Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

NOTA BENE

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ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI

(pagine) GIANGRANDE LIBRI

WEB TV: TELE WEB ITALIA

108x36 NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA

 

  

 

L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

ANNO 2022

LO SPETTACOLO

E LO SPORT

UNDICESIMA PARTE

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

  

 

 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

 

 

 

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

INDICE PRIMA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Il Vintage.

Le prevendite.

I Televenditori.

I Balli.

Il Jazz.

La trap.

Il musical è nato a Napoli.

Morti di Fame.

I Laureati.

Poppe al vento.

Il lato eccentrico (folle) dei Vip.

La Tecno ed i Rave.

Alias: i veri nomi.

Woodstock.

Hollywood.

Spettacolo mafioso.

Il menù dei vip.

Il Duo è meglio di Uno.

Non è la Rai.

Abel Ferrara.

Achille Lauro.

Adele.

Adria Arjona.

Adriano Celentano.

Afef Jnifen.

Aida Yespica.

Alan Sorrenti.

Alba Parietti.

Al Bano Carrisi.

Al Pacino.

Alberto Radius.

Aldo, Giovanni e Giacomo.

Alec Baldwin.

Alessandra Amoroso.

Alessandra Celentano.

Alessandra Ferri.

Alessandra Mastronardi.

Alessandro Borghese.

Alessandro Cattelan.

Alessandro Gassman.

Alessandro Greco.

Alessandro Meluzzi.

Alessandro Preziosi.

Alessandro Esposito detto Alessandro Siani.

Alessio Boni.

Alessia Marcuzzi.

Alessia Merz.

Alessio Giannone: Pinuccio.

Alessandro Haber.

Alex Britti.

Alexia.

Alice.

Alfonso Signorini.

Alyson Borromeo.

Alyx Star.

Alvaro Vitali.

Amadeus.

Amanda Lear.

Ambra Angiolini.

Anastacia.

Andrea Bocelli.

Andrea Delogu.

Andrea Roncato e Gigi Sammarchi.

Andrea Sartoretti.

Andrea Zalone.

Andrée Ruth Shammah.

Angela Finocchiaro.

Angelina Jolie.

Angelina Mango.

Angelo Branduardi.

Anna Bettozzi, in arte Ana Bettz.

Anna Falchi.

Anna Galiena.

Anna Maria Barbera.

Anna Mazzamauro.

Ana Mena.

Anna Netrebko.

Anne Hathaway.

Annibale Giannarelli.

Antonella Clerici.

Antonella Elia.

Antonella Ruggiero.

Antonello Venditti e Francesco De Gregori.

Antonino Cannavacciuolo.

Antonio Banderas.

Antonio Capuano.

Antonio Cornacchione.

Antonio Ricci.

Antonio Vaglica.

Après La Classe.

Arisa.

Arnold Schwarzenegger.

Asia e Dario Argento.

 

INDICE SECONDA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Barbara Bouchet.

Barbara D'urso.

Barbra Streisand.

Beatrice Quinta.

Beatrice Rana.

Beatrice Segreti.

Beatrice Venezi.

Belen Rodriguez.

Bella Lexi.

Benedetta D'Anna.

Benedetta Porcaroli.

Benny Benassi.

Peppe Barra.

Beppe Caschetto.

Beppe Vessicchio.

Biagio Antonacci.

Bianca Guaccero.

BigTittyGothEgg o GothEgg.

Billie Eilish.

Blanco. 

Blake Blossom.

Bob Dylan.

Bono Vox.

Boomdabash.

Brad Pitt.

Brigitta Bulgari.

Britney Spears.

Bruce Springsteen.

Bruce Willis.

Bruno Barbieri.

Bruno Voglino.

Cameron Diaz.

Caparezza.

Carla Signoris.

Carlo Conti.

Carlo Freccero.

Carlo Verdone.

Carlos Santana.

Carmen Di Pietro.

Carmen Russo.

Carol Alt.

Carola Moccia, alias La Niña.

Carolina Crescentini.

Carolina Marconi.

Cate Blanchett.

Catherine Deneuve.

Catherine Zeta Jones.

Caterina Caselli.

Céline Dion.

Cesare Cremonini.

Cesare e Mia Bocci.

Chiara Francini.

Chloe Cherry.

Christian De Sica.

Christiane Filangieri.

Claudia Cardinale.

Claudia Gerini.

Claudia Pandolfi.

Claudio Amendola.

Claudio Baglioni.

Claudio Bisio.

Claudio Cecchetto.

Claudio Lippi.

Claudio Santamaria.

Claudio Simonetti.

Coez.

Coma Cose.

Corrado, Sabina e Caterina Guzzanti.

Corrado Tedeschi.

Costantino Della Gherardesca.

Cristiana Capotondi.

Cristiano De André.

Cristiano Donzelli.

Cristiano Malgioglio.

Cristina D'Avena.

Cristina Quaranta.

Dado.

Damion Dayski.

Dan Aykroyd.

Daniel Craig.

Daniela Ferolla.

Daniela Martani.

Daniele Bossari.

Daniele Quartapelle.

Daniele Silvestri.

Dargen D'Amico.

Dario Ballantini.

Dario Salvatori.

Dario Vergassola.

Davide Di Porto.

Davide Sanclimenti.

Diana Del Bufalo.

Dick Van Dyke.

Diego Abatantuono.

Diego Dalla Palma.

Diletta Leotta.

Diletta Leotta.

Diodato.

Dita von Teese.

Ditonellapiaga.

Dominique Sanda.

Don Backy.

Donatella Rettore.

Drusilla Foer.

Dua Lipa.

 

INDICE TERZA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Eden Ivy.

Edoardo Bennato.

Edoardo Leo.

Edoardo Vianello.

Eduardo De Crescenzo.

Edwige Fenech.

El Simba (Alex Simbala).

Elena Lietti.

Elena Sofia Ricci.

Elenoire Casalegno.

Elenoire Ferruzzi.

Eleonora Abbagnato.

Eleonora Giorgi.

Eleonora Pedron.

Elettra Lamborghini.

Elio e le Storie Tese.

Elio Germano.

Elisa Esposito.

Elisabetta Canalis.

Elisabetta Gregoraci.

Elodie.

Elton John.

Ema Stokholma.

Emanuela Fanelli.

Emanuela Folliero.

Emanuele Fasano.

Eminem.

Emma Marrone.

Emma Rose.

Emma Stone.

Emma Thompson.

Enrico Bertolino.

Enrica Bonaccorti.

Enrico Lucci.

Enrico Montesano.

Enrico Papi.

Enrico Ruggeri.

Enrico Vanzina.

Enzo Avitabile.

Enzo Braschi.

Enzo Garinei.

Enzo Ghinazzi in arte Pupo.

Enzo Iacchetti.

Erika Lust.

Ermal Meta.

Eros Ramazzotti.

Eugenio Finardi.

Eva Grimaldi.

Eva Henger.

Fabio Concato.

Fabio Rovazzi.

Fabio Testi.

Fabri Fibra.

Fabrizio Corona.

Fabrizio Moro.

Fanny Ardant.

Fausto Brizzi.

Fausto Leali.

Federica Panicucci.

Ficarra e Picone.

Filippo Neviani: Nek.

Filippo Timi.

Filomena Mastromarino, in arte Malena.

Fiorella Mannoia.

Flavio Briatore.

Flavio Insinna.

Forest Whitaker.

Francesca Cipriani.

Francesca Dellera.

Francesca Fagnani.

Francesca Michielin.

Francesca Manzini.

Francesca Reggiani.

Francesco Facchinetti.

Francesco Gabbani.

Francesco Guccini.

Francesco Sarcina e le Vibrazioni.

Franco Maresco.

Franco Nero.

Franco Trentalance.

Francis Ford Coppola.

Frank Matano.

Frida Bollani.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Gabriel Garko.

Gabriele Lavia.

Gabriele Salvatores.

Gabriele Sbattella.

Gabriele e Silvio Muccino.

Geena Davis.

Gegia.

Gene e Charlie Gnocchi.

Geppi Cucciari.

Gérard Depardieu.

Gerry Scotti.

Ghali.

Giancarlo Giannini.

Gianluca Cofone.

Gianluca Grignani.

Gianna Nannini.

Gianni Amelio.

Gianni Mazza.

Gianni Morandi.

Gianni Togni.

Gigi D’Agostino.

Gigi D’Alessio.

Gigi Marzullo.

Gigliola Cinquetti.

Gina Lollobrigida.

Gino Paoli.

Giorgia Palmas.

Giorgio Assumma.

Giorgio Lauro.

Giorgio Panariello.

Giovanna Mezzogiorno.

Giovanni Allevi.

Giovanni Damian, in arte Sangiovanni.

Giovanni Lindo Ferretti.

Giovanni Scialpi.

Giovanni Truppi.

Giovanni Veronesi.

Giulia Greco.

Giuliana De Sio.

Giulio Rapetti: Mogol.

Giuseppe Gibboni.

Giuseppe Tornatore.

Giusy Ferreri.

Gli Extraliscio.

Gli Stadio.

Guendalina Tavassi.

Guillermo Del Toro.

Guillermo Mariotto.

Guns N' Roses.

Gwen Adora.

Harrison Ford.

Hu.

I Baustelle.

I Cugini di Campagna.

I Depeche Mode.

I Ferragnez.

I Maneskin.

I Negramaro.

I Nomadi.

I Parodi.

I Pooh.

I Soliti Idioti. Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio.

Il Banco: Il Banco del Mutuo Soccorso.

Il Volo.

Ilary Blasi.

Ilona Staller: Cicciolina.

Irama.

Irene Grandi.

Irina Sanpiter.

Isabella Ferrari.

Isabella Ragonese.

Isabella Rossellini.

Iva Zanicchi.

Ivana Spagna.

Ivan Cattaneo.

Ivano Fossati.

Ivano Marescotti.

 

INDICE QUINTA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

J-Ax.

Jacopo Tissi.

Jamie Lee Curtis.

Janet Jackson.

Jeff Goldblum.

Jenna Starr.

Jennifer Aniston.

Jennifer Lopez.

Jerry Calà.

Jessica Rizzo.

Jim Carrey.

Jo Squillo.

Joe Bastianich.

Jodie Foster.

Jon Bon Jovi.

John Landis.

John Travolta.

Johnny Depp.

Johnny Dorelli e Gloria Guida.

José Carreras.

Julia Ann.

Julia Roberts.

Julianne Moore.

Justin Bieber.

Kabir Bedi.

Kathy Valentine.

Katia Ricciarelli.

Kasia Smutniak.

Kate Moss.

Katia Noventa.

Kazumi.

Khadija Jaafari.

Kim Basinger.

Kim Rossi Stuart.

Kirk, Michael (e gli altri) Douglas.

Klaus Davi.

La Rappresentante di Lista.

Laetitia Casta.

Lando Buzzanca.

Laura Chiatti.

Laura Freddi.

Laura Morante.

Laura Pausini.

Le Donatella.

Lello Analfino.

Leonardo Pieraccioni e Laura Torrisi.

Levante.

Liam Neeson.

Liberato è Gennaro Nocerino.

Ligabue.

Liya Silver.

Lila Love.

Liliana Fiorelli.

Liliana Cavani.

Lillo Pasquale Petrolo e Greg Claudio Gregori.

Linda Evangelista.

Lino Banfi.

Linus.

Lizzo.

Lo Stato Sociale.

Loredana Bertè.

Lorella Cuccarini.

Lorenzo Cherubini: Jovanotti.

Lorenzo Zurzolo.

Loretta Goggi.

Lory Del Santo.

Luca Abete.

Luca Argentero.

Luca Barbareschi.

Luca Barbarossa.

Luca Carboni.

Luca e Paolo.

Luca Guadagnino.

Luca Imprudente detto Luchè.

Luca Pasquale Medici: Checco Zalone.

Luca Tommassini.

Luca Zingaretti.

Luce Caponegro in arte Selen.

Lucia Mascino.

Lucrezia Lante della Rovere.

Luigi “Gino” De Crescenzo: Pacifico.

Luigi Strangis.

Luisa Ranieri.

Maccio Capatonda.

Madonna Louise Veronica Ciccone: Madonna.

Mago Forest: Michele Foresta.

Mahmood.

Madame.

Mal.

Malcolm McDowell.

Malena…Milena Mastromarino.

Malika Ayane.

Manuel Agnelli.

Manuela Falorni. Nome d'arte Venere Bianca.

Mara Maionchi.

Mara Sattei.

Mara Venier.

Marcella Bella.

Marco Baldini.

Marco Bellavia.

Marco Castoldi: Morgan.

Marco Columbro.

Marco Giallini.

Marco Leonardi.

Marco Masini.

Marco Marzocca.

Marco Mengoni.

Marco Sasso è Lucrezia Borkia.

Margherita Buy e Caterina De Angelis.

Margherita Vicario.

Maria De Filippi.

Maria Giovanna Elmi.

Maria Grazia Cucinotta.

Marika Milani.

Marina La Rosa.

Marina Marfoglia.

Mario Luttazzo Fegiz.

Marilyn Manson.

Mary Jane.

Marracash.

Martina Colombari.

Massimo Bottura.

Massimo Ceccherini.

Massimo Lopez.

Massimo Ranieri.

Matilda De Angelis.

Matilde Gioli.

Maurizio Lastrico.

Maurizio Pisciottu: Salmo. 

Maurizio Umberto Egidio Coruzzi detto Mauro, detto Platinette.

Mauro Pagani.

Max Felicitas.

Max Gazzè.

Max Giusti.

Max Pezzali.

Max Tortora.

Melanie Griffith.

Melissa Satta.

Memo Remigi.

Michael Bublé.

Michael J. Fox.

Michael Radford.

Michela Giraud.

Michelangelo Vood.

Michele Bravi.

Michele Placido.

Michelle Hunziker.

Mickey Rourke.

Miku Kojima, anzi Saki Shinkai.

Miguel Bosè.

Milena Vukotic.

Miley Cyrus.

Mimmo Locasciulli.

Mira Sorvino.

Miriam Dalmazio.

Monica Bellucci.

Monica Guerritore.

 

INDICE SESTA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Nada.

Nancy Brilli.

Naomi De Crescenzo.

Natalia Estrada.

Natalie Portman.

Natasha Stefanenko.

Natassia Dreams.

Nathaly Caldonazzo.

Neri Parenti.

Nia Nacci.

Nicola Savino.

Nicola Vaporidis.

Nicolas Cage.

Nicole Kidman.

Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko.

Nicoletta Strambelli: Patty Pravo.

Niccolò Fabi.

Nina Moric.

Nino D'Angelo.

Nino Frassica.

Noemi.

Oasis.

Oliver Onions: Guido e Maurizio De Angelis.

Oliver Stone.

Olivia Rodrigo.

Olivia Wilde e Harry Styles.

Omar Pedrini.

Orietta Berti.

Orlando Bloom.

Ornella Muti.

Ornella Vanoni.

Pamela Anderson.

Pamela Prati.

Paola Barale.

Paola Cortellesi.

Paola e Chiara.

Paola Gassman e Ugo Pagliai.

Paola Quattrini.

Paola Turci.

Paolo Belli.

Paolo Bonolis e Sonia Bruganelli.

Paolo Calabresi.

Paolo Conte.

Paolo Crepet.

Paolo Rossi.

Paolo Ruffini.

Paolo Sorrentino.

Patrizia Rossetti.

Patti Smith.

Penélope Cruz.

Peppino Di Capri.

Peter Dinklage.

Phil Collins.

Pier Luigi Pizzi.

Pierfrancesco Diliberto: Pif.

Pietro Diomede.

Pietro Valsecchi.

Pierfrancesco Favino.

Pierluigi Diaco.

Piero Chiambretti.

Pierò Pelù.

Pinguini Tattici Nucleari.

Pino Donaggio.

Pino Insegno.

Pio e Amedeo.

Pippo (Santonastaso).

Peter Gabriel.

Placido Domingo.

Priscilla Salerno.

Pupi Avati.

 

INDICE SETTIMA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Quentin Tarantino.

Raffaele Riefoli: Raf.

Ramona Chorleau.

Raoul Bova e Rocio Munoz Morales.

Raul Cremona.

Raphael Gualazzi.

Red Canzian.

Red Ronnie.

Reya Sunshine.

Renato Pozzetto e Cochi Ponzoni.

Renato Zero.

Renzo Arbore.

Riccardo Chailly.

Riccardo Cocciante.

Riccardo Manera.

Riccardo Milani.

Riccardo Scamarcio.

Ricky Gianco.

Ricky Johnson.

Ricky Martin.

Ricky Portera.

Rihanna.

Ringo.

Rita Dalla Chiesa.

Rita Rusic.

Roberta Beta.

Roberto Bolle.

Roberto Da Crema.

Roberto De Simone.

Roberto Loreti, in arte e in musica Robertino.

Roberto Satti: Bobby Solo.

Roberto Vecchioni.

Robbie Williams.

Rocco Papaleo.

Rocco Siffredi.

Rolling Stones.

Roman Polanski.

Romina Power.

Romy Indy.

Ron: Rosalino Cellamare.

Ron Moss.

Rosanna Lambertucci.

Rosanna Vaudetti.

Rosario Fiorello.

Giuseppe Beppe Fiorello.

Rowan Atkinson.

Russel Crowe.

Rkomi.

Sabina Ciuffini.

Sabrina Ferilli.

Sabrina Impacciatore.

Sabrina Salerno.

Sally D’Angelo.

Salvatore (Totò) Cascio.

Sandra Bullock.

Santi Francesi.

Sara Ricci.

Sara Tommasi.

Scarlett Johansson.

Sebastiano Vitale: Revman.

Selena Gomez.

Serena Dandini.

Serena Grandi.

Serena Rossi.

Sergio e Pietro Castellitto.

Sex Pistols.

Sfera Ebbasta.

Sharon Stone.

Shel Shapiro.

Silvia Salemi.

Silvio Orlando.

Silvio Soldini.

Simona Izzo.

Simona Ventura.

Sinead O’Connor.

Sonia Bergamasco.

Sonia Faccio: Lea di Leo. 

Sonia Grey.

Sophia Loren.

Sophie Marceau.

Stefania Nobile e Wanna Marchi.

Stefania Rocca.

Stefania Sandrelli.

Stefano Accorsi e Fabio Volo.

Stefano Bollani.

Stefano De Martino.

Steve Copeland.

Steven Spielberg.

Stormy Daniels.

Sylvester Stallone.

Sylvie Renée Lubamba.

Tamara Baroni.

Tananai.

Teo Teocoli.

Teresa Saponangelo.

Tiberio Timperi.

Tim Burton.

Tina Cipollari.

Tina Turner.

Tinto Brass.

Tiziano Ferro.

Tom Cruise.

Tom Hanks.

Tommaso Paradiso e TheGiornalisti.

Tommaso Zanello alias Piotta.

Tommy Lee.

Toni Servillo.

Totò Cascio.

U2.

Umberto Smaila.

Umberto Tozzi.

Ultimo.

Uto Ughi.

Valentina Bellucci.

Valentina Cervi.

Valeria Bruni Tedeschi.

Valeria Graci.

Valeria Marini.

Valerio Mastandrea.

Valerio Scanu.

Vanessa Incontrada.

Vanessa Scalera.

Vasco Rossi.

Vera Gemma.

Veronica Pivetti.

Victoria Cabello.

Vincenzo Salemme.

Vinicio Marchioni.

Viola Davis.

Violet Myers.

Virginia Raffaele.

Vittoria Puccini.

Vittorio Brumotti.

Vittorio Cecchi Gori.

Vladimir Luxuria.

Woody Allen.

Yvonne Scio.

Zucchero.

 

INDICE OTTAVA PARTE

 

SOLITO SANREMO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Solito pre Sanremo.

Prima Serata.

Terza Serata. 

Quarta Serata.

Quinta Serata.

Chi ha vinto?

Simil Sanremo: L’Eurovision Song Contest (ESC)

 

INDICE NONA PARTE

 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

I Superman.

Il Body Building.

Quelli che...lo Yoga.

Wags e Fads.

Il Coni.

Gli Arbitri.

Quelli che …il Calcio I Parte.

 

INDICE DECIMA PARTE

 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Quelli che …il Calcio II Parte.

 

INDICE UNDICESIMA PARTE

 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

I Mondiali 2022.

I soldati di S-Ventura. Un manipolo di brocchi. Una squadra di Pippe.

 

INDICE DODICESIMA PARTE

 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

I personal trainer.

Quelli che …La Pallacanestro.

Quelli che …La Pallavolo.

Quelli che..la Palla Ovale.

Quelli che...la Pallina da Golf.

Quelli che …il Subbuteo.

Quelli che…ti picchiano.

Quelli che…i Motori.

La Danza.

Quelli che …l’Atletica.

Quelli che…la bicicletta.

Quelli che …il Tennis.

Quelli che …la Scherma.

I Giochi olimpici invernali.

Quelli che …gli Sci.

Quelli che… l’acqua.

Quelli che si danno …Dama e Scacchi.

Quelli che si danno …all’Ippica.

Il Doping.

 

 

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

UNDICESIMA PARTE

 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        I Mondiali 2022.

(ANSA l'8 luglio 2022) "In dubio pro reo". Si basa su uno dei cardini del diritto penale la decisione del Tribunale federale di Bellinzona che ha assolto Michel Platini e Sepp Blatter dall'accusa di frode ai danni della Fifa. Respinta per insufficienza di prove - se non certe, quanto meno plausibili - la tesi dell'accusa, sostenuta dal procuratore Thomas Hildbrand, che aveva chiesto per entrambi un anno ed 8 mesi di carcere con la condizionale. "I veri colpevoli non sono in aula, ci rivedremo", il minaccioso commento di 'Le Roi', escluso da ogni ambizione di presidenza Fifa dallo scandalo che lo aveva travolto.

La magistratura svizzera riteneva sospetto il pagamento, nel 2011, all'ex presidente Uefa di due milioni di Franchi svizzeri da parte della Fifa. Il Pm, seppur con cautela, aveva adombrato che in realtà fosse il compenso per il sostegno, assicurato da Platini in Consiglio federale, al quarto mandato di Blatter (a capo della Federcalcio mondiale dal 1998 al 2015). 

"La questione se questo pagamento sia collegato alle elezioni deve rimanere aperta, in assenza di prove convincenti", ha ammesso. I due imputati, in aula, hanno ascoltato in silenzio la lettura della sentenza. L'ex Pallone d'Oro ha parlato attraverso un breve comunicato stampa. Per dire che sente di aver "vinto una prima partita", pur alludendo ancora a manipolazioni politiche e giudiziarie volte a rimuoverlo dal potere calcistico. Nel 2015 l'accusa fermò infatti le sue ambizioni di guidare la Fifa "I colpevoli non si sono presentati durante il processo.

Contate su di me, ci ritroveremo" ha aggiunto. Platini sospetta in particolare un ruolo occulto di Gianni Infantino, suo ex braccio destro in Uefa, eletto nel 2016 presidente della Fifa. A sua volta dal 2020 oggetto di un'altra inchiesta per tre incontri segreti con l'ex capo della procura svizzera. Blatter, 86 anni, era accusato di frode, appropriazione indebita di fondi Fifa, cattiva gestione e falsificazione di un documento. Platini (66) di frode, appropriazione indebita, contraffazione e complicità della presunta cattiva gestione di Blatter. Secondo l'accusa il versamento di quei 2 milioni di Franchi non aveva una base legale, tanto che non compare in alcun documento. I due si sono difesi sostenendo che fosse frutto di un 'gentlemen's agreement', orale e senza testimoni, come compenso per il lavoro di consulente Fifa svolto da Platini nel periodo 1998-2002, per il quale però l'ex stella della Juventus era già stato retribuito con 300mila Franchi annui. Il denaro sarebbe stato versato solo nel 2011 perché nel 1999 le finanze della Fifa non lo consentivano. Tesi che Hildbrand ha cercato di smontare dimostrando che all'epoca nelle casse FIFA c'erano "oltre 21 milioni di Franchi in contanti". Ma il Tribunale ha ritenuto che la frode fosse "non accertata con una probabilità al limite della certezza". 

Innocenti. Platini e Blatter sono stati assolti dall’accusa di frode ai danni della Fifa. L'Inkiesta l'8 Luglio 2022.

Il Tribunale penale di Bellinzona non ha accolto le richieste del Pubblico ministero per l’ex presidente dell’Uefa e l’ex numero uno dell’organo di governo del calcio mondiale. Accuse crollate, ora l’ex campione farà causa.

L’ex presidente della Fifa, Sepp Blatter, e l’ex presidente dell’Uefa, Michel Platini, sono stati assolti dall’accusa di frode che riguardava un caso di presunte tangenti. La sentenza è arrivata questa mattina, alle 10, nell’aula magna del Tribunale penale federale svizzero (TPF) a Bellinzona, nel Canton Ticino.

Le richieste della pubblica accusa, che lo scorso 15 giugno aveva chiesto per entrambi un anno e otto mesi di reclusione (con sospensione della pena), sono crollate in pochissimo tempo. I due imputati si sono sempre dichiarati innocenti e il Tribunale ha dato loro ragione.

Le accuse di «cattiva gestione fraudolenta, violazione della fiducia e falsificazione di documenti» risalgono a fatti che sarebbero accaduti nel 2011, quando l’allora numero uno dell’organo di governo del calcio internazionale avrebbe pagato tangenti all’ex stella francese della Juventus e ex numero uno della confederazione del calcio europeo.

Platini non sarà obbligato a restituire i 2 milioni di franchi svizzeri alla Fifa: l’ex capo dell’Uefa era accusato di aver «percepito illegalmente, a spese della Fifa, il pagamento di 2 milioni di franchi svizzeri», cioè circa 1,8 milioni di euro. I due si sono difesi dicendo che quel pagamento era stato fatto sulla base di un accordo verbale stipulato anni prima, quando Platini aveva collaborato come consulente di Blatter. L’accusa sosteneva invece che i 2 milioni di franchi fossero una sorta di «assicurazione» che Blatter stava pagando per garantirsi la rielezione a presidente della Fifa.

L’ex stella della Juventus e della Francia è stato effettivamente consigliere di Blatter tra il 1998 e il 2002, durante il primo mandato del manager svizzero alla testa della Fifa: i due avevano concordato un contratto nel 1999 che attribuiva a Platini un compenso annuo di 300mila franchi svizzeri pagati dalla Fifa.

Nel gennaio 2011 Platini, ormai numero uno dell’Uefa, ha rivendicato il compenso di 2 milioni di franchi svizzeri, ingiustificato secondo l’accusa. Ma i due accusati si sono difesi ribadendo di aver deciso fin dall’inizio uno stipendio annuo di un milione di franchi svizzeri, con un «gentlemen’s agreement» orale.

Nella sua accusa, il Pubblico ministero Thomas Hildbrand ha detto che gli accusati avrebbero «ingannato l’ex direttore delle finanze della Fifa Markus Kattner, con una fattura fittizia che non corrispondeva a un debito esistente, per arricchire illegittimamente Platini prima della rielezione di Blatter, nel giugno 2011, per un quarto mandato, con il sostegno della Uefa». Il Tribunale ha ritenuto che non ci sono prove sufficienti a sostegno di questa tesi.

«Vorrei esprimere la mia felicità per tutti i miei cari e dire che giustizia è stata fatta, dopo sette anni di bugie e manipolazioni», ha detto Platini. «La verità è venuta alla luce durante questo processo e ringrazio profondamente i giudici del tribunale per l’indipendenza della loro decisione. L’ho sempre detto: la mia lotta è stata una lotta contro l’ingiustizia. Ho vinto una prima partita. In questo caso ci sono colpevoli che non sono comparsi durante questo processo. Ci rivedremo perché non mi arrenderò e andrò fino in fondo nella mia ricerca della verità. Passare dall’essere una leggenda del calcio mondiale a un diavolo è molto difficile, soprattutto quando lo si fa in modo totalmente ingiusto».

Da ilnapolista.it il 7 giugno 2022.

Titolo: “Come Gianni Infantino è diventato presidente della Fifa grazie alla magistratura svizzera“. Lo svolgimento non è inedito per la Süddeutsche Zeitung. L’autorevole giornale tedesco ha una passione per Infantino, e ha già pubblicato numerose inchieste sulla sua salita al potere del calcio mondiale. Finora le sue ricostruzioni non sono mai state smentite. 

Secondo la Süddeutsche è ormai acclarato che dietro l’inchiesta scattata ormai sette anni fa per mano della Procura federale svizzera (BA) contro Michel Platini ci sia lui. All’epoca, nel 2015, Platini era presidente dell’Uefa e stava per succedere a Blatter. L’inchiesta sul pagamento di due milioni intercorso tra Blatter e Platini mise fuorigioco Platini e lasciò campo libero a Infantino. Una manovra che “ha cambiato seriamente gli equilibri di potere nel calcio mondiale”, scrive il giornale. 

Ma questo processo è molto più di un procedimento penale contro due eminenti ex funzionari che sono passati alla storia da settembre 2015. E’ forse il più grande scandalo giudiziario svizzero di tutti i tempi”. 

Secondo una ricerca della SZ, “e-mail esplosive sono state cancellate dalle autorità bernesi. E conferma il sospetto che sia stata pagata una tangente presso la BA per avviare questa reazione a catena a favore di Infantino“. Mostra come tutti i tipi di manovre hanno funzionato nel suo interesse”. L’intera faccenda è motivata politicamente ed è il “risultato di una cospirazione”, afferma l’avvocato di Platini Dominique Nellen. 

Da ilnapolista.it l'8 giugno 2022.

Dopo sette anni di fase istruttoria si apre stamattina in Svizzera, presso il Tribunale penale federale di Bellinzona, il processo a Sepp Blatter e Michel Platini. Al centro del caso un presunto indebito pagamento di due milioni di franchi svizzeri dall’allora presidente della Fifa all’allora presidente dell’Uefa. 

Ma è ovviamente molto di più. Ieri la Süddeutsche Zeitung ha ricordato che è ormai acclarato che dietro l’inchiesta ci sia Gianni Infantino, che manovrò la procura svizzera per azzoppare Platini lasciandogli campo libero per la presidenza della Fifa. Un’operazione che “ha cambiato seriamente gli equilibri di potere nel calcio mondiale”, scrive il giornale tedesco.

L’Équipe ovviamente dedica al caso la prima pagina e altre quattro all’interno. Lì dove in Italia regna il calciomercato. Nel suo editoriale, Jean-Philippe Leclaire scrive che questo processo ha “un fantasma dal cranio liscio come una palla da biliardo”: Infantino, appunto. Colui che “è stato il grande beneficiario politico di questa vicenda. Infantino – si domanda L’Équipe – ha approfittato innocentemente di un perfetto ‘colpo’, o ha giocato un ruolo molto più oscuro nelle cadute combinate di Blatter e Platini? Mentre il 99% degli imputati che gridano alla cospirazione sono principalmente paranoici, svizzeri e francesi hanno motivo di credere che la loro caduta potrebbe essere stata accelerata da accordi tra amici, pubblici ministeri svizzeri e leader della nuova Fifa”.

Michael Lauber, l’ex capo della Procura svizzera responsabile delle indagini è stato costretto a dimettersi nel luglio 2020, accusato di aver “nascosto deliberatamente la verità” su tre incontri segreti (ma non tanto) con Infantino. E’ stato avviato anche un procedimento penale nei confronti di Infantino per “istigazione all’abuso di autorità, violazione del segreto d’ufficio e intralcio al procedimento penale”. 

Sulla panchina degli imputati, di fronte alla Corte Penale del TPF, ci sono oltre a Platini e Blatter, anche Nasser al-Khelaïfi, presidente del gruppo beIN e del PSG, e Jérôme Valcke, ex numero 2 dell’organismo mondiale nell’era Blatter.

La storia è ormai nota: avviato il 27 maggio 2015, a Zurigo, dalle autorità americane, il tornado giudiziario del “Fifa-gate” è stato fatale a Platini e Blatter. Il francese all’epoca voleva diventare presidente della Fifa, succedendo proprio al suo ex mentore, “con il quale aveva finito per litigare, sullo sfondo di crudeli giochi politici interni”. L’avvio di un procedimento penale da parte della Procura svizzera a fine settembre 2015, ha chiuso la porta in faccia alle sue ambizioni.

“A margine delle presunte accuse contro i due imputati, questo processo aiuterà a capire come questo pagamento di 2 milioni sia stato portato all’attenzione della Procura svizzera nell’estate del 2015?”, si chiede L’Equipe. Il giudizio è atteso per l’8 luglio.

Da gazzetta.it il 6 aprile 2022.  

Michel Platini, ex presidente dell’Uefa, con un comunicato ha annunciato di avere denunciato Gianni Infantino, attuale presidente della Fifa, con l'accusa di "traffico di influenze illecite". La denuncia è stata presentata lo scorso novembre alla Procura di Parigi e non riguarda soltanto Infantino, ma anche Marco Villiger, ex direttore dei servizi legali per conto della Fifa, come possibile "complice" di questo traffico.

A quanto si è saputo, la denuncia di Platini sarebbe legata all'indagine in corso in Svizzera per fare luce su tre incontri segreti che sarebbero avvenuti tra il 2016 e il 2017 tra Infantino e l'ex procuratore generale svizzero Michael Lauber, incaricato delle indagini sulla Fifa per il periodo tra il 2015 e il 2019. Il traffico di influenze illecite è il reato commesso da chi si fa promettere o dare denaro o altri vantaggi sfruttando le sue relazioni con un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. 

Da ilnapolista.it il 13 giugno 2022.

Domani è un giorno importante per il processo Blatter-Platini, in Svizzera. Perché potrebbe prendere una svolta e trasformarsi piano piano in un processo sulla Fifa di Infantino. La difesa ha ottenuto, con pochissimo preavviso, di poter ascoltare in udienza – domani, appunto – la testimonianza dell’ex capo dell’Ufficio economico della Fifa Markus Kattner. Testimonianza contro cui la Fifa si era battuta, appoggiata dalla Procura federale (BA). E’ un passaggio importante, scrive la Süddeutsche Zeitung, che sta seguendo quotidianamente il processo per una attenzione editoriale alle vicende di Gianni Infantino.

Il caso dei 2 milioni di franchi pagati più o meno sotto banco da Blatter e Platini è solo un innesco, e rischia di accendere la miccia di un caso ben più ampio che potrebbe scoppiare tra le mani di Infantino. La teoria è ormai nota: sarebbe proprio Infantino ad aver spinto la procura svizzera ad indagare e processare Platini per avere poi via libera nella scala alla Fifa. Il sospetto è che ci sia stato Infantino dietro l’inchiesta della procura che ha tagliato fuori Blatter e Platini. 

La Fifa e la Procura federale di Bellinzona si trovano davanti un dilemma strategico: la rapida indagine della Procura contro Blatter e Platini deve essere vista come il culmine dell’azione legale, ma al tempo stesso non deve portare davanti alla corte evidenze di “vicinanza” tra la BA di Lauber e la Fifa di Infantino.

Nei resoconti della Süddeutsche spunta Rinaldo Arnold, avvocato cantone del Vallese ed ex compagno di scuola dell’attuale presidente della Fifa. Già l’8 luglio 2015 Arnold collabora con Lauber organizzando persino due degli incontri segreti successivi tra Infantino e il capo della procura, e vi prese parte lui stesso. Una domanda chiave è, scrive il giornale tedesco: cosa aveva da discutere Lauber con gli intimi di Infantino nel luglio 2015? 

Il timore della Fifa è che Markus Kattner potrebbe smentire gran parte dell’impalcatura processuale allestita dall’accusa. Ed è strano perché Kattner è sempre stato vicino a Blatter. E fu avversario di Infantino. La procura e la Fifa dovrebbero essere interessati a farlo deporre, non il contrario… 

Da ilnapolista.it il 20 gennaio 2022.

Ogni volta che Gianni Infantino fa una mossa, c’è un giornale nel mondo che alza l’antenna, registra, analizza e pubblica: la Sueddeutsche Zeitung. L’autorevole quotidiano tedesco non gliene lascia passare una al Presidente della Fifa. Tiene traccia di tutto e unisce i puntini ogni volta che può. 

E così quando Infantino s’è trasferito in Qatar con tutta la famiglia alla Sueddeutsche si sono messi in moto. La teoria dell’inchiesta che ne è seguita è che Infantino abbia lasciato la Svizzera per sfuggire ai suoi guai con la giustizia. “Infantino si comporta come un rifugiato”, ha detto Sepp Blatter (uno che ovviamente ce l’ha con lui per molti motivi) alla SZ.

Le argomentazioni a giustificazione ufficiale del suo trasferimento con tutta la famiglia al seguito (ha anche iscritto due figlie a scuola, a Doha) nel paese che ospiterà la prossima Coppa del Mondo suonano vaghe – scrive la Sueddeutsche – Infantino, secondo Zurigo, lavorerà insieme ad altri dipendenti nell’ufficio Fifa lì se necessario. “Che cosa significhi esattamente nessuno può spiegarlo. 

Il boss ispezionerà personalmente gli ultimi cantieri, col casco in testa? Controllerà la pressione dei palloni? Finora nessun presidente sportivo mondiale si è mai trasferito personalmente in una location per l’evento, soprattutto non con la sua famiglia“.

“Gianni Infantino ora regna sotto il sole del deserto. Si stima che il suo entourage contenga fino a 20 persone, inclusi servi, guardie del corpo e la prole della nuova scuola. Sostiene lui stesso le spese di affitto, si dice a Zurigo. Tuttavia, la questione se Infantino possa utilizzare il jet privato dell’Emiro, ad esempio per i voli verso la Svizzera, rimane senza risposta. 

Circoli bene informati riferiscono che il boss vuole anche spostare dalla Svizzera la stessa associazione mondiale, almeno le parti essenziali. Il dipartimento della concorrenza della Fifa, composto da circa 100 persone, ha già dovuto lasciare la Svizzera. In autunno si trasferisce a Parigi, all’Hotel de la Marine. Il magnifico edificio del 18esimo secolo ospita non solo la squadra di calcio, ma anche la collezione d’arte privata della famiglia regnante di Doha, che contribuisce anche con milioni alla manutenzione dell’edificio. Tutte le strade portano in Qatar!”, continua il giornale.

L’area commerciale della Fifa – sponsorizzazioni e marketing – dovrebbe essere portata negli Stati dal 2023. In Delaware, considerato il paradiso fiscale degli Stati Uniti. I Mondiali del 2026 si svolgeranno lì, tra le altre cose. Il giornale tedesco è sarcastico: “Infantino, nella logica del suo recente trasferimento da Doha, non dovrebbe comunque spostare presto la sua famiglia e il suo entourage tra Messico, Canada e Stati Uniti?“.

“In Svizzera, Infantino è caduto notevolmente in disgrazia presso i politici e il pubblico. Perché tutto questo bizzarro attivismo?” Il motivo è semplice: “Le indagini penali contro Infantino, in corso in Svizzera da dicembre. Il patron Fifa è lontano. Anche solo citarlo in giudizio diventerà complicato”. 

Da corrieredellosport.it il 7 novembre 2022.  

L’allenatore del Liverpool Jürgen Klopp nell’ultima conferenza stampa non ha usato mezzi termini contro l’organizzazione dei Mondiali in Qatar. Il tecnico tedesco ha mostrato da sempre la sua ostilità nei confronti della manifestazione, e nell’ultimo incontro con la stampa ha rincarato la dose denunciando le molteplici difficoltà logistiche.

"Bisogna guardare le cose dal punto di vista dello sport - ha sottolineato Klopp - e dal punto di vista calcistico. La colpa è nostra: non va bene per i giocatori, ed è una cosa che va detta perché 12 anni fa, quando decisero che il Mondiale sarebbe stato organizzato in Qatar, nessuno ha fatto niente. La stampa non ha scritto alcun articolo per denunciare la criticità della scelta, ma le circostanze erano già chiare dodici anni fa. E ora, non possiamo nemmeno fare cambiamenti”.

Il tecnico tedesco è sempre stato molto critico nei confronti del Mondiale in Qatar e ancora una volta ha mostrato il suo disappunto. "Attenzione, in Qatar ci sono persone meravigliose, e il paese non è affatto male - ha precisato Klopp - ma il modo in cui sono andate le cose non è giusto. E tutti - chi più, chi meno - abbiamo lasciato che accadesse. Costruire gli stadi in estate, con 50 gradi è un qualcosa che non va bene per gli esseri umani. Anzi, è una cosa impossibile. Ci sono state molte vittime, ma nessuno ci ha pensato. Nessuno - pur sapendo - ha parlato dei rischi a quali si stava andando incontro in quel momento”.

Da lastampa.it il 6 novembre 2022. 

A pochi giorni dall'inizio del Mondiale di calcio di Qatar 2022 escono nuove rivelazioni dai media svizzeri, secondo i quali il Qatar avrebbe orchestrato un'operazione di intelligence su larga scala e di lunga durata contro l'organo di governo del calcio Fifa, secondo quanto riportato dalla svizzera Srf. L'obiettivo di questi sforzi era impedire al Qatar di essere privato della Coppa del Mondo dopo che la Fifa aveva assegnato il torneo al paese nel 2010, ha affermato Srf che afferma inoltre come l'operazione includeva una società gestita da un ex funzionario della Cia e si estendeva in diversi continenti.

I rappresentanti del Qatar non hanno commentato la questione interpellati dalla dpa. Joseph Blatter, il presidente della Fifa quando il Qatar è stato scelto per ospitare il Mondiale, si è detto «sorpreso» nel vedere queste indiscrezioni su un presunto affare di spionaggio. «Che ci fosse un affare di spionaggio organizzato in Fifa, questo mi ha sorpreso. Ed è allarmante», ha detto Blatter a Srf. Diversi documenti mostrano che Blatter, che è stato presidente della Fifa fino al 2015, era di grande interesse per le spie, afferma il rapporto. Tuttavia, non è chiaro se dopotutto sia stato spiato.

Un altro obiettivo di questa operazione era Theo Zwanziger, presidente della federazione calcistica tedesca (Dfb) fino al 2012, membro del comitato esecutivo della Fifa fino al 2015 e molto critico nei confronti del Qatar. Secondo l'indagine, il Qatar voleva fermare i suoi commenti, come quando ha definito il Paese il «cancro del calcio mondiale» e attorno a Zwanziger è stata costruita una rete, composta da persone che avrebbero dovuto influenzarlo a vantaggio del Qatar. «C'erano un certo numero di persone che mi hanno guidato in quella direzione.

Ovviamente, questo era nell'interesse del Qatar», ha detto Zwanziger a Srf, confrontando i metodi con il lavaggio del cervello. «Quello che hanno sottovalutato, tuttavia, è che non ho rinunciato alla mia opinione nel processo. Questo premio è stato -come ho già detto- un cancro del calcio mondiale», ha aggiunto invitando l'attuale presidente della Fifa Gianni Infantino ad agire, ma ha detto che «non lo farà, ovviamente, perché è un vassallo del Qatar». Infantino non ha commentato.

Il miraggio dello sceicco. Report Rai. PUNTATA DEL 14/11/2022 di Daniele Autieri

Collaborazione di Federico Marconi e Lorenzo Vendemiale 

Immagini di Dario D'India, Giovanni De Faveri, Carlos Dias, Fabio Martinelli e Marco Ronca

Il Qatar è pronto a salire sul palcoscenico internazionale.

A pochi giorni dal calcio d’inizio dei Mondiali Fifa 2022 che si terranno nel piccolo stato del Golfo Persico, un coro di polemiche si solleva da tutto il mondo. Persino diverse nazionali preparano atti eclatanti per denunciare gli abusi sui lavoratori e il mancato rispetto dei diritti civili. Report racconterà lo sfruttamento dei lavoratori, le ipotesi di corruzione, le infiltrazioni criminali, i giochi della grande finanza internazionale, la sfida geopolitica globale, partendo dalle indagini condotte dai giudici di Parigi e di New York che hanno ricostruito i metodi usati dal Qatar per assicurarsi il voto dei membri del Comitato esecutivo della Fifa necessario per ottenere l’assegnazione dei Mondiali 2022. Inchieste che coinvolgono anche l’ex-presidente francese Nicholas Sarkozy e l’ex-presidente della Uefa Michel Platini, indagati a vario titolo per corruzione e traffico di influenze. Report svelerà le attività internazionali di lobbying del piccolo stato del Golfo Persico guidato dallo Sceicco Al Thani, che coinvolgono anche alcuni parlamentari italiani, oltre a rivelare le pressioni esercitate presso la Uefa affinché fosse tenuto un atteggiamento di riguardo nei confronti del Paris Saint Germain, il club di Parigi acquistato dall’Emiro e oggi la casa delle più grandi stelle del calcio, da Mbappè a Messi a Neymar. Sarà ricostruito il metodo Qatar, le pressioni esercitate sui calciatori per rimanere al PSG, ma anche i milioni di euro assicurati ai campioni “amici” per parlare bene in pubblico del Qatar e del Mondiale. Un’inchiesta che è anche un viaggio in Qatar, e che per la prima volta conduce all’interno della grande città dei lavoratori, dove alloggiano milioni di persone, che ogni giorno vengono condotte in città per costruire il sogno dell’Emiro. Un sogno che ha un costo molto alto in termini di diritti umani ma che oggi trova nell’Europa il suo più grande alleato. Dietro al sogno del calcio si cela il business più ricco, quello dell’energia. Il Qatar è infatti uno dei più grandi produttori mondiali di gas liquefatto e si candida oggi a sostituire la Russia per diventare il termosifone d’Europa.

IL MIRAGGIO DELLO SCEICCO Di Daniele Autieri Collaborazione Federico Marconi E Lorenzo Vendemiale Immagini Di Dario D’india, Giovanni De Faveri, Carlos Dias, Fabio Martinelli, Marco Ronca Ricerca Immagini Eva Georganopoulou Montaggio Andrea Masella Grafiche Di Michele Ventrone

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Ancora poche ore e si aprirà una delle edizioni più controverse dei mondiali di calcio della storia. La prima a essere assegnata a un paese arabo, la prima che si gioca d’inverno con tutti i campionati, anche quelli più prestigiosi, fermi. Ma è un campionato che è stato organizzato da un Paese, il Qatar, che ha violato sistematicamente i diritti dell’uomo, quelli conquistati con decenni di battaglie civili, a partire da quelli dei lavoratori che hanno costruito gli stadi. Ma il Qatar ha anche violato i diritti delle donne e anche quelli della comunità LGBTQ. Le relazioni omosessuali sono vietate così come la convivenza. È un paese dove ancora oggi il matrimonio è combinato e dove è negato il diritto alla cittadinanza al figlio di una qatariota che si sposa con uno straniero, mentre invece viene concesso a quello del qatariota che si sposa con una straniera. Ma come ha fatto un paese che conta solo 300 mila qatarioti, cioè quelli che hanno diritto a tutto, a diventare il centro del mondo del calcio? Un paese che fino a pochi anni fa era accusato di finanziare il terrorismo. Ma è anche un paese che ha tra i più alti redditi pro-capite al mondo, vanta il più vasto giacimento di gas naturale della terra e soprattutto ha un fondo sovrano con dentro circa 400 miliardi di dollari, risorse a cui ha attinto per strizzare l’occhiolino alle istituzioni, alla finanza dell’occidente per piegare gli organi del calcio, la Fifa, la Uefa, per concertare con i capi di stato, per organizzare operazioni di spionaggio, per elargire benefit e favori a politici, alcuni anche italiani. Tutto questo per farsi assegnare il mondiale di calcio, il pallino dello sceicco Bin Khalifa e di suo figlio, l’emiro oggi del Qatar, Al Thani, che non ha solamente la passione del calcio, ma anche un obiettivo segreto. I nostri Daniele Autieri e Lorenzo Vendemiale.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Avevo un sogno, far crescere prati verdi nel mezzo del deserto. Inizia da qui la rivoluzione del Qatar, da questo luogo sacro, ostile a ogni forma di vita, che conserva ancora le tracce delle tribù dei beduini che per secoli l’hanno abitato. Le stesse famiglie nomadi che oggi guidano lo stato più ricco del mondo e alla loro testa lo sceicco Tamin bin Hamad Al Thani e suo padre bin Khalifa che prima di lui ha cullato l’ambizione di portare qui il più grande evento sportivo della storia: la coppa del mondo di calcio.

FATMA AL NUAIMI – DIRETTRICE DELLA COMUNICAZIONE - COMITATO SUPREMO QATAR 2022 Il Medio Oriente è stato sempre non capito e questo grande evento sportivo ci permette di instaurare un nuovo dialogo e di ridurre la distanza tra l’est e l’ovest. I visitatori che arriveranno qui potranno toccare con mano la nostra ospitalità e quanto siamo diversi da come veniamo descritti.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Quello che si aprirà il 20 novembre non sarà solo il primo Mondiale del Medio Oriente, ma anche il primo Mondiale d’inverno e il primo Mondiale ospitato in un’unica città, Doha, dove nel giro di sei anni sono stati costruiti otto stadi. Sette di questi dotati di impianti di aria condizionata che permettono di mantenere una temperatura di venti gradi nonostante il caldo torrido all’esterno. Un prodigio dell’ingegneria, ma anche un enorme spreco di risorse che abbiamo potuto toccare con mano all’interno del Lusail, lo stadio che ospiterà la finalissima.

DANIELE AUTIERI Quante persone hanno lavorato per costruire questo stadio?

TAMIN EL ABED – DIRETTORE STADIO LUSAIL Nel complesso circa 10mila persone nella vita dell’intero progetto.

DANIELE AUTIERI Immagino che abbiano dovuto lavorare giorno e notte…

TAMIN EL ABED – DIRETTORE STADIO LUSAIL Sì, è un’opera molto complessa e in particolare negli ultimi due anni è stato necessario lavorare 24 ore su 24.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO A differenza del Lusail, lo stadio 974 è stato pensato per essere interamente smantellato. 974 sono infatti i container navali che compongono il suo scheletro, che saranno smontati dopo l’ultimo match. È l’unico stadio senza aria condizionata perché – assicurano i progettisti – la sua struttura favorirà il ricambio d’aria all’interno tenendo le temperature sotto controllo.

 LORENZO VENDEMIALE Il Qatar è uno Stato così piccolo, il mondiale è un evento così grande. Cosa farete con tutti questi stadi dopo il mondiale?

MOHAMED AL ATWAAN - DIRETTORE STADIO 974 Tutti gli stadi costruiti per i mondiali sono stati progettati per avere strutture flessibili, che permettono di ridurre la loro capacità; in questo modo potranno essere usati per il campionato nazionale.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Il Qatar è pronto. La macchina organizzativa scalda i motori e con essa quella della sicurezza. Per la prima volta ci permettono di entrare nell’Aspire Command Centre, il blindato centro ipertecnologico dal quale è possibile controllare e comandare ogni singolo stadio.

LORENZO VENDEMIALE Quante telecamere avete negli stadi?

HAMAD AHMED ALMOHANNADI - DIRETTORE COMMAND AND CONTROL CENTRE QATAR 2022 15mila, quindi circa 2mila camere per ciascuno stadio; in questo modo non esistono angoli ciechi.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Dall’interno del Command Centre è possibile aprire o chiudere un cancello, sbloccare una porta, alzare o abbassare l’aria condizionata, ma soprattutto individuare i comportamenti anomali.

HAMAD AHMED ALMOHANNADI - DIRETTORE COMMAND AND CONTROL CENTRE QATAR 2022 Sì, ma se poi dobbiamo individuare anche il nome e l’identità della persona, a quel punto siamo in contatto con altre autorità dello Stato alle quali possiamo inoltrare una richiesta ufficiale per le informazioni che ci servono.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Il controllo assoluto rimane un imperativo per il Qatar. Nonostante l’autorizzazione del Supreme Commitee for Delivery and Legacy, il Comitato supremo che sta organizzando i Mondiali, ci è vietato riprendere molti luoghi e, in un’occasione, veniamo fermati dall’esercito.

ADDETTO MILITARE Avete fotografato questo edificio?

DANIELE AUTIERI No, no… stavamo solo camminando.

LORENZO VENDEMIALE Nessun edificio governativo, lo sappiamo che non si possono riprendere edifici governativi.

DANIELE AUTIERI Siamo qui con l’autorizzazione del Comitato Supremo della Coppa del Mondo.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Dopo un’ora di attesa in strada il suv nero ricompare, i quattro militari scendono e ci riconsegnano i nostri documenti. Un brutto segnale per un paese che si ispira ancora alla sharia, la legge islamica, un paese che vieta l’alcol così come l’omosessualità, considerata una malattia come dimostrano le sconvolgenti parole pronunciate alla tv tedesca Zdf da Khalid Salman, un ex-calciatore divenuto ambasciatore dei Mondiali del Qatar nel mondo.

GIORNALISTA ZDF Ma nella legge l’omosessualità è proibita

 KHALID SALMAN – AMBASCIATORE MONDIALI QATAR 2022 È “haram”. Sa cosa vuol dire?

GIORNALISTA ZDF Sì, lo so. Ma lei crede che l’omosessualità sia haram?

KHALID SALMAN Sì, è haram. Perché è haram? Non sono un musulmano severo. Ma è haram perché è un danno psicologico. DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO L’intervista a quel punto viene interrotta da uno degli addetti stampa del comitato organizzatore dei Mondiali, ma la frittata ormai è fatta e le parole di Khalid Salman sollevano dubbi enormi sul rispetto dei diritti in Qatar.

DANIELE AUTIERI I diritti della comunità LGBTQ saranno rispettati?

FATMA AL NUAIMI – DIRETTRICE DELLA COMUNICAZIONE - COMITATO SUPREMO QATAR 2022 Questa coppa del mondo non è differente da tutte le edizioni precedenti. Tutti sono benvenuti, indipendentemente dalla loro cultura, l’origine, la razza, il genere, e potranno conoscere la nostra cultura. Voglio dire, ognuno è accettato e rispettato purché non violi i diritti degli altri.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Doha è un cantiere a cielo aperto. Grattacieli, strade, marciapiedi, tutto è in costruzione. E naturalmente gli stadi che ospiteranno i Mondiali. Un miracolo edilizio che si regge sulle braccia di quasi due milioni di operai, provenienti dai paesi più poveri del Sud-Est asiatico.

LORENZO VENDEMIALE Da dove venite?

OPERAIO Bangladesh…

LORENZO VENDEMIALE Bangladesh e tu?

OPERAIO Io vengo dal Nepal.

LORENZO VENDEMIALE E vivete qui

OPERAIO Sì

LORENZO VENDEMIALE A che ora iniziate a lavorare?

OPERAIO Iniziamo la mattina alle cinque.

LORENZO VENDEMIALE E alle cinque del pomeriggio smettete…

OPERAIO Sì.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO L’International Labour Organization è un’agenzia delle Nazioni Unite che vigila sul rispetto dei diritti dei lavoratori. Si è insediata in Qatar nel 2017 per controllare che il paese realizzasse le riforme promesse, prima tra tutte la riforma della legge della Kafala, l’equivalente di una moderna schiavitù.

MAX TUNON – DIRETTORE ORGANIZZAZIONE INTERNATIONALE DEL LAVORO - DOHA È importante che la parte più problematica della legge, sia stata smantellata. Significa che i lavoratori possono lasciare il paese senza chiedere permesso ai datori di lavoro e soprattutto possono cambiare lavoro.

DANIELE AUTIERI Qual è lo stipendio medio di un lavoratore nelle costruzioni?

MAX TUNON – DIRETTORE ORGANIZZAZIONE INTERNATIONALE DEL LAVORO - DOHA 1000 rial al mese, l’equivalente di circa 275 dollari americani.

DANIELE AUTIERI Non è così alto…

MAX TUNON – DIRETTORE ORGANIZZAZIONE INTERNATIONALE DEL LAVORO - DOHA Oltre a questo, però i datori di lavoro devono assicurare cibo e alloggio, altrimenti il salario è più alto.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Dai 300 ai 500 dollari è la paga riconosciuta ai suoi operai da uno dei paesi più ricchi del mondo, dove il reddito medio di ciascuno dei 200mila qatarini che lo abitano supera i 100mila euro. Il direttore della ILO vede il bicchiere mezzo pieno, ma l’organizzazione è stata criticata perché il programma è finanziato dallo stesso governo del Qatar, con un budget di oltre 20 milioni di dollari negli ultimi quattro anni.

DANIELE AUTIERI È vero che una manager della ILO è stata allontanata per essere stata troppo dura con il Qatar?

MAX TUNON – DIRETTORE ORGANIZZAZIONE INTERNATIONALE DEL LAVORO - DOHA Non è vero, immagino che si riferisca alla direttrice dell’International Labour Standard.

DANIELE AUTIERI Secondo la stessa manager l’organizzazione ci andava un po’ leggera nei suoi giudizi per via dei soldi ricevuti dal Qatar. È così?

MAX TUNON – DIRETTORE ORGANIZZAZIONE INTERNATIONALE DEL LAVORO - DOHA Lei ha lasciato il lavoro dopo aver raggiunto l’età pensionistica. Il nostro programma qui è finanziato dallo stato del Qatar, ma siamo indipendenti, pubblichiamo rapporti che raccontano il buono, il brutto e il cattivo, ma lo facciamo in modo costruttivo.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Secondo il Guardian sarebbero più di 6.500 i lavoratori morti in Qatar nei cantieri degli stadi, migranti provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka. La maggior parte di loro è stata alloggiata in una zona industriale a pochi chilometri da Doha. È qui che sorge la città degli invisibili che stanno costruendo il sogno qatarino.

DANIELE AUTIERI Buonasera. È possibile fare alcune immagini all’interno del campo?

ADDETTO SICUREZZA Dovete informare il supervisore del campo.

LORENZO VENDEMIALE Siamo solo fotografi, vorremmo fare qualche fotografia. È possibile?

ADDETTO SICUREZZA Non è permesso.

 DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO L’ingresso in questi campi è vietato. Soprattutto ai giornalisti. Sono blocchi di palazzine basse che si ripetono per chilometri.

DANIELE AUTIERI Ciao, Daniele, piacere di conoscerti. Vivi qui?

 AUTISTA Sì.

DANIELE AUTIERI Da dove vieni?

AUTISTA Pakistan.

LORENZO VENDEMIALE E lavori come autista?

AUTISTA Sì. Prendo i lavoratori qui e…

DANIELE AUTIERI Li prendi qui e li porti in città…

AUTISTA Sì.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO All’esterno i lavoratori vengono caricati su pullman dai vetri oscurati, trasportati in cantiere e riportati alla fine del turno. Pregano, sorridono e ogni mese spediscono la paga alle loro famiglie.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO 2 milioni di lavoratori dai paesi più poveri al mondo. Ma secondo Amnesty International, nonostante la riforma della Kafala, la legge della nuova schiavitù – definiamola così-, ancora oggi i lavoratori subirebbero degli abusi. Per quello che riguarda invece il rispetto dei diritti della comunità LGBTQ, abbiamo sentito come la pensa una delle organizzatrici del mondiale: siete tutti benaccetti, però, se volete vedere i mondiali dovete rispettare le tradizioni e le leggi del nostro paese. Il messaggio è chiaro: bisogna adeguarsi. Però proprio grazie ai lavoratori, il Qatar ha compiuto un prodigio dal punto di vista infrastrutturale: sono stati costruiti a tempo di record otto stadi, sette con l’aria condizionata, che avranno impatto zero, secondo i qatarioti, sull’ambiente. Però c’è chi dubita dei calcoli fatti dagli arabi; infatti, secondo uno studio Fifa, durante il mese del torneo verranno prodotte 3,6 milioni di tonnellate di biossido di carbonio. Il doppio di quante ne erano state emesse nell’ultima edizione del mondiale in Russia. Poi, insomma, siccome il Qatar non poteva gestire la sicurezza con mezzi propri, che cosa ha fatto? Ha comprato i servizi dell’Interpol; un contratto di dieci milioni di dollari. Progetto Stadia si chiama. Poi durante la durata della manifestazione sarà presente anche un contingente interforze, tra cui ci sono anche militari italiani, 560 tra Forze Armate e Carabinieri, con al seguito 46 mezzi terrestri, una nave e due aeromobili. Ecco avevamo detto all’interno di una missione interforze, però a guida Italia comandata del generale Figliuolo. Però nessuno fino a oggi si è posto una domanda: in caso di sommossa, di scontri per la violazione di diritti umani, con chi si schiererà il contingente italiano? Vicino ad Al Thani? E qui si torna alla domanda dell’inizio: come ha fatto il Qatar a ottenere l’assegnazione dei mondiali di calcio? Per capirlo, bisogna riavvolgere il nastro agli ultimi mesi del 2010, quando un pugno di uomini ha deciso le sorti della Coppa del Mondo.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Il 2 dicembre del 2010 il presidente della Fifa Sepp Blatter annuncia radioso che i Mondiali 2018 e 2022 saranno ospitati rispettivamente da Russia e Qatar. Ma fin dalle prime battute emergono dubbi e sospetti sul comportamento dei 24 membri del comitato esecutivo della Fifa, i custodi del calcio ai quali è stato affidato il compito di scrivere il futuro della Coppa del Mondo.

TARIQ PANJA – GIORNALISTA THE NEW YORK TIMES Ancor prima che Blatter aprisse le urne, c’erano già tante accuse nei confronti degli uomini che avevano partecipato alle votazioni.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Blatter risponde alle accuse aprendo un’indagine interna e affidandola al giudice statunitense Michael Garcia.

TARIQ PANJA – GIORNALISTA THE NEW YORK TIMES Alla fine, il Report Garcia viene pubblicato nel 2016, quello che emerge da subito è che in questi processi di assegnazione ogni cosa è possibile.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Nell’ambito delle sue indagini, Garcia chiede anche alla Russia copia dei documenti che avevano portato all’assegnazione dei Mondiali del 2018.

TARIQ PANJA – GIORNALISTA THE NEW YORK TIMES La Russia per esempio dice: vorremmo darvi i nostri computer, ma non possiamo perché non li abbiamo più. E perché? Abbiamo affittato questi computer da una compagnia e loro li hanno distrutti tutti … è incredibile perché la Russia non consegnò neanche un documento.

DANIELE AUTIERI Durante il processo di assegnazione ci sono state tantissime accuse di corruzione. Qual è oggi la posizione del Qatar rispetto a quelle accuse?

FATMA AL-NUAIMI – DIRETTRICE DELLA COMUNICAZIONE - COMITATO SUPREMO QATAR 2022 Se lei si riferisce al Report di Michael Garcia e alla sua investigazione può verificare quanto siamo stati trasparenti e cooperativi su ogni cosa che ci è stata chiesta.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Petros Mavroidis è stato il capo degli investigatori del comitato indipendente istituito dalla Uefa sul Financial Fair Play e oggi insegna alla Columbia University di New York. Lo incontriamo a Ginevra, a pochi chilometri dall’istituzione che governa il calcio europeo. E su come è stata gestita l’inchiesta della Fifa affidata al giudice Garcia storce il naso.

PETROS MAVROIDIS – COMMISSARIO UEFA SUL FINANCIAL FAIR PLAY 2008- 2019 Qatar, forse hanno vinto legalmente, che ne so io? Ma c’erano due tre persone importanti che hanno detto: io ho ricevuto soldi… E non guardiamo poi che cazzo è successo? Come è possibile, come è possibile?

DANIELE AUTIERI Cioè l’indagine della Fifa è stata superficiale…

PETROS MAVROIDIS – COMMISSARIO UEFA SUL FINANCIAL FAIR PLAY 2008- 2019 Superficialissima, non superficiale! E sappiamo che ci sono gente che hanno ricevuto soldi, ma nessuno ho indagato.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Alla fine il Report Garcia non trova prove di corruzione, ma arriva comunque parlare di un voto falsato perché non due o tre, ma numerosi membri del Comitato Esecutivo della Fifa «hanno mostrato un evidente disprezzo per il codice etico della Fifa». E hanno accettato benefit e favori, cedendo alle lusinghe del Qatar.

PETROS MAVROIDIS – COMMISSARIO UEFA SUL FINANCIAL FAIR PLAY 2008- 2019 C’era un greco. E mi ha detto: sai non è buono per Qatar perché abbiamo bisogno di fare la pubblicità che siamo innocenti, siamo puliti…

DANIELE AUTIERI Cioè lui lavorava per il Qatar?

PETROS MAVROIDIS – COMMISSARIO UEFA SUL FINANCIAL FAIR PLAY 2008- 2019 Per la federazione.

DANIELE AUTIERI E provava a dare soldi?

PETROS MAVROIDIS – COMMISSARIO UEFA SUL FINANCIAL FAIR PLAY 2008- 2019 Ha guardato…

DANIELE AUTIERI È venuto a sondare…

PETROS MAVROIDIS – COMMISSARIO UEFA SUL FINANCIAL FAIR PLAY 2008- 2019 A sondare, esattamente.

TARIQ PANJA – GIORNALISTA THE NEW YORK TIMES L’unico documento giudiziario ufficiale che dichiara che alcuni membri della Fifa hanno ricevuto regalie e soldi per votare il Qatar viene dal dipartimento di giustizia americano.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Oltre al Report Garcia anche la Corte Federale di New York apre un’inchiesta contro 17 dirigenti sportivi, tra i quali figurano alcuni membri del comitato esecutivo come il presidente della Federazione brasiliana Ricardo Texeira e il vicepresidente della Fifa Jack Warner. Nell’informativa del 18 marzo del 2020 firmata dal Grand Jury si legge che «numerosi membri del comitato esecutivo hanno ricevuto regalie in cambio del loro voto in favore del Qatar».

TARIQ PANJA – GIORNALISTA THE NEW YORK TIMES Quell’inchiesta si concentra su un caso specifico di corruzione nel calcio, ma all’interno di quell’informativa i giudici hanno inserito che alcuni membri sudamericani del comitato esecutivo della Fifa come Texeira e Grondona erano stati pagati per votare il Qatar.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Quando Gianni Infantino sostituisce Sepp Blatter alla guida della Fifa la Federazione prova a riformarsi all’interno, viene istituito un comitato di governance e alla sua guida viene chiamato il professore portoghese Miguel Maduro.

DANIELE AUTIERI Che tipo di istituzione trova quando lei arriva?

MIGUEL POIARES MADURO – PRESIDENTE COMITATO DI GOVERNANCE FIFA 2016-2017 Cambiano i personaggi, cambiano gli attori, ma l’argomento è lo stesso, la forma di comportamento è la stessa, lo stesso problema. E quella in realtà è stata una grande difficoltà.

DANIELE AUTIERI Le elezioni venivano sistematicamente influenzate?

MIGUEL POIARES MADURO – PRESIDENTE COMITATO DI GOVERNANCE FIFA 2016-2017 Io ho avuto un congresso dove le elezioni sono state cancellate in protesta contro di noi, dove il giorno prima delle elezioni il presidente del comitato elettorale ha rifiutato di cambiare le regole per permettere più partecipazione delle donne, come chiedevamo noi, e l’argomento che mi ha dato è: non posso farlo perché tutte le posizioni sono già state distribuite.

DANIELE AUTIERI Quando ha lasciato la Fifa, all’interno non erano preoccupati dei contraccolpi di immagine?

MIGUEL POIARES MADURO – PRESIDENTE COMITATO DI GOVERNANCE FIFA 2016-2017 A una persona molto importante nella Fifa ho detto: noi andiamo via ma voi dovrete spiegare alle persone come mai andiamo via dopo pochi mesi. Questa persona mi ha detto: sì, avremo una settimana di cattiva stampa e poi le cose continueranno come sempre.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Gianni Infantino assicura che le riforme sono state fatte e che la Fifa di oggi non ha nulla a che vedere con quella di allora. Difficile però cancellare le ombre di uno scandalo che è divenuto una questione di geopolitica mondiale. Tanto che in Francia la procura di Parigi ha aperto un’inchiesta che coinvolge l’ex-presidente Nicholas Sarkozy.

JEAN-BAPTISTE SOUFRON – AVVOCATO ASSOCIAZIONE ANTICOR È uno scandalo francese, ed è probabilmente uno dei più grandi scandali del secolo. Non è solo una storia di sport e corruzione, ma c’è molto di più in gioco.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO IL 23 novembre del 2010 Michel Platini viene invitato dall’ex-presidente francese Sarkozy all’Eliseo per un pranzo informale. Intorno al tavolo però c’è un ospite inatteso, l’allora figlio dell’Emiro del Qatar e oggi Emiro dello Stato: lo sceicco Sheikh Tamin Al Thani.

JEAN-BAPTISTE SOUFRON – AVVOCATO ASSOCIAZIONE ANTICOR Al centro dell’incontro c’erano le relazioni diplomatiche tra i due paesi, oltre naturalmente alla candidatura del Qatar a ospitare la Coppa del Mondo.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Il meeting si tiene appena una settimana prima del voto decisivo per l’assegnazione dei Mondiali. Proprio su quell’incontro è stato aperto un procedimento giudiziario per il quale l’ex-presidente francese Sarkozy e l’ex-presidente della Uefa Platini sono indagati a vario titolo per corruzione e traffico d’influenze.

JEAN-BAPTISTE SOUFRON – AVVOCATO ASSOCIAZIONE ANTICOR Dalle indagini è emerso che allo stesso meeting è stata discussa la vendita di armi al Qatar, una delle possibili monete di scambio per l’attribuzione del Mondiale.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO L’accordo si sarebbe chiuso in forza di uno scambio: il Qatar avrebbe acquistato armi dalla Francia e la Francia, nella persona di Platini, avrebbe votato per assegnare il Mondiale al Qatar.

TARIQ PANJA – GIORNALISTA THE NEW YORK TIMES Sepp Blatter aveva un patto con Platini per votare gli Stati Uniti, ma Platini lo ha chiamato all’ultimo minuto dicendogli che avrebbe cambiato il suo voto. Platini ha dichiarato che nessuno gli avesse chiesto apertamente di votare per il Qatar, ma di aver avuto comunque la sensazione che i due commensali lo spingessero a questo.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Dopo l’incontro all’Eliseo, Platini ci ripensa e sostiene il Qatar. L’8 luglio scorso lui e l’ex presidente della Fifa Sepp Blatter vengono assolti da un’accusa di frode nei confronti della Fifa per un pagamento di 2 milioni di franchi svizzeri in favore di Platini, non giustificato da nessun tipo di contratto. All’uscita dal tribunale svizzero di Bellizona nessuno dei due vuole parlare del Qatar

JOSEPH BLATTER – PRESIDENTE FIFA 1998-2015 44 anni passati a lavorare alla Fifa, era davvero importante che questo caso sia stato giudicato per quello che è e non per altro.

 DANIELE AUTIERI La sentenza è anche una risposta alle critiche sui procedimenti d’assegnazione dei mondiali?

MICHEL PLATINI – PRESIDENTE UEFA 2007-2015 No, questi sono dettagli. Non c’entra niente. Si tratta di un arretrato di pagamento pagato nel 2011 per un lavoro che avevo fatto in Francia, punto e basta. Il resto verrà di conseguenza.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO In realtà l’accordo tra il Presidente Sarkozy e il Qatar non avrebbe riguardato solo l’acquisto di armi.

DANIELE AUTIERI Pensa che ci sia stato un accordo anche sullo sport? Noi votiamo per il Qatar e voi comprate il Paris Saint Germain?

JEAN-BAPTISTE SOUFRON – AVVOCATO ASSOCIAZIONE ANTICOR C’erano molte cose che potevano essere scambiate, tra queste anche l’investimento del Qatar nel Paris Saint Germain.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Nel 2011 il fondo sovrano del Qatar acquista il club fino ad allora nelle mani di Sébastien Bazin, imprenditore e amico di Sarkozy. Secondo gli inquirenti di Parigi il presidente e suo figlio Pierre sarebbero intervenuti per convincere l’Emiro a pagare il doppio della cifra pattuita, da 30 a 64 milioni di euro. Una richiesta accettata proprio in virtù dell’accordo dell’Eliseo.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Messo alle strette dalle voci di corruzione, Blatter, che è Presidente della Fifa, l’organo che governa il calcio mondiale, incarica un giudice americano, Michael Garcia, di indagare. Però dopo sei anni, Garcia si arrende. Insomma, scopre che i documenti presentati per la candidatura della Russia ai mondiali erano spariti perché erano stati gettati insieme ai computer. Non riesce neppure a trovare le prove di corruzione per l’assegnazione dei mondiali al Qatar. Rivela tuttavia che ci sarebbero stati dei comportamenti anomali di alcuni membri del comitato esecutivo. Però nel 2020 la Corte Federale di New York, indagando su una corruzione nel calcio importante che coinvolge federazioni internazionali, compresa anche quella americana, scrive che «numerosi membri del comitato esecutivo della Fifa hanno ricevuto regalie in cambio del loro voto in favore del Qatar». Poi c’è da far luce sull’incontro che è avvenuto all’Eliseo il 23 novembre del 2010. Presenti il presidente Nicolas Sarkozy, il presidente della Francia, il presidente dell’Uefa, Michel Platini e quello che sarebbe diventato l’Emiro del Qatar, Al Thani. Ecco, è importante fare attenzione alle date perché Michel Platini aveva stretto un patto d’onore con Blatter, aveva detto io voto gli Stati Uniti. Poi, dopo quell’incontro, che attenzione, si svolge a una settimana dal voto decisivo per l’assegnazione dei Mondiali, chiama Blatter e dice ho cambiato idea, voto il Qatar. Ecco, che cosa è successo in quell’incontro? Insomma, se lo chiedono anche i magistrati, la Procura di Parigi ha aperto un’inchiesta. Indagato per corruzione e traffico di influenze, Sarkozy e Platini perché sospettano che ci sia stato dietro quell’incontro uno scambio: Al Thani avrebbe acquistato delle armi, dei jet in particolare, in cambio del voto di Platini per l’assegnazione al Qatar dei Mondiali. E in quello scambio si sarebbe finito anche l’acquisto del Paris Saint Germain, la squadra di calcio della capitale che era di proprietà di un imprenditore amico di Sarkozy, Sébastien Bazin. Il Paris Saint Germain viene acquistato a un prezzo doppio, 64 milioni di euro, rispetto ai 30 stabiliti. Perché? Si chiedono i magistrati. Inoltre, a un anno dopo viene assunto il figlio di Platini, Laurent Platini, all’interno della Qatar Sport Investment, che sarebbe il braccio sportivo del fondo sovrano che aveva acquistato la squadra parigina. Ma questo è solo un aspetto del soft power del Qatar. Dopo la pubblicità, un minuto solamente, vedremo il resto.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Rieccoci qui. Insomma, è un fatto che dall’ assegnazione dei mondiali, il Qatar abbia comunque aumentato la sua presenza in Europa. In Italia ha acquistato per esempio, la Maison Valentino, poi la Smeralda Holding, che possiede hotel e strutture di prestigio in Costa Smeralda, poi hotel di lusso a Milano come il Gallia e sempre a Milano è anche proprietaria di Coima, che possiede il famoso palazzo, il bosco verticale; e poi sta finanziando anche costruzione di complessi edilizi miliardari nella zona di Porta Nuova. In Gran Bretagna invece il Qatar è il più importante investitore immobiliare: possiede, tra l’altro, i grandi magazzini Harrod’s, l’aeroporto di Heathrow, il grattacielo iconico The Shard, mentre a New York ha acquistato una quota del trust che possiede l’Empire State Building. In Germania è tra gli azionisti di Volkswagen, della Deutsche Bank, della Siemens. In Francia oltre al Paris Saint Germain, ha acquistato quote del marchio Louis Vuitton e della compagnia petrolifera Total, dell'Airbus oltre ad alcuni palazzi storici e alcuni hotel dei più belli di Parigi. La Ville Lumière è diventata il centro degli interessi in Europa del Qatar. È proprio lì che Al Thani ha piazzato un suo amico e un suo uomo: Nasser Al-Khelaifi. Ex-tennista, è diventato l’ambasciatore dello sport del Qatar nel mondo. Ha accumulato intorno a sé un potere tale, da diventare un uomo ingombrante nello sport europeo. All’apparenza è un uomo elegante, anche pacato, ma insomma poi è altrettanto spregiudicato e spietato quando si tratta di far valere la sua volontà. E ne ha fatto le spese anche un campione della nazionale italiana e forse anche un suo uomo che minacciava di rivelare alcuni segreti inconfessabili.

 DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO E così Parigi, da sempre conosciuta come la capitale della cultura, dell’arte, perfino dell’eleganza, diventa anche la capitale del calcio. La Qatar Sports Investments, braccio sportivo del fondo sovrano Qatar Investment Authority, porta a termine l’acquisizione del Paris Saint-Germain, e nella Ville Lumiere sbarcano stelle come Messi, Neymar, Mbappè e l’italiano Marco Verratti. Un’operazione guidata da Nasser Al-Khelaifi, un extennista promosso ambasciatore dello sport qatarino nel mondo.

DANIELE AUTIERI Anche nel caso delle indagini sul financial fair-play è possibile chiedere informazioni a uno stato come il Qatar?

PETROS MAVROIDIS – COMMISSARIO UEFA SUL FINANCIAL FAIR PLAY 2008- 2019 Chiedere sì, puoi sempre chiedere a tutti. Vai in Qatar, ma con chi parli? Con chi? Non c’è nessuno.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO In pochi anni Al-Khelaifi concentra su di sé un enorme potere. Dopo essere stato presidente della Qatar Sports Investment, è oggi presidente del Paris Saint-Germain, membro del comitato di governo della Uefa, presidente dell’ECA, la potente Associazione che rappresenta i club europei, e presidente di BeIN Media Group, la società qatarina che detiene i diritti televisivi miliardari della Champions League, oltre che della Premier League.

PETROS MAVROIDIS – COMMISSARIO UEFA SUL FINANCIAL FAIR PLAY 2008- 2019 Io ho detto alla Uefa è impossibile lavorare con questa gente… però la Uefa aveva paura di dire a Nasser Al Khelaifi devi vendere il PSG a un francese, a un italiano, dove possiamo fare il controllo. Mi dicevano: devi andare in Qatar, parli con l’amministrazione, chiamavo e niente…

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Nel 2018 l’Organismo di controllo finanziario della Uefa, di cui Mavroidis è membro, apre un’indagine sul Paris Saint-Germain. Al termine dell’indagine viene chiesta l’esclusione della squadra dalla Champions League perché, secondo gli investigatori, il club non ha rispettato la regola del financial fair-play. Il Psg presenta ricorso al Tas, il tribunale arbitrale dello sport di Losanna, e il ricorso viene accolto per un vizio procedurale.

DANIELE AUTIERI Le posso chiedere perché lei ha lasciato la Uefa?

PETROS MAVROIDIS – COMMISSARIO UEFA SUL FINANCIAL FAIR PLAY 2008- 2019 Non ero d’accordo con due, tre cose, non ero d’accordo e sono partito. Non posso lavorare in un posto dove non mi sento al 100% ok.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO In realtà Mavroidis ha lasciato la Uefa per una ragione ben più grave rimasta fino ad oggi segreta, che chiama in causa proprio i rapporti tra la massima istituzione che governa il calcio europeo e il Paris Saint-Germain.

PETROS MAVROIDIS – COMMISSARIO UEFA SUL FINANCIAL FAIR PLAY 2008- 2019 Non c’era mai un documento. Mai, la Uefa non distribuisce mai documenti, mai.

DANIELE AUTIERI Ah non c’è il contenuto …

PETROS MAVROIDIS – COMMISSARIO UEFA SUL FINANCIAL FAIR PLAY 2008- 2019 Mai, non fanno mai, mai niente. Tutto è orale. Ho sentito due-tre ex-allievi, che lui andava a Parigi a parlare col Psg, e io non sapevo niente. E dopo mi hanno detto: non dobbiamo fare tantissime domande al PSG perché forse cambia… come lo sai tu? Eh, eh. Prossima discussione. Vaffanculo… e sono partito!

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Nasser Al-Khelaifi non è solo uno degli uomini più potenti del calcio europeo, è anche un intimo amico dello sceicco Tamin bin Hamad Al Thani. Secondo il giornale Liberation avrebbe fatto arrestare e torturare un suo collaboratore che minacciava di rivelare documenti segreti sull’assegnazione del Mondiale al Qatar. Al-Khelaifi nega ma intanto la procura di Parigi ha aperto un’indagine dopo la denuncia dell’uomo, tornato a casa solo dopo aver firmato un patto di segretezza.

JEAN-BAPTISTE SOUFRAN – ASSOCIAZIONE ANTICOR Quei documenti sono stati sequestrati dalla procura e adesso sono secretati. Bisogna vedere se saranno funzionali anche all’indagine parigina sulla Coppa del Mondo, ma soprattutto utili a capire cosa è accaduto tra Nasser, i qatarini, Sarkozy e Platini.

DANIELE AUTIERI È vero che un uomo molto vicino a Nasser Al-Khelaifi è stato arrestato e torturato qui in Qatar per aver trafugato documenti compromettenti sull’assegnazione dei Mondiali?

FATMA AL-NUAIMI – DIRETTRICE DELLA COMUNICAZIONE - COMITATO SUPREMO QATAR 2022 No, non è vero. E come ho già spiegato noi siamo fiduciosi che il nostro processo di assegnazione sia stato pulito e che abbiamo vinto perché eravamo i migliori, nonostante quello che dicono i media, noi non abbiamo nulla da nascondere.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Dalle istituzioni del calcio ai documenti compromettenti, fino agli stessi giocatori del Psg, il metodo è quello del controllo assoluto. Ne fa le spese anche il campione italiano Marco Verratti, fresco di rinnovo milionario. Nel 2017 il Barcellona lo vuole a tutti i costi e il suo agente prepara la cessione. Ma davanti a sé trova il muro di Nasser Al-Khelaifi.

DANIELE AUTIERI Lei è stato convocato da Nasser Al-Khelaifi in quell’occasione?

DONATO DI CAMPLI – EX AGENTE DI MARCO VERRATTI Il presidente mi disse molto chiaramente che se io non smettevo questa trattativa, Marco mi avrebbe lasciato.

DANIELE AUTIERI L’emiro viene mai evocato nei loro discorsi?

DONATO DI CAMPLI – EX AGENTE DI MARCO VERRATTI C’è sempre

DANIELE AUTIERI Questo l’ha detto l’emiro, questo lo vuole l’emiro

DONATO DI CAMPLI – EX AGENTE DI MARCO VERRATTI Al-Khelaifi è l’emiro, Al-Khelaifi parla in nome e per conto dell’emiro.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Il Psg fa pressioni non solo sul procuratore ma anche su Marco Verratti, come dimostra questo audio-messaggio che il giocatore invia al suo agente.

MARCO VERRATTI – CALCIATORE PSG Mi ha chiamato adesso il direttore sportivo con Nasser sopra, mi hanno obbligatoriamente detto che dopo l’allenamento devo fare per forza un’intervista dicendo che non ero d’accordo con le tue parole… hanno fatto un macello comunque…

DANIELE AUTIERI E poi che è successo?

DONATO DI CAMPLI – EX AGENTE DI MARCO VERRATTI E poi è successo che finita la vacanza a Ibiza, Marco decide di andare a Parigi per iniziare il ritiro e in quella circostanza viene obbligato a fare questa intervista che vediamo qua…

MARCO VERRATTI – CALCIATORE PSG Sono stati dei giorni difficili. Ho visto questa mattina un’altra dichiarazione del mio agente. Voglio dire a tutti che non è il mio pensiero, non sono mie parole. Io so che il club ha ancora fiducia in me, e vorrei ancora una volta chiedere scusa.

DANIELE AUTIERI Rettifica tutto…

DONATO DI CAMPLI – EX AGENTE DI MARCO VERRATTI Sì, praticamente smentisce completamente le sue ambizioni, chiaramente addossando le colpe soltanto alla mia iniziativa personale.

DANIELE AUTIERI Si può dire che Verratti è stato quasi obbligato a rimanere là

DONATO DI CAMPLI – EX AGENTE DI MARCO VERRATTI Ne ho certezza, prima di questa intervista Marco è stato chiuso dentro una stanza e obbligato a fare questa intervista. Si vede in maniera talmente chiara, io lo conosco perfettamente non avrebbe mai fatto una cosa del genere senza una pressione del genere.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO In realtà solo pochi giorni prima lo stesso Verratti aveva mandato questo messaggio a Nasser Al-Khelaifi e al direttore del Psg. “Buongiorno direttore, come va? Lo so che avete parlato con il Barcellona e che avete detto no al mio trasferimento. Oggi il mio desiderio è quello di provare nuove avventure e la squadra per cui voglio giocare è il Barcellona. Spero che possiamo trovare una soluzione”. Alla fine la soluzione non si trova. Al-Khelaifi vince, Verratti rimane a Parigi e licenzia il procuratore.

DONATO DI CAMPLI – EX AGENTE DI MARCO VERRATTI Si sono fatti convincere dicendo che avrebbero acquistato Neymar e tale è stato, hanno pagato la clausola di Neymar e hanno preso Neymar.

DANIELE AUTIERI Quando stava lì per Marco ha notato dei collegamenti tra il Paris Saint-Germain e il Qatar anche in relazione ai Mondiali?

DONATO DI CAMPLI – EX AGENTE DI MARCO VERRATTI Chiaramente io credo che sia lo sdoganamento del Qatar verso l’Europa, un modo di comunicare della loro potenza, perché di questo si tratta. In questo momento loro pensano di poter comprare assolutamente tutto.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Il potere si esercita con il controllo. Secondo il portale SwissInfo, dopo l’assegnazione dei Mondiali il Qatar ha avviato un’attività di spionaggio denominata “Project Merciless”, “Operazione Senza Pietà”. Il piano viene affidato a un ex-agente della Cia e alla sua società di consulenza con l’obiettivo di raccogliere informazioni riservate e compromettenti sui dirigenti della Fifa. Un’operazione che prevede un investimento iniziale di 38 milioni di dollari, destinati a lievitare fino a 387 milioni. I soldi, del resto, non sono un problema per il Qatar.

GIAN GAETANO BELLAVIA – ESPERTO DI RICICLAGGIO È chiaro che noi non possiamo conoscere l’origine dei denari del Qatar. Possiamo dire che mentre il fondo sovrano norvegese certamente raccoglie soldi derivanti dalle materie prime del territorio norvegese, quello del Qatar è un fondo sovrano anch’esso non democratico come la Norvegia… Lì c’è l’imperatore del Qatar che si chiamerà…

DANIELE AUTIERI Lo sceicco…

GIAN GAETANO BELLAVIA – ESPERTO DI RICICLAGGIO Lo sceicco non so cosa, il quale probabilmente prende i soldi dell’attività petrolifera che fanno in Qatar e li mette in questo fondo che dovrebbe servire per il sostegno e per il futuro del suo popolo… solo che mi sembra che siano pochini in Qatar…

DANIELE AUTIERI 200mila persone… per 400 miliardi di euro del fondo…

GIAN GAETANO BELLAVIA – ESPERTO DI RICICLAGGIO Ecco, se il mio quartiere che sarà nell’intorno di 200mila persone, avesse 400 miliardi faremmo le feste di quartiere…

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Invece festeggia il Qatar. Ma c’è un’ombra. L’ Operazione Senza Pietà”, in base alla quale, un documento prodotto dai colleghi svizzeri, il Qatar avrebbe incaricato un exagente della Cia di una grande operazione di spionaggio nei confronti di alcuni membri della Fifa, per raccogliere informazioni compromettenti dopo l’assegnazione dei mondiali. Il Qatar nega l'autenticità del documento, però è un fatto il soft power qatariota. Abbiamo visto l’agilità con cui Al Thani ha posto a capo di un club prestigioso come il Psg un suo uomo, Nasser Al-Khelaifi. Che ha raccolto intorno a sé un potere incredibile, ingombrante nell’ambito dello sport europeo: è anche presidente del Qatar Sports Investment, il fondo che ha acquistato il Psg, è presidente dell’associazione che racchiude i club sportivi, e poi è anche presidente del Bein Media Group, l’emittente televisiva mediorientale che ha acquisito i diritti della Champions League e della Premier League. Si tratta di diritti eccellenti, è un campo che determina la vita o la morte dei club e delle nazionali. Bein Media Group quando si è trattato di acquisire i diritti dei Mondiali del 2022 aveva offerto alla Fifa 300 milioni di dollari, poi ha detto: “Se i Mondiali andranno a finire in Qatar vi aggiungo altri 100 milioni di dollari”. Insomma, Al-Khelaifi abbiamo capito è una vera potenza. Ma alle spalle c’è un’ombra. Quella che ha denunciato il giornale in base alla quale secondo alcune testimonianze avrebbe fatto torturare un suo collaboratore che minacciava di rendere pubblici alcuni documenti sulle modalità con cui erano stati assegnati i Mondiali al Qatar. Ora questi documenti sono stati sequestrati e secretati. Al Khelaifi nega questo episodio ma chissà se dentro questi documenti ci sono delle prove che possono chiarire quell’incontro del 2010 all’Eliseo tra Sarkozy, Platini e al Thani dove si è decisa almeno in parte la sorte dell’assegnazione del mondiale. Insomma, si ha l’impressione che nulla debba turbare il soft power qatariota che non bada a spese. Il Comitato organizzatore dei Mondiali ha anche promesso viaggi e biglietti gratis ai tifosi influencer, a patto che non parlino male del Mondiale e del Paese. Si tratta di una grandiosa opera di lobbying condotta in tutto il mondo, che coinvolge anche dei parlamentari. Una delegazione italiana si è recata in Qatar poco tempo fa. Chi è che l’ha organizzata?

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Il 20 marzo scorso una delegazione di sette parlamentari italiani, sei del Movimento 5 Stelle e uno di Forza Italia, atterra a Doha. Ospiti dell’Emiro.

DANIELE AUTIERI Voi chi avete incontrato lì?

GIANLUCA FERRARA – SENATORE M5S 2018-2022 Incontrammo il ministro del lavoro… Comunque anche lì, il solito disco del salario minimo, che era stata superata la kafala, comunque che erano stati fatti passi avanti, poi richiede ancora del tempo il percorso, comunque loro erano proprio impegnati a fare passi avanti. Poi mi sembra che poi la delegazione rimase lì…

DANIELE AUTIERI Alcuni sono rimasti?

GIANLUCA FERRARA – SENATORE M5S 2018-2022 Qualche giorni dopo, sì…

GIANLUCA FERRARA – SENATORE M5S 2018-2022 Ci stava anche un esponente di Forza Italia…

DANIELE AUTIERI Non so magari se c’è questo legame tra loro e Forza Italia…

GIANLUCA FERRARA– SENATORE M5S 2018-2022 Non te lo so dire.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Il Qatar ha ospitato tutti. E lo ha fatto alla grande. Volo in business class e alloggio in un hotel a 5 stelle. Un viaggio “premio” organizzato da una giovanissima di Forza Italia che sul suo profilo Facebook si definisce una mediatrice tra il Qatar e il nostro Paese.

MICHELA COLUCCI – VICECORDINATRICE GIOVANI FORZA ITALIA AVELLINO Io sono stata appunto l’organizzatrice di queste delegazioni parlamentari per conto loro.

DANIELE AUTIERI Ma per conto di chi? C’erano altre persone dietro?

MICHELA COLUCCI – VICECORDINATRICE GIOVANI FORZA ITALIA AVELLINO È ovvio che poi ci sono altri interlocutori, nel senso che ovviamente ci sono anche altre persone di mezzo.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Michela Colucci non dice altro sui suoi interlocutori politici. Quel che è certo è che la giovane di Forza Italia è molto vicina al vicepresidente del Consiglio Antonio Tajani, con cui si è fatta fotografare più volte, e condivide le origini con Fulvio Martuscello, l’europarlamentare di Forza Italia che viene da Avellino ed è oggi membro del gruppo di amicizia tra Unione europea e Qatar.

DANIELE AUTIERI Come sono stati selezionati i parlamentari?

MICHELA COLUCCI – VICECORDINATRICE GIOVANI FORZA ITALIA AVELLINO Le modalità di selezione in realtà sono avvenute attraverso le commissioni di appartenenza loro e attraverso le tematiche che andavamo ad affrontare in Qatar quindi lavoro, diritti umani, occupazione e i mondiali

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Il Qatar è pronto a tutto per promuovere la sua immagine nel mondo. E mentre ospita politici europei, finanzia il Programma Ambassadors, pagando i campioni del calcio per tessere pubblicamente le lodi del Mondiale.

TESTIMONE PROGRAMMA AMBASSADOR Il governo ha istituito un programma di ambasciatori, calciatori conosciuti in tutto il mondo ai quali sono stati offerti soldi per promuovere il Mondiale e il Qatar.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Tra gli ambasciatori del Qatar figurano le stelle del calcio di sempre. David Beckham, al quale sarebbero stati promessi quasi 150 milioni di dollari spalmati in dieci anni, e Zinedine Zidane. Il fuoriclasse francese ha dichiarato di aver incassato circa un milione di euro, destinati alla sua fondazione, ma il nostro testimone ci racconta una storia ben diversa.

TESTIMONE PROGRAMMA AMBASSADOR C’è stato un incontro in Svizzera per chiedere una consulenza e capire come portare in Europa i soldi degli arabi.

DANIELE AUTIERI Di quanto stiamo parlando?

TESTIMONE PROGRAMMA AMBASSADOR Si parlava di più di 10 milioni di euro...

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Oltre dieci milioni di euro per sostenere il Qatar nelle iniziative pubbliche. Nulla di illegale, almeno all’apparenza. Verificare la movimentazione dei soldi è difficile per tutti, soprattutto per l’Unione europea che non ha mai assunto un ruolo di controllo nelle vicende del calcio.

PETROS MAVROIDIS – COMMISSARIO UEFA SUL FINANCIAL FAIR PLAY 2008- 2019 Legalmente dobbiamo chiedere perché …

DANIELE AUTIERI Qualcuno deve chiederlo…

PETROS MAVROIDIS – COMMISSARIO UEFA SUL FINANCIAL FAIR PLAY 2008- 2019 Naturalmente, secondo me quel qualcuno è l’Unione europea ma l’Unione europea non fa niente.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO La vicecoordinatrice dei giovani di Forza Italia di Avellino si fregia di essere una mediatrice tra l’Italia e il Qatar? In base a quali competenze? Dice “ma dietro ci sono altre persone”, non dice quali. E poi a cosa è servito questo viaggio? È una delle trame del soft power del Qatar che in questi anni è diventato partner dell’industria militare italiana. È stato sdoganato anche dall’ex ministro dell’interno, Matteo Salvini. Era il 2018. L’anno prima aveva detto che il Qatar finanziava gruppi terroristici, dopo il viaggio a Doha l’ha scoperto come una risorsa per le aziende italiane. La stessa preoccupazione l’aveva la Lega che aveva preparato un disegno di legge per stoppare, per limitare i finanziamenti del Qatar per costruire moschee, centri per tutelare l’identità musulmana nel nostro Paese. Poi i timori svaniscono quando arrivano le prime commesse di armi. Tra il 2018 e il 2019, primo governo Conte, l’Italia ha venduto a Doha 7 navi da guerra prodotte da Fincantieri per 4 miliardi di euro, 28 elicotteri del progetto europeo NH90 per 3 miliardi di euro, e concordato la commessa di 24 cacciabombardieri, fabbricati dal consorzio Eurofighter partecipato da LeonardoFinmeccanica. E a maggio scorso è anche trapelata la notizia di un accordo ItaliaQatar per costruire dei sommergibili nani strategici. Segno che in questi anni il Qatar si è mosso bene. Anche per smarcarsi dall’isolamento imposto dai Paesi arabi vicini, che temevano irritati dalla politica del Qatar che diventasse il punto di riferimento di molte comunità islamiche nel mondo. Fatto che emerge anche dai “Qatar Papers”, un dossier pubblicato da due giornalisti francesi, dal quale emerge che nel 2014 l’emirato ha sborsato 71 milioni di euro per la costruzione di circa 113 centri di preghiera islamica, di cui 47 sarebbero in Italia. Questo tramite la Qatar Charity Foundation, una fondazione che ha finanziato anche l’alto commissariato dei rifugiati dell’ONU e anche i Musulmani in Kosovo, per difenderli dai serbi spinti da Putin. Tutto questo attivismo ha allarmato i Paesi arabi vicini. Che si sono si preoccupati ancora di più quando il Qatar ha iniziato a investire nella finanza e invadere il campo dell’energia in occidente, anche con la sua campagna acquisti nello sport. Si capisce a questo punto perché Egitto, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Arabia saudita accusino il Qatar di finanziare gruppi terroristici, infastiditi anche dal ruolo di Al Jazeera, accusata di fare propaganda per i qatarioti nel mondo. Nel 2017, Egitto, Arabia saudita, Emirati Arabi, Bahrein, e Yemen decretano l’embargo nei confronti del Qatar. Al Qatar non rimane altro che uscire dall’Opec, investire di più in Occidente, investire di più sulle risorse di gas naturali che possiede, fino al punto di diventare il terzo produttore mondiale dopo Russia e Iran. È a quel punto che i Paesi arabi capiscono che non conviene farsi la lotta fra di loro e nel gennaio del 2021 siglano una pace. Formalmente il Qatar riconosce la leadership all’Arabia Saudita ma mantiene le mani libere nella sostanza di poter continuare a fare affari con la finanza, con il calcio, con il gas. Ma questo conflitto fra Paesi arabi si estende anche all’interno della Premier League, il campionato più ricco del mondo.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Il 14 settembre milioni di inglesi scendono in strada e rendono omaggio al feretro della Regina Elisabetta che da Buckingham Palace raggiunge Westminster Hall. La sera stessa, nel catino di Stamford Bridge, il Chelsea gioca una partita di Champions. Il club saluta così Todd Boehly, il nuovo proprietario che ha acquistato la squadra da Roman Abramovich in un’operazione da 5 miliardi di euro.

DOUG HARMER – OAKWELL SPORTS ADVISORY Per l’acquisto del Chelsea ci sono state 200 manifestazioni di interesse, 20/30 delle quali molto interessanti, ma credo che questo sia inevitabile perché stiamo parlando di uno dei più grandi club nella Lega più importante al mondo.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Doug Harmer è uno dei soci fondatori della Oakwell Sports Advisory, la società di consulenza che offre servizi strategici a fondi e imprenditori che investono nello sport. Tra i suoi clienti, il Manchester City e il CVC Capital Partners, il fondo inglese che ha investito 3 miliardi di euro per acquistare i diritti della Liga spagnola e che da tempo guarda con interesse alla Serie A.

DOUG HARMER – OAKWELL SPORTS ADVISORY Circa l’80% dei club nella Premier League ha alle spalle proprietà straniere. Di questi, circa il 35% è controllato da investitori americani. E più o meno il 20% dei club da investitori o fondi arabi.

DANIELE AUTIERI Quali sono le regole e i controlli per acquistare un club della Premier?

DOUG HARMER – OAKWELL SPORTS ADVISORY Ci sono controlli per verificare il rischio di infiltrazioni criminali, se ci sono provvedimenti giudiziari nei confronti dei soggetti coinvolti.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO I grandi del passato osservano in silenzio. Il calcio è cambiato e i custodi dei suoi valori non sono più i tifosi ma i fondi che pompano miliardi nel sistema. Il 7 ottobre del 2021, poche settimane prima dell’arresto del presunto capo del commando saudita che nel 2018 ha ucciso il giornalista Jamal Khassoggi, il PIF, Public Investment Fund, il fondo sovrano di Riyadh, acquista il Newcastle.

TARIQ PANJA – THE NEW YORK TIMES Ci sono state sollevazioni e proteste, e in molti si sono chiesti come fosse possibile che un team inglese venisse venduto a uno stato che ha questi problemi aperti, come l’omicidio di Khassoggi, il trattamento delle donne, le discriminazioni verso la comunità LGBTQ. La campagna di Jamal Khassoggi ha scritto una lettera alla Premier League così come al governo, chiedendo di bloccare l’operazione, ma alla fine i soldi hanno vinto.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Le presunte responsabilità del Principe regnante nell’omicidio del giornalista del Washington Post non hanno fermato l’arrivo dei dollari del Fondo Sovrano saudita nel calcio inglese.

TARIQ PANJA – THE NEW YORK TIMES Al top del PIF c’è Mohammed Bin Salman, il principe regnante dell’Arabia Saudita. E allora se ne sono usciti con questa soluzione abbastanza curiosa ma legale secondo cui hanno chiesto una rassicurazione che esista una vera separazione tra il governo saudita e le persone che guidano il Newcastle.

DANIELE AUTIERI C’è stata una reale separazione tra la proprietà e il regno saudita?

DOUG HARMER – OAKWELL SPORTS ADVISORY La Premier League ha verificato che ci fosse una separazione legale tra il PIF, la dirigenza del Newcastle e la famiglia reale, e i controlli sono stati molto accurati.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO In realtà, l’operazione di acquisto del Newcastle da parte dei sauditi – rimasta bloccata per oltre un anno – ottiene la luce verde solo quando il Qatar dà il suo via libera alla Premier League.

TARIQ PANJA – THE NEW YORK TIMES L’unica ragione per cui questa operazione si è sbloccata è perché c’è stata la pace tra l’Arabia Saudita e il Qatar.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO La pace è quella siglata all’inizio del 2021, e pone fine all’embargo imposto dall’Arabia Saudita e dagli altri Paesi vicini al Qatar. Ma questo fa capire l’importanza che hanno assunto gli arabi nello sport, così come nell’economia britannica. E così nel giorno in cui si chiude l’operazione del Newcastle, i tifosi inglesi del club festeggiano in strada sventolando le bandiere dell’Arabia Saudita, vestiti con gli abiti tradizionali arabi.

DOUG HARMER – OAKWELL SPORTS ADVISORY Ci sono sempre state persone che hanno utilizzato lo sport per ripulire la propria immagine. Quello che è certo è che investire nel calcio europeo è un buon modo di diversificare gli investimenti di quelle risorse che derivano dai petrodollari.

DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO L’obiettivo del Qatar è prendere il posto della Russia in occidente. Il 28 febbraio la Uefa chiude tutti i rapporti con Gazprom, il colosso del gas russo e uno dei principali sponsor della Champions League. Le bombe cadono su Kyiv. La Russia invade l’Ucraina e inizia una guerra che dura ancora oggi. Il Qatar si affaccia alla finestra europea, nel calcio così come nel business strategico dell’energia.

DANIELE AUTIERI Qual è oggi il ruolo del Qatar nel mercato mondiale del gas liquido?

MASSIMO NICOLAZZI – ESPERTO ENERGIA ISPI Stiamo in realtà parlando del secondo produttore a livello mondiale, soprattutto quando sarà completato l’ampliamento che è in corso del 25% della loro capacità di liquefazione

DANIELE AUTIERI Quindi possiamo immaginare che il Qatar stia lavorando per sostituire la Russia come fornitore privilegiato del gas in Europa…

MASSIMO NICOLAZZI – ESPERTO ENERGIA ISPI Il Qatar è uno di coloro che si candidano alla sostituzione. Quando a dicembre, cioè prima della guerra, ci fu il primo spike di prezzo del gas in Europa e volò sopra i 130, nel giro di due tre settimane 21 gasiere destinate in Asia cambiarono rotta.

SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Il sogno dell’emiro Al Thani è quello di trasformare il Qatar nel termosifone d’Europa. Questo grazie al suo grande giacimento di gas naturale, il più grande al mondo, che sarà anche ampliato grazie a un accordo con Eni, un accordo storico. Il sogno dell’Emiro è quello di sostituirsi alla Russia. E come la Russia ha investito in occidente, ha acquistato squadre di calcio, ha sponsorizzato grandi eventi sportivi, ha praticato il cosiddetto sportswashing, cioè ha anestetizzato le coscienze per ripulirsi una reputazione. Che però è inquinata. Ma the show must go on. A prescindere dal fatto che siano stati schiacciati i diritti dei lavoratori di chi ha costruito quegli stadi, e siano stati violati i diritti delle donne e della comunità LGBTQ. La coscienza europea si è svegliata tardi. La ministra degli Interni tedesca ha criticato la scelta di assegnare i Mondiali al Qatar, la sindaca di Parigi Anne Hidalgo ha annunciato che le partite non saranno trasmesse in piazza. Mentre la Nazionale danese indosserà una terza maglia di colore nero, in segno di lutto per i lavoratori morti nella realizzazione degli stadi. Insomma, la comunità internazionale e le istituzioni hanno abdicato a quei valori sociali, a quei valori dei diritti dell’uomo che non hanno un prezzo. Tuttavia, sono stati venduti in nome del Dio calcio e del dio denaro. In una cultura che chissà perché preferisce, si sente più rassicurata nel vedere due uomini che imbracciano un’arma, un fucile, piuttosto che vedere due uomini che si tengono per mano.

Quegli stadi “usa e vendi” costruiti dai nuovi schiavi. Edoardo Sirignano su L’Identità il 12 Novembre 2022

Cosa c’è dietro gli stadi del Qatar? Il Paese dei mondiali di calcio non è solo grattacieli, sfarzo, salotti e bella vita. C’è un altro mondo, di cui non si parla o meglio ancora di cui non si vuole far sapere nulla. A parte una piccola casta di persone, che dopo aver studiato nei principali college americani, può dirsi al passo con il pianeta, dall’altra parte c’è una nazione fortemente legata a un passato, ricco di storia, tradizione e cultura, ma anche di contraddizioni, storture, arretratezza e soprattutto mancanza di libertà. Lo dice chi ha visitato quei luoghi e pur avendo visto diverse cose positive, si è dovuto ricredere su una realtà, che solo all’apparenza è all’avanguardia. Se ci sono organizzazioni, create ad hoc per parlare di lavoratori, orari e favolette varie che si utilizzano quando si parla di diritti umani, nei fatti esiste un altro mondo. Basta d’altronde visitare Doha, la capitale dei mondiali, per comprendere le due facce della perla del Medio Oriente. A diversi chilometri dagli alberghi di lusso, esistono vere e proprie cittadelle del lavoro, dove non si gira certamente con i Rolex o con le Bentley. Non bastano le visite, organizzate per le delegazioni parlamentari di tutta Europa, a cancellare dei “campi”, dove le parole sfruttamento e punizioni sono all’ordine del giorno. Più di qualcuno visitando gli alloggi, dove risiedono gli afghani, fuggiti dai talebani, dice di rivedere le immagini provenienti dalla Germania nazista. Qualsiasi visitatore di quel campo, inoltre, non può non essere importunato da padri di famiglia che chiedono aiuti per i documenti, indispensabili per tornare dal fratello o dalla moglie in America, Francia, Inghilterra e via dicendo. Se davvero quelle persone possono contare su asili nido, palestre e mense vegetariane, come dicono le associazioni nate per ingannare l’Europa e l’Occidente, certamente non chiedono al primo parlamentare che gli capita davanti di rendergli la vita migliore. Quell’ospitalità, data a chi fugge dagli orrori dei conflitti, sanguinosi non è affatto gratuita. Per vivere nei “casermoni” bisogna lavorare di notte, precisamente dalle sette di sera a quelle del mattino. In una metropoli di cantieri, che spuntano come funghi, non si trova neanche un operaio di giorno. Questo non significa che non piace a quelle persone stare al sole o c’è qualcuno che impedisce di esporsi a temperature troppo elevate. Tutto il contrario. Cinquanta gradi non spaventano chi innalza le nuove cattedrali del calcio. Il problema è che i cantieri sono ben isolati e nascosti dal cartongesso. Quando la sera capita di uscire dall’hotel, perché solo lì puoi bere, sbagliando strada, è facile imbattersi in veri e propri fossati. Questi canali, pieni di fango e detriti, delimitano il perimetro dello sfruttamento. Oltre confini le misure di sicurezza scarseggiano, né ci sono zone ristoro. Si intravedono solo tanti cavi e fili, di cui la maggior parte senza alcuna protezione. Particolarità, ad esempio, sono le imbragature con cui vengono calati dall’alto quei poveretti, che nel 99 per cento dei casi non provengono dal Golfo Persico e che quando alzi la serranda all’alba ti possono sembrare angeli. Stessa tecnica, d’altronde, viene utilizzata per i comuni lavavetri. Una cosa è certa, stiamo parlando di non arabi. Se il reddito medio dei discendenti delle varie tribù locali è pari ai 150mila euro all’anno, quello di un operaio medio non supera i cinquecento euro, almeno come dichiarano le fonti locali. Con questa cifra si deve vivere in un mondo dove la vita costa almeno il doppio di quella italiana. Come fare ad andare avanti? Facile. Indispensabile chiedere aiuto a chi indossa il “thobe”, che per nessuna ragione al mondo si può sporcare. Questi ultimi neanche ci vogliono parlare con i loro sottoposti. Non a caso vengono richiamati, soprattutto dall’Asia, autisti e pseudo-sindacalisti, più simili a Kapo. Una particolarità di questi luoghi sono appunto i pulmini, che nella maggior parte dei casi restano fermi per strada e che nulla hanno a che vedere con le auto blu, messe a disposizione di quelle delegazioni che dovrebbero controllare che tutto funzioni in modo perfetto. Particolarità di questi campi di lavoro, su cui l’occhio certamente si sofferma, sono le scarpe. Esiste un vero e proprio mercato di calzature nei fabbricati destinati a chi deve sporcarsi nella sabbia bollente. Nei dormitori si vive in ciabatte. Non si può certamente consumare una risorsa preziosa, che può essere scambiata solo con un vassoio della mensa. A proposito di alimentazione, nel prossimo capitolo parleremo del menù dei nuovi schiavi. Prima di parlare di morte per gli stadi, è necessario comprendere la vita di chi lascia le famiglie per costruirli. Una cosa è certa, la verità non è quella che ci propina qualche associazione che si occupa di diritti umani e che finanzia viaggi di “falsa conoscenza” in giro per l’Europa. Non si può parlare certamente di morti, senza averli visti. Gli incidenti, d’altronde, sono ovunque. Detto ciò, è lecito interrogarsi sul perché le commissioni d’inchiesta su quanto sta accadendo in vista dell’appuntamento calcistico più importante del pianeta vengano composte solo da chi appunto dovrebbe essere controllato. A dirlo, in qualche incontro istituzionale, sono gli stessi organizzatori della manifestazione, che sottolineano come tocchi a loro risolvere i problemi e quindi monitorare le imprese di cui sono titolari. 

La scalata dell’emiro. La storia degli impresentabili Mondiali in Qatar parte da lontano. Linkiesta il 15 Novembre 2022

L’organizzazione del torneo calcistico più importante di tutti è l’ultimo passo di un percorso lungo quasi sei decenni, che ha messo la piccola monarchia del Golfo sotto i riflettori dell’intero pianeta. Il Financial Times ne ha raccontato i passaggi più rilevanti

I Mondiali in Qatar in pieno autunno, nel cuore della stagione calcistica, sono un’anomalia. Sono un problema per i club, per la compressione dei calendari, per le conseguenze asimmetriche che l’impegno con le Nazionali avrà sulla salute fisica e psicologica dei calciatori da qui alla prossima primavera. E ovviamente negli ultimi anni abbiamo imparato a conoscere motivazioni più grandi e più importanti, dall’ambiente ai diritti umani, che spiegano perché sia un problema giocare tra Doha, Al-Khor e Lusail. Si può riassumere tutto nel mea culpa di Sepp Blatter – ex numero uno della Fifa – di qualche giorno fa, quando ha ammesso che all’epoca l’organo di governo del calcio mondiale commise un grave errore.

Era chiaro fin da subito che l’assegnazione della manifestazione sportiva più importante al piccolo emirato mediorientale avrebbe avuto conseguenze di un certo tipo sull’intera industria del calcio. Ma forse all’epoca nessuno era in grado di mettere tutto nella giusta prospettiva, anche perché in un primo momento era prevalso soprattutto il senso di stupore e sorpresa misto a mistero e curiosità per un evento che si sarebbe realizzato in condizioni inedite.

Lo stesso percorso che ha portato la Fifa ad assegnare i Mondiali al Qatar è una strada piena di curve e strettoie, una storia articolata, complessa, stratificata. L’ha raccontata Andrew England sul Financial Times, in un lungo articolo pieno di dettagli e retroscena, in cui la stessa candidatura del Qatar viene definita «donchisciottesca».

Perché ovviamente una città-stato con una popolazione di poco meno di tre milioni di abitanti non disponeva delle infrastrutture per ospitare centinaia di migliaia di visitatori contemporaneamente, e la cultura ultraconservatrice dell’emirato avrebbe offerto un ambiente molto diverso da quello a cui sono abituati gli spettatori europei, americani e asiatici.

Però il Qatar aveva disponibilità economica praticamente infinita, somme generate dalle riserve di idrocarburi, e la monarchia era determinata a ospitare la prima Coppa del Mondo in Medio Oriente.

«Il giovane avvocato Hassan al-Thawadi, figlio di un diplomatico eloquente e poliglotta, nominato un anno prima amministratore delegato della candidatura del suo Paese, ha passato mesi ad attraversare il mondo per raccogliere sostegno per l’offerta, in particolare tra quelli al di fuori dell’establishment calcistico tradizionale», si legge sul Financial Times, in un passaggio che vengono descritte le classiche dinamiche dell’assegnazione dei Mondiali: con una decina d’anni d’anticipo sull’edizione in questione, la Fifa invita i membri a presentare i loro nomi per l’organizzazione, e i Paesi hanno circa un anno per finalizzare le loro offerte. Sono mesi frenetici, in cui si mette in moto la macchina organizzativa della politica, fatta di pianificazione, lobbying e accordi dietro le quinte.

«Nel dicembre 2010 – racconta England nel suo articolo – la presentazione finale di Thawadi si è svolta al quartier generale della Fifa davanti a un pubblico che includeva primi ministri, reali e calciatori famosi, nonché delegazioni di Paesi rivali. Thawadi è salito sul podio e, in perfetto inglese americano, ha fatto la sua offerta un’ultima volta. Nella delegazione, seduto tra persone che stava cercando di convincere, e quelli che stava cercando di superare, c’era l’uomo responsabile dell’offerta del Qatar: lo sceicco Hamad bin Khalifa al-Thani, allora l’emiro del Paese».

Thawadi si era preoccupato di toccare tutti i punti chiave, a partire dal caldo – che non sarebbe stato un problema «grazie a una tecnologia di raffreddamento in grado di regolare le temperature anche negli enormi stadi all’aperto» – fino alla geopolitica: «Svolgere il torneo in Medio Oriente» avrebbe fatto da ponte «tra il mondo arabo e l’Occidente». Sarebbe stata una scommessa audace, ma non c’erano rischi, diceva Thawadi.

Quando il giorno successivo Blatter aveva annunciato «Qatar», leggendo il bigliettino nella busta che conteneva il nome del prossimo Paese ospitante, tutto il mondo era rimasto a bocca aperta. Era la fine di un percorso lunghissimo, iniziato probabilmente negli anni Sessanta, in maniera del tutto inconsapevole.

«I semi di una Coppa del Mondo ospitata dal Qatar potrebbero essere stati piantati in Inghilterra nell’estate del 1966», si legge sul Financial Times. «Il futuro emiro, al-Thani, e il suo amico Abdullah bin Hamed al-Attiyah, erano adolescenti che frequentavano la scuola estiva nel Regno Unito. Tornati a casa a Doha, si divertivano a giocare a calcio ad al-Bidda, un quartiere del centro. Lo sceicco Hamad, la cui dinastia ha governato il Qatar dal 1850, era capitano della squadra».

Quando Hamad e Attiyah erano stati in Inghilterra, la Nazionale di Sua Maestà aveva vinto la Coppa del Mondo: guardando le strade colorate, la gioia dei tifosi e l’esaltazione dell’Inghilterra, la famiglia reale qatariota iniziava forse a maturare la consapevolezza della grande importanza sociale, economica, politica, rivestita da questo sport, e dai Mondiali in particolare.

In quegli anni il Qatar non aveva ancora le ricchezze di oggi. Per secoli il Paese aveva poggiato la sua economia sul commercio delle perle. Poi il crollo dell’industria negli anni Trenta si era rivelata disastrosa. Le cose erano cambiate di nuovo dopo la Seconda guerra mondiale, con una rinnovata domanda di idrocarburi proveniente da tutto il mondo.

Ma solo a partire dagli anni ’90 una serie di scommesse ad alto rischio aveva spinto la trasformazione del Paese. I governanti del Qatar, con Attiyah come ministro dell’Energia, avevano deciso di scommettere sul gas, in particolare sul gas naturale liquefatto (Gnl), nonostante l’abbondante scetticismo che li circondava.

La storia gli avrebbe dato ragione: «Un rapido e massiccio accumulo di ricchezza aveva messo Doha sulla cartina del mondo e dato fiducia alla famiglia al-Thani, in particolare allo sceicco Hamad, che dal 1995 ha iniziato a modernizzare lo Stato», con investimenti in ogni settore, in particolare con la nascita dell’emittente Al Jazeera, oggi riconosciuta in tutto il mondo.

Intorno alla metà degli anni Duemila, il Qatar è diventato il principale esportatore mondiale di Gnl e ha istituito un fondo sovrano che oggi gestisce asset per circa 450 miliardi di dollari. Solo da quando è stata assegnato il Mondiale del 2022, l’emirato ha investito più di duecento miliardi di dollari in infrastrutture e megaprogetti, inclusi 6,5 miliardi di dollari in stadi e altre strutture destinate alle squadre.

Tutta questa attenzione, però, ha posto lo Stato parecchio in vista, esponendolo a critiche e giudizi: «Nel giro di pochi mesi sono state avanzate accuse di corruzione contro i membri del comitato esecutivo della Fifa che ha assegnato i Mondiali 2018 e 2022 a Russia e Qatar. Il Sunday Times ha individuato due membri della Fifa che sarebbero stati pagati 1,5 milioni di dollari dal Qatar per i loro voti. Le autorità del Qatar hanno negato le accuse», ricorda il Financial Times.

E poi ovviamente ci sono gli enormi scandali sui diritti dei lavoratori impiegati, le inchieste che hanno rivelato migliaia di morti per condizioni di lavoro disumane, l’approccio illiberale con la stampa straniera. In generale, la nuova visibilità dello Stato ha comportato onori e oneri, dal momento che ha legato – anche se principalmente per motivi di business – il Qatar alle democrazie liberali dell’Occidente.

L’avvicinarsi del torneo ha intensificato e amplificato critiche e attenzioni verso le nefandezze del Qatar in materia di diritti umani. Alcune federazioni calcistiche, come quelle di Francia e Germania, hanno proposto alla Fifa di fornire un fondo di compensazione per i lavoratori migranti di 440 milioni di dollari, l’equivalente del montepremi della Coppa del Mondo. Gruppi di tifosi e altri stakeholder del calcio hanno annunciato boicottaggi. Doha negli ultimi mesi ha provato più volte a dimostrarsi un Paese in evoluzione, in una transizione verso un cambiamento, senza grossi risultati.

Al di là della credibilità degli annunci provenienti da Doha – che contrastano con altre dichiarazioni degli stessi organizzatori –, il rischio più grande è che dopo il primo calcio d’inizio si guardi solo al pallone che rotola, al calcio, al gioco. Durerà fino al 18 dicembre. E forse quella sarà anche la data in cui il mondo smetterà di interessarsi a ciò che avviene in Qatar.

Fiorello: «Il Qatar calpesta i diritti, si dovrebbero ritirare tutti da questi Mondiali». Redazione Online su Il Corriere della Sera il 15 Novembre 2022.

Lo showman durante «Aspettando Viva Rai2!»: «E la Rai ha speso 200 milioni per prendere i diritti?». Poi i complimenti all’Italrugby

«Noi abbiamo bloccato il nostro campionato, il campionato più bello del mondo, per dare spazio ai Mondiali in Qatar. Un Paese che non è tradizionalmente calcistico. Quando mai in Qatar hanno giocato a pallone? Quando mai lì c’è stato un campionato di calcio? Dove giocavano? Nei pozzi di petrolio? Non c’era lo spazio. C’erano le trivelle». Così Fiorello ironizza, nel suo stile inconfondibile, sui prossimi Mondiali di calcio durante «Aspettando Viva Rai2!», l’appuntamento quotidiano in diretta alle 7.15 sul suo profilo Instagram e a seguire su RaiPlay con contenuti esclusivi, in attesa della partenza ufficiale il 5 dicembre di «Viva Rai2!» su Rai 2.

«Si dovrebbero ritirare tutti da questo Mondiale - prosegue Fiorello -. Un Paese dove tutti gli abitanti, «i qataresi» (ride, ndr), sul loro zerbino hanno scritto «Diritti umani». E loro li calpestano ogni giorno. Avete sentito cosa hanno detto degli omosessuali? Tutti i tifosi e gli addetti ai lavori saranno chiusi in una Fan Zone, in uno spazio ristretto, e se poi escono da lì saranno arrestati. E noi chiudiamo il campionato per tutto questo? E la Rai ha speso 200 milioni per prendere i diritti di questi Mondiali?».

Estratto dell'articolo di Gianluca Roselli per “il Fatto quotidiano” il 17 novembre 2022.

(..) Domenica prossima iniziano i Mondiali di calcio in Qatar e, per la tv pubblica, sono in partenza un centinaio di persone. "Tra le 80 e le 100", ci viene fatto notare da una fonte. Ci saranno giornalisti, tecnici, maestranze e impiegati. Un numero che alcuni giudicano "spropositato" per una manifestazione sportiva dove non ci sarà la Nazionale italiana. 

Altri invece lo reputano "congruo" visto che comunque Mamma Rai trasmetterà in diretta tutte le 64 partite del Mondiale, per cui si è aggiudicata i diritti per circa 180 milioni di euro. "Si dovrebbero ritirare tutti da questo Mondiale, in Qatar si calpestano i diritti umani. Invece sono stati spesi 200 milioni", è stata l'intemerata (un po' a sorpresa) di Fiorello qualche giorno fa contro la kermesse sportiva che da domenica fino al 18 dicembre scompaginerà i palinsesti di Viale Mazzini. Parole che ricordano quelle recenti di Pier Silvio Berlusconi, patron di Mediaset: "Duecento milioni di investimenti tra tutto, più i costi di produzione: che senso ha? È servizio pubblico?".

Quando venne fatta la gara, nel 2021, ancora nella gestione di Fabrizio Salini, naturalmente non si poteva sapere che la Nazionale azzurra non si sarebbe qualificata. Ma quell'assegnazione scontò il precedente: i Mondiali di Russia 2018 che, anche senza Azzurri, per Mediaset furono un successo in termini di share, con i diritti pagati 'solo' 80 milioni. Quindi la Rai, per non restare di nuovo scottata, ha fatto di tutto per aggiudicarsi Qatar 2022. 

La critica che qualcuno rivolge a Carlo Fuortes, che si è trovato suo malgrado il macigno Qatar sul groppone, è che qualche partita si poteva cedere in subappalto, recuperando così un po' di soldi, cosa che invece non è accaduta. E ora ci si è messo anche Fiorello, con parole che in azienda sono state giudicate "fuori luogo".

La pratica dell'acquisto venne gestita all'epoca dal direttore dei diritti sportivi, Pierfrancesco Forleo, compagno della figlia di Mara Venier, Elisabetta. "Sul Qatar si svegliano tutti adesso: sui soldi spesi e sui diritti umani. Ma prima dov' erano?", si chiede un dirigente. 

Nel frattempo, sempre per il capitolo spese, qualcuno in Viale Mazzini ha alzato il sopracciglio anche per la trasferta di una ventina di persone alla Cop27 sull'ambiente a Sharm el Sheik, dove la tv pubblica era partner di un padiglione e dove alcuni giornalisti sono andati a moderare incontri, insieme al direttore Rai per la sostenibilità, Roberto Natale.

Infantino sui Mondiali in Qatar: «Oggi mi sento arabo, gay e migrante». Redazione Sport su Il Corriere della Sera il 19 novembre 2022.

Il presidente della Fifa ha aperto il torneo in Qatar esprimendo sostegno alle comunità Lgbtq+, discriminata nel Paese, e dei lavoratori migranti morti per costruire gli stadi.

«Oggi mi sento qatarino. Oggi mi sento arabo. Oggi mi sento africano. Oggi mi sento gay. Oggi mi sento disabile. Oggi mi sento un lavoratore migrante». Comincia con queste parole la conferenza stampa del presidente della Fifa Gianni Infantino alla vigilia della partenza del Mondiale di Qatar. Il numero uno del calcio mondiale esprime il proprio sostegno alle comunità Lgbtq+ (discriminata nel Paese) e dei lavoratori (si stima ne siano morti 6.500 nelle fasi di costruzione di stadi e infrastrutture) e difende a spada tratta la scelta della Fifa di giocare il Mondiale nella penisola araba.

Infantino: «Le critiche al Qatar sono ipocrite»

«Mi sento come loro — spiega il numero uno del calcio mondiale — e so cosa vuol dire essere vittima di bullismo perché lo sono stato. Ho pianto e ho cercato di reagire. Sono figlio di lavoratori migranti che hanno vissuto in condizioni molto difficili in Svizzera per come vivevano e i diritti che avevano. Ho visto come veniva trattato chi cercava di entrare nel paese, ma ora la Svizzera è un esempio di tolleranza. Il Qatar ha fatto progressi e ne parleremo, come spero che parleremo anche di calcio. La Fifa è orgogliosa di essere qui, questo sarà il Mondiale più bello per la gente che ama il calcio, ma sono stanco di leggere commenti su persone e su decisioni prese dodici anni fa». Infantino denuncia quindi le «lezioni morali» che sono solo «ipocrisia», alla vigilia dell’apertura dei Mondiali di calcio in Qatar. Il torneo da tempo è oggetto di forti critiche. «Quello che sta accadendo in questo momento è profondamente, ingiusto e le critiche al Mondiale sono ipocrite. Per quello che noi europei abbiamo fatto negli ultimi 3.000 anni dovremmo scusarci per i prossimi 3.000 anni, prima di dare lezioni morali agli altri. Queste lezioni morali sono solo ipocrisia».

Le leggi sul lavoro

Infantino rivendica il contributo della Fifa e accusa le aziende estere che lavorano in Qatar che non hanno fatto nulla per cambiare le leggi sul mondo del lavoro: «Siamo in un regno sovrano, la Fifa non può cambiare le leggi così come non può farlo nel Regno Unito o altrove, ma ha erogato un fondo di 350 milioni di dollari per i lavoratori negli ultimi quattro anni. Le aziende occidentali che sono qui, però, non vogliono aumentare i salari di questi lavoratori».

Comunità Lgbtq+ e lavoratori migranti

E poi ci sono le proteste delle comunità Lgbtq+: «Ho parlato molto con i leader di questi movimenti e tutti sono i benvenuti. L’opinione di uno o due non è quella di un intero Paese. Le regole esistono, per cambiarle bisogna passare attraverso un processo come è stato fatto anni fa in altri Paesi come la Svizzera. Le porte iniziano ad aprirsi, ma dobbiamo unirci senza guerre. Qui la gente è felice di avere il Mondiale. La tolleranza inizia con noi. Dobbiamo diffondere comprensione».

Niente birra negli stadi

Sulle polemiche degli ultimi giorni per la decisione di Qatar e Fifa di proibire la vendita di bevande alcoliche negli stadi, il presidente della Fifa dice che i tifosi possono «sopravvivere senza bere birra per tre ore. Ci sono molti punti in cui si possono bere alcolici eppure, siccome siamo in un paese arabo, anche questo sembra un grande problema. In Francia, Spagna e in alcuni altri paesi accade la stessa cosa. Budweiser è uno dei partner della Fifa e continueremo con loro fino al 2026, alla fine spero che tutti i problemi di questo Mondiale siano legati alla birra...», dice Infantino che resterà a guidare la Fifa, dal momento che è l’unico candidato per il prossimo quadriennio e che difende l’operato della Federcalcio mondiale: «Il mondo crede nella Fifa e in quello che abbiamo fatto per ripulire la Federazione. Adesso dobbiamo dare la possibilità alla gente di potersi godere questo Mondiale, cercando di unire e non di creare conflitti».

Il coming out del direttore della comunicazione della Fifa

Al termine della conferenza stampa il direttore della comunicazione della Fifa ed ex giornalista di Sky Sports, lo scozzese Bryan Swanson ha fatto coming out: «Sono seduto qui — ha detto — in una posizione privilegiata e su un palcoscenico globale, come uomo gay in Qatar. Ci hanno rassicurato sul fatto che tutti saranno i benvenuti in questo Mondiale. E, solo perché Infantino non è gay, non significa che non gli importi degli omosessuali. Gli importa eccome. Alla Fifa ci prendiamo cura di tutti. Siamo un’organizzazione inclusiva. Ho diversi colleghi gay, sono pienamente consapevole del dibattito e rispetto il diritto degli altri a pensarla diversamente, ma so anche per cosa stiamo combattendo. Siamo qui in Qatar per lavorare e non abbiamo avuto nessun problema».

Il Qatar, i diritti e il moralismo nel ... pallone. Santi Bailor su Il Tempo il 18 novembre 2022

Sono passati più di dieci anni da quando fu decisa l'assegnazione dei Mondiali di calcio al Qatar, era il dicembre 2010. Per questo colpisce che alla vigilia della partita inaugurale di domenica, fiocchino critiche, servizi e dichiarazioni indignate per la questione dei diritti umani in Qatar. Le critiche sono il sale della libertà, i diritti e il loro rispetto ancor di più ma accorgersene a scoppio ritardato non aiuta granché a migliorare la situazione, se non a consolarsi con il moralismo della serie: «Noi lo abbiamo detto però». Il calcio è spettacolo ed i Mondiali ne sono la sintesi più globale e forse romantica (con l'orgoglio delle nazionali in campo) ma pretendere che il pallone porti democrazia e libertà, quasi fosse una rivoluzione politica, è puro strabismo. Può sensibilizzare, in alcuni casi. Ma rivoluzionare no. 

In passato, del resto, lo sport ha incrociato grandi eventi organizzati da Paesi per nulla democratici che ci hanno costruito sopra propaganda e comunicazione. Basti pensare alla Coppa Davis di tennis in Cile nel 1976, all'epoca di Pinochet, ai Mondiali di calcio in Argentina del 1978, al tempo della dittatura della giunta militare o alle Olimpiadi del 1980 in Urss, con gli Usa che boicottarono l'evento per protesta contro l'invasione sovietica dell'Afghanistan. Diapositive dal passato che però, anni fa, al momento di assegnare i Mondiali non hanno innescato riflessioni particolari. Nel calcio si direbbe un'occasione mancata.

Spalle coperte, niente baci, alcol e sex toy: il Mondiale dei divieti in Qatar. La stampa britannica ha invitato i propri tifosi a prestare attenzione a oggetti e usanze che in Qatar sono proibiti e per i quali si rischia addirittura il carcere. Novella Toloni il 15 Novembre 2022 su Il Giornale.

Manca sempre meno all'inizio dei Mondiali di calcio in Qatar e l'attenzione è più per il Paese e le sue usanze che per l'evento sportivo, che richiamerà milioni di tifosi e squadre da tutto il mondo (eccetto l'Italia). Viste le polemiche che hanno interessato il Qatar sui diritti civili e sugli stringenti divieti, i tabloid inglesi hanno pensato bene di informare i propri tifosi su cosa è considerato illegale nel Paese, giusto per evitare l'incarcerazione dei propri connazionali, rei di non conoscere usi e costumi qatariani.

Nelle scorse ore il sito ufficiale del governo inglese - Gov.uk - ha pubblicato una sezione speciale dedicata ai Mondiali in Qatar 2022 e, tra le varie indicazioni, ha stilato una lunga lista dei divieti vigenti a partire dall'uso e dalla detenzione di droghe fino l'assunzione di alcol (prevista solo nei ristoranti e nei bar degli hotel) e vietata in pubblico (e non acquistabile in nessun negozio).

Dalle sigarette elettroniche ai libri religiosi, cosa è vietato in Qatar

L'elenco delle cose da non fare e degli oggetti da non mettere in valigia è lunga, lunghissima. E chi infrange le regole rischia non solo multe, ma anche l'arresto e l'incarcerazione. Oltre alle droghe, l'importazione di materiale pornografico (compresi sex toy e riviste), prodotti a base di carne di maiale e libri e materiale religioso in Qatar è illegale e anche le sigarette elettroniche, i liquidi e altri prodotti simili sono vietati.

"Non mi esibirò in Qatar". Dua Lipa dice "no" ai Mondiali

Non va meglio dal punto di vista delle usanze e dei costumi. Inveire e fare gesti maleducati sono considerati veri e propri atti osceni per i quali si può finire in carcere. Stessa cosa per i gesti di intimità in pubblico (un semplice bacio sulla bocca, per esempio) tra uomini e donne (anche tra adolescenti) può portare all'arresto. Avere un abbigliamento consono e decoroso è un altro aspetto a cui in Qatar prestano attenzione. Le donne devono coprirsi le spalle e evitare di indossare gonne corte, pantalonicini (anche gli uomini) e top senza maniche negli edifici governativi, nelle strutture sanitarie e nei centri commerciali. Anche se le autorità locali hanno dichiarato che "tutti sono i benvenuti" ai Mondiali del Qatar, l'omosessualità è illegale nel Paese e effusioni in pubblico possono portare all'incarcerazione.

Le lamentele di oggi contro i Mondiali Qatar 2022 sono inutili ed ipocrite. Giovanni Capuano su Panorama il 15 Novembre 2022.

 Chi giocherà con il fiocco nero contro le morti sui cantieri, chi attacca la mancanza di libertà nell'emirato, chi si indigna per l'acquisto dei diritti tv. Tutto inutile ed ipocrita perché in 12 anni c'era il tempo di revocare l'assegnazione e fare il torneo altrove. Ma tutti si sono nascosti

Che il Mondiale d'inverno in Qatar, nel mezzo del deserto, fosse una forzatura figlia di logiche molto politiche e ben poco sportive non lo scopriamo oggi. E nemmeno che il Paese ospitante, a suon di miliardi di dollari investiti a pioggia, non sia un modello ideale di rispetto dei diritti umani, delle minoranze e dell'eguaglianza. E' semplicemente ricco sfondato come lo era il 2 dicembre del 2010, il giorno in cui l'allora presidente della FIFA, Sepp Blatter, scelse di rompere ogni protocollo e tradizione assegnando in contemporanea sia l'edizione del 2018 alla Russia che quella del 2022 al Qatar. Beffando gli Stati Uniti e dando il via a un terremoto che ha travolto lo stesso Blatter e messo a dura prova la tenuta della FIFA.

Che il Mondiale in Qatar fosse una questione di soldi, soft power e geopolitica lo si sa da quel giorno e quello che è successo nei 4.380 (mal contati) successivi non ha fatto altro che confermarlo, tra inchieste, scandali e un fiume di denaro riversato sulla manifestazione che va a iniziare e sul mondo del calcio. Non esiste nessuno che non sia consapevole del link stretto che unisce Qatar 2022 alla parabola del PSG qatariota, ad esempio, nessuno che non sia sfiorato dal sospetto che proprio l'assegnazione dell'allora FIFA abbia segnato un punto di non ritorno nel processo di trasformazione del calcio da sport e intrattenimento a strumento di politica economica. La premessa è necessaria perché le manifestazioni di dissenso, ora che il momento del calcio d'inizio si avvicina, sono legittime ma appaiono un po' strumentali. Ed ipocrite. A meno che non siano pagate di tasca propria come stanno facendo alcuni artisti che declinano gli inviti a suon di compensi milionari per andare in Qatar a prestare la propria faccia. Un plauso a loro, meno a chi non ha esercitato in questi anni quella sottile ma potente arma di pressione rappresentata dalla minaccia di non partecipare e basta al Mondiale in Qatar. Cosa sarebbe accaduto se tanti si fossero opposti, invece di tentare oggi l'improbabile strada di presentarsi con scritte e maglie di denuncia per le violazioni dei diritti dei lavoratori e dei diritti umani in generale? Se il "no, grazie" fosse stato corale è difficile che la FIFA potesse non tenerne conto. Questa FIFA nata dalle ceneri di quella di Blatter e che cammina sul filo sottile dovendo tenere insieme la necessità di portare a termine il Mondiale, l'enorme business che ne deriva, la violenza sui calendari agonistici di mezzo mondo (quello che paga gli stipendi delle stelle del pallone) e il tentativo di dare un senso etico alla trasferta in Medio Oriente. E' possibile che qualche miglioramento nelle condizioni del popolo qatariota e di chi frequenta quelle latitudini sia avvenuto, come rivendica il numero uno di Zurigo, Gianni Infantino. E' tutto da verificare se si tratti di un maquillage di facciata o di riforme che resisteranno anche dopo il 18 dicembre, data della finale della Coppa del Mondo. In ogni caso scoprire oggi che giocarli, questi Mondiali, non sono altro che consentire all'emiro di chiudere il cerchio e presentarsi al mondo con un volto accettabile è ipocrita. Ipocrita come attaccare la Rai che si è presa i diritti tv pagandoli a prezzo di mercato, beffata poi dall'eliminazione della nostra nazionale. Ipocrita come farlo da dentro la stessa azienda (Fiorello) o da fuori, salvo poi attaccarla se questo non fosse accaduto. O minacciarne un boicottaggio diplomatico salvo poi annunciare di essere pronti ad andare per non perdersi l'eventuale finale della propria squadra (Macron). Meglio il silenzio. Oggi. Il tempo per alzare la voce e mettersi concretamente di traverso c'è stato, non breve, ma nessuno è andato fino in

Giulia Zonca per “la Stampa” il 19 novembre 2022. 

Tra il bianco dei palazzi e il grigio dell'asfalto all'improvviso ci sono colori mai visti perché il deserto lo puoi riprogettare, ma è difficile cambiarlo, riempirlo e ora succede. Il Qatar e gli Emirati, fino a poco fa vicini inconciliabili, si scatenano insieme e inseriscono il fattore umano nel panorama. Presto per dire come uno contaminerà l'altro, ma intanto la gente c'è. E fa rumore.  

Nelle fermate delle metropolitane che iniziano a sputare folla in superficie, sui marciapiedi che non vedono mai nessuno camminare e ora si popolano di passi, su tribune a lungo vuote che non hanno più spazio, in locali nati per imitazione che scoprono un'inedita naturalezza.

La domenica del golfo riunisce soldi, contraddizioni, ambizioni, sogni e riempie strade, poco abituate a essere occupate. Il Mondiale che parte in Qatar la Formula Uno che chiude la stagione ad Abu Dhabi, Global soccer che distribuisce premi a Dubai e il Medio Oriente che scintilla. Dovrebbe raccontarsi ma non ha voglia di giustificarsi e allora morde un passato recente per andare avanti.

Tenta un dialogo globale, anche se qui stare zitti è considerata una virtù. Infatti ci pensano i suoni a segnare lo strappo, il fischio che libera la prima partita, il motore sulla linea di partenza e dietro girano Stati freschi e cifre pesanti. Nel pieno della crisi energetica occidentale, questa è la risposta agli incubi e il calcio approfitta degli accordi politici per uscire dalla lavatrice. Da anni viene considerato un riciclatore, prende finanziamenti da luoghi che non assicurano i diritti e restituisce la nobiltà di eventi che coinvolgono, spostano la percezione.  

Lo hanno fatto le Olimpiadi in Cina, la Serie A in Arabia Saudita, le auto in Bahrein, il golf ovunque, lo hanno fatto le archistar i grandi testimonial, come Beckham che oggi a Doha parla di eredità difficili da immaginare. Però adesso c'è chiasso, umanità, calca e tutto quello che si presentava foderato di ordine e funzionalità inizia a vibrare. L'alta velocità di una rete sempre perfetta vacilla, l'ospitalità patinata con il volo del falcone e le jeep sulle dune si accompagna al bivacco, ai tamburi, ai viaggi deliranti, in bici, dietro una nazionale, al karaoke. 

Talmente tanto mondo in pochi chilometri quadrati che il Qatar ha deciso di ritrattare la concessione sugli alcolici e li ha riproibiti. In poche ore ha ritirato dal tavolo uno dei compromessi offerti agli sponsor del pallone: niente stadio, si beve birra solo nella Fan Fest e a 12 euro il bicchiere. Un gesto di controllo mentre tutto inizia a muoversi a un nuovo ritmo. C'è un Mondiale e non si lascia tenere al guinzaglio, il Qatar lo ha desiderato talmente tante da rischiare di perdere la faccia per averlo.

Oltre a distribuire denaro, ha inseguito il progresso, almeno per un po'. Era lo stato che proteggeva i terroristi, fama superata in mutazioni costanti. Era lo stato della kafala, la legge che permette al datore di lavoro di disporre della vita di chi impiega, quel legame brutale non è più permesso, ma regge ancora perché la cultura non cambia con le norme, si modifica con la pratica.  

Secondo qualcuno il buon proposito germoglierà, per altri marcirà però ora la sfida tra le due visioni ha un pubblico. Argentini che anche qui, a 35 gradi, dormiranno in macchina davanti al campo dove si allena Messi e canteranno che hanno visto Maradona e vogliono altro. 

Brasiliani decisi a impazzire per qualche altro idolo, il primo che mette il nome sopra i gol e quando il prescelto si rivelerà loro balleranno in strada, lì dove di solito passano solo limousine. Olandesi dipinti di arancione e arcobaleno, poco importa se non sarà gradito e inglesi che escono a comitive dagli alberghi e implorano il calcio di tornare a casa, almeno questa volta.

Un tempo qui era impero britannico, un protettorato abbandonato nel 1971, la disdicevole kafala è entrata in vigore sotto la loro giurisdizione, così come il Mondiale arrivato a spinte ha triangolato pure con le pressioni francesi. E ora tutti dubitano e hanno ragione perché l'omosessualità è illegale quando non è nascosta. Fa orrore e il disagio si appiccica a giorni concitati che svelano pure l'opposto: il sorriso di chi si vuole aprire davvero, la disponibilità degli immigrati (il 90 per cento della popolazione) che ora stanno in buona parte sgranati sui percorsi a indicare vie e trasporti, perle di vivacità.

Oggi, il bene supremo è il gas, il fondo di stato che controlla la Lng, la compagnia, in mano alla famiglia reale, muove un patrimonio da 450 miliardi. I Mondiali ne sono costati 220, dentro il conto c'è pure il prezzo di un'anima. 

A Doha c'è uno stadio pronto a salpare, porta il prefisso del Qatar, si chiama 974, come il numero che serve per chiamare il Paese e come la quantità di container che lo compongono. È letteralmente il carico di una nave e la prova di quanto lontano sia disposto a spingersi questo minuscolo stato arabo per farsi vedere. L'impianto sparirà dopo il torneo, ma non sarà affatto demolito: nasce in mezzo a un porto ed è pensato per viaggiare, per essere trapiantato altrove. Insieme con la storia che racconta.

Non serviva certo il pallone per avere la scusa di ridefinire un'area da anni terra di grandi cambiamenti, di immaginifiche costruzioni, di vere e proprie gare a concretizzare l'idea più strabiliante, però questa è la prima volta che miliardi di occhi fissano questo indirizzo. E un milione di persone spettina gli ultimi cinque decenni. 

Il desiderio di farsi riconoscere, toccare, ha scatenato la fantasia e gli investimenti oltre che lo sfruttamento e reso visibile, anzi indimenticabile, il lascito. Spesso la storia fonde insieme i sogni e i danni che sono costati, le grandi piramidi rendono evidente l'assurdità e la crudeltà dello sforzo che chiedono. In Qatar si è stravolto il paesaggio e ora promettono di fare lo stesso con il sistema sociale. Ci metteranno di più, molto più tempo di quanto è servito per vedere gli otto fascinosi impianti. Il Qatar è poco motivato ha tracciato i piani del futuro e lo sguardo puntato sull'orizzonte scavalca il presente.

In principio è stata Dubai, tutta in arrampicata sul desiderio di essere notata e frequentata. Diciannove edifici contro il cielo: il Burj Al-Arab, il palazzo a vela con l'hotel a sette stelle, la Cayan Tower, l'unico grattacielo la cui cima è girata di 90 gradi rispetto alla base, il Burj Khalifa, 828 metri superati, senza sorpresa, dalla Gedda Tower dell'Arabia Saudita. Il Golfo rincorre la maestosità, sfoggia il denaro e in qualche frenetico modo costruisce un'identità perché i petroldollari portano un Dna comune.

Lo stadio di Qatar-Ecuador, che domani apre il Mondiale, è una tenda berbera, fatta con materiali ed esperienza friulana, è la più grande al mondo. Al-Bayt, in arabo significa la casa. Così come l'Al-Janoub di Zaha Hadid, modellato su un dhow, l'imbarcazione usata per raccogliere perle ed è il loro colore che viene richiamato, ripescato, nel tentativo di creare un legame tra il passato nomade e il presente ambiguo che in queste ore si tinge pure di altro. Presenze, chiacchiere, maglie, punti interrogativi, mondo che sciama e chiede. L'occidente entra, guarda e inevitabilmente si riconosce, in tutto, anche nelle contraddizioni.

Jean Nouvel ha progettato sia il museo del Qatar, che ricorda la rosa del deserto, sia il Louvre di Abu Dhabi appoggiato sull'acqua, sia il Burj Doha, 238 metri mutuati dalla Torre Glòries di Barcelona e dal Gherkin di Norman Foster, a Londra: la West Bay declinata in ogni parte del mondo. L'ultima corsa è all'isola artificiale, ogni stato del Golfo ne ha una, ma i sauditi si sono spinti oltre e preparano Neom, città del futuro, 26.500 km quadri destinati al turismo da ricchi: polo d'attrazione affacciato sul mar Rosso. 

Sarà forse l'ultima frontiera, ma prima c'è il Mondiale del Qatar, sotto alla gahfiya, il copricapo arabo a cui si ispira lo stadio Al Thumana. Loro riempiono gli occhi, la gente riempie le strade, gli ospiti sparpagliano benessere, chi arriva si ritrova a pagare 600 euro a notte una stanza riesumata dagli anni Novanta, una di quelle dimenticate che ora tornano buone. Perché c'è ressa e non si può usare solo il servizio buono. I Mondiali non hanno classe sociale e il pallone in questo mese dovrà uscire dalla lavatrice e sporcarsi. Poi si vedrà chi ne esce diverso, lui che rotola ovunque o chi l'ha voluto qui.

(Monthly Report n.16) Nel fango del dio pallone: dietro le quinte dei Mondiali in Qatar. L'Indipendente il 19 Novembre 2022

È uscito il sedicesimo numero del Monthly Report, la rivista de L’Indipendente che ogni mese fa luce su un tema che riteniamo di particolare rilevanza e non sufficientemente trattato nella comunicazione mainstream. Nel fango del dio pallone: questo il titolo dell’edizione di questo mese, nella quale analizziamo con occhio critico i Mondiali di calcio che prenderanno il via domani in Qatar. Il numero, oltre che in formato digitale, è disponibile anche in formato cartaceo spedito in abbonamento (tutte le info su come riceverlo a questo link).

L’editoriale del nuovo numero: Sabbia, pallone e stereotipi 

«Il mondo del calcio è sempre più mafioso, al punto che chi rompe l’omertà viene considerato come i pentiti di Cosa nostra: un traditore, un infame, un vigliacco. Perché il carrozzone pallonaro dei miliardi e degli interessi deve essere protetto a tutti i costi così com’è». Spinti da una certa idea che il calcio da sport popolare e pulito si sia recentemente trasformato in un baraccone sporco senza etica, guidato da multimilionari senza scrupoli che muovono come marionette calciatori-automi riempiti di soldi, si potrebbe credere che la citazione sia di qualche coraggioso addetto ai lavori che racconta il mondo del pallone ai giorni nostri. Pagine social seguitissime quanto demenziali tipo “Serie A – Operazione Nostalgia” spingono in questa direzione, incensando una presunta età dell’oro da celebrare nel calcio di qualche decennio fa, contro il deserto di valori del presente. E invece no. Le parole citate in apertura le ha scritte Carlo Petrini, centravanti di serie A negli anni ‘60 e ‘70, in un libro molto importante quanto scomodo dal titolo Nel fango del dio pallone che racconta il dietro le quinte del mondo del calcio nei gloriosi anni Settanta, fatto di presidenti senza scrupoli, doping, partite vendute, interessi sporchi e mafie.

In quanto sport più popolare e ricco non deve stupire che il calcio sia settore di grande interesse per chi si occupa di consenso popolare e di ricchezza, ovvero politici e imprenditori, governi e multinazionali. In questo senso è un osservatorio importante per monitorare dinamiche e cambiamenti nella società, nell’economia e nel potere. Questo il motivo per il quale abbiamo deciso di dedicare il numero del Monthly Report a un tema solo apparentemente lontano dall’agenda de L’Indipendente. I mondiali che inizieranno il 20 novembre in Qatar, già a cominciare dalle peculiarità del Paese scelto come organizzatore, presentano interessanti spunti di riflessione e molti di questi li analizziamo in questo numero. Da come un piccolo pezzo di deserto come il Qatar sia divenuto potenza e a quale scopo abbia investito una fortuna per organizzare i mondiali, a come le monarchie del Golfo stiano assumendo una posizione fondamentale quanto poco dibattuta nei fragili equilibri globali, passando dalla questione dei diritti nel Paese arabo e nel mondo del calcio, al tema della cybersicurezza e della Coppa del Mondo come vetrina per le novità nell’ambito della digitalizzazione del controllo sociale. Raccontiamo poi della presenza dell’Italia ai mondiali qatarioti perché, se è vero che la nazionale azzurra non si è qualificata, ci sarà comunque una nutrita rappresentativa italiana a Doha, composta da 560 soldati che Roma ha cortesemente messo a disposizione dell’emiro: a quale scopo? E per finire, visto che anche l’aspetto ludico è importante e i mondiali di calcio ad ogni modo li guardiamo (quasi) tutti, presentiamo le squadre che parteciperanno chiedendoci chi vincerà sul campo questa ventiduesima edizione della coppa del mondo.

L’indice del nuovo numero:

Qatar: una landa desertica divenuta potenza

Metafore nel pallone

FIFA: “Il parco giochi dei corrotti”

L’importanza delle monarchie del Golfo negli equilibri geostrategici

La militarizzazione della FIFA World Cup 2022

Cybersicurezza e controllo: l’emiro fa scorta di tecnologia

Il Qatar è già campione del mondo dello sfruttamento

Lo sfruttamento nelle fabbriche del pallone

Senza un uomo non si va da nessuna parte

C’è chi dice no

Ma alla fine chi li vincerà questi mondiali?

Paolo Brusorio per “Tuttolibri – la Stampa” il 19 novembre 2022.

 Quattro stelle sul petto e non è il momento di lucidarle. Domani in Qatar cominciano i Mondiali di calcio e l'Italia resta a guardare per la seconda volta di fila. Un buon periodo allora per rifugiarsi nel tempo, c'è stata un'epoca in cui eravamo re, una recente e una che affonda le radici nel passato. L'Italia ha vinto quattro volte il titolo mondiale, solo il Brasile ha fatto meglio con cinque, e qui si parla delle prime due, quelle che fino al 1982 ci hanno tenuto nel gotha del pallone. Era il 1934 e poi il 1938.  

«Se si studiano bene i fatti si scopre che la metà dei titoli vantati dagli azzurri è però macchiata da pesantissime ombre. Da reati sportivi e politici, da vergogne - quelle davvero - mondiali e storiche». L'affermazione è pesante e seppur evidentemente non inedita mette i brividi: sta nel lungo incipit del libro di Giovanni Mari, Mondiali senza gloria il cui sottotitolo è la sentenza: la vittoria del 1934, comprata da Mussolini, e quella fascistissima del 1938. Una radiografia, questo libro, che non fa sconti: non al trionfalismo e neanche alle emozioni.

Dove si sta parlando di un regime che ha capito come il pallone avrebbe potuto divulgare l'idea e soprattutto l'ideologia, quello che oggi chiameremmo soft power e che allora di soft non aveva proprio nulla. Convincere gli italiani di essere una potenza sul campo di calcio li avrebbe convinti di poterlo essere anche al tavolo dei grandi, avrebbe offuscato la capacità di pensiero critico travolto da un'euforia collettiva malata e pericolosa. Scrive ancora Mari: «Per questo la vittoria doveva essere perseguita con ogni mezzo: quello lecito e sportivo, se possibile, quello della scorciatoia e del baro se fosse servito».

Mussolini non amava il calcio, lo considerava troppo poco elegante rispetto, per esempio, alla ginnastica o alla corsa, ma ne capì in fretta la forte penetrazione sociale. L'Italia vince il titolo Mondiale nel 1934 e poi nel 1938, saranno quei successi l'apogeo sportivo della potenza fascista, ma siamo nel 1927 quando si toccano con mano le prime evoluzioni di regime: sulla maglia della Nazionale compare lo stemma fascista accanto a quello dei Savoia ed è nell'anno successivo, Olimpiadi di Amsterdam, che viene reso obbligatorio per gli atleti il saluto con il braccio teso una volta saliti sul podio. Ed è un fedelissimo del duce, Arpinati, a fondare nel 1929 la serie A a girone unico.

Fertilizzato il terreno, era il momento di pensare in grande. Era il momento di costruire il Mondiale perfetto, estrema illusione di un paese perfetto. Anzi, di una Nazione perfetta. Non c'è mondiale senza stadi, come avremmo tristemente scoperto dopo Italia '90, e almeno qui il regime dimostrò di avere una marcia in più. Architettura fascista: ne avremmo sentito ancora parlare. Lo stadio Mussolini che oggi è lo stadio Olimpico Grande Torino ma che fino ai Giochi del 2006 rimase identico a quando fu costruito. E poi gli impianti in tutta Italia, il Littorio a Trieste, tanto per dire.

Tre milioni e mezzo costò il Mondiale del 1934. Lo vinciamo perché la squadra era forte: gli oriundi con tanti saluti all'italica razza, un centravanti come Meazza, tra i più forti giocatori della nostra storia. Già, Meazza. A scoprirlo Arpad Weisz, allenatore ungherese, vittima delle leggi razziali fino alla deportazione e alla morte ad Auschwitz. Weisz cui, a proposito di stadi costruiti dal fascismo, a Bologna hanno intitolato una curva. 

Poi certo, Monzeglio imposto perché amico della famiglia Mussolini. In panchina Vittorio Pozzo: il ct più vincente della storia del nostro calcio, accusato per una vita di essere funzionale alla macchina della propaganda. Alpino, amante della disciplina, nazionalista: Arpinati lo scelse per questo e per la sua competenza. Fino a che punto il regime fu motore e sponsor delle nostre vittorie? Vero gli arbitraggi ci strizzarono l'occhio e a volte, come in Italia-Spagna, gli occhi li chiusero proprio. 

Vero l'arbitro della finalissima salì fino al palco d'onore per salutare Mussolini con le squadre schierate in campo, e figuratevi, i pensieri dei giocatori dell'Ungheria. Ma quella Nazionale era di buon livello e in fondo la vittoria, spinta dalla propaganda dalle «convincenti» maniere di un regime che si stava allargando non fu così clamorosa. Tanto da ripetersi nel 1938 dove le condizioni ambientali non furono proprio le stesse. 

Per dire: l'esordio azzurro avvenne a Marsiglia, casa per molti esuli antifascisti. La Nazionale fu accolta malissimo, i giocatori insultati, il saluto romano in campo coperto dai fischi. E Pozzo? Ecco, il ct ordinò di rialzare il braccio che i giocatori avevano abbassato intimiditi dal pubblico, «l'Italia non doveva avere paura». Quasi nulla a confronto della scelta della maglia nera da indossare contro la Francia nel quarto di finale giocato a Colombes. 

Una scelta di marketing politico ideata, scrive Mari, da Starace e colta al volo da Mussolini. In nero contro la Francia antifascista. Poi battuta. Arriverà il secondo titolo mondiale consecutivo, il 1938 finisce in gloria per il calcio italiano. Mussolini celebra la «razza italica». Da lì a poco sarà l'inizio del periodo buio. E del terrore.

Aldo Grasso per corriere.it il 20 Novembre 2022. 

Siamo pronti ad accollarci tutti i mali del mondo, ma non quelli che ci addossa Gianni Infantino, presidente della Fifa, nell’inaugurare i Mondiali di calcio del Qatar, a Doha. Per parare le molte critiche che l’organizzazione sta ricevendo, a partire dai troppi «schiavi» morti (il quotidiano inglese «The Guardian» ha svolto un’indagine che avrebbe portato alla luce la morte di circa 6500 persone), Infantino ha denunciato «l’ipocrisia delle lezioni morali» dell’Occidente: «Quello che sta succedendo è profondamente ingiusto. 

Le critiche sono ipocrite e per quello che noi europei abbiamo fatto negli ultimi 3.000 anni dovremmo scusarci per i prossimi 3.000 anni prima di dare lezioni di morale agli altri». Si scusi lui, innanzi tutto, invece di darsi alla paraculaggine: «Oggi mi sento qatarino, oggi mi sento arabo, oggi mi sento africano, oggi mi sento gay, oggi mi sento disabile, oggi mi sento lavoratore migrante», ha impreziosito così il suo discorso introduttivo. 

E a proposito delle violente critiche sui diritti umani e la discriminazione, in particolare dal movimento LGBTQ, ha detto: «So cosa vuol dire essere discriminato, molestato, in quanto straniero. Da bambino sono stato discriminato (in Svizzera, ndr), perché avevo i capelli rossi e le lentiggini: io ero italiano e parlavo male il tedesco». 

Le «pesanti» discriminazioni subite in Svizzera (in Qatar l’omosessualità è considerata una malattia mentale e comporta pene fino a sette anni di carcere) non gli hanno impedito di diventare uno dei manager più pagati al mondo. Secondo CalcioeFinanza.it, il presidente della Fifa percepirebbe uno stipendio che si aggira intorno a 1,40 milioni di euro annui. A disposizione avrebbe anche benefit come auto e alloggio, con annesso un rimborso spese variabile riconducibile ai 1800 euro mensili. 

Convocati Mondiale Qatar 2022: la lista completa dei giocatori di tutte le squadre

In quanto a scandali e corruzioni, pensavamo che Sepp Blatter, il precedente presidente della FIFA, avesse raggiunto il peggio, come racconta la docu-serie «FIFA, tutte le rivelazioni» (Netflix). Si rimane impressionati nell’apprendere come il Qatar si sia «comprato» questi mondiali: nel 2009, quando è partita la corsa per l’assegnazione dei Mondiali, nel Paese non c’erano gli stadi e gli hotel per gli ospiti; le città avrebbero dovuto essere completamente riorganizzate. Ma con i soldi si compra tutto: dal Paris Saint Germain (i cui ingaggi dei calciatori hanno sconvolto l’economia mondiale del calcio) all’interruzione dei campionati europei, dai Mondiali nel deserto alla visibilità globale. 

L’auspicio era che la nuova presidenza segnasse una linea di discontinuità e invece Infantino ha trasformato la Fifa in una sorta di organismo politico internazionale, un generatore di deliri di onnipotenza. Chiamato dal Consiglio d’Europa (era il gennaio scorso) a riferire sulle violazioni dei diritti umani in Qatar, Infantino ha approfittato di quella sede per proporre il Mondiale ogni due anni! Diceva che era per il bene dell’Africa: «Per dare speranza agli africani, cosicché non debbano aver bisogno di attraversare il Mediterraneo per trovare forse una vita migliore, ma più probabilmente la morte in mare». Ecco la soluzione cui nessuno aveva mai pensato! Per il prestigio e la popolarità che il calcio ha nel mondo, il presidente è stato invitato a svolgere un ruolo di mediatore tra l’Europa e il controverso emirato arabo. Risultato? Infantino è uno dei politici occidentali maggiormente influenti a Doha, dove vive dall’ottobre 2021 (vive nel lusso, verrebbe da aggiungere, tanto da 3.000 anni la colpa è la nostra).

Nel suo discorso d’apertura ha aggiunto: «Quante di queste aziende europee o occidentali che guadagnano milioni dal Qatar, miliardi, quante di loro hanno affrontato i diritti dei lavoratori migranti con le autorità?». Il torto va sempre addebitato nel bilancio degli altri. Come ha scritto Valerio Moggia su «Linkiesta», Infantino «è il mediatore perfetto, uno dei pochi uomini capaci di intrattenere ottimi rapporti con Vladimir Putin e i Paesi occidentali, tra la monarchia del Qatar e quella dell’Arabia Saudita, tra gli Stati Uniti e la Cina. E la Fifa è il luogo ideale per portare avanti i suoi progetti: talvolta qualcuno, dalle vedute troppo ristrette, ha immaginato per lui un futuro politico in senso stretto, una volta lasciata Zurigo; ma la realtà che la Fifa è la sede ideale da cui esercitare il proprio potere indiretto, il soft power per eccellenza. Non c’è un gradino più alto nella scala del potere». Va bene, la Fifa è un potentissimo centro di potere, non solo finanziario, e non siamo così ingenui da invocare a suoi vertici delle «anime candide»: ci piacerebbe almeno che gli ipocriti non accusassero il mondo intero di ipocrisia.

Sport ateo, solo in teoria. Il calcio è uno strumento di soft power e le potenze del Golfo se ne sono impadronite. Rocco Bellantone su L’Inkiesta il 21 Novembre 2022.

Un libro inchiesta di Paesi edizioni sul rapporto tra pallone e mondo islamico: dalla tratta dei talenti africani agli stadi vietati alle donne, dai club comprati dagli sceicchi ai discussi Mondiali in Qatar

Il calcio non è solo un business multimiliardario ma anche una questione di fede. Quando incantava il mondo in campo, l’ex stella del Milan e del Real Madrid Ricardo Kaká non dimenticava di ringraziare il Signore dopo ogni goal. Da buon cristiano pentecostale della chiesa Renascer, l’Atleta di Cristo sfoggiava sotto la maglia ufficiale una t-shirt bianca con su scritto «I belong to Jesus», «Dio è fedele» e «Gesù ti ama».

Come lui, decine di altri calciatori sudamericani che per anni hanno militato nei principali campionati europei, compresa la nostra Serie A, non hanno fatto mistero della propria fede cristiana. Alcuni in maniera sobria, altri mettendo in mostra tutto il loro fervore. Come l’asso Neymar, brasiliano anche lui e oggi in forza al Paris Saint Germain, che nel 2015, ai tempi in cui formava un trio d’attacco da urlo con Messi e Suarez al Barcellona, per festeggiare la vittoria della finale di Champions League contro la Juventus si presentò sul podio con una bandana con su scritto «100% Jesus».

Un’uscita che fece discutere non poco, spingendo addirittura la Fifa, la Federazione internazionale di calcio, a censurare le immagini della sua esultanza in quanto avrebbero potuto urtare la sensibilità di atleti di altre confessioni. Perché in teoria, ma solo in teoria, il calcio è uno sport ateo.

La verità, però, è ben altra. I credi religiosi, infatti, si sono ormai posizionati da tempo in pianta stabile sui terreni di gioco. E se fino a qualche anno fa si trattava per lo più di un affare tutto cristiano, con il proverbiale segno della croce ad accompagnare puntualmente il fischio d’inizio di ogni partita, oggi anche i calciatori musulmani non fanno più mistero della loro fede. E l’aumento della loro esposizione mediatica sta andando di pari passo con la crescita del peso – politico e soprattutto economico – di sceicchi e businessman del Golfo Persico e dell’Asia sul calcio internazionale.

La Premier League, la lega più ricca e spettacolare del pianeta, non poteva che fare da apripista a questa tendenza. Negli ultimi anni calciatori del calibro di Mohamed Salah, stella del Liverpool, Sadio Mané, passato dai Reds ai tedeschi del Bayern Monaco, e Paul Pogba, tornato alla Juventus dopo un’esperienza poco esaltante al Manchester United, hanno trascinato nel rettangolo verde la loro fede in Allah. Il resto lo hanno fatto i loro profili social, seguiti in tutto il mondo da decine di milioni di follower. […]

E poi c’è il Dio denaro, lo stesso che nel 2010 ha indicato la strada che avrebbe condotto al piccolo ma agguerrito emirato del Qatar per l’organizzazione dei Mondiali di calcio del 2022. Una svolta storica e che di fatto, da allora, ha proiettato il mondo del calcio che conta – quello europeo per intenderci – in una nuova fase. […]

Da questo momento in avanti i Paesi del Golfo si impossessano sempre di più del mondo del calcio, facendone uno strumento di soft power. […] Se il cambio di passo del Qatar è apparso evidente specie dopo l’assegnazione dei Mondiali del 2022, e con la prima storica Coppa d’Asia conquistata nel 2019 in finale contro il Giappone grazie allo scouting forsennato della sua Aspire Academy e a una massiccia campagna di nazionalizzazione di talenti stranieri, adesso anche l’Arabia Saudita è intenzionata a salire ulteriormente di livello. […]

C’è chi nell’analizzare tutto ciò parla di sport washing, ovvero del calcio utilizzato come strumento di soft power da parte delle potenze del Golfo. E in questa dinamica l’Europa, che insieme al Sud America è la patria del calcio, si trova a dover gestire non semplici equilibrismi: tra la fede incondizionata in uno sport che nel Vecchio continente come in America Latina è un elemento portante della cultura e della società, la necessità di fare cassa e aprirsi a nuovi mercati per non «rompere il giocattolo» e, sullo sfondo, la questione della tutela dei diritti umani alla luce delle denunce di Amnesty International, Human Rights Watch e altre ong per gli oltre 6.500 lavoratori – in larga maggioranza provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka – morti nei cantieri degli stadi costruiti in questi anni per i Mondiali in Qatar. […]

Al centro di tutte queste dinamiche restano, fortunatamente, un rettangolo di gioco, un pallone, 22 calciatori e 90 minuti in cui provare a fare un goal in più dell’avversario.

«Pallone entra quando Dio vuole» amava dire il maestro del calcio Vujadin Boškov. E aveva ragione. Perché il calcio, in fondo, è sì una questione di fede, ma ancor prima è un gioco. Il più bello del mondo.

Da “Il centravanti e la Mecca”, Paesi edizioni, 112 pagine, 12 euro

Perché non esiste un calcio «buono» o «cattivo» per definizione. Esiste il calcio per quello che è: forza primordiale, bellezza selvaggia, palio emotive. Lorenzo D'Alò su La Gazzetta del Mezzogiorno il 20 Novembre 2022.

«Lasciamo che il calcio si prenda la scena», dicono alla Fifa, cercando con una finta di smarcarsi dall’imbarazzo dilagante. Ed è esattamente quello che accadrà oggi. Perché arrivano le partite, unguento salvifico per qualsiasi tipo di ferita, comprese quelle più profonde (si gioca in autunno inoltrato, finale a ridosso dell’inverno: spostato il tempo classico dei Mondiali, mai successo prima) e infette (si gioca in un Paese in cui molti diritti civili non sono riconosciuti, in alcuni casi addirittura negati, e dove si considera l’omosessualità un danno mentale). Benvenuti in Qatar, lussuosa quanto improbabile sede del Campionato del Mondo 2022 di calcio. L’assegnazione, carica di sospetti e misteri, nonché disseminata di bonifici a conti cifrati, è del 2010, quando sul calcio regnava Joseph Blatter. Attesa al culmine, ci siamo. Finalmente si gioca, si potrebbe aggiungere con un velo d’ipocrisia. A parlare sarà solo il campo. E come per incanto, nulla sembrerà fuori posto. Tutto apparirà artatamente a norma e, dunque, accettabile, finanche nelle sue forme ed espressioni più astruse. Le partite fanno miracoli. Il pallone che rotola ristabilirà l’ordine naturale delle cose. L’assenza dell’Italia, che salta il suo secondo Mondiale di fila, si noterà appena. Del buco generazionale e dei ragazzini privati delle emozioni di un Mondiale tinto d’azzurro, si smetterà di discernere perché importerà a pochi. Il calcio è l’infanzia del mondo? Solo uno slogan, che per un mese può rimanere a prendere polvere in soffitta.

Su il sipario, ci sono le partite. Si parte con Qatar-Ecuador, capirai. E il calcio, come fa sapere la Fifa, impegnata in un’imponente operazione di distrazione di massa, si prenderà la scena. Occupandola per intero. E impedendo di volgere lo sguardo (e i pensieri) altrove. Per esempio, sui tanti operai morti sul lavoro mentre costruivano stadi che sembrano astronavi atterrate direttamente dal futuro. Manovalanza ammazzata dal caldo torrido e da turni massacranti. Per esempio, sulla speranza già sfiorita di favorire il «cambiamento» in un Paese che avrebbe dovuto cogliere l’occasione dei Mondiali per dare di sé un’immagine diversa. E che, invece, li utilizzerà per mostrare solo la sua opulenza, nel tentativo di accreditarsi agli occhi del mondo per ciò che ancora non è. E forse non sarà mai. Un Paese con una ricchezza senza pari con la quale potersi togliere qualsiasi sfizio. Ma se il calcio, come ha ricordato Gianni Infantino, presidente della Fifa, ha il potere straordinario di condizionare l’umore e lo stato d’animo di quasi 4 miliardi di persone, orientando scelte e spostando consensi, allora bisogna stare molto attenti all’uso che se ne fa. Perché non esiste un calcio «buono» o «cattivo» per definizione. Esiste il calcio per quello che è: forza primordiale, bellezza selvaggia, palio emotivo. Calcio per il quale vale ancora la pena palpitare. E guardare le partite. Anche in Qatar, senza l’Italia e all’ombra di interessi miliardari e baratti inconfessabili sottesi come una tela di ragno nel deserto.

L’altro Mondiale: cronache assurde da Qatar ’22 (prima puntata). Enrico Phelipon su L'Indipendente il 20 Novembre 2022.

Tra poche ore prenderanno il via i discussi mondiali di calcio in Qatar, e con questa rubrica settimanale noi de L’Indipendente abbiamo deciso di raccontarvi i lati apparentemente più leggeri, di costume, spesso assurdi che accompagneranno questo evento. D’altronde, di tutto quello d’importante che c’era da sapere, sia a livello politico che sportivo, su questi mondiali affidati ad un paese che ha un tradizione calcistica pari a quella di Tahiti nello sci alpino, ne abbiamo parlato nel nostro ultimo Monthly Report intitolato Nel fango del dio pallone.

Partiamo subito col dire che, nonostante gli Azzurri, non facciano parte della competizione, l’Italia ha già ottenuto un importante vittoria. Non saremo infatti ricordati per la peggiore mascotte nella storia dei mondiali. Il pupazzetto Ciao scelto per Italia ’90, che fino a Qatar 2022 era indubbiamente la più brutta mascotte nella storia della competizione, è stato nettamente soppiantato da La’eeb. Che in arabo significa “giocatore super esperto”. Resta aperta comunque la questione su cosa sia La’eeb? A primo acchito parrebbe un fazzolettino da naso, ma potrebbe anche essere un fantasma, insomma con tutti i trilioni di dollari a disposizione dell’organizzazione si poteva fare meglio.

È notizia di venerdì invece, che non verranno serviti alcolici all’interno degli impianti, per la gioia delle migliaia di tifosi che si dovranno accontentare di tè alla menta. Una nota marca di birra americana, sponsor dell’evento, ha commentato la decisione con un tweet, poi cancellato, che diceva: “scelta imbarazzate”. Dal punto di vista enogastronomico è andata male anche alla Spagna, a quanto pare i cugini iberici dovranno fare a meno del loro adorato jamon (prosciutto). Mentre gli scaltri argentini, hanno scelto di alloggiare nelle stanze degli studenti presso l’Università del Qatar invece che nel preventivato hotel a 5 stelle. Questo per consentirgli di fare i loro amati barbecue a base di asado. Messi e compagni ci credono, dato che hanno fatto arrivare in Qatar circa 2.600 chilogrammi di carne di manzo. Malissimo invece il Ghana che pare abbia dimenticato di portarsi dietro le maglie da gioco. Le divise per le Black Stars sono state spedite ma non è detto che riescano ad arrivare in tempo per la prima partita ufficiale, in soccorso pero è arrivata l’Università Statale di Milano che avrebbe invitato in Qatar 30 divise griffate “La Statale” per evitare che i giocatori ghanesi debbano scendere in campo con la classica maglia della salute bianca con il numero disegnato a penna, come nei peggiori campi di periferia.

Sempre in tema di maglie da gioco, importante sottolineare la scelta fatta dallo sponsor tecnico della nazionale danese che, in protesta con le violazioni ai diritti umani commesse in Qatar, ha deciso di nascondere il proprio logo dalle maglie della Danimarca. Sempre la nazionale danese si era resa protagonista anche di un altra importante iniziativa, prontamente bocciata dalla FIFA, quella di inserire la scritta “diritti umani per tutti” nelle divise da allenamento. La FIFA, il massimo organismo calcistico a livello mondiale, infatti non permette messaggi politici sulle magliette. Evidentemente per loro i diritti umani sono una scelta politica e non diritti universali che andrebbero riconosciuti a tutte le persone del pianeta. C’è’ del marcio in Danimarca…e nella FIFA.

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In compenso il presidente della FIFA, Gianni Infantino, avrebbe chiesto ai leader mondiali di fermare le guerre durante i mondiali in Qatar. Bellissima proposta senza dubbio, peccato che aver messo nello stesso girone della competizione Iran, Stati Uniti, Inghilterra e Galles ha tutto il potenziale per farne scoppiare una nuova di guerra. Si preannuncia comunque un mondiale non facile per la nazionale inglese, che dopo la batosta dell’Europeo, ora ne rischia un’altra in Qatar. I giocatori della nazionale starebbero infatti passando notti insonni a causa del rumore che fanno i cammelli nei pressi del loro hotel. Una lancia in favore di Infantino, va però spezzata, durante la conferenza stampa inaugurale del torneo ha infatti dichiarato: «Oggi mi sento qatarino, oggi mi sento arabo, mi sento africano, mi sento lavoratore migrante e mi sento gay», mentre raccontava la sua esperienza di vita da italiano cresciuto all’estero, vittima a sua volta discriminazioni e bullismo. Infantino ha inoltre aggiunto che: «Le critiche al mondiale sono ipocrite. Per quello che noi europei abbiamo fatto negli ultimi 3.000 anni dovremo scusarci per i prossimi 3.000 anni, prima di dare lezioni morali agli altri». C’è del buonsenso ma suona tutto decisamente opportunistico.

Domenica 20 novembre alle ore 16:00 ci sarà al Al Bayt Stadium di Al Khor la partita inaugurale del torneo, Qatar – Ecuador, arbitrata dall’italiano Orsato. Poco si conosce della nazionale padrona di casa, e infatti gli allibratori danno per favorita la nazionale sudamericana. Nonostante i pronostici probabilmente ci sarà da aspettarsi una partita combattuta, tra due squadre che almeno sulla carta secondo il ranking FIFA non sono troppo distanti in termini di valori. Inoltre il Qatar è campione d’Asia in carica. Bisogna poi considerare che i giocatori del Qatar sono in ritiro da giugno per preparare al meglio le partite. Non si può quindi mettere in discussione la loro professionalità, lo ha ribadito anche l’ex allenatore dell’Inter Andrea Stramaccioni che da un anno e mezzo allena in Qatar l’Al Gharafa. «Qualcosa di simpatico è successo sugli orari, che in Italia per noi sono sacri. Qui invece sono stato costretto ad adottare il pugno di ferro e fare tante multe. Poi mi sono accorto che qua tutti i calciatori sono ricchissimi e se ne fregano», ha dichiarato.

Shoomilah Shoomilah a quanto pare sarà la canzone non ufficiale della coppa del mondo, e probabilmente diverrà il tormentone prima delle partite della nazionale padrona di casa. Piccola consolazione, è comunque meno fastidiosa delle vuvuzela del mondiale in Sud Africa del 2010. Pronti al fischio d’inizio, che vinca il migliore…[di Enrico Phelipon]

Qatar 2022. Partiti i Mondiali di calcio tra polemiche e spese record. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 20 Novembre 2022

La cerimonia inagurale nello stadio Al-Bayt con la mascotte La'eeb e l'emiro Tamm bin amad l Thn invita a superare le divisioni. "È bello che i popoli mettano da parte ciò che divide e celebrino le diversità e ciò che li unisce"

Si è svolta allo stadio Al-Bayt International di Al Kahwr la cerimonia di inaugurazione del mondiale Qatar 2022, in campo l’attore americano Morgan Freeman a rappresentare il mondo occidentale, oltre al corpo di ballo e musicisti qatarioti, la musica delle edizioni passate (Waka Waka, storica sigla del mondiale sudafricano del 2010), le mascotte di tutte le edizioni, tra cui ‘Ciao’, mascotte di Italia ’90 . In campo anche un po’ d’Italia con la partecipazione degli sbandieratori del Palio di Niballo, la rievocazione storica caratteristica della città di Faenza. 

Fa la sua entrata in campo, volando sul capo Kjalifa International, sulle note di ‘Dreamers‘ suonata dalla band sudcoerana Bts guidata dalla star del k-pop Jung Kook la mascotte della 22esima edizione della Coppa del Mondo, “La’eeb” (parola araba che significa “giocatore super esperto“) che è una sorta di fantasmino Casper o, volendo, una kefiah volante. 

Lo spettacolo ha avuto inizio con un filmato che ha illustrato la terra che ospita la Coppa del Mondo. Poi, a centro campo, è comparso l’attore statunitense Morgan Freeman, e con lui, un giovane qatariota, Ghanim Al-Muftah, affetto da una malattia che ha impedito la crescita degli arti inferiori. Il dialogo tra i due è sull’inclusione e comprende la recitazione di un versetto del Corano: “Oh uomo, in verità ti abbiamo creato da maschio e femmina e ti abbiamo creato popoli e tribù affinché tu possa conoscerti l’un l’altro “.

E’ stata poi la volta delle sagome con le maglie delle 32 nazionali che si contenderanno il trofeo. A seguire, le mascotte delle passate edizioni, sulle note di inni del passato. Con loro, anche gli sbandieratori del Palio di Faenza. Per ultima, calata dal soffitto dello stadio, la mascotte di questo Mondiale. Sul maxischermo, un filmato sgranato, una partita nel deserto di oltre 50 anni fa, tra i protagonisti quello che sarebbe poi diventato l’Emiro del Qatar, allora solo un bambino in pantaloni corti che rincorreva un pallone sulla sabbia. L’attuale Emiro, Sheikh Tamim bin Hamad al-Thani, ha preso poi il microfono dando il benvenuto.

“Per 28 giorni ci sarà una festa del calcio: persone di paesi e razze diverse arriveranno in Qatar ed è bello che i popoli mettano da parte ciò che divide e celebrino le diversità e ciò che li unisce. Auguro di vivere un momento di sport e emozioni. Siano giorni che ispirano bontà e speranza” ha detto l’emiro del Qatar Tamm bin amad l Thn inaugurando la 22esima edizione della Coppa del mondo di calcio. Morgan Freeman, ha aperto la kermesse con le seguenti parole: “Quello che ci unisce, in questo momento, è più importante di quello che ci divide“. Si è così chiusa la cerimonia, in attesa del calcio d’inizio tra Qatar ed Ecuador. 

Mentre gli occhi dei tifosi e dei media di tutto il mondo erano puntati sull’Al Bayt Stadium di Al Khor per la cerimonia di inaugurazione dei Mondiali in Qatar, la rete inglese BBC ha scelto di non coprire l’evento preferendo trasmettere un servizio in cui si criticava la scelta della Fifa per il trattamento riservato ai lavoratori migranti nell’emirato, evidenziando anche come non vengano rispettati i diritti degli omosessuali.

“È la Coppa del Mondo più controversa della storia e un pallone non è stato nemmeno calciato – ha esordito l’ex calciatore inglese Gary Lineker, oggi conduttore del programma ‘Match of the Day’ –. Da quando la Fifa ha scelto il Qatar nel 2010, la nazione più piccola ad aver ospitato la più grande competizione calcistica, ha affrontato alcune grandi questioni, dalle accuse di corruzione nel processo di gara al trattamento dei lavoratori migranti che hanno costruito gli stadi perdendo la vita in molti. L’omosessualità è illegale qui. I diritti delle donne e la libertà di espressione sono sotto i riflettori. Inoltre, la decisione presa sei anni fa di spostare la Coppa del Mondo dall’estate all’inverno. In questo contesto, c’è un torneo da giocare, uno che sarà visto e goduto in tutto il mondo. Attaccatevi al calcio, dice la Fifa. Beh, lo faremo, almeno per qualche minuto”. Redazione CdG 1947

Chi è Ghanim al-Muftah e il dialogo con Morgan Freeman alla cerimonia d'apertura dei Mondiali.  Andrea Sereni su Il Corriere della Sera il 20 Novembre 2022.

Il giovane youtuber è nato con una malattia rara, la sindrome da regressione caudale, e non ha gli arti inferiori. Con Freeman ha condiviso un messaggio: «Con la tolleranza e il rispetto possiamo vivere sotto un unico tetto»

È stato il protagonista della cerimonia d’apertura dei Mondiali. Accanto a Morgan Freeman, uno di fronte all'altro, per lanciare un messaggio di tolleranza. Lui si chiama Ghanim al Muftah ed è uno youtuber, una giovane celebrità social. È nato con una rara sindrome, la Caudal Regression Syndrome (CDS), «sindrome da regressione caudale», e non ha gli arti inferiori, ma fin da bambino ha imparato a superare gli ostacoli che la sua condizione fisica gli metteva davanti. «Con il rispetto reciproco possiamo vivere insieme. Con la tolleranza e il rispetto possiamo vivere sotto un unico tetto», ha detto insieme a Morgan Freeman, la voce narrante dello show ideato da Marco Balich, gli occhi del mondo addosso mentre Qatar 2022 iniziava ufficialmente.

Chi è Ghanim

Il Mondiale come occasione di inclusione, ecco perché l'organizzazione qatariota ha scelto Ghanim come testimonial. Un ragazzo simbolo di tenacia e perseveranza per tanti. Sta conseguendo una laurea in Scienze Politiche, è appassionato di sport estremi (immersioni subacquee, skateboard e l'arrampicata su roccia), nonostante la sua disabilità. Una sorta di motivatore per un'intera generazione. Ghanim è impegnato nel sociale, l'Onu lo ha scelto come relatore, e a lui fanno capo diverse fondazioni che lavorano a sostegno di chi è affetto da malattie rare (Gharissa Ice Cream, Association of Ghanim e Ghanim AlMuftah Foundation). È anche ambasciatore per ROTA.

Perché Morgan Freeman aveva un guanto

Molte domande anche sul perché Morgan Freeman nel dialogo con Ghanim indossasse un guanto alla mano sinistra. Il motivo? L'attore americano è affetto da fibromialgia, sviluppata dopo un incidente automobilistico, che appunto maschera con un guanto compressivo. Nel 2012 era sofferente durante un'intervista, e il giornalista Tom Chiarella spiegò: «Fa male quando cammina, quando sta fermo, quando si alza dal divano e quando fa un passo falso in un prato umido. Più che fa male. Sembra una specie di agonia, anche se non ne parla mai».

Show in stile Olimpiadi. Ci sono i fischi, non i leader occidentali. Emozionanti le coreografie del nostro Balich. Fra il pubblico timidi accenni di contestazione. Nino Materi il 21 Novembre 2022 su Il Giornale.

C'è la fiction. Ma, soprattutto, c'è la realtà. Durante la cerimonia (spettacolare) dell'apertura del Mondiale in Qatar sono andati in scena entrambe: da una parte la dolcezza di luci, colori e ballerini coordinati dall'italiano Marco Balich; dall'altra parte l'amarezza di veleni, polemiche e accuse che ruotano attorno al regime dell'emiro Al Thani. Quando ieri dal palco d'onore (orfano di tutti i leader occidentali e con la Bbc che non ha trasmesso la cerimonia), lo sceicco ha preso la parola per ringraziare «la gente che ha lavorato duramente», il pubblico ha rumoreggiato, qualcuno ha sentito anche dei fischi al suo indirizzo. Fischi che invece certamente hanno fatto da corona all'intervento del presidente Fifa, Gianni Infantino. L'impressione è che nessuno abbia più voglia di rilanciare temi scomodi. Forse basta e avanza il brutto show dello stesso Infantino che, due giorni fa, si è guadagnato gli «onori» della ribalta, lanciandosi in un discutibile coming out mediatico («Oggi mi sento arabo, gay, migrante e disabile») dalla dubbia sincerità. All'elenco dei discriminati mancavano le «donne» che hanno trovato spazio nella cerimonia di apertura solo col volto velato. I disabili sono stati invece rappresentati in mondovisione da Ghanim Al-Muftah, 22 anni, celebre youtuber qatariota: intenso emotivamente il suo dialogo sull'«inclusione» con la star hollywoodiana, Morgan Freeman. Ghanim è nato con una rara malattia, la Caudal Regression Syndrome e in patria è considerato un simbolo di perseveranza. Per il resto una «festa» dai tempi giusti: 28 minuti di coreografie tra laser moderni e tocchi di tradizione che hanno entusiasmato i 60mila dello stadio Al Bayt e milioni di spettatori global. Un paio di cantanti (nulla a che fare con le rockstar delle precedenti edizioni) ed effetti optical mai pacchiani, eccetto per l'entrata in scena delle mascotte mondiali (compreso il nostro vituperato «Ciao» di Italia '90) riesumate dal passato: un esercito di pupazzoni gonfiati d'aria che evocavano certe scenografie un po' kitch dei «Giochi senza frontiere». Già, le «frontiere» europee. Il Qatar, dopo essersi aggiudicato i Mondiali (con parecchie zone d'ombra che hanno coinvolto, oltre alla coppia Infantino-Al Thani, anche il terzetto Blatter-Platini-Sarkozy), vorrebbe giocarsi pure la carta delle Olimpiadi 2032. Per ora ha presentato solo la sua candidatura, ma il Cio (Comitato olimpico internazionale) è scettico. Tante le controindicazioni: temperature estive torride, timori di uno scarso pubblico e la vecchia questione dei «diritti violati». Perché la fiction non può cancellare la realtà.

Da nextquotidiano.it il 22 Novembre 2022.

Un Mondiale assegnato al Qatar nel 2010. Un evento che si è sempre disputato nei primi mesi estivi ma che, viste le esigenze meteorologiche, quest’anno è stato programmato in autunno. Il tutto inserito all’interno di una cornice fatta di mancati diritti civili, di operai e lavoratori morti durante la costruzioni degli impianti e un micro-clima politico e sociale non in linea con il più basico spirito sportivo. Il tutto per volere della FIFA che ha deciso di dare il via libera a quelli che, in tanti, hanno definito il Mondiale della vergogna. Di tutto ciò ha parlato, nel suo editoriale d’esordio nella trasmissione “Il Circolo dei Mondiali”, la direttrice di RaiSport, Alessandra De Stefano. 

Alessandra De Stefano contro la FIFA per il Mondiale in Qatar

La giornalista ha esordito citando alcuni dati economici sul guadagno della FIFA dopo l’assegnazione dei Mondiali in Qatar, calpestando diritti umani:

“Questo Mondiale non si sarebbe dovuto giocare. O meglio, non si doveva assegnare al Qatar, che si è offerto lo sport più bello del mondo calpestando i diritti umani, corrompendo, imbrogliando, grazie alla complicità dei signori del football che glielo hanno venduto nel 2010. Gli stessi che all’inizio volevano che il Mondiale si giocasse d’estate nel deserto, una cosa impossibile. Eppure tutto ha un prezzo, a proposito di cifre: nelle casse della Fifa questo evento planetario porterà 5 miliardi e mezzo di dollari”.

E allora, perché trasmetterli sulla televisione pubblica? Ecco la risposta – per anticipare eventuali polemiche e contestazioni – della stessa Alessandra De Stefano: 

“Quando il sogno di andare ai Mondiali da campioni d’Europa noi ci siamo interrogati sul senso di questo Mondiale senza l’Italia. Aveva senso fare la trasmissione? Aveva senso continuare a raccontarlo? Aveva senso tenerlo tutto in esclusiva? Decidere non è stato facile, poi ci siamo detti che il Mondiale è di tutti e non di pochi privilegiati, come Olimpiadi, Paralimpiadi e la Nazionale stessa. Questa è la nobiltà del servizio pubblico e l’essenza della Rai. Noi saremo qui ogni sera, proveremo a sottrarre peso alle storture umane. Vi parleremo di calcio e di ogni altro aspetto di questo Mondiale che solo nel bel gioco potrà trovare un pizzico di salvezza agli occhi del mondo”.  

Da ilnapolista.it il 21 Novembre 2022. 

Andrea Sorrentino commenta, su Il Messaggero, la cerimonia di apertura del Mondiale. Tutti parlano di inclusione, ma il vero tema inclusivo è che tutti danno dell’ipocrita a qualcun altro.

“Mentre tutti continuano a dare dell’ipocrita a qualcun altro (questo sì che è il vero tema inclusivo del torneo), e intanto deflagra il caso delle fasce con la scritta “One love” che la Fifa vuole bandire, il Mondiale di calcio è iniziato come una piccola Olimpiade”. 

Il quotidiano romano racconta l’inaugurazione, con la cerimonia allestita dall’italiano Marco Balich.

“Show di gran gusto e di estetica raffinata, durato appena mezz’ora, molto meno rispetto a quelli monstre dei Giochi (meglio così), ma che ha ricalcato i temi di sempre: la celebrazione della nazione ospitante e in contro luce l’inclusione, e i valori universali che lo sport dovrebbe incarnare. E pazienza se il commento di sottofondo dell’evento è stato pressoché unanime: vergognatevi, ipocriti. Eppure quello dell’ipocrisia è tema assai spinoso: in realtà riguarda tutti i popoli dei paesi ricchi, ma qui si aprirebbe un discorso assai complesso”. 

Chi non si è piegato al costume dominante è stata la Bbc, che nel Regno Unito ha oscurato in tv il Mondiale, preferendo mandare in onda un servizio sui problemi dei lavoratori in Qatar, sulle discriminazioni verso i gay e sulla corruzione.

“Comunque la Bbc ha deciso di non trasmettere la cerimonia nel Regno Unito, e al suo posto ha diffuso un servizio sui problemi dei lavoratori in Qatar, sulle discriminazioni nei confronti dei gay e sulla corruzione”. 

L’emiro al Thani, ha parlato di inclusione. Ha detto: 

«Abbiamo lavorato in tanti e duramente per allestire un torneo di successo, abbiamo profuso tutti i nostri sforzi per il bene dell’umanità. Bello che i popoli mettano da parte ciò che li divide e mettano insieme ciò che li unisce. Il mondo è il benvenuto ai Mondiali di calcio. Le persone di tutte le nazionalità e credenze sono benvenute in Qatar.

Che questi giorni possano ispirare bontà e speranza».

Eppure, appena finita la cerimonia, è scoppiato il caso delle fasce arcobaleno One Love, che molti capitani delle Nazionali vorrebbero indossare. 

“Pare che la Fifa dirà agli arbitri di ammonire chi l’avrà al braccio, già prima della gara. Benvenuti al Mondiale vero, dunque, altro che inclusione, e le belle ciance da cerimonie inaugurali. Anche se è stato bello crederci, per quella mezz’oretta. Ma forse l’idea giusta l’hanno avuta alla Bbc“.

Silenzio degli obbedienti. Sulle fasce arcobaleno l'ultima ipocrisia Fifa. Il messaggio versione Lgbtq+ considerato eccessivo, meglio una formula edulcorata...Riccardo Signori su Il Giornale il 22 Novembre 2022.

Fascia o non fascia? Combattere o obbedire? Il mondo del calcio, in Qatar, ha deciso di obbedire fingendo di combattere per i diritti civili. Ed allora meglio il rude realismo di Hugo Lloris, portiere capitano della Francia, che ha detto ancor prima di partire: «Rispetto regole e cultura di questo Paese pur a malincuore», piuttosto che il balletto dei servitori di due padroni: ovvero i 7 capitani di 7 federazioni che sono finiti sull'attenti. È bastata una alzata di sopracciglio del presidente «acchiappa danari» (certo il muscoloso Infantino, un emigrato secondo i suoi racconti) perché tutti tornassero al più mite pensiero di una fascia «No Discrimination» anziché alla più «coraggiosa» fascia arcobaleno del «One love» in appoggio a chi lotta per i diritti Lgbtq+. Ovvero: tutti fermi e tutti zitti che, se vi vede il muscolo, siete tutti fritti, diceva un vecchio spot. Qui non si scherza: il Qatar sbatte in faccia l'importanza del godere di diritti civili spesso negati. E non sono sepolti, nella memoria, i tanti morti contati per costruire i suoi stadi. Peccato che il calcio se ne sia ricordato solo ora: una volta raccolto il malloppo nelle mani Fifa. Il pallone non esce bene da questo bagno nella retorica che finisce in bluff. La Fifa ancora meno, ma ci ha abituati: Infantino, inizialmente, non ha nemmeno risposto alle 10 federazioni, poi ridotte a 7, che avevano chiesto di far indossare la fascia arcobaleno ai capitani per segnalare critica e protesta. Definirla contestazione è ridicolo. E la Fifa ha agito seguendo l'insegnamento del muscolare presidente: guai a voi! Ieri ha spiegato: se lo fate, secondo regolamento arriveranno sanzioni disciplinari ai capitani, cioè multa e ammonizione. Niente di nuovo su quel fronte: cosa aspettarsi di diverso da un ente che bada al business ed ha sposato i soldi del Qatar? Non certo la carta dei diritti. Non scopriamo ora che la Fifa adocchia altri fini. Sarebbe stato meglio agire prima, magari 4-5 anni fa. Ma nessun si è mosso o indignato, più che nelle parole. Le federazioni potevano rifiutarsi e non lo hanno fatto. I giocatori urlare e non hanno urlato. In questi giorni è comparsa la foto di ragazze iraniane senza copricapo in uno spogliatoio: era un simbolo di reazione. Poi è stata trovata una scusa banale per evitar pene vere. Loro rischiano, non così i giocatori che si inginocchiano a salvare le coscienze. C'è differenza tra coraggio e coraggio.

Ed allora eccoli schierati a centrocampo gli intrepidi Kane (Inghilterra) e Van Dijk (Olanda) che avevano sventolato parole rivoluzionarie. Eccoli, nel silenzio degli obbedienti, con la più mite fascetta «No discrimination» che la Fifa aveva previsto dai quarti ed, invece, ha permesso di vestire fin dall'inizio per mostrare quel tanto di magnanimità ai ribelli. Poi, di questi bracciali «contestatori», ne sono stati preparati altri dai quarti in poi. Ecco perché Lloris, portiere pure del Tottenham, merita stima. Lo ha ripetuto ieri: «Quando diamo il benvenuto agli stranieri in Francia vogliamo che seguano le regole e rispettino la nostra cultura. Qui ci vien chiesto di rispettare il Paese». Non si chiama coraggio, solo onestà comportamentale magari spinta dalla federazione. Discorso crudamente realista, in attesa di veder colleghi che non protestino solo per lo stipendio.

Mario Ferri «il Falco» racconta l’invasione di campo ai Mondiali: «Infantino mi ha salvato». Storia di Salvatore Riggio su Il Corriere della Sera il 30 novembre 2022.

Mario Ferri «il Falco» racconta l’invasione di campo ai Mondiali: «Infantino mi ha salvato»© Fornito da Corriere della Sera

Mario Ferri, per tutti «il Falco», ha colpito anche al Mondiale in Qatar con l’invasione di campo durante Portogallo-Uruguay, poco prima del vantaggio firmato da Bruno Fernandes. È comparso improvvisamente sul terreno di gioco interrompendo la partita e spuntando alle spalle della panchina dei lusitani. Ed è entrato in campo mostrando la bandiera arcobaleno, simbolo bandito dal Mondiale in Qatar. Ferri indossava la sua maglia tipica blu di Superman: davanti compariva un messaggio «Save Ukraine» e sulla schiena «Respect for the Iranian woman».

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Dopo l’invasione, Ferri è stato intervistato da numerose tv di tutto il mondo e ha raccontato come è riuscito a superare i controlli: «Sono nato fortunato, sembrava impossibile farcela. Poi ho notato un piccolo varco sulla panchina del Portogallo, ho saltato sulla panchina e sono entrato in campo». La bandiera l’aveva nascosta negli slip: «L’ho messa arrotolata e li ho fregati. Sono arrivato intorno al 30′ e forse mi hanno controllato malissimo». Naturalmente, la preoccupazione era molta, soprattutto quando lo hanno bloccato e portato via: «Mi hanno portato nella sala della polizia fino a fine partita e ho parlato con gli addetti alla sicurezza» Dopo un primo interrogatorio, la sorpresa: «A un certo punto è entrato il presidente della Fifa, Gianni Infantino. Mi sono detto: "Stavolta l’ho fatta grossa". E lui: Dopo 12 anni ci rivediamo". L’avevo visto al Mondiale 2010 quando ho fatto un’altra invasione, ma lui non era ancora presidente. Poi ha aggiunto: "In questi 12 anni non sei riuscito a trovare una fidanzata" e mi ha spiegato quanto fossero arrabbiati».

Chi è «Il Falco» Mario Ferri, invasore di campo ai Mondiali in Qatar: è stato anche volontario in Ucraina per aiutare i profughi

A quel punto Ferri si è scusato direttamente con il presidente della Fifa: «Era un messaggio a cui tenevo tanto. E poi gli ho fatto una battuta: " Era come giocare a guardia e ladri. Ho vinto da solo contro 20mila steward"». E, stando al racconto di Ferri, sarebbe stato lo stesso Infantino ad aiutarlo: «Ho spiegato che volevo solo mandare solo un messaggio di pace. A quel punto lui ha detto che aveva avuto un’idea per salvarmi ed è uscito dalla stanza. Probabilmente ha pensato che se mi avessero arrestato, si sarebbe creato un caso diplomatico che avrebbe potuto rovinare il Mondiale. In quel momento, però, pensavo che mi avrebbero arrestato e che avrei dovuto chiedere a qualcuno di mediare per me. Avevo brutte sensazioni. Mai avrei pensato che sarebbe stato Infantino a salvarmi».

Mondiali in Qatar, chi è l’invasore che in campo ha portato la guerra in Ucraina e la rivoluzione in Iran. Il Domani il 29 novembre 2022

Già durante il mondiale 2014 in Brasile, Mario Ferri era sceso in campo durante Belgio-Stati Uniti con una maglietta con le scritte "Salva i bambini delle favelas" e "Ciro Vive". Dopo essere stato fermato dalla polizia qatariota Ferri è stato rilasciato

Prima della censura televisiva per una frazione di secondo le telecamere all’interno dello stadio Lusail hanno inquadrato Mario Ferri, il pescarese che ha invaso il campo durante la partita di Portogallo-Uruguay disputata nei mondiali in Qatar. Ferri è entrato in campo indossando una maglia di Superman e scritte contro la guerra in Ucraina e in solidarietà delle donne iraniane che da mesi protestano contro il regime in seguito alla morte di Mahsa Amini, uccisa in custodia dalla polizia religiosa che l’aveva fermata per strada perché non indossava correttamente il velo islamico.

Nella sua breve corsa in campo, Mario Ferri, soprannominato il falco, aveva con se anche una bandiera della pace che richiama i colori della comunità Lgbt, fortemente discriminata in Qatar.

Dopo 30 secondi dal suo ingresso sul terreno di gioco Ferri è stato placcato dagli steward e dalla sicurezza presente nello stadio. A fine partita il calciatore portoghese ha detto: «Sappiamo cosa sta succedendo intorno a questa coppa del Mondo. Certo, siamo con loro, anche con l’Iran, le donne iraniane. Spero che non accada nulla a questo ragazzo perché capiamo il suo messaggio, e penso che anche il mondo lo capisca». Dopo qualche ora secondo quanto riporta l’Ansa, Ferri è stato rilasciato. Le telecamere televisive però hanno censurato tutto, come accade di consueto per non lasciare spazio e notorietà a chi decide di eseguire delle invasioni di campo e dalla televisione si sono visti soltanto pochi secondi, compresi quelli in cui l’arbitro raccoglie da terra la bandiera della pace.

I PRECEDENTI

Per Ferri non è la prima volta. Già durante il mondiale 2014 in Brasile, era sceso in campo durante Belgio-Stati Uniti con una maglietta con le scritte "Salva i bambini delle favelas" e "Ciro Vive", in onore di Ciro Esposito il tifoso del Napoli ucciso qualche settimana prima a Roma.

Giulia Zonca per "La Stampa" il 30 novembre 2022.

All'improvviso, quasi alla fine della fase a gironi, tra un'Olanda-Qatar e un Ecuador-Senegal il numero dei morti ufficiali per colpa di questo Mondiale sale a 500.

Così, di colpo: una cifra arrotondata al ribasso, dopo mesi di negazionismo assoluto. Un numero buttato lì come fosse stato pescato in una tombola macabra.

Saltano fuori centinaia di vittime: dalle 40 dichiarate fino a qui, solo 3 per la costruzione degli stadi, a questo numero che non ha parametri o spiegazioni, salta fuori per calmare le critiche e insieme esasperare un conto che non torna mai. Siamo lontani dalle migliaia di deceduti usciti dalle ricerche delle associazioni umanitaria e sempre rifiutati dagli organizzatori della Coppa del mondo. Siamo lontanissimi dai 6.500 fotografati dall'inchiesta di «The Guardian» che ha incluso tutti gli immigrati morti dal 2010, anno di assegnazione del torneo, alla chiusura dei cantieri. Distanti però pure da tutti i rifiuti mostrati fino a qui.

In un'intervista, Al-Thawadi, il segretario generale del Comitato Supremo, estrae da non si sa dove una cifra che suona insieme riparatoria e casuale: potrebbe essere un tentativo di ammissione, così come una concessione misera, quasi un insulto. Non si capisce e lui stesso dice: «Non abbiano dati più precisi». Diventa assai difficile comprendere come si sia passati da 40 a 500 e che mondo esiste tra i 500 percepiti oggi dal Qatar e i 6.500 reali, contati nei decessi, per qualsiasi causa, tra i migranti arruolati. Le persone che hanno perso la vita mentre cambiavano la faccia di una nazione altrui.

Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia, in prima linea nella richiesta di dati certi e responsabilità precise, preferisce vedere il nuovo approccio come un punto di partenza: «Sono le prime ammissioni, anche se parziali e tardive.

È importante insistere perché ci siano indagini trasparenti e a tutto tondo, altrimenti il numero dei morti non si conoscerà mai esattamente». Ad Amnesty interessa insistere e confrontarsi su ogni minima apertura perché loro hanno chiesto alla Fifa 440 milioni di dollari come risarcimento da dividere tra le famiglie delle vittime: «Si devono dare verità giustizia e fondi ai parenti dei lavoratori morti in Qatar». Non ci sono spiragli su questo.

All'apertura dei Mondiali, il capo della Fifa Infantino ha chiesto perché non si pretendono gli stessi fondi per rispondere delle morti dei migranti in Europa.

Il Qatar cambia atteggiamento, dal silenzio su un argomento trattato sempre come fastidio a frasi retoriche che per lo meno si fanno carico del problema: «Anche un solo morto sarebbe troppo, quello che possiamo dire è che le condizioni degli operai qui sono molto diverse da come erano 12 anni fa». Si torna alle modifiche di una legge che, nell'interpretazione, resta in mano a chi comanda. I toni sono i soliti, il pressapochismo è irritante eppure esiste un fatto.

Per il Qatar sono morte centinaia di persone ed è successo per il Mondiale, per tutti gli sforzi richiesti senza dare tutele a quel 90 per cento della popolazione che arriva dal Nepal, dall'India, da Bangladesh, da Singapore. Gente che si ritrova tra la disperazione e un'esistenza in solitaria, in case vuote condivise con estranei, in stanze che non ospitano mai meno di cinque persone, se ti va bene e guidi il taxi.

Altrimenti dormitori e giornate tutte uguali che iniziano in piena notte per evitare il caldo e finiscono con file di gente sedute sui marciapiedi ad aspettare il fresco. Spesso ci mangiano su quel marciapiedi e ci socializzano. In un settore dello stadio di Lusail, quello della finale, c'era un murales di facce: un omaggio a chi ha speso fatica per costruire le grandi opere.

Tutti vivi, per fortuna, e sorridenti e con il pollice alzato. Era il tentativo di mostrare che esisteva anche soddisfazione e partecipazione nei cantieri indagati per vergogna, però pur sempre un tributo. È sparito e anche su quello ci sono più versioni. Dal silenzio stizzito a una spiegazione relativa alla consegna degli stadi mondiali con grafiche e disegni Fifa. Il murales era parte dell'architettura, non un orpello, pare tornerà dopo il 18 dicembre, a Mondiali consumati. Quando forse le centinaia di morti non meglio definiti diventeranno le migliaia di esseri umani che hanno perso la vita. Con un nome, un cognome e un perché.

Da gazzetta.it il 21 novembre 2022.

Muti, mani sulle spalle dei compagni, mentre le note del loro inno riecheggiano nello stadio. I giocatori dell'Iran non hanno cantato, un gesto molto significativo. Non sarà il pugno di Tommy Smith e John Carlos a Città del Messico, ma potrebbe comunque passare alla storia. Sono rimasti lì, immobili, la sfida lanciata, senza paura. Sugli spalti qualcuno piange, in panchina solo un assistente di Queiroz muove le labbra. E il pubblico fischia, fa capire agli ayatollah da che parte sta.

 La protesta era iniziata fuori dallo stadio, con i tifosi iraniani che inneggiavano a Masha Amini, la giovane uccisa dalla polizia iraniana dopo l'arresto da parte dei paramilitari Basij con l'accusa di non aver indossato l'hijab, morte che ha scatenato proteste in tutto il Paese, represse con violenza (oltre 400 morti) da parte del regime degli ayatollah. Non è stato il solo nome cantato dai supporter persiani, che hanno anche invocato Ali Karimi, l'ex giocatore che si è schierato a favore della rivolta. 

 Ancora più rumore avevano fatto le parole del capitano di Team Melli (il soprannome della nazionale di Teheran), Ehsan Hajsafi, che alla vigilia aveva così commentato la situazione nel suo Paese: "Noi giocatori stiamo dalla parte di chi ha perso la vita, dobbiamo accettare il fatto che le condizioni attuali in Iran non sono giuste e il nostro popolo non è contento. Innanzitutto voglio esprimere le mie condoglianze a tutte le famiglie che hanno avuto un lutto, voglio che sappiano che siamo con loro, che li sosteniamo e sposiamo la loro causa".

Fabrizio Piccolo per sport.virgilio.it il 30 novembre 2022.

Che fosse una gara ad alta tensione, e non per motivi calcistici, lo si sapeva: Iran-Usa ai Mondiali in Qatar era una potenziale bomba ad orologeria per le implicazioni politiche tra i due paesi. Alla fine poteva andare peggio ma non sono mancati episodi da dimenticare. Un tifoso Usa con la fascia arcobaleno, ad esempio, è stato cacciato dallo stadio. Prima della gara i giocatori dell’Iran, alcuni non molto convinti, hanno cantato l’inno, a differenza della prima giornata quando rimasero tutti muti. Secondo la stampa Usa le famiglie dei giocatori sarebbero state minacciate se non lo avessero fatto. Tanti i fischi dagli spalti ma i problemi più gravi ci sono stati dopo l’incontro.

Una violenta rissa è scoppiata infatti dopo la partita. A denunciare l’accaduto è Michele Criscitiello che con un tweet riporta il video in cui c’è parte dell’aggressione, in cui è rimasto coinvolto anche l’inviato di Sportitalia Tancredi Palmeri insieme ad altri tifosi iraniani.

Il cronista è stato aggredito e fermato dagli steward che lo hanno minacciato, intimandogli di non registrare alcun filmato: ad alcuni tifosi hanno obbligato di nascondere bandiere e magliette, ad una donna hanno requisito il cellulare. Tre ragazzi iraniani residenti in Svezia che indossavano la maglietta "Woman, Life, Freedom" sono stati circondati da una trentina di addetti alla sicurezza filo-iraniani e aggrediti.

Ecco il suo racconto: "All’uscita dallo stadio escono questi tre ragazzi. Avevano una maglietta sui diritti sulle donne e avevano il volto truccato con lacrime di sangue. Li fermo, li noto, era una cosa grossissima. Gli ho chiesto – ‘Vi va bene venire in diretta?’ – uno dei tre che parla in italiano ha accettato. Preparo tutto per la diretta, ma poi si raggruppa un gruppo di 20-30 tifosi iraniani con tuniche e simboli islamici".

"Pochi secondi dopo la ragazza caccia il telefono per fare un selfie e uno dei tifosi la colpisce. Il telefono vola, loro accerchiano i ragazzi e mi allontano per salvare la videocamera. Mentre i ragazzi provano a recuperare il telefono si crea un principio di rissa. La polizia interviene e porta con sé i ragazzi, chiudendosi nella struttura dello stadio e non ci hanno permesso di accedere. Ho comunicato poi con uno dei ragazzi che ha ammesso di avere paura di uscire ma anche di rimanere lì con i poliziotti".

Pippo Russo per “Domani” il 21 novembre 2022.

C’è una vicenda nel passato di Aleksander Ceferin che si ostina a non inabissarsi. Risale al tempo in cui il presidente dell’Uefa non aveva ancora scalato il vertice del calcio europeo ma da presidente della federazione calcistica slovena, nonché avvocato appartenente a una potente dinastia forense nel paese, era in piena ascesa. 

È una storia che a un certo punto pareva finita su un binario morto, e come si vedrà l’uso della metafora non è casuale. Invece la vicenda non è rimasta ferma lì. Anzi, nei mesi scorsi la stampa slovena ha ripreso a parlarne. Provocando nel capo del calcio europeo, che nei prossimi mesi andrà a giocarsi la rielezione, lo stesso disagio provato in quei lunghi mesi del 2016 che lo hanno visto impegnato nella corsa per la prima elezione alla presidenza dell’Uefa. A volte ritornano. Altre volte non se ne sono mai andati. E rischiano di farti deragliare quando pensavi di non avere più intoppi nella corsa.

Kocevo è una splendida località della Slovenia meridionale, una cittadina da 17mila abitanti posta al centro del comprensorio amministrativo più vasto del paese. Bagnata dai due fiumi, circondata da una foresta fra le più lussureggianti d’Europa, la cittadina è stata oggetto di un’opera di ammodernamento della linea ferroviaria nel periodo a cavallo fra gli anni Zero e gli anni Dieci.

L’opera riguarda 26 chilometri della tratta fra Kocevo e Grosuplje. Un intervento finanziato con 42 milioni di euro, la cui gestione è affidata dalle ferrovie slovene (SZ) al loro braccio specializzato in materia di costruzioni ferroviarie (SZ-ZGP). Il direttore di quest’ultima, Leon Kostiov, nel contesto delle operazioni legate all’opera, procede ad assegnare nel 2008 un subappalto alla società NB Inzeniring. 

La somma impegnata per questo cespite è di 390mila euro, non particolarmente significativa rispetto alla portata complessiva dell’affare. Ma a suonare immediatamente strano è che NB inzeniring è una società priva di dipendenti, che non ha mai pubblicato informazioni sulle sue attività e verrà cancellata dal registro delle imprese subito dopo avere ricevuto il subappalto e il denaro.

Si fa immediatamente largo il sospetto che si sia trattato di un’operazione fittizia. E a proiettare toni ulteriormente oscuri sulla transazione è il fatto che la “one business company” risulti controllata da un personaggio non proprio limpido. Si tratta di Nihad Bešic, soggetto che nel corso degli anni ha dovuto far fronte a diversi infortuni giudiziari.

E poi c’è un terzo personaggio, quello che più degli altri evita di fare inabissare la vicenda iniziata ormai quattordici anni fa. Il personaggio in questione si chiama Miloš Njegoslav Milovic. E fra i tre è quello che presenta il profilo più complesso. Ex componente dei corpi speciali della polizia, Milovic è stato capo della sicurezza personale di Janez Drnovšek, il secondo presidente della repubblica di Slovenia dopo la secessione dall’ex Jugoslavia. 

Successivamente diventa l’uomo di fiducia di Zoran Jankovic, che formalmente sarebbe il sindaco di Lubiana ma di fatto ne è il monarca poiché la governa quasi ininterrottamente dal 2006 (un solo anno di interruzione, fra il 2011 e il 2012, quando prova senza successo a formare un governo nazionale dopo aver vinto le elezioni a capo della lista Slovenia Positiva).

In quegli anni Milovic consolida un profilo da lobbista che lo vede muoversi costantemente sottotraccia per risolvere problemi di amici del mondo politico e imprenditoriale. E proprio grazie a questo profilo egli viene arruolato da uno dei più prestigiosi studi legali del paese: lo studio della famiglia Ceferin, fondato dal patriarca Peter, cui è stata data continuità dai due figli. Uno è Rok, attualmente giudice della Corte costituzionale slovena da settembre 2019, l’altro è Aleksander, presidente dell’Uefa dal 2016. 

Milovic prende a prestare i propri servizi allo studio legale Ceferinnel 2008, cioè nel periodo in cui la compagnia ferroviaria slovena assegna il subappalto che attirerà i sospetti degli inquirenti. E lo è ancora nel 2016, quando il procedimento giudiziario prende il via. Per due dei tre soggetti coinvolti, Kostiov e Bešic, la vicenda processuale si conclude con un patteggiamento: i due se la cavano con 480 ore di servizio sociale. Invece Milovic decide di andare avanti. Viene assolto nei primi due gradi di giudizio, ma il pubblico ministero insiste e trascina il procedimento fino alla Corte suprema slovena.

Per ottenere questo esito la pubblica accusa cambia ben quattro volte il capo d’imputazione nei confronti di Milovic. Che però nel frattempo decide di raccontare la propria versione dei fatti. E tira in ballo lo studio Ceferin con particolare riferimento al presidente dell’Uefa. Raccontando la sua verità sui fatti.

Per il momento Milovic preferisce non parlare coi giornalisti. Rimane in attesa che la Corte suprema di Slovenia emetta il verdetto e per questo evita circostanze che possano influenzarlo negativamente. Ma un suo documento difensivo presentato ai magistrati circola già e ampi stralci ne sono stati pubblicati sul web. 

Vi si racconta che quei 390mila euro sarebbero la parcella pagata allo studio Ceferin per una consulenza prestata alla società ferroviaria statale. Ma secondo la versione tratteggiata nel documento di Milovic, quei soldi dovevano rimanere non dichiarati. Per questo motivo sarebbe stato architettato un marchingegno pasticciato come quello di far transitare il denaro attraverso la società di Bešic.

Ovviamente questa è la versione di un imputato che prova a difendersi e rispetto a questa rappresentazione dei fatti Ceferin ha smentito. Ma al di là della singola questione relativa alla somma che la società ferroviaria slovena ha ufficialmente pagato per finanziare un subappalto, le carte prodotte da Milovic contengono molte altre informazioni a proposito del presidente Uefa e dello studio legale di famiglia. 

Anche queste informazioni sono tutte da verificare, ma se infine dovessero corrispondere a verità sarebbero parecchio imbarazzanti. Vi si trovano molti riferimenti al modo di lavorare all’interno dello studio Ceferin. Ma soprattutto viene esposta la tesi secondo cui l’esplosione del caso giudiziario nei primi mesi del 2016 avrebbe provocato una mobilitazione per proteggere Aleksander Ceferin, impegnato in quei mesi nella corsa alla presidenza dell’Uefa. 

Accuse molto pesanti che coinvolgono anche il procuratore Bostian Jeglic, colui che ha cambiato quattro volte il capo d’imputazione nei confronti di Milovic. Jeglic è anche uno dei giudici in forza alla giustizia sportiva della federcalcio slovena, organismo di cui Ceferin è stato presidente dal 2011 al 2016 (cioè fino al momento in cui è stato eletto alla presidenza dell’Uefa) e che comunque rimane pienamente nella sua sfera d’influenza. 

Per rispondere a quelle che considera illazioni sorte intorno a questo intreccio fra controllori e controllati, ma soprattutto all’ipotesi che Aleksander Ceferin sia stato messo al riparo dall’inchiesta giudiziaria mentre si trovava nel pieno della corsa per la presidenza dell’Uefa, la procura di stato slovena è scesa in campo a difesa di Jeglic scrivendo una lunga replica a un articolo pubblicato nello scorso mese di aprile dalla testata slovena Demokracija.

Nel testo della replica si eccepisce sul fatto che l’articolo abbia assunto, come unica versione dei fatti, quella della parte finita sotto processo, diffondendo così una rappresentazione unilaterale. E da lì in poi viene aggiunto che la ricostruzione dei fatti proposta nel documento difensivo di Milovic sarebbe infarcita di menzogne o versioni parziali. Un intervento inusuale, che sposta sul terreno della rissa mediatica argomenti dell’accusa che avrebbero dovuto rimanere in ambito processuale.

Ma al di là di queste considerazioni non resta che attendere l’esito dell’ultimo grado di giudizio. Senza che ciò significhi cessare di analizzare meglio la figura di Ceferin, uno fra i leader politici del calcio mondiale di cui però poco si conosce al di là della pubblica esibizione di virtù. E invece ce ne sarebbe da raccontare, e anche parecchio. Sia sul personaggio che sul modo con cui sta governando l’Uefa. Se ne riparlerà.

Maurizio Crippa per “il Foglio” il 22 novembre 2022.

Ci sono stati migliaia di lavoratori morti (cosa accadde a Pechino o Sochi non lo sapremo mai) ed è ovviamente terribile e ingiusto; ma i 6.500 nel decennio indicati dal Guardian sono lo stesso tragico numero delle morti sul lavoro in Italia. “C’è molta meno libertà sessuale che nei paesi occidentali”, scrive l’Economist, che però annota come la situazione sia identica “in gran parte del mondo in via di sviluppo e in quasi tutti i paesi musulmani”. 

Il Qatar non è una democrazia, ma in occasione dei Mondiali in Russia del 2018 Amnesty International allestì una Nazionale “Squadra Coraggio” fatta di 11 campioni dei diritti umani detenuti dal regime di Putin: tutti andarono lo stesso a festeggiare. I Mondiali a Doha non andavano fatti, troppo caldo e niente birra: giusto, ma hanno avuto 12 anni per accorgersene.

Sono stati il frutto del malaffare di Sarkozy & Soci: sì, ma France Football fece scoppiare il Qatargate nel 2013, c’era tempo per rimediare. Del resto, anche su Germania 2006 erano girati sospetti, per non dire di Sudafrica 2010. C’erano motivi per non farli, questi Mondiali? Francamente no, e non lo dice solo l’Economist. Ma anche volendo dire di sì: a parte l’imbarazzante wokismo da salone dell’estetista di Infantino, basterebbe ricordare che tutti quelli che oggi si risciacquano nel puritanesimo calcistico sono andati a giocare in Russia, e alle Olimpiadi in Cina.

Siamo andati ai Mondiali nell’Argentina dei desaparecidos (tranne Cruijff: ma perché aveva paura per la famiglia). E lo scorso anno noi italiani ci siamo sbomballati mesi di retorica per i 45 anni della Coppa Davis vinta in Cile, quando giocarono una partita con la maglietta rossa, con metà dell’Italia che non voleva la spedizione nello stadio di Pinochet e l’altra metà invece sì, compresi Gianni Clerici e Berlinguer: per la sana autonomia dello sport e una briciola di realismo politico. 

(…) 

Si può ovviamente dire di tutto contro il Qatar, che dopo alcuni anni di controverso gran pavese geopolitico-sportivo pare ora avviato al ruolo del prossimo Cattivo da mettere in quarantena. Ma le crisi di “infantinismo”, anche no.

Fifa Uncovered. Il più grande scandalo di corruzione nella storia dello sport. Alessandro Cappelli su L’Inkiesta il 24 Novembre 2022.

Una docuserie Netflix in quattro episodi racconta l’evoluzione della federazione calcistica mondiale del calcio, da «Ong del pallone» a impero in cui la corruzione è sistemica. La stessa assegnazione dei Mondiali in Qatar è legata al pagamento di tangenti milionarie

Il principio della salsiccia dice che se c’è qualcosa di buono o di bello è meglio non sapere com’è fatto. Di solito si applica alle leggi e alla politica: meglio non investigare cosa c’è dietro accordi, compromessi e strette di mano. Vale anche per il mondo del calcio, per la Fifa, le triangolazioni tra i suoi funzionari.

A lungo tifosi e semplici spettatori hanno fatto finta di niente, hanno scelto di non dare peso agli scandali che riguardavano il governo del pallone – cioè di uno sport seguito con trasporto trascendentale, mistico, religioso – anche quando erano al centro delle cronache e delle indagini giudiziarie. In fondo, se il piatto è buono meglio non fare troppe domande.

L’inizio dei Mondiali in Qatar però ha cambiato ogni prospettiva. Le oscenità in serie girate sui social e poi sui giornali hanno ridimensionato l’interesse per l’evento calcistico più importante di tutti, seppellendo sotto una montagna di marciume, corruzione e morti impunite la bellezza sportiva della competizione.

Il Qatar ha programmato questi Mondiali per quasi due decenni, e comunque non è riuscita a offrire un’organizzazione paragonabile alle edizioni precedenti. La Fifa invece sembra arrivata alla chiusura di un cerchio, al termine di un percorso e un declino – politico, ma anche morale e umano – decisamente più antico.

«Se vuoi gestire la Fifa con un codice etico, allora buona fortuna», suggerisce Jérôme Valcke, ex segretario generale Fifa, nelle scene finali della docuserie Netflix “Fifa: Tutte le rivelazioni”. In quattro episodi, la serie pubblicata poco prima dell’inizio dei Mondiali dipinge un quadro affascinante e scoraggiante: quattro ore di interviste a giornalisti, ex funzionari Fifa, agenti sportivi, forze dell’ordine e persone coinvolte nelle indagini sono una miscela di trasgressione e ripugnanza che rendono il racconto di una storia calcistica una serie sulla perversione criminale del potere, sull’inevitabilità del male. «Non sono sicuro che sia possibile seguire un codice etico», dice Valcke in un misto di sicumera e inconsolabile accettazione.

Per decenni la Fifa era stata solo un’ente dedito all’organizzazione dei tornei, con una visione puramente idealistica di un calcio senza scopo di lucro e l’obiettivo ultimo di portare in tutto il mondo the beautiful game.

Nel 1974 João Havelange diventa presidente. È l’anno in cui sbiadisce l’idea romantica dietro l’organo di governo del calcio mondiale: la campagna elettorale dell’ex nuotatore brasiliano è ambiziosa, parla di un calcio globale diffuso in maniera capillare, una bandierina in ogni centimetro del planisfero.

Politicamente è una strategia geniale. In un sistema in cui ogni federazione nazionale vale uno, le organizzazioni continentali del Nord America (Concacaf) e dell’Africa (Caf) hanno un peso elettorale enorme pur avendo mercati marginali rispetto al movimento calcistico mondiale: bisogna convincere i vertici di quelle federazioni per garantirsi la continuità al trono.

Il successo di Havelange inizia proprio con le buste di contanti da distribuire ai presidenti delle federazioni a cui deve chiedere voti: è il momento della storia in cui la corruzione nella Fifa si trasforma in un elemento sistemico, il pilastro su cui poggia l’architrave del potere.

Una visione che non può concretizzarsi con le scarse risorse di un’organizzazione che fino a quel momento era paragonabile a una Onu del calcio: il calcio fine a se stesso deve morire, sostituito da una visione del gioco come prodotto, merce da vendere al miglior offerente.

Il volto e la mente dietro questa trasformazione sono di uno svizzero nativo di Visp, settemila anime tra le valli del Canton Vallese, un uomo innamorato del calcio che non vede l’ora di avere un ruolo in questa storia. Sono i primi passi nella costruzione di un impero che poi Sepp Blatter avrebbe governato per molti anni.

L’idea è rivoluzionaria eppure semplicissima: servono sponsor. Il primo è Coca Cola, che nel 1976 diventa partner nei progetti calcistici destinati ai giovani. «Due grandi organizzazioni potevano e dovevano lavorare insieme», pensa Blatter. Serve un fornitore di attrezzature sportive e il secondo brand a stringere mani e firmare contratti è adidas. Ne seguiranno altri, Phillips, Canon, Gillette. Se c’è una ricompensa, i Mondiali li può organizzare chiunque: Havelange appoggia la candidatura dell’Argentina per la Coppa del Mondo del 1978; significa fare il gioco di Videla e di tutta la giunta militare, ma nell’ottica del calcio come prodotto passa tutto in secondo piano.

Possono sembrare storie di un passato più cupo del presente, in realtà è tutto ancora in piedi, come se certi principi fossero scolpiti nella pietra: domenica scorsa l’attuale presidente della Fifa, Gianni Infatino – purtroppo rimasto fuori dalla docuserie Netflix, ma è uno che in questi anni ha stretto la mano di Vladimir Putin e degli sceicchi qatarioti – ha detto che tutti possono ospitare i Mondiali, anche la Corea del Nord.

La chiave di volta di “Fifa: Tutte le rivelazioni” è nel terzo episodio, quello che racconta sia le accuse di corruzione dei membri della Fifa per mano del Qatar, sia l’intersezione tra interessi del calcio e della geopolitica che ha portato Blatter ad annunciare con un po’ di scoramento l’assegnazione dei Mondiali al piccolo emirato del Golfo.

L’informatore Phaedra Almajid, responsabile capo delle relazioni con i media internazionali della Fifa, rivela di aver assistito al pagamento di tangenti in cambio del voto per assegnare i Mondiali al Qatar. Hassan Al Thawadi, segretario generale del Comitato Supremo incaricato della Coppa del Mondo 2022, avrebbe offerto denaro ai delegati del Camerun (Issa Hayatou), della Costa d’Avorio (Jacques Anouma) e della Nigeria (Amos Adamu) per assicurarsi il loro voto.

Lo scandalo sembra così più vero e più crudele in questi giorni in cui i migliori giocatori del mondo vanno in campo negli stadi in mezzo al deserto, tra tifosi finti e una generale sensazione «che sia tutto finto, molto, molto finto», come ha detto a Linkiesta un agente di calciatori – che preferisce rimanere anonimo – sbarcato in Qatar due giorni prima della partita inaugurale.

L’inchiesta dell’Fbi ha portato, nel 2015, a quarantasette capi d’accusa tra cui associazione a delinquere, frode telematica e riciclaggio di denaro; all’arresto di sette massimi dirigenti; quattro membri del Comitato esecutivo indagati; le dimissioni di Sepp Blatter. Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti – che ha coordinato le indagini con l’Fbi – l’aveva definita come una fitta rete di corruzioni concatenate che avrebbe influenzato accordi di marketing, diritti tv e appunto l’assegnazione dei Mondiali, per cifre che si contano nell’ordine delle centinaia di milioni di dollari, in un periodo lungo circa due decenni.

Da fanpage.it il 9 dicembre 2022.

La magistratura Belga ha lanciato un'ondata di perquisizioni a Bruxelles nella mattinata di oggi nell'ambito di una inchiesta su presunte corruzioni al Parlamento Ue e l'esistenza di una organizzazione infiltrata nel cuore dell'Europarlamento, sospettata di ingerenza nella politica dell'Ue e corruzione da parte del Qatar. Lo rendono noto in esclusiva i quotidiani locali Le Soir e Knack rivelando che tra gli indagati vi sarebbero anche quattro italiani. 

Secondo le ipotesi degli inquirenti della procura federale belga, riportate dai due giornali, si sospetta che il Paese del Golfo dove si stanno svolgendo i mondiali di calcio abbia tentato di influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento europeo corrompendo politici ed europarlamentari

"La polizia giudiziaria federale ha effettuato 16 perquisizioni (in 14 diversi indirizzi) in diversi comuni di Bruxelles. In particolare a Ixelles, Schaerbeek, Crainhem, Forest e Bruxelles-Ville. Queste perquisizioni sono state effettuate nell'ambito di un'ampia indagine per presunti atti di organizzazione criminale, corruzione e riciclaggio di denaro" confermano dalla procura belga senza però indicare i nomi dei coinvolti né quello del Paese del Golfo che, attraverso il pagamento di "ingenti somme di denaro o offrendo doni significativi a terzi che rivestono una posizione politica e/o strategica significativa all'interno del Parlamento europeo", avrebbe interferito sulle politiche Ue.

Secondo le informazioni della stampa belga, tra gli indagati figurerebbero l'ex deputato democratico Pier Antonio Panzeri, il neoeletto segretario generale della Confederazione internazionale dei sindacati (Ituc) Luca Visentini, nonché un direttore di una ong e un assistente parlamentare europeo – tutti italiani. Per loro sarebbero scattati fermi e perquisizioni. 

Panzeri è stato eurodeputato per tre mandati, dal 2004 al 2019. Panzeri è stato eletto all'Eurocamera nella lista Uniti nell'Ulivo ed è stato riconfermato a Strasburgo alle Europee del 2009. Nel 2014 è stato eletto eurodeputato una terza volta, nelle liste del Pd ma nel 2017 ha lasciato i Dem per aderire ad Articolo I. All'Eurocamera ha ricoperto diversi incarichi ed è stato, tra l'altro, presidente della sottocommissione dei diritti umani. Luca Visentini è stato per diversi anni il punto di riferimento dei sindacati europei. Nel 2015 è stato eletto segretario generale della Etuc, ovvero la confederazione dei sindacati europei, e nel 2019 è stato riconfermato. Infine è stato nominato come segretario generale della Ituc (International Trade Uniion Confederation), la più grande confederazione sindacale del mondo.

Da iltempo.it il 9 dicembre 2022.  

Terremoto in Europa. La vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili è stata arrestata per una sospetta corruzione con soldi arrivati dal Qatar. 

A riferire la notizia è il quotidiano belga Le Soir, che spiega come l'abitazione della rappresentante socialdemocratica greca sia stata perquisita e che anche il compagno sia indagato per corruzione. Il partito socialista greco, Pasok, ha espulso l’eurodeputata: “A seguito degli ultimi sviluppi e delle indagini delle autorità belghe sulla corruzione di funzionari europei, l’eurodeputata Eva Kaili viene espulsa dal Pasok - Movimento per il cambiamento per decisione del presidente Nikos Androulakis”. L'unico modo per arrestare un parlamentare protetto dall'immunità è coglierlo in flagrante. 

Il 1 novembre, su Twitter, è stato riportato che Kaili ha incontrato il ministro del Lavoro del Qatar, Al Marri. L’eurodeputata era inoltre intervenuta il 21 novembre nella plenaria a Strasburgo, nel dibattito sulla ‘Situazione dei diritti umani nel contesto della Coppa del Mondo Fifa in Qatar’, con parole positive nei confronti del paese del Golfo: “Oggi i Mondiali in Qatar sono la prova, in realtà, di come la diplomazia sportiva possa realizzare una trasformazione storica di un Paese con riforme che hanno ispirato il mondo arabo. Il Qatar è all’avanguardia nei diritti dei lavoratori, si sono aperti al mondo. Tuttavia, alcuni qui stanno chiedendo di discriminarli. Maltrattano e accusano di corruzione chiunque parli con loro. Ma comunque, prendono il loro gas. E hanno le loro aziende che guadagnano miliardi lì”.

Tangenti del Qatar, è coinvolta la Ong fondata da Emma Bonino: “Non so niente, non ricordo”. Guido Liberati su Il Secolo d’Italia l’11 Dicembre 2022. 

Nessun tg lo ha detto, nessun quotidiano lo ha pubblicato in prima pagina, ma nello scandalo delle tangenti del Qatar al Parlamento europeo, figura anche la Ong«No Peace Without Justice» (“Non c’è pace senza giustizia”), fondata da Emma Bonino. Al momento, una delle persone in stato di fermo in Belgio è il segretario generale della Ong, Niccolò Figà Talamanca, considerato da sempre un fedelissimo della leader di Più Europa.

Al Corriere della Sera, l’esponente radicale ha risposto con delle risposte molto vaghe, costellate da “Non so” e “non ricordo”. La giornalista che la interpella telefonicamente riesce a strapparle pochissime ammissioni. Chiede Alessandra Arachi: Lei ha fondato a Bruxelles la Ong “Non c’è pace senza giustizia”? «Sì,è successo nel 1994 se non ricordo male. Forse era il 1993». L’Ong è finita nell’inchiesta sul presunto tentativo da parte del Qatar di corrompere alcune autorità europee. Sa niente di questo? «No, non so niente, aspetto la magistratura che si deve esprimere, credo che lo farà nel giro di pochi giorni».

Niccolò Figà -Talamanca, il segretario generale della sua Ong, è implicato direttamente in questa inchiesta. «Ho letto, ma non ho potuto parlare con Niccolò, lui adesso è in stato di fermo. Immagino che gli abbiano dato un avvocato d’ufficio». Ancora più vaga la risposta su Antonio Panzeri, uno dei principali indagati di questa inchiesta. «Non mi ricordo di lui – dice la Bonino al Corriere – può essere che l’abbia incontrato qualche volta quando ero al Parlamento europeo».

Chi è il fedelissimo della Bonino fermato per le tangenti del Qatar

Niccolò Figà Talamanca, nato a Genova nel 1971 è uno degli indagati ed è considerato un fedelissimo di Emma Bonino. Ha un curriculum accademico che passa dal Tribunale penale internazionale per l’ex-Jugoslavia dell’Aia alla Comitato degli avvocati per i diritti umani di New York City.

Nello stesso edificio dove ha sede la sua Ong, a Bruxelles hanno sede anche i Radicali Italiani, Più Europa, l’Associazione Luca Coscioni, l’Euro-Syrian Democratic Forum, Al Wefaq (un partito di opposizione del Bahrein) e altre realtà. Più, appunto, Fight Impunity di Panzeri, che ha una targa separata, probabilmente perché è di costituzione più recente.

L’associazione “Non c’è pace senza giustizia” è una presenza fissa su Radio Radicale. Sulla home page dell’associazione campeggia una foto di Emma Bonino e un suo messaggio di benvenuto.  Non è improprio quindi definire l’organizzazione umanitaria la Ong della Bonino. Eppure pochissimi la tirano in ballo, almeno per avere una dichiarazione ufficiale. Fosse capitato uno scandalo del genere con un politico di centrodestra i media sarebbero stati così delicatamente cauti?

Da open.online il 10 dicembre 2022.

Eva Kaili, vicepresidente del Parlamento Europeo, è una degli europarlamentari arrestati nell’inchiesta sulla corruzione dal Qatar. L’arresto ha seguito segue il fermo di altri quattro sospetti avvenuto nella mattinata. Tra questi l’ex eurodeputato socialista Antonio Panzeri e il segretario generale della Confederazione internazionale dei sindacati Luca Visentini. Kaili è stata espulsa dal partito per decisione del presidente Nikos Androulakis. Il gruppo dei Socialisti e Democratici l’ha sospesa. La polizia ha apposto i sigilli ai suoi uffici, così come a quelli di Tarabella. Il suo compagno, Francesco Giorgi, è stato fermato nello stesso filone d’indagine.

Le accuse

Secondo la procura di Bruxelles un paese del Golfo avrebbe tentato di influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento europeo. «Versando ingenti somme di denaro o offrendo regali di grande entità a terzi che ricoprono posizioni politiche o strategiche di rilievo all’interno del Parlamento europeo», ha spiegato la procura senza fornire né il nome del Paese coinvolto né quello di indagati e persone fermati. Le accuse per tutti sono corruzione, criminalità organizzata e riciclaggio di denaro.

Le 16 perquisizioni condotte in sei delle municipalità che costituiscono la regione di Bruxelles capitale – Ixelles, Schaerbeek, Crainhem, Forest e Bruxelles città – hanno permesso il recupero di circa 600 mila euro in contanti. Sono stati inoltre sequestrati computer portatili e telefoni cellulari. Kaili, nata a Salonicco il 26 ottobre 1978, fa parte del Movimento Socialista Panellenico. È entrata all’Europarlamento nel 2014. Dal 2004 al 2007 era stata giornalista per Mega Channel. È stata la più giovane deputata del Pasok eletta nel 2007. 

Eva Kaili e il discorso sul Qatar

L’agenzia di stampa Agi ha riportato un intervento di Kaili nella plenaria di novembre in cui difendeva in aula i progressi del Qatar nell’ambito dei diritti. «Oggi i Mondiali in Qatar sono la prova, in realtà, di come la diplomazia sportiva possa realizzare una trasformazione storica di un paese con riforme che hanno ispirato il mondo arabo. Io da sola ho detto che il Qatar è all’avanguardia nei diritti dei lavoratori. Nonostante le sfide che persino le aziende europee stanno negando per far rispettare queste leggi, si sono impegnati in una visione per scelta e si sono aperti al mondo. 

Tuttavia, alcuni qui stanno invitando per discriminarli. Li maltrattano e li accusano di corruzione chiunque parli con loro o si impegni nel confronto. Ma comunque, prendono il loro gas. Tuttavia, hanno le loro aziende che guadagnano miliardi lì», aveva detto a Strasburgo.

Il compagno Francesco Giorgi

E ancora: «Ho ricevuto lezioni come greca e ricordo a tutti noi che abbiamo migliaia di morti a causa del nostro fallimento per le vie legali di migrazione in Europa. Possiamo promuovere i nostri valori ma non abbiamo il diritto morale di dare lezioni per avere un’attenzione mediatica a basso costo. E non imponiamo mai la nostra via, noi li rispettiamo». Il Corriere della Sera specifica che la sua elezione a vicepresidente è stata favorita anche dal sostegno dei socialisti rimasti vicini a Panzeri.

Kaili ha deleghe dalla responsabilità sociale d’impresa all’informatica e alle telecomunicazioni. E sostituisce la presidente Roberta Metsola nei contatti con le associazioni imprenditoriali europee, anche con il Medio Oriente. Repubblica fornisce oggi altri dettagli sul compagno di Kaili, Francesco Giorgi. L’assistente parlamentare è costantemente “eletto” come il più bello tra le deputate e le funzionarie di Bruxelles. Nella scorsa legislatura era l’assistente di Panzeri, fermato nella stessa inchiesta. Poi è diventato il collaboratore di Andrea Cozzolino.

Da repubblica.it il 10 dicembre 2022.

Eva Kaili, vicepresidente del Parlamento europeo arrestata in Belgio, ha trascorso la notte in stato di detenzione, poiché a casa sua sono stati trovati "sacchi di banconote". 

Lo riferisce il quotidiano belga L'Echo. Secondo l'agenzia di stampa greca Ana-Mpa anche il compagno di Kaili, Francesco Giorgi, è stato arrestato. Giorgi in passato è stato assistente parlamentare di Antonio Panzeri, anch'esso arrestato. Fino a pochi giorni fa la vice presidente del Parlamento europeo Kaili ha difeso in aula i progressi del Paese del Golfo nell'ambito dei diritti in vista dei Mondiali di calcio in corso. 

"Oggi i Mondiali in Qatar sono la prova, in realtà, di come la diplomazia sportiva possa realizzare una trasformazione storica di un Paese con riforme che hanno ispirato il mondo arabo. Io da sola ho detto che il Qatar è all'avanguardia nei diritti dei lavoratori, abolendo la kafala e riducendo il salario minimo. Nonostante le sfide che persino le aziende europee stanno negando per far rispettare queste leggi, si sono impegnati in una visione per scelta e si sono aperti al mondo. Tuttavia, alcuni qui stanno invitando per discriminarli. Li maltrattano e accusano di corruzione chiunque parli con loro o si impegni nel confronto. Ma comunque, prendono il loro gas. Tuttavia, hanno le loro aziende che guadagnano miliardi lì", ha detto nel suo intervento a Strasburgo.

"Ho ricevuto lezioni come greca e ricordo a tutti noi che abbiamo migliaia di morti a causa del nostro fallimento per le vie legali di migrazione in Europa. Possiamo promuovere i nostri valori ma non abbiamo il diritto morale di dare lezioni per avere un'attenzione mediatica a basso costo. E non imponiamo mai la nostra via, noi li rispettitamo, anche senza Gnl", ha aggiunto. Sono una nuova generazione di persone intelligenti e altamente istruite. Ci hanno aiutato a ridurre la tensione con la Turchia. Ci hanno aiutato con l'Afghanistan a salvare attivisti, bambini, donne. Ci hanno aiutati. E sono negoziatori di pace. Sono buoni vicini e partner. Possiamo aiutarci a vicenda per superare le carenze. Hanno già raggiunto l'impossibile", ha concluso.

Kaili, come le altre quattro persone arrestate, sarà ascoltata entro 48 ore da un giudice che deciderà su eventuali mandati di cattura. La procura federale belga non ha confermato i nomi degli arrestati, ma sottolinea che si tratta di "personalità con posizioni strategiche".

Claudio Tito per la Repubblica l’11 Dicembre 2022.

 «Il Qatar è sulla strada giusta per le riforme in diversi settori, il Paese può essere considerato un riferimento per i diritti umani. Si tratta di sforzi encomiabili. Il Qatar ha avviato uno sviluppo positivo». Era il 2019. Ormai tre anni fa. Ma l'organizzazione dei mondiali di calcio era in pieno svolgimento. E Antonio Panzeri, che aveva da poco lasciato la presidenza della sottocommissione del Parlamento europeo per i diritti umani, usava proprio queste parole per descrivere la situazione nel Paese del Golfo Persico.

La lunga marcia di avvicinamento a Doha, dunque, parte da quel momento. E da quel momento la "conversione" di molti esponenti del gruppo S&D, i socialisti europei, diventa quasi un segno distintivo. Almeno di quelli del "circolo" più stretto organizzato dall'ex eurodeputato e che fa perno su italiani o di origine italiana. 

E così di conversioni ce ne sono diverse. E tutte pubbliche. Perché l'esigenza è soprattutto comunicativa. Basti pensare a Luca Visentini, capo del sindacato europeo e di recente "promosso" alla guida di quello mondiale. «Il Qatar - ha detto in una intervista di pochi mesi fa - dovrebbe essere visto come una storia di successo. La Coppa del Mondo è stata un'opportunità per accelerare il cambiamento e queste riforme possono costituire un buon esempio da estendere ad altri Paesi che ospitano grandi eventi sportivi». Nell'inchiesta dei magistrati belgi, del resto, il ruolo di Visentini emerge con chiarezza: l'obiettivo qatarino era dimostrare che anche i sindacati apprezzavano i presunti passi avanti sulla tutela dei lavoratori.

Ma è il 22 novembre il giorno in cui si illuminano le luci sul palco e chi deve, si presenta. A Strasburgo, nella seduta plenaria del Parlamento europeo, si discute e si vota una risoluzione sul Qatar. Il testo unico Ppe-Pse viene bloccato. I socialisti si dividono. Durante la riunione del gruppo vengono presentati diversi emendamenti. Alcuni di loro si astengono, in dissenso con i colleghi (ad esempio l'italiano Cozzolino il cui assistente è Francesco Giorgi, uno dei fermati). Il dibattito pubblico mostra chi tra il gruppo S&D ha cambiato opinione sul Qatar. 

La più clamorosa è Eva Kaili, vicepresidente greca del Parlamento: «Il Qatar è all'avanguardia nei diritti dei lavoratori, nell'abolizione della kafala (un sistema per cui il datore di lavoro è anche il tutore legale del lavoratore straniero). Alcuni qui chiedono di discriminarli. Li bullizzano e accusano di corruzione chiunque parli con loro o si impegni. Ma ancora, prendono il loro gas. Sono buoni vicini e partner. Hanno già raggiunto l’impossibile».

È il turno di Mark Tarabella (al momento non coinvolto nell'inchiesta ma molto vicino a Panzeri), deputato belga di origini italiane. «Restano ancora molti progressi da fare - spiega - ma è un Paese che ha intrapreso la via delle riforme. E l'organizzazione della Coppa del Mondo è stata probabilmente la molla che ha accelerato queste riforme. Bisogna riconoscere oggi, l'abbandono della kafala, questo sistema di dipendenza dei lavoratori. Così oggi, il discorso unilateralmente negativo mi sembra dannoso per l'evoluzione dei diritti in futuro in Qatar. 

Perché ciò che è importante è che, quando le luci della Coppa del Mondo si spengono, lo sviluppo positivo continui non solo in Qatar, ma in tutta la penisola arabica». Un'altra parlamentare belga di origini italiane e in buoni rapporti con Panzeri, Maria Arena (coinvolto nelle indagini un suo collaboratore, non lei), senza i toni entusiastici degli altri due colleghi ha cercato di fissare un punto di equilibrio. «Sì, come lei ha detto signor Commissario, il Qatar ha compiuto progressi. Oggi non c'è la kafala». Arena sottolinea però che «in alcuni settori, la kafala esiste ancora in un modo piuttosto speciale. E ci sono state violazioni, morti e il risarcimento è necessario. Dobbiamo lavorare con il Qatar per garantire che queste compensazioni abbiano luogo». La nemesi del "circolo" di Panzeri è fatta.

Da ilfattoquotidiano.it il 9 dicembre 2022.

Mazzette e regali dal Qatar per influenzare le decisioni del Parlamento europeo e della più importante federazione sindacale del mondo, la Confederazione sindacale internazionale (Ituc). È quanto emerge da un’inchiesta svolta dalle autorità belghe e citata da un articolo pubblicato dal quotidiano Le Soir e dal settimanale Knack, secondo cui tra i vertici di quella che i media definiscono una “organizzazione criminale infiltrata nel cuore del Parlamento” c’erano due personaggi italiani di spicco a Bruxelles: 

l’ex deputato dei Socialisti per Articolo 1, Antonio Panzeri, al quale sono stati anche trovati 500mila euro in contanti all’interno della residenza brussellese, e Luca Visentini, segretario generale di Ituc che rappresenta più di 200 milioni di lavoratori. Entrambi risultano essere stati fermati nel blitz delle forze dell’ordine belghe che hanno svolto 14 perquisizioni. I vertici dei Socialisti&Democratici, di cui Panzeri ha fatto parte fino ad alcuni anni fa, si riuniranno d’urgenza nelle prossime ore.

Quella iniziata a luglio 2022 dalle autorità belghe e coordinata dalla procura federale è un’inchiesta che potrebbe provocare un terremoto senza precedenti all’interno dei palazzi delle istituzioni europee. Un caso di corruzione e riciclaggio di denaro che, se venissero dimostrati legami ben più ramificati con altri esponenti politici seduti tra gli scranni dell’Eurocamera, rischierebbe di minare la credibilità delle istituzioni stesse. Secondo quanto si legge, “la polizia giudiziaria federale ha effettuato 14 perquisizioni in diversi comuni di Bruxelles. In particolare a Ixelles, Schaerbeek, Crainhem, Forest e Brussels-City. Queste perquisizioni sono state effettuate nell’ambito di un’ampia indagine con le accuse di organizzazione criminale, corruzione e riciclaggio di denaro”. 

Gli inquirenti “sospettano che un Paese del Golfo stia cercando di influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento europeo pagando ingenti somme di denaro o offrendo doni significativi a terzi che rivestono una posizione politica e/o strategica significativa all’interno del Parlamento europeo. L’accusa, precisano i giornali, non menziona il Qatar, ma diverse fonti ben informate hanno riferito che a pagare le mazzette sia stata proprio Doha. Il loro obiettivo, mentre sono ancora in corso le partite della Coppa del Mondo, sarebbe stato proprio quello di difendere la legittimità della competizione dalle accuse di violazione di diritti umani e dei diritti dei lavoratori, sottolineando i presunti progressi della monarchia qatariota. 

Tra gli arrestati, oltre a Panzeri e Visentini, i media riferiscono esserci anche il direttore di una ong e un assistente parlamentare, anch’essi di origine italiana. Si tratta di personalità molto attive nelle associazioni per i diritti umani. Panzeri è anche presidente di Fight Impunity che promuove “la lotta all’impunità per gravi violazioni dei diritti umani” e la giustizia internazionale. Tra le sedi perquisite ci sarebbe infatti anche quella dell’associazione. 

Maggiori informazioni sull’architettura dell’organizzazione potrebbero emergere dalle analisi delle apparecchiature informatiche e dei telefoni sequestrati dagli inquirenti nel corso dei blitz che hanno riguardato soprattutto gli assistenti parlamentari legati al gruppo Socialisti e Democratici e, in un caso, al Partito Popolare Europeo.

Inchiesta a Bruxelles, sequestrati 600 mila euro in contanti. Le accuse all’ex eurodeputato del Pd Antonio Panzeri. Francesca Basso su Il Corriere della Sera il 10 Dicembre 2022.  

Coinvolta anche la vicepresidente dell’Europarlamento Eva Kaili. Le perquisizioni in casa dell’ex esponente del Pd: sono stati trovati 600 mila euro in contanti

Bufera al Parlamento europeo e sgomento per un affare di corruzione legato al Qatar, che sta scuotendo il gruppo socialista. Sono stati fermati ieri mattina dalla polizia belga l’ex eurodeputato del Pd Antonio Panzeri, poi passato ad Articolo Uno, il suo assistente nella passata legislatura Francesco Giorgi, Luca Visentini che è da poco stato eletto segretario generale della Confederazione internazionale dei sindacati (Ituc) e Niccolò Figà-Talamanca direttore della Ong No Peace Without Justice che opera a Bruxelles. La notizia è stata anticipata dai giornali belgi Le Soir e Knack, che in serata hanno allungato la lista dei fermati aggiungendo Eva Kaili, compagna di Giorgi, socialista greca e una dei quattordici vicepresidenti del Parlamento europeo.

Un parlamentare per essere arrestato deve essere colto in flagranza di reato, l’abitazione di Kaili è stata perquisita come i suoi uffici al Parlamento Ue. In un comunicato stampa la procura federale belga ha spiegato che la polizia giudiziaria ha condotto 16 perquisizioni in 14 indirizzi in diversi quartieri di Bruxelles nell’ambito di un’indagine di ampio respiro su una presunta organizzazione criminale, casi di corruzione e riciclaggio di denaro.«Da diversi mesi gli inquirenti della polizia giudiziaria sospettano che uno Stato del Golfo abbia cercato di influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento europeo», spiega il comunicato aggiungendo che sono stati sequestrati contanti per 600 mila euro oltre a materiale informatico e telefoni cellulari. I giornali belgi riferiscono che il Paese del Golfo sarebbe il Qatar, dove sono in corso i tanto discussi mondiali di calcio e il contante sarebbe stato sequestrato a casa di Panzeri.

Secondo altre fonti i quattro sono stati fermati per corruzione di funzionari e membri degli organi delle comunità europee e di Stati esteri, riciclaggio e associazione a delinquere. Da alcune intercettazioni sarebbero emersi anche riferimenti a fondi europei destinati al nord Africa. Sono stati perquisiti anche gli uffici al Parlamento europeo degli assistenti dei deputati belgi Marie Arena e Marc Tarabella. Il comunicato della procura belga, che non indica i nomi dei fermati ma solo le date di nascita (1955, 1969, 1971 e 1987) , spiega che «l’operazione ha riguardato in particolare gli assistenti parlamentari» e cita anche un ex eurodeputato che sarebbe appunto Panzeri. Sempre ieri è stato eseguito il MAE, mandato di arresto europeo, nei confronti della moglie di Panzeri Maria Colleoni, che abita a Carlusco (Bergamo) e della figlia Silvia, residente invece nel Milanese. Tra le 16 perquisizioni c’è anche Fight Impunity, la ong fondata nel settembre 2019 da Antonio Panzeri, una volta terminata la sua esperienza al Parlamento Ue, per combattere le violazioni dei diritti umani. Alla ong era legato anche Visentini.

L’ex segretario della Camera del Lavoro di Milano ha comunque sempre mantenuto i legami e una certa influenza soprattutto nella componente più a sinistra del gruppo S&D. Il gruppo dei socialisti è «sconvolto dalle accuse» e fa sapere di avere chiesto «la sospensione dei lavori su eventuali fascicoli e votazioni in plenaria riguardanti gli Stati del Golfo, in particolare la liberalizzazione dei visti e le visite programmate». A Strasburgo, alla Plenaria dello scorso novembre, si è tenuto un dibattito sulla situazione dei diritti umani e dei lavoratori in Qatar dopo le polemiche sul trattamento dei dipendenti stranieri che hanno contribuito alla costruzione degli stadi per il Mondiale e per diversi parlamentari avrebbe potuto essere più severa. La Lega va all’attacco: «Dopo anni di accuse ai rivali, il Pd che deve chiarire immediatamente agli italiani».

L’ex giornalista Kaili e il velista Giorgi, i «belli» di Bruxelles. Storia di Francesca Basso, da Bruxelles su Il Corriere della Sera il 10 dicembre 2022.

È una di quelle coppie che non passa inosservata perché sono entrambi molto belli. Lei è di Salonicco e ha 44 anni. Lui viene dall’hinterland di Milano e ha 35 anni . Eva Kaili e Francesco Giorgi sono stati fermati (lei in flagranza di reato) nell’ambito dell’inchiesta belga su una presunta corruzione al Parlamento Ue legata al Qatar che sta scuotendo il gruppo socialista . Lei è uno dei 14 vicepresidenti del Parlamento Ue (ma gli S&D dopo averla espulsa ne hanno chiesto e ottenuto la destituzione), lui è attualmente assistente parlamentare dell’eurodeputato Andrea Cozzolino (non coinvolto nell’inchiesta) ed è stato nella passata legislatura assistente di Antonio Panzeri, a sua volta fermato.

A casa della coppia, che ha una bambina di due anni che ogni tanto si portavano al Parlamento Ue, sono state trovate borse con del denaro e venerdì sarebbe stato fermato anche il padre di Kaili. La famiglia fa parte della buona borghesia di Salonicco, il padre è ingegnere e si è sempre mosso con successo nell’ambito del pubblico. Eva ha una laurea in architettura messa da parte per diventare giornalista. Per un breve periodo ha presentato il tg e poi è entrata in politica. È stata molto vicina al primo ministro socialista George Papandreou, che ha guidato la Grecia dal 2009 al 2011 (fu lui nell’ottobre del 2009 ad annunciare che i bilanci di Atene erano stati truccati per entrare nell’euro). Poi l’esperienza europea dal 2014. I rapporti con il Pasok si erano però deteriorati da un po’ di tempo. Fonti greche riferiscono che il presidente del Movimento socialista panellenico Nikos Androulakis avesse detto a Kaili già nel settembre scorso, con largo anticipo, che non sarebbe stata ricandidata nel 2024. E venerdì sera, appena apparsa la notizia del fermo, l’ha espulsa.

Francesco Giorgi gode di fama di bello al Parlamento Ue ma anche con un carattere un po’ arrogante. Chi lo conosce dice che facesse pesare la sua esperienza di assistente parlamentare di lungo corso, iniziata nel febbraio del 2009. È anche istruttore di vela a Caprera dal 2007. In quel contesto chi lo ha incrociato lo descrive come una persona disponibile. Dai sui profili social è evidente che la vela sia la sua passione ma c’è anche chi aggiunge la pesca. L’ambiente degli assistenti parlamentari è altamente competitivo, il confronto è tra persone molto preparate che ad ogni legislatura rischiano il proprio posto. E questo può scatenare degli odi. Alle ultime Europee la delegazione del Pd ha quasi dimezzato i parlamentari, che hanno diritto a tre assistenti a testa, quindi circa una quarantina si è trovata a spasso. Giorgi, specializzato nel Maghreb, era assistente di Panzeri e nella nuova legislatura lo è diventato di Cozzolino per la sua specializzazione, perché l’eurodeputato napoletano è il presidente della Delegazione per le relazioni con i Paesi del Maghreb del Parlamento europeo. Questo «cadere in piedi senza troppa fatica» ha creato però qualche malumore nel mondo degli assistenti. Per il resto chi li conosce li descrive come una coppia dalla grande bellezza ma normale. È generale lo stupore per l’inchiesta e i suoi contenuti.

Eva Kaili arrestata e sospesa da vicepresidente: per europarlamentari niente immunità se colti in flagranza. Storia di Giuseppe Guastella Bruxelles su Il Corriere della Sera il 10 dicembre 2022.

È una Bruxelles attonita che, stordita dallo schiaffo dell’arresto per reati pesantissimi di uno dei 16 vice presidenti del Parlamento europeo, Eva Kaili si chiede cosa succede all’ombra del palazzo dell’Unione. In serata la presidente Metsola ha deciso sospendere Kaili dal ruolo di vicepresidente. A casa della parlamentare socialista greca, la 44 enne ex presentatrice televisiva, gli agenti della polizia giudiziaria avrebbero trovato «borse di banconote», scrive il giornale belga L’Echo: è l’elemento decisivo che ha fatto scattare il fermo della Kaili. Un europarlamentare, infatti, non gode di immunità se viene sorpreso in , se viene, come letteralmente è accaduto con la Kaili, preso con le mani nel sacco.

Per evitare che il reato si protragga, la polizia deve fermare il sospettato, salvo poi l’avvio delle procedure di autorizzazione a procedere da parte della magistratura. Con la Kaili, nell’ambito dell’, sarebbe stato fermato anche il padre, anche lui sorpreso in flagranza di reato mentre maneggiava le banconote. L’arresto della parlamentare è stato ordinato dal giudice istruttore (Magistrato di prima istanza) di Bruxelles Michel Claise. I reati contestati sarebbero gli stessi di cui è accusato l’ex parlamentare europeo del Pd Panzeri, anche lui arrestato con la moglie e la figlia, ma in questo caso su richiesta di arresto europeo al termine della prima fase delle indagini preliminari: associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e al riciclaggio connessi all’ intensa attività di lobbing compiuta a favore dello stato del Qatar e di quello del Marocco che, a leggere la scarna documentazione notificata, avrebbero evidentemente pagato tangenti per ottenere corsie preferenziali a loro favore nei rapporti con la Unione Europea. Panzeri, la moglie e la figlia rischiano un massimo di 5 anni di carcere, il primo per «essere intervenuto politicamente su membri del parlamento europeo a favore del Qatar e del Marocco dietro pagamento».

Dalla documentazione emerge che la famiglia sta organizzando una vacanza per Natale. Alla moglie che, però, non vuole che sul suo conto siano addebitati 35 mila euro, Panzeri risponde «che lui sarebbe andato in vacanza il primo gennaio usando “l’altra soluzione” e che avrebbe addebitato 10 mila euro nel conto bancario “qui”», riferendosi al Belgio. Quindi la donna aggiunge che non può «permettersi di spendere 100 mila euro per le vacanze come l’anno scorso». Panzeri, moglie e figlia avrebbero partecipato anche ad un «trasporto dei “regali” ricevuti in Marocco attraverso Abderrahim Atmoun», il 67 enne «ambasciatore del Marocco in Polonia» ed avrebbero beneficiato di una «carta di credito intestata ad una terza persona che loro chiamavano in francese “géant”, il “gigante”». Emergerebbe anche che Panzeri aveva intenzione di aprire in Belgio una “nuova attività”, ma che la moglie lo avrebbe rimproverato perché «non voleva che lui facesse cose e operazioni di ogni genere» senza il suo controllo, che lei pare voler esercitare, suggerendogli di «aprire un conto con l’Iva», cosa che per il magistrato suggerisce che Panzeri intenda «aprire una nova attività commerciale». La donna, infine, avrebbe usato in una telefonata la parola «intrallazzi in riferimento ai viaggi e agli affari» usando la parola francese «combines» «che suggerisce che il marito usa ingegnosi e spesso scorretti mezzi per ottenere i suoi scopi», chiosa il giudice.

Maddalena Berbenni per corriere.it il 10 dicembre 2022.

Si muoveva con «metodi ingegnosi e spesso scorretti per raggiungere i suoi scopi», Antonio Panzeri . Così scrivono di lui gli inquirenti di Bruxelles, che lo hanno arrestato per associazione per delinquere finalizzata alla corruzione e al riciclaggio. Tra doni e vacanze da 100 mila euro, emersi nelle intercettazione delle indagini e citati nelle accuse, di mezzo ci sono andate anche la moglie Maria Dolores Colleoni e la figlia Silvia Panzeri , portate in carcere in esecuzione di un mandato di arresto europeo disposto dalle autorità belga. 

