Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

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L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

ANNO 2022

FEMMINE E LGBTI

QUINTA PARTE

 

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

 

 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

 

FEMMINE E LGBTI.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

PRIMA PARTE

 

Diversità di genere.

I LGBTQIA+.

Comandano Loro.

Il Potere nel Telecomando.

I Drag Queen.

Il Maschio.

Il Maschilismo.

I Latin Lover.

Il Femminismo.

Gli Omosessuali.

I Transessuali.

I Bisessuali.

Gli Asessuali.

I Fictiosessuali.

Gli indistinti.

I Nudisti.

L’Amore.

Sesso o amore?

Gli orecchini.

Il Pelo.

Le Tette.

Il Ritocchino.

Le Mestruazioni e la Menopausa.

Il Feticcio.

Bondage; Fetish: Il Feticismo.

Mai dire… Porno.

Mai dire …Prostituzione.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

 

SECONDA PARTE

 

La Truffa Amorosa.

La Molestia.

Lo Stupro.

Il Metoo.

Il Revenge Porn.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

TERZA PARTE

Le Violenze di Genere: Maschicidi e femminicidi.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

QUARTA PARTE

 

La Gelosia.

L’Infedeltà.

Gli Scambisti.

Gli Stalker.

Il body shaming. 

Le Bandiere LGBTQ.

San Valentino.

La crisi di Coppia.

Mai dire…Matrimonio.

Mai dire Genitori.

Mai dire…Mamma.

Mai dire…Padre.

Mai dire…Figlio.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

QUINTA PARTE

Il Figlicidio.

Le Suocere.

Il Sesso.

Il Kama Sutra. 

Prima del Sesso.

Durante il Sesso.

Dopo il Sesso.

Il Sesso Anale.

La Masturbazione.

L’Orgasmo.

L’ecosessualità.

L'aiutino all'erezione.

Il Triangolo no…non l’avevo considerato.

Il Perineum Sunning: Ano abbronzato.

Il Sesso Orale.

Il Bacio.

Amore Senile.

FEMMINE E LGBTI

QUINTA PARTE

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        Il Figlicidio.

Antonio Giangrande: Non dovevo nascere.

A proposito di figlicidio. Alla morte di mio padre ogni tabù è caduto. Mia madre mi ha raccontato che sono un sopravvissuto. Uno che non doveva nascere.

Mia nonna paterna era la matrona della famiglia. Era lei a decidere le sorti dei suoi otto figli: quattro maschi e quattro femmine.

Era lei a decidere anche nelle loro famiglie.

Mio padre e mia madre erano appena sposati ed era mia nonna paterna a decidere il loro destino.

Li costrinse ad emigrare per lavorare.

Ma c’era un problema: mia madre era incinta. Ed era un intoppo.

La portò dalla “mammana”, una ostetrica casalinga.

La signora chiese a mia madre: perché vuoi abortire?

Essa, ignara, rispose: cosa è l’aborto?

Era stata portata in quel posto senza sapere cosa dovesse fare. Portata dalla madre di mio padre e, sicuramente, con l’assenso di lui, perché io non ho mai saputo di questo fatto, né che ci siano state ripercussioni nei rapporti tra mio padre e sua madre.

La “mammana” chiese a mia madre: tu lo vuoi questo bambino? Sì, rispose mia madre.

La “mammana” disse a mia nonna paterna: se anziché tua nuora, fosse tua figlia, faresti fare questa cosa? No, rispose mia nonna paterna.

La “mammana” intimò a mia nonna: porta a casa sta piccina e lasciala stare.

Oggi sono qui a raccontare quest’episodio. La mia vita è stata una sofferenza perenne di uno che non doveva nascere: un inaccettato per tutta la vita, avvinghiato da povertà ed ignoranza.

Oggi mio padre è morto per tumore alla prostata. Male che si lascia in eredità.

Mio padre era uno che nulla faceva per gli altri, ma lo pretendeva per sé.

Mio padre, però, sicuramente, era uno che dava. E a me, tra le altre cose, ha dato il suo male.

 Oggi, però, sono qui a raccontare che sono un sopravvissuto che non doveva nascere. E tutto quel che è successo è tutto di guadagnato. Sicuro di aver guadagnato 60 anni di vita, pur tribolata.

Solo le donne sanno cosa è l’aborto. Barbara Alberti su L’Espresso il 18 Novembre 2022.

È un lutto segreto, la madre che nega sé stessa, dal quale non si guarisce. E invece circola la favola cattiva che lo descrive come un semplice mezzo di contraccezione

Gli antiabortisti dicono che l’aborto è un assassinio. Hanno ragione. Noi donne lo sappiamo bene. Ed è il più paradossale dei suicidi, la madre uccide sé. Sopprime il feto che è in lei, il germoglio, parte del suo corpo, non ancora bambino e già figlio. Essere tomba invece che culla. Non si guarisce dall’aborto. Se ne esce vive a metà. Portare un lutto segreto per sempre. Questo noi lo sappiamo. Nel millenario massacro dei nostri corpi, nel rimpianto che non dimentica. Solo le donne lo sanno.

C’è quella favola cattiva secondo la quale, la libertà di aborto spingerebbe le donne all’imprudenza, tante ragazze si darebbero al sesso più spensierato, e se restano incinte che importa, tanto c’è l’aborto. Niente di grave, come cavarsi un dente. A questa dicerìa sembravano rispondere le parole di papa Francesco, quando parlando dell’aborto lo definì la tragedia delle donne. Ecco, la pietà.

Nelle parole del Papa c’era pietà per quell’atto di violenza che comprende madre e figlio, lui sentiva il dolore della madre-non-madre. Le donne NON vogliono abortire. Le donne hanno in abominio l’aborto, più del Papa. Per arrivare alla negazione di sé dev’esserci un motivo insindacabile, che riguarda solo la madre: la sua volontà di rinuncia.

La maternità, anche se minuziosamente spiegata dalla scienza, resta un atto magico. Dare la vita. Una vita mortale. Fa tremare. L’uomo nasce figlio, la donna madre. Magari di sé stessa (le donne sono capaci di tenerezza anche verso di sé, sanno darsi consolazione. Il maschio è meno capace di volersi bene, si misura con gli altri, sa meno sorridere di sé, più difficilmente si perdona).

Le donne non vogliono abortire. Si assumono questo delitto per non commetterne un altro, fare un figlio che non si vuole. Solo la madre può decidere. Non esistono metodi sicuri al 100 per 100 per evitare il concepimento. L’errore è sempre in agguato, in certi casi nemmeno la pillola preserva. Esistono solo due anticoncezionali infallibili, la sterilizzazione e la castità.

Non si guarisce dall’aborto. Forse in traumi atroci come la violenza di gruppo, quando si vuole distruggere quel ricordo, e si ha orrore di avere in sé in figlio dell’aguzzino. Ma perfino chi lo vede come incidente e ostacolo, lo strappa da sé con dolore.

L’impero maschile e le religioni del dominio hanno sempre saputo che la donna è la chiave di ogni potere, perché produce la vita. Se ci hanno rinchiuse imprigionate atterrite divise dal nostro corpo bruciate violate calunniate derise schiacciate nell’ignoranza, è perché siamo pericolose davvero. Se sfugge di mano la donna, ogni potere è perduto. Oggi i maschi hanno molta molta molta più paura di noi di quanto non confessino, le loro adulazioni e la strage di donne ne sono la prova.

Una volta smascherati, che ne faranno della loro debolezza? Anche per questo ci ammazzano. Hanno paura delle streghe? Non abbastanza. La nostra libertà è terribile. Contemplava fin dall’inizio questo durissimo arbitrio, e che un giorno dicessimo Vogliamo potere di vita e di morte, perché siamo le padrone del creato. Nessuno può entrare fra noi e il figlio che abbiamo concepito. Non è giusto. È un fatto.

In un mio libriccino di gioventù, "Vangelo secondo Maria", la Madonna è una ragazzina di Nazareth che si è montata la testa con la Bibbia, come don Chisciotte coi romanzi d’avventura. A lei come donna tutto è proibito, ma quando in sinagoga sente i profeti che chiedono conto a Dio, trattandolo da pari a pari, apprende da loro il sollievo della rivolta. E quando scopre di essere la prescelta a far nascere il Redentore, oppone il suo piccolo disegno a quello immenso di Dio, e in nome del libero arbitrio rifiuta la maternità divina. Maria nega il peccato originale, e rifiuta d’essere il vaso del Dio. Ma la sua rivolta è possibile solo perché, come donna, ha in sé il potere della nascita.

«Cara Barbara Alberti, non stigmatizziamo le donne che abortiscono».  Federica di Martino su L’Espresso il 24 Novembre 2022. 

Federica di Martino della piattaforma "IVG, ho abortito e sto benissimo" replica alla nostra opinionista

In merito al commento di Barbara Alberti vogliamo ribadire la necessità di riconoscere l'aborto come un'esperienza personale e soggettiva, suscettibile di diverse coloriture emotive, che non possono, dunque, essere ricondotte ad una visione univoca.

Alla luce dell'urgenza, in tempi di revisionismo storico sul fronte dei diritti, di riscrivere linguaggi e narrazioni nuovi, non possiamo tollerare una retorica stigmatizzante e colpevole verso chi abortisce.

I diritti di autodeterminazione sui nostri corpi e sulle scelte riproduttive non si pagano in dazi di dolore.

In una società in cui il diritto di aborto è messo continuamente in discussione, non possiamo continuare a paragonarlo a un assassinio. I vissuti che attraversano l'aborto sono molteplici, e ciascuno ha il diritto di potersi dire e rappresentare nel mondo senza essere delegittimato.

Appropriarsi dei vissuti soggettivi attraverso una rappresentazione univoca, che ci vede oltretutto dolenti di fronte alla maternità negata, non fa altro che silenziare le nostre storie, le esperienze che ci attraversano, così come la possibilità di poter rivendicare che l'aborto può essere un'esperienza consapevole e liberatoria. Potrebbe esserlo ancora di più se le donne venissero accompagnate in modo rispettoso, con un accesso alle cure dignitoso, servizi adeguati con la presenza di personale non obiettore, nonché in una società non giudicante.

L'inferno dell'aborto lo crea la solitudine forzata a cui le donne sono costrette per la paura di sentirsi giudicate, per quello stigma sociale che diventa interiorizzato, che non permette loro di sentirsi libere di rivendicare la propria scelta senza sentirsi additate da una società che le vuole dolenti per riuscire ad accedere, previa una via crucis infinita, a elemosinare diritti.

E quel "Non si guarisce dall'aborto. Se ne esce vive a metà", diventa una condanna senza appello per un processo a cui nessuna donna dovrebbe essere chiamata. Continuare a parlare di aborto in termini di sottrazione della maternità è un crinale pericoloso, perché ancora una volta subordina il piano dei diritti sul nostro corpo al mero finalismo riproduttivo. Non siamo nate per essere madri, scegliamo se esserlo, e se incorriamo in una gravidanza indesiderata, l'aborto si configura come una pratica sanitaria volta al benessere, perché in quel momento non vogliamo essere madri. Quindi, sarebbe bene che nessuno ci imputasse la necessità reale, mancata o fantasmatica di doverlo essere.

Alla luce di una corresponsabilità divulgativa, chiediamoci, quindi, cosa possa pensare una donna che ha abortito o che ha scelto di abortire, nel leggere quelle parole. Assumiamo politicamente lo spazio che le nostre parole occupano, nell'idea che possano e debbano diventare luoghi di accoglienza, sostegno e accrescimento della consapevolezza personale.

L'aborto è quello che è per ogni persona. Le nostre parole sono strumenti, cerchiamo di non farle diventare armi.

Maria Berlinguer per “la Stampa” il 15 novembre 2022.

In Toscana, unica di tre Regioni a distribuire gratuitamente contraccettivi alle ragazze sotto i 25 anni nei consultori, le interruzioni di gravidanza sono in forte calo soprattutto tra le giovanissime.  Meno 31 per cento tra le ragazze rispetto al meno 16 per cento del resto delle donne che hanno scelto di interrompere la gravidanza. E solo in Emilia Romagna e in Puglia le donne sotto i 25 anni hanno il diritto di accedere gratuitamente ai contraccettivi.

E pure l'aborto è in forte calo ovunque. Gli ultimi dati disponibili e ufficiali dicono, malgrado le alzate di scudi del nuovo governo, che dal 2019 al 2020 gli aborti sono calati del 9,3 per cento. «Questo è stato il merito della contraccezione che ci voglio togliere mettendo consultori cattolici, già la Lorenzin ci ha tolto nel 2018 la contraccezione gratuita e anche questo ha avuto un suo significato - dice Silvana Agatone presidente dei ginecologi non obiettori -: le persone che hanno poco reddito hanno difficoltà anche ad acquistare la contraccezione».

Ma «nonostante tutto c'è un calo, merito di una maggiore consapevolezza. Resta il fatto che una donna che vuole contraccezione si deve pagare tutto - aggiunge - dicono vogliamo meno aborti, beh, cominciassero a pagare la contraccezione nel sistema sanitario». 

«Gli aborti sono in diminuzione dal 1978, nel mondo muoiono cinquantamila donne ogni anno di aborto non sicuro e quindi le donne abortiscono comunque» spiega Elisabetta Canitano ginecologa e militante per il diritto della donna di scegliere.

«Se la Toscana può dimostrarci che l'accettazione della sessualità femminile e quindi la distribuzione gratuita dei contraccettivi funzionano beh dobbiamo applaudire». Canitano che ora milita in Potere al Popolo ricorda che solo Puglia e Emilia Romagna sono altrettanto virtuose. 

Silvio Viale da sempre in prima linea a difesa del diritto di abortire conferma il calo delle interruzioni di gravidanza. «Io ho i dati dell'ospedale Sant' Anna di Torino che fa la metà degli aborti del Piemonte e il 90% di quelli di Torino e a settembre eravamo in calo del 6% rispetto all'anno precedente, l'età media degli aborti è uguale a quella delle prime gravidanze, 32 anni, sono aumentati gli aborti nelle donne sopra i 40 anni che addirittura sono superiori rispetto alla donne sotto i 25» dice.

In Piemonte non vengono distribuiti gratuitamente i contraccettivi ma questo per Viale è un falso problema. «Fino a pochi anni fa erano dati dal sistema sanitario. Ma c'erano molti più aborti. È la maggior consapevolezza che ha fatto calare gli aborti. Le donne italiane sono tra le più virtuose, in Francia e in Svezia gli aborti sono il doppio. La Francia fa un terzo di figli in più e fa il doppio di aborti».

 Il grosso calo in parte è dovuto alla riduzione della popolazione in età feconda, ma la diminuzione è doppia rispetto al calo delle nascite. «Negli ultimi 40 anni abbiamo avuto due terzi in meno di aborti mentre le nascite sono calate del 16%» prosegue Viale. Le donne con meno di 25 anni in Italia sono 3 milioni e ci sono circa dieci milioni di donne in età feconda: secondo le stime il 20 per cento utilizzerebbe la pillola. Secondo i dati 2020, 41 donne su mille hanno avuto una gravidanza, il 5,4 per cento ha sc

Lettera di Eugenia Roccelli per “La Stampa” il 24 ottobre 2022.  

Caro direttore, Loredana Lipperini ha ritrovato nella sua libreria «Aborto, facciamolo da noi», un libro del 1975 con la prefazione di Adele Faccio, curato da me. Anch' io l'ho conservato, ma ne ho solo una copia molto sciupata. Sciupata perché all'epoca l'ho prestato cento volte, a ragazze che nulla sapevano del proprio corpo, giovani donne degli anni Settanta che cominciavano a ribellarsi alla mistica della femminilità in modo magari confuso ma coraggioso. 

Era un libro politico, certo, anzi era un libro militante, firmato dal Movimento di Liberazione della Donna, di cui ero leader, e dal Cisa, l'organizzazione di Adele Faccio che aveva inaugurato la disobbedienza civile sull'aborto. Fu Adele, con il suo plateale arresto, a dare impulso alla raccolta di firme per il referendum abrogativo delle norme del Codice Rocco sulla «integrità della stirpe» promosso dai radicali. 

Oggi ben poche donne, anche tra quelle che si professano femministe o transfemministe, sanno chi era Adele Faccio, sanno delle migliaia di autodenunce raccolte dal Mld, dei digiuni di Pannella ma anche nostri; io ho digiunato 15 giorni per un obiettivo tipicamente radicale, poi raggiunto, cioè la fissazione dei tempi di discussione della legge sull'aborto in commissione. Parlavamo di diritto? Sì, lo facevamo. In realtà erano i radicali a farlo, a differenza delle femministe storiche, e spesso erano accusati di tradire lo slogan femminista («nessuna legge sul nostro corpo») chiedendo, appunto, una legge. L'articolo di Lipperini mi invita a «dire la verità sull'aborto».

Ma delle battaglie di quegli anni nessuno ha più memoria, e se oggi si parla di aborto è solo per usarlo come arma contundente e impropria contro un governo che non è di sinistra e non è nemmeno tecnico (un peccato assai grave), e bisogna agitare lo spauracchio dell'attacco ai diritti delle donne. Che questa maggioranza sia stata votata dagli italiani ha poca importanza, così come non importa che il governo sia guidato da una donna, un fatto rivoluzionario nella storia, molto maschilista, della politica italiana.

La verità è complessa, non si può ridurre a slogan, e nemmeno a semplificazioni del tipo «ha cambiato idea», o peggio, «ha rinnegato il suo passato». Non ho rinnegato proprio nulla. Anche allora l'aborto non era la nostra massima aspirazione, ma un male necessario, per non essere schiacciate in un ruolo che chiudeva le donne in una gabbia di oppressione e subalternità. Al di là del clima gioioso che c'è sempre nelle manifestazioni, l'aborto non era vissuto come una rivendicazione orgogliosa, piuttosto come una disperata via di fuga, non un diritto, ma un potere iscritto nel corpo. 

Non è al Mld che ho imparato che l'aborto non è un diritto, ma attraverso il femminismo della differenza. Leggendo per esempio una leader carismatica come Carla Lonzi, che scriveva «L'uomo ha lasciato la donna sola di fronte a una legge che le impedisce di abortire: sola, denigrata, indegna della collettività. Domani finirà per lasciarla sola di fronte a una legge che non le impedirà di abortire». Di citazioni potrei farne tante, ma non è questo il punto.

Il punto è: si può aprire una riflessione sulla rivoluzione antropologica, su quali siano le forme del nuovo patriarcato, su quali siano oggi gli obiettivi delle donne, senza trincerarsi dietro logiche di schieramento e accuse strumentali, false e a volte offensive? Lipperini parla anche del Fuori, una delle prime associazioni gay, ma non spiega che se allora avessi ragionato di matrimonio omosessuale con loro mi avrebbero riso in faccia, accusandomi di voler normalizzare e irreggimentare la libertà sessuale, e avrebbero rilanciato scagliandosi contro il matrimonio eterosessuale, il «pezzo di carta». 

Tutto è cambiato, la sinistra sostiene il liberismo procreativo, il nuovo fiorente mercato del corpo, fatto di contratti, compravendite, affitti di parti del corpo femminile; le femministe che ritengono che la fonte dell'esclusione delle donne sia il corpo sessuato sono definite con disprezzo Terf, e non c'è spazio per un pensiero irregolare. 

Giorgia Meloni ha ripetuto fino alla nausea che non vuole cambiare la legge sull'aborto, e io non solo non ho nessuna volontà di farlo, ma non ne avrei nemmeno il potere, visto che dell'applicazione della legge 194 si occupa il ministero della Salute insieme alle Regioni. La mia storia è insolita, e sulla mia famiglia, anomala e scombinata, ho scritto un libro che uscirà nei primi mesi dell'anno prossimo. 

Se davvero a qualcuno importa conoscere la verità sull'aborto che Lipperini chiede, e anche cosa ha voluto dire vivere dentro una famiglia radicale, dentro il piccolo e straordinario mondo pannelliano, potrà farlo. Ma non mi sembra ci sia in circolazione molta reale curiosità per chi la pensa diversamente, e dietro tutta la retorica della diversità temo si nasconda solo la voglia di rimanere ben chiusi nelle proprie certezze.

Loredana Lipperini per “La Stampa” il 24 ottobre 2022.

Il libro si intitola “Aborto, facciamolo da noi”, edizioni Roberto Napoleone, l’anno di uscita è il 1975, il prezzo, 1500 lire. In copertina, su sfondo rosso, due mani di donna unite e aperte nel gesto femminista. Non ci sono autori, se non le due sigle di Cisa (Centro Informazione Sterilizzazione e Aborto) e Mld (Movimento di Liberazione della Donna). C’è una prefatrice, Adele Faccio, e, infine, c’è una curatrice, Eugenia Roccella, attuale ministra per la Famiglia, Natalità e Pari opportunità. 

Sono andata a ricercare il libro nei piani alti della libreria: sapevo di averlo perché le ragazze della mia generazione lo avevano quasi tutte, e perché parlava di anticoncezionali, di visite ginecologiche, della conoscenza di quei nostri corpi su cui, con grande sorpresa, potevamo esercitare una libertà impensata fino a quel momento. 

Quel libro era anche un gesto di militanza: nella seconda parte, le militanti del Cisa illustrano come si esegue un’interruzione di gravidanza con il metodo Karman, ovvero non con raschiamento ma con aspirazione, pratica che limitava enormemente le complicazioni nei tempi in cui l’aborto era illegale, e si finiva in assai loschi studi medici a rischiare la perforazione dell’utero e a inzuppare la camicetta di sudore e dolore, visto che non si praticava anestesia.

Quel libro era dunque un libro politico: non un invito al lato oscuro del materno, come dice oggi la ministra, ma semmai il tentativo di salvare le vite delle donne che ogni martedì e giovedì alle 17 affollavano le scale di via di Torre Argentina 18, la sede del Partito radicale dove il Cisa teneva le riunioni riservando ai casi più complessi il volo charter per Londra e distribuendo fra le case delle militanti gli interventi con il Karman.

Quelle donne in lacrime che imploravano aiuto al telefono chiedevano di non morire. Ed Eugenia Roccella questo scriveva nella prefazione: di sentirsi, come femminista, sorella di «Petruzza Lo Prete, immigrata di Genova, morta perché si è infilata un ferro nell’utero nel tentativo di evitare una gravidanza non voluta». La sua lunga dedica, peraltro, include, oltre a Petruzza, Rosalba Morandi, Antonina Vitale, Elena Lauria e «tutte le donne morte per aborto clandestino». Subito sotto, Roccella estende la dedica «a Paolo VI, Fanfani, la Dc, tutti coloro che sono contro l’aborto libero, gratuito, assistito per l’aborto clandestino, di massa e di classe, magari in nome del “principio della vita” perché ci pensino su».

Oggi che entrambe abbiamo scavallato i sessant’anni, mi chiedo quanto lei ci abbia pensato su. L’ho conosciuta nel 1976, appena arrivata al Partito radicale. La chiamavamo tutti Jenny. Era la figlia di Franco, cofondatore del partito, ma era soprattutto una ragazza compunta, precisa, abilissima nello scegliere le parole giuste, non un eccesso o una trasandatezza nel vestire, una determinazione lucida in ogni intervento come segretaria del Movimento di Liberazione della Donna. 

Prima dell’occupazione dello stabile di via del Governo Vecchio, la sede Mld era appunto in via di Torre Argentina: per l’esattezza era nel piccolo corridoio che si apriva davanti all’ascensore interno, accanto alla stanza della Lega Obiettori di Coscienza e, a futura ironia, a quella del Fuori (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano). Molti anni dopo, Roccella avrebbe parlato in più occasioni dei suoi ex vicini di corridoio come di “lobby gay”.

Ora, non è che non si possa cambiare, figurarsi: la vita riserva a tutti la possibilità di capriolare, e di diventare la stessa persona che a vent’anni si è combattuta con tutte le proprie forze. Succede, e del resto una piccola parte dei vecchi femminismi, quella che troppo spesso ha confuso sorellanza con posizioni di potere, non ha aiutato a rendere limpide le acque. Però, quel che si auspicherebbe è l’onestà. Non molto tempo fa Roccella ha detto: «Le femministe non hanno mai considerato l’aborto un diritto». Sì, invece. E anche lei. Pagina 18 della sua introduzione: «A difendere il diritto all’aborto dobbiamo essere proprio noi femministe». Per Petruzza Lo Prete, e per tutte le altre di ogni tempo e luogo.

Spezia, la messa in un asilo per commemorare "le vittime dell'aborto": polemiche in paese contro il prete. Chiara Tenca su La Repubblica il 4 Novembre 2022

Don Tomaso Fasoli direttore scolastico diocesano e parroco della chiesa di San Bartolomeo a Santo Stefano Magra

La segnalazione le è arrivata da alcuni concittadini indignati. Poi la consigliera del Comune di Santo Stefano Magra Eva Battistini (Rifondazione Comunista), ha condannato a sua volta l'evento sulla propria pagina Facebook e ora annuncia iniziative anche a livello istituzionale.

La denuncia riguarda l’iniziativa del parroco di Ponzano Magra don Tommaso Fasoli: una messa in suffragio delle "vittime dell'aborto", in programma l’8 novembre, inserita nella commemorazione dei defunti.

Se il feto diventa un numero. "Le parole sono importanti, chi parla male pensa male". Nei giorni scorsi il Comune di Roma a guida Pd ha modificato il regolamento cimiteriale sui feti. Felice Manti il 5 Novembre 2022 su Il Giornale.

«Le parole sono importanti, chi parla male pensa male». Nei giorni scorsi il Comune di Roma a guida Pd ha modificato il regolamento cimiteriale sui feti. Non saranno più sepolti con il nome della madre, ma avranno un numero. «In materia di prodotti abortivi la norma prevede esplicitamente il necessario consenso della donna e una procedura di seppellimento che garantisca la tutela della riservatezza e della dignità personale», gongolano i Radicali in Campidoglio. L'aborto è una sconfitta per tutti: per le donne in primis, a volte lasciate troppo sole a decidere se trasformare il loro dono in una maledizione anche per colpa di una legge vecchia e fuori dalla Storia - la 194 - che il centrodestra si ostina a non voler modificare, sebbene i presupposti da cui nasceva (la tutela della maternità) siano stati sostanzialmente stravolti da una consuetudine che l'ha resa un orribile metodo contraccettivo. Ora che la pillola abortiva RU486 è stata introdotta come farmaco quasi da banco, i numeri degli aborti ospedalieri saranno destinati a crollare. Numeri, per l'appunto. Non nomi. «Prodotti abortivi», non feti, non cellule viventi strappate alla vita, non esseri umani in potenza che non vedranno mai la luce. Se la parola «Natalità» piazzata in una targhetta ministeriale ha fatto inorridire i soliti benpensanti, chi ha partorito il termine «prodotto abortivo» e l'idea che un numero possa seppellire un dolore e cancellare una sofferenza dovrebbe rileggersi un libro. Basta il titolo: Se questo è un uomo.

A Savigliano commemorati i «bambini abortiti»: è polemica. Simona De Ciero su Il Corriere della Sera l'1 Novembre 2022.

La Rete più di 194 Voci: «Ennesimo attacco ai nostri diritti»

Diritto all’aborto e polemiche. Fa discutere l’iniziativa promossa oggi, martedì 1 novembre, a Savigliano dove sono stati commemorati «i bambini morti per cause naturali e quelli che sono stati vittima d’interruzione volontaria di gravidanza, delle tecniche di fecondazione artificiale, dei contraccettivi abortivi e dell’aborto chimico con RU486». È quanto recita il volantino che ha promosso la commemorazione firmato dall’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, dal Centro Aiuto alla Vita e dalle parrocchie saviglianesi e che ha fatto andare su tutte le furie le associazioni pro-choice.

«L’ennesimo attacco dei movimenti reazionari antiabortisti, cristiani di estrema destra - sulla scia della Polonia, degli Stati Uniti e di alcune regioni italiane - ai nostri diritti, alla libertà e all’autodeterminazione, in linea con gli ultimi provvedimenti regionali» commenta Elena Petrosino della Rete più di 194 Voci, riferendosi al fondo «vita nascente» ratificato poche settimane fa a favore delle donne piemontesi incinta che, in un primo momento decise ad abortire, cambieranno idea portando avanti la gravidanza.

Aborto, la costituzionalista: «Il ddl Gasparri vuole creare un cittadino-feto. E sarebbe il caos». «I regimi fascisti appena prendono il potere intervengono contro l’interruzione di gravidanza». La docente di diritto Marilisa D’Amico commenta il disegno del senatore di FI sulla capacità giuridica del concepito: «Avrebbe dunque diritti propri?» Simone Alliva su L'Espresso il 20 Ottobre 2022

Sono andate in frantumi le promesse di Giorgia Meloni che stanca delle «insinuazioni» aveva rassicurato per tutta la campagna elettorale: «Non toccheremo la legge 194 sull’aborto». Il merito va al senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, fama di politico esperto, conquistata per accumulo - è in politica da trent’anni- che lo scorso 13 ottobre ha depositato un disegno di legge che propone di modificare l'articolo 1 del Codice Civile, quello che prevede il riconoscimento dell'acquisizione della capacità giuridica "dal momento della nascita».

Secondo l'opposizione, si metterebbe in discussione la ratio alla base della legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza. Insorge il Pd, che parla di una iniziativa «inaudita». Ma anche Sinistra e M5s si schierano contro il testo a prima firma dell'azzurro. Gasparri si difende e spiega di non voler entrare nella polemica, «i punti di vista diversi sono tutti legittimi» E ricorda che il ddl non è una novità «Lo presento da tempo all'inizio di tutte le legislature, è un impegno morale che avevo preso con Carlo Casini del Movimento per la vita, che fu a lungo deputato Dc e che è scomparso alcuni anni fa. Mi farebbe piacere una discussione serena su questi temi». Di sereno però c’è poco. 

«Un caos» spiega a L’Espresso Marilisa D’Amico, Professoressa ordinaria di Diritto costituzionale e prorettrice con delega a Legalità, Trasparenza, e Parità di diritti all’Università di Milano. «A colpi di cavilli e pretesti possono sempre essere create nuove difficoltà».

Professoressa cosa pensa del discusso disegno di legge Gasparri sui diritti del concepito?

«Incidere sull’articolo 1 del Codice civile vuol dire creare, di fatto, un cittadino-feto con i diritti che discendono dalla capacità giuridica. Diritti di qualsiasi tipo. La finalità di questa legge e la storia che si trascina dietro è quella di impattare sulla 194 e vietare l’aborto. Un ritorno a una disciplina repressiva».

Facciamo un'ipotesi, entriamo nel mondo Gasparri: la legge viene approvata grazie a questa maggioranza. Quali saranno gli effetti reali sul corpo delle donne?

«Se si acquista capacità giuridica già al momento del concepimento è un caos. Il cittadino-feto avrebbe diritti propri (e chi lo rappresenterebbe?), in ipotesi anche contro la madre. Erediterebbe? Avrebbe parenti a cui lasciare l’eredità di un eventuale patrimonio, in caso di aborto? E così via».

Difficile dunque immaginare gli esiti. Secondo lei la legge 194 è in pericolo?

«La legge 194 è una legge ordinaria a contenuto costituzionalmente vincolato. La Corte costituzionale con la sentenza 35 del 1997 ha dichiarato non è possibile abrogarla, non può essere modificata con una legge ordinaria, non la si può cambiare mettendo in discussione i principi su cui si basa».

Non c’è da preoccuparsi quindi?

«Ci si deve preoccupare invece. È sicuramente il tentativo di attaccare un istituto simbolo. Lo vediamo nella storia. Pensiamo a quella romana: è sotto l’impero di Augusto che troviamo leggi che vietano l’aborto e storie di aborti clandestini chiesti da donne che controllavano la natalità, il tentativo era quello di un controllo - ideologico per sottomettere le donne. I regimi fascisti appena prendono il potere intervengono contro l’aborto. Guardiamo alla Polonia dove si può abortire solo in caso di incesto, ma è vietato in caso di stupro. In Italia abbiamo una giurisprudenza salda ma il tentativo di stravolgerla è sempre dietro l’angolo».

Il fenomeno di obiezione di coscienza in Italia rende già molto difficile l’aborto. È preoccupata delle iniziative di questo governo su questo fronte?

«C’è da stare attentissimi. L’obiezione di coscienza è stata usata per sabotare l’aborto, non per tutelare chi ha un’etica particolare. A colpi di cavilli e pretesti possono sempre essere create nuove difficoltà. Non dobbiamo dimenticare che l’Italia ha ben due condanne del comitato europeo dei diritti sociali per il modo in cui l'art. 9 della 194 viene utilizzato».

Aborto, il ddl di Gasparri riaccende lo scontro con la sinistra. Il senatore di Forza Italia, come fa ad ogni inizio di nuova legislatura, presenta una proposta di legge per riconoscere la capacità giuridica del concepito. La sinistra si infuria e alza le barricate. Orlando Sacchelli il 18 ottobre 2022 su Il Giornale.  

Il senatore Maurizio Gasparri (Forza Italia) presenta una proposta di legge sull'aborto, come fa da anni all'inizio di ogni nuova legislatura, ma la mossa non piace alla sinistra, che grida allo scandalo e protesta contro il presunto "oscurantismo" del centrodestra.

"Il disegno di legge sui 'diritti del concepito' lo presento da tempo all’inizio di tutte le legislature - spiega Gasparri - è un impegno morale che avevo preso con Carlo Casini del Movimento per la vita, che fu a lungo deputato Dc e che è scomparso alcuni anni fa. Mi farebbe piacere una discussione serena su questi temi. Che avesse almeno come obiettivo la applicazione delle intera legge 194, che non va abolita, ma che andrebbe rispettata in tutte le sue norme. Parlare della vita sarà lecito o no? Ripresento sempre questa proposta sperando che prima o poi si possa discutere con serenità di questi temi. Nessuna imposizione ma nessuna fuga davanti a questioni di cui comprendo la rilevanza, la delicatezza e la complessità. La mia speranza è che almeno, come hanno detto più volte Meloni, Tajani, Salvini, si arrivi alla piena e non parziale applicazione della 194".

Ad aprire il fuoco contro la proposta è la capogruppo del Pd al Senato, Simona Malpezzi: "In Senato FI ripresenta il ddl per modificare l’art 1 del codice civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica del nascituro. Questa è la destra che ha a cuore la libertà delle donne, la destra che dice che non toccherà la 194. Inaudito".

Sulla stessa linea Valeria Valente (Pd). "Il disegno di legge del senatore Gasparri per il riconoscimento della capacità giuridica al concepito - spiega - ha un solo scopo: minare alla radice la legge 194/78 sull’interruzione volontaria di gravidanza. Si svelano dunque le promesse da mercante di Giorgia Meloni. Non serve abrogare o modificare la legge sull’aborto, basta approvare il disegno di legge di Fi e riconoscere il diritto alla vita del nascituro per vietare nei fatti la possibilità di abortire. Il contenuto di questo ddl è gravissimo e rivela una volta per tutte, purtroppo per noi, la visione della destra della maternità e della libertà e dei diritti delle donne".

Rincara la dose Chiara Appendino, deputata del Movimento 5 Stelle. "Non si è ancora insediato il governo e Gasparri ha già depositato una proposta di legge contro l'aborto - scrive su facebbok l'ex sindaco di Torino -. In campagna elettorale giocavano con le parole, ora scherzano con il fuoco. Non sarà la politica ad opporsi a questi passi indietro ma l'Italia".

Carlo Calenda, leader di Azione, allarga il discorso citando vari esempi che, a suo dire, evidenziano la crisi del centrodestra. "Oggi: 1) La Russa ha rivendicato i busti di Mussolini; 2) Fontana si è espresso contro le sanzioni; 3) Berlusconi ha riallacciato i rapporti con Putin; 4) Gasparri contro il diritto all'aborto. Così questa coalizione non regge sei settimane altro che sei mesi. Aridatece Draghi".

''Come era quella che 'la destra non vuole cambiare la legge sull'aborto'? - si chiede con sarcasmo Alessia Morani, componente della direzione del Pd -. Basta il Ddl Gasparri depositato il 13 ottobre che vuole modificare l'art. 1 del codice civile. Se si riconosce la capacità giuridica dal momento del concepimento il feto ha gli stessi diritti della madre. Serve altro?".

"Come previsto, la prima mossa della destra in questa nuova legislatura è mettere i diritti delle donne nel mirino", punta il dito Riccardo Magi, deputato e presidente di +Europa. "La proposta di legge depositata al senato da Gasparri contro l’aborto rappresenta solo il primo tentativo di abbattere le conquiste di questi anni. Come +Europa ci opporremo dentro e fuori il parlamento, a difesa di tutte e di tutti".

Come si vede la polemica è già alle stelle, e non sono passati che pochi giorni dall'inizio dei lavori della nuova legislatura. Eppure che i rappresentanti dei cittadini tornino a discutere anche su temi come l'aborto, che dividono le coscienze, è il sale della democrazia. Non vi possono essere temi tabù o totem intoccabili.

Legge sull’aborto: quali sono i limiti e le ambiguità della 194. Filomena Gallo, Anna Pompili su Il Riformista il  13 Ottobre 2022. 

Nell’ultima campagna elettorale è stata molto enfatizzata la contrapposizione tra diritto all’aborto e diritto a non abortire. Essendo assolutamente inutile disquisire sulla risibilità del secondo, vorremmo però soffermarci sul primo, che, come l’altro, nel nostro Paese semplicemente non esiste. In Italia, infatti, l’aborto, lungi dall’essere un diritto, è ancora un reato, punito, al di fuori dei casi previsti dalla legge 194 del 1978, a norma dell’art. 19 della stessa legge.

La legge 194 nasce per arginare la piaga degli aborti clandestini e tutela esclusivamente il diritto alla salute fisica e psichica della donna, ma non lascia spazio all’autodeterminazione; anzi, in alcuni punti il dettato della legge suona persino lesivo per la dignità delle donne, come, ad esempio, quando si impone che la richiesta della donna sia avvalorata da un documento redatto da un medico, o quando si impone il periodo di riflessione di 7 giorni. Sin dalla sua approvazione, la legge è stata fortemente attaccata, sia cercando di sfruttare alcune sue ambiguità, sia giocando sulla sua applicazione: come denunciato da “Mai dati”, la ricerca condotta da Chiara Lalli e Sonia Montegiove, in molte parti del nostro Paese la legge è ancora mal applicata, o addirittura inapplicata, con una geopardizzazione di quel diritto alla salute che la legge dovrebbe tutelare. Si inseriscono in questa deliberata azione di boicottaggio l’uso strumentale dell’obiezione di coscienza e l’ostilità ad aprire alla metodica farmacologica, in aperta violazione dell’art. 15 della legge.

Alla vigilia del suo XIX congresso dal titolo “Per la vita della democrazia, delle libertà, del diritto, della scienza, delle persone” che si terrà da oggi al 16 ottobre a Modena con possibilità di seguire anche online, l’Associazione Luca Coscioni rinnova il suo impegno per la piena applicazione della legge 194 del 1978. Tuttavia, nel tempo ci si è resi conto che in alcune sue parti la stessa norma mostra criticità importanti, che minano lo stesso diritto alla salute. Ci riferiamo in particolare agli articoli che fissano al novantesimo giorno di amenorrea il limite per l’aborto volontario. Questo limite è stato fissato arbitrariamente, senza alcun riferimento allo sviluppo embriologico.

Eppure, già l’Abortion Act inglese nel 1967, e successivamente la Sentenza Roe vs Wade della Corte suprema americana, nel 1973, facevano riferimento al raggiungimento della “viability”, ossia della possibilità per il feto di vivere al di fuori dell’utero. Secondo la legge 194, entro i primi 90 giorni la valutazione dei rischi per la salute e, nei fatti, la decisione sull’aborto, spetta solo alla donna; dopo questo limite, la valutazione e la decisione spettano invece esclusivamente al medico. Sebbene oggi in Italia la stragrande maggioranza degli aborti volontari sia eseguita entro la decima settimana di gravidanza, una piccola percentuale di donne, arrivano a chiedere l’interruzione volontaria di gravidanza quando questo limite è ormai superato, e non resta loro alcuna alternativa per l’aborto se non quella di recarsi all’estero.

Lo “studio Turnaway” ha chiaramente dimostrato le gravi conseguenze, non solo per la salute, ma anche per gli eventuali altri figli e per le famiglie, degli aborti negati, che costringono le donne a portare avanti gravidanze non volute. Sulla base di queste osservazioni, molti paesi hanno successivamente esteso i limiti per l’aborto volontario: la Francia, ad esempio, è passata dalla dodicesima alla quattordicesima e, nel 2022, alla sedicesima settimana. Dopo il novantesimo giorno, l’aborto è ammesso in situazioni -ad esempio in presenza di patologie fetali- che comportino un grave rischio per la salute fisica o psichica della donna; una volta raggiunta la viability, attorno alla ventiduesima settimana, la legge prevede che il medico che esegue l’aborto debba fare di tutto per “salvaguardare la vita del feto”.

Non potendo preventivamente praticare un feticidio, anche se raccomandato dalle principali società scientifiche internazionali, in Italia nessuno esegue l’aborto “terapeutico” oltre la ventiduesima settimana, per non rischiare di dover rianimare un feto gravemente malato che dovesse nascere vivo. Per le donne che ricevano una diagnosi tardiva di grave patologia fetale e che decidessero di interrompere la gravidanza, dunque, non vi è alternativa che non sia quella di abortire all’estero. Vi è poi il grande problema dell’obiezione di coscienza, ammessa non solo per coloro che partecipano attivamente alla procedura, ma anche per altre figure professionali, compreso il “personale esercente le attività ausiliarie” che, in un’interpretazione restrittiva dell’articolo 9 della legge 194, può estendersi addirittura al personale amministrativo!

L’articolo 8 della legge, invece, stabilisce che l’aborto può essere eseguito solo da medici ginecologi del Servizio sanitario nazionale. Anche in questo caso, molti Paesi si sono mossi per estendere la possibilità di eseguirlo anche ai medici di famiglia e alle ostetriche: in Francia dal 2022 queste ultime possono eseguire, oltre alle interruzioni di gravidanza farmacologiche, anche le chirurgiche del primo trimestre. Solo qualche mese fa il presidente francese Emmanuel Macron ha aperto il semestre francese di presidenza dell’Unione europea chiedendo l’inserimento nella Carta dei principi fondamentali l’interruzione di gravidanza e l’ambiente: “Vent’anni dopo la proclamazione della nostra Carta dei diritti fondamentali desidero che possiamo aggiornarla, in particolare perché sia esplicita sulla protezione dell’ambiente o il riconoscimento del diritto all’aborto”.

