostrare chi sono veramente, per mostrarmi come persona che pensa, che ha delle qualità e che ama».
Ecco, cos’è l’amore per Brigitta?
«Credo molto nell’amore ma per me incontrare la persona giusta è molto difficile. Nelle mie storie non sapevo mai se chi stava con me cercava me o cercava la Brigitta sexy star. Ogni rapporto, comunque, mi ha insegnato qualcosa. Adesso penso a me stessa e al futuro. Voglio trovare un lavoro, dedicarmi alla musica e ai miei cani. E se l’amore busserà alla porta andrò ad aprirgli, proverò ad ascoltare il mio cuore».
Un figlio potrebbe essere l’amore che cerca?
«Prima di tutto devo trovare il mio equilibrio. Sono felice di aver ripreso a dialogare con mio padre che è stato la persona che mi ha fatto crescere e quindi conto di recuperare il tempo perduto. Sì, la famiglia mi è mancata. Poi chissà…».
E se oggi Brigitta incontrasse se stessa a 18 anni più o meno nel periodo in cui era arrivata in Italia per fare la modella cosa le direbbe?
«Di studiare. Di provare a fare l’avvocato. Oppure di dedicarsi alla psicologia per aiutare gli altri più che me stessa».
Alla fine il Veneto è diventato la sua seconda patria.
«Ho molti amici qui e poi adoro il Lago di Garda, mi ricorda il Balaton della mia Ungheria ed ogni volta che ci vado è un po’ come tornare a casa».
DAGONEWS il 14 novembre 2022.
Ad un anno dalla fine dei 13 anni di tutela, Britney Spears si sfoga sui social contro il padre Jamie, al quale sta facendo causa per abuso di tutela. «È stato come se mio padre avesse tentato di uccidermi - scrive la 40enne vincitrice di un Grammy - Ne ho parlato diverse volte, ho le prove ed i testimoni di ciò che ha fatto».
Britney ha sottolineato come sia stata costretta a lavorare "sette giorni su sette" incassando 137,7 milioni di dollari a Las Vegas dal 2013 al 2017, al quale seguì un tour di 31 date nel 2018.
«Ho le prove di tutto questo. Ne ho parlato in diretta in tribunale durante il Covid (il 23 giugno 2021) – ha aggiunto - Mia madre ha riso e ha detto: "Sono così felice che questa volta il giudice non ti abbia tenuto in piedi per tre ore nella tua stanza e poi ti abbia cancellato come ha fatto l'ultima volta”». La cantante vuole "porre fine al sistema" in cui è stata costretta e spera che le persone coinvolte non "se ne escano come se non avessero fatto nulla".
«Credo davvero che chiunque si sia trovato in quella situazione non ce l'avrebbe mai fatta - ha dichiarato Britney - Se fossi stata apprezzata e rispettata, mio padre sarebbe stato rinchiuso in due secondi! La gente dice che dovrei sborsare un sacco di soldi per dimostrare che queste accuse sono vere! Non spenderò mai altri soldi e non andrò mai in tribunale per vedere se mio padre verrà condannato! Ho scelto di sorridere e di sbatterlo in faccia alla mia famiglia fino al giorno della mia morte».
La Spears ha rivelato che il 19 ottobre 2021 è stata la prima volta in cui ha ottenuto una carta bancomat personale per fare acquisti da sola in "quasi 15 anni", il che è stata “una conquista piuttosto grande per me".
«Spero che solo pochi possano capire come ci si sente nell'aspettare in fila con un uomo sempre davanti a te che ti fa da fantasma e acquista cose per conto tuo» ha continuato la cantante. «Ho tremato per 15 minuti quando ho fatto il primo acquisto in totale libertà. Come osa uno Stato o una nazione concedere a un uomo o a una donna il diritto di usare i miei beni a mio nome?».
DAGONEWS il 6 settembre 2022.
Britney Spears ha pubblicato un nuovo video su Instagram per rispondere al figlio Jayden che si è fatto intervistare per dire che non è stata una madre all'altezza.
La cantante 40enne non ha usato mezzi termini e lo ha accusato: «Sei proprio come le altre persone della mia famiglia. Amavi segretamente guardarmi come se qualcosa non andasse in me. Sapete perché volete che io migliori? Volete che migliori così posso continuare a dare a vostro padre 40.000 dollari al mese?».
La Spears ha poi raccontato di essere diventata atea a causa di ciò che ha sopportato durante la sua tutela, che si è conclusa l'anno scorso, e di come è stata trattata dai suoi figli e dalla sua famiglia, affermando che suo padre Jamie, 70 anni, "dovrebbe essere rinchiuso in prigione per il resto della sua vita”.
Fabiano Minacci per biccy.it il 6 settembre 2022.
L’attacco di Jayden James a sua madre Britney Spears ha avuto una risposta.
La cantante ha usato Instagram per parlare col figlio che si rifiuterebbe di avere un contatto con lei da parecchi mesi. Ad oggi, infatti, entrambi i figli della popstar (Sean Preston e Jayden James) vivono con loro padre Kevin Federline.
Britney risponde al figlio, il lungo post: “Caro Jayden, ho fatto del mio meglio per essere la persona migliore che potessi essere, nonostante abbia vissuto imprigionata in case di riposo con infermieri e str**ate varie. Spero che un giorno capirai le mie ragioni. […] Finalmente ora a quarant’anni e senza costrizioni della mia famiglia ti mando tutto l’amore del mondo, oggi come per il resto della mia vita. L’amore che provo per i miei figli non ha confini e mi rattrista aver letto che non sono stata all’altezza delle tue aspettative come madre, ma forse un giorno potremmo incontrarci e parlare di persona”.
Ovviamente non sono mancate le frecciatine all’ex marito colpevole – implicitamente – di averle messo i figli contro.
“Ho aiutato tuo padre che non ha un lavoro da quindici anni [vive con l’assegno di mantenimento, ndr], immagino che per voi sia più facile non avere qualcuno che vi controlli se state facendo i compiti. Sono sicura che gli standard di vostro padre che fuma erba tutti i giorni giovi alla vostra vita quotidiana di quindici e sedici anni per far parte di una generazione molto cool. Capisco il vostro bisogno di vivere con vostro padre, perché per quindici anni io ho assunto il ruolo del nulla”.
E ancora: “Sono però felice di essere stata in grado di portare avanti quattro tour mondiali, di aver fatto il giudice a X Factor e molto altro ancora. Ho fatto tutto questo per te e per Sean Preston. […] È orribile vedere tuo padre essere un ipocrita e dire che i media sono orribili, eppure ti fa parlare su questioni personali con loro!”. […] Prima di parlare della mia salute mentale prendi un libro e leggilo e dì a tuo padre di cercare di tagliare almeno l’erba del prato”.
La cantante ha poi concluso: “Ricordate da dove venite, spero che un giorno possiate guardarvi allo specchio e ricordare che siete i miei bambini e lo sarete per sempre. Dal momento che Preston non ha parlato gli mando tutto il mio amore, vorrei solo vedervi faccia a faccia. Siete brillanti, tu Jayden continua a suonare perché hai un dono al pianoforte. Sono orgogliosa di potervi chiamare ‘miei figli’.
Britney Spears ha così tanto da dire.. Dovrebbe rilasciare una lunga intervista da Oprah, pubblicare un libro e realizzare un documentario su ciò che le è successo. E Kevin dovrebbe solo vergognarsi.
Annalisa Misceo per vanityfair.it il 29 agosto 2022.
All’indomani dell’uscita del suo primo singolo da quando è tornata libera - Hold me closer, con Elton John - Britney Spears decide di dire la sua. E lo fa con un messaggio audio su YouTube, ora rimosso, nel quale racconta la sua verità sugli anni nei quali è stata sotto la tutela di suo padre.
«Stamattina mi sono svegliata e mi sono resa conto che ci sono tantissime cose nella mia testa che non ho mai condiviso con nessuno», ha detto in apertura dei suoi 22 minuti di audio, aggiungendo di aver avuto molte occasioni per parlare - «anche con Oprah Winfrey» - ma che ha sempre rinunciato a rilasciare interviste. «Mi hanno offerto molti soldi, ma a me non sarebbe bastata una intervista classica», ha spiegato: «Avevo troppa paura del giudizio degli altri per riuscire a parlare a cuore aperto, ma ora è cruciale per me condividere i miei pensieri, soprattutto per aiutare gli altri che hanno vissuto il mio stesso dramma».
Ha quindi ripercorso la timeline dei 13 anni sotto la tutela di suo padre Jamie Spears, che accusa anche di «predeterminazione». «Erano anni in cui», racconta, «non ero in grado di dire né fare nulla: niente aveva senso per me. Qualcuno ha messo in testa mio padre quell’idea, e lui e mia madre l’hanno accolta e messa in pratica. La sera in cui tutto è cominciato c’erano almeno 200 paparazzi a fotografarmi mentre mi portavano via in ambulanza. Ero sconvolta, ma in corpo non avevo né alcool né droghe. Fu un abuso vero e proprio»
Nel messaggio, Britney ribadisce tutto quello che aveva già detto ai giudici: dall’impedimento a guidare all’impossibilità di avere i soldi anche «per acquistare una candela», dall’obbligo ad andare in tour al telefono sotto controllo. Ma soprattutto la progressiva distruzione dell’autostima: «Mi dicevano tutti i giorno che ero grassa. Mi facevano sentire una nullità e io ci credevo. Mi dicevano che le mie performance erano orribili e io non potevo fare nulla perché ero diventata un robot, non mi importava più di nulla. Mi mandavano alle riunioni degli alcolisti anonimi pur sapendo che non ero alcolizzata. Mi hanno costretta ad affrontare ore di psicoterapia, sotto la loro guida. Avevo 30 anni e dovevo sottostare alle regole di mio padre. E mia madre, mio fratello, i miei amici: tutti vedevano, tutti sapevano e nessuno faceva niente».
Ed è proprio sua madre quella con cui Britney è più arrabbiata, perché Lynn avrebbe potuto e dovuto aiutarla e invece di contattare un avvocato ha solo nascosto ai media quello che accadeva: «Invece di aiutarmi, lei e mia sorella mi hanno fatto sentire come se fossi io quella cattiva», ha detto nell’audio: «È questa, credo, la cosa che mi ha ferito di più. Mi hanno buttata via, è così che mi sento: come se la mia famiglia mi avesse buttata via».
«Ma come hanno potuto farlo?» aggiunge poi quasi in lacrime. «Non mi meritavo tutto questo: ero solo debole, fragile, spezzata. Ero umana e sto dicendo tutto questo solo per far sapere a tutti che sono questo: umana. E se non lo racconto, non potrò mai guarire».
La fine del messaggio, però, invita alla speranza. «Ora ho fatto una meravigliosa canzone con uno degli uomini più geniali e sono estremamente grata di questo. Ma se anche voi vi sentite strani, esclusi, soli e abbandonati, non fatelo: abbiate fiducia. La mia vita è stata molto lontana dall’essere facile, non siete soli».
Da vanityfair.it l'11 giugno 2022.
Lo scorso 9 maggio, postando su Instagram un’immagine del velo nuziale, Britney Spears annunciò che «il grande giorno» era stato fissato.. Nessuna indicazione, però, riguardo alla data delle nozze: «Si saprà solo il giorno successivo». E così è stato. O quasi. Alcuni fotografi, infatti, sono riusciti a raggiungere la villa californiana dell’artista, a Thousand Oaks, poche ore prima dell’inizio della ristrettissima cerimonia.
Impossibile immortalare ciò che avveniva all’interno, ovviamente, però sono emersi subito gli scatti che documentano l’arrivo degli ospiti. Tra le celeb, spiccano l’ereditiera Paris Hilton, con la madre Kathy e il marito Carter Reum, la popstar Madonna, l’attrice Drew Barrymore, la conduttrice Maria Menounos e la stilista Donatella Versace, che - stando al racconto di Britney - dovrebbe aver firmato l’abito da sposa.
I report parlano di circa 60 invitati, tra cui anche l’avvocato Mathew Rosengart e i ballerini del suo residency show a Las Vegas, Piece of me. Della famiglia Spears, pare ci fosse solo il fratello Bryan, mentre nessuna traccia dei genitori e della sorella, con i quali di recente ha avuto qualche battibecco. Non c’erano neppure i due figli, Sean Preston (16) e Jayden James (15), avuti con il precedente marito, Kevin Federline.
«Kevin e i ragazzi sono felici per Britney e le augurano il meglio per il futuro», ha fatto sapere l’avvocato di Federline attraverso TMZ. Lato famiglia dello sposo, il personal trainer Sam Asghari, non è dato sapere chi fosse presente, di sicuro però ha provato ad intrufolarsi Jason Alexander, il primo marito della popstar (un matrimonio durato soltanto 55 ore), fermato prontamente dalla security e allontanato dall’evento.
Chi c’era e chi non c’era, quindi. E chi ci sarebbe voluto essere.
Britney Spears, l’ex marito Jason Alexander fa irruzione alle nozze con Sam Asghari. Redazione Spettacoli su Il Corriere della Sera il 9 giugno 2022.
Doveva essere il giorno del coronamento di un sogno, dopo quattro anni di amore. Ma per Britney Spears non c’è pace. Giovedì 9 giugno, giorno del matrimonio della cantante con Sam Asghari, incontrato nel 2016 sul set del video musicale di «Slumber Party», il primo marito della pop star, Jason Alexander, ha tentato di rovinarle la festa facendo irruzione nell’abitazione di Britney nella contea di Ventura, Los Angeles, California. La notizia è stata riportata dal sito Usa «Tmz».
La polizia è stata inviata alla residenza della cantante per indagare su una denuncia di violazione di domicilio. Alexander ha tentato di infiltrarsi nella cerimonia, ma è stato fermato dagli uomini della security, a cui aveva assicurato di essere nella lista degli invitati. Trattenuto all’esterno della residenza, è stato poi ammanettato e arrestato dalla polizia. Britney aveva sposato Alexander, un suo amico d’infanzia, nel 2004. Nozze lampo celebrate a Las Vegas e durate solo 55 ore prima di essere annullate.
La Spears e Asghari, modello e personal trainer , si sono fidanzati ufficialmente nel settembre scorso, poco prima che un tribunale di Los Angeles «liberasse» la cantante di . Una decisione arrivata dopo una lunga battaglia legale per annullare la «conservatorship», una tutela che scatta per le persone con problemi mentali, esercitata per tredici anni dal padre Jamie Spears che, insieme a un curatore, ha gestito tutte le attività della pop star, compresi i suoi beni, stimati in circa sessanta milioni di dollari.