Nella tarda mattina di oggi (sabato 10 dicembre 2022), sono comparse davanti alla Corte d’Appello di Brescia per l’udienza di convalida dell’arresto. Secondo le accuse, sapevano dei favori che l’ex eurodeputato del Pd ed ex sindacalista, 67 anni, avrebbe ricevuto da Qatar e Marocco in cambio di pressioni politiche.

L’arresto nella casa di Calusco

Le due donne rispondono di favoreggiamento nell’ambito dell’inchiesta di Bruxelles per corruzione e riciclaggio , con vincolo di associazione per delinquere che ha portato agli arresti lo stesso Panzeri e altre persone. I carabinieri le hanno accompagnate in carcere, a Bergamo, nel primo pomeriggio del 9 dicembre, la moglie raggiunta nella casa di Calusco d’Adda (Bergamo) e la figlia, che vive nel Milanese ed è avvocatessa, rintracciata in un secondo momento. Sono assistite da due legali, uno è l’avvocato Nicola Colli del Foro di Bergamo.

Nelle intercettazioni si parla di doni

L’ex eurodeputato del Pd, passato ad Articolo Uno (che lo ha sospeso dopo l’arresto), è sospettato di essere intervenuto politicamente, «dietro pagamento», presso alcune persone che lavorano al Parlamento Europeo, a beneficio non solo del Qatar, ma anche del Marocco. Emergerebbe da uno degli atti trasmessi dalle autorità belghe all’Italia, in relazione alla richiesta di arresto della figlia. Ufficialmente le autorità belghe non hanno confermato neppure che le pressioni riguardavano il Qatar: il Parquet si è limitato a parlare di un «Paese del Golfo».

Nel documento viene precisato che vige comunque la «presunzione di innocenza». La figlia e la moglie di Panzeri apparirebbero agli occhi degli inquirenti «pienamente consapevoli» delle attività di Panzeri, persino «del trasporto di doni». Le due sono menzionate «nella trascrizione di intercettazioni telefoniche» durante le quali il capofamiglia «ha commentato la consegna dei doni» di cui sarebbe stato «a quanto pare» il beneficiario. 

Le vacanze da 100 mila euro

Nelle carte dell’inchiesta si farebbe riferimento anche a vacanze da 100 mila euro per Panzeri e la moglie. Colleoni, riferiscono gli inquirenti belgi, «ha detto» al marito «che non poteva permettersi di spendere 100 mila euro per le vacanze come l’anno scorso e che pensava che l’attuale proposta, 9 mila euro a persona solo per l’alloggio, era troppo costosa».

Panzeri, i regali dell’ambasciatore e il viaggio della figlia Silvia a Doha. Storia di Fabio Paravisi Bruxelles su Il Corriere della Sera il 10 dicembre 2022.

Il dubbio era venuto anche alla moglie: «Non possiamo permetterci di spendere 100mila euro per le vacanze come l’anno scorso», ha detto Maria Dolores Colleoni ad Antonio Panzeri. E anche quando ha visto il progetto del marito per le vacanze di Natale aveva obiettato che il preventivo di 9 mila euro a persona solo per l’alloggio «era troppo costoso».

I partono, spendono, si fotografano e postano tutto sui social, incuranti del fatto che a qualcuno potesse avere sospetti. Basta guardare i profili della figlia dell’ex europarlamentare. Silvia Panzeri, 38 anni, avvocato da undici, casa e ufficio nel Milanese, da un lato sfoggia sul curriculum attività legate alla violenza di genere, la tutela delle donne vittime di violenza e il cyberbullismo (oltre a una fresca specializzazione in diritto dell’Unione Europea). Ma, insieme, si mostra con gli amici sui bordi di una piscina di Miami Beach lamentandosi che la vacanza era ormai finita, solo per andare due settimane dopo a spasso per Montreal. E lo scorso 27 novembre, a proposito di diritti delle donne, ha postato immagini del Souq Waqif di Doha. Cioè la capitale del Qatar, il Paese che sta ospitando i Mondiali di calcio, coinvolto nelle accuse di corruzione con denaro versato a suo padre. Con quelle che la madre definisce al telefono «combines». E per chiamare «intrallazzi» i viaggi e gli affari del marito, secondo gli inquirenti, significa che la donna fosse al corrente di «mezzi ingegnosi e spesso scorretti».

Mezzi di cui peraltro le due donne, per le autorità belghe, «sembrano essere pienamente consapevoli», tanto da avere «persino partecipato nel trasporto dei “regali” dell’ambasciatore del Marocco in Polonia». Nonostante il curriculum del marito, pare che Maria Colleoni non fosse poi molto convinta delle sue competenze finanziarie, tanto che avrebbe più volte sottolineato di non volere che lui facesse «operazioni senza che lei fosse in grado di controllarlo». Anzi, a volte è lei che gli suggeriva come usare il denaro, per esempio spiegando che per pagare la vacanza di Capodanno si poteva usare una non meglio chiarita «altra soluzione», addebitando poi le spese su un conto belga. O usando la carta di credito, insieme al marito, di una terza persona, soprannominata «The Giant», non identificata negli atti.

«Noi leggiamo queste cose e siamo sconvolti», dicevano ieri i vicini di casa della coppia a Calusco d’Adda (Bergamo). Dove sono pochi ad avere rapporti stretti con Antonio Panzeri. Chi lo conosce bene, come l’ex sindaco Alfredino Cattaneo, che aveva avuto il fratello di Panzeri come vice, si dice «incredulo: non corrisponde all’uomo che conosco». E gli esponenti storici della sinistra e del sindacato anche di più: «Per noi Antonio era un bravo sindacalista e un riferimento in Europa — dice l’ex segretario provinciale della Cgil Luigi Bresciani —. Queste cose sono un fulmine a ciel sereno, mi fanno sentire tradito e deluso, e mi fanno venire una grande rabbia».

L’ex eurodeputato Antonio Panzeri indagato a Bruxelles per corruzione. Fermate anche sua moglie e la figlia. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 9 Dicembre 2022.

L’uomo politico sospettato di aver agito per conto di autorità del Qatar al fine di «influenzare le politiche del Parlamento Europeo» dice una nota della procura federale belga. Con lui sotto indagine altri tre italiani

L’ex eurodeputato della sinistra italiana Pier Antonio Panzeri e altri tre cittadini italiani sono stati indagati ed arrestati dalla magistratura di Bruxelles in una inchiesta internazionale per corruzione che vede coinvolte anche le autorità del Qatar. Panzeri, terminato il mandato di europarlamentare ha continuato a lavorare a Bruxelles come lobbista. Fermato ed interrogato anche Francesco Giorgi, ex assistente parlamentare di Panzeri. L’indagine riguarderebbe anche Luca Visentini , eletto a novembre segretario generale dell’Ituc l’organizzazione internazionale dei sindacati e in passato dirigente della Uil. L’ Ituc è una confederazione di sindacati di tutto il mondo, comprese le organizzazioni belghe, che rappresentano in totale più di 200 milioni di lavoratori.

Lo rivelano le testate belghe Le Soir e Knack secondo i quali Panzeri e gli altri tre sono stati “trattenuti per un interrogatorio” e sono stati sottoposti a perquisizioni domiciliari. Nel corso di questi controlli sono stati sequestrati 600.000 euro in contanti scoperti nella residenza di Bruxelles dell’ex eurodeputato. Il fascicolo è stato aperto nel luglio scorso dal pubblico ministero Michel Claise, specializzato in reati finanziari. Il giudice belga deciderà entro 48 ore se emettere un mandato di arresto.

Tra le persone interessate dalle perquisizioni, i media belgi Le Soir e Knack individuano quattro assistenti parlamentari, persone “nate nel 1955, 1969, 1971 e 1987” vicini al gruppo S&D. Uno di questi assistenti è legato anche al gruppo PPE (a destra). Gli inquirenti hanno nuovamente “perquisito” le abitazioni di due consiglieri e di un funzionario del Parlamento europeo. Per non parlare dei direttori dei gruppi di lobbisti attivi nell’Ue.

Panzeri, è stato componente anche della direzione dei Ds nel 2004 era stato eletto a Bruxelles nelle liste degli allora «Uniti per l’Ulivo» ; in passato aveva rivestito a lungo il ruolo di sindacalista ed era stato segretario della Camera del Lavoro di Milano. Nel 2014 Pier Antonio Panzeri  è stato rieletto all’assemblea Ue in quota Pd, partito che ha lasciato nel 2017 aderendo ad Articolo Uno. Nel 2019 ha fondato nella capitale belga una Ong denominata “Fight Impunity” di cui è attualmente presidente, che promuove “la lotta all’impunità per gravi violazioni dei diritti umani” e la giustizia internazionale. Stamattina , secondo le nostre informazioni, è stata perquisita la sede di Fight Impunity situata in Rue Ducale nel cuore di Bruxelles . Fino al 2019, Panzeri ha guidato la sottocommissione del Parlamento europeo sui diritti umani, che si è occupata anche delle condizioni dei lavoratori e più in generale dei diritti umani nel Qatar. 

La procura federale, che nella sua nota non cita nomi, avrebbe fatto luce su un flusso di denaro che avrebbe raggiunto alcuni assistenti parlamentari al lavoro nei palazzi della Ue: “La polizia giudiziaria federale ha effettuato 16 perquisizioni (a 14 diversi indirizzi ) in diversi comuni di Bruxelles. In particolare a Ixelles, Schaerbeek, Crainhem, Forest e Brussels-City. Queste perquisizioni sono state effettuate nell’ambito di un’ampia indagine per presunti atti di organizzazione criminale, corruzione e riciclaggio di denaro“. Dell’indagine sono state informate anche le autorità italiane. Nel pomeriggio, a Bergamo sono state fermate anche la moglie e la figlia di Panzeri. sono state fermate Maria Colleoni, di 67 anni moglie di Panzeri, e la figlia Silvia Panzeri, 38anni.

Panzeri è originario di Calusco d’Adda, in provincia di Bergamo dove ha ancora la casa. È lì, secondo le poche informazioni che è stato possibile raccogliere, che si trovava la donna quando i Carabinieri hanno consegnato il Mae, che dispone il carcere. La figlia, invece, è stata rintracciata. Le due donne sono state associate al carcere di Bergamo.

Fermata ed interrogata anche la vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili socialdemocratica greca , una dei 14 vicepresidenti dell’emiciclo europeo, che è stata perquisita. L’unico modo per arrestare un parlamentare protetto dalla sua immunità è coglierlo in flagrante, la vicepresidente Kaili è stata sospesa dal gruppo dei Socialisti e Democratici ed espulsa dal partito greco Pasok. Il suo compagno Francesco Giorgi, 44 ​​anni, ex assistente parlamentare di Panzeri, ed attuale collaboratore legato al gruppo S&D era stato intercettato in mattinata. Entrambi sono indagati per corruzione. Indagato anche Niccolò Figà-Talamanca, segretario generale della ong “No Peace Without Justice“.

Il gruppo dei Socialisti al Parlamento europeo si è detto “sconcertato dalle accuse di corruzione nelle istituzioni europee”. “Data la gravità delle accuse, fino a quando le autorità competenti non forniranno informazioni e chiarimenti pertinenti, chiediamo la sospensione dei lavori su tutti i dossier e delle votazioni in plenaria riguardanti gli Stati del Golfo, in particolare la liberalizzazione dei visti e le visite previste”.

L’accusa, precisano i giornali belgi, non menziona il Qatar, ma fonti ben informate hanno riferito che a pagare le mazzette sia stata proprio Doha. Il loro obiettivo, mentre sono ancora in corso le partite dei Mondiali di calcio, sarebbe stato proprio quello di difendere la legittimità della competizione dalle accuse di violazione di diritti umani e dei diritti dei lavoratori, sottolineando i presunti progressi della monarchia qatariota. Maggiori informazioni sull’architettura dell’organizzazione potrebbero emergere dalle operazioni di “criminal forensics” sulle apparecchiature informatiche e telefoniche sequestrate dagli inquirenti nel corso dei blitz che hanno riguardato soprattutto gli assistenti parlamentari. Redazione CdG 1947

Mazzette dal Qatar al Parlamento Ue: arrestata anche la vicepresidente. Valeria Casolaro su L'Indipendente il 10 Dicembre 2022.

È in corso una maxi operazione della polizia belga, eseguita nell’ambito di un’indagine aperta a metà luglio 2022 su presunti casi di corruzione all’interno del Parlamento europeo, che sta portando in queste ore alla perquisizione delle abitazioni di diversi eurodeputati e all’arresto di alcuni di questi, tra i quali l’ex europarlamentare italiano Antonio Panzeri la deputata greca, nonché vicepresidente del Parlamento Ue, Eva Kaili. Le accuse, a vario titolo, sono di corruzione e riciclaggio di denaro: i soggetti coinvolti avrebbero infatti ricevuto ingenti somme dalla monarchia qatarina per promuovere i supposti miglioramenti in materia di diritti umani messi in campo da Doha e ripulirne l’immagine di fronte al mondo, mentre nei cantieri dei Mondiali gli operai morivano a centinaia per le pessime condizioni lavorative.

Le perquisizioni fino ad ora condotte dalla polizia federale belga sono almeno 17: a muovere le indagini il sospetto “che un Paese del Golfo stia cercando di influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento europeo“, secondo quanto confermato dalla Procura federale al quotidiano belga Le Soir, che ha condotto l’inchiesta insieme ad un’altro quotidiano belga, Knack. Il tentativo di corruzione avrebbe avuto luogo “versando somme di denaro consistenti o offrendo regali importanti a terzi con una posizione politica e/o strategica significativa all’interno del Parlamento europeo”. Non viene menzionato esplicitamente il Qatar, ma entrambe i giornali citano fonti che avrebbero confermato come dietro al versamento di mazzette vi sarebbe proprio il Paese arabo. Tutti i soggetti fermati afferiscono al gruppo socialista europeo, primo tra tutti l’ex deputato Antonio Panzeri e il suo ex assistente parlamentare Francesco Giorgi, e, ad eccezione di Eva Kaili, sono di nazionalità italiana e molto attivi nel mondo delle ONG a tutela dei diritti umani e dei sindacati.

A quanto risulta, Panzeri è stato fermato e indagato a seguito di una perquisizione del suo appartamento di Bruxelles, dove sono stati trovati tra i 500 e i 600 mila euro in contanti. Confermato anche l’arresto in Italia, in esecuzione di un Mae (Mandato di arresto europeo), di Maria Colleoni, moglie dell’ex eurodeputato, e della figlia Silvia Panzeri, le quali si trovano ora in carcere a Bergamo. Nella mattina di venerdì 9 sono stati perquisiti anche i locali di Fight Impunity, la ONG presieduta da Panzeri dedita a promuovere “la lotta all’impunità per gravi violazioni dei diritti umani” e la giustizia internazionale. Risulta inoltre indagato a seguito della perquisizione del suo appartamento anche Francesco Giorgi, ex assistente parlamentare di Panzeri e compagno di Eva Kaili.

Il nome della Kaili è quello che forse ha suscitato il maggior scalpore, dato il ruolo di estremo rilievo ricoperto (vice presidente del Parlamento europeo). Il Movimento socialista panellenico, per il quale la Kaili era eurodeputata, ne ha annunciato l’espulsione poco dopo l’annuncio di un suo possibile coinvolgimento. Era stata proprio la Kaili a schierarsi a favore della decisione della FIFA di far ospitare i mondiali in Qatar, in quanto questi «testimoniano come la diplomazia sportiva possa realizzare la trasformazione storica di un Paese, con riforme che hanno ispirato il mondo arabo. Si sono impegnati e si sono aperti al mondo» e definendo il Paese «pioniere nei diritti dei lavoratori». Kaili si era persino recata a Doha per incontrare i funzionari del Paese ed elogiare i tentativi di miglioramento in materia di diritti umani, facendo anche uno sforzo verso l’abolizione delle restrizioni sui visti Schengen per i cittadini quatarini.

Le sue dichiarazioni erano state rilasciate in vista della risoluzione presentata il 21 novembre dal Gruppo della Sinistra al Parlamento europeo per chiedere una presa di posizione in merito alla vicenda dei Mondiali, poi approvata con 182 voti a favore, 165 contrari e 32 astenuti e osteggiata dalla pressoché totalità dei deputati socialisti. Contrari alla risoluzione erano anche alcuni esponenti del Pd quali Andrea Cozzolino, secondo quanto riporta ilFattoQuotidiano, che aveva dichiarato come «il Parlamento europeo non dovrebbe accusare un Paese senza prove emerse da indagini delle competenti autorità giudiziarie». Guardacaso, tra i nomi degli assistenti di Cozzolino figurava proprio quello di Francesco Giorgi.

Tra i fermati vi sono inoltre Luca Visentini, per undici anni a capo della Confederazione dei sindacati europei (ETUC) ed eletto lo scorso novembre segretario generale della International Trade Union Confederation (confederazione mondiale dei sindacati), e Niccolò Figà-Talamanca, segretario generale della ONG fondata da Emma Bonino No Peace Without Justice. Nè il Parlamento europeo né l’ambasciata del Qatar in Belgio, riporta Le Soir, hanno per ora risposto alle richieste di commento.

Di quale sia la realtà dietro allo sfarzo dei Mondiali che si stanno svolgendo nel Paese arabo abbiamo ampiamente discusso all’interno dell’ultimo numero del Monthly Report. E non si può non cogliere una certa amara ironia nel constatare che le operazioni della polizia belga hanno avuto luogo nella giornata di venerdì 9 e sabato 10 dicembre, rispettivamente la Giornata internazionale contro la corruzione e quella per i diritti umani. Concetti dei quali, evidentemente, le istituzioni si riempiono la bocca in modo sfacciatamente strumentale. [di Valeria Casolaro]

Lobby ingolfata. Cosa sappiamo dell’indagine sulla presunta corruzione del Qatar al Parlamento europeo. Linkiesta il 9 Dicembre 2022.

Gli inquirenti della procura di Bruxelles hanno sequestrato cinquecentomila euro dalla abitazione dell’ex eurodeputato di Articolo 1 Antonio Panzer, fermato assieme al sindacalista Luca Visentini. Tra gli indagati c'è anche la vicepresidente dell’Eurocamera, la socialdemocratica greca Eva Kaili

L’ex eurodeputato di Articolo 1 Antonio Panzeri e il segretario generale dell’organizzazione internazionale dei sindacati (Ituc) Luca Visentini sono stati fermati venerdì dalla polizia di Bruxelles nell’ambito dell’indagine sul presunto tentativo di uno Stato del Golfo di influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento europeo. Entro 48 ore un giudice deciderà se convalidare o meno il loro arresto e quello di altri due italiani, un direttore di una organizzazione non governativa e un assistente parlamentare europeo. Secondo il quotidiano belga Le Soir il Paese del Golfo in questione sarebbe il Qatar, dove si sta svolgendo in questi giorni la seconda fase del Campionato mondiale di calcio e già al centro di indagini sulla presunta corruzione per la assegnazione del torneo.

La tesi degli inquirenti dell’Ufficio Centrale per la Repressione della Corruzione belga (OCRC) è che delle ingenti somme di denaro e doni significativi sarebbero stati regalati a persone che rivestono un ruolo strategico all’interno del Parlamento europeo. Con questa motivazione la procura di Bruxelles ha ordinato perquisizioni in diverse zone della capitale belga tra cui Bruxelles-Ville, Crainhem, Forest, Ixelles e Schaerbeek.

Tra le sedici abitazioni perquisite c’è anche quella della vicepresidente del Parlamento europeo, la socialdemocratica greca Eva Kaili che come riportato su Twitter dal giornalista David Carretta, il 21 novembre aveva dichiarato in un dibattito all’Eurocamera sulla situazione dei diritti umani nel contesto della Coppa del mondo FIFA nel Paese del Golfo: «Il Qatar è all’avanguardia nei diritti dei lavoratori, abolendo la kafala e riducendo il salario minimo. Nonostante le sfide che anche le aziende europee stanno negando per far rispettare queste leggi, (i qatarioti) si sono aperti al mondo. Tuttavia, alcuni qui li stanno discriminando, li maltrattano accusando di corruzione chiunque parli con loro o si impegni».

Un’altra delle abitazioni perquisite è la sede di Fight Impunity una organizzazione che lotta contro la violazione dei diritti umani, il cui presidente è Panzeri. Anche nella casa a Bruxelles dell’ex deputato del Parlamento europeo per tre legislature (dal 2004 al 2019, le prime due con l’Ulivo, la seconda nelle liste del Partito democratico che lasciò nel 2017 per aderire ad Articolo 1) gli inquirenti hanno sequestrato cinquecentomila euro in contanti. 

Visentini è stato dal 2011 al 2022 membro della Confederazione dei sindacati europei (Etuc), prima come segretario confederale e poi come segretario generale. A novembre aveva lasciato l’Etuc per diventare segretario dell’International Trade Union Confederation, la più grande confederazione sindacale del mondo che rappresenta oltre 200 milioni di lavoratori. 

Nella stessa indagine, con un mandato d’arresto europeo sono state fermate a Calusco d’Adda, in provincia di Bergamo, la moglie e la figlia dell’ex eurodeputato. Secondo i giornali locali, le due si troverebbero ora nel carcere di Bergamo.

"Corruzione dal Qatar". Fermati la numero due dell'Europarlamento, un ex deputato Pd e un sindacalista Uil. Due arresti, 5 fermi e 600mila euro in casa: l'ipotesi di tangenti per ammorbidire l'UE verso il Paese del Golfo. Luca Fazzo il 10 Dicembre 2022 su Il Giornale.

«La questione dei lavoratori morti durante la costruzione delle infrastrutture che ospiteranno i Mondiali di calcio va guardata in controluce e statisticamente relativizzata»: così Antonio Panzeri, ex segretario della Cgil di Milano ed ex eurodeputato del Pd, nel febbraio di quest'anno difendeva il governo del Qatar in un lungo, imbarazzante intervento sulla home page di Fight Impunity, la Ong di cui è presidente. Un report che oltre a minimizzare i morti nei cantieri dei Mondiali indicava il Qatar come l'unico paese dell'area ad avere fatto «passi avanti» anche sul terreno dei diritti umani.

Non era disinteressato, a quanto pare, l'appoggio dell'ex sindacalista alla dittatura di Doha nei corridoi e nelle aule dell'Europarlamento. Ieri mattina la gendarmeria belga arresta quattro cittadini italiani: insieme a Panzeri c'è Luca Visentin, ex segretario lombardo della Uil del commercio, oggi segretario mondiale della potente confederazione sindacale Ituc; insieme a loro vengono arrestati il direttore di una Ong e un assistente parlamentare dei Socialisti. I quattro sono tutti accusati di corruzione, avrebbero ricevuto ingenti finanziamenti dal Qatar per condizionare l'atteggiamento dell'Unione Europea nei confronti del paese del Golfo, prima e dopo i Mondiali di calcio. Vengono perquisite le abitazioni degli arrestati e la sede Fight Impunity, nella centralissima rue Ducale; in una cassaforte a casa di Panzeri saltano fuori 600mila euro in contanti. E nella Bergamasca è stato eseguito un mandato di arresto europeo anche nei confronti della moglie e della figlia di Panzeri, che risulta avere ancora casa a Calusco d'Adda, paese di cui è originario dove sono state rintracciate la moglie Maria Colleoni, 67 anni, e la figlia Silvia. Ora si trovano in carcere a Bergamo.

Il caso Panzeri si abbatte come una tempesta su Strasburgo, dove l'attività delle lobby è una presenza costante: ma in questo caso, secondo la magistratura belga, si è andati ben aldilà. Scattano sedici perquisizioni, quattro a carico di altri tre assistenti parlamentari cui vengono sequestrati computer e telefoni: due lavorano per il gruppo dei Socialisti e democratici, il quarto per i Popolari. Secondo Le Soir, il quotidiano che ha reso noti gli arresti e le indagini, sono stati perquisiti anche due consiglieri e un funzionario. Ma il colpo più eclatante è l'interrogatorio con perquisizione di Eva Kailli, vicepresidente socialista del Parlamento, il cui compagno Francesco Giorgi è l'ex assistente parlamentare.

Panzeri e gli altri arrestati verranno interrogati entro oggi da un giudice che deciderà se confermare il loro arresto o rimetterli in libertà. Di sicuro c'è che sulla loro strada gli italiani hanno incontrato un mastino: il giudice istruttore Michel Claise, uno specialista in criminalità economica e finanziaria. É stato lui a raccogliere le prime notizie di reato sulla attività della Ong di Panzeri e a scavare per quattro mesi sui rapporti occulti col Qatar, arrivando a ricostruire nei dettagli l'attività di quella che Le Soir definisce «una organizzazione criminale infiltrata nel cuore del Parlamento europeo». Braccio operativo di Claise è l'Ocrc, l'ufficio centrale per la repressione della corruzione.

«Siamo sconvolti dalle accuse di corruzione nelle istituzioni dell'Ue», è il primo commento dell'eurogruppo dei Socialisti, mentre il Pd si dichiara «sconcertato in particolar modo a fronte delle persone coinvolte». Il problema è che se Fight Immunity poteva presentare nel suo board personaggi di tutto rispetto - da Emma Bonino al premio Nobel per la pace Denis Mukwege - la sua attività di lobbying a favore del Qatar avveniva in modo tanto scoperto quanto disinvolto, e avrebbe potuto spingere gli eurocompagni di Panzeri a interrogarsi sui veri motivi che portavano uno stimato rappresentante dei lavoratori a trasformarsi nel cantore di una dittatura dove i diritti sindacali non esistono. Eppure nel suo lungo intervento del febbraio scorso Panzeri affermava che «dalla prospettiva dei diritti umani» il Qatar è l'unico paese dell'area a «imprimere un movimento e una direzione evolutiva», oltre a indicare il regime come «il più affidabile alleato» della Nato nell'area, elogiandone «la disponibilità» nella crisi del gas. Ma a Bruxelles queste cose non le leggevano?

(Adnkronos il 10 dicembre 2022) - Fight Impunity, la ong perquisita dalla polizia belga nell'ambito dell'inchiesta che ha portato al fermo di quattro persone per presunta corruzione, è stata fondata nel settembre 2019 da Antonio Panzeri, già eurodeputato del gruppo S&D ed ex presidente della sottocommissione Diritti umani del Parlamento Europeo. 

Il consiglio dei membri onorari della Ong, impegnata "contro l'impunità" per le violazioni dei diritti umani che ha sede in Rue Ducale, è composto da personalità di assoluto rilievo. Tra loro Federica Mogherini, ex ministro degli Esteri e Alto Rappresentante dell'Ue, che oggi ha annunciato di essersi dimessa dal board, oltre a Dimitris Avramopoulos, già commissario europeo agli Affari Interni, candidato all'incarico di inviato speciale dell'Ue per il Golfo. 

L'oro del Qatargate: ferie da 100mila euro e sacchi di banconote. Panzeri si prodigava pure per il Marocco. Luca Fazzo l’11 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Una specie di Soumahoro in giacca e cravatta, un alfiere dei diritti dei poveri che garantiva a sé e alla famiglia un invidiabile tenore di vita.

Una specie di Soumahoro in giacca e cravatta, un alfiere dei diritti dei poveri che garantiva a sé e alla famiglia un invidiabile tenore di vita. Nelle carte delle indagini della magistratura belga su Antonio Panzeri, ex leader della Cgil milanese e già eurodeputato del Pd, emergono col passare delle ore dettagli sempre più sconcertanti. Se i meccanismi attraverso i quali Panzeri conquistava adesioni a Bruxelles agli interessi del regime del Qatar e - si scopre ieri - anche del Marocco rimangono ancora un po' indefiniti, a emergere con chiarezza disarmante sono i benefit che l'esponente piddino ritagliava per sé dall'attività di Fight Impunity, la Ong con sede nel centro della capitale belga, protagonista di nobili battaglie - dal caso Regeni ai morti sul lavoro - ma anche sponsor prezzolata degli interessi del regime di Doha, a partire dai Mondiali di calcio.

L'udienza di convalida dell'arresto per favoreggiamento di Maria Colleoni e Silvia Panzeri, moglie e figlia dell'ex sindacalista, catturate vicino Bergamo su richiesta delle autorità belghe, si è svolta ieri. Ed è dalla carte trasmesse in Italia da Bruxelles che emergono gli aspetti più incresciosi del lato familiare dello scandalo che ha messo a rumore l'Europarlamento. Le due donne erano «pienamente consapevoli» dei retroscena dell'attività svolta da Panzeri, e «persino del trasporto di doni» che l'uomo riceveva dal Qatar. Del trasporto di altri regali, provenienti dal governo del Marocco attraverso l'ambasciata a Varsavia, si occuparono direttamente le due. In una intercettazione la Colleoni brontola perché «non poteva permettersi di spendere centomila euro per le vacanze come l'anno scorso e che pensava che l'attuale proposta, 9mila euro a persona solo per l'alloggio, era troppo costosa». La Corte d'appello di Brescia ieri sera ha confermato il mandato di cattura per le due donne e ha concesso loro gli arresti domiciliari.

Panzeri, intanto, viene scaricato praticamente da tutti. Articolo 1, il partito dove era approdato dal Pd, lo espelle. L'ex ministra Federica Mogherini si dimette da Fight Impunity, seguita dall'intero board. Eppure anche prima degli arresti, di ombre sulla Ong per il suo appoggio al governo del Qatar ne erano emerse. Ma ora Panzeri viene ufficialmente accusato di avere utilizzato «metodi ingegnosi e spesso scorretti per raggiungere i suoi scopi». Il tesoretto di seicentomila euro in contanti trovato durante la perquisizione in casa sua ne è la prova tangibile. E ora l'arresto di Panzeri rischia di essere solo l'innesco di un terremoto pronto a investire l'intero Parlamento europeo, finora restato pressocché incolume dalle inchieste giudiziarie, in quella che i giornali belgi definiscono una Mani Pulite in versione comunitaria.

Accuse simili a quelle mosse a Fight Community vengono contestate anche a un'altra Ong gestita da un italiano ma operante da Bruxelles, la No Peace without Justice fondata da Emma Bonino, con sede allo stesso indirizzo della Figh Impunity e stesso programma di lotta alle ingiustizia su scala globale: il suo segretario Niccolò Figà Talamanca sarebbe, secondo alcune agenzie, tra gli arrestati. E soprattutto desta scalpore il coinvolgimento della socialista greca Eva Kaili, vicepresidente del Parlamento europeo, a casa della quale secondo la stampa belga sarebbero stati trovati «sacchi di banconote». Il collegamento tra la Kaili e Panzeri è il compagno della donna, Francesco Giorgi, assistente parlamentare di Panzeri a Bruxelles. Quella che si intravede in controluce è insomma una rete di politici-affaristi insediata nel cuore delle istituzioni europee, in grado di condizionarne le scelte grazie ai fondi quasi illimitati messi a disposizione dai paesi-clienti. E ora forse qualcosa verrà alla luce.

Le accuse per Panzeri e gli altri arrestati, tra cui il sindacalista Luca Visentini, sono «corruzione e riciclaggio, con vincolo di associazione per delinquere». Oggi il giudice preliminare di Bruxelles, che li ha interrogati dopo l'arresto, deciderà sulla convalida del provvedimento del giudice istruttore Mchel Claise che accusa i cinque di avere condizionato le decisioni della Ue «versando somme di denaro o offrendo regali importanti a terzi avendo una posizione politica e/o strategica rilevante in seno al parlamento». Le Soir, il quotidiano belga che ha dato per primo la notizia degli arresti, ha già segnalato una anomalia: il 9 dicembre in un intervento a Strasburgo Eva Kaili si è dissociata dal coro di critiche al Qatar. «La coppa del Mondo - disse - è la prova di come la diplomazia può realizzare la trasformazione storica di un paese». Anche questa farina del sacco di Panzeri?

Giordano Stabile per la Stampa l’11 Dicembre 2022. 

I nostri cari emiri. Il titolo di un saggio di qualche anno fa, 2016, ora di bruciante attualità. Autori due giornalisti francesi, Georges Malbrunot e Christian Chesnot. La guerra in Siria era all'apice, Bashar al-Assad usava tutte le armi, anche proibite, per massacrare i ribelli. Le accuse contro le monarchie del Golfo, in quel momento i principali sostenitori della rivoluzione siriana, valgono agli autori anche accuse di "assadismo". 

Ma l'inchiesta guardava lontano e lo scandalo nel cuore della democrazia europea conferma tutte le loro preoccupazioni. L'alleanza tra Occidente e Paesi del Golfo, che vede la Francia fra i principali protagonisti, ha il suo lato oscuro, fatto soprattutto di corruzione. «Da una parte c'è lo scambio irrinunciabile - conferma Malbrunot - tra forniture energetiche e sicurezza, con gli Stati Uniti come garante supremo dell'esistenza stessa dei ricchissimi ma piccoli emirati, minacciati dall'Iran. Dall'altra un flusso di investimenti gigantesco verso l'Europa, sempre più spesso opaco».

È il Qatar, il Paese con il reddito pro capite più alto al mondo, 70 mila dollari all'anno, a esserne la fonte. Con la Francia il rapporto è simbiotico. 

Sboccia negli anni Novanta, ma è nel 2009, dopo la mediazione qatarina per la liberazione delle infermiere bulgare prigioniere di Gheddafi, che il presidente Nicolas Sarkozy impone una convenzione fiscale a misura dell'allora emiro Hamad bin Khalifa al-Thani, compresi famigliari e amici, senza ritenute alla fonte. 

In pratica, la Francia diviene un paradiso fiscale per i ricchi qatarini. Lo shopping è gigantesco. L'Hôtel Lambert sull'Ile Saint-Louis, nel cuore di Parigi, il casinò di Cannes, quote nei principali gruppi del lusso, fino alla perla, la squadra di calcio del Psg, che sarà una delle porte d'ingresso per arrivare all'assegnazione dei Mondiali di Calcio.

Ma il trattamento privilegiato si accompagna a «innaffiatura» di uomini politici. «La maggior parte dei francesi sono stati "innaffiati" dal Qatar durante la presidenza Sarkozy - precisa Chesnot -. Doha però ha anche finanziato le campagne sia dei laburisti che dei conservatori britannici nel 2015. Mentre negli Stati Uniti la penetrazione è soprattutto emiratina e saudita: Mohammed bin Salman si è vantato si aver contribuito per il 20 per cento della campagna di Hillary Clinton nel 2016», salvo poi diventare uno dei più stretti alleati di Donald Trump. Un altro esempio di come non ci siano «preferenze di campo». 

L'importate è l'obiettivo, cioè influenzare le società occidentali. Con tutti i mezzi.

Ne hanno in abbondanza.

Qatar ed Emirati hanno sviluppato una strategia di soft power, che ha come pilastri «l'educazione, la cultura e lo sport», conferma Malbrunot: «Hanno i mezzi per comprarsi tutto o quasi: i quadri più preziosi, i club più prestigiosi, come il Manchester City, ma anche i politici. Quando c'è un problema, un ostacolo, la loro reazione può essere riassunta in una frase: "Compralo". Il risultato è che la classe politica europea ha spesso difficoltà a resistere a queste sirene». E se noi vediamo i miliardari in turbante ancora come «beduini ignoranti», loro ci percepiscono come gente che si vende facilmente «per un libretto degli assegni o un Rolex». O soldi in contanti in una valigia. Lo scandalo che ha coinvolto il patron del Psg, Nasser al-Khelaïfi, ne è un esempio. Che seguono quelli sulle mazzette alla Fifa o il finanziamento a moschee estremiste.

È dal fronte culturale che forse arrivano le minacce più insidiose. Come ancora Malbrunot ha documentato in un altro saggio, Qatar Papers, Doha è anche la principale finanziatrice di imam vicini alla Fratellanza musulmana, che diffondono una visione integralista dell'islam nelle diaspore dei Paesi arabi in Europa. L'altro volto scuro dell'Emirato. L'alleanza con i Fratelli musulmani è suggellata dall'accoglienza al loro leader Yusuf al-Qaradawi, condannato a morte in Egitto, e rifugiato a Doha fin dal 1977, dove fonda la facoltà di Studi islamici all'Università e diventa dagli anni Novanta in poi uno dei volti di Al-Jazeera in arabo. L'Emirato ha protetto il controverso imam jihadista fino alla sua morte, il 26 settembre scorso. «La soluzione è il Corano», era il suo motto. Soprattutto se oliato di petrodollari, si potrebbe aggiungere.

Antonio Bravetti per la Stampa l’11 Dicembre 2022.

A fine giornata, a rompere il silenzio imbarazzato di Articolo Uno, arriva Arturo Scotto, netto: «Il Qatar è un Paese dove i diritti umani non sono rispettati. Prima ancora che sul piano giudiziario - dice a La Stampa il coordinatore del partito - il punto è politico. Noi siamo con i lavoratori, non con gli emiri miliardari». 

L'arresto di Antonio Panzeri, l'ex eurodeputato di Pd e Articolo 1 accusato di corruzione, riciclaggio e associazione per delinquere, scuote il partito di Roberto Speranza.

Il segretario tace, così come Pier Luigi Bersani e Sergio Cofferati. Anche nel Pd c'è poca voglia di commentare. Sbotta Andrea Orlando su Twitter: «Diciamola tutta, garantismo a parte, se fosse vera anche la metà dell'affaire Qatar-Europarlamento, saremmo già allo schifo assoluto. Scambiare i diritti fondamentali dei lavoratori con soldi e regali dei signori feudali del Qatar è tradimento totale dei valori democratici».

Eppure Panzeri, racconta un suo ex collega all'Europarlamento, era un uomo potente: «Tra i 10-15 deputati che contavano davvero. Aveva rapporti fortissimi con l'Africa, stava più lì che a Bruxelles. 

Soprattutto il Maghreb: in Marocco e Tunisia era di casa. Le pareti del suo ufficio erano piene di foto con re e principi». 

Articolo Uno intanto lo sospende. In una nota il partito esterna «sconcerto per quanto sta emergendo» in «una vicenda del tutto incompatibile con la sua storia e il suo impegno politico». Scotto ricorda che l'ex eurodeputato «da tempo non ricopre ruoli operativi» e sospenderlo è «una decisione a tutela della nostra organizzazione politica». Poi, sottolinea: «Noi viviamo con i soldi degli iscritti, con il contributo del 2 per mille e con i versamenti degli eletti a tutti i livelli. Questa è la nostra garanzia di libertà da qualsiasi condizionamento». Il centrodestra, ovviamente, affonda il colpo: la Lega chiede una commissione d'inchiesta all'Europarlamento e Susanna Ceccardi parla di «vergognosa ipocrisia della sinistra».

Caso vuole che l'arresto di Panzeri coincida con il lavoro che in questi giorni sta portando avanti Massimo D'Alema come consulente privato. 

L'ex premier sarebbe il tramite tra il governo italiano e un gruppo di investitori del Qatar pronti a rilevare la raffineria della russa Lukoil a Priolo. Una coincidenza temporale che spinge Giuseppe Provenzano, vicesegretario del Pd, a una critica amara: «A proposito di Qatar, una nota a margine. Non c'entra con la vicenda a dir poco orribile dell'Europarlamento, ma vedere ex leader della sinistra fare i lobbisti in grandi affari internazionali non è solo triste, dice molto sul perché le persone non si fidano, non ci credono più». Chi ha condiviso gli anni di Bruxelles con Panzeri ne parla dietro anonimato come di «un parlamentare potente, non uno sprovveduto».

Mai sopra le righe: «Un taccagno esagerato, non buttava soldi, né per vestiti né per locali». Lo ricordano amico di Gianni Pittella e Andrea Cozzolino. Raccontano di un rapporto con Massimo D'Alema che si è molto affievolito negli anni «e poi Antonio non ha bisogno di una casacca per girare, ha la sua. Non è "dalemiano", è sempre stato un "panzeriano"».

Da open.online l’11 Dicembre 2022.

Lo scandalo esploso con le gravi accuse all’ex europarlamentare Pd ora Articolo 1 Panzeri di essere stato corrotto dal regime del Qatar, con tanto di mazzette da centinaia di migliaia di euro scoperte nella sua casa di Bruxelles, agita la sinistra italiana.  

Per una fatale coincidenza lo scandalo è esploso all’indomani della notizia che l’ex premier Massimo D’Alema, ora impegnato sul versante delle grandi consulenze internazionali, ha propiziato l’interessamento di un ricchissimo imprenditore proprio del Qatar ad acquisire la raffineria Lukoil di Priolo in Sicilia, in difficoltà dopo l’embargo alla Russia. Su questo D’Alema viene duramente attaccato dal vice segretario del Pd Giuseppe Provenzano, citato da La Stampa: «Vedere ex leader della sinistra fare i lobbisti in grandi affari internazionali non è solo triste, dice molto sul perché le persone non si fidano, non ci credono più».

Alessandro Da Rold per “la Verità” l’11 Dicembre 2022.

Quando ai socialisti milanesi rimasti si fa il nome di Antonio Panzeri, in tanti mettono subito le mani avanti: «In Europa sarà stato anche nel gruppo socialista, ma è sempre stato del Pci, un comunista!». La precisazione è doverosa per chi faceva parte del Psi, che fu spazzato via dopo Mani Pulite, nel 1992. Anche perché alla fine degli anni Novanta furono proprio i «comunisti» come Panzeri, oggi accusato di corruzione e sospeso dal suo partito Articolo 1, a diventare i protagonisti della politica italiana. 

Nato nel 1955 in provincia di Bergamo, a Riviera D'Adda, ex ala amendoliana (di Giorgio Amendola) e migliorista del Pci (quella dell'ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano), la fortuna politica di Panzeri si è consumata proprio alla fine del secolo scorso, a cavallo del nuovo millennio, quando Dc e Psi erano stati spazzati via dalle indagini della magistratura.

All'epoca Massimo D'Alema era un ruspante segretario del Pds, capace di diventare anche presidente del Consiglio nel 1998. In quegli anni teneva banco la polemica sulla riforma del mercato del lavoro e dell'articolo 18. Ogni giorno si accendeva una polemica tra D'Alema e l'allora segretario generale della Cgil, Sergio Cofferati. Panzeri, da segretario della Camera del Lavoro di Milano (lo è stato dal 1995 al 2003), avrebbe dovuto in teoria parteggiare per Cofferati.

Invece scelse un'altra strada, decidendo di appoggiare D'Alema e schierando tutta la Camera del Lavoro contro il «cinese». La decisione lo premiò, perché grazie a quella battaglia, Panzeri entrò dalla porta principale del potere politico dalemiano. Non è un caso, come ricordano le cronache di allora, che a metà del 2000 Panzeri fosse uno degli invitati di punta a casa di Inge Feltrinelli a Milano, tra i salotti più rinomati in quegli anni nel capoluogo lombardo. La vedova di Giangiacomo, infatti, era solita ospitare pezzi della sinistra milanese, filosofi e anche banchieri, per discutere e immaginare gli scenari politici futuri.  

Nel luglio di quell'anno, D'Alema, appena uscito da Palazzo Chigi, puntava a rafforzare la sua Fondazione Italianieuropei. E per farlo aveva deciso di invitare a casa dei Feltrinelli lo stesso Panzeri, ma anche l'economista Pietro Modiano (ex Sea e Carige) o un altro politico all'epoca in ascesa come Luca Bernareggi (già Ds e poi in Legacoop).

Nasce e si afferma in quegli anni il potere di D'Alema, a livello economico e politico, che passa chiaramente anche dalla stanza dei bottoni di Bruxelles. Panzeri nel 2004 sarà eletto in Europarlamento proprio con i Ds, negli anni d'oro della provincia di Milano di Filippo Penati, poi passerà al Pd; quindi, nel 2017 seguirà ancora il compagno Max nella formazione di Articolo 1.  

In tre legislature, quasi 15 anni da burocrate europeo che gli hanno assicurato una buona pensione al compimento dei 63 anni, aveva stretto rapporti soprattutto con i Paesi del Maghreb, in particolare il Marocco. Infatti, tra gli atti di accusa da parte delle autorità belghe, oltre al Qatar, c'è anche il Paese nordafricano, per cui si sarebbe speso in cambio di tangenti. 

Chi conosce bene il mondo dalemiano sostiene, però, che l'europarlamentare preferito dall'ex premier sia sempre stato Massimo Paolucci. Anche per questo motivo, quando Paolucci e Panzeri rimasero senza un seggio a Bruxelles, fu il primo a diventare capo della segreteria del ministero della Salute di Roberto Speranza. Il secondo, invece, fu costretto a reinventarsi. Su Internet si sprecano le foto che ritraggono Speranza e Panzeri, futuro e passato del comunismo. Ma è anche per questo, perché ormai senza un seggio e senza posti nel governo, che l'ex segretario della Camera del Lavoro aveva deciso di fondare nel settembre 2019 la Ong Fight Impunity per «contribuire a promuovere la lotta contro l'impunità».

A giudicare dalle intercettazioni tra Panzeri e la moglie, Maria Dolores Colleoni, di soldi ne giravano molti, con vacanze da 100.000 euro. Eppure, nella visura della Ong c'è scritto che Panzeri aveva anche le funzioni di chauffeur: cosa non si fa quando si perde un posto in Europarlamento

Da ansa.it il 12 dicembre 2022.

E' nell'ordine delle centinaia di migliaia di euro l'importo in contanti sequestrato nell'abitazione della vicepresidente dell'Eurocamera Eva Kaili e nelle borse che suo padre trasportava quando è stato fermato dalle autorità.

Il denaro non è stato ancora contato ma, secondo il quotidiano belga L'Echo le prime stime parlano di oltre 750mila euro in tagli da 20 e 50 euro: seicentomila euro erano nella valigia portata dal padre di Kaili e il resto nell'abitazione dell'eurodeputata greca. 

L'autorità ellenica per l'antiriciclaggio, nel frattempo, ha congelato gli averi della vicepresidente dell'Eurocamera. 

Atene ha congelato tutti i beni di Eva Kaili: lo ha reso noto il governo greco. Il provvedimento dell'Autorità greca antiriciclaggio riguarda "conti bancari, casseforti, aziende e qualsiasi altro bene finanziario", riporta Le Soir citando il presidente dell'organismo Haralambos Vourliotis. Il congelamento dei beni, secondo la stessa fonte, colpisce anche i familiari stretti di Kaili, come i suoi genitori. Nel mirino dell'Autorità c'è anche una società immobiliare di recente costituzione nel quartiere chic ateniese di Kolonaki, che sarebbe stata creata dall'eurodeputata 44enne e dal suo compagno italiano, aggiunge il giornale belga. La procura federale belga ha annunciato una perquisizione negli uffici del Parlamento europeo nell'ambito dell'inchiesta sul Qatar

Alcune perquisizioni sono state effettuate fra ieri sera e oggi in abitazioni a Milano e in provincia riconducibili ad Antonio Panzeri e alla sua famiglia dalla Guardia di Finanzia in esecuzione di un ordine di investigazione europea nell'inchiesta di Bruxelles per associazione per delinquere, corruzione e riciclaggio per favorire Qatar e Marocco, che hanno portato all'arresto fra gli altri dell'ex europarlamentare, della figlia, della moglie e della vicepresidente del Parlamento Europeo Eva Kaili. Da quanto si è saputo, sono stati sequestrati supporti informatici, documenti e una somma in contanti in euro non significativa. 

Intanto la procura federale belga ha annunciato una perquisizione negli uffici del Parlamento europeo nell'ambito dell'inchiesta sul Qatar. "Non appaiono sussistere cause ostative alla consegna" al Belgio. Lo ha scritto il giudice della Corte d'appello di Brescia Anna Dalla Libera nel provvedimento di convalida dell'arresto di Maria Dolores Colleoni e Silvia Panzeri, moglie e figlia dell'ex eurodeputato Antonio Panzeri, fermate venerdì nell'abitazione di famiglia a Calusco d'Adda (Bergamo) in esecuzione di un mandato di arresto europeo e poi poste ai domiciliari. Le due donne sono accusate di corruzione, riciclaggio e associazione per delinquere per fatti commessi dal 1 gennaio 2021 all'8 dicembre 2022.

Estratto dell’articolo di Gad Lerner per “il Fatto quotidiano” il 12 dicembre 2022.

[…] Cosa gli è preso? Difficile trovare una risposta. Ma certo non aiuta il silenzio dei dirigenti di Articolo 1 che, dopo aver sospeso Panzeri (ci mancherebbe), non hanno proferito verbo. Forse perché fa loro male riconoscere che la corruzione spesso è il passo successivo della spregiudicatezza, così come l'affarismo della intermediazione negli scambi commerciali è un corollario della realpolitik. 

So che in quel partito ha suscitato imbarazzo l'attività professionale di advisor del militante semplice D'Alema in favore della Colombia o del Qatar. Nessuna relazione, per carità, con lo scandalo dell'Europarlamento in cui è coinvolto Panzeri. Ma, parafrasando il vecchio Lenin, possiamo ben dirlo: l'affarismo è la malattia senile del dalemismo.

Corruzione al Parlamento Europeo, per il Tribunale di Brescia: “Moglie e figlia di Panzeri si possono consegnare al Belgio”. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 13 Dicembre 2022

Dall'inizio dell'operazione della magistratura belga che ha portato all'arresto di 6 persone e a 20 perquisizioni, a partire da venerdì scorso, "i mezzi informatici di dieci assistenti parlamentari sono stati congelati per evitare che i dati necessari all'inchiesta non sparissero". È quanto si legge in un comunicato della Procura belga

La Corte d’appello di Brescia ha dato semaforo verde alla consegna della moglie Maria Dolores Colleonie e di Silvia Panzeri, figlia di Antonio Panzeri all’ Autorità Giudiziaria del Belgio che ha emesso un mandato di arresto internazionale su di loro. Il giudice della Corte d’appello di Brescia Anna Dalla Libera scrive nel provvedimento di convalida dell’arresto “Non appaiono sussistere cause ostative alla consegna” al Belgio, delle due donne di casa Panzeri fermate venerdì nell’abitazione di famiglia a Calusco d’Adda (Bergamo) e poi poste ai domiciliari.

Le due donne rispondono delle accuse di corruzione, riciclaggio e associazione per delinquere per fatti commessi dal 1 gennaio 2021 all’8 dicembre 2022. Il giudice di Brescia, disponendo gli arresti domiciliari delle due donne, nel suo provvedimento ha scritto che “la misura è idonea a garantire la consegna alle autorità del Belgio“.  Nel corso dell’udienza, come riportato dall’ordinanza , la moglie e la figlia di Panzeri “non hanno espresso il consenso ad essere consegnate e non hanno rinunciato al principio di specialità“. La Corte d’Appello di Brescia, in composizione collegiale, ha fissato l’udienza per discutere della consegna, il 19 dicembre per la Colleoni e il giorno dopo per sua figlia Silvia Panzeri.

Tra ieri sera e oggi sono state effettuate dalla Guardia di Finanza delle perquisizioni nelle abitazioni a Milano e nella Bergamasca riconducibili ad Antonio Panzeri e alla sua famiglia in esecuzione di un ordine di investigazione europea nell’ambito dell’inchiesta di Bruxelles per presunte tangenti da parte di Qatar e Marocco, in cambio di un appoggio politico all’Europarlamento. Le Fiamme Gialle hanno rinvenuto e sequestrato nell’abitazione della famiglia Panzeri a Calusco d’Adda, in provincia di Bergamo contanti per una somma di 17mila euro. Al momento nella casa si trova agli arresti domiciliari Maria Dolores Colleoni, la moglie di Panzeri, destinataria insieme alla figlia Silvia Panzeri di un mandato di arresto europeo.

Le perquisizioni sono state disposte dalla magistratura belga nell’inchiesta di Bruxelles per associazione per delinquere, corruzione e riciclaggio per favorire Qatar e Marocco, che hanno portato all’arresto fra gli altri dell’ex europarlamentare Panzeri , della figlia, della moglie e della vicepresidente del Parlamento Europeo Eva Kaili e del suo compagno Francesco Giorgi. Da quanto si è appreso, sono stati sequestrati anche supporti informatici e documenti che potrebbero rivelarsi utili nel corso delle indagini.

Eseguiti anche degli accertamenti bancari su diversi conti bancari riconducibili all’ex europarlamentare Panzeri: il decreto di perquisizione è stato firmato dal procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale, a capo del dipartimento Affari internazionali, che sta operando in collaborazione con Eurojust, riguarda in particolare l’abitazione della famiglia Panzeri a Calusco D’Adda (Bergamo), ma anche un ufficio a Milano e l’abitazione milanese dell’arrestato Francesco Giorgi, ex collaboratore dell’ex europarlamentare dem Panzeri. Da quanto emerge sono stati sequestrati anche degli orologi di lusso (ma non si sa al momento a chi), oltre a supporti informatici e documenti.

Perquisita ieri dalla Guardia di Finanza anche l’abitazione milanese di Francesco Giorgi, assistente europarlamentare e compagno della vice presidente del Parlamento europeo, Eva Kaili, sulla base di un’ordine di investigazione europeo legato all’inchiesta Qatargate della Procura federale di Bruxelles.

La Camera del Lavoro di Milano, di cui Antonio Panzeri è stato segretario generale dal 1995 al 2003, ha espresso “sdegno per la gravità dei fatti denunciati” nell’inchiesta di Bruxelles sulle tangenti in Qatar. Lo si apprende da una nota in cui la Cgil milanese sottolinea che “sarà compito della magistratura e dei tribunali accertare le responsabilità” degli indagati, tra cui lo stesso Panzeri. “Siamo convinti che i diritti dei lavoratori e le battaglie per la difesa, la dignità e promozione del lavoro non possono essere oggetto di scambi di qualsivoglia natura. La Camera del Lavoro di Milano e tutta la Cgil – conclude il sindacato – continueranno nel loro impegno a favore delle lavoratrici e dei lavoratori per la difesa dei loro diritti e per il miglioramento delle loro condizioni“.

Erano già stati posti i sigilli in nel settore G, di Palazzo Spinelli, dove al quindicesimo piano si trovano gli uffici – tra gli altri – degli eurodeputati Maria Arena, Alessandra Moretti e Marc Tarabella, mentre al decimo piano sono stati sigillati almeno altri tre uffici, tra cui quello della vice presidente Eva Kaili (Socialisti & Democratici). Gli agenti della Polizia federale belga, in borghese con la fascia della polizia al braccio, si sono spostati verso il settore Q, dove si sono trattenuti per un’altra mezz’ora almeno.

A quanto constatato dall’Ansa, gli uffici sigillati negli edifici dell’Eurocamera a Strasburgo sarebbero legati ad almeno due eurodeputati: Cozzolino ed Alessandra Moretti, entrambi eletti e militanti nelle file del Pd che non risultano indagati dalla Procura belga. Si tratta delle stanze dove lavorano gli assistenti parlamentari dei due esponenti socialisti e i sigilli fanno seguito alle perquisizioni avvenute negli edifici del Parlamento Europeo a Bruxelles. Nelle scorse ore, nella capitale belga, è stato perquisito l’ufficio di una delle assistenti parlamentari di Moretti, Francesca Garbagnati, che al momento non risulta tra gli indagati.

Procura del Belgio: “congelati” computer di 10 assistenti. Dall’inizio dell’operazione della magistratura belga che ha portato all’arresto di 6 persone e a 20 perquisizioni, a partire da venerdì scorso, “i mezzi informatici di dieci assistenti parlamentari sono stati congelati per evitare che i dati necessari all’inchiesta non sparissero”. È quanto si legge in un comunicato della Procura belga. Il dossier della procura, “gestito da un giudice istruttore di Bruxelles, è stato aperto da più di quattro mesi per corruzione, riciclaggio e organizzazione criminale”, spiega la nota.

“Da venerdì, con il sostegno dei servizi di sicurezza del Parlamento Europeo, i mezzi informatici di 10 assistenti parlamentari erano stati congelati” affinchè i dati che contenevano non sparissero. La perquisizione di oggi al Parlamento europeo “aveva quindi come obiettivo quello di ottenere questi dati”. “Altre perquisizioni – continua la Procura federale – sono avvenute ieri in Italia. In tutto, dall’inizio delle operazioni, ci sono state 20 perquisizioni: 19 in residenze e uffici oltre a quella di oggi nei locali del Parlamento europeo. Sono stati sequestrati, in tre diversi luoghi, diverse centinaia di migliaia di euro: 600 mila al domicilio di uno dei sospetti, diverse centinaia di migliaia in una valigia che si trovava in una camera di albergo a Bruxelles e circa 150 mila circa in un appartamento di proprietà di un deputato europeo. Ad oggi, in questo dossier, sono state arrestate 6 persone. Per quattro, fra cui un parlamentare europeo, è stato confermato lo stato di arresto“. Nella nota si conferma senza citarla che l’arresto della vicepresidente Eva Kaili è stato possibile nonostante l’immunità parlamentare perché ci si trovava dinanzi a un caso di flagranza di reato.

“L’Italia è un grande Paese e, se ci sono dei parlamentari o degli assistenti che hanno commesso dei reati, è una questione che riguarda le singole persone e non il sistema Italia“. ha commentato il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, al termine del Consiglio Affari esteri. “Noi non dobbiamo permettere che la supposta corruzione di alcuni nella violazione di regole con comportamenti inaccettabili da parte di alcuni danneggi il ruolo del Parlamento europeo, l’unica istituzione democratica eletta dai cittadini, e dell’Ue”, ha aggiunto Tajani. “Fa benissimo la presidente Metsola, che ha tutto il nostro sostegno, a difendere il ruolo del Parlamento e a insistere sulla trasparenza. Condividiamo tutte le iniziative che ha annunciato questo pomeriggio a Strasburgo”, ha concluso il vice premier e ministro degli esteri del Governo Meloni. Redazione CdG 1947

Arrestata l’ eurodeputata Eva Kaili che difendeva il Qatar: in casa trovati “sacchi di banconote”. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 12 Dicembre 2022

L'eurodeputata socialista espulsa dal gruppo dopo l'inchiesta per corruzione con tangenti qatarine per 'ammorbidire' le critiche sui diritti umani. Panzeri, ex eurodeputato del Pd, successivamente passato ad Articolo Uno, ritenuto un "fedelissimo" di Roberto Speranza, che dopo l’arresto lo ha sospeso

Eva Kaili, vicepresidente del Parlamento europeo dopo che nella perquisizione della sua abitazione sono stati trovati “sacchi di banconote” è stata arrestata in Belgio ed ha trascorso la notte in stato di detenzione. Sarebbe stato fermato anche il padre della politica greca, che stava cercando di partire con una borsa piena di banconote. Lo rende noto il quotidiano belga L’Echo.  La circostanza del rinvenimento dei soldi spiegherebbe come mai nonostante l’immunità parlamentare la Kaili sia stata arrestata . Infatti sulla base il regolamento interno del Parlamento Europeo l’immunità decade in caso di flagranza di reato. L’agenzia di stampa greca Ana-Mpa ha oggi confermato quanto il CORRIERE DEL GIORNO aveva reso noto sin da ieri sera, anche il compagno della Kaili, cioè che è stato tratto in arrestato anche il suo compagno Francesco Giorgi, con il quale ha avuto una figlia, il quale in passato è stato assistente parlamentare di Antonio Panzeri, . L’indagine, aperta lo scorso luglio, è stata coordinata dall’Ufficio centrale per la repressione della corruzione del Tribunale di Bruxelles.

La vice presidente greca del Parlamento europeo Kaili aveva difeso in aula, sino a qualche giorno fa i progressi del Paese del Golfo nell’ambito dei diritti in vista dei Mondiali di calcio in corso. Nel suo intervento a Strasburgo ha detto: “Oggi i Mondiali in Qatar sono la prova, in realtà, di come la diplomazia sportiva possa realizzare una trasformazione storica di un Paese con riforme che hanno ispirato il mondo arabo. Io da sola ho detto che il Qatar è all’avanguardia nei diritti dei lavoratori, abolendo la kafala e riducendo il salario minimo. Nonostante le sfide che persino le aziende europee stanno negando per far rispettare queste leggi, si sono impegnati in una visione per scelta e si sono aperti al mondo. Tuttavia, alcuni qui stanno invitando per discriminarli. Li maltrattano e accusano di corruzione chiunque parli con loro o si impegni nel confronto. Ma comunque, prendono il loro gas. Tuttavia, hanno le loro aziende che guadagnano miliardi lì” aggiungendo “Ho ricevuto lezioni come greca e ricordo a tutti noi che abbiamo migliaia di morti a causa del nostro fallimento per le vie legali di migrazione in Europa. Possiamo promuovere i nostri valori ma non abbiamo il diritto morale di dare lezioni per avere un’attenzione mediatica a basso costo. E non imponiamo mai la nostra via, noi li rispettitamo, anche senza Gnl“.

Scandalo all’Europarlamento, quando Eva Kaili diceva: “Il Qatar è all’avanguardia nei diritti dei lavoratori”

“Sono una nuova generazione di persone intelligenti e altamente istruite. Ci hanno aiutato a ridurre la tensione con la Turchia. Ci hanno aiutato con l’Afghanistan a salvare attivisti, bambini, donne. Ci hanno aiutati. E sono negoziatori di pace. Sono buoni vicini e partner. Possiamo aiutarci a vicenda per superare le carenze. Hanno già raggiunto l’impossibile” ha concluso la Kaili.

Da alcune intercettazioni sarebbero emersi anche riferimenti a fondi europei destinati al nord Africa. Sono stati perquisiti anche gli uffici al Parlamento europeo degli assistenti dei deputati belgi Marie Arena (molto “vicina” alle attività lobbistiche di Panzeri) e Marc Tarabella.   Sarebbe stato perquisito anche l’ufficio di una funzionaria dell’Europarlamento, anche lei italiana. Un’ assistente che è stata perquisita è anche lei italiana, si chiama Donatella Rostagno e lavora da circa un anno con l’eurodeputata Arena. Un’altra assistente coinvolta nelle indagini (come rivela il Fatto Quotidiano) sarebbe Francesca Garbagnati, 30 anni, la quale in passato ha lavorato per Panzeri mentre adesso lavora per l’eurodeputata del Pd Alessandra Moretti (che non è indagata in questa inchiesta) la quale  smentisce ad Affaritaliani, che la sua assistente sia stata interrogata. Ma non smentisce che la procura stia indagando sulla Garbagnati per i suoi precedenti rapporti con Panzieri . Il collega Vincenzo Bisbiglia del Fatto rivela infatti che l’ufficio della Garbagnati all’ Europarlamento sarebbe stato sigillato dalla Polizia Federale che le avrebbe sequestrato il pc e lo smartphone. Sarà forse per questo che la Garbagnati ieri pomeriggio ci ha fatto scrivere minacciando querele attraverso un account di post di una terza persona che è un attivista del Pd.

L’eurodeputata del Pd Moretti, che abbiamo provato a contattare telefonicamente anche questa mattina ai suoi recapiti telefonici Bruxelles e Strasburgo dove i telefoni squillano a vuoto (nonostante abbia ben 7 assistenti retribuiti con denaro pubblico, senza mai ricevere alcuna risposta, era stata a Doha nel 2020 per un convegno sui diritti delle donne ed aveva pubblicato un post su Facebook sul tema. “Qui in Qatar stanno facendo passi in avanti nella tutela dei diritti anche delle donne e dei lavoratori. Siamo infatti andati a visitare uno degli 8 stadi che stanno costruendo in vista dei Mondiali di calcio 2022 e abbiamo verificato le condizioni di vita di chi sta offrendo manodopera per la realizzazione degli impianti”, si leggeva nel post.

Il comunicato della procura belga, spiega che “l’operazione ha riguardato in particolare gli assistenti parlamentari” e cita anche un ex eurodeputato che sarebbe appunto Panzeri, ex eurodeputato del Pd, successivamente passato ad Articolo Uno, dove era il “responsabile delle Politiche Europee Internazionali “ ritenuto un “fedelissimo” di Roberto Speranza, ma che dopo l’arresto lo ha sospeso.  Imbarazzante la nota: “”La commissione di garanzia di Articolo Uno Lombardia ha sospeso Antonio Panzeri dall’anagrafe degli iscritti. Nell’esprimere sconcerto per quanto sta emergendo, Articolo Uno esprime fiducia nell’autorità giudiziaria e auspica che Panzeri possa dimostrare la sua estraneità a una vicenda del tutto incompatibile con la sua storia e il suo impegno politico“. Della serie: alla vergogna “rossa” non c’ è mai limite !

A Strasburgo, alla Plenaria dello scorso novembre, si era tenuto un dibattito sulla situazione dei diritti umani e dei lavoratori in Qatar dopo le polemiche sul trattamento dei dipendenti stranieri che hanno contribuito alla costruzione degli stadi per il Mondiale e per diversi parlamentari avrebbe potuto essere più severa. La Lega va all’attacco: “Dopo anni di accuse ai rivali, il Pd che deve chiarire immediatamente agli italiani”.

Nel 2019, quando Panzeri aveva scelto di non ricandidarsi, Roberto Speranza su Twitter aveva commentato: “Ringrazio Antonio Panzeri per l’impegno prezioso di questi anni al Parlamento Europeo. La scelta autonoma di non ricandidarsi merita rispetto. Sono sicuro che faremo ancora insieme molte battaglie per ricostruire la Sinistra nel nostro Paese”.

Maria Dolores Colleoni e Silvia Panzeri, rispettivamente la moglie e la figlia (che peraltro fa l’avvocato) dell’ex eurodeputato del gruppo Socialisti & Democratici Antonio Panzeri, scrivono gli inquirenti belgi, nei documenti trasmessi alle autorità italiane per chiedere l’arresto delle due donne “sembrano essere pienamente consapevoli delle attività del marito/padre” e sembrano “persino partecipare nel trasporto dei “regali” dati al Marocco da A.A. (Abdesselam Alem n.d.r.) ambasciatore del Marocco in Polonia”. I reati, spiegano gli inquirenti, sono menzionati nelle trascrizioni delle intercettazioni telefoniche, “durante le quali la signora Panzeri ha fatto commenti circa i “regali”, dei quali ha apparentemente beneficiato“.

La moglie di Panzeri Maria Dolores Colleoni avrebbe anche detto a al marito “di aprire un conto bancario in Belgio e aveva apparentemente insistito che non voleva che lui facesse operazioni senza che lei potesse controllarle. Gli ha detto di aprire un conto con Iva, cosa che suggerisce che Panzeri potrebbe avviare una nuova attività commerciale, soggetta a Iva. Questo indica che Maria Colleoni esercita un qualche tipo di controllo sulle attività del marito o che perlomeno cerca di mantenere un qualche controllo“. Gli inquirenti belgi evidenziano che Colleoni  “ha usato la parola “combines” per riferirsi ai viaggi e agli affari del marito. La parola francese “combines” è peggiorativa e suggerisce che suo marito usa mezzi ingegnosi e spesso scorretti per ottenere i suoi scopi”. Da quanto emerge dalle carte, la coppia Panzeri-Colleoni usava anche carte di credito intestate ad altre persone, in particolare ad un prestanome , indicato con il nome “gèant” (il gigante) per evitare le loro spese con tanti “zero” potessero essere rintracciate.

Nei documenti trasmessi all’ Autorità Giudiziaria italiana, con i quali è stato richiesto ed ottenuto l’arretso delle due donne si ricostruirebbero persino le vacanze della famiglia Panzeri: apparentemente l’ex eurodeputato italiano della sinistra italiana poteva permettersi di fare con la moglie, Maria Dolores Colleoni, vacanze per un costo che “arrivava fino a 100mila euro“. La Colleoni, riferiscono gli inquirenti belgi, “ha detto al marito che non poteva permettersi di spendere 100mila euro per le vacanze come l’anno scorso e che pensava che l’attuale proposta, 9mila euro a persona solo per l’alloggio, era troppo costosa“. Le due donne sono state prelevate ieri sera dai Carabinieri nelle loro case di Calusco d’Adda (Bergamo) ed in quella di Milano dove risiede la figlia, la quale esercita nel foro ambrosiano la professione di avvocato nello Studio legale Panzeri Ventarola a Locate di Triulzi, (MI)

Maria Dolores Colleoni e la figlia Silvia Panzeri sono state convocate questa mattina presso la Corte d’appello di Brescia per l’udienza di identificazione che è iniziata alle ore 14: entrambe risponderebbero di favoreggiamento nell’ambito dell’inchiesta di Bruxelles per la presunta corruzione messa in piedi dal Qatar. Il Gip Anna Dalla Libera ha convalidato l’arresto e concesso la detenzione domiciliare. “Le mie assistite hanno riferito in aula di non essere a conoscenza di quanto viene loro contestato“, ha commentato l’avvocato Angelo De Riso difensore con il collega Nicola Colli, delle due donne. “Siamo soddisfatti e confidiamo che non venga accolta la richiesta di consegna alle autorità del Belgio”, hanno affermato i legali. Si ritorna in aula il  19 dicembre.

L’eurodeputata Kaili, come anche le altre quattro persone arrestate, verrà ascoltata fra 48 ore da un giudice belga il quale deciderà se confermare i mandati di cattura. La procura federale belga non ha confermato i nomi degli arrestati, che ormai sono quasi tutti noti, sottolineando però che si tratta di “personalità con posizioni strategiche“.

“Il nostro Parlamento europeo è fermamente contrario alla corruzione. In questa fase, non possiamo commentare alcuna indagine in corso se non per confermare che stiamo cooperando e coopereremo pienamente con tutte le forze dell’ordine e le autorità giudiziarie pertinenti. Faremo tutto il possibile per favorire il corso della giustizia“. Con questo il tweet la presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ha commentato l’inchiesta per corruzione che ha portato all’arresto della vicepresidente dell’Eurocamera, la greca Eva Kaili, e di quattro cittadini italiani, tra cui Antonio Panzeri, ex eurodeputato del Pd e poi passato con Articolo 1, Luca Visentini, segretario generale dell’Ituc, organizzazione internazionale dei sindacati, e Francesco Giorgi, assistente di Panzeri e compagno della Kaili. Redazione CdG 1947

Qatargate, Panzeri per i giudici era il «manovratore». A Kaili sequestrati 750 mila euro in contanti. Storia di Giuseppe Guastella, inviato a Bruxelles, su Il Corriere della Sera il 12 dicembre 2022.

Un «paravento» dietro il quale Antonio Panzeri si muoveva «manovrando» come un «capo» in modo criminale e spregiudicato: secondo la magistratura belga era questa la reale funzione di Fight impunity, la Ong per la difesa dei diritti umani fondata nel 2019 da Panzeri il quale avrebbe influenzato il Parlamento europeo elargendo, attraverso la sua nobile creatura, grosse somme di denaro e regali principeschi provenienti dal Qatar. Cadeaux che avrebbe elargito a coloro che, politici o no, potevano orientare le decisioni dell’assemblea a favore del Paese del Golfo a ridosso del Mondiale di calcio, quando emergeva con evidenza che l’emirato proprio non era in prima linea nei diritti umani e dei lavoratori. E le indagini si estendono a Milano, alla rete italiana legata a Panzeri e al suo patrimonio definito «molto consistente».

Le indagini

Gli sviluppi dell’ inchiesta della procura federale belga puntano in modo marcato al ruolo dell’ex politico di Pd e poi di Articolo 1 e della sua ong che annoverava nel consiglio onorario personaggi del calibro degli ex commissari europei Emma Bonino e Dimitris Avramopoulos e della ex rappresentante Ue per gli affari esteri Federica Mogherini, tutti dimessisi per lo scandalo che ha portato in carcere per associazione a delinquere, corruzione e riciclaggio Panzeri, uno dei 14 vice presidenti del Parlamento europeo, la greca del Pasok Eva Kaili, il padre e il compagno di questa, il milanese Francesco Giorgi, la moglie e la figlia di Panzeri, il segretario dell’ong No peace without justice Niccolò Figà Talamanca. Un ambiente in cui l’italianità crea cameratismo e complicità e che, ma solo per una questione di assonanza tricolore, si estende al cognome dell’europarlamentare Marc Tarabella, perquisito sabato scorso davanti al presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola che è dovuta appositamente rientrare di corsa da Malta.

Le indagini si muovono spedite anche sull’asse Bruxelles-Milano per individuare la rete dei rapporti di Panzeri. Usufruendo di Eurojust, il giudice istruttore Michel Claise sta ricevendo assistenza giudiziaria dall’aggiunto Fabio De Pasquale che guida il dipartimento «affari internazionali» della Procura di Milano. È stato lui ad ordinare la perquisizione dell’abitazione di Panzeri a Calusco D’Adda (Bergamo) dove moglie e figlia sono ai domiciliari e dove la Gdf ha trovato 17 mila euro in contanti, che si sommano ai 600mila sequestrati all’uomo al momento dell’arresto in un residence di Bruxelles. Tanti, troppi sono i soldi che girano in questa storia. Oltre alle banconote, Panzeri e i suoi familiari sembrano possedere un patrimonio importante fatto di conti correnti, che sono stati acquisiti insieme, e di immobili che difficilmente può essere giustificato solo con il pur ricco appannaggio incassato in 10 anni di mandato parlamentare europeo. Le indagini di De Pasquale (perquisita anche la casa di Giorgi e sequestrato il suo conto) dovranno contribuire a chiarire flussi di denaro arrivato dal Marocco e dal Qatar in contanti e bonifici. E poi ci sono i 100 mila euro che sarebbero stati spesi per una vacanza di Natale e i regali trasferiti in Marocco.

Un trolley di banconote

Banconote fruscianti tornano anche nell’arresto di Eva Kaili «causato» dal fermo precedente del padre. Quando venerdì la polizia lo ha visto lasciare in fretta e furia il lussuoso albergo nel quartiere «Europeo» di Bruxelles dove era arrivato qualche giorno prima con la moglie, è bastato un attimo agli agenti per saltargli addosso e scoprire che nel trolley che si trascinava dietro c’erano la bellezza di 600 mila euro in banconote da 50 euro. Perché aveva tanta premura? Forse sapeva che gli investigatori erano sulle tracce dei soldi accumulati dalla figlia con le tangenti, dicono a Bruxelles, ai quali si aggiungeranno i 150 mila euro trovati in banconote da 20 e 50 euro nell’abitazione della Kaili assieme a molti regali di valore, oggetti e medaglie, ricevuti dal Qatar. La scoperta dei soldi e dei regali è stata considerata la «flagranza di reato» che, facendo decadere l’immunità parlamentare, ha permesso alla magistratura di arrestare Kaili. Sono 19 le abitazioni perquisite e 10 gli uffici di collaboratori sigillati al Parlamento per «congelare» e «prevenire» la manomissione dei dati dei telefonini e dei pc sequestrati, come spiegano i pm. Sigilli anche negli uffici di Strasburgo degli assistenti dei parlamentari Pd, non indagati, Alessandra Moretti e Andrea Cozzolino, l’arrestato Giorgi assiste il secondo e lavora in uno dei due.

Fermato venerdì e rimesso in libertà il giorno dopo, Luca Visentini, capo della Confederazione sindacale internazionale, è ancora scosso dalla esperienza del carcere. «Sono stato liberato senza accuse formali e con condizioni minime che permettono di muovermi liberamente» afferma, e aggiunge: «Sono estraneo a qualsiasi forma di corruzione. Se fossi stato corrotto o se fossi un corruttore le mie posizioni politiche sarebbero state molto favorevoli al Qatar, invece nei giorni precedenti avevo dichiarato che le riforme fatte in quel Paese erano del tutto insufficienti».

Eva Kaili, ascesa e caduta: da ribelle del Pasok a «musa» degli emiri. Il Corriere della Sera il 12 dicembre 2022.

Raccontano che Eva Kaili debba l’inizio della sua carriera politica alla somiglianza con Eleni Rapti, deputata di Salonicco per Néa Dimokratia, il partito conservatore. Fu infatti nella disperata ricerca di un volto nuovo da contrapporre a quest’ultima, fiammeggiante candidata alle elezioni greche del 2004, che i dirigenti locali del Pasok appuntarono la loro attenzione sulla giovane giornalista, popolare anchorwoman di Mega Channel, studi in architettura, relazioni internazionali ed economia, bionda e telegenica proprio come la Rapti.

Ma non andò bene, perché Kaili fu la prima dei non eletti nella seconda città della Grecia. E lì forse iniziò anche la sua ostilità verso Georgios Papandreou, il quale eletto sia a Salonicco che a Patrasso optò per la prima, lasciando fuori proprio lei, Eva Kaili.

Probabilmente gliela giurò, se è vero che quando tre anni dopo, nel 2007, i greci tornarono al voto e lei questa volta entrò nel Parlamento ellenico sull’onda di oltre centomila preferenze, sempre per il Pasok, Kaili diventò una specie di bastian contrario del leader socialista, il quale ha sempre diffidato di lei.

Con qualche ragione, se è vero che fu proprio Kaili la causa ultima della caduta di Papandreou. Successe nel 2011, quando al culmine della crisi greca, il premier socialista decise di accettare le misure dell’austerità imposte dalla Ue, sotto la spinta di Merkel e Sarkozy, ma annunciò di volerle prima sottoporle a referendum. Convocatolo al vertice di Nizza, Sarkozy lo prese a male parole, ma soprattutto il presidente della Commissione José Manuel Barroso giocò sporco, convincendo il ministro delle Finanze greco, Evangelos Venizelos, a ribellarsi e organizzare la rivolta dentro il partito. Così fu. Papandreou aveva solo 2 voti di maggioranza in Parlamento, ma prima che il voto per indire il referendum avesse luogo, gli arrivò la lettera di una deputata: «Al di sopra dell’interesse personale o di partito devo mettere quello nazionale. Io voterò contro di te». La firma era quella di Eva Kaili, subito imitata da altre due colleghe. Papandreou rinunziò al referendum e pochi giorni dopo si dimise.

Di tutte le prese di posizione di Kaili in contrasto con il suo partito, rimane celebre quella ultranazionalista contro l’accordo che mise fine all’annosa battaglia tra Grecia e Macedonia del Nord, con cui Atene riconobbe il diritto di quest’ultima a definirsi tale: «Un danno irreparabile per la storia della Macedonia (nel senso della regione greca n.d.r) e per i greci», disse allora la deputata socialista sposando in pieno la linea di Néa Dimokratia.

Nikos Androulakis, leader di quel poco che resta del Pasok, che nel frattempo ha espulso l’eurodeputata sotto accusa a Bruxelles, ha definito Kaili «il cavallo di Troia» del governo conservatore dentro il partito socialista, una quinta colonna che non ha mai perso occasione di sparare fuoco amico. E cita il recente episodio dello scandalo delle intercettazioni, commissionate dal governo ai danni dell’opposizione, autentico Watergate greco. Kaili, invece di condannarle, ha detto che non erano nulla di nuovo o di strano, derubricandole come poco rilevanti.

Il salto verso la politica europea era avvenuto nel 2014 con l’elezione all’Europarlamento, seguita dalla riconferma nel 2019 con l’ascesa alla vicepresidenza dell’Assemblea, proclamata al primo scrutinio con 454 voti fra i 14 sostituti di Roberta Metsola, della quale fa le veci nei rapporti con il Medio Oriente. A Bruxelles e Strasburgo Kaili sembrava ubiqua, attiva in commissioni, organismi di valutazione, delegazioni parlamentari, intergruppi, missioni speciali, di tutto di più. Sempre pronta nei suoi discorsi a sostenere cause nobili, come i diritti umani o la lotta alla corruzione. Il suo forte erano i temi digitali e l’high-tech, ancora qualche giorno fa aveva spiegato che la Ue deve fare molto di più per aiutare i cittadini ad acquisire certe competenze digitali».

Poi, o forse prima, è venuto il Qatar, l’irresistibile leggerezza dell’essere. Un po’ alla volta, Kaili è diventata il capo riconosciuto del «collegio di difesa» dell’Emirato nel Parlamento di Strasburgo. Surreale il discorso del 21 novembre scorso, quando la plenaria ha votato una risoluzione che «deplora la morte di migliaia di lavoratori migranti». Kaili, contraria, si è fatta aedo del Qatar, che ha definito «Paese all’avanguardia nei diritti dei lavoratori», forse confondendo questi ultimi con i morti sul lavoro. Poi, dieci giorni fa, letteralmente si è intrufolata nella Commissione Giustizia, di cui non fa parte, per votare a favore della liberalizzazione di visti d’ingresso nello spazio Schengen per i cittadini qatarioti. Ancora, quando il Qatar aveva rinviato all’ultimo momento il viaggio della Delegazione parlamentare per i rapporti con la Penisola araba, che voleva visitare le strutture dei Mondiali e verificare i cambiamenti alla legislazione sul lavoro sbandierati dai dirigenti di Doha, Kaili era partita da sola alla volta dell’Emirato dove, accolta in gran fanfara, aveva lodato le riforme del regime, dicendo di rappresentare 500 milioni di europei. Come ha commentato la deputata verde Hannah Neumann, che guida la delegazione, «ho avvertito che qualcosa stesse succedendo alle mie spalle. I qatarioti hanno disinvitato i parlamentari, sapendo che avrebbero avuto una posizione più equilibrata, e invitato lei sapendo cosa avrebbe detto».

I titoli di coda vedono una valigia piena di banconote, 750 mila euro, portata goffamente via da un padre trafelato e protettivo dall’appartamento, in cui l’onorevole deputata abitava con il compagno italiano, Francesco Giorgi, ex assistente parlamentare dell’indagato principale, Pier Antonio Panzeri. Anche Giorgi appassionato di diritti umani e anche lui ora agli arresti. Belli e dannati? La presunzione d’innocenza è d’obbligo, ma l’eurodeputata socialista Eva Kaili deve più di qualche spiegazione.

Da corriere.it il 12 dicembre 2022.

Contanti per una somma di 17 mila euro sono stati sequestrati ieri sera dalla Guardia di Finanza nell’abitazione della famiglia Panzeri a Calusco d’Adda La somma è stata trovata nel corso delle perquisizioni effettuate in esecuzione di un ordine di investigazione europea nell’ambito dell’inchiesta di Bruxelles per presunte tangenti da parte di Qatar e Marocco, in cambio di una sponda politica all’Europarlamento.

Nella casa al momento si trova agli arresti domiciliare la moglie di Panzeri, Maria Dolores Colleoni, destinataria insieme alla figlia Silvia di un mandato di arresto europeo. Anche la figlia Silvia è ai domiciliari ma nella sua casa nel Milanese.

Giuseppe Guastella per corriere.it il 12 dicembre 2022.

Quando la polizia lo ha visto lasciare in fretta e furia il lussuoso albergo nel quartiere «Europeo» di Bruxelles con in mano una valigia, è bastato un attimo agli agenti per saltare addosso e bloccare il padre della vice presidente del Parlamento europeo Eva Kaili e trovare nel trolley che si trascinava dietro la bellezza di 600 mila euro in banconote da 50 euro. Perché l’uomo, che era arrivato nell’albergo qualche giorno prima con la moglie, aveva tanta premura? Forse sospettava che gli investigatori erano sulle tracce del denaro accumulato dalla figlia con le tangenti, dicono i magistrati belgi. 

A questi soldi si aggiungeranno in serata altri 150 mila euro trovati in banconote da 20 e 50 euro nell’abitazione della Kaili assieme a più regali di valore, come medaglie e altri oggetti, ricevuti in regalo dal Qatar. 

La scoperta dei soldi e dei regali è stata considerata la «flagranza di reato» che, facendo decadere l’immunità parlamentare, ha permesso alla magistratura di arrestare Kaili. Il contante è la caratteristica dell’inchiesta che riguarda un giro di corruzione per favorire un atteggiamento morbido della politica continentale a favore del Marocco e del Qatar, il secondo paese al mondo per l’insufficiente rispetto dei diritti umani. 

Un’indagine che sta colpendo al cuore la massima istituzione rappresentativa europea con l’arresto della ex giornalista tv greca Kaili al quale venerdì 9 dicembre si è aggiunto quello di altre 7 persone, tra cui l’ex parlamentare a Bruxelles Pd Antonio Panzeri, sua moglie e sua figlia (fermate e mandate ai domiciliari in Italia), oltre a quelli del compagno della Kaili Francesco Giorgio e del segretario dell’ong No peace without justice, l’italiano Niccolò Figà Talamanca. E infatti, anche nel residence in cui Panzeri vive a Bruxelles la polizia giudiziaria ha trovato in due sacchi banconote da 20 e 50 euro per un totale di circa 600 mila euro. In tutto sono state eseguite 10 perquisizioni in uffici di parlamentari europei e 19 in abitazioni private.

Soldi, ancora soldi son stati trovati oggi dalla Guardia di finanza nell’abitazione di Panzeri e famiglia a Calusco d’Adda, in provincia di Bergamo, dove sono ai domiciliari la moglie Maria Dolores Colleoni e la figlia Silvia. Le Fiamme gialle hanno trovato 17 mila euro eseguendo un ordine di investigazione europea partito da Bruxelles in abitazioni a Milano e in provincia riconducibili a Panzeri e alla sua famiglia. Nelle carte dell’indagine, il giudice istruttore federale Michel Claise scrive che per «diversi mesi gli investigatori della polizia giudiziaria federale hanno sospettato che un paese del Golfo, per influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento europeo, ha pagato forti somme di denaro o offerto importanti regali» e a soggetti che avevano una «significativa posizione politico e/o strategica nel Parlamento europeo». 

Sulla vicenda è intervenuta la presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola durante una plenaria: «Non ci sarà impunità. Nessuno. I responsabili troveranno questo Parlamento dalla parte della legge. Sono orgogliosa del nostro ruolo e della nostra assistenza in questa indagine. Non ci sarà da nascondere la polvere sotto il tappeto». E ha aggiunto che verrà avviata «un’indagine interna per esaminare tutti i fatti relativi al Parlamento e per vedere come i nostri sistemi possono diventare ancora più impermeabili».

Ha poi espresso la sua delusione al riguardo e si è rivolta al resto dell’assemblea: «So che condividete tutti lo stesso sentimento. A quegli attori maligni, nei Paesi terzi, che pensano di poter comprare la loro strada. Che pensano che l’Europa sia in vendita. Che pensano di poter rilevare le nostre Ong. Lasciatemi dire che troverete questo Parlamento fermamente sulla vostra strada. Siamo europei». «Dovevo anche annunciare l’apertura del mandato negoziale per la relazione sull’esenzione dal visto con il Qatar e il Kuwait. Alla luce delle indagini, tale relazione dovrà essere rinviata in commissione», ha concluso.

Estratto dell’articolo di Francesca Basso per il “Corriere della Sera” il 12 dicembre 2022.

È forse il peggiore scandalo di corruzione che si ricordi nella storia del Parlamento europeo. Ed è una corsa a prenderne le distanze dai protagonisti dell'inchiesta belga sulla presunta corruzione da parte del Qatar nei confronti di eurodeputati e funzionari del Parlamento Ue: sono finiti in carcere la vicepresidente greca Eva Kaili, il suo compagno Francesco Giorgi, l'ex eurodeputato Antonio Panzeri e il lobbista Niccolò Figà-Talamanca.

L'ex commissario Ue all'Immigrazione, il greco Dimitris Avramopoulos di Nea Demokratia (Ppe), che figurava nel board onorario della Ong Fight impunity , fondata da Panzeri, ha reso pubblico con un tweet le sue dimissioni: «Dopo aver letto dell'indagine in corso contro Panzeri venerdì sera - ha scritto - ho immediatamente rassegnato le dimissioni, per principio, dal comitato consultivo onorario di Fight impunity ».

Avramopoulos è con Luigi Di Maio uno dei quattro candidati sul tavolo dell'Alto rappresentante Ue Josep Borrell per l'incarico di inviato Ue nel Golfo Persico e le sue chance sembravano in salita dopo le polemiche in Italia sull'ex ministro degli Esteri. 

Pure il Qatar si è chiamato fuori con una dichiarazione ufficiale del ministero degli Esteri: «Qualsiasi associazione del governo qatarino con le accuse riportate è senza fondamento e gravemente male informata. Lo Stato del Qatar lavora sulla base di un rapporto da istituzione a istituzione e opera in piena conformità con il diritto internazionale». […]

Maddalena Berbenni per il “Corriere della Sera” il 12 dicembre 2022.  

A maggio 2019, Antonio Panzeri lascia il Parlamento europeo dopo tre mandati, nel 2004 eletto con la lista Uniti nell'Ulivo, poi con il Pd, l'ultimo paio d'anni trascorso tra le fila del partito che ora lo ha sospeso in fretta e furia, Articolo Uno. Non abbandona, però, Bruxelles. 

Nel giro di un'estate, in rue Ducale 41, tra il parco principale della città e i palazzi che contano, fonda l'organizzazione no profit Fight impunity , «combatti l'impunità». Un nome che certo stride di fronte alle accuse che hanno portato al suo arresto e a quello della moglie Maria Dolores Colleoni e della figlia Silvia - quest' ultima avvocato con un curriculum che indica, come ultimo corso di perfezionamento, una specializzazione in diritto dell'Unione Europea - mentre la bacheca Facebook è una galleria di cartoline dalle vacanze, anche in Qatar.

Proprio dal Paese dei Mondiali di calcio e delle accese polemiche sui diritti violati, insieme al Marocco, sarebbero arrivate le tangenti in soldi e regali al centro dell'inchiesta per corruzione e riciclaggio, nell'ambito di quella che gli inquirenti belgi ritengono fosse un'associazione per delinquere. 

Delle due donne hanno chiesto la consegna, che la Corte d'Appello di Brescia valuterà fra una settimana. Ora, sono ai domiciliari, la figlia nel Milanese, la moglie nella casa di famiglia a Calusco d'Adda, dove lo stesso Panzeri ha mantenuto la residenza. 

La base in provincia di Bergamo, la carriera nella Cgil a Milano e la nuova vita da paladino dei diritti principalmente a Bruxelles, ma poi ovunque lo conducessero gli eventi promossi da Fight impunity . 

Dunque, ad esempio, il 29 marzo è al Collegio d'Europa a Bruges, nelle Fiandre, per illustrare il rapporto annuale «sull'impunità e la giustizia transizionale», steso dall'organizzazione e poi discusso anche al Parlamento europeo: «Sono giorni difficili quelli che stiamo attraversando - dice Panzeri in un video -. La guerra in Ucraina, l'invasione russa sta producendo enormi drammi non solo sotto il profilo umanitario, ma ci sta proponendo con forza le questioni legate all'impunità e ai diritti umani. Noi siamo fortemente impegnati in questa direzione». 

 Il 6 aprile è in Grecia al Delphi economic forum, il 21 dello stesso mese presenta alla Camera del lavoro di Milano un libro sulle vittime sul lavoro nel mondo, il 28 giugno interviene a un convegno internazionale sull'Africa subsahariana a Nouakchott, la capitale della Mauritania. L'ultimo appuntamento del 2022 segnalato sui canali social della Ong è un seminario, il 2 e 3 dicembre, nella casa di Jean Monnet, fuori Parigi, dedicato alla libertà dei media e alla lotta contro gli attacchi nei confronti di giornali e giornalisti nel mondo.

Dall'articolo di Giuliano Foschini e Claudio Tito per "la Repubblica" il 12 dicembre 2022.

I magistrati belgi ormai parlano di una "Italian Connection" dentro il "Qatargate". E lo fanno da venerdì scorso. Da quando cioè sono entrati negli edifici del Parlamento europeo per mettere i sigilli agli uffici di una serie di collaboratori e assistenti. Tutti italiani. Un lungo corridoio al gruppo S&D - ma non solo - con una sfilza di stanze incerottate e chiuse a chiave. (...) Infine c'è un quarto nome. Davide Zoggia.

Un pezzo da "novanta" della sinistra italiana di un quindicennio fa. Ex deputato italiano, un fedelissimo di Pierluigi Bersani e responsabile organizzativo del Pd durante la segreteria Epifani. A lui hanno sequestrato il telefonino. Perché? Perché viveva a Bruxelles in una casa di proprietà di Giuseppe Meroni. 

Anzi, con lui ha condiviso fino a qualche settimana anche l'ufficio. Zoggia è nello staff di Pietro Bartolo ma anche - spesso gli assistenti sono condivisi - in quello del capogruppo Dem, Brando Benifei. Tutti questi parlamentari non sono stati assolutamente toccati dalle indagini.

Tonia Mastrobuoni per repubblica.it il 12 dicembre 2022.  

Poco fa il leader del Pasok Nikos Androulakis l'ha definita un "cavallo di Troia" del governo, in sostanza un'agente all'Avana dei conservatori di Nea Dimokratia e del premier Mitsotakis. Al di là degli imbarazzanti dettagli che stanno emergendo dalla protagonista del Qatargate, Eva Kaili - a cominciare dai sacchi pieni di banconote rinvenuti nel suo appartamento brussellese - non è la prima volta che sulla politica socialista appena sospesa dal ruolo di vicepresidente del Parlamento Ue si addensano sospetti di intelligenza con il nemico.

Oggi le autorità brussellesi hanno confermato l'arresto di Kaili. Persino suo padre era stato sorpreso con una valigia piena di soldi. E tra gli arrestati figura anche il suo compagno, Francesco Giorgi, con cui ha una figlia. Dall'entourage di Androulakis trapela enorme irritazione per lo scandalo che ha travolto i socialisti: "Non tollereremo azioni del genere e ci comporteremo di conseguenza". Da tempo i rapporti tra i due si erano raffreddati, dopo otto anni di sodalizio di ferro. 

Quarantaquattrenne, originaria di Salonicco, Kaili era considerata da tempo una sorta di Lady Macbeth dei socialisti greci, un'ambiziosa e popolare ex giornalista della tv Mega che, in virtù delle sue oltre centomila preferenze incassate nella città natale aveva fatto una carriera rapidissima nel partito. Nel 2007 era già deputata, nel 2014 è stata eletta al Parlamento Ue.

Ma negli ultimi tempi, l'ex numero due dell'Europarlamento si era inimicata l'attuale dirigenza attorno ad Androulakis. E da dieci anni l'ex premier greco e leader del Pasok, George Papandreou aveva imparato in modo traumatico a non fidarsi di lei. Nella fase più drammatica del suo governo e della crisi greca, Kaili gli girò clamorosamente le spalle. Stava già tramando con il successore di Papandreou, Evangelos Venizelos. 

Ai microfoni della tv greca, l'attuale leader del Pasok, Androulakis ha ricordato poco fa l'ultimo, enorme scandalo che ha travolto la Grecia: quello delle intercettazioni ai suoi danni commissionate dall'attuale governo Mitsotakis. Ebbene, Kaili aveva minimizzato sull'incidente che aveva messo in grave imbarazzo Mitsotakis a fine luglio e colpito i vertici del suo stesso partito. E Androulakis aveva "preso le distanze" già allora dalla sua collega di partito, ha ribadito in tv. 

Anche nel 2011 Kaili si è fatta notare per la sua disinvoltura tattica. Quando George Papandreou propose di fare un referendum sulla permanenza della Grecia nell'euro, il presidente francese Nicolas Sarkozy si infuriò e il presidente conservatore della Commissione Ue José Manuel Durão Barroso convinse segretamente il ministro delle Finanze greco, Evangelos Venizelos, a bloccare il referendum e costringere Papandreou alle dimissioni. Così fu: alla vigilia del voto in Parlamento che avrebbe dovuto approvare il referendum, tre deputate del Pasok gli dissero che avrebbero votato contro, e che non avrebbe più avuto la maggioranza. Una era Eva Kaili.

Giuliano Foschini e Claudio Tito per “la Repubblica” il 12 dicembre 2022.

[…] I sigilli sono stati così posti all'ufficio di Federica Garbagnati. Al momento è l'assistente dell'eurodeputata Alessandra Moretti. Che, pur avendo compiuto un viaggio a Dohaper incontrare il ministro del Lavoro, ha precisato di aver sempre votato sul Qatar secondo le indicazioni del suo gruppo. Garbagnati, però, in passato collaborava proprio con il fulcro dell'indagine: Antonio Panzeri. […]

Alessandro Gonzato per “Libero quotidiano” il 12 dicembre 2022.

Minaccia querele a raffica l'europarlamentare Dem Alessandra Moretti: non vuole che il suo nome venga accostato al Qatar, non ora almeno. Dal Belgio arriva anche la notizia che gli inquirenti hanno sequestrato il pc e il telefono di una delle sue assistenti accreditate, Francesca Garbagnati, che era stata assistente dell'allora europarlamentare del Pd Antonio Panzeri- fulcro dell'inchiesta sul "Qatargate" - ma la Moretti non è inquisita. 

Tra gli emiri e Bruxelles è transitato un mare di denaro sporco - stando alla mega inchiesta fatta di arresti, valigie colme di banconote, sequestri e tentate fughe - e dunque quando Il Fatto Quotidiano accenna che l'eurodeputata vicentina «a Bruxelles ha sempre votato nel blocco della Kaili (la vicepresidente greca dell'Ue arrestata per i sacchi di soldi in casa, ndr)» la Moretti diffonde un comunicato di fuoco. 

Non «comprende il significato» delle «presunte votazioni nel blocco della Kaili» e diffida ogni mezzo d'informazione dall'accostare il suo nome «a ogni illazione sull'indagine sui presunti casi di corruzione dal Qatar al parlamento europeo». Moretti aggiunge di aver «dato mandato ai propri legali di procedere» per l'articolo «altamente diffamatorio» e farà lo stesso con chi «rilancerà simili notizie destituite di ogni fondamento». 

La Dem tiene a precisare che «riguardo alla risoluzione contro il Qatar» ha sempre votato «in linea col proprio gruppo politico», i socialdemocratici (S&D), «in qualche caso votando a favore di alcuni emendamenti presentati dalla sinistra, molto duri sul Qatar».

Nessuna illazione, e però se prendiamo la votazione agli emendamenti della sessione plenaria dello scorso 24 novembre, nella sinistra c'è chi è a favore, chi contro, chi s' è astenuto: ci arriviamo tra poco. 

La Moretti il Qatar lo conosce, e dalla capitale il 17 febbraio 2020 ha pubblicato un lungo post su Facebook in cui con gli emiri è stata piuttosto benevola. Eccolo: «Sono di rientro da Doha dove sono stata relatrice al convegno "Social Media, challenges and ways to promote freedom". Ho parlato di hate speech e fake news. Ho incontrato tante giovani che si battono per la parità di genere. Qui in Qatar», ecco, «stanno facendo passi in avanti nella tutela dei diritti anche delle donne e dei lavoratori. Siamo andati a visitare uno degli 8 stadi che stanno costruendo in vista dei Mondiali di calcio 2022 e abbiamo verificato le condizioni di vita di chi sta offrendo manodopera per la realizzazione degli impianti (...)».

Il quotidiano britannico The Guardian, oltre a diverse associazioni umanitarie, hanno denunciato che durante la realizzazione delle infrastrutture sono morte quasi 7 mila persone, e dunque vien da chiedersi quali condizioni abbia «verificato» la Moretti. 

Anzi, in un'intervista, Affaritaliani.it glielo chiede direttamente: possibile che i visitatori occidentali non si siano resi conto della situazione? «Noi questa cosa l'abbiamo sempre denunciata. 

Non trovo correlazione tra la partecipazione a un'iniziativa sui diritti delle donne con la tragedia dei lavoratori». Nel post c'era scritto anche di questo tema... «Sì, al tema dei diritti. Perché me ne occupo e quindi anche relativamente a quello della tutela dei diritti dei lavoratori».

Quindi non c'erano segnali dei numerosi deceduti? «Sì certo, eravamo lì proprio per verificare le condizioni di lavoro e la fine del sistema della Kafala (istituzione che regola il mondo del lavoro in molti Paesi arabi, ndr). Io mi sono concentrata di più sui diritti delle donne». Dicevamo degli emendamenti alla plenaria del 24 novembre: se è vero che il voto finale non era nominale e quindi, come sta accadendo, chiunque può dire di aver condannato il trattamento degli immigrati che hanno lavorato in Qatarcome ha fatto il Dem Andrea Cozzolino il cui principale collaboratore, Francesco Giorgi, il compagno della Kaili, è stato arrestato nell'indagine per corruzione e riciclaggio- lo è altrettanto che in diversi emendamenti i Dem si sono divisi, e qui il voto era nominale.

Ad esempio, pagina 134 del documento, punto 65 "Situazione dei diritti umani nel contesto della Coppa del Mondo in Qatar": la Moretti ha votato contro, Cozzolino e Marie Arena (l'ufficio della sua assistente, Donatella Rostagno, pure lei ex collaboratrice di Panzeri, è sotto sequestro), Majorino, Picerno e Variati (di cui la Moretti è stata vicesindaco) a favore.

Proprio il 24 novembre Cozzolino ha inviato una mail ai colleghi socialdemocratici: «In vista del voto di oggi sulla situazione dei diritti umani relativi ai Mondiali in Qatar vorrei ribadire la mia posizione di votare contro la seconda parte che sostiene che la Coppa del Mondo sia stata assegnata dalla Fifa attraverso concussione e corruzione. Il parlamento Ue non dovrebbe accusare un Paese senza evidenze che non siano segnalate dalle autorità giudiziarie. In ogni caso se vogliamo discutere di corruzione negli eventi sportivi, allora bisognerebbe riflettere su tutto, compresi i Mondiali in Germania del 2006». Dunque a posto così?

Da milano.repubblica.it il 12 dicembre 2022.

La Corte d'appello di Brescia dà il via libera alla consegna della moglie e della figlia di Antonio Panzeri al Belgio. "Non appaiono sussistere cause ostative alla consegna" al Belgio, scrive infatti il giudice della Corte d'appello di Brescia Anna Dalla Libera nel provvedimento di convalida dell'arresto di Maria Dolores Colleoni e Silvia Panzeri, moglie e figlia dell'ex eurodeputato Antonio Panzeri, fermate venerdì nell'abitazione di famiglia a Calusco d'Adda (Bergamo) in esecuzione di un mandato di arresto europeo e poi poste ai domiciliari. Le due donne sono accusate di corruzione, riciclaggio e associazione per delinquere per fatti commessi dal 1 gennaio 2021 all'8 dicembre 2022. 

Alcune perquisizioni sono state effettuate fra ieri sera e oggi in abitazioni a Milano e nella Bergamasca riconducibili ad Antonio Panzeri e alla sua famiglia dalla guardia di finanzia in esecuzione di un ordine di investigazione europea nell'ambito dell'inchiesta di Bruxelles per presunte tangenti da parte di Qatar e Marocco, in cambio di una sponda politica all'Europarlamento. Contanti per una somma di 17mila euro sono stati sequestrati ieri sera dalla Guardia di Finanza nell'abitazione della famiglia Panzeri a Calusco d'Adda, in provincia di Bergamo. Nella casa al momento si trova agli arresti domiciliare la moglie di Panzeri, Maria Dolores Colleoni, destinataria insieme alla figlia Silvia di un mandato di arresto europeo. Le perquisizioni sono avvenute nell'inchiesta di Bruxelles per associazione per delinquere, corruzione e riciclaggio per favorire Qatar e Marocco, che hanno portato all'arresto fra gli altri dell'ex europarlamentare, della figlia, della moglie e della vicepresidente del Parlamento Europeo Eva Kaili. Da quanto si è saputo, sono stati sequestrati anche supporti informatici e documenti.

Sono stati anche eseguiti accertamenti bancari su diversi conti riconducibili all'ex europarlamentare: il decreto di perquisizione firmato dal procuratore aggiunto di Milano Fabio De Pasquale, a capo del dipartimento Affari internazionali, che sta lavorando in collaborazione con Eurojust, riguarda in particolare l'abitazione della famiglia Panzeri a Calusco D'Adda (Bergamo), ma anche un ufficio a Milano e l'abitazione milanese dell'arrestato Francesco Giorgi, ex collaboratore dell'ex europarlamentare dem Panzeri. Da quanto emerge sono stati sequestrati 17mila euro nell'abitazione in provincia di Bergamo, ma anche (non si sa a chi) degli orologi di lusso, oltre a supporti informatici e documenti.

Qatargate, il più grande scandalo della storia dell’Europarlamento. La procura federale belga sventa una lobby criminale in seno al gruppo socialista. Puntava a influenzare le decisioni dell’organo democraticamente eletto a favore del Qatar. In cambio di montagne di denaro. Federica Bianchi su L’Espresso il 12 Dicembre 2022.

La parola Qatar è diventata tossica a Bruxelles. Tutto ciò che la riguarda è ormai visto con paura. Perché è proprio intorno al Qatar e a questi campionati mondiali che da venerdì sera si sta svolgendo la matassa del più grande scandalo che abbia mai riguardato l'Europarlamento. Il quotidiano belga "Le Soir" l'aveva definito sabato "uno scandalo italiano" visto che il perno di questa storia di corruzione parlamentare è l'ex europarlamentare del PD Pier Antonio Panzeri, che a Bruxelles continuava a vivere e lavorare, aiutato nei suoi affari dalla famiglia. Ma giorno dopo giorno la realtà si dimostra molto più complessa, coinvolge anche cittadini belgi, e non escluderà ulteriori colpi di scena.

I risultato di mesi di lavoro e intercettazioni da parte della polizia belga hanno portato alla scoperta di un'organizzazione criminale volta a influenzare il voto del parlamento europeo a vantaggio degli stati committenti – il Qatar, appunto, e il Marocco - in cambio di ingenti somme di denaro e regali.

Il cervello dell'operazione è Panzeri, europarlamentare dal 2004 al 2019, attivista per i diritti umani, e oggi leader di "Fight impunity", una ong che sembra sempre  più una copertura per attività a scopi personali. «Sì facevo parte dell'advisory board», dice al telefono Emma Bonino, «ma non sono mai stata consultata. Il board non è mai stato convocato». Solo bei nomi su un sito web. E la conferma viene anche dall’ex Alta Rappresentante Federica Mogherini e dall'ex commissario greco Dimiotris Avramolopoulos, che si sono entrambi immediatamente dimessi dal board.

Come assistente parlamentare di Panzeri ha a lungo lavorato Francesco Giorgio, compagno della vice presidente del parlamento europeo (ce ne sono 14) Eva Kaili, ex giornalista televisiva. Dopo che il padre di Kaili è stato fermato con un trolley con dentro 600mila euro in banconote da 50, entrambi sono stati arrestati (l'impunità parlamentare non è più valida in flagranza di reato). A casa della coppia (che ha una bambina di due anni) sono poi stati trovati altri 150mila euro oltre a oggetti di valore offerti dal Qatar. «Abbiamo avuto grande fortuna ad arrestare Kaili in flagranza di reato», hanno detto fonti della polizia a Le Soir. Il fermo dovrà essere convalidato entro cinque giorni. Kaili è stata immediatamente dimessa dalla sua carica dalla presidente dell'Eurocamera Roberta Metsola, che apparentemente sapeva dell'inchiesta da tempo, ed è stata sospesa sia dal partito socialista greco sia dal gruppo socialista europeo.

Già sabato mattina però lo scandalo si è allargato: ad essere coinvolti sono anche l'eurodeputato belga di origine italiana Marc Tarabella, che si proclama innocente, ma il cui ufficio è stato ispezionato e messo sotto sequestro durante la partita Francia-Inghilterra, dopo che la polizia belga ha fatto tornare di corsa da Malta la presidente Metsola per poter eseguire la perquisizione (la sua presenza era necessaria in assenza di flagranza di reato). 

Nel cercare le complicità in questa storia aiuta seguire gli interventi parlamentari degli eurodeputati: se inizialmente Tarabella era stato molto critico con l'assegnazione della coppa in Qatar, le sue posizioni si sono addolcite di pari passo al moltiplicarsi dei suoi viaggi nello stato del Golfo durante la costruzione dei cantieri del mondiale. Ultimamente aveva più volte ripetuto che non era di nessun aiuto continuare a parlare male del Qatar quando il Paese stava facendo sforzi per migliorare sul piano dei diritti umani e aveva votato contro una risoluzione sulla risoluzione dei diritti umani in Qatar.

Come Tarabella così anche Maria Arena, un'altra parlamentare belga di origine italiana, ha adesso il suo ufficio sotto sequestro: lo scorso 11 ottobre aveva incontrato il ministro del lavoro del Qatar e il 14 novembre, come presidente della sotto-commissione dei diritti dell'Uomo, ha organizzato un dibattito in parlamento a cui ha partecipato anche il ministro qatarino. Entrambi -Tarabella e Arena - avevano contribuito a l'edizione 2021 del rapporto sullo "stato dell'impunità nel mondo". «Una situazione ripugnante», commenta al telefono sgomenta l'eurodeputata e vicepresidente socialista Pina Picerno.

Della stessa "tossica" commissione fa parte anche l'eurodeputato socialista Andrea Cozzolino («oh poveretto coinvolto anche lui? I nostri figli sono a scuola insieme, commenta una funzionaria della Commissione»), di cui Francesco Giorgi era attuale assistente. Anche lui recentemente aveva inviato agli altri membri del partito socialista una email chiedendo di moderare la posizione verso il Qatar e la Coppa del Mondo perché «il parlamento europeo non dovrebbe accusare un Paese senza prove da parte dell'autorità giudiziaria». Una seria di atteggiamenti positivi verso il Qatar che Philippe Lamberts, co-presidente dei Verdi, aveva notato da tempo e di cui non riusciva a capire il motivo. «Ci sembrava stranissima questa posizione dei socialisti che sul Qatar hanno cercato di smorzare ogni tono fino all'ultimo», ha detto al telefono. Parole simili provengono anche da Manon Aubry, la leader francese del gruppo dell'estrema sinistra che aveva cercato senza successo di convincere i socialisti a votare una risoluzione sui diritti umani in Qatar, e che ora chiede una nuova votazione. Sicuramente non arriverà in plenaria il voto sulla liberalizzazione dei visti del Qatar, dopo la proposta avanzata in aprile dalla Commissione europea e caldeggiata dal commissario greco Margaritis Schinas che il 20 novembre aveva incontrato a Doha i ministri qatarini degli affari esteri e del Lavoro, dopo avere parlato con Kaili. I socialisti (in testa il tedesco Erik Marquardt) verdi e liberali adesso vogliono mettere la proposta in ghiacciaia.

Non sarà l'unica cosa a cambiare. In questa seduta di Strasburgo - gli ultimi quattro giorni di lavoro dell'Eurocamera prima della pausa natalizia - potrebbero portare novità anche legislative: è chiaro che lo status quo sul livello di trasparenza dell'Europarlamento non funziona. In particolare sotto accusa è la scarsa regolamentazione dell'attività di lobbying. «Anche chi lavora per le ambasciate dovrebbe essere considerato lobbista», sottolinea tra le altre cose Lamberts.

«Abbiamo sempre pensato che le decisioni del parlamento non fossero determinanti e invece scopriamo adesso quanto influenzino l'opinione mondiali nei confronti di certi argomenti o certi stati», commenta un funzionario dell'Eurocamera. Da più parti si indica nell'ambiente degli assistenti parlamentari, un lavoro faticoso e precario in seno all'Europarlamento, la nascita dello scandalo: «Qualcuno deve avere perso il posto e si è vendicato». Dando inizio al più grande terremoto della storia delle istituzioni europee.

Tra gli assistenti coinvolti c'è innanzitutto Giuseppe Meroni, collaboratire di Panzeri, passato poi con Arena e Tarabella, che lavorava ultimamente con Lara Comi, appena sbarcata a Bruxelles col ripescaggio dopo le elezioni nazionali, e Federica Garbagnati, oggi assistente di Alessandra Moretti, ieri di Panzeri. Sempre con Panzeri aveva lavorato anche Donatella Rostagno, esperta di Medio Oriente, oggi con Arena, e componente del direttivo della ong "Fight Impunity" di Panzeri. Con Meroni vive invece Davide Zoggia, ex sindaco di Jesolo, adesso assistente di Pietro Bartolo, a cui hanno sequestrato l'ufficio.

Al di fuori del Parlamento, tra gli arrestati, c'è poi Niccolò Figa-Talamanca, segretario della ong "No peace Without Justice", romano, esperto di politica nord africana e mediorientale, che ha lo stesso indirizzo in 41 rue Ducale, proprio nel quartiere delle istituzioni, della ong di Panzeri Fight impunity. Sarebbe stato avvicinato dalle autorità del Qatar per promuoverne l'immagine dei progressi nel campo della tutela dei diritti umani.

Marco Bresolin per “La Stampa” il 12 dicembre 2022.

«Dobbiamo perquisire l'abitazione di un membro del Parlamento europeo e la legge belga prevede la presenza del Presidente dell'Aula». Quando Roberta Metsola ha ricevuto questo messaggio si trovava a Malta. La presidente ha subito preso un aereo per Bruxelles e una volta atterrata ha dovuto percorrere più di cento chilometri. Destinazione Anthisnes, un paesino di quattromila abitanti a sud di Liegi. Gli inquirenti sono entrati in azione poco prima delle 21, giusto in tempo prima del termine massimo oltre il quale la legge belga non consente di fare le perquisizioni (sì: dalle 21 alle 5 del mattino sono vietate).

La casa in questione era quella del sindaco del paese, l'onorevole Marc Tarabella, eurodeputato del partito socialista. Anche lui finito nel tritacarne dell'inchiesta sul «pagamento di ingenti somme di denaro» da parte del Qatar a persone «aventi una posizione politica e/o strategica in seno al Parlamento europeo» al fine di «influenzarne le decisioni». 

Il Qatar ha respinto le accuse, definendole «prive di fondamento», mentre sullo sfondo resta l'ipotesi che ci siano altri Paesi coinvolti, tra cui il Marocco. Tarabella è il secondo eurodeputato dell'attuale legislatura a entrare ufficialmente nell'inchiesta, anche se nei suoi confronti non è stato disposto un provvedimento di fermo. L'altra è la greca Eva Kaili, compagna di gruppo di Tarabella, il cui arresto è stato convalidato ieri.

Ma l'indagine sembra destinata ad estendersi ulteriormente: secondo quanto risulta a La Stampa da fonti parlamentari, ci sarebbero altri tre eurodeputati coinvolti nell'inchiesta, anche se nessuno di loro è stato oggetto di provvedimenti giudiziari. In assenza di flagranza, infatti, i membri dell'eurocamera godono dell'immunità, che può essere revocata solo dall'Aula. Se le informazioni fossero confermate, l'autorità giudiziaria dovrà chiedere l'autorizzazione al Parlamento. Al momento non risulta che siano arrivate richieste in tal senso all'istituzione presieduta da Roberta Metsola. «Il Parlamento europeo e la presidente stanno collaborando attiva- mente e pienamente con le autorità giudiziarie per favorire il corso della giustizia» si è limitato a far sapere il portavoce della presidente, Juri Laas.. Intanto ieri il giudice Michel Claise ha convalidato quattro dei sei provvedimento di fermo.

Oltre a Eva Kaili, fermata venerdì sera dopo che il padre era stato bloccato mentre cercava di dirigersi verso l'aeroporto con una valigia piena di soldi, restano in carcere anche l'italiano Antonio Panzeri, ex eurodeputato di Articolo Uno (eletto nelle fila del Pd) e oggi presidente dell'associazione "Fight Impunity", l'assistente parlamentare Francesco Giorgi, compagno della Kaili, e Niccolò Figà-Talamanca, segretario generale dell'associazione "No peace without justice" . 

Tutti sono accusati di associazione a delinquere, corruzione e riciclaggio. È stato invece deciso di concedere la libertà condizionale a Luca Visentini, segretario generale della confederazione internazionale dei sindacati, e al padre di Eva Kaili. Gi eventuali sviluppi dell'inchiesta arriveranno nel bel mezzo dell'ultima seduta plenaria di quest'anno, che da stasera si riunisce a Strasburgo. Al di là degli aspetti giudiziari ci saranno sicuramente ripercussioni di tipo istituzionale, politico e legislativo. La prima è che il gruppo dei socialisti-democratici chiederà di destituire dall'incarico di vicepresidente l'eurodeputata Kaili, alla quale Metsola ha già tolto tutte le deleghe.

Poi ci saranno inevitabilmente conseguenze politiche perché l'Aula intende chiedere un dibattito sulla vicenda, con i gruppi di destra che sono già sul piede di guerra, pronti a scatenarsi contro i socialisti-democratici. Infine verranno congelati tutti i dossier legislativi legati al Qatar, in particolare quello che prevede la liberalizzazione dei visti per i cittadini. 

La plenaria avrebbe dovuto dare il via libera al mandato negoziale approvato dalla commissione Libe e invece rimanderà il file in commissione, con la richiesta di tenere in stand by la parte relativa a Doha e di andare avanti invece con l'iter per Oman, Kuwait ed Ecuador. «Ripugnante, aberrante e riprovevole»: così ha definito lo scandalo corruzione la vicepresidente del Parlamento Pina Picierno. E sugli sviluppi dell'inchiesta è intervenuto anche il commissario all'Economia, Paolo Gentiloni che l'ha definita «una vicenda vergognosa e intollerabile». Parlando alla trasmissione "Mezz'ora in più" in onda su Rai, l'ex premier ha sottolineato che questa potrebbe diventare «una delle più drammatiche storie di corruzione degli ultimi anni».

Monica Serra per “la Stampa” il 12 dicembre 2022.

Dietro a tante operazioni o meglio, per usare le sue parole, «intrallazzi» di Pier Antonio Panzeri c'era la moglie, Maria Dolores Colleoni. A metterlo nero su bianco nella scheda allegata al mandato di arresto europeo (Mae) con cui lei e la figlia, l'avvocata Silvia Panzeri, sono finite in carcere e, dopo la convalida, ai domiciliari, sono stati i magistrati belgi. Che hanno annotato come la donna, 67 anni, sempre al fianco dell'ex eurodeputato del Pd, già segretario della Camera del lavoro di Milano, fosse contraria al fatto che lui potesse gestire attività «fuori dal suo controllo». In che modo?

È solo accennato al momento nelle quattro pagine trasmesse all'Italia, in attesa che i fascicoli relativi a madre e figlia arrivino alla procura generale e alla corte d'Appello di Brescia che, nelle udienze del 19 e 20 dicembre, dovranno valutare se concedere l'estradizione delle due donne, mentre la difesa annuncia battaglia: «Ci opporremo in ogni modo alla richiesta. Da quel che sappiamo, le accuse appaiono troppo fumose - spiega l'avvocato Angelo De Riso -. Non è neanche chiaro se le donne siano indagate per concorso o favoreggiamento della presunta organizzazione criminale». 

Nella scheda allegata al Mae si parla dei consigli di Colleoni, che suggeriva al marito di aprire un nuovo conto corrente bancario in Belgio, dove la coppia di fatto si era trasferita dal 2004, quando Panzeri era stato per la prima volta eletto nel Parlamento europeo.

Intercettata, Colleoni diceva al marito di aprire un «account con l'Iva» per avviare una «nuova attività commerciale» su cui lei potesse esercitare il «controllo», insistono gli inquirenti. 

Che accennano anche a come la coppia gestisse i propri conti bancari. Quello della donna, che non accettava le venissero addebitate spese per 35 mila euro. Tanto che Panzeri, in una conversazione riassunta dagli investigatori, diceva alla moglie che per andare in vacanza il primo gennaio avrebbero potuto usare «un'altra soluzione» e addebitare 10 mila euro sul conto corrente «qui», che per gli inquirenti significa in Belgio. Certo, non si parla di una «vacanza da 100 mila euro» come quella dello scorso anno che preoccupava la donna: «Troppo costosa». 

A incuriosire gli investigatori è anche la carta di credito di una non meglio precisata terza persona, il «Giant», il «Gigante» nel vortice degli affari della famiglia Panzeri sull'asse Italia - Belgio -Qatar - Marocco. Tra viaggi pazzeschi in giro per il mondo e «doni», il tenore di vita della famiglia era alto. E proprio sul denaro si concentrano ora le attenzioni degli investigatori che stanno analizzando, una per una, tutte le operazioni sui conti correnti a disposizione della famiglia.

E non è escluso che qualche stralcio di indagine finisca sulla scrivania dei magistrati italiani, se dovessero emergere eventuali irregolarità commesse su conti aperti in Italia. A Calusco sull'Adda, 8 mila abitanti nella Bergamasca, l'intera famiglia aveva mantenuto la residenza, «anche se qui oramai si vedevano poco, soprattutto in occasione delle elezioni e neanche per le ultime del 25 settembre», precisa l'assessore Massimo Cocchi. «Mi capitava ogni tanto di incrociare Panzeri sull'aereo per Bruxelles nei miei viaggi di lavoro - spiega il sindaco Michele Pellegrini - In paese è successo di rado. Niente di più».

Vacanze da Miami a Doha. Ma la figlia di Panzeri "cancella" il lusso dai social. Da Miami Beach a Montreal, fino a Doha: la trentottenne, professione avvocato, ha documentato tutto su Facebook, ma ora ha sbianchettato tutto. Massimo Balsamo il 12 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Sapevano dei regali ricevuti da Qatar e Marocco in cambio di pressioni politiche. Questo il giudizio degli inquirenti belgi circa le presunte responsabilità di Maria Dolores Colleoni e Silvia Panzeri, rispettivamente moglie e figlia dell’ex europarlamentare e sindacalista Antonio. Dopo l’arresto di sabato - rispondono di favoreggiamento nell’ambito dell’inchiesta di Bruxelles per corruzione e riciclaggio - le due donne sono ai domiciliari: la prima nella casa di famiglia a Calusco d’Adda, la seconda nel milanese.

I “doni” legati allo scandalo Qatar erano ben presenti al centro della vita familiare, secondo gli investigatori. Entrambe al corrente dei “mezzi ingegnosi e spesso scorretti” del politico. Tanto da aver addirittura partecipato “nel trasporto dei ‘regali’ dell’ambasciatore del Marocco in Polonia”. Un tenore di vita alto, confermato anche dagli scatti pubblicati sui social network (ma ora rimossi).

Social network “sbianchettati”

Dal tanto discusso Qatar agli Stati Uniti, passando per il Canada: mete di vacanza da sogno, luoghi straordinari da immortalare e condividere sul web. Silvia Panzeri sui social network ha spesso documentato le sue giornate di svago e relax, tra piscine di lusso e spiagge incantevoli. L’ultima visita a Doha risale al 27 novembre, anche in quel caso non manca lo scatto per Facebook dal Souq Waqif, il mercato più antico della città qatariota oggi teatro dei Mondiali di calcio.

I doni, le vacanze, i conti: così si muovevano la moglie e la figlia di Panzeri

Come anticipato, il Qatar non è l’unica destinazione della 38enne. Non mancano post sulle vacanze con gli amici in quel di Miami Beach o sulle giornate trascorse a spasso per Montreal. Foto e pensieri ora svaniti: la figlia dell’ex europarlamentare dem ha rapidamente rimosso tutto dai social network, consapevole del rischio strumentalizzazione. O più semplicemente per evitare ulteriori polemiche sulla bufera che ha coinvolto la famiglia.

Silvia Panzeri tra lusso e battaglie sociali

Oltre alle già citate foto delle ammalianti vacanze, Silvia Panzeri ha utilizzato i social network anche per portare avanti battaglie sociali degne di nota. Avvocato da undici anni con fresca specializzazione in diritto dell’Unione europea, la trentottenne ha utilizzato Facebook per manifestare il suo impegno contro la violenza di genere, la tutela delle donne vittime di violenza e il cyberbullismo. Ora il coinvolgimento nel Qatargate: insieme alla madre, l’avvocato è menzionata “nella trascrizione di intercettazioni telefoniche”.

Qatargate, blitz nella villa di Panzeri a Bergamo: trovati altri 17mila euro. Proseguono le perquisizioni disposte dalla procura di Bruxelles nell'ambito del Qatargate: 17mila euro e documenti sequestrati a Panzeri. Francesca Galici il 12 Dicembre 2022 su Il Giornale.

La procura belga non si ferma nell'indagine sulla corruzione che ha coinvolto il parlamento europeo e ha annunciato nuove perquisizioni negli uffici di Bruxelles e non solo. Altre perquisizioni quest'oggi sono state effettuate anche in Italia, a Milano e Calusco D'Adda, in provincia di Bergamo, a carico di Antonio Panzeri. Le nuove perquisizioni hanno portato al sequestro di supporti informatici e documenti, oltre alla somma di 17 mila euro in contanti trovati nell'abitazione in provincia di Bergamo.

Mazzette dal Qatar, lo strano pass con cui Panzeri aggirava le norme Ue

La procura ha spiegato che "da venerdì, con il supporto dei servizi di sicurezza del Parlamento europeo, le risorse informatiche di dieci collaboratori parlamentari sono state congelate". Una misura presa "per evitare la scomparsa di dati necessari alle indagini. La perquisizione di oggi al parlamento europeo aveva lo scopo di sequestrare questi dati". Il dossier della procura, "gestito da un giudice istruttore di Bruxelles", è stato "aperto da più di quattro mesi per corruzione, riciclaggio e organizzazione criminale".

Viaggi, convegni, meeting: tutti gli "affari" della Ong di Panzeri

Le quattro persone in carcere, delle sei arrestate sabato, compariranno mercoledì davanti al giudice. "In tutto, dall'inizio delle operazioni, ci sono state 20 perquisizioni: 19 in residenze e uffici oltre a quella di oggi nei locali del parlamento europeo. Sono stati sequestrati, in tre diversi luoghi, diverse centinaia di migliaia di euro: 600 mila al domicilio di uno dei sospetti, diverse centinaia di migliaia in una valigia che si trovava in una camera di albergo a Bruxelles e circa 150 mila circa in un appartamento di proprietà di un deputato europeo", spiega la procura belga nella nota.

Intanto arrivano anche le prime conseguenze politiche, che fanno seguito alla sospensione e destituzione di Eva Kaili dalla carica di vicepresidente del parlamento europeo disposta da Roberta Metsola, che ha attivato anche la procedura per la decadenza, che escluderà per sempre la greca dal suo ruolo. In queste ore, Marc Tarabella si è autospeso dal gruppo dei Socialisti e Democratici dopo le perquisizioni condotte dalla polizia belga nel suo ufficio e nella sua abitazione di Bruxelles in presenza di Roberta Metsola nella giornata di ieri.

Nella stessa sede, Andrea Cozzolino ha reso noto di rinunciare all'incarico di coordinatore del gruppo per le emergenze. In più, Maria Arena, eurodeputata italo-belga dei socialisti europei, ha annunciato le dimissioni dalla presidenza della Commissione Diritti del parlamento europeo: "A seguito delle rivelazioni di sospetti di corruzione legati al Qatar ed al Parlamento europeo, ed alla perquisizione di uno dei miei assistenti nel contesto di questo caso, ho deciso che non presiederò più temporaneamente le riunioni del sottocomitato peri Diritti Umani del Parlamento europeo".

In conferenza stampa, Roberta Metsola ha ribadito il totale impegno della sua carica e del Parlamento europeo nel risolvere questa situazione, eliminando gli elementi che l'hanno causata. "Non ci sarà impunità. Nessuno. I responsabili troveranno questo Parlamento dalla parte della legge. Sono orgogliosa del nostro ruolo e della nostra assistenza in questa indagine. Non ci sarà da nascondere la polvere sotto il tappeto. Avvieremo un'indagine interna per esaminare tutti i fatti relativi al Parlamento e per vedere come i nostri sistemi possono diventare ancora più impermeabili", ha dichiarato il presidente del parlamento europeo.

"Questi sono tempi difficili per tutti noi, ma so, ne sono convinto, che se lavoriamo insieme possiamo uscirne più forti. A voi, colleghi che avete vissuto con me questi giorni, lasciatemi dire ancora una volta quanto sono profondamente delusa: so che condividete tutti lo stesso sentimento. A quegli attori maligni, nei Paesi terzi, che pensano di poter comprare la loro strada. Che pensano che l'Europa sia in vendita. Che pensano di poter rilevare le nostre Ong. Lasciatemi dire che troverete questo Parlamento fermamente sulla vostra strada. Siamo europei", ha concluso Roberta Metsola.

Ammoniva l'Italia ma elogiava il Qatar. Il caso che imbarazza la Commissione Ue. Oggi in tanti chiedono conto, anche alla luce delle inchieste giudiziarie su presunti casi di corruzione in Qatar, delle posizioni giudicate "morbide" di Schinas sull'emirato. Mauro Indelicato il 12 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Fino ad oggi l'inchiesta di Bruxelles sui presunti casi di corruzione di Qatar e Marocco ha coinvolto il parlamento europeo. L'arresto della vice presidente dell'europarlamento, Eva Kaili, e il coinvolgimento di altri deputati o ex deputati ha lasciato il segno. Ma il sospetto è che il lavoro della magistratura belga sia solo all'inizio. E che, soprattutto, in qualche modo il raggio d'azione degli emissari di Doha e Rabat sia in realtà esteso anche ad altre istituzioni europee.

"Corruzione dal Qatar". Indagini su 4 italiani, fermato ex eurodeputato dem 

Per questo nelle ultime ore, come sottolineato dall'Agi, a Bruxelles sta aumentando la pressione sulla Commissione europea affinché venga spiegata la posizione del vice presidente Margaritis Schinas. Quest'ultimo, stando alle ricostruzioni trapelate dalla capitale belga, negli ultimi mesi avrebbe ammorbidito la sua posizione nei confronti del Qatar. Circostanza non passata inosservata.

La linea di Schinas su Doha

È bene precisare che Schinas non risulta tra gli indagati e non è coinvolto al momento nella vicenda che ha portato all'arresto della connazionale Eva Kaili. Nel mirino però sono finite le sue considerazioni politiche sul Qatar alla vigilia dei mondiali di calcio, evento per il quale Doha non ha badato a spese. E forse qualche soldo, se le accuse degli investigatori dovessero rivelarsi fondate, lo ha speso per “ammorbidire” la posizione di alcuni rappresentanti europei nei confronti del piccolo Stato del Golfo.

Anche dopo il fischio d'inizio dei mondiali, su una parte della stampa si è infatti continuato a parlare delle condizioni dei lavoratori in Qatar e degli standard poco democratici del Paese. Le tangenti potrebbero essere servite proprio per far parlare in chiave positiva dei progressi fatti da Doha in vista del torneo iridato.

Cosa ha comprato il Qatar con i soldi ai deputati corrotti

Ecco perché quindi alcune recenti dichiarazioni di Schinas sono adesso nel mirino di diversi europarlamentari. “Il commissario europeo greco di destra Margaritis Schinas – ha scritto su Twitter Manon Aubry, presidente del gruppo La Sinistra a Strasburgo – ha moltiplicato riunioni e lodi dall'emirato”.

Un'allusione quindi al fatto che dal vice presidente della Commissione europea sono arrivate considerazioni positive sul lavoro fatto dal Qatar. In effetti, scorrendo la cronologia delle dichiarazioni, più volte Schinas si è soffermato sull'importanza del ruolo di Doha nella regione, così come sui passi in avanti compiuti grazie alle riforme del mercato del lavoro.

C'è anche un Tweet del vice presidente della Commissione europea, datato 11 maggio 2022, in cui è stata annunciata l'esenzione dai visti per i qatarini. “La nostra proposta di concedere l'esenzione dal visto per i qatarini – si legge in quel post – è un riflesso della nostra partnership sempre più profonda. L'imminente Coppa del mondo è una ragione obiettiva per progredire rapidamente con la sua adozione”.

Eppure Schinas si diceva preoccupato per le scelte italiane

Come detto, Schinas non è indagato. Né obbligatoriamente occorre ricondurre le sue dichiarazioni e le sue posizioni alle vicende di corruzione che hanno interessato l'europarlamento. Inoltre, andando a vedere le ultime dichiarazioni di gran parte dei leader politici europei, la ricerca di gas ha spesso condotto molti politici negli ultimi mesi a ricercare importanti relazioni con Doha.

Tuttavia, sotto il profilo prettamente politico, stridono e non poco le parole pronunciate da Schinas sul Qatar con quelle invece pronunciate sull'Italia. Se Doha è stata presentata come un Paese in grado di fare passi in avanti, nonostante l'inesistenza di alcuni basilari diritti e l'esistenza di un codice penale ispirato alla Sharia, l'Italia invece dallo stesso Schinas è stata più volte criticata per la gestione dei flussi migratori.

“Secondo il diritto internazionale, la responsabilità è del Paese nelle cui acque territoriali si trova la nave – scriveva Schinas in un'intervista al Corriere della Sera rilasciata a novembre, all'indomani del caso Ocean Viking – L'Italia si è rifiutata di ottemperare pienamente e ha mandato la nave in Francia creando questa situazione per avere una soluzione europea”.

Sbarchi, nuovo monito Ue all'Italia: "Niente ritardi" 

Desta una certa sensazione leggere simili dichiarazioni, improntante sul rispetto del diritto internazionale, dallo stesso esponente politico non così scrupoloso invece quando si parla di rispetto dei diritti umani in Qatar. Di questa doppia visione del suo vice presidente la commissione, in primis sotto il profilo politico, potrebbe essere ben presto chiamata a rispondere. E l'imbarazzo a Bruxelles viene tenuto faticosamente confinato nelle stanze di Palazzo Berlaymont.

Da globalist.it il 12 dicembre 2022.

Panzeri arrestato, grande sconcerto per ciò che è accaduto all’europarlamentare che da sempre si è distinto per il suo impegno. 

Fight Impunity, la ong perquisita oggi dalla polizia belga nell’ambito dell’inchiesta che ha portato al fermo di quattro persone per presunta corruzione, è stata fondata nel settembre 2019 da Antonio Panzeri, già eurodeputato del gruppo S&D ed ex presidente della sottocommissione Diritti umani del Parlamento Europeo. Dopo essere stato a lungo segretario della Camera del Lavoro di Milano, dal 1995 al 2003, Panzeri è diventato eurodeputato nel 2004 e lo è stato fino al 2019.

Una volta lasciata l’Aula, dove si è distinto tra l’altro per l’impegno in favore dei diritti umani e in particolare per la ricerca della verità sull’uccisione in Egitto del ricercatore Giulio Regeni, Panzeri ha fondato a Bruxelles Fight Impunity, organizzazione non profit impegnata «contro l’impunità» per le violazioni dei diritti umani. 

Il consiglio dei membri onorari della Ong, che ha sede in Rue Ducale, non lontano dall’Ambasciata americana, dalla missione permanente a Bruxelles della Federazione Russa e dal Parlamento federale belga, è composto da personalità di assoluto rilievo. 

Tra queste, secondo il sito della Ong, figurano anche Emma Bonino, ex ministra e commissaria europea, e Federica Mogherini, già ministra degli Esteri e Alto Rappresentante dell’Ue, oltre a Dimitris Avramopoulos, già commissario europeo agli Affari Interni, e all’ex primo ministro francese Bernard Cazeneuve. E’ membro onorario di Fight Impunity anche Denis Mukwege, ginecologo congolese premio Nobel per la Pace nel 2018.

Terremoto tra i socialisti, dimissioni di massa. Paolo Bracalini il 13 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Dopo la sospensione dalla carica di vicepresidente del Parlamento Ue per la greca Eva Kaili, la deputata socialista al centro del Qatargate, arriverà a breve il siluramento formale dal mandato

Dopo la sospensione dalla carica di vicepresidente del Parlamento Ue per la greca Eva Kaili, la deputata socialista al centro del Qatargate, arriverà a breve il siluramento formale dal mandato. La conferenza dei capigruppo è convocata stamattina con appunto questo unico ordine del giorno: la cessazione del mandato di vicepresidente Ue. «Provo furia, rabbia e dolore. La democrazia europea è sotto attacco» ha detto la presidente del Parlamento Ue, Roberta Metsola, aprendo la plenaria a Bruxelles.

«I nemici della democrazia non si fermeranno. Questi attori maligni, legati a Paesi terzi autocratici, hanno presumibilmente armato Ong, sindacati, individui, assistenti ed eurodeputati nel tentativo di sottomettere i nostri processi. Ma i loro piani maligni sono falliti», ha spiegato Metsola, annunciando l'avvio di «un'indagine interna» all'Europarlamento. L'unico procedimento formale riguarda finora la vicepresidente Kaili, trovata con qualcosa come 750mila euro in contanti, mentre continuano le perquisizioni a carico degli altri indagati, in primis l'ex eurodeputato di sinistra Antonio Panzeri, altro protagonista dello scandalo con la sua ong «Fight Impunity».

Si parla di altri parlamentari coinvolti, nomi non ancora usciti, mentre altri vengono coinvolti pur non essendo sotto indagine. É il caso del deputato belga, sempre del gruppo dei socialisti) Marc Tarabella, la cui casa è stata perquisita, mentre è sotto sequestro l'ufficio del suo assistente Giuseppe Meroni, trait d'union con Panzeri, di cui è stato collaboratore, come anche ha lavorato con Pietro Bartolo, il medico di Lampedusa eletto con il Pd alle europee del 2019. Ieri, all'unisono, si sono tutti fatti da parte. Tarabella si è autosospeso dal gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D), Bartolo ha rimesso il mandato da relatore di S&D del testo sulla liberalizzazione dei visti a Kuwait e Qatar.

Altra assistente al centro della presunta «Italian connection» è Donatella Rostagno, ex collaboratrice di Panzeri e ora dell'europarlamentare belga di origine italiana, Maria Arena, anche lei socialista, che ieri si è appunto dimessa dalla presidenza del «Sottocommissione per i diritti dell'uomo» del Pe. Il deputato Pd Andrea Cozzolino, che si era dato da fare nei mesi scorsi per invitare i colleghi a votare contro le mozioni di accusa al Qatar sui diritti umani, si è sentito in imbarazzo e si è dimesso da coordinatore di S&D per le urgenze. Emma Bonino si dimette dall'Advisory board di Fight Impunity. Una sfilza di autodimissioni (spinte anche dal gruppo che ha promesso tolleranza zero) che fa capire il clima rovente, soprattutto a sinistra, di questo dicembre nella uggiosa Bruxelles.

Si passano al setaccio le dichiarazioni pubbliche sospette degli esponenti delle istituzioni europee. Come quelle di Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione Ue, che in occasione di un bilaterale con Hassan Al Thawadi, segretario generale del comitato organizzatore dei Mondiali, ha elogiato «i progressi sulla riforma dei diritti del lavoro e le misure per garantire l'inclusione e la tolleranza per tutti i partecipanti e i visitatori».

In Italia è evidente l'imbarazzo del centrosinistra, già reduce dal caso Soumahoro. Il centrodestra resta garantista, dice Stefania Craxi, «ma pensare che questi ci facevamo la morale a noi.. Mia nonna diceva anche il più pulito dei moralisti c'ha la rogna». Monsignor Crociata, delegato della Cei, è contrito: «Il problema più grave della vita pubblica è la qualità morale delle persone»

Pietro De Leo per “Libero quotidiano” il 12 dicembre 2022.

Siccome il garantismo è un esercizio sì culturale, ma anche scientifico, la premessa è che la responsabilità morale è personale e che, in sede di inchiesta, anche quando scattano misure cautelari, ogni addebito è sempre presunto. 

Dunque la (non) presa di posizione di Emma Bonino sull’inchiesta che riguarda le presunte (appunto) pressioni del Qatar su alcuni esponenti politici e di Ong europei vanno lette in un’ottica espressamente politica. Null’altro. Ed è pacifico che la senatrice, storica attivista dei diritti umani, in una battuta volante con l’Ansa ieri pomeriggio abbia detto che per ora, «ad indagine in corso», non vuole rilasciare dichiarazioni. 

Però allora risulta un bel po’ rovinosa, ribadiamo sempre sul piano del confronto pubblico, l’intervista rilasciata al Corriere della Sera di ieri. Rileva il fatto che nel calderone dell’inchiesta sia finita anche la Ong No peace without justice, da lei fondata nel 1993.

La giornalista del Corriere le fa notare il coinvolgimento dell’ente. E a domanda se sappia niente di questo, la risposta è: «No, non so niente. Aspetto la magistratura che si deve esprimere, credo che lo farà nel giro di pochi giorni». Quanto all’arresto del segretario generale della Ong, Niccolò Figà-Talamanca, risponde: «Ho letto, ma non ho potuto parlare con Niccolò, lui adesso è in stato di fermo». 

Peraltro, la senatrice neanche ricorda bene quando ha fondato la Ong: «È successo nel 1994. Forse era il 1993». Certamente, con una storia come la sua, così ricca di iniziative politiche e di incarichi, qualche mese può scappare. E però, allora, questo evidente distacco rispetto all’essenza della Ong (in un’altra domanda afferma di sapere ben poco anche sulle altre organizzazioni ospitate nella sede di Npwj a Bruxelles) stride con quanto c’è scritto sul sito.

Sotto la sezione “The Team”, la squadra, il primo nome che compare è proprio quello dell’ex ministro degli esteri. E nel profilo l’attacco è piuttosto eloquente: «Emma Bonino è la fondatrice di No peace without justice, ed è ancora molto impegnata nelle attività e nelle campagne» della Ong. Allora, forse, alla luce dei “non so” sarebbe opportuno aggiornare la pagina. Così come, sempre nella breve intervista al Corriere, è alquanto singolare la risposta che Bonino dà alla domanda su Antonio Panzeri. 

Ex eurodeputato Pd, in stato di fermo sempre per la stessa inchiesta. Anche la sua Ong, Fight Impunity (Combattiamo l’impunità) è al centro dell’indagine. Alla domanda se lo conosca o meno, Bonino risponde: «Non mi ricordo di lui, può essere che l’abbia incontrato qualche volta quando ero al Parlamento europeo».

E però se si clicca sul sito della Ong, Emma Bonino compare nel board dei “membri onorari”. Appena un paio di schede sotto di Panzeri, che è presidente. Chissà, magari davvero l’avrà incontrato «qualche volta», ma di certo questi «non so» e «non ricordo» stridono rispetto al tenore dell’impegno pubblico di Emma Bonino, ancora oggi molto attiva e partecipe al dibattito su molti dossier. Specie considerando il fatto che il presunto scandalo riguarda un tema che ne ha animato l’attivismo per una vita, il rispetto dei diritti umani. Un gioco di rimessa che sorprende assai.

"Potrebbe essere il caso più significativo di potenziale corruzione dentro al Parlamento". Scandalo Qatar, cosa è successo: l’indagine e le accuse di corruzione sul Parlamento europeo. Elena Del Mastro su Il Riformista il 12 Dicembre 2022

Del Qatar non si parla più soltanto per via dei Mondiali, ma anche per il caso di sospetta corruzione che aleggia nel Parlamento europeo che sarebbe stato proprio da parte del ricchissimo paese del Medio Oriente. Stata avviata un’indagine che coinvolge diversi parlamentari europei e persone che lavorano nel Parlamento Europeo alcuni dei quali italiani.

La Procura Federale Belga sta conducendo l’indagine da luglio. Sabato 10 dicembre ha fatto sapere che sono state arrestate quattro persone, fra cui una delle attuali vicepresidenti del Parlamento Europeo, la greca Eva Kaili, e l’ex parlamentare europeo italiano Antonio Panzeri, entrambi espressione di partiti del centrosinistra. Alcune persone a loro vicine sono state interrogate e alcuni uffici sono stati perquisiti dalle autorità belghe. Le accuse formali sono di associazione a delinquere, riciclaggio e corruzione. La procura sospetta che a “persone dentro al Parlamento Europeo siano state pagate grosse quantità di soldi o abbiano ricevuto regali significativi per influenzare le decisioni del Parlamento Europeo” riguardo al Qatar. Ma le indagini sono ancora in corso.

Negli ultimi mesi il Qatar è stato al centro del dibattito per i mondiali e soprattutto per le violazioni dei diritti umani relativi ai lavoratori impegnati nella costruzione di grattacieli e stadi per i Mondiali. La Procura sospetta che il Qatar abbia coinvolto diverse persone del parlamento Europeo per migliorare la propria immagine nell’Occidente e nelle istituzioni europee. Nessuna delle persone coinvolte ha commentato le accuse e il Qatar con un breve comunicato ha respinto “ogni tentativo di associare lo stato ad accuse di irregolarità”.

Nella mattinata di venerdì sono stati fermati l’ex eurodeputato del Pd Antonio Panzeri, poi passato ad Articolo Uno, il suo assistente nella passata legislatura Francesco Giorgi, e Niccolò Figà-Talamanca, direttore della Ong No Peace Without Justice che opera a Bruxelles.

In questo elenco si aggiunge l’ europarlamentare socialista greca Eva Kaili, compagna dell’italiano Giorgi e soprattutto una dei 14 vicepresidenti del Parlamento europeo. Kaili è stata sospesa sia dal gruppo socialista europeo che dal Pasok greco. Ma a causa delle indagini, come comunicato dal portavoce della presidente dell’Eurocamera Roberta Metsola, quest’ultima “ha deciso di sospendere con effetto immediato tutti i poteri, compiti e le deleghe di Eva Kaili nella sua qualità di vicepresidente del Parlamento europeo”

Soltanto due settimane fa, nel corso di un dibattito parlamentare nell’aula di Strasburgo, era stata votata una risoluzione di censura del Qatar e in difesa dei diritti civili in quel Paese. Nel suo discorso Eva Kaili, per essendo il gruppo socialista S&D a favore della risoluzione, si era espressa a favore del Paese: “Il Qatar è all’avanguardia nei diritti dei lavoratori”, aveva detto la eurodeputata greca, sottolineando che “la Coppa del Mondo in Qatar è la prova di come la diplomazia sportiva possa realizzare una trasformazione storica di un Paese con riforme che hanno ispirato il mondo arabo”.

Nel corso della perquisizione presso l’abitazione della vice presidente dell’Eurocamera Eva Kaili, scrive il quotidiano belga L’Echo, sarebbero stati trovati addirittura “sacchi di banconote”. Il dato chiarirebbe anche il perché Kaili sia stata arrestata nonostante l’immunità parlamentare. Secondo il regolamento interno del Parlamento europeo l’immunità, infatti, decade in caso di flagranza di reato. Anche il padre di Kaili è stato arrestato: stava cercando di fuggire portando con sé una valigia piena di banconote. L’operazione condotta dalla polizia ha portato a 16 perquisizioni in 14 indirizzi in diversi quartieri di Bruxelles, oltre al sequestro di 600mila euro in contanti, smartphone e altro materiale informatica. Il denaro sarebbe stato sequestrato a casa di Panzeri, l’ex eurodeputato Dem.

Tra gli uffici perquisiti anche quelli degli assistenti di due deputati belgi, Marie Arena e Marc Tarabella, così come la sede di Fight Impunity, ong fondata nel settembre 2019 da Panzeri e che si occupa di violazione dei diritti umani. Panzeri “è sospettato” di essere intervenuto “politicamente con i membri” che lavorano al Parlamento Europeo “a beneficio di Qatar e Marocco, contro il pagamento”. Lo si legge in uno degli atti dell’indagine di Bruxelles per “corruzione di funzionari e membri degli organi delle Comunità europee e di Stati esteri, riciclaggio e associazione per delinquere”.

Indagini sono ancora in corso per stabilire cosa sia successo. Certo è che il caso ha riaperto il dibattito sulla permeabilità del parlamento Europeo ai tentativi di influenza esterna di lobby e paesi stranieri. “Sebbene questo possa essere il caso più significativo di potenziale corruzione dentro al Parlamento da molti anni a questa parte, non è un incidente isolato”, ha detto al Financial Times Michiel van Hulten, capo dell’ufficio di Bruxelles della ong Transparency International, come cita Il Post. Da tempo circola la proposta di rendere più stringenti le norme del Parlamento Europeo sulla trasparenza e i rapporti con le lobby. Proposta che viene sempre bocciata da una maggioranza trasversale di parlamentari europei.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Corruzione dal Qatar. Una persona coinvolta nell’indagine sta collaborando con la procura belga. Linkiesta su L’Inkiesta il 13 Dicembre 2022

C’è un «pentito» che si è fatto avanti per raccontare ai magistrati la «rete Panzeri» e le attività della ong “Fight Impunity”. Il giudice istruttore Michel Claise sta ricevendo assistenza giudiziaria anche dal pm di Milano Fabio De Pasquale

C’è un «pentito» nell’indagine sulla presunta corruzione dal Qatar al Parlamento europeo, scrive Repubblica. Dopo quattro giorni, sei interrogatori e una sfilza di sequestri e uffici sigillati, una delle persone toccate dall’indagine – di cui non si conosce il nome – si è fatta avanti con la procura belga e sta collaborando con gli inquirenti. Sarebbe una testimonianza decisiva per illustrare la rete di Antonio Panzeri, spiegare le attività della sua ong “Fight Impunity” e stilare un elenco di tutto quelli che hanno collaborato con l’ex parlamentare in quella che ormai chiamano “Italian Connection”.

Nella casa di Panzeri a Calusco D’Adda, ieri la Guardia di Finanza ha trovato 17mila euro in contanti e alcuni orologi di valore. E sulla base delle indicazioni del «pentito», la polizia belga ha fatto partire nuove perquisizioni, inviando un gruppo di gendarmi anche a Strasburgo durante la sessione plenaria del Parlamento. Dove sono stati apposti i sigilli ai computer del collaboratore di Antonio Cozzolino e dell’assistente di Alessandra Moretti. E a quello di una funzionaria del parlamento: Mychelle Rieu, responsabile di unità della sottocommissione Diritti Umani.

I deputati con un coinvolgimento più evidente e con incarichi di rilievo alla fine hanno deciso di autosospendersi: Andrea Cozzolino da coordinatore delle urgenze, Pietro Bartolo (“Se le accuse sono vere devono rinchiuderli e buttare le chiavi nella fossa delle Marianne”) da relatore ombra per il dossier della commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (Libe), la belga Maria Arena si è dimessa da presidente della commissione per i diritti umani, il suio connazionale Marc Tarabella dal gruppo stesso. Ma certo non sono mancate lo scambio di accuse. E il dito finiva sempre contro la delegazione italiana. Oggi l’Assemblea discuterà il caso e entro giovedì voterà anche sulla destituzione di Eva Kaili dalla vicepresidenza.

Luca Visentini, il segretario generale della Confederazione europea dei sindacati (Etuc) fermato con tutto il gruppo la settimana scorsa, è il solo a essere stato rilasciato dopo gli interrogatori. A Repubblica, Visentini dice che «il punto erano proprio le mie collaborazioni con Fight Impunity che sono state equivocate. L’associazione era riconosciuta dal Parlamento europeo, aveva nel board personaggi influentissimi, si occupava di difesa dei diritti umani. A quanto pare, in base alle indagini in corso, sembrerebbe una organizzazione criminale finanziata dal governo del Qatar per corrompere in particolare i membri dell’Europarlamento e per indurli a prendere posizioni più favorevoli nei confronti del governo del Qatar. Ma io nulla potevo sapere».

Il Corriere della Sera spiega che il giudice istruttore Michel Claise sta ricevendo assistenza giudiziaria dal pm di Milano Fabio De Pasquale. Secondo le prime risultanze investigative, a Panzeri sarebbero intestati alcuni conti correnti con liquidità importanti. Oltre che immobili difficilmente acquistabili soltanto con il lavoro di europarlamentare.

Niccolò Figà-Talamanca e Francesco Giorgi sono gli altri due nomi collegati a Panzeri nell’inchiesta. E ieri altri quattro italiani hanno visto sigillarsi gli uffici o sequestrare i telefoni. Tra questi c’è Davide Zoggia, ex sindaco di Jesolo e fedelissimo di Pier Luigi Bersani. Poi c’è Giuseppe Meroni, ex assistente di Panzeri. Infine ci sono Donatella Rostagno e Federica Garbagnati. La prima è un’esperta di Medio Oriente. Collaborava con Panzeri, ora con l’europarlamentare Maria Arena. Ma soprattutto, è componente del board della Ong “Fight Impunity”. Garbagnati invece è collaboratrice di Alessandra Moretti.

Ma da Strasburgo è partito anche un attacco a una parte della Commissione, in particolare a al vicepresidente greco, Margaritis Schinas. Tutto nasce da un suo viaggio istituzionale nella scorsa primavera a Doha e di una foto postata su Twitter con la connazionale Kaili. Verdi e Sinistra hanno chiesto chiarimenti. Il commissario ha risposto sottolineando che si tratta di una missione istituzionale con il segretario generale dell’Onu. E anche che la foto con Kaili non era stata preventivata.

Da ansa.it il 13 dicembre 2022.

Ammonta ad oltre un milione e mezzo di euro il totale delle banconote trovate dalla polizia belga nel corso delle perquisizioni alle abitazioni di Antonio Panzeri e dell'ex vicepresidente dell'Eurocamera Eva Kaili, entrambi agli arresti per il Qatargate. 

Nel domicilio di Kaili viveva anche Francesco Giorgi, anche lui agli arresti. 

E' quanto riportano i media belgi citando la polizia federale. Il computo comprende anche i contanti trovati nella valigia che il padre di Kaili aveva con sé mentre stava lasciando un albergo di Bruxelles. (ANSA).

Giuseppe Guastella per il “Corriere della Sera” il 13 dicembre 2022.

Un «paravento» dietro il quale Antonio Panzeri si muoveva «manovrando» come un «capo» in modo criminale e spregiudicato: secondo la magistratura belga era questa la reale funzione di Fight impunity, la Ong per la difesa dei diritti umani fondata nel 2019 da Panzeri il quale avrebbe influenzato il Parlamento europeo elargendo, attraverso la sua nobile creatura, grosse somme di denaro e regali principeschi provenienti dal Qatar. 

Cadeaux che avrebbe elargito a coloro che, politici o no, potevano orientare le decisioni dell'assemblea a favore del Paese del Golfo a ridosso del Mondiale di calcio, quando emergeva con evidenza che l'emirato proprio non era in prima linea nei diritti umani e dei lavoratori. E le indagini si estendono a Milano, alla rete italiana legata a Panzeri e al suo patrimonio definito «molto consistente». 

Le indagini

Gli sviluppi dell'inchiesta della Procura federale belga puntano in modo marcato al ruolo dell'ex politico di Pd e poi di Articolo 1 e della sua Ong che annoverava nel consiglio onorario personaggi del calibro degli ex commissari europei Emma Bonino e Dimitris Avramopoulos e della ex rappresentante Ue per gli affari esteri Federica Mogherini, tutti dimessisi per lo scandalo che ha portato in carcere per associazione a delinquere, corruzione e riciclaggio Panzeri, uno dei 14 vice presidenti del Parlamento europeo, la greca del Pasok Eva Kaili, il padre e il compagno di questa, il milanese Francesco Giorgi, la moglie e la figlia di Panzeri, il segretario dell'ong No peace without justice Niccolò Figà Talamanca. 

Un ambiente in cui l'italianità crea cameratismo e complicità e che, ma solo per una questione di assonanza tricolore, si estende al cognome dell'europarlamentare Marc Tarabella, perquisito sabato scorso davanti al presidente dell'Europarlamento Roberta Metsola che è dovuta appositamente rientrare di corsa da Malta.

Bruxelles-Milano

Le indagini si muovono spedite anche sull'asse Bruxelles-Milano per individuare la rete dei rapporti di Panzeri. Usufruendo di Eurojust, il giudice istruttore Michel Claise sta ricevendo assistenza giudiziaria dall'aggiunto Fabio De Pasquale che guida il dipartimento «affari internazionali» della Procura di Milano. 

È stato lui ad ordinare la perquisizione dell'abitazione di Panzeri a Calusco D'Adda (Bergamo) dove moglie e figlia sono ai domiciliari e dove la Gdf ha trovato 17 mila euro in contanti, che si sommano ai 600mila sequestrati all'uomo al momento dell'arresto in un residence di Bruxelles. Tanti, troppi sono i soldi che girano in questa storia.

Oltre alle banconote, Panzeri e i suoi familiari sembrano possedere un patrimonio importante fatto di conti correnti, che sono stati acquisiti insieme, e di immobili che difficilmente può essere giustificato solo con il pur ricco appannaggio incassato in 10 anni di mandato parlamentare europeo. 

Le indagini di De Pasquale (perquisita anche la casa di Giorgi e sequestrato il suo conto) dovranno contribuire a chiarire flussi di denaro arrivato dal Marocco e dal Qatar in contanti e bonifici. E poi ci sono i 100 mila euro che sarebbero stati spesi per una vacanza di Natale e i regali trasferiti in Marocco. 

Un trolley di banconote

Banconote fruscianti tornano anche nell'arresto di Eva Kaili «causato» dal fermo precedente del padre. Quando venerdì la polizia lo ha visto lasciare in fretta e furia il lussuoso albergo nel quartiere «Europeo» di Bruxelles dove era arrivato qualche giorno prima con la moglie, è bastato un attimo agli agenti per saltargli addosso e scoprire che nel trolley che si trascinava dietro c'erano la bellezza di 600 mila euro in banconote da 50 euro. 

Perché aveva tanta premura? Forse sapeva che gli investigatori erano sulle tracce dei soldi accumulati dalla figlia con le tangenti, dicono a Bruxelles, ai quali si aggiungeranno i 150 mila euro trovati in banconote da 20 e 50 euro nell'abitazione della Kaili assieme a molti regali di valore, oggetti e medaglie, ricevuti dal Qatar. 

La scoperta dei soldi e dei regali è stata considerata la «flagranza di reato» che, facendo decadere l'immunità parlamentare, ha permesso alla magistratura di arrestare Kaili. Sono 19 le abitazioni perquisite e 10 gli uffici di collaboratori sigillati al Parlamento per «congelare» e «prevenire» la manomissione dei dati dei telefonini e dei pc sequestrati, come spiegano i pm.

Sigilli anche negli uffici di Strasburgo degli assistenti dei parlamentari Pd, non indagati, Alessandra Moretti e Andrea Cozzolino, l'arrestato Giorgi assiste il secondo e lavora in uno dei due. Fermato venerdì e rimesso in libertà il giorno dopo, Luca Visentini, capo della Confederazione sindacale internazionale, è ancora scosso dalla esperienza del carcere. «Sono stato liberato senza accuse formali e con condizioni minime che permettono di muovermi liberamente» afferma, e aggiunge: «Sono estraneo a qualsiasi forma di corruzione. Se fossi stato corrotto o se fossi un corruttore le mie posizioni politiche sarebbero state molto favorevoli al Qatar, invece nei giorni precedenti avevo dichiarato che le riforme fatte in quel Paese erano del tutto insufficienti».

Estratto dell’articolo di G.F e C.T. per “la Repubblica” il 13 dicembre 2022.

Il Qatargate è a una svolta. Dopo quattro giorni, sei interrogatori e una sfilza di sequestri e uffici sigillati, un "pentito" si è fatto avanti con la procura belga. Uno dei "toccati" dall'inchiesta ha iniziato dunque a collaborare con gli inquirenti. 

A illustrare la rete di Panzeri, a spiegare le attività della sua Ong "Fight Impunity" e a stilare un elenco di tutti quelli che hanno collaborato con l'ex parlamentare. La "Italian Connection" è ora qualcosa di più di un semplice teorema giudiziario. Adesso c'è una geografia delle mazzette.

E ovviamente è scattato il terrore, soprattutto nel gruppo S&D dell'Europarlamento. Lo psicodramma è così arrivato anche a Strasburgo. In occasione della riunione Plenaria. I socialisti hanno fatto autocoscienza. Ma nel frattempo, sulla base delle indicazioni del "pentito", la polizia belga ha fatto partire nuove perquisizioni nella sede del Parlamento a Bruxelles e ha inviato un gruppo di gendarmi anche a Strasburgo.

Hanno ricevuto l'autorizzazione delle autorità francesi e hanno prima fatto visita in alcuni uffici, controllato i computer utilizzati dalla "Rete Panzeri" e poi hanno posto i sigilli.

In particolare alla stanza di Cozzolino e del suo collaboratore e in quella dell'assistente di Alessandra Moretti. Sono stati sigillati gli uffici di una funzionaria del Parlamento, la responsabile di unità della sottocommissione Diritti umani, Mychelle Rieu. Il passaggio segna un'escalation dell'inchiesta, che irrompe così nei piani alti della burocrazia. Il tutto, appunto, mentre i socialisti cercano di mettere riparo all'immagine colpita da uno scandalo senza precedenti. […]

Scandalo Qatargate. Un pentito (italiano ?) ha iniziato a collaborare con la magistratura belga. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 13 Dicembre 2022

Durante la sessione plenaria di Strasburgo, gli eurodeputati hanno espresso il desiderio di creare una commissione parlamentare d'inchiesta per far luce sullo scandalo della corruzione.

E’ di oltre un milione e mezzo di euro il totale delle banconote rinvenite e sequestrate dalla Polizia belga nel corso delle perquisizioni effettuate nelle abitazioni dell’ ex-eurodeputato del Pd-SI Antonio Panzeri e dell’ex vicepresidente (oggi destituita) dell’EuroParlamento Eva Kaili, entrambi agli arresti per il Qatargate. Nell’abitazione della Kaili dove l’ eurodeputata greca viveva appunto anche l’italiano Francesco Giorgi, anche lui agli arresti. Giorgi è stato assistente parlamentare di Panzeri ed ora lo è dell’europarlamentare Pd Andrea Cozzolino (non coinvolto nell’inchiesta) che ieri si è visto sigillare l’ufficio dei suoi collaboratori dalla polizia belga.

E’ stato proprio l ’arresto “in flagranza” del padre della Kaili che ha permesso agli investigatori di perquisire l’abitazione dell’ormai ex vicepresidente, senza dover rispettare la sua immunità parlamentare. All’interno dai verbali sono stati riportati ed elencati i costosi regali dal Qatar ed altri somme di contanti per circa 150 mila euro. Giorgi sicuramente potrebbe avere ancora non poche cose da raccontare, e molte deve averle raccontate nel suo lungo interrogatorio di sabato scorso, che hanno costretto il giudice istruttore Michel Classe a ritardate gli altri interrogatori per raccogliere tutte le sue dichiarazioni.

Il conteggio dei soldi sequestrati sinora dalla polizia federale comprende anche i 600 mila euro in contanti trovati nella valigia che il padre di Kaili aveva con sé mentre stava lasciando insieme a sua moglie  l’hotel Sofitel di Bruxelles di Bruxelles. Probabilmente deve essere stata avvisato in anticipo dell’operazione della polizia e c’è chi sospetta che potrebbe essere stato lo stesso Giorgi che aveva saputo qualcosa. Probabilmente una sua telefonata (era intercettato) ha condotto gli agenti ad appostarsi davanti all’hotel per sorprendere il signor Kaili che tentava la fuga.

Martedì, l’avvocato della signora Kaili ha dichiarato di non aver ricevuto tangenti dal Qatar: “La sua posizione è che è innocente. Non ha nulla a che fare con le tangenti del Qatar”, ha detto l’avvocato Michalis Dimitrakopoulos al canale privato greco Open TV. L’avvocato, però, ha assicurato ai nostri colleghi di non sapere se il denaro fosse stato effettivamente ritrovato presso il suo assistito e nelle mani del padre, venuto a trovarlo in Belgio.

Al centro dell’ interrogatorio sicuramente chiarimenti sul movimento di soldi che dalla Ong Fight Immunity di Panzeri potrebbero essere arrivati alla Kaili e ad altre persone, ma anche anche il ruolo della Ong fondata nel 2019 da Panzeri, e le sue attività all’indomani che non era rientrato come deputato nel Parlamento Europeo. L’inchiesta ha una “tranche” che arriva in Italia, dove in provincia di Bergamo si trovano ai domiciliari la moglie e la figlia di Panzeri, (che fa l’avvocato) ed a Milano dove è stata perquisita l’abitazione di Giorgi. Quindi due distinte Procure competenti in Italia.

Giorgi immediatamente dopo l’arresto di venerdì scorso quando è finito in carcere è stato un fiume in piena ed  ha parlato per ore, e le sue dichiarazioni stanno contribuendo ad aprire una voragine che consentirebbe agli investigatori belgi di ampliare le indagini o, comunque allo stato attuale trovare riscontri fondamentali su quanto hanno scovato dopo mesi di indagini  segretissime avviate nella scorsa estate e conclusesi per ora nel blitz di venerdì scorso .

Al momento sono stati perquisiti 19 abitazioni e 10 uffici parlamentari a Bruxelles. I controlli hanno riguardato anche gli europarlamentari belgi Marc Tarabella e Maria Arena. Lo scandalo “QuatarGate” ha interessato degli appartenenti al gruppo dei Socialisti e Semocratici, dove nonostante al momento non siano indagati si sono autosospesi anche i deputati Andrea Cozzolino e Pietro Bartolo.  L’ eurodeputata greca Eva Kaili, è stata trasferita nelle scorse ore nel carcere di Haren, alla periferia nord-orientale di Bruxelles, nelle vicinanze dall’aeroporto internazionale di Zaventem, che è stato completato nei mesi scorsi ed è stato costruito per alleggerire il peso agli altri carceri della città, in particolare quello di St. Gilles e quello di Forest.

Il Parlamento europeo oggi ha revocato la carica di Vicepresidente all’europarlamentare greca Eva Kaili, approvando la destituzione dalla carica di vicepresidente del Pe dell’eurodeputata L’aula ha votato sì con la maggioranza di oltre due terzi (625 voti), come previsto dal Parlamento. Il nome del l’eurodeputato socialista Marc Tarabella è stato tra quelli emersi nei primi interrogatori alle quattro persone fermate per il Qatargate. Secondo il quotidiano belga L’Echo, che cita fonti ben informate, il suo nome “è stato fatto da due persone, tra cui uno dei quattro imputati, durante gli interrogatori effettuati dall’Ufficio Centrale per la repressione della corruzione“, scrive il quotidiano. L’eurodeputato belga non risulta indagato e tra l’altro dell’immunità parlamentare, che viene rimossa solo in caso di flagranza di reato. Contattato dalla stampa belga, Tarabella ha dichiarato di “non avere assolutamente nulla da nascondere”.

Ora dopo ora si sta facendo delicata ed imbarazzante (dal punto di vista politico) dell’ eurodeputato greco Margheritis Schinas, commissario ed attuale vice di Ursula von der Leyen. L’uomo politico, esponente del partito di centrodestra Nea Demokratia ha più volte esternato pubblicamente non pochi elogi al Qatar, esaltandone “i progressi in materia di diritti del lavoro e gli sforzi per garantire l’inclusione e la tolleranza”. È stata Manon Aubry la capogruppo socialista a denunciare pubblicamente l’ atteggiamento morbido manifestato da Schinas verso gli emiri del Golfo usando parole molto morbide ed in linea a quelle pronunciate da Eva Kaili. Ieri in conferenza stampa la von der Leyen si è rifiutata di rispondere a domande riguardanti il suo vice. Schinas dal canto suo ha detto : “Dal Qatar ho ricevuto solo un pallone e una scatola di cioccolatini . Dopo 32 anni di politica la mia carriera è limpida“. Dicono tutti così…Redazione CdG 1947

Manon Aubry: «Il Qatargate è solo all’inizio, spunteranno altri nomi di corrotti in Parlamento». Parla la leader della sinistra che pubblicamente aveva avanzato dubbi su possibili infiltrazioni straniere. E da mesi vedeva bloccate le sue risoluzioni di denuncia sulle violazioni di diritti umani in Qatar. Federica Bianchi su L’Espresso il 13 Dicembre 2022.

Manon Aubry è l'eurodeputata francese, leader del gruppo di estrema sinistra “The Left", che per mesi ha cercato di portare in Parlamento una risoluzione di condanna della violazione dei diritti dell’uomo da parte del Qatar: durante i lavori di costruzione delle infrastrutture dei mondiali sono morti migliaia di lavoratori, secondo una denuncia del Guardian. Ma Aubry si è vista a ogni sessione bloccare nella sua risoluzione e nei suoi emendamenti dai deputati socialisti e dai popolari al punto da dire pubblicamente «Sono venduti!» in tempi non sospetti, adesso non ha dubbi: «Questa è solo la punta dell'iceberg». E poi aggiunge al telefono. «Andremo avanti a vedere cosa c'è sotto l'iceberg».

La sua certezza è che nei prossimi giorni verranno alla luce i nomi di altre persone coinvolte nello scandalo che ha visto un gruppo di parlamentari e assistenti socialisti oltre a membri di ong legati all'ex eurodeputato Panzeri vendere il proprio sostegno alla propaganda del Qatar, colpevole di gravi abusi dei diritti umani durante l'organizzazione del Mondiale di calcio, in cambio di ingenti somme di denaro. L'11 dicembre ha pubblicato su Twitter un lungo post riepilogativo di come ha vissuto le influenze del Qatar fin dall'inizio, con tanto di voti degli europarlamentari sui suoi emendamenti contro il Qatar.

«Era da tempo che avevo dei chiari sospetti nei confronti dei socialisti e del Ppe perché si opponevano con una durezza che non avevo mai visto prima a ogni risoluzione contro il Qatar, usando spesso le stessi tesi dell'ambasciata qatarina», ha spiegato al telefono da Strasburgo: «Ho visto in prima persona all'opera i contatti di influenza del Qatar e la maniera in cui socialisti e popolari hanno difeso gli interessi del Qatar, usando un linguaggio che non condanna mai la violazione dei diritti dell'uomo e che invece esalta dei presunti miglioramenti fatti dal Qatar ma di cui non esiste prova, e che sottolinea l’importanza delle relazioni energetiche tra Europa e Qatar».

Lo ha fatto in tempi non sospetti…

«Il mese scorso nel video in cui denunciavo una situazione che non tornava mi sono infatti chiesta se il Qatar non avesse infiltrato il Parlamento».

Si aspettava l'estensione della rete qatarina?

«Che fosse stata addirittura costituita una banda a delinquere con il coinvolgimento della vicepresidente no. Oltre i miei peggiori sospetti».

Per il momento le indagini sono concentrate in campo socialista: si aspetta un allargamento ad altri gruppi?

«Mi aspetto che sia coinvolto il Ppe sulla base delle votazioni fatte in aula sul Qatar. D'altronde il vice presidente greco della Commissione europea Margaritis Schinas da mesi porta avanti la promozione del Qatar e dunque non è scorretto oggi nutrire sospetti».

E in Parlamento?

«Usciranno altri nomi, ma a causa dell'immunità parlamentare non sarà facile procedere se non sono colti in flagrante come nel caso di Eva Kaili. Adesso tutti stanno attenti però. Non escludo che prima o poi le autorità chiederanno al Parlamento di toglierla su qualche deputato e noi lo faremo».

Altri stati potrebbero essere coinvolti in questa compravendita delle influenze esterne?

«A fare lobbying pesante oltre al Qatar finora sono stati il Marocco e la Russia, ma non ho prove».

Cosa dovrebbe cambiare in futuro perché queste situazioni non si ripetano?

«Ovviamente dobbiamo cambiare le regole. Esiste già un registro della trasparenza in Parlamento ma non è obbligatorio registrare i propri contati, né per i parlamentari, né per i lobbisti (ndr: Fight impunity non era registrata). Le regole esistenti non sono applicate perché manca un'Authority che monitori e possa applicare sanzioni. È dall'inizio del mandato che chiediamo un'autorità indipendente che abbia i mezzi per investigare, la Commissione l'aveva appoggiata ma fino ad oggi non se ne è fatto nulla. Adesso è diventata una necessità. Dobbiamo uscirne dicendo che giammai i Paesi terzi compreranno i nostri Mep come fossero squadre di calcio. Le regole dovranno essere molto rigide perché al democrazia non è in vendita».

Lo scandalo. Perché Eva Kaili è stata arrestata e cosa è il Qatargate. Salvatore Curreri su Il Riformista il  13 Dicembre 2022

Lo scandalo che ha colpito il Parlamento europeo, con l’arresto in flagranza di reato della sua vicepresidente socialista Eva Kaili, pone – tra gli altri – il problema della perseguibilità in sede giudiziaria delle opinioni da questa espresse in difesa del Qatar dalle accuse di violazione dei diritti fondamentali della persona, specie dei lavoratori che sono stati impegnati nella costruzione degli stadi.

In altri termini, può un giudice incriminare la deputata europea sulla base dell’ipotesi di accusa che le parole da lei espresse siano frutto di corruzione? Oppure quelle opinioni da lei espresse sono coperte dalla prerogativa parlamentare della insindacabilità, in base a cui ogni parlamentare non può essere chiamato a rispondere in nessuna sede, penale inclusa, delle opinioni espresse nell’esercizio delle sue funzioni, cosicché sia sempre tutelata la sua libertà di parola e, con essa, l’autonomia del Parlamento cui appartiene da indebite interferenze giudiziarie?

Si tratta di una questione, com’è evidente, che induce a riflettere, sotto un punto di vista del tutto particolare, sul tema della rappresentanza politica del parlamentare e del suo rapporto con la rappresentanza di interessi. Questione peraltro non nuova, se è vero che già il 31 gennaio 1893 la Camera dei deputati concesse l’autorizzazione a procedere contro il deputato De Zerbi, imputato di peculato, corruzione millantato credito per avere ricevuto somme offerte in cambio della sua interferenza nell’iter di approvazione di un disegno di legge che ad una banca interessava vedere approvato. Il tema si è riproposto nelle Camere repubblicane, dove si è registrato nel tempo un significativo mutamento d’indirizzo.

Inizialmente, infatti, la Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera, chiamata a pronunciarsi sull’accettazione di una promessa di denaro per presentare e sostenere due disegni di legge da parte di un deputato per questo accusato di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, ritenne che l’attività parlamentare fosse sempre oggettivamente insindacabile, a prescindere dagli intenti soggettivi, e coprisse anche quella antecedente rispetto ad essa inscindibilmente collegata e strumentale. Se così non fosse, concluse allora la Giunta, il giudice potrebbe sindacare l’attività politica del parlamentare, e precisamente il processo di formazione della sua volontà, vanificando in tal modo la prerogativa dell’insindacabilità nelle sue motivazioni. In questo modo, quindi, si volle evitare un controllo esterno sulla volontà del deputato, a costo però di rendere possibile il mercimonio dell’attività parlamentare.

Per evitare però tale indesiderato epilogo, l’indirizzo della Giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera mutò in seguito radicalmente. Nel 1972 la Giunta ritenne che la prerogativa della insindacabilità non poteva essere sempre e comunque astrattamente e intrinsecamente data per scontata; piuttosto occorreva verificarla nei fatti, onde escludere che essa potesse estendersi all’accettazione di denaro o di altri beni materiali o alla loro relativa promessa in grado di interferire e/o condizionare il compimento di un atto tipicamente parlamentare. La stessa Corte costituzionale, nella sua sentenza n. 81/1975 del 27 marzo, ha collegato la irresponsabilità dei parlamentari al “fine di rendere pienamente libere le discussioni che si svolgono nelle Camere, per il soddisfacimento del superiore interesse pubblico connessovi”. È in vista di questo fine che “siffatte eccezionali deroghe all’attuazione della funzione giurisdizionale, considerate necessarie a salvaguardia dell’esercizio delle funzioni sovrane spettanti al Parlamento, risultano legittime in quanto sancite dalla Costituzione”.

La prerogativa dell’insindacabilità è dunque funzionalmente connessa alla rappresentanza “nazionale” del singolo parlamentare, chiamato ad esercitare le sue funzioni “senza vincolo di mandato”. Pertanto essa non può coprire quanto non strumentalmente funzionale al corretto esercizio del mandato parlamentare ed al corretto funzionamento dell’istituzione parlamentare nel suo complesso. Ciò giustifica quindi l’applicazione anche al parlamentare del reato di “corruzione per l’esercizio della funzione”, previsto dall’art. 318 c.p., come riformato dalla legge n. 190/2012 (c.d. Severino), che punisce con la reclusione da tre a otto anni “il pubblico ufficiale che, per l’esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa”. Tale reato fu applicato nei confronti dell’ex deputato dell’Udc Luca Volonté, accusato di aver ricevuto da politici azeri una tangente di 2 milioni e 390 mila euro per orientare il proprio voto come membro dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa.

In quell’occasione, infatti, la Cassazione (sentenza n. 36769/2017) accolse il ricorso del pubblico ministero contro la decisione del giudice per l’udienza preliminare di non procedere nei confronti del suddetto deputato perché riteneva insindacabili le sue attività. Per la Cassazione, infatti, la garanzia della insindacabilità a tutela dell’autodeterminazione del singolo parlamentare ne copre gli atti purché connessi alla funzione parlamentare. Altrimenti prevale la “grande regola” dello stato di diritto e la parola deve passare alla giurisdizione. L’utilità percepita, infatti, va qualificata “indebita” quando l’attività parlamentare, che per sua natura tende alla costante composizione di interessi di parte, viene condizionata da interessi estranei alla sua natura politica.

Per questo, nell’ambito dell’attività politico-parlamentare “non può ritenersi rientrare la ricezione di utilità, anche estremamente rilevante, come ad esempio cospicue somme di denaro a titolo personale”. In conclusione, quanto dalle ipotesi di reato si presume sia accaduto nel Parlamento europeo ci richiama ancora una volta in modo esigente alla nobiltà della funzione parlamentare, marcando il confine oltre cui si è fuori dai compiti di rappresentanza e anche di “compromesso” politico e si entra nella logica di uno sfruttamento privato dell’altissimo ufficio ricoperto. Salvatore Curreri

Documenti sospetti. A Bruxelles, il Qatar cercava soprattutto l’esenzione dei visti per entrare in Europa. Vincenzo Genovese su L’Inkiesta il 14 Dicembre 2022

Nell’inchiesta sulla corruzione all’Europarlamento, il dossier più importante riguarda una questione piuttosto tecnica ma molto significativa, che tocca le persone con passaporto del Paese mediorientale

La difesa del Qatar come «Paese all’avanguardia nei diritti dei lavoratori» pronunciata da Eva Kaili, ex vice-presidente del Parlamento europeo ora arrestata per presunta corruzione e destituita dalla carica, sembra il prodotto più esplicito dell’influenza indebita sui processi della democrazia comunitaria di cui è accusato lo Stato mediorientale. Ma non è il più significativo.

Il dibattito in cui questo intervento si inserisce ha generato una risoluzione non legislativa sulla situazione dei diritti umani in Qatar: uno dei tanti «messaggi politici», dalla discutibile efficacia, che l’Eurocamera manda al resto del mondo durante le sue sessioni plenarie.

Il file della discordia

Al governo di Doha interessava probabilmente di più un’altra procedura, quella riguardante la liberalizzazione dei visti per i propri connazionali.

Si tratta di una questione piuttosto tecnica, ma molto significativa. Ad aprile 2022 la Commissione europea propose un’esenzione dall’obbligo del visto per i cittadini di Qatar e Kuwait, subordinata a determinate condizioni che i due Paesi avrebbero dovuto soddisfare.

Trattandosi della modifica di un regolamento europeo, quello sui visti, il processo legislativo prevede che Parlamento e Consiglio adottino ognuno una propria posizione sul tema, prima di negoziarla tra loro.

«Onestamente mi sarei sorpreso se il Qatar non avesse cercato di influenzare questa decisione», dice a Linkiesta l’eurodeputato tedesco dei Verdi/Ale Erik Marquardt, relatore del file nella commissione parlamentare Libe (Libertà civili, giustizia e affari interni).

A decidere se la pressione esercitata rientra nella normale attività di lobbying che esercitano i funzionari dei Paesi stranieri o se è sfociata nella corruzione sarà un’inchiesta della magistratura belga ancora in corso, che al momento conta quattro persone in carcere e circa un milione di euro di contanti sequestrati.

Di certo Marquardt sottolinea un interesse molto sospetto da parte di Eva Kaili, che nemmeno fa parte della commissione Libe, ma come sostituta ha partecipato alla votazione finale sul testo. «Mi ha chiamato più volte, spingendo per accelerare il processo. A un certo punto ha proposto di procedere con il Qatar senza il Kuwait, perché in quel Paese la situazione era più problematica».

La relazione si vota in commissione Libe il primo dicembre e il risultato è una relazione che propone l’esenzione dal visto per i cittadini di Qatar e Kuwait, Ecuador e Oman, approvata con quarantadue pareri favorevoli e sedici contrari. Scorrendo la lista di voto, si nota un appoggio trasversale: Partito popolare europeo, Socialisti e democratici, Verdi/Ale e persino Conservatori e riformisti europei.

Votano contro solo Renew Europe, il gruppo della Sinistra e gli esponenti di Identità e democrazia, oltre a un non iscritto. La posizione favorevole dei Verdi è spiegata a Linkiesta da Marquardt: «Un accordo sull’esenzione dei visti rappresenta una leva politica, perché se si inseriscono determinate clausole lo si può sospendere in caso di arretramenti democratici del Paese in questione. Ad esempio l’accordo con il Kuwait prevedeva una moratoria sull’applicazione della pena di morte».

Potrebbero essere le stesse motivazioni del gruppo S&D, il cui comportamento è ora sotto esame perché è quello più toccato dallo scandalo: tra gli arrestati ci sono una sua componente (Eva Kaili), un suo ex deputato (Pier Antonio Panzeri) e un assistente parlamentare alle sue dipendenze (Francesco Giorgi).

In questi casi è il «relatore ombra» di ogni gruppo politico a lavorare sul dossier e a dare poi l’indicazione di voto ai propri colleghi. Sul file in questione, per i Socialisti e democratici, il ruolo era ricoperto da Pietro Bartolo, che al momento non intende parlare con la stampa. L’eurodeputato siciliano, conferma la direzione di S&D, si è dimesso dal ruolo dopo gli arresti che hanno dato il via al cosiddetto Qatargate.

Che tra le sue conseguenze politiche annovera anche il rinvio in commissione Libe del dossier sulla liberalizzazione dei visti per i cittadini qatarioti. Avrebbe dovuto essere votato in questa sessione plenaria dall’aula di Strasburgo, che vista la situazione ha invece deciso di rimandarla indietro per «approfondire la discussione».

Relazioni con il Qatar

Come dice a Linkiesta una fonte parlamentare a Strasburgo, «la tensione si taglia con il coltello», ed è opinione diffusa che altri eurodeputati appartengano alle rete su cui la polizia belga sta indagando per «corruzione, riciclaggio di denaro e partecipazione a un’organizzazione criminale».

Qualcuno lo ha detto in modo esplicito, come l’eurodeputato finlandese Petri Sarvamaa, in un’intervista a Euronews: «Dobbiamo cercare ogni singolo deputato che c’entra qualcosa con quello che sta succedendo. Purtroppo sono sicuro che non è finita: ci saranno altri casi».

Osservati speciali, secondo la fonte consultata da Linkiesta, sarebbero i tredici deputati che appartengono al «Gruppo di amicizia con il Qatar», appena sospeso dal suo presidente, il liberale spagnolo José Ramón Bauzá Díaz.

Ne fanno parte, tra gli altri, gli italiani Dino Giarrusso, Luisa Regimenti e Fulvio Martusciello. Quest’ultimo ha presentato nel giugno 2021 un’interrogazione parlamentare per denunciare «i tentativi degli Emirati arabi uniti di manipolare le organizzazioni di giornalisti per boicottare la Coppa del Mondo in Qatar».

Ovviamente si tratta di una posizione legittima come, fino a prova contraria, tutte le altre espresse in favore dello Stato mediorientale dai rappresentanti del Parlamento. Ma oggi chiunque ha intrattenuto buoni rapporti con il governo qatariota è guardato con sospetto all’interno del Parlamento.

Le minacce via mail dell’ assistente dell’ Europarlamentare del PD Alessandra Moretti al nostro giornale. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 12 Dicembre 2022

Sono almeno altri quattro italiani, pur non essendo indagati, finiti tra le maglie dell'inchiesta ritrovandosi il posto di lavoro inaccessibile e subendo il sequestro di computer e smartphone.

Ondate di fango mediatico sulla politica italiana nello scandalo del Quatar che ha visto coinvolto l’ex-eurodeputato Panzieri ed una serie di lobbisti sotto mentite spoglie di politici, lobbisti e partaborse. I media ed i magistrati belgi ormai parlano di una “Italian Connection” presente nell’inchiesta sul “Qatargate“. E lo fanno dalla scorsa settimana quando la Polizia Federale belga è entrata negli edifici del Parlamento europeo per mettere i sigilli agli uffici di una serie di collaboratori e assistenti, tutti “rigorosamente” italiani. Un lungo corridoio di stanze nel gruppo Socialisti & Democratici sigillate e chiuse a doppia mandata su disposizione della magistratura belga.  il giudice Michel Claise ha confermato ieri gli arresti per Antonio Panzeri, Eva Kaili, Niccolò Figà-Talamanca e Francesco Giorgi. La procura ha perquisito la casa dell’eurodeputato socialista Marc Tarabella, che oggi dovrà fornire le sue spiegazioni alla commissione di vigilanza del Partito Socialista belga. 

Inizialmente c’era Francesco Giorgi, fermato prima e confermato ieri agli arresti, attuale assistente dell’eurodeputato Andrea Cozzolino, e fidanzato dell’eurodeputata greca  Eva Kaili nella cui abitazione sono stati trovati borsoni pieni di centinaia di migliaia di euro in contanti . La procura belga ha deciso di avviare una sorta di pesca a strascico per scovare e raccogliendo quante più prove possibile. In queste ore il Partito Democratico ha annunciato di aver “disposto la sospensione cautelare di Giorgi con effetto immediato“. Nato ad  Abbiategrasso si segnala appena ventenne come “attivista” dei Democratici di Sinistra, all’epilogo del loro percorso, prima di spiccare il volo con una laurea in Scienze Politiche ottenuta alla Statale di Milano.

Giorgi si faceva fa notare nel centrosinistra lombardo ma la sua ambizione superava i confini regionali puntando all’Europa, destinazione Bruxelles. Collabora con il Parlamento Europeo e intreccia la sua carriera con quella di Antonio Panzeri di cui diventa assistente. Un legame che ha portato entrambi agli arresti con l’accusa di aver ricevuto laute mazzette dal Qatar per ripulire l’immagine del paese ospitante i mondiali di calcio 2022.

Al momento dell’arresto Giorgi lavora però per un altro europarlamentare Pd, Andrea Cozzolino, (che come la Moretti non è coinvolto nell’indagine), come consulente per i i rapporti dell’Ue con i Paesi del Maghreb (Marocco, Tunisia, Algeria). Cozzolino, si è dichiarato sopreso per l’arresto del suo assistente, sostenendo che lo avrebbe scelto perché già lo conosceva come esperto dei Paesi nordafricani al Parlamento Europeo, nella sua attività precedente. Nessun “contatto” sospetto quindi fra Cozzolino e Panzeri.

Sono almeno altri quattro italiani, pur non essendo indagati, finiti tra le maglie dell’inchiesta ritrovandosi il posto di lavoro inaccessibile e subendo il sequestro di computer e smartphone.

I sigilli sono stati così posti all’ufficio di Federica Garbagnati, in passato lavorava all’ Europarlamento con Panzieri, intorno al quale ruota una vera e propria rete di collocamento e alle conoscenze dell’ex europarlamentare del Pd, passato ad Articolo Uno, che ieri lo ha sospeso. La Garbagnati che è attualmente assistente dell’eurodeputata Alessandra Moretti ieri pomeriggio utilizzando un account di posta di tale “Matteo Cavallo” alle h. 17:04, ci scriveva testualmente:

“Mi chiamo Francesca Garbagnati e ho appena notato che un vostro impreciso articolo mi ha appena definita INDAGATA nell’inchiesta che vede al centro l’ex eurodeputato Pier Antonio Panzeri. Essendo ciò assolutamente falso, vi chiedo di provvedere a cancellare immediatamente il mio nome da ogni vostro articolo dal momento che non sono indagata, non sono una personalità pubblica e che il mio nome non è essenziale nella descrizione della cronaca. Provvederò immediatamente a sporgere querela nei confronti del vostro giornale e del vostro giornalista.Mi auguro correggiate immediatamente il vostro errore. Cordialmente, Francesca Garbagnati” 

Non avendo timore delle minacce di querela ricevute, nella consapevolezza di aver pubblicato la verità. le abbiamo così risposto:

Dopodichè la Garbagnati si è affrettata a far sparire da Internet e dai socialnetwork tutti i suoi profili (ha dimenticato Facebook….) e le sue foto, e persino qualche piccola pseudo-intervista dove raccontava la sua esperienza lavorativa all’ Europarlamento . Un comportamento singolare e sicuramente poco “trasparente”, che si è allineato con le bugie dalle gambe corte della Moretti, come quelle dichiarate al sito Affari Italiani che sabato scorso scriveva: “in mezzo a tanti nomi, qualcuno ha tirato fuori anche quello di un assistente parlamentare dell’eurodeputata Pd Alessandra Moretti. Ma l’assistente, che non risulta essere indagata, sarebbe coinvolta nell’inchiesta in quanto ex assistente di Panzeri (così come gli altri suoi ex colleghi). Dato il clamore della notizia è facile che il “fango” finisca un po’ dovunque, anche se alcune voci raccontano addirittura di uffici sigillati e telefoni sequestrati.” Sentita sempre da Affaritaliani, la Moretti ha smentito “che la sua assistente sia stata interrogata” (circostanza che nessuno, tantomeno il nostro giornale ha mai scritto !).

Peccato che oggi sempre la Moretti, parlando con l’ ADN-Kronos , ha ammesso che la sua assistente Francesca Garbagnati, “ha subito una perquisizione ma non è stata interrogata”. Probabilmente la Moretti non ha molta esperienza di indagini di polizia giudiziaria.

Dopo aver chiamato inutilmente per tutta la mattinata la segreteria dell’ on. Moretti all’ Europarlamento (che conta ben 7 addetti tutti stipendiati con denaro “pubblico” ) dove non rispondeva nessuno, siamo riusciti nel primo pomeriggio a contattarla via Whatsapp. La Moretti ci ha rilasciato questa dichiarazione “Tutti gli ex collaboratori di Panzeri hanno subito i sigilli dei propri uffici. Massima collaborazione con la magistratura su questa vicenda che ci lascia sgomenti”, di fatto confermando quello che il CORRIERE DEL GIORNO ed il FATTO QUOTIDIANO avevano rivelato per primi così di fatto smentendo la sua assistente che ci minaccia legalmente via mail attraverso il suo “cavaliere bianco” Matteo Cavallo, minaccia che si è trasformata in una denuncia penale per “tentata estorsione” che il nostro avvocato sta già preparando. Altro che le querele preannunciate dalla Moretti contro chiunque “pubblichi o diffonda notizie false e tendenziose o che puntino a minare la propria onorabilità” !

L’ assistente della Moretti non è l’unica “portaborse” a ritrovarsi senza un ufficio. Sigilli sono stati apposti anche anche all’ufficio di Giuseppe Meroni, esponente di Articolo Uno, anche lui con un passato da assistente di Panzeri e attualmente alle dipendenze dell’ eurodeputata Lara Comi (Forza Italia) che nonostante la distanza politica hanno sempre avuto una amicizia generata dalla passione comune per il calcio. La Comi tifosa del Milan e Panzeri dell’Inter, partecipavano spesso e volentieri in Lombardia a trasmissioni tv dedicate al derby della Madonnina.

Sigilli sono stati posti anche all’ufficio di Donatella Rostagno, altra ex collaboratrice di Panzeri ritenuta un esperta di Medio Oriente e mondo arabo, attualmente alle dipendenze dell’europarlamentare belga Maria Arena che era componente del Board dell’Ong Fight Impunity, fondata nel 2019 dall’ex eurodeputato S&D Panzieri.

Il quarto ed ultimo assistente parlamentare europeo coinvolto è Davide Zoggia, un ex deputato considerato “vicino” agli amici di Pierluigi Bersani, con un passato di amministratore pubblico come ex sindaco di Jesolo e presidente della provincia di Venezia, al quale gli investigatori belgi hanno sequestrato il suo cellulare. Zoggia è il responsabile degli Enti Locali del PD durante la “segreteria” Bersani, diventando il capo dell’ organizzazione del partito con Guglielmo Epifani. Attualmente fa parte dello staff di Pietro Bartolo e Brando Benifei (nessuno dei due è sotto indagine).

“I Mondiali al Qatar sono un insulto all’etica, bisogna ritirare l’assegnazione”. E ancora, con una punta di sarcasmo: “Platini, i parenti di 1.200 operai morti nei cantieri per la costruzione degli stadi si scusano per aver rovinato i Mondiali“. Poi, a un certo punto, la posizione è cambiata. Ed allora il boicottaggio si è trasformato in “un gesto ipocrita” e “chi abbandona i maxi-schermi è un idiota perché la Coppa del mondo è una festa che bisogna vivere insieme” aggiungendo che in Qatar i lavoratori “hanno un salario minimo, che viene versato sul loro conto corrente» e all’interno delle aziende c’è persino «una concertazione sindacale». Per questo gli altri Paesi del Golfo dovrebbero seguire il modello-Qatar”.

Le prime dichiarazioni che avete letto sono di Marc Tarabella, eurodeputato belga di origini italiane con alle spalle quattro mandati al Parlamento Ue. Le ultime anche. E questa giravolta è tra i motivi che hanno spinto sabato sera gli investigatori belgi a perquisire la casa del politico socialista folgorato sulla via di Doha. E’ durata un paio d’anni, dal 2014 fino al gennaio del 2016 la sua campagna politico-mediatica per annullare l’assegnazione dei campionati di calcio al Qatar . Interventi in Parlamento, dichiarazioni sui media, manifestazioni. Poi all’improvviso un lungo silenzio, interrotto a partire dallo scorso anno, quando la linea dell’esponente socialista ha preso tutt’altra direzione. Tarabella ha continuato a occuparsi di Qatar, ma questa volta con toni e dichiarazioni molto più istituzionali. Che coincidenza…

Tarabella è nato in Belgio nel 1963, figlio di un emigrante italiano originario di Seravezza (Lucca), dal 1994 è sindaco di Anthisnes , un comune di 4000 abitanti alle porte di Liegi. Parla perfettamente italiano ed è considerato molto vicino a Panzeri, al punto tale che un anno fa ha preso la tessera di Articolo Uno.

Le mazzette e le risultanze investigative che usciranno dai telefoni e computer sequestrati potrebbero portino altrove: per il governo del Qatar il ruolo dell’ ormai ex-vicepresidente del Parlamento Europeo, la greca Eva Kaili era un “”badge” strategico per accedere alle porte dell’istituzione europea. La parlamentare greca è stata recentemente fotografata ad Abu Dhabi in un weekend con il suo connazionale, il vice presidente della Commissione, Margaritis Schinas, esponente del Ppe che guarda caso in un tweet dello scorso 20 novembre aveva elogiato il mondiale del Qatar, definendolo un “paese che ha attuato riforme e che merita questo successo mondiale“.

Ecco perché, al momento, l’indagine belga è soltanto al primo livello. La Polizia ha voluto accelerare con le perquisizioni temendo che, con la fine del Mondiale, e lo stop ai lavori del Parlamento Europeo per la pausa natalizia, molto (cioè le valige di denaro) potesse scomparire. E probabilmente non hanno torto.

Redazione CdG 1947

Le bugie delle mazzette contro le inchieste libere. Cristiana Flaminio su L’Identità il 13 Dicembre 2022

Autocitarsi non è bello. Ma la cronaca ci costringe a farlo. Per un motivo molto semplice: forse, ma forse, abbiamo capito perché, mentre tutto il mondo urlava allo scandalo, c’era qualcuno in Italia e in Europa che tentava di far passare il Qatar come un Paese proiettato verso le magnifiche sorti e progressive della libertà e della democrazia. Qualcuno, come la vicepresidente del Parlamento Europeo Eva Kaili, addirittura cercava di fare di Doha una sorta di enclave dei diritti del lavoro (sic!) nel Medio Oriente.

L’Identità ha già dato, ai suoi lettori, conto e ragione dei dubbi, troppi, che gravavano su certe ricostruzioni della way of life, o sarebbe meglio dire della way of business, del Paese del Golfo. Abbiamo scritto, riprendendo inchieste giornalistiche internazionali e atti del Parlamento europeo stesso, che gli stadi, quelle meravigliose e autentiche cattedrali nel deserto allestite a tempo di record tra le dune, grondavano il sangue di migliaia e migliaia di lavoratori migranti, di stranieri, provenienti dai Paesi più poveri dell’Asia, con il miraggio di guadagnare un tozzo di pane. Troppi ne sono morti. Ancora di più sono stati trattati, secondo quanto emerso dai report delle associazioni internazionali e degli osservatori internazionali, come dei veri e propri schiavi moderni.

Eppure, c’era chi continuava a predicare calma. A intravedere chissà che gloriose innovazioni che sarebbero presto arrivate dal Paese qatarino. C’era chi, solitamente ipersensibile ai diritti, ha fatto orecchie da mercante sulle tante, troppe, aporie e vere e proprie discriminazioni, sociali e non, dei lavoratori e non solo loro (ricordate, quella “malattia mentale” dell’essere gay?). Il Parlamento europeo, ora, deve fare chiarezza al suo interno. Spazzare via la corruzione che si sarebbe verificata tra le stanze dei vertici, non dei semplici peones, del luogo principe della democrazia comunitaria. Di un’Europa che si picca di averla inventata la democrazia, di averla insegnata al mondo. E che oggi, invece, fa ridere, di gusto, tutti gli avversari geopolitici e internazionali. L’offesa subita dalle istituzioni è gravissima. E va sanata. Senza la retorica di Metsola che chiama alle armi contro i “nemici della democrazia” che assedierebbero l’europarlamento. Ma con il coraggio di scacciare i lobbisti (o presunti tali) dal parlamento come qualcun altro, ben più grande di ogni istituzione umana, fece coi mercanti nel Tempio.

Lo scandalo Qatargate.“Premesso che siamo garantisti”, la nuova moda per linciare gli altri. Iuri Maria Prado su Il Riformista il 13 Dicembre 2022

È la solita storia del “premesso che”. Premesso che siamo garantisti, quello è un ladro. Premesso che siamo garantisti, è una vergogna. Premesso che siamo garantisti, è evidente che quella è una famiglia di farabutti. Premesso che siamo garantisti, insomma, garantiamoci il diritto di fare a pezzi un indagato, e la moglie, e la figlia, arrestate non si sa in base a quali imprescindibili esigenze cautelari, perché d’accordo che la giustizia deve fare il suo corso ma intanto ci pensiamo noi. Per il dovere di informare la gente. Per la difesa dell’onestà. Per la democrazia.

E come Soumahoro va strattonato tanto più fortemente perché faceva le mostre di difendere i deboli mentre la moglie si faceva il guardaroba di lusso alle loro spalle, così Panzeri, l’ex deputato del Pd, l’ex sindacalista, va castigato a reti unificate e a prime pagine scandalizzate perché il suo profilo progressista nascondeva in realtà le chat sulle vacanze da centomila euro. Con lo strepito misurato non sulla ipotetica provenienza illecita dei soldi destinati a quel lusso, che ancora ancora ci potrebbe stare, ma sulla intrinseca portata oltraggiosa di tanta spesa. La settimanella nella pensioncina in riviera, evidentemente, non avrebbe revocato la sua perfetta presentabilità democratica.

Ovviamente la sua parte politica scaricherà prima del processo, solo sulla base di quel chiasso mediatico e unicamente sull’onda della retata, questo suo eminente (fino a ieri) rappresentante, ed è desolante assistere ai gesti vigliacchi di quelli che rinnegano persino, ora che è finito in disgrazia, di averlo conosciuto (qualcuno, come Andrea Orlando, è arrivato a rimuovere un proprio messaggio con il quale si congratulava con Panzeri per non si sa più quale incarico o iniziativa). Ovviamente non si dice che la notizia dovesse scomparire, o che il milieu politico e amicale di Panzeri dovesse limitarsi, nell’apprenderla, a fare spallucce. Ma anche qui, e per l’ennesima volta pur dopo oltre trent’anni di giustizia giornalistica, il protocollo continua a svilupparsi nel solco tradizionale della condanna già confezionata: e con quella premessa (“premesso che siamo garantisti”) chiamata a un ruolo anche più bastardo, cioè a legittimare i pregiudizi e il verdetto popolar-televisivo che invece dovrebbe sorvegliare e possibilmente inibire.

Ti sbattiamo in prima pagina e pubblichiamo le tue chat di famiglia, d’accordo, ma di che cosa ti lamenti? Non sai che siamo garantisti? La premessa garantista è insomma il lasciapassare di cui gode ogni nefandezza giustizialista. Il cosiddetto sistema dell’informazione dovrebbe comportarsi diversamente anche solo in omaggio a una regola statistica, se non già per un minimo di decenza e rispetto dei diritti delle persone: e cioè perché troppe volte, troppe, e con il sacrificio della reputazione, e a volte della vita, di tanti, i presunti scandali avevano di scandaloso soltanto l’inconsistenza su cui si basavano. Può darsi che questo non sia il caso, ma tante volte il caso è stato proprio questo. Non basta a suggerire un po’ di prudenza? E quella premessa farlocca (“premesso che siamo garantisti”), non dovrebbe supporre il dovere di ascoltare anche, forse prima, quel che ha da dire a propria difesa l’indagato? O “premesso che siamo garantisti” significa fare gli equanimi ripetitori dell’accusa? Iuri Maria Prado

Media scatenati contro "Eurotangentopoli". Caso Qatar, giornalisti scatenati si ‘travaglizzano’ e linciano tutti Panzeri. Piero Sansonetti su Il Riformista il 13 Dicembre 2022

Prendevano un nero (loro dicevano nigger) che immaginavano fosse colpevole di qualcosa di grave, magari di infame – forse lo era, forse no – lo bastonavano a sangue, gli sputavano addosso, gli tiravano sacchetti di piscio in faccia, lo ferivano coi coltelli e con le asce, e poi, mentre agonizzava lo impiccavano a un albero. Si chiamava linciaggio.

Era frequente negli stati meridionali degli Stati Uniti. Era una forma primordiale di giustizia, generalmente esercitata a maggioranza. Nel senso che la maggioranza o la quasi unanimità della popolazione bianca del borgo, o della cittadina – ma anche di qualche città più grande – riteneva giusta la condanna e la punizione. E questo legittimava il linciaggio. Se leggete i giornali italiani, e scorrete le dichiarazioni dei politici – quelli di ieri e dell’altro ieri, dico – avete la sensazione netta, quasi visuale del linciaggio. E potete immaginare il rogo preparato per bruciare vivi i rei. Cioè Antonio Panzeri con tutta la sua famiglia (anche coi neri, spesso si faceva così: tutta la famiglia sulla forca), e poi Eva Kaili, la deputata greca, suo padre e qualche altro funzionario, in genere socialista. Anche in questo caso il linciaggio, che è scattato pochi minuti dopo la cattura, è giustificato dal consenso dell’opinione pubblica.

Un altissimo dirigente del Pd, intervistato, ha detto semplicemente: “Mi fa schifo”. Chi gli fa schifo? Panzeri? A me no. Considero Panzeri un essere umano come tutti gli altri esseri umani; perciò non provo schifo per lui ma affetto. Che casomai cresce, e non decresce, nel momento più difficile della sua vita. Dalle notizie che leggo (e che sono abituato a non prendere per oro colato) capisco che esiste la concreta possibilità che abbia commesso un reato. Non so bene quale, bisognerà indagare e esaminare i codici prima di stabilirlo e prima di gridare al mostro. Cosa che in genere quasi nessuno fa. Se davvero hanno trovato nella sua abitazione denaro contante per circa mezzo milione di euro, a occhio qualcosa non va.

Quantomeno c’è evasione fiscale, direi. Se poi dalle intercettazioni risulti o no un rapporto illegale con le autorità del Qatar, e se risulti che questo rapporto serviva a influenzare il Parlamento europeo sul tema dei diritti umani, o addirittura a nascondere alcuni orrori commessi dallo Stato del Qatar nei confronti di cittadini qatarioti o di immigrati, questo credo che ancora non si possa dire. Ignoro i metodi della polizia e dei magistrati belgi, so che l’interpretazione delle intercettazioni è sempre una questione molto opinabile, e che è difficilissimo che dalle intercettazioni esca con chiarezza la colpevolezza di una persona. Più spesso risulta la sua innocenza, ma in questo caso di rado vengono adoperate.

Se Antonio Panzeri risulterà colpevole subirà una condanna penale. Punto. Se risulterà colpevole risulterà colpevole lui, non il socialismo. Perché l’arresto di Panzeri ha scatenato, in particolare nella destra, questo riflesso: se Panzeri trafficava con il Qatar, se Panzeri era esponente di alcune ong per i diritti umani, se Panzeri era socialista, questo vuol dire che i socialisti e le ong per i diritti umani sono formazioni di farabutti venduti. Ecco, questa non è battaglia politica, questa è malafede. Vorrei fare tre osservazioni.

La furia della destra non solo contro Panzeri e i suoi coimputati ma contro qualunque organizzazione o esponente di sinistra è davvero impressionante e temibile. Dico temibile perché travolge ogni regola della lotta politica. E quando le regole della lotta sono stracciate è difficile tornare indietro. C’è un giornale – non isolato – che ha messo sullo stesso piano il possibile delitto di Panzeri con il caso Soumahoro e addirittura con la vicenda di Luca Casarini e della ong Mediterranea. Possibile che chi scrive queste cose non sappia che Soumahoro non è presunto innocente ma è del tutto innocente nel senso che nessuno mai lo ha accusato di niente? Addirittura, quello stesso giornale, ha tirato in ballo la storia della Mediterranea. Di cosa è accusata? Di aver salvato circa 500 migranti, in condizioni di salute terribili, che da un mese giacevano sul ponte di una petroliera che li aveva salvati dalla morte e che non riusciva a riportarli a terra.

Cosa c’entra questo atto, sicuramente onesto e nobile, con i favori al Qatar? Dice il giornale del quale vi parlo che però su Casarini c’è un’inchiesta aperta per favoreggiamento dell’immigrazione (reato folle: come favoreggiamento di soccorso…): vero, va avanti da due anni questa inchiesta. I termini sono scaduti da tempo ma resta lì, perché gli inquirenti, evidentemente, non riescono a capire come possano inventarsi una richiesta di rinvio a giudizio. Mi chiedo fino a quando e dove (quo usque tandem…) possa arrivare l’amore per la strumentalizzazione politica. L’idea che lotta delle idee si possa fare solo dopo aver eliminato tutte le idee e averle sostituite con dei bastoni è terrificante. ma sta prevalendo.

La sinistra deve smetterla di accettare la subalternità a qualsiasi alito di destra soffi sulla ribalta. È troppo tempo che fa così. È dal giorno che cadde il muro di Berlino e la sinistra immaginò che l’errore non fosse stato il bolscevismo e la dittatura, ma il pensiero socialista, cioè il pensiero politico di gran lunga più completo, ricco e avanzato della storia dell’umanità. La sinistra si farà demolire dai suoi sensi di colpa e dalla sua voglia di subalternità alla destra. È da quando decise che il suo compito fosse quello di dare gruppi dirigenti alle idee liberiste, è da allora che la sinistra si muove così. Si muove per non farsi notare, per nascondersi, per negare di essere sinistra. Cosa c’entra l’eventuale reato di Panzeri con la storia del socialismo? Zero virgola zero.

Il giornalismo italiano in questi giorni sembrava interamente nelle mani di Travaglio. Il forcaiolismo che trasuda dagli editoriali di tutti i giornali, i titoli gridati ad effetto, la voglia di gogna, di linciaggio, supera le migliori performance del “Fatto”. È chiaro che su questo piano Grillo e Travaglio hanno stravinto. Scorrere i giornali della destra, in origine tradizionalmente garantisti, è stato qualcosa di impressionante. Guardavi le firme e non ci credevi. Sembravano tutti Scanzi, tutti Travaglio, tutti Grillo, tutti Di Battista. Hanno vinto loro. Non c’è dubbio, hanno stravinto: hanno in mano l’anima e il cuore del giornalismo italiano.

Piero Sansonetti. Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.

Parla il difensore di Panzeri. “Panzeri e famiglia già condannati dalla stampa”, intervista all’avvocato Daniele Colli. Aldo Torchiaro su Il Riformista il  14 Dicembre 2022

Il 9 dicembre 2022 Antonio Panzeri viene arrestato a Bruxelles nell’ambito di un’inchiesta delle autorità inquirenti belghe su casi di corruzione presso il Parlamento europeo volti a favorire gli interessi qatarioti. Al contempo vengono arrestate a Bergamo anche sua moglie Maria Colleoni, 67 anni, e la loro figlia Silvia, 38 anni, in base ad un mandato di arresto europeo emesso appunto dall’autorità giudiziaria belga. Le accuse sono tanto fumose quanto stiracchiate, se allargate alla cerchia dei famigliari. L’avvocato Daniele Colli rappresenta la famiglia Panzeri, insieme al collega Angelo De Riso.

Di quali accuse parliamo?

Non abbiamo ancora visto gli atti. Sui documenti belgi si parla di un insieme di condotte illecite che vanno dalla corruzione al riciclaggio con vincolo di associazione per delinquere. Tutto da provare.

In casa delle sue assistite la Guardia di Finanza ha trovato 17 mila euro in contante…

È una somma che non ritengo considerevole per una famiglia benestante.

Come si dichiarano i suoi assistititi?

La moglie e la figlia di Panzeri si sono dichiarate innocenti, non a conoscenza delle accuse rivolte loro dalla magistratura belga che adesso ne chiede anche la consegna.

La consegna, cioè l’estradizione. In un carcere di Bruxelles?

Il procedimento incardinato in Italia è volto a valutare quello. Teoricamente, se la magistratura italiana la concede, sì. La decisione è rimandata all’udienza del 19 dicembre.

Perché scusi, se sono attinte da misure cautelari c’è il rischio che scappino o che occultino le prove?

Appunto. Confidiamo che la richiesta di Bruxelles così com’è non venga accolta.

La moglie di Antonio Panzeri che cosa fa?

Nulla, è una pensionata. Vive a Calusco D’Adda, in provincia di Bergamo. E non mi risulta che abbia mai fatto attività politica o che abbia avuto un ruolo nel lavoro del marito.

E la figlia?

È una collega, avvocato civilista attiva qui nella zona. Del tutto sconvolta da queste accuse, incredula.

Che idea si è fatto su questa indagine?

Una attenzione a orologeria, perché curiosamente proprio nella settimana in cui tutto il mondo guarda al Qatar per le semifinali e la finale del campionato del mondo, ecco spuntare la pista della corruzione qatarina.

Quando avrà le carte? Sui giornali le condanne ci sono già tutte.

Questa è la domanda che rivolgiamo alla magistratura del Belgio, sotto la cui giurisdizione ricade il Parlamento europeo. Ci faccia avere gli atti, che vanno poi tradotti e analizzati, altrimenti viene meno il diritto alla difesa. 

Aldo Torchiaro. Ph.D. in Dottrine politiche, ha iniziato a scrivere per il Riformista nel 2003. Scrive di attualità e politica con interviste e inchieste.

Estratto dell’articolo di David Carretta per “il Foglio” il 13 dicembre 2022.

 Per gli assetati di dettagli da buco della serratura, il modo con cui la procura federale belga comunica sullo scandalo del “Qatar gate” si sta rivelando deludente. Contrariamente a quanto avviene in Italia, dove gli atti giudiziari e le intercettazioni finiscono regolarmente sui giornali, il Belgio ha un’ossessione per la riservatezza a tutela delle indagini e delle persone indagate. 

Nei comunicati stampa pubblicati finora sul più grave scandalo di corruzione che ha colpito il Parlamento europeo, la procura non ha mai menzionato il Qatar o le persone coinvolte. Impossibile lanciarsi nel gioco di requisitorie, processi e condanne sui media: occorrerà aspettare una sentenza di un tribunale, o almeno le udienze, per capire tutto quel che è successo.

Il Qatar gate non ha ricevuto un trattamento diverso da altre grandi o piccole inchieste giudiziarie condotte in Belgio. Che sia sugli attentati di Bruxelles del 2016, la cattura di terroristi o un accoltellamento, la comunicazione si limita a scarni comunicati molto generali che contengono una sintesi di perquisizioni, numero di persone arrestate e reati ipotizzati. Ma niente nomi o dettagli. Nel primo comunicato sul Qatar gate di venerdì e nel secondo di domenica il nome del Qatar non compare.

[…] In Belgio le fonti giudiziarie ci sono e parlano con i giornalisti, ma solo fino a un certo punto. “Nell’interesse dell’inchiesta, nessun’altra informazione sarà data per il momento. La stampa sarà informata da eventuali nuovi sviluppi attraverso un comunicato”, ha spiegato la procura. Le uniche intercettazioni del Qatar gate che sono finite sui giornali sono quelle contenute negli atti trasmessi alla Corte d’appello di Brescia per chiedere l’esecuzione del mandato d’arresto contro la moglie e la figlia di Panzeri. Così i media da buco della serratura hanno finalmente avuto il loro romanzo su un Gigante, le vacanze e le carte di credito.

Marcello Sorgi per “la Stampa” il 13 dicembre 2022.

È davvero singolare che il solo nel Pd a condannare seriamente il Qatargate sia il commissario per gli Affari economici Gentiloni, mentre ai vertici del partito si fa strada una strana teoria: gli scandali e la corruzione prosperano per mancanza di regole severe. E chi non ha voluto le regole finora è stata la destra. Uno strano modo di affrontare gli eventi sui quali, alla vigilia del congresso, c'è ben poco da sorvolare. 

Invece è tutto un voltarsi dall'altra parte, mentre le forze di polizia a Bruxelles sequestrano valigioni pieni di soldi. Sotto sotto si tratta anche di non infierire sui "compagni separati" di Articolo 1, i bersaniani-dalemiani a cui apparteneva Panzeri, il principale arrestato italiano, che stanno per rientrare nella casa da cui erano usciti per protestare contro Renzi (e hanno continuato a farlo anche in tempi più recenti, attaccando l'attività di conferenziere dell'ex premier negli Emirati Arabi).

Com' è stato fino a qualche giorno fa per il caso Soumahoro, che ha investito Sinistra Italiana e Europa Verde, alleati della striminzita coalizione che ha perso le elezioni il 25 settembre. È pura illusione sperare di far volare sulla destra qualche schizzo del fango che al momento sommerge la componente italiana del gruppo Socialisti e Democratici dell'Europarlamento (oltre alla vicepresidente greca Kaili). E fermarsi alla questione delle regole, come ha fatto la candidata alla segreteria Schlein, è quasi un parlar d'altro. Sentiremo Bonaccini.

Ma la domanda da farsi è semplice: ce li vogliono davvero nel partito che sta entrando in una fase costituente i lobbisti del Qatar, pagati con centinaia di migliaia di euro per addolcire le prese di posizione del Parlamento di Strasburgo sul mancato rispetto dei diritti civili da parte del governo di Doha? Ci saranno o no un paio di righe, almeno un paio, nella nuova carta dei valori del Pd, per segnare un confine tra il rispetto e l'assenza di democrazia che riguarda la maggioranza dei Paesi del mondo arabo? Oltre ai candidati alla segreteria, evidentemente preoccupati di urtare parte degli iscritti che dovrebbero poi votarli alle primarie, a parlare, a dire parole chiare, dovrebbe essere il vertice del Pd. Che al momento invece preferisce prenderla molto alla larga.

Panzeri, l'indagato è di sinistra? Ecco cosa sparisce dai titoli. Iuri Maria Prado su Libero Quotidiano il 13 dicembre 2022.

Non è propriamente per resipiscenza garantista che la stampa coi fiocchi fatica a mettere in prima pagina che il presunto colpevole, questo Panzeri, appartiene ai ranghi illustri della Repubblica Bella Ciao. Sarebbe nobilissimo se si trattasse della doverosa cautela con cui si tiene basso il profilo dell'indagato, senza indugiare sui particolari del suo curriculum, fino a che le cose non sono più chiare: ma la vaghissima impressione è che si tratti di tutt'altro e cioè del ricorso al bianchetto sulla notizia che imbarazza non per i pacchi di soldi di cui si parla, ma per il fatto che se ne ipotizzi il maneggio da parte di un plenipotenziario progressista.

Che non si tratti di quella cautela è evidentissimo guardando certi titoli: “Choc in Europa”, “Eurocorruzione”, “La Tangentopoli in Europa”, che sembrano misurati meno sull’esigenza di descrivere uno scandalo generale, che è tutto da dimostrare, e ben più sull’urgenza di rendere trascurabile l’identità politica di chi pare esservi coinvolto. Che andrebbe benissimo un’altra volta, se non fosse che altre volte l’affiliazione è vigorosamente sottolineata e non è neppure la guarnizione della notizia, ma la notizia punto e basta. Ora a sinistra faranno il solito, e cioè lo scaricheranno a prescindere, prima del processo, ma nel frattempo verrà fuori che sotto le spoglie di comunista sindacalista era in realtà un ordoliberista.

La morale di Eva. Storia di Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 12 dicembre 2022.

Se ti riempiono un sacco di banconote fino all’orlo per parlare bene del Qatar e tu parli bene del Qatar, sei una politica corrotta, ma lineare. Invece l’eurosocialista (nel senso di socialista sensibile agli euro) Eva Kaili ha scelto una strada più contorta, non limitandosi a tessere l’elogio dei suoi corruttori, ma usandolo per sputare sull’Europa che le passa lo stipendio, quello regolare. Forse avrete visto anche voi le immagini del memorabile intervento al Parlamento di Bruxelles in cui la vicepresidente Kaili proponeva il Qatar come modello sindacale per il nostro Continente: «Impariamo da loro, lì c’è il salario minimo!». Di sicuro c’è quello massimo, riservato a lei e ai suoi compari.

Nell’area socialista è partita la solita corsa a prendere le distanze , come se l’avidità e il lobbismo a favore dei mostruosamente ricchi fossero incompatibili con la loro parte politica, che ne ha invece sempre fornito amplissime testimonianze. L’aggravante di sinistra, se così si può dire, sta in quel non accontentarsi di adulare il finanziatore, ma nel volere trasformare persino l’adulazione a pagamento in una caricatura di battaglia progressista. Che consistano in questo i vantaggi del famoso «multipolarismo» decantato dagli esegeti del modello arabo, russo, indiano, cinese? Definire bieco e corrotto il capitalismo occidentale mentre si prendono le mazzette da quello degli altri.

Paolo Bracalini per ilgiornale.it il 12 dicembre 2022.  

Dalle sardine ai cavallini rampanti, il passo è breve e transita dalla politica. Si tratta di una battuta sbagliata, ma la foto (e il commento) pubblicata sui social da Mattia Santori, leader delle Sardine, non è stata particolarmente apprezzata. «Non ho fatto in tempo a mettermi la camicia che subito Stefano Bonaccini mi ha preso l'auto aziendale» scrive Santori pensando di essere ironico e postando una foto di lui, in abito e camicia visto il clima estivo di Dubai, con a fianco il governatore Stefano Bonaccini e dietro una fiammeggiante Ferrari gialla.

Un simbolo di lusso che non ci si aspetta dai rivoluzionari alla bolognese, dichiaratamente ispirati a ideali «di stampo gramsciano» (cit). Ora, a parte il fatto di essere a Dubai per l'Expo2020 in qualità di consigliere comunale Pd «con delega al turismo», a parte il fatto di essere a braccetto con il governatore, a parte il fatto di farsi la foto tamarra con le auto di lusso sullo sfondo, è tutto il quadretto che stona. I commenti al post glielo fanno notare in massa. «E brava la sardina! Questo ha capito tutto della vita. Vedrai che presto arriverà pure per te una poltroncina ben retribuita», «Passare dalle sardine al caviale è un attimo....», «Ma come è caduta in basso la sinistra», «Ma non avevi detto che non volevi entrare in politica?

Ti stai preparando per accomodarti, giusto? Tra sardine e tonno il posto è già bello che pronto», e via così. Al netto di alcuni che penseranno davvero che Santori avrà come auto di servizio una Ferrari, le altre critiche riguardano l'evoluzione (tipica) della sardina, da movimentisti a politici (ormai organici al Pd emiliano), una parabola già vista. Già un'altra volta Santori era inciampato in uno scatto infelice, quando si era fatto fotografare insieme a Luciano Benetton e Oliviero Toscani, un'immagine che scatenò un mare di polemiche e portò alla scissione di un gruppo romano di Sardine («Un errore politico ingiustificabile»).

Il movimento nel frattempo si è sgonfiato, qualche giorno fa all'anniversario del primo famoso raduno a Bologna, quando riempirono piazza Maggiore, non c'erano migliaia di persone, ma solo poche decine. «Non saremo mai un partito» ha detto Santori. Al massimo una corrente del Pd.

I rivoluzionari che pretendono il diritto al lusso. L'odiosa ipocrisia di chi predica l'inclusione facendo parte di un mondo esclusivo. Francesco Maria Del Vigo il 13 Dicembre 2022 su Il Giornale.

C'è una grande confusione sotto l'altra metà del cielo. E più che quella delle donne, intendiamo quella delle professioniste del femminismo. Sono successe troppe cose, tutte insieme e in poco tempo. Troppe cose complicate da decodificare, digerire e poi spiegare a se stessi e agli altri, siano lettori o elettori. Per amor di sintesi elenchiamo i tre eventi principali di questa crisi: la vittoria del centrodestra e quindi l'ascesa di Giorgia Meloni a palazzo Chigi; lo scandalo che ha coinvolto l'onorevole Aboubakar Soumahoro e la moglie Liliane Murekatete, trascinando con loro tutto il mondo dell'accoglienza e del suo apparato ideologico; il Qatar-gate con il coinvolgimento, tra gli altri, della vice presidente del Parlamento Ue, la socialista greca Eva Kaili. Tre colpi che hanno fatto tremare anche le più solide certezze della sinistra più convinta della propria superiorità morale e, appunto, di genere.

Ieri, su Repubblica, si è esibita Concita De Gregorio, firma di punta della galassia politica che fonde il progressismo più chic con la difesa più radicale dei diritti delle donne. L'ex direttrice dell'Unità non si nasconde dietro una borsa di Louis Vuitton e, con coerenza, ammette subito la sua missione: difendere Liliane Murekatete. Tentativo più che legittimo, a patto di non sconquassare tutto il sistema di valori con il quale la sinistra per anni ci ha sconquassato le scatole. Cosa che puntualmente avviene. I due pilastri del pensiero della De Gregorio sono le basi della nuova sinistra dei diritti: cioè il diritto al lusso e il diritto all'esibizione del proprio corpo. Il primo teorizzato - con invidiabile coraggio - in diretta televisiva dall'onorevole Soumahoro e il secondo addebitato dalla giornalista a Chiara Ferragni. E potremmo anche fermarci già qui: perché se parlando di diritti siamo passati da Rousseau e Locke ai due sopraccitati, beh, qualche problema c'è, ci è sfuggita almeno una via di mezzo.

E ora, la De Gregorio, per difendere la passione di lady Soumahoro per borse griffate e foto sexy, la paragona proprio alla Ferragni, perché anche lei pubblica foto su Instagram con marchi di lusso e mutande bene in vista. Da queste colonne siamo sempre stati piuttosto severi con la regina delle influencer, ma cosa c'entra con Liliane Murekatete? Al netto di un certo insipido buonismo e uno spiccato qualunquismo vagamente di sinistra, la Ferragni non si è mai occupata di accoglienza e ha fatto i suoi (tanti) soldi nel nome del più spudorato capitalismo, senza nascondersi dietro il paravento dell'umanitarismo e soprattutto senza finire in torbide inchieste su milioni dispensati dallo Stato. Ma è diventata l'ultimo scudo dietro al quale i dem tentano di occultare le loro magagne. Un vizio antico, quello del doppiopesismo rosso. Sinistra al caviale, sinistra da ztl e comunisti col Rolex - per citare solo i più diffusi - non sono solo modi di dire e luoghi comuni. O meglio, nel tempo lo sono diventati, ma si basano su solide realtà fattuali. Per capire geograficamente dove vince la sinistra ormai non serve più consultare gli esperti di flussi elettorali, basta aprire immobiliare.it e cercare dove costano di più le case al metro quadrato. Il Pd, e i suoi cespugli sinistri, sono animali che abitano la fauna dei centri storici. Si sbracciano, dai loro salotti, per il proletariato, ma hanno l'orrore per le periferie proletarie, veleggiano su comode barche a vela - come il famoso Ikarus di D'Alema - lontano dai marosi del populismo e sopratutto del popolo. D'altronde l'ultimo comunista di successo di cui si abbia memoria è Fausto Bertinotti, uno che somigliava molto di più a un lord inglese che a un operaio di Mirafiori. E anche Olivia Palladino, compagna di Giuseppe Conte, neo avvocato degli ultimi, è già finita nel mirino del web per aver sfoggiato borse firmatissime: perfetta per essere la first lady della gauche.

Tra la sinistra e il lusso c'è sempre stato un grande feeling. E non ci sarebbe nulla di male, se non predicassero pauperismo per poi vivere come nababbi, se non detestassero il capitalismo salvo poi esserne ingranaggi oliatissimi, se non predicassero inclusività facendo parte di una della caste più esclusive. Il problema è solo uno: l'ipocrisia. Ultimo vero comune denominatore rimasto alla sinistra.

Alessandro De Angelis per “La Stampa” il 12 dicembre 2022.

In questa storiaccia, che annuncia uno scandalo gigantesco, di corruzione gozzovigliante - soldi nei borsoni che evocano la mazzetta gettata da Mario Chiesa nel water, padri in fuga col malloppo, mogli e figlie che prenotano vacanze faraoniche - peggio del denaro c'è solo la reazione balbettante della sinistra. Ed è proprio questa reazione, che col garantismo non c'entra nulla, a configurare il caso come un elemento di strutturale collasso politico e morale. Non il mariuolo o la classica mela marcia in un corpo sano.

Soumahoro e Panzeri, mutatis mutandis, ognuno con le sue signore, sono due volti dello stesso cinico modello: la disinvoltura, propria o familiare, agita dietro e grazie all'immagine pubblica di difesa dei diritti umani. Circostanza tale da rendere ancora più intollerabili quei comportamenti. 

A meno che il cronista non sia così limitato da non comprendere che non di cedimento morale si tratta, ma di diabolica e raffinata strategia posta in essere da chi, impegnato a criticare il capitalismo, quando si discute il Manifesto dei valori, adesso tace, da Articolo 1 al Pd: chissà, magari sembra corruzione ma è un modo per dissanguare i ricchi della terra, versione aggiornata al terzo millennio dell'esproprio proletario di cui Bruxelles è l'avamposto più avanzato.

Scherzi a parte, in questo assurdo dei principi, c'è chi arriva a consumare il reato senza neanche l'alibi ipocrita del "rubare per il partito", ma l'assenza di una messa a tema della questione morale, da parte dei vertici della sinistra, rivela un meccanismo omertoso generalizzato. Le cui radici sono nel fatto che "può capitare" a tutti, di ritrovarsi tra colleghi o famiglie altri Soumahoro o Panzeri, in un partito schiacciato sul governismo affaristico o dove il tesseramento è affidato ai capibastone.

E dunque, in un clima di appartenenza allo stesso consorzio politico-morale, nessuno ha la forza di difendere i valori, parola ridotta solo a chiacchiera nell'ammuina congressuale sui Manifesti. Accadde lo stesso con Nicola Oddati, responsabile delle Agorà di Enrico Letta, beccato a gennaio a Termini con 14mila euro in tasca, controllo non casuale perché da tempo la procura stava indagando per un presunto giro di favori con imprenditori: si dimise e finì lì. Come finì con la relazione Barca lo sforzo di rinnovamento del marcio partito romano, dopo Mafia Capitale.

In questo quadro si spiega la reazione della destra, tutto sommato misurata. Da un lato, da questa vicenda incassa il terreno ideale per una campagna contro le Ong; dall'altra preferisce (a sinistra) un gruppo dirigente condizionabile a una "piazza pulita" da cui nasca qualcosa di nuovo e insidioso. E non a caso il governo incontra D'Alema, gran consigliere di Conte e della sinistra Pd, nei panni di consulente di un gruppo di investitori qatarini pronti a competere per rilevare la raffineria di Lukoil a Priolo. La destra sa che questi dirigenti sono la sua polizza a vita.

(ANSA il 13 dicembre 2022) - Gli uffici dell'assistente dell'eurodeputato Pietro Bartolo all'Eurocamera di Strasburgo sono stati posti sotto sigillo, ha constatato l''ANSA. I sigilli sono stati apposti questa mattina, ha confermato una persona del suo staff.

Sandro Iacometti per “Libero quotidiano” il 13 dicembre 2022.

Da una parte c'è lo sgretolamento totale e definitivo, sulla scia di Mafia Capitale e dei casi Mimmo Lucano e Aboubakar Soumahoro, del grande castello di ipocrisia creato dalla sinistra oltre quarant' anni or sono con la famosa "questione morale" di Berlinguer. Una roba che, va detto, per essere vista fin dall'inizio con diffidenza non richiedeva grandi sforzi. 

Bastava leggersi non il libro, ma l'ultima pagina della Fattoria degli animali di Orwell per avere le idee chiare: «Le creature volgevano lo sguardo dal maiale all'uomo, e dall'uomo al maiale, e ancora dal maiale all'uomo: ma era già impossibile distinguere l'uno dall'altro». Dove l'uomo era ovviamente lo spietato oppressore e il maiale l'intrepido rivoluzionario.

Ma gli effetti del Qatar gate non si abbatteranno, purtroppo, solo su quel mondo dei buoni e degli onesti a prescindere in cui la corruzione, il mercimonio e lo sfruttamento dei più deboli dietro lo scudo della presunta superiorità morale si sono alimentati e diffusi. 

Tra i molti danni collaterali del clamoroso traffico di mazzette finito nel mirino della giustizia belga tra lobbisti e parlamentari europei di area socialista, molti dei quali legati a doppio filo al nostro Pd (e ai suoi cespugli) sta iniziando a materializzarsi anche quello di una colossale colata di fango sull'intero Paese. 

Per carità, con il passar delle ore si moltiplicano gli appelli a circoscrivere l'accaduto alle persone coinvolte, per evitare che il discredito si allarghi a macchio d'olio. Anche la presidente dell'europarlamento Roberto Metsola ha provato, aprendo la plenaria di ieri tra le urla e le proteste, a spiegare che «questo scandalo non è una questione di destra o sinistra, non è questione di nord o sud».

Epperò nei corridoi dell'europarlamento iniziano a circolare con insistenza espressioni come "italian connection" o "italian job". Ad alimentare la convinzione che si sia trattato di «un colpo all'italiana», del resto, ci sono anche le indagini che, allargandosi, vedono sempre più connazionali coinvolti.

Illazioni e accuse sicuramente velate e dette a mezza bocca, ma non così trascurabili. Al punto che ieri sera persino Antonio Tajani ha sentito il bisogno di respingere pubblicamente l'attribuzione geografica ed antropologica della responsabilità dello scandalo.

«L'Italia», ha detto il ministro degli Esteri in un punto stampa al termine del consiglio degli Affari esteri a Bruxelles, «è un grande Paese: se ci sono dei parlamentari o degli assistenti che hanno commesso dei reati, sono questioni che riguardano le singole persone, non il sistema Italia, come non riguardano il sistema Parlamento». 

Insomma, la frittata è fatta. Dopo il mandolino, la pizza e la mafia ora gli italiani nel mondo dovranno anche giustificarsi di non andare in giro con borsoni zeppi di banconote ricevute da Paesi arabi per ripulirgli un po' il pedigree in materia di rispetto dei diritti civili e sindacali.

E, per ironia della sorte o, come dicono quelli che parlano bene, per eterogenesi dei fini, a svergognare l'Italia in Europa alla fine ci hanno pensato proprio gli amici di quelli che hanno passato gli ultimi mesi a raccontare che a fare figuracce oltreconfine, mettendo in imbarazzo tutto il Paese, sarebbe stato il nuovo governo. 

Le vicende sono troppo recenti per essere dimenticate anche da un popolo con la memoria corta come la nostra. «Questa destra ci porterebbe molto lontano dai valori europei»; «Meloni lavora per sfasciare l'Europa»; «Noi vogliamo un'Italia che conti in Europa». Solo per citare alcune dichiarazioni fatte dal segretario dimissionario del Pd, Enrico Letta, durante la campagna elettorale. Che poi sono le frasi più innocue.

Già, perché tra intellettuali, politici e media di area le accuse che volavano erano ben più pe santi. Comprese quelle sulla imminente demolizione dei diritti civili, a cui alcuni alti esponenti delle istituzioni Ue hanno persi no abboccato, sostenendo che avrebbero vigilato sulle azioni del nuovo governo.

E mentre gli occhi di Strasburgo e Bruxelles erano tutti puntati sul centrodestra postfascista, nemico degli immigrati, omofobo, anti immigrati, anti Pnrr, anti patto di stabilità e anti tutto, gli eurodeputati del Pd si riempivano tranquillamente le tasche di tangenti per difendere il Qatar.

La beffa delle beffe è degli ultimi giorni, con tutte le opposizioni impegnate a descrivere un governo amico degli evasori, dei riciclatori di denaro e di chi gira coi contanti in tasca intenzionato a commettere reati di ogni tipo. 

Salvo poi scoprire che il tetto a 5mila euro inserito in manovra non solo è la metà di quello proposto dalla Ue, ma anche infinitamente più basso della quantità di contante con cui circolano normalmente i "sinistri" finiti sotto indagine nell'inchiesta sul la Tangentopoli Ue. 

Ma non è finita. Della serie il lupo perde il pelo ma non il vi zio, nelle ultime ore i due contendenti per la segreteria del Pd, Elly Schlein e Stefano Bonaccini, hanno fatto a gara a prendere le distanze dallo scandalo Qatar.

«La vicenda è gravissima e ripugnante», ha detto la prima. «Se confermato sarebbe uno scandalo clamoroso», ha detto il secondo. Il sottinteso è che quella ro ba appartiene al vecchio e marcio Pd, non al nuovo che si apprestano a guidare e rifondare. In altre parole, la superiorità morale vale ancora, ma solo per chi li vota.

Mozione Qatar. Il grande imbarazzo sulla nuova questione morale della sinistra. Mario Lavia su L’Inkiesta il 14 Dicembre 2022

Prima di trarre conclusioni bisogna aspettare le sentenze, ma la storia dei politici progressisti di Bruxelles merita comunque un chiarimento da parte dei leader vecchi e futuri del Pd e di Articolo 1

Nel tardo 1989, in una drammatica riunione del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana, Oscar Luigi Scalfaro, all’epoca uno degli esponenti più autorevoli di quel partito, intervenne senza giri di parole: «Ligato è un uomo nostro, non possiamo tacerne». Ludovico Ligato era il presidente del Ferrovie, democristiano, ucciso nell’agosto di quell’anno per motivi mai chiariti.

Scalfaro contestava il silenzio dei suoi amici democristiani perché «è un uomo nostro» ma non ebbe successo e il silenzio perdurò. Ecco, la cosa che certe volte fa più paura è questo, il silenzio. Che può significare due cose: o è vergogna o è instupidimento.

Enrico Letta ha chiesto doverosamente chiarezza e annunciato che il Partito democratico si costituirà come parte lesa. Bene. Ma non ci ha detto minimamente come sia stato possibile uno schifo del genere nella sua famiglia politica. Qualcuno anzi si scoccia pure e si dice «incazzato».

Se sono incazzati loro figuriamoci gli elettori. Ci fosse uno che abbia chiesto scusa (premettendo alle scuse l’estenuante ma giusto richiamo al garantismo), che abbia detto una cosa tipo «non ce ne siamo accorti, era una così brava persona», come dicono quelli del piano di sotto quando arrestano l’inquilino del piano di sopra.

E allora: Antonio Panzeri è stato un esponente del Pci-Pds-Ds-Partito democratico e infine Articolo Uno per decenni. «È un uomo nostro»: la frase di Scalfaro non l’ha detta nessun dirigente. È possibile, per quanto inquietante, che nemmeno uno si sia accorto della personalità di costui, forse di un probabile cambio del suo tenore di vita, che so, di un qualche cosa che non quadrasse con il cliché di ex sindacalista votato alla causa dei lavoratori di tutto il mondo, segnatamente, da ultimo, del mondo arabo.

I vari europarlamentari del Partito democratico di questi anni non lo hanno frequentato? Gli assistenti, che a Bruxelles lavorano ora per uno ora per l’altro, non hanno notato nulla? Così come è possibile, anche se allucinante, che i socialisti europei, e in particolare greci, non si siano mai accorti di che tipetto fosse Eva Kaili, una compagna talmente capace da essere eletta vicepresidente dell’Europarlamento su designazione dei socialisti. È possibile, anzi è probabile, che nessuno avesse sospettato alcunché. Ma allora sono tutti degli sprovveduti, dei tontoloni, degli addormentati.

Tra tante persone intelligenti e oneste non uno che avesse rizzato le antenne: un tempo, dispiace dirlo, a sinistra non funzionava così. C’erano gli anticorpi. A partire dalla sensibilità dei dirigenti.

Si dice: le mele marce ci sono sempre. Sì, ma qui sta emergendo un sistema, una rete che probabilmente è stata pazientemente intessuta per anni. Al di là dei luoghi comuni, che dice Pier Luigi Bersani, ex segretario del Partito democratico e leader morale di Articolo Uno che si appresta a rientrare nel Partito democratico? L’arrestato non era un uomo suo? Ha parlato Matteo Renzi, come al solito polemico: Panzeri «se ne andò dal Partito democratico perché diceva che io ero contro i valori della sinistra. Ma quali erano questi valori?».

Renzi era segretario del Partito democratico quando nel 2014 Panzeri venne ricandidato, ma giova ricordare che le liste elettorali sono lottizzate tra le correnti ed è difficile che una corrente metta il becco sulle scelte delle altre: e anche questo nel Partito democratico ci sarebbe da correggere. E Articolo Uno, un partito così piccolo, non si accorge che c’è del marcio a Bruxelles che origina da un suo esponente? Nessuno se n’è accorto ma è proprio questo che sotto il profilo politico preoccupa.

Si aspettano i risultati delle indagini, com’è giusto, e poi dei processi, ma pare veramente difficile a questo punto pensare che si tratti di un errore giudiziario, visto che ci sono personaggi, come il padre della ex vicepresidente greca, che scappano con il bottino; e va sempre ricordato che le responsabilità penali sono personali.

Le responsabilità politiche però no, sono collettive. Sono dei partiti, Partito democratico e Articolo Uno che ormai è nel Partito democratico. Stefano Bonaccini ha ricordato Enrico Berlinguer e la questione morale: solo che ora la questione morale è un problema della sinistra. Quella sinistra che ha il dovere di capire e di spiegare come sia stata possibile questa roba soprattutto per rispetto dei suoi elettori, già frastornati dalla crisi di questi mesi a cui si aggiunge adesso la vergogna di «un uomo nostro» al centro di uno scandalo internazionale. Il grande silenzio è la risposta peggiore.

È fin troppo facile, vista l'implicazione di una parlamentare greca nel cosiddetto affare Qatar, evocare la figura della nemesi. Marco Gervasoni il 14 Dicembre 2022 su Il Giornale.

È fin troppo facile, vista l'implicazione di una parlamentare greca nel cosiddetto affare Qatar, evocare la figura della nemesi. Ma così è. Pensiamoci: l'area politica socialista che, dal crollo del Muro di Berlino in poi, per sostituire una nuova utopia con quella appena morta, è stata la più fanatica sul piano dell'europeismo, sposato con i diritti e il secolarismo multiculturalista, è anche quella che sta danneggiando maggiormente non solo il sogno europeo, come tale irrealizzabile, ma anche la Unione Europea reale. Le banconote di decine di migliaia di euro in casa di parlamentari, ex parlamentari, loro collaboratori; le ong, le sacre ong, utilizzate come organizzazioni di raccolta fondi per spese sembra personali, le vacanze a 9 mila euro, paiono uno scenario che neppure i brexiters più scatenati, i Nigel Farage, le Le Pen e i Salvini di un tempo, avrebbero potuto costruire, nella loro propaganda per l'uscita dalla Ue e dall'euro. E oggi ancora, a gongolare è Orban, che può accusare di ipocrisia il Parlamento europeo, promotore, non senza ragione, di mozioni per condannare la corruzione e la violazione dello stato di diritto in Ungheria. Violazioni certo presenti, ma se poi paragoniamo Budapest a Doha, Orban ne esce come un seguace di Soros.

Non ultimo, l'effetto negativo è anche nei confronti della Russia, la cui propaganda ora afferma di non voler prendere lezioni da un'entità corrotta come la Ue - benché un europarlamentare Pd, non indagato, ma lambito, sia anche uno di quelli che vota regolarmente pro Putin da quando è iniziata la guerra.

Come scriveva nell'editoriale di ieri il Financial Times, «che regalo agli anti europeisti», tanto più che il parlamento si presenta come «la coscienza morale dell'Europa». Certo, siamo tutti garantisti, anzi lo siamo più noi degli esponenti del Pd, che fingono di non conoscere figure elette per diverse legislature e prestigiosi esponenti del loro gruppo, il Pse. Ma certo, i socialisti dovrebbero chiedersi perché i paesi arabi abbiano puntato soprattutto su di loro: la risposta, tra le tante, è che mai nessuno, come loro, ha sviluppato un rapporto cosi forte con l'Islam, con tutto il correlato di tolleranza verso l'immigrazione clandestina e legami con le ong. E chi ha fatto crescere maggiormente l'Islam nelle società europee, se non sindaci e premier di partiti del Pse? Insomma, come nell'antica tragedia, la nemesi non è cieca e finisce sempre per colpire laddove deve.

La superiorità morale del Pci, storia di un tragico equivoco. Giovanni Vasso su L’Identità il 15 Dicembre 2022

“I partiti di oggi sono soprattutto macchina di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti e passione civile, zero”. No, non è un post social di uno dei tanti populisti del web che si scagliano contro ciò che è diventata la sinistra. No, questa frase, che oggi farebbe suonare le sirene democratiche, è stata pronunciata da Enrico Berlinguer e raccolta da Eugenio Scalfari in quell’intervista, ormai mitologica, sulla “questione morale” nella politica italiana. Era il 28 luglio del 1981. “La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un boss e dei sotto-boss”. Forse sono parole troppo dure, eppure la descrizione che Berlinguer fece quarantadue anni fa della Dc e (soprattutto) del Psi, che stava erodendo consensi ai comunisti, non è molto lontana dalla percezione che gli italiani hanno del (fu?) maggior partito della sinistra italiana che oggi sprofonda, letteralmente, nei sondaggi. La superiorità morale dei comunisti, più che un fatto politico è stato un dogma, una verità di fede, un preciso schema strategico. Tutti rubano, tranne il Pci. Tangentopoli avrebbe dovuto dimostrarlo, la sinistra italiana venne soltanto lambita dall’ondata di avvisi di garanzia che, invece, travolse il Psi di Bettino Craxi. “Ora legale, panico tra i socialisti”, fu il titolo non solo di un giornale ma di una stagione politica. Di Primo Greganti si parlò poco, così come del dossier Mitrokhin e dei rubli da Mosca, mentre infuriava, sulla parte avversa, la polemica Gladio. Achille Occhetto per un attimo ci aveva creduto: i Progressisti avrebbero portato, finalmente, l’onestà al potere. Arrivò Berlusconi nel ‘94, e vinse lui. Aprendo una nuova stagione in cui la sinistra, con il pio e dimesso Romano Prodi, si poneva come argine morale alla decadenza tele-bizantina di cui il Cav sarebbe stato simbolo e causa insieme. Finì anche quella stagione. E gli ex comunisti col santino di Berlinguer in tasca e la Santa alleanza con i democristiani (“buoni”, come scrive Paolo Cirino Pomicino) della Base, si scordarono di badare alla profezia di un grande socialista, Pietro Nenni: “A fare i puri, prima o poi, si trova uno più puro che ti epura”. Arrivò Beppe Grillo e il Vaffa day nel 2008. Fu respinto. Nacque il M5s su gentile (e auto-jettatorio) invito di Piero Fassino. Raccolse l’eredità dei puri, degli onesti, appropriandosi, nel 2018, di tutte le roccheforti che furono rosse. Cinque anni dopo, la parabola era già finita. Ma Giuseppe Conte, piuttosto che rintanarsi sulla questione morale, è sceso in campo agitando le ragioni dei ceti più poveri e del Sud. Gli fecero il funerale, ridacchiando di lui. Oggi si ritrova la possibilità di diventare lui il maggior partito di sinistra in Italia. Enrico Letta, puntando tutto sull’antifascismo, vecchio richiamo della foresta e insieme tentativo di aggiornare la questione morale inquadrandola su base ideologica, ha fallito. Il Pd deve cambiare ma con Bonaccini e la sua vice Schlein già è sotto il 15% dei sondaggi. 

BONIFEI: “Il Pd ha la schiena dritta da Soumahoro a Panzeri serve pulizia e trasparenza”. Edoardo Sirignano su L’Identità il 15 Dicembre 2022

“Siamo i primi a pretendere chiarezza e trasparenza”. A dirlo Brando Benifei, capodelegazione del Partito Democratico al Parlamento Europeo.

La vicenda del Qatar tocca più di qualcuno del Pd. Non Benifei, ma diversi suoi colleghi hanno avuto rapporti con queste persone. Lei non sapeva nulla di tutto ciò…

No, e non vedo come avrei potuto saperlo. Come Partito Democratico ci costituiremo parte lesa nel processo che ora si terrà in Belgio, ed esigiamo la massima chiarezza su una vicenda dai contorni che appaiono assolutamente vergognosi.

Se i parlamentari del vostro gruppo non c’entrano niente, è mai possibile che non sapessero cosa facessero i loro collaboratori?

Gli assistenti parlamentari sono figure di altissima professionalità, che hanno competenze sul fronte legislativo e fanno un lavoro di studio e approfondimento sui dossier. Come potevano alcuni eurodeputati pensare che tra queste figure vi fosse qualcuno che agiva per interessi particolari o corruttivi?

Tutta questa vicenda rischia di penalizzare il vostro partito?

Il Partito Democratico ha dimostrato con i fatti di aver tenuto la schiena dritta sulla questione dei diritti umani in Qatar. Su questo non possono esserci ambiguità di giudizio, parlano i nostri voti e le nostre interrogazioni.

De Magistris dice che non si tratta di qualche mela marcia, ma di un vero e proprio sistema…

Non accetto che passi l’idea che il Parlamento Europeo si sia lasciato corrompere. Se ci sono state influenze su qualcuno si faccia luce rapidamente. Proprio noi abbiamo voluto che il Parlamento Europeo aprisse, anche con una apposita Commissione Speciale, che ha lavorato in questo anno, una vera riflessione sulle influenze e gli attacchi alla democrazia europea da parte di Stati esteri, come la Russia di Putin.

A più riprese ha detto che è solo colpa delle destre. Perché?

Non ho detto che è “solo” colpa delle destre, ma è un fatto che i Socialisti e Democratici siano la forza politica che ha sempre voluto e votato per istituire un organismo indipendente sulle questioni di etica pubblica nelle istituzioni europee e maggiori restrizioni per i lobbisti, mentre i gruppi politici di destra si sono opposti. Ora cambino idea e supportino con noi la richiesta per una commissione d’inchiesta sui fatti di questi giorni.

Cosa vi distingue dalle destre?

Oltre a quanto già detto, ricordo che la destra italiana ed europea non ha votato gli emendamenti di maggiore condanna al Qatar sostenuti dal Partito Democratico e presentati dal gruppo della Sinistra. In questi anni quante volte siamo stati solo noi a spingere per vincolare gli accordi commerciali, a migliori risultati sul tema della tutela dei diritti umani.

Quanto è importante la questione morale nella vicenda e soprattutto che idea avete oggi su Doha, i mondiali e quanto accade a quelle latitudini?

La nostra posizione è sempre stata la stessa: la delegazione che guido al Parlamento Europeo ha tenuto, sin dall’inizio, una linea molto dura nelle votazioni sul Qatar, supportando anche emendamenti fuori dall’accordo principale fra i gruppi politici per essere ancora più netti sulla condanna delle violazioni dei diritti dei lavoratori e della comunità LGBTQ, tema su cui ho anche presentato una successiva interrogazione chiedendo a Borrell di richiamare il nostro Ambasciatore Ue presso il Qatar.

Non ritiene che il Pd, così come le altre forze, debba prestare più attenzione quando sceglie collaboratori e staff?

Mi preoccuperei piuttosto di regolare in modo più stringente le attività degli ex parlamentari, di qualsiasi colore essi siano. Dobbiamo mettere fine al fenomeno delle porte girevoli o di attività usate come paravento. L’ex Presidente della Commissione Barroso è andato a lavorare dopo pochissimo tempo dal termine del suo mandato per la Goldman Sachs, su queste storie c’è stato sempre troppo lassismo. E in questo specifico caso, l’idea stessa che si possa lucrare sulla lotta per i diritti umani mi suscita un profondissimo sdegno.

Come pensate, intanto, di interagire con chi ha come unico fine quello di fare chiarezza su tutto ciò?

Rispondendo nel merito e con i fatti. Siamo i primi a pretendere chiarezza e trasparenza, è il nostro lavoro che viene danneggiato da queste vicende.

In politica può capitare di sbagliare. Occorre, però, determinazione nel prendere le distanze da certi atteggiamenti. Basti pensare al caso Soumahoro, dove c’è molta ambiguità. Questa volta sarà tracciata una linea netta?

L’abbiamo già tracciata e continueremo a farlo, penso che questo scandalo sia l’occasione per migliorare e rendere molto più forte la nostra democrazia europea, non c’è alternativa.

Il Pd fiaccato dagli scandali ora rivuole il finanziamento pubblico. Carlantonio Solimene su Il Tempo il 16 dicembre 2022

La teoria ha un certo fascino: se oggi il finanziamento pubblico ai partiti non c'è più; se i giornali di partito sono rimasti senza soldi e hanno abbassato le serrande; se la figura dei funzionari di partito- nell'impossibilità di pagar loro gli stipendi- si è praticamente estinta; se, in sintesi, per chi fa politica la poltrona di parlamentare è l'unica possibile fonte di reddito, allora è da ipocriti scandalizzarsi se c'è qualcuno che, per mettersi in sicurezza, si mette a fare il lobbista, nella migliore delle ipotesi. O incassa tangenti, nella peggiore.

Il naturale corollario della tesi è il seguente: ritorniamo ai contributi statali e non avremo più scandali come il «Qatargate» che sta facendo tremare la sinistra. Ragionamento suggestivo, come detto, e finanche condivisibile. Se non fosse per due particolari. Il primo è che la corruzione c'era anche prima, quando i partiti erano generosamente foraggiati dal bilancio pubblico. E, d'altronde, il referendum del 1993 sull'abolizione del finanziamento ottenne un sì plebiscitario (90%) proprio sull'onda del più celebre di quegli scandali, Tangentopoli.

La seconda obiezione, invece, sta nel fatto che fu la medesima sinistra a schierarsi per lo stop ai fondi statali. Prima cavalcando il referendum del 1993, poi abolendo - con il governo Letta nel 2013 - anche i rimborsi elettorali che ne avevano preso il posto.

Eppure sono stati due esponenti del Pd non certo di secondo piano- il vicesegretario Giuseppe Provenzano e Gianni Cuperlo, in procinto di candidarsi alla segreteria- a indicare nella fine del finanziamento pubblico il padre di tutti i mali. Ed è stato incardinato al Senato un ddl per reintrodurlo firmato dal senatore Dem Andrea Giorgis. «Se sopprimi ogni forma di finanziamento della politica argomenta Cuperlo - rimanere nelle istituzioni diventa il traguardo a cui non puoi rinunciare. I soldi gli strumenti per conservare lo status. Le responsabilità sono sempre personali, ma paghiamo anche gli errori di questi anni, a partire dalla selezione dei gruppi dirigenti.

C'è il ritorno a un accesso patrimoniale alle cariche elettive. Chi non è nelle istituzioni non esiste». «Se negli anni passati - aggiunge Provenzano all'Huffington Post un'intera classe dirigente non ha avuto le palle, scusi il termine, per opporsi al vento populista, se siamo stati noi ad abolire il finanziamento pubblico ai partiti, allora vuol dire essere pronti a rinunciare al "professionismo della politica". È un errore, a mio avviso».

Dai rimborsi ai rimorsi il passo è breve. Male obiezioni restano. La prima: la battaglia culturale sul finanziamento pubblico non era il caso di farla quando la decisione di abolirlo fu presa? Ora che i buoi sono scappati non è tardi per chiudere il recinto? E ancora: come conciliano Cuperlo e Provenzano l'improvvisa sterzata anti -populista con l'auspicio a riallacciare i ponti col M5S, il «partito» più populista e anti -casta di tutti? E, infine, dopo giorni di imbarazzato silenzio, davvero l'unica riflessione arrivata da sinistra sul «Qatargate» (e sul caso Soumahoro) è sulla necessità di reintrodurre il finanziamento pubblico? Che fine ha fatto la questione morale? E il tradimento ideale di chi ha sfruttato il «bene» (le coop e le ong) per fare il «male» (corruzioni e tangenti)? E il fatto che lo scandalo abbia colpito solo la sinistra e non la destra? Davvero si può ridurre tutto questo all'assenza di contributi statali? Davvero si rimetterà tutto a posto con quello che Provenzano chiama «l'elogio del funzionario di partito»? Per il Pd, evidentemente, sì. Caso chiuso, compagni.

Da iltempo.it il 15 Dicembre 2022.

Maria Giovanna Maglie umilia il capo delegazione Pd in Ue Brando Benifei. Rilanciando un post dell'account non ufficiale della Lega esteri che riporta l'intervista di Benifei a La Stampa, Maglie esprime il suo parere sulle dichiarazioni rilasciate dal dem europeo. 

"Ridicolo". Il big Pd finisce nel mirino di Maglie, fucilato con una parola

Nell'intervista al quotidiano torinese Benifei prova ad accusare la destra sullo scandalo Qatargate. "Se il Parlamento europeo rischia dei casi di corruzione è colpa della destra che ha sempre bloccato norme più rigide sul tema" dice l'eurodeputato nell'attacco dell'articolo. Non solo. Benifei non esprime una forte condanna nei confronti dell'ex eurodeputato Antonio Panzeri, arrestato con l'accusa di aver preso soldi dal Qatar per influenzare il Parlamento Ue, e punta invece il dito sulla destra perché "hanno un numero di persone inquisite e condannate veramente elevato, anche in Italia". Poi Benifei si lancia in un surreale attacco frontale alla Lega: "Questa vicenda ci scandalizza, ci poniamo il problema di risolvere queste cose, mentre a destra non capisco quanto ad esempio è stata presa con serietà la vicenda dei 49 milioni della Lega o altre gravi vicende giudiziarie". E di fronte a questo tripudio di assurdità Maglie risponde a tono, in modo conciso e calzante come è nel suo stile fare: "Che faccia di..."

Qatargate, "dire che tutta la sinistra è di mazzettari..." Bocchino sbotta e zittisce Padellaro. Giada Oricchio su Il Tempo il 15 dicembre 2022

Il Qatargate scuote il Parlamento europeo e la sinistra. Lo scandalo su un vorticoso giro internazionale di tangenti, con cui il Paese qatariota ha corrotto esponenti del Parlamento UE allo scopo di ottenere appalti, interferire e condizionare le scelte europee, si preannuncia una valanga giudiziaria (sarebbero almeno 60 i deputati coinvolti, nda). Se ne parla a “Otto e Mezzo”, il talk preserale condotto da Lilli Gruber su La7, giovedì 15 dicembre.

Il direttore del Secolo d’Italia, Italo Bocchino, ha condannato senza se e senza ma. “Tutto questo mi fa schifo tre volte. Mi schifo e basta. Mi fa schifo perché queste persone sono state trovate con pacchi di soldi a casa in un modo ignobile e mi schifo perché si sono venduti sui diritti umani, un valore che la sinistra rivendica”.

Al momento, i magistrati belgi hanno fatto arrestare per corruzione Antonio Panzeri, ex parlamentare Pd e Articolo Uno, l'ex vicepresidente dell’Europarlamento, Eva Kaili, eletta nelle liste del Movimento socialista panellenico e il compagno. E questo dà modo a Bocchino di affondare il colpo: “E’ la pietra tombale sulla superiorità della sinistra”.

L’affermazione ha indispettito l’ex direttore de “Il Fatto Quotidiano”, Antonio Padellaro: “La storia della superiorità è una fesseria che non so chi ha inventato… siamo di fronte a una serie di personaggi presi con le mani nella marmellata, ma da qui a coinvolgere un’intera classe dirigente della sinistra no! I dirigenti sono onesti e perbene, è inaccettabile dire che a sinistra sono tutti mazzettari”.

L’ex deputato di Forza Italia ha insistito: “Io non ho detto che sono tutti mazzettari, ho detto che ci sono mazzettari di sinistra con 600mila euro nei trolley che volevano spiegare all’Europa che i diritti umani in Qatar erano perfetti. Questo fa schifo. Ci sarà almeno una ‘culpa in vigilando’? Una sbagliata selezione della classe dirigente? Almirante e Berlinguer non avrebbero mai permesso a personaggi simili di varcare la soglia del loro partito”.   

Francesca Basso per il “Corriere della Sera” il 15 Dicembre 2022.

Le risoluzioni d'urgenza del Parlamento Ue sui diritti umani diventano un caso e si accende un faro sull'accordo sull'aviazione del 2021 tra Ue e Qatar. Tutte le iniziative del Parlamento Ue che riguardano i Paesi del Golfo suscitano ormai sospetto. 

Il Ppe ha deciso «di non partecipare a nessuna preparazione, negoziazione, discussione o votazione in plenaria nel contesto delle risoluzioni d'urgenza» alla luce delle indagini penali in corso «estremamente preoccupato per l'integrità delle posizioni di politica estera del Parlamento Ue espresse nelle risoluzioni d'urgenza».

La decisione del Ppe ha effetto immediato e sarà annunciata in plenaria domani. La decisione non è stata apprezzata da Renew Europe che su Twitter ha spiegato che «il silenzio del Parlamento Ue sulle violazioni dei diritti umani è esattamente ciò che le tangenti del Qatar miravano a ottenere. Noi a Renew Europe siamo determinati a continuare a gridare le atrocità». La replica sempre via social del Ppe è stata che «nulla impedisce al Parlamento di denunciare le violazioni dei diritti umani attraverso la commissione per gli Affari esteri». 

Il Ppe è finito ieri al centro della polemica per il suo eurodeputato ceco Tomá Zdechovský, presidente del gruppo Friends of Bahrain al Parlamento Ue, che il 13 dicembre ha presentato una mozione per una risoluzione sul caso del difensore dei diritti umani Abdulhadi Al-Khawaja in Bahrein.

Su Twitter Maryam Al-Khawaja, figlia dell'attivista condannato all'ergastolo nel 2011 durante la repressione delle proteste, ha contestato a Zdechovský «la sua relazione e i viaggi pagati in Bahrain con il governo». E la danese Karen Melchior ha chiesto a Zdechovský di farsi da parte. 

Nella conferenza dei presidenti di lunedì il Ppe aveva proposto di non presentare la risoluzione sul Bahrain, come elemento di garanzia ma dopo un acceso dibattito, dietro pressione di liberali, socialisti e Left, i gruppi hanno deciso di procedere. C'è chi ha osservato che la mozione non chiedeva nemmeno la scarcerazione di Al-Khawaja. 

Faro acceso anche sull'accordo firmato nel 2021 tra Ue e Qatar per aggiornare le regole per i voli tra il Paese del Golfo e l'Unione, che è già applicato ma deve essere ratificato dagli Stati membri, quindi dall'Ue ma con il consenso del Parlamento Ue (per completare il processo ci vorranno dai 5 ai dieci anni).