Un messaggio chiaro in tema di diritti fondamentali. La paura di possibili peggioramenti ha sempre bloccato qualsiasi ipotesi di modifica del testo. Eppure, una legge che nega il diritto alla salute e che obbliga ad andare all’estero anche una sola donna non è una legge giusta: dal XIX congresso dell’Associazione Luca Coscioni prenderà le mosse un gruppo di lavoro che, oltre ad elaborare proposte di modifica della norma esistente, si occuperà della elaborazione di una proposta di legge alternativa alla 194. Una legge nuova, che possa finalmente intrecciare due diritti fondamentali, quello alla salute e quello all’autodeterminazione.

Filomena Gallo, Segretario Associazione Luca Coscioni

Anna Pompili, Ginecologa, consigliere generale Associazione Luca Coscioni e cofondatrice di AMICA (Associazione Medici Italiani Contraccezione e Aborto)

“La 194 non si tocca”. Uno slogan buono per ogni stagione. Dalla sinistra alla destra, cambiano le intenzioni ma il risultato non cambia: quelle della politica restano chiacchiere e distintivo. Per parlare della 194 bisogna leggerla e applicarla (fino in fondo). Chiara Lalli su Il Dubbio il 30 settembre 2022.

“La 194 non si tocca” è stato uno slogan della sinistra. Oggi è lo slogan della destra. (Sto semplificando sulla destra e sulla sinistra, ma ci siamo capiti e d’altra parte lo ha detto Giorgia Meloni e lo ha detto Mara Carfagna che nessuno vuole toccare la 194 – che espressione orrenda poi).

Forse le intenzioni sono diverse: nel primo caso quello che si voleva dire era che bisognava difendere l’aborto (chissà perché parlo al passato), nel secondo invece si vuole rinforzare la premessa della legge 194 a protezione della “vita nascente”. Forse sono solo chiacchiere e distintivo. Vedremo nei prossimi mesi, perché ha poco senso adesso urlare per l’ordine del giorno ligure come gravissimo attentato (ma chi se li fila gli ordini del giorno?) o perché Meloni ha vinto e siete sicuri di tutto quello che farà in futuro. Quello che possiamo dire è che molti di quelli che oggi sono venuti già scandalizzati non hanno fatto niente quando potevano. Che molti erano nelle piazze mercoledì scorso, perché era pure una bella giornata e sai che fatica farsi una passeggiata. E che nessuno sembra aver letto la legge 194, esempio perfetto di ambivalenza e di equilibrio su una fune che a forza di tirarla si strapperà – ma che è la legge che abbiamo e se ne volete parlare tocca leggerla.

E se già qualsiasi legge ha un margine di applicazione e di interpretazione, figuriamoci una legge che si intitola Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza. In ogni caso prendiamo sul serio che la 194 non si tocca e non si toccherà e vediamo che cosa significa. C’è almeno una regola in questo gioco: non possiamo prendere solo quello che ci fa comodo di una premessa. E allora bisognerà applicarla tutta e bene questa benedetta 194 e potremmo essere tutti d’accordo. Almeno su alcune cose, perché sebbene la legge 194 non sia una legge perfetta, se fosse applicata sarebbe meglio di come la disegnano.

L’articolo 5, prima di tutto. Non servono le associazioni confessionali, bastano i consultori e le strutture sanitarie. E se non bastano bisognerà rimediare a questa carenza senza bisogno di coinvolgere privati per aiutare la donna a “rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”. Poi c’è però l’articolo 9 che dovrebbe essere letto, interpretato e applicato. Perché la legge è chiara sulla gerarchia tra obiezione dei medici e richiesta della donna e sui confini dell’esercizio della obiezione. E per capirlo si potrebbe anche rileggere la sentenza che ha preceduto la legge: “non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare”.

Può essere anche utile ricordare che il reato del vecchio codice penale si fondava sulla difesa della stirpe e che l’unica alternativa – dopo aver rimosso gli ostacoli, aver parlato, provato a convincere, discusso – al lasciare alla donna la possibilità di scegliere è obbligarla a portare avanti la gravidanza. Lo cantavano alcuni durante le Marce per la vita: obbligo di gestazione e galera per chi abortisce. Forse sono ottimista ma non mi pare una via percorribile. (Vi prego, un’altra immagine dell’ancella di Gilead e mi metto a piangere.)

Se poi invece è tutto solo posizionamento – i buoni contro i cattivi, le eterne scuole medie, l’insofferenza dei giusti che ti fa rispondere a una ragazzina “eh ma allora fatti difendere da quegli altri”, Giorgia cattiva cattiva e colpevole dell’imminente peggiore dei mondi riproduttivi possibili anche per coprire le proprie manchevolezze, la distrazione, la rivisitazione di quel passato di procrastinazione e di disinteresse di chi oggi è “in prima fila” – se è solo questo, allora resteranno solo quegli slogan inutili e vuoti e che ognuno riempirà di quello che vuole. In una eterna conversazione tra sordi e offesi.

Laura non c’era. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 30 settembre 2022.

Il prossimo segretario del Pd farà bene a guardare tutti i giorni, prima e dopo i pasti, il video delle giovani di sinistra che esortano Laura Boldrini a lasciare la piazza in cui si manifestava a difesa del diritto all'aborto. «Lei non dovrebbe stare qui. Avete messo la pillola abortiva a pagamento» accusa una delle ragazze. «Il problema della pillola è la distribuzione» spiega Boldrini, professorale. «Lo vada a dire ai poveri e ai precari che il problema è la distribuzione!» insiste l'altra. A quel punto Boldrini potrebbe compiere un gesto rivoluzionario e riconoscere la realtà: «Non abbiamo capito che certi diritti stavano diventando un lusso per benestanti e che una sinistra che parla solo di diritti civili e mai di sostegno materiale ai poveri non è di sinistra. Ti chiedo scusa». Arresterebbe la deriva, forse. Invece sale in cattedra per impartire la lezioncina sull'unità delle donne, che la ragazza le ritorce contro: «Sa perché non siamo unite, signora? A lei di chi sta nelle case popolari non frega niente, a me sì». Boldrini potrebbe ancora riscattarsi dicendole: «Da domani trasferirò l'ufficio a Tor Pignattara e chiederò al mio partito di moltiplicare le sezioni nelle periferie». Invece estrae dalla borsa il cliché terrazzato del Babau Nero con cui da trent'anni la sinistra giustifica il proprio lassismo: «Allora fatevi difendere il diritto all'aborto da Fratelli d'Italia!». Poi si allontana dalle contestatrici, applaudendole sarcastica e un po' schifata. Temo, ricambiata. Flavia Amabile,

Simona Buscaglia per “la Stampa” il 29 settembre 2022.

Migliaia di donne sono scese in più di cinquanta piazze italiane per difendere la legge 194, a tre giorni dalle elezioni che hanno consegnato l'Italia nelle mani del centrodestra e per avvertire Giorgia Meloni: il diritto all'aborto non si tocca. Ieri era la Giornata Internazionale dell'aborto sicuro, ma soprattutto era il giorno successivo alla decisione del gruppo di FdI nel Consiglio Regionale della Liguria di astenersi durante la votazione di un ordine del giorno sul «diritto delle donne di scegliere l'interruzione volontaria di gravidanza». Una decisione che per chi si schiera a favore della 194 e del diritto delle donne di scegliere rappresenta un chiaro segnale di quello che potrà accadere d'ora in poi. Riempire le piazze è stata la risposta, anche se la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni non ha ancora ricevuto l'incarico di formare un governo.

I presidi e le mobilitazioni si sono svolti in quasi tutte le regioni. A Milano, Roma, Bologna, Cagliari, Brescia, Palermo, Catania, Firenze, Verona, Genova, Reggio Calabria, Modena, Napoli, Catania, Torino - e per la prima volta anche in Molise - le militanti di «Non Una di Meno» e le migliaia di persone che si sono unite alla loro protesta hanno rivendicato il diritto a un aborto «libero, sicuro e gratuito». I manifestanti hanno ricordato che dall'inizio dell'anno sono «73 le vittime della violenza di genere» e denunciato il pericolo rappresentato dalla vittoria di Giorgia Meloni e di una destra «razzista e antiabortista».

Nessun orgoglio, nessun entusiasmo per la possibilità che l'Italia abbia per la prima volta una presidente del Consiglio. «Non è una vittoria delle donne», dicono le militanti di Non una di meno, visto che «vuole garantire il diritto a "non abortire", cancellare i diritti delle persone transgender e l'educazione alle differenze». Come spiega Valeria Valente, presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio, «Giorgia Meloni deve sapere che le donne non le consentiranno di fare passi indietro sui diritti».

«Ma quale Stato, ma quale Dio, sul mio corpo decido io», è scritto su uno dei tanti cartelli presenti alla manifestazione a Milano. Il corteo è partito davanti a Palazzo Pirelli, sede del consiglio regionale lombardo: «Partiamo da qui non a caso, siamo sotto una Regione che dovrebbe tutelare il nostro diritto alla salute, con consultori laici e pubblici dove nessuno viene discriminato o si imbatte in obiettori che ti dicono cosa fare del tuo corpo, ma spesso non è così, qui come altrove. 

Vogliamo gli obiettori fuori dalle nostre mutande!». Si definiscono «furiose e preoccupate contro la deriva che potrebbe prendere il Paese guidato dal centrodestra, perché Meloni è espressione del peggior patriarcato». In circa un migliaio si sono ritrovati a Torino e centinaia a Roma. Ovunque striscioni, cori e slogan per difendere la 194 e contro Meloni.

A nulla serve la precisazione del coordinatore nazionale di Fratelli d'Italia Giovanni Donzelli che «in Liguria «non c'era la volontà di indebolire e eliminare la legge 194, ma di rafforzarla in tutte le sue parti». 

Le polemiche investono anche il ministro della Salute Roberto Speranza. A un anno di distanza dalla prima richiesta, l'associazione Luca Coscioni ha rivolto un appello ad «aprire i dati sulla 194 per poter conoscere la reale applicazione della legge».

Valentina Ruggiu per repubblica.it il 29 settembre 2022.

"Vada via perché lei e il Pd non rappresentate le rivendicazioni di questa piazza". Così alcune manifestanti a Roma hanno contestato la onorevole Laura Boldrini arrivata all'Esquilino per unirsi alla manifestazione organizzata da Non una di meno per la Giornata mondiale dell'aborto libero, sicuro e gratuito. Un duro botta e risposta che è stato ripreso e condiviso sui social. 

Nel filmato si vede la onorevole provare a replicare alle accuse delle manifestanti. "Ci sono donne che in Parlamento hanno lottato e l'hanno voluto l'aborto, quindi la lotta tra il Parlamento e il fuori non funziona. Dovremmo essere tutte unite", dice Boldrini.

"Sa perché non siamo unite?", risponde la manifestante, "perché a lei delle persone che stanno nelle case e nei quartieri popolari non gliene frega niente, invece a me sì e io li difendo. Beatrice Lorenzin (ex ministro della Salute ndr) ha reso la pillola anticoncezionale a pagamento. Lei mi dice che il problema non è quello ma è la distribuzione. Lo vada a dire ai giovani, ai precari a chi vive nei quartieri popolari. E non ha mi ha risposto sui tagli che sono stati fatti alla sanità, sui consultori che sono stati chiusi e su una legge che non viene applicata".

"Se devi fare questi show...a differenza degli altri io sono qui con voi", risponde Boldrini provando a placare la giovane. "Non è uno show, io la rispetto come persona ma non come istituzione. Ve ne dovete andare via perché voi non rappresentate le rivendicazioni di questa piazza. Le donne, le compagne, che sono venute qua a manifestare per l'aborto libero e gratuito non ce l'hanno anche per colpa sua. Il suo partito non ha difeso questo diritto. Se ne vada". "Allora ve lo difenderà Fratelli d'Italia", ha risposto seccata Boldrini prima di lasciare la piazza tra i cori delle manifestanti.

 "I dirigenti del Pd vadano nelle periferie..." Il 'mea culpa' sui diritti sociali. Lo scontro tra le attiviste pro-aborto e la Boldrini riaccende lo scontro tra diritti sociali e diritti civili. Ora il Pd fa 'mea culpa'. Francesco Curridori il 29 Settembre 2022 su Il Giornale.

"I vostri principi e valori sono per i ricchi, perché noi nelle periferie non abbiamo servizi”. In questa frase, gridata in faccia a Laura Boldrini da un'attivista durante una manifestazione pro-aborto, si racchiude i motivi della sconfitta del Pd alle Politiche.

L'ex presidente della Camera è stata letteralmente mandata via dalla piazza perché ha commesso l'errore di fondo della sinistra italiana che mette sullo stesso piano i diritti civili e i diritti sociali. L'esito delle urne ha messo in evidenza che il M5S è cresciuto molto puntando sul reddito di cittadinanza e sul contrasto alla povertà, mentre il Pd che si è concentrato maggiormente sui diritti civili cresciuto è calato vistosamente dall'inizio della campagna elettorale. Dentro il Pd, però, è ancora presto per fare mea culpa. “I diritti sociali van tenuti insieme coi diritti civili”, ribadisce la deputata Chiara Gribaudo, parlando con ilGiornale.it. Gli fa eco il collega Andrea De Maria che, per sostenere la sua tesi, prende come esempio lo Ius Scholae “che riconosce un diritto di civiltà ed insieme promuove coesione sociale ed integrazione”. Secondo il parlamentare dem, insomma, non si può scegliere tra i due diritti perché “con la destra al governo saranno a rischio diritti consolidati e, con la flat tax, sarà colpita l'equità sociale”. 

L'uscente Alessia Morani ritiene che le contestazioni alla Boldrini siano legittime “poiché siamo in democrazia”, ma proprio per questo motivo crede che “nessuno possa cacciare da una piazza chi manifesta per la difesa di un diritto”. Se, dunque, secondo la parlamentare uscente, sulla 194 è bene che la sinistra non si divida perché “l’avversario politico è da un’altra parte”, sulla recente campagna elettorale il Pd deve fare autocritica. È stata condotta “senza messaggi e proposte forti per dare soluzioni ai problemi delle persone che sono terrorizzate per il loro futuro”, dice la Morani spiegando che “non è tanto l’attenzione ai diritti civili che ci ha penalizzato ma la mancanza di proposte convincenti su economia e lavoro”. Ed è in questa mancanza che si è inserito il M5S difendendo strenuamente il reddito cittadinanza, mentre il Pd ha fatto una campagna elettorale “focalizzando l’attenzione sui motivi per cui gli italiani non avrebbero dovuto votare la destra piuttosto che sulle nostre proposte”, ammette la Morani. Che, poi, attacca i vertici del Pd: “Se alcuni nostri dirigenti politici andassero nelle periferie e nei quartieri popolari si accorgerebbero delle condizioni in cui vivono tantissime persone: immondizia sotto i palazzi, strade crivellate dalle buche, microcriminalità diffusa. Agli abitanti di quei quartieri devi risolvere i problemi che vivono ogni giorno”. Secondo la Morani, il Pd, anziché utilizzare le soluzioni “veloci, dirette e brutali” dovrebbe “realizzare politiche sociali per fare uscire gli abitanti di quei quartieri da degrado esistenziale, sociale e urbano”. Essendo venute a mancare queste risposte “non possiamo avere consenso da chi abita nelle periferie. Anzi, per loro, - ammette la deputata dem - in qualche caso siamo parte del problema”.

“Boldrini vattene”. Contestazione al sit-in sull'aborto: dem cacciata a male parole. Il Tempo il 29 settembre 2022

Brutta serata per Laura Boldrini, contestata pure dalle femministe. Ieri sera a Roma alla piazza convocata per ribadire la necessità del diritto all’aborto da ‘Non Una di Meno’, le studentesse hanno allontanato la deputata dem. «Vattene, non rappresenti le rivendicazioni di questa piazza» un passaggio del duro botta e risposta ieri in piazza Esquilino a Roma tra l'onorevole Pd e alcune manifestanti intervenute al sit in organizzato per la Giornata mondiale dell’aborto libero, sicuro e gratuito. La presenza della Boldrini non è piaciuta alle partecipanti, che l’hanno attaccata fino a costringerla ad allontanarsi dalla piazza.

Il casus belli è la pillola anticoncenzionale. Una manifestante, Giulia, chiede alla Boldrini: «Lei lo sa cosa fece la Lorenzin?». Si riferisce all’ex ministro della Salute che «rese la pillola anticoncezionale a pagamento Non lo sa?». Boldrini prova a difendersi: «Ma il problema non è questo...». «Ah, non è questo?», la incalza la ragazza. «Il problema è la distribuzione della pillola», ricorda Boldrini. «Lo vada a dire ai giovani, ai precari, a chi vive nei quartieri popolari», continua la femminista. «Capisco che sei arrabbiata...», prova a placarla la deputata ma è una missione impossibile: «Chi rappresenta, lei?», chiedono alla deputata. Boldrini abbozza una risposta: «Rappresento i principi e i valori». «Si vede che non li rispetta, mi dispiace tanto». «Andatevene subito, non rappresentate le rivendicazioni di questa piazza, non accettiamo la presenza di chi rappresenta il simbolo di una politica guerrafondaia come quella del Partito Democratico», urla una seconda manifestante.  

Boldrini prova a far valere le sue ragioni: «Il diritto all’aborto ce l’avete, ci sono donne in parlamento che hanno combattuto per questo. La rottura tra dentro e fuori non funziona, dovremmo essere unite». Torna alla carica la prima ragazza. «Lo sa perché non siamo unite? Perché a lei delle persone nelle case popolari non gliene frega niente. Io quelle persone invece le difendo. Sui tagli non mi ha risposto, sui consultori chiusi nemmeno. Non se nemmeno dell’esistenza della legge 405, che non viene applicata. A voi non ve ne fotte un cazzo». Boldrini si spazientisce: «Se devi fare questi show...». «Non è uno show», aggiunge la ragazza. E Boldrini: «A me questo sembra un atteggiamento assurdo, bisogna parlare con rispetto». C’è chi precisa il tenore delle critiche: «La stiamo criticando politicamente, non personalmente. Non rispettiamo ciò che lei rappresenta». Boldrini prova un’ultima difesa: «Ma se siamo l’unico partito che difende questa legge...». «A noi non è sembrato», replicano ancora. «E allora ve la difenderà Fratelli d’Italia», conclude la deputata Pd con un applauso ironico alle sue contestatrici, prima di voltare le spalle e allontanarsi dalla discussione. È a quel punto che le manifestanti la cacciano, al grido di «Via, via, via!». «Vada a raccontarlo da un’altra parte che lei è un’alternativa», aggiunge qualcun’altra. L’onorevole è stata respinta con perdite. 

Monologo dentro la vagina. Le contestatrici esagitate di Boldrini, lo sciocco legislatore e il mio caro, carissimo, Nuvaring. Guia Soncini su L'Inkiesta il 30 Settembre 2022.

Le adolescenti che protestano in piazza contro chi ha reso a pagamento la pillola anticoncezionale non sanno che non è mai stata gratis né quanto sia difficile acquistare una confezione da tre anelli di silicone

Mentre cominciavo a scrivere questo articolo, nella mia carrozza del treno due ragazzine che avranno avuto sedici anni, o poco più o poco meno, ridevano istericamente. Oltre a una beauté de l’âge, ne esiste anche una specifica sovreccitazione, e quella delle passeggere non era dissimile da quella del video meno sorprendente che si veda da ieri sui social.

Nel video romano, altre ragazzine – più di malumore ma altrettanto esagitate – aggrediscono Laura Boldrini, nel loro universo corresponsabile di non concedere alle cittadine italiane l’aborto gratuito e la pillola pure.

Qualunque adulta sorride, perché la prescrittiva gratuità dell’aborto è il problema della 194 da cui discendono tutti gli altri. Se a chi se lo può permettere fosse consentito andare ad abortire in clinica, i medici obiettori nella sanità pubblica peserebbero meno sull’efficienza del servizio. Ma la 194 è una legge beghina che permette ai medici di obiettare alle loro mansioni, e vieta alle pazienti di pagare per disfarsi d’una gravidanza indesiderata.

Alla Boldrini – a qualunque politica di sinistra di lungo corso, e dico «politica» per assecondare lo sciocco identitarismo per cui, per legiferare sui raschiamenti, occorre avere un utero – si potrebbe semmai rinfacciare di non aver demolito e riscritto la 194 quando sono state al governo. Ma per sapere cosa rinfacciarle devi conoscere il mondo, e le sedicenni sono convinte il mondo sia cominciato quando loro si sono aperte un TikTok.

Sì, lo so che chiunque si affacci sui social vede trentacinquenni certissimi che queste siano state le prime elezioni in cui i fuorisede non potevano votare, ma quella è patologia. Il non sapere un cazzo delle sedicenni è invece fisiologico: sono nate ieri, cosa volete che sappiano.

Ognuno conosce solo la propria esperienza, io che pure di anni ne ho cinquanta sono qui che mi chiedo di cosa parlino quando rimproverano la Boldrini di non essersi opposta a chi ha reso a pagamento la pillola: ho preso la pillola dal 1986 a una decina d’anni fa e l’ho sempre pagata, se era gratuita devono rimborsarmi un sacco di soldi.

Al cui proposito, lasciate che vi parli del contenuto delle mie mutande. Ho smesso di prendere la pillola perché a salvarmi dall’endometriosi è arrivato un sostituto per l’inventore del quale vorrei non solo il Nobel per la medicina ma anche quello per la Pace.

Il Nuvaring è un anello di silicone che t’infili nelle innominabilità (suona scomodissimo; non lo è) per ventuno giorni al mese, lo stesso ciclo della pillola anticoncezionale, e ha fatto per la qualità della mia vita miracoli che nessun oggetto o essere vivente avevano compiuto mai.

Perché ve ne parlo? Mi sono forse messa a piazzare anticoncezionali come la Ferragni piazza tortelli? No, è che il Nuvaring è venduto in due tipi di confezioni. Quella da uno costa diciannove euro e quarantacinque. Quella da tre ne costa quarantotto.

Se siete disorganizzate come me, comprerete quella da tre per evitare di ritrovarvi ogni mese senza proprio nel giorno in cui dovete infilarlo, non essendovi ricordate di comprarne uno nuovo per tempo. Ma, nel comprare quella da tre, risparmiate anche qualche decina di euro l’anno.

Quindi, quando il mese scorso sono andata in una farmacia diversa dal solito, e mi hanno detto che potevano vendermi senza problemi la confezione da uno, ma non quella da tre per la quale serve la ricetta non ripetibile, la sedicenne in me ha urlato allo scandalo: volete impedirmi di risparmiare.

Il vantaggio d’essere una vecchia bacucca è che t’interroghi sulle ragioni delle cose. Ho chiesto a diversi farmacisti e medici, e pare che la ragione sia che, «secondo il legislatore», se io assumo ormoni, ogni tre mesi devo farmi controllare e verificare se quegli ormoni vanno ancora bene per me.

Il legislatore è evidentemente uomo, altrimenti saprebbe che nessuna donna va ogni tre mesi dal ginecologo. Altrimenti saprebbe che nessuna dà duecento euro al ginecologo per avere una ricetta: vai a fartele fare dal medico della mutua (che le fa fare dalla segretaria), e puoi prendere ormoni per una vita senza che nessuno ti abbia mai fatto fare un dosaggio ormonale.

Lo so, lo so: il punto non è che il legislatore non sa queste cose perché, non essendo donna, non ne ha fatto esperienza; è che non le sa perché non si è informato sulla materia di cui legifera. Abbiamo sostituito l’identitarismo allo studio: se non sei in grado di capire come funziona un apparato riproduttivo dai libri, sarà utile che almeno tu ne abbia uno, per capire che leggi fare a di esso tutela.

A ogni farmacista ho chiesto: ma il legislatore che le permette di darmi dieci o venti confezioni da un solo Nuvaring senza ricetta, ma ritiene di tutelarmi dall’incauto acquisto d’una confezione da tre, a quel legislatore lì non sarebbe meglio riconoscergli un’invalidità intellettuale con relativo sussidio che gli consenta di ritirarsi senza ulteriori danni dal mondo del lavoro? Ogni farmacista ha emesso gemiti d’impotenza. La mia ginecologa mi ha poi detto che per il legislatore il farmacista può vendermi non più di un anello al mese, e non senza ricetta. Informazione evidentemente andata perduta nelle comunicazioni ministeriali a tutti i farmacisti che ho incontrato.

Chissà se tutto questo la Boldrini (o la Lorenzin, o chi vi pare) lo sa: io non sarei andata a strillarglielo perché sono un’adulta; e chi ha l’età per strillarglielo non lo sa perché, ontologicamente, non sa un cazzo.

Poi nella carrozza è arrivato il controllore. Le ragazzine sono corse da lui e, sempre ridendo moltissimo, gli hanno detto che avevano sbagliato treno e dovevano andare a Imola. Lui le ha guardate e, come un adulto così ottuso da pensare di poterne cavare una risposta razionale, ha chiesto perché mai avessero preso un treno con scritto «Bari centrale». Loro hanno detto «eh, non abbiamo guardato», perché hanno l’età alla quale Letta voleva concedere il diritto di voto e non sanno come si prenda un treno.

Guardavo loro, guardavo il video della Boldrini, pensavo alla sconfitta di Letta, e pensavo a quelle due righe di Scott Fitzgerald che più o meno dicevano: per molto tempo, da allora in poi, Anson credette che un dio protettore ogni tanto interferisse nelle vicende umane.

Susanna Picone per fanpage.it il 5 ottobre 2022.

È fortunatamente una storia a lieto fine quella che arriva dalla Sicilia, dove un neonato è stato abbandonato all'interno di un sacchetto di plastica, nelle campagne di Paceco, nel Trapanese. 

Il piccolo era stato lasciato nei pressi di una scuola elementare, lungo una strada di campagna isolata, e ad allertare i carabinieri di Trapani, che lo hanno salvato, è stata una telefonata. Il primo a trovare il piccolo sarebbe stato il proprietario dell’area, un contadino che stava andando a lavorare nella sua terra quando ha notato il sacchetto. La zona non è trafficata e il ritrovamento del neonato è stato del tutto casuale.

Il ritrovamento risale a ieri, martedì 4 ottobre. I primi ad arrivare sul posto sono stati gli operatori del 118, che hanno fornito le prime cure al bimbo. I carabinieri sono arrivati pochi minuti dopo e hanno iniziato gli accertamenti. Nel sacchetto c’era ancora la placenta, circostanza che fa pensare che la madre abbia partorito in casa.

Il neonato è stato portato in ospedale dove è emerso che, fortunatamente, non rischia la vita. Attualmente, secondo quanto confermato dalle forze dell'ordine a Fanpage.it, si trova in terapia intensiva e presto potrà essere affidato a una nuova famiglia. 

Il piccolo, trovato nel giorno di San Francesco, si chiamerà Francesco Alberto: come il Santo di Assisi e come il carabiniere che per primo lo ha preso in braccio. I carabinieri hanno aperto un’indagine per trovare la madre e stanno visionando le telecamere piazzate nella zona.

"Ci hanno avvertito con una telefonata che c'era un bimbo abbandonato, tra l'altro a pochi metri dalla nostra centrale – il racconto affidato ai quotidiani locali di Veronica Catalano, che con Piero Cialona ha soccorso in veste di 118 il neonato trovato nel Trapanese -. C'era ancora il cordone ombelicale tagliato, a fianco. Quando siamo arrivati era avvolto in un sacchetto di plastica, la signora che ci ha avvertiti lo aveva avvolto nelle coperte. Sembrava ancora infreddolito il piccolo, così lo abbiamo messo in una speciale copertina che serve appunto per riscaldare. Sembrava stare bene, le vie respiratorie erano libere. È stata un'esperienza forte, speriamo che adesso vada tutto per il meglio".

Il carabiniere che ha salvato il neonato abbandonato: «Ho tre figli, mi chiedono di portalo a casa da noi». Lara Sirignano Il Corriere della Sera il 5 Ottobre 2022.

Parla il vicebrigadiere Alberto Marino che, insieme a un collega e agli operatori del 118, ha soccorso un neonato abbandonato dentro un sacchetto di plastica. 

Gli trema la voce, segno che l’emozione è ancora forte. «In sedici anni di servizio una cosa simile non m’era mai capitata», racconta Alberto Marino, il vicebrigadiere dell’Arma che, ieri, insieme a un collega e agli operatori del 118, ha soccorso un neonato abbandonato dentro un sacchetto della spesa nelle campagne di Paceco, nel trapanese.

Come sta il bambino?

«Sta bene. Per precauzione è ancora in Terapia Intensiva nel reparto di Neonatologia, ma sta bene. È un bambino forte, attaccato alla vita. È salvo solo perché ha strillato e pianto con quanto fiato aveva, attirando l’attenzione di un contadino che passava per andare al lavoro. L’hanno lasciato a terra, sotto al sole, con il cordone ombelicale ancora attaccato. Eppure è fuori pericolo. È un lottatore».

È andato a trovarlo?

«Ancora no, l’ho lasciato in ospedale, ieri, a malincuore ma in ottime mani, spero di poter andare al più presto e portargli dei vestitini, dei giochi, anche se ancora forse è troppo piccolo per i giocattoli. Mi hanno detto che pesa tre chili ed è lungo 50 centimetri, è bellissimo».

Chi via ha avvertito?

«Io e il mio collega, l’appuntato Leonardo Tumbarello, siamo stati avvisati dalla centrale operativa che aveva ricevuto la segnalazione del ritrovamento del bimbo dal contadino che gli ha salvato la vita. Erano le 17,30. Siamo corsi in ospedale subito e abbiamo predisposto l’accoglienza del neonato allertando il pronto soccorso e la Neonatologia e liberando l’ambulatorio dagli altri pazienti perché il bimbo ricevesse subito tutte le cure. Poi siamo corsi sul posto dove già era intervenuto il 118. Il piccolo era in ambulanza e lo abbiamo scortato in ospedale. Era stato avvolto dagli infermieri in una termocoperta e credo avesse i segni di piccole ustioni per l’esposizione al sole. Da quanto i medici hanno appurato è stato lasciato subito dopo la nascita ed è rimasto nella busta di plastica otto-nove ore. Per fortuna il sacchetto in cui l’avevano messo era aperto e ha potuto respirare».

L’ha preso in braccio?

«No perché non c’era tempo da perdere. L’abbiamo dato ai medici che se ne sono presi cura, ma fino alla sera non l’ho mai lasciato. Quando sono tornato a cena ho raccontato tutto ai miei tre figli che hanno 4, 6 e 10 anni. Mi hanno chiesto quando lo portiamo a casa con noi, lo vorrebbero.

Pensa a un quarto figlio?

«Magari, ne sarei felice. Non nego che avrei qualche problema organizzativo visto che mia moglie lavora e dovrei chiedere aiuto a mia madre o ai miei suoceri, ma mi farebbe piacere. Vediamo cosa decideranno per lui. Ho promesso ai bambini che appena sarà possibile li porterò in ospedale a trovarlo».

Che esperienza è stata per lei?

«Una esperienza indescrivibile. Sono nell’Arma dal 2006, ho lavorato al Nord, poi nel palermitano. Ora sono al Nucleo Operativo Radiomobile, ma mai ho provato una emozione così intensa».

A l piccolo è stato dato il suo nome…

«Con la dottoressa che l’ha visitato per prima si è deciso di chiamarlo innanzitutto Francesco, visto che ieri era la festa del Santo di Assisi, poi Alberto come me. Mi fa davvero piacere».

Che pensa di chi ha abbandonato il bambino sapendo che era condannato a morte quasi certa?

«Io non voglio giudicare perché non so cosa ci sia dietro. Ognuno ha una storia e non sappiamo cosa abbia spinto la madre a un gesto simile. Di certo al giorno d’oggi ci sono mille modi per affrontare una maternità non voluta senza mettere a rischio i figli. C’è La Ruota, c’è la possibilità di partorire in anonimato».

La campagna in cui Francesco Alberto è stato trovato è molto isolata… Probabilmente chi l’ha abbandonato è della zona.

«Sì è una zona isolata, ma non faccio ipotesi su cosa sia accaduto e su chi sia responsabile di un comportamento tanto grave. C’è una inchiesta in corso per abbandono di minori. I colleghi ci stanno lavorando. So che è stato un miracolo che il contadino si trovasse a passare di lì. Nella tragedia il bimbo è stato fortunato».

Cosa augura per lui?

« Spero che viva circondato da tutto l’amore che merita. E mi auguro che faccia il carabiniere. Ha la forza d’animo e il coraggio che servono».

Accertamenti per risalire alla madre. Neonato abbandonato in campagna, Francesco Alberto sta bene: “E’ forte, da grande spero faccia il carabiniere”. Redazione su Il Riformista il 5 Ottobre 2022 

Si chiamerà Francesco Alberto il neonato abbandonato nelle campagne di Trapani e salvato nel pomeriggio di ieri, intorno alle 17.30, da un contadino che rincasando lo ha sentito piangere ed ha subito chiamato carabinieri e 118. Si chiamerà Francesco Alberto per la coincidenza con San Francesco d’Assisi (che si festeggia il 4 ottobre) e con Alberto, santo patrono di Trapani, stesso nome che ha anche il vicebrigadiere dell’Arma (Alberto Marino), il primo ad intervenire nelle campagne di Paceco dopo l’allarme lanciato dal contadino.

Francesco Alberto pesa tre chili e lungo circa 50 centimetri e sta bene. La sua nascita risalirebbe a circa nove ore prima del ritrovamento. E’ stato ritrovato sul ciglio della strada avvolto in un sacchetto di plastica. “Si alimenta al biberon. Sta bene e per precauzione è ricoverato nel reparto di Terapia intensiva per un monitoraggio, visto il contesto in cui è stato ritrovato e i segni di disidratazione che però si sono risolti rapidamente con adeguato trattamento. Mangia al biberon, sembra nato a termine di gravidanza e non ha apparenti complicanze”, spiega Simona La Placa, direttrice di Neonatologia all’ospedale S. Antonio Abate di Trapani dove il piccolo è ricoverato.

Sulla vicenda è stata aperta una inchiesta per abbandono di minore con i carabinieri che stanno cercando di risalire alla madre di Francesco Alberto, salvato da una morte certa dal contadino. Difficilmente infatti avrebbe superato la notte in aperta campagna. Accertamenti in corso su tutto il territorio con i carabinieri che sono fiduciosi di poter scoprire l’identità della donna grazie alle telecamere di sorveglianza installate nell’area. Una in particolare, molto vicina, potrebbe averla immortalata nel momento di andarsene via. Controlli incrociati anche con ospedali e medici della zona per non escludere alcuna possibilità – come un parto in casa – e soprattutto una verifica dei registri scolastici e delle assenze femminili senza giustificazione in licei, scuole superiori tecniche e professionali e scuole medie. Alla ricerca fra le adolescenti di quella che potrebbe essere una giovane madre rimasta incinta troppo presto e spaventata.

A raccontare con emozione i momenti che hanno portato al ritrovamento del piccolo è il vicebrigadiere Alberto Marino, intervenuto sul posto insieme al collega, l’appuntato Leonardo Tumbarello. Marino, che da anni lavora al Nucleo operativo Radiomobile di Trapani, lancia un appello a tutte le donne: “Non voglio giudicare nessuno perché non so quale storia ci sia dietro, ma certo di questi tempi ci sono mille modi per vivere una maternità non voluta, modi che non mettano a rischio la vita del bambino che è vivo per miracolo. E’ bellissimo ed è forte, spero da grande faccia il carabiniere”.

Dall’ospedale lo stesso appello viene ribadito dalla direttrice di Neonatologia La Placa: “Quello che a noi preme sottolineare che è possibile partorire in assoluto anonimato in ospedale senza nessun rischio, assecondando il diritto della donna di non riconoscere il figlio e al tempo stesso garantendo la sicurezza del parto e del nascituro”.

Nicolò morto per overdose da hashish: indagato il papà. L'uomo accusato di omicidio colposo. Lui e la moglie si sono rifiutati di fare l'esame tossicologico. Tiziana Paolocci il 5 ottobre 2022 su Il Giornale.

«Eravamo insieme al parco pubblico sotto casa a mezzogiorno, prima di pranzo, e ha ingerito una strana sostanza. Me ne sono accorto subito e gli ho tolto subito dalla bocca quel boccone di terriccio».

A quelle parole i militari del comando provinciale di Belluno non avevano creduto nemmeno un minuto e ieri è arrivata la conferma che Nicolò Feltrin, il bambino di due anni di Longarone morto nella serata del 28 luglio in ospedale a Pieve di Cadore, è deceduto a causa di un'overdose da hashish.

Il padre, che aveva cercato di sviare le indagini, è ora indagato per omicidio colposo. Gli esami tossicologici sui materiali biologici prelevati nel corso dell'autopsia sul corpo del piccolo confermano tra l'altro che Nicolò aveva familiarità non solo con quella droga, ma anche con altre. L'hashish però lo ha avvelenato e ucciso. Nella casa di Longarone (Belluno), dove abitava con mamma e papà, di stupefacenti ce n'erano. E parecchi, dal momento che le analisi dei capelli della vittima evidenziano tracce di cocaina ed eroina, segno che Nicolò nella sua breve vita era entrato in contatto con quelle sostanze.

L'anticipazione dell'autopsia svolta dal medico legale Antonello Cirnelli, nominato dalla procura, è agghiacciante e inchioda l'uomo alle sue responsabilità, anche se bisognerà attendere gli altri accertamenti sul materiale sequestrato nell'abitazione della coppia, affidati invece alla dottoressa Donata Favretto.

Diego Feltrin, boscaiolo di 43 anni, alla luce delle nuove evidenze, è stato invitato dai carabinieri a sottoporsi al test del capello, che avrebbe probabilmente collegato la sostanza ingerita dal bambino a quella consumata dal padre. Ma si è presentato al laboratorio completamente glabro. Se da un lato è stato impossibile quindi per gli esperti prelevare peli e capelli utili alle indagini, dall'altro questo comportamento non fa che addensare le ombre su di lui. Il pomeriggio di quel 28 luglio il bambino era affidato a lui, mentre la mamma era al lavoro. Ma ci sono altre novità che emergono dalle indagini. Alla luce del risultato dell'autopsia, il padre del bambino è stato invitato dai carabinieri a sottoporsi al test del capello, ma pare che l'uomo si sia presentato al laboratorio completamente glabro, in questo modo è stato impossibile per gli addetti prelevare peli e capelli utili alle indagini.

Anche la moglie, che non risulta però indagata, è stata invitata a sottoporsi alle analisi, ma si è rifiutata. La sera del 28 luglio l'indagato arrivò all'ospedale di Pieve di Cadore con il figlio in braccio, raccontando che si era addormentato dopo pranzo, per il solito pisolino, ma non si era svegliato più. Aveva il battito rallentato e poco dopo il cuore si era fermato. I medici si erano accorti subito, però, che non si trovavano di fronte a una morte per cause naturali e avevano chiamato i carabinieri. I militari avevano effettuato indagini e sopralluoghi nel parco a caccia di qualche sostanza velenosa. Ma la storia era ben diversa.

Nell'appartamento in cui la coppia abitava hanno trovato un panetto di hashish in una tazza sul comodino del bambino. Ed è stato tutto chiaro. Ieri i carabinieri hanno avuto problemi a mettersi in contatto con Feltrin e la moglie. Sembrerebbe che i due si siano trasferiti da amici. «Per loro è troppo doloroso rimanere in quella casa dove hanno cresciuto il loro bambino che non c'è più - ha spiegato l'avvocato della coppia - se qualcuno vuole parlare con loro io sono qui a disposizione, chiunque può mettersi in contatto con me».

Casarile, bambina picchiata dal compagno della madre: «Mi sono disconnesso dal mio cervello». Andrea Galli su Il Corriere della Sera il 03 ottobre 2022.

Milano: il 28enne, durante un’assenza della madre, ha colpito la piccola di 9 mesi con calci e pugni. Muratore, senza precedenti, è in carcere a Pavia per tentato omicidio aggravato 

Ha confessato il massacro della figlia della compagna, nove mesi di vita. Senz’altro aggiungere. 

Semmai ripetendo che «non me lo so proprio spiegare, mi sono improvvisamente disconnesso dal mio cervello, non ragionavo, non ero io», e aggiungendo, in un agghiacciante tentativo di difesa, di aver comunque colpito, esclusivamente, con degli «schiaffi» e mai «in altro modo». 

Un 28enne italiano, una lontana segnalazione per droga (legata al possesso d’una dose per uso personale), ha colpito con azioni ripetute, con calci e pugni, forse con oggetti contundenti, la bimba, che dormiva in culla e il cui indicibile quadro clinico riporta plurime fratture con ossa spezzate. 

Del tardo pomeriggio di sabato il pestaggio, in una casa in provincia di Milano dove l’uomo, professione muratore, appassionato di sport violenti, velocità in macchina e giochi di guerra sulla playstation, abita da pochi mesi, ovvero dall’inizio della relazione con la compagna, assente per lavoro. 

Quest’ultima ha chiamato più e più volte per sapere come stesse la figlia, ma il cellulare suonava a vuoto; preoccupata, ha invitato la madre ad approfondire, e l’anziana, raggiunto il vicino appartamento e visto il corpicino pieno di lividi, ha telefonato al 118, non ascoltando quel 28enne che raccontava di una casuale caduta dal seggiolone. In ospedale non sono serviti esami supplementari: i medici hanno avvisato i carabinieri. 

Delle 19 di domenica un primo tentativo di estubazione dei medici per verificare le reazioni della piccola, trasferita a Bergamo, dagli specialisti del Papa Giovanni XXIII; per lunedì è annunciato un bollettino nella speranza che non abbia ricadute, pur annotando che «non si trova più in terapia intensiva e versa in condizioni stabili». 

Al netto dell’esasperato riserbo della Procura di Pavia, le indagini proseguono mancando numerosi dettagli. Eccone alcuni, insieme alle risposte che ci sono state date. 

Non risulta che il 28enne, originario dell’hinterland, «fosse in uno stato di alterazione causata da stupefacenti, alcolici, medicinali»; non risultano «precedenti aggressioni» alla bimba, e nemmeno alla donna nella quotidianità del rapporto; non risultano «problemi occupazioni ed economici» del picchiatore, in carcere a Pavia per tentato omicidio aggravato dalle 8.30 di domenica. 

Dopodiché, siccome è legittimo ampliare al massimo ogni accertamento possibile, gli inquirenti non parlano — salvo novità che saranno rese dai dottori — di «antecedenti aggressioni» alla piccola, così come gli stessi inquirenti «tolgono» la compagna, ugualmente di nazionalità italiana, da ogni ipotesi di responsabilità o complicità: insomma, il trauma cranico o l’emorragia cerebrale o ancora la frantumazione dell’omero, sarebbero stati conseguenza del singolo episodio di sabato, un episodio per appunto privo di una storia pregressa. 