Quello con Asghari è per la cantante il terzo matrimonio. Il suo secondo è stato con il ballerino Kevin Federline, da cui ha divorziato ufficialmente nel 2007 e con il quale ha ingaggiato una faida legale per la custodia dei due figli, Sean e Jayden, di 16 e 15 anni, che vivono con il padre per il 70 per cento del loro tempo, mentre a Britney resta il rimanente 30 per cento. In aprile la reginetta del pop aveva annunciato di essere , ma la gravidanza si è interrotta spontaneamente a maggio. «Il nostro amore reciproco è la nostra forza — ha scritto la pop star su Instagram —. Continueremo a cercare di allargare la nostra bellissima famiglia. Siamo grati per tutto il supporto. Chiediamo il rispetto della nostra privacy in questo difficile momento».
Dagotraduzione da Daily Mail il 10 Giugno 2022.
Finalmente libera dalla custodia legale paterna che tra le clausole le impediva di sposarsi e avere figli, giovedì pomeriggio la popstar Britney Spears si è tolta la soddisfazione di convolare a nozze col personal trainer Sam Asghari nel suo villone in California.
La cerimonia è stata trasmessa in live streaming per la gioia dei fan di tutto il pianeta. Ci ha pensato Jason Alexander, il primo marito di Britney, a rubarle tutta la scena.
Jason è un ex amico d’infanzia che Britney sposò nel 2004. Il matrimonio all’epoca durò appena 55 ore. Il tempo necessario a Britney per riprendersi da chissà quale cocktail psichedelico e rendersi conto della cazzata commessa nelle ore precedenti. Dunque cerimonia annullata. Ma lui deve aver covato rancore… fino a ieri.
Alexander in queste ore si trova sotto la custodia del dipartimento dello sceriffo di Ventura, dopo essere stato accusato di violazione di domicilio, vandalismo e di un paio di alterchi con le guardie di sicurezza di Britney.
Ma che ha fatto il primo marito di Britney?
Venuto a conoscenza delle nozze imminenti della ex moglie, ha scapocciato, e si è ripreso in diretta Instagram mentre correva per i sentieri collinari e si avvicinava al retro della casa della Spears.
Il 40enne ha scavalcato la recinzione della villa di Britney, è sceso da una collinetta rocciosa ed è apparso nel luogo dove stava per svolgersi il matrimonio.
Al grido: "Sono Jason Alexander. Il primo marito! Sono qui per rovinare il matrimonio!"
Alexander ha affermato che Britney lo aveva "invitato" all'evento e che era la sua "prima e unica moglie".
Ad un certo punto, è riuscito ad entrare nella tenda nuziale addobbata di rose rosa, prima di essere immobilizzato dalla sicurezza armata, che l’ha schiacciato a terra neanche fosse uno scarafaggio sul bouquet di Britney, e scortato fuori dai locali.
Ad attenderlo, c’era lo sceriffo della contea di Ventura prontamente accorso sul posto.
Le foto aeree mostrano almeno sei auto di pattuglia accorse per le buffonate di Alexander che però hanno fatto il buco nelle misure di sicurezza intorno alla star.
A quanto pare, Alexander, ultimamente ha fatto una cazzata dietro l’altra.
Fonti della polizia hanno rivelato che ha su di lui pende anche un’accusa di furto in un'altra contea.
Nel gennaio 2021 è stato arrestato per guida in stato di ebbrezza e nell’agosto scorso, per violazione dei protocolli di sicurezza in un aeroporto.
A dicembre dell’anno scorso, è stato anche arrestato per stalking nei confronti di una donna non identificata.
Giovedì sera, l'avvocato della Spears ha detto di essere "assolutamente nero" dopo che Alexander si è catapultato nel luogo del matrimonio della pop star. E ha chiesto di rinchiuderlo.
L’avvocato di Britney è Mathew Rosengart, un ex procuratore federale, che ha detto che sta “collaborando con il dipartimento dello sceriffo per garantire che il signor Alexander sia perseguito con le misure massime consentite dalla legge.'
“Jason Alexander è stato ammanettato, preso in custodia e arrestato. Esprimo i miei ringraziamenti al dipartimento dello sceriffo della contea di Ventura per la pronta risposta e il buon lavoro”.
Da tgcom24.mediaset.it il 15 maggio 2022.
Tragedia per Britney Spears e il compagno Sam Asghari: la coppia ha, infatti, perso il bambino che aspettava. A dare il doloroso annuncio è stata proprio la cantante. "Con profonda tristezza annunciamo che abbiamo perso prematuramente nostro figlio - ha scritto su Instagram -. E' un momento devastante per ogni genitore, forse avremmo dovuto aspettare il momento in cui saremmo stati più sicuri, ma eravamo così felici di annunciare la bella notizia".
Ad aprile i due, che presto convoleranno a nozze, avevano svelato di aspettare un bambino e di essere estremamente felici. Anche ora, però, la coppia non si perde d'animo. "Il nostro amore reciproco è la nostra forza - ha detto ancora la Spears - Continueremo a provare ad allargare la nostra splendida famiglia". Fiducioso anche Asghari che ha commentato: "Presto avremo un miracolo".
Tra i migliaia di commenti al post sui social è apparso anche quello di Paris Hilton che ha scritto: "Mi dispiace così tanto per la tua perdita. Sono sempre qui per te, ti mando tanto amore. Ti voglio bene".
Britney Spears, l'annuncio sui social: "Ho perso il mio bambino". La cantante aveva condiviso poco tempo fa la notizia della sua gravidanza. La Repubblica il 14 maggio 2022.
Britney Spears ha perso il suo bambino. È stata la stessa popstar a dare la notizia tramite social, dopo che per settimane aveva dato aggiornamenti sulla sua gravidanza. "È con la nostra più profonda tristezza che dobbiamo annunciare che abbiamo perso il nostro bambino meraviglioso all'inizio della gravidanza - ha postato la cantante - Questo è un momento devastante per qualsiasi genitore. L'amore che abbiamo l'un l'altra adesso è la nostra forza. Continueremo a cercare di ampliare la nostra bella famiglia. Siamo grati per tutto il vostro sostegno. - ha concluso la Spears - Chiediamo gentilmente la privacy in questo momento difficile. Grazie per tutto il vostro supporto". Poco più di un mese Britney aveva annunciato la gravidanza insieme al suo compagno Sam Ashgari.
Continua quindi il momento difficile della cantante, reduce da un lungo e doloroso processo per svincolarsi dalla custodia legale di suo padre. Sempre sui social la cantante aveva condiviso anche le difficoltà affrontate per le due precedenti gravidanze: i suoi due i due figli, Sean Preston e Jayden James, avuti dall’ex marito Kevin Federline, hanno oggi 16 e 15 anni.
Da rollingstone.it il 14 gennaio 2022.
Due giorni fa Jamie Lynn Spears, sorella minore di Britney, è apparsa in tv, a Good Morning America, per promuovere Things I Should Have Said. Nel libro la donna descrive il comportamento sempre più strano e bizzarro della popstar prima della conservatorship. In tv ha detto, asciugando le lacrime, che ha sempre voluto bene alla sorella e ha cercato di proteggerla.
La reazione di Britney Spears è arrivata ieri sera attraverso un lungo scritto allegato a un tweet in cui racconta di aver visto la trasmissione con 40 °C di febbre (e la guardia del corpo che non voleva andare a prenderle le medicine).
«Fortunatamente» scrive la popstar «avevo la febbre alta e perciò non me ne è fregato un cazzo. Ma ci sono cose che mi hanno dato fastidio. La prima è quando mia sorella dice che ero fuori controllo. Ma a quell’epoca, all’incirca 15 anni fa, lei non c’era. E allora perché parla, se non perché deve vendere un libro a mie spese?».
«I miei famigliari» scrive ancora Britney «hanno rovinato al mille per cento i miei sogni e ora cercano di farmi sembrare pazza. Alla mia famiglia piace farmi del male. Mi disgustano».
Jamie Lynn Spears ha replicato su Instagram: «L’ultima cosa che vorrei fare è scrivere queste parole, ma eccoci qua… È difficile leggere quei post, so che è così per tutti. Le auguro il meglio. Brit, sono sempre qui per te e sai che lontana dai riflettori ci sono sempre stata. È sfibrante quando le cose che scrivi sui social non corrispondono con quel che mi scrivi in privato. So quel che stai passando e non voglio sminuirlo, ma non voglio neanche sminuire me stessa».
«Francamente», continua Jamie Lynn, «le cose che sono state dette non sono vere e le devo chiarire perché è sempre più difficile spiegare razionalmente a mia sorella maggiore perché la mia famiglia continua a ricevere minacce di morte a causa dei post vaghi e accusatori della zia, tanto più che potrebbe dire la verità e porre fine a tutto ciò».
Jamie Lynn Spears continua dicendo che ha dovuto esporsi per proteggere la sua famiglia e che «odio far scoppiare la bolla di mia sorella, ma il mio libro non è su di lei» e che «lavoro da quand’ero adolescente per farmi una carriera nonostante sia considerata solo la sorella minore di qualcun altro».
Conclusione: «Dico la verità per mettermi alle spalle i drammi, chiudere un capitolo e andare avanti. Spero anche mia sorella voglia fare lo stesso. Qualunque cosa accada, le vorrò sempre bene e per lei ci sarò. È ora di porre fine al caos malsano che per troppo tempo ha dominato la mia vita».
Bruce Springsteen, arriva «Only the Strong Survive»: «Canto i classici del soul anni 60-70». Andrea Laffranchi su Il Corriere della Sera l’11 Novembre 2022.
Il Boss torna con il 21esimo lavoro: «Volevo fare un album in cui cantare e bata».
Only the Strong Survive, ovvero «solo i forti sopravvivono». Così Bruce Springsteen ha deciso di chiamare il suo nuovo album, ventunesimo in carriera e secondo in cui The Boss mette la sua voce al servizio di canzoni scritte da altri. Nel 2006 We Shall Overcome: The Seeger Sessions raccoglieva canzoni della tradizione folk rese immortali da Pete Seeger. Qui ci sono i classici del soul anni 60-70 delle due etichette leggendarie, Motown e Stax.
Il titolo è un manifesto. Interpretazione didascalica: è lo stesso titolo della canzone che apre la scaletta, una hit di Jerry Butler del 1968 su un uomo che ricorda le pene d’amore di quando era giovanissimo: la ragazza non se lo filava e mamma provava a consolarlo. «Solo i forti sopravvivono», gli diceva. Interpretazione musicale: solo le canzoni solide, quelle che hanno costruito la storia della musica, possono superare i decenni e resistere all’usura del tempo. Quelle che sono qui dentro, secondo il Boss, ce l’hanno fatta. Interpretazione selfie: il sopravvissuto, quindi quello forte, è il Boss stesso che a 73 anni non si ferma e torna in pista con un disco e un tour mondiale che lo porterà il 18 maggio a Ferrara, il 21 a Roma e il 25 luglio a Monza.
«Volevo fare un album in cui cantare e basta — ha detto Springsteen —. E quale musica migliore, per fare tutto questo, se non il repertorio americano degli anni sessanta e settanta? Ho provato a rendere giustizia a tutti gli spettacolari autori di questa musica gloriosa. Il mio obiettivo è permettere al pubblico moderno di fare esperienza della bellezza e gioia di queste canzoni, così come ho fatto io fin dalla prima volta che le ho sentite».Quelle prime volte se le ricorda ancora. «Mia madre aveva una radio in cucina e io ascoltavo la musica mentre mi preparavo per andare a scuola la mattina. La radio trasmetteva i successi da Top Ten», ha detto in un’intervista a Massimo Cotto tramessa ieri da Virgin Radio. «Poi ho iniziato a suonare. Avevo una piccola band. Gli ingaggi li trovavi così, ti chiamava qualcuno e ti chiedeva: “Avete in repertorio Soul Man e Mustang Sally?”. Per ottenere un lavoro, eri costretto a impararle. Le ho studiate intensamente e le ho cantate mille volte da teenager».
Il disco sembra puro divertimento per Bruce e se anche ci si volesse leggere un omaggio alla cultura black da parte dell’eroe dell’America bianca degli sconfitti, non ci sono quell’intensità e quella profondità di impegno sociale e politico che il Boss mette nei suoi testi o, per restare in ambito di cover, delle Seeger Sessions. Sono più storie minime e allo stesso tempo universali, di sicuro con protagonisti che restano vicini a quelli dell’universo springsteeniano degli ultimi. Ci sono i Four Tops (When She Was My Girl e 7 Rooms of Gloom), i Temptations (I Wish It Would Rain), Ben E. King (Don’t Play That Song!), Diana Ross & the Supremes con (Someday We’ll Be Together) e anche brani meno noti. Alla fine, ha detto Bruce a Virgin, «il mio approccio è identico a quando avevo 16 anni. Raduno tutto quello che ho, lo assorbo, lo faccio diventare parte di quello che sono e di quello che faccio e poi… quando ti vedo… bum! Lo faccio esplodere come dinamite. Sperando che possa caricarti e caricare la tua vita, cambiare il tuo modo di vivere, pensare, vedere il mondo, innamorarti».
Il disco è stato registrato al Thrill Hill Recording, la tana di Bruce di fronte a casa, assieme al produttore Ron Aniello che ha suonato quasi tutti gli strumenti e con i fiati della E Street Horns. Un disco figlio della pandemia, ha spiegato Bruce: «Durante il lockdown sono rimasto in casa, volevo continuare a registrare e fare musica, così ho cominciato a pensare a un disco di canzoni non scritte da me». Unico contributo esterno al ristretto team di lavoro è la voce di una leggenda come Sam Moore su I Forgot to Be Your Lover. I suoni rispettano il mood e le atmosfere degli originali, la voce del Boss riesce sempre — per semplicità di paragone basti Nightshift dei Commodores — a rendere la sua visione unica.
Tradizione, cori e zero rock. È diventato il Boss del soul. Nel disco "Only the strong survive" reinterpreta successi anni '60 e '70: "Ho voglia di cantare e basta". Paolo Giordano l’11 Novembre 2022 su Il Giornale.
Intanto bisognerebbe capire con quale criterio ha scelto le canzoni. Bruce Springsteen pubblica oggi Only the strong survive, che è il suo ventunesimo album e fin qui niente di che. Ma è anche il primo interamente dedicato interamente a classici e meno classici del soul, cioè a un pezzo della sua storia, cioè a un pezzo degli States che lui ha già raccontato in ogni modo girandone la provincia, le metropoli e le coste grazie al suo rock con il gomito fuori dal finestrino. Chissà se li ha scelti perché sono quelli che ascoltava la mamma alla radio quando lui era bambino e si vestiva per andare a scuola. Oppure se erano quelli che era praticamente obbligato a suonare quando con i The Rougues o i più inglesofili The Castiles veniva chiamato alle feste studentesche che pretendevano «tons of Mustang Sally e Soul man».