L'intesa prevede per le compagnie aeree del Qatar la possibilità di operare voli diretti in qualsiasi aeroporto dell'Ue e viceversa. Ieri l'eurodeputata della Left Leïla Chaibi ha presentato un emendamento che aggiunge la sospensione dell'accordo Ue-Qatar al punto 14 della risoluzione che vota oggi il Parlamento in cui si chiede la sospensione di «tutti i lavori sui fascicoli legislativi relativi al Qatar, specie per quanto riguarda la liberalizzazione dei visti e visite programmate, fino a quando i sospetti non saranno confermati o respinti».

Eurotangenti, il ruggito del Ppe: «Non è un Qatargate, ma uno scandalo socialista». Valerio Falerni su Il Secolo d’Italia il 15 Dicembre 2022.

Lo scandalo delle eurotangenti fa scricchiolare la cosiddetta “maggioranza Ursula” in auge a Strasburgo e a Bruxelles. A rompere la tregua è un ruggente tweet con cui il Ppe ha deciso di parlare il linguaggio della chiarezza. «Dobbiamo affrontare questa ipocrisia – vi si legge -: il gruppo dei socialisti, “il più santo dei santi” è l’epicentro del Qatargate ed è ora che siano ritenuti responsabili. Le loro lezioni sullo stato di diritto si sono ora dimostrate ipocrite». Della serie: pane al pane e vino al vino. Il tutto a poche ore dal voto dell’Eurocamera sul testo unitario di condanna dell’eurocorruzione. Probabilmente, a consigliare al Ppe di rompere la tregua con i socialisti è stato il timore di un giudizio forfettario sull’accaduto.

Tweet dei Popolari incrina la “maggioranza Ursula”

Da qui la decisione di passare all’attacco. «C’è stato uno sforzo costante per trasformare il Qatargate in una questione esclusivamente istituzionale – si legge ancora nel tweet -. Ma questo scandalo non è orfano. Non è apparso dal nulla. Non è successo da solo. Ha un nome. Ha un indirizzo. E questo è il gruppo S&D». E a beneficio di chi eventualmente non avesse capito, il Ppe ha allegato una foto che riporta la scritta «non è il Qatargate ma uno scandalo S&D». La sortita dei Popolari europei interessa moltissimo anche il nostro Paese, che rischia di veder classificato come italian job lo scandalo qatariota.

Ma il Qatargate non è neanche un italian job

Inutile rimarcare che a tanto contribuisce anche parte della nostra stampa mainstream. Ma è uno scandalo socialista. Del resto, tutto ruota intorno alle ong. Le stesse che, come ha spiegato agli inquirenti uno degli arrestati, Francesco Giorgi, «servono a far girare i soldi». I soldi della corruzione, per l’appunto. Vale per i diritti umani in Qatar, vale per l’accoglienza dei migranti (vedi suocera di Soumahoro), vale per le coop (vedi il Buzzi di Mafia Capitale: «Rendono più della droga»). Un sistema, insomma, da sempre incarnato nella sinistra. Ecco perché ha ragione il Ppe a dire che il pasticciaccio brutto di Bruxelles «non è un Qatargate». Né, aggiungiamo noi, un italian job.

Estratto dell’articolo di Gianni Barbacetto per il “Fatto quotidiano” il 15 Dicembre 2022.

[…] L'arresto di Antonio Panzeri ha scoperchiato uno scandalo che ha per protagonisti sindacalisti, politici e persone di sinistra che avrebbero dovuto difendere i diritti dei lavoratori e invece accettavano (tanti) soldi (dal Qatar e non solo) per convincere l'Europarlamento che i 6 mila operai morti nei cantieri dei Mondiali (fonte The Guardian) erano uno scherzo […]

[…] temo che questa storia di corruzione sia una conseguenza patologica dell'affarismo praticato da anni da una parte della sinistra italiana. 

Panzeri è cresciuto nel Pci come fedelissimo di Massimo D'Alema ed è politicamente figlio di quel Filippo Penati che era stato sindaco Pci di Sesto San Giovanni e poi, da presidente della Provincia di Milano, decise di comprare (con soldi pubblici, e a caro prezzo) dal costruttore e re delle autostrade Marcellino Gavio la maggioranza della Milano-Serravalle. Gavio incassò 238 milioni, vendendo a 8,93 euro azioni che solo diciotto mesi prima aveva pagato 2,9 euro e realizzò una plusvalenza di 176 milioni.

Penati dissanguò le casse della Provincia per acquistare una autostrada che […] era già a maggioranza pubblica. […] Gavio utilizzò una parte di quelle plusvalenze (50 milioni) per appoggiare le scalate dei "furbetti del quartierino", sostenendo Giovanni Consorte, il presidente di Unipol (la compagnia d'assicurazioni delle coop rosse, legata al vecchio Pci), nella sua scalata alla Banca nazionale del lavoro.

E Penati fu premiato da Pier Luigi Bersani che lo chiamò a diventare il capo della sua segreteria politica. In quella stessa, cruciale estate del 2005, Piero Fassino, allora segretario dei Ds, telefonò a Consorte (intercettato) e gli pose la domanda destinata a entrare nella storia politica italiana: "Allora, abbiamo una banca?". Era la Bnl, che Consorte credeva di aver conquistato.

[…] Bersani chiama "la Ditta" quel gruppo politico proveniente dal Pci […] "La Ditta" […] connota un gruppo in cui la lunga pratica del potere e la consolidata abitudine a governare hanno avuto l'effetto di saldare la politica con gli affari. Con il rischio di far via via prevalere gli affari sulla politica. […]

Superiorità morale, così crolla la bugia. L'opera di corruzione del Qatar nel Parlamento europeo per favorire una sorta di amnesia collettiva - e istituzionale - su come i diritti umani vengono calpestati in quel Paese, ha avuto un unico interlocutore e protagonista: la sinistra. Augusto Minzolini il 12 Dicembre 2022 su Il Giornale.

A volte si rimuovono il passato e le proprie convinzioni ideologiche ed etiche in un batter d'occhio. Con un colpo di spugna si cancella dalla memoria ciò che si è predicato per mezzo secolo. L'opera di corruzione del Qatar nel Parlamento europeo per favorire una sorta di amnesia collettiva - e istituzionale - su come i diritti umani vengono calpestati in quel Paese, ha avuto un unico interlocutore e protagonista: la sinistra. Questo, almeno per adesso, è un dato di fatto. E solo ora, in assenza di una linea di difesa credibile, il commissario europeo Paolo Gentiloni, ex premier del Pd, ammette: «Penso che la sinistra abbia riconosciuto che comportamenti di corruzione non sono appannaggio della destra o della stessa sinistra. I corrotti sono di destra e di sinistra».

Ragionamento che non fa una piega, perché l'onestà, come la corruzione, non ha colore. Purtroppo, però, la sinistra, in tutte le sigle cangianti con cui si è presentata negli anni, ha sempre teorizzato il contrario. È sempre vissuta, da Enrico Berlinguer in poi, nel mito della propria diversità, pardon della propria superiorità morale. Un totem che ora viene drasticamente meno. Ciò che è avvenuto a Strasburgo, infatti, mette fine ad una rendita di posizione di cui per decenni ex-comunisti, cattocomunisti, sinistra democristiana, ds, margherite, ulivi e partiti democratici o articoli uno, hanno sempre beneficiato, coltivando un'illusione - o una maleodorante bugia: quella che gli schieramenti politici non si formano sulle idee, ma sull'etica.

Ora è rimasto solo qualche Savonarola da strapazzo a teorizzarlo. Anche perché accettare mazzette da chi considera nel proprio Paese la vita e la libertà delle persone meno di niente mentre si mettono in piedi Ong per la difesa dei diritti umani, dimostra che tutto è in vendita: ideologia, coscienza e anima. Qualcuno ha fatto il paragone con Tangentopoli, ma neppure questo calza, perché la maggior parte degli indagati e dei condannati di allora fu mandato al «patibolo morale» per finanziamento illecito ai partiti, cioè le mazzette nella maggior parte dei casi - non tutti, perché i mascalzoni ci sono sempre stati - servivano a tenere in piedi un'attività politica, cioè coltivare nella società idee, appunto, di centro, di destra o di sinistra. Qui, invece, il paravento degli ideali di libertà e di rispetto della vita umana servono solo a consegnare le vittime che, sulla carta, si difendono ai carnefici. Appunto, si vende l'anima al diavolo.

Per cui non c'è alibi, motivazione, ragione che in questo caso possa coprire il marcio. Questa vicenda è la pietra tombale sulla diversità della sinistra perché la corruzione investe l'ultima bandiera di quel mondo, cioè la difesa dei diritti umani, delle libertà e del rispetto dei lavoratori, le battaglie su cui partiti e sindacati si sono concentrati, dall'immigrazione alla lotta contro le autocrazie. Ma c'è anche un elemento simbolico da non trascurare. La storiaccia è ambientata in un posto che la sinistra ormai da anni ha eletto a luogo sacro contro il populismo e il sovranismo: il Parlamento europeo. E, invece, grazie ai nuovi farisei che oggi si alimentano di «retorica europeista» come ieri di «questione morale», i mercanti hanno violato il tempio.

Il bianco e il nero. "Qatar? A sinistra finalmente sono 'normali'.." "Una vicenda ininfluente" Il caso Qatar e il caso Somahoro hanno sconvolto la sinistra. Ecco le opinioni dei sondaggisti Nicola Piepoli e Antonio Noto. Francesco Curridori il 13 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Il caso Qatar e il caso Somahoro hanno sconvolto la sinistra. Per la rubrica il bianco e il nero abbiamo raccolto le opinioni dei sondaggisti Nicola Piepoli e Antonio Noto.

La vicenda delle mazzette arrivate dal Qatar quanto danneggia il Pd e la sinistra?

Piepoli: “Il danno lo hanno ricevuto dalle elezioni, non dal Qatar. Si sono disfatti, hanno lottato per perdere e hanno perso. Di questa vicenda mi vien da dire solo questo: ‘Finalmente sono normali, rubano anche loro’. Che, poi, è ciò che pensa anche l’opinione pubblica. Pensa che sono normali filibustieri, altro che ‘sacre ruote del carro della vita’. E, in effetti, personalmente, ritengo questa una vicenda normale e priva di qualsiasi rilevanza politica”.

Noto: “Il Pd è in calo da mesi. Dalle elezioni a oggi è passato dal 19 al 16%. Non è detto che subirà un’ulteriore flessione dovuta a questa vicenda. Il vantaggio è che i parlamentari europei coinvolti sono poco noti. Il problema che si pone in vista del congresso Pd, casomai, è quello relativo alle regole da darsi per non incorrere in questi rischi?”

Il caso Somahoro com’è stato percepito dall’opinione pubblica?

Piepoli: “Non abbiamo fatto rilevazioni in merito a questo caso, ma posso dire ciò che ho percepito io. Anche in questo caso si tratta di una normale vicenda che non appassiona l’opinione pubblica che, in realtà, è molto più interessata all’esito dei Mondiali di calcio. ‘Panem et circenses’ dell’imperatore Claudio è valido ora come nel 53 a.C.”.

Noto: “C’è stata una forte delusione perché Somahoro era diventato un personaggio pubblico. Non sono i singoli fatti che spostano il consenso però, anche se c’è stata una forte delusione, non è detto che qualcuno cambi la propria intenzione di voto”.

Minacce alla Meloni. Il premier passa come vittima oppure ha sfruttato mediaticamente le intimidazioni ricevute?

Piepoli: “No, la Meloni è una donna che si fa rispettare. È l’unica donna post-fascista in Italia ed è riuscita a imporsi in un partito di maschi. Sono convinto che governerà bene e per cinque anni”.

Noto: “Questi eventi, invece, colpiscono molto gli italiani che sono molto attenti a queste cose. Gli italiani si sentono sicuramente vicini al premier e la Meloni ne esce ‘vittima’ in termini politici”.

Alla Meloni converrebbe elettoralmente ritirare la querela nei confronti di Saviano?

Piepoli: “Ritirare una querela è sempre un atto d’onore e, se lo facesse, avrebbe la mia ammirazione. Ma, se non la ritira, fatti suoi. Non è un qualcosa che tocca l’opinione pubblica. È solo un problema personale. Al Paese interessa che ci siano più posti di lavoro, non Saviano. Chi è Saviano? Che cosa ha prodotto per il Paese?”.

Noto: “Il consenso a un partito politico non cambia come noi cambiamo i programmi televisivi. Il consenso è più duraturo che cambia in base a più fattori. Dovendo pensare al proprio elettorato, non dovrebbe ritirare la querela. Se, invece, volesse rendersi più attraente verso l’elettorato di sinistra che non l’ha votato, allora dovrebbe ritirarla. Fare una scelta o l’altra non sposta consenso nell’immediato”.

Regionali nel Lazio e nella Lombardia. Chi è il favorito?

Piepoli: “I tre candidati della Lombardia sono tutte persone degne e preparate per governare una Regione che ha il Pil della Svizzera. Sul Lazio non abbiamo ancora dati. Al momento, però, posso dire che non c’è alcun favorito certo”.

Noto: “Nel Lazio è difficile dirlo perché mancano ancora i candidati. Il centrodestra, è avanti, ma senza il candidato si può dire poco, ma non è certamente un buon segnale. In Lombardia è avanti Fontana e subito dopo Majorino e la Moratti si contendono il secondo posto. Secondo i nostri sondaggi il candidato del Pd è un po’ più avanti, ma per il momento Fontana è avanti in maniera significativa”.

Majorino: "Chi è Antonio Panzeri", come suicidarsi con una sola frase. Fabio Rubini su Libero Quotidiano 15 dicembre 2022

Da quando è scoppiata "Sinistropoli" è partita la corsa a scaricare le amicizie scomode. Solo che nell'era della tecnologia sfrenata cancellare foto e video imbarazzanti è sempre più difficile. Tra queste "riscoperte" c'è anche quella che riguarda una videoconferenza che ha come organizzatore Pierfrancesco Majorino eurodeputato del Pd e attuale candidato alla presidenza di Regione Lombardia - e tra i relatori quell'Antonio Panzeri arrestato nell'ambito del Quatar-gate, insieme a moglie e figlia. Uno scandalo - e siamo appena all'inizio - sul quale lo stesso Majorino ha usato parole quasi profetiche: «È un episodio che riguarda anche noi, non possiamo far finta di nulla».

I fatti. Siamo nel luglio del 2020, la conferenza è dedicata alla storia di Giulio Regeni e infatti s' inititola "Giulio fa cose". Nell'ambito della chiacchierata ovviamente si tocca il nodo dei diritti umani. E proprio in quest' ottica viene introdotto l'intervento di Panzeri. A presentarlo, anche con una certa enfasi, financo con un po' di emozione, è Majorino, del quale trascriviamo fedelmente le parole: «La violazione dei diritti o la capacità di tollerare la violazione dei diritti non possono in alcun modo non mobilitare al massimo le energie europee. Sono il contrario dei valori che stanno alla base del progetto politico europeo - prosegue l'eponente Pd che deve avere al centro la questione dei diritti umani. Ed è il motivo per cui partiamo con questa nostra chiacchierata chiedendo un contributo a chi è stato presidente della Sottocommissione dei diritti dell'uomo al Parlamento Europeo. Innanzitutto chiedendo all'ex presidente ed esperto- e qui Majorino quasi si entusiasma... mi vien da dire se posso, anche militante in relazione al grande tema dei diritti umani a livello italiano e non solo, Antonio Panzeri, di portarci il primo contributo».

È chiaro, lo diciamo a scanso di equivoci, che Majorino con le mazzette del Quatar non c'entra e che lo svarione sul «militante dei diritti umani» si può derubricare alla voce "errore di valutazione". Nulla però ci toglie dalla testa che se al posto di Panzeri ci fosse stato un esponente di centrodestra, oggi il prode Majorino sarebbe impegnato nell'organizzazione di una bella manifestazione per chiedere di fare piazza pulita. Ad oggi, parole a parte, non ci risultano sforzi del Nostro in tal senso... 

Il percorso della sinistra, da operaia a lobbista. Federico Novella su Panorama il 12 Dicembre 2022.

La vicenda Panzeri, come quelle degli ultimi mesi di altri big italiani del Pd, racconta come sono sempre più i comunisti che non difendono gli interessi degli ultimi ma soprattutto i loro stessi Il percorso della sinistra, da operaia a lobbista

Per quanto sia obbligatorio considerare tutti innocenti fino a prova contraria, lo spaccato che esce dall’eurotangentopoli in salsa Qatar è desolante per diversi motivi. Il primo è che tutti i protagonisti politici sono affiliati alla sinistra europea. A dar retta alle accuse della procura sono loro, i paladini degli ultimi, i primi a tentare di arricchirsi personalmente. Dal fulcro dell’indagine, Antonio Panzeri, fino alla vicepresidente del parlamento Kaili, sacchi di denaro volano sui bei propositi umanitari di chi dice di lottare per i diritti dei più sfortunati. Attendiamo i dettagli dell’inchiesta, e soprattutto aspettiamo di vedere se ci sia qualcosa di più grande sotto la punta dell’iceberg. In particolare dietro quest’ennesima Ong dal nome che è tutto un programma, “Fight Impunity” , creatura di Panzeri dal quale si sono dimesse in blocco le eccellenze italiane ed estere che fino a ieri ne abitavano il board: dalla Bonino al greco Avramoupolos.

In Italia abbiamo appena finito di indignarci per il caso Soumahoro, ed ecco arrivare la tempesta di Bruxelles: vicende diverse, ma equivalenti su un punto: occorre prestare attenzione a chi si professa buono e pio. La bontà può diventare spesso un paravento per nascondere traffici quantomeno oscuri. L’altra certezza, mentre la procura indaga, è che il Parlamento Europeo non sembra esattamente quel palazzo di vetro che vorrebbero raccontarci. Stando a quanto si legge in queste ore, somiglia più ai corridoi bui delle Nazioni Unite, dove transita gente di ogni risma, senza controlli e senza grandi slanci morali. Non poteva che essere così, dal momento che le istituzioni europee , così congegnate, non hanno mai avuto reale legittimità democratica. E laddove non c’è trasparenza, prima o poi arrivano soldi e lobbisti. Il quotidiano “Il Giorno” ha ricordato che 485 deputati hanno lasciato l’europarlamento nel 2019: di questi, il 30% lavora oggi per gruppi di pressione. Panzeri era uno di questi. La politica delle porte girevoli spesso non è illegale, ma si sviluppa selvaggiamente all’ombra di regole deboli e oscure. Come si diceva in principio, sulla materia dei diritti umani sembra essere la sinistra quella più propensa a coltivare rapporti di alto livello. Sul secondo lavoro di Massimo D’Alema, cioè quello della consulenza finanziaria, si è detto molto: ultimamente pare abbia fatto da tramite tra una cordata di sceicchi del Qatar e il governo, per l’acquisizione della raffineria Lukoil di Priolo. Nulla di male, per quanto ne sappiamo. Ma quest’abitudine ha fatto dire al vicesegretario del Pd Provenzano che “vedere grandi leader della sinistra fare i lobbisti la dice lunga sul perché la gente non si fida più”. E qui arriviamo all’ultima certezza di questa storia, a prescindere dagli esiti delle indagini: ad essere morta e sepolta è la cosiddetta “superiorità morale” della sinistra. La sindrome per cui da quella parte politica ci si arroga il diritto di distribuire agli avversari patenti di onestà e limpidezza morale. Una sindrome nata con Tangentopoli, e morta con Qataropoli. Nata con la presunta difesa dei diritti degli sfortunati, e morta con la difesa dei diritti degli Emirati.

Dall'intervista di Brando Benifei ad Andrea Bulleri su "Il Messaggero" il 12 dicembre 2022.  

L`immagine dell`Eurocamera esce molto danneggiata da questa storia.

"Per questo bisogna agire subito con la massima severità, a tutela di chi ogni giorno in quelle aule si fa il mazzo per ottenere dei risultati. Bisogna irrobustire le difese democratiche. A cominciare da una stretta sulle cosiddette "porte girevoli": basta con gli ex parlamentari che il giorno dopo si mettono a fare i lobbisti"

Professione indignati. Il Qatargate e l’eterno ritorno dello scoop populista e giudiziario. Cataldo Intrieri su L’Inkiesta il 16 Dicembre 2022.

Ad alcuni bastano le foto delle banconote sequestrate per gridare alla corruzione. Ma a un tribunale serve molto di più: capire chi ha dato i soldi a quale funzionario e soprattutto per fare che cosa. Senza queste risposte può essere una normale attività di lobbying o al massimo un traffico di influenze

Ogni volta che esplode un qualsiasi straccio di scandalo, fioriscono articoli densi di sdegno, reprimende e autodafé. Lo stesso vale anche per l’ultimo arrivato: il Qatargate. Pensate: un paese semidesertico di poco più di due milioni di abitanti che vuole papparsi il Parlamento europeo, 705 membri, senza contare assistenti e personale amministrativo, in rappresentanza di oltre quattrocento milioni di cittadini.

L’indignato speciale che dorme in ogni animo di benpensante “de sinistra” non va mai in vacanza, al massimo si appisola in attesa di potersi risvegliare al primo refolo. E che sollievo, vuoi mettere, liberarsi di certo estenuante garantismo per far sfogare il forcaiolo dentro di noi, per gridare vergogna (sempre agli altri) e per minacciare di costituirsi parte civile in un processo che ancora deve iniziare?

E poi diciamo la verità: cosa vuoi difendere di fronte alle foto di mazzette, debitamente impilate, alle intercettazioni dove il sapiente dispensatore di verbali si è preso la briga pure di tradurre il termine combine in intrallazzo, che suona meglio? Ma anche di fronte alle prime notizie di confessioni come si può reagire? In fondo sono tutte “voci di dentro”, beninteso, ma sono anche le uniche che abbiamo finora, e ci si arrangia con quelle.

Vogliamo mettere l’antropologia criminale che i volti, il tenore di vita, il sito Instagram degli inquisiti  suggeriscono come assolutamente sovrapponibile a quello di un qualsiasi elettore di destra? E invece è gente “de sinistra”. E addirittura, come nel caso di Antonio Panzeri, a sinistra della sinistra.

Il can can è sempre lo stesso, lo abbiamo visto già in altre inchieste, alcune coronate da successo, altre no, ma tutte accomunate dagli stessi iniziali toni trionfalistici. Il che dovrebbe far pensare che il garantismo, ancorché vigorosamente sputtanato (è il caso di dirlo) dal berlusconismo e dalla parentela di una prosperosa ragazza marocchina (guarda un po’ la coincidenza) col rais Mubarak, altro non è che un sano smagato scetticismo verso l’eterno ritorno del sempre uguale scoop giudiziario, uno dei pochi pilastri su cui si regge l’esangue stampa di casa nostra (sui giornali stranieri come il Financial Times e il Guardian di Qatar e Marocco non se ne trova traccia se non nelle pagine dedicate al mondiale).

Non si tratta di negare la realtà quanto di porsi allo stato delle cose qualche domanda e almeno un preoccupante interrogativo.

Innanzitutto, ferme restando le vivide immagini delle mazzette impilate, non è dato sapere a che cosa concretamente servissero i soldi in questione oltre ad arricchire gli indagati che li percepivano come mediatori di ulteriori illeciti favori che sarebbero dovuti essere concessi da parlamentari europei. al comprensibile e nobile moto d’indignazione, le foto dei pacchi di soldi servono a ben poco se non si individua il pubblico ufficiale quale utilizzatore finale e soprattutto la specifica attività legata alla sua funzione e oggetto della corruzione.

In Italia si tratterebbe si è no di “traffico di influenze illecite” (articolo 346 bis del codice penale) punito con pene assai modeste (fino a quattro anni e sei mesi). 

Un reato che non consentirebbe neanche le intercettazioni e che punisce l’intermediazione tra un privato che chiede e un pubblico ufficiale che dispone. Inoltre si tratta di un reato di difficile applicazione perché a mezza strada tra quello più grave di corruzione (i soldi dati al pubblico ufficiale) e una normale e lecita attività di lobbying

Qui subentra il secondo quesito: a chi erano destinati quei soldi e cosa si doveva ottenere dalle istituzioni europee? Ebbene, un altro mistero allo stato delle cose. Il Parlamento europeo è un’assemblea che non ha iniziativa legislativa (che è della assai più potente Commissione), ma è responsabile dell’adozione della legislazione dell’Unione insieme al Consiglio, l’organo che riunisce i ministri dei governi dei 27 Stati membro. Cioè può agire in concerto con il Consiglio e modificare norme europee, ma non può presentarle da sola.

Se, come leggiamo, con quei soldi così ben impilati, si doveva “modificare una percezione” verso un qualche illiberale paese arabo, piaccia o meno siamo nell’ambito di un’attività di lobby, opaca ed eticamente censurabile, ma nulla più di questo. Roba da indignati in servizio attivo, appunto.

Meriterebbe invece una più attenta riflessione la singolare modalità dell’indagine originata, a quanto leggiamo, da un’iniziativa dei servizi segreti belgi, che hanno agito senza dare notizia all’autorità giudiziaria, intercettando e perquisendo le abitazioni degli indagati senza alcuna preventiva autorizzazione prima di investire la magistratura ordinaria.

Il Belgio ha un’efficiente e dedicata agenzia specificamente destinata alla lotta contro la corruzione, l’OCRC (l’Ufficio centrale per la repressione della corruzione, una branca della polizia giudiziaria federale) sicché non è ozioso chiedersi come mai siano intervenuti i servizi e cosa cercassero per potere giustificare delle eccezioni così eclatanti allo Stato di diritto (capirei atti di terrorismo ma avrei difficoltà ad accettarlo, confesso, per una storia di lobbying prezzolato).

Appartengo a una generazione abituata a diffidare dei servizi segreti (per capirne i motivi suggerisco di rivedere su RaiPlay le puntate straordinarie de La Notte della repubblica di un giornalista vero, Sergio Zavoli). Il segreto non va bene con la trasparenza della democrazia. Soprattutto rilevo che un’indagine come questa, condotta da un giudice che è una via di mezzo tra Di Pietro e Carofiglio (e già questo…) ancor prima di individuare possibili colpevoli singoli, ha già buttato discredito sulle istituzioni europee, le stesse che hanno mantenuto salda l’Unione europea negli anni terribili della pandemia e oggi della guerra.

Si cerchino, ci mancherebbe, le responsabilità singole, si eviti cortesemente, per amore di scoop, vieto moralismo e rancore politico di fare l’ennesimo favore ai sovranismi nemici della democrazia. Non ce n’è bisogno, se non per i nemici dell’Europa libera. Si cessi di alimentare, una buona volta, il populismo demolitorio che poi ipocritamente si condanna quando ormai è troppo tardi.

Qatargate, tutte le falle del Parlamento Ue: pochi controlli, molti conflitti d’interesse, tenui sanzioni.  Franco Stefanoni su Il Corriere della Sera il 15 Dicembre 2022.

Problemi e rimedi secondo Federico Anghelè di The good lobby. «A fronte di tanta burocrazia preventiva, le verifiche ex post risultano lasche»

Rendere obbligatorio il Registro della trasparenza per Parlamento europeo e Consiglio europeo come già accade per la Commissione europea; poter monitorare l’agenda degli incontri di lavoro dei parlamentari di Strasburgo; autorizzare controlli indipendenti su tutte e tre le istituzioni cardine della Ue; regolare il fenomeno delle «porte girevoli» che consente agli ex eurodeputati di accedere agli uffici delle istituzioni; bloccare il cortocircuito causato da quel 30% e passa di parlamentari che, una volta eletti, non lasciano la propria attività professionale. Sono i suggerimenti di Federico Anghelè, direttore di The good lobby (Ong impegnata a difendere la cultura partecipativa dei cittadini), per evitare altri inciampi alle istituzioni Ue alla luce dell’inchiesta belga su presunte tangenti da parte di Qatar e Marocco in favore di parlamentari disposti a parlar bene di quei governi. Milioni di euro in cambio di «favori d’immagine».

«Double check»

Frotte di lobbysti puntano quotidianamente sulle istituzioni Ue poiché per loro è spesso vitale ottenerne l’ascolto. Tutto fisiologico e consentito, a patto di muoversi nel rispetto della legge e di essere trasparenti. A Bruxelles e Strasburgo le regole in tal senso valgono tuttavia solo per alcuni. «La Ue, con oltre 30 mila lobbysti a Bruxelles (capitale dei gruppi di pressione seconda solo a Washington, ndr), è considerata un faro della trasparenza», racconta Anghelè, «ma in realtà esistono ampie falle, specialmente in Parlamento». Il Registro della trasparenza, a cui sono iscritti oggi oltre 13 mila soggetti (aziende, società di lobbying, Ong, associazioni di categoria, sindacati, studi legali, confessioni religiose) e la cui inclusione consente di operare con le istituzioni, è ritenuto poco efficace. Infatti, da un lato i dati dei soggetti (fatturati, personale, storia ecc) non sono omogenei rendendoli poco affidabili. Dall’altro solo la Commissione europea (commissari e alti funzionari), ovvero l’organo esecutivo, ha l’obbligo di dichiarare le attività e gli incontri avuti con le lobby. Qui il controllo è a cosiddetto «double check»: quanto verbalizzato dal lobbysta e quanto dalla Commissione deve coincidere.

Le scelte dei gruppi

Non funziona così però con i 705 parlamentari che legiferano e votano risoluzioni. Nessun obbligo: gli incontri restano discrezionali, autonomi e privati. «La mancanza di vincoli (eccetto la denuncia dei regali ricevuti, ndr) è rivendicata dagli eurodeputati in base al principio della libertà di azione per chi è eletto», spiega il direttore di The good lobby, «una indisponibilità tuttora inscalfibile». Anche se va detto che obblighi sussistono in Parlamento per i relatori dei dossier seguiti, per i presidenti di commissione e per i cosiddetti «relatori ombra», ovvero delle minoranze politiche. Inoltre, per quanto i singoli eurodeputati siano svincolati dal rendere conto di ciò che fanno, i gruppi parlamentari a cui appartengono possono decidere diversamente fissando regole autonome. Come segnala Transparency international Ue, primi nel collaborare sono i Verdi, meno accade invece con S&D e Ppe, molto meno con le destre.

Porte girevoli

Tra il giugno 2019 e il luglio 2022 a Bruxelles e Strasburgo gli incontri di lobbysti con il Parlamento sono stati circa 28 mila, ma solo metà resi pubblici secondo le regole del registro. I Paesi più virtuosi risultano il Lussemburgo (100%), la Svezia (95%) e la Danimarca (93%), mentre in fondo alla classifica si trovano Lettonia (25%), Cipro (17%) e Grecia (10%). Un conto però sono le autorizzazioni e le dichiarazioni ex ante, un altro le verifiche ex post. «Il punto», conferma Anghelè, «è che a fronte di una grande mole di burocrazia preventiva, spesso esagerata, i controlli successivi scarseggiano, sono laschi». Non esistono organi indipendenti che verifichino il rispetto delle regole da parte di Consiglio, Commissione e Parlamento europeo. La sola sanzione in caso di violazione da parte del lobbysta (che dal 2022 può incorrere in verifiche amministrative) è il ritiro della tessera del registro. In più, mentre per la Commissione è previsto un «periodo di raffreddamento» da uno a tre anni durante il quale commissari e alti funzionari che lasciano l’ente non possono operare su ciò di cui si occupavano - trasformandosi in lobbysti -, questo per i parlamentari non è previsto. Avviene così il fenomeno delle «porti girevoli», come sarebbe accaduto con Antonio Panzeri, ex eurodeputato e poi fondatore della Ong Fight impunity (cosa che gli permetteva di avere accesso facile alle istituzioni). «Oggi chi termina con la presenza di un seggio in Parlamento ha diritto a un’indennità, per ricollocarsi», ricorda il direttore di The good lobby, «ma io credo che sia necessario, anche per loro, un periodo di raffreddamento di almeno un anno».

Francia, i dubbi sui rapporti con gli emiri. Anche a Parigi divampa la polemica, l’opposizione chiede chiarezza. Lodovica Bulian il 16 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Il Qatargate non più letto solo come un «italian job». Gli altri Paesi europei accendono i riflettori su legami con l'Emirato. Tra diffidenze e sospetti reciproci, lo scandalo all'Europarlamento scuote le assemblee parlamentari degli Stati. Secondo il sito Politico Eu, le polemiche divampano in Francia. L'opposizione chiede di accendere un faro sui rapporti stretti e di lunga data tra Parigi e il Qatar. Affari dalla sicurezza, all'energia alla cultura. Lo stato del Golfo ha investito molto in Francia e possiede una delle squadre di calcio di punta del paese: il Paris Saint-Germain, scrive Politico. Martedì, il governo francese si è confrontato all'Assemblea nazionale con l'opposizione sulle norme nazionali in materia di lobbismo. Il quadro, ha affermato un parlamentare socialista, non è adatto a prevenire possibili tentativi di corruzione da parte di paesi stranieri. «I fatti sono gravi, spetta alle istituzioni europee far luce su di essi e trarne le conseguenze», ha risposto il sottosegretario Olivia Grégoire, aggiungendo però che l'esecutivo è aperto a rivedere le regole per renderle più restrittive. Il Qatar è il quarto paese più visitato da parlamentari e senatori francesi dal 2019. Di questi, 12 hanno trascorso un totale di 38 giorni nell'Emirato, rivela il sito. I viaggi sarebbero stati finanziati direttamente dallo stato del Golfo, come evidenziano alcuni documenti ufficiali citati da Politico. Documenti che però non forniscono informazioni su budget e spese. Ora i sospetti dilagano. E del resto la procura finanziaria francese da tempo indaga su ipotesi di corruzione relative all'assegnazione al Qatar della Coppa del Mondo 2022 e al ruolo svolto da funzionari francesi di alto rango. Anche in Francia erano scoppiate violente polemiche sull'assegnazione della Coppa a Doha. A novembre, alcuni parlamentari di sinistra avevano denunciato pubblicamente le intense attività di lobbying del Qatar per far cambiare idea sulla tutela dei diritti nell'Emirato.

Claudio Antonelli per “la Verità” il 19 dicembre 2022.

Lo scorso settembre, a meno di due mesi dall'avvio dei Mondiali di calcio in Qatar, un lobbista e imprenditore franco-algerino, Tayeb Benabderrahmane, ha potuto far rientro a Parigi dopo quasi due anni di detenzione a Doha. Per la precisione era già stato rilasciato dal carcere duro a luglio, ma non gli era stato consentito il rimpatrio prima di firmare un accordo di segretezza e organizzare uno scambio di chiavette Usb contenenti video e documenti segreti. Difficile sapere che ci fosse dentro.

 

Dalle inchieste giornalistiche di Liberation, le ipotesi emerse sarebbero due. Materiale ricattatorio nei confronti del presidente del Psg, Nasser Al-Khelaifi, nonché stretto amico dell'emiro del Qatar, oppure informazioni di natura più ampia e quindi in grado di dipanare una rete incredibile di corruzione partita dal Qatar e arrivata fino a Parigi, dove avrebbe messo radici stabili. 

Le versioni potrebbero essere entrambe vere. La prima giustificherebbe le accuse del presidente del Paris Saint-Germain che, tramite gli avvocati, avrebbe denunciato un ricatto da circa 100 milioni di dollari. La seconda aprirebbe una strada ben più complicata che andrebbe a intrecciarsi con l'inchiesta che ha già portato in tribunale l'ex presidente Nicolas Sarkozy, condannato nel 2021 in primo grado di giudizio a un anno di carcere per presunto finanziamento illecito. 

Nel 2010, il 23 novembre per l'esattezza, l'ex capo dell'Eliseo tenne una cena con l'emiro Hamad Al Thani, Michel Platini e Sebastien Bazin, all'epoca proprietario del Psg. Da quell'incontro la posizione della Francia è cambiata in sede Fifa. E guarda caso, dopo il voto a favore dei Mondiali da tenersi in Qatar, il fondo sovrano di Doha ha portato a casa l'acquisizione della celebre squadra parigina. Non solo. Da lì è scattata una larga pianificazione di investimenti (quelli immobiliari tutti defiscalizzati) dalle quote in Total fino al gruppo Lagardere, passando alla riqualificazione delle banlieue e borse di studio per siriani da ospitare direttamente alla Sorbona.

A dare il benestare all'accordo, che come contropartita aveva una forte defiscalizzazione degli investimenti immobiliari qatarioti in Francia, fu inizialmente Sarkozy. Poi Hollande mise il sigillo su tutto. «L'Aneld - associazione nata sull'onda della vittoria di Obama nel 2008, che raggruppava esponenti politici locali di seconda generazione - oggi tace ma il problema dell'infiltrazione dei fondi qatarioti rimane. 

Quei fondi hanno penetrato strati che vanno ben oltre quelli superficiali della finanza e dei conti economici, questo è il problema», si legge in un articolo di approfondimento di Le Monde. Restano le parole del presidente dell'Aneld, Kamel Hamza, pronunciate nel 2012, come segno di inadeguatezza e di incapacità di leggere i tempi, se non peggio: «Il tasso di disoccupazione giovanile in certe zone urbane sensibili raggiunge il 40%. Non capisco perché il Qatar non ci dovrebbe aiutare».

Pubblicamente, nessuno chiese che cosa Doha avrebbe chiesto in cambio. Pubblicamente, nessuno continua a chiederlo. Nemmeno a Emmanuel Macron, che è andato in scia ai suoi due predecessori e che è riuscito a sfruttare i rapporti con Doha per piazzare commesse militari di ingente valore. Alla luce, però, delle inchieste giudiziarie che in questi giorni stanno toccando i socialisti europei e il Pd-Articolo Uno italiano, è obbligo chiedersi che cosa succederà alle inchieste giudiziarie al momento soffocate in Francia.

E, inoltre, è obbligo chiedersi con quale indipendenza la Francia abbia preso scelte politiche che hanno cambiato le sorti del Mediterraneo e pure quelle del nostro Paese. Basta seguire la scansione temporale. Tra marzo e ottobre del 2011 una compagine internazionale guidata da Sarkozy e sostenuta dal dem Obama depone e poi fa uccidere Muhammar Gheddafi. Si apre la strada alle cosiddette primavere arabe e alla corsa della Fratellanza musulmana, la stessa sostenuta da Doha. Mentre si disgregano i nostri interessi e si rompono gli equilibri storici anche in Tunisia ed Egitto, l'avanzata qatarina non ha rivali.

Nel frattempo all'Eliseo cambiano ben due inquilini, ma quando nel 2019 in Libia siamo a un nuovo punto di svolta e c'è la possibilità di cambiare le carte in tavola, Doha sfodera un nuovo asso nella manica. L'amicizia nata a partire dal 2014 con gli esponenti piddini italiani, alias Matteo Renzi. Così, nonostante i progetti di Khalifa Haftar fossero noti a tutti gli osservatori internazionali, in Europa si è mossa solo la Francia, che per settimane ha aiutato militarmente l'esercito di Bengasi alla conquista del Fezzan. L'Italia è rimasta a osservare, e si è trovata schiacciata tra diverse coalizioni con l'unica possibilità di scegliere il male minore. Mezzo mondo stava con Haftar e solo la Mogherini e l'Onu sostenevano Tripoli.

Roma non poteva certo schierarsi con la Russia, anche se gli Usa si erano defilati e il Qatar controllava le nostre mosse promettendo altri soldi e investimenti in Italia. Un'eredità che ci portiamo avanti dai governi Renzi e Gentiloni, ma che nemmeno i successivi esecutivi sono riusciti a spezzare. Risultato? Gli investimenti di Doha hanno sicuramente influenzato la storia d'Europa. C'è, quindi, il rischio che le presunte tangenti alle Ong modello Panzeri siano solo una avvisaglia. Se così fosse ne sarà travolta anche la Francia e tutta la filiera socialista che fino a oggi ha sostenuto quella parte di mondo arabo. Vedremo come si muoveranno gli Usa. Potrebbero anche avere qualche registrazione nel cassetto in grado di ribaltare l'equilibrio del Parlamento Ue. Più Ecr, una spruzzata di Ppe e per un decennio socialisti in freezer. E fine della carriera di Macron.

Il Qatargate e le responsabilità di Sarkozy e della Francia. Armi, aerei, il Psg e molto altro in cambio del sì ai mondiali? Massimo Nava su Il Corriere della Sera il 17 Dicembre 2022

Molti indizi portano a Parigi, addirittura nei saloni dorati dell’Eliseo. In Francia, il Qatar ha gettato le basi per un’estesa penetrazione nel mondo della finanza, delle imprese, dei settori immobiliare e alberghiero, delle commesse militari e dello sport

Onore alla Francia, se rivincerà il Mondiale. Onore all’Argentina, se porterà la Coppa a Buenos Aires. E onore a Mbappé e Messi, campioni e avversari, ma compagni del Paris Saint-Germain, la squadra di proprietà del Qatar. Insomma, come si dice, comunque vada sarà un successo. Limpido sul piano sportivo, un po’ meno sul piano politico e finanziario.

Sul Mondiale del Qatar, oltre alle note denunce per le condizioni dei lavoratori immigrati impiegati nella costruzione di stadi e infrastrutture, si allungano da tempo le inchieste giudiziarie sulle circostanze in cui l’Emirato ottenne la candidatura. La differenza con la storia di mazzette all’Europarlamento potrebbe risultare di metodo, di modo di intendere il lobbismo, i rapporti di potere, gli interessi strategici di un Paese.

Molti indizi portano a Parigi, addirittura nei saloni dorati dell’Eliseo. In Francia, il Qatar ha gettato le basi per un’estesa penetrazione nel mondo della finanza, delle imprese, dei settori immobiliare e alberghiero, delle commesse militari e dello sport. E ha conquistato la candidatura del Mondiale, grazie ai rapporti con l’ex presidente Nicolas Sarkozy , con alcuni personaggi vicini all’Eliseo e l’ex stella del firmamento calcistico francese, Michel Platini. Le Monde ricorda che la prima pietra per la candidatura fu metaforicamente posata proprio da Sarkozy in un discorso a Doha del 2010, pronunciato in occasione del Forum dello Sport, organizzato dall’uomo d’affari Richard Attias, compagno dell’ex moglie del presidente, Cecilia.

Nove anni dopo, è stata aperta un’inchiesta per corruzione e riciclaggio sotto il poco edificante titolo di «lobby di Stato». Tutto nascerebbe da un episodio successivo alla conferenza, un pranzo all’Eliseo in cui si siedono attorno al tavolo Sarkozy, Platini, il principe ereditario del Qatar, Al Thani, il suo primo ministro e Claude Géant, segretario generale dell’Eliseo, poi incriminato per corruzione nell’ambito di altre inchieste giudiziarie. Secondo Le Monde, esistono prove che Sarkozy fosse coinvolto nel promuovere la vittoria del Qatar. Sei mesi dopo quel pranzo, il Qatar compra il Paris Saint-Germain, entra nel capitale del gruppo Lagardère e sostiene il lancio del canale televisivo sportivo BeinSports. Il Qatar inoltre acquista 80 Airbus A350, aerei Rafale, elicotteri Tiger, un sistema di difesa missilistico a lungo raggio Aster 30. Michel Platini, a capo dell’Uefa, vecchio amico di Sarkozy, fu sempre favorevole alla candidatura degli Stati Uniti. Ma poi cambiò idea. Platini assicura a Le Monde di aver «preso la decisione di votare per il Qatar ben prima del pranzo all’Eliseo».

Ma proprio Sepp Blatter, presidente della Fifa dal 1998 al 2015, ha richiamato l’importanza del pranzo all’Eliseo. «Platini mi disse che Sarkozy gli aveva raccomandato di votare per il Qatar», ha dichiarato nel novembre 2021. Il contenuto del famoso pranzo all’Eliseo è chiuso negli archivi di Stato e protetto dal segreto almeno fino al 2038. Anche la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi (Cada) ha emesso un parere negativo all’inizio di gennaio 2021, adducendo come motivazione «la tutela degli interessi fondamentali dello Stato nella sua politica estera o nella semplice conduzione delle sue relazioni estere».

Il 2 dicembre 2010, il Comitato esecutivo della Fifa votò, tra lo stupore di tutti, a favore dell’Emirato come Paese ospitante della Coppa del Mondo 2022. La delegazione americana, guidata dall’ex presidente Bill Clinton, era furiosa. «Ho votato per il Qatar - ha poi detto Platini - in nome dello sviluppo del calcio in una regione che non aveva mai avuto una Coppa del Mondo». Come riporta Le Monde, Sébastien Bazin, amministratore delegato del gruppo alberghiero Accor e allora rappresentante europeo di Colony Capital, voleva sbarazzarsi del Psg, un club fortemente indebitato e la cui reputazione era macchiata da risse tra ultras. E avrebbe voluto venderlo al Qatar. Per farlo, contò sulla buona volontà del vecchio amico Nicolas Sarkozy. L’acquisizione del Psg è stata una condizione per il sostegno della Francia alla candidatura del Qatar? Come rivelato da Mediapart, Sébastien Bazin, che è stato ascoltato nella primavera del 2022 dai giudici istruttori come «imputato libero», in un sms assicurò che la cosa fosse fattibile. Il 10 dicembre 2010, una nota di Olivier Buquen, capo della delegazione interministeriale per l’intelligence economica, ha illustrato i numerosi vantaggi che deriverebbero dall’assegnazione del torneo all’emirato. Tutto doveva ancora essere fatto in Qatar: stadi, alberghi, trasporti, ecc. «Oltre ai 55 miliardi di dollari di progetti infrastrutturali già in corso, 45 miliardi di dollari doveva essere assegnati sotto forma di PPP (partenariati pubblico-privati)», si legge nella nota, che propone di «sensibilizzare le imprese francesi potenzialmente interessate a questi mercati e di mettere in atto meccanismi di sostegno per i contratti strategici». « Gli interessi militari e diplomatici francesi - scrive Le Monde - sembrano aver pesato a favore della candidatura del Qatar».

Bazin ha dichiarato a Le Monde che le trattative per il PSG sono state «senza alcuna considerazione o condizione se non quella finanziaria». Laurent Platini, figlio del campione è stato assunto «dopo una serie di colloqui» nel dicembre 2011 come «consulente» per Pilatus Sport Mgmt, una holding di proprietà del fondo qatariota QSI, che gestisce il marchio di attrezzature Burrda Sport. Michel Platini ha detto a Le Monde: «Mio figlio prende le sue decisioni sulla sua vita professionale. Non ha bisogno di me, non mi ha mai chiesto nulla. Non c’era nessuna contropartita diretta o indiretta... laterale, verticale o spaziale al mio voto. L’Fbi, la giustizia svizzera e quella francese hanno indagato e stanno ancora indagando: non hanno trovato nulla. Possono cercare, fare il loro lavoro, non troveranno nulla, perché io non sono stato corrotto». L’Emirato moltiplicherà i gesti di affetto verso l’entourage di Nicolas Sarkozy. Come rivelato da Mediapart, il Qatar accoglierà una richiesta di Claude Géant del 2011, che vuole che l’Emirato offra un contratto a Znz Group, la società del comunicatore François de La Brosse, che ha lavorato per la campagna di Nicolas Sarkozy nel 2007, poi come consigliere dell’Eliseo. Così, 600.000 euro sarebbero stati pagati dal Qatar al signor de La Brosse a partire da settembre 2011, su oltre 2 milioni di euro previsti. De La Brosse ha fatto sapere che questo «primo pagamento corrispondeva al web design e allo sviluppo informatico della piattaforma I love Qatar, che doveva promuovere i meriti del turismo nell’emirato, oltre al costo dell’invio di un’équipe per le riprese e il montaggio di “trenta clip di quattro minuti”». Questo capitolo della vicenda si è sommato a un’altra indagine giudiziaria, quella sui sospetti di finanziamento libico della campagna elettorale di Sarkozy, nel 2007.

L’Emirato ha avuto attenzioni per altri membri della cerchia ristretta di Sarkozy. Nel marzo 2012, una fondazione di diritto privato, il Centro Internazionale per la Sicurezza dello Sport (ICSS) ha sovvenzionato, per 150.000 euro all’anno, una cattedra dedicata a «etica e sicurezza nello sport» presso l’Università di Paris-I-Panthéon-Sorbonne, dove insegna Sophie Dion, responsabile del master, consigliera per lo sport dell’ex presidente Sarkozy e presente al famoso pranzo all’Eliseo. La signora Dion, ex vicepresidente del gruppo di amicizia Francia-Qatar all’Assemblea nazionale, durante il suo mandato di deputato dell’Alta Savoia (2012-2017), ha però detto di aver «ricevuto solo 13.000 euro» nel quadro di questo «partenariato» tra Paris-I e l’ICSS. Dopo la sconfitta del 2012, Nicolas Sarkozy si è praticamente ritirato dalla politica e si è concesso qualche vacanza in Qatar prima di intraprendere la carriera di oratore, come rivelato da Le Canard Enchaîné, nell’ottobre 2012.

Secondo Libération nel 2014, sulla base di documenti dell’inchiesta, Sarkozy intendeva raccogliere finanziamenti per alimentare un fondo di investimento. Nel 2012, il Qatar ha soccorso un altro amico di Sarkozy, Arnaud Lagardère, in difficoltà alla guida della sua azienda. La Qatar Holding ha acquisito il 12,8% del capitale di Lagardère. Dopo il tentativo fallito di tornare in politica nel 2016, Sarkozy è entrato nel 2017 nel consiglio di amministrazione del gruppo Accor, come presidente del «comitato di strategia internazionale». Sarkozy, che entrerà anche nel consiglio di amministrazione del gruppo Lagardère nel 2020, arriva al momento giusto nel gruppo alberghiero: Accor, che è già sponsor di maglia del Psg dal 2019, beneficerà anche di altri succosi spin-off dalla Coppa del Mondo, fra cui una partnership per gestire l’accoglienza dei tifosi in una rete di 66.000 camere. Intervistato dal Journal de Dimanche, Sarkozy ha stigmatizzato il boicottaggio della competizione da parte di alcune municipalità francesi che hanno deciso di non organizzare maxi schermi pubblici e ha criticato in particolare il suo successore, il socialista François Hollande e la sindaca di Parigi, Anna Hidalgo. «Il calcio è uno sport universale e ogni regione del mondo dovrebbe essere in grado di organizzare una competizione internazionale. Il calcio non appartiene solo agli occidentali. È uno sport che unisce le persone. Tutti i Paesi che hanno organizzato grandi eventi internazionali sono stati oggetto di molte polemiche: Cina, Russia, Brasile e ora Qatar. Dovremmo dare a ciascuno di questi Paesi ospitanti la possibilità di dimostrare il proprio know-how e aspettare di vedere come si svolgono questi eventi prima di giudicarli». «Non sono stato io a vendere i Rafale. Il mio successore deve aver giudicato che era una decisione corretta. Quanto al boicottaggio, mi sembra che il Comune di Parigi sia molto contento che i qatarini siano proprietari e finanziatori del club della capitale. Questa polemica è piuttosto ipocrita».

"Mondiale in cambio dell'acquisto del Psg". Il Qatargate e le responsabilità di Sarkozy. I legami sospetti tra l'ex presidente Sarkozy e il Qatar sono al centro di un'indagine per corruzione. Lo scorso settembre Sarkò era stato condannato a un anno di reclusione per finanziamento illecito. Roberto Vivaldelli il 18 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Continua a tenere banco lo scandalo Qatargate. Alla vigilia delle finali dei Mondiali di Calcio che vedranno Francia e Argentina contendersi la Coppa, emergono ombre sull'Eliseo e sui rapporti a tinte fosche tra Parigi e l'emirato. Soprattutto ai tempi di Nicolas Sarkozy, condannato nel settembre 2021 a un anno di carcere senza condizionale per "finanziamento illecito". Come riporta Massimo Nava sul Corriere della Sera, è proprio in Francia che il Qatar ha gettato le basi per un’estesa penetrazione nel mondo della finanza, delle imprese, dei settori immobiliare e alberghiero, delle commesse militari e dello sport. Doha si guadagnò l'assegnazione del Mondiale probabilmente grazie ai rapporti con l’ex presidente Nicolas Sarkozy. Ecco come.

L'inchiesta di Le Monde

In un articolo pubblicato lo scorso 14 novembre, Le Monde ricorda come, l'11 dicembre 2012, nel suo primo discorso dopo la sconfitta rimediata alle elezioni presidenziali contro Francois Hollande, Sarkozy si presentò sul podio del Doha Goals, forum sportivo finanziato dalla Qatar National Bank e organizzato dall'imprenditore Richard Attias, vantandosi di aver sostenuto la candidatura dell'emirato. Un decennio dopo questo discorso, il ruolo di Nicolas Sarkozy – che non ha risposto alle domande di Le Monde – è al centro dei sospetti della giustizia francese, nell'ambito dell'inchiesta giudiziaria aperta, nel 2019, dalla Procura nazionale finanziere (PNF) per "corruzione attiva e passiva", "riciclaggio" e "ricettazione" in merito alla controversa assegnazione (14 voti contro 8 per gli Stati Uniti) dei Mondiali 2022 in Qatar.

In questa fase delle indagini, sottolinea il quotidiano francese, l'ex presidente della Repubblica non è stato ascoltato dai due giudici Serge Tournaire, che lo ha già incriminato nel caso Bygmalion, e Virginie Tilmont. Tuttavia, diversi elementi del procedimento penale in merito a questa gigantesca operazione di lobbying statale, dimostrerebbero il coinvolgimento dell'ex presidente nella promozione dell'assegnazione del mondiale a Doha, emirato con il quale l'ex presidente ha peraltro forgiato stretti legami.

Quel pranzo all'Eliseo

Gli occhi degli inquirenti sono puntati sull'oramai famoso pranzo all'Eliseo del 23 novembre 2010, tre settimane prima del voto della Fifa che sancì l'assegnazione della competizione all'emirato. Il presidente Sarkozy invitò al suo tavolo il principe ereditario e futuro emiro del Qatar Tamim ben Hamad al-Thani, il presidente della Uefa Michel Platini (che pesava quattro voti all'interno del comitato esecutivo della Fifa), Sébastien Bazin, noto imprenditore e allora presidente del Paris Saint-Germain. Il sospetto è che Parigi abbia barattato il sostegno a Doha in cambio dell'acquisizione del club da parte dell'emirato. Secondo Sepp Blatter, ex presidente della Fifa, Platini gli avrebbe confessato più tardi di aver dovuto votare per Doha. Sei mesi dopo quel pranzo, il Qatar rilevò il club parigino, investendo milioni di euro per farlo diventare uno dei più forti al mondo con ingaggi e investimenti da capogiro. Coincidenza? È ciò su cui dovranno fare luce i magistrati.

Massimo Nava per corriere.it il 17 dicembre 2022. 

Onore alla Francia, se rivincerà il Mondiale. Onore all’Argentina, se porterà la Coppa a Buenos Aires. E onore a Mbappé e Messi, campioni e avversari, ma compagni del Paris Saint-Germain, la squadra di proprietà del Qatar. Insomma, come si dice, comunque vada sarà un successo. Limpido sul piano sportivo, un po’ meno sul piano politico e finanziario. 

Sul Mondiale del Qatar, oltre alle note denunce per le condizioni dei lavoratori immigrati impiegati nella costruzione di stadi e infrastrutture, si allungano da tempo le inchieste giudiziarie sulle circostanze in cui l’Emirato ottenne la candidatura. La differenza con la storia di mazzette all’Europarlamento potrebbe risultare di metodo, di modo di intendere il lobbismo, i rapporti di potere, gli interessi strategici di un Paese.

Molti indizi portano a Parigi, addirittura nei saloni dorati dell’Eliseo. In Francia, il Qatar ha gettato le basi per un’estesa penetrazione nel mondo della finanza, delle imprese, dei settori immobiliare e alberghiero, delle commesse militari e dello sport. E ha conquistato la candidatura del Mondiale, grazie ai rapporti con l’ex presidente Nicolas Sarkozy , con alcuni personaggi vicini all’Eliseo e l’ex stella del firmamento calcistico francese, Michel Platini. Le Monde ricorda che la prima pietra per la candidatura fu metaforicamente posata proprio da Sarkozy in un discorso a Doha del 2010, pronunciato in occasione del Forum dello Sport, organizzato dall’uomo d’affari Richard Attias, compagno dell’ex moglie del presidente, Cecilia.

 Nove anni dopo, è stata aperta un’inchiesta per corruzione e riciclaggio sotto il poco edificante titolo di «lobby di Stato». Tutto nascerebbe da un episodio successivo alla conferenza, un pranzo all’Eliseo in cui si siedono attorno al tavolo Sarkozy, Platini, il principe ereditario del Qatar, Al Thani, il suo primo ministro e Claude Géant, segretario generale dell’Eliseo, poi incriminato per corruzione nell’ambito di altre inchieste giudiziarie. Secondo Le Monde, esistono prove che Sarkozy fosse coinvolto nel promuovere la vittoria del Qatar. 

Sei mesi dopo quel pranzo, il Qatar compra il Paris Saint-Germain, entra nel capitale del gruppo Lagardère e sostiene il lancio del canale televisivo sportivo BeinSports. Il Qatar inoltre acquista 80 Airbus A350, aerei Rafale, elicotteri Tiger, un sistema di difesa missilistico a lungo raggio Aster 30. Michel Platini, a capo dell’Uefa, vecchio amico di Sarkozy, fu sempre favorevole alla candidatura degli Stati Uniti. Ma poi cambiò idea. Platini assicura a Le Monde di aver «preso la decisione di votare per il Qatar ben prima del pranzo all’Eliseo».

Ma proprio Sepp Blatter, presidente della Fifa dal 1998 al 2015, ha richiamato l’importanza del pranzo all’Eliseo. «Platini mi disse che Sarkozy gli aveva raccomandato di votare per il Qatar», ha dichiarato nel novembre 2021. Il contenuto del famoso pranzo all’Eliseo è chiuso negli archivi di Stato e protetto dal segreto almeno fino al 2038. Anche la Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi (Cada) ha emesso un parere negativo all’inizio di gennaio 2021, adducendo come motivazione «la tutela degli interessi fondamentali dello Stato nella sua politica estera o nella semplice conduzione delle sue relazioni estere».

Il 2 dicembre 2010, il Comitato esecutivo della Fifa votò, tra lo stupore di tutti, a favore dell’Emirato come Paese ospitante della Coppa del Mondo 2022. La delegazione americana, guidata dall’ex presidente Bill Clinton, era furiosa. «Ho votato per il Qatar - ha poi detto Platini - in nome dello sviluppo del calcio in una regione che non aveva mai avuto una Coppa del Mondo». Come riporta Le Monde, Sébastien Bazin, amministratore delegato del gruppo alberghiero Accor e allora rappresentante europeo di Colony Capital, voleva sbarazzarsi del Psg, un club fortemente indebitato e la cui reputazione era macchiata da risse tra ultras. E avrebbe voluto venderlo al Qatar.

Per farlo, contò sulla buona volontà del vecchio amico Nicolas Sarkozy. L’acquisizione del Psg è stata una condizione per il sostegno della Francia alla candidatura del Qatar? Come rivelato da Mediapart, Sébastien Bazin, che è stato ascoltato nella primavera del 2022 dai giudici istruttori come «imputato libero», in un sms assicurò che la cosa fosse fattibile. Il 10 dicembre 2010, una nota di Olivier Buquen, capo della delegazione interministeriale per l’intelligence economica, ha illustrato i numerosi vantaggi che deriverebbero dall’assegnazione del torneo all’emirato. 

Tutto doveva ancora essere fatto in Qatar: stadi, alberghi, trasporti, ecc. «Oltre ai 55 miliardi di dollari di progetti infrastrutturali già in corso, 45 miliardi di dollari doveva essere assegnati sotto forma di PPP (partenariati pubblico-privati)», si legge nella nota, che propone di «sensibilizzare le imprese francesi potenzialmente interessate a questi mercati e di mettere in atto meccanismi di sostegno per i contratti strategici». « Gli interessi militari e diplomatici francesi - scrive Le Monde - sembrano aver pesato a favore della candidatura del Qatar».

Bazin ha dichiarato a Le Monde che le trattative per il PSG sono state «senza alcuna considerazione o condizione se non quella finanziaria». Laurent Platini, figlio del campione è stato assunto «dopo una serie di colloqui» nel dicembre 2011 come «consulente» per Pilatus Sport Mgmt, una holding di proprietà del fondo qatariota QSI, che gestisce il marchio di attrezzature Burrda Sport. 

Michel Platini ha detto a Le Monde: «Mio figlio prende le sue decisioni sulla sua vita professionale. Non ha bisogno di me, non mi ha mai chiesto nulla. Non c’era nessuna contropartita diretta o indiretta... laterale, verticale o spaziale al mio voto. L’Fbi, la giustizia svizzera e quella francese hanno indagato e stanno ancora indagando: non hanno trovato nulla. Possono cercare, fare il loro lavoro, non troveranno nulla, perché io non sono stato corrotto».

L’Emirato moltiplicherà i gesti di affetto verso l’entourage di Nicolas Sarkozy. Come rivelato da Mediapart, il Qatar accoglierà una richiesta di Claude Géant del 2011, che vuole che l’Emirato offra un contratto a Znz Group, la società del comunicatore François de La Brosse, che ha lavorato per la campagna di Nicolas Sarkozy nel 2007, poi come consigliere dell’Eliseo. Così, 600.000 euro sarebbero stati pagati dal Qatar al signor de La Brosse a partire da settembre 2011, su oltre 2 milioni di euro previsti. De La Brosse ha fatto sapere che questo «primo pagamento corrispondeva al web design e allo sviluppo informatico della piattaforma I love Qatar, che doveva promuovere i meriti del turismo nell’emirato, oltre al costo dell’invio di un’équipe per le riprese e il montaggio di “trenta clip di quattro minuti”». Questo capitolo della vicenda si è sommato a un’altra indagine giudiziaria, quella sui sospetti di finanziamento libico della campagna elettorale di Sarkozy, nel 2007.

L’Emirato ha avuto attenzioni per altri membri della cerchia ristretta di Sarkozy. Nel marzo 2012, una fondazione di diritto privato, il Centro Internazionale per la Sicurezza dello Sport (ICSS) ha sovvenzionato, per 150.000 euro all’anno, una cattedra dedicata a «etica e sicurezza nello sport» presso l’Università di Paris-I-Panthéon-Sorbonne, dove insegna Sophie Dion, responsabile del master, consigliera per lo sport dell’ex presidente Sarkozy e presente al famoso pranzo all’Eliseo.

La signora Dion, ex vicepresidente del gruppo di amicizia Francia-Qatar all’Assemblea nazionale, durante il suo mandato di deputato dell’Alta Savoia (2012-2017), ha però detto di aver «ricevuto solo 13.000 euro» nel quadro di questo «partenariato» tra Paris-I e l’ICSS. Dopo la sconfitta del 2012, Nicolas Sarkozy si è praticamente ritirato dalla politica e si è concesso qualche vacanza in Qatar prima di intraprendere la carriera di oratore, come rivelato da Le Canard Enchaîné, nell’ottobre 2012. 

Secondo Libération nel 2014, sulla base di documenti dell’inchiesta, Sarkozy intendeva raccogliere finanziamenti per alimentare un fondo di investimento. Nel 2012, il Qatar ha soccorso un altro amico di Sarkozy, Arnaud Lagardère, in difficoltà alla guida della sua azienda. La Qatar Holding ha acquisito il 12,8% del capitale di Lagardère. 

Dopo il tentativo fallito di tornare in politica nel 2016, Sarkozy è entrato nel 2017 nel consiglio di amministrazione del gruppo Accor, come presidente del «comitato di strategia internazionale». Sarkozy, che entrerà anche nel consiglio di amministrazione del gruppo Lagardère nel 2020, arriva al momento giusto nel gruppo alberghiero: Accor, che è già sponsor di maglia del Psg dal 2019, beneficerà anche di altri succosi spin-off dalla Coppa del Mondo, fra cui una partnership per gestire l’accoglienza dei tifosi in una rete di 66.000 camere.

Intervistato dal Journal de Dimanche, Sarkozy ha stigmatizzato il boicottaggio della competizione da parte di alcune municipalità francesi che hanno deciso di non organizzare maxi schermi pubblici e ha criticato in particolare il suo successore, il socialista François Hollande e la sindaca di Parigi, Anna Hidalgo. «Il calcio è uno sport universale e ogni regione del mondo dovrebbe essere in grado di organizzare una competizione internazionale. 

Il calcio non appartiene solo agli occidentali. È uno sport che unisce le persone. Tutti i Paesi che hanno organizzato grandi eventi internazionali sono stati oggetto di molte polemiche: Cina, Russia, Brasile e ora Qatar. Dovremmo dare a ciascuno di questi Paesi ospitanti la possibilità di dimostrare il proprio know-how e aspettare di vedere come si svolgono questi eventi prima di giudicarli». «Non sono stato io a vendere i Rafale. Il mio successore deve aver giudicato che era una decisione corretta. Quanto al boicottaggio, mi sembra che il Comune di Parigi sia molto contento che i qatarini siano proprietari e finanziatori del club della capitale. Questa polemica è piuttosto ipocrita».

Faro sui "cieli aperti" dell'Ue: l'accordo che ha favorito il Qatar. Andrea Muratore il 16 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Scopriamo l'accordo sull'aviazione Ue-Qatar al centro di nuove polemiche. Ma è presto per parlare di un trattato figlio del Qatargate. Vediamo perché

Tra il 2019 e il 2021 l'Unione Europea ha negoziato un ampio accordo sull'aviazione civile col Qatar che ha avuto il suo compimento nella formalizzazione dell'intesa avvenuta il 18 ottobre 2021. Un trattato nello stile open skies paragonabile a quelli che l'Ue ha formalizzato con Stati Uniti, Canada, Marocco, Georgia, Giordania, Moldova, Israele e Ucraina è stato applicato all'emirato del Golfo. In sostanza, ai sensi dell'intesa, si legge sul sito della Commissione Europea, "tutte le compagnie aeree dell'Ue potranno operare voli diretti da qualsiasi aeroporto dell'Ue verso il Qatar e viceversa per le compagnie aeree del Qatar".

La genesi dell'accordo

A parole si potrebbe leggere come una grande svolta di rilancio dell'aviazione dopo lo stop per il Covid-19. Fuori dal burocratese, però, parliamo di un'intesa sbilanciata. Come già la testata Greek City Times faceva notare ad accordo ancora fresco di firma, essenzialmente le compagnie del Paese mediorientale si riducono a un solo vettore: Qatar Airways.

L'intesa è iniziata a venire discussa in una fase in cui l'emirato degli al-Thani era di fatto sotto assedio per l'embargo imposto da Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrein che avevano chiuso i confini terrestri e impedito il sorvolo aereo ai vettori di Qatar Airways, ai tempi ritenuta una delle compagnie migliori al mondo per qualità del servizio. La compagnia di bandiera del Paese mediorientale iniziò i negoziati per rompere l'assedio e creare un ponte con l'Europa in una fase in cui, complice il decollo dell'Asia, il Medio Oriente diventava l'hub decisivo per i traffici aerei mondiali.

Un servizio capillare

Fatte queste premesse, notiamo comunque che, leggendo i contenuti dell'intesa, Qatar Airways risulta fortemente avvantaggiata: con l'obiettivo di raggiungere e superare i 6,3 milioni di passeggeri annui portati sull'asse Europa-Medio Oriente e rafforzare i voli commerciali l'Ue ha programmato un'ampia crescita delle connessioni con cinque Paesi-chiave: Belgio, Francia, Germania, Italia e Paesi Bassi.

261 i collegamenti interessati, si legge sul sito della Commissione: 24 servizi settimanali tra l'Emirato e il Belgio; 27 servizi settimanali tra il Paese del Golfo e Parigi, 14 servizi settimanali tra il Qatar e Nizza, altrettanti sia per i voli destinati a Lione e, a parte, per tutti gli altri scali francese; 21 servizi settimanali tra il Qatar e Francoforte, altrettanti per Monaco Monaco e 14 servizi settimanali tra il Qatar e ciascuno di tutti gli altri punti in Germania; 84 voli settimanali Qatar-Italia; 14 voli Qatar-Amsterdam e 14 tra Doha e tutti gli altri hub dei Paesi Bassi. A cui si aggiungono 135 voli commerciali. Un totale di 396 voli sull'asse Europa-Golfo per i quali, da un lato, Qatar Airways ha libero accesso agli aeroporti dell'Unoone Europea e, dall'altro, le compagnie dell'Ue, formalmente garantite nel rispetto della concorrenza, possono competere tra loro per un solo hub, quello internazionale di Doha.

Il ruolo di Qatar Airways

L'accordo, nell'ultimo anno, è stato criticato dalle principali compagnie aeree e dai sindacati dell'Europa, ma difeso dalla Commissione Ue che ha affermato che garantirebbe "opportunità per entrambe le parti". La compagnia di bandiera da allora ha conquistato una base a Dusserdolf, in Germania, rilanciato la rotta italiana per Venezia e riorganizzato le strategie per connettere, secondo le sue priorità, "l'Europa al mondo". I dati compresi tra metà 2021 e metà 2022 mostrano come la compagnia di bandiera sia messa nettamente alle spalle la crisi: ricavi aumentati del 210% nell'ultimo anno, grazie alla crescita del network di Qatar Airways e un profitto record nei 25 anni di storia della compagnia di 1,54 miliardi di dollari, proiettato verso l'alto nel 2022-2023.

L'accordo, che non prevede che Doha debba adeguarsi alla legislazione sull'aviazione dell'Ue, è tornato nell'occhio del ciclone dopo lo scoppio del Qatargate. La compagnia aerea di bandiera non risulta indagata ma Politico.eu ha sottolineato che oltre a un'operazione di soft power il lobbying dell'Emirato in Europa potrebbe aver avuto, tra le altre cose, l'obiettivo di favorire un'approvazione spedita dell'accordo. Per il quale un coinvolgimento diretto di Qatar Airways del resto non sarebbe necessario: l'Emirato degli al-Thani cura come una grande corporation i suoi affari: l'ultimo neoassunto dei piloti della compagnia così come le stelle del Paris Saint Germain sono parimenti considerati "dipendenti" di Doha, al cui governo spetta la regia politica.

Francesca Basso del Corriere della Sera ha reso noto che "l'eurodeputata della Sinistra Leïla Chaibi ha presentato un emendamento che aggiunge la sospensione dell'accordo al punto 14 della risoluzione che vota oggi il Parlamento in cui si chiede la sospensione di "tutti i lavori sui fascicoli legislativi relativi al Paese del Golfo, specie per quanto riguarda la liberalizzazione dei visti e visite programmate, fino a quando i sospetti non saranno confermati o respinti". Dal nostro punto di vista nel Qatargate ci atteniamo a quanto sappiamo finora, e cioè che l'accordo sembra fuori dai radar dello scandalo Panzeri-Kaili. Da analisti, però, non possiamo non avanzare alcune ipotesi e considerazioni sulle conseguenze politiche di questo fatto.

Tre questioni su cui fare il punto

Il primo punto da tenere in considerazione è il fatto che l'esclusione di Qatar Airways dallo scandalo Qatargate non esclude pressioni politiche di Doha per rilanciare la compagnia. Fa gioco la comprensibile paura dell'Emirato per l'isolamento internazionale, l'atteggiamento bilanciato dell'Europa nella diatriba del Golfo e, soprattutto, il desiderio di accelerare la connessione dell'Ue ai grandi hub internazionali. Elementi che, assieme all'indubbia eccellenza della compagnia di bandiera del Paese mediorientale , possono aver giocato un ruolo nel firmare un accordo ritenuto capace di sfavorire le compagnie ma accelerare il mercato interno.

In secondo luogo, c'è da chiedersi chi potrebbe risultare "vincitore" da questo accordo sul fronte europeo. E pensare che la grande partita dell'aviazione mobilita contesti industriali complessi che sono competenza diretta dei governi più che di enti come l'Europarlamento al centro dello scandalo. Simple Flying alcune settimane fa ha messo in campo la sospetta corrispondenza tra l'acquisto da parte di Qatar Airways di 80 Airbus A380 nel 2010 e la pressione della Francia, nazione centrale nel colosso europeo dell'avionica, per l'assegnazione al Paese mediorientale dei Mondiali 2022. Ebbene, negli anni in cui l'accordo sui voli era in negoziazione Airbus, che ha il 6,65% della compagnia a trazione franco-tedesca, ha visto l'avvio delle commesse del Qatar per i nuovi Airbus A350. L'affare, di recente, è naufragato per dispute sulla sicurezza e il futuro della commessa dopo la consegna dei primi A350 e il Qatar si è rivolto a Boeing, nonostante detenga una quota nel gruppo con cui Qatar Airways è in diatriba. Dunque sicuramente Francia e, in secondo luogo, Germania hanno avuto tutto l'interesse politico a rafforzare l'asse sull'aviazione con Doha, che tra 2019 e 2021 avrebbe comportato fiorenti affari e commesse miliardarie.

In terzo luogo, aprire il Vaso di Pandora con la compagnia degli al-Thani imporrebbe la rilettura ex post di tutte le intese commerciali siglate dall'Ue in materia di aviazione civile. La peculiarità del "cielo unico" europeo rende il mercato interno dell'Ue estremamente attrattivo. E questo rende per contrappasso Bruxelles "svantaggiata" in molte intese che riguardano Paesi singoli.

Dunque, ad oggi non ci sono elementi per sospettare Qatar Airways coinvolta nel Qatargate. Esistono però possibilità che pressioni politiche provenienti sia dall'Emirato che dall'Ue abbiano, per ragioni di opportunità e speranze di floride commesse, oliato l'accelerazione dell'accordo. E c'è, per ora, un solo vincitore di questa sfida: Doha. Che ha ottenuto un trattamento privilegiato senza doversi conformare agli standard europei e "invaso" l'Ue con la sua compagnia a cinque stelle. Ma questo può anche, di fatto, mostrare l'insipienza dei burocrati di Bruxelles. Attenti più alle logiche del libero scambio che agli equilibri di mercato. E se così fosse ciò stupirebbe meno: sarebbe l'ordinaria amministrazione europea.

Estratto dell’articolo di Emiiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian per “Domani” - 08 settembre 2022 

[…] ad Atene Renzi non doveva partecipare a cda, né fare conferenze e interviste sul futuro «rinascimento» dell’Arabia. Non ha preso gettoni né consulenze per eventi ufficiali.

Il senatore ha incontrato in segreto il principe, e ha avuto rendez vous con il primo ministro albanese Edi Rama, con il capo del governo del Montenegro Dritan Abazovic (recentemente sfiduciato), il ministro dell’Energia saudita, il vicepresidente della Commissione europea Margaritis Schinas, quello del parlamento di Strasburgo Eva Kaili e, ovviamente, il premier di casa Mitsotakis. Anfitrione al Four Seasons era anche il ricchissimo Theodore Kyruakou, classe 1974 e proprietario del gruppo Antenna, il più grande colosso mediatico della Grecia.

In che ruolo Renzi ha partecipato agli incontri con personaggi pubblici di questa leva? Di cosa si è parlato durante i pranzi a tavola con il principe accusato di aver dato l’ordine di aver ammazzato giornalisti dissidenti (su tutti Jamal Khashoggi, ucciso dai sauditi su ordine, dice la Cia, di bin Salman), politici e imprenditori nel bel mezzo della crisi energetica e della guerra tra Russia e Ucraina? E come mai nessuno dei partecipanti – a parte Mitsotakis – ha dato notizia della loro presenza nell’albergo di lusso affittato per giorni da bin Salman?

Emiiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian per “Domani” il 15 Dicembre 2022.

A fine luglio un pezzo dell’establishment europeo è stato convocato ad Atene. Nelle sale e nelle suite dell’albergo a cinque stelle Four Seasons di Atene, prezzo medio 2.500 euro a notte. In quei giorni, l’hotel era stato affittato interamente da Mohammed bin Salman, il principe saudita in visita ufficiale al primo ministro greco Kiryakos Mitsotakis. 

Il capo del regime di Riad, però, ha approfittato della visita istituzionale per incontrare in via ufficiosa una ristrettissima cerchi di altri capi di stato, importanti parlamentari europei, oligarchi russi, tycoon e giornalisti. Un gruppo di una ventina di eletti, di cui ha fatto parte anche il senatore Matteo Renzi. 

Nel bel mezzo della campagna elettorale, e a pochi giorni dal primo incontro con il leader di Azione Carlo Calenda prodromico all’alleanza elettorale del terzo polo, l’ex premier ha preso un aereo ed è atterrato in gran segreto nella capitale greca.

Amico personale di bin Salman, Renzi è membro del board dell’FII Institute di Riad controllato dal fondo sovrano saudita (guadagna 80mila dollari l’anno), e siede nella Royal commission per Alula, antica città del deserto che il dittatore vuole trasformare in un grande polo turistico. Una poltrona di consulente che gli ha fruttato finora incassi per circa mezzo milione di euro complessivi.

A differenza dei precedenti viaggi mediorientali, spesso legati a occasioni propagandistiche organizzate dai sauditi per il lancio del progetto “Vision 2030” (bin Salman punta a trasformare entro quella data il regno da una petrolmonarchia a un’economia basata sui servizi e sul turismo), ad Atene Renzi non doveva partecipare a cda, né fare conferenze e interviste sul futuro «rinascimento» dell’Arabia. Non ha preso gettoni né consulenze per eventi ufficiali.

Il senatore ha incontrato in segreto il principe, e ha avuto rendez vous con il primo ministro albanese Edi Rama, con il capo del governo del Montenegro Dritan Abazovic (recentemente sfiduciato), il ministro dell’Energia saudita, il vicepresidente della Commissione europea Margaritis Schinas, quello del parlamento di Strasburgo Eva Kaili e, ovviamente, il premier di casa Mitsotakis. Anfitrione al Four Seasons era anche il ricchissimo Theodore Kyruakou, classe 1974 e proprietario del gruppo Antenna, il più grande colosso mediatico della Grecia.

In che ruolo Renzi ha partecipato agli incontri con personaggi pubblici di questa leva? Di cosa si è parlato durante i pranzi a tavola con il principe accusato di aver dato l’ordine di aver ammazzato giornalisti dissidenti (su tutti Jamal Khashoggi, ucciso dai sauditi su ordine, dice la Cia, di bin Salman), politici e imprenditori nel bel mezzo della crisi energetica e della guerra tra Russia e Ucraina? E come mai nessuno dei partecipanti – a parte Mitsotakis – ha dato notizia della loro presenza nell’albergo di lusso affittato per giorni da bin Salman? 

È un fatto che il principe saudita stia cercando di modernizzare, da un punto di vista economico, il suo paese.

E stia cercando di cambiare anche la percezione dell’Arabia saudita nell’immaginario collettivo occidentale. Patria dell’integralismo musulmano, dove i diritti delle donne e delle minoranze sono minimi, il regno saudita deve trasformarsi in fretta se vuole sopravvivere all’età post petrolifera, finora unico core business dell’economia dello stato. 

Bin Salman sta investendo miliardi a Riad, e contemporaneamente tesse da anni nuove relazioni internazionali, sfruttando l’enorme liquidità dei fondi governativi come il Pif. Il viaggio ufficiale in Grecia del 26 e del 27 luglio, il suo primo in Europa dopo la pandemia, è stata una tappa importante di questo processo. 

L’erede al trono ha portato dall’Arabia un codazzo di 700 persone che hanno viaggiato su 6 aerei, oltre al cibo personale per sé e i suoi consiglieri, la biancheria della camera da letto, i piatti e i bicchieri (non si fida né del Four Seasons né dei servizi d’intelligence di Atene), quasi 200 valigie personali. 

«Vorrei congratularmi con voi per il progetto Vision 2030, e vorremmo esplorare ulteriori opportunità di cooperazione tra i nostri due paesi», ha detto Mitsotakis al principe. Mentre bin Salman vedeva il premier greco nella sede del governo, le due delegazioni hanno firmato accordi commerciali ed economici che secondo i giornali greci «sono stimati in alcuni miliardi di euro».

Basati quasi tutti su futuri investimenti sauditi in Grecia, sul settore della difesa e quello della cultura. Ma soprattutto sull’energia: il principe ha spiegato di voler collegare le reti elettriche, «per fornire all’Europa, soprattutto quella meridionale e occidentale, energia rinnovabile molto più economica: oggi firmeremo un memorandum d’intesa su questo. Siamo anche interessati all’idrogeno, e a come rendere la Grecia un hub per l’Europa nel campo dell’idrogeno», si legge in un comunicato.

Le questioni trattate nel summit ufficiale con i greci sono state dunque strategiche. Ma probabilmente lo sono state anche quelle discusse durante gli incontri informali avuti da bin Salman. Il principe ha infatti convocato ad Atene anche due premier slavi, che sono corsi a omaggiarlo in piena estate: si tratta dell’albanese Rama, amico di Renzi, e del montenegrino Abazovic.

Con loro bin Salman ha avuto un incontro riservato, a pranzo, il 26 luglio, presente anche il premier greco, il ministro dell’Energia saudita e l’ex presidente del consiglio italiano. «Sono andato ad Atene perché bin Salman è un amico, e perché ha la grande ambizione di portare energia elettrica prodotta con pannelli fotovoltaici in Arabia Saudita verso la Grecia, verso i Balcani, e poi l’Europa: sarebbe una risorsa eccezionale per sostituire il gas russo, e più in generale gli idrocarburi» dice Rama a Domani. 

«Perché Renzi era lì? Mi è parso molto dentro al progetto di bin Salman di esportare verso l’occidente dell’energia solare saudita. Un’ipotesi interessantissima. Se abbiamo parlato anche di portare l’energia saudita in Italia dall’Albania? Sì, loro vogliono espandersi oltre i Balcani certo. Ma nella prima fase saranno coinvolti la Grecia e paesi limitrofi».

Al netto dell’efficacia del disegno industriale ed economico del principe, è possibile che Renzi da consulente dei presunti valori neo rinascimentali del regime (fu proprio Renzi a suggerire al principe lo slogan all’evento FII di gennaio 2021, chiamata la Davos del deserto) sia ora diventato pure una sorta di consigliere di bin Salman anche in merito al cruciale settore energetico? 

Lo staff di Renzi a Domani spiega che l’ex premier sarebbe stato chiamato ad Atene da Mitsotakis, suo amico personale, ma ammette che l’invito al Four Seasons potrebbe essere dovuto anche alla circostanza che i suoi eccellenti rapporti con bin Salman siano ormai universalmente conosciuti. 

Negano che il suo viaggio, a differenza delle conferenze e dei soldi presi dalle fondazioni e commissioni saudite, avesse «natura professionale»: «Renzi intrattiene costantemente rapporti con colleghi che hanno o hanno avuto responsabilità di governo. L’incontro ad Atene ha visto la partecipazione di vari politici, tra i quali esponenti della Ue. Renzi non ha alcuna consulenza o interesse economico nel mondo energetico».

Nessuna risposta alla domanda se il leader, essendo pagato dai sauditi in merito ad altre partite, sia anche pagato in modo indiretto. Renzi in persona, contattato, dice solo che se lui fosse al governo non disdegnerebbe affatto un aiuto da parte di bin Salman: «Penso che l’Europa debba ridurre il costo delle bollette anche con l’aiuto dei paesi arabi e del nord Africa. Questa dovrebbe essere la priorità politica della delicata stagione che stiamo vivendo». Nessun altra dichiarazione in merito al viaggio estivo.

Se Renzi non ha alcuna intenzione di chiudere con le consulenze in giro per il mondo o rinunciare ai soldi di Riad, la vicenda non crea alcun imbarazzo all’alleato Calenda. «Non sapevo nulla dell’incontro di luglio, ma se non ha preso soldi non ci vedo nulla di male. E per un politico non è un obbligo pubblicizzare sempre chi si incontra». 

Il numero uno di Azione che, dopo aver stracciato in 48 ore un accordo già firmato con il Pd, ha deciso ad agosto di legarsi al senatore di Rignano, fa della «serietà» e della «coerenza» la sua cifra politica, ma a causa del patto con Renzi ha già dovuto rimangiarsi quanto detto nel recentissimo passato.

Solo a fine giugno aveva detto: «Con Renzi, che è una persona che stimo, c’è però un tema inaccettabile della lobbying internazionale, non si può essere pagati dall’Italia e dall’Arabia Saudita. Senza una linea retta e coerente non andrà mai sopra il 3 per cento. È un buco etico». 

Poi, di nuovo: «Ho detto a Renzi: “Scegli se vuoi fare politica o business”». Qualche giorno fa Calenda giustificava il suo dietrofront così: «Io le consulenze non le prendo, tanto meno da paesi stranieri. Renzi risponde dicendo che questa cosa dell’Arabia Saudita è lecita, e in effetti per la legge lo è. Ma io sono disponibile domani mattina a votare per vietarla». 

Il paradosso è che Calenda, che fa del liberalismo il suo mantra (nulla di più lontano dal regime saudita) e dell’agenda Draghi la sua stella polare, ha organizzato uno dei primi incontri con Renzi in vista di un possibile accordo tra Azione e Italia viva proprio il 25 luglio.

 Cioè il giorno prima che il senatore e lobbista raggiungesse bin Salman ad Atene nelle stanze del Four Seasons dove si discuteva di energia elettrica saudita e investimenti con il principe ereditario, il suo ministro dell’Energia e i premier di altri paesi. «Ripeto: con Matteo siamo in disaccordo sulle consulenze, ma questo viaggio per me non ha nulla di scandaloso», spiega. Chissà se prima dell’accordo politico avrebbe usato parole così conciliatorie.

Ma chi erano gli altri avventori dell’albergo affittato da bin Salman in quei due giorni? Nella lista degli invitati al Four Seasons che c’è il nome di sir “Len” Blavatnik, il cui ufficio stampa non ha però risposto alle nostre domande sulla sua effettiva presenza e sui motivi della visita. 

Blavatnik è l’uomo più ricco d’Inghilterra con un patrimonio che si aggira sui 40 miliardi di dollari, proprietario della Warner Music e di Dazn. Ha passaporto americano e inglese, ma le origini della sua fortuna sono simili a quelle degli altri oligarchi russi poi sanzionati dall’Europa (lui ne è rimasto indenne).

Nato nel 1958 a Odessa, al tempo Urss, è diventato miliardario sotto le presidenze Boris Eltsin e Vladimir Putin. Ha lavorato nell’acciaio e poi nel petrolio: qualche lustro fa ha comprato il 40 per cento della compagnia russa TNK, poi fusa con l’inglese Bp. Nel 2013 la nuova società è stata comprata dalla Rosneft, multinazionale legata al Cremlino. 

Secondo le cronache finanziere del tempo l’operazione, benedetta da Putin, ha portato nelle tasche di Blavatnik la bellezza di sette miliardi di euro. Abbiamo chiesto all’oligarca come mai era stato invitato al Four Seasons, e se avesse parlato con bin Salman e i presenti anche di energia o altri business, ma non ci è pervenuta risposta.

Oltre al magnate dei media Kyruakou e il fondatore del sito Vice Shane Smith, nella lista degli invitati alla due giorni all’hotel affittato da bin Salman compare anche il nome di Margaritis Schinas, un liberal conservatore del partito greco Nuova Democrazia, lo stesso del premier Mitsotakis ora al governo, membro della grande famiglia del partito popolare europeo.

Schinas è un uomo che conta a Bruxelles: è uno degli otto vicepresidenti della Commissione europea guidata Ursula von der Leyen. Ha la delega alla Promozione dello stile di vita europeo. Schinas è stato membro del parlamento europeo tra il 2007 e il 2009, da quel momento in poi ha trascorso gli ultimi 13 anni negli uffici della Commissione, con vari ruoli: da portavoce a vicedirettore generale della comunicazione fino alla vicepresidenza attuale.

In quest’ultimo ruolo ha svolto diverse attività collaterali. Per esempio ha coordinato il lavoro della commissione sullo Sviluppo della sicurezza europea e di quella istituita per rafforzare le misure di prevenzione, rilevamento e risposta alle minacce ibride. In una sua recente dichiarazione ha espresso la linea di fermezza dell’Unione contro l’invasione russa in Ucraina spiegando perché è necessario limitare il rilascio dei visti ai cittadini della federazione governata da Putin.

Sui canali social non c’è traccia della sua presenza ad Atene all’incontro con il principe il 27 luglio. Su Twitter quel giorno ha pubblicato un post per magnificare il progetto ErasmusPlus e le «nostre università europee campionesse di conoscenza, educazione e innovazione per il bene degli studenti, educatori e società. Di certo tra i tanti accordi firmati tra Arabia Saudita e Grecia c’è anche un piano di partnership commerciali e industriali nel settore marittimo.

I rappresentanti di questa categoria, riuniti sotto la sigla “Unione armatori greci” (Union of Greek Shipowers), erano stati ricevuti da Schinas lo scorso marzo, incontro inserito nell’agenda del vicepresidente seguendo la normativa sulla trasparenza che obbliga i membri della Commissione a dichiarare i soggetti (aziende, associazioni, industrie) che incontrano e dove lo fanno. Con gli armatori ellenici il tema della riunione è stato il settore marittimo e il Green new deal.

Ma come mai Schinas è stato invitato al Four Seasonss? Da chi e perché? E come mai non dichiararlo, visto il livello degli altri invitati? Schinas non ha risposto alla nostra richiesta di commento sull’incontro con bin Salman, di cui non c’è traccia nell’agenda ufficiale del vicepresidente. 

Neppure Eva Kaili ha risposto alle nostre domande sul perché il suo nome sia nella lista ristretta di invitati. A differenza di Schinas, Kaili è una dirigente del Partito socialista, ma come il suo collega ha fatto carriera in Europa. È attualmente vicepresidente del parlamento europeo e presiede il Comitato per il futuro della scienza e della tecnologia. È stata deputata in Grecia tra il 2007 e il 2012 e poi è stata eletta a Bruxelles, dove è diventata capo della delegazione per le relazioni con l’assemblea parlamentare della Nato, l’alleanza atlantica.

Sui canali ufficiali della leader politica non c’è alcun riferimento a incontri o cene ad Atene a luglio. In quei giorni, tra il 26 e il 27, ha però rilasciato un’intervista alla tv Mega, dove ha lavorato come giornalista prima di dedicarsi alla politica. Un’intervista ripresa da vari media: Kaili denunciava infatti che circa due anni prima era stata oggetto di un tentativo di intercettazione abusivo durante un viaggio nella penisola arabica. Un tentativo di attacco hacker simile a quello più noto subito e denunciato a fine luglio dal presidente del Pasok, il Partito socialista panellenico di cui Kaili fa parte. 

Uno scandalo di spionaggio interno di rilevanza internazionale che ha portato alle dimissioni del segretario generale del governo Grigoris Dimitriadis, nipote del primo ministro Mitsotakis, e del capo del National Intelligence Service (EYP) greco, Panagiotis Kontoleon. Il caso ha portato all’apertura di un’indagine parlamentare, tuttora in corso.

La vicepresidente del parlamento europeo Kaili è relatrice per i socialdemocratici europei nella commissione che si occupa di sicurezza informatica e software di sorveglianza. Tra i regimi accusati di aver usato il sistema di spionaggio informatico Pegasus per controllare attivisti e oppositori c’è l’Arabia Saudita di bin Salman, che ne ha sempre negato l’utilizzo. 

Chissà se il gruppetto di fortunati invitati, tra energia elettrica, affari in Albania e Peloponneso, memorandum su telecomunicazioni e digitale, ha parlato anche di sicurezza informatica con il principe saudita, che si presenta ormai ai suoi interlocutori come uno dei pochi leader mondiali che può aiutare l’Europa di fronte alla crisi energetica globale.

Andrea Greco e Giovanni Pons per “la Repubblica” il 17 dicembre 2022.

La tela qatarina. Tessuta con relazioni e attività ai massimi livelli, con politici come Matteo Renzi e Massimo D'Alema, funzionari come l'ambasciatore Pasquale Salzano, i manager Giuseppe Bono, Franco Carraro, Giuseppe Giordo. 

Tenuta stretta con investimenti miliardari, diretti o sollecitati, tanto di soldi ce n'è a iosa. Così tanti che, qualche volta, prendono le strade sbagliate, come emerge dalle indagini su Antonio Panzeri e gli altri facilitatori pro-Qatar in Europa.

Ma sarebbe riduttivo e grossolano ridurre l'avanzata del Qatar in Italia a qualche valigia di banconote. Si deve partire da una visione geopolitica, dalla proiezione del piccolo Paese nel mondo, decisa lo scorso decennio e avviata in nazioni strategiche come Francia e Gran Bretagna, poi estesa all'Italia dal 2012 in avanti. Una scelta di Stato, per evitare l'isolamento mentre l'Arabia Saudita e altre nazioni sunnite rompevano le relazioni con il Qatar, accusato di destabilizzare la regione con il sostegno - politico e finanziario - al radicalismo musulmano e al terrorismo coperto dai nemici che ruotano attorno alla galassia sciita, Iran in testa. 

La sterzata italiana sul Qatar ha per mentore Matteo Renzi, presidente del consiglio per tre anni dal febbraio 2014. Il leader di Italia Viva (allora nel Pd) fu fautore della nuova amicizia tra i due Paesi, che ha vissuto un magic moment negli anni a cavallo del suo mandato. Riuscendo a soffiare alla Francia, nel giugno 2016, il contratto per costruire da zero la flotta militare del Qatar. 

Una marina da guerra istantanea, con ordini per circa 6 miliardi di euro (poi altri, per Leonardo) per la vendita di sette unità, una mini- portaerei, quattro fregate portamissili, due pattugliatori, altri due mini-sottomarini per incursioni, più tanta formazione agli ufficiali da parte della Marina militare. Insieme a Renzi aveva gestito direttamente la commessa Giuseppe Bono, patron di Fincantieri da poco scomparso.

Dopo la firma la commessa fu portata avanti da Giuseppe Giordo, dg di Fincantieri che ha poi lasciato il gruppo sei mesi fa per il ruolo avuto nella tentata mediazione in una fornitura di navi alla Colombia. 

Quell'affare, pasticciato e poi sfumato, aveva coinvolto come consulente anche Massimo D'Alema, ex presidente del consiglio e ministro degli Esteri per il Pd. Fino al 2017, quando fu tra i fondatori di Articolo 1, partito in cui è confluito anche Panzeri. Giorni fa D'Alema è spuntato come consulente del magnate qatarino Ghanim Bin Saad Al Saad, la cui conglomerata è in corsa per rilevare da Lukoil la raffineria Isab di Priolo. 

Sugli idrocarburi il Qatar, terzo Paese per riserve di gas e primo esportatore via nave, ha costruito le sue ricchezze. E l'Eni vi ha consolidati rapporti, che nel 2022 l'hanno fatta scegliere come partner al 25% di QatarEnergy nel progetto di 27 anni North Field East, il più grande terminale Gnl al mondo. Accordo trattato direttamente dall'ad dell'Eni, Claudio Descalzi, con i vertici dell'emirato.

Nell'Eni si è fatto le ossa Pasquale Salzano, distaccato nel 2011 dalla Farnesina come capo dei rapporti istituzionali internazionali e dell'ufficio della major negli Usa; e che dall'aprile 2017 al dicembre 2019 è stato ambasciatore italiano in Qatar. La scelta di Salzano fu fortemente voluta da Renzi (anche se il suo amico e collaboratore Marco Carrai avrebbe preferito Salzano a Tel Aviv), che lo caldeggiò a Paolo Gentiloni malgrado ambasciatori più esperti e di pieno rango puntassero al ruolo. Salzano ha cementato così bene l'amicizia tra i due Paesi da far decollare l'interscambio commerciale. Una missione compiuta per lui, passato oggi a presiedere la pubblica Simest.

Quasi in sincrono, tra il 2012 e il 2015 i capitali del Qia, il fondo sovrano locale da 450 miliardi di dollari, planarono sul mercato immobiliare italiano, tra la Sardegna e Milano. Il passaggio di alberghi e terreni della Costa Smeralda avvenne grazie ai contatti tra l'emiro e Tom Barrack, l'americano amico di Trump proprietario del fondo Colony Capital che poco prima gli aveva ceduto anche il Paris Saint Germain. 

 Mentre il trait d'union italiano è stato Franco Carraro, ex ministro, ex sindaco di Roma, già presidente del Coni e della Figc e molto vicino alla Capitalia di Cesare Geronzi, in sella alla Costa Smeralda Holding dal 2006 e anche con la nuova gestione qatarina.

La bandierina milanese viene invece piantata in due tappe, acquistando per circa 2 miliardi i 25 palazzi del complesso di Porta Nuova che comprende il famoso Bosco Verticale e la torre Unicredit di Pella. L'affare è facilitato dai rapporti già esistenti tra la struttura del Qia e quella del fondo americano Hines, allora gestito in Italia da Manfredi Catella che, in seguito, si avvalse della consulenza del banchiere d'affari Luigi De Vecchi, ora al vertice di Citi.

Dal “Fatto quotidiano” il 17 dicembre 2022.

Che schifo questa sinistra, signora mia. Da Lilli Gruber la predica sulla questione morale ce la propina Italo Bocchino, direttore del Secolo d'Italia, ex parlamentare del centrodestra, imputato nel processo Consip per traffico d'influenze illecite insieme a Tiziano Renzi e Alfredo Romeo relativo alla gara FM4 da 2,7 miliardi di euro. Bocchino è schifato "tre volte", mica una soltanto. 

"Mi fa schifo e basta". Uno. "Mi fa schifo perché queste persone sono state trovate con pacchi di soldi a casa in un modo ignobile". Due.

"Mi fa schifo perché si sono venduti sui diritti umani, un valore che la sinistra rivendica". Tre. Bocchino non ha tutti i torti, ma se il pulpito è quello dell'ex consulente di Romeo che comunicava con lui negli uffici di via Pallacorda a Roma attraverso pezzi di carta scritti al momento per eludere le cimici piazzate dal capitano Gianpaolo Scafarto, qualche dubbio sulla credibilità della predica ci viene.

La lobby delle 3.500 Ong che spadroneggiano alla Ue. Le organizzazioni non governative hanno occupato Bruxelles. E non ci sono controlli sui finanziatori. Paolo Bracalini il 16 Dicembre 2022 su Il Giornale.

«Le ong? Servono a far girare i soldi» confessa Francesco Giorgi, l'assistente-faccendiere che smistava le mazzette insieme alla compagna Eva Kaili, ex vicepresidente del Parlamento Ue. In effetti si vuol fare affari a Bruxelles aprire una ong è la via più semplice. Ci si dà un'immagine nobile, ci si ammanta di intenti umanitari, si sceglie un bel nome impegnato, e poi si fa un po' quel che si vuole sfruttando l'accredito nei palazzi del potere europeo e le facilitazioni che ne conseguono. Infatti la capitale della Ue pullula di organizzazioni non governative, un vero esercito. C'è un numero preciso perché la Commissione Ue ha previsto un registro per la Trasparenza, una banca dati che registra tutti i gruppi e le organizzazioni «che cercano di influenzare l'elaborazione o l'attuazione delle sue politiche e della sua legislazione». Le lobby dunque, e fra queste anche le ong. Nella categoria «Organizzazioni, piattaforme e reti non governative e altre organizzazioni analoghe» il registro conta la bellezza di 3488 associazioni accreditate. Tra queste ci sono i colossi della solidarietà, da Amnesty a Save The Children, e poi una miriade di organizzazioni che si occupano di tutto, dai diritti umani a quelli degli animali, dal cambiamento climatico alle questioni legate alla giustizia, come «Non c'è pace senza giustizia» di Emma Bonino, diretta da Niccolò Figà-Talamanca, indagato nell'inchiesta belga sul Qatargate. E poi appunto la ong Fight Impunity dell'ex parlamentare Pd e Articolo Uno, Antonio Panzeri, anche quella depennata dal Registro dopo lo scoppio dello scandalo.

Le norme avvantaggiano chi vuole utilizzare le ong e finanziarle per attività di pressione politica, magari da paesi extraeuropei, mantenendo la privacy. A differenza delle associazioni che rappresentano interessi industriali, le ong hanno infatti meno obblighi di trasparenza finanziaria rispetto alla provenienza dei fondi e delle donazioni che ricevono. Un vero assist per quei finanziatori che vogliono influenzare le decisioni politica senza avere pubblicità. «Le ong sono soggette alle stesse regole dei normali lobbisti aziendali. Ma mentre per un lobbista d'affari sarà difficile nascondere le proprie origini e i propri interessi, la creazione di una ong per rappresentare interessi d'affari o di un Paese straniero, può permettere di nascondere le proprie origini. L'attuale registro fa poco per rimediare a questa situazione. I casi di gruppi di facciata, non vengono mai scoperti dai funzionari che gestiscono il registro, a quanto ricordo», spiega a Vita Kenneth Haar, ricercatore di Corporate Europe Observatory, un gruppo di ricerca sull'attività di lobbying in Ue. Ricorda bene, in effetti il Registro per la trasparenza ha solo 9 dipendenti, a fronte di migliaia di associazioni da controllare, in via puramente teorica. Un sistema opaco, perfetto per «far girare i soldi». L'inchiesta sulle mazzette del Qatar ha messo in evidenza il ruolo che possono giocare le ong in questi processi corruttivi. La Lega ha presentato degli emendamenti alla risoluzione sul Qatargate, per introdurre una revisione più stringente delle norme sulle ong. Ma non è passata per il veto della sinistra. E sul ruolo delle ong è intervenuto anche il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, impegnato a contrastare le navi ong che fanno da «taxi dei migranti». «Il sospetto che talune formazioni siano ispirate a creare un meccanismo di condizionamento non lo dico io ma studi di anni fa. Siamo molto attenti perché non mi stupirebbe se il condizionamento politico di queste Ong fosse un anello di una catena più grande».

Non chiamateli lobbisti. Simone Dattoli su Panorama il 13 Dicembre 2022.

Improvviso come una valanga è piombato un nuovo scandalo legato al malaffare all’interno delle istituzioni. Lo hanno chiamato “Qatar Gate” o peggio ancora “The Italian Job” - il colpo all’italiana - perché nelle vicende di corruzione che fanno tremare la Commissione Europea e l’intero Parlamento alcuni dei principali protagonisti sono purtroppo nostri connazionali.

Ma aldilà della nazionalità e delle istituzioni coinvolte, quello su cui vorrei porre l’attenzione in questa vicenda di cui al momento pare sia emersa solo la punta dell’iceberg di un ampio sistema, è che ancora una volta semplicisticamente i media e l’opinione pubblica hanno pensato di utilizzare il termine lobbista per fotografare e descrivere coloro che si ipotizza abbiano commesso attività illecite legate al traffico di influenze. E così ancora una volta ci troviamo a dover difendere d’ufficio una categoria, quella dei lobbisti appunto, che poco ha a che vedere con le pratiche di cui si racconta in questi giorni. Simone Dattoli, ad & founder Inrete Come rappresentante di una delle principali società di consulenza italiane in ambito public affairs e lobbying più volte negli anni sono intervenuto in tavoli di lavoro, dibattiti e anche in sedi istituzionali per portare testimonianze e contributi utili a dare forma e dignità ad un settore spesso male interpretato come quello delle relazioni istituzionali e della rappresentanza di interessi.

Negli ultimi cinquanta anni sono stati presentati in Italia quasi cento disegni di legge volti a regolamentare questo tipo di rapporti, e anche nella passata legislatura tutti i principali operatori del settore hanno convintamente sostenuto la necessità di una regolamentazione che supportasse un settore che ha vissuto un’evoluzione significativa negli anni, sia sotto il profilo degli strumenti che delle competenze, diventando sempre più uno strumento a supporto delle istituzioni e della politica piuttosto che un’attività portatrice di valori negativi. E allora perché oggi ancora una volta ci ritroviamo a dover distinguere tra lobbisti buoni e lobbisti cattivi? Perché la mancanza di un reale riconoscimento della categoria, con precise regole di ingresso e di ingaggio lascia aperta la possibilità alla creazione di aree grigie in cui pratiche poco ortodosse possono insinuarsi. Un esempio su tutti è quello delle cosiddette “revolving doors” e cioè la possibilità di impedire a chi ha ricoperto nel recente passato incarichi elettivi di poter semplicemente cambiare la giacca e diventare da decisore a portatore di interessi in un tempo talmente breve da consentire di poter far pesare il proprio precedente ruolo in maniera poco trasparente. Una norma di buon senso, che spegnerebbe le aspirazioni lobbistiche e la voglia di guadagno di molti che, magari non più eletti e quindi rimasti privi di importanti emolumenti mensili, si improvvisano in un mercato fatto invece di professionisti e organizzazioni che rispettano e anzi invocano regole sempre più qualificanti per la determinazione di una categoria che non merita di essere sempre citata negativamente.

Da “Posta e risposta” – “la Repubblica” il 13 dicembre 2022.

Caro Merlo, non mi sorprende che Massimo D'Alema, che ha trovato un compratore qatarino della raffineria di Priolo, da bravo campione di supercinismo spacciato per super intelligenza, sia ora diventato un lobbista, un procacciatore d'affari internazionali. Mi sorprende invece che il vice segretario del Pd Giuseppe Provenzano glielo abbia finalmente detto, così, sul grugno. 

Dai candidati alla segreteria del Pd Elly Schlein, Stefano Bonaccini, Matteo Ricci, sinora avevo sentito solo vacuità retoriche: ripartire dal basso, tornare agli operai, battersi per i diritti: ma va? E invece, evviva, Peppe Provenzano ha detto qualcosa di sinistra; non le demagogie a 5 stelle (sponsorizzate, guarda caso, da D'Alema), ma qualcosa di semplice da cui far ripartire la sinistra: "siamo un partito di governo, ma non un partito di affaristi". Bravo.

Lilly D'Ambrosio - Bari

Risposta di Francesco Merlo:

Massimo D'Alema è diventato un broker - l'archetipo è Michael Douglas nel film Oscar Wall Street - che si occupa di profitto e di transazioni non maligne, ma coperte e spregiudicate com' è nella natura del capitalismo internazionale. Non importa a nessuno se e quanto D'Alema ci guadagni ed è meschino il rancore dei militanti con le scarpe rotte: "Non c'è nobiltà nella miseria" dice Michael Douglas. 

Il broker però gioca d'azzardo con uno stile e una passione che non consentono più il moralismo di chi, ad ogni intervista, ancora parla ed è ascoltato come un padre nobile della sinistra. Non sorprende insomma che D'Alema non si ispiri più alla filosofia della tombola, che prometteva "ricchi premi" nelle feste dell'Unità, ma alla filosofia del Monopoli che, attenzione, non è certo il gioco del delinquere economico. 

Meraviglia invece che, tra tante analisi, astratte e astruse, sulla crisi della sinistra, uno solo, Peppe Provenzano, abbia indicato la strada giusta che, vedrà, non sarà seguita: "vedere ex leader della sinistra fare i lobbisti in grandi affari internazionali non è solo triste, ma dice molto sul perché le persone non si fidano, non ci credono più". 

Provenzano fa pendant con Paolo Gentiloni sulla corruzione a Bruxelles: "I corrotti sono di destra e di sinistra. Ma è drammatico che questi episodi di corruzione riguardino i lavoratori che hanno bisogno di tutela, un valore irrinunciabile per la sinistra". 

Provenzano e Gentiloni raccontano la sinistra che si è dissipata, estenuata e corrotta provando a liberarsi e a liberarci dall'ideologia, ma senza riuscire a diventare moderna restando sinistra. È la sinistra che ha perso perché, come dice Michael Douglas: "Non mi illudo di vincere un concorso di popolarità. Ho un "amico" che dice di me: 'Perché onoriamo quest' uomo? Siamo a corto di esseri umani?'".

D’Alema e il Qatargate: «Quelle banconote sono un’indecenza. Io? Consulente, non affarista». Tommaso Labate su Il Corriere della Sera il 17 Dicembre 2022.

L’ex premier: «Nel mio caso non ci sono porte girevoli, ma stagioni diverse. Faccio il consulente, ma non sono più parlamentare». Panzeri? «Una persona che stimavo».

Presidente D’Alema, che impressione le fa vedere persone che conosce da anni, come Antonio Panzeri, coinvolte in uno scandalo come il Qatargate?

«Sono colpito e addolorato. Anche perché le persone coinvolte hanno una storia tale per cui non si può che rimanere colpiti e addolorati. Condivido l’intransigenza di Roberto Speranza e del Pd. Non trovo però accettabile che si prenda questa vicenda e la si usi come una clava per demolire una storia e una classe dirigente, facendo confusione tra cose che sono totalmente non assimilabili tra loro».

Panzeri e Cozzolino in passato sono stati censiti tra i «dalemiani».

«È un aggettivo il cui utilizzo, com’è noto, ho sempre contestato. Panzeri è uno degli esponenti che ha aderito ad Articolo 1, Cozzolino no, comunque sia sono persone che conosco da anni e che ho stimato. Nel caso di Panzeri parliamo dell’ex segretario della Camera del Lavoro di Milano. Una figura con una storia sindacale importante alle spalle, non certo l’assistente di D’Alema».

I sacchi con le banconote nelle case private, negli uffici.

«Non avrei mai potuto sospettare una cosa del genere e infatti la trovo un’indecenza, che merita una riposta ferma in difesa del Parlamento europeo. Devo dire che ho molti dubbi sul fatto che questo tipo di pressioni abbia impedito all’Europa di prendere le sue decisioni. Infatti a me risulta che il Parlamento europeo si sia pronunciato in modo molto severo rispetto al tema dei diritti umani in Qatar. Comunque sia, anche soltanto il tentativo di condizionare le istituzioni attraverso un’opera corruttiva è inaccettabile».

Si indaga anche sugli eurodeputati amici del Marocco. Circolano le foto del 2012 di una conferenza del Mediterraneo organizzata dal Pd e dai Socialisti europei in cui, tra relatori e ospiti, figuravano Gualtieri, Panzeri, Cozzolino. Il convegno venne chiuso da un suo intervento.

«Non mi risulta che parlare a un convegno sia un reato. E comunque, il Partito socialista marocchino è membro dell’Internazionale socialista, abbiamo sempre avuto tanti rapporti. In Marocco, in cui è in corso un processo di democratizzazione che non si vede certo in Qatar, un socialista a un certo punto è arrivato addirittura alla carica di primo ministro. La nostra azione è sempre in difesa dei diritti umani e della democrazia, per cui in quel mondo abbiamo avuto sempre relazioni importanti con le forze che si muovono in queste direzioni».

Il vicesegretario del Pd, Provenzano, evocando anche la sua attività, ha detto che vedere ex leader della sinistra fare i lobbisti in grandi affari istituzionali non è solo triste; ma dice molto del perché la gente non si fida più della sinistra.

«Provenzano ha detto una cosa giusta. E cioè che non si possono accettare porte girevoli tra politica e attività economica. Io però non faccio né l’affarista né il lobbista. Da diversi anni ho un’attività di consulenza prima di avviare la quale, è agli atti, ho scritto al segretario Speranza una lettera di dimissioni dagli organismi dirigenti di Articolo 1. Non ci sono nel mio caso porte girevoli; ma diverse stagioni nella vita che devono essere scandite da un rigido principio di incompatibilità. Io le ho scandite, diciamo».

Ammetterà che in tanti non la pensano così.

«Vede, questo tipo di attività deve essere fatto alla luce del sole. Io non sono più in Parlamento dal 2013, mi sono dimesso dagli organismi dirigenti del partito a cui sono iscritto, poi ho creato una società, collaboro con società internazionali, presento bilanci. Tra l’altro concorro in questo modo largamente a finanziare la mia fondazione e la rivista. Non faccio un’attività sotterranea. È tutto trasparente, tutto controllabile. Qualcuno dice che non è opportuno? Be’, in tutti i Paesi del mondo ci sono persone che hanno avuto un ruolo istituzionale e che poi continuano a dare un contributo utilizzando le loro competenze al servizio dello sviluppo economico. Le aggiungo un’altra cosa, visto che ci siamo. Persino una persona solitamente mite come il sottoscritto arriva al punto in cui non ne può più di leggere certe menzogne. Infatti mi sono rivolto agli avvocati per discutere della questione nelle sedi preposte. È falso, tanto per dirne una, che io abbia fatto da mediatore nella vendita di armi o che abbia truffato il governo italiano con ventilatori difettosi».

Si riferisce agli affari con la Colombia?

«Ho dato una mano a un imprenditore con una qualche imprudenza, lo ammetto. Ma se avessi partecipato a una compravendita di armi sarei stato oggetto di attività giudiziaria. Parliamo di reati. Reati che, non a caso, nessuno mi contesta».

E sulla vendita dei ventilatori difettosi all’inizio della pandemia?

«C’era una corsa disperata ad acquistare questi prodotti sul mercato cinese, perché si producono soprattutto lì, e tutti andavano e pagavano in anticipo. E visto che l’Italia non poteva farlo per le nostre regole amministrative, a me fu chiesto di trovare qualcuno che comprasse in vece nostra, mettendoci i soldi. Io ho trovato un’associazione che l’ha fatto. Ma attenzione (mostra l’email di richiesta col logo della presidenza del Consiglio, ndr): il modello del ventilatore fu scelto, su indicazione del Comitato tecnico scientifico, dalla Protezione civile italiana non da D’Alema, che non c’entrava nulla. Presumo, prima di pagarli, che abbiano verificato che funzionassero. Ma lo presumo, visto che io ho solo fatto un favore e non ho venduto niente a nessuno».

È impegnato ad aiutare il Qatar a rilevare la raffineria di Priolo?

«Anche qui (sorride, ndr), “aiutare il Qatar…”, quante bugie. Una cordata di investitori internazionali, tra cui è presente un imprenditore qatariota, si è rivolta anche me per l’acquisizione della raffineria. A loro ho dato un consiglio: vi interessa? Bene, come prima cosa andate a parlare col governo. Cosa che abbiamo fatto prima col governo Draghi, attraverso il ministro Cingolani, e ora col governo in carica. Massima trasparenza. Vogliono mantenere livelli occupazionali, rilanciare l’area, rispettare i paletti europei della transizione energetica. Se poi si decide il principio che non si possono accettare investimenti che provengono da Paesi non democratici, sarò il primo ad attenermi; naturalmente bisognerebbe smontare circa la metà dell’economia italiana e anche un bel pezzo del campionato di calcio. Questo è il festival dell’ipocrisia. Tra l’altro, non ricordo grandi sollevazioni intellettuali quando Gheddafi, che non era un campione della democrazia, era entrato nel capitale di grandi aziende italiane, anche dell’informazione...».

Voterà al congresso del Pd?

«No. Perché ho sempre pensato che il segretario di un partito debba essere scelto dagli iscritti. E io non sono un iscritto di quel partito».

Potrebbe tornare a esserlo presto.

«Seguo con molta attenzione il dibattito congressuale del Pd. Alla fine di questo percorso, mi atterrò alle indicazioni del mio segretario, Speranza».

Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera” il 13 dicembre 2022.

Se ti riempiono un sacco di banconote fino all'orlo per parlare bene del Qatar e tu parli bene del Qatar, sei una politica corrotta, ma lineare. Invece l'eurosocialista (nel senso di socialista sensibile agli euro) Eva Kaili ha scelto una strada più contorta, non limitandosi a tessere l'elogio dei suoi corruttori, ma usandolo per sputare sull'Europa che le passa lo stipendio, quello regolare. 

Forse avrete visto anche voi le immagini del memorabile intervento al Parlamento di Bruxelles in cui la vicepresidente Kaili proponeva il Qatar come modello sindacale per il nostro Continente: «Impariamo da loro, lì c'è il salario minimo!». Di sicuro c'è quello massimo, riservato a lei e ai suoi compari. 

Nell'area socialista è partita la solita corsa a prendere le distanze dalle Kaili e dai Panzeri, come se l'avidità e il lobbismo a favore dei mostruosamente ricchi fossero incompatibili con la loro parte politica, che ne ha invece sempre fornito amplissime testimonianze. 

L'aggravante di sinistra, se così si può dire, sta in quel non accontentarsi di adulare il finanziatore, ma nel volere trasformare persino l'adulazione a pagamento in una caricatura di battaglia progressista. Che consistano in questo i vantaggi del famoso «multipolarismo» decantato dagli esegeti del modello arabo, russo, indiano, cinese? Definire bieco e corrotto il capitalismo occidentale mentre si prendono le mazzette da quello degli altri.

Pier Luigi Petrillo per “il Domani” il 13 dicembre 2022.

L'indagine sulle presunte tangenti pagate dal Qatar a esponenti del parlamento tato all'attenzione dell'opinione pubblica il tema della regolamentazione dei rapporti tra lobby e decisori pubblici. 

Partiamo da un dato di fatto: l'azione posta in essere dai gruppi di pressione al fine di influenzare i processi decisionali è strettamente connessa alla natura democratica di uno stato. 

Lobbying è democrazia. Un sistema democratico, per essere tale, necessita di un dialogo continuo e trasparente tra decisore pubblico e lobby consentendo, a queste ultime, di intervenire nel processo decisionale. 

L'aspetto critico di tale relazione non risiede nella natura "negoziata" dell'atto conseguente al processo decisionale, ma nel modo in cui i vari interessi sono sintetizzati nella decisione finale. È proprio in questo "modo" che si cela il rischio corruzione che, tuttavia, non dipende dall'azione di lobbying di per sé ma dall'assenza di trasparenza che connota la maggior parte dei processi decisionali e dall'elevata probabilità che, a intervenire nel processo decisionale, non siano tutti coloro che ne hanno interesse ma solo i più potenti. Il paradiso dei lobbisti 

Per ovviare a tali fenomeni degenerativi servono norme puntuali.

A Bruxelles queste regole ci sono e consentono oggi di conoscere come i lobbisti intervengono su parlamento, Commissione e Consiglio. Secondo un accordo siglato tra le tre istituzioni ed entrato in vigore a giugno 2021, i­­­ lobbisti che intendano organizzare incontri o avere contatti con i decisori pubblici al fine di influenzare le politiche dell'Unione sono tenuti a iscriversi a un registro pubblico e a rispettare numerose regole di trasparenza. Le medesime regole valgono per i decisori pubblici europei che incontrano i lobbisti iscritti. 

La normativa ha però due scorciatoie: in primo luogo, gli obblighi di trasparenza non si applicano a chi rappresenta gli interessi di stati anche di paesi terzi, di partiti politici e di sindacati coinvolti nel dialogo sociale europeo. 

In secondo luogo, agli ex parlamentari non si applicano le norme che vietano l'assunzione di incarichi in conflitto di interessi appena cessato il mandato (il così detto "revolving door"). Sono queste "scappatoie" normative ad avere alimentato - stando alle ricostruzioni giornalistiche - il terreno della corruzione nello scandalo emerso in questi giorni. 

Il Far west italiano

La vicenda europea rappresenta un campanello d'allarme per il contesto italiano dove la relazione tra lobbista e decisore è avvolta da un velo impenetrabile e dove continuano a mancare, nonostante lo "scandalo" Renzi, norme volte a regolare il rapporto tra parlamentari in carica e stati esteri. L'Italia è una delle poche democrazie al mondo a non avere una legge organica in materia; il legislatore è intervenuto solo in modalità difensiva, introducendo nel codice penale il reato di «traffico illecito di influenze» che punirebbe chiunque indebitamente si fa dare o promettere denaro per la propria mediazione illecita verso un pubblico ufficiale.

La norma, per come formulata, ha vizi di incostituzionalità ed è sostanzialmente inapplicabile, come ha evidenziato l'ufficio studi della corte di Cassazione precisando che, in assenza di una legge volta a definire i limiti leciti dell'influenza, è impossibile determinare i casi di influenza illecita. L'assurdità ditale disposizione è stata ricordata dal ministro della Giustizia Carlo Nordio in una intervista al Corriere della sera.

Nella scorsa legislatura la Camera ha approvato un disegno di legge in materia, presentato da Francesco Silvestri (M5s), poi arenatosi in Senato sotto i colpi di migliaia di emendamenti. Tuttavia, quel provvedimento nulla disponeva sul lobbying da parte di rappresentanti di stati esteri né fissava divieti di assumere incarichi da parte degli ex parlamentari (molti dei quali si improvvisano lobbisti) o da parte di parlamentari in carica nei confronti di stati esteri.

Lo scandalo europeo dovrebbe ora indurre il governo Meloni a colmare le "scappatoie" italiane. Le direzioni potrebbero essere due: da un lato imporre obblighi di trasparenza in capo ai decisori pubblici (il che non vuol dire compilare dei moduli assurdi come previsto inutilmente dal decreto legislativo n. 33 del 2013) e, dall'altro, disciplinare i diritti dei lobbisti in modo da fissare la cornice entro cui operare. 

Al tempo stesso serve che il parlamento adotti un codice di condotta dei propri membri che vieti espressamente rapporti economici con stati esteri e loro rappresentanti. Il ministro Nordio ha dichiarato che è urgente agire. Speriamo sia di parola.

Annalisa Cuzzocrea per la Stampa il 14 dicembre 2022.

«Siamo profondamente scossi e increduli davanti alle ricostruzioni di queste ore. Sono enormità che non potevo nemmeno immaginare». Solo nel suo ufficio di Montecitorio, Roberto Speranza – deputato e leader di Articolo 1 – chiede: «Posso dire che sono incazzato nero?». 

Può, ma non basta. Quello che emerge su Antonio Panzeri – europarlamentare prima del Pd, poi di Articolo 1 - fa pensare a una rete costruita nel tempo. Possibile non vi siate accorti di nulla?

«I fatti che vengono ricostruiti, con tanto di flagranza di reato con cui bisogna fare i conti al di là di qualsiasi garantismo, sono quanto di più lontano ci possa essere da Articolo 1. Che è una piccola comunità di militanza vera, di gente che dedica una vita a tenere aperto un circolo tra mille difficoltà autotassandosi, capendo come poter risparmiare 5 o 10 euro se c’è da pagare un manifestino o una sala. Abbiamo avuto oltre 50mila persone che ci hanno dato il loro 2 per mille raccogliendo in un anno gli stessi soldi di cui si parla in queste ore».

I 600mila euro trovati nel residence di Bruxelles in cui vive Panzeri?

«Seicentomila euro raccolti dal versamento volontario di persone che hanno scelto di sostenerci. Abbiamo candidato alle politiche il nostro segretario della Liguria, un operaio dell’Ansaldo. Michele Mognato, parlamentare nella scorsa legislatura, adesso è tornato a fare l’Rsu in fabbrica». 

Siete persone che non fanno politica per arricchirsi, sta dicendo questo?

«La rabbia che ho dentro è pesante perché il modo in cui intendiamo la politica, la militanza e il rapporto con le istituzioni è totalmente incompatibile con quel che stiamo leggendo». 

È sicuro non ci siano altre persone di Articolo 1 coinvolte?

«Lo escludo. Le risorse che noi prendiamo arrivano dal 2 per mille, dai versamenti dei deputati, 2000 euro ciascuno, e dagli iscritti. Non raccogliamo soldi in altro modo».

Non accettate donazioni da società o fondi?

«No. I nostri bilanci sono pubblici». 

Non avete fondazioni del partito?

«Ma no!».

Non crede sia comunque grave, non accorgersi di nulla?

«Mi sono fatto questa domanda. Panzeri era un parlamentare europeo autorevole con una storia sindacale importante alle spalle. È uscito dal Pd per partecipare alla fondazione di Articolo1. Lo abbiamo seguito nella sua attività istituzionale a Bruxelles. Quando ha smesso, ha confermato la tessera di Articolo 1, senza incarichi gestionali». 

Non è un dirigente?

«È una personalità rilevante della sinistra milanese e lombarda, non è l’ultimo arrivato. Si tratta di una persona che ha fatto per otto anni il capo della Camera del lavoro di Milano, poi dodici anni europarlamentare, presidente della commissione Diritti umani di Strasburgo. Come potevamo immaginare? Le attività che ha condotto dopo non hanno mai avuto a che fare con noi».

Nessun coinvolgimento con la Ong che presiedeva?

«Mai avuto a che fare».

È stato perquisito l’ufficio e sequestrato il cellulare di Davide Zoggia, ex deputato Pd, passato con lei in Articolo 1, ora collaboratore di due europarlamentari.

«Non è più in Articolo 1 da molto tempo. A differenza di quello che emerge per Panzeri non ho elementi per valutare eventuali responsabilità. Personalmente sono per usare la massima fermezza dinanzi alle responsabilità che emergeranno. Spero che la magistratura vada avanti con determinazione perché qui è in gioco la credibilità delle istituzioni europee e delle forze politiche coinvolte. Voglio più di tutti che si faccia chiarezza. Noi in questa vicenda siamo parte lesa».

Che decisione avete preso nei confronti di Panzeri?

«La commissione di garanzia appena sono apparsi gli elementi più gravi lo ha depennato dall’anagrafe degli iscritti».

La vicenda Soumahoro ha scoperchiato, come minimo, una grossa dose di ipocrisia. Adesso si trovano sacchi di soldi di provenienza sospetta in casa di chi diceva di agire per gli ultimi, i reietti, i perseguitati. Vede l’enorme questione morale davanti alla quale si trova la sinistra?

«Credo che la questione morale sia un tema attuale nel nostro Paese. Fa molto più male quando riguarda la sinistra. Perché a destra negli anni ne abbiamo viste parecchie». 

Ma dopo questo, dopo il caso del dem Nicola Oddati trovato con 14mila euro letteralmente in tasca e indagato per corruzione, dopo l’inchiesta Mafia capitale, e potrei continuare, capisce che non si può rivendicare alcuna superiorità morale?

«Lo capisco e so che a noi fa molto più male perché l’eredità della sinistra è legata alla lezione di Enrico Berlinguer. Dobbiamo con onestà dirci che non siamo impermeabili e quindi anche noi dobbiamo avere processi di selezione dei gruppi dirigenti il più rigorosi possibili. Fatti del genere sono inaccettabili e finiscono per far perdere la fiducia delle persone nei confronti della politica. Ho speso la mia vita, da quando avevo 18 anni, a dire che non è vero che siamo tutti uguali, che tutti rubano alla stessa maniera. Vedere che un’azione individuale così grave può macchiare la storia di una comunità è inaccettabile».

Provenzano, vicesegretario Pd, scrive: «Non c’entra con la vicenda dell’Europarlamento, ma vedere ex leader della sinistra fare i lobbisti in grandi affari internazionali dice molto del perché le persone non ci credono più». Parla anche di Massimo D’Alema. Del suo ruolo di intermediario nella vendita di armi alla Colombia e nella proposta di acquisto di un fondo del Qatar per la raffineria Lukoil in Sicilia. Tutto lecito, ma non crede ci sia un problema di opportunità politica?

«D’Alema non c’entra nulla con questa vicenda giudiziaria. Chiamarlo in causa su questo è del tutto improprio». 

Ha un peso politico e un’influenza che non può negare. Non solo su Articolo 1 ma anche sul Movimento 5 stelle a quanto risulta dai buoni rapporti, confermati, con Giuseppe Conte.

«Ha scelto di accettare un incarico professionale rilevante in una importante società di consulenza. Ma non si può non ricordare che è fuori dalle istituzioni da dieci anni». 

Crede ci sia differenza con Matteo Renzi, attaccato per i suoi contratti di consulenza con l’Arabia Saudita di Mohammed bin Salman?

«Non credo sia una differenza da poco se sei tuttora un rappresentante delle istituzioni della Repubblica. Io sono per la netta separazione delle funzioni politiche e istituzionali con quelle che hanno a che fare con la gestione di interessi particolari».

Ue, 11.800 lobby per influenzare Commissione e parlamentari. I casi di corruzione. Milena Gabanelli e Luigi Offeddu su Il Corriere della Sera il 7 aprile 2019.

Bruxelles supera Washington e si consacra capitale mondiale del lobbismo: sono 11.801 i gruppi di pressione elencati nel Registro della Trasparenza istituito dalla Commissione Europea. A Bruxelles si fanno le leggi che riguardano 508 milioni di cittadini e le lobby lavorano perché non contrastino gli interessi delle imprese e associazioni che rappresentano: industrie, aziende private, grandi studi legali, ma anche sindacati, ong, associazioni di consumatori.

Da Google a Eni ad Altroconsumo: quanto spendono?

Ai primi posti nella classifica ci sono il Cefic o Consiglio delle industrie chimiche europee (12 milioni di spese minime dichiarate nel 2018), Google (6 milioni nel 2017), Microsoft (5 milioni) BusinessEurope (la Confindustria europea, 4 milioni). C’è anche Huawei, il colosso cinese della telefonia, 2.190.000 di costi dichiarati nel 2017.

Fra i singoli Paesi, l’Italia, con 841 lobby, è al quinto posto dopo il Belgio (dove ovviamente si registrano molti gruppi stranieri), la Germania, la Gran Bretagna, la Francia. Fra le principali, per costi minimi dichiarati, troviamo: Altroconsumo (5 milioni di euro), Enel (2 milioni), Eni (1.250.000), Confindustria (900.000). Tutti insieme, i quasi dodicimila gruppi di pressione di Bruxelles spendono circa 1,5 miliardi all’anno. A che cosa servono? A mantenere uffici e personale, a fare convegni e campagne d’opinione in diversi Paesi. O a comprare voti, leggi, e figure delle istituzioni, questo è il dubbio spesso evocato.

Cosa fa il lobbista

Il lavoro del lobbista è quello di contattare commissari ed eurodeputati trasmettendo loro idee per emendare questa o quella norma. Commissari e deputati, a loro volta, hanno bisogno di confrontarsi per sapere quanto e come incidono le direttive nei vari settori dell’impresa e della società. Un’attività legale quindi, purché avvenga alla luce del sole. Infatti ci sono delle transenne: se vuoi incontrare un commissario europeo, per esempio, devi essere iscritto nel Registro della Trasparenza. Ma il problema dei controlli resta: «Mentre la Commissione obbliga i lobbisti a registrarsi prima che qualsiasi incontro possa aver luogo – spiega Raphael Kergueno, del sito Integrity Watch legato a Transparency International –, esercitare il lobbismo con gli eurodeputati e i delegati nazionali al Consiglio resta invece un’attività largamente non regolata. Solo quando il registro coprirà tutte e tre le istituzioni potremo verificare i comportamenti di coloro che a Bruxelles prendono le decisioni politiche».

Il lobbismo soft

Ci sono tanti modi per fare lobbismo, e a Bruxelles bisogna esserci, altrimenti ci sono solo gli «altri». L’ong Altroconsumo ha scritto nel 2018 agli eurodeputati italiani, chiedendo loro alcuni emendamenti a una proposta di direttiva sulle vendite a distanza. Si voleva che anche ai beni digitali fossero estese ampie garanzie contro i difetti di funzionamento, e così è stato. Sempre Altroconsumo ha influenzato le direttive Ue contro l’impiego degli antibiotici negli allevamenti intensivi. Slow Food ha fatto sentire la sua voce nelle direttive sugli Ogm. Altronsumo dichiara di essere finanziata al 98,08 % da quote e abbonamenti degli associati. Slow Food, costi minimi di 800.000 euro per il 2017, riceve sovvenzioni Ue per 730.285 euro, e il contributo degli aderenti di 816.331 euro.

A volte basta modificare un verbo

Il lobbismo delle imprese è più aggressivo. Di norma, ogni proposta di legge raccoglie in Parlamento 50-100 emendamenti, ma a volte sono molti di più e in questi casi possono infilarsi quelli proposti, o scritti direttamente, dai lobbisti e ricopiati pari pari dai deputati.

Quando si discusse l’ultima riforma della politica agricola, gli emendamenti furono 8.000. Per la direttiva che avrebbe dovuto regolare meglio gli hedge fund, i fondi di investimento a rischio, ne piovvero 1600: secondo fonti ufficiose metà erano stati scritti direttamente dai lobbisti della finanza. Anno 2013, direttiva sulla protezione dei dati personali firmata dalla commissaria Ue Viviane Reding, che parlerà poi di «lobbying feroce». Un esempio: l’articolo 35 del testo originale della direttiva dice: «il controllore e il processore (di certi dati personali, ndr) devono designare un responsabile della protezione…». La lobby della Camera di Commercio americana chiede che al «devono» si sostituisca un più morbido «possono». Il deputato conservatore inglese Sjjad Karim rilancia: nel suo emendamento, accolto, si legge «dovrebbero». La differenza fra «dovrebbero» e «devono» non è banale: sparisce l’obbligo tassativo.

La guerra del copyright

L’ultima guerra fra le lobby è scoppiata intorno alla direttiva sul copyright, appena approvata dall’Europarlamento. Da una parte Google e gli altri giganti dell’high tech, dall’altra musicisti, editori, giornalisti e le società che raccolgono i loro diritti d’autore, schierate contro il «no» allo sfruttamento gratuito sul web di opere che hanno diritto a un copyright. Dal novembre 2014 agli inizi del 2019 si sono avuti 765 incontri fra lobbisti e Commissione, nei cui verbali compare la parola «copyright». Google ha avuto 3 incontri al mese per tutto il 2018 con i vertici della Commissione (e le associazioni per i diritti d’autore ancora di più). In estate i deputati Verdi sono stati bombardati da tremila e-mail pro o contro le nuove norme. Virginie Rozière, deputata favorevole, ne ha ricevuto 400 mila, tutte contrarie. Alla fine la direttiva ha disposto che i giganti dell’high tech (nonostante le pesantissime pressioni) ora debbano chiedere le autorizzazioni, pagare autori ed editori, e intervenire sulle violazioni dei diritti.

Norme su emissioni, plastica e farmaci: grande via vai

Un’altra guerra è stata quella accesa dalle norme sulla plastica monouso. Il Cefic, l’ombrello delle industrie chimiche (oggi schierato contro la plastica), nel 2010 dichiara 6 milioni di costi di lobbying, che nel 2018 diventano 12. Nel frattempo, dal dicembre 2014 al febbraio 2019, ottiene 80 incontri con la Commissione Europea, più o meno uno ogni 23 giorni. Significa che questa è una lobby influente, ascoltata.

Poi c’è il pianeta di «Big Pharma». Secondo un rapporto del 2015, le lobby dei farmaci spendono tutte insieme 40 milioni di euro. Questi investimenti riguarderebbero anche le decisioni sui diritti di proprietà o i delicati test sui farmaci. Altro settore caldo è quello dell’automobile. Le spese delle sue lobby a Bruxelles sono passate dai 7,6 milioni del 2011 ai 20,2 milioni nel 2014. Indizio per azzardare un perché: nel 2013 si discutevano le norme Ue sulle emissioni di co2 delle auto, nel 2014 quelle sull’ossido d’azoto.

I casi di corruzione

L’attività delle lobby è per sua natura opaca e il panorama non è sempre tutto bianco o tutto nero. A volte è proprio nero. Novembre 2010-marzo 2011, due giornalisti del «Sunday Times» con telecamera nascosta si presentano come lobbisti a Ernst Strasser, capogruppo del partito popolare austriaco: «Vorremmo cambiare una direttiva, ci aiuta?». Lui accetta, loro pubblicano tutto. Strasser finirà in carcere per corruzione. Come l’eurodeputato sloveno Zoran Thaler e il romeno Adrian Severin, incastrati dalla stessa telecamera. Stessa disponibilità: 100 mila euro a colpo. Un anno dopo, ottobre 2012, il commissario Ue alla salute, il maltese John Dalli, viene cacciato per i suoi legami con un lobbista del tabacco. Per aggiustare una direttiva Ue c’erano in ballo 60 milioni.

Negli ultimi due giorni sono falliti i negoziati, durati due anni, fra Commissione, Consiglio e Parlamento europeo per l’istituzione di un registro unico.

Oltre 13mila lobbisti: cosa succede in Ue. Storia di Andrea Muratore su Il Giornale il 12 dicembre 2022.

Diciannove dipendenti delle lobby per ogni parlamentare europeo: Bruxelles è un crocevia di portatori d'interesse di aziende, gruppi di pressione e società finanziarie. Sono 13mila i lobbysti iscritti al registro ufficiale dell'Unione Europea, diciannove volte il numero totale di parlamentari, che assomma a 705.

Lo scandalo Panzeri-Kaili, in quest'ottica, rischia di gettare un'ombra sinistra sul lavoro dei professionisti delle pubbliche relazioni che sono, legittimamente, portatori di interessi. Più che di lobbying, nel caso, qualora gli addebiti venissero confermati, dovremmo parlare di una triste storia di corruzione e degrado morale, come del resto ha sottolineato anche il Commissario agli Affari Economici Paolo Gentiloni. Ma lo scandalo rischia di gettare un'ombra sinistra sull'intera galassia delle lobby. Al cui interno - oltre a Panzeri - si trovano numerosi ex esponenti delle istituzioni.

Il Corriere della Sera ricorda che "ben 485 ex parlamentari oggi lavorano per gruppi di interesse. ben 485 ex parlamentari oggi lavorano per gruppi di interesse" e molti personaggi di spicco delle istituzioni del passato hanno oggi incarichi importanti in grandi multinazionali. José Manuel Barroso, ex presidente della Commissione, è da anni un top manager di Goldman Sachs. L'ex Europarlamentare e vicepremier britannico Nick Clegg è dal 2018 vicepresidente di Facebook. E ci sono anche molti casi di revolving doors tra apparati amministrativi che gestiscono cause o processi decisionali e aziende, sia di beni e servizi che di consulenza, che sostengono gruppi di pressione: nel 2021 ad esempio, Nick Banasevic, un altro alto funzionario coinvolto in cause contro Google e Microsoft, ha lasciato l'UE per unirsi a Gibson Dunn, un'importante impresa legale. L'ex commissario olandese Neelie Kroes, secondo gli Uber Files, avrebbe rappresentato la compagnia di trasporto privato nella fase di diciotto mesi compresa tra la fine del suo mandato e il limite legale segnato dalla Commissione per assumere un ruolo nel privato.

Il Financial Times riporta che solo sul fronte consulenziale questo problema è stato affrontato: "Bruxelles sta restringendo la possibilità per i funzionari dell'Ue che lavorano per le imprese del settore privato sfruttando le porte girevoli tra l'istituzione e gli studi legali e le società di consulenza". Ma in generale il mondo del lobbying non ha regole certe e questo, accanto a professionisti trasparenti, crea un mondo di mezzo di portatori d'interesse che va di pari passo con l'aumento delle agenzie e degli apparati, oltre che delle decisioni strategiche prese dall'Ue.

Chi lavora a Bruxelles ricorda la pioggia di audizioni avvenute ai tempi delle discussioni sulla Gdpr, quando le compagnie del big tech furono le più critiche verso la regolamentazione europea. L'European Chemical Industry Council è oggi con 9 milioni di euro il primo investitore nel lobbying presso la Commisisone, seguito da Google con 6 e Microsoft con 5. Facebook e ExxonMobil sono a 3 milioni a testa. Mohammed Chahim, europarlamentare socialista, ha sottolineato come a giugno si fosse intensificato il lobbying dei big dell'auto per fermare l'opzione del passaggio all'elettrico entro il 2035. E di recente, nota Politico, molti parlamentari ritengono che "hanno ingannato i legislatori europei durante i negoziati su due importanti leggi tecnologiche dell'UE, il Digital Markets Act (DMA) e il Digital Services Act (DSA), nascondendosi dietro altre organizzazioni: lobby che presumibilmente rappresentano piccole e medie imprese, a cui hanno fornito finanziamenti e istruzioni. Nel frattempo, le lobby hanno finto di essere i rappresentanti ufficiali delle Pmi mentre allo stesso tempo promuovevano e difendevano gli interessi commerciali delle Big Tech", senza rivelare le loro connessioni. Un altro esempio del fatto che non è il lobbying il problema, ma l'assenza di regolamentazione verticale e di paletti precisi sui passaggi di campo che, per ora, riguarda solo nove agenzie dell'Ue. Le regole sul conflitto d'interesse esistono: basterebbe applicarle. E distinguere i professionisti degli affari istituzionali dagli arrivisti che lucrano sul contatto diretto tra esponenti istituzionali e settore privato.

Fate presto. La migliore risposta al Qatargate è regolamentare i lobbisti dei Paesi extra Ue. Pier Virgilio Dastoli su L’Inkiesta il 13 Dicembre 2022

Il caso sulla presunta corruzione deve aprirci gli occhi su un vuoto legislativo da colmare il prima possibile: non c’è nessuna regola che impedisca l’azione di lobbies extra-europee su assistenti ed eurodeputati. L’Eurocamera deve creare una commissione di inchiesta sulla vicenda

Il 10 dicembre è stata la giornata internazionale dei diritti fondamentali che si celebra ogni anno per ricordare la Dichiarazione universale proclamata dalle Nazioni Unite nel 1948. Questa giornata internazionale ha paradossalmente coinciso con l’esplodere del cosiddetto Qatargate e cioè con le informazioni diffuse dalla Procura federale belga sull’inchiesta avviata cinque mesi fa per una serie di azioni criminose secondo cui «gli inquirenti della polizia giudiziaria sospettano che uno Stato del Golfo  abbia cercato di influenzare le decisioni economiche e politiche del Parlamento europeo». «Sono stati sequestrati contanti per seicentomila euro oltre a materiale informatico e telefoni cellulari», ha aggiunto la Procura federale belga.

Nonostante il carattere molto scarno del comunicato, ambienti alla Procura federale belga si sono immediatamente attivati per informare i due maggiori quotidiani belgi francofono e fiammingo sull’identità dei fermati, sul numero e sulle località delle perquisizioni, sui capi d’accusa e sul nome dello Stato del Golfo che avrebbe esercitato il tentativo di influenza: ciò in pieno disprezzo – come avviene purtroppo in molti paesi europei a cominciare dall’Italia nei rapporti di «buona collaborazione» fra la magistratura o le cancellerie e la stampa – delle ragioni che dovrebbero essere alla base degli avvisi di garanzia e della presunzione di innocenza.

L’azione ultra vires della Procura federale belga ha avuto l’effetto immediato di aprire un processo mediatico nei confronti non solo degli indagati/fermati ma di tutto il Parlamento europeo «sécoué – scrive Le Monde – par un Qatargate» o «soldi del Qatar al Parlamento europeo» (Il Sole 24 Ore) o ancor di più «Eurocorruzione» aggiungendo che «il Qatar ha corrotto la democrazia europea» (La Repubblica).

A proposito di presunzione di innocenza vale la pena di sottolineare che la Procura si è attivata il 9 dicembre perché fossero diffusi sulla stampa i nomi dei fermati (6) ma che non ha usato la stessa premura e sollecitudine perché fosse diffusa sulla stampa la notizia che uno dei fermati (Luca Visentini) era stato liberato seppure sous conditions.

Il Movimento europeo condanna senza riserve le azioni dei corrotti – quando esse saranno provate – e ritiene che l’opinione pubblica europea debba essere rapidamente e ampiamente informata sulle dimensioni non solo finanziarie della corruzione ma anche sugli effetti delle azioni dei corrotti nelle decisioni “economiche e politiche” del Parlamento europeo relative alla denuncia delle violazioni del rispetto dei diritti fondamentali nel Qatar e più in generale negli Stati del Golfo.

Il Movimento europeo prende anche atto con soddisfazione delle sanzioni prese con estrema rapidità dal Parlamento europeo attraverso la propria presidente Roberta Metsola, dal Gruppo S&D e dal Pasok nei confronti della vicepresidente Eva Kaili e si attende che la stessa fermezza e la stessa rapidità siano adottate nei confronto di altri eventuali indagati appartenenti a qualsiasi titolo all’istituzione così come la totale estraneità dell’ETUC alle ipotesi di corruzione su cui indaga la magistratura belga.

Noi invitiamo a leggere con attenzione la risoluzione “sui diritti umani nel contesto della Coppa del Mondo FIFA 2022 nel Qatar” approvata dal Parlamento europeo il 24 novembre 2022 a Strasburgo – nata da una proposta del Gruppo Renew Europe (i liberali, n.d.r.) che, fin dalla legislatura 2014-2019, è stato il più attivo nella denuncia delle violazioni dei diritti fondamentali in Europa e nel mondo nonostante le incomprensibili reticenze di PPE e S&D – frutto di un compromesso raggiunto fra Renew Europe, PPE, S&D e ECR e dunque con la auto-esclusione per ragioni opposte di Verdi, Sinistra Europea e Identità e Democrazia.

Nella risoluzione si condannano le morti (quelle che in Italia vengono chiamate ipocritamente “incidenti sul lavoro”) e le violenze di cui sono stati vittime i lavoratori nella preparazione dei campionati del mondo di calcio, le discriminazioni nei confronti di centinaia di migliaia di migranti, la mancanza di trasparenza e di responsabilità della FIFA nella scelta del Qatar avvenuta nel 2010, la lunga storia di corruzione “rampante e sistemica” della FIFA che ha gravemente danneggiato l’immagine e l’integrità del calcio, l’assenza del rispetto dei diritti fondamentali e dei principi dello stato di diritto da parte degli sponsor delle manifestazioni sportive, la mancanza di una riforma profonda delle regole per l’attribuzione delle sedi dei campionati del mondo di calcio e di una informazione trasparente sull’attribuzione del campionato 2022 al Qatar e il mantenimento della pena di morte nel Qatar (dove è in vigore la legge islamica della Sharia, n.d.r.).

Si deve invece sottolineare che un approccio più flessibile nel giudicare lo stato della protezione dei diritti nel Qatar e in particolare dei lavoratori migranti (come si riscontra dal Testo della Risoluzione) sembrerebbe derivare soprattutto dal fatto che sia l’ILO che l’ITUC hanno considerato le riforme adottate dal Qatar come un esempio per gli altri Stati del Golfo.

La magistratura belga e con essa le magistrature degli altri paesi europei possono e debbono agire con pene esemplari contro i corrotti europei e le istituzioni europee possono e debbono accompagnare le pene giudiziarie con sanzioni amministrative congelando e poi cancellando i diritti finanziari maturati da membri delle istituzioni così come la Commissione e il Consiglio dovranno indagare per verificare se ci sono stati tentativi di influenze illegali al proprio interno.

La vicenda del Qatargate deve permettere tuttavia di lanciare un forte allarme non solo sulla presenza dei corrotti ma anche sull’azione dei corruttori e cioè delle lobbies che agiscono da paesi al di fuori dell’Unione europea sapendo che la regolamentazione e la trasparenza sulle lobbies europee deve essere rafforzata e completata con un accordo interistituzionale ma che non c’è nessuna regola e nessuna misura per impedire l’azione e le ingerenze di lobbies extra-europee.

Una pronta reazione del Parlamento all’accaduto con il varo di misure preventive ed efficaci a tutela dell’autenticità e dell’autonomia delle procedure di formazione della volontà collettiva dell’organo a mandato universale dei cittadini europei sarebbe la prima, doverosa, risposta all’attuale turbamento dell’opinione pubblica continentale, nell’attesa che la Magistratura chiarisca la reale entità dei fatti. Il Movimento europeo chiede infine al Parlamento europeo di creare una commissione di inchiesta sul Qatargate a partire dalla lista di denunce e di condanne contenute nella risoluzione del 24 novembre 2022.

Gauche Qatar. Le accuse di corruzione a Bruxelles rivelano le fragilità del socialismo europeo e della sinistra italiana. Mario Lavia su L’Inkiesta il 12 Dicembre 2022

Le istituzioni restano forti ma l’indagine è un colpo duro all’immagine dell‘Europa, e getta ombre anche su un’area di ex Pd ora dalemiani. Ma, attenzione, i precedenti insegnano che è meglio essere garantisti fino all’ultimo

Doverosa e non formale premessa: sulla vicenda che sta travolgendo esponenti o ex esponenti del Parlamento europeo bisogna essere garantisti fino all’ultimo, come sempre. Ci sono stati alcuni arresti, è vero, ma ovviamente non basta a decretare la responsabilità delle persone in questione. Ci sono già le strumentalizzazioni politiche tipicamente italiane, con la destra che chiede al Partito democratico di chiarire.

È vero che la vicenda tocca ambienti del socialismo europeo (che tristezza, ndr) ma il Partito democratico in quanto tale non si capisce bene cosa c’entri. Comunque sia, la questione è molto seria. In primo luogo, c’è il colpo all’immagine delle istituzioni europee: «Lo scandalo di corruzione all’Europarlamento è una cosa gravissima. Si tratterebbe di esponenti del Parlamento europeo e di attivisti che avrebbero ricevuto soldi per chiudere un occhio sulle condizioni di lavoro in Qatar. È una vicenda vergognosa», ha detto con chiarezza Paolo Gentiloni.

Non da oggi viene alla luce che il Parlamento europeo e in generale le strutture politiche e organizzative di Bruxelles sono nella costante attenzione di Stati, potentati, lobby, forze economiche palesi e occulte che in mille modi tentano di condizionarne politiche e scelte.

Questa volta è il Qatar ad aver messo in moto azioni tese ad annullare l’immagine negativa di quel Paese sotto molteplici aspetti, in primo luogo in relazione agli scarsissimi diritti dei lavoratori. La domanda sorge spontanea: l’Europa è dunque permeabile alle manovre di questo o quello Stato, di questo o quel potentato? Bruxelles come la nuova Bisanzio, nei cui bazar brulicano faccendieri e corrotti? Il palazzo del Parlamento europeo come un suq arabo?

Probabilmente questo sarà il nuovo stornello da osteria dei sovranisti che da qualche tempo hanno un po’ mollato la presa sull’antieuropeismo, ma che sono sempre in agguato nelle loro tane nazionaliste.

Bisogna rispondere di no, che quelle europee sono istituzioni forti. «I corruttori sono nemici della democrazia», dice giustamente Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento europeo. Ma siccome la struttura è gigantesca, donne e uomini che vi lavorano sono più esposti alle “tentazioni”: a Bruxelles un consigliere parlamentare ha spesso più potere di un deputato, personaggi lontani dai riflettori maneggiano questioni e pratiche di grandissimo rilievo fuori da ogni possibile controllo: è la tragedia delle democrazie quando si trasformano in grandi tecnocrazie.

E poi, al netto del garantismo, possono inciampare nelle “tentazioni” parlamentari oscuri ma ben addentro a certe dinamiche: non è il caso della importante socialista greca Eva Kaili, vicepresidente dell’Europarlamento prontamente sospesa dalla presidente Roberta Metsola, figura di primo piano.

Ma Antonio Panzeri, già Partito democratico poi Articolo Uno, anch’egli subito sospeso, è un ex deputato, comunque una figura non notissima al pubblico. Panzeri però è stato un personaggio importante soprattutto nella sinistra milanese, segretario della Camera del lavoro, poi dirigente Cgil di primo piano, una lunga storia Pci-Pds-Ds-Pd, sempre annoverato tra i dalemiani di ferro. Amico di Massimo D’Alema, uno di sinistra, talmente di sinistra da uscire dal Pd per confluire in Articolo Uno di Pier Luigi Bersani. Il suo partito lo ha sospeso esprimendo «sconcerto», perché per Panzeri è uno di quei compagni su cui non c’è da dubitare, anche se era già incappato in una indagine interna dell’Europarlamento per rimborsi di viaggi legati alla sua Associazione “Milano+Europa” che l’amministrazione considerava non idonei: 83mila euro.

Essendo da anni impegnato sulle questioni dell’Africa settentrionale e del Medio Oriente, il Qatar deve aver visto in lui un possibile canale per la sua campagna d’immagine, si vedrà se con mezzi leciti o illeciti – frattanto sono stati arrestati la moglie e la figlia e il suo ex collaboratore, quel Francesco Giorgi che in seguito ha stretto una relazione con la Kaili (ricordiamoci sempre che al momento sono soltanto accusati e di tante persone infangate e uscite alla fine pulite: ultimi i casi dell’ex presidente dell’Umbria Rita Lorenzetti ma non si può dimenticare la triste vicenda di Filippo Penati o quella di Calogero Mannino e tante altre).

Ma è chiaro che questa storia scuote la famiglia del socialismo europeo, lambisce un pezzo della sinistra italiana, segnala che il rapporto tra politica e morale si fa problematico proprio laddove la morale venne elevata a spartiacque tra “noi” e “loro” – fu un tratto fondamentale del berlinguerismo – ed è davvero una grottesca ripicca della storia il fatto che in questi giorni sia uscita un’altra notizia che collega il Qatar ai dalemiani, anzi, proprio a Massimo D’Alema in persona, che sarebbe uno dei consulenti dell’uomo d’affari qatarino Ghanim Bin Saad Al Saad, a capo di una cordata per l’acquisizione della raffineria di Priolo, in Sicilia.

Qui tutto lecito, nessuno scandalo, non c’è relazione tra le due cose, l’ex capo dei Ds è da tempo un consulente che agisce in svariate parti del mondo. Però è difficile dar torto al vicesegretario del Partito democratico Peppe Provenzano quando dice che «vedere ex leader della sinistra fare i lobbisti in grandi affari internazionali non è solo triste, dice molto sul perché le persone non si fidano, non ci credono più». E alla fine il gioco di parole viene facile, dalla gauche caviar alla gauche Qatar il passo è breve. Sempre al netto del garantismo.

Il silenzio imbarazzante della sinistra, sindacati compresi, sulle tangenti del Qatar. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno l’11 Dicembre 2022

L’arresto di Panzeri, ex eurodeputato di Pd e Articolo Uno mette in crisi i partiti della sinistra. L’affondo della Lega: “Siete ipocriti” , chiede una commissione d'inchiesta all'Europarlamento . Durissimo il commento del vicepremier Matteo Salvini: "Sul Pd accuse sconvolgenti. Si convochi subito il Copasir".

L’arresto di Antonio Panzeri, l’ex eurodeputato di Pd e Articolo 1 per tre mandati consecutivi e ha ricoperto diversi incarichi, tra i quali quello di presidente della sottocommissione dei Diritti umani, oggi accusato di corruzione, riciclaggio e associazione per delinquere, scuote il partito di Roberto Speranza. A fine giornata, il silenzio di Articolo Uno è imbarazzante, come quello del suo segretario che tace, esattamente come fanno anche Pier Luigi Bersani e Sergio Cofferati che parlano sempre di tutto e di tutti. L’ex ministra Federica Mogherini si dimette dalla Ong di Panzeri, la Fight Impunity, seguita dall’intero board. Eppure anche prima degli arresti, di ombre sulla Ong per il suo appoggio al governo del Qatar ne erano emerse. Ma ora Panzeri viene ufficialmente accusato di avere utilizzato “metodi ingegnosi e spesso scorretti per raggiungere i suoi scopi”.  Tutti zitti ed allineati a sinistra, ad eccezione di Arturo Scotto, che parla chiaro: “Il Qatar è un Paese dove i diritti umani non sono rispettati. Prima ancora che sul piano giudiziario – dice il coordinatore di Articolo Uno – il punto è politico. Noi siamo con i lavoratori, non con gli emiri miliardari“.

Panzeri viene definito da Luca Fazzo oggi sul quotidiano Il Giornale, “Una specie di Soumahoro in giacca e cravatta, un alfiere dei diritti dei poveri che garantiva a sé e alla famiglia un invidiabile tenore di vita. Nelle carte delle indagini della magistratura belga su Antonio Panzeri, ex leader della Cgil milanese e già eurodeputato del Pd, emergono col passare delle ore dettagli sempre più sconcertanti. Se i meccanismi attraverso i quali Panzeri conquistava adesioni a Bruxelles agli interessi del regime del Qatar e – si scopre ieri – anche del Marocco rimangono ancora un po’ indefiniti, a emergere con chiarezza disarmante sono i benefit che l’esponente piddino ritagliava per sé dall’attività di Fight Impunity, la Ong con sede nel centro della capitale belga, protagonista di nobili battaglie – dal caso Regeni ai morti sul lavoro – ma anche sponsor prezzolata degli interessi del regime di Doha, a partire dai Mondiali di calcio“

Accuse simili a quelle mosse alla Ong Fight Community vengono contestate anche a un’altra Ong , la No Peace without Justice fondata da Emma Bonino, e gestita da un italiano ma operante da Bruxelles, con sede allo stesso indirizzo (i casi della vita…) della Figh Impunity e stesso programma di lotta alle ingiustizia su scala globale. Il suo segretario generale Niccolò Figà Talamanca, secondo alcune agenzie, sarebbe stato arrestato.

Nel Pd latita la voglia di commentare. Sbotta Andrea Orlando su Twitter: “Diciamola tutta, garantismo a parte, se fosse vera anche la metà dell’affaire Qatar-Europarlamento, saremmo già allo schifo assoluto. Scambiare i diritti fondamentali dei lavoratori con soldi e regali dei signori feudali del Qatar è tradimento totale dei valori democratici“. L’ex-ministro della giustizia prima e del lavoro poi Andrea Orlando dimentica però di essere stato firmatario, nel 2016, della convenzione che affida proprio agli imam dell’Ucoii il compito di prevenire la penetrazione nelle carceri dell’Islam radicale. Una mossa che equivale a mettere la volpe nel pollaio.

Un ex collega di Panzeri all’Europarlamento, parla di lui r lo descrive come un uomo potente: “Tra i 10-15 deputati che contavano davvero. Aveva rapporti fortissimi con l’Africa, stava più lì che a Bruxelles. Soprattutto il Maghreb: in Marocco e Tunisia era di casa. Le pareti del suo ufficio erano piene di foto con re e principi”. Chi ha condiviso gli anni di Bruxelles con Panzeri ne parla dietro anonimato come di “un parlamentare potente, non uno sprovveduto“. Un politico mai sopra le righe: “Un taccagno esagerato, non buttava soldi, né per vestiti né per locali”.

Lo ricordano amico di Gianni Pittella e Andrea Cozzolino (per il quale lavora adesso il suo ex-assistente arrestato Francesco Giorgi) . Parlano di un rapporto che si è molto affievolito negli anni con Massimo D’Alema anche perche “Antonio non ha bisogno di una casacca per girare, ha la sua. Non è “dalemiano”, è sempre stato un “panzeriano“.

L’idillio ideologico-finanziario che lega il Pd italiano e la sinistra europea all’Islam della Fratellanza Musulmana sovvenzionato dal “grande fratello” del Qatar dura da oltre un decennio. E l’Italia ne rappresenta, grazie ai governi Pd, una delle culle più accoglienti. Per scoprirlo basta sostituire al nome di Fratellanza Musulmana e Qatar la sigla del loro referente nostrano ovvero quell’Ucoii, Unione delle comunità islamiche in Italia, che – pur rappresentando un’ala minoritaria e non proprio moderata dell’Islam italiano – ne è diventato grazie a governi e amministratori del Pd la voce più ascoltata e autorevole.

Il Qatar da sempre accoglie e protegge la diaspora della Fratellanza Musulmana, un movimento integralista giudicato sovversivo e pericoloso da molti paesi arabi e islamici. Un giudizio non proprio campato in aria visto che tra le fila della Fratellanza sono cresciuti i leader di Hamas prima e di Al Qaida poi. A Doha, invece, è vissuto in esilio, fino alla morte sopraggiunta lo scorso settembre, Yusouf Al Qaradawi, il predicatore simbolo della Fratellanza Musulmana autore di una fatwa in cui pronosticava “la riconquista di Roma attraverso la predicazione e le idee“. Predicazione e idee destinate a far assai poca strada senza i soldi riversati in Italia ed Europa da Doha e dai suoi prestanome.

In Italia grazie alle “disattenzioni” (soltanto ?) dei governi Pd sono arrivati dopo il 2013, circa 25 milioni di euro della «Qatar Charity» con cui l’Ucoii conta di realizzare 45 progetti per la costruzione di moschee, luoghi di preghiera e centri culturali islamici. Il tutto mentre Al Qaradawi suggerisce di destinare qualche piccolo contributo anche al Caim, il Coordinamento Associazioni Islamiche di Milano, Monza e Brianza. Un’intuizione a dir poco lungimirante visto che subito dopo il sindaco di Milano Giuseppe Sala fa eleggere nelle liste Pd e accoglie in Consiglio comunale la militante islamica Sumaya Abdel Qader.  Una militante orgogliosamente velata formatasi, guarda caso, tra le fila del Forum Europeo delle Donne Musulmane, braccio operativo della Fratellanza Musulmana a Bruxelles. Una mossa che alla luce delle attuali cronache la dice lunga sui rapporti intessuti dal Pd con l’Ucoii e i suoi referenti internazionali.

Gli imam dell’Ucoii sono i principali propagatori del verbo integralista propugnato dalla Fratellanza Musulmana. Ma il “pollaio” italiano è ben più ampio del ristretto universo carcerario. E lo dimostra la Firma del «Patto nazionale sull’Islam» con cui l’Ucoii è diventato nel 2017 un interlocutore ufficiale dei nostri governi. Mentre l’accusa di «islamofobia» diventa l’anatema con cui tacitare qualsiasi critica al diffondersi di un islam radicale garantito dal denaro distribuito all’Ucoii e agli spregiudicati esponenti di un pensiero progressista modellato sul verbo di Doha.

Il destino vuole che l’arresto di Panzeri coincida incredibilmente con le attività che Massimo D’Alema in questi giorni sta portando avanti come consulente privato . L’ex premier, uno dei leader della sinistra italiana, sarebbe l’intermediario tra il governo italiano e un gruppo di investitori del Qatar pronti a rilevare la raffineria della russa Lukoil a Priolo. Una coincidenza che porta Giuseppe Provenzano , vicesegretario del Pd, a fare una pubblica critica amara: “A proposito di Qatar, una nota a margine. Non c’entra con la vicenda a dir poco orribile dell’Europarlamento, ma vedere ex leader della sinistra fare i lobbisti in grandi affari internazionali non è solo triste, dice molto sul perché le persone non si fidano, non ci credono più“.

Tutti a sinistra corrono a disconoscere Panzeri. Articolo Uno lo ha sospeso ed in una nota esprime “sconcerto per quanto sta emergendo» in «una vicenda del tutto incompatibile con la sua storia e il suo impegno politico“. Arturo Scotto sostiene che l’ex eurodeputato “da tempo non ricopre ruoli operativi” e che quella di sospenderlo è “una decisione a tutela della nostra organizzazione politica“. L’ufficio dell’eurodeputato socialista belga (di origini italiane) Marc Tarabella è stato sigillato: nel 2014 aveva dato a Salvini del “fannullone“. Adesso il centrodestra, chiaramente, attacca, e la Lega per voce di Susanna Ceccardi parla di “vergognosa ipocrisia della sinistra” e chiede una commissione d’inchiesta all’Europarlamento . Durissimo il commento del vicepremier Matteo Salvini: “Sul Pd accuse sconvolgenti. Si convochi subito il Copasir”. Redazione CdG 1947

Bonino, Mogherini e le Ong coinvolte nell'inchiesta di Bruxelles. L'ex ministra: "Non so nulla, voglio capire". A cura della redazione Politica su La Repubblica l’11 Dicembre 2022.

Entrambe figurano come consigliere onorarie di 'Fight Impunity' di Panzeri. La ex commissaria Ue su 'No Peace Without Justice': "Figà-Talamanca? Aspetto la magistratura che si deve esprimere".

Caso Qatar: le due Ong finite nel mirino degli inquirenti belgi nell'ambito dell'inchiesta per sospetta corruzione, Fight Impunity e No Peace Without Justice, hanno sede entrambe al civico 41 di Rue Ducale, nei pressi del Palais Royal, del Parlamento Federale e dell'ambasciata degli Stati Uniti d'America, a Bruxelles.

La prima, Fight Impunity, è stata fondata il 25 settembre 2019 nello studio del notaio Jean van de Wouwer, in square de Meeus a Bruxelles, da Antonio Panzeri, già segretario della Camera del Lavoro di Milano, ex eurodeputato per il Pd prima e poi per Articolo 1, del gruppo S&D, residente a Calusco d'Adda, fermato venerdì dalle autorità belghe.

La Ong di Panzeri

'Fight Impunity', la Ong perquisita dalla polizia belga nell'ambito dell'inchiesta che ha portato al fermo di quattro persone per presunta corruzione, è stata fondata nel settembre 2019 da Antonio Panzeri, già eurodeputato del gruppo S&D ed ex presidente della sottocommissione Diritti umani del Parlamento europeo. Dopo essere stato a lungo segretario della Camera del lavoro di Milano, dal 1995 al 2003, Panzeri è diventato eurodeputato nel 2004 e lo è stato fino al 2019.

Una volta lasciata l'Aula, Panzeri ha fondato a Bruxelles 'Fight Impunity', organizzazione non profit impegnata "contro l'impunità" per le violazioni dei diritti umani. Il consiglio dei membri onorari della Ong, che ha sede in Rue Ducale, non lontano dall'Ambasciata americana, dalla missione permanente a Bruxelles della Federazione Russa e dal Parlamento federale belga, è composto da personalità di assoluto rilievo.

Tra queste, secondo il sito della Ong, figurano anche Emma Bonino, ex ministra ed ex commissaria europea, e Federica Mogherini, già ministra degli Esteri e Alto Rappresentante dell'Ue, oltre a Dimitris Avramopoulos, già commissario europeo agli Affari Interni, e all'ex primo ministro francese Bernard Cazeneuve. È membro onorario di 'Fight Impunity' anche Denis Mukwege, ginecologo congolese premio Nobel per la Pace nel 2018.

La Ong 'No Peace Without Justice'

No Peace Without Justice, invece, ha molti più anni: la sede sociale è stata trasferita nel 2018 in Rue Ducale 41, dove l'associazione ha tuttora sede, in una palazzina a due piani davanti al Parc de Bruxelles, un giardino urbano quadrangolare. Nello stesso edificio hanno gli uffici, secondo quanto riporta la targa all'ingresso, anche i Radicali Italiani, Più Europa, l'Associazione Luca Coscioni, l'Euro-Syrian Democratic Forum, Al Wefaq (un partito di opposizione del Bahrein) e altre realtà. Più, appunto, Fight Impunity, che ha una targa separata, probabilmente perché è di costituzione più recente.

Al Corriere, Emma Bonino ricorda di aver fondato l'Organizzazione non governativa "nel 1994, forse nel 1993". Il segretario generale della Ong, Niccolò Figà-Talamanca, è coinvolto nell'inchiesta corruzione dal Qatar. Dice Bonino: "Non so niente" di questa vicenda, "aspetto la magistratura che si deve esprimere, credo che lo farà nel giro di pochi giorni".

Mazzette Ue-Qatar. Lo strano pass con cui Panzeri aggirava le norme di Bruxelles. Un lasciapassare a vita, un tesserino che consente la libera circolazione negli uffici e nei corridoi dell'Europarlamento anche dopo la fine del mandato di deputato. Luca Fazzo il 12 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Un lasciapassare a vita, un tesserino che consente la libera circolazione negli uffici e nei corridoi dell'Europarlamento anche dopo la fine del mandato di deputato. Tra i privilegi che hanno consentito a Antonio Panzeri di muoversi a suo piacimento dopo il 2019 - quando ha cessato la carica - nel cuore della democrazia europea c'è quel badge. Che gli ha permesso di aggirare le norme della Commissione secondo cui tutti i contatti devono passare per l'albo chiamato «Registro della trasparenza». Senza iscrizione a quell'albo, non si può fare nulla. L'altra ong investita dall'inchiesta, «No peace without justice», fondata da Emma Bonino, risulta iscritta dal dicembre 2012. Di «Fight Impunity» invece nell'albo non c'è traccia.

Questo non impediva a Panzeri di muoversi agevolmente. La domanda che circola in queste ore a Bruxelles è come sia stato possibile che appena dieci giorni fa, il 2 dicembre, la ong di Panzeri abbia potuto organizzare un seminario a Parigi sulla libertà dei massmedia in collaborazione con l'Eprs, il Servizio di ricerca parlamentare dell'Europarlamento, senza far parte del registro. Al seminario insieme a Panzeri c'erano anche la socialista Marie Arena, il cui assistente è stato perquisito in questi giorni, e l'ex assistente di Panzeri Francesco Giorgi, ora compagno della vicepresidente dell'europarlamento Eva Kaili, anche lei del gruppo Socialisti e democratici, pure lei finita in manette dopo la scoperta a casa sua di sacchi di banconote che il padre si preparava a fare sparire.

Ieri il padre della Kaili è stato liberato, mentre l'arresto della ormai ex vicepresidente è stato confermato. Negli ambienti giudiziari di Bruxelles si è appreso che la Kaili è ora formalmente indagata per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e al riciclaggio, gli stessi reati contestati a Panzeri. E come la Kaili anche l'ex eurodeputato del Pd è destinato per ora a restare in carcere: al termine degli interrogatori il tribunale belga ha confermato il suo arresto, come pure quello di Giorgi e di Niccolò Figà Talamanca, segretario generale della ong di Emma Bonino. È stato invece scarcerato Luca Visentini, ex sindacalista Uil e oggi a capo della Ituc, la più grande organizzazione sindacale internazionale. La Ituc era finita nel mirino dell'inchiesta anche per il suo silenzio sulla violazione dei diritti sindacali in Qatar, uno dei paesi di cui Panzeri oliava la reputazione internazionale.

E l'indagine sulla «banda criminale» che si muoveva nell'Europarlamento a favore del Qatar fa ieri un'altra vittima importante, e anche questa come Panzeri e la Kaili è una figura di spicco dell'eurogruppo dei Socialisti & democratici: è il secondo gruppo per dimensioni, e sta venendo investito in pieno dallo scandalo. Il suo nuovo incriminato è Marc Tarabella, florido socialista belga, che svolge nell'europarlamento un ruolo cruciale per gli interessi di Panzeri, essendo vicepresidente della delegazione per i rapporti con la penisola araba (Qatar compreso). Il suo assistente, fermato venerdì, era in passato l'assistente parlamentare di Panzeri. Tarabella è stato perquisito sabato sera. E ora rispuntano i documenti della spettacolare conversione compiuta dall'eurodeputato belga sul tema dei Mondiali in Qatar: Tarabella contesta aspramente l'assegnazione da parte della Fifa al regime di Doha, poi si addolcisce improvvisamente e inizia a assumere posizioni sempre più favorevoli all'evento. Il 26 ottobre alla rete LN24 definisce «ridicolo e ipocrita» boicottare i mondiali, e in una intervista dice che «il Qatar ha fatto dei progressi sui diritti dei lavoratori». Anche in questa conversione, ora gli inquirenti vedono la mano di Panzeri e dei soldi degli sceicchi.

Gli elogi all'emirato che hanno attirato i sospetti: "È un punto di riferimento per i diritti umani..." Dalla Kaili a Panzeri, un castello di esternazioni per l'immagine di Doha. Domenico Di Sanzo il 12 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Sentite questa. «I mondiali in Qatar sono una prova di come la diplomazia sportiva possa realizzare una trasformazione storica di un Paese con riforme che hanno ispirato il mondo arabo. Il Qatar è in prima linea per i diritti dei lavoratori, ha abolito la Kafala e introdotto il salario minimo», parlava così durante l'ultima plenaria Eva Kaili, vicepresidente del Parlamento europeo, arrestata e sospesa dalla sua carica perché coinvolta nello scandalo Qatargate, il caso di corruzione su presunte mazzette e tangenti ad attuali ed ex membri del Parlamento europeo per convincerli a parlare bene del Paese del Golfo, ripulendone l'immagine in vista dei mondiali di calcio.

Kaili, esponente greca del gruppo dei Socialisti Europei, è stata arrestata sabato a Bruxelles ed è accusata di corruzione. Secondo gli inquirenti belgi una non precisata nazione del Golfo Persico - il Qatar stando alle indiscrezioni - avrebbe elargito regali e versato somme di denaro a una serie di personalità della politica europea con l'obiettivo di influenzare l'Europarlamento. Da Doha smentiscono ogni accusa, ma le parole di Kaili aprono una serie di interrogativi. Ed ecco un'altra vecchia dichiarazione di Kaili: «I qatarioti ci hanno aiutati a ridurre la tensione con la Turchia, ci hanno aiutati a salvare attivisti, bambini e donne in Afghanistan, sono negoziatori di pace e buoni vicini. Hanno già ottenuto l'impossibile». Frasi che stridono con le recenti polemiche sulla trasparenza dell'assegnazione dei mondiali al Qatar e le denunce sul mancato rispetto dei diritti umani. E ancora Kaili, profetica: «Qualcuno discrimina i qatarioti, li bullizza e accusa di corruzione tutti quelli che ci parlano, noi possiamo promuovere i nostri valori, ma non abbiamo il diritto morale di fare lezioni».

Collegato a Kaili è il filone «italiano» dell'inchiesta. Nel 2019 l'ex eurodeputato socialista di Articolo 1 Antonio Panzeri, anche lui arrestato, va a Doha e loda l'Emirato del Medio Oriente: «Il Qatar è diventato un punto di riferimento per i diritti umani». Tre anni fa alla «Conferenza internazionale sui meccanismi nazionali, regionali e internazionali per combattere l'impunità e garantire la responsabilità ai sensi del diritto internazionale» Panzeri parlava dei progressi del Qatar in tema di diritti e insisteva: «È un progetto guidato dal Qatar a livello internazionale, è molto importante e questi sono sforzi encomiabili». Anche un anno prima, sempre a Doha, Panzeri sottolineava gli «sviluppi positivi nel campo dei diritti umani» messi in campo dalla monarchia degli Al Thani. Molto più di recente, il 21 novembre scorso, la maggioranza dei deputati socialisti ha deciso di non appoggiare una risoluzione sulla situazione dei diritti umani in Qatar proposta dai «compagni» del Gruppo della Sinistra. Oltre alla vicenda giudiziaria, il centrosinistra europeo sembra avere un problema con Doha.

Qatargate, l'indagine si allarga: perquisita l'abitazione dell'eurodeputato socialista Tarabella. Anche l'abitazione belga di Marc Tarabella è stata perquisita dalla polizia sotto la supervisione del presidente del parlamento europeo Roberta Metsola. Francesca Galici l’11 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Proseguono le indagini delle autorità di Bruxelles in merito ai sospetti di corruzione attuati da un Paese del Golfo (che i media belgi indicano come Qatar) e dal Marocco nei confronti di alcuni esponenti del parlamento europeo, tra i quali il vicepresidente Eva Kaili. Secondo i media belgi, sabato sera è stata sottoposta a perquisizione l'abitazione di Bruxelles dell'eurodeputato socialista Marc Tarabella in sua presenza.

Il tutto è avvenuto sotto la supervisione della presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, rientrata appositamente da Malta come confermato da fonti del parlamento europeo. La Costituzione belga, all'articolo 59, prevede che sia presente il presidente del parlamento di appartenenza in caso di perquisizione in casa di eletti nel Paese. Politico ha rivelato anche che la procura ha messo i sigilli all'ufficio dell'eurocamera di Tarabella, che solo un mese fa aveva dichiarato che il Qatar era "un buon esempio da seguire per gli altri Paesi del vicinato".

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Marc Tarabella è nato in Belgio ed è iscritto dal 1986 al partito Socialista. Ha origini italiane e dal 2021 è iscritto anche al partito italiano Articolo Uno al pari di Antonio Panzeri, per il quale la commissione di garanzia di Articolo Uno Lombardia ha sospeso l'iscrizione. Nell'esternare "sconcerto per quanto sta emergendo", Articolo Uno esprime in una nota "fiducia nell'autorità giudiziaria" e auspica che "Panzeri possa dimostrare la sua estraneità a una vicenda del tutto incompatibile con la sua storia e il suo impegno politico". Si attendono ora dichiarazioni in merito alla perquisizione effettuata su Marc Tarabella.

A dare la notizia della perquisizione sono due giornali belgi, il quotidiano Le Soir e il settimanale Knack, secondo i quali il materiale informatico dell'eurodeputato belga è stato sequestrato dagli investigatori ma Tarabella non è in stato di fermo. Dopo Kaili, arrestata in flagranza di delitto venerdì, si tratta del secondo eurodeputato formalmente citato nell'ambito della vasta indagine per presunta corruzione al parlamento europeo. A casa del vicepresidente del parlamento europeo sono state trovate alcune sacche contenenti centinaia di migliaia di euro in contanti. Lo scandalo sembra destinato ad allargarsi dopo l'arresto di alcune persone, tra i quali anche Antonio Panzeri, ex eurodeputato del Pd non rieletto, che è stato fermato nei pressi di Bergamo insieme alla figlia e alla moglie.

Secondo le autorità inquirenti, il Paese del Golfo avrebbe tentato di influenzare le decisioni economiche e politiche del parlamento europeo versando ingenti somme di denaro per fare pressioni, soprattutto in vista dei mondiali di calcio. "Lo stato del Qatar respinge categoricamente ogni tentativo di associarlo ad accuse di cattiva condotta", ha dichiarato un funzionario del Qatar in una dichiarazione inviata per e-mail a Politico Eu, in merito allo scandalo di presunta corruzione del Qatar che ha coinvolto l'Europarlamento. Intanto la procura belga ha confermato di aver messo in stato di fermo quattro persone, compresa Eva Kaili, delle quali due sono già state rilasciate nelle ultime ore.

Qatargate, ecco chi è il giudice della tangentopoli Ue. Michel Claise è il giudice che si sta occupando del Qatargate. Molto conosciuto in Belgio, non risparmia giudizi severi anche sul suo Paese. Federico Garau l’11 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Bruxelles trema dopo lo scoppiare di quello che è stato già ridenominato Qatargate, e i riflettori non sono puntati solo sui principali personaggi coinvolti, ma anche sul giudice Michel Claise che, dopo aver ascoltato le prime testimonianze, domani dorvà pronunciarsi sulla convalida dell’arresto.

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Claise, il magistrato della tangentopoli

Avvocato per oltre vent'anni, poi divenuto giudice istruttore, Michel Claise ha 66 anni e una carriera di tutto rispetto. Il lavoro di Claise consiste nello scovare reati finanziari e la sua lente di ingrandimento non si è fermata neppure di fronte al Parlamento europeo. C'è il giudice Claise dietro le indagini, partite a luglio, che hanno portato allo scoperto le dinamiche del Qatargate, con le mazzette del Qatar arrivate nelle tasche di eurodeputati e funzionari.

La lotta alla corruzione è la specialità di Michel Claise, ben conosciuto a Bruxelles. Nel tempo libero il magistrato si diletta a scrivere romanzi gialli, mentre sul posto di lavoro è molto stimato. Molti dei casi da lui seguiti sono noti in Belgio.

Le inchieste più famose

Fra le inchieste più celebri condotte da Claise, quella sul flautista e segretario del Consiglio della Musica della comunità francofona in Belgio, finito sul banco degli imputati per una serie di spese non rendicontate. Alla chiusura del caso, Dumortier non poté fare altro che dimettersi. Nel 2011, poi, la condanna per falsificazione e frode.

Nel mirino del giudice Claise anche il gruppo belga-olandese Fortis per l'inchiesta sull'insider trading. A inizio 2000, il magistrato si occupò anche della banca Belgolaise per riciclaggio. La maxi-inchiesta si chiuse con un mandato d'arresto per un ex ministro della Repubblica democratica del Congo.

Nessuno sconto

Si dice che Michel Claise sia un autentico osso duro, uno che non molla, e che non risparmia dal suo giudizio severo neppure il Belgio, il suo Paese. Recentemente, parlando proprio del Belgio, ha dichiarato che il paese "non è affatto in regola".

Michel Claise, il Di Pietro belga che ama la letteratura e le manette. Ex avvocato, il procuratore che ha sollevato lo scandalo del “Qatargate” a Bruxelles è una star amata dalla “gente” e temuta da politici e manager. Daniele Zaccaria su Il Dubbio il 15 dicembre 2022.

“Il giudice che fa paura ai banchieri” titolava nel 2014 il settimanale belga Le Vif tratteggiando un apologetico ritratto di Michel Claise titolare dell’inchiesta sul colosso del credito HSBC, accusato di riciclaggio aggravato di fondi provenienti dai narcos sudamericani.

Un’inchiesta che costò ai vertici della banca due miliardi di euro di multa, di cui 300 milioni allo Stato belga. E poi l’ex ministro Serge Kubla finito nel mirino con l’accusa di aver corrotto il governo del Congo per la concessione di un giacimento minerario a beneficio del gruppo italo- svizzero Duferco. E ancora una banca, la svizzera Ubs, condannata per frode fiscale a un risarcimento di 3,5 miliardi di euro.

Insomma, il procuratore che ha scoperchiato lo scandalo del “Qatargate” un affaire che sta facendo tremare le fondamenta dell’Unione europea, non è un magistrato qualunque. In Belgio lo conoscono tutti da almeno un decennio e cioè da quando è salito sulla ribalta mediatica per non abbandonarla più.

Fieramente affiliato alla massoneria, autore di una dozzina tra saggi e romanzi storici e legal-thriller alcuni anche premiati per le qualità letterarie, Claise si concede con grande facilità ai televisioni e giornali, rilasciando lunghe interviste con il suo classico abbigliamento casual, jeans, maglietta e maglioncino a v. Spesso è ospite di trasmissioni letterarie dove presenta e commenta i suoi libri con estremo talento comunicativo. «Mi ritengo un umanista, una persona rivolta verso il prossimo», dice di sé con un pizzico di immodestia.

Nato a Bruxelles nel 1956, abbandonato dal padre quando era ancora bambino, Claise è stato cresciuto dai nonni materni che gestivano un piccolo forno: «Ho ricevuto un’educazione dura e d’altri tempi, ma è stata molto formativa e ha portato i suoi frutti». Laureato in diritto all’università libera di Bruxelles, per una ventina d’anni ha svolto la professione di avvocato all’ordine della capitale belga.

Alla fine degli anni 90 decide però di passare dall’altra parte della barricata, vince il concorso di stato e diventa giudice istruttore, specializzandosi in crimini finanziari e amministrativi. E costruendosi in poco tempo la nomea di castigamatti di leader politici, celebrità dello sport, imprenditori e grandi manager, un cliché mediatico che piace molto alla “gente” e che gli ha regalato un’ampia popolarità, proprio come accadde in Italia nel 1992 con l’inchiesta Mani Pulite e l’ascesa di Antonio Di Pietro.

Claise è in tal senso una versione “colta” e molto snob del magistrato molisano, uno che in casa ha una biblioteca con migliaia di libri e che non possiede una televisione ( gli basta andarci, in tv) ma se lo stile appare meno ruvido i metodi che utilizza per far parlare gli indagati non sono poi così diversi da quelli di “Tonino”.

«Claise adora pungolare i potenti, ha le spalle larghe e non ha paura di nessuno, mentre loro hanno una paura folle di lui», scrive un cronista giudiziario dell’Afp che segue da anni le sue inchieste. E, visti i precedenti fanno bene a essere spaventati. Su questo punto non mancano in effetti critici e detrattori. Un avvocato che ha lo ha affrontato in più di un processo ne parla in modo assai velenoso sulle colonne del quotidiano La libre Belgique: «È un uomo tronfio e pieno di sé, uno che ha il mandato di arresto facile, è il suo sistema preferito per far crollare i sospetti o per aggiungere un nome celebre al suo folto carnet di caccia».

In altre parole basta far titillare le manette e l’effetto è garantito specialmente con quelle mammolette di politici, colletti bianchi ricchi imprenditori, per quanto nell’ordinamento belga la custodia cautelare di un sospetto deve essere confermata da altri giudici competenti entro cinque giorni. Un lasso di tempo che Claise ritiene più che sufficiente per ottenere se non per estorcere le sue confessioni.

Di fronte alle accuse di non rispettare i diritti degli indagati e di utilizzare metodi polizieschi alquanto brutali lui replica stizzito: «Non sono uno sceriffo, faccio semplicemente il mio lavoro che consiste nell’affrontare dossier che coinvolgono persone potenti, persone che nessuno si aspetta vengano toccate, io invece lo faccio, non odio la ricchezza, ma la criminalità finanziaria è una piaga che ci sta divorando e bisogna fermarla a tutti i costi».

Essendo una figura molto popolare, i media belgi si chiedono da tempo quali siano le sue simpatie politiche, ma Claise nicchia affermando di non votare per nessun partito. Anche se, una volta in pensione, non esclude di candidarsi per «trasmettere i miei valori culturali» .

Cosa ha comprato il Qatar con i soldi ai deputati corrotti. Secondo gli inquirenti belgi, il Paese del Golfo avrebbe puntato su una precisa strategia di corruzione che ha fatto perno sui deputati di Socialisti e Democratici arrestati nei giorni scorsi. Mauro Indelicato l’11 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Quando si nomina il Qatar il pensiero non può andare al mondiale ancora in corso. E in effetti anche l'indagine condotta a Bruxelles e che ha visto l'arresto di quattro italiani e della vice presidente del parlamento europeo, ha in qualche modo a che fare con il torneo iridato.

Il tentativo di Doha di condizionare i giudizi europei

L'indagine, come spiegato su IlDomani, è partita questa estate. E i fari, poco dopo, sono stati puntati su una risoluzione votata dal parlamento europeo alla viglia dell'inizio dei mondiali in cui, tra le altre cose, veniva espressa soddisfazione per il miglioramento delle condizioni dei lavoratori in Qatar. Nel documento, in particolare, come sottolineato sempre dal quotidiano, veniva fatto notare che il Paese mediorientale in vista dei mondiali aveva fatto passi avanti nella gestione del mercato del lavoro.

Probabilmente agli inquirenti belgi questa dichiarazione è risultata “sospetta”. Se è vero infatti che il governo di Doha negli ultimi anni ha approvato molte riforme che hanno introdotto il salario minimo e hanno abolito la kafala, una vera e propria forma di schiavitù moderna, è altrettanto vero che molte organizzazioni internazionali hanno espresso dubbi sulle condizioni dei lavoratori.

In poche parole, a Bruxelles hanno voluto verificare, in base all'indagine già aperta e ai sospetti che aleggiavano su alcuni eurodeputati, se quella mozione era frutto di mere considerazioni politiche oppure se c'era dell'altro.

Tra i firmatari del documento spiccava anche il nome dell'europarlamentare italiano Andrea Cozzolino, del Partito Democratico e iscritto quindi al gruppo Socialisti e Democratici. Lui non è tra gli indagati, ma ha un ruolo molto importante nell'inchiesta un suo assistente, Francesco Giorgi. Quest'ultimo è il compagno di Eva Kaili, la vicepresidente del parlamento europeo.

"Borse piene di banconote". L'eurodeputata Kaili arrestata in flagranza

Sia Giorgi che Kaili sono indagati, con la parlamentare greca posta anche in stato di fermo. Nella propria abitazione i poliziotti hanno trovato valigie piene di banconote. Una prova scottante secondo gli inquirenti. Quei soldi le sarebbero stati girati dal Qatar e per l'accusa l'obiettivo degli emissari di Doha era quello di condizionare i giudizi sul Paese da parte delle istituzioni europee.

Il contesto, secondo gli investigatori, sarebbe molto chiaro: il Qatar, sotto pressione per la cattiva nomea mediatica in vista dei mondiali, ha provato a sfruttare soldi e agganci per condizionare in positivo la propria immagine.

Eva Kaili è stata sospesa dal gruppo Socialisti e Democratici del parlamento europeo e, inoltre, è stata espulsa dal Pasok, il partito greco a cui apparteneva fino a pochi giorni fa. È stato arrestato anche il padre, raggiunto dai poliziotti mentre tentava di lasciare la propria abitazione.

Gli inquirenti vogliono anche fare luce sulle 600mila Euro in contanti trovati nell'abitazione di un altro esponente politico, questa volta italiano. Si tratta di Antonio Panzeri, ex eurodeputato del Pd e di Articolo 1, sospeso nelle scorse ore dal partito. Panzeri è sospettato di avere ottimi rapporti con il Qatar e quei soldi potrebbero essere frutto di corruzione. Nella scorsa legislatura, l'ex eurodeputato aveva come collaboratore proprio Francesco Giorgi. Secondo la procura belga, moglie e figlia dell'indagato erano al corrente della situazione. I sospetti aleggiano in queste ore anche su Luca Visentini, per diverso tempo a capo dei sindacati europei.

Corruzione e non “semplice” attività di lobbying

Quella messa in moto dal Qatar, almeno stando a quanto fatto trapelare dagli inquirenti, non sarebbe stata un'attività di promozione o di lobbying. Al contrario, “Il paese del Golfo – si legge nelle carte della procura di Bruxelles – avrebbe cercato di influenzare più personalità versando ingenti somme di denaro o offrendo regali di grande entità a terzi che ricoprono posizioni politiche o strategiche di rilievo all'interno del parlamento europeo”.

Un quadro quindi piuttosto grave, in cui emissari vicini a Doha si sarebbero mossi per influenzare, sotto la promessa di importanti somme, l'attività politica del parlamento europeo. Non si è quindi all'interno di una “zona grigia”, ma in un territorio dove la corruzione e i tentativi di corruzione, secondo gli inquirenti, sarebbero elementi palesi e lampanti. Per la procura di Bruxelles, il giudizio di alcuni deputati sarebbe stato letteralmente comprato in cambio di soldi e favori.

"Paura per l'influenza sulle votazioni. Tutto è iniziato col Mondiale di calcio". L'europarlamentare: "La Ue non deve cedere sul piano culturale. L'obiettivo del Qatar è conquistare le popolazioni con il soft power". Francesco Boezi il 10 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Il caso giudiziario dell'ex europarlamentare del Pd Antonio Panzeri rilancia la questione del soft power del Qatar e di altri Stati arabi in Europa.

Onorevole Procaccini, europarlamentare di Fdi, si avverte una pesante influenza del Qatar in Ue?

«Premetto che la vicenda in sé è inquietante ma che bisogna attendere i risvolti giudiziari. L'influenza del Qatar non è soltanto sulla politica europea ma sulla cultura popolare europea. Il che è più pervasivo. Abbiamo avuto un dibattito sui mondiali in Qatar e su tutto ciò che quella scelta ha comportato. Abbiamo anche approvato una risoluzione comune. Un dibattito che, peraltro, era stato voluto con forza dallo stesso partito attorno cui oggi si muovono delle ombre».

Quando ha avuto inizio questa influenza?

«Proprio con l'assegnazione del Mondiale al Qatar. E perché il Qatar ha voluto il mondiale di calcio? Cosa c'è del resto di più popolare dei Mondiali di calcio nel pianeta terra? Il messaggio è questo: siamo in grado di rappresentare la forza della nostra economia ma anche quella della nostra cultura, che non ha rispetto dei diritti umani e dei diritti di libertà. Questo è il soft power: conquistare popolazioni passando attraverso la cultura popolare. Ricordo un nostro dossier sull'islamizzazione in Europa in cui dimostrammo come tutte le grandi squadre delle grandi capitali europee fossero state interessate da finanziamenti del Qatar e degli Emirati Arabi. Il Real Madrid, squadra più blasonata del Vecchio continente, ha persino rinunciato alla sua iconica croce nello stemma. Qualcosa che aveva almeno centodieci-centoventi anni di storia alle spalle. Un simbolo rimosso magari per vendere meglio o perché la richiesta arrivava dallo sponsor. Nulla accade per caso. Il Qatar non ha un ritorno economico con i Mondiali ma ha semmai un ritorno culturale che com'è ovvio interessa anche l'ambito religioso».

Ma in Ue avete l'impressione che alcune votazioni vengano interessate dal soft power di quell'area di mondo?

«Più che la sensazione, la paura. Certo: se la vicenda emersa ieri venisse confermata, quella paura allora avrebbe più di qualche fondamento».

Quali sono allora gli strumenti che l'Ue dovrebbe mettere in campo per evitare quella che Michel Michel Houellebecq ha chiamato «Sottomissione»

«Bisognerebbe porre dei paletti, dei principi. Non è vietato organizzare i Mondiali in Qatar, a patto che quello Stato rispetti dei principi. Non voglio fare l'anima candida, so bene quanto sia importante avere buoni rapporti commerciali con tutti. Ma lo sport con le sue implicazioni sociali e culturali dovrebbe essere messo al riparo. Credo sia essenziale non cedere sul piano identitario come avvenuto invece con il simbolo del Real Madrid».

In Onda, Dino Giarrusso: “Avvicinato anche io dagli emissari del Qatar ma…” Libero Quotidiano il 10 dicembre 2022

Nello studio di De Gregorio e Parenzo a In Onda su La7, si è parlato dell'inchiesta per corruzione che ha travolto il Parlamento europeo. Al centro delle indagini presunte mazzette da parte del Qatar per far tacere l'Europarlamento. A offrire la propria testimonianza è stato proprio un membro di quell'Aula, Dino Giarrusso, che ha raccontato di essere stato avvicinato anche lui - così come tanti altri deputati - dagli emissari del Qatar: "In genere gli esponenti diplomatici di altri Paesi ci fanno offerte di incontri, di solito propongono di promuovere dei prodotti o di fare scambi commerciali, questo è il classico lavoro del diplomatico con l'europarlamentare". 

Con il Qatar, però, qualcosa avrebbe subito insospettito Giarrusso: "La cosa che mi è puzzata fin dall'inizio è che loro cercavano di influenzare la 'reputation'. L'emissario del Qatar diceva 'noi siamo buoni e democratici', mentre gli osservatori internazionali e indipendenti parlavano di gravissime violazioni dei diritti umani in Qatar in vista del Mondiale". "Quando parliamo di emissari del Qatar, di che figure parliamo?", ha chiesto poi la De Gregorio. E l'eurodeputato ha risposto: "Sono funzionari di Stato, ben foraggiati perché poi offrivano anche vacanze".

"Quando tu rispondi a una mail o vai a un incontro, ci sono cose che vanno bene e cose che invece danno sensazioni più sgradevoli", ha proseguito Giarrusso. "Quindi non le hanno mai offerto dei soldi?", ha chiesto la conduttrice. E l'ospite ha replicato, chiosando: "No, ma sono stato io a non dare modo".

Francesca Del Vecchio per “la Stampa” il 10 dicembre 2022.

Uno, negli anni del berlusconismo imperante è stato il volto della sinistra milanese che si opponeva al cavaliere di Arcore. Oggi la bufera ha travolto lui insieme alla moglie e alla figlia (arrestate ieri a Bergamo). L'altro, da pochi giorni era diventato il capo della più grande confederazione sindacale al mondo.  

Antonio Panzeri, uomo della Cgil che nel 2009 voleva «un'Europa in grado di superare gli egoismi dei governi nazionali», ex eurodeputato del Partito democratico e Luca Visentini, ex sindacalista Uil del Friuli Venenzia Giulia, sono i due italiani finiti in manette nell'inchiesta per corruzione del Qatar delle autorità belghe. 

E non è una bella figura per il Paese e per il sindacato. Panzeri, bergamasco di Riviera d'Adda, classe '55, un passato nel Pci e nel sindacato, dal '95 al 2003 è segretario della Camera del Lavoro di Milano. Diventa talmente importante da essere candidato a guidare la Cgil al posto di Sergio Cofferati. Gli verrà preferito Guglielmo Epifani. Ma Panzeri si consola velocemente diventando nel 2004 "mister Preferenze" per l'Ulivo nella circoscrizione Nord Ovest con ben 105 mila voti che lo fanno entrare per la prima volta al Parlamento Europeo. 

Diventa vicepresidente della commissione Occupazione e affari sociali dell'Eurocamera, membro supplente della commissione per il Mercato interno e la protezione dei consumatori e fa parte della Delegazione per le relazioni con Usa e Giappone. Entra nel Pd nel 2007, anno della sua fondazione, salvo poi lasciare il partito del Nazareno nel 2017 per iscriversi ad Articolo 1 e poi alla lista elettorale «Liberi e uguali». Viene riconfermato a Bruxelles nel 2009 per guidare le relazioni con il Maghreb.

Cinque anni dopo, con oltre 77 mila preferenze conquista anche la terza legislatura a Bruxelles. Da qui, nel 2019 fonda la Ong «Fight impunity» di cui è direttore, nel cui board figurano personaggi della politica italiana ed internazionale come Emma Bonino, ex ministra e commissaria europea, Federica Mogherini, già Alto Rappresentante dell'Ue, Dimitri Avramopulos, ex commissario europeo agli Affari Interni e l'ex primo ministro francese Bernard Cazeneuve.

La sua organizzazione non profit con sede a Bruxelles promuove «la lotta contro l'impunità per gravi violazioni dei diritti umani e crimini contro l'umanità». Luca Visentini invece, 53 anni, poco conosciuto in Italia, ha un passato nella Uil del Friuli Venenzia Giulia, è diventato nel 2015 segretario generale della Etuc (Confederazione europea dei sindacati), riconfermato nel 2019. Poi il grande salto pochi giorni fa, diventando il sindacalista più potente del mondo, ovvero segretario generale della Ituc, la più grande confederazione sindacale del pianeta.

Il progressismo Pd a misura di islam. La sinistra italiana ha sempre legittimato gli integralisti dell'Ucoii. Gian Micalessin l’11 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Garantisti sì, fessi no. I sacchi di soldi elargiti alla «sinistra» eurobrigata guidata dalla socialista greca Eva Kaili e dall'ex eurodeputato dem Antonio Panzeri non bastano, da soli, per emettere una condanna preventiva. D'altra parte sarà difficile stupirsi se quelle accuse risulteranno, alla fine, quanto mai fondate. L'idillio ideologico-finanziario che lega il Pd italiano e la sinistra europea all'Islam della Fratellanza Musulmana sovvenzionato dal «grande fratello» qatariota dura da oltre un decennio. E l'Italia ne rappresenta, grazie ai governi Pd, una delle culle più accoglienti. Per scoprirlo basta sostituire al nome di Fratellanza Musulmana e Qatar la sigla del loro referente nostrano ovvero quell'Ucoii, Unione delle comunità islamiche in Italia, che - pur rappresentando un'ala minoritaria e non proprio moderata dell'Islam italiano - ne è diventato grazie a governi e amministratori del Pd la voce più ascoltata e autorevole.

Ma per comprendere la pericolosità dell'idillio dem-islamista vanno ricordati alcuni retroscena. Il Qatar da sempre accoglie e protegge la diaspora della Fratellanza Musulmana, un movimento integralista giudicato sovversivo e pericoloso da molti paesi arabi e islamici. Un giudizio non proprio campato in aria visto che tra le fila della Fratellanza sono cresciuti i leader di Hamas prima e di Al Qaida poi. A Doha, invece, è vissuto in esilio, fino alla morte sopraggiunta lo scorso settembre, Yusouf Al Qaradawi, il predicatore simbolo della Fratellanza Musulmana autore di una fatwa in cui pronosticava la riconquista di Roma «attraverso la predicazione e le idee». Predicazione e idee destinate a far assai poca strada senza i soldi riversati in Italia ed Europa da Doha e dai suoi prestanome. Da noi, grazie alle «disattenzioni» dei governi Pd arrivano, dopo il 2013, circa 25 milioni di euro della «Qatar Charity» con cui l'Ucoii conta di realizzare 45 progetti per la costruzione di moschee, luoghi di preghiera e centri culturali islamici. Il tutto mentre Al Qaradawi suggerisce di destinare qualche spicciolo anche al Caim, il Coordinamento Associazioni Islamiche di Milano, Monza e Brianza. Un'intuizione a dir poco lungimirante visto che subito dopo il sindaco di Milano Giuseppe Sala fa eleggere nelle liste Pd e accoglie in Consiglio comunale la militante islamica Sumaya Abdel Qader. Una militante orgogliosamente velata formatasi, guarda caso, tra le fila del Forum Europeo delle Donne Musulmane, braccio operativo della Fratellanza Musulmana a Bruxelles. Una mossa che alla luce delle attuali cronache la dice lunga sui rapporti intessuti dal Pd con l'Ucoii e i suoi referenti internazionali. Legami confermati dalle scelte dell'ex-ministro della giustizia Andrea Orlando firmatario, nel 2016, della convenzione che affida proprio agli imam dell'Ucoii il compito di prevenire la penetrazione nelle carceri dell'Islam radicale. Una mossa che equivale a mettere la volpe nel pollaio.

Gli imam dell'Ucoii sono, infatti, i principali propagatori del verbo integralista propugnato dalla Fratellanza Musulmana. Ma il pollaio italiano è ben più ampio del ristretto universo carcerario. E lo dimostra la Firma del «Patto nazionale sull'Islam» con cui l'Ucoii diventa nel 2017 un interlocutore ufficiale dei nostri governi. Mentre l'accusa di «islamofobia» diventa l'anatema con cui tacitare qualsiasi critica al diffondersi di un islam radicale garantito dal denaro distribuito all'Ucoii e agli spregiudicati esponenti di un pensiero progressista modellato sul verbo di Doha.

Dai diritti agli affari: la triste parabola di una sinistra che si è venduta. Tocca a Panzeri dopo il caso Soumahoro. Quella deriva dietro il paravento delle "lotte". Stefano Zurlo il 10 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Quasi cinquecentomila euro in contanti. Mazzette, ipotizzano gli inquirenti. E allora si resta sbalorditi perché Antonio Panzeri è una delle voci storiche del riformismo ambrosiano e italiano, un punto di riferimento per la sinistra che a Milano faticava a toccare palla. Oggi che non è più in prima linea, il suo nome può suscitare interrogativi sbiaditi, ma Panzeri, classe 1955, è stato il leader milanese della Cgil e per un certo periodo si pensava a lui come al possibile successore di Sergio Cofferati, a sua volta per una breve stagione il vero antagonista di Silvio Berlusconi.

Panzeri ha interpretato a lungo una linea pragmatica, forse l'unica praticabile nella metropoli lombarda alla prese con la deindustrializzazione, e certo fa impressione pensare che oggi si sospetti una deriva oltre il confine della legalità: la capacità di leggere la realtà senza gli occhiali dell'ideologia avrebbe lasciato il posto ad altre logiche e altre prospettive. Una parabola avvilente, se sarà confermata dallo sviluppo delle indagini.

Panzeri è per lungo tempo una figura di raccordo fra la Cgil e il partito, naturalmente il Pci e poi le sue evoluzioni. Il tutto in un'epoca in cui le due chiese officiavano lo stesso rito e incrociavano i percorsi dei loro colonnelli. Panzeri è per due mandati segretario della Camera del lavoro di Milano, insomma è ai vertici del sindacato, poi deve lasciare, come da statuto, e inizia la carriera politica. Nel 2004 viene eletto al Parlamento europeo, con 105 mila preferenze, naturalmente nella circoscrizione Nord-Ovest, e sembra portare a Bruxelles le istanze di una sinistra meno legata ai vecchi dogmi ormai in soffitta e pronta a dialogare con il ceto medio e la borghesia meneghina.

Ma le cose vanno diversamente; Panzeri viene rieletto la seconda e la terza volta, ma il rapporto con il Nazareno si consuma: l'europarlamentare esce dal Pd e aderisce ad Articolo 1, poi si ritrova fuori dall'emiciclo: in realtà continua a frequentare il mondo della politica. È direttore della Ong Fight impunity che annovera nel comitato scientifico personaggi come Emma Bonino e Federica Mogherini.

Insomma, l'impegno anche dopo aver lasciato la prima linea: forse, dietro le quinte, se dobbiamo dare credito a quel che sta emergendo a Bruxelles, Panzeri transita in quella fase al partito degli affari. I suoi interlocutori non sono più i lavoratori milanesi, gli operai costretti a reinventarsi dopo il declino delle fabbriche e l'esplosione del terziario; no, dai radar di Panzeri sarebbero usciti anche gli euroburocrati e i funzionari della Ue, o forse no, perché spezzoni dell'apparato si sarebbero integrati fra Bruxelles e Strasburgo con emiri e mediatori mediorientali.

Tutto da dimostrare, in un'inchiesta che per una volta non nasce in Italia. La cronaca giudiziaria ci ha abituato per lunghi periodi a indagini che colpivano il centrodestra. Quando, a finire sotto i riflettori sono i protagonisti dell'altro versante, si tende a catalogarli come un'eccezione. Un'eccezione che ai tempi di Mani pulite tolse dall'imbarazzo l'allora Pds perché i miglioristi furono equiparati ad una variante degli allora impresentabili socialisti.

Qui non è facile cavarsela con le acrobazie semantiche e i distinguo capziosi ma resta il fatto che la storia gloriosa di Panzeri non può essere cancellata. E mette a disagio pensare che possa aver virato in altra direzione, privilegiando intrighi e oboli.

Chissà. La vicenda di Aboubakar Soumahoro, che peraltro non è indagato, insegna che proclami e invettive qualche volta sono solo un paravento: dietro si nascondono pasticci, o peggio rapporti opachi. Certo, sono storie diverse e con differenti profili: fra l'altro da qualche tempo Panzeri era finito nella penombra e non aveva più la notorietà del deputato della sinistra radicale, scintillante campione dell'opposizione al governo Meloni.

Battaglie su battaglie, manifestazioni, assemblee e cortei, talk e interviste. Poi dietro le quinte affiora altro. Non proprio edificante. Anche se sarebbe a dir poco ingeneroso trasformare gli elementi investigativi che arrivano dal Belgio in una sentenza di condanna.

Estratto dell'articolo di Lorenzo Vidino per “la Repubblica” il 14 dicembre 2022. 

Lo scandalo corruzione che ha travolto il Parlamento Europeo è l'ennesima conferma dell'enorme influenza che il Qatar è riuscito a ottenere in tutto il Continente. […] Ottenere visibilità e influenza, tessere una rete di contatti che, ognuno in modo diverso, possano innalzare la posizione del Qatar, una strategia a livello globale che vede nell'Europa un tassello fondamentale e nell'Italia un Paese di particolare interesse. Investimenti strategici che vanno dal settore energetico, fondamentale in questo periodo, all'immobiliare (è loro Porta Nuova a Milano) al lusso. […]

Ma anche utilizzo massivo di società di pubbliche relazioni e conseguente ottenimento di copertura mediatica di favore, e una diplomazia che spesso si spinge ben oltre il lecito, diventando vera e propria coltivazione di politici "amici," come l'inchiesta belga pare dimostrare. […] 

Qualche anno fa l'ospitalità qatariota aveva ammaliato anche Salvini. Se nel 2017 il leader della Lega esortava a «istituire immediatamente blocchi e controlli anche in Italia e in Europa sugli ingressi, i fondi e gli investimenti provenienti dal Qatar», pochi mesi dopo, in una diretta Facebook da Doha, si sperticava di elogi per «un Paese che cresce, che accoglie, che ha voglia di lavorare con l'Italia».

Ma gli investimenti qatarioti in Italia riguardano anche un altro campo estremamente problematico: l'islamismo radicale. Da anni il Qatar finanzia la costruzione su larga scala di centri islamici in tutta Europa. Un fenomeno di per sé non preoccupante se non fosse che la stragrande maggioranza di questi centri sono gestiti dai Fratelli Musulmani, movimento supportato dal Qatar a livello globale, e promuovono la diffusione di un tipo di islam incompatibile coi valori europei e i diritti umani. 

Non a caso negli ultimi anni l'Unione Europea e vari governi europei hanno più volte sollevato la questione del finanziamento qatariota all'islam radicale. […] In tutta Europa aveva fatto scalpore nel 2019 la pubblicazione di Qatar Papers, libro basato su migliaia di documenti interni della Qatar Charity, la fondazione formalmente indipendente ma in realtà controllata dall'emiro del Qatar e nodo centrale del soft power del piccolo emirato. Il libro aveva rivelato 113 progetti finanziati in tutta Europa nel solo 2014, per un totale di 71 milioni di Euro. Può non stupire che il Paese dove la Qatar Charity ha speso di più sia l'Italia, più di 22 milioni suddivisi su 45 progetti.

Moschee e centri islamici, soprattutto nel nord (Saronno, Piacenza, Brescia, Alessandria.), ma anche centro e sud. Anzi, tra le regioni primeggia la Sicilia con i suoi 11 progetti, nei capoluoghi come in piccoli centri quali Comiso e Vittoria. […]

 E se all'estero la costruzione di moschee qatariote veniva accompagnata da polemiche e talvolta bloccata dalle autorità, in Italia le strutture sono state spesso inaugurate in pompa magna da sindaci locali (se per sempre ingenuità o perché "amici" è difficile dire). […]

Stasera Italia, Liguori esplode sul Qatar: "Calato un velo, non si può dire nulla”. Il Tempo il 09 dicembre 2022

L’ex eurodeputato Antonio Panzeri è stato arrestato a Bruxelles per corruzione. La notizia viene commentata nel corso della puntata del 9 dicembre di Stasera Italia, programma televisivo che vede Barbara Palombelli alla conduzione, da Paolo Liguori, direttore di Tgcom: “Delle sue responsabilità non so nulla e nemmeno degli altri, perché la notizia è fresca. Dico però una cosa, un’inchiesta di questo genere in Europa ha comunque delle fondamenta, se fosse nata in Italia, come quella Soumahoro, io sarei stato tra quelli a dire ‘mostratemi bene i reati, sennò mi sembra una cosa non del tutto chiara’. Invece per l’Europa sono serie queste cose”.  

“Io - prosegue Liguori - faccio un passo indietro e pongo un altro problema. Il soggetto per il quale, a favore del quale, a vantaggio del quale, si sarebbe, forse, orchestrata questa lobby è un soggetto che si chiama Qatar. Non so nulla di Panzeri e delle loro responsabilità, ma qualcosa negli ultimi anni sul Qatar l’ho letta. Non so se oggi, visto che ci sono i Mondiali, si è creata una zona franca per cui non si deve dire nulla che riguarda il Qatar, che poco poco chiami in causa reati, possibili turbative, possibili influenze negative sull’Europa, sui paesi europei, sulla Francia, sulla Gran Bretagna, sull’Italia. Adesso - si arrabbia il giornalista - c’è questo velo, abbiamo una confusione delle coscienze”.

Estratto dell'articolo di Gabriele Rosana per “Il Messaggero” il 14 dicembre 2022.

Il badge che apre tutte le porte è per sempre. Al termine del mandato da eurodeputati, gli ex conservano il tesserino identificativo blu notte che continua a mantenere la propria validità senza scadenza. E a consentire loro di accedere liberamente ai palazzi dell'Eurocamera, a Bruxelles come a Strasburgo, senza doversi registrare né dover segnalare il proprio arrivo. [...] 

È il destino degli ex europarlamentari diventati lobbisti, che attraversano le porte girevoli facendo leva sulla propria rete di contatti. È così che, nei capannelli bipartisan di fronte all'aula plenaria, al termine del voto di mezzogiorno che ha destituito la greca Eva Kaili dalla vicepresidenza, c'è chi ricorda le chiamate con insistenza e le richieste di appuntamento da parte di Pier Antonio Panzeri. Pressioni in particolare nei confronti di quegli eletti molti italiani che siedono nelle delegazioni parlamentari con i Paesi del Golfo e del Maghreb, o che si occupano, a vario titolo, di politica estera e diritti umani.

Insomma, l'inchiesta della magistratura belga scoperchia il vaso di Pandora di un Parlamento che è «fisiologicamente iper-penetrabile» (parola di un diplomatico di lungo corso), un sottobosco popolato da personaggi poco noti ai più. Da lobbisti e rappresentanti di interessi organizzati, anzitutto, la cui figura è disciplinata dal registro Ue per la trasparenza. 

Più che i deputati Ue, però, i loro interlocutori privilegiati, quando si abbandonano i convenevoli e si entra nel vivo della discussione tecnica, sono le schiere di assistenti e collaboratori parlamentari. Non semplici portaborse come vorrebbe la vulgata, ma veri e propri consiglieri politici spesso altamente specializzati sui dossier.

E che all'Eurocamera costruiscono vere e proprie carriere, passando dagli uffici di diretta collaborazione degli eurodeputati, talvolta anche di diversa appartenenza politica (è prassi diffusa che siano reclutati direttamente a Bruxelles, senza arrivare dai territori) fino al segretariato del gruppo politico e, quindi, all'amministrazione del Parlamento. Insomma, non sorprende che, per il potere spesso accentrato, alcuni di loro vengano talvolta considerati degli eurodeputati-ombra.

Ma accanto ai binari classici ci sono anche contatti meno trasparenti, che fuggono agli stessi obblighi di pubblicità. Sono i rappresentanti dei governi extra-Ue e gli agenti stranieri che si aggirano per i corridoi di Bruxelles e Strasburgo facendo leva sul loro status diplomatico per agire, sostanzialmente, nell'ombra. [...]

Accanto alle lobby più o meno strutturate si espande anche tutto un universo di piattaforme informali che servono a fare rete, e che vengono attivate all'occorrenza. È il caso, ad esempio, del gruppo di amicizia con il Qatar, un raggruppamento di una dozzina di europarlamentari i cui nomi campeggiano ancora sul sito Internet dell'ambasciata di Doha a Bruxelles. Costituito nel 2019, a inizio legislatura, tuttavia, non si sarebbe mai riunito né avrebbe svolto attività in concreto, anche se non sono mancati inviti a buffet da parte degli emissari qatarioti. Che a svariati parlamentari avrebbero pure promesso biglietti gratis per assistere al Mondiale. Ieri mattina il gruppo di amicizia è stato sospeso «finché non sarà fatta chiarezza sulla vicenda» delle presunte mazzette degli emiri [...]

Da quotidiano.net il 14 dicembre 2022.

Visto lo scandalo del Qatar (oggi tra l'altro c'è stata la destituzione di Eva Kaili dalla vicepresidenza dell'Europarlamento) e un tweet di elogio sul progresso del Qatar in termini di diritti umani, Margaritis Schinas, vicepresidente della Commissione Europea, ha parlato in conferenza stampa a Strasburgo, rispondendo ad alcune domande sul Qatargate. In primo luogo ha detto che le sue posizioni sono sempre state in linea con quelle dell'Unione Europea, che ha rappresentato anche alla cerimonia di apertura dei Mondiali in Qatar. Ha rivendicato la limpidezza della sua carriera politica, anche grazie ai tweet che pubblica regolarmente e con cui comunica idee ed esperienze. 

"Ho ricevuto in dono dal Qatar un pallone e una scatola di cioccolatini, che ho regalato all'autista andando all'aeroporto, e qualche souvenir legato al Mondiale di calcio", ha risposto, quando gli è stato chiesto se avesse ricevuto regali dalle autorità qatariote. "Mi sono recato in Qatar come rappresentante della Commissione Europea, poiché responsabile dello sport, in piena trasparenza, e in quell'occasione ho difeso il nostro modello sportivo", ha spiegato. 

"Per me, dopo 32 anni di servizio pubblico, c'è solo la limpidezza. Twitto e continuerò a farlo come segno di trasparenza. E grazie a Dio l'ho fatto. Potete immaginare il genere di critiche che avrei ricevuto se non avessi twittato tutto quello che ho fatto e detto alla luce di questo?", ha dichiarato in merito a un suo tweet di novembre in cui ha elogiato il Qatar sul progresso nell'ambito dei diritti umani. 

E ancora: "Tutti i miei interventi pubblici, non solo quando ero in Qatar, ma sempre, sono compatibili al 100% con le politiche della Commissione: non inventiamo cose alla Commissione, ma ci basiamo sui documenti e le strategie prodotte dagli uffici". "Voglio che questa istituzione resti un bastione della democrazia e questa non è stata una buona settimana: sono felice che il Parlamento abbia preso azioni immediate e si guadagni nuovamente la fiducia dei cittadini".

Vista, in ogni caso, la corruzione scoperta, non possono non esserci azioni nel prossimo futuro per riconquistare la fiducia e Schinas auspica in un pacchetto anti-corruzione nel 2023. "Vogliamo ottenere un organismo etico Ue, la piena applicazione del registro di trasparenza delle Istituzioni europee e il pacchetto anti-corruzione che presenteremo e fisserà regole molto specifiche". 

"Se il sistema ha bisogno di correzioni, non ci sono dubbi che la Commissione punterà a questi obiettivi. Ma se gli individui hanno bisogno di correzioni, non sono sicuro che si tratti di un compito della Commissione", ha aggiunto. "Ricordiamo che la Commissione ha proposto un registro obbligatorio della trasparenza per tutte le Istituzioni Ue già nel 2016. Ci sono voluti cinque anni perché il Parlamento e il Consiglio arrivassero a un accordo. La Commissione è l'unica ad applicare la regola, 'no registro no incontro'", ha spiegato. "La Commissione proporrà un organismo etico per tutte le Istituzioni ue. Mi aspetto che questa volta non ci vogliano 5 anni per metterlo in pratica. Ora è tempo di riforme", ha ribadito Schinas. 

Portavoce Ue: "Fiducia in Schinas non in discussione"

"Ovviamente la presidente" Ursula von der Leyen "sostiene l'intero collegio, dal vice presidente Schinas alla commissaria Johansson" e nella conferenza stampa di ieri "non c'era assolutamente alcun fatto che richiedesse alla presidente della Commissione di esprimere la sua solidarietà o sostegno al Collegio o a un membro del Collegio" dei commissari europei. Questo è quanto ha dichiarato Eric Mamer, portavoce della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nella conferenza stampa a Strasburgo con i commissari Margaritis Schinas e Ylva Johansson. 

Interrogato sulla mancata conferma di von der Leyen della sua fiducia in Schinas dopo le polemiche sui tweet di sostegno del commissario greco al Qatar, Mamer ha risposto che "se ogni volta che la presidente si trova in conferenza stampa le venisse chiesto di garantire la sua fiducia ai membri del Collegio ci troveremmo in una situazione molto bizzarra". "Non c'è assolutamente nulla di nuovo là fuori che giustifichi che lei debba prendere una posizione pubblica su questo", ha concluso Mamer.

Ivan Cimmarusti, Sara Monaci per il Sole 24 Ore il 14 dicembre 2022. 

Sono i quattro dossier "bollenti" del Parlamento europeo - soprattutto in materia di diritti umani e sfruttamento del lavoro - sui cui si sospetta che il Qatar volesse influire con un presunto «sistema» di tangenti e che ora sono al centro delle indagini degli inquirenti di Bruxelles. Ma c'è anche una lista con una decina di europarlamentari su cui si sta cercando di fare chiarezza. 

L'inchiesta "Qatargate" dell'autorità giudiziaria belga presto potrebbe ampliare i propri perimetri. 

L'ipotesi preliminare di associazione per delinquere, corruzione e riciclaggio ricade, allo stato, sui sei principali arrestati: l'ex europarlamentare Pd Pier Antonio Panzeri, oggi lobbista con l'Ong Fight Impunity e ritenuto il presunto trait d'union tra gli interessi di Doha e i parlamentari Ue, l'ormai ex vice presidente del Parlamento Ue, la social democratica Eva Kaili - da ieri destituita e detenuta nel carcere di Haren, alla periferia nord-orientale di Bruxelles -, il suo compagno Francesco Giorgi, ex collaboratore di Panzeri e oggi assistente parlamentare di Andrea Cozzolino (Pd, non coinvolto nell'inchiesta), il segretario dell'Ong No peace without justice Niccolò Figà Talamanca e la moglie e la figlia di Panzeri. 

I primi quattro oggi compariranno davanti alla Camera di consiglio di Bruxelles per una prima udienza, mentre per le due donne si attende il provvedimento del Tribunale di Brescia per trasferirle in Belgio. 

Eppure, ragionano gli investigatori, il presunto ruolo della Kaili - che negli ambienti parlamentari è definita «Lady Qatar» - potrebbe non essere isolato. 

L'ex giornalista greca, chiamata anche «la portavoce del Qatar», respinge le accuse anche se è stata arrestata in flagranza di reato perché trovata in possesso di 150mila euro che non ha saputo giustificare. Suo padre è stato bloccato mentre cercava di partire con un volo Ryanair con un trolley pieno di soldi: 600mila euro in biglietti da 20 e 50 euro. Ulteriori 600mila euro sono stati sequestrati a Panzeri. In tutto il "malloppo" messo sotto sigillo ammonta a 1,5 milioni.

La lista di eurodeputati L'ipotesi che altro denaro «non tracciato» sia finito nelle tasche di ulteriori parlamentari Ue, nell'ambito di una più ampia strategia di lobbying progettata presumibilmente dal Paese del Golfo Persico, non è scartata. 

Gli investigatori, con il coordinamento del giudice istruttore belga Michel Claise, hanno una lista di almeno una decina di europarlamentari la cui posizione è al vaglio. A partire dal social-democratico Marc Tarabella, italo-belga, sospeso dal gruppo dei Socialisti e Democratici (S&D), di cui fa parte anche Kaili. Fonti vicine alle indagini confermano che il suo nome è stato fatto nel corso dell'interrogatorio di Francesco Giorgi, cui tra l'altro ieri sono stati sequestrati 20mila euro trovati nella sua abitazione nella provincia di Milano. 

A collaborare con gli inquirenti ci sarebbe anche Luca Visentini, segretario generale dell'Ituc, la confederazione sindacale internazionale, fermato nei giorni scorsi ma poi rimesso in libertà.

I dossier Gli inquirenti stanno incrociando il contenuto delle indagini con alcuni atti parlamentari, per individuare conferme alle ipotesi di un più ampio coinvolgimento di politici Ue, presumibilmente pagati per agevolare gli interessi qatarini. 

Un faro investigativo riguarda la risoluzione del 24 novembre scorso: l'Europarlamento ha approvato un testo non legislativo in cui deplora la morte di migliaia di lavoratori migranti impiegati nei cantieri del Mondiale Fifa in Qatar.

Tuttavia, come emerge dalle riunioni di quei giorni, ci sarebbero state pressioni dell'area S&D per ammorbidire il testo allo scopo di non «discriminare il Qatar». Poi ci sono gli emendamenti al regolamento Ue 2018/1806 che adotta l'elenco dei Paesi terzi i cui cittadini sono esenti dall'obbligo dei visti per l'attraversamento delle frontiere europee.

Una modifica a cuore del Qatar, considerato che è nella lista degli Stati assoggettati all'obbligo del visto. 

A leggere le documentazioni si scoprono gli emendamenti che elogiano Doha per l'applicazione del «salario minimo» ai lavoratori, presentanti anche da alcuni deputati socialisti (l'area politica di cui fa parte anche la Kaili), tra i quali Pietro Bartolo, al cui assistente hanno messo sotto sequestro l'ufficio a Strasburgo. Infine, c'è la proposta di regolamento della Commissione Ue che punta a vietare l'import in Europa di prodotti di Paesi terzi che attuano lo sfruttamento del lavoro forzato.

Il Qatar è accusato da anni di promuovere questo tipo di pratiche, anche se dal 2020 ha eliminato la Kafala, un regime tribale paragonabile a un lavoro forzato per i dipendenti per i lavoratori migranti. Eppure, ha constatato Amnesty International, lo sfruttamento sembra essere ancora la regola. Ci sarebbe un ulteriore dossier su gas ed energia, ma in generale è l'ambito dei diritti umani - che vede coinvolte molte Ong in Europa - a destare l'attenzione dei magistrati belgi. I diritti umani come schermo per la corruzione.

Da open.online il 14 dicembre 2022.

Tra i corridoi di Strasburgo si fa sempre più strada l’ipotesi che all’origine di tutto ci sarebbe un assistente parlamentare precario di Panzeri che, al mancato rinnovo di contratto, avrebbe deciso di raccontare degli strani movimenti di denaro a cui assisteva periodicamente. Secondo la stampa belga, uno dei quattro interrogati avrebbe invece fatto il nome di Marc Tarabella, l’eurodeputato belga di origini italiane, accusato di aver cambiato radicalmente la sua posizione sui diritti umani in Qatar. Tarabella, sospeso dal partito socialista belga e non indagato, è vicepresidente della delegazione del Parlamento Ue per i rapporti con la Penisola arabica ed è considerato molto vicino al Marocco.

Da open.online il 14 dicembre 2022.

È Francesco Giorgi l’indagato nel Qatargate che sta parlando con i magistrati. E l’inchiesta sulla corruzione dal Qatar arriva a una possibile svolta. L’assistente parlamentare dell’eurodeputato del Partito Democratico Antonio Cozzolino (non indagato) ha risposto per ore alle domande degli inquirenti belgi. 

Fornendo dettagli sulla rete dell’ex deputato Antonio Panzeri e della sua compagna, la parlamentare greca Eva Kaili. Sono state le sue rivelazioni a consentire di estendere le indagini a Marc Tarabella. Ieri la polizia belga ha sequestrato 20 mila euro nell’abitazione di Giorgi ad Abbiategrasso. In tutto a Giorgi e Kaili sono stati sequestrati quasi un milione di euro in contanti. Sommati ai 600 mila ritrovati a Panzeri fanno arrivare a un milione e mezzo di euro il totale della corruzione dal Qatar. 

Le carte dell’interrogatorio

Nelle carte dell’interrogatorio di Giorgi ci sono ammissioni deflagranti. Secondo le accuse di Michel Claise il gruppo formato da lui, Panzeri, Niccolò Figà-Talamanca e Luca Visentini (che si dice però estraneo all’indagine) si muoveva intorno alla Ong “Fight Impunity”. 

Che aveva l’obiettivo di favorire due paesi: Qatar e Marocco. Perché le organizzazioni non governative, scrive Repubblica, «ci servono per far girare i soldi», secondo l’ammissione dello stesso Giorgi davanti ai magistrati. Il gruppo sarebbe attivo dal 2021. I magistrati vogliono contestare l’associazione a delinquere. Giorgi è stato inchiodato anche da alcune intercettazioni in cui faceva riferimenti molto espliciti. Il ministro del Lavoro del Qatar Ali Bin Samikh Al Marri è il contatto. Con Kaili si è incontrato il primo novembre in Qatar. Grazie proprio alla mediazione del gruppo, secondo gli inquirenti.

L’udienza preliminare

Kaili, Giorgi, Panzeri e Niccolò Figà-Talamanca comunque si presenteranno oggi in tarda mattinata in tribunale per l’udienza preliminare. La polizia federale ha diffuso la prima foto dei contanti trovati all’ellenica, a suo padre e a casa di Panzeri. Molte le banconote di piccolo taglio, anche da dieci e venti euro. A parlare in via ufficiale con la stampa, finora, è stato solo il legale dell’eurodeputata di Salonicco. «La sua posizione è di innocenza. Non ha nulla a che fare con le tangenti del Qatar», ha dichiarato l’avvocato Michalis Dimitrakopoulos.

Francesca Basso per corriere.it il 14 dicembre 2022. 

La plenaria del Parlamento Ue ha rimosso la vicepresidente Eva Kaili, in quota socialisti, con 625 voti a favore, un contrario (Mislav Kolakusic, del Gruppo non iscritti) e due astenuti (Dorien Rookmaker e Joachim Kuhs di Alternative fuer Deutschland, gruppo Id). 

Kaili è stata arrestata in flagranza di reato nell’ambito dell’inchiesta belga sulla corruzione da parte del Qatar nei confronti di deputati e funzionari per influenzare le decisioni dell’Eurocamera. (Il suo avvocato ha dichiarato che la sua assistita «non sapeva nulla» del denaro che le è stato trovato in casa).

Ieri si è anche autosospeso temporaneamente dal gruppo S&D l’eurodeputato Andrea Cozzolino , il cui assistente Francesco Giorgi — compagno di Kaili — è stato arrestato nell’ambito della stessa inchiesta. Cozzolino ha spiegato in una lettera al capodelegazione Brando Benifei e alla capogruppo Iratxe García Pérez, che ha annunciato che i socialisti si costituiranno parte civile, di avere deciso di autosospendersi in continuità con la sospensione dalla presidenza della Delegazione per le relazioni con il Maghreb «per tutelare me stesso, la mia moralità, la mia integrità politica». 

In questi giorni il ruolo di assistente di Giorgi è stato molto chiacchierato a Strasburgo, a partire dal suo stipendio a detta di molti assai superiore rispetto alla media di un assistente.

Dopo lo scoppio dello scandalo ha creato imbarazzo un’email che Cozzolino, prima del voto del 24 novembre sulla risoluzione sulla situazione dei diritti umani nel contesto della Coppa del mondo in Qatar, aveva mandato ai colleghi invitandoli a votare contro una parte del testo in cui si sosteneva che Doha ha ottenuto i Mondiali attraverso la corruzione perché «il Parlamento Ue non dovrebbe accusare un Paese senza prove delle autorità giudiziarie competenti» e a riflettere sulla corruzione in tutti gli eventi sportivi «inclusa la Coppa del mondo in Germania nel 2006», passaggio che ha fatto infuriare la delegazione tedesca. Il suo invito non fu raccolto. 

Cozzolino non è nemmeno tra i firmatari dell’interrogazione all’Alto rappresentante Josep Borrell sulla grave situazione dei diritti Lgbtqia+ in Qatar presentata il 28 novembre scorso da Benifei, Majorino, Picierno, Smeriglio, Moretti, Bartolo, Tinagli, Roberti, Laureti.

È finito sotto i riflettori anche il vicepresidente della Commissione Ue, il greco Margaritis Schinas, che ha partecipato alla cerimonia inaugurale della Coppa del mondo in rappresentanza dell’esecutivo, ha parlato dei «progressi considerevoli e tangibili sulle riforme del lavoro» in Qatar e il 18 novembre ha twittato una foto con Kaili e il viceministro greco per lo Sviluppo Tsakiris: «Imprevedibile e piacevole incontro ad Abu Dhabi». 

Schinas ha spiegato che tutti i suoi interventi pubblici «non solo quando ero in Qatar sono compatibili al 100% con le politiche della Commissione: non improvvisiamo le posizioni». Ha detto di avere ricevuto in dono «un pallone e una scatola di cioccolatini, che ho regalato all’autista andando all’aeroporto, e qualche souvenir dei Mondiali».

Marco Imarisio per il “Corriere della Sera” il 14 dicembre 2022.

Dammi il cinque. Quando la sottocommissione ai Diritti umani votò il via libera al libero ingresso dei cittadini del Qatar in Europa, Francesco Giorgi batté le mani con il suo amico Mamedov Eldar in segno di reciproca soddisfazione. Era andata bene. Entrambi presenti in aula, a seguire fino alla fine un provvedimento che avevano accompagnato sin dalla sua ideazione. 

Del primo, ex assistente parlamentare di Antonio Panzeri e ora di Andrea Cozzolino, ormai si conoscono molte cose. A quella sessione, come a molte altre, era presente anche la sua compagna Eva Kaili, una dei 14 vicepresidenti del Parlamento europeo, che per eccesso di zelo si prese la briga in quella occasione di dare anche lei parere favorevole al provvedimento, senza per altro avvertire il suo gruppo, l’Alleanza progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D) che infatti si ritrovò con un voto in più di quelli dovuti e attesi. 

Il misterioso consigliere

Ma quello del secondo è un nome nuovo, con una storia particolare. Nel vasto organigramma dei S&D, «il nostro team» sul sito di riferimento, il cinquantenne Mamedov Eldar, di passaporto lettone e di origine iraniane e macedoni, è presentato come consigliere politico per gli Affari esteri. Secondo alcune fonti, il suo ufficio nel palazzo dell’Unione europea dedicato a Stephen Zweig, l’ex Atrium di Bruxelles, è stato perquisito e sigillato dalla gendarmeria belga. 

I suoi interessi riguardano però una sola area, da sempre. «Un lobbista iraniano» è la definizione generale di questo personaggio ben conosciuto a Strasburgo e Bruxelles. «Sempre pronto a ripetere la propaganda di Teheran», lo fulmina così un articolo di Aze media, poco lusinghiero nei suoi confronti. «Un promettente diplomatico e analista politico che negli ultimi quindici anni è diventato un inutile agente dei Pasdaran».

Gli europarlamentari del gruppo ricordano come ogni volta che uno di loro si esprimeva in termini severi sul Qatar, come noto uno degli alleati principali dell’Iran, Eldar interveniva cercando di ammorbidire la sua posizione. Spesso riuscendo nel suo intento, come dimostra la proposta della Commissione sui visti di ingresso poi congelata dopo gli arresti dello scorso venerdì, che riconosceva «i progressi», così erano definiti nella bozza finale, fatti dal Qatar sui diritti civili. 

Amici e collaboratori

Tutti i nomi portano a Panzeri, «sospettato di essere intervenuto politicamente presso alcuni deputati europei in favore del Qatar e del Marocco in cambio di pagamenti», così come recita il suo capo di imputazione. Anche quello del diplomatico lettone, che ha condiviso articoli e prese di posizione con il fondatore della Organizzazione non governativa Fight impunity, fondata dall’ex eurodeputato lombardo, lo ha intervistato e si è fatto da lui intervistare. Compagni di idee e vedute convergenti, definizione agli atti di un convegno sul Maghreb che li aveva visti insieme. Eldar suggeriva e disegnava scenari ai deputati che si occupavano dei Paesi del Golfo. 

Faceva lo stesso, nel senso che identico è il ruolo presso i socialisti europei, anche Carlo Bittarelli, italiano originario di Losanna, pure lui proveniente dagli ex Democratici di sinistra, dei quali fu membro di segreteria della sezione di Bruxelles prima di diventare, correva l’anno 2007, assistente di un europarlamentare di prima nomina, tale Antonio Panzeri. Con il quale ha lavorato fino al 2014, preparandogli i dossier di politica estera.

Oggi è rimasto nei dintorni del Parlamento europeo. Sembra che anche il suo ufficio abbia ricevuto le attenzioni degli investigatori belgi. «Il nostro team» qualifica anche lui come consigliere politico, ma di quella sottocommissione sui Diritti umani (Droi) che pare essere il centro di gravità dell’intera inchiesta, il luogo dove convergevano interessi e spinte per aiutare eventuali amici qatarioti. 

La rete

Sia Eldar sia Bittarelli non risultano indagati. Così come non lo sono Mychelle Rieu, funzionaria della sottocommissione sui Diritti umani, il cui ufficio è stato perquisito ieri, e Giuseppe Meroni, anche lui oggetto delle attenzioni dei gendarmi. Al momento e fino a prova contraria, pagano la vicinanza a Panzeri, la prima in termini di amicizia personale, cosa nota negli ambienti della politica comunitaria, il secondo in quanto anche lui suo assistente storico, prima di passare alle dipendenze di Pietro Bartolo e dell’eurodeputato belga Marc Tarabella, il Mister T indicato come tale dagli inquirenti belgi. 

Gomitolo da dipanare

Ogni filo di questo intrigo dai contorni ancora poco chiari riporta alla palazzina di rue Ducale, nel cuore di Bruxelles, a pochi metri dall’ambasciata americana. Perché è dalla sede di Fight impunity che inizia a dipanarsi questo gomitolo. Dalla telefonata fatta da un collaboratore di Panzeri, che voleva sporgere denuncia. Era sempre stato sottopagato, così avrebbe sostenuto. E la circostanza gli sembrava strana, perché intorno a sé vedeva girare molti soldi, anche e soprattutto in contanti. Non per una questione di principio, dunque. Ma per denaro. Come tutta questa storia.

Giuseppe Guastella per corriere.it il 14 dicembre 2022.

C’è un salto temporale nell’inchiesta sulla corruzione che sta facendo tremare il Parlamento europeo, uno scarto di non poco conto in cui i magistrati belgi, che pure avevano già in mano tutti gli indizi per fare il blitz, hanno deciso di restare sott’acqua e di rinviare di quasi due mesi gli arresti già programmati. Una decisione che si spiega solo con nuovi elementi, cruciali ed urgenti che hanno costretto a modificare i piani all’ultimo momento. Come possono esserlo gli sviluppi del lungo interrogatorio di Francesco Giorgi, il compagno della vice presidente Eva Kaili arrestato con lei. 

Un milione e mezzo

La coppia più glamour della politica europea è stata sorpresa con quasi un milione di euro in contanti che, sommati ai 600 mila trovati ad Antonio Panzeri, fanno salire a un milione e mezzo il frutto avvelenato della corruzione partita dal Qatar. Venerdì Giorgi deve essersi sentito crollare il mondo addosso quando la polizia giudiziaria gli ha messo le manette. Lo tenevano d’occhio e lo intercettavano, e non è da escludere che siano state proprio le sue parole al telefono con il padre della compagna a consentire agli investigatori di entrare nella bella casa della ex giornalista greca e trovare 150 mila euro in mazzette.

A permettere di superare lo sbarramento dell’immunità parlamentare che proteggeva la residenza è stata la «flagranza» in cui è stato colto suo padre che usciva in fretta e furia dal lussuoso Sofitel di Bruxelles dove da alcuni giorni soggiornava con la moglie. Quando l’hanno bloccato, gli agenti hanno scoperto 600 mila euro in banconote nel trolley che si trascinava. Bussando a casa della figlia e a quella di Giorgi e lì hanno trovato gli altri soldi. «Non era a conoscenza dei soldi» trovati a casa sua, dice l’avvocato della Kaili con una affermazione sorprendente che lascia presagire lo scaricabarile.

Interrogatorio

L’interrogatorio di Giorgi sabato si è protratto per una decina di ore con l’indagato che ha risposto al giudice istruttore Michel Claise il quale nel pomeriggio è stato costretto a rinviare le audizioni degli altri arrestati (oggi compariranno in udienza) al giorno dopo per dare libero sfogo al fiume in piena. Quello che emerge dall’indagine che ha scoperchiato il più grande giro di mazzette nella storia dell’istituzione europea è che i magistrati stanno cercando conferma al giro delle tangenti e dei sontuosi regali che dal Qatar, e in parte anche dal Marocco, sarebbero arrivati all’ong Figth impunity, fondata nel 2019 da Panzeri e nel cui consiglio onorario sedevano, prima di dimettersi sdegnati, premi nobel, ex premier e ed ex commissari. Un giro di corruzione che arriva anche in Lombardia, dove su richiesta di Eurojust l’aggiunto Fabio De Pasquale, che guida il dipartimento affari internazionali della Procura di Milano, ha acquisito conti e perquisito abitazioni ed uffici per ricostruire il patrimonio della famiglia Panzeri e di Giorgi (a casa sua ad Abbiategrasso sono saltati fuori altri 20mila euro). 

L’intreccio

Nel decreto di perquisizione, però, è indicata una prima data, «il 19 ottobre», in cui i magistrati belgi avevano pronta la richiesta di arresti che poi è stata tenuta in caldo fino al «7 dicembre» quando, integrata da altra documentazione, è arrivata a Milano a due giorni dal blitz di Bruxelles. Questo lascia ipotizzare che le basi d’accusa gettate due mesi fa ma sono state ulteriormente arricchite fino alla vigilia degli arresti. Lungo i corridoi ovattati e attoniti della sede del parlamento di Strasburgo, dove le voci si rincorrono all’impazzata, c’è chi racconta dell’assistente di un parlamentare che avrebbe fatto partire le indagini dopo che non le era stato rinnovato il contratto in uno staff contiguo a quello in cui lavora Giorgi. Questi è attualmente un collaboratore del Pd Andrea Cozzolino (non coinvolto nell’inchiesta), ma soprattutto ex collaboratore di Panzeri che, direttamente o attraverso di lui, avrebbe corrotto Eva Kaili . Questo intreccio, che se provato sarebbe perverso, è un altro dei temi centrali dell’estenuante interrogatorio in cui il 35enne istruttore di vela ha parlato anche dei soldi passati dal «manovratore» Panzeri ad altri «membri che lavorano nel Parlamento Europeo», come li definisce l’accusa con una specificazione che fa immaginare nuovi sviluppi.

Qatargate, quel blitz degli 007 belgi a casa Panzeri e la pista degli altri europarlamentari. Giuseppe Guastella su Il Corriere della Sera il 15 dicembre 2022.

L’inchiesta dei Servizi nel 2021. I media greci: sono sessanta nomi nel mirino dei pm

Ci sono i servizi segreti del Belgio dietro lo scandalo dei regali e del milione e mezzo di euro partiti dal Qatar e dal Marocco, passati attraverso la ong Fight impunity di Antonio Panzeri e finiti a personaggi che lavorano nel Parlamento europeo. A dare il via all’inchiesta che ha fatto emergere il più grave caso di corruzione nella storia della massima istituzione continentale, compromettendone pesantemente l’immagine, è stata l’agenzia interna per la «Sicurezza dello Stato» del Belgio che per mesi ha lavorato con i servizi segreti di altri 5 paesi, ma non con quelli dell’Italia che sarebbero stati esclusi dall’operazione nonostante tutto sembri ruotare intorno a personaggi italiani.

Partito come un caso di «sicurezza nazionale», il dossier si trasforma in una questione di corruzione internazionale, altrettanto grave, ma certamente meno allarmante per gli 007 locali che lo passano alla magistratura ordinaria quando si rendono conto che la minaccia è cessata o forse non è mai esistita. L’operazione Qatar, rivelano fonti giornalistiche belghe non smentite dalle autorità, comincia nel 2021 come indagine su un’interferenza da parte di un paese straniero sui processi decisionali del Parlamento europeo, come quelli sulle posizioni da prendere nei confronti di paesi accusati di non rispettare i diritti umani quali il Qatar, molto attivo per raggiungere un’intesa con la Ue sull’aviazione (ora bloccata dopo lo scandalo). E i pm di Milano che danno assistenza in Italia ai colleghi greci per le propaggini italiane dell’indagine, parlano di europarlamentari «libro paga» lasciando immaginare un orizzonte investigativo più esteso di quello che al momento può essere osservato. Secondo la stampa greca, i pm avrebbero nel mirino «oltre 60 eurodeputati», la maggior parte del gruppo dei socialisti e Ppe, ma anche dei «nuovi partiti della destra».

Non si sa quale sia la fonte della soffiata agli 007 belgi, se si tratti di una assistente parlamentare che ha denunciato cosa aveva visto per vendicarsi di non essere stata riconfermata nell’ incarico, come dice qualcuno, o se invece l’allerta sia arrivato da un paese terzo, come ha scritto il giornale belga De Standaard. Sta di fatto che le indagini segretissime si concentrano subito su Antonio Panzeri e sulla Figth impunity. Il suo appartamento in un residence di Bruxelles viene messo sotto controllo ed imbottito di microspie mentre lui viene pedinato e intercettato. Sono i poteri speciali dati in Belgio ai servizi a consentire loro di fare indagini così intrusive senza autorizzazione della magistratura, ma dopo il via libera di una commissione che ne valuta opportunità e necessità.

Quando a luglio scorso i servizi hanno avuto il quadro della situazione, l’indagine è stata passata alla procura federale che ha aperto un fascicolo per i reati di associazione per delinquere, corruzione e riciclaggio di denaro commessi dal primo gennaio 2021 all’8 dicembre scorso. Nelle mani dei magistrati ci sono i contatti di Panzeri, a cominciare da quello stretto che lo lega a Francesco Giorgi, compagno di Eva Kaili, la vice presidente del parlamento arrestata con i due uomini. Dal Qatar alla coppia sarebbero arrivati gli oltre 750 mila euro di cui sono stati trovati in possesso, così come i 600 scovati nel residence di Panzeri. Le indagini dovranno stabilire in che modo, dato che dai numeri di serie risulterebbe che la maggior parte delle banconote è stata emessa in Belgio ed è passata da banche belghe, il che smentirebbe l’ipotesi di valigie arrivate dall’estero. Gli investigatori hanno anche più di un’idea degli «intrallazzi» di cui parlava Maria Dolores Colleoni, moglie di Panzeri, come del «trasporto dei regali» in Marocco attraverso l’ambasciatore del paese nordafricano in Polonia.

Estratto dell'articolo di G.F. per “la Repubblica” il 14 dicembre 2022.

Un milione e mezzo di euro, in banconote da 200, 100, 50, 20 e persino una da cinque euro. Eccolo il tesoro del Qatargate, sequestrato fino a questo momento dalla polizia belga a casa dell'ex eurodeputato italiano del Partito democratico Pier Antonio Panzeri e della vice presidente del Parlamento, la greca Eva Kaili. La fotografia (pubblicata dal quotidiano belga Le Soir) racconta meglio di ogni cosa lo spaccato di quello che è il più grande scandalo recente che ha travolto l'Europarlamento.

Che rischia di allargarsi ogni giorno. […] 

Perché una foto come quella che ieri il giudice istruttore di Bruxelles, Michel Claise, ha deciso di divulgare per dare il segno e il senso a quello che sta accadendo, assomiglia a quelle scattate dopo un blitz di narcotraffico. Sembra essere uscita da una serie televisiva sui corrieri del Sud America e non dagli uffici di una delle massime istituzioni del Parlamento europeo, quello della vicepresidente greca Kaili appunto. […]

A leggere gli atti dell'inchiesta, almeno a casa di Panzeri gli inquirenti sono andati quasi a colpo sicuro. Dalle intercettazioni telefoniche, effettuate per più di sei mesi, avevano intuito infatti che l'ex europarlamentare del Pd avesse a casa del denaro contante. Soldi che non erano l'oggetto della corruzione ma che nel meccanismo Panzeri avrebbe dovuto utilizzare per "oliare" i meccanismi del Parlamento e portare a casa quello che il Qatar (e probabilmente anche il Marocco) chiedeva: dichiarazioni rassicuranti, atti amministrativi amichevoli.

Gli investigatori sono persuasi che questo sia effettivamente accaduto perché, dal conto che era stato fatto in sede di indagine, erano convinti di trovare - almeno a casa di Panzeri - più soldi di quelli che c'erano. Gli altri è possibile quindi che siano stati consegnati in queste settimane. Non pensavano invece ci fossero a casa di Kaili, tanto che l'arresto dell'europarlamentare è stato deciso soltanto in un secondo momento, proprio per via della flagranza di reato.

Francesco Giorgi, il compagno di Eva Kaili «è uno che crolla sotto stress»: il surfista dell'Idroscalo nei racconti degli amici. Andrea Galli su Il Corriere della Sera il 15 dicembre 2022.

Il 35enne nato ad Abbiategrasso, alle porte di Milano. Nel suo paese raccontano: sogna di comprarsi una barca da emiro

Ma dunque, se lei l’han ribattezzata «Eva Kant», lui chi sarebbe? Davvero (un) «Diabolik»? Nell’omettere certi indicibili soprannomi correlati ad attitudini se non ossessioni da gran corteggiatore instancabile, per Francesco Giorgi scegliamo la seguente definizione d’un amico, che si dichiara sia affezionato, sia devastato: «Il surfista dell’Idroscalo».

Le due ville

Una definizione che poi racconta molto del 35enne arrestato insieme alla stessa compagna Eva Kaili: ovvero uno sì consapevole delle origini da provinciale, nel suo caso Abbiategrasso, cittadina a mezz’ora da Milano tra noiosi rettilinei e cascine decadenti, ma col mondo nell’orizzonte, e appunto fruitore del macchinario che genera onde nel lago artificiale simulando d’essere alle Hawaii. E comunque quel suo interrogatorio esondante, reso al magistrato con gli abituali pianti e le abituali crisi di panico dei comuni mortali, dimostra che non si tratta di un criminale. O meglio, così ci viene ripetuto in via della Noce, dove, una di fronte all’altra, sorgono due ville. Quella al numero pari, più grande, di mamma Iole e papà Luciano, un’insegnante e un preside, nascosta da un’alta siepe; e quella al numero dispari, a schiera, più piccola, e fino all’ottobre 2016, prima di emigrare a Bruxelles in rue de la Tulipe, residenza di Francesco, laurea in Scienze politiche e lunga esperienza da assistente parlamentare; più forte degli avvicendamenti dei partiti, di destra o sinistra che siano, e dei politici per i quali lavorare. Quasi che mantener l’equilibrio, mai cadere, insomma surfare, sia l’atteggiamento esistenziale di uno che predica l’ottimismo e detesta quelli che mugugnano e si arrendono. Bisogna aggiungere che, nel coro di voci, Giorgi generava invidie diffuse: e la bellezza, e la brillantezza, e la naturale capacità d’affascinare chiunque ovunque, e l’incredibile abilità a vendere pure doti che non ha...

Nell’oratorio

Invidia oppure accanimento, a questo punto conviene menzionare anche gli aneddoti relativi a un «influente familiare», ugualmente nato nell’ospedale di Rho, che ne avrebbe indirizzato la carriera presentandolo a quelli giusti. Ma di nuovo: invidia o puro accanimento, se siamo di fronte a una persona dalla doppia vita, a uno stratega del male, tutto quanto stride con l’infanzia e la giovinezza di Giorgi, cresciuto educato e cortese, orgoglio assoluto di papà Luciano, di anni 66, a capo dell’istituto comprensivo della vicina Cisliano, un dirigente noto per le battaglie contro i docenti fannulloni e le sterili polemiche sindacali. Francesco, tipo maniacale nella scelta e nel peso del cibo, nella lettura mattutina della bilancia e dell’evoluzione dei muscoli, è diventato grande all’oratorio, e dal padre, volontario sulle ambulanze e in parrocchia, ha imparato — avrebbe — a pensare al prossimo. Ecco, il signor Luciano esce dalla porta ma subito si blocca sul vialetto; chiede scusa, «mi hanno ordinato di tacere e in ogni modo non avrei parlato». China la testa, abbozza un sorriso doloroso, perfino straziante. Per le coordinate sue e della moglie, le accuse contro il figlio, le manette, i paesani che scrutano e giudicano, son peggio di un tradimento.

Il terrore dello stress

Un residente col cane, nel giardino con la lapide in ricordo dei deportati e dei caduti di Abbiategrasso, dice che i genitori è come se li avessero ammazzati, pur essendo due che, alle prese ogni giorno per mestiere con i ragazzini e i percorsi di crescita, sanno bene che ogni mente è imprevedibile. Non che, attenzione, negli anni Francesco non abbia fatto impensierire: egli considera l’avventura un moto dell’animo, da skipper ha compiuto navigazioni pure in tempesta, adora la velocità folle, da adolescente combinava azzardi notturni ai limiti del ricovero — ma sempre si fermava all’ultimo millimetro utile mentre gli amici intorno crollavano — e, in quella sua, diciamo, attività da gran corteggiatore, spesso scommetteva che con quella ragazza sarebbe riuscito e si dannava finché non riusciva...

E il rapporto con i soldi? Gli hanno beccato sacchi di banconote, anche nella villa. Ora, non emergono aneddoti di avidità, anzi trattasi di uno che presta il denaro senza storie, e però si vocifera dell’imminente acquisto di una barca da emiro per regalarsi maestose traversate con Eva e la figlioletta. Eva. «Scattava a ogni sua disposizione!»; «Quando mai, è lui che l’ha plagiata!». Chissà chi sia o non sia, questo Giorgi. Di sicuro ha un famoso limite, svelato dai suoi più intimi: «Soffre maledettamente le situazioni di stress»; quando ci capita dentro compie ogni mossa per scappare, scavalcando se necessario chi ha davanti, pure se a terra e invocante aiuto.

La caduta di Kaili. Domenico Pecile su L’Identità il 14 Dicembre 2022.

Il terremoto abbattutosi sul Parlamento Ue ha già lasciato le prime macerie. Eva Kaili, numero due dell’Eurocamera, travolta e arrestata nell’ambito dell’inchiesta sul Qatargate, è stata destituita dall’incarico. La richiesta, avanzata dalla Conferenza dei presidenti, è stata votata all’unanimità. L’aula l’ha infatti destituita con un voto a larghissima maggioranza: su 628 voti, 625 sono stati favorevoli e un solo contrario, il croato Mislav Kolakusic, e due astenuti. La politica greca è stata anche sospesa dal Pasok. È sospettata di corruzione operata dal Qatar al fine di influenzare le decisioni del Parlamento Europeo. Fino ad ora sono stati ritrovati 1,5 milioni in contanti. Eppure, nonostante il ritrovamento del denaro nascosto anche dentro bustoni di plastica e nonostante le sue benevoli dichiarazioni in tema di diritti in Qatar, Kaili si dichiara innocente aggiungendo che non ha nulla a che fare con le tangenti del Qatar. Le parole sono state riportate dal suo avvocato, Kaili Michailis Dimitrakopoulos.

A casa della donna e di Antonio Panzeri, ex eurodeputato di S&D, sono stati ritrovati oltre 1,5 milioni di euro in banconote. Sono state diffuse dalla polizia belga le foto di pile di biglietti sequestrati da 20, 50, 100 e 200 euro. Nei 1,5 milioni è compresa anche la somma sequestrata al padre della Kaili e nascosta nella valigia. L’uomo era stato fermato mentre stava lasciando un albergo di Bruxelles. Ieri, nell’abitazione del convivente della Kaili, Francesco Giorgi, pure arrestato, sono stati sequestrati 20 mila euro. L’uomo ha parlato per ore con gli inquirenti, avvalorando, pare, le tesi dell’inchiesta.

Inchiesta che giocoforza procede a ritmo serrato ed inevitabilmente è destinata ad allargarsi, mentre nell’europarlamento diviso si registra una ridda di dichiarazioni a metà tra la dura condanna e lo stupore. Sempre ieri, la procura belga ha deciso di mettere i sigilli agli uffici a Strasburgo dell’assistente dell’europarlamentare Pietro Bartolo, eletto con il Pd e pure lui iscritto al gruppo S&D. Bartolo si era dimesso dal ruolo di relatore sul testo di liberalizzazione dei visti al Qatar. E nel frattempo si è autosospeso un altro eletto con i Dem. Si tratta di Andrea Cozzolino, che pure ha rinunciato alla attività di coordinatore delle emergenze. Ma le indagini hanno coinvolto anche l’italo-belga Maria Arena, che ha lasciato la presidenza della Commissione per i Diritti umani e Marc Tarabella la cui abitazione era già stata perquisita sabati scorso. La posizione più delicata per quanto concerne gli italiani riguarda sicuramente Panzeri. Fonti della Reuters tra le accuse mosse all’eurodeputato sospeso da Articolo1 ci potrebbe essere anche quella di avere incassato denaro dal Marocco. In questo caso la sua posizione è destinata ad aggravarsi ulteriormente. Intanto, si è saputo che la ormai ex vicepresidente del Parlamento europeo si troverebbe nel carcere di Haren, alla periferia Nord orientale di Bruxelles. Gli inquirenti, invece, non hanno voluto confermare se anche Panzeri, Giorgi e Niccolò Figà Talamacca (segretario di No Pace Without Justice), si trovino nella stessa prigione che ospita, tra gli atri, anche Salh Abdeslam, unico sopravvissuto tra il gruppo dei terroristi dell’attentato al Bataclan.

E tra ipotesi di altri arresti, la politica europea si interroga. Tra i socialisti europei prevale la linea dei falchi e dell’intransigenza. A guidarla è il presidente della commissione per le ingerenze nei processi democratici dell’Eurocamera, il francese Glucksmann. Ieri ha sottolineato la necessità di istituire una commissione d’inchiesta sullo scandalo e la sospensione immediata di chi è coinvolto. L’obiettivo indicato è perentorio: “Ripulire la famiglia socialista”. Ma le rassicurazioni, le scuse e i propositi di Glucksamm non hanno sopito le polemiche degli avversari politici che hanno duramente stigmatizzato in aula le parole di Roberta Metsola secondo cui quanto è stato scoperto dagli inquirenti non è né di sinistra né di destra. E nella ridda di dichiarazioni spicca anche quella del premier ungherese, Viktor Orban, che ha contrattaccato con ironia accusando l’Ue di preoccuparsi della corruzione nel suo Paese. Polemiche e veleni sono destinati a incendiarsi nei prossimi giorni come dimostrano anche le parole del primo portavoce della Commissione, Eric Mamer. Il quale, proprio ieri, rispondendo a una domanda su tweet del vicepresidente Schinas che elogiava i progressi del Qatar, nel corso della conferenza stampa del resoconto del Collegio dei commissari, ha riferito che “abbiamo fatto questa dichiarazione sulle riforme intraprese nell’area dei diritti del lavoro. Ben prima che il vicepresidente Schinas andasse in Qatar, e questo è di pubblico dominio. Quindi non c’è assolutamente alcuna discrepanza tra ciò che il vicepresidente ha twittato in quel momento è ciò che la Commissione ha sempre detto”.

Eurocorruzione. Così i servizi segreti belgi hanno svelato il sistema di tangenti da Qatar e Marocco. Linkiesta il 15 Dicembre 2022

Dopo oltre un anno di indagini e sei Paesi coinvolti, gli inquirenti seguono le tracce dei soldi per unire i punti della rete che potrebbe coinvolgere oltre 60 eurodeputati, soprattutto appartenenti alle famiglie politiche dei Socialisti & Democratici, del Partito popolare europeo e di altri partiti di sinistra

A svelare la Tangentopoli del Parlamento europeo è stata un’operazione di spionaggio internazionale durata un anno, con il coinvolgimento di almeno sei Paesi per sventare la pesante infiltrazione del Qatar nelle istituzioni di Bruxelles. Gli apparati di intelligence hanno raccolto e condiviso informazioni sulla base di una sospetta minaccia alla sicurezza degli Stati con «interferenze nei processi decisionali» garantite dalla corruzione di deputati e funzionari del Parlamento europeo. Solo successivamente il Servizio informazioni e sicurezza belga le ha declassificate, mettendole a disposizione della Procura federale per l’avvio di una «indagine su larga scala». Un’indagine che, secondo alcuni media greci – tra cui Mega Tv – coinvolgerebbe una sessantina di europarlamentari, per la maggior parte appartenenti alle famiglie politiche dei Socialisti & Democratici, del Partito popolare europeo e di altri partiti di sinistra.

Il “Qatargate”, insomma, sta diventando una Spy Story – scrive Repubblica. Con un protagonista principale: il Dged, il servizio segreto marocchino. E una serie di coprotagonisti: l’Intelligence del Belgio, con la collaborazione di Paesi alleati dell’Unione europea, e il governo del Qatar. Marocco e Doha nelle parti dei grandi corruttori dentro le istituzioni dell’Ue, in particolare il Parlamento.

Tutto nasce cinque mesi fa. Gli 007 belgi, assistiti da altri servizi europei, vengono a conoscenza che c’è una rete che lavora «per conto» del Marocco e del Qatar. Lo sfondo è il ruolo di Rabat nel Sahara Occidentale e i flussi migratori. Il Marocco vuole che l’Ue non si metta di traverso sull’occupazione di quel pezzo d’Africa e punta ad avere meno problemi possibili dal punto di vista dei flussi dei migranti.

Il gruppo socialista di S&D sarebbe quello maggiormente coinvolto. Attraverso una sorta di cricca composta da tre italiani: Panzeri, Cozzolino (europarlamentare) e Giorgi (compagno di Kaili). Anche se alcuni media della Grecia, addirittura ipotizzano che dentro il Parlamento europeo potrebbero essere una sessantina i nomi coinvolti.

Il più attivo nel cercare l’influenza è comunque lo Stato del Marocco. Incontri, colloqui, cene con i più alti dirigenti dei servizi segreti di Rabat sono una costante di questo sistema. Il gruppo è stato agganciato prima da un ufficiale del Dged di stanza a Rabat. Si tratta di Belharace Mohammed, il quale ha potuto contare sulla intermediazione anche di un diplomatico di base a Varsavia: Abderrahim Atmoun. Tutte informazioni in un primo momento raccolte dai servizi segreti del Belgio.

Il ruolo del diplomatico di Rabat che si muove lungo l’asse Varsavia-Bruxelles è centrale. Ma c’è un anello che è ancora più importante in questa catena: Mansour Yassine, direttore generale del Dged. I tre lo hanno incontrato. Cozzolino lo ha fatto ad esempio diverse volte e almeno in una sarebbe andato in Marocco, nel 2019. Secondo la ricostruzione dei pm belgi, infatti, un ufficiale dell’intelligence marocchina ha prenotato due biglietti aerei sul volo Alitalia Casablanca-Roma del 2 novembre 2019 e sulla successiva tratta Roma-Napoli. Gli 007 del Belgio non sanno con certezza se Cozzolino sia effettivamente salito sull’aereo. Anche Panzeri è volato verso lo Stato magrebino per incontrare ancora lo stesso Mansour nel luglio del 2021.

La motivazione che viene assegnata a questo colloquio è discutere la «strategia» del Parlamento europeo. Anche in questo caso gli 007 si prendono una prudenza: non confermano che il colloquio sia effettivamente avvenuto. Ma che sia stato organizzato sì. Della rete avrebbe fatto parte anche Figà Talamanca, il vertice della Ong “No Peace without justice”.