Per quanto possano offrire un relativo e parziale contributo, i profili social del 28enne illustrano l’entusiasmo, quantomeno nei commenti da tastiera, per fatti di cronaca animati dall’aggressività, ma conviene ripetere che di recente e nel passato l’esistenza dell’uomo non sarebbe stata conflittuale.

Casarile, il patrigno fumava da solo sul terrazzo. Poi le botte alla piccola: «Non me lo so spiegare». Luca Caglio e Eleonora Lanzetti su Il Corriere della Sera il 4 ottobre 2022.

Riflettori su Casarile, meno di 4 mila abitanti, per un tentato infanticidio che permea i discorsi e scuote le coscienze. Le troupe televisive generano capannelli di curiosi, i più giovani ne subiscono il fascino e non lesinano dettagli: indicano il quarto piano del palazzo dove una bimba di nove mesi, sabato scorso, sarebbe stata percossa dal patrigno Mario Franchino mentre la sua compagna (madre della piccola) si trovava al lavoro e tentava invano di contattarlo. Quindi l’arrivo in casa della nonna materna, allertata dalla figlia, e la scoperta dei traumi sul corpicino con immediata chiamata al 118. 

«Ma anche lei, la nonna, ha confermato ai sanitari che la nipote era caduta dal fasciatoio — ricorda un residente del condominio testimone del dialogo —. Non accusava Franchino di averle fatto del male, forse in un primo momento ha creduto alla sua versione. Lui non lo conosco, abita qui da 4-5 mesi, posso dire di averlo visto fumare spesso marijuana sul terrazzo, l’odore era inconfondibile».

Il ragazzo sembrava ben inserito nel nucleo famigliare, come riconosciuto da don Riccardo, parroco a Casarile: «Il 17 settembre c’è stato il battesimo della bimba, era presente anche Franchino, ho percepito affiatamento». Sebbene la piccola sia stata dichiarata fuori pericolo dall’ospedale Papà Giovanni di Bergamo, i familiari preferiscono non esporsi, ancora sotto choc ma sicuramente più sollevati. Mario Franchino dalla cella della sezione protetti del carcere di Torre del Gallo di Pavia, chiede in continuazione della bambina.

L’avvocato Maria Teresa Gobba che difende il muratore 28enne che ha confessato di aver picchiato la figlia della compagna, ha incontrato il suo assistito dopo l’interrogatorio nella caserma dei carabinieri di San Pietro in Ciel d’Oro. Dice di averlo trovato «sconvolto» e «pentito». Termini forse stridenti alla luce di quanto successo. Ciò che è accaduto sabato 1° ottobre nell’appartamento al quarto piano della palazzina di Casarile, è un gesto apparentemente inspiegabile, come lo ha definito lui stesso. «Non ero io. Non me lo so spiegare», avrebbe risposto agli inquirenti. «È molto preoccupato per le condizioni di salute della piccola con la quale aveva davvero un legame affettivo — ha riportato il legale — È angosciato, non tanto per le conseguenze penali nei suoi confronti, ma per la bambina che fortunatamente è fuori pericolo».

Una vita banale, quella di Franchino, così è stata descritta. Lavorava come muratore ma ora era in cassa integrazione in attesa di essere richiamato. Pochi amici, qualche uscita, nulla più. Da marzo aveva una relazione con Arianna, con la quale era andato a convivere. Non lo conosceva nessuno in paese, neppure i vicini di casa della ragazza che lo avevano visto soltanto qualche volta sul balcone, o al portone. Gli sguardi di chi vive in quei palazzi si incrociano ai giardinetti condominiali. Non si parla d’altro. «Siamo senza parole — ripetono — Accanirsi su una bambina che era parte della famiglia, e che solo poche settimane fa è stata battezzata tra la gioia dei parenti».

La piccola di 8 mesi è fuori pericolo ma ancora grave. Bimba ridotta in fin di vita da patrigno, le telefonate della mamma e le parole dell’uomo: “Ho vuoti di memoria”. Redazione su Il Riformista il 3 Ottobre 2022 

Ha confessato di averla picchiata ma, allo stesso tempo, ha spiegato di non ricordare quello che è accaduto e di aver vuoti di memoria relativi agli istanti in cui ha colpito con schiaffi e pugni la bimba di appena 8 mesi che si trovava nella sua culla, procurandole la frattura del cranio, emorragia cerebrale e fratture dell’omero e del radio.

E’ sotto choc Mario Franceschini, il 28enne muratore originario di Martina Franca (Taranto) ma residente a Casarile (Milano) dove convive con la compagna e la figlia di quest’ultima, brutalmente aggredita nella giornata di sabato 1 ottobre. “E’ preoccupato per le condizioni della bambina e pentito per quanto è successo” ha spiegato l’avvocato Maria Teresa Gobba.

Domani, martedì 4 ottobre, è in programma davanti al gip l’interrogatorio di garanzia dell’uomo sottoposto a fermo con l’accusa di tentato omicidio aggravato dalla procura di Pavia dopo le violenze appurate dai medici dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e provate a nascondere, in un primo momento, dai familiari della piccola che hanno giustificato le numerose ecchimosi e lividi con una “caduta dal seggiolone”. L’ultimo bollettino dell’ospedale bergamasco dove la piccola è ricoverata parla di “condizioni stazionarie” e che “non è in pericolo di vita”.

A LaPresse la sindaca di Casarile, Silvana Cantoro, ha spiegato che “si tratta di una famiglia che non ha mai dato problemi né al Comune e ai servizi sociali né alle forze dell’ordine”. Parla di “sgomento e vicinanza alla famiglia” per una “situazione silente non nota alla comunità” riferendo come il condominio di via Colombo sia “in una zona centrale, non periferica come altre a ridosso di aree industriali, un contesto in cui non mi sarei mai aspettata potesse capitare qualcosa di simile”.

Secondo quanto ricostruito dagli investigatori (le indagini sono condotte dai carabinieri), nel pomeriggio di sabato la mamma della bambina, preoccupata per il fatto di non riuscire a contattare Franchini al telefono, ha chiesto alla madre di andare a controllare l’abitazione: la nonna della piccola si è recata nella cameretta dove ha trovato la neonata e ha notato che aveva alcune ecchimosi sul volto e sul torace. Da lì la chiamata al 118, il ricovero prima all’ospedale San Matteo di Pavia e successivamente dagli specialisti pediatrici di Bergamo.

Due settimane fa, la bimba era stata battezzata nella chiesa di Casarile (Milano). Il parroco don Riccardo Foletti spiega all’Ansa che “il rito si è svolto in un clima di festa, non ho notato alcuna tensione. Erano presenti la mamma della bimba, il suo compagno e la nonna materna. Mi sono sembrati tutti felici. Dopo il battesimo so che avevano in programma un pranzo. Mi è capitato nelle scorse settimane di incontrare per strada la mamma con la figlia e la nonna: una famiglia all’apparenza normale e senza problemi”.

Napoli, bambina di 9 anni maltrattata alla nascita: non si può sdraiare e ha gli arti fratturati. Valentina Mericio il 12/08/2022 su Notizie.it.

Accade nel Napoletano. Una bambina di soli 9 anni è stata segnalata ai servizi sociali perché maltrattata alla nascita. Salvata con i fratellini. 

Non ha mai dormito in un letto, aveva fratture multiple agli arti e la colonna vertebrale deformata. Queste erano le drammatiche condizioni in cui versava una bambina di appena 9 anni residente nel napoletano. Stando a quanto riporta Fanpage.it, la piccina era stata maltrattata dai genitori fin dalla sua nascita.

Oltre a ciò era anche malnutrita e ha potuto cibarsi solo grazie ai fratellini. 

Napoli, bambina 9 anni maltrattata dai genitori: assistenti sociali la salvano con i fratellini 

La bambina è stata fortunatamente portata via dai genitori grazie ad una segnalazione pervenuta agli assistenti sociali. Questi ultimi hanno portato via anche i fratellini della piccola, infine il ricovero presso l’Ospedale Pediatrico Santobono di Napoli. Purtroppo – si apprende ancora – è disabile, ma non è chiaro se lo fosse alla nascita o se tale disabilità sia stata dovuta alle condizioni di degrado nelle quali è vissuta in questi anni. 

Quanto avvenuto alla bambina è stato denunciato dall’assessore al Welfare del Comune di Napoli e padre della piccola Alba Luca Trapanese. Quest’ultimo si è occupato con il presidente de La Casa di Matteo Marco Caramanna di andare a prendere la bambina all’ospedale napoletano.

In un post sui social ha raccontato: “La piccola neospite ha una storia surreale, che va oltre ogni nostra possibile immaginazione. Ha nove anni e da quando è nata ha subito violenze indescrivibili.

I suoi genitori non si occupavano neanche semplicemente di nutrirla; erano solo i fratelli più piccoli che ogni tanto le davano da mangiare qualche biscotto e un po’ di latte. Non ha mai dormito in un letto e questo le ha causato una malformazione della colonna vertebrale che non le consente di stendersi; ha diverse fratture scomposte alle braccia e alle gambe per le numerose percosse, che non sono mai state curate”.

Da ansa.it il 19 agosto 2022.

Per nove anni Elsa (nome di fantasia) è stata un fantasma, completamente trascurata dai genitori, alimentata saltuariamente dai fratelli con latte e biscotti, e mai assistita nonostante i segni di fratture scomposte a braccia e gambe - forse frutto di violenze ancora da accertare - una spina dorsale deformata, perché probabilmente non ha mai dormito in un vero e proprio letto. 

Da qualche giorno però (della sua vicenda si stanno occupando i media) la bimba, proveniente da un comune dell'hinterland napoletano, è stata tolta ai genitori dai servizi sociali che l'hanno affidata all'associazione "La Casa di Matteo", e la sua vita è cambiata.

Al suo fianco ha educatori ed infermieri esperti, ed sta iniziando così a comportarsi un po' come tutti i bimbi. 

"Sta cominciando ad interagire con gli altri - spiega Marco Caramanna, presidente dell'associazione - a sorridere, a guardarsi intorno, a dormire e mangiare. Tutto ciò può sembrare normale, ma dopo ciò che ha passato, è invece una vittoria. Ogni giorno scopriamo qualcosa di nuovo di Elsa.

Di vicende come la sua purtroppo ce ne sono tante, e come in questo caso non vengono denunciate. Ci sono sicuramente responsabilità nella rete che dovrebbe tutelare i minori, dalla scuola al servizio sanitario, visto che nessuno in nove anni si è mai accorto di nulla, almeno fino a pochi giorni fa, quando i servizi sociali hanno ricevuto una segnalazione relativa alla situazione di Elsa e si è messo in moto il percorso che l'ha portata fino a noi".

Dopo 9 anni è stata tolta ai genitori: accertamenti su maltrattamenti e disabilità. Elsa, la bimba invisibile: arti spezzati, spina dorsale deformata, cresciuta a latte e biscotti. Terzo caso in pochi mesi a Napoli. Redazione su Il Riformista il 18 Agosto 2022 

Ha nove anni, braccia e gambe spezzate, la spina dorsale deformata e non parla. Si chiama Elsa, nome di fantasia dato dai suoi nuovi angeli dell’associazione di Napoli “La Casa di Matteo“, che ha sede in via Pigna, nel quartiere Soccavo e che è l’unica nel Sud Italia ad assistere bambini con gravi problemi di salute provenienti da contesti familiari raccapriccianti.

E’ da brividi la storia della bambina proveniente da un comune in provincia di Napoli, finita prima all’ospedale pediatrico Santobono e poi affidata dai servizi sociali – che l’hanno tolta ai genitori – all’associazione. Sarebbe stata maltrattata dalla nascita dai genitori, accudita saltuariamente dai fratelli più grandi che per nutrirla le davano latte e biscotti. Una bambina che in nove anni non è stata mai assistita nonostante le fratture scomposte a braccia e gambe e i problemi alla spina dorsale perché probabilmente non ha mai dormito su un letto vero e proprio. Saranno gli accertamenti medici e neurologici a stabilire se la piccola, ad oggi disabile, sia nata così o le condizioni attuali sono il frutto delle costanti violenze subite dai genitori.

Quel che più importa è che Elsa è ritornata a vivere da qualche giorno, circondata dall’amore e dalla professionalità dei componenti dell’associazione “La Casa di Matteo”. Certo, sono passati ben nove anni prima che il muro di omertà e indifferenza fosse squarciato con una segnalazione ai servizi sociali. Una bimba invisibile, un fantasma per genitori, familiari e istituzioni stesse (andava a scuola? Perché non ci sono stati controlli?). Una bambina che ad oggi non parla e non riesce a muoversi. Che si porta dietro dolori fisici da quando è nata, alimentati dall’atteggiamento criminale di chi l’ha messa al mondo.

“Sta cominciando ad interagire con gli altri – spiega all’Ansa Marco Caramanna, presidente dell’associazione – a sorridere, a guardarsi intorno, a dormire e mangiare. Tutto ciò può sembrare normale, ma dopo ciò che ha passato, è invece una vittoria. Ogni giorno scopriamo qualcosa di nuovo di Elsa. Di vicende come questa – evidenzia – ce ne sono tante, e come in questo caso non vengono denunciate. Ci sono sicuramente responsabilità nella rete che dovrebbe tutelare i minori, dalla scuola al servizio sanitario, visto che nessuno in nove anni si è mai accorto di nulla, almeno fino a pochi giorni fa, quando i servizi sociali hanno ricevuto una segnalazione e si è messo in moto il percorso che l’ha portata fino a noi”.

Troppi i casi analoghi. Dala recente tragedia della piccola Diana, la bimba di appena 18 mesi morta di stenti dopo essere stata lasciata da sola in casa per sei giorni dalla madre Alessia Piffari, 37 anni, allontanatasi per raggiungere il compagno, ai due casi relativi alla provincia di Napoli registrati negli ultimi mesi: quello del bimbo di 7 mesi morto in culla in una palestra abusiva di Nola, con i fratellini successivamente tolti ai genitori e quello della bimba di 4 anni morta al Santobono, con la salma sequestrata a poche ore dal funerale perché “Maria veniva picchiata“. Troppa omertà, troppa indifferenza da parte di tutti: familiari, vicini, cittadini e istituzioni latitanti.

Ci sono temi intoccabili. Un esempio: "l'aborto". Alessandro Gnocchi il 23 Settembre 2022 su Il Giornale. In passato si potevano esprimere dubbi anche radicali. Ora vincono sempre la riprovazione e il conformismo.  

Spesso si ha l'impressione che il dibattito pubblico in Italia abbia fatto due o tre passi indietro rispetto agli anni nei quali, paradossalmente, le divisioni ideologiche erano molto più nette rispetto a ora. Prendiamo un tema difficile: l'aborto. Dati di fatto: esiste una legge, la 194, che nessuna delle principali forze politiche ha in programma di toccare; tale legge consente di abortire e inoltre dichiara che l'interruzione della gravidanza non è un mezzo per il controllo delle nascite; a partire da questi presupposti, dovrebbe essere possibile un franco dibattito sul tema. Invece non è così. Qualunque posizione, ragionata o propagandistica, intelligente o cretina, in buona o cattiva fede, finisce prima tritata nella pattumiera del pensiero, cioè i social network, poi etichettata sbrigativamente come fascista o patriarcale o comunista o femminista, quindi, in molti casi, esclusa dal dibattito pubblico.

Non è vero? Facciamo una prova. Prendiamo alcune opinioni disallineate al politicamente corretto, eppure legittime, come tutte le opinioni, e pensiamo a chi, oggi, le pubblicherebbe. Pensiamo anche a cosa accadrebbe se venissero pubblicate.

Sul Corriere della sera dell'8 maggio 1981, Norberto Bobbio, non credente e padre nobile della sinistra, risponde alle domande di Giulio Nascimbeni in vista del referendum sull'aborto. Leggiamo: «È un problema molto difficile, è il classico problema nel quale ci si trova di fronte a un conflitto di diritti e di doveri». Nascimbeni chiede quali diritti e quali doveri siano in conflitto: «Innanzitutto il diritto fondamentale del concepito, quel diritto di nascita sul quale, secondo me, non si può transigere. È lo stesso diritto in nome del quale sono contrario alla pena di morte. Si può parlare di depenalizzazione dell'aborto, ma non si può essere moralmente indifferenti di fronte all'aborto». Ci sono altri diritti: «C'è anche il diritto della donna a non essere sacrificata nella cura dei figli che non vuole. E c'è un terzo diritto: quello della società. Il diritto della società in generale e anche delle società particolari a non essere superpopolate, e quindi a esercitare il controllo delle nascite». Il diritto del concepito è «fondamentale»; gli altri, dice Bobbio, sono «derivati». Siamo arrivati al cuore della riflessione: «Inoltre, e questo per me è il punto centrale, il diritto della donna e quello della società, che vengono di solito addotti per giustificare l'aborto, possono essere soddisfatti senza ricorrere all'aborto, cioè evitando il concepimento. Una volta avvenuto il concepimento, il diritto del concepito può essere soddisfatto soltanto lasciandolo nascere». Nascimbeni muove l'obiezione più logica e forte: abrogando la legge 194, si tornerebbe ai «cucchiai d'oro», alle «mammane», ai drammi e alle ingiustizie dell'aborto clandestino. Bobbio non fa marcia indietro: «Il fatto che l'aborto sia diffuso, è un argomento debolissimo dal punto di vista giuridico e morale. E mi stupisce che venga addotto con tanta frequenza. Gli uomini sono come sono: ma la morale e il diritto esistono per questo. Il furto d'auto, ad esempio, è diffuso, quasi impunito: ma questo legittima il furto? Si può al massimo sostenere che siccome l'aborto è diffuso e incontrollabile, lo Stato lo tollera e cerca di regolarlo per limitarne la dannosità. Da questo punto di vista, se la legge 194 fosse bene applicata, potrebbe essere accolta come una legge che risolve un problema umanamente e socialmente rilevante». Nascimbeni chiede a Bobbio se riesce a immaginare la reazione del mondo laico alle sue parole. Bobbio: «Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il non uccidere. E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l'onore di affermare che non si deve uccidere». Ne venne fuori un putiferio ma intanto Bobbio aveva potuto esprimere la sua idea controcorrente da una tribuna importante.

Molto prima di Bobbio, il 19 gennaio 1975, il Corriere della sera aveva pubblicato un articolo corsaro di Pier Paolo Pasolini, non credente e marxista eretico, sullo stesso tema. Pasolini: «Sono contrario alla legalizzazione dell'aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell'omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano cosa comune a tutti gli uomini io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente. Mi limito a dir questo, perché, a proposito dell'aborto, ho cose più urgenti da dire. Che la vita sia sacra è ovvio: è un principio più forte ancora che ogni principio della democrazia, ed è inutile ripeterlo». Poi accusava i Radicali, ai quali si sentiva comunque vicino, di cinismo e di essersi arresi ai fatti. Ne uscì un altro putiferio, anche perché le motivazioni di Pasolini sconfinavano in un ambito, quello del coito eterosessuale e omosessuale, che non sembrava del tutto calzante.

Nel 1980, Giovanni Testori, cattolico imperfetto per inquietudine, scrisse il monologo Factum est. Nell'opera parla solo il feto, il «grumo di cellule», che nella realtà non ha voce né volontà. È lui il nuovo Cristo crocefisso, rifiutato prima che esca dal ventre della madre. Fu uno scandalo. Ma intanto andò in scena e successivamente fu proposto perfino nelle università al pubblico degli studenti.

Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci, non credente e socialista con sfumature liberali, fu pubblicato nel 1975, doveva essere un'inchiesta per l'Europeo, diventò un romanzo bestseller (due milioni di copie in Italia, due milioni e mezzo nel resto del mondo). Fu scritto però circa dieci anni prima, di getto, proprio in seguito a un aborto spontaneo (il secondo: la Fallaci aveva già vissuto un'esperienza drammatica nel 1958). Il tragico monologo di una donna che si rivolge al figlio che porta in grembo, interrogandosi sulla responsabilità di dare la vita, e affrontando senza timori la questione dell'aborto, suscitò infinite polemiche. Ne scrive la Fallaci, che non aveva aspettato il femminismo per essere femminista, in una lettera del 1975 all'amico Pasolini: «Le donne si indignano da un parte, gli uomini si arrabbiano dall'altra, gli abortisti mi maledicono perché concludono che io sono contro l'aborto, gli antiabortisti mi insultano perché concludono che io sono per l'aborto. E nessuno o quasi si accorge di cosa vuol dire il libro veramente. Nella rissa non hanno ragione né gli uni né gli altri, o hanno ragione tutti e due. Il libro è la saga del dubbio. Vuol essere la saga del dubbio» (da La paura è un peccato. Lettere da una vita straordinaria, Rizzoli). Libro controverso ma pubblicato da un colosso come Rizzoli.

Ecco, ora, archiviato anche il caso particolare del Foglio di Giuliano Ferrara, provate a pensare se queste opinioni troverebbero accoglienza nel deprimente mondo dell'editoria italiana dove si fanno dibattiti ma solo a patto di essere tutti d'accordo e tutti politicamente corretti.

Ungheria, stretta del governo sull'aborto: "Le donne ascoltino il battito del cuore del feto". La Repubblica il 13 settembre 2022.

Prima di abortire, dovrai ascoltare il battito del suo cuore. Il governo ungherese di Viktor Orban lancia una nuova crociata contro l'aborto e le donne che decidono di interrompere la gravidanza. Un decreto del ministero dell'Interno pubblicato sulla Gazzetta ufficiale ungherese prevede che oltre ai requisiti già previsti per abortire ci sia anche l'obbligo per i medici di presentare alle donne la prova "chiaramente identificabile delle funzioni vitali del feto". In altre parole un'ecografia del cuore.

Firmato dal ministro dell'Interno Sandor Pinter, il decreto entrerà in vigore giovedì 15 settembre. Il partito di estrema destra Mi Hazank ha fatto sapere di essere lieto che "le mamme ora ascolteranno il battito cardiaco fetale", anche se il testo non lo afferma esplicitamente in questi termini. "Almeno per alcuni secondi, il bambino in età fetale potrà essere ascoltato dalla madre prima che venga eseguito l'aborto", ha detto la deputata Dora Duro in un post su Facebook.

In Ungheria l'aborto fino alla dodicesima settimana di gravidanza è legale dagli anni '50. La legge, modificata nel 1992, "non è scolpita nella pietra in un Paese cristiano degno di questo nome. Scriviamo la storia!", ha aggiunto, ringraziando le organizzazioni pro-vita per il loro sostegno.

Amnesty International parla di un "preoccupante declino". Questa  decisione presa "senza alcuna consultazione" renderà "più difficile l'accesso all'aborto" e "traumatizzerà più donne già in situazioni difficili", ha detto all'Afp il portavoce Aron Demeter.

La legge ungherese prevede che si possa abortire in quattro casi: gravidanza in conseguenza di un reato o violenza sessuale, pericolo per la salute della donna, embrione con handicap fisico grave, situazione sociale insostenibile della donna.

L'aborto è un diritto e non trasforma una donna in un'assassina. Daniela Missaglia su Panorama il 20/09/22. 

In Ungheria l'esecutivo guidato da Viktor Orbàn ha approvato l’obbligo, per i medici chiamati a eseguire un aborto, di presentare alle pazienti la prova “chiaramente identificabile delle funzioni vitali del feto". Così facendo il governo ultraconservatore ungherese di Viktor Orban stringe le fila della crociata contro l'aborto, sottoponendo la donna ad una vera e propria “tortura” al fine di dissuaderla dal suo intento. D’ora in avanti (il decreto è esecutivo dal 15 settembre), la futura madre intenzionata a interrompere la gravidanza sarà così costretta ad ascoltare il battito del cuore del feto portato in grembo.

Il supplizio cui vengono costrette - per legge - le donne ungheresi è grave, anzi gravissimo e lede i diritti umani, andando a schiacciare un tasto sensibile di una tematica delicata come quella dell’interruzione della gravidanza. E’ prassi, morale prima ancora che sanitaria, che quando una donna decida di abortire, la si assista in modo diametralmente opposto a quello imposto da Orbàn, rassicurandola sul fatto che il feto non senta alcun dolore, anche se i gruppi “antiaborto” o “pro-vita” sostengono che il feto sia in grado di provare dolore e che l’aborto debba essere vietato per ragioni etiche. Tesi che stride con la relazione pubblicata sul “British Medical Journal” secondo cui i feti non sarebbero in grado di provare dolore, capacità che può essere sviluppata solo dopo la nascita. A scanso di equivoci c’è da osservare che non è solo l’Ungheria ad avere inserito la retromarcia sul tema dell’aborto, visto che a giugno la Corte Suprema degli Stati Uniti (a trazione democratica) ha abolito la storica sentenza Roe v. Wade, del 1973, decretando l’illegalità dell’aborto. Sia chiaro che qui la politica non centra e la questione non può essere strumentalizzata dall’uno o dall’altro schieramento: l’aborto non ha colore e ciò che accade in Ungheria inerisce principi universali. Stiamo infatti oggettivamente parlando di un clamoroso passo indietro, che asfalta i diritti civili e il principio di autodeterminazione del singolo, facendo precipitare nell’oscurantismo la nostra civiltà. La compressione della libertà della donna di decidere se diventare madre è il primo aspetto del dibattito che precede quello del figlio che non vuole o non può avere. Una vita per una vita, anche quando non c’è rischio per la salute della ipotetica madre. Che madre non sarà, per sua volontà, o sarà costretta ad essere, per volontà altrui.

Più che imporre con decreto di ascoltare il battito del feto occorrerebbe consigliare a Orbàn la lettura del libro di Oriana Fallaci “ Lettera a un bambino mai nato”. “ Una goccia di vita scampata dal nulla… un nodo di cellule appena iniziate” in un mondo crudele e perbenista dove nei secoli scorsi chi iniziava una gravidanza non voluta, accaduta in un attimo di distrazione, ricorreva ai rimedi più impensabili per liberarsi dell’incomodo, rischiando la propria vita nella solitudine e nella paura che gli altri sapessero. Caro Orbàn e cari Giudici Supremi degli Stati Uniti, ricordatevi che una donna potrebbe seguire un percorso inverso, rovesciando i suoi primi intendimenti, senza ricorrere alla tortura e alle imposizioni che avete pensato. Sappiate che una donna decide di far nascere - o non nascere - il proprio bambino non certo per l’inquietudine di essere un’assassina o una maledetta, ma per un consapevole inno alla vita che la porta a donare tutta se stessa per un altro essere umano. Sicuro che Orbàn, così come i Giudici Supremi dell’America democratica, non sanno che una donna, prima di affrontare una scelta così difficile, si pone il dilemma di dare la vita o negarla, dilemma personale non sindacabile da terzi, sacrosanta come sacrosanta è la vita di un figlio che si è deciso consapevolmente di crescere, senza imposizioni o torture altrui.

La rivolta delle ginecologhe: "Tortura contro le donne sentire il cuore che batte prima di un aborto". Maria Novella De Luca su La Repubblica il 15 Settembre 2022 

Dopo la denuncia di Sinistra Italiana contro un ospedale umbro, parlano le ginecologhe che difendono la legge 194: "Inutile sul fronte sanitario". Ma si scopre che è già successo in Veneto e in Emilia Romagna. Il ministro Speranza: "Valuto un'ispezione"

E' successo in Umbria, ma anche in Emilia Romagna, in Veneto. Ed è il nuovo, ultimo e dolorosissimo attacco contro la libertà di scelta delle donne. Il tentativo, ancora, di rendere difficile, se non impossibile, l'aborto legale. Accade, sempre più spesso, che alle pazienti in attesa di una interruzione volontaria di gravidanza, farmacologica o chirurgica, venga chiesto di aspettare fino a che non si senta con chiarezza il cuore del feto che batte.

Antonio Bravetti per “La Stampa” il 15 settembre 2021.

Nuovo attacco alla legge 194. Da Genova, durante un comizio elettorale, Giorgia Meloni dice: «Vogliamo dare il diritto alle donne che pensano che l'aborto sia l'unica scelta che hanno, di fare una scelta diversa. Non stiamo togliendo un diritto, ma aggiungendolo». Il diritto a non abortire? Intervistata da La7, la leader di FdI spiega: «Non voglio abolire la 194, non voglio modificarla. Voglio applicare integralmente, do you know applicare?, anche la parte sulla prevenzione, che significa aggiungere diritti. Vorrei dare un'alternativa a chi ad esempio abortisce per ragioni economiche».

A Pd e +Europa, però, suona diversamente. «Dopo l'America trumpiana e l'Ungheria di Orban, l'offensiva sulla 194 da parte di Fratelli d'Italia parte stasera. Ecco cosa è in gioco il 25 settembre», dice il deputato Filippo Sensi, ricandidato al Senato per il partito di Enrico Letta. «L'idea qui in Italia è che bisogna partorire con dolore e abortire sotto tortura - ragiona Emma Bonino - e credo che Giorgia Meloni, che ha questa ideologia Dio-patria-famiglia, qualora dovesse vincere non metterà in discussione la legge 194, ma spingerà per non farla applicare». 

Nei giorni scorsi diverse cantanti, attrici e donne dello spettacolo hanno alzato la voce contro l'ex ministra della Gioventù. Ieri si aggiunta Chiara Ferragni. A fine agosto aveva criticato Fratelli d'Italia sull'aborto negato nelle Marche. Questa volta Ferragni condivide un post di "apriteilcervello", profilo che si definisce «antifascista, antirazzista e support Lgbt+», dove si legge: «I partiti di Salvini, Meloni, Berlusconi sono gli stessi che poche settimane fa al Parlamento europeo hanno votato contro una risoluzione che chiedeva di condannare l'abolizione del diritto di aborto negli Stati Uniti».

Di qui, l'appello: «Fate sentire la vostra voce il 25 settembre». Ora Meloni prova a rassicurare l'elettorato femminile: «Leggo appelli alle donne perché non votino Giorgia Meloni, toglierebbe diritti alle donne. Ma nessuno dice quali. Il diritto all'aborto, al divorzio, a lavorare? No. A cosa? A mettersi lo smalto?». 

Tutt' altro, assicura: «Abbiamo nel programma un'infinità di provvedimenti per non dover scegliere tra avere un bambino o un lavoro». 

Bonino allarga lo sguardo oltre i confini, ai modelli della destra italiana, e avverte: «Tra chi abolisce l'aborto attraverso la corte costituzionale, come Trump, e chi con altri mezzi come in Polonia, noi abbiamo scelto la terza via: non applichiamo la legge. Ci sono intere regioni dove la legge 194 non esiste, perché i ginecologi sono tutti obiettori. Parlo delle Marche, governate da Fratelli d'Italia, ma non solo. 

In Ungheria oggi a Orban è venuta fuori l'idea di far sentire il battito cardiaco del feto, magari Meloni lo copierà. Ma non credo che Meloni metterà in discussione la 194: penso che lo farà in modo più subdolo e quindi più difficile da contrastare».

Il dibattito sull'aborto. Come si misura la libertà dell’individuo. Giovanni Doria su Il Riformista il 20 Settembre 2022. 

All’alba dello scorso 30 agosto, davanti al pronto soccorso ostetrico di Monza, è stata trovata una neonata dentro una scatola. Un caso di abbandono come molti. Alternativa certamente migliore al gettarlo nei cassonetti dell’immondizia, come ancora, purtroppo, e più frequentemente di quanto immaginiamo, accade. Questi indizi, da soli (sebbene ve ne siano di ulteriori, e ancor più numerosi), basterebbero per denunciare i limiti di una società considerata “evoluta”, nella quale il “progresso” ha introdotto la possibilità dell’aborto, che il pensiero c.d. progressista assume quale massima espressione di autodeterminazione della donna (osteggiata solamente dai medici obiettori), solo così libera di scegliere in ordine ad atti che coinvolgono il proprio corpo. Chi pensi, o continui a pensare che unicamente l’aborto garantisca una effettiva libertà di scelta della donna, non si avvede, però, del fatto che la possibilità di interrompere la gravidanza apre, in realtà, soltanto ad un bivio: diventare madre o abortire.

Ma un bivio non è ancora libertà. Molte altre strade lo sono. E nonostante ciò, chiunque profili ulteriori prospettive, è, paradossalmente, etichettato come reazionario. L’evoluzione cresce in maniera direttamente proporzionale alla libertà dell’individuo; e la libertà si misura con il numero delle possibilità di autodeterminazione che la collettività organizzata può offrire. La questione, in altri termini, non può risolversi, quasi semplicisticamente, nel decidere: diritto all’aborto si, diritto all’aborto no. Pensare di ridiscutere, nel nostro Paese, la l. n. 194/1984, costituirebbe, infatti, oggi, una discussione antistorica sul piano socio-giuridico, oltre che estremamente “pericolosa” sul piano della adeguata tutela della donna, che, de facto, verrebbe costretta ad accedere a pratiche abortive clandestine, o, laddove possa, a sistemi di shopping abortivo. Occorre, piuttosto, “allargare”, in qualche misura, il piano di valutazione, coinvolgendo nel dibattito politico-giuridico l’intera prospettiva della (crisi della) genitorialità nel contesto del riconoscimento gius-costituzionale. E ciò attraverso l’assunzione (socio-normativa) solidaristica del figlio come “vantaggio”, “risorsa” per la collettività, cui spetta, dunque, il compito di creare le condizioni di incentivo e di tutela (specie – naturalmente – per la donna) perché sia consentita un’effettiva e non solo formale libertà di scelta per la madre.

La soluzione è possibile nella misura in cui l‘apertura alla nuova generazione non resterà un fatto meramente privato di cui il singolo o la coppia dovranno in ogni senso sopportarne il “peso”, ma una questione di pubblico interesse di cui deve farsi carico la collettività, e per essa lo Stato, in attuazione di principi costituzionali già presenti nell’ordinamento.  In questa prospettiva, è dell’11 settembre 2015 la prima proposta di legge n. 3306 (presentata da Ignazio La Russa) di modifica della disciplina delle adozioni, in modo da consentire lo stato di adottabilità del concepito. Proposta evidentemente fondata su principi di civiltà giuridica del rispetto della libera scelta della madre e di un giusto assistenzialismo, con effetti, tra l’altro, di risparmio erariale (un neonato abbandonato o non riconosciuto dai genitori viene immediatamente affidato ad una struttura idonea con relativi costi) e di incremento demografico (così tanto auspicato). Si tratta, peraltro, di un modello adozionale sperimentato con successo da molto tempo negli Stati Uniti, paese progressista per definizione, di per sé privo di connotazione ideologica, e idoneo, perciò, ad accogliere consensi politicamente trasversali.

Paradossalmente, proprio in nome del progresso, l’anzidetto progetto di legge ha ripetutamente fallito l’obiettivo, reo di conferire al concepito, in ragione dello stato di adottabilità, “personalità giuridica” e, per questa via, di incidere sulla normativa che consente l’aborto rendendolo nuovamente un crimine penalmente perseguibile. Il progresso è certamente un obiettivo comune e ambìto; ma se non vuole risolversi in un grande inganno, in immagini fallaci, richiede un certo sforzo di analisi. La soggettività giuridica del concepito nel nostro ordinamento è incontestabile (così, da ultimo, l’art. 1, comma 1, della legge 19 febbraio 2004 n. 40). Ed è affermata anche dalla nostra giurisprudenza costituzionale (sentenza 8 maggio 2009 n. 151) che lo riconosce quale titolare di diritti fondamentali. Il concepito, ad esempio, può essere beneficiario di un lascito testamentario o di un fondo fiduciario, oppure, una volta nato (quindi diventato “persona” per l’ordinamento), può chiedere il risarcimento per un danno subito nella sua vita prenatale.

La soggettività giuridica del concepito, del resto, non è ignorata nemmeno dalla legge sull’aborto che, infatti, operando un bilanciamento con l’interesse materno, consente l’interruzione della gravidanza secondo una procedura e in circostanze rigidamente determinate, fuori dalle quali resta un reato. Una donna che preferisca far nascere un concepito con la consapevolezza di affidarlo immediatamente alle cure di una famiglia idonea in lista d’attesa, dovrebbe essere non solo libera di farlo, ma anche sostenuta e tutelata sotto ogni profilo. Il progresso, evidentemente, si è confuso con gli slogan; e rischia di mancare un obiettivo importante nell’evoluzione sociale.

Giovanni Doria

La destra italiana e i “cimiteri dei feti” se dovesse vincere. Giampiero Casoni il 04/09/2022 su Notizie.it.

La destra italiana e i “cimiteri dei feti” se dovesse vincere la formula anti abortista di una coalizione che ha specifici punti in agenda politica 

La destra italiana non ha mai abbandonato del tutto il tema dei “cimiteri dei feti”, specie se dovesse vincere esso potrebbe tornare in agenda, anche se non si tratta di un tema di grande rispondenza mediatica per ovvi motivi. Ma di cosa parliamo? Una mini inchiesta di Fanpage ha rimesso a fuoco il tema che di fatto è uno dei punti “etici” della visione politica e di governo di Giorgia Meloni torna a far parlare di sé.

Il progetto sarebbe quello di “estendere a livello nazionale la pratica dei cimiteri dei feti”, cioè dei luoghi in Italia dove ciò che resta di un  aborto viene inumato. 

La destra italiana e i “cimiteri dei feti” 

A seconda che quel “ciò” sia già persona o “prodotto” la legge italiana ha delle regole disciplinate dal regolamento di polizia mortuaria del 1990. Quali? I feti tra le 20 e le 28 e al di sopra delle 28 settimane di età intrauterina sono considerati “nati morti”, quindi vanno sepolti a cura delle Asl o dei genitori. 

Termodistruzione o inumazione a prescindere? 

Sotto le 20 settimane vengono gestiti dall’ospedale attraverso una procedura chiamata “termodistruzione”. Un esponente di Fratelli d’Italia, Luca De Carlo, aveva rimesso a fuoco la questione per cui i cimiteri dei feti dovrebbero essere tali per tutti, secondo un mood velatamente anti abortista che è appannaggio non plebiscitario. Fa fede il “laboratorio Marche”, una sorta di schema di governo Meloni che ha in agenda i diritti riproduttivi in Italia: limitato accesso all’aborto, contrasto al gender e cimiteri dei feti.

Il vescovo di Ventimiglia: «Giusto seppellire i feti. E chi difende l’aborto non è cattolico». Redazione il 3 Settembre 2022 su Il Secolo d'Italia.  

“Giusto dare una sepoltura ai feti: il concepito è un essere umano e non può finire nei rifiuti speciali”. Parola di monsignore. Il vescovo di Ventimiglia-Sanremo, Antonio Suetta, in una intervista all’Adnkronos, entra nel dibattito di queste ore sulla sepoltura dei bimbi mai nati. E, con buona pace della galassia progressista in cerca di scandali, definisce “coerente” e “buona” la proposta rilanciata da Fratelli d’Italia. Che ha fatto gridare allo scandalo le femministe. “Nel merito della questione – spiega il prelato – io credo che sia una cosa coerente e buona. Perché il concepito è un essere umano ed è una questione di dignità dell’essere umano avere una giusta sepoltura e non finire nei rifiuti speciali”.

Il sindaco di Ventimiglia: giusto seppellire i feti, ma quale oscurantismo

Eppure il centrosinistra è insorto definendo la proposta del partito di Giorgia Meloni “oscurantista” e “contro le donne’. Ma quando mai. “L’aborto è un argomento scomodo”, dice il vescovo di Ventimiglia. “Io sono convinto che l’aborto si spieghi e si condanni da solo. Purtroppo si capisce che coloro che desiderano soltanto promuovere e legittimare l’aborto, tra le attenzioni che adottano certamente inseriscono quella di parlare il meno possibile di aborto”. Parola sferzanti. Che demoliscono la narrazione della sinistra che blatera di diritti delle donne negando la tutela della vita.

“Chi difende l’aborto non è cattolico”

“Il tema dell’aborto – continua monsignor Suetta – non è una questione politica e non è una questione di schieramento. L’aborto è un dato di fatto. La soppressione di un essere umano. E chi sostiene che la soppressione di un essere umano sia legittima, mi dispiace dirlo, ma non è cattolico anche se si proclama tale”. Ma non è tutto. Il vescovo vuole spiegarsi meglio. “È incompatibile con la fede non perché lo dica io ma perché lo dice la Dottrina della Chiesa. Una persona, naturalmente, può esprimere liberamente le proprie convinzioni. Ma non necessariamente queste sono vere e accettabili. Come il fatto che uno si proclami cattolico e poi affermi cose non conformi alla Chiesa cattolica”.

Gennaro Marco Duello per fanpage.it il 16 agosto 2022.

Maria Monsé ha rilasciato una intervista al settimanale salutista “Ok Salute e Benessere” e ha raccontato il dramma di aver subito due aborti. La showgirl protagonista del Grande Fratello Vip 6: “Sei bionica, mi diceva mio marito quando ero incinta di nostra figlia Perla. Lo diceva perché non mi fermavo mai: praticavo sport, andavo in barca, stavo bene, ero felice, luminosa. Saranno stati i 32 anni, sarà stata l’ebbrezza della prima gravidanza, ma io non avevo la benché minima percezione del rischio”.

Gli aborti subiti da Maria Monsé

Era il 2006 e lei aveva anche accettato di partecipare come concorrente del reality show La Fattoria, che si registrava in Marocco, e aveva detto di sì, pensando che non sarebbe stato un problema. Ma poi il ginecologo la fermò, era incinta e avrebbe fatto meglio a evitare: “Mi spiegò che era meglio non stressare eccessivamente il corpo. Rinunciai, limitandomi a fare l’opinionista in studio. Perla nacque e andò tutto bene, finché, passati tre anni, io e mio marito decidemmo che era arrivato il momento di allargare la famiglia. Ero entusiasta di cercare un altro figlio: della gravidanza, dopotutto, serbavo solo ricordi positivi”. 

Maria Monsé rimase incinta quasi subito, l’estate successiva. Le analisi erano a posto e non aveva e non sentiva necessità di altri controlli. Poi il dramma: “Un giorno, però, ho iniziato a sentire dolori alla pancia, così sono corsa a fare un’ecografia. Era solo la terza settimana, il medico mi disse che non c’erano più i battiti e io rimasi scioccata. Ma come? La mia favola era improvvisamente crollata. Tornai a Roma per abortire e fu un dramma.

Non solo convivere con questa notizia, veramente inaspettata, ma anche l’intervento in ospedale dove, per una tragica ironia della sorte, mi misero nella stanza accanto a quella in cui nascevano i bambini. Io stavo per abortire e dall’altra parte del muro sentivo piangere i neonati. Uno strazio. Presi dei calmanti. L’operazione andò bene, nonostante il mio stato d’animo e le mie preoccupazioni”. 