Come lui ha raccontato ieri a Massimo Cotto su Virgin Radio, «ho studiato questi dischi in tutti i modi quando ero un teenager e li ho suonati spesso». Forse per questo Only the strong survive non suona esattamente come un disco di cover, ma suona più che altro come un nuovo disco di Bruce Springsteen e di The E Street Horns perché il suo rock è sempre stato vicino ai cromosomi del soul anche quando camminava a bordo di due chitarre e una batteria da far tremare i polsi.
Perciò brani come Only the strong survive, cantata a fine '60 pure da Elvis, o The song ain't gonna shine anymore, lanciata per la prima volta da Frankie Valli nel 1965, non suonano così imprevisti in disco del cantastorie più tradizionalmente rock dell'America, quello cresciuto a pane, rock'n'roll e soul, che è poi la declinazione di jazz e gospel con un linguaggio pop.
Negli anni Sessanta, quando Springsteen suonava alle feste di classe, il soul era la Motown, era la Stax, erano Aretha Frankin e Ray Charles e i Temptations santi subito. Ieri sera a Virgin ha spiegato che sì, pensa ancora che la canzone sia «tre minuti che possono cambiarti la vita». Ma negli anni Sessanta di sicuro negli States potevano davvero cambiarti la vita negli anni Sessanta, specialmente quando si andava a ballare e i bianchi erano divisi dai neri e sui pullman i posti per gli erano qui e per gli altri là. Il soul era un collante sociale prima ancora che i Beatles arrivassero all'Ed Sullivan Show nel 1964 o quando folate di Rolling Stones e Aerosmith attraversavano gli stadi negli anni Settanta profumando (anche) del soul più sporco e sanguigno che però era meticcio e mescolava le sensibilità ben prima del rap. Insomma, nel canzoniere di Springsteen entra un repertorio che è ancora più suo di quello di Pete Seeger celebrato in We shall overcome: the Seeger Sessions del 2006. Qui, nei quindici brani di Only the strong survive, c'è il Bruce Springsteen bambino con i calzoncini corti nella cucina di mamma, quello imbrillantinato sul palco al ballo dei Vigili del Fuoco, quello che è arrivato nella propria Promiseland del rock portandosi dietro tutti i cori, i ritonelli e i vocalizzi che la Motown di Berry Gordy ha trasformato in «national anthem», in inno nazionale per due generazioni. Da Marvin Gaye ai Commodores. Da Diana Ross a Smokey Robinson a The Isley Brothers.
Il Boss «born the Usa» racconta con questi brani i suoi Soul days, i giorni del soul, e lo fa dividendo quel brano con Sam Moore che con David Prater formò negli anni Sessanta il duo soul più famoso di sempre: Sam & Dave (Sam Moore torna anche in I forgot to be you lover). Insomma per dirla tutta, questo disco serve più a Springsteen che al soul. Lui fa i conti con un pezzo del proprio passato, ed è sostanzialmente un glorioso ultrasettantenne che torna a sentirsi per un'oretta come quand'era un pivellino. Invece il soul poteva farne a meno ma di certo non si offende: meglio essere omaggiato da Springsteen armato di nostalgia che saccheggiato da qualche rapper armato solo di una carta platino.
Luca De Gennaro per “la Stampa” il 30 settembre 2022.
Cosa deve ancora dimostrare un artista che in 50 anni di carriera, e a 73 anni di età, ha fatto tutto quello che poteva fare e avuto tutto quello che poteva avere dalla musica? Uno che è stato definito «Il futuro del rock' n'roll» e poi «Il Boss», che ha alzato come nessun altro l'asticella dello spettacolo dal vivo diventando un irraggiungibile punto di riferimento per chiunque sul significato di concerto rock? Niente.
Bruce Springsteen avrebbe potuto già da molti anni vivere di rendita, smettere di fare dischi, affrontare una vecchiaia dorata e tranquilla. Ma lui è sempre quello della «working class», piantarla di lavorare non è un'opzione, anzi, il ragazzo se ne inventa ogni volta una nuova, spiazza, sperimenta, e alla fine, diciamolo, fa quello che gli pare. E gli riesce benissimo.
Negli ultimi anni ha pubblicato un album di country pop orchestrale (Western Stars), uno più classicamente rock (Letter To You), ha messo in piedi uno spettacolo musical-confessionale in teatro con 236 repliche (Springsteen On Broadway), ha scritto un libro autobiografico best seller (Born To Run) e si è pure avventurato in una serie di podcast insieme al suo amico Barack Obama (Renegades: Born In The U.S.A.). Diciamo che a Bruce non piace stare davanti al camino o fare il nonno che porta a passeggio nel parco la nipotina Lily nata lo scorso Luglio.
Dunque, per proseguire la serie del «Faccio quello che mi pare e mi riesce sempre bene», ha trascorso un pezzo del lockdown a riscoprire le sue canzoni soul preferite, si è chiuso in studio con il produttore Ron Aniello e l'ingegnere del suono Rob Lebret e insieme hanno partorito un album di cover.
Il primo assaggio è uscito ieri alle 16 ora italiana sulle piattaforme di streaming, introdotto da un video in cui Bruce racconta: «Ho passato la mia vita mettendo la mia voce al servizio delle canzoni. Questa volta ho deciso invece di fare musica centrata sul canto, e ho scoperto che la mia voce è ancora "badass"! Ho 73 anni e sono un "good old man"! La musica che mi ha guidato in questa epifania è il Soul, che insieme al Gospel è la migliore musica vocale mai scritta e registrata. Quindi sono andato a rivisitare Smokey Robinson, William Bell, David Ruffin, Aretha Franklin, I Commodores, Le Supremes con Diana Ross, alcune delle più belle canzoni del "pop songbook" americano. In questo progetto ho riscoperto il potere della mia voce».
Non è la prima volta che Springsteen, uno dei più celebrati cantautori rock, si cimenta con un album di canzoni non sue. Lo fece nel 2006 con We Shall Overcome: The Seeger Sessions, in cui rendeva omaggio alla storia del folk americano. E non è la prima volta che un big del rock dedica un album a rivisitazioni di stardard della soul music: lo fecero ad esempio Phil Collins nel 2010 con Going Back e Rod Stewart nel 2009 con Soulbook.
L'album di Springsteen esce l'11 novembre, contiene un duetto con Sam Moore (dello storico duo Sam & Dave) ed è anticipato da un primo estratto: un classico minore della Motown, Do I Love You (Indeed I do), incisa nel 1965 da Frank Wilson (il 45 giri originale è una rarità per collezionisti), arrangiata in modo classico e filologicamente coerente, con sezione fiati e cori gospel. I maligni dei social hanno subito ravvisato una somiglianza con I'm your man degli Wham!, ma mettiamo le cose in chiaro, era la band di George Michael a scimmiottare il sound Motown.
Il titolo dell'album, dalla omonima canzone di Jerry Butler qui reinterpretata, è Only The Strong Survive, Covers Vol.1, il che fa pensare ad un Volume 2, che si dice possa uscire nella primavera 2023. E qui si accavallerebbero un po' le attività, perché in febbraio Springsteen riparte in tour con la sua storica formazione, la E Street Band, che in questo album non suona, mentre sul palco dovrebbe presentarsi in versione rock «essenziale», dunque senza sezione fiati e cori. Come inserire nella scaletta dei concerti le canzoni di questo album, e del prossimo?
Forse è uno scrupolo che si stanno facendo solo i fan springsteeniani più meticolosi, perché Bruce Springsteen ha sempre infilato cover di ogni genere nei suoi concerti, spesso richieste dal pubblico e improvvisate sul momento alla perfezione. E che la soul music sia una delle radici più profonde della sua musica è sempre stato evidente a chiunque frequenti i suoi show.
Quando David Letterman gli chiese «Come fate a cambiare la scaletta dei concerti ogni sera e a conoscere così tante canzoni?», Bruce rispose: «Io considero la E Street Band la migliore Bar Band del mondo. E le band che suonano nei bar devono saper suonare tutte le canzoni». Quindi non abbiamo di che preoccuparci, lo aspettiamo in maggio a Ferrara e Roma, e poi in luglio a Monza per i suoi concerti italiani, e su una cosa possiamo stare tranquilli: Bruce Springsteen fa quello che gli pare, e lo fa benissimo.
Da liberoquotidiano.it il 13 dicembre 2022.
"La famiglia prega per un miracolo di Natale": le condizioni di Bruce Willis starebbero peggiorando progressivamente. L'attore, 67 anni, è affetto da afasia, un disturbo invalidante che lo ha costretto a ritirarsi dalle scene. Adesso starebbe trascorrendo le festività natalizie circondato dall'affetto della sua famiglia. "Sanno che Bruce non ci sarà per sempre, così stanno godendo di ogni singolo momento insieme", ha rivelato una fonte a RadarOnline.com.
L'attore starebbe trascorrendo quanto più tempo possibile insieme alla moglie Emma Heming e alle loro due figlie Mabel di 10 anni ed Evelyn di 8. Molto presente nella vita di Bruce Willis, come riporta il Messaggero, anche l'ex Demi Moore, con cui è rimasto in buoni rapporti, e le tre figlie nate dal loro matrimonio, Rumer di 34 anni, Scout di 31 e Tallulah di 28. A dare affetto a Willis è una vera e propria famiglia allargata.
Il disturbo che ha colpito l'attore gli avrebbe tolto quasi del tutto la capacità di parlare. Bruce, inoltre, "sembra non capire molto di quello che gli dicono gli altri - ha raccontato la fonte -. In questo momento Emma è la sua voce e la sua comunicatrice. Ci sono giorni in cui si vedono scorci del vecchio Bruce, ma sono brevi e sempre meno frequenti. Sembra che stia scivolando sempre più lontano da loro, e questo gli spezza il cuore". La fonte ha spiegato che "è doloroso vederlo deteriorarsi. Alle ragazze più grandi manca il vecchio Bruce, quello che le prendeva in giro sui loro fidanzati e dava loro consigli non richiesti".
Bruce Willis non ce la fa più: non parla non sente, non riconosce. Paura in famiglia. Nicola Santini su L’Identità il 15 Dicembre 2022
Le condizioni di salute di Bruce Willis si aggravano di giorno in giorno. E non si sa con quanta rapidità degenereranno ulteriormente. Secondo i media americani l’afasia di Bruce Willis è rapidamente peggiorata, tanto che adesso, da quanto emerge dal tabloid digitale RadarOnline.com, non sarebbe addirittura più in grado di parlare e comprendere quello che dicono gli altri. Sappiamo che durante le festività natalizie sarà circondato da tutta la sua famiglia, inclusa la ex moglie Demi Moore, con la quale è rimasto in ottimi rapporti e che si è dimostrata molto vicina all’attore con l’aggravarsi delle sue condizioni. La persona che viene citata dal sito dice che i suoi famigliari “sanno che Bruce non ci sarà per sempre, così stanno godendo ogni singolo momento insieme”. Emma Heming, lanuova signora Willis a settembre aveva spiegato a mezzo social cosa si sente convivendocon una situazione simile: “Questa è stata l’estate della scoperta di me stessa: trovare nuovi hobby, uscire dalla mia zona di comfort e rimanere attiva. Il mio dolore può essere paralizzante, ma sto imparando a conviverci. Come mi ha detto la mia figliastra Scout Willis, il dolore è la forma più profonda e pura di amore. Spero che anche voi troviate un po’ di conforto in questo…”.
L’afasia è una malattia che comporta la perdita della capacità di parlare e capire cosa viene detto dagli altri ed è dovuta a delle lesioni delle aree del cervello deputate all’elaborazione del linguaggio. Le cause possono essere molto varie. Le condizioni di salute di Bruce Willis e la brusca frenata alla sua carriera di attore sono stati resi noti dalla sua famiglia: “Agli straordinari fan di Bruce, come famiglia, volevamo farvi sapere che il nostro amato Bruce ha avuto problemi di salute e gli è stata recentemente diagnosticata l’afasia, che sta influenzando le sue capacità cognitive. Di conseguenza, e con molta considerazione, Bruce si sta allontanando dalla carriera che ha significato così tanto per lui. Questo è un momento davvero difficile per la nostra famiglia e apprezziamo così tanto il tuo continuo amore, compassione e supporto. Stiamo attraversando questo momento come una forte unità familiare e volevamo coinvolgere i suoi fan perché sappiamo quanto lui significhi per voi, così come voi per lui. Come dice sempre Bruce, ‘Vivilo’ e insieme abbiamo in programma di fare proprio questo. Con amore, Emma, Demi, Rumer, Scout, Tallulah.
Bruce Willis, l'afasia e gli incidenti sul set: cosa accadeva all'attore. Le dure testimonianze. Alice Antico su Il Tempo il 10 aprile 2022.
Bruce Willis ha annunciato di essere stato colpito da afasia e il mondo cinematografico stenta ancora a crederci. Anche se, prima che il fatto fosse pubblico, Il "Los Angeles Times" aveva riportato testimonianze di colleghi riguardo diversi episodi della precarietà mentale del protagonista di "Die Hard", i quali affermavano che l'attore «Da tempo mostrava segnali di declino mentale», tra difficoltà a ricordare le battute, momenti di confusione ed un pericoloso incidente sul set.
Altre fonti hanno riportato le difficoltà dell'attore nel ricordare i suoi dialoghi e c’è stato qualcuno che ha sostenuto di aver suggerito le battute a Willis attraverso un auricolare. In aggiunta, sembra che la maggior parte delle scene d’azione che egli avrebbe dovuto girare, venivano realizzate invece da una controfigura. Secondo quanto riferito, il management dell’attore si era assicurato che le riprese delle parti di Willis fossero limitate a due giorni e solo otto ore al giorno, anche se spesso l’attore rimaneva solo quattro ore.
Senza considerare che, per l'edizione 2022, i “Razzie Awards” (i premi per i peggiori attori) avevano creato un'intera categoria dedicata a tutta l'annata cinematografica 2021 di Bruce Willis: inutile dire che, a seguito della recente notizia dell'addio al cinema, l'organizzazione ha deciso di revocare il premio assegnato all'attore.
Ma che cosa è l'afasia? Si tratta della perdita di una funzione appresa, che porta dunque all'incapacità di articolare e comprendere le parole. Una persona affetta da afasia non capisce ciò che viene detto e non è in grado di produrre frasi di senso compiuto per comunicare, oltre a non riuscire a leggere, scrivere e fare i calcoli, in quanto attività connesse alla funzione linguistica.