L’ufficio di Atmoun a Varsavia, dunque, era una specie di crocevia. Lì si sono alternati in visita Panzeri, Cozzolino e anche Giuseppe Meroni, un tempo assistente dell’ex eurodeputato e ora a disposizione della neo eletta di Forza Italia, Lara Comi. All’interno di questo quadro, Francesco Giorgi veniva identificato come una sorta di «agente» di Panzeri. Almeno i Servizi marocchini lo utilizzavano in quel modo. Ma sarebbero stati Cozzolino e Panzeri a gestire l’accordo per consentire «l’ingerenza del Marocco».

Il sistema del Qatar non cambiava molto. Le regole, alla fine, erano le stesse. E gli obiettivi analoghi. In questo caso gli obiettivi sono quelli di rendere accettabili le procedure adottate da Doha sui lavoratori. In particolare quelli impegnati nella costruzione delle strutture dei mondiali di calcio. Le autorità qatarine sarebbero state persino più dirette di quelle marocchine. Non avrebbero usato direttamente le spie, ricorrendo direttamente al governo. Gli incontri, infatti, sono fatti con il ministro del lavoro, Bin Samikh al Marri. E il tutto sarebbe avvenuto – secondo il mandato di cattura – con l’aiuto di un personaggio misterioso chiamato Bettahar e soprannominato «l’Algerino».

Gli inquirenti non hanno dubbi: Panzeri e Giorgi dividevano tutto al 50 per cento. E il resto era per Figà Talamanca. Il gruppo riceveva pagamenti per le sue attività in due modi quando venivano Doha: attraverso i conti della Ong “Fight Impunity”, in contanti o con qualche regalo. Quando il finanziatore era Rabat, allora non si andava per il sottile: la moneta in contanti veniva trasferita in alcune buste o borsoni attraverso la intermediazione del diplomatico di stanza in Polonia Atmoun.

Secondo la magistratura belga, quegli importi venivano impiegati per pagare tutte le spese che denotavano «un tenore di vita che eccedeva le sue possibilità». E poi per pagare i «membri della rete» che dentro le istituzioni europee venivano manipolati come delle vere e proprie teste di legno.

Nella villetta dei genitori di Francesco Giorgi ad Abbiategrasso i finanzieri hanno trovato la chiave di una cassetta di sicurezza. In banca hanno trovato altri 20mila euro in contanti. Sarà difficile rintracciarne la provenienza. Ma per i contanti sequestrati a Bruxelles la polizia ha trovato una traccia: la fascetta che li avvolgeva consente di risalire ai conti correnti da cui sono stati prelevati. E questo potrebbe costituire la svolta dell’inchiesta.

Eva Kaili intanto continua a dirsi innocente, affermando di non sapere nulla di soldi e accordi di corruzione e addossando la responsabilità al compagno. Il quale, scrive Repubblica, avrebbe confermato agli inquirenti di aver lasciato all’oscuro la donna dell’operazione. «Farò il possibile affinché la mia compagna sia libera e possa occuparsi di nostra figlia di 22 mesi», avrebbe detto agli inquirenti.

Eurocorruzione. Le dichiarazioni di Francesco Giorgi svelano il sistema del Qatargate. Linkiesta il 15 Dicembre 2022

Il compagno della vicepresidente Kaili sta collaborando con gli inquirenti belgi. Oggi si tiene l’udienza preliminare in tribunale. Le organizzazioni non governative «ci servono per far girare i soldi», si legge nelle carte. I contanti sequestrati finora ammontano a 1,5 milioni di euro

Francesco Giorgi, uno dei cinque arrestati nell’inchiesta sulla presunta corruzione per ammorbidire la posizione del Parlamento europeo sulle violazioni di diritti umani in Qatar, sta collaborando con gli inquirenti belgi. L’assistente parlamentare dell’eurodeputato del Partito democratico Antonio Cozzolino (non indagato) ha risposto per ore alle domande, fornendo elementi sulla rete che ruotava attorno all’ex deputato Antonio Panzeri (Pd, poi Articolo 1) di cui è stato assistente fino al 2019, e alla deputata socialista greca Eva Kaili, sua compagna di vita.

Le sue rivelazioni hanno consentito alla polizia belga di estendere le indagini a un altro deputato socialista, il belga Marc Tarabella. «Non ho assolutamente nulla da nascondere», replica Tarabella. Su di lui – scrive La Stampa – ci sarebbe anche il riscontro di un altro testimone. «Temo che saranno coinvolti altri deputati», dice Hannah Neumann, eurodeputata dei Verdi tedeschi nonché presidente della Darp, la Delegazione del Parlamento per i rapporti con la Penisola Arabica, il cui vicepresidente era proprio Tarabella.

Mentre Giorgi parlava a Bruxelles, la Guardia di Finanza è tornata nella sua casa ad Abbiategrasso, trovando altri 20mila euro in contanti, che si aggiungono al milione e mezzo già sequestrato tra Bruxelles e l’Italia. Il denaro è stato esibito dalla polizia belga in una fotografia destinata a fare storia, diviso in mazzette con pezzature variabile, prevalentemente in banconote da 50 euro.

In tutto a Giorgi e Kaili sono stati sequestrati quasi un milione di euro in contanti. Sommati ai 600mila ritrovati a Panzeri, fanno arrivare a un milione e mezzo di euro il totale della corruzione dal Qatar.

Nelle carte dell’interrogatorio di Giorgi, ci sono ammissioni deflagranti. Secondo le accuse di Michel Claise il gruppo formato da lui, Panzeri, Niccolò Figà-Talamanca e Luca Visentini (che si dice però estraneo all’indagine) si muoveva intorno alla Ong “Fight Impunity”, che aveva l’obiettivo di favorire due paesi: Qatar e Marocco. Le organizzazioni non governative «ci servono per far girare i soldi», è la frase di Giorgi contenuta nelle carte dell’indagine riportata da Repubblica.

Il gruppo, per come è raccontato negli atti, sarebbe attivo almeno dal gennaio del 2021. I reati contestati sono appunto quello dell’associazione, la corruzione e il riciclaggio. Il rapporto principale era con il Qatar. Nei documenti si fa riferimento, per esempio, al ministro del Lavoro Ali Bin Samikh Al Marri che Kaili ha incontrato il primo novembre in Qatar.

Kaili, Giorgi, Panzeri e Niccolò Figà-Talamanca comunque si presenteranno oggi in tarda mattinata in tribunale per l’udienza preliminare. A parlare in via ufficiale con la stampa, finora, è stato solo il legale di Kaili. «La sua posizione è di innocenza. Non ha nulla a che fare con le tangenti del Qatar», ha detto l’avvocato Michalis Dimitrakopoulos. Ma sulla provenienza dei soldi in contanti non si sbilancia. Kaili aveva pronunciato un discorso pro Qatar il 21 novembre, salutandone i progressi nel campo dei diritti dei lavoratori. Dieci giorni dopo, all’insaputa dei collegi del gruppo socialista, si era presentata nella commissione libertà civili, di cui non fa parte, chiamata a votare la liberalizzazione dei visti dal Qatar. Benché non necessario, non aveva fatto mancare il suo voto favorevole. Con lei c’era anche Giorgi, che aveva festeggiato l’approvazione con un vistoso “cinque” a un altro funzionario.

Si rafforza intanto il ruolo degli assistenti parlamentari. Molto più che portaborse, sono segretari politici dei deputati, di cui gestiscono fino all’80% del lavoro. Giorgi aveva lavorato come assistente di Panzeri e, dopo la sua mancata rielezione, era transitato con Andrea Cozzolino, Pd. Altri due assistenti italiani sono stati perquisiti: Giuseppe Meroni, che in passato lavorava con Panzeri, e Davide Zoggia, collaboratore di Pietro Bartolo, il medico lampedusano estraneo all’indagine.

Certo il pressing del Qatar sui deputati europei è stato insistente. «Anch’io fui avvicinato da funzionari dell’ambasciata del Qatar», dice tra gli altri Dino Giarrusso, eurodeputato ex Movimento 5 Stelle. «Mi colpirono i modi melliflui e ambigui, le allusioni ad associazioni Amici del Qatar e a viaggi da organizzare prima e durante i Mondiali. Mi puzzava e rifiutai». Ancora giovedì scorso, poche ore prima degli arresti, molti deputati tra cui diversi del Pd erano ospiti dell’ambasciata del Qatar a Bruxelles, per un ricevimento.

All’inizio della prossima settimana davanti alla Corte di appello di Brescia compariranno Maria Colleoni e Silvia Panzeri, moglie e figlia dell’ex eurodeputato. Per evitare l’estradizione in Belgio dovranno spiegare la provenienza dei 17mila euro in contanti sequestrati nella loro casa.

Il Qatar ha negato responsabilità in casi di corruzione in una scarna nota diffusa negli Stati Uniti. Televisioni e giornali nel Paese che sta ospitando i Mondiali ci calcio non hanno detto una parola sull’indagine.

Nel Qatargate naufraga la favola buonista delle Ong. Federico Novella su Panorama il 14 Dicembre 2022.

Le frasi di Francesco Giorgi su «Fight Impunity» e «No Peace Without Justice» dicono molto di un mondo dove, dietro uno strato di buone intenzioni si celano troppe cose misteriose

La frase che potrebbe scoperchiare il vaso di Pandora è tutta qui: “Quelle Ong ci servono per far girare i soldi”. Le parole di Francesco Giorgi, fidanzato della vicepresidente del parlamento europeo Eva Kaili e assistente storico di Antonio Panzeri, ben raccontano ciò che rischia di saltar fuori da questa Qataropoli. La chiamiamo così, all’italiana, anziché “Qatar-Gate” , perché italiani sembrano, stando alle accuse, gli uomini chiave attorno ai quali ruota l’inchiesta. Tutti accomunati da un particolare: l’appartenenza alla sinistra globalista, quella che lotta per i diritti dei più deboli, e che vive di lezioni morali impartite all’avversario.

Fatte le dovute premesse (aspettiamo gli sviluppi delle indagini, accertiamo le responsabilità), il dato storico-politico è che mentre ai tempi di Tangentopoli si rubava per sé o per il partito, stavolta, a dar retta agli inquirenti belgi, si ruba spacciandosi per buoni. Si accumulano sacchi di soldi dietro il paravento dei buoni sentimenti nei confronti dei più sfortunati. Alla faccia della tanto sbandierata superiorità morale. E tutto ciò attraverso il cavallo di Troia delle tanto celebrate Ong, organizzazioni non governative e a quanto pare nemmeno tanto “gentili” come qualcuno vorrebbe far sembrare. Sempre border line tra legalità e illegalità, tra propositi di interesse pubblico e cascami di interesse privatissimo. E’ una (nuova?) forma di corruzione, quella nel nome della pace e dell’amore, corruzione vera o presunta, che cela tuttavia una tendenza odiosa. Fare business sulla bontà. Dal caso Soumahoro alla losca vicenda di Mimmo Lucano, fino alla bufera Panzeri che rischia di portarsi dietro le macerie delle istituzioni comunitarie, comincia ad essere lunga la lista degli oscuri accadimenti all’ombra della beneficienza. Cooperative, associazionismi, galassie oscure che dietro il paravento del bene, nascondono ipocrisie e malfunzionamenti, nel migliore dei casi, e vere e proprie truffe, nei casi peggiori. A ulteriore dimostrazione che sono tempi magri, nei quali occorre guardarsi dalla bontà ostentata, o sventolata politicamente. La vera bontà, i veri buoni sentimenti, di solito restano discreti e nascosti: quando risalgono in superficie per essere messi su un piedistallo, quello è il momento in cui farsi prendere dai sospetti. Gli stessi sospetti che in queste ore, a Bruxelles, lasciano immaginare l’impensabile.

"Un'ideologia infame. Ong e sinistra...". La sentenza di Rampini sul Qatargate. Il giornalista denuncia l'ipocrisia anti-occidentale che accomuna "sedicenti progressisti" e "un certo mondo di Ong". Questa ideologia, ha attaccato, "consente tutto, anche di prendere le mazzette". Marco Leardi il 15 Dicembre 2022 su Il Giornale.

"Questa ideologia consente tutto, anche di prendere le mazzette". Federico Rampini è entrato a gamba tesa sul Qatargate e sul retropensiero orientato a sinistra che a suo avviso farebbe da sfondo alla vicenda. Invitato a esprimersi sull'inchiesta che ha travolto e imbarazzato le istituzioni europee, su La7 il giornalista ha puntato il dito contro l'anti-occidentalismo di certi "sedicenti progressiti", pronti ad autoflagellarsi e a osservare invece senza altrettanta severità il sud del pianeta.

Qatargate, la lezione di Rampini

Nel suo ragionamento Rampini è partito commentando le vicende di Eva Kaili, l'ex vicepresidente del Parlamento Europeo accusata di aver ricevuto denaro dal Qatar per difendere gli interessi dell'emirato. "Non è stata cacciata dal suo partito di sinistra quando disse delle cose infamanti, ignobili, molto prima che le scoprissero i soldi in casa. Disse che il Qatar è un modello per i diritti umani, cosa vergognosa visto che prima dei Mondiali sono morti tanti migranti nei cantieri. Quello era già un buon motivo per cacciarla...", ha affermato il giornalista genovese, biasimando con forza un'altra e successiva dichiarazione dell'ex socialdemocratica: quella in cui la donna aggiunse "che noi europei non abbiamo nessun diritto di dare lezioni agli altri".

"Ideologia infame..."

Proprio riflettendo su quella affermazione, Rampini ha esteso il proprio discorso, inchiodato una parte della sinistra. "Siamo nel bel mezzo di un'ideologia infame che accomuna certi sedicenti, e sottolineo sedicenti progressisti e un certo mondo di Ong, per cui noi occidentali siamo colpevoli di tutto, gli altri hanno sempre ragione, noi siamo l'impero del male, gli altri sono buoni, vittime innocenti", ha osservato il giornalista, severo con quanti non perdono l'occasione per attribuire all'Occidente una sorta di peccato originale di natura ideologica.

"Nell'emisfero sud, del quale simbolicamente fa parte anche il Qatar, sono tutti migliori di noi. E allora per carità, uno incassa anche le mazzette da quelli lì, perché loro sono buoni anche se possiedono mezza Milano, il Paris Saint Germain... Però loro sono il sud del pianeta mentre noi siamo la razza bianca cattiva. Questa ideologia consente tutto, anche di prendere le mazzette", ha continuato Rampini, ospite di Coffee Break su La7. Chissà che a qualcuno, anche in Italia, non siano fischiate le orecchie.

Corruzione al parlamento europeo, oltre il Qatar ci sono i servizi segreti del Marocco. YOUSSEF HASSAN HOLGADO su Il Domani il 15 dicembre 2022

Nella rete dei funzionari del Marocco implicati nel caso ci sono un diplomatico attivo in Polonia (Abderrahim Atmoun) e l’ufficiale dei servizi Belharace Mohammed. L’obiettivo dello stato nord africano è quello di impedire che le istituzioni europee interferiscano nella questione del Sahara occidentale.

Gli italiani coinvolti nello scandalo corruzione del Qatar guardavano anche al Marocco. Inizialmente era soltanto un’ipotesi quella che il caso si allargasse anche ad altri stati, ma ora, secondo quanto riporta Repubblica, nel mandato di cattura c’è la certezza.

L’ex europarlamentare Antonio Panzeri, l’attuale europarlamentare Cozzolino (al momento non indagato) e Francesco Giorgi, assistente della vicepresidente del parlamento europeo Eva Kaili, sono stati avvicinati in prima persona dai servizi segreti marocchini. Cozzolino aveva anche un ruolo politico chiave, era il presidente della delegazione per le relazioni con i paesi del Maghreb e delle commissioni parlamentari miste Ue-Marocco.

Nella rete dei funzionari del Marocco implicati nel caso ci sono un diplomatico attivo in Polonia (Abderrahim Atmoun) e l’ufficiale dei servizi Belharace Mohammed. L’obiettivo dello stato nord africano è quello di impedire che le istituzioni europee interferiscano nella questione del Sahara occidentale. Nelle carte del mandato di cattura si legge che è «fuori di dubbio» che i tre italiani collaborano con i servizi marocchini.

Gli italiani avrebbero anche avuto diversi incontri in Europa con Mansour Yassine, direttore generale del Dged (servizi segreti del Marocco), mentre altri sono stati organizzati direttamente nel paese magrebino. In questo caso gli inquirenti belgi non hanno la certezza che alla fine gli italiani si siano recati in Marocco. 

Secondo Repubblica, la rete quindi si muoveva tra Rabat, Varsavia e Bruxelles con Giorgi che era una sorta di “agente”, mentre Panzeri si occupava di gestire l’accordo sulle ingerenze del Marocco all’interno dell’Europarlamento. Nella rete c’è anche Niccolo Figà Talamanca della Ong No peace without justice.

I RAPPORTI CON IL MINISTRO QATARINO

Se le relazioni con il Marocco venivano mediate e filtrate dai servizi segreti marocchini, con il Qatar, invece, i rapporti erano gestiti dal ministro del lavoro in persona Bin Samikh al Marri con l’aiuto di un uomo soprannominato «l’Algerino».

Gli obiettivi del Qatar erano legati a ripulire l’immagine del paese in Europa soprattutto riguardo i diritti umani e civili. Secondo gli inquirenti belgi i compensi venivano divisi tra Panzeri e Giorgi in maniera eguale, il resto veniva consegnato a Niccolo Figà Talamanca. Soldi che venivano ricevuti in contanti o attraverso le due Ong coinvolte nel caso quella di Panzeri, Fight impunity, e quella di Figà Talamanca No peace without justice.

Ulteriori novità emergeranno alla fine degli interrogatori, per il momento Francesco Giorgi sta raccontando il funzionamento del sistema agli inquirenti e già si ipotizza che siano coinvolti molti europarlamentari: circa sessanta. YOUSSEF HASSAN HOLGADO

Qatargate. Tangenti Ue-Qatar. Panzeri in carcere almeno un mese. Adesso nel mirino ci sono sessanta europarlamentari. Luca Fazzo il 15 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Nei film di una volta i malavitosi volevano il malloppo in banconote usate e con i numeri di serie non consecutivi

Nei film di una volta i malavitosi volevano il malloppo in banconote usate e con i numeri di serie non consecutivi. Nella storia vera che ha per protagonista Antonio Panzeri, ex eurodeputato, i quattrini sono ancora impacchettati, fascettati come se fossero appena usciti dalla stamperia. Gli uomini dei servizi segreti che sono penetrati di nascosto nella casa di Panzeri a Bruxelles se li sono trovati davanti. E buona parte dei soldi portava una Z nel piccolo codice che indica il paese di stampa. Z è la lettera del Belgio. Significa che il malloppo veniva direttamente da una banca belga. E risalire alla provenienza dei 600mila euro rischia ora di risultare fin troppo facile.

Sono errori come questi che ora pesano come pietre sul destino di Panzeri e degli altri arrestati del Qatargate. Due di loro, Panzeri compreso, sono destinati ad un amaro Natale dietro le sbarre. Ieri l'udienza preliminare davanti alla Court de Justice di Bruxelles finisce per l'ex sindacalista nel peggiore dei modi. Panzeri e soci puntavano alla liberazione, o almeno agli arresti domiciliari. Niente da fare, carcere confermato per Panzeri e per il suo ex assistente Francesco Giorgi. Esce invece, ma ai domiciliari e con braccialetto elettronico, Niccolò Figà Talamanca, segretario della Ong No peace without justice, che secondo i suoi legali era finito dentro per un equivoco destinato a essere chiarito nell'udienza di ieri. A quanto pare, c'è riuscito solo in parte.

In carcere per ora resta anche la socialista greca Eva Kaili, la più alta in grado degli arrestati: lei e Giorgi hanno insieme una figlia piccola, la donna spera di venire liberata per poterla assistere ma ieri uno sciopero impedisce il trasferimento della Kaili dal carcere di Haren a Bruxelles, l'udienza slitta e la decisione viene rinviata a giovedì prossimo.

Sul tavolo dei giudici chiamati ieri a valutare la posizione dei quattro c'era un materiale di prove e di riscontri molto più nutrito di quanto trapelato finora. Le banconote trovate a casa di Panzeri e della Kaili (sulle quali sarebbero in corso anche la ricerca delle impronte digitali) sono la «pistola fumante», la prova provata della operazione di corruzione attuata nel cuore della democrazia europea. Ma nel dossier raccolto dal giudice Michel Claise c'è molto di più, c'è la ricostruzione dettagliata della rete di rapporti che aveva consentito a Panzeri di garantire un trattamento indulgente da parte di numerosi parlamentari verso il regime del Qatar e verso l'organizzazione dei Mondiali di calcio. Secondo la stampa greca si parla di ben sessanta eurodeputati nel mirino. É una rete in buona parte interna al gruppo parlamentare dei Socialisti & Democratici, che ora - dopo che i nomi di almeno quattro dei suoi componenti sono finiti nelle carte dell'inchiesta - sembra attonito e incapace di reagire. Se scaricare Panzeri, ormai privo di ruoli formali nel Parlamento, è stato facile, spiegare come nessuno si sia accorto in questi mesi del mutato atteggiamento di parte del gruppo S&D verso il Qatar rischia di essere imbarazzante.

I sigilli apposti dall'Ocrc - la polizia anticorruzione - a una ventina di uffici di parlamentari della sinistra sono il segno più vistoso della vastità della rete di Panzeri. Il tessuto connettivo sono indubbiamente gli assistenti parlamentari, pagati direttamente dalla Ue usando il budget di 21mila euro mensili di ogni deputato, ma che rispondono direttamente a quest'ultimo. E anzi ne sono spesso la guida nel mondo complicato delle istituzioni comunitarie. Ma è inverosimile che questa vicenda possa chiudersi scaricando le colpe solo sugli assistenti. Anzi, secondo fonti locali è possibile l'opposto: che l'inchiesta compia un salto di qualità, e dopo avere scavato sulle offerte della lobby pro-Qatar ai parlamentari vada a analizzare eventuali contatti nel cuore vero del potere europeo, la Commissione, il governo dell'Unione.

Panzeri e Giorgi hanno tempo fino ad oggi per presentare ricorso contro il provvedimento che li tiene in carcere, e a quel punto a decidere sarà la Corte d'appello entro quindici giorni. Nel frattempo l'inchiesta va avanti: decine di computer e telefoni sequestrati nel corso delle perquisizioni vengono frugati in queste ore dagli inquirenti, e può saltare fuori di tutto.

Qatargate. Spunta anche la pista iraniana: il nuovo filone del Qatargate. Qatar e Iran hanno molti interessi in comune e questo potrebbe aver spinto alcuni emissari di Teheran a operare in Europa anche per conto di Doha. A dimostrarlo i rapporti tra un analista di origini iraniane. Mauro Indelicato il 15 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Fino ad oggi l'inchiesta belga sul presunto giro di corruzione all'interno del parlamento europeo, definito ad oggi come “Qatargate”, ha fatto prima luce sui possibili tentativi di Qatar e Marocco di influenzare la politica europea. C'è però un filone che porta anche all'Iran. E del resto, quello di Doha all'interno della regione del Golfo è l'unico governo che ha importanti rapporti con Teheran. Di riflesso quindi, le istanze qatariote potrebbero in alcuni casi aver coinciso anche con interessi iraniani.

L'analista politico lettone vicino a Teheran

Così come sottolineato dal Corriere della Sera, al momento dell'approvazione del via libera per i visti ai cittadini del Qatar, in una seduta della sottocommissione per i diritti umani del parlamento europeo c'erano due persone ad applaudire. Da un lato Francesco Giorgi, dall'altro Eldar Mamedov.

Il nome del primo oramai è ben conosciuto. Si tratta di uno dei principali indiziati dell'inchiesta ed è il compagno di Eva Kaili, oramai ex vicepresidente del parlamento europeo e anche lei sospettata di aver preso mazzette dal Qatar. L'altro invece è un analista politico con cittadinanza lettone ma di origini iraniane.

625 voti a favore: l'Europarlamento destituisce Eva Kaili

Tra i due, dopo l'approvazione della norma nella sottocommissione, è scattato anche un cenno di intesa con le mani. Segno quindi di come si conoscevano già da prima di quella seduta ed erano già in buoni rapporti.

La libera circolazione dei cittadini qatarioti in Europa è senza dubbio uno degli atti più favorevoli a Doha degli ultimi anni. Il fatto che, tra il pubblico, Giorgi e Mamedov erano tra le persone più soddisfatte potrebbe indicare rapporti stretti tra i due anche sotto la sfera politica.

Mamedov, il cui nome non risulterebbe al momento nel registro gli indagati ma a cui sarebbe stato perquisito il proprio ufficio nelle scorse ore a Bruxelles, è da sempre descritto come un lobbista pro Teheran. Chi lo conosce, all'interno delle sedi istituzionali europee, ne parla sempre come di un personaggio pronto a intervenire quando le posizioni di Qatar e Iran venivano attaccate a livello politico. E dopo i suoi interventi, in effetti alcune dichiarazioni venivano “ammorbidite”.

A Brxuelles l'analista di origini iraniane ufficialmente ricopre l'incarico di consigliere politico per gli Affari Esteri per il gruppo Socialisti e Democratici. Lo stesso a cui apparteneva, prima della sospensione, Eva Kalili. Nel suo ruolo, è adesso il sospetto di molti nella capitale belga, potrebbe aver influenzato a favore di Doha e Teheran alcune delle posizioni del gruppo politico per cui lavorava.

Gli interessi comuni tra Qatar e Iran

Ecco quindi perché adesso potrebbe aprirsi il filone iraniano. E non sarebbe una sorpresa. Quando nel 2017 l'Arabia Saudita ha imposto un ferreo embargo al Qatar, lo ha fatto proprio perché il piccolo emirato si era rifiutato di interrompere i rapporti con l'Iran.

Doha e Teheran hanno molti interessi in comune. A partire dalla condivisione di tratti di mare nei cui fondali si trovano alcuni dei più importanti giacimenti di gas off shore. L'Iran ha aiutato il Qatar a sopravvivere alle sanzioni imposte dai Saud e questo è anche uno dei motivi per cui l'emirato, a differenza di altri vicini, non ha normalizzato i rapporti con Israele.

Possibile quindi che alcuni emissari vicini a Teheran hanno lavorato in questi anni in Europa anche per conto del Qatar? La vicinanza tra Mamedov e Giorgi, così come tra l'analista pro iraniano e l'altro indiziato dell'inchiesta di Bruxelles, ossia Antonio Panzeri, potrebbe rappresentare ben più di un semplice indizio. L'inchiesta inevitabilmente punterà anche sulla pista iraniana: Teheran potrebbe aver avuto un ruolo importante sia nel Qatargate che, più in generale, nei tentativi di indirizzare una parte della politica europea verso i propri interessi e verso quelli di Doha.

Qatargate. Se l'incompetenza fa danni peggiori. La corruzione a Bruxelles fa scalpore, ma l'incompetenza e l'autoreferenzialità ideologica fanno molti più danni. Pier Luigi del Viscovo il 15 Dicembre 2022 su Il Giornale.

La corruzione a Bruxelles fa scalpore, ma l'incompetenza e l'autoreferenzialità ideologica fanno molti più danni. Certo, il malaffare non l'avevamo messo in conto. Per noi italiani, cresciuti con tangentopoli e calciopoli, è strano vedere implicati nel Qatargate i vertici di quelle istituzioni da cui spesso veniamo bacchettati. Sarà che ci portiamo dietro quel complesso di essere noi i furbi, anzi furbastri, che cercano le scorciatoie, mentre non è che siamo i soli a cercarle, quanto magari i più svegli a trovarle. Sarà anche che per decenni la politica italiana ha pompato l'autorità economica e morale di Bruxelles, per usarla come scusa per imporre qualche freno alla spesa, non avendo la forza di dire che meno debito è nel nostro interesse. Fatto sta che non ce l'aspettavamo. Invece avremmo dovuto ipotizzare che la competenza, seppur concorrente con gli Stati Membri, in settori importanti, dall'agricoltura alla pesca, dai trasporti all'energia, potesse dar luogo a fenomeni corruttivi.

Nella transizione energetica, ad esempio, l'Europa sta imponendo all'economia, all'industria e alla società dei limiti e dei costi assolutamente sproporzionati, alla luce della non autosufficienza nelle materie prime e nell'energia, del ritardo dell'industria nelle tecnologie avanzate e, in ultimo, del peso irrisorio delle emissioni europee sui cambiamenti climatici. Forse adesso sarà più agevole per tutti fare la domanda fatidica: cui prodest? Certe decisioni, nell'interesse di chi?

Tuttavia, è anche possibile che tante decisioni incomprensibili non siano frutto di interessi vergognosi di pochi, quanto di incompetenza e inefficienza di tanti. Ideologie scollegate dai fatti e calate in un enorme apparato burocratico, entro cui si muovono figure professionali non sempre all'altezza, ma sempre inebriate da autoreferenzialità, tipica dei contesti dove stanno insieme il potere e la distanza dalle cose reali. Noi italiani abbiamo sempre sottovalutato il potere che sta a Bruxelles, cercando anzi di tenerlo fuori dai confini il più possibile. Per questo, abbiamo spedito in quelle posizioni coloro di cui la politica domestica proprio non sapeva che farne, illudendoci di essere i soli a comportarci così. Sbagliato. Avendo l'occasione di lavorare con gli organismi comunitari, si scopre che anche dagli altri Paesi non arrivano dei fenomeni, anzi. Inoltre, col sistema uno-vale-uno, capita che in una riunione la decisione penda da una parte grazie al parere del maltese che, con tutto il rispetto, vale quanto quello del tedesco.

Sì, la corruzione, in Italia come ovunque, fa notizia e fa arrabbiare. Ma proprio noi dovremmo sapere che al funzionamento del sistema fa più male l'incompetenza e l'arroganza del potere, e pure che c'è un filo rosso che tiene tutto insieme. Quando interi apparati possono operare senza il riscontro di un risultato apprezzabile da parte dei cittadini, allora diventa anche più facile dare ascolto alle sirene che girano con i trolley pieni di soldi.

Il Bestiario. Il Bestiario, l'Eurocorrottino. Giovanni Zola il 15 Dicembre 2022 su Il Giornale.

L’Eurocorrottino è un leggendario animale che non si accontenta di uno stipendio da 20mila euro al mese

L’Eurocorrottino è un leggendario animale che predica bene ma razzola male e soprattutto non si accontenta di uno stipendio da 20mila euro al mese.

L’Eurocorrottino nasce e opera nel cuore del Parlamento Europeo, al centro delle istituzioni UE, proprio là dove vige l’austera Von der Leyen, colei che rappresenta l’ordine, la giustizia e la superiorità morale della grande Europa unita. Insomma la corruzione di alcuni parlamentari europei è come se un enorme albatros con apertura alare di due metri, l’avesse fatta dritta dritta in testa alla curata e tersa permanete bionda della presidente.

La peculiarità dell’Eurocorrottino non è quella di essere accusato di associazione a delinquere, riciclaggio di denaro e corruzione – di questo sono buoni tutti - ma di aver fatto affari sporchi proprio in nome della difesa dei diritti umani di Paesi che i diritti umani li usano, nel migliore dei casi, per pareggiare le gambe dei tavoli per non farli traballare. L’Eurocorrottino ha l’hobby delle lobby che pagano ricche tangenti per ottenere ingerenza all’interno della UE. A questo riguardo chi accusava Salvini di essere al soldo russo senza lo straccio di una prova, ora potrà occuparsi di una vera e autentica ingerenza.

I fattacci dell’Eurocorrottino naturalmente sono stati ripresi da tutti i giornali e Tg, ma senza l’enfasi che avrebbero usato se l’Eurocorrottino fosse appartenuto al centro destra. In questo caso avremmo assistito a maratone televisive all’insegna dello stracciar di vesti, ma essendo l’Eurocorrottino di sinistra, ci si limita ad affermare che si tratta di condotte personali che non hanno niente a che fare con le appartenenze di partito. Inoltre quando si tratta di “compagni che sbagliano”, il cattocomunista diventa improvvisamente garantista e cita Papa Francesco ripetendo: “Chi siamo noi per giudicare”.

Così, a causa delle malefatte dell’Eurocorrottino, la sinistra si sente addirittura parte lesa. Alcuni detrattori affermano che sia perché il bottino da un milione e mezzo di euro non sia stato diviso in parti uguali tra i compagni. In realtà è perché si tratta di una tremenda figuraccia che ricorda alla lontana l’episodio dei 24mila euro ritrovati in una cuccia e giustificati, da parte del cane stesso, come anticipo per l’impianto fotovoltaico della cuccia.

Infine ora comprendiamo perché tanta insistenza sull’utilizzo del POS da parte della sinistra. Non si tratta tanto di una questione legata alla lotta all’evasione fiscale, quanto al fatto che i contanti servono per riempire i sacchi dei compagni Eurocorrottini.

Pioggia di mazzette, ma la sinistra arrossisce per una battuta del Cav. In Europa impazza il Qatargate, ma a sinistra fanno la morale a Berlusconi perché a una cena ha fatto una battuta ai calciatori del Monza. Andrea Indini il 15 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Borse piene zeppe di banconote. Mazzette per ripulire la fedina penale di uno Stato che, quando va bene, i diritti umani li calpesta. E ancora: Ong che "servivano a far girare i soldi", lusso sfrenato e vacanze da 100mila euro, un'inchiesta che, stando a quanto fanno trapelare gli inquirenti, "non sarebbe circoscritta solo ai quattro fermati ma riguarderebbe diversi europarlamentari a libro paga del Qatar". Eppure, anziché stare davanti a questo girone infernale di corruzione, a sinistra sbroccano (ancora una volta) per una battuta, tra l'altro fatta in un contesto conviviale, di Silvio Berlusconi. C'è chi, come Laura Boldrini, si strappa i capelli in nome del sessismo e chi, dalle parte di Verdi e Sinistra italiana, vorrebbe il Cavaliere "fuori per sempre dalla vita pubblica". E c'è chi chiama in causa persino la Meloni che, dopo aver incassato il via libera di Bruxelles alla legge di Bilancio, è in partenza per il Consiglio europeo e ha ben altro di cui occuparsi.

Ma veniamo alla battuta di Berlusconi che ha lasciato inorridite le anime candide della sinistra nostra. Parte tutto da un video registrato ieri sera e poi affidato ai social. Una volta online, la viralità ha fatto il suo corso. Contesto: cena di Natale del Monza. Nello spezzone incriminato si vede l'ex premier in piedi, in mezzo ai tavoli, chiacchierare disinvolto. "Abbiamo trovato un nuovo allenatore che era l'allenatore della nostra squadra Primavera - racconta - è bravo, simpatico, gentile e capace di stimolare i nostri ragazzi". Quindi la battuta: "Io ci ho messo una stimolazione in più e ai ragazzi ho detto: 'Ora arrivano Juventus e Milan. Se vincete con una di queste grandi squadre, vi faccio arrivare nello spogliatoio un pullman di troie'". Nessuno ai tavoli si è stracciato le vesti né se l'è presa. Hanno riso, come è normale che sia.

A dare di matto ci ha, invece, pensato la sinistra. La grillina Chiara Appendino parla di "concetti miseri", addirittura "pericolosi". Laura Boldrini ci mette il carico da novanta ("Becero sessismo usato come goliardia") e ovviamente chiama in causa tutto il centrodestra: "Ricordo che Meloni, Salvini e Tajani volevano Berlusconi Presidente della Repubblica". È una gara a chi la spara più grossa. "Una vergogna per tutte le italiane e gli italiani", azzarda Marco Grimaldi (Alleanza Verdi e Sinistra). E poi +Europa: "Dagli anni Ottanta a oggi il nostro boomer nazionale attinge allo stesso inventario di insulti con cui ha sempre infestato le cronache politico-mondane". Su Twitter ci si mette pure Monica Cirinnà: "Conferma la cultura patriarcale che riduce le donne a oggetti, anticamera della violenza".

Tutti scandalizzati per quella che, per quanto possa essere considerata da alcuni sopra le righe, resta una battuta, tanto più pronunciata in un contesto tutt'altro che istituzionale. Nemmeno Berlusconi si sarebbe mai aspettato tanto clamore per quella che lui stesso considera "una semplice battuta 'da spogliatoio', scherzosa e chiaramente paradossale". E davanti a questo paradossale finimondo non gli resta che la compassione per i critici di professione. "Forse - azzarda l'ex premier - è solo la loro assoluta mancanza di humor a renderli così tristi ed anche così gratuitamente cattivi nell'attaccare i nemici". Ma, dopo tutto, cos'altro ci saremmo potuti aspettare? Così è la sinistra. Arrossisce quando si dicono le parolacce, ma quasi non batte ciglio davanti a un milione e mezzo di contanti.

I servizi segreti belgi dietro l'inchiesta. L'indagine è scattata dopo un ritrovamento anomalo di denaro. Lodovica Bulian il 15 Dicembre 2022 su Il Giornale.

I servizi segreti del Belgio dietro l'inchiesta sul Qatar gate. Mesi prima dell'arresto, venerdì scorso, dell'ex eurodeputato socialista Antonio Panzeri, gli 007 belgi avrebbero trovato somme anomale in cash all'interno del suo appartamento a Bruxelles. I quotidiani Le Soir e Knack, citando fonti investigative, rivelano quello che sarebbe stato l'innesco dell'indagine per corruzione, associazione a delinquere e riciclaggio che sta facendo tremare il Parlamento Ue. Al centro le presunte mazzette pagate dal Qatar con l'obiettivo di ammorbidire le posizioni delle istituzioni sulle violazioni dei diritti umani e dei lavoratori nella costruzione delle opere per i Mondiali di calcio. Ieri i giudici della Camera di consiglio di Bruxelles hanno confermato il carcere, ancora per almeno un mese, per Panzeri e per il suo ex assistente Francesco Giorgi, compagno della ex vicepresidente dell'assemblea Ue Eva Kaili. Per lei la decisione è stata rinviata al 22 dicembre, mentre per il quarto arrestato, Niccolò Figà Talamanca, è stato disposto il braccialetto elettronico. Uno dei nodi ancora da chiarire è proprio l'inizio dell'indagine, cosa avrebbe spinto i magistrati belgi ad aprire, a luglio, un'inchiesta poi arrivata ai vertici delle istituzioni.

Secondo Le Soir alla base ci sarebbe una segnalazione dei servizi segreti del Belgio. Già nel 2021, gli apparati di sicurezza avrebbero aperto un'inchiesta sull'interferenza di una potenza straniera . Nell'ambito dell'indagine, secondo questa ricostruzione, gli 007 sarebbero arrivati all'ex eurodeputato Panzeri. Tanto che, nell'ambito di un'operazione segreta di intelligence, avrebbero effettuato una perquisizione nella sua abitazione e avrebbero trovato circa 700mila euro in contanti. Elemento che avrebbe fatto scattare la declassificazione del fascicolo e la sua trasmissione alla Procura federale il 12 luglio 2022. É l'atto che di fatto avrebbe fatto partire l'inchiesta ora coordinata dal giudice Micheal Claise. Secondo i quotidiani, il servizio interno avrebbe collaborato con l'intelligence di altri cinque Paesi europei nelle indagini. Dai servizi segreti non sono arrivate conferme ufficiali a questa versione né smentite. Ma rimbalzano sull'asse Bruxelles- Roma anche voci di una presunta gola profonda dietro il Qatar gate, un collaboratore che avrebbe parlato con la polizia delle due ong finite sotto la lente degli investigatori, la «Fight for Impunity» di Panzeri e la «No Peace Without Justice». Gli inquirenti starebbero cercando conferme sull'utilizzo delle ong - attorno a cuo ruotano nomi riferibili alla galassia Panzeri - come «veicolo» della presunta corruzione. Uno dei punti ancora non noti del lavoro dei magistrati riguarda il Marocco e in quale misura la presunta attività di corruzione sia arrivata anche da lì al cuore di Bruxelles e per quali fini.

Pietro De Leo per “Libero quotidiano” il 14 dicembre 2022.

Voi, popolo del b&b, chirurgici frequentatori dei siti low cost, con la prospettiva mentale tarata verso il basso (nel senso del risparmio), vi domandate come si possa trascorrere una vacanza spendendo 100 mila euro? E allora vi aiutiamo noi, in una breve guida turistica per attivisti extralusso di sinistra.

 Passo indietro: nell’inchiesta Qatargate, uno degli indagati, Antonio Panzeri, ex europarlamentare del Pd, è stato intercettato dagli inquirenti mentre parla con la moglie. Tema della conversazione, l’organizzazione di un soggiorno. Ebbene, ad un certo punto, la signora dice di aver «dato uno sguardo ai prezzi per il periodo di Natale», anche se non può «permettersi di spendere 100 mila euro per le vacanze come l’anno scorso». 

Certo, siamo ancora nel campo del presunto, del “da accertare”, e il nostro è un divertissement ipotetico. Ma dalle foto pubblicate sui social dalla figlia della coppia (anche lei, come mamma e papà, finita agli arresti), poi prontamente rimosse, si può ricavare qualche parametro. La pargola ritrae se stessa in luoghi come Doha, Miami, Montreal. E allora eccolo, il prontuario del progressista con valigia (di Louis Vuitton, come vuole il soumaoramente corretto di questi periodi). 

Per esempio, a Doha, in Qatar, patria a quanto pare assai cara alla famigliola, c’è da fiondarsi al Mandarin Oriental. Qui, infatti, ha loco una lussuosissima suite, salita agli onori delle cronache perché per qualche giorno vi ha trascorso ore liete David Beckham, arrivato colà per i mondiali in quanto ambasciatore del calcio inglese. Ebbene, per questo gioiello che prevede palestra, spa e piscina private, oltre ad una vista mozzafiato, bisogna sborsare 23 mila euro a notte.

Cambiando destinazione, Miami Beach, ecco la “Penthouse suite” del Faena Hotel. In questo caso bisogna staccare un assegno di circa 41 mila euro. Vista Oceano, piscina a sfioro, cinque camere da letto, ognuna delle quali con balcone. Come alternativa, considerando che il buon Panzeri pare fosse in rapporti assai buoni anche con il Marocco, si può sempre optare per la “Grand Riad”, dell’”hotel Royal Mansour”, 40 mila euro a notte. La minireggia ha una sala cinema, un hamman, palestra e piscina privata. 

EMPHATY SUITE PALMS CASINO RESORT.

E chissà, magari, se non buttasse male di questi tempi per la vacanza d’élite progressista si potrebbe sempre puntare al bersaglio grosso, l’Emphaty Suite del Palms Casino Resort di Las Vegas. Vuoi mettere, per il radicalchic, addormentarsi fra gli squali immersi in formaldeide del grande Damien Hirst? Da “vacanza intelligente” per veri intellettuali della gauche. Per il relax spiccio, invece, ci sono bar personale, sale massaggi e palestra. Costo, 100mila dollari a notte, a meno che non si tratti di un cliente “pesante” del Casino con 1 milione di dollari di credito, in quel caso è gratis. Il prezzo è un po’ altino, certo, ma accessibile con una colletta tra compagni del sodalizio. Considerando le cifre emerse dall’inchiesta, qualche giorno ci potrebbe scappare.

Qatargate, l'ombra di George Soros: quel filo che lega tutti gli arrestati. Libero Quotidiano il 15 dicembre 2022.

C'è un filo che lega gli arrestati e chi è stato solo sfiorato e non indagato per il Qatargate: sono tutti "alleati affidabili" di George Soros, rivela Fausto Biloslavo su Il Giornale, e sono tutti favorevoli alle Ong e ai migranti. Il Qatar, infatti, aveva messo in piedi pure un gruppo di amicizia di tredici eurodeputati non coinvolti nell'inchiesta. Ieri 13 dicembre il presidente, il centrista spagnolo Jose Ramon Bauza, ha annunciato la sospensione del gruppo. La decisione è stata presa "alla luce dei gravissimi avvenimenti degli ultimi giorni, e in attesa che si vada a fondo della questione", ha fatto sapere l'esponente del partito centrista Ciudadanos e del gruppo Renew Europe. Bauza, pur non essendo indagato, si è trovato costretto a smentire di avere un rapporto privilegiato con Doha. "Ho difeso al Parlamento europeo i progressi del Qatar che sono una buona notizia per il Medio Oriente. Ci ho creduto e ci credo", ha scritto Bauza su Twitter. "Non ho mai ricevuto, e tantomeno offerto, un solo euro per difendere alcunché". 

Antonio Panzeri, l'ex europarlamentare arrestato per corruzione, veniva definito in un dossier per Open society come "alleato affidabile" dell'associazione di George Soros. "Non a caso Panzeri ha sempre difeso a spada tratta le Ong del mare. Nella lista degli alleati di Soros compariva anche Andrea Cozzolino, che giura di non essere minimamente coinvolto, ma negli atti dell'inchiesta ci sarebbe una sua mail che chiede, senza successo, al gruppo socialisti europei di non votare la risoluzione contro il Qatar", riporta il Giornale. E Francesco Giorgi, arrestato insieme alla sua compagna Eva Kaili, era suo consigliere.  

"L'ufficio di Federica Garbagnati, ex collaboratrice di Panzeri, oggi assistente di Alessandra Moretti, è stato sigillato dagli inquirenti. L'europarlamentare, non indagata, si è distinta come pasionaria dei migranti lungo la rotta balcanica. L'intreccio di consiglieri spesso condivisi, coinvolti nell'inchiesta, sfiora anche chi è estraneo all'indagine come Pietro Bartolo passato da medico dei migranti a Lampedusa a Strasburgo. E lo stesso Brando Benifei, capo delegazione del Pd, che sta schiumando giustamente di rabbia contro i personaggi di sinistra del Qatargate. Anche lui però si vantava di essere nella lista degli 'alleati affidabili' di Soros". Di più. "Nello stesso rapporto c'era l'allora neo eurodeputata Elly Schlein oggi candidata alla segreteria del Pd. Con il Qatar sono sempre stati duri, ma non hanno mai capito che c'era del marcio nella loro parrocchia".

Il suo ruolo era quello di gestire i contanti. La confessione di Giorgi e la lista degli europarlamentari “a libro paga” di Qatar e Marocco: “Ora liberate Eva, nostra figlia ha 22 mesi”. Redazione su Il Riformista il  15 Dicembre 2022

Francesco Giorgi ha confessato, ha ammesso l’esistenza di una organizzazione al servizio di Qatar e Marocco con lo scopo di interferire e condizionare gli affari europei. L’assistente 35enne, originario di Abbiategrasso (Milano), che ha lavorato prima con l’europarlamentare socialista Antonio Panzeri, poi da qualche anno con Andrea Cozzolino, ha spiegato lo scorso 10 dicembre ai magistrati belgi a Bruxelles che il suo ruolo era quello di gestire i contanti.

Giorgi è uno dei quattro arrestati nell’inchiesta che ha portato al ritrovamento di una ingente quantità di contanti sia nell’abitazione di Panzeri (500mila euro) che in quella della oramai ex vicepresidente del parlamento europeo Eva Kaili (750mila euro). “Farò il possibile affinché la mia compagna sia libera e possa occuparsi di nostra figlia di 22 mesi” ha spiegato Giorgi, assumendosi ogni responsabilità sui soldi trovati in casa di Eva Kaili.

Quei soldi erano destinati solo a lui e a Panzeri, ha ribadito Giorgi nell’interrogatorio. Secondo quanto scrive il giornale belga, Giorgi avrebbe anche indicato di sospettare che Andrea Cozzolino e Marc Tarabella, entrambi europarlamentari del gruppo S&D, avrebbero preso soldi tramite Antonio Panzeri. Il Marocco sarebbe coinvolto nella vicenda di sospetta corruzione attraverso il suo servizio di informazione esterna, la Dged. In base ai documento consultati dai due quotidiani – si legge ancora sul giornale – Panzeri, Cozzolino e Giorgi sarebbero stati in contatto con con la Dged e con Abderrahim Atmoun, l’ambasciatore del Marocco in Polonia.

Secondo la televisione privata greca MegaTv, sarebbero oltre 60 gli eurodeputati nel mirino della maxi-inchiesta sul Qatargate condotta dalla giustizia belga. I parlamentari europei che potrebbero essere toccati da indagini e perquisizioni, sempre secondo l’emittente ellenica, sarebbero per la maggior parte appartenenti alle famiglie politiche dei Socialisti & Democratici, del Partito popolare europeo e di altri partiti di sinistra. Le indiscrezioni sono state rilanciate anche dalla testata online tedesca Focus.de, ma non trovano alcuna conferma da parte della procura federale belga.

Intanto, la prima udienza per i quattro fermati davanti alla camera di Consiglio del tribunale di Bruxelles ha restituito i primi pronunciamenti della giustizia belga: l’ex eurodeputato Antonio Panzeri e Francesco Giorgi, compagno dell’ex presidente del Parlamento europeo Eva Kaili, resteranno ancora in carcere per almeno un mese, mentre Niccolò Figà-Talamanca potrà uscire sotto regime di sorveglianza elettronica. Resta invece in sospeso il destino di Kaili che ha chiesto e ottenuto il rinvio della decisione al 22 dicembre prossimo.

A Strasburgo, l’Eurocamera riunita in plenaria ha chiesto lo stop all’intesa Ue-Qatar sull’aviazione e la sospensione di tutti i fascicoli legislativi legati a Doha, provocando irritazione nella Lega perché esclusa dalla sottoscrizione della risoluzione comune che dovrà ora essere messa ai voti.

Fara: «Col Qatargate trionfa il racconto fasullo dell’Italia corrotta…» Intervista al presidente Eurispes: «Sui media europei il caso è definito italian job. Colpa nostra...». Errico Novi su Il Dubbio il 15 dicembre 2022.

«Sa qual è il paradosso? Che persino i giornali italiani hanno concentrato l’attenzione sui connotati italianistici, per così dire, del Qatargate. Ci facciamo del male da soli, come se non bastasse la distorsione in corso nel resto d’Europa».

Perché alla fine, presidente Fara, negli altri Paesi dell’Ue se la cavano così? Liquidano le presunte eurotangenti come una macchia lasciata dalla solita Italia sporcacciona?

«Perché, lei aveva dei dubbi?».Ieri, su queste pagine, abbiamo ricordato l’analisi che Gian Maria Fara, presidente dell’Eurispes, propone da anni, col suo lucido disincanto, a proposito della corruzione e soprattutto delle terrificanti posizioni che il Belpaese occupa in tutte le graduatorie internazionali sul fenomeno: a complicare la faccenda, è la tesi del sociologo, è lo scarto fra realtà e obiettività. Nello specifico, fra corruzione percepita e reale. «Che in Italia», ripete ancora una volta il fondatore dell’Eurispes, «ci sia una percezione ingigantita della corruzione è evidente, ed è spiegabile. Il paradosso è che ora la nostra distorsione percettiva ci ritorna come un boomerang attraverso i media degli altri Paesi europei».

Ma quindi lei dice che in realtà, tra le opinioni pubbliche del Vecchio Continente, non ci sarà alcun particolare crollo di fiducia nei confronti delle istituzioni comunitarie?

Ma intanto mi viene da pensare che il caso delle presunte eurotangenti potrebbe confermare una semplicissima verità: diversamente da quanto noi italiani pensiamo, non sono le istituzioni ma gli uomini a essere inaffidabili. E poi, per parafrasare Shakespeare, potremmo dire che c’è del marcio persino a Strasburgo e a Bruxelles, così come nella Danimarca dell’Amleto. Ma al di là delle battute, la diversa percezione che abbiamo del malaffare nel nostro Paese rispetto al resto d’Europa influisce tantissimo sulla reazione che il cosiddetto Qatargate potrà suscitare, e in realtà già suscita, da noi e in altri Paesi.

Anche stavolta noi ingigantiremo e gli altri vedranno viceversa assai meno di quello che esiste?

Allora, partiamo dalla condizione oggettiva dell’Italia comparata al resto del continente. Noi abbiamo vissuto Mani pulite, un trauma che trent’anni non sono riusciti a sanare. Si è affermata, da lì, l’idea di un sistema deviato, in cui è tutto marcio, da condannare. Tutto quanto è politica è cattivo, e non funziona. Nel nostro immaginario collettivo quel paradigma è insuperabile. Altrove, non hanno certo avuto una Mani pulite come la nostra. E anzi hanno coltivato la compiaciuta convinzione di vivere, se non proprio nel migliore dei mondi possibili, certamente in un mondo migliore della corrotta Italia.

Insomma, ci siamo procurati da soli questo tremendo stigma.

Be’, da soli… ce lo siamo procurati anche per virtù specifiche del nostro sistema giudiziario. Ricordiamoci come il fattore decisivo, rispetto all’idea che un certo Paese è corrotto, sia essenzialmente uno: la trasparenza. È un meccanismo che riguarda qualsiasi fenomeno sociale: esiste in base a come lo racconti, lo denunci. Prendiamo la Francia: ecco, i cittadini francesi ritengono di vivere nel migliore dei mondi possibili perché da loro non esiste un giornalismo giudiziario ficcante come il nostro, né una magistratura autonoma, indipendente e dunque efficace come la nostra. Più indagini vengono aperte, più i media ne parlano, più corruzione si crea, quanto meno dal punto di vista della rappresentazione sociale.

Chiarissimo. Ma quindi lei dice che all’estero c’è un atteggiamento in fondo più sereno, sul Qatargate, rispetto alla reazione verificatasi da noi?

In generale non credo che l’aggettivo “sereno” sia il più adatto a descrivere l’atteggiamento che, nella maggior parte dei Paesi europei, è diffuso rispetto alla corruzione. Casomai c’è una differenza, come detto, di disponibilità dell’informazione e, sul piano strettamente giudiziario, anche di esercizio dell’azione penale, che da noi è obbligatorio ma che funziona diversamente altrove. Poi è chiaro che in tutte le opinioni pubbliche europee ci sarà un innalzamento dell’attenzione nei confronti delle istituzioni comunitarie, ma da quanto si legge sui media stranieri, si parla essenzialmente di corruzione all’italiana.

L’italian job.

Esatto. Siamo noi, brutti, sporchi e cattivi, ad aver infettato, con i nostri soliti e corrotti metodi, persino la linda e pinta Europa. Non mi pare di intravedere un tracollo di credibilità, all’estero, per le istituzioni dell’Ue. Hanno trovato il modo di scaricare il problema addosso a noi.

Siamo il capro espiatorio persino del Qatargate.

Siete arrivati e siete stati capaci di contagiare la pulita e tranquilla Europa, persino il Parlamento di Stasburgo, la più democratica delle istituzioni europee.

Davvero si risolverà tutto così?

Ci sono due possibilità, legate al racconto dei media: se prevarrà l’interpretazione secondo cui sì, potrebbe anche essere esistito, come sostengono i giudici titolari dell’inchiesta, un giro di corruzione sull’asse Doha-Strasburgo, ma non si tratta di un dato che segna l’intera dimensione eurocomunitaria, allora saremo su un piano probabilmente di realtà e ci sarà pure maggiore equilibrio rispetto alla connotazione italiana della vicenda. Ma considero più probabile che si affermi quell’altra semplicistica interpretazione: l’Italia ha corrotto l’Europa.

Ma in tutto questo le statistiche sulla corruzione continuano a essere basate sulle interviste ai cittadini?

E altrimenti come potrebbe spiegarsi il fatto che in queste classifiche l’Italia viaggia a braccetto col Botswana? Nell’analisi di un fenomeno come la corruzione sarebbe ora di passare dalla percezione alla rilevazione oggettiva. In incontri organizzati con l’Anac ne abbiamo parlato anche ai vertici di Transparency: ancora una volta le vostre statistiche relative alla presenza della corruzione si sono basate su alcune migliaia di interviste ai cittadini, ma gli indicatori oggettivi dove sono?

E che vi hanno risposto?

Non sanno cosa rispondere, sono in difficoltà: provano a dare il contentino, pensi un po’, per cui l’Italia nel 2021 è riuscita a scalare dalla 52esima alla 42esima posizione… ma possiamo mai essere paragonati a Paesi del Centrafrica? È attendibile una fotografia del genere?

In realtà noi siamo più attivi nelle azioni di contrasto, giusto?

Oltre ad avere una magistratura libera di indagare su tutto, disponiamo anche di forze di polizia efficientissime, dotate di sistemi di verifica che in altri Paesi neppure immaginano.

La coincidenza temporale con la fase clou dei Mondiali ha amplificato il Qatargate?

Le faccio io una domanda: l’assegnazione dei Mondiali al Qatar è un fatto singolare o quel Paese presentava tutti i requisiti per ottenere l’assegnazione?

Be’, sembra che le istituzioni calcistiche mondiali si siano fatte pesantemente condizionare dal potere finanziario dello sceicco.

Ecco: e mi scusi, ma le risulta che le organizzazioni calcistiche internazionali siano tutte italiane? Non è così, ovviamente.

Paghiamo la nostra solerzia nel contrastare la corruzione.

E la mafia, che i tedeschi hanno scoperto improvvisamente con la strage di Dusseldorf: la verità è che le organizzazioni criminali seguono la pista dei soldi. Da noi è impossibile che non siano tracciate, visti i nostri pm e la nostra polizia. Ah, un’ultima diversità del sistema italiano: in Francia per esempio, il ministro dell’Interno ha il comando diretto delle forze di polizia, in Italia rispondono invece a una magistratura assolutamente autonoma e libera. Ecco, una cosa del genere credete che conti zero, in quella capacità di rendere visibile la corruzione che da noi è tanto più sviluppata che altrove?…

Mondiali e mazzette, mix terribile che amplifica la “corruzione percepita”. Da anni L’Italia paga l’attivismo dei pm col primato negativo nelle classifiche del malaffare. Ora, per l’Ue, la suggestione si lega alla coppa di DOHA. Errico Novi su Il Dubbio il 14 dicembre 2022.

Prendete i Mondiali di calcio, evento mediatico per eccellenza. Ai Mondiali associate un’inchiesta deflagrante sulla presunta corruzione a cui si sarebbero abbandonati soggetti a vario titolo riconducibili all’Europarlamento. Metteteci pure che il mix si produce contestualmente alla fase decisiva dei campionati in Qatar, semifinali e finali. La tempesta è perfetta. Nel suo potenziale distruttivo, ovviamente.

Alcuni anni fa il Dubbio ospitò le considerazioni di Gian Maria Fara presidente dell’Eurispes, istituto di ricerca particolarmente attento al tema della giustizia, tra gli altri. Ebbene, Fara spiegò con lucida precisione il fenomeno della “corruzione percepita”. In Italia, disse, abbiamo un record negativo, rispetto ai partner europei, nelle graduatorie sulla corruzione, ma pochi sanno che le statistiche di questo tipo, diffuse regolarmente dalle organizzazioni internazionali, si basano non sulle risultanze processuali, ma appunto sulla percezione dei cittadini, e cioè su semplici interviste. Interpellati, gli italiani denunciano una pervasività del malaffare, nel loro Paese, assai superiore al feedback che arriva da francesi, tedeschi e britannici.

Ma a sua volta la percezione è enormemente influenzata, spiegò ancora il presidente dell’Eurispes, dall’intensa attività investigativa e processuale che la magistratura italiana assicura nel contrasto della corruzione. Paradossalmente, il fatto che le nostre Procure siano così vigili sul malaffare – al punto da inseguire, cosa impensabile in Paesi come la Francia ad esempio, persino ipotesi di corruzione consumata dai grandi stakeholders dell’energia in favore di Paesi in via di sviluppo, vedi il caso Eni – ecco, questo fatto alimenta fra i cittadini italiani l’impressione di essere immersi in una selva di furfanti perennemente impegnati a concutere, estorcere, corrompere, deviare le risorse pubbliche.Paradossale, sì. Ma pure inevitabile, dopo trent’anni di sovraesposizione dei pm, a partire da Mani pulite.

Ora, l’uragano che ha improvvisamente travolto Strasburgo, Bruxelles e in generale la credibilità e l’immagine delle istituzioni comunitarie ha in apparenza poco a che vedere con l’estenuante stillicidio di cronache giudiziarie che ha investito l’Italia negli ultimi trenta lunghi anni. Eppure un nesso c’è, e riguarda appunto quella parola fatale: percezione. Dove finisce la realtà dei fatti, nella loro dimensione effettiva, e dove inizia invece l’immagine ingigantita e deformata che se ne diffonde nell’opinione pubblica? Se c’è un allarme da lanciare a proposito dell’Europa, della sua forza di “tempio” dei diritti, improvvisamente degradata a presunto “mercato” di tangenti, è proprio in questa percezione che può diffondersi, e che da tre giorni anzi già si diffonde tra i cittadini dell’Unione.

Anche se si tratta di una vicenda che coinvolge pochissimi esponenti politici e alcuni loro assistenti, e anche se le responsabilità sono tutte ben lontane dall’essere accertate nell’unica sede possibile, ossia il processo, il mix mediatico evocato all’inizio fra Mondiali e presunte mazzette qatariote già altera abbondantemente quel feedback restituito dai cittadini. Lo ingigantisce, lo esaspera. Anche se non sappiamo ancora con certezza se la presunta rete organizzatasi, secondo il giudice belga Michel Claise, attorno all’ex eurodeputato italiano Antonio Panzeri può davvero essere paragonata a un enclave di corrotti incistatasi negli organismi dell’Ue, e anche se non vi è alcuna prova, alcun nesso evidente, fra i giudizi indulgenti con Doha espressi da qualche parlamentare europeo, italiano e non, e il teorizzato giro di sacchi di banconote, l’opinione pubblica continentale già tira le somme, già chiude il bilancio: da anni si parla di corruzione da parte della monarchia qatariota in direzione dei vertici del calcio mondiale, che avrebbero assicurato l’assegnazione a Doha dei campionati prossimi alla loro conclusione; bene, pensano i cittadini a cui presto si andrà a chiedere quanta corruzione “percepiscono” in seno all’Unione, abbiamo allora la prova che l’Europa, intesa come istituzioni comunitarie, è il più corrotto dei consorzi, il meno credibile degli avamposti di democrazia e civiltà, il più ingannevole dei miti del progresso globale.

E quanto credete risulterà difficile approfittarne, di fronte a uno scenario simile, a governi e partiti populisti/euroscettici come quello di Orban, rilanciare questa “percezione” e trasformarla in attacco distruttivo? È presto per misurare fino in fondo i danni di una vicenda che, a prescindere dall’effettiva consistenza della corruzione, risente, non ci stanchiamo di dirlo, anche di un effetto mediatico “booster” che solo i Mondiali di calcio potevano assicurare. Ma in attesa di raccogliere i cocci lasciati dalla deflagrazione, timidamente osiamo rivolgere un auspicio, e cioè che per il futuro si faccia quanto meno un ricorso più prudente alle interviste come misura della corruzione. E che ci si riferisca, almeno da parte di autorevoli organizzazioni internazionali, a dati quantitativi più chiari, più oggettivi, anche se più difficili da raccogliere. E che insomma, la realtà cominci non solo in Italia ma ovunque a prevalere sulle suggestioni.

Cozzolino, le indagini dei pm e la mail dei sospetti: «Il Qatar? Sarebbe un errore ostacolarlo». Simona Brandolini e Marco Imarisio su Il Corriere della Sera il 16 Dicembre 2022.

In una mail del 24 novembre l’eurodeputato del Pd invitava a votare contro una parte di risoluzione in cui si sosteneva che Doha aveva ottenuto la Coppa del Mondo grazie alla corruzione

Andrea Cozzolino aveva invitato i colleghi a non votare contro una parte del testo perché «il Parlamento Ue — si legge nella mail — non dovrebbe accusare un Paese senza prove delle autorità giudiziarie competenti»

«Guardate che è solo una questione politica, a quello che ho scritto io ci credo veramente». Così sosteneva Andrea Cozzolino nella chat interna degli eurodeputati del Pd. I suoi colleghi lo avevano accusato, non troppo velatamente, di aver fatto fare a tutta la delegazione italiana una brutta figura per via della mail inviata a tutto il gruppo dei Socialisti&Democratici. Nella quale, poco prima del voto del 24 novembre sulla risoluzione per i diritti umani ai Mondiali di calcio, invitava a votare contro una parte del testo in cui si sosteneva che il Qatar aveva ottenuto la Coppa del Mondo grazie alla corruzione. «Il Parlamento Ue non dovrebbe accusare un Paese senza prove delle autorità giudiziarie competenti», si legge nella mail.

In questi giorni l’episodio è stato riletto e interpretato con l’abituale senno di poi, e sarà così ancora a lungo, alla luce delle ultime rivelazioni fatte dal suo assistente Francesco Giorgi, il quale ha detto di sospettare che il suo datore di lavoro abbia preso soldi tramite Antonio Panzeri. Anche per questo la procura di Bruxelles lo considera il possibile «terzo uomo» dell’inchiesta.

Ieri Cozzolino ha rotto il silenzio. Chiuso per tutta la mattina nel suo ufficio a Strasburgo, ne è uscito con un comunicato che è doveroso riportare, dato che in questa vicenda anche la presunzione di innocenza ne sta uscendo a pezzi. «Sono indignato per le vicende giudiziarie che apprendo dalla stampa e che minano fortemente la credibilità delle istituzioni europee. A livello personale sono del tutto estraneo alle indagini». L’europarlamentare napoletano del Pd precisa di non essere indagato, di non essere stato interrogato, di non avere subito perquisizioni e di non avere mai avuto rapporti con l’ambasciatore del Marocco in Polonia, il presunto corruttore Abderrahim Atmoun, e con l’intelligence di Rabat.

«Non ho mai incontrato persone vicine ad agenzie o servizi di sicurezza, né tanto meno ho mai perseguito interessi, vantaggi o utilità personali nella mia vita politica. Sono pronto a tutelare la mia storia e la mia onorabilità in ogni sede». È il suo destino, quello di essere oggetto di speculazioni, fin dai tempi di Napoli, quando era considerato l’eterno papabile a ogni carica. Antonio Bassolino ne descrisse l’ambizione con una battuta caustica. «Non dite a Cozzolino che nel palazzo di fronte ci sono le elezioni condominiali, perché si candida anche lì». Ma questa è una storia diversa, molto più pesante. Diventa quasi normale guardare a ritroso, i primi a farlo sono i suoi colleghi come sa bene anche Cozzolino. Ogni parola, opera o omissione, rischiano di diventare elementi di sospetto. Come la sua mancata firma all’interrogazione con richiesta di risposta scritta che la maggior parte della delegazione italiana di sinistra presenta dopo le frasi sul «danno mentale» dell’omosessualità e sul fatto che essere gay «è proibito» pronunciate dall’ambasciatore della Coppa del Mondo in Qatar Khalid Salman. Pochi giorni dopo, nella sottocommissione Droi per i diritti umani il clima è teso. L’ospite in aula è il ministro del Lavoro Ali Bin al-Marri. Molti europarlamentari del gruppo S&D sono pronti a fare la voce grossa. Cozzolino prende la parola per primo. Esordisce con una battuta.

Per motivi calcistici, ha dubbi sul Mondiale che va a cominciare, perché il suo Napoli è primo in classifica «e interrompere il Campionato per due mesi crea qualche problema». Prosegue così. Testuale. «Mi pare imponente il lavoro che si è fatto in Qatar, soprattutto il dialogo sociale. Con gli organismi internazionali, con le Ong, con i sindacati. Noi dobbiamo incoraggiare questo dialogo e questo programma di riforme. Guai se nel momento in cui sta cominciando, noi come organismi internazionali come il Parlamento europeo frapponessimo ostacoli a questo sviluppo. Sarebbe un errore». Sono parole che significano tutto e niente. Ma Cozzolino sa che è così che gira il suo mondo. Da tempo. Ne ha macinata di strada l’europarlamentare napoletano del Pd, dal movimento studentesco anticamorra alla Fgci. Pane e partito. Per anni è stato considerato il delfino di Antonio Bassolino, anche se i rapporti con l’ex sindaco di Napoli si sono poi logorati. Consigliere regionale nel 2000, superassessore nel 2005. Non prima però, di aver tentato di diventare vicesindaco di Rosa Russo Iervolino, operazione stoppata per un conflitto d’interessi. La moglie è una imprenditrice che in città gestisce varie attività.

L’annus horribilis, per lui e per il Pd, è il 2011. Cozzolino prova a diventare sindaco. È il capitolo terribile delle primarie dello scandalo, quelle delle file dei cinesi ai seggi, che fece dire a Walter Veltroni: «O sono cinesi democratici o c’è qualcosa che non va». Da una parte c’è Cozzolino che stando ai dati avrebbe vinto, dall’altro il figlio politico di Giorgio Napolitano, Umberto Ranieri, che grida ai brogli. Il partito viene commissariato. Da allora e per i successivi dieci anni il Pd a Napoli perde tutte le elezioni. Nel frattempo, Cozzolino ha preso il primo volo per Bruxelles.

Eva Kaili: «Non diventerò Ifigenia, niente a che fare con quei soldi». Storia di Redazione Online su Il Corriere della Sera il 15 Dicembre 2022.

L’ex vicepresidente del Parlamento europeo indagata nello scandalo soprannominato Qatar-gate , Eva Kaili, torna a rivendicare la sua innocenza e assicura, tramite il suo avvocato, che non farà la fine della figlia di Agamennone e di Clitemnestra che nel mito greco viene sacrificata. Ha dichiarato: «Non diventerò Ifigenia» «Kaili non ha alcun coinvolgimento con i soldi che sono stati trovati, tranne che lei stessa era nella casa in cui è stato trovato il denaro», ha detto Michalis Dimitrakopoulos, avvocato di Kailis e dei suoi familiari, alla tv greca ANT1. «Tutte le azioni e le iniziative della signora Kaili sono state approvate dal Parlamento europeo. Non c’era un’agenda personale della signora Kaili, tutto era una decisione politica del Consiglio europeo e della Commissione e non solo del Parlamento europeo e della signora Metsola», ha spiegato Dimitrakopoulos. Quanto al compagno Francesco Giorgi, l’avvocato dell’ex vicepresidente del Pe sostiene che «il marito conferma ciò che la signora Kaili dice sui soldi: tutto è successo in quelle ore, quando Kaili ha visto i soldi, non ha avuto una risposta convincente sulla loro origine e ha subito chiesto che i soldi uscissero di casa. Suo padre si è preso la responsabilità di essere il corriere, perché non c’era nessun altro». Attraverso il suo avvocato, Kaili fa sapere che comprende la sua destituzione dalla carica di vicepresidente del Parlamento europeo: «Se fossi presidente, farei lo stesso fino a quando il caso non sarà chiarito».

Kaili-Giorgi, la trincea di Eva («Io non sarò Ifigenia») e la confessione di Francesco. Giuseppe Guastella su Il Corriere della Sera il 16 Dicembre 2022.

Il legale di Kaili: quando ha visto i soldi ha chiesto che uscissero di casa. La procura europea vuole che le venga tolta l’immunità per un altro caso.

Alla fine, crolla e ammette quello che proprio non poteva negare Francesco Giorgi. E cioè di aver ricevuto lui, solo lui, i soldi trovati nella casa che divide nel centro di Bruxelles con la compagna Eva Kaili , ed erano suoi anche quelli stipati nel trolley che il padre della donna trascinava mentre lasciava l’albergo Sofitel in tutta fretta. In totale, oltre 750 mila euro che Giorgi (chi è) esclude avessero a che fare con la deputata del Pasok perché venivano dagli affari che lui aveva combinato fino a poco prima dell’arresto con Antonio Panzeri, il suo capo al Parlamento di Bruxelles quando Giorgi era assistente dell’altro che era un deputato del Pd (in questo articolo, com’è nato il legame tra i due: Panzeri invitato a scuola a Cisliano dal papà preside di Giorgi).

Nell’interrogatorio di sabato scorso subito dopo l’arresto Giorgi è un fiume in piena. Parla per dieci ore costringendo il giudice istruttore a rinviare al giorno dopo gli interrogatori degli altri imputati. Fa nomi e cognomi, dà spiegazioni, dice a chi sono andati i soldi della ong Fight impunity che, fondata nel 2019 da Panzeri, riceveva laute donazioni anche grazie al prestigio assoluto garantito dal proprio consiglio d’onore in cui sedevano premi Nobel, ex commissari europei ed ex premier. Giorgi si assume per intero la titolarità del «malloppo» in banconote fruscianti, percorrendo la stessa strategia attuata della sua compagna: separare il destino dell’uno da quello dell’altro per provare a salvare chi, come la Kaili, ha più da perdere come mamma e in termini di reputazione da questa vicenda che ha sconvolto il Parlamento europeo. «Nei non sa niente dei soldi», aveva ripetuto più volte l’avvocato Michalis Dimitrakopoulos, il legale della vicepresidente, poi destituita.

E le banconote nella valigia del padre? «Tutto è successo in quelle ore, quando Kaili ha visto i soldi, non ha avuto una risposta convincente sulla loro origine e ha subito chiesto che uscissero di casa. Suo padre si è preso la responsabilità di essere il corriere perché non c’era nessun altro», è la spiegazione. Sulla testa della Kaili si abbattono altre due indagini. La procura europea ha chiesto che venga revocata l’immunità a lei e alla connazionale del Ppe Maria Spyraki, per poter procedere a un’indagine sulla retribuzione degli assistenti parlamentari che ipotizza una «frode a danno del bilancio dell’Ue» («Non ho alcun legame con il Qatargate e accetto volentieri la richiesta di revoca», dice Spyraki).

Da Atene, invece, il procuratore finanziario Christos Bardakis annuncia un’inchiesta sulla Kaili per corruzione e riciclaggio, anche se non potrà partire prima della conclusione di quella belga. Eva Kaili «non ha alcun legame con i soldi che sono stati trovati, tranne il fatto che lei stessa era nella casa in cui sono stati trovati», dichiara ancora l’avvocato Dimitrakopoulos, che ricorda come «tutte le azioni e le iniziative della signora Kaili sono state approvate dal Parlamento europeo. Non c’era un’agenda personale della signora Kaili, tutto era una decisione politica del Consiglio europeo e della Commissione e non solo del Parlamento europeo e della signora Metsola». La risposta indiretta della presidente arriva quando ammonisce che «questo fatto coinvolge tutti, coinvolge l’Europa» davanti ai leader del Consiglio europeo i quali rispondono di avere «piena fiducia nell’inchiesta giudiziaria» e di dare «pieno supporto» alla stessa Metsola.

Kaili è nel mezzo di un dramma che lei, greca, innalza a tragedia classica: «Non diventerò Ifigenia», dice all’avvocato, non vuole essere destinata al sacrificio come la figlia di Agamennone e Clitemnestra. Giorgi non è da meno: «Voglio che sia libera per pensare alla nostra bambina di 22 mesi».

Ma.Bre. per “La Stampa” il 15 Dicembre 2022.

Ci sono diversi modi per influenzare le scelte di un'istituzione o dei suoi membri e conquistare un trattamento di favore. Secondo le indagini della procura belga, il Qatar avrebbe scelto quelli illegali con alcuni deputati e assistenti del Parlamento europeo, offrendo loro valigie piene di soldi, per ammansire l'assemblea che è sempre in prima linea nelle battaglie per la difesa dei diritti. Ma con le altre due istituzioni dell'Unione europea le cose sono andate in modo molto più semplice e legale. 

Eppure Doha ha ottenuto esattamente gli stessi risultati.

Da un paio di anni a questa parte, e soprattutto dopo l'invasione russa in Ucraina, il Qatar si è guadagnato un posto di tutto rispetto tra i cosiddetti "partner strategici" dell'Ue.

L'esigenza di colmare il buco lasciato dal gas russo ha permesso a Doha di rendersi "indispensabile" per Bruxelles, che con il passare dei mesi ha messo da parte tutti i dubbi sul rispetto di diritti umani nel Paese del Golfo, ha archiviato le indagini sui comportamenti anticoncorrenziali della principale società energetica del Qatar e anzi ha stretto ulteriormente i legami diplomatici con il Paese, ha portato avanti l'iniziativa per concedere ai cittadini qatarini la libertà di venire in Europa senza visto e ha spalancato le porte dei propri cieli alla compagnia QatarAirways.

Il 18 ottobre di un anno fa, la Commissione europea ha annunciato la sigla di un accordo definito "storico": un'intesa per consentire a tutte le compagnie aeree di poter operare voli diretti da qualsiasi aeroporto dell'Unione verso il Qatar, che è un Paese di 2,9 milioni di abitanti. 

In cambio, QatarAirways ha ottenuto la possibilità di poter operare voli diretti verso tutti gli scali dell'Unione, entrando in un mercato fatto di 450 milioni di cittadini. Un protocollo decisamente vantaggioso per la principale compagnia europea di Doha. L'accordo è entrato in vigore in via provvisoria subito dopo la firma, ma ora deve essere ratificato dal Parlamento europeo. Che di fronte allo scandalo di questi giorni ha deciso di alzare la paletta rossa.

C'è il timore che gli emissari di Doha possano essere intervenuti per sminare possibili problemi sull'iter della ratifica, che non è iniziato. Fin qui ci sono state soltanto riunioni preparatorie a porte chiuse. Durante una di queste, secondo quanto risulta a La Stampa, un'eurodeputata del gruppo dei socialisti-democratici avrebbe chiesto di organizzare una missione in Qatar. Richiesta respinta. La presidente della commissione Trasporti, Karima Delli, ha scritto una lettera ai rappresentanti dei gruppi proponendo sostanzialmente due cose. 

La prima: «Declassificare tutte le decisioni prese durante le riunioni dei coordinatori che riguardano il Qatar». La seconda prevede di mettere la pratica in stand by: «Concedere il consenso a questo accordo - si legge nella lettera della presidente - potrebbe essere difficile finché non si stabilirà che le condizioni sono state trasparenti e imparziali».

C'è poi il capitolo energia. Nel marzo scorso la Commissione europea ha deciso di rimettere nel cassetto un'indagine Antitrust aperta tre anni prima su QatarEnergy (che all'epoca si chiamava Qatar Petroleum), accusata insieme con altri importatori di aver ostacolato il mercato unico europeo. Da quel giorno, il Paese del Golfo è diventato uno dei pochi appigli ai quali aggrapparsi per contrastare la crisi d'astinenza dal gas russo. 

Il metadone per cercare di sopravvivere senza il metano di Mosca. E così sono arrivati i maxi-accordi siglati da Paesi come Francia, Germania e Italia e dai rispettivi colossi energetici. Eni e TotalEnergy sono entrate nella partnership per l'espansione del North Field East, il più grande progetto di gas naturale liquefatto al mondo.

Bruxelles ha offerto solida sponda diplomatica, che l'ha portata ad aprire un'ambasciata dell'Ue in Qatar. Per inaugurarla si è scomodato il presidente del Consiglio europeo in persona. «La mia presenza qui - aveva detto Charles Michel il 7 settembre scorso - è il segnale della nostra volontà politica di rafforzare i legami con il Qatar. Affrontiamo sfide globali importanti e siamo assolutamente convinti che l'amicizia con il Qatar sia una leva importante».

Nel suo discorso non c'è traccia del tema "diritti umani", ma in compenso ha sottolineato i progressi fatti nella liberalizzazione dei visti. Già, perché la celebre riunione della commissione Libe del Parlamento europeo per consentire ai cittadini qatarini di muoversi liberamente sul territorio Ue per 90 giorni non è stata un punto di partenza, ma un punto di arrivo (anche se ora il file è stato congelato).

I 27 governi avevano già dato il loro via libera a tempo di record il 29 giugno, a soli due mesi dalla proposta della Commissione. Nel documento adottato il 27 aprile dall'esecutivo Ue si legge che "anche se restano sfide nell'area dei diritti umani e delle libertà fondamentali, il Qatar ha subìto un processo di trasformazione della società per quanto riguarda i diritti delle donne, dei lavoratori e la libertà di religione".

(ANSA il 15 Dicembre 2022) – Tra i servizi europei che hanno collaborato alla fase di intelligence nell'indagine sul cosiddetto 'Qatargate' ci sono anche le agenzie italiane Aise ed Aisi, per i rispettivi ambiti di competenza. Lo si apprende da fonti dell'intelligence.

Marco Imarisio per il “Corriere della Sera” il 15 Dicembre 2022.

Funzionava così. «In occasione della Festa Nazionale del Qatar, l'ambasciatore in Belgio e Lussemburgo Khalid Bin Fahad Al Hajri e il capo della delegazione presso l'Unione europea e la Nato Abdulaziz Bin Ahmed Al Malki richiedono la vostra compagnia al ricevimento che si terrà l'8 dicembre a partire dalle 18 presso l'hotel Steinberger Wiltcher di Bruxelles». 

La lista degli invitati, oltre cinquanta posti sui 250 previsti, era gestita a proprio piacimento da Antonio Panzeri, che una settimana prima aveva fatto diramare le convocazioni dopo opportuni sondaggi. Alcuni nomi erano stati indicati di default, ex colleghi di gruppo, eurodeputati amici personali. 

Altri erano frutto di un'attività di esplorazione, chiamiamola così, alla quale il fondatore dell'Organizzazione non governativa Fight Impunity si dedicava con un certo scrupolo. Ai deputati che nel 2024 non si ricandideranno, a quelli che sanno già di non avere alcuna possibilità di essere rieletti, offriva la possibilità di una seconda vita all'interno delle Ong, la sua e quella presieduta dal suo amico Marc Tarabella, che avevano sede negli stessi uffici di Rue Ducale a Bruxelles. 

L'ultima volta fu il primo dicembre. Una visita più mirata. Si presentarono insieme, dando appuntamento ad alcuni deputati. Scelti non a caso. Quasi tutti membri della Commissione sui diritti umani in Unione europea (Libe), che poco dopo l'ora di pranzo avrebbero dovuto votare sul libero ingresso, senza bisogno di visti, dei cittadini qatarioti. Si era trattato di un parto sofferto. Quella mattina, Panzeri si limitò a lasciar intravedere offerte di impieghi futuri, ricordando con fare bonario che da lì a poco ci sarebbe stata una votazione importante. 

C'era stata maretta nella riunione preparatoria a porte chiuse dei redattori ombra, uno per ogni famiglia politica, che avevano chiesto conto al relatore ufficiale, il verde Erik Marquardt, della disparità di trattamento tra Kuwait e Qatar. Entrambi Paesi dove è in vigore la pena di morte. I negoziati per liberalizzare i visti del primo sono bloccati, quelli del secondo invece procedevano di buona lena verso una conclusione positiva.

L'imbarazzo di Marquardt risultò evidente. C'erano posizioni diverse, aveva detto.

C'era chi sosteneva che non si poteva far pagare al Qatar quello che aveva fatto il Kuwait, che durante il soggiorno del vicepresidente Ue, il greco Margaritis Schinas, aveva eseguito sette condanne capitali. 

Esiste un lungo messaggio WhatsApp, della quale il Corriere ha preso visione, indirizzata solo ad alcuni esponenti dell'Alleanza progressista dei Socialisti e Democratici che facevano parte della commissione Libe, che riassume questa tesi, estremizzandone il contenuto. Termina così: «Il Qatar oggi si presenta come una società dai tratti senz' altro non convenzionali, ma che sulla base dei progressi compiuti anche grazie allo stimolo delle istituzioni europee può essere legittimamente considerata come una democrazia quasi compiuta».

La firma è di Francesco Giorgi, l'assistente storico di Panzeri, «il bastone della mia vecchiaia», come lo chiamava lui, l'uomo che aveva soppiantato ogni altro collaboratore dell'ex sindacalista milanese, che gli dettava la linea. La sua compagna, Eva Kaili, vicepresidente del Parlamento europeo, considerata una creatura politica di Schinas, si presentò a sorpresa alla votazione. 

Gli altri deputati pensarono che fosse il sostituto di un assente, pratica consentita. Ma il presidente fece notare, e lo disse al microfono, che risultava un socialista in più in aula. Come se su quella delibera fosse necessario imprimere un marchio di appartenenza. Adesso che sono caduti in disgrazia, non c'è parlamentare della loro ex famiglia socialista che non abbia un ricordo, una conversazione, un messaggio, che prova l'indefessa attività di lobbying fatta da Panzeri e Giorgi, alla luce del sole. 

È farina dello stesso sacco anche l'ormai famosa mail dell'europarlamentare Andrea Cozzolino inviata lo scorso 24 novembre a tutti i colleghi del gruppo S&D con la quale invitava a votare contro la risoluzione sui diritti umani in Qatar, quella che citava anche la Coppa del Mondo 2006 in Germania come esempio di corruzione.

Il deputato, che ora si è autosospeso dal gruppo, la rivendica come una sua posizione personale. Ma agli atti risultano anche una serie di mail «preparatorie» inviate da Giorgi a Cozzolino, del quale era diventato assistente dopo il ritiro di Panzeri a vita privata. Non era l'unico a riceverle, altri suoi colleghi erano stati messi in copia. A volte, la memoria. Al ricevimento organizzato dal Qatar erano ovviamente presenti sia Panzeri che Giorgi. Poche ore dopo, veniva giù tutto.

Claudio Tito,Giuliano Foschini,Luca De Vito per “la Repubblica” il 15 Dicembre 2022.

Il club "degli amici". Negli atti che hanno portato all'arresto della cricca italiana dentro il Parlamento europeo c'è una definizione che rende l'idea di quello che, al momento, secondo gli investigatori è "l'Italian job": un sistema, all'interno del Parlamento europeo e in particolare del gruppo socialista, che per conto del Marocco e del Qatar ha «rappresentato un pericolo certo per l'equilibrio della democrazia». 

Chi faceva parte del club? È su questo che si interrogano i magistrati belgi provando a ricostruire, sulla base delle dichiarazioni e delle intercettazioni telefoniche e telematiche, il sistema. Il gruppo principale era composto da Antonio Panzeri e Francesco Giorgi, attualmente agli arresti. Il primo collegamento diretto - stando alla ricostruzione degli investigatori - era l'europarlamentare del partito democratico Andrea Cozzolino, per il quale Giorgi lavorava.

Mentre gli altri parlamentari "vicini" citati negli atti sono Eva Kaili, Maria Arena, il capogruppo del Partito democratico Brando Benifei e Alessandra Moretti.

Cozzolino era il presidente della delegazione per le relazioni con i Paesi del Maghreb e delle commissioni parlamentari miste Ue-Marocco. Era inoltre membro della commissione Diritti umani, dalla quale sono passate le risoluzioni più problematiche per il Qatar: ricopriva, dunque, per i due principali "finanziatori" del gruppo, un ruolo cruciale. Ma in che cosa è consistito il ruolo di Cozzolino? Il parlamentare ha sicuramente avuto rapporti con l'ambasciatore marocchino in Polonia, Abderrahim Atmoun, accusato di aver consegnato alcuni regali a Panzeri e famiglia. E considerato il tramite tra il gruppo e i servizi marocchini.

Lo dimostra, per esempio, una fotografia che ritrae l'europarlamentare italiano proprio in compagnia di Atmoun e Cozzolino. Cozzolino, hanno ricostruito gli investigatori, sulla base degli atti parlamentari ha poi avuto sempre una posizione in qualche modo morbida, sicuramente più morbida rispetto al suo gruppo, nei confronti del Qatar. Si è per esempio astenuto su nove emendamenti nella risoluzione del 24 novembre scorso sulla «situazione dei diritti umani nel contesto della Coppa del mondo Fifa in Qatar». 

Agli atti è allegata, inoltre, una mail che lo stesso eurodeputato aveva inviato ai colleghi prima del voto. «Vi ribadisco - aveva scritto - la mia posizione che ho portato nell'incontro di ieri e vi chiedo di votare contro... Si sostiene che la Coppa del Mondo sia stata assegnata dalla Fifa al Qatar grazie ad abusi e corruzione. Il Parlamento europeo non dovrebbe accusare un Paese senza prove. E in ogni caso, se vogliamo discutere di corruzione nello sport, allora forse sarebbe necessario riflettere su tutto, compresa la Coppa del Mondo che si è giocata in Germania nel 2006».

Una posizione che aveva aperto anche uno scontro durissimo con i colleghi tedeschi. Cozzolino ha spiegato a Repubblica che la sua è stata una posizione completamente «pubblica e politica». E di non aver mai subìto alcuna pressione. I magistrati belgi però dicono che vogliono approfondire la sua posizione (non risulta indagato) anche sulla base delle dichiarazioni del suo assistente, Francesco Giorgi. Nell'interrogatorio nel quale ha confessato, il braccio destro di Panzeri risponde a una domanda ben precisa da parte del magistrato: «Chi ha preso denaro da Panzeri? » gli viene chiesto. «È sempre Panzeri - risponde - che ha gestito questi contatti. Io ho sospettato Tarabella, Cozzolino».

Netto invece il parere su Moretti e Arena. «Non ne ho mai sentito parlare. Sono persone che rispetto e credo che la loro integrità non c'entri nulla in questo contesto». A Repubblica risulta che Moretti nell'ottobre scorso abbia effettuato un viaggio in Qatar, come risulta dal suo profilo Twitter, con una Ong vicina al governo di Doha. Gli investigatori stanno cercando traccia di questo viaggio: la segreteria della sua assistente è, infatti, tra quelle sotto sequestro. E in queste ore si sta spulciando nei documenti e nei computer. Nessuna domanda, invece, è stata fatta a Giorgi sul ruolo di Benifei.

A conferma che il principale collegamento è dato da alcuni ex collaboratori di Panzeri finiti poi a lavorare con il capogruppo del Pd. E a proposito di assistenti, una delle collaboratrici di Arena fa sapere di «non aver avuto alcuna collaborazione » con Panzeri se non una collaborazione con la sua Ong, Fight Impunity. Ong cruciale però nell'indagine. I belgi sostengono di avere le prove che nei conti correnti della società siano arrivati direttamente fondi dal Qatar. A conferma che le contabilità della corruzione sarebbero due: la prima, quella in contanti. La seconda, quella che gira invece sui conti della Ong. Ed è proprio da quei conti che sarebbero partiti, per l'impostazione iniziale della Procura, alcuni bonifici per "ammorbidire" le posizioni di persone vicine alla cricca. Come ha raccontato ieri Repubblica, Giorgi in uno dei suoi interrogatori ha confermato ai magistrati che le Ong servivano proprio «a far girare il denaro».

Estratto dell'articolo di Claudio Tito,Giuliano Foschini,Luca De Vito per “la Repubblica” il 15 Dicembre 2022.

Non è una semplice storia di corruttori e corrotti.

Il "Qatargate" sta diventando un vero e proprio "Spy-game". Con un protagonista principale: il Dged. Ossia, il servizio segreto marocchino. E una serie di coprotagonisti: l'Intelligence del Belgio con la collaborazione di Paese alleati dell'Unione europea, e il governo del Qatar. Con il Marocco e Doha nelle parti dei grandi corruttori. O meglio dei grandi «infiltrati» dentro le istituzioni dell'Ue, in particolare il Parlamento. E un solo obiettivo: condizionare l'Unione e farlo attraverso l'arma convincente dei soldi e della corruzione. 

È questo il disegno che "Repubblica" è in grado di ricostruire e che viene tratteggiato nel mandato di cattura con cui venerdì scorso sono stati fermati l'ex europarlamentare Antonio Panzeri, la vicepresidete dell'Eurocamera, Eva Kaili, il suo assistente e compagno, Francesco Giorgi, e il direttore generale della Ong "No Peace Without Justice", Niccolo Figà Talamanca. 

Tutto, allora nasce cinque mesi fa. Gli 007 belgi, assistiti da altri servizi europei, vengono a conoscenza che c'è una «rete» che lavora «per conto» del Marocco e del Qatar. L'atto messo a punto dalla procura di Bruxelles mostra una incredibile dovizia di particolari.

E una serie di operazioni che vengono decise e concordate all'interno di un sistema rodato. Ogni mossa infatti è volta a compiere una «attività di ingerenza» nelle sedi dell'Ue e nei posti chiave delle istituzioni comunitarie, in particolare il Parlamento.

Lo sfondo è il ruolo di Rabat nel Sahara Occidentale e i flussi migratori. Il Marocco vuole che l'Ue non si metta di traverso sull'occupazione di quel pezzo d'Africa e punta ad avere meno problemi possibili dal punto di vista dei flussi dei migranti.

E in seno al Palazzo che ha preso il nome di Altiero Spinelli c'è una parte politica decisamente «influenzata»: il gruppo socialista di S&D. Attraverso una sorta di cricca composta da tre italiani: Panzeri, Cozzolino (europarlamentare) e Giorgi. Anche se alcuni media della Grecia, addirittura ipotizzano che dentro il Parlamento europeo potrebbero essere una sessantina i nomi coinvolti. 

Il più attivo nel cercare l'«influenza» è comunque lo «Stato del Marocco». Incontri, colloqui, cene con i più alti dirigenti dei servizi segreti di Rabat sono una costante di questo sistema. La "cricca", infatti, è stata agganciata prima da un ufficiale del Dged, di stanza a Rabat la capitale del paese magrebino. Si tratta di Belharace Mohammed, il quale ha potuto contare sulla intermediazione anche di un diplomatico di base a Varsavia: Abderrahim Atmoun. A dimostrazione che si trattava di una macchinazione di Stato a pieno titolo. 

Tutte informazioni in un primo momento raccolte dal Vsse, ossia dai servizi segreti del Belgio. Nel mandato di cattura, infatti, si riportano le analisi dell'intelligence brussellese: i tre della "cricca" collaborano con i servizi marocchini, è «fuori di dubbio».

Il ruolo del diplomatico di Rabat che si muove lungo l'asse Varsavia- Bruxelles, è centrale. Tutti, alla fine, prendono ordini da lui.

Ma c'è un anello che è ancora più importante in questa catena che si è stretta intorno all'Europarlamento: Mansour Yassine, direttore generale del Dged. I tre lo hanno incontrato. Cozzolino lo ha fatto ad esempio diverse volte e almeno in una sarebbe andato in Marocco, nel 2019. Secondo la ricostruzione dei pm belgi, infatti, un ufficiale dell'intelligence marocchina ha prenotato due biglietti aerei sul volo Alitalia Casablanca- Roma del 2 novembre 2019 e sulla successiva tratta Roma-Napoli. Su questo, le "spie" del Belgio hanno però un dubbio: non sanno con certezza se Cozzolino sia effettivamente salito sull'aereo. Ma nella descrizione fatta dai magistrati sembra quasi una cautela più che un dubbio. Tanto che, riportando sempre le informazioni del Vsse, raccontano che anche Panzeri è volato verso lo stato magrebino per incontrare ancora lo stesso Mansour. In questo caso era il luglio del 2021.

Ma l'aspetto più interessante è la motivazione che viene assegnata a questo colloquio: discutere la «strategia» del Parlamento europeo. E condizionarla. Anche in questo caso gli 007 si prendono una prudenza: non confermano che il colloquio sia effettivamente avvenuto. Ma che sia stato organizzato sì. Resta il fatto che ogni scelta di Atmoun, il diplomatico, è stata organizzata con Panzeri e/o Cozzolino. In una rete di cui faceva parte anche Figà Talamanca, il vertice della Ong "No Peace without justice".

(...)                

All'interno di questo quadro, Francesco Giorgi (compagno della ex vicepresidente del Parlamento europeo, la greca Kaili) veniva identificato come una sorta di «agente» di Panzeri. Almeno i Servizi marocchini lo utilizzavano in quel modo. Ma erano Cozzolino e Panzeri a gestire l'accordo: al fine di consentire «l'ingerenza del Marocco ».

Il sistema del Qatar non cambiava molto. Le regole, alla fine, erano le stesse. E gli obiettivi analoghi. In questo caso gli obiettivi sono quelli di rendere accettabili le procedure adottate da Doha sui lavoratori. In particolare quelli impegnati nella costruzione dei mondiali di calcio e quelli messi al servizio dell'organizzazione della competizione calcistica ormai giunta alla partita finale. 

Le autorità qatarine sono persino più dirette di quelle marocchine. Non usano direttamente le spie. Ma ricorrono al governo. Gli incontri, infatti, sono fatti con il ministro del lavoro, Bin Samikh al Marri. E il tutto avviene - secondo il mandato di cattura - con l'aiuto di un personaggio misterioso. Lo chiamano Bettahar. Ma il soprannome è ancora più opaco: «l'Algerino ». 

Certo - si sottolinea - il Qatar non aveva gli stessi obiettivi del Marocco. A loro interessava soprattutto curare l'immagine del paese in relazione ai diritti civili.

Gli inquirenti, poi, non hanno dubbi: Panzeri e Giorgi dividevano tutto al 50%. E il resto era per Figà Talamanca. Insomma «l'obiettivo erano i soldi». La "cricca" riceveva pagamenti per le sue attività. Come? In due modi quando venivano Doha: attraverso i conti della Ong Fight Impunity o addirittura i contanti. O con qualche "regalo".

Quando il finanziatore era Rabat, allora non si andava per il sottile: la moneta in contanti veniva trasferita in alcune buste o borsoni attraverso la intermediazione del diplomatico di stanza in Polonia Atmoun. Una modalità da "spallone". Un passaggio da Varsavia verso Bruxelles.

(ANSA il 15 Dicembre 2022) - A dare il via all'inchiesta Qatargate, che sta terremotando il Parlamento europeo, sarebbe stata una segnalazione arrivata dagli Emirati Arabi Uniti all'intelligence del Belgio che per mesi ha lavorato con i servizi segreti di altri 5 Paesi, ma non con quelli dell'Italia, "che sarebbero stati esclusi dall'operazione nonostante tutto sembri ruotare attorno a figure di nazionalità italiana".

E' quanto ricostruisce il Corriere della Sera in un articolo pubblicato oggi. La segnalazione degli Emirati, scrive il Corriere, "ha portato gli 007 sulle tracce di un centro di studi del Marocco a Bruxelles dietro il quale si nascondeva una centrale di spionaggio. 

I servizi belgi hanno appurato che il centro culturale aveva collegamenti con l'ambasciatore marocchino in Polonia Abderrahim Atmoun che nelle carte dell'inchiesta è citato come colui al quale Panzeri doveva affidare dei regali da lui ricevuti affinché fossero trasferiti in Marocco". 

"Partito nel 2021 come un caso di 'sicurezza nazionale' per la minaccia di interferenza da parte di un Paese straniero sui processi decisionali del Parlamento europeo - continua il Corriere - il dossier evidentemente ad un certo punto perde di pericolo e si trasforma in una questione di corruzione internazionale, altrettanto grave, ma meno allarmante per gli 007 locali che lo passano alla magistratura ordinaria. I magistrati ci lavorano e puntano anche ai rapporti con il Qatar, specie della vicepresidente del Parlamento europeo Eva Kaili". 

Estratto dell’articolo di Giuseppe Salvaggiulo e Monica Serra per “La Stampa” il 15 Dicembre 2022.

[…]  Il 19 luglio, dopo una «ispezione clandestina» in casa Panzeri, un dettagliato rapporto è stato consegnato nelle mani del giudice istruttore Michel Claise. […] Quando, una settimana fa, ha ordinato ai poliziotti dell'Ufficio centrale per la repressione della corruzione di fare irruzione nella residenza di Antonio Panzeri, ex eurodeputato di Pd e Articolo 1, e del suo ex assistente Francesco Giorgi, ha agito a colpo sicuro. Sapevano che avrebbero trovato il tesoro in contanti già visto nella «ispezione clandestina».

Contattata dal quotidiano belga Le Soir, l'agenzia di sicurezza non ha confermato. Ma lo ha fatto il ministro della Giustizia Vincent Van Quickenborne, definendo l'indagine «un punto di svolta» e plaudendo all'uso efficace di tecniche investigative già sperimentate con successo contro la mafia, come il cracking dei telefoni criptati. 

[…] Qatar e Marocco, dunque, ma forse le «innumerevoli interferenze straniere» sono anche altre. In estate un report del Copasir, richiamato ieri dal ministro Adolfo Urso che allora lo presiedeva, aveva certificato «ingerenze di Qatar, Emirati, Arabia Saudita e altri Paesi».

L'inchiesta procede seguendo le tracce dei soldi. A Bruxelles, come a Milano, dove sabato è arrivato un ordine di investigazione europeo finito sulla scrivania del procuratore aggiunto Fabio De Pasquale, a capo del pool Anticorruzione internazionale. Immediate sono scattate le perquisizioni dell'aliquota di polizia giudiziaria della Guardia di finanza e gli accertamenti su sette diversi conti correnti bancari italiani, riconducibili alla famiglia di Panzeri, al suo ex assistente Giorgi, e al segretario del sindacato mondiale (Ituc) Luca Visentini, inizialmente fermato, poi rilasciato dagli investigatori belgi. 

I movimenti su quei conti potrebbero fornire nuovi spunti per ricostruire che giro facessero i soldi che, a palate, arrivavano dal Qatar. O magari altre conferme alle ipotesi di un'indagine che continua ad allargarsi. E che punta a identificare tutti i nomi degli europarlamentari che - questa è l'ipotesi - a partire almeno dal gennaio 2021 erano a libro paga dell'organizzazione criminale che ruotava attorno alla Ong Fight Impunity e alla figura di Panzeri.

Nella sua casa di famiglia, a Calusco sull'Adda, 8 mila abitanti nella Bergamasca, la Guardia di Finanza milanese ha sequestrato orologi di valore, computer, cellulari e 17 mila euro in contanti nascosti nell'armadio, mentre la moglie Maria Dolores Colleoni e la figlia Silvia, assistite dall'avvocato Angelo De Riso, sono ai domiciliari in attesa delle udienze del 19 e 20 dicembre, in cui la Corte d'Appello di Brescia deciderà sulla loro estradizione.

Denaro cash come i 20 mila euro sequestrati a Giorgi.

Nella villetta dei suoi genitori, in una strada tranquilla e residenziale di Abbiategrasso, a una ventina di chilometri da Milano, dov' è cresciuto e dove ha vissuto fino all'università, quando poi è partito per far carriera da assistente parlamentare a Bruxelles, i finanzieri domenica sera hanno trovato la chiave di una cassetta di sicurezza. La filiale della banca chiaramente nel weekend era chiusa. Ci sono tornati martedì e hanno trovato 20 mila euro, sempre in contanti.

Sarà quasi impossibile scoprire da dove siano arrivati quei soldi e quando Giorgi li abbia chiusi in quella cassetta. Viceversa parte dei soldi trovati a Bruxelles, sia in casa Panzeri che in casa Giorgi, hanno lasciato una traccia. La fascetta che li avvolgeva consente di risalire ai conti correnti belgi da cui sono state prelevati. 

Ciò potrebbe permettere di identificare chi li abbia consegnati a Panzeri, nella doppia presunta veste di corrotto e corruttore di altri parlamentari e funzionari. Soldi di cui Eva Kaili, compagna di Giorgi ed ex vicepresidente socialista del Parlamento europeo, continua a dire di non sapere niente. Inoltre riferisce tutte le sue iniziative sul Qatar come «pianificate ai più alti livelli dell'Ue». Una strategia difensiva che, unita alla richiesta di rinvio dell'udienza di convalida dell'arresto, pare delineare la volontà e il tentativo di sganciarsi dal destino processuale di Giorgi.

Metodo Doha. L’Ue non è l’unico bersaglio della corruzione del Qatar. Valerio Moggia su L’Inkiesta il 16 Dicembre 2022.

Lo scandalo che ha travolto Bruxelles e le sue istituzioni è solo l’ultimo di una serie di casi sospetti che vede coinvolto il piccolo Paese mediorientale

Il Qatargate che ha travolto le istituzioni europee dovrà passare dalle mani di giudici e avvocati ma è già diventato una delle storie più insolite e delicate per europarlamentari, commissari, funzionari di Bruxelles e varie famiglie politiche. Sull’altra riva del fiume, invece, i sospetti di corruzione fanno ormai parte dello scenario locale: la famiglia reale del Qatar da anni è abituata a destare sospetti, a far discutere per i suoi modi di fare politica e di costruire relazioni con Stati e istituzioni.

Prima che il dibattito si spostasse sui diritti Lgbtq+ o sulle morti dei lavoratori, si era parlato dei Mondiali in Qatar per le accuse sull’assegnazione del torneo al piccolo Paese del Golfo. Già nel giugno 2011, a sei mesi dalla decisione della Fifa, il Sunday Times denunciava l’opera di corruzione del Qatar nei confronti dei leader delle federazioni del calcio africano: Issa Hayatou, che dal 1988 era a capo della Caf, l’omologa africana della Uefa, aveva ricevuto un milione e mezzo di dollari per votare per la Coppa del Mondo in Qatar. La stessa cosa era successa anche con altri due grandi nomi della politica del calcio africano, l’ivoriano Jacques Anouma e il nigeriano Amos Adamu.

Che gran parte dell’Africa abbia sostenuto la candidatura di Doha non ha mai stupito nessuno. Dal 2007, il governo del Qatar, attraverso la prestigiosa Aspire Academy, versa grandi quantità di denaro nelle casse delle federazioni locali grazie al progetto Football Dreams, ufficialmente un programma di scouting per reclutare giovanissimi talenti da far crescere a Doha. Da quando è stato lanciato, questo programma – che per il Qatar è uno “strumento umanitario” per togliere i giovani dalla povertà – ha ricevuto numerose accuse, da chi lo considera uno strumento di sfruttamento delle risorse umane dell’Africa a chi invece lo ritiene una leva del soft power di Doha, oltre che un metodo per corrompere la politica locale.

D’altronde, il confine tra politica e corruzione è spesso labile: in quale momento investire in un determinato settore o Paese per ricavarne benefici più o meno diretti smette di essere legittimo? Tra i principali difensori del Qatar in questi giorni c’è per esempio Paul Kagame, il noto Presidente del Ruanda, che è anche accusato di repressione del dissenso. Kagame è volato a Doha a inizio Mondiali per salutare l’emiro, e più di recente ha dichiarato che contro il Paese arabo c’è stato un «incessante assalto di propaganda negativa». Il leader del Ruanda difende il Qatar in maniera non tanto dissimile da quanto fatto da Eva Kaili al Parlamento europeo: dopotutto, la famiglia Al Thani sta investendo tantissimo nel nuovo aeroporto di Kigali e nello sviluppo del turismo nel Paese africano, al punto che lo sponsor “Visit Rwanda” campeggia sulle maglie del Paris Saint-Germain.

Ma non è solo l’Africa, ovviamente. In questi anni il Qatar avrebbe corrotto dirigenti sportivi in quasi tutto il mondo, anche nell’area Concacaf, quella del Nord e Centro America. Sempre nel 2011, una nuova indagine fece emergere un piano di corruzione che coinvolgeva Jack Warner, l’uomo più potente del calcio di questa regione, presidente Concacaf dal 1990. D’accordo con Mohamed bin Hammam, presidente della confederazione asiatica e capo assoluto del calcio in Qatar, Warner avrebbe organizzato alcuni incontri con i leader delle federazioni caraibiche durante i quali Bin Hammam avrebbe avuto modo di corrompere diverse persone. In cambio, il dirigente qatariota voleva i voti per essere eletto presidente della Fifa al posto di Blatter, e guidare così l’associazione durante gli storici Mondiali del 2022, di cui lui stesso era in un certo senso il vero ideatore.

Non c’è un continente che non abbia ricevuto soldi dal Qatar, a quanto pare, e pure le ultime rivelazioni sull’Europa in realtà suonano nuove fino a un certo punto. Nell’estate 2015, Joseph Blatter, a sua volta al centro all’epoca di accuse di corruzione, assicurò che dietro l’assegnazione del Mondiale al Paese arabo c’era lo zampino addirittura del Presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy. Sarebbe stato lui a organizzare il famigerato pranzo all’Eliseo a cui erano presenti, oltre allo stesso Blatter, anche il capo della Uefa Michel Platini e l’allora principe qatariota (oggi emiro) Tamim bin Hamad Al Thani. E in quell’occasione si sarebbero formalmente decise sia l’impegno della UEFA per indirizzare il voto delle federazioni europee verso Doha, sia l’acquisizione del PSG da parte del fondo sovrano qatariota. Blatter dice che, oltre a questo, ci fu un altro intervento decisivo della politica europea in favore del Qatar, e fu portato avanti da Christian Wulff, ai tempi Presidente federale della Germania.

Il quadro che ne emerge è abbastanza inquietante, e racconta bene la pervasività del potere qatariota nel mondo. Attraverso l’economia, Doha ha saputo rendersi indispensabile in varie aree strategiche del pianeta, e i Mondiali sono stati solo uno dei banchi di prova di questa rete di relazioni. Ma parlare di corruzione non è mai facile. Tutte le accuse piovute addosso al Qatar in questi ultimi dodici anni non hanno infatti avuto alcuna conseguenza legale concreta.

La Fifa aveva anche affidato un’inchiesta interna all’avvocato indipendente Michael Garcia, che si era avvalso della collaborazione di Phaedra Almajid, la fonte della prima inchiesta del Sunday Times del 2011, poi costretta a ritrattare (pare) dietro minacce. Nel settembre 2014, dopo oltre due anni di lavoro, Garcia consegnò il suo report sulla controversa assegnazione dei Mondiali in Qatar al responsabile etico della Fifa Hans-Joachim Eckert, ma quando il documento venne pubblicato l’autore lamentò che fosse stato pesantemente tagliato, alterando il senso del suo lavoro. Lo scandalo che sembrava aver provato la volontà della Fifa di nascondere la polvere sotto il tappeto finì però per sgonfiarsi nel 2017, quando la Bild diffuse il report completo, rivelando che non conteneva nulla più che supposizioni e testimonianze, e nessuna prova.

Per cui, mentre i Mondiali in Qatar stanno per terminare, l’unica cosa certa che possiamo dire sulla corruzione di Doha è che tutti assicurano esista, ma nessuno l’ha mai dimostrato. Ogni probabilità di ribaltare questo trend risiede oggi nelle borse piene di contanti rinvenute in casa dei funzionari di Bruxelles.

Scandalo corruzione Qatar, tutti i nomi delle persone coinvolte nell’Europarlamento. YOUSSEF HASSAN HOLGADO su Il Domani il 15 dicembre 2022

Tutti i nomi dei funzionari europei e dei loro assistenti. Nelle ultime ore lo scandalo si è allargato anche ad alcuni rapporti con i servizi segreti del Marocco

Man mano che passano i giorni emergono nuovi nomi di persone coinvolte nell’inchiesta della polizia belga sul caso di corruzione riguardo alcuni funzionari dell’europarlamento che in cambio di soldi hanno perseguito gli interessi del Qatar e del Marocco all’interno dell’Unione europea. Ma chi sono le persone coinvolte? Dal quadro investigativo iniziale ai vertici della rete c’erano tre persone: Antonio Panzeri, Francesco Giorgi ed Eva Kaili. Altri personaggi, invece, hanno ruotato intorno alla rete come Niccolo Figà Talamanca a capo della Ong No peace without justice e altri assistenti europarlamentari.

Le accuse formali nei confronti degli indagati sono di associazione a delinquere, corruzione e riciclaggio di denaro. Più di un milione di euro sarebbe stato trovato durante le perquisizioni insieme a gioielli e beni di lusso. Gli inquirenti non escludono che parte dei soldi veniva poi distribuita ad altri europarlamentari e dall’interrogatorio a Giorgi sperano di ottenere nuovi nomi.

ANTONIO PANZERI

Quando lo scorso 9 dicembre è stata diffusa la notizia dello scandalo, il primo nome a essere stato reso pubblico è stato quello di Antonio Panzeri. Ex europarlamentare del gruppo dei Socialisti e democratici (S&D) a capo anche della commissione diritti umani, Panzeri è considerato uno dei vertici del gruppo accusato di corruzione. Durante le perquisizioni la polizia belga ha trovato circa 500mila euro in contanti nella sua casa in Belgio, altri soldi sono stati invece trovati nella sua abitazione in Italia. Sempre in Italia sono state arrestate anche la figlia Silvia Panzeri e la moglie Maria Colleone.

La carriera politica di Panzeri ruota attorno al mondo del sindacato e della sinistra italiana. Molto vicino all’ex presidente del Consiglio Massimo D’alema, Panzeri è stato responsabile delle politiche europee della Cgil e nel 2004 ha iniziato la sua carriera all’interno dell’Europarlamento. In Italia era nelle file del Partito democratico prima di passare ad Articolo 1, che ha già fatto sapere di averlo espulso dagli iscritti. 

Da quando ha smesso la sua attività da europarlamentare, Panzeri è entrato nel board dell’Associazione ex dipendenti europei mentre in Belgio fonda l’organizzazione Fight Impunity che nel suo honorary board contava figure di rilievo come l’ex commissario alle Migrazioni, il greco Dimitris Avramopoulos, e l’ex rappresentante per la politica estera Federica Mogherini, oltre all’ex primo ministro francese Bernard Cazeneuve.

EVA KAILI

L’eurodeputata greca è una dei 14 vice presidenti del parlamento europeo. Attualmente si trova agli arresti ed è accusata anche lei di corruzione. Ad Atene le autorità greche hanno congelato i suoi beni ma per il suo avvocato «il denaro che è stato trovato nella sua casa (cica 150mial euro ndr.) non le apparteneva, Giorgi è l'unico che può fornire risposte sula loro esistenza di cui lei non ne sapeva nulla». In un primo momento la polizia belga aveva anche fermato il padre di Kaili, poi rilasciato dopo poche ore, mentre trasportava centinaia di migliaia di euro in contanti.

Nel mirino uno dei suoi ultimi discorsi al parlamento europeo in difesa del Qatar pronunciato lo scorso 21 novembre, a pochi giorni dall’inizio dei Mondiali di calcio: «Signora presidente, oggi i mondiali di calcio in Qatar sono la prova di come la diplomazia sportiva possa realizzare una trasformazione storica di un paese con riforme che hanno ispirato il mondo arabo. Ho solo detto che il Qatar è all'avanguardia nei diritti del lavoro, abolendo la kafala e riducendo il salario minimo. Nonostante le sfide che anche le aziende europee stanno negando per far rispettare queste leggi, si sono impegnati in una visione per scelta e si sono aperti al mondo. Eppure, alcuni qui chiedono di discriminarli. Li maltrattano e accusano di corruzione chiunque parli con loro o si impegni. Ma nonostante ciò, prendono il loro gas. Eppure, le loro aziende vi traggono profitti miliardari. Da greca ho ricevuto una lezione e ricordo a tutti noi che abbiamo migliaia di morti a causa del nostro fallimento nel trovare vie legali di migrazione in Europa. Possiamo promuovere i nostri valori, ma non abbiamo il diritto morale di fare conferenze per ottenere un'attenzione mediatica a buon mercato. E non imponiamo il nostro modo di fare, lo rispettiamo, anche senza Lng. Sono una nuova generazione di persone intelligenti e istruite. Ci hanno aiutato a ridurre la tensione con la Turchia. Ci hanno aiutato con l'Afghanistan per salvare attivisti, bambini, donne. Ci hanno aiutato. E sono negoziatori di pace. Sono buoni vicini e partner. Possiamo aiutarci l’un l’altro a superare le nostre carenze. Hanno già raggiunto l’impossibile».

FRANCESCO GIORGI

Giorgi è il collante tra Panzeri ed Eva Kaili. Ex assistente del primo e compagno della seconda – con al quale ha anche una figlia – avrebbe confessato di aver gestito i soldi dell’organizzazione pur percependo circa 2500 euro mensili dalla sua attività di assistente. Giorgi è stato incriminato e incarcerato dal giudice Michel Claise per corruzione, riciclaggio di denaro e partecipazione a un’organizzazione criminale.

Nella sua casa di Abbiategrasso la guardia di finanza di Milano ha trovato circa 20mila euro in contanti. Attualmente Giorgi è l’indagato che sta fornendo il quadro più chiaro della situazione. Agli inquirenti avrebbe anche suggerito altri nomi da approfondire e secondo quanto riporta Repubblica sarebbero Marc Tarabella e Andrea Cozzolino (di cui Giorgi è assistente), entrambi europarlamentari del gruppo Socialisti e democratici ma non indagati.

NICCOLO FIGÀ TALAMANCA

C’è un quarto personaggio ed è l’italiano Niccolo Figà-Talamanca che si trova in regime di sorveglianza elettronica (braccialetto) con l’accusa di aver avuto un ruolo nella spartizione del denaro. È il direttore generale dell’Ong No peace without justice che secondo gli inquirenti insieme alla Ong di Panzeri Fight Impunity raccoglieva parte del denaro qatarino.

MARC TARABELLA

Tarabella è vicepresidente della delegazione del parlamento europeo per le relazioni con la penisola arabica. La sua casa è stata perquisita dalla polizia belga nei giorni scorsi ma non è ancora indagato. Per il momento si è autosospeso dal gruppo dei Socialisti e Democratici.

LUCA VISENTINI

Luca Visentini è stato il segretario generale della Confederazione europea dei sindacati (Etuc) prima di assumere, da novembre, la guida di quella internazionale (International Trade Union Confederation). È stato rilasciato dopo poche ore dalla polizia belga. In diverse interviste, tra cui anche una a Domani, ha negato un suo coinvolgimento nella vicenda. «Io sono stato coinvolto perché ho partecipato ad alcune iniziative di Fight Impunity – ha spiegato – questa associazione, che era riconosciuta dal Parlamento europeo, che veniva condotta da parlamentari in carica o ex eurodeputati, e che per quanto io ne sapevo e per quanto fosse pubblicamente noto era una fondazione che si occupava di difesa dei diritti umani, a quanto pare, in base alle indagini in corso, sembrerebbe che in realtà fosse una organizzazione criminale finanziata dal governo del Qatar per corrompere in particolare i membri dell’Europarlamento e per indurli a prendere posizioni più favorevoli nei confronti del governo del Qatar. Il mio nome è finito in questa indagine per la mia partecipazione a quelle iniziative: sono stato accusato di essere parte di questa organizzazione, di essere stato corrotto da loro per ammorbidire le posizioni mie e della confederazione sindacale internazionale (Ituc) nei confronti del Qatar».

ANDREA COZZOLINO

Il nome più caldo nelle ultime ore è quello di Andrea Cozzolino, che secondo Giorgi sarebbe coinvolto nelle relazioni tra Panzeri e i servizi segreti del Marocco, interessati a fare pressioni sugli europarlamenti per evitare interferenze di Bruxelles sulla questione del Sahara occidentale. Attualmente Cozzolino non è indagato e in alcune sue dichiarazioni nega un suo coinvolgimento dicendo che si tratta di politica ed è tutta attività pubblica. Nel mirino degli inquirenti una sua mail inviata ad alcuni colleghi in vista del 24 novembre scorso sulla «situazione dei diritti umani nel contesto della Coppa del mondo Fifa in Qatar». Nel testo scriveva: «Vi ribadisco la mia posizione che ho portato nell'incontro di ieri e vi chiedo di votare contro... Si sostiene che la Coppa del Mondo sia stata assegnata dalla Fifa al Qatar grazie ad abusi e corruzione. Il Parlamento europeo non dovrebbe accusare un paese senza prove. E in ogni caso, se vogliamo discutere di corruzione nello sport, allora forse sarebbe necessario riflettere su tutto, compresa la Coppa del Mondo che si è giocata in Germania nel 2006».

GLI ALTRI NOMI

Tra gli uffici perquisiti dagli inquirenti anche quelli dell’ex assistente dell’eurodeputato Pietro Bartolo ora con Lara Comi, e di Alessandra Moretti. Anche l’ufficio dell’assistente dell’eurodeputata Marie Arena è stato sigillato. Arena si è dimessa dalla carica di presidente della sottocommissione per i diritti umani ma non è stata interrogata dagli inquirenti e non risulta indagata. Per il momento anche Bartolo e Cozzolino si sono dimessi dai loro incarichi ma non da europarlamentari. 

YOUSSEF HASSAN HOLGADO. Giornalista di Domani. È laureato in International Studies all’Università di Roma Tre e ha frequentato la Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio Basso. Fa parte del Centro di giornalismo permanente e si occupa di Medio Oriente e questioni sociali.

Quel trilione "scomparso" che può essere usato per colpire l'Occidente. Il trilione di dollari di surplus delle autocrazie può aiutarle a sfidare l'Occidente. Occhio a Cina, Russia, Arabia Saudita: ecco come si muovono i flussi finanziari. Andrea Muratore il 16 Dicembre 2022 su Il Giornale.

400 miliardi di dollari la Cina, massima potenza esportatrice industriale globale, 250 la Russia che guadagna dal boom dei prezzi energetici nonostante le sanzioni; 200 l'Arabia Saudita con le maggiori risorse petrolifere mondiali; 150 i miliardi scomparsi dai T-Bond Usa: il "trilione scomparso" dalle autocrazie è il tesoretto che può rivolgersi verso l'Occidente in termini di spesa clientelare, investimenti, acquisizioni.

Un tempo i regimi autoritari non avevano altro desiderio se non riversare nei mercati occidentali i loro introiti da commercio o produzione. Le entrate del surplus commerciale cinese finivano in asset, infrastrutture, imprese e fondi; la Russia ha diversificato ovunque, dalle squadre di calcio al lusso, creando feudi come "Londongrad". L'Arabia Saudita e le altre monarchie del Golfo, come Qatar e Emirati Arabi Uniti, sono la patria dei celebri "petrodollari" riversatisi nella finanza e nel real estate. Oggi invece gli investitori notano che tra disinvestimenti, sanzioni (nel caso russo) e ricerche di altri mercati, complice la fine del periodo occidentale di vacche grasse, l'ammontare di risorse dirottato da questi mercati è inferiore di un trilione di dollari rispetto alle aspettative.

Repubblica ha analizzato questo tema ricordando che le autocrazie sono in surplus, le democrazie in deficit commerciale. E questo si riflette sulla bilancia dei pagamenti, caduta in rosso perfino per la virtuosa Germania: "Gli ultimi sommovimenti dell'economia mondiale e, in particolare, il boom dei prezzi dei beni energetici hanno aperto buchi nella bilancia dei pagamenti non solo di paesi cronicamente in deficit nei conti esteri, come gli Stati Uniti, ma anche in Gran Bretagna e - novità - anche in chi, normalmente, è in condizioni di surplus, come l'Unione europea e il Giappone". Questo modifica notevolmente l'indirizzo degli investimenti diretti esteri.

Xi Jinping può permettersi di siglare in Arabia Saudita accordi miliardari; la Russia elude le sanzioni difendendo il cambio sul rublo; l'Arabia Saudita investe in Saudi Vision 2030 e progetta nuove strategie costose. L'Europa e gli Usa invece si litigano quote di mercato, innovazione, talenti. E non riescono a controbattere con piani e strategie come il Global Gateway a progetti quali la Belt and Road Initiative.

L'Occidente globale è in deficit e il pallino del gioco della partita della gestione del debito mondiale, anche per colpa dell'inflazione, non è più in mano sua. Le altre nazioni dirottano altrove i propri investimenti: il reshoring e la deglobalizzazione orientano anche le mosse delle autocrazie che hanno partecipato alla grande festa dei mercati globali finché è stato loro possibile.

Ora invece i loro fondi "potrebbero servire a rinsaldare influenze politiche. A puntellare il regime di Erdogan nella Turchia sommersa da una inflazione non lontana dalla tre cifre, nel caso della Russia. A sostenere il traballante Egitto di Al Sisi, per i paesi arabi. O il Pakistan in ginocchio, per la Cina": una vera e propria finanza "autoritaria" parallela capace di sfidare in termini di potere e attrattiva quella occidentale basata sul Fondo monetario internazionale.

Non sono blocchi fissi ovviamente, ma l'Occidente è economicamente sotto assedio. Fiaccato dalla Grande recessione, dal Covid, dalla crisi energetica e dal ritorno dell'inflazione il suo modello non è più l'epicentro globale degli investimenti. La lunga fase di vacche grasse finanziarie ha coperto il problema degli investimenti in conto capitale, della corsa del resto del mondo all'innovazione, della dipendenza energetica da Russia e Medio Oriente, della difficoltà nella proiezione fuori dal blocco coincidente col G7.

Il "trilione scomparso" si è diretto altrove, cercando obiettivi politici: il potenziamento dell'influenza e la ripresa dell'espansione commerciale (Cina), la difesa dalle sanzioni e la costruzione di hub energetici non occidentali (Russia), il riarmo e la proiezione geopolitica regionale (Arabia Saudita). Tre strategie con un unico comune denominatore: portare le risorse lontane da un Occidente che tra reshoring e crisi è in difficoltà.

Parliamo di una minaccia che sottende un'opportunità: vincolare con maggior forza democrazia e mercati rinnovati e più sicuri anche politicamente dalle proiezioni straniere. Un'opportunità che, scrutinando investimenti e promuovendo il friend-shoring nei settori chiave (dalla transizione ai chip) l'Europa e gli Usa possono sviluppare, a patto di cooperare. E pare proprio questo, alla luce degli ultimi sviluppi, lo step più grande da superare per contrapporre un fronte unito alla frastagliata avanzata finanziaria delle autocrazie.

I "copia e incolla" dell'ong di Panzeri per ottenere finanziamenti a sei zeri. Così l'ex deputato del Pd riusciva ad ottenere fondi europei preclusi alla maggioranza delle associazioni, senza presentare mai bilanci. Luca Fazzo il 16 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Pochi mesi per scrivere quattrocento pagine di rapporto sulle violazioni dei diritti umani nell'intero pianeta: e per incassare un finanziamento da duecentomila euro dal Parlamento europeo. Tra i miracoli di Fight Impunity, la ong fondata dall'ex eurodeputato pd Antonio Panzeri, c'è anche la sorprendente rapidità con cui ai suoi esordi la ong sforna il suo rapporto, pubblicandolo attraverso una piccola casa editrice milanese. Un esempio di superefficienza o, come appare più probabile, un clamoroso «copia e incolla».

Ad analizzare la vicenda è ieri Le Soir, il quotidiano belga che per primo ha portato allo scoperto il Qatargate. E che ieri definisce senza mezzi termini la Ong di Panzeri «il paravento ideale per attività sospette».

Tra le tante anomalie della associazione - nel cui board fino al momento dello scandalo sedevano nomi prestigiosi, da Federica Mogherini a Emma Bonino al premio Nobel Denis Mukwege - c'è che nei tre anni trascorsi dalla sua fondazione, il 25 settembre 2019, Fight Impunity non ha mai depositato il suo bilancio al tribunale di Bruxelles. Al terzo anno in teoria si dovrebbe venire cancellati, ma in questo caso non è successo.

Anzi, la ong riesce in breve tempo a ottenere aiuti che enti ben più noti faticano a incassare. Dalla sua, ha il tessuto di relazioni creato da Panzeri in tre mandati da europarlamentare e l'appoggio esplicito di suoi cari amici come la deputata belga Marie Arena. Secondo Le Soir, le richieste di finanziamenti a Fight Impunity vennero sponsorizzate oltre che dalla Arena da Isabel Santos, portoghese, anche lei deputata del gruppo Socialisti & Democratici. Il 23 febbraio 2021, ad appena un anno e mezzo dalla sua fondazione, Fight Impunity si vede assegnare 175mila euro di finanziamento. Una performance che lascia di sasso gli esperti del settore intervistati dal quotidiano belga.

A stupire è in particolare la storia del rapporto «Impunità nel mondo» pubblicato da Fight Impunity alla fine del 2020, e presentato al Parlamento in bozze l'11 dicembre 2020. Quando l'anno dopo va in stampa, assomma a 430 pagine. Nel mondo dei difensori dei diritti umani, che una struttura neonata partorisse in poche settimane una simile fatica destò un certo stupore. Le Soir sottolinea come il libro in realtà nell'introduzione appaia realizzato da un'altra realtà, l'Associazione Società Informazione onlus, e i diritti appartengano alla casa editrice milanese Milieu. La quale in realtà avrebbe ricevuto il file dalla ong di Panzeri e si sarebbe limitata a farlo stampare in poche centinaia di copie.

Quindi Fight Impunity si limita a copiare il rapporto annuale che dal 2003 viene realizzato da Società Informazione e da Diritti Globali, dietro i quali ci sono la Cgil e numerose altre sigle sindacali. Tra queste la Ituc, la federazione internazionale il cui segretario era il friulano Luca Visentini, arrestato insieme a Panzeri e scarcerato poco dopo. Grazie al «copia e incolla» del rapporto Fight Impunity si accredita ancora di più a Bruxelles. E iniziano a fioccare i quattrini.

Meloni: caso devastante Metsola: no a impunità. Nel Pd caccia ai sospetti. Al vertice Ue la presidente invoca riformee niente sconti. Ma è resa dei conti tra partiti. Laura Cesaretti il 16 Dicembre 2022 su Il Giornale.

«L'inchiesta è un danno per la democrazia, l'Europa e ogni cosa per cui combattiamo. Servono anni per costruire la fiducia, ma un momento per perderla». La presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, al vertice Ue, usa parole ben pesate e drammatiche per avvertire del pericolo che il dilagare dello scandalo comporta. Non tanto per la reputazione dei singoli personaggi coinvolti o dei loro partiti, ma per l'idea stessa di Europa e di società aperta, assediata da regimi illiberali che vorrebbero distruggerla. Metsola promette un «pacchetto di riforme» per impedire l'infiltrazione di interessi politico-economici esterni, e intanto l'aula da lei presieduta approva a tempo di record, e con una schiacciante maggioranza (541 sì due i contrari e tre gli astenuti) una risoluzione che denuncia lo scandalo e chiede la sospensione di tutti i fascicoli relativi al Qatar e dell'accesso alle istituzioni europee ai rappresentanti dell'Emirato. «Questo non è business as usual - sottolinea la presidente Metsola - farò tutto quello che posso per ripristinare la posizione della casa della democrazia come legislatore, come istituzione che prende decisioni, che è trasparente e che non è in vendita ad attori stranieri che cercano di minarci». Anche la presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni, arrivata ieri a Bruxelles per il suo primo Consiglio europeo, non maschera l'allarme: «Lo scenario è oggettivamente preoccupante, le notizie che escono raccontano qualcosa che non avremmo mai immaginato e dai contorni devastanti. Credo che di fronte a vicende di questo tipo conti molto la reazione, che deve essere ferma e decisa. Si deve andare fino in fondo e non si devono fare sconti. Ne va della credibilità dell'Unione europea e delle nostre nazioni».La drammaticità della vicenda, sottolineata da Meloni e Metsola, non impedisce che venga utilizzata per giochini di parte tra gli schieramenti politici. Mentre il Pse, nell'occhio del ciclone, promette «tolleranza zero» contro le pecore nere, il gruppo del Ppe ne approfitta per bastonarli: «Dobbiamo affrontare questa ipocrisia: il gruppo dei Socialisti, il più santo dei santi è l'epicentro del Qatargate ed è ora che siano ritenuti responsabili». E c'è anche chi utilizza la vicenda del cosiddetto Qatargate per autoassolversi da un recente passato di rapporti politici troppo stretti con un altro Stato canaglia, dedito da decenni alla corruzione e all'inquinamento delle pubbliche opinioni occidentali, come la Russia. «Da anni infangano la Lega cercando rubli (che non ci sono) con articoli, inchieste e commissioni», dice Matteo Salvini, ma allo stesso tempo «gli passavano sotto il naso milioni di euro in corruzione dai paesi islamici. Penosi». Ma anche nel Pd, terremotato dalle rivelazioni sul caso, il Qatargate minaccia di diventare materia da battaglia propagandistica, e persino congressuale: «nuovi» contro «vecchi», puri contro sospetti, con sventolio del solito santino berlingueriano. Lo agita Giuseppe Conte, che spera di lucrare un po' di voti dalla crisi Dem e proclama: «Non dobbiamo abbassare la guardia, la questione morale è la premessa indispensabile per qualsiasi azione politica». Ma lo fa anche Elly Schlein, candidata alla segreteria Pd: «La questione morale è più attuale che mai, a destra come a sinistra. Va posta al centro, è l'impegno che mi sto prendendo nel tentativo di ricostruzione del nuovo Pd». Quanto all'arrestato Panzeri, suo collega di gruppo quando erano entrambi eurodeputati, Schlein taglia corto: «Sospetti? No, non c'era nessun elemento. Altrimenti mi sarei rivolta alle autorità».

E la grillina elogiava i cantieri del Qatar. Nel 2021 la capodelegazione 5s Beghin: "Grandi riforme sul lavoro". Pasquale Napolitano il 16 Dicembre 2022 su Il Giornale.

È il 25 settembre del 2021, quando il capo delegazione del M5s al Parlamento europeo, Tiziana Beghin, vola a Doha per tenere, con i colleghi Marc Tarabella, finito nell'inchiesta sul giro di mazzette tra gli emissari dell'Emirato e politici dell'Unione europea, e Jose Ramon Bauza, una conferenza stampa al termine di una missione del Parlamento Ue nell'emirato. Missione servita ad «accertare il processo di riforme avviato del governo del Qatar».

La grillina, nel suo intervento pubblico in conferenza, usa parole al miele verso l'Emirato: «Riscontriamo una grande dignità negli alloggi dei lavoratori». E non si tira indietro se c'è da sottolineare - «l'importanza delle riforme del lavoro, inclusa l'abolizione del sistema Kafala e l'introduzione del salario minimo avviate dal Qatar». Il capo delegazione del M5s in Europa le definisce «importanti tappe nel cammino di cambiamento che porteranno a una maggiore equità e al rispetto dei diritti umani».

Un vero e proprio endorsement al rinascimento qatarino. Della visita dell'europarlamentare pentastellata non c'è alcuna traccia. Né sui giornali italiani, né sulle agenzie o sulle pagine social del capo della truppa pentastellata a Bruxelles. A scovare quella visita dei tre parlamentari europei è un sito arabo. Prima dell'esplosione dello scandalo sono stati tanti i parlamentari che non si sono tirati indietro quando c'è stata l'occasione per rivolgere un elogio al Qatar. Ora però in molti restano in silenzio con il timore di essere risucchiati nel vortice politico-giudiziario. Perché quelle uscite potrebbero essere lette sotto la luce dell'inchiesta avviata dai magistrati del Belgio. Ovviamente non è il caso dell'europarlamentare grillina che non risulta coinvolta nell'inchiesta. I media parlano di oltre 60 europarlamentari al soldo di Qatar e Marocco. Uno scandalo che rischia di far tremare le stanze di Bruxelles. Il Qatar aveva buone sponde nel Parlamento Ue. E da tempo consolidava con relazioni e viaggi la rete. Al fianco della grillina rimbalza la foto di Marc Tarabella, l'eurodeputato belga di origine italiana finito nell'inchiesta sulla presunta corruzione da parte del Qatar nei confronti di eurodeputati e funzionari del Parlamento Ue.

Qatargate, tutti i legami tra Panzeri e il Marocco. Una storia lunga 11 anni. Giuseppe Guastella, inviato a Bruxelles, su Il Corriere della Sera il 17 Dicembre 2022

Qatargate, il viaggio nel 2011 a Tindouf organizzato da Rabat per «rendere credibile» l’europarlamentare arrestato a Bruxelles

Da almeno undici anni il Marocco considera Antonio Panzeri un amico importante e prezioso. Consolidatisi durante i due mandati al Parlamento europeo, i contatti sono proseguiti ancora più intensamente dal 2019 quando Panzeri ha fondato la Ong Fight impunity. Un legame che con il tempo è diventato troppo stretto al pari di quello analogo con lo stato del Qatar. Tutti e due hanno fatto finire in carcere Panzeri ed altre persone con l’accusa di aver incassato soldi e denaro in un’associazione a delinquere finalizzata alla corruzione e al riciclaggio che aveva l’obiettivo di condizionare le scelte politiche del Parlamento agli interessi dei due Stati.

Un’inchiesta delle testate beghe Le Soir e Knack ricostruisce il rapporto con il Marocco rapporto partendo da quando Chris Coleman, un hacker dal nome anglosassone ma dall’identità marocchina, tra il 2014 e il 2015 mise in rete una serie di documenti riservati di Rabat. Tra essi c’era una nota diplomatica dell’ottobre 2011 partita da Bruxelles in cui parlava di un contatto avvenuto tra un rappresentante della missione del Marocco all’Ue e l’ex parlamentare europeo italiano. Si comunicava che in un incontro informale a margine di una sessione plenaria del Parlamento a Strasburgo, «il consigliere» di Panzeri aveva portato un messaggio da trasmettere alle «autorità marocchine».

Potrebbe essersi trattato di un nomale avvicinamento del tutto legittimo nell’ambito dell’attività di un assistente parlamentare, tanto è vero che la nota aveva lo scopo di preparare la visita che due settimane dopo sarebbe stata compiuta a Rabat da Panzeri che in quel momento era presidente della Commissione Maghreb del Parlamento. Ma c’è qualcosa di più, c’è l’attenzione dei marocchini a non mettere in difficoltà l’allora parlamentare che, magari su sua scelta, fu fatto sostare in un’area in cui c’erano campi di profughi sahariani prima di trasferirlo a Rabat: «La visita di Tindouf è essenziale per rafforzare la credibilità del signor Panzeri presso l’Algeria e il Polisario» (il movimento attivo nel Sahara Occidentale) che altrimenti lo avrebbero potuto considerare troppo filo marocchino, spiegava il documento.

In un’altra nota, ma del 2013, la stessa missione diplomatica presso la Ue annunciava un piano per contrastare gli oppositori del Marocco all’interno del Parlamento con convegni, dibattiti e visite coordinando la propria «azione con il presidente della Delegazione Maghreb al PE, il signor Antonio Panzeri, amico intimo del Marocco». Dal 2019 i rapporti si trasferiscono dagli uffici del Parlamento a quelli della Figth impunity e, almeno a quanto sostiene la magistratura belga, dal primo gennaio 2021 si trasformano in un tema penalmente rilevante. Panzeri, infatti, avrebbe legato troppo con l’ambasciatore del Marocco in Polonia Abderrahim Atmoun, personaggio che si muoveva in un centro studi di Bruxelles alla cui ombra avrebbero operato i servizi segreti di Rabat.

Panzeri, la moglie e la figlia avrebbero anche inteso trasferire in Marocco attraverso il diplomatico alcuni regali che avevano ricevuto. Nelle indagini della Procura Federale ci sono parecchi incontri tra i due e viaggi fatti in Marocco di recente da Panzeri. Sono stati registrate anche frequentazioni sospette tra Atmoun e il parlamentare europeo Pd (ora dimessosi dal gruppo) Andrea Cozzolino. C’è poi il filone dei legami con il Qatar che, però, risalirebbero a tempi molto più recenti. I magistrati si stanno concentrando, infatti, su un viaggio compiuto da Panzeri nel Paese del Golfo agli inizi di novembre. Anche il questo caso, sostiene l’accusa, lo scopo del Paese era di ottenere una politica favorevole. In particolare nel dibattito sui rispetto dei diritti umani e dei lavoratori durante la realizzazione delle opere dei Mondiali di calcio.

Lunedì la moglie e la figlia di Panzeri, che sono state arrestate in provincia di Bergamo su richiesta degli inquirenti di Bruxelles, compariranno di fronte alla Corte d’appello di Brescia che deve decidere se tradurle in Belgio. Intanto le indagini in territorio italiano sul patrimonio della famiglia Panzeri — ma anche sui conti degli italiani coinvolti direttamente, come Francesco Giorgi, il compagno dell’ex vicepresidente del Parlamento Ue Eva Kaili — hanno già portato all’individuazione di somme «consistenti». Nella richiesta di consegna al Belgio delle due donne i magistrati di Bruxelles chiedono anche di sentire testimoni e individuare tutti i documenti utili alle indagini nonché altre persone coinvolte «in questa organizzazione fraudolenta».

Marco Bresolin per “La Stampa” il 16 dicembre 2022.

«Panzeri era un amico e sui di lui mi ero indubbiamente sbagliata. Ma voglio che una cosa sia chiara: non ero la sua amante». Il nome di Maria Arena è stato sin da subito accostato alla vicenda del Qatargate. 

Uno dei primi a emergere ai margini dell'inchiesta giudiziaria. Ex ministro belga, di origini siciliane, l'esponente socialista è alla sua seconda legislatura al Parlamento Ue. Nei corridoi la definiscono «una della cricca di Panzeri», alludendo - al di là dei gossip - alla sua vicinanza quantomeno politica col protagonista dell'indagine. Come dimostrano foto e video pubblicati in Rete, era una presenza fissa agli appuntamenti dell'ong "Fight Impunity", con la quale si era spesa in prima persona in una serie di attività all'interno del Parlamento.

«Conoscevo il signor Panzeri come molti altri lo conoscono al Parlamento europeo» taglia corto l'eurodeputata, infuriata perché nei suoi confronti «i media hanno costruito una presunzione di colpevolezza su chissà quali informazioni sbagliate». Maria Arena non risulta essere nell'elenco degli indagati, ma la sua attività politica e la sua vicinanza a Panzeri hanno subito concentrato l'attenzione su di lei.

 «Non sono citata in questa indagine - insiste - non ho ricevuto perquisizioni, non sono stata interrogata. Il mio nome proprio non figura». Gli uffici e la casa della sua assistente, l'italiana Donatella Rostagno, sono stati perquisiti dagli inquirenti. E per questo lei si è autosospesa «temporaneamente» dal ruolo di presidente della sottocommissione Diritti Umani, quella che il 14 novembre scorso ha ricevuto in audizione il ministro del Lavoro del Qatar. Il gruppo del Ppe ha chiesto la sua rimozione definitiva.

«Conosco la mia assistente dal 2014 perché abbiamo lavorato insieme su questioni relative all'Africa - continua l'eurodeputata -. Lei era stata chiamata da Fight Impunity nel 2021 per una consulenza di sei mesi e io l'ho reclutata nel 2022, ma non per questo, bensì per la sua esperienza sull'Africa. Le perquisizioni sono legate al periodo in cui lei ha lavorato con Fight Impunity. Ma non hanno proprio nulla a che vedere con me».

Da lastampa.it il 16 dicembre 2022.

La commissione di Garanzia del Pd ha deciso di sospendere "cautelativamente" l'eurodeputato Andrea Cozzolino, coinvolto nella vicenda Qatargate. Il provvedimento «è immediatamente esecutivo». La commissione si è riunita oggi, su richiesta urgente del segretario Enrico Letta e «i componenti hanno deliberato di sospendere cautelativamente l'onorevole Andrea Cozzolino dall'Albo degli iscritti e degli elettori del Pd, nonché da tutti gli organismi del partito di cui dovesse eventualmente essere parte. E ciò fino alla chiusura delle indagini in corso da parte della Magistratura relative allo scandalo Qatargate. 

 «Il provvedimento - che applica le norme dello Statuto del PD, del Codice Etico e del Regolamento delle Commissioni di Garanzie, e che mira a tutelare l'immagine del Partito Democratico e a consentire all'Onorevole Cozzolino (giá comunque autosospesosi dal Gruppo S&D del Parlamento Europeo) la più ampia difesa delle proprie posizioni - è immediatamente esecutivo».  

Visentini: “Donazione da Ong presa in buona fede”

Il presidente della Ituc Luca Visentini, coinvolto nell'indagine Qatargate, afferma di avere accettato «in buona fede» la donazione proveniente dalla Fight Impunity per «la campagna per il congresso di Ituc che si è svolto a Melbourne dal 12 al 22 novembre scorso». «Il sindacato internazionale riceve regolarmente donazioni per campagne e progetti da varie fondazioni e Ong - prosegue -. 

In questo caso, si trattava di un'organizzazione per la difesa dei diritti umani che collaborava col mondo sindacale, per cui questa donazione non risultava sospetta in alcun modo ed è stata accettata in assoluta buona fede. Tutto il contributo è stato utilizzato per spese trasparenti e dimostrabili. Ituc non è in alcun modo coinvolta nell'indagine».

«Stare in carcere in isolamento per 48 ore è stato terribile, sapendo di essere innocente. Essere coinvolto in questa storia è stato uno choc per me e la mia famiglia». Luca Visentini parla così della sua breve esperienza in prigione a Bruxelles. «Io sono innocente - prosegue -. Non ho mai fatto nulla in mala fede, non sono mai stato corrotto e mai avrei potuto immaginare cosa ci fosse dietro questa organizzazione. Il mio primo pensiero è tutelare la reputazione di Ituc e la mia personale».

Francesca Sforza e Francesco Grignetti per “La Stampa” il 16 dicembre 2022.

Un'unica grande conversazione a cielo aperto, la Bruxelles di questi giorni, dove la frase ricorrente è: «Si sapeva che prima o poi qualcosa sarebbe uscito». E chi lo sapeva? «Un po' tutti». Con le sue 300 missioni diplomatiche, per un totale di circa 26 mila diplomatici registrati, le numerose stanze delle istituzioni europee e della Nato, e oltre 100 organizzazioni internazionali registrate, la capitale belga è un crocevia di spie paragonabile alla Berlino della Guerra Fredda.

I primi avvertimenti della sicurezza del servizio esterno europeo risalgono al 2019: tutti i funzionari erano pregati di fare molta attenzione - si consigliava - ogni volta che si esprimevano in un caffè o in un ristorante del centro, e di preferire gli spazi aperti per le conversazioni di lavoro. L'allarme era riferito in particolare alla presenza di agenti cinesi e russi, che secondo fonti diplomatiche tedesche arrivavano a toccare quasi quota 500. Ma come ha detto recentemente a Politico un funzionario del servizio segreto belga: «Se qualcuno ha il numero preciso delle spie presenti in città faccia la cortesia di comunicarcelo».

Negli ultimi quindici mesi ai russi e cinesi si sono aggiunti i rappresentanti delle monarchie del Golfo, in particolare Qatar, Arabia Saudita e Emirati arabi uniti. «Sono in molti a vedere nella fuga di notizie uno sgambetto del controspionaggio saudita», ci dice un lobbista che preferisce non essere citato. E fa notare che comunque i funzionari del Qatar si sono mostrati incompetenti, oltre che fraudolenti: «Senza l'approvazione del Consiglio tutto quello che fa il Parlamento non è mai vincolante, in altre parole non conta».

Il problema delle spie esiste, tanto che si moltiplicano le voci che reclamano una euro-Cia, un'organizzazione cioè che coordini i 27 servizi di spionaggio nazionali come fa Europol per le forze di polizia. Le resistenze però sono diverse, ed equiparabili a quelle sollevate sul tema della difesa europea: «Non tutti hanno voglia di mettere in comune informazioni riservate e di consegnare il proprio capitale di conoscenze a un'istituzione terza», spiegano funzionari Ue.

Un passo indietro, anzi due. Che il Qatar si stesse muovendo in maniera un po' troppo spregiudicata, a Bruxelles lo avevano capito in diversi. Quale sia stata la fonte iniziale dell'indagine non è chiaro, ma i servizi segreti del Belgio a un certo punto iniziano un'attività classica. Pedinamenti, intercettazioni, perquisizioni clandestine. Lungo la strada, visto che l'inchiesta si stava strutturando su più piani e in diversi Paesi, come è d'uso, i belgi hanno chiesto la collaborazione ai Servizi collegati. Lo hanno fatto alla maniera degli 007, cioè senza raccontare più del necessario.

Per parte italiana collaborano sia l'Aisi sia l'Aise, cioè l'Agenzia interna e l'Agenzia esterna, non prima di avere avuto il via libera dal governo. Chi doveva sapere, insomma, sapeva. Anche ai piani alti del Parlamento europeo. Tra 2020 e 2022, è al lavoro una commissione presieduta dal socialista francese Raphael Glucksmann sulle ingerenze straniere nei processi decisionali europei. Procedono con molte audizioni e tanto lavoro di analisi. 

Guarda caso, quando nel marzo scorso sintetizzano i loro lavori, il Qatar è uno dei Paesi citati espressamente come esempio di ingerenza malevola. Scrivono: «Paesi come la Cina e la Russia, ma anche il Qatar, gli Emirati Arabi Uniti e la Turchia hanno investito pesantemente nelle operazioni di lobbying a Bruxelles».

C'è da considerare che queste Relazioni vengono edulcorate fino all'inverosimile. È quello che c'è dietro, che conta. Glucksmann, per dire il giorno di marzo in cui si vota la sua Relazione, dice: «Chiediamo alle istituzioni di adottare delle raccomandazioni prima che scoppi una crisi», è ora di «mettere fine all'indolenza colpevole e all'ingenuità dei dirigenti europei».

Qualche settimana dopo, arrivano a Bruxelles i membri del Copasir italiano, presieduto in quel momento dal senatore Adolfo Urso, FdI. Anche loro stanno approfondendo il tema delle ingerenze. Ascoltano i responsabili di alcuni uffici molto particolari della Commissione europea; poi incontrano i colleghi della commissione Glucksmann.

Tornano a Roma ed ecco che cosa scrivono nella loro ultimissima Relazione: «I principali attori ostili sono, come è noto, la Russia e la Cina che fanno un uso ampio dei vari strumenti di disinformazione e di ingerenza sia sul fronte interno che all'estero nei Paesi considerati nemici. Anche altri Paesi più o meno estesamente sfruttano tali strumenti. Vi sono attori che svolgono una pesante attività di lobbying presso l'Ue, come la Turchia, il Qatar, gli Emirati arabi uniti e l'Azerbaigian».

Rieccolo, il ricchissimo arrembante Qatar. Dice a denti stretti uno dei membri del Copasir: «Ovviamente, prima di prenderci la responsabilità di citare un Paese estero in un nostro documento, qualche riscontro lo facciamo». Intende dire che non si fidarono a occhi chiusi dei lavori della commissione Glucksmann, ma sentirono anche l'opinione della nostra comunità di intelligence. Le informazioni arrivarono. E a quel punto andarono avanti.

Giulia Zonca per “la Stampa” il 16 dicembre 2022. 

«Ici c'est Paris», è scritto a caratteri cubitali nel nuovo cuore di Doha, a Msheireb, dove il deserto incontra il design e dove il Comitato supremo ha piazzato il quartier generale, sede della festa per la finale ideale. In pieno Qatargate si compone la sfida Messi contro Mbappé costruita sulla rotta Parigi-Doha. Un intreccio di soldi ed emozioni che è già il ritorno di un investimento miliardario.

Il Mondiale costato 220 miliardi di euro, per rifare la nazione intera, si ripaga con un poster. Il sette volte pallone d'oro contro l'ultima meraviglia del calcio che ha già vinto una Coppa del mondo a 19 anni e potrebbe fare il bis a 23. Entrambi giocano nel Psg e nessuno dei due definirebbe l'altro compagno di squadra.

Messi ha firmato nel 2021, dopo 17 anni al Barcellona per un totale di 550 milioni da guadagnare in cinque anni. In teoria, al momento dell'acquisto record, il Psg avrebbe dovuto rispettare il tetto salariare, ma la Francia di Macron, scatenato tifoso in tribuna nella semifinale contro il Marocco, ha preferito rilassare le regole usando il Covid come scusa. Liberi tutti e non è esattamente la prima volta, proprio Parigi è stata il ponte essenziale tra il Qatar e la Fifa (ancora targata Blatter) nella sciagurata assegnazione del 2010, quella che ha portato per la prima volta il torneo in un Paese arabo ma pure la più inquisita di sempre. 

Messi e Mbappé sono il meglio del meglio e giocano sopra un terreno che ha visto il peggio del peggio. Così la partita perfetta per gli organizzatori è pure quella che racconta le contraddizioni di una competizione riuscita a meraviglia, a prezzi giganteschi. Non si parla di dollari, quelli ce li ha messi il Qatar e se li può permettere ma di sostenibilità, diritti, legittimità, per usare la parola che il calcio proprio non regge: morale. Questo sport può sempre sbandierare tutte le cose buone che fa (parecchie) e tutti gli aiuti che dà a cause benemerite (abbondanti), per giustificare il marcio che gira. 

Il Qatar ha pagato il rinnovo più caro della storia: mentre Messi incassa 41 milioni a stagione e trova metà della sua fortuna in sponsorizzazioni non legate all'attuale club, Mbappé ha un contratto intricato con clausole a salire e bonus a raddoppiare. Se gli tiene fede dovrebbe guadagnare quasi 630 milioni in tre anni, eccesso più eccesso meno, ma lui già scalpita, come ogni estate, per passare al Real Madrid. 

Forse ora glielo lasceranno fare. L'ultima volta pare che a sbloccare i dubbi residui, poi placcati d'oro, ci abbia pensato proprio una telefonata di Macron. La conversazione resta privata ma il tema era all'incirca: la patria ha bisogno di te per i suoi affari con il terzo produttore di gas al mondo. Ora la prospettiva cambia. 

Messi contro Mbappé potrebbe pure essere la coda di un'operazione sostenuta per l'immagine dell'intero Qatar. Un'enorme carissima e riuscita pubblicità. L'emiro Nasser Al-Khelaifi ha acquistato il Psg nel 2011, giusto un anno dopo l'assegnazione di questi Mondiali, per 70 milioni e adesso ipotizza una vendita con una base d'asta di 4 miliardi. Il fondo qatariota ne ha messi in circolo 1,6 in questi 11 anni.

Lo scettro dello sportwashing, quel sistema che scambia i campioni con la credibilità internazionale, passa all'Arabia Saudita che immagina un campionato con Ronaldo (subito) e Messi (a breve), che ha già il numero 10 argentino sotto contratto come uomo copertina e avanza candidature per i Mondiali 2030. Quando la finale sarà probabilmente tra due dei futuri assi del Newcastle, la squadra rilevata dai sauditi per aprirsi le porte dell'Occidente. Il Qatar insegna si gode la sua finale.

(ANSA il 16 dicembre 2022.) - "Non esiste un patto di non aggressione tra S&D e Ppe". Così il portavoce del Partito popolare europeo riguardo alle indiscrezioni su un possibile patto tra le due formazioni per fronteggiare le conseguenze del Qatargate sugli equilibri politici nell'Europarlamento e, più in generale, a livello europeo. 

"A quasi una settimana dall'inizio dello scandalo i socialisti non hanno riconosciuto il vero problema: una rete corrotta di politici e assistenti all'interno della propria famiglia politica insabbiata da dubbie Ong. È giunto il momento per loro di affrontare i fatti dello scandalo sulla corruzione del Qatar", sottolineano dal Ppe.

Estratto dell’articolo di Emanuele Lauria per “la Repubblica” il 16 dicembre 2022. 

Il terrore è sui volti di tutti. Gli esponenti delle istituzioni europee sanno che il Qatargate può sconquassare l'Unione europea. E cercano di correre ai ripari. Tanto che inizia per la prima volta a emergere una linea bipartisan per arginare lo scandalo.

Ieri pomeriggio, infatti, il nuovo presidente del Pse, lo svedese Stefan Löfven, ha incontrato l'omologo del Ppe, Manfred Weber. L'esito del colloquio è forse il più inaspettato. Al di là di una dichiarazione pubblica, Weber stringe un accordo con Löfven. I Popolari non attaccheranno il Pse sull'inchiesta. Distingueranno le responsabilità politiche da quelle personali. 

Non è una cosa da poco. Anche perché le motivazioni che sottintendono la scelta di Weber non riguardano solo un atteggiamento di lealtà tra due partiti che a Bruxelles stanno collaborando da anni. Ma concernono il pericolo che le indagini dei magistrati tocchino anche il loro partito. Nessuno, insomma, può escludere che il "caso" possa andare oltre l'esclusiva socialista.

Un modo, dunque, per ammettere che tutti si possono ritrovare sulla stessa barca.

Anche perché le scelte compiute dall'amministrazione del Parlamento europeo qualche dubbio iniziano a generarlo. 

A giugno scorso, ad esempio, il segretario generale, il tedesco di provenienza popolare Klaus Welle, ha firmato con Antonio Panzeri un patto ufficiale. Un accordo di "partenariato" con la Ong Fight Impunity. Un vero e proprio contratto che prevedeva l'organizzazione in comune di alcuni eventi con il contributo di spese e di logistica da parte dell'Eurocamera. 

Ma al di là dell'effettiva partecipazione finanziaria, l'endorsement rappresentava la più grande legittimazione interna ed esterna per Panzeri. Nonostante la sua Ong non fosse regolarmente registrata. Un benefit gigantesco.

Gli stessi fremiti di allarme hanno attraversato ieri il Consiglio europeo. Con tutti i leader impegnati a capire, nella prima parte del vertice, le conseguenze dell'"Affaire". E un incubo costante: che la macchia d'olio del malaffare possa espandersi dal Parlamento alla Commissione. Ipotesi che non solo fa rabbrividire i vertici dell'Unione europea, ma farebbe scattare un vero e proprio effetto domino in tutti i centri di potere brussellesi. […]

Estratto dell'articolo di Giuliano Foschini per “la Repubblica” il 16 dicembre 2022.  

Primo quadro: maggio del 2018. All'interno del Parlamento europeo sorridono a favore di un fotografo Antonio Panzeri, Andrea Cozzolino e Abderrahim Atmoun. Diranno: «Il Marocco e l'Unione europea hanno e avranno rapporti sempre migliori». 

Secondo quadro: hotel Mamounia, il più bello di Marrakech, tra i migliori al mondo. Antonio Panzeri stappa una bottiglia accanto ai suoi amici, alla sua famiglia che ha portato per festeggiare. L'ambasciatore ha riempito di regali le loro valige. «Mamma, come cazzo portiamo il regalo di Atmoun?» chiede la figlia.

Terzo quadro: sede della Dged, i servizi segreti marocchini. Dal ministero degli Esteri hanno chiesto informazioni su questo Panzeri che torna spesso in una serie di report diplomatici. Scrive il funzionario: «Antonio Panzeri, il nostro caro amico». 

Per leggere meglio il Qatargate, per andare all'inizio di questa storia, è necessario abbandonare il Qatar. E spostarsi in Marocco, muovendosi tra Rabat, Marrakech. E Bruxelles. Il grande scandalo è cominciato qui. [...]

Dunque: gli spagnoli avvisano i belgi. I belgi muovono i francesi e chiedono conferme, che arrivano, anche dai polacchi sul ruolo di Atmoun. Il nome di Panzeri trova sempre più forza. A quel punto i belgi provano e trovano un'interlocuzione anche con i nostri servizi. 

Ma - motivo che crea oggi molto imbarazzo, e anche delusione nei nostri apparati: sono certi che con una maggiore collaborazione, anche a livello giudiziario, si sarebbe potuti arrivare a informazioni migliori e più precise già in questa fase - quello che arriva è molto parziale: si chiedono, cioè, informazioni su Panzeri e Giorgi.

Ma senza spiegare l'oggetto della questione, senza fare riferimento al grande giro di corruzione che si sospetta. Raccolte tutte le informazioni, la Vsse, i servizi di intelligence belgi, decide di fare un blitz a casa Panzeri per capire se le dritte erano giuste. [...]

Estratto dell’articolo di Giuliano Foschini e Claudio Tito per “la Repubblica” il 16 dicembre 2022. 

Un gruppo composto da tre persone: Antonio Panzeri, Francesco Giorgi e l'eurodeputato del Partito democratico Andrea Cozzolino. Un gruppo con una «motivazione prioritaria: il lavoro con il Marocco e il Qatar in cambio di denaro. Il gruppo riceveva pagamenti per le sue attività. E nel 2019 aveva concluso un accordo per effettuare ingerenze a favore del Marocco in cambio di denaro». Parte da qui - da quello che i magistrati belgi scrivono nel decreto che ha portato all'arresto la scorsa settimana di Panzeri e Giorgi - la seconda fase dell'inchiesta del Qatargate.

Del gruppo, secondo le informazioni che i servizi belgi hanno girato alla Procura, farebbe parte un terzo uomo: Cozzolino, appunto. Che però al momento non è stato indagato perché non ci sono prove di dazioni di denaro. E, soprattutto, perché gode dell'immunità da parlamentare. 

[…] Determinante è quello che racconterà il suo assistente, Francesco Giorgi.

Nel primo interrogatorio davanti al giudice Michel Claise ha parlato per più di dodici ore, facendo saltare tutto il programma di giornata di testimonianze. In quell'occasione, Giorgi a domanda specifica su Cozzolino, cioè se Panzeri avesse mai pagato l'europarlamentare italiano, ha detto di "supporre" che uno scambio ci possa essere stato.

Ipotesi che, però, ieri il parlamentare del Pd ha respinto con sdegno. […] Cozzolino sostiene di non aver mai potuto influire né per il Qatar né per il Marocco.  E che tutte le sue mosse - come per esempio la mail, pare scritta da Giorgi, nella quale chiedeva al gruppo socialista di ammorbidire la posizione nella votazione sulla mozione contro il Qatar - sono state dettate tutte da volontà politiche. 

[…] Cozzolino si dice pronto a essere interrogato ma in questo momento i magistrati belgi nulla possono fare nei suoi confronti senza chiedere l'autorizzazione al Parlamento. Cosa che, appunto, potrebbe accadere a breve, non appena cioè la Polizia concluderà gli accertamenti sui computer sequestrati.

Ma, a questo punto, gli accertamenti non saranno soltanto dei magistrati belgi. La Guardia di Finanza ha ricevuto delega dalla procura di Milano di mettere il naso nei conti di Panzeri e Giorgi: analisi dei movimenti bancari, carte di credito, acquisti immobiliari dell'ultimo periodo sulla base del sospetto, fondato su "elementi idonei", che ci siano altre somme in Italia. […]

Estratto dell’articolo di Ma.Bre. per “la Stampa” il 16 dicembre 2022. 

«Sono frastornato». Andrea Cozzolino è a pezzi. «È tutto surreale, surreale» ripete mentre cerca a fatica di tornare a casa sua, a Napoli.

[…] «Una giornata terribile, mi sento come dentro una bolla». La giornata terribile era iniziata leggendo le indiscrezioni sul suo presunto ruolo di mediatore con i servizi marocchini. «E io sono caduto dalle nuvole», ripete al telefono. «Le prime due ore le ho trascorse cercando di tranquillizzare mia moglie». Secondo le ricostruzioni, Cozzolino avrebbe incontrato Mansour Yassine, direttore generale dei Servizi marocchini: «Ma ti pare che il capo dei Servizi segreti incontri me?». 

L'eurodeputato del Pd, che si è auto-sospeso dal gruppo dei socialisti-democratici, assicura di non aver «mai incontrato persone vicine ad agenzie o servizi di sicurezza». Insiste: «Sono del tutto estraneo alle indagini. Non sono indagato, non sono stato interrogato, non ho subìto perquisizioni». E comunque sempre «a completa disposizione dell'autorità giudiziaria per qualsiasi chiarimento».

Le ricostruzioni parlano di un suo viaggio in Marocco, durante il quale avrebbe incontrato proprio Yassine. «Devo essere sincero - ripete cercando di fare ordine - non mi ricordo di essere andato in Marocco, devo controllare l'agenda. Sono stato due volte in Tunisia, due in Algeria, ma si trattava di missioni per conto del Parlamento europeo. Io ero presidente della delegazione per le relazioni con il Maghreb e in questo ruolo tenevo i rapporti politici, non mi occupavo dei dossier tecnici». Dunque, questa la sua tesi, non avrebbe avuto possibilità di «incidere» sui file legislativi.

Oltre a quello di Yassine, Cozzolino è associato anche al nome di Abderrahim Atmoun, ambasciatore del Marocco in Polonia. «Sì, lo conoscevo» ammette. Difficile dire il contrario, visto che il marocchino ha pubblicato una sua foto a Strasburgo in compagnia proprio di Panzeri e Cozzolino. 

«Ma lo conosco solo perché era stato deputato e aveva partecipato a un incontro al Parlamento europeo». Oltre al Marocco, c'è poi il Qatar. E quella mail che Cozzolino aveva inviato ai colleghi per chiedere di votare contro la risoluzione di condanna: «Ho semplicemente seguito una linea politica. E alla fine ho votato a favore della risoluzione, anche se purtroppo questo non risulta agli atti perché si è votato per alzata di mano».  […]

Giuseppe Salvaggiulo, Monica Serra per “la Stampa” il 16 dicembre 2022. 

L'inchiesta sulla Tangentopoli europea delinea una ragnatela di corruzione creata da Antonio Panzeri quando ha fondato nel 2019 a Bruxelles, dopo la mancata rielezione, Fight Impunity. Un centro di smistamento di tangenti, provenienti da Qatar e Marocco e distribuite nel Parlamento Ue dopo essere transitate, schermate, dai conti correnti della Ong paladina dei diritti umani.

Gli investigatori belgi sospettano che della ragnatela facesse parte anche Andrea Cozzolino, eurodeputato campano del Pd, dopo che nell'interrogatorio Francesco Giorgi ha fatto il suo nome come possibile percettore di parte dei soldi. Giorgi è il trait d'union tra i due: ex assistente di Panzeri, dal 2019 lavorava per Cozzolino. L'altro nome fatto da Giorgi è quello del deputato socialista belga Marc Tarabella, già perquisito. Entrambi negano illeciti. La Procura federale cerca riscontri, valutando la possibilità di chiedere l'autorizzazione a procedere al Parlamento. 

Formalmente, la principale attività della Ong era redigere un rapporto annuale. A quello del 2021 ha lavorato anche Giacomo Bartolo, figlio di Pietro, un altro eurodeputato Pd.

«Aveva un contratto a partita Iva da circa 1.900 euro lordi mensili - spiega -. Ha lasciato dopo sette mesi perché la vita a Bruxelles era troppo cara e il lavoro non pienamente soddisfacente». Due assistenti di Bartolo, uno dei quali aveva lavorato per Panzeri, sono stati perquisiti. Il suo nome, invece, non compare nei mandati di arresto.

Per il momento sono i deputati socialisti italiani e belgi nel mirino. Ma nella ragnatela c'è «un gruppo indeterminato e molto ampio di persone dedito alla consumazione di fatti di corruzione e operante all'interno di strutture europee». Lo scrivono anche i magistrati italiani nei decreti di perquisizione e sequestro disposti sulla base dell'ordine di investigazione europeo trasmesso a Milano. Per poi sottolineare che si tratta di soggetti «con o senza legami con l'Unione europea». 

I soldi cash trovati a Bruxelles sarebbero solo una piccola parte delle tangenti. Sono sette i conti correnti italiani che ora gli investigatori dell'aliquota di pg della Gdf stanno setacciando, «perché è presumibile che il provento dei fatti illeciti sia stato trasferito sui conti bancari». Ed effettivamente, negli estratti conti consegnati dalle banche, alcuni movimenti di interesse investigativo sono già stati individuati.

Una pista su cui gli investigatori hanno appena iniziato a lavorare per ricostruire il «quadro internazionale dell'organizzazione criminale» che pagava «ingenti somme di denaro in cambio dell'attività» di eurodeputati e non solo finiti «a libro paga» dei Paesi corruttori. Giorgi ha ammesso di far parte di un'organizzazione usata sia dal Marocco che dal Qatar per intervenire negli affari europei, confermando che Panzeri ne era il capo e di aver avuto il ruolo di gestire le grandi quantità di denaro. Panzeri era considerato «amico» dai servizi di sicurezza marocchini. 

Con l'attuale ambasciatore del Marocco a Varsavia, Abderrahim Atmoun, considerato l'agente della corruzione, aveva lavorato a Bruxelles nel 2017, nell'ambito di una commissione bilaterale. Era invece tutt' altro che amico del Marocco l'eurodeputato spagnolo Miguel Urbán, eletto con Podemos. Nel maggio 2021 aveva denunciato un'intrusione notturna nella sua casa di Madrid.

Erano stati rubati due hard disk, foto di famiglia e il salvadanaio di sua figlia, ma non oggetti di maggior valore. Insospettitosi, aveva denunciato il fatto alla polizia spagnola e al servizio di sicurezza del Parlamento Ue, che aveva valutato l'episodio come sospetto in quanto frutto di «mani esperte». David Sassoli, allora presidente, aveva allertato i ministeri degli Interni di Spagna e Belgio. Anche questa vicenda è oggetto di valutazione da parte degli investigatori belgi.

Qatargate, lo scandalo mazzette investe la "maggioranza Ursula". Storia di Redazione Tgcom24 il 16 dicembre 2022. La tregua sul caso Qatargate chiesta dalla presidente Metsola e i suoi appelli a non strumentalizzare la vicenda "per questioni politiche" sono durati una manciata d'ore: lo scandalo euromazzette rischia di rovesciare gli equilibri dell'Eurocamera e far naufragare una volta per tutte la cosiddetta "maggioranza Ursula", la grande coalizione ancora al potere a Bruxelles. 

Le voci di un possibile patto di non aggressione tra popolari e socialisti sono state fermamente smentite da uno dei portavoce del Ppe, che al telefono ha accusato duramente i socialisti: "Stanno naufragando e invece di pensare a salvarsi provano a lanciarci addosso tutto ciò che gli è rimasto".

Video correlato: Scandalo Qatar-UE, nuovi sospetti (Mediaset)

La prima rottura in aula è arrivata giovedì sul voto sulla risoluzione per i diritti umani in Bahrain, Stato del Gofo storicamente avversario del Qatar e su cui il Ppe, assieme alle destre di Id e Ecr, hanno scelto di astenersi. Ma sulla decisione sono piovute le critiche dei Socialisti e di Renew Europe, che via Twitter hanno risposto: "Il silenzio del Parlamento europeo sulle violazioni dei diritti umani è esattamente ciò che le tangenti del Qatar miravano a ottenere". Ed è finito sotto accusa da parte del gruppo di Renew Europe il ruolo dell'eurodeputato ceco Tomas Zdechovsky, presidente del Gruppo di amicizia Bahrain-Eurocamera e molto vicino al governo degli emiri, scelto dai popolari proprio come relatore del testo sui diritti nel Paese del Golfo.

Dopo il voto i toni tra gli alleati si sono fatti via via più bruschi. Alle accuse sul voto sul Bahrain i popolari hanno risposto via social con rabbia. "Altro che Qatargate, questo è uno scandalo socialista", recitava un post del Ppe immediatamente diventato virale e seguito da una altro: "Si sentivano i più puliti e invece questo scandalo ha un nome e un cognome: i socialisti europei".

La scelta del Ppe di schierarsi con le destre tuttavia non è inedita. Anzi ha fatto la sua prima apparizione proprio con l'elezione del successore di David Sassoli. Roberta Metsola all'inizio di quest'anno è stata eletta anche grazie ai voti di Ecr e della corposa delegazione leghista. Il dialogo con i Conservatori - il cui partito è presieduto da Giorgia Meloni - è un dato di fatto.

A seconda di come andranno le elezioni in Spagna e Polonia, cruciali per gli equilibri europei, potrebbe attenuarsi o infittirsi ulteriormente. Per il leader del gruppo Id, Marco Zanni, "quanto avvenuto in casa dei socialisti rappresenta l'ennesimo segnale di una maggioranza giunta ormai, nei fatti, al capolinea e senza piu' alcuna ragione di esistere", ha detto. Il leghista ha più ben più di qualche sassolino da levarsi dalle scarpe. "L'evidenza ha dimostrato che la vera minaccia all'Ue da isolare con un antidemocratico e vergognoso cordone sanitario non eravamo noi", ha sottolineato Zanni, che poi ha teso la mano ai popolari: "Il Ppe, se ancora ha a cuore certi valori, batta un colpo e dia un segnale, è ora di cambiare questa Europa e noi ci siamo". Dalla casa popolare per ora silenzio, ma il messaggio, fanno sapere, è stato ricevuto. 

Il Qatargate dell’ambasciatore: «il gigante» Atmoun, le spie a Varsavia, la vera partita del Marocco. Storia di Maria Serena Natale su Il Corriere della Sera il 16 dicembre 2022. 

Dalle finestre si vede «la torta di Stalin», l’imponente Palazzo della Cultura a metà tra art déco e realismo socialista che i polacchi ebbero in dono dall’odiato leader sovietico e che oggi è un simbolo di Varsavia. L’ambasciata marocchina si trova cinque chilometri più a sud, nella verde area residenziale di Mokotów, blocchi di appartamenti moderni, ristoranti e silenziosi vialetti sulla riva sinistra della Vistola. Luogo ideale per scambi riservati e intrighi di spie da Guerra fredda. La rete di riciclaggio e corruzione che da Rabat e Doha si allungava fino a Bruxelles trovava qui un centro nevralgico. Quello che nelle prime ricostruzioni figura tra i manovratori del Qatargate arriva nel 2019. È il nuovo ambasciatore di Sua Maestà Muhammad VI, Abderrahim Atmoun.

Alto profilo, lunga navigazione politica ed esperienza internazionale con anni di relazioni strette sulla direttrice Rabat-Parigi-Bruxelles. In costante ascesa. Nato nel 1955 nella città mineraria di Khouribga, già governatore regionale e parlamentare con il partito filo-monarchico Autenticità e modernità, partecipa ai lavori della Commissione Esteri, Difesa nazionale e Affari islamici; dal 2009 guida il Gruppo d’amicizia tra il Senato marocchino e quello francese; dal 2011 presiede la Commissione parlamentare mista Marocco-Ue che si occupa di economia, rapporti bilaterali, diritti umani e lotta al terrorismo: in questa veste nel 2017 collabora con Antonio Panzeri, allora eurodeputato con S&D e presidente della Commissione del Parlamento europeo per i problemi economici e monetari. Vive a lungo in Francia e nel 2011 diventa il primo politico marocchino a ricevere la Legion d’onore, la più alta onorificenza conferita dalla Repubblica, presidente Nicolas Sarkozy.

Nel 2019 Muhammad VI lo vuole ambasciatore a Varsavia, incaricato di fare della Polonia la piattaforma diplomatica ed economica del Regno per l’intera Europa centro-orientale. Sull’altra sponda del Mediterraneo il Marocco si propone come porta d’Africa per le aziende polacche. Atmoun spinge la cooperazione a tutti i livelli e nel 2021 dopo una tessitura di mesi riesce a portare una delegazione imprenditoriale in trasferta non solo a Casablanca ma anche a Dakhla e Laayoune. Si tratta di due città sulla costa atlantica del Sahara occidentale, il territorio rivendicato dal Fronte Polisario che nel 1976, un anno dopo la fine della dominazione coloniale spagnola, proclamò l’indipendenza dal Marocco e fondò la Repubblica araba democratica dei Sahrawi, indomito popolo tribale arabo-berbero sostenuto dall’Algeria. Terra di fatto annessa per l’80% da Rabat e ricca di fosfati, preziosissimi dall’agricoltura all’industria alimentare: dopo Cina e Stati Uniti, il Marocco ne è il terzo produttore mondiale. Il più grande deposito del pianeta? Khouribga, città natale di Atmoun.

La lotta del perseguitato popolo Sahrawi è tra i dossier internazionali più delicati e causa di divisioni tra i 27 Stati Ue, con il Nord Europa schierato al fianco del Fronte e Paesi come Francia e Spagna più concilianti con il Marocco. Per la Spagna — che durante la pandemia ha comunque accolto e curato il leader del Fronte Polisario malato di Covid — esiste anche il fronte Ceuta e Melilla, le exclave fortificate che i migranti sognano di raggiungere prima di essere fermati «dall’eccessivo uso della forza» degli agenti marocchini, definizione Onu. La scorsa estate si sono scontrate sul Sahara occidentale, con ricadute sui prezzi del gas algerino, Madrid e Algeri dopo la svolta del governo di Pedro Sánchez a favore dell’ultima offerta del Regno ai Sahrawi: autonomia, non piena sovranità. L’offensiva lobbistica e le manovre di corruzione marocchine emerse con il Qatargate miravano proprio a condizionare la posizione storicamente ambigua dell’Europa che disporrebbe in realtà di forti leve economiche con entrambe le parti.

Così il vento del Sahara raggiunge le stanze di Varsavia dalle quali Atmoun può girare contatti ai servizi segreti e dove le trame dell’intelligence s’incrociano con le visite di Panzeri&Co. Le carte dell’ inchiesta citano «regali» per «l’amico» italiano provenienti dal Marocco, regali che sarebbero stati trasportati da moglie e figlia di Panzeri, entrambe attualmente agli arresti su mandato europeo. In una conversazione telefonica citata da fonti di stampa marito e moglie parlerebbero di una carta di credito a loro disposizione intestata al «gigante», Atmoun.

A che punto è l’inchiesta sul Qatargate

Un sistema che intercetta gli interessi delle capitali, si nutre delle loro divergenze per perseguire obiettivi strategici e rivela ogni giorno nuove ramificazioni. Bruxelles è il primo fornitore di aiuti umanitari ai campi profughi dei Sahrawi in Algeria e ne appoggia la lotta per l’autodeterminazione. Di fatto però non ha mai assunto un ruolo attivo nella ricerca di una risoluzione del conflitto e mantiene forti legami con il Marocco: è del 2000 l’Accordo di associazione, seguito da partnership e intese che hanno fatto del Paese maghrebino il principale destinatario di sostegno finanziario Ue nell’ambito dei programmi di vicinato. Dal 2006 l’Unione partecipa con oltre 50 tra Paesi e istituzioni al Processo di Rabat su migrazioni e sviluppo. Nel 2021 è dovuta intervenire la Corte di giustizia europea annullando due clausole dell’Accordo del 2019 sui diritti di pesca Ue-Marocco che includeva le acque di pertinenza del Sahara occidentale: secondo i giudici il testo sanciva «il diritto di sfruttamento di uno Stato occupante in un territorio riconosciuto internazionalmente non autonomo». Altra questione di massimo interesse per Rabat, il culto musulmano in Belgio — in passato Atmoun aveva gestito anche il dossier espatriati.

Negli ultimi anni sono aumentati i riconoscimenti in sede europea dei pur reali sforzi della monarchia dell’ambizioso Muhammad VI, legatissimo a Washington e agli Stati del Golfo Persico, per migliorare i propri standard sui diritti umani malgrado le persistenti violazioni della libertà di stampa e di espressione. Tra singole iniziative e spinte più o meno esplicite per ottenere graduali spostamenti nei toni e nell’approccio generale alle relazioni bilaterali si allunga l’ombra del sospetto, in questa storia la ferita più grave. In una dichiarazione congiunta del 2019 Unione europea e Regno del Marocco si dicono «uniti non solo negli interessi derivanti da geografia e storia, ma nei valori condivisi che entrambi hanno scelto di sottoscrivere. Da semplici vicini, Ue e

Hobby Lobby: missione Schengen. Edoardo Sirignano su L'Identità il 16 Dicembre 2022

L’interesse del Qatar sull’Europa parte da lontano. Stesso discorso vale per le relazioni con chi dovrebbe rappresentare il nostro continente nel più grande serbatoio di idrocarburi del pianeta. A dirlo gli stessi parlamentari della perla del Golfo Persico, in un incontro, avvenuto lo scorso marzo e a cui presi parte come inviato del quotidiano “Il Giornale”.

La richiesta della Shura: superare Schengen

In una conversazione con una delegazione congiunta di Camera e Senato, gli esponenti della Shura, l’assemblea legislativa di Doha, chiesero all’Italia una mano per quanto riguarda il superamento di Schengen. Gli uomini in “thobe” dissero chiaramente alla nostra politica: “Servono delle misure che possono aiutarci, a partire dallo spazio continentale di circolazione delle merci, che così com’è, crea non pochi problemi a chi vuole investire”. Furono gli stessi eletti e nominati dalla nobilità qatarina ad aver rivelato ai nostri portavoce l’avvio di diverse iniziative con alcuni eurodeputati per superare quel trattato base dell’Ue e di aver bisogno di un ulteriore sostegno da parte della politica nazionale, affinché nei palazzi romani si potesse istituire una commissione in grado di occuparsi esclusivamente delle questioni tanto care ai padroni del petrolio. In quella conversazione, venne spiegato ai nostri onorevoli la necessità di andare oltre lo storico visto continentale, che si sarebbe tradotto in risorse per l’Europa. Snellire un apparato burocratico complesso, secondo gli organizzatori dei mondiali, significa sviluppo e ripresa. In quel vertice, ad esempio, venne fatto più di un semplice riferimento alla moda, dove grazie all’innamoramento della moglie dell’emiro per “Valentino” si sono realizzate importanti operazioni commerciali. I sette parlamentari (sei del Movimento 5 Stelle e uno di Forza Italia), sentendosi impotenti rispetto a tali pretese, dissero di non potersi accollare una causa così grande, ma allo stesso tempo presero l’impegno di riportare il problema a chi di dovere. Ciò venne ribadito anche nel corso di una conferenza stampa, tenutasi nell’hotel Four Seasons e trasmessa in diretta su Al Jazeera. Da quel momento in poi, le pressioni sembra siano andate avanti, anche se senza alcun esponente politico di quella delegazione. La stessa macchina che organizzò la missione primaverile, si è attivata per altri confronti, che poi effettivamente si sono realizzati nei mesi precedenti all’evento calcistico più importante del pianeta, questa volta con onorevoli provenienti da tutto il continente.

Un costume diffuso

I senatori e i deputati, coinvolti nella delegazione a cui facciamo riferimento, certamente, non hanno nulla a che vedere con i fatti di corruzione degli ultimi giorni. Stiamo parlando di persone oneste, il cui unico interesse era quello di capire qualcosa in più sui tanto discussi diritti umani. Quest’incontro, però, è fondamentale per comprendere come l’interesse del Qatar per Schengen, esisteva già prima che la piccola realtà mediorientale finisse sotto i riflettori dei network per l’organizzazione di eventi internazionali. Si trattava, appunto, di relazioni antiche per superare ostacoli burocratici e trovare partnership economiche. Non è un caso che il governo di Doha sia stato uno di quelli che si è speso di più per l’Italia dal punto di vista energetico, soprattutto quando si sono chiusi i rubinetti russi a causa del conflitto in Ucraina. Un accordo, in tal senso, fu siglato dall’ex ministro degli Esteri Luigi Di Maio, amatissimo a quelle latitudini. La sua fotografia, almeno fino alla scorsa primavera, era esposta come una reliquia nei campi di lavoro destinati ai rifugiati di guerra afghani. Sono, comunque, tantissimi gli italiani, che vivono nelle “Corniche”, i grattacieli che oggi vediamo durante gli intervalli delle partite. Stiamo parlando, d’altronde, di un Paese innamorato del made in Italy.

“Un vero erede della discedenza – ci spiegarono i nobili in sandali e veste bianca – deve portare, almeno una volta ogni cinque anni, la propria moglie a spendere nelle lussuose boutique di via Monte Napoleone, così come mangiare un piatto di spaghetti o una pizza”.

Occhetto: Lo scandalo? Ho pianto per molto meno il Pd chieda scusa. Edoardo Sirignano su L'Identità il 16 Dicembre 2022

“Dopo Qatargate, sarebbe opportuno chiedere scusa. Ho pianto per molto meno”. Così Achille Occhetto, ultimo segretario del Partito Comunista Italiano, noto per le lacrime della Bolognina, simbolo di svolta per la sinistra, commenta il caso Bruxelles, che vede coinvolti diversi esponenti dell’universo dem. Il cofondatore del Partito del Socialismo Europeo, presenta due proposte al nostro giornale. La prima è indirizzata a chi vuole succedere a Enrico Letta e riguarda un atto politico comune per la questione morale, terminando così il valzer di dichiarazione . La seconda, invece, vuole mettere fine a un politica generica di difesa delle Ong.

Cosa ne pensa di Qatargate?

Non posso che pensarne malissimo. Sono particolarmente sconvolto nel vedere qualcosa che, ai miei tempi, era inimmaginabile. Non si poteva mai pensare, dopo le vicende della questione morale, che potesse avvenire un fatto più grande, che qualcuno potesse operare contro i propri valori per ottenere una funzione lobbistica o di denaro. Una mostruosità indicibile.

La sinistra, sin da Berlinguer, si è battuta per la questione morale. Poi cosa è venuto meno?

Berlinguer, nella conversazione con Scalfari, mise sott’attacco la gestione di interessi loschi, macchine di potere e clientele. In quel momento, però, non tutti furono d’accordo. Stiamo parlando di un aspetto da sempre sottovalutato. Sono stato testimone del suo tormento dinnanzi all’irrompere dei primi segnali della devastante questione morale, accompagnata dall’esigenza che i partiti, come diceva il segretario, facessero un passo indietro rispetto ai problemi di gestione. Si trattava, in sostanza, del tema riguardante un’alta riforma della politica.

Se fosse stata effettuata questa riforma, cosa sarebbe cambiato?

Non sarebbe stato necessario il doveroso intervento, come si disse polemicamente, a gamba tesa della magistratura in politica. Per capire, cosa è successo dopo la scomparsa di Berlinguer, occorre fuggire da ricostruzioni di maniera. Le cose non stavano, come si dipingono. Non si può dimenticare l’isolamento di Enrico nell’ultima fase della vita da parte di molti del gruppo dirigente. Allo scontro esterno con Craxi si sovrapponeva un durissimo conflitto interno che tendeva a presentare il segretario del Pci come un uomo superato dalla modernità. Stesso discorso vale per la sua battaglia sulla questione morale, derisa da tanti. Si parlò addirittura di manifestazione démodé. Qui va cercato il nucleo di quanto accade oggi, ovvero non è stata accolta una lezione.

Da quel momento in poi, possiamo dire che si è abbassata la guardia?

Certamente. Da quel momento in poi, è calata l’attenzione su determinate questioni.

Cosa è cambiato oggi rispetto ad allora?

La situazione, per certi versi, è peggiore rispetto a quella denunciata da Berlinguer. Ci troviamo di fronte a un problema sistemico generale. Abbiamo Paesi extraeuropei che fanno lobby attraverso la corruzione. La presidentessa del Parlamento Europeo sostiene che la democrazia è in pericolo. Ciò è grave perché significa che l’inchiesta si allargherà e dimostrerà una verità raccapricciante.

Detto ciò, perché le mele marce trovano la porta d’ingresso in una sinistra, che invece dovrebbe tenerle lontane?

Ong che dovrebbero combattere per i diritti civili, sul Qatar, capovolgono la loro vocazione. Sul piano concreto si capisce il perché, ovvero queste ultime sono volute entrare laddove c’era l’opposizione più forte. Il Pd, infatti, è stato il più duro nel combattere una battaglia. Tuttavia, anche quest’aspetto, non ci esime dall’indagare sul perché a sinistra si trovano dei figuri che imbrattano i nostri valori, contemporaneamente l’Europa, le sue istituzioni e l’Italia. Stiamo parlando di “Italian Job”.

È giusto prendersela solo con qualche collaboratore o bisognerebbe parlare di sistema radicato?

La teoria delle mele marce va superata. Si considera, purtroppo, naturale che chi ha fatto politica, chi ha avuto delle funzioni nelle istituzioni, invece, di andare in pensione e coltivare giardinaggio o cucina debba fare il lobbista. Per quanto riguarda il lobbismo dei politici, sono scandalizzato. Indipendentemente dai risvolti giudiziari, ritengo inconcepibile che una persona che abbia ottenuto notorietà e influenza, grazie al sostegno di cittadini che l’hanno votata per difendere interessi e valori, possa usare le sue funzioni per vendere gas e armi. Così non va. Il tema deve essere affrontato alla radice.

Le lacrime al congresso della Bolognina, ancora oggi, rappresentano una pagina di storia. In questo particolare momento, per cosa varrebbe la pena piangere?

Forse è bene che ciascuno possa piangere anche in privato. Il problema è dimostrare la volontà di fare atti clamorosi.

Ci spieghi meglio…

Faccio una proposta politica. Di fronte allo scempio del Qatargate, chiedo che i candidati alla segreteria del Pd, invece, di fare dichiarazioni separate si distinguano per un atto politico, si uniscano con un documento per rimettere al centro la questione morale, non parlando di mele marce, ma andando alle radici di quella visione distorta della politica e del potere, che ha fatto ad alcuni abbassare la guardia. Pur essendo composta la sinistra prevalentemente da onesti, bisogna metter mano al cesto. Si tratta di una battaglia per la vera sinistra, per i migranti, per i braccianti, quelli veri. Tante sono le realtà oneste, che a causa di pochi, sono messe in condizione di disagio. Altra proposta che voglio lanciare sulle colonne de “L’Identità” è che non si faccia più una politica generica di difesa delle Ong.

Come difenderle?

La sinistra ha il dovere di controllo, di distinguere i buoni dai cattivi. Solo così non si butta con l’acqua sporca il bambino. Serve un esame di coscienza, rivedere una politica e perché no chiedere scusa, come ho orgogliosamente fatto per cose molto meno gravi di quelle attuali. Non c’è niente di male a dire di aver commesso un errore, di aver abbassato la guardia sulla questione morale.

Stesso discorso, d’altronde, potrebbe essere fatto anche per il caso Soumahoro…

Tutto quanto ho detto in precedenza, vale anche per questa triste vicenda.

Quegli intrecci tra Panzeri e gli 007 marocchini. Le trasferte "schermo" in Sahara e i rapporti con l'ambasciatore di Rabat a Varsavia. Luca Fazzo il 17 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Prima del Qatar, i rapporti col Marocco. Ora che l'inchiesta della Procura di Bruxelles sulla presunta corruzione nel cuore del Parlamento europeo si è allargata al Paese africano, emergono nuovi dettagli sulla rete di Antonio Panzeri. Centrale per gli inquirenti sarebbe Abderrahim Atmoun, ambasciatore del Marocco a Varsavia. Al centro degli interessi del Marocco verso l'attività dell'Europarlamento soprattutto la pesca e le risorse del Sahara Occidentale, al centro di una disputa decennale con la popolazione locale saharawi. Ad occuparsi del collegamento in Belgio con l'ex eurodeputato sarebbero stati invece gli uomini della Dged, il servizio di intelligence marocchino alle dirette dipendenze di re Muhammad. Mentre il capo della Dged, Yassine Mansouri, è ora sospettato dalla procura di Bruxelles di essere un personaggio chiave dello scandalo mazzette. I quotidiani belgi Le Soir e Knack fanno peró un passo indietro e riavvolgono il nastro di questa storia fino al 2011. A quando Panzeri - che la Procura di Bruxelles definisce l'anima di «una vasta organizzazione fraudolenta» - da presidente della delegazione del Parlamento europeo per i rapporti col il Maghreb, sarebbe volato in Marocco, programmando una tappa a Tindouf, nel Sahara algerino, d'accordo con le autorità marocchine.

Una visita, quella nella capitale del popolo Saharawi, organizzata, rivelano i due quotidiani, pensata per «preservare la credibilità dell'amico italiano, già accusato di essere filomarocchino dal Fronte Polisario, che ha storici rapporti con la sinistra italiana», e che combatte per l'indipendenza del Sahara Occidentale. Le Soir e Knack citano tra virgolette documenti diffusi tra il 2014 e il 2015 da un hacker, Chris Coleman. Tra i leaks rubati c'era anche questa nota inviata a Rabat nell'ottobre 2011 dalla Missione marocchina presso l'Ue contenente la preparazione della visita di Panzeri, nelle due settimane successive, a Tindouf, dove si trovavano campi di rifugiati del popolo Saharawi. Tappa che avrebbe ricevuto l'esplicito avallo di Rabat: «La visita a Tindouf è indispensabile per rafforzare la credibilità di Panzeri presso l'Algeria e il Fronte Polisario, dopo che quest'ultimo lo ha accusato di essere pro-marocchino - è la nota pubblicata da Le Soir - Non è nell'interesse del Marocco» che Panzeri possa essere percepito «come pro-Rabat». Anni dopo, nel 2019, secondo quello che Francesco Giorgi, ex assistente di Panzeri, avrebbe confessato agli inquirenti belgi, l'ex eurodeputato si trova in difficoltà perché, dopo tre legislature di fila a Bruxelles, non viene rieletto. É allora, secondo Le Soir, che Panzeri avrebbe stretto un patto con i servizi di intelligence marocchini, attraverso l'intermediazione dell'ambasciatore di Rabat in Polonia, Atmoun.

Qatargate, Paolo Mieli: "Cozzolino? Ricordo che sulla Russia..." Libero Quotidiano il 17 dicembre 2022

Il Pd ha sospeso l’europarlamentare Andrea Cozzolino. Pur non risultando attualmente indagato, i dem hanno deciso di sospenderlo dato che il suo nome è saltato fuori all’interno dello scandalo del Qatargate. “Il provvedimento mira a tutelare l’immagine del Pd - si legge nella nota ufficiale - e a consentire all’onorevole Cozzolino la più ampia difesa delle proprie posizioni”. 

Intervenuto a Tagadà, su La7, Paolo Mieli ha fatto notare che Cozzolino “si era auto-sospeso come tutti, come Soumahoro. Questo rito dell’auto-sospensione io non lo capisco perché non comporta nulla, solo che la gente se ne sta a casa per un po’ di giorni. Vorrei ricordare che il partito socialista greco ha buttato fuori quella signora coinvolta nello scandalo non appena sono uscite le prime cose: non ha aspettato di fare questa ritualità… Il caso di Cozzolino è però doppiamente importante: non hanno aspettato che lo arrestassero o trovassero banconote”. 

“Ma sono venuti fuori elementi imbarazzanti”, ha sottolineato Mieli, che ha poi ricordato anche un altro aspetto che riguarda l’europarlamentare dem: “Cozzolino era uno di quei parlamentari che sulla Russia si fecero venire insofferenze un mese fa, quando persino il M5s si limitò ad astenersi al Parlamento europeo, mentre lui se non ricordo male votò contro”. 

Retorica a pagamento. Le "mazzette" del Qatar raccolte dai fondatori di una Ong dal nome fatidico "Fight Impunity" fanno il paio con l'avviso di garanzia alla compagna del deputato del Pd, Aboubakar Soumahoro. Augusto Minzolini il 16 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Le «mazzette» del Qatar raccolte dai fondatori di una Ong dal nome fatidico «Fight Impunity» (combatti l'impunità), vicina alla sinistra, per coprire l'assenza di democrazia e di diritti in quel Paese, fanno il paio con l'avviso di garanzia alla compagna del deputato del Pd, Aboubakar Soumahoro, per la gestione della cooperativa per migranti dal nome altrettanto enfatico, «Karibu», che in lingua swahili significa «benvenuto». Un nome che però cozza con l'accusa di sfruttamento alla base dell'indagine che la riguarda.

In entrambi i casi, infatti, si usano purtroppo delle buone cause e dei giusti valori per specularci su o, peggio, per fare l'esatto contrario di ciò che si professa. Lo dico senza polemica, ma anzi con una punta di rammarico: è l'altra faccia del «buonismo», quando il «buonismo», come avviene spesso al mondo d'oggi, si trasforma in un'ideologia.

Ci sono parole ed espressioni potenti che si trasformano in lasciapassare per mettere in piedi qualsiasi cosa per supposte battaglie ideali, sulle quali c'è però il rischio che qualcuno lucri. I diritti umani, i migranti, la difesa delle libertà, l'ambientalismo, la pace, l'Europa, addirittura la lotta alla mafia (basta ricordare l'inchiesta sulla gestione dei patrimoni sequestrati alle cosche che ha coinvolto un giudice a Palermo): sono tutti temi che vengono avvolti da una spessa patina di retorica che impedisce di distinguere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato. Basta la patente di combattente per una buona causa, spesso indefinita, per diventare intoccabili, per trasformarsi in entità su cui è addirittura peccato nutrire dubbi o riserve. È lo stesso meccanismo alla base di quei banchetti che incontri agli angoli delle strade, dove ti chiedono «una firma per la lotta alla droga», tema sul quale è difficile non essere d'accordo, accompagnata poi dalla richiesta di un obolo di cui non è chiara la destinazione.

Ora, naturalmente, sarebbe sbagliato gettare il bambino insieme all'acqua sporca, ma è anche vero che di certe filippiche che si sentono in tv, di certa retorica a buon mercato che impera nei «talk show», di certo buonismo basico e a volte persino banale che caratterizza alcuni corsivi da quotidiano, si potrebbe pure fare a meno. Anche perché la realtà - come ci ricordano le cronache di questi giorni - è ben più complessa di come si presenta. Per cui i dubbi non sono solo leciti, ma a volte anche funzionali ad evitare pericolosi miraggi che arrecano danni irreparabili a quegli stessi valori che si vorrebbero difendere. Soprattutto bisognerebbe fare a meno di quella retorica, che a volte sconfina nell'ipocrisia, parente stretta di certo buonismo. La verità è che le buone cause si servono con una buona dose di pragmatismo, di realismo e di apertura al confronto, perché le belle idee che si trasformano in ideologia a volte rendono ciechi. È la triste storia del secolo breve.

Il dito, la luna, il Qatar e la Russia. Il deep state autoritario internazionale e la corruzione legale dell’Occidente. Carmelo Palma su L’Inkiesta il 14 Dicembre 2022.

La potenza economica delle non democrazie è cresciuta così rapidamente che oggi possono comprarsi progetti di ricerca, cattedre universitarie, testate giornalistiche, influencer. E non lo fanno lungo le linee del mondo privato, ma con l’infiltrazione pubblica

Del caso Panzeri & Co. penso che l’essenziale – di cui discutere, su cui interrogarsi, di cui davvero preoccuparsi – non stia nel sospetto o nell’accusa di corruzione (ancora tutta da dimostrare) nei confronti degli indagati, arrestati o a piede libero, di un’inchiesta che, anche se non fosse condotta da un magistrato belga incolpevolmente paragonato, da un giornale italiano, ad Antonio Di Pietro, meriterebbe comunque di essere presa con le pinze e nei dettagli, non con la pala e all’ingrosso.

Questo purtroppo si è però abituati a fare in un Paese, che ha un’idea della giustizia costruita sul paradigma di Tangentopoli e in cui la flagranza di reato di uno diventa, per proprietà transitiva, una prova di colpevolezza per tutti e dove comunque, come disse un famoso maître à penser di Mani Pulite, non esistono innocenti, ma solo colpevoli che non sono ancora stati scoperti.

Antonio Panzeri, Eva Kaili e tutti gli altri accusati di avere parlato e fatto parlare bene del Qatar dietro laute e non dichiarate ricompense sono il dito – forse penalisticamente sporco, forse no: deciderà un giudice a Bruxelles – di una luna cattiva, ma irraggiungibile per via giudiziaria, rappresentata dall’enorme potere di condizionamento che gli Stati canaglia (al diverso grado di canaglierìa di ognuno) possono esercitare legittimamente e illegittimamente, legalmente e illegalmente, per determinare e propiziare il consenso delle opinioni pubbliche dei Paesi liberi o supposti tali.

È fenomeno che in Italia ha avuto una manifestazione letteralmente mostruosa rispetto alla Russia di Putin, per quasi un ventennio nobilitata e legittimata – gratis et amore Dei, non c’è dubbio – dai vertici dell’establishment politico e economico italiano (dico Romano Prodi e Silvio Berlusconi, mica Marco Rizzo e Giuliano Castellino), molto prima delle frequentazioni dell’Hotel Metropol da parte di Gianluca Savoini per trattare, a quanto pare per finta, la cresta sulle forniture di idrocarburi.

La stessa cosa, mutatis mutandis, ma molto più in piccolo, anzi in piccolissimo, può pure dirsi del Qatar, che ha conquistato i Mondiali di calcio senza neppure far troppo finta di non essere quello che era.

La potenza economica delle non democrazie nel mondo è cresciuta rapidamente negli ultimi decenni. Gli investimenti produttivi, finanziari e pubblicitari di società statali e non statali legate al deep state autoritario internazionale sono sempre più determinanti per l’economia dell’Occidente.

Possono comprarsi o, per così dire, affittare legalmente progetti di ricerca, cattedre universitarie, testate giornalistiche, istituzioni culturali, think tank, opinion leader, influencer e qualunque altra cosa faccia successo e immagine senza bisogno di riempire le valigette di euro in nero, che a Bruxelles sarebbero state trovate a casa di alcuni indagati. E così stanno facendo, con notevole e indiscutibile successo.

La luna che gli stolti non vogliono vedere è che la penetrazione degli Stati canaglia nel soft power del potere occidentale non viaggia lungo le linee della corruzione privata, ma dell’infiltrazione pubblica. Ed è un problema enorme per società e economie aperte e quindi esposte anche a questa forma di cattura ideologica, prima che corruttiva, che può trovare argini effettivi solo sul piano politico-culturale, non su quello repressivo-giurisdizionale.

Pensare di fermare questo fenomeno spiando le vacanze di questo e di quell’altro politico o lobbista non dichiarato è, nella migliore delle ipotesi, un’illusione ingenua e nella peggiore, e più frequente, una forma di cattiva coscienza.

Lo vediamo quotidianamente a proposito della guerra russa all’Ucraina, in cui senza bisogno di dazioni illecite e di mazzette nascoste un pezzo dell’informazione e della politica italiana si è fatta da dieci mesi altoparlante della propaganda moscovita, del «non ci sono prove che…», «però la Nato si era allargata troppo», «la Crimea è sempre stata russa» e «…ma in Donbass era in corso un genocidio». Il «non si dica che Putin non vuole la pace», cioè il refrain gratuito della campagna elettorale di Conte, mentre il famoso pacifista del Cremlino faceva crimini a livello di Srebrenica, è stato molto più invasivo e epidemico delle timide difese dei progressi del Qatar da parte degli eurodeputati socialisti, indiziati di avere difeso a gettone le condizioni di lavoro degli immigrati impegnati a costruire gli stadi per i Mondiali di calcio.

Purtroppo la corruzione politica dell’Occidente – quella che davvero costa, pesa e determina gli esiti delle elezioni, non i viaggi premio dei promoter – è oggi legalissima, perché è indissolubilmente connessa al funzionamento e alla fragilità del mercato politico e mediatico delle nostre democrazie. Questo sarebbe un bel tema di cui discutere, se l’Italian connection di Bruxelles non fosse diventata la nuova forma di scopofilia giudiziaria da cui la politica e l’opinione pubblica italiana non sembra avere intenzione di guarire.

La dispercezione sulla gravità del pericolo e del fenomeno, unita alla perversione guardonistica che fa apparire esistente e vero solo ciò che trova spazio nelle aule dei tribunali, è proprio ciò che ha portato negli scorsi anni a considerare come un atto di folklore la sfilata di Matteo Salvini e dell’attuale presidente della Camera Lorenzo Fontana con le magliette pro Putin nell’aula del Parlamento europeo e porta oggi a spiare con trepidazione e allarme le email riservate pro Qatar di Andrea Cozzolino.

Chi parla bene di Putin, chi traduce in italiano i dispacci della propaganda moscovita, chi spiega che di questo Zelensky e del suo regime nazisteggiante proprio non ci possiamo fidare, può tranquillamente fare il Savonarola contro gli accusati e arrestati di Bruxelles. Rimaniamo un Paese così, a misura di Fatto Quotidiano.

Anacronistiche ossessioni. Anche a sinistra ci sono politici di debole tempra morale, ma non c’è nessuna «questione». Francesco Cundari su L’Inkiesta il 17 Dicembre 2022.

Cosa c’entra il caso Soumahoro con il Qatargate? E cosa c’entrano passati e presenti episodi di corruzione o malversazione con Berlinguer, il Pci e il mito della diversità comunista? Non ha senso commentare l’attualità con il lessico di un’altra epoca

Da giorni sulla stampa e in tv si continuano a mescolare, come fossero due facce della stessa medaglia, l’inchiesta internazionale sulle influenze esercitate dal Qatar nel Parlamento europeo, che ha coinvolto diversi parlamentari ed ex parlamentari del gruppo socialista, e il caso che riguarda la cooperativa gestita da moglie e suocera del deputato eletto con Sinistra e Verdi Aboubakar Soumahoro. Non stupisce che sia la destra a mettere vicende così diverse sullo stesso piano, per farne il piedistallo da cui potersi scagliare contro tutti i suoi bersagli preferiti, dalla sinistra alle ong, dai migranti ai burocrati di Bruxelles. Stupisce che lo facciano la stampa, gli opinionisti e gli intellettuali progressisti. Ma forse non dovrebbe stupire neanche questo.

Da quasi mezzo secolo, ogni mattina, quando si alza il sole, un editorialista si sveglia e sa che non importa quanto grave, esteso o circoscritto, epocale o microspico sia l’episodio comparso in cronaca giudiziaria riguardante un qualche politico di sinistra: da quel momento, volente o nolente, dovrà cominciare a scrivere un commento sulla «questione morale». Dovrà citare due righe da quella lunghissima intervista di Enrico Berlinguer a Eugenio Scalfari di ormai oltre quarant’anni fa, dovrà ricordare sempre gli stessi bolsi aneddoti sul mito della diversità comunista, sui militanti di una volta che preparavano tortellini e salamelle alle feste dell’Unità, se necessario allargare il quadro alla pera di Luigi Einaudi e al cappotto rivoltato di Enrico De Nicola, e chiudere quindi con «altri tempi!» o una qualsiasi analoga esclamazione.

Confesso di avere partecipato anch’io, infinite volte, a questo strano rito collettivo, manifestando le mie personali riserve sul valore dell’intervista di Berlinguer a Scalfari e ancor di più sul modo in cui nel corso del tempo è stata enfatizzata e dilatata, fino a catturare e deformare l’intera figura di Berlinguer (uomo politico che, nel bene e nel male, ha fatto e detto parecchie altre cose, assai più rilevanti) utilizzandolo di volta in volta per regolare tutt’altri conti. Resta per me ad esempio indimenticabile come, ai tempi del caso Unipol e della scalata alla Rcs, i grandi giornali evocarono la memoria del segretario del Partito comunista italiano quale icona della separazione tra politica ed economia, confondendolo forse con Milton Friedman. Ma anche questo, già allora anacronistico, è un dibattito di quindici anni fa.

Quante volte ancora dovrà finire questo mito della diversità comunista? Quante volte ancora dovrà essere infranto questo secolare tabù? L’intervista sulla «questione morale» è di quarant’anni fa, il Partito comunista non esiste più da trenta, non è possibile che di fronte a ogni piccolo o grande caso di corruzione, malversazione, malaffare, ogni volta, dobbiamo fare ricorso a un lessico famigliare del secolo scorso, che non ha più nessuna relazione con il presente, e che paradossalmente, anche quando è utilizzato per criticare quella presunzione di superiorità, finisce per alimentarla e confermarla, come se non soltanto i comunisti dovessero essere per principio immuni da qualsiasi tentazione, ma persino i loro discendenti, fino alla settima generazione. Così da giustificare, ogni volta, un nuovo dolente dibattito tra politici e giornalisti, e naturalmente attori, registi e cantautori, tutti lì a parlarci del trauma rappresentato per loro da questo o quello scandalo, e delle sofferenze del popolo della sinistra, e della mutazione genetica dei suoi dirigenti, e della perdita dell’innocenza (ma anche questa benedetta innocenza: quante volte la vogliamo perdere? Quand’è che ci possiamo rassegnare, metterci una pietra sopra e rifarci una vita?).

Siamo forse tutti abbastanza grandi, ormai, per riconoscere che ci sono i ladri, ci sono i farabutti, ci sono politici corrotti o comunque di debole tempra morale, anche a sinistra, e non solo tra quelli che ci stanno antipatici, ma non c’è nessuna «questione» che tenga insieme vicende tanto disparate, passate e presenti.

Il “Qatargate” è uno squallore, ma Panzeri e soci non sono mostri. Il fatto che le persone coinvolte appartengano alla sinistra stupisce solamente gli elettori di sinistra...Daniele Zaccaria Musco su Il Dubbio il 16 dicembre, 2022.

Le valigie con il milione e mezzo in tagli da venti e cinquanta euro nascoste sotto il divano, i viaggi regalo negli hotel a cinque stelle di Marrakesh, le bottiglie di champagne, le vacanze sfarzose, gli yacht, l’abbronzatura, i selfie tutti sorrisoni bianchissimi sullo sfondo di scorci mozzafiato.

Le istantanee del “Qatargate”, che i media vogliono descrivere come un’apocalittica spy story, addirittura un attacco al cuore della democrazia europea, ricordano molto più la trama sbrindellata di un cinepanettone.

Con al centro una combriccola di provinciali arricchiti che si perdono e si trastullano nell’ebrezza del lusso e dei soldi facili fino a quando, poi, non finiscono nei guai. Climax inevitabile.

Come l’ex sindacalista Antonio Panzeri, passato dalla camera del lavoro di Milano dove era soprannominato “il panzer” ai bordo piscina degli emiri del Golfo, roba da far perdere la testa. Ci vedresti bene Renato Pozzetto nei panni di un personaggio del genere, che poi è una delle tante versioni del paraculo, un po’ ruffiano e un po’ mitomane che ha fatto le fortune della commedia all’italiana, lo specchio distorto delle pubbliche virtù che riflette i nostri vizi privati. E in effetti da chi gravita attorno all’Europarlamento, specie da chi ha un mandato popolare, ci si aspetterebbe che le istituzioni europee non vengano usate come un autobus per rimpinguare il conto in banca.

Il fatto che le gran parte delle persone coinvolte nello scandalo appartenga a partiti di sinistra stupisce soltanto gli elettori di sinistra ancora convinti di esercitare una qualche superiorità morale sulla società ed è una manna per la narrazione della destra, che può speculare all’infinito su quanto gli amici del popolo siano lontani dal popolo e le ong che aiutano i migranti un covo di ipocriti e squallidi affaristi che si arricchiscono alle spalle dei poveri diavoli. Questo elemento simbolico conta più di ogni altra considerazione nella percezione mediatica del “Qatargate” perché il contrasto tra predicare e razzolare è accecante.

Va da sé, anzi, dovrebbe andare da sé che nessuna delle persone finora coinvolte è stata condannata da un tribunale, che al momento non ci sono imputati formali e che l’unico europarlamentare indagato è la socialista greca Eva Kaili, attualmente in custodia cautelare in un carcere belga per decisione del procuratore-sceriffo Michel Claise.

I media dicono che l’affaire è destinato ad allargarsi, che ad esempio sarebbero almeno sessanta i deputati europei contattati dai servizi segreti marocchini per aver in cambio non si sa quali favori. «A libro paga!», titolano intanto le edizioni online dei principali giornali anche se i magistrati devono ancora definire i contorni dell’ingerenza di Rabat.

Ma anche nel caso fossero riconosciuti colpevoli al termine di un processo gli eventuali reati commessi dalla combriccola non sembrano andare oltre la frode fiscale (l’unica evidenza è che quei soldi non sono stati dichiarati). Panzeri è soci non hanno infatti stornato fondi pubblici destinati alla costruzione di strade, scuole e ospedali e fino ad ora non si ha notizia di benefici concreti ottenuti dai loro generosissimi finanziatori se non un generico ritorno di immagine.

In un discorso pronunciato nell’emiciclo di Strasburgo Eva Kaili aveva pronunciato parole di grande elogio nei confronti del Qatar, «paladino dei diritti dei lavoratori» se confrontato agli emirati confinanti, salutando la decisione della Fifa di assegnare a Doha i Mondiali di calcio 2022 e bacchettando l’occidente e il suo sguardo “coloniale” nei confronti dei paesi arabi. Intervento imbarazzante alla luce dello scandalo, ma Kaili non ha influenzato nessuna scelta politica, non ha orientato nessuna assegnazione, nessuna votazione.

Avrebbe solo intascato una cospicua somma per “parlare bene” dei suoi facoltosi sponsor. Anche perché nella maggior parte dei casi il lobbismo funziona proprio in questo modo, quasi come un investimento a fondo perduto per avere in cambio un vago ritorno di immagine. In Paesi come l’Italia o la Francia e in parte la Germania il lobbista viene associato automaticamente a una figura losca e traffichina che persegue interessi privati contrapposti al bene generale. Nel mondo anglosassonee così anche all’europarlamento invece è un ruolo regolamentato, con tanto di status ed è considerato come espressione di parte ma legittima della società civile.

Mani pulite a Bruxelles (ma più crudeli). Scandalo Qatargate, la figlia di Eva Kaili e Francesco Giorgi usata per ricattare il papà. Piero Sansonetti su Il Riformista il 16 Dicembre 2022

Il Qatargate si sta trasformando in un Marocco-gate. Cambiano i nomi ma anche un po’ la sostanza. Il Marocco non è il Qatar, i diritti umani, in Marocco, sono considerati in modo diverso. Non penso che sia uno stato con un grado di democrazia uguale a quello delle democrazie europee, ma quasi. Dico che cambia la sostanza perché una cosa è prendere soldi per fare propaganda a una orrida dittatura, una cosa diversa è se il committente della lobby è un paese democratico.

Vedremo. Anche perché prima o poi dovranno pur dirci di quale reato sono accusati Panzeri, Giorgi e la deputata Kaili. Per ora c’è ancora nebbia fitta sul reato. Sappiamo solo che è considerato così grave che si è deciso di tenere tutti in carcere, senza concedere i domiciliari almeno ad uno dei genitori di una bambina di 22 mesi. Non ha ancora due anni Ariadni, la figlia dell’on. Kaili: sicuri che è necessario privarla sia del papà che della mamma? In genere in questi casi si cerca di lasciare almeno uno dei due genitori, possibilmente la madre, ai domiciliari, anche in presenza di reati certi e magari molto più gravi di quelli che forse saranno poi contestati alla coppia diabolica.

La politica – come si dice con termine generico e moderno – non è affatto interessata a questi dettagli. La sentenza l’ha già emessa con decisione unanime e non ritiene di doverla correggere. Sono una coppia diabolica e basta, anzi un terzetto diabolico, e anzi, a quanto pare, un’associazione a delinquere di almeno 60 persone diabolica. Perché 60? Perchè si dice così, circola questo numero e i giornali lo pubblicano. 60 deputati corrotti per parlare bene del Qatar. Il peggior scandalo politico – dicono – di tutti tempi. Altro che i miliardi dati alla Libia per imprigionare, torturare e talvolta uccidere i migranti che cercano di raggiungere l’Europa. O gli ulteriori miliardi concessi – allo stesso scopo – al governo di Erdogan. Quella è politica, è realpolitik, non è scandalo. Parlar bene di un regime totalitario è una cosa vergognosa, finanziarlo e spingerlo a uccidere è saggezza e prudenza. La sinistra italiana è allineatissima su questa posizione. del resto è proprio la sinistra che firmò ed esaltò l’accordo coi libici, no? Non c’è differenza apprezzabile tra le dichiarazioni dei dirigenti del Pd e i titoli scandalizzati dei giornali della destra.

Inutile dire che in questo clima nessuno ha voglia di sollevare qualche obiezione su come le indagini sono state svolte. Chi le ha condotte? I servizi segreti belgi. Già. Non ci credete? Sì, anche per me è una cosa stupefacente e confesso la mia ignoranza. Non sapevo che esistessero dei paesi europei dove i servizi segreti possono svolgere indagini e persino effettuare perquisizioni senza autorizzazione della magistratura. Gli 007 italiani ora dichiarano che c’erano anche loro. Speriamo che, come spesso gli succede, mentano. Sapevo che in passato queste cose le faceva l’Ovra, la polizia fascista, e il Kgb in Russia, e la Stasi nella Germania dell’Est. Immaginavo che fossero pratiche del passato. E non sapevo nemmeno che esistessero paesi dove si possono arrestare i deputati. Dicono gli esperti: la Kaili è stata arrestata sebbene godesse di immunità parlamentare perché è stata colta in flagrante. Che vuol dire in flagrante? In flagranza di reato. Ma come si può stabilire se c’è flagranza se ancora non si sa neppure quale sia il reato?

Sì, il clima è quello che noi italiani abbiamo vissuto ai tempi di Tangentopoli. Però le illegalità sono più gravi e l’accanimento furioso è maggiore. Anche i metodi sono cambiati. In peggio. Non credo francamente che Di Pietro e Colombo avrebbero negato i domiciliari a una mamma che ha una bambina di 22 mesi, la quale bambina, oltretutto, ha anche il papà in prigione. E mi pare di aver capito che il papà è stato indotto a parlare, e forse a confessare, con la minaccia di una lunga carcerazione e dunque dell’abbandono di Ariadni. Non ricordo nessuna indagine giudiziaria nella quale un neonato sia stato usato come arma di ricatto contro i genitori. Non so se i politici italiani, così indignati per Panzeri, siano altrettanto indignati per questo uso infame di un bambino. Non mi risulta che siano state presentate interrogazioni parlamentari. la cosa lascia tutti indifferenti. Per me è una mascalzonata senza precedenti.

Il Qatar-Gate comunque ha squadernato un problema che nessuno vuol vedere. Quello delle lobby. Delle lobby buone e delle lobby cattive. Di quelle regolate, come in America, e di quelle non regolate, come in molti paesi europei.Cosa sono le lobby? Una forma di organizzazione politica che ha sostituito i partiti, i sindacati, quelli che i politologi definiscono i corpi intermedi. Una volta la lotta politica, e la difesa degli interessi, era affidata ai partiti e ai sindacati. I quali rappresentavano interessi di classe, o di ceto, o di genere, o anche di gruppi sociali più o meno grandi. La sede nella quale gli interessi venivano esposti, analizzati, e poi posti sul tavolo della contesa, era quella della battaglia politica. Lì si misuravano i rapporti di forza, le capacità di influenza dei singoli partiti, e anche i rapporti tra interessi di gruppo e interesse generale, nazionale.

Poi, via via, soprattutto negli ultimi anni, i partiti si sono indeboliti sempre di più, anche per via delle varie iniziative populiste e reazionarie (guidate dai 5 Stelle ma con il consenso o la rassegnazione di tutti) che ne hanno limitato i diritti e i finanziamenti; e gli interessi hanno preso altre strade: le lobby. Le quali addirittura, come vediamo ora, sono riuscite a diventare protagoniste non solo della politica economica e della vita interna, ma anche della politica internazionale.

Qual è la differenza tra le lobby e i partiti? I partiti sono democratici e sono il nerbo della democrazia. Le lobby non hanno nulla di democratico. Sono solo strumenti dei gruppi, o degli stati, e in ogni caso dei più forti. La decadenza della nostra democrazia ha molto a che vedere con questo mutamento. I partiti erano un esercizio quotidiano di democrazia diretta e rappresentativa. Ma i partiti, e la nostra fragilissima intellettualità, oggi non sono in grado di accorgersene. Tantomeno è in grado la rete ormai rinsecchita dei giornali e dei mass media.

Piero Sansonetti. Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.

Come ai tempi di Mani Pulite. Visentini: ho preso i soldi però li ho versati al sindacato. Il leader della sigla Ituc: "Ricevetti in buona fede le donazioni da Panzieri". Luca Fazzo il 17 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Ci sono la Russia, la Bielorussia, l'Iran, l'Afghanistan e il Myammar. Nell'elenco dei Paesi che il mese scorso il congresso mondiale dell'Ituc a Melbourne richiamò con una risoluzione al rispetto dei diritti umani e dei lavoratori brilla un assenza: il Qatar. La potente organizzazione sindacale internazionale, che raduna 388 sigle di centinaia di paesi, è sembrata dimenticarsi di uno dei temi più caldi: le condizioni di sfruttamento della manodopera nei cantieri dei Mondiali di calcio.

Ora quella dimenticanza pesa inevitabilmente sulla figura di Luca Visentini, sindacalista della Uil che nel congresso di Melbourne venne eletto segretario generale della Ituc, arrestato il 9 dicembre a Bruxelles insieme all'ex eurodeputato Antonio Panzeri e ad altre tre persone.

Visentini è stato scarcerato dopo l'interrogatorio, e ieri ha rilasciato una intervista all'Agi definendo «terribile» il periodo trascorso in prigione e fornendo la sua spiegazione sui soldi ricevuti da Fight Impunity, la ong di Panzeri al centro del Qatargate: una «donazione» di diverse migliaia di euro, utilizzata secondo Visentini per i bisogni dell'Ituc, «il sindacato internazionale riceve regolarmente donazioni per campagne e progetti da varie fondazioni e Ong, questa donazione non risultava sospetta in alcun modo ed è stata accettata in assoluta buona fede. Tutto il contributo è stato utilizzato per spese trasparenti e dimostrabili».

Gli inquirenti belgi, a quanto pare, hanno preso in parte per buona la spiegazione, e hanno liberato Visentini (che però risulta essere ancora sotto inchiesta). Ma la spiegazione fornita non dissipa i dubbi sui rapporti tra Panzeri e Visentini. Anzi. Perché nello statuto della ong dell'ex eurodeputato Pd non figura in alcun modo tra le spese sociali il sostegno di colossi sindacali come l'Ituc. E perché nei documenti dell'Ituc è palpabile - anche se nell'intervista Visentini cerca di negarlo - l'atteggiamento benevolo verso il Qatar. Non c'è solo la dimenticanza nei documenti congressuali. C'è un testo dell'ottobre precedente di ossequio quasi comico al Qatar che metterebbe in campo «leggi sul lavoro e un moderno sistema di relazioni industriali». Un testo assai simile a quello pubblicato pochi mesi prima a firma di Panzeri sul sito di Fight Impunity.

Di fatto attraverso Panzeri una parte dei fondi stanziati dal Qatar per addomesticare il parlamento europeo arrivano, tramite Visentini, nelle casse del sindacato internazionale, e ottengono il medesimo risultato. A ottobre, quando viene diffuso il benevolo rapporto Ituc, Visentini non è ancora segretario generale. Ma è a capo della sezione europea ed è in stretti rapporti con la segretaria Sharan Burrow che il mese dopo sarà tra i suoi sponsor nella vittoriosa battaglia per la leadership contro il turco Kemal Ozkan, sostenuto dai potenti sindacati tedeschi.

È dunque uno scenario sempre più tentacolare quello che viene ricostruito delle attività della ong di Panzeri (il cui co-fondatore Gianfranco Dell'Alba ieri si dissocia platealmente, «Panzeri è come mister Hyde»): addomesticare gli eurodeputati non bastava, serviva tenere buoni anche i sindacati internazionali.

Intanto l'australiana Alison Smith, moglie e collaboratrice del segretario di No Peace Without Justice Niccolò Figà Talamanca, anche lui arrestato, diffonde un comunicato: «Siamo certi della correttezza del suo operato. Verrà scagionato da ogni addebito».

La giustificazione che non regge. Esiste la "modica quantità" di consumo di stupefacenti. Non sapevamo però vi fosse il principio di "modica mazzetta". Marco Gervasoni il 17 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Esiste la «modica quantità» di consumo di stupefacenti. Non sapevamo però vi fosse il principio di «modica mazzetta». Eppure il sindacalista Luca Visentini, indagato ma scarcerato nell'inchiesta Qatar, si giustifica dicendo che avrebbe usufruito solo di una «modica donazione» da parte della ong di Panzeri, poi utilizzata per il sindacato. Non siamo giustizialisti mozzaorecchi o moralisti un tanto al chilo, perciò: 1) I soldi in politica sono indispensabili 2) Siamo per il sistema statunitense, ognuno doni a chi vuole e nelle quantità desiderate, purché pubblicamente 3) Visentini, così come Panzeri e gli altri, sono da considerare innocenti fino a condanna definitiva. Ma ci preoccupa un po' l'idea, emergente a sinistra per confondere le acque, che si debba distinguere tra coloro che hanno accettato finanziamenti per il bene del partito (o del sindacato) e invece quelli che li avrebbero utilizzati per vacanze da 9000 mila euro a persona. Da un punto di vista penale non vi sarebbe differenze, ma da quello etico-politico si. Ciò fa il paio con la proposta di un parlamentare dem di ripristinare il contribuito statale ai partiti, in nome del ritorno della supremazia della politica. Eh no, altro che supremazia della politica. Prima di tutto, i partiti dei tempi di Tangentopoli non esistono più: oggi sono agglomerati di correnti o organizzazioni al servizio del capo. Che comunque costano, anzi forse più dei vecchi partiti di massa. E finanziarli in maniera illegale nulla ha a che vedere con la politica. In secondo luogo, i post comunisti utilizzano ora lo stesso refrain dei partiti della prima repubblica: rubavamo, ma per il partito, non per noi. A parte che, come lamentava già allora Rino Formica, «il convento è povero e i frati sono ricchi», chi è in grado di raggranellare, in maniera non trasparente, il maggior numero di risorse economiche, è anche quello che è in grado di condizionare la vita del partito: quindi si ritorna al prevalere della corrente e del capo, altro che supremazia della democrazia. Infine, a proposto di etica, qui non si tratterebbe di mazzette sui lavori pubblici ma di ingenti flussi di denaro da Stati dispotici, che praticano la violazione dei diritti più elementari, delle donne ma anche dei lavoratori. Il sindacato finanziato da regimi che trattano gli operai come gli antichi egizi gli schiavi. Compagni, trovate un argomento migliore.

LA LETTERA DOPO L’INCHIESTA DI DOMANI. Non solo Qatar. Gli eurodeputati chiedono chiarezza alla Commissione sul caso Heiko von der Leyen. FRANCESCA DE BENEDETTI su Il Domani il 16 dicembre 2022

Su conflitti di interesse, influenze improprie e porte girevoli, è il momento di fare chiarezza in tutte le istituzioni europee. Anche Ursula von der Leyen non può esimersi: è questo il messaggio che un gruppo di eurodeputati verdi ha appena spedito per lettera alla Commissione europea.

La presidente von der Leyen ha cominciato il suo mandato con grandi annunci sulla «trasparenza», ma si avvia a concluderlo all’insegna dell’opacità. Il modo in cui ha gestito gli acquisiti dei vaccini, i messaggini mai resi pubblici con Pfizer, hanno già messo in allerta la mediatrice europea, la Corte dei conti Ue e la procura europea. A ciò si aggiunge il caso del marito Heiko, che ha incarichi di spicco in una società che ha beneficiato anche di fondi europei.

Il suo ruolo nell’hub di Padova e per Orgenesis Germania è stato portato alla luce dagli articoli di Domani, ai quali fa riferimento la lettera a firma di Michèle Rivasi, David Cormand, Rosa D’Amato, Damien Careme, Claude Gruffat, Bénoit Biteau, François Alfonsi e Caroline Roose. Gli eurodeputati pretendono chiarezza sui potenziali conflitti di interesse, in un momento in cui «la credibilità del progetto europeo è in gioco». 

LA LETTERA DEGLI EURODEPUTATI

Proprio facendo riferimento al lavoro giornalistico di Domani, gli eurodeputati verdi chiedono spiegazioni alla Commissione europea. Si rivolgono in particolare alla commissaria Vera Jourová, perché ha la delega alla trasparenza e allo stato di diritto. «Lo scandalo in corso all’Europarlamento ha un impatto devastante su tutta Europa, e questo è il momento di agire per fare pulizia di tutti i casi non solo di corruzione ma pure di conflitti di interesse nelle istituzioni europee». Von der Leyen, scrivono gli eletti, si è detta sconcertata per il caso Qatar e aveva promesso trasparenza, «eppure non ha fatto nulla per reagire ai casi di porte girevoli, né per rivedere le regole di trasparenza e di etica». Poi la lettera entra nel merito del caso Heiko von der Leyen: «Siamo particolarmente preoccupati dopo aver letto gli articoli pubblicati in Italia e in Germania riguardo all’attività di Orgenesis, società americana attiva nei paesi europei e per la quale lavora il marito della presidente von der Leyen».

FARE CHIAREZZA

Gli eurodeputati mettono in fila i fatti, portati alla luce dalla stampa: Heiko von der Leyen dirige Orgenesis Germany GmbH. Era anche nel comitato di sorveglianza dello hub di Padova. Orgenesis e le sue filiali europee non sono nel registro di trasparenza Ue. Un consorzio diretto da una filiale (Mida Biotech) ha ricevuto quattro milioni di euro nella cornice dei finanziamenti europei per la ricerca e l’innovazione. «Il marito della presidente della Commissione europea ha un ruolo manageriale di primo piano in quanto direttore medico e direttore generale di una società privata, coinvolta in progetti finanziati o cofinanziati coi programmi europei. Porsi domande su eventuali conflitti di interesse è a dir poco legittimo».

Quindi la richiesta alla commissaria Jourová, perché verifichi che tutto questo sia compatibile col ruolo istituzionale di Ursula von der Leyen. Gli eurodeputati segnalano anche l’urgenza di un organo etico indipendente che abbia potere di indagine e di sanzione. «Mostriamo di essere davvero esemplari – è l’esortazione finale – visto che oggi è in gioco la credibilità del progetto europeo. 

FRANCESCA DE BENEDETTI. Europea per vocazione. Ha lavorato a Repubblica e a La7, ha scritto (The Independent, MicroMega), ha fatto reportage (Brexit). Ora pensa al Domani.

DAGOREPORT il 16 dicembre 2022.

C’è del marcio al parlamento europeo di Bruxelles e non soltanto nel mondo pallonaro, ma le mazzette - come vedremo si tratta di spiccioli trovate sotto il materasso della vicepresidente Eva Kaili e dell’ex eurodeputato Pd, Antonio Panzieri, sono soltanto la puntina (mance) di un iceberg corruttivo miliardario del Qatargate.

Uno scandalo, insomma, annunciato e tenuto sotto la sabbia coperto o, peggio, sostenuto, dalle autorità governative di mezzo mondo grazie alla complicità dei massimi dirigenti sportivi della Fifa e dell’Uefa. 

Poltronissime oggi occupate dall’avvocato svizzero, Gianni Infantino, e dal suo collega sloveno, Aleksander Ceferin. Il primo succeduto a Sepp Blatter, il secondo, alla leggenda del calcio francese Michel Platini. Soltanto quest’anno sono stati scagionati dalle accuse di corruzione e frode da un tribunale svizzero.

Tutto, in realtà, ha inizio nel 2010 quando i mondiali 2022, a sorpresa, vengono “scippati” agli Stati Uniti e assegnati agli emiri del Qatar. Tant’è che le autorità americane, che pure hanno alcune basi militari strategiche nel golfo Persico, vogliono vederci chiaro su una bocciatura che profumava di petrodollari.

Come testimoniava anche questo disgraziato sito il 3 giugno 2015 che, raccogliendo le informazioni da fonti ufficiali, titolava: “TODOS INDAGADOS! L'FBI APRE UN'INCHIESTA ANCHE SUI MONDIALI DI QATAR E RUSSIA. E L'INTERPOL INSERISCE I DIRIGENTI FIFA TRA I PIÙ RICERCATI AL MONDO - MERKEL: "L'ADDIO DI BLATTER È UNA BUONA NOTIZIA". CHISSÀ CHI HA ASSEGNATO I MONDIALI 2006 ALLA GERMANIA, CON STRASCICO DI SOLITE ACCUSE DI CORRUZIONE?”.

Cosa era successo? Qualcosa di clamoroso e impensabile.

Il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti, non la pretura di Canicattì, il 27 maggio di sette anni fa pubblicava un report, con cui incriminava “nove funzionari della Fifa e cinque dirigenti aziendali per associazione a delinquere e corruzione”. 

Un documento accusatorio, firmato dal procuratore generale di New York Loretta E Lynch e dal direttore dell’Fbi, James B. Comey, non dalla tenenza dei carabinieri di Rignano sull’Arno, per aver assegnato (“comprato”?) grazie alla Fifa i mondiali del 2008 alla Russia e del 2022 al Qatar.

“Le autorità svizzere – batteva l’Ansa - hanno annunciato l'avvio delle indagini sui Mondiali di Russia e Qatar la scorsa settimana. E l'annuncio dell'Fbi mostrava come le indagini per corruzione si stavano ampliando negli Stati Uniti. I Mondiali del 2018 e del 2022 - continuava l’agenzia di stampa - sono stati assegnati cinque anni fa, dando via a una serie di critiche e polemiche a Sepp Blatter. La scelta da subito ha fatto discutere, sollevando dubbi soprattutto sul Qatar, che manca di esperienza calcistica e di infrastrutture”.

L'Interpol, scriveva il “New York Times” aveva emesso sei “red notice” nei confronti di due ex dirigenti Fifa e di 4 manager. Si allungava così la lista delle persone ricercate il giorno dopo le dimissioni di Blatter. L'allerta, su richiesta Usa, riguardava Jack Warner, Nicolas Leoz, Alejandro Burzaco, Hugo e Mariano Jinkis e Jose' Margulies. I sei individui erano ricercati per diversi capi d'accusa, inclusi “criminalità organizzata e corruzione”. Lo stesso Blatter ammetterà che era stata manipolata l’assegnazione dei mondiali attraverso un giro di tangenti milionario.

Federico Strumolo per “Libero quotidiano” il 16 dicembre 2022.

I soldi arabi, ormai, rappresentano una componente essenziale nel mondo del calcio. Ne è la dimostrazione il Mondiale in Qatar, che si concluderà domenica con l'imperdibile finale tra Argentina e Francia, e non ne fa certo un'eccezione la serie A, come dimostrato dagli ingenti investimenti dal Medio Oriente anche nel nostro campionato. Da ieri, d'altronde, è ufficiale il rinnovo della collaborazione tra il Milan e Fly Emirates.

Un accordo per lo sponsor di maglia che permetterà al club rossonero di più che raddoppiare le entrate rispetto alla vecchia intesa, passando da 14 milioni di euro a stagione, a 30. Così, la compagnia di bandiera degli Emirati Arabi continuerà a ricoprire il ruolo di Official Airline Partner e Principal Partner del Diavolo: il logo Fly Better sarà presente, come detto, sulle maglie del Milan e il marchio Emirates comparirà anche sulle divise delle giovanili coinvolte nel progetto Ac Milan Academy in Italia e all'estero (oltre a includere la presenza del marchio Emirates all'interno dello stadio di San Siro e ulteriori iniziative di marketing).

 Un binomio, tra i due colossi, nato nel 2007, con il marchio della compagnia aerea apparso per la prima volta sulle maglie rossonere nella stagione 2010/11, subentrando alla società di scommesse Bwin (e in quella stagione arrivò il diciottesimo scudetto). «Siamo entusiasti di proseguire la collaborazione con il Milan e di creare nuove opportunità per interagire con una delle tifoserie più passionali al mondo - dice il presidente di Emirates Airline Tim Clark -. La collaborazione con il club rossonero si aggiunge agli importanti investimenti realizzati in Italia negli ultimi tre decenni». 

E i (tanti) soldi in arrivo da Emirates, permetteranno al club campione d'Italia di aumentare le entrate dagli sponsor di maglia, rendendo le divise rossonere più ricche che mai. Basti pensare che ai già citati 30 milioni dell'accordo ufficializzato ieri, si aggiungono altri 30 milioni dello sponsor tecnico Puma (rinnovato lo scorso giugno), più i 7 milioni da Wefox (accordo annunciato a febbraio per il retro sponsor) e i 5 milioni di Bitmex (per lo sponsor sulla manica, dopo l'intesa ufficializzata lo scorso agosto), per un totale di ben 72 milioni, a cui vanno aggiunti anche una decina di bonus.

Un'attenzione, del Milan verso i mercati arabi, evidenziata anche dalla decisione del club di via Aldo Rossi di aprire un nuovo ufficio a Dubai, con l'obiettivo di potenziare la strategia comunicativa e commerciale dei rossoneri in tutto il Medio Oriente. E non è un caso che la squadra di Stefano Pioli si trovi proprio nella capitale dell'omonimo emirato per preparare la ripresa del campionato (che per il Milan avverrà mercoledì 4 gennaio alle 12.30 in casa della Salernitana: da lì riparte la rincorsa al Napoli e alla seconda stella) e, nel mentre, giocare amichevoli di lusso che attirano i tifosi di quella parte del mondo (martedì è arrivata la sconfitta 2-1 contro l'Arsenal e in tribuna erano presenti tanti appassionati con la maglia rossonera; oggi alle 16.30 italiane si gioca Milan-Liverpool, in diretta esclusiva su Dazn).

Al gruppo si è aggiunto proprio ieri anche Simon Kjaer, rientrato dopo il deludente Mondiale con la sua Danimarca, terminato con l'ultima posizione nel gruppo D, proprio quello vinto dalla Francia di Theo Hernandez e Olivier Giroud, unici milanisti ancora in Qatar e per cui tutti i compagni faranno il tifo domenica pomeriggio.

Dalla Camera del lavoro a quella delle tangenti: ecco come funzionava la Ong di Panzeri al Parlamento Europeo. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 16 Dicembre 2022

Al momento nel mirino della Procura ci sono i deputati italiani e belgi del gruppo dei Democratici & Socialisti . Ma nella ragnatela scrivono i magistrati italiani nei decreti di perquisizione e sequestro nelle case italiane di Panzeri e Giorgi disposti sulla base dell’ordine di investigazione europeo trasmesso a Milano "Ci troviamo di fronte ad un gruppo indeterminato e molto ampio di persone dedito alla consumazione di fatti di corruzione e operante all’interno di strutture europee con o senza legami con l’Unione europea".

La Ong Fight Impunity fondata da Pier Antonio Panzeri nel 2019 a Bruxelles, dopo la mancata rielezione ha un ruolo centrale nella corruzione su cui verte inchiesta sulla Tangentopoli europea della magistratura belga, un vero e proprio centro di distribuzione di tangenti, provenienti da Qatar e Marocco e distribuite nel Parlamento Ue dopo essere arrivate, ed occultate, nei conti correnti della Ong che con la scusa dei diritti umani, era un fiume di soldi in nero.

Gli investigatori belgi hanno più di qualche sospetto sull’ipotesi che nel giro di tangenti sia coinvolto anche l’ eurodeputato campano del Pd, Andrea Cozzolino, a seguito delle confessioni verbalizzate da Francesco Giorgi nell’interrogatorio di garanzia, il quale avrebbe fatto il suo nome come possibile percettore di parte delle tangenti provenienti dal Qatar e Marocco. Cozzolino al momento non è stato indagato perché non ci sono tracce e prove di passaggi di denaro, ma soprattutto, perché gode dell’immunità da parlamentare. 

Cozzolino, secondo quanto hanno ricostruito gli investigatori, sulla base degli atti parlamentari ha avuto sempre una posizione “morbida”, sicuramente più morbida rispetto al suo gruppo parlamentare, nei confronti del Qatar. Ad esempio si è astenuto su nove emendamenti nella risoluzione del 24 novembre scorso sulla “situazione dei diritti umani nel contesto della Coppa del mondo Fifa in Qatar”. Agli atti dell’inchiesta è allegata anche una mail inviata dall’ eurodeputato napoletano del Pd ai colleghi prima del voto, in cui scriveva:. “Vi ribadisco la mia posizione che ho portato nell’incontro di ieri e vi chiedo di votare contro… Si sostiene che la Coppa del Mondo sia stata assegnata dalla Fifa al Qatar grazie ad abusi e corruzione. Il Parlamento europeo non dovrebbe accusare un Paese senza prove. E in ogni caso, se vogliamo discutere di corruzione nello sport, allora forse sarebbe necessario riflettere su tutto, compresa la Coppa del Mondo che si è giocata in Germania nel 2006″.

Francesco Giorgi, ex assistente di Panzeri ora al servizio di Cozzolino

Giorgi è il punto di collegamento tra i due: dopo aver fatto l’ assistente di Panzeri, è passato a lavorare dal 2019 per Cozzolino. Un altro nome fatto da Giorgi è quello del deputato socialista belga Marc Tarabella, che è stato già perquisito. Tutti negano addebiti di illeciti, mentre la Procura federale è impeganata alla ricerca riscontri, valutando la possibilità di chiedere l’autorizzazione a procedere al Parlamento. Ma è su questo che in questi giorni stanno lavorando gli investigatori delegati dai magistrati attraverso l’analisi di “criminal forensics” dei computer, dai telefoni, dalle chat anche quelle cancellate recuperate grazie ai sofisticati mezzi a disposizione della polizia belga, con cui stanno cercando di reperire delle eventuali accuse a carico di Cozzolino per poi chiedere al Parlamento di procedere nei suoi confronti. Determinante sarà quello che ha raccontato e racconterà il suo assistente, Francesco Giorgi.

Giorgi è stato molto chiaro sulle eurodeputate Moretti e Arena. “Non ne ho mai sentito parlare. Sono persone che rispetto e credo che la loro integrità non c’entri nulla in questo contesto“. Il quotidiano La Repubblica scrive che a loro risulta che Alessandra Moretti nell’ottobre scorso abbia effettuato un viaggio in Qatar, come risulta anche dal suo profilo Twitter, con un’altra Ong vicina al governo di Doha. Gli investigatori stanno cercando riscontri di questo viaggio, ed è il reale motivo per cui l’ufficio della sua assistente è finito tra quelli sotto sequestro. E in queste ore gli investigatori stanno verificando fra i documenti e nei computer.

Nessuna domanda, invece, è stata fatta a Giorgi sul ruolo di Bonifei. A conferma che il principale collegamento è dato da alcuni ex collaboratori di Panzeri finiti poi a lavorare con il capogruppo del Pd. E a proposito di assistenti, una delle collaboratrici di Arena si è coperta di ridicolo facendo sapere di “non aver avuto alcuna collaborazione” con Panzeri , ma solo una collaborazione con la sua Ong, la Fight Impunity, che rimane cruciale però nell’indagine. I belgi sostengono di avere le prove che nei conti correnti della società siano arrivati direttamente fondi dal Qatar. A conferma che le contabilità della corruzione sarebbero due: la prima, quella in contanti, e la seconda che gira invece sui conti della Ong. Ed è proprio da quei conti che sarebbero partiti, secondo l’impostazione iniziale della Procura, alcuni bonifici per “ammorbidire” le posizioni di persone vicine alla cricca del Qatar. Giorgi in uno dei suoi interrogatori ha confermato ai magistrati che le Ong servivano proprio “a far girare il denaro“.

La principale attività formale della Ong Fight Impunity era quella di redigere un rapporto annuale. All’ultimo, quello del 2021, ha lavorato anche Giacomo Bartolo, il figlio di Pietro Bartolo, un altro eurodeputato Pd. “Aveva un contratto a partita Iva da circa 1. 900 euro lordi mensili – ha rivelato Giorgi –. Ha lasciato dopo sette mesi perché la vita a Bruxelles era troppo cara e il lavoro non pienamente soddisfacente”. Due assistenti dell’eurodeputato Bartolo, uno dei quali aveva lavorato per Panzeri, sono stati perquisiti. Il suo nome non compare nei mandati di arresto.

Al momento nel mirino della Procura ci sono i deputati italiani e belgi del gruppo dei Democratici & Socialisti . Ma nella ragnatela scrivono i magistrati italiani nei decreti di perquisizione e sequestro nelle case italiane di Panzeri e Giorgi disposti sulla base dell’ordine di investigazione europeo trasmesso a Milano “Ci troviamo di fronte ad un gruppo indeterminato e molto ampio di persone dedito alla consumazione di fatti di corruzione e operante all’interno di strutture europee con o senza legami con l’Unione europea”. ha scritto la procura nel decreto di perquisizione. Un gruppo che avrebbe venduto la “propria attività” in cambio di “ingenti somme di denaro“. 

Gli altri parlamentari “vicini” alla Fight Impunity citati negli atti sono Eva Kaili, Maria Arena, il capogruppo del Partito democratico Brando Benifei e Alessandra Moretti. Cozzolino era il presidente della delegazione per le relazioni con i Paesi del Maghreb e delle commissioni parlamentari miste Ue-Marocco. Era inoltre membro della commissione Diritti umani, dalla quale sono passate le risoluzioni più problematiche per il Qatar: ricopriva, dunque, per i due principali “finanziatori” del gruppo, un ruolo cruciale.

I soldi in contanti scovati dalla Polizia a Bruxelles costituirebbero solo una minima parte delle tangenti. Nel frattempo gli investigatori della Guardia di Finanza stanno spulciando sette conti correnti italiani che “perché è presumibile che il provento dei fatti illeciti sia stato trasferito sui conti bancari”. Ed infatti sono già stati individuati negli estratti conti resi disponibili dalle banche, alcuni movimenti di notevole interesse investigativo. Una traccia sulla quale gli investigatori hanno appena iniziato a lavorare per ricostruire il quadro internazionale dell’organizzazione criminale che versava ingenti somme di denaro in cambio dell’attività di fiancheggiamento degli eurodeputati (e non solo) che erano sul libro paga delle tangenti pagate dai Paesi corruttori.

E’ stato Francesco Giorgi a rivelare di far parte di un’organizzazione utilizzata sia dal Marocco che dal Qatar per influenzare gli affari europei, confermando che Panzeri era il capo di questa organizzazione, che si celava dietro la facciata della Ong Fight Impunity e di aver avuto il ruolo di gestire le grandi quantità di denaro. Panzeri era considerato un “amico” dai servizi segreti del Marocco, ed aveva lavorato a Bruxelles nel 2017 con l’attuale ambasciatore del Marocco in Polonia, Abderrahim Atmoun, ritenuto l’agente della corruzione, nell’ambito di una commissione bilaterale.

L ’eurodeputato spagnolo Miguel Urbán, eletto con Podemos, non veniva ritenuto “amico” del Marocco, ed aveva denunciato nel maggio 2021un’intrusione notturna di ignoti nella sua casa di Madrid. dove sono stati rubati due hard disk, foto di famiglia e il salvadanaio di sua figlia, ma lasciati oggetti di maggior valore. Urbán insospettitosi, aveva denunciato l’ accaduto alla polizia spagnola ed al servizio di sicurezza del Parlamento Ue, che avevano valutato l’episodio come sospetto in quanto realizzato da “mani esperte”. David Sassoli, all’epoca dei fatti presidente, aveva immediatamente allertato i ministeri degli Interni di Spagna e Belgio. Alla luce dei fatti emersi negli ultimi giorni anche questo episodio è diventati oggetto di valutazione da parte degli investigatori belgi.

Tra le indagini in corso su richiesta della magistratura belga, anche la convocazione delle persone che hanno lavorato con la Ong Fight Impunity, fondata dall’ex parlamentare europeo Panzeri, perché viene considerata uno dei cuori dell’inchiesta. La polizia belga ha accertato che parte dei fondi arrivati sui conti correnti della Ong giungessero direttamente dal Qatar. Quello che ha raccontato Francesco Giorgi ha trovato conferma: “le Ong servono a far girare il denaro”, che è quello che è stato contestato a Luca Visentini, il segretario del sindacato mondiale, fermato e poi rilasciato la scorsa settimana.

Visentini aveva ricevuto dalla Fight Impunity un finanziamento per la campagna elettorale che lo ha eletto segretario. La Procura sospetta che sia stato uno scambio per ottenere dichiarazioni pro-Qatar, alla vigilia dei campionati del mondo. Visentini si è difeso comprovando che i bonifici erano stati registrati ed i soldi utilizzati, effettivamente, per la campagna elettorale. Provando che le posizioni del sindacato nei confronti del Qatar erano state sempre molto dure. Il giudice ha creduto a queste giustificazioni, e per questo, lo ha rilasciato.

Redazione CdG 1947

Giacomo Amadori François De Tonquédec per “la Verità” il 17 dicembre 2022.

L'indagine del giudice istruttore belga Michel Claise sulla corruzione all'Europarlamento, come in ogni inchiesta che si rispetti, sta seguendo la scia dei soldi. E quella pista starebbe portando i segugi belgi verso le latitudini temperate del Sud America.

Prima, però, di andare avanti con il nostro racconto conviene fare un breve riassunto delle puntate precedenti. 

Claise sta indagando su «un'organizzazione criminale», finanziata da Marocco e Qatar, di cui si ipotizza facciano parte l'ex sindacalista della Cgil ed eurodeputato del Pd e poi di Articolo Uno Pier Antonio Panzeri, il suo ex assistente Francesco Giorgi, il segretario generale dei sindacati globali (Ituc) Luca Visentini e Nicolò Figà Talamanca, segretario della Ong No peace without justice.

Un'organizzazione che opererebbe all'interno del Parlamento europeo con la collaborazione di persone designate come «amici». Per questo, tramite un ordine europeo di indagine, ha chiesto all'Italia di eseguire investigazioni mirate. In queste ore circolano poche informazioni sulle attività della Guardia di finanza coordinata dal procuratore aggiunto di Milano, Fabio De Pasquale. Ma dal Belgio trapela che Claise avrebbe chiesto di investigare su sette conti correnti italiani riconducibili a Panzeri (due), alla figlia Silvia (uno), a Visentini (tre) e a Giorgi (uno).

Ma la vera novità è un'altra: a casa di Panzeri le Fiamme gialle sarebbero andate alla ricerca di «tutti i documenti, anche informatici, relativi a conti bancari in Italia e all'estero, presso Lift bank (Brasile) e altrove». Un istituto che si vanta di essere la prima banca digitale per imprenditori del Paese sudamericano. Dunque sembra che a Bruxelles ipotizzino che l'ex sindacalista abbia messo al sicuro il proprio denaro sui conti di un istituto che ha il quartier generale nella città di Vitoria, in una nazione governata da un altro ex sindacalista, Inacio Lula Da Silva.

È lì che Panzeri ha nascosto il proprio tesoro? Le indagini dovranno rispondere a questo quesito. Gli investigatori sono andati anche alla ricerca di titoli, contanti, oro, orologi di valore, documenti, cartacei e digitali, relativi al Marocco e al Qatar e ai rapporti con altri personaggi coinvolti a vario titolo nell'inchiesta: dalla compagna di Giorgi, l'ex vicepresidente dell'Unione europea Eva Kaili all'ex parlamentare Davide Zoggia, ex presidente della Provincia di Venezia e deputato del Pd, oggi assistente dell'europarlamentare piddino Pietro Bartolo, a Giuseppe Meroni, da poco assistente (licenziato) dell'eurodeputata di Forza Italia Lara Comi, ma in precedenza collaboratore dello stesso Panzeri.

Destinatari di una perquisizione anche gli uffici di Opera della commercialista Monica Rossana Bellini. Nel corso dell'indagine sarebbe emerso «chiaramente» che la signora Bellini «è la responsabile della consulenza gestionale e finanziaria della coppia Panzeri-Colleoni (Maria Dolores, la moglie dell'ex sindacalista, ndr)». Per gli investigatori, secondo cui i guadagni di Panzeri «sembrano di natura criminale», «l'intervento dello studio Bellini potrebbe far parte di operazioni di riciclaggio». 

Dagli inquirenti Panzeri è considerato un personaggio sospetto anche per un precedente riguardante l'utilizzo dei fondi europei, essendo stato condannato dal tribunale dell'Unione in un caso di somme indebitamente versate quando era membro del Parlamento europeo.

Dal sito Altalex apprendiamo che la vicenda riguardava la legislatura 2004-2009 e il contratto di prestazione di servizi di assistenza parlamentare stipulato da Panzeri nel 2004 con l'associazione «Milano Più Europa». 

La vicenda era iniziata nel 2009 con un'indagine dell'Olaf (Ufficio europeo per la lotta antifrode) e nel 2016 il tribunale di primo grado dell'Ue aveva respinto un primo ricorso di Panzeri contro la richiesta del Parlamento europeo di rimborsare la somma di 83.764 euro indebitamente percepita dall'associazione incaricata dell'assistenza parlamentare. Poi la condanna, che nelle carte dell'inchiesta viene data come definitiva. 

Ma è dal Belgio che arriva la storia più clamorosa, ovvero i dettagli sul coinvolgimento nell'inchiesta di Visentini, il capo dei sindacalisti mondiali che, dopo che è uscito il suo nome sui giornali, ebbe a dichiarare il 14 dicembre di aver «incontrato Panzeri un paio di volte quando era ancora europarlamentare, ma per ragioni istituzionali, partecipando a riunioni, audizioni dove c'era anche lui».

La loro conoscenza risalirebbe a «un anno, un anno e mezzo fa». Il capo dell'Ituc ha affermato anche di avere accettato «in buona fede» la donazione proveniente dalla Fight impunity per «la campagna per il congresso di Ituc che si è svolto a Melbourne dal 12 al 22 novembre scorso». 

Dopo il fermo Visentini ha detto: «Le accuse riguardavano solo me (e non il sindacato, ndr), ma poi nel corso dell'indagine non sono neanche state trovate evidenze che io fossi in qualche modo collegato con questa vicenda». Dall'ordine europeo di indagine risulta che per Claise i conti italiani di Visentini sarebbero stati finanziati dal Belgio e probabilmente, sempre secondo l'accusa, con i proventi dei reati di corruzione. Il Marocco e il Qatar, nell'ambito del loro disegno di ingerenza, avrebbero pianificato l'elezione di Visentini al vertice dell'Ituc e il finanziamento del sindacato con i petrodollari qatarioti.

Per arrivare a questa conclusione, gli investigatori belgi e gli 007 del Vsse (Sicurezza di Stato) hanno pedinato sia Panzeri che Visentini e il 10 ottobre 2022 devono aver pensato di aver fatto bingo. Infatti hanno pizzicato Visentini mentre riceveva tre buste a loro avviso piene di euro nel bell'appartamento di Bruxelles di Panzeri. Inoltre gli inquirenti belgi hanno annotato che tra il 4 gennaio 2021 e il 17 ottobre 2022 sarebbero stati trasferiti dal conto belga di Visentini sui suoi tre conti italiani circa 140.000 euro. 

Ma le sorprese non sono finite. Gli investigatori il 9 ottobre, ovvero il giorno prima del presunto scambio di soldi tra Panzeri e Visentini, avevano assistito a un'altra scena per loro fondamentale: Panzeri aveva incontrato nientemeno che il ministro del lavoro del Qatar in un hotel della Capitale belga.

Dunque il sospetto, che affiora dall'ordine europeo di indagine, è che il capo dei sindacalisti di tutto il mondo, l'uomo che dovrebbe rappresentare e tutelare a livello globale i diritti dei lavoratori, possa essere stato prezzolato, attraverso un altro sindacalista, l'ex presidente della Camera del lavoro di Milano, dal ministro del lavoro di un Paese in cui si ritiene che circa 6.000 lavoratori senza nessun diritto siano morti sotto il sole, mentre costruivano gli stadi di calcio del Mondiale.

Una contestazione che assomiglia molto a quella di essere la guida di un sindacato giallo, cioè un'organizzazione che si ritiene di fatto asservita al datore di lavoro o ad altri soggetti i cui interessi siano contrapposti a quelli dei lavoratori. Un attacco che lascerà sgomente le persone che hanno combattuto a fianco di Visentini e Panzeri per quei diritti e che li hanno difesi in buona fede. Ovviamente ci auguriamo per loro, che i due sindacalisti riusciranno ad allontanare da sé tali odiosi sospetti. Anche perché Visentini, dopo il fermo, è stato rilasciato.

Estratto dell’articolo di Monica Serra per “la Stampa” il 17 dicembre 2022.

Somme «consistenti» di denaro, ma anche movimenti bancari di «interesse investigativo». Tracce importanti, che la procura di Milano sta seguendo sui sette conti correnti segnalati dai colleghi belgi, per provare a ricostruire quale giro facessero i soldi che, a fiumi, per l'accusa, Marocco e Qatar hanno versato per «infiltrarsi» nelle istituzioni europee e «condizionare» le politiche dell'Unione. 

Accertamenti condotti di pari passo a quelli della polizia federale belga che si è concentrata sui finanziatori della Ong Fight Impunity dell'ex eurodeputato Pier Antonio Panzeri e che, come ha spiegato l'assistente parlamentare Francesco Giorgi, «serviva a far girare i soldi». Di chi?

[…] il donatore più importante di Fight Impunity era Sekunjalo Development Foundation: una fondazione sudafricana che, secondo il Jerusalem Post, riceverebbe finanziamenti dal Qatar. Nella veste di collettore delle tangenti versate proprio da Qatar e Marocco per corrompere «un gruppo indeterminato e molto ampio di persone operante all'interno di strutture europee, con o senza legami con l'Unione europea», Panzeri viene dipinto come «l'anima dell'organizzazione fraudolenta» […] 

[…] Per gli investigatori di Bruxelles, «è presumibile che il provento dei fatti illeciti sia stato trasferito sui conti bancari» per poi essere «riciclato» in qualche altra attività.

Per questo, con un ordine di investigazione europea mandato a Milano sabato, hanno chiesto al procuratore aggiunto Fabio De Pasquale di compiere tutti gli accertamenti necessari sui sette conti. Che appartengono alla famiglia Panzeri, a Giorgi e al segretario generale della confederazione mondiale dei sindacati, Luca Visentini, l'unico dei tre a essere stato rilasciato dopo il fermo. […]

Estratto dell’articolo di Luca De Vito e Sandro De Riccardis per “la Repubblica” il 17 dicembre 2022. 

Sette conti correnti bancari. L'anello di congiunzione tra l'indagine di Bruxelles e la caccia ai soldi che è partita in Italia. Sette depositi in altrettanti istituto di credito, riferibili all'ex deputato europeo Antonio Panzeri, al suo ex assistente Francesco Giorgi (poi transitato negli uffici dell'eurodeputato Pd Andrea Cozzolino), e al segretario generale del Sindacato internazionale Luca Visentini. […]

Quanti soldi sono transitati su quei conti? Da dove sono arrivati i versamenti? Come sono stati utilizzati in Italia? […] Per la procura belga Panzeri, ora in carcere a Bruxelles, avrebbe «sviluppato e animato» una «vasta organizzazione fraudolenta» i cui «atti criminali» avrebbero avuto una «natura complessa, organizzata e ripetitiva». […] Il finanziamento alla campagna elettorale di Luca Visentini, fondi arrivati dalla ong di Panzeri Fight Impunity, ammonterebbe a circa 50mila euro. I magistrati belgi sospettano che sia denaro elargito dal Qatar per ottenere dichiarazioni e prese di posizione favorevoli, considerato che l'immagine dell'emirato era entrata in crisi proprio sul tema del lavoro, in seguito ai dossier sugli operai morti per la realizzazione degli stadi per il mondiale. […]

Da “la Repubblica” il 17 dicembre 2022.

Caro Merlo, come l'amore, la corruzione si fa in due. Non so mai capire chi ha più responsabilità, se il corruttore o chi si fa corrompere. Attilia Giuliani 

Risposta di Francesco Merlo 

Corrotti e corruttori sono complementari, si trovano perché si cercano, si ingravidano a vicenda, ma raramente si somigliano. Nessuno si meraviglia che un Paese di pessima reputazione come il Qatar corrompa per avere il calcio, che ha la forza di cancellare tutto. In questo caso, dunque, sono i corrotti a sorprendere perché trafficavano con la virtù del sindacato, delle Ong Al contrario, negli anni dell'abbondanza di Tangentopoli conducevano (quasi) tutti una vita sobria i grandi capi dei partiti corruttori, da Andreotti a Forlani sino a Bettino Craxi. Quel potere corrompeva con un distacco personale verso il danaro che qualche volta era disprezzo. 

L'esempio più significativo del nobile corruttore incorrotto venne da Helmut Kohl. E poi c'erano i tesorieri - Balzamo del Psi e Citaristi della Dc - che erano i monaci poveri del convento ricco, come poi il ragionier Spinelli, l'ufficiale pagatore del sesso sporco di Berlusconi. A volte i corruttori sono giganti sulle cui spalle giganteggia il nano e altre volte sono nani che nanizzano i giganti.

Paolo Bracalini per ilgiornale.it il 17 dicembre 2022. 

«Con il rapporto della Commissione sulle ingerenze straniere, il Parlamento europeo manda finalmente un messaggio molto chiaro e inequivocabile contro le interferenze straniere nei processi democratici e presenta proposte inequivocabili per contrastare qualsiasi tipo di interferenza. Per troppo tempo abbiamo sottovalutato gli effetti delle campagne di disinformazione sull'Ue e sui suoi membri».

A fidarsi delle parole di Pierfrancesco Majorino, europarlamentare Pd e anche candidato del centrosinistra alla Regione Lombardia, c'era da stare tranquilli. Quali ingerenze straniere potevano mai infiltrarsi in un parlamento dotato di una attentissima commissione appunto contro le ingerenze straniere, organismo di cui Majorino è uno dei coordinatori. La «Commissione speciale sulle ingerenze straniere in tutti i processi democratici nell'Unione europea, inclusa la disinformazione» (nome in codice della commissione: Inge) è nata nel 2020, la presiede il francese Raphaël Glucksmann, eurodeputato del gruppo socialista in pole per prendere il posto di Eva Kaili, l'ex vicepresidente destituita dopo l'arresto nel Qatargate.