L'aiuto della madre

A starle vicino fu sua madre: “Lei cercava di consolarmi dicendomi che la volta successiva sarebbe andata bene. Con il tempo il trauma dell’aborto si affievolì e a un certo punto i ricordi positivi della prima gravidanza, con la felicità che mi dava avere accanto Perla, mi spronarono a riprovarci”. Come era capitato già in precedenza, subito riuscì a rimanere incinta, ma si ripresentarono le stesse problematiche come dolori e assenza di battito all’ecografia:

Ero disperata, non ci volevo credere. Andai da un altro medico per una seconda ecografia e nonostante l’esito fu lo stesso, dopo il secondo raschiamento ho convissuto per mesi con il pensiero che i dottori avessero sbagliato e che mio figlio, invece, era vivo e lo avevo perso volontariamente. Ma ero io che vivevo di false speranze, ero io che ero entrata in un tunnel da cui non riuscivo a uscire. Per un po’ di tempo ho cercato di capire il motivo di questi aborti: c’era chi mi diceva che a una certa età il rischio aumenta perché gli ovuli non sono più quelli «di una volta», chi mi diceva che avrei dovuto fare una cura di eparina, chi sosteneva che fosse colpa della tiroide. 

Poi ha trovato in Perla Maria, la sua spalla e la sua ragione di vita: "La verità è che io a un certo punto ho detto basta e non ho più voluto andare alla ricerca della causa. Avevo sofferto troppo e mi sono resa ancora più conto del valore di quello che già avevo. Accanto a me c’era Perla e ancora oggi che lei ha 16 anni siamo inseparabili. Sono una donna molto fortunata".

Elezioni politiche, Chiara Ferragni attacca Giorgia Meloni: “Far sì che non accada”. Il messaggio dell'influencer. Il Tempo il 24 agosto 2022

Chiara Ferragni all’attacco di Giorgia Meloni. “Ora è il nostro tempo di agire e far sì che queste cose non accadano”. Con questa frase l'imprenditrice digitale e influencer, nonché moglie di Fedez, si schiera in difesa del diritto all'aborto. La frase è stata postata in una storia sul suo profilo Instagram, social dove Ferragni è seguita da 27,7 milioni di follower, e riprende un post della rivista 'The Vision' che afferma “Fratelli d’Italia ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche, che governa. Una politica che rischia di diventare nazionale se la destra vince le elezioni" e che a sua volta riprende un articolo pubblicato lunedì sul sito del quotidiano britannico The Guardian. 

"L'aborto in Italia è stato legalizzato nel 1978" ma "l'alto numero di ginecologi che rifiutano di interrompere le gravidanze per motivi di coscienza - il 64,6%, secondo il 2020 dati - fa sì che le donne incontrino enormi difficoltà nell'accesso a procedure sicure", si legge nell'articolo di The Guardian. Secondo il quotidiano inglese, "la leadership conservatrice in diverse regioni italiane negli ultimi anni ha ulteriormente ostacolato l'accesso all'aborto, soprattutto nelle Marche, ex roccaforte della sinistra, che da settembre 2020 è governata da Fratelli d'Italia". Una delle prime mosse del Consiglio regionale "è stata quella di non applicare una misura del ministero della Salute, introdotta lo scorso anno, che permetteva alle cliniche, non solo agli ospedali, di fornire la pillola abortiva. Mentre la legge nazionale prevede che gli aborti medici possano essere effettuati fino a nove settimane di gravidanza, nelle Marche il limite è di sette settimane", prosegue il testo. Giorgia Meloni, il capo del partito "che spera di diventare presidente del Consiglio - aggiunge -, ha descritto l'aborto come una 'sconfitta', anche se di recente ha affermato che l'abolizione della legge del 1978 non era nella sua agenda. Tuttavia, le Marche, descritte come un 'laboratorio' per le politiche di Fratelli d'Italia, forniscono un'idea di ciò che potrebbe accadere se la coalizione guidata dal partito e che include la Lega di Matteo Salvini, che ugualmente contraria all'aborto, conquistasse il potere".

Ieri sera alle 21 Ferragni aveva pubblicato la stessa storia, ma con un'altra frase ad accompagnare: “Facciamoci sentire a queste elezioni”. Non ci sono state repliche da parte della stessa Meloni o di FdI.

L'influencer contro la politica di Fratelli d'Italia. Chiara Ferragni affossa Meloni: “Nelle sue Marche impossibile abortire, è tempo di agire”. Giovanni Pisano su Il Riformista il 24 Agosto 2022 

Fratelli d’Italia “ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche, che governa. Una politica che rischia di diventare nazionale se la destra vince le elezioni”. Chiara Ferragni entra in campagna elettorale e attacca il partito di Giorgia Meloni. “Ora è il nostro tempo di agire e far si che queste cose non accadano” scrive l’influencer, seguita da oltre 27 milioni di followers, in una storia pubblicata su Instagram che condivide un post di The Vision, la rivista online dedicata ai millennial italiani, sull’aborto diventato quasi impossibile nelle Marche, regione governata dalla destra e nello specifico dal governatore di Fratelli d’Italia Francesco Acquaroli. Regione dove proprio ieri è partita la campagna elettorale della leader Fdi Giorgia Meloni sul palco ad Ancona. 

Dall’isola spagnola di Ibiza, dove sta trascorrendo le vacanze con il marito Fedez e i due figli, Ferragni lancia una frecciata al partito di Giorgia Meloni e invita gli italiani “ad agire” partendo proprio da quel “modello Marche” millantato in questi mesi da Fratelli d’Italia, che guida la regione dal 2020, e che nel 2021 si è opposta alla pillola Ru486, quella per l’interruzione della gravidanza, nei consultori.

Non solo però le politiche contro l’aborto. Nelle Marche si contrastano anche altri diritti come quello relativo al suicidio assistito dove nonostante la sentenza Cappato/Dj Fabo, tre pazienti hanno dovuto combattere a lungo contro il comitato etico regionale perché desse il via libera alla somministrazione del farmaco. Altro tema controverso è quello relativo ai diritti civili con il mancato patrocinio in occasione del Gay Pride perché considerato un evento politico.

Nei giorni scorsi un articolo del quotidiano britannico The Guardian sulle Marche spiegava come “una delle prime mosse del consiglio regionale sia stata stata quella di non applicare una misura del ministero della Salute, introdotta lo scorso anno, che permette alle cliniche, non solo agli ospedali, di fornire la pillola abortiva”. Non solo: “Mentre la politica nazionale prevede che gli aborti possano essere effettuati fino a nove settimane di gravidanza, nelle Marche il limite è di sette settimane“. Il Guadian sottolinea anche come il “laboratorio Marche” rischia di essere esteso all’Italia intera in caso di vittoria di un governo a guida Meloni. 

Giovanni Pisano. Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.

Dopo il post dell'influencer il dibattito torna sui diritti civili. Che cos’è il “Modello Marche”: suicidio assistito, diritti civili e aborto su cui punta il dito Chiara Ferragni. Rossella Grasso su Il Riformista il 24 Agosto 2022 

Il post di Chiara Ferragni con cui ha preso posizione sul tema dell’aborto ha segnato l’agenda del dibattito politico di una nuova giornata di campagna elettorale. E si torna a parlare di diritti civili in particolare nella regione Marche. L’influencer ha ripostato sul suo profilo un contenuto di The Vision: una stanza di ospedale con il lettino nero e la scritta “Fdi ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche, che governa. Una politica che rischia di diventare nazionale se la destra vince le elezioni”. La Ferragni poi ha aggiunto: “Ora è il nostro tempo di agire e far sì che queste cose non accadano”. Questo è bastato per riportare al centro del dibattito politico il delicato tema dell’aborto che ancora troppo spesso è negato in tutta Italia.

Perché si parla di “Modello Marche”? La regione è governata da Fratelli d’Italia, il partito che da settimane è in testa ai sondaggi per le prossime elezioni. Giorgia Meloni ha scelto Ancona come palco per dare il via alla campagna elettorale del suo partito. Qualcuno, come Laura Boldrini, ha definito la regione il “laboratorio dell’ultra-destra” e, come riporta Repubblica, ne ha pronunciato il mea culpa della sinistra: “Dal 2008 – ragiona l’ex presidente della Camera, che è nata a Macerata – non abbiamo saputo intercettare i bisogni delle persone. Queste zone sono state desertificate, tante aziende hanno chiuso, altre hanno delocalizzato. Chi dei nostri era sul territorio, non ha saputo dare risposte”.

“Modello marche” si riferisce ai vari episodi che hanno visto la regione dura e controcorrente su alcune scelte che riguardano i diritti civili. Nel 2021 la regione si è opposta alla pillola Ru486, quella per l’interruzione della gravidanza, nei consultori. “Fratelli d’Italia metterà a rischio il diritto all’aborto”, ha scritto il Guardian pochi giorni fa. A questo si aggiunge anche un gran numero di medici obiettori di coscienza che, sebbene la legge preveda il diritto all’aborto, poi nei fatti è davvero difficile riuscirci.

“Concordo con Chiara Ferragni sulla questione dell’obiezione di coscienza nelle Marche, è una situazione che denunciamo e che va avanti ormai da anni, da quando c’era il governo di centrosinistra e che negli ultimi due anni, con il governo di centrodestra, si è ulteriormente accentuata”, ha detto all’Ansa Marte Manca, attivista del movimento femminista Non Una di Meno Transterritoriale Marche. Manca, già il 28 settembre 2021, nella Giornata Internazionale dell’Aborto Sicuro, insieme ad altre esponenti del movimento, aveva manifestato davanti a Palazzo Leopardi, una delle sedi del Consiglio regionale a sostegno dell’Aborto libero, gratuito e farmacologico.

“Nelle Marche c’è un elevato tasso di obiezione di coscienza che rende complicato per le donne accedere all’Ivg, l’interruzione volontaria di gravidanza – dice l’attivista – una situazione decennale, che a seconda delle strutture ospedaliere oscilla tra il 70% e il 100% di obiezione. Purtroppo non abbiamo dati aggiornati sull’obiezione di coscienza, gli ultimi risalgono al 2020, in quanto l’Asur non ce li ha più forniti – aggiunge – a già all’epoca era emersa chiaramente la problematicità della situazione, tanto che a Jesi, ad esempio, l’obiezione di coscienza tocca livelli del 100% (10 ginecologi su 10 e 20 ostetriche su 20)”. Oltre alle criticità sul fronte dell’Ivg, l’associazione torna alla carica sulla “mancata applicazione delle linee di indirizzo ministeriali per la Ru486, non recepite nelle Marche, le quali prevedono la possibilità di accedere all’Aborto farmacologico non solo negli ospedali, ma anche tramite consultori e fino a nove settimane di gestazione. Nelle Marche però – sostiene – questa possibilità è prevista solo negli ospedali di Macerata, Urbino e Senigallia e solo per le donne residenti e fino a sette settimane di gestazione e non nove”.

Subito è arrivata la replica di Fratelli d’Italia. “Se la stampa e le influencer vogliono occuparsi seriamente dell’aborto nella regione Marche, dovrebbero informarsi sulla base dei dati e consultare le relazioni annuali al Parlamento sulla legge 194. Per esempio, leggendo l’ultima firmata dal ministro Speranza si evince che nelle Marche l’offerta del cosiddetto servizio di Ivg è di gran lunga superiore a quella nazionale: le interruzioni volontarie di gravidanza, possono essere effettuate nel 92,9% delle strutture sanitarie mentre la media italiana è del 62%”. Lo dichiarano Isabella Rauti, responsabile del dipartimento famiglia di Fdi ed Eugenia Roccella candidata nelle liste di Fratelli d’Italia.

“Per quanto riguarda gli obiettori – aggiungono – il numero di aborti a carico dei medici non obiettori è 0,8 aborti a settimana, non sembra quindi che l’obiezione di coscienza, diritto civile previsto dalla legge 194, sia un ostacolo. Per quanto riguarda il cosiddetto ‘aborto chimico’ (pillola RU486), invece, va ricordato che le linee guida del Ministero non sono vincolanti (infatti l’Emilia Romagna ne ha sempre avute di proprie, diverse da quelle nazionali); e soprattutto che quelle attuali, emanate dal ministro Speranza, non rispettano la stessa legge 194, quando prevedono che l’aborto possa essere effettuato nei consultori ovvero fuori dalle strutture ospedaliere. È doveroso ricordare anche che la pillola Ru486 è un aborto più economico per il servizio sanitario ma più pericoloso per la salute delle donne, considerati i numerosi effetti collaterali e una mortalità più alta, come emerge dalla letteratura scientifica in materia”.

Ma la regione non si è fermata al tema dell’aborto. Lo scontro sui diritti nelle Marche riguarda anche il suicidio assistito, pratica riconosciuta nel 2019 dalla cosiddetta sentenza Cappato della Corte costituzionale. Ben tre pazienti si sono dovuti scontrare con il comitato etico della Regione, tra cui il noto Federico Carboni (conosciuto alle cronache con “Mario“), per la somministrazione del farmaco e – l’ultima in ordine di tempo – di Antonio. A sentirsi poco tutelata è anche la comunità Lgbtqia+. La Regione non ha infatti autorizzato il patrocinio per la manifestazione del Pride perché considerato un ”evento politico”.

Rossella Grasso. Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Tra le varie testate con cui ha collaborato il Roma, l’agenzia di stampa AdnKronos, Repubblica.it, l’agenzia di stampa OmniNapoli, Canale 21 e Il Mattino di Napoli. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. E’ autrice del documentario “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.

Chiara Ferragni contro Giorgia Meloni e l’aborto negato nelle Marche. VANESSA RICCIARDI su Il Domani il 24 agosto 2022

L’influencer da oltre 27 milioni di follower ha ricondiviso un post sui problemi nella regione amministrata da Fratelli d’Italia: «Ora è il nostro tempo di agire e far sì che queste cose non accadano». La leader di FdI ha fatto partire la campagna elettorale da Ancona

Chiara Ferragni parla ai suoi 27,7 milioni di follower e si lancia contro Giorgia Meloni e il diritto negato di abortire. Fratelli d’Italia nella regione Marche ritenuta laboratorio della destra a trazione meloniana, ha rifiutato il protocollo nazionale sulla pillola abortiva, e l’influencer ha condiviso su Instagram un post sull’argomento che avverte sul pericolo di vittoria alle elezioni della destra. «Ora – ha commentato Ferragni – è il nostro tempo di agire e far sì che queste cose non accadano». La storia su Instagram è arrivata lo stesso giorno in cui Meloni ha fatto partire la sua campagna elettorale da Ancona. 

LE MARCHE

La misura come raccontato su Domani era stata giustificata dal capogruppo di FdI in consiglio, Carlo Ciccioli, medico, dicendo che «siccome la nostra società non fa figli, possiamo essere sostituiti da persone che provengono da altre etnie». Non tutti però si sono dimostrati d’accordo nemmeno all’interno di Fratelli d’Italia. La coordinatrice e consigliera regionale Leonardi ha bollato le parole come «opinioni personali» e ridimensionato la mossa del governatore sulla Ru486, spiegando che «la giunta sostiene la piena applicazione della legge 194».

Secondo gli ultimi dati tuttavia, le Marche sono tra le 11 regioni con ospedali in cui tutti i medici sono obiettori di coscienza.

IL PD

Valeria Fedeli, dem che in passato si era ritrovata a difendere la libertà di espressione del marito di Ferragni, Fedez, in commissione di vigilanza Rai, oggi si schiera con lei. Quando il rapper aveva criticato al concerto del Primo Maggio la Lega e le sue posizioni contro il ddl Zan contro l’omotransfobia aveva ribadito l’importanza di permettere all’artista di dare la sua versione dei fatti.

Adesso ha apprezzato il gesto di Ferragni. «Brava Chiara Ferragni! – ha scritto in una nota –. Difendiamo l'aborto, la maternità consapevole e la salute delle donne. Nella Regione Marche, laboratorio della destra più nera, i diritti sono sotto attacco. Rischiamo ora che lo siano in tutta Italia. Chiediamo a Meloni: cosa pensa, onorevole, della Legge 194?».

LA POSIZIONE DI MELONI

Meloni, dopo aver fatto discutere perché nella sua autobiografia ha scritto che sua madre avrebbe deciso di farla nascere cambiando idea sull’aborto, più volte si è espressa per ridurre al minimo la decisione di interrompere la gravidanza. In Campidoglio, dove è stata consigliera nella passata amministrazione, aveva presentato insieme a Rachele Mussolini, nipote del duce, e Andrea De Priamo, oggi candidato in parlamento, una mozione sponsorizzata dai pro vita che prevedeva finanziamenti per i «Centri di aiuto alla vita» e l’istituzione della “Giornata della Famiglia”. 

VANESSA RICCIARDI. Giornalista di Domani. Nasce a Patti in provincia di Messina nel 1988. Dopo la formazione umanistica tra Pisa e Roma e la gavetta giornalistica nella capitale, si specializza in politica, energia e ambiente lavorando per Staffetta Quotidiana, la più antica testata di settore.

La legge viene continuamente disattesa. Chiara Ferragni ha ragione sull’aborto: negli ospedali si fa di tutto per umiliare le donne e farle sentire colpevoli. Angela Azzaro su Il Riformista il 25 Agosto 2022 

Chiara Ferragni ha criticato Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia dicendo che se dovessero andare al Governo sarebbe ancora più difficile abortire. La Ferragni lo dice sulla base delle regioni già governate dalla destra. Quando parliamo di interruzione di gravidanza in Italia dobbiamo ricordare che è già difficilissimo poter accedere alla legge 194, questo a causa del numero altissimo di obiettori di coscienza, al fatto che praticamente non esistono i consultori o, se esistono, le donne vanno lì e non vengono informate dei loro diritti ma si fa di tutto per convincerle a non fare questa scelta, al fatto che comunque la legge viene continuamente disattesa. 

Nella risposta di Fratelli d’Italia a Chiara Ferragni si parla anche della pillola abortiva ovvero della RU486 e si riconosce il fatto che non viene utilizzata. La destra dice che il motivo del mancato utilizzo sarebbe dovuto a problemi di salute che potrebbe causare alle donne, in realtà si fa di tutto per non rendere questa scelta meno invasiva e meno umiliante per le donne.

Perché negli ospedali pubblici si fa di tutto per far sentire colpevoli le donne che fanno questa scelta. Questo è un ulteriore aggravio e peso che si vorrebbe mettere sulle spalle delle donne non utilizzando la pillola abortiva.

Quando parliamo di interruzione di gravidanza stiamo parlando di libertà di scelta, di diritto all’autodeterminazione. Dietro alla legge 194 c’è il movimento delle donne che continuerà a battersi per questo diritto di libertà di scelta rispetto al proprio corpo. Questo non possiamo e non dobbiamo dimenticarlo.  

Angela Azzaro. Vicedirettrice del Riformista, femminista, critica cinematografica

Un messaggio sbagliato. La propaganda di Chiara Ferragni, tutte le inesattezze sull’aborto e sulle critiche a Giorgia Meloni: è ignoranza di base. Hoara Borselli su Il Riformista il 25 Agosto 2022 

Il diritto all’aborto non è messo in discussione. Chiara Ferragni parla di un pericolo inesistente. C’è una grande polemica social che si sta alimentando di ora in ora e che vede protagonisti, da una parte, la notissima influencer Chiara Ferragni e dall’altra un partito, il partito leader in assoluto in questa tornata elettorale che è Fratelli d’Italia. Andiamo per ordine. Chiara Ferragni sul suo profilo Instagram, precisamente nelle storie, ha postato un’immagine, l’immagine di una sala operatoria, o per meglio dire una di quelle sale dove viene praticato l’aborto. E ha scritto questa frase: “Fratelli d’Italia ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche, dove governa. Una pratica che rischia di diventare nazionale laddove la destra dovesse vincere le elezioni”.

Un concentrato di inesattezze all’interno di questo post o di questa propaganda politica. Vi dico perché. La prima è che nelle Marche non risulta alcun veto all’interruzione volontaria di gravidanza all’interno di una struttura pubblica. Sicuramente ci saranno degli obiettori di coscienza (ci sono in tutte le strutture pubbliche dislocate in tutta Italia). E la seconda è dire che laddove dovesse vincere la destra si estenderà a livello nazionale il divieto di abortire. Dice un’inesattezza perché non può essere vietata alcuna legge dello Stato. C’è una legge, la 194, la quale dice, dal 1978, che qualunque donna può ricorrere all’interruzione di gravidanza in qualunque struttura, laddove si ritenga ci siano le condizioni affinché possa essere praticato.

Ora ritengo molto grave dare un messaggio errato in questo senso, soprattutto da una persona che ha un seguito notevole e quindi ha un grande senso di responsabilità. Hanno un peso importante le parole che dice la stessa Ferragni. Vorrei ricordare che Giorgia Meloni è stata quella che, a posteriori della sentenza della Corte Suprema in America rispetto alla pratica dell’aborto, ha dichiarato ufficialmente, pubblicamente, davanti a tutti i microfoni ha detto la legge 194 non si tocca. Quindi le sue parole hanno rassicurato in tal senso.

È vero che Fratelli d’Italia ha detto che si impegnerà a far sì che possano essere implementati i centri d’ascolto o comunque far di tutto per poter supportare quelle donne e quelle madri che si trovano spesso costrette a dover ricorrere alla pratica dell’aborto perché non hanno i soldi, non hanno la condizione economica per poter sostenere una gravidanza. E’ qui che vuole intervenire Fratelli d’Italia. La trovo una logica di assoluto buon senso e che nulla va a ledere in termini di diritti a quelle donne che vogliono liberamente ricorrere a questa pratica.

Quindi Chiara Ferragni sta dando un messaggio sbagliato che fa parte di quella propaganda politica, però su delle basi che non stanno oggettivamente in piedi, che serve soltanto ad andare ad alimentare quella comunicazione sbagliata per dare contro l’avversario politico. Però, in questo caso con un’ignoranza di base, in termini di chi ignora quelle che sono poi le vere realtà dei fatti. 

Hoara Borselli. Inizio la mia carriera artistica come una delle protagoniste della fortunata "soap opera" CENTOVETRINE per essere poi chiamata dal Cinema a rivestire il ruolo di protagonista nel film PANAREA. Il grande successo è arrivato con la trasmissione BALLANDO CON LE STELLE, vincendo la prima edizione. Ho proseguito partecipando alle tre edizioni successive. Da lì il ruolo da protagonista nella tournèe teatrale la febbre del sabato sera, dove ho calcato, a ritmo di "sold out", tutti i più grandi teatri italiani. A seguire sono stata chiamata come co-conduttrice e prima ballerina nel programma CASA SALEMME SHOW, quattro prime serate su Rai1. In seguito ho affiancato Fabrizio Frizzi nella conduzione della NOTTE DEGLI OSCAR, poi Massimo Giletti nella conduzione di GUARDA CHE LUNA sempre su Rai1. Poi ho condotto il Reportage di MISS ITALIA. Sono stata protagonista della fiction televisiva PROVACI ANCORA PROF, otto puntate in prima serata su Rai1 e TESTIMONIAL di importanti aziende di vari settori. 

Elena Tebano per 27esimaora.corriere.it il 25 agosto 2022.

Al centro della campagna elettorale ieri sono finiti i diritti civili, a causa di un messaggio in difesa del diritto all’aborto inviato da Chiara Ferragni, imprenditrice e influencer, ai suoi 27,7 milioni di follower. 

Ferragni ha commentato un articolo sui vincoli alla legge 194 istituiti dalle Marche: la regione guidata da Fratelli d’Italia, come altre amministrate dal centrodestra, è stata accusata dall’opposizione di non seguire le direttive del ministero della salute, vietando di praticare l’aborto farmacologico (con la pillola Ru 486) nei consultori, e limitandone l’uso alle prime 7 settimane di gravidanza. Versione contestata da Fratelli d’Italia che ha invitato «le influencer a informarsi» e sostiene che il 92,9% degli ospedali delle Marche praticano aborti. 

Cosa dicono i dati

Dicono entrambi il vero, perché si tratta in realtà di due cose diverse. I dati citati da Fratelli d’Italia sono tratti dall’ultima Relazione del Ministro della salute sull’attuazione della legge 194 e si riferiscono al 2020, cioè per lo più al periodo in cui le Marche erano ancora guidate dal Partito democratico (il governatore di FdI Francesco Acquaroli è entrato in carica il 20 settembre, cioè solo per gli ultimi tre mesi di quell’anno). 

Riguardano inoltre soltanto gli ospedali dove si praticano gli aborti e non i medici obiettori (in ogni regione le amministrazioni devono garantire per legge un numero sufficiente di punti per l’interruzione di gravidanza in rapporto alla popolazione ). Se si guarda alla percentuale di medici che non effettuano Ivg i dati sono però molto diversi: le Marche hanno il 70% di ginecologi obiettori, più della media nazionale, che è del 64,6%. 

La pillola Ru486

Questi dati, inoltre, non comprendono ancora gli aborti effettuati nei consultori, che sono autorizzati a praticare quelli farmacologici solo dall’agosto del 2020 in base alle nuove linee guida ministeriali. Quindi sottostimano i limiti all’applicazione della legge 194 nelle Marche che, analogamente ad altre regioni di centrodestra, vietano la somministrazione della pillola Ru486 nei consultori prevista invece dalle linee guida ministeriali (rendendo così l’accesso all’aborto più difficoltoso).

Chiara Ferragni e l'endorsement contro Fratelli d'Italia: così gli influencer condizionano le elezioni. Domenico Giordano su Il Tempo il 25 agosto 2022

Prima e, forse più pervicacemente dei presunti e possibili attacchi portati dagli hacker russi, questa campagna elettorale è già di fatto condizionata dalle incursioni e dagli endorsement a gamba tesa, per dirla con un efficace gergo calcistico, di social influencer e artisti vari che hanno manifestato in Rete e nelle interviste tutta la loro preoccupazione qualora dovesse trionfare nelle urne la leader di Fratelli d'Italia. Tant'è che dopo le incursioni di Loredana Bertè e di Giorgia, entrambe presenti su Instagram con una discreta dose di follower, 342 mila per la prima e ben 947 mila per la seconda, ieri è stata la volta di Chiara Ferragni, celebrity leader per antonomasia con i suoi 27.764.842 follower, a lanciare l'allarme della possibile regressione culturale e civile che l'Italia subirebbe in caso di vittoria della destra. Nelle sue stories di Instagram, infatti, la Ferragni ha condiviso un post lanciato da @thevisioncom nel quale veniva paventato il pericolo che in caso di vittoria della destra sarebbe diventato «praticamente impossibile abortire» in Italia, come già avviene nella regione Marche amministrata da Fratelli d'Italia. Nella condivisione, però, Ferragni aggiunge un testo per nulla neutrale che vale in termini di audience quanto dieci serate da Bruno Vespa e scrive «ora è il nostro tempo di agire far si che queste cose non accadano».

Perché, è opportuno rammentare, giusto per comprendere la capacità di penetrazione di un contenuto social veicolato da un celebrity leader e, come già accaduto in passato proprio con lei o con Fedez la capacità di condizionare l'agenda del dibattito pubblico su temi sociali ampi, che solo negli ultimi 28 giorni le reaction totali ottenute dal profilo Instagram di Ferragni sfiorano i 27 milioni. O, se vogliamo raggiungere vette più elevate, è sufficiente pensare che dall'inizio dell'anno le reaction sono state poco meno di 307 milioni, mentre i follower sono cresciuti di altri 2 milioni. Si tenga conto che se sommiamo invece le reazioni dei tre social leader politici più attivi, ovvero Gianluigi Paragone e Giorgia Meloni su Facebook e Matteo Salvini su Instagram, di reaction arriviamo a quota 75 milioni, quindi siamo a un quarto di quelle incassate dalla Ferragni.

È questo termine di paragone a farci comprendere la concreta possibilità, soprattutto se si manifesta nelle ultime giornate di campagne elettorale nei confronti dei «last minute voters» che solitamente possono spostare degli equilibri tra le liste e le coalizioni, quanto nella nostra società il presidio reputazionale delle piattaforme è strategico per le aziende, per la politica e per le istituzioni.

"Arrivano i nostri", deve aver pensato un Enrico Letta tremebondo ma vagamente rassicurato, di fronte all'ultima uscita di Chiara Ferragni sull'aborto. Francesco Maria Del Vigo il 25 Agosto 2022 su Il Giornale.

«Arrivano i nostri», deve aver pensato un Enrico Letta tremebondo ma vagamente rassicurato, di fronte all'ultima uscita di Chiara Ferragni sull'aborto. Che la regina di Instagram non si sarebbe più accontentata di pontificare solo di moda era facilmente intuibile e proprio da queste colonne lo avevamo preconizzato. Ora è arrivata la chiamata ufficiale alle armi. Contro la Meloni e in favore del Pd, ovviamente. Una sorta di discesa in campo per l'imprenditrice che da anni, insieme al marito Fedez, si impegna in tutte le battaglie politiche più chic, quelle che piacciono tanto alla gente che piace e che finiscono sulle copertine patinate delle riviste: dall'eroica campagna free the nipple (la libertà di mostrare i capezzoli sui social...) alla difesa del ddl Zan e delle frange più estreme degli attivisti Lgbtq+, ecc. Tutte crociate altamente salottiere e, infatti, l'unica volta che ha criticato Sala per l'emergenza sicurezza a Milano, dopo due giorni ha ingranato la retromarcia.

Questa volta, invece, è partita in quarta per dare manforte ai dem. La macchina elettorale del centrosinistra si è inceppata e serve un testimonial efficace. E chi può influenzare gli italiani più della madre di tutte le influencer? I vuoti vengono riempiti e, nella totale mancanza di leadership, un post della Ferragni fa più baccano di cento comizi. D'altronde lei su Instagram ha 27,7 milioni di follower, Letta non arriva a 100mila. Volete mettere? I 5 Stelle, d'altronde, sono nati dal basso del web, magari il partito dei Ferragnez (ma ormai possiamo parlare di Lettagnez) può sbocciare dall'attico delle vette dei social. Il dna radical chic è perfettamente in linea con la tradizione della sinistra elitaria. Fallita l'utopia del socialismo, si può sempre puntare sulla rivoluzione social(ista), la gauche caviar oggi è molto digital.

Così, lady Ferragni, si è scatenata sul diritto all'aborto che, sia ben chiaro, non è in discussione in Italia. Ma spuntate le ridicole accuse di fascismo, putinismo, deriva autoritaria, assalto alla Costituzione e tutte le catastrofi che possono venirvi in mente - a un mese dal voto -, tutto fa brodo. L'influencer - tra una foto su uno yacht, una in cui reclamizza i prodotti del suo brand e a pochi giorni dallo spericolato selfie sull'orlo del precipizio che ha indignato il web - ha rilanciato un articolo dal titolo chiarissimo: «Fdi ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche. Una politica che rischia di diventare nazionale se la destra vince le elezioni». E poi l'appello da barricadera in paillettes: «Ora è il nostro tempo di agire e far sì che queste cose non accadano».

Infatti non accadono, perché il presupposto è falso. Non solo non è vero che nelle Marche è impossibile abortire ma, secondo gli ultimi dati disponibili (fine 2020), il numero dei medici obiettori di coscienza negli ultimi anni è diminuito. Tutto il resto è speculazione e pregiudizio. Ma, soprattutto, non è nei programmi della Meloni - e men che meno dei suoi alleati - la volontà di mettere mano alla legge 194. Di questo, alla Che Guevara della Fashion week, interessa poco, perché ogni polemica fa marketing. Però occhio: i follower saranno pure seguaci, ma non sono mica tutti stupidi.

La bufala della Ferragni: dati vecchi, col Pd era peggio. Nel 2019 col centrosinistra il 73% dei medici era anti aborto. Ora è il 70%. Francesca Galici il 25 Agosto 2022 su Il Giornale.

A un mese esatto dal voto, in campagna elettorale entra a gamba tesa pure Chiara Ferragni. Non è la prima volta che l'influencer fornisce appoggio esterno al Partito democratico e alla sinistra in affanno e stavolta ha rilanciato il post di un altro profilo Instagram, in cui testualmente si dice che «FdI ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche, che governa».

Peccato che sia una bufala. Il post decontestualizza infatti il dato secondo il quale nelle Marche il 70% dei medici sia obiettore di coscienza, lasciando intendere che questo sia frutto della gestione di Francesco Acquaroli, in forza Fdi e governatore dal 2020.

I trascorsi della Regione Marche, però, raccontano un'altra verità. Nel 2012, quando il governatore era Gian Mario Spacca (eletto con il centrosinistra), l'Associazione Vita di Donna e la Cgil denunciavano che nell'ospedale di Jesi 10 ginecologi su 10 erano obiettori. E secondo i report, nella Regione, al 31/12 di quell'anno, gli obiettori erano il 68% dei medici e il 73% dei paramedici.

Guardando ai dati di qualche anno dopo, per esempio a quelli del 2017 quando il governatore della Regione era Luca Ceriscioli (Pd), l'associazione Non una di meno parlava del 71,2% di medici obiettori, «escluso l'ospedale di Ancona che non ha risposto». Un dato che già all'epoca era in linea con quello nazionale, con il governo di Paolo Gentiloni (Partito democratico).

E poi ancora, nel 2019, sempre sotto la guida Pd, le sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil fecero uno screening di tutti gli ospedali della Regione dal quale risultò che a essere obiettori era il 73% dei ginecologi. Si arriva poi al 2020, quando a settembre si è insediato Acquaroli. Alla fine di quell'anno, secondo quanto riporta il giornale della Cgil, i medici obiettori di coscienza nelle Marche erano il 70%. L'ultimo report ufficiale del Ministero della Salute è stato presentato lo scorso 13 giugno 2022 con i dati definitivi proprio del 2020 (lo stesso 70% denunciato dal sindacato). Nessun dato ufficiale sulla situazione attuale: insomma, la polemica si basa su informazioni che riguardano la giunta di centrodestra in carica da soli tre mesi.

E mentre da sinistra applaudono alle parole di Chiara Ferragni, che invita «ad agire» perché «queste cose non accadano», la stessa associazione Non una di meno, che da anni segue l'evoluzione del numero dei medici obiettori di coscienza, sottolinea che quella delle Marche è una situazione «che va avanti ormai da anni, da quando c'era il governo di centrosinistra». Persino le femministe - secondo cui la situazione «negli ultimi due anni, con il governo di centrodestra, si è ulteriormente accentuata» - devono ammettere di non avere «dati aggiornati sull'obiezione di coscienza» e che «gli ultimi risalgono al 2020». La solita polemica strumentale della sinistra.

"I dem influenzati dall'influencer: i numeri dimostrano che è una bufala". La responsabile famiglia Fdi: "Nelle Marche il 92,9% dei centri offrono il servizio di interruzione di gravidanza, la media nazionale è del 62%". Massimo Malpica il 25 Agosto 2022 su Il Giornale.

«Si potrebbe dire che a sinistra, non potendo più influenzare nessuno, ci si fa influenzare dalle influencer». È un calembour la prima lettura che Isabella Rauti, responsabile del dipartimento Famiglia di Fdi, dà delle dichiarazioni di Chiara Ferragni sull'aborto «impossibile» nelle Marche. Così, tra la promozione del suo nuovo «diario fluffy» e quella di un paio di orecchini, la Ferragni entra decisa anche nella calda campagna elettorale, sparando secca: «Fdi ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche che governa. Una politica che rischia di diventare nazionale se la destra vince le elezioni». Un messaggio che più diretto non si può, piovuto sui suoi quasi 28 milioni di follower, che è stato raccolto al volo dalla deputata dem Alessia Morani, marchigiana, lesta nel ringraziare l'influencer per aver acceso «un faro sulle Marche governate da Fdi».

Davvero la regione guidata da Francesco Acquaroli è un laboratorio anti-194?

«Detto che lascia perplessi che per la sinistra parli la Ferragni, il polverone che si è sollevato nel merito non è altro che una evidente strumentalizzazione di carattere elettorale. Additare le Marche è totalmente infondato e sbagliato. Come dimostra l'ultima relazione al Parlamento del ministro Speranza sull'attuazione della 194, le Marche offrono un servizio, in termini di strutture, invariato rispetto a due anni fa. E le strutture sanitarie marchigiane disponibili per le interruzioni volontarie di gravidanza sono il 92,9 per cento del totale, contro una media nazionale del 62 per cento. Va anche ricordato, per contestualizzare, che, nel frattempo, in Italia c'è un crollo della natalità che influisce ovviamente anche sugli aborti».

Il problema, a leggere i commenti alla presa di posizione della Ferragni, riguarderebbe più che le interruzioni di gravidanza la Ru486, che nelle Marche viene somministrata solo in ospedale.

«A luglio 2020 Speranza emanò linee guida per la pillola abortiva che, contravvenendo a quanto previsto dalla legge 194, consentono alle Regioni di scegliere se permettere la somministrazione della Ru486 fuori dagli ospedali, dunque nei consultori. Sono linee guida, non vincolanti. Dare a una donna la pillola e farla tornare a casa, sola sia da un punto di vista medico che psicologico, nonostante gli effetti collaterali spesso pericolosissimi, sarebbe emancipazione? Certo, il servizio sanitario in questo modo risparmia, ma a me sembra che si abbandoni una donna a se stessa in un momento che, comunque la si pensi a riguardo, per lei è estremo e drammatico».

Se Fdi andrà al governo, potrebbe mettere in discussione la legge 194?

«Come abbiamo sempre detto non pensiamo affatto alla sua abrogazione, ma semmai alla piena applicazione di quanto la legge prevede in termini di tutela, di prevenzione, di rimozione delle cause economiche e sociali che possono spingere una donna ad abortire. Come è stato fatto in Piemonte, creando un fondo per sostenere progetti di tutela materno-infantile. Un punto che prova come sia tipico della sinistra non andare al centro del problema, nel caso di specie ignorando la parte non applicata della 194. Quella, appunto, che riguarda la prevenzione».

Per Chiara Ferragni la campagna elettorale serve solo a rafforzare il proprio brand. STEFANO FELTRI, direttore de Il Domani il 24 agosto 2022

Soltanto una “storia” effimera, di quelle che durano 24 ore, ma l’attacco di Chiara Ferragni a Giorgia Meloni segna un passo nella direzione della rilevanza politica degli influencer. Ma quanti voti sposta Ferragni?

La spiegazione per l’apparente sciatteria dei messaggi politici è che questi non abbiano come obiettivo di scuotere le coscienze, ma soltanto affinare l’identità del brand Ferragni.

Certo, Chiara Ferragni è associata alla leggerezza e al disimpegno, ma leggerezza e disimpegno possono essere di destra o di sinistra.

La rivincita delle bionde. Chiara Ferragni e Giorgia Ocasio-Cortez, il bipolarismo che ci meritiamo. Guia Soncini su L'Inkiesta il 25 Agosto 2022

Alla milionaria di Cremona è bastata una storia su Instagram per egemonizzare il dibattito pubblico. La nostra attenzione è equamente divisa tra una che di lavoro indossa cose che le regalano e la Meloni che dice di aver imparato più cose da cameriera che in Parlamento 

Quindi la classe dirigente di sinistra italiana, quella che non si fa condizionare la campagna elettorale da Giorgia Meloni, se la fa condizionare da Chiara Ferragni. E nessuno ha ancora titolato le cronache di questo agosto La rivincita delle bionde: cos’è, abbiamo paura d’essere didascalici?

(Mi perdonerete se vi costringo a uno sforzo di disabitudine, usando l’italiano «condizionare la campagna elettorale» invece del doppiaggese «dettare l’agenda»: la legge morale dentro di me mi vieta di utilizzare «agenda» come se in italiano volesse dire altro dalla Smythson. Oltretutto Ferragni le agende – quelle vere, con le pagine, dove segnare se t’interrogano in matematica o se devi comprare il Prostamol – le vende, come tutto, e quindi si creerebbe confusione).

Enrico Letta non aveva ancora finito di twittare «Viva le devianze» (segnalo l’assai precisa battuta dell’immunologa Antonella Viola: «È come se avesse detto “viva l’ipertensione”»), che tutti – opinionisti, politici, nani, ballerine – s’accorgevano della questione-Marche.

La questione-Marche non è che a Senigallia ci sono ottimi ristoranti stellati ma poi ti tocca fare il bagno nell’Adriatico e insomma possibile che se vuoi il mare della Sardegna ti tocchi mangiar male. La questione-Marche è che la regione, amministrata da Giorgia Meloni (dal suo partito, non da lei personalmente, ma questo articolo si rifiuta di uscire dalla contrapposizione tra bionde), si è opposta all’utilizzo della pillola abortiva, complicando quindi la vita alle marchigiane che vogliano abortire e, grazie all’illuminata 194, vedano il loro appuntamento in agenda ostacolato dai soliti obiettori e non possano cavarsela con la chimica.

Com’è successo? Chiara Ferragni ha forse letto “Mai dati”, il libro di Chiara Lalli e Sonia Montegiove sull’impossibilità non solo di abortire ma anche di sapere se puoi abortire giacché i dati sull’obiezione di coscienza nei singoli ospedali sono un mistero glorioso? Ha forse, oltre che un manager rapinato (da cui l’allarme-sicurezza da lei già lanciato come scorso tema di campagna elettorale), una cugina marchigiana indesideratamente gravida? Non so.

Quello che so – quello che sappiamo tutti – è che un giornale, The Vision, ha scritto un articolo sulla questione-Marche, e Chiara Ferragni ne ha pubblicato il titolo nelle proprie storie di Instagram. Tra una foto di lei con le amiche in barca, e una di lei a cavalcioni del marito (non sono due esempi ideali, sono proprio le foto subito prima e subito dopo), ha condiviso il post di The Vision con un suo commento.

Questo: «Ora è il nostro tempo di agire e far si [senza accento, nota di Soncini] che queste cose non accadano». Tutti sono corsi a interessarsi alle Marche come non avrebbero mai fatto (d’altra parte noialtri dei giornali sbagliamo altrettanti accenti e, diversamente dalla bionda milanese, non abbiamo ventotto milioni di follower: come possiamo mai egemonizzare il dibattito pubblico?).

Ma cos’aveva voluto dire, Chiara? Il doppiaggese della sintassi mi ha subito fatto pensare che, delle due interpretazioni possibili della frase, quella giusta fosse quella americana.

La divisione non è tra destra e sinistra: è tra le cose cui siamo abituati e quelle che ci destabilizzano: in America quasi nessuno fa un plissé per la gestazione per altri, che qui è la frontiera che neanche le più libertarie osano proporre; a noi d’altra parte pare inconcepibile non avere il servizio sanitario nazionale, e loro invece mettono in conto d’andare in bancarotta per una colica.