Bruce Willis, all’età di 67 anni, è dunque costretto ad abbandonare la recitazione: lo ha rivelato la famiglia dello stesso attore con un post sui social media. «Agli straordinari fan di Bruce, come famiglia, volevamo farvi sapere che il nostro amato Bruce ha avuto problemi di salute e gli è stata recentemente diagnosticata l'afasia, che sta influenzando le sue capacità cognitive. Di conseguenza, e con molta considerazione, Bruce si sta allontanando dalla carriera che ha significato così tanto per lui […] Come dice sempre Bruce, "Vivilo" e insieme abbiamo in programma di fare proprio questo. Con amore, Emma, Demi, Rumer, Scout, Tallulah, Mabel ed Evelyn».
Bruce Willis si ritira per afasia: l’annuncio della famiglia dell'attore. Chiara Severgnini su Il Corriere della Sera il 30 marzo 2022.
Bruce Willis, 67 anni compiuti da poche settimane, annuncia il ritiro dalle scene per motivi di salute. All’attore, si legge in una nota diffusa dalla sua famiglia, è stata diagnosticata l’ . Il disturbo, che a volte è causato da danni al cervello, influisce sulla capacità di una persona di comprendere e usare il linguaggio per leggere, ascoltare, parlare e scrivere.
La malattia, i film e il matrimonio con Demi Moore: la vita e la carriera di Bruce Willis. Le foto
L'ANNUNCIO DELLA FAMIGLIA «Come famiglia, volevamo condividere con i nostri splendidi fan che Bruce sta affrontando alcuni problemi di salute», si legge nel comunicato, diffuso anche su Instagram. «Di recente gli è stata diagnosticata l’afasia, che sta avendo un impatto sulle sue abilità cognitive». Di conseguenza, prosegue la nota, l’attore «si ritira da una carriera che per lui ha significato molto». «Questo è un momento molto difficile per la nostra famiglia, facciamo affidamento sul vostro amore, sul vostro sostegno e sulla vostra compassione. Attraversiamo tutto questo come una famiglia unita e forte».
Il comunicato è firmato dalla moglie di Willis, Emma Heming , dalla sua e dai suoi cinque figli (Rumer, 33 anni; Scout, 30 anni; Tallulah, 28 anni; Mabel, 9 anni ed Evelyn, 7 anni). La frase finale fa riferimento a una frase cara all'attore: «Come dice sempre Bruce, "Goditi il momento" ("live it up", ndr) e insieme abbiamo intenzione di fare proprio questo».
LA CARRIERA DI BRUCE WILLIS Nato nel 1955 a Idar-Oberstein, una base militare Usa in Germania Ovest, Willis è cresciuto in New Jersey, dove la sua famiglia si era trasferita alla fine degli Anni 50. Pur avendo scoperto la sua passione per la recitazione durante gli studi, prima di affermarsi come attore ha fatto diversi lavori, tra cui il camionista e il barista. Nel 1985 è stato scritturato per il ruolo del protagonista maschile della serie tv , che gli frutterà un Golden Globe e un premio Emmy. Dopo alcuni piccoli ruoli cinematografici, Willis ha raggiunto la notorietà internazionale interpretando il poliziotto John McClane nel film (1988) e poi in tutti i successivi capitoli della fortunata saga (che comprende, in totale, cinque pellicole; l'ultima delle quali è uscita nel 2013).
Nel corso della sua lunga carriera, l'attore ha recitato inoltre in Pulp Fiction (interpretava il pugile Butch Coolidge), L'esercito delle 12 scimmie (1995), Il quinto elemento (1997), Armageddon (1998), Il sesto senso (1999) e Sin City (2005). Il suo ultimo film è il thriller, uscito nel gennaio del 2022.
Bruce Willis e l’afasia: dai rumors sulla perdita di memoria ai «troppi film scadenti», i segnali prima del ritiro. Barbara Visentin su Il Corriere della Sera il 31 Marzo 2022.
L’attore colpito da afasia lascia la carriera. L’annuncio della famiglia: «Non può più recitare».
I suoi account social ufficiali sono rimasti fermi a qualche giorno fa, sigillati in un silenzio che — con il senno di poi — ha un retrogusto tristemente rivelatore. Sono state invece le persone intorno a lui, la sua grande famiglia formata dalla moglie Emma Heming, dall’ex consorte Demi Moore (a cui è rimasto legatissimo) e dai cinque figli, a farsi sentire per dare l’annuncio congiunto: a 67 anni compiuti da pochi giorni, Bruce Willis si ritira, mette uno stop improvviso alla sua carriera di star dei film d’azione a causa di un problema di salute, colpito da un male che gli impedisce di recitare.
«Volevamo condividere con i meravigliosi sostenitori di Bruce che il nostro amato è alle prese con dei problemi di salute e di recente gli è stata diagnosticata un’afasia che sta avendo delle ripercussioni sulle sue abilità cognitive — si legge nel messaggio condiviso via social ieri pomeriggio dalla sua famiglia —. Di conseguenza, e dopo molte riflessioni, Bruce abbandona una carriera che significa così tanto per lui. È un momento molto complicato per la nostra famiglia e apprezziamo moltissimo il vostro continuo amore, la vostra compassione e il sostegno. Lo affrontiamo fortemente uniti come famiglia e abbiamo voluto coinvolgere i suoi fan perché sappiamo quanto lui è importante per voi, così come voi lo siete per lui. Come Bruce dice sempre, "vivetevela fino in fondo" e insieme abbiamo in programma di fare proprio così». A firmare seguono tutti i nomi: Emma, Demi, Rumer, Scout, Tallulah, Mabel, & Evelyn.
Un annuncio improvviso per una diagnosi che sembra non lasciare scampo al lavoro di un attore: l’afasia influisce sulle capacità di comprendere il linguaggio e di usarlo per parlare, leggere, ascoltare e scrivere. Può essere causata da danni al cervello (un trauma o un ictus) o può insorgere in seguito a un cancro al cervello o nel progredire di malattie degenerative, come l’Alzheimer o il Parkinson. Non è chiaro quale sia la condizione che riguarda Willis. Tutto ciò che la famiglia ha voluto far sapere è che il più celebre «duro di Hollywood», almeno per il momento, non può più recitare. Una notizia alla luce della quale suonano vagamente impietose le ultime recensioni dei suoi film («Bruce Willis uccide la sua reputazione un’altra volta», titolava a gennaio il quotidiano Guardian nello stroncare «Killing Field»), così come indelicati benché eloquenti appaiono i rumors che di recente davano Willis impegnato in tanti diversi film scadenti perché alle prese con problemi di memoria e intenzionato quindi ad accumulare quanti più ruoli (e guadagni) possibili, finché ancora in grado di lavorare.
Ma se le sue ultime interpretazioni non rimarranno forse come le più memorabili, la sua carriera lunga oltre quattro decenni (con più di 5 miliardi di dollari ai botteghini) lo ha reso un’icona dell’action cinema, la testa rasata, il sorriso leggermente beffardo, i muscoli sotto i graffi e le canotte che hanno caratterizzato la saga di «Die Hard». Il poliziotto John McClane, protagonista dei cinque episodi ad alto tasso di adrenalina, l’ha consacrato sul grande schermo a partire dal 1988, ma gli adepti di Tarantino lo conoscono anche per «Pulp Fiction» e il suo Butch che, in sella a un chopper, pronuncia una delle frasi cult del film: «Zed’s dead baby», «Zed è morto piccola». Da «Armageddon» a «Il sesto senso», gli anni 90 lo consolidano fra le star di Hollywood, mentre in quel periodo splende anche la sua unione con Demi Moore: i due sono una delle coppie del decennio e anche quando si lasciano, dopo 13 anni di matrimonio e tre figlie, continuano a rimanere amici e genitori unitissimi. Al punto che Moore e la modella Emma Heming, convolata a nozze con Willis nel 2009, diventano amiche vere. Una famiglia allargata che ora più che mai ha scelto di stringersi intorno a lui.
La superstar Bruce Willis soffre di afasia: "Mi ritiro, non posso più fare cinema". Valeria Braghieri il 31 Marzo 2022 su Il Giornale.
L'attore americano, 67 anni, colpito da una malattia che gli impedisce di recitare.
Nel film Il sesto senso riusciva a comunicare anche senza parole. Le usava certo, ma andava ben oltre, spalleggiato da quello straordinario bambino (interpretato da un Haley Joel Osment mostruosamente bravo) che sapeva andare oltre tutti i sensi che i semplici umani usano per vivere.
Ma non è certo stata l'unica volta in cui ha scelto come partner un giovanissimo, Bruce Willis che, per sua stessa ammissione, ha sempre adorato recitare accanto ai più piccoli. Come in La fredda luce del giorno, per fare un altro esempio tra i tanti. Il motivo di questa predilezione, oggi sembra un cinico presagio: da piccolo Bruce era balbuziente. Soffrì di questo disturbo fino ai nove anni, poi salì su un palcoscenico per una recita scolastica, e lì qualcosa scattò. Qualcosa lo guarì quasi inspiegabilmente. E succede spesso di tornare a replicare il punto in cui qualcosa si è rotto, di fermarsi lì, e ripetere all'infinito. Per provare a bonificare, nel corso di tutta l'esistenza, ciò che ci ha più segnati. Per questo, la notizia di ieri, e cioè che Willis si ritirerà dalle scene per un problema di «afasia» (la perdita della capacità di comporre o comprendere il linguaggio), ci fa pensare a quanto talvolta la vita possa essere circolare nella sua spietatezza. Da un problema di linguaggio ha iniziato, con un problema di linguaggio finisce (come attore), la carriera di Bruce Willis, sessantasettenne. Ex marito di Demi Moore, e padre delle loro tre figlie.
Le voci si erano inseguite, negli ultimi periodi, i fan e lo star system avevano iniziato a nutrire sospetti nei confronti degli ultimi copioni accettati dall'attore. Nulla che fosse davvero più alla sua altezza, nulla che facesse onore alla scelta, quasi spasmodica, che aveva usato in tutti gli anni della sua carriera per scegliere i personaggi da interpretare sul grande schermo. Ieri la conferma, con il ritiro dalle scene, annunciata dalla sua famiglia sui social. Sembra abbia accettato gli ultimi lavori con l'unico scopo di incassare, per potersi curare dalla paradossale malattia che lo ha colpito. La faccia duttile, l'empatia, il mestiere di interpretare: è diventato tutto inutile senza le parole da far uscire da un personaggio. Capacissimo eppure inerme, pieno di talento ma lo stesso incapace. Di dire, di elaborare, di rimandare fuori davanti a una macchina da presa con la quale pure ha saputo amoreggiare divinamente per mezzo secolo. C'è di peggio, ma non c'è nulla di peggio per lui. E per quanti restano cinematograficamente orfani del ghigno di lato con cui ha incorniciato tante battute e delle pagliuzze negli occhi che ha saputo accendere senza nemmeno dover pronunciare battute. Esce di scena, per «afasia» la Hollywood composta e senza scandali. Ha scelto ruoli, chiuso matrimoni, ricominciato matrimoni, assistito alle scelte dei figli senza turbarsi e senza turbare. E non ci aspettavamo che la vita gli offrisse un copione tanto sarcastico da farlo uscire di scena. Senza parole.
La malattia lo costringe a fermarsi. Bruce Willis si ritira, l’attore abbandona il cinema per l’afasia: l’annuncio della famiglia. Redazione su Il Riformista il 30 Marzo 2022.
L’attore Bruce Willis, una delle icone di Hollywood, deve dire addio alla sua carriera per motivi di salute. La star della saga di ‘Die Hard’, ma anche di ‘Armageddon’ (1998) e ‘Il sesto senso’ (1999), si ferma a 67 anni compiuti da poche settimane per motivi di salute.
In una nota ufficiale pubblicata dalla famiglia è stato reso noto che all’attore è stata diagnosticata l’afasia, un disturbo, a volte è causato da danni al cervello, che influisce sulla capacità di una persona di comprendere e usare il linguaggio per leggere, ascoltare, parlare e scrivere.
Il comunicato firmato dalla moglie Emma Heming , dalla sua ex moglie Demi Moore e dai suoi cinque figli (Rumer, 33 anni; Scout, 30 anni; Tallulah, 28 anni; Mabel, 9 anni ed Evelyn, 7 anni), spiega che “come famiglia volevamo condividere con i nostri splendidi fan che Bruce sta affrontando alcuni problemi di salute. Di recente gli è stata diagnosticata l’afasia, che sta avendo un impatto sulle sue abilità cognitive”. Per questo Bruce “si ritira da una carriera che per lui ha significato molto. Questo è un momento molto difficile per la nostra famiglia, facciamo affidamento sul vostro amore, sul vostro sostegno e sulla vostra compassione. Attraversiamo tutto questo come una famiglia unita e forte”.
Un testo che si chiude con una frase che l’attore ha fatto sua, “Live it up”, ovvero “Goditi il momento”.
Come ricorda l’Ansa, Bruce Willis ha iniziato la sua carriera cinematografica negli anni ’80 con l’apparizione in ‘Delitti inutili’ con Frank Sinatra, compare inoltre in ‘Miami Vice’ (1984-1989), ‘Ai confini della realtà’ (1985) e nel film Il verdetto (1982). NEL 1988 viene definitivamente consacrato grazie all’interpretazione del poliziotto John McClane in ‘Trappola di cristallo’ (Die Hard), il primo film della saga di Die Hard. Nel 1987 sposa l’attrice Demi Moore e con lei oltre che con gli amici Sylvester Stallone, Arnold Schwarzenegger e Whoopi Goldberg fonda la catena di ristoranti Planet Hollywood. Nel 1990 interpreta il sequel di ‘Die Hard 58 minuti per morire’ (Die Harder), a cui succederà il terzo capitolo nel 1995 ‘Die Hard – Duri a morire’. Nel 1994 recita in ‘Pulp Fiction’ di Quentin Tarantino. Altre sue interpretazioni significative sono ‘La morte ti fa bella’, (1992) di Robert Zemeckis, ‘L’ultimo boyscout’ (1991), ‘L’esercito delle 12 scimmie’ (1995) ‘Il quinto elemento’ (1997) di Luc Besson, ‘Armageddon – Giudizio finale’ (1998), ‘The Sixth Sense’ – Il sesto senso (1999). Nel 2018 è protagonista de ‘Il giustiziere della notte’ – Death Wish di Eli Roth, remake dell’omonimo film del 1974 interpretato da Charles Bronson.
L’attore ha alcuni progetti in post produzione come ‘Vendetta’, ‘Fortress: Sniper’s Eye’ e ‘White Elephant’. Non è chiaro a questo punto quale sarà il destino di ‘Fortress 3’, attualmente in pre-produzione.
Il focus. Cos’è l’afasia, il disturbo di cui soffre Bruce Willis: cause e sintomi della malattia che provoca problemi al linguaggio. Redazione su Il Riformista il 30 Marzo 2022.