La commissione si è data molto da fare: audizioni, scambi di vedute con esperti, dossier, briefings e studi analitici su varie tematiche, come «Investire nella destabilizzazione: come i soldi stranieri sono usati per minacciare la democrazia in Ue», o «L'impatto della disinformazione sui migranti in Europa», o «Campagne di disinformazione sulle persone LGBT+ in Europa e influenze straniere». 

E poi dei bei viaggi formativi, o meglio «missioni», in giro per il mondo per i membri della commissione, da Taiwan a Washington all'Australia e via girando. Molto impegnati, forse troppo, per riuscire a vedere le mazzette qatariote e marocchine che passavano a pochi metri da loro, tra i parlamentari del gruppo Socialisti e Democratici soprattutto. In effetti la Inge è stata sì molto interessata alle interferenze delle potenze straniere sul Parlamento europeo, ma in particolare ad alcune, quelle della Russia.

La Russia viene citata più volte nei dossier, mentre i regimi arabi (Iran, Arabia Saudita, Qatar) molto meno frequentemente. Nella relazione finale della commissione, votata dalla plenaria del Parlamento Ue a marzo, la Russia è citata 60 volte, il Qatar solo due. 

E infatti il voto si è trasformato in un processo ai partiti di destra (dalla Lega alla Le Pen), definiti dal coordinatore della commissione, Majorino, «utili idioti» funzionali alle ingerenze di Mosca in Europa. «Crediamo che il Parlamento europeo debba tenere un faro acceso sulla Lega e i suoi dirigenti», concludeva l'eurodeputato e candidato governatore in Lombardia. Fari accesi sui soldi (mai trovati) dalla Russia, fari spenti sulle valigie di contante dal Qatar ai deputati di sinistra.

Controcorrente, Toti asfalta la sinistra sul Qatargate: "Giudicano e si sentono immuni". Il Tempo il 17 dicembre 2022

Il presidente della Liguria Giovanni Toti, ospite di Veronica Gentili a Controcorrente su Rete4 sabato 17 dicembre, spiega qual è il peccato commesso dalla sinistra riguardo lo scandalo Qatargate, al centro del dibattito della puntata. Secondo Toti la sinistra e anche il Movimento 5 Stelle, hanno sbagliato a giudicare gli errori di qualche politico sentendosi immuni.

"Io mi comporto in questa vicenda come al solito e come ahimè non ho visto comportare altre forze politiche, comprese le forze progressiste di questo Paese. Per me gli imputati, gli accusati, gli avvisi di garanzia sono innocenti fino al terzo grado di giudizio della giurisdizione che li giudicherà" spiega Toti. "Il fatto che qualcuno abbia sbagliato a comportarsi o che ha avuto atteggiamenti illeciti o impropri per il loro ruolo politico riguarda la singola persona e la sua coscienza e le misure che le autorità proposte prenderanno. Non ho mai fatto di tutta l'erba un fascio, non ho mai giudicato una comunità politica sulla base del comportamento di qualche soggetto che ne faceva parte" prosegue.

"Purtroppo, negli ultimi 10 anni, ho visto fare alla politica di questo Paese l'esatto contrario: giudicare un corteo dal fatto che una persona rompesse una vetrina o avesse un braccio alzato come se fosse un corteo di fascisti o facinorosi e dall'altra parte giudicare un atteggiamento lassista come un'attitudine morale perché qualcuno era stato preso con le mani nella marmellata condannando un'intera comunità politica. Ecco, io credo che se tutti la smettessero, ma diciamo che questo è un peccato della sinistra in tutte le sue forme e aggiungo anche il M5S che ha messo il turbo quanto a giudizi semplicistici sul mondo. Questa è sempre stata, dai tempi della questione morale di Berlinguer in poi, un'attitudine della sinistra: giudicare gli sbagli di qualche singola persona attitudine comune ad una comunità umana estesa come quella della destra o di altri e a considerarsi in qualche modo immuni da tutto questo. Bruxelles ci dice che nessuno è immune ma che nessuno deve essere per forza contagiato dal fatto che il suo vicino di scrivania fa qualcosa che non deve fare" conclude Toti.  

Controcorrente, Rampini svela l'errore della sinistra su Kaili: "Dovevano cacciarla". Il Tempo il 17 dicembre 2022

Il caso Qatargate è al centro del dibattito della puntata di controcorrente di sabato 17 dicembre su Rete4. Federico Rampini analizza la vicenda spiegando qual è il problema culturale della sinistra progressista, emerso ben prima della vicenda delle tangenti.  

"Io vedo un problema di cultura della sinistra.  C'è almeno un'imputata eccellente che non è italiana: è Eva Kaili la ex vicepresidente greca. Parto da lei perché mi ha colpito molto la sua frase, divenuta tristemente celebre, e molto antecedente alla vicenda delle mazzette trovate a casa sua. Quando disse che il Qatar era un modello per i diritti umani: un'affermazione ignobile e immonda visti i migranti morti nei cantieri per i mondiali. E subito dopo aggiunse anche: non possiamo dare lezioni sui diritti degli immigrati. Questo è il vangelo di una parte di mondo che si auto definisce progressista e che secondo me non lo è e che profondamente anti occidentale e che sostiene che solo l'occidente si macchia di peccati ignobili contro i diritti umani" spiega Rampini.

"Solo noi siamo oppressori, sfruttatori, colonizzatori mentre il resto del mondo è un'umanità buona che ha diritto di risarcimento nei nostri confronti. È da questa cultura di un mondo che io definisco sedicente e progressista di cui fanno parte anche alcune ong di quella galassia Panzeri e Kaili. Proprio Kaili, secondo me, avrebbe dovuto essere cacciata dal partito socialista greco e quindi europeo solo per quella frase prima ancora che i poliziotti scoprissero a casa sua le banconote. C'è un problema politico che andava affrontato alla radice. Quello che poi fa si che un certo mondo accetta le tangenti perché se vengono dall'emisfero sud del pianeta vengono dalla parte buona dell'umanità che ha subito dei torti e che deve essere risarcita. Questo è il tema serio e grave della cultura progressista. Noi avremo bisogno del Qatar a lungo perché è ricco di gas naturale quindi il commercio con il Qatar lo dovremo fare chiudendoci il naso ma questo non significa che dovremo genufletterci riconoscendogli una superiorità morale che è una cosa indecente" conclude. 

Antonio Panzeri e il mistero dei 100 mila euro: controlli sui conti dei suoi contatti. Giuseppe Guastella su Il Corriere della Sera il 18 Dicembre 2022.

Buco nella somma sequestrata all’eurodeputato. E la Grecia congela i beni della famiglia Kaili

Gli 007 belgi entrano nell’appartamento del lussuoso residence di Bruxelles sapendo di avere a disposizione tutto il tempo necessario per un lavoro accurato. È luglio, Antonio Panzeri non tornerà presto dalla vacanza. Imbottiscono le stanze di microspie e si mettono a contare fino a 700 mila, tanti quanti sono gli euro in contanti che hanno trovato. Quando meno di cinque mesi dopo la polizia torna per arrestare il fondatore della ong Fight Impunity, all’appello mancano 100 mila euro. Che fine hanno fatto è questione di cui potrebbe interessarsi presto la procura della repubblica di Milano. 

È il 7 dicembre scorso, mancano due giorni al blitz che incrinerà la già precaria immagine del Parlamento europeo con l’arresto di Antonio Panzeri, di Francesco Giorgi, suo assistente quando fino al 2019 fu parlamentare europeo del Pd e di Articolo 1 ed ora lavora per Andrea Cozzolino (non indagato e sospeso dal Pd), e di altre persone alle quali all’ultimo si aggiunge la eurodeputata greca Eva Kaili (giovedì l’udienza sull’arresto), uno dei 14 vicepresidenti del Parlamento, sorpresa in casa in flagranza di reato dopo che il padre era stato fermato per strada con un trolley con dentro 600 mila euro in banconote. Si tratta di un giro di tangenti, denaro e regali dal Qatar e dal Marocco per organizzare «interventi politici presso membri del Parlamento europeo» con lo scopo di migliorare la reputazione dei due paesi nel dibattito sui diritti umani. Il primo, per il trattamento dei lavoratori dei cantieri dei mondiali di calcio che, secondo alcune stime, avrebbero registrato 6.500 morti bianche; il secondo, per la condizione degli immigrati che dal Sahel attraversano il Marocco per raggiungere l’Europa e per le mire espansioniste nel Sahara occidentale. 

Gli investigatori hanno accertato collegamenti tra Panzeri, Giorgi, Cozzolino e l’ambasciatore del Marocco in Polonia Abderrahim Atmoud, personaggio attivo in un centro studi di Rabat a Bruxelles all’ombra del quale opererebbero i servizi marocchini. Dal Marocco la ong avrebbe ricevuto finanziamenti bancari e in contanti finiti a Panzeri (700 mila euro) e Giorgi, il quale ha scagionato la compagna Kaili dicendo che lei non sapeva nulla e che i 750 mila euro trovati in casa e nel trolley erano solo i suoi. Ieri l’autorità greca antiriciclaggio ha congelato i beni della famiglia Kaili accendendo un faro anche su una società immobiliare costituita dalla parlamentare e dal compagno di recente in un quartiere alla moda e su una ong fondata nel 2017 dalla sorella Matalen. È la Elontech che, secondo la stampa ellenica, sarebbe stata usata come veicolo per attrarre programmi europei fino a 15 milioni di euro, cosa smentita dal legale della famiglia. Torniamo alla data del 7 dicembre in cui la magistratura greca chiede al procuratore aggiunto Fabio De Pasquale, che guida il pool affari internazionali della procura di Milano, di eseguire due giorni dopo le perquisizioni nei confronti di un lungo elenco di persone connesse a Panzeri e Giorgi che hanno conti correnti e beni in Italia. Nella richiesta si fa preciso riferimenti ai 700 mila euro in banconote contati dagli 007 in casa Panzeri, di cui però ne verranno ritrovati «solo» 600 mila. Sulle tracce dei 100 mancanti potrebbe mettersi a lavoro De Pasquale che per conto dei colleghi belgi ha fatto già perquisire l’abitazione di Panzeri a Calusco D’Adda, dove sono stati trovati altri 17 mila euro, e quella di Giorgi ad Abbiategrasso, in cui ce n’erano 20 mila, oltre ad acquisire i conti di un persone a loro connesse. Tra questi, quelli di assistenti di europarlamentari i cui uffici di Bruxelles sono stati sequestrati dopo perché Panzeri, nella sua «attività di ingerenza» per conto di Qatar e Marocco, avrebbe dato soldi anche a questi personag gi, denaro di cui potrebbe essere rimasta traccia nei loro conti. 

Il giudice istruttore Michel Claise scrive chiaro anche che Antonio Panzeri «sembra aver sviluppato e animato un’organizzazione fraudolenta» con «atti criminali» di «natura complessa, organizzata e ripetitiva». L’inchiesta belga, precisa Claise, si muove con interrogatori, confronti, ricerca di documenti e di fondi «oggetto di questa appropriazione indebita» e per smantellare «possibili circuiti di riciclaggio di denaro». Una rete di persone e di soldi sui quali i pm milanesi potrebbero non limitarsi a fare solo il lavoro per conto del Belgio. 

Il documento pro-Qatar e l’Ong di Panzeri: spunta pure Rula Jebreal. La giornalista - paladina della sinistra - è stata invitata al Parlamento europeo per parlare di una relazione nella quale si spendevano parole al miele per Doha. Massimo Balsamo il 17 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Le indagini degli investigatori belgi proseguono senza sosta e con il passare delle ore aumentano le novità su quello che è stato ribattezzato Qatargate. Restano ancora molti aspetti da chiarire e sono attesi aggiornamenti a stretto giro di posta. Riflettori accesi sulle attività di europarlamentari e assistenti coinvolti nello scandalo: tra questi, la socialdemocratica belga Maria Arena, presidente della sottocommissione per i Diritti dell’uomo. Ebbene, lo scorso 10 maggio fu proprio quella commissione a ospitare la presentazione del rapporto annuale di Fight Impunity la Ong di Panzeri, con tanto di dibattito su un documento nel quale si sosteneva - tra le altre cose - che gli Emirati Arabi cercassero di corrompere gli eurodeputati per “screditare l’immagine dei Paesi rivali, come Qatar e Turchia”. Tra gli ospiti esterni la professoressa Shelby Grossman e, soprattutto, Rula Jebreal.

Rula Jebreal e il documento pro-Qatar

Paladina della sinistra, la giornalista italo-palestinese fu invitata a Bruxelles per dire la sua su un documento che tratteggiava il Qatar come vittima degli Emirati Arabi Uniti, storici nemici socio-politico-economici. Gli EAU si sono “inseriti con successo nella mappa dello sport globale e nel settore dello spettacolo” grazie alle“icone pop Lady Gaga e Jennifer Lopez che si sono esibite in occasione di eventi di gala, alimentando l'idea di una società araba liberale” nonostante la “discriminazione significativa contro le donne denunciata da Human Rights”, l’analisi del rapporto riportata da Libero.

Affiancata dalla dem Alessandra Moretti – che non faceva parte di quella sottocommissione – Rula Jebreal partecipò al dibattito alla Droi sul documento che biasimava apertamente il posizionamento del Qatar all’85esimo posto della classifica dei diritti umani, con gli EAU 13esimi. Forse dimenticando migliaia di morti durante la costruzione degli stadi per i Mondiali, la limitazione della libertà e i vari diritti a rischio. E ancora, le critiche nei confronti l’embargo imposto al Qatar da parte di Emirati, Arabia, Bahrein ed Egitto, "nonostante Doha avesse «sostenuto le rivolte popolari in Egitto e Tunisia".

L’analisi di Susanna Ceccardi

Rula Jebreal per il momento non ha preso posizione, ma in passato sul suo profilo Twitter non aveva lesinato difese nei confronti del Qatar. Tornando alla sottocommissione, l’europarlamentare leghista Susanna Ceccardi ha rivelato di aver presentato un’interrogazione al vicepresidente della Commissione europea Josep Borrell per chiedere che l’Ue “chiarisse i legami tra il Qatar e alcuni gruppi terroristici”: “Avevo chiesto se intendesse valutare la possibilità di imporre a Doha misure restrittive per limitarne l'intervento finanziario in Europa”. Nulla da cambiare, la replica di Borrell. La Ceccardi, inoltre, ha ricordato la provocazione di Rula Jebreal nei suoi confronti in quel 10 maggio:“Io capisco che alcuni del movimento di estrema destra (la Lega secondo la giornalista) sono pronti a farsi pagare da Putin...”.

"Cifre consistenti". Da Milano è caccia alle mazzette del Qatargate. Sotto la lente di ingrandimento sono finiti versamenti e modalità di utilizzo del denaro. L'accusa di riciclaggio potrebbe essere formulata anche a Milano. Luca Sablone il 17 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Cercare e possibilmente trovare i soldi del caso Qatargate. Quanto denaro è realmente transitato? I versamenti da dove provengono? In quale modo sono stati poi utilizzati? Sono molte le domande che devono assolutamente trovare risposta nello scandalo di presunta corruzione che ha coinvolto più di qualche membro del Parlamento europeo. Sotto la lente di ingrandimento sono finiti alcuni conti correnti di personalità che risultano essere di primo rilievo nella vicenda emersa di recente.

La caccia alle "mazzette"

Sarebbero già stati eseguiti diversi accertamenti del caso su alcuni dei sette conti italiani che la Guardia di Finanza, delegata Procura di Milano in esecuzione di un ordine di investigazione europeo nell'ambito dell'indagine sul Qatargate, starebbe acquisendo. Come spiegato dall'Adnkronos, si tratterebbe di una serie di controlli richiesti dalla magistratura di Bruxelles che avrebbero la finalità di fare luce sui possibili movimenti sospetti in grado di rafforzare la tesi dell'accusa. In questo momento la magistratura milanese non ha provveduto ai sequestri di iniziativa e resta in attesa di ulteriori indicazioni da parte di Bruxelles.

Chi ha eseguito i primi accertamenti parla di "cifre consistenti". I conti correnti sarebbero riconducibili anche ad Antonio Panzeri (ex europarlamentare del Partito democratico) e a Luca Visentini (segretario generale della confederazione internazionale dei sindacati). Al momento comunque non è possibile quantificare del tutto i saldi in questione e la filiera dei bonifici, visto che allo stato attuale si hanno in possesso solo "alcuni spunti".

Tra le opzioni future sul tavolo c'è anche l'apertura di un'indagine autonoma a Milano, anche se i tempi non sono certi. Si attendono eventuali mosse da parte del dipartimento Affari internazionali guidato dall'aggiunto Fabio De Pasquale. Come riferito da La Repubblica, non è da escludere che l'accusa di riciclaggio possa essere formulata anche nel capoluogo lombardo. Il motivo? Il Corriere della Sera spiega che il sospetto degli inquirenti è che il tutto non si limita ai sacchi di contanti trovati. Solo pochi giorni fa la polizia federale belga avrebbe sequestrato un totale di 1,5 milioni di euro in contanti nell'ambito dell'inchiesta sul Qatar.

Gli sviluppi sul Qatargate

L'Ansa ha fatto sapere che nel mandato di arresto europeo notificato a Maria Colleoni e Silvia Panzeri (moglie e figlia di Antonio Panzeri) viene scritto che l'ex eurodeputato dem "sembra aver sviluppato e animato" una "vasta organizzazione fraudolenta" i cui i presunti "atti criminali" avrebbero avuto una "natura complessa, organizzata e ripetitiva".

"Anima di un'organizzazione fraudolenta": ecco come funzionava il sistema Panzeri

Ieri è arrivata la mossa su Andrea Cozzolino, che è stato sospeso cautelativamente dall'Albo degli iscritti e degli elettori del Partito democratico fino alla chiusura delle indagini sul Qatargate. Il Pd ha deciso di intraprendere questa scelta sia per "tutelare" la propria immagine sia per consentire all'onorevole Cozzolino "la più ampia difesa delle proprie posizioni".

"Un amico intimo". Una nota rivela i legami tra Panzeri e il Marocco. Alcuni documenti riservati confermerebbero il rapporto tra Antonio Panzeri e i diplomatici di Rabat. In una nota del 2013, l'ex europarlamentare veniva definito "amico intimo del Marocco". William Zanellato il 17 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Più passano le ore, più il caso Qatargate è destinato ad allargarsi. Sia sul versante politico sia sul piano geografico. Nei giorni scorsi gli inquirenti belgi, autori dell’indagine che ha portato in carcere l’ex eurodeputato Antonio Panzeri e il suo ex assistente Francesco Giorgi, hanno reso noti i tentativi di corruzione da parte del Qatar. Oggi il quadro geografico sembra allargarsi e la pista marocchina dell’indagine si fa sempre più concreta.

La lettera del 2011

Il legame tra Antonio Panzeri e il Marocco potrebbe essere confermato - e qua ci riserviamo di aspettare la ratifica degli inquirenti - da una serie di documenti riservati di Rabat. A rivelare queste carte è un’inchiesta delle testate belghe Le Soir e Knack che ricostruisce il rapporto tra il Parlamento europeo e il Marocco partendo dai documenti pubblicati da un hacker marocchino dal nome anglosassone, Chris Coleman. Da almeno 11 anni Antonio Panzeri era stato scelto dal Marocco per difendere gli interessi di Rabat all’interno del Parlamento europeo. È quanto emerge da una corrispondenza tra il ministro degli Esteri marocchino e l’ambasciatore di Rabat presso l’Unione Europea inviata nel 2011 e ripresa questa mattina da La Stampa. La lettera fa riferimento a una visita a Tindouf di Antonio Panzeri. Tindouf è la città algerina dove ha sede il governo in esilio della Repubblica Araba Democratica dei Sahrawi, chiamata anche Sahara Occidentale. L’oggetto della visita è significativo perché rientra negli interessi politici del Marocco: mantenere il controllo del Sahara Occidentale, regione rivendicata da Rabat.

Il "messaggio di Panzeri"

La preparazione di questa visita (e questo sarebbe il dato rilevante) certifica un contatto e una stretta organizzazione tra Panzeri e le autorità marocchine. A pochi giorni della partenza infatti, emerge una nota diplomatica dell’ottobre 2011 dove si porta all’attenzione di Rabat un colloquio informale tra un consigliere di Panzeri e l’ambasciatore marocchino presso l’Ue. Panzeri in quel momento era presidente della Commissione Maghreb del Parlamento; quindi potrebbe essersi trattato di un normale contatto diplomatico. Tuttavia il messaggio di Panzeri, riferito da un suo consigliere alle autorità marocchine, sembrerebbe nascondere secondi fini. “La visita a Tindouf - recita il documento - è indispensabile per supportare la credibilità del sig. Panzeri presso l’Algeria e il Polisario, visto che lui è stato accusato di essere pro-Marocco. Non è nell’interesse del Marocco che il sig. Panzeri sia percepito come tale” . Panzeri, secondo quanto riferito dal suo consigliere alle autorità marocchine, era molto attento a non nominare l’autonomia né a fare dichiarazioni in quel senso per quanto riguarda il Sahara Occidentale.

Il contenuto del “messaggio di Panzeri", secondo quanto riporta il quotidiano torinese, è stato ampiamente apprezzato dalle autorità marocchine: “A prima vista è rassicurante, l’interessato è molto consapevole della sensibilità della sua visita nei campi di Tindouf e fa uno sforzo per non compromettere i contatti con il Marocco”. Le autorità marocchine sembano approvare “l’ambiguità costruttiva” degli atteggiamenti dell’ex europarlamentare e la sua visione portata avanti per mantenere l’asse Rabat-Bruxelles. Allo stesso tempo i diplomatici di Rabat riconoscono l’importanza strategica del signor Panzeri all’interno degli uffici di Strasburgo. “È difficile non vedervi un capacità di disturbo, in quanto dimostra come l’interessato possa essere un alleato di peso o un avversario da temere”.

"Un amico intimo del Marocco"

In un’altra nota, ma del 2013 (quindi due anni più tardi), Panzeri viene citato nuovamente dalle autorità marocchine sempre in merito di una missione diplomatica presso l’Ue per contrastare gli oppositori del Marocco all’interno del Parlamento. Come riportato dal Corriere della Sera, Antonio Panzeri viene definito “amico intimo del Marocco” e la sua figura viene presa come punto di riferimento per attuare un “Piano d’azione per il Parlamento europeo”. L’obiettivo finale del piano di Rabat era quello di influenzare le scelte dell’Ue attraverso l’organizzazione di convegni, visite e dibattiti.

Pietro Bartolo, il paladino dei migranti col portaborse indagato. Carlo Nicolato su Libero Quotidiano il 18 dicembre 2022

Pietro Bartolo non è un membro del Parlamento Europeo qualsiasi, uno dei tanti superflui nomi in quota al Pd e quindi al gruppo dei Socialisti e Democratici di cui a fatica si ricorda il nome. Certo, Bartolo è anche vicepresidente del Libe, la Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, ma soprattutto è il "medico dei salvataggi" di Lampedusa, di cui è stato consigliere e vicesindaco per tanti anni e per quasi trenta è stato il responsabile sanitario delle prime visite ai migranti che sbarcano sull'isola. Pietro Bartolo è la storia di migliaia di immigrati sbarcati sulle nostre coste, è un documentario di Gianfranco Rosi (Fuocoammare) che ha vinto l'Orso d'Oro al festival di Berlino ed è stato candidato all'Oscar nella sua categoria. È anche un più recente film interpretato da Sergio Castellitto (Nour).

Pietro Bartolo è Cavaliere dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana, è tanti riconoscimenti di cui non basterebbe lo spazio per elencarli, come il "Premio Sérgio Vieira de Mello" per essersi distinto tra «coloro che si adoperano per la coesistenza e cooperazione pacifica tra società, religioni e culture», o il "Premio Don Beppe Diana - per amore del mio popolo". Bartolo è anche un libro dal titolo Lacrime di sale (Mondadori, 2016), scritto con la giornalista Lidia Tilotta, anche quello gratificato col suo bel premio letterario, il Vitaliano Brancati. Insomma Pietro Bartolo è uno di quei massimi simboli della sinistra italiana ed europea, contro cui a suo tempo si è ripetutamente scontrato il ministro Salvini e poi, più tardi, il presidente Meloni. E in quanto tale non può di certo venire offuscato da basse questioni di mazzette provenienti da Paesi che non rispettano i diritti umani. Il Qatargate, sia detto subito, lo ha solo sfiorato, lui non c'entra proprio nulla, e già prima che che la procura belga cominciasse a interessarsi del suo assistente Davide Zoggia, ha rimesso il suo mandato da relatore ombra del gruppo dei Socialisti e Democratici del testo sulla liberalizzazione dei visti a Kuwait e Qatar. Un atto dovuto perché è il gruppo che per primo ha preso le distanze e chiesto la sospensione dell'iter riguardante i visti, ma anche un segnale per dire che «io con questo schifo non voglio aver niente a che fare».

Bartolo ha poi chiarito che il suo collaboratore è condiviso con un altro eurodeputato, Brando Benifei, sottolineando che Zoggia «non c'entra nulla con questa storia» ma si è ritrovato coinvolto in quanto abitava in subaffitto nella casa di Giuseppe Meroni, ex assistente di Antonio Panzeri. Insomma gli inquirenti sono andati in quella casa per cercare Meroni ma hanno trovato Zoggia «che è caduto dalle nuvole». Bartolo ha poi ribadito che il suo fidato assistente non ha si è mai occupato di questa brutta faccenda: «È una cosa schifosa che sta gettando fango su tutti». Aggiungendo che se le accuse che riguardano Panzeri e tutti gli altri «sono vere devono rinchiuderli e buttare le chiavi nella fossa delle Marianne». 

Qatargate. Che cos'è il Qatargate e come si è sviluppato. Storia e conseguenze dello scandalo giudiziario più importante che ha colpito le istituzioni europee. Mauro Indelicato il 17 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Il Qatargate è il nome attribuito a uno scandalo giudiziario che ha coinvolto l'Europa e, in particolar modo, il parlamento europeo. Il termine rimanda al Qatar, proprio perché le indagini principali riguardano presunte tangenti arrivate dal piccolo emirato sul Golfo per influenzare e determinare a proprio favore la politica dell'europarlamento e rideterminare in positivo l'immagine dello stesso Paese arabo.

Ma oltre al Qatar risultano anche altri Paesi coinvolti. A partire dal Marocco, i cui servizi segreti sono sospettati di aver organizzato un giro di mazzette elargite ad alcuni politici europei. Non viene scartata anche una pista che porta all'Iran, visti gli ottimi rapporti tra Doha e Teheran e il coinvolgimento di almeno un analista politico considerato vicino alla Repubblica Islamica.

Il caso crea scandalo soprattutto per il peso dei nomi coinvolti nell'inchiesta. La polizia belga infatti arresta, tra gli altri, il vice presidente del parlamento europeo, la parlamentare greca Eva Kaili, l'ex eurodeputato italiano Antonio Panzeri (eletto con il Pd e poi passato ad Articolo1, da cui viene sospeso dopo l'arresto), l'assistente Francesco Giorgi, compagno di Kaili.

L'inizio del Qatargate

La prima notizia di una perquisizione negli uffici di Eva Kaili si ha il 9 dicembre 2022. Gli inquirenti mandano gli agenti belgi negli uffici e nell'abitazione del vice presidente del parlamento europeo in cerca di indizi per le proprie indagini. Il giorno dopo si ha la conferma del fermo dell'europarlamentare ellenica.

"Borse piene di banconote". L'eurodeputata Kaili arrestata in flagranza

Oltre a lei vengono arrestati il padre, secondo gli inquirenti pronto alla fuga, e il compagno Francesco Giorgi. Quest'ultimo nella passata legislatura risulta assistente di Antonio Panzeri, anch'egli arrestato. Su di lui si addensano non poche ombre per via del ritrovamento, all'interno della propria abitazione, di almeno 500.000 Euro in contanti.

Valigie e borsoni pieni di soldi vengono trovati anche nella casa di Giorgi e Kaili. Per i magistrati di Bruxelles si tratta della “pistola fumante”. Coinvolti anche Luca Visentini, rilasciato come il padre di Kaili, e Niccolò Figa-Talamanca.

Europarlamentari, diplomatici e assistenti: chi è coinvolto nel Qatargate

Il quadro probatorio per gli inquirenti belgi è tanto semplice quanto drammatico: alcuni eurodeputati sono stati pagati dal Qatar e dal Marocco per orientare le scelte di Bruxelles a favore di questi due Paesi. Secondo i magistrati, il lavoro messo in campo da Doha e Rabat va oltre una semplice attività di lobbying, spingendosi invece verso una vera e propria attività di corruzione.

Antonio Panzeri, eurodeputato fino al 2019, viene visto con sospetto già diversi mesi prima dello scandalo Qatargate. Sotto accusa i suoi viaggi sia in Qatar che in Marocco. In alcune conversazioni, come sottolineato dalla stessa stampa belga, la moglie (anch'essa coinvolta, come la figlia, nell'indagine) fa il nome di Abderrahim Atmoun. Si tratta dell'attuale ambasciatore del Marocco in Polonia, in passato membro del parlamento marocchino e particolarmente attivo a Bruxelles. Qui, sempre secondo i magistrati, nel centro studi del Marocco in Belgio avrebbe allestito una vera e propria base politica di Rabat. Sia la moglie che la figlia di Panzeri citano Atmoun a proposito di regali concessi dall'ambasciatore, in ottimi rapporti con l'ex eurodeputato da diversi anni.

Il centro di studi, i regali e le valigie coi soldi: così agivano gli 007 marocchini

Nel 2018 ad esempio, c'è una foto che li ritrae assieme con una terza figura in quell'immagine: quella di Andrea Cozzolino. Anche lui europarlamentare eletto con il Pd e anche lui, da questa legislatura, ha come consigliere e collaboratore Francesco Giorgi. Per questo, dalle prime notizie sul Qatargate, il suo nome viene costantemente tirato in ballo. Sospeso dal Pd, al momento però Cozzolino non risulta tra gli indagati.

Per quanto riguarda i riferimenti della consorte di Panzeri, i magistrati ipotizzano siano il frutto della corruzione dell'ex deputato. Regali importanti, dell'ordine di migliaia di Euro, consistenti anche in vacanze e soggiorni in alberghi lussuosi, sempre secondo gli investigatori. Un quadro accusatorio ovviamente ancora da dimostrare nelle prossime fasi. Intanto però, la magistratura belga crede di poter chiudere il cerchio attorno a Panzeri investigando, tra le altre cose, anche sui suoi viaggi in Marocco. Almeno uno di questi sarebbe stato pagato dal Dged, il servizio segreto di Rabat. E sempre in uno dei viaggi nel Paese nordafricano, Panzeri avrebbe incontrato il direttore Mansour Yassine. L'ambasciatore Atmoun, in questo contesto, avrebbe fatto da tramite. Mentre ad agganciare Panzeri sarebbe stato invece un altro esponente del Dged, Belharace Mohammed.

Ricatti sui migranti, regali e 007: così il Marocco si è inflitrato a Bruxelles

Sotto accusa anche i viaggi dell'ex eurodeputato in Qatar. Qui entra in gioco Francesco Giorgi, collaboratore prima di Panzeri e poi di Cozzolino, ma noto anche per essere il compagno di Eva Kaili. Quest'ultima, parlamentare greca eletta tra le fila del Pasok, partito di centro-sinistra ellenico, avrebbe sostenuto diverse cause particolarmente care a Doha in cambio di soldi. Giorgi in questo contesto, secondo gli inquirenti potrebbe aver avuto un ruolo importante nella gestione del denaro elergito in contante. Ad ogni modo, sembrerebbe che i deputati coinvolti non siano gli unici a ritrovarsi dentro un giro di mazzette dal Qatar. Secondo la stampa greca, le indagini in questo momento stanno puntando su almeno sessanta eurodeputati. Tra questi ad esempio anche il belga socialista Marc Tarabella, a cui viene perquisito l'ufficio alcuni giorni dopo l'emersione dello scandalo.

Un lungo lavoro di intelligence

Il nome dato alla vicenda è Qatargate, ma le prime inchieste da Bruxelles vertono sul Marocco. Come descritto da Repubblica il 16 dicembre, i belgi vengono allertati da un servizio segreto europeo circa la presenza di un gruppo di eurodeputati su cui Rabat può contare per estendere la propria influenza politica sulle istituzioni comunitarie. Il servizio segreto in questione, anche se non ci sono conferme ufficiali in tal senso, sarebbe quello spagnolo. Madrid conosce del resto molto bene dinamiche e orientamenti delle forze di sicurezza marocchine.

Nell'informativa trasmessa ai colleghi belgi, si fa riferimento a due nomi. Uno è quello dell'ambasciatore Abderrahim Atmoun, l'altro è invece di Belharace Mohammed. Scatta così, a metà del 2021, l'inchiesta. Belharace si trova già nei database: risulta essere stato fermato all'aeroporto parigino di Orly alcuni mesi prima in possesso di documenti segreti e in quell'occasione ha provato a corrompere un poliziotto.

Ci si mette quindi sulle tracce dei due nomi sospetti. Bruxelles chiede aiuto ai servizi spagnoli, così come a quelli francesi e polacchi. Da Parigi infatti si aspettano maggiori informazioni su Belharace, mentre a Varsavia si chiede di fare luce sull'ambasciatore marocchino Atmoun. I dati raccolti permettono all'inchiesta di andare avanti. Emerge in questo contesto il nome di Panzeri ed escono fuori i suoi possibili rapporti con il Dged. Per questo il Belgio chiama in causa anche i nostri servizi segreti. In un primo momento, l'intelligence italiana non viene citata tra le agenzie di sicurezza che collaborano con i belgi, ma sono fonti degli stessi nostri servizi a smentire e a confermare, al contrario, la partecipazione all'indagine. Con i vari elementi in mano agli inquirenti, scatta quindi tra il 9 e il 10 dicembre il blitz che porta in carcere Panzeri e gli altri coinvolti.

Anche l'Italia ha collaborato alle indagini sul Qatargate

L'operazione non riguarda solo il presunto giro di mazzette dal Marocco, ma anche dal Qatar. Fonti investigative di Bruxelles fanno sapere al quotidiano Le Soir che il filone su Doha nasce dall'informazione di un altro servizio segreto, quello degli Emirati Arabi Uniti. È Abu Dhabi quindi ad avvertire Bruxelles. In questo contesto salta ancora una volta fuori il nome di Panzeri, più volte volato sulle sponde del Golfo. Qui entrano in gioco l'Ong da lui curata, la Fight Impunity, e il suo ex collaboratore Francesco Giorgi. E, di riflesso, la compagna di lui Eva Kaili. Gli incontri in questo caso non sarebbe avvenuti tramite l'intelligence di Doha, ma direttamente con esponenti del governo locale. E, in particolare, con il ministro del Lavoro qatariota Ali Bin Samikh Al Marri. Dall'emirato respingono le accuse e dichiarano di essersi sempre mossi nel rispetto del diritto internazionale.

Quei soldi trovati a casa dei sospettati

A dare una forte accelerazione alle indagini è il ritrovamento, lo scorso 12 luglio, di almeno 700.000 Euro a casa di Panzeri. Lo scrive Repubblica nell'articolo del 16 dicembre. Dopo una prima raccolta di dati, i servizi segreti belgi decidono a luglio di entrare nell'abitazione dell'ex eurodeputato, in quel momento fuori Bruxelles perché in vacanza. E lì trovano quella che considerano la prima vera prova della corruzione.

Mezzo milione di Euro viene invece trovato nel momento dell'arresto di Panzeri. Banconote che, secondo il quotidiano Le Soir, avrebbero numeri di serie belgi. Un grattacapo a livello investigativo: da un lato questa circostanza confermerebbe i sospetti sui pagamenti in contanti, consegnati in borse e borsoni, dall'altro però smentirebbe le ricostruzioni sui soldi presi direttamente in Marocco.

Ad ogni modo, tutto viene messo sotto sequestro e si continua a indagare. Banconote vengono trovate anche a casa di Eva Kaili. Il suo avvocato da Atene respinge ogni accusa e afferma di non sapere la quantità di denaro ritrovata dai poliziotti belgi nell'abitazione della sua assistita. La quale, nel frattempo, pochi giorni dopo l'arresto viene destituita dalla carica di vice presidente del parlamento europeo con un voto quasi unanime e ai sensi dell'articolo 21 del regolamento dell'aula di Strasburgo. Gli occhi sono puntati anche su alcuni bonifici. In particolare, quelli elargiti dal Qatar a favore dell'Ong Fight Impunity fondata da Panzeri.

La pista qatariota, marocchina e iraniana: ecco dove si concentrano i sospetti

Le indagini quindi portano dritte su due specifiche piste: una qatariota e una marocchina. Partendo da quest'ultima, secondo gli inquirenti le fila vengono tirate dagli stessi servizi segreti di Rabat. L'obiettivo è portare diversi eurodeputati a sostenere gli interessi del Regno del Marocco. Viene vista ad esempio con sospetto la votazione, passata con più di 400 voti favorevoli, dell'accordo sulla pesca tra Ue e Marocco nel 2019. Anche Panzeri in quel caso vota Sì a quel documento, bocciato poi dalla Corte Europea due anni più tardi in quanto includeva anche i territori del Sahara Occidentale, rivendicato da Rabat ma sulla cui sovranità ancora oggi ci sono posizioni divergenti.

La pista qatariota porta dritta alla proposta sull'esenzione di visti che consente ai cittadini dell'emirato di viaggiare liberamente in Europa, misura approvata dalla commissione Libe (libertà civili, giustizia e affari interni) il primo dicembre scorso. A partecipare, come sostituta, a quel voto è anche Eva Kaili. La quale esprime il suo parere favorevole, in contraddizione con molti del suo gruppo parlamentare di riferimento, i Socialisti e Democratici. Il voto favorevole è comunque trasversale e coinvolge più partiti. Ovviamente impensabile parlare di Qatar senza menzionare i mondiali di calcio giocati nell'emirato tra novembre e dicembre. Obiettivo di Doha, secondo gli inquirenti, è “ammorbidire” le posizioni della politica europea sul rispetto dei diritti dei lavoratori e dei diritti civili nel Paese.

C'è però anche un terzo binario, quello relativo all'Iran. Francesco Giorgi viene infatti ritenuto molto vicino a Eldar Mamedov. Quest'ultimo è un analista politico presente a Bruxelles in qualità di collaboratore del gruppo Socialisti e Democratici. Ha passaporto lettone ma origini iraniane. Come sottolineato dal Corriere della Sera, nella sede del parlamento europeo viene considerato un lobbista pro Iran. Considerando i buoni rapporti tra Doha e Teheran, c'è chi sostiene l'esistenza anche di una pista direttamente ricollegabile alla Repubblica Islamica.

Il ruolo delle Ong

Importante in questa vicenda il ruolo di almeno due Ong. La prima è quella fondata nel 2019 da Antonio Panzeri, la Fight Impunity. La sua sede è a Bruxelles, in Rue Radical. Viene descritta sul sito come una Ong il cui obiettivo è quello di “promuovere la lotta contro l’impunità per gravi violazioni dei diritti umani e crimini contro l’umanità avendo il principio di responsabilità come pilastro centrale dell’architettura della giustizia internazionale”. Ha al suo interno membri onorari di un certo peso, come Emma Bonino e l'ex alto rappresentante per la politica estera europea, Federica Mogherini. Ci sono anche i nomi dell'ex primo ministro francese Bernard Cazeneuve, dell'ex commissario Dimistris Avramopoulos e del premio Nobel per la pace Denis Mukwege. Gli inquirenti però sospettano che Panzeri usi l'Ong per i propri scopi personali e nasconda nei conti dell'organizzazione i proventi della corruzione in Qatar.

"Stava per entrare...". La rivelazione della segretaria della Ong di Panzeri

L'altra Ong invece si chiama No Peace Without Justice. Il coinvolgimento è testimoniato dall'arresto del suo segretario, Niccolò Figa-Talamanca. Fondata nel 1993 da Emma Bonino, non è chiaro però il suo coinvolgimento nell'inchiesta. Si sa che condivide gli uffici con la Fight Impunity, per il resto i collegamenti con l'Ong di Panzeri si chiudono qui. Intervistata su IlDomani, Emma Bonino dichiara di non essere a conoscenza dei dettagli dell'indagine e di essere completamente estranea ai fatti in questione.

Gli interessi geopolitici in ballo

Il principale interesse del Qatar è legato alla propria immagine alla vigilia del mondiale di calcio. Il più grande evento ospitato in medio oriente già da anni è nell'occhio del ciclone per le notizie sui diritti umani e sui diritti dei lavoratori. Circostanza che fa temere Doha circa un possibile boicottaggio del torneo e un mancato ritorno turistico. Da qui dunque, secondo gli inquirenti, il tentativo di avvicinare, con mazzette e tangenti, gli eurodeputati. Non solo ma, come detto, il Qatar fa pressione per la concessione dell'esenzione dei visti ai propri cittadini. Circostanza percepita dall'emirato come importante e su cui avvia quindi un'attività di lobbying destinata, sempre secondo gli investigatori belgi, a diventare vera e propria opera di corruzione.

Cosa ha comprato il Qatar con i soldi ai deputati corrotti

Il Marocco ha invece due storici obiettivi politici: la firma di trattati commerciali con l'Ue, come quello sulla pesca del 2019, e il riconoscimento del Sahara Occidentale come regione sotto la propria sovranità. Un obiettivo quest'ultimo ritenuto fondamentale e più abbordabile dopo il riconoscimento, avvenuto nel 2020, degli Stati Uniti alla sovranità marocchina sulla regione. Rabat spinge da tempo l'Europa affinché appoggi la sua proposta, presentata all'Onu nel 2007, di concessione dell'autonomia al Sahara Occidentale in cambio del riconoscimento della sua sovranità. Per gli investigatori, la volontà marocchina di giungere quanto prima al suo obiettivo determina anche in questo caso un'attività di lobbying sfociata in corruzione.

Qatargate, cosa sappiamo sullo scandalo che fa tremare l’Europa. Maria Serena Natale su Il Corriere della Sera il 18 Dicembre 2022.

Il blitz, le accuse, i protagonisti: la ricostruzione del più grave caso di corruzione nella storia dell’Unione europea

Il 9 dicembre 2022 ai Mondiali di calcio in Qatar si giocano Croazia-Brasile e Olanda-Argentina, l’indomani il Marocco piega il Portogallo e va in semifinale. La presidente dell’Europarlamento Roberta Metsola è a Malta quando squilla il cellulare. La polizia belga la richiama a Bruxelles per poter perquisire in sua presenza la casa di uno dei 14 vicepresidenti, la greca Eva Kaili. L’indagine dell’Anticorruzione è partita a luglio ma è da molto prima che il giudice istruttore Michel Claise aspetta questo giorno. Gli agenti fanno irruzione in 19 tra uffici e abitazioni, dal Belgio all’Italia gli arresti sono 8. Il quotidiano Le Soir è il primo a dare la notizia. Corruzione, riciclaggio, associazione a delinquere. È il Qatargate, il più grave scandalo nella storia dell’Unione europea.

Il giudice e Ifigenia

Nemico giurato di abuso e privilegio, tessitore di intrighi internazionali nei gialli che scrive nel tempo libero, Claise ha mirato al cuore di un sistema basato sulla contiguità tra politici e lobbisti, sul confine tra diplomazia e interesse, sulla relazione tra potere, ideali, denaro. Il primo a cadere nella rete è Antonio Panzeri, 67 anni, ex segretario generale della Camera del Lavoro di Milano, eurodeputato dal 2004 al 2019 con il gruppo Socialisti e Democratici (all’inizio Ds, poi Pd, infine Articolo 1). Tra i 19 indirizzi nel mirino degli inquirenti c’è il 41 di Rue Ducale, sede della Ong che Panzeri ha fondato subito dopo aver lasciato l’emiciclo, Fight Impunity, combattere l’impunità. Siamo in una delle vie più eleganti del centro di Bruxelles a pochi passi dalla residenza del premier belga, dall’ambasciata Usa e dalla cittadella delle istituzioni comunitarie dove si muovono funzionari, osservatori, spie, 12 mila lobbisti registrati (ma si stima siano almeno il doppio). La Ong, che con il fine dichiarato di promuovere i diritti umani organizza eventi e incontri di altissimo livello, può contare sul profilo autorevole del fondatore, sui rapporti costruiti nel tempo e su un comitato consultivo che include figure del calibro di Emma Bonino e Federica Mogherini — del tutto estranee allo scandalo, hanno immediatamente lasciato il board. A casa Panzeri gli agenti trovano 600 mila euro in contanti.

Nel 2019 Panzeri «passa» a Eva Kaili, ex giornalista televisiva ed eurodeputata socialista con studi tra Salonicco e Harvard, il proprio assistente, Francesco Giorgi, originario di Abbiategrasso, laureato in Scienze Politiche alla Statale di Milano e istruttore di vela. Oggi Kaili e Giorgi, 44 e 35 anni, hanno una figlia di 22 mesi. Nel loro appartamento la polizia requisisce 150 mila euro cash, altri 600 mila spuntano dal trolley che il padre di Kaili, Alexandros, tenta di trascinare fuori dall’hotel Sofitel di Place Jourdan quando viene fermato dalla polizia. In totale sequestri per 1,5 milioni di euro. Eva nega qualsiasi coinvolgimento, attribuisce il denaro a Panzeri e in una vertigine tragica poco adatta a questa storia di mazzette e abbuffate giura: non sarò Ifigenia (la figlia che nel mito Agamennone accetta di sacrificare per far ripartire alla volta di Troia le navi greche bloccate in Aulide). Giorgi ammette di essersi lasciato «reclutare» ma difende la compagna, si assume la responsabilità anche della fuga di Alexandros e fa il nome del suo attuale principale, l’eurodeputato Antonio Cozzolino. Cozzolino non risulta indagato né ha subito perquisizioni ma si è autosospeso dal gruppo S&D e in Italia è stato sospeso in via cautelare dal Pd. Gli altri arrestati nel mega blitz sono Luca Visentini, segretario della Confederazione internazionale dei sindacati poi rilasciato, e Niccolò Figà-Talamanca, capo della Ong No Peace Without Justice, ora in libertà vigilata. Perquisizioni e sigilli agli uffici di assistenti parlamentari in buona parte italiani che non mancano di attirare nei corridoi ironie e indignazione sul vecchio Italian Job, ma il «gate» si è appena aperto e l’inchiesta rivela ogni giorno nuove ramificazioni. Fonti di stampa parlano già di 60 eurodeputati coinvolti.

I corruttori

A cosa servivano quei soldi? La pista investigativa porta a Qatar e Marocco, in cerca di sponde interne ai palazzi Ue per perseguire obiettivi strategici e riscattare la propria immagine di Stati autoritari con pessimi standard sui diritti umani. Accordi economici, riconoscimenti dei progressi compiuti. Tra le priorità del Qatar, che da anni infiltra l’Occidente con investimenti e acquisizioni dalla difesa all’immobiliare e in piena crisi energetica per la guerra ucraina vuole blindare la leadership nell’export di gas naturale liquefatto, c’erano proprio i Mondiali e il tentativo di mettere in ombra le condizioni di schiavitù imposte ai lavoratori che hanno costruito gli stadi e in moltissimi casi perso la vita. Lusso, commesse militari, centri culturali e moschee: oltre al radicamento nell’economia e sul territorio, Doha cercava un posto nel salotto buono d’Europa. Una delle ipotesi sul Qatargate è che la soffiata decisiva ai servizi belgi, che hanno poi passato il fascicolo alla magistratura, sia arrivata dagli Emirati, storici rivali regionali. Quanto al Marocco, che con l’Europa ha relazioni più antiche e radicate per ragioni geografiche e storiche, i dossier più sensibili sui quali sollecitare uno sguardo tollerante quando non compiacente andavano dalla pesca alla libertà di espressione al conflitto con il Fronte Polisario in lotta per l’autodeterminazione del popolo Sahrawi nei territori del Sahara occidentale. Una crisi che divide i Ventisette e sulla quale la Ue ha sempre mantenuto una posizione di ambigua terzietà.

Spie e regali

Dalle petromonarchie del Golfo Persico alle nebbie da Guerra fredda di Varsavia. La rete passava dalle stanze dell’ambasciatore del Regno del Marocco in Polonia, Abderrahim Atmoun, politico di lungo corso con ottime entrature tra Parigi e Bruxelles, chiamato da re Muhammad VI alla carriera diplomatica nel 2019 ed emerso nelle prime ricostruzioni dell’inchiesta come uno dei manovratori nonché intermediario con i servizi segreti di Rabat. Le carte citano «regali» per «l’amico» italiano provenienti dal Marocco che sarebbero stati affidati a moglie e figlia di Panzeri, Maria Dolores Colleoni e Silvia Panzeri, entrambe attualmente agli arresti su mandato europeo: domani la Corte d’appello di Brescia decide sulla consegna ai belgi. Nelle intercettazioni telefoniche marito e moglie parlano di conti per nascondere il denaro e di una carta di credito a disposizione intestata al «gigante» Atmoun. Alla famiglia il Qatar avrebbe offerto una vacanza da 100 mila euro.

Metsola annuncia una rapida revisione delle norme sulla trasparenza. La ferita più grave è il sospetto che s’allunga sulle battaglie di un’Europa vulnerabile nei principi. I principi che sono la sua forza, tanto più agli occhi di chi vorrebbe corromperla.

Scandalo Qatar. Quale è il vero obiettivo dell’inchiesta sul Qatar, il ruolo dei servizi segreti. Piero Sansonetti su Il Riformista il 17 Dicembre 2022.

I giornali iniziano un po’ ad ansimare. Il Qatar-gate non dà più molto. Dovevano spuntare nomi, partiti, miliardi. Qui pare che un anno e mezzo di indagini abbia portato solo alla scoperta di un paio di valigette di banconote. Delle quali si ignora la provenienza, l’eventuale natura criminale, e soprattutto l’obiettivo. A quasi una settimana dall’esplodere di quello che è stato definito lo scandalo politico del secolo ancora nessuno è in grado di dirci qual è il reato che si contesta agli arrestati. Dal momento che nessuno crede che il Qatar possa essersi messo in moto per ingerirsi negli affari dell’Europa allo scopo unico di ottenere da una deputata greca un discorsetto, ascoltato da pochi intimi, di lievi lodi per il regime di Doha. E allora?

Non ho idea. Non ho informazioni, anche perché né io né i giornalisti del mio giornale hanno contatti coi servizi segreti. Noi siamo un giornale un po’ particolare. Niente veline, niente manine, niente 007. Diciamo solo quel che vediamo. E su cui – se ci è possibile – ragioniamo. Oggi io vedo due cose. Una chiara, certa. L’altra fumosa. Ma sono due cose che sin qui non hanno sollevato nessun interesse da parte della stampa e della politica. Quella chiara è che le autorità giudiziarie belghe, in violazione di qualunque principio giuridico e della dichiarazione universale dei diritti umani (1948) stanno usando una bambina di 22 mesi come ostaggio e strumento di pressione per far confessare e ottenere eventuali delazioni dai genitori che hanno catturato e messo in carcere. Peraltro è chiaro più o meno a tutti che l’arresto dell’onorevole Kaili, mamma della bambina, è stato del tutto illegale perché la deputata europea godeva, evidentemente, della immunità della quale godono tutti i parlamentari, almeno nella parte più avanzata del mondo.

Il sequestro della bambina e il suo uso come strumento di pressione verso genitori è una vera infamia. Possibile che la cosa lasci tutti indifferenti? Possibile che nessuno conosca i bisogni di una bambina di 22 mesi (a quell’età molti bambini ancora prendono il latte dal seno della mamma)? Possibile che non ci sia una sollevazione contro una azione così inumana, mentre monta lo sdegno verso l’on Cozzolino, che a me risulta non sia neppure indagato? Sarà una mia ossessione, ma io penso che per sollevare la questione morale bisogna almeno possedere un abbozzo di morale. Mi dite che morale c’è nell’indignarsi per Cozzolino e non per il sequestro di un bambino?

La seconda questione che vorrei sollevare è quella degli 007. Cosa sappiamo, fin qui, di questa inchiesta e delle sue origini? Sappiamo che tutto nasce da alcune inchieste delle procure americane, le quali avevano deciso di indagare sul Qatar che era riuscito a soffiare agli Stati Uniti l’assegnazione dei mondiali di calcio del 22. Dopodiché la faccenda è stata presa in mano dai servizi segreti belgi. Ma i servizi segreti spesso non sono segretissimi, e così pare che agli 007 belgi si siano affiancati 007 di svariati altri paesi. Forse anche italiani. Forse no. I quali hanno agito senza informare la magistratura, sottotraccia, utilizzando mezzi di indagine che difficilmente possono essere considerati regolari nei paesi europei a stato di diritto. Comprese delle perquisizioni. E naturalmente pedinamenti, intercettazioni, infiltrazioni.

Ora magari voi potete pensare che io sia legato a vecchi cliché politici. Può darsi. Io penso invece che sia solo esperienza: quando un’indagine è guidata dagli 007 c’è poco da fidarsi. Molto spesso è una operazione che ha fini che noi non possiamo conoscere, spesso ha dei mandanti, spesso i mandanti sono imprevedibili, spesso dietro ci sono interessi politici inconfessabili. Non saprei dire quali. A occhio mi sembra una operazione volta a colpire la credibilità e l’autorevolezza dell’Europa in un momento di grande scombussolamento delle relazioni e dei rapporti di forza internazionali. Ma immagino che tutto ciò non interessi a nessuno. Ora la cosa importante è capire quante randellate dare a Cozzolino. La questione morale è tutta qui.

Piero Sansonetti. Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.

Giuseppe Salvaggiulo per “la Stampa” il 17 dicembre 2022.

Antonio Panzeri, ex eurodeputato agli arresti da una settimana con l'accusa di essere a capo di un'associazione criminale dedita alla corruzione internazionale, era stato scelto dal Marocco per difenderne gli interessi nel Parlamento europeo almeno dal 2011. È quanto emerge da una corrispondenza riservata tra l'ambasciatore marocchino presso l'Unione Europea e il ministro degli Esteri a Rabat. «Oggetto: visita a Tindouf del presidente della Delegazione Maghreb del Parlamento Europeo, Antonio Panzeri». 

Tindouf è la città algerina dove ha sede il governo in esilio della Repubblica Araba Democratica dei Sahrawi, chiamata anche Sahara Occidentale, che rivendica dal 1976 la sovranità su una porzione di Marocco, denunciando violazioni di diritti umani. La causa è promossa in tutto il mondo dal Fronte Polisario, movimento indipendentista che gestisce anche i campi profughi a Tindouf.

Il Marocco deve evitare condanne che avrebbero pesanti conseguenze economiche, poiché, sull'onda delle primavere arabe, l'Ue ha deciso di premiare economicamente i Paesi nordafricani più «audaci» su diritti umani e democrazia. Una partita che per il Marocco vale quasi 200 milioni l'anno, il finanziamento più ricco tra i Paesi della regione.

In questo contesto, il viaggio di Panzeri è strategico. 

Dai documenti riservati si scopre che è stato diabolicamente preparato in combutta con il Marocco. A pochi giorni dalla partenza, il 27 ottobre 2011, l'ambasciatore «porta a conoscenza» del ministro che «a margine della sessione plenaria del Parlamento Europeo abbiamo avuto un colloquio informale con il consigliere del signor Antonio Panzeri, portatore all'attenzione delle autorità marocchine di un messaggio da parte di quest' ultimo».

Il messaggio è rassicurante: il Marocco non ha da temere, «la visita a Tindouf è indispensabile per supportare la credibilità del sig. Panzeri presso l'Algeria e il Polisario, visto che lui è stato accusato di essere pro-Marocco. Non è nell'interesse del Marocco che il sig. Panzeri sia percepito come tale. Il sig. Panzeri ha fatto il possibile per evitare la data del 6 novembre», anniversario della Marcia Verde di decolonizzazione del 1975, considerata un punto di svolta per il Fronte Polisario.

«Il 7 novembre è un compromesso ragionevole, nel senso che visitare i campi nel contesto di una visita in Algeria è simbolico e costituisce una migliore opzione (per il Marocco) rispetto a una visita ad hoc nei campi». 

Secondo quanto riferito ai marocchini dal suo emissario, «Panzeri conta di non nominare l'autonomia con il Polisario, né fare dichiarazioni in questo senso durante la visita.

Ha indicato che si accontenterà di ascoltare i suoi interlocutori». E ha delineato la visione strategica sull'asse Rabat-Bruxelles: «Esiste una forte domanda nel Parlamento Europeo a riguardo della questione Sahara, regolarmente sollevata dagli eurodeputati e molto sfruttata da parte dei pro-Polisario, che fanno forti pressioni (sul gruppo socialista e democratico). Il miglior modo di gestire queste pressioni è circoscriverle e incanalarle attraverso il sig. Panzeri, che sa essere un interlocutore credibile per tutte le parti». 

Dopo aver riferito al ministro il contenuto del «messaggio di Panzeri», il diplomatico marocchino lo analizza: «A prima vista è rassicurante. L'interessato è molto consapevole della sensibilità della sua visita nei campi di Tindouf, e fa uno sforzo significativo per giustificarla e non compromettere in modo duraturo i contatti con il Marocco. Sembra prendere sul serio la raccomandazione di non recarsi a Est del dispositivo di difesa e promette di tenere informata la nostra Missione sull'evoluzione del suo programma a Tindouf».

Il documento inquadra la visita «nell'estensione del lavoro metodico iniziato dal sig.

Panzeri dopo i primi mesi seguiti alla sua elezione alla testa della delegazione Maghreb. I suoi contatti con il Polisario e con le autorità algerine, la fiducia che ha saputo costruire con gli interlocutori marocchini e soprattutto "l'ambiguità costruttiva" dei suoi atteggiamenti verso gli uni e gli altri sono manifestazioni di un'agenda politica di lungo respiro, portata avanti in modo volontario, a volte pericoloso, ma sempre con tatto e padronanza. È difficile non vedervi anche una dimostrazione subliminale di "capacità di disturbo", in quanto dimostra come l'interessato possa essere un alleato di peso o un avversario da temere».

Infine il diplomatico si profonde in un giudizio lusinghiero: «Visti da questa angolazione, gli sviluppi recenti denotano, nella linea politica di Panzeri, una continuità raramente osservata in altri eurodeputati. In questa logica, c'è motivo di pensare che, lontano dall'essere un'operazione di comunicazione, la visita a Tindouf sia un traguardo tattico nella sua agenda personale». Prima della visita, Panzeri transiterà a Rabat. Il diplomatico si raccomanda di «organizzare incontri che un responsabile che lo possa briffare sulla questione Sahara in modo appropriato e, se necessario, gli anticipi i messaggi che lui riceverà durante le tappe di Algeri e di Tindouf». Nasce così, nel 2011, il patto Panzeri-Marocco. Che ha dato i suoi frutti per undici anni. Fino a una settimana fa.

Francesca Sforza per “la Stampa” il 18 Dicembre 2022.   

«Alle valigie piene di cash non ci si arriva subito», spiega un ex funzionario europeo che ha lavorato a lungo in un dipartimento strategico della Commissione. La diplomazia delle monarchie del Golfo, in particolare, è molto avvertita, e con gli anni è diventata sempre più scaltra. Il funzionario - spagnolo di nascita, francese di lingua, britannico d'adozione, oggi a Bruxelles per una seconda vita da consulente - ricorda di quando, anni fa, un suo collega fu omaggiato da un emiro di Dubai con una Aston Martin bianca. 

«Ovviamente il regalo fu respinto, ma la reazione dell'emiro fu interessante». Si riprese l'Aston Martin, si informò su quale fosse la soglia sopra la quale non si poteva andare con i regali, e dopo aver preso conoscenza del fatto che esisteva una clausola sulla "deperibilità", fece dono di un vassoio (di valore inferiore ai 150 euro, come vuole la regola europea) e sopra ci aggiunse dieci chili di caviale beluga, che essendo effettivamente "deperibili" potevano non essere restituiti. 

Ricorda anche un giovane funzionario italiano, che un giorno tornò in ufficio contento di essere stato invitato al Gran Premio di Monza con suo figlio da un lobbista conosciuto a Bruxelles: «Questa è la differenza che ho notato tra gli italiani e ad esempio i tedeschi o gli olandesi: non sempre colgono quando si è di fronte all'escalation collusiva». I biglietti in questione non portarono nei fatti ad alcuna richiesta ulteriore, il funzionario si confermò integerrimo e leale nel suo lavoro, «ma altri non avrebbero accettato lo stesso».

Perché appunto, non si comincia con le valigie piene di contante: si passa per il regalo di poco superiore a 150 euro (oltre quella cifra l'oggetto va restituito, ma su 705 parlamentari si sono contate dal 2020 soltanto 39 restituzioni, da parte di otto persone), si va avanti con i biglietti per un concerto all'opera o a una partita o a un altro evento sportivo, si continua con gli inviti in alberghi a cinque stelle per partecipare a conferenze o seminari, e a quel punto i rapporti si fanno più stretti, il regalo stesso cambia di senso. 

Come ha detto a Le Soir Nabil Ennasri, docente di Scienze Politiche e tra i partecipanti del Forum di Davos, «in Qatar e in molti Paesi arabi il sentimento di ospitalità può facilmente portare a transazioni collusive: si va dalla diplomazia dei summit (dal Forum di Doha al Word Innovation Summit for Education) a quella dei Rolex». Nel 2016, il ministro francese Bruno Lemaire raccontò al giornalista Christian Chesnot di essersi visto recapitare un Patek Philippe cerchiato di diamanti del valore di 85 mila euro, dopo aver accompagnato l'emiro Hamad in una visita per Parigi.

L'oggetto fu restituito ma con l'occasione Chesnot approfondì il tema e riuscì a stilare una classifica interessante sulle regole non scritte della diplomazia qatarina: i Patek Philippe sono per il massimo rango, seguono gli Audemars Piguet per le delegazioni, Omega e Rolex per parlamentari, poi i Cartier, infine le scatole di penne. Quanti rifiutano? Quanti accettano? 

L'interrogativo circola con sempre maggiore insistenza a Bruxelles, insieme a quello, posto più sottovoce, sull'esistenza di una filiera non italiana all'interno dell'inchiesta (i pregiudizi sono duri a morire: gli italiani a Bruxelles sono molto imbarazzati, gli altri trattengono sorrisetti, e non aiutano le molte occasioni di scambi multilaterali di auguri prima della pausa natalizia, in cui alla fine si finisce sempre per sentire la stessa domanda: «Ma saranno solo italiani o salterà fuori anche qualcun altro?»). 

Gli eurodeputati comunque hanno già abbozzato una risoluzione per ottenere maggiori risorse per il Registro della Trasparenza Ue, un database di lobbisti e Ong, che preveda anche l'obbligo di rendere pubbliche le agende degli incontri («qualcuno già lo fa, ma non tutti», dice ancora il funzionario). La presidente della Commissione von der Leyen - che in questa cupa congiuntura, col Parlamento a pezzi, assume sempre di più i contorni di autorità morale - si è già espressa per la creazione di un organismo etico indipendente che vigili tutte le istituzioni dell'Unione. Controllare i controllori, questo è il clima.

Estratto dell’articolo di Marco Bresolin per “la Stampa” il 18 Dicembre 2022.   

Dimitris Avramopoulos era molto più che un semplice membro onorario dell'associazione Fight Impunity, l'ong di Antonio Panzeri finita al centro dell'inchiesta della procura di Bruxelles. L'ex commissario europeo di nazionalità greca era infatti «molto più coinvolto» nelle attività dell'associazione rispetto agli altri membri onorari. E per questo è stato «retribuito per un periodo di un anno» a partire dal 1° ottobre del 2020, come riporta un documento della Commissione europea visionato da "La Stampa" che però non menziona l'importo. 

Si tratta di un compenso «ufficiale», quindi del tutto legittimo, tanto che il 3 febbraio del 2021 è stato approvato da Ursula von der Leyen in persona, come emerge da un secondo documento. Ma alla luce di quel che è successo, la sua retribuzione fa sorgere almeno due questioni con ripercussioni quantomeno sul piano politico. La prima: Avramopoulos potrebbe aver ricevuto fondi "sporchi", se è vero che Fight Impunity funzionava come «centrale di riciclaggio» per i finanziamenti occulti arrivati dal Qatar.

La seconda: oggi Avramopoulos è uno dei due candidati favoriti per il ruolo di rappresentante speciale dell'Unione europea per i Paesi del Golfo (l'altro è Luigi di Maio). E il solo sospetto che possa aver ricevuto, anche se a sua insaputa, "fondi sporchi" dal Qatar rappresenta un ostacolo enorme nella sua corsa verso il nuovo ruolo istituito dall'Alto Rappresentante Josep Borrell. […]

Estratto dell’articolo di Valeria Di Corrado per “il Messaggero” il 18 Dicembre 2022.   

Un'altra organizzazione non governativa è finita nel ciclone giudiziario del Qatargate scoppiato a Bruxelles, ma che ora sta coinvolgendo anche la magistratura di altri Stati europei: dall'Italia alla Grecia. Dopo la ong Fight Impunity dell'ex eurodeputato socialista arrestato, Antonio Panzeri, e la ong No peace without justice, riconducibile al suo segretario Niccolò Figà-Talamanca (anche lui arrestato), sarebbero in corso verifiche anche sull'Osservatorio giuridico europeo per le nuove tecnologie ElonTech. Si tratta di una ong fondata nel 2017 da Matalena Kaili, sorella dell'ex vice presidente del Parlamento europeo Eva Kaili (tra i quattro arrestati dalla magistratura di Bruxelles insieme al compagno Francesco Giorgi).

Le autorità locali sono impegnate a controllare i finanziamenti e i flussi di denaro dell'Osservatorio giuridico europeo per le nuove tecnologie ElonTech. La società in questione, secondo la tv greca Ert, dichiara la propria sede a Kolonaki, precisamente nello stesso edificio in cui ha sede la società immobiliare fondata dall'eurodeputata del Pasok Eva Kaili. Secondo i quotidiani greci, le sorelle Kaili sono inseparabili e hanno presenziato anche agli eventi dell'ong che si sono svolti al Parlamento europeo.

Quello che le procure stanno esaminando è se Eva Kaili, e per estensione la Ong della sorella, siano stato il «veicolo» per attrarre programmi europei che sono sovvenzionati al 100%, fino a 15 milioni di euro. Cifre stellari, insomma, rispetto al milione e mezzo in contanti già sequestrato dagli inquirenti belgi a Bruxelles, 750mila nella sola casa della ex vicepresidente del Parlamento europeo.

Ma il suo avvocato, Michalis Dimitrakopoulos, nega: «La ElonTech non è una ong e non ha ricevuto un euro di finanziamenti». «Si tratta di un'iniziativa giuridica di scienziati e ricercatori nel campo del diritto e delle nuove tecnologie; non è una entità legale», ha fatto sapere il legale, precisando che «non è di Eva Kaili». 

Ma si è già mobilitata l'Autorità Antiriciclaggio e il responsabile, Charalambos Vourliotis, ha ordinato il congelamento totale in Grecia dei beni dell'eurodeputata, del compagno Giorgi, dei genitori e della sorella, avviando controlli su tutte le loro proprietà, con un'ordinanza inoltrata a banche e catasto. Sotto la lente di ingrandimento anche gli immobili della Kaili, come l'appartamento di 170 metri quadrati acquistato nel 2019 per 260mila euro, ma anche una casa ad Anixi, acquistata nel 2009 per 290mila euro. […]

Estratto dell’articolo di Luca De Vito, Giuliano Foschini e Claudio Tito per “la Repubblica” il 18 Dicembre 2022.   

I computer e i telefoni sequestrati ormai una settimana fa ad Antonio Panzeri, Francesco Giorgi e soprattutto agli assistenti parlamentari toccati dall'indagine (nessuno di loro è però indagato) stanno cominciando a parlare. E confermano ai magistrati belgi quello di cui erano certi: era Giorgi a indirizzare, probabilmente su mandato di Panzeri, i voti più delicati su Qatar e Marocco. Era lui a decidere quale emendamento doveva essere presentato. E quale no. Lui a dare le indicazioni di voto del gruppo.

[…] secondo l'accusa Giorgi riusciva a muovere le file dell'intero gruppo socialista. È emerso il caso, per esempio, della mozione pro Qatar - sollecitata da Panzeri - bocciata dal gruppo e ripresentata sotto forma di emendamento da Giorgi attraverso l'onorevole Pietro Bartolo (non indagato), il cui figlio per alcuni mesi ha lavorato per la Fight Impunity di Panzeri. O le strane sostituzioni in commissioni in cui non faceva parte di Kaili e ciò nonostante correva a votare secondo le indicazioni del compagno.

Ma c'è un ulteriore particolare, assai inquietante. Giorgi ha seguito con grande interesse - tanto da fare in modo che Cozzolino seguisse direttamente il dossier - l'inchiesta che il Parlamento europeo ha aperto su Pegasus, il programma sviluppato dalla società di sicurezza israeliana Nso, che alcuni paesi avrebbero utilizzato - secondo le accuse - per spiare altri Stati. 

Il Marocco è stato accusato da un'inchiesta giornalistica di Forbidden Story e Amnesty di aver utilizzato Pegasus per sorvegliare il presidente francese, Emmanuele Macron. Ma anche un pezzo di Commissione europea. Seguire l'inchiesta su Pegasus, "essendo alle direttive del Marocco", come per lo meno sostiene la procura di Bruxelles, è sicuramente un cortocircuito.

[…] sui conti correnti di Fight impunity, la Ong di Panzeri, siano arrivati fondi direttamente dal Qatar e poi girati da Panzeri per corrompere o avvicinare persone a Bruxelles. […] Un capitolo a parte riguarda poi i regali che la "cricca" avrebbe elargito. Nell'elenco ci sono orologi di lusso, una casa in montagna e viaggi. Panzeri era di casa all'hotel Mamounia di Marrakech, uno dei più belli alberghi del mondo, dove invitava colleghi parlamentari e assistenti. Ma, più recentemente, era facile trovare lui e i suoi amici anche in un resort in Oman. […]

Qatargate: “Nemesi contro sinistra e rigore Ue”. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 18 Dicembre 2022. L'editoriale di Marco Follini

Oggi, forse i dirigenti della sinistra oltre a battersi il petto, doverosamente, per le mele marce trovate nei loro cesti, dovrebbero anche rivedere la retorica degli anni scorsi. E magari, senza assolvere nessuno dei colpevoli di quella stagione, chiedersi anche se tutta la lettura che è stata data a suo tempo di Tangentopoli non meriti una revisione che la renda meno unilaterale di quanto non sia stata fin qui.

Lo scandalo che in questi giorni si snoda lungo la tortuosa rotta tra Doha e Strasburgo capovolge due stereotipi in una volta sola. Uno è quello della sinistra intesa come primatista morale. L’altro è quello dell’Europa austera e rigorosa. Entrambi minacciano di avere conseguenze a lungo andare.

Del primo aspetto si è parlato in lungo e in largo. Ora, si tratta di responsabilità personali, strettamente personali, e dunque far carico di questa vicenda al gruppo dei socialisti e democratici europei è politicamente (oltre che penalmente) improprio. E tuttavia si avverte un certo stridore tra i comportamenti di alcuni, appena svelati, e tutte le prediche che in questi anni sono discese dai pulpiti della sinistra all’indirizzo dei propri avversari politici. (Molti dei quali, peraltro, se le meritavano tutte.)

Ma la nemesi funziona appunto così. E per tutte le volte che la sinistra ha scagliato le frecce della sua indignazione cercando di colpire i comportamenti non sempre adamantini dei propri avversari, altrettante volte quelle stesse frecce sono tornate indietro al modo di un boomerang. Così oggi la destra non deve neppure fare la fatica di esprimere a sua volta altrettanta indignazione. Anzi, essa sembra quasi pattinare sulle storiacce di questi giorni con una sorta di benevola e forse quasi divertita signorilità.

Ora, è evidente che la sinistra paga alcuni eccessi giustizialisti del suo passato. Quella pretesa di ergersi a campioni della pulizia al cospetto di avversari moralmente meno degni sembra infatti prestarsi magnificamente al proprio rovesciamento. E non appena sul banco degli imputati finiscono alcuni (solo alcuni, sia chiaro) dei suoi esponenti diventa quasi inevitabile imputare loro anche l’eccesso di zelo predicatorio e fustigatorio dei loro antenati di appena qualche stagione fa.

Così, oggi, forse i dirigenti della sinistra oltre a battersi il petto, doverosamente, per le mele marce trovate nei loro cesti, dovrebbero anche rivedere la retorica degli anni scorsi. E magari, senza assolvere nessuno dei colpevoli di quella stagione, chiedersi anche se tutta la lettura che è stata data a suo tempo di Tangentopoli non meriti una revisione che la renda meno unilaterale di quanto non sia stata fin qui. Compito che tradisce un minimo di imbarazzo, ma che a questo punto andrebbe svolto con onestà intellettuale almeno pari all’onestà materiale di cui si mena vanto.

Ma v’è un altro aspetto, più cupo e profondo, che queste vicende stanno portando a galla. Ed è lo stridente contrasto tra l’Europa finanziaria che predica austerità, spulcia nei conti degli stati membri, impone regole contabili fin troppo rigorose per i loro bilanci, si propone come guardiana del nostro collettivo decoro economico in nome delle generazioni che verranno, e il suo Parlamento che diventa così permeabile alle influenze corruttive che abbiamo appena visto all’opera.

Anche in questo caso, non si tratterà di capovolgere i valori morali, tutt’altro. La costruzione europea è fondata su di un certo rigore contabile che è l’altra faccia della medaglia delle diffidenze che corrono tra i suoi paesi e della difformità di alcuni suoi interessi. Dunque, quel rigore somiglia a un precetto costituzionale, che ci piaccia oppure no. Ma è altrettanto evidente che quel precetto sarà più difficile da celebrare al cospetto di quelle mazzette che hanno reso tragicamente evidente la permeabilità delle istituzioni alle influenze più disdicevoli degli stati più lontani dai nostri standard di etica pubblica.

Sono strade in salite, tutte e due. Quella che è chiamata a imboccare la sinistra, ripensando se stessa. E quella che dovrà percorrere un’Europa troppo severa con gli altri per essere indulgente con se stessa. Percorsi faticosi, tutti e due Redazione CdG 1947

“Lo scandalo si allargherà Il Pd non può darci più nessuna lezione di morale”. Edoardo Sirignano su L’Identità il 18 Dicembre 2022

“Non si possono fare sempre lezioni di moralità e di superiorità ed accusare sempre altri di aver distrutto la sinistra”. A evidenziarlo Nicola Danti, europarlamentare e attuale vice presidente di Renew Europe.

Lei è stato tra i primi europarlamentari a lasciare il Pd. Aveva già notato qualcosa che non funzionava a Bruxelles?

Come me, altri colleghi di quel gruppo, hanno iniziato l’esperienza a Bruxelles nel 2014, quando con Matteo Renzi il Pd prese oltre il 40%. Ma per qualche ragione, piuttosto che continuare a portare avanti il riformismo che caratterizzò quella stagione, al Parlamento Europeo come a Roma, ho visto tanti iniziare ad allontanarsi, prendere le distanze, arrivando persino a sposare la linea di Conte punto di riferimento dei progressisti. Per me aderire a Renew Europe è stata una scelta di coerenza, questa è la mia storia.

Aveva mai immaginato che potesse venir fuori uno scandalo come Qatargate?

Ciò a cui stiamo assistendo è fuori da ogni più lontana immaginazione. Ognuno di noi, parlo degli eurodeputati, ogni giorno incontra portatori di interesse, lobbisti, rappresentanti di Ong, associazioni, delle più diverse categorie. Il nostro mestiere è ascoltare i punti di visti diversi e poi, liberamente, decidere. Per questo esiste un codice di comportamento, regole di trasparenza e pubblicità che devono essere rispettate. I fatti che stanno emergendo non hanno nulla a che fare con ciò che legittimamente può essere fatto secondo le regole. Sono reati che hanno a che fare con il codice penale, non con il codice comportamento del Parlamento Europeo.

A suo parere il caso può allargarsi e vedere altre persone coinvolte?

Le cose che leggo sui giornali mi sembrano già molto rilevanti. Attendiamo le indagini e i processi per avere più chiarezza. Quello che è certo però è che il danno fatto alla nostra istituzione è enorme e recuperare la fiducia dei cittadini, anche per tutti i deputati che fanno onestamente il loro lavoro, non sarà facile.

Che idea ha rispetto agli ex parlamentari, che dopo aver finito il loro mandato, intraprendono la strada del lobbismo?

La mia idea è che loro come tutti gli altri, abbiano il dovere di rispettare la legge. Il lobbismo, nonostante la narrazione che viene fatta, non è il male. Il male è la corruzione e il non rispetto delle regole.

Prima lo scandalo Soumahoro, oggi quello relativo alle mazzette di Doha. Dove ha origine il cancro della sinistra? Qualcuno dovrebbe pentirsi, come ha chiesto Occhetto, che dichiara di aver pianto per molto meno?

Non si possono fare sempre lezioni di moralità e di superiorità ed accusare sempre altri di aver distrutto la sinistra. Contro di noi, contro Italia Viva e contro Matteo Renzi, è stato usato un vero e proprio armamentario di odio, che dovrebbe proprio essere estraneo alla politica. Mi dispiace ricordare che spesso le espressioni di odio peggiori siano venute proprio da chi per decenni ha coltivato la sua superiorità morale.

Il Pd, a suo parere, oggi ha ragione di esistere? Non sarebbero meglio due partiti: uno moderato che guarda al Terzo Polo e un altro alla sinistra?

Oggi il punto vero non è la più la distinzione, secondo lo schema dalemiano, fra centro e sinistra. La differenza è fra il riformismo, di chi fa politica con serietà e pragmatismo e il populismo ideologico. In questo senso il Pd andando dietro a Conte, Fratoianni e Bonelli, ha intrapreso una china evidente che non ha nulla a che fare con un percorso riformista.

Qualcuno accusa Bonaccini di essere troppo renziano. Con lui potrà esserci un confronto vero?

Se dovessi stare a vedere chi era renziano o troppo renziano avrei una lunga sfilza di dirigenti che ieri si sedevano in prima fila e oggi invece salgono sulle barricate dell’anti renzismo. Voglio fare un favore al Pd, evito di parlare del loro congresso. L’unico consiglio che mi sento di dargli è che cerchino di declinare qualche idea per il futuro piuttosto che parlare di un passato di successo che però hanno deciso di distruggere. Detto questo, credo che il Pd, persino a prescindere dal segretario che sarà eletto dalle primarie, sia destinato ad un rapporto sempre più stretto con il M5S, che avrà come naturale conseguenza, il definitivo tramonto di un approccio riformista interno.

Il Pd ha sbagliato a non sostenere Moratti e consegnare così la Lombardia alle destre?

L’alleanza del Pd con il M5S e il mancato sostegno alla Moratti, è una scelta che non guarda ad alcuna possibilità di vittoria, ma risponde a un chiaro segnale politico di carattere nazionale. È la strada che hanno deciso di percorrere, non avendo imparato evidentemente nulla della lezione delle politiche. Hanno voglia di riperdere, saranno accontentati presto. Noi invece, con Letizia Moratti, giocheremo una partita molto difficile, ma dall’esito non impossibile.

Renzi, a volte, viene accusato di essere troppo generoso nei confronti della Meloni. È d’accordo?

Io ascolto gli interventi in Aula, vedo la protesta per 18app, per il Mes, vedo i voti contrari. Mi pare piuttosto che il Terzo Polo sia l’unico a fare opposizione vera. Ciò significa incalzare la maggioranza, anche facendo proposte, e non protestando e basta. Si chiama politica. E Matteo la fa. Non è la prima volta che lo attaccano per questo.

A suo parere su quali punti può e deve essere intensificata la collaborazione con il governo?

Noi faremo la nostra opposizione, come stiamo facendo, sui contenuti e per questo darà molta noia alla maggioranza, più di quella ideologica della sinistra. Questo, però, non ci impedirà di dare il nostro sostegno costruttivo su singoli aspetti se sposeranno alcune battaglie che condividiamo, come sulla giustizia o sulla posizione atlantista in continuità con quella di Draghi. Insomma, non rinnegheremo le nostre idee e i nostri ideali perché qualcun altro li porta avanti.

La dem Covassi: “L’errore del Pd? Più attento al potere che ai deboli”. Edoardo Sirignano su L’Identità il 18 Dicembre 2022

“Esiste una grande differenza tra fare il lobbista e prendere le mazzette. Il Pd, negli ultimi anni è stato più attento alla gestione del potere che alle istanze della povera gente”. A dirlo Beatrice Covassi, eurodeputata del Partito Democratico e già a capo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea.

Che impressione le ha fatto la vicenda Qatargate?

Mi sono insediata lunedì e mi sono trovata subito protagonista di una sessione storica. Si può solo immaginare il clima che si è creato dopo lo scandalo. Ho visto la maggior parte dei colleghi sotto shock. Allo stesso tempo, però, devo dire di aver trovato un’istituzione reattiva.

Cosa intende?

Abbiamo già votato la destituzione della vice presidente Kaili, mai era successa una cosa del genere. Giovedì, invece, prima della fine della plenaria, abbiamo approvato una risoluzione in cui viene chiesto con urgenza l’istituzione di un organismo etico. Abbiamo, poi, sospeso il lavoro del Parlamento sui visti per il Qatar, sul libero accesso di Qatar Airways allo spazio aereo continentale. Ci stiamo, infine, battendo sia per una commissione interna relativa al comportamento dei deputati, che per una commissione d’inchiesta, focalizzata sui fatti corruttivi degli ultimi giorni e sull’influenza dei i Paesi terzi. Deve essere un imperativo accertare tutte le responsabilità e ricostruire la fiducia dei cittadini nelle istituzioni europee, migliorando i processi all’insegna della trasparenza, dell’etica e della responsabilità.

Si aspettava che dietro ai suoi colleghi potesse esistere il mondo sommerso, di cui oggi parlano i giornali?

Assolutamente no. Resto convinta del fatto che la stragrande maggioranza dei colleghi sia integerrima.

Quanto il Pd esce danneggiato?

Il primo dolore, da europeista convinta, è stata l’ondata di discredito gettata sull’Ue. La mia sensazione è che in una fase così delicata sia necessario prestare attenzione all’importanza dell’Europa per il futuro di tutti noi.

Cosa ne pensa di questi signori, che dopo aver finito il mandato da deputati intraprendono la carriera da lobbisti?

Esiste una grande differenza tra fare il lobbista e accettare delle tangenti. Stiamo parlando, in quest’ultimo caso, di episodi corruttivi, di rilevanza penale, che nulla hanno a che vedere con un lavoro. Detto ciò, occorre rafforzare le regole, la trasparenza e stroncare comportamenti lassisti.

Achille Occhetto, qualche giorno fa, su queste colonne, ha dichiarato “io ho pianto per molto meno, il Pd dovrebbe chiedere scusa”. È d’accordo?

Non bisogna generalizzare, ma non si può non fare un esame di coscienza sul futuro del Pd, su cosa vuol dire essere progressisti oggi. Serve una forza che torni a far sognare la gente, in grado di avere visione. I mea culpa non bastano e neppure le psicoanalisi collettive. Bisogna ripensare un soggetto politico e avviare una riflessione su determinati temi, a partire dalla selezione della classe dirigente.

In cosa si è sbagliato?

Negli ultimi anni, il Pd è stato più attento a gestire il potere che a interpretare le esigenze della povera gente. Essere di centrosinistra per me vuol dire, come diceva La Pira, stare dalla parte dei più deboli.

Preferisce, quindi, un partito orientato a sinistra e al M5s o uno che sposi la causa del Terzo Polo?

Trovo sbagliato scelte di radicalizzazione tra massimalisti e riformisti. Non possiamo schiacciare il Pd tra il populismo di alcuni pentastellati e il neoliberismo. La nostra forza è originale perché consente di fare sintesi tra più identità, anime e culture politiche. Dire di andare verso Conte o Renzi è assurdo e non risolve i nostri problemi perché la vera sfida è ripartire dai valori di fondo che ci caratterizzano.

Il prossimo congresso potrà dare una mano verso tale direzione?

Lo auspico. Preferivo un congresso basato sui temi e non esclusivamente sui nomi, come quello che sto leggendo sui giornali. I classici schieramenti devono essere superati. Al centro devono esserci le idee, le sfide per l’avvenire. Basti pensare al cambiamento climatico, alla globalizzazione, al digitale o all’intelligenza artificiale. Tutti dimenticano che viviamo già in un “metaverso” che cambia la vita di ognuno di noi.

Chi preferisce tra Bonaccini e Schlein?

Entrambi hanno punti di forza e proposte interessanti. Nei prossimi giorni, seguirò con attenzione quanto diranno. Vedremo chi avrà la capacità di dire no a radicalizzazioni inutili e al contrario di unire e proporre una nuova sintesi che vada oltre l’esistente. Non è detto, poi, che non possano crearsi spazi per altre personalità.

Quale la strada per riprendersi una credibilità perduta?

È importante non solo ridare credibilità alla politica, ma tornare a sognare, a pensare al futuro in modo positivo. Ho una figlia di 11 anni e quando le ho detto che diventavo parlamentare, mi ha chiesto di diffondere il messaggio che il mondo è ancora una cosa bella. Credo ancora che fare politica significhi dare speranza. E questo è il vero bene comune.

Estratto dell’articolo di Valeria Di Corrado per “il Messaggero” il 18 Dicembre 2022.   

«Sono stato rapito, torturato e tenuto in un carcere segreto dell'intelligence marocchina. A un certo punto mi hanno anche offerto dei soldi per lavorare con loro dall'Italia. Io ho rifiutato e allora mi hanno lasciato 7 mesi in una prigione sotto terra. […]». 

L'inchiesta della Procura federale belga, che sta smascherando la rete di corruzione diffusa all'interno e all'esterno del Parlamento europeo, non stupisce affatto Mohamed Dihani, soprattutto quando si parla della capacità di infiltrazione degli 007 di Rabat.  L'attivista sahrawi e difensore dei diritti umani, il 22 luglio scorso, […] è riuscito ad entrare sul territorio italiano per poter chiedere la protezione internazionale. 

«[…] Nel 2012 gli 007 marocchini giravano per le carceri dove c'erano i presunti terroristi e proponevano di liberarli subito a patto di andare in Siria. […]».

[…] Quanto sono potenti gli 007 di Rabat?

«Il Marocco è ovunque, noi Sarhawi lo chiamiamo il polpo serpente. Il direttore dei servizi segreti marocchini è venuto in Italia più di una volta per parlare di sospetti terroristi, ma so che in ballo c'era di più. Io l'ho denunciato anche dalla prigionia e avevo chiesto all'Italia di controllare tutti i viaggi sospetti fatte dal 2010 al 2016 in Marocco da parlamentari italiani, eurodeputati italiani, associazioni e istituti di ricerca che si rifiutavano di ascoltare le voci sarhawi, trasmettendo solo quelle filo-governative. Ufficialmente venivano per motivi di turismo, ma erano viaggi spesati.

Lo spyware Pegasus è stato usato come braccio armato degli 007 marocchini per ricattare l'Europa e il resto del mondo. Hanno spiato per tre anni giornalisti, politici algerini e francesi: uno dei cellulari del presidente Emmanuel Macron appare nell'elenco dei 50.000 numeri di telefono che sono stati presi di mira da questo software spia. Nel 2019 è stato pubblicato un primo documento dalla Commissione europea, e quest' anno un secondo, che invita tutti i politici a prestare attenzione, denunciando il fatto che ci sono più di 500 agenti segreti marocchini infiltrati nelle istituzioni dell'Ue. Gli eurodeputati vengono controllati a loro insaputa dagli 007».

Anche i migranti vengono usati come arma di ricatto?

«Sì, certo. Se per esempio il ministro degli Esteri spagnolo dice di voler sostenere la causa del popolo sahrawi, il Marocco apre le frontiere in massa e i migranti si riversano sulle coste spagnole. C'è un bosco vicino alla città di Nadur dove tengono recluse decine di migliaia di migranti in condizioni terribili, li utilizzano anche nel trasporto della droga in Europa». 

Come mai per Rabat è fondamentale avere il controllo del Sahara Occidentale?

«Quella terra è pienissima di risorse ed è la via più sicura tra l'Europa […] per questo è disposto a corrompere tutti. […]».

Tutti gli investimenti immobiliari qatarioti e quella visita a Doha che aprì la strada. Dall'alimentare agli immobili al lusso. E l'emiro disse: "Da voi corruzione". Gian Micalessin il 19 Dicembre 2022 su Il Giornale.

A volte il passato, anche recente, può sembrare comico. O surreale. Di certo così appaiono, oggi, le cronache dell'ottobre 2012 quando l'allora premier Mario Monti vola in Qatar. Sono passati solo pochi mesi dall'assegnazione dei mondiali di calcio 2022 approdati a Doha sull'onda di compravendite di voti e generose mazzette. Eppure durante la visita l'Emiro non tralascia di esibire al nostro premier la preoccupazione d'investire in un'Italia «in preda alla corruzione».

In verità l'Italia del 2012 è solo un paese distrutto dallo «spread» e dalle manovre politico-economiche messe in campo per far fuori Silvio Berlusconi. Un paese dove però si possono fare ottimi affari a prezzi di saldi. E proprio la trasferta di Monti apre a Doha le porte della grande svendita. Il primo frutto della visita è la costituzione, a marzo 2013, della joint venture «IQ Made in Italy Investment Company S.p.A» controllata al cinquanta per cento dalla Qatar Holding LLC e dal «Fondo Strategico Italiano Spa» - la holding di Cassa Depositi e Prestiti. Dotato di un capitale di 300 milioni di euro, destinato ad investimenti nelle eccellenze italiane che spaziano dall'alimentazione al lusso, il fondo acquisisce nel 2014 il 28,4 per cento delle quote di Cremonini, gruppo leader nell'esportazione di carne. Ma nell'aprile del 2012 la Qatar Holding ha già messo le mani sugli immobili della costa Smeralda in Sardegna acquisendo quattro hotel extralusso (Cala di Volpe, Romazzino, Cervo Hotel, Pitrizza), la Marina e il Cantiere di Porto Cervo, l'esclusivo Pevero Golf Club e ben 2.400 ettari di terreno. Un giro d'acquisti del valore di 650 milioni di euro a cui si aggiungono il controllo dell'ex-ospedale San Raffaele di Olbia e gli accordi su Meridiana che portano, nel febbraio 2020, al fallimento e alla liquidazione la compagnia aerea. Dalla Sardegna le operazioni finanziarie si allargano ben presto all'abbigliamento e al lusso. Nel luglio 2013 la «Mayhoola for Investment», controllata dallo sceicco Hamad bin Kahlifa al Thani, sborsa 700 milioni di euro per il controllo del marchio Valentino. Un anno dopo, si aggiudica anche il marchio «Pal Zilieri» al prezzo di 37 milioni. Nel frattempo si scatena la caccia agli alberghi extra-lusso. Nell'aprile 2013 i qatarioti versano 150 milioni di euro per il Palazzo della Gherardesca di Firenze sede del «Four Seasons Hotel». L'hotel fiorentino entra così a far parte di una collezione che già comprende il Gallia di Milano acquisito per 134 milioni, l'«Excelsior De Regis»di Roma pagato 222 milioni e, sempre nella capitale, l'hotel Intercontinental di Trinità dei Monti ed il Westin Excelsior di via Veneto costati oltre 220 milioni.

Il vero colpo gobbo arriva, però, nel febbraio 2015 quando il Qatar acquisisce, grazie ad un investimento da poco più di due miliardi, i 25 palazzi e grattacieli di Porta Nuova simbolo e volto della Milano del Duemila.

(ANSA-AFP il 18 Dicembre 2022) Il Qatar mette in guardia sull'"impatto negativo" che può avere sui rapporti tra il paese del Golfo e l'Ue la decisione di bloccare l'accesso di Doha al parlamento europeo, misura presa in reazione allo scandalo che ha investito alcuni eurodeputati accusati di corruzione in un'inchiesta della Giustizia belga. La decisione di imporre "una restrizione così discriminatoria" prima che l'inchiesta sia conclusa "avrà un effetto negativo sulla cooperazione regionale e globale e sui colloqui in corso su energia, povertà e sicurezza". Lo ha sottolineato un diplomatico del Qatar.

Dalla Russia al Qatar, dalla padella alla brace (sempre a gas). Stefano Piazza su Panorama il 19 Dicembre 2022.

Doha ha minacciato di chiudere i rubinetti in caso di sanzioni ai suoi diplomatici sul caso Qatargate e ci sbatte in faccia la verità: siamo in una posizione di debolezza

Mentre lo scandalo denominato Qatargate è ben lungi dall’essere chiarito, visto che non si conosce ancora il numero esatto degli europarlamentari corrotti dal governo di Doha, aumentano le possibilità che si complichino e non di poco i rapporti con l’Emirato nel quale ieri sono terminati i mondiali di calcio.

A proposito dell’inchiesta avviata a Bruxelles la stampa europea non manca di additare l’Italia, e i suoi politici, come dediti al malaffare. Fermo restando che in questa vicenda alcuni esponenti politici (e non) sono finiti al centro dell’inchiesta è bene ricordare che il Qatar così come la Russia e la Cina da decenni mantengono rapporti non sempre limpidi con i politici di tutta Europa tanto che l’ambasciata del Qatar a Parigi era considerata una sorta di bancomat per l’intera classe politica francese, un fatto questo provato da numerose inchieste. Lo stesso vale per i russi che hanno investito negli ultimi decenni centinaia di milioni di euro per «fideizzare» il maggior numero di politici, militari, scienziati, giornalisti e chiunque potesse servire ai disegni del Cremlino e lo stesso hanno fatto i cinesi che si stanno comprando tutto quello che c’è da comprare anche grazie agli «amici» che gli spalancano le porte e non certo gratis. Quindi prima di puntare il dito contro la scassatissima classe politica italiana chi oggi fa la morale, farebbe meglio a guardare in casa propria. Fatta questa doverosa premessa va registrata l’ira di Doha dopo che è stato deciso il divieto di accesso degli emissari del Qatar all'interno dell’Europarlamento. Un diplomatico qatarino ad Al Mayadeen, emittente tv panaraba con sede in Libano ha dichiarato: «La decisione di imporre una restrizione così discriminatoria che limita il dialogo e la cooperazione con il Qatar prima che il processo legale sia terminato, influenzerà negativamente la cooperazione in materia di sicurezza regionale e globale, nonché le discussioni in corso sulla povertà e la sicurezza energetica globale. Respingiamo fermamente le accuse che associano il nostro governo a cattiva condotta». Il diplomatico ha poi aggiunto: «Abbiamo osservato con grande allarme la condanna selettiva del nostro paese di questa settimana poiché i pubblici ministeri belgi affermano di aver indagato sulla corruzione del parlamento dell'UE per oltre un anno prima che iniziassero gli arresti all'inizio di questo mese», infine ha concluso dicendo: «È profondamente deludente che il governo belga non abbia fatto alcuno sforzo per impegnarsi con il nostro governo per stabilire i fatti una volta venuti a conoscenza delle accuse»; il diplomatico ha inoltre sottolineato, non certo a caso, che il Belgio e il Qatar hanno forti legami che risalgono a Covid-19 e il fatto che il Qatar sia uno dei principali fornitori di gas naturale liquefatto (GNL) del Belgio. Il Qatargate arriva probilmente nel momento peggiore della storia recente visto che la guerra in Ucraina tra le molte conseguenze negative ha obbligato il Vecchio Continente a ridisegnare le proprie politiche energetiche a partire dalla sostituzione delle fortiture di gas provenienti dalla Russia. Rileggendo le affermazioni del diplomatico non sfugge il passaggio ricattatorio: «Le restrizioni discriminatorie, che limitano il dialogo e la cooperazione con il Qatar prima della fine delle indagini, influenzeranno negativamente la cooperazione nonché i colloqui in corso sulla carenza di energia e sulla sicurezza globale», che tradotto suona più o meno così: «Cari europei, fate i bravi perché noi potremmo non darvi più il gas di cui avete molto bisogno e che vi abbiamo promesso per i prossimi anni». Davvero il Qatar perderebbe l’occasione di prendersi le quote di mercato di Gazprom, il colosso energetico russo che fino all'anno scorso ha rifornito di gas a basso prezzo i Paesi della Ue? Difficile che gli emiri di Doha passino dalle minacce ai fatti visto che dopo anni anni di forniture di gas naturale liquefatto verso i Paesi asiatici, vuole soppiantare i russi e diventare il leader del mercato in Europa ma non solo visto che sta stringendo sempre più il rapporto con la Cina. Un fatto questo che non piacerà a Vladimir Putin che punta a vendere tutto il gas che gli europei non compreranno più dalla Russia proprio a Pechino. In ogni caso dai ricatti russi si è passati a quelli degli emiri del Qatar che dopo aver corrotto per anni importati personalità politiche all’Europarlamento con sacchi pieni di banconote una volta che sono stati presi con le mani nella marmellata si indignano e minacciano di tagliare le forniture di gas. Peggio di così non ci poteva andare. LEGGI ANCHE Qatar, il Mondiale sbagliato ›

Tangentopoli europea: ora è il Qatar a minacciare l’Europa. Giorgia Audiello su L'Indipendente il 19 Dicembre 2022.

Si inaspriscono le tensioni diplomatiche tra Qatar e Unione Europea dopo il cosiddetto scandalo del Qatargate: in seguito alle ingenti somme di denaro ricevute da alcuni eurodeputati dalle istituzioni di Doha per millantare il miglioramento delle condizioni per i diritti umani del Paese arabo, è stata avviata una inchiesta denominata “cash for influence”, condotta dalla polizia belga, per fare chiarezza sull’accaduto. Si tratta del più grande caso di corruzione – fatto trapelare pubblicamente – della storia dell’Unione. Nel frattempo, a Strasburgo, gli eurodeputati hanno votato quasi all’unanimità un testo in cui si «chiede con urgenza che i titoli di accesso dei rappresentanti degli interessi del Qatar siano sospesi fino a quando le indagini giudiziarie non forniranno informazioni e chiarimenti pertinenti». Al momento non è ancora stata presa alcuna decisione, ma gli eurodeputati hanno deciso di sospendere «tutti i lavori sui fascicoli legislativi relativi al Qatar, in particolare per quanto riguarda la liberalizzazione dei visti, l’accordo con il Qatar nel settore del trasporto aereo e le visite programmate, fino a quando le accuse non siano state confermate o respinte». La presidente del Parlamento europeo, Roberta Metsola, ha dichiarato che intende immediatamente chiedere alla conferenza dei presidenti circa la volontà di bandire dal Parlamento i rappresentanti del Qatar o altri funzionari governativi implicati nello scandalo.

Immediata è stata la reazione di Doha alla decisione di sospendere i fascicoli relativi al Qatar ed estromettere eventualmente i suoi rappresentanti: l’emirato arabo, infatti, ha fatto sapere che «La decisione di imporre una tale restrizione discriminatoria al Qatar, limitando il dialogo e la cooperazione prima della fine del procedimento giudiziario, avrà un effetto negativo sulla cooperazione in materia di sicurezza regionale e globale, nonché sulle discussioni in corso sulla scarsità energetica globale e sulla sicurezza». Doha ha respinto, infatti, ogni accusa, tacciando le autorità belghe di «inaccuratezza» delle informazioni. «Respingiamo fermamente le accuse che associano il nostro governo a cattiva condotta», ha affermato Doha in un comunicato. «Il Qatar non è stata l’unica parte nominata nelle indagini, eppure esclusivamente il nostro Paese è stato criticato e attaccato», prosegue la missiva, che parla di «condanna selettiva». «Le nostre nazioni hanno collaborato durante la pandemia di Covid-19 e il Qatar è un importante fornitore di Lng per il Belgio», ha sottolineato il governo qatariota.

La collaborazione delle istituzioni europee con il Paese arabo non è di certo recente: eppure, solo ora le istituzioni comunitarie paiono essersi accorte che il Qatar è uno stato controverso dal punto di vista del rispetto dei diritti umani, dopo che la monarchia del Golfo si è mossa per diventare uno dei principali fornitori di gas naturale per l’Europa. Dopo essersi parzialmente liberata dalla dipendenza russa, dunque – non senza costi enormi per l’economia europea – la Ue ripete il medesimo schema con un altro stato annoverato tra i Paesi autocratici. Tradotto, la Ue si sta smarcando da Mosca per finire però ad essere dipendente da altre nazioni con cui è in conflitto geopoliticamente e “culturalmente”, pagando così le conseguenze della mancanza di una politica energetica autonoma.

La monarchia araba ha intensificato i suoi rapporti commerciali ed energetici con i Paesi europei: L’Eni ha stretto un accordo della durata di 27 anni per aumentare le forniture di gas, tramite il North Field East che dovrebbe entrare il funzione nel 2025; mentre la Germania ha stipulato un contratto di 15 anni con Doha che prevede la fornitura di due milioni di tonnellate di gas all’anno. Tuttavia, il gas del Qatar rappresenta una piccola frazione di quello che forniva Mosca a Berlino e non arriverà prima del 2026. Anche la francese Total ha siglato un’intesa con Doha per sviluppare il più grande giacimento di gas naturale del mondo. D’altra parte, però, nell’ultimo periodo la monarchia araba ha aumentato le sue esportazioni anche verso l’Asia, stringendo così le sue relazioni diplomatiche ed economiche con le potenze emergenti come la Cina, avversarie di Washington: Pechino ha concluso un importante accordo con l’azienda QatarEnergy che fornirà quattro milioni di tonnellate di gas naturale liquefatto (GNL) a Sinopec per 27 anni a partire dal 2026. Si tratta della collaborazione più lunga mai stabilita in questo settore che segna anche lo spostamento dell’asse geopolitico del piccolo emirato verso i BRICS, cosa che non può non disturbare gli Stati uniti e i suoi “vassalli” europei.

L’indignazione europea verso Doha arriva, dunque, solo dopo la conclusione di importanti accordi commerciali che legano ancora una volta completamente il continente europeo a potenze straniere, vanificando e palesando l’inutilità degli sforzi fatti per emancipare l’Europa dal gas russo. Doha, infatti, ha la forza e le possibilità di ricattare energeticamente i Paesi dell’Unione, esponendo il Vecchio Continente ad un aggravamento della crisi energetica. Complici le politiche ipocrite e poco lungimiranti dell’Unione Europea, emerse con lo scandalo del Qatargate. [di Giorgia Audiello]

Adesso Doha minaccia ritorsioni. E ricatta l'Europa (Italia inclusa) con l'arma del gas. Nel pieno dello scandalo per l'inchiesta sulla presunta corruzione nel cuore delle istituzioni europee da parte di Marocco e Qatar, l'Emirato contrattacca. Lodovica Bulian il 19 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Nel pieno dello scandalo per l'inchiesta sulla presunta corruzione nel cuore delle istituzioni europee da parte di Marocco e Qatar, l'Emirato contrattacca. E minaccia conseguenze sulle forniture di gas. All'indomani del terremoto giudiziario e degli arresti, Bruxelles aveva sospeso ogni discussione in Plenaria riguardante il Paese, a partire dal dossier sulla liberalizzazione dei visti, e aveva vietato l'accesso dei suoi rappresentanti all'Eurocamera. Ora Doha reagisce. Un diplomatico qatariota della missione presso la Ue, in una serie di dichiarazioni riprese dall'emittente «Al Mayadeen», fa capire senza troppi giri di parole che ci saranno ripercussioni se le contromisure adottate dal Parlamento dovessero continuare. La decisione di imporre «queste restrizioni discriminatorie, che limitano il dialogo e la cooperazione con il Qatar prima della fine delle indagini, influenzeranno negativamente la cooperazione in materia di sicurezza regionale e globale, nonché i colloqui in corso sulla carenza di energia e sulla sicurezza globale». Avranno cioè un «impatto negativo» anche sulla fornitura globale di gas ai Paesi della Ue. Il Qatar, continua, è un «importante fornitore» di gas naturale liquefatto al mondo, e lo è anche per lo stesso Belgio. Di certo dallo scoppio della guerra in Ucraina, è diventato un interlocutore primario nei dei processi di diversificazione per le forniture di gas in Europa. Che ora rischia di finire sotto ricatto.

Il Qatar lamenta l'assenza di collaborazione da parte del governo del Belgio di cui, il Paese del Golfo si dice partner «stretto» e rivendica una vicinanza durante la pandemia: «È profondamente deludente che il governo belga non abbia fatto alcuno sforzo per impegnarsi con il nostro governo per stabilire i fatti una volta venuti a conoscenza delle accuse».

Quanto all'inchiesta, «respingiamo fermamente le accuse che associano il nostro governo a cattiva condotta. Il Qatar non è stata l'unica parte nominata nelle indagini, eppure esclusivamente il nostro Paese è stato criticato e attaccato», dice il diplomatico, che parla di una «condanna selettiva». L'Emirato, oltre a essere un importatore di armamenti da diversi Paesi europei, è anche uno dei tre principali paesi produttori di gas al mondo con Stati Uniti e Australia. Sta sviluppando il più grande giacimento esistente al mondo, il North Field East, un progetto off shore che il Qatar condivide con l'Iran, nel nord-est del Golfo Persico: la produzione dovrebbe passare dalle attuali 77 milioni di tonnellate all'anno a 126 milioni entro il 2027. Per accelerare l'ampliamento delle infrastrutture, la società di stato QatarEnergy aveva annunciato di aver aperto alla collaborazione degli operatori occidentali. Anche Eni era stata selezionata come partner internazionale. Quegli stessi Paesi occidentali insomma avrebbero molto da perdere, è stato il messaggio chiaro dal Paese del Golfo.

L'inchiesta va avanti. In Italia la moglie dell'ex eurodeputato Antonio Panzeri - lui in carcere a Bruxelles con l'accusa di corruzione e riciclaggio - comparirà davanti alla corte d'Appello di Brescia che dovrà decidere sulla sua consegna al Belgio. Domani sarà la volta della figlia. Le donne sono accusate dagli inquirenti belgi - sulla base di intercettazioni - di essere state pienamente consapevoli, oltre che beneficiarie, della presunta corruzione nei confronti di Panzeri da parte del Qatar e del Marocco. Nelle intercettazioni citate dalla Procura di Bruxelles a sostegno della richiesta di arresto si parlava della disponibilità per la famiglia Panzeri di una carta di credito di una terza persona chiamata «il gigante». Madre e figlia sono state destinatarie una settimana fa di un mandato di arresto europeo e ora sono ai domiciliari. Il loro avvocato ha ribadito la loro «totale estraneità» ai fatti contestati.

Da rainews.it il 18 Dicembre 2022.    

Angelina Jolie ha annunciato le sue dimissioni dal ruolo di inviata speciale dell'UNHCR (l’Agenzia Onu per i rifugiati) dopo oltre 20 anni di collaborazione. L'attrice, 47 anni, ha svolto più di 60 missioni sul campo con l'UNHCR, accendendo i riflettori sulla condizione di milioni di persone sfollate dalle loro case negli ultimi due decenni.

“Dopo 20 anni di lavoro all'interno del sistema delle Nazioni Unite, sento che è giunto il momento di lavorare in modo diverso, impegnandomi direttamente con i rifugiati e le organizzazioni locali e sostenendo la loro azione di advocacy per trovare soluzioni” ha dichiarato la Jolie in un comunicato. “Continuerò a fare in futuro tutto ciò che è in mio potere per sostenere i rifugiati e gli altri sfollati”.

L'UNHCR l'ha definita una delle più influenti sostenitrici dei diritti dei rifugiati. La star statunitense, vincitrice di un Oscar, collabora con l'UNHCR dal 2001 ed è diventata inviata speciale nel 2012. Angelina Jolie ha “lavorato instancabilmente […] per testimoniare storie di sofferenza, ma anche di speranza e resilienza” ha commentato l'agenzia Onu con sede a Ginevra. 

“Siamo grati per i suoi decenni di servizio, per il suo impegno e per la differenza che ha fatto per i rifugiati e le persone costrette a fuggire” ha dichiarato il capo dell'Agenzia, Filippo Grandi. “Dopo un lungo periodo di successo all'interno dell'UNHCR, apprezzo il suo desiderio di cambiare impegno e sostengo la sua decisione” ha aggiunto ancora Grandi.

(ANSA il 19 dicembre 2022) - In Procura a Milano al momento non è ancora aperta un'inchiesta autonoma sul cosiddetto 'Qatargate'. E' probabile, tuttavia, che nei prossimi giorni, sulla base di ulteriori atti che potrebbero arrivare dai magistrati belgi o per altre attività necessarie a fronte dell'ordine di investigazione europeo trasmesso da Bruxelles ai pm milanesi, si arrivi all'iscrizione di un fascicolo con indagini del pool guidato dall'aggiunto Fabio De Pasquale.

I magistrati milanesi, dopo le perquisizioni dei giorni scorsi nell'abitazione di famiglia, nella Bergamasca, di Antonio Panzeri, l'ex eurodeputato in carcere a Bruxelles, nella casa ad Abbiategrasso dei genitori di Francesco Giorgi, ex collaboratore di Panzeri, e nello studio di una commercialista, hanno già acquisito sette conti correnti che sono al vaglio della Gdf. 

Nell'ordine di investigazione europeo di una quarantina di pagine viene indicato ai pm milanesi anche di sentire i genitori di Giorgi, definiti persone "interessate" all'indagine, e di farlo con la qualifica di indagati. 

Come riportato oggi da La Verità, i magistrati belgi si concentrano anche su alcuni trasferimenti di denaro effettuati proprio dai genitori di Giorgi dall'Italia al Belgio e serviti per l'acquisto di un immobile a Bruxelles.

Per queste e altre audizioni potrebbe essere necessario aprire un filone di indagine tutto milanese. Allo stesso tempo, se dal Belgio arrivassero ulteriori atti, come in ipotesi stralci dei verbali dell'ex assistente di Panzeri, nonché compagno dell'ormai ex vicepresidente del Parlamento Europeo Eva Kaili, gli inquirenti milanesi potrebbero cercare riscontri indagando in autonomia su un presunto riciclaggio in Italia dei soldi delle tangenti pagate da Qatar e Marocco per favorire gli interessi dei due Paesi

(ANSA il 19 dicembre 2022) - Non va consegnata al Belgio Maria Dolores Colleoni, la moglie dell'ex eurodeputato Antonio Panzeri, pure lei come il marito tra gli arrestati nell'indagine di Bruxelles Qatargate, in quanto questo rappresenterebbe "una violazione dei diritti dell'uomo". 

Lo hanno sostenuto in aula davanti alla Corte d'Appello di Brescia gli avvocati Angelo De Riso e Nicola Colli, difensori della donna - ora ai domiciliari e che stamani ha reso dichiarazioni spontanee -, opponendosi così alla richiesta di consegna contenuta nel mandato d'arresto europeo. 

"Abbiamo sostenuto che non ci sono ragioni di consegnare la nostra assistita al Belgio" in quanto ciò presuppone che finisca in carcere. "Una misura più afflittiva - hanno proseguito i legali - non solo sarebbe incoerente con la misura dei domiciliari disposti lo scorso 9 dicembre dal giudice d'appello ma poiché tale misura non è stata violata significherebbe violare quando prevede la Corte europea dei diritti dell'uomo". La difesa aveva chiesto alla Corte d'Appello un rinvio che non è stato concesso. La decisione è attesa attorno alle 16.30.

Giacomo Amadori François De Tonquedec per “la Verità” il 19 dicembre 2022. 

L'inchiesta del giudice istruttore belga Michel Claise punta anche alla rete famigliare degli indagati per reati che vanno dalla partecipazione a organizzazione criminale alla corruzione. 

Nel mirino sono finiti soprattutto l'ex europarlamentare del Pd Pier Antonio Panzeri e il suo ex assistente, il trentacinquenne Francesco Giorgi, entrambi arrestati lo scorso 9 dicembre. Nel mirino anche le loro reti famigliari che, come vedremo, sono collegate dai servizi di una commercialista, perquisita, la cui figura sta emergendo come sempre più significativa.

Di Panzeri sono stati messi sotto osservazione almeno tre conti correnti italiani (intestati due a lui e uno alla figlia Silvia) e la documentazione di una banca brasiliana, la Lift, in cui potrebbe essere stato depositato il tesoretto dell'ex sindacalista. Ma le attività di indagine delegate alla Procura di Milano e coordinate da Fabio De Pasquale puntano anche a Giorgi. 

Nell'ordine europeo di indagine (Oie) Claise ha chiesto alle autorità italiane di fornire tutte le informazioni disponibili in merito all'identità di sette persone: Panzeri, la sua commercialista Monica Rossana Bellini, il sindacalista Luca Visentini, l'attivista Nicolò Figà-Talamanca e poi buona parte della famiglia Giorgi.

Claise, scrittore di gialli di successo, ha chiesto di estendere i controlli anche ai parenti di Francesco e principalmente al padre Luciano, sessantacinquenne originario di Abbiategrasso, e alla madre Iole Valli, sessantanovenne nativa di Rho. 

A colpire la fantasia del giudice è stata «l'acquisizione di attività finanziarie in Belgio a nome di Francesco Giorgi», dal momento che, a giudizio degli inquirenti, «durante l'indagine è emerso chiaramente» che questa è il «risultato di trasferimenti dall'Italia». 

Invii che sarebbero serviti per l'acquisto di un edificio a Bruxelles da parte di Giorgi.

Una compravendita per cui sarebbero partiti alcuni bonifici dai conti italiani di papà Luciano e mamma Iole. In particolare sotto la lente di ingrandimento del giudice sono finiti tre invii.

Il primo da 40.000 euro, datato 5 ottobre 2022, è riconducibile alla Valli; lo stesso giorno altri 40.000 euro sono stati trasferiti dal conto del marito, il quale il 31 agosto aveva già inviato altri 4.000 per la stessa operazione immobiliare. Tra questi trasferimenti è stato segnalato un bonifico del 30 settembre da 10.000 euro del figlio Francesco sempre destinato allo stesso acquisto.

Insospettito da questa operazione Claise ha chiesto di procedere alla perquisizione del domicilio di Abbiategrasso di Francesco Giorgi e di qualsiasi altra sua «residenza effettiva» e «di procedere all'audizione, in qualità di indagata, della persona che ha l'uso dei locali, ovvero suo padre e sua madre, Luciano Giorgi e Iole Valli». 

Martedì scorso nell'abitazione gli uomini della Guardia di finanza hanno sequestrato 20.000 euro in contanti e altra documentazione che, come specificato nell'Oie, dovrà essere trasferita a Bruxelles.

Ricordiamo che nel trolley che aveva con sé Alexandros Kaili, suocero di Giorgi e padre della compagna dello skipper, Eva, in quel momento vicepresidente del Parlamento europeo, gli investigatori belgi hanno trovato 600.000 euro. 

Invece nell'abitazione di Eva e Francesco sono stati sequestrati altri 150.000 euro. Ma le mazzette di contanti sono un po' il leit motiv di questa storia. Infatti anche nella casa di Panzeri, arrestato il 9 dicembre, nella capitale belga sono stati sequestrati 600.000 euro.

Il totale dei tre sequestri ammonta a 1,35 milioni di euro cash, ma gli inquirenti belgi hanno fatto sapere di aver sequestrato più di 1,5 milioni. 

Ma ritorniamo ad Abbiategrasso. La villa, suddivisa in dieci vani, ha una superficie di 250 metri quadrati a cui ne vanno aggiunti 50 di autorimessa. È stata acquistata nel 2005 ed è intestata a entrambi i genitori, ma non al figlio che non risulta avere beni immobili in Italia.

In compenso i suoi genitori nel 2019 hanno comprato una casa al mare, un bilocale, che si trova a Cervo, in provincia di Imperia, all'interno di un edificio denominato Mimosa. 

Il rogito viene perfezionato il 15 giugno 2019 a Borghetto Santo Spirito. A vendere è un torinese residente a Roma. I genitori di Giorgi pagano l'immobile 150.000 euro e saldano con un assegno datato 12 giugno 2019 di Banca Intesa del valore di 135.000 euro che va sommato alla caparra inviata il 10 maggio 2019 con un bonifico di 14.990 euro partito da un conto Ing (la banca olandese) intestato a Luciano Giorgi.

La contabile del bonifico viene firmata da un funzionario dell'ufficio della Ing bank n.v. Milan branch. Sempre dal conto Ing il 15 giugno escono i 3.660 euro che Giorgi senior paga all'agenzia immobiliare. Insomma per fare il loro acquisto i genitori non hanno avuto bisogno di ricorrere ad alcun mutuo o perlomeno questo è quello che appare dal rogito. 

Ma se la radiografia degli immobili dei Giorgi è molto interessante, lo è ancora di più studiare la storia delle società di famiglia. Che si incrociano clamorosamente con le operazioni finanziarie di Panzeri. E l'anello di congiunzione è la già di citata ragioniera Benelli, di cui Claise ha chiesto la perquisizione.

Il motivo è spiegato nell'ordine europeo di indagine, dove si legge che nel corso dell'inchiesta sarebbe emerso «chiaramente» che la signora Bellini «è la responsabile della consulenza gestionale e finanziaria della coppia Panzeri-Colleoni (Maria Dolores, la moglie dell'ex sindacalista, ndr)». 

Per gli investigatori, secondo cui i guadagni di Panzeri «sembrano di natura criminale», «l'intervento dello studio Bellini potrebbe far parte di operazioni di riciclaggio».

Il 28 dicembre 2018, a cinque mesi dalle elezioni europee del 2019, viene costituita la Equality consultancy srl, con sede legale a Opera, in provincia di Milano, proprio nello studio della commercialista, in via Martiri di Belfiore.

Ma nella compagine azionaria non compare Panzeri (in quel momento la situazione delle candidature è fluida e l'ex sindacalista della Cgil annuncerà di aver rifiutato l'investitura solo il 9 aprile) bensì il padre del suo assistente parlamentare (dal 2009) Francesco Giorgi.

Babbo Luciano (che detiene il 70 per cento delle quote) fa parte della compagine sociale insieme con il figlio minore Stefano (25 per cento) e con la Bellini (5) che è anche amministratrice della società insieme con Giorgi junior. 

I loro poteri sono disgiunti per le attività ordinarie. L'oggetto sociale della Equality consulting, che ha un capitale di 10.000 euro, è praticamente quello di una ong e non ha niente a che fare con il lavoro di rappresentante di prodotti farmaceutici di Giorgi senior. Leggiamo gli obiettivi: «Realizzare una rete ampia, trasparente e ben informata di partenariati.

Aiutare a rimuovere alcuni degli ostacoli alla collaborazione esistenti tra le culture differenti attraverso iniziative volte a promuovere e divulgare i diritti umani e la protezione delle libertà fondamentali», «sviluppare reti tra diversi soggetti, Ong, organizzazioni imprenditoriali e controparti nei Paesi terzi, per facilitare il dialogo e le opportunità che consentono legami economici e culturali più forti all'interno dell'Ue e nei suoi Stati membri» e, infine, «promuovere gli scambi e la cooperazione tra soggetti, situati in altre aree geografiche di riferimento».

Nelle mani del più giovane dei Giorgi (che secondo la sua pagina Linkedin in quel momento era apprendista in una società di autonoleggi), insomma, c'è, come detto, una specie di organizzazione non governativa. Che il primo anno ottiene ottimi risultati. A fronte di un valore della produzione iscritto a bilancio di 240.000 euro, l'utile di esercizio è di 102.500 euro. Ma quando quel bilancio viene chiuso, Giorgi padre e figlio hanno lasciato la società. Il 23 luglio 2019, a 20 giorni dalla prima plenaria del Parlamento europeo che si è svolta il primo luglio, i due cedono le quote.

Una parte (il 40% della società) di quelle di Luciano va a Dario Vittorio Scola, suo socio di vecchia data (dal 2001) in un'altra ditta, la Sunflower srl che si occupava (attualmente risulta inattiva) della rappresentanza di prodotti farmaceutici. Altre quote (il 30%) del genitore finiscono in mano a tale Manfred Forte, che rileva anche una parte (il 10%) di quelle di Stefano. Il restante 15% viene ceduto dal giovane Giorgi alla solita Bellini, la commercialista di Panzeri e, sembra, non solo sua. 

Il 5 settembre Stefano lascia alla donna anche la guida della società, che grazie a una modifica allo statuto passa all'amministratore unico. In quello stesso mese Panzeri fonda la sua ong a Bruxelles, la Fight impunity, di cui Francesco (che nel frattempo è diventato assistente dell'europarlamentare Andrea Cozzolino) ricopre il ruolo di «senior advisor». Nel 2020, forse anche per la pandemia, le cose per la Equality consultancy non vanno come il primo anno: il valore della produzione crolla a 81.000 euro e il bilancio annota perdite per 51.000. 

E così il 18 novembre la società viene messa in liquidazione e la Bellini ha il compito di portare avanti le ultime pratiche della società, tra cui l'approvazione del bilancio del 2020. Dall'8 giugno del 2021 la Equality consultancy non esiste più. 

Ieri siamo andati ad Abbiategrasso per cercare di parlare con i genitori di Francesco Giorgi, agli arresti in Belgio. Un'enorme siepe protegge la famiglia da occhi indiscreti. Solo dall'ingresso pedonale e da quello del box auto si riesce a scorgere qualcosa. Per esempio i sobri addobbi natalizi, una coccarda appesa al cancelletto e un filo di lucine gialle. Le persiane sono chiuse. Fuori da una finestra è appesa una bandiera arcobaleno della pace. Un citofono semi distrutto stride con tutto il resto. Suoniamo ma non risponde nessuno. I vicini passano frettolosamente. Qualcuno evita di rispondere alle domande. Altri ci liquidano con un «non so nulla» di circostanza. Sarà il prosieguo delle indagini a dirci qualcosa in più. Ha collaborato Salvatore Drago.

Giuseppe Guastella per corriere.it il 19 dicembre 2022.

La richiesta è stata trasmessa da Eurojust il 7 dicembre, due giorni prima dell’operazione che a Bruxelles ha sconvolto il Parlamento europeo con l’arresto di sei persone accusate di aver preso soldi dal Marocco e dal Qatar per favorire gli interessi di questi due Paesi nella massima istituzione elettiva europea corrompendo a suon di bustarelle europarlamentari compiacenti.

Destinataria la Procura di Aosta. Oggetto: un appartamento a Cervinia che si sospetta sia stato acquistato con i soldi del giro di mazzette. Una classica operazione di riciclaggio, la stessa che potrebbe celarsi dietro a un investimento fatto dalla coppia Kaili-Giorgi per costruire una villa da favola nella bellissima isola greca di Paros. 

Al di là di una molto generica accusa di associazione per delinquere, corruzione e riciclaggio, a dieci giorni dal blitz non è ancora chiaro perché siano state arrestate le persone che, sembra ormai dato per scontato, ruotavano intorno alla Fight impunity, la Ong dell’ex europarlamentare pd Antonio Panzeri che avrebbe dovuto combattere a favore dei diritti umani ma che invece avrebbe brigato a suon di denaro, incassato e poi girato, con «interventi politici presso» europarlamentari con lo scopo di migliorare la precaria immagine di Marocco e Qatar in tema di diritti umani.

A partire da uno dei 14 vice presidenti, la greca del Pasok Eva Kaili (destituita), di cui i cittadini europei sanno solo che è finita in carcere perché era in flagranza di un qualche reato dopo che nella casa che divide con il suo compagno Francesco Giorgi, descritto come il complice di Panzeri, sono stati trovati più di 750 mila euro in contanti che dovrebbero provenire da Qatar e Marocco, ma che Giorgi giura essere i suoi. 

Al riserbo strettissimo dei magistrati sfuggono solo particolari secondari dell’accusa che ogni giorno contribuiscono a mettere sulla graticola nuovi personaggi, anche se solo hanno avuto rapporti con gli indagati. Come il pd Andrea Cozzolino, che non è indagato, ma che aveva legami «pericolosi» con Panzeri e con l’ambasciatore del Marocco in Polonia Abderrahim Atmoud, il cui nome è negli atti come colui al quale la famiglia Panzeri voleva affidare dei regali che aveva ricevuto per portarli in Marocco.

Si dice che operasse in un centro studi che sarebbe la base a Bruxelles dei servizi segreti di Rabat. Di lui parla la moglie (intercettata) di Panzeri che è stata arrestata con la figlia e comparirà oggi in Appello a Brescia perché il Belgio chiede la sua consegna. «Non darà il suo consenso, non ci sono i presupposti né giuridici né di merito», afferma il suo legale, l’avvocato Angelo De Riso. 

Un’ipotesi di riciclaggio dovrebbe aleggiare su una casa acquistata ad aprile scorso a Cervinia da Niccolò Figà-Talamanca, il segretario della No peace without justice, l’altra Ong finita nell’inchiesta, arrestato e poi messo ai domiciliari dai magistrati belgi con il braccialetto elettronico.

Come ha rivelato La Verità, si tratta di un appartamento di cinque vani su 90 metri quadrati acquistato il 29 aprile scorso per 215 mila euro dalla società belga Nakaz di cui è amministratore Figà-Talamanca. Potrebbe essere sequestrato su richiesta della Procura di Aosta nel sospetto che i fondi siano arrivati dalla Fight impunity di Panzeri oppure con un percorso diretto dal Qatar o dal Marocco. 

L’altra Procura italiana interessata da Eurojust è quella di Milano che, su richiesta di Bruxelles, sta lavorando sui flussi di denaro da e per il Belgio su sette conti correnti che fanno capo alla famiglia Panzeri e a Giorgi. 

L’aggiunto Fabio De Pasquale sentirà testimoni e analizzerà documenti per capire se il denaro sia stato, anche in questo caso, riciclato, come i 100 mila euro in contanti che mancherebbero ai 600 mila trovati a casa di Panzeri a Bruxelles. Anche in Grecia sono in corso indagini patrimoniali sulla Kaili e sulla sua famiglia, sempre a caccia di soldi di provenienza illecita che potrebbero essere stati reimpiegati. 

La magistratura, secondo la stampa greca, punta a un investimento da 300 mila euro fatto nove mesi fa da Eva Kaili e dal suo compagno Francesco Giorgi per acquistare un terreno di 36 mila metri quadrati a Paros sul quale costruire una favolosa villa con piscina. In attesa degli sviluppi delle indagini in Belgio, tutti i beni della famiglia Kaili in Grecia sono stati congelati.

Estratto dell’articolo di Giuliano Foschini e Luca De Vito per “la Repubblica” il 19 dicembre 2022.

Poiché sono i particolari a raccontare le storie, questo spiega molto di cosa è questo Qatargate: Antonio Panzeri consegnava i soldi del Qatar con cui tentava di corrompere la politica di Bruxelles in buste con Babbo Natale ben stampato sopra. Siccome però aveva la casa invase di microspie, la polizia belga ha registrato alcuni di questi scambi. 

Il 10 ottobre scorso, per esempio, quando, nel suo salotto, si presentò Luca Visentini, allora numero uno del sindacato europeo in corsa per essere eletto, un mese dopo nel congresso di Melbourne, leader del sindacato mondiale, Panzeri gli consegnò tre buste - «sembriamo quelli di Ocean's Eleven» scherzava Panzeri - piene di contanti.

[…] Quello che interessa gli investigatori è il modus operandi di Antonio Panzeri: che pagava in contanti chi riteneva potesse essergli utile utilizzando la cassa del Qatar. Ed è questo che il giudice Claise sta cercando di capire in questi giorni, facendo leva sulle migliaia di intercettazioni telefoniche e ambientali a disposizione. E soprattutto sulla collaborazione di Francesco Giorgi che ai magistrati di Bruxelles ha rivelato di aver avuto un ruolo da responsabile della "cassa".

La questione principale è capire chi prendeva i soldi. E per cosa. Sul primo punto le dichiarazioni dell'ex assistente di Panzeri e dell'eurodeputato Cozzolino saranno importantissime, dopo alcune ammissioni nel primo interrogatorio. Sarà fondamentale anche l'analisi dei conti correnti e dei movimenti che - tra il Belgio, l'Italia e il Sudamerica - hanno visto spostare somme ingenti. Un'analisi che potrebbe portare gli inquirenti ad allargare l'indagine. 

Sul secondo punto invece - per ricostruire cioè gli atti e soprattutto le modalità a cui si è arrivati al voto - gli investigatori stanno analizzando computer e telefoni sequestrati agli assistenti. Da un'analisi sta emergendo, chiaro, il ruolo di Giorgi: era lui a dare le indicazioni sugli emendamenti da presentare e sulle modalità di voto.

Giuseppe Salvaggiulo per “la Stampa” il 19 dicembre 2022. 

Dopo telefonate, mail e bonifici, spuntano le intercettazioni ambientali delle mazzette. Lo schema del sistema di corruzione internazionale svelato dall'inchiesta della Procura federale belga si delinea su diversi piani investigativi. Le perquisizioni a tappeto negli uffici e il sequestro di computer e telefoni di una ventina di assistenti parlamentari mirano a «incartare», in mailing list e chat, le prove dell'eterodirezione di un significativo pezzo del gruppo socialista del Parlamento europeo da parte della cricca con a capo l'ex eurodeputato Antonio Panzeri. 

Le indagini bancarie e patrimoniali puntano a ricostruire da un lato i flussi di finanziamento della Ong di Panzeri, Fight Impunity, ritenuta uno schermo per gestire il sistema corruttivo; dall'altro i canali attraverso cui le tangenti venivano ripulite rientrando nel circuito finanziario legale. Reinvestite in asset patrimoniali in giro per il mondo.

In mezzo c'è il passaggio materiale delle tangenti da Panzeri - presunto corrotto da Marocco e Qatar, ma anche collettore per loro conto verso eurodeputati e attivisti dei diritti umani - agli altri indagati. Ferma la presunzione di non colpevolezza fino a sentenza definitiva, gli investigatori contano su mesi di intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti e persino registrazioni delle dazioni. 

In particolare avrebbero filmato Panzeri mentre consegna denaro in diverse buste con l'effigie di Babbo Natale a Luca Visentini, sindacalista italiano proveniente dalla Uil, presidente dei sindacalisti europei dal 2015, neoletto durante il congresso di Melbourne a fine novembre, pochi giorni prima di essere arrestato, segretario generale dell'International Trade Union Confederation (Ituc), il sindacato mondiale che conta più di 250 confederazioni e oltre 200 milioni di iscritti. «La prima emergenza è il diffondersi dei governi autoritari», dichiarava dopo l'elezione.

Ignaro che gli investigatori belgi ne monitoravano da tempo le connessioni con Panzeri, sospettando che costui fosse il tramite di governi come quelli di Qatar e Marocco.

Pedinato nei suoi incontri con Panzeri, anche nella casa brussellese dell'ex eurodeputato dove poi sono stati sequestrati 600 mila euro in contanti, Visentini è anche stato filmato. Il video viene considerato una prova centrale. L'ipotesi dell'accusa è che Panzeri, per conto terzi, abbia alimentato l'ascesa di Visentini per assicurare agli Stati finanziatori un sindacato «controllabile».

La posizione dell'Ituc sul Qatar, peraltro, è cambiata nel tempo. Un documento pubblicato a ottobre, poco prima dell'elezione di Visentini, elogia la legislazione sul lavoro come degna di un moderno sistema di relazioni industriali. 

Arrestato il 9 dicembre con lo stesso Panzeri, il «principe degli assistenti parlamentari» Francesco Giorgi, l'ex vicepresidente del Parlamento Ue Eva Kaili e il segretario della Ong Non c'è pace senza giustizia Niccolò Figà Talamanca, Visentini è stato l'unico scarcerato, due giorni dopo in seguito all'interrogatorio. Fino a marzo è libero, salvo divieto di contatti con altri indagati e autorizzazione del giudice per viaggi all'estero. Visentini si è dichiarato «innocente e pronto a fornire qualsiasi ulteriore chiarimento o informazione».

Quanto ai soldi, prima ha spiegato di «non aver ricevuto un finanziamento elettorale da Fight Impunity ma solo una donazione da poche migliaia di euro versata al sindacato».

Poi ha parlato di «poche decine di migliaia di euro trasferite al sindacato per spese tracciabili». 

Infine ha ammesso di aver «ricevuto una donazione da Fight Impunity, per un importo complessivo inferiore a 50 mila euro», specificando che «questa somma consisteva in denaro sotto forma di donazione per rimborsare alcuni dei costi della mia campagna per il congresso della Ituc, e in denaro sotto forma di donazione che ho trasferito come tale al fondo di solidarietà della Ituc, per sostenere i costi di viaggio al congresso per i sindacati che hanno mezzi finanziari limitati o inesistenti».

Resta la domanda: perché in contanti? «Per la qualità del donatore e per il suo carattere non profit - si è difeso -. Non mi è stato chiesto nulla in cambio del denaro e non sono state poste condizioni di alcun tipo per questa donazione, che non è stata collegata ad alcun tentativo di corruzione, né di influenzare la mia posizione sindacale sul Qatar o su altre questioni, né di interferire con l'autonomia e l'indipendenza mia e dell'Ituc». 

Versione da verificare nel corso dell'indagine, incrociando i trasferimenti di denaro dal suo conto corrente in Belgio e ai tre in Italia, che ammonterebbero a circa 140 mila euro negli ultimi due anni e su cui si concentra l'ipotesi di riciclaggio. Che per gli altri indagati verte principalmente su investimenti immobiliari: in Grecia (Kaili e Giorgi), a Cervinia (Figà Talamanca). La moglie e figlia di Panzeri, ora ai domiciliari, sono accusate di essere «pienamente consapevoli». Entrambe, come tutti i presunti sodali della «associazione criminale e fraudolenta» a parte Giorgi, si proclamano innocenti.

Qatargate. Il tribunale di Brescia consegna al Belgio Maria Dolores Colleoni moglie di Panzeri. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 19 Dicembre 2022.

Antonio Panzeri nelle celle di Bruxelles, nega qualsiasi illegalità: con un atteggiamento che ricorda quello che Primo Greganti mantenne durante "Mani pulite". Una linea che gli valse il soprannome di "Compagno G".

La moglie dell’ex eurodeputato Antonio Panzeri, Maria Dolores Colleoni, 68enni, destinataria insieme alla figlia Silvia di un mandato d’arresto europeo della procura di Bruxelles, questa mattina in udienza a porte chiuse, davanti ai giudici della Corte d’Appello di Brescia che doveva decidere sull’arresto, sulla sua richiesta consegna alle autorità del Belgio, Stato principale al centro del Qatargate, l’inchiesta che sta facendo tremare il Parlamento europeo ha reso dichiarazioni spontanee in aula.

L’udienza è durata circa mezz’ora, poi i giudici sono entrati in camera di consiglio. La decisione è prevista nel pomeriggio odierno. “Il procuratore generale ha chiesto la consegna alle autorità belghe – ha riferito il legale di Colleoni, l’avvocato Angelo De Riso -. Noi abbiamo depositato una memoria in diritto, sostenendo che non ci sono ragioni perché la nostra assistita venga consegnata. Il carcere sarebbe una misura afflittiva più grave dei domiciliari, stabiliti dal giudice italiano, una violazione della Convenzione dei diritti dell’uomo, perchè la misura sarebbe aggravata senza che l’indagata abbia violato i domiciliari”. La difesa di Colleoni ha anche spiegato in udienza che se “fossero necessarie altre attività istruttorie, gli interrogatori possono essere fatti a distanza”.

La Corte d’Appello di Brescia ha accolto la richiesta di consegna inoltrata dal Belgio di Maria Dolores Colleoni, la moglie dell’ex eurodeputato Antonio Panzeri, al centro dello scandalo delle tangenti da Marocco e Qatar. La decisione del collegio presieduto dal giudice Anna Maria Dalla Libera, sostenuta in aula dal pg Giovanni Benelli, è arrivata alle 19.30 di oggi dopo quasi 5 ore di camera di consiglio. Gli avvocati Nicola Colli e Angelo De Riso, che assistono anche la figlia Silvia Panzeri, a questo punto hanno cinque giorni di tempo per giocare la carta del ricorso in Cassazione. In caso di condanna, la Corte ha stabilito che sconti la pena in Italia.

Il collegio ha deciso sulla base di tre elementi. Il primo è la reciprocità del reato. I reati contestati devono cioè essere contemplati dai codici penali di entrambi i Paesi, in questo caso Belgio e Italia. L’associazione per delinquere, ad esempio, in diverse nazioni non esiste. I giudici dovranno poi valutare se esistono cause ostative alla consegna e infine, più importante, verificare se sussistono i gravi indizi di colpevolezza. Una verifica, quest’ultima, evidentemente sommaria, visto che dal Belgio, con l’indagine ancora aperta, è arrivato lo stretto necessario in quanto ad atti.

Domani si svolgerà l’udienza per l’ avv . Silvia Panzeri, figlia dell’ex politico considerato dagli inquirenti belgi “l’anima” del sistema di corruzione che avrebbe condizionato i lavori del Parlamento per “migliorare”‘” l’immagine del Paese che ha ospitato il campionato mondiale di calcio. Dal mandato di arresto europeo, si legge che “le due donne sembrano essere pienamente consapevoli delle attività del marito/padre” e sembrano “partecipare nel trasporto dei ‘regali’ dati al Marocco dall’ambasciatore marocchino in Polonia”.

Sempre sulla base delle risultanze investigative dell’inchiesta Maria Dolores Colleoni avrebbe anche detto a suo marito “di aprire un conto bancario in Belgio e aveva apparentemente insistito che non voleva che lui facesse operazioni senza che lei potesse controllarle (…). Questo indica che Maria Colleoni esercita un qualche tipo di controllo sulle attività del marito o che perlomeno cerca di mantenere un qualche controllo”. Nelle perquisizioni eseguite nell’abitazione della famiglia Panzeri a Calusco d’Adda dalla Guardia di Finanza, su disposizione della procura di Milano, sono stati rinvenuti ben occultati, 17mila euro ed alcuni orologi di valore, dei quali le due donne non avrebbero saputo fornire giustificazione.

Nel frattempo, “Sono tutte consulenze. È attività di lobbing, non è corruzione. Faccio il mio lavoro“. Nessuna ammissione, muro contro muro per difendere la sua Fight Impunity, l’Ong fondata nel 2019. Il pm belga Michel Claise si è trovato di fronte ad una sfinge, che risponde, ma non rivela con un atteggiamento che ricorda quello che Primo Greganti mantenne durante “Mani pulite”. Una linea che gli valse il soprannome di “Compagno G”.

Redazione CdG 1947

Marco Bresolin per “la Stampa” il 19 dicembre 2022.

La Commissione europea ha avviato una serie di «verifiche interne» per far luce sullo stipendio e sul ruolo di Dimitris Avramopoulos nell'associazione Fight Impunity, l'Ong di Antonio Panzeri finita al centro dell'inchiesta della procura di Bruxelles con l'accusa di essere una «centrale di riciclaggio» del denaro usato dal Qatar per corrompere deputati e funzionari Ue. La Commissione è inoltre pronta a convocare l'ex commissario greco per chiedergli spiegazioni, come conferma il portavoce di Ursula von der Leyen. 

Un nuovo fronte si apre dunque nel Qatargate, proprio nel giorno in cui Doha minaccia ritorsioni nei confronti dell'Ue per il provvedimento adottato dal Parlamento: tutti i portatori d'interesse qatarini saranno banditi dai locali dell'Eurocamera. Il Qatar considera «discriminatoria» la misura adottata e dice che avrà un impatto «negativo» sulle relazioni bilaterali: dalla cooperazione per la sicurezza alle trattative per le forniture di gas. 

Come rivelato ieri da La Stampa, Avramopoulos ha ricevuto un compenso dall'Ong di Panzeri per il suo ruolo di "membro onorario" del board: secondo quanto risulta da fonti consultate da questo giornale, avrebbe ricevuto un assegno mensile da cinquemila euro per il periodo dal 1° febbraio 2021 al 1° febbraio di quest' anno. In totale, 60 mila euro per «partecipare a conferenze, pubblicare articoli, dare interviste e discutere con organizzazioni, governative e non, gli obiettivi di Fight Impunity».

Un'attività del tutto legittima per la quale l'esponente del Ppe - che non risulta essere indagato - era stato autorizzato da Ursula von der Leyen nel febbraio del 2021, ma che ora fa sorgere dubbi quantomeno di opportunità politica perché potrebbe trattarsi di soldi "sporchi", incassati da un politico che è in corsa per diventare inviato speciale dell'Ue per i Paesi del Golfo. 

Le fonti di finanziamento di Fight Impunity non sono note in quanto l'associazione non è mai stata iscritta nel registro per la trasparenza dell'Ue: nel dicembre del 2020, Avramopoulos aveva spiegato al comitato etico della Commissione che Panzeri intendeva farlo al termine del lockdown. Ma la registrazione non è mai avvenuta. Per contro, il greco aveva comunicato a Bruxelles che il principale finanziatore dell'Ong era la Sekunjalo Development Fund, una fondazione sudafricana legata all'omonimo maxi-gruppo d'investimento.

«La Commissione sta naturalmente seguendo gli sviluppi del caso - spiega Eric Mamer, portavoce dell'esecutivo Ue -. Stiamo effettuando verifiche interne e contatteremo il signor Avramopoulos qualora vi fossero indicazioni che non abbia rispettato le condizioni stabilite nell'autorizzazione concessagli». Mamer sottolinea inoltre che «la Commissione ha rispettato un accurato processo di due diligence prima di concedere l'autorizzazione al signor Avramopoulos per la sua attività professionale con questa organizzazione».

Nel caso di Federica Mogherini, anche lei membro del board onorario, non è stato necessario il parere del comitato etico della Commissione perché «è diventata membro dell'associazione nel 2022, ovvero dopo la fine del periodo di controllo (due anni dopo la fine del mandato, ndr)». Mogherini ha spiegato di non aver partecipato attivamente alle iniziative di Fight Impunity né di aver percepito una remunerazione. Fino alla tarda serata di ieri non è stato possibile raggiungere l'ex commissario Avramopoulos per un commento.

Gli aspetti giudiziari del Qatargate sono ora destinati ad avere importanti ripercussioni economiche e geopolitiche nelle relazioni tra l'Ue e Doha. L'altro giorno il Parlamento Ue ha votato una risoluzione che chiede di togliere il badge d'accesso ai suoi locali a tutti i rappresentanti d'interesse del Qatar e ieri è arrivata una dura reazione.

«La decisione di imporre una restrizione così discriminatoria che limita il dialogo e la cooperazione prima che l'iter giudiziario sia concluso - si legge in una nota diplomatica diffusa da Doha - colpirà negativamente la sicurezza e la cooperazione regionale e globale». Non solo: il Qatar, che sta diventando uno dei principali fornitori di gas liquefatto dell'Ue, minaccia anche ripercussioni sui negoziati in corso per le forniture energetiche. «Non siamo l'unico soggetto citato nelle indagini, eppure solo il nostro Paese è stato criticato e attaccato»: un chiaro riferimento al Marocco, contro il quale l'Ue non ha adottato alcun provvedimento.

Mantalena Kaili, la sorella di Eva: «Nessun illecito. Io non ho avuto un euro dalla Ue». Andrea Galli su Il Corriere della Sera il 20 Dicembre 2022.

Verifiche sulla sua Elontech, lei si difende: «Noi facciamo ricerca scientifica». I legami con la nota commercialista delle municipalizzate milanesi Rossana Bellini

Chiediamo a Mantalena Kaili cos’abbia da dire su questa sua (presunta) famiglia criminale: la sorella Eva, ex vicepresidente del Parlamento europeo arrestata insieme al compagno Francesco Giorgi, il loro papà sorpreso con un borsone pieno di soldi sporchi, la sua stessa Ong, nel senso di Mantalena, sulla quale, secondo i giornali greci, i magistrati starebbe indagando... 

Ebbene Mantalena, attiva nei settori delle consulenze e dell’innovazione sociale, risponde che non ci sono verdetti ma unicamente «impressioni» mediatiche e di conseguenza della gente, e che nel suo caso specifico manca qualsiasi tipo di base giudiziaria per muovere accuse. Lei non ha ricevuto nulla, tant’è che domanda per quale motivo dovrebbe commentare «illeciti che non risultano agli atti». Fonti tra gli investigatori greci ripetono che l’attuale narrazione sulle avventure delinquenziali dei Kaili era inconcepibile in quanto davvero persone al di sopra d’ogni cattivo pensiero fin dagli esordi professionali e politici a Salonicco. 

Mantalena conosce bene Francesco Giorgi per averlo ospitato con Eva nella propria casa di Atene durante la pandemia (sedici mesi), ma non vuole fare cenno alcuno al 35enne di Abbiategrasso il cui padre è amico di antichissima data di Antonio Panzeri. 

Infatti i due, per interessi di dichiarazioni dei redditi e di acquisizioni societarie, hanno condiviso nel tempo i servizi della commercialista Monica Rossana Bellini, una figura assai nota a Milano in virtù delle plurime apicali cariche che ha ricoperto e ricopre a cominciare da «Milanosport», municipalizzata che detiene il monopolio delle piscine, dall’ospedale Gaetano Pini e dalla «Sogemi», che gestisce i mercati all’ingrosso. 

Ma tornando a Mantalena, si è letto di accertamenti mirati contro appunto la sua Ong, la Elontech, che però Ong non sarebbe: si tratta al contrario, spiega la donna, di un «Osservatorio scientifico sulle nuove tecnologie formato da giuristi e accademici». Ha ricevuto finanziamenti dal Parlamento europeo? «Non ho ricevuto un solo euro». Ci sono stati in dei collegamenti con Bruxelles? «Abbiamo partecipato alla quarta conferenza sull’intelligenza artificiale. Ospitata dal Parlamento europeo, ha avuto il patrocinio della Repubblica greca» nonché «la collaborazione di Unesco, Consiglio d’Europa e Ocse». 

Dopodiché, «su Eva ci sono indagini, ci sarà un processo» e staremo a vedere, insiste Mantalena, fondatrice in aggiunta di una piattaforma che supporta iniziative legate ai rifugiati. Ulteriori sollecitazioni per avere una più corposa difesa della famiglia, ottengono la richiesta di formularle netti capi d’imputazione individuali altrimenti non ha senso proseguire; il colloquio s’interrompe di colpo al terzo tentativo di illustrarle i comportamenti di sorella e genitore. Che poi la Elontech abbia un’ampia agenda di eventi e una ricca schiera di collaboratori rimane comunque elemento d’interesse per i magistrati che puntano ad approfondire anche la figura della commercialista Bellini (non indagata alla pari di Mantalena) la quale, al Corriere, non ha concesso dichiarazioni.

Qatargate. "C'erano persone come Bonino e Mogherini...". La rivelazione di Visentini sull'Ong di Panzeri. Il sindacalista spiega di non aver mai avuto sospetti sulla Fight Impunity. "Era un'Ong rispettata che agiva con personalità di alto livello..." Marco Leardi il 19 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Pronto a fare un passo indietro, a "rimanere lontano dalla posizione e dai doveri di segretario generale" pur di fornire tutti i chiarimenti necessari. Luca Visentini, arrestato e poi scarcerato nell'ambito dell'inchiesta Qatargate, ha ribadito così la propria estraneità dalla vicenda che ha fatto tremare le istituzioni europee. In particolare, il sindacalista è tornato a parlare dei suoi rapporti con la Ong dall'ex eurodeputato Pd Antonio Panzeri, a seguito dei quali gli investigatori gli avevano domandato chiarimenti. Sul punto, il segretario generale della Ituc (International Trade Union) ha spiegato come quella organizzazione non governativa fosse ben accreditata e avesse rapporti con personalità di alto livello.

Per questo, Visentini ha sottolineato di non aver mai sospettato "comportamenti illegali o non etici" da parte della Fight Impunity. "Era una Ong rispettata che agiva in difesa dei diritti umani con diverse personalità di alto livello nel suo consiglio di amministrazione come Denis Mukwege (Nobel per la Pace), Bernard Cazeneuve (ex primo ministro francese), Emma Bonino (senatrice italiana), Federica Mogherini (rettore del collegio d'Europa, ex Alto Rappresentante della Ue)", ha argomentato il sindacalista, menzionando in effetti nomi blasonati del panorama sociale e politico, dai quali si evince quanto l'organizzazione operasse ad alti livelli.

Al riguardo, vale la pena ricordare come Emma Bonino fosse stata colta da una emblematica smemoratezza quando, alla luce del caso deflagrato a Bruxelles, era stata interpellata dalla stampa sul nome di Panzeri. "Non mi ricordo di lui, può essere che l'abbia incontrato qualche volta quando ero al Parlamento europeo", aveva spiegato l'ex leader radicale al Corriere. Ma, secondo quanto riferito da Visentini, i contatti tra l'esponente politica e l'ex eurodeputato dem sarebbero stati poco compatibili con quella sorta di amnesia.

Quanto alla propria posizione, Visentini (non indagato, lo ricordiamo) ha dichiarato: "I soldi dalla Fight Impunity? Li ho accettati in contanti per la qualità del donatore e per il suo carattere non profit". La donazione ricevuta dalla Ong - ha sostenuto il sindacalista in una nota - "non è stata collegata ad alcun tentativo di corruzione, né di influenzare la mia posizione sindacale sul Qatar". E ancora, il segretario generale Ituc ha proseguito: "Non mi è stato chiesto né ho chiesto nulla in cambio del denaro e non sono state poste condizioni di alcun tipo per questa donazione", che ammontava a una "somma inferiore ai 50mila euro".

Gli inquirenti belgi intanto cercano di fare chiarezza sulla natura delle altre elargizioni sospette che Panzeri avrebbe concesso a chi - secondo le accuse - poteva essergli utile. Al vaglio dei magistrati, anche il contenuto di alcune intercettazioni.

Christophe Berti per “la Repubblica” il 19 dicembre 2022.

L'autore è direttore di Le Soir 

[...] Per Le Soir, il lavoro inizia a settembre. Due giornalisti investigativi della nostra redazione, Joel Matriche e Louis Colart, ricevono una "soffiata" secondo cui un'indagine senza precedenti intorno al Parlamento europeo avrebbe potuto coinvolgere potenze straniere decise a influenzare le decisioni europee. Bomba atomica. Ma bisogna controllare, incrociare le fonti, trasformare le voci in informazioni. 

[...] In questa questione esplosiva e delicata c'è un altro fattore, decisivo, che costringe la polizia belga a camminare su dei gusci d'uovo: l'immunità parlamentare europea. Fondamentalmente, se la polizia vuole intercettare un parlamentare o perquisire il suo ufficio, deve chiedere il permesso.

Spetta quindi agli inquirenti lavorare sui personaggi non protetti da questa immunità : Antonio Panzeri, Francesco Giorgi, Luca Visentini, Niccolò Figà-Talamanca. La polizia vuole agire durante la Coppa del Mondo e teme che tutto questo piccolo mondo parta per le vacanze di Natale e non torni. Quindi è venerdì 9 che tutto esplode. 

Dobbiamo aspettare che Giorgi lasci la sua casa. È stato arrestato per strada e la macchina giudiziaria è stata messa in moto: 20 perquisizioni, arresti e l'ufficializzazione dell'indagine. Con un colpo di scena degno di un film: nel loro piano iniziale gli investigatori non immaginavano di raggiungere immediatamente Eva Kaili, vice presidente del Parlamento.

Ma l'arresto a sorpresa di suo padre, che lascia un hotel con una valigia piena di soldi, consente di saltare la serratura dell'immunità con l'unico elemento possibile: flagranza di reato. Gli agenti di polizia che hanno effettuato le perquisizioni mattutine si sono precipitati nel quartiere europeo per entrare nella casa di Kaili. E scoprono altre centinaia di migliaia di euro. 

Un risultato incredibile per la polizia belga, che non si aspettava un tale successo.

Per il giudice Michel Claise specializzato nella lotta alla corruzione - è a capo dell'inchiesta sulla corruzione che scuote il calcio belga - questa è una grande vittoria. Spesso dice, giustamente, che deve attaccare «fortezze con catapulte », riferendosi alla palese mancanza di mezzi finanziari della giustizia belga. Ha lanciato la catapulta nel posto giusto. 

Questo è l'inizio di una serie di rivelazioni, da parte di Le Soir, sui dettagli dell'indagine: come i servizi segreti hanno lanciato le ostilità prendendo di mira Panzeri, come Marc Tarabella è stato perquisito un sabato sera in extremis (in Belgio non si può perquisire una casa dopo le 21) riportando da Malta la presidente Roberta Metsola, come Giorgi ha parlato con gli investigatori, come sono coinvolti anche il Marocco e i suoi servizi segreti. Una settimana pazzesca per la nostra redazione, inondata da decine di richieste di interviste, provenienti da tutta Europa e soprattutto dall'Italia. 

[...] Questa indagine è un'ulteriore prova che il Belgio è un obiettivo. E Bruxelles in particolare. La città ha "solo" un milione di abitanti, ma ospita la sede della Commissione, del Parlamento europeo e della Nato. 

E così, centinaia di istituzioni, varie organizzazioni, lobbisti di ogni tipo, ecc. Il tutto formando un sistema opaco in cui denaro e politica si fondono in un cocktail che può essere pericoloso. Infine, e questo è fondamentale per noi, l'inchiesta mostra quanto i controlli e gli equilibri della giustizia e della stampa siano indispensabili. Il giornalista serve solo l'accuratezza delle informazioni.

 E il giudice, rispetto della legge. Punto. Se giudici e giornalisti sono in prima linea in questo caso, è perché altre leve hanno fallito: la debolezza degli uomini di fronte al denaro, la mancanza o l'inadeguatezza degli organi di controllo europei. E a coloro che dicono che le nostre rivelazioni, alla fine, aumenteranno il populismo in Europa, possiamo rispondere che il nostro ruolo è quello di rivelare le informazioni. Niente di più, niente di più. Un adagio della stampa americana si adatta perfettamente alla conclusione: «Se non vuoi che sia scritto, non farlo».

Qatargate. E l'ex Pci manda in soffitta la questione morale. Pure D'Alema archivia, in nome degli affari, la lezione di Berlinguer. Roberto Chiarini il 19 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Vi immaginate Antonio Gramsci o Palmiro Togliatti che lasciano la politica per consacrarsi alla consulenza di società (capitalistiche) internazionali? Quella del consulente è invece l'attività che Massimo D'Alema, comunista non pentito, si vanta di aver intrapreso. Al giornalista che gli chiede se non convenga con lui sulla dubbia compatibilità tra la sua originaria passione politica e l'odierna attività di consulente di governi stranieri e di multinazionali risponde che non va confusa l'attività di «consulente» con quella dell'«affarista». È improponibile ogni accostamento tra le sue collaborazioni con società internazionali con i traffici dell'ex compagno di partito Antonio Panzieri, nella cui abitazione di Bruxelles sono stati trovati sacchi sospetti di banconote.

È inoppugnabile - ci mancherebbe - la distinzione tra le due attività sul piano della legalità e pure su quello della moralità. La distinzione regge meno però (ma forse ci sbagliamo) sul piano dell'opportunità. Non è comunque su questo punto che ci sembra essenziale puntare l'attenzione, ma piuttosto su quanto questa mutazione di destini professionali sia rivelatrice di un'altra mutazione in atto nella sinistra italiana e europea. Vorrà pur dire qualcosa il fatto che il mestiere di manager e di procacciatore d'affari stia diventando la vocazione principe di molte figure di ex leader della sinistra - da Tony Blair a Gerhard Schroeder fino a Massimo D'Alema: tutti ex primi ministri che a fine carriera abbracciano l'attività di business man, pronti a concedere la loro consulenza anche a uomini di stato che non vantano una coscienza democratica propriamente immacolata.

Contrapponendo l'affarismo alla consulenza, come fa il già lider maximo della sinistra italiana, ha voluto far intendere che è l'onestà ciò che fa la differenza. Con ciò, salva inequivocabilmente la sua personale onorabilità. Non coglie però il punto politico chiave della questione che sta alla base dell'impasse in cui s'è incagliata la sinistra ex comunista dopo l'abbandono dell'originaria fede anticapitalista. Politici e intellettuali di sinistra cercano di ridurre lo scandalo delle mazzette all'europarlamento solo a un fatto (indubitabile) di disonestà personale indicando la soluzione al richiamo della lezione di Enrico Berlinguer sulla «questione morale» quando l'allora segretario del Pci denunciava la degenerazione dei partiti ridotti a «macchine di potere» che «hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni».

La sua era certo una meritoria denuncia del malcostume politico ormai imperante. Era però anche un atto d'accusa rivolto all'intero sistema dei partiti su cui si era retta la vita pubblica nazionale dalla caduta del fascismo in poi contro cui veniva contrapposto il popolo tradito.

Non s'è mai prestata adeguata attenzione al fatto che con l'elevazione da parte del Pci della «questione morale» a stella polare della sua futura azione politica il Pci consumava il cambio di due suoi storici paradigmi culturali.

Il primo. Berlinguer superava l'idea del primato della politica che lo aveva permeato il partito per tutto il lungo dopoguerra conferendo al confronto politico un carattere «gladiatorio sui valori» e alla politica una connotazione «alta». Accantonava l'idea che sia la politica a determinare i grandi movimenti della storia, che «la persona venga giudicata in base all'ideologia cui ispira le sue azioni, non per la moralità o immoralità di quelle».

Il secondo paradigma con cui il Pci rompeva era con la precedente valorizzazione del partito a architrave di sostegno della democrazia. Ora individuava la lotta alla partitocrazia quale essenza del suo conclamato nuovismo. Portava acqua con ciò al mulino della tesi, allora popolare, di una società civile sana contrapposta a una società politica malata, e con ciò disarmandosi nei confronti dell'ordine di idee e di comportamenti propri della società capitalistica di cui «la consulenza» finisce per essere la fisiologia e «l'affarismo» la patologia.

Per queste ragioni, la perdita degli anticorpi dall'infezione affaristica che oggi la sinistra lamenta non può limitarsi ad attribuirla al venir meno della tensione morale che contraddistingue ormai la vita di tutti i partiti. Una responsabilità a monte va ricercata nell'aver sostituito di fatto la questione morale alla questione sociale come orizzonte strategico della sinistra.

Qatargate: perché il Pd si processa da solo? I dem sono i primi a condannarsi per l’inchiesta che ha travolto l’europarlamento. Anche se al momento non c’è un solo iscritto al partito che risulti indagato...Valentina Stella su Il Dubbio il 19 dicembre,

Qatargate, la domanda è: perché il Partito democratico si sta processando da solo e addirittura autocondannando politicamente se al momento non ci sono indagati tra le sue fila?

L’INCHIESTA GIUDIZIARIA

Per provare a rispondere alla domanda innanzitutto ricapitoliamo brevemente il punto sull’inchiesta della magistratura belga: il blitz della polizia viene effettuato il 9 dicembre. Vengono arrestati con l’accusa di corruzione, riciclaggio, associazione a delinquere quattro persone: Antonio Panzeri, 67 anni, ex segretario generale della Camera del Lavoro di Milano, eurodeputato dal 2004 al 2019 con il gruppo Socialisti e Democratici (all’inizio Ds, poi Pd, infine Articolo 1), attualmente detenuto come il suo ex assistente Francesco Giorgi, collaboratore dell’europarlamentare Pd Andrea Cozzolino. Quest’ultimo non risulta indagato né ha subito perquisizioni ma si è autosospeso dal gruppo Socialisti&Democratici e in Italia è stato sospeso in via cautelare dal Pd.

In manette anche Eva Kaili, compagna di Giorgi, vicepresidente (sospesa) dell’Europarlamento ed esponente socialista, ancora rinchiusa in carcere. Sulla sua posizione si deciderà il 22 dicembre, in quanto non è stata possibile portarla prima dinanzi ai magistrati a causa di uno sciopero all’interno della prigione dove è detenuta. Per Niccolò Figà-Talamanca, segretario generale di No Peace Without Justice, è stato invece disposto il regime di sorveglianza con braccialetto elettronico. L'ufficio del procuratore federale ha presentato ricorso contro questa decisione della Chambre du Conseil di Bruxelles. Intanto la Ong è stata al momento sospesa in via precauzionale dal Transparency Register del Parlamento Ue, dove era accreditata da dieci anni.

Fermato dalla polizia belga anche Luca Visentini, segretario della Confederazione internazionale dei sindacati. L’uomo è poi stato rilasciato. Ha raccontato al magistrato Michel Claise che nelle tre buste che gli consegnò Panzeri lo scorso 10 ottobre c’erano circa 50 mila euro poi trasferiti al «Fondo di Solidarietà della Ituc, per sostenere i costi di viaggio al Congresso per i sindacati che hanno mezzi finanziari limitati o inesistenti, in conformità con le pratiche della Ituc». Per questo denaro, ha detto Visentini, «non mi è stato chiesto, né ho chiesto nulla in cambio del denaro e non sono state poste condizioni di alcun tipo per questa donazione».

L’ESTRADIZIONE

La Corte d'Appello di Brescia ha dato il via libera alla consegna alle autorità belghe di Maria Dolores Colleoni, 67 anni, moglie di Panzeri, accusata di concorso in associazione per delinquere, corruzione e riciclaggio, accogliendo così la richiesta del mandato d'arresto europeo firmato da Michel Claise, titolare dell'inchiesta. L'avvocato Angelo De Riso, difensore della donna insieme al collega Nicola Colli, aveva presentato «una memoria in diritto», sostenendo che con la consegna al Belgio la 67enne andrebbe in carcere, aggravando così la misura che la vede attualmente ai domiciliari, e questo «violerebbe la Convenzione europea dei diritti dell'Uomo». Avranno cinque giorni per il ricorso in Cassazione.

LA QUESTIONE POLITICA

Detto tutto questo, in una discussione generale dove impropriamente si stanno mischiando il piano giuridico, quello politico, quello morale, quello mediatico e quello regolatorio sulle lobbying, stiamo assistendo ad una sorta di harakiri da parte del Partito democratico. Come abbiamo visto, nelle sue fila non ci sono indagati. Il problema, dal punto di vista dei dem, sarebbe però che Panzeri lo hanno fatto eleggere anche loro. Eppure il fondatore di Fight Impunity avrebbe commesso i reati che gli vengono contestati non da eurodeputato del Pd ma da lobbista rimasto a Bruxelles dopo l’esperienza politica. Ma il quadro oggettivo della situazione non basta al Pd.

Goffredo Bettini su Repubblica ieri ha detto che «la sinistra è permeabile all'incursione dell'affarismo». Gli ha fatto eco Andrea Orlando su La Stampa sulla reazione dei suoi allo scandalo: «C'è stato un primo momento di spaesamento, poi le risposte sono arrivate, adesso ne devono arrivare altre».

Ma già qualche giorno fa proprio da queste pagine il tesoriere Walter Verini aveva spiegato: «Berlinguer diceva che i partiti devono essere sobri e non occupare spazi impropri, non lottizzare. Nelle nomine vanno privilegiati i criteri di competenza e capacità. Questo è il salto culturale che aiuta un partito a sviluppare anticorpi. Se poi l’occupazione del potere diventa un fine, allora si allentano i legami con l’etica politica che sono fondamentali. La questione morale è un tema politico di grande attualità che deve trovare il Pd preparato e inflessibile».

È paradossale che a menar contro il Pd non siano tanto gli avversari politici quanto il Pd stesso. Nessuno nega che via del Nazareno stia attraversando una profonda crisi di identità, sancita dalle elezioni del 25 settembre, ma non si riesce a capire perché prendersi la responsabilità politica per una questione giudiziaria riguardante l’arresto di un ex esponente, innocente poi fino a prova contraria. Panzeri sarebbe solo la punta di un iceberg caratterizzato da tempo dall’omesso controllo sui candidati, dall’aver abbassato l’asticella della presunta superiorità morale, nell’aver trasformato il potere da mezzo a fine, nell’aver dimenticato la lezione di Berlinguer.

C’è chi all’interno del Pd ci ricorda addirittura la massima di Gaber (anche se a dirla sarebbe stato Gian Piero Alloisio): «Non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me». Altri sarebbero persino pronti a farsi carico della questione del non indagato e deputato Aboubakar Soumahoro: eletto sì con Fratoianni, ma il suo partito Avs si è presentato alle elezioni con l’alleanza di centro-sinistra. «Possibile che a nessuno è venuto in mente di controllare?», ci dice una fonte del Pd.

In questo strano corto-circuito c’è poi un’altra fonte di Articolo 1 che invece teme che il Pd voglia addossare tutta la colpa a loro, come pretesto per depotenziare ulteriormente un loro ritorno all’ovile. A questo punto il timore pare assolutamente infondato.

«Il Pd c’entra poco con il Qatargate, ma a chi interessa?

Massimo Cacciari, ex sindaco di Venezia

Il professore Massimo Cacciari, già sindaco di Venezia, punta il dito contro i dem: «Parlino di politica, di amministrazione e di governo. La questione morale ci sarà sempre». Giacomo Puletti su Il Dubbio il 20 dicembre, 2022

Massimo Cacciari analizza la gestione del Pd sul caso Qatargate, spiega che la questione «di certo non riguarda solo il Pd o la sinistra» e che «la questione morale rimarrà, perché i mascalzoni e i ladri esisteranno sempre, ma sarebbe ora che i dem comincino a parlare di politica, di amministrazione, di governo». Il vero guaio per il Nazareno, insiste, è che «l’opinione pubblica non distingue tra Articolo 1 e Pd».

Professor Cacciari, pensa che il Pd stia sbagliando la gestione del cosiddetto Qatargate, che coinvolge esponenti politici solo di lato riconducibili al Pd?

Diciamo che sono esponenti politici “inventati” da quella parte politica, e su questo non c’è dubbio. Al tempo stesso, però, è anche vero che alcuni hanno una storia così antica, e un’esperienza politica così travagliata, a partire da Pierantonio Panzeri, che con il Pd c’entrano ormai poco. Il problema vero per i dem è che l’opinione pubblica non distingue tra articolo 1 e Pd. Considera tutti come “sinistra” e vede che questi personaggi appartengono o appartenevano al gruppo dei Socialisti e democratici a Strasburgo. Il resto conta poco, e questo è un grosso guaio per i dem.

Crede che la vicenda possa avere delle ricadute politiche per il Pd, nel pieno della corsa alla segreteria e a pochi mesi da elezioni decisive in Lazio e Lombardia?

Non so cosa dicono i sondaggi ma temo che ci saranno effetti catastrofici per l’immagine del Pd. D’altronde, sarebbe anche sciocco da parte del Pd far finta che qualcuno possa distinguere tra i dem e quelli di Articolo 1.

Visto che tra le altre cose si sono presentati anche insieme alle elezioni. Se in casa hai uno che ruba, è chiaro che questo rovina la tua immagine politica. Poi è chiaro che se fosse stato coinvolto, ad esempio, Enrico Letta, sarebbe stato tutto diverso, così come lo fu quando arrivano gli avvisi di garanzia a Bettino Craxi. Ma anche in quel caso il disastro che coinvolgeva Psi e Dc era già avvenuto.

Cosa rischia ora il partito, che è in calo nei sondaggi e che viene tirato per la giacca a sinistra dal Movimento 5 Stelle e al centro dal terzo polo?

Beh, diciamo che quella di cui stiamo parlando sembra una questione abbastanza importante. Poi se si vuol ragionare oltre i fatti contestati, occorre sottolineare che un paese non va in malore per pochi farabutti. Certo invece il partito rischia ma penso che la dirigenza ne abbia consapevolezza.

Questa questione avrà conseguenze fortissime anche dal punto di vista elettorale, di sicuro non gli farà bene ma potrebbe addirittura fargli malissimo. Ne potrebbero beneficare un po’ sia il Movimento 5 Stelle che il Terzo polo. Non certo le destre o la Meloni. Il problema del Pd è di strategia politica, gli è capitata una tegola sulla testa, è vero, ma non è che prima navigavano nell’oro. Il Qatargate sta semplicemente allungando l’agonia.

Non crede che il Pd abbia un atteggiamento masochista, ad esempio nel momento in cui sospende un suo esponente, l’europarlamentare Andrea Cozzolino, che non è nemmeno indagato?

È sempre stato così, da Tangentopoli in poi. Li hanno beccati con le valigie piene di soldi, mi sembra talmente palese la corruzione che c’è poco da parlare di giustizialismo o di masochismo. Bisognerà aspettare le sentenze, questo è chiaro, ma il giudizio politico è sotto gli occhi di tutti. La questione è strachiara e la dirigenza del partito cerca di difendersi come può, anche sospendendo suoi esponenti.

Ha citato il centrodestra: pensa ci sia un po’ di ipocrisia negli attacchi al Pd o è semplice dialettica politica?

Diciamo che in generale questa è la prassi, e in Italia viene accentuata ancora di più. Quando un partito o movimento politico si trova in una situazione di questo genere, gli altri gli si avventano contro come sciacalli. Tutto sommato, mi sembra che questa volta lo stiano facendo in maniera minore che in passato. D’altra parte la Lega ha avuto problemi simili nel recente passato, quindi cosa vuole che dicano…

Si parla molto di questione morale, visto che la sinistra per decenni ne ha fatto il suo cavallo di battaglia e che oggi sembra tornata necessaria. Che ne pensa?

Ma basta con la questione morale. La facciano finita. La questione morale rimarrà, perché i mascalzoni e i ladri esisteranno sempre, ma sarebbe ora che comincino a parlare di politica, di amministrazione, di governo. Ovviamente ci sono quelli che sono stati fuori dal giro magico del gruppo dirigente che da anni decide la candidature, promuove e bocca i nomi, e che ora stanno sparando a zero. Basta vedere le prime dichiarazioni di De Luca e Bonaccini. Tutti a dire che se ci fossero stati loro queste cose non sarebbero successe. Ma per favore, Non è niente di nuovo: tutte cose viste e riviste. Sono comportamenti normali della politica.

Una politica che è stata premiata dal denaro di Marocco e Qatar: perché hanno colpito una certa parte del Parlamento di Strasburgo?

Di certo non riguarda solo il Pd o la sinistra. Ora i riflettori sono puntati su questi personaggi, ma vicende simili coinvolgono tutti. In questo caso Marocco e Qatar hanno cercato appoggi tra i socialdemocratici perché potevano facilmente immaginare che le massime resistenze rispetto al mondiale in Qatar venissero proprio dalla sinistra europea. Con la destra e i filoamericani il problema non si poneva, visto che il Qatar è un alleato strettissimo degli Usa da anni. Quei voti, insomma, già li avevano, non c’era bisogno di comprarseli.

Da “la Repubblica” il 19 dicembre 2022. 

Caro Merlo, Repubblica di giovedì scorso riporta una frase pronunciata da Francesco Giorgi, in carcere per il Qatargate: “Ho fatto tutto per soldi di cui non avevo bisogno”. Mi chiedo allora: perché? Più si è ricchi e più si è corruttibili? Sono insaziabili.

Pasquale Regano - Andria. 

Risposta di Francesco Merlo: 

La frase esprime autocritica etica, pudore e vergogna. Giorgi è infatti un pentito, sconfitto e colpevole, che non va preso alla lettera. I suoi giudici valuteranno se merita la clemenza che implicitamente chiede e cosa offre in cambio. Lei ne fa invece una questione generale di antropologia criminale, crede che ricchezza e corruzione siano direttamente proporzionali.

È pessimo il rapporto che l’Italia ha sempre avuto con “mammona” e non solo perché l’Italia è stata povera e dunque per molto tempo non ha avuto danaro. Ma anche perché la vecchia sinistra ideologizzava, e qualche volta ancora ideologizza la povertà disprezzando il consumo. 

E la Chiesa crede che sia popolato di beati poveri il regno dei cieli e di insaziabili diavoli ricchi quello dei dannati. Totò a chi diceva che l’appetito vien mangiando rispondeva che “in realtà viene a star digiuni”.

Gian Micalessin per “il Giornale” il 19 dicembre 2022.

A volte il passato, anche recente, può sembrare comico. O surreale. Di certo così appaiono, oggi, le cronache dell'ottobre 2012 quando l'allora premier Mario Monti vola in Qatar. Sono passati solo pochi mesi dall'assegnazione dei mondiali di calcio 2022 approdati a Doha sull'onda di compravendite di voti e generose mazzette. Eppure durante la visita l'Emiro non tralascia di esibire al nostro premier la preoccupazione d'investire in un'Italia «in preda alla corruzione».

 In verità l'Italia del 2012 è solo un paese distrutto dallo «spread» e dalle manovre politico-economiche messe in campo per far fuori Silvio Berlusconi. Un paese dove però si possono fare ottimi affari a prezzi di saldi. E proprio la trasferta di Monti apre a Doha le porte della grande svendita.

Il primo frutto della visita è la costituzione, a marzo 2013, della joint venture «IQ Made in Italy Investment Company S.p.A» controllata al cinquanta per cento dalla Qatar Holding LLC e dal «Fondo Strategico Italiano Spa» - la holding di Cassa Depositi e Prestiti. Dotato di un capitale di 300 milioni di euro, destinato ad investimenti nelle eccellenze italiane che spaziano dall'alimentazione al lusso, il fondo acquisisce nel 2014 il 28,4 per cento delle quote di Cremonini, gruppo leader nell'esportazione di carne.

 Ma nell'aprile del 2012 la Qatar Holding ha già messo le mani sugli immobili della costa Smeralda in Sardegna acquisendo quattro hotel extralusso (Cala di Volpe, Romazzino, Cervo Hotel, Pitrizza), la Marina e il Cantiere di Porto Cervo, l'esclusivo Pevero Golf Club e ben 2.400 ettari di terreno. Un giro d'acquisti del valore di 650 milioni di euro a cui si aggiungono il controllo dell'ex-ospedale San Raffaele di Olbia e gli accordi su Meridiana che portano, nel febbraio 2020, al fallimento e alla liquidazione la compagnia aerea. 

Dalla Sardegna le operazioni finanziarie si allargano ben presto all'abbigliamento e al lusso. Nel luglio 2013 la «Mayhoola for Investment», controllata dallo sceicco Hamad bin Kahlifa al Thani, sborsa 700 milioni di euro per il controllo del marchio Valentino. Un anno dopo, si aggiudica anche il marchio «Pal Zilieri» al prezzo di 37 milioni.

Nel frattempo si scatena la caccia agli alberghi extra-lusso. Nell'aprile 2013 i qatarioti versano 150 milioni di euro per il Palazzo della Gherardesca di Firenze sede del «Four Seasons Hotel». L'hotel fiorentino entra così a far parte di una collezione che già comprende il Gallia di Milano acquisito per 134 milioni, l'«Excelsior De Regis» di Roma pagato 222 milioni e, sempre nella capitale, l'hotel Intercontinental di Trinità dei Monti ed il Westin Excelsior di via Veneto costati oltre 220 milioni.

 Il vero colpo gobbo arriva, però, nel febbraio 2015 quando il Qatar acquisisce, grazie ad un investimento da poco più di due miliardi, i 25 palazzi e grattacieli di Porta Nuova simbolo e volto della Milano del Duemila.

Da Prodi a D'Alema quel vizio a sinistra di fare affari con Stati esteri dai molti buchi neri. Pasquale Napolitano il 20 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Il vizietto per lobby e affari accomuna tutti gli ex segretari del Pd e leader storici della sinistra italiana

Il vizietto per lobby e affari accomuna tutti gli ex segretari del Pd e leader storici della sinistra italiana. Da Romano Prodi a Enrico Letta. Tutti i capi passati di quel mondo, smessi i panni della politica, si sono tuffati nel dorato mondo delle consulenze per Nazioni estere e delle relazioni internazionali. Chi alla luce del sole e chi in modalità più o meno segrete. Sono attività molto redditizie a giudicare dalle dichiarazioni patrimoniali, schizzate verso l'alto, non appena Letta e D'Alema hanno mollato la poltrona da capo di partito. Avversari duri ai tempi del Pd, come D'Alema, Renzi e Prodi, sembrano oggi avere in comune la vita da lobbista.

Massimo D'Alema, ex presidente del Consiglio ma soprattutto a lungo leader indiscusso della sinistra italiana, dopo la rottamazione renziana che l'ha buttato fuori dalla vita politica, si è lanciato, con risultati molto interessanti, nel mondo degli affari. È lui stesso che nell'intervista a Tommaso Labate per il Corriere della Sera ammette di essere tra i consulenti della cordata di investitori che vuole acquisire la raffineria Isab di Priolo. Una cordata con al centro l'uomo d'affari qatarino Ghanim Bin Saad Al Saad, a fianco di investitori italiani. D'Alema è il ponte con il governo italiano (prima Draghi oggi Meloni). Però nell'intervista al Corriere tiene a ribadire: «Io però non faccio né l'affarista né il lobbista. Da diversi anni ho un'attività di consulenza prima di avviare la quale, è agli atti, ho scritto al segretario Speranza una lettera di dimissioni dagli organismi dirigenti di Articolo 1. Non ci sono nel mio caso porte girevoli. Ma diverse stagioni nella vita che devono essere scandite da un rigido principio di incompatibilità. Io le ho scandite». Messaggio chiaro. D'Alema è stato però il consulente di un'altra operazione finanziaria che non è andata a buon fine: una compravendita tra Italia e Colombia di mezzi da guerra prodotti da Leonardo-Finmeccanica. Il governo di Bogotà stava trattando con Roma l'acquisto di due sommergibili prodotti da Fincantieri e di alcuni aerei di Leonardo. A un certo punto in questa negoziazione sarebbe entrato, nel ruolo di intermediario il lider Maximo. Un altro ex capo del Pd, Matteo Renzi, si muove bene nel campo delle relazioni internazionali e degli incarichi in società di Paesi esteri. Lo fa in chiaro, alla luce del sole. Passando dalla Russia all'Arabia Saudita. Nulla da nascondere, tutto fatturato.

Il pioniere tra i lobbisti di sinistra è sicuramente Romano Prodi. L'ex presidente del Consiglio e fondatore dell'Ulivo ha costruito una rete di rapporti culturali e lavorativi con Pechino. I libri e le lezioni di Prodi spopolano nelle università cinesi. Ma non solo: negli anni il professore è stato uno dei più convinti sostenitori dell'espansione commerciale e finanziaria della Cina in Italia ed in Europa. Nell'aprile scorso la Verità ha svelato la spinta di Prodi per la produzione in Emilia di auto di lusso made in China. Scorrendo l'elenco dei segretari dem, con il vizietto per gli affari, spunta Enrico Letta, ancora in carica fino al prossimo congresso. L'ex premier nel suo esilio parigino annega l'amarezza tra società cinesi e francesi. Per due anni Letta è stato in Publicis, colosso pubblicitario francese criticato per i rapporti con i sauditi. E poi è stato anche vicepresidente per l'Europa occidentale del veicolo di investimento cinese ToJoy. Tutte lobby e gruppi di interesse che cercano di bussare alla porta dei leader politici. Al Nazareno la porta sembra essere sempre aperta.

Stefania Craxi: «La sinistra è passata dall’oro di Mosca ai soldi del Qatar. Moralisti dei miei stivali». Sveva Ferri su Il Secolo d’Italia il 19 dicembre 2022. 

Resta sempre e comunque «garantista». Per questo Stefania Craxi sulla vicenda del Qatargate non dà «giudizi nel merito» rispetto ai soggetti coinvolti. Ma il giudizio politico lo dà eccome, ricordando che «è un vecchio vizio della sinistra italiana: finire al servizio di potenze straniere». «Oggi siamo passati dall’oro di Mosca ai contanti del Qatar. Io resto la più garantista in assoluto: ma allo stesso tempo non dimentico chi finora mi ha fatto la morale. Ecco, ai tanti moralisti “dei miei stivali” voglio ricordare che, a maggior ragione dopo l’inchiesta di Bruxelles, non sono titolati a dare lezioni», ha sottolineando, spiegando che «se adottassi il metodo usato contro mio padre, oggi dovrei sventolare le manette: ma noi siamo fatti di un’altra pasta».

Stefania Craxi: «A sinistra sono passati dall’oro di Mosca ai soldi del Qatar»

Proprio quel «certo vezzo della sinistra comunista, sempre pronta a fare la morale, affetta da quello che è stato chiamato il “complesso dei migliori”» è per la presidente della Commissione Esteri del Senato l’unica «similitudine» che si può trovare tra il Qatargate e Mani Pulite, due vicende altrimenti troppo distanti per «tempi, contesti e situazioni» per poter essere accostate. «Vedremo come si concluderanno le indagini, ma come diceva Nenni, “se giochi a fare il puro, prima o poi incontri uno più puro di te che ti epura”. Ma i moralisti fanno sempre una brutta fine: è la storia che si incarica di definirli spergiuri», ha detto ancora Craxi, intervistata da La Verità e citando con l’ultima frase il padre Bettino.

La superiorità morale della sinistra, ha quindi proseguito, non è tramontata con il Qatargate, perché «non è mai esistita». «Semmai – ha precisato – c’era ieri e in parte oggi, una “doppia morale”. Altro che virtù pubbliche e vizi privati. Nel ’92 si sono messi al servizio di un’operazione golpista, ricevendo protezione e teorizzando una presunta verginità, proprio loro che, oltre alle tangenti dalle aziende, prendevano soldi e ordini da una potenza militare nemica dell’Italia e dell’Occidente. Per inciso, senza un minimo di autocritica sul passato, ci danno anche lezioni sul piano internazionale, mentre a Bruxelles si riempiono la bocca della parola diritti per poi prendere soldi da governi autocratici».

«Nel Pd fanno bene a dirsi sconcertati, visto anche quello che hanno detto e fatto contro la Lega»

Quanto al fatto che nel Pd si dicano «sconcertati», per Stefania Craxi è giusto «visto anche tutto ciò che più di recente hanno detto e fatto sulla Lega di Salvini. La verità, però, è che i partiti, o come vogliamo chiamare questi succedanei, vivono nella società. E nella società ci sono buoni, brutti, disonesti, persone perbene. Dovrebbero ricordarlo anche quando queste vicende interessano altri, senza sciacallaggi e mistificazioni. Ma si sa: coltivare la memoria non è il pregio di questa sinistra». E, ancora, «visto che sono così solerti sulla trasparenza, perché non accolgono la richiesta del centrodestra di istituire una commissione di inchiesta su Tangentopoli?».

Stefania Craxi: il Qatargate dimostra la debolezza della politica e che «manca l’Europa che serve»

In generale, comunque, la senatrice azzurra ha chiarito che ciò che maggiormente l’ha colpita è stato «il presunto coinvolgimento di assistenti parlamentari, che denota come gli apparati, burocratici e parapolitici, hanno preso il sopravvento sulla politica e le stesse rappresentanze parlamentari». «Ho pensato che la politica è sempre più debole e influenzabile. Il tema dei condizionamenti stranieri verso le realtà occidentali, e soprattutto europee, è preminente. Dobbiamo affrontarlo rapidamente con forza, senza cedere a retoriche più o meno forcaiole, sapendo che è un nodo di sistema che riguarda la qualità delle nostre democrazie», ha proseguito Craxi, per la quale la questione su cui riflettere sono anche «l’assenza di un’Europa politica e una costruzione comunitaria fallace». «Manca – ha chiarito – l’Europa che serve».

I casi di Matteo Renzi e Massimo D’Alema

Il tema del primato della politica torna anche quando Federico Novella, che firma l’intervista, chiede a Stefania Craxi un commento sui comportamenti di Matteo Renzi, «in affari con gli arabi», e Massimo D’Alema, «con il suo ruolo di consulente per una cordata di sceicchi in vista dell’acquisizione della raffineria di Priolo». «Renzi fa il conferenziere, un mestiere svolto da molti ex premier in tutto il mondo, ma, certo, a esperienza politica conclusa. D’Alema, invece, è un caso più unico che raro: lui comunista, come tutt’ora rivendica, si ergeva a primate della politica, continua a fare e disfare nelle retrovie, e poi fa il consulente delle multinazionali? Diciamo – ha commentato l’esponente azzurra – che non Craxi, ma un qualsiasi ex Presidente del Consiglio della prima Repubblica non l’avrebbe mai fatto».

Il fallimento del “modello” della sinistra sul tema migranti

E il fatto che al centro dello scandalo Qatargate, come dei casi Mimmo Lucano e Soumahoro, ci siano i diritti umani? «Anche qui – ha avvertito la presidente della Commissione Esteri del Senato – non mischiamo vicende tra loro dissimili e non pensiamo che tutto sia da buttare via. Conosco bene la realtà di Lampedusa, dove uomini e donne, associazioni, prestano un’opera meritoria in condizioni inaccettabili. L’Europa benpensante e perbenista, dovrebbe andare lì e vedere. Ciò che la sinistra non capisce è che il modello che difendono si presta a storture di ogni tipo, non affronta i problemi, non li risolve. Non aiuta i migranti, ma – ha concluso Craxi – spesso li rende schiavi, merce di un sistema inumano».

Gli Stati corruttori, la nuova questione morale. Ernesto Galli della Loggia su Il Corriere della Sera il 19 Dicembre 2022.  

Unifica il fronte dei tiranni il profondo disprezzo ideologico verso l’universo dei valori di libertà e di eguaglianza dove essi giudicano che «tutto è in vendita» 

L’eterna rissa italiana tra destra e sinistra sulla spinosa questione morale da un lato, e dall’altro la non eccelsa reputazione di cui godono le istituzioni europee hanno concentrato l’attenzione suscitata dallo scandalo delle tangenti Ue assai più sul versante dei corrotti che su quello dei corruttori. Sulla miserabile congrega di politici di serie B residenti a Bruxelles e di sottopancia intraprendenti e bellocci anziché su chi elargiva loro i quattrini per i suoi scopi poco puliti. Ma il vero nodo politico è su questo versante, non sull’altro. Di corrotti, infatti, ce ne sono sempre stati e sempre ce ne saranno così come sempre ci sono stati e sempre ci saranno, ad esempio, grandi interessi economici pronti a cercare chi, in cambio di soldi, si metta al loro servizio. È considerato in un certo senso talmente fisiologico questo ultimo tipo di ricerca di «influenza» che esso ha trovato anche un nome presentabile, «il lobbysmo», con un adeguato corredo di regole come quelle (forse un po’ troppo generose?) vigenti a Bruxelles.

Il vero fatto nuovo del Qatargate, invece, è il Qatar. Il vero fatto nuovo, cioè, è la definitiva scoperta di un genere di corruttore del tutto inedito, e cioè gli Stati: non già per ragioni di spionaggio ma per ben altro. Negli ultimi anni ne avevamo avuto sentore (più di un sentore in verità) ma ora è una certezza. Si tratta perlopiù di Stati africani e asiatici — con l’importante eccezione della Russia — uniti tutti dalla caratteristica di essere retti da regimi non democratici.

In un certo senso quanto sta accadendo lo si potrebbe considerare anche una sorta di nemesi storica. Una sorta di contrappasso per le tante volte in cui, nel corso dei secoli, avventurieri europei di ogni risma o addirittura rappresentanti delle stesse potenze europee se ne andarono in giro in Asia e in Africa con qualche sacchetto di vetri colorati o di qualche vecchio moschetto arrugginito ad «acquistare» dai capi locali, in cambio di questa paccottiglia, tutto quello che potevano: dagli esseri umani da ridurre in schiavitù a immense estensioni territoriali.

Ma oggi la storia ha cambiato verso ed è l’Occidente che viene preso di mira a suon di euro o di dollari. Non già però, come ho detto, nel tentativo di corrompere questo o quel funzionario per carpire qualche informazione, per aver accesso a un piano o a un documento, non già a fini di spionaggio insomma, come in sostanza avveniva un tempo, ma per uno scopo ben più ambizioso e grave: per influenzare lo stesso processo decisionale di vertice di quel Paese (o nell’ultimo caso l’Unione europea), per determinarne le scelte politiche anche le più importanti. Perfino per stabilire chi lo governerà. Il mondo dei tiranni, insomma, ha scoperto che il mondo delle democrazie, delle istituzioni democratiche, dei partiti e dei parlamenti, non solo è regolato da procedure aperte e perciò permeabilissime dall’esterno, ma è altresì pieno di donne e uomini fragili, dagli ideali deboli o inesistenti, avidi di successo personale, di automobili, di sesso, di Rolex; è popolato di statisti di serie B interessantissimi conferenzieri da 50 mila dollari a prestazione. E allora non si fa problemi a pagare. A cercare tra queste persone chi possa servire ai suoi propositi. Non basta, perché al fine di falsare le consultazioni elettorali oltre i soldi il mondo dei tiranni mette in campo anche le risorse del progresso tecnico, della suggestione mediatica, della manipolazione digitale delle informazioni.

Il fatto è che da qualche decennio viviamo in una congiuntura storica nuova, nella quale si sommano e s’intrecciano vari fattori più o meno inediti che, insieme, hanno segnato per l’argomento di cui ci stiamo occupando una vera e propria svolta.

Sul versante dei corruttori assistiamo innanzitutto a un’esplosione di attivismo sia da parte della Cina, ansiosa di giungere al potere mondiale con ogni mezzo — non ultimo la costruzione di una rete d’influenza commerciale, la planetaria «via della seta», che però necessita della collaborazione/complicità dei governi dei Paesi interessati —, sia della Russia che, guidata da una leadership dagli accenti paranoici, cerca con la violenza di mantenere i suoi antichi domini imperiali e la sua antica influenza servendosi di qualunque élite occidentale «amichevole» disposta ad aiutarla in cambio delle sue «risorse» d’ogni genere. Accanto a Cina e Russia si affollano molti altri attori di calibro minore — Turchia, Marocco, Corea del Nord, Stati del Golfo - ognuno con le sue mire espansionistiche o egemoniche a carattere più o meno regionale, pronti a impiegare i propri soldi per due obiettivi congiunti: acquisire il placet dell’Occidente ai propri disegni (spesso insieme a forniture militari) ovvero impedire che si faccia luce sul carattere sempre antidemocratico e perlopiù criminale del proprio regime interno. Unifica il fronte dei tiranni un elemento comune: il profondo disprezzo ideologico verso l’universo dei valori di libertà e di eguaglianza — dove essi giudicano che «tutto è in vendita» — nonché verso l’umanità che è frutto di quei valori.

Sull’altro versante, quello dei corrompibili c’è per l’appunto questa umanità, ci siamo noi, c’è il nostro mondo. Con la sua pronta, obbligatoria disponibilità a tutto ciò che sappia di diverso dall’Occidente, con il proliferare di mille centri decisionali e la loro facile penetrabilità, soprattutto con la disarticolazione culturale e morale delle sue élite: non più tenute insieme da forti valori condivisi o da antiche regole di educazione e di stile, non difese da consapevoli e forti identità né istruite adeguatamente ai nuovi compiti e alle nuove responsabilità; c’è infine il mondo della nostra sfera pubblica dove sembrano avere sempre più la meglio «la gente nova e i sùbiti guadagni».

La corruzione, quando coinvolge i vertici, non è più un fatto solo penale: è lo specchio dove è dato leggere il grado di salute dell’organismo a cui quei vertici presiedono e talvolta, Dio non voglia, anche il destino che l’aspetta.

Quell’antico vizio della corruzione (e dell’indifferenza). «Le accuse che coinvolgono il Parlamento europeo», dichiara Roberta Metsola, «sono un colpo alla democrazia e a tutto ciò su cui abbiamo lavorato per molti anni. Gino Dato su La Gazzetta del Mezzogiorno il 19 Dicembre 2022

«Le accuse che coinvolgono il Parlamento europeo», dichiara Roberta Metsola, «sono un colpo alla democrazia e a tutto ciò su cui abbiamo lavorato per molti anni. Ci vogliono anni per costruire la fiducia, ma solo un momento per abbatterla». La presidente dell’Europarlamento rappresenta in questi terribili giorni l’ala oltranzista, alla quale, mentre cresce lo sgomento per il Qatergate scoperchiato, spetta il compito più duro e deciso: «Non ci sarà impunità, non ci sarà da nascondere sotto il tappeto, non ci sarà da fare come al solito…».

Una scelta decisa che si muove tra due poli: la «giustizia retributiva», assai sentita e condivisa, come può esserlo ogni reazione di un corpo sano rispetto a una cancrena, con l'intento che la pena-punizione per il crimine appaia proporzionata al reato-crimine commesso; e una «giustizia riparativa», dove invece si considera maggiormente l'obbligo, per l'autore del reato, di accedere a una rieducazione e di rimediare alle conseguenze lesive della sua condotta.

Non crediamo però che i sentimenti e le riflessioni dell’opinione pubblica possano soffermarsi su tali questioni, che toccano la natura stessa e gli strumenti della giustizia. Di sicuro spetta ai corpi sani delle istituzioni reagire con prontezza e fermezza per una vicenda che dischiude scenari in apparenza poco verosimili, in realtà più articolati e ricchi di particolari di quanto ci immaginavamo, man mano che avanzano le indagini. Di sicuro, poi, conviene chiederci, imbracciando il buon senso di ogni cittadino, se esistono percorsi e metodi e riforme per sconfiggere un antico male, la corruzione, che non risparmia cultura o paese. Il nostro, per esempio, è in buona compagnia di altre nazioni della più solida tradizione democratica.

Facciamo due verifiche, una di ordine storico, l’altra più di indagine sociologica.

Con la prima ripercorriamo a ritroso la nostra storia per capire come le vicende pubbliche e private siano state infangate e corrose da grandi scandali legati al fenomeno corruttivo, uno per tutti, e il più eclatante, la stagione di Mani pulite.

Con la seconda proviamo a misurare la corruzione a scala mondiale, scorrendo la classifica del cosiddetto CPI, Indice di percezione della corruzione nel settore pubblico e nella politica. Dal CPI, assegnando punti che vanno da 0, per i Paesi più corrotti, a 100 per quelli meno corrotti, si può capire quali siano  i campioni del fenomeno corruttivo. La media, aggiornata al 2022, staziona da un decennio intorno ai 42-43 su 100. Ma… udite udite, l’Italia è il fanalino di coda dell’Europa occidentale, pur avendo di recente guadagnato  3 punti: siamo al 42esimo posto nella classifica mondiale con 56 punti.

Mettendo da parte falsi moralismi, dobbiamo quindi prendere atto che quello di corrompere (e di farsi corrompere) è… l’altro più antico mestiere del mondo, così come che gli sforzi di ordine strutturale-normativo ma anche comportamentale probabilmente sono destinati a fallire. Pur senza voler, con questo, sbarrare la strada alla giustizia.

Allora, più che di una giustizia retributiva e/o riparativa, abbiamo bisogno di una giustizia… rifondativa, cioè di una rivoluzione del sistema di formazione che restituisca agli individui, alle cose e ai principi il loro valore reale, per distinguere il legale dall’illegale, il lecito dall’illecito, per definire il senso di una norma ma anche del merito e della dignità della persona.

Pensiamo che bisogna voltar pagina rispetto alla società dell’indifferenza, dove neanche l’indignazione riesce più a far leva su una tragica storia che né il 68 né Tangentopoli né la lunga catena di misteri sono riusciti a cambiare.

Pensiamo che bisogna scuotere le coscienze, a partire da quelle dei giovani, nelle case, nelle scuole, nei luoghi dove si struttura l’educazione come emulazione degli uomini onesti e viaggio nel firmamento dei principi.

Confessioni di un maschio a cui non piace il calcio. ALESSANDRO GIAMMEI su Il Domani il 23 novembre 2022

Non è affatto originale ignorare questi mondiali di calcio nel mezzo dell’inverno, comprati con la corruttela di una Fifa allo sfascio, celebrati in un paese omofobo e misogino sulle spalle di migranti schiavizzati. Non c’è nemmeno l’Italia! Ma, guardando la cafona cerimonia d’apertura, una domanda esistenziale da maschio italico mi ha sopraffatto: perché non me n’è mai fregato una mazza, del calcio?

I maschi normali, tipici, almeno in Italia, amano più o meno profondamente il calcio. Non è una questione di statistica ma di pressione sociale, di folklore addirittura. Sin dalla tenera infanzia, invece, io a quel gioco ho resistito.

In Sono come sono dei Bluvertigo, Morgan confessa che avrebbe voluto semmai fare il portiere: «sembrava che non fosse della squadra / era vestito meglio e stava fermo». Ho sempre associato la mia estraneità al calcio col secondo verso, con lo stile e la distinzione. Ma la verità, mi rendo conto con dispiacere, è che mi sono privato di un collante benefico: lo spirito di squadra.

I trentacinque anni mi minacciano e, dal balcone del mezzo del cammin di questa vita, comincio a contemplare alcune domande su quel che, fin qui, mi ha reso me stesso. Una in particolare mi visita di domenica sera, mentre in televisione si manifesta un incongruo Morgan Freeman travestito da cattivo di Star Trek. Risuona il pitch perfetto di JungKook dei BTS, i fuochi d’artificio sfavillano tra droni scintillanti, e altro spettacolare bric-a-brac trans-nazionale convola in mondovisione sulle coste nordorientali della penisola d’Arabia, per celebrare l’avvento dei chiacchierati mondiali di Qatar 2022. La domanda che tale accadimento m’ispira è: perché non me n’è mai fregato una mazza del calcio? O, più precisamente, perché gli ho resistito tanto tenacemente, per tutta l’infanzia e l’adolescenza e poi ancora nella mia giovinezza non poi così ostile allo sport?

FREGARSENE DEL CALCIO

Questi mondiali assurdamente invernali, costruiti sulle spalle martoriate di schiavi migranti, comprati nella corruttela di una Fifa allo sfascio, offrono fin troppe vie di fuga a chi di calcio non si è mai particolarmente interessato. Non c’è nemmeno la nazionale italiana, che ogni pochi anni fa sentire anche noialtri distratti estranei (alcune eccezioni tra i maschi, e gran parte delle femmine) normali, cioè parte di quel collante di là dalle classi sociali e dalle identità che chiamiamo “tifo”. Giacché è questo il punto: i maschi normali, tipici, almeno in Italia, amano più o meno profondamente il calcio.

Non è una questione di statistica ma di pressione sociale, di folklore addirittura: ai maschi non si chiede conto delle ragioni del loro tifo ma semmai, quando si verifica, dell’assenza di esso, di là dalla ragione elementare (non mi piace) che basta invece per tante altre cose – nessuno batte ciglio se non segui il basket, o XFactor, o i certamina per la migliore poesia latina in stile oraziano su temi contemporanei.

Le irricevibili politiche del Qatar, sommate alla debacle dei nostri, adagiano sul tavolo un’invitante giustificazione, come quando Sanremo fu affidato a Tony Renis e dunque boicottato dalle case discografiche, mandando sul podio un redivivo Marco Masini attorniato da supposti “big” in realtà mai sentiti e per lo più da sagra. Si possono accampare, voglio dire, facili e auto-evidenti ragioni etiche, addirittura nazionalistiche, per continuare a fregarsene – e, per una volta, non parrà strano a nessuno. Purtuttavia, forse proprio per ironico effetto del medesimo istinto all’alternativa che mi ha sempre tenuto fuori dall’ecosistema affettivo del calcio – per la stessa tendenza caratteriale, intendo, che da bimbo mi ha fatto scoprire presto in bocca agli adulti il lemma “polemico”, nonché interrogare sull’identità di quel Bastiano cui mi associavano a causa di un’innata passione per il contrario – questo brutto campionato mi fa dubitare della mia ritrosia per il gioco in sé. Me ne fa considerare le bellezze.

Come dicevo, non è che il calcio non mi piaccia. È che proprio non mi interessa. Verso i quattro, forse i cinque anni, i miei genitori mi portarono ai campetti di via Mendozza, in un’erbosa valletta sul crinale del Raccordo anulare, per iscrivermi a calcetto. Non me ne fregava, ripeto, una mazza. Per citare mio padre, gli altri bambini andavano dietro al pallone e io andavo dietro alle farfalle. Per citare mia madre, gli altri bambini volevano il pallone e io dicevo loro «vuoi il pallone? e prenditelo!». Esauritosi l’anno, non rinnovarono l’iscrizione.

A casa mia d’altronde il calcio non si guardava granché (a parte i mondiali), sebbene papà fosse ben in grado di giocarci. Divenne chiaro al mare, e poi a scuola, che in tutte le altre case di maschi la partita settimanale era invece cruciale, e ispirava platoniche imitazioni nei cortiletti. Fu in quel passaggio forse che il mio disinteresse si tradusse per me in un distintivo identitario, in un dato che ho poi rivendicato come mio. Compagni e amici mi coinvolgevano in piazzetta, a Santa Marinella, e ottenni in effetti da nonna alcune maglie da calciatore (della Croazia, che mi piaceva tanto, e ovviamente dell’Italia) che rimangono le uniche cose da maschio calciante che abbia mai posseduto, e con cui mi presentavo sul campo. Ma ai piedi portavo le scarpe sbagliate, addirittura le ciabatte, e più avanti, già teenager, se partecipavo per non isolarmi dal gruppo di amici lo facevo magari coi jeans, coi pantaloni da skateboard, con quelli militari da zecca comprati a via Sannio.

Al fatto di non capire il gioco, di non aver mai sviluppato alcuna particolare abilità in esso, e di non essere animato dalla passione che coinvolgeva tutti gli altri, aggiungevo la zavorra di un outfit inadeguato. Non so se poi al liceo fossi proprio l’unico in classe a non partecipare ai rituali calcistici (partitelle, ora di ginastica, fantacalcio, tifo alla tv o allo stadio) che stabilivano un linguaggio comune per tutti gli altri. Rimanevo però di certo tra i pochissimi, forse in tutta la scuola, a non possedere praticamente nessun articolo dell’inventario materiale di quell’universo: né sciarpe e altri simboli da tifoseria, né tantomeno parastinchi, scarpini, calzettoni, guantoni, divise.

LA SCUSA DELLO STILE

Nella mia canzone preferita da adolescente, Sono come sono dei Bluvertigo, Morgan confessa che avrebbe voluto fare il portiere: «Sembrava che non fosse della squadra / era vestito meglio e stava fermo». Ho sempre associato la mia estraneità al calcio col secondo verso di questo distico: non mi piace stare in mutande e maglietta coi calzini al ginocchio, né correre in giro per contendere un pallone con altra gente. E tuttavia mi rendo conto ora che era una copertura. Per altri sport correvo, mi agitavo, vincevo l’imbarazzo per il corpo di ogni pubertà: la pallavolo, il karate soprattutto – ora lo squash, per cui rinuncio sfacciatamente all’elegante stasi cantata dai Bluvertigo – e adottavo un’oggettistica non meno stravagante.

La verità è che del calcio rifiutavo il proverbialmente, rotondo, pallone. Non mi interessava, e ora me ne faccio una colpa, essere della squadra. Temere l’unisono del tifo, così pericolosamente rassicurante nella promessa di sciogliere l’individuo in un coro unidirezionale senza responsabilità, è un istinto di cui mi sento ancora fiero. Le meccaniche della curva tendono fatalmente verso quelle del branco, della squadraccia o della squadriglia più che della squadra. Né rimpiango di non aver esperito granché la socialità da spettatore di partite, che agevola i rapporti tra maschi orientandoli nella stessa direzione e dunque rompendo le inquietudini più complesse degli occhi negli occhi.

Ma devo confessare che invece lo spirito di squadra – e di una squadra non sparpagliata in ruoli infine individuali, come davanti alla rete della pallavolo – ora, a ritroso, mi affascina. Mi dispiace non averlo coltivato: non aver capito che il punto di quello sport non era essere maschio come tutti, ma esserlo cooperando con altri maschi.

SPIRITO DI SQUADRA

Nel calcio c’è un aspetto d’intrinseca inclusività che mi è sfuggito per tutta la vita. Malgrado sia governato, ai massimi livelli, da economie gargantuesche, è un gioco che costa poco e può coinvolgere corpi assai diversi – mi colpisce che qui negli Stati Uniti, tra la gente comune, sia essenzialmente uno sport da femmine, e che i tiktoker di vent’anni scherzino sul fatto che sia il preferito dei ragazzi gay e mingherlini nei licei d’America dominati dall’aggressivo football, con il suo severo binario di genere tra nerboruti giocatori maschi e aggraziate cheerleader femmine.

Ora che il pallone è in mano a una nazione aliena, verso cui inquietanti islamofobie s’intrecciano a legittime critiche politiche, mi appare improvvisamente chiaro che, mondato dalle tossiche ossessioni in cui il patriarcato (e il capitale, suo parente) lo immerge, il gioco del pallone mi avrebbe offerto un’educazione alla relazione con gli altri maschi che ho cercato su più accidentati sentieri – quelli del gioco di ruolo, dei laboratori teatrali, di altri sport di squadra in cui tuttavia potevo sentirmi più autonomo, meno in contatto con gli altri.

Non avrei dovuto snobbare così pervicacemente gli entusiasmi che ora mi commuovono sui volti dei calciatori statunitensi quando segnano il primo goal, pur destinato a essere controbattuto da quello dei più tecnicamente sofisticati gallesi quando le loro esuberanze atletiche cominceranno a sfibrarsi sotto il peso di troppi minuti di dominio fisico. Sarei più bravo, oggi, a condividermi, a fare gioco di squadra. E, invece di scrivere questi articoli da marziano sul pianeta maschile in cui sono in realtà nato e cresciuto, parlerei più fluidamente la lingua franca dei miei simili.

Rragami, il bomber dei sette rigori trasformati nella stessa partita. PIERO MEI su Il Quotidiano del Sud  il 21 Novembre 2022.

Sette sono le meraviglie del mondo antico: la Piramide di Cheope in Egitto, che con i suoi 2.300.000 blocchi è arrivata , sola rea le sette, fino ai giorni nostri dal 2500 prima di Cristo; i Giardini Pensili di Babilonia, fatti costruire nella zona che oggi è Iraq, dal re Nabucodonosor, quello del Nabucco e del Va’ Pensiero; il Tempio di Artemide, a Efeso, vicino a Smirne, in Turchia; la statua di Zeus a Olimpia, oro e avorio per 12 metri d’altezza, Fidia come scultore; il Mausoleo di Alicarnasso, che era la tomba che Artemisia dedicò al suo fratello e sposo Mausolo nella città che oggi si chiama Boderum, in Turchia; il Colosso di Rodi, statua di bronzo alta 32 metri, dedicata al dio Sole, che proteggeva il porto dell’siola greca di Rodi; il Faro di Alessandria che, sull’isola di Faro, nel porto di Alessandria d’Egitto, altezza 134 metri, visibilità, scrivevano gli antichi, da 48chilometri di distanza, in piedi fino al Trecento, quando due terremoti lo distrussero.

E sette sono le meraviglie del mondo moderno, almeno come “selezionate” da una procedura via internet e poi da una giuria di sette esperti. Sono la città di Petra, in Giordania; la Grande Muraglia cinese che l’aneddotica vuole il solo monumento terrestre visibile dallo spazio; il Colosseo a Roma, la città maya di Chitchen’ Itzà, nel nord dello Yucatan, in Messico; il sito Inca di Machu Picchu, in Perù; il Tah Mahal, in India, il tempio del perduto amore dell’imperatore Shah Jahan per la memoria dell’amatissima consorte Mumtaz Mahal (è “una lacrima di marmo ferma sulla guancia del tempo” come ha descritto il mausoleo il poeta Tagore); il Cristo Redentor, la statua di 50 metri (più otto di basamento) che dal Corcovado, la montagna di granito, domina e protegge la baia di Rio de Janeiro.

Sette sono i vizi (lussuria, gola, avarizia, accidia, ira, invidia e superbia= e le virtù (fede, speranza, carità, prudenza, giustizia, fortezza e temperanza) capitali, nella religione cattolica. Sette sono i colori dell’arcobaleno (giallo, arancione, rosso, verde, blu, indaco e violetto), le stelle del Grande Carro, i colli e i re di Roma e i nani di Biancaneve, e di questi ulktimi tre sette a citarli se ne scorda sempre uno. Un ripasso? Aventino, Esquilino, Palatino, Quirinale, Viminale, Campidoglio e Celio; Romolo, Numa Pompilio, Tullo Ostilio, Anco Marzio, Tarquinio Prisco, Servio Tullio e Tarquinio il Superbo; Dotto, Brontolo, Pisolo, Eolo, Mammolo, Gongolo e Cucciolo. Sette sono le piaghe d’Egitto e i sacramenti cattolici, le lettere che fanno i numeri romani (I uno, V cinque, X dieci, L cinquanta, C cento, D cinquecento, M mille).

Sette sono le vite di un gatto e le camicie sudate da chi fatica allo stremo, i colori delle cinture di karate e le note musicali (do-re-mi-fa-sol-la-si), i magnifici pallanotisti del Settebello e i Magnifici del western di culto, i samurai e le spose per sette fratelli.

Rragami, chi era costui? Ramazan era un ragazzo albanese, classe 1944, della città di Scutari nella quale crebbe calciatore nella squadra del luogo, il Vllzania, protsgonidts del campionato di Serie A d’Albania, che si chiama Kategoria Superiore , che il Vllzania, la società calcistica più antica del Paese, ha vinto nove volte.

Rragami, un centrocampista offensivo alto un metro e 83 centimetri, debuttò in prima squadra che non aveva ancora 17 anni e vi restò fino al 1964, quando passò al Partizan Tirana, per tornare all’ovile di Scutari nel 1971, giocarvi fino al 1977, per poi tornarvi ancora come allenatore negli Anni Ottanta.

Il “golden day” di Ramazan fu il 23 aprile 1972, nello stadio di casa. La finale della Coppa d’Albania si giocava in due turni, andata e ritorno. Questo era il secondo. Il primo lo aveva vinto 2 a 0 il Besa, con due reti segnate nel finale, al minuto 87 ed al minuto 89. Anche i tempi regolamentari del match di ritorno si conclusero 2 a 0, ma questa volta per il Vllzania: l’arbitro aveva assegnato due rigori ai padroni di casa e due volte Rragami si era presentato sul dischetto trasformando il rigore in gol. Ci volevano i supplementari, i quali, dal punto di vista del pallottoliere, furono inutili. Il risultato accumulato era di 2 a 2. Vai con il rigore.

A quel tempo il regolamento non prevedeva l’obbligatorietà della cinquina di rigoristi, ma ogni squadra poteva dare l’incarico dei cinque tiri a quanti boòber volesse. Poteva anche affidarsi ad un unico rigorista, il che in Albania era stabilito dalle norme; il Vllzania designò , il Besa Nimet Merhori. Il cecchino del Vllzania fu infallibile con le sue sette meraviglie, che tuttora costituiscono un record per un giocatore in una sola partita, e difficile da battere ora che sul dischetto si alternano i giocatori: dopo quella partita, infatti, le autorità che regolamentano il calcio internazionale posero l’obbligo dei cinque-rigori-cinque-rigoristi.

Il primo arbitro mondiale che volle un'assicurazione sulla vita. PIERO MEI su Il Quotidiano del Sud il 28 Novembre 2022

Johan Langenus, il primo arbitro mondiale che volle un’assicurazione sulla vita

In quel tempo non c’era il Var (o la Var: anche l’acronimo Video Assistant Referee, in questi Anni Venti del Terzo Millennio è “gender fluid”, come ogni presidente che è “il” o “la”).  Del resto, quasi cent’anni fa, non c’era neppure la televisione. Forse però a mancanza di questa ciambella di salvataggio Johan Langenus, prima di scendere in campo ad arbitrare la finale mondiale, la prima, quella fra Uruguay e Argentina, 30 luglio 1930, all’appena costruito Stadio del Centenario a Montevideo, spettatori 68.346, chiese tre cose: una polizza di assicurazione sulla vita a favore dei familiari che aveva lasciato in Belgio, una scorta personale di 100 agenti delle Forze dell’Ordine, e una nave che, a motori accesi, lo aspettasse al termine del match nel porto di Montevideo per sottrarlo alla non remota possibilità di doversela vedere con tifosi inferociti.

Prima di scendere in campo, al signor Johan Langenus capitò un’altra breve disavventura: venne arrestato all’ingresso dello stadio. Era la tredicesima persona che sosteneva di essere l’arbitro designato e che dunque aveva diritto d’ingresso gratuito. L’”a gratis” sollecita sempre l’inventiva. Eppure il vero Langenus avrebbe dovuto essere persona nota agli steward d’occasione: aveva già diretto in quello stadio la partita inaugurale dello stadio, Uruguay-Perù, match dei gironi eliminatori.

La partita si disputò con cinque giorni di ritardo sul programma previsto, per consentire gli ultimi ritocchi alla costruzione del gigantesco impianto: la Celeste, come veniva chiamata la nazionale padrona di casa e favoritissima per il titolo giacché aveva vinto le ultime due edizioni olimpiche (Parigi 1924 e Amsterdam 1928), si affermò con uno striminzito 1-0 messo a segno da Hector Castro, che per tutti era “el Manco”, il monco, per via della mano destra che aveva perduto tredicenne, lavorando come falegname a una sega elettrica.

Anche “el Manco”, che ora era per tutti “el Divino Manco” a suon di gol (come Baggio, il “Divin Cosdno”?) capitò un’avventura dell’ultimo momento nella finale mondiale: il previsto titolare, Juan Peregrino Anselmo, di origine ligure, riviera di ponente, fu colto da un attacco di panico al momento dell’uscita dagli spogliatoi, rifiutò di giocare e Castro lo sostituì, segnando l’ultimo gol della partita, quello del 4 a 2 del risultato finale a favore degli uruguaiani, che è il modo corretto di chiamare quelli che un capriccio linguistico spagnoleggiante di Gianni Brera avrebbe più tardi definito “uruguagi” e il gregge giornalistico gli andò dietro (“come le pecorelle escon dal chiuso”).

Il signor Langenus, quasi quarantenne (era nato in una famiglia della buona borghesia nel 1891 ad Anversa) si era lasciato alle spalle una scrivania piena di scartoffie burocratiche, visto che lavorava come capo di gabinetto del governatorato di Anversa e una notevole esperienza come arbitro sui campi di calcio che aveva prima cercato di praticare come calciatore, con risultati piuttosto mediocri.

Anche come arbitro i suoi inizi non furono facili: al primo esame per ottenere la “patente”, venne bocciato da severi esaminatori britannici che gli posero domande di difficile risposta come “cosa deve fare un arbitro se il pallone viene portato via dal pilota di un aereo in transito sullo stadio dove si sta giocando la partita” o “quale soluzione può adottare un arbitro se uno dei due portieri si siede sulla traversa e si rifiuta di scendere”: evidentemente i “protocolli” che governano gli arbitraggi non sono mai stati troppo realistici né chiari.

Promosso da ripetente, si fece una notevole esperienza arbitrando la domenica anche tre partite in un giorno solo, spostandosi per le città in bicicletta. Per essere sicuro del fatto suo, si presentava in campo armato del fischietto e di tre orologi, con i quali, però, faceva confusione e le partite che dirigeva erano a durata variabile.

A Barcellona era salito a bordo del “Conte Verde”, il piroscafo italiano che avrebbe portato in Uruguay tutta l’Europa impegnata nel primo mondiale. Era un’Europa sparuta, giacché molte nazionali non volevano affrontare i costi del viaggio né il problema dei “permessi” per i calciatori, che al tempo erano lavoratori dipendenti e che non riuscivano ad ottenere dai “padroni” due mesi di aspettativa per inseguire un pallone. Così, oltre al rifiuto dei britannici pe ragioni ideologiche (“siamo gli inventori del calcio e dunque i campioni del mondo siamo noi di diritto”), gli organizzatori scontarono molte altre defezioni, fra le quali quella dell’Italia, che dunque quella volta non partecipò “volontariamente” alla fase finale dei mondiali, non fu colpa né della Svezia né, udite udite, della Macedonia del Nord.

Sul “Conte Verde” viaggiarono la Romania, la cui squadra era stata selezionata direttamente dal re, il Belgio e la Francia, oltre a tre arbitri compreso Johan Langenus ed al presidente mondiale del calcio, Jules Rimet, il quale portava con sé il trofeo d’oro massiccio (un chilo e ottocento grammi il peso) che avrebbe consegnato alla nazionale vincitrice. Passando per Rio de Janeiro, il “Conte Verde” imbarcò anche la nazionale del Brasile. Gli altri europei, gli jugoslavi, viaggiarono per loro conto salendo a Marsiglia su una nave a vapore, il “Florida”.

Il giorno della finale, ottenuti la polizza, la scorta rinforzata, la nave con i motori accesi in porto e l’accesso allo stadio, il signor Langenus dovette risolvere un altro enigma: argentini e uruguayani avevano portato ciascuno il proprio pallone e con quello volevano disputare la finale. Il burocrate belga, in versione Salomone, stabilì che i palloni si sarebbero alternati un tempo ciascuno, prima l’argentino e poi l’uruguayano che era più pesante.

L’Argentina chiuse il primo tempo in vantaggio di 2 a 1, ma con il pallone amico l’Uruguay segnò tre volte e divenne il primo campione del mondo della storia. A Buenos Aires i tifosi delusi assalirono il consolato uruguayano, Langenus era già in navigazione verso la scrivania di Anversa. Avrebbe arbitrato ancora partite mondiali sia nel 1934 che nel 1938. Poi si dette alla letteratura e al cinema: ha scritto libri di memorie sulla sua vita da arbitro e sceneggiato un film di soggetto calcistico.

Estratto dell’articolo di Matteo Pinci per "la Repubblica" l’1 Dicembre 2022.

Al centro della base c’è una tribunetta con riflettori da stadio accesi tutta la notte. Ma nemmeno un pallone da illuminare: lì è impegnata una squadra italiana che a calcio non gioca neppure per passare il tempo. Lasciandosi Doha alle spalle bisogna percorrere 30 chilometri nel deserto per arrivare alla base di Al Qaqaa, dove 380 militari delle forze armate lavorano da ottobre.

I soldati della missione "Orice", contributo italiano da 10 milioni di euro per la sicurezza del Mondiale in Qatar concesso da Draghi. Il Mondiale qui però non sembra mai iniziato. Nella sala mensa al piano terra di una delle due palazzine basse che ospitano le unità servono riso, verdure al pomodoro, pollo o pesce, anelli fritti di cipolla e un dolce, tipo panna cotta.

«A me si è bruciato il decoder, vedere le partite è difficilissimo», sorride un ragazzo in mimetica desertica, mentre spegne la sigaretta dopo pranzo. «Si vedono sul telefonino con la Vpn, ma ogni tanto salta». Lo spazio per organizzare un piccolo Mondiale in questa caserma nel nulla, che i qatarini hanno costruito apposta per noi, ci sarebbe: in palestra c’è un campetto polifunzionale, ma in missione giocare a calcio è sconsigliato: «Ci si potrebbe far male. E non possiamo permetterci infortuni».

Perché qui non succede nulla, ma si vive come se tutto dovesse capitare da un momento all’altro. «In cuor suo, nessuno spera nell’azione: se fossimo chiamati a intervenire, saremmo di fronte a questioni serie». Chi è qui infatti ha competenze specifiche richieste dal Qatar per la propria sicurezza: una squadra può, tramite un cannone a onde elettromagnetiche, inibire il volo di droni che potrebbero trasportare materiali esplosivi. […]

La prima missione è stata scandagliare il canale di accesso al porto di Doha con Remus, una sorta di sonar che permette una ricostruzione 3D del fondale: ha trovato solo rocce e qualche copertone. E a nessuno dispiaceva. «La nostra vittoria è se non succede niente», se finisce zero a zero.

Al porto di Mesaieed è attraccata da un paio di giorni anche la Thaon di Revel, pattugliatore di ultimissima generazione rilasciato a marzo: la cabina di pilotaggio – anzi, il cockpit – sembra di un aereo e infatti non ha precedenti navali. Monitora le acque internazionali, insieme a pattugliatori pachistani: la missione include anche americani, inglesi, francesi, turchi. «Ciò ha creato un forte legame tra i nostri Paesi – ci dice in buon italiano il capitano Fahad, della Difesa del Qatar – che durerà in future cooperazioni». Il Qatar è il secondo produttore di gas liquido al mondo: sa già come sdebitarsi.

Da sportmediaset.mediaset.it il 20 Novembre 2022.  

Qatar 2022 entra nel vivo. Prima del match inaugurale Qatar-Ecuador, allo stadio Al Bayt è andata infatti in scena la spettacolare cerimonia di apertura dei Mondiali. Uno show di lusso firmato dall'italiano Marco Balich in un impianto altamente tecnologico costruito nel cuore del deserto. Voce guida dell'evento Morgan Freeman, che ha parlato di inclusività, tolleranza e rispetto. "E' bello che i popoli mettano da parte ciò che li divide e mettano insieme ciò che li unisce - ha detto nel suo discorso l'Emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani -. Che siamo giorni che possano ispirare bontà è speranza. Benvenuti e buona fortuna a tutti".

15.35 - GRANDE ATTESA

Tutto pronto per l'inizio della cerimonia di apertura di Qatar 2022 allo stadio Al Bayt. Già tutti presenti i 60mila spettatori. Sul palco d'onore dello stadio il presidente della Fifa Infantino e l'emiro del Qatar Tamim bin Hamad Al Thani.

15.40 - INIZIA LA CERIMONIA

Inizia con un'animazione e un countdown che parte da 22 la cerimonia di apertura di Qatar 2022. Segue un video emozionale con protagonista uno squalo balena, "simbolo" del Paese, che "nuota" nel cielo fino allo stadio, dando il via ufficialmente al torneo. La scena poi torna nello stadio, dove alcuni figuranti e ballerini ballano tra cammelli e giochi di luci richiamando la sabbia sollevata dal vento nel deserto.

15.46 - ENTRA IN SCENA MORGAN FREEMAN

All'interno dello stadio entra Morgan Freeman. L'attore parla con Ghanim al Muftah, giovanissimo attore disabile, intavolando un dialogo sulla tolleranza, il rispetto e l'inclusione.  "Con il rispetto reciproco possiamo vivere insieme - dice Morgan Freeman -. Con la tolleranza e il rispetto possiamo vivere sotto un unico tetto". "Il Mondo sembra distante e diviso, ma riusciremo a unirci - ha aggiunto -. Quello che ci unisce qui è più grande di quello che ci divide".

15.50 - CORI, BANDIERE E MAGLIE

L'evento prosegue con balli, giochi di luci e cori che riprendono quelli che supportano le nazionali che partecipano al Mondiale. Sul terreno di gioco anche le bandiere e le magliette dei Paesi impegnati nella fase finale della competizione.

15.55 - OMAGGIO AL PASSATO

Sul terreno di gioco entrano le mascotte dei Mondiali precedenti. Un amarcord speciale accompagnato ancora da balli e dagli sbandieratori di Faenza. C'è anche "Ciao", quella di Italia '90.

16.00 - LA'EEB, LA MASCOTTE DI QATAR 2022

Al centro dello stadio è poi il turno di La'eeb, la mascotte ufficiale di Qatar 2022. Una sorta di kefiah volante, con occhi e bocca. In arabo La'eeb significa "giocatore molto talentuoso".

16.05 - L'INNO DEI MONDIALI

Entra in scena Jeon Jung-Kook, famosissimo solista della band sudcoreana dei  BTS che canta "Dreamers", colonna sonora dei Mondiali. "Respect" una delle parole chiave.

16.07 - IL FILMATO CON L'EMIRO

La cerimonia prosegue con le immagini di una partita di calcio nel deserto di oltre 50 anni fa. Tra i protagonisti c'è anche quello che sarebbe poi diventato l’Emiro del Qatar, allora soltanto un bambino in pantaloncini che rincorreva un pallone sulla sabbia. Le immagini poi tornano nello stadio e in tribuna d'onore spunta la maglia che l'Emiro indossava in quella occasione. Maglia che viene autografata con una dedica. 

16.08 - IL DISCORSO DELL'EMIRO 

L'Emiro Sheikh Tamim bin Hamad al-Thani prende la parola. "Diamo il benvenuto alla Coppa del Mondo. Abbiamo lavorato duramente per allestire un torneo di successo. Abbiamo profuso tutti i nostri sforzi per il bene dell'umanità. Finalmente è arrivato il giorno dell'inaugurazione, che tutti aspettavamo. Per i prossimi 28 giorni seguiremo la grande festa del calcio in un ambiente di umana e civile comunicazione. Persone di tante Paesi diversi verranno in Qatar: è bello che i popoli condividano e celebrino diversità e ciò che li unisce. Auguro a tutte le squadre di giocare un calcio magnifico, di vivere n tempo pieno di gioia ed emozioni. Che siano giorni che possano ispirare bontà e speranza. Benvenuti e buona fortuna a tutti".

16.15 - TERMINA LA CERIMONIA

Alla fine del discorso dell'Emiro si conclude la cerimonia di inaugurazione e la parola passa al campo in vista di Qatar-Ecuador con le squadre chiamate in campo per il riscaldamento. 

Mondiali, tutte le Nazionali ai raggi X, girone per girone. Trentadue squadre si contendono la Coppa del Mondo di calcio. Tra le grandi protagoniste di sempre e le possibili sorprese, i campioni indiscussi e gli emergenti, una guida ragionata per saperne di più sugli otto gironi. Alcuni dei quali decisamente di ferro. Luca Bocci il 20 Novembre 2022 su Il Giornale.

Sebbene l’avvicinamento sia stato decisamente inusuale, manca davvero poco al calcio d’inizio della 22ª edizione della Coppa del Mondo. Visto che, purtroppo, saremo costretti a fare da spettatori toccherà scegliere una squadra da supportare in questo inconsueto Mondiale. Per aiutarvi a scegliere per chi fare il tifo, tempo di dare un’occhiata agli 8 gironi del primo mondiale a 32 squadre. Come spesso succede, ci saranno risultati a sorpresa, squadre rivelazioni e grandi che finiranno per fare una figuraccia. Ecco la nostra piccola guida alla fase a gironi di Qatar 2022.

GRUPPO A

Il girone che vedrà in campo il Qatar non è quello “morbido” che di solito il sorteggio riserva ai padroni di casa. La squadra nata in laboratorio dovrà infatti vedersela con i campioni d’Africa, una grande a caccia del primo mondiale e una delle possibili sorprese. La favorita, ovviamente, è l’Olanda di Van Gaal, col sogno di cancellare la maledizione che per tre volte ha negato il trionfo agli Oranje proprio sul più bello. L’eterna incompiuta è lontana parente dell’Arancia Meccanica di Cruijff ma ha una rosa da far invidia e un gioco a volte spettacolare. A contendergli la testa del girone, i Leoni della Teranga del Senegal, spinti da un popolo ancora entusiasta per il trionfo in Coppa d’Africa. La squadra messa in campo da Cissè punta a far meglio dei quarti conquistati nel 2002 e potrebbe farcela. A spingerla una verticale da sogno: Mendy in porta, Kalidou Koulibaly in difesa, l’acciaccato Sadio Manè in avanti, affiancati da un gruppo affiatato di ottimi mestieranti. Se nessuno si aspetta molto dai padroni di casa, occhio all’Ecuador, che nel massacrante girone sudamericano ha fatto fuori squadroni come Cile, Colombia e Perù. L’esperto ct Alfaro ha messo a punto una difesa ermetica e un mix tra veterani e giovani ambiziosi come la stella del Brighton Moisés Caicedo. Occhio ai passi falsi: potrebbero costare carissimo.

GRUPPO B

Non sarà il classico “girone della morte”, ma questo gruppo potrebbe sorprendere molti. Favorita d’obbligo l’Inghilterra, ansiosa di vendicare la dolorosa disfatta di Wembley dell’anno scorso nella finale degli Europei. Il rischio maggiore per gli uomini di Southgate è forse di sottovalutare le rivali e aprire il fianco a figuracce. La rosa dei Three Lions è una spanna sopra le altre, con un undici molto solido, arricchito dalla fantasia della coppia Mount-Rice e della verve realizzativa di Sterling e Harry Kane. Raggiungere il minimo sindacale dei quarti non sarà però una passeggiata. La lotta per il secondo posto sembra serratissima, con tre squadre da prendere con le molle. Gli Stati Uniti degli “italiani” McKennie e Serginho Dest sono molto più quadrati che in passato e potranno schierare il talento cristallino di Christian Pulisic e del giovane Musah, che sta facendo faville col Valencia di Gattuso. Occhio però anche al Galles di Gareth Bale, che nei grandi tornei si trasforma e all’Iran del geniale Queiros, che in Russia andò a un passo dal rovinare i piani di Spagna e Portogallo.

GRUPPO C

L’assalto finale di Lionel Messi al trofeo che potrebbe farlo entrare nella leggenda difficilmente poteva iniziare in maniera migliore. Il sorteggio di Doha ha riservato avversarie oggettivamente morbide all’Argentina, anche se non prive di insidie. I ragazzi di Scaloni, capace di distillare una vera squadra dai tanti talenti anarchici platensi, sembra un mix perfetto tra fantasia e garra, combinazione che potrebbe rivelarsi letale. Se la delantera è una sicurezza, con gente come Dybala, Lautaro Martinez e Di Maria, fa il paio con una linea difensiva arcigna. Iniziare bene sarà cruciale, visto che i campioni del Sudamerica dovranno vedersela con una squadra incostante ma capace di tutto come la Polonia di Lewandowski e Szczesny. Mai sottovalutare il Messico del napoletano Lozano, guidato da un ct capace di pessime sorprese come il “Tata” Martino. Anche quella che molti considerano la cenerentola del girone, l’Arabia Saudita, è lontana parente di quella che certo non impressionò in Russia. I ragazzi di Hervè Renard, tecnico giramondo profeta del calcio offensivo, potrebbero sparigliare i pronostici di molti.

GRUPPO D

I campioni del mondo in carica certo non si sono lamentati quando hanno conosciuto il verdetto dell’urna di Doha. A provare a fermare la Francia schiacciasassi di Deschamps tre compagini delle quali si parla bene senza però aspettarsi miracoli. Incredibilmente la fucina di talenti transalpina continua a sfornare talenti, gente capace di fornire palle giocabili in quantità al duo delle meraviglie Mbappè-Benzema. Alzare di nuovo la coppa più bella farebbe entrare i Bleus nell’olimpo del calcio, visto che solo l’Italia di Pozzo e il Brasile di Pelè sono riusciti a ripetersi. Il girone dei transalpini non è però prive di insidie, diventando progressivamente più complicato. Se pochi si aspettano molto dai Socceroos dell’Australia, l’incrocio con la Danimarca di Christian Eriksen potrebbe essere più complicato. Il ct Hjulmand punta a ripetere il cammino agli Europei, mettendo in campo un mix di giovani ambiziosi e veterani come il milanista Simon Kjaer capace di cambiare modulo in corsa più volte. Occhio poi alle Aquile di Cartagine della Tunisia, compagine priva di nomi di grido ma estremamente quadrata e fisica. La più europea delle africane è capace di tutto, anche di fare sgambetti a squadre più quotate.

GRUPPO E

Quando hai Spagna e Germania nello stesso girone, il pronostico per gli ottavi viene quasi da sé. Anche se non molti si aspettano sorprese, non tutto potrebbe filare liscio. Se lo scontro tra la Mannschaft di Flick e le Furie Rosse di Luis Enrique è cerchiato in rosso sui calendari degli appassionati di calcio, le altre due squadre del girone potrebbero rivelarsi più complicate del previsto. La missione degli ex tecnici di Bayern e Barcellona sarà di far dimenticare le delusioni degli ultimi anni e portare a compimento una complicata traversata nel deserto. Se ad impressionare sono stati più i giovani iberici, a fare la differenza potrebbe essere la tradizionale determinazione teutonica. Giappone e Costa Rica, però, non sono venute solo per godersi il sole d’inverno del Qatar. Venti dei 26 Samurai Blues convocati dal ct Moriyasu giocano in Europa e, forse per la prima volta, riusciranno a combinare una difesa solida ad un attacco pericoloso, dove potrebbero brillare le stelle Kamada, Minamino e Kubo. Cosa dire poi dei Ticos di Keylor Navas? Ripetere il miracolo di Brasile 2012, quando fecero fuori gli Azzurri, sarà complicato ma alcuni giovani come il guizzante Bennette potrebbero esaltarsi sul palcoscenico più importante.

GRUPPO F

Se gli occhi di tutti saranno puntati sull’ultima chiamata per la golden generation del Belgio, il gruppo F potrebbe essere tra i più equilibrati. La potenza di fuoco che il ct dei Diables Rouges Martinez può mettere in campo rimane impressionante, anche se la retroguardia inizia a sentire l’età. Nonostante abbiano l’occasionale blackout, come agli Europei contro gli Azzurri, affrontare gente come Courtois, De Bruyne, Hazard e Lukaku non è mai un’esperienza piacevole. La rivale designata dei belgi, i vice-campioni del mondo della Croazia, è altrettanto temibile. Il ct Dalic, per ripetere la marcia trionfale di Russia 2018, ha affiancato all’eterno Modric un mix di talento e sostanza con gente del calibro di Brozovic, Perisic e Rakitic. Se Canada e Marocco sembrano vittime sacrificali, sottovalutarle potrebbe essere pericoloso. Tornati al Mondiale dopo 36 anni, i Canucks hanno brillato nel girone di qualificazione, trascinati dal rapidissimo talento del Bayern Davies e del promettente Jonathan Davis. Il Marocco, poi, potrebbe essere più complicato del previsto, specialmente se gente come Ziyech, Hakimi e Mazraoui troverà un terminale offensivo convincente. L’italo-marocchino Cheddira sta facendo faville col Bari. Sarà lui lo Schillaci dei Leoni dell’Atlante?

GRUPPO G

Non capita spesso di vedere la favorita di un Mondiale finire nel proverbiale “girone della morte”. L’urna di Doha ha consegnato al Brasile pentacampeon tre avversarie veramente ostiche. Se pochi scommettono su un passo falso della Seleçao, il cammino per gli ottavi è fitto di ostacoli. La qualità dell’undici del ct Tite è evidente a tutti, come il fatto che i verdeoro abbiano ben pochi punti deboli. Dall’affidabile Alisson in porta alla difesa guidata dall’eterno Thiago Silva, alla delantera atomica che vede l’esperienza di Neymar affiancata all’esuberanza di Vinicius Junior e Raphinha, scommettere contro il Brasile sembra un suicidio. La Seleçao ha pure una gran voglia di mettersi dietro la cocente sconfitta casalinga contro l’Argentina nella finale di Copa America ed è reduce da un girone di qualificazione senza sconfitte. Il cammino, però, non è certo semplice. Sulle qualità della Svizzera di Murat Yakin, purtroppo, possiamo far fede noi. I rossocrociati sono uno strano mix di rocciosi veterani e rapidissimi giovani, dalle ripartenze micidiali. Cosa dire, poi, della Serbia, la squadra più “italiana” in Qatar? Lasciando da parte il “marziano” Vlahovic, i sogni proibiti delle grandi della Serie A sono lì, dai fratelli Milinkovic Savic, al bianconero Kostic al viola Jovic. Per chiudere, poi, un pessimo cliente come il Camerun, col dente avvelenato dopo la sconfitta in finale nella Coppa d’Africa di casa. I Leoni Indomabili hanno messo da parte l’esuberanza atletica di una volta e sono ora molto quadrati, affidandosi al talento di Aboubakar e del napoletano Anguissa. Le sorprese, in questo caso, sono assicurate.

GRUPPO H

L’ultimo gruppo di Qatar 2022 è forse il più difficile da decifrare. Pochi dubbi, forse, sulla favorita, il Portogallo di CR7 e Leao, che sembrerebbe averne di più delle rivali. Sul resto, invece, regna l’incertezza più totale. Una volta la candidata naturale al secondo posto sarebbe stato l’Uruguay, ma il calcio ne ha fatta di strada dall’ultima volta che la Celeste ha alzato al cielo la Coppa Rimet. Il passaggio dal maestro Tabarez all’allievo Diego Alonso è stato problematico ma, per sua fortuna, a salvarlo sono arrivati alcuni giovani leoni. Cavani, Luis Suarez e Diego Godin sono rimasti, magari a mezzo servizio, a fare da chiocce a Darwin Nunez, bomber pagato a peso d’oro dal Liverpool. Alla garra charrua dei sudamericani fa da contraltare l’esuberanza fisica del Ghana, rinnovato pesantemente dopo l’esclusione da Russia 2018. Le nuove Black Stars si sono affidate all’esperto Andre Ayew e a giovani promettenti come il talento dell’Ajax Mohammed Kudus. A chiudere, una squadra scorbutica come la Corea del Sud. Se molti dei giocatori che il ct Paulo Bento metterà in campo in Qatar sono poco conosciuti, giocando nel ricco campionato coreano, i pochi espatriati si sono fatti valere. Se la difesa si basa sul napoletano Kim Min-jae, riuscito nell’impresa di non far rimpiangere Koulibaly, a guidare l’attacco il micidiale Son Heung-min, fedelissimo di Conte al Tottenham. Basteranno per ripetere il discusso exploit del Mondiale di casa? Improbabile, ma sognare non costa niente.

Ecco qui le 32 squadre che si giocheranno la coppa più bella del mondo. Il clima e lo scenario sono certo inconsueti ma possiamo scommettere che, anche questa volta, la magia del calcio saprà unire tutto il mondo. Buon Mondiale a tutti!

L'Iran si toglie il velo e non canta l'inno al festival degli inglesi. La protesta e i clamorosi buu di disappunto dei tifosi. E il ct Queiroz attacca: "Statevene a casa". Tony Damascelli su Il Giornale il 22 Novembre 2022.

Muti, i calciatori della nazionale dell'Iran al momento dell'inno, allora lo riportiamo noi: «Verso l'alto, all'orizzonte, sorge il sole orientale, La luce negli occhi dei credenti nella giustizia, Bahman è lo zenith della nostra fede. Il tuo messaggio, oh Imam, d'indipendenza, libertà, Oh martiri, i vostri clamori risuonano nelle orecchie del tempo duraturo, continua ed eterna la Repubblica Islamica dell'Iran!», il silenzio dei giocatori è stato contestato dalle tribune che hanno clamorosamente buueggiato, invitati dal ct Queiroz a stare casa «se non volete sostenerci». Niente bracciale arcobaleno per Harry Kane, la Fifa ha imposto la retromarcia a inglesi, olandesi, gallesi, danesi, belgi, svizzeri, tedeschi e francesi. Ci ha pensato Alex Scott, la sosia di Meghan consorte di Harry Windsor, Miss Scott, membro dell'Ordine dell'Impero Britannico, conta 140 presenze con la nazionale inglese, ha lasciato il calcio agonistico ed è opinionista per Bbc sport, ieri ha indossato a bordo campo il bracciale proibito senza che i sudditi di Infantino potessero intervenire (sempre che se ne siamo accorti).

Vigilia caotica, l'app Fifa sui biglietti è andata in black out, migliaia di tifosi inglesi in coda, alcuni tagliandi sono stati cancellati dall'app mobile, altri non sono riusciti a connettersi. Un comunicato della Fifa ha cercato di risolvere il guaio: «Nel caso in cui i fan non possano accedere ai loro account e-mail, il punto di risoluzione dei biglietti dello stadio sarà in grado di intervenire e supportare».

Sta di fatto che lo stadio Khalifa ha mostrato settori semideserti, dopo che l'Al Bayt, domenica pomeriggio, si era svuotato dopo la cerimonia di apertura, a conferma del rapporto che esiste tra la popolazione qatariota e il football. Niente fascia arcobaleno? Bene, allora gli inglesi hanno provveduto ad inginocchiarsi prima del fischio di inizio del brasiliano Raphael Claus. Avvio strano, quindici minuti di interruzione per lo svenimento del portiere iraniano Beiranvand dopo uno scontro violento con il sodale Majid Hosseini, cure e attesa inutile e ignorante, il portiere, evidentemente stordito e barcollante, ha voluto riprendere la partita, qualche secondo dopo è tornato a giacere sul prato e ha chiesto il cambio con Hossein Hosseini che ha concesso il festival dei gol inglesi, di testa il diciannovenne Bellingham, di mezzo volo Saka poi al bis, quindi Sterling, Rashford, Grealish celebrati dall'applauso di David Beckham in tribuna. A proposito dell'ex Manchester United, Real Madrid e Milan: un attore comico inglese, Joe Lycett, ha strappato diecimila sterline, con immagini su Instagram, provocando Beckham e chiedendogli di abbandonare il ruolo di ambasciatore della Fifa in Qatar. In omaggio al noto adagio, l'ambasciatore non porta pena e dunque non ha risposto al teatrante, questo subissato sui social da mille critiche e insulti per il gesto sguaiato.

L'Inghilterra pensa già alla prossima, 25 novembre, il black friday contro gli Stati Uniti, sperando che si si stia in campo meno dei 115 minuti di ieri! Un pensiero sull'Iran. Come da attesa, bravo Taremi, due gol, il secondo su rigore, per il resto la sola presenza in Qatar, lontano dalle vergognose violenze del Paese, la nazionale di Queiroz merita un ringraziamento rispettoso.

Lorenzo Topello per gazzetta.it il 22 novembre 2022.

In un'intervista datata 2008 gli chiesero: "Memo, com'è stato il Mondiale di due anni fa in Germania?". Risposta: "Esperienza straordinaria, abbiamo giocato contro squadroni. Ma ero il terzo portiere: la prossima volta faccio il titolare". Non fu un ottimo profeta, il numero uno del Messico; alla Coppa successiva fu secondo portiere, e per diventare titolare inamovibile avrebbe dovuto aspettare un altro po'.

Memo, all'anagrafe Guillermo Ochoa, esordisce oggi con la nazionale Tricolor, contro la Polonia. "Esordisce" per modo di dire. Gioca il suo quinto Mondiale, il terzo da protagonista. Ed entra così nel club dei giocatori presenti in cinque edizioni: insieme a lui ci sono Messi, Ronaldo, il suo compagno di nazionale Guardado. In precedenza ci erano riusciti Buffon, Matthäus, Marquez e Carbajal (questi ultimi entrambi messicani).

I numeri sono il cuore dell'esistenza di Ochoa: 5 sono i Mondiali, il 13 merita un capitolo a parte. Si è mai visto un portiere con quella maglia? Per Memo è la più azzeccata: è nato di venerdì 13 e ha esordito un giorno, il 13 giugno del 2004, in una partita in cui il fischio d’inizio scattò alle 13. È legato come pochi alla simbologia, e per questo dovrà provare a battere quella legata al numero 7: sette eliminazioni di fila del Messico agli ottavi di finale dei Mondiali, una sequenza che va avanti da USA '94. 

Sconfiggere il tabù, in positivo ovviamente, significherebbe superare nel modo migliore possibile il girone con Argentina, Polonia e Arabia Saudita e poi non tremare all'ottavo (probabilmente contro Francia o Danimarca). Da lì, chissà cosa può succedere. Anche le testate messicane ci credono: "Puntiamo alla quinta partita e anche qualcosa in più" è diventato lo slogan della nazionale per Qatar 2022.

C'è un altro numero a cui è legato il buon Ochoa: il 6. Nel 2014, al primo Mondiale da protagonista, diventa un fenomeno social dopo la prestazione col Brasile: un autentico muro contro cui Neymar e compagni vanno a sbattere per tutta la gara (che termina 0-0). Sul web spopolano immagini e meme: "Ochoa ha 6 dita nella mano destra, è un fenomeno; ecco perché le para tutte". E lui ci gioca sopra: circolano foto di un guantone con sei dita, il portierone non smentisce.

In Corsica (Memo gioca nell'Ajaccio) un tifoso pubblica un annuncio in cui si dichiara pronto a vendere la casa e i figli pur di non farlo andar via. Richiesta non esaudita: Ochoa va al Malaga. E nel 2018 viene di nuovo "scongelato" per il Mondiale di Russia: la Germania va a sbattere contro di lui, diventa l'incubo di Kroos che si spegne contro le sue parate. I tedeschi a casa, il Messico agli ottavi (e poi, naturalmente, fuori).

Ora si va per il 5. Cinque Mondiali, cinque partite da giocare per sfatare il tabù: Ochoa e i suoi ci credono. Memo è il capitano di una nazionale non giovanissima, ma con talento: Lozano, Jimenez e Vega compongono un tridente di tutto rispetto. La Polonia è avvisata: ma soprattutto è avvisato Lewandowski, che di fronte a sé troverà un portiere che ogni quattro anni diventa il più forte del mondo. Con uno spoiler: di dita ne ha cinque, come i Mondiali sul curriculum.

Harry Kane e il Rolex arcobaleno da oltre 600mila euro al posto della fascia One Love. Storia di Simona Marchetti su Il Corriere della Sera il 25 novembre 2022.

La Fifa ha vietato di indossare la fascia OneLove a supporto della comunità Lgbtq+ durante i Mondiale in Qatar, minacciando ammonizioni a chi avesse violato la regola. Ma questo non ha impedito ai giocatori di trovare modi alternativi per esprimere il proprio sostegno alla causa e, nel contempo, sottolineare il loro disaccordo con il presidente Infantino per la decisione adottata. E se la nazionale della Germania si è fatta fotografare con le mani sulla bocca prima della sfida contro il Giappone, il capitano dell’Inghilterra, Harry Kane, ha invece scelto un accessorio per indicare la sua vicinanza alla causa.

Arrivando infatti allo stadio di Doha per la gara contro l’Iran, l’attaccante del Tottenham ha sfoggiato un prezioso Rolex Daytona Rainbow da 650mila dollari (l’equivalente di 627mila euro), che in molti hanno interpretato come un riferimento alla Pride Flag. «Il capitano dell’Inghilterra Harry Kane indossa un raro Rolex Daytona “Rainbow” 116595RBOW in oro rosa 18 carati, uno dei pezzi più ricercati sul mercato — si legge nel post pubblicato dall’account Instagram @InsaneLuxuryLife, a corredo di una foto del calciatore con l’orologio al polso e un dettaglio dello stesso Rolex in primo piano — . Questo capolavoro è caratterizzato da 36 zaffiri arcobaleno taglio baguette sulla ghiera, 56 diamanti taglio brillante sulla cassa e 11 zaffiri arcobaleno taglio baguette a indicare le ore».

Uscito per la prima volta nel 2012 e realizzato ai tempi in oro bianco 18 carati e in oro giallo 18 carati, «all’epoca il Daytona Rainbow non venne molto apprezzato», scrive ancora @InsaneLuxuryLife, prima di aggiungere il prezzo in negozio dell’orologio (135.850 dollari, 131mila euro) e quello attuale di mercato. «Alla fine è riuscito a indossare la sua fascia arcobaleno», ha commentato un utente all’indirizzo di Kane, mentre un altro ha chiesto ironicamente alla Fifa di dargli un cartellino giallo.

Stefano Arosio per “il Giornale” il 28 novembre 2022.

Il disturbo visivo di chi ha confuso il rosso e il verde in Svizzera-Camerun non è il solo daltonismo di questo Mondiale. Perché ci sono diritti arcobaleno osteggiati in questa rassegna iridata di nome e monocromatica sulle questioni di libertà. Ma anche un perbenismo afflitto da maculopatia, che è quello di chi al centro del campo visivo fissa il solo Qatar.

Chiederne conferma alla Corea del Sud, espressione di una Nazione che è quanto più di occidentale si possa avere al di là del 40mo meridiano est, simbolo dell'alta tecnologia. Ma anche baluardo di quella contrapposizione storica con i fratelli della Corea del Nord, che dall'abbattimento del pioppo negli anni Settanta sono passati a puntare testate intercontinentali verso Giappone e Stati Uniti.

La Corea del Sud, anche per questo, è sentita «vicina». Lei che nei Mondiali assegnategli nel 2002, quando spedì a casa l'Italia con la complicità di Byron Moreno. Una presbiopia cultural-occidentale, la stessa che tende a non vedere la discriminazione dell'omosessualità di Seul. Lì dove permane la politica di rieducazione dell'orientamento dei non etero, con indici di suicidi tra i più alti al mondo tra chi ha fatto outing.

Le «terapie riparative» sudcoreane perdurano nei fatti e nella cultura popolare, come da tradizione militare e relativa concezione di «stupro reciproco» per l'omosessualità. Oggi la Corea del Sud va in campo con il Ghana dopo il pareggio all'esordio contro l'Uruguay. Ma nel baraccone mediatico, ogni altra partita per ora può restarsene in panchina.

I Mondiali dell'ipocrisia. Inclusivi col Rolex: star e calciatori hanno paura del Qatar. Max Del Papa su Nicolaporro.it il 25 Novembre 2022

Con compagni come questi, chi ha bisogno di inginocchiatoi? Il Mondiale al Qatarro continua a regalarci momenti epocali. Perché è un mondiale inclusivo, come dice Infantino. “E quindi” la fascia arcobaleno no, è “fuori contesto” come direbbe qualche apprendista giornalista. La notizia bella è che, alla fine, son tutti d’accordo, e l’avevamo capito: se nell’Occidente sessista e fascista calciatori, mignotte, spacciatori di slogan, paraculi molto inclusivi non mancano mai una posa a quattrozampe – per il Black lives matter, per il Metoo, per l’ Lgbtq+++—— -, in Medio Oriente la musica cambia, sentite l’immaginifico Maluma, che per il Fatto Quotidiano sarebbe una “grande star mondiale, sex symbol che piace sia al mondo etero che gay” (pensa se ai gay non piaceva); che uno a vederlo dice, kikazè? E deve abbeverarsi alla solita fonte, Wikipedia.

“Pseudonimo di Juan Luis Londoño Arias (Medellín, 28 gennaio 1994), è un cantautore e personaggio televisivo colombiano. Vincitore di un Latin Grammy Award su nove nomination, ha venduto in tutto il mondo 18 milioni di copie tra singoli e album, affermandosi come uno degli artisti di maggior successo ed influenza della musica latinoamericana urban”. Adesso è tutto più chiaro. Ma torniamo a pompa. Dunque, durante una intervista con una emittente israeliana, ah, sempre i soliti rompicoglioni questi, si è irritatƏ un bel popò. A domanda sui diritti umani nell’emirato, Baluba, scusate, Maluma, è sbottatƏ: “È un qualcosa che non posso risolvere – ha risposto piccatƏ. Sono qui per godermi la vita, la mia musica, il calcio, la festa. Non è qualcosa in cui devo necessariamente essere coinvolto”.

Certo, cazzo gliene frega a her. E siccome quei “rabbini di merda” insistevano, Baluba ha preso su la borsettæ e li ha piantati lì. Well done, Mally: la vida loca prima di tutto, per tutto il resto c’è Mastercard. E non confondetelo, per la carità, con Dua Lipa o addirittura Rod Stewart, lui ha venduto 18 milioni di clic sulle piattaforme, mica pizza e ficæ. E non chiedetegli tutto a costui-costei-costoro, non è qualcosa in cui deve necessariamente essere coinvoltƏ. Infantino, pontificale, approva. Gli sceicchi si vantano: tutto va meravigliosamente, chi lo nega è uno straccione, probabilmente anche un po’ checca.

Ma è una bagarrrre: abbiamo Lloris (“le leggi si rispettano e in Qatar funziona così”), poi abbiamo Baluba (“I diritti dei gay lesbo non mi coinvolgono”), poi abbiamo Hazard, che non è quello del telefilm anni ’70 ma il capitano del Belgio: “Siamo qui per giocare a calcio, e non per lanciare un messaggio politico”. No, no, per carità. Lì, però: fosse stato a Bruxelles, sai le pecorine. Hazard non s’azzarda a contrariare la politica della Fifa e sul modo di rendere in campo ha una sua teoria: “La Germania? Ho visto il loro gesto di protesta, sì ma poi hanno perso la gara. Avrebbero fatto meglio a non farlo, così magari avrebbero vinto. I calciatori rendono di più quando si concentrano solo sul calcio – risponde -, e noi vogliamo concentrarci solo su questo. Comunque non avrei voluto prendere un’ammonizione per questo”. Quando si dice avere le palle. Come a dire che Muhammad Ali in fondo è stato solo un gran coglione, lui e i suoi rifiuti di arruolarsi per il Vietnam, di dire “no” al sistema.

Poi abbiamo, ancora, Harry Kane, altro capitano mio capitano, dell’Inghilterra, che ha trovato un suo personalissimo modo di coniugare protesta e vidaloca: invece della fascia arcobaleno, sfoggia un Rolex arcobaleno da 650 mila dollari, il Daytona Rainbow “in oro rosa 18 karati incastonato con 36 zaffiri arcobaleno (eeeh…) taglio baguette sulla lunetta, 56 diamanti taglio brillante sulla cassa e 11 zaffiri, sempre arcobaleno taglio baguette come indici delle ore. Non ditelo alla moglie di Souhamoro, detta Lily TikTok. Non ditelo neanche al lottacontinua Gad Lerner, cultore del Rolex a sinistra. Praticamente si porta appresso un’oreficeria. Ma che fa? Loro sono lì per focalizzarsi sul gesto atletico, che porta sponsor, che porta ingaggi, gli imperscrutabili diritti li mettiamo in stand-by e li riaccendiamo in patria, quando sbandierarli serve a portare sponsor, che portano ingaggi, eccetera.

Poi abbiamo “basta”, che sennò qui si scrive l’Eneide. Ma tanto è questione di poco, ogni giorno ha le sue perle, basta aspettare. Pompa e circostanza, ci vorrebbe la celeberrima marcia di Elgar in sottofondo. Noi non siamo né contro lo sfarzo e neppure contro il pacchiano, è parte della vita, lo ha detto anche il compagno stivale: “Rivendico all’eleganza e al lusso da parte di mia moglie. La moda non è né bianca né nera, è semplicemente umana”. Da cui la lotta continua per i diritti umani: pensare che era così facile. Quindi anche i vari Lloris, Kane, Baluba, Hazard, a modo loro lottano per alcuni diritti fra i più umani e indisponibili: quello di sbattersene i coglioni, di obbedire, di pensare al soldo che è l’unico dio.

Ripetiamo, va benissimo, la retorica pauperista e autocolpevolista non ci appartiene, poi si sa, chi nasce diseredato finisce in jet privato (possibilmente incontrando Bonelli e Fratoianni, due gatto e volpe alla rovescia, due che se ne sanno di clima come di candidati). Solo che basterebbe dirlo: possibilmente sempre, non a pendolo, non fare gli indifferenti in Qatar e le verginelle incinte, ma appena appena, a Bruxelles. Max Del Papa, 25 novembre 2022

Marco Tardelli per “la Stampa” il 25 novembre 2022. 

Un Mondiale giocato nel posto e nel periodo sbagliato. Tutto quello che è uscito sui giornali in questa settimana si sapeva già da tempo. Le dichiarazioni di Blatter, colui che ha assegnato il Campionato Mondiale di calcio al Qatar ai tempi della sua presidenza della Fifa, sono assolutamente inaccettabili. Il discorso di Gianni Infantino, attuale presidente Fifa, è apparso indifendibile ed ipocrita «oggi mi sento qatariota, mi sento africano, mi sento arabo, mi sento disabile, mi sento lavoratore migrante». Caro Infantino io mi sento un uomo che rispetta i diritti fondamentali delle persone, che non ha bisogno di dire cosa mi sento. 

Perché per definire ognuno di noi c'è un metodo infallibile: giudicare i nostri comportamenti. Tutti noi nella nostra infanzia abbiamo subito atti di bullismo, ma è impensabile paragonarlo alla schiavitù moderna di quei lavoratori, che tu definisci legali e che in realtà sono morti per questo Mondiale. O far finta di credere che omosessuali e donne siano ben accetti o ben trattati in quella terra «così democratica». Forse ti sei dimenticato delle dichiarazioni dell'ex ambasciatore della nazionale e della Coppa del mondo del Qatar Khalid Salman che sosteneva che l'omosessualità era un «danno nella mente».

Non serve a niente l'inutile coming out del responsabile media della Fifa Swanson fatto ad hoc per giustificare un paese in cui per il solo essere gay si viene puniti con il carcere e la pena di morte. Facile dichiararsi gay dall'alto della Fifa senza correre nessun rischio. Caro Swanson, ho un piccolo consiglio non richiesto anche per te: non farti usare ed abbi rispetto per coloro che rischiano ogni giorno. Ma quello che più mi colpisce è che non ci sia stata una vera e propria ribellione da parte dei calciatori. Sono loro i veri protagonisti, sono loro che possono cambiare tutto, sono loro che ci mettono la faccia, il corpo, la capacità. Cosa accadrebbe se i grandi decidessero di non giocare, se decidessero di alzare la voce?

Rispettare i diritti umani è più importante che vincere un campionato del mondo o di aggiungere record alla propria carriera. Quello che ha fatto la Germania è stato un gesto molto importante, con la mano davanti alla bocca dei giocatori, ha infatti lanciato un segnale rumoroso. 

Il capitano Manuel Neuer ha mostrato al mondo che si può lottare. Attendo che Messi, Ronaldo, Neymar e tanti altri calciatori puntino il dito contro l'ipocrisia di quel mondo che vuole soffocare i più deboli. Sono loro il pallone, sono loro che devono prendere a calci un mondo che calpesta i diritti umani e che usa il loro talento sportivo per fini ingiustificabili, strapagandoli ma di fatto silenziandoli. 

Tanti anni fa il grande Diego Armando Maradona provò a ribellarsi. Aveva capito come si muoveva la Fifa e cercò di combatterla, ma fu subito soffocato con un imbroglio facendogli così pagare questo suo tentativo di rivolta. Noi non gli credemmo, dicemmo tutti che esagerava e che lo faceva per interessi personali. Caro Diego, ti chiedo umilmente scusa, per non averti appoggiato in questa tua battaglia, avevi visto quello che noi non riuscivamo ancora a vedere, bloccati da un deficit di coraggio che a te invece non è mai mancato. Forse la nostra esclusione da questo Mondiale è un segno del destino che ci fa essere più poveri, ma meno colpevoli. Mi auguro che tutti quelli che amano il calcio possano insieme pensare a qualcosa di diverso da questo scempio, che rischia di infangare per sempre quello che io continuo a considerare lo sport più bello del mondo.

Aldo Cazzullo per il “Corriere della Sera” il 28 novembre 2022.

Chiunque abbia conversato con Messi sa che non parla spagnolo, ma argentino, anzi rosarino. Il suo aggettivo preferito è «espectacular», che però lui pronuncia petacular, mangiandosi tre lettere. Anziché «trabajar» dice laburar . A chi gli chiede notizie del primogenito Thiago risponde, tutto fiero: «Le gusta el fulbo» , che significa «gli piace il calcio» ma non in castigliano, in un dialetto sudamericano. Messi se n'è andato a tredici anni, è cresciuto -in ogni senso - nel Barcellona, vive a Parigi; ma è come se non fosse mai partito da Rosario. Vale per lui quel che scrisse Kavafis: «La città ti verrà dietro, andrai vagando per le stesse strade, invecchierai nello stesso quartiere». 

Eppure, nonostante i 93 gol segnati in Nazionale, da ultimo quello al Messico decisivo per tenere in vita le speranze dell'Argentina, Leo - ma i compatrioti lo chiamano Lio - ha dovuto lottare moltissimo per dissipare l'aura di espatriato, se non di traditore.

Non era freddezza, era il contrario, emotività: con la Albiceleste non è riuscito sempre a dare il massimo, proprio perché ci teneva troppo. E poi il peso della consacrazione, quella Coppa conquistata da Maradona ma non da lui, è sempre stato terribile. Ai Mondiali in Brasile, gli unici in cui arrivò in finale, vomitava in campo. Così più volte il Clarin si è sentito in dovere di titolare «Messi es argentino», «Messi uno de nosostros» e pure «Messi es tan argentino como el que más»: nessuno è più argentino di lui.