Quindi, in una nazione che si è abituata a non avere il congedo di maternità retribuito a meno di non lavorare per aziende eccezionalmente generose, l’idea di non poter però più abortire serenamente fino al sesto mese com’era finché l’aborto era tutelato dalla sentenza Roe v Wade ha destabilizzato gli americani. C’è stato, in risposta all’emergenza percepita, un affollamento di aziende che si precipitavano a dichiarare che avrebbero pagato la trasferta alle dipendenti che andavano ad abortire in Stati in cui era ancora concesso. I giornali hanno passato settimane ad aggiornare le liste, aspetta c’è anche Google, ecco pure H&M, Estée Lauder ci tiene a dire che l’aereo per il raschiamento è a carico del datore di lavoro.

Ecco, quando la bionda di Milano ha postato quell’intenzione, non l’ho presa come intenzione di voto (contro la bionda di Roma), ma come intenzione d’investimento: care follower marchigiane, il treno per andare ad abortire ve lo pago io, prima classe con tramezzino di Cracco.

Il treno per dove, visto che appunto non si può sapere come sia messo l’accesso all’aborto nei vari ospedali? Sonia Montegiove ieri ha twittato chiedendo a Roberto Speranza, che alle istanze sue e di Chiara Lalli non ha dato gran retta, se almeno alla Ferragni risponderà. Questo siamo: una nazione le cui priorità dipendono da quindici secondi di copertura ferragnica.

E per fortuna le liste elettorali sono chiuse: se questi quindici secondi di militanza alla Ferragni fossero scappati la settimana scorsa, ci sarebbero toccati giorni di speculazioni da parte di saperlalunghisti che ci spiegano che una multimilionaria ha intenzione di candidarsi, ché si sa che il potere sta in Parlamento, mica nell’egemonizzare il dibattito pubblico mentre vendi rossetti e sofficini.

Tutto questo mentre, al Meeting di Comunione e Liberazione, Giorgia Meloni diceva che la dignità viene dal lavoro, non dai sussidi, e che certo, i ragazzi vorrebbero un lavoro adeguato alla loro formazione, ma lei ritiene sia meglio un lavoro che non è quello per cui ha studiato che stare a casa col reddito di cittadinanza. Era già la cosa più di sinistra che avessi sentito da parecchio tempo, poi ha pure aggiunto che la insultano sempre perché ha fatto la cameriera, ma lei facendo la cameriera ha imparato tanto («più che stando in Parlamento», ha aggiunto, perché non diventi Giorgia Meloni se non ci metti sempre la chiusa populista, e perché le bionde lo sanno, che in Parlamento si perde tempo).

Finalmente abbiamo anche noi una donna di potere che abbia avuto un lavoro vero. Giorgia Ocasio-Cortez. Chissà come finirà lo scontro programmatico tra lei e una che, di lavoro, indossa delle cose che le regalano, inquadra i figli, decide di cosa dobbiamo discutere, vende diamanti e acrilico. Comunque vada, sarà il successo d’una bionda.

Aborto. Sempre dalla parte del più forte.

Nati senza volerlo e morti senza volerlo. Il proprio destino in mano altrui. Quei piccoli senza nome, condannati all'oblio dall'egoismo dei grandi. Lo scandalo dei figlicidi materni sepolti dall'anonimato, per nascondere la vergogna.

Tutti dalla parte della madre che non vuol essere nominata.

Non si conoscono forma e sostanza dell'aborto in cronaca. Ma è una vergogna parteggiare per l'oblio di un figlio innominato, a cui non è stato dato nemmeno un nome, oltre che la dignità, ma certamente non ignoto, trattato come un rifiuto organico.

Discarica o cimitero dei caduti ignoti? E' la brutta sorte dei bambini non voluti e quindi uccisi.

Una Vita è Vita e va rispettata, anche quella degli altri. 

Antiabortisti al Senato, in Italia 6 milioni di bimbi mai nati. 'Migliaia le donne morte'. Senatori Lega, un tagliando per la legge 194. Redazione ANSA ROMA il 24 luglio 2022.

Sei milioni di bambini "eliminati", ovvero mai nati, a causa dell'aborto in 40 anni in Italia.

E' questo il principale effetto cui ha portato la legge 194 del 1978 sull'interruzione volontaria di gravidanza (ivg): a sostenerlo è l'associazione antiabortista Provita che oggi, in un incontro al Senato cui hanno partecipato vari senatori della Lega e la senatrice Isabella Rauti di Fratelli d'Italia, ha denunciato la mancanza di informazione alle donne sui rischi legati all'aborto chirurgico e farmacologico.

Dopo il caso del maxi manifesto di Provita, affisso a Roma e poi rimosso, che raffigurava un feto di 11 settimane con la scritta pro-life 'Tu eri così a 11 settimane. Tutti i tuoi organi erano presenti. E ora sei qui perché la tua mamma non ha abortito', il movimento antiabortista torna a farsi sentire: questa volta lo fa da una sede istituzionale, con l'appoggio di esponenti di Lega e Fratelli d'Italia. E lancia un messaggio chiaro: alle donne non sono comunicati i rischi dell'aborto, dal maggior rischio di cancro al seno e suicidio alla morte.

Per questo Provita lancia una petizione affinché "il ministero della Salute garantisca che le donne vengano messe a conoscenza delle conseguenze provocate dall'aborto volontario sulla loro salute".

Sono "232 - ha affermato il senatore leghista Massimiliano Romeo - i bambini eliminati ogni giorno nel grembo materno nel nostro Paese attraverso l'aborto chirurgico". Ma l'ivg, sostengono i promotori dell'incontro, ha determinato negli anni anche "migliaia di morti tra le donne, dati di cui però non si parla".

"L'Organizzazione mondiale della sanità - ha sottolineato Rauti - afferma che le morti per aborto sono pari al 7,9% sul totale della mortalità materna, pari a 193mila decessi l'anno, ma il dato è sottostimato. Un altro studio del 2014 pubblicato su Lancet, infatti, ha calcolato che le morti per aborto sono il 14,9% della mortalità materna, quasi il doppio".

Un dato però contestato dalla Cgil, che rileva come Lancet si riferisse ai rischi legati agli aborti clandestini: "La legge 194 - ha avvertito la responsabile Cgil Loredana Taddei - è oggi più che mai violentemente attaccata, in un pericoloso clima di regressione dei diritti".

Una lettura opposta, che conferma lo scontro in atto, è quella che invece arriva dal senatore leghista Simone Pillon, che parla della necessità di un "tagliando" per la legge: "Il tagliando - ha chiarito - va fatto per assicurare una piena applicazione della prima parte della legge, che è quella che punta a rimuovere gli ostacoli che spingono la donna ad abortire. L'obiettivo deve cioè essere 'zero aborti', rendendo efficace il sistema di prevenzione".

Mennuni sul diritto di nascita: “6 milioni di bambini in meno con la 184”. Rec News - Articolo del 30 Settembre 2022 di Redazione

“Mi immaginerei un sostegno anche economico nel caso in cui ci sia una donna che abbia una situazione di fragilità economica, perchè mettere al mondo un bambino senza avere una sensazione di serenità e sicurezza, se peraltro la condizione è una condizione di precarietà, può essere un qualcosa che preoccupa molto. Allora è necessario che le istituzioni intervengano per sostenere economicamente con servizi, anche di diversa natura, perché il problema è che oggi la maternità viene vissuta in solitudine dalle donne, vissuta come una ricchezza per tutta la società”.

MENNUNI SUL DIRITTO ALLA NASCITA A RADIO 24 “Purtroppo il fatto che noi abbiamo avuto 6 milioni di bambini che non sono nati, il fatto che noi abbiamo il tasso di natalità più basso d’Europa e il fatto che oggi non abbiamo mezzi per investire su questo tasso di natalità, io credo che le istituzioni dovrebbero porre come priorità delle loro agende cosa stiamo facendo noi per invertire questo dato, cosa stiamo fa accrescere la situazione di sicurezza della donna, cosa stiamo facendo per evitare che le donne scelgano di abortire perché magari sono stati abortiti perché c’era questa situazione di assoluta disattenzione. Bisogna ricordare alla donna che c’è uno Stato che gli è vicino e non bisogna dirle, abortisci, abortisci, tanto non c’è problema”. Lo afferma Lavinia Mennuni, neo senatrice di Fratelli d’Italia, a 24 mattino su Radio 24.

Aborto: i perché di un figlicidio.

Come si fa a votare un partito che del figlicidio ne fa una bandiera.

Di Antonio Giangrande domenica 26 giugno 2022.

La Corte suprema degli Stati Uniti ha ribaltato la storica sentenza Roe contro Wade del 1973, annullando così il diritto costituzionale Usa all'aborto. In questo modo ha sentenziato che ogni Stato ha la competenza di legiferare in riferimento all'interruzione della gravidanza.

In base al dibattito che ne è scaturito sorgono delle domande spontanee.

1 Perché i media politicizzati, fomentando dibattiti e polemiche, oltre che proteste, hanno fatto passare il messaggio che la sentenza riguardasse l’abolizione dell’aborto e non la libertà di scelta di ciascuno Stato?

2 Perché nei talk show il dibattito era palesemente schierato a favore dell’aborto ed al diritto costituzionale al figlicidio, considerando la sentenza un arretramento della civiltà? Perché tutelare la vita del figlio è incivile e retrogrado?

3 Perché nel paese più civile al mondo si considerano incivili da una parte la vendita delle armi libere che causano morti e dall’altra parte la libertà di scelta di ogni Stato a vietare la morte dei nascituri?

4 Perché la sinistra fa sua la battaglia sull’aborto, confermando quel detto sui comunisti che mangiano i bambini, non foss’altro che, intanto, ne agevolano la morte?

5 Perché è primario il diritto della donna all’aborto, violando l’istinto naturale materno alla difesa dei cuccioli, rispetto al diritto alla vita del nascituro?

6 Perchè il diritto all'aborto della donna va pari passo al diritto della donna alla libera sessualità, irresponsabile degli eventi?

7 Perché è diritto della sola donna decidere sulla vita del nascituro, tenuto conto che c’è sempre un uomo che ha avuto rilevanza fondamentale alla fecondazione? E perché, se il figlio non lo si vuole per problemi economici e/o sociali, non si fa un regalo a coppie sfortunate che la gioia di un figlio non la possono avere?

8 Perché una vita deve essere sindacata in base alla cronologia dello sviluppo e non in base all’esistenza?

9 Perché un delitto viene punito in base all'evolversi del diritto politico alla morte e non al diritto naturale alla vita?

Assumono denominazioni specifiche l’uccisione del padre (parricidio), della madre (matricidio), del coniuge (uxoricidio), di bambini (infanticidio), del fratello o sorella (fratricidio), del sovrano (regicidio), di una donna (femminicidio).

Si noti bene: il politicamente corretto elude il termine figlicidio, scaturente dal reato di aborto.

La scriminante è la carta del pepe.

Si dibatte quando, l'embrione, prima, ed il feto, poi, ha valore di nascituro.

Il diritto alla vita dell'embrione e del feto nascente: futuri nascituri di fatto.

10 Perché il dispositivo dell'art. 544 bis Codice Penale prevede: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni”; mentre per l’omicidio del nascituro la sinistra si batte per l’immunità dell'omicida?

(1) Tale articolo è stato inserito dalla l. 20 luglio 2004, n. 189.

(2) La l. 20 luglio 2004, n. 189 ha previsto una serie di ipotesi in cui sussiste per presunzione la necessità sociale. Si tratta della caccia, pesca, allevamento, trasporto, macellazione, sperimentazione scientifica, giardini zoologici, etc. (art. 19ter disp.att.).

(3) Il trattamento sanzionatorio prima previsto nei limiti di tre e diciotto mesi di reclusione è stato innalzato secondo quanto previsto dall'art. 3, comma 1, lett a), della l. 4 novembre 2012, n. 201.

Ratio Legis

La norma è stata introdotta al fine di apprestare una tutela più incisiva agli animali, i quali però non ricevono copertura legislativa diretta, rimanendo ferma la tradizionale impostazione che nega un certo grado di soggettività anche agli animali. Di conseguenza risulta qui garantito il rispetto del sentimento per gli animali, inteso come sentimento di pietà.

In conclusione: perchè per gli animali si ha sentimento di pietà e per i nascituri viene negata l'umana misericordia?

Luca Telese per tpi.it il 30 luglio 2022.

Voi anti-abortisti italiani gioite per la sentenza della Corte americana: si può festeggiare perché si toglie un diritto alla donne??

«Semplice. Questo diritto non esiste». 

Non esiste, dici??

«Cito il Santo Padre: “Abortire equivale ad assoldare un sicario per uccidere qualcuno”». 

Non usare papa Francesco per eludere il tema e coprirti.?

«Non ne ho nessun bisogno. Cito un pensatore ateo e marxista, Pier Paolo Pasolini: “Sono traumatizzato dalla decisione di legalizzare l’aborto, perché equivale a legalizzare l’omicidio”, Corsera, 19 gennaio 1975». 

Ancora con questo collage di frasi ad effetto? Eludi il punto della mia domanda: tu neghi il diritto della donna a decidere.?

«Nessuno ha diritto di  sopprimere una vita. Si chiama “omicidio”». 

Non è una intervista, quella con Mario Adinolfi sull’aborto. È un corpo a corpo. Ed infatti il leader del Popolo della Famiglia spiega in questo dialogo senza mezze misure, la sua certezza: «Il vento americano diventerà un progetto politico anche in Italia». 

La natura, che tanto vi piace invocare come giudice ha assegnato il poter di far nascere alla donna. Accettatelo.?

«Balle. Se non vuoi diventare omicida devi essere obbligata a consentire che il bimbo nasca». 

Ci vuoi portare in un moderno medioevo in cui gli integralisti decidono per gli altri? Ottimo.?

«Voi laici, casomai, usate l’aborto come strumento di contraccezione». 

Quindi qualsiasi ovulo fecondato per te è vita. Anche eliminare un ovulo fecondato è omicidio??

«È evidente». 

Quindi per te una gravidanza nata da uno stupro etnico va portata a termine? O non ci credi o sei matto.?

«Ancora con questa argomentazione ridicola dello stupro? Che pena…». 

Dici che è ridicola perché non sai cosa rispondere.?

«So benissimo cosa rispondere. Primo, è un caso assolutamente anomalo e raro. Secondo: capisco che una donna possa non voler crescere il frutto di una violenza…». 

Bontà tua.?

«…Ma può affidarlo ad altri. L’importante è che il bimbo nasca». 

Per fanatismo ignori che quel bambino è figlio dell’odio, non dell’amore.?

«Il tuo laicismo ti impedisce di capire che il bambino è incolpevole, e il suo diritto va difeso ad ogni costo». 

Quindi, in questa tua visione tribale, la donna è solo un contenitore. Va costretta a portare a termine gravidanze indesiderate se la tribù e i maschi lo pretendono.?

«Ti sei già ridotto ad utilizzare le vecchie stanche argomentazioni del femminismo ideologico, sei messo male». 

Tu pensi di parlare in nome di Dio, ma rappresenti una sparuta minoranza integralista.?

«Sai che solo un bambino su sei, tra tutti i concepiti, vede la luce?». 

Per fortuna lo Stato laico impedisce ai fanatici come te di imporre alle donne che fare.?

«Eludi il vero tema: nove volte su dieci, giovani donne rinunciano ai loro figli per ragioni futilissime, diciamo pure del cazzo». 

Un figlio non è bestiame da allevamento, ma il frutto di un amore, di un progetto. Mi meraviglio che un cattolico dimentichi questo. Avete l’ossessione del controllo sul corpo delle donne.?

«Sono come uno che per strada interviene per fermare un omicidio». 

Per tua disgrazia, la legge 194 dice che nessuna autorità religiosa, o politica ha questo diritto.?

«Oggi in America non è più così. Una Costituzione va bene quando garantisce un diritto delle donne e male se riconosce il diritto di un bambino?». 

La Costituzione non assegna mai il diritto di decidere al mullah Omar, al Papa, a qualche Ayatollah, o alla barba di Mario Adinolfi.?

«È straordinario che tu ricorra a ridicoli espedienti dialettici per evitare l’unica argomentazione che non sai eludere: è il primo concepimento il giorno in cui la vita prende forma».

L’aborto non è un valore. È drammatica necessità. Quindi tu preferisci tornare ai ferri da calza e alle mammane, alla clandestinità, alle donne morte per setticemia??

«Un omicidio commesso senza spargere sangue e senza sofferenza è meno grave?». 

La 194 pone limiti, definisce percorsi, fornisce assistenza alle donne.?

«La 194 va cancellata con il Napalm: l’assistenza, i consultori… balle! È una legge che maschera la possibilità di uccidere».

Io non pretendo di decidere per gli altri, come te. Non sei il capo di una Chiesa, non puoi arrogarti  il diritto di prescrivere precetti.?

«Voi non capite: il vento è cambiato. La sentenza della Corte americana vi dice questo». 

Questo “Voi” non esiste: sono un cittadino come te. Evita di attribuirmi la seconda persona plurale, o di usarla tu, come i matti.?

«Di nuovo fingi di non capire cosa ti dico: l’abortismo è un frutto avvelenato degli anni Settanta. Vecchia ideologia. L’Occidente che va verso crescita zero non può più permettersi l’olocausto dei suoi figli». 

Insisti con questo transfert allucinato? Non sono figli tuoi, né di altri. Sono delle donne che li portano in grembo, talvolta dei loro padri. È la donna che dà la vita: se tu avessi l’utero potresti reclamare diritti. Purtroppo ne sei privo.?

«Che pena. Ci manca solo che ti metta a gridare “l’utero e mio e me lo gestisco io”». 

Sei tu che dici: “l’utero e mio”. Quello altrui, però.?

«Torno al punto vero: la difesa della vita diventa, dopo la sentenza americana, la grande battaglia etica di questi tempi. C’è un nuovo, enorme consenso, intorno all’antiabortismo:  voi laicisti nemmeno lo immaginate». 

Se pensate che questo consenso ci sia, contatevi. Lo avete già fatto, però: in Italia la democrazia e i referendum hanno decretato che gli italiani sono favorevoli, nei limiti della 194, a riconoscere questo diritto: alle donne, e non ai predicatori come te.?

«Si parla da giorni del comizio della Meloni in Spagna, e non vi siete neanche accorti che le sue parole chiave erano sull’aborto: “Sì alla cultura della vita / no alla morte”». 

Convinci Fdi, raccogliete le firme per un referendum abrogativo. Auguri.?

«Hai poco da scherzare: dopo la vittoria in America questo è già uno dei grandi temi, se non il grande tema delle prossime politiche: una nuova generazione fa del diritto alla vita la sua missione». 

Mettetevi le corna sulla testa, come a Capitol Hill e assaltate i consultori.?

«Ecco la vostra arroganza: voi laicisti difendete la cultura della morte, ma siete buoni carini e legittimati. Noi, che difendiamo la vita, invece, siano brutti sporchi e cattivi. E con le corna». 

A Verona il vescovo che pretendeva di chiamare  gli elettori ad una nuova crociata, in nome del nuovo integralismo, ha perso. Prova a cancellare il divorzio, già che ci sei.?

«(Sorriso). Una battaglia alla volta». 

Proprio tu che sei divorziato, vuoi dire agli altri cosa devono fare delle loro vite??

«Sei meschino».

Logico, semmai.?

«Proprio perché ho una mia esperienza di vita posso dirlo: l’Italia senza il divorzio era più bella e più sana di questa». 

Decanti sui social la bellezza della tua nuova unione, ma vuoi impedire agli altri di trovare la compagna della loro vita se hanno sbagliato?

?«Non ridicolizzare tutto. Come un ex drogato può spiegare meglio di tutti gli effetti perversi della droga, così io posso spiegare meglio il dramma del divorzio». 

Sei neo-medievale. Speri di poter  imporre ad altri cosa fare?«Vi siete svegliati, ma tardi. C’è una nuova generazione in campo: li dipingete con le corna, brutti, fanatici e cattivi. Ma vinceranno. Rassegnatevi».

L’aborto volontario è un omicidio. Dopo la sentenza Usa, si riapre il dibattito sull’interruzione di gravidanza. Franco Battaglia su Nicolaporro.it l'1 Luglio 2022

Chi è contrario all’aborto invoca il principio di sacralità della vita, chi è a favore invoca il principio di autodeterminazione della donna. Se ragioniamo liberi da ogni condizionamento ideologico, dobbiamo innanzitutto sottoporre a critica i due principi appena nominati; anzi, meglio, non dobbiamo neanche considerarli. Un’etica veramente libera da condizionamenti ideologici non pone prescrizioni a priori, immutabili e assolute. L’unica prescrizione è quella di non avere altre prescrizioni di quelle che contraddicono il fine stesso dell’indagine etica: la ricerca del benessere e della libertà, con ognuno giudice di sé stesso, a condizione (questo è importante) che la stessa libertà venga riconosciuta all’altro.

Non mi è riconosciuta la libertà di ucciderti (anche se questa azione, per qualche ragione, dovesse procurarmi soddisfazione e benessere) perché io non son disposto a riconoscere a te la libertà di uccidermi. Per cui non è certamente lecito che una donna sostenga di voler uccidere il bimbo appena nato, in quanto non pronta alla maternità (autodeterminazione) o esposta, in conseguenza della maternità, ad una condizione di squilibrio psichico (diritto alla salute). 

Ci si può ora chiedere: forse ciò che non è lecito il giorno della nascita sarebbe lecito il giorno precedente? Non è difficile argomentare ed arrivare ad una risposta negativa. Ma è possibile continuare ad andare a ritroso nel tempo e “dedurre” l’illeicità della soppressione dell’embrione sino alla fecondazione dell’ovulo? Ecco: questo non sembra possibile. Si può argomentare che nelle prime due settimane del suo sviluppo l’embrione non può essere tutelato come “individuo ragionevole” perché certamente, sino a quello stadio, non è un individuo, non avendo ancora deciso se deperire, come avviene per l’80% degli embrioni, o cosa essere (una forma tumorale, un bimbo, più gemelli), né ha capacità raziocinanti, essendo privo di tessuto nervoso e di cervello. 

Ma dopo la seconda settimana di sviluppo l’embrione ha certamente le caratteristiche dell’individualità e a due mesi dalla fecondazione esso è già una miniatura umana. Certo, il suo sviluppo futuro dipende dalla madre con la quale esso è in interazione. Ma anche lo sviluppo futuro (e la vita) di un bimbo appena nato dipende da qualcuno che se ne curi. 

Il principio di sacralità della vita non sembra essere applicabile prima della seconda settimana di sviluppo di un embrione, quello di autodeterminazione e di salvaguardia della salute della donna non sembra esserlo dopo l’ottava settimana (ad esclusione, naturalmente, del caso in cui dovesse essere in pericolo la vita stessa della donna). Insomma, vi è un salto di qualità tra ciò che è nelle prime due settimane dopo la fecondazione e ciò che è dopo. 

E ciò che è dopo non differisce qualitativamente da ciò che alla fine nascerà. Poste così le cose, quella dell’aborto oltre la seconda settimana dalla fecondazione è una pratica barbara, ammantata di diritti della donna e di progresso della civiltà solo per nascondere, per convenienza, ciò che essa veramente è: un omicidio. Oggi la ricerca farmacologica mette a disposizione strumenti tali che non giustificano più il dover ricorrere all’aborto, che appare così una pratica primitiva. Naturalmente il problema etico sollevato da chi ritiene la cosa inaccettabile fin dal primo giorno del concepimento è degno del massimo rispetto ma, temo, non ha soluzione o, comunque, io non ne vedo una. Sicuramente però l’aborto oggi, così com’è praticato, non ha più alcuna giustificazione. Franco Battaglia, 1 luglio 2022

Il reato di omicidio e le sue varie esplicazioni. Concas Alessandra, Referente Aree Diritto Civile, Commerciale e Fallimentare e Diritto di Famiglia  - 20 ottobre 2020 diritto.it

L’omicidio è la soppressione di una vita umana da parte di un altro essere umano.

L’omicida può provocare la morte altrui attraverso qualsiasi modalità, anche per omissione, ma in ogni caso la sua azione o inazione sono volontarie.

Questa volontà non va confusa con il dolo, ed è presente anche nell’omicidio colposo e preterintenzionale, come volontà di compiere l’azione che causa la morte altrui.

Ad esempio superare i limiti di velocità, finendo involontariamente, per travolgere e uccidere un pedone.

Si avrà omicidio volontario quando l’omicida, a causa della sua azione od omissione volontaria, vuole causare la morte della vittima.

L’omicidio volontario può essere premeditato oppure non premeditato.

In lingua italiana la parola assassinio è a volte intesa come sinonimo di omicidio, ma per alcuni lessicografi indica l’omicidio proditorio, o motivato da una vendetta, o dall’odio o da scopi di rapina, è relativa esclusivamente all’omicidio volontario.

L’omicidio è una pratica condannata socialmente e punita come reato da ogni legislazione, anche se nessuna società ha mai assicurato una tutela assoluta e incondizionata alla vita umana, vietandone la soppressione in qualsiasi caso.

Ad esempio quasi ogni società ammette l’uccisione del nemico in guerra.

Gli ordinamenti del passato e alcuni ordinamenti contemporanei ammettono l’abolizione della vita umana come sanzione penale (pena di morte), mentre alcune società praticavano il sacrificio rituale di umani alla divinità.

Persino le società più moderne considerano lecita l’uccisione di qualcuno in presenza di circostanze in grado di giustificarla, e alcune di queste circostanze, scriminanti, ad esempio la legittima difesa, sono considerate morali da parte della società e in determinati casi conformi anche ai dettami religiosi, altre come lo stato di necessità possono essere amorali o in determinati casi persino immorali.

Assumono denominazioni specifiche l’uccisione del padre (parricidio), della madre (matricidio), del coniuge (uxoricidio), di bambini (infanticidio), del fratello o sorella (fratricidio), del sovrano (regicidio), di una donna (femminicidio).

Il Delitto consiste nella soppressione di una o più vite umane. Previsto e disciplinato dal titolo XII c.p. dedicato ai delitti contro la persona, l’omicidio può assumere la forma dolosa (art. 575 c.p.) – aggravata (art. 576, 577) o meno – preterintenzionale (art. 584 c.p.) e colposa (art. 589 c.p.). Elementi comuni a tutte le ipotesi indicate sono: il bene giuridico, la struttura del reato, la natura e la forma. Il bene giuridico è la vita umana che, nel rispetto dei principi costituzionali (art. 2 Cost.), non è di esclusiva pertinenza del singolo, ma appartiene alla collettività intera in quanto espressione di un interesse statale.

L’omicidio è una pratica condannata socialmente e punita come reato da ogni legislazione, anche se nessuna società ha mai assicurato una tutela assoluta e incondizionata alla vita umana, vietandone la soppressione in qualsiasi caso.

Ad esempio quasi ogni società ammette l’uccisione del nemico in guerra.

Gli ordinamenti del passato e alcuni ordinamenti contemporanei ammettono l’abolizione della vita umana come sanzione penale (pena di morte), mentre alcune società praticavano il sacrificio rituale di umani alla divinità.

Persino le società più moderne considerano lecita l’uccisione di qualcuno in presenza di circostanze in grado di giustificarla, e alcune di queste circostanze, scriminanti, ad esempio la legittima difesa, sono considerate morali da parte della società e in determinati casi conformi anche ai dettami religiosi, altre come lo stato di necessità possono essere amorali o in determinati casi persino immorali.

Assumono denominazioni specifiche l’uccisione del padre (parricidio), della madre (matricidio), del coniuge (uxoricidio), di bambini (infanticidio), del fratello o sorella (fratricidio), del sovrano (regicidio), di una donna (femminicidio).

Si noti bene: il politicamente corretto elude il termine figlicidio, scaturente dal reato di aborto.

La scriminante è la carta del pepe.

Si dibatte quando, l'embrione, prima, ed il feto, poi, ha valore di nascituro.

Il diritto alla vita dell'embrione e del feto nascente: futuri nascituri di fatto.

Da Manuale MSD. Un feto attraversa diversi stadi di sviluppo, a partire dalla fecondazione. L’ovulo si sviluppa in blastocisti, quindi in embrione, poi in feto.

Fecondazione. Durante ogni ciclo mestruale normale, un ovulo viene solitamente rilasciato da una delle ovaie, circa 14 giorni dopo il ciclo mestruale precedente. Tale rilascio è definito ovulazione. L’ovulo viene immesso all’interno dell’estremità imbutiforme di una tuba di Falloppio. Al momento dell’ovulazione, il muco cervicale diviene più liquido e più elastico, consentendo agli spermatozoi di penetrare rapidamente nell’utero. Entro cinque minuti, gli spermatozoi possono migrare dalla vagina, spostarsi dalla cervice all’utero fino all’estremità imbutiforme di una tuba, che è la sede fisiologica della fecondazione. Le cellule che rivestono la tuba di Falloppio facilitano la fecondazione. Se la fecondazione non avviene, l’ovulo scende dalla tuba di Falloppio nell’utero, dove si deteriora, per poi abbandonarlo in occasione del ciclo mestruale successivo. La penetrazione di uno spermatozoo nell’ovulo produce la fecondazione. Il rivestimento delle tube di Falloppio, simile a ciglia, spinge l’ovulo fecondato (zigote) verso l’utero attraverso la tuba. Le cellule dello zigote si dividono ripetutamente durante lo spostamento lungo la tuba di Falloppio verso l’utero. Lo zigote entra nell’utero nell’arco di 3-5 giorni. Nella cavità uterina, le cellule continuano a dividersi, assumendo l’aspetto di una struttura sferica cava, definita blastocisti. La blastocisti si impianta sulla parete dell’utero circa 6 giorni dopo la fecondazione. In caso di rilascio e fecondazione di diversi ovuli, si verifica una gravidanza con più di un feto, in genere due (gemelli). Poiché il materiale genetico di ciascun ovulo e di ciascuno spermatozoo è leggermente diverso, ogni ovulo fecondato assume caratteri diversi, dando così origine a gemelli eterozigoti. I gemelli monozigoti (identici) derivano da un unico ovulo fecondato, che si divide in due embrioni attraverso un processo di scissione. Poiché un solo ovulo viene fecondato da un solo spermatozoo, il materiale genetico dei due embrioni è identico.

Dall’ovulo all’embrione. Una volta al mese, un ovulo viene rilasciato da un’ovaia all’interno di una tuba di Falloppio. Dopo un rapporto sessuale, gli spermatozoi migrano dalla vagina attraverso la cervice e l’utero fino alle tube di Falloppio, dove uno spermatozoo feconda l’ovulo. L’ovulo fecondato (zigote) si divide ripetutamente durante lo spostamento dalla tuba verso l’utero. Dapprima, lo zigote diviene un insieme cellulare solido, di forma sferica, quindi assume un aspetto cavo, trasformandosi in blastocisti. All’interno dell’utero, la blastocisti si impianta sulla parete uterina, dove si sviluppa in un embrione, collegato a una placenta e circondato da membrane che contengono liquido.

Sviluppo della blastocisti. Circa 6 giorni dopo la fecondazione la blastocisti si attacca alla mucosa uterina, solitamente nella parte superiore. Tale processo, definito impianto, viene completato entro 9-10 giorni. La parete della blastocisti presenta lo spessore di una cellula, tranne in una zona, in cui è spesso quanto quello di tre o quattro cellule. Le cellule interne presenti nella zona ispessita si sviluppano dando origine all’embrione e le cellule esterne penetrano nella parete dell’utero e si sviluppano nella placenta; questa produce diversi ormoni che contribuiscono a mantenere lo stato di gravidanza. Quest’ultima produce diversi ormoni che contribuiscono a mantenere lo stato di gravidanza, come la gonadotropina corionica umana, che impedisce alle ovaie di rilasciare ovuli e le stimola a produrre continuamente estrogeno e progesterone. Inoltre, trasporta l’ossigeno e le sostanze nutritive dalla madre al feto e i materiali di rifiuto dal feto alla madre. Alcune cellule della placenta si sviluppano in uno strato esterno di membrane (corion) che circonda la blastocisti in via di maturazione. Altre cellule si sviluppano in uno strato di membrane interne (amnio), che formano il sacco amniotico. Una volta formatosi il sacco amniotico (entro 10-12 giorni circa), la blastocisti è considerata embrione. Il sacco si riempie di liquido limpido (liquido amniotico) e si estende in modo da inglobare l’embrione in fase di sviluppo, che fluttua al suo interno.

Sviluppo dell’embrione. Lo stadio successivo di sviluppo è l’embrione, che cresce su un lato dell’utero nella sottomucosa. Questo stadio è caratterizzato dalla formazione della maggior parte degli organi interni e delle strutture esterne del corpo. La maggior parte degli organi comincia a formarsi a circa 3 settimane dalla fecondazione, vale a dire a 5 settimane di gravidanza (dato che i medici datano la gravidanza dal primo giorno dell’ultima mestruazione, che si verifica generalmente 2 settimane prima della fecondazione). A questo punto, l’embrione si allunga e comincia a delinearsi una forma umana. Poco dopo, inizia a formarsi la zona che diverrà il cervello e il midollo spinale (tubo neurale). Il cuore e i principali vasi sanguigni iniziano a svilupparsi dal 16° giorno. Il cuore inizia a pompare liquidi attraverso i vasi sanguigni a partire dal 20° giorno e i primi globuli rossi compaiono il giorno seguente. I vasi sanguigni continuano a formarsi nell’embrione e nella placenta. Quasi tutti gli organi sono pienamente formati intorno alla decima settimana dopo la fecondazione (che corrisponde a 12 settimane di gravidanza). Fanno eccezione il cervello e il midollo spinale, che continuano a svilupparsi durante tutta la gravidanza. La maggior parte delle malformazioni (difetti congeniti) si verifica durante la formazione degli organi. In questo periodo, l’embrione è più vulnerabile all’effetto di farmaci, radiazioni e virus. Pertanto, una donna in stato di gravidanza non deve essere sottoposta a vaccinazione con virus vivo, né deve assumere alcun farmaco durante questo periodo, a meno che non sia indispensabile per la sua salute (vedere Uso di farmaci in gravidanza).

Placenta ed embrione dopo circa otto settimane. A otto settimane di gravidanza, la placenta e il feto si sono sviluppati per sei settimane. La placenta forma delle sottili proiezioni simili a capelli (villi) che si estendono nella parete dell’utero. I vasi sanguigni dell’embrione, che passano attraverso il cordone ombelicale verso la placenta, si sviluppano nei villi. Una sottile membrana separa nei villi il sangue dell’embrione dal sangue della madre che scorre nello spazio che li circonda (spazio intervilloso). Questa disposizione permette quanto segue:

Consente lo scambio di sostanze tra il sangue materno e quello dell’embrione

Impedisce che il sistema immunitario della madre attacchi l’embrione, perché gli anticorpi materni sono troppo grandi per poter attraversare la membrana (gli anticorpi sono proteine prodotte dal sistema immunitario per aiutare a difendere l’organismo dalle sostanze estranee)

L’embrione fluttua nel liquido (liquido amniotico), che è contenuto in un sacco (sacco amniotico).

Il liquido amniotico:

Fornisce uno spazio in cui l’embrione può crescere liberamente

Contribuisce a proteggere l’embrione dai traumi

Il sacco amniotico è robusto ed elastico.

Stadi di sviluppo del feto e della placenta

Al termine dell’ottava settimana dopo la fecondazione (dieci settimane di gravidanza), l’embrione è considerato feto. In questo stadio, le strutture già formate crescono e si sviluppano. Di seguito sono indicati alcuni momenti fondamentali della gravidanza:

entro 12 settimane di gestazione: il feto occupa l’intero utero

entro circa 14 settimane: si può individuare il sesso

entro circa 16-20 settimane: solitamente, la donna può avvertire i movimenti del feto. Le donne con gravidanze precedenti avvertono solitamente i movimenti circa due settimane prima di quelle alla prima gravidanza.

entro circa 24 settimane: Il feto ha una probabilità di sopravvivere al di fuori dell’utero.

Il processo di maturazione polmonare prosegue fino al momento del parto. Nel cervello si depositano nuove cellule per tutta la gravidanza e per il primo anno di vita dopo la nascita.

Gravidanza. La placenta, durante il suo sviluppo, emette sottili proiezioni capillari (villi) all’interno della parete dell’utero. Le proiezioni si ramificano in una complessa disposizione ad albero, che aumenta notevolmente la superficie di contatto tra le pareti dell’utero e la placenta, in modo da permettere lo scambio di una maggior quantità di sostanze nutritive e di scarto. La placenta è pienamente sviluppata verso 18-20 settimane, ma continua a crescere per tutta la gravidanza. Al momento del parto, pesa circa 0,5 kg.

Il diritto alla vita del feto nascente. Di Federica Scordino su camminodiritto.it.

In tema di delitti contro la persona, il criterio distintivo tra la fattispecie di interruzione colposa della gravidanza e quella di omicidio colposo si individua nell'inizio del travaglio e, dunque, nel raggiungimento dell'autonomia del feto, coincidendo quindi con la transizione dalla vita intrauterina a quella extrauterina.

Sommario:

1. Legge 194/78: prevalenza della vita della donna su quella del feto;

2. Differenze tra l’aborto colposo, l'omicidio e l'infanticidio;

3. Sentenza n°27539/2019;

4. Cassazione: il termine “feto” non deve creare confusione, le fattispecie di omicidio ed infanticidio tutelano lo stesso bene giuridico.

1. Legge 194/78: prevalenza della vita della donna su quella del feto. La legge 194/1978 è stata il frutto di dibattiti storici su un tema che ancora oggi lascia perplessi: l’aborto. Il testo normativo ha come filo conduttore il diritto alla salute e il diritto all’autodeterminazione, tematiche che hanno reso l’aborto, in determinate condizioni, legale. Infatti, fino alla metà degli anni ’70, l’aborto in Italia era considerato una pratica illegale e perciò perseguibile penalmente. Già la Consulta con la sentenza n° 27 del1975 , dopo avere riconosciuto il fondamento costituzionale della tutela del concepito nell’art. 2 Cost .consentiva la soppressione del feto quando la gravidanza implicasse danno o pericolo grave, medicalmente accertato e non altrimenti evitabile per la salute della donna, sancendo così implicitamente il principio poi ripreso dalla successiva legge n° 194/1978, della prevalenza della vita della donna su quella del feto. Prima del ’78, la disciplina penale, considerava l’aborto volontario come un reato grave tanto che erano previste sanzioni piuttosto severe nel Codice penale. Si possono in particolar modo ricordare alcuni articoli tra cui 545 , 546 , 547 , 548 , 549 e 550 poi abrogati con la legge 194/1978. Quest’ultima fu sottoposta a referendum nel maggio del 1981 attraverso il quale gli elettori italiani confermarono il testo della legge: infatti furono due gli orientamenti politici che cercarono di modificare il testo normativo (uno chiedeva l’abrogazione di alcune norme per rendere più libero l’aborto; l’altro invece intendeva restringere i casi di liceità dell’interruzione volontaria di gravidanza); ma nessuno dei due riuscì a raggiungere il proprio scopo. Un obiettivo della legge è stato sicuramente quello di evitare gli aborti definibili “clandestini”, cioè i casi in cui le donne si sottoponevano alle pratiche di “ostetriche-ginecologhe non professioniste” che operando in condizioni igieniche inadeguate sottoponevano la donna a rischi per la sua vita elevatissimi. La legge n°194 ha dunque rappresentato il primo passo verso una visione più moderna, consentendo l’interruzione della gravidanza entro i primi 90 giorni di gestazione nei casi in cui la sua prosecuzione costituisse gravi rischi per la salute psico-fisica della donna. La stessa legge nel 1° articolo ribadisce che “lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite”. Da questo primo articolo può dedursi come l’interruzione volontaria della gravidanza è connotata dalla legge non come diritto esclusivo della madre, ma come una scelta capace di incidere sulla società circostante. Tutto ciò funge da ratio alle limitazioni imposte dalla legge per l’aborto, per cui nell’eventualità che queste non vengano rispettate, l’interruzione di gravidanza sarà perseguibile penalmente ai sensi dell’art. 19 della stessa legge. Quest’ultimo articolo stabilisce al 1° comma che “chiunque cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 e 8 , è punito con la reclusione sino a tre anni”. Gli articoli 5 e 8 fanno rispettivamente riferimento agli obblighi ricadenti sul consultorio e sulla struttura sociosanitaria affinché effettuino tutti i controlli necessari sulla donna e l’aiutino a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza; ed inoltre vengono specificati medici e strutture che sono legalmente considerati idonei ad effettuare l’interruzione di gravidanza.

2. Differenze tra l’aborto colposo, l’infanticidio e l’omicidio. Fin dalla prima lettura risulta ben chiara la distinzione tra l’art.19 della legge 194 e l’art. 578 c.p. Se il primo articolo descrive una fattispecie che, nonostante sia percepita negativamente, nel pieno rispetto delle condizioni descritte dal legislatore, risulti essere legale; l’art. 578 c.p. descrive una fattispecie di reato per la quale non sono previste condizioni che possano renderla lecita. Si tratta di un reato proprio in quanto può essere commesso solo dalla madre. Il 2°comma prevede l’ipotesi di concorso, secondo il quale ai concorrenti verrebbe applicata la sanzione penale prevista dall’art. 575 c.p. (reato di omicidio), a coloro che agiscono per favorire la madre si applica lo stesso art. 578 c.p. Una principale differenza tra le due fattispecie riguarda il momento in cui l’azione è compiuta: è elemento fondamentale che nell’ipotesi dell’art. 578 c.p., il fatto sia compiuto immediatamente dopo il parto, momento coincidente con la fase di perturbamento psichico della madre. La legge 194, invece, richiama la fase anteriore al parto e cioè quella della gestazione con diversi riferimenti cronologici indicati negli articoli 4 e 6 che rispettivamente prevedono le ipotesi, con le rispettive indicazioni e limitazioni, dell’interruzione di gravidanza entro i primi 90 giorni e dopo. Il requisito cronologico sarà elemento di distinzione evidenziato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n° 27539/2019, nella quale è attenzionato il momento di acquisizione di autonomia del feto attraverso il quale quest’ultimo rientra perfettamente nella categoria di “uomo” non essendo più tutelato dalle norme di procurato aborto ma da quelle che prevedono la fattispecie di omicidio. Anche il fatto o la ragione che può determinare l’azione cambia nelle due fattispecie. La prima infatti (art. 578 c.p.) fa riferimento a “condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto”, comprendendo sia l’ipotesi di una situazione economica deficitaria, sia l’assenza di qualsiasi assistenza pubblica o privata. La stessa Corte nella sentenza n°27539/2019 ha in primis escluso ogni valenza al prospettato paragone del caso di specie con l’art. 578 c.p. il quale, per le ragioni esposte, si ricollega ad una situazione particolare. La seconda (legge 194/1978) prevede, nell’ipotesi di interruzione volontaria della gravidanza entro i primi 90 giorni, la condizione che la donna accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito. Nel termine superiore ai 90 giorni, l’aborto può essere praticato soltanto in due casi tassativamente elencati nell’art. 6 : quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna, o quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. La legge 194/1978 prevede poi l’ipotesi di interruzione colposa della gravidanza al 1° comma dell’art.17 . Infatti, gli articoli 17-20 sanzionano i reati di così detto “procurato aborto”. Sono questi gli articoli che trovano applicazione ogni qual volta l’aborto si può considerare reato e cioè quando non vengono rispettate le indicazioni e le limitazioni espresse tassativamente dal legislatore. Le differenze tra queste singole fattispecie hanno costituito una parte fondamentale della motivazione esposta dalla Corte di Cassazione, quarta sezione penale, nella sentenza n°27539/2019, nella quale il ricorso viene considerato infondato. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale il criterio distintivo tra le fattispecie di aborto e omicidio, si individua nell’inizio del travaglio e dunque, nel raggiungimento dell’autonomia del feto coincidendo con la transizione della vita intrauterina e quella extrauterina, ciò vuol dire che l’inizio del travaglio coincide con il momento in cui il feto rientra perfettamente nel concetto di uomo. È stato infatti preferito tale criterio ai fini della identificazione del minimum temporale della previsione normativa di omicidio, abbandonando quello inizialmente indicato del momento del distacco del feto dall’utero materno, che non offriva riferimenti temporali sufficientemente precisi.