Un disturbo non raro, solo in Italia il numero di persone che ne soffrono a seguito di malattie cerebrovascolari si aggira attorno a 150.000-200.000, con un’incidenza annua di 2 nuovi casi per 1.000 abitanti per anno, ma che Bruce Willis ha reso tristemente ‘da prima pagina’.
La comunicazione da parte dei familiari dell’attore di porre fine alla sua carriera a 67 anni a causa dell’afasia ha portato la luce dei riflettori su questo disturbo che ha terminato la lunga carriera della star di Hollywood.
Cos’è l’afasia
L’afasia è un disturbo del linguaggio che comporta delle conseguenze a livello cognitivo. Chi è affetto da afasia infatti gradualmente arriva non a capire ciò che gli viene detto, a produrre frasi di senso compiuto, a leggere o scrivere, ma anche a fare calcoli, perché scrittura e capacità aritmetiche sono connesse con la funzione del linguaggio.
Le cause
Come spiega a Repubblica Tiziana Rossetto, presidente della Federazione Logopedisti Italiani (Fli), le malattie che provano più frequentemente l’afasia sono “quelle vascolari e i traumi cranici, ma anche tumori, malattie infettive o altro possono colpire le aree del linguaggio”.
Spesso infatti il disturbo del linguaggio insorge dopo un ictus: ne è infatti una delle conseguenze più impattanti a livello di attività quotidiana.
Come si ‘cura’
Purtroppo non esiste al momento una cura per il disturbo. Spiega infatti Rossetto che “numerosi studi sperimentali hanno dimostrato che l’unico trattamento efficace, anche se molto raramente risolutivo, è il trattamento logopedico, purché sufficientemente protratto e intenso”.
Dagotraduzione dal Daily Mail il 31 marzo 2022.
Secondo quanto riferito, Bruce Willis ha lottato con problemi cognitivi sui set dei suoi film per anni - e aveva persino bisogno di un auricolare per ricordare le sue battute - molto prima che la sua famiglia annunciasse mercoledì che al famoso attore era stata diagnosticata una condizione cerebrale.
In una dichiarazione sui social media, la famiglia di Willis ha detto ai suoi fan che gli era stata diagnosticata l'afasia, una condizione cerebrale che influisce sulla sua capacità di comprendere il linguaggio, e per questo lascerà la recitazione.
Ma una fonte anonima ha detto a Page Six che la sua capacità cognitiva in declino era un segreto di Pulcinella a Hollywood perché l'attore aveva avuto ripetutamente problemi a recitare nei suoi film.
«Lo sapevano tutti, il cast e la troupe», ha detto la fonte anonima, aggiungendo che Willis «usava auricolari, ascoltando le battute» ed «era sempre più difficile averlo sullo schermo».
Ha detto che i film in realtà dovevano essere girati vicino al luogo in cui Willis risiedeva con la sua famiglia - che, secondo la fonte, si è presa cura dell'attore 67enne - per rendere le produzioni più facili.
E in almeno una produzione, ha detto la fonte, i produttori hanno iniziato a usare un controfigura per aumentare il tempo sullo schermo di Willis, mentre in un'altra il suo tempo sullo schermo è stato «ridotto», con l'attore che ha girato sul set per soli tre giorni. La fonte ha detto: «Stava diventando super ovvio che stava avendo problemi ... non poteva più recitare».
In una scena del suo nuovo film, “American Siege”, girato nel 2020, si vede che l’attore indossa un auricolare. E sono passati due anni da allora.
Un altro insider ha detto alla rivista “Ok!” che Willis è stato visto con un auricolare anche quando debuttò a Broadway nel 2015 con “Misery”. Secondo quanto riferito, stava lottando anche durante le riprese del film Glass del 2019 di M. Night Shyamalan.
«Durante le riprese di Glass, il personale ha lavorato intorno a lui tagliando e montando e facendogli sovraincidere le battute perché faticava a ricordarle e/o a pronunciarle», hanno detto al New Zealand Herald. «Nella maggior parte delle scene in Glass è incappucciato e hanno usato controfigura per sostituirlo. Sul set non sorrideva ed era sempre accompagnato da un assistente che lo guidava mentre camminava».
La fonte ha anche detto che all'epoca Willis aveva venduto la sua proprietà di New York per trascorrere più tempo con sua moglie e i suoi figli a Los Angeles, e ha detto che sua moglie, così come l'ex moglie Demi Moore, stavano lavorando insieme per prendersi cura di lui.
«Sua moglie Emma ha aiutato Demi Moore e i bambini che Bruce condivide con la sua ex moglie perché sapevano che stava svanendo», ha detto la fonte anonima alla rivista nel gennaio 2021.
«Tra Demi ed Emma, la famiglia ha sempre assicurato a Bruce il supporto e le cure di cui potrebbe aver bisogno in qualsiasi momento», ha detto l'insider.
Willis condivide tre figli con Moore, con cui è stato sposato dal 1987 al 2000: Rumer, 33, Scout, 30 e Tallulah, 28. Ha anche due figlie, Mabel, 9, ed Evelyn, 7, con la moglie Emma, 43.
Live Hard. Il funerale da vivo di Bruce Willis e la tristezza di assistere al proprio declino. Guia Soncini su L'Inkiesta l'1 Aprile 2022.
Alla notizia del suo ritiro per malattia tutti ci siamo ricordati di quanto abbiamo amato i suoi film. Una dimostrazione di affetto che forse gli farà piacere, ma forse è uno strazio capire che tutti sanno che non sei più in te, e magari ti compatiscono perfino.
Dieci anni e mezzo fa, qualche settimana prima che Christopher Hitchens morisse, andai al suo funerale da vivo. Doveva essere un’intervista che gli faceva Stephen Fry davanti al pubblico d’un teatro, poi Hitch stava troppo male, e avevano ripiegato sui suoi amici che parlavano di lui. I suoi amici erano gente come Martin Amis e Salman Rushdie, e quindi quella era la realizzazione del sogno perverso di molti di noi: sentire cose brillantissime dette di noi come fossimo morti ma quando siamo ancora abbastanza vivi da ascoltarle.
A Bruce Willis sta succedendo un po’ la stessa cosa. Da quando la sua famiglia ha annunciato che Willis non farà più film perché non è più in grado di parlare (non sono stati resi noti i dettagli, ma è ragionevole pensare alle conseguenze d’un ictus), ci siamo tutti ricordati di quanto ci piaceva.
Che eravamo piccoli quando la tv non era ancora prestigiosa e l’internet non esisteva, e quindi potevamo guardare “Moonlighting” senza sapere che lui e Cybill Shepherd in realtà si odiavano, senza sapere che era difficile mettere insieme le puntate perché non si volevano incontrare, senza sapere niente, cioè l’unico modo in cui ci si possa godere quel che si legge e si guarda.
Che eravamo piccoli anche quando portava a cena Kim Basinger, e lei si ubriacava tantissimo e lo metteva in imbarazzissimo, e “Appuntamento al buio” fu una grande scuola nella disciplina del rovinare la vita agli uomini, anche se nessuno di quelli che poi abbiamo incontrato aveva quella smorfia di Bruce, quella che riusciva a dire al tempo stesso «ti amo» e «ti detesto», «perché proprio a me» e «adesso ti rovino».
Nel 2018 Comedy Central ha organizzato il roast di Bruce Willis. Un roast è quel formato americano che prende la serata d’onore e la ribalta: sei al centro dell’attenzione, ma tutti gli ospiti sono lì per insultarti, e tu devi fare la faccia di chi sta al gioco, altrimenti sembri un qualunque Will Smith che perde la trebisonda per una battuta. Alcuni ci riescono peggio: al roast di Alec Baldwin, che molti anni fa fu molto famoso per un messaggio d’insulti lasciato nella segreteria telefonica della figlia avuta da Kim Basinger, la faccia di Alec alla prima battuta su quel messaggio era quella di chi è sul punto di alzarsi e prendere a smatafloni il battutista.
Bruce Willis no. Bruce Willis rideva come un pazzo, rideva come uno che non sta recitando una risata, quando Demi Moore diceva che avevano divorziato dopo i primi tre “Die Hard” e infatti gli ultimi due facevano schifo; o quando Edward Norton raccontava di averlo incontrato per chiedergli cosa pensasse del copione di “Motherless Brooklyn” in cui l’avrebbe diretto, e che Willis il copione non solo non l’aveva letto, ma a domande professionali rispondeva con cose tipo «Provaci tu a far durare un matrimonio quando le ventiduenni ancora te la danno»; o quando tutti, ma proprio tutti, dicevano che era un attore incapace di cambiare espressione.
La settimana scorsa Denzel Washington ha consegnato un Oscar alla carriera a Samuel L. Jackson, che ha una filmografia sterminata ma io quando lo vedo penso sempre e solo a quel “Die Hard” (il terzo, prima che Bruce e Demi e le ventiduenni eccetera) in cui Bruce Willis, sotto minaccia dei cattivi, sta in mezzo a una strada di Harlem con addosso un cartello che dice «Odio i negri», e Jackson è il proprietario d’un negozio che va a salvarlo dai ragazzi neri che stanno per pestarlo assai più forte di quanto farebbe Will Smith.
Lo so che voi, se vi dicono «Jackson e Willis», pensate a “Pulp Fiction”, ma volete mettere John McClane e Zeus? (A proposito di John McClane: siamo tutti d’accordo, spero, che il più natalizio e antinatalizio dei film di Natale sia il primo “Die Hard”, sì?).
Adesso che ci hanno detto che sta troppo male per continuare a lavorare, il sito di riferimento per le uscite cinematografiche, imdb, dà otto suoi film finiti e che ancora devono uscire. Pare stia male da un bel po’: il Los Angeles Times racconta d’almeno un paio d’anni di set pasticciati, Bruce che non si ricorda le battute, Bruce che bisogna accorciargli i dialoghi perché non ce la fa, Bruce che nelle scene d’azione sbaglia il momento in cui deve sparare (per fortuna non sono successi disastri come quello che accadde ad Alec Baldwin con una pallottola non a salve). Eppure, in questi anni ha girato film a un ritmo che neanche Totò.
Forse sapeva di non stare bene e stava raccattando gli ultimi ingaggi possibili; forse – come accade a volte alla gente famosa, sebbene amata – aveva dei collaboratori che lo spremevano più del dovuto; o forse non voleva rassegnarsi al proprio declino cognitivo, che mi pare la cosa più atroce che possa capitare a un essere umano dotato di senso dell’umore.
Molti anni fa, un’attrice che non stava bene doveva consegnare un premio a un regista. Nessuno ancora sapeva avesse un disturbo neurodegenerativo, ma tutta la platea se ne accorse quando, sul palco, la signora non si ricordò dov’era. Il terrore più grande che attanagli molti non è morire, ma è rincoglionire senza accorgersene. O forse è peggio accorgendosene. Forse è bello sapere che tutti ti amano e si precipitano sui social a dire quanto siano nel loro cuore “Il sesto senso” o “Il quinto elemento”. Ma forse è uno strazio sapere che tutti sanno che non sei più in te, e magari ti compatiscono perfino. A te, che un Natale del secolo scorso sgominavi i terroristi a mani nude senza mai perdere il ghigno, e senza mai smettere di guardare il culo alle ventiduenni.
L.D. per “la Stampa” il 12 dicembre 2022.
«Sono esigente, ma non cattivo». Parola di Bruno Barbieri, sia che si aggiri come giudice ai fornelli, sia che si muova con fare indagatorio in una camera di hotel. Adesso, però, è il momento del ritorno di Masterchef, lo show cooking più famoso al mondo (64 edizioni locali), che da giovedì alle 21.15 torna su Sky e in streaming su Now e Sky go con la dodicesima edizione italiana.
Ancora una volta i giudici saranno il trio super collaudato formato dagli chef stellati Bruno Barbieri, Antonino Cannavacciuolo e Giorgio Locatelli.
Insieme con il regista Umberto Spinazzola, Barbieri è l'unico sopravvissuto dalla prima edizione, è la memoria storica dello show: «Un record del quale siamo orgogliosi», dice, e se è vero che il tempo insegna, il giudice col passare degli anni è diventato sempre più esigente: «Mystery Box, Invention Test, Pressure Test e Skill Test, gli "esami a sorpresa" che coinvolgeranno tutti i concorrenti più le prove in esterna che quest' anno sono a Bassano del Grappa, davanti alla Cascata delle Marmore, Tropea e Cervinia non sono impegni da nulla. Abbiamo cercato come sempre di alzare l'asticella. Quanto a me, sono solo diventato più attento e sì, forse anche esigente. Ma non arrivo mai a essere cattivo».
Spoileriamo un po' quali sono le vere novità di questa stagione: «Ogni edizione deve lasciare il suo segno e questa volta c'è stato un lavoro di maggior ricerca. Molti concorrenti sono giovani e giovanissimi, questo per dare la possibilità a tanti ragazzi di trovare il lavoro dei loro sogni». Concorrenti che diventano anche racconti di vita, storie personali: «Le storie vengono fuori automaticamente, i ragazzi si raccontano e da lì si accende una lampadina e poi è normale che questo accada, da persone molto curiose quali siamo, se si sta tre mesi insieme è logico che certi segreti emergano».
Antonino Cannavacciuolo parlando del lancio dei piatti di Joe Bastianich, ha detto: «Da piccolo quando a tavola non finivo un piatto me lo trovavo da mangiare alla sera, quindi io i piatti non li lancio».
Cosa ne pensa?
«I piatti non si lanciano mai e chi lo faceva prima faceva uno show per sé stesso. La gente ci fermava per la strada: «Ma cosa fate? Buttate via il cibo»? Era diventata una questione etica e per un programma che vuole divulgare la buona cucina i piatti non si devono buttare da nessuna parte».
La sfida per eleggere il miglior chef amatoriale d'Italia, l'anno scorso ha incoronato Tracy Eboigbodin originaria della Nigeria. Masterchef per molte persone ha rappresentato il riscatto e negli anni si sono alternati ai fornelli tanti immigrati: «Non ci sono solo i migranti negativi così come ce li stanno facendo passare - continua Barbieri -. Esistono un sacco di persone che fanno il lavoro pesante, nei mercati generali e dove gira il cibo.
Gente che chiamiamo "manovalanza" ma ha sogni e desideri esattamente come i nostri e nella vita, magari, vorrebbe fare il cuoco. Gente che è arrivata con il gommone e ha un talento per la cucina. Se sono bravi dobbiamo dargli una chance. In generale, chi ha vinto Masterchef, ma anche chi non ha vinto ha aperto ristoranti, ha creato master, ha fatto capire che questo programma ti dà una possibilità concreta. Molti vincitori delle scorse stagioni sono oggi chef importanti».