Viene da Rosario, come quasi tutti i grandi del fulbol - El Flaco Menotti, Batistuta, El Loco Bielsa, Mascherano, El Pocho Lavezzi, Maxi Rodriguez, El Fideo Di Maria, Icardi... - e come Che Guevara.

Da bambino era pieno di complessi. Non voleva andare a scuola. Faticava a esprimersi. Aveva una sola amica, Cintia, che gli mandava i messaggini attaccati al righello con il chewing-gum, lo portava in giro per mano e spiegava ai compagni cosa intendesse dire; ora fa la psicologa e aiuta i bambini con difficoltà di apprendimento. Il piccolo Messi la adorava, e la adora. Ma amava un'altra bambina: Antonella Roccuzzo. L'aveva conosciuta quando entrambi avevano cinque anni, e l'ha sempre corteggiata in silenzio. Lei però non voleva saperne di quel disadattato che tutti prendevano in giro e aveva sempre in braccio un pallone.

La squadra in cui giocava, il Newell's, non accettò di aiutare la famiglia a pagare le iniezioni dell'ormone della crescita di cui aveva bisogno. Così Leo partì per l'Europa. Senza diventare spagnolo, né catalano, né tanto meno italiano: sia i Messi sia la famiglia di sua madre, i Cuccittini, sono marchigiani di origine; ma a lui non importa nulla. 

La prima delle tante crisi di vomito, seguita da una crisi di pianto, la ebbe sul volo che lo portava oltre l'oceano. Nei primi anni di esilio, per quanto dorato, passava tutte le serate in un ristorante argentino di Barcellona, Las Cuartetas, in Carrer de Santalò; poi ne scoprì un altro in un paese in provincia di Gerona, Hostalrich, e faceva 70 chilometri per andare a mangiare l'asado. In 29 mesi crebbe di 29 centimetri. 

Tornò a Rosario da benestante e da astro nascente del calcio. Antonella scoprì di essere da sempre innamorata di lui. 

Ora hanno tre figli (ci sono anche Mateo e Ciro). 

Vedere le foto di Messi da giovane calciatore è impressionante. Dieci ragazzi, quasi uomini. E un bambino con il volto nascosto da una maschera. Dal campetto del Grandoli, in Argentina, tutto buche, sassi e pezzi di vetro, alla cantera del club allora più ricco al mondo; ma sempre solo. Si cambiava in un angolo dello spogliatoio. Durante le pause gli altri uscivano dal campo; lui rimaneva ad aspettare in piedi con il pallone sottobraccio. Divenne un campione anche di play-station. I compagni lo chiamavano «Enano», il nano, ricevendo incomprensibili insulti in rosarino, e gli facevano scherzi feroci. Un giorno, in un albergo di Pisa dove il Barcellona Juniors giocava un torneo, Piqué gli portò via tutto dalla stanza, anche il telefonino e appunto la play.

Lui scappò via e si mise a piangere disperatamente. Piqué riprese la scena con il telefonino. Gliela mostrarono. Un compagno più pietoso dovette portarlo a braccia in camera a riposare. Poi però, quando vide che gli avversari del Damm si accanivano su di lui, Piqué fece a pugni per difenderlo. Il rito dell'asado continuò. Ogni lunedì Messi invitava a casa suo fratello maggiore Rodrigo, il suo migliore amico Pablo Zabaleta che giocava nell'altra squadra di Barcellona, l'Espanyol, e altri due colleghi argentini, Martìn Posse e Oscar Ustari. Non sapeva cucinare, non sapeva neanche dove fossero le posate e i piatti, ma le mangiate di carne servivano a lenire la nostalgia più profonda: quella che si prova per ciò che si è perso, che non si è vissuto, che non si conoscerà mai.

Una nostalgia che per Messi diventerebbe ancora più grande se, come molto (ma non tutto) lascia credere, la consacrazione mondiale non dovesse arrivare neppure stavolta. Di sicuro, questa finora modesta Argentina può solo crescere.

Gianni Visnadi per “il Giornale” il 28 novembre 2022.

C'è un lato sportivo ed è bello, bellissimo. Il Marocco che batte con merito tondo il Belgio, terzo a Russia 2018 e ora a un passo dalla clamorosa eliminazione. E c'è un lato sociale che tracima dal Mondiale e dal Qatar e porta per le strade di Bruxelles decine di scalmanati giovani immigrati di origine marocchina, quasi tutti incappucciati: centro città messo a fuoco e fiamme, auto e monopattini elettrici distrutti, polizia in assetto antisommossa, cittadini spaventati e sindaco costretto a chiedere via social di non uscire di casa per evitare di allargare ulteriormente la zona degli scontri.

In Belgio vive oltre mezzo milione di persone di origine marocchina, il 4,8% dell'intera popolazione (l'8,8% tra quella al di sotto dei 18 anni): una grande pagina di sport si è così trasformata per pochi in occasione di rivalsa sociale. Almeno un giornalista è rimasto ferito, secondo quanto riportano i media belgi. 

Per motivi di sicurezza pubblica sono state chiuse 4 stazioni della metropolitana. In realtà, la vittoria è stata un pretesto, perché i disordini, sono cominciati ancora prima che la partita finisse, quando «dozzine di persone, alcune delle quali erano incappucciate, hanno cercato di confrontarsi con la polizia, compromettendo la sicurezza pubblica», come ha spiegato la portavoce delle forze dell'ordine. Sugli scontri, anche il commento via twitter del commissario europeo all'Economia, Paolo Gentiloni, che al testo ha allegato anche il video della distruzione di un'auto: «Dopo la partita oggi pomeriggio a Bruxelles. Saccheggi e violenze. Il calcio fa da detonatore».

Peccato, l'impresa sul campo però rimane tale. Il Marocco è squadra forte, bella, che corre, arricchita da qualche individualità oltre la media. Aveva già fermato al debutto la Croazia vicecampione del mondo in carica. 

Il ct Regragui cambia il portiere Bounou (vittima di capogiri) con la riserva Munir, dopo che già erano stati suonati gl'inni nazionali. Di Hakimi si sa tutto, ma stavolta Molto meglio Ziyech, per esempio, che non gioca nel Chelsea e la scorsa estate è stato a lungo corteggiato dal Milan. Sarebbe stato utilissimo a Pioli, che invece sta aspettando la maturazione di De Ketelaere.

Il Belgio, terzo in Russia nel 2018 e ancora secondo nell'inutile e menzognero ranking Fifa (l'Italia è sesta: basta per capire che non conta nulla?), se giovedì non batte la Croazia, è già a casa. Il ct Martinez si gioca anche la carta Lukaku, ma è mossa inutile e disperata: la condizione fisica è al limite dell'imbarazzate. Poco prima di lui, già sotto di un gol, aveva mandato in campo anche De Ketelaere. Solito rendimento, da zero assoluto.

Al tramonto del primo tempo, Ziyech segna un gol su punizione laterale, cancellato dal Var per fuorigioco di Saiss, impacciatissimo Courtois, che poi a un quarto d'ora dalla fine ripete lo stesso errore su analoga punizione, ma dal lato opposto, del sampdoriano Sabiri. Courtois resta bravissimo, però stavolta ha sulla coscienza la sconfitta. Il raddoppio di Aboukhlal (dopo giocata pazzesca sempre di Ziyech) arriva nei minuti di recupero, solo 5, perché la moda dei recuperi XXL sembra già finita.

L’altro Mondiale: cronache, aneddoti e assurdità da Qatar ’22. Enrico Phelipon su L'Indipendente il 30 novembre 2022.

Benvenute e benvenuti alla seconda puntata de l’altro mondiale, scusate il ritardo, ma le cose serie hanno preso il sopravvento e, dato che qui si parla di frivolezze, calcio e costume, vi abbiamo fatto aspettare qualche giorno in più. Così nel frattempo c’è stata la partita più carica di significato di Qatar 2022, Iran-Stati Uniti, valevole per l’accesso agli ottavi di finale della Coppa del mondo. Una partita che, assai sobriamente, in entrambi i Paesi era stata dipinta come la sfida del bene contro il male, ma ad addendi invertiti. Ha vinto il male.

Il Qatar invece è uscito dalla competizione perdendo la terza partita consecutiva contro l’Olanda. Dimostrandosi, senza ombra di dubbio, la squadra meno preparata tra tutte le 32 partecipanti al torneo. Sintomo che nello sport, e ogni tanto anche nella vita, i soldi non bastano. Che i soldi non bastassero probabilmente l’hanno pensato anche i membri del CDA (Consiglio d’Amministrazione) di una nota squadra italiana, innominabile, che lunedì hanno dato in blocco le dimissioni. Scelta arrivata per tutta una serie di nobili motivi come: indagini della GdF, bilanci in rosso, plusvalenze illecite e altre cose del genere. Il tutto nello stesso momento in cui, il principale responsabile involontario di parte di quel buco se ne stava a vivacchiare in Qatar. Cristiano Ronaldo, mister 500 milioni, forse è stato pagato con una parte in nero, come un idraulico qualunque (non me ne voglia la categoria). La questione dei bilanci in rosso nel mondo del calcio, non è pero un problema solo italiano. Una delle maggiori squadre a livello europeo avrebbe infatti un debito di 1,3 miliari di euro. I potenti del mondo han dato via a delle guerre per molto meno, va ricordato.

Tornando ai mondiali, la Cerimonia di apertura di Qatar 2022 è stata lunga e a tratti noiosa, cercherò di sintetizzarvela: Morgan Freeman, balli e danze, presentazione della mascotte, immagini di repertorio dello sceicco che gioca a pallone su un campo di sabbia e roccia. Nota di spicco la presenza degli sbandieratori del Palio di Faenza, che spero abbiano preteso un cachet milionario. Nota dolente invece l’artista K-Pop di cui non ricordo il nome. La musica è un altra cosa, K-pop non era una marca di cereali? Poi c’è stato tanto calcio giocato, di cui non parleremo quasi per nulla, concentrandoci invece su quello che è successo fuori dal campo. Diverse nazionali europee hanno intentato proteste sulla questione dei diritti. Proteste durate quanto un gatto in tangenziale, e che si sono concluse con un nulla di fatto. Tra le nazionali più attive la Germania, il cui capitano sarebbe voluto scendere in campo con una fascia arcobaleno. La FIFA si oppone: i messaggi politici in Qatar non sono ammessi. Insorgono la Federazione calcio tedesca e il Governo, che dichiarano il totale appoggio alla loro nazionale. Come se il calcio a questi livelli non fosse anche politica. Insomma tutta sta storia di tensione, buona solo per le telecamere, si conclude con il governo tedesco che solo qualche giorno dopo sigla un bell’accordo per le forniture di gas con il Qatar. Avrete forse già capito, la squadra favorita a vincere la coppa del mondo è l’ipocrisia. Migliaia di morti e violazioni dei diritti umani, sono cose note, che andrebbero difese sempre e non solo per la trentina di giorni che dura una competizione sportiva. Perché i costi umani di questi mondiali erano ben noti già da prima.

Cambiando argomento per alleggerire le cose, il mondiale ci è stato gentilmente offerto (con i soldi che paghiamo del canone) dalla Radiotelevisione italiana. Tutte le partite in chiaro su RAI1 e RAI2 e programmi di contorno sulla competizione. Il tutto alla modica spesa di 200 e passa milioni, stando alle voci di corridoio. Pareri contrastanti sulle telecronache, in particolare quella di Daniele Adani, considerato da molti poco professionale e insopportabile. Personalmente invece ho apprezzato la passione con cui Adani ha commentato le partite e anche i numerosi aneddoti e i richiami al calcio sudamericano. Che potevano essere anche cavolate inventate di sana pianta, ma che comunque avevano una nota romantica. Molto bravo e professionale anche Andrea Stramaccioni, che a un gol dell’Iran al novantesimo minuto ha esultato senza esitazione in diretta nazionale. Perché si sa i telecronisti a meno che non giochi l’Italia devono essere centristi. Un plauso anche al resto della troupe RAI, che va detto ha fatto un ottimo lavoro investigativo. Grazie ad uno di loro sappiamo infatti che la birra in Qatar costa 12 euro e che probabilmente è pure annacquata. Non è un mondiale per poveri.

Per il momento ha funzionato perfettamente il sistema di sicurezza messo in piedi dal paese ospitante. Grazie anche al contingente italiano. Sembra infatti che il sequestro, ad un tifoso messicano, di un binocolo rivelatosi poi borraccia contenente alcolici sia merito nostro. Non domi, i membri del contingente militare azzurro avrebbero inoltre sequestrato, sempre ai tifosi messicani, anche le maschere da lottatori di lucha libre, i sombreri e i baffi finti. Ai tifosi inglesi invece hanno vietato di entrare allo stadio vestiti da cavalieri crociati, si perché ai tifosi inglesi questa cosa piace, e ogni tanto la fanno. Solo che farlo in Qatar non è una grandissima idea, questi vanno in panico per una fascia con la bandiera arcobaleno, se ti beccano vestito da crociato probabile che finisci ai lavori forzati. E in effetti la mano d’opera a basso costo serve sempre, anche perché chi li costruisce gli impianti da sci in mezzo al deserto con 50 gradi all’ombra per le Olimpiadi Invernali del 2034 che puntano ad aggiudicarsi? [di Enrico Phelipon]

Elmar Bergonzini per gazzetta.it il 2 dicembre 2022.

Rabbia, delusione, incredulità. Così si risveglia la Germania dopo l’eliminazione, la seconda di fila, nella fase a gironi dei Mondiali. Era successo nel 2018, è capitato ancora nel 2022. Il tutto dopo aver vinto il torneo nel 2014. Una storia che ricorda molto da vicino quella dell’Italia, campione nel 2006, poi eliminata al primo turno sia nel 2010 che nel 2014. Eppure in Germania non c’è tanto preoccupazione per il futuro, più che altro c’è incomprensione del presente.

Perché quei giocatori che con il Bayern Monaco in Champions League fanno bene, in nazionale faticano. Neuer, Kimmich, Goretzka, Müller, Sané, Gnabry, Musiala: erano 7 i bavaresi in rosa, l’unico a emergere però è stato il più giovane, quello che ha vinto meno. Oltre a Musiala, gli altri non si sono visti, non hanno inciso. Hanno tradito. Ancora una volta.

Dal flop della Germania, fuori dal Mondiale agli ottavi per la seconda edizione consecutiva, alla possibilità del Ghana di raggiungere Marocco e Senegal con un passaggio del turno che sarebbe storico per il calcio africano. E infine Cristiano Ronaldo, sempre a caccia di gol e record. I nostri inviati a Doha Luigi Garlando e Chiara Soldi fanno il punto sulla giornata mondiale

Germania, serve ripartire dai giovani. L'orgoglio del calcio africano e l'obiettivo di CR7

I principali media tedeschi raccontano, dalla sconfitta con il Giappone all’esordio, di una squadra divisa in tanti gruppetti. Giocatori del Bayern contro quelli del Dortmund (presenti in 5), giovani contro veterani, attacco contro difesa. "La fine di una squadra canaglia", titola Sport1, che punta il dito contro l’atteggiamento dei calciatori. "In rosa c’erano giocatori che hanno vinto la Champions, che hanno dominato la Premier League, che sono diventati campioni del mondo. Ma non ha funzionato nulla".

 Non c’è serenità nello spogliatoio, al punto che già contro il Giappone Flick venne criticato per la decisione di togliere Gundogan, considerato il migliore in campo, per mettere Goretzka. "Un cambio fatto per non scontentare il giocatore del Bayern e non per motivi tecnico-tattici", hanno lamentato i media. Flick sarebbe troppo buono, troppo accomodante, accusa rivolta in passato pure a Löw. Al tecnico viene imputato anche di non aver capito che era arrivato il momento di cambiare modo di giocare: da quando si è ritirato Klose la Germania non ha un vero attaccante d’area di rigore.

Mancano i gol. La stampa aveva chiesto l’inserimento di Füllkrug al posto di Müller ma è rimasta inascoltata. Risultato: il primo, in 66 minuti giocati, ha segnato due gol e servito un assist. Il giocatore del Bayern ha giocato più del triplo (204 minuti) senza servire assist né segnare. Pure qui, probabilmente, nelle decisioni del tecnico ha contato il nome dei giocatori più che il loro stato di forma.

Anche per questo l’atmosfera nello spogliatoio è talmente incandescente che la Dfb ha deciso di ripartire già venerdì: "Con l’umore che abbiamo, restare qui un giorno in più non ha senso", ha spiegato il direttore sportivo della nazionale tedesca Oliver Bierhoff. La sensazione è che certi giocatori meno stanno insieme meglio è.

Sotto accusa anche la Dfb e Bierhoff: "La polemica sulla fascia arcobaleno non è stata affrontata per tempo, peggio ancora: è divampata fino a diventare argomento principale fra i giocatori a poche ore dall’esordio col Giappone", scrivono i media.

 La Bild è durissima: "La data 1 dicembre 2022 è quella che rappresenta la fine di una grande nazione calcistica. Quattro volte campioni del mondo, tre volte campioni d’Europa. Ma tutto questo non c’è più. E ne sono responsabili federazione, tecnico e giocatori. Bierhoff ha fallito il compito di riportare la Germania ai vertici. Fra Mondiali ed Europei è il terzo torneo di fila che falliamo miseramente". Kicker e Bild sottolineano il fatto che la Spagna ha fatto di tutto per non vincere la partita con il Giappone.

 "Agli spagnoli conviene così". Anche Müller ha precisato che "solo teoricamente avevamo la qualificazione in mano, perché se avessimo vinto 8-0 saremmo passati al 100%, ma anche quando si è in forma vincere con quello scarto non è semplice. C’era quindi la sensazione che il passaggio del turno dipendesse da noi, in realtà la partita fra Spagna e Giappone era decisiva in caso di vittoria degli asiatici". L’atteggiamento della squadra di Luis Enrique è stato notato e sottolineato in Germania, ma è troppo tempo che la nazionale tedesca delude per spiegare solo così l’eliminazione.

Rüdiger ha provato a spostare l’attenzione dalla partita della Spagna: "Dobbiamo pensare a noi, pesa la sconfitta col Giappone. Anche in una partita da dentro o fuori come con la Costa Rica abbiamo incassato due gol. Difensivamente non abbiamo fatto bene, non funzioniamo. Avere talento non basta, spero che ora sia chiaro. Bisogna essere sporchi, avere fame".  Anche Kimmich fa autocritica: "Non si può sempre parlare di sfortuna, negli ultimi anni abbiamo sprecato tante occasioni. E secondo me oggi avremmo potuto vincere 8-0".

Lothar Matthäus punta il dito contro Bierhoff: "Sono anni che siamo in difficoltà, lui dovrebbe essere la guida. Credo sia giusto porsi delle domande anche sulla sua posizione". Michael Ballack fa invece il nome di Flick: "Tutte le figure all’interno della Dfb dovrebbero essere valutate. Fra queste c’è anche Flick. Bisogna discutere di tutti. Non bisogna fare come nel 2018 quando il presidente della Dfb disse che, dopo aver ragionato, si continuava con Löw". Il processo insomma è appena cominciato. Perché in Germania hanno bisogno di smaltire rabbia, delusione, incredulità. Anche per risolvere il problema legato ai risultati degli ultimi anni.

Con 20 minuti di recupero sfide irregolari e sfalsate. Nella partita Corea del Sud-Portogallo l'arbitro ha concesso 18 minuti di recupero oltre ai sedicenti novanta regolamentari. Tony Damascelli il 3 Dicembre 2022 su Il Giornale.

L'ordine è tassativo, nessun favore, tutte alla stessa ora, controllare gli orologi, tra l'altro, stando a quello che ha appena proclamato il capo supremo gli arbitri sono cronometristi, non vedono l'ora di essere protagonisti teatrali e ci riescono. Dunque Corea del Sud e Portogallo partono in contemporanea con Uruguay e Ghana, la classifica è di gomma, si muove, non si può rischiare privilegi e furbate.

Ma ai burocrati del calcio sfugge che questo football è un po' come il Monopoli, c'è la casella degli imprevisti e quelle delle probabilità. Accade però che durante la sfida tra sudamericani e africani un episodio da Var, uno dei cento di questo mondiale, costringa il cronometrista tedesco Daniel Siebert a perdere un tot di minuti, troppi, per assegnare il rigore in favore del Ghana tra i tumulti, giustificati, degli uruguagi.

Solita farsa, l'arbitro spiega al portiere che deve muoversi dalla linea, quindi si rivolge ai sodali dello stesso ricordando loro che non possono oltrepassare la bianca linea dell'area di rigore, come se si trattasse di dilettanti al debutto. Minuti di sforamento? Otto, secondo usi e costumi del calcio moderno. Si va al riposo, si torna in campo ma quegli altri, Coreani e Lusitani stanno già giocando da un po'. Non è finita. Il tedesco di cui sopra sbriga lentamente ogni punizione, calcio d'angolo, rimessa dal fondo, altro recupero uguale a quello della prima frazione però i secondi passano, si va oltre, nove, nove e mezzo, totale 18 minuti oltre ai sedicenti novanta regolamentari.

Il fatto, già ridicolo di suo, diventa spettacolare perché le immagini mostrano Luis Suarez che si copre il volto perché ha compreso che la garra charrua non è servita a nulla ma in contemporanea si vede il gruppo compatto dei coreani davanti a un monitor aspettando il fischio del cronometrista Siebert, quando arriva la notizia partono i tappi di champagne dei kim kim kim kim. Quando il ritardo porta la gioia. Una buffonata mondiale.

Giampaolo Scacchi per blitzquotidiano.it il 4 dicembre 2022.

Messi ha, sul bicipite destro, Gesù Cristo con la corona di spine. Il bomber francese Giroud (Cristiano evangelico dichiarato) si è fatto tatuare il Salmo 22 della Bibbia, attribuito  a David re d’Israele. Fu peccatore e santo, patrono di poeti e musicisti, valoroso guerriero. Il danese Kjaer, figlio di una professoressa di religione, di tatuaggi ne ha due: la Vergine Maria e addirittura l’ultima cena di Leonardo, il famoso Cenacolo, capolavoro del Rinascimento. 

Cheshmi, il gigante dell’Iran che ha sbloccato la partita con il Galles nei minuti di recupero con un bolide da lunga distanza – primo gol iraniano del Mondiale – si è inginocchiato, faccia sul prato, e ha ringraziato Allah. Era entrato in campo da un quarto d’ora soltanto.

E non va dimenticato l’omaggio, sempre ad Allah, dei giocatori del Marocco dopo aver battuto il quotato Belgio (2-0) di Courtois, Lukaku, De Bruyne, Mertens, De Ketelaere. Vero, c’è anche il rovescio della medaglia: il fanatismo religioso, cioè gli l’adesione irrazionale e incondizionata ad un credo religioso che spesso in degenera nella intolleranza. Come è accaduto a Bruxelles (domenica  27 novembre) dove la festa degli immigrati marocchini si è trasformata in rivolta  con feriti, auto incendiate, stazioni del  metro chiuse.

Tutti i culti sono ammessi ai mondiali di calcio nel Qatar musulmano. A Doha c’è anche una chiesa cattolica. La frequentano italiani, filippini, indiani, libanesi.  Al  torneo si contano cinque religioni. Ci sono cattolici, ortodossi, protestanti, musulmani e due squadre di religione buddista: Giappone e Corea del Sud. 

I musulmani sono rappresentati da 6 Paesi: Arabia Saudita, Iran, Marocco, Qatar,Senegal e Tunisia. Gli ortodossi sono rappresentati dalla sola Serbia. I protestanti da sette: Australia, Danimarca, Ghana, Galles, Inghilterra, Stati Uniti, Svizzera. I Paesi cattolici sono 16: Brasile, Argentina ,Belgio, Spagna, Portogallo, Olanda, Polonia, Messico, Ecuador, Uruguay, Camerun, Costa Rica, Croazia , Francia, Germania, Canada.

Praticamente ci sono tutti. L’Islam è la religione più diffusa (quasi il 70%). È la religione di stato. Seguono alla pari  Cristiani e Induisti (13,8%). Oltre il 3% segue il buddismo. Il resto (briciole) è appannaggio di piccoli gruppi di seguaci del Bahaismo (religione monoteistica nata in Iran)  e dell’ebraismo.

La costituzione garantisce a tutti la libertà di praticare i riti religiosi ma  è vietato fare proselitismo. Ed è considerato illegale passare dall’Islam ad un’altra religione. Ma le cose cambiano in fretta. Ad esempio, già spostato il giorno di festa, non più il venerdì ma la domenica. Altri cambiamenti sono allo studio. Se ci saranno, questo Mondiale non sarà passato invano.

Quando Kissinger fece scoprire il calcio agli americani. Storia di Andrea Muratore su Il Giornale il 4 dicembre 2022. Henry Kissinger, ieri come oggi, fa discutere, divide, è silenzioso protagonista del mondo politico-diplomatico. L'ex consigliere alla Sicurezza nazionale e segretario di Stato delle amministrazioni Nixon e Ford fu anche protagonista, a fine Anni Ottanta, dell'assegnazione del primo Mondiale a stelle e strisce della storia.

C'è infatti la regia del "tedesco" Kissinger, innamorato di uno sport centrato nel Vecchio Continente, dietro l'assegnazione della rassegna iridata agli Stati Uniti. E all'inizio di una transizione che, per citare il ct iraniano Carlos Queiroz, ha portato gli yankee "dal soccer al calcio". Non ancora da protagonisti, soprattutto per l'assenza di un background proprio, ma sicuramente apprezzati partecipi del meccanismo del calcio globale, come dimostrato dal raggiungimento degli ottavi di finale anche in questa rassegna iridata.

Kissinger capì l'importanza del protagonismo americano nel calcio perché lo sport più popolare al mondo poteva e doveva diventare diffuso anche sul suolo della superpotenza, che dagli Anni Settanta stava plasmando la globalizzazione. Kissinger era l'artefice della "diplomazia del ping pong" che aveva favorito la distensione tra Washington e la Cina comunista; era un diplomatico "imperiale" che capiva quanto le grandi potenze si nutrissero sia di potere materiale (influenza politica, forze armate, alleanze) che di immaginario, di "soft power"; era, anzi è (a maggio saranno cento anni per lui) essenzialmente un europeo trapiantato oltre Atlantico. Da europeo, come ultimo erede del cancelliere asburgico Metternich, pensa le relazioni internazionali. Da europeo, ed è questo che attiene l'analisi in corso, pensa lo sport.

Nel 1998 Vittorio Zucconi riportò su Repubblica una celebre frase di Kissinger sull'importanza del calcio come fattore collettivo: "Soltanto lo sbarco in diretta di un'astronave extraterrestre carica di omini verdi potrebbe convincere tanta gente a raccogliersi contemporaneamente davanti a un televisore per due ore", come accade costantemente durante i Mondiali.

Kissinger intervenne con la sua popolarità a promuovere la scommessa "mondiale" degli Usa. Costruì grandi rapporti diplomatici con la Fifa, guidata dal brasiliano Joao Havalange che, da globalizzatore del calcio, capì che la vetrina americana era perfetta per trasmettere l'immagine di uno sport veramente mondiale. E con cui Kissinger condivideva lo scheletro nell'armadio del convinto sostegno ai Mondiali nell'Argentina dei dittatori militari del 1978, alla cui cerimonia inaugurale Kissinger, passato al ruolo di professore e conferenziere, intervenne dichiarando che il Paese aveva "un grande futuro". Ma non finisce qui. Kissinger trasportò sul calcio i forti legami personali con dirigenti del calibro di Giovanni Agnelli, proprietario della Fiat e della Juventus, e Bernard Tapie dell'Olympique Marsiglia, campione d'Europa nel 1993. E puntò sul cavallo giusto in seno all'organizzazione-guida del calcio mondiale: Sepp Blatter, ai tempi un oscuro ex colonnello dell'esercito svizzero passato al ruolo di segretario di Havelange, noto soprattutto per le cinque lingue (tedesco, francese, inglese, spagnolo e italiano) parlate alla perfezione e per il ruolo di organizzatore meticoloso delle strategie di Havelange.

Nel 1988 Havelange fece sì che il nativo Brasile, "patria" per eccellenza del calcio, perdesse proprio con gli Usa la selezione del Mondiale. E Kissinger salì in cabina di regia come presidente onorario del comitato organizzatore. La scommessa, nata nell'alveo del potere profondo americano, fu vinta. La Coppa del Mondo Usa 1994 è stato l'evento di maggior successo nella storia della Fifa in termini di entrate e interesse suscitato nel pubblico. Ha dimostrato la capacità degli Stati Uniti di organizzare grandi eventi internazionali e quella degli americani di abbracciare lo sport più popolare del mondo. La presenza cumulativa di 3.587.538 spettatori ha battuto il precedente record di oltre un milione, e anche la presenza media per il torneo di 52 partite di 68.911 spettatori ha stabilito un nuovo record. Il 17 luglio 1994 Brasile e Italia si disputarono il titolo della Coppa del Mondo Fifa di fronte a 94.194 tifosi al Rose Bowl di Pasadena, in California. Nel complesso, gli stadi statunitensi sono stati riempiti al 96% della capacità durante la Coppa del Mondo.

Soprattutto, Kissinger fece conquistare l'America dall'Europa non solo metaforicamente: i Mondiali erano un evento americano in cui le partite venivano trasmesse per essere fruite dal grande pubblico europeo. Per il tedesco-americano tifoso del piccolo Greuther Furth, squadra della sua città natale, il risultato fu notevole. Per la Fifa la globalizzazione definitiva iniziò nel cuore dell'impero. Non casualmente, quello stesso 1994 fu anche l'anno in cui uscì Diplomacy, la grande opera storico-politica di Kissinger, che seppe con i Mondiali compiere il suo "colpo di coda". E che portò la Fifa a cambiare definitivamente ruolo. Da organizzazione gudia del calcio globale, non priva di riferimenti politici, a organizzazione politico-istituzionale con competenze calcistiche.

Da allora in avanti, assegnati già i Mondiali del 1998 alla Francia, la partita della Coppa del Mondo sarebbe stata sempre più "politica". Dopo il primo Mondiale d'Asia, Corea del Sud-Giappone 2002, sarebbe stata la volta dei Mondiali dei Paesi in via di sviluppo, Sudafrica (2010) e Brasile (2014). Dei casi Russia e Qatar (2018 e 2022) e dei conseguenti dividendi politici, oltre che delle connessioni profonde che le assegnazioni hanno svelato tra la Fifa e diversi governi, si è detto e scritto molto. E Kissinger ha fatto capolino anche nel comitato che ha portato gli Usa, assieme a Messico e Canada, a ottenere la candidatura congiunta per i Mondiali 2026. Primi a essere organizzati in tre Paesi contemporaneamente e a segnare la coesione di un blocco geopolitico, geoeconomico e, sportivamente, anche più culturale.

L'America è calcisticamente divisa tra il richiamo delle grandi nazionali del mondo latino, con cui ha anche più volte disputato la Copa America, e l'ancestrale sirena europea. Ma ha trovato una via propria capace di bilanciare entrambi i richiami, grazie anche alla mediazione di un diplomatico nativo della Baviera, vicino Norimberga, che da cittadino impossibilitato a vedere il suo Furth nella Germania nazista in quanto ebreo è divenuto deus ex machina di un Mondiale e promotore di un altro. Il Foglio ricorda che l'assonanza tra calcio e diplomazia non è casuale in Kissinger, conscio che "come nel calcio, le vittorie diplomatiche si costruiscono con una squadra di giocatori di esperienza e di talento, con una strategia a lungo termine fondata su una vera e propria riflessione, con un senso del gioco e della storia, e, punto più importante, con la voglia di vincere assieme, con il collettivo". Dal soccer al football nel giro di un trentennio, anche l'America del pallone è cambiata sulla scia di questa logica. In larga parte grazie al suo più importante stratega dell'era della Guerra Fredda.

Giuseppe Antonio Perrelli per repubblica.it il 4 dicembre 2022.

"Il mondo vi guarda, comportatevi bene". O quanto meno non così male, ecco. Monitor frantumati, arbitri inseguiti, spogliatoi spaccati. I Mondiali sono generosi: al pomeriggio ti offrono nel menù un "campione 37enne che manda platealmente l'allenatore proprio lì", alla sera ti propongono un "doppio gestaccio in salsa svizzero-serba". E poi, se non sei ancora sazio, vai sui social e continui fin quando ne hai voglia. 

Uruguay-Ghana: Valverde, Gimenez e Cavani scatenati

Uruguay-Ghana è stata una vera abbuffata sudamericana. Nel primo tempo rigore contestatissimo per gli africani: Jordan Ayew tira, Rochet para e Federico Valverde, fortissimo centrocampista del Real Madrid, bracca l'arbitro Siebert, esultandogli in faccia. Finita la partita con l'eliminazione dell'Uruguay, a cui sarebbe bastato un gol in più per passare agli ottavi, José Gimenez esplode: colpisce con una gomitata alla schiena un collaboratore del direttore di gara, che insegue fino a raggiungerlo nel tunnel degli spogliatoi.

I compagni di squadra provano a trattenerlo, ma il difensore è una furia e urla: "Siete una manica di ladroni! Figli di pu***na!", tra cento microfoni che lo ascoltano. Ora rischia fino a 15 turni di squalifica, che potrebbe scontare nel suo club, l'Atletico Madrid. 

Lì accanto c'è Edinson Cavani, anche lui chiaramente alterato. Prima rimedia un'ammonizione andando a un centimetro dal viso di Siebert, che effettivamente non gli aveva concesso un evidente rigore qualche minuto prima. Poi, rientrando negli spogliatoi, molla un cazzotto al monitor del Var. La struttura crolla, sfiorando gli addetti allo stadio. 

Portogallo-Corea del Sud: Ronaldo insulta il ct Fernando Santos

In contemporanea si gioca Portogallo-Corea del Sud. Portoghesi già qualificati, Fernando Santos fa riposare i titolari, da Ruben Dias a Bruno Fernandes, ma Ronaldo no. Lui vuole giocare sempre, anche a 37 anni, e il ct non sa opporsi, come da accuse di stampa e tifosi. La ricompensa? Un bel labiale. 

L'ormai ex giocatore del Manchester United viene sostituito al 20' del secondo tempo, dopo una partita mediocre, e rivolgendosi verso la panchina sibila: "Estás com uma pressa do caralho para me tirar, foda-se". Traduzione: "Hai una f*** fretta di tirarmi fuori, vaf****". Non solo: finita la gara Ronaldo sostiene che non ce l'aveva con l'allenatore ma con un avversario, che gli metteva fretta per farlo uscire dal campo. E il tecnico si allinea: "È andata proprio così. Tutto perfettamente normale".

Serbia-Svizzera, la partita dei gestacci

Qualche ora dopo Serbia-Svizzera, sfida ad altissima tensione. Granit Xhaka, capitano della Svizzera di famiglia kosovara, non ha gradito quella bandiera del suo Paese d'origine, ammantata di colori serbi, fotografata nello spogliatoio degli avversari. Risposta non esattamente raffinata: la mano a tenersi i genitali ostentatamente rivolta a Predrag Rajkovic, portiere di riserva della Serbia. 

Chiaro riferimento alla fake news secondo cui la moglie del numero uno del Maiorca avrebbe avuto una relazione clandestina con Dusan Vlahovic. Anche lo juventino non ha gradito e lo ha dimostrato quando ha segnato: prima si messo l'indice sulla bocca ("State zitti, smettetela di criticarmi") e poi anche lui ha fatto scivolare la mano laggiù: un gesto condiviso, in una partita di divisioni. 

Argentina-Polonia, Zielinski attacca il ct MichniewiczIl nervosismo serpeggia anche tra chi ha passato il turno, come i polacchi: ma è stato demerito del Messico, che ha vinto "soltanto" 2-1 sull'Arabia Saudita, più che merito di Lewandowski e compagni, rintanati nella loro area a difendere il 2-0 che stavano subendo dall'Argentina. 

Obiettivo raggiunto ma il come non è decisamente piaciuto a Piotr Zielinski: "Nel mio Napoli il pallone lo teniamo noi, con i nostri giocatori di altissima qualità. Anche nella Polonia c'è qualità, ma finora non l'abbiamo mostrata: lasciamo l'iniziativa agli avversari e non va bene". Traduzione: "Caro ct Michniewicz, smettila con questo catenaccio, sennò non andiamo da nessuna parte". 

Le faide nello spogliatoio del Belgio

Al confronto ne escono come signori i belgi, che hanno sbrigato i loro litigi nello spogliatoio: Vertonghen, Eden Hazard e De Bruyne pronti a venire alle mani, Lukaku che fa da paciere, lo stesso De Bruyne e Courtois - ex migliori amici - che non si parlano da dieci anni, da quando la fidanzata del centrocampista, Caroline Lijnen, lo tradì col portiere. Tutto smentibile, nonostante le voci di dentro. Tutto ovviamente smentito.

Aldo Cazzullo per il Corriere della Sera il 6 dicembre 2022.

Nei giorni più sanguinosi della guerra civile, un soldato marocchino che combatteva con i franchisti fu sorpreso da un ufficiale con la testa di un nemico repubblicano nascosta nei pantaloni; spiegò che non aveva avuto tempo di cavargli i denti d’oro, e intendeva farlo con calma.

L’ufficiale lo fece fucilare.

Il suo attendente gli chiese spiegazioni: «In fondo anche noi uccidiamo i repubblicani».

«È vero – rispose l’ufficiale -. Ma era pur sempre uno spagnolo. Ammazzato da un marocchino». 

(Testimone dell’episodio fu un giovane volontario italiano, Edgardo Sogno, che l’avrebbe raccontato molti anni dopo). 

Non esistono nella storia due popoli che si siano affrontati per altrettanti secoli e con altrettanta ferocia come marocchini e spagnoli; e per quanto si annunci intenso oggi l’ottavo di finale dei mondiali, a Doha , non sarà che una pallida parvenza dei duelli combattuti dagli antenati dei calciatori in campo.

Francisco Franco si temprò nella guerra contro i marocchini, conquistando quell’aura fortunata – la baraka — che ne farà il Caudillo di Spagna. All’inizio della guerra civile, porterà dal Marocco sugli aerei tedeschi il nerbo del proprio esercito, tra cui le truppe coloniali del Tercio. Ma erano mille anni, dai tempi del Cid Campeador, che spagnoli e mori incrociavano le lame; e proprio davanti a un quadro del Cid (che poi sarebbe Sidi, signore, in arabo) che faceva strage di infedeli Franco maturò la convinzione di combattere una battaglia per la civiltà cristiana occidentale. 

Se è per questo, il Cid non faceva che replicare il modello di Santiago Matamoros: san Giacomo, quello del pellegrinaggio, sarebbe intervenuto personalmente a cavallo nella battaglia di Clavijo (23 maggio 844), massacrando i mori e dando la vittoria ai cristiani.

Ovviamente sarebbe improprio identificare direttamente quelli che gli spagnoli chiamavano mori con quelli che oggi chiamiamo marocchini. Ma già Dante, nel raccontare il «folle volo» di Ulisse, cita la Spagna e il Marocco, Siviglia e Ceuta, i confini occidentali del mondo conosciuto. E certo i califfi di Cordova e di Granada, contro cui i castigliani combatterono le battaglie della Reconquista, erano imparentati con i sovrani di Fes e di Marrakesh (da cui deriva appunto il nome Marocco).  

Dopo la caduta di Granada, avvenuta in quello stesso fatale 1492 in cui Cristoforo Colombo sulla rotta dell’Ulisse dantesco approdò in America, i mori furono costretti alla conversione o alla fuga. 

Con il tempo, gli spagnoli portarono la guerra in Africa. Parte del Marocco divenne una loro colonia. E quando gli europei si ritirarono, il re Hassan II ordinò la «marcia verde»: un’onda di marocchini preceduti dal Corano invase il Sahara spagnolo, strappandolo ai nomadi saharoui. 

Ancora oggi i due Paesi separati dallo stretto di Gibilterra hanno un contenzioso aperto: la Spagna conserva sul territorio marocchino le enclave di Ceuta e Melilla, difese spesso a fucilate dai migranti che cercano di penetrarvi ed essere accolti in Europa. 

Per il Marocco è un problema vedere la bandiera spagnola su due piazzeforti che considera proprie, e pure essere attraversato da carovane in arrivo dall’Africa nera che a volte, non riuscendo a passare la frontiera, finiscono per accamparsi fuori dalle città marocchine e a vivere di espedienti.

Di tutto questo a Gavi, Pedri e agli altri ragazzini spagnoli cresciuti a pallone e playstation non potrebbe importare di meno (anche se Gavi è andaluso e Pedri delle Canarie, quindi del Marocco sono dirimpettai). 

È possibile invece che i loro colleghi marocchini metteranno nella storica sfida di oggi qualche stilla di energia e di rabbia in più. 

Spesso gli scontri mondiali ispirano una duplice retorica: quella che li carica di significati politici, culturali, letterari; e quella che riduce tutto a una partita di calcio. 

Tra poco vedremo se Spagna-Marocco è solo una partita di calcio.

Costruzione dal basso. Il miracolo del Marocco non è solo sportivo, ma anche politico. Carlo Panella su L’Inkiesta l’8 Dicembre 2022.

È il solo paese arabo-islamico che si possa definire democratico e la squadra che ha battuto la Spagna riflette uno Stato moderno in cui la religione non è violenta ma si evolve con la società

Il pallone è rotondo e guai a strologare sentenze per cavare lezioni epocali da una partita dei mondiali. Ma la coincidenza è troppo grossa per resistere alla tentazione di spiegare che c’è un mondo di intrecci interessanti dietro il 3 a 0 con cui il Marocco ha battuto la Spagna in Qatar e giocherà quindi i quarti di finale. Questa vittoria è caduta infatti proprio nel giorno in cui l’Indonesia ha definito reato il sesso fuori dal matrimonio, punito addirittura con un anno di carcere, così come la promozione della contraccezione. Per coincidenza dunque, nello spazio di poche ore, abbiamo visto gli effetti perversi  di un governo dell’Islam fondamentalista nell’Indonesia, il più popoloso paese islamico del mondo. All’opposto, sul campo abbiamo visto invece gli effetti modernizzatori di un governo dell’Islam evolutivo nel Marocco, unico e solo paese arabo-islamico a democrazia compiuta. Il tutto, nei giorni bui e sanguinosi che l’Islam iraniano impone al suo popolo di strage in strage 

Non tiriamo dunque per i capelli la realtà se scorgiamo una qualche linea di continuità tra la clamorosa vittoria del Marocco sulla Spagna ai mondiali e l’unicità di quel paese musulmano che, solo, accetta le sfide della modernità, vive un Islam non dogmatico ma evolutivo, sia pure con prudenza estrema e mille contraddizioni. 

Certo, il pallone è rotondo e guai a fare sociologia d’accatto su una partita finita ai calci di rigore. Ma l’intrico dei rapporti tra Spagna e Marocco invoglia a riflettere. Soprattutto perché, caso unico nella storia, quel Marocco che nell’Ottocento divenne in parte colonia della Spagna, prima e per secoli, aveva colonizzato e dominato la Spagna, o meglio, la feconda e ridente Andalusia sotto il dominio dei sultani berberi Almoravidi e poi Almohadi.

È storia antica e complessa ma non è un caso che quel crogiolo di fedi che fu l’Andalusia abbia prodotto a Cordova, nati a pochi anni di distanza e probabilmente riforniti dagli stessi librai ebrei, sia Averroé che Mosé Maimonide. Allora erano i dotti ebrei a tradurre Aristotele e l’ellenismo a cristiani e musulmani, e da essi Averroé ha attinto il razionalismo, inascoltato ahimè tra i Musulmani e così il Maimonide che trasportò l’ebraismo nella modernità.

In quel antico pensiero limpido e ibrido ha dunque le sue radici l’Islam di un Marocco che in seguito, unico paese arabo al mondo, sotto la dinastia degli Alawidi, ha resistito per secoli al dominio oppressivo e oscurantista dell’impero ottomano.Quella storia di fiera indipendenza nazionale dei marocchini e quel loro Islam così fecondato dalla modernità ellenistica, ebraica e cristiana c’entra col 3 a 0? In qualche modo sì. 

I grandi risultati sportivi, pur sempre debitori alla Dea Fortuna, sono il prodotto di un profondo retroterra fatto di agonismo diffuso, di organizzazioni efficienti, di un forte e maturo equilibrio mentale e nazionale. Dunque, questa squadra del Marocco riflette un paese moderno, l’unico in cui l’Islam non è d’impaccio violento e invece, lentamente, con prudenza, si evolve.

L’unico paese arabo che dagli anni cinquanta in poi ha stretto forti legami sotterranei con Israele (a Rabat il Mossad è sempre stato di casa), riconosciuto poi formalmente con gli accordi di Abramo. Insomma, nella palude di un Islam che arretra e regredisce – lo straricco Qatar impone in mondovisione la arretratezza delle sue regole – il Marocco ci mostra l’Islam che anche altrove avrebbe potuto essere, ma non è stato.

Il Marocco guida la "decolonizzazione" del calcio africano. Il Mondiale consacra la "decolonizzazione" del calcio d'Africa. Il caso del Marocco è emblematico: i figli della diaspora vogliono giocare per la nazionale di Rabat. Andrea Muratore e Mauro Indelicato l’8 Dicembre 2022 su Il Giornale.

L'Africa agli africani: non è uno slogan terzomondista di Thomas Sankara, che pure approverebbe quanto sta accadendo in Qatar, piuttosto l'attestazione della definitiva "decolonizzazione" del calcio africano. Cinque allenatori su cinque delle nazionali africane della Coppa del Mondo sono nati nel continente di frontiera per eccellenza. Compreso quello del Marocco rivelazione del torneo. La cui storia di "africanizzazione" è paradossalmente la più recente. Poco prima dell'inizio del Mondiale, arriva un colpo di scena da Rabat: la federazione calcistica marocchina rescinde il contratto con il commissario tecnico Vahid Halilhodzic, artefice della qualificazione della nazionale africana a Qatar 2022. Al suo posto viene chiamato Walid Regragui, un ex calciatore nato in Francia ma formatosi come allenatore nel suo Paese di origine e in grado di riportare nello scorso mese di maggio la Champions League africana proprio in Marocco, trionfando con il Wydad Casablanca.

Regragui è l'eroe del momento. Il 6 dicembre 2022, con la vittoria ai rigori sulla Spagna, regala al Marocco il suo primo quarto di finale ai mondiali. Ma è anche uno dei volti che sta dando all'Africa un'inaspettata decolonizzazione calcistica. Cinque nazionali africane sono andate in Qatar e tutte hanno in panchina allenatori africani. Un fatto inedito per un continente le cui squadre più iconiche nella rassegna iridata sono state sempre guidate da commissari tecnici stranieri, soprattutto europei.

Il Camerun di Italia '90, prima squadra africana a raggiungere i quarti di finale, era allenato dal russo Valerij Nepomnjascij. Il Senegal capace di sconfiggere la Francia campione del mondo nel 2002 era stato costruito dal francese Bruno Metsu, mentre il Ghana che in Sudafrica nel 2010 ha sfiorato le semifinali aveva in panchina il serbo Milovan Rajevac.

Cinque allenatori hanno riscritto la storia calcistica dell'Africa

Se Regragui è l'eroe del Marocco, in Senegal le attenzioni sono tutte per Aliou Cissé. È forse da lui e dalla federcalcio senegalese che parte una tanto repentina quanto inaspettata inversione di tendenza del calcio africano. Cissé è già da anni una leggenda del calcio del suo Paese. Fa parte della squadra che nel 2002, agli ordini di Metsu, arriva ai quarti e si attesta come rivelazione del torneo.

Dieci anni dopo viene chiamato a dirigere la nazionale, ma è solo un incarico ad interim. È nel 2015 che Cissé prende definitivamente in mano la squadra. Non sono anni facili per il calcio senegalese, incapace di replicare i risultati del decennio precedente. Ci sono però alcuni nomi importanti da cui ripartire. C'è ad esempio l'attaccante Sadio Mané, così come il difensore Kalidou Koulibaly. A Cissé viene concesso tempo e pazienza per poter ricostruire un gruppo competitivo. Nel 2018 arriva la qualificazione a Russia 2018, dove gli ottavi sfuggono solo per la differenza di cartellini gialli favorevole al Giappone (primo e finora unico caso nella storia). Poi la nazionale riesce a giocarsi il titolo di campione d'Africa l'anno successivo in Egitto, perdendo però con l'Algeria. Il riscatto definitivo arriva nello scorso febbraio, quando in Camerun nella finalissima supera l'Egitto ai rigori e ottiene il primo storico alloro continentale.

La vittoria del Senegal è forse uno spartiacque nel calcio africano. Ci sono molte nazionali che nella rassegna giocata a febbraio deludono amaramente. A partire dal Camerun padrone di casa, chiamato a vincere il trofeo ma non in grado di esprimere un buon gioco. A deludere è anche il Ghana, squadra lontana dalla generazione d'oro di inizio XXI secolo ma da cui non ci si aspetta un'uscita di scena dalla coppa continentale con soltanto un punto nel girone.

Le due federazioni allora decidono di guardare al modello Senegal: via i precedenti allenatori, spazio alle storiche bandiere delle rispettive nazionali. Il Camerun non rinnova il contratto al portoghese Toni Conceiçao e chiama Rigobert Song, protagonista con i “leoni indomabili” a cavallo tra gli anni '90 e 2000. Per lui anche una fugace apparizione in Serie A con la Salernitana, poi Liverpool e West Ham nella sua carriera, assieme ad alcune esperienze in Turchia. Vince per due volte consecutive la Coppa d'Africa, nel 2000 e nel 2002, e i suoi tanti anni in Europa lo rendono tra i camerunensi più conosciuti e apprezzati a livello calcistico. Song guida il Camerun ai playoff per andare in Qatar e riesce il 29 marzo scorso a qualificare la nazionale superando l'Algeria.

Il Ghana invece licenzia l'allenatore dei quarti di finale di Sudafrica 2010, Milovan Rajevac, e decide di affidare la direzione tecnica a Otto Addo. Anche lui storica presenza tra le fila della sua nazionale, con riferimento soprattutto alla partecipazione a Germania 2006, primo mondiale con il Ghana al via e capace di raggiungere poi gli ottavi di finale. Addo è un “allenatore di ritorno”: nato e vissuto in Germania, decide però di vestire la maglia del suo Paese di origine e, a distanza di 16 anni, di traghettarlo ai mondiali in veste di commissario tecnico. Il suo è un incarico temporaneo, chiuso subito dopo l'eliminazione ai gironi in Qatar, a cui il Ghana arriva dopo il doppio confronto con la Nigeria ai play off. L'esperienza di Addo però rappresenta una svolta nella gestione del calcio nel Paese africano.

La Coppa d'Africa risulta fatale anche per la panchina tunisina, ma in quel caso si tratta di un passaggio di testimone tutto interno al calcio del Paese nordafricano. Via Mondher Kebaier, spazio a Jalel Kadri, tunisino la cui carriera calcistica si svolge interamente nel mondo arabo e che porta la nazionale in Qatar dopo la vittoria sul Mali.

Cinque allenatori africani quindi in cinque squadre africane. E non è forse un caso che proprio in questo mondiale per la prima volta il continente può vantare almeno due formazioni, il Senegal di Cissé e il Marocco, nella fase ad eliminazione diretta. Con il Marocco adesso punta di diamante capace di alimentare il sogno africano nel deserto qatariota. E fonte di un'altra forma di "decolonizzazione" calcistica: l'attrazione della diaspora.

La nazionale del Marocco, raduno della diaspora

La decolonizzazione passa anche per il "soft power". Una nazione si libera dalle catene della dipendenza coloniale e comincia a essere attrattiva sul profilo identitario. Questo vale per l'arrembante e giovane Marocco targato Regragui. Identitario e cosmopolita al tempo stesso, senza alcuna contraddizione: la squadra del Marocco è la squadra dei figli della diaspora. A fronte di un Paese di 37 milioni di abitanti ci sono circa 5 milioni di marocchini all'estero, quasi un settimo del totale degli abitanti. La maggior parte di questi vive in Europa occidentale, principalmente in Francia (circa 1.500 000), Spagna (circa 750.000), Belgio (circa 500.000), Italia (circa 450.000), Paesi Bassi (circa 400.000) e Germania (circa 140.000), oltre che in Israele e Canada.

La nazionale del Marocco ha saputo operare l'attrazione necessaria a far tornare coi colori di casa i figli di questa diaspora. Se nella vecchia guardia, per fare un esempio, i figli delle nazioni degli ex imperi coloniali nati nelle antiche colonie anelavano a giocare per la compagine europea più quotata (Clarence Seedorf dal Suriname all'Olanda, Patrick Vieira dal Senegal alla Francia, per fare due esempi), oggi succede l'opposto. E così un fuoriclasse del calibro di Achraf Hakimi, nato a Madrid e passato dalla camiseta blanca del Real alle maglie di Borussia Dortmund, Inter e Paris Saint Germain, sceglie legittimamente e convintamente il Marocco. Al suo fianco, il portiere-eroe degli ottavi, Bounou, nato a Montreal, Canada. Il roccioso difensore Noussair Mazraoui e l'estroso centrocampista offensivo Hakim Ziyech, in forza rispettivamente a Bayern Monaco e Chelsea, sono nati in Olanda.

E c'è spazio anche per l'Italia. Parla un florido accento marchigiano Walid Cheddira, giovane talento del Bari nato a Loreto, in provincia di Macerata, all'ombra di quel santuario e di quella Casa Santa che molto dicono dei rapporti tra Italia e Oriente mediati dal Mediterraneo. Un rapporto che ha portato in passato i nostri destini a incrociarsi con quelli del Marocco e del Maghreb, molto prima che la florida diaspora proveniente da Casablanca e dintorni si ramificasse nel Paese. Cheddira, classe 1998, ha giocato stagioni tra Eccellenza e D nel maceratese dividendosi tra il Loreto e la Sangiustese. Ha poi peregrinato tra Arezzo, Lecco e Mantova in Serie C prima di consacrarsi a Bari: 6 gol nella vittoriosa Serie C 2021-2022, ben 9 nel primo spezzone dell'attuale Serie B. A settembre l'esordio con la nazionale del Marocco per questo giovane prospetto che ha giocato anche l'ottavo con la Spagna.

Mutatis mutandis, non possiamo non sottolineare che il periodo d'oro del calcio italiano iniziò quando, tra gli Anni Venti e Trenta, gli "oriundi", i figli della diaspora, iniziarono a giocare con la Nazionale azzurra e i club del nostro Paese. Da Raimundo Orsi a Enrique Guaita, protagonisti del Mondiale 1934, la storia degli oriundi è proseguita con nomi di peso come Omar Sivori, José Altafini e Eddie Firmani per arrivare ai giorni nostri con Mauro German Camoranesi, campione del Mondo nel 2006, e i campioni d'Europa del 2021 Jorginho ed Emerson Palmieri. Ebbene i legami di molti di questi campioni, specie i più recenti, con la madrepatria erano prima dell'affermazione calcistica molto meno ombelicari di quelli dei figli di prima generazione dell'emigrazione marocchina. Ora tornati a vestire i colori rosso acceso della nazionale di casa per decolonizzare il calcio nel Paese. E contribuire a restituire l'Africa del pallone agli africani. Ovunque essi siano nati.

La 'colonna sonora' dell'albiceleste. Cosa cantano i tifosi argentini al Mondiale in Qatar: il testo e il significato del coro per Messi e compagni. Redazione su Il Riformista l’8 Dicembre 2022

Gli argentini sperano possa essere la ‘colonna sonora’ del trionfo mondiale, la prima Coppa del Mondo dopo quella alzata in cielo nel 1986 da Diego Armando Maradona. È il coro che fa da sottofondo alle partite dell’albiceleste di Leo Messi durante i Mondiali in Qatar, giunti ormai nella fase clou.

Un sogno, quello della ‘Scaloneta’, la nazionale guidata dal ct Lionel Scaloni, evidente già nelle parole del coro tratto dalla canzone “Muchachos, Esta Noche Me Emborracho“, del gruppo “La mosca“.

Il testo della canzone-coro che il gruppo per l’occasione del Mondiale in Qatar ha voluto riadattare in chiave calcistica, è questo: “En Argentina nací, tierra de Diego y Lionel, de los pibes de Malvinas, que jamás olvidaré. No te lo puedo explicar, porque no vas a entender, las finales que perdimos, cuántos años las lloré. Pero eso se terminó, porque en el Maracaná, la final con los brazucas, les volvió a ganar papá. Muchachos, ahora nos volvimo’ a ilusionar, quiero ganar la tercera, quiero ser campeón mundial, y el Diego, en el cielo lo podemos ver, con Don Diego y con la Tota, alentándolo a Lionel”.

Questo invece il testo in italiano: “In Argentina sono nato, terra di Diego e Lionel. Dei ragazzi di Malvinas che mai dimenticherò. Non te lo posso spiegare perché non capirai, le finali che abbiamo perso quanti anni le ho piante. Però quello è finito perché nel Maracana la finale col Brasile l’ha vinta di nuovo papà. Ragazzi adesso ci siamo illusi di nuovo, voglio vincere la terza, voglio essere campione del mondo. E al Diego dal cielo lo possiamo vedere, con Don Diego (suo padre) e con la ToTa (sua madre) incitando Messi”.

Un coro intonato dagli stessi giocatori della nazionale albiceleste negli spogliatoi, come nel filmato pubblicato sui social dal difensore Otamendi.

Il testo evoca diversi fatti, sportivi e non, argentini: dai ragazzi della Malvinas, le isole Falkland al centro di una guerra con l’Inghilterra nel 1982, ai pianti per le finali dei Mondiali perse del 1990 e del 2014, fino al trionfo allo stadio Maracanà di Rio de Janeiro della Copa America del 2021 contro gli odiati rivali brasiliani.

Da fanpage.it il 9 dicembre 2022. 

Il Brasile è eliminato dalla Coppa del Mondo 2022. In semifinale ci va la Croazia dopo una battaglia che si è chiusa ai calci di rigore: finisce 4-2 per Modric & co. 

A dispetto di quello che si pensava alla vigilia, è la Croazia a palleggiare alla grande e il Brasile a rincorrere: la selezione di Dalic ha messo in difficoltà la Seleçao con ottime trame e con un buon pressing. Enormi problemi nell'imbastire una manovra offensiva per i ragazzi di Tite. 

La mossa di Dalic di mettere Pasalic nel tridente ha messo in difficoltà la Seleçao, che ha avuto difficoltà proprio sulla corsia in cui si è mosso per più di 70′ il calciatore dell'Atalanta insieme a Juranovic. Ottima prestazione del trio di centrocampo croato, Brozovic-Kovacic-Modric, che si sono mossi sempre in maniera perfetta sia a livello di distanze che nell'accompagnamento alle due fasi.

A metà della prima frazione i croati hanno chiesto l'espulsione di Danilo per un intervento a gamba tesa sulla faccia di Juranovic: il giocatore della Juventus ha rischiato moltissimo ma l'arbitro Oliver ha estratto il cartellino giallo. 

La seconda frazione si è aperta con il Brasile molto più in palla rispetto ai primi 45′ e Livakovic è costretto ad intervenire su una deviazione di Gvardiol che per poco non lo beffa. Tite ha mandato in campo Antony, Rodrygo e Pedro per sparigliare le carte sul tavolo ma la gara non si è sbloccata.  

Uno dei protagonisti del match è stato il portiere Dominik Livakovic, che ha effettuato otto parate firmando un primato per un estremo croato in una partita di Coppa del Mondo.

La gara si è trascinata ai supplementari. Una statistica interessante: la Croazia con gli extra-time contro il Brasile è andata ai supplementari in otto partite su nove tra Europei e Mondiali nelle eliminazioni dirette dei grandi tornei a partire dal 2000. 

La situazione bloccata anche nei 30′ dopo i tempi regolamentari ma alla fine dei primi 15 minuti ecco la magia. Neymar ha ricevuto palla sulla trequarti e con una doppia triangolazione, con Rodrygo e Paquetà, si è ritrovato al centro dell'area: il numero 10 ha dribblato il portiere croato e ha infilato la palla sotto la traversa. Tripudio verdeoro. Si tratta del gol numero 77 gol in nazionale per O Ney, che ha eguagliato Pelé come miglior marcatore nella storia del Brasile.  

Quando tutto sembrava perduto per la Croazia ecco che appare Bruno Petkovic: l'ex attaccante di Catania, Varese, Trapani e Bologna è riuscito ad infilare una girata di sinistro alle spalle di Alisson e ha rimesso tutto in equilibrio. 

Ai calci di rigore è decisivi gli errori di Rodrygo e Marquinhos. 

Da gazzetta.it il 9 dicembre 2022.

Lionel Messi è felice perché l'Argentina va avanti nel Mondiale, ma le sue dichiarazioni dopo la vittoria ai rigori sull'Olanda sono un mix di soddisfazione e rabbia. "Tanta gioia e sollievo, abbiamo faticato ma è normale ai quarti di finale - spiega il capitano dell'Albiceleste -. A un certo punto abbiamo dovuto soffrire, ma abbiamo superato l'ostacolo ed è impressionante. L'Argentina dimostra partita per partita che vuole essere protagonista, che capisce i momenti, che quando deve giocare, gioca... e quando deve correre, corre". 

Messi, però, ha qualcosa da dire sulla direzione di gara dello spagnolo Mateu Lahoz: "Ho provato molta rabbia, non doveva finire così. Non voglio parlare dell'arbitro perché poi vieni sanzionato, non puoi dire quello che pensi perché ti sanzionano. La Fifa però non può mettere un arbitro non all'altezza del suo compito". A far saltare i nervi a Leo è stata la punizione che ha portato al 2-2, concessa al 100° minuto di gioco.

CONTRO VAN GAAL—   Scintille verbali anche con Louis Van Gaal, che prima della gara aveva detto "sappiamo come fermare Messi, lo faremo di squadra, non è inarrestabile". Secondo alcuni media argentini, Leo avrebbe cercato Van Gaal a fine gara, e ai microfoni nelle prime interviste dopo il match avrebbe detto queste parole: "Van Gaal vende fumo, dice che le squadre giocano bene ma sanno solo tirare pallonate". I due si erano già beccati dopo il rigore del momentaneo 2-0. Sempre davanti ai microfoni, un video lo ritrae mentre si gira a brutto muso verso un interlocutore non inquadrato, apostrofandolo così: "Cosa guardi, scemo? Vai, vai, vattene di là". 

ORA LA CROAZIA—   Guardando alla semifinale, Messi ritrova invece il sorriso: "Siamo molto emozionati, per noi e per le persone che ci accompagnano sempre. La Croazia è un avversario molto difficile. Ha grandi giocatori, si conoscono molto bene. Ha lo stesso allenatore dello scorso Mondiale ed è una semifinale, quindi sarà davvero dura".

Perché il Marocco non è un miracolo Epa. Giovanni Capuano su Panorama il 12 Dicembre 2022.

Storia dell'exploit della prima nazionale africana in semifinale in un Mondiale. Talenti top in Europa e un tessuto forte in casa: così si è riappropriato dei propri valori senza disperderli

Può essere che la favola del Marocco sia destinata a scrivere l’ultimo capitolo incrociando la fortissima Francia. O che, invece, possa proseguire ancora rendendo il Mondiale del Qatar più unico di quanto già non sia, tra polemiche per l’assegnazione, tuffi nel futuro (non sempre raccomandabile) del pallone e suggestioni di campo. Comunque vada a finire, la squadra di Walid Regragui, tecnico rivelazione in mezzo a tanti santoni, ha lasciato le sue impronte nella storia e così come accadde per il Camerun del 1990 ci sarà un prima e un dopo. Non è un miracolo, quello del Marocco, ma il frutto di una solida programmazione e del talento miscelato con la forza dello spirito e dell’identificazione totalitaria dei calciatori che compongono la rosa portata in Qatar per arrivare fino in fondo. Facile dirlo adesso, ma c’è chi lo sosteneva anche due mesi fa: Regragui, il ct che ha messo insieme tutte queste cose, non si è mai nascosto dietro il pronostico sfavorevole e ha sempre dichiarato di essersi messo in viaggio per giocare sette partite. Che significa arrivare alla finale di domenica 18 dicembre ma, in senso stretto, anche semplicemente entrare nell’élite delle semifinaliste garantendosi la permanenza nel deserto di Doha fino all’ultimo giorno. Il Marocco è andato avanti mettendo sotto Belgio, Spagna e Portogallo – quasi la meglio Europa – perché è una squadra che ha grandi valori in campo. Qualche nome? Hakimi è uno dei laterali destri più forti al mondo, gioca nel Psg e in nazionale completa una catena formidabile con Zyiech del Chelsea, uomo da mesi sul taccuino del Milan. Oppure Mazraoui che viene dal Bayern Monaco, anche lui abituato ai grandi palcoscenici europei. Le stelle non mancano, insomma, ma tutto intorno c’è un contorno di ragazzi che nel Vecchio Continente non sono ancora emersi ma che hanno una solida esperienza professionale: l’eroico portiere Bounou e il cannoniere En-Neysiri del Siviglia, Amrabat che conosciamo con la maglia viola della Fiorentina o la rivelazione Ounahi dell’Angers che ha stregato tutti compreso Luis Enrique, il quale ha candidamente ammesso di non ricordarsi il nome di quel ragazzo che lo aveva fatto ammattire in mezzo al campo. Giovani, forti e motivati. Nati in mezza Europa (14 sui 26 chiamati da Regragui) e spesso pure cresciuti calcisticamente lontani da Rabat. Con loro, però, anche l’ossatura della squadra rivelazione delle ultime stagioni in Africa, il Wydad Casablanca vincitore della Champions League africana nel maggio scorso. Un gruppo ben assortito, insomma, come hanno dimostrato le peripezie attraverso cui è passata una nazionale non fortunata in Qatar, bersagliata dagli infortuni eppure capace di superarsi sempre. Per arrivare in fondo dovrà essere ancora così, altrimenti la qualità enorme della Francia avrà la meglio, ma Deschamps sa di non poter sottovalutare l’avversario che fin qui è stato perforato solo dal fuoco amico di un’autorete nella sfida contro il Canada e poi è rimasto imbattuto per le altre quattro gare disputate. La crescita del Marocco nasce dai denari versati dalla Fifa alle federazioni deboli del mondo. Una pioggia di milioni che sono stati utilizzati fortunatamente bene e hanno consentito di creare un centro federale dove lavorare sui talenti del luogo. Non una ricetta rivoluzionaria: Belgio, Germania e Francia già da anni si muovono su questa linea di pensiero e i risultati, a cicli alterni, si sono visti. Il boom marocchino riguarda anche le donne, qualificate per la prima volta alla fase finale del Mondiale che si disputerà nel 2023 in Nuova Zelanda. E molte rappresentative giovanili. Ce n’è abbastanza per ritenere, insomma, che non si tratterà di un semplice fuoco come lo sono state altre nazionali africane che hanno fatto sognare ma poi sono rientrate nell’anonimato. Ultimo dato: molti dei giocatori di Regragui hanno avuto nel corso della loro adolescenza la possibilità di prendere altre strade calcistiche ma alla fine sono tornati alla madre patria. Amrabat, ad esempio, fino ai 16 anni ha indossato la maglia dell’Olanda così come Ziyech e Aboukhlal. Sabiri è arrivato fino all’under 21 della Germania prima della scelta definitiva. Cheddira, attaccante del Bari nato ad Ancona, ha in tasca un passaporto anche italiano ma ha confessato di non aver mai ricevuto proposte dalla Figc e che in ogni caso le avrebbe declinate. Zaroury stesso percorso degli altri ma con il Belgio. Questo Marocco è, dunque, un simbolo di riappropriazione del proprio talento da parte di un movimento africano. Per questo, più che per ogni altra suggestione, è una bella favola e un monito: a pallone si gioca, bene, anche nel continente nero. E se riesce a non disperdere i suoi valori può diventare competitivo per tutto, anche per un Mondiale giocato nel mezzo del deserto.

Qatar 2022, la morte choc di Grant Wahl durante Argentina-Olanda. Libero Quotidiano il 10 dicembre 2022.

Si è improvvisamente accasciato ed è morto mentre copriva Argentina-Olanda il giornalista americano Grant Wahl, 48 anni, veterano dei cronisti sportivi, inviato in Qatar per i Mondiali. Dove, nei giorni scorsi, era stato brevemente fermato dalle autorità di Doha perché indossava una t-shirt arcobaleno a sostegno dei diritti Lgbtq. Le circostanze della sua morte non sono chiare, ma nei giorni scorsi aveva lamentato di non sentirsi bene, tanto da essersi rivolto all’ambulatorio del centro stampa, credendo di avere una bronchite. Gli era stato somministrato uno sciroppo per la tosse e ibuprofene.

Aveva poi detto di sentirsi meglio, dopo avere ammesso di aver sofferto, il 3 dicembre scorso, "una capitolazione involontaria da parte del mio corpo e della mia mente" dopo la partita Stati Uniti-Olanda. "Non è il mio primo mondiale - aveva raccontato sulla sua newsletter - Ne ho fatti otto ... e mi sono ammalato ogni volta, si tratta solo di trovare un modo per portare a termine il proprio lavoro". Sulla morte di Wahl è intervenuto anche il portavoce del dipartimento di Stato americano, Ned Price, che ha detto di essere "in stretto contatto" con la famiglia del giornalista. Ora le autorità statunitensi cercheranno di accertare le cause della morte e come sono andate davvero le cose. I colleghi presenti in sala stampa hanno subito urlato "ha la testa all'indietro". Quando si sono resi conto della situazione hanno chiamato i soccorsi.

Da gazzetta.it il 10 dicembre 2022.

La morte del giornalista sportivo americano Grant Wahl allo stadio di Doha durante Olanda - Argentina, ha scosso il mondo del calcio e dello sport in generale. Il giornalista aveva 49 anni e si sarebbe sentito male in tribuna stampa mentre seguiva la partita. Dagli Stati Uniti il fratello di Grant, Eric Wahl, ha pubblicato un video sui social in cui insinua dei dubbi sulla sua morte. 

"Mi chiamo Eric Wahl. Vivo a Seattle. Sono il fratello di Grant Wahl. Sono gay. Sono la ragione per cui ha indossato la maglietta con la bandiera arcobaleno durante i Mondiali" dice l'uomo nel video, facendo riferimento al fatto che lo scorso 21 novembre sarebbe stato bloccato dal personale di sicurezza prima del suo ingresso allo stadio. Grant Wahl aveva spiegato di esser stato trattenuto per 25 minuti allo stadio prima di USA - Galles, per la maglietta arcobaleno.

"Mio fratello era sano" prosegue Eric "mi ha detto nei giorni scorsi che aveva ricevuto minacce di morte. Non credo che sia semplicemente morto. Credo che sia stato ucciso e vi prego di aiutarmi". In un commento successivo ha poi spiegato come stiano ancora cercando di capire cosa sia successo "è collassato allo stadio, gli è stata fatta la rianimazione poi è stato portato con un Uber all'ospedale dove è morto. Abbiamo parlato con il dipartimento di stato e Celine (la moglie, ndr) è in contatto con Ron Klain e la Casa Bianca". 

Impossibile prevedere come si evolverà la situazione, se da parte degli Stati Uniti ci sarà una richiesta di approfondimento della vicenda alle autorità del Qatar. Wahl nei giorni scorsi aveva raccontato sui social come avesse dei problemi di salute. Il 5 dicembre aveva scritto che era stato visitato da un clinica in Qatar "tre settimane di poco sonno, forte stress e molto lavoro possono fare questo effetto". 

Durante Stati Uniti - Olanda aveva raccontato di aver sentito una pressione al petto e che subito dopo era andato in un centro medico in cui gli avevano detto come probabilmente era bronchite. In un podcast pubblicato giovedì aveva spiegato di stare un pochino meglio ma non ancora al 100% "spero di non tossire durante il podcast".

Mondiali, malore durante Olanda-Argentina: muore il giornalista Grant Wahl. Il fratello: "E' stato ucciso". Matteo Pinci su La Repubblica il 10 dicembre 2022.

Inutili i soccorsi in tribuna stampa: aveva 49 anni. Alcuni giorni fa era stato fermato all'ingresso della partita Usa-Galles per una maglia arcobaleno. Poi la Fifa lo aveva premiato per la partecipazione alla sua ottava Coppa del Mondo

DOHA - "Si è sentito male un giornalista". La voce inizia a girare sulle tribune di Lusail, lo stadio che tra una settimana ospiterà la finale dei Mondiali. La tragedia è avvenuta lì, davanti agli occhi di colleghi increduli, con qualche sciocco che filmava, nel pieno di Olanda-Argentina, qualche metro più su di Messi e Van Gaal. Grant Wahl, 49 anni, stava seguendo la sua ottava Coppa del mondo di calcio. Qualche giorno prima lo aveva premiato la Fifa, per questo traguardo, insieme ad altri colleghi. Ma di lui si era già parlato quando, prima della partita tra Stati Uniti e Galles, aveva raccontato di essere stato lasciato fuori dallo stadio per una maglia arcobaleno. Alla fine - dopo aver documentato tutto - era riuscito a entrare, con tante scuse da parte di quella stessa Fifa che qualche giorno più tardi gli avrebbe consegnato una piccola riproduzione della Coppa del Mondo per celebrarne la carriera. Ora il presidente Gianni Infantino lo ha voluto ricordare, ripensando a quel momento, "con incredulità e infinita tristezza".  

Il malore e il decesso in ospedale

Un malore. Sono intervenuti i medici in tribuna stampa per provare a rianimarlo e hanno continuato a farlo durante il trasporto in ambulanza all'Hamad General Hospital: non c'è stato nulla da fare. Ma da giorni aveva iniziato a raccontare di come il corpo stesse cedendo: "Tre settimane di poco sonno, molto stress e tanto lavoro". In più, era partito per Doha con un banale raffreddore, che però a causa di queste condizioni di lavoro si era aggravato: "Negli ultimi dieci giorni si è trasformato in qualcosa di più grave, la notte della partita tra Stati Uniti e Olanda. Ho sentito una forte pressione sulla parte superiore del torace". Era stato anche in ospedale, dove escludendo il Covid, gli avevano diagnosticato una probabile bronchite, dandogli antibiotici e sciroppo per la tosse. E venerdì sera era freddo a Lusail: il primo giorno in cui la temperatura a Doha era scesa sensibilmente.  

Aveva anche raccontato, Grant, di come tra i giornalisti ci fosse "un generale stato di malattia, tosse e raffreddori. Insomma, di come le condizioni non fossero esaltanti (anche a causa di un'aria condizionata spesso estrema). Wahl aveva collaborazioni con CBS, NBC, New York Times e in passato per molti anni era stato un inviato di Sports Illustrated: per la rivista americana aveva anche intervistato Mario Balotelli. 

Ora la Fifa e l'ambasciata collaborano per restituire nel minor tempo possibile il suo corpo alla moglie, Celine Gounder, professore di medicina alla New York University e impegnata al Bellevue Hospital, che fornisce contributo sanitario anche a Cbs, con cui Grant collaborava.

Il fratello accusa: "È stato ucciso"

La tesi del malore non convincere però Eric Wahl, fratello di Grant: "Non credo che mio fratello sia morto, credo sia stato ucciso" è la forte accusa lanciata con un video su Instagram. "Il mio nome è Eric Wahl, sono il fratello di Grant e sono gay - le sue parole -. Sono la ragione per cui ha indossato la maglia con i colori arcobaleno durante i Mondiali. Mio fratello era sano e mi ha raccontato di avere ricevuto minacce di morte, non credo sia morto, credo l'abbiano ucciso".

Da corrieredellosport.it l’11 Dicembre 2022.

Un altro giornalista è morto all'improvviso in Qatar, si tratta del fotoreporter Khalid al-Misslam. Il suo decesso è stato annunciato su Twitter dal canale televisivo "Al Kass" e ripreso anche dal Gulf Times, dove si legge che Khalid "è morto mentre copriva i Mondiali", anche se le ragioni della morte sono ancora sconosciute. La tragica notizia si aggiunge a quella del decesso di Grant Wahl, giornalista statunitense che ha perso la vita durante Olanda-Argentina in circostanze ancora "da chiarire". La stazione televisiva Al Kass ha salutato così il suo dipendente: "I canali Al Kass piangono la morte di Khaled al-Misslam, un fotografo del dipartimento creativo", si legge sui social.

Giornalisti morti in Qatar, c’è anche Roger Pearce della tv britannica Itv. Storia di Redazione Sport su Il Corriere della Sera il 12 dicembre 2022.

Non solo il reporter Usa Grant Wahl e il fotoreporter qatariota Khalid al-Misslam, al conto dei giornalisti morti in Qatar va aggiunto anche il giornalista britannico Roger Pearce, direttore tecnico di ITV Sport, che è deceduto il 21 novembre scorso mentre seguiva la competizione.

La morte di Pearce era stata annunciata in onda dalla stessa Itv prima della partita tra Galles e Stati Uniti. «Abbiamo delle notizie molto tristi da portarvi da qui in Qatar», aveva detto il conduttore Mark Pougatch. «Il nostro direttore tecnico, Roger Pearce, che era qui nella sua ottava Coppa del Mondo, è tristemente venuto a mancare». «Roger era una figura estremamente rispettata nel settore delle trasmissioni sportive televisive, per ITV è stato determinante nella pianificazione logistica e nella copertura dei Mondiali di rugby, dei Mondiali di calcio e degli Europei», aveva affermato il conduttore. «Aveva sempre un sorriso sul viso e lasciava un sorriso sul tuo viso», aveva raccontato, definendo Pearce «professionale ed estremamente popolare».

Dopo la partita tra Inghilterra e Francia, che si è conclusa sabato con la sconfitta degli inglesi, ITV ha trasmesso un video tributo a Pearce. Solo allora è stato dato maggior rilievo alla morte del giornalista britannico alla luce della scomparsa , sempre in Qatar, di altri due suoi colleghi. Pearce, 65 anni, aveva iniziato la sua carriera come ingegnere presso Grampian Tv e ha lavorato in altre canali di Itv come Tvs e Meridian, prima di entrare a tempo pieno nel network sportivo Itv nel 2001 per diventarne il direttore tecnico nel 2008. Come spiega Neil Stainsby, giornalista della Bbc e amico di Pearce, il direttore tecnico di Itv tra 5 settimane sarebbe andato in pensione.

Daniele Dell'Orco per “Libero quotidiano” il 12 dicembre 2022.

Col passare delle settimane e con l'uscita di scena di molte delle nazionali più esposte politicamente come Germania, Inghilterra, Stati Uniti e Iran, al mondiale in Qatar preso d'assedio dai tanti interrogativi sulla tutela dei diritti civili, delle libertà individuali e del divieto per giocatori e tifosi di esporre simboli a sostegno delle comunità LGBTQ o di contestare apertamente il regime iraniano (che ha ottimi rapporti col Qatar), una battaglia è finita per sovrastare tutte le altre: quella del sostegno ai palestinesi della Striscia di Gaza e della West Bank.

Le ragioni sono tre: 1) l'edizione di quest' anno della Coppa del Mondo è la prima che si tiene in un Paese arabo. Pertanto, è stata più accessibile, dal punto di vista geografico, logistico e culturale, per centinaia di migliaia di persone della regione rispetto a qualsiasi altra Coppa del Mondo precedente; 2) tenendosi appunto in un Paese della Lega, gli arabi che contestano lo Stato di Israele nonostante gli equilibri politici tra Tel Aviv e le loro rispettive realtà, hanno avuto modo, tempo e spazio per riunirsi in gran numero senza timore di repressioni.

Al contrario, sebbene Qatar e Israele non abbiano normalizzato le relazioni diplomatiche, i giornalisti israeliani sono stati ammessi nel Paese ma sono stati regolarmente rimbalzati o ostracizzati da tifosi libanesi, sauditi, marocchini, egiziani, giordani, qatarioti, yemeniti, tunisini, ma anche giapponesi, brasiliani, iraniani e altri, con i loro video mentre si rifiutavano categoricamente di farsi intervistare che sono diventati virali (alcuni inviati si sono dovuti spacciare per giornalisti dell'est Europa per poter raccogliere materiale); 3) la nazionale che più di altre ha fatto sfoggio della bandiera della Palestina è il Marocco, che essendo arrivata in semifinale è diventata la selezione più amata dagli anti-israeliani.

Ma, per estensione, tra gli anti-occidentali. Da Marocco-Belgio del 27 novembre, i magrebini hanno sempre festeggiato con la bandiera palestinese (poi anche con Canada, Spagna e Portogallo), intonato cori a sostegno degli arabi e, magari indirettamente, stimolato gli odiatori.

La bandiera della Palestina dal punto di vista dei 22 Paesi arabi e del mezzo miliardo di persone che li abita è un simbolo di resistenza non solo contro Israele ma anche contro l'Occidente suo alleato e anche, paradossalmente, contro l'ordine neocoloniale di alcuni degli stessi regimi arabi repressivi e che a loro volta fanno affari con l'Occidente.

Questo richiama alla memoria i momenti intensi delle primavere arabe, quando un po' dappertutto tra u disordini veniva sventolata la bandiera palestinese e i manifestanti cantavano «Palestina libera» insieme ai cori com le loro richieste di libertà e dignità. In Qatar, le prestazioni entusiasmanti del Marocco hanno elevato di nuovo la bandiera palestinese a simbolo dell'identità araba prima ancora che nazionale.

Così, il Marocco è diventata la squadra della "rivincita" araba e della lotta anche violenta contro le potenze occidentali e contro le autorità locali fronteggiate dai migranti di varie generazioni che nelle notti di follia post-gara hanno messo a ferro e fuoco le città. E il Marocco, oltre agli estremisti, è stato capace di conquistare i cuori anche degli anti-occidentali di casa nostra, che tifano Marocco giustificando o addirittura fomentando chi eccede.

Cesare Martinetti per “La Stampa” il 14 dicembre 2022.

Tahar Ben Jelloun ci risponde al telefono respirando l'Atlantico dalla costa di Taghazout, Agadir. Tra poco raggiungerà i suoi amici a Marrakech e stasera sarà in piazza con loro, per vedere sullo schermo gigante la semifinale dei mondiali in Qatar. Una partita che la radio francese ha già definito «le choc France-Maroc». 

Ben Jelloun era in piazza anche la settimana scorsa, quando ha visto le facce dei vecchi rigate di lacrime per le vittorie del Marocco, prima contro la Spagna e poi contro il Portogallo. «È stato commovente», ci dice lo scrittore franco-marocchino, autore emblematico dello storico e sempre dolente rapporto di Parigi e la sua ex colonia.

Tahar, qual è la vera posta in gioco di questa partita?

«Enorme perché sarà la prima volta nella storia che una squadra araba, africana e musulmana arriva a questo livello di una competizione mondiale. Un successo storico perché il football è sempre stato dominato da tedeschi, spagnoli, argentini, brasiliani, francesi E mi spiace molto che non ci sia l'Italia. Ma i marocchini non erano mai arrivati tanto in alto».

Chi ha il merito per questo risultato?

«Sono convinto che gran parte del merito vada al re, Mohammed VI, che nel 2009 ha deciso che il Marocco doveva avere una forte squadra nazionale. Ha fatto nascere una scuola per la formazione dei giocatori, ci ha investito, ha fatto venire dal mondo diversi allenatori ad insegnare calcio. È stato un lavoro ben fatto che ha pagato». 

Mohammed è diventato re relativamente giovane, nel 1999 a 33 anni ed ha un'immagine di riformatore, anche sul piano sociale e culturale in un Paese dove le differenze sociali restano abissali. Qual è il suo giudizio?

«Il Paese si è molto modernizzato. C'è stato un enorme sviluppo nell'economia e nelle infrastrutture. Restano grandi problemi nell'istruzione e nella salute pubblica. Poi certo, non è un Paese socialista, è un sistema ad economia liberale dove i ricchi si arricchiscono e i poveri sonopoveri».

E quali sono le altre riforme in corso?

«Molto importante è la lotta contro la corruzione che è la grande malattia dell'amministrazione pubblica. E quando c'è la corruzione aumenta la povertà perché niente viene fatto secondo le regole. Per combattere la corruzione bisognerebbe limitare l'uso dei contanti. In Francia i pagamenti si fanno con i mezzi digitali e dunque sono tracciabili. In Marocco invece si continua ad andare avanti con lo scambio in contanti e questo favorisce la corruzione. Ma cambierà anche qui». 

Torniamo al calcio. Lei come ha vissuto queste vittorie mondiali?

«Sono sceso in strada e mi son ritrovato insieme a migliaia di donne, uomini, anziani con bandiere, tutti che manifestavano pacificamente la loro gioia, molti che davvero non si erano mai interessati al calcio. Si è saputo che i giocatori avevano invitato le loro mamme allo stadio perché li vedessero in campo. C'era anche la mamma dell'allenatore Walid Regragrui che alla fine della partita contro il Portogallo ha danzato con lui sul prato: il gesto di riconoscenza del figlio per la madre che per tutta la vita ha fatto la cameriera per farlo crescere. È stato magnifico, mi sono commosso».

Dunque queste vittorie rappresentano per i marocchini e per lei un riscatto storico?

«Sì, un riscatto storico, culturale e anche morale. Le dirò un aneddoto. In questi mesi il Marocco ha sofferto una terribile siccità, fino a quindici giorni fa, quando sono cominciati i Mondiali di calcio. Da allora s' è messo a piovere in tutto il Paese, soprattutto a nord. Ed è stato come una benedizione». 

Una nazionale vincente e miracolosa?

«Non esageriamo, è soltanto l'hazard, il caso della natura, ma è successo. E poi aggiungo che la squadra oggi è animata da una tale determinazione che è come se fosse destinata a vincere. Ora non voglio fare pronostici azzardati, ma penso che stasera i giocatori marocchini hanno una vera chance perché sono animati da una volontà profonda, nel cuore e nell'anima. E quando c'è una tale volontà, si può vincere. I francesi sono abituati e per loro io credo che la determinazione sia un po' meno importante di quella dei marocchini. I nostri giocatori sentono la responsabilità, è come se fossero obbligati a vincere. E faranno di tutto per riuscirci». 

Qua e là in Europa la festa si è accompagnata a violenze. La radio francese parla di "atmosfera febbrile" nella comunità marocchina. Lei teme che ci possano essere disordini?

«La posta simbolica è enorme, ma non bisogna nemmeno esagerare. Dei giornalisti francesi mi hanno fatto la stessa domanda, chiedendomi se sia giusto lasciare la libertà di manifestazione, un tema molto sensibile oggi in Francia.

Le rispondo come ho risposto a loro: lasciate che la gente esprima la sua felicità, già siamo felici che si giochi questo match e che vinca il migliore. Poi certo ci sono teppisti dappertutto, penso agli hooligan inglesi o olandesi che sono terribili. Mi hanno detto che gli Champs Elysées saranno chiusi al traffico. E va bene, ma che lascino la libertà di sfilare e di manifestare». 

Tahar, lei ricorda il 1998, la prima vittoria della nazionale francese a un campionato del mondo. Si fece allora molta retorica su quella squadra "black -blanc -beur", composta cioè da giocatori bianchi, neri e arabi e dunque simbolo dell'integrazione universalista alla francese. Che ne è stato di quello spirito?

«Che non funziona più perché la politica nei riguardi della gioventù immigrata e intendo soprattutto dei figli degli immigrati nati in Francia che erano e sono francesi, è stata fallimentare. Non sono state date loro le chances per riuscire e dunque niente è cambiato dopo venticinque anni. 

Io vado spesso in banlieue ed è triste: molti ragazzi lasciano presto la scuola e finiscono nella rete dello spaccio. Sono stato recentemente a Marsiglia nei quartieri difficili, dove non entra nemmeno la polizia e ci sono dei ragazzini appena adolescenti che ricevono uno stipendio di cento euro al giorno dai boss per fare la guardia nelle strade. I ragazzi che riescono nella vita sono una piccola minoranza. La vittoria della nazionale di Thuram-Deschamps-Zidane del '98 non ha cambiato la Francia e non cambierà il mondo l'eventuale vittoria dei leoni marocchini questa sera. Eppure non è soltanto una partita di calcio».

Giulia Zonca per “la Stampa” il 13 dicembre 2022.

Si segnano meno rigori in questo Mondiale e se i portieri sono migliorati non è una coincidenza, sono quelli che subiscono di più la situazione, più semplice tirare che fermare chi lo fa quindi se nel caos del momento si inseriscono i numeri è la percentuale di chi para che cresce. Gli 11 metri erano azzardo quando vennero introdotti al Mondiale (nel 1982 la prima sfida decisa per decretare un vincitore): furbizia contro panico, astuzia contro freddezza, potenza contro riflesso, carattere ed estro. Oggi dietro ogni tiro c'è una squadra di analisti, mesi di lavoro per ridurre calcoli complicatissimi a consigli pratici.

A ritroso. Kane «è stato lasciato solo», un fattore microscopico che può aver influito sul secondo rigore sbagliato in Ighilterra contro Francia. Lo dice Geir Jordet, professore alla Norwegian School of Sport Sciences e re del data base dedicato all'argomento. «Un dettaglio infinitesimale, ma potrebbe essere un motivo insieme con altri. Kane segue sempre la stessa routine dal dischetto, non improvvisa, ma nel primo è sostenuto dalla squadra, nel secondo sta in mezzo ai francesi». Raccogliere dettagli e creare casistica non dipende solo dalla matematica anche se quella cambia i colori, è come mettere gli occhiali 3D al cinema.

Facciamolo con il rigore che ci fa male: Baggio 1994, sì, la traversa di Pasadena. Il giocatore più talentuoso del momento, colpisce centrale ovvero nella direzione con la più alta probabilità di riuscita e sbaglia. Mettiamo gli occhiali di Jordet «era il rigore decisivo e uno di quelli negativo-neutrale o sbagli ed esci o si va avanti. Hanno il 60 per cento di riuscita contro il 90 di quelli positivi, o vinci o continui. Non puoi perdere. Era l'uomo più atteso, pressione extra ed era il 1994, meno abitudine allo studio della materia».

Per chi volesse approfondire, giovedì Jordet tiene un webinair sul suo sito. Con questi strumenti si torna a Spagna-Marocco e la Spagna che perde ai rigori usando giocatori subentrati negli 15 minuti. Daniele Caliari, assistente alla Berlin Social Science ci scherza su: «Forse leggendo due ricerche ci avrebbero ripensato», lui insieme al collega Lorenzo Neri (University of St. Andrews) ha rielaborato qualche dato per «La Stampa», «le cifre che riguardano solo i Mondiali sono ancora troppo poche per un quadro, ma evidenziano che parliamo di una competizione a sé, più stressante delle altre e che fattori come l'esperienza, la tranquillità acquisita in campo durante la partita sono determinanti».

Se sei uno specialista sbagli meno, se sei stato scelto per l'intera partita senti più fiducia, se poi hai anche segnato in quella partita avrai meno possibilità di errori». I due ricercatori italiani si sono laureati nel nostro Paese e hanno dovuto emigrare in un'università straniera per trovare spazio, si occupano di economia ma applicano dei modelli di regressione lineare al calcio. Siamo alla scienza, non tutte le nazionali la usano alla massima potenzialità, però sono rare quelle che la ignorano, anche se nessuna tendenza trova costante conferma.

 Per la Croazia hanno segnato anche giocatori coinvolti nei supplementari, solo che lì c'è il fattore età, frequenza e poi la preparazione del portiere. Psicologia applicata. Su questo tema ci aiuta Daniel Memmert autore di «Penalty Kick: The Psychology Of Success», «si può allenare la testa a tirare i rigori anche se è impossibile eliminare l'ansia in un contesto del genere, ci si può abituare. Per esempio si decide che chi deve tirare i rigori per quella settimana serve a tavola gli altri compagni, una situazione in cui si è osservati, non a proprio agio», piccoli giochetti della mente da abbinare a un monte di numeri.

Guardare in faccia chi sta per decidere il destino di una nazione con un calcio e indovinare la mira: «La postura, lo sguardo, il modo in cui si piazza la palla, se sei davanti alla tv puoi capire il livello di fiducia, in campo molto meno». Per questo il rigorista ormai decide prima che cosa farà, «anche quando sceglie il cucchiaio, pure quello è schedato». Un aiuto alla percentuale e un colpo alla fantasia.

Nino Materi per “il Giornale” il 12 dicembre 2022.

Ascoltando i commenti sempre sobri, pacati e tecnicamente impeccabili - di Lele Adani, abbiamo imparato che Leo Messi è calcisticamente un «Gesù» capace di «camminare sull'acqua» e in grado di «moltiplicare i pani e i pesci». 

E ciò, ben inteso, quando gioca così così; no, perché se è in giornata di grazia, i miracoli potrebbero anche aumentare. 

Peccato però che Adani, alias il «Messia delle seconde voci», giudizi altrettanto apologetici non li abbia riservati al portiere dell'Argentina, Damian Martinez, dimenticando che senza i suoi due rigori parati all'Olanda, i «prodigi» di quel «Padreterno» di Messi si sarebbero sciolti come neve al sole.

Stessa «distrazione» anche nei riguardi degli altri eroici portieri (Yassine Bounou del Marocco e Dominik Livakovic della Croazia) artefici con le loro parate del «rigoroso» passaggio delle proprie squadre al turno successivo.

Nessuno ha le carte - anzi, i guanti - più in regola di Gianluca Pagliuca, 55 anni, recordman dei portieri italiani «neutralizzapenalty», per dare ai «colleghi» i giusti riconoscimenti. 

Protagonista nella nazionale azzurra (39 presenze) e artefice di campionati ad altissimo livello con la maglia di Sampdoria (195 presenze), Inter (165 presenze), Bologna (248 presenze), Pagliuca non è sorpreso dal ruolo di primo piano che i portieri stanno ricoprendo nel Mondiale in Qatar.

Gianluca, sei sempre stato un mago nel parare i rigori. Con 24 penalty neutralizzati avevi il record tra i portieri del nostro campionato. Solo Samir Handanovic lo ha recentemente superato arrivando a quota 25.

«Handanovic, appena ha toccato quota 25, è finito in panchina. Inzaghi poteva sostituirlo un po' prima, così il record sarebbe rimasto mio... Scherzo, Handanovic è fortissimo e sono contendo di condividere con lui un primato importante». 

Ma qual è il segreto per parare un rigore?

«È un fatto d'intuito e di istinto. Ero convinto che Martinez, il portiere dell'Argentina avrebbe avuto la meglio. Lo seguo da tempo nel campionato della Premier League dove gioca nell'Aston Villa: so che riesce a ipnotizzare l'avversario». 

Come facesti tu con l'interista Matthaus in quello storico 5 maggio 1991. Parasti il rigore, consegnando lo scudetto alla mitica Sampdoria.

«Matthaus calciò una cannonata. Io respinsi di petto ma il tiro fu così violento che spezzò la catenina che portavo al collo».

Un portafortuna?

«Era la catenina con la Madonna che mi aveva regalato mamma, donna devotissima». 

Torniamo ai rigori. La tua dannazione, nel bene e nel male. Del bene abbiamo parlato. Ora parliamo del male...

«Ti riferisci alla finale col Brasile ai Mondiali Usa del '94?». 

Ovviamente.

«Ancora oggi, che ho 55 anni, ci penso ogni giorno. Impossibile dimenticare». 

Baresi, Massaro, Baggio. Perché sbagliarono dal dischetto?

«Non partirono decisi. Il segreto è non perdere tempo in rincorse e passettini. I portieri sono furbi e capiscono quando chi sta per calciare non è sicuro di sé». 

Una carriera eccezionale: hai fatto fare la figura da pollo a molti campioni. I portieri della tua generazione erano però avvantaggiati, sul penalty potevate fare il passetto in avanti.

«Ma il passetto in avanti lo fanno anche i portieri di oggi. Non è questo a fare la differenza...». 

Cos' è allora che fa la «differenza»?

«Non c'è una spiegazione scientifica. So però che, fin da bambino, ero predisposto a parare i rigori. Per questo tutti mi volevano in squadra con loro». 

Hai scritto con Federico Calabrese un'autobiografia bellissima, «Volare libero» (Minerva). Chi ama i grandi portieri non ti ha dimenticato.

«Sono felice. È la prova che ho fatto qualcosa di buono».

Da gianlucadimarzio.com il 16 dicembre 2022. 

Oggi si è tenuta la conferenza stampa di chiusura dei Mondiali Qatar 2022 del presidente della FIFA Gianni Infantino, che ha annunciato tantissime novità per i prossimi anni di calcio, tra cui un nuovo Mondiale per club a 32 squadre. 

Infantino: "In Qatar miglior Mondiale di sempre"

"E' stata la migliore Coppa del Mondo di sempre. Per la prima volta in assoluto, le squadre di tutti i continenti sono passate alla fase a eliminazione diretta. Abbiamo anche avuto per la prima volta una donna arbitro di una partita, Stéphanie Frappart dalla Francia", ha detto Infantino.

Sul numero delle vittime tra i lavoratori che hanno costruito gli stadi in Qatar: "Ogni persona che muore è una persona di troppo, è una tragedia per tutti. Dobbiamo essere molto precisi sulle cifre. Per me e per noi, ogni perdita di vite umane è una tragedia. Tutto quello che potevamo fare per proteggere i lavoratori, lo abbiamo fatto". 

Ancora Infantino: "C'è stata un'atmosfera gioiosa, è stato un successo. Persone che si riuniscono, magari dimenticando alcuni dei loro problemi, e avendo piacere a guardare partite di calcio. Come sapete è stato un successo incredibile. Ci stiamo avvicinando alla soglia dei 5 miliardi di telespettatori".

Parole importanti sulla fascia OneLove, che è stata vietata dalla Fifa e ha generato il caso Germania: "Ci sono culture diverse, modi diversi di vedere le cose. Come Fifa dobbiamo prenderci cura di tutti. Non discriminiamo nessuno sui valori e sentimenti. Quando si tratta di regolamenti e divieti, si tratta di rispettare le normative. Nel campo di gioco si gioca a calcio. Ed è quello che abbiamo fatto. Quando si tratta di campo, è necessario rispettare il calcio, è necessario rispettare il campo di gioco. I regolamenti sono lì per proteggere 211 squadre di calcio [all'interno della Fifa], e i loro tifosi, che vogliono venire a godersi il calcio.

Onestamente credo che stiamo difendendo i valori, stiamo difendendo i diritti umani, stiamo difendendo i diritti di tutti in Fifa, nella Coppa del Mondo, ma credo anche che quei tifosi che vengono allo stadio e tutti quei miliardi che stanno guardando la Coppa del Mondo in TV, forse, hanno i loro problemi. Vogliono solo passare 90 minuti senza dover pensare ad altro che godersi un momento di piacere, gioia ed emozione. Questo è quello che dobbiamo fare. Dobbiamo dare loro un momento della loro vita in cui possono dimenticare i loro problemi e godersi il calcio. Al di fuori della partita ognuno può esprimere le proprie opinioni come vuole... Ma diamo questo momento di gioia per goderci la partita". 

Infantino ha annunciato anche numerose novità: "Una nuova Coppa del Mondo per club, un torneo a 32 squadre, si svolgerà nel 2025. Ci saranno i migliori 32 club del Mondo". Ancora nessun dettaglio sulla struttura e la sede di questa competizione da parte di Infantino, che ha detto anche: "Ci sarà anche la Coppa del Mondo per club femminile e un Mondiale di futsal femminile. Quando si tratta del calendario delle partite internazionali, dobbiamo prendere in considerazione la salute e il benessere dei giocatori. Dobbiamo assicurarci che ci sia un periodo di riposo per i giocatori, un periodo di vacanza, idealmente 72 ore tra le partite. Ora ci consulteremo su tutti questi argomenti ed approfondiremo".

Infantino ha parlato anche del Mondiale 2026, che si svolgerà in Nord America ma non ha ancora un format stabilito per i gironi: "L'impatto del calcio sarà enorme in Nord America. I ricavi aumenteranno in termini di broadcasting, sponsorizzazione, biglietteria e ospitalità, grazie all'aumento a 48 squadre. Giocheremo in enormi stadi che di solito vengono utilizzati per il football americano. In Qatar i gruppi da quattro squadre sono stati assolutamente incredibili. Dobbiamo rivedere, o ridiscutere il formato. 16 gruppi da 3 o 12 gruppi da 4? E' un aspetto che sarà all'ordine del giorno delle prossime riunioni".

Finalmente. Storia di Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 16 dicembre 2022. 

Era il 30 luglio (1930) e a Montevideo cadeva la neve. Nella prima finale della Coppa del Mondo c’era già un francese, il presidente Jules Rimet che l’aveva inventata, e c’era l’Argentina. C’era tutto ciò per cui il calcio ci fa ancora sperare e disperare. Il belga Langenus accettò di dirigere la partita solo in cambio di un’assicurazione sulla vita e ne aveva ben donde: all’ingresso furono sequestrate centinaia di asce e pistole. Lo stesso arbitro venne preso per un impostore e chiuso in uno stanzino dove già si trovavano quattro tifosi dell’Uruguay che sostenevano di essere lui. Il bomber di casa, Peregrino Anselmo, autore di una doppietta in semifinale, alla notizia che sarebbe stato marcato dal terribile centromediano argentino Monti ebbe un attacco di dissenteria e diede forfait. Lo sostituì Castro, detto El Monco perché a tredici anni aveva perso una mano sul lavoro. L’Argentina di Guillermo Stabile, el Filtrador, era la squadra più forte del mondo e all’intervallo l’Uruguay stava sotto 2 a 1. «In tutto lo stadio soffiava l’angoscia», scrisse un Adani dell’epoca, e il leader uruguagio Josè Leandro Andrade catechizzò i compagni negli spogliatoi: «Dobbiamo vincerla, se vogliamo uscire vivi da qui». A ribadire il concetto ci pensò un drappello dell’esercito, che al ritorno in campo accolse entrambe le squadre a baionette spianate. Per il bene di tutti vinse l’Uruguay in rimonta per 4 a 2, Andrade salvò un gol sulla linea e l’arbitro Langenus riparò sano e salvo su un piroscafo pronto a salpare per l’Europa. Da allora siamo molto cambiati? Ci sono più soldi, ma tanti di più, e comandano gli unici ricchi che ancora sono disposti a buttarli nella fornace del calcio: gli arabi. La Supercoppa italiana si giocherà a (!) e, lo abbiamo appena scoperto, il Qatar non ha badato davvero a . Avrà anche la finale che voleva: Francia-Argentina, cioè Mbappé-Messi, compagni di squadra nel Paris St. Germain finanziato dagli emiri di Doha. Tra morti nei cantieri, diritti negati e mazzette ai lobbisti, ce ne sarebbe abbastanza per ritirarsi schifati a guardare il curling. Poi però la palla comincia a rotolare e per un paio d’ore si firma un armistizio con la propria coscienza. Tiferò Francia, ma quando penso che Christine Lagarde è francese, mi viene voglia di mollare il formidabile Mbappé al suo destino e scappare sul piroscafo con l’arbitro di un secolo fa.

Dagospia il 18 Dicembre 2022.   Finalmente Messi! con una doppietta alla Francia, Leo regala all’Argentina il terzo mondiale e conquista l’unico titolo che gli mancava dopo i 7 palloni d’oro, le Champions e i campionati vinti in serie tra Barcellona e Psg. Messi diventa il primo a segnare negli ottavi, quarti, semifinale e finale di un mondiale. Una partita folle, epica, indimenticabile decisa ai rigori: l’Argentina avanti di due reti (Messi e Di Maria, l’uomo sempre decisivo nelle finali) si fa rimontare da una doppietta di Mbappe'. Poi nel secondo tempo supplementare la zampata dell’extraterrestre Messi a cui risponde “Pele’” Mbappe’ che realizza la sua tripletta personale. Ai rigori la mano di Emiliano martinez (e chissa’, forse anche quella di Diego da lassu’) regala la coppa a Messi

G.B.Olivero per gazzetta.it il 18 Dicembre 2022.   

Il mondo è di Leo Messi. L’Argentina batte la Francia 7-5 dopo i rigori nella finale più emozionante della storia e vince per la terza volta il Mondiale. La Seleccion ha dominato per 79’: 2-0 all’intervallo con le reti di Messi su rigore e Di Maria. Poi Mbappé, in 93 secondi, ha riportato la Francia in parità con un rigore e un meraviglioso tiro al volo. Nel secondo tempo supplementare ancora Messi ha segnato per l’Argentina e poco prima della fine nuovamente Mbappé (dal dischetto) ha pareggiato. I due fenomeni hanno incantato. E poi, ai rigori, gli errori di Coman e Tchouameni hanno condannato la Francia, mentre l’Argentina non ha sbagliato nemmeno una conclusione.

Scaloni sceglie la difesa a quattro, preferisce Tagliafico ad Acuna e soprattutto schiera Angel Di Maria dopo tre esclusioni consecutive. Deschamps recupera tutti gli influenzati e quindi si affida alla formazione titolare. La tensione si avverte in modo chiaro, nella prima parte della gara ci sono molti errori tecnici e tanti falli. Al 5’ Mac Allister calcia da fuori, ma il tiro è centrale. Poi una conclusione di De Paul viene deviata in angolo. La Francia fatica a costruire e sembra sorpresa dalla tattica degli avversari che giocano con più fluidità: Messi attira gli avversari sulla destra e poi la palla viene scaricata dalla parte opposta su un intraprendente Di Maria. Mbappé si vede per la prima volta al 14’, ma non riesce a concludere. La svolta arriva al 23’: Di Maria scherza Dembele, entra in area e si fa tamponare dall’avversario. Marciniak fischia il rigore che Messi trasforma spiazzando Lloris. La Francia non reagisce, sembra non avere le idee e la forza per rispondere agli avversari. E al 36’ ecco il raddoppio alla fine di una splendida azione: Molina respinge al volo un brutto lancio di Upamecano, Mac Allister serve Messi che stoppa e di esterno sinistro trova Alvarez, verticalizzazione per Mac Allister che dalla parte opposta trova Di Maria: il Fideo sentenzia Lloris con il piatto sinistro. Deschamps sostituisce il pessimo Dembele e un invisibile Giroud (mai cercato dai compagni) con Kolo Muani e Thuram cercando di dare una scossa che non si vede nemmeno nei sette minuti di recupero, nei quali l’unica cosa da rilevare è il cartellino giallo per Enzo Fernandez. Anche a inizio ripresa in campo c’è solo l’Argentina.

Al 4’ volée di De Paul su cross di Di Maria: blocca Lloris. La presenza di Martinez si nota al 7’, quando il portiere deve uscire per intercettare un corner di Griezmann. La produzione offensiva dei francesi è nulla. I sudamericani cominciano a perdere tempo in occasione di qualunque palla inattiva. Rabiot stende De Paul e viene ammonito. 

Al 14’ Lloris si tuffa per opporsi a un sinistro rasoterra di Alvarez. Anche in posizione da centravanti Mbappé non entra mai in gioco, i compagni non riescono a servirlo, l’Argentina riesce a chiudere tutte le strade verso la propria porta. L’ispiratissimo Di Maria serve Alvarez che con una splendida finta lascia scorrere per Messi, che conclude fuori. Su ogni ripartenza l’Argentina può far male a una Francia irriconoscibile. Scaloni sostituisce Di Maria con Acuna e comincia a coprirsi, forse un po’ troppo presto. Primo guizzo di Mbappé al 26’, ma il suo tiro finisce alto. Deschamps fa un altro doppio cambio: fuori Griezmann e Theo Hernandez, dentro Coman e Camavinga.

Sembra tutto inutile, ma all’improvviso la partita gira come nessuno avrebbe potuto immaginare. Ingenuità di Otamendi che si fa scavalcare da Kolo Muani e poi lo stende in area. Al 35’ Mbappé trasforma il rigore e fa sperare i tifosi francesi. E un minuto dopo succede l’incredibile: Coman ruba palla a Messi, Mbappé scambia con Thuram e realizza un gol spettacolare con un tiro al volo di destro. Lo stesso Thuram viene ammonito per simulazione poco dopo. Marciniak concede otto minuti di recupero e al 49’ Mbappé arriva al tiro dal limite, ma il pallone viene deviato in angolo. Sugli sviluppi del corner Coman dribbla secco un avversario e serve Rabiot che impegna Martinez. 

Al 52’ Messi prova a risolverla da solo, ma il tiro, seppur molto forte, è centrale e Lloris lo devia in angolo. Acuna stronca una ripartenza francese con un fallo su Coman e viene ammonito e poi l’arbitro fischia la fine. Si va ai supplementari. Scaloni inserisce Montiel per Molina, l’inerzia della partita si è improvvisamente spostata dalla parte della Francia e il tecnico dell’Argentina cerca di proteggersi meglio. Il quinto cambio di Deschamps è Fofana che prende il posto di Rabiot.

Marciniak risparmia qualche cartellino agli argentini che soffrono. Scaloni si affida a due “italiani”: Paredes e Lautaro subentrano a De Paul e Alvarez. Al 15’ grande occasione per Lautaro che, dopo un’azione di Messi e Mac Allister, ci mette troppo a tirare e si fa respingere il tiro da Upamecano, poi è Varane ad alzare di testa sopra la traversa su conclusione di Montiel. E nell’unico minuto di recupero Lautaro spreca di sinistro davanti a Lloris tirando fuori. L’Argentina riparte come aveva finito il primo tempo supplementare, cioè tirando: Messi impegna Lloris da fuori. E al 4’ Leo prova a prendersi il Mondiale: serve Lautaro davanti al portiere, Lloris respinge ancora e il 10 di destro insacca il tap-in più importante della sua vita. Deschamps schiera Konate al posto di Varane e chiede ai suoi giocatori l’ultimo sforzo per allungare la sfida ai rigori. Giallo per Paredes che entra durissimo su Camavinga. Scaloni mette Pezzella al posto di Mac Allister, ma pochi secondi dopo Mbappé calcia dal limite, Montiel ci mette il braccio ed è rigore. Al 13’ Kylian trasforma spiazzando Lloris: 3-3. E due minuti dopo un cross di Mbappé non viene toccato da Kolo Muani e per poco non finisce direttamente in porta. Scaloni pensa ai rigori e manda in campo Dybala al posto di Tagliafico, mentre Deschamps sostituisce Kounde con Disasi.

Al 18’ Martinez salva in modo pazzesco la sua porta su Kolo Muani lanciato solo davanti a lui e sulla ripartenza Lautaro spreca la quarta palla gol della sua serata deviando male un colpo di testa. Finisce 3-3, la coppa sarà assegnata ai rigori. Si calcia sotto ai tifosi dell’Argentina e il primo ad andare sul dischetto è Mbappé: gol. Tocca a Messi: rasoterra lentissimo, gol. Martinez intuisce la conclusione di Coman e para. Dybala rischia con un rasoterra centrale, ma segna: Argentina davanti. Tchouameni calcia fuori, Paredes segna. Kolo Muani insacca sotto la traversa. Montiel ha la palla del Mondiale e il suo rigore condanna la Francia: ha vinto l’Argentina, ha vinto Messi. 

Da corrieredellosport.it il 18 Dicembre 2022.   

Sostituzione clamorosa verso la fine del primo tempo della finale del Mondiale tra Argentina e Francia. Il commissario tecnico dei Bleus Didier Deschamps, vedendo i suoi in balìa degli avversari, ha deciso di rivoluzionare totalmente l'attacco, sostituendo Dembelé e Olivier Giroud al 40', ancora prima della fine del primo tempo.

L'attaccante del Milan, trascinatore della Francia in questo Mondiale con quattro reti che ne hanno fatto anche il capocannoniere assoluto dei Galletti, è uscito dal campo livido in volto, senza guardare in faccia il ct, facendo un gesto di stizza e dirigendosi subito a testa bassa verso la panchina. Al suo posto Marcus Thuram. Sui social si sta scatenando una bufera nei confronti di Deschamps: in tanti considerano la scelta del ct un'umiliazione non necessaria nei confronti del giocatore.

Da corrieredellosport.it il 18 Dicembre 2022.   

Bufera nella finale dei Mondiali in Qatar tra Argentina e Francia. È quella che si scatena all'81' quando Mbappé riporta i 'Bleus' in parità (da 0-2 a 2-2 grazie alla doppietta dell'ataccante del Psg) scatenando la reazione del suo ct Didier Deschamps, che si volta verso la panchina della 'Seleccion' per zittire platealmente gli avversari.

Dagospia il 18 Dicembre 2022.   Dall’account Twitter di Alessandro Antinelli

Alessandro Antinelli

C’è chi riesce a strumentalizzare anche la morte di Mario #Sconcerti per i suoi biechi interessi. Sono disgustato.

Perdona Mario e fai buon viaggio. 

Paola Ferrari

Stai zitto che è meglio

Alessandro Antinelli

Parlo quanto e quando voglio. Gli ordini dalli dentro casa tua e lascia riposare in pace Mario. 

Paola Ferrari

Mario era amico mio e non certo tuo. E quindi ti ripeto ancora una volta stai zitto che è meglio. 

Luigi il pugilista

Giornalisti che litigano su chi era più amico o meno di uno che è appena morto.

Fatevi curare. 

Alessandro Antinelli

Mai fatto.

Francia sconfitta ai rigori. L’ Argentina di Messi è campione del mondo. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 19 Dicembre 2022.

E’ stata la finale Mondiale più bella, almeno fin dove può arrivare la memoria o possono venire in soccorso i filmati del passato. Che sia accaduto al torneo più folle nella collocazione e più opaco nell’attribuzione, conferma che calcio e sport sanno trovare da soli la cura per salvarsi, quando tutto congiura contro.

Èstata una finale pazzesca: l’Argentina conquista il suo terzo Mondiale. Primo per Messi e primo dalla Selección dal 1986, quando c’era Maradona. Match a senso unico in avvio: l’Argentina domina e va sul 2-0 proprio con Messi e Di Maria. Clamorosa svolta a dieci dalla fine con la doppietta di Mbappé nello spazio di 97 secondi. Nei supplementari altri colpi di scena: segnano ancora Messi (doppietta) e ancora Mbappé (tripletta). Ai rigori è festa albiceleste: decisivi gli errori francesi e il rigore di Montiel

Una gioia incontenibile per il capitano argentino, autore di una doppietta in finale: “Ho desiderato tanto questa coppa, è la cosa più bella che ci sia. Chiudere la mia carriera con questo trofeo è impressionante”. E sul futuro con l’Argentina aggiunge: “Voglio giocare qualche partita da campione del mondo“. Per il ct Scaloni: “Dovrebbe giocare anche il prossimo Mondiale“

Lionel Messi non trattiene l’emozione ed esprime tutta la sua gioia dopo aver conquistato il suo primo Mondiale con l’Argentina, il terzo nella storia dell’Albiceleste. “Guarda cos’è, è bellissima – dice il n° 10, con la Coppa del Mondo in mano, ai microfoni di tutte le principali tv del mondo -. La desideravo tanto. Dio me l’ha voluta regalare, avevo la sensazione che fosse questo il momento giusto, abbiamo sofferto molto ma ce l’abbiamo fatta. Ora non vedo l’ora di essere in Argentina per vedere quanto sarà folle (la festa n.d.r.)”.

Autore di due gol nella finale contro la Francia e 7 complessivi in quest’edizione, il capitano dell’ argentina spiega, poi, l’importanza di questo trionfo: “Volevo chiudere la mia carriera con questo trofeo, non potevo chiedere di meglio. Grazie a Dio mi ha dato tutto. Chiudere quasi la mia carriera così, è impressionante…“, e sul suo futuro con l’Argentina aggiunge: “Sono riuscito a vincere la Copa América, la Coppa del Mondo. Amo il calcio, quello che faccio. Mi piace stare in Nazionale, il gruppo, voglio continuare a vivere qualche altra partita da campione del mondo”.

Scaloni: “Leo dovrebbe giocare anche il prossimo Mondiale”

Sul futuro di Messi si esprime anche il Ct Scaloni che vede lontano il ritiro dell’argentino. “A Leo dovrebbe essere riservato un posto anche per il prossimo Mondiale – dice l’allenatore in conferenza stampa -. Finché vorrà continuare a giocare, il numero 10 sarà sempre suo. Si è guadagnato il diritto di decidere cosa fare della sua carriera“.

“È stata una partita di grande sofferenza, lo sapevamo: non siamo riusciti a controllare la partita come dovevamo. Ma per diventare campione del mondo devi soffrire. Ho sempre sognato era vincere un Mondiale e ora non ho parole per descrivere la mia felicità”: in lacrime, Emiliano Martinez celebra la serata che ha incoronato l’Argentina campione del mondo e lui eroe della serata e miglior portiere della manifestazione , con la parata sul rigore finale di Coman. “Quando siamo andati ai rigori – ha detto il portiere dell’Aston Villa – ho detto ai miei compagni di rimanere sereni, perché un paio li avrei presi… Dedico questo trionfo alla mia famiglia e ai miei amici”.

Anche Dybala, l’attaccante della Roma, è in paradiso dalla gioia. È entrato a fine supplementari per calciare il secondo rigore, di importanza altissima dopo l’errore del francese Coman. “Quello che è successo oggi passerà alla storia – dice Paulo -. Quello che i tifosi ci hanno dato in questo mese è stato incredibile. Vogliamo sollevare la coppa e andare a festeggiare laggiù, a Buenos Aires“.

“Nemmeno nei miei sogni più belli pensavo a questo. La gente è felice, noi siamo felici. Non ci sono parole per descrivere tutto ciò”, è un Leandro Paredes raggiante dopo la vittoria del Mondiale. “Questo è un progetto che va avanti da più di quattro anni, abbiamo lavorato sodo per raggiungere questo obiettivo”, ha concluso il centrocampista della Juventus.

La sua gioia Lautaro Martinez l’ha voluta condividere su Instagram con una diretta che ha fatto vedere la festa argentina nello spogliatoio. “Una sensazione unica, c’è tantissima emozione. Si tratta di un sogno che avevo sin da bambino, non sono ancora in grado di spiegare quanta gioia c’è. Penso alla mia famiglia, al popolo argentino che ci aspetterà per festeggiare insieme. Il Qatar dista tanto dall’Argentina, ma qui sembrava di essere a casa, c’erano tanti tifosi e siamo riusciti a sfruttare anche quello. Siamo super contenti di alzare questa coppa”.

L’Argentina torna sul tetto del mondo 36 anni dopo l’ultima volta, quando nel 1986, in Messico, alzò al cielo il secondo titolo mondiale grazie a Diego Armando Maradona. Stavolta c’è Messi nella storia, finalmente eroe dell’Albiceleste dopo una carriera Nazionale in salita, in cui sembrava mancare d’incisività, tanto da essere costretto ad annunciare l’addio alla Seleccion nel 2016, per poi tornare sui suoi passi e andare a conquistare, con pazienza, la sua prima Copa America nel 2021. Una successo che ha aperto le porte ad un nuovo destino: quello dei vincenti, sigillato con ogni record in questo Mondiale. Il destino dei più grandi, comune solo a chi può prendere il proprio Paese per mano e portarlo alla vittoria. Da oggi c’è anche questo nella carriera di Leo Messi. 

Il presidente argentino Alberto Fernández che, anche per ragioni di cabala ha scelto di seguire la finale del Mondiale a casa con la famiglia, si è rallegrato oggi con i calciatori, il tecnico e con tutto il popolo argentino. Via Twitter Fernández, che ha pubblicato una foto davanti alla tv con la moglie e il figlio Francisco, ha prima scritto: “Grazie ai calciatori e all’équipe tecnica. Sono l’esempio che non dobbiamo mai scoraggiarci. E del fatto che abbiamo un grande popolo e un grande futuro!“. In un sintetico secondo tweet ha aggiunto: “Siempre unsieme, sempre uniti. Siamo campioni del mondo. Non ci sono altre parole. Grazie“.

E’ stata la finale Mondiale più bella, almeno fin dove può arrivare la memoria o possono venire in soccorso i filmati del passato. Che sia accaduto al torneo più folle nella collocazione e più opaco nell’attribuzione, conferma che calcio e sport sanno trovare da soli la cura per salvarsi, quando tutto congiura contro. Ne abbiamo viste tante, una finale a Natale ci mancava, francamente però non sentiamo il bisogno di un bis. La prossima edizione tornerà d’estate, in compenso si giocherà in tre Paesi (Canada, Stati Uniti, Messico) e avrà 48 squadre anziché 32. Tanto per rimanere in esercizio con le stranezze.

Leo finalmente campione (senza l'ombra di Maradona). Ha vinto sette palloni d'oro, sei Scarpa d'oro, ha il record di gol realizzati in un anno solare, è il maggior goleador di una nazionale sudamericana, ha conquistato 11 campionati e 4 Champions. Gli mancava una cosa sola, se l'è presa. Tony Damascelli il 19 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Prima o poi. La sognava, la voleva, infine l'ha presa. A trentacinque anni Lionel Andrés Cuccittini ritorna bambino, i suoi compagni piangono, lui sorride e agita le braccia a salutare il popolo che aveva goduto e poi tremato, l'onda albiceleste si muove ubriaca di gioia, Celia Maria, la madre di Lionel, lo stringe al petto, lo bacia, lo accarezza.

Il Qatar nulla sapeva e nulla sa davvero del football, ieri sera ha scoperto il fascino esclusivo, impossibile di questo sport, esaltato dai campioni, acceso dalla giovinezza feroce di un ventiquattrenne di Francia, illuminato dalla classe di un ragazzo uomo già carico di ogni medaglia ma adesso più ricco di qualunque emiro o sultano. Proprio costoro, i padroni del mondiale e del mondo, se la spassano avendo alle proprie dipendenze entrambi gli eroi di una finale leggendaria, come ItaliaGermaniaQuattroatre di cui si conserva lapide all'Azteca di Città del Messico.

Parigi val bene un Messi, oltre che un Mbappé. Leo è il felino, non aveva bisogno di questo titolo per essere considerato il re della foresta pallonara, Leo è IL, non un fuoriclasse, i paragoni con l'altro fenomeno argentino dei favolosi anni, hanno stancato in una nenia fastidiosa, sono ormai coriandoli bagnati, Messi era, Messi è, Messi ha vinto sette palloni d'oro, sei Scarpa d'oro, ha il record di gol realizzati in un anno solare, è il maggior goleador di una nazionale sudamericana, con il Barcellona ha conquistato dieci campionati, sette coppe del re, otto supercoppe, trasferitosi in Francia ha proseguito con il Paris St. Germain vincendo un campionato e una supercoppa, in Europa quattro champions, tre supercoppe Uefa, tre coppe del mondo per club e con la nazionale un oro alle olimpiadi, il mondiale under 20, una coppa America, un coppa Conmebol-Uefa.

Di che altro si dovrebbe scrivere per allestire dibattiti? L'argenteria di Lionel Messi ribadisce che il titolo conquistato ieri è soltanto il completamento di una storia, di un campione, di un ragazzo che si è liberato di un'ombra verso la quale si deve rispetto ma che appartiene definitivamente al passato, ad un'epoca differente, a un uomo diverso.

Finalmente. Sfatata una Maledizione diventata tradizione. Trentasei anni dopo Maradona fa festa un Paese nel nome di Messi e Martinez. Riccardo Signori il 19 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Non poteva bastare un Angel (Di Maria) per trascinare fuori dalla maledizione l'Argentina e Lionel Messi. C'è voluto un San Martinez, portiere volante di mani e di piedi, per regalare al capitano l'apoteosi nello stadio Iconic. Il Qatar aveva previsto tutto tra iconici e Iconic, una finale così nemmeno l'avessero pagata. No, di tutto si può dubitare ma non di una finale sgorgata nella sincerità del calcio, con un arbitro divagante nelle valutazioni, due ragazzi faccia da campioni a giocarsela mostrando il meglio del repertorio, e mezzo mondo e forse più contro la Francia, non proprio miss simpatia, del Macron dapprima imbellettato in giacca, poi scamiciato tra sorrisi, sudori, fin alla delusione finale provocata da rigoristi dai piedi morbidi.

La maledizione, fors'anche tradizione, ha vegliato su questa partita dove Mbappè inseguiva il Pelè del doppio mondiale e Messi la prima volta proprio nell'ultima volta. Sofferenza e riverenza per un calcio che ha mantenuto le promesse: Lionel soffri ma poi vinci, Kylian e Francia avete già avuto. Storia da giocarsi e ricordarsi nel segno della M che diventerà come la Z di Zorro: vince Messi che ha raggiunto Maradona in un Mondiale mettendo a terra, come un pugile all'ultimo pugno, il campione Mbappè, sospinto dal Di Maria El Fideo in cui aver fede ma soprattutto dal Martinez portiere che di nome fa Emiliano e non Lautaro (Martinez, sempre questa M) destinato ai gol che contano e che stavolta si è mangiato occasioni che contavano, ma ha spinto Messi all'ultima rete finché il Montiel Gonzalo Ariel, difensore del Siviglia, non ha segnato il rigore della liberazione. Mettiamoci pure il Macron sgonfiato come un soufflé e il Marciniak, arbitro dai rigori pro e contro.

Maledizione e liberazione sono stati tutt'uno nello scorrere del protagonismo di questa partita e di tutto il mondiale: l'Argentina che si strappa la rabbia accumulata dal 1986 ad oggi quando Maradona la lasciò campione e più nessuno era stato capace di accompagnarla su quel podio dove ieri è salito come fosse un Maradona sui generis Emiliano Martinez, detto Dibu, portiere da mani e piedi che ipnotizzano: soprattutto i rigoristi. Fair play a parte, un grande portiere che si prende la rivincita sul Paese che ha sempre e soltanto pensato ai piedi d'oro.

Sembrava un finale già scritto, ma la Francia ha provato fino in fondo a rovinare il copione: Messi che lascia il mondiale e finalmente vince il titolo, Messi che segna e diventa il miglior giocatore del mondiale. Mbappè ci ha provato a suon di gol, e con lui la Francia a caccia del raddoppio, a distanza quadriennale, permesso solo a Italia e Brasile. Peccato che Kolo Muani (a proposito di M) abbia tagliato gambe e speranza mandando al Diavolo, sarà stata una lontana influenza dell'Angel avversario?, palloni che sembravano già in rete.

Così sfumano in lontananza vincitori e vinti, Maledizioni e tradizioni. Ed anche i morti che hanno impestato la storia di questo mondiale. Mettiamoci pure l'ultimo vincitore di una tradizione da strappare: il cantante canadese Drake che si era giocato un milione sul successo sudamericano. Era tristemente noto per portare sfortuna ai favoriti delle sue scommesse. Messi e l'Argentina hanno battuto anche questa maledizione.

Il piede de Dios e una partita vinta tre volte. La "M" di Mondiale fa rima con Messi che corona la carriera vincendo una finale da leggenda contro il super Mbappé. Davide Pisoni il 19 Dicembre 2022 su Il Giornale.

La «M» di Mondiale fa rima con Messi che corona la carriera vincendo una finale da leggenda contro il super Mbappé. L'Argentina l'ha dovuta conquistare tre volte la sua terza coppa del Mondo: sul due a zero, poi sul tre a due e infine ai rigori. È la realizzazione mondiale di Leo, da ieri in un paradiso terreno senza fine fuori dall'ombra di Diego: il piede de dios. Il predestinato Kiki è da ieri in un purgatorio da cui uscirà alla sua maniera, a una velocità illegale, ma senza raggiungere Pelé.

I due 10 nel deserto si sono sfidati a suon di gol e di record battuti. Immaginarli tra dieci giorni insieme al Psg è uno sforzo di fantasia disumano. Loro sì, di un altro pianeta: hanno confermato di esserlo nel rettangolo verde, ricavato tra la sabbia a suon di miliardi. A loro diciamo grazie perché hanno rimesso il pallone al centro tra fasce arcobaleno, mani sulla bocca e scene mute agli inni.

Gianni Infantino l'unico che ha parlato troppo, che ha messo da parte i diritti umani e i lavoratori morti. Uno show unico chiude il Mondiale che è stato precursore di quel Qatargate, che sta sconvolgendo l'Europa politica con le valigie piene di soldi, ma che sarebbe bastato poco per evitare se si fosse capito cos'era successo nella Fifa dodici anni fa per assegnare i mondiali 2022. Il Qatar minaccia ritorsioni all'Ue, destinata a fare la fine del pallone: in mano agli sceicchi, che ieri hanno scoperto la bellezza del calcio.

L'Argentina ha accarezzato la coppa per un'ora con Di Maria. Mbappé ha riacceso la Francia e ha reso l'ultimo atto epico, con la liturgia dei supplementari. Leo con tanto di tecnologia, Kiki con un tris, capocannoniere del torneo, hanno trascinato il mondo in un'altra dimensione, ai rigori. In una narrazione da antologia i due giganti hanno segnato i primi tiri.

Poi hanno affidato l'immortalità sportiva ai compagni. Infallibili quelli della Pulce. E così Messi batte per sempre CR7, che secondo Evra potrebbe ritirarsi, soprattutto pareggia il conto mondiale con Maradona e lo supera per titoli. L'abbraccio della mamma, non la vestizione da sceicco, prima di alzare la coppa di mvp e quella del Mondo, è la foto di una storia irripetibile.

Messi e la tunica che macchia la storia. Giovanni Capuano su Panorama il 18 Dicembre 2022.

L'argentino ha alzato la coppa con addosso il Bisht tradizionale fattogli indossare dall'emiro del Qatar. Tradendo regolamento, sponsor e unicità del momento

La tunica con cui Lionel Messi ha alzato al cielo la coppa del Mondo appena conquistata dall'argentina è una macchia incancellabile sul mondiale del Qatar. Anche se si tratta di un abito tradizionale indossato dalle grandi personalità in grandi momenti, quasi riconoscendo all'argentino il rango di regnante sull'impero del calcio. Il Bisht fatto mettere dall'emiro in persona, con il presidente della Fifa Infantino compiacente, è una macchia che non si potrà cancellare perché mutila di simboli un momento unico nella storia di un uomo e di un popolo, quello argentino. E' contro il regolamento, che non prevede deroghe all'abbigliamento (anche nelle premiazioni) come la Fifa ha rigidamente imposto in Qatar. Beffa lo sponsor tecnico oscurato nel momento di massima esposizione e valorizzazione del proprio enorme investimento. Celebra il paese ospitante, la sua cultura e tradizione, violando uno spazio e un tempo unici per Lionel Messi e l'Argentina. Una violenza più che un atto di cordialità. Uno sfregio che la Fifa avrebbe avuto l'obbligo di impedire fermando l'emiro. I soldi da ora possono davvero tutto, anche comprarsi il momento iconico della vittoria di un Mondiale.

Messi per sempre. Giovanni Capuano su Panorama il 18 Dicembre 2022.

Leo trascina l'Argentina al titolo mondiale 36 anni dopo Maradona e raggiunge il Pibe de Oro nell'olimpo degli immortali. Ora può dire davvero di essere il numero uno

 Si è preso tutto in una notte, Lionel Messi: Coppa del Mondo, gloria eterna, riconoscenza di un intero popolo e anche passato e futuro di una carriera straordinaria che rischiava di restare per sempre quella del secondo dopo Diego, incapace di salire l'ultimo gradino dell'Olimpo degli dei del calcio. Ha fatto tutto in tre lunghissime, strazianti, bellissime, agoniche ore di calcio, Lionel Messi. La sua Argentina è tornata sul tetto del Mondo 13.321 giorni dopo la coppa alzata da Maradona al cielo di Città del Messico e lo ha fatto in coda a una finale che ricorderemo per sempre, uno dei più bei spettacoli che il fùbtol abbia mai regalato in un secolo di storia. C'è stato dentro tutto nella sfida con la Francia di un enorme Mbappé (tripletta inutile, ma il prossimo decennio sarà tutto suo): l'euforia del dominio, il terrore della rimonta, l'ardore della resilienza e il coraggio dei singoli. Non solo di Messi, che ha spinto i suoi compagni oltre l'ostacolo firmando il primo vantaggio da rigore e quello illusorio del 3-2 col piede sbagliato - quando i francesi parevano in soprannumero. E' stata la notte di Emiliano Martinez e della sua parata senza logica a un secondo dalla fine dei supplementari, quella di Di Maria che ha gettato stampelle e vecchiaia per dipingere calcio fino a quando Scaloni non lo ha tolto (sbagliando) nel momento del dominio. E' stata la notte di Montiél che sarà ricordato in esterno dagli argentini, il loro Fabio Grosso che ci regalò nel 2006 la vittoria contro una Francia incapace di conquistare la coppa se si arriva alla sfida dal dischetto. Tutti ispirati da Lionel Messi che ha vissuto il mese in Qatar reincarnando lo spirito di Maradona del 1986, ha elevato tutti al suo rango e si è anche messo al servizio dei compagni.

Mai trionfo è stato più meritato. Messi ha raggiunto Maradona laddove si trova, in un luogo magico in cui ci sono solo quelli che hanno fatto la storia del calcio. Forse lo ha anche superato, adesso che la Coppa del Mondo arricchisce la sua personale bacheca, proprio perché per arrivare all'obiettivo ha dovuto ripercorrere le tracce di Diego 36 anni dopo. Suo il gol al Messico che ha rianimato una nazionale stordita dal ko iniziale. Sue le magie con l'Australia e poi la faccia dura messa su nella corrida con l'Olanda e suo l'imprinting sulla semifinale dominata con la Croazia. Sarà stato meno appariscente di Maradona impegnato nel duello con il resto del Mondo all'Atzeca, ma il senso è lo stesso: si è caricato sulle spalle il peso di tutti e lo ha portato al traguardo. I paragoni con Maradona hanno poco senso, dal punto di vista tecnico e da quello umano. Inutile contare i trofei e i gol segnati, tutti a vantaggio della Pulce in un calcio lontano anni luce da quello del Pibe. Non si può usare il metro dell'aritmetica ma bisogna affidarsi al cuore. Lionel Messi ha emozionato così come faceva Diego Armando Maradona. Ha toccato il cuore di tutti, anche dei non argentini. Ha scritto il finale più letterario di una storia unica e consegnato all'Argentina un trionfo che sa di riscatto anche sociale. Il legame era indissolubile, non per volontà altrui ma perché gli argentini per primi a lui chiedevano di essere questo: la reincarnazione di Diego. E' possibile che la carriera gli riservi altre soddisfazioni e successi. Magari un altro Pallone d'Oro da aggiungere alla collezione, oppure la Champions League che gli sfugge beffarda dalla notte di Berlino 2015, quella delle lacrime juventine. Qualunque cosa accada da qui in poi, però, nulla potrà replicare l'apice toccato a Doha. Non c'era niente di normale nella sfida che Messi ha dovuto affrontare dentro questo Mondiale e nulla di normale c'è stato. Per comprenderlo fino in fondo bisognerebbe scomodare categorie superiori. Se Maradona è stato il D1OS del calcio, Messi ha avuto tutti gli déi dalla sua parte. Non per privilegio, ma per senso di appartenenza. Immortale, come lo spettacolo di questa finale che non si potrà dimenticare.Goat debate. Leo Messi non aveva bisogno dei Mondiali per essere il più forte di tutti. Alessandro Cappelli su L’Inkiesta il 18 Dicembre 2022.

La vittoria con l’Argentina ai Mondiali in Qatar è il coronamento di una carriera lunghissima, vincente, inimitabile

Al rigore di Montiel ha esultato tutta l’Argentina, tutti i tifosi, i giocatori in campo, la panchina intera, mentre il ct Lionel Scaloni attraversava lo stadio per salutare la famiglia in tribuna. Nell’esultanza, mentre i giocatori della Francia guardavano nel vuoto cercando di consolarsi, quelli dell’Argentina erano in lacrime, si cercavano e si abbracciavano, piangevano tutti. Tutti tranne uno. Lionel Messi non piangeva. Sembrava più travolto da una felicità primordiale che somiglia a una liberazione: è la vittoria più cercata, più voluta, più attesa. L’unica che ancora mancava. La perfetta chiusura del cerchio.

La finale era stata presentata come la partita che avrebbe consegnato all’eternità Leo Messi in caso di successo, il capitolo finale dell’interminabile dibattito su chi sia il Goat – Greatest Of All Time –, il più grande di tutti i tempi. La sua risposta in campo sta in una prestazione in cui è sembrato levitare alcuni centimetri sul prato del Lusail Stadium per almeno un’ora, sta in quei tocchi di prima con cui organizzava i compagni e prendeva in controtempo il pressing francese, sta nei due rigori – uno in partita e uno nella lotteria finale – battuti con la fiducia di chi non può sbagliare.

Eppure non ce ne sarebbe stato bisogno, Messi non aveva bisogno di questa vittoria per essere il migliore. Se la partita fosse finita diversamente, se avesse vinto la Francia, se l’Argentina avesse perso ancora una volta in finale, Messi sarebbe ugualmente il campione immortale che è stato negli ultimi quindici anni.

Una competizione di sette partite, disputata ogni quattro anni, episodica come solo i tornei a eliminazione diretta sanno essere, non può bastare a mettere in una prospettiva diversa l’intero arco narrativo di un talento generazionale. Sarebbe un cortocircuito logico inaccettabile.

È un equivoco costruito negli anni attorno a un calciatore premiato a ripetizione dal campo e dalla critica, ma costretto a vivere un eterno confronto con altri campioni: il confronto contemporaneo, sanguigno, stellare con Cristiano Ronaldo, a chi fa più gol, vince più Palloni d’Oro, più Champions League, e il confronto ancora più pesante con un fantasma del passato, con l’astrazione di Diego Armando Maradona e del suo ricordo, soprattutto del suo titolo mondiale del 1986.

Per anni l’Argentina ha rinfacciato alla Pulce di essere andato via di casa troppo presto, troppo piccolo, troppo poco argentino forse. Così le sconfitte dell’Albiceleste diventavano le sconfitte di Messi come per metonimia, una scusa per giustificare le delusioni di una nazione mentre Messi con il Barcellona faceva razzie di titoli.

L’estate scorsa Leo è riuscito a battere un colpo vincendo la Copa América al Maracanã. Adesso, in Qatar, ha definitivamente rotto la maledizione, ha cancellato ogni velleità di critica, non può esserci più niente sopra di lui.

C’è stato un momento, subito dopo il gol del 3-2 che sembrava aver deciso la partita, in cui Messi ha aizzato i tifosi argentini lanciando le braccia al cielo, vestendosi da capo popolo, líder máximo, caudillo. In quel momento Messi è andato oltre se stesso. Non aveva mai chiesto di diventare il salvatore della patria né una guida suprema. Anzi, il suo talento è sempre sembrato fare a pugni con un carattere tranquillo, timido, introverso. Negli anni il confronto con Maradona è stato viziato da un’epica che Diego sobillava anche con la politica – la vittoria uno contro tutti con l’Inghilterra ai Mondiali del 1986 avrebbe avuto lo stesso impatto senza lo scontro per le Falkland/Malvinas sullo sfondo? – mentre Messi la appiattiva sul campo mentre sfondava le difese avversarie, dall’Elche al Real Madrid, in Spagna come in Europa, con la monotonia e la semplicità di chi vince per manifesta superiorità.

Il calcio non avrebbe gli strumenti per individuare il più forte di tutti senza ricorrere almeno a un pizzico di soggettività contestabile, non ci sono parametri universali per giudicare giocatori contemporanei, come lo sono Leo Messi e Cristiano Ronaldo, figuriamoci se si può stabilire il più forte tra giocatori di epoche diverse, le cui carriere sono determinate da metodi di allenamento, stili di gioco, contesti tattici e tecnici non paragonabili. Il calcio di oggi sembra già molto diverso da quello degli anni Duemila; quello degli anni Ottanta di Maradona sembra Medioevo, l’epoca di Pelé che vince i Mondiali da teenager e poi non ancora trentenne è preistoria.

Per anni Messi è riuscito a imporre il contesto di gioco in ogni partita, a essere un sistema a sé stante attorno a cui far ruotare tutto il resto, indipendentemente da chi ci fosse nei paraggi, avversari e compagni. Al Barça ha condiviso l’attacco con Ronaldinho, Eto’o, Henry, Suarez, Neymar, Ibrahimovic, Griezmann, Dembélé: è sempre stato il centro del mondo delle sue squadre da quando è stato in grado di reggerne il peso. E lo è ancora oggi. In questo mese in Qatar, Messi ha dominato in modo diverso rispetto a inizio carriera, o come avrebbe fatto anche solo cinque o sei anni fa: stavolta ha dovuto fare ricorso più spesso all’arte dell’inganno e della pausa per compensare quel che il fisico non può più concedergli in termini di esplosività e resistenza.

In questo Mondiale è racchiuso il senso della sua straordinaria longevità, che gli permette a 35 anni di essere ancora il giocatore più decisivo del mondo nonostante l’usura e gli evidenti segni del tempo sul suo gioco. Bisognerà aspettare forse il suo ritiro per mettere nella giusta prospettiva tutti i record, i primati e le vittorie della sua carriera.

Ci si dimentica troppo facilmente che nel 2009 ha vinto la sua prima Champions League da protagonista assoluto con il Barcellona, e ancora nel 2018/19 ha chiuso la Liga spagnola con trentasei gol e quattordici assist in trentaquattro partite, più dodici gol e tre assist in dieci partite di Champions League. In mezzo ci sono altri innumerevoli momenti e periodi di onnipotenza senza senso: nel 2012 la Pulce ha superato il record di gol realizzati in un anno solare, tra Barcellona e Argentina, frantumando il primato detenuto da Gerd Müller.

Per Messi quello che potrebbe essere il picco, il prime della carriera di un campione, è un plateau che attraversa tre decenni e si decora di titoli e trofei stagione dopo stagione. La vittoria di oggi dovrebbe suggerire che Messi non solo non è paragonabile ai campioni del passato, ma in ogni discussione su chi sia il più grande di tutti i tempi dovrebbe partire almeno con il vantaggio di una carriera impareggiabile.

Emiliano Guanella per “la Stampa” il 18 Dicembre 2022.    

Non c'è niente di più argentino che il concetto «dell'allegria per il pueblo» e non c'è nulla di più forte del calcio per giungere, quasi per magia, a questo sentimento di euforia collettiva. Nel primo Mondiale senza Maradona la selección del Messi più maradoniano di tutti i tempi ha incendiato la passione di un Paese che arriva alla fine dell'anno stremato dall'ennesima e gravissima crisi economica.

Nell'ultimo mese l'inflazione è stata del 5%, su scala annuale è del 96%, un deprimente record mondiale, ma questo a nessuno importa più. Il futbol, qui, è pasión, ode nazionalpopolare, laboriosa conquista emozionale fatta di sforzi, talento e sacrifici. 

Non a caso oggi molti benedicono l'Arabia Saudita, quella debacle che ha obbligato i ragazzi di Scaloni a fare a pugni con la realtà. Da quasi favoriti a villani, da eroi predestinati ad oggetto degli sfottò dei brasiliani e dell'ironia di molti europei, tutto sembrava un film già visto; la celeste y blanca che si squaglia sul più bello e relega Messi all'ennesima delusione. 

Ma è arrivato l'orgoglio e l'etica del «paso a paso» di Basilesca memoria (da Aldo Basile, bicampione della Copa America ai tempi di Batistuta), testa bassa e a lavorare, trascinati da una Pulce in stato di grazia. Se i ragazzi a Doha ce la stavano mettendo tutta, in patria non si poteva essere da meno. 

I bambini delle scuole elementari con la maglietta sotto il grembiule bianco, i negozi con le bandiere al posto di Babbo Natale. È il primo Mondiale con la splendida primavera in fiore dei jacarandà, sono stati sistemati maxi schermi in piazze e parchi, i datori di lavoro hanno fatto uscire prima i loro dipendenti, nessuno si è dovuto fingere malato. 

Tutti i politici, dall'impopolare presidente Alberto Fernandez in giù, hanno approfittato della situazione, per un mese nessuno a reclamare della corruzione o della violenza, nessuno a chiedere perché nel granaio del mondo un bambino su due è malnutrito. Pane e circo, può dire chi da queste parti non è mai venuto e come dargli torto. Poco importa, l'hastag «Argentina, non sforzarti a capirla» ha fatto capolino in centinaia di video che ritraggono l'illogica follia mundialista. 

Gente che ha venduto l'auto per volare a Doha, chi ha perso il lavoro, la abuela (nonnetta) portata in trionfo su Tik Tok, la foto del pensionato di 82 anni di Entre Rios che si è piazzato con la sdraio davanti al negozio chiuso di elettrodomestici del suo paese per poter vedere la partita con l'Olanda davanti ad una tv da 52 pollici; tre giorni dopo gliene hanno regalata una nuova di zecca. C'è il nuovo inno cantato dal gruppo La Mosca, che parla dei ragazzi della guerra delle Malvinas e delle lacrime versate nelle tre finali perse tra 2014 e il 2020. 

La maledizione spezzata con la Copa America vinta contro i "brazucas" nel Maracanã, Lionel Andrés che fa la pace con la bacheca e accende il motore della Scaloneta. 

La chiosa del brano è una fitta al cuore, c'è il dolore della perdita e la felicità per il passaggio delle consegne, dramma e nostalgia, come in un tango. «C'è Diego, nel cielo lo possiamo vedere, è con Don Diego e con la Tota, a tifare per Lionel».  

Il riconoscimento per il percorso realizzato è generale, molti andranno a salutare la selección all'aeroporto anche se perderà. Messi ha messo finalmente a tacere tutti quelli che lo criticavano, sapendo diventare leader e condottiero anche con la pelota ferma. Quel "Que mirás bobo?" (cosa guardi, fesso?) al malcapitato oranje Weghorst è la quinta essenza della sua trasformazione maradoniana, l'abbraccio finale con la parte più passionale e virulenta del tifo, con buona pace dei moralisti di turno. 

 «La rabbia è il mio combustibile», diceva Diego e oggi quella rabbia è l'emblema della squadra che si sente pronta, senza trionfalismi ma senza paura a sfidare Mbappé e compagni. L'atroce incanto di essere argentini, diceva anni fa lo scrittore Marcos Aguinis, quel mix di emozioni e momenti sempre contrastanti, di gioie e dolori, di cadute e risalite. Il Paese dei cinque premi Nobel e della dittatura più sanguinaria d'America, di Quino e dei default a ripetizione. 

I sociologi stanno analizzando a fondo l'oasi di felicità pallonara che si sta vivendo nel mezzo del Titanic generale. «Il sentimento più diffuso rispetto al momento economico e politico del Paese - spiega Nicolas Rotelli - è la tristezza. Il calcio ha regalato una luce di sollievo in questo buio generale». Erano tutti pronti per un altro Natale con litigi in famiglia, giovani senza lavoro e anziani con pensioni da fame. Problemi che rimangono, questo è chiaro, ma il clima ora è un altro. 

È bastato, per così dire, il genio di Lionel, ma anche la freschezza di Julian Alvarez, la guapperia del Dibu Martinez, la modestia di Scaloni e dei suoi collaboratori Samuel, Ayala ed Aimar, tutti molto amati dai tifosi. Manca solo un passo ed è il più importante, ma comunque vada l'anno per gli argentini si è magicamente raddrizzato.

Estratto dell'articolo di Emanuela Audisio per “la Repubblica” il 18 Dicembre 2022.   

 […] Le ultime cartoline dal primo mondiale arabo d'inverno dicono che è stato molto simile a un'Olimpiade. Tutti insieme appassionatamente in una sola città. Quasi a chilometro zero. Non era mai successo, né ricapiterà, nel 2026 se lo divideranno tre nazioni con fusi, monete diverse e lunghe distanze (Canada-Messico-Usa).  

Era facile organizzarlo? Sì. Ma bisogna dire che tutto ha funzionato e che la gente è arrivata: gli stadi, tranne uno, erano raggiungibili con metropolitane veloci e moderne […], i tantissimi volontari […] hanno dato informazioni giuste e il divieto di bere alcolici in strada che tanto ha dato fastidio alla fine ha prodotto notti pacifiche e per la prima volta nella storia nessun tifoso inglese arrestato (non è una barzelletta). 

[…] Invece in Sudafrica 2010 c'erano state aggressioni e furti come in Brasile 2014. […] Le notti post-partita sono stati piacevoli, anche per il buon clima (meteo) e perché Doha anche all'alba si è rivelata una città aperta. […]

Si è protestato molto all'inizio, ma ora che il mondiale si chiude non varrebbe la pena di chiedere e di informarsi su che fine hanno fatto i giocatori iraniani che hanno rifiutato di cantare l'inno e sulla sorte dell'ex calciatore Amir Nasr-Azadani, condannato a morte? O certi diritti non meritano i supplementari? Si è parlato di un mondo arabo che oscura le donne, vero, ma all'università il numero delle studentesse è il doppio di quello degli uomini, e la quota femminile lavorativa è del 37%.  

Vero che la nazionale femminile di calcio, nata nel 2009, quando il Qatar preparava la sua candidatura e bisognava presentarsi al mondo con un po' di rispettabilità, ha giocato l'ultimo incontro nel 2014, e da otto anni è scomparsa, nemmeno all'Aspire Academy (centro sportivo più importante) c'è un programma per le donne. 

Anche per questo si parla di sportwashing […] Ma vero anche che il progressista Occidente ha portato al mondiale un calcio dove le donne non esistono: solo un'arbitra è scesa in campo, e tra le 32 squadre solo Spagna e Croazia hanno due team-manager (Navas e Olivari). […] 

Il Qatar vorrebbe le Olimpiadi del 2036, l'Arabia Saudita i mondiali del 2030 e ha già ottenuto i Giochi invernali asiatici del 2029, a Neom. […]Certo, costerà. 500 miliardi di dollari. Altro che lavaggio, qui siamo al programma centrifuga. In attesa della fusione nucleare, buona domenica. E shukran.

Maurizio De Santis per fanpage.it il 19 dicembre 2022. 

Lionel Messi alza lo sguardo al cielo e invoca l’intervento provvidenziale dell’ex Pibe.

Gonzalo Ariel Montiel ha gli occhi di tutti il mondo puntati addosso. La responsabilità di battere il calcio di rigore che può decidere la finale di Coppa del Mondo è sulle sue spalle, nei suoi piedi. Dentro di sé ha un groviglio di emozioni ma deve mantenere la calma: ha l'occasione di togliersi dalla coscienza (anche) il peso di aver commesso al 116° il fallo punito dall'arbitro Marciniak con il penalty del 3-3 di Mbappé. 

Un tiro, manca solo la sua conclusione per mettere le mani sul trofeo tanto ambito, sfuggito nel 2014 contro la Germania, sfumato nel 2018 al cospetto proprio della Francia negli ottavi di finale. Prima di lui, con precisione e freddezza, hanno segnato Lionel Messi, Paulo Dybala e Leandro Paredes. 

Montiel spiazza Lloris, segna il rigore che dà la vittoria dei Mondiali all’Argentina.

Il portiere Damián Emiliano Martínez Romero, alias Dibu, ha fatto già quel che poteva per innervosire e ipnotizzare i francesi: ha intuito e quasi parato la prima conclusione di Kylian Mbappé con la mano di richiamo; intercettato il tiro di Kingsley Coman con destrezza; disturbato Aurélien Tchouaméni abbastanza da rendergli più difficile presentarsi sul dischetto, compiendo l'ennesimo errore. 

Dibu Martinez miglior portiere dei Mondiali, ma col trofeo ha una cattiva idea (in mondovisione)

Tocca al terzino destro del Siviglia, la tensione si taglia a fette. In carriera si è presentato 5 volte dagli undici metri, l'ultima risaliva al 9 maggio 2021 in coppa nazionale argentina. Allora vestiva la maglia del Rivera Plate, nell'estate successiva sarebbe passato agli andalusi. Non ha mai sbagliato e questo un po' lo ha aiutato a trovare il coraggio, aggrappandosi alla sua particolare interpretazione di quei momenti. Si piazza in posizione un po' defilata rispetto alla palla per calciare di destro e quasi sembra guardare altrove per non incrociare lo sguardo del portiere e concedere alcun margine d'intuizione all'avversario.

La telecamera stacca su Messi, lo inquadra mentre è abbracciato ai compagni di squadra a centrocampo. Tutti uniti per darsi forza nella buona e nella cattiva sorte. E fa qualcosa che dà un'aura di misticismo a quella situazione. Aveva già realizzato il calcio di rigore simulando il modo di calciare dell'ex Pibe de Oro, omaggio e devozione verso Maradona ne scandiranno anche quell'invocazione che è anche preghiera. 

Alza gli occhi al cielo e, da Dieci a D10s, chiede il suo intervento provvidenziale perché ci metta ancora una volta la sua mano divina. Perché aiuti Montiel a restare concentrato e fare gol. "Vamos Diego, daselo!" dice la Pulce e un istante dopo serra i pugni e le braccia in segno di vittoria.

In tribuna, Victor Hugo Morales, il radiocronista di Radio Nacional, lui che raccontò del "barrilete cosmico" esaltando le gesta di Maradona a Messico 86, descrive con pathos cosa sta accadendo. "L'Argentina ora deve capitalizzare i due gol di vantaggio… Montiel va a calciare il quarto rigore per la squadra argentina. Con l'Argentina avanti di due gol, l'Argentina si prepara a esultare, vediamo… Montiel prende le rincorsa, corre, tira, vaooooooooooool". 

L'Argentina è in estasi, Morales celebra la solennità di quella rete e di quel trionfo accostando Messi a Maradona. Parole che fanno venire la pelle d'oca al popolo albiceleste e a chi se ama il Dieci non dimentica. "È quello che voleva tutto il mondo del calcio – ha aggiunto -. Che Messi dicesse addio con la Coppa del Mondo tra le mani. Dio è Maradona e Messi è il messia. Diego è in paradiso e Messi sulla terra per realizzare questa favolosa storia che amiamo".

(ANSA il 18 dicembre 2022) In centinaia a seguire la partita, tra boati e brusii di delusione, poi l'esultanza incontenibile nel cuore di Napoli per il successo ai Mondiali dell'Argentina, la nazionale che all'ombra del Vesuvio si ama nel nome di Diego. La festa è scattata stasera nello slargo dei Quartieri Spagnoli ormai diventato Largo Maradona, dove una folla straripante ha esultato alla vittoria ai rigori di Messi e compagni. E' la festa dei napoletani che si sentono calcisticamente argentini, ma anche degli argentini di Napoli che hanno scelto i Quartieri per la festa davanti al grande ritratto di Maradona.

Cori per Diego, e per Messi, cori di quello stadio ormai intestato a Diego. E anche centinaia di bandiere, di giovani con la maglia dell'Argentina, con quella del Napoli e anche con quella del Boca Juniors, una delle squadre del Pibe de Oro. 

La folla in festa dopo i rigori ha invaso una buona parte dei Quartieri Spagnoli, mischiandosi ai turisti che stasera hanno sentito i cori per l'Argentina e per l'ex asso azzurro intonati a tutto volume dalle casse acustiche dei bar. Polizia e carabinieri sono intervenuti per garantire l'ordine pubblico costituendo un senso unico tra i vicoli per consentire l'omaggio al ritratto di Diego e uno svolgimento ordinato della festa che andrà avanti per tutta la sera tra i vicoli dei Quartieri Spagnoli.

Da corriere.it il 19 dicembre 2022.

Una folla immensa si è riversata per le strade di Buenos Aires per festeggiare la vittoria dell'Argentina ai Mondiali in Qatar. Una vera e propria marea umana ha invaso le strade attorno all'iconico obelisco della Capitale: la festa con balli, canti e fuochi d'artificio è andata avanti fino a notte fonda.

Estratto dell’articolo di Enrico Currò per “la Repubblica” il 19 dicembre 2022.

L'argentino più illustre, Papa Francesco, tifoso del San Lorenzo e del bel gioco, la partita non l'ha vista: nel suo appartamento non ha neanche il televisore. […] Questo è la coppa araba per l'Argentina: euforia calcistica inseguita per trentasei anni e ritrovata, mentre il Paese attraversa la sua peggiore fase economica dal default del 2001, con due famiglie su tre sotto la soglia di povertà, un'inflazione vicina al 100% su base annua, il fenomeno crescente della denutrizione infantile, lo scontro politico incandescente, il presidente Alberto Fernandez in affanno, la vicepresidente Cristina Kirchner appena condannata a 6 anni per frode, l'incognita delle elezioni del 2023 all'orizzonte.

Sul palco di Lusail, in assenza del presidente Fernandez, sembrava davvero un capo di Stato virtuale Lionel Messi, l'ex bambino di Rosario costretto a costose cure per evitare il nanismo, l'ex ragazzo che nell'agosto 2005 debuttò in Ungheria con la Selección nella maniera più traumatica possibile (quel giorno il terzino destro era Scaloni): un minuto e subito il cartellino rosso per fallo di reazione. 

[…] Fernandez è rimasto a Buenos Aires ufficialmente per ragioni di cabala, ma in realtà perché non era il caso di dare il cattivo esempio col viaggio a Doha. Dopo la gara ha twittato «Grazie ai calciatori e ai tecnici. Sono l'esempio che non dobbiamo mai scoraggiarci. Abbiamo un grande popolo e un grande futuro». In serata ha poi ricevuto la telefonata di congratulazioni di Vladimir Putin.

[…] Di Maria, risarcito della finale persa otto anni fa per un altro infortunio. […] il filiforme Fideo, lo spaghetto, ha incarnato l'apologo della famiglia che tirava avanti lavorando nella miniera di carbone […] Ha incarnato le storie parallele del portiere Dibu Martinez, figlio di un pescatore e di una domestica di Mar del Plata, di Otamendi che da ragazzino prendeva ogni giorno tre autobus con la mamma per andarsi ad allenare, del terzino Montiel diventato eroe con l'ultimo rigore, come Grosso nel 2006. Perché tutto si può togliere, a un argentino, tranne l 'ilusión.

Estratto da repubblica.it il 19 dicembre 2022. 

Di portieri capaci - soprattutto durante i rigori - in Qatar se ne sono visti molti. Dal marocchino Bounou al croato Livakovic. Ma nella serie di tiri dal dischetto tra Argentina e Francia che ha deciso il Mondiale il portiere sudamericano Emiliano Martinez è stato determinante nel neutralizzare il tentativo di Coman (subito dopo Tchouaméni ha calciato fuori). Non solo, nei supplementari ha compiuto una parata stellare in uscita su Kolo Muani. Ha messo le mani sul Mondiale, dunque, meritando il premio di miglior numero uno del torneo.

Dopo aver ricevuto il riconoscimento, però, Martinez si è lasciato andare a un gesto volgare. Si è portato il trofeo - una manona che indossa un guanto da portiere - all'altezza dei genitali. Non è chiaro se si sia trattato di un momento di euforia o di un'offesa rivolta ai tifosi francesi (pochi) presenti allo stadio di Lusail. Quel che è certo è che quegli istanti, inquadrati dalle telecamere, hanno rovinato la cerimonia di premiazione culminata con Lionel Messi che ha alzato al cielo la terza Coppa del mondo nella storia dell'Argentina. [...] 

La regia internazionale ha inquadrato più volte il numero uno dell'Albiceleste infastidire gli avversari prima del tiro, parlando con loro, provocandoli. Con smorfie e sorrisetti.

L'arbitro Marciniak lo ha perfino ammonito perché, prima che Tchouaméni calciasse, ha allontanato il pallone dal dischetto per costringere il centrocampista a perdere tempo e concentrazione. Ci è riuscito, perché il francese ha tirato fuori dallo specchio della porta. [...]

Da corriere.it il 19 dicembre 2022.

 «Ragazzi, adesso ci siamo illusi di nuovo, voglio vincere la Terza, voglio essere campione del mondo». Recita così quello che è diventato l’inno (ufficioso) dell’Argentina ai Mondiali in Qatar (e anche il tormentone del torneo), la canzone che ha accompagnato la cavalcata di Messi e compagni fino alla finale di domani contro la Francia. La «Seven nation army» dei The white stripe, che tutti gli italiani conoscono con quel «po-popopo-po-po-po» ripetuto all’infinito e diventato la colonna sonora del successo azzurro del 2006 in Germania.

Il canto argentino, che anima le strade di Doha e accompagna dagli spalti la Selección si sintetizza in una parola: «Muchachos», il nostro «ragazzi», a indicare quella squadra che sta facendo sognare un popolo intero. E la cantano anche loro, i ragazzi, stretti in cerchio a centrocampo, dopo ogni vittoria. 

La musica, su cui i tifosi argentini hanno costruito il coro, è della canzone «Muchachos, esta noche me emborracho» (Ragazzi, stasera mi ubriaco), del gruppo ska argentino La mosca tse-tse, nota anche in Italia come «Para no verte mas» (Per non vederti più) del 1999, già utilizzata dai tifosi del Boca Junior come coro da stadio. 

L’evoluzione, però, al Mondiale in Qatar, dove è diventato di fatto un inno ispirato ai due numeri 10 della Selección: Diego Armando Maradona e Lionel Messi (ma anche alla guerra delle Isole Falkland del 1982). 

«In Argentina sono nato — cantano i tifosi argentini — terra di Diego e Lionel. Dei ragazzi di Malvinas che mai dimenticherò». Poi il ricordo delle tre finali perse (nel 1930, nel 1990 e nel 2014): «Non te lo posso spiegare perché non capiresti», riscattate dalla vittoria in Coppa America del 2021 contro il Brasile, al Maracanà di Rio de Janeiro: «Ragazzi, adesso ci siamo illusi di nuovo, voglio vincere la terza (dopo quella del 1978 e del 1986, ndr), voglio essere campione del mondo». E la dedica agli eroi dell’Albiceleste: «E a Diego dal cielo lo possiamo vedere, con Don Diego (suo padre) e con la ToTa (sua madre) incitando Messi». 

Dall’altra parte del mondo, invece, in quell’Argentina in cui si festeggia il primo Mondiale estivo della storia (sì, perché a luglio a quelle latitudini è inverno), contrapposta ai «muchachos», c’è una «abuela» (nonna), diventata la prima tifosa della Selección grazie ai social.

Dopo la prima vittoria del Mondiale (quella contro la Polonia, che ha scacciato la paura dopo l’avvio terribile contro l’Arabia Saudita), un gruppetto di tifosi ha cominciato a ballare in strada assieme a una vivace signora anziana («abuela», per l’appunto), spacciandola per la nonna di Messi. Vittoria dopo vittoria, tutto documentato dai video sui social, il gruppetto di persone è diventato una strada intera che saltava e scandiva in coro la parola «abuela» attorno alla simpatica nonna.

Alessio Morra per fanpage.it il 19 dicembre 2022.

La Francia ha giocato la seconda finale consecutiva dei Mondiali di calcio. Un evento che capita raramente. Vincere due Mondiali di fila è successo solo due volte, l'ultima sessant'anni fa. Questo dato fa capire quanto è complicato il bis. Ma la Francia non ha mollato di una virgola, ci ha provato e ci ha creduto anche quando la partita sembrava ampiamente decisa, grazie a un Mbappé straordinario, l'attaccante ha realizzato una tripletta una finale, evento che si era verificato solo nel 1966 (con Hurst).

E alla fine i rimpianti sono e saranno tantissimi per un trofeo sfuggito ai rigori, come nel 2006. A fine partita i calciatori e lo staff tecnico erano assai delusi, è sceso in campo Macron che ha provato a dargli manforte, a dire qualcosa, qualche parola di coraggio. Ma le parole del presidente non hanno attecchito ed anzi Macron è stato quasi ignorato da Mbappé e Deschamps. 

Si può solo provare a immaginare la delusione dei calciatori della Francia, che ha giocato contro tutto e tutti, perché in parecchi volevano vedere Messi campione del mondo. Una partita che sembrava persa è stata quasi ribaltata da 0-2 a 2-2, con due gol in un paio di minuti. Poi i supplementari e un'altra rimonta, Messi segna il 3-2, Mbappé pareggia ancora su rigore, 3-3, con la chance di vincere al 120′. Ma Martinez c'è e si guadagna così anche il Guanto d'Oro. Poi i rigori. Sbagliano Coman e Tchouameni. Argentina campione del mondo.

Non basta il titolo di capocannoniere a Mbappé per consolarsi, non basta la quasi impresa a Deschamps che perde un'altra finale. Sugli spalti c'era anche il presidente Macron, che partecipa da vero tifoso alle partite. Lo fa con calore e non nasconde le sue emozioni. A fine partita il presidente francese scende in campo, deve premiare i calciatori ma vuole soprattutto consolare i calciatori. 

Vede Mbappé, con il quale ha un buon rapporto, gli va vicino. Lo vede mentre è seduto a terra e parla con Martinez. Gli dice qualcosa. L'attaccante del PSG non lo ignora, ascolta, dice qualcosa, ma poi si alza, Macron lo insegue e continua a parlare, ma non riceve né una risposta né uno sguardo. Nemmeno uno sguardo da parte di Deschamps.

Il presidente francese si avvicina, gli dice qualcosa, ma il c.t. è avvolto nei suoi pensieri e lo considera poco. Un tentativo poco riuscito quello di Macron, che sicuramente avrà usato delle parole calzanti ma non è riuscito a catturare l'attenzione né dell'allenatore della nazionale né del calciatore più rappresentativo. Quelle immagini sono state notate, non solo in Francia. 

Macron poi si è presentato in TV, ha elogiato Mbappé, e ha anche rivelato cosa gli ha detto: "È straordinario quello che ha fatto Kylian, ma anche tutto il resto della squadra. Ci ho creduto immensamente. Avevamo fatto anche un secondo miracolo e abbiamo avuto il match point. Cosa ho detto a Mbappé? È un grandissimo giocatore ma è giovane, gli ho detto che ha solo 23 anni. È stato capocannoniere in questo Mondiale, ne ha vinto uno e ha giocato oggi un'altra finale. Ero triste quanto lui ma gli ho detto che ci ha reso molto orgogliosi e alla fine abbiamo perso una partita di calcio, questo è lo sport". 

E Macron ha chiesto a Deschamps di rimanere sulla panchina della Francia. Qualcosa di non scontato. Considerato che Deschamps deve decidere, tocca a lui la scelta, e considerato che l'alternativa è Zinedine Zidane, un mito del calcio e soprattutto un simbolo del calcio francese: "Certo che gli ho chiesto di continuare, voglio che resti". 

Arianna Ravelli per corriere.it il 19 dicembre 2022.

Ha sconfitto tutti, non gli dei del calcio: Pelé che resta irraggiungibile con il bis Mondiale e la storia di Messi che si compie con il titolo che mancava. Perché altro che Argentina-Francia, la finale più bella degli anni Duemila è stata Messi-Mbappé, all’ultimo tiro, all’ultima resistenza, all’ultimo rigore. Tutto o niente, morti, risorti, ancora morti, risorti di nuovo. 

Oggi perde lui, Kylian, che è l’uomo del presente, che versa poche lacrime nella maglietta, solo un momento, è palesemente infastidito dal presidente Emmanuel Macron che va a parlargli tre volte, in campo dopo i rigori finiti come sono finiti e poi quando va a ritirare la scarpa d’oro per il titolo di capocannoniere (otto gol) e la medaglia del secondo, premi di consolazione che non consolano, il dialogo sembra di sentirlo «sei giovane, ne vincerai altri», «sì vabbè, ma quello da vincere era questo».

Macron lo ha convinto a restare al Psg dove è arrivato quell’altro: pochi mesi per studiarsi, decidere che non si piacciono più di tanto, ringraziare Leo per i 6 assist («È sempre calmo, calmo qualunque cosa succeda attorno a lui» dice il francese dell’argentino), e ridarsi appuntamento qui, oggi, finale del Mondiale, l’unico posto dove volevano essere e dove si ignorano. 

Kylian Mbappé ha lasciato la scena a Lionel Messi per 70 minuti e in 97 secondi gli aveva rubato la Coppa: rigore trasformato e gol, tutto riacceso, la decido io, del finale della tua storia non m’importa niente. Poi quell’altro si è inventato una rete di rapina e sembrava avere già rimesso le mani su quella benedetta Coppa, pochi minuti ancora e il destino era compiuto, ma non per Mbappé che si è conquistato il secondo rigore e, a differenza di Harry Kane a cui ha riso in faccia dopo l’errore negli ottavi, non ha sbagliato. 

Tripletta (prima di lui c’era riuscito in finale solo Geoff Hurst in Inghilterra-Germania nel ’66 che si complimenta), ma non rende l’idea dell’esplosione di potenza vista in campo, di un altro gol mancato di un soffio, degli argentini portati a spasso. 

Mai visto un giocatore così nullo e così decisivo nella stessa partita, macché partita, il romanzo di due Paesi, un pomeriggio qatarino che segnerà la vita di milioni di persone. 

Per 70’ Mbappé semplicemente non c’era, e di conseguenza non c’era la Francia. In quella prima accelerazione, il simbolismo che in una finale come questa è in tutti i ciuffi d’erba, vuole che Mbappé salti Leo Messi. Ne esce un tiro alto, ma è un segno di vita. L’ossessione del secondo Mondiale sembrava diventata un pomeriggio di impotenza, di talento inespresso, di inchino al campione che organizza l’uscita di scena, il compimento del tempo di prima e tu in sala d’attesa.

E invece è bastata una scintilla, un fallo di Otamendi su Kolo Muani e un rigore trasformato perché con i fuoriclasse la cui carriera è stata programmata dall’età di 10 anni (quando già la Nike gli mandava gli scarpini a casa, diventerà testimonial a 14) da papà Wilfrid, allenatore delle giovanili dell’As Bondy e mamma Fayza, giocatrice di pallamano, funziona così: quando serve non sbagliano. 

Ed è ancora Messi che perde quella palla a centrocampo che, dopo un’azione bellissima, diventa il tiro al volo per il secondo gol di Kylian: scende uno, sale l’altro, i vasi comunicanti del talento e delle emozioni. Fino ai rigori finali, e anche qui Mbappé fa il suo dovere, apre la serie senza errori, il suo bleu è immacolato, ma la Francia perde come nel 2006 contro l’Italia, come agli Europei contro la Svizzera. Lui perde, inaudito.

E adesso? Adesso che ha quella faccia seccata, come quando in campo i compagni non sono all’altezza di lui, che si prepara a compiere 24 anni (martedì 20 dicembre) tormentandosi per l’occasione persa, che quella serata di pioggia in Russia in cui ha alzato la Coppa del mondo resta un ricordo solitario, adesso non cambia niente: perché è già il suo tempo, di un giocatore mostruoso, creatore e realizzatore assieme, sì, un po’ Messi e un po’ Ronaldo (suo idolo). A settembre, al Wall Street Journal che gli chiedeva se era pronto a prendere la scena in un mondo post Ronaldo e post Messi aveva detto: «Non credo di avere scelta. Il pedale del freno non funziona più». E non sarà questa sera triste di Doha ad azionarlo.

Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport il 19 dicembre 2022.Come molti peccati, anche Qatar 2022 ha ottenuto il perdono. Proprio all’ultimo, grazie alla più bella finale di questo secolo, atto conclusivo del più contestato, odioso eppure calcisticamente significativo Mondiale del Millennio. Significativo poiché ha consacrato la grandezza di Leo Messi, al quale mancava “soltanto” la coppa più prestigiosa (già una volta sfiorata) per poter accedere all’attico delle leggende occupato da Di Stefano, Pelé, Maradona e Cruijff.  

 Certo, come si fa a raccontare ai pochi che non l’hanno vista cos’è stata Argentina-Francia? Non può bastare un altro “amici, cosa vi siete persi”. Servirebbe l’arte dei grandi scrittori (anche) di sport del passato: Buzzati, Arpino, Del Buono, Oriani, Mario Soldati. Ideale risulterebbe la poetica di Pasolini, la sua “scrittura zero”.  

La descrizione delle decine di emozioni fortissime e opposte che abbiamo provato nel giro di 140 minuti, tanto è durata la partita, è un esercizio riservato a pochi eletti. Rivederla ora, o più avanti, non produrrebbe gli stessi effetti sui nostri occhi, cuore e cervello.  

Ci siamo goduti un calcio sempre sopra le righe, di momenti disordinati, ma altissimi. Uno spettacolo fiabesco. Nel primo tempo l’Argentina ha stravinto nel gioco e nel punteggio. Poi, all’improvviso, è stata la Francia ad avvicinarsi al trionfo: dopo settanta minuti di solo Messi e profondo isolamento di Mbappé, il Ronaldo francese (Luis Nazàrio, non Cristiano) ha pensato bene di svegliarsi e in meno di cento secondi ne ha buttati dentro un paio. Oddio, Messi la perde di nuovo - abbiamo tutti pensato -, alla fine lo rivedremo fragile, terribilmente infelice e piangente.  

Superato in fretta lo shock, Leo si è riportato avanti e nel secondo supplementare ha trovato il guizzo del 3-2. Tutto finito di nuovo? Nient’affatto: Macron, che s’era tolto la giacca, stava per essere ridotto in mutande quando un altro rigore ha imposto la decisione dagli undici metri che sembravano cento. Una “locura”. Spettatori sfiniti, assai più dei giocatori delle due squadre che negli istanti finali hanno avuto la possibilità di portarla a casa ma fatto i conti con un miracolo per parte.  

Una gioia anche per la Joya - Dybala c’ero anch’io -, la gloria sempiterna per Montiel e il più favoloso atto di giustizia sportiva si è così compiuto.   

In Qatar Messi, 35 anni e mezzo, è diventato Maradoha: ha ottenuto da Diego il permesso di sedere al suo fianco. Leo ha usato i tocchi più raffinati e impressionanti, mostrato gli occhi del fuoriclasse maturato anche attraverso il timore di una nuova disperazione, ha imparato a esprimere gioia con lo sguardo del leader. Ma quel che è più, è riuscito a vincere il confronto diretto con il suo giovane erede e compagno di club al quale neppure una tripletta è bastata.  

L’ottavo Pallone d’oro è prenotato: alzi la mano chi, anche se solo per un secondo, non ha immaginato lo sconforto del rivale di sempre dell’argentino, Ronaldo, questa volta Cristiano.  

Buenos Aires è impazzita e Napoli ha festeggiato come se avesse vinto l’Italia. Dalle parti del lungomare Caracciolo qualcuno ha ricordato cosa accadde un anno dopo l’ultimo successo dell’Argentina in un Mondiale. Era l’86, era la Selección di Diego, erano la mano di Dio e il piede di tutti i santi del calcio. Il più mancino.  

Stamane avrei certamente letto l’articolo di Mario Sconcerti, un poeta inconsapevole e un appassionato di sé che non aveva mai smesso di studiare per creare un altro stile, un altro modo. Mario se n’è andato spiazzando tutti e portandosi via l’originalità, la fantasia, i paradossi, la competenza, straordinari salti di tono e una quantità industriale di esperienze e conoscenze. 

È stato il mio direttore e un amico, di un’amicizia partita con dei vaffanculo e cresciuta nella stima e nel rispetto reciproco. Fino all’ultimo giorno. 

Probabilmente non mi avrebbe convinto, ma l’avrei apprezzato una volta di più. 

Da fanpage.it il 19 dicembre 2022.

Attesissimo da media e tifosi di tutto il mondo, Leo Messi oggi farà il suo esordio ai Mondiali in Qatar, i suoi quinti della carriera. Saranno anche gli ultimi, come il 35enne di Rosario ha annunciato nell'incontro con la stampa di ieri. L'Argentina è con Brasile e Francia la grande favorita del torneo e non potrebbe essere diversamente quando in squadra si ha uno dei calciatori più forti di tutti i tempi, sette volte Pallone d'Oro. Il primo match della selezione di Scaloni si presenta sulla carta molto agevole, visto il livello dell'Arabia Saudita: i primi conti potranno farsi poi quando l'Albiceleste affronterà Messico e Polonia, le altre due squadre del Gruppo C.

Intanto Messi arriva all'appuntamento al top della forma, nonostante qualche immagine dell'ultimo allenamento abbia spaventato i tifosi argentini: non era niente, come ha chiarito lo stesso fuoriclasse del PSG, che in questo inizio di stagione ha numeri strepitosi col suo club: 12 gol e 14 assist in 19 partite giocate. Insomma è il vero Messi, dopo i problemi dell'anno scorso al suo arrivo sotto la Tour Eiffel, complici acciacchi fisici e Covid. 

Leo Messi in allenamento: è l’uomo dei sogni per l’Argentina

Se oggi la Pulce è qua a giocarsi quel Mondiale che potrebbe accostarlo ancora di più alla divinità Maradona, grande merito va a chi – quando era un ragazzino afflitto da problemi di crescita – fece di tutto per fargli guadagnare quei centimetri decisivi per poter competere ad alto livello. 

Oggi l'ex Barcellona è alto quasi un metro e 70 centimetri, che davvero non è poco visto com'era all'età di 10 anni. "Leo mi chiese se sarebbe cresciuto abbastanza per diventare un calciatore. Io gli risposi: ‘Non preoccuparti, sarai più alto di Maradona. Non so se sarai migliore di lui, ma sarai più alto di lui'. Alla fine ebbi ragione. Maradona era alto 1,67 e Messi era alto 1,69. Questo è più o meno quello che avevo previsto", ha raccontato qualche giorno fa al Times il medico che prese in cura quel bambino così minuto che era baciato dalla grazia del Dio del calcio. 

Dibu Martinez miglior portiere dei Mondiali, ma col trofeo ha una cattiva idea (in mondovisione)

Il dottor Diego Schwarzstein dunque somministrò al piccolo Leo l'ormone della crescita, di cui era carente, e a 13 anni Messi lasciò il Newell’s Old Boys per approdare alla Masia, nelle giovanili del Barcellona. La gratitudine per chi aveva reso possibile tutto questo si concretizzò in una maglia rossonera del Newell's donata a Schwarzstein: era la preziosa numero 9 indossata per l'ultima volta da Messi nel club di Rosario prima di partire per l'Europa. "Per Diego, con affetto da Leo Messi", c'era scritto sopra.

Insomma un rapporto forte quello tra i due, che non si è indebolito neanche con gli anni e col diventare Messi un'icona globale. Il campione argentino infatti qualche anno fa invitò il figlio di Schwarzstein nello spogliatoio del Barcellona. Tuttavia, a dispetto di tutto quello che li lega, il medico argentino ha spiegato di augurarsi con tutto il cuore che l'Albiceleste faccia un disastro ai Mondiali. 

Una presa di posizione che coglie di sorpresa e che ha motivazioni extra sportive: "Come tifoso di calcio vorrei che l'Argentina diventasse campione – ha detto Schwarzstein – Da cittadino argentino, da essere umano, vorrei che perdessero tutte e tre le partite e venissero eliminati al primo turno. Come mai? Sono convinto che questo governo oscenamente populista che abbiamo qui userebbe il successo dell'Argentina ai Mondiali per insabbiare le cose. Potrebbero annunciare la svalutazione della valuta il giorno in cui la squadra gioca, quando nessuno è concentrato su questo".

Schwarzstein ha aggiunto, parlando del governo peronista in carica dal 2019: "Ho vissuto molte crisi in questo Paese, ma questa è la peggiore. I dati del governo dicono che per non essere povero devi guadagnare 120mila pesos argentini al mese (716 euro, ndr). Il salario minimo mensile è di 60mila pesos, quindi anche chi ha un lavoro è povero". Il medico si riferisce all'inflazione galoppante in Argentina, arrivata a sfondare l'80% sotto la guida del presidente Alberto Fernandez e secondo alcune stime avviata verso fine anno a toccare il 100%. Il calcio, come spesso accade in Sudamerica, è un oppio potente e un trionfo di Messi e compagni in Qatar sarebbe manna a tutti i livelli in Argentina, anche dalle parti della Casa Rosada.

Giulia Zonca per “la Stampa” il 19 dicembre 2022.

Adesso finalmente è solo. Lionel Messi senza più confronti, privo di passato, fuori dalle ombre lunghe di chi lo ha preceduto, dalle rivalità che lo hanno spinto a moltiplicare i numeri: campione del mondo con un'Argentina tutta sua. Unico, libero, felice. Il bacio al trofeo che ha inseguito per tutta la carriera lo dà in privato davanti a uno stadio stracolmo, più di 80 mila persone dentro e 4 miliardi fuori a guardare la tv: un attimo di assoluta intimità sfacciatamente pubblica. 

Un travolgente, passionale bacio dato all'ossessione inseguita per una vita intera, un amore fino a qui non corrisposto e impossibile da dimenticare, nonostante plurimi tentativi di pensare ad altre vittorie. Infinite e mai abbastanza intense per soddisfarlo.

Messi bacia il Mondiale prima di sollevarlo, prima di condividerlo, ci appoggia le labbra sopra quando sfila a ritirare il premio di migliore in campo, da solo. E si gode quell'attimo con gli occhi che gli brillano, senza l'idea di una lacrima. Smetti di piangere Argentina, che sarà ancora populismo e garra e cancha e hinchas e «Muchachos», «Tierra del Diego y Lionel. De los pibes de Malvinas...», come recita la canzone con cui il tifo saluta il trionfo atteso 36 anni, ma stavolta senza strazio. Nessuna faccia devastata da una beatitudine che rende troppo sensibili. Stavolta si ride. 

Siamo al Lusail Stadium e l'Argentina ha appena battuto la Francia 7-5, ai rigori.

Messi ne segna due: uno in partita, tra i più glaciali mai visti e uno nel duello testa a testa contro Mbappé dagli 11 metri dopo aver piazzato pure una rete su azione, quando ormai ha in testa solo un'idea: vincere. Non ha fatto altro e l'abitudine si vede pure quando tutto finisce e lui è finalmente pronto. 

Non avrebbe accolto così il successo otto anni fa quando ha perso la prima occasione, né nel 2010, quando Maradona era ct e gli toglieva l'aria, né nel 2018 delle faide interne che non ha mai avuto voglia di domare e di sicuro non nel 2006 dell'esordio. Gli serviva passare da lì, cinque edizioni mondiali, 26 presenze, più di chiunque altro e del resto comanda ogni statistica.

Il più coinvolto nelle azioni decisive, 12 gol, 7 solo in Qatar e 8 assist (3 qui), il più premiato per incisività nelle singole partite, quello con più minuti, più palle toccate, più giocate uomo contro riuscite, solo che dopo decenni a contare ogni record ha esaurito le cifre da aggiornare e non ha nemmeno più voglia di smettere, di chiudere con la nazionale: «È l'ultima partita a un Mondiale e la regalo alla gente, ma non mi ritiro, voglio indossare la maglia dell'Argentina da campione».

Purché sia solo per lo sfizio perché non vogliamo vederlo invecchiare mentre gioca. Ci piace così, rannicchiato su un prato da quanto se la gode, appagato. Ad abbracci esauriti e mucchi selvaggi sciolti, a rete tagliata e coppa alzata in ogni angolo, portato in trionfo, forse non dovrà nemmeno camminare mai più, Messi si lascia cadere a terra e non è per sfinimento. È piacere: «Lo sapevo che Dio mi avrebbe dato questa gioia. ho avuto la fortuna di conquistare ogni titolo ma volevo arrivare qui. Ora mi diverto».

La prima volta in cui ha assaporato l'idea era un bimbo, a Rosario, dove è nato in un barrio decisamente pericoloso, uno di quelli dove i supermercati hanno il metal detector e le sbarre. Messi già strabiliava e prima di risolvere i problemi alla schiena, di firmare un contratto su un tovagliolo di carta ha detto: «Voglio vincere il Mondiale». 

Poi è partito per Barcellona, a 13 anni, lì lo hanno fatto crescere in centimetri e qualità, ne hanno esaltato il talento e rapito l'anima. Almeno secondo il racconto popolare che da Riquelme a Tevez ha sempre chiamato altri a guidare il popolo. Perché Messi era di Barcellona. 

Oggi è del Qatar, per chi avesse dei dubbi in merito a chi lo paga, basta vederlo nel momento in cui riceve ufficialmente la coppa dall'emiro capo Tamim ben Hamad al-Thani. Indossa, meglio, deve indossare il bisht, la veste tradizionale che gli uomini arabi portano per le grandi occasioni. Ha a che fare con cerimoniali legati a politica e clero: il Medio Oriente ha annesso Messi alla famiglia reale.

Il Qatar gli paga lo stipendio al Psg, l'Arabia Saudita lo foraggia come uomo immagine e lui mette su il bisht insieme con l'unica espressione schifata della serata. Tanto non lascia traccia, cancellata dalla grazia. Più nulla incide sul Messi campione del mondo, è oltre ogni giudizio. Pure quello morale, ammesso che ne esista una dietro le sue firme.

Messi è solo, lui e il Mondiale, lui e l'Argentina e non c'è più un paragone che tenga, lui e la famiglia che lo segue in campo, lui e una moltitudine che lo lascia comunque solo a cullare i sogni di gloria.

Ora sono realizzati e può riviverli all'infinito e non importa quanta gente ha intorno, resta una storia a due, lui e la magnifica ossessione. Non con Ronaldo, incrociato per decadi e ora a distanza e non con Mbappé, che probabilmente ha già preso il suo posto al centro della scena del calcio. Non con Maradona, con buona pace delle sentenze nostalgiche. C'è solo Messi e il Mondiale uniti da un bacio travolgente che gli resterà addosso in eterno.

L’era del Messi-a finisce in gloria alla faccia degli invidiosi. Gianfrancesco Turano su L’Espresso il 19 Dicembre 2022.

Amato dal mondo ma sempre criticato per una presunta mancanza di leadership, Leo trascina l’Argentina al terzo titolo mondiale. E riscatta sul piano sportivo un torneo nato con le inchieste su Blatter e finito con gli arresti di Panzeri e soci

La finale più bella nel mondiale più brutto. È la prova, l’ennesima, che la parte sana del calcio sono i giocatori.

Mentre in Europa si parla di Qatargate, di corruzione scambiata per lobbismo, di sacchi e trolley pieni di denaro, la finale dello stadio Lusail ha tentato di riscattare, riuscendoci per 135 minuti più rigori, l’affarismo dei padroni del pallone.

Argentina-Francia è stata il trionfo del calcio nella sua doppia dimensione di gioco di squadra dove nessun fuoriclasse basta a vincere una partita e di scena operistica dove, alla fine, il pubblico pretende di applaudire il grande tenore.

Ieri sera erano in due. Quello con il tabellino individuale migliore, Kylian Mbappé, ha perso il titolo. Il vecchio, Leo Messi, ha sconfitto l’attor giovane.

Non lo diranno più adesso che il dieci albiceleste non è un leader, che Maradona era un’altra cosa. E chi lo dirà, perché nell’era dei Webeti qualcuno che neghi il reale si trova sempre, dovrà sfidare il ridicolo di fronte all’elenco di vittorie, gol, splendori tecnici del Messi-a.

In quanto a grandezze, ognuno ha i suoi preferiti sull’altipiano della gloria calcistica dove vivono gli immensi. Per alcuni al primo posto rimane o Rey, la Perla Nera, Pelè che sembrava giocare con il pallone sgonfio perché il pallone si ammorbidiva da solo al tocco del brasiliano. Il triplo campione del mondo, che combatte con le sue condizioni di salute, ha mandato i suoi complimenti al capitano argentino.

Se è vero che ogni epoca calcistica ha il suo eroe, questa è certo l’età di Messi, da almeno quindici anni, ed è fatale che la qualità di Leo si sia manifestata in una delle finali più pazzesche a memoria di mondiale.

Fino al minuto 70, Argentina-Francia è stata una non partita con una sola squadra in campo contro una banda di ectoplasmi in blu. Ma il calcio è l’imprevedibilità dell’esistere e ieri, insieme a Messi, esisteva Otamendi. Già segnalatosi fra i peggiori del Mondiale 2010 con Maradona in panchina, il centralone difensivo albiceleste ha prima provocato un rigore e poco dopo è andato a farfalle sul raddoppio di Mbappé.

In contemporanea, il Messi dominatore assoluto dei primi 45’ si era affievolito, quasi a godersi i frutti della sua creazione. Sul 2-2 il mach si è ribaltato ma il numero 10 ha ripetuto il prodigio di Messico 1986, quando i tedeschi avevano raggiunto l’Argentina di Maradona, ed è tornato in partita con il gol del 3-2. Ma ormai si combatteva ad armi pari e il 3-3 provocato da Molina ha portato ai rigori.

Gli ultimi secondi dei supplementari sono da infarto con gol salvato dal miracoloso e odioso portiere argentino. Sul fronte opposto, l’interista Lautaro si è bevuto una palla di gol di testa.

Tutto doveva andare verso l’ultimo duello con Mbappé e Messi primi sul dischetto, a chiudere entrambi una partita straordinaria. Sono stati comprimari a fare la differenza. Bene gli argentini, male i francesi.

Giusto così, come era giusto tifare per Messi. È vero che molti grandi non hanno vinto il mondiale. Ma a Messi non doveva, non poteva capitare. Poi qualcuno si troverà a gettare fango sul rosarino emigrato da piccolo a Barcellona. Anche dopo la finale, si è detto che Maradona non avrebbe mai coperto i colori dell’Argentina in riferimento alla cappa da emiro, peraltro trasparente, che Messi ha indossato per ritarare la coppa. Qualcun altro con razzismo inconsapevole ha alluso ai due scudetti di Maradona al Napoli, impresa chi sa perché impossibile in una squadra che oltre a Diego era piena di campioni. Per anni hanno accusato Messi di essere troppo poco appariscente, di non protestare con gli arbitri, di non avere carisma. Poi lo hanno attaccato per avere reagito con le mani sulle orecchie al ct olandese Luis Van Gaal, un provocatore nato, che lo aveva definito “l’uomo in meno” della finale del 2014.

Eppure Messi rischiò di vincere quella partita con un diagonale dei suoi, rasoterra sul secondo palo. Ne ha fatti centinaia di quei gol. Contro la Germania nel 2014 la palla uscì di millimetri. Era quello, fino a ieri sera, il tarlo di Leo.

Adesso è finita in gloria. Senza invidiosi che gloria sarebbe?

Maurizio De Giovanni per “La Stampa” il 19 dicembre 2022.

È stato un momento, un solo momento, quando tutto era finito in cui ho apprezzato la vera, profonda differenza; e non è stato un momento in cui la palla era in gioco, e il magico piede sinistro di piccola misura sotto il magico numero dieci si prendeva le sue responsabilità dipingendo calcio. E non è nemmeno stato un momento di sospensione tra un rigore e l’altro, in cui lo stomaco si chiudeva e il destino sembrava danzare sul filo a cento metri dal suolo. 

E nemmeno è stato uno dei momenti in cui il Dieci sussurrava a un compagno dove trovare il coraggio di sopravvivere a quello che stava succedendo, o quando le telecamere cercavano un segno di scoramento o di certezze folli, che facessero presagire come sarebbe andata a finire.

Il momento della vera differenza è stato un altro, ma ve lo diremo alla fine. Perché adesso accettiamo di perderci nella più oziosa e inutile delle questioni, nella domanda che ossessivamente viene posta in questi giorni a chiunque, e cioè se questa vittoria, se questa casella finalmente barrata con una V maiuscola, se questa coppa finalmente alzata nel cielo del deserto sia la parola finale su chi sia stato il più Grande di ogni tempo. 

A che serve rispondere a questo inutile quesito? Serve agli statistici, che continueranno a pesare le emozioni come fossero numeri? Serve ai giornalisti, che potranno dire di aver celebrato l’uno o l’altro? Serve ai tecnici, impegnati a confrontare due modi di calcare il terreno all’interno di due sport così radicalmente diversi per impegno atletico e tattico? Soprattutto: serve a Lionel Messi, che alla soglia dei trentasei anni taglia finalmente il traguardo più ambito, che sembrava essergli definitivamente sfuggito? 

Di certo non serve a Lui, che non c’è più e che ha sempre bonariamente sorriso quando sollecitato sull’argomento senza rispondere mai, perché non stava a Lui rispondere. E di certo non serve a chi lo ha visto in campo, giocandogli contro o al fianco, perché già conosce la risposta. E di certo, e soprattutto, non serve a chi ha avuto la fortuna di riempire gli stadi urlando dalla sua parte, e infatti non ponete la domanda a due popoli, quello argentino e quello napoletano, che sono certi di quello che hanno visto e che non avrebbero dubbi nel pronunciare, in un coro ritmato, lo stesso nome.

Il calcio, sapete, non è uno sport individuale: è uno sport di squadra. Sembra banale, ma è la chiave di volta di ogni discorso. Perché mentre vedevamo il piccolo Lionel alzare fieramente la coppa, e ne condividevamo l’assoluta felicità, riflettevamo su un tempo in cui un certo gol di mano sarebbe stato annullato dal VAR, è vero: ma è altrettanto vero che al primo dei millemila calcioni sferrati a tradimento e a palla lontana, assorbiti senza un lamento, l’avversario feroce del tempo sarebbe stato ammonito e poi espulso, lasciando gli altri in dieci e poi in nove e poi in otto. 

Ed è sicuramente vero che quell’Argentina trascinata alla vittoria aveva contenuti tecnici immensamente inferiori a questa, coi Burruchaga e i Valdano a guidare una schiera di sconosciuti, non certo gente come Dybala, Paredes e Lautaro lasciati in panchina al fischio d’inizio.

Ma non è nemmeno questa, la differenza. Perché è sicuramente vero che la vittoria albiceleste di ieri è avvenuta al cospetto di un altro M10, un ventiquattrenne delle banlieue parigine che ha nelle gambe statistiche stratosferiche, pronto a prendersi la corona, muore il re viva il re, avanti un nuovo fenomeno che sposterà le colonne d’Ercole un po’ più in là. 

Bill Shankly, allenatore mitico di un mitico Liverpool del tempo dei Beatles, disse una volta: qualcuno dice che il calcio è una questione di vita o di morte. Non sono d’accordo. Il calcio è molto, molto di più. Vero, probabilmente, se ieri siamo rimasti tutti incantati a guardare una partita che forse è stata la più bella della storia del calcio o almeno dei mondiali, una sequenza folle di gol che nemmeno il più mentalmente instabile degli sceneggiatori avrebbe osato immaginare; dimenticando diritti umani calpestati, donne ridotte al rango di schiave domestiche, centinaia di morti nei cantieri per allestire questo spettacolo. E soprattutto dimenticando un sistema di tangenti così consolidato da far traballare perfino le istituzioni europee. 

Lo spettacolo è stato superbo, e se lo sarà goduto da morire chiunque ami il calcio. Incluso Lui, da sopra le nuvole, come recita il canto degli argentini. E anche Sinisa, innamorato com’era del pallone che ha inseguito per una vita troppo breve. Incluso Mario Sconcerti, che l’avrebbe raccontata in maniera mirabile e profonda, ultima penna letteraria di un giornalismo che purtroppo va scomparendo. E chissà, forse anche Lando Buzzanca, che a un arbitro di calcio ha legato l’inizio della sua incredibile carriera.

 Eppure, nonostante quello che diranno gli annali, c’è stato un momento in cui siamo stati certi della differenza. Perché possiamo dirvi con assoluta convinzione che quando l’emiro avesse proposto a Lui di vestire quell’assurdo costume, a coprire la maglietta sporca di sudore e fango, a simboleggiare la proprietà della coppa, del pallone, del campo, del Paese e anche della squadra di club in cui entrambi i numeri dieci della finale di ieri militano e quindi buona per ogni esito della finale, be’, Lui avrebbe rifiutato. 

E avrebbe orgogliosamente chiesto: me la date la coppa, per alzarla con la mia maglia addosso e non con questa ridicola vestaglietta velata, o no? Perché altrimenti me ne torno negli spogliatoi. 

La differenza è questa. Potete starne certi.

Riccardo Canaletti per mowmag.com il 19 dicembre 2022.

Il mondiale delle polemiche è finito. Ovviamente con una polemica. Dopo una partita che alcuni hanno definito tra le più belle finali di sempre, ecco una nuova ondata di indignazione per il mantello pregiato che l’emiro Tamim bin Hamad Al Thani, con il benestare del boss della Fifa Gianni Infantino, ha posto sulle spalle di Lionel Messi prima della tradizionale alzata della coppa al cielo. 

Un gesto che non è piaciuto ed è stato definito inaccettabile, perché sembrerebbe simboleggiare il potere del Qatar su questo mondiale, comprato a suon di soldi. Il “bisht”, questo il nome dell’indumento, è un accessorio tipico dei Paesi del Golfo Persico, usato come segno di ricchezza e prestigio, e indossato anche dalla famiglia reale. 

Quasi un’incoronazione del numero 10 dell’Argentina. Apriti cielo. Ennesimo schiaffo alla democrazia e al rispetto dei diritti, a favore di una sudditanza neanche velata verso un potere autoritario e antiumanitario. La mantellina della discordia insieme all’ingaggio del calciatore come volto di Vision 2030, il programma per il turismo in Arabia Saudita, sarebbero l’unica nota stonata in questo momento storico del calciatore che, da ieri, ha conquistato anche l’ultimo risultato che gli mancava in carriera, la coppa del mondo.

Che questo mondiale sia stato interamente espressione di subordinazione nei confronti del Qatar, un Paese su cui vi sarebbe molto da dire a partire dalle analisi sulla Goal economy di Marco Bellinazzo, è chiaro; ma fa specie notare come la polemica si sia innescata ripetutamente per via delle simpatie “contrattuali” della Pulce, più volte paragonato a Maradona, ma raramente nel caso in cui si dovessero ricordare le amicizie e gli incarichi che il Pibe de Oro intrattenne durante l’arco della sua intera carriera. Come se vi sia un unico “peccatore”, Messi.

Eppure Maradona ha indossato gli abiti di uno Stato come gli Emirati Arabi, e da loro ha accettato soldi e un jet privato come benefit, scegliendo di sedere in panchina prima con l’Al-Wasl di Dubai nel 2011 e poi con l’Al-Fujairan nel 2017. Lui, amico di Fidel Castro (ed espressione massima di comunista con il rolex, anche se intoccabile per via della santità calcistica). Proprio lui, evocato nelle agiografie televisive come evento unico nel mondo del calcio di cui sembra sia bene ricordare solo il talento acrobatico e il genio coreografo, a spese delle contraddizioni che, quand’anche evocata, lo rendono più un soggetto per Sorrentino che non un nome che sia possibile criticare.

Vogliamo parlare della foto in stile Sirenetta di Maradona nella vasca a forma di Ostrica insieme ai fratelli Giuliano di Forcella, re della Napoli criminale degli anni Ottanta? Una conoscenza amichevole e buoni rapporti che il campione non aveva mai negato e di cui non si pentì mai. Non solo. Dopo l'esperienza araba pensò di spostarsi in Messico e diventare allenatore dei Dorados de Sinaloa, nel cuore dei territori del narcotraffico nel regno del Cartello di Sinaloa, forse il più pericoloso e vasto al mondo.

Non che Maradona facesse parte di alcun cartello, ma dal momento che si chiede sempre di più alle star di prendere le distanze da qualsiasi cosa, dagli sponsor poco green al vicino che usa una frase omofoba o maschilista, perché non si dovrebbe ricordare che Diego si mosse nella direzione opposta, ovvero accorciando, fisicamente, le distanze fino a prestare i suoi servizi (e la sua immagine e fama) a un territorio avvelenato dalla droga? 

I più dubitano che, dopo l’entusiasmo iniziale, si possa davvero continuare a identificare Leo Messi con Diego Armando Maradona. Nonostante questo, forse qualcosa in comune ce l’hanno, l’amore per i soldi e, d’ora in poi, anche una bella mantellina per i giorni più freddi e più bui, con buona pace per i “maradoneti” dalla memoria selettiva convinti che Maradona non avrebbe mai coperto la maglia della sua nazionale con un indumento qatariota, nonostante abbia dimostrato in più occasioni di saper coprire adeguatamente il suo habitus morale, con una bella coperta di sghei.

Emiri, dittatori e camorra. Davvero Maradona era meglio di Messi? YOUSSEF HASSAN HOLGADO su Il Domani il 19 dicembre 2022

Se con la vittoria dei mondiali Messi aveva messo a tacere per qualche minuto i continui paragoni con Maradona, il suo consenso nell’indossare la bisht ha scatenato sui social aspre critiche. I paragoni tra i due si sono spostati dal calcio alla politica. Ma ancora, una volta, sono del tutto sbagliati

Alzando la coppa del mondo al cielo nello stadio Lusail in Qatar, Lionel Messi ha messo fine alla sua croce: i continui paragoni calcistici con il leggendario Diego Armando Maradona. Nonostante avesse vinto di tutto sia a livello di squadra che individuale, al numero 10 dell’Argentina del presente, erede di quello del passato, mancava un unico trofeo per mettere a tacere le critiche e confermare il suo valore: incastonare nella maglia della sua nazionale la terza stella d’oro in onore del Mondiale vinto.

Ma mai Messi avrebbe pensato che quel momento di gloria eterna avrebbe portato con sé una piccola macchia nera, immortalata in tutte le foto della celebrazione finale. 

Dopo aver ricevuto il trofeo di migliore giocatore del torneo e prima di salire sul palco per festeggiare la vittoria dei Mondiali insieme ai suoi compagni di squadra, l’emiro Tamim bin Hamad al-Thani ha voluto far indossare a Lionel Messi la bisht, un mantello nero tipicamente usato in Qatar in occasione delle cerimonie e indossato dagli esponenti della famiglia reale.

Si è trattato di un gesto simbolico con il quale l’emiro (proprietario del Paris Saint-Germain in cui gioca Messi) ha voluto ribadire il suo potere politico ed economico di fronte al mondo intero e ha risposto platealmente alle critiche sulle violazioni dei diritti umani e civili delle ultime settimane.

Se con la vittoria dei Mondiali Messi aveva messo a tacere per qualche minuto i continui paragoni con Maradona, la sua decisione di indossare la bisht ha scatenato sui social aspre critiche concentrate sulla differenza morale tra i due giocatori più forti in assoluto dell’Albiceleste.

Commenti come «Maradona non avrebbe mai accettato di indossarlo», «Diego non lo avrebbe fatto», e ancora «Questa è la differenza tra Messi e Maradona» sono tra i più diffusi sulle piattaforme social. Ma è veramente così?

GLI AMICI ARABI DI DIEGO

C’è un breve scambio su Twitter che può dare una risposta al dibattito delle ultime ore. Nel 2017, durante le proteste in Venezuela contrastate con la violenza dalle autorità capeggiate da Nicolas Maduro, Diego Armando Maradona ha scritto un tweet di sostegno al presidente del Venezuela. «Chavisti fino alla morte e quando Maduro chiamerà, sarò vestito da soldato per un Venezuela libero, per combattere contro l’imperialismo», scriveva il Pibe de oro.

Dura e sintetica la risposta di José Luis Chilavert, storico portiere del Paraguay. «Maradona è rincitrullito, parla contro l’imperialismo ma vive a Dubai».

Negli ultimi anni di vita, infatti, Maradona ha trovato nei paesi del Golfo arabo una calda accoglienza oltre a soldi e amicizie. Negli Emirati Arabi Uniti ha chiuso contratti milionari per sedere sulle panchine delle squadre di Al-Wasl e Al-Fujairah.

Maradona ha vissuto parte della sua vita tra emiri e sceicchi senza mai sollevare critiche di alcun tipo proprio come Messi e tanti altri giocatori e gli Emirati Arabi Uniti sono al pari del Qatar nella gerarchia dei paesi che rispettano i diritti umani e civili. E per gli emiri, Maradona è stato anche ambasciatore onorario dello sport di Dubai.

LA CAMORRA E IL SUDAMERICA

Una tappa storica della carriera calcistica di Maradona è stata indubbiamente Napoli. La città italiana lo ha accolto a braccia aperte e oggi il suo nome riecheggia nelle strade del centro storico al pari di una divinità. 

Al Pibe de Oro è stato anche intitolato l’ex stadio San Paolo e una sua statua in bronzo lo ricorderà per sempre ai suoi tifosi. Dopo la vittoria dell’Argentina migliaia di tifosi sono scesi in strada brandendo foto e bandiere con il volto di Maradona e hanno festeggiato la vittoria del mondiale dell’Argentina.

Ma Napoli, per Diego, è stato anche un luogo di perdizione tra un figlio riconosciuto, dopo una lunga battaglia legale, con 18 anni di ritardo e rapporti scomodi legati alla criminalità organizzata.

In un’intervista rilasciata a Maurizio Costanzo Maradona ha spiegato bene i suoi legami con la camorra. «Uscivo di notte e incontravo questa gente, mi fotografavano; io non chiedevo il passaporto per farmi fotografie, non sapevo fossero camorristi – ha detto – Alla camorra non ho mai chiesto niente, loro mi hanno dato la sicurezza che alle mie due bambine non sarebbe successo niente. Parlai con Carmine Giuliano dopo la Coppa America dell’87 e su La Gazzetta dello Sport uscì che se non fossi tornato a Napoli avrebbero fatto del male alle mie bambine: lui mi rassicurò, dicendo che a loro non sarebbe successo niente». 

La vicinanza di Diego Armando Maradona agli uomini di potere è nota. Fidel Castro e Hugo Chavez sono solo alcuni dei capi di stato e di governo lodati dall’ex calciatore argentino. Messi, invece, ha sempre tenuto distante la politica, anche per questo entrambi non possono essere paragonati. Ancora una volta.

YOUSSEF HASSAN HOLGADO. Giornalista di Domani. È laureato in International Studies all’Università di Roma Tre e ha frequentato la Scuola di giornalismo della Fondazione Lelio Basso. Fa parte del Centro di giornalismo permanente e si occupa di Medio Oriente e questioni sociali.

"Pelè il migliore di tutti i tempi. Leo numero uno oggi, Mbappé..." Intervista a Josè Altafini, campione del mondo col Brasile di "O Rei" nel 1958: "Il francese super, ma che sfortuna..." Nino Materi il 20 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Se sfreghi la Lampada del Calcio viene fuori un Genio che è la copia esatta di José Altafini: anzi no, è proprio lui. I giovani di oggi non possono apprezzare a pieno i fuoriclasse contemporanei come Messi o Mbappé se non hanno ammirato, almeno una volta, le imprese vintage di José; i «giovani» di ieri non ne hanno invece bisogno, perché sanno bene chi è Altafini, alias «Mazzola» (per la somiglianza al grande Valentino). Ridurre questo 84enne - ancora oggi dalla simpatia che prende alla gola e rischia di farti strozzare dal ridere - al riassuntino Wikipedia è oltraggioso: «Ex calciatore brasiliano naturalizzato italiano, di ruolo attaccante. Ha fatto parte della nazionale verdeoro, con cui si è laureato campione del mondo nel 1958 e, dal 1961, di quella italiana». Macché, José è una filosofia di vita.

Lo raggiungiamo al telefono mentre guida in autostrada. Ma a mettere le cinture di sicurezza siamo noi. Che rischiamo di essere investiti dalla velocità delle sue risposte.

José, posso farti qualche domanda?

«Cos`è, stai preparando il mio coccodrillo? Guarda che ho 84 anni, ma sto benissimo».

No, no... niente coccodrillo. Vogliamo solo sapere se ieri hai visto la finale dei Mondiali.

«Ma sei scemo? Certo che l`ho vista».

E come ti è sembrata?

«Stupenda».

L`Argentina ha trionfato meritatamente?

«Sì. E sono contento per Messi».

Hai tifato per l`Albiceleste?

«Impossibile che un brasiliano tifi Argentina».

Mbappé ha preso solo il trofeo come il miglior goleador.

«Sfortunato. Mai successo che chi fa tre gol in finale poi non sollevasse la Coppa d`oro».

Come quella che conquistasti tu nel `58.

«Altra epoca. Confronto improponibile».

Con te ai Mondiali in Svezia c`era un giovanissimo Pelè.

«Non aveva ancora 18 anni»

Messi, Maradona e Pelé. Il migliore?

«Non ho dubbi: Pelé. Messi è però oggi il numero uno, l`erede indiscusso di Maradona».

Messi è stato paragonato da un «analista» italiano, specializzato in iperbole, a «Gesù».

«Lasciamo stare Gesù. Io, ad esempio, parlo ogni giorno con il mio angelo custode. Ma non discutiamo mai di football. E comunque non mi piacciono i commentatori che vogliono insegnare il calcio ai calciatori».

Anche tu sei stato un telecronista spettacolare, anzi il papà di tutti i commentatori showman.

«Ideavo tormentoni lessicali. Allegria, brio. Ma non facevo il ct. Pur avendo una certa pratica di calcio».

Altro che una «certa pratica». Hai fatto 85 gol nel Palmeiras, 120 nel Milan, 71 nel Napoli, 25 nella Juve, 9 tra nazionale carioca e italiana.

«Vengo da una famiglia poverissima. Ho sempre mangiato solo pane e gol».

Per questo ti sei arrabbiato quando nel film dedicato a Pelé ti hanno raffigurato come un ragazzino ricco la cui famiglia aveva come governante la mamma del piccolo «O Rei».

«Una balla enorme».

Il grosso della tua carriera si è svolta in Italia nel triangolo Milano, Napoli, Torino. È vero che l`allenatore del Milan, Gipo Viani, ti appioppò il soprannome di «coniglio» perché una sera ti beccò in discoteca e tu ti nascondesti dietro un divanetto?

«Altra balla stratosferica. Viani era uno che scaricava sugli altri le sue responsabilità. Io "coniglio"? Non ho mai giocato una partita indossando i parastinchi. Mai tirato indietro la gamba».

Col Nereo Rocco sulla panchina rossonera andò poi meglio

«Il "Paron", persona leale».

A Napoli col mister Bruno Pesaola fu uno spasso.

«Col "Petisso" ci allenavamo divertendoci».

Natale è alle porte, sfodera il tuo slogan per le grandi occasioni.

«Incredibile amici!».

Un augurio per un amico speciale?

«Pelé, ti voglio bene. Guarisci presto. Un abbraccio da tuo fratello José».

Da ilnapolista.it il 19 dicembre 2022.

In Argentina è nato lo “Scalonismo”. La Nacion: «Ha vinto l’uomo dalle mille strategie». Sì, Messi. Sì, il Dibu Martinez. E quel ct in lacrime? Quel uomo normalissimo che ha vinto un Mondiale da ct a 44 anni? Mentre l’Argentina è in festa, è nato “lo Scalonismo”. Così lo chiama La Nacion. Quest’anima razionale che ha portato Messi nella storia. 

“Questa selezione di Scaloni non ha bruciato le tappe – scrive il quotidiano argentino – In primo luogo, ha messo insieme un gruppo che non giocava per il comfort di Messi, ma per diventare campione. Ha distribuito ruoli al di là dei nomi, ruoli che singolarmente potevano non dire nulla, ma che nel loro insieme hanno generato un’esplosione di calcio e attitudine a formare una squadra imbattibile”. Una squadra “composta principalmente da calciatori argentini che giocano in Europa”, “ha mostrato intelligenza tattica per neutralizzare le migliori squadre del pianeta”.

Tra defezioni e infortuni Scaloni “ha trovato soluzioni senza cambiare l’aspetto della squadra. Perché l’Argentina è diventata campione del mondo come è stata campione d’America. Giocando bene, avendo più occasioni dell’avversario e difendendosi con giudizio; mutando le strategie secondo il contesto“.

E “così come il miglior Barcellona di Guardiola aveva cose della squadra argentina di Messico 86 di Bilardo, questa squadra di Scaloni aveva sprazzi di calcio moderno e totale: a volte giocava senza attaccanti, a volte si muoveva con una linea da 3, quattro sullo sfondo o con 5 indietro. Perché per ogni film c’era un copione strategico diverso, ma lo stesso spirito per attaccare e difendere, dove l'”io” veniva sacrificato per parlare solo del “noi”. Perché anche così si sono distinti tutti, non solo Messi”. 

Ieri Scaloni ha parlato alla stampa dopo la vittoria del Mondiale.

“Ancora non me ne rendo conto, ma è bello essere campione del mondo. Non può essere che abbiamo sofferto tanto. Siamo nati per soffrire, questa squadra reagisce a tutto. Sono orgoglioso, ma meno emozionato degli altri giorni perché sono sollevato. È tutto merito loro. È un gruppo incredibile. Tutti diventano più forti quando c’è fiducia. Ognuno ha il potere quando c’è fiducia. E’ tutto merito loro. Con tutte le critiche che abbiamo ricevuto finora, lasciate che la gente goda, per favore, questo è un momento storico. Speriamo che i ragazzi vogliano giocare in nazionale, vogliono essere campioni come questi giocatori”.

Marco Evangelisti  per il Corriere dello Sport il 19 dicembre 2022. 

Fabio Capello, ha vinto la squadra migliore? 

«Secondo me sì. Intanto chi ha calciato meglio i rigori. E chi ha avuto il portiere più bravo».  

Dunque l’Argentina ha meritato il titolo mondiale. 

«Formazione di grande qualità e soprattutto di grande cuore. Era partita male. Mi aveva impressionato contro l’Italia a Wembley, non l’ho ritrovata subito in Qatar. Alla prima partita aveva perso e si era persa. Messi per tre partite ha camminato. Di colpo si è risvegliato e abbiamo rivisto l’uomo che fa la differenza».  

La fa anche Mbappé. 

«Mbappé probabilmente vincerà a raffica i prossimi Palloni d’Oro. La sua epoca è cominciata. Quello di Messi è un meraviglioso canto del cigno. Purtroppo non vedo in giro calciatori che possano raccogliere la sua eredità. Messi è stato l’erede di Maradona, Maradona l’erede di Pelé. Loro erano geniali, Mbappé è un realizzatore unico. Ci sono altri eccellenti giocatori in giro: Julian Alvarez, Bellingham, Haaland. Però il divertimento che ci ha regalato Messi resterà unico. Sono contento abbia vinto il Mondiale, così finiranno di rompergli le scatole».  

Meno splendido è stato il canto del cigno di Cristiano Ronaldo. 

«C’è il cigno bianco e c’è il cigno nero».  

Possiamo parlare di Mondiale di Messi? 

«Non va trascurato il ruolo dell’allenatore Scaloni, che ha dato alla squadra un’anima e ha fatto sentire Messi importante. Anche se a un certo punto togliendo Di Maria ha sbagliato la gestione psicologica della gara. Questa volta contava l’esempio di Leo, il modo in cui tornava a recuperare il pallone. Io sono innamorato di Messi da quando lo vidi esordire nel trofeo Gamper e dopo venti minuti chiesi a Rijkaard di darmelo per la Juventus. Ma non fu possibile». 

Quanto ha deluso Neymar? 

«Più che altro ha deluso il Brasile. Era da finale, ma ha insistito troppo nel ballare più che giocare. Ha creato, però aveva meno rabbia dell’Argentina. Come pure la Francia. Pensavo che l’Inghilterra sarebbe andata meglio. Ha pagato i problemi che ha in difesa e in porta. Peccato, perché per la prima volta era arrivata al torneo in condizioni ottimali, con attacco e centrocampo freschi. Squadra compatta il Marocco, tuttavia il calcio africano e quello asiatico non sono ancora all’altezza».  

Non è stato un brutto Mondiale. 

«Anzi, spero di vedere l’Italia cambiare registro dopo ciò che abbiamo visto. La morte del tiki-taka. La fine del gioco a scaricare la palla di lato senza assumersi rischi. In finale anche un grande arbitraggio, per gente che mette il piede. In Italia viviamo con il cartellino in mano. Che calcio è? Ogni minuto fermi, abbiamo perso la continuità e la tecnica in velocità. In questo Mondiale ho visto la gente scattare in continuazione.

Scattare, non solo correre. Probabilmente anche perché non siamo a fine stagione, quando tutti sono logori. La Germania d’inverno si ferma un mese più degli altri e ai Mondiali fa sempre bene. Stavolta non ha goduto di questo vantaggio ed eccola lì. Hai voglia a parlare di scuola, se ti mancano i talenti».  

Restiamo sull’Italia. Che cosa dovremmo fare? 

«A questi livelli conta la tecnica. Noi ci siamo fissati sulla tattica, costruire dal basso e cose simili. In Inghilterra la palla va a duemila, al Mondiale vola, da noi saltella. Qualche allenatore l’ha capito. Non faccio nomi. Ma dobbiamo cambiare il chip per ripartire. Alla Serie A che riparte dico: fateci vedere un po’ di quello che ci ha mostrato il Mondiale. E ritroviamo il coraggio e la visione di far giocare i giovani. Parlo dei club. Sotto questo aspetto, chapeau a Mancini. Ripartiamo dall’Europeo, che è più importante di quanto pensiamo. Ha ragione Mourinho, i successi servono sempre». 

(ANSA il 19 dicembre 2022) Oltre 24 milioni di telespettatori francesi hanno seguito ieri davanti alla tv la finale dei Mondiali tra Francia e Argentina, un record assoluto stabilito da TF1. 

Secondo Médiametrie, l'istituto Auditel francese, sono stati 24,08 milioni i telespettatori fra le 16 e le 18:55 davanti a TF1 che trasmetteva in diretta l'incontro. I Bleus hanno battuto il record da loro stessi stabilito con 20,7 milioni nella semifinale contro il Marocco: mai tanti francesi erano stati davanti ad un solo canale della tv. 

Il picco di ascolti (29,39 milioni di spettatori) è stato registrato durante i calci di rigore finali. A tali ascolti elevatissimi, andranno aggiunti quelli della tv a pagamento BeINSport, che saranno resi noti in serata. La piattaforma di Tf1 ha annunciato che altri 3 milioni di persone hanno seguito la partita collegati alla tv via il cellulare. 

(ANSA il 19 dicembre 2022) Una finale stellare per i Mondiali del Qatar. "Argentina- Francia" ha superato ogni record stabilito dall'inizio delle gare raggiungendo il 68,6 di share e staccando di 2 punti di share e di oltre un milione di telespettatori la finale del 2018.Sono stati quasi 13 milioni (12 milioni 948 mila) i telespettatori che dalle ore 16 hanno visto le fasi appassionanti di una partita straordinaria che sicuramente segnerà la storia del calcio. I tempi supplementari hanno fermato davanti ai televisori 14 milioni 993 mila telespettatori (71,5%), mentre i calci di rigore hanno raggiunto la cifra record di 16 milioni 101 mila spettatori e uno share del 74,3.

 Questo enorme risultato corona una settimana di ascolti elevatissimi: dopo le due semifinali di martedì 13 e di mercoledì 14, che avevano fatto registrare 10.284.000 e 11.803.000 di ascolto medio, la finale per terzo e quarto posto di sabato ha ottenuto 4.832.000 di ascolto medio e il 39,5%. 

Tutti risultati superiori alle precedenti edizioni dei Mondiali senza la partecipazione della nazionale italiana "Lo straordinario risultato di ascolto dei Mondiali di Calcio in Qatar, conferma che la scelta Rai di proporli tutti in esclusiva è stata vincente e pienamente in linea con la missione del servizio pubblico.

Il calcio è di tutti e noi lo abbiamo portato nelle case di tutti gli italiani ai quali, nonostante l'esclusione dell'Italia, credo abbiamo regalato momenti di sport di altissimo livello, con un racconto che non si è limitato alle sole cronache delle partite". 

Così l'Amministratore Delegato Rai, Carlo Fuortes, commenta i dati di ascolto della finale dei Campionati del Mondo di Calcio. "Il mio ringraziamento - aggiunge Fuortes - va a tutta la Produzione Rai, a tutte le maestranze, ai giornalisti di Rai Sport guidati dalla Direttrice Alessandra De Stefano, per la grande professionalità, l'impegno e la passione con la quale hanno contribuito a ottenere un grande risultato.

A Rai Radio 1 e Rai Radio 1 Sport che hanno raccontato con la giusta emozione le partite minuto per minuto. A Rai Play per aver permesso ai telespettatori di recuperare la visione delle partite, anche quelle trasmesse in orari mattutini. In questo modo, grazie al lavoro di tutti, Rai ha portato l'Italia ai Mondiali".

Niccolò Di Francesco per tpi.it il 19 dicembre 2022.

Si chiude nel peggiore dei modi la Bobo Tv in onda sulla Rai in occasione dei Mondiali in Qatar: l’ultima puntata della trasmissione, infatti, era già stata registrata prima della finale tra Argentina e Francia. 

Dopo il match, che ha consegnato la Coppa del Mondo all’Albiceleste, dagli studi della Rai a Doha hanno lanciato la Bobo Tv, la trasmissione televisiva solitamente in onda su Twitch e sbarcata sulla Rai in occasione dei Mondiali in Qatar.

I telespettatori, però, hanno subito notato che qualcosa non andava. Mentre in Qatar era notte, improvvisamente Lele Adani e Bobo Vieri si trovavano in un ambiente esterno in pieno giorno. I due, poi, hanno iniziato a parlare insieme ad Antonio Cassano e Nicola Ventola della vittoria dell’Argentina in finale in modo generico e senza entrare nei dettagli della partita.

L’arcano è stato presto svelato: la puntata era già stata registrata prima della partita, motivo per cui è lecito pensare che i quattro abbiano registrato due puntate, una in cui parlavano del trionfo dell’Albiceleste, l’altra in cui discutevano della vittoria della Francia. La cosa non è ovviamente passata inosservata sui social con la trasmissione che è stata inondata di critiche. “Mamma mia che squallore” si legge tra i commenti. E ancora: “Uno sputo in faccia a chi paga il canone”. E c’è anche chi chiede di poter vedere la versione preparata per la vittoria della Francia.

Assia Neumann Dayan per “La Stampa” il 17 Dicembre 2022.

Per un popolo di santi, navigatori, poeti, esperti di criptovalute e allenatori della Nazionale, il leleadanismo rientra nella categoria delle sette, delle eresie, delle superstizioni. Lele Adani: ex giocatore di Brescia, Fiorentina e Inter, commentatore dei Mondiali Rai, protagonista della Bobo tv insieme a Bobo Vieri, Antonio Cassano e Nicola Ventola ma, soprattutto, teorico e apostolo della divinità Lionel Messi. 

Con maggiore forza rispetto agli anni passati, la televisione e il commento sportivo hanno inseguito il grande sogno di riscrivere “A sangue freddo” di Truman Capote, ma col calcio al posto della strage familiare: nessuno tifa mai per nessuno, tutti fanno finta di niente, manifestazione di sentimento solo per il bel gesto atletico, tutti preparatissimi, imparzialissimi, calmissimi.

I commentatori di calcio pare non abbiano fede calcistica, come se fossero dei giudici di Cassazione: analizzano le prove col Var, ascoltano gli interrogatori dei giornalisti a bordo campo, solo che non emettono quasi mai sentenza. È un sistema imperfetto perché non ammette il movente. Lele Adani invece ci tiene a dire che il re è nudo e che Messi è il più grande giocatore che abbia calpestato questa terra. 

Non fa finta di non tifare Argentina, non perde tempo a trattenere metafore più che ardite, metafore e similitudini che partono dai cammelli e arrivano fino a Gesù, o Maradona, dipende da quanto è grave la crisi mistica. 

In un momento storico in cui le persone farebbero di tutto pur di non lavorare, dove è tutto un parlare di quiet quitting e great resignation - sempre in inglese perché in italiano una parola per “non ce la faccio più a svegliarmi alle 7 tutti i giorni per quattro spicci” pare non esistere - Lele Adani rappresenta l’eccezione: lui vuole lavorare tantissimo, gli piace proprio, è tutto un eccesso di passione e sentimento e grande amore per quello che fa. La voglia di lavorare è sinonimo anche di rispetto per chi ti ascolta: il pubblico bisogna meritarselo, perché è il pubblico il tuo datore di lavoro. 

Adani sui social viene costantemente massacrato, tra meme con i cammelli da dribblare, titoli di Lercio e richieste di licenziamento per la sua poca imparzialità, però poi ci fanno tanto ridere i commentatori delle tv locali tifosi delle proprie squadre. L’Italia non è pronta - forse giustamente - per un commentatore tifoso, dell’Argentina poi. Eppure, trovo che la svisa dall’ordinario sia sempre, in un modo o nell’altro, divertente.

Domenica 18 dicembre Adani non commenterà la finale tra Argentina e Francia: ci sono le gerarchie da rispettare, però è un po’ un dispiacere non sapere fino a che punto Adani sarebbe arrivato. Questo è stato un Mondiale strano, ci sono state tante implicazioni politiche, tante polemiche, e poi noi non c’eravamo: è stato un Mondiale che ci ha visto spettatori senza possibilità di urlare “chi ha fatto palo?”. 

I genitori dei bambini che avrebbero visto il loro primo Mondiale l’hanno presa peggio di tutti, abbiamo pure provato il brivido della prima serata che inizia alle 20,30 e non alle 22. Adani avrebbe tifato Italia o Argentina o solo Messi? E gli italiani arriveranno al punto di tifare Francia pur di non tifare la stessa squadra di Adani?

Dagospia il 18 Dicembre 2022.

“E’ una partita che ha segnato la storia del calcio. Un assalto al cuore delle persone”. L’Argentina è campione del mondo e Lele Adani, con la pochette dell’Albiceleste in bella vista, scoppia in lacrime in diretta. Il commentatore Rai paragona la finale di Messi a quella di Maradona nel mondiale del 1986. “In Messico quando prendono il 2-2, gli argentini erano morti, Valdano guarda Burruchaga e dice: 'Noi abbiamo Diego'. E ora l’Argentina ha Messi”. Adani parla di “connessione con gli dei del calcio” e fatica a parlare. Il telecronista Rai (in pensione) Gianni Cerqueti chiosa su Twitter: “Adani in studio e non allo stadio quando Messi tira il rigore deve sentirsi come Mike Tyson cui abbiano messo la camicia di forza”

Lele Adani e Stefano Bizzotto. Il Corriere della Sera il 18 Dicembre 2022.

Il chiacchiericcio impazza. E i social, tra meme, post e commenti, ironie e parodie, ci sguazzano su. Ma la dicotomia tra la proverbiale sobrietà di Stefano Bizzotto e l’esuberanza a volte fuori dalle righe di Lele Adani — seconda voce del giornalista bolzanino nelle telecronache Rai ai Mondiali del Qatar — alla fine è più un cliché narrativo dell’immaginario comune che realtà. Bizzotto, 61 anni, professionalmente al suo settimo Mondiale («il primo nel 1990 per la Gazzetta dello Sport, poi dal 1998 per la Rai», ricorda) e reduce dal racconto della finalina Croazia-Marocco, al telefono da Doha se la ride: «Hanno voluto creare una contrapposizione tra me e Lele che non esiste. Anzi, siamo complementari, lui esperto di calcio sudamericano, io appassionato di quello mitteleuropeo». C’è poi anche un pizzico di insospettabile (e auto-ironica) vanità in Bizzotto: «Lele è uno divisivo, piace o non piace, ma fa parlare di sé e grazie a lui ho avuto maggiore risonanza anch’io. Magari se avessi avuto accanto una seconda voce più cerchiobottista in pochi si sarebbe accorti di noi». E invece, in assenza della nostra Nazionale, in Italia da qualche settimana si parla quasi più di Bizzotto-Adani che dei Mondiali che si giocano in campo…«Ma Lele è un grande conoscitore di calcio. È un entusiasta, lo apprezzo molto».

Lo rimproverano di essere troppo tifoso. Lei che ha fama di essere giornalista equilibrato e imparziale, che cosa dice al proposito?

«Guardi, ho letto un pezzo di Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera, inviato qui a Doha, che ha scritto che tifa Argentina. Perché non può farlo Adani? È umano avere delle simpatie, dei sentimenti. Ma ricordo che Lele non “vede” soltanto Argentina o Messi, nelle telecronache è stato molto equilibrato nel sottolineare i meriti dell’Olanda e di un campione come Modric della Croazia».

Finale Francia-Argentina. Chi vince?

«Dipende da come si alzano dal letto Messi e Mbappé, i grandi fuoriclasse delle due squadre».

La Francia pare avere qualcosa in più, ma lei l’Argentina l’ha vista da vicino.

«L’Argentina, a differenza della Francia, è in crescita, contro la Croazia ha disputato una partita di grande livello, a differenza di quelle precedenti. La Francia invece contro il Marocco ha fatto fatica, ma recupera Rabiot, che è il direttore d’orchestra della squadra. E poi, oltre a Mbappé, ha Griezmann che è straordinario, senza dimenticare Giroud».

Capitolo Marocco: una sorpresa o la conferma che la globalizzazione ha reso il calcio per tutti?

«Mi ha sorpreso, io delle africane puntavo sul Senegal. Però è anche vero che non siamo più alla favola del Camerun di Roger Milla nel ’90 che sfiorò la semifinale nei quarti con l’Inghilterra. I calciatori del Marocco giocano tutti in Europa, alcuni in grandissimi club, vedi Hakimi del Paris Saint Germain, Mazraoui nel Bayern Monaco e Ziyech nel Chelsea».

Che Mondiali sono stati?

«Anomali perché giocati a cavallo di novembre e dicembre, dunque nel pieno della stagione agonistica dei calciatori, che sono arrivati a Doha con solo 22-23 partite sulle gambe e quindi freschi. In genere li giochi in estate dopo 50 partite stagionali. La morale è che abbiamo visto grandi prestazioni sul piano fisico, ma un tasso tecnico generale non eccelso. Sono mancati i dribbling, i duelli uno contro uno, che invece si sono visti nel Marocco e in fuoriclasse come Messi e Mbappé che con le loro giocate hanno risolto le partite».

L’Italia come si sarebbe comportata?

«L’Italia non si è qualificata perché ha mostrato limiti offensivi e ha sbagliato troppo nelle partite determinanti, ma non la ritengo inferiore alla Croazia. E la nostra serie A è in salute, tanti calciatori di questo Mondiale giocano da noi, compresi sette finalisti: Theo Hernandez, Giroud, Rabiot, Paredes Di Maria, Lautaro Martinez, Dybala».

Adani ai Mondiali: «Ogni giorno penso a Maradona. Messi? Prego vinca lui». Aldo Cazzullo, inviato a Doha, su Il Corriere della Sera il 17 Dicembre 2022.

Lele Adani commenta per la Rai i Mondiali di calcio. «Niente finale per me? Non si protesta se si va in panchina». La sua passione per il Sud America, in particolare l’Uruguay, la Bobo tv, Mohammed Ali

Adani poeta: «Messi dona amore, dribbla anche i cammelli del deserto...».

«Ha fatto di più: per preparare l’assist del 3-0, ha portato a spasso lungo tutta la fascia il più forte difensore dei Mondiali, Josko Gvardiol. Ha fatto una giocata di forza, non da Messi. In quel momento c’era Maradona in lui».

Adani profeta: «E Diego disse: dopo di me verrà un altro numero 10...».

«Da due anni, da quando è morto, non c’è giorno che io non pensi a Maradona».

I telespettatori protestano.

«I telespettatori vogliono emozioni».

La Rai non le farà commentare la finale dei Mondiali.

«Mi hanno insegnato che quando il mister ti manda in panchina non si chiede mai perché».

La finalina per il terzo posto non è da Adani.

«Non era previsto che commentassi la finale. Ho fatto 14 telecronache. Un’esperienza stupenda; già mi manca. Una grande spedizione: Donatella Scarnati, Alessandro Antinelli e tutti gli altri hanno fatto un lavoro straordinario».

Fabio Caressa le ricorda che un conto è commentare per gli appassionati di Sky, un altro per il pubblico generalista.

«L’ho sentito dire anche in Rai. Ma pure il pubblico generalista è appassionato di calcio. Legga i messaggi che ricevo. Decine al giorno. Mi scrivono per ringraziare, commentare, chiedere aiuto…».

Aldo Grasso l’ha difesa.

«Mi ha fatto molto piacere. Ma io non cerco il consenso. Cerco il dissenso. Quando hai dieci milioni di persone davanti al video, devi trasmettere loro qualcosa».

Qual è il suo primo ricordo?

«Spagna 1982, Italia-Brasile. Avevo otto anni. Papà e lo zio si abbracciavano ai gol di Paolo Rossi. Fu allora che compresi l’immensità del calcio. Il suo segreto».

Qual è il segreto?

«Il legame tra quel che senti guardando i campioni, e quel che senti giocando per strada».

Lei ha iniziato nella Sammartinese.

«E ho finito nella Sammartinese. Il più clamoroso dei salti all’indietro: dieci divisioni, dalla serie A alla seconda categoria. Avevo 34 anni, offerte dall’estero. Ma volevo tornare a casa».

Dove?

«San Martino in Rio, Reggio Emilia. Famiglia contadina. Di sinistra: il mito era Berlinguer».

Cristiano Ronaldo dovrebbe tornare allo Sporting Lisbona?

«Arriva sempre nella vita l’ora di restituire parte di quello che ti è stato donato: le grida d’amore di ottantamila persone. La morte sportiva è un momento drammatico. Guardi qui in Qatar: oltre a Cristiano, Suarez, Cavani, Modric, Di Maria, anche Messi…».

Cosa facevano i suoi genitori?

«Papà Sante era artigiano, anzi artista: era più bravo a lavorare il legno di quanto non fossi io con il pallone. Mia madre Vanna, operaia, non c’è più da dieci anni. Anche se la sento sempre con me».

Dove la sente?

«Nella brezza che spira qui al diciannovesimo piano, nel caffè che stiamo bevendo, nel mare all’orizzonte…».

Lei crede in Dio?

«Certo. Non può finire tutto qui».

Chi è stato il più grande di tutti i tempi?

«Messi da diciotto anni ha una continuità non umana. Però ogni generazione ha il suo eroe. Per me il più grande è stato Maradona. Ma Guardiola indica la statua di Crujff e dice: dobbiamo tutto a lui. Secondo El Flaco Menotti il più grande calciatore della storia è Pelè: “El Negro es otra cosa…”».

E tra gli italiani?

«Io dico Baggio. Poi Pirlo. Mio padre dice Rivera».

Tutti numeri 10. E Facchetti, Cabrini, Baresi, Maldini?

«Maldini è stato il più grande difensore di sempre. Ho giocato con lui, e quando mi faceva segno di salire sentivo l’emozione alla gola, mi pareva di essere inadeguato. Ma gli immortali sono quelli che attaccano».

L’attaccante più forte con cui lei abbia mai giocato?

«Ronaldo Luis Nazario da Lima: faceva cose che non si erano mai viste fare a nessuno. Poi Batistuta. L’ho incontrato qui l’altro giorno, in un parcheggio. Ci siamo abbracciati. Aveva le caviglie a pezzi. Ora sta meglio, ha ripreso a camminare. Il calcio è anche sofferenza».

Balotelli è un bluff o un campione mancato?

«Era fortissimo. Aveva tutto. Ma è difficile resistere sia all’amore che ti piove addosso, sia all’invidia. Tutti vorrebbero fare il calciatore; quasi nessuno ci riesce».

Lei aveva iniziato ad allenare.

«Mancini mi chiese di fargli da vice all’Inter. Ma lavoravo già a Sky, e avevo dato la mia parola».

Perché con Sky è finita?

«Non lo so. Non me l’hanno mai spiegato. Il rapporto prima si è raffreddato, poi si è interrotto».

Come nasce la sua passione per i calciatori sudamericani?

«Ho sempre legato molto con loro. Lunghe serate in ritiro a parlare e a bere mate: Hernan “Valdanito” Crespo, El Pupi Zanetti, El Chino Recoba, Carlos “Colorado” Gamarra…».

Chi?

«Davvero lei non sa chi è Gamarra? (Adani appare sinceramente incredulo e indignato). I paraguagi Carlos Gamarra e Celso Ayala furono la più forte coppia di difensori centrali di Francia 1998! Ma l’amico più caro divenne Matias Almeyda: un hermano, un fratello. Andai a trovarlo a Buenos Aires, e scoprii il River. Di notte non dormivo: guardavo il campionato argentino, quello uruguagio, la Copa Libertadores, la Copa America... Lì ho capito cos’è la garra charrua».

Cosa diavolo è la garra charrua?

«È l’artiglio degli indios. È la rabbia con cui i nativi si difesero dagli invasori. Non si capisce il calcio sudamericano se non si coglie quel senso di ribellione che viene da dentro, che non accetta un No come risposta. È una passione al bordo della follia».

La sua passione è l’Uruguay.

«È una delle due grandi passioni della mia vita».

Non voglio sapere l’altra.

«Invece gliela dico: Mohammed Alì. Sono andato a piangere sulla sua tomba».

Perché proprio l’Uruguay?

«Perché è il miracolo del calcio. Tre milioni di abitanti, due Mondiali, due Olimpiadi, quindici Coppe America, quasi il doppio del Brasile. L’uruguagio dà il meglio quando è debole, sopraffatto, soverchiato. L’uruguagio è l’uomo a terra che si rialza. Tutti abbiamo dentro una scintilla del suo spirito. Quando la notte non riesco a dormire, penso al Capitan, lo vedo al Maracanà…».

Chi è il Capitan?

«Obdulio Varela, detto El Negro Jefe, leader degli eroi del 1950. Segna il Brasile. El Capitan capisce che se l’Uruguay si sbilancia all’attacco, è finita. Allora tiene palla, abbassa il ritmo, congela la partita. Pepe Schiaffino, nipote di un macellaio di Camogli, pareggia in contropiede. Al 79’ parte Ghiggia e infila il 2-1 davanti a duecentomila brasiliani… (Adani ha le lacrime agli occhi). La vittoria più clamorosa nella storia del calcio».

Lei ha detto contropiede. Perché allora ce l’ha tanto con Allegri?

«Non ce l’ho con Allegri. Per due volte ho interagito con lui, per due volte si è tolto l’auricolare e se n’è andato».

Cosa gli rimprovera?

«Non si è evoluto. Lo farà, ne sono certo. Per ora, non mi piace come gioca e non mi piace come parla. Corto muso… Allegri non ha capito che il calcio contemporaneo deve dare emozioni».

Ma il mito del possesso palla è finito.

«Il possesso è un mezzo, non un fine. Conta pressare, avanzare, calciare in porta».

Con Vieri vi siete inventati la Bobo tv.

«È la cosa più rivoluzionaria. Mi sa che qualche suo collega giornalista la patisce un po’».

Cassano però non ne azzecca una.

«Bugia. Antonio è un generoso. Siete voi che volete sempre ridurlo al trash. L’avete preso in giro quando disse che Julian Alvarez era meglio di Haaland; e adesso Alvarez è la sorpresa del Mondiale».

Davvero lei ha fatto ritrovare un ragazzo fuggito di casa?

«Vigilia di Inter-Juve, semifinale della Coppa Italia 2004. Un giornalista mi chiede di lanciare un appello per un padre di Brescia, disperato: il figlio, Francesco, non si trova più. Mi dicono che non si può. Così scrivo un messaggio sulla canottiera sotto la maglia. E penso: se segno, la faccio vedere».

Lei Adani non segnava quasi mai.

«La Juve sta vincendo 2-1 a San Siro. Fuga di Stankovic sulla sinistra, cross, Emre che è piccolissimo la prende di testa, il portiere devia, io metto il piede, la palla entra. Corro verso centrocampo e mostro la scritta: “Francesco torna”. Il giorno dopo, Francesco tornò».

Dov’era?

«In un bar di Genova, a guardare la partita. Crisi d’adolescenza; superata. Siamo rimasti in contatto, mi ha scritto l’altro giorno».

Davvero Maradona, come lei ha gridato in tv, predisse l’avvento di Messi?

«Intendeva che il calcio argentino non finiva con lui. Il giorno del suo ritiro, della sua morte sportiva, Diego pronunciò la frase più importante nella storia del football».

Quale?

«La pelota no se mancha. Lui aveva sbagliato, e pagato. Ma il pallone non si macchia. Come il pennacchio di Cyrano».

Ma cos’hanno di così speciale questi sudamericani?

«Il sangue bollente. Le giocate di strada. Messi di solito scannerizza il campo, ha un radar che gli fa vedere cose che altri non vedono; ma l’altra sera quel dribbling sulla fascia è stato una giocata di strada. Sapevo che l’avrebbe fatta. Come le ho detto che sarebbe finita Argentina-Croazia, quando ci siamo visti allo stadio prima della partita?».

Tre a zero.

«Infatti».

Pronostico per la finale?

«La favorita è la Francia: 55 a 45. Ma preghiamo il dio del calcio perché ponga una mano sulla testa di Leo Messi».

Da fanpage.it il 6 aprile 2022.

Un autentico sfogo in diretta sulla Bobo TV con tanto di reazioni sorpresa di Antonio Cassano e Nicola Ventola. Così Lele Adani ha voluto ricordare a tutti il suo passato a Sky Sport: svelando un particolare retroscena. Attualmente a Rai Sport, l'ex commentatore della piattaforma satellitare, si è voluto togliere qualche sassolino dalle scarpe. Il suo addio a Sky è sempre stato molto discusso e celebre fu la sua litigata in diretta tv con Massimiliano Allegri, già allenatore della Juventus, sui diversi modi di vedere il calcio. Adani però in questo caso non ha nominato i bianconeri, né ha parlato nello specifico del campionato di Serie A, ma si concentra piuttosto su un singolo giocatore aprendo un mondo sull'universo Sky e su ciò che accadeva negli studi tra i vari opinionisti.

Adani ad un certo punto, a metà programma, quando Bobo Vieri si era alzato per andare via, decide di mostrare a Ventola e Cassano la maglietta del Manchester City di Joao Cancelo che per l'occasione Adani chiamerà: "Joao Calcio Cancelo". L'ex difensore dell'Inter esalta l'attuale terzino della squadra di Guardiola e ricorda i suoi anni trascorsi a Sky: "Vi sembrerà strano che perfino gli amici di Sky aspettando che io non sia più a Sky – dice Adani – dentro i loro uffici e i loro studi, sono riusciti dopo 8 mesi che non ci sono più a darmi ragione mentre prima era bandito il nome di Cancelo, negli speciali non lo nominavano mai".

L'addio di Adani a Sky non è stato semplice. Cela mistero, imbarazzi e anche tanto rammarico. Ma di certo l'attuale opinionista Rai non si nasconde e prosegue il suo concetto: "Purtroppo di fronte a tanta evidenza con me non più presente dopo che lo dico da 3-4 anni – aggiunge – causa la verità e costretti dall’evidenza, mostrano questo…". A questo punto Adani mette in evidenza sullo schermo una grafica di Sky con una scheda riguardante i numeri e le prestazioni di Cancelo nel corso di questi anni e in particolare nel Manchester City. 

"Lui è primo di tutti i calciatori dei top campionati europei per passaggi, più di Messi e Neymar – sottolinea ancora Adani – Quando ero a Sky Sport il suo nome era bandito, non lo nominavano mai. Non riuscivano a dire ‘ha ragione’ ma nominavano gente che oggi fa riserva in squadra da settimo ottavo posto".

Adani conclude il suo intervento su Cancelo, criticando Sky, rivelando nuovi dettagli che avvenivano negli studi: "Perdonali perché non sanno quello che dicono – dice ancora alzando gli occhi al cielo – Dieci partite da migliore in campo sottolineavano quello che sbagliava e ringrazio ora chi cura la redazione, chi tratta gli speciali, quelli dei social, ma loro trovavano i giocatori più disparati pur di non metterlo tra i migliori". La chiosa piccata è poi la ciliegina sulla torta: "Mi è sembrato giusto citare la casa dello sport che rende onore al miglior terzino del mondo. Grazie per aver detto la verità".

Paolo Tomaselli per il “Corriere della Sera” il 25 ottobre 2022.

Metà anni '80, spogliatoio dei Giovanissimi del Modena. Un compagno chiede all'altro cosa vuol fare da grande. Lui risponde «il calciatore». L'amico lo incalza, disincantato: «Ma perché, tu credi davvero di riuscirci?». 

E allora lei, Lele Adani, cosa gli ha risposto?

«Non siamo forse qui per questo?». 

Crederci sempre, fa la differenza?

«Io non avevo piano B, davo tutto per giocare a calcio». 

Era un sognatore?

«Avevo un sogno, legato a quello che sentivo nel cuore.

Ma ero anche molto pratico e sapevo che non mi sarebbe arrivato nulla per niente. Un atteggiamento verso la vita che ho ereditato da mio padre artigiano e da mia madre, operaia». 

Tanti si chiedono se lei «ci è o ci fa». I giovani sentono prima degli adulti che è «uno vero»?

«Credo di sì e del resto io mi sento come loro, perché ero anch' io così, senza idoli o esempi. Mi approcciavo al calcio con tutta la purezza e la devozione verso quella magia.

Loro sentono come tu tratti la materia e non puoi deluderli. Danno un gran valore all'attenzione che gli dai anche in uno scambio di battute per strada. E questo seguito va rispettato, è una grande responsabilità, che sento molto». 

Ci sono momenti in cui la sente maggiormente?

«Ricevo messaggi di ogni tipo: persone che parlano dei loro problemi, sul lavoro, in famiglia, di salute. O chiedono consigli, aiuto. È tutto profondamente umano e l'unico dispiacere è non riuscire a rispondere a tutti. Ma se posso interagisco sempre». 

Com' era da ragazzo a San Martino in Rio?

«Totalmente appassionato e curioso di tutto quello che avevo attorno. Non avrei mai accettato un no come risposta alla mia passione, piuttosto mi sarei ammazzato. Anche da giocatore chiedevo molte cose, con gran rispetto. E cercavo di ascoltare tanto: credo che questo nuovo mestiere di comunicatore nasca proprio dalla capacità di ascoltare».

Il territorio dove è nato che formazione le ha dato?

«Siamo contadini della bassa reggiana, gente di sinistra che lavorava e credeva nei valori della politica di una volta, che mio padre vedeva in Berlinguer: ricordo quando apriva il frigo e diceva c'è "troppa roba". Ogni cosa bisognava conquistarsela ed è una lezione che mi è rimasta dentro: ti devi meritare tutto». 

I calciatori sono meglio di come pensa la gente?

«Credo che un calciatore, all'interno di un percorso umano non ancora completato per la giovane età, debba convivere da un lato con l'idolatria e dall'altro con l'invidia e la cattiveria. E a volte fatica a reggere questa pressione. Il potere dell'invidia è forse il male più grande che c'è». 

È la stessa invidia di chi dice «Adani è prigioniero del proprio personaggio»?

«Questo concetto è alimentato da altri che fanno il mio lavoro e non mi prendono per quello che sono, coi miei argomenti, la mia opinione e la mia passione. La mia forza è quella di avere argomenti, che non vuol dire avere il consenso: io non vivo per il consenso, cerco di vivere per un senso del giusto che è dato dai miei argomenti e ci tengo continuamente a dimostrarlo. Sento che chi la pensa diversamente spesso non si concentra sugli argomenti».

Il divorzio da Sky come è andato?

«In un modo quasi incomprensibile dal punto di vista della trasparenza: sono stato oscurato senza capire il motivo e la scelta di separarsi non mi è mai stata spiegata. C'è stato un comportamento subdolo e irrispettoso». 

Colpa del dualismo con Massimiliano Allegri?

«Non posso crederlo. E non sento nemmeno di dubitarne.

Credo anzi che abbia fatto bene alla comunicazione in Italia, agli appassionati e a Sky stessa. La comunicazione per me è questo: un confronto che suscita interesse e dà la possibilità di pensare». 

Come si prepara?

«Non ho un piano prestabilito, mi faccio trasportare in modo naturale da una partita, da un articolo, da uno spunto. Oggi ci sono tanti strumenti che ti consentono di rispettare il mestiere di comunicatore». 

La Bobo Tv è il suo manifesto?

«Credo che abbia cementato un nuovo modo di comunicare: la prima differenza è nel fatto che abbiamo tutto il tempo che vogliamo e in quello emerge sempre l'uomo, con il suo eccesso, la sua spontaneità, la sua libertà. La nostra è quasi una compagnia, che esce dai canoni prestabiliti, con attenzione all'aspetto più importante, che è il contenuto. Altrimenti la gente non ti segue». 

Lei ora è anche un volto Rai e al Mondiale la Bobo Tv sbarcherà sul canale più istituzionale. Rischiate di snaturarvi?

«La chiave è essere se stessi, senza tenersi, senza gestirsi, parlando con la testa e con il cuore nei tempi che ti sono concessi. Se no è troppo facile: ci sono tantissimi ex calciatori che parlano, ma la domanda è "quanti sono interessanti?" Per me, pochi». 

Cassano non le spara troppo grosse?

«Antonio è sempre estremo. Ha giocato nel Real e in lui c'è sempre la purezza del ragazzo di Bari Vecchia che non dimentica da dove è partito. Credo che tutti lo trovino interessante: è dirompente e si prende la responsabilità di ciò che dice, coi suoi errori, i colpi di genio, gli eccessi».

Legge anche altre cose, oltre a quelle legate al calcio?

«Rimpiango di non aver studiato, perché non avevo passione. Ho una comunicazione da strada, non da scuola. Faccio con quello che ho, per rispettare il mio compito: avvicinare la gente al calcio». 

È religioso?

«Penso che la fede mi abbia migliorato come uomo. Per me Dio è amore e lo sento, come sento costantemente quello della mia povera mamma, in una canzone, nella brezza mattutina, in una tazza di tè. Lo riconosco ovunque ed è questa la mia forza in più. Non è un percorso di preghiera, ma di avvicinamento costante a Dio». 

È geloso della vita privata?

«Cerco di proteggerla e di godermela in silenzio. Convivo da due anni e mi sono trasferito a Milano».

La passione per il calcio sudamericano come nasce?

«Da un viaggio con Almeyda, mio ex compagno. Lì ho visto un calcio più libero e selvaggio, simile a quello di quando ero piccolo. A quello si è aggiunto il fascino del relato , del racconto del calcio. Poesia pura. La mia carriera è nata con il commento alle 4 del mattino della Copa Sudamericana a Sportitalia, con Stefano Borghi. Un piacere puro, un trasporto carnale, perché quel calcio lì tutti ce l'abbiamo dentro di noi: tira fuori il bambino che c'è nelle persone».

Il bambino dentro di lei non sta fermo un attimo?

«Altroché! È in piena attività. E si ricarica ogni mattina».

Luigi Mascheroni per “il Giornale” il 5 dicembre 2022. Come diceva Lucy Van Pelt, che è un Peanuts e non un giocatore olandese, «Ho un lato ironico, un lato insopportabile, un lato amabile. Ognuno ha il mio lato che si merita». Noi, di Lele Adani, soprattutto quando comincia con la sfilza di soprannomi, di solito inventati, ci meritiamo il secondo. 

Difensore di grande tecnica e invidiabile visione di gioco e ancora più opinionista sobrio ed elegante - dicesi antifrasi, e non è un fondamentale del calcio Daniele "Lele" Adani da San Martino in Rio, Sân Martèin Grand, tra Correggio e Carpi, Reggio nell'Emilia, terra di Lambrusco, cantautori e piedi di marmo, non si sa se fu meno peggio ieri da calciatore o lo è oggi da commentatore.

In dubio pro Leo. Messi come divinità, locos por el futbol, un'ossessione per il calcio sudamericano ereditata da Matías Almeyda, pressing alto, marcature preventive, diagonali, ululati antisportivi e frasi fatte. «Nella vita i centimetri sono tutto» (in che senso?). «Questa è la gioia che dà il calcio: la sofferenza, le lacrime di felicità». «Dove c'è un pallone che rotola c'è un cuore che batte». E quello di battere, di solito, è un brutto mestiere. MESSIIII! MEEEESSIIIIIII! LEEEO MESSIIIII! Il sinistro migliore del mondo!!! Da DI MARIAA a MESSIII. Da la Bajada a la Perdriel! Sempre Rosario, la città del calcio! Uno per l'altro, si sblocca la partita! FUUUT BOOOLL.

Domanda. Ma può un telecronista Rai andare allo stadio con la maglia di una delle due squadre che giocherà la partita? Certo, poi, può anche continuare a scambiare l'uomo «metronomo» con l'uomo «barometro», però... E #AdaniOut finì tra le tendenze su Twitter. Adani ed Eva, Adani e ballerini, Andale andale, Mister "Garra Charrua", El màs Grande... Il calcio come un film: La Lele land. Adani, detto Lellone, è nato nel 1974. 

All'epoca di «Italia 90», il mondiale delle notti magiche, aveva 16 anni, e tifava già Argentina. Una vita da terzino, di chi segna sempre poco, che il pallone deve darlo a chi finalizza il gioco, tra il 1980 e il 2011 ha tirato pedate in otto squadre, dalla Sammartinese alla Sammartinese - e finire di giocare là dove si è iniziato, un po' è mistica, un po' destino, un po' una disgrazia - passando per Modena, Lazio, Brescia, Fiorentina, Inter (cosa che non fa che accentuare la modestia del calciatore), Ascoli e Empoli; una Coppa Italia, 26 gol, cinque amichevoli in Nazionale, e dopo il ritiro un'avviata carriera da allenatore interrotta per quella di opinionista tv, da Sky a mamà Rai. Qatar 2022 è la sua personalissima coppa del Mondo. Se dipendesse dai telespettatori, sarebbe uscito al primo turno.

Primo a cambiare il paradigma della seconda voce imperativa, da semplice commento tecnico ad arzigogolato paratesto paracalcistico, Lele Adani - El pibe della paternal - indubbiamente ha studiato molto. Partito svantaggiato rispetto ad altri ex calciatori-opinionisti professionalmente più rispettati sul campo, lui per rivincita si è messo davanti al computer e ha metabolizzato dati, statistiche, storie, almanacchi, manuali, citazioni, sforando anche nel simil-letterario con incursioni nella latino-americana, senza neppure aver smaltito la sbronza del realismo magico: Osvaldo Soriano, Eduardo Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio, Il rigore più lungo del mondo, l'affabulazione e l'estasi del gol che dura venti secondi Goooooogolasssoooooo barbarooo!!!!!!!!!!!!! - e poi, rompendo gli argini della telecronaca e abusando della pazienza del telespettatore, ti riversa tutto addosso, strabordando e stordendoti.

Ma a me cosa me ne frega di quanti cross ha fatto in carriera l'ala sinistra del Congo belga? Cose che giusto su Sky, e forse neanche, potevano aver senso per i pipparoli del calcio. 

Figuriamoci per l'uomo-canone Rai. Come dice un collega, che lo schifa: «Adani è molto "scuola Buffa", il cui mantra è: perché rovinare una bella storia con la realtà? Personalmente invece mi chiedo: perché negare una realtà vera per inventarsi puttanate?». El Lelle loco.

Momenti di grandissima commozione: quando Lele Adani attiva il generatore casuale di soprannomi argentini. «El loco del Barrio Viejo». «El pibe asado de San Martin». «El tren de la concha libre». «El matador de la recontra puta». «El tinto alegre de Mendoza». «El alfajor flaco de Pinamar»...

Fine pena Rai. 

Quando il dibattito calcistico non era ancora inquinato da quintalate di retorica fanatica: Sant' Enrico Ameri, San Nando Martellini, San Bruno Pizzul, San Sandro Ciotti, pregate per lui. San Beppe Viola avresti dovuto essere qui a sentirlo.

Ci meritiamo la Bobo TV.

Sorta di Colombre televisivo che ha i baffi e l'asma di Roberto da Crema, il tifo acritico di Tiziano Crudeli, la comicità involontaria della Gialappa' s e l'abruptum genus dicendi di Aldo Biscardi, Lele Adani - al quale si può rimproverare tutto ma non l'understatement («Messi è il più grande genio del XXI secolo», «Messi trasforma l'acqua in vino!») - alla fine però, al netto dell'essersi autonominato esperto di calcio, campo in cui in realtà vanta zero tituli, è un tipone, dài. 

Hipsterone, urlatore, profilo indio, capello lungo, sintassi corta, sguardo da sparviero pigmeo del Sudamerica, eccellente gradimento da parte del pubblico femminile, milf e midfielder, una fidanzata che è un po' come la sua carriera e le sue dirette (così così), collezionista d'arte contemporanea, nuova casa a Milano molto di design, style, hype e le scimmie di Simone Fugazzotto. 

La garra Charruaaaaa. L'ultima parola agli uruguagi! Sempre a loro! L'ultima parola nel calcio! Hanno un cuore differente! Lo capisci o no? L'artiglio che graffia! A proposito: come si dice la garra Charruaaaaaa in coreano? Mò sta bon, va là...

Punti a sfavore di Lele Adani.

Mischia le lingue senza motivo.

È molto vanesio: già la seconda volta che ci pranzi insieme ti viene voglia di farti un giro, è come alla tele: un monologo troppo caricato. Fa foto a cazzo. Ha simpatie e idiosincrasie troppo accentuate. Viene da Correggio ed è convito di essere un gaucho delle Pampas.

Punti a favore di Lele Adani: nessuno. 

Tatticismo esagerato, gergo super tecnico, in perenne autoerotismo con la propria voce, Pampero e coppa Libertadores anche di notte, Lele Adani ha fatto del calcio una religione, delle telecronache folklore e del commento una mistica rivelata: «Ha parlato Messi, io ho solo trasferito». Venera gli uruguagi più di se stesso, parla in rosarino, pensa in rosarino, cade in un'estasi selvaggia evocando Diego Armando Maradona: un coribante su RaiPlay. Ma il calcio, si sa, resiste a tutto. Anche a Lele Adani.

Come direbbe Vujadin Bokov: «Io pensa che telecronache di partite è peggiorate da quando qualcuno à deciso che serviva seconda persona per fare chiacchiere da bar e poi chiamato commento tecnico». Poi certo. Una telecronaca si può fare in tanti modi. Il problema è che Adani la fa solo per se stesso.

Y ahora vámonos a Montevideo, Lelito!

Lele Adani, il calcio e la Bobo tv: «Ho il rimpianto di non aver studiato. Allegri? Il confronto ha fatto bene». Paolo Tomaselli su Il Corriere della Sera il 24 Ottobre 2022.

L’ex calciatore, che nei prossimi Mondiali del Qatar sarà un volto Rai, racconta della sua popolarità come opinionista: «Mi scrivono per chiedermi consigli su famiglia e salute. Credo che la fede mi abbia migliorato» 

Metà anni 80, spogliatoio dei Giovanissimi del Modena. Un compagno chiede all’altro cosa vuol fare da grande. Lui risponde «il calciatore». L’amico lo incalza, disincantato: «Ma perché, tu credi davvero di riuscirci?».

E allora lei, Lele Adani, cosa gli ha risposto?

«Non siamo forse qui per questo?».

Crederci sempre, fa la differenza?

«Io non avevo piano B, davo tutto per giocare a calcio».

Era un sognatore?

«Avevo un sogno, legato a quello che sentivo nel cuore. Ma ero anche molto pratico e sapevo che non mi sarebbe arrivato nulla per niente. Un atteggiamento verso la vita che ho ereditato da mio padre artigiano e da mia madre, operaia».

Tanti si chiedono se lei «ci è o ci fa». I giovani sentono prima degli adulti che è «uno vero»?

«Credo di sì e del resto io mi sento come loro, perché ero anch’io così, senza idoli o esempi. Mi approcciavo al calcio con tutta la purezza e la devozione verso quella magia. Loro sentono come tu tratti la materia e non puoi deluderli. Danno un gran valore all’attenzione che gli dai anche in uno scambio di battute per strada. E questo seguito va rispettato, è una grande responsabilità, che sento molto».

Lele Adani: «Nessuno analizza il calcio più di me». E si scatena la bufera social

Ci sono momenti in cui la sente maggiormente?

«Ricevo messaggi di ogni tipo: persone che parlano dei loro problemi, sul lavoro, in famiglia, di salute. O chiedono consigli, aiuto. È tutto profondamente umano e l’unico dispiacere è non riuscire a rispondere a tutti. Ma se posso interagisco sempre».

Com’era da ragazzo a San Martino in Rio?

«Totalmente appassionato e curioso di tutto quello che avevo attorno. Non avrei mai accettato un no come risposta alla mia passione, piuttosto mi sarei ammazzato. Anche da giocatore chiedevo molte cose, con gran rispetto. E cercavo di ascoltare tanto: credo che questo nuovo mestiere di comunicatore nasca proprio dalla capacità di ascoltare».