3. Sentenza n°27539/2019. Il caso in esame riguarda la responsabilità colposa di un’ostetrica sulla quale, già il Tribunale aveva riscontrato gravi profili di colpa professionale per negligenza ed imperizia, in quanto addetta all’assistenza della partoriente e al controllo delle fasi di travaglio, le era stato addebitato il mancato espletamento dei necessari monitoraggi cardiotocografici soprattutto durante la fase di trasferimento della paziente in sala parto. La Corte di merito aveva escluso ogni possibilità di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in quanto risultava che la stessa infermiera fosse consapevole del risultato della propria negligenza: infatti, immediatamente dopo al parto, avrebbe riferito lei stessa che il bambino era vivo e di aver controllato personalmente il battito cardiaco. I tracciati eseguiti mostravano chiare anomalie in quanto non registravano contrazioni uterine, che sicuramente erano presenti, ciò non può essere ricondotto ad un cattivo funzionamento degli apparecchi, che non solo erano diversi tra loro, ma inoltre, nel caso di mancato funzionamento, non avrebbero rilevato il battito fetale. Se l’ostetrica, con la diligenza professionale richiesta, avesse effettuato una corretta rilevazione del battito cardiaco fetale, con una tempestiva diagnosi, il ginecologo sarebbe potuto intervenire evitando l’esito letale del feto. Omettendo l’ostetrica il monitoraggio fetale non aveva consentito di rilevare la sofferenza del feto, la quale ha condotto quest’ultimo alla morte per asfissia perinatale. Ad avviso della Corte Salernitana l’ostetrica, avendo preso in carico la gestione del travaglio della paziente, avrebbe dovuto monitorare la paziente continuamente, assicurandosi con l’esecuzione corretta e ripetuta dei CTG dell’andamento delle contrazioni e della stabilità del benessere del feto. Per questo l’ostetrica versava in ipotesi di colpa per violazione di norme precauzionali, potendosi escludere nel caso di specie il così detto “principio di affidamento” su altri che potevano assumere la posizione di garanzia. La posizione di garanzia rivestita dall’ostetrica, inoltre, è ricavabile dallo statuto regolamentare della sua figura professionale. La Corte ha inoltre confermato quanto già esposto in secondo grado di giurisdizione: e cioè ha escluso la possibilità per la ricorrente di sindacare la decisione del Tribunale della condanna pari ad un anno e nove mesi. Infatti, spiega la Corte, la scelta di quantificazione della pena all’interno del compasso edittale è un potere discrezionale del giudice che tuttalpiù lo stesso ha ben motivato; il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisce il frutto di mero arbitrio e di ragionamento illogico, fattispecie che non ricorre nel caso di specie, laddove la commisurazione della pena è stata correttamente giustificata in riferimento alla complessiva negativa valutazione della vicenda criminosa e della personalità dell’imputata. La ricorrente ha inoltre sollevato un’errata qualificazione giuridica della fattispecie sostenendo che la stessa non poteva rientrare nell’ipotesi di reato di cui all’art. 589 c.p. ma nell’art. 17 della legge 194/1978 (reato che tuttalpiù prevede un compasso edittale notevolmente più ridotto), in quanto la nascita del feto, e dunque la possibile applicazione dell’art. 589 c.p., si realizza esclusivamente con la fuoriuscita del feto dall’alveo materno e col compimento di un atto respiratorio, accertabile con la docimasia polmonare. Al momento dell’estrazione del feto dall’utero, quest’ultimo era già senza vita, per cui ad avviso della ricorrente, il reato doveva essere qualificato come aborto colposo e non come omicidio colposo. 4. Cassazione: il termine “feto” non deve creare confusione, le fattispecie di omicidio ed infanticidio tutelano lo stesso bene giuridico. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso chiarendo che i reati di omicidio e infanticidio tutelano lo stesso bene giuridico, cioè la vita dell’uomo nella sua interezza. Ciò si desume anche dalla terminologia adoperata dall’art. 578 c.p. “cagiona la morte”, identica a quella adottata per il reato di omicidio, in quanto si può evidentemente cagionare la morte solo ad un essere vivo. Il legislatore, quindi, ha riconosciuto anche al feto la qualità di uomo vero e proprio, giacché la morte è l’opposto della vita. Ad avviso della Corte, non deve inoltre confondere l’utilizzo del termine feto nell’art. 578 c.p. poiché il nascente vivo non è più feto, né in senso biologico, né in senso giuridico, bensì persona. Ciò spiega sicuramente il rigetto da parte della Corte della tesi difensiva secondo la quale includere il feto nel concetto di uomo rappresenterebbe un’analogia in malam partem. La Corte, a tal proposito ha ribadito che è impossibile riscontrare profili di incostituzionalità in questo quadro normativo che ha avuto, invece, come obiettivo quello di incrementare la tutela dell’uomo come persona, anche in conformità al diritto internazionale, ampliando la nozione di soggetto meritevole di tutela fino a ricomprendere l’embrione. Questo ampliamento avrebbe inoltre evitato il rischio di vuoti normativi, poiché stando alla fattispecie di aborto, il feto sarebbe stato assurdamente tutelato, contro i fatti lesivi della vita individuale, solo nell’ipotesi di morte cagionata nelle predette condizioni di abbandono morale e materiale connesse al parto, con la conseguenza che in tutti i casi di morte del feto non legata a tali condizioni ci si verrebbe a trovare in situazioni ambigue in cui non risulterebbe applicabile né la fattispecie di aborto e neanche quella di omicidio. Così l’individuazione del momento in cui il feto assume la qualifica di uomo a tutti gli effetti, non è soltanto il criterio di distinzione tra due fattispecie penali, ma diviene un requisito che incorpora la tipicità della fattispecie in modo tale che chiunque possa percepire il momento in cui, una volta compiuta una certa azione, questa verrebbe poi punita in qualità di omicidio. Quindi l’aver inserito il feto, in un certo momento (inizio del travaglio), nella qualifica di uomo, non soltanto ha permesso alla Corte di precisare il significato stesso della parola, ma ha consentito al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del valore precettivo della fattispecie penale. Dunque, in caso di parto che si concluda con la morte del prodotto del concepimento, l’illecito sarà omicidio o procurato aborto a seconda che il nascente abbia goduto di vita autonoma o meno. Volendo così semplificare la decisione della Corte, il feto raggiunge l’autonomia all’inizio del travaglio, momento che distingue l’aborto dall’omicidio. Infatti, il feto che nasce, dopo la rottura del sacco amniotico è una persona e come tale se l’ostetrica ne procura la morte per asfissia perinatale non è “aborto colposo”, ma omicidio colposo. In conclusione, il feto durante il travaglio rientra dunque nel concetto di “uomo”. Qualora la condotta criminosa sia realizzata dopo il distacco, naturale o indotto, del feto dall’utero materno e qualora non sussistano le specifiche condizioni previste dall’art. 578 c.p. il fatto configura il reato di omicidio di cui all’art. 589 c.p. Soltanto prima di tale limite temporale la vita del feto è tutelata da reato di procurato aborto.

Note e riferimenti bibliografici

Legge n°194/1978: prima legge italiana che ha depenalizzato e disciplinato l’aborto.

Sentenza n°27/1975: ha avuto ad oggetto la questione di costituzionalità dell’art. 546 c.p. nella parte in cui puniva chi cagionasse l’aborto di una donna consenziente anche nel caso in cui fosse stata accertata la pericolosità della gravidanza per il benessere fisico e psichico della gestante, senza che ricorressero gli estremi della necessità.

Art. 2 Cost.: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

Art. 545 c.p. (abrogato): “Chiunque cagiona l’aborto di una donna, senza il consenso di lei, è punito con la reclusione da sette a dodici anni”.

Art. 546 c.p. (abrogato): “Chiunque cagiona l’aborto di una donna, col consenso di lei, è punito con la reclusione da due a cinque anni”.

Art. 547 c.p. (abrogato): “La donna che si procura l’aborto è punita con la reclusione da uno a quattro anni”.

Art. 548 c.p. (abrogato): “Chiunque fuori dai casi di concorso nel reato preveduto dall’articolo precedente, istiga una donna incinta ad abortire, somministrandole mezzi idonei, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”.

Art. 549 c.p. (abrogato): “Se dal fatto preveduto dall’articolo 545 deriva la morte della donna, si applica la reclusione da dodici a venti anni; se deriva una lesione personale, si applica la reclusione da dieci a quindici anni. Se dal fatto preveduto dall’articolo 546 deriva la morte della donna, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni; se deriva una lesione personale, è della reclusione da tre a otto anni”.

Art. 550 c.p. (abrogato): “Chiunque somministra a una donna creduta incinta mezzi diretti a procurarle l’aborto, o comunque commette su di lei atti diretti a questo scopo, soggiace, se dal fatto deriva una lesione personale o la morte della donna, alle pene rispettivamente stabilite dagli articoli 582, 583 e 584. Qualora il fatto sia commesso col consenso della donna, la pena è diminuita”.

Art. 19, legge 194/78: “Chiunque cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 o 8, è punito con la reclusione sino a tre anni. La donna è punita con la multa fino a lire centomila. Se l’interruzione volontaria della gravidanza avviene senza l’accertamento medico dei casi previsti dalle lettere a) e b) dell’articolo 6 o comunque senza l’osservanza delle modalità previste dall’articolo 7, chi la cagiona è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La donna è punita con la reclusione sino a sei mesi. Quando l’interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l’osservanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà. La donna non è punibile. Se dai fatti previsti dai commi precedenti deriva la morte della donna, si applica la reclusione da tre a sette anni; se ne deriva una lesione personale gravissima si applica la reclusione da due a cinque anni; se la lesione personale è grave questa ultima pena è diminuita. Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma”.

Art. 5, legge 194/78: “Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto. Quando la donna si rivolge al medico di sua fiducia questi compie gli accertamenti sanitari necessari, nel rispetto della dignità e della libertà della donna; valuta con la donna stessa e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, anche sulla base dell’esito degli accertamenti di cui sopra, le circostanze che la determinano a chiedere l’interruzione della gravidanza; la informa sui diritti a lei spettanti e sugli interventi di carattere sociale cui può fare ricorso, nonché sui consultori e le strutture socio-sanitarie. Quando il medico del consultorio o della struttura sociosanitaria, o il medico di fiducia, riscontra l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente l’intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato attestante l’urgenza. Con tale certificato la donna stessa può presentarsi ad una delle sedi autorizzate a praticare la interruzione della gravidanza. Se non viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell’incontro il medico del consultorio o della struttura sociosanitaria, o il medico di fiducia, di fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza sulla base delle circostanze di cui all’articolo 4, le rilascia copia di un documento, firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per sette giorni. Trascorsi i sette giorni, la donna può presentarsi, per ottenere la interruzione della gravidanza, sulla base del documento rilasciatole ai sensi del presente comma, presso una delle sedi autorizzate”.

Art. 8, legge 194/78: “L’interruzione della gravidanza è praticata da un medico del servizio ostetrico-ginecologico presso un ospedale generale tra quelli indicati nell’articolo 20 della legge 12 febbraio 1968, numero 132, il quale verifica anche l’inesistenza di controindicazioni sanitarie. Gli interventi possono essere altresì praticati presso gli ospedali pubblici specializzati, gli istituti ed enti di cui all’articolo 1, penultimo comma, della legge 12 febbraio 1968, n. 132, e le istituzioni di cui alla legge 26 novembre 1973, numero 817, ed al decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 1958, n. 754, sempre che i rispettivi organi di gestione ne facciano richiesta. Nei primi novanta giorni l’interruzione della gravidanza può essere praticata anche presso case di cura autorizzate dalla regione, fornite di requisiti igienico-sanitari e di adeguati servizi ostetrico-ginecologici. Il Ministro della sanità con suo decreto limiterà la facoltà delle case di cura autorizzate, a praticare gli interventi di interruzione della gravidanza, stabilendo:

1) la percentuale degli interventi di interruzione della gravidanza che potranno avere luogo, in rapporto al totale degli interventi operatori eseguiti nell’anno precedente presso la stessa casa di cura;

2) la percentuale dei giorni di degenza consentiti per gli interventi di interruzione della gravidanza, rispetto al totale dei giorni di degenza che nell’anno precedente si sono avuti in relazione alle convenzioni con la regione. Le percentuali di cui ai punti 1) e 2) dovranno essere non inferiori al 20 percento e uguali per tutte le case di cura. Le case di cura potranno scegliere il criterio al quale attenersi, fra i due sopra fissati. Nei primi novanta giorni gli interventi di interruzione della gravidanza dovranno altresì poter essere effettuati, dopo la costituzione delle unità sociosanitarie locali, presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali ed autorizzati dalla regione. Ilcertificato rilasciato aisensi del terzo comma dell’articolo 5 e, alla scadenza dei sette giorni, il documento consegnato alla donna ai sensi del quarto comma dello stesso articolo costituiscono titolo per ottenere in via d’urgenza l’intervento e,se necessario, il ricovero”.

 Art. 578 c.p.: “La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni”.

Art. 575 c.p.: “Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”. Sentenza n°27539/2019: strumento mediante il quale la Corte di Cassazione ha stabilito che il feto, anche se ancora nell’utero, una volta iniziato il travaglio deve essere considerato una persona.

Art. 6, legge 194/78: “L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro,che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.

Art.17, legge 194/78: “Chiunque cagiona ad una donna percolpa l’interruzione della gravidanza è punito con la reclusione da tre mesi a due anni. Chiunque cagiona ad una donna per colpa un parto prematuro è punito con la pena prevista dal comma precedente, diminuita fino alla metà. Neicasi previsti daicommi precedenti, se il fatto è commesso con la violazione delle norme poste a tutela del lavoro la pena è aumentata”.

Art. 589 c.p.: “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni. Se il fatto è commesso nell'esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un'arte sanitaria, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.

1. 1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;

2. 2) soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici. Autore Federica Scordino su camminodiritto.it.

Estratto dell'articolo di Anna Lombardi per “la Repubblica” l'8 agosto 2022.

 Li chiamano "rifugi sicuri": ma le "Safe Haven Baby Box" che negli ultimi tre anni un'organizzazione antiabortista ha collocato negli Stati più conservatori degli Stati Uniti sono solo il simbolo più estremo della disperazione di madri impossibilitate a crescere le loro creature. (...)

A Carmel, Indiana, per dire, ne era stata collocata una sul retro della locale stazione dei pompieri. In tre anni non era mai stata usata.

Ma da quando, pochi mesi fa, è iniziato il dibattito sull'aborto nello Stato che poi venerdì scorso lo ha vietato fin dal concepimento - una delle leggi più restrittive varate fino ad ora - la cassetta si è improvvisamente riempita: e per sei volte di seguito.

A rispolverare l'arcaico metodo è stata l'attivista pro-life Monica Kelsey, 46 anni e una storia difficile alle spalle: adottata dopo essere stata abbandonata da una mamma teenager che era stata stuprata. (...) Si tratta di contenitori in metallo con dentro una culla da ospedale a temperatura controllata. Una volta che il bambino è dentro non sono possibili ripensamenti: si blocca automaticamente e dall'esterno non si può più riaprire.

Viene invece attivato un allarme e il personale della struttura può accorrere e avere accesso alla culla. In contemporanea parte pure una chiamata al numero d'emergenza 911. (...) 

A chi si occupa professionalmente di adozione, la Safe Box però proprio non piace. Innanzitutto, spiegano, molte donne non sanno che usare la "scatola" mette legalmente fine ai loro diritti di genitori. E già due sono in causa per riavere indietro i propri bambini. Poi perché quei neonati non hanno praticamente più nessuna possibilità di risalire alle loro origini.

E questo non riguarda tanto il nome dei genitori: ma, il diritto di essere al corrente di eventuali malattie ereditarie. Insomma: nell'estremo caso di un abbandono, meglio affidarsi a strutture ospedaliere. «Se un genitore usa le Safe Haven», dice in sintesi Ryan Hanlon, presidente del Consiglio nazionale per l'adozione parlandone al New York Times , «vuol dire che l'intero sistema ha fallito».

Dall'Indiana stretta radicale sull'aborto. È il primo stato Usa a vietarlo totalmente. Valeria Robecco il 7 Agosto 2022 su Il Giornale.

Nuova legge: uniche eccezioni incesto, stupro e pericolo di vita della madre.

L'Indiana vara una stretta sull'aborto e diventa il primo stato americano ad approvare un divieto quasi totale dopo che la Corte Suprema ha ribaltato la storica sentenza Roe v. Wade a giugno. Il Parlamento dello stato americano ha dato il via libera ad una misura, firmata dal governatore repubblicano Eric Holcomb, che impedisce l'interruzione di gravidanza dal concepimento fatta eccezione solo per i casi di incesto, stupro, quando la vita della donna è a rischio o per problemi gravi al feto. Le regole attuali, invece, consentono l'aborto sino alla 22esima settimana. È un'azione «devastante», un «altro passo radicale dei repubblicani per strappare alle donne i loro diritti e la loro libertà riproduttiva, mettendo le decisioni sull'assistenza sanitaria personale nelle mani dei politici piuttosto che in quelle delle donne e dei loro medici», ha commentato la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean Pierre. «Il Congresso - ha aggiunto - dovrebbe agire immediatamente e approvare una legge che ripristini i diritti previsti dalla Roe v. Wade, ma fino ad allora il presidente Joe Biden è impegnato a proteggere i diritti, le libertà delle donne e l'accesso alle cure che sono offerte dalla legge federale». L'approvazione della legge giunge solo tre giorni dopo che gli elettori del Kansas, un altro stato conservatore del Midwest, hanno respinto a stragrande maggioranza un emendamento che avrebbe eliminato le tutele dei diritti all'aborto dalla sua Costituzione. In Indiana, invece, le nuove restrizioni sono passate nonostante l'opposizione di parte dei repubblicani, alcuni dei quali le ritenevano troppo estreme, mentre altri erano contrari alle seppur limitatissime eccezioni. Ad esempio il deputato John Jacob, che sostiene il divieto totale all'interruzione di gravidanza, ha fatto sapere prima del voto che non avrebbe sostenuto il provvedimento perché «regola l'aborto, che è un omicidio di bambini» e ha invitato i suoi colleghi a pentirsi davanti a Dio. «Sono molto orgoglioso di tutti i cittadini dell'Indiana che si sono fatti avanti per condividere coraggiosamente le loro opinioni in un dibattito che difficilmente cesserà presto», ha dichiarato da parte sua il governatore Holcomb firmando il provvedimento, che entrerà in vigore il 15 settembre. Mentre la senatrice Sue Glick, che ha sponsorizzato il disegno di legge, ha detto che non pensa che «tutti gli stati arriveranno allo stesso punto», ma che la maggior parte dei residenti dell'Indiana sostiene alcuni aspetti della misura. Nelle prossime settimane California, Michigan, Nevada, e Vermont chiederanno ai loro cittadini di tutelare il diritto all'aborto, mentre in Kentucky si voterà per abolirlo. E in Florida, il governatore repubblicano Ron DeSantis ha sospeso il procuratore di Tampa Andrew Warren, un democratico che aveva annunciato che non avrebbe perseguito le donne che si fossero sottoposte all'aborto o i medici che lo avessero praticato. «Prendere una posizione contro le leggi dello stato è insostenibile», ha dichiarato DeSantis, che con tutta probabilità si candiderà alle primarie Gop per le presidenziali del 2024. Il Sunshine State ha una delle leggi più restrittive in materia, e al momento vieta l'interruzione di gravidanza dopo la quindicesima settimana, ma dopo la decisione della Corte Suprema di rovesciare la sentenza Roe v. Wade, i conservatori puntano a inasprire ulteriormente i limiti.

Corte suprema Usa abolisce sentenza sul diritto all'aborto. Ora i singoli Stati liberi di applicare le loro leggi in materia  

(ANSA il 24 giugno 2022) - La Corte suprema Usa ha abolito la storica sentenza Roe v. Wade con cui nel 1973 la stessa Corte aveva legalizzato l'aborto negli Usa. Ora quindi i singoli Stati saranno liberi di applicare le loro leggi in materia.

La decisione è stata presa nel caso "Dobbs v. Jackson Women's Health Organization", in cui i giudici hanno confermato la legge del Mississippi che proibisce l'interruzione di gravidanza dopo 15 settimane. A fare ricorso era stata l'unica clinica rimasta nello Stato ad offrire l'aborto. "L'aborto presenta una profonda questione morale. La costituzione non proibisce ai cittadini di ciascuno stato di regolare o proibire l'aborto", scrivono i giudici. Una bozza trapelata nelle scorse settimane (redatta dal giudice Samuel Alito, risalente a febbraio e confermata poi come autentica dalla corte) aveva indicato che la maggioranza dei 'saggi' erano favorevoli a ribaltare la Roe v Wade, suscitando vaste polemiche e proteste negli Usa. Su 50 Stati, 26 (tra cui Texas e Oklahoma) hanno leggi più restrittive in materia. Nove hanno dei limiti sull'aborto che precedono la sentenza 'Roe v. Wade', e che non sono ancora stati applicati ma che ora potrebbero diventare effettivi, mentre 13 hanno dei cosiddetti 'divieti dormienti' che dovrebbero entrare immediatamente in vigore.

Usa: abolizione aborto, proteste davanti a Corte Suprema.

(ANSA il 24 giugno 2022) Fuori dalla Corte Suprema degli Stati Uniti è scoppiata la protesta, pochi minuti dopo che i massimi giudici hanno abolito il diritto all'aborto dopo 50 anni. I manifestanti stanno aumentando ogni minuto che passa, c'è anche un contigente di anti-abortisti che si sono abbracciati e hanno esultato alla notizia che la Corte Suprema ha rovesciato la storica sentenza 'Roe v. Wade'. 

Corte Suprema, Costituzione non conferisce diritto aborto

"La Costituzione non conferisce il diritto all'aborto". E' quanto si legge nella sentenza della Corte Suprema che abolisce la Roe v. Wade. La decisione è stata presa da una Corte divisa, con 6 voti a favore e 3 contrari.

Corte Suprema, Costituzione non conferisce diritto aborto  

"La Costituzione non conferisce il diritto all'aborto". E' quanto si legge nella sentenza della Corte Suprema che abolisce la Roe v. Wade. La decisione è stata presa da una Corte divisa, con 6 voti a favore e 3 contrari. 

Usa: leader repubblicani Camera plaude, salvate vite umane  

Il leader dei repubblicani alla Camera, Kevin McCarthy, palude alla decisione della Corte Suprema di abolire la Roe v. Wade, la storica sentenza del 1973 che ha legalizzato l'aborto negli Stati Uniti. "Paludo a questa storica sentenza che salva vite umane", twitta McCarthy. 

Usa: Obama accusa, attaccate libertà milioni americani 

Barack Obama attacca la Corte Suprema sull'aborto, accusandola di aver "attaccato le libertà fondamentali di milioni di americani" con la sua decisione.

Giuseppe Sarcina e Alice Scaglioni per corriere.it il 24 giugno 2022.

La Corte Suprema cancella un pezzo di storia americana: oggi venerdì 24 giugno ha cancellato la sentenza Roe v.Wade che da cinquant’anni garantiva il diritto di aborto a tutte le donne del Paese. 

La Corte ha deciso con una maggioranza netta: 6 giudici contro tre. Ha prevalso il blocco conservatore formato da Samuel Alito, che ha scritto il parere vincente, e poi Thomas Clarence, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh, Amy Coney Barrett. Le ultime tre toghe sono state nominate da Donald Trump. Ha votato a favore anche il presidente John G. Roberts, che ha aggiunto: «Avrei adottato un approccio più moderato». Si sono schierati contro i tre componenti di estrazione liberal: Sonia Sotomayor, Elena Kagan, Stephen Breyer (che uscirà a breve).

L’esame della Corte era partito lo scorso autunno dalla causa costituzionale intentata dalla Jackson Women’s Health Organization contro la legge varata nel 2018 dal parlamento del Mississippi, controllato dai repubblicani. La norma vieta il ricorso all’aborto dopo la quindicesima settimana di gravidanza. La sentenza Planned Parenthood v. Casey del 1972 stabilisce, invece, che l’aborto è praticabile fino a quando il feto non sia autosufficiente, cioè fino a circa sette mesi di gravidanza. Il parere di Alito, poi condiviso da altri cinque togati, è molto secco: «La sentenza Roe v.Wade è nata sbagliata».

Viene contestato il radicamento giuridico del diritto di scelta nel 14° Emendamento della Costituzione, che assicura ai cittadini le libertà politiche e civili. Quelle norma è stata introdotta in un’epoca (1868 ndr) <in cui neanche si discuteva di aborto». Non c’è, quindi, alcuna ragione per garantire su tutto il territorio federale il diritto di scelta in tema di gravidanza. La conseguenza immediata è che la materia «dovrà tornare ai singoli stati». Oggi sono già 22 gli Stati che hanno adottato legislazioni molto restrittive, come il Texas e più di recente l’Oklahoma . Altri quattro Stati sono pronti a seguire l’esempio. Le donne avrebbero ancora libertà di scelta negli Stati liberal delle due coste, dalla California a New York. Lo scenario più probabile, quindi, è quello di un Paese ancora più diviso.

Appena si è diffusa la notizia, centinaia di persone si sono radunate davanti all’edificio della Corte. Inizia una giornata di accese proteste. Da oggi il Paese è ancora più lacerato e come ha appena dichiarato la Speaker democratica Nancy Pelosi, il «tema dell’aborto diventerà centrale nelle elezioni di midterm a novembre». 

Le reazioni

Il Dipartimento di Giustizia americano userà «tutti gli strumenti a sua disposizione per proteggere i diritti e la libertà alla riproduzione», ha fatto sapere.

Il presidente Usa Joe Biden, che ha parlato qualche ora dopo l’annuncio della decisione, ha detto che la Corte Suprema ha tolto il diritto agli americani. «Un giorno triste per l’America». «Questa decisione è la realizzazione di tentativi che vanno avanti da decenni per rovesciare le leggi, di un’ideologia estrema: la Corte ha fatto una cosa mai prima, togliere un diritto costituzionale fondamentale per milioni di americani. Non lo ha limitato, lo ha semplicemente eliminato». Per Biden ora la salute delle donne è «rischio», ma aggiunge «il mio governo resterà vigilante». Il presidente Usa ha poi aggiunto che farà di tutto per far garantire, grazie al Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani, che la contraccezione sia disponibile agli americani, anche se gli Stati cercano di limitarli.

«La Corte Suprema non solo ha annullato quasi 50 anni di precedenti, ma ha relegato la decisione più intensamente personale che qualcuno può prendere ai capricci di politici e ideologi: (sono state) attaccate le libertà fondamentali di milioni di americani»: ha twittato l'ex presidente Usa, Barack Obama. Anche l’ex first lady, Michelle Obama, è intervenuta sulla decisione della Corte Suprema: «Ho il cuore spezzato per gli americani che hanno perso il diritto fondamentale di assumere decisioni informate. Avrà delle conseguenze devastanti».

Per la portavoce della Camera Usa, la democratica Nancy Pelosi, è una decisione «crudele» e «scandalosa». Per Hillary Clinton è «un’infamia» e «un passo indietro per i diritti delle donne e i diritti umani». «Molti americani ritengono che la decisione di avere un figlio sia sacra e dovrebbe rimanere fra la donna e il suo medico», ha aggiunto. 

L'ex vicepresidente e numero due di Trump Mike Pence ha detto che «la vita ha vinto» e ha esortato tutti a battersi per «la difesa del nascituro e il sostegno alle donne incinte in crisi». «Avendo avuto questa seconda possibilità per la vita, non dobbiamo riposare e non dobbiamo cedere finché la santità della vita non sarà ripristinata al centro della legge americana in ogni Stato del Paese». Anche l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha commentato la decisione, lodando la Corte Suprema. La decisione vuol dire «seguire la Costituzione e restituire i diritti», dice l’ex presidente Usa a Fox. La decisione «funzionerà per tutti», ha detto. 

Dopo la decisione della Corte Suprema, il Missouri ha deciso di proibire l’aborto, tranne che per le emergenze sanitarie. Il governatore repubblicano, Mike Parson, ha infatti firmato la legge che innesca il divieto di aborto nello Stato. «Nulla nel testo, nella storia o nella tradizione della Costituzione degli Stati Uniti ha dato ai giudici federali non eletti l’autorità di regolare l’aborto», ha aggiunto il governatore.

A ruota, anche il Texas ha fatto sapere che l’interruzione volontaria di gravidanza è ora illegale nello Stato, con effetto immediato. Il procuratore generale del Texas, Ken Paxton, ha sottolineato che le strutture che offrono le interruzioni di gravidanza possono essere considerate «responsabili penalmente a partire da oggi». 

Dall’altra parte, i governatori di California, Oregon e Washington hanno appena rilasciato una dichiarazione congiunta in cui si impegnano a proteggere l’accesso all’aborto e ai contraccettivi e a difendere i pazienti e i medici dai divieti di aborto che verranno adottati negli altri Stati. Anche il governatore dello Stato di New York, Kathy Hochul, ci ha tenuto a rassicurare sul diritto all’aborto: «È un fondamentale diritto umano e resta sicuro, accessibile e legale a New York». A lei si unisce anche il sindaco della Grande Mela, Eric Adams. «A coloro che vogliono un aborto nel Paese, sappiate che qui siete le benvenute. Faremo ogni sforzo per assicurare che i servivi riproduttivi restino disponibili e accessibili per voi».

Biden: «Giudici nominati da Trump hanno rovesciato la legge sull'aborto». Aborto, negli Usa la Corte Suprema ha annullato la sentenza «Roe vs. Wade». Giuseppe Sarcina e Alice Scaglioni su Il Corriere della Sera il 24 Giugno 2022

I giudici Usa hanno annullato la storica sentenza «Roe vs. Wade» che ha garantito il diritto all’interruzione di gravidanza nei vari Stati

La Corte suprema cancella un pezzo di storia americana: oggi venerdì 24 giugno ha cancellato la sentenza Roe vs. Wade che da cinquant’anni garantiva il diritto di aborto a tutte le donne del Paese. 

La Corte ha deciso con una maggioranza netta: 6 giudici contro tre. Ha prevalso il blocco conservatore formato da Samuel Alito, che ha scritto il parere vincente, e poi Thomas Clarence, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh, Amy Coney Barrett. Le ultime tre toghe sono state nominate da Donald Trump. Ha votato a favore anche il presidente John G. Roberts, che ha aggiunto: «Avrei adottato un approccio più moderato». Si sono schierati contro i tre componenti di estrazione liberal: Sonia Sotomayor, Elena Kagan, Stephen Breyer (che uscirà a breve). 

L’esame della Corte era partito lo scorso autunno dalla causa costituzionale intentata dalla Jackson Women’s Health Organization contro la legge varata nel 2018 dal parlamento del Mississippi, controllato dai repubblicani. La norma vieta il ricorso all’aborto dopo la quindicesima settimana di gravidanza. La sentenza Planned Parenthood v. Casey del 1972 stabilisce, invece, che l’aborto è praticabile fino a quando il feto non sia autosufficiente, cioè fino a circa sette mesi di gravidanza. Il parere di Alito, poi condiviso da altri cinque togati, è molto secco: «La sentenza Roe vs. Wade è nata sbagliata». 

Viene contestato il radicamento giuridico del diritto di scelta nel 14° Emendamento della Costituzione, che assicura ai cittadini le libertà politiche e civili. Quella norma è stata introdotta in un’epoca (1868 ndr) <in cui neanche si discuteva di aborto». Non c’è, quindi, alcuna ragione per garantire su tutto il territorio federale il diritto di scelta in tema di gravidanza. La conseguenza immediata è che la materia «dovrà tornare ai singoli stati». Oggi sono già 22 gli Stati che hanno adottato legislazioni molto restrittive, come il Texas e più di recente l’Oklahoma . Altri quattro Stati sono pronti a seguire l’esempio. Le donne avrebbero ancora libertà di scelta negli Stati liberal delle due coste, dalla California a New York. Lo scenario più probabile, quindi, è quello di un Paese ancora più diviso. 

Appena si è diffusa la notizia, centinaia di persone si sono radunate davanti all’edificio della Corte. Inizia una giornata di accese proteste. Da oggi il Paese è ancora più lacerato e come ha appena dichiarato la Speaker democratica Nancy Pelosi, il «tema dell’aborto diventerà centrale nelle elezioni di midterm a novembre». 

Le reazioni

Il presidente Usa Joe Biden ha parlato qualche ora dopo l’annuncio della decisione, che lui stesso ha definito «un tragico errore»: «Oggi è un giorno triste per l’America». Ha addossato la responsabilità della decisione che annulla la sentenza del 1973 ai tre giudici nominati dal suo predecessore alla Casa Bianca, Donald Trump: «Sono stati tre giudici nominati da un presidente, Donald Trump, quelli al centro della decisione odierna (della Corte Suprema) di eliminare un diritto fondamentale delle donne in questo Paese», ha detto. «Questa decisione è la realizzazione di tentativi che vanno avanti da decenni per rovesciare le leggi, la realizzazione di un’ideologia estrema: la Corte ha fatto una cosa mai fatta prima, togliere un diritto costituzionale fondamentale per milioni di americani. Non lo ha limitato, lo ha semplicemente eliminato». Per Biden ora la salute delle donne è «rischio». 

«Molte donne hanno perso una tutela costituzionale fondamentale. Noi dissentiamo», affermano i giudici liberal Sonia Sotomayor, Elena Kagan e Stephen Breyer, che hanno votato contro la decisione di capovolgere la storica sentenza.

Il presidente Usa Joe Biden 

Il Dipartimento di Giustizia americano ha detto che userà «tutti gli strumenti a sua disposizione per proteggere i diritti e la libertà alla riproduzione». 

«La Corte Suprema non solo ha annullato quasi 50 anni di precedenti, ma ha relegato la decisione più intensamente personale che qualcuno può prendere ai capricci di politici e ideologi: (sono state) attaccate le libertà fondamentali di milioni di americani»: ha twittato l'ex presidente Usa, Barack Obama. Anche l’ex first lady, Michelle Obama, è intervenuta sulla decisione della Corte Suprema: «Ho il cuore spezzato per gli americani che hanno perso il diritto fondamentale di assumere decisioni informate. Avrà delle conseguenze devastanti».

Per la portavoce della Camera Usa, la democratica Nancy Pelosi , è una decisione «crudele» e «scandalosa». Per Hillary Clinton è «un’infamia» e «un passo indietro per i diritti delle donne e i diritti umani». «Molti americani ritengono che la decisione di avere un figlio sia sacra e dovrebbe rimanere fra la donna e il suo medico», ha aggiunto. 

L'ex vicepresidente e numero due di Trump Mike Pence ha invece accolto positivamente la sentenza: ha detto che «la vita ha vinto» e ha esortato tutti a battersi per «la difesa del nascituro e il sostegno alle donne incinte in crisi». «Avendo avuto questa seconda possibilità per la vita, non dobbiamo riposare e non dobbiamo cedere finché la santità della vita non sarà ripristinata al centro della legge americana in ogni Stato del Paese». Anche l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha commentato la sentenza, lodando la Corte Suprema. La decisione «segue la Costituzione e restituisce i diritti», ha detto l’ex presidente Usa a Fox, che ha aggiunto: «Alla fine, questo sia qualcosa che funzionerà per tutti». Ma secondo quanto scrive il New York Times , l’ex inquilino della Casa Bianca non sarebbe così contento della decisione della Corte Suprema: Trump avrebbe ribadito a più persone che potrebbe trattarsi di un boomerang e potrebbe avere conseguenze negative per i Repubblicani, soprattutto in un’ottica che guarda alle prossime elezioni. 

Anche il Vaticano ha commentato positivamente la decisione, dicendo che la sentenza sull’aborto «sfida il mondo intero» sui problemi della vita e lodando la Corte Suprema. L’Onu invece ha parlato di «un colpo terribile ai diritti umani delle donne». «È una grave battuta d’arresto dopo cinque decenni di protezione della salute sessuale e riproduttiva e dei diritti negli Stati Uniti attraverso Roe vs Wade», ha detto l’Alto commissario Onu per i diritti umani Michelle Bachelet. 

Dopo la decisione della Corte Suprema, il Missouri ha deciso di proibire l’aborto, tranne che per le emergenze sanitarie. Il governatore repubblicano, Mike Parson, ha infatti firmato la legge che innesca il divieto di aborto nello Stato. «Nulla nel testo, nella storia o nella tradizione della Costituzione degli Stati Uniti ha dato ai giudici federali non eletti l’autorità di regolare l’aborto», ha aggiunto il governatore. 

A ruota, anche il Texas ha fatto sapere che l’interruzione volontaria di gravidanza è ora illegale nello Stato, con effetto immediato. Il procuratore generale del Texas, Ken Paxton, ha sottolineato che le strutture che offrono le interruzioni di gravidanza possono essere considerate «responsabili penalmente a partire da oggi». 

Dall’altra parte, i governatori di California, Oregon e Washington hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui si impegnano a proteggere l’accesso all’aborto e ai contraccettivi e a difendere i pazienti e i medici dai divieti di aborto che verranno adottati negli altri Stati. Anche il governatore dello Stato di New York, Kathy Hochul, ci ha tenuto a rassicurare sul diritto all’aborto: «È un fondamentale diritto umano e resta sicuro, accessibile e legale a New York». A lei si unisce anche il sindaco della Grande Mela, Eric Adams. «A coloro che vogliono un aborto nel Paese, sappiate che qui siete le benvenute. Faremo ogni sforzo per assicurare che i servivi riproduttivi restino disponibili e accessibili per voi». 

Francesco Semprini per “la Stampa” il 26 giugno 2022.

È un'onda che si alza dai quattro angoli del Paese e passa attraverso i palazzi del potere di Washington, quella della protesta contro la sentenza della Corte Suprema che decreta il diritto a vietare l'aborto. Un'onda destinata inesorabilmente a tenere in scacco il dibattito in vista dell'appuntamento elettorale di novembre. 

«La decisione presa dalla Corte Suprema è devastante e dolorosa, difenderemo i diritti delle donne», afferma Joe Biden, firmando la legge bipartisan sulla stretta delle armi, prima di partire per i vertici del G7 e della Nato. Con lui nella Roosevelt Room la First Lady Jill Biden. La norma su pistole e fucile arriva all'indomani di un'altra sentenza della Corte Suprema a trazione conservatrice che ha smontato una legge newyorkese vecchia più di un secolo che imponeva limiti alla detenzione di armi in pubblico. 

«È il provvedimento più significativo degli ultimi 30 anni. Voglio ringraziare le famiglie delle vittime da Columbine a Sandy Hook a Uvalde. Niente potrà colmare il loro vuoto, ma hanno aperto la strada per arrivare a questo punto», ha aggiunto il Presidente, dimostrando come il potere legislativo, con la maggioranza democratica in entrambe le Camere, è determinato a contrastare quello giudiziario a colpi di norme.

Dopo le armi, sarà la volta dell'aborto, come lo stesso Biden ha auspicato dopo il ribaltamento della storica sentenza Roe vs Wade del 1973. La Casa Bianca, intanto, tiene alta la guardia in vista di altre battaglie sui valori che sembrano profilarsi all'orizzonte.

L'amministrazione Biden ha diffidato gli Stati antiabortisti dal vietare la vendita della pillola abortiva, col ministro della Giustizia Garland che ha fatto riferimento al principio dell'ubi maior, secondo il quale gli Stati non possono opporsi a una legge federale. 

L'accesso alla pillola, approvata dalla Food&Drug Administration (l'autorità del settore farmaceutico) dopo il voto del Congresso, è il nuovo teatro della lotta per l'aborto. Oggi il 50% degli aborti in Usa avviene entro le prime 10 settimane, tramite il ricorso alla pillola.

Intanto la senatrice Susan Collins, repubblicana del Maine, punta il dito verso i giudici conservatori della Corte Suprema, Brett Kavanaugh e Neil Gorsuch, rei - a suo dire - di aver infranto un impegno fatto a Capitol Hill. «La decisione - tuona - non è coerente con ciò che i togati hanno affermato nella testimonianza e con me, entrambi avevano insistito sull'importanza di sostenere precedenti di lunga data».

Da segnalare il botta e risposta tra le due «pasionarie» dei poli opposti, Alexandria Ocasio Cortez e Marjorie Taylor Greene. La deputata liberal è scesa in piazza, esortando gli americani e le americane a fare lo stesso, «perché le elezioni non bastano, dobbiamo riempire le strade». Ha replicato su Twitter la collega ultraconservatrice: «Aoc ha appena lanciato un appello all'insurrezione. Se ci saranno violenze e sommosse saranno il risultato diretto degli ordini di squadra democratici».