Barbieri da mesi vive anche in America - «Sto cercando di andare ad aprire qualcosa in Florida, tra Charlotte e Ft. Lauderdale» - e viene da chiedergli che Italia siamo vista dagli Stati Uniti. «Della Meloni se ne parla ma tutti aspettano di vedere cosa succede. Forse perché l'hanno dipinta come non è. È una donna coraggiosa e non è facile prendersi la patata bollente italiana. Quanto alla guerra in Ucraina, se ne parla, ma la gente non vuole la guerra, anche gli americani che la guardano da lontano non la vogliono. Ne sono certo». Un'ultima domanda: è immaginabile Masterchef senza Bruno Barbieri in giuria? «Ma di cosa parliamo? Impossibile».
Bruno Barbieri: «Papà non mi voleva cuoco. Il migliore? Cannavacciuolo». Chiara Maffioletti su Il Corriere della Sera il 6 Settembre 2022.
«A Masterchef con Cracco e Bastianich eravamo tre galli in un pollaio. Ma ho litigato solo una volta con Carlo su un piatto di passatelli con le vongole»
È diventato maggiorenne a New York, Bruno Barbieri. «Sono partito dalla provincia di Bologna a 17 anni, con la firma dei miei genitori per poterlo fare. Avevo deciso di lavorare come cuoco sulle navi da crociera». Passato qualche anno — «ne ho compiuti sessanta e mi rompe proprio le palle questa cosa» — l’America è diventata casa sua. «Il punto è che ho sempre cercato nella vita di fare cose che mi potessero stimolare, rincorso orizzonti nuovi. E così, alla mia età, ho deciso di approfondire il mio inglese, che non era un granché. Ho preso casa vicino a Miami e ci resto per una buona parte dell’anno... ormai ho anche imparato a fare i barbecue, da vero americano».
Ha dalla sua sette stelle Michelin, non le sarà risultato difficilissimo...
«Beh ma attenzione, perché qui sulla carne sono preparatissimi, bisogna togliersi il cappello. Per fare il barbecue conta anche il tipo di legna che si usa, l’affumicatura, tante cose. Insomma, c’è sempre da imparare».
Come è nata la sua passione?
«Più che altro dal desiderio di viaggiare. Ero bravo, certo. Fin da piccolo avevo una certa manualità. Ho avuto la fortuna di crescere con una mamma, una nonna e due sorelle meravigliose. Con mia nonna, in particolare, facevamo il pane tutti i giorni, poi le conserve... a tre anni mangiavo le tagliatelle con i tartufi, per dire. Lei e mio nonno gestivano per la curia di Bologna un appezzamento e ci piantavano di tutto».
E dunque cosa c’entra il viaggio?
«Mio padre per lavoro viveva in Spagna: noi lo raggiungevamo in estate e così io, fin da molto piccolo, ho imparato a viaggiare. Questa cosa mi stimolava parecchio, oltre al fatto che forse per me aveva un significato diverso: viaggiare voleva dire raggiungere lui. Quindi a un certo punto ho pensato a un mestiere che mi permettesse di farlo».
Ed ecco la cucina.
«Lui non era d’accordo, mi avrebbe voluto ingegnere credo. Furono i miei vicini di casa a convincerlo ma penso che alla fine, quando è morto, fosse consapevole e felice di aver visto cosa ero riuscito a fare. Non me lo ha mai detto, ma io resto convinto che avesse capito di avere avuto torto».
Non glielo ha mai chiesto?
«Forse sono una persona un po’ troppo orgogliosa. Semplicemente dentro di me mi sono detto: ok, va bene, vuoi che non faccia questo? Ti dimostrerò che ti sbagliavi».
Momenti difficili?
«Eccome. A bordo c’era una gerarchia militaresca e io, a 18 anni, comandavo gente anche molto più grande di me, visto che mi avevano dato da subito quel ruolo... si può immaginare come ho sofferto. Non mi è stato regalato niente e non ho mai chiesto niente alla mia famiglia. Ho anche dovuto vivere senza soldi, all’inizio. Ma avevo la mia idea in testa, sapevo dove volevo arrivare. Poi, certo, ci vuole anche fortuna».
Come mai era rimasto senza soldi?
«Parlo proprio dell’inizio. In nave dormivo in una cabina con altre tre persone: mi rubarono subito tutto per darmi il benvenuto. Sono rimasto un mese e mezzo senza una lira, non avevo i soldi per comprare una bottiglia d’acqua. In pratica non scendevo dalla nave. Ma non mi sono arreso, perché nel mentre avevo anche capito cosa voleva dire avere un mestiere in mano».
Non ha mai pensato di non farcela?
«No, ma di certo questa cosa mi ha fatto diventare adulto prima del previsto. Ho sempre pensato che dovevo cavarmela da solo e l’ho fatto. Sulle navi ho iniziato presto a far capire come la vedevo: il mio nome era dappertutto, mi alzavo alle quattro di mattina e facevo 400 omelette... lavoravo tutto il giorno. Ho imparato in fretta a prendere tutti i miei treni al volo, pensando che un giorno, presto o tardi, il mio momento sarebbe arrivato».
E così è stato. Tra i tanti, ha cucinato anche per Andy Warhol.
«La vita di uno chef è tentare di raccontarla dentro un piatto. Lui diceva che il cibo è una cosa che entra da un buco e ne esce da un altro, poi però la fortuna della sua vita con cosa l’ha fatta? Con quella scatoletta di pomodoro che conosciamo tutti».
Rimpianti?
«No, rimpianti no. Sistemerei qualche piccola cosina ma anche gli sbagli professionali fanno parte del percorso. Come quando ho dovuto scegliere se aprire un ristorante a Los Angeles e invece ho deciso di andare a vivere a Verona. Chissà. Però poi lì ho preso due stelle... esistono anche dei momenti, in cucina. Senza contare che, per me, un grande chef dà il meglio tra i 35 e i 50 anni: questo è un lavoro che se fai come deve essere fatto ti obbliga a rinunciare a tutto».
Lei non ha figli. Fa parte delle rinunce?
«Vista la mia infanzia, essendo cresciuto con un papà lontano, per me era difficile accettare di non vivere una mia eventuale famiglia in un dato modo. Ho fatto delle scelte. Avevo la consapevolezza che io non ce l’avrei mai fatta a rimanere tutta la vita a Bologna perché il mio istinto era quello di correre. Se avessi avuto dei figli, però, avrei voluto essere presente: portarli a scuola, a giocare a calcio, dedicare loro del tempo. Per me la famiglia è quella roba lì».
E adesso è troppo tardi per averla?
«Se hai un figlio a 60 anni ti chiamano nonno. No, non ha senso per quanto mi riguarda. Mi godo i nipoti, i figli degli amici. Ma alla fine non sono pentito: mi sarebbe piaciuto anche fare il pilota di Formula 1, ma non so guidare a 300 all’ora, quindi... Uno decide. Io so dire però che oggi sono una persona che la sera va a dormire felice: mi piace la mia vita, vado in giro, cucino per gli amici, faccio palestra... sono spensierato».
Un vero lusso. Reso possibile anche grazie a «Masterchef»? Di certo le ha cambiato la vita...
«“Masterchef” è stata la benedizione di Gesù. Il coronamento di una vita professionale. Ho fatto tutte le edizioni, sono l’unico e ancora mi ricordo il colloquio iniziale, sulla pernice. Prima di questa trasmissione le persone andavano al ristorante per riempirsi la pancia, ora sanno tante cose in più. È un programma internazionale ma, diciamolo, in Italia lo facciamo meglio che altrove, anche per la nostra storia. Abbiamo dato il via a un cambiamento che adesso sento come necessario anche nel mondo dell’hôtellerie, spesso fermo agli anni Settanta. Ecco perché ho deciso di fare anche questo programma, “4 Hotel” (da domenica riparte su Sky e in streaming su Now). Faccio solo quello in cui credo e non voglio essere un impiegato della banca che lavora in tv. Peccato che ora, tra ristoranti e alberghi io non possa andare più da nessuna parte, perché passo per essere quello che rompe».
Rapporti con gli altri giudici?
«All’inizio di “Masterchef” la situazione con Carlo (Cracco, ndr.) e Joe (Bastianich) era decisamente più impegnativa per i caratteri dei miei due soci: molto forti, duri. Eravamo tre galli in un pollaio, ma nonostante non fosse sempre semplice ho tanti ricordi belli, divertenti».
Litigate?
«Più che altro sembrava sempre di stare su un filo tirato. Non abbiamo mai litigato se non un una volta, fortemente, io e Carlo parlando di un piatto di passatelli con le vongole. Ma dopo quindici minuti di casino totale, tutto è tornato ad essere come se non fosse mai successo niente».
Antonino Cannavacciuolo e Giorgio Locatelli?
«Loro sono molto più ironici e divertenti. Con Antonino c’è un feeling particolare e Locatelli è quello che cerca di tenere un po’ le fila, altrimenti io e lui scherzeremmo dalla mattina alla sera. Ci frequentiamo anche fuori, a telecamere spente, cosa che non succedeva con gli altri due colleghi... insomma, oggi c’è più complicità».
E se deve scegliere tra tutti i suoi colleghi qualcuno che ama per la cucina?
«Sono stato nel ristorante di Antonino e quel giorno hanno cucinato per me lui e proprio Locatelli... a un certo punto mi sono anche preoccupato del conto. Mi sono detto: se qui mi fanno pagare sono rovinato... Ecco, loro sono bravi-bravi. Per me Antonino oggi vale tre stelle, ha una marcia in più di altri».
Se le chiedo di pensare al piatto che ha mangiato nel corso della sua vita e che più di tutti le è rimasto impresso?
«C’è una cosa che ho mangiato e che mi ha letteralmente cambiato la vita. Un piatto inventato da un grande chef, Igles Corelli. Era un germano reale, quindi selvaggina, ma ripieno di astice, con una salsa ai frutti rossi. Un piatto che ho mangiato nel 1983, che non ho più mangiato che nessuno ha mai più fatto, ma che dava una svolta, un cambiamento totale nella cucina, che passava da quella della nonna, della mamma, della zia a una cucina moderna, contemporanea. Quell’input arrivato da un genio con cui poi ho avuto la fortuna di lavorare, per me ha cambiato tutto. Mi ha trasmesso quella parte di follia gastronomica che nessun altro era stato in grado di comunicarmi».
Erano gli anni del Trigabolo di Argenta, ristorante che ha fatto storia.
«Quel tipo lì cucina era sperimentazione, siamo stati quella roba lì, quel cambiamento gastronomico, negli anni Ottanta. All’inizio non guadagnavamo soldi, tanto che per una volta li chiedevo a mia madre per mettere la benzina nella macchina. Ma è stato fondamentale. Eravamo dei matti interessati alla novità: cucinavamo con la musica di David Bowie a manetta come sottofondo, facevamo cose folli, divertendoci e emozionandoci. E anche ora non mi scordo da dove sono partito: è grazie a quelle persone se ho potuto vivere la vita che ho scelto per me»
Da "Oggi" il 6 gennaio 2022. Bruno Barbieri compie 60 anni e a OGGI si racconta in un’intervista in edicola da domani. Oggi è il re di «MasterChef» ma ricorda quando a 17 anni era sulle navi da crociera: «Lavoravo 19 ore al giorno, le colazioni del mattino erano alle 5, 800 omelette tutte le mattine, le facevo a occhio, guardavo sei padellini insieme. Preparavo 30 uova per la Bernese a mano, se si fossero smontate ti buttavano in mare».
Parla della nonna eccezionale che ha avuto e dei colleghi giudici dice: «Ho sempre pensato che il trio Cannavacciuolo, Barbieri, Locatelli sia quello che ha funzionato di più. È chiaro che Antonino è il giudice con cui ho più feeling, siamo due uomini del sud, io sono in realtà il meridionale del nord. Locatelli poi... c’era bisogno di un paciere e infatti noi lo chiamiamo “l’avvocato”, perché io e Antonino siamo una fiction tutti i giorni.
Quello che mi sono sempre domandato è perché noi non abbiamo un ristorante insieme, perché non abbiamo fatto un film insieme, magari un cinepanettone». E dei 60 anni in arrivo dice scherzoso: «Sono un vero Peter Pan. A 60 anni vivo esattamente come quando ne avevo 30. Certo ti diventano i capelli bianchi, ma non sono mai invecchiato».
Bruno Barbieri: «Mio padre non mi capiva e non mi voleva cuoco. Se sono stato comunista? Chi non lo è stato, in Emilia?». Renato Franco su Il Corriere della Sera il 31 gennaio 2022.
La star di MasterChef ha appena compiuto 60 anni: «Se sono stato comunista? Chi non lo è stato, in Emilia? La "cattiveria" con i concorrenti? Non intendo mai umiliare, sono pungente. La passione per la moda viene da mia madre: son bravissimo a stirare, attaccare bottoni, fare orli».
L'immagine di Bruno Barbieri che la televisione restituisce è duplice: da una parte un uomo entusiasta della vita, dall’altra un giudice inflessibile. La prima impressione sembra legata alla sua terra, come se il carattere fosse specchio del suo spirito emiliano (forse una banalità ma spesso nei luoghi comuni c’è parecchia verità, se no non diventerebbero luoghi comuni). La «cattiveria» sembra piuttosto legata al fatto che Barbieri è prima di tutto esigente con se stesso («poi certo è anche uno show»).
Nato a Medicina, nella pianura che da Bologna porta a Imola, Barbieri trasmette determinazione e tenacia («nella vita non bisogna mollare, ho sempre avuto una gran voglia di arrivare»), ma è un inguaribile ottimista («vivo ogni giorno pensando che sia un bel giorno»).
Altro stereotipo: emiliano e comunista. È così?
«Chi non lo è stato? Noi di quelle parti siamo sempre stati sinistroidi... Non voglio parlare di politica, ma io sono cresciuto nei Festival dell’Unità, era bello perché si imparavano tante cose, c’erano le azdore (le massaie che governano la cucina) che preparavano tagliatelle, tortellini, quintali di ragù... È stata una scuola».
La passione per la moda dalla mamma, l’amore per la cucina dalla nonna...
«Mia mamma lavorava nel tessile, io sono bravissimo a stirare le camicie, ad attaccare i bottoni, a fare l’orlo ai pantaloni... Poi ho sviluppato il gusto per la moda, lo si vede nei miei look che sono diventati un marchio nei miei programmi: mi diverto, mi piace giocare, è il mio modo di essere ed è anche quello che vuole il pubblico. Moda e cucina poi per certi versi non sono così distanti, sono un lavoro di ricerca continua, sperimentazione, conoscenza del passato con lo sguardo rivolto al futuro».
Con suo papà invece ha avuto un rapporto difficile...