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Il territorio dove è nato che formazione le ha dato?

«Siamo contadini della bassa reggiana, gente di sinistra che lavorava e credeva nei valori della politica di una volta, che mio padre vedeva in Berlinguer: ricordo quando apriva il frigo e diceva c’è “troppa roba”. Ogni cosa bisognava conquistarsela ed è una lezione che mi è rimasta dentro: ti devi meritare tutto».

I calciatori sono meglio di come pensa la gente?

«Credo che un calciatore, all’interno di un percorso umano non ancora completato per la giovane età, debba convivere da un lato con l’idolatria e dall’altro con l’invidia e la cattiveria. E a volte fatica a reggere questa pressione. Il potere dell’invidia è forse il male più grande che c’è».

È la stessa invidia di chi dice «Adani è prigioniero del proprio personaggio»?

«Questo concetto è alimentato da altri che fanno il mio lavoro e non mi prendono per quello che sono, coi miei argomenti, la mia opinione e la mia passione. La mia forza è quella di avere argomenti, che non vuol dire avere il consenso: io non vivo per il consenso, cerco di vivere per un senso del giusto che è dato dai miei argomenti e ci tengo continuamente a dimostrarlo. Sento che chi la pensa diversamente spesso non si concentra sugli argomenti».

Il divorzio da Sky come è andato?

«In un modo quasi incomprensibile dal punto di vista della trasparenza: sono stato oscurato senza capire il motivo e la scelta di separarsi non mi è mai stata spiegata. C’è stato un comportamento subdolo e irrispettoso».

Colpa del dualismo con Massimiliano Allegri?

«Non posso crederlo. E non sento nemmeno di dubitarne. Credo anzi che abbia fatto bene alla comunicazione in Italia, agli appassionati e a Sky stessa. La comunicazione per me è questo: un confronto che suscita interesse e dà la possibilità di pensare».

Come si prepara?

«Non ho un piano prestabilito, mi faccio trasportare in modo naturale da una partita, da un articolo, da uno spunto. Oggi ci sono tanti strumenti che ti consentono di rispettare il mestiere di comunicatore».

La Bobo Tv è il suo manifesto?

«Credo che abbia cementato un nuovo modo di comunicare: la prima differenza è nel fatto che abbiamo tutto il tempo che vogliamo e in quello emerge sempre l’uomo, con il suo eccesso, la sua spontaneità, la sua libertà. La nostra è quasi una compagnia, che esce dai canoni prestabiliti, con attenzione all’aspetto più importante, che è il contenuto. Altrimenti la gente non ti segue».

Lei ora è anche un volto Rai e al Mondiale la Bobo Tv sbarcherà sul canale più istituzionale. Rischiate di snaturarvi?

«La chiave è essere se stessi, senza tenersi, senza gestirsi, parlando con la testa e con il cuore nei tempi che ti sono concessi. Se no è troppo facile: ci sono tantissimi ex calciatori che parlano, ma la domanda è “quanti sono interessanti?” Per me, pochi».

Cassano non le spara troppo grosse?

«Antonio è sempre estremo. Ha giocato nel Real e in lui c’è sempre la purezza del ragazzo di Bari Vecchia che non dimentica da dove è partito. Credo che tutti lo trovino interessante: è dirompente e si prende la responsabilità di ciò che dice, coi suoi errori, i colpi di genio, gli eccessi».

Legge anche altre cose, oltre a quelle legate al calcio?

«Rimpiango di non aver studiato, perché non avevo passione. Ho una comunicazione da strada, non da scuola. Faccio con quello che ho, per rispettare il mio compito: avvicinare la gente al calcio».

È religioso?

«Penso che la fede mi abbia migliorato come uomo. Per me Dio è amore e lo sento, come sento costantemente quello della mia povera mamma, in una canzone, nella brezza mattutina, in una tazza di tè. Lo riconosco ovunque ed è questa la mia forza in più. Non è un percorso di preghiera, ma di avvicinamento costante a Dio».

È geloso della vita privata?

«Cerco di proteggerla e di godermela in silenzio. Convivo da due anni e mi sono trasferito a Milano».

Stasera Italia, “terrificante”. Sansonetti spara a zero su Qatar 2022: cosa bisognava fare. Il Tempo il 19 dicembre 2022

Si sono conclusi con il successo dell’Argentina sulla Francia i Mondiali 2022 che si sono disputati in Qatar. All’indomani della finale, nel corso della puntata del 19 dicembre di Stasera Italia, talk show di Rete4 condotto da Barbara Palombelli, si discute della competizione di calcio, con Piero Sansonetti, direttore de Il Riformista, piuttosto critico per le partite giocate a Doha: “Io sono uno di quelli che non avrebbe mai giocato in Qatar i Mondiali. Come da giovane non avrei giocato i mondiali in Argentina nel 1978, durante una terrificante dittatura, visto come trattavano gli oppositori. Su Russia 2018 sono cose diverse, lì si può discutere… Vogliamo parlare di quali sono i diritti civili in Qatar? È una cosa terrificante, non sappiamo come abbiano fatto a conquistare questi mondiali, a scipparli agli Stati Uniti, che sono una grande potenza. Fino all’ultimo - sottolinea Sansonetti - hanno voluto insistere, mettendo la mantellina a Lionel Messi. Non sappiamo se ci sono stati, 6-10-15mila morti per la costruzione degli stadi, io sono abbastanza indignato, sono uno che il calcio lo segue molto”.

La finale dell’innocenza. Il calcio non è il regno e neanche l’emirato dei buoni sentimenti. Antonio Lamorte su L’Inkiesta il 20 Dicembre 2022

In Qatar ci sono stati momenti in cui il fair play è andato a farsi benedire e quella che viene definita mascolinità tossica è emersa a più riprese, altro che calciatori-modello. Ma uno sport che organizza il torneo più importante in uno Stato autoritario non è di certo un’avanguardia di quei valori che ci piacciono. E indignarsi non risolverà la questione

«Questo non è fair play». E come lo vogliamo chiamare quel momento di pura follia, di eversione dal protocollo di incravattate autorità del calcio ed eleganti emiri durante la premiazione della Finale dei Mondiali? Damián Emiliano Martínez Romero, detto “El Dibu”, eroe dell’Argentina Campione, che con una parata già storica ha salvato l’Albiceleste da un tracollo quasi certo ai supplementari e che ha pensato bene, dopo aver ritirato il premio di Miglior Portiere della competizione, di afferrare il guanto dorato e di ghermirlo come un membro sessuale maschile. In mondovisione. Per Alberto Rimedio, voce della telecronaca della partita di Rai 1, «questo non è fair play». E come lo vogliamo chiamare? Certo bassezza, sconcezza, maleducazione, rozzezza. Giusto: il punto però è che il Mondiale in Qatar ha riportato un po’ tutti sul pianeta Terra, ha mostrato che la realtà si mostra per quel che è. Non come la vorremmo, neanche come ce la raccontiamo. Quella che è.

Quello che è il calcio, insomma: non il calderone di “respect”, di buoni propositi e slogan, de «l’importante è partecipare», di «lo sport insegna i valori autentici della vita». Si è letto e scritto già di come l’avvicinamento al torneo in Qatar fosse stato diverso rispetto agli altri. Per la miriade di contraddizioni, le inchieste e i reportage sulle condizioni e le morti dei lavoratori che hanno costruito gli stadi all’avanguardia che saranno in parte smantellati, le parole e le linee guida altrettanto sbalorditive su diritti umani e comunità Lgbtquia+ di emissari e autorità locali. Decisione sorprendente e discussa fin dal primo momento per uno Stato poco più grande dell’Abruzzo, dove non esistono elezioni e partiti, dove la Giustizia è amministrata secondo la legge islamica, dove l’omosessualità è illegale. Dove però ci sono enormi giacimenti di petrolio e di gas naturale.

Di corruzione si era parlato da subito dopo la nomina del Paese ospitante, le inchieste e i dossier si sono moltiplicati negli anni, eppure nulla ha potuto impedire alla manifestazione di andare in scena e al Qatar di portare a casa la sua operazione di soft power. Sarà la storia a decidere se riuscita o meno. La strategia “Qatar National Vision 2030” intanto ha avuto la sua vetrina più luminosa – e questa è già una vittoria di Doha.

Agli spettatori la scelta di sfruttare o meno quella lezione di storia e geografia che possono essere i Mondiali. Chi era completamente a digiuno poteva scoprire come Doha in politica estera faccia un po’ di tutto: mantiene rapporti sia con l’Iran sia con l’Arabia Saudita, ha ospitato i colloqui che hanno deciso il ritiro dall’Afghanistan degli americani e il ritorno al potere dei talebani, si allinea spesso e volentieri a quel battitore libero che è la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan.

Per ironia della sorte, la finale andata in scena al Lusail Stadium è stata la più spettacolare degli ultimi anni, per alcuni la più bella di sempre, per altri ancora addirittura la “partita del secolo”. Uno spot insomma. È stata la versione calcistica del Rumble in the Jungle: il più grande incontro di boxe del Novecento, forse della storia, tra Muhammad Ali e George Foreman nello Zaire del dittatore Mobutu Sese Seko. Senza tralasciare che con il Qatar fu nominata la Russia come Paese ospitante dei Mondiali del 2018, giocati quattro anni l’invasione della Crimea e l’inizio delle ostilità in Donbas. A volte è proprio lo sport che cerca questi spazi, certi contesti, le possibilità migliori – almeno da un punto di vista economico, certo.

Il calcio, come ogni sport, può essere una scuola di valori, occasione di incontro e formazione. E allo stesso modo sa essere quanto di più lontano da tutto questo, e dai buoni sentimenti. Anche in campo, anche per i comportamenti dei suoi eroi. Dibu Martinez ha ballato come Checco Zalone, si è preso gioco degli avversari, li ha innervositi e provocati per un Mondiale intero. E nel momento più alto – non del torneo, ma della sua carriera – non è riuscito a pensare ad altro che a portare le mani in mezzo alle gambe e a mimare un fallo. Bonjour finesse. Non è anche questo il calcio di strada? Quello delle scorrettezze, degli insulti, delle minacce, delle volgarità anche quando si è piccoli e ingenui e forse per questo anche più stronzi? O è solo quello della retorica della favela, del dribbling innato e della giocata nel barrio, di quello che ci piace insomma?

Il centrocampista argentino Rodrigo De Paul a fine partita, dopo la vittoria, ha deciso di dedicare un pensiero a tutti quelli che lo avevano criticato: li ha invitati a osservare un’attenzione orale al suo membro. Per giorni durante i Mondiali si era dibattuto sulla fotografia degli stessi argentini che esultavano in faccia agli olandesi dopo il passaggio del turno ai rigori ai quarti di finale. Che scorrettezza, che anti-sportività. Era partito perfino il concorso di colpa: avevano cominciato prima quelli, anzi no quegli altri. E lo stesso è successo dopo la fotografia di Mbappé che esultava al rigore sbagliato dall’Inghilterra. Che scandalo: per chi si era distratto a quella partita di bassa categoria, a quel calcetto tra conoscenti, a quel torneo di ragazzini con genitori mitomani e montati più dei figli.

L’agonismo può alzare la tensione a dismisura, cacciare il peggio perfino da atleti abituati allo stress ai massimi livelli. Il calcio può risvegliare una tossicità che si rivela sempre più dura a morire di un cattivo dei supereroi, altro che calciatori-modello. Che ci piacerebbe vedere altro è un conto, che non si facciano i conti con quello che c’è è piuttosto ingenuo. Non la risolverà la sola indignazione. A vincere il Premio Fair Play in Qatar intanto è stata l’Inghilterra: la squadra che si è inginocchiata per il Black Lives Matter contro il Senegal, un’altra foto della manifestazione diventata virale.

Gianluca Mazzini per “Libero quotidiano” il 19 dicembre 2022.

Cambia poco che la finale tra Argentina e Francia abbia sancito la vittoria dell'Argentina perché the winner is ...l'Emiro Al Thani! Padrone di casa e regista del Mondiale più discusso e più incredibile della storia del calcio. La finale stessa è stato il trionfo di Al Thani e della sua idea di calcio. Messi e Mbappé le due superstar del pallone sono entrambi suoi dipendenti al Psg. Il presidente francese, a suo fianco in tribuna, è poco più di un suo funzionario a Parigi. 

Macron d'Arabia (come lo chiamano i giornali transalpini) ha già firmato con l'Emiro contratti per 12 miliardi di euro permettendo ai fondi qatarini di diventare strategici nel cuore dell'Europa. In Francia Doha ha mani in pasta ovunque e controlla il 27% nella Societè des Casinos de Cannes, il 13% nel gruppo Lagardere (media e armi), 8% di Eads (aeronautica), il 5% di Veolia (energia), il 3% di Total, il 2% di Vivendi (editoria) e l'1% di Lvmh (moda).

 Secondo il settimanale francese l'Express il Qatar basa il suo potere su cinque pilastri: il gas, la rete televisiva Al Jazeera, la presenza militare americana nell'Emirato, la diplomazia e il calcio. Lo dimostrano i Mondiali appena conclusi. Gli emiri hanno capito che il calcio è il più potente mezzo per sedurre il pubblico europeo ed occidentale. E sull'esempio del Psg, acquisito da Doha nel 2011 e costato fino a oggi 1,5 miliardi, anche le altre monarchie del Golfo hanno investito nel pallone. Newcastle e Sheffield sono di proprietà dell'Arabia Saudita, il Manchester City degli Emirati. Non solo.

 Emirates, Etihad Airways e Qatar Airways hanno accordi milionari con le principali squadre di calcio europee. Ai Mondiali la sudditanza europea anche nel calcio è stata palese. Le proteste per i diritti umani e civili oscurate in tv dalla Fifa senza che nessun giocatore trovasse il coraggio di dire qualcosa. Si pensi alla Germania, ricca di fasce arcobaleno (rimosse) con la pagliacciata della foto di gruppo con le mani sulla bocca, ma in silenzio anche sul fronte delle denunce. 

Anche il portiere e capitano della Germania Neuer si è guardato bene dall'esporsi magari denunciando la sponsorizzazione della Qatar Airways alla sua squadra di club il Bayern Monaco. Saprà anche lui che l'Emirato sta diventando strategico pure per i tedeschi, assetati di gas per la guerra in Ucraina. Colossi come Porsche, Volswagen, Deutsche Bank, Siemens sono brand da tempo controllati a vario titolo da Doha. Per non parlare della Gran Bretagna colonizzata da tempo.

Tra gli investimenti più importanti degli emici si sono: Harrods, Canary Wharf, la Borsa di Londra, l'hotel Ritz, il 20% dell'aeroporto di Heatrow, il 20% di Sainsbury, il 6% della Barclais Bank. Non deve quindi sorprendere quanto sta accadendo al Parlamento europeo. Il Qatargate di Bruxelles dimostra l'acqua calda: l'esistenza di una lobby a libro paga di Doha forte con diversi di parlamentari di sinistra (sessanta?) tutti regolarmente globalisti e immigrazionisti.

L'unica domanda legittima che si possa fare è perché lo scandalo sia scoppiato solo ora quando tutto era così palese e in qualche modo noto. Come sono ben conosciuti i progetti del Qatar per l'islamizzazione dell'Europa. Documenti del Middle East Forum rivelano che il Qatar ha distribuito quasi un miliardo di dollari alle organizzazioni islamiche, soprattutto in Occidente.

Nell'ultimo decennio in Germania sono state costruite 140 moschee, in Kosovo una ventina tra cui una di cinque piani (2500 fedeli) nel centro di Pristina. 

L'Italia è da tempo terra di conquista con il proliferare di moschee, centri culturali e scuole islamiche. Da noi con la benedizione del Parlamento come dimostra l'accordo sottoscritto dal governo Draghi su scambi culturali tra Italia Qatar votato nel maggio del 2021 dal 90% delle Camere (contrari solo Fratelli d'Italia).

Ma torniamo al Mondiale che resta la prova provata della vittoria dell'Emirato sull'Europa. Due articoli dell'Economist e del Financial Times celebrano il trionfo. Tesi dell'Economist: la globalizzazione più sfrenata anche nel calcio aiuta a vincere le disuguaglianze. Sviluppo: i risultati della metà delle 64 partite che si sono giocate hanno ribaltato le previsioni dei bookmakers quindi si è trattato di un Mondiale che ha sviluppato l'uguaglianza. Che sia giocato in inverno con squadre decimate dagli infortuni non viene considerato. 

Il Financial Times si supera sostenendo che tra i Mondiali moralmente discutibili degli ultimi decenni Qatar 2022 non finirebbe sul podio. Battuto da Argentina 1978 (Mondiali disputati sotto la dittatura militare), Mexico 1970 (nel 1968 il governo messicano fece trucidare centinaia di lavoratori che protestavano disarmati) e Russia 2018 (ad appena quattro anni dall'annessione della Crimea). 

Conclusione: Qatar2022 assolto pienamente, nonostante 6500 morti nei cantieri, senza nessuna certezza sul rispetto futuro di diritti civili e umani. Un celebre proverbio francese sostiene che: «il calcio lo hanno inventato i poveri malo hanno rubato i ricchi». Ai ricchi lo hanno scippato gli emiri che hanno vinto il Mondiale. Altro che gli argentini.

Cosa resterà del Mondiale in Qatar. La rassegna iridata va in archivio: ci lascia in dote un quantitativo di emozioni inatteso, insieme al dilemma irrisolto di una scelta appannata. Paolo Lazzari il 19 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Pareva lontanissimo, invece è già finito. Il mondiale qatariota è pronto a passare in archivio, ma lo fa avendo parzialmente sovvertito i pronostici. Chi si illudeva che questa fosse una rassegna in tono minore è stato smentito, anche perché – almeno per quel che concerne la pletora mediatica – non si è mai rivelato avido di notizie e colpi ad effetto. Imposto, contestato, capace di sollevare questioni etiche e inchieste internazionali, ma anche di sfoderare le ragioni sportive delle sfavorite.

È stato un Mondiale abrasivo, perché alla fine ce lo siamo sorbito con malcelato interesse, pur coltivando la consapevolezza interiore che il lato calcistico si accompagnasse a decisioni discutibili. Di sicuro non è stata, però, un’esperienza da posto passeggero. Ripercorriamola con un campo largo.

Il Mondiale delle contraddizioni

Prima ancora che iniziasse Qatar 2022 era già il Mondiale delle polemiche, delle prevaricazioni denunciate, dei diritti negati. L’accusa di aver provocato una strage di operai per la costruzione di monumentali cattedrali nel deserto, quella – inconfutabile – di aver bollato l’omossessualità come “un danno mentale” con uno dei suoi ambasciatori, le sanzioni minacciate per chi – calciatore o spettatore – indossasse un segno arcobaleno. Salvo poi, Infantino docet, sorprendersi “gay e migranti” davanti alle tv. Si indagherà anche sulla morte di due giornalisti, uno dei quali aveva apertamente dichiarato lotta senza quartiere alle discriminazioni. Conta meno, ma è certo un’altra ipocrisia formato gigante, il fatto che lo sponsor della manifestazione sia stato uno dei principali produttori di birra al mondo: tutto bene, salvo che in Qatar vigeva il divieto di berla. Il Qatar Gate pare adesso la coda di un terrificante Leviatano.

La rassegna delle sorprese

Se lo si contempla meramente dal punto di vista sportivo, è stato senz’altro il Mondiale delle sorprese. Il Marocco in semifinale. Il Giappone che prende a calci le big del pallone europeo. La Croazia data spesso per dead team walking e che invece se la gioca fino in fondo. Come sciabolare un flûte effervescente: per una volta gli sfavoriti galleggiano in superficie, spingendo a fondo le vecchie glorie. Vale dunque anche al contrario: il tonfo della Germania, la caduta delle divinità brasiliane, lo sbriciolamento del Belgio. Non c’è dubbio che questa rassegna abbia eroso le certezze faticosamente acquisite nel tempo.

Un Mondiale di plastica

I tifosi fake non li avevamo mai visti. Un esercito di incalliti cosplayer dalle nazionalità più disparate, pronti ad ingaggiare battaglia in nome di una fede temporanea. Pakistani che sostengono la Germania, srilankesi al soldo dell’Inghilterra, indiani matti per il Brasile e via andando. Un campionario che sarebbe stato anche divertente non fosse per quel gesso che riga i pensieri e suggerisce sentimenti di plastica. La redditività delle emozioni inamida di squallore un Mondiale premuto a forza dentro ad un contenitore inadatto.

The Last dance: Lionel e Cristiano

Uno potrà ancora provarci, l’altro è stato prematuramente estromesso. Qatar 2022 è stato, seppur involontariamente, anche l’ultimo Mondiale dei due dominatori assoluti degli ultimi quindici anni. Dovesse sollevare quella coppa soltanto sfiorata nel 2014, Messi potrebbe davvero proclamarsi il più grande di sempre. Per Ronaldo sfuma l’obiettivo della vita. Anche il Portogallo ha deciso di relegarlo a tratti in panca. Triste epilogo per un campione totale, probabilmente pronto a consolarsi sguazzando in vasche olimpioniche di petroldollari. Il testimone passa adesso a Mbappè, protagonista fino alla fine di questa edizione, e ad Haaland: lui mancava, ma il futuro gli appartiene.

Senza Italia

Un Mondiale privato dell’Italia non può scaldare il cuore. Lo abbiamo intravisto, magari c’è chi si è appassionato più della media, ma resta comunque un posto insipido da frequentare. Il sogno svanito contro la Macedonia del Nord fa ancora sanguinare. Resta il pensiero che i ragazzi di Mancini, pur da campioni d’Europa, avrebbero faticato parecchio ad imporsi: spuntare tra le corazzate e le outsider pareva una missione oggettivamente intricata. Non lo sapremo mai e forse è meglio così. Ora parte la rincorsa al prossimo ed esserci è già un imperativo categorico. Perché un Mondiale senza Italia è una pizza cosparsa di ketchup.

Infantino: «Il Mondiale più bello di sempre. I diritti? «Abbiamo protetto il calcio». Polemica sui lavoratori. Storia di Arianna Ravelli, inviata a Doha su Il Corriere della Sera il 16 dicembre 2022. 

Aveva aperto il Mondiale dicendo di sentirsi «qatarino, arabo, africano, gay, lavoratore migrante», in una conferenza stampa che aveva contribuito a far comprendere la straordinarietà di questo evento, il presidente della Fifa Gianni Infantino lo chiude (perché ormai, dal suo punto di vista, chiunque vinca la finale è già stato un successo, «il miglior Mondiale di sempre») ribadendo la sacralità del pallone, il principio costitutivo che giustifica tutto ciò, compreso il budget monstre della Fifa («I ricavi di questo ciclo sono stati di 7,5 miliardi, uno in più del periodo precedente. Il budget del prossimo sarà di 11 miliardi, di cui 10 reinvestiti direttamente nel pallone»).

Così, di fronte alle domande sulla gestione delle proteste per i diritti umani, con il divieto ai capitani di indossare la fascia One Love, che è stata una delle storie di questi Mondiali, Infantino ribadisce il senso della posizione Fifa: teniamo i 90’ (o quelli che sono diventati, « in media il gioco effettivo è cresciuto di 10’») di pallone al riparto da tutto. «Ognuno è libero di esprimere le proprie convinzioni in modo rispettoso, ma la Fifa è un’organizzazione di 211 Paesi: per me sono 211 squadre di calcio, non 211 governi o capi di stato, ci sono preoccupazioni diverse, culture diverse. Non dobbiamo discriminare nessuno, il calcio deve unire. Quando si parla di regole Fifa si parla di regole non per vietare qualcosa a qualcuno ma per rispettare e proteggere il calcio. Io credo che stiamo difendendo i valori e i diritti umani, ma credo anche che i tifosi che vengono allo stadio e tutti quei miliardi che guardano in Tv hanno i propri problemi e vogliono solo passare 90’ senza dover pensare ad altro che godersi un piccolo momento di piacere, gioia o emozione». Il dibattito è destinato a continuare, anche perché, secondo quello che rivela la Cnn, la richiesta del presidente ucraino Volodymyr Zelensky di condividere — attraverso un video — un messaggio di pace prima del calcio d’inizio della finale è stata respinta dalla Fifa. «Pensavamo che la Fifa volesse usare la sua piattaforma per il bene superiore», ha detto la fonte.

L’altro monolite gigantesco che pendeva sul capo alla Fifa e del Qatar è stata la questione dei lavoratori immigrati, delle loro condizioni e dei morti nella costruzione delle infrastrutture per il Mondiale: Infantino ribadisce le cifre ufficiali ammesse dal governo qatarino, 3-4 decessi nei cantieri degli stadi, 500 in tutto il Paese. Le organizzazioni dei diritti umani dal 2010 ne contano 6.500. «Ogni persona che muore è una di troppo — la risposta — è una tragedia per la famiglia e per tutti. Tre più uno sono persone morte nella costruzione di stadi. I 400/500 sono persone morte in generale dal 2014. Quando parliamo di cifre dobbiamo essere molto precisi per non per creare impressioni false. Qualunque cosa potessimo fare per cambiare la legislazione per proteggere i lavoratori l’abbiamo fatta ed è successo». Varie associazioni nepalesi hanno chiesto che le famiglie dei lavoratori morti o feriti venissero risarcite.

Polemica ribadita anche da Amnesty International, per voce di Stephen Cockburn: «Le entrate Fifa saliranno a 11 miliardi in 4 anni. Eppure non ha offerto nulla di nuovo ai tanti lavoratori e alle loro famiglie che continuano a vedersi negare il risarcimento per salari rubati e vite perse. I lavoratori migranti dietro questo Mondiale hanno contribuito enormemente all’incredibile ricchezza Fifa, che ora ha la chiara responsabilità di risarcirli» invece di «continuare a ignorare le richieste di giustizia».

Quanto al resto, oltre ad aver ribadito la soddisfazione per un Mondiale in Medio Oriente e quindi difeso la scelta dell’assegnazione al Qatar («La più bella Coppa del mondo di sempre, tutti tornano a casa con un bel ricordo e sono sicuro che torneranno. Deve essere un’ambizione Fifa organizzare i suoi eventi in nuovi Paesi»), elencato le eccellenze anche tecniche (« Abbiamo avuto un arbitro donna, grandi partite, le squadre di tutti i continenti sono passati alla fase a eliminazione diretta, zero incidenti pur riunendo tutte le squadre nello stesso posto»), è già tempo di dare un’occhiata al prossimo del 2026 che sarà ospitato in Messico, Usa e Canada con 48 squadre. Il formato doveva essere di 16 gironi da tre, ma si potrebbe mantenere questo a quattro: «Qui sono stati un successo, potremmo farne 12 da quattro». Ma la vera novità ufficializzata oggi è stato il nuovo format del Mondiale per club a 32 squadre: «Si svolgerà dal 2025, avrà le migliori 32 squadre al mondo. La prossima edizione sarà invece col format attuale nel 2023 e si terrà in Marocco». Che poi è stata la vera sorpresa di questo Mondiale. Tutto si tiene nel mondo del pallone di Infantino.

Infantino: "Il miglior mondiale di sempre. I diritti? Viene prima chi vuole godersi il calcio". No a messaggio di Zelenski prima della finale. Enrico Currò su La Repubblica il 16 Dicembre 2022.

Il presidente della Fifa ha lodato il Qatar: "Il mondo intero ha capito che i pregiudizi non avevano ragione di essere". Poi sul delicato tema dei diritti: "Dobbiamo pensare ai tifosi". Sui lavoratori morti: "Dramma per tutti, ma sui numeri bisogna essere precisi". L'annuncio: "Mondiale per club a febbraio 2023 in Marocco"

"Il migliore Mondiale di sempre". Così il presidente della Fifa Infantino, prima delle due finali ancora da giocare ma con l'approvazione del consiglio della Fifa appena riunito, ha definito il torneo: "Dobbiamo aspettare l'ultimo atto, ma già si può parlare davvero di un grande successo: credo che bisognerà ricordarsi di tutto questo e tenerlo in mente. Sono venute qui in Qatar persone da tutto il mondo, l'atmosfera è stata fantastica. Il mondo intero ha scoperto il mondo arabo e ha capito che i pregiudizi che c'erano non avevano ragione di essere: è probabilmente l'eredità più importanti di questo Mondiale, l'apertura reciproca di due mondi che non si conoscevano. I qatarini hanno aperto le loro porte a tutti e chi è stato qui tornerà al suo Paese e lo potrà raccontare, è una mutua comprensione tra popoli. Siamo convinti della forza e del potere del calcio: più incassi avremo e più potremo destinarli allo sviluppo del calcio in quei Paesi che dipendono da noi".

Le vittime sul lavoro, nei cantieri per il Mondiale, restano l'argomento più doloroso: "Io credo che ogni vittima sul lavoro sia una vittima per tuttI: è una tragedia non solo per i familiari, ma per tutti noi. Credo anche che per tutte queste ragioni e per il rispetto della verità sia necessario essere molto precisi, quando si tratta questo argomento. La differenza nelle cifre comunicate, 3 vittime contro 400, è troppo stridente. Tre sono le persone cadute nella costruzione degli stadi, 400 negli altri cantieri. I diritti dei lavoratori ci stanno molto a cuore. Stiamo per concretizzare un accordo specifico con l'Organizzazione mondiale del lavoro, il Mondiale ha captato l'attenzione sulla questione".

Sul tema delle critiche per il mancato rispetto dei diritti umani in Qatar e sulle polemiche sulla fascia No one vietata ai capitani, con la dura presa di posizione di Germania  e Danimarca, Infantino è stato invece molto deciso nel respingere le accuse: "I dibattiti sono bene accetti all'interno della Fifa, dove ci sono diverse culture e diversi modi di vedere le cose, perché la Fifa rappresenta 211 Paesi e ne è orgogliosa. Noi siamo un'organizzazione globale e dobbiamo unirci, non dividerci. Quando parliamo di regolamento, non si tratta di proibire qualcosa, ma di rispettare appunto il regolamento. Che dice una cosa chiara: sul terreno di gioco si gioca a calcio e lì dentro bisogna rispettare le regole del calcio. Ci sono tifosi che vanno allo stadio e un miliardo di persone che guardano il Mondiale sugli schermi: dobbiamo pensare a loro. Ognuno di noi ha i suoi problemi, ma deve potersi godere lo spettacolo senza pensare ad altro: durante quei 90 minuti le persone possono lasciare da parte i loro problemi e pensare solo alla partita . Poi, fuori dal campo, ognuno è libero di esprimere  le proprie opinioni".   

No alla richiesta di Zelenski per un messaggio di pace prima della finale

La richiesta del presidente ucraino Volodymyr Zelensky di condividere un messaggio di pace nel mondo prima del calcio d'inizio della finale dei Mondiali domenica è stata respinta dalla Fifa. Lo ha riferito una fonte alla Cnn, spiegando che l'ufficio di Zelensky aveva proposto alla Fifa un collegamento video - non è chiaro se in diretta o registrato - del presidente ucraino prima della partita tra Argentina e Francia, ed è rimasto sorpreso dalla risposta negativa da parte del governo del calcio mondiale. "Pensavamo che la Fifa volesse usare la sua piattaforma per il bene superiore", ha detto la fonte, aggiungendo che i colloqui tra l'Ucraina e la Fifa sono ancora in corso.

Il caso Superlega

Infantino si è detto soddisfatto dell’orientamento sul caso Superlega in vista della sentenza della Corte di giustizia europea: “Si riafferma il principio del sistema piramidale calcio del calcio, cioè che ha un fondamento chiaro anche a livello di legislazione europeo”.

Il primato della Fifa 

In cima alla piramide, argomenta Infantino, c’è la Fifa: “E se una lega nazionale commercializza i propri diritti di trasmissione, i ricavi vanno ai 20 club di quella lega, più una percentuale agli altri. Se una confederazione continentale commercializza la sua Champions, i ricavi vanno ai 32 club iscritti, più una percentuale in solidarietà. La sola organizzazione del calcio che distribuisce gli introiti in modo uguale al mondo intero è la Fifa e lo fa per lo sviluppo del calcio appunto nel mondo intero: per questo dobbiamo continuare a perseguire lo sviluppo globale del calcio in tutto e questo passa necessariamente attraverso nuove competizioni, naturalmente con la priorità della salvaguardia della salute dei calciatori”.

Il Mondiale per club a 32 squadre

La nuova competizione per definizione è il Mondiale per club a 32 squadre, che il Consiglio ha approvato a partire dal 2025: “Sede e calendario vanno ancora definiti, ma si farà, con i migliori club del mondo. Alcuni anni fa decidemmo questa nuova Coppa per il 2021, ma il Covid l’ha bloccata: decidemmo responsabilmente di non sovraccaricare il calendario. Si giocherà ogni 4 anni e nel 2025 sarà d’estate, nella finestra che una volta era riservata alla Confederations Cup. Questo torneo porterà nuovi introiti, che non abbiamo calcolato nel prossimo bilancio quadriennale, sarà un ulteriore fonte di sostegno per il calcio nei Paesi dove è in via di sviluppo”.

In Marocco il Mondiale per club 2023

C’è già un “premio” al grande Mondiale del Marocco: l’organizzazione del prossimo Mondiale per club, ancora nel format ridotto attuale: “Si svolgerà dall’1 all’11 febbraio 2023. Poi si andrà negli Emirati”.

Il bilancio 

l Mondiale in corso ha moltiplicato i ricavi per la Fifa: “Possiamo confermare che per questo ciclo 7,5 miliardi di euro di introiti, con un incremento di 1 miliardo rispetto al Mondiale di Russia, tutto questo malgrado la pandemia. Per il prossimo ciclo il budget è di 11 miliardi, di cui 10 reinvestiti direttamente nel calcio. Il consiglio ha inoltre approvato il piano di sviluppo dei talenti, da 2,5 miliardi, coordinato da Arsène Wenger”.

Il Mondiale 2026

“Il formato sarà a 48 squadre, ma va ancora stabilito se ci saranno 16 gironi da 3 squadre o 12 da 4: i gironi a 4 squadre, qui in Qatar, sono stati appassionanti fino all’ultima giornata. Sarà un successo anche in Usa-Messico-Canada: più partite e più incassi, nei grandi stadi americani di solito impiegati per il football e riconvertiti a quello che loro chiamano soccer, il nostro calcio. Si può già dire fin d’ora che sarà un boom”.

Più squadre all’Africa

Infantino ha prefigurato il passaggio ad almeno 9 Nazionali africane (oggi sono 5) qualificate: “Il Marocco giocato bene, con grande organizzazione, non è una casualità il suo approdo alla semifinale. Ci sono stati investimenti e un grande lavoro dietro questo risultato: è la dimostrazione che si può giocare un grande calcio in tutti i continenti. Mi congratulo anche con tutti gli altri Paesi africani presenti qui, le loro Nazionali hanno giocato molto bene e fino all’ultima partita tutti sono rimasti in corsa. Nel prossimo Mondiale raddoppierà il numero delle africane e quindi la possibilità che vadano ancora più avanti nel torneo”.

Il terzo mandato

Il presidente della Fifa, che il 16 marzo al congresso di Kigali in Ruanda verrà rieletto certamente in quanto candidato unico, ha chiarito che il consiglio ha deliberato ciò che già si sapeva: tecnicamente quello attuale è il primo mandato quadriennale di Infantino, subentrato in corsa nel 2016: “Il 16 marzo a Kigali comincerà il mio secondo mandato. Il limite è di tre”. La sua intenzione, dunque, è di arrivare fino al 2031.

I maxi-recuperi

Non resterà isolato il maxi-recupero, alla fine di ogni tempo di gioco, diventato prassi nella maggior parte della gare di questo Mondiale: “L’’Ifab ci aveva trasmesso quest’esigenza e la media è stata di 10-11 minuti di tempo addizionale complessivo, per cui in ogni partita il tempo effettivo si è innalzato a quasi un’ora, per la soddisfazione del pubblico e degli addetti ai lavori”.

Il livello atletico

Un altro rilievo tecnico di Infantino riguarda le prestazioni atletiche dei calciatori, favorite dalla stagione: “Questo aspetto delle partite è piaciuto a tutti. Si sono viste prestazioni di alto livello fino alla fine, è stato un Mondiale più giusto. E anche simulazioni e ammonizioni sono state di meno: bisogna dire grazie anche ai calciatori e agli allenatori”.

Il calendario

Mondiale per club a parte, l’idea è di mantenerlo più o meno uguale a quello attuale: “Due soste per le Nazionali a settembre e ottobre, il resto rimane uguale. Ma sarà sempre più importante il confronto tra i continenti, visto che per la prima volta tutti sono stati rappresentati nella fase a eliminazione diretta. A marzo, negli anni pari, organizzeremo tornei a 4 squadre di diversi continenti perché tutti, attraverso il confronto sul campo, acquisiscano sempre più competitività”.

L’assegnazione del Mondiale 2030

Sarà una sfida cruciale, dato l’alto numero delle candidature di ogni continente: “Si deciderà nel 2024 l’assegnazione del Mondiale maschile e nel 2025 l’assegnazione di quello femminile, nel rispetto dei 6 anni di distanza”.

Meno commissioni agli agenti

Approvato il nuovo regolamento degli agenti Fifa: “Per una maggiore professionalità nel sistema ci sarà un nuovo metodo per le licenze professionali. Gli obiettivi sono eliminare i conflitti d’interesse e di mettere un tetto alle commissioni”.

Le note a margine 

Infantino si è compiaciuto dello spettacolo: “Si sono viste partite quasi sempre molto equilibrate e gol molto belli, la qualità è stata decisamente alta. Nessuna squadra è riuscita a vincere tutte le sue partite, una squadra araba è arrivata lontano per la prima volta e tutti i continenti, lo ripeto, era nella fase eliminatoria: questo dimostra che il calcio sta davvero abbattendo tutte le barriere anche dal punto di sportivo. Per la prima volta, infine, una donna ha arbitrato una finale del Mondiale e Stéphanie Frappart è stata molto brava”.

·        I soldati di S-Ventura. Un manipolo di brocchi. Una squadra di Pippe.

Mondiali ‘90, Bari vara l’«astronave». Nell’86 primo passo per costruire il San Nicola. Annabella De Robertis su La Gazzetta del Mezzogiorno il 27 Novembre 2022

«Per Bari lo stadio mondiale, si può», titola «La Gazzetta del Mezzogiorno» del 27 novembre 1986 in prima pagina. «Bari avrà i mondiali di calcio 1990 e il nuovo stadio se dimostrerà con i fatti di meritare entrambi. Ieri a Roma, al vertice dei sindaci delle dodici città scelte per ospitare le partite del torneo finale del 1990 con il ministro Capria, l’avvocato Franco De Lucia ha spiegato come la città intende affrontare e risolvere il problema prospettando una soluzione nel complesso originale». La città, dunque, si legge sulla «Gazzetta», è fermamente intenzionata a costruire uno stadio, ma al momento non esiste neanche una bozza di massima: fuori discussione è l’ipotesi di ristrutturare la vecchia Arena della Vittoria. L’area sulla quale sorgerà il nuovo stadio è in prossimità dello svincolo di Bitritto, a 4 km dalla città, vicino all’autostrada Bari-Taranto, una zona ben collegata, ma sulla cui viabilità c’è ancora molto da lavorare.

«In pratica il sindaco ha chiesto che il progetto e realizzazione del nuovo stadio siano affidati a un’azienda specializzata delle partecipazioni statali. Questo soprattutto per evitare un aggravio dei costi: si parla di una settantina di miliardi per un impianto da sessantamila posti l’ottantacinque per cento dei quali numerati. La proposta è piaciuta al ministro ed è piaciuta a Carraro, che del comitato organizzatore locale è il presidente, e a Luca di Montezemolo che è il direttore generale. Ma le idee, anche quelle migliori, hanno bisogno di supporti concreti per essere realizzate. Ed è quello che a Roma hanno detto al sindaco. Bari avrà tutti gli aiuti finanziari e tecnici ma prima dovrà tradurre in progetti le brillanti idee dei suoi amministratori. Ha tempo fino al 31 marzo». Aggiunge il cronista Biagio Fanelli: «La scommessa di Bari, in definitiva, la vince o la perde insieme al capoluogo l’intera Regione. Su questo a Roma non hanno avuto esitazioni. Lo avevano già chiarito: se Bari per un motivo qualsiasi dovesse essere esclusa, al suo posto non subentrerebbe né Lecce, né altra città di riserva».

Pochi giorni dopo, il consiglio comunale di Bari opterà definitivamente per la costruzione del nuovo stadio: nel febbraio 1987 l’architetto genovese Renzo Piano presenterà la sua idea di impianto da 50.000 posti a sedere, tutti coperti, disposti su due anelli concentrici a pianta ellittica. Intitolato a San Nicola a seguito di un referendum popolare de «La Gazzetta del Mezzogiorno», sarà il maggiore impianto sportivo della regione e il quarto stadio più grande d’Italia. Il 3 giugno 1990 l’astronave di Renzo Piano ospiterà la sua prima partita, un’amichevole fra Bari e Milan, vinta 2-0 dai biancorossi.

Perché gli italiani "odiano" la nazionale - Giovanni Capuano su Panorama il 24/09/22.

E va bene, si è capito che la maggioranza degli italiani preferirebbe scoprire nel prossimo week end se la Juventus e l'Inter sono uscite dalla crisi, se il Napoli può andare in fuga scudetto e se la caduta del Milan di settimana scorsa è stato solo il prodotto della sfiga o un campanello d'allarme. E vanno compresi i tifosi che da giorni toccano tutto quello che possono, purché sia di ferro, sperando che il proprio campione non rimedi un infortunio muscolare di nessun tipo, visto che poi il calendario non fa sconti. Arriviamo anche a giustificare che ci sia un certo clima di depressione a poco più di un mese dal Mondiale degli altri, quello che noi vivremo in poltrona mentre tutto il resto del mondo pallonaro sarà in Qatar. Quindi ci sta che questa sosta della nazionale non sia in cima alle preferenze, che la Nations League nell'immaginario collettivo sia una sorta di Conference League per nazioni e che Italia-Inghilterra susciti emozioni come una puntata estiva (in replica) di Techechetè, fortunata trasmissione Rai che rispedisce i nostalgici nel passato sfornando spezzoni della tv che c'era e adesso non c'è più. D'accordo tutto, ma l'odio e il disinteresse che circondano la nazionale di Roberto Mancini hanno assunto ormai i contorni della patologia, con l'aggravante di essere coltivati non solo da tifosi che in fondo si comportano da tali ma anche da una discreta fetta di chi i comportamenti della massa potrebbe educarli se non orientarli. E' sorprendente scoprire che la nazionale non interessa a nessuno. Non a chi ciclicamente fa la conta delle ore che separano dalla fine delle soste, non chi sbatte l'azzurro in ventesima pagina sepolta da notizie vere (o presunte) di mercato. Non da chi utilizza l'azzurro solo per inutili e ripetute dissertazioni su quanto siamo scarsi noi e quanto sono più avanzati altri sistemi, che certamente non mettono in cima ai loro pensieri la Nations League o le partite di qualificazione ai vari Europei o Mondiali ma, almeno, riescono a comprendere l'importanza di stare vicino alle rispettive nazionali con un minimo senso di opportunità se non di patriottismo. Tirare contro l'Italia di Mancini è diventato ormai mestiere redditizio, sui social e nei bar sport televisivi. Salvo poi precipitarsi sul carro del vincitore quando succede, come a noi è successo non più tardi di 15 mesi fa. Invece la nazionale merita di più, ha bisogno di una mano proprio adesso che l'orizzonte è scuro e che si fatica a vedere la luce in fondo al tunnel. Contro l'Inghilterra l'elenco degli assenti per infortunio è così lungo che si fa fatica quasi a metterlo insieme senza perdere i pezzi. Chi se ne frega, dicono i soliti, basta resistere qualche giorno e torneranno campionato e Champions League. Non è così. Se perdiamo rischiamo di compromettere anche il futuro, la qualificazione al prossimo Europeo e il processo di ricostruzione cui siamo condannati. E sarebbe un problema per tutti, anche quelli del "chissenefrega" , pronti ad evocare il bel calcio di una volta con meno partite e meno impegni (anche se le amichevoli della nazionale ci sono sempre state), a muoversi osservando dove tira il vento per non trovarsi dalla parte contraria. A occuparsi dell'Italia solo per parlarne male in un loop senza fine. Ecco perché oggi più che mai all'Italia si deve stare vicini. Comunque vada.

Giampiero Mughini per Dagospia il 25 agosto 2022.

Caro Dago, eccome se ne vale la pena delibare le tre puntate del documentario sull’Italia-Brasile 3-2 del 1982 appena prodotto per Sky da Luca Barbareschi. Il Time, un giornale che sa quello che dice, l’ha consacrata come la più grande partita di calcio del Novecento, e dire questo di una partita di calcio vuol dire che quello è stato il più grande spettacolo teatrale del Novecento. Dato che _ sono parole di Carmelo Bene, uno che ci passava le notti a godersi i tornei di calcio di tutto il mondo _ il football è il più grande spettacolo teatrale al mondo.

E questo perché ogni partita è diversissima da tutte le altre, nel senso che ogni volta ne succedono di tutti i colori. E non c’è regista al mondo che avrebbe potuto architettare un tale svettare di personaggi e una tale sequenza di episodi che ogni volta rovesciavano il racconto, come accade in quei dannatissimi e meravigliosi 90 minuti di Italia-Brasile di quarant’anni fa. 

Una sequenza che nemmeno Alfred Hitchkok avrebbe saputo immaginare. Loro che erano forse la più formidabile squadra carioca di tutti i tempi, almeno cinque o sei dei fuoriclasse immani. Noi che sino a quel momento abbiamo giocato così e così salvo la vittoria contro l’Argentina di un certo Maradona.

Più ancora, i nostri giocatori che sino a quel momento erano stati bersagliati di insulti dalla stampa italiana che ci dava per morti, che ci augurava di tenere basso l’inevitabile massacro da parte dei brasiliani, che riempiva di improperi il ct Enzo Bearzot perché continuava a dar fiducia al centro del nostro attacco a un morto che cammina, a quel Paolo Rossi che veniva da una sosta di due anni a causa di una squalifica

Al punto che i nostri giocatori si rifiutano a un certo punto di avere a che fare con i giornalisti italiani e decidono il silenzio stampa. I nostri giocatori, quelli di una squadra che di fuoriclasse ne aveva a sua volta tanti. Il nostro portierone Zoff, i due mostruosi terzini della Juve Gentile e Cabrini, Gaetano Scirea, l’ubiquo Marco Tardelli, un Bruno Conti che in quel torneo toccò le vette del cielo, un Lele Oriali indimenticabile nel fare muro a protezione della difesa, un Paolo Rossi che nelle tre ultime partite del Mundial di gol ne fece sei uno dopo l’altro (bellissimo quello contro la Germania che sbloccò il risultato) sino a conquistare il titolo di “hombre del partido”: l’uomo che aveva deciso la finale della Coppa del Mondo.

Eccome se ne vale la pena delibare le tre ore che dura il documentario di cui sto dicendo. Impressionante il momento in cui il di solito rocciosissimo Claudio Gentile (contro il Brasile quello annullò Zico) ricorda che mentre stavano entrando in campo per Italia-Argentina Bearzot gli dice che sarà lui a marcare Maradona, e nel raccontare quel momento Gentile scoppia a piangere e perché ricorda gli insulti che erano piovuti su di loro prima di Italia-Argentina 2-1 e perché lui nel frattempo è stato cancellato dal suo secondo mestiere, quello di allenatore, dove pure aveva fatto benissimo.

Piange Gentile, ma ho pianto anch’io ieri sera nel vedere quelle immagini e nel ricordo di quanti non ci sono più, Bearzot, Scirea, Paolo Rossi, il personaggio che da solo regge tutta la drammaticità del racconto. Nella valutazione di tutti lui era nessuno al momento in cui la partita comincia, ebbene fa un gol dopo cinque minuti, ne fa un secondo altrettanto bello a due terzi del primo tempo, ne fa un terzo quando il Brasile aveva pareggiato e a quel punto per noi non v’era più speranza (il pareggio bastava al Brasile per passare il turno).

Ma c’è un’altra cosa meravigliosa del tutto. L’arbitro della partita era un israeliano il cui figlio in quei giorni era stato ferito in uno dei tanti combattimenti che Israele ha patito pur di sopravvivere. A commento della partita l’arbitro israeliano dice che il risultato giusto ne era stato 4-2, perché il gol di Giancarlo Antognoni che era stato annullato per fuorigioco era invece validissimo, ciò che a molti di noi era apparso palmare. 4-2, non 3-2. E a non dire le immagini alla fine della partita in cui Conti e Falcao (che nel torneo italiano di serie A erano compagni di squadra nella Roma) si scambiano le maglie senza dirsi una sola parola. Perché non c’erano parole bastevoli da dire dopo quell’inaudita epopea.

Cabina 82, la prima volta nella magica notte in cui l’Italia vinse i Mondiali. Viola Ardone su La Repubblica l'1 Agosto 2022. 

11 luglio 1982. La prima volta, nell’indimenticabile notte in cui l'Italia vinse i Mondiali. Un omaggio alle emozioni dei quindici anni, che inaugura una serie di storie dedicate agli amori. E all’estate​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​

Ho conservato una foto di noi due, stampata su carta satinata e un po’ sbiadita: tu sei un principe in pescura beige con la bandiera tricolore sulle spalle che ti fa da mantello, io una aspirante Kim Basinger con la frangetta bionda, gli orecchini di stoffa colorata e le guance paffute dipinte di blu.

11 luglio dell’82: l’Italia stava per vincere i mondiali, noi eravamo ancora vergini e le foto si scattavano premendo l’indice su un cilindretto di metallo.

- Ho sfilato le chiavi a mia madre, - mi dicesti facendomi oscillare sotto al naso il ciondolo a forma di stella marina. Mi tolsi i finti Ray-Ban presi su una bancarella di via Roma prima di partire e scossi la testa.

- Nemmeno se segna Rossi?

- Macchè.

- E se segna Tardelli?

- E che vuol dire? Tardelli è certo che segna.

- E se invece segna Altobelli e ci portiamo a casa la coppa, ci vieni con me sulla spiaggia stanotte?

Quella partita di quarant’anni fa cominciò alle 20, l’ora esatta in cui stasera mi sono infilata il mio vestito sabbia, mi sono guardata allo specchio e mi sono messa a piangere. Cinquanta minuti dopo, quando la finale dell’82 era ormai al termine del primo tempo, mi sono sciacquata il viso, aggiustata il trucco e ho tirato fuori dall’armadio l’abito rosso. Alle 21, mentre il signor Arnaldo César Coelho esattamente quarant’anni prima fischiava la ripresa del gioco, mi sono svestita di nuovo, ho appallottolato il vestito rosso e l’ho gettato sulla poltrona accanto alla finestra.

Che stupida. Che stupida vecchia bambina mai cresciuta. Quaranta anni sono una vita, ci passano in mezzo matrimoni, figli, separazioni, malattie, dolori. Perché sto andando a questo appuntamento? Per una promessa fatta quarant’anni fa? O per la voglia di essere ancora quella, la ragazzina con la permanente bionda e le lentiggini?

E perché no, mi dico poi frugando nell’armadio, d’altra parte è stato lui a proporlo: qualsiasi cosa accada, qualsiasi cosa sarà successo nelle nostre vite, noi ci ritroveremo qui, davanti alla cabina 82 del villaggio vacanze Stella maris, nella stessa notte in cui l’Italia vinse i mondiali.

La cabina era scomoda, buia e sapeva di salmastro, lui iniziò a fischiettare Anna e Marco, la nostra canzone, poi mi sfiorò le labbra, prima a fior di pelle e poi mettendoci la lingua, sentivo il sapore di MS morbide e Peroni scivolare dentro la mia bocca, le sue dita farmi il solletico sulla pelle abbrustolita, le stringhe del costume mi si arrotolavano sulle scapole e né io né lui riuscivamo a liberarle, sotto la lingua e tra le gengive scrocchiavano i granelli di sabbia che il sudore ci aveva attaccato addosso e l’eccitazione era una bocca spalancata nella carne che chiedeva solo di mordere e tenere e non finire più.

Così provammo a fare l’amore per la prima volta la notte dell’11 luglio 1982, in piedi e al buio di una cabina che puzzava di vernice e di antiruggine. Mentre il resto dell’Italia celebrava in strada la coppa del mondo noi officiavamo di nascosto dal mondo la nostra iniziazione al sesso.

E non ci riuscimmo. Non ci riuscimmo perché la prima volta non si riesce mai. Perché il corpo è un territorio sconosciuto che si impara a decifrare con pazienza, perché la mappa del piacere si decodifica via via con l’intelligenza degli anni, e le ragioni del desiderio ci mettono tempo per farsi valere. E poi perché ogni corpo ha una sua storia e una sua geografia che è necessario studiare a lungo e con passione, prima di poterla percorrere agilmente.

Forse è che eravamo troppo giovani, che nella cabina 82 c’era solo una panca, che io avevo uno spigolo conficcato nella natica destra, che le zanzare ci tormentavano le gambe, che nessuno dei due sapeva ancora bene che cosa fosse quella verginità né precisamente dove si trovasse. Tutto finì in fretta, ancora prima di capire da dove si dovesse cominciare.

Ci rivestimmo goffamente e pieni di imbarazzo, come se all’improvviso vederci senza il costume fosse un’oscenità, Adamo ed Eva che dopo aver addentato il frutto proibito si scoprono nudi e provano vergogna. Serrò a chiave la cabina 82 e mi girò un braccio attorno al collo con esitazione, come se fino a pochi minuti prima quel mio corpo non fosse stato una porta schiusa al suo desiderio, come se non gli avessi appena concesso la mia “nuda proprietà”.

- Che dici, Anna, ce lo facciamo un Calippo? - mi chiese ridendo.

- Almeno quello, - sospirai e ce ne andammo al bar.

“Anna come sono tante, Anna permalosa…”, riprese a canticchiare. Il freddo del ghiacciolo mi invadeva la bocca pizzicandomi la lingua. Forse era ancora quello il piacere intenso e innocente che cercavo a quell’età, non altri.

Quarant’anni dopo, all’inizio del secondo tempo di quella partita storica, mi ritrovo nuda davanti allo specchio. Ecco quello che sono. Una donna di 55 anni, una donna di una certa età, come si diceva una volta. Ma di che età, precisamente? Sono di certo più grande dei miei genitori all’epoca della promessa che ci scambiammo io e Marco, e infinitamente più giovane di quanto potessero apparire mia madre e mia nonna quando erano mie coetanee.

Mi guardo: è una donna bella, quella che mi guarda dallo specchio, le rivolgo un sorriso e lei ricambia. Possiede, a questa età, una bellezza senza scuse e senza ipocrisie: il seno più abbondante, i fianchi larghi ma il ventre non troppo prominente, il sesso depilato, una albicocca maturata al sole di molte estati, i capelli più biondi di allora e meno ricci, gli occhi uguali, con qualche segno in più in direzione delle tempie. Indosso il mio corpo nudo come se fosse una divisa, la maglia della mia vittoria, quella che ho custodito nel tempo. La vita, per il resto, ci si è squagliata addosso, come un Calippo che non si è fatto in tempo a succhiare ed è già nient’altro che acqua colorata. Solo il corpo rimane, solo la carne ci tiene compagnia.

In questa notte di quarant’anni fa l’arbitro soffia tre volte nel fischietto: Pertini esulta, canta Cabrini insieme a Bruno Conti, Antognoni solleva i pugni contro il cielo e la Germania si inabissa, beffata, negli spogliatoi.

Infilo canotta bianca e pantaloncini sopra al costume ancora impregnato di sale dal bagno di stamattina, e mi avvio all’appuntamento, il vialetto che porta alle cabine è solitario, la staccionata è sbiadita, la notte silente.

Mi siedo con le spalle poggiate alla cabina 82 a cercare una luna che l’anno della vittoria c’era e oggi non più. Ma mentre quella tornerà tra qualche giorno sempre uguale, seguendo il suo perenne ciclo di mesi e di stagioni, io invece no. Non torneranno i quindici anni, non tornerà l’amore eterno e nemmeno la cotta di un’estate, non tornerà la permanente né la frangetta liscia, gli zaini a strisce bianche e gialle o blu. Non torneranno la nazionale dell’82, il tempo delle mele, When I’m with you it’s paradise, superclassifica show e il Commodore 64.

Poi un rumore dal fondo mi riporta qui, a oggi. Abbasso gli occhi e scruto il fondo del vialetto, ti riconosco subito dal passo dondolante e dalla percussione ritmica degli zoccoli in legno sulle mattonelle. Mi prendi per mano e mi sollevi, mi poggi un bacio sulla fronte, poi mi sventoli davanti agli occhi la chiave della cabina 82, con la stella marina rossa. Sei sempre tu, uguale e diverso, nello stesso modo in cui lo sono io.

L’interno è buio e umido come a quel tempo, la panca in legno è stata sostituita da una in metallo, scomoda uguale.

- Grazie, - mi sussurri all’orecchio.

- Grazie di cosa, - gli carezzo una guancia.

- Di essere tornata qui.

- Sono come la luna, - dico, e mi sento ridere come quella ragazza di quindici anni che sono stata e che mi osserva dal buco della serratura dei miei anni maturi. Vedi, non cambia niente, le spiego con pazienza, tutte le età felici si somigliano: il cuore batte forte mentre le mani stringono e carezzano, il corpo diventa docile per aderire all’altro. Il sesso, cara ragazza dell’82, è caldo e umido e odora di salsedine come questa vecchia cabina. Il resto è narrativa.

I vestiti sono ammucchiati a terra sul pavimento sporco, Marco siede sulla panca, io sono a cavalcioni su di lui, gli cingo i fianchi con le cosce e, mentre punto le ginocchia contro la superficie in ferro e mi adeguo al suo ritmo, mi torna in mente di cosa odorava quel giorno la sua pelle: di latte e liquerizia. Poi non penso più a niente: né al tempo passato né a quello che verrà, né al corpo che piano piano se ne va per fatti suoi, né ai figli né al fisco né alle scadenze né ai soldi né a mio marito e neanche più a me. Nel sesso c’è un istante in cui ci si dimentica di sé. Si può tradire tutto per raggiungerlo.

Poi, sarà lo spazio angusto, sarà il caldo afoso, la pelle che si appiccica, la posizione scomoda, dopo qualche minuto la presa di Marco si fa debole, lui smette di agitarsi sotto di me e mi affonda la fronte in mezzo ai seni, avverto il suo sudore che mi goccia addosso.

- Scusami, è l’emozione, - dice staccandosi, e cerca nella penombra gli abiti, come Adamo dopo il morso alla mela.

Mi sdraio sulla panca, esausta, il fresco del metallo mi ristora.

- Vabbè, ci riproviamo a casa, con l’aria condizionata e le lenzuola pulite, poi ci facciamo anche due pomodori all’insalata? Ti va? – gli propongo.

- Se i ragazzi non sono già tornati dalla disco, - risponde, e si rimette i boxer.

“Marco grosse scarpe e poca carne, Marco cuore in allarme”, mi metto a cantare soprappensiero mentre mi infilo la maglietta e scuoto i capelli per liberarli dalla sabbia. Sgattaioliamo fuori dalla cabina, alzo gli occhi verso le stelle e mi sorprendo a trovarci anche la luna, libera finalmente dalle nuvole.

- Però alla fine ci sei venuta, - mi sorride.

- Me lo ricordi ogni anno, - gli mollo un buffetto sulla guancia ancora accaldata.

- Era un modo carino per festeggiare il nostro anniversario.

- Ce ne sono anche di meno scomodi.

Ci avviamo sul vialetto in direzione del residence, lui ciabattando rumorosamente, io silenziosa. Poi all’improvviso si ferma e mi prende per mano. - Anna, ma che ne dici, prima di ritornare a casa ce lo facciamo un Calippo? – mi trascina verso il bar dei mondiali. La lingua mi pizzica di un nuovo desiderio di freschezza.

- Eh, almeno quello!

Antonio Dipollina per “la Repubblica” il 4 luglio 2022.

Da qui e per un po' ognuno potrà decidere la dose di rievocazione che è disposto ad affrontare. 

Quarant' anni dal Mondiale di Spagna 1982, l'epica del calcio che va per fatti propri e diventa irraggiungibile. In giro, per le tv e ovunque, sono previsti documentari, servizi, interviste, chi c'era e chi non c'è più. 

E se tutto avrà la consistenza e l'impatto emotivo di questo Italia vs Brasile 3-2 - La Partita, doc in tre parti visibile da oggi su Sky Documentaries, si rischia di rimanere sopraffatti. Il quarantesimo esatto del match del Sarrià è dopodomani, la docuserie nasce da un libro di Piero Trellini, è realizzata da Giovanni Filippetto insieme allo stesso Trellini e a Luigi Cruciani.

Poco importa se tutto era nato dalla strepitosa vittoria precedente contro l'Argentina, l'evento più inconcepibile della storia dal calcio: Italia-Brasile fu altro, il ricordo costeggia una dimensione metafisica. Il doc finisce e si scopre che si è palpitato un minimo perché magari il Brasile faceva ancora in tempo a pareggiarla. Numerosi i testimoni (anche brasiliani: Eder, Toninho Cerezo, l'incredibile centravanti Serginho, che sembrava Pippo: all'inizio sbaglia il gol più facile del mondo e si allontana ridendo pensando a quanti ne segnerà da lì in avanti. Zoff impagabile (quella parata) Bruno Conti, Bergomi, in una rievocazione che consente divagazioni personali, tra cronisti di razza e fotografi a bordo campo.

Il simbolo, anche di noi che guardiamo, è Claudio Gentile: che un po' si bulla ancora delle magliette del Brasile di fibra leggera, per cui non appena Zico gli si avvicinava la maglietta si squarciava: e un attimo dopo piange per l'insostenibilità emotiva di tutto quanto. Comunque l'hanno dovuto mettere nel titolo, quel 3-2: perché ancora qualche dubbio viene, ma il Brasile poi non ha più pareggiato, davvero. 

*** Nel finale di quella gara, Antognoni realizza il quarto gol ma il guardalinee segnala il fuorigioco. Nel doc c'è anche l'arbitro, l'israeliano Klein, fiero di esserci stato. E dice: "Ci fosse stato il Var, quella partita l'avrebbe vinta l'Italia 4-2". Ma quanta poesia in meno.

Concetto Vecchio per “la Repubblica” il 4 luglio 2022.

Tutto è cominciato con delle foto che non si trovavano. «Andai più volte a casa di Giuseppe Calzuola, nel quartiere Portuense, per chiedergli di recuperare le immagini che aveva scattato il giorno di Italia- Brasile nel 1982. 

"Non so più dove le ho messe", rispondeva invariabilmente. Mettemmo la casa sottosopra, senza esito. Il fotoreporter Calzuola era stato in Spagna come free lance, si era pagato la trasferta di tasca sua, e ogni giorno vendeva i momenti immortalati con una Nikon F3 MD-4 ai giornali romani, tra cui Repubblica . Era amico di Falcao, che a Roma viveva in un albergo vicino alla sua abitazione, e che lui, seppur di fede laziale, accompagnava al mare. Non so quante volte sono andato a casa di Calzuola. Poi un giorno, miracolo!, sono spuntati fuori i negativi. Li aveva stipati in una scatola di scarpe, stavano lì da allora». 

Seduto in un ristorante di Prati, Piero Trellini, l'autore de La partita. Le immagini di Italia-Brasile (Mondadori), dispiega sul tavolo una mappa che ha disegnato sui padroni del calcio italiano dal dopoguerra al 1982.

È un libro fotografico per modo di dire. È piuttosto un pezzo di biografia della nazione raccontata con enorme talento e altrettanto gusto per i dettagli. Trellini è andato a caccia di ogni cimelio possibile, trovando foto mai viste, tipo Claudio Gentile che affronta a muso duro Lino Cascioli del Messaggero; possiede il fischietto e il cartellino dell'arbitro Klein, il report della sfida, la felpa originale degli Azzurri, i guanti di Zoff, il programma ufficiale, le bottiglie di Coca cola con il logo della manifestazione, i tappi, i cuscini usati quel giorno allo stadio, il biglietto, il disco inciso da Junior («Voa, canarinho, voa»), il modellino del pullman, le figurine Panini, i ritagli dei giornali. Nel libro figura riprodotto anche Octopus, il gioco elettronico portatile, con cui era solito rilassarsi Bruno Conti.

Trellini ha 52 anni. Ne aveva dodici il 5 luglio 1982, quarant' anni fa. Vide la partita a casa sua, ai Parioli. Le cinque e un quarto del pomeriggio, l'ora delle corride. «Al fischio finale uscimmo per strada, mio padre disse "andiamo a prendere i passaporti in commissariato", adesso che ci ripenso mi pare una richiesta assurda, che stride con l'emozione violenta che provavamo. E mentre c'incamminavamo la gente attorno noi sventolava tricolori, si abbracciava, suonava il clacson, urlava la sua incredulità. Era la prima volta che vedevo festeggiare attorno a me. 

È stato il primo evento collettivo felice della nostra generazione. Venivamo da una sequela di lutti e tragedie: il sequestro Moro, Ustica e la strage di Bologna, Vermicino. E adesso invece ci buttavamo nelle fontane dalla felicità». Italia-Brasile 3-2 pone fine agli anni di piombo. Forse è per cristallizzare quel frammento irripetibile di beatitudine che Trellini ha iniziato sin da subito a riempire di appunti e foto i quadernoni scolastici. Suo padre all'indomani gli portò i quotidiani freschi di stampa.

«Mi piacque il titolo "Il Brasile siamo noi". Ho capito dopo un po' che ogni fatto, anche il più insignificante, andava visto da più punti di vista. Poi un giorno su eBay ho scoperto che l'arbitro israeliano Abraham Klein metteva all'asta il cartellino e il fischietto. 

Siamo entrati in contatto. Mi ha rivelato che in quel Mundial la sua preoccupazione era per il figlio Amit, dato inizialmente per disperso nella guerra in Libano » . Tre anni fa Trellini ha pubblicato La partita , un altro libro-mondo, che ha vinto il premio Bancarella. «Questo è il dietro le quinte di quel mio lavoro». Sulle tribune del Sarria, lo stadio scalcinato alla periferia di Barcellona, quel giorno c'erano i maestri della letteratura, Vargas Llosa (a cui rubarono il manoscritto del suo ultimo libro, Historia de Mayta ), Mario Soldati, Giovanni Arpino, Oreste del Buono, Manlio Cancogni. 

E c'era soprattutto Gianni Brera, che nella sua agenda annota: «Assisto a una conferenza stampa e ne provo pietà». Trellini ha recuperato le agende di Brera alla Fondazione Mondadori. Quattro mesi prima era passato a Repubblica dal Giornale , convinto da Mario Sconcerti. Rappresentò il più grande colpo di calciomercato giornalistico dell'epoca, che, notò Brera con soddisfazione, fece lievitare le vendite di Repubblica del 15 per cento. Brera vi segnava se vinceva o perdeva a carte, quanti soldi aveva in tasca, a che ora si addormentava. Tutti sappiamo dov' eravamo quel pomeriggio.

Coltiviamo una nostalgia lancinante per quell'istante estivo. Il cameriere ha portato le fettuccine e Trellini ripiega nello zaino la sua mappa: «Ogni suo elemento ha avuto un senso drammaturgico, la sequenza degli atti, i conflitti degli attori, la trepidanza del coro. Italia-Brasile 3-2 ha una struttura perfetta, una scrittura hollywoodiana». Cosa ha capito, gli chiediamo. «È una storia di padri e figli, Bearzot e Paolo Rossi, Brera e Sconcerti, Klein e il suo ragazzo in guerra; in questi quarant' anni io sono cambiato naturalmente, anche le mie motivazioni hanno subito delle stratificazioni. Prevale in me, su tutto, però sempre l'elemento favolistico: è una favola moderna». Dopo l'uscita de La Partita lo chiamò dapprima Marco Tardelli, («ti ringrazio per tutto questo»), e subito dopo Dino Zoff. Gli chiese: «Ma come hai fatto?».

Il miglior Buffa al servizio dell’avvincente storia di Enzo Bearzot. Aldo Grasso su Il Corriere della Sera l'1 Luglio 2022.  

I cicli della vita usati per il racconto di una biografia scandita da tante «porte girevoli» come quella del «patriarca del calcio italiano», eroe e timoniere di Spagna ’82 

«Sin dal passato ci è stata tramandata l’illusione di vincere il tempo provando a governarne la misura, ma in realtà è il tempo che misura noi». Federico Buffa sceglie la metafora del tempo e dei cicli della vita per raccontare la vita di Enzo Bearzot, il «Vècio», «il patriarca del calcio italiano», eroe e timoniere di Spagna ’82 (Sky Sport e on demand). Ed è un’intuizione felice, che innesca il racconto di una biografia scandita da tante «porte girevoli», ma in fondo tracciata lungo una linea ideale che dal ragazzino di Gradisca d’Isonzo in festa per la vittoria del ‘38 arriva fino al tripudio di Madrid. A pochi giorni dal 40° anniversario di quell’iconico successo sportivo, Buffa confeziona un prodotto in cui sembra spogliarsi di alcune spigolature autoreferenziali per regalarci ciò che meglio sa fare: mettersi al servizio della storia.

E quella di Bearzot è una storia avvincente nella sua monotona linearità, dalla provincia friulana a Torino (sponda granata, di cui Bearzot sarà anima e capitano della ricostruzione post-Superga) fino al tetto del mondo. I racconti di Buffa, che nel formato della miniserie biografica in due puntate ha trovato la sua chiave narrativa più riuscita, sono autentiche pennellate in cui il calcio è (come deve essere) anche pretesto per spaziare altrove; le massime di Orazio e dei classici si mischiano agli schemi e alle dispute di spogliatoio, l’excursus sul concetto di «friulanità», e sul Tagliamento che separa ciò che è Italia da ciò che non lo è, non appare vanesio ricamo, ma puntualizzazione preziosa. Ne esce così il ritratto di un uomo che amava il jazz e i mondi letterari dei greci e dei latini, che ha saputo trovare la bellezza anche nella sconfitta, attratto più dalla sofferenza che dal compiacimento, malinconico padre del calcio italiano dotato di «saggezza ed equilibrio, argini contro la brevità della nostra esistenza».

Da “il Messaggero” il 4 luglio 2022.

Il mondiale di Spagna 1982 fu segnato da feroci polemiche durante la preparazione e nella fase eliminatoria. Dopo la qualificazione al secondo turno a gironi, i giocatori dell'Italia vararono il primo silenzio stampa della storia, affidando a Dino Zoff il ruolo di portavoce. 

Mario Sconcerti, 74 anni, scrittore e editorialista del Corriere della Sera, seguì il torneo da inviato per le pagine sportive di Repubblica: «Quel mondiale cambiò la storia del nostro calcio - racconta - Il silenzio stampa rovesciò i rapporti tra giocatori e giornalisti. Fino ad allora si viveva a stretto contatto con i calciatori. Io ero un giovane cronista e per parlare con Bearzot lo chiamavo al posto pubblico che frequentava la mattina per prendere il caffè e leggere i giornali. Chiedevo di lui e me lo passavano. Una cosa del genere oggi è impensabile. I giocatori durante le grandi competizioni erano a disposizione dei media per un'ora, senza filtri di alcun tipo. 

Ma Spagna 1982 produsse anche un altro mutamento: i rapporti tra club e giocatori. Tardelli e Paolo Rossi si presentarono di fronte a Boniperti per discutere il nuovo contratto con il procuratore. La figura dell'agente s' impose in quel periodo». Un mondiale partito per gli azzurri in sordina, con i pareggi con Polonia, Perù e Camerun. L'Italia cambiò pelle all'improvviso contro l'Argentina: «La spiegazione è semplice, iniziammo a far gol - spiega lo scrittore -

La nostra nazionale era una bella squadra, che aveva mostrato il miglior calcio quattro anni prima nel mondiale argentino, ma non riusciva a segnare. In attacco avevamo il generoso Graziani e Paolo Rossi che, dopo due anni di inattività per la storia del calcioscommesse, stentava. Bearzot aveva però deciso di puntare su Paolo per due ragioni: il nucleo principale di quell'Italia era il blocco juventino e Rossi era perfetto per quel tipo di squadra. Per questa ragione non convocò Pruzzo, capocannoniere del campionato. Temeva gli effetti della concorrenza.

Chiamò Selvaggi al quale disse: Vieni con noi in Spagna, ma non giocherai mai. Selvaggi accettò il ruolo e la tripletta di Paolo Rossi diede ragione alle scelte di Bearzot». Un successo spartiacque quello contro Maradona. In precedenza alcuni quotidiani scrissero cose pesanti sulla nazionale: «All'epoca i giornali avevano un impatto straordinario. Incontrai Socrates a Barcellona prima di Italia-Argentina e mi disse ma è vero che tra Cabrini e Paolo Rossi ci sono rapporti intimi?. Furono giorni davvero complicati». 

Un successo finale che ha scritto la storia dell'Italia: «L'impatto fu enorme - spiega lo scrittore - Aiutò il nostro paese a mettersi alle spalle un decennio difficile e inaugurò una stagione di vendite irripetibile per i nostri giornali». Quattro anni dopo l'Italia fu eliminata agli ottavi dalla Francia e Bearzot lasciò la nazionale. Addio sbrigativo e ingeneroso? Sconcerti non usa mezzi termini: «Bearzot in qualche modo doveva scomparire. Era un eroe scomodo».

Dagospia il 21 giugno 2022. Da comingsoon.it

Fra gli ospiti d'eccezione del Taormina Film Festival 2022 ci saranno alcuni giocatori della nazionale italiana di calcio del 1982, che vinse i Mondiali. L'occasione è la presentazione del documentario Italia 1982, una storia azzurra. 

Taormina Film Fest 2022: arrivano Tardelli, Collovati e Dossena con il documentario 1982, una storia azzurra 

L'edizione 2022 del Taormina Film Fest continua a calare i propri assi. La manifestazione cinematografica siciliana, che anche quest'anno è diretta da Alessandra De Luca, Federico Pontiggia e Francesco Alò, ospiterà infatti, presso il Teatro Antico, il documentario Italia 1982, una storia azzurra.

Il film, come spiega il titolo, parla della nostra nazionale di calcio, che nel 1982 vinse i mondiali battendo in finale la Germania. Il doc sarà presentato la sera del 29 giugno e ad accompagnarlo - e questa è la notizia bomba - saranno i mitici Fulvio Collovati, Beppe Dossena, Franco Selvaggi e Marco Tardelli. Arriverà a Taormina anche la regista Coralla Ciccolini, che ha così commentato la felice occasione:

Vedere Italia 1982 al festival di Taormina è davvero un privilegio: il Teatro Antico è una cornice perfetta per un film che racconta l’epica dello sport attraverso la lente della memoria. Di questo sono orgogliosa e grata. 

1982, una storia azzurra inizia all'indomani della prima fase dei Mondiali di Calcio in Spagna, quando l'Italia di Enzo Bearzot non aveva ancora dimostrato il suo potenziale e si pensava che Paolo Rossi fosse un giocatore così così o comunque non all'altezza delle aspettative. Poi però gli Azzurri si riprendono e volano imbattuti verso la storica finale alla presenza del Presidente della Repubblica Sandro Pertini e del Re di Spagna.

1982, una storia azzurra contiene interviste ai protagonisti e immagini d'epoca inedite e rarissime di Giuseppe Mantovani che ritraggono gli Azzurri a Puerta Del Sol in una veste insolita e molto intima. Non mancano le immagini del fotografo Cesare Galimberti che includevano anche molti scatti di Daniele Massaro, autorizzato da Bearzot a scattare foto, del tutto inconsuete, degli Azzurri a bordo campo. E poi c'è molto materiale degli archivi FIFA, che restituiscono le azioni e il campo. Infine il documentario offre uno sguardo sulla storia privata dei giocatori, e quindi gli allenamenti, le partite, le polemiche, il tempo libero, ma anche le inquietudini.

1982, una storia azzurra è prodotto da Simona Ercolani con la regia di Coralla Ciccolini, come già detto, e la direzione artistica di Beppe Tufarulo. Il film, che è una produzione Stand By Me e Vision Distribution in collaborazione con Sky, sarà in sala, come evento cinematografico, a partire dall'11 luglio, distribuito da Vision Distribution. 

Il Taormina Film Festival 2022 aprirà con la proiezione della versione restaurata de Il Padrino alla presenza di Francis Ford Coppola. La cerimonia di premiazione si svolgerà il 2 luglio, sempre al Teatro Antico e rigorosamente all'imbrunire.

Stefano Boldrini per il Messaggero il 23 giugno 2022.

La cultura classica, il sottofondo della musica jazz, la visione della pittura fiamminga e naturalmente la passione per il calcio: in queste vene scorre la storia della famiglia Bearzot, dal patriarca Enzo, l'uomo che guidò l'Italia alla conquista del mondiale 1982, ai nipoti, passando per il figlio Glauco («papà amava il greco e scelse questo nome che richiamava la divinità») e la figlia Cinzia, classe 1955, ordinaria di Storia greca all'Università Cattolica di Milano, autrice di diversi testi. 

Cinzia aveva 27 anni quando gli azzurri trionfarono in Spagna, segnando in profondità la vita di una nazione che, con quel successo, voltò pagina dopo un decennio oscuro, segnato dal terrorismo e da acute tensioni sociali. L'Italia entrò nel suo secondo boom economico. L'editoria, trascinata dai giornali sportivi, visse anni d'oro. 

Il successo nella finale contro la Germania, l'11 luglio, fu l'happy end, ma la vigilia del torneo e la fase eliminatoria, con la qualificazione ottenuta dopo i tre pareggi con Polonia, Perù e Camerun grazie al maggior numero di gol segnati rispetto alla squadra africana, furono tormentati: che ricordo ha di quei giorni?

«Furono settimane dolorose. Papà fu trattato malissimo, con punte di cattiveria, in alcuni momenti persino deriso. Noi aspettavamo la sua telefonata tutte le sere. Si sforzava di apparire tranquillo.

La sua forza fu la convinzione di essere nel giusto: gli rimproveravano di aver puntato su Paolo Rossi, reduce da due anni di inattività per il calcio scommesse. Papà aveva sempre creduto nell'innocenza di Paolo e decise di aspettare il suo ritorno in forma. Quella scelta gli scatenò una parte della stampa contro, ma lui andò dritto per la sua strada. Papà era così: per un'idea era disposto a sfidare il mondo. C'è un altro aspetto da considerare: era indifferente alla popolarità». 

Ad un certo punto scattò il silenzio stampa, il primo della storia.

«Furono i giocatori a prendere quella decisione. La linea rossa era stata con articoli offensivi nei confronti di alcuni calciatori. Papà lasciò piena libertà alla squadra di scegliere come comportarsi, ma sicuramente approvò il silenzio stampa».

L'Italia vinse con l'Argentina e la storia cambiò, fino al trionfo nella finale con la Germania.

«Fu un'epopea. Tra le definizioni migliori di quell'impresa, trovo sia quella di un viaggio degli eroi. Una grande avventura, che tenne con il fiato sospeso una nazione intera, incredula di quanto stesse accadendo. Fu un magnifico crescendo, che sarebbe entrato nell'immaginario collettivo». 

In questa seconda fase, nelle telefonate a casa, suo padre si lasciò sfuggire qualche accenno di ottimismo?

«Papà era convinto che con i gol di Paolo Rossi l'Italia si sarebbe sbloccata. La vittoria con l'Argentina diede fiducia all'intero ambiente». 

Il famoso bacio sulla guancia di Dino Zoff a suo padre è una delle immagini del trionfo.

«Un bacio meraviglioso. Papà aveva un rapporto speciale con Zoff: era il più anziano della squadra, era il capitano ed era anche friulano. Quando Zoff al ritorno dagli europei del 2000 si dimise dopo aver ricevuto critiche pesanti da parte del mondo della politica, disse non è possibile trattare Dino in questo modo. Non è un uomo: è un monumento vivente. Quella foto è bella perché ridono. Non capitava spesso». 

Al netto del silenzio stampa e degli episodi di quel mondiale, quali sono stati i giornalisti con i quali suo padre ebbe un buon rapporto.

«Con Gianni Brera ci furono stima e rispetto. Il legame più stretto fu con Giovanni Arpino, poi Gigi Garanzini e Alberto Cerruti».

La famosa partita a scopone sull'aereo che riportò in Italia la nazionale ci ha regalato un'altra foto memorabile: suo padre, Dino Zoff, Franco Causio e il presidente Sandro Pertini con le carte in mano.

«Papà stimava Sandro Pertini. Erano uomini con la schiena dritta, capaci di andare fino in fondo per un'idea». 

Quale fu l'accoglienza della famiglia quando su padre tornò a casa, a Milano?

«La sera del successo nella finale con la Germania scendemmo in piazza per festeggiare. Papà portò la famiglia a pranzo. Scelse un modo sobrio per celebrare quella straordinaria impresa. Era il suo stile». 

Nel 1986, dopo la sconfitta con la Francia, negli ottavi del mondiale messicano, Enzo Bearzot lasciò la nazionale.

«Era consapevole già prima dell'inizio del torneo che se fosse finita male, la sua esperienza con l'Italia si sarebbe conclusa. La prese bene. Ho guidato la nazionale undici anni, anche troppi. Ricordo queste parole». 

Dopo Messico 1986, suo padre uscì dalla scena. Fu quasi oscurato dai vertici del calcio di allora.

«In realtà papà aveva deciso di ritirarsi. Aveva vissuto sempre con disagio la lontananza dalla famiglia. Si sentiva in colpa e cercò di recuperare con i nipoti. Ricevette offerte da squadre di club, ma lui non voleva un impegno quotidiano. 

Ci furono contatti anche con gli Stati Uniti e paesi arabi, ma lui disse che cosa vado a fare da quelle parti?. Non dava importanza al denaro. Non volle monetizzare il successo del mondiale. E non era adatto a incarichi diplomatici: non era incline ai compromessi. Io ho sempre pensato che abbia lasciato troppo presto».

La passione per la cultura classica di Enzo Bearzot ha influenzato tutta la famiglia.

«Aveva frequentato il liceo classico. Aveva studiato dai Salesiani. Il suo poeta preferito era Orazio, ma leggeva anche i contemporanei. Voleva fare il medico, ma fu conquistato dal calcio».

Come voleva essere ricordato suo padre?

«Come una brava persona». 

(ANSA il 6 luglio 2022) - La vita privata, gli esordi, i tre gol al Brasile: Paolo Rossi, l'eroe del Mundial 82, viene raccontato in una mostra esposta al Salone d'Onore del Coni a 40 anni dallo storico successo dell'Italia e nata dalla collaborazione tra la Paolo Rossi Foundation e la World Camp International. 

"La mostra è qualcosa di speciale, unico e commovente - apre il presidente del Coni, Giovanni Malagò - Fa riflettere che già nel 1982 c'era qualche contenzioso tra la politica e il mondo dello sport, con la politica che si è avvicinata solo nel momento della vittoria dopo aver chiesto addirittura che la Nazionale si ritirasse. Bearzot ha fatto un'impresa storica che ha saputo unire un intero Paese. L'Italia e lo sport devono essere orgogliosi di questa storia".

"A me Paolo manca molto, eravamo più di semplici amici. Quando lo sentivo mi migliorava la giornata, era sempre pronto a scherzare" dice Marco Tardelli. Prima dell'intervento di Gabriele Gravina, invece, è il momento di Abraham Klein, arbitro di Italia-Brasile, che come 40 anni fa nello stesso giorno e alla stessa ora, ha dato il via all'esposizione con il fischietto originale portato per l'occasione da Zurigo grazie alla collaborazione del FIFA Museum. Insomma, emozioni a non finire come racconta anche il presidente della Figc perché nel "1982 eravamo in piazza a festeggiare tanti protagonisti di quella straordinaria avventura, per me hanno rappresentato un riferimento importante".

Sulla mostra non ha dubbi: "E' un inno all'amore, verso la famiglia, verso i figli, verso il calcio che è parte fondamentale della nostra vita, non la esaurisce, ma la completa". La mostra 'Un ragazzo d'oro, Paolo Rossi' sarà aperta tutti i giorni dal 6 al 12 luglio presso il Salone d'Onore del Coni dalle 10 alle 17 con ingresso gratuito, dove si potrà rivivere attraverso fotografie, cimeli, interviste e la realtà virtuale chi fosse Paolo Rossi.

"Sono emozionata - conclude la moglie Federica Cappelletti - Da quando è venuto a mancare Paolo è stato un rincorrere continuo queste iniziative per tenerlo vivo. Penso che meriti tutta la stima dei presenti e di tutte quelle persone che negli ultimi due anni mi hanno continuato a dimostrare affetto". (ANSA).

Da ilnapolista.it il 6 luglio 2022.

Il Fatto Quotidiano intervista Antonio Matarrese. Era il presidente della Lega Calcio quando l’Italia di Bearzot vinse i Mondiali. Due giorni fa ha compiuto 82 anni. Si definisce un bravo democristiano, in tutto.

«In certi casi basta adottare tecniche semplici; sono da sempre per la politica semplice e diretta. Sono Dc in tutto. Sa quante volte hanno provato a mettermelo nel culo?». 

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«Forse qualcuno, ma il trucco è togliersi un secondo prima, come per il mio secondo mandato in Lega; poi con certe persone. È chiaro?». 

Gli chiedono di Franco Carraro, suo storico “nemico”.

«È sempre necessario crearsi un avversario, altrimenti come si può vincere?». 

Ricorda il Mondiale del 1982. Dopo la seconda partita, andata male, disse della Nazionale: “Li avrei presi a calci nel culo”.

«Dopo la seconda partita ai Mondiali ho solo reso plasticamente quello che in Italia volevano tutti: dargli un calcio in culo. Lo dissi pubblicamente perché stavano tutti zitti, con l’allora presidente della Federcalcio, Federico Sordillo, che non capiva un cazzo di pallone e restava zitto, zitto; quello era un avvocato, guarda caso amico di Carraro».

Ancora su Carraro.

«Mi chiamava alle sei del mattino. Imitava l’avvocato Agnelli, come lui voleva apparire sempre pronto. E si fingeva mio amico, in realtà aveva già capito che ero in ascesa. Aveva paura, mi marcava». 

Alla fine del Mondiale le hanno riconosciuto un merito?

«No, ci mancherebbe: nessuno osa riconoscere i meriti quando qualcuno trova la formula giusta. Stanno silenti. Però quanto mi sono divertito». 

Contano più i soldi o il potere?

«Il potere è come una scopata continua, devi solo averne la forza».

Da ilnapolista.it il 7 Luglio 2022.

Domani sono 40 anni dalla semifinale tra Polonia e Italia del Mondiale 1982. Il Messaggero intervista Zibì Boniek, che quella sera era in tribuna.

«Ero squalificato, ci soffro ancora. Ma forse per gli azzurri è stato meglio così. Chi lo sa. Magari l’Italia avrebbe vinto comunque, e tra l’altro ha meritato. Ma era come se agli azzurri avessero tolto Rossi». 

Era il Mondiale di Boniek, Platini, Maradona.

«Era un altro calcio, un’altra atmosfera. Ora non è più così. Erano campioni veri. Oggi un buon giocatore lo trasformi in campione in qualche anno».

Continua: «All’epoca si poteva andare in giro dopo le partite anche per prendere una birra, c’era più contatto con la gente. Oggi è tutto frenetico, non ti risponde al telefono nemmeno il procuratore di un giocatore». 

Perché la Nazionale del 1982 è entrata nel mito, quella del 2006 no?

«Ci vorrebbe un sociologo per rispondere. Oggi è tutto più artificiale. Prima c’era meno ricchezza e più spontaneità, era uno sport più umano. C’era più tempo per goderselo. La formazione dell’Italia ancora la ricordi in un attimo. Oggi le rose sono lunghissime, è tutto più difficile da raggiungere, da comprendere. Sono sicuro se le chiedessi il suo film preferito me ne direbbe uno di tanti anni fa. Lo stesso vale per il calcio. Meglio prima». 

In campo è cambiato tutto.

«Sorrido quando si paragona un campione di oggi a Maradona. Diego giocava con un uomo addosso per novanta minuti, i difensori erano tosti. Noi avevamo fisici da atleti dei 1500, eravamo più resistenti. Oggi sono tutti centometristi, si gioca in spazi più stretti». 

Gli chiedono se è vero che ha ripudiato i suoi anni juventini.

«Falso. Mai parlato male della Juve, anche a loro chiedo: portatemi un articolo o una registrazione in cui lo faccio. Ho fatto delle critiche, anzi, constatazioni: ho detto che non mi piaceva che la Juve usasse i propri dirigenti per vincere le partite. E lo confermo. Ma Andrea Agnelli si è fatto influenzare da certi balordi, mi hanno negato la stella».

Anticipazione da "Oggi" il 6 luglio 2022. 

OGGI, in edicola domani, pubblica una intervista di Myrta Merlino al compagno Marco Tardelli, il cui urlo dopo il secondo gol alla Germania nella finale dei Mondiali 82 tutti ricordano: «Il calcio era, ed è, la mia ossessione. Il mio destino. Ho amato ogni istante, ogni partita, ogni allenamento. Anche se so bene che tutta la mia carriera è stata inghiottita da quei 7 secondi. Da quell’urlo. L’urlo che ha riscattato ogni italiano e ha intrappolato me per sempre, nel bene e nel male… Molti credono che quell’urlo fosse di gioia, di esultanza. In realtà c’era molto di più. Era una liberazione, una ribellione, una rivincita… anche sull’immenso Gianni Brera» che criticava sempre Bearzot e le sue scelte.

Tardelli parla anche dei compagni e in particolare di Bearzot: «Un leader naturale, lo sentivamo come un padre… Il mio mi ha insegnato come vivere con poco, e non c’è successo o traguardo che mi abbia fatto dimenticare chi sono e da dove vengo. Bearzot invece mi ha aiutato a credere in me stesso senza farmi influenzare dal giudizio degli altri».

Marco Tardelli compie 68 anni: l'urlo Mondiale ‘82, il lavoro di cameriere, Myrta Merlino. Che fine ha fatto. Gregorio Spigno su Il Corriere della Sera il 24 Settembre 2022.

Uomo simbolo della storica Nazionale di Enzo Bearzot anche grazie all’urlo entrato nella storia, oggi lavora come opinionista tv. Ma su di lui sono tante le curiosità

L’Urlo Mundial

Paolo Rossi recupera pallone insolitamente in difesa, Scirea la raccoglie e spinge il contropiede, Conti scarica per l’accorrente Rossi, poi ancora Scirea, Bergomi, Scirea, palla a rimorchio per Tardelli che carica il sinistro e... storia. Non solo un gol, ma storia vera e propria. E quell’urlo. Un urlo di gioia, di liberazione, di vittoria. Che ha il sapore di migliaia di sensazioni diverse nello stesso istante. Con quell’urlo, Marco Tardelli entrò nella storia d’Italia, e non dell’Italia solo sportiva, dalla porta principale. Fu tra i protagonisti della meravigliosa cavalcata dell’Italia Mundial in Spagna nel 1982, Marco Tardelli, che compie oggi 68 anni.

Tutto iniziò a Pisa: da cameriere a campione del mondo

Nato a Careggine, il comune meno popolato della provincia di Lucca, nel 1954, Marco Tardelli è diventato nel tempo simbolo del calcio italiano. La sua carriera cominciò nella non lontana Pisa. Poi il Como, prima che spiccasse il volo con Juventus prima e Inter poi. E pensare che, se non avesse sfondato con il pallone tra i piedi, Tardelli nella vita avrebbe potuto fare il cameriere. Non solo avrebbe potuto, ma lo fece: «Presi il diploma da geometra — raccontò lui stesso —, ma d’estate arrotondavo facendo il cameriere al Cocco, dove all’epoca andava in ritiro il Napoli. Una volta portai il caffè a Juliano, Cané, Altafini e Zoff». Da «cliente», Dino Zoff diventò suo compagno di Nazionale. Fino al tetto mondiale.

Il padre, la religione, il comunismo

Domenico Tardelli, papà di Marco, aveva origini umili, contadine. Faceva l’operaio all’Anas, la madre invece era una casalinga. Poi l’esplosione del Marco-calciatore aiutò tutta la famiglia, ma le sue origini, Tardelli «jr», le rivendica con orgoglio ancora oggi: «Io ero di sinistra, sono sempre stato di sinistra — ha raccontato recentemente —. Non ho mai cambiato idea in merito. Mio padre era un operaio che poi però si era staccato dal partito a seguito di alcune riunioni con i vertici perché non ci credeva più. Lui era un comunista cattolico, io... solo comunista. Sempre e solo comunista».

Il padre, la religione, il comunismo

Domenico Tardelli, papà di Marco, aveva origini umili, contadine. Faceva l’operaio all’Anas, la madre invece era una casalinga. Poi l’esplosione del Marco-calciatore aiutò tutta la famiglia, ma le sue origini, Tardelli «jr», le rivendica con orgoglio ancora oggi: «Io ero di sinistra, sono sempre stato di sinistra — ha raccontato recentemente —. Non ho mai cambiato idea in merito. Mio padre era un operaio che poi però si era staccato dal partito a seguito di alcune riunioni con i vertici perché non ci credeva più. Lui era un comunista cattolico, io... solo comunista. Sempre e solo comunista».

Ai massimi: Juve e Inter

L’apice della carriera da calciatore, Marco Tardelli, lo visse indossando le maglie di Juventus e Inter, oltre che — ovviamente — quella della Nazionale. Dieci anni in bianconero, dal 1975 all’85, solo due stagioni in nerazzurro appena dopo Torino (prima di chiudere in Svizzera, al San Gallo). A Milano, però, tornerà anni dopo in veste di allenatore, in una stagione atipica che portò all’esonero di Lippi (la causa? Irrimediabili screzi con Baggio e Panucci che salutarono, oltre a un rendimento al di sotto delle aspettative) e al suo insediamento.

La figlia scrittrice: biografia a quattro mani

«Tutto o niente. La mia storia». È il titolo della biografia di Marco Tardelli, scritta da Sara... Tardelli. La figlia dell’ex calciatore, avuta dalla prima moglie, è scrittrice e giornalista e il papà ha incaricato proprio lei di scrivere la sua storia. Il secondo figlio, Nicola, fa il modello ed è nato dalla relazione con un’altra «penna», la reporter Stella Pende. Il giornalismo nel destino, perché Tardelli oggi (dal 2016) ha un’altra partner, sempre giornalista, scrittrice e conduttrice.

Allenatore: in giro per Italia, Egitto, Irlanda

Non è ricordato come un grandissimo allenatore, eppure Marco Tardelli ha avuto un’esperienza da tecnico più che ventennale. Iniziò nel 1988, con l’Italia Under 16, per poi essere «promosso» come vice dell’Under 21. Nel 1993 passò alla sua prima squadra di club da allenatore, il Como, poi il Cesena. Dopo i bianconeri, ritorno in Federazione: vice in Nazionale nel ‘96, Italia Under 23, Italia Under 21 e Italia olimpica. Nel 2001 non può dire di no all’Inter. Poi un anno a Bari e le esperienze «esotiche» come c.t. dell’Egitto prima e dell’Irlanda poi, inframmezzate da una parentesi all’Arezzo.

Oggi, tra tv e... Myrta Merlino

Oggi, Marco Tardelli, oltre a essere opinionista della Stampa, si vede spesso nei salotti televisivi dove lavora come opinionista sportivo. In particolare in Rai. E in tv, ma a La7, lavora anche la sua consorte, la giornalista e presentatrice Myrta Merlino. I due sono legati dal 2016. «Impazzisco se non stiamo insieme» disse lei. «È stata a lungo un’amica. Poi, quattro anni fa, tutto è cambiato. È l’amore della mia vita: un legame molto profondo. Mai avuto un rapporto così maturo e consapevole. Myrta è una donna solida: mi ha aiutato a crescere. Detto alla mia età può far ridere, anche perché io sono più grande di lei, ma è così. Spero di aver fatto lo stesso con Myrta» raccontò invece lui. Insomma, a 68 anni tutto sembra andare a gonfie vele.

Giancarlo Dotto per il Corriere dello Sport l'8 luglio 2022.

Marco Tardelli e Myrta Merlino, inseparabili. I due si amano, poche storie. Non si limitano a non negarlo, lo urlano ai quattro venti. Questa volta niente urli (Tardelli ha smesso dall’82) e niente vento, insieme i due nel caldo africano di Polignano a Mare. Con Michele Emiliano, il presidente della Regione, per la serata inaugurale del festival dedicato a Lucio Dalla. Imbeccato da Myrta, Marco racconterà storie di quel mondiale mitico, quarant’anni dopo.

Lunedì sera al Maxxi di Roma per la presentazione ufficiale del documentario “Italia 1982, una storia azzurra!”, per cui Tardelli ha fatto anche da consulente. Presente lui e tanti altri che fecero e raccontarono l’impresa. 

L’uomo dell’urlo. Quello di Madrid fu definitivo. Il più citato al mondo, insieme a quello di Munch. Quasi un manifesto della patria, insieme alla pipa di Pertini che diventò quella notte una ciminiera nel cielo di Madrid. Marco mi parla dal lungomare di Polignano, non lontano dalla statua di bronzo alta circa tre metri di Domenico Modugno. Altra icona nazionale che volava e urlava in un cielo dipinto di blu. Non urla più Marco.

Sereno e pacato, la voce e il respiro di un uomo che sta in pace con il mondo, soprattutto se buona parte di quel mondo è lì a un metro da lui e si chiama Myrta. Totem permanente Marco, ma anche scandalo vivente. Lo scandalo dei suoi 67 anni, i più improbabili di ogni tempo. 

Fosse per lui parlerebbe solo dei due “veci”. Il vecio numero uno, papà Enzo Bearzot, e il vecio numero 2, Dino Zoff, capitano e fratello maggiore di quella truppa magnificamente assortita e tanto sangue dinamitardo nelle vene.  

Perché quel mondiale del 1982 è decisamente più mitico di quello del 2006? 

«Non si vinceva un mondiale da 44 anni, dalla Nazionale di Pozzo. Era un periodo difficile per il Paese. Il terrorismo, l’economia in crisi, il calcio scommesse…».  

Il vostro, un mondiale di storie e personaggi irripetibili.  

«Grandi uomini come Sandro Pertini ed Enzo Bearzot. Ci mise la faccia contro tutto e tutti, il ct, quando ci massacravano e poi la favola l’ha lasciata a noi. Si è tirato indietro perché noi ci prendessimo tutti gli elogi».   

Uomo di una classe infinita. 

«E di una cultura infinita. Mi parlava ore e ore, di notte quando non dormivo, di letteratura, di politica, di Dio. Era un comunista che andava a messa tutte le domeniche».   

Bearzot e Pertini, gli ultimi due grandi fumatori di pipa. Nessuno o quasi fuma più la pipa.  

«Vero. Scomparsi questi due giganti, è scomparsa anche la pipa».  

Aggiungerei che c’erano storie e personaggi in quell’82, ma anche gente che li sapeva raccontare. 

«Non ci sono dubbi. Penso a Gianni Brera, Arpino, Soldati, tanti altri». 

Con Gianni Brera, altro grande fumatore di pipa, ci fu un problema. 

«Aveva scritto in una pagella a inizio mondiale che non meritavo la convocazione, che avevo le ruote sgonfie. In pratica, mi aveva dato del morto».  

E tu? 

«All’epoca non c’era questa distanza tra giocatori e giornalisti. Entrai in un bar. C’era lui seduto. Dissi a voce alta: “Sento un odore di…”. Fui villano, lui un signore, non rispose.

Mi sono scusato con il figlio tanti anni dopo».  

I giornalisti vi hanno raccontato, ma vi hanno anche massacrato.  

«Ci scrissero di tutto. Che dovevamo restare a casa».   

Nessuno voleva Paolo Rossi ai mondiali. 

«C’erta stato lo scandalo del calcio scommesse, Paolo si presentò con quattro chili in meno e pochi minuti nelle gambe. Aveva giocato appena tre partite. Insultavano Bearzot perché aveva escluso Pruzzo e Beccalossi. Dicevano che aveva portato ai mondiali i suoi amici».  

Non solo critiche, anche torbide illazioni. 

«Una mattina Paolo Rossi si affacciò dalla finestra della camera di Cabrini per salutare i giornalisti. Partì la faccenda grottesca di una loro love story…».  

Decideste il silenzio stampa. Mai successo prima nella storia della Nazionale. 

«Dovevamo dare una risposta a tutte queste aggressioni. Bearzot ci lasciò liberi di farlo. Parlò solo Zoff , il capitano, per tutti noi».   

Il Brasile di Zico e Falcao era il favorito assoluto di quel mondiale. 

«Mezzo mondo pensava che avrebbero vinto a spasso, anzi ballando. Loro ballavano e toccavano, noi correvamo e legnavamo. Badavamo al sodo».  

C'era anche Cesare Maldini in panchina. 

«Cesare era l’opposto di Bearzot. Me lo ricordo con il Brasile, scatenato, che urlava, lanciava la giacca da tutte le parti, altro che Allegri. Bearzot imperturbabile all’apparenza, che tormentava la pipa. Quel giorno Paolo Rossi gli ha restituito tutto».   

Sei uscito zoppicando sul 3 a 2. 

«Un dolore cane al polpaccio. Negli spogliatoi ho sofferto come una bestia. Un quarto d’ora d’inferno. Non avevo il coraggio di guardare il piccolo televisore che stava alla porta dello spogliatoio. Alla fine, tutti pazzi di gioia, io zoppo, loro stremati». 

I giorni prima della finale? 

«L’attesa infinita. Ma eravamo sicuri di noi. Un gruppo unito, dai magazzinieri ai massaggiatori ai giocatori. Dissi a Bruno Conti: “Pensa, torni a Nettuno da campione del mondo e il sindaco ti fa la strada davanti casa a tuo nome”».  

 Voi due, gli insonni cronici del gruppo 

«Bearzot mi chiamava “coyote” per questo. Ma anche Oriali e Selvaggi non dormivano in quei giorni. Poi c’era la camera di Zoff e Scirea. La chiamavamo “la Svizzera”. Silenzio monastico e ordine perfetto. Come le loro vite».  

Il tuo azzurro mitico prima dell’82? 

«L’Italia del 4 a 3 alla Germania in Messico. La vidi in un piccolo televisore incastrato in un angolo del retrocucina del Grand Hotel Duomo di Pisa, dove facevo il cameriere».  

La notte prima? 

«Non ho dormito un istante. Ho passato ore a confessarmi con Enzo Bearzot, la nostra stella polare di quel mondiale. Timori, dubbi, speranze». 

L’alba. 

«Davanti allo specchio come da bambino a recitare i nomi dei miei miti di allora. Riva, Mazzola, Rivera. Provavo ad aggiungere Tardelli, ma suonava male. Non c’entrava niente».   

Sette secondi: la durata dell’urlo al Bernabeu. Il tuo orgasmo e quello di una nazione. 

«Non ho capito più niente e mi sono messo a correre come un matto, mangiato dall’adrenalina. Se non mi fermavano sarei arrivato a Toledo…Quell’urlo, la cosa più bella che ho fatto, dopo i mei due figli Sara e Nicola».   

Ti sei mai sentito negli anni pietrificato nell’urlo, come le vittime di Pompei?  

«C’è stato un periodo in cui mi stava un po’ stretta la cosa. Sembrava che non avessi fatto nulla prima o dopo. Poi ho capito che resterà nella storia per i miei figli e ha dato la felicità a tanta gente». 

Qualcosa nella tua storia di calciatore si è avvicinata? 

«Il mio primo gol in serie A. Contro l’Inter. Una gioia immensa. Tutto quel giorno somigliava a quell’urlo».   

La prima volta che ti sei affidato a Bearzot? 

«La prima volta che mi ha parlato davvero. Giocavo male, non sapevo amministrare le energie, i giornalisti volevano la mia testa. Bearzot mi prese da parte e mi disse. “Non preoccuparti, fidati di me, gioca semplice e fai quello che ti dico”».   

Ti sei fidato e affidato.  

«Quella volta e per sempre».  

Enzo Bearzot. Tutti voi lo consideravate un secondo padre. Bruno Conti lo chiamava papà. Eravate una famiglia. Anche José Mourinho evoca spesso la famiglia quando parla dei suoi calciatori.  

«Sono due famiglie diversissime. Bearzot era severo ma rispettoso e onesto con noi. Ti diceva le cose in faccia, ma sempre con il garbo dell’educatore».   

Aveva un’idea pedagogica del mestiere di allenatore. 

«Era unico, diverso da tutti gli altri…Forse solo Trapattoni gli si avvicinava un po’ in questo». 

La famiglia di Mourinho? 

«Lui è un uomo intelligente e arrogante. Sa comandare e gli piace farlo. La sua famiglia è la vittoria. Se si vince è una famiglia, se non si vince sei…usa tu il termine adatto».  

Il tuo padre biologico.  

«Domenico. Faceva l’operaio. Aggiustava le strade. Ma lo stipendio non bastava mai e vendeva formaggi in giro per i droghieri. Amava lavorare la terra, aveva sempre la pelle cotta dal sole».   

E tu ami lavorare la terra? 

«Da ragazzo no, non l’accompagnavo nell’orto, ma adesso adoro farlo. Mi manca mio padre. Per proteggere mia madre da un’auto, fu investito e finì in carrozzella. Era innamorato di mia madre. “Senza di lei non potrei vivere”, diceva davanti a noi figli».  

La tua storia da calciatore?  

«I miei non volevano. Mio padre non capiva questa idolatria per il calcio. È venuto solo un paio di volte a vedermi allo stadio. Mia madre era un martello. Non voleva proprio».  

Non l’hanno spuntata a quanto pare… 

«Avevo in testa solo il pallone. L’alternativa? D’estate facevo il cameriere, chissà, magari mi sarei inventato una rapina (ride). O sarei emigrato, nella tradizione di famiglia. Oggi farei l’allevatore di canguri e sarei un ex della nazionale australiana».  

 Claudio Gentile, il duro per definizione, ha versato lacrime nella serie di Sky rievocando l’atmosfera di quei giorni. La cosa ha dettato scalpore. 

«Si commuove anche nel nostro documentario che presenteremo lunedì a Roma. Gentile che piange sembra, in effetti, una barzelletta».  

Lacrime senili? 

«Non direi. È un ricordo, quello dell’82, che ci fa commuovere tutti, sempre».  

Anche tu? 

«Assolutamente sì. Bruno Conti era ed è il più emotivo, quello che si commuove più di tutti. Siamo consapevoli che abbiamo lasciato una cosa importante e poi, certo, anche l’età, gli anni che passano, momenti che non torneranno più».   

Voi reduci dell’impresa. Cosa ti porti dietro di quella notte di Madrid?  

«La bellezza di ritrovare sempre i miei compagni. Ci è rimasta dentro la voglia di scriverci, sentirci, vederci, al di là degli anniversari e delle celebrazioni».   

Con chi ti senti più intimo? 

«Certamente con Dino Zoff. Anche con Paolo Rossi. Che, purtroppo, non c’è più».  

Raccontaci perché Dino Zoff è una persona speciale. 

«Ti racconto solo questa, che spiega tutto. Arrivo a 20 anni alla Juve, mi avevano pagato molto. Ero un ragazzino permaloso. Gli anziani un giorno si misero a giocare con me. Mi prendevano in giro. Tornai triste a casa. L’unico che ebbe la sensibilità di capire fu Dino. Mi chiamò nel pomeriggio: “Ma che cazzo stai facendo? Stavamo scherzando, devi imparare a non essere permaloso. Capii allora che mi voleva bene, che era una persona speciale di cui mi potevo fidare».  

Paolo Rossi non c’è più e non c’è più nemmeno Gaetano Scirea.  

«Due persone diverse. Gaetano era un leader silenzioso. Non diceva mai niente, ma faceva tanto rumore con l’esempio e con la bontà. Molto umile, sempre pronto a darti una mano. Noi della Juve eravamo fischiati e insultati in tutti gli stadi».   

Un ragazzo d’oro. Pensare che uno così sia morto così giovane e di una morte così atroce. Cosa ti passa per la testa? 

«Che a volte qualcuno deve stare più attento...».  

Qualcuno lassù con la “q” maiuscola?  

«Esattamente».  

Paolo Rossi.  

«Diverso da Scirea. Sempre allegro, anche se ogni tanto si rifugiava nella sua nuvoletta. Parlava con te e poi ti accorgevi che non c’era più».  

Uomo semplice, che proprio non sapeva stare nei panni dell’eroe, meno che mai in quelli della star. 

«Era il primo a non crederci. Ci sono persone che non hai voglia d’incontrare, ma quando incontravi lui eri sempre contento che accadesse. Ti ispirava sorriso e simpatia».  

Come siete invecchiati, voi dell’82?  

«Mi sembra tutti abbastanza bene». 

Con Fulvio Collovati vi beccate ogni tanto alla Domenica Sportiva. 

«Giochiamo sempre, siamo molto uniti. Fulvio non è invecchiato, resta un ragazzo allegro, ma molto permaloso. Quando hai bisogno, lui c’è».  

Gentile, l’uomo tentacolare che ingabbiò Maradona e Zico? 

«Non lo vedo invecchiato, ha ancora un fisico bestiale». 

I tuoi 67 anni decisamente improbabili.  

«Non credere, gli acciacchi si sentono…». 

Se ti capitasse l’occasione ti tornare ad allenare? 

«Non ci penso proprio. Sto bene così. Quando stavo in panchina ho sempre cercato di comandare, oggi non sarebbe possibile, a parte rarità come Mourinho. Il calcio è cambiato. Gli allenatori contano meno».   

 Una vita piena di sogni realizzati. 

«E anche irrealizzati». 

Dimmene uno. 

«La panchina della Nazionale azzurra. Ci sono arrivato vicinissimo più volte».   

Il più grande di tutti? 

«Diego Armando Maradona, senza dubbi. Un torero divino». 

Quella sera che sono riuscito a farti cantare in una intervista televisiva… 

«Non mi ricordo…».  

(mi passa Myrta Merlino) 

Myrta, ancora frequenti questo ragazzaccio? 

«Che devo fare... sono innamorata persa… Liliana Segre, mia maestra di vita, sostiene che Marco ha lo sguardo d’amore più forte e granitico che abbia mai visto. E Myrta? chiese Marco. “Abbastanza, ma deva ancora pedalare”, rispose Liliana”. 

Lui nega, ma sono sicura di averlo fatto cantare… 

«Vero. Era “L’emozione non ha voce” di Celentano. La nostra canzone». 

Candida Morvillo per il “Corriere della Sera” il 12 ottobre 2022.

Marco Tardelli e Myrta Merlino rispondono vicini vicini, accoccolati l'uno all'altro. L'ex calciatore celebre per l'urlo vittorioso ai Mondiali dell'82 e la conduttrice dell'Aria che tira di La7 stanno insieme da sei anni. Una strana coppia, sulla carta, un grande amore, nella pratica.

Lui: «Non sono per le interviste di coppia. Sembriamo Al Bano e Romina, poi, la gente non ci sopporta più». Lei: «Loro si sono lasciati, io voglio morire con te». 

Che cosa spinge due persone che s' innamorano adulte a dire «voglio morire con te»?

Marco: «La speranza. Sa il dramma di cercare un'altra? Con Myrta sto bene, condividiamo tutto, anche se mi fa arrabbiare perché sta sempre al telefono. Però è intelligente, è bella: è meglio tenerla». 

Myrta: «Io ho avuto due mariti, ho avuto figli col primo e il secondo, ma la sensazione di dire "ho trovato casa mia, non desidero altro" non l'avevo mai provata. Sono inquieta, intollerante, ma con Marco sento che sono arrivata. Anche se non è che lui non abbia le sue rigidità: è molto bianco o nero, fatico a stare sempre sul suo binario. Però anche io sono piena di difetti».

Marco: «Ma che bella questa intervista in cui non parlo. Il concetto è che io sto con lei perché parla solo lei». 

Marco, lei ha raccontato che, dopo il primo appuntamento, si trasferì da Milano a Roma in 48 ore pur di avvicinarsi a Myrta: cos' era scattato?

«Volevo assolutamente stare con lei. Glielo dissi e lei: no, lascia perdere, magari vieni ogni tanto. Le ho risposto: io vengo, tu fai quello che vuoi».

Myrta: «Fu un gesto di grande coraggio. Io avevo 47 anni, lui 61, eravamo persone strutturate, con una vita alle spalle, con case, figli, abitudini... Era difficile smontare tutto all'improvviso e lui l'ha fatto. Io, invece, avevo mille paure, ma il coraggio è contagioso». 

Quanti anni avevano i figli?

«I gemelli quasi venti, Caterina 15, il primo anno è stato difficile sia per me sia per Marco. Lui venne a vivere in una casetta. L'altro giorno, parlavamo e gli ho detto: anche io arrivai a Roma e presi una casetta brutta, al piano terra, lasciando una casa molto bella a Napoli, ma ero giovane, mi ero separata, avevo due gemelli piccoli, andavo a lavorare in Rai, quella casa mi faceva orrore però dovevo salvarmi la vita».

Marco: «E io le ho risposto: anche io dovevo salvarmi la vita».

Myrta: «Ora che i miei ragazzi sono a Milano e Caterina a Londra, finalmente, andremo a vivere insieme. Forse abbiamo trovato la casa giusta».

Una volta, in tv, Geppi Cucciari ha accolto Myrta presentandola come una donna che, dopo 40 anni d'inferno, aveva trovato la pace. Scherzava e basta?

«Mi ha conosciuta in un periodo poco felice. Però, prima di Marco, ormai, mi ero convinta che stavo bene così. Mi dicevo: ho figli, amici, un lavoro che amo, non mi sento sola. L'amore delle favole l'avevo sognato, ma non l'avevo trovato: un amore che non fosse faticoso, complicato, con un senso di competizione perenne, col mio lavoro visto sempre come un intralcio. Per cui, quell'amore non lo cercavo più. Poi, con Marco ho capito una cosa straordinaria: che la vita ha più fantasia di noi». 

Marco: «Questa frase sulla vita sarebbe mia».

Myrta: «Vero, ma grazie a te io l'ho capita. E devi darmi atto che io ho molto costruito, essendo molto costruttiva». 

Che intende con «molto costruttiva»?

«Ho provato ad avere tanta vita comune, a mettere in comunione amici, affetti. Lui è molto riservato, appare chiuso. L'ho presentato subito anche a Liliana Segre, l'ho conosciuta per un'intervista e ormai è un pezzo della mia vita, ho anche registrato con lei il Podcast in tre puntate Tienimi la mano. Portai Marco a colazione con noi due e lei disse: Myrta non te lo perdere. Chiesi perché e lei: io so riconoscere uno sguardo d'amore e questo è così forte e trasparente che poche volte l'ho visto nella vita. Al che, Marco, furbo, ha chiesto com' era il mio sguardo». 

Marco: «La senatrice mi ha risposto: lei ci deve lavorare. Però eravamo solo all'inizio del nostro rapporto».

Myrta: «Segre racconta che è stata salvata dall'amore, da suo marito Alfredo, conosciuto a 18 anni, appena fuori dai campi di concentramento. Dice che l'amore è la base e il resto si costruisce da lì». 

Voi due eravate stati amici per quindici anni, com' è che di colpo vi siete visti con occhi diversi?

Marco: «Per me, non è successo di colpo: era amica della mia ex compagna Stella Pende e mi piaceva da subito».

Myrta: «Era già separato, mentre io ero sposata e lui è stato molto rispettoso e non si è fatto avanti finché non sono tornata single».

Marco: «Io rispettoso? Se sono un traditore». Myrta: «Lo so. Seriale. Ma con me sei stato rispettosissimo».

Marco, è un traditore o è stato un traditore? «Ora non lo sono più, sono vecchio».

Myrta: «È anche diventato famoso per un flirt con Moana Pozzi. Non è che io non sono gelosa, ma sono supersicura di lui perché lo sono di me: non avrei voglia di passare una serata con nessun altro e sento che è lo stesso per lui». Marco: «Amore, lo stai spiegando in maniera fantastica. La differenza fra noi due è che io sono gelosissimo. Mi dà fastidio qualunque cosa». 

Myrta: «Se dico "amore" al telefono a un amico, lui salta su: come ti viene in mente di dire amore?». 

In che modo vanno d'accordo persone con storie di vita tanto diverse?

Myrta: «Io ho sempre pensato di avere bisogno di persone molto complesse, invece amo la semplicità di fondo di Marco, la sua pulizia interiore, il suo non avere sfumature, ma solo valori netti. Se reputa una cosa sbagliata, non c'è verso che la faccia, anche se gli conviene. E questa rigidità, per me, è una boccata di ossigeno in un mondo di persone doppie».

Marco: «Non parlare male di altre persone».

Myrta: «Ma io vivo immersa nella politica, nella televisione. Vede com' è? Lui non ha perso nessuna delle regole di fondo imparate dal padre o da Enzo Bearzot».

Vi sposerete?

Marco: «Lo faremo».

Myrta: «A Pantelleria, dove Marco ha un dammuso che è il nostro rifugio. Ma quando i figli saranno a posto e potremo decidere senza dare fastidio a nessuno».

State sempre così appiccicati come adesso? Marco: «Sono uno che, se sta bene con una persona ha bisogno di toccarla. Amavo mio padre e gli toccavo la mano mentre guardavo la televisione. Sono fatto così».

Myrta: «Abbiamo un'amica che ci chiama "la cellula", dice: non riesco più a pensare a Myrta senza Marco e a Marco senza Myrta. Quello che è successo a noi due è proprio che ci sentiamo cellula. Cosa che per due individualisti come noi è un miracolo. Marco, sei d'accordo su questo finale?».

Marco: «Perfetto: io sto con te perché tu verbalizzi bene».

"Quel mio urlo è una lezione ai giovani". Al Festival della Geopolitica per testimoniare lo spirito del Mondiale '82. Nino Materi il 7 Ottobre 2022 su Il Giornale.

«Lo sport cambia tanti risultati, non solo quello delle partite», parola di Marco Tardelli. Uno degli «eroi» del Mondiale '82. L'autore dell'«urlo», il secondo più famoso dopo quello di Edvard Munch: il primo esposto nella Galleria Nazionale di Oslo, l'altro in mostra da sempre nell'italico museo della memoria.

Tardelli è un'icona del football azzurro, ma non si atteggia a santo. Pure lui qualche volta ha fatto prevalere l'impulsività sulla ragione. I tifosi del Milan, ad esempio, non gli hanno mai perdonato l'inspiegabile calcione sulle caviglie di Rivera il 5 novembre '78 nell'attimo in cui il capitano rossonero aveva appena battuto il calcio d'inizio. Ma forse è proprio per questo carattere non incline al compromesso che Tardelli domani prenderà la parola al Festival della Geopolitica «Mareliberum», al via oggi a Catania organizzato da Eastwest European Institute e Associazione Diplomatici.

Marco Tardelli, il suo ruolo al Festival di Geopolitica?

«Sono tra i goodwill ambassador dell'Associazione Diplomatici i cui corsi coinvolgono ogni anno migliaia di studenti provenienti da ogni parte del mondo».

Cosa dirà ai giovani?

«Racconterò come l'esperienza sportiva e umana vissuta al Mondiale '82 può diventare un paradigma di vita sotto il profilo etico e sociale».

Si parlerà, tra l'altro, della guerra in Ucraina e dei nuovi equilibri globali.

«Lo faranno ospiti illustri e un grande della Terra come Bill Clinton. E ci sarà anche il mio amico Andriy Schevchenko».

Gli appelli di Schevchenko in difesa della sua nazione sono tragicamente attuali.

«Parole commuoventi in difesa della causa ucraina».

Tornando al tema del suo intervento («Mondiali '82, la favola oggi»), lo spirito mostrato da voi «ragazzi di Bearzot» può diventare un modello di riferimento per i giovani?

«Bearzot era un uomo di pace. Che credeva, e noi con lui, in valori fondamentali: lealtà, impegno, spirito di gruppo, onestà. Così abbiamo conquistato un Mondiale, ma rispettando gli stessi principi i i giovani, e non solo, possono vincere nella normalità della vita quotidiana».

Alcuni pilastri di quella spedizione (Bearzot, Rossi, Scirea) non ci sono più. Che lezione ci hanno lasciato?

«È come se fossero ancora vivi. Ogni italiano li ha nel cuore. A dimostrazione di come siano stati tre grandi uomini».

Dostoevskij disse che «la bellezza salverà il mondo», Mandela che «lo sport salverà il mondo».

«Lo sport è bellezza».

Un aggettivo per descrivere il suo urlo dopo il gol nella finale vinta contro la Germania

«Indescrivibile».

Tardelli, a 40 anni dalla storica vittoria dell’Italia: «Zoff faceva impazzire i giornalisti. Io e Rossi eravamo simili». Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera l'11 Luglio 2022. 

La gioia, i ricordi e i compagni che non ci sono più: «Al Mundial leggevo Márquez» 

Tardelli, nessuno credeva in voi. Perché?

«Perché Bearzot aveva scontentato le due piazze principali. Non aveva portato il centravanti della Roma, Pruzzo, che era capocannoniere, per aspettare Paolo Rossi, che era fermo da due anni. E aveva lasciato a casa il fantasista dell’Inter, Beccalossi».

Tutto lì?

«No. Bearzot non era considerato un tipo simpatico. Non dava molto alla stampa. Ma gli uomini non si valutano dalla simpatia».

Com’era Bearzot?

«Una persona severa. Onesta. Ti parlava con grande sincerità, a volte anche ferendoti».

Quando l’ha ferita?

«A pensarci bene, mai. Al Mondiale in Argentina arrivai dopo una stagione stressante, ero un po’ scarico, e quand’è così commetti un errore: tendi a esagerare, per far vedere che ci sei, anziché limitarti alle cose semplici. Così, in un’amichevole di preparazione, Bearzot mi sostituì».

E lei?

«Gli chiesi se non avesse più fiducia in me. Mi guardò con due occhi che dicevano: sei deficiente? Però, aggiunse, “devi fare quello che dico io: non comportarti da fenomeno; prendi la palla e dalla ai tuoi compagni”. Lì ho capito che mi stimava, e mi amava».

Esordio in Spagna: 0 a 0 con la Polonia.

«Fummo sfortunati. Presi la traversa. Poi però giocammo male sia con il Perù, sia con il Camerun».

Con il Camerun si parlò di una combine.

«A un Mondiale? Non scherziamo».

Quando decideste il silenzio stampa? Come nacque la voce di una storia tra Rossi e Cabrini?

«Paolo e Antonio giocavano a salutarsi dalla finestra, fingendo di essere moglie e marito, e qualche giornalista si inventò questa stupidaggine. Bearzot si arrabbiò moltissimo: “Cosa penseranno i familiari a casa?”. Lui era così, un po’ moralista. Ma non fu soltanto per quello che decidemmo di non parlare più».

Per cosa, allora?

«Passato il girone eliminatorio, avemmo un giorno libero. Ci videro in giro con le mogli, e scrissero che non ce lo eravamo meritato. Decidemmo che era troppo. Così scegliemmo il più loquace, perché parlasse per tutti...».

Dino Zoff.

«Riconosco che fu una forma di crudeltà verso i giornalisti. Dino li faceva impazzire. Rispondeva a monosillabi».

E Bearzot?

«Ci disse: sono un dipendente federale, non posso stare zitto pure io, ma sappiate che sono con voi».

Vi sbloccaste con l’Argentina campione del mondo.

«Ci eravamo tolti la paura di uscire al primo turno. Sapevamo di essere una bella squadra, di potercela giocare con chiunque».

Tre anni prima avevate pareggiato con l’Argentina in amichevole, e Maradona l’aveva marcato lei.

«Sì, di solito mi toccava l’avversario più pericoloso. Ho marcato pure Pelé, in America, e Platini».

Il più forte?

«Platini era il più intelligente: non riuscivi a puntarlo, lui aveva già smistato la palla; così evitava le botte. Maradona teneva palla e ti puntava lui, fino a quando non lo buttavi giù. Di botte ne ha prese un sacco; ma era fisicamente fortissimo. Il più grande di ogni tempo».

Invece toccò a Gentile marcarlo.

«Ne fui molto sollevato. Claudio fu un po’ rude, ma molto efficace».

Si picchiava di più allora?

«Ti ammonivano solo per un fallaccio. Era un calcio più rude, meno Var».

Passarella tirò una gomitata ad Altobelli, e l’arbitro non se ne accorse.

«Passarella era un duro. Cattivo, ma in senso agonistico. Poi c’erano quelli cattivi sempre, che entravano per fare male».

Lei com’era?

«Entravo pesante, e non mi lamentavo quando entravano su di me. Però ho sempre mirato il pallone; mai la gamba».

In un Milan-Juve a San Siro la ammonirono dopo cinque secondi, per un’entrata su Rivera.

«Quando lo vedo al circolo del tennis lo prendo in giro ancora adesso: “Ti sei ripreso? Cammini ancora?”».

Come preparaste la sfida con il Brasile?

«Ci riunimmo tra noi. Parlò Zoff. Parlò Bearzot. Disse: lottate come sapete, e ce la faremo. Poi c’era un massaggiatore molto divertente, si chiamava Sandro Selvi. Ogni mattina ci sorrideva: “Cari ragazzi, l’Argentina la battiamo, il Brasile lo battiamo; poi ci svegliamo tutti sudati».

Invece il Brasile l’avete battuto davvero. E non in sogno.

«Eravamo in fiducia. Mancava solo una cosa: doveva sbloccarsi Paolo Rossi».

Com’era Paolo Rossi?

«Un ragazzo molto simpatico. Umile. Passava dal sorriso alla tristezza. Ogni tanto lo trovavi sulla nuvoletta; era lì con noi, e nello stesso tempo era sulla sua nuvola. Usciva da due anni terribili, per uno scandalo in cui, ne sono certo, non c’entrava nulla. Li ha vissuti molto male; e se li è portati dentro per tutta la vita».

Eravate amici?

«Mi divertivo con lui. Giocavamo, sorridevamo. Eravamo simili: due toscani un po’ permalosi, un po’ fumini».

La Polonia in semifinale non faceva più paura.

«La vera paura era prendere sottogamba la partita. Non l’abbiamo fatto».

La finale con la Germania non era così scontata. Il primo tempo finì 0 a 0, Cabrini sbagliò un rigore.

«Non fu un problema. Forse un po’ per Antonio; ma nessuno glielo fece pesare. Eravamo molto sereni. Io un po’ meno...».

Perché?

«Mi ero fatto male con il Brasile, calciando la palla che Rossi aveva deviato in porta per il terzo gol. Temevo uno stiramento; era una sciatalgia, che però non mi faceva correre liberamente».

E allora cos’ha fatto?

«Ho corso. Una finale mondiale quando ti ricapita?».

Marco, stiamo conversando da un’ora, e non abbiamo ancora parlato né della sua storia con Moana Pozzi, né dell’urlo di Tardelli.

«Parliamo dell’urlo. Fu gioia, fu ribellione, fu rabbia».

Cosa pensò dopo il gol del 2 a 0?

«Mi passò davanti tutta la mia vita. Almeno tutta la carriera calcistica. Subito ho pensato a mio padre. Un uomo buono, ma severo. Ho pensato ai miei tre fratelli, tutti fortissimi, che però non avevano potuto giocare a pallone».

Perché?

«Fu una cosa abbastanza drammatica. Nostro padre non voleva: li ha fatti diplomare tutti, dovevano avere un lavoro sicuro, il posto fisso».

Famiglia popolare.

«Come tante. Radici contadine. Papà operaio all’Anas, mamma casalinga. Mangiavamo bene: mio padre coltivava un campo, ci portava in tavola cose sane. Ho avuto un’infanzia felice».

Ma non il posto fisso.

«Ho preso il diploma da geometra, però. D’estate arrotondavo facendo il cameriere al Ciocco, dove andava in ritiro il Napoli: Juliano, Cané, Altafini. E Zoff. Una volta gli portai il caffè».

E a vent’anni divenne suo compagno nella Juve.

«Glielo ricordai subito. Eravamo a tavola. Lui si alzò in piedi e disse: ragazzi, abbiamo appena comprato un cameriere!».

Pagato un miliardo, cifra allora enorme.

«Me la tiravo un po’. Boniperti mi vide e mi disse: “Come sta Tardelli? Ora lei va a tagliarsi i capelli, si toglie la catenina, si leva il braccialetto. Poi torna qui».

E lei?

«Mi tagliai i capelli, tolsi la catenina, levai il braccialetto. E capii cos’era la Juve».

Di Boniperti si racconta che arrivasse a Villar Perosa con il contratto già pronto, la cifra già scritta. Voi dovevate solo firmare.

«Questa è un po’ una leggenda. La cifra si discuteva, si concordava. È vero: non era molto alta. Ma se vincevi arrivavi a guadagnare il triplo. Capitava che dovessimo incontrare la squadra di un presidente che a Boniperti era antipatico, e lui entrasse negli spogliatoi: ragazzi, oggi, se vinciamo, superpremio...».

Quali presidenti gli stavano antipatici?

«Nessuno a priori: quelli che magari in settimana avevano detto di voler andare a Torino a vincere. Una volta poteva essere Viola della Roma, un’altra Farina del Milan... Boniperti era un signore; ma allora la partita diventava una guerra».

Cosa votava Tardelli nella Prima Repubblica?

«Partito comunista».

Gli sportivi di sinistra sono rari.

«Non è detto. È un ambiente in cui di politica si parla poco. Ma io ero figlio di un operaio, sono cresciuto tra operai. Anche se mio padre era cattolico. Ho imparato a giocare a pallone in oratorio».

Lei ha fede?

«È un mio cruccio: prego, vado in chiesa; ma purtroppo solo quando ne ho bisogno».

E lei durante l’urlo ha pensato a tutte queste cose?

«È durato sette secondi, con i compagni che cercavano invano di acchiapparmi...».

È vero che i compagni andava a disturbarli, quando in ritiro non riusciva a dormire?

«Entravo nelle stanze. Parlavo, parlavo... All’inizio andavo da Zoff e Scirea. Poi si stufarono di me e chiusero a chiave. Così andavo da Bearzot».

E Bearzot?

«Mi ascoltava, mi calmava, mi faceva sentire il jazz. Poi si addormentava».

E lei?

«Tornavo in camera mia a leggere».

Cosa leggeva Tardelli durante il Mundial?

«Cent’anni di solitudine di García Márquez».

Oggi in un ritiro di calciatori un libro è più introvabile di un liocorno.

«Non è detto. E poi Márquez è senza tempo. Lo consiglio ai giovani colleghi. Potrebbe essere stato scritto secoli fa; e sembra scritto ieri».

Pochi ricordano che l’urlo di Tardelli ha un precedente: il gol in spaccata all’Inghilterra, a Torino, agli Europei dell’80.

«Lì avevo più spazio per correre: feci tutta la pista di atletica del Comunale».

La «Gazzetta» mise la sua foto con il titolo: «Non è Mennea».

«Al Bernabeu invece i compagni finirono per afferrarmi. Ma io pensai che ormai avevo dimostrato ai miei genitori quel che sapevo fare».

Poi quasi tutti si tuffarono nella notte di Madrid.

«Io no. Tirai l’alba in albergo, a chiacchierare con Scirea e Cabrini. Per ultimo arrivò Zoff. Fu molto bello, e molto malinconico».

Perché malinconico?

«Perché il sogno si era realizzato. Ed era finita l’avventura più bella della nostra vita. Vinto un Mondiale, cosa puoi fare? Vincerne un altro è molto difficile».

E a Messico ’86 Bearzot non la fece giocare.

«Avevo la pubalgia. Mi risparmiò per la fase finale. Solo che non ci arrivammo, uscimmo agli ottavi con la Francia di Platini».

Quando avete realizzato cos’era successo davvero, quarant’anni fa, in Spagna?

«Solo al ritorno in Italia. Gente dappertutto, all’aeroporto, per strada. Erano anni in cui a Roma se entravi in un quartiere nero vestito da rosso, o viceversa, ti potevano ammazzare. Noi tra il rosso e il nero abbiamo infilato l’azzurro».

Come fu Pertini?

«Bellissimo. Un partigiano tra noi. Ci diede una grossa mano: era simpatico, attento. Nacque un’amicizia con Bearzot: entrambi fumavano la pipa, discutevano di tabacco. Oggi la pipa non la fuma più nessuno...».

Lei non fuma?

«Da calciatore fumavo sigarette nel mese di vacanza; poi smettevo. Ora solo sigari».

Pertini, Bearzot, Scirea, Rossi non ci sono più.

«E neppure Maldini, Vantaggiato, De Gaudio. Eppure, nel più smemorato dei Paesi, ancora adesso ci si ricorda dell’estate in cui eravamo campioni del mondo».

La formazione dell’Italia ai Mondiali dell’82. Da sinistra, davanti: Conti, Rossi, Oriali, Cabrini, Tardelli. In seconda fila, sempre da sinistra: Zoff, Graziani, Bergomi, Scirea, Collovati, Gentile (AP)

Furio Zara per “Avvenire” l'8 luglio 2022.

Il Mondiale del 1982 è il primo allargato a 24 squadre. Tra gli imbucati alla festa spagnola - Honduras, El Salvador, Algeria, Nuova Zelanda, Kuwait - c'è anche il Camerun, alla prima partecipazione, accompagnato dall'inevitabile folclore e avvolto da un alone di mistero. È finito nel Girone A, quello dell'Italia, l'ultima partita è proprio contro gli azzurri. 

L'Italia di Bearzot viene da due pareggi, 0-0 con la Polonia, 1-1 con il Perù: la delusione è grande. I "negri" come li chiamano gli inviati italiani alla faccia del politically correct (che ancora non esiste), hanno imposto due volte lo 0-0, prima al Perù e poi alla Polonia, che è già qualificata. È il 23 giugno, si gioca allo stadio Balaidos di Vigo. Le stelle dei "Leoni Indomabili" sono il portiere Thomas N'Kono e il vecchio centravanti Roger Milla, che ha militato in Francia e ora sverna in Corsica, nel Bastia. N'Kono gioca con la calzamaglia nera, nonostante ci siano 35° di media. Non ha mai giocato a gambe nude in vita sua.

Helenio Herrera, il Mago della Grande Inter, dal suo osservatorio fa tremare gli azzurri: «N'Kono vale lo Zoff dei tempi migliori».

Milla è figlio di un ferroviere di Yaoundé, la capitale del Camerun. È un centravanti dalle movenze felpate, con un eccellente fiuto per il gol. Nelle cronache e nelle vignette satiriche dell'epoca i giocatori del Camerun vengono raffigurati con il forchettone in mano e il pentolone d'acqua bollente. L'allusione è chiara: saremo noi italiani quelli destinati a finirci dentro. Il ct è il francese Jean Vincent: si è seduto in panchina all'ultimo momento, al posto dello slavo Branko Zutic. Lo stopper si chiama René N'Djeya, è reduce da un principio di malaria. 

Toccherà a lui occuparsi di Paolo Rossi. È spavaldo, N'Djeya: «Ho visto la morte in faccia, ora non temo nessuno». In Camerun le partite si giocano sempre di pomeriggio, perché nessun impianto sportivo è illuminato. Il campionato di calcio esiste da una ventina d'anni, ma non ha quasi mai uno svolgimento regolare.

I giocatori sono quasi tutti dilettanti. René N'Djeya è impiegato in una società marittima, la Camatranas. Theophile Abega, centrocampista dal fisico scultoreo, lavora invece alla Camerun Airline, la compagnia aerea di bandiera del Paese. Emmanuel Kunde è stato assunto dalla Snec, la società delle acque. Il 35enne Jean Pierre Tokoto gioca invece nel campionato indoor degli Stati Uniti ed è uno dei pochi a guadagnare soldi veri: 100.000 dollari a stagione. Alla qualificazione ai Mondiali, la prima in assoluto, sono seguiti tre giorni di festeggiamenti. Ora che al Mondiale ci sono arrivati, il più è fatto. 

Nell'albergo dove i "Leoni Indomabili" sono in ritiro ci sono i televisori a colori. È una novità assoluta. In Camerun nessuno ha la televisione. Così i giocatori si incollano davanti alla tivù e non si staccano più. Gli pare di stare in vacanza. Turisti per caso al Mondiale. E come tali vengono considerati. Nessuno dà credito al Camerun.

Persino i bookmakers se ne fanno beffe. Li quotano 2000 a uno. Se punti mille lire ti porti a casa due milioni. E no, non hanno lo stregone esperto in macumbe al seguito, c'è invece uno psicologo. Per affrontare gli azzurri hanno anche cambiato dieta. Dalla carne di montone, gli africani sono passati ad un più salutare merluzzo alla "gallega". 

Se passeranno il turno, la Federazione regalerà a ciascuno una piccola piantagione di cacao. Roger Milla promette tre giri di campo se farà gol a Dino Zoff. Invece sarà Grégoire M' Bida a segnare. È il gol del pareggio, un attimo prima ha segnato Ciccio Graziani, di testa, con N'Kono che è scivolato e si è fatto superare dalla palombella. La cronaca di Italia-Camerun è concentrata in un paio di minuti: botta e risposta, la partita finisce lì. 

Qualcuno adombra un sospetto. Due anni dopo i giornalisti Oliviero Beha di "Repubblica" e Roberto Chiodi di "Epoca" scrivono un libro-inchiesta, Mundialgate, su una presunta combine. Vi si narra di servizi segreti, intermediari equivoci, valigette che passano da una mano all'altra, 400.000 dollari per ammorbidire i Leoni d'Africa, camorristi, scommesse clandestine, testimonianze e strane ritrattazioni. 

Il libro è stato commissionato da Feltrinelli, che però all'ultimo momento fa marcia indietro. Esce per Pironti, ma non ha successo. La critica non lo recensisce, la gente ne ignora l'esistenza. L'Italia Mundial fa ancora battere il cuore, troppo fresco è il ricordo di un'estate che rimarrà nella memoria di tutti. Non si interrompe così un'emozione. Comunque sia andata, la qualificazione è stata ottenuta, seppure per differenza reti: abbiamo segnato un gol in più degli africani. Un calvario, ma l'Italia è passata. Il Camerun esce dal Mondiale senza mai aver perso.

Tutti d'accordo: campioni morali sono loro. Molti di quei ragazzi a fine torneo trovano un ingaggio in Europa. Milla a 38 anni giocherà anche il Mondiale del 1990 e - approfittando della cialtronaggine del portiere della Colombia René Higuita - segnerà una doppietta storica, che porterà il Camerun fino ai quarti di finale, risultato mai più raggiunto. In quell'edizione i "Leoni Indomabili" usciranno ai supplementari, per mano dell'Inghilterra. 

Noi italiani l'abbiamo sfangata, ma la sensazione è quella di avere la testa sotto la ghigliottina. Siamo finiti nel girone della morte, con Argentina e Brasile. Quella azzurra è una nazionale in attesa di giudizio. Ci attende la gloria, ma ancora non lo sappiamo.

Mundial '82, il trionfo che fece uscire l'Italia dal complesso di inferiorità. Francesco Specchia su Libero Quotidiano il 10 luglio 2022

Il mondo si divide irrefutabilmente in due categorie: quelli che hanno visto i Mondiali dell'82, e quelli che se lo sono perso. Ma, in fondo, non bisogna fargliene una colpa. Quel miracolo laico ha segnato tutte le generazioni che l'hanno vissuto. Domani sono quarant' anni dalla finale con la Germania che ci gettò in uno stato di grazia, fiducia e euforia, su cui l'Italia campò almeno per il decennio successivo, cancellando gli anni del terrorismo e contenendo la spirale della crisi economica. Sono passati quarant' anni, e ancora raccontiamo ai nostri figli, nelle notti, per farli addormentare il viaggio degli eroi di Bearzot, la maschera fenicia con la pipa che credeva nel favore e nel capriccio degli dei: un viaggio che confondiamo sempre con quello degli spartani alle Termopili.

FORMAZIONE A MEMORIA

E ci sale - ora come allora - la commozione in automatico, e si gonfia la lacrima, solo a sentire la formazione della leggenda "Zoff-Gentile-Cabrini...", fino ad arrivare alla figura stordita e caracollante di Paolorossi, che, all'improvviso sbuca dal crepuscolo dell'area di rigore con lo stigma della vendetta, e segna il primo gol di testa al Brasile; e infila altre due pappine benedette dalla rete annullata di Antognoni ("Il migliore del Mondiale, anche se noi lo ignoravamo" scrisse Mario Sconcerti) e s' infila nella selva di gambe della difesa tedesca, e segna ancora. Aprendo la strada all'urlo di Tardelli che mangiava ogni metro di terreno con la furia d'un cigolato; al braccio al cielo di Altobelli; agli arabeschi di Bruno Conti; alla vita da mediano di Oriali a cui Ligabue dedicherà una canzone; al Presidente Pertini che scatta e applaude; alla Coppa al cielo issata da Zoff, che chissà cosa sarebbe successo se non avesse parato al 90' il colpo di testa di Oscar col Brasile, sulla linea di porta. Tutto questo è stato il Mundial dell'82, un'eresia, un racconto di riscatto, un tumulto fatto della stessa materia dei sogni. Oggi siamo affogati dalle sue commemorazioni. Fioccano gli speciali in tv.

DOCUFILM E LIBRI

Raiuno ne trasmette la dimensione epica in un docufilm di Manlio Castagna; Rainews ha evocato in El Partido il focus su Italia-Brasile ispirato anche da La partita di Piero Trellini; e Sky Tg24 in 1982 andata e ritorno spinge Giuseppe De Bellis, Beppe Bergomi, Carlo Cottarelli e Giacomo Papi sullo stesso aereo del ritorno a casa degli azzurri, quello della partita a scopone tra Bearzot e Pertini, e fa loro raccontare l'impatto sociale ed economico di quell'evento sull'anima della nazione. Eppoi, c'è la formidabile eredità di Vittorio Sermonti, non solo dantista, di cui Garzanti riproponeprefata da Dino Zoff - Dov' è la vittoria? Cronaca delle cronache dei Mondiali di Spagna 1982 (pp 520, 25 euro). Trattasi d'un clamoroso racconto in lieve differita (il libro uscì nel 1983) del cammino della Nazionale al torneo spagnolo. Un racconto costruito non direttamente, ma attraverso gli articoli dei principali giornali italiani, analizzati con grande acume e messi a confronto mescolando le competenze di Sermonti, allora prof di letteratura e, al contempo, appassionato di football. Sermonti- come afferma Pigi Battista- era il metronomo e lo sfottò del giornalismo sportivo del tempo (e non solo): registrava, spietato, "l'attitudine tutta italiana al codardo oltraggio che precede il servo encomio. Il linciaggio prima che inventassero i social. I finti esperti che si ergono a capipopolo per poi genuflettersi al vincitore". Ossia tutti coloro che, nel giro di pochi giorni, passarono dalla denigrazione, anche sul piano personale, di molti azzurri alla loro esaltazione acritica ma per usare il calcio nel modo più alto possibile, come metafora di un'esistenza in cui tutto cambia da un momento all'altro in base a intuizioni, situazioni, colpi di fortuna e sfortuna. Ogni cronista, in quei giorni, si sentiva invaso dallo spirito di Osvaldo Soriano. Ogni scribacchino si sentiva- chissà perché- in dovere di disegnare rabone, doppi passi e veroniche con la penna. Eppure, quel Mundial ebbe una funzione magica, quasi negromantica. Rianimò il cadavere di uno Stato vinto dai venti dello sconforto. Fu il rosario sgranato di fronte alle grandi crisi: dall'inflazione che viaggiava al 17% divorando il potere d'acquisto degli stipendi al debito pubblico che cominciava a crescere, allo spread dei record a 1175 punti base rispetto ai decennali tedeschi, che noi ragazzi di allora scambiavamo per i contratti di Breitner e Rumenigge finiti in finale al Santiago Bernabeu. Dopo quella partita la fiducia nel governo toccò vertici impensabili raggiunti solo con l'episodio di Sigonella di Craxi e forse, oggi, grazie allo standing internazionale di Draghi.

SPETTACOLO IN TRIBUNA

A Madrid, lo spettacolo non fu solo la falange azzurra che piombava sui tedeschi con la furia della Wermacht. A Madrid, in quella tribuna affollatissima, osservammo tutti il volto atterrito di Helmut Schmidt, Cancelliere della Rft, immerso in silenzio innaturale e in un quesito chatwiniano: «Che ci faccio qui?». La Germania era stata da sempre il nostro Moloch, ci descriveva sulle copertine dei rotocalchi come un popolo di mangiaspaghetti armati di lupara, ci trattava come eterni migranti con la valigia di cartone. Ma ora era stata asfaltata, il marco non ci intimoriva più, potevamo fare anche a meno dei tedeschi maleducati in sandaloni che intasavano le rive del Garda. Avevamo, insomma vinto il nostro infinito complesso d'inferiorità, ci eravamo ripresi la dignità perduta e il senso dell'onore. Ci campammo per anni, su quello scatto di lombi, almeno fino all'arrivo della Merkel. E tuttora, ai nostri figli, continuiamo a narrare le gesta di Pablito e dei suoi cavalieri. Un Leonida più minuto, con la maglia numero 20...  

L'orgoglio 1982 e l'euforia 2021 non guariscono i nostri mali. Franco Ordine il 12 Luglio 2022 su Il Giornale.

C'è un sottile ma resistente filo azzurro che lega la memoria calcistica collettiva alla data dell'11 luglio, giorno da segnalare con un cerchietto sul calendario di casa

C'è un sottile ma resistente filo azzurro che lega la memoria calcistica collettiva alla data dell'11 luglio, giorno da segnalare con un cerchietto sul calendario di casa. Ed è un vero peccato che si celebri, nelle stesse ore, il ricordo indelebile del mondiale di Spagna '82 e il trionfo di Wembley 2021 e del quale conserviamo ancora il sapore dolcissimo perché ottenuto a Londra, dentro le mura antiche di Wembley e al cospetto dei bianchi d'Inghilterra, un tempo considerati i maestri. Il primo mondiale dell'era moderna per il calcio italiano provocò la scoperta di un patriottismo rimasto sotto traccia, il secondo fu una boccata d'aria pura e sancì l'evasione scatenata dalla prigione del virus. Il filo azzurro che lega la Nazionale leggendaria di Bearzot e Zoff, di Pablito Rossi e Bruno Conti a quella sorprendente di Roberto Mancini esaltata dai corazzieri Bonucci e Chiellini, è rintracciabile nei pronostici iniziali avversi e nella capacità dei due rispettivi gruppi di cementarsi fino al punto da rappresentare un blocco unico. Così se il bacio di Zoff a Bearzot si può serenamente intrecciare con l'abbraccio liberatorio tra Mancini e Vialli e se il tocco magico di Altobelli nella finale di Madrid ha una parentela con le prodezze di Donnarumma, allora si può concludere che la ricorrenza non deve far dimenticare la realtà di questi giorni, il ritardo del calcio italiano in perfetta traiettoria col resto del Belpaese in materia di riforme utili a frenare la crisi del settore. Gravina è deciso sul tema a rompere l'assedio di club e dirigenti miopi, Mancini stesso lamenta lo scarso numero di calciatori italiani in serie A ma non basta. C'è bisogno del sostegno dell'opinione pubblica. Per questo motivo non deve fare scandalo la manita subita dalle francesi al debutto. Sapevamo di essere partiti in ritardo e di dover recuperare molta strada ma se mai si comincia mai si completerà l'apprendistato necessario per raggiungere un livello tecnico accettabile.

Perché il Mondiale vinto dall’Italia del 1982 è (e resterà) diverso da tutti gli altri. Tommaso Pellizzari su Il Corriere della Sera l'11 Luglio 2022.

L’11 luglio di 40 anni fa gli azzurri di Enzo Bearzot conquistarono una Coppa del mondo che è entrata nella storia per tanti motivi: innanzitutto la totale imprevedibilità dell’evento. E poi per il modo in cui arrivò, come raccontano in questo episodio Mario Sconcerti (nel 1982 cronista al seguito dell’Italia) e un calciatore diciottenne di allora, Giuseppe Bergomi. Al quale quel trionfo cambiò la vita per sempre. Facendola cambiare a un Paese intero

L’11 luglio dovrebbe essere festa nazionale. Esattamente un anno fa, l’Italia di Roberto Mancini vinceva a Wembley l’Europeo di calcio, un titolo che mancava dal 1968. Ma sono passati esattamente 40 anni da un altro 11 luglio: quello del 1982, quando allo stadio Santiago Bernabeu di Madrid gli azzurri guidati da Enzo Bearzot conquistarono una Coppa del mondo che è entrata nella storia per tanti motivi: innanzitutto la totale imprevedibilità dell’evento. E poi per il modo in cui arrivò, come raccontano in questo episodio del podcast «Corriere Daily» il nostro editorialista sportivo Mario Sconcerti, nel 1982 cronista al seguito dell’Italia. E un calciatore diciottenne di allora, Giuseppe Bergomi, al quale quel trionfo cambiò la vita per sempre. I loro nomi compaiono anche in «I campioni dell’82 raccontano il Mundial», il libro a cura di Manuela Croci da oggi in edicola a 9,90 euro con il «Corriere della Sera» e che raccoglie numerose interviste e testimonianze di chi visse quei giorni indimenticabili.

Gigi Garanzini per “La Stampa” l'11 luglio 2022.

Che l'11 luglio sia il DDay della storia del nostro calcio è fuori discussione. Lo era dal 1982, quando l'Italia con tutto il rispetto per le edizioni 1934, '38 e poi 2006, vinse il più trionfale dei suoi titoli mondiali. Lo è maggior ragione da un anno stasera, dopo che la Nazionale di Mancini si è aggiudicata l'Europeo a 53 anni di distanza da quello vinto all'Olimpico romano. 

E allora perché se la notte magica dell'82 continua a meritare il più millesimato dei brindisi alla memoria, quella del '21 vale una bollicina di routine? Sapendo in partenza di dover fare i conti con un retrogusto amaro? 

Semplice. È la differenza che passa, per l'appunto, tra un Mondiale e un Europeo.

Nell'83 l'Italia di Bearzot, che aveva appena stupito il mondo, non riuscì a qualificarsi per l'Europeo francese dell'anno successivo. Pareggiò le prime due partite in casa, poi perse in Romania, in Cecoslovacchia e due volte dalla Svezia.

Che non erano nemmeno allora delle grandi potenze: ma nel panorama internazionale erano pur sempre avversari rispettabili, motivati per di più dall'incrocio con i freschi campioni del mondo. Ripresero fiato le critiche a Bearzot, dopo l'apnea seguita ai trionfi del Sarrià e del Bernabeu.

Il Vecio stesso cominciò a pensare che la gratitudine per i suoi ragazzi era stata cattiva consigliera, e sarebbe forse stato meglio andarsene in gloria. Ma per tornare alla differenza, allora si passò da una vittoria al Mondiale ad una mancata qualificazione europea. Che prevedeva un girone finale a otto squadre. Stavolta da una vittoria all'Europeo alla mancata qualificazione a un Mondiale, la cui fase finale di squadre ne prevede non otto ma quarantotto. Ed è la seconda consecutiva, dopo quella del '17: decisa da una sconfitta in casa contro la Macedonia del nord. Sicché alla sostanza si è aggiunto il modo, che ancor ne offende.

Tutto questo nulla toglie all'impresa di Wembley e dintorni. L'Italia di Mancini partì incantando e arrivò col fiatone. Ma si meritò in pieno quel trofeo, perché una volta smarrita la brillantezza iniziale seppe soffrire. Illudendoci che il lungo periodo buio del nostro calcio fosse alle spalle, e dandoci appuntamento in Qatar dove stupire ancora. Per questo la prospettiva di un mese intero a veder giocare gli altri è ai confini dell'insopportabile.

Spagna, 11 luglio 1982: l’Italia senza ali volò sul tetto del mondo. Il film è altro che mera euforia pallonara, racconta sullo sfondo l’Italia di quegli anni, fratturata socialmente e divisa dall'animosità politica. Gianluigi De Vito su La Gazzetta del Mezzogiorno il 18 Giugno 2022.

C’è un riempimento mistico in quelle immagini di gloria del pallone. Spagna, undici luglio 1982: la nazionale italiana di calcio di Enzo Bearzot batte la Germania, l’eterno rivale, e finisce sul tetto del mondo per la terza volta nella storia. Quarant’anni dopo, quell’impresa è un film documentario, «Il viaggio degli eroi» e porta la firma del regista Manlio Castagna. Prima ancora di piombare nelle sale è già un caso, perché l'attesa è forte e non certo per ragioni solo calcistiche. Un evento speciale. Sarà proiettato in 107 sale d’Italia e in una porzione di tempo abbastanza breve, da lunedì 20 a mercoledì 22 giugno.

Chi ha avuto la fortuna di vederlo in anteprima racconta di un itinerario visivo costruito su una contraddizione evidente, una parabola che approda lì non dove nessuno ci avrebbe scommesso un euro bucato. «Una squadra senza ambizione», non a caso bollata dai giornalisti come «l'armata Brankazot» e che diventa un gruppo di «eroi». Il materiale di repertorio è incastonato con interviste e testimonianze e cementato dalla voce narrante di Marco Giallini, cantastorie d’eccezione, che divide la conquista della Coppa del Mondo in undici tappe.

C’era un pezzo di Basilicata, e più ancora di Sud, in quell’impresa, sia pure in seconda fila: Francesco Selvaggi, 69 anni, materano di Pomarico, un predestinato (contro la Juve il primo gol da professionista), furia d'attacco del Cagliari atterrato a Torino proprio dopo il Mondiale 1982 e per anni nella scia delle Premiate ditte della Serie A. Relegato alla panchina, ma riserva di lusso di Paolo Rossi, Selvaggi rimanda indietro la pellicola dei ricordi: «Fu lo stesso Bearzot a dirmi che mi aveva convocato perché per in ogni ruolo voleva una copia perfetta. Secondo lui ero tecnicamente l’unico che avrebbe potuto sostituire Pablito». Ma questa non è storia del film, perché più che un viaggio nel corpo dello sportivo, il documentario è un passaggio di storia. Un risultato è stato già raggiunto: nell’anteprima dei giorni scorsi alla Casa del cinema di Roma, una grossa manciata degli Eroi ‘82 s’è ritrovata: Giancarlo Antognoni, Antonio Cabrini, Franco Causio, Bruno Conti, Fulvio Collovati, Giuseppe Dossena e, appunto, Franco Selvaggi. Una reunion servita per prendere atto di quel che stava succedendo fuori e dentro gli stadi di Spagna: il talento dei singoli calciatori italiani imprigionato dopo tre pareggi in giudizi che avrebbero scoraggiato chiunque, e nascosto sotto il mantello di una falsa necessità di riscattare l’Italia tutta anche e soprattutto col calcio.

Quello sdegno iconico mediatico fu ribaltato dallo spirito d’iniziativa dei singoli, grazie al ringhio deciso e gentile di Bearzot e a una metamorfosi nelle partite contro Argentina e Brasile poi culminata con la vittoria sulla Germania che spinse la nazionale fino cielo della Coppa.

Il film è altro che mera euforia pallonara, racconta sullo sfondo l’Italia di quegli anni, fratturata socialmente e divisa dall'animosità politica. Antonio Cabrini, 64 anni: «È un docufilm che fa venire la pelle d’oca perché mostra la vita di un Paese e i grandi sentimenti che ci portarono a vincere la Coppa del Mondo». E Bruno Conti, 67 anni: «È stato davvero un padre, Bearzot. Certo, prima di partire ai Mondiali c’era vero livore dei giornalisti verso di lui. Lo hanno come ammazzato dopo i primi tre pareggi».

E danzando senza ombrello sotto la pioggia, l’ira squagliata diventa impresa: «Nel 1982 - dice il regista Manlio Castagna - ero un bambino di otto anni, ma ho un ricordo molto netto di quello che accadde allora. Ricordo ad esempio di come la gioia può essere esplosiva e coinvolgere tutti quanti. La gente allora scese in strada per abbracciarsi e non per lanciarsi pietre». Giallini di anni ne aveva diciannove anni e lavorava in un’autorimessa vuota, insieme a una quarantina di persone. E come tanti di quei branchi di sbarbatelli «è cresciuto meglio», dopo l’urlo di Tardelli, il triplice Campioni-del-Mondo di Martellini e le sbracciate di vittoria di Pertini.

Il terrorismo è ancora una notte permanente e la corte di Appello di Brescia assolve tutti gli imputati del processo per la bomba in piazza della Loggia a Brescia nel 1974; il banchiere Roberto Calvi viene trovato impiccato sotto un ponte del Tamigi; scoppia la guerra tra Argentina e Gran Bretagna per il possesso delle isole Falkland; Israele invade il Libano; la guerra Iran- Iraq è senza fine.

Eroi, allora, quelli che il calcio...? Selvaggi trova la giusta misura: «Non so se sia giusto definirci eroi, certo siamo campioni esemplari. Eravamo umili, non ci atteggiavamo da miti, e abbiamo saputo dare gioia a un Paese che stava attraversando un momento difficile». Quarant'anni dopo la Germania è tornata a umiliare gli azzurri di Mancini. Altri tempi, ma è pur sempre un momento di rifondazione. Solo che il Mondiale non sarà un viaggio, solo uno show al quale inchiodarci come spettatori. Aver conquistato il cielo, adesso che lo abbiamo perso, restituisce un senso di frustrazione. Ma un millimetro sotto il disagio, c’è un docufilm che consola.

Gloria Satta per “il Messaggero” il 17 giugno 2022.

Un po' invecchiati ma sempre animati dallo spirito di gruppo, decisamente commossi, eccezionalmente riuniti a 40 anni dal loro storico trionfo: i ragazzi del 1982, i calciatori che l'11 luglio del 1982 fa portarono l'Italia a diventare campione del mondo in Spagna contro la temutissima Germania malgrado tutti i pronostici e lo scetticismo della stampa, sono oggi i protagonisti di Il viaggio degli eroi, il documentario di Manlio Castagna che rievoca, tra immagini di repertorio e interviste recenti, la vittoria della Nazionale guidata da Enzo Bearzot, detto il Vecio (in sala il 20, 21 e 22 giugno prodotto da One More Pictures con RaiCinema e RaiCom).

UN PADRE Giancarlo Antognoni, Giuseppe Bergomi, Antonio Cabrini, Bruno Conti, Claudio Gentile, Gabriele Orioli, Dino Zoff, Roberto Mancini, Gianluca Vialli più Cinzia Bearzot, la figlia di Enzo, e Federica Cappelletti, la vedova del compianto Paolo Rossi, ripercorrono quell'impresa leggendaria raccontata in 11 capitoli introdotti da Marco Giallini: «I nostri calciatori erano ironicamente chiamati l'Armata Brancabearzot», dice l'attore romano, 59, «invece erano una famiglia, un gruppo saldo e stretto come un pugno». 

La Nazionale di Bearzot, «il Vecio friulano scolpito nella roccia», va ai Mondiali mentre l'Italia è dilaniata dai suoi traumi recenti: il rapimento di Aldo Moro, l'attentato al Papa, la strage di Bologna, la tragedia di Ustica, i delitti di mafia. 

«E il calcio», sottolinea Cabrini, «era l'isola felice in cui tutti si ricompattavano». Ma la spedizione parte sotto i peggiori auspici: «C'erano tante squadre più forti», racconta Antognoni, mentre Cabrini, Zoff, Gentile e Oriali ricordano con amarezza «le campagne della stampa contro di noi, i preconcetti contro il Mister e le sue scelte». Ma Bearzot, soprannominato dai detrattori Don Chisciotte, «ci chiamava figli miei», rievoca Conti, «è stato infatti per noi come un secondo padre».

Di vittoria in vittoria la squadra, sorprendentemente, avanza. Fino al quell'ultima partita allo Stadio Santiago Bernabéu di Madrid dove l'Italia batte la Germania 3-1 e nel nostro Paese incollato alla tv risuona per tre volte l'urlo del mitico telecronista Nando Martellini: «Campioni del Mondo!». 

A Madrid c'era anche il Presidente Sandro Pertini: «Prima della partita ci aveva dato tanto coraggio», dice Conti e Cabrini: «E' stato il 13mo giocatore in campo». Travolto dall'entusiasmo, il capo dello Stato dirà: «La vittoria degli Azzurri è stata una delle mie gioie più grandi da quando sono Presidente della Repubblica». Da velleitari votati al fallimento ad eroi: mentre in Italia si scatena il delirio, nell'opinione pubblica l'immagine degli uomini di Bearzot si ribalta.

RINASCITA «La vittoria inattesa e incredibile degli Azzurri», ragiona Castagna, salernitano, classe 1974, «non fu soltanto una grande impresa sportiva, ma un momento di partecipazione e condivisione che segnò simbolicamente la rinascita del Paese dopo anni difficili. La gente scese in strada per abbracciarsi e non per lanciarsi pietre». Per Cabrini «questo film celebra i ricordi del Paese meraviglioso che siamo e soprattutto l'espressione di un grande sentimento di unità indissolubile che si creò nel gruppo e fu il motore di una vittoria impossibile».

Antognoni: «Quella vittoria mi ha regalato la piena consapevolezza di me stesso e la capacità di non mollare mai». Conclude Giallini, che nel 1982 aveva 19 anni e seguì la storica finale in un'autorimessa vuota insieme a una quarantina di persone: «Se quella vittoria ci ha insegnato qualcosa, è la certezza che nei momenti di crisi solo la squadra, il gruppo, la collettività crea un valore. E quella vittoria insperata ora può forse aiutarci ad affrontare il nostro presente con più speranza».

Luca Valdiserri per il “Corriere della Sera” il 27 giugno 2022.

Buongiorno, Bruno Conti detto Marazico: Mondiale 1982, quarant' anni fa il 99% degli italiani calcolava quanti gol, di lì a poco, ci avrebbero segnato l'Argentina di Maradona e il Brasile di Zico... «Venivamo da tre pareggi non certo esaltanti (contro Polonia, Perù e Camerun; ndr ) e da una qualificazione stentata. 

Il problema, però, aveva radici più profonde: le polemiche erano iniziate ben prima dell'inizio del Mondiale. Eravamo passati dal calcio scommesse, Bearzot aveva convocato Paolo Rossi e lasciato a casa Pruzzo, che era stato capocannoniere per due anni di fila. Si era scatenata una vera gogna mediatica. Alla fine, però, furono polemiche benedette perché, come diceva Bearzot, contava il gruppo e il gruppo fu cementato dal sentirsi tutti contro».

Perché dopo 40 anni gli italiani sono ancora così legati al Mondiale, anzi al Mundial, del 1982?

«Due motivi. Il primo: l'Italia veniva da un brutto periodo anche fuori dal campo di calcio. Due anni prima, Ustica. L'anno prima, l'attentato al Papa. Eravamo ancora dentro gli Anni di Piombo. Nel nostro piccolo abbiamo dato un motivo agli italiani per sorridere. Il secondo: se guardi oggi quelle partite, vedi che abbiamo battuto via via tutti i migliori. Maradona, Zico, Boniek, Rummenigge». 

Per i più giovani: Italia-Argentina 2-1, 29 giugno 1982, Gentile toglie a Maradona l'ossigeno per respirare...

«È la partita che ci permette di sbloccarci e Maradona dimostra la sua grandezza anche nella sconfitta. Nessun difensore ci andava leggero con lui, ma Diego non si è mai lamentato. Nasce tra me e lui un rapporto fortissimo. A ogni Roma-Napoli mi diceva: vieni a Napoli a giocare con me, tu sei il calcio. Mi invitò al suo matrimonio, venne a trovarmi a Trigoria quando avevo preso in corsa la panchina della Roma nell'anno in cui si bruciarono Prandelli, Voeller e Delneri». 

Quanto fu vicino al Napoli in quegli anni?

«Io ero lusingato, però, volevo restare a Roma. C'era in discussione il contratto da rinnovare con il presidente Viola e ci incontrammo al ristorante Quadrifoglio. Spesso portavo i miei figli all'allenamento e in quella occasione c'era Daniele, che per Maradona aveva una venerazione. Viola gli chiese: "dove giocherà papà l'anno prossimo?" E Daniele: "va a Napoli da Maradona". Non so cosa pensò Viola, però firmai subito dopo il contratto per restare». 

Italia-Brasile 3-2, 5 luglio, 1982, tripletta di Paolo Rossi che diventa Pablito...

«Fu la vittoria di Bearzot, anche se rischiò di pagarla cara. Dopo quel 3-2 indimenticabile ci diede un giorno libero e in molti lo passammo nella piscina dell'albergo. Passò a trovarci in tuta e con la pipa in bocca, io e Ciccio Graziani lo gettammo in acqua per scherzo. Non pensavamo che non sapesse nuotare...».

 Come gestì, una volta tornati a Roma, quella vittoria con Falcao?

«Semplicemente non ne parlai mai con lui. Non potevo dirgli che mi dispiaceva, perché non era vero. Prima della partenza per la Spagna, a Trigoria, facemmo una foto io, Paulo, Liedholm e Viola. Il presidente ci disse: uno di voi due mi deve riportare indietro la maglia da campione del mondo». 

La semifinale con la Polonia di Boniek (2-0, 8 luglio 1982) anche nel ricordo sembra quasi una formalità...

«Non abbiamo commesso l'errore di pensarla così. Non abbiamo mai mancato di rispetto a nessun avversario». 

Nella finale con la Germania (3-1, 11 luglio 1982) vi permettete di sbagliare un rigore sullo 0-0: come andò?

«Credo dovesse tirarlo Paolo, che però chiese a Cabrini: te la senti? All'intervallo Bearzot prese Cabrini per il collo e urlò a lui per dirlo in realtà a tutti noi: i rigori si possono sbagliare, adesso entriamo in campo e vinciamo questo Mondiale! Così è stato». 

Come descriverebbe quel gruppo dell'82?

«Con una parola che mi è cara: umanità. Un'esperienza come quella ti tiene unito per sempre. Abbiamo ancora una chat. È su quella che abbiamo ricevuto la notizia della morte di Paolo. Non ci posso credere anche a distanza di tempo». 

Quali sono le radici di Marazico?

«Vengo da una famiglia numerosa: sette figli, papà sempre fuori a lavorare. Bisognava dare una mano. Il mio calcio era strada e oratorio. Divertimento, non pensavo di fare il professionista». 

Poteva farlo nel baseball.

«Vengo da Nettuno, che in Italia è la patria del baseball, portato dai soldati che sbarcarono ad Anzio. Ero un bel lanciatore, mancino. Il Santa Monica venne un'estate dalle mie parti per una tournée e mi notarono. Volevano mettermi sotto contratto, mamma disse: ma dove sta questa America? Non se ne fece niente. A ben guardare è stata la mia fortuna». 

L'Italia, per la seconda volta di fila, non si è qualificata per il Mondiale: come si riparte?

«Bisogna avere più coraggio nei confronti dei giovani e smettere di preferire il fisico alla tecnica. Correvamo tanto anche noi, non solo i calciatori di adesso». 

Cosa pensa quando vede calciatori normalissimi guadagnare in un anno quello che Marazico non ha guadagnato in tutta la carriera?

«Penso che sono stato fortunato ad avere quello che ho e che mi hanno insegnato a non invidiare mai nessuno. Si vive meglio. E poi i tempi sono diversi. Ai ragazzi che stanno con le cuffie, ascoltando ognuno la sua musica, vorrei spiegare quanto era bello cantare insieme sul pullman Cuccurucucu Paloma di Battiato».

Mario Sconcerti per il “Corriere della Sera” il 5 luglio 2022.

È molto difficile ricordare oggi Italia-Brasile di quarant' anni fa, perché il calcio non ha memoria. È quasi soltanto cronaca di parte, è un cammino dentro un eterno presente. Nel 1982 eravamo un Paese abbastanza sconvolto. Venivamo dagli anni di piombo, l'inflazione era più alta di adesso, non esisteva una destra ufficiale di governo né una grande sinistra accettata. Non era chiaro sapere chi eravamo. 

La televisione aveva affermato il Mondiale come evento planetario, troppo grande per noi. Era lontano dalla nostra realtà. I c.t. non avevano allenato in serie A, facevano parte di uno staff federale dove il primo di loro portava dentro gli altri perché li conosceva e si fidava. Non c'era un passato che affermava. Erano piccoli maestri tolti alle partite proprio per mantenerli sempre rispettabili. Non è un caso che Valcareggi, Trevisan, Maldini, Bearzot fossero tutti nati uno a un passo dall'altro, nell'estremo Nord-Est del Paese.

Non contava il talento, contava un'idea comune, un dialetto, una cultura di vita vissuta insieme.

Quando io e Brera lasciammo l'albergo, ci premurammo di pagare il conto. Sapevamo che quasi certamente il giorno dopo saremmo dovuti tornare in Italia e volevamo evitare la fila dell'ultima ora. Sul taxi Brera mi disse che era così convinto del risultato da aver fatto un giuramento. Se il Brasile avesse perso, lui avrebbe partecipato in agosto alla processione dei Battenti a San Zenone Po, il suo paese. 

Lo aveva scritto su Repubblica , il nostro giornale di allora.

Io non avevo idee precise, capivo l'improbabilità dell'essere, ma ero giovane, avevo una figlia di sei mesi, avevo voglia di ascoltare l'avventura. Il campo era il Sarriá, quello dell'Espanyol. Bisogna essere vittima di un destino maldestro per nascere tifosi dell'Espanyol a Barcellona. Non c'è mai un confronto possibile. 

A me sembrò beneaugurante. Eravamo nel regno dei perdenti, era troppo semplice perdere. Pensai dovesse esserci una meraviglia da qualche parte. Lo stadio era piccolo e lindo, affacciato sul campo. Si sentivano i gemiti dei giocatori e le parole dei tecnici. Il Brasile aveva quello che chiamavano il quadrilatero magico. Non era una definizione di grande fantasia, ma si avvicinava alla realtà. Giocavano a centrocampo con un due più due: in basso Falcao e Cerezo, più avanti Zico e Socrates. Ci sentivamo piccoli.

Gli attaccanti erano Serginho e Eder a sinistra. Serginho non era un grande centravanti, poche volte il Brasile ha avuto fortuna in quel ruolo.

Non è un posto per ballerini, serve gente che regga l'urto per fare entrare i fantasisti sulla strada della porta. Noi giocavamo con Gentile-Collovati-Scirea-Cabrini in difesa, Oriali e Tardelli giocatori di massa, Conti e Antognoni a dare ordine e grazia, più Rossi e Graziani in attacco.

Non avevamo una grande fama. Avevamo fatto appena tre punti nel girone pareggiando con Polonia, Perù e Camerun. Giocando male, dando un'impressione di sfiducia e leggerezza. C'era un imputato, Paolo Rossi. Non segnava e non tirava in porta.

Girava spento per il campo, magro come un'aringa e vuoto dentro. Allora si poteva essere amici dei giocatori. Io lo ero di Rossi. Se devo ricordare Paolo mi salta sempre in mente il sorriso. È stato il più sfortunato degli uomini fortunati. Si è rotto tante volte i crociati, a 28 anni fu costretto a smettere dai dolori. È morto sfinito dalla malattia. 

Però, il giorno prima del Brasile, mi aveva detto: «I Mondiali non c'entrano niente con la carriera di un giocatore, sono un miracolo. Io sono Rossi non per i gol che ho fatto nel Vicenza o che farò nella Juve, sono Rossi per i tre gol che ho fatto in Argentina quattro anni fa; capisci? Appena tre e il mondo si rovescia; se domani segno, ricomincio a vivere dentro il miracolo». Al suo secondo matrimonio, nel suo villaggio sospeso sulle colline tra Arezzo e Siena, mi raccontò della celebre storia sulla presunta omosessualità tra lui e Cabrini. Una frase innocente di un giornale li aveva trasformati in una coppia di fatto. Il silenzio stampa nacque per questa ultima goccia.

Non avevamo capito cosa fosse ormai un Mondiale. Non c'è ironia, c'è solo realtà, anche se è finta. Una frase sbagliata, tra migliaia di cronisti, faceva in un'ora il giro del mondo. Diventava verità. 

Quando il Brasile arrivò a Barcellona, Socrates ci chiese se era vero che Rossi e Cabrini erano gay. La sera delle sue seconde nozze Paolo aggiunse: allora non sai l'ultima. Io e lui, e indicò Cabrini, avemmo in quei giorni una macchia rossa sulla pelle, io sul petto e Antonio sulla schiena. Era micosi. Pareva il contagio di due amanti. E via tutti a ridere. 

Al Brasile bastava un pari, a noi no. È possibile che questa sia stata la nostra fortuna. Non ricordo se giocammo bene. Dopo il primo gol di Paolo passai i minuti ad offendere il tempo che non passava. Era tardo pomeriggio, allora si dettava in diretta, io al telefono e dall'altra parte una signora paziente che registrava. Penso spesso che la vera innocenza del mio mestiere per la sua scarsa proprietà letteraria, nasca dalla necessità di avere sempre fretta, non c'era nessun modo di riflettere. Comunque Gentile marcò Zico, Oriali dava una mano su Eder e Conti era il regista laterale.

Nel mezzo Tardelli prendeva ogni metro come cercasse una meta e Antognoni era forse, nel suo ruolo, il migliore del Mondiale, anche se noi lo ignoravamo. Il Brasile pareggiò, una volta, due volte, eravamo continuamente dentro e fuori. Era epica pura, ma non lo sapevamo. Soffrivamo e basta. C'era partita, ma il Brasile esagerava. Oggi sul 2-2, forse avrebbe spento il gioco palleggiando, i mezzi giusti li aveva. Ma scelsero di voler vincere. E un ragazzo sottile, ormai oltre il miracolo, segnò anche il terzo gol. 

Eravamo di nuovo in semifinale, restava solo una lunga coda. Antognoni segnò il quarto, ma l'israeliano Klein annullò per un fuorigioco che non c'era. Protestammo a lungo. Non sapevamo che il figlio di Klein era in guerra in Libano e da giorni non dava notizie di sé. Il giorno prima Klein aveva chiesto ad Artemio Franchi, presidente della commissione arbitrale, di non fargli dirigere la partita. Non aveva la tranquillità corretta.

Poi la mattina dopo arrivò un messaggio dal Libano: papà sono vivo, arbitra. L'ultimo quarto d'ora fu infernale, il Brasile stava vivendo un dramma che non capiva. Sembrava a tutti impossibile, non giocavano più il loro calcio, era come aspettassero un segno di giustizia dal cielo. Non capirono mai che la giustizia sul campo era già stata fatta. Avevano vinto i migliori. Scalfari, il direttore, ci chiamò al Sarriá. Non l'aveva mai fatto. Disse, passami Gianni. Il telefono rimase a metà strada tra me e lui, nel frastuono fu un miracolo sentire le parole. Dicevano, e ora caro Gianni, manderò fotografi e inviati per vederla in agosto alla Processione dei Battenti. Si ricordi. E Gianni sfilò a San Zenone battendosi il petto. Un altro miracolo.

Guido D’Ubaldo  per il Corriere dello Sport il 17 luglio 2022.

Nel giorno che quella coppa che Dino Zoff alzò al cielo per mostrarla al mondo compie 40 anni, Ciccio Graziani è su un campo di calcio. A Tornimparte, sulla strada che porta al Gran Sasso, a insegnare ai ragazzini come si stoppa un pallone. Graziani non hai mai smesso di pensarci, anche se la sua finale durò sette minuti, per un maledetto infortunio alla spalla.

Graziani, questi 40 anni sono volati

«E’ passata una vita. Eravamo tutti più giovani, pieni di entusiasmo e di sogni. Quella coppa resta un bellissimo ricordo per tutti noi». 

Una coppa che vi ha cambiato la vita

«Resteremo i campioni del mondo per l’eternità. Quel gruppo di uomini dimostrò che con la volontà, lo spirito di sacrificio, la disponibilità si possono ottenere grandi risultati. Abbiamo scritto la storia dello sport del nostro paese, rappresentavamo la Nazione. Gli abbiamo fatto vedere che quando ci mettiamo d’impegno, noi italiani siamo capaci di fare grandi imprese».

Dopo pochi minuti l’infortunio alla spalla. Aveva giocato tutte le partite da titolare 

«Non ce la facevo a continuare. Il professor Vecchiet mi voleva fare un’iniezione di antidolorifico. Ho detto di no, per un senso di correttezza e per rispetto del gruppo. Non potevamo perdere neanche un minuto. Niente puntura, era giusto che entrasse Spillo».  

Quella finale l’ha vissuta comunque dall’inizio alla fine

«Già dal giorno prima eravamo concentratissimi. Il giorno della partita ti svegli, fai colazione, le ultime attenzioni dell’allenatore. Poi dopo l’inno, diventa una partita come le altre». 

Lei e Antognoni i grandi infortunati della finale

«In ritiro eravamo in camera insieme, non mi faceva dormire. La vittoria finale ci ha regalato felicità e gioia come gli altri. Sollevare la coppa più bella del mondo è un ricordo che resterà per tutta la vita».  

Dopo la sostituzione come ha visto la partita?

«Il primo tempo non l’ho visto perchè ero sul lettino con il ghiaccio sulla spalla, poi mi sono messo seduto fuori dallo spogliatoio su una panchina vicino a due gendarmi. Facevano il tifo per l’Italia. A tre minuti dalla fine fece gol Breitner, ma ero sicuro che non ci avrebbe spaventati. Al fischio finale sono corso in campo, quelli sono stati i cinque minuti più belli della mia vita. Ero partito da bambino con un sogno e lo stavo vivendo». 

A dicembre compie 70 anni

«Sono contento di come ci arrivo, anche se sono acciaccato, per l’incidente domestico di quasi due anni fa. Una brutta caduta in casa e mi sono fratturato undici costole e sei vertebre. Un incidente molto pericoloso. Ma mi sono ripreso. Quando vedo la palla giusta a calcetto, gli corro ancora dietro». 

L’ha aiutata la fede?

«Io ho una fede straordinaria, non finirò mai di ringraziare Dio, tutto quello che succede lo determina lui. Se vivi da cristiano non sbagli mai. Qualche volta mi sono anche arrabbiato con il buon Dio. Quando se ne andò Scirea, per esempio. Perchè proprio lui, un esempio di onestà? Poi nel tempo ho capito, nella Nazionale del Paradiso mancava uno come Gaetano. Qualche volta ci ho discusso con il buon Dio. Sono praticante, vado sempre a messa. 

Quando qualcuno mi dice che potrei anche saltare qualche volta, rispondo che è come se ti invitasse una bella ragazza a cena e dire di no. Mi sono fatto tante domande quando è mancato Paolo (Rossi, ndr), prima ancora il mister, il presidente Sordillo. Poi ho cercato di dare una logica a queste partenze, non sempre ci sono riuscito. L’aspetto più bello è che un giorno ci ritroveremo». 

Voi i vincitori del Mundial, siete ancora molto legati 

«Abbiamo una chat dove ci facciamo conforto, ci scambiamo battute, ci diamo una mano se è necessario. Dopo la scomparsa di Paolo è entrata la moglie Federica. Lei è con noi, come lo era Paolo».  

E’ un uomo di fede, ma una volta si fece togliere il malocchio

«Quando ero alla Fiorentina una volta il massaggiatore Pallino Raveggi mi disse che Gino Bartali mi voleva parlare. Lo incontrai, lui con quella voce roca mi disse deciso: “Caro Graziani, da cinque partite non segni, ti hanno fatto il malocchio. Una volta vieni a trovarmi che te lo faccio togliere”.

A Raveggi dissi: “Io non ci credo, che ci andiamo a fare”. “Fallo contento, non te ne pentirai”. Entrammo in una casa buia, molto dimessa, sulla strada, bisognava fare attenzione a non finire sotto le auto appena uscivi dal portone. In una stanza con le candele c’era una signora con i capelli bianchi e neri. Mi chiese di togliermi camicia e maglione, mi fece mettere seduto e mi sparse degli oli sulle spalle e sul petto, pronunciando parole incomprensibili. La domenica dopo a Cesena feci due gol. Bartali aveva delle bici d’epoca dal valore inestimabile, ma non voleva venderle. Avrebbe potuto prendersi una casa più ariosa».  

Lei è stato sempre uno di quelli pronto a fare scherzi. Ce ne racconti uno legato al Mondiale

«Dopo la vittoria sul Brasile, siamo tornati in albergo e cominciò a volare qualche gavettone. Qualcuno finì in piscina. A me e Bruno Conti venne l’idea di buttarci il mister. Zoff provò a dissuaderci. “Fate attenzione, non sa nuotare”. Era vero, si buttarono con lui anche Dino e Tardelli per aiutarlo ad aggrapparsi a bordo piscina. Alla fine però ci perdonò». 

Ancora lavora sul campo con i ragazzini

«Porto avanti un progetto con Fila Museum che organizza camp in giro per l’italia. Lo slogan è: “Incontriamoci con il sorriso”. In questi stage diamo una mano ai ragazzi a capire dove migliorarsi dal punto di vista tecnico e soprattutto li facciamo divertire. Mettere a disposizione la mia esperienza mi fa molto piacere. I genitori gli dicono chi sono stato e i bambini sono felici. Negli stage mi aiutano mio figlio Gabriele, Copparoni, che è stato con me al Torino, e un altro assistente. Siamo stato anche ai campus della Roma negli Stati Uniti e in Sudafrica. Portavamo un sorriso nelle realtà più difficili».

Come è cambiato il calcio dai suoi tempi?

«E’ cambiato è in tutto, nelle metodologie di lavoro, nell’abbigliamento, nella gestione dei giocatori. Quest’anno per la prima volta si disputerà il Mondiale in inverno, non so quanto potrà condizionare i campionati europei. Le preparazioni saranno decisive. E’ facile che esca una sorpresa».  

Il secondo Mondiale consecutivo senza l’Italia

«Per noi è una tragedia sportiva, soprattutto dopo aver vinto l’anno prima l’Europeo. Non ce l’aspettavamo proprio».

Come può ripartire l’Italia? 

«Bisogna investire nei vivai, nei giovani e nella qualità dei ragazzi. Ultimamente stiamo formando i calciatori sotto l’aspetto fisico, invece dobbiamo reinvestire nel miglioramento tecnico. Nei vivai ci sono troppi stranieri, i nostri giovani non possono emergere». 

La Roma è rimasta nel suo cuore, con Mourinho è tornata a vincere

«Mourinho vuole migliorare la squadra, le ha fatto aumentare l’autostima. Ha fatto capire che ci sono i presupposti per vincere anche a Roma. Ha dato una svolta anche a livello mentale. Mi sarebbe piaciuto lavorare con un allenatore come lui, è straordinario».  

1982, Italia-Brasile è stata la partita perfetta. Antonio D’Orrico su Il Corriere della Sera il 28 Giugno 2022.

Rossi era il piccolo Nemecsek, Zoff il saggio Boka. Quei 90 minuti hanno incantato Piero Trellini, allora 12enne. Ne sono nati una collezione di cimeli e un romanzo diventato una serie tv. 

Prima riga del primo capitolo del primo volume del Manuale del giornalismo: non si comincia mai un pezzo con «Alle cinque della sera», il celebre e abusato verso di García Lorca in morte del torero Ignacio Sánchez Mejías. Ma qui è inevitabile, anche se non si racconta una morte, bensì un paio di resurrezioni in terra di Spagna.

Alle cinque (e un quarto) della sera del 5 luglio di quarant’anni fa i vituperatissimi Azzurri del calcio si batterono con gli imbattibili Verdeoro brasiliani e li sconfissero nella più bella, secondo molte e accreditate scuole di pensiero, partita di pallone di ogni tempo.

Il più convinto assertore di questa tesi è Piero Trellini che all’epoca aveva 12 anni e vide la Partita nel salotto di casa a Roma. All’indomani suo padre, come tutti i padri di allora, comprò la mazzetta intera dei quotidiani. Piero li divorò dalla prima all’ultima pagina e poi cominciò a ritagliarne, per incollarli in un album, foto, disegni (le leggendarie moviole di Paolo Somarelli) e titoli («Il più bello era del Corriere dello Sport: “Il Brasile siamo noi”. Seconda riga: “Risorge Pablito”»).

Per decenni, Trellini ha collezionato tutto il collezionabile di quella sera. Finalmente, nel 2019, ha scritto La partita (Mondadori), che è un romanzo nazionale alla stregua dei Promessi sposi e Il gattopardo (ma anche, non dimentichiamolo, se no il quadro antropologico risulterebbe incompleto, Fantozzi di Paolo Villaggio), un reportage infinito a metà strada tra il poema epico in prosa e il giallo alla Hitchcock (malgrado si sappia dall’inizio come va a finire, la suspense resta insostenibile sino all’happy end). 

Per i quarant’anni dell’impresa Trellini ha firmato (con Giovanni Filippetto) una docu-serie tv, Italia vs Brasile 3-2 – La Partita (regia di Jacopo Rondinelli, su Sky Documentaries dal 3 luglio) e pubblicato un libro illustrato, La partita. Le immagini di Italia-Brasile (Mondadori), che è l’edizione critica del suo album di ragazzino: un po’ hall of fame, un po’ tempio (stile Pantheon), un po’ scena del delitto (dal punto di vista brasiliano) con i rilievi della scientifica (indizi, prove, impronte) tipo CSI.

Ho rivisto la Partita con lui. A partire dal fischio d’inizio dell’arbitro Abraham Klein alle cinque (e un quarto) della sera allo stadio Sarriá di Barcellona.

Trellini, tra le chincaglierie (come le chiama lei) che affollano casa sua (il copione di Via col vento, un biglietto intonso di Woodstock, la foto del goal di Ghiggia al Maracanã, ecc.) c’è il fischietto di Klein. Come l’ha avuto?

«Una notte seguivo un’asta di memorabilia calcistiche su eBay. Vendevano a 30mila euro il pallone ufficiale di Italia-Brasile. A mettere all’incanto il cimelio era proprio Klein. Da anni volevo intervistarlo. Gli scrissi di getto e lui mi chiamò. Oltre al pallone, dal prezzo per me irraggiungibile, all’asta c’erano fischietto e cartellino giallo sui quali Klein mi fece un prezzo di favore».

Quanto pagò il fischietto?

«Non mi ricordo o non mi voglio ricordare. Era un Balilla, pura plastica, di solito costa sui 7 euro, quello sfiorava i 5mila».

Perché la Partita la colpì al punto da divenire una ossessione?

«Mi abbagliò la bellezza. Come quando vedi la prima volta il Partenone. Per me la Partita è il canone della bellezza del calcio».

Qual era il suo libro preferito a 12 anni?

«I ragazzi della via Pál, una storia di pallone, se vogliamo, due bande di ragazzi si contendono un campo».

Paolo Rossi era un ragazzo della via Pál?

«Era il più ragazzo della via Pál di tutti, il piccolo Nemecsek. Quello dapprima bistrattato (la squalifica per il calcioscommesse) che si riscatta con una tripletta».

Allora Boka, il saggio capo dei ragazzi della via Pál, non può che essere capitan Zoff, il quale, nella serie tv, confessa di trovare sempre dei difetti quando rivede la Partita. Dice che si poteva fare meglio.

«C’è tutto Zoff in quelle parole. Uno dedito al dovere, al miglioramento continuo. Zoff diventa Zoff quando il padre, alla fine di una delle sue prime partite, gli chiede come mai ha preso un gol. Lui si giustifica: “Hai ragione, papà, non me lo aspettavo quel tiro”. E il padre risponde: “Non te lo aspettavi? Ma tu cosa fai di lavoro il farmacista?”».

Prima di correre poi in soccorso dei vincitori (il vero sport nazionale secondo Flaiano), i giornalisti all’epoca diedero il peggio. Ribattezzarono la squadra l’Armata Brancazot (evocando l’imbranatissimo Brancaleone di Gassman). Bollarono come bollito il quarantenne Zoff...

«Già al Mondiale 78 i giornalisti avevano dato la colpa a Zoff. Lui, che aveva avuto l’onore della copertina di Newsweek, fu ribattezzato il Cecato, perché secondo loro era diventato miope. Ebbene, proprio il Cecato compì al 90° la parata decisiva della Partita, quella che ci porterà a vincere la Coppa del mondo. Il suo arco narrativo, come quello di Rossi, ha la perfezione di un disegno. Drammaturgia in purezza. Il Mondiale 82 è la storia di più resurrezioni, una storia di rinascita (e prima di rinascere devi morire) ed è anche la storia di una vendetta collettiva contro la stampa cattiva».

Gli Azzurri furono tanti Conti di Montecristo?

«Sì, e pure tanti Brutti Anatroccoli (l’Italia anonima delle prime partite pareggiate a stento) che si riveleranno stupendi cigni. La Partita rispecchia lo schema classico delle favole. Nel gioco delle parti, i giornalisti (quasi tutti) erano le matrigne delle fiabe, avevano sposato il lato oscuro della Forza. E i giocatori erano i più belli del reame».

A proposito di belli, nella Partita illustrata lei ripesca il famigerato articolo di Claudio Pea che sul Giorno ipotizzava che il Bell’Antonio Cabrini e Pablito fossero gay. Con un tocco di regia alla Lubitsch lei mette la fotocopia dell’articolo nella pagina che racconta il primo gol dell’Italia al Brasile: traversone di Cabrini e schiacciata di testa di Rossi.

«Il trafiletto del Giorno finiva così: “Senza Simonetta, il Pablito, per ora, divide la sua stanza con il bel Cabrini: sempre per essere puritani, evitiamo gli ironici commenti che si sono fatti attorno a questa nuova coppia della quale – questo si può dire – si è ufficialmente deciso che Pablito sia l’uomo e Cabrini la muchacha”».

Dobbiamo riconoscere a Claudio Pea di aver toccato il minimo storico del giornalismo italiano. Meno male che c’erano gli scrittori, accorsi in tanti a raccontare il Mondiale di Spagna. Un segno del destino anche questo?

«C’era una Nazionale della letteratura: Soldati, Cancogni, del Buono, Arpino, Brera. E poi c’era don Mario Vargas Llosa, il più grande di tutti, al quale rubarono in tribuna stampa il manoscritto del romanzo a cui stava lavorando. Soldati era il più vecchio, 75 anni, e veniva preso in giro dai cronisti di professione. Viaggiatore di altri tempi, si era portato in Spagna (Ispagna, scriveva lui) un bidet portatile e l’aveva perduto appena arrivato. Allora sguinzagliò i giornalisti più giovani perché lo ritrovassero. Alla fine, lo recuperò Mario Sconcerti, inviato di Repubblica, la testata concorrente del Corriere della sera di Soldati, che cavallerescamente lo restituì allo scrittore. Il segno del destino è che proprio Soldati, così distratto, estraneo, lontano e indifferente a quel mondo, fu l’unico a presagire come sarebbe andata».

In che senso?

«Partendo da Torino per la Spagna si ficcò in tasca un foglietto con un frammento di Eraclito: “Chi non si aspetta l’inaspettato non scoprirà mai la verità”. Fu Soldati a estrarre il biglietto vincente della lotteria».

Giusto così. Soldati è il più risorgimentale dei nostri scrittori. E España 82 fu l’ultima tappa del Risorgimento. Inoltre, Soldati da ragazzo salvò un bambino che stava affogando nel Po a Torino. Prese la medaglia al valor civile. Una cosa da libro Cuore. E dalle pagine di Cuore sembra uscita tutta questa storia. Paolo Rossi non potrebbe essere un perfetto protagonista dei racconti mensili, tipo La piccola vedetta lombarda, che De Amicis mise nel suo capolavoro?

«Oltre alla Via Pál, l’altro mio libro preferito a 12 anni era proprio Cuore, il romanzo che formò generazioni di italiani così come la Partita fu l’educazione sentimentale della mia generazione».

Riccardo Signori per “il Giornale” il 29 giugno 2022.

In quei giorni, luglio 1982, quelli della finale mondiale a Madrid, Bruno Pizzul stava prendendo aerei al contrario. Gli italiani sciamavano verso Madrid. «Ed io facevo il percorso contrario. 

Non che ne fossi felice, però troppa gente era salita sul carro dell'Italia e a Madrid non c'erano più biglietti: destinati ad amici, amiche, parenti, di tutto un po'. Mi dicono: la vedi in albergo. Ma scherziamo? Stavo rientrando da Alicante dopo la finale per il terzo posto. E arrivato all'aeroporto di Milano c'era chi mi fermava e diceva: dove va? Dall'altra parte per l'imbarco...». 

Il signore delle telecronache racconta il suo mondiale con il consueto sorriso nell'animo.

«Non ho vissuto direttamente il nostro mondiale, andavo da Elche a Siviglia, da Malaga a Barcellona. Ma quando sono andato a Vigo per salutare Bearzot e gli altri ho capito che avevano scelto giusto: la Spagna era bollente, 35 gradi come niente. Invece a Vigo di notte dormivano col fresco e con la copertina. È stato uno dei segreti del successo». 

Ovvero?

«La temperatura non ha cotto i giocatori. Dal girone di Vigo uscirono due squadre, Italia e Polonia, che sembravano le più scassate di tutte. Invece arrivarono in semifinale. Credo che non si fossero incrociate, si sarebbero trovate in finale. Avevano bravi calciatori, ma tutti si erano evitati 15-20 giorni di caldo torrido in giro per la Spagna».

Com' era l'atmosfera spagnola?

«All'inizio andavo nei ristoranti o altrove, mi vedevano italiano e mi prendevano un po' per i fondelli: dicevano nazionale che gioca male fra polemiche, silenzio stampa.

Nemmeno mi facevano mangiar bene. Poi la considerazione ha preso a salire, mi sono sentito blandito, finalmente mi facevano mangiare le cose giuste. E il tifo cominciava a puntare sull'Italia». 

Come seguivi l'Italia?

«Da lontano, ma in modo divertente. Ero amico di Memo Trevisan, un collaboratore di Bearzot, e lui mi dava le dritte. Ma quando capitava dalle mie parti, per vedere possibili avversarie, non guardava l'Italia. Mi diceva: guarda tu, ho il batticuore, starei male. Avevamo stabilito un codice: io vedevo la partita, poi andavo sulla spiaggia e lui da lontano mi veniva incontro e cercava di interpretare lo sguardo: rassicurante o meno. Così evitava il coccolone. In cambio mi raccontava quel che dicevano Zoff e Bearzot nelle segrete stanze». 

Certo, voi tra friulani fate gruppo...

«Quando ci fu il silenzio stampa, la Rai mi chiese di andare a Vigo, visto che ero amico di Zoff e Bearzot. Magari ti dicono qualcosa... Mi rifiutai: sapevo che sarebbero nati problemi con i colleghi. Dissi: se noi parliamo in friulano questi non capiscono. Eppoi mi chiedono. Sarebbe stato un casino». 

A quale livello metti quell'Italia?

«Una delle più forti di sempre. Bastava valutare i singoli giocatori. Bearzot ha creato un blocco unico contro tutti. Un po' la stessa politica di Mourinho». 

E i giocatori?

«Molti hanno toccato il momento magico: Paolo Rossi massacrato prima di cominciare per tutte le sue vicende. Poi, appena toccava palla, la buttava dentro. Nessun paragone con quelli di oggi: abbiamo quello che ci meritiamo. L'uomo decisivo fu Bruno Conti che martellava gli avversari sule corsie esterne». 

«Il Giornale» ha indetto una petizione per intitolare una strada, una tribuna, qualcosa a Silvio Gazzaniga, scultore che 50 anni fa creò il modello della coppa. Sei d'accordo?

«D'accordissimo, è un cimelio con una storia. È diventata iconica». 

Nando Martellini, chiuse col famoso urlo Campioni del mondo!. Come si era preparato?

«Nando non era un grande appassionato di calcio. Era un gentleman, con me amabile. Attento alla preparazione, alla dizione, ma non sbavava per il pallone. Quel giorno era tranquillo, sentiva un po' di pizzicorino. Poi ci fu il coinvolgimento emotivo e l'urlo lo legò all'impresa».

Altre telecronache rispetto a oggi?

«Raccontavamo cose strettamente legate alla partita. Non avevamo tutte le informazioni di adesso. Ma ora si tende a strafare. E anziché parlare di Rivera, racconti dello zio di Rivera. Francamente... ne farei a meno».

Harald Schumacher, portiere della Germania al Mondiale 82: «Il mio libro scandalo mi costò la carriera». Paolo Tomaselli su Il Corriere della Sera il 3 luglio 2022.

Il portiere della Germania detto «Toni»: «Denuncia sesso, gelosie, corruzione. Paolo Rossi fu più veloce, che dolore per la sua morte. Il fallo su Battiston mi pesò per anni. Neuer più grande di Buffon».

Il Mundial azzurro in prima fila. Ma da avversario. Harald «Toni» Schumacher era il portierone della Germania Ovest al Bernabeu.

Se chiude gli occhi qual è il primo ricordo di quella notte dell’11 luglio 1982?

«Il colpo di testa di Paolo Rossi che portò l’Italia in vantaggio: che giocatore fantastico e che dolore per la sua morte ».

L’Italia era un treno in corsa impensabile da fermare?

«Non avevamo possibilità e la vittoria azzurra fu assolutamente meritata. Eravamo esausti e svuotati dopo la semifinale con la Francia».

Eppure dopo il rigore sbagliato da Cabrini avevate un vantaggio psicologico.

«Fu una botta di autostima per noi sullo 0-0 e per un attimo pensammo che il dio del calcio fosse dalla nostra parte. Ma non era così».

Lei fu al centro di una polemica per un saluto mancato al presidente Pertini. Come andarono le cose?

«Non era mia intenzione quella di non stringergli la mano! Non ricordo nemmeno quel momento, forse ero ancora dentro a un tunnel mentale. Così fui molto felice di sapere dal nostro ministero degli Esteri che Pertini mi aveva invitato a Roma. Fu molto empatico con me, mi chiamava «piccolo» (ride ndr). Mi abbracciò e mi fece sentire come un vecchio amico. È stato uno dei momenti più felici della mia carriera. Non voleva nemmeno sentire le mie scuse, parlammo solo della partita. Si accorse che ero un po’ distratto dalla traduttrice e mi chiese se volevo andare a fare una passeggiata con lei nel giardino: scoppiò in una risata di cuore e poi aspirò una lunga boccata dalla pipa».

In semifinale divenne «il mostro di Siviglia» per il fallo in uscita, non sanzionato, che mandò all’ospedale Battiston. Una vicenda pesante.

«Quell’episodio ha avuto un impatto su di me per anni. Non ho mai voluto fare male a Patrick Battiston. Uscii per prendere la palla, non avevo previsto che lui mi avrebbe anticipato con un pallonetto. Quando ero in aria non c’era modo di fermarsi, solo di provare a girarsi. Quando sono andato da lui, gli ho detto che ero molto dispiaciuto per non essere accorso a vedere le sue condizioni quando era a terra. Ha accettato le mie scuse e mi ha detto c’est terminé».

Cosa rappresentava per lei un collega come Zoff?

«La pura classe».

Il portiere più forte degli ultimi vent’anni è l’italiano Buffon o il tedesco Neuer?

«Neuer, decisamente. Anche per la sua modernità nell’interpretare il ruolo».

Lei per tutti è sempre stato «Toni», un soprannome preso da Toni Turek, campione del mondo 1954. I portieri sono ancora idoli?

«Sì, ma abbiamo bisogno di portieri magnifici, come Manuel o Gigi».

Donnarumma dopo l’Europeo ha vissuto una stagione complessa. È già stabilmente tra i più forti?

«Mi sono molto divertito a vederlo all’opera un anno fa, ma un torneo brillante o una stagione non bastano. Devi sviluppare il tuo stile e le tue qualità e rimanere ad alto livello per un decennio».

Ha pagato il passaggio dal Milan al Psg secondo lei?

«Io sono un po’ romantico, il Milan non lo avrei mai lasciato. Darai sempre il tuo meglio in un ambiente dove senti la fiducia e sei felice».

La Germania ha appena battuto 5-2 l’Italia. Gli azzurri non sono più la bestia nera dei tedeschi?

«Non sopravvaluterei quel risultato, perché l’Italia era in un momento di grande transizione dopo l’eliminazione dal Mondiale. Gli azzurri per noi saranno sempre un avversario speciale».

In Qatar la Germania avrà un avversario in meno.

«La sconfitta azzurra con la Macedonia è stata un dispiacere per molti tedeschi, perché quasi tutti hanno almeno un amico italiano. Detto questo la Germania gioca per tornare a vincere».

La Germania perse anche la finale dell’86 contro l’Argentina, ma si rifece nel 1990 in Italia. Senza di lei.

«Come mi disse il mio amico Rudi Voeller: ‘‘Se non avessi scritto quel libro saresti campione del mondo’’. Parlai apertamente di tutto, vendetti un milione e seicentomila copie, il libro fu tradotto in sedici lingue, ma fui cacciato dal Colonia e dalla Nazionale».

Abuso di medicinali, doping, sesso, gelosie, corruzione, ma anche la lotta per emergere e uscire dalla grande povertà da cui lei partì. Ancora oggi è una lettura con pochi eguali.

«Molte delle mie idee vennero realizzate, come i controlli antidoping o i salari più alti per gli arbitri. E non ho mai dovuto affrontare una sola causa giudiziaria per il libro. Quanto al mio percorso, avevo fame di successo e volevo dare ai miei genitori una vita migliore. A 18 anni cominciai a lavorare anche sulla mente: il training autogeno nel 1972 era considerato una follia e lo dovevo fare in segreto. L’immagine fissa nella mia mente era quella della tigre: la palla era la mia preda».

Maurizio Crosetti per “la Repubblica” il 29 giugno 2022.

Quella di Claudio Gentile è una lunga storia di orgoglio e solitudine, prima nel cuore del gioco e poi quasi ai margini di tutto. L'uomo che fermò Maradona e Zico. Il marcatore spietato. L'allenatore vincente della Under 21 e poi più niente.

Com'è andata, Claudio?

«È andata che non accettavo pressioni per convocare in azzurro questo o quell'altro giocatore. Mi odiavano. Però sono sicuro di avere fatto bene, anche se ho pagato con gli interessi». 

Cosa rappresentano per lei i 40 dal Mundial? Nella docu-serie di Sky Original "La partita", disponibile dal 3 luglio, a un certo punto si commuove di brutto.

«C'è ancora gente che ci ferma per strada e ci ringrazia. Era l'Italia delle Br, c'era tanta paura. Una vita difficile. Ma noi siamo stati capaci di dare agli italiani uno dei ricordi più belli della loro vita, qualcosa che va molto oltre lo sport».

Ne avevate consapevolezza?

«All'inizio, forse no. Ma sull'aereo di ritorno da Madrid accadde una cosa, il presidente Pertini si avvicinò e ci disse: "Voi non vi rendete conto di cosa avete fatto per l'Italia". Anche lui ci diceva grazie. Forse, davvero la nostra vittoria risollevò il Paese». 

Pensa che Bearzot sia stato dimenticato?

«Quando escluse il capocannoniere Pruzzo per chiamare Paolo Rossi, che non giocava da due anni, in tanti pensarono: è matto. Anche noi, sono sincero, dopo le quattro partite iniziali in cui Paolo non aveva visto palla, eravamo sorpresi che Bearzot non lo togliesse. Se fossimo stati eliminati con Rossi titolare a zero gol, ci avrebbero massacrati. Ma il nostro cittì sapeva valutare i suoi ragazzi e non aveva nessun dubbio su Paolo».

Fu lei a passargli il pallone del primo gol della finale contro i tedeschi. Cosa accadde?

«Nel primo tempo non mi ero mosso dalla marcatura di Littbarski che era, con rispetto parlando, un gran cacacazzi. Avevo paura che mi fregasse. Ma nell'intervallo andai da Paolo e gli dissi: se vengo avanti, poi ti faccio il cross basso a girare perché questi sono tutti alti uno e novanta. Andò così. Chiedetelo ai miei compagni, ho i testimoni».

Ci racconti di Maradona.

«Io dovevo tenere Mario Kempes, non Diego, ma Bearzot venne in camera mia, la prese larga, mi riempì di elogi e poi mi chiese: te la sentiresti di marcare Maradona? Io credevo scherzasse, però risposi: "Mister, dov'è il problema?".

Quando Bearzot uscì dalla stanza, pensai: Claudio, sei proprio un deficiente. Ma ormai era troppo tardi, avevo detto sì, non me la sentivo di correre dietro al cittì e spiegare che forse non era il caso. Di sicuro, lui non avrebbe apprezzato. Così mi misi a studiare, e decisi che quel genio avrei potuto fermarlo soltanto con l'anticipo».

Tra Maradona e gli altri calciatori, c'era sempre di mezzo lei.

«Lo impallavo, chiudevo la visuale, così non gli passavano più la palla. Era la mia missione: annullare il creatore del gioco». 

Ci riuscì anche con Zico, strappandogli quella famosa maglietta.

«Vogliamo dirla tutta? Era di carta velina, un tessuto a nido d'ape che appena lo toccavi si rompeva! Lo sa benissimo anche Zico, che infatti con me non si lamentò mai, così come sa che nella famosa azione della maglia strappata gli era stato fischiato un fuorigioco. Dunque, non esiste al mondo sostenere che fosse rigore: il gioco era fermo».

Cosa significa marcare?

«È un duello western dove esisti solo tu e l'avversario, è come se tutto quello che c'è intorno sparisse».

Le pesa essere stato considerato un terzino molto duro?

«Sì, perché è una stupidaggine. Nella mia carriera ho giocato 520 partite e non sono mai stato espulso per gioco scorretto. L'unico rosso lo rimediai per un fallo di mano in una semifinale di Coppa dei Campioni, eppure qualcuno mi ha inserito addirittura al quinto posto nella classifica dei giocatori più violenti di tutti i tempi. Non ha senso».

Ripensa spesso al Mundial?

«Non tanto, però sono gli altri a tenere vivo quel ricordo. E con l'anniversario dei 40 anni, figurarsi. I critici e i giornalisti scommettevano contro, sicurissimi che saremmo usciti al primo turno». 

Zoff/Gentile/Cabrini: le fa effetto essere parte di un verso che tutti conoscono a memoria?

«È molto bello. Noi tre più Scirea, il gigante. In Nazionale cominciammo nel '78, e allora non si veniva chiamati per caso. Credo fossimo la garanzia di Bearzot. Quattro così forti, tutti insieme, io non ne ho visti più».

Quanta tristezza le ha messo la fine di Maradona?

«Moltissima. Preferisco ricordare soltanto il Diego calciatore: per me, il più grande di tutti i tempi. Come uomo ha molto sofferto, e penso sia andato a cercarsi qualcuna delle sue disgrazie. Ma nessuno ha il diritto di giudicare». 

È vero che nel 2006 lei doveva diventare cittì della Nazionale dopo Lippi?

«Prima mi chiamò Boniperti, e mi disse che la Juventus aveva scelto me per allenarla in B. "Vengo anche a piedi", risposi, ma per correttezza dovevo prima parlarne in Figc. Lo spiegai ad Albertini che mi chiese di aspettare, perché la Federazione aveva un progetto su di me.

Quando Boniperti lo seppe, si arrese: "Se ti hanno promesso la Nazionale, vai pure". Ma il commissario Guido Rossi bloccò tutto e io mi bruciai entrambe le possibilità. Forse davo fastidio. Non accettavo ordini».

Si è mai pentito?

«Mai! Come allenatore vinsi l'Europeo Under 21 e il bronzo olimpico: dopo di me non hanno più combinato niente. Ci ho messo una croce sopra, mi sono ritirato con i risultati dalla mia parte. È andata così, anche se poteva andare meglio».

E adesso, Gentile?

«Vado in bicicletta. Stamattina, 90 chilometri attorno al lago di Lugano». 

Al calcio ha detto veramente addio?

«Vado a vedere le partite dei bambini, ma a volte mi vergogno per i loro genitori. Siccome pagano la quota della scuola calcio, pretendono che i figli siano sempre titolari. Una pena. La crisi del movimento giovanile è cominciata con la fine degli oratori: io ci giocavo cinque o sei ore al giorno, gratis».

Possiamo considerarla la morale della favola?

«La morale della favola è che era meglio prima».

La chat su Whatsapp dei campioni del mondo dell’82: «A loro per primi ho scritto che Paolo Rossi era morto». Manuela Croci su Il Corriere della Sera il 25 Giugno 2022.

Nata da un’idea di Alessandro «Spillo» Altobelli, è la stanza virtuale dove i campioni dell’Italia di Bearzot condividono foto, canzoni, ricordi. «Conti: «La usiamo per mandarci gli auguri, a volte scherzi, altre porta cattive notizie. Se qualcuno ha bisogno, si parte» 

Buongiorno Campioni del mondo, siete svegli? Un trillo sul telefonino, un piccolo numero che compare vicino al logo di WhatsApp, il messaggio che appare sullo schermo: un saluto carico di quella voglia di stare ancora insieme, di essere gruppo oggi come 40 anni fa. Cominciano spesso in questo modo le giornate degli uomini di Bearzot da quel 24 maggio 2017 quando sugli smartphone degli ex Azzurri è comparso un messaggio che più o meno recitava così: “ciao, il nostro percorso in Nazionale non va dimenticato ed è per questo che ho creato un gruppo. Ci permetterà di restare uniti”. Firmato, Spillo. «Ma non basta un “buongiorno”», precisa Altobelli che con la maglia Azzurra all’81° minuto della finale del Mondiale spagnolo ha segnato il terzo gol alla Germani Ovest. «Ho visto il presidente Pertini gioire in tribuna e ho pensato: adesso, non ci prendono più». E così è stato. «Campioni del mondo» tuonava per tre volte consecutive Nando Martellini chiudendo la telecronaca di una partita e di un Mondiale nati non certo sotto una buona stella. «Abbiamo passato il primo turno senza vincere, non era mai successo», spiega Dino Zoff, allora capitano con 40 primavere sulle spalle.

Seguono polemiche, mugugni e un silenzio stampa che rimbomba più di ogni parola. «È stata la nostra forza, è lì che è nato il gruppo», confermano gli otto ex calciatori intervistati nel libro I campioni dell’82 raccontano il Mundial che sarà in edicola l’11 luglio con il Corriere della sera.

Tra le pagine emergono i ricordi, le gioie, la fatica, l’affanno, lo sgomento, l’euforia con in più i commenti di quattro firme del quotidiano – Aldo Cazzullo, Daniele Dallera, Massimo Gramellini, Mario Sconcerti – che fanno da ponte con le parole scritte 40 anni fa da un inviato d’eccezione, Mario Soldati, e dai cronisti del quotidiano di via Solferino.

Ma torniamo ai giorni nostri. L’unione vista negli stadi spagnoli è viva e viene alimentata ancora oggi proprio tramite la chat Campioni del mondo ‘82. «La utilizziamo per mandarci gli auguri, a volte scherziamo, altre volte porta cattive notizie come quando è morto Paolo. In questi mesi ci teniamo in contatto per tutte le attività legate all’anniversario o per iniziative benefiche. Se qualcuno ha bisogno, si parte! Siamo stati a Zurigo quando la Fifa ha voluto onorare Pablito e anche in Svizzera Altobelli, Cabrini, Dossena, Gentile, Galli e Tardelli non hanno perso un minuto per tornare sulla solita storia dei miei capelli: non si spiegano come mai sulla mia testa il tempo si sia fermato… “Dai, confessa, hai il parrucchino, a noi puoi dirlo”. Tutta invidia la loro», spiega divertito Bruno Conti che nel suo libro Un gioco da ragazzi dedica un capitolo intero a questa stanza virtuale.

«La usiamo per mandarci gli auguri, a volte scherziamo, altre porta cattive notizie come quando è morto Paolo. Se qualcuno ha bisogno, si parte!». Bruno Conti, 67 anni, ex giocatore e oggi dirigente della Roma, alla chat degli Azzurri ha dedicato un capitolo del suo libro-biografia Un gioco da ragazzi (Rizzoli) 

«Ci mantiene giovani», precisa Lele Oriali ex bandiera dell’Inter e oggi team manager della Nazionale. «E poi c’è Bruno che oltre ad essere stato un grande giocatore, fa gruppo e in una squadra – anche virtuale – questo ruolo è fondamentale». Da un nerazzurro all’altro: «È un modo per tenersi in contatto, organizzarsi e coinvolgere tutti», aggiunge Beppe Bergomi che anche sulla chat è lo “Zio”, soprannome nato alla Pinetina. Colpa e merito di Gianpiero Marini, lui che su WhatsApp – oggi come 40 anni fa – è il deejay. «Arrivava sempre in ritiro in compagnia della sua chitarra beige: lui suonava, noi cantavamo… ma non eravamo proprio ugole d’oro», commenta ancora l’ex campione della Roma. «Una volta alla settimana giro un brano, mi fa piacere segnalare una canzone gioiosa o una malinconica… a seconda di com’è l’umore. Ho studiato un po’ musica, l’ho sempre amata molto», racconta Marini, ovvero “pinna d’oro” come lo chiamava Gianni Brera ai tempi dei trionfi nerazzurri. «Le ultime canzoni che ho postato sono entrambe country di George Strait. Poi, mi faccia cercare un attimo… eccola, avevo girato anche Controvento di Eros Ramazzotti».

«Una volta alla settimana giro un brano. Le ultime canzoni che ho postato sono di George Strait; ma c’è anche Controvento di Ramazzotti». Gianpiero Marini, 71 anni, è stato centrocampista dell’Inter. In ritiro portava sempre la sua chitarra beige 

«“Sono Federica, la moglie di Pablito. Volevo informarvi che Paolo ci ha lasciato dopo mesi di sofferenza”. È stato il primo messaggio che ho scritto». Federica Cappelletti ha sposato Paolo Rossi nel 2010. Hanno avuto due figlie: Sofia Elena e Maria Vittoria 

Ma non basta la musica, il buongiorno o una singola foto «la chat va coltivata, come le amicizie, come i rapporti», spiega l’ideatore-goleador “Spillo” Altobelli. «Bisogna trovare qualcosa che coinvolga e susciti un’emozione. Così metto uno scatto di Gentile che strattona Maradona e scrivo qualcosa, Tardelli che urla o Collovati che arpiona il pallone. Scelgo sempre un’immagine o una frase che poi commento e che so che ai miei compagni può regalare un sorriso o suscitare un ricordo più o meno felice. Da lì parte il dibattito».

Sulla chat sono arrivate anche notizie tristi: è lì che Federica Cappelletti il 9 dicembre 2020 ha comunicato la morte del marito. «È stato il primo messaggio che ho mandato», racconta la vedova Rossi. «Paolo ero molto felice di poter dialogare insieme in quella stanza tutta loro. Non aveva voluto dire delle sue condizioni. Tardelli, Cabrini e anche altri avevano capito, ma Paolo non ha mai smesso di credere di poter guarire e voleva tornare in quella chat e raccontare a posteriori ciò che gli era successo. Purtroppo non è stato così, ma io ringrazio i Campioni dell’82 perché hanno sempre un cuore, un saluto, un segno di affetto nei confronti di mio marito, come per Scirea e Bearzot. All’inizio io scrivevo, loro rispondevano “Ok, Paolo. Grazie, Paolo” e io lo sentivo ancora lì vicino a me». Aggiunge Claudio Gentile: «Questa è la dimostrazione che quello che c’è stato durante l’estate del 1982 continua ancora adesso perché il gruppo esiste. Il desiderio di dialogare tra noi è incessante».

«Ciao, il nostro percorso in Nazionale non va dimenticato ed è per questo che ho creato un gruppo WhatsApp. Ci terrà uniti». Da sinistra: Rossi, Tardelli, Collovati, Vierchowod, Altobelli (che ha ideato la chat nel 2017), Cabrini, Antognoni, Zoff in uno scatto di Massimo Sestini 

È la nuova tendenza, il “Meet again”, incontrarsi di nuovo. «Una modalità che può ravvivare l’esistenza, specie nelle persone che hanno vissuto un’esperienza comune, hanno frequentato le stesse scuole, giocato nella stessa squadra, lavorato o percorso un tratto di vita assieme», spiega il sociologo Carlo Bordoni. «Si parla di rivedere, re-incontrare, ricontattare; insomma sempre qualcosa che era già stato, che era accaduto in passato. Difficile avventurarsi nel nuovo, perché il nuovo ha le caratteristiche dell’imprevisto ed è motivo d’ansia; fa paura come un salto nel buio. Il passato è rassicurante perché è noto».

Maurizio Crosetti per la Repubblica il 25 giugno 2022.

Gli chiediamo, con qualche pudore, di farci vedere le mani. Non è facile toccare Dino Zoff, lui appartiene alla generazione dei padri che non abbracciavano i figli e dei figli che non baciavano i padri (salvo Zoff con Bearzot, ma quella è un'altra storia). Dino ci afferra la mano, la sua è grande: «Vedi, ho qualche macchia sulla pelle ma stringo ancora bene». Il mattino è pieno di luce romana, il fiume scorre scintillando come il tempo maledetto e sublime, quarant' anni dal Mundial, ottant' anni di una vita.

Dino, questa è la sua poltrona?

«Si, vengo al circolo Aniene tutti i giorni, faccio un po' di piscina, bevo il caffè, leggo i giornali di carta. Io non possiedo nessuna diavoleria elettronica, il telefonino è decrepito e serve a telefonare. Del resto è un telefono, no?»

E una vita da Zoff a cosa serve?

«A niente di speciale. Invecchiare è dura ma speriamo che duri. Non mi sento una leggenda, mi sento una persona che ha lavorato bene. Ma niente di quello che ho fatto resterà». 

Ma come? La Coppa del mondo, Pertini, Bearzot, le sue mani nel quadro di Guttuso, un maestro del Novecento. E pure lei mica scherza.

«Non ho inciso su niente, potevo fare meglio, potevo fare di più. Potevo dire le parole che non ho detto».

Quali?

«Ti voglio bene a Enzo Bearzot non l'ho detto mai, e ora me ne pento, però l'ho amato più di mio padre. Noi friulani ci vergogniamo di tutto». 

Dopo Italia-Brasile, voi ancora in campo, lei diede quel bellissimo bacio tra guancia e collo al "vecio" Enzo che stava parlando con la tivù.

«Io e lui non siamo mai più tornati sull'episodio, credo per pudore. Ma quel bacio glielo ridarei altre cento volte perché lui era il più grande di tutti, il Mundial lo vincemmo grazie a Bearzot che è stato prima offeso, poi osannato falsamente e infine dimenticato: non perdonerò mai chi gli ha fatto questo. Enzo fu trattato con violenza, fu malmenato dalla critica. Tuttavia non ne soffrì, perché sapeva come va il mondo. Lo ferirono molto di più i complimenti fasulli».

Bearzot non voleva il silenzio stampa, è così?

«Non voleva ma ci lasciò liberi di decidere. Eravamo soli contro tutti e non avevamo bisogno di nessuno, né dei giornalisti, né dei dirigenti». 

E al muto Zoff toccò parlare a nome di tutti.

«Speravo che finisse presto, non ne potevo più: non andò così. Io cominciavo la conferenza stampa e i giornalisti italiani se ne andavano dalla stanza. Ma non ho mai detto bé. Non ho mai mostrato il tumulto che avevo dentro».

Scusi, lei non era il più saggio, il più equilibrato?

«Io ero soltanto un timido che passava per migliore di quanto fosse. Quello perfetto era Gaetano Scirea, lui sì. Gaetano era l'essenza dello stile di un uomo, la forma che diventa sostanza. Mi chiedevo come facesse. Arrivai al punto di invidiarlo, anche se eravamo amici fraterni, e ora di questo mi vergogno».

Come diavolo avete fatto a vincere quel Mondiale?

«Ci trattarono da pezzenti e questo fece ruggire il nostro orgoglio. Il gruppo, cioè il bene supremo di Bearzot, diventò un corpo solo». 

La prima fase del torneo, una pena.

«Avevamo paura di tornare a casa, eravamo bloccati nella testa. Ma scarsi mai. Eravamo, da subito e da almeno quattro anni, fortissimi».

Poi l'Argentina.

«La partita più bella di tutte, una battaglia sublime contro un avversario feroce e furbo. Ma a loro non bastò. Giocai per la prima e ultima volta contro Maradona, una creatura non di questa terra, bastava uno sguardo per capirlo. Il mio amico Luciano Castellini mi diceva che Diego poteva fare gol anche con la spalla, colpendo forte come se fosse stato il piede». 

Poi il Brasile, e Pablito.

«Senza Bearzot che l'avrebbe difeso comunque, Paolo non sarebbe diventato quello che diventò. Battuto anche Zico, eravamo sicuri che niente ci avrebbe fermato. Povero Paolo, dolcissimo Paolo. Siamo proprio fatti di niente».

Della Polonia non parliamo neanche, troppo facile. E la finale?

«Al Bernabeu non ne avevo più, ero scarico ma per fortuna non se ne accorse nessuno. Furono bravi i miei compagni a nasconderlo, tenendo lontani i tedeschi». 

È vero che lei tentò di baciare la regina di Spagna durante la premiazione?

«Sì, e per fortuna mi fermarono in tempo. Ero fuori di testa, ero in gloria e non capivo niente. E quasi niente ricordo, se non che uscii dallo stadio per ultimo, dopo l'antidoping e le interviste, sul furgone del magazziniere. I compagni erano andati a fare baldoria, solo Scirea mi aspettò in albergo, io credo per gentilezza, perché ero il più vecchio».

Forse la scena di voi due in camera, distesi sul letto a fumare come due innamorati, è la più bella del Mundial anche se non la vide nessuno.

«Non potevamo certo sporcare la felicità ballando in discoteca, così la assaporammo fino all'ultima goccia insieme alla sigaretta e a un bicchiere di vino. Ricordo il silenzio di quella stanza, il silenzio di Gaetano che mi manca ogni giorno di più».

È stato difficile smettere di essere Zoff?

«È stato come quando finisce la primavera, come quando muore il giorno. Ma anche una serata può essere bella, se pure la giovinezza non ritorna». 

Qualche anno fa, lei rischiò di lasciarci. Come andò?

«Encefalite virale: non riuscivo più a camminare. Il medico mi disse che se il virus avesse attaccato il cervelletto, addio. Non ho alcun merito, sono semplicemente rimasto in campo».

E adesso, Dino?.

«Se la vita dura un metro, mi restano pochi centimetri ma la passione non finisce. Ho cercato di esserne degno e rispettarla. Ora spero soltanto di rimanere vigile». 

Se lo lasci dire: forse lei è stato il più grande portiere della storia del calcio.

«Ma no, io penso di essere stato soltanto un portiere di buona considerazione…».

Mario Sconcerti per il Corriere della Sera il 15 giugno 2022.

Adesso è tempo che anche Roberto Mancini faccia sapere quello che pensa sul presente e sul suo futuro. Ha cambiato circa 40 giocatori, ha fatto scelte radicali contro avversari molto importanti. Non è servito a niente, tra Argentina e Germania abbiamo subito 8 gol, tirato in porta pochissime volte. 

Deve decidere lui, ma anche noi capire di cosa abbiamo bisogno: se di uno sperimentatore, suggestivo e acrobatico, indubbiamente molto bravo e stanco, o della gestione tecnica e politica di una crisi di movimento. La sensazione è che si sia esagerato con i dilettanti allo sbaraglio.

Quando si parla del pericolo di bruciare i ragazzi, si intende proprio questo, dare ai ragazzi responsabilità che sono nostre. Mancini ha avuto risultati e poteri eccezionali, è tempo che ne renda conto. Sappiamo che siamo in difficoltà, lo è tutto il nostro calcio. Ma si è esagerato con l'immaginazione. E ora qualcuno deve dare conto del fallimento di tre intere generazioni. Dietro non c'è più niente. È stato giusto usare la maglia azzurra per tentativi così esasperati? Può avere impazienza la gente, non il ct di una grande Nazionale. 

Quello deve parlare di calcio. Di calcio con la Germania non è rimasto niente. Troppa diversità, squadre di categorie lontane, di qualità e fisico opposte. Gli esperimenti vanno fatti quando c'è dietro una grande teoria, altrimenti sono soldi, sentimenti ed energie buttate. Mancini adesso mi sembra abbia molta più disperazione di due settimane fa. È stato un crollo quasi cercato con cura, tenendo in pochissimo conto le conseguenze. 

L'Italia era magra e acerba, con problemi storici, ma adesso anche senza guida, mandata in campo giovane solo perché giovane. È uno sbaglio, lo sappiamo da tempo. Mancini è un tecnico, non può cavalcare con ingenuità l'onda giovane come fosse una dimostrazione di povertà che lo legittima. Non è così una guida. È un mestiere diverso. Il problema non è perdere, è perdere senza aver mai giocato. Ci dica perché.

Da "Un Giorno da Pecora" il 15 giugno 2022.

La partita di ieri? “L'Italia ha tutti giocatori emergenti mentre la Germania ha calciatori affermati, i nostri devono trovare coraggio perché sono giovani ma non si possono fare le nozze coi fichi secchi”.

A parlare, ospite di Rai Radio1, a Un Giorno da Pecora, è Marianna Puolo, mamma del ct della Nazionale italiana Roberto Mancini, che oggi è stata intervistata da Giorgio Lauro e Geppi Cucciari. 

Come valuta la prestazione di Donnarumma? “Ogni tanto capita qualche errore ma è bravo, è molto bravo. Il reparto che mi preoccupa di più è l'attacco e forse un po' la difesa, che ha preso il primo gol da polli”.

Per cosa, a suo avviso, si preoccupa di più suo figlio? “Secondo me è preoccupato perché non ha i giocatori all’altezza”, ha detto la signora Puolo, che poi ha proseguito scherzando “a settembre torniamo in campo, ci vuole un miracolo, forse dobbiamo andare a Lourdes…" 

Stefano Boldrini per “il Messaggero” il 17 giugno 2022.

Parate e papere. Imprese e polemiche. Gloria e polvere. Da un estremo i due rigori parati nella finale europea contro l'Inghilterra l'11 luglio 2021 , all'altro le responsabilità dirette nel 5-2 incassato con la Germania due sere fa - in undici mesi, Gianluigi Donnarumma detto Gigio ha vissuto tutto e di più. 

Il tormentato trasferimento al Psg, il ballottaggio deleterio con Keylor Navas, il rapporto mai decollato con Maurizio Pochettino, la scomparsa dell'agente-amico Mino Raiola, la seconda bocciatura di fila dell'Italia al mondiale dove, se tutto andrà bene, Gigio non metterà piede prima del 2026, all'età di 27 anni.

Una stagione modello montagne russe, chiusa con lo screzio con Tiziana Alla, inviata Rai, che ponendo l'attenzione sullo svarione commesso dal portiere della nazionale nell'azione del 4-0 dei tedeschi, aveva osservato: «Quello che colpisce, ma con questo non voglio infierire, è che non è la prima volta che ti capita questo tipo di errore quest' anno».

Donnarumma non l'ha presa bene: «Ma quando mi è capitato? Con il Real Madrid? Ma per favore, se ti riferisci a quell'episodio, ti dico che era fallo. Se poi volete che non sia così, allora diciamo che è colpa di Donnarumma. Sul 4-0 è vero, potevo buttarla via.

Ora ci guarderemo in faccia e analizzeremo le cause. Se poi vuoi dare la colpa a me per l'errore, dammela pure». 

L'episodio non poteva passare inosservato in quello che è stato, secondo i dati Auditel, il programma tv più seguito di due giorni fa, con il 30,43% di contatti e 5,754 milioni di utenti collegati: hanno visto il crollo dell'Italia, gli errori dei nostri giocatori e il battibecco Donnarumma-Alla. Tra i primi a commentare l'accaduto è stato Sandro Piccinini: «Donnarumma si dimostra incapace di comprendere i propri errori, un limite non da poco per un giocatore del suo livello. Complimenti a Tiziana Alla, non molti colleghi avrebbero rivolto quella domanda».

Alla, nuova bordocampista al seguito dell'Italia, ha ringraziato Piccinini e ha specificato: le domande bisogna farle. E' laureata in Scienze Politiche e lavora in Rai dal 2000. Non è una novellina. Ha rivolto una domanda lecita di fronte a un errore che ha ricordato l'episodio avvenuto in Real Madrid-Psg il 9 marzo, quando Donnarumma cercò di dribblare Benzema, perse il pallone e il Real firmò l'1-1, avviando la rimonta che eliminò i francesi: il Psg protestò negli spogliatoi con l'arbitro, ma per la maggior parte della critica l'errore di Donnarumma fu grave e determinò l'eliminazione.

L'episodio brucia ancora comprensibilmente sulla pelle di Donnarumma. Gli arbitri italiani avrebbero forse fischiato il fallo sull'entrata decisa di Benzema, ma a monte ci fu un gesto tecnico poco ortodosso con i piedi da parte di Donnarumma. 

Il punto richiamato nell'intervista è esattamente questo: il ripetersi di un errore che invita a ragionare su una possibile lacuna tecnica. Ai portieri viene oggi chiesto Guardiola dixit di partecipare al gioco. Molti numeri uno sono stati spiazzati dalla modernità. Donnarumma è straordinario con le mani i due rigori parati nella finale europea con l'Inghilterra sono nella storia - ma con i piedi talvolta appare impacciato. Forse Donnarumma, che replicando a Tiziana Alla ha voltato lo sguardo altrove, dovrebbe ripartire da qui: fissando negli occhi chi solleva una questione in modo lecito e scavando dentro di sé. Non cercare di comprendere i propri errori, non è limite da poco.

Da repubblica.it il 15 giugno 2022.

Nel 5-2 della Germania all'Italia c'è anche un errore del portiere Gianluigi Donnarumma, che con un passaggio sbagliato ha regalato il gol del 4-0 a Werner. Uno sbaglio simile a quello costato al Psg la rimonta del Real in Champions e l'eliminazione dei francesi dalla competizione. 

Durante l'intervista al termine della partita, quando la giornalista Rai Tiziana Alla ha paragonato le due papere del portiere, il numero uno azzurro ha perso la calma. "Ma quand'è che io ho sbagliato quest'anno? Se ti riferisci a quell'episodio, ti dico che era fallo. Se poi non volete che sia così, allora diciamo che è colpa di Donnarumma. Stasera sono io il capitano e mi prendo tutta la colpa per questa sconfitta - ha detto furioso - è tutta colpa di Donnarumma e va bene così".

Alla ha provato a calmare Donnarumma: "Ho parlato solo di imparare dagli errori del passato, non volevo insinuare nulla". Ma Gigio a quel punto non ci stava più sentendo. "Ti ripeto, quello era fallo, ma va bene così". E se n'è andato nel peggiore dei modi, dopo una delle peggiori sconfitte nella storia della Nazionale.

Sergio Chesi per fanpage.it il 15 giugno 2022.

A Gigio Donnarumma vanno concesse una serie di attenuanti. Come la disponibilità messa in mostra presentandosi, da buon capitano, ai microfoni della TV di stato dopo una delle sconfitte più disonorevoli nella storia recente del calcio italiano. Oppure l'adrenalina ancora in circolo dopo 90 minuti di pura frustrazione calcistica.

Ci sta, insomma, che il suo stato d'animo non fosse dei migliori durante l'intervista concessa a Tiziana Alla, inviata Rai, a pochi istanti dal fischio finale. Da qui a perdere il controllo a fronte di una domanda tanto ficcante quanto lecita ("Non è la prima volta che ti capita questo tipo di incertezza") però ce ne passa. Soprattutto quando la replica è un piccato "Quando mi è capitato?" che fa passare Gigio come uno scollegato dalla realtà.

Basta riavvolgere il nastro di pochi giorni per ritrovare un errore praticamente identico a quello che ha portato al gol di Werner contro la Germania. Siamo al quinto minuto di Inghilterra-Italia: i nostri avversari salgono bene in pressione, vanno ad interferire su tutte le possibili linee di passaggio verso i compagni e mettono in difficoltà Donnarumma.

Il portiere del PSG casca nell'errore comune a tanti portieri in questo periodo storico votato alla costruzione del basso sempre e comunque: anziché rinviare lungo, tenta un ardito tocco di prima e regala palla ad Abraham, che viene contrastato efficacemente da Locatelli al momento del tiro. Altrimenti forse avremmo parlato anche sabato di un'altra partita.

È evidente il riferimento di Tiziana Alla a quella situazione di gioco. Una fotocopia di quanto accaduto a Mönchengladbach: la palla tra i piedi di Donnarumma, soluzioni di passaggio ben presidiate dai giocatori della Germania e l'incomprensibile tentativo da parte del nostro portiere di giocare comunque la palla corta verso un compagno. Stavolta, però, ci è andata peggio e l'errore è costato il 5-0 a firma di Werner.

Anche volendo comprendere la delicatezza del momento, in ogni caso, resta fuori luogo la reazione nervosa ad una sottolineatura sacrosanta. Quella appena finita per Donnarumma è stata una stagione costellata da sbavature, incertezze, persino papere in alcuni casi. Anche in Nazionale: nella triste serata in Irlanda del Nord rischiò di regalare la vittoria agli avversari con un’uscita maldestra fuori dalla nostra area. Errori che risaltano proprio perché commessi da lui: un fuoriclasse del ruolo, non certo l'ultimo arrivato.

L'impressione è che le sue certezze siano state minate gradualmente, errore dopo errore, e siano deflagrate in mondovisione quando Benzema si è fatto beffe di lui per innescare la rimonta del Real Madrid sul PSG in Champions. Un ricordo che lo stesso Gigio forse non ha ancora metabolizzato, vista la risposta data a Tiziana Alla: "Quando mi è capitato? Col Real Madrid, col fallo?".

Imparare dagli errori, un concetto su cui lui stesso si è soffermato prima che l'intervista degenerasse, è sempre importante. A 23 anni, poi, diventa fondamentale. Perché Donnarumma indosserà la maglia azzurra così tante volte da togliere il record di presenze a Buffon, la maggior parte delle volte con la fascia al braccio, come stasera. Anche ai Mondiali, si spera, magari con l'obiettivo di portarci a vincerli. E lungo un percorso così lungo, e bello, non deve esserci spazio per l'arroganza.

Da ilnapolista.it su Il Corriere della Sera il 16 giugno 2022.

Dopo il 5-2 della Germania all’Italia c’è stato il battibecco tra Donnarumma e la giornalista rai Tiziana Alla che ha semplicemente fatto il proprio lavoro ricordando al portiere che anche in altre occasioni ha commesso errori in fase di costruzione (vedi Real Madrid-Psg). Donnarumma – abituato come tutti i calciatori alle domande inutili – non l’ha presa bene.

Sulla questione è intervenuto su Twitter Sandro Piccinini che ha scritto: Donnarumma si dimostra incapace di comprendere i propri errori, un limite non da poco per un giocatore del suo livello. Complimenti a @allatiziana, non molti colleghi avrebbero fatto quella domanda.

La giornalista lo ha ringraziato e ha scritto: Grazie Sandro, detto da te vale tanto per me. Sai bene quanto sia complicato gestire quei momenti. Non ho mai cercato le polemiche fine a se stesse. So soltanto che facendo questo lavoro, le domande bisogna farle.

Da liberoquotidiano.it il 17 giugno 2022. 

Paola Ferrari difende Tiziana Alla. La giornalista Rai duramente attaccata da Gigio Donnarumma alla fine del disastroso match tra Italia e Germania caratterizzato da una prestazione del tutto negativa del portierone azzurro. 

 E così la giornalista di raisport su Twitter ha mostrato tutta la sua solidarietà alla collega: "Complimenti a Tiziana Alla, corretta ed esemplare. Ma Gigio Donnarumma è recidivo. Quattro anni fa per un mio post molto critico sulle sue scelte economiche mi querelò. Brava Tiziana".

Parole durissime contro il numero uno della Nazionale che non sta certo vivendo un momento facile. Da quando ha lasciato il Milan, Donnarumma è piombato in una sorta di incubo sportivo. Una sua papera in Champions è costata molto cara al Psg e adesso l'ultimo disastro con la nostra Nazionale. 

Il suo nervosismo a fine partita, davanti alle telecamere, segnala quanto sia alta la tensione dalle parti del portiere che pare abbia perso quella sicurezza che, va riconosciuto, ci ha permesso di mettere le mani sulla coppa a Wembley. E la sua prossima stagione al Psg si annuncia comunque travagliata. Il coinquilino della porta del Psg, Keylor Navas, non ha alcuna intenzione di lasciare spazio a Gigio e probabilmente riprenderà forza la solita staffetta a cui Pochettino ci ha abituati in questi mesi.

Chi è Tiziana Alla, la giornalista Rai attaccata da Donnarumma dopo Germania-Italia. Salvatore Riggio su Il Corriere della Sera il 15 giugno 2022.

In Rai dal Duemila, è stata la voce dell’Italia ai Mondiali femminili del 2019 ed è bordocampista da marzo. Il precedente con Mandorlini nel 2012: «Le critiche alle giornaliste sportive non sono di merito ma basate su un preconcetto». 

Una domanda, la risposta irritata di Gigio Donnarumma e la giornalista della Rai Tiziana Alla è diventata, suo malgrado, un argomento di dibattito, o un trend topic come si dice oggi. Tutto nasce dopo il 2-5 dell’Italia con la Germania di martedì 14 giugno. Alla dice al portiere che non è la prima volta che gli capitano certi errori coi piedi (il riferimento è al gol preso dal Psg contro il Real Madrid in Champions quest’anno), lui si inalbera («Quello era fallo. Ma se volete dare la colpa a me, fatelo pure. Sono il capitano, mi prendo ogni responsabilità. Vado avanti a testa alta»), lei mantiene la calma e spiega: «Ho parlato solo di imparare dagli errori del passato, non volevo insinuare nulla». Ma Gigio a quel punto non sta più ascoltando. «Ti ripeto, quello era fallo, ma va bene così». E se ne va.

La difesa di Piccinini

Ne è seguito dibattito. Con tante critiche a Gigio e una difesa pubblica di Alla arrivata da Sandro Piccinini, uno dei telecronisti sportivi italiani più esperti e famosi, che ha twittato: «Donnarumma si dimostra incapace di comprendere i propri errori, un limite non da poco per un giocatore del suo livello. Complimenti a Tiziana Alla, non molti colleghi avrebbero fatto quella domanda». Lei ha ringraziato così: «Mai cercato le polemiche fine a se stesse. So soltanto che le domande bisogna farle».

Chi è Tiziana Alla

Ma chi è Tiziana Alla? Laureata in Scienze Politiche, ha studiato alla Scuola di giornalismo di Urbino. La sua passione per lo sport, e per il calcio in modo particolare, è nata quando era una bambina, trasmessale dal papà che spesso la portava allo stadio. «Fin da piccola andavo allo stadio con lui e mi sono appassionata dell’atmosfera. Poi crescendo ho imparato a seguire e capire il gioco e non ho più lasciato lo stadio — ha raccontato tempo fa in un’intervista —. Non chiedetemi per chi tifavo perché è meglio non lasciarlo trasparire. A pallone giocavo con altri bambini da piccola, ma mai in una squadra».

In Rai dal 2000

Le sue prime esperienze sono state nella carta stampata, dove ha lavorato per dieci anni a Il Messaggero, occupandosi di cronaca, al mensile Bici Sport e al Corriere dello Sport. Il passaggio alla Rai è arrivato nel 2000, occupandosi di sport presso la redazione di Rai International. Nel 2006-2007 ha cominciato a fare le sue prime telecronache e nel 2012 è passata a Rai Sport.

La voce dei Mondiali

Il grande salto di qualità professionale avviene nel 2019 , quando viene scelta per commentare le partite della Nazionale femminile ai Mondiali. In quei giorni raccontò così il suo approccio a un fenomeno che cominciava a crescere e che era ancora poco conosciuto: «Bisogna studiare l’avversario di turno dell’Italia, di cui quasi sempre non sai nulla. Io non mi sono mai interessata di calcio femminile per cui per me è tutto nuovo: cerco di capire l’evoluzione del movimento nel Paese in questione e di concentrarmi sulle calciatrici più famose, con umiltà». Lavora con successo e quando a marzo 2022 il nuovo direttore di Rai Sport, Alessandra De Stefano, decide di cambiare sceglie proprio lei per il ruolo di bordocampista della Nazionale: Tiziana Alla subentra così ad Alessandro Antinelli, che lascia il ruolo dopo 12 anni. 

Il precedente 10 anni fa

La vicenda Donnarumma non è la prima del genere per Alla. Nel dopo partita di un Verona-Varese del 2 giugno 2012, era stata infatti maltrattata e offesa da Andrea Mandorlini, l’allenatore dell’Hellas Verona, in un episodio che alcuni testimoni (e poi il Comitato di redazione di Rai Sport) avevano definito «inqualificabile». Del difficile ruolo delle giornaliste sportive Tiziana Alla aveva parlato così: «C’è un pregiudizio diffuso anche nel pubblico: a Rai International avevamo la possibilità di avere un contatto diretto con gli spettatori via mail e ricordo che molta gente si lamentava della voce femminile. La cosa che mi infastidisce è che non erano critiche di merito, dovute al fatto che avessi sbagliato qualcosa, ma solo basate su un preconcetto. Ancora adesso trovo critiche del genere sui social, sia riferite a me che in generale».

Gigi Garanzini per “la Stampa” il 15 giugno 2022.

Avevamo scoperto nei giorni scorsi che il serbatoio azzurro è più ricco di quando si pensava. Adesso sappiamo che non è un pozzo senza fondo. Anzi. L'Italia chiude dunque la sua irregular-season peggio di come l'aveva incominciata: l'Argentina si era fermata a tre, la Germania è andata oltre e senza Messi, Lautaro e Di Maria là davanti. Con tanta carità di patria si potrebbe osservare che poteva anche incanalarsi al contrario la partita, perché la prima palla gol l'ha avuta Raspadori da un'idea di Politano e l'ha salvata Neuer: ma la seconda, subito dopo l'ha avuta Kimmich e Donnarumma se l'è vista passare tra le gambe. 

Da lì in poi, in ogni caso, si è visto che non solo l'Italia non era quella dell'andata di Bologna, giusto dieci giorni fa: ma che ben diversa, in meglio, era la Germania. Troppo larghe in difesa, e prima ancora nella cosiddetta fase di contenimento le maglie azzurre: e impressionante la voragine sulla corsia di destra dove i tedeschi, con una semplice cambio di gioco, trovavano spazi sempre più ampi.

Al punto che Mancini, poco prima del raddoppio su rigore di Gundogan, era intervenuto con un cambio tattico facendo entrare un difensore in più, Luiz Felipe, al posto di Politano. Autorizzando così un dubbio. Visto che ci stavano dominando dall'inizio, non era il caso di farlo prima? 

O in alternativa attendere quei tre minuti che mancavano all'intervallo per meglio illustrare un cambio non individuale ma strutturale? Sul 2-0 comunque, maturo da tempo, la partita era andata. 

Gli azzurri hanno provato a riaprirla con una fiammata coraggiosa in avvio di ripresa, ci sono andati anche vicino con Cristante e poi Barella: ma non appena i tedeschi hanno rimesso il naso fuori, è arrivata una goleada che ci ha fatto misurare, all'improvviso, quanto profondo sia il vuoto lasciato dai vecchi totem difensivi. I Chiellini, i Bonucci, e perché no pure Buffon che con i piedi forse non era Neuer: ma vivaddio la presunzione, recidiva, di Donnarumma non l'ha mai avuta.

Alessandro Barbano per il “Corriere dello Sport” il 15 giugno 2022.  

Il rischio di un esperimento così ardito contro la Germania era proprio questo. Trasformarsi in una di quelle formazioni raccogliticce che nei ritiri servono per allenare la prima squadra. Se c’è una cosa che stona in questo allenamento, è l’irritazione di Mancini. Che fa dell’azzardo la sua strategia, schierando nove undicesimi diversi da quelli che hanno vinto facile con l’Ungheria e pareggiato con onore contro l’Inghilterra, cambia il modulo tattico prima della fine del primo tempo passando dal 4-3-3 al 3-5-2, prova un difensore centrale come Scalvini nel ruolo di centrocampista centrale, e poi si stupisce che l’Italia affondi. Come se non sapesse che la maggior parte dei tedeschi ha già vinto almeno una Champions.

Un esperimento concepito in questo modo può essere utile per valutare le qualità e la capacità di reazione dei singoli, non per testare un nuovo ciclo, che richiede rodaggio e affiatamento per un gruppo più ristretto. Se tra una partita e l’altra sostituisci tutti e quattro i difensori, non puoi pretendere che questi tengano la linea ordinatamente e chiudano lo spazio alle posizioni di tiro degli avversari, come ha mancato di fare Calabria sul primo gol. 

Poi, certo, la Germania palleggia con una velocità e un raziocinio invidiabili, gioca tra le linee verticalizzando e smarcando i centrocampisti al tiro, doma ogni tentativo di reazione degli azzurri con una padronanza tattica e psicologica che mostrano tutta la differenza tra una formazione che legittimamente punta a salire sul podio del Qatar e una che il Qatar lo vedrà dalla tv.

Qualcosa tuttavia resta da questa finestra sperimentale di fine stagione. In primo luogo l’evoluzione del gioco che, sia pure a sprazzi, Mancini ha propiziato, puntando su verticalizzazioni congeniali a centrocampisti più dinamici rispetto al duo dei palleggiatori Verratti-Jorginho. In secondo luogo il test positivo per alcuni azzurri a cui con coraggio il ct ha dato fiducia, e tra questi senz’altro Tonali, Frattesi, Gatti, Scamacca. In terzo luogo la responsabilizzazione di Pellegrini come vero uomo squadra della Nazionale, alla quale il romanista ha risposto dimostrandosi pronto a raccogliere la sfida.

Un discorso a parte merita Gnonto. Nessuno può pensare che un diciottenne di talento, privo di qualunque esperienza nel calcio competitivo delle Leghe Top né tantomeno nelle Coppe europee, possa essere il presente o il futuro prossimo della Nazionale. Dandogli fiducia, Mancini ha piuttosto lanciato un messaggio ai club che fin qui hanno anteposto le loro miopi strategie di mercato e l’urgenza di vincere alle sorti dell’Italia. Quella maglia all’attaccante dello Zurigo vuol dire semplicemente «fate giocare i giovani», appello che ci sentiamo di condividere. 

Così si "disfa" l'Italia. Gli estremismi di Mancio le uscite a vuoto di Gigio. Franco Ordine il 16 Giugno 2022 su Il Giornale.

Il ct dagli umori radicali azzarda troppo. Donnarumma sbaglia coi piedi e la lingua.

Lo scarso numero di spettatori su Raiuno martedì sera è diventato quasi motivo di consolazione. Perché la figuraccia è stata notevole ed è destinata a restare nell'almanacco azzurro quale punto più basso della prestigiosa storia nazionale dopo le due consecutive esclusioni dal mondiale 2018 e 2022. La bastonata subita al Borussia Park unita a quella inglese con l'Argentina all'alba di giugno, sono gli opposti estremismi suggeriti dalle scelte del ct Mancini.

La prima: è accertato che il sentimento della riconoscenza nei confronti dei protagonisti dell'europeo si è rivelato un cattivo consigliere, specie quando c'è in palio un trofeo e si è a fine stagione con una striscia inquietante di calciatori infortunati, spolpati e/o poco motivati (i due laziali che han lasciato Coverciano contro il parere del ct). La seconda: mandare allo sbaraglio uno schieramento mai provato prima, è stato un altro errore che può capitare in particolare a un tecnico come Mancini dagli umori radicali. Il calcio italiano non è quello preso a berle dai tedeschi e nemmeno quello messo sotto da Messi. Forse la lezione più interessante da trarre è quella riservata appunto al suo leader: le rivoluzioni, sia pure necessarie, come quelle attuali nel club Italia, si possono preparare in allenamento, non certo quando si va a sfidare la Germania.

C'è un secondo capitolo da esaminare riferito all'amara serata tedesca e riguarda Gigio Donnarumma. Intendiamoci: non perché sia stato il peggiore della compagnia, altri come Calabria e Bastoni hanno meritato stroncature più decise. Nella fattispecie riguarda il comportamento davanti ai microfoni dove il portiere si è presentato con i gradi di capitano. Quel suo evidente fastidio dinanzi al quesito elementare della giornalista e la segnalazione degli errori commessi in partita documentano di un ragazzo chiamato a recitare un ruolo, non solo calcistico ma anche professionale, immensamente più grande di lui. Gigio ha messo qualche chilo in più, con i piedi invece di migliorare è peggiorato, ha patito la concorrenza con Navas che non è destinata a concludersi, e in particolare avendo poco giocato col Psg ha probabilmente smarrito la bussola nell'orientarsi tra i pali.

Da un anno a questa parte, Donnarumma si è lasciato guidare dal mantra dell'agenzia Raiola che mette al primo posto il guadagno invece della carriera. Lui è un patrimonio del calcio azzurro e andrebbe difeso oltre che educato da chi gli ronza intorno adulandolo con definizioni (tipo il portiere più forte del mondo, ndr) che non corrispondono alla realtà. Perché il numero uno in quel ruolo, come certificheranno le prossime premiazioni, si chiama Courtois, gioca nel Real Madrid e ha appena vinto la Champions league da protagonista assoluto. Se il Psg e l'agenzia Raiola non saranno in grado di aiutarlo in questo senso, sarà bene che la pratica passi nelle mani di Roberto Mancini. Perché il ct e la sua Nazionale avranno bisogno di un altro Donnarumma, con i piedi e con la lingua diverso da quello che abbiamo visto e ascoltato martedì notte.

Salvatore Riggio per corriere.it il 5 giugno 2022.

Esordio a sorpresa

Degnand Wilfried Gnonto è il primo giocatore classe 2003 a vestire la maglia azzurra. E lo ha fatto, sabato 4 giugno contro la Germania in Nations League. Non solo ha debuttato, ma si è anche tolto lo sfizio di servire l’assist per il gol a Pellegrini. Attaccante brevilineo, quasi tarchiato, è veloce e potente e quest’anno con 8 gol è stato decisivo per la vittoria del campionato dello Zurigo, che mancava dal 2009. Compirà 19 anni il 5 novembre, ma vanta già l’appartenenza a quel club ristretto di giocatori che hanno debuttato in azzurro senza mai aver calcato un campo di serie A.

«È stata una settimana emozionante. Ho sfruttato la possibilità dello stage, ho fatto una buona partita e sono contento. Va tutto molto veloce. Per me già essere qui è un privilegio e un onore», ha commentato a caldo dopo il pareggio con i tedeschi. Ai microfoni di Raisport ha raccontato anche l’episodio che lo ha portato a far sbloccare la gara a Pellegrini: «L’assist? Sapevo che Keher era già ammonito, una volta ricevuta la palla sono andato nell’uno contro uno e ho messo una palla difficile per portieri e difensori: se sei un attaccante devi prendere dei rischi e fare la differenza». 

Il liceo classico: latino la materia preferita

Il 40° esordiente della gestione Mancini ha voluto ringraziare i genitori: «Devo loro tutto, hanno fatti grandi sacrifici per me, spero siano orgogliosi». E poi ha raccontato un retroscena della sua adolescenza: «Mi chiamavano il latinista del gol: ho fatto tre anni di liceo classico. Mi piaceva». Poi, dedicandosi seriamente al calcio, è passato a frequentare lo Scientifico sportivo di Busto Arsizio. Materia preferita: sempre il latino. 

Convocazione a sorpresa

Già aveva fatto rumore la convocazione per la gara di Wembley contro l’Argentina di Lionel Messi, persa 0-3 l’1 giugno. Una chiamata che confermava sia la voglia di Mancini di iniziare un nuovo progetto dopo la mancata qualificazione a Qatar 2022 (sconfitta nella semifinale playoff a Palermo contro la Macedonia del Nord: 1-0 il 24 marzo) sia le difficoltà di trovare giocatori più maturi.

L’idolo Messi e l’autografo chiesto a Wembley

Gnonto ha un idolo indiscusso. Si tratta di Lionel Messi: sin da piccolino ha ammirato i video su Youtube del fantasista dell’Albiceleste e provato a emulare certe giocate. Così non sorprende quello che ha rivelato: e cioè che a Wembley, in conclusione della sfida tra Italia e Argentina, ha aspettato Leo fuori dagli spogliatoi come un fan qualsiasi per ottenere il suo autografo. Impresa che sembra non essergli riuscita.

Genitori ivoriani

Il suo soprannome è Willy, che è poi il diminutivo di Wilfried. È nato il 5 novembre 2003 a Baveno, in provincia di Verbania, da genitori ivoriani. Vivono in Italia da 30 anni: Boris e Chantal, lui operaio in una fabbrica tessile e lei cameriera in un hotel. Cresciuto nelle giovanili dell’Inter (approdò in nerazzurro a soli 9 anni), Gnonto percorreva ogni giorno 120 chilometri tra andata e ritorno per allenarsi con la maglia nerazzurra. Anche adesso non ha ancora preso la patente. 

Con le giovanili dell’Inter

Gnonto al primo anno con l’Under 15 dell’Inter realizza 10 gol. Arriva nell’Under 16 e sei mesi dopo è già catapultato nell’Under 17 segnando in totale 20 reti. Fino al debutto con la Primavera, datato 2 ottobre 2019 nel 3-0 esterno che la squadra all’epoca allenata da Armando Madonna rifila ai pari età del Barcellona nella Youth League (sconfitta che era poi costata la panchina al catalano Victor Valdes). 

Il trasferimento in Svizzera e il titolo

Dopo aver compiuto i 16 anni, l’attaccante ha deciso di andare in Svizzera per giocare titolare nello Zurigo. Era il 2020: a dimostrazione della sua professionalità ha cominciato subito a prendere lezioni di tedesco privatamente per integrarsi più in fretta. «Lasciare l’Inter non è stato facile dopo otto stagioni passate lì, ma il calcio è così e a volte bisogna prendere delle decisioni difficili», disse. Quest’anno è riuscito a vincere il campionato. La squadra ha comandato la Swiss Super League chiudendo con 17 punti di vantaggio sul Basilea secondo, sbalordendo tutti. Gnonto ha contribuito al trionfo, con otto reti realizzate in 33 partite, di cui una pesantissima nel successo per 3-1 contro il Basilea di domenica 27 febbraio. 

La canzone dei tifosi

Gnonto è diventato fin da subito un idolo dei tifosi dello Zurigo, che lo hanno soprannominato «Superjolly». Non solo. Sono talmente pazzi di lui che gli hanno dedicato una canzone, la «Willy Gnonto Song». Meglio di così… 

Come gioca

Gnonto ha un grande controllo palla, capacità sopraffina nel dribbling e ora sta sviluppando un ottimo fiuto del gol. È alto solo 170 centimetri ma in attacco si fa sentire.  

Il tributo della Fifa

Nel 2019 debuttò al Mondiale Under 17 con una doppietta alle Isole Salomone (5-0, il 28 ottobre) e fu celebrato su Twitter dalla Fifa. In quel torneo Gnonto prende il posto dell’amico fraterno Sebastiano Esposito, infortunato, suo compagno nelle giovanili dell’Inter e suo rivale in Svizzera (gioca nei rivali del Basilea). Gnonto segnò anche nella seconda partita col Messico (2-1, 1 novembre). Gli azzurrini arrivarono fino ai quarti, eliminati dal Brasile (2-0, 12 novembre).

Il paragone con Sterling

Quando sboccia un giovane talento è usuale paragonarlo ad un grande del passato o del presente. Gnonto, in un’intervista a Sky, ha raccontato di essere stato sempre paragonato come caratteristiche a Raheem Sterling, attaccante del Manchester City. Per struttura fisica, modo di giocare e senso del gol. 

Sui social

Gnonto non è molto attivo sui social. Sul proprio profilo Instagram ha 50,2 mila followers, raddoppiati dopo la convocazione e l’esordio in Nazionale. I post sono solo 24: soprattutto con la maglia dello Zurigo e con le giovanili di Inter e Nazionale. L’ultima è in azzurro, nella penultima si vede l’attaccante mentre studia e pensa: «Lavora, vinci, ripeti», la didascalia. Tra i tanti commenti c’è un utente che chiede: «Rialza la Nazionale». Potrà farlo.

P.Tom. per il “Corriere della Sera” il 6 giugno 2022. 

L'ultimo, nemmeno un mese fa, è stato Manuel Pisano: centravanti di 187 centimetri, 16 anni appena compiuti, tra i migliori talenti del 2006. Se l'è preso il Bayern, strappandolo alla Juventus. Ha firmato il suo primo contratto da professionista, giocherà nell'Academy bavarese e farà il suo percorso, nella speranza - legittima - che sia meno lungo e accidentato di quello italiano. La stessa scelta l'ha fatta Willy Gnonto due anni fa, andando allo Zurigo e declinando le offerte dell'Inter.

E come lui, sempre nel 2020, se ne è andato all'estero Cher Ndour, centrocampista delle giovanili azzurre, bresciano, classe 2004: era all'Atalanta, non una squadra qualsiasi quando si parla di crescita dei giovani, ma ha firmato per il Benfica, con cui ha appena vinto la Youth League, la Champions Primavera, battendo la Juve in semifinale. La stessa Juve alla quale aveva detto di no a tredici anni.

Qualche mese prima di Pisano al Bayern, anche il Borussia Dortmund si è servito sugli scaffali del nostro calcio, prendendo il 17enne Filippo Calixte Mane dalla Sampdoria: un centrale di 187 centimetri, di Magenta. Mentre al Psg gioca dal 2019 il portiere ex Udinese Denis Franchi.

Uno «scippo» dietro l'altro o un regalo al nostro calcio? Il dibattito è aperto, ma il fatto che i nostri migliori talenti dai 15 anni in su siano nel mirino delle squadre straniere, è evidente.  

E il motivo è anche nelle leggi: in Italia non è possibile far firmare ai quindicenni un contratto di pre-formazione, a differenza di molti altri Paesi. Quindi al compimento dei 16 anni molti baby fenomeni italiani hanno già diverse società che li cercano: lo stesso Gnonto fu protagonista al Mondiale under 17 nel 2019, quando il suo nome cominciò a circolare. 

Zurigo, ma anche Benfica e Dortmund, offrono al giocatore più di quanto siano disposte a fare le società italiane - magari anche con incentivi a procuratori, un lavoro per i genitori o un premio alla firma - ma soprattutto danno prospettive professionali migliori. In Svizzera il salto tra i professionisti è più immediato.  

Ma in Portogallo e specialmente in Germania, se sei forte, a 18 anni puoi già avere la tua occasione. In Italia devi fare la trafila, con tutte le incognite del caso. E se qualche nostra società prova a riportare in Italia il centrale Fabio Chiarodia, stellina sedicenne nato in Germania, attualmente al Werder Brema e nelle giovanili azzurre, si sente rispondere: «Cosa vengo a fare, se poi i giovani in Italia non giocano?»

Marco Calabresi per gazzetta.it il 7 giugno 2022.

L'ultimo a seguire la strada tracciata da Willy Gnonto è stato Manuel Pisano. È nato il 5 aprile 2006, tre mesi e quattro giorni prima della finale del Mondiale a Berlino, ma all'Italia ha preferito la Germania. Era della Juventus, sarà del Bayern Monaco, che lo ha messo sotto contratto e lo porterà in Baviera. Gioca centravanti, il Bayern gli darà la maglia numero 9 dell'Under 17.

"Manuel ha già dimostrato in Italia grandi qualità per la giovane età - ha commentato il responsabile delle giovanili, Holger Seitz, al momento di ufficializzare il trasferimento -. Col suo fisico e la sua freddezza sotto porta, ha tutte le doti che caratterizzano un centravanti di successo. Siamo felici che abbia deciso di muovere i suoi prossimi passi al Bayern". 