Non ha avuto sosta anche ieri l'afflusso di manifestanti davanti alla Corte Suprema a Washington, mentre le proteste si sono allargate ad altre città, come Denver, Atlanta, Chicago, New York, Philadelphia, e Austin, in Texas, uno degli Stati in cui è già in vigore una legge iper-restrittiva sull'aborto e che si avvia a vietarlo del tutto nei prossimi giorni. Paura durante una manifestazione pro-aborto a Cedar Rapids, Iowa, quando un pick-up si è lanciato contro la folla, una donna è stata ricoverata in ospedale.

A Phoenix, Arizona, la polizia ha usato gas lacrimogeni per disperdere una protesta pro-aborto: secondo gli agenti, i manifestanti avevano «ripetutamente preso a pugni la porta di vetro dell'ingresso del Senato». A Seattle un'attivista antiabortista è stata aggredita da attivisti di Antifa che le hanno anche spruzzato spray urticante. 

Anche il mondo dello spettacolo insorge con l'attrice di «Sex and the City», Cynthia Nixon, che è portavoce della comunità Lgbtqi+. «Inorridita perché in America le pistole hanno più diritti delle donne», è Kim Kardashian che, sebbene in passato si stata vicina a Trump sui temi della riforma penale, ha preso le distanze da un verdetto che per l'ex Presidente «è venuto da Dio». Mobilitato anche il basket, con la star Nba LeBron James che parla di «un abuso di potere», e la Corporate America con Google che concede ai dipendenti di chiedere il trasferimento in altro Stato «senza giustificazione».

Al momento sette Stati Usa hanno bandito l'aborto subito dopo la sentenza, altri sette lo faranno nei prossimi 30 giorni. Si tratta di Stati a guida repubblicana che avevano già varato restrizioni sull'interruzione di gravidanza, ma sono in tutto 26 quelli in cui l'aborto potrebbe essere bandito per sempre. L'onda delle proteste preoccupa la destra, a partire da Trump. Per quanto volubile, l'ex Presidente ha da tempo difficoltà nell'affrontare l'argomento dell'aborto, che ha sostenuto per anni come diritto, ma ha affermato di detestare personalmente. Ora però subentra il fattore politico: ha ammesso ad amici e consiglieri che la sentenza è «nociva per i repubblicani», in vista della riconquista di Camera e Senato su cui punta alle elezioni di novembre.

Alberto Simoni per “la Stampa” il 26 giugno 2022. 

La decisione della Corte suprema Usa era scontata. Nessuno si era fatto illusioni che la Roe vs Wade superasse le forche caudine di un tribunale a forte trazione conservatrice, simbolo di un disequilibrio che non rappresenta il Paese e che è destinato a durare decenni. 

Il giudice Samuel Alito ha evocato la Costituzione per sentenziare che, non essendoci riferimenti all'aborto, tutte le leggi e le sentenze che la richiamavano come base di un diritto erano impure.

E così via la Roe vs Wade. Alito ha anche spiegato che questo approccio vale solo per la questione dell'aborto.

Se guardate la foto dei nove togati, però, soffermatevi su Clarence Thomas, il veterano dei giudici - è in carica dal 1991 - ultraconservatore e secondo afroamericano a sedere fra i nove custodi delle leggi Usa. È il teorico della restaurazione e non condivide questa «timidezza» di Alito. Secondo Thomas, ora la Corte ha il dovere di «correggere l'errore - ha scritto nel parere associato - stabilito in alcuni precedenti».  

Linguaggio oscuro, che significa che almeno tre sentenze del passato (Griswold, Lawrence, Obergefell) che proteggevano la contraccezione, il sesso consensuale fra gay e il matrimonio omosessuale possono venire spazzate via. La sua è una posizione estremista, gli altri giudici conservatori hanno preferito sposare la linea di Alito, ma è un indizio di dove una fetta di America vuole portare la nazione: a cancellare ogni diritto civile faticosamente conquistato.  

Il miglior alleato di Thomas è in famiglia: la moglie Ginni è un'attivista e lobbysta, adepta dei Tea Party, sugli scudi contro l'Obamacare, e così intimamente trumpiana da aver inondato il capo dello staff di Donald, Mark Meadows, di email affinché trovasse il modo di ribaltare l'esito del voto del 2020. La Commissione 6 gennaio le ha inviato un mandato di comparizione.

Il giudice Thomas è stato sin dal suo esordio un falco, ma la sua posizione è spesso stata mitigata da un equilibrio della Corte a maggioranza conservatrice (5-4) da decenni, ma con un esponente - il moderato Anthony Kennedy, nominato da Reagan - a fare da bilanciere e sovente schierato con l'ala progressista sui sociali, come i diritti Lgbtq. Kennedy, nel 2018, ha rassegnato le dimissioni e Trump al suo posto ha nominato Brett Kavanaugh, conservatore anti-abortista. 

E il piano restauratore di Thomas (e della moglie) qualche chance di andare in porto ce l'ha. I primi segnali di una svolta si ebbero quando il 13 febbraio del 2016 un infarto stroncò la vita del giudice conservatore Antonin Scalia. Barack Obama si trovò dinanzi la ghiotta opportunità di nominare un liberal: la sua scelta cadde su Merrick Garland, ma i repubblicani insorsero, dicendo che nomine così importanti nell'ultimo anno di Presidenza erano inopportune. 

L'ostruzionismo che fecero fu così forte che la Presidenza arrivò al termine e il nuovo giudice lo scelse Donald Trump: Neil Gorsuch. Poi ne prese altri due, lo stesso Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett. 

Quest' ultima venne nominata appena un mese prima delle elezioni del 2020, ma evidentemente i repubblicani avevano dimenticato le critiche che avevano fatto a Obama. La storia sarebbe andata diversamente se Obama fosse riuscito a portare un «suo» giudice alla Corte. 

 E sarebbe stata diversa se H Bader Ginsburg, morta nel 2020 a 87 anni, avesse rassegnato le dimissioni durante l'epoca di Obama. Invece Donald Trump si è trovato a nominare ben tre giudici e Thomas ha trovato alleati tanto che, paradossalmente in una Corte con sei conservatori, il giudizio del presidente, John Roberts, moderato nominato da Bush junior, è ininfluente.

Nessuno pensa che la Corte rispecchi la società americana in termini di pensiero, costumi, valori. Solo il 30% degli statunitensi è favorevole alla cancellazione del diritto dell'aborto. Ovviamente il lavoro dei giudici non è tenere conto dei sondaggi, stare sconnessi con la realtà però è un pericolo perché le conseguenze di scelte come quella sull'aborto investono il futuro della nazione. 

 E minano anche la credibilità delle istituzioni. Se anche il Tribunale supremo, per definizione super partes, entra nell'arena politica, di chi fidarsi? Oggi il tasso di approvazione della Corte scavalla appena il 20%. Eppure, è questa minoranza ad avere il potere: è una destra cristiana fondamentalista che ha trovato in Trump il guardiano di un modo di concepire l'America come un fortino assediato da un mondo volgare, debole e depravato. 

Davanti al vortice Trump il partito repubblicano si è sgonfiato. Chi si espone - come Liz Cheney - vede in pericolo la rielezione; altri come il deputato Adam Kinzinger sono minacciati di morte (con la moglie e il figlio di 6 mesi) perché «traditori del giuramento». E in questo clima la restaurazione dei coniugi Thomas, una volta chimera, è un più vicina. E il paradosso è che il potere di fermarla è nelle mani degli altri giudici conservatori.

Anna Guaita per “il Messaggero” il 27 giugno 2022.

«Mi sono fidato del giudice Gorsuch e del giudice Kavanaugh quando hanno testimoniato sotto giuramento che credevano che Roe vs Wade fosse un precedente legale oramai stabilito». 

Con queste parole il senatore democratico Joe Manchin ha di fatto accusato due giudici della Corte Suprema di aver mentito durante le udienze di conferma della loro nomina davanti al Senato. Manchin ha unito la sua voce a quella della collega repubblicana del Maine, Susan Collins, la quale ha puntato i suoi strali accusatori soprattutto contro Kavanaugh, con il quale aveva avuto lunghi colloqui a quattr'occhi.

Le televisioni, dal canto loro, ripropongono anche la testimonianza della giudice Amy Coney Barrett, terzo giudice voluto da Donald Trump e approvato a ridosso delle elezioni del 2020. Anche lei aveva ribadito di considerare «un precedente radicato» la sentenza "Roe Vs Wade" del 1973, che stabiliva che l'aborto era un diritto costituzionale. 

Ora però il Paese si interroga se ci sia qualche punizione per i giudici che abbiano mentito sotto giuramento quando i senatori li interrogavano per decidere se approvare la loro nomina. Certo è che nel Paese la Corte ha perso molto del lustro di cui ha goduto per decenni. Secondo un sondaggio Gallup, solo il 25% degli americani continua ad avere «alta fiducia» nella Corte.

Se si pensa che nel 2020 si arrivava al 58%, si capisce quanto sia grave la caduta. Dall'inizio del Novecento i giudici supremi erano stati oggetto di stima e rispetto al pari delle forze armate. Sia gli uni che gli altri sono sempre stati visti come super partes e non piegati al volere dei politici. 

Ma la situazione è cambiata proprio con Donald Trump, che sin dalla sua campagna elettorale aveva apertamente promesso di scegliere giudici che abolissero il diritto di aborto, e dopo averli scelti e averne ottenuto l'approvazione dal Senato si è vantato di aver fatto più di ogni altro presidente per la causa degli anti-abortisti.

La Corte di adesso, con una super maggioranza di sei conservatori a tre liberal è sbilanciata come non lo era da decenni. Tutti i presidenti hanno sempre cercato di mantenere un bilanciamento nella Corte, strategia abbandonata in pieno da Trump, che sta così ottenendo che le leggi del Paese si spostino più a destra di dove la maggioranza dell'opinione pubblica le vorrebbe.

E per bloccare l'attivismo con-servatore dei giudici non c'è nulla da fare: la Corte non risponde a nessuno, i giudici sono nominati a vita e possono essere sottoposti a impeachment solo per gravi reati criminali.

Matteo Persivale per il “Corriere della Sera” il 27 giugno 2022.  

Clarence Thomas è un uomo di parola: «I progressisti mi hanno rovinato la vita per 43 anni; adesso io rovinerò la loro per i prossimi 43», disse nel 1993 ai suoi assistenti. 

Arrivò alla Corte Suprema nel 1991, appena 43enne per l'appunto, e i giudici supremi restano in carica a vita: da allora la sua vendetta verdiana, da Rigoletto con la toga, si è articolata attraverso un'impressionante serie di sentenze allineate con le istanze della destra americana più estrema.

Strategia repubblicana

Thomas non è un'anomalia del sistema, è il frutto di una strategia lucidissima di interessi precisi: una proposta politica che indicasse nel 1787 il modello di Paese sarebbe improponibile in parlamento, ma non nel sistema giudiziario.

Allora è stata formata dal partito repubblicano una generazione di giudici-attivisti (ottimamente finanziata dall'opaca Federalist Society) decisi per statuto a riportare la Costituzione americana a quello che la destra vede essere il suo spirito originario, scevro cioè della maggior parte dei diritti che nei secoli successivi si sono aggiunti al nucleo di quelli del 1787 (in origine la Costituzione prevedeva, tra le altre cose, che votassero solo i proprietari terrieri maschi, che le donne stessero a casa e i neri in catene; niente Stato sociale, etc).

Thomas, «originalista», offre al partito garanzie assolute non soltanto in materia politica ma anche temperamentale: la sua sete di vendetta nei confronti dei progressisti che cercarono - goffamente, e invano - di affondarne la storica nomina alla Corte Suprema lo anima dal 1991. 

Il pegno di Bush (padre)

George Bush padre, moderato nordista trapiantato in Texas, pagò pegno alla base più ideologizzata che gli aveva garantito l'elezione nel 1988, terzo mandato repubblicano dopo i due, storici, di Ronald Reagan.

Andava in pensione un'icona dei diritti civili, il giudice Thurgood Marshall protagonista dell'affrancamento degli afroamericani dalla segregazione razziale degli Stati del Sud, e Bush padre (che aveva già mandato alla Corte Suprema un moderato del nordest in sintonia con le sue idee e anche il suo stile, il centrista David Souter) decise di sostituirlo con un uomo che con Marshall aveva in comune soltanto il colore della pelle: Thomas.

Umilissime origini, un'istruzione di lusso ottenuta grazie alle corsie preferenziali per le minoranze (corsie che dal 1991 cerca appena può di chiudere), funzionario ministeriale reaganiano, giudice federale per soli 18 mesi finché non viene scelto per la Corte Suprema. 

Il 43enne non appare agli analisti come un genio della giurisprudenza ma le audizioni davanti al Senato (a maggioranza democratica: la Storia ha un crudele senso dello humour) cominciano sotto discreti auspici finché una professoressa universitaria che aveva lavorato per lui lo accusa di averla ripetutamente molestata e bersagliata con battute grevi. 

Le audizioni senatoriali diventano un circo e la professoressa Hill da testimone finisce imputata, l'impressione generale dei senatori (tutti maschi, bianchi) che la interrogano senza pietà è che si tratti dell'intemerata di un'ex amante assetata di vendetta (non è vero).

«È un linciaggio», grida Thomas, probabilmente la mossa vincente perché evoca linciaggi (non mediatici, veri) sui quali l'America bianca aveva allora come adesso molto da farsi perdonare. 

Alcuni democratici (pochi, ma bastano) decidono che votare contro un nero pare brutto, e così anche grazie alla clamorosa debolezza del capo-commissione democratico, il senatore del Delaware Joe Biden (qui il crudele sense of humour della Storia ha fatto il bis), Hill viene derubricata a «un po' mattocchia e un po' zoccoletta» secondo un sicario giornalistico dei repubblicani poi pentito, David Brock. Thomas esce ammaccato ma vivo dalla commissione, il Senato al completo vota, e la nomina passa di pochissimo, 52 a 48, grazie all'aiuto democratico.

La moglie trumpiana

Da allora Thomas si scatena, duettando con la moglie Ginni, attivista e organizzatrice non pentita del fallito golpe del 6 gennaio 2021. Ora la sinistra democratica ne invoca l'impeachment della Camera ma è pura follia immaginare che due terzi dei senatori lo caccino dalla Corte. E Thomas continua così la lunga marcia dei suoi 43 anni di vendetta, «tremenda vendetta, di quest' anima è solo desio, di punirti già l'ora s' affretta», una sentenza dopo l'altra, con l'America del 1787 nel cuore. 

Irene Soave per il “Corriere della Sera” il 27 giugno 2022.

«Quando avevo 22 o 23 anni sono stata violentata, qui a New York. Ero completamente sola, e feci un test di gravidanza in un bagno pubblico. Quando ero là seduta, tutto quello che mi restava da pensare era: grazie a Dio ho una scelta». 

I manifestanti di Union Square, a Manhattan, ascoltano in silenzio mentre Alexandria Ocasio-Cortez, la parlamentare dem più giovane, diventa l'immagine della protesta. Giorni fa, dopo la pronuncia della Corte Suprema, aveva detto: «La gravidanza forzata è un crimine contro l'umanità». L'altra sera ci ha messo la faccia.

Non si fermano le proteste nemmeno nel resto degli Stati Uniti: in Colorado un centro pro-life è stato incendiato; Portland (Oregon) è stata teatro di scontri violenti. E il governo della California potrebbe approvare già oggi un emendamento alla Costituzione che blinderà il diritto all'aborto. 

In attesa di statistiche, gli indizi che le donne corrano ai ripari informalmente si moltiplicano nelle cronache dai 22 Stati dove l'aborto è già di fatto impossibile. Nelle zone di confine programmano gli straordinari: alcune cliniche Planned Parenthood, per esempio, prevedranno due ore in più al giorno, e chiusura solo due domeniche al mese.

Il New York Times raccoglie testimonianze di donne che fanno scorte di pillole abortive e di contraccettivi: «Non si sa più cosa potrebbero vietare». Circolano, soprattutto, numerosi vademecum, sulla falsariga di quello, premonitore, pubblicato dal New York Magazine il 23 maggio: cosa fare se si vuole interrompere la gravidanza in uno Stato dove non si può.

L'ipotesi più sicura è l'aborto farmacologico. Cioè la combinazione di mifepristone e misoprostolo che in pandemia è già diventata il modo in cui metà delle americane abortiscono: a casa, seguite a distanza.

È «sicura nel 99% dei casi», spiega la divulgatrice Abigail Atkin, e non lascia tracce nell'organismo: chi l'ha presa e ha bisogno di cure può presentarsi in ospedale come «aborto spontaneo». La spediscono a casa, in pacchetti anonimi, reti come Just The Pill, Hey Jane, Mayday.

Gli sviluppatori di app che monitorano il ciclo - come Flo, Clue, Apple Health - sono al lavoro per rendere i dati che raccolgono totalmente anonimi, nell'ipotesi non remota che un giudice li richieda: i vademecum (così ad esempio il Nymag) consigliano, nel dubbio, di «distruggere le app» e segnarsi le mestruazioni sul diario.

«Non parlare a nessuno» dell'intenzione di abortire, se non a medici (vincolati dal segreto); «disabilitare il riconoscimento facciale dai cellulari» perché in tribunale ci si può rifiutare di fornire il pin ma non di accedere con la fotocamera; «spegnere lo smartphone» se si va a ritirare il pacco con la pillola, per non essere tracciate. E così via, in un crescendo che rimanda agli anni delle mammane, in versione tech.

Ieri un editoriale del sito Vatican News, firmato dal direttore delle comunicazioni della Santa Sede Andrea Tornielli, ha ribadito la posizione antiabortista della Chiesa ma enfatizzato che proteggere la vita significa, anche, occuparsi di congedi di paternità e «della minaccia delle armi da fuoco, crescente negli Usa».

Aborto, 9 stati Usa lo hanno già vietato. Altri 12 lo faranno a breve. Redazione Esteri su Il Corriere della Sera il 26 giugno 2022.  

Dopo il ribaltamento della storica sentenza «Roe v. Wade» da parte della Corte Suprema, tocca ai singoli stati decidere come regolamentare l’interruzione di gravidanza. 

Con il ribaltamento della storica sentenza sul diritto all’aborto, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha di fatto demandato a ciascuno stato la competenza di decidere su come regolamentare l’interruzione di gravidanza. Molti stati governati dai Repubblicani avevano già preparato leggi, le «trigger laws», pensate proprio per entrare in vigore subito dopo la decisione dei giudici. Così già da venerdì, subito dopo la sentenza dei giudici supremi, nove stati americani hanno immediatamente vietato l’aborto nella gran parte dei casi e si prevede che nei prossimi giorni o nelle prossime settimane altri 12 stati faranno lo stesso.

Si tratta di Stati a guida repubblicana che avevano già varato restrizioni durissime sull’interruzione di gravidanza. 

Divieti scattati subito

In Kentucky, Louisiana e South Dakota il divieto è entrato in vigore immediatamente dopo che la Corte Suprema ha emesso la sua sentenza, mentre in Arkansas, Missouri e Oklahoma qualche ora dopo a seguito della certificazione ufficiale da parte dei procuratori.

In Alabama, dopo la decisione dei massimi giudici, un tribunale ha dichiarato valido un divieto che era stato bloccato.

Il divieto è entrato in vigore anche in Wisconsin e in Nort Utah, ad eccezione che nei casi di stupro, incesto e se la vita della donna è in pericolo. 

Prossimi divieti

Con il ribaltamento della sentenza «Roe v. Wade» è molto probabile che l’aborto verrà proibito o comunque fortemente limitato anche in altri dodici stati, secondo una ricostruzione del New York Times. Alcuni di questi avevano a loro volta pronta una «trigger law» che dovrebbe entrare in vigore a giorni, come nel caso del Mississippi, lo stato da cui era partita la causa esaminata dalla Corte Suprema. O entro un mese dalla decisione, come nel caso dell’Idaho, del North Dakota e del Texas, che già l’anno scorso aveva introdotto una legge estremamente restrittiva. In quest’ultimo stato le cliniche hanno già smesso di praticare aborti, come pure in Arizona, Alabama, Arkansas, Kentucky, Missouri, South Dakota, West Virginia e Wisconsin. 

Stati incerti

Infine altri nove stati stanno discutendo della possibilità di vietare o comunque limitare il diritto all’interruzione di gravidanza, tra cui Pennsylvania, Kansas e Indiana: le loro scelte impatteranno sulla vita di 11 milioni di donne in età riproduttiva.

L’ex sindaco Giuliani aggredito

L’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani e’ stato aggredito e schiaffeggiato dal commesso di un supermercato di Staten Island. Secondo quanto riferito dal dipartimento di Polizia di New York, Giuliani è stato aggredito alle spalle e schiaffeggiato durante un evento a sostegno della campagna govenatoriale di suo figlio, Andrew Giuliani. L’aggressore, un commesso 39enne della catena di supermercati ShopRite, è stato arrestato dopo l’incidente, e verrà incriminato per aggressione di secondo grado, essendo Giuliani un ultra-65enne. Secondo la testimonianza dello stesso Giuliani, prima di aggredirlo l’uomo ha gridato più volte «ucciderete le donne»: un evidente riferimento alla sentenza della Corte Suprema che ha abolito la sentenza Roe v. Wade e restituito agli Stati Usa il potere decisionale in materia di aborto. Il pronunciamento della Corte, lo scorso venerdì 24 giugno, ha innescato durissime proteste da parte del fronte pro-aborto sull’intero territorio degli Stati Uniti.

 Aborto, perché la Corte suprema ha sbagliato. Sabino Cassese su Il Corriere della Sera il 26 giugno 2022.  

Nel Paese in cui è stato maggiormente enfatizzato il ruolo creativo dei giudici, dove si insegna che il diritto è quello che stabiliscono i tribunali, piuttosto che quello che decidono i parlamenti, proprio i giudici supremi si sono spogliati del proprio potere e l’hanno delegato ai cinquanta parlamenti degli Stati. 

La maggioranza dei giudici della Corte suprema americana ha «ridato il potere di regolare o proibire l’interruzione volontaria della gravidanza al popolo e ai suoi rappresentanti eletti», come ha scritto nella sua sentenza del 24 giugno scorso. Invece, la minoranza dissenziente ha osservato con amarezza che ora «uno Stato può forzare una donna a portare a termine la gravidanza anche se deve affrontare i più grandi costi personali e familiari, anche se il feto ha le più gravi anomalie o è il frutto di uno stupro o della violenza commessa da un padre su una giovane figlia».

Il presidente della Corte si è dissociato osservando che la maggioranza ha fatto un passo che non era necessario, mentre avrebbe dovuto autolimitarsi.  La Corte suprema, contestando sé stessa, ha scritto una delle più brutte pagine della storia della giustizia costituzionale e ha messo in crisi il modello che essa ha rappresentato nel mondo.

La sentenza che aveva permesso l’aborto, riconosciuto come diritto della donna, era di cinquant’anni fa. Era stata confermata da un’altra sentenza del 1992. I 28 casi citati dalla maggioranza a sostegno della propria tesi, in cui la Corte ha radicalmente modificato il proprio orientamento, si fondavano su precedenti decisioni della Corte stessa.

La sentenza e le opinioni concorrenti e dissenzienti mostrano che la Corte americana è divenuta più simile a un Parlamento che a un tribunale: prevalgono gli schieramenti sui ragionamenti; le tesi sono sostenute con acredine e in modo apodittico, senza evitare contrapposizioni e cercare il compromesso (proposto dallo stesso presidente). I tribunali sono solitamente organi collegiali perché lì si deve esercitare l’arte di ascoltare, convincere, cercare accordi, ragionare, ponderare, mostrare l’equilibrio non i muscoli, decidere incrementalmente, aiutando il progresso civile, non opponendovisi o imponendosi ad esso.

Questa decisione ha mostrato tutti i difetti della Corte suprema (che hanno contribuito a ridurre della metà la fiducia della popolazione). I suoi giudici hanno solo una provenienza: sono nominati dal presidente, con il consenso del Senato. Una provenienza, quindi, eminentemente politica. Sono nominati a vita e lasciano la carica solo per morte o dimissione. Ma questo consente ai singoli giudici di stabilire quando lasciare libero il posto, in modo che il successore sia nominato da un presidente e da un Senato dello stesso orientamento. La nomina senza durata, che doveva servire ad assicurare l’indipendenza dei giudici, si è rovesciata, diventando un modo per consentire la continuità dell’influenza politica sulla Corte. Infatti, l’attuale presidente degli Stati Uniti ha nominato una commissione con l’incarico di riesaminare le norme sulla Corte.

Il terzo paradosso messo in luce da questa sentenza è più generale. Nel Paese in cui è stato maggiormente enfatizzato il ruolo creativo dei giudici, dove si insegna che il diritto è quello che stabiliscono i tribunali («judge – made law»), piuttosto che quello che decidono i parlamenti, proprio i giudici supremi si sono spogliati del proprio potere e l’hanno delegato ai cinquanta parlamenti degli Stati.   

Questa decisione evidenzia la bontà della soluzione scelta dai costituenti italiani nel decidere come comporre la Corte costituzionale e di quella del sistema politico-costituzionale italiano nell’introdurre nel nostro Paese la disciplina dell’interruzione volontaria di gravidanza. Infatti, la Costituzione italiana prevede che i giudici abbiano tre diverse provenienze: siano per un terzo nominati dal presidente della Repubblica, per un altro terzo eletti dal Parlamento e per l’altro terzo dalle supreme magistrature. Quanto alla disciplina dell’interruzione volontaria di gravidanza, ad essa si è arrivati con un processo lento, che ha visto l’intervento prima, nel 1975, della Corte costituzionale; poi del Parlamento nel 1978, con la legge numero 194; poi del popolo con i due referendum del 1981, e, infine, nuovamente della Corte costituzionale con la sentenza numero 35 del 1997. L’«iter» ha coinvolto popolo, Parlamento e Corte costituzionale. L’errore delle forze politiche americane è stato quello di pensare che la disciplina di un tema così sensibile potesse essere lasciata per mezzo secolo soltanto alla decisione della Corte Suprema del 1973. In conclusione, la Corte suprema americana, con questo atto eversivo, rovesciando una sua decisione di mezzo secolo fa e contestando sé stessa, ha ammesso che i giudici non hanno quel ruolo supremo o finale che viene illustrato in tutte le «Law School» americane, perché esso spetta ai rappresentanti dei cinquanta Stati (creando così forti diseguaglianze tra i cittadini appartenenti alle diverse zone del Paese), ed ha anche contribuito alla disgregazione della federazione, stabilendo che una questione tanto importante, su un diritto fondamentale, non va presa a Washington.

Roe vs. Wade, la storia del giudice Thomas, che disse: «Rovinerò la vita ai progressisti». Matteo Persivale su Il Corriere della Sera il 26 giugno 2022.  

Il giudice della Corte Suprema Usa, repubblicano, che ha firmato il parere che ha cancellato Roe, fu accusato di molestie a ridosso della sua nomina. Passò per un pelo. 

Clarence Thomas è un uomo di parola: «I progressisti mi hanno rovinato la vita per 43 anni; adesso io rovinerò la loro per i prossimi 43», disse nel 1993 ai suoi assistenti. Arrivò alla Corte Suprema nel 1991, appena 43enne per l’appunto, e i giudici supremi restano in carica a vita: da allora la sua vendetta verdiana, da Rigoletto con la toga, si è articolata attraverso un’impressionante serie di sentenze allineate con le istanze della destra americana più estrema.

Thomas — uno dei nove giudici che hanno annullato «Roe vs. Wade», la sentenza che garantiva il diritto all’interruzione di gravidanza nei vari Stati, ndr — non è un’anomalia del sistema, è il frutto di una strategia lucidissima di interessi precisi: una proposta politica che indicasse nel 1787 il modello di Paese sarebbe improponibile in parlamento, ma non nel sistema giudiziario. Allora è stata formata dal partito repubblicano una generazione di giudici-attivisti (ottimamente finanziata dall’opaca Federalist Society) decisi per statuto a riportare la Costituzione americana a quello che la destra vede essere il suo spirito originario, scevro cioè della maggior parte dei diritti che nei secoli successivi si sono aggiunti al nucleo di quelli del 1787 (in origine la Costituzione prevedeva, tra le altre cose, che votassero solo i proprietari terrieri maschi, che le donne stessero a casa e i neri in catene; niente Stato sociale, etc).

Thomas, «originalista», offre al partito garanzie assolute non soltanto in materia politica ma anche temperamentale: la sua sete di vendetta nei confronti dei progressisti che cercarono – goffamente, e invano – di affondarne la storica nomina alla Corte Suprema lo anima dal 1991.

George Bush padre, moderato nordista trapiantato in Texas, pagò pegno alla base più ideologizzata che gli aveva garantito l’elezione nel 1988, terzo mandato repubblicano dopo i due, storici, di Ronald Reagan. Andava in pensione un’icona dei diritti civili, il giudice Thurgood Marshall protagonista dell’affrancamento degli afroamericani dalla segregazione razziale degli Stati del Sud, e Bush padre (che aveva già mandato alla Corte Suprema un moderato del nordest in sintonia con le sue idee e anche il suo stile, il centrista David Souter) decise di sostituirlo con un uomo che con Marshall aveva in comune soltanto il colore della pelle: Thomas.

Umilissime origini, un’istruzione di lusso ottenuta grazie alle corsie preferenziali per le minoranze (corsie che dal 1991 cerca appena può di chiudere), funzionario ministeriale reaganiano, giudice federale per soli 18 mesi finché non viene scelto per la Corte Suprema.

Il 43enne non appare agli analisti come un genio della giurisprudenza ma le audizioni davanti al Senato (a maggioranza democratica: la Storia ha un crudele senso dello humour) cominciano sotto discreti auspici finché una professoressa universitaria che aveva lavorato per lui lo accusa di averla ripetutamente molestata e bersagliata con battute grevi.

Le audizioni senatoriali diventano un circo e la professoressa Hill da testimone finisce imputata, l’impressione generale dei senatori (tutti maschi, bianchi) che la interrogano senza pietà è che si tratti dell’intemerata di un’ex amante assetata di vendetta (non è vero). «È un linciaggio», grida Thomas, probabilmente la mossa vincente perché evoca linciaggi (non mediatici, veri) sui quali l’America bianca aveva allora come adesso molto da farsi perdonare.

Alcuni democratici (pochi, ma bastano) decidono che votare contro un nero pare brutto, e così anche grazie alla clamorosa debolezza del capo-commissione democratico, il senatore del Delaware Joe Biden (qui il crudele sense of humour della Storia ha fatto il bis), Hill viene derubricata a «un po’ mattocchia e un po’ zoccoletta» secondo un sicario giornalistico dei repubblicani poi pentito, David Brock. Thomas esce ammaccato ma vivo dalla commissione, il Senato al completo vota, e la nomina passa di pochissimo, 52 a 48, grazie all’aiuto democratico.

Da allora Thomas si scatena, duettando con la moglie Ginni, attivista e organizzatrice non pentita del fallito golpe del 6 gennaio 2021. Ora la sinistra democratica ne invoca l’impeachment della Camera ma è pura follia immaginare che due terzi dei senatori lo caccino dalla Corte. E Thomas continua così la lunga marcia dei suoi 43 anni di vendetta, «tremenda vendetta, di quest’anima è solo desio, di punirti già l’ora s’affretta», una sentenza dopo l’altra, con l’America del 1787 nel cuore. 

La crociata del giudice Thomas: dopo l’aborto i matrimoni gay. Diritto alla contraccezione e unioni civili nel mirino della toga ultra conservatrice. In gioventù era un libertariano anti-razzista, oggi guida l’offensiva reazionaria. Daniele Zaccaria su Il Dubbio il 28 giugno 2022.

«Dobbiamo riformare tutta la giurisprudenza sui diritti, dobbiamo correggere gli errori», promette il giudice della Corte Suprema americana Clarence Thomas che non riesce a nascondere la soddisfazione dopo lo storico voto di venerdì scorso che ha annullato la Roe vs, Wade che, da 49 anni, stabiliva il diritto legale all’interruzione di gravidanza.

Poco importa che la decisione dell’alta corte abbia scatenato un’eccezionale ondata di proteste in tutto il Paese, o che lo stesso presidente Biden l’abbia definita «una sciagura», secondo il 74enne Thomas, che si fa forte della maggioranza di toghe conservatrici (Neil M. Gorsuch, Brett M. Kavanaugh, Amy Coney Barrett e Samuel A. Alito), la stagione dei diritti civili è finita. E non mostra remora ad andare allo scontro con il governo, I prossimi obiettivi del giudice sono d’altra parte molto chiari anche se per il momento rimangono opinioni personali.

Come ha ripetuto più volte ai media statunitensi vorrebbe annullare altre tre pietre miliari della giurisprudenza d’oltreoceano che negli ultimi decenni hanno contribuito a costruire plicata architettura dei diritti civili. Ovvero la Griswold v. Connecticut del 1965 che permette liberamente di ricorrere alla contraccezione, la Lawrence v. Texas (2003) che revoca il divieto a contrarre matrimoni tra persone dello stesso sesso, e la Obergefell v. Hodges (2015) che autorizza i matrimoni omosessuali su tutto il territorio federale da tempo bersaglio grosso della destra religiosa.

All’appello mancherebbe soltanto la Loving vs. Virginia, una sentenza del 1967 che abolisce il Racial Integrity Act del 1924, ponendo così fine al divieto di matrimonio inter- raziale. Ma sarebbe un paradosso anche per il tetragono Thomas, che è un afroamericano sposato con una donna bianca.

La consorte si chiama Virginia Thomas ed è un’avvocata d’affari molto influente (lo stesso Thomas è stato assunto come legale dalla multinazionale Monsanto per diversi anni; tra il novembre del 2020 e il gennaio 2021 si è dannata anima e corpo per raccogliere le “prove” che avrebbero dovuto invalidare l’elezione di Joe Biden.

Nell’entourage democratico in molti la sospettano di aver avuto un ruolo primario nell’organizzazione dell’assalto al palazzo del Congresso di Washington del 6 gennaio 2021, ma la commissione d’inchiesta del Senato non ha trovato indizi concreti di un suo coinvolgimento attivo. Naturalmente speciale è stato il feeling tra Thomas e l’ex presidente Donald Trump che ha difeso con fermezza nell’inchiesta sull’assalto a Capitol Hill, opponendosi alla procedura di incriminazione del tycoon.

Nominato da Bush padre nel 1991 dopo anni di servizio alla Corte d’appello del distretto di Columbia e poi al ministero dell’educazione, Thomas, che in gioventù aveva addirittura fondato un sindacato studentesco vicino alle black panther, proviene da una cultura politica libertariana. Da ragazzo era un sostenitore di Martin Luther King e un militante antirazzista, ma da fervente cattolico non amava i movimenti di sinistra. Poi ha preso una traiettoria tutta sua e nel corso degli anni si è progressivamente spostato su posizioni conservatrici se non apertamente reazionarie.

Pare che la prima svolta ideologica di Thomas sia avvenuta all’inizio degli anni 70, durante le violente contestazioni contro la guerra in Vietnam, che lo hanno avvicinato al partito repubblicano perché «disgustato» dalle proteste studentesche. Poi la laurea in diritto, le consulenze nel mondo degli affari, i ruoli istituzionali, insomma una folgorante carriera che lievita parallela ai 14 anni di presidenze Reagan- Bush fino al prestigioso approdo della Corte suprema. Probabilmente tra i suoi colleghi solo il giudice Kavanaugh è più a destra di lui, ma non possiede un’oncia della sua autorità e del suo carisma: sarà dunque Thomas a dettare i tempi delle prossime iniziative dell’alta corte. Con la prospettiva di un durissimo scontro con la Casa Bianca e con un pezzo di società americana.

Una Corte "orientata" che ribalta la Storia. La guerra ideologica colpisce l'Occidente. Paolo Guzzanti il 25 Giugno 2022 su Il Giornale.

Giudici conservatori decisivi. Il Paese lacerato, lo scontro sui diritti e le ricadute internazionali.  

Le immagini che arrivano dall'America mostrano i riots, i tumulti nelle strade in tutte le grandi città con la polizia schierata poco convintamente contro una gran quantità di donne non soltanto nere che protestano contro una legge temutissima e dannatamente lacerante come quella emessa dalla Corte Suprema che ha abolito l'aborto come diritto federale lasciando così ai singoli Stati la possibilità di metterlo al bando o limitarlo secondo diversi criteri. Questa decisione della Corte suprema americana avrà un pessimo impatto sulla politica internazionale perché gli Usa avevano finora goduto anche del prestigio di Paese più liberale in materia di diritti civili, essendo l'aborto considerato dalla maggior parte delle donne del mondo come un diritto non alienabile. Tutti i Paesi emergenti hanno praticato politiche abortive per motivi anche economici (in Cina mancano all'appello 180 milioni di donne a causa degli aborti selettivi nell'epoca del maoismo).

Gli Stati più conservatori come già sta facendo il Texas - chiuderanno tutte le procedure per l'aborto libero e specialmente quelle su feti ormai maturi per nascere, ma si vedono in strada e su tutti gli schermi televisivi anche gli attivisti Pro Life, che si sono sempre battuti contro l'aborto che in America rappresenta una questione non soltanto di diritti ma investe anche la questione razziale. Negli Stati del Sud molti leader neri, specialmente donne, da tempo si sono levate contro l'aborto totalmente permissivo e di immediato accesso per - sostengono loro - distruggere la riproduzione degli afroamericani. La questione ha avuto sviluppi molto laceranti che da noi sarebbero incomprensibili e che hanno visto tra i protagonisti della contestazione all'aborto molti difensori della collettività nera, ma anche delle comunità latino-americane.

La decisione dipende dal fatto che sotto Trump e poi ancora più recentemente il numero dei componenti conservatori della Corte ha superato quello dei progressisti, benché la materia ha a che fare soprattutto con divisioni religiose ed etniche. Si contrappongono diversi modelli di cultura ebraica, come anche le diverse convinzioni delle comunità native in genere ostili alle pratiche abortive perché considerate genocide.

L'aspetto razziale della questione dell'aborto è in genere quello più incomprensibile per noi europei: non soltanto Negli Stati Uniti ma anche in Brasile e in molti paesi di cultura latina e indigena le cliniche abortive sono vissute come abominevoli centrali di compagnie farmaceutiche e di imprese a vario titolo biologiche, le quali hanno un dimostrato interesse ai lucrosi proventi dei materiali umani ricavabili dagli aborti di massa. Negli Stati del Sud le minoranze afroamericane accusano i bianchi di avere accoppiato due sistemi per impedire alla società nere di incrementarsi e strutturarsi. Il primo è quello di un aborto servito a domicilio con una catena di strutture installate nelle aree marginali delle periferie urbane. E la seconda consiste nella pratica di compensare ogni ragazza nera incinta dall'età di 14 anni con un sussidio per garantire la sua vita e quella di suo figlio, col risultato di avere un'intera popolazione di donne sole che hanno messo al mondo cinque o sei figli destinati alla marginalità senza alcuna possibilità di costruire una famiglia.

Ciò che separa l'America bianca dall'altra di colore è l'idea costante che i bianchi altro non vogliano che limitare o impedire la procreazione delle razze meno gradite. Ciò non vuol dire che le donne nere o latine siano contente di questa decisione che non nasce certamente da un desiderio filantropico ma da quello di dar ragione ai movimenti antiabortisti e Pro Life che nel corso degli anni si sono fatti sempre più violenti, arrivando ad attaccare le cliniche abortiste con le armi e in qualche caso uccidendo vittime innocenti.

Il paese è dunque spaccato. Fino a ora il diritto all'aborto era considerato comunque un traguardo raggiunto universalmente e un diritto di tutte le donne. Ora non è più così. 

La svolta sull’aborto infiamma la guerra culturale negli Usa. Roberto Vivaldelli su Inside Over il 24 giugno 2022.

La decisione della Corte Suprema Usa di cancellare la sentenza Roe vs Wade, che dal 1973 garantisce su scala federale la facoltà per le donne incinte di praticare l’aborto, riaccende la “guerra culturale” fra progressisti e conservatori che imperversa negli Stati Uniti. Una decisione storica che, inevitabilmente, polarizzerà più di quanto non lo sia ora il dibattito americano fra i due schieramenti, con tensioni ideologico-politiche che potrebbero sfociare anche in violenze. A testimoniarlo, le reazioni di queste ore. I media e gli organi di stampa conservatori non hanno nascosto la loro gioia per la notizia. “Lode a Dio”, ha twittato la caporedattrice del Federalist, Mollie Hemingway. “Il Paese ha un enorme debito verso tutti gli attivisti per i diritti umani pro-vita, studiosi, avvocati, politici, genitori, pastori, operatori sanitari, ecc., che hanno lavorato per 50 lunghi e duri anni per portare il Paese a questo momento di liberazione da Roe. Grazie”, ha aggiunto.

E i conservatori festeggiano

“Questo è un giorno straordinario per i diritti umani in America. È una vittoria per la gentilezza, la decenza e l’umanità, e una sconfitta per la crudeltà”, ha scritto Dan McLaughlin di National Review. “Un giorno glorioso assoluto per la vita in America! Lode a Dio!”, ha twittato il caporedattore di NewsBusters Curtis Houck.

“È un grande giorno per la vita. Un grande giorno per il ripristino della giurisprudenza costituzionale. È semplicemente un grande giorno”, ha detto l’ex procuratore americano Andrew McCarthy. Intervistato da Fox News, anche l’ex presidente Donald Trump ha elogiato la decisione della Corte Suprema. “Questo è seguire la Costituzione e restituire i diritti quando avrebbero dovuto essere dati molto tempo fa”, ha detto Trump a Fox News. “Dio ha preso la sua decisione” ha aggiunto, rimarcando il fatto che ora la palla passa agli stati federali. Trump gioisce perché è, di fatto, uno degli artefici di questa svolta storica: durante la sua presidenza ha infatti nominato alla Corte Suprema i giudici conservatori Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett.

Con quelle nomine, ricorda Fox News, la corte è diventata a maggioranza conservatrice, con il giudice capo John Roberts, il giudice Samuel Alito, il giudice Clarence Thomas, Gorsuch, Kavanaugh e Barrett. L’evangelista cristiano Franklin Graham, Ceo e presidente di Samaritan’s Purse, nonché Ceo e presidente della Billy Graham Evangelistic Association, ha dichiarato che la “sinistra radicale chiede una notte di rabbia, i centri per la gravidanza sono già stati vandalizzati e attaccati e i nostri giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti sono presi di mira con minacce e intimidazioni”. Ha poi aggiunto: “Roe v. Wade, approvata 49 anni fa, ha provocato la morte di oltre 63 milioni di bambini innocenti in questo paese. Purtroppo, questa decisione non pone fine all’aborto, ma riporta la battaglia negli Stati Uniti”.