«Mio padre era un uomo tutto di un pezzo, di altri tempi, con dei rigori; ha girato il mondo, è stato lontano dalla famiglia. Io faccio parte di un’altra generazione, quella rivoluzionaria degli Anni 70 che ha cambiato lo stile di vita della gente. Io e mio papà abbiamo sempre avuto visioni della vita all’opposto, lui mi voleva ingegnere e invece ho fatto il cuoco. Già questo dice tutto. Eravamo legati da un profondo amore che a volte non avevamo il coraggio di esprimerci l’un l’altro e alla fine eravamo diventati amici. È lui che mi ha insegnato che nella vita non bisogna mai mollare: io ho sempre avuto una gran voglia di arrivare e credo sia morto orgoglioso di quello che ho fatto».
MasterChef ha rivoluzionato la sua carriera, ma anche il costume degli italiani...
«Dal punto di vista personale MasterChef è arrivato come una ciliegina sulla mia torta, è stato un regalo di Dio ottenuto anche grazie a quello che avevo fatto, al mio background di ricerca gastronomica in giro per il mondo. Dal punto di vista del costume ha cambiato il modo di fare cucina, ha rivoluzionato il pensiero culinario delle persone, è stato il grande rivolgimento degli Anni 2000 non solo in Italia, ma nel mondo. Ha fatto capire alla gente che dietro al cibo c’è storia, c’è vita, c’è aggregazione».
MasterChef ha creato anche mostri, tutti oggi si sentono stellati, se la tirano...
«Non sono d’accordo. Ha creato piuttosto stimoli per le persone. Chiunque abbia visto MasterChef ha cambiato la propria anima gastronomica: una volta la gente andava al ristorante per riempirsi la pancia, oggi fa le analisi, critica i piatti, mette in discussione gli chef. Oggi le persone sono più informate, non puoi raccontargli palle, gli chef devono stare attenti. Ma di una cosa sono sicuro: se racconti la verità la vita ti premia sempre».
Il mondo della cucina è solidale o spietato?
«La situazione è cambiata rispetto a tanti anni fa, una volta gli chef erano molto gelosi delle proprie ricette, del proprio lavoro, oggi invece c’è un grande cambiamento - in meglio - in atto in tutto il mondo. Tra gli chef c’è più solidarietà».
Il peccato capitale che non deve mai commettere chi sta in cucina?
«Non preparare qualcosa che non sei in grado di fare: in cucina non si bara, le cose le devi saper fare. Tanti hanno iniziato la carriera con la cucina destrutturata alla Ferran Adrià senza avere il bagaglio di conoscenze adatto, lui ha estremizzato ricette che conosceva benissimo, ma per arrivarci devi intraprendere un lungo percorso di preparazione».
Il suo sgarro non da chef?
«Hamburger e Coca Cola».
Dalla cucina all’ospitalità, lei fa l’arbitro delle gare tra albergatori in 4 Hotel . Il format mostra la competizione feroce tra i protagonisti, specchio forse di quello che vediamo anche nei social: nessuno è disposto ad ammettere che l’altro è piu bravo...
«Quando c’è una competizione è normale che tutti vogliano vincere: 4 Hotel crea e genera posti di lavoro, alimenta business e fatturato, è comprensibile che tutti vogliano avere la meglio. L’hoteleria - mi riferisco non alle grandi catene, ma agli alberghi a conduzione più familiare - era rimasta ferma agli Anni 60. 4 Hotel è un format importante perché sta rivoluzionando le pretese delle persone. E poi è l’occasione per raccontare la storia del nostro Paese, del nostro territorio: siamo 10 spanne sopra le nuvole rispetto agli altri».
Come giudice sa essere ironico, ma anche severo; come il sale, pungente quanto basta: quanto c’è di vero e quanto invece è recitazione di un ruolo?
«Non c’è recitazione, non c’è copione scritto. Io sono così. È chiaro che ci sono dei ruoli e il giudice è lì per fare l’arbitro, per decidere. In cucina conta la creatività, ma ci sono anche regole, organizzazione del lavoro, dosaggi, equilibri gastronomici, incastri di sapori, di profumi, di materie prime. A volte sembro duro, cattivo, ma è una cattiveria che serve a capire dove il concorrente ha sbagliato. Non voglio mai umiliare, ma indicare che c’è una strada migliore. A me piace essere pungente, preciso, stare dalla parte delle verità; divento severissimo se vedo uno che vuol fare il furbo, ma sono così di carattere, sono sempre stato molto esigente con me stesso. Poi non dobbiamo dimenticare che sono programmi tv, show, divertimento...».
Ha appena compiuto 60 anni...
«È solo un numero, è l’anagrafe, so che sono tanti ma penso di viverne altri 40. L’età dipende sempre da come la vivi, da come stai, io sono una persona molto attiva, giro per il mondo. Adesso sono negli Stati Uniti, viaggiare è come mettere la benzina nel motore, e per ora per fortuna ho fatto pochi tagliandi. I miei 60 anni sono scritti sulla carta d’identità, in realtà ne ho 20... ogni tanto ci penso all’età che passa, ma se guardo indietro non ho rammarichi, non ho rimpianti. So che ho fatto del bene anche per gli altri, mi sono sempre comportato correttamente, ho cercato di essere una persona positiva anche con chi mi sta intorno. Non prendo in giro nessuno, non ho scheletri nell’armadio. La sera vado a letto sereno, felice, il resto vien da solo».
Il giorno da rivivere?
«Quando ho preso la prima stella, è quella che non si dimentica mai. Era il 1980, con il ristorante Il Trigabolo di Argenta, sotto la guida dello chef Igles Corelli (uno dei più grandi del pianeta): all’epoca eravamo dei pionieri, era quel momento in cui la cucina della nonna si trasformava in quella moderna, contemporanea. Un momento straordinariamente bello».
La sua filosofia di vita?
«Vivere ogni giorno pensando che sia un bel giorno, mi sveglio sempre positivo, la vita è bella anche se magari attraversi un momento di difficoltà. Tutti quanti abbiamo problemi, ma io non mi perdo mai d’animo. E non dimenticherò mai le persone che mi hanno aiutato. Fino a 30 anni non parlavo, sono stato come una carta assorbente, zitto e occhi aperti, cercando di imparare da tutti i grandi maestri, dai grandi chef. Pensavo che un giorno sarebbe arrivato il mio momento, e poi quel momento è arrivato».
Adesso è protagonista anche di un docufilm, Sosia- La vita degli altri (su Sky Uno dal 9 febbraio), un viaggio nel mondo di chi si sente meglio nei panni di un personaggio famoso...
«Più di dieci anni fa non immaginavo che un giorno sarei stato imitato, che alcune persone volessero vestirsi come me, essere me. Tutto questo da una parte mi ha fatto capire che sono diventato un personaggio pubblico; dall’altra mi carica addosso una grossa responsabilità».
Lei sogna di poter fare un film con Johnny Depp sul mondo della cucina o in alternativa di poter cucinare per lui. Da dove nasce questa passione per Depp?
«Credo che lui sia un po’ come me, è una persona eclettica, un trasformista, e io mi sento così. Riesce a cambiare i propri personaggi, sa cambiare nei suoi lavori, è gioioso, divertente, fuori dagli schemi. Sregolato come noi chef».
Michele Gravino per “Il Venerdì di Repubblica” l'1 maggio 2022.
Prima dei talent show c'erano i talent scout. Prima dei video autopromozionali su YouTube o TikTok c'erano locali notturni, teatrini scalcinati o festival di provincia in cui comici e cantanti si esibivano sperando che tra il pubblico fosse seduta la persona che li avrebbe scoperti e condotti alla fama.
Magari fino alla tv. Anzi, alla Rai-tivvù. Ecco, per parecchi dei personaggi che hanno fatto e continuano a fare la storia della televisione italiana, quella persona è stata Bruno Voglino. Questo signore piemontese, che ha da poco compiuto novant' anni e se li porta benissimo, ha fatto debuttare in televisione Carlo Verdone («in teatro a vederlo eravamo in tre») e la Smorfia di Troisi («un collega mi disse: "Ho visto tre napoletani, la solita roba"; e invece era drammaturgia del miglior lignaggio»), Piero Chiambretti («al primo provino venne in camicia, calze e mutande a pois») e Maurizio Crozza, Luciana Littizzetto e Fabio Fazio («mi chiama mamma»).
Ha ideato o collaborato a programmi mitologici, dal Non stop degli anni 70 a Quelli che il calcio ad Avanzi, fino agli esperimenti più arditi della Rai 3 diretta da Angelo Guglielmi, come Cinico Tv. Ora, dopo una vita dietro le quinte (ma anche un po' davanti: fu il "preside" del primo Saranno famosi di Maria De Filippi, addirittura su Canale 5, «ma ero solo decorativo») si racconta in L'esondante ben temperato, appena uscito per Castelvecchi.
Un libretto di «ricordi, incazzature, malinconie» in ordine sparso: si passa da un elogio dei gatti alla memoria della guerra e della fame, da un Vittorio De Sica preoccupato per le ambizioni artistiche del figlio Christian alla leggendaria agendina di Gianni Minà («pesa due chili e mezzo»), dal proprio matrimonio, officiato da un funzionario del Comune più squinternato di Mr Bean, al Grande Torino visto allo stadio Filadelfia. «Sono vedovo, vivo da solo, ogni tanto ho bisogno di esondare. Ma senza esagerare con la lunghezza o i piagnistei, e soprattutto senza prendermi sul serio. Per mestiere ho avuto fin troppo a che fare con gente dall'ego smisurato».
Che Rai era quella in cui entrò per concorso nei primi anni 60?
«Con tutti i suoi difetti era un luogo d'eccellenza. C'erano intellettuali veri, attenti alla società, non chiusi in una torre d'avorio. Pieni di slancio pedagogico verso un Paese tutto da ricostruire, anche dal punto di vista culturale. I democristiani colsero al volo l'occasione, la sinistra era come spesso in ritardo».
Lei però era di sinistra.
«Sì, ma sa come si diceva: tocca assumere un democristiano, un socialista e uno bravo. Si vede che io ero uno di quelli, anche se non sono mai stato considerato affidabile da nessun partito. Per fortuna».
A proposito di ego, chi l'aveva più smisurato, Pippo Baudo o Mike Bongiorno?
«Domanda tremenda! Pippo è sempre stato più intelligente dei suoi programmi. Resta un figlio della tv pedagogica: deve spiegare tutto, anche che il martedì viene dopo il lunedì, nel caso qualcuno del pubblico non lo sappia».
E Mike?
«Grande professionista, disciplinatissimo ma, come dire, un po' più limitato. Molto rispettoso delle competenze. Ripeteva sempre: "Se lo dici tu che hai studiato..."».
È vero che ha fatto di tutto per portarla alla tv di Berlusconi?
«Ne era innamorato. Mi tempestava di telefonate, mi prometteva mari e monti. Alla fine l'ho incontrato, il Cavaliere. Molto simpatico. Ma ho capito subito che il suo modello di tv avrebbe rincretinito gli italiani. Ho declinato cortesemente: "Guardi, non fa per me"».
L'avvento del Cavaliere fu un duro colpo per voi della tv pubblica...
«Negli anni Ottanta aprì una sede in viale Mazzini, proprio di fronte al mio ufficio. Io pensavo: da qui con una carabina potrei farlo fuori, ma non ce l'ho e non la saprei usare, mi serve un killer, e dove lo trovo? (ride). Però le prime tv di Berlusconi erano vivaci, spericolate, e costrinsero la Rai a svecchiarsi, a togliersi i paramenti sacri. La nostra Rai 3 fu un frutto di quella stagione».
Da lì viene anche Fabio Fazio.
«Il primo provino lo fece come imitatore, a 17 anni, ma si capiva che c'era qualcosa di più. Di lui apprezzo la capacità di stare a suo agio con tutti, dal giovane comico fino al Papa».
Forse perché è buono con tutti?
«Macché, è un finto buono. Ha uno stile garbato, certo, a volte forse ossequioso, ma è un uomo durissimo. Sa quel che vuole e lo difende con le unghie e con i denti. E compila liste di buoni e cattivi».
C'è un suo ex collega di cui si parla molto, Carlo Freccero.
«È incredibile: prima il no ai vaccini, ora il negazionismo sulla guerra, farebbe di tutto pur di apparire. Da tempo voglio fondare un Comitato nazionale di liberazione di Freccero da se stesso».
Molti talenti di oggi nascono sul web. Lei gli dà un'occhiata?
«Non molto, mi capita di andare a ravanare, ma trovo molta improvvisazione, molta voglia di esibirsi e poca di sperimentare. Qualcosa di interessante c'è: uno come Lundini viene da quel mondo, magari metà delle cose che fa non fanno ridere, ma si vede che dietro c'è una ricerca».
Il suo maggior rimpianto?
«Che nessuno mi abbia mai nominato presidente del Toro. L'avrei fatto benissimo».
Squilla il telefono: «Mi scusi, è mio figlio». Conversazione molto affettuosa, promessa di vedersi presto. Voglino mette giù con un gran sorriso. Pensavo non avesse figli.
«Non ne ho infatti, era Fabio, non le ho detto che mi chiama mamma? Mi ha fatto i complimenti per il libro. Dice che l'ha letto tutto d'un fiato. Due volte».
Da repubblica.it il 31 agosto 2022.
Dice di voler vivere fino a 110 anni perché ha una bambina piccola e "vorrò essere lì quando avrà quarant'anni", intanto festeggia i suoi primi 50 ed è "entusiasta del traguardo".
Mezzo secolo di Cameron Diaz, californiana di San Diego sbarcata sulle passerelle a 16 anni e a Hollywood a 21 con The Mask - Da zero a mito al fianco di Jim Carrey, una carriera di film di successo poi l'addio alle scene nel 2018 salvo fare un passo indietro e tornare sul set in Back in action, produzione Netflix il cui primo ciak si batterà alla fine dell'anno.
Quattro candidature ai Golden Globe, una ai Premi Bafta e tre agli Screen Actors Guild, Cameron Diaz si è spesso occupata d'altro, ha lanciato un'azienda di vino e con la scrittrice Sandra Bark ha pubblicato The Longevity Book (2016), nella quale si condividono i segreti per invecchiare nel modo giusto.
Conosciuta soprattutto come una delle regine della commedia romantica, protagonista di film super popolari come Tutti pazzi per Mary (1998) (ma anche Essere John Malkovich,1999, e Vanilla Sky, 2001), a proposito di segreti per una bellezza longeva ha detto che il trucco che ha dovuto portare per gran parte della sua vita a causa del suo lavoro le stava rovinando la pelle.
Ora invece non si trucca più e ha notato un miglioramento. Altri consigli? "Non mi lavo mai la faccia", ha detto in un'intervista, aggiungendo che "posseggo un miliardo di prodotti ma li uso solo un paio di volte al mese. Non mi importa, l'ultima cosa a cui penso quotidianamente è come appaio".