 Pochi giorni fa, Manuel ha indossato la maglia della Nazionale Under 16 che ha battuto la Spagna in una delle due amichevoli giocate (l'altra, l'Italia l'ha persa): il prossimo anno, quando ci saranno da giocare le qualificazioni all'Europeo Under 17, farà la spola, ma non è l'unico. Nel programma di scouting della Figc, si va a caccia di talenti oltre confine: i casi recenti di Vincenzo Grifo, Raoul Petretta, Kelvin Yeboah, dimostrano che c'è dell'azzurro molto utile anche all'estero. Da dove, però, si vengono a prendere anche i nostri giovani.

Uno, il 2004 Cher Ndour, è diventato campione d'Europa Under 19 col Benfica. Padre senegalese, madre bresciana, dopo essere passato dal Brescia all'Atalanta è finito in Portogallo, da dove riparte quando c'è da rispondere alle convocazioni di quella che quest'anno è stata l'Under 18 di Daniele Franceschini. Nel gruppo di giovani di interesse nazionale scelto da Mancini prima della Finalissima e della Nations League, invece, quasi all'improvviso è spuntato il nome di Ibrahima Bamba.

 Anche lui, come Ndour, gioca a centrocampo, ma ha due anni in più: il Vitoria Guimaraes se lo è venuto a vedere e a prendere quando giocava nella Pro Vercelli e lo ha fatto esordire in prima squadra dopo avergli rinnovato il contratto, con una clausola rescissoria da 30 milioni. Ha giocato nelle Nazionali giovanili, e chissà che non possa tornarci, anche Etienne Catena, difensore classe 2004 nato in Costa d'Avorio: con la Roma, nel 2019, aveva vinto lo scudetto Under 15, la scorsa estate, invece, ha scelto di trasferirsi anche lui in Portogallo, allo Sporting Lisbona.

L'Italia Under 17 di Bernardo Corradi, eliminata nei quarti di finale dall'ultimo Europeo in Israele, aveva tre ragazzi che giocano all'estero. Italianissimi, ma con storie diverse. L'unico a essere emigrato è il difensore di quasi un metro e 90 Filippo Mane, padre senegalese e madre italiana, che a gennaio ha scelto di lasciare la Sampdoria e trasferirsi al Borussia Dortmund, dove ha trovato il centrocampista Vincenzo Onofrietti, che invece è nato in Germania (ad Arnsberg) da padre italiano e madre portoghese. 

Dei tre, però, uno - il difensore Fabio Chiarodia - ha già esordito in prima squadra. Lo ha fatto il 10 dicembre scorso, con il Werder Brema, nobile decaduta ora in 2. Bundesliga, ma che punta forte su questo ragazzo del 2005. Quando Fabio non era ancora nato, i genitori decisero di lasciare Cinto Caomaggiore (Venezia) per trasferirsi in Germania. Fabio ha firmato con il Werder il suo primo contratto da professionista, era stato anche convocato dalla Germania a livello di Under 15 ma dopo la chiamata dell'Italia ha scelto l'azzurro. 

Colore che spera di vestire anche Nicolò Tresoldi, attaccante classe 2004 dell'Hannover e figlio d'arte: il papà, Emanuele, vinse tra l'altro un torneo di Viareggio con l'Atalanta (1993) e un Europeo Under 21 l'anno dopo con la Nazionale che era anche di Toldo, Cannavaro, Inzaghi, Vieri, con Dario Marcolin capitano e Cesare Maldini allenatore. Altro giovanissimo attaccante che gioca in Germania e convocabile è Fabio Torsiello, classe 2005, del Darmstadt.

Non è rientrato nella lista finale per l'Europeo Under 17 ma era stato comunque convocato a inizio stagione Matteo Tonon, che come gli italiani di Germania ha una storia altrettanto particolare. Non ha scelto la Germania, né l'Inghilterra, né il Portogallo, ma la Croazia. Dal Milan, il centrocampista si è trasferito in Croazia, alla Dinamo Zagabria, raggiungendo il fratello Alessio, anche lui centrocampista e di due anni più grande, che aveva fatto la stessa scelta e che nella stagione che sta finendo è stato ceduto in prestito all'NK Rudes. Sono vicini all'Italia, ma chissà se e quando qualcuno li riporterà da noi.

Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport il 7 giugno 2022.

Caro Wilfried, dobbiamo chiederti scusa. Scusaci, se ti abbiamo sbattuto subito in prima pagina (“Tutti su Gnonto”) dopo aver ripetuto per mesi - proprio su questo giornale - che ci saremmo trattenuti , non tanto per tentare di moralizzare il mondo del pallone (fatica sprecata ) quanto per imporre a noi stessi una nuova morale. 

C’eravamo insomma ripromessi di evitare il classico percorso di creazione e distruzione del talentino con cui - come vedi - non abbiamo ancora smesso di fare i conti: in altre parole  la pratica fin troppo abusata e elementare del a trasformazione di un giovane da semisconosciuto a fenomeno dopo le prime belle cose in campionato o, come nei casi tuo e di Zaniolo, in Nazionale. Da zero a mille, you know?  

Mi sa che ci hanno fregato la depressione generata dalla sconfitta con l’Argentina e la necessità di recuperare immediatamente un minimo di entusiasmo (sottrattoci proprio dalla Svizzera nella quale ti s ei affermato ) sventolando una nuova bandiera . Anche l’attuale scenario di mercato ci ha messo del suo. 

Hai soltanto diciotto anni, Wil, e per esprimere le tue capacità hai dovuto lasciare l’Italia, non ti è mancato il coraggio che altri non hanno avuto: ti sei meritato il diritto di crescere senza pressioni “dopate”.  

Mi hanno spiegato che sei un ragazzo solido e strutturato e che le dinamiche del calcio professionistico le hai ben presenti. Curiosamente, proprio in questi giorni sto leggendo l’autobiografia di Martin Bengtsson, il talento sedicenne che nel 2004 passò all’Inter dall’Orebro: era considerato l’ottavo giovane più promettente del momento, ma si arrese proprio alle pressioni di un mondo in cui l’unico valore era (è) il successo al punto da abbandonarlo per sempre.

Ho visto anche il film sulla sua vita girato da Ronnie Sandahl: piacevole ancorché disarmante. Venerdì incontrerò Martin a Capri e credo che parleremo anche di te e di tanti come te. Ragazzi dotati, nati per il calcio, condannati a domarne gli eccessi pur di riuscire ad arrivare.  

Vedi, Wil, mentre provo a raccontarti - anche un po’ pentito di non averlo fatto prima, quando un sognatore a occhi aperti mi parlò di te - mi vien voglia non di alleggerire ma addirittura rafforzare quel titolo di “prima” ricorrendo - ma si usa ancora solo per misfatti a - un “corpo di mille bombe”. Sulla pagina sportiva, se Dio vuole, rappresenta solo un sogno che aspira a realizzarsi, e ne ha le prove. Basta ritrovarti trionfante su YouTube, cantato da telecronisti stranieri che con accenti spericolati ti a compagnano nelle f ughe più emozionanti. Immagini, non parole. Un diploma di laurea. 

E adesso, avanti Wil, ma con giudizio. Anche nostro, possibilmente.

Gnonto, il padre: «I libri, l’oratorio, le ore in auto: vi racconto il mio Willy». Paolo Tomaselli su Il Corriere della Sera il 6 giugno 2022.

Il papà del nuovo talento della Nazionale: «Quanti sacrifici i primi anni. Non si monterà la testa, gli abbiamo dato l’educazione giusta. Vi spiego perché ha lasciato l’Inter»

Signor Boris Gnonto, è riuscito a vedere suo figlio Wilfried dopo il debutto in Nazionale a Bologna contro la Germania?

«Sì, gli ho portato i libri allo stadio, perché non pensava che Mancini dopo gli allenamenti iniziali lo tenesse in ritiro: deve fare la Maturità italiana al Liceo Scientifico e l’esame di tedesco in Svizzera. Siamo a Zurigo da due anni, lo parla già bene».

Pare che sia bravo anche in latino.

«È sempre stato molto studioso, ma ha lasciato il liceo classico perché non riusciva a far combaciare lo studio con gli allenamenti. Si portava i libri in macchina, nel tragitto tra Baveno e Appiano, mangiando panini». 

Cosa avete pensato sabato sera?

«Eravamo già contenti per la convocazione, bastava già quello. Da lì ad entrare e giocare come ha giocato, siamo al settimo cielo. Siamo contenti del percorso e dei risultati che nostro figlio sta raggiungendo piano piano».

In realtà va molto di fretta.

«Speriamo sia solo l’inizio. Gli auguriamo di conquistare la fiducia dell’allenatore con le sue giocate».

Tra calcio e scuola sono stati tanti i sacrifici per la famiglia?

«Una marea. I primi anni lo abbiamo portato sempre noi da Baveno a Interello (120 km andata e ritorno, ndr). Poi l’Inter ci ha aiutato con un pullmino all’uscita autostradale di Meina. Ma andavamo a prenderlo a scuola per portarlo all’appuntamento. Io lavoravo in fabbrica e se facevo il turno notturno riuscivo a portarlo, altrimenti toccava a mia moglie. O qualcuno ci dava una mano».

In casa come lo chiamate?

«Con il nome africano, Degnand. Abbreviato in D. Ma per tutti gli amici è Willy».

Lei e sua moglie siete in Italia da tanti anni, giusto?

«Sì io quasi 30, lei da 25. Siamo sempre stati a Baveno, eravamo i custodi dell’oratorio e abitavamo proprio sopra il campo. La chiave ce l’avevamo noi, per cui quando Willy voleva giocare bastava aprire il campo. Vorrei ringraziare il parroco Don Alfredo, che ci ha dato una mano incredibile, ci ha accolto come dei figli. Ci ha regalato la casa dove eravamo custodi».

Ora vi siete trasferiti in Svizzera?

«Sì. Abbiamo dovuto lasciare il lavoro per stare a Zurigo con lui: è stato più che logico per seguirlo da vicino in un altro Paese».

Willy ha preso la patente?

«No, non ha tempo. Lo accompagno io agli allenamenti».

Ora c’è il rischio che si monti la testa?

«Non credo e poi gli stiamo dietro. Sono sereno e tranquillo, pensiamo di avergli dato l’educazione giusta».

Diventerà comunque un uomo mercato.

«Ci fidiamo dell’agente, Claudio Vigorelli. La visione del calcio di Willy è concentrata sui Mondiali del 2026 con la Nazionale. Deve trovare una squadra che lo faccia giocare, è la priorità».

In Italia correva il rischio di non giocare?

«All’Inter era di casa, ma a 16 anni in Primavera avrebbe affrontato ragazzi di 21 anni: sono cinque anni persi, per cui abbiamo scelto di provare a giocare in prima squadra in Svizzera, perché anche se sbagli fai comunque un passo in avanti. Grazie a Dio lui ha risposto bene e ha anche vinto il campionato».

Con le fidanzate come le mettiamo?

«No, no, no. Non ha nessuna fidanzata. È concentrato sul calcio, non ha tempo per starci assieme e non l’ha mai avuto: finiva scuola alle 13 e tornava a casa alle 20 dopo gli allenamenti. In questo momento non è la priorità».

Ci sono mai stati problemi di razzismo per suo figlio?

«No, in Italia no, né per lui né per noi. È nato qui, non ha bisogno di integrarsi. E poi è un ragazzo che sa farsi voler bene».

Intende che all’estero invece ci sono stati episodi?

«No, ma al Mondiale Under 17 in Brasile alcuni giornali stranieri hanno scritto “da quando ci sono italiani neri che giocano in Nazionale?”. Mi ha fatto solo ridere».

Matteo Pinci per "la Repubblica" il 6 giugno 2022. 

 Voi come lo avreste trascorso il giorno dopo l'esordio in Nazionale contro la Germania? Colorato per di più con l'assist per il gol di Pellegrini? Wilfried Gnonto lo ha passato nella sua camera a Coverciano, a studiare matematica. Willy, signori, viene da lontano. Ma non così tanto. A Zurigo ci è finito perché credere nei ragazzi è difficile, in Italia. 

E se è diventato il volto del rinnovamento della Nazionale non è per le origini ivoriane, né per la favola a lieto fine del figlio di migranti. Ma perché Willy è «quello che ci mancava», come dice il ct Mancini: esterno d'attacco, rapidità esplosiva e un'intelligenza veloce quanto lui, infilata in un metro e settanta di muscoli. «E questo dov' era?», il commento di un uomo dello staff azzurro dopo il primo giorno di stage: una furia in campo, simpatico e autoironico fuori.

Il 22 giugno sarà tra le migliaia di ragazzi italiani alle prese con la maturità. Frequenta il liceo classico, ma lo fa a distanza: ha una passione per il latino, raccontano sia anche decisamente portato, e non voleva cambiare indirizzo di studi, col trasferimento in Svizzera. Sì, perché per giocare Willy è dovuto partire. 

Come avevano fatto 25 anni fa i genitori, lasciando la Costa d'Avorio in un giorno di fine secolo. Il primo ad arrivare in Italia fu papà Noel, poi raggiunto da mamma Chantal. 

Gnonto è nato a Baveno, dove giocava a pallone all'oratorio, il lago Maggiore il suo orizzonte.

A 8 anni è finito all'Inter: nel 2015, da 12enne delle giovanili, chiese timidamente una foto a Roberto Mancini, all'epoca allenatore interista, durante la cena di Natale della squadra. Non poteva immaginare che 7 anni più tardi proprio Mancini lo avrebbe fatto debuttare in Nazionale. 

Nel frattempo, l'Inter ha dovuto lasciarla: quando nel 2020, a 16 anni, si trattava di firmare il primo contratto professionistico, la dirigenza era freddina. Lo Zurigo gli offriva buone cifre e nessuno a Milano è stato disposto a fare uno sforzo per avvicinarsi, forse accontentandosi del premio di formazione da 120 mila euro. 

Gnonto è volato in Svizzera così (portandosi dietro i genitori). E forse è un bene: oggi, magari, sarebbe ancora una promessa della Primavera. All'estero funziona diversamente: pochi minuti prima che entrasse lui a Bologna la Germania aveva mandato in campo per la 12ª volta Musiala, suo coetaneo ma con un Europeo in più nel curriculum. Come l'inglese Bellingham, 2003 anche lui, mentre Gavi, stellina del Barça, è addirittura un anno più piccolo.

In Italia invece riteniamo giovane Frattesi, che a settembre farà 23 anni. Alberto Aquilani, a questo giornale, ha detto che ciò che manca in Italia è «il coraggio». Coraggioso è stato Mourinho a credere in Zalewski, ma il ragazzo nato a Tivoli era già un nazionale della Polonia, dove ha esordito che la Serie A l'aveva soltanto intravista. Un'occasione persa, per l'Italia, come chissà quante altre. 

Anche perché le regole non valorizzano il talento: il Decreto crescita permette che un 20enne straniero costi il 25% in meno di un italiano. In Serie C i giovani giocano, ma solo perché farli giocare dà accesso alla mutualità prevista dalla Legge Melandri: più minuti uguale più soldi. Ma è una norma che non dà valore alla qualità: si può mettere in campo chiunque, anche chi paga per giocare, sperando poi di ottenere un contratto. Avrebbe più senso valorizzare con premi significativi, e non l'elemosina del minutaggio, chi tira su ragazzi utili alle nazionali. Così magari Willy Gnonto avrebbe già trovato il suo posto in Serie A. 

Il 18enne che ha spaccato la partita contro la Germania. Chi è Willy Gnonto, l’attaccante del Zurigo volto della nuova Italia: “Mi ispiro a Sterling”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 5 Giugno 2022.

A tirare fuori da quella sacca di depressione e scoramento nel quale sembra essere precipitata l’Italia dopo la straordinaria vittoria agli Europei dello scorso anno sarà forse un 18enne. È finita 1 a 1 in Germania nella prima gara di Nations League, a soli tre giorni dal crollo contro l’Argentina nella Finalissima finita 3 a 0 per i Sudamericani. Roberto Mancini ha sconvolto (anche a causa delle numerose defezioni) l’11 titolare. E la copertina se l’è presa Wilfried Gnonto.

Diciotto anni, attaccante dello Zurigo, al suo esordio in maglia azzurra ha provato l’affondo, ha spinto sulla fascia e servito Pellegrini che ha siglato l’1 a 0. Solo pochi minuti dopo il pareggio di Kimmich. E così è finita anche grazie a un paio di parate decisive di Gigio Donnarumma. Sei i calciatori che ieri hanno esordito in Nazionale. “Abbiamo sofferto all’inizio, ma i miei sono stati bravi, giocando una partita alla pari con una grande nazionale. Noi dobbiamo pensare alla nostra squadra, ci sono giovani bravi e io li faccio giocare”, ha commentato il ct Roberto Mancini a fine gara.

Classe 2003, capitano dell’Under 19 di Carmine Nunziata, ha conquistato pochi giorni fa la Swiss Super League con otto reti in 33 presenze, spesso da subentrato. Era stato incluso nella lista dei 30 arruolabili per la Finalissima di Wembley. È nato a Verbania, nel novembre 2003, da genitori di origini ivoriane. Papà Noel è operaio, mamma Chantal cameriera. Ha giocato nella scuola calcio del paese, l’Inter Suno, e ha vinto un provino con l’Inter. Al Mondiale Under 17 ha segnato tre gol in quattro partite. Dopo aver giocato dagli 8 ai 16 anni con i nerazzurri, nell’aprile 2020, non ha firmato il primo contratto da professionista con il club per andare in Svizzera a fare esperienza.

E lì ha già giocato 59 partite con la prima squadra. I genitori sono andati con lui a Zurigo per supportarlo. “Grazie a loro ho capito che per i grandi traguardi bisogna sudare, averli con me è la cosa migliore”. In Svizzera i tifosi cantano già una canzone che gli è stata dedicata dall’artista locale Marco Schonbi: la Willy Gnonto Song. “Sapevo che Kehrer era già ammonito. Sono andato subito sull’uno contro uno, poi il cross è la palla più difficile ed è andata bene. Bisogna prendere dei rischi, l’attaccante deve fare la differenza e ci sono riuscito. Devo tutto ai miei genitori, che mi hanno tanto aiutato, anche nella scelta di lasciare l’Inter e andare a Zurigo per giocare di più. Spero siano orgogliosi di me. Mi chiamavano il ‘latinista del gol’ perché mi piacciono gli studi classici”, ha detto a RaiSport a fine partita.

Gnonto si ispira a Raheem Sterling, attaccante inglese del Manchester City. Secondo trasfermarkt.it il suo valore di mercato attuale è di sei milioni di euro. Dopo il suo exploit di ieri già si parla di numerose nuove possibilità di mercato per lui. Martedì a Cesena la seconda giornata di Nations League vedrà l’Italia di fronte all’Ungheria che nella prima gara ha battuto a sorpresa 1 a 0 l’Inghilterra e si è piazzata in testa al girone.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

Roberto Baggio: «L’Italia doveva andare di diritto ai Mondiali, è una vergogna». Andrea Sereni su Il Corriere della Sera Giorno il 2 Giugno 2022.

Il Divin Codino: «Andrebbero cambiate le regole, a me sembra una follia». Su Mancini: «Agli Europei ha fatto qualcosa di straordinario, deve continuare a lavorare con i giovani»

«La vergogna più grande è che l’Italia non sia andata di diritto ai Mondiali per aver vinto l’Europeo. È come se l’Argentina da campione del Sudamerica non andasse ai Mondiali, è scandaloso». A Roberto Baggio non va giù l’assenza della Nazionale di Mancini da Qatar 2022. Per lui, che un Mondiale l’ha perso ai rigori, i campioni d’Europa avrebbero dovuto esserci: «Andrebbero cambiate le regole, a me sembra una follia, avranno diritto questi ragazzi a un premio per quello che hanno fatto oppure no? Se io fossi stato in quella squadra avrei fatto fatica ad accettarlo». «Una partita si può perdere con chiunque: prendi un gol, rimani a casa e non vai ai Mondiali dopo quello che hai fatto agli Europei? Lo trovo assurdo. Non è giusto», ha proseguito Baggio, parlando a margine del taglio del nastro del nuovo volo ITA Airways Roma Fiumicino-Buenos Aires.

Roby andrà in Argentina con il nuovo Airbus A350 a lui dedicato, per la serie degli aerei con la livrea azzurra che omaggia i campionissimi dello sport italiano. «Sono emozionato ed orgoglioso nel volare sull’aereo Ita dedicato a me. Ora torno in Argentina dopo tre anni che ci manco: un legame forte per un luogo che mi ha affascinato trenta anni fa per i suoi colori, la sua gente, la storia».

Italia-Argentina, la Finalissima che gli azzurri hanno perso con un netto 3-0: «Non si può paragonare la serenità dei giocatori argentini con il nostro stato d’animo attuale — ha spiegato Baggio —. Mancini l’ho visto la settimana scorsa e gli ho detto “stai lì a lavorare”. Agli Europei ha fatto qualcosa di straordinario, quello che ha fatto rimane e va rispettato. Abbiamo dei talenti che non trovano spazio in campionato. È un problema noto».

Talenti come Nicolò Zaniolo, protagonista con la Roma in Conference League, «un giovane che mi ha colpito», spiega Baggio. «Purtroppo gli infortuni l’hanno penalizzato molto. Spero possa tornare ai livelli di una volta senza avere altri problemi — continua il Divin Codino —. Il gol segnato nella finale di Conference gli può fare bene, gli dà fiducia e gli farà vedere il futuro con maggiore serenità».

Il campionato «è stato bello. Ci ha fatto star lì con il fiato sospeso tra Milan e Inter, entrambe meritavano di vincerlo — prosegue il Divin Codino —. Non mi sarebbe dispiaciuto neanche il Napoli, che ha perso Osimhen per diversi mesi. Senza questo problema non so come sarebbe finita. La Juventus? Vincere per nove anni di fila non capita per caso. È giusto che respiri un po’».

Fabrizio Roncone per corriere.it il 2 giugno 2022.

Siamo dentro un’amarezza forte, intensa, difficile da controllare. È un problema che dobbiamo risolvere: fatichiamo ad accettare l’idea di avere una Nazionale modesta. Il calcio è divertente anche perché puoi sempre credere alla bugia che preferisci. Certo è un po’ dura farlo a bordo di un ascensore impazzito: prima lassù nel cielo d’Europa, e ora sprofondati giù, introvabili, inguardabili, perdenti. 

Ma siamo questi. 

Prima riusciamo a percepirci nel modo giusto, meno soffriamo. 

È inutile osservare con rimpianto martellante l’Argentina che, adesso, fa festa sul prato di Wembley dove ballammo noi appena un’estate fa. Fu un incantesimo. Possibile lo stia pensando anche Giorgione Chiellini, il capitano che ha giocato l’ultima partita con questa maglia, occhi liquidi, non è pianto ma potrebbe diventarlo all’improvviso. Donnarumma scuote la testa. Bonucci si avvicina e gli dice, brusco, qualcosa. Ma cosa c’è da dire? 

Qui si scrive con una coperta di malinconia pelosa addosso, con l’efferata consapevolezza di doverci vedere i Mondiali davanti alla tivù e stasera di aver solo allenato l’Argentina, i campioni del Sud America che ai Mondiali, invece, andranno. 

Dov’è Roberto Mancini? Eccolo laggiù (parlotta con Lele Oriali): tutti sappiamo di doverci affidare a lui, non abbiamo altra possibilità che farci portare — ancora una volta — nel suo mondo pieno di presunzione e arroganza, vincente per destino, ferocemente ottimista. Ma è francamente dura. 

È mortificante anche rileggere gli appunti. C’è scritto che gli argentini forniscono, subito, la sensazione di una qualità inarrivabile per i nostri. Giocano quasi sempre a un tocco, pallone sul filo dell’erba, traiettorie come colpi di rasoio. Chiellini annusa pericoli ovunque e, al solito, ci mette mestiere, gomiti, tibie. Urla a Jorginho di prendere Messi, che in realtà cammina. Quindi dovrebbe essere piuttosto facile. Solo che quello è Messi. Sparisce e ricompare. Così arriva Barella, e lo frulla nell’aria: Messi però riatterra, si rialza e riparte. Gira intorno a Di Lorenzo, che racconterà ai nipoti di averlo visto dal vivo solo per qualche istante, entra in area e l’appoggia facile a Lautaro, che la spizza in rete.

Scarabocchio sulla Moleskine: dev’esserci scritto che l’Argentina è in vantaggio e l’Italia, con cupa ostinazione, cerca di palleggiare. Chiaro che andiamo a sbattere. Ci mettiamo corsa, sprazzi di rabbia, confusione. Certezze: Raspadori chiaramente non è un’ala, Bernardeschi con i suoi dribbling gnè gnè si marca da solo, Belotti è Belotti. C’è qualcosa di irragionevole, di molto ostinato e presuntuoso, nell’atteggiamento tattico azzurro: c’è — va detto — quel certo modo di vedere la vita e il calcio che a Roberto Mancini piace un sacco. 

Si alza: dice a Emerson di salire sulla fascia. Ma Emerson lo guarda: ho Di Maria che mi punta, mister. 

Di Maria è uno spettacolo. Un’ala come dev’essere un’ala. Il gol del raddoppio è suo ed è delizioso (anche il lancio di Lautaro, in verità). Dybala galleggia tra i nostri centrocampisti. Intontiti, letteralmente. Mancini torna dagli spogliatoi e usa il materiale umano che ha: fuori Bernardeschi, Belotti e Chiellini, dentro Locatelli, Lazzari e Scamacca. Sono i cambi che si merita il calcio italiano (per capirci: Lazzari e Scamacca qui in Premier non giocherebbero in nessuna delle prime sei squadre). 

Il terzo gol è di Dybala (Santo Cielo come tratta il pallone, ma come può la Juve fare a meno di un calciatore con tanta classe?).

Appunto finale sulla Moleskine: ricordarsi di celebrare bene Giorgione, un grande calciatore, rispettato anche dai calciatori avversari, e soprattutto dai tifosi avversari. 

Fatto. 

Non c’è altro. 

L’ultimo articolo spedito da questa tribuna stampa, la notte dell’11 luglio scorso: con una febbrile euforia, con i whatsapp che arrivavano dall’Italia, e noi cronisti al seguito della Nazionale a farci selfie spalle al campo, il pensiero eccitante di un mondiale al sole del Qatar. 

Stasera, queste ottanta righe amare. 

Ai Mondiali nippo-coreani andò in scena il furto del secolo. Paolo Lazzari il 16 Maggio 2022 su Il Giornale.

18 Giugno 2002, allo stadio di Daejeon si giocano gli Ottavi di finale del Mondiale di calcio. In campo Italia e Corea del Sud. In campo succede di tutto.

La premessa è funesta, perché abbiamo superato il girone arrancando. Soltanto il prodigioso successo dell’Ecuador sulla Croazia ci ha spinto in avanti. In Italia infuria la polemica perché il Trap non c’ha voluto sentire: Roby Baggio resta a casa, con buona pace degli amanti dell’ex codino. Insomma ci siamo trascinati fino a qui, al Daejeon stadium, da secondi con l’anima incerottata. Il mister fa colare stille d’acqua santa sull’erba immacolata, ma stavolta nemmeno l’infuso miracoloso della sorella suora correggerà un destino avverso. Un fato che, se gli fischi da lontano, si gira al nome e cognome di Byron Moreno.

Contro le pareti dello stadio rimbalza una cantilena costante e cadenzata. La nazionale deve superare i padroni di casa della Corea del Sud per non essere bollata come combriccola di irrisolti. La cifra tecnica non pare nemmeno vagamente paragonabile, ma gli inestricabili intrecci della vita a volte non riesci a dipanarli. Nesta che non recupera - il suo percorso azzurro è un cristallo ammaccato da ogni lato - è il male che si aggiunge al peggio. Dentro Iuliano: non è mica la stessa cosa. Davanti Del Piero è chiamato a svaporare da un lato, Totti a suggerire dall’altro. Il centravanti è Vieri, particolarmente in palla. L’inno lo cantano tutti, meno Bobo e Panucci. Sugli spalti si srotola un gigantesco striscione dal tono tetramente vaticinante: Again Corea. Come nel 1966, anche se quelli erano del nord.

I presagi che scuotono l’ambiente sono tutti indovinati. Bastano tre minuti e Moreno sventola il giallo in faccia a Coco. Incollati alla tv, milioni di italiani iniziano a corrugare fronti. Altro giro di lancette e il nostro ne combina un’altra: Panucci strattona lievemente Seol e quello fischia rigore. Occhi sbarrati in serie. L’urticante sospetto del complotto che si guadagna il sottofondo. In Italia quello non è mai fallo, ma le proteste vengono stroncate dalla risolutezza di Byron. Sul dischetto va il perugino Ahn, ma Buffon intuisce. Gli operatori sono tutti occupati, per ritirare il proprio quarto d’ora di celebrità si prega di ripassare più tardi. E Moreno ripassa, altroché se ripassa.

L’onda rossa prova a sfondare da ogni lato, in preda ad un agonismo mistico. Anche Del Piero e Totti sono costretti ad arretrare e gli azzurri estraggono il pezzo forte della casa: catenaccio e contropiede. Poi un corner del Pupone, Bobo che si stacca di testa sollevando due coreani e palla dentro. Cala un silenzio di piombo, ma non è destinato a durare. Quelli hanno ancora l’arma segreta da sfoderare. Non si tratta del mago Guus Hiddink che gesticola in panchina, né di una formidabile riserva di lusso. No, la celebrità si aggira già penosamente per il campo, pronto a conquistarsi i riflettori. L’Italia nel frattempo va in apnea. Giovanni toglie Del Piero per puntellare il muro azzurro con Gattuso. Fuori anche Zambrotta per Di Livio. L’olandese replica affastellando sfrontatamente attaccanti.

All’ottantasettesimo incorre lo sfacelo. Panucci buca un intervento in mischia e Seol fa 1 a 1. Faccia che affonda nel prato e disperazione galoppante. Vieri spreca un’occasione monumentale e si sale sulla giostra del golden gol. La marea asiatica intanto urla da spaccare i timpani.

Lo stomaco si contrae quando Gigi toglie dall’angolo una punizione di Hwang. Poi rientra in scena lui, l’ecuadoregno più inviso in Italia. Stavolta estrae un rosso e indica l’uscita a Totti per una simulazione totalmente immaginaria. Non è finita: nel secondo supplementare Tommasi segna, ma Byron - con la complicità del guardalinee - annulla per offside inesistente. Adesso le coincidenze cominciano a connotarsi come regola. Non ci aiutiamo neanche, perché Gattuso spara sul portiere da due passi. Poi è notte fonda. Cross dalla sinistra, testa di Ahn, Italia a casa.

Qualche anno più tardi Byron Moreno verrà radiato dalla sua federazione per un arbitraggio quantomeno “anomalo”, conclusosi con 13 minuti di recupero. Carriera smantellata e tracotanza punita, ma mai abbastanza. Nel 2010 lo fermeranno al JFK con 6 kg di eroina da mezzo milione di dollari avvitati intorno al corpo e alle gambe: la trovata gli costa 30 mesi di carcere. Di recente, tornando a commentare lo scandaloso arbitraggio contro gli azzurri, ha dichiarato che rivedendosi si assegnerebbe un otto e mezzo. Quel che gli assegnerebbero gli italiani, anche a distanza di vent’anni, forse è meglio tenerlo premuto dentro.

Da fanpage.it il 18 giugno 2022.

Sono ormai vent'anni che il nome di Byron Moreno è tristemente noto in Italia. L'arbitro del famigerato incontro degli ottavi di finale del Mondiale 2002 tra la Corea del Sud e la Nazionale allora allenata da Giovanni Trapattoni, risponde con tranquillità a Fanpage.it via telefono dalla sua Quito, in Ecuador. Attualmente impegnato come opinionista in un programma calcistico locale, si racconta con sicurezza e argomentando le sue discusse scelte in occasione di quella storica partita, riconoscendo di essere diventato in pochi minuti un personaggio non gradito, ma cercando di trasmettere l'assoluta consapevolezza di aver agito in buona fede. 

Moreno, lei non ha mai giocato a calcio, eppure è entrato nella storia di questo sport.

"Fin da piccolo ho seguito mio padre, dirigente del Deportivo Quito. Lo accompagnavo ovunque, e mi appassionai a questo sport. Ma non riuscii a sfondare come calciatore, quindi mi dedicai all'arbitraggio. Feci il corso a 18 anni con l'intenzione di riuscire a diventare arbitro internazionale, qualcosa che per un ecuadoregno non è mai stato facile. E ci sono riuscito". 

La sua carriera, però, è durata poco.

"Mi sento più che realizzato, dato che sono stato l'unico arbitro dell'Ecuador ad aver arbitrato sia in Copa Libertadores sia a un Mondiale". 

Al Mondiale arbitrò una sola partita, restata tristemente famosa in Italia. A 20 anni da quella serata di Daejeon crede ormai che quell'incontro sia stato uno spartiacque nella sua carriera?

"In un certo modo sì, perché l'impatto mediatico di quanto accaduto fu importante. Diciamo che in quell'occasione il mondo intero fece la mia conoscenza. Ma non ha avuto niente a che vedere con il mio ritiro dall'arbitraggio, avvenuto un anno dopo. In quel caso fu per una questione personale per quanto accadde nel mio paese". 

Quell'arbitraggio in Corea, però, fu in mondovisione, ed ebbe molte ripercussioni…

"Non esistono arbitraggi perfetti. Quella partita ha rappresentato un episodio importante nella mia vita arbitrale, ma tutti abbiamo il diritto di sbagliarci mentre siamo vivi. Solo i morti sono infallibili". 

Potremmo dire che quella partita è finita con l'essere più trascendente dello storico Inghilterra-Argentina, quella del famoso gol di Maradona con la mano?

"Non direi. Siamo onesti, non è corretto dire che in Corea-Italia l'influenza dell'arbitro sia stata decisiva. Sul gol dell'Italia Vieri era stato trattenuto, e se non avesse segnato avrei fischiato il rigore. Sul pareggio della Corea Panucci tocca con la mano, faccio correre e la Corea segna. E il golden gol di Ahn fu su un'azione pulita. Non credo che le mie decisioni abbiano influito sull'andamento della partita".

Cosa dice del gol annullato a Tommasi, in posizione regolare?

"In quel caso mi appello al regolamento, che diceva chiaramente che colui che si trovava più vicino all'azione aveva potestà di convalidare o meno la stessa. L'assistente, più vicino di me, alzò la bandierina, e io fischiai fuorigioco. Oggi con il VAR sarebbe stato diverso, è chiaro. Sarei andato a rivedere l'azione e avrei cambiato l'esito della chiamata". 

E l'espulsione di Totti?

"Totti era stato già ammonito, quindi correva pericolo di espulsione. Prima dell'episodio nell'area di rigore coreana  era stato protagonista di un'altra situazione ambigua, alzando il gomito su un avversario e colpendolo in modo imprudente, ma non lo espulsi. Poi, quando cadde in area, applicai il regolamento, che diceva di punire duramente i tentativi di simulazione. È vero che lui venne toccato dal difensore, ma quest'ultimo aveva prima preso la palla e Totti si lasciò andare troppo facilmente, cercando il rigore. Appena cadde i coreani mi gridarono ‘Yellow card', quindi controllai il mio taccuino, vidi che era ammonito e tirai fuori il rosso".

Aveva appena buttato fuori il fuoriclasse più atteso da un intero paese.

"Nella mia preparazione da arbitro ho capito di non dover mai guardare in faccia nessuno. In quel momento agii rapidamente, senza neanche pensare a chi fosse diretta la sanzione". 

La reazione di Totti al momento dell’espulsione in Italia–CoreaQuella decisione è ancora oggi molto criticata. Ci sono state anche accuse di corruzione nei suoi confronti…

"Io posso rispondere per me stesso, con la coscienza tranquilla. L'espulsione a Totti non fu in alcun modo premeditata. E il giorno dopo ho lasciato la Corea, perché il mio Mondiale finiva lì. Nient'altro". 

In che momento si rese conto di essersi inimicato un paese intero?

(Sospira). "Appena arrivai in hotel. Notai una grande agitazione da parte dei giornalisti e dei media. In quel momento mi resi conto che era successo qualcosa di diverso, qualcosa a cui non ero abituato. Eppure in Italia ero andato sia prima sia dopo. Dopo la partita in questione mi hanno offerto tanti soldi da varie trasmissioni televisive, ma non ho mai avuto bisogno di danaro per dire la verità, per dare la mia versione delle cose".

C'è stato un momento in cui ha avuto realmente paura?

"No, davvero. Nonostante fossi un giovane arbitro avevo alle spalle molta esperienza, ed ero sicuro di aver preso le scelte giuste. L'arbitro deve essere sempre molto preparato". 

Come fece a mantenere la calma quando alcuni giocatori italiani le andarono incontro dopo l'espulsione di Totti?

"Prima del Mondiale effettuai un'intensa preparazione psicologica, tra l'altro tutta a mie spese. Essere arbitro richiede una forte calma, dell'autocontrollo, oltre a reggere una forte pressione. Mi toccò dunque imparare alcune tecniche di concentrazione per rimanere impassibile e impermeabile a comportamenti esterni, per poter così prendere le migliori decisioni".

C'è una foto molto eloquente nella quale lei mantiene lo sguardo vuoto di fronte a un Di Livio scatenato nei suoi confronti…

"In quel caso gli italiani si avvicinarono con veemenza a me, ma nessuno di loro mi insultò. L'italiano è molto simile allo spagnolo e alcune parole le conosco, persino gli insulti. Ma non ne udii nessuno, altrimenti avrei ne avrei espulso l'autore. Sapevo come gestire la situazione, in fin dei conti". 

Nella fase successiva, la Spagna fu eliminata dalla Corea dopo una partita anch'essa piena di scandali arbitrali, alimentando così i sospetti di un complotto che favorisse i padroni di casa…

"Ripeto, io posso rispondere solo per me stesso. La partita della Spagna fu un'altra storia, con un altro arbitro e altre situazioni più evidenti e chiare di quanto accaduto tra Corea e Italia".

Undici anni fa lei finì sui giornali per un altro tipo di episodio, quando fu condannato a 30 mesi di carcere negli Stati Uniti per spaccio di droga…

"Nella vita ti puoi trovare di fronte a situazioni di qualsiasi tipo. Quello è stato senza dubbio il momento più cupo e difficile della mia vita. Mi fermai a pensare alla mia famiglia, che non meritava di essere coinvolta. È ovvio che mi pento di quanto fatto, fu una decisione quasi di vita o di morte".

Che ripercussioni ha avuto sulla sua vita quell'episodio?

"Oggi cerco sempre di dare un messaggio, un messaggio di vita. Non bisogna permettere che questi tipi di mafie possano arrecare danno a una famiglia. Spero sempre che le mie parole possano arrivare alla gente e a coloro che in alcuni frangenti finiscono per trovarsi in queste situazioni, affinché possano dire di no".

Da gazzetta.it il 24 marzo 2022.

Disastro Italia: la Macedonia del Nord vince 1-0 a Palermo la semifinale dei playoff, gli azzurri sono fuori dal Mondiale per la seconda volta consecutiva. 

Ha sprecato troppo, la Nazionale di Mancini, mancando di lucidità negli ultimi venti metri. Nel primo tempo l'unica occasione pulita capita a Berardi: il portiere Dimitrievski gli regala il pallone dopo un errore in impostazione, ma viene graziato dal sinistro dell'attaccante azzurro.

Anche nella ripresa è Berardi ad avere due occasioni importanti, ma la porta macedone resiste. Prima del 90' ci prova anche Pellegrini, ma spreca di sinistro. Poi la doccia gelata: sinistro di Trajkovski al 92', rasoterra su cui Donnarumma non arriva. E cala il gelo sul Barbera.

Fabio Licari per gazzetta.it il 24 marzo 2022.

Addio Mondiale, addio Europeo, addio tutto. Un assedio tanto generoso quanto inutile, improbabile, impreciso, e al 47’ del secondo tempo, quando ormai tutti aspettano i supplementari, dopo l’ennesima partita in cui non sappiamo più vincere, ecco che succede quello che avevamo temuto per tutta la gara: palla a Trajkovski, l’ex di Palermo, e botta incredibile da oltre venti metri con Donnarumma colpevole e l’Italia ormai sulle ginocchia. Italia-Macedonia 0-1. 

È finita l’avventura, l’Italia non c’è più, il gioco di Mancini non esiste più, e forse si possono salvare Bastoni, Verratti, un po’ Florenzi e Raspadori. Il resto no. Inguardabili Immobile e Insigne, male Mancini, male Barella, Jorginho lontanissimo da quello che era. Meritiamo di stare fuori dal Mondiale. La Macedonia va a giocarsi lo spareggio con il Portogallo. Noi di nuovo nell’apocalisse. Sfortunati, un po’, ma non basta. 

Da incubo tutto il primo tempo, con il fantasma della Svezia che si riaffaccia ad ogni azione d'attacco confusa, imprecisa, generosa ma lontanissima dall’eleganza dell’Italia dell’Europeo. Gli azzurri restano all’attacco per tutti i 45’ minuti perché la Macedonia, forse per strategia, forse per limiti, non riesce a superare il centrocampo e si affaccia soltanto due volte dalle parti di Donnarumma per errori che lanciano il contropiede. Nel primo caso è da applausi il recupero di Florenzi, nel secondo Trajkovski per fortuna tira centrale. Il resto è Italia, ma senza entusiasmo. Sei, sette tiri, alla fine di azioni confuse, la palla a lungo tra i piedi, sempre un tocco in più. Una sola occasione clamorosa, quando il portiere Dimitrievski sbaglia rilancio e Berardi ha la porta libera: tiro sbagliato e il portiere macedone riesce addirittura a recuperare.

Non inganni la sfilata di occasioni. Il tiro di Emerson è deviato. Barella impreciso. Insigne vede l’angolo ma da lontano e Dimitrievski salva in angolo. Immobile stoppato anche lui. Preoccupante il numero di occasioni in cui il muro macedone respinge, oppure i due centrali Velkoski e Musliu allontanano di testa: è l’Italia che non vede la porta oppure continua a crossare alto, snaturando il suo gioco palla bassa, manovra avvolgente e imbucata vincente. 

Ma troppi sono sotto standard, Insigne, Immobile, Barella, Jorginho, Mancini. Nel primo tempo solo Florenzi, un Bastoni sempre più sicuro, Verratti e Berardi - ma quell’errore… - provano a pensare. E un tempo se ne va mentre arrivano notizie del 2-0 del Portogallo alla Turchia in 45 minuti. Non una bella prospettiva, vista dalla disorganizzazione della Favorita.

Non cambia niente nella ripresa, anzi l’assedio si fa impressionante e svetta Berardi che in venti minuti va quattro volte al tiro: un errore ma tre conclusioni da gol, il palo sfiorato, il difensore sulla traiettoria. Anche sfortunati gli azzurri che cambiano assetto con Raspadori per Insigne dopo una ventina di minuti: il napoletano doveva dare di più, s’è limitato all’appoggino senza mai creare. 

Il baby del Sassuolo dà velocità in attacco, ma la Macedonia è letteralmente un muro che respinge ogni conclusione. Poche fasce, pochi incroci verticali, spirito inesauribile, per carità, ma non è l’Italia che sognavamo di recuperare. Dentro anche Pellegrini per Immobile e Tonali al posto di Barella, ma assedio disperato e intanto in Portogallo la Turchia sbaglia il rigore del 2-2. Poi il colpo fatale di Trajkovski. Non è giusto ma la Macedonia non ha rubato niente. Siamo noi che ci siamo persi per strada. 

Da gazzetta.it il 24 marzo 2022.

Incredibile. L'Italia è fuori dal Mondiale per la seconda volta consecutiva. La notte di Palermo si trasforma in un incubo, nel recupero di una partita maledetta. La Macedonia del Nord, 67esima nel ranking Fifa, va allo spareggio decisivo col Portogallo. Il c.t. Roberto Mancini fatica a trovare le parole: "Nel luglio scorso ho vissuto all'Europeo la gioia più bella della mia carriera. 

Ora ho vissuto la più grande delusione. Il calcio è questo, succedono cose incredibili. Abbiamo fatto di tutto per vincere, poi abbiamo subito gol al novantesimo. Sembrava fatto apposta, sembrava scritto. Non dovevamo arrivare fino a questo punto, ma ai miei giocatori però voglio più bene che all'Europeo. Il mio futuro? Non lo so, ora la delusione è troppo grande". 

Da gazzetta.it il 24 marzo 2022.

Il primo ad arrivare ai microfoni della Rai è capitan Giorgio Chiellini: "C'è una grande delusione, abbiamo fatto una buona partita dove sicuramente ci è mancato il gol - dice -. Non siamo stati presuntuosi, ma è mancato qualcosa. Abbiamo fatto degli errori da settembre fino ad oggi e li abbiamo pagati, sono però orgoglioso dei miei compagni. Siamo delusi, siamo distrutti, non troviamo gli aggettivi" . 

Ora c’è solo un grande vuoto. “Bisogna ripartire, ora è difficile anche commentare - continua Chiellini -. Rimarrà un grande vuoto, spero che per il futuro si possa ripartire come è successo con la vittoria dell’Europeo. Speriamo ancora insieme al mister, Mancini è imprescindibile per questa Nazionale".

Francesco Calvi per gazzetta.it il 24 marzo 2022.  

Sarebbe potuto essere l’ultimo ruggito decisivo del "Gol Krali", forse il più importante della sua avventura con la nazionale turca. Si è rivelato, invece, un errore fatale, che ha permesso al Portogallo di fare un altro passo verso Qatar 2022. 

La nazionale del c.t. Fernando Santos raggiunge la finale degli spareggi di qualificazione ai Mondiali, per effetto della vittoria per 3-1 su Burak &Co, che rimpiangono il rigore sbagliato proprio da Yilmaz. Il centravanti 36enne, capitano della nazionale di Kuntz, dopo aver segnato la rete dell’1-2 ha infatti fallito dal dischetto l’occasione del pareggio, quando mancavano appena cinque minuti al 90’. CR7 e compagni festeggiano così grazie alle giocate di Otavio, autore dell’1-0 e assistman di Jota in occasione del raddoppio. La rete del definitivo 3-1, arrivata al 94’, porta invece la firma di Nunes.

Il Portogallo, privo degli infortunati Lopes, Cancelo, Dias, Pepe, Neves e Sanches, scende in campo con il 4-3-3, schierando Bruno Fernandes e Bernardo Silva ai lati di Moutinho e il tridente composto da Otavio, Jota e Cristiano Ronaldo in avanti. Kuntz si affida invece al solito Yilmaz in attacco, supportato da Kutlu, Under e Calhanoglu. In difesa c’è Demiral dal 1’. 

Ronaldo e compagni premono subito sull’acceleratore e nei primi dieci minuti vanno due volte al tiro, prima con l’ex Juve e poi con Jota: la conclusione di Cristiano finisce però in curva, quella del 25enne sfiora la traversa. Trascorso un quarto d’ora, Otavio realizza l’1-0. Il centrocampista del Porto arriva prima di tutti sul pallone calciato da Bernardo Silva e respinto dal palo: Cakir non può nulla sul tap-in del 27enne, che spiana la strada alla Seleçao.

Sebbene il pallino del gioco rimanga nelle mani dei rossoverdi, la risposta della Turchia non tarda ad arrivare e, poco prima della mezzora, Diogo Costa si oppone a Under e Kokcu. Il Portogallo ha però fretta di chiudere il match e, al 42’, trova il raddoppio con Jota: Kabak pasticcia e non riesce a intercettare l’assist di Otavio, l’attaccante del Liverpool non deve neppure saltare e, di testa, appoggia comodamente in rete.  All’inizio della seconda frazione, il Portogallo cerca il tris ma Bernardo Silva e Jota (due volte) non riescono a impensierire Cakir. Al 62’ la Turchia accorcia le distanze con Yilmaz, che chiude uno splendido triangolo con Under e, a due passi dal portiere, non sbaglia. Nell’ultima mezzora, gli ospiti spingono per il pareggio e, dopo i tentativi imprecisi di Calhanoglu e Under, conquistano un calcio di rigore all’82’: il contatto tra Fonte e Unal è giudicato irregolare dall’arbitro Siebert, richiamato al Var. Yilmaz spreca però dal dischetto, mandando il pallone sopra la traversa. Al 94’ il Portogallo chiude i conti con Nunes, in campo da appena 5’, che su assist di Leao supera Cakir e mette il timbro sul definitivo 3-1.

Clamoroso alla Favorita. L’Italia prende gol al 92° e dice addio ai Mondiali. Alessandro Cappelli su L'Inkiesta il 24 Marzo 2022.

Un tiro all’angolino di Trajkovski regala lo 0-1 decisivo alla Macedonia del Nord, che adesso giocherà lo spareggio decisivo contro il Portogallo.

È accaduto l’imponderabile. Un’azione verticale, rapida e immediata, un controllo con il petto che per un attimo è sembrato braccio, uno sguardo alla porta e un destro secco a fulminare Donnarumma.

Per la seconda edizione consecutiva l’Italia non andrà Mondiali. Il primo turno dei playoff è già decisivo. A Palermo è un tiro di Aleksandar Trajkovski – visto in Serie A proprio con la maglia rosanero dei siciliani, oggi in forza al Al-Fayha nel campionato saudita – a eliminare gli azzurri.

Quattro anni e mezzo fa fu la Svezia a eliminare l’Italia: il punto più basso della storia calcistica degli Azzurri. Difficile fare il bis. Dopo l’umiliazione della formazione (non) allenata da Ventura, la federcalcio aveva deciso di ricostruire dalle macerie affidando la Nazionale a Roberto Mancini.

Un percorso coerente che ha portato risultati fin da subito, ripristinando ottimismo e buon umore dalle parti di Coverciano.

Poi la scorsa estate, dopo un girone di qualificazione brillante e un anno di attesa supplementare a causa del Covid, la Nazionale è andata anche oltre le sue stesse aspettative, prendendosi un Europeo inatteso ma comunque meritato.

Da quel momento in poi la curva dell’Italia è stata linea retta che punta verso il basso, con un girone eliminatorio gestito sottotono e tanti errori nelle partite chiave (le due con la Svizzera soprattutto).

Si è arrivati in una condizione – psicologica prima ancora che fisica o tecnica – non ottimale al momento decisivo. Ma la Macedonia del Nord, almeno il primo avversario di questo minitorneo di spareggio, non avrebbe dovuto rappresentare un ostacolo così ostico.

Invece dopo 90 minuti passati a sbattere sul muro difensivo sollevato dagli uomini di Angelovski (peraltro privi di una pedina importante come il napoletano Elmas), la rasoiata di Trajkovski ha riportato l’Italia lì dov’era a novembre 2017. Lì dove pensava di non poter più tornare.

Un’eliminazione del genere richiederà certamente una presa di responsabilità da parte del ct: è molto probabile che presenti le dimissioni nei prossimi giorni. Poi starà alla federcalcio valutare se accettarle o meno.

Come spesso accade, un tonfo così clamoroso spinge a mettere in una prospettiva diversa anche il passato: la vittoria dell’Europeo, a questo punto, somiglia più a un’eccezione che a un risultato acquisito per meriti, per un progetto che si è rivelato ben congegnato, per un’idea che ha funzionato.

Almeno c’è una consolazione: i Mondiali in Qatar sono l’ennesima porcheria organizzata dalla Fifa, da disputarsi a novembre, in pieno campionato, in uno Stato autoritario e repressivo. «Da quando il Mondiale del 2022 è stato assegnato al Qatar, sono morti più di 6.500 lavoratori provenienti da India, Pakistan, Nepal, Bangladesh e Sri Lanka, impiegati nella costruzione di stadi e infrastrutture», scriveva Jonathan Wilson sul Guardian un anno fa. Non esserci è un premio di consolazione che forse non farà piacere ai tifosi italiani. Ma in questo momento è meglio di niente

Italia fuori dai Mondiali 2022: perde con la Macedonia. di Alessandro Bocci su Il Corriere della Sera il 24 Marzo 2022.

Italia eliminata dal Mondiale: gli azzurri mai pericolosi, non è bastato controllare la gara. Decide un gol di Trajkovski nel finale. 

Un altro Mondiale se ne va, il secondo consecutivo che gli italiani guarderanno mestamente alla televisione. 

La disfatta, un’altra Waterloo azzurra, si materializza due minuti dopo il novantesimo quando Trajkovski, che a Palermo c’è stato quattro anni e questo stadio lo conosce bene, indovina l’angolo lontano da Donnarumma. L’Italia è annichilita, lo stadio gelato. Il sogno dell’Europeo, nove mesi dopo, si trasforma nell’incubo peggiore. La Macedonia vince con due tiri in porta, il secondo è decisivo. Gli azzurri tirano 34 volte, soltanto 5 nello specchio e solo un’occasione vera con Berardi nel primo tempo. 

Una Nazionale piccola piccola. Attacca novanta minuti solo con la forza dei nervi, sbattendo sul muro rosso della Macedonia. Una partita da dimenticare, che purtroppo non dimenticheremo mai. Forse l’umiliazione peggiore della nostra lunga e gloriosa storia. Una partita sbagliata. Solo attacchi sconclusionati. Una squadra prevedibile e lenta. Sofferenza e umiliazione. E alla fine gli applausi dei 35 mila del Barbera si trasformano in fischi. 

Mancini, che in panchina era una furia, alla fine è una sfinge. Solo poche frasi per commentare: «A luglio mi è successa la cosa più bella, questa è la più grande delusione. Stasera è successa una cosa incredibile. La partita abbiamo fatto di tutto per vincerla, ma certe gare sono così... Il gol al 90’ sembra fosse stato apposta. Non so cosa dire. Mi spiace molto per i giocatori. Il mio futuro? La delusione è troppo grande per parlarne. Comunque sono sicuro che la squadra ne abbia uno grande». Poi se ne va dritto negli spogliatoi, mentre gli azzurri piangono sul campo, una scena simile a quella del 2017 contro la Svezia.

Ma stavolta la delusione è ancora più cocente perché siamo campioni d’Europa e non pensavamo di finire così appena nove mesi dopo la notte magica di Wembley. A Palermo, invece, finisce malissimo contro la Macedonia, numero 67 del ranking, la migliore possibile che potevamo pescare ai sorteggi. Temevamo la finale in trasferta contro il Portogallo e invece a Oporto ci vanno i ragazzi di Milevski. All’Italia tocca la partita della vergogna in Turchia. Potrebbe anche essere l’ultima panchina di Mancini.

L’Italia parte forte, tante buone intenzioni, molta volontà, ma troppa frenesia e poco raziocinio. Berardi e Emerson Palmieri provano a allargare la tremolante difesa macedone, Verratti detta i tempi meglio di Jorginho, mancano però precisione e lucidità, soprattutto nell’ultimo passaggio. Mancano anche la qualità di Insigne e gli inserimenti di Barella. Molto rumore per nulla. L’assalto al fortino rosso è infruttuoso. Gli inserimenti di Bastoni, la spinta scolastica di Emerson che sbaglia sempre il cross, gli impacci di Immobile dentro l’area. L’occasione vera capita alla mezz’ora, ma è un regalo del portiere macedone Dimitrievski, che Berardi spreca malamente con un tiro piatto e molle. L’Italia, a forza di attaccare, si allunga e si scopre. Florenzi in scivolata ferma Churlinov lanciato a rete. 

L’intervallo non porta consiglio e nel secondo tempo riaffiora progressivamente l’incubo Svezia. Una lenta agonia. Berardi ci prova tre volte, ma non indovina mai lo specchio della porta. Mancini a metà ripresa tenta la carta del giovane Raspadori al posto dello spento Insigne, ma anche il tenero attaccante del Sassuolo finisce prigioniero della partita. Nell’ultimo quarto prova il c.t. prova con Tonali e Lorenzo Pellegrini, al posto dello sgonfio Barella e dell’inguardabile Immobile con Raspadori che diventa centravanti. 

Alla fine inserisce il totem Chiellini (con Joao Pedro) per i supplementari. Ma non aveva fatto i conti con Trajkovski.  

Marco Zonetti per vigilanzatv.it il 26 marzo 2022. 

L'eliminazione della nazionale italiana di calcio dai Mondiali che prenderanno il via in Qatar nel novembre 2022 non rappresenta soltanto una cocente delusione per i tifosi azzurri, ma potrebbe costituire una costosissima beffa per i teleutenti Rai obbligati a pagare il canone.

Andiamo con ordine. L'anno scorso, l'allora Presidente della Tv pubblica Marcello Foa parlava di "grande successo" riguardo all'acquisto da parte dell'azienda dei diritti esclusivi multipiattaforma di Qatar 2022, i Campionati mondiali di calcio che - ricordiamo - il servizio pubblico non trasmette in esclusiva dal lontano 2002.  

Il motivo di giubilo da parte del vertice Rai era data dal fatto che quest'ultima si fosse aggiudicata tutte le sessantaquattro partite in programma per la "modica" cifra di 180 milioni di euro, quando invece - secondo fonti di stampa - l'offerta di Mediaset si era fermata a 110 milioni. 

La Rai si era peraltro riservata la facoltà di sublicenziare i diritti ad altri broadcaster, dando così modo ad Amazon di tornare in gioco. Quella stessa Amazon che da anni la Rai promuove a tutto spiano nelle sue trasmissioni, garantendo così una preziosissima pubblicità alla concorrenza - a spese nostre - che lascia piuttosto perplessi.

All'epoca dell'annuncio trionfale di Foa, a Viale Mazzini furono in molti a storcere il naso, visto che 180 milioni di euro rappresentavano un autentico macigno sul futuro dell'azienda già in rosso.  

"Chi ha trattato?" si domandavano insistenti ai piani alti della Rai, mentre da molti l'esito della trattativa per Qatar 2022 veniva giudicata "l'ultima, devastante eredità" della gestione della Rai giallo-verde.

E ora che il sogno dell'Italia ai Mondiali di calcio è sfumato, resta sul groppone della Rai - e dei cittadini che pagano il canone - quell'investimento milionario relativo a sessantaquattro partite, riportando dunque in auge il piano B: ovvero quello di sublicenziare il 50% delle partite (32) a una televisione pay. Non Mediaset, ovviamente, che è il principale competitor Rai, ma per l'appunto Amazon o in alternativa Sky.

Già all'epoca dell'annuncio di Foa, il Segretario della Commissione di Vigilanza Rai Michele Anzaldi chiedeva delucidazioni a Viale Mazzini sull'utilizzo di risorse pubbliche e sottolineava l'emergere di uno "strano intreccio, tra pubblicità ad Amazon nelle fasce orarie più pregiate e addirittura su RaiPlay (diretto concorrente Amazon), ospitate promozionali nelle principali trasmissioni Rai dei protagonisti delle nuove trasmissioni Amazon" e "anche l'alleanza a peso d'oro sui diritti per i Mondiali". "Cosa c'è dietro?", si domandava l'On. Anzaldi chiedendo lumi al CdA Rai (che non ha mai risposto in merito).

Mentre a un'interrogazione del Senatore Maurizio Gasparri di Forza Italia, membro della Commissione di Vigilanza, interessato a conoscere nei dettagli costi e supposti ricavi derivati dall'acquisto dei diritti Tv di Qatar 2022, la Rai faceva notare che il torneo sarebbe andato in onda in autunno - e non come di consueto in estate, fuori del "periodo di garanzia" - e che pertanto i volumi dei ricavi pubblicitari attesi avrebbero consentito introiti molto elevati, capaci di superare i 2/3 dell'investimento sui diritti e costi connessi, anche grazie a un "programmato ampio sfruttamento editoriale dell'evento" (alle partite si sarebbero aggiunte rubriche, speciali, approfondimenti ecc.).

Tutte rosee e ambiziose previsioni divenute di fatto pie illusioni oggi, con l'esclusione dell'Italia dai Mondiali di calcio e con "l'oro" dell'esclusiva Rai per le sessantaquattro partite trasformatosi in "vil metallo" nello spazio di una notte. 

Riprendendo piede l'ipotesi della Tv pubblica di sublicenziare la metà degli incontri a una televisione Pay, anche il Segretario della Commissione di Vigilanza  torna sull'argomento:  

"Se la Rai cedesse davvero una quota dei diritti dei Mondiali di calcio in Qatar ad Amazon sarebbe una beffa e un danno per gli italiani, che si troverebbero a pagare doppio per vedere le partite: canone Rai + abbonamento Amazon. È doverosa una riflessione attenta". Non soltanto i tifosi di calcio sarebbero cornuti e mazziati, insomma, ma anche tutti i cittadini obbligati a pagare il canone. 

Perché quei 180 milioni di euro pagati per l'esclusiva di campionati di Calcio che hanno già perduto gran parte della loro attrattiva sono di fatto soldi nostri. 

La Nazionale fuori dai Mondiali, il calcio italiano tocca il livello più basso di sempre. Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera il 24 Marzo 2022.

Troppa tattica, poca tecnica. Stipendi troppo alti rispetto al valore e al rendimento, poca cultura calcistica: la sconfitta con la Macedonia del Nord è la Caporetto del nostro sport. 

È la Caporetto del nostro sport. Eliminati da una nazione, la Macedonia del Nord, di cui molti non conoscevano l’esistenza. Un disastro che chiama in causa tutti: atleti, allenatore, staff, federazione, e il movimento calcistico nel suo complesso. La vittoria degli Europei non si cancella, è evidente. E nel calcio moderno basta perdere tre uomini decisivi – Chiellini, Bonucci, Chiesa – e averne altri fuori forma – Barella, Immobile, Jorginho – per ritrovarsi con un esito opposto. Se il trionfo di Londra era frutto di una congiuntura astrale irripetibile, anche questo tonfo è il risultato di una serie pazzesca di occasioni perdute, di errori evitabili, di colpi di sfortuna. Ma lo sport nazionale non può essere affidato al caso; perché il caso prima o poi ti volta le spalle.

Il calcio italiano ha toccato il livello più basso di sempre. Peggio delle sconfitte con la Corea del Nord nel 1966 e con la Corea del Sud nel 2002. Peggio dei disastrosi Mondiali in Sud Africa e in Brasile. La Nazionale fuori dalla competizione più importante per la seconda edizione consecutiva. Tutti i club eliminati dalla Champions già agli ottavi, con quello più rappresentativo, la Juventus, sconfitto in casa 3 a 0 da una squadra che è settima nella Liga spagnola. Il Milan capolista ha due centravanti che contano quasi ottant’anni in due; l’Inter campione d’Italia nella Premier inglese sarebbe forse ottava. E stiamo parlando di squadre dove gli italiani titolari sono due o tre al massimo; non a caso ieri nei momenti cruciali avevamo in campo l’attacco del Sassuolo. Buoni calciatori, ma del tutto privi di esperienza internazionale. E forse lo stesso Mancini, dopo la divina sorpresa in Inghilterra, ha perso concentrazione, e si è compiaciuto troppo di se stesso. Ma le Caporetto non hanno mai un solo responsabile. Tutto il calcio italiano è da ripensare. 

Troppa tattica, poca tecnica. Stipendi troppo alti rispetto al valore e al rendimento, poca cultura calcistica. E troppo potere ai procuratori. La parabola di Donnarumma – che per inseguire superstipendi ha lasciato il suo ambiente naturale ed è andato a cacciarsi nei guai – è purtroppo esemplare. 

Ora è il momento di ricostruire tutto - stadi e vivai, mentalità e scuole per i tecnici - partendo dai giovani; anche da quei nuovi italiani che ieri sera sono mancati pure loro alla prova. Ricordando quel che diceva Borges: “Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per strada, ricomincia la storia del football”.

Urla e fischi: la reazione del pubblico a fine partita. Le pagelle di Italia-Macedonia del Nord 0-1: Mancini da 4, Donnarumma sorpreso dal gol. Paolo Tomaselli su Il Corriere della Sera il 24 Marzo 2022.

I voti all’Italia, fuori dai Mondiali 2022 dopo la sconfitta contro la Macedonia del Nord. Insigne irriconoscibile, Immobile irritante, Verratti leader.

Pagelle Italia-Macedonia 0-1

Un altro Mondiale se ne va, il secondo consecutivo che gli italiani guarderanno mestamente alla televisione. La disfatta, un’altra Waterloo azzurra, si materializza due minuti dopo il novantesimo quando Trajkovski, che a Palermo c’è stato quattro anni e questo stadio lo conosce bene, indovina l’angolo lontano da Donnarumma. L’Italia è annichilita, lo stadio gelato. Il sogno dell’Europeo, nove mesi dopo, si trasforma nell’incubo peggiore. La Macedonia vince 1-0 con due tiri in porta, il secondo è decisivo. Forse l’umiliazione peggiore della nostra lunga e gloriosa storia. Una partita sbagliata. Una squadra prevedibile e lenta. Sofferenza e umiliazione. E alla fine gli applausi dei 35 mila del Barbera si trasformano in fischi. (Qui il commento di Aldo Cazzullo: «Il calcio italiano tocca il suo livello più basso, peggio della Corea»)

Donnarumma: 5,5

Sorpreso dal tiro del gol, che però è preciso e potente.

Florenzi: 6

Il salvataggio su Churlinov lanciato a rete vale un gol: prova a fare anche quello vero, ma perde l’attimo.

Mancini: 5

Eccesso di sicurezza o distrazione, poco importa: l’errore a fine primo tempo è grave. Anche nella ripresa non è sempre lucido.

Bastoni: 5,5

Avanza con convinzione, ma perde il duello aereo decisivo.

Emerson Palmieri: 5

Arriva sul fondo solo all’inizio. In una gara così serviva di più Biraghi.

Barella: 4,5

Ha voglia di alzare il ritmo, di incidere, di aiutare tutti e tutto. Però manda solo segnali di fumo.

Jorginho: 5

Giorgio batte il tempo senza grossi momenti di creatività, schermato da Bardhi: servirebbe un pensiero più verticale. Sul gol, perde tempo a protestare, invece di provare a chiudere su Traijkovski.

Verratti: 6,5

A tratti un piccolo spettacolo, che stride con certe stecche dei compagni: pressa, esce dai raddoppi con giocate di classe, prova anche il tiro e ha una grossa occasione dentro l’area. Nemmeno lui sfonda, ma non può fare tutto. Leader.

Berardi: 5

Quasi sorpreso dal regalo di Dimitrievski che gli passa la palla, tira lento e centrale, con mezza porta a disposizione: inspiegabile. Se sbaglia anche l’attaccante più in forma, che prova e ci riprova ed è l’unico che salta l’uomo, si fa dura.

Immobile: 4

Tanta volontà, ma troppe scelte cervellotiche, sempre un tocco in meno o uno in più. Irritante.

Insigne: 4

Dal tiro a giro ai corner calciati con il braccino: una parabola simbolica dell’involuzione azzurra. È il primo a uscire. Irriconoscibile.

Raspadori: 4,5

Il peso dell’attacco, in un momento delicatissimo, lo schiaccia.

Pellegrini: 5

Allunga la lista dei gol sbagliati.

Tonali: 6

Basta un pallone verticale e teso per Berardi per farsi la domanda: perché non titolare?

Chiellini: s.v.

Nel momento del bisogno neanche il Capitano fa la differenza.

Joao Pedro: s.v.

Poco tempo per essere incisivo.

Mancini: 4

Scelte discutibili, fatte per troppa gratitudine. Parecchio nervosismo trasmesso agli attaccanti, cambi tardivi. La maledizione personale del Mondiale diventa collettiva

Estratto dell'articolo di Fabio Licari per gazzetta.it il 25 marzo 2022. 

E così, dopo la "Corea" del Nord (e del Sud), abbiamo anche la "Macedonia" del Nord. Secondo Mondiale di fila a casa. Purtroppo sì, altra apocalisse sportiva.

4,5 Donnarumma

Una partita a prendere soltanto i retropassaggi, mai disturbato dal timido pressing macedone. E poi il gol da lontanissimo. Sarà sfortunato, ma un gol così non si può prendere.

5,5 Florenzi

Uno dei meno colpevoli, con quel recupero incredibile su Churlinov a salvare un gol. Florenzi c’è, ha mestiere e non meritava questa delusione, anche se poi finisce per farsi coinvolgere dallo psicodramma collettivo e non reagisce. 

4 Mancini

Male, quasi impreparato a questi palcoscenici. Si fa chiamare due falli di fila in area e perde una palla che innesca un contropiede pericolosissimo. Non era lui che doveva vincere, ma doveva dare un’altra immagine. (Chiellini s.v.)

6 Bastoni

Vale per Bastoni il discorso di Verratti. Avrebbe fatto una gran figura con una squadra "pensante" attorno. Prendiamo il buono: con l’addio di Chiellini, la maglia del centrale di sinistra è sua. Pensiamo positivo. 

4,5 Emerson

Corre, corre, corre e poi si ferma lì, stoppato da S. Ristovski e dalla sua incapacità di puntare l’uomo e superarlo. Anche nei cross è di un’imprecisione spaventosa. In involuzione. Non era Spinazzola, ma non era neanche così.

IL MIGLIORE: 6 Verratti

Sì, c’è anche un migliore nella partita più drammatica degli ultimi anni, ed è Verratti che almeno ci prova. Diciamo la verità: in un’Italia normale, e con un centrocampo all’altezza, avrebbe brillato. Tutto passa per lui (e per Bastoni, l’altro da salvare), ma non può bastare un Verratti se attorno sono tutti in preda al panico da eliminazione fin dal 1’. Lui meritava la finale. E anche l’Italia, con trenta e passa tiri in porta, è solo casualmente fuori dai giochi. Ma così è. Verratti, però, merita di restare in azzurro. 

5 Barella

C’era una volta Barella che sradicava palla, partiva come un treno e tirava anche in porta. Come in campionato è in versione ridotta, uno scatto e una sosta. Al tiro è la fotocopia “negativa” del passato. Dov’è il vero Barella? 

4,5 Jorginho

Non c’è Jorginho e non c’è l’Italia. E Jorginho non c’è da tempo, dai rigori sbagliati con la Svizzera, anche da questa partita a mezzo servizio. Mai “dentro” come sapeva, mai dominante. E nel pasticcio del gol è tra i colpevoli.

5 Berardi

Se uno analizzasse la sua partita tocco per tocco, occasione per occasione, anche contando i chilometri, dovrebbe dargli un buon voto. Ma è sempre impreciso, e sbaglia un gol a porta vuota che è come un rigore.

IL PEGGIORE: 4 Immobile

Troppe volte una gara sbagliata. Il 9 dei record laziale, tutto questo in azzurro non gli riesce in pratica mai. Frenetico, confuso, impreciso, con quella maglia che lo schiaccia. Con molte probabilità l’ultima con l’Italia. (Joao Pedro s.v.) 

4 Insigne

L'inadeguatezza di Immobile è più evidente, ma Insigne non è molto diverso: è lui, con la sua tecnica, con la maglia 10, che dovrebbe prendere l’Italia, inventare, creare, sorprendere. Invece è passivo, quasi pronto per il Canada. 

6 Raspadori

Altre gambe e altra vivacità rispetto a Insigne, crea di più, si sbatte, e ovvio non è a Giacomino che si può chiedere la soluzione dei problemi. Il cambio generazionale è avviato. Da domani, però, non più sconti neanche per lui.

5 Pellegrini

Difficile replicare le ultime belle cose giallorosse se entri in un azzurro sbiadito. Dentro per Immobile. Nel finale, vagando a sinistra, tanta voglia e discreta imprecisione negli appoggi e nel tiro. 

5 Tonali

Forse poteva entrare prima per Barella, i forse sono tanti, resta l’immagine di una ventina di minuti lontanissimi dagli standard del Milan, ma come Pellegrini ha meno colpe di tanti altri. 

4 Mancini (Allenatore)

Non c’è più l’Italia e non c’è più Mancini. Quando ha inventato l’Italia più bella meritava una statua, adesso anche lui sembra aver perso il tocco magico. Col senno di poi, insistere su Immobile & C. è stata una colpa grave. Non il primo c.t. a commetterla.

Salvatore Riggio per corriere.it il 24 marzo 2022.

Nessuno potrà mai dimenticare l’abbraccio tra Roberto Mancini e Gianluca Vialli a Wembley l’11 luglio scorso, al termine della finale degli Europei vinta dall’Italia ai rigori contro l’Inghilterra. 

Rimarranno nella mente di tutti le lacrime tra i due amici, simbolo indelebile della nostra Nazionale e di quel trionfo indimenticabile. Otto mesi e mezzo dopo gli azzurri si sono complicati un po’ (anzi, un bel po’) l a vita nel cammino verso Qatar 2022.

Il pareggio di settembre contro la Bulgaria (1-1, 2 settembre 2021) e i due pari – con due rigori falliti in due gare da Jorginho, che invece al Chelsea dagli 11 metri è un cecchino – con la Svizzera, hanno relegato l’Italia a questi insidiosi spareggi. Giovedì 24 marzo c’è la prima gara a Palermo, contro la Macedonia del Nord. In Nazionale torna Gianluca Vialli, che ha celebrato l’evento sul proprio profilo Instagram, con una foto che lo ritrae sorridente allo stadio di Palermo, in attesa appunto della prima gara dei playoff. «Trasformare una passione in un lavoro e in un proposito (come è successo a me!) è una cosa rara e un privilegio assoluto. Quando succede contano solo due cose: essere grati e lavorare ogni giorno per andare oltre i propri limiti. Forza Italia! Forza Ragazzi!», si legge nella didascalia del post, con tanto di cuore azzurro come emoticon.

Vialli sta lottando con tutto se stesso contro un brutto male e si è raccontato nella serie tv Netflix, «Una semplice domanda», ad Alessandro Cattelan: «Se muori all’improvviso di notte, tante cose rimangono incompiute. Oggi so che ho il dovere di comportarmi in un certo modo nei confronti delle persone, di mia moglie, delle mie figlie perché non so quanto vivrò. Quindi ti dà questa opportunità di scrivere le lettere, di sistemare assolutamente le cose». E ancora: «La malattia non è esclusivamente sofferenza. Ci sono dei momenti bellissimi. La malattia ti può insegnare molto di come sei fatto, ti può spingere anche più in là rispetto al modo anche superficiale in cui viviamo la nostra vita. La considero anche un’opportunità.

Non ti dico che arrivo fino a essere grato nei confronti del cancro, però non la considero una battaglia. L’ho detto più volte. Se mi mettessi a fare la battaglia col cancro, ne uscirei distrutto. Lo considero una fase della mia vita, un compagno di viaggio, che spero prima o poi si stanchi e mi dica “Ok, ti ho temprato. Ti ho permesso di fare un percorso, adesso sei pronto. Cerco di non perdere tempo, di dire ai miei genitori che gli voglio bene. E mi sono reso conto che non vale più la pena di perdere tempo e fare delle s….e. Fai le cose che ti piacciono e di cui sei appassionato per il resto non c’è tempo. Siamo qui per cercare di capire il senso della vita e io ti dico, ho paura di morire».

Infine: «Spero di vivere il più a lungo possibile. Però, mi sento molto più fragile di prima e ogni comportamento mi porta a fare questo ragionamento, “È la cosa giusta che sto mostrando alle mie figlie?”. E in questo senso cerco di essere un esempio positivo, cerco di insegnare loro che la felicità dipende dalla prospettiva attraverso la quale tu guardi la vita. Cerco di spiegare loro che non devi darti delle arie, devi ascoltare di più e parlare di meno, migliorarti ogni giorno, devi ridere spesso e aiutare gli altri. Secondo me, questo è un po’ il segreto della felicità. E soprattutto cerco di fare in modo che abbiano l’opportunità di trovare la loro vocazione».

"Andiamo al Mondiale e...". La condanna nella frase (disastrosa) di Mancini. Marco Gentile il 25 Marzo 2022 su Il Giornale.

Non hanno portato bene le parole del ct Roberto Mancini, subito dopo il pareggio contro l'Irlanda del Nord, del mese di novembre con il sogno Mondiale che si è tramutato in un incubo.

"Ai Mondiali ci andremo passando dai play off di marzo e magari li vinceremo anche, chissà...", questo il Mancini pensiero subito dopo lo 0-0 contro l'Irlanda del Nord dello scorso 15 novembre che costò il primo posto nel girone per l'Italia e dunque i playoff. La profezia del commissario tecnico, purtroppo, non si è verificata e a distanza di 129 giorni si deve registrare una grandissima amarezza, la seconda più grande in ordine di tempo dopo la debacle del 2017, contro la Svezia, con in panchina Gian Pier Ventura.

"Purtroppo è un momento così in cui facciamo tanta fatica a fare gol. Peccato, il gruppo andava chiuso prima. Ora dobbiamo ritrovare quel gioco che ci ha contraddistinto anche fino ad oggi" sempre queste le parole di Mancini dopo la sfida contro l'Irlanda ma in realtà la sua Italia non si è più ritrovata ed è sembrata solo la lontana parente di quella ammirata agli Europei disputati in estate.

Cocente eliminazione

Se al triplice fischio di Irlanda del Nord-Italia Mancini si era mostrato fiducioso per l'approdo a Qatar 2022, quello che si è presentato davanti alle telecamere della Rai alla fine del match contro la Macedonia del Nord è stato un ct realmente provato e con gli occhi lucidi. "Se l'Europeo è stata la mia più grande soddisfazione, stasera è la mia più grande delusione a livello professionale, Nel calcio succedono delle cose incredibili e stasera è successo. Certe partite sono così, è difficile parlare della partita. La vittoria dell'Europeo è stata strameritata, la fortuna dell'Europeo si è trasformata in sfortuna". Il futuro? Delusione troppo grande per tutti per parlare di futuro". Mancini in maniera molto franca ha preferito glissare sul tema futuro e potrebbe anche essere che nelle prossime ore possa decidere di dire addio rassegnando le dimissioni.

Chiellini, Verratti e Jorginho ci hanno messo la faccia con l'ultimo che ha ammesso come non si potrà mai dimenticare gli errori dal dischetto nella fase a girone che sono di fatto costati il primo posto agli azzurri e dunque la possiblità di accedere direttamente al tabellone principale dei Mondiali: "È difficile spiegare, trovare le risposte. Fa tanto male, è un dispiacere enorme. Sono ancora incredulo. I due rigori falliti a settembre? Dobbiamo guardare la realtà, anche io sono responsabile. Li ricorderò per tutta la vita, e fa male".

Italia fuori dai mondiali, Mancini come Lippi e Bearzot e peggio di Ventura. Ora il ct deve dimettersi. Per quale obiettivo lavorare? Senza Qatar 2022, con Euro 2024 che è traguardo minore e intermedio, l’orizzonte dei Mondiali 2026 è davvero troppo lontano: serve per forza un nuovo ciclo. Per questo il ct si deve dimettere. E non solo lui. Lorenzo Vendemiale su Il Fatto Quotidiano il 25 marzo 2022. Roberto Mancini come Lippi e Bearzot. Roberto Mancini peggio persino di Gian Piero Ventura. E no, non è una provocazione, è il verdetto del campo. La clamorosa, mancata qualificazione ai Mondiali, la seconda di fila, la sconfitta indegna in casa contro la Macedonia del Nord è senza ombra di dubbio il peggior risultato nella storia del calcio italiano.

Dimentichiamoci gli Europei: erano stati un’eccezione, un caso, un colpo di fortuna. E comunque la gioia di un trofeo non cancella 12 anni di assenza dalla Coppa del Mondo. Le responsabilità ovviamente non sono soltanto del ct, anzi, questo è il fallimento di un calcio italiano malato da tempo e di chi lo governa. Di un movimento intero che con la vittoria insperata e fortunata degli Europei ha provato a nascondere la polvere sotto al tappeto. Però in un contesto difficile, per certi versi persino ostile, Mancini ci ha messo tanto del suo.

È caduto nello stesso, identico errore dei suoi predecessori. Una maledizione che sembra perseguitare tutti i commissari tecnici che verranno ricordati sempre nella storia per i loro trionfi, e per i loro tonfi successivi. Come Enzo Bearzot dopo il Mundial ‘82, nemmeno qualificato a Euro 1984 con un girone indecoroso concluso alle spalle di Romania, Svezia e Cecoslovacchia. Come Marcello Lippi nel 2010, eliminato dai carneadi della Nuova Zelanda e della Slovacchia. Mettiamoci dentro pure Arrigo Sacchi a Euro ’96 dopo i rigori maledetti di Pasadena, e Prandelli post Euro 2012. La solita storia: il ct osannato dalla stampa, troppo sicuro di sé, prigioniero del suo stesso gruppo. Eppure lo avevamo detto tutti, subito dopo la finale di Wembley: Mancini dovrà essere bravo a cambiare qualcosa per tenere viva la fiammella magica nel gruppo azzurro. Non ce l’ha fatta, non ci ha nemmeno provato. Si è affidato agli stessi protagonisti dell’Europeo. Forse per riconoscenza, forse semplicemente per mancanza di alternative.

È vero che su questo piano gli si può imputare poco: la Serie A ha proposto nulla prima e dopo gli Europei. Però qualcosa di diverso si poteva tentare. Passi Immobile, inadeguato per i livelli internazionali, inadatto per gli schemi di questa squadra, ma comunque insostituibile viste le alternative. Però perché insistere su Barella, fuori condizione da mesi, in apnea nell’Inter e anche in azzurro? Perché riproporre Insigne, virtualmente un ex calciatore da quando ha firmato con il Toronto, peso morto già nel Napoli? Perché lasciare fuori non solo Scamacca (infortunato?), ma anche Tonali, e poi Zaniolo, l’unico talento per quanto discontinuo di questa nazionale? L’Italia ha chiuso con Joao Pedro-Raspadori, una coppia con cui una squadra in Serie A potrebbe tranquillamente retrocedere, altro che Mondiali: è un atto di accusa al movimento che l’ha prodotta, ma anche al ct che l’ha schierata.

Mancini ha fatto peggio di Gian Piero Ventura. Se guardiamo il singolo percorso di qualificazione a Qatar 2022 non ci sono dubbi. “Mister Libidine”, il ct più odiato della storia, non ce la fece in un gruppo di ferro, secondo alle spalle di una Spagna superiore, fuori allo spareggio per mano di una Svezia comunque rognosa. Un’eliminazione storica, ma per certi versi comprensibile. Questa no. Questa è arrivata al termine di un girone materasso perso a favore della modesta Svizzera, e poi addirittura in semifinale playoff (senza nemmeno riuscire ad arrivare alla sfida contro il Portogallo) della Macedonia del Nord, una squadra di Serie C europea. È il peggior risultato della storia. È una figuraccia imperdonabile, e non si possono perdonare i suoi artefici.

Non è ingratitudine. Nessuno disconosce il gran lavoro fatto negli ultimi anni: Mancini ha ricostruito la nazionale, nel gioco, nell’identità e nello spirito. Ha stabilito un nuovo record di imbattibilità e vinto un Europeo, per cui verrà ricordato. Un motivo in più per lasciare. In Italia le dimissioni non le dà mai nessuno, e in perfetta sintonia con la tradizione lui si è ben guardato dal farlo nel dopo partita. Come del resto il presidente della Figc, Gabriele Gravina: i due si sono spalleggiati a vicenda in conferenza stampa, in modo piuttosto imbarazzante, mentre si alzavano i soliti peana della stampa per invitarli a restare. Ma senza nemmeno soffermarsi troppo sulle effettive responsabilità, come potrebbe rimanere un allenatore dopo un risultato del genere? Con quale voglia, quale credibilità, quale atmosfera ripartire? È una sconfitta che distrugge tutto, non lascia nemmeno le macerie: bisogna ripartire da zero, proprio come fece lui dopo Ventura. E poi, per quale obiettivo lavorare? Senza Qatar 2022, con Euro 2024 che è solo un traguardo minore e intermedio, l’orizzonte dei Mondiali 2026 è davvero troppo lontano: serve per forza un nuovo ciclo, con un nuovo allenatore. Per questo Roberto Mancini adesso si deve dimettere. E non solo lui. 

Italia fuori dal Mondiale, Roberto Mancini in stato confusionale: "Giocatori bravissimi, non lo meritavamo". Libero Quotidiano il 25 marzo 2022.

L'Italia è sotto choc: fuori dal mondiale, per la seconda volta consecutiva. L'incubo si materializza a Palermo: vince la Macedonia del Nord la semifinale del torneino per accedere al torneo. Decisivo un gol al 92esimo della squadra 67esima nel ranking Fifa: tiro preciso da fuori, mezza dormita di Gigio Donnarumma, mondiale addio. Una partita in cui gli azzurri hanno creato tanto e trasformato zero, con Ciro Immobile e Berardi che si sono divorati occasioni clamorose.

E ora, sul banco degli imputati, ovviamente ci finisce il Ct, Roberto Mancini, che dal sogno di Euro 2020, il trionfo azzurro, è passato al peggiore degli incubi, a una sciagura sportiva senza precedenti. O meglio, di precedenti ce ne sono due: Corea del Nord e Giampiero Ventura con la Svezia, le altre due volte in cui siamo rimasti fuori dai mondiali. Ma non era mai accaduto di restare fuori due volte di fila. E alla luce della disgrazia, suonano come storti, stonati, fuori luogo i continui proclami del Mancio: "Andremo ai mondiali e li vinceremo", ha ripetuto in più di una occasione.

"Nel luglio scorso ho vissuto all'Europeo la gioia più bella della mia carriera. Ora ho vissuto la delusione più grande. Il calcio è questo, a volte succedono cose incredibili. Mi riesce difficile analizzare la partita, non conosco nemmeno lo score. La vittoria all'Europeo è stata strameritata e poi la fortuna che ci aveva accompagnato, si è trasformata in totale sfortuna, ma quando si perde e si va fuori si deve anche soffrire. Non so cosa dire", ha premesso Mancini nel post-partita.

E ancora: "Forse non dovevamo arrivare fino a questo punto. Ci sono state due situazioni che normalmente non accadono, ne bastava una. Subire il gol al 90' sembra fatto apposta. Questa è una squadra con bravi giocatori, mi dispiace molto per loro. A livello umano posso dire che voglio più bene ai ragazzi che a luglio. Il mio futuro? Non lo so, ora la delusione è troppo grande. Prima bisogna far passare un po' di tempo ma la squadra ha giocatori bravi e ha un grande futuro", afferma. Attesa per la decisione nei prossimi giorni, o ore: il Ct si dimetterà? O continuerà la sua esperienza in azzurro? Per certo, Gabriele Gravina ha rimarcato che il Ct "ha un impegno con la Nazionale". Fosse per il presidente federale, insomma, si va avanti insieme.

A tal proposito, Mancini afferma: "Ringrazio il presidente Gravina della fiducia, ma ripeto: è difficile parlarne ora. I prossimi giorni saranno duri. I ragazzi non meritavano di stare fuori dal Mondiale. Quando uno perde deve subire e stare in silenzio. Ora si torna a Coverciano, ci si allena e si va in Turchia per giocare". Settimana prossima, infatti, l'amichevole con l'altra esclusa dai mondiali, battuta ed eliminata dal Portogallo.

E ancora, il Ct sulla partita con la Macedonia del Nord: "Cosa si può dire di una partita dove abbiamo tirato 40 volte? Abbiamo subito il gol alla fine e non sappiamo neanche perché. Non sappiamo nemmeno perché siamo arrivati fino a qui. Abbiamo vinto un Europeo e siamo rimasti imbattuti per due anni e mezzo per cui io una cosa la so: i nostri giocatori sono bravissimi. Quindi non è colpa loro o del presidente: il primo responsabile sono io. Quando si perde il primo responsabile è l'allenatore". Tutto vero. Però, al netto dei 40 tiri, "cosa si può dire" a una squadra battuta dalla Macedonia e fuori dai mondiali sembra una frase profondamente sbagliata. C'è tanto, molto, da dire.

Benedetto Saccà per “il Messaggero” il 25 marzo 2022.

La notte piomba all'improvviso sui volti, e sui pensieri, e sulle gambe, e sulle anime dei giocatori della Nazionale italiana di calcio. Sotto il blu oltremare del cielo di Palermo, che quasi scolora nel nero, tanti piccoli azzurri versano litri di lacrime sul verde del prato, sprofondando nel dispiacere per la mancata qualificazioni ai Mondiali, anche a questi Mondiali. Le fotografie non parlano ma dicono tanto.

Jorginho, per esempio; ecco, Jorginho sembra abbia appena visto un fantasma e forse lo ha visto davvero, chi lo sa. «Fa tanto male. È un dispiacere enorme. Trovare risposte ora è difficile, sono ancora incredulo. L'impegno non è mancato, abbiamo sempre dominato le partite. Purtroppo la realtà è che non siamo riusciti a concludere».

Poi una pausa. Un gesto nell'aria. E la confessione. «Quei rigori sbagliati? Li ricorderò per tutta la vita, e fa male», sussurra. Di Verratti, il migliore in campo in assoluto, davvero me-ra-vi-glio-so, quasi non si intuisce più il volto, nascosto tra le mani, arrossato dalla frustrazione, inzuppato di lacrimoni. «Adesso è dura», sospira Marco, che ha pure indossato la fascia di capitano. «È una delusione grande. Una partita che avevamo l'obbligo di vincere. L'abbiamo dominata. Bisogna fare gol e chiuderla subito, e non si può arrivare alla fine. Il gol nel finale è stato un incubo».

La rabbia è montante. «Eravamo superiori. È triste, ci guardiamo. Ci potevamo giocare questo Mondiale. Ora ci troviamo a parlare di un disastro. Passiamo dalle stelle alle stalle. Resterò sempre fiero dei miei compagni, ho vissuto momenti speciali, come questa estate, ma il calcio è così, nel calcio devi fare gol. Bisogna farci domande e migliorare, c'è un po' di sfortuna...». Da campioni d'Europa a bidoni incapaci di accedere ai Mondiali nel nulla di otto mesi, una settimana e sei giorni contati.

A capitan Chiellini viene facile spiegare, con il suo vocione, ma meno afferrare sino in fondo le ragioni del disastro e pronunciarle. «C'è una grande delusione. Non siamo stati presuntuosi, ma è mancato qualcosa. Abbiamo fatto degli errori da settembre a oggi e li abbiamo pagati, sono però orgoglioso dei miei compagni. Siamo delusi, siamo distrutti, non troviamo gli aggettivi». E ora? E ora cosa resta di solido e utile? In che cosa il tifoso può confidare?

«Bisogna ripartire, adesso è difficile anche commentare. Rimarrà un grande vuoto, spero che per il futuro si possa ripartire come è successo con la vittoria dell'Europeo. Speriamo ancora insieme al ct, Mancini è imprescindibile per questa Nazionale», aggiunge il capitano. Gli occhi sono tristi, la voce venata di commozione e, soprattutto, di incredulità. Poca è la voglia di parlare, grande il desiderio di trovare una risposta a ogni domanda. Ché ad affiorare sulla superficie delle cose, viaggiando fino al termine della notte di Palermo, è in particolare un moto di incredulità.

Insigne fissa il vuoto (del futuro e della squadra) e non toglie le mani dalle tempie, Immobile è sdraiato sul prato e si copre gli occhi, Florenzi è una fontana, a Donnarumma furente si avvicinano in pochi e Mancini sembra lo scudo con la testa di Medusa di Caravaggio. È sconvolto. Nessuno riesce a crederci, nessuno indovina risposte. Come è stato possibile di nuovo? E i giocatori, i ragazzi della nostra Nazionale sembrano bimbi cui qualche cattivo ha rubato e rotto il giocattolo preferito. Come nelle fiabe. Solo che, ahiloro, ahinoi, è tutto maledettamente vero.

Dagospia il 25 marzo 2022. “NON ABBIAMO COLPE SIAMO SOLO MODESTI, QUASI PIPPE” - MARIO SCONCERTI: “E SIAMO ANCHE INCURABILI. DOVREMMO MANDAR VIA  DUECENTO STRANIERI FINENDO PER TENERE SOLO GLI ALTRI DUECENTO, MA DIVENTEREMMO ANCHE POVERI. CI SIAMO ABITUATI A TRATTATIVE MOLTO ARTICOLATE ESTERO SU ESTERO, CON MEDIAZIONI DI TANTI OPERATORI E GUADAGNI MULTIPLI. EPPOI, SE GLI ITALIANI TENGONO IL MERCATO, FANNO MONOPOLIO, NON C'È RISPARMIO…” 

Da calciomercato.com il 25 marzo 2022.

L'eliminazione dell’Italia ha avuto un unico merito, riportarci tutti all'innocenza originaria. Non perdono solo i grandi club, solo Allegri o Inzaghi, Sarri o Gasperini, perdiamo tutti. Era un'anomalia avere squadre di club che non vincono niente da dodici anni, ma proprio niente, mentre Mancini con i trentacinque italiani rimasti in Italia, riusciva a vincere un Europeo al primo colpo. Ora anche lui entra nel coro degli afflitti. Non gli farà troppo male, perdere aiuta a crescere, è una legge di vita. 

E' un grosso sospiro di sollievo per i tanti maestri quotidiani gente da panchina e da tastiera: non abbiamo colpe, siamo solo modesti, quasi pippe. Ma quella è una legge di natura. Non solo siamo innocenti, ma anche incurabili. Dovremmo mandar via  duecento stranieri finendo per tenere solo gli altri duecento, ma diventeremmo anche poveri. 

Ci siamo abituati a trattative molto articolate estero su estero, con mediazioni di tanti operatori e guadagni multipli. Eppoi, se gli italiani tengono il mercato, fanno monopolio, non c'è risparmio. La nazionale se la sbrighi da sola. Se il problema dei risultati finalmente è di tutti, non è più di nessuno. E questa, amici miei, è una legge economica. O no?

Giancarlo Dotto per Dagospia il 25 marzo 2022. 

Aveva qualcosa d’irresistibilmente comico giovedì notte in video la dignitosa e affilata mestizia di Roberto Mancini e di tutta la folla attorno. Staremmo per dire, e a questo punto lo diciamo, che il volto del Mancini di oggi messo su tela si addice molto di più alla mistica della sconfitta che a quella della vittoria. L’icona esangue di una disfatta senza senso, voluta da un dio feroce e ostile. 

Un volto spiritualmente denso, lontano mille miglia da quello incastrato dentro impeccabili foulard, cui partiva la ruota pavona ogni due secondi. Non meno dignitosa e non meno esilarante quella del presidente Gravina, il miglior presidente federale che l’Italia abbia mai avuto. Peccato che, nel calcio di oggi, i presidenti federali siano mosche irrilevanti a cui non è concesso l’accesso alla merda, se siamo d’accordo che la pecunia è bella ma olet, eccome. 

Mancini e Gravina. Un pugile suonato, afasico, su cui era stampato oltre che il cazzotto del K.O., il grido di dolore: “Ma perché? Perché proprio a me?”. Al suo fianco, il papà buono, a iniettare un minimo di virile cemento in quelle rovine. 

Dove sta l’effetto comico? Perché sei un pugile suonato e afasico quando ti perseguita la sfiga e non lo sei per niente, anzi esulti baccellone, se è invece la fortuna a perseguitarti? Vedi ultimi Europei. Spezziamo le reni a Turchia e Svizzera, triboliamo parecchio con il Galles. Facciamo i vermi con l’Austria negli ottavi (vittoria ai supplementari dopo un gol annullato dal Var ad Arnautovic  per millimetri nei 90 regolari sullo 0 a 0, a pochi minuti dalla fine, un rigore per loro prima dato e poi disdetto, paratone sparse di Donnarumma).

Strapazziamo un Belgio di belli senza busti nei quarti, siamo dominati in lungo e in largo dalla Spagna di Luis Enrique in semifinale. Imbarazzante lezione di gioco. Da nascondersi. Passiamo ai rigori. Ci salva il polpo gigante. Santo Donnarumma. Vinciamo ai rigori anche la finale contro un’Inghilterra boriosetta e sciocchina. Surclassati nel primo tempo, virili e tosti per il resto, ma con un rigore grande come l’abbazia di Westminster non dato ai bianchi nella ripresa. E Donnarumma imbattibile ai rigori.

L’amorale della favola? La vittoria degli Europei, al netto della festa coatta con ubriacatura annessa, era tutto meno che oro colato. Una storia circoscritta a quell’evento e a 5 nomi. La cuccagna di un mondo che, per tre settimane, si allinea perfetto. Roberto Mancini, bravissimo nello scegliere quella dozzina giusta (non c’è ne erano molti di più, attorno ai due sceriffi padroni), Chiellini e Bonucci, più il Calamaro Gigante in porta e un Chiesa acceso come mai.

Una storia bella, ma fragile. Una farfalla, pressoché. 

Contro la Macedonia di giovedì, forte solo dell’umiltà del suo calcio baraccato, erano in campo sette undicesimi della Nazionale della finale di Wembley. Mancavano, guarda il non caso, Chiellini, Bonucci e Chiesa, i due leader e quello che strappa i copioni quando si fanno contorti, come Berardi, ma più lucido di lui. 

Prima e dopo le belle storie fragili, il calcio italiano è quello che è, magnifica anomalia Atalanta a parte. 

Un circo mediocre, tenuto sotto il tallone dall’avidità degli impresari, dalla megalomania tatticonoimane di allenatori sopravvalutati e dall’ego insopportabilmente pomposo degli arbitri, capaci di deformare il Var da strumento della giustizia migliore possibile a trastullo variabile dei loro umori.  

Come se ne esce? Semplice, forse troppo. Se parliamo di Nazionale, lasciare Gravina al timone, confermare Mancini e affiancarlo con due amici dal sangue caliente, due Danieli calati da quando sono al mondo nella fosse dei leoni, Adani e De Rossi. La triade perfetta, meningi, sangue e passione. 

Con loro, l’ispirazione di uno come Gianluca Vialli. Priorità assoluta: trovare subito i nuovi Chiellini e Bonucci, già Cannavaro, Maldini, Ferrara, Scirea, Gentile. Uno c’è già, si chiama Bastoni. Avvitare tutto il resto a partire da loro. E mollare i persistenti equivoci. Uno su tutti, Insigne. Pronta per lui la casetta in Canada. A Napoli sono in tanti che non vedono l’ora di non rimpiangerlo. 

Luca Beatrice per mowmag.com il 25 marzo 2022.

La sconfitta con la Macedonia del Nord spazza via ogni ricordo dell’entusiasmo post Europeo, la notte di Wembley, l’abbraccio tra Mancini e Vialli, le parate di Gigio Donnarumma, e lascia il posto alla resa dei conti per gli errori compiuti in questi mesi: insistere sul bollito Insigne, su Immobile che segna solo con la Lazio, sul far battere i rigori a Jorginho, senza rischiare sui giovani più in forma (ma portando Joao Pedro). Un’onta, la mancata qualificazione ai mondiali, che si può lavare solo in un modo: con un repulisti tra i vertici della Nazionale. O aveva colpe solo Ventura?

Il calcio, lo sport in generale, vive in un eterno presente; non ha memoria e considera la gratitudine un sentimento debole e sfigato. La seconda consecutiva eliminazione dai mondiali, questa volta a opera della Macedonia del Nord, il che presume l’esistenza di una Macedonia del Sud (sono andato su Wikipedia e ho scoperto che in questa nazione vivono circa 2 milioni di persone, meno che a Milano insomma), spazza via ogni ricordo festoso della scorsa estate: la notte di Wembley, l’abbraccio tra Mancini e Vialli, le parate di Gigio Donnarumma.

Quell’effetto trainante, una specie di nuovo miracolo italiano con la vittoria agli Europei, il record di medaglie alle Olimpiadi, il governo Draghi finalmente autorevole e capace, si è dissolto come una bolla di sapone. Troppo simile alla Sampdoria la Nazionale del Mancio, che vinse una sola volta, per culo o per mancanza di reali avversari. Era il 1990 e a parte un paio di eccezioni romane, lo scudetto non si è più mosso dall’asse Juventus – Milan – Inter. Qualcosa vorrà ben dire?

Noi (ma mi verrebbe da dire loro, sono un tifoso dunque se vinco dico noi, se perdono sono gli altri) siamo stati cacciati indecorosamente dai mondiali in Qatar - come siamo democratici a non partecipare quando le finali si svolgono in paesi dove c’è la dittatura! - e questa eliminazione un fatto positivo lo ha portato. Per qualche giorno segnaliamo un mesto ritorno alla normalità: da virologi o esperti militari e di politica estera siamo tornati tutti commissari tecnici. 

Da cose di cui non capivamo un cazzo, ma parlavamo e parlavamo disperdendo opinioni non richieste in giro, eccoci di nuovo a dissertare di formazioni, schemi, tattiche. Peccato coincida con un’altra cocente delusione, ma è nella sconfitta che gli italiani esaltano le loro specifiche incompetenze.

E allora dico la mia, come tanti. Via tutti, tutti a casa, fuori dalle palle e dai palloni. Per primo Gabriele Gravina: avesse un po’ di sale in zucca invece di continuare a sparlare della Superlega si farebbe latore di una modesta quanto intelligente proposta. Una Superlega mondiale, con le nazioni titolate sempre presenti - Brasile, Italia, Germania, Francia, Spagna, Argentina ci devono essere comunque - per titoli, prestigio e lignaggio. 

Ora ditemi se la Macedonia dovesse eliminare il Portogallo che ricaduta avrebbe sul mondiale in Qatar? Ste favole belle di Cenerentola hanno rotto, caro Gravina: il Chievo non solo non ha vinto il campionato, è pure fallito, gli scudetti se li dividono 3 club e i grandi incassi si fanno al massimo a Roma e Milano. Gravina, di calcio non capisci nulla, vai a casa.

Roberto Mancini, dimettiti. Hai fatto peggio di Ventura quindi vattene. Non solo hai insistito sul bollito Insigne, su un centravanti che segna solo con la Lazio, hai fatto battere il rigore a Jorginho, uno che nel 2006 non avrebbe scaldato neppure la panca, hai ravanato oriundi a destra e manca per arrivare a 22 giocatori senza rischiare su talenti magari acerbi ma meglio dei Joao Pedro, senza capire i messaggi del campionato. La tua onta si chiamerà per sempre Macedonia del Nord e vanificherà gli Europei, gli scudetti, la Premier. Lo show non può continuare e mi dispiace per gli spot delle Marche dove si mangia bene.

E la squadra? Attenuanti zero. Cosa è rimasto dello spirito vincente di Euro 2021? Niente, tranne il fatto che se si infortunano gli juventini (Chiesa, Bonucci, Chiellini ormai agli sgoccioli) la Nazionale non esiste. I trionfi del 1982 e del 2006, nonostante farsopoli, parlavano più bianconero che azzurro. Nel frattempo Donnarumma si è imbrocchito, pagando la scelta scellerata di Parigi, gli attaccanti del Sassuolo non possono reggere l’intero reparto - fuori Scamacca, l’avete capito? - Tonali doveva giocare da subito e Jorginho non essere mai più convocato. Gli esperti calcolano il danno economico, io sto pensando alla noia del prossimo autunno quando sarà ferma la serie A e dovremmo cercarci una squadra alternativa da tifare. Che almeno paghino il danno immenso e telefonino a Gian Piero Ventura per scusarsi. 

Da sport.sky.it il 25 marzo 2022.

"La spiegazione è molto semplice. Io da molto tempo continuo a dire che stiamo copiando il calcio di Guardiola di 15 anni fa. Facciamo un calcio che usa passaggini laterali, ad ogni contrasto ci si butta a terra, e anche una squadra mediocre come la Macedonia a livello fisico ci è stata superiore come dinamismo, forza e determinazione. 

E' tutto chiaro: fino a quando non avremo capito che il modello da copiare è quello tedesco non andremo avanti, perché se vogliamo fare come gli spagnoli, che hanno una tecnica superiore, non riusciremo mai a farlo, lo facciamo sempre al 50%. Dobbiamo copiare il modello tedesco come determinazione, gioco in verticale e in profondità". Sono le parole critiche dell'ex Ct di Inghilterra e Russia, Fabio Capello a Sky sulla sconfitta degli azzurri con la Macedonia del Nord e l'esclusione dal Mondiale in Qatar. 

"L'unica squadra che in Italia ha fatto questo e ha avuto dei successi è l'Atalanta. Se non abbiamo capito che per giocare in Europa bisogna giocare in un certo modo, rimarremo sempre indietro. Poi ci sono i settori giovanili, i pochi italiani, ma è la mentalità il problema. 

Possibile che qualsiasi attaccante arrivi in Italia fa sfaceli mentre prima era un giocatore normale? Gli arbitri che fischiano tutto continuamente, non siamo abituati ai contrasti e in Europa ti trovi davanti gente che ha un altro ritmo", ha aggiunto l'ex allenatore di Milan, Roma e Juventus. 

Pippo Russo per editorialedomani.it il 25 marzo 2022.

Dodici anni senza mondiali. Il calcio italiano viene degradato dal rango di centro a quello di periferia nella mappa del calcio mondiale e nella notte palermitana conosce la sua seconda Corea. Che stavolta si chiama Macedonia. Del Nord, come la nazionale asiatica che nel 1966 eliminò dai mondiali d’Inghilterra la squadra azzurra guidata da Edmondo Fabbri.

E se allora era stato un dentista di nome Pak Doo Ik a cacciare via la nazionale italiana dalla massima rassegna calcistica internazionale, stavolta a impedirle di mettervi piede è Aleksandar Trajkovski, un attaccante ex del Palermo che ha lasciato il segno nello stadio dove era stato di casa.

Sua è la firma sulla seconda eliminazione consecutiva dell’Italia da una fase finale dei mondiali dopo 60 anni ininterrotti di partecipazioni. Guadagnate anche in tempi in cui le fasi finali dei mondiali erano a 16 squadre e per arrivarci bisognava vincere il proprio girone eliminatorio piazzandosi avanti a avversarie di rango, e senza giovarsi del paracadute dei playoff. Invece adesso la nazionale azzurra fallisce per due volte di fila la qualificazione a una fase finale da 32 squadre.

In attesa di capire se un disastro sportivo e politico di questa portata avrà conseguenze sulla presidenza Figc di Gabriele Gravina e sul commissario tecnico Roberto Mancini, non resta che guardare all’orizzonte lungo (lunghissimo) dell’edizione extra-large del 2026, che verrà ospitata da Canada, Messico e Usa e allineerà 48 partecipanti.

Servirà più talento per farsi eliminare che per qualificarsi, ma guai a dare le cose per scontate. Perché se si guarda ai numeri di medio-lungo termine e alle tendenze che disegnano si scopre che la nazionale italiana è in declino accelerato proprio dall’anno in cui toccò uno dei suoi punti più alti: il 2006, data della quarta vittoria mondiale in Germania.

E che intorno alla rappresentativa azzurra l’intero movimento è in stato comatoso. Schiacciato da una crisi economico-finanziaria di cui non si vede l’uscita. Umiliato a ripetizione dai rovesci che i club subiscono nelle coppe europee.

E invaso da calciatori stranieri di quarta o quinta fascia, il cui solo impatto apprezzabile consiste nel sottrarre spazio ai giovani formati dal sistema nazionale, con effetti devastanti per le rappresentative azzurre.

Succede così che il 24 marzo 2022, giorno dell’eliminazione da Qatar 2022 per mano della Macedonia del Nord, faccia il paio col 13 novembre 2017, la notte in cui lo 0-0 del Meazza di Milano contro la Svezia segnò l’eliminazione da Russia 2018. Due fra le date più nere nella storia del calcio nazionale. Ma che acquisiscono ulteriore senso se associate a altre date significative nel passato recente della nazionale azzurra.

Fra queste, la prima da menzionare è il 24 giugno 2014. Il giorno dell’ultima partita disputata dall’Italia in una fase finale dei Mondiali. Si giocava a Natal e la squadra azzurra venne battuta 1-0 dall’Uruguay del professor Oscar Washington Tabarez, un signore del calcio mondiale che da allenatore del Milan venne trattato come un mentecatto qualsiasi da Silvio Berlusconi.

Decisa da un colpo di testa di Diego Godin a nove minuti dalla fine, quella partita è passata alla storia soprattutto per il morso del centravanti uruguayano Luís Suarez a Giorgio Chiellini. Una gara, quella di 8 anni fa, che fino a giovedì sera veniva catalogata come un passaggio negativo del nostro calcio.

Ma poi le cose cambiano e succede che le miserie del presente facciano sembrare meno amare quelle del passato. Tanto più che nel frattempo Luís Suarez ha compiuto una tappa italiana per affrontare un esame di lingua di cui rimangono uno strascico giudiziario e una vasta aneddotica sulla “cocumella”.

E che dal canto suo Giorgio Chiellini era ancora in campo e poi nel post-partita di giovedì sera a mettere la faccia sull’ennesimo fiasco mondiale degli azzurri. Ma soprattutto c’è che rispetto a otto anni fa passa una differenza non da poco: ci cacciavano dai mondiali a mòzzichi e testate, ma almeno ai mondiali ci andavamo. Adesso nemmeno quello, sicché si finisce col rimpiangere anche le antiche disfatte, a conferire loro un'altra vernice.

E di disfatta in disfatta si va a ritroso. Per ricordare la precedente eliminazione al primo turno della fase finale dei mondiali: Sudafrica 2010, quando la nazionale azzurra campione in carica riuscì nell’impresa di arrivare ultima in un girone mediocrissimo, le cui altre componenti erano Nuova Zelanda, Paraguay e Slovacchia.

Si arriva così a scoprire che la crisi della nazionale azzurra comincia proprio all’indomani del suo ultimo trionfo mondiale, conseguito a Berlino la notte del 9 luglio 2006 al termine della finale vinta ai rigori contro la Francia. 

Le quattro edizioni successive hanno registrato due eliminazioni al primo turno e due mancate qualificazioni alla fase finale. Una chiara linea involutiva che risultava non visibile soltanto a chi non la volesse vedere. 

E fra chi insiste a non volerla vedere vanno arruolati d’ufficio i telecronisti e commentatori Rai che a disastro appena compiuto discettavano di una Macedonia del Nord “che ha fatto soltanto un tiro in porta”.

Un argomento che intendeva essere estrema attenuante e invece certifica quanto il declino del calcio italiano abbia riplasmato la mappa mentale di chi lo racconta dall’interno di un microcosmo sempre più angusto. Il mindscape della nostra retrocessione a provincia del calcio globale.

Parte di questo giustificazionismo era alimentato dal ricordo del trionfo realizzato dalla stessa nazionale di Roberto Mancini nemmeno un anno fa, agli Europei. Un esito frutto di meriti indiscussi, ma che ancora una volta si inserisce nella tendenza complessiva di declino della nazionale azzurra. Che dopo il 2006 fallisce regolarmente l’appuntamento mondiale ma poi piazza inattesi il colpo di coda in Europa.

Fra le eliminazioni al primo turno dei mondiali 2010 e 2014 c’era stata una finale persa nel 2012 contro la Spagna in occasione degli Europei organizzati da Polonia e Ucraina. E prima che a luglio 2021 arrivasse il trionfo di Wembley si erano registrate delle onorevoli prove con eliminazioni ai quarti di finale, e in entrambi i casi dopo i calci di rigore, nelle edizioni di Austria-Svizzera 2008 (sconfitta contro la Spagna, Roberto Donadoni in panchina) e a Francia 2016 (sconfitta contro la Germania, Antonio Conte in panchina).

E bisognerebbe dedicare un supplemento di analisi per comprendere quale sia il meccanismo che porta la nazionale italiana a esibire sussulti di vitalità in ambito europeo salvo tornare a sprofondare quando c’è odore di mondiale.

Dunque adesso ci si può mettere comodi in attesa del 2026. Che segnerà il ventennale dall’ultimo mondiale disputato da Italia vera. Ci si arriverà dopo averne visti due in tv, con un sovrappiù di supplizio per l’edizione 2022 che si disputerà in pieno inverno.

Sarà uno smacco ancora più pesante dover fermare il campionato per dare spazio a un mondiale cui non parteciperemo. Almeno Russia 2018 era d’estate, e chi proprio rosicava per la mancata partecipazione poteva sempre andarsene al mare.

E invece nel periodo 21 novembre-18 dicembre 2022 non sarà così. Mondiali in piena stagione lavorativa e blocco forzato del calendario di Serie A. Impossibile far finta che non stia succedendo.

E a questo punto chissà che fine farà il vagheggiato torneo che la Lega di Serie A vorrebbe organizzare negli Usa in pieno mondiale. Chi mai volete che lo compri o lo finanzi, dopo l’ennesima disfatta del calcio nazionale?

Una disfatta che oltre alla figuraccia degli azzurri comprende il magrissimo bilancio dei club in Europa: 4 su 4 fuori dalla Champions League già a marzo (e ormai anche questa è la norma), le due qualificate dal campionato in Europa League fuori già a febbraio, con le residue presenze dell’Atalanta in Europa League (ma lì approdata in quanto eliminata dalla Champions) e della Roma nella terza coppa continentale appena inaugurata.

Del resto, cosa aspettarsi da un calcio che ha smesso di formare i suoi talenti e fa incetta di stranieri mediocri? Su questo tema si è espresso con toni allarmati il ct della nazionale Under 21, Paolo Nicolato, pochi giorni prima che la nazionale di Roberto Mancini si facesse sbattere fuori da Qatar 2022: «Se continua di questo passo dovrò convocare calciatori che giocano in Serie C».

Basta leggere ogni settimana il tabellino delle partite del campionato Primavera, piene di calciatori provenienti da ogni angolo del mondo, per farsi un’idea del fiasco formativo. Un fiasco di cui, suo malgrado, è emblema il trentenne Joao Pedro, il brasiliano del Cagliari.

Diventato cittadino italiano per matrimonio e scaraventato in campo giovedì sera nei minuti finali, come se toccasse a lui risolvere i problemi di una nazionale incapace di vincere il girone eliminatorio più facile del lotto e poi di segnare un gol ai modesti macedoni.

Una nazionale che sta a capo di un movimento così deficitario, costretta a reclutare stranieri che nel loro paese sarebbero la cinquantesima scelta, non merita di andare ai mondiali. E un movimento che dall’indomani non provi a invertire la rotta merita di inabissarsi definitivamente.

In fondo, da Tokyo 2020+1 in poi abbiamo scoperto che il nostro sport nazionale può eccellere pure in discipline che mai avremmo creduto. Il calcio italiano compia pure la sua traversata del deserto. Che detto dopo aver mancato il visto per Qatar 2022 suona pure beffardo. Ma meritato. 

Andrea Schianchi per “la Gazzetta dello Sport” il 25 marzo 2022.

Clamoroso. Pazzesco. Incredibile. L'Italia eliminata dalla Macedonia, per la seconda volta consecutiva non va al Mondiale. «Stiamo raccogliendo quello che abbiamo seminato - è il commento di Arrigo Sacchi - Parliamo tanto, ma con le parole non si risolvono i problemi. Serve una visione più ampia della questione. Prima era colpa del commissario tecnico Ventura, quando abbiamo fallito la qualificazione al Mondiale del 2018, adesso sarà colpa di Mancini: ma se continuiamo a ragionare in questo modo non arriveremo da nessuna parte». 

Resta il fatto che, dopo la vittoria dell'Europeo, la Nazionale è stata in costante calando. E' d'accordo?

«Quello che è successo a Palermo contro la Macedonia sono dodici anni che succede con le squadre di club. E' dal 2010 che non vinciamo nulla in Europa, dopo la Champions League dell'Inter di Mourinho. La Nazionale all'Europeo è stata una meravigliosa eccezione cui tutti dobbiamo essere grati perché ci ha regalato un trofeo conquistato con merito e bel gioco. Ma è stata un'eccezione, appunto, e non certo una regola. Continuiamo a comprare stranieri per i nostri club, e anche i settori giovanili sono pieni di ragazzi che vengono dall'estero: siamo sicuri che questa sia la strada giusta o, invece, non è questo il vero problema?». 

Che cosa fare, adesso?

«Il presidente Gravina è un uomo competente, dovrà analizzare la situazione con freddezza e non farsi prendere dall'emozione del momento. Spero che non intenda risolvere tutto mandando via il commissario tecnico. Il guaio è più grave, molto più grave. Il calcio italiano soffre di arretratezza culturale, non ci sono idee nuove. Le altre nazioni si evolvono e noi siamo rimasti a sessant' anni fa. Lo dico chiaramente: i meno colpevoli di questa situazione sono i giocatori e l'allenatore. Qui il problema è "istituzionale"». 

Che cosa intende?

«Mi spiego, e forse mi ripeto: i settori giovanili sono pieni di stranieri comprati come fossero stock di frutta e verdura, le società sono piene di debiti, le squadre non vincono nulla fuori dall'Italia e nessuno alza la voce per dire qualcosa? All'estero corrono, costruiscono centri federali, si dà supporto alla crescita dei giovani. Noi no. Perché?».

Esiste anche un problema nel campionato di Serie A?

«Decisamente sì. I ritmi del nostro campionato sono ridicoli. Provate a guardare una partita inglese, o spagnola, o tedesca. I giocatori vanno molto più forte, si abituano nelle loro nazioni al livello europeo. Qui da noi gli arbitri fischiano troppo, le azioni sono sempre interrotte. Come si fa a giocare in questo modo? Torno a dirlo: siamo arretrati, e non soltanto nel calcio. Io voglio bene al calcio, e al calcio italiano in particolare, ma bisogna essere onesti: non ci sono idee. Prima cosa: dobbiamo insegnare ai ragazzi a giocare, non andiamo insomma sempre ad affidarci al salvatore della patria che magari arriva pure dall'estero...». 

Nello specifico, che cosa è mancato contro la Macedonia del Nord?

«Mancavano giocatori in forma, e questo è stato il problema principale. L'Europeo lo abbiamo vinto da eroi, a Palermo di eroi non ce n'erano. E secondo me, nella testa, c'era anche un po' di paura, di mancanza di sicurezza o di fiducia nei propri mezzi: possibile che tutti i tiri siano finiti alti? Lì servivano un po' di concentrazione, un po' di determinazione, un po' di cattiveria agonistica. Ma non diamo colpe ai giocatori, loro hanno fatto il massimo e all'Europeo hanno compiuto un autentico miracolo». 

Dato per scontato che ci sarà un'analisi approfondita da parte della Federcalcio, quali saranno i prossimi passi?

«A me hanno sempre insegnato che si deve imparare da chi le cose le sa fare bene. Allora andiamo a vedere com' è il calcio spagnolo, o com' è il calcio inglese. Proviamo a vedere come sono stati ottenuti certi risultati, soprattutto la Spagna a livello di nazionale, e non aggrappiamoci sempre ai nostri vecchi pensieri, non pensiamo di risolvere i problemi cambiando le persone. È l'approccio, è la mente che va cambiata».

Certo che mai nella storia del calcio l'Italia ha saltato due edizioni consecutive del Mondiale. La botta è difficile da assorbire.

«È una botta terribile, un colpo da ko dopo il quale è complicato rialzarsi. Però dobbiamo provarci, e non cercando una scorciatoia, che è la nostra specialità della casa. Le scorciatoie e le furbizie, in tutti i settori e non soltanto nel calcio, ci hanno portato a questo punto. Vogliamo proseguire in questa direzione o vogliamo invece cogliere l'occasione per un vero rinnovamento? Che, lo ripeto ancora una volta, deve essere prima di tutto culturale. Evolversi significa conoscere, lavorare, sacrificarsi e sapersi mettere in discussione». 

Da tuttomercatoweb.com il 25 marzo 2022.

Fabio Caressa, giornalista di SKY, ha parlato dopo la sconfitta per 1-0 contro la Macedonia del Nord. "Alcuni giocatori non hanno dimostrato di essere a livello internazionale, rimane il miracolo degli Europei perché, a sto punto, è un miracolo. La serie di avvenimenti che sono arrivati dopo vuol dire che questo è il tuo livello. Ti segna Trajkovski che giocava in Italia quando il livello era più alto".

Il giornalista Fabio Caressa dallo studio di Sky Sport ha commentato così l’eliminazione dell’Italia dalla corsa ai Mondiali di Qatar 2022: “Peggior risultato sportivo del calcio italiano, peggio anche della Corea, almeno lì eravamo ai Mondiali. Nello sport contano i risultati, non la filosofia. Questo è un fallimento e se fossi in Mancini mi dimetterei. Ci ha fatto vincere l’Europeo e gli saremo tutti riconoscenti e non puoi dire dopo un fallimento simile che domani si riparte come niente fosse. Perché il domani è fra quattro anni”.

Il giornalista Fabio Caressa dallo studio di Sky Sport ha commentato così l’eliminazione dell’Italia dalla corsa ai Mondiali di Qatar 2022: “In Champions League passano Villarreal, Atletico Madrid e Benfica che fanno catenaccio come la Macedonia. Il calcio è molto più semplice di quel che pensiamo, ci facciamo troppe pippe mentali sul gioco, la tattica eccetera. Se poi ti tradisce l’uomo che deve andare via e segnare allora poi salta tutto e vai fuori”.

Fabrizio Roncone per il “Corriere della Sera” il 25 marzo 2022.

Che botta. Eccoci nel pozzo nero del calcio. Di nuovo giù. In fondo. Esclusi, anche stavolta, dai Mondiali. Ebbrezza che brucia ogni pensiero logico. Cronaca battente. Lo sguardo scorre sul prato del Renzo Barbera: Donnarumma in ginocchio, Florenzi che sembra svenuto. Raspadori e Verratti a capo chino. Chiellini con gli occhi pieni di lacrime. Immagini in dissolvenza. 

Voci di cronisti. «A Barella quanto diamo in pagella?». Dagli 2, dai 2 a tutti. «Guarda Mancio: che fa?». Va a stringere la mano al tecnico macedone. Ma il passo è incerto. Stordito pure lui. Come noi, come chiunque. La prima cosa che viene da scrivere, a caldo, è che con un po' di onestà intellettuale dovremmo però ammettere di essere stati comodi dentro il suo struggente inganno: ci ha fatto vincere il campionato Europeo - lui: da solo - lasciandoci credere di essere davvero pieni di luce, forti, a tratti irresistibili. Ci ha trascinato nel suo mondo pieno di ambizione e orgoglio, ottimista, prepotente quasi per destino. La notte di Londra, questa di Palermo: Mancini, adesso, si prepari a crudele irriconoscenza, l'invidia covata esploderà come un bubbone. Però stasera poteva farci poco. Sono i calciatori che vanno in campo.

Non abbiamo campioni, nemmeno mezzo fuoriclasse: sarebbe cambiato qualcosa con Belotti e Zaniolo? Ci vuole coraggio a dirlo. Del resto i primi appunti - dopo venti minuti - raccontano: Macedonia di una modestia assoluta. È francamente umiliante essere finiti a giocarci contro. Dentro una provvisorietà certa i nostri palleggiano calmi. Bene Verratti, benino Jorginho. Molto larghi Berardi e Insigne. Cerchiamo di girare intorno alla difesa avversaria. Nascono mischioni tipo torneo di calcio estivo, con quelli dei Bagni Piero (i macedoni) che spazzano via senza ritegno. La cosa più giusta da scrivere è che dovremmo avergliene segnati già almeno tre. Ma sono pensieri di pura frustrazione. I nostri tiri sono sempre murati.

Sulla Moleskine c'è scritto che Mancini si alza e urla a Barella di provare a entrare in verticale. Ha tiro, che ci provi anche da fuori. Ma Barella sta come sta, e comunque il pallone buono arriva improvviso sui piedi di Berardi. Il loro portiere ha un colpetto di follia e glielo appoggia piano: Berardi pensa a un'allucinazione, così stoppa dolce ma non ci crede, carica e gli viene fuori uno straccio. Uno scarabocchio con il pennarello: butta male. Lentamente sprofondiamo dentro un calcio cupo, improvvisamente complicato, senza luce, senza allegria. Nell'area piccola arriviamo molli, o confusi. Immobile? Lasciamo stare. È uno che vuole la palla in campo aperto. Insigne? Spento. Il nostro cittì scuote la testa. Si volta e dice qualcosa a Vialli. Nervosismo? Ancora no: però è chiaro che qualcosa non sta funzionando. La faccenda si complica. Il pubblico intuisce, ci mette qualche ruggito di puro affetto.

Però, insomma: che ansia (e non aiuta arrivare all'intervallo sapendo che il Portogallo sta mettendo sotto la Turchia). I ricordi del secondo tempo sono strappi di efferata angoscia, tutta sofferenza meritata. Occhiate all'orologio. Presentimenti nefasti. Verratti al volo: fuori. Ci prova Berardi: parata. Azzurri elettrici. Non lucidi. Psicodramma possibile. Imprecano due tifosi qui sotto. «Mancio, dai, cambia Insigne!». La tribuna è molto in alto, c'è una bolgia, escluso che il nostro tecnico possa aver sentito: però, dopo tre minuti, Insigne esce ed entra Raspadori. Uno che all'Europeo giocò pochissimi minuti. Ecco, però, magari. 

Entriamo nella dimensione del sortilegio. Chissà cosa sta pensando, davanti al televisore, Gian Piero Ventura. È vita, è sport, non c'è statistica: ai Mondiali rischiamo di non andare nemmeno stavolta. Meglio cominciare a prendere in seria considerazione questa possibilità (okay, va bene, ammesso: stiamo sprofondando nella scaramanzia più volgare). Non tutti. Non i palermitani. Che, meravigliosi, attaccano a cantare l'Inno nazionale.

Moleskine, altro scarabocchio: qui le proviamo tutte. Mancini toglie Barella e Immobile, mette Tonali e Pellegrini. Raspadori va a fare il centravanti. Mancano dodici minuti, più il recupero. Quelli dei Bagni Piero annusano il colpaccio di arrivare ai supplementari. Esce Berardi ed entra Joao Pedro. Fuori anche Mancini e dentro Chiellini. La zampata dell'esordiente e l'esperienza di Giorgione. Il cittì cala le ultime carte. Poi il gol della Macedonia. Avete visto, che roba, santo cielo.

Aldo Cazzullo per il “Corriere della Sera” il 25 marzo 2022.

È la Caporetto del nostro sport. Eliminati da una nazione, la Macedonia del Nord, di cui molti non conoscevano l'esistenza. Un disastro che chiama in causa tutti: atleti, allenatore, staff, federazione, e il movimento calcistico nel suo complesso. La vittoria degli Europei non si cancella, è evidente. E nel calcio moderno basta perdere tre uomini decisivi - Chiellini, Bonucci, Chiesa - e averne altri fuori forma - Barella, Immobile, Jorginho - per ritrovarsi con un esito opposto.

Se il trionfo di Londra era frutto di una congiuntura astrale irripetibile, anche questo tonfo è il risultato di una serie pazzesca di occasioni perdute, di errori evitabili, di colpi di sfortuna. Ma lo sport nazionale non può essere affidato al caso; perché il caso prima o poi ti volta le spalle. Il calcio italiano ha toccato il livello più basso di sempre. Peggio delle sconfitte con la Corea del Nord nel 1966 e con la Corea del Sud nel 2002.

Peggio dei disastrosi Mondiali in Sud Africa e in Brasile. La Nazionale fuori dalla competizione più importante per la seconda edizione consecutiva. Tutti i club eliminati dalla Champions già agli ottavi, con quello più rappresentativo, la Juventus, sconfitto in casa 3 a 0 da una squadra che è settima nella Liga spagnola. 

Il Milan capolista ha due centravanti che contano quasi ottant' anni in due; l'Inter campione d'Italia nella Premier inglese sarebbe forse ottava. E stiamo parlando di squadre dove gli italiani titolari sono due o tre al massimo; non a caso ieri nei momenti cruciali avevamo in campo l'attacco del Sassuolo. Buoni calciatori, ma del tutto privi di esperienza internazionale. 

E forse lo stesso Mancini, dopo la divina sorpresa in Inghilterra, ha perso concentrazione, e si è compiaciuto troppo di se stesso. Ma le Caporetto non hanno mai un solo responsabile. Tutto il calcio italiano è da ripensare. Troppa tattica, poca tecnica. Stipendi troppo alti rispetto al valore e al rendimento, poca cultura calcistica. 

E troppo potere ai procuratori. La parabola di Donnarumma - che per inseguire superstipendi ha lasciato il suo ambiente naturale ed è andato a cacciarsi nei guai - è purtroppo esemplare. Ora è il momento di ricostruire tutto - stadi e vivai, mentalità e scuole per i tecnici - partendo dai giovani; anche da quei nuovi italiani che ieri sera sono mancati pure loro alla prova. Ricordando quel che diceva Borges: «Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per strada, ricomincia la storia del football».

Mario Sconcerti per il “Corriere della Sera” il 25 marzo 2022. 

La prima cosa da evitare adesso è il Grande Gesto di Mancini. Non servono martiri adesso, e nemmeno gentiluomini esasperati. Dico a Mancini che non è colpa sua. Che sarebbe un sacrificio inutile. Se vuole andarsene, vada, se qualcuno lo vuole cacciare, lo cacci. Ma il suo dovere è con la gente, un rapporto costruito in decine di partite senza sconfitte, di radicamento, perfino di tanta retorica, tutto ha sempre detto che non era per una notte, che è giusto andare avanti. 

La sua Italia è stato l'unico successo in mezzo a dodici anni di sconfitte e beffe terribili di tutto il nostro calcio. Non ricominciamo sempre da capo. Siamo dentro un momento così confuso da non poter dare torto o ragione a nessuno. Oggi è già difficile capire cosa stia accadendo, uno strano tempo in cui il presente non c'è più e l'Italia sarà senza partite reali per più di un anno. Oggi non si può andare via, oggi si deve ragionare, capire cosa rimane nel fondo del calcio italiano, serve una riflessione complessiva.

Non ha perso solo l'Italia di Mancini, ha perso una straordinaria azienda nazionale che non sa più riconoscere se stessa. E non riesce a capire il perché di questo lungo declino. Lippi perse il Mondiale e coprì tutto con le sue dimissioni immediate. Prandelli uguale, Ventura anche. Non una spiegazione, non un parere. Non è dignità questa, è voglia di essere dimenticati in fretta, investire sul silenzio. 

Non abbiamo bisogno di una nuova fuga. Non vinca adesso la rabbia, non si aprano le vendette o i casi personali. Quelle sono cose da campionato, dove tutto muore e ritorna ogni domenica. Ma l'Italia è la somma di troppe sentimenti. Il commissario tecnico Mancini è stato molto più di un allenatore. Non è stato il tecnico a essere sbagliato, è l'intero nostro calcio a non reggere più, a fare troppa fatica.

È sbagliata l'idea di calcio che è stata costruita per tutti noi da pochissime persone, questa specie di superlega italiana dove tanti diritti sono annullati e niente viene mai davvero discusso, cambiato. Siamo in un deserto dove stanno arrivando i tartari, ancora sei mesi e le società non saranno più a maggioranza italiane. 

Abbiamo bisogno di rifondazioni continue, di continue nuove leggi che fermino per sei mesi sempre nuovi problemi. Nessuno, Mancini, costruisce più. Tutti scappano. Lei ha un contratto, lo rispetti. Noi capiremo. Se ricominciamo da uno possiamo arrivare al secondo scalino, poi forse al terzo. Abbiamo appena capito che lei non è una garanzia. Nessuno ci può salvare, abbiamo solo bisogno di un nuovo inizio. E abbiamo noi il diritto di scegliere, non lei. Questa è la vera responsabilità.

Alessio Pediglieri per fanpage.it il 25 marzo 2022.

Trentacinque tiri, zero gol. La partita contro la Macedonia si può tristemente racchiudere in questa statistica che indica la oramai cronica incapacità degli azzurri a trovare la via del gol. Perduta, come i Mondiali in Qatar, un fallimento irrimediabilmente concretizzatosi al 92′ con il tiro a fil di palo di Trajkovski dove Donnarumma si è allungato, senza arrivarci. 

Così come l'Italia che non arriverà all'appuntamento che già quattro anni fa svanì sotto la gestione di Ventura, crollata sotto i colpi svedesi e oggi, davanti alla mediocrità di una avversaria che di tiri in totale ne ha fatti solo 4, di cui uno, però, nel modo giusto.

Proprio questo è il motivo per cui oggi l'Italia intera piange un secondo Mondiale consecutivo da esclusi e, forse, ancor più doloroso non solamente perché non ci saremo da campioni d'Europa in carica, ma anche perché nella kermesse qatariota del prossimo dicembre, tutto si fermerà e con la distrazione del campionato che non c'è, sarà ancora più drammatico dover assistere in poltrona le avventure altrui.

Demerito di un gruppo che si è piano piano – ma inesorabilmente – consumato dalla notte di Wembley fino ad arrivare a quella di Palermo in preda ai propri fantasmi. 

Inutile girarci intorno, l'Italia è stata eliminata perché non sa più segnare: onore alla Macedonia che ha svolto una gara di lotta e governo, sfruttando l'occasione giusta al momento giusto e che adesso ha il legittimo sogno da cullare per beffare un'altra grande, il Portogallo di Ronaldo che ha pur stentato con la Turchia.

Gli azzurri possono e devono recriminare solamente nei confronti di se stessi e per avere palesato in oltre 90 minuti una evidente incapacità di andare in gol. La fotografia è quella di Domenico Berardi che a porta vuota accompagna il pallone tra le braccia di Dimitrievski al 30′, dopo che lo stesso portiere macedone aveva a suo modo imitato Donnarumma in Real Madrid-Psg regalando il pallone agli avversari e consegnandosi alla sconfitta. 

Il bomber del Sassuolo, che in campionato sta facendo faville con 14 gol all'attivo e ben 10 assist che ne fanno tra i più prolifici attaccanti italiani del momento, dietro al solito Immobile, è la cartina tornasole della nostra qualità in campo internazionale: quando si tratta di giocare in Serie A fenomeni, poi assoluti comprimari oltre i confini.

Berardi, insieme a Immobile e a Insigne, a Jorginho e Verratti, non è mai riuscito a scardinare la difesa macedone creando vere occasioni pericolose, con l'Italia che ha sempre tenuto il colpo in canna, inceppandosi puntualmente davanti ad un bersaglio mai mirato con convinzione. Probabilmente sono state determinanti anche le scelte di un Mancini in balìa di se stesso, con 10 esclusioni dal novero dei 23 che avevano fatto (e faranno ancora) discutere. 

Una disfatta che ha il sapore di un viaggio senza ritorno: è caduta anche l'ultima roccaforte azzurra, quel ‘Barbera' che tanto aveva fatto sperare i tifosi, accorsi a occupare, per la prima volta dopo l'inizio della pandemia, uno stadio al 100% della sua capienza. E che parte da lontano: senza contare la ‘bolla' degli Europei vinti, lo scenario azzurro era desolato e desolante ancor prima della sfida alla Macedonia.

Si arrivava con i quattro miseri pareggi nelle ultime cinque uscite nel girone delle Qualificazioni contro Bulgaria, Svizzera e Irlanda e quei due miseri gol (Di Lorenzo e Chiesa), con un'Italia che ha annoverato sempre al 90′ il totale dei tiri in porta in doppia cifra (fino ai 27 nell'1-1 con i bulgari) senza mai raccogliere (quasi) nulla. 

Il punto non è che l'Italia non ci abbia provato nella notte del ‘Barbera', anzi. È proprio questo il discorso (e il problema): i 35 colpi (a vuoto) ne sono testimonianza e nel quarto d'ora decisivo, e in vista dei supplementari, abbiamo finito con tutte le armi da fuoco in campo, cambiando gli attori, inserendo Raspadori e Joao Pedro, Lorenzo Pellegrini e Tonali, in cerca del gesto risolutore. 

Nulla di tutto ciò è arrivato e se si pensa che in tribuna sono rimasti a guardare allibiti i vari Belotti, Zaniolo, Scamacca, che il gruppo in campo (tolta una difesa dimezzata) era lo scheletro della cavalcata europea, l'amarezza e la convinzione che qualcosa di più e meglio si sarebbe potuto (e dovuto) fare, resta. Perché a volte provarci non basta, bisogna riuscirci.

Da ilnapolista.it il 25 marzo 2022.

A pesare, sull’esclusione dell’Italia dal Mondiale, è stato soprattutto il rendimento dei trentenni: Immobile, Insigne e Jorginho. Lo scrive, su Libero. Claudio Savelli, che indica come unica eccezione Verratti, ma unicamente nei primi 45′ di gioco. 

“Pesa l’idea di un secondo Mondiale mancato, non a caso soprattutto sui trentenni che nel precedente erano all’apice e che nel prossimo vedono l’ultima occasione, ovvero Immobile, Insigne e Jorginho. Deludono infatti tutti e tre. Verratti è l’eccezione che conferma la regola, ma solo nel primo tempo”. Soprattutto, l’Italia ha avuto paura di perdere. In questo si misura la stoffa dei calciatori.

“Il calcio ricorda che le partite vanno giocate, soprattutto quelle in cui hai tutto da perdere. L’Italia ha perso quando ha avuto paura di non farcela. È qui e ora che si misura la stoffa dei giocatori, quando c’è tutto da perdere, non quando si può vincere ciò in cui non si sperava come a Wembley. E la risposta è ambivalente, deludente per i leader, discreta solo per i più giovani o i nuovi volti come Mancini e Bastoni, cioè coloro che fino a questa sfida erano stati ignorati, e Raspadori dopo l’ingresso. Si poteva osare, si doveva, accettando con umiltà che la finale dell’Europeo ha chiuso un ciclo, seppur i giocatori siano gli stessi”. 

L’artefice della sconfitta è stato Mancini, che non si è reso conto che era necessario puntare sui “nuovi”.

“È il dazio dell’identità assoluta, ti porta in alto ma poi diventa una vertigine. Nella ripresa diventa chiaro che questa Nazionale è ormai vittima di se stessa, non capisce il motivo per cui non segna più nonostante il gioco sia lo stesso di quando banchettava. Serviva cambiarla, se è vero che i “nuovi” sono i migliori. Magari prima dell’80′, quando Mancini inserisce Pellegrini e Tonali, e gli scheletri sono già usciti dall’armadio. Invece il ct ha fatto tutto il contrario, entrando nel panico con l’illogico ingresso di Chiellini e Joao Pedro nel finale. Ha peccato di riconoscenza. Così da artefice del trionfo è diventato autore del tonfo”.  

Cristian Giudici per calciomercato.com il 25 marzo 2022. 

Lo strano caso del dottor Jekyll e di mister Hyde. Ciro Immobile incarna pregi e difetti del calcio italiano. L'attaccante della Lazio ha già vinto per tre volte il titolo di capocannoniere della Serie A (2014, 2018 e 2020) e in questo campionato è in testa alla classifica marcatori con 21 gol insieme a Dusan Vlahovic.

Finora con la maglia biancoceleste ha segnato 176 reti in 253 presenze con una media di un gol ogni 118 minuti giocati. Invece in Nazionale è a quota 15 reti in 55 presenze con una media di un gol ogni 253 minuti.

La sua ultima rete in azzurro è quella segnata a giugno dell'anno scorso nella vittoria per 3-0 con la Svizzera nel girone dell'Europeo, poi è rimasto a secco per 7 gare. Compresa quella stregata di ieri sera a Palermo contro la Macedonia del Nord, che ha condannato l'Italia all'eliminazione dal Mondiale in Qatar.

Si tratta della seconda grossa delusione per Immobile, in campo anche nella doppia sfida con la Svezia del 2017.

A questo punto la domanda sorge spontanea: come si spiega questa netta differenza di rendimento a livello realizzativo? Le risposte non sono così difficili da trovare. Innanzitutto in Serie A ci sono diverse squadre di basso livello che (specialmente nella prima metà della stagione) provano a giocarsela a viso aperto contro chiunque lasciando più spazi per le ripartenze, a differenza della tattica all'italiana con catenaccio e contropiede adottata dalla Macedonia del Nord.

E poi tutta la Lazio (compresi Luis Alberto e Milinkovic-Savic) gioca per Immobile, che invece in Nazionale deve giocare più per la squadra e non è il rigorista. Dettagli non di poco conto.

Dagospia il 25 marzo 2022. DA CAMPIONI A COGLIONI - LA DISFATTA AZZURRA A PALERMO CONTRO LA MACEDONIA DEL NORD RIEMPIE LE PRIME PAGINE DEI GIORNALI ITALIANI ED ESTERI - LA "GAZZETTA DELLO SPORT": "FUORI DAL MONDO" - IL "CORRIERE DELLO SPORT": "ALL'INFERNO" - "L'EQUIPE": "ANCORA UN FIASCO" - IL "MIRROR": "MAMMA MIA"

Chiara Pizzimenti per vanityfair.it il 25 marzo 2022.

C'è chi ne fa una questione di karma: gli inglesi avranno ancora tanta pasta da mangiare, ma a noi la Macedonia c'è rimasta sullo stomaco. C'è chi pensa a principesche maledizioni: noi tutti a preoccuparci del piccolo George e invece lui meditava la vendetta in forma di macumba servita, ovviamente fredda, in una coppa di Macedonia. I social si sono riempiti di meme dopo la sconfitta azzurra nella prima partita dei play off per la qualificazione al Mondiale 2022 in Qatar.

L'Italia è stata battuta dalla Macedonia del Nord per 1 a 0 e saranno i macedoni a giocarsi con il Portogallo il posto per la Coppa del Mondo. La nazionale italiana resta a casa per la seconda volta consecutiva, cosa mai successa nella storia del nostro calcio.

I meme si sprecano: da chi sperava di morire prima a chi ringrazia il cielo di aver visto il 2006 perché è chiaro che difficilmente ricapiterà, di certo non quest'anno. Chi la prende in ridere dice che è una scelta: siamo per il boicottaggio, prima la Russia e poi il Qatar. E c'è chi sfodera le profezie di Ventura.

Da sport.sky.it il 25 marzo 2022. 

La sconfitta degli azzurri di Roberto Mancini ad opera della Macedonia del Nord campeggia sulle prime pagine dei giornali italiani e trova spazio in quelle di quotidiani e home page di mezzo mondo. "Maledizione Mondiale", "All'Inferno", "Ancora un fiasco" alcuni dei titoli scelti per commentare la debacle della Nazionale a Palermo.

Da open.online il 25 marzo 2022.

Per la seconda volta di fila, l’Italia non si è qualificata ai Mondiali. Al Barbera di Palermo gli Azzurri di Roberto Mancini sono stati battuti 1-0 dalla Macedonia del Nord. Gol di Aleksandar Trajkovski, attualmente in forze a un club della Saudi Professional League. Una sconfitta inattesa per i campioni degli Europei. Se le bacheche social degli italiani si sono riempite di post tendenti alla disperazione, in Inghilterra soffia un’aria leggermente diversa.

Qui si registrano diversi utenti che nelle sventure italiche hanno visto la giusta vendetta a quel trofeo soffiato nel luglio della scorsa estate, quando a Londra gli Azzurri hanno sconfitto la nazionale di casa ai rigori. La battuta più diffusa è «You’re staying at home», versione riadattata di quel «It’s coming Rome» con cui gli Azzurri avevano salutato l’arrivo del trofeo in Italia. A onor di meme, «It’s coming Rome» era a sua volta un riadattamento di «It’s coming home» brano diventato l’inno della nazionale inglese. Ma su Twitter c’è un po’ di tutto, compresi i saluti della regina Elisabetta II, i “Bye Bye” degli Nsync e una versione capovolta del meme in cui Chiellini trattiene Bukayo Saka.

 Ma i bambini lo guardano? Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 25 marzo 2022.

Dopo l’indigestione di Macedonia e la seconda bocciatura consecutiva, ho pensato: stiamo allevando la prima generazione che crescerà senza avere mai visto l’Italia ai Mondiali. Poi mi sono chiesto: ma gliene importerà qualcosa? L’altra sera avevo tre ragazzini a cena e appena ho detto «sta per cominciare la partita» mi hanno risposto all’unisono: «Quale partita?». Alla loro età, per me la Nazionale era una festa, come il dolce della domenica. Ricordo quando mi nascosi dietro la porta dello studiolo di papà per spiare Italia-Germania 4 a 3, che un fuso balordo aveva collocato a mezzanotte, orario tabù per un bambino. Allora si andava allo stadio almeno due volte al mese e si giocava a pallone tutti i giorni: nei prati con quello di cuoio e nei cortili con quello di plastica per non ammaccare le auto parcheggiate, ma tanto i proprietari si arrabbiavano lo stesso. Gli allenatori potevano pescare su una base immensa di praticanti destinati a rimanere comunque nel giro, in veste di tifosi. Ma come può un bambino di oggi appassionarsi a un gioco a cui non gioca per strada e che vede ormai quasi solo in tv, per giunta liofilizzato negli «highlights»? Si dirà: è così ovunque. Di sicuro è così qui. I fuoriclasse non sono programmabili, ma i buoni giocatori e i tifosi del futuro sì: sono il frutto di un movimento di massa che non esiste più. Il calcio di oggi è una bolla di denaro poggiata sul nulla. Dopo di che, se Berardi non la mette dentro neanche a porta vuota…

Spogliatoio Italia-Macedonia: sigarette, avanzi di cibo, rifiuti. La vergogna azzurra. Andrea Sereni su Il Corriere della Sera il 26 Marzo 2022.

Un video mostra le condizioni (pietose) in cui la Nazionale ha lasciato il suo spogliatoio del Renzo Barbera dopo la sconfitta contro la Macedonia. 

Cartacce, bottigliette d’acqua aperte, dei ciuffetti d’erba, buste di plastica, rimasugli di una crostata smangiucchiata, un cesto di spazzatura stracolmo e lì accanto posate e avanzi di cibo poco distinguibile. In bagno cicche di sigarette. Così la Nazionale ha lasciato uno degli spogliatoi del Renzo Barbera di Palermo , la notte di giovedì 24 marzo in cui è stata eliminata dalla Macedonia del Nord nella corsa ai Mondiali. La mattina dopo gli addetti alla pulizia dello stadio hanno trovato le stanze affidate agli azzurri come se fossero finite in un ciclone. Tutto per terra, rifiuti di ogni genere, da cartoni vuoti alle bucce di arance, un vassoio (magari di cannoli) vuoto. Sporco, sparpagliato, un delirio di sciatteria. E una mancanza di rispetto.

Quando Roberto Mancini, gli occhi rossi che trattenevano a fatica le lacrime, si è presentato ai microfoni della Rai, nel post partita, si sentivano anche le urla di gioia che arrivavano dallo spogliatoio della Macedonia. Nulla da quello italiano, all’apparenza silente. In realtà le stanze affidate agli azzurri sembrano come attraversate da un uragano. Non il gol di Trajkovski, non una sconfitta che non può essere utilizzata come alibi.

Un video, girato da un addetto alle pulizie poche ore dopo, mostra come è stato ridotto lo spogliatoio dall’Italia. Sul pavimento c’è di tutto, sul tavolo un bottiglione di succo di frutta, metà crostata, alcuni pezzettini sbriciolati un po’ ovunque. E poi un cesto di spazzatura, un po’ lì e un po’ per terra. Anche i bagni sono in condizioni pietose, ci sono avanzi di cibo anche vicino al lavandino, una cicca di una sigaretta, la cenere, bottigliette aperte, qualche pozzanghera qua e là. Una brutta figura, ne avremmo fatto volentieri a meno. Bastava la partita.

Lo stadio Barbera, sintesi plastica di una idea di calcio vecchia e in agonia. Fabrizio Roncone su Il Corriere della Sera il 26 Marzo 2022.

L’impianto dove la Nazionale ha giocato il playoff contro la Macedonia del Nord è preistorico: fatiscente, con mura marce, gradoni insicuri, bagni infetti, una sala stampa con neon ingrigiti. Non ci meritiamo neanche stavolta i Mondiali.

Tutti a spiegare la baracca del calcio italiano (inteso come sport, movimento, sistema, industria, business). Ma se vogliamo una sintesi plastica, tremenda e oggettiva, di quanto siamo inguaiati, è sufficiente restarcene a Palermo. Nel ricordo di giovedì notte. Con la turpe partita degli azzurri sul campo e poi anche e soprattutto con il colpo d’occhio su ciò che c’è fuori.

Sulle tribune e nella pancia del Renzo Barbera, già gloriosa Favorita, luogo designato dalla Federcalcio per l’indimenticabile spareggio: uno stadio preistorico per gli standard europei, pietrificato ai Mondiali di Italia 90 (come, del resto, molti altri impianti). E quindi fatiscente. Con mura marce. Pozzanghere di melma giallastra. Balaustre rugginose. Gradoni insicuri. Fili elettrici penzolanti. Bagni infetti: un water per mezza tribuna, la porta scassata, lo sciacquone scassato, e donne e uomini avvolti nei tricolori dentro la stessa, mortificante fila. Che si congiunge a quella del bar, una specie di bar. Cannoli serviti a mani nude, l’incasso in nero, una cassetta colma di banconote, una tipa sfacciata: «Qui di scontrini non ne facciamo. Lo vuole o no, il caffè?».

Alla fine il cittì Mancini (fragile, stordito, un pianto imminente) e il presidente Gravina (barcollante, maschera di rughe profonde, la voce afona) vengono condotti in una stanza che dovrebbe essere la sala stampa: pareti con la carta strappata, tanfo di chiuso, neon ingrigiti, steward che fumano, un vigile urbano che mangia il suo trancio di sfincione, mascherine abbassate, bottigliette rovesciate, sedie sbilenche come nemmeno in una sala giochi di Bogotà.

Questo è lo stadio della quinta città italiana. Questo è il nostro calcio. E allora no, non ce li meritiamo nemmeno stavolta i Mondiali . Ma non solo perché, a ripensarci, forse Pellegrini e Tonali e magari Scamacca avrebbero potuto giocare dall’inizio. È la nostra idea di pallone che è vecchia, malata, in agonia.

Lo spogliatoio sporco di Palermo e il giallo dei cannoli. Gli Azzurri vittime di una trappola? Alessandro Bocci su Il Corriere della Sera il 29 Marzo 2022.

Le indecenti condizioni dello spogliatoio azzurro sono state uno spettacolo imbarazzante: ma c’è il sospetto che il filmato sia una vendetta organizzata da chi aveva chiesto un esagerato numero di magliette e felpe. 

Non è stata una bella figura. La Nazionale chiede scusa come ha lasciato lo spogliatoio di Palermo dopo la partita con la Macedonia. «È stato un grosso errore», precisa Leonardo Bonucci, il vice capitano. Ma gli azzurri e la Federazione si sentono anche vittime di una specie di trappola.

La storia è presto raccontata: sui social compare un video in cui vengono documentate le indecenti condizioni dello spogliatoio azzurro. Uno spettacolo imbarazzante: «Abbiamo colpevolmente sottovalutato la questione», la voce ufficiale della Figc. La fretta di prendere il charter e la rabbia per la sconfitta non non possono giustificare la maleducazione (QUI il commento di Roncone). La Figc ha chiamato il Palermo per scusarsi: «Non è nostra abitudine lasciare lo spogliatoio in condizioni simili». Ma qualcosa non torna: «La prossima volta chiederemo più attrezzature per buttare i rifiuti perché nel filmato c’erano cose che non ci appartenevano».

Cannoli spiaccicati e bucce di banane. Il sospetto è che il filmato sia una vendetta organizzata da chi aveva chiesto un esagerato numero di magliette e felpe. «Chiediamo scusa e faremo più attenzione», dice Bonucci. Resta la figuraccia e le scuse sono il minimo sindacale.

Alessandro Bocci per corriere.it il 28 marzo 2022.

Non è stata una bella figura. Un’altra sconfitta dopo quella, crudele, sul campo. La Nazionale chiede scusa per come ha lasciato lo spogliatoio di Palermo dopo la partita con la Macedonia. «Chiediamo scusa, è stato un grosso errore», racconta Leonardo Bonucci, vice capitano dopo Chiellini e capitano del futuro visto che a fine stagione Giorgio lascerà la maglia azzurra presente alla conferenza stampa in cui Roberto Mancini ha annunciato che resta come ct. 

Ma gli azzurri e la Federazione si sentono anche vittime di una specie di agguato. La storia è presto raccontata: compare un video, che fa in fretta il giro dei social, in cui vengono documentate le indecenti condizioni dello spogliatoio azzurro allo stadio Barbera. Uno spettacolo imbarazzante: «Abbiamo colpevolmente sottovalutato la questione», la voce ufficiale della Figc. La fretta di prendere il charter per rientrare a Firenze e la rabbia per la sconfitta non possono giustificare la maleducazione.

La Figc ha chiamato il Palermo calcio per scusarsi «perché non è nostra abitudine lasciare lo spogliatoio in condizioni simili». Ma qualcosa non torna, così fanno notare gli azzurri: «C’è un grosso punto interrogativo», racconta Bonucci, che la mette anche sull’ironia: «La prossima volta chiederemo più attrezzature per buttare la roba anche perché nel filmato c’erano cose che non ci appartenevano». La stessa osservazione che fanno in Figc. Nelle immagini ci sono bucce di banane sparse nello stanzone e cannoli spiaccicati in terra. «E nessuno ha mangiato né banane, né cannoli», la puntualizzazione. Il sospetto è che il filmato sia una piccola vendetta organizzata da chi aveva chiesto ai magazzinieri un esoso numero di magliette e felpe e invece ne ha ricevute solo tre o quattro. 

Resta la figuraccia perché l’Italia rappresenta il Paese e le scuse sono il minimo sindacale: «La prossima volta faremo più attenzione», dice Bonucci. Speriamo sia davvero così.

Tony Damascelli per “il Giornale” il 26 marzo 2022.

Stavolta come altre volte. Chiamati a rispondere all'appello ci siamo smarriti, poi persi, smascherati nei nostri limiti. 

Esaurita la propaganda della favolosa estate del Ventuno, Jacobs e Manneskin, Tamberi e Draghi, Donnarumma e Mancini, roba buona per sventolare bandiere e riannusare il profumo della patria.

Fine della favola, esaurito il Gratta e Vinci della nazionale di calcio svergognata da un gruppo di macedoni eroi per caso. 

Dove è finito il prestigio euromondiale esibito con la solita spocchia? Sembravano statisti anche Di Maio e colleghi, accorsi sul carro assieme ai prodi vincitori e profanatori del tempio di Wembley. Eccoli gli italiani veri, ecco gli uomini che difendono l'onore del Paese.

Materiale da archivio, senza programmazione si giace sui coriandoli bagnati di quelle feste, il calcio, più di qualunque altra disciplina sportiva, vive di episodi che andrebbero letti, studiati, approfonditi, infine risolti. Non è così dalle nostre parti, come accade nelle vicende della politica, della economia, della vita cosiddetta sociale. 

Euforie passeggere, inseguendo un gol, un ministro, un annuncio, la potenza di fuoco di Conte, il whatever it takes di Draghi, fumo negli occhi, viagra taroccato che ha portato alla grande illusione e chiedo scusa agli amanti di Jean Renoir. Questo non è un film, è la cronaca che voleva essere storia ma è finita nella discarica di Palermo.

 Il calcio italiano finge di essere all'altezza ma si riscopre basso di idee, di strutture, di preparazione. L'invasione straniera, non soltanto negli organici delle squadre ma nelle proprietà dei club, risponde a meri criteri di speculazione, non di passione o coinvolgimento, la tradizione viene calpestata dal business che avrebbe anche una sua logica imprenditoriale se non fosse drogato da una finanza opaca come le ultime cronache riportano. La vergogna dura il tempo di una rimessa dal fondo. 

Reduci da un maquillage veloce, siamo già pronti a cominciare un'altra commedia, con gli stessi attori, gli stessi registi, lo stesso pubblico. Negli stadi di calcio, come nei luoghi della politica. 

Il brusco risveglio di Mario Draghi e Roberto Mancini: Italia dalle stelle alle stalle. Carlantonio Solimene su Il Tempo il 26 marzo 2022.

Simul stabunt, simul cadent. Ecco, magari non andrà proprio così. Magari non cadrà né l'uno né l'altro o non lo faranno insieme. Ma è inevitabile tracciare un parallelo tra i destini di Roberto Mancini e Mario Draghi. E, più in generale, con la parabola crudele di un Paese che, per qualche mese, si era sentito davvero diverso, migliore, cool, rinato.

Persino il Financial Times, mai tenero con l’Italia, si era spinto a definirci modello per il mondo. Non tanto - o non solo - per i successi sportivi. Ma anche per la capacità di rialzarsi dal dramma del Covid affidandosi all’autorevolezza del concittadino migliore, promettendo riforme e apprestandosi, per una volta, persino a realizzarle.

Sembra passato un secolo, era un anno fa. L’Italia del Mancio dava una lezione di calcio agli inglesi in casa loro. Marcell Jacobs era l’uomo più veloce del mondo. I Maneskin vincevano l’Eurovision e andavano alla conquista degli Usa. La campagna vaccinale volava e ci permetteva di vivere un’estate (quasi) normale. Il Pil italiano cresceva più di quello tedesco. Angela Merkel diceva di invidiarci.

Ora ci accorgiamo che non era un miracolo duraturo ma solo un sogno. Un sogno dolcissimo di una notte di piena estate. La nazionale di calcio è tornata un'«Italietta» che fa rimpiangere quella scalcinata di Ventura. L'economia rallenta sotto il peso dell'inflazione e ci si accorge che anche il tanto celebrato Recovery Plan più che un aiuto è una palla al piede. Gli autotrasportatori incrociano le braccia contro il caro benzina. La guerra ci restituisce la politica dei dispettucci e le minacce di crisi di governo.

In mezzo a tutto questo, loro due: Draghi e Mancini. Entrambi reduci da successi in casa (la guida di Bankitalia per il primo, gli scudetti all'Inter per il secondo) e da trionfi all'estero (il «whatever it takes» di Supermario, la premier vinta con il City per il ct).

Entrambi chiamati al capezzale di un'Italia disastrata. Dal Covid, quella reale. Dalla mancata qualificazione ai Mondiali del 2018 quella del calcio. Entrambi capaci di restituire l'orgoglio al Paese, il record della crescita per il premier (e pazienza se era in gran parte dovuto al tonfo dell'anno prima) e l'apoteosi di Wembley per il Mancio. È stato bello finché è durato. Certo, sarebbe stato meglio fosse durato di più.

Oggi, a distanza di otto mesi da quell'indimenticabile vittoria, si può persino trovare una traccia dell'inizio della caduta quando l'ascesa era arrivata al punto più alto. Dodici luglio 2021. Il prefetto vuole vietare alla Nazionale la sfilata in bus scoperto per le vie di Roma. Il capitano Bonucci si impunta. «Se non ce lo fate fare, salta l'incontro con Draghi». Là dove non avrebbero potuto le ferree norme anti-Covid, potè la vanità dei protagonisti. E così, per salvare una «photo opportunity», tornò all'improvviso l'Italia dello strappo alla regola, del «chissenefrega» della legge, dell'«io so' io e voi non siete un...».

Da allora, da una parte e dall'altra, non se ne è più azzeccata una. La Nazionale di calcio si incartava tra pareggi deludenti, record interrotti e rigori sbagliati. Fino al patatrac con la Macedonia. E gli inglesi, presi in giro a luglio (il loro «it' s coming home» era diventato «it' s coming Rome») ora si vendicano perfidamente: «You' re staying home», restate a casa.

Il premier, dal canto suo, dopo la marcia senza macchia dei primi mesi si fissava con un green pass che scontentava tutti e neanche preveniva i contagi. Le file alle farmacie il 24 dicembre per i tamponi «pre-cenone» erano la foto migliore di un Paese che, di fronte alla minaccia Omicron, non sapeva bene che pesci prendere. Forse perché Supermario era più concentrato sul sogno Quirinale, ovviamente sfumato.

E allora: fu vera gloria o solo un enorme abbaglio? Qualche giorno fa, in un'intervista al Corriere della sera, al mitico chitarrista del Rolling Stones, Keith Richards, è stato chiesto se i Maneskin, che avevano aperto il loro concerto di Las Vegas, rappresentassero il nuovo rock. Ha risposto candidamente: «Non vedo mai le band che aprono i nostri show, ma se fanno rock and roll, gli auguro buona fortuna». Ecco, forse il rinascimento italiano è stato questo: solo una favola ben raccontata. Un po' come Babbo Natale. Che non esiste, lo sappiamo. Ma è stato bello crederci, da bambini. Il punto è che poi ci si risveglia.

Vittorio Feltri per “Libero quotidiano” il 26 marzo 2022.

Anche l'Italia ha perso la guerra e contro un avversario, la Macedonia, che per molti è solamente un composto di frutta, e purtroppo per la seconda volta consecutiva non potrà partecipare ai Mondiali di calcio. 

I nostri connazionali appassionati di pallone, io compreso, sono in lutto, si disperano e non capiscono come mai gli azzurri, i quali pochi mesi fa hanno vinto gli Europei, possano essere stati eliminati sul più bello da una formazione, appunto la Macedonia, la cui esistenza era ignorata fino a giovedì sera.

Siamo stati scartati come un bidone di spazzatura dopo una partita durante la quale i nostri attaccanti non sono riusciti a fare un vero tiro in porta. Siamo tristi e incazzati e molti di noi tifosi sono alla ricerca di un capro espiatorio. 

La persona più adatta ad essere colpita ovviamente è l'allenatore; come sempre succede, in questo sport il primo ad essere fucilato è il padrone della panchina, quattro anni fa il condannato fu Ventura, stavolta l'imputato è Mancini, che la scorsa estate fu incoronato re della pelota e ora, rapidamente, è considerato uno sciupa partite, quindi da licenziare su due piedi. In realtà il trainer non ha alcuna colpa. 

Ha mandato in campo all'incirca gli stessi uomini che trionfarono, con la collaborazione di Sanculo, in Inghilterra. Gente tosta e che si era rivelata ricca di buona volontà, ma che, evidentemente, nel frattempo si è montata la testa e si è messa a giocare come i ragazzi dell'oratorio. In pratica è passata dalla gloria al water con una rapidità sensazionale.

Tutto ciò ha una spiegazione. Quando i pedatori italiani sono giudicati male, tirano fuori una grinta mostruosa e vincono anche col padreterno, qualora invece godano di buona fama e da loro la critica si attende sfracelli, essi si illudono di essere insuperabili e perdono anche coi bambini delle elementari. Ecco perché giovedì sera gli azzurri hanno rimediato una solenne figura di merda contro una compagine composta di scapoli e ammogliati.

Mancini poveretto, impietrito a bordo campo, sembrava un sacrista impegnato a preparare un funerale. Impotente di fronte a dei cadaveri. Poi c'è un discorso tecnico non trascurabile. Ormai gli atleti nati nella penisola e dediti a prendere a calci una palla sono meno numerosi. Domina la presenza di stranieri anche nei vivai delle piccole società, i migliori sono i neri e i fanciulli provenienti dai paesi dell'Est.

I nostri compatrioti sono una minoranza irrilevante. Ovvio che la prima a soffrire di questa situazione paradossale sia la nazionale, che si avvale di quattro gatti, magari bravi, ma il loro esiguo numero è insufficiente ad arricchire il patrimonio azzurro. Bisogna cambiare metodo. 

Ben vengano gli africani, purché non siano i soli a imparare a giocare, altrimenti la rappresentativa patria non riuscirà più a prevalere neanche contro la gloriosa squadra di San Marino. Quanto a Roberto Mancini, non può essere trattato come un reietto. Fatelo lavorare in pace fornendogli giocatori alla sua altezza.

Mario Sconcerti per il “Corriere della Sera” il 26 marzo 2022. 

1 Qual è la cosa più grave da cui partire per capire?

C'è una domanda semplice a cui nessuno sa rispondere: perché da trent' anni non nascono più grandi giocatori in Italia? Da due generazioni si è fermato tutto. È la prima volta che capita. Negli anni Sessanta abbiamo avuto Rivera, Mazzola, De Sisti, Riva, Prati, Burgnich, Facchetti. Dopo di loro Rossi, Antognoni, Tardelli, Conti, Scirea, Zoff. Poi Del Piero, Totti, Zola, Buffon, Cannavaro, Baresi, Baggio, Maldini. Oggi più nessuno. 

2 Perché ?

Non c'è un motivo solo, ce ne sono mille. Queste prime due decadi degli anni Duemila hanno cambiato il modo di pensare del mondo. Si fanno e si leggono cose diverse, sono cambiate la morale e le abitudini. Oggi i giovani chiedono di divertirsi e partecipare. All'inizio del Novecento la massa entrò nella storia giocando al calcio. Oggi quella massa è diventata folla attiva, lusinga e massacra, è pesante da reggere. 

3 Tutto colpa dei social?

Un po' sbrigativa come soluzione... No, ma i social fanno parte del Grande Cambiamento. Nel calcio tutto comincia nel 1996 con la libera circolazione dei lavoratori in Europa. Si passa da un massimo di due-tre stranieri a un numero indeterminato. Forse si aiuta a far l'Europa, ma si distruggono interi settori sportivi nazionali. 

Oggi per rialzarci, dovremmo prendere 200 stranieri e sostituirli con giocatori italiani. Ne resterebbero ancora 200, un numero ancora enorme. Ma non è possibile. Il calcio si è allargato a dismisura, si è affezionato ai pagamenti estero su estero, intermediazioni continue che finirebbero se si dovesse semplicemente comprare un giocatore dal Crotone o dal Venezia. E temo ci si sia abituati a questo modo vasto di fare mercato.

4 In modo più stringente, perché non nasce più un grande attaccante, una buona mezzala?

Prima giocare a calcio era il divertimento di tutti i ragazzi. Oggi non è più così. Non c'è più un luogo adatto, è solo fatica scamiciata. Allora si tenta l'arruolamento nelle scuole calcio, che sono a pagamento, quindi hanno il dovere di far giocare tutti. 

Mentre lo sport non è democratico, giocano i migliori. Così quelli bravi finiscono per annoiarsi e i genitori si stancano di pagare la retta. Con un'aggravante, la qualità degli insegnanti. Sono circa ventimila gli addetti, fanno un corso di tre giorni. Che aiuto possono dare? 

5 Ma restano pur sempre i grandi settori giovanili professionistici...

Vero, ma molto spesso lì i tecnici pretendono di giocare per il risultato perché da quello dipende la loro carriera. Fanno diventare vecchi giocatori di 17-18 anni, li riempiono di schemi, costruiscono monumenti a se stessi, quasi nulla danno ai ragazzi. Poi ci sono i genitori. Problema sociale vero. Come un ragazzo promette bene, i padri si licenziano e si mettono a seguire solo il figlio, spesso a fargli da procuratore. Poi il figlio finisce in serie D o in C, guadagnando appena per sé, e il padre resta disoccupato e incattivito. Oggi tutti giocano a essere piccoli campioni fin da ragazzi, questo li aiuta a non diventarlo mai. 

6 Ci sono poi anche i problemi tattici.

Certo, continuiamo a rovesciare il mondo. Prima il nostro calcio era chiaro. Ti ci abituavi in fretta. Oggi devi giudicare troppe cose, hai troppi ordini da eseguire. Per un calciatore gli obblighi tattici sono necessari ma devono essere pochi e scolpiti nella pietra. Oggi molti tecnici non amano i giocatori pieni d'estro, li trovano inadatti ai loro schemi. E li spengono. Immobile è l'esempio. È il campione più chiaro che abbiamo, proprio come grammatica del calcio. Ha vinto più titoli cannonieri di qualunque altro italiano. Ma in Nazionale non giocherà mai bene perché lui è un solitario bravo a cercare spazio profondo. Nell'Italia fa il centravanti d'area, è stregato da ordini diversi. 

7 Quanto incidono i debiti del calcio sulla qualità del calcio?

Molto, perché non facciamo debiti nel calcio italiano, li facciamo per giocatori che vengono da altri Paesi. Cioè togliamo ai poveri per dare ai ricchi. Venti anni fa quando arrivarono i soldi dei diritti tv, nessuno li usò per ampliare l'azienda, tutti spesero su giocatori stranieri. In pochi anni fallirono decine di grandi società dal Napoli, al Torino, alla Fiorentina, per non parlare della B e la C. In Italia c'è peraltro una grande ingiustizia.

Il miliardo di diritti tv non viene diviso equamente per 20, ma in base a molti altri parametri. Così tre squadre prendono 100 e altre 15 tra 50 e 30. C'è lo stesso concetto della SuperLega, selezionare i ricchi, spianare loro la strada.

8 Ci riprenderemo mai?

Direi di sì, ma viviamo il calcio in modo sbagliato, poco responsabile. È sempre tutto eccessivo. Mi spiace soprattutto vederci affondare in un momento in cui anche gli altri nuotano male. Il problema non è solo italiano. Molti si salvano con l'energia delle vecchie colonie, vedi Francia e Inghilterra. Ma fuoriclasse non se ne vedono più. Ronaldo, Messi, prima di tutto erano due monaci del calcio. Mbappè è un libertino.

Mario Frongia per “la Repubblica” il 27 marzo 2022.

"Sono devastato da questa sconfitta. Non andare ai Mondiali destabilizza. È come se contro la Macedonia del Nord, con Berardi e gli altri, ci fossi stato anche io". Gianfranco Zola e la maglia azzurra. Tra presente e passato. L'Italia, ko in uno spareggio da incubo.

Dopo Mosca, anche i mondiali del Qatar li si guarda dal divano di casa. La voce va e viene: l'ex trequartista di Napoli, Parma, Chelsea e Cagliari è negli Stati Uniti per lavoro. "Ho visto la partita in albergo, con amici italiani ci siamo divisi una pizza pessima. È stata una lunga sofferenza: loro in dieci a spazzare, tutti solidi dietro. Su un corner ricordo la faccia del capitano, Ristovski: trasudava fame, energia e grinta”.

Magic box per gli inglesi, indimenticabile scatola delle giocate da sogno, riannoda i fili. "In Italia è già caccia ai responsabili? Cambiamo il modo in cui il calcio vive e si alimenta. Serve un circuito virtuoso che esalti la qualità. Puoi essere ben allenato, organizzato tatticamente ma senza il talento prima o poi vai a sbattere". 

Partiamo da qui. Mancini deve dimettersi?

"No. Roberto ha fatto un grande lavoro e costruito una base importante. La Nazionale non ha vinto per caso l'Europeo". 

L'1-0 di giovedì punisce un'Italia poco competitiva?

"Neanche per Cristiano Ronaldo e gli altri con la Macedonia sarà da relax. Comunque, dipingere la vittoria di Wembley come fortunosa è folle: abbiamo vinto con merito perché abbiamo giocato meglio.

Il lavoro dello staff tecnico, il gruppo e i risultati ci hanno dato fiducia. Poi, alcuni problemi, penso agli infortuni di Spinazzola e Di Lorenzo, c'erano e ci saranno. E nelle qualificazioni sono riemersi". 

Tanto da toppare con una nazionale modesta. Cosa è mancato?

"La qualità offensiva. La perdita di Chiesa è stata pesante, dava strappi, imprevedibilità e forza. La poca incisività si è vista con i macedoni. Per batterli essere buoni palleggiatori non è bastato. Con le squadre chiuse in venti metri devi essere bravo nello stretto. Sento parlare di sfortuna. No, la buona sorte te la devi cercare".

Chi salva dallo spareggio perduto?

"Gli episodi migliori sono passati dai piedi di Verratti e Berardi. Mentre Barella mi è parso un po' stanco. Jorginho ha fatto la sua parte. Mi irrita sentire che i due suoi rigori sbagliati siano stati la causa dell'addio al Qatar. Stiamo a casa perché non abbiamo avuto forza e qualità. Dal dischetto Jorginho non si è mai tirato indietro, ne ha segnati tanti. Anche io ho sbagliato un rigore importante per gli Europei del '96. Mi sono martoriato a lungo. Ma non è servito".

L'attacco non la butta dentro.

"Non era la gara per Immobile, Ciro non dà il meglio negli spazi stretti. Ma chiediamoci come mai produciamo così pochi giocatori di qualità, forti nell'uno contro uno e imprevedibili negli spunti offensivi. Nel calcio moderno serve questo.  Teniamoci le nostre caratteristiche e prendiamo i buoni esempi anche dall'estero. Se dall'Inter di Mourinho nel 2010 non vinciamo niente in Europa, una ragione c'è. Vanno rivoluzionati settori giovanili e academy. Serve coraggio. Troviamolo".

Che fine ha fatto il fantasista made in Italy?

"Ci è mancato con la Macedonia. Hai avuto il 70 per cento di possesso palla, battuto sedici angoli a zero, tirato tanto ma male, l'hai persa con un tiro da 25 metri al 90' di una punta che faceva panchina nel Palermo. La nazionale esprime il movimento calcistico, i talenti non vengono fuori casualmente. Poi, leggo che nell'Under 21 i primi undici giocano poco in A. Mentre Mancini ha solo il 30 per cento di azzurrabili. La conseguenza non deve sorprenderci più di tanto".

Che lezione si deve trarre?

"Siamo passati dall'abbondanza dei Del Piero, Baggio, Totti, Mancini, Cassano. Tanto talento. La Macedonia arroccata potevamo batterla solo con una giocata di fantasia, imprevedibile, caparbia". 

Zola, da dove si riparte?

"Da scuole calcio, camp e format d'allenamento: spazio alla fantasia. Mi piace il lavoro, e la fermezza con i presidenti dei club di A, mostrata dalla Federcalcio del presidente Gravina. Serve tempo, la nazionale è una grande opportunità per il Paese e arricchisce tutti. Anche le società. Intanto, lasciate in pace Roberto Mancini".

Guido De Carolis per il “Corriere della Sera” il 27 marzo 2022.

Campione del Mondo nel 1982, c.t. finalista all'Europeo 2000, icona azzurra. Dino Zoff è amareggiato. L'esclusione della Nazionale proprio non se l'aspettava, in quel modo poi e contro la Macedonia del Nord ancora meno. L'Italia non andrà al Mondiale. 

Cosa abbiamo sbagliato?

«A non buttarla dentro. Abbiamo avuto occasioni e alla fine subìto. Lo sport è così. Questo è un passaggio veramente pesante, eravamo campioni d'Europa otto mesi fa e siamo caduti come non avremmo mai dovuto fare».

È la seconda eliminazione di fila, non era mai accaduto nella storia.

«Prima le difficoltà c'erano e si vedevano. Stavolta venivamo da un periodo straordinario, non mi riferisco solo alla vittoria degli Europei, prima ancora vincevamo e giocavamo bene. Poi abbiamo iniziato a zoppicare, però era un po' nelle cose. Pensavo che passati questi mesi potessimo riprenderci, invece ci è anche girata male».

Ce la siamo anche un po' andata a cercare? I rigori sbagliati con la Svizzera, il pareggio con la Bulgaria…

«In effetti sì. Succede dopo una grande vittoria di avere dei problemi. Abbiamo beccato un periodo non straordinario di forma di alcuni». 

Dopo un'eliminazione così Mancini deve restare o dimettersi?

«Sinceramente non lo so, credo rimanga. È sempre campione d'Europa, poi dipenderà da lui, da loro. Però non vedo ragione per cui non ci sia più».

Dodici anni senza Mondiale sono tanti per l'Italia. Come si riparte?

«Sono tantissimi, non tanti. A parte il Mondiale del 1958 negli altri ci siamo sempre stati. Pesante lo è senza dubbio. Adesso non c'è niente da fare, bisogna ricominciare a lavorare e non distruggere tutto. La rosa c'è. In fondo sono quelli di otto mesi fa, non sono tutti da cambiare, da buttare via».

Soffrirà parecchio il calcio italiano per questa esclusione?

«Non ci fa certamente bene. Tenendo conto che anche in tutte le coppe siamo quasi fuori. Il calcio italiano soffre, al di là delle ragioni tirate fuori, dei discorsi sugli stranieri. C'erano anche otto mesi fa, ma la Nazionale ha vinto».

Paghiamo un campionato non di alto livello?

«Da noi è un po' troppo spezzettato, leggero. È difficile avere dei ritmi buoni, in campo internazionale si viaggia di più. In Europa se lo scontro è regolare ci si passa sopra e si continua, da noi ci sono mille interruzioni, i cartellini, la Var fa più danni che altro».

Da portiere a portiere, Donnarumma qualcosina in più sul gol della Macedonia poteva farla?

«Ma no dai, ha fatto un bel tiro, l'ha messa all’angolino».

Siamo passati da essere campioni d'Europa ad andar fuori con la Macedonia, non proprio la più irresistibile delle Nazionali.

«Definisco l'eliminazione pesante soprattutto per quello. È una di quelle grandi sconfitte storiche come ce ne sono state in passato. Nello sport succedono. Però sembrava più difficile perdere contro una squadra così».

Al c.t. Mancini cosa direbbe?

«Faccia lui quel che ritiene più giusto. È campione d'Europa, non credo possa essere cambiato tutto».

Gravina deve rimanere?

«Anche lui fa parte dell'Europeo, ingiusto giudicarlo oggi». 

Dopo un'eliminazione così è naturale una rifondazione?

«Ci penserà Mancini o chi per lui, un ricambio generazionale servirà».

Dalla finale del Mondiale 2006 a oggi l'Italia non ha più giocato una partita di eliminazione diretta in una Coppa del Mondo: due volte fuori ai gironi e due volte non qualificati. Se ne riparlerà nel 2026, dopo 20 anni. Il nostro calcio è molto in crisi.

«Forse non così tanto, c'è sempre l'Europeo vinto. Nell'ambito del calcio mondiale però qualche problema lo abbiamo, sì». Nel 2026 si qualificheranno 48 squadre per il Mondiale, chissà potremmo farcela anche noi.

Paolo Condò per “la Repubblica” il 27 marzo 2022.

Un fallimento così fragoroso come la seconda esclusione consecutiva dal Mondiale si deve a molte concause e si compone di mille frammenti. La difficoltà dell'analisi consiste proprio in questo: la quantità di situazioni che sono girate male consente qualsiasi obiezione (la più facile: se Jorginho avesse trasformato il rigore con la Svizzera dell'Olimpico), e sono quasi tutte fondate perché in molti casi sarebbe bastato l'esito diverso di un singolo episodio per cambiare l'intero scenario.

Ricordate la scena chiave di Match Point di Woody Allen? Ecco. Restando a Jorginho, da giovedì sera non mi abbandona l'immagine di lui che si ferma invocando un inesistente tocco di braccio di Trajkovski, e così facendo perde il tempo necessario per opporsi al diagonale vincente del macedone.

Una protesta puerile che al limite t'aspetti da un piagnone del campionato italiano, non da un protagonista della virile Premier League (e sì, se volete leggerci un personale mal di pancia per averlo votato al Pallone d'oro siete autorizzati: non per i rigori, che tutti possono sbagliare, ma per quella ricerca dell'aiutino arbitrale che nessun vero campione si sarebbe concesso).

L'analisi dei singoli episodi risulta dunque fuorviante. Per spiegare questo disastro occorre guardare allo scenario complessivo, a quell'insieme di accorgimenti che avrebbero dovuto costituire una rete di sicurezza per la Nazionale, e che non sono stati allestiti.

Anche in questo caso, presi uno per uno ti fanno dire "ma per così poco non sarebbe cambiato niente": ma è appunto la somma dei piccoli fattori mancanti ad aver trasformato l'addizione del posto mondiale al titolo europeo in un'amara sottrazione.

La ragione di fondo che tutto contiene e che a tutto risponde è la mancata comprensione, da parte delle varie componenti del nostro calcio - Lega di A in primis - che in tempi di crisi e povertà dei club come questi la Nazionale di Wembley era stata una favolosa opportunità per l'intero movimento.

Un capolavoro del ct Roberto Mancini - non un miracolo, concetto offensivo verso chi ha costruito così tanto e così bene, ma un capolavoro - che all'Europeo ha creato una squadra il cui valore era molto superiore alla somma dei suoi elementi: ci era riuscito sfruttando il lasso di tempo (neanche enorme) a sua disposizione prima della gara inaugurale.

Aveva convinto i suoi azzurri - qualche campione, molti buoni giocatori, alcuni giovani in rampa di lancio - che le ragioni dello stare assieme e del sostenersi l'un l'altro potevano contenere non soltanto educazione, ma anche ambizione.

E ogni tessera del mosaico era andata al suo posto: l'11 luglio l'Italia giocò a Wembley la finale in casa della sua rivale, restando in piedi malgrado il gol a freddo subito e lasciandosi preferire già nei 90'. Ci vuole un coraggio da leoni per uscire così dall'angolo, a Palermo - soltanto otto mesi dopo - ne sarebbe bastato dieci volte meno.

Ma nessuno aveva capito che il risultato di luglio si spiegava anche col tempo di assemblaggio, e così la Lega non ha ritenuto necessario rinviare la 30ª giornata. E questo dopo aver rifiutato in estate di anticipare di una settimana l'inizio del campionato, come chiesto da Mancini per arrivare con una gamba già rodata al match con la Bulgaria: da quel pareggio è iniziata la corsa a handicap che si è conclusa con la frana di Palermo. 

Intendiamoci: i club perseguono quelli che ritengono essere i loro interessi, e non sono criticabili per questo. Sono criticabili per non aver capito che il bene comune - in questo caso la Nazionale - sarebbe andato anche a loro vantaggio: sono anni che importiamo stranieri vecchi e bolsi che non ci aiutano a superare il livello basic delle coppe.

L'Italia di Mancini serviva per alimentare la passione delle giovani generazioni - quelle che Andrea Agnelli teme sempre di perdere - in attesa di tempi migliori. L'Inter sta seguendo fino allo sfinimento il percorso legale per rimandare il più tardi possibile il recupero col Bologna, in modo da affrontarlo quando le sue motivazioni saranno bassissime.

È legale, lo ripetiamo: ma la quantità di recuperi da calendarizzare (non c'è solo l'Inter, anche se con Barella e Bastoni è la fornitrice azzurra più rilevante) non ha certo aiutato la sospensione della giornata in questione.

Come non ha aiutato l'ufficializzazione all'1 giugno di Italia-Argentina, la "Finalissima" tra campioni d'Europa e del Sudamerica, e immaginate con quale entusiasmo verrà giocata. L'1 giugno sarebbe stata una data estrema ma utile per disputare la giornata sospesa; la Federcalcio avrebbe dovuto chiedere alla Fifa di fissare la gara con l'Argentina a playoff conclusi. Non era certo una priorità.

Un altro tema? La principale riforma del dopo-Svezia, anno di grazia 2017, era stata l'istituzione delle seconde squadre. Peccato che al dunque soltanto la Juve abbia accettato di investirci dei soldi, e peccato che la stessa Juve l'abbia poi usata come veicolo di plusvalenze anziché di talenti da svezzare lì per poi promuoverli in prima squadra.

Un altro tema ancora? L'unico azzurro che abbia migliorato il proprio status dopo il brillante Europeo è stato Locatelli, passato dal Sassuolo alla Juventus. Per un aumento di stipendio neanche eccezionale Donnarumma si è rovinato la vita: ha abbandonato la solidità del progetto Milan per entrare nel caravanserraglio parigino senza nemmeno la certezza del posto da titolare.

Emerson Palmieri è sceso dal Chelsea al Lione e giovedì era irriconoscibile. Gli altri sono rimasti lì, compresi quelli che non giocano le coppe, e almeno per Domenico Berardi questa è stata una disdetta, perché a 27 anni non esiste che un talento simile non abbia mai giocato una partita di Champions. 

Su sollecitazione di Pioli il Milan l'aveva chiesto, fermandosi davanti alla valutazione elevata datagli dal Sassuolo. Ciascuno ha fatto legittimamente i suoi interessi, anche questa come le altre è una storia senza colpevoli. C'è soltanto una vittima.

La catastrofe della Nazionale. L’Italia è un pallone gonfiato, il mondo del calcio si è chiuso in una bolla gestita da avventurieri. Astolfo Di Amato su Il Riformista il 27 Marzo 2022. 

Una partita andata male o un movimento da rifondare? Dopo la vittoria agli europei, l’uscita dal mondiale del Qatar è un colpo che lascia annichiliti. Tuttavia, non può essere considerata una sorpresa se si pensa che l’Italia aveva già fallito l’obiettivo della qualificazione nei gironi ordinari. C’era, certamente, la fiducia di superare una squadra di modesto valore, come la Macedonia del Nord, tanto più che gli azzurri avevano anche il vantaggio di giocare in casa. Ma la prestazione, sia della squadra nel suo insieme e sia dei singoli, è stata di una tale modestia da rendere la sconfitta un evento ineludibile. Che rende necessaria una riflessione sullo stato dell’intero movimento. Del resto, non può essere senza significato la circostanza che è la seconda volta consecutiva che l’Italia non partecipa ai mondiali, essendo eliminata da squadre di modesto valore: ieri dalla Svezia e oggi dalla Macedonia del Nord.

La sconfitta chiama inevitabilmente in causa la considerazione di quelli che sono, oggi, i tratti caratteristici del movimento calcistico in Italia. Ne esce un quadro desolante sotto molteplici profili. Innanzitutto, c’è un profilo di ordine morale che getta discredito sull’intero movimento mettendo in discussione la stessa solidità dei valori di sportività, che ne dovrebbero orientare la condotta. È stato necessario l’intervento della magistratura ordinaria per accendere i riflettori su comportamenti assolutamente intollerabili: si pensi allo scandalo delle plusvalenze fittizie, le quali hanno consentito ai bilanci delle squadre che vi hanno fatto ricorso di nascondere la condizione di estrema fragilità finanziaria in cui si sono venute a trovare; o allo scandalo dell’esame farsa presso l’Università di Perugia del calciatore uruguaiano Luis Alberto Suarez; o allo scandalo, emerso in questi giorni, di giocatori che apparentemente si erano ridotti il compenso in ragione della pandemia e che, invece, ricevevano in nero la differenza.

Senza parlare, poi, dei dubbi sulla condotta degli arbitri alimentati addirittura da un ex procuratore federale, che ha lamentato di non aver ricevuto, nonostante la richiesta formale, la registrazione del colloquio tra arbitro in campo e Var relativo a un contestatissimo episodio decisivo per l’assegnazione dello scudetto di qualche anno fa. Se, poi, si pensa che molti degli episodi, oggetto di accertamento, vedono coinvolta la squadra che, nell’ultimo decennio, ha dominato il campionato, cioè la Juventus, diventa inevitabile prendere atto che è l’intero movimento a essere malato. Ciò tanto più ove si consideri che, agli scandali esplosi per iniziativa della magistratura, non ha fatto riscontro una reazione adeguata del mondo sportivo. Come se fosse ormai maturata una completa assuefazione a questo modo di gestire le squadre. Non migliore è la situazione se si passa a considerare l’aspetto economico.

La serie A, che costituisce il motore, sia sotto il profilo simbolico e sia sotto quello economico, dell’intero movimento, aveva, prima della pandemia, un fatturato annuo di 2.7 miliardi di euro e costi per 3.5 miliardi di euro. Già allora, dunque, accumulava debiti per quasi un miliardo all’anno. Si tratta, si badi bene, di cifre errate per difetto, in quanto non tengono conto delle correzioni da apportare ove si faccia a meno delle plusvalenze fittizie. Una conseguenza è che l’indebitamento aveva già superato l’80% del valore della produzione. Era, quindi, una situazione economica insostenibile e che non sarebbe stata tollerata, già da tempo, in qualsiasi altro settore economico del paese. La pandemia ha, ovviamente, aggravato la situazione. La fotografia che ne esce è quella di un mondo, quello del calcio, profondamente malato, nel quale l’opacità la fa da padrona. Adoperando la passione dei tifosi come un bastione di protezione, il mondo del calcio si è, in Italia, chiuso in una bolla, dove diventa possibile quello che, per i comuni cittadini, è del tutto inimmaginabile. È una bolla nella quale possono trovare posto anche avventurieri, che in qualsiasi altro contesto sarebbero subito espulsi, e la mancanza di trasparenza crea una solidarietà trasversale, rotta quasi sempre solo dai conflitti tra interessi personali e non già da contrastanti visioni dell’interesse generale.

La nazionale azzurra, finisce, dunque, per essere l’espressione di un movimento, che si è allontanato sempre più dagli autentici valori dello sport: poco o nessuno spazio ai vivai, esplosione del ruolo dei procuratori, nessun attaccamento alla bandiera, abbandono di qualsiasi prospettiva di lungo periodo. Emblematica, dello stato dell’intero movimento, è la vicenda relativa al rifiuto, da parte della Lega di serie A, di concedere la sospensione del campionato, che era stata richiesta per poter consentire all’allenatore di meglio preparare la squadra in vista delle partite contro la Macedonia del Nord e contro la vincente tra Portogallo e Turchia. Gli esponenti di vertice del movimento calcistico, dunque, hanno ritenuto che l’interesse della nazionale, e perciò l’interesse generale, poteva e doveva essere sacrificato agli interessi particolari delle singole squadre. A parte la miopia di chi non ha compreso che la mancata qualificazione della nazionale avrebbe significato un declassamento dell’intero movimento, colpisce l’indifferenza con cui è stata considerata proprio quella passione dei tifosi, che costituisce il muro di protezione, nel quale la cittadella del calcio si rifugia per rendersi impermeabile alle regole dell’etica e del diritto.

L’episodio citato serve, tuttavia, anche a comprendere quale sia uno dei punti maggiormente critici dell’attuale organizzazione del calcio. Esso si articola intorno a due istituzioni fondamentali: la Federazione e le Leghe. Ebbene, proprio l’episodio della mancata sospensione del campionato indica che, nell’equilibrio tra questi organismi, il potere delle Leghe, e in particolare della lega di serie A, è divenuto eccessivo rispetto a quello della Federazione. La Lega di serie A, portatrice di interessi particolari, è la sede nella quale sono presenti e decisive nel formarne la volontà proprio quelle squadre che, per fare un esempio, con le plusvalenze fittizie alterano i bilanci. È difficile, allora, pensare che un organismo del genere sia quello più idoneo ad orientare il mondo del calcio verso il virtuoso rispetto delle regole e dell’etica. Questo significa che la necessaria rifondazione del movimento deve, innanzitutto, muovere da un riequilibrio dei poteri, affrancando la Federazione dal potere di condizionamento che hanno oggi soprattutto i club di serie A.

Solo così sarà possibile ridisegnare un movimento nel quale i valori centrali diventino la trasparenza e il merito e nel quale la Federazione abbia la forza di espellere chi non li rispetta. Muoversi in questa direzione significherebbe restituire solidità e credibilità al movimento. Ed è solo un movimento solido che può esprimere stabilmente una nazionale ricca di talenti e di entusiasmo. La speranza, dunque, è che la sconfitta con la Macedonia del Nord sia una lezione che consenta, finalmente, di giungere a una riforma che è ormai indilazionabile. Astolfo Di Amato

L’Italietta del pallone specchio del Paese. Alberto Ciapparoni il 26 Marzo 2022 su Culturaidentita.it su Il Giornale.

Che cosa distingue un ottimo giocatore di calcio da un fuoriclasse?  O un maestro di scacchi da un semplice giocatore? Un grande capitano d’azienda da altri che invece non hanno successo? I fatti. I fatti, che sanno essere testardi, possono raccontare la grandezza oppure la grande illusione. La vittoria al campionato Europeo ci aveva fatto credere in un’Italia del pallone forte, irresistibile, accompagnata spesso e volentieri dalla buona sorte, la partita di ieri, la sconfitta clamorosa con la Macedonia del Nord e l’esclusione anche stavolta dai Mondiali ci consegna la realtà di una Nazionale di una pochezza assoluta, priva di campioni e tanto più fuoriclasse, anche mezzi fuoriclasse. Specchio dunque fedele del calcio italiano, che pure nelle Coppe europee è rappresentato da squadre che difficilmente superano gli ottavi di finale e che offrono l’immagine di una categoria (almeno…) inferiore rispetto alle altre, inglesi e spagnole in testa. Siamo insomma la serie B del Vecchio Continente: cosa è stato fatto in questi anni per dare più spazio ai giocatori italiani? Per la valorizzazione dei vivai? Per svecchiare un sistema ormai morto? Perché non è stato messo un tetto al numero degli stranieri, in più di un’occasione non talenti ma pegni da pagare allo strapotere acclarato dei procuratori e dei mediatori? Il ko con la Macedonia è davvero una sorta di Caporetto calcistica e ha il significato non solo figurato di “disfatta ingloriosa”, “sconfitta pesantissima”, “fallimento assoluto”. Ma non basta. L’Italietta del pallone, dove persino i Macedoni ci comandano, riflette l’Italietta draghiana, soprattutto sul fronte interno. Lui Mario Draghi è arrivato a Palazzo Chigi come il Diego Armando Maradona della politica, il fuoriclasse assoluto che avrebbe riportato il Paese a fasti gloriosi. Aspettative altissime, che, al netto del sacrosanto appoggio all’Ucraina e alla sua eroica lotta contro l’invasione russa, il campo ha ampiamente disatteso. Più che un leader carismatico un capo dalle prestazioni mediocri. Ci voleva colui che viene soprannominato SuperMario per appiattirsi sul rigorismo ideologico e sull’obbrobrioso green pass di Speranza e compagni? Ci voleva SuperMario per tentare di tutto, anche maldestramente, per traslocare al Quirinale e non riuscirci? Ci voleva il celebrato presidente della Bce per guidare antiche e penose mediazioni? Ci voleva Mario Draghi per inventarsi l’ennesima patrimoniale sulla casa che attraverso la riforma del catasto si abbatterà sulle tasche degli italiani? Ci voleva Draghi per proseguire nella dissennata politica dei bonus, capace di coinvolgere tutto senza risolvere nulla? Dov’è in tutto in questo il genio? L’Italia di SuperMario doveva essere una super-Italia, invece è rimasta l’Italietta di sempre. Capace di perdere persino con la modesta Macedonia. Quasi schiappe: loro e noi.

Da ansa.it il 28 marzo 2022.

Altre due defezioni tra gli azzurri per la partita di domani con la Turchia: si tratta di Alessandro Florenzi e Matteo Politano che dopo pranzo lasceranno Coverciano per fare rientro nei rispettivi club.

Da sportmediaset.mediaset.it il 28 marzo 2022.

Leonardo Bonucci non cerca scuse per l'eliminazione dal prossimo Mondiale, ma se la prende anche con la Fifa per un regolamento di qualificazione a suo dire "assurdo". 

"Siamo andati a giocarci tutto in una partita secca, che è una cosa assurda proprio come regolamento. Purtroppo è stato deciso così, ma è una decisione folle: si gioca per tutto il girone, per tutte le partite nelle varie coppe con la formula dell'andata e ritorno e per andare al Mondiale giochi una partita secca dove può succedere di tutto come abbiamo visto", ha detto a Sportmediaset.

"Ci sono nazionali qualificate in altre confederazioni che hanno perso 4 o 5 partite, mentre noi per un gol subito al 92' nell'unica partita persa siamo a casa. È veramente una follia questa nuova formula", ha aggiunto. 

Poi, però, bisogna prendersi le proprie responsabilità: "Il regolamento non è un alibi o una scusa. Dovevamo sicuramente fare meglio. Poi da qui c'è da prendere spunto per il futuro e costruire la strada per tornare dove eravamo.

Le riflessioni sono state tante, un po' indietro e un po' avanti. Sicuramente dopo l'Europeo ci siamo un po' smarriti. Quelli che erano i nostri valori, le nostre caratteristiche e il nostro entusiasmo. Quello ha compromesso il nostro percorso verso il Mondiale". 

Sulla decisione di restare a Coverciano in vista della sfida con la Turchia: "Sia io che Giorgio (Chiellini, ndr) abbiamo sentito la responsabilità di essere da esempio sotto questo punto di vista, visto che siamo i più vecchi e quelli con più presenze per stare vicino a un gruppo giovane.

Che ha bisogno di esperienza e di capire che in certi momenti bisogna solo guardare avanti anche giocando partite inutili come quella con la Turchia. Una partita che serve per dare una risposta a noi stessi e agli italiani". 

Ma il loro futuro sarà ancora azzurro? "Non so cosa farà Giorgio, da parte mia c'è voglia di continuare per essere da esempio e da guida per i tanti giovani". 

Sul futuro di Mancini: "Ci auguriamo che da parte sua ci sia la voglia di continuare questo grande progetto, a lui bisogna dire soltanto grazie perché ci ha portato dalle ceneri alla vittoria dell'Europeo".

Fabrizio Roncone per il Corriere della Sera il 28 marzo 2022. 

Arriva la notizia che Luiz Felipe lascia il ritiro della Nazionale («A seguito degli accertamenti clinici che ne hanno riscontrato l’indisponibilità…»). Anche lui. Come Verratti. E come pure Berardi e Gianluca Mancini.

Jorginho, Immobile e Insigne se la sono invece svignata «nell’ambito di una alternanza prevista…». Il leggendario rigorista, il centravanti che in azzurro manda il sosia scarso di quello che gioca nella Lazio, l’emigrante milionario con destinazione Toronto che giovedì sera, a Palermo, camminava stanco di controllare il conto in banca: quando, di ritorno dal trionfo di Londra, ci fu da salire sul pullman che — per altro in piena pandemia — fece il giro di Roma tra i tifosi in festa, Jorginho, Immobile e Insigne erano lì a sbracciarsi, perché sì, eccoci, guardateci bene, ci siamo anche noi, siamo noi gli eroi del calcio italiano.

Però adesso che c’è da andare a giocare una mortificante, meritata, inutile ma inevitabile partita al gelo di Konya, in Turchia, la faccia non hanno voglia di mettercela. Ce la mette invece Giorgio Chiellini, il capitano. Che parte e, probabilmente, giocherà. 

Perché è così che fa un vero uomo di sport: resta nello spogliatoio anche quando c’è bufera. E dev’esserci, a giudicare da come i nostri azzurri hanno lasciato quello del Renzo Barbera. Avrete visto le immagini: sul pavimento un cumulo di rifiuti, con bucce di banane, di arance, bottiglie vuote, fasce elastiche e bende, asciugamani, tranci di crostata, mozziconi di sigarette. La scena del rientro dal campo non è difficile da immaginare.

Chiedere che nella tormenta del disonore e della vergogna evitassero di lasciare quello schifo, forse è pura retorica. Però, quando sono andati in bagno a fare la pipì, avrebbero potuto almeno cercare di centrare il water. L’educazione arriva qualche centimetro prima dello stile. Stavolta agli azzurri mancano entrambi. In attesa del prossimo Mondiale, hanno quattro anni di tempo per imparare.

Alessandro Angeloni per “il Messaggero” il 28 marzo 2022.

Tre milioni da incassare, punti per il ranking e una brutta figura da evitare. L'amichevole contro la Turchia a Konya dimentica il presente e si proietta nel futuro. E Mancini, nel bene e nel male, è ancora il direttore d'orchestra. A lui viene chiesto di ricostruire, una ripartenza in grande stile. 

Quello stile che è mancato a Palermo, anche per come gli azzurri hanno lasciato lo spogliatoio: sporco, in pessime condizioni. Per la seconda volta. I club di serie A si sono messi di traverso, questo Turchia-Italia è un intralcio: hanno provato a recuperare qualche giocatore, in questo momento storico più utile per la prossima giornata di campionato (c'è Juve-Inter) che non per la Nazionale. E siamo alle solite, all'annoso tira e molla con i club. 

Qualche big ha mollato ed è già a casa (il web non ha perdonato, e sono arrivati insulti e offese), e non sono esclusi altri forfait, visto che la Nazionale lascerà Firenze dopo l'allenamento del mattino (a rischio Barella e Gollini). Ieri al gruppo dei ritirati si è aggiunto Luiz Felipe, convocato e mandato in tribuna a Palermo. C'è chi, per problemi fisici, ha dovuto abbandonare la barca nei giorni scorsi(vedi Mancini e Berardi, oltre, appunto, all'italo brasiliano della Lazio), ma chi ha pensato di evitarsi lo scomodo viaggio non ha mostrato grande stile o senso di appartenenza in un momento delicato per la Nazionale.

Anche in passato ci sono stati calciatori che per un minimo problema fisico hanno abbandonato il ritiro azzurro per far ritorno al club di appartenenza, un comportamento che ha fatto male alla Nazionale e che né Figc né il tecnico sono riusciti a evitare o lo hanno fatto solo in parte. 

DIFESA VECCHIA Il ct Mancini raccoglie i cocci e punta su quei senatori che ancora sono al suo fianco, vedi Chiellini e Bonucci, in più ci sono i giovani che dovranno mettersi sulle spalle il peso della maglia della Nazionale. 

Domani toccherà a loro e non sarà semplice, visto che di stimoli ce ne sono pochi e il morale è a terra. Lo stimolo è non mollare quella maglia, perché un giorno potrà tornare a dare soddisfazione. Il compito del ct è complicato in questo momento, ha la pressione della Figc addosso (che vuole trattenerlo) e il dovere di non consegnare alla storia un'altra serata malinconica. Mancio, lo ha detto lui stesso, deve pensare al futuro, a mettere le nuove basi: riparte da un attacco nuovo, Immobile e Insigne ultimamente non sono stati all'altezza e forse è stato un errore insisterci troppo.

Al tecnico è mancato Chiesa, che solo parzialmente è stato rimpiazzato da Berardi, che ieri, con un post, si è scusato per l'errore del Barbera «dovevamo e potevamo dare di più. Non ci sono tante cose da aggiungere. Se non, scusateci per questo disincanto. Noi lavoreremo per tornare a farvi sognare. Insieme. Uniti. Azzurri». 

Scamacca è il dopo Ciro, domani, al centro dell'attacco ci sarà il bomber del Sassuolo, 13 gol in campionato. Mancini darà una chance anche a Zaniolo, convocato non partecipante fino a questo momento. Nicolò, talento cristallino, in azzurro fino a ora ha sempre faticato, un po' per mancanza di opportunità, un po' per qualche atteggiamento poco gradito dall'allenatore. Ma ora tutto è azzerato, dovrà cogliere l'occasione e dimostrare forza nonostante questa partita non abbia significato.

A sinistra, Raspadori (o Pellegrini), che in questi mesi dovranno studiare da vice Insigne, ormai con la testa in Canada. Anche il centrocampo ha perso i pezzi, Jorginho e Verratti saranno sostituiti da Cristante, l'uomo buono per tutte le gestioni, più Tonali e Pessina, e tutti e tre, chi con un ruolo più centrale, chi con uno più marginale, saranno presenti nella nuova Italia post disastro. Proprio Verratti, come Berardi e Donnaruma, è tornato a parlare dopo il silenzio di rabbia. «Non penso che il miglior modo sia di insultare tutti perché ognuno di noi ha dato il massimo (purtroppo non è bastato). 

Soprattutto i più giovani lasciateli tranquilli: se proprio volete insultate noi più grandi. Il calcio è la nostra passione e sono sicuro che continueremo a dare il massimo per toglierci ancora delle soddisfazioni tutti insieme», la sintesi del suo discorso. La difesa va ricostruita nei due centrali, Bonucci e Chiellini sono rimasti a disposizione ma non possono essere loro i difensori del futuro. Il probabile quartetto che vedremo domani in Turchia? De Sciglio, Acerbi (o Bonucci), Chiellini e Biraghi, questi sono stati provati ieri. Ecco, qui siamo proprio al provvisorio. Il futuro parlerà un'altra lingua.

Da corrieredellosport.it il 28 marzo 2022.

Dopo la sconfitta con la Macedonia del Nord, che ha portato l'Italia all'eliminazione dai Mondiali, l'ex presidente della Figc Carlo Tavecchio analizza il problema legato alla mancanza di giocatori italiani nei vivai. Una battaglia che aveva già lanciato ai tempi della sua presidenza.  "Questione giovani? Gli attaccanti italiani si contano sulla punta delle dita di una mano, se non usiamo i nostri giovani non abbiamo alternativa che chiamare Tizio, Caio, Sempronio che non sono cresciuti nei nostri vivai.

Abbiamo un sacco di gente che toglie il posto agli italiani - ha dichiarato a Radio Punto Nuovo - mi diedero del razzista quando sollevai questo problema".  Tavecchio è un fiume in piena: "Il pescare nel mare magnum degli stranieri porta a questi risultati. Dimissioni? Ognuno fa quello che vuole. Dissi solo che chi doveva venire a giocare in Italia doveva avere un curriculum che dimostra che giocasse in una squadra rappresentativa del suo paese, come succede in Francia e in Inghilterra".

Tavecchio: "Servono centri federali"

L' ex presidente della Figc, rilancia: "Bisogna fare centri di formazione federale, è il primo passaggio per ottenere dei giovani che possano esprimersi a certi livelli. Bisogna potenziare questi centri e mettere dei limiti sull'utilizzo degli stranieri. Parlo ovviamente degli extracomunitari. 

La Lega di Serie A - ha concluso Tavecchio -  si renderà conto del problema di quanto stia cadendo in basso il nostro calcio quando capiranno che non potranno più comprare giocatori a 5-6 milioni l'anno. Andiamo verso una naturale autarchia".

Da ilnapolista.it il 28 marzo 2022.

Il commissario tecnico della Nazionale, Roberto Mancini, ha ricevuto l’ottavo Tapiro d’Oro della sua carriera dallo storico inviato di Striscia la Notizia, Valerio Staffelli. Non solo: in aggiunta al premio standard, Mancini si è visto recapitare anche un Tapiro d’Oro gigante. Lo racconta il Corriere dello Sport. La statua è stata portata all’interno del ritiro di Coverciano trasportata su di un camion. Questa sera, su Canale 5, il servizio integrale relativo alla consegna. Per ora ci sono delle anticipazioni sul modo in cui lo ha preso il ct. Sembra con sportività. 

“Il Tapiro gigante è più che meritato. Ero fiducioso, purtroppo ogni tanto le cose vanno male. Ma io non mollo: ci riproviamo per il prossimo Mondiale”.

Da corriere.it il 28 marzo 2022.

Ore 11.29 — Manca circa mezz’ora alla conferenza stampa del c.t. Roberto Mancini alla vigilia dell’amichevole con la Turchia. Ma le attese non sono per la formazione, quanto per il morale e il futuro della panchina azzurra a quattro giorni dalla disastrosa eliminazione dal Mondiale, la seconda consecutiva. 

La partita di domani rischia di essere la più indigesta della nostra storia. L’Italia eliminata dai Mondiali va in Turchia per giocare la sfida tra le due sconfitte dalle semifinali degli spareggi (diretta su RaiUno, ore 20.45), una sfida che ha senso più che altro per i diritti tv e per il ranking. Mancini, però, sempre più intenzionato a restare per costruire un nuovo ciclo (QUI l’analisi di Sconcerti su come dovrebbe cambiare il sistema per aiutarlo) chiede ai suoi ragazzi un segnale immediato di riscossa. Così, costretto anche dalle molte defezioni (non sono piaciute in particolare le «fughe» di Jorginho, Immobile e Insigne), il ct farà molti cambiamenti nella formazione: giocheranno Scamacca centravanti, Zaniolo nel tridente con Raspadori, Tonali a centrocampo con Cristante e Pessina. Prove di futuro, si spera meno azzurro tenebra.

Ore 11.36 — Fabrizio Ravanelli, l’ex Penna Bianca che nel 1997 partecipò al playoff con la Russia che portò l’Italia a Francia ‘98, sabato ai microfoni di Sabato Sport aveva assicurato: «Credo che Mancini sia la persona giusta, ha un grande passato nel calcio, grande personalità e carattere e grande voglia di riscatto. Mi auguro che si possa ripartire da lui, ma anche da una rifondazione del nostro calcio, puntando sui giovani e non sugli stranieri giovani».

Ore 11.40 — Sono sempre di più le voci della storia azzurra che invitano il c.t. alla permanenza alla guida della Nazionale. Lunedì mattina, dai microfoni di Radio Rai, si è aggiunto il «Barone» Franco Causio, campione del mondo 1982: «Deve rimanere. Cambiarlo per chi, per cosa? Deve continuare il lavoro fatto fino ad adesso. ha perso una partita per un tiro in porta, la squadra non ha giocato bene ma poteva passare. Non ha avuto quei 4 o 5 giocatori brillanti come all’Europeo».

Ore 11.59 — È tutto pronto per la conferenza stampa di Roberto Mancini alla vigilia dell’amichevole con la Turchia, eliminata dal Portogallo nella corsa alle qualificazioni Mondiali.

Ore 12.05 — L’organizzazione comunica che la conferenza stampa potrebbe ritardare di qualche minuto. Al tavolo non c’è ancora nessuno.

Ore 12.10 — Prende il via la conferenza stampa di Roberto Mancini e Leonardo Bonucci.

Ore 12.10 — Intanto anche Politano e Florenzi dichiarano forfait per la partita con la Turchia e nel primo pomeriggio torneranno alle rispettive squadre di appartenenza.

Ore 12.12 — «Abbiamo parlato col presidente Gravina in questi giorni, credo che siamo allineati su tutto. Fa piacere tutto questo, ne parleremo nei prossimi giorni. Pensiamo a questa partita, poi ragioneremo su tutto con calma», sono le prime parole di Mancini in diretta.

Ore 12.14 — «La Turchia l’inizio del nuovo ciclo? Bisogna ripartire e pensare a situazioni diverse, anche per questo vedremo più avanti».

Ore 12.16 — «Mi ha fatto piacere, nonostante la grande delusione dell’eliminazione, che il lavoro svolto in questi anni sia stato riconosciuto. L’Europeo è stata la cosa più importante, vinto meritatamente e giocando meravigliosamente, ma è stato un percorso di tre anni in cui non abbiamo subito sconfitte».

Ore 12.17 — Arriva anche Leonardo Bonucci

Ore 12.19 — «I giocatori tornati a casa? Io li ho obbligati ad andare via perché se posso fare qualcosa per loro e per i club noi lo facciamo... Non avrebbero giocato, alcuni non erano al meglio fisicamente. Il Chelsea ci ha mandato Jorginho tre giorni prima, gli ha fatto saltare una partita importante in Fa. Cup. Insigne aveva problemi fisici già da prima. Immobile sarebbe andato in tribuna, Mancini e Verratti sì. Insigne al 50% sarebbe andato in tribuna per provare soluzioni alternative».

Ore 12.20 — «Si può parlare delle partite da settembre a oggi, ma avremmo potuto vincere il girone se non con due punti, con quattro di vantaggio sulla Svizzera. A Basilea avrei dovuto vincere 3-0, ma non possiamo dire che la squadra non abbia giocato. Può essere stata imprecisa, non aver colto le occasioni, ma non posso dire che non abbia meritato di vincere. Abbiamo sbagliato, ma abbiamo avuto le occasioni. È così, oramai è andata, è inutile stare a pensare a quello che è stato.

Compete ai tecnici valutare gli errori e dove migliorare. Non servono scuse: è accaduto e purtroppo dobbiamo accettarlo. Ci sono qui calciatori speciali, è stato creato un gruppo speciale: non sono nel gruppo squadra, ma anche tutto ciò che c’è intorno», ha aggiunto il c.t. « Si era creato un gruppo eccezionale, ci siamo sempre trovati bene insieme anche con la Federazione. Si era creato un gruppo perfetto per arrivare al successo».

Ore 12.25 — «Gli attestati di stima ricevuti? Normalmente non succedono queste cose, mi possono fare grande piacere. In questi quattro anni abbiamo provato a dare il massimo cercando non solo di vincere, ma anche di giocare un calcio diverso. Non è quindi stato solo l’Europeo, è stato il percorso di tre anni in cui abbiamo quasi sempre vinto giocando anche le partite bene. Mi sembra una cosa importante».

Ore 12.28 — «A giugno un po’ di inserimenti saranno fatti per la Nations League. Avremmo potuto farli per il Mondiale». 

Ore 12.28 — «Cosa mi aspetto che migliori? Quando ci sono certe sconfitte si analizza il perché. Nel calcio queste cose sono sempre accadute e possono sempre accadere, ci sono nazionali importanti che non vincono nulla da 60, 70 o 80 anni, noi siamo più avanti. A volte si esagera dicendo che occorre cercare le motivazioni, a volte doveva solo andare così. Le riforme strutturali spettano a Gravina. A noi tecnici spetta l’analisi di cosa è successo».

Ore 12.31 — «Il gioco dipende dai giocatori che avremo a disposizione, valuteremo se cambiare qualcosa più avanti sulla base di chi ci sarà. Mi sento di restare perché sono ancora giovane, il mio obiettivo era vincere un Europeo e un Mondiale. Per il Mondiale dobbiamo rinviare un attimo ma posso divertirmi ancora molto e organizzare con i ragazzi qualcosa di importante». Quindi, da qui al prossimo (inteso come prossimo per l’Italia, quindi il 2026) Mondiale, «guardiamo a un Europeo che c’è fra due anni (Germania 2024, ndr ) , e a cercare di qualificarci per vincere» ha aggiunto Mancini. 

Ore 12.35 — Si conclude la conferenza stampa di Roberto Mancini che non si dimette da commissario tecnico e rilancia con l’apertura di un nuovo ciclo per la Nazionale. 

Andrea Sorrentino per “il Messaggero” il 29 marzo 2022.

Magari sarà stato anche finto, perché il wrestling l'hanno inventato lì, e prima ancora del cinema; ma almeno uno schiaffo, vivaddio, è volato persino nella notte degli Oscar. Noi, molto più tranquilli. Nessun signor Rossi, in Italia, imiterà il signor Smith a Los Angeles. Da noi, dopo l'eliminazione dai Mondiali, non s' è vista l'ombra di manrovesci, nemmeno metaforici. Non una reazione vibrante, un segnale di vita, una polemica anche scomposta, cioè le cose che capitano dopo i grandi drammi sportivi. Tutto tace e tacerà. Cambiamenti, poi? 

Ritocchi, novità, aria alle stanze? Zero. Il gattopardo s' è rammollito, anzi s' è fatto furbo adattandosi a questi tempi pigri: ora, per far rimanere tutto come era prima, basta semplicemente non cambiare proprio niente, mica far finta di cambiare tutto. Quindi la Nazionale non va in Qatar, l'Italia del calcio è al punto più basso, e la cosa è già passata in cavalleria.

Perché siamo diventati talmente piccoli, da aver messo inconsciamente in conto anche questa, da esserci già preparati al misfatto, con relativi riposizionamenti al momento di affrontarlo. 

Oppure siamo talmente disperati da sapere che nessun cambiamento, ormai, servirà. Che il barile è raschiato. Poi siamo sempre quelli delle situazioni gravi, ma non serie, quindi accade che Bonucci si scusi perché gli azzurri hanno lasciato lo spogliatoio sporco dopo la disfatta di Palermo; non per la disfatta in sé, per aver fallito due volte la qualificazione ai Mondiali, per averci condotto all'ora più buia. Così l'annuncio di Mancini, che rimane e rilancia (poco convinto, si direbbe), avviene in un clima di mestizia, la sua per cominciare, e di clima rarefatto, di rassegnazione.

Perché, in effetti, a che servirebbe, poi, cambiare il ct? Negli ultimi mesi non è stato felice in alcune decisioni, non ha rischiato più nulla come gli capitava in passato, e parlare solo di sfortuna come fa lui è assai riduttivo; ma è il tecnico campione d'Europa e poi, un Cannavaro cosa farebbe al suo posto, di meglio? Lasciamo stare, siamo seri. E i giocatori, ormai sappiamo che non ne abbiamo più di bravissimi: ce ne sono forse altri, dietro? E' un deserto. E il presidente federale Gravina: rovesciarlo con un colpo di stato a cosa porterebbe, e a chi, e verso dove? Quali sarebbero i successori, credibili, autorevoli, per rilanciare il calcio? 

Questi siamo e questi rimaniamo, ahinoi. Poi si vive tutti alla giornata, certo. E magari più in là, chi potrà, chi avrà occasioni professionali altrove, al limite saluterà, e pensiamo proprio al ct Mancini, che un mercato ce l'ha. Adesso la sensazione è che si voglia arrivare alla vernice di Wembley il 1° giugno contro l'Argentina, che questa Nazionale vuole giustamente vivere, poi si vedrà.

Intanto, proprio perché nulla deve cambiare, altri giocatori hanno mollato la Nazionale tornando dai propri club, proprio come hanno fatto sempre: Mancini ancora impotente, anzi assolutorio in pubblico. Tanto sa che non c'è verso. Eppure i giovanotti cantano sempre a squarciagola Fratelli d'Italia, in favore di cameraman. Poi si rivestono, e si sentono al massimo fratellastri. Forse cugini, ma di secondo grado. Povera Italia.

Francesco Saverio Intorcia per “la Repubblica” il 29 marzo 2022.  

Se vi state chiedendo come abbia fatto Chris Rock a prendersi uno schiaffo da Will Smith e andare avanti alla cerimonia degli Oscar come se niente fosse, vi sorprenderà sapere cosa è successo nelle ore seguite alla eliminazione della Nazionale: nulla. Il ceffone dalla Macedonia del Nord è stato non meno violento e la reazione del sistema azzurro ugualmente imperturbabile. Non solo non paga nessuno, ma nessuno neanche guarda il conto sul tavolo. Il presidente federale Gabriele Gravina non si è dimesso, lo aveva detto in anticipo.

Il ct Roberto Mancini, bersaglio di un incessante corteggiamento, ha cortesemente accettato: resterà anche lui. Insomma, se la sciagurata eliminazione del 2017 contro la Svezia fu salutata come l'Apocalisse, questa qui è già stata derubricata a nuvoletta passeggera, fantozziana come certi errori visti sul campo a Palermo. Nessuno pretendeva crocifissioni in sala mensa, ma qui è mancato anche il minimo atto di sensibilità istituzionale, da parte del ct e del capo del Club Italia, per condividere con tutto il sistema una seria riflessione dopo la disfatta e, soprattutto, la scelta di uomini e strategie per la ricostruzione. Esisterà pure una via di mezzo fra il processo in piazza e l'autogestione nel confessionale, ego me absolvo.

Questa rapida e pericolosa archiviazione si spiega solo in parte con il credito dell'Europeo vinto, che in verità avrebbe dovuto alzare l'asticella delle ambizioni e qui invece funziona come ricordo lenitivo. 

La realtà è che alla maggioranza delle componenti in Federcalcio sta bene non toccare nulla: ritiene ancora questo ticket, presidente e cittì, il migliore possibile, o il meno peggio. 

Sul piano politico, Gravina ha consentito al calcio di uscire dal commissariamento e si è sapientemente costruito intorno una schiera di fedelissimi in consiglio. Sul piano tecnico, Mancini rimane in fondo uno dei cinque ct ad aver vinto qualcosa in azzurro.

Le alternative, in entrambi i casi, non scaldano, anzi: spaventano.

Ma i ritardi nelle riforme e la pessima gestione del post Europeo restano lì, nella loro evidenza. Gravina, forte di 17 voti su 20 in Federazione, a breve presenterà le sue proposte: troverà l'opposizione feroce della Lega di Serie A, i cui interessi e prospettive di sviluppo non necessariamente coincidono con i destini azzurri. Sarà uno scontro continuo. 

Il clima di assuefazione alla mediocrità preoccupa. Non vanno rimpianti gli eccessi del 1970, quando l'Italia di Valcareggi, quella dell'Europeo vinto, quella della Partita del Secolo, fu accolta da una violenta contestazione al ritorno dal Messico, colpevole di non aver battuto Pelé in finale, mica Trajkovski ai play-off. Ma non è accettabile che la Nazionale quattro volte campione consideri ormai una cosa normale guardare il Mondiale solo dal divano.

Né che un leader come Bonucci parli di formula sbagliata, ignorando che l'Italia la partita secca l'ha persa in casa, dopo averne pareggiate quattro su otto in un girone non impossibile. Dal 2026 la Coppa avrà 48 squadre, non più 32. Con i risultati delle ultime qualificazioni, gli azzurri sarebbero fuori lo stesso. Forse è il caso di partire da questo punto, nel primo consiglio federale dopo il disastro.

Matteo Pinci per “la Repubblica” il 29 marzo 2022.

Il segnale di allarme non è l'eliminazione subita con la piccola Macedonia. Ma il fatto che per provare a vincere quella partita il ct Mancini abbia scelto, come mossa della disperazione, un brasiliano di 30 anni all'esordio come Joao Pedro. In Italia non cresce più il talento. Anzi: si è smesso di coltivarlo. 

Gli stranieri delle Primavera Il presidente della Federcalcio Gabriele Gravina, a Repubblica, ha denunciato il problema delle squadre Primavera intasate di stranieri. E non è una questione di passaporto, ma di eleggibilità per la Nazionale. La domanda è: perché accade? Il motivo è, ovviamente, economico. Formare un ragazzo costa tempo e soldi: è un lavoro che può dare risultati a medio - lungo termine, devi investire nello scouting per prenderlo magari a 11 anni, e poi garantirgli per almeno 7 anni allenatori all'altezza, strutture adeguate, sperando che a 18-19 anni possa tornare utile.

Un grande investimento di tempo e denaro. Così sempre più spesso si cede alla scorciatoia: prendere ragazzini stranieri rimasti senza contratto in patria (non prime scelte), quindi liberi dai 16 anni di accasarsi altrove - l'Europa garantisce la libera circolazione dei lavoratori - con un contratto "giovanile" fino ai 18 anni. Per i club è un vantaggio enorme: pagano solo vitto e alloggio. Unica condizione è, ovviamente, farli giocare. Anche perché spesso vengono inseriti dagli agenti come pedine di operazioni più grandi: «Vuoi il centravanti da 10 milioni per la prima squadra? 

Allora prenditi anche tre ragazzini per la Primavera». E i club accettano, sperando possano diventare plusvalenze. Già nell'Under 17 oggi si trovano club con 3, anche 4 ragazzini presi dall'estero. Nelle Primavera sono il 33%. Inevitabile trovino meno spazio i calciatori di formazione italiana nell'età chiave della loro crescita. «Dal 2017 ho proposto spesso in Figc di inserire l'obbligo in Serie A o in Coppa Italia di avere in campo due Under 23 formati da almeno 6 anni nel proprio settore giovanile - ci racconta un dirigente sportivo di vertice - ma sembra non interessare molto».

Il business delle scuole calcio Nel 2014, dopo l'ultimo Mondiale a cui l'Italia abbia preso parte, i ragazzi tesserati col Settore giovanile scolastico erano 698 mila. Nel 2019, quindi prima della pandemia, ne avevamo persi per strada circa 44 mila. E, paradossalmente, la loro formazione è a carico quasi esclusivo delle famiglie. Le scuole calcio sono diventate a tutti gli effetti un business: le quote d'iscrizione (a volte altissime, anche 8-900 euro a bambino), sempre più spesso servono a sostenere economicamente tutta la società, che ha magari una squadra nei campionati dilettantistici. E per renderlo possibile si risparmia su tutto: pochi allenatori formati e abilitati, che costano troppo. Meglio volontari che lo facciano per passione, ma con dubbie qualità. Come non bastasse, trasferte e materiale sportivo sono regolarmente a carico delle famiglie.

Chi paga per giocare Nel calcio giovanile si paga per tutto. Persino per giocare. Tra i primissimi a denunciare fu, nel 2018, Massimo Piscedda, ex selezionatore delle giovanili azzurre, parlando di «un malaffare ramificato in modo serio e pericoloso». Il costume è rimasto: nel mondo dilettantistico giovanile, abbondano dirigenti che prendono soldi anche per un provino. Che alla firma del contratto pretendono soldi, minacciando di stracciare il contratto. Qualche famiglia convinta di avere in casa il campione di domani paga. Altri cercano sponsor.

Qualcuno si arrende, ma anche cambiar squadra è difficile: colpa del vincolo sportivo, che lega i giovani alle società fino ai 25 anni. E per questo è spesso causa di abbandono dell'attività, visto che i ragazzi che vogliono andarsene non possono farlo liberamente: se la società non li svincola, l'unico modo per cambiare squadra è pagare. Anche migliaia di euro e sempre in nero. C'è persino chi è riuscito a farne un business personale: «Un responsabile giovanile di Serie A aveva un sistema collaudato », ci racconta un dirigente sportivo. «Quando decideva di ingaggiare un ragazzino, faceva sì che prima lo prendesse una società più piccola con cui aveva rapporti. L'accordo era che quando questa avesse incassato il premio valorizzazione, gli avrebbe riconosciuto una percentuale».

Il Settore giovanile scolastico Il ruolo di controllo spetta ovviamente alla Figc. O meglio, al Settore giovanile scolastico, presieduto da Vito Tisci, una lunga carriera federale alle spalle: è anche presidente del Comitato regionale Puglia, con cui nel 2020 propose un format dei campionati giovanili approvato dal Direttivo da lui stesso presieduto. Nel 2020, post pandemia, la Federcalcio ha offerto circa 2 milioni di euro come contributo per i tesseramenti e per le società di solo settore giovanile. Il progetto dei centri federali non è decollato. Meglio le scuole calcio élite: centinaia di strutture in tutta Italia che garantiscono personale formato e persino lo psicologo. Un passo: ancora troppo poco.

Claudio Savelli per “Libero quotidiano” il 29 marzo 2022.  

L'Italia potrebbe ripartire da Roberto Mancini ma questi rimane senza una base da cui ripartire. La serie A, infatti, è diventata un campionato italiano solo di nome: di fatto è straniero. Questo dislivello non è compensato da una degna presenza di azzurri all'estero, se è vero che quelli di massimo livello si contano sulle dita di una mano e sono già tutti in Nazionale (Verratti, Donnarumma, Jorginho e Emerson).

Su 605 giocatori impiegati in A, solo il 35,7% sono italiani. Poco più di un terzo. Vuol dire che il ventaglio di scelta per Mancini è ridotto ai minimi termini. Difficile cambi dall'oggi al domani, dunque il prossimo quadriennio sarà eventualmente una semina, non il raccolto.

Fosse la quantità il problema, si potrebbe anche sopravvivere. La Nazionale lo ha fatto prima e durante l'Europeo. Applicando un gioco autentico, ha elevato la sua forza ben oltre la somma dei singoli. Ma quando il gioco non funziona servirebbero calciatori abituati a partita ad alta tensione, oltre che di qualità. 

Il problema, quindi, non è solo che in serie A ci sono pochi italiani, è anche che questi giocano poco e quel poco è concentrato per lo più nelle piccole squadre, quindi a basso livello. Vuol dire che i potenziali azzurri, a prescindere dall'età, non hanno vissuto il calcio di vertice e non possono offrire esperienza nel momento del bisogno.

Ne è conferma la squadra con più italiani in rosa (61%, 17 su 28) e in campo (63% dei minuti totali): l'Empoli. Conta ben sette titolari su undici e per via della posizione di classifica lontana dalla retrocessione e del gioco contemporaneo, a cui i calciatori si adattano e in cui crescono, è un modello. Ce ne dovrebbero essere una decina in A di club così, invece quello toscano è l'eccezione che conferma la regola.

Il Cagliari (60% di minuti e 55% della rosa coperti da italiani) da gennaio ha intrapreso una strada simile: continui così. E alimentino il made in Italy le genovesi, le uniche altre squadre oltre il 50% di minutaggio azzurro (54% il Genoa, 52% la Samp, la cui rosa è italiana al 58%): tutto il resto è sotto la metà.

Altra conseguenza: essendo pochi e per lo più nei piccoli club, questi ultimi alzano il prezzo di mercato degli italiani in rosa. È la legge della domanda e dell'offerta. Se un bene è prezioso, e lo è perché è raro, chi lo detiene ne aumenta il costo. Ma le grandi in tempi di crisi non possono permettersi quei prezzi, dunque preferiscono acquistare uno straniero che costa meno e lasciare gli italiani nel limbo delle medio-piccole (Berardi, 27 anni, è un esempio), bloccandone l'ideale parabola di carriera.

I top club hanno infatti pochi italiani, dunque gli azzurri che giocano in Europa e accumulano esperienza ad alto livello sono solo una manciata. Milan, Napoli e Atalanta si equivalgono (23-22% di minutaggio, tra il 26 e il 28% di azzurrabili) mentre Inter, Roma e Lazio non vanno oltre la Juventus, che comunque non concede più del 34% di minuti agli italiani, di cui solo due sono tra gli undici più utilizzati. Troppo poco per pretendere una Nazionale di livello Mondiale.

Da ilnapolista.it il 29 marzo 2022.

“È dal lontano 2006 che stiamo soffrendo, da quando in quel di Berlino l’Italia vinse il titolo mondiale imbottita di giocatori juventini, quando la Juve era il volano del calcio nazionale. 

Poi qualcuno, a cui la squadra bianconera era poco simpatica, volle toglierla di mezzo con l’accusa di magheggiare sui campionati e, nonostante la sentenza del processo sportivo raccontasse «campionato regolare, nessuna partita alterata», radiò addirittura i suoi dirigenti, colpevoli di non aver commesso illeciti al contrario di altri, i cui illeciti furono scoperti solo quando erano andati in prescrizione e quindi non più perseguibili. Chissà il perché del ritardo… Da quel momento a pagarne le conseguenze è stato il calcio italiano, essendogli venuto a mancare l’apporto dei giocatori juventini: l’Italia al Mondiale, infatti, è stata eliminata due volte al primo turno e due volte non si è qualificata”.

Moggi non usa giri di parole: "Cosa è successo dal 2006 in poi..." Marco Gentile il 29 Marzo 2022 su Il Giornale.

Moggi spiega la crisi del calcio italiano: "È dal lontano 2006 che stiamo soffrendo, da quando in quel di Berlino l’Italia vinse il titolo mondiale imbottita di giocatori juventini, quando la Juve era il volano del calcio nazionale". 

Dopo la debacle azzurra contro la Macedonia del Nord ci si sta domandando se il calcio italiano sia davvero in crisi. A confermare le difficoltà del movimento calcistico nostrano ci ha pensato Luciano Moggi, ex direttore generale della Juventus. Ecco le sue parole, di accusa, ripresa da ilnapolista.it:"È dal lontano 2006 che stiamo soffrendo, da quando in quel di Berlino l’Italia vinse il titolo mondiale imbottita di giocatori juventini, quando la Juve era il volano del calcio nazionale", la stilettata di Don Luciano che per quella brutta pagina del calcio italiano e mondiale (Calciopoli) venne radiato in quanto ritenuto uno dei responsabili di quel meccanismo.

"Juventus fatta fuori"

Secondo Luciano Moggi, naturalmente, Calciopoli non è mai esistita e a distanza di quasi 16 anni è tornato ad attaccare: "Poi qualcuno, a cui la squadra bianconera era poco simpatica, volle toglierla di mezzo con l’accusa di magheggiare sui campionati e, nonostante la sentenza del processo sportivo raccontasse 'campionato regolare, nessuna partita alterata', radiò addirittura i suoi dirigenti, colpevoli di non aver commesso illeciti al contrario di altri, i cui illeciti furono scoperti solo quando erano andati in prescrizione e quindi non più perseguibili. Chissà il perché del ritardo… "

Per Moggi la "crisi" italiana viene dunque da molto lontano, e proprio da quel lontano 2006. Peccato, però, che dopo quella data la nazionale, nonostante diverse difficoltà e anche con tanti calciatori della Juventus tra le sue fila, è comunque riuscita a vincere un altro titolo, ovvero l'Europeo. Ovviamente l'uscita di scena inaspettata contro la Macedonia del Nord ha aperto una crisi senza precedenti e Moggi è sicuro di una cosa. "Da quel momento a pagarne le conseguenze è stato il calcio italiano, essendogli venuto a mancare l’apporto dei giocatori juventini: l’Italia al Mondiale, infatti, è stata eliminata due volte al primo turno e due volte non si è qualificata".

Giancarlo Dotto per il “Corriere dello Sport” il 29 marzo 2022.

Mancio saprà cosa dire ai ragazzi. Il Mancio ispirato che ha scelto di ribaltare se stesso, stracciare la scelta più facile. Il Mancio che ha deciso di fregarsene dei rumori e degli umori del mondo, un giorno ovazioni, l’altro pernacchie. Il pallone rotola, il Mancio resta. Questo Mancio saprà cosa dire ai ragazzi che restano con lui. Forse, non ispirati come lui, ma che importa. Sopraffatti da una vergogna e da una gogna che li trascende, ma che farci? È incisa nella storia, non dipende più nemmeno dal loro eventuale sentire.  

Il Mancio che resta saprà cosa dire a poche ore della partita, a detta di tutti, più assurda, più umiliante e più inutile della storia azzurra. Un partita che sa più di dipartita. Saprà cosa dire per provare a trasformarla nella partita più carica di senso, più utile e gloriosa di sempre. Una pagina memorabile, non subito, tra cinque, dieci, vent’anni, forse, quando saremo di nuovo euforici e grati abbastanza per ricordare. 

Perso a Palermo tutto, incluso l’onore, la collina del disonore è crudelmente allestita questa sera in una città misteriosa dell’Anatolia, in un’arena gonfia di sarcasmo, non distante dal mausoleo dove riposano da quasi un millennio i resti sacri di Rumi e dove stasera non riposeranno per niente i resti dannati di Chiellini e compagni. Rumi, il poeta dervisci che ha polverizzato il senso nelle vibrazioni e le vibrazioni nell’eterno vivere, morire e rinascere. Quando, suonando e danzando, ci si libera del manto nero che ci opprime. 

Mancio dirà ai suoi pupilli, mai così amati come questa sera: “Qualunque cosa accadrà questa sera, sappiatelo, sarà la nostra collina del disonore. Se perderemo ci insulteranno, ma ci insulteranno peggio se vinceremo. Andrà così e dobbiamo saperlo. Sarà per molto tempo ancora il nostro manto nero. Dobbiamo scalare cento volte questa collina nel deserto, sapendo che rotoleremo giù ogni volta, e che questo sarà il prezzo da pagare e qualcuno dovrà farlo. Io ho scelto di farlo e se voi sceglierete di farlo con me, una storia penosa diventerà una storia bellissima. Il mucchio d’incapaci senza palle diventerà una banda di guerrieri armati della loro memoria inesorabile. Sarà la nostra impresa.

La Nazionale sarà il nostro super club. Se io ho sbagliato cercherò di non ripetere più gli stessi errori, se non siamo abbastanza bravi cercheremo di diventarlo, se non siamo stati fortunati cercheremo di meritare la fortuna e, se troveremo qualcuno lungo la strada che potrà aiutarci, dovremo essere bravi a riconoscerlo. Noi siamo tante storie messe insieme, storie anche difficili, gente che si batte con dignità contro nemici mille volte peggiori, facciamo in modo che la nostra disgrazia diventi la nostra virtù. La vera gogna per noi non è stata giovedì, sarà questa sera. Prepariamoci al peggio. Da stasera, da questa partita assurda, infamante, nascerà e passerà di qui la nostra nuova storia”. 

Mancio ha scelto di restare. Ha scelto di danzare insieme ai suoi, sapranno trovare col tempo i loro pifferi e i loro tamburi. “Voglio vederti danzare”, gli ha forse cantato in un orecchio quel giullare ispirato di Battiato. Una sfida? Molto più che una sfida. Una ribellione. Mancio non ci sta.

Da gazzetta.it il 30 marzo 2022.

Dispiaciuto sì, ma anche con quella infinita schiettezza che ha reso Mario Balotelli uno dei personaggi più interessanti del nostro calcio. Il tema è ovviamente la mancata qualificazione al Mondiale in Qatar, appuntamento per cui Mancini aveva preferito non chiamarlo: "Ha fatto male a tutti, io sono stato molto male - ha detto a Sky Sport 24 -, la questione non è la mancata convocazione contro la Macedonia o la Turchia, il Mondiale è a dicembre, c'era la possibilità di andare, non mi erano state chiuse le porte, anzi pensavo che avrei avuto la possibilità di far vedere che potevo entrare nel gruppo, quindi ho perso una chance importante anche io e comunque vedere l'Italia fuori dal Mondiale fa troppo male".

Il c.t. lo aveva richiamato per lo stage di fine gennaio, poi ha preferito puntare su altri attaccanti. "Io manco solo quando si perde... È facile dirlo ora, prima della partita nessuno pensava a me. Ho visto la partita e ci sono state occasioni, io sotto porta sono bravino ma non è detto che vincevamo se ci fosse stato Mario, ma c'erano buone possibilità di fare un gol".

Con Mancini non ha ancora parlato: "Non l'ho sentito, ma io voglio sempre bene al mister e sono felicissimo che resti, anche perché in pochi anni da c.t. ha già vinto l'Europeo. Ci sta che la gente sia delusa e che sia triste per questa mancata qualificazione, fa male non andare in Qatar, ma non si può dimenticare che l'allenatore in poco tempo ha fatto vincere una squadra forte, sì, ma nessuno si aspettava che potesse diventare campione d'Europa. Mancini ha fatto un gran lavoro, merita di continuare e io sono felice che resti".

Gigi Garanzini per la Stampa il 30 marzo 2022.  

Se ci sono andati i vecchi bucanieri azzurri, i Bonucci e i Chiellini, laggiù nell'Anatolia, è giusto aver fatto loro un po' di compagnia almeno a distanza. E tenendole eccome le distanze, sul piano emotivo. Anche se tra i tanti mai più di questi giorni il primo, per distacco, andava destinato alla finalina tra i perdenti dei playoff perché alle buffonate della Fifa, e del ranking, e dei diritti tv ad ogni costo ci si poteva pure ribellare: il Portogallo, nel suo piccolo, l'aveva detto prima, se perdiamo con la Turchia noi con la Macedonia non giochiamo.

Per dire che a tutto c'è un limite. Fuorché ai pronostici. Ed eccoci qua, loro in campo noi in poltrona, come se niente fosse accaduto. A meno di cinque anni dal finimondo seguito all'eliminazione per mano della Svezia, altro che Macedonia, del Nord: e dopo un girone perso dalla Spagna, non dalla Svizzera.

 Gratitudine per l'impresa di Wembley o passione calcistica in calando? Un po' dell'una e un po' dell'altra: ma se la prima conforta, la seconda indubbiamente preoccupa perché gli indicatori di disaffezione sono tanti. Di esaltarci per un trionfo siamo capaci ancora: di disperarci per un disastro, meno. Messa così non sarebbe nemmeno male, visto che il football rimane una modalità del tempo libero.

O non sarà piuttosto che il Mondiale è diventato qualcosa di troppo lontano da noi, come d'altra parte la Coppa dei Campioni? Nel 2026, sempre che non si metta di mezzo la Macedonia, magari del Sud, saranno vent' anni. Non solo dall'ultimo titolo. Ma anche dall'ultima sfida dentro o fuori in un Mondiale, la finale vinta ai rigori sulla Francia.

Da allora due eliminazioni nel girone, in Sudafrica e Brasile, e poi la doppia, consecutiva onta della qualificazione fallita come soltanto nel '58 era accaduto. C'era una volta un'Italia che gli Europei se li sognava, ma al Mondiale di tanto in tanto piazzava la grande impresa. Ora la storia si è capovolta, e non si direbbe che nel cambio ci abbiamo guadagnato. 

Da Ventura a Mancini un'altra storia in tre puntate. Franco Ordine il 31 Marzo 2022 su Il Giornale.

Azzurri eliminati dal Mondiale sia con Ventura, sia con Mancini. La forma è diversa, ma anche la sostanza.

Le ricostruzioni post, anche in materia di calcio, spesso producono effetti stravaganti oltre che fuorvianti. Gian Piero Ventura, ct della famosa apocalisse 2017, ha ridotto la sua clamorosa eliminazione a un dettaglio, e cioè al fatto che «mentre a San Siro mi presentai da solo in sala stampa, Mancini aveva al suo fianco Gravina nella notte di Palermo». La forma è diversa, ma anche la sostanza. La prima differenza: otto mesi prima, lo stesso ct Mancini alla guida della stessa Nazionale, sono passati attraverso il trionfo europeo di Wembley. Non una conquista qualsiasi, insomma! La seconda differenza, come la prima non di poco conto, è costituita dal clima registrato prima e durante Italia-Svezia in Nazionale.

Per chi avesse memoria corta durante il ritiro di Appiano Gentile, ci fu una sorta di rivolta dello spogliatoio nei confronti del ct e delle sue discusse scelte (Gabbiadini, ndr), segno di una sfiducia latente del gruppo azzurro riconfermata plasticamente poi dal rifiuto di De Rossi di entrare in campo. A Palermo il primo attestato di fiducia nei confronti di Mancini è avvenuto dallo spogliatoio, parole di Giorgio Chiellini.

Terza e ultima differenza: Carlo Tavecchio era già commissariato. La scelta del sostituto di Conte avvenne a casa del presidente del Coni Malagò su indicazione di Marcello Lippi. Tavecchio la ratificò. Non solo.

Al primo consiglio federale post Svezia, la lega dilettanti, da cui proveniva Tavecchio, votò la sfiducia spingendolo alle dimissioni. Gravina ha conservato dopo Palermo una solida e stabile maggioranza. Fine delle differenze e delle ricostruzioni stravaganti.

Da ilnapolista.it il 30 marzo 2022.  

Giampiero Ventura l’uomo più citato in questo periodo. Il Corriere della Sera lo ha intervistato.

«A Palermo, dopo la sconfitta con la Macedonia del Nord, il presidente Gravina era seduto accanto a Mancini. Io a San Siro ero solo, l’unico colpevole. Non l’ho mai trovato giusto».  

Le è sembrato di rivivere Italia-Svezia?

«Per certi versi sì. Ma il contesto era completamente diverso. Prima dei playoff la mia Nazionale era già contestata. Eppure io sono uscito con Svezia e Spagna, ma non mi piace fare comparazioni. Se poi penso a certe immagini: per esempio Gravina a Palermo era vicino a Mancini, al suo allenatore, gli ha dato sostegno».

Cosa le rimane di quella notte?

«Ho sorriso in questi giorni leggendo alcune dichiarazioni, qualche giornale: “Nel calcio può succedere”, “Caccia ai colpevoli”. Nel 2017 ce ne era solo uno. Trovai scorretto dovermi prendere tutte le colpe. Ma ormai l’ho superato, spero che l’Italia torni presto tra le migliori squadre del mondo».

Il calcio italiano sta peggiorando nella sua qualità?

«Si è fermato un po’ sul piano delle idee, è meno divertente. C’è stato l’exploit di Gasperini con l’Atalanta, poi qualche anno fa il Napoli di Sarri. Per il resto non mi sembra che sia un momento esaltante». 

«Bisogna dare più importanza ai settori giovanili, deve prevalere la tecnica sulla tattica. Prima alle scuole calcio i ragazzini passavano ore col pallone tra i piedi, la tattica era l’ultimo dei problemi. Se non hai la tecnica come fai a giocare?».

Da Le Iene il 30 marzo 2022.

Questa l’anticipazione del suo monologo:  

“È da più di quattro anni che mi porto un dolore dentro. E questo dolore giovedì, con la sconfitta dell’Italia con la Macedonia, è tornato intenso come quattro anni fa. 

In tutto questo tempo ho riflettuto molto e parlato poco. 

Ho ascoltato, però. 

Quattro anni fa ho subito una lapidazione. 

Sono diventato l’uomo nero, si è passati da “Ventura è un maestro di calcio” a “Ventura mangia i bambini”; quello che non si è dimesso dopo la sconfitta con la Svezia “perché voleva rubare uno stipendio”. 

Ho sempre riconosciuto la mia colpa per quell’esclusione, ma ci sono state anche altre responsabilità. 

È quello che la stampa oggi dice a una sola voce per difendere l’allenatore. 

Ed è vero.

Leggo: “Troviamo i colpevoli” 

Quindi ce n’è più di uno. 

“Non è una sconfitta della squadra, ma un problema di sistema”. 

E io sono d’accordo. 

Penso che sia lo stesso sistema di quattro anni fa, che la vittoria all’Europeo ha solo mascherato.

Un sistema in ritardo, senza visione, che ci ha portato a uscire al primo turno ai mondiali del 2010 e del 2014. E che ci impone di ragionare su queste sconfitte che sembrano arrivare immeritatamente, all’improvviso, ma che hanno radici più profonde. 

Leggo che gli stadi sono fatiscenti, che i conti non tornano, che in Italia non nascono più campioni, che i pochi italiani che giocano nei top club non hanno esperienza internazionale, e che nei vivai si preferisce investire sugli stranieri.

Ecco: questi problemi c’erano anche quattro anni fa e la mia sconfitta, purtroppo, non è servita a cambiare nulla. 

Quattro anni fa, per tutti, è stata solo colpa mia, e mi sono fatto da parte. 

Oggi invece è chiaro a tutti che la colpa è del sistema. 

E da italiano e tifoso dell’Italia sono contento che Mancini resti. Ma adesso cambiamo il sistema.”.

Da corrieredellosport.it il 30 marzo 2022.

“È da più di quattro anni che mi porto un dolore dentro. E questo dolore giovedì, con la sconfitta dell’Italia con la Macedonia, è tornato intenso come quattro anni fa". A distanza di oltre quattro anni dal flop con la Svezia, che impedì alla Nazionale italiana di partecipare alla Coppa del Mondo di Russia 2018, l'ex commissario tecnico Gian Piero Ventura, in un monologo che andrà in onda questa sera a 'Le Iene' su Italia 1, si toglie qualche sassolino dalla scarpa: "In tutto questo tempo ho riflettuto molto e parlato poco. Ho ascoltato, però. Quattro anni fa ho subito una lapidazione. Sono diventato l’uomo nero, si è passati da 'Ventura è un maestro di calcio' a 'Ventura mangia i bambini'; quello che non si è dimesso dopo la sconfitta con la Svezia 'perché voleva rubare uno stipendio'. Ho sempre riconosciuto la mia colpa per quell’esclusione, ma ci sono state anche altre responsabilità. È quello che la stampa oggi dice a una sola voce per difendere l’allenatore. Ed è vero. Leggo: 'Troviamo i colpevoli'. Quindi ce n’è più di uno. 'Non è una sconfitta della squadra, ma un problema di sistema'. E io sono d’accordo".

Ventura: "Il sistema calcio in Italia deve cambiare"

"Penso che sia lo stesso sistema di quattro anni fa, che la vittoria all’Europeo ha solo mascherato. Un sistema in ritardo, senza visione, che ci ha portato a uscire al primo turno ai mondiali del 2010 e del 2014. E che ci impone di ragionare su queste sconfitte che sembrano arrivare immeritatamente, all’improvviso, ma che hanno radici più profonde.

Leggo che gli stadi sono fatiscenti, che i conti non tornano, che in Italia non nascono più campioni, che i pochi italiani che giocano nei top club non hanno esperienza internazionale, e che nei vivai si preferisce investire sugli stranieri. Ecco: questi problemi c’erano anche quattro anni fa e la mia sconfitta, purtroppo, non è servita a cambiare nulla. Quattro anni fa, per tutti, è stata solo colpa mia, e mi sono fatto da parte. Oggi invece è chiaro a tutti che la colpa è del sistema. E da italiano e tifoso dell’Italia sono contento che Mancini resti. Ma adesso cambiamo il sistema”, conclude Gian Piero Ventura.

Stefano Carina per “il Messaggero” il 31 marzo 2022.

«Deve imparare a giocare con gli altri». Le parole del ct Mancini pesano come un macigno. Anche di più della sostituzione dopo 45 minuti contro la Turchia dell'altra sera, dell'esclusione al derby, dei fischi contro il Vitesse o degli avvicendamenti ravvicinati in Olanda e a Udine operati da Mourinho. Una considerazione - edulcorata in un secondo momento sottolineando le qualità indiscutibili del ragazzo - che riporta indietro Nicolò di un anno e mezzo. 

Almeno nella percezione di molti. Perché queste erano le stesse riflessioni di Sacchi («Deve pensare di più e imparare che si gioca in undici. Non può fare la battaglia uno contro tutti») e in parte di Fonseca («Penso che debba capire che deve lavorare di più per la squadra») tra maggio 2020 e dicembre 2021. Zaniolo vive un momento difficile. Fisicamente non è al top, l'umore è sotto i tacchi e in campo gli riesce poco e nulla. Come se non bastasse, con il cambio di modulo voluto da José (che adesso schiera due trequartisti dietro Abraham) ha perso il posto da titolare nella Roma e si trova a rincorrere.

In campo e fuori visto il nodo contrattuale che non accenna a sciogliersi. Le voci di mercato, fanno poi il resto. Ora, però, tocca a lui tirarsi fuori da questo limbo. Come? Mettendosi in discussione e ricominciando dalle cose semplici. Perché lo Zaniolo egoista o quello che «deve imparare a giocare con gli altri» contrasta con i 6 assist stagionali tra campionato e coppe o con l'intesa palesata con Abraham in questo avvio di 2022, prima della brusca flessione nel mese di marzo. Uno psicologo come Mou può/deve fare la differenza. Nicolò, 23 anni a luglio, era e resta un capitale per la Roma.

Sia tecnico che finanziario, al di là di quella che può essere la strategia societaria nei suoi riguardi. Perché se adesso il ragazzo, dopo quanto accaduto, ha presumibilmente perso potere contrattuale con il club nella trattativa per il rinnovo, l'altro piatto della bilancia vede in un'eventuale valutazione fatta da terzi, il costo del cartellino scendere. E non di poco. È dunque interesse comune riportare Zaniolo ai suoi livelli. Quale sia poi il suo futuro, alla Roma o altrove. Aprile deve rappresentare la rinascita. Tecnica e umorale. 

LEO VOLA IN FINLANDIA Un po' quello che si attende Spinazzola. Ieri il nazionale azzurro (accompagnato dal dottor Costa) è arrivato a Turku e in giornata sarà visitato dal professor Lampainen, lo stesso che lo operò a luglio dopo la rottura del tendine d'Achille. Quasi 300 giorni dopo, il nazionale azzurro attende il via libera definitivo per tornare ad allenarsi con la squadra. In queste ultime settimane, assistito come un'ombra dal preparatore Lalin e dall'osteopata Martinelli, ha spesso effettuato il riscaldamento con il gruppo, per poi proseguire con il lavoro personalizzato. Se il blitz finnico confermerà i progressi, da metà aprile (ritorno contro il Bodo-Glimt in Conference League o 4 giorni dopo a Napoli) ogni partita potrebbe esser quella giusta per rivederlo nuovamente in campo. Il peggio, sembra ormai alle spalle. È tempo di ripartire. Per lui e per Zaniolo.

Da tuttosport.it l'1 aprile 2022.

Poesia e nostalgia per un tempo passato, quando le strade e gli oratori erano fucine di talenti. Emblematica la foto apparsa sulla pagina Facebook del gruppo "Sei di Ascoli Piceno se…" che ha immortalato il ritrovamento di decine di palloni da calcio sul tetto della chiesa di San Tommaso, avvenuto durante i lavori propedeutici al restauro dell'edificio dopo le lesioni causate dal terremoto del 2016.

Quando la piazza sfornava talenti

Palloni di varie epoche, risalenti anche a decenni fa, come il 'modello' nato in occasione del Mondiale di Argentina del 1978. "Quei palloni - commenta l'assessore allo Sport del Comune di Ascoli Nico Stallone, ex giocatore in serie C e B con due presenze anche in A con l'Ascoli - sono la testimonianza di un calcio che si giocava nelle piazzette italiane, nei campetti delle parrocchie, dove bambini e ragazzi si incontravano per tirare calci sognando di diventare un campione: e molti ci sono davvero riusciti a coronare questo desiderio".

I palloni da calcio "trovati nella chiesa di San Tommaso - conclude l'assessore - non a caso sono tutti molto datati. Immagino il dispiacere di chi non ha potuto recuperarlo a suo tempo, anche perché non ce n'erano tanti a disposizione. Ma erano comunque bei tempi e tornare a giocare un po' di più in strada chissà che non possa far bene alla socializzazione dei ragazzi e al calcio italiano".

Mattia Chiusano per “la Repubblica” l'1 aprile 2022.

Quei palloni perduti sulla chiesa di Ascoli, che nessun bambino scalcia più, quelle teste basse degli azzurri di Mancini eliminati per la seconda volta dal Mondiale. Se vogliamo, quella capacità dello sport italiano di spingere oltre ogni barriera anagrafica i suoi campioni, a caccia di medaglie oltre i trent' anni mentre alle spalle non ci sono ricambi. 

Tutte le sensazioni negative delle ultime settimane si condensano in un report di 54 pagine che più o meno recita così: neanche un italiano su tre pratica sport, solo il 27 % della popolazione maggiorenne. E quel che è peggio è che più della metà degli sportivi attivi ha almeno quarantacinque anni. 

Ergo, i giovani fanno sempre meno sport, e sono una quota sempre più piccola anche tra gli appassionati che lo seguono dal vivo o sui media (solo l'8% è nella fascia 18/24 anni).

A stabilire numeri e tendenze di questo invecchiamento, che ricalca passivamente l'andamento demografico, è l'Osservatorio di Banca Ifis, con un rapporto che, secondo il vicepresidente Ernesto Fuerstenberg Fassio, «si pone come obiettivo quello di monitorare nel tempo l'evoluzione del settore in Italia».

Trovando il consenso del presidente del Coni Giovanni Malagò, che appare nel report, sicuramente non è dispiaciuto di un passaggio critico nei confronti di Sport e Salute, che alle federazioni sportive ha riservato "un minor supporto economico statale". Ma nessuno, tantomeno il Coni, può rallegrarsi dei dati prodotti da decenni di incuria sull'asse Ministero dell'Istruzione- Foro Italico. 

Dopo gli abbaglianti Giochi di Tokyo e Pechino, l'Italia scopre che 15,5 milioni di italiani praticano sport con un'incidenza del 27% sulla popolazione maggiorenne. Se quindici milioni sono la popolazione di un intero Stato, il dato in percentuale non è confortante, e diventa addirittura preoccupante in prospettiva futura. 

Il 54% dei praticanti ha dai quarantacinque anni in su. Se si allarga il campo alla fascia 35-44 anni, si aggiunge un altro blocco che porta a un 72% di sportivi un po' troppo maturi per avere ambizioni di alto livello agonistico. E la fascia "olimpica", che rifornisce le squadre dei prossimi Giochi? 

Solo il 12% ha tra i diciotto e i ventiquattro anni. Dopo edizioni olimpiche in cui le ragazze hanno tenuto in piedi le spedizioni azzurre, spuntano anche meste statistiche in cui più di sei praticanti su 10 (il 63%) sono uomini. E nello sport più praticato, che è ovviamente il calcio, la presenza femminile è ancora limitata al 17% (nuoto e pallavolo invece hanno raggiunto la parità). E pensare che se le donne sono maggioranza nella popolazione che ha più di diciotto anni.

Banca Ifis fotografa un settore del Paese che produce comunque ricavi annui per 96 miliardi e contribuisce al 3,6% del Pil. Ma il suo rapporto si salda, nella sua interpretazione di un allontanamento progressivo dalla pratica e dall'interesse per lo sport, con un altro report uscito giorni fa a cura di Uisp, Svimez (associazione per lo sviluppo dell'industria nel Mezzogiorno) e Sport e Salute.

 In sintesi: avanza l'obesità giovanile, la sedentarietà, si allarga la forbice tra Nord e Sud sia per gli indici della salute che per quelli dell'impiantistica. In cinque regioni del Sud sono più i sedentari che gli sportivi. Le aree con più disoccupazione, un tempo motore di rivalsa sociale attraverso lo sport, sono quelle con meno possibilità di fare attività. Di fronte a questi dati il numero 1 di Sport e Salute Vito Cozzoli attaccò indirettamente il Coni: «Io ho trovato due eredità pesantissime: siamo il quinto Paese più sedentario d'Europa, e siamo un paese del G7 che non regala un'ora di educazione fisica ai propri figli nella scuola primaria ». Per la nazione che ha vinto i 100 metri alle Olimpiadi, comincia la sfida più difficile.

La finalina di Italia ‘90 contro l’Inghilterra fu vinta allo stadio «San Nicola» di Bari. Liborio Conca il 06 Aprile 2022 su La Gazzetta del Mezzogiorno.

E così, per la seconda volta consecutiva, a meno di ipotesi improbabili che somigliano più alla voglia di non rassegnarsi che a possibilità anche lontanamente concrete, l’Italia non parteciperà ai campionati mondiali di calcio.

La prima edizione araba dello show calcistico per eccellenza, da giocare a novembre e dicembre quando nelle nostre case avranno iniziato ad affacciarsi gli addobbi natalizi, non vedrà scendere in campo gli azzurri, che poi sarebbero – insieme alla Germania – la seconda squadra ad aver vinto più volte il torneo. Quattro.

Non ci saranno ripescaggi, e allora non resta altro che sfogliare l’album dei ricordi.Sul palazzo della Federcalcio in via Allegri (Gregorio, compositore romano del Cinquecento, non Massimiliano, allenatore dal discreto curriculum), resta l’immagine un po’ sbiadita del trionfo di pochi mesi fa a Londra, la vittoria degli europei immobilizzata in un grande poster disteso sulla facciata che guarda verso Villa Borghese.

Wembley espugnato, it’s coming home che diventa it’s coming Rome. Qui c’è il quartier generale del calcio italiano, una sorta di Palazzo Chigi in versione pallonara che ha visto alternarsi alla sua guida numerosi premier, più o meno fortunati. Tra questi ultimi, i fortunati, al netto della mancanza di un vero successo sportivo, rientra certamente Antonio Matarrese: a lungo, questo palazzone è stato il suo regno.

Presidente federale dal 1987 al 1996, Tonino ha governato in una fase d’oro, quella della serie A come «il campionato più bello del mondo», quando sui campi da calcio della penisola sfilavano Maradona e Baggio, Van Basten e Matthaus. Nel 1990, a coronare questo periodo, l’organizzazione dei mondiali, di nuovo in Italia dopo l’edizione del 1934.

Sarà anche passato un po’ di tempo, ma rileggendo le cronache dei mesi che precedettero il via a Italia ‘90 si ritrovano non pochi punti di contatto con il presente. Il lamento generale riguardava le strutture vecchie e fatiscenti, risalenti agli anni Venti, e quindi tutte da rifare.

Adesso, le stesse strutture sono grossomodo rimaste ferme agli interventi per quel mondiale, e quindi sono da rifare di nuovo. I dirigenti sportivi dell’epoca se la prendevano con le lentezze della burocrazia; anche qui, nessuna sorpresa.

Venivano invocate generiche riforme, pure queste mai attuate. Ad ogni modo, fermando l’album dei ricordi al 1990, tra le immagini più vivide compare certamente il San Nicola di Bari, fiore all’occhiello tra gli stadi costruiti per il mondiale, l’astronave illuminata nella notte progettata da Renzo Piano e inaugurata con l’amichevole Bari-Milan a una settimana dall’inizio dei mondiali.

La nazionale disputò tutte le partite all’Olimpico di Roma, vincendole senza subire reti, fino alla delusione di Napoli, quella che secondo Matarrese resta ancora oggi la sua «più grande delusione sportiva», la semifinale persa ai rigori contro l’Argentina.

Fu così che l’ultima partita da giocare per l’Italia non fu la finale di Roma, ma quella prevista a Bari per il terzo e quarto posto. Fino ad allora al San Nicola avevano sfilato nazionali gloriose alla loro ultima apparizione (l’Urss e la Cecoslovacchia) o squadre emergenti come il Camerun di Roger Milla.

Per la finalina, Bari indossò l’abito di gala e quella che doveva essere una partita malinconica diventò una serata di gala. Totò Schillaci riuscì a segnare il gol che gli valse il titolo di capocannoniere. Roberto Baggio illuminò ulteriormente l’astronave con le sue giocate.

Tra gli avversari – a proposito: l’Inghilterra, ancora lei – si distinguevano il bomber Gary Lineker e David Platt, centrocampista dell’Aston Villa, di lì a qualche mese acquistato dal Bari. Alla fine, complice l’atmosfera di festa, le due squadre furono premiate insieme sul podio.

Il San Nicola avrebbe vissuto altri momenti di gloria, prima di insabbiarsi e decadere, perdendo qualche pezzo ma conservando in ogni caso lo status di simbolo cittadino; e non è davvero mai troppo tardi per rialzarsi.