Sposata dal 2015 con il musicista Benji Madden, la coppia ha annunciato a sorpresa la nascita della loro primogenita con un post su Instagram nel gennaio del 2020. "Anche se siamo colmi di gioia nel condividere questa notizia - si diceva - sentiamo anche un forte istinto a proteggere la privacy della nostra piccola, per questo non pubblicheremo foto o altri dettagli a eccezione del fatto che è davvero carina".
Da corriere.it l'11 luglio 2022.
Cameron Diaz, bellissima attrice da tempo lontana dagli schermi, la ricordiamo tutti per il suo debutto nel 1994, quando a soli a 21 anni, il regista - nonostante lei non sapesse recitare - la scelse come protagonista nel film The Mask - Da zero a mito, con Jim Carrey. Ma quello che non sappiamo è che prima di questo debutto ci sono state tante difficoltà per l’attrice nata a San Diego.
Una su tutte che poteva diventare una tragedia: inconsapevolmente, è stata un corriere della droga per dei potenti narco trafficanti. Lo ha raccontato lei stessa di recente a Hillary Kerr, in uno dei podcast che fa parte della serie “Second Life” (Seconda vita).
Da ragazza Cameron Diaz decide di trasferirsi da Hollywood a Parigi per intraprendere la carriera di modella, ma «a Parigi non ho lavorato neppure un giorno. In un anno intero nulla. Non sapevo più come sopravvivere». Alla fine arriva un «lavoro» anche se la giovane e inesperta Cameron non immagina certo di diventare un «mulo» della droga; eppure «purtroppo penso davvero di essere stata un “mulo” della droga verso il Marocco, lo giuro su Dio».
Disperata e senza lavoro, ricontatta una delle tante agenzie di modelle a Parigi. Che le propone un lavoretto: trasportare una valigia con i «costumi di scena» da Parigi al Marocco. Lei accetta. Prende il volo, atterra, e all’areoporto marocchino le viene chiesto di aprire la valigia. Cameron comincia a sospettare qualcosa: «Che diavolo di roba c’è in questo bagaglio» si chiede.
Racconta nel podcast: «Per fortuna eravamo negli anni ‘90, non c’erano le misure di sicurezza così rigide come oggi, io ero una bella ragazza bionda con gli occhi azzurri, indossavo jeans strappati e stivali con la zeppa. Ero così... Era tutto così pericoloso...». Si fa coraggio e spiega che lei non ha nessuna idea di cosa ci sia nella valigia e decide lei stessa di consegnarla agli ufficiali dello scalo, riuscendo così ad evitare una condanna di almeno dieci anni per traffico di stupefacenti. Poi, prende subito il primo aereo per tornare a Parigi.
Ma per fortuna tutto ciò è rimasto solo un brutto ricordo, perchè poco dopo sarebbe arrivata la sua grande occasione. Il suo agente la convinse ad andare al provino per «The Mask». Lei inizialmente gli disse: «Sei matto, io non so recitare, non è il mio lavoro». Peraltro i produttori volevano come protagonista femminile Anna Nicole Smith.
Ma il privino andò bene e il regista Chuck Russell volle Cameron nel ruolo di Tina Carlyle, al fianco di Jim Carrey. Seguirono numerosi film di grande successo tra cui Tutti pazzi per Mary. Poi nel 2018, a sorpresa, Cameron Diaz annuncia di essersi ritirata a tempo indeterminato dalla carriera di attrice, per dedicarsi alla sua vita privata.
Ma il mese scordo Diaz - che ad agosto compirà 50 anni - ha annunciato di tornare a fare cinema recitando al fianco di Jamie Foxx in un film per Netflix, «Black in action» «Oh Jamie Foxx solo tu puoi farmi tornare in azione - ha scherzato Cameron - Non vedo l’ora, sarà un grande spasso».
Cameron Diaz è stata fidanzata dal 2003 al 2007 con il cantautore Justin Timberlake . Il 5 gennaio del 2015, si è sposata nella sua casa di Beverly Hills, California, con una cerimonia ebraica con il musicista Benji Madden. La coppia si era conosciuta dieci mesi prima grazie alla sua cara amica e ora cognata, Nicole Richie. Il 3 gennaio 2020 la coppia annuncia, tramite Instagram, la nascita della prima figlia, Raddix Madden, nata tramite madre surrogata il 30 dicembre 2019.
“Non mi lavo quasi mai”. La confessione choc di Cameron Diaz. Francesca Galici il 10 Marzo 2022 su Il Giornale.
Da quando ha lasciato il cinema, Cameron Diaz ha rivelato di prestare poca attenzione al suo aspetto fisico e alla sua igiene personale.
Cameron Diaz da qualche tempo è lontana dal mondo cinematografico e non sembra risentire affatto di questo momentaneo stop al patinato mondo di Hollywood. L'attrice ha deciso di confessarsi a 360 gradi in un'intervista con la BBC Rule Breakers e ha rivelato degli aspetti di sé che in pochi conoscevano e che hanno lasciato di stucco molti dei suoi fan. Infatti, la protagonista del cult Tutti pazzi per Mary ha confessato di non essere particolarmente avvezza alla pulizia personale e di non preoccuparsene più di tanto.
Da quando non ha più una vita pubblica particolarmente intensa, Cameron Diaz non si cura troppo di sé e della sua persona: "Raramente penso al mio aspetto durante il giorno e non mi lavo quasi mai la faccia, nonostante io abbia un miliardo di prodotti per la cura personale... Che prendono polvere sugli scaffali". Una rivelazione inaspettata da parte dell'attrice, che a cavallo tra gli anni Novanta e i Duemila è stata una delle più apprezzate e cercate attrici di Hollywood. Poi l'allontanamento da quel mondo pr cause non ancora note e l'inizio di una nuova vita, con ritmi più lenti e senza la pressione sociale imposta dal suo ruolo, in quel mondo che oggi lei stessa definisce come "una trappola". È lei stessa confessa di vivere come "una selvaggia... Sono una bestia".
Ormai distante dal cinema e senza un'apparente voglia di tornare a recitare a quei livelli e a far parte del jet set hollywoodiano, Cameron Diaz non risparmia critiche aspre a quel tipo di realtà, che pare non appartenerle più: "Sono stata vittima di tutta l'oggettivazione e lo sfruttamento della società a cui sono soggette le donne. Ho vissuto tutto sulla mia pelle in determinati momenti". Dalle sue parole emerge un profondo disagio per aver vissuto quella vita e condanna l'oggettivazione del corpo femminile e a suo avviso "è difficile non guardare te stessa e giudicarti rispetto ad altri indicatori di bellezza, e penso che questa sia una delle cose più gravi... Negli ultimi otto anni però ho cancellato tutto".
Ha cambiato talmente tanto vita da essere entrata in una dimensione completamente diversa, senza schemi sociali e senza regole ma, soprattutto, senza più sentirsi costretta e giudicata dal mondo esterno. Del 2020 Cameron Diaz ha annunciato la nascita di sua figlia tramite madre surrogata.
Caparezza: «Ho l'acufene, ancora pochi concerti poi mi fermo (per ora)». Redazione Spettacolisu Il Corriere della Sera il 24 Giugno 2022
Caparezza aveva spiegato di soffrire di ipoacusia nel brano «Larsen», dove aveva raccontato la sua malattia. Oggi annuncia l'intenzione di ridurre la sua presenza sulle scene (senza però parlare di ritiro): «Non posso rischiare troppo».
Aveva già raccontato della sua malattia in uno dei suoi brani, «Larsen». Ora però Caparezza, al secolo Michele Salvemini, 48 anni, ha annunciato che, a causa dell'acufene e dell'ipoacusia, sarà costretto a fermarsi dopo le 20 date del tour estivo.
In un'intervista a Il resto del Carlino, il rapper ha spiegato: «Faccio questi venti concerti e mi fermo. Non posso rischiare troppo».
Secondo Caparezza tutto ciò dipende: «dall’attività live. D’altronde nella vita tutte le cose belle finiscono col toglierti qualcosa. A me questo fischio continuo ha modificato l’udito. Lì per lì, quando ho scoperto di non poter più ascoltare la musica in cuffia, sono andato in crisi, pensando al mio corpo come a una prigione. Così ho provato di tutto, pillole, iniezioni, psicoterapia, ma alla fine ho capito che dovrò semplicemente tenermelo e magari pensare ad altro, distrarmi». E ancora: «Soffrendo di acufene e ipoacusia non posso più fare lunghi giri di concerti come accadeva in passato».
«In questi sette anni di difficoltà ho incontrato tanti colleghi che m’hanno detto senti questo, fatti vedere da quello, io l’ho fatto ma non è cambiato alcunché. Così ho smesso di cercare cure miracolose per il mio deficit uditivo». Il cantautore pugliese dunque alla fine ha ceduto: «Dopo 7 anni di lotta ho capito che devo tenermi il mio deficit uditivo. E pensare ad altro, magari ai fumetti»
E ha deciso di rassegnarsi: senza annunciare il ritiro, ma spiegando che dovrà adattare il suo impegno live alla sua situazione, e annunciando un ritorno di fiamma per «la passione mai sopita per il mondo dei fumetti. Ho seguito un corso di sceneggiatura che un giorno potrebbe dare i suoi frutti, se non in un volume grafico vero e proprio, magari in un lavoro musicale legato al pianeta della striscia disegnata».
Caparezza ha però precisato che, nel suo futuro, vede almeno un altro album (e un altro tour).
Come spiegato nel dettaglio in queste card di Corriere Salute, l'acufene è un disturbo caratterizzato dalla percezione di suoni, come ronzii, fischi, sibili o fruscii, non legati a stimoli esterni. Può essere oggettivo o più spesso soggettivo. Non esiste una cura unica efficace per tutti i tipi di acufene: nei casi in cui si riesce a risalire a una possibile causa, occorre intervenire su quella.
Per esempio, se l’acufene è legato a deficit uditivi si ricorre a protesi acustiche o all’impianto cocleare; se è associato a sindrome di Menière, a emicrania oppure a problemi cervicali o dell’articolazione temporo-mandibolare si interviene con terapie mirate. Può invece essere molto difficoltoso curare i cosiddetti acufeni idiopatici, dei quali non si conosce la causa.
Carla Signoris: gli inizi con i Broncoviz, il matrimonio con Maurizio Crozza e altri 7 segreti su di lei. Arianna Ascione su Il Corriere della Sera il 22 marzo 2022.
Voleva fare la scenografa
«In realtà, io non volevo fare l’attrice, ma la scenografa e alla scuola di Genova mi ero presentata pensando di poter fare un corso di scenografia, che invece non era previsto». Alla recitazione Carla Signoris si è avvicinata un po’ per caso: un giorno l’attrice (tra le protagoniste del legal dramedy «Studio Battaglia» in onda martedì 22 marzo in prima serata su Rai 1) si è ritrovata a vedere i provini della scuola di recitazione al Teatro Stabile di Genova. «Alla fine della mattinata - ha raccontato al Corriere -, la commissione chiede: c’è ancora qualcuno che deve fare il provino? Io alzo la mano così, tanto per fare...Mi danno un testo da leggere, mi fanno fare qualche altro movimento in scena e sono stata presa». Ma questa non è l’unica curiosità su di lei.
Ha girato gli States in autostop
Nata nel capoluogo ligure il 10 ottobre 1958 Carla Signoris a soli 18 anni ha girato l’America in autostop: «Avevo da poco preso la maturità e con una compagna di scuola il cui fidanzato aveva un parente a New York ero riuscita ad ottenere il consenso dei miei genitori a fare questo viaggio: in due mesi ci siamo girate in tondo tutti gli Stati Uniti - ha detto al Corriere -. Un viaggio iperformativo, ma mi ricordo ancora quella notte a Boulder in Colorado e, ripensando a quell’episodio, io il consenso ai miei figli non lo darei mai». Quella notte era andata a fare una passeggiata in un parco enorme con un ragazzo, conosciuto a cena: «A un certo punto arriva una pattuglia di poliziotti, acchiappano il ragazzo, lo sbattono dentro la macchina e se ne vanno. Io resto là come una tonta...non capivo come e perché lo avessero arrestato e comincio a vagare nel parco, finché uno dei poliziotti si deve essere chiesto: chissà dov’è finita quella scema che abbiamo lasciato da sola... e torna indietro. Mi carica in auto e mi porta a fare colazione. Io, nel mio pessimo inglese, quello che parlo ancora adesso, gli chiedo il motivo dell’arresto e l’agente mi spiega che era uno ricercato da tempo in diversi Stati! Forse era un rapinatore, un assassino, uno stupratore... chissà cosa aveva combinato e io non sapevo niente e passeggiavo di notte in un parco con lui!».
I video dei Broncoviz girati in giardino
Durante gli anni Ottanta, dedicati principalmente all’attività teatrale, Carla Signoris, Marcello Cesena, Maurizio Crozza, Ugo Dighero e Mauro Pirovano hanno dato vita al gruppo comico dei Broncoviz (il cui nome è una citazione dal film «Ridere per ridere», commedia cult del 1977 diretta da John Landis e scritta da Zucker-Abrahams-Zucker). «Con Mauri, Ugo Dighero, Marcello Cesena, Mauro Piovano e io l’unica donna: che fatica... Ma ci siamo divertiti da pazzi. Fu Bruno Voglino a volerci per partecipare ad Avanzi, dove i nostri video delle parodie sulle finte pubblicità, Grigiopirla, Caffè Rinko, Soffricini Pintus, eccetera...li giravamo nel giardino di casa». Dopo Avanzi (1992-1994) arriveranno altri due programmi cult di Rai 3: Tunnel (1994) e Hollywood Party (1995).
Il matrimonio con Maurizio Crozza
«Trovo talmente figo Crozza...che me lo sposerei». Carla Signoris è sposata dal 1992 con il comico Maurizio Crozza, da cui ha avuto due figli (Giovanni, oggi attore, e Pietro). I due si sono conosciuti ai tempi del liceo: «Avevamo 14 anni, anzi lui 13 perché è più piccolo di me. Prima ancora che in classe, ci incontravamo alla fermata dell’autobus 41, in via Orsini a Genova. Lui, quando mi ha visto deve aver pensato: madonna quanto mi sta antipatica questa col kilt... eh sì, perché all’epoca, io indossavo rigorosamente questo indumento, poi sono passata al gonnellone e zoccoli in stile femminista hippie». Dopo essersi baciati per la prima volta si sono rimessi insieme soltanto dopo dieci anni: «Quando ci siamo sposati al nostro matrimonio c’erano più ex fidanzati ed ex fidanzate che parenti. E uno dei miei ex è poi diventato addirittura il pediatra dei miei figli».
La carriera tra cinema e tv
L’esordio al cinema di Carla Signoris risale