Obama e i progressisti all’attacco

Anche l’ex presidente Barack Obama ha deciso di far sentire la sua voce. “Oggi, la Corte Suprema non solo ha annullato quasi 50 anni di storia, ma ha relegato la decisione più personale che una persona possa prendere ai capricci di politici e ideologi, attaccando le libertà essenziali di milioni di americani”, ha affermato Obama in una nota. “Da più di un mese sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato, ma questo non lo rende meno devastante”, ha continuato. La governatrice di New York Kathy Hochul ha commentato la decisione della Corte Suprema dichiarando il suo stato un “porto sicuro” per coloro che vogliono abortire, riaffermando il suo impegno per il diritto all’aborto e definendo la decisione dei giudici “ripugnante”. Per il New York Times, la democrazia americana è a rischio. “È attraente credere che i giudici possano elevarsi al di sopra della politica, interpretando la legge e nient’altro, e rimanere indifferenti alle conseguenze delle loro decisioni. Ma è chiaro che nel corso degli anni la Corte Suprema è diventata l’ennesima istituzione partigiana” si legge.

La svolta storica della Corte Suprema

Come ha spiegato Andrea Muratore su InsideOver, la Corte Suprema ha stabilito che non esiste alcun diritto costituzionalmente garantito all’aborto negli Stati Uniti, dove manca una legge ad hoc a quasi mezzo secolo dalla sentenza del 1973 che garantì una facoltà mai normata da una legge di carattere nazionale. La Roe vs Wade impediva a qualsiasi Stato federale di promuovere leggi capaci di abolire sul suo territorio l’interruzione di gravidenza, demandando ai singoli membri dell’Unione la decisione sulle leggi da promuovere in forma più o meno restrittiva.

La sentenza della corte è arrivata nel caso cruciale Dobbs vs Jackson Women’s Health Organization, in cui l’ultima clinica per aborti nel Mississippi si è opposta agli sforzi dello stato dell’America profonda di vietare l’interruzione delle gravidanze dopo 15 settimane e di rovesciare Roe, risultando sconfitta nel processo.

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Biden: “Un giorno triste per gli Usa. Sull’aborto un grave errore”. Francesca Salvatore su Inside Over il 24 giugno 2022.

In queste ore negli Stati Uniti si fa la storia, ma nel senso inverso. Dopo la fuga di notizie chiacchieratissima del maggio scorso, la decisione sembrava nell’aria ma non così imminente: quest’oggi, invece, la Corte Suprema ha definitivamente ribaltato la sentenza Roe vs Wade che dal 1973 è stata il baluardo dell’America pro-choice e che per quasi mezzo secolo ha consentito l’aborto entro le 24 settimane di gravidanza.

La decisione

Eliminata la garanzia della storica sentenza, e in assenza di una legge federale sul tema, quasi la metà degli Stati potrebbe mettere al bando o limitare severamente l’aborto a seguito della decisione. Altri Stati prevedono di mantenere regole più liberali nel regolare l’interruzione di gravidanza. “La Costituzione non conferisce il diritto all’aborto e l’autorità di regolamentare l’aborto viene restituita al popolo e ai suoi rappresentanti eletti”, si legge nel parere reso pubblico e scritto dal giudice Samuel Alito. I tre giudici liberal – Stephen Breyer, Sonia Sotomayor e Elena Kagan – hanno votato contro: “Con dispiacere – per questa Corte, ma soprattutto per i molti milioni di donne americane che oggi hanno perso una fondamentale protezione costituzionale – dissentiamo”.

Un colpo di scena che promette di gettare sale sulle ferite di un’America scollata e spaccata a metà, e che andrà esacerbando i toni e modi delle elezioni di mid term. Un altro duro colpo alla presidenza Biden e al mondo progressista.

“Un giorno triste”

Biden si presenta alla conferenza stampa abbattuto, con un filo di voce, ma stranamente fermo. Lo definisce un giorno triste per la Corte quello appena passato, e rispolverando il linguaggio tipico del costituzionalismo americano bolla la decisione della Corte come un “attentato alla privacy”: in effetti è proprio attorno al concetto di privacy che negli Stati Uniti è nato l’humus fertile ai diritti delle donne su temi come aborto e contraccezione. La privacy del corpo inteso come luogo sacro, come confine invalicabile tra noi e gli altri, tra la scelta personale e la norma o la morale.

Il presidente lancia un allarme: ora le donne americane sono a rischio, perché è a rischio non solo la loro scelta ma la loro salute. Ne fa una questione bipartisan: cita le tre grandi presidenze repubblicane (Nixon, Reagan, Bush) sotto le quali la Roe vs Wade ha prosperato come garanzia di legge. E indica un responsabile, a chiare lettere, di questo ribaltamento: Trump e il trumpismo, che aleggia come un fantasma nella composizione della Corte Suprema. Un’ideologia estrema la definisce Biden, poichè l’abolizione del diritto costituzionale all’aborto ha dimostrato quanto la maggioranza conservatrice all’interno della Corte suprema sia “estrema, e quanto le sue idee siano distaccate dalla realtà e dalla popolazione”. Questo ribaltamento costituzionale, secondo la Casa Bianca, costringerà le donne “a tenere i figli dei loro stupratori”, “renderà attive le leggi degli Stati che bandiscono l’aborto”. Stessa cosa dicasi per i casi di incesto. Biden allarga la visuale e la battaglia anche alla salute femminile intesa nel senso più ampio, passando per la tutela del diritto alla contraccezione e alle cure femminili.

Il presidente promette battaglia: “Roe is on the ballot!” ripete più volte, annunciando di fare qualsiasi cosa in suo potere per ripristinare un diritto riconosciuto federalmente. Ma ribadisce anche l’impossibilità per il presidente di agire da solo, rimandando a senatori e deputati la responsabilità e il potere di metterla ai voti una volta per tutte. “Tuttavia, la battaglia non è finita: la mia amministrazione farà tutto il possibile per difendere i diritti delle donne, ma un’azione del Congresso è fondamentale e con il voto alle prossime elezioni di medio termine i cittadini possono avere l’ultima parola”. Prima di congedare la stampa, il presidente ha ribadito due punti: il primo, rifiuto di qualsiasi forma di violenza, minaccia o intimidazione chiedendo che qualsiasi protesta si tenga pacificamente; con il secondo, prendendo posizione: “I stand with you!”, grida alle donne d’America.

Biden ha scelto davvero questa battaglia?

Il panorama giuridico adesso si complica. Se c’è chi preannuncia già uno scenario in stile Il racconto dell’ancella, quello che più facilmente accadrà nei prossimi mesi sarà una spaccatura netta tra Stati progressisti e Stati conservatori. Se i primi continueranno a garantire l’accesso all’aborto e a tutti i canali legati alla maternità e alla contraccezione consapevole, nelle aree dominate da Governi repubblicani e dalla forte impronte evangelica, il rischio è che non solo l’aborto venga vietato ma perfino l’accesso alla contraccezione, con grave pregiudizio della salute femminile. Si assisterà a veri e propri spostamenti in massa di donne che cercheranno di abortire oltre frontiera e un’impennata di aborti clandestini.

Biden sembra aver scelto la sua battaglia interna, optando per una simbologia interna che ancora sembrava assente. Eppure, non sono in molti a credere che il presidente abbraccerà questa lotta senza se e senza ma: numerosi osservatori notano che Biden stenti ad usare il termine “aborto” e che nel suo discorso ci sia stato, ad onor del vero, uno shift verso il tema ben più generale della salute della donna.

“È tempo che questo Presidente dichiari ciò che sta accadendo come un fallimento morale in questo paese e come una crisi della salute pubblica e dei diritti umani. È oltre il punto di fare politica. È tempo di pronunciare la parola aborto ad alta voce”, ha affermato la rappresentante dello stato del New Mexico, Michaela Lara Cadena. Il New Mexico, uno Stato senza alcun tipo di restrizioni all’aborto, è candidato a ricevere un alto afflusso di pazienti dagli stati vicini come il Texas.

Il presidente ora si trova sotto la pressione dell’ara radicale dei dem e del ondo dell’attivismo pro-choice. Nelle settimane precedenti la sentenza, discutendo con i lawmakers, a Biden sono state fornite diverse opzioni alternative per fronteggiare l’eventuale ribaltamento della Roe. Fra queste, ad esempio, consentire ai fornitori di aborti di lavorare dalla proprietà federale; oppure, fornire  finanziamenti federali alle donne per viaggiare fuori dallo Stato, opzione che ha il potenziale di entrare in conflitto con l’emendamento Hyde, la legge che proibisce il finanziamento federale all’aborto in quasi tutti i casi. Altre opzioni sono apparse più fattibili, incluso rendere più facile per le donne ottenere pillole abortive per posta. Ma restano gli ostacoli legali.

Per gli Stati Uniti e per la Casa Bianca si prepara un autunno caldo: c’è da scommettere che l’aborto sarà protagonista del mid term e della corsa per il 2024.

Diane Derzis: «Le mani sull’aborto negli Usa? È spaventoso ed è solo l’inizio. Ora le donne ricominceranno a morire». «Tenete tutti alta la guardia. Se può accadere qui, può accadere ovunque» dice la proprietaria dell’unica clinica in Mississippi in cui si pratica l’interruzione di gravidanza. E che è al centro del caso su cui si è espressa la Corte Suprema. «Sono quarant’anni che ci minacciano in nome di Dio, ma non mi fermerò». Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni su L'Espresso il 6 maggio 24 giugno 2022.  

AGGIORNAMENTO 24 GIUGNO 2022: La Corte Suprema Usa ha abolito la sentenza Roe v Wade che garantiva il diritto di interrompere la gravidanza a livello federale e in vigore da 50 anni. Ora ogni Stato potrà legiferare sul tema

«Ho sempre pensato che prima o poi sarebbe successo. Ora ci siamo e non so se sono pronta. È spaventoso». Diane Derzis scandisce bene l’aggettivo con la voce roca: «spaventoso». Vuole che afferriamo la portata del terremoto sociale che sta scuotendo gli Stati Uniti. «Se la Corte Suprema dovesse davvero confermare il ribaltamento della Roe contro Wade, in una nazione avanzata come l’America molte donne ricominceranno a morire perché non potranno accedere in sicurezza a una procedura medica che è stata disponibile negli ultimi cinquant’anni. Saranno costrette di nuovo agli aborti clandestini o dovranno fare le valige e viaggiare». 

Derzis è proprietaria dell’unica clinica che in Mississippi - uno stato di tre milioni di abitanti – pratica l’interruzione volontaria di gravidanza. È lei la donna che da oltre quarant’anni, schivando picchetti di manifestanti imbufaliti e trappole legislative non meno rabbiose, accudisce l’autodeterminazione delle donne del sud conservatore. «È il 2022 e stiamo tornando indietro» sbotta sconfortata quando la raggiungiamo al telefono. È esausta, sono giornate di fuoco. Il suo ambulatorio, la Jackson Women’s Health Organization, è al centro del caso che la Corte Suprema sta esaminando, ovvero la costituzionalità di una legge del 2018 dello Stato del Mississippi che vieta l’aborto dopo 15 settimane di gestazione. La decisione è attesa tra la fine di giugno e l’inizio di luglio. È molto probabile che Derzis perderà. E questa sconfitta, dai confini del Mississippi si espanderà a tutta l’America. Nei giorni scorsi, infatti, il sito Politico ha reso pubblico un documento in bozza a firma del giudice conservatore Samuel Alito sul parere della maggioranza delle toghe che ripudia la Roe contro Wade. Se questa sentenza storica - che dal 1973 garantisce il diritto di aborto - dovesse veramente cadere, in assenza di una legge federale in merito, la decisione sarà completamente rimandata agli Stati. 

Abbiamo davanti un’America spaccata: da una parte ci sono gli Stati democratici che proteggeranno l’aborto in tutti i modi; l’altra metà, quella più conservatrice, è pronta a vietarlo o a limitarlo pesantemente, incluso il Mississippi, ma anche ad esempio il Texas e l’Oklahoma. Che ne sarà della sua clinica?

«Ci trasferiremo. Ho comprato una struttura in Nuovo Messico dove questo diritto è protetto, stiamo allestendo l’ambulatorio. Di sicuro non mi fermerò. Bisognerà raccogliere fondi affinché le donne possano viaggiare in altri Stati. Tra queste ci sono tante persone che non hanno disponibilità economiche; le più vulnerabili, ovvero donne di colore in condizioni di povertà che di certo non possono permettersi un biglietto aereo per New York. È la parte più triste di questa storia. Dovremo lavorare sul fronte legale. Mi aspetto anche arresti, perché in alcuni Stati sarà proibito andare ad abortire fuori. Mi auguro solo che tutto ciò svegli la gente».

Cosa risponde a chi, come Alito, sostiene che nella Costituzione non ci sia cenno all’aborto come diritto?

«È un argomento ridicolo. Gioverebbe ricordare che le uniche persone menzionate nella Costituzione sono gli uomini. Non le donne, né i neri. La carta originale non permetteva agli afroamericani di votare. La verità è che puntano al controllo delle donne. Ci vogliono fuori dalla forza lavoro, sperano di tornare indietro a quando non avevamo scelta».

Cosa controbatte a chi ritiene di proteggere la vita?

«Non credo che gli importi dei bambini. Se fosse così, finanzierebbero programmi per prendersene cura. L’unica preoccupazione è quel che accade prima della nascita. Non c’è empatia, non capiscono che una parte dell’America non è come loro.

Pro-life contro pro-choice, in questo Paese il confronto non è sempre solo dialettico.

Le minacce non mancano. Nel 1998 hanno ucciso una delle guardie della mia clinica a Birmingham in Alabama. Ho visto in prima persona cosa sia capace di fare questa gente in nome di Dio. Ma Dio non ha niente a che vedere con questa violenza.» 

A novembre ci saranno le elezioni di metà mandato. L’aborto è uno dei temi più divisivi in questo Paese, cosa si aspetta alle urne?

«Spero che lo sconvolgimento di queste settimane spingerà la gente ad andare a votare per blindare la maggioranza al senato e permettere l’approvazione del Women's Health Protection Act che garantisca l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza. Biden ha detto molto chiaramente che è pro-choice ma può fare poco da solo. Vorrei avere fiducia nel popolo americano, ma non ce l'ho».

Il 70% degli americani pensa che sia una scelta che andrebbe lasciata alla donna e al suo medico. Le proteste e l’opinione pubblica potrebbero portare la Corte a un ripensamento?

«No, credo che sia la posizione finale. Non vedrò mai l’aborto legalizzato in tutto il Paese ed è una cosa terrificante».

Cosa farà l’America progressista nelle prossime settimane?

«È bene che sia in allerta. Il timore più grosso è che questa lotta contro l'aborto sia parte di un movimento più ampio. È tutto legato insieme: diritti delle donne, delle minoranze. È solo l'inizio. Credo davvero che siano in pericolo anche la comunità Lgbtq, il matrimonio e le adozioni gay. Siamo a un bivio della nostra storia. Credo anche che tutte le nazioni progressiste debbano tenere alta la guardia. Se può accadere qui, può accadere ovunque».

"Sui diritti non si può mai rimanere fermi, altrimenti si torna indietro". Sentenza contro l’aborto, Italia tra timori e gioia: “Qui troppi obiettori”, “Grazie Trump”. Redazione su Il Riformista il 24 Giugno 2022 

Come conseguenza della storica sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti di abolire il diritto costituzionale all’aborto, che da oggi verrà deciso dai singoli Stati americani, “c’è il rischio di morte per aborti clandestini“. La decisione (6 contro 3) dei giudici statunitensi scatena indignazione e timori in Italia, con i Radicali che riaccendono i riflettori su alcune mancanze che riguardano il rispetto della legge 194 in Italia (che riguarda appunto il diritto all’interruzione di gravidanza) e i rischi di un’inversione di tendenza anche nel nostro Paese.

Per Emma Bonino di Più Europa si tratta di una “sentenza politica” con “le associazioni sia antiabortiste che abortiste in agitazione da mesi. La sentenza della Corte Suprema dopo 50 anni cancella il diritto di aborto negli Usa a livello federale, perdendo così il livello di costituzionalità. Ora saranno i singoli Stati, un po’ come avviene in Europa, basti pensare a Polonia e Ungheria – osserva Bonino -, oltre ai rigurgiti antiabortisti anche nel nostro Paese, a disciplinare questa libertà”.

“È sicuramente un passo indietro e la mia solidarietà va alle donne americane che si ritrovano nella stessa situazione di decenni fa con una sentenza tutta intrisa di politica, visto che i giudici eletti erano stati nominati dall’amministrazione Trump”.

“Ma – ammonisce la leader di Più Europa – questa sentenza è un richiamo forte anche per noi, donne e uomini in Italia ed in Europa: sui diritti non si può mai rimanere fermi, se non si va avanti si rischia di andare indietro. Se non si conquistano maggiori spazi di libertà e responsabilità, il rischio è di perdere conquiste che sembravano immodificabili. Dobbiamo esserne tutte e tutti consapevoli, anche nelle battaglie politiche, perché non è vero che ‘sono tutti uguali’, specialmente sui diritti e delle donne in particolare”.

Sulla stessa lunghezza d’onda Giulia Crivellini, radicale e promotrice della campagna ‘Libera di Abortire’, secondo cui quanto avvenuto dimostra che “i diritti che sembrano acquisiti possono essere sottratti alle persone da un momento all’altro. Ci sono percentuali altissime di obiettori di coscienza e numerose giunte regionali, come quelle di Marche e Abruzzo, che sfruttano le zone grigie della legge per impedire nei fatti l’accesso all’aborto”.

Gioisce invece il senatore leghista Simone Pillon secondo il quale la “famosa sentenza Roe vs. Wade” era “fondata su un caso falso, che aveva autorizzato l’aborto negli Stati Uniti. L’aborto volontario non è un diritto. Nella sentenza, approvata 6 contro 3, si legge che ‘la costituzione non fa alcun riferimento all’aborto, né il nessun diritto del genere è implicitamente protetto da alcuna previsione costituzionale, incluse quelle su cui si basano i difensori di Roe e Casey'”. Poi rincara: “Ora portiamo anche in Europa e in Italia la brezza leggera del diritto alla vita di ogni bambino, che deve poter vedere questo bel cielo azzurro. Lavoreremo per questo, senza metterci contro nessuno ma restando dalla parte delle mamme, dei papà e dei loro bambini”. Infine Pillon ringrazia il “presidente Trump, che non ha mai fatto mistero di voler difendere la vita nascente, nominando giudici pro life alla Corte Suprema”.

Parole che vengono in parte smentite dal leader della Lega Matteo Salvini, scettico su quanto affermato dalla Corte Suprema degli Usa: “Credo nel valore della vita, dall’inizio alla fine, ma – dice – a proposito di gravidanza l’ultima parola spetta sempre alla donna”.

Usa, storica sentenza della Corte Suprema: annullato il diritto all’aborto. Biden parla alla nazione. Redazione venerdì 24 Giugno 2022 su Il Secolo d'Italia.

Come era stato anticipato a maggio, la Corte Suprema degli Stati Uniti con una sentenza storica ha di fatto annullato il diritto all’aborto fino a 24 settimane. L’annullamento riguarda la sentenza Roe vs Wade che da 50 anni garantisce alle donne il diritto ad interrompere la gravidanza. “La Costituzione non garantisce un diritto all’aborto”, si legge nella sentenza appoggiata dalla maggioranza conservatrice della Corte. Che ribadisce inoltre che “l’autorità di regolare l’aborto torna al popolo ed ai rappresentanti eletti”, vale a dire autorizza gli stati alla possibilità di vietarlo.

“La Roe è stata sbagliata in modo eclatante sin dall’inizio” ha scritto nell’opinione della maggioranza il giudice Samuel Alito riferendosi alla sentenza del 1973. “La sua argomentazione era eccezionalmente debole, ed ha avuto dannose conseguenze – ha scritto ancora – e piuttosto che portare ad un accordo nazionale sulla questione dell’aborto, ha infiammato il dibattito ed aumentato le divisioni”.

Con questa decisione, destinata a provocare un enorme terremoto politico e sociale negli Stati Uniti, i sei giudici conservatori hanno quindi confermato la legge approvata dal Mississippi che vieta l’aborto dopo le prime 15 settimane, che è in contrasto con quanto stabilito dalla Roe, che lo rende possibile fino a 24 settimane.

Sono oltre una ventina gli Stati, in maggioranza in stati del Sud e Mid West a guida repubblicana, che hanno approvato leggi restrittive sull’aborto, o veri e propri divieti. Leggi che sono state di fatto legittimate dalla decisione di oggi della Corte Suprema. Una sentenza che rappresenta una vittoria storica per il movimento conservatore e pro life americano che per anni ha lavorato in questa direzione.

Tra i primi a criticare la scelta è stato Barack Obama: “Oggi la Corte suprema non solo ha annullato quasi 50 anni di precedenti, ha relegato la decisione più intensamente personale che qualcuno possa prendere ai capricci di politici e ideologi, attaccando le libertà essenziali di milioni di persone”. Il presidente Joe Biden ha annunciato che terrà un discorso alla nazione in serata.

“Questo è un giorno monumentale per la sacralità della vita”, commenta invece su Twitter l’attorney generale del Missouri, Eric Schmitt, annunciando che “a seguito della decisione della Corte Suprema di annullare Roe vs Wade, il Missouri è il primo a mettere fine all’aborto”.

“Oggi è un giorno storico, ma noi ricordiamo i 60 milioni di vite innocenti perse – ha aggiunto Schmitt che ha postato la foto mentre firma la misura – c’e’ stato molto lavoro dietro le quinte per raggiungere questa incredibile vittoria”.

Oltre al Mississipi – ha scritto di recente Vanity fair – nel luglio 2021 ha suscitato molte proteste la legge del Texas, che, oltre a vietare l’aborto dal momento in cui è percepibile il battito fetale (intorno alle sei settimane), ha introdotto una ricompensa di 10 mila dollari a chiunque denunciasse un’interruzione di gravidanza illegale.

Attualmente la norma delle sei settimane è stata votata in Idaho, Georgia, Ohio, Kentucky e Louisiana. In Missouri sale a otto settimane. Alabama e in Oklahoma hanno approvato la legge più restrittiva: l’aborto è sempre vietato, anche in caso di stupro o incesto, tranne nei casi in cui sia a rischio la vita della gestante.

Giulia Mattioli per repubblica.it il 24 giugno 2022.

È un’esperienza che, purtroppo, vivono tantissime donne. Eppure è circondata da un assordante silenzio, che porta chi la subisce a sentirsi tremendamente sola, inadeguata, a soffrire in segreto, e a viverla come un fallimento, una colpa: commentando un post su Instagram Sharon Stone fa luce sul dramma dell’aborto spontaneo, e riassume in poche righe quello che pensano moltissime donne che lo hanno vissuto. L’attrice si apre sotto un post del magazine People che racconta l’esperienza dell'aborto vissuta da Peta Murgatroyd (ballerina di un programma televisivo americano), la quale confessa di aver provato, oltre ad un immenso dolore, un grande imbarazzo, un senso di vergogna.

Sharon Stone replica scrivendo: “Noi donne non abbiamo uno spazio per parlare della profondità di questa perdita. Ho perso 9 bambini a causa di aborti spontanei. Non è una cosa da nulla, fisicamente ed emotivamente, e nonostante questo rimane qualcosa che dobbiamo sopportare da sole e segretamente, e con un certo senso di fallimento”. Anche Meghan Markle aveva scelto di raccontare pubblicamente il suo aborto spontaneo, avvenuto nel 2020, per contribuire ad abbattere i tabù che ancora permeano questo evento.

“Per guarire avremmo bisogno di ricevere compassione ed empatia” prosegue Sharon Stone, “ma il sistema sanitario è nelle mani dell’ideologia maschile, che è negligente, nel migliore dei casi, o addirittura ignorante, o persino violentemente oppressiva in certi casi”. L’attrice aveva già raccontato in passato di aver vissuto il dramma dell’aborto spontaneo, e di aver fatto richiesta di adozione del primo dei suoi figli proprio di ritorno dall’ospedale dopo una di queste brutte esperienze. Attualmente Sharon Stone ha tre figli adottivi: Roan, Laird e Quinn.

Molti dei commenti che seguono quello di Sharon Stone sono dello stesso tenore (come spesso accade quando una donna si apre sui social rispetto a questo tema), e raccontano il dolore profondo, ben più profondo di quanto sia socialmente riconosciuto, oltre alla sensazione di solitudine, di fallimento. Il tema della salute riproduttiva femminile e delle ripercussioni che certi percorsi hanno sulla psiche delle donne in tempi recenti viene sollevato sempre più spesso da testimoni e attiviste stanche di trovarsi ad avere a che fare con un sistema sanitario pensato su misura per gli uomini. 

Rossello Gesa per “Libero quotidiano” il 25 giugno 2022.

Il presidente del Paese più importante del mondo ha bisogno della badante. Non è una cattiveria, ma una confessione dello stesso Joe Biden. Giovedì, durante una riunione con alcuni vertici dell'industria dell'eolico, il presidente americano ha sfoggiato un papello predisposto dallo staff con istruzioni dettagliate. «Siediti al TUO posto», «Limita i commenti a due minuti», «Fai una domanda» a tizio, «Ringrazia i partecipanti», «Esci». 

Ben più della prassi a scanso di equivoci. Parte dell'imbarazzo è il fatto che Biden abbia mostrato questa "road map per dummy", esponendosi al tiro a segno del ridicolo.

Ora, i presidenti americani sono noti per le gaffe. Da manuale di storia quelle di Richard M. Nixon, da "Rischiatutto" quelle di George W. Bush Jr. Ma questo non ha impedito mai di sfoderare leadership forti. Con Biden è diverso.

Che sia suonato è evidente da tempo, che spesso non sia all'altezza è lampante dall'insediamento. Ma che abbia bisogno della velina persino per trovare l'uscio di casa è inquietante. 

Il rispetto dovuto alla sua età è fuori discussione e sta oltre ogni partigianeria. Ma il punto è: se Biden non è in grado, chi comanda alla Casa Bianca? Il ghost writer dei poveri che gli ha preparto la noticina? Sarebbe il minore dei mali. Il peggio è se Biden fosse un fantoccio degno del XXV Emendamento alla Costituzione (quello che permette di sollevare un presidente dall'incarico per incapacità) tenuto in vita politica artificiale per motivi opachi.

Niente incappucciati, complotti e "masserie" alla Checco Zalone: bastano le cronache. Che ricordano che, benché il vicepresidente federale non sia di per sé affatto carta da parati, Biden al fianco di Barack Obama lo fu eccome. Poi è tornato in auge quando media, Sinistre e sfascisti di ogni sorta si sono fusi per fare la forca a Donald Trump. Evidentemente mancava uno stallone più focoso. Oppure serviva un brocco sfiancato: non forse da sostituire al momento buono, quanto da manovrare. 

Gli indici hanno puntato spesso sulla vice, Kamala Harris, vista come terminale di un mondo estremista incapace di conquistare la titolarità del potere, ma bravo a esercitarlo dietro la sagoma di cartone di Biden. Che infatti l'Amministrazione Biden sia tutt' altro che centrista lo dimostrano la foga con cui la Casa Bianca sostiene l'aborto a ogni costo, il radicalismo gender e persino un "burro e cannoni" che nemmeno i falchi di un tempo. E questo è evidente pur sostenendo la necessità di armare la resistenza ucraina, benché sia chiaro che i falchi liberal abbiano a cuore ben altro che il bene degli ucraini.

Epperò il pregresso di Biden al Senato ricorda un altro uomo. E quindi, o la sua vecchiaia va rispettata ma magari non messa in capo alle sorti del mondo, oppure altri agiscono dietro di lui. Il Pentagono? L'establishment del Partito Democratico deciso alla "guerra civile" dopo la cancellazione della sentenza «Roe w. Wade»? I loro potenti finanziatori, da Silicon Valley a Hollywood? Il difficile è soprattutto capire verso quale meta siano diretti ora. Sul bigliettino di Biden giovedì non c'era scritto. 

Usa, mobilitazioni in ogni città contro la revoca del diritto all’aborto. Il Dubbio il 25 giugno 2022.

Stati Uniti attraversati da marce di proteste e di tensioni, dopo la decisione della Corte Suprema che ha revocato il diritto all’aborto, in vigore da quasi cinquant’anni. Da Washington a New York, da Los Angeles a Phoenix sono decine di migliaia i cittadini scesi in piazza.

A New York sono almeno venti le persone arrestate dopo la marcia di protesta organizzata ieri lungo le strade della città. Tensioni ci sono state vicino a Bryant Park, nel cuore di Manhattan. Al raduno organizzato a Lower Manhattan c’erano anche la comica Amy Schumer e la Procuratrice generale dello stato Letitia James, appena eletta nel consiglio comunale della Grande Mela. «Non torneremo indietro ai giorni in cui usavamo i ganci di filo metallico», ha urlato dal palco la donna, rivelando di aver abortito quasi due decenni fa. «Il diritto di controllare i propri corpi è un diritto fondamentale sancito dal 14esimo emendamento», ha aggiunto la politica democratica.

A Los Angeles i manifestanti pro-aborto hanno marciato lungo la 110 Freeway, una delle strade più importanti, bloccando il traffico. Nella capitale Washington centinaia di persone di entrambi gli schieramenti, pro e contro l’aborto, si erano radunate già dal mattino davanti alla Corte Suprema. Un attivista in favore dell’aborto, Guido Reichstadter, si è arrampicato sul Frederick Douglass Memorial Bridge, e ha postato video e foto sui social dalla sommità del ponte, dopo aver disteso un grande striscione verde. «Sono salito qui sopra – ha detto in una diretta su TikTok – perchè la Corte Suprema ha lanciato un attacco vigliacco e anticostituzionale ai diritti delle donne in questo Paese».

A Phoenix i manifestanti, che si erano radunati attorno al palazzo del Congresso statale, sono stati dispersi con i lacrimogeni dopo un tentativo di fare irruzione nell’edificio del Senato. In molte città le zone dove si trovano i palazzi governativi e le Corti supreme statali sono presidiate da polizia e soldati in assetto anti sommossa

A. Gua. Per “il Messaggero” il 25 giugno 2022.

Prima lo shock, poi il rimboccarsi le maniche. Nell'arco di poche ore le donne americane hanno cominciato a reagire pragmaticamente alla storica decisione della Corte Suprema che dopo 49 anni cancellava il diritto costituzionale all'aborto. Mentre gli antiabortisti cantavano vittoria e ringraziavano Iddio della vittoria, i pro-choice hanno cominciato a versare contributi e presentare offerte di volontariato alle associazioni che garantiranno aiuto alle donne intrappolate negli Stati repubblicani ed evangelici che da ieri hanno chiuso ogni accesso all'interruzione volontaria della gravidanza.

 Fondi per finanziare il viaggio a chi abbia bisogno di interrompere una gravidanza erano già stati creati quando il documento era trapelato durante l'inverno, ma ieri sono stati inondati da contributi record. Numerose aziende di spicco hanno immediatamente confermato di aver incluso nei propri pacchetti di assicurazione medica anche la garanzia di pieno rimborso per un viaggio al fine di ottenere un aborto.  

Impossibile elencare tutte quelle che compaiono nell'elenco, ma basti riassumerne alcune, da Netflix a LeviStrauss, da Disney a Sony, da Tesla a JPMorgan Chase. La metà dei lavoratori americani sono donne, in buona parte ancora in età fertile, e le aziende in questione hanno concordato che imporre loro una gravidanza non voluta andrebbe non solo contro i diritti della donna, ma sarebbe anche una scelta perdente per le stesse aziende.

 Il presidente Biden ha detto ieri che darà ordine al Dipartimento di Giustizia di assicurarsi che i diritti delle donne che vogliano viaggiare in cerca di un aborto non vengano ostacolati, fatto peraltro possibile considerato che alcuni degli Stati più estremisti nella loro convinzione anti-abortista imporranno anche divieti di spostamento oltre i confini statali per cercare laborto altrove. 

Per questo ci sono regioni del Paese, più liberal, che stanno organizzandosi, un po' come è successo all'inizio della pandemia. Stati del nord-est come New York, New Jersy, Connecticut, Massachusetts, promettono di accogliere e aiutare le donne che provengano da Stati repressivi, tutti raccolti nel sud e nel centro. All'altro capo dell'America i governatori della California, Oregon e Washington hanno firmato un impegno multi statale per la libertà riproduttiva, impegnandosi a proteggere le donne che cercheranno assistenza nei loro tre stati.

I tre governatori si impegnano a non collaborare con gli Stati repressivi se questi chiedessero l'arresto di donne sfuggite per cercare un aborto. In California si sta anche creando un fondo di sostegno pratico per aiutare a coprire i costi logistici del viaggio mentre associazioni di volontari si impegnano a offrire ospitalità e assistenza per le donne che arrivassero dagli Stati antiabortisti e repressivi come il Texas, l'Oklahoma, il Mississippi, il Missouri o l'Alabama.

 Molte voci di leader femminili si sono incrociate ieri, fra lo sgomento e la rabbia: «Questa sentenza crudele è oltraggiosa e straziante. Ma non commettete errori: a novembre voteremo sui diritti delle donne e di tutti gli americani» ha reagito la speaker della Camera Nancy Pelosi. La ex first lady, Michelle Obama ha detto che la decisione è «orribile» e «deve essere una sveglia, specie per i giovani...Se cedete adesso, erediterete un Paese che non assomiglia a voi e a nessuno dei valori in cui credete». 

Dal canto suo Hillary Clinton ha parlato di «un passo indietro per i diritti delle donne e i diritti umani». «Dobbiamo temere per tanti altri diritti ha detto la vicepresidente Kamala Harris -. Abbiamo sempre sognato di allargare i diritti nel nostro Paese, ora dobbiamo ergerci insieme per difenderli, a cominciare dal diritto alla libertà e al diritto di decidere per noi stessi». Anche nel mondo dello spettacolo e della cultura le reazioni sono state di preoccupazione: «Per tanti decenni abbiamo lottato per i diritti sul nostro corpo, la decisione di oggi ce ne ha private» ha scritto la popolare cantante Taylor Swift. 

La senatrice dem liberal Elizabeth Warren ha dal canto suo lanciato una proposta al presidente Biden, che potrebbe tagliare le gambe agli Stati più restrittivi: concedere in quegli Stati l'apertura di cliniche per l'aborto in terreni o costruzioni federali. Poco dopo che Warren aveva avanzato questa proposta, altri senatori l'hanno sostenuta. 

Aborto negli Usa, da Lizzo a Spielberg, star mobilitate: pioggia di dollari in difesa dell’interruzione di gravidanza. Viviana Mazza su Il Corriere della Sera il 21 Agosto 2022.

Dopo la vittoria in Kansas dei «pro-choice» altri Stati chiamano gli elettori a scegliere sull’aborto 

Il regista Steven Spielberg e la moglie, l’attrice Kate Capshaw, hanno donato 25mila dollari ciascuno al fronte per il diritto all’aborto, che ha stravinto (59% contro 41%) nel referendum in Kansas il 2 agosto. È stato il primo referendum statale sull’aborto da quando la Corte Suprema ha rovesciato la sentenza Roe v. Wade, che lo tutelava a livello federale. Ora che la responsabilità è passata agli Stati, molti altri prevedono di chiamare direttamente gli elettori a scegliere di proteggerlo o vietarlo nella loro Costituzione. 

Chiamati ad approvare un emendamento che dichiarasse che la Costituzione del Kansas non protegge il diritto all’aborto (il che avrebbe consentito al parlamento statale di introdurre ulteriori restrizioni), gli elettori si sono rifiutati. Gli anti-abortisti hanno sostenuto che la loro causa è stata sconfitta dai soldi arrivati dalle élite liberal extra-statali. Ciascuno dei due fronti ha speso circa 11 milioni di dollari. L’aiuto di Spielberg non è l’unico da Hollywood.

Planned Parenthood, associazione che assiste le donne che vogliono abortire e che ha investito anche in questo referendum, ha ricevuto negli ultimi mesi un milione di dollari dalla cantante Lizzo , 250 mila da Ariana Grande e ogni mese Mila Kunis versa denaro a nome dell’ex vice di Trump, Mike Pence (solo per fare qualche esempio). Hanno contribuito anche l’ex sindaco di New York ed ex candidato alla presidenza Michael Bloomberg (1,25 milioni), l’associazione Sixty Thirty Fund che finanzia cause progressiste (1,5 milioni) e una trentina di gruppi e individui. Sul fronte opposto, la Chiesa cattolica ha versato 4,3 milioni di dollari.

I fondi sono cruciali in una battaglia Stato per Stato che si preannuncia lunga. Ma la vera sorpresa in Kansas è stata la scelta moderata sull’aborto in uno Stato che Donald Trump conquistò con 15 punti di vantaggio. Invece i sondaggi pre-referendum suggerivano che l’elettorato fosse spaccato, facendo presagire un testa a testa, osserva Nathan Cohn, l’esperto in analisi statistiche del New York Times. Quattro Stati del Sud — Louisiana nel 2020, Alabama e West Virginia nel 2018, Tennessee nel 2014 — avevano approvato emendamenti costituzionali, scegliendo in modo opposto al Kansas. Dunque, suggerisce il giornalista, la fine di Roe v. Wade ha energizzato l’elettorato democratico su un tema che normalmente motiva i repubblicani. Cohn calcola che se un referendum come quello del Kansas venisse proposto nel resto della nazione, oggi con l’eccezione di 7 Stati tutti gli altri voterebbero per tutelare il diritto all’aborto. Ma diversi esperti politici e costituzionali restano più cauti, nota il Pew Research Center. Quel che ha funzionato in Kansas potrebbe non valere in Stati dove ci sono già maggiori restrizioni all’aborto. Sarà importante vedere cosa succede in Kentucky, dove Trump ha vinto con 26 punti di vantaggio, e dove a novembre, alle elezioni di midterm, i cittadini saranno chiamati anche a votare sulla proposta di un emendamento costituzionale simile a quello del Kansas.

Sempre a novembre, California e Vermont approveranno invece quasi certamente di inserire nelle costituzioni statali il diritto all’aborto. In Michigan, la governatrice Gretchen Whitmer è riuscita a impedire l’entrata in vigore di una legge del 1931 che lo criminalizza senza eccezioni per stupro o incesto e che sarebbe stata attivata con l’abolizione di Roe; ma la decisione del giudice può essere rovesciata. Perciò una petizione forte di 750mila firme (il doppio del necessario) mira alla tutela nella Costituzione dello Stato. Non è certo che passi, ma i conservatori sembrano temerlo e cercano di bloccarla per un errore tipografico.

Un sondaggio mostra come per il 62% degli americani l’aborto debba essere legale nella maggior parte dei casi. Il Kansas mostra che la questione non segue nettamente l’affiliazione ai partiti. Bisognerà guardare caso per caso.

Ecco chi sono i giudici che hanno stoppato l'aborto in America. Francesca Galici il 25 Giugno 2022 su Il Giornale. Per anni hanno nascosto la loro posizione sull'aborto e ora sono al centro della polemica: chi sono i giudici della Corte suprema che hanno cambiato la storia 

La discussione sulla decisione della Corte suprema americana di ribaltare la storica sentenza Roe contro Wade, che stabiliva fin dal 1973 il diritto costituzionale all'aborto negli Stati Uniti, ha sollevato un polverone di polemiche a livello mondiale. Definito da più parti un "terremoto costituzionale", è destinato a spaccare ulteriormente l'America, provocando rivolte e proteste che sono già cominciate il tutto il Paese e non solo. La sentenza conferisce ai singoli Stati il potere di stabilire le proprie leggi sull'aborto, senza più preoccuparsi di entrare in conflitto con la sentenza Roe contro Wade, che per quasi mezzo secolo aveva consentito l'aborto entro 24 settimane di gravidanza. Ora i riflettori sono puntati sui giudici che hanno ribaltato cinquant'anni di storia.

L'unica donna presente nel council responsabile della decisione è anche l'ultima arrivata. Si chiama Amy Coney Barrett, proviene dalla Louisiana, ha 50 anni ed è di religione cattolica. Ha 7 figli, di cui 2 adottati, ed è stata nominata nel 2020 da Donald Trump. Il legame tra il giudice e l'ex presidente degli Stati uniti appare molto forte, considerando che è stato lo stesso Trump a volere Coney Barrett alla Corte d'appello nel 2017.

Una Corte "orientata" che ribalta la Storia

Quello che in queste ore negli Stati uniti viene contestato al giudice è che durante le audizioni per la conferma, lei non ha mai rivelato la sua posizione in merito all'aborto. Anzi, si è allineata agli altri candidati sottolineando l'importanza del principio "stare decisis", che indica la fedeltà al precedente giurisprudenziale vincolante negli ordinamenti del common low. Coney Barrett ha preso il posto di Ruth Bader Ginsburg alla sua morte, quando il 57enne Brett Kavanaugh venne considerato il più progressista dei conservatori. Ex assistente di Ken Starr, Kanaugh veniva posizionato più spostato verso i conservatori anche rispetto a Neil Gorsuch, parte della Corte dal 2017. Anche loro in sede di conferma avevano dimostrato lealtà al principio "stare decisis".

La sentenza di ieri, però, dimostra che niente è solido e tutto può essere modificato. A spiegare bene questo orientamento è stato il giudice Samuel Alito, uno dei membri anziani arrivati alla Corte suprema nel 2006 sotto la gestione Bush. In base a quanto da lui dichiarato, quel principio ha "un ruolo considerevole ma non assoluto". Un passaggio fondamentale per capire come si possa essere arrivati alla decisione, ben noto anche all'altro membro anziano, Clarence Thomas, da 31 anni giudice della Corte suprema.

La decisione del 1973. Cos’è la sentenza Roe v. Wade, la storica decisione sull’aborto abolita dalla Corte Suprema USA. Antonio Lamorte su Il Riformista il 24 Giugno 2022. 

La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha abolito la storica sentenza Roe v. Wade della stessa Corte che aveva legalizzato l’aborto nel 1973. “La Costituzione non conferisce il diritto all’aborto”, recita la decisione presa con sei voti favorevoli e tre contrari anticipata a inizio maggio da uno scoop di Politico. Da oggi i singoli Stati saranno liberi di applicare le loro leggi in materia.

Il diritto all’aborto era stato sancito con una storica sentenza quasi 50 anni fa. La Corte Suprema aveva riconosciuto il diritto della donna texana Norma Leah McCorvey di interrompere la gravidanza dopo che un gruppo di avvocati guidati da Sarah Weddington fu contattato dalla donna incinta del suo terzo figlio. A rappresentare lo Stato del Texas era l’avvocato Henry Menasco Wade.

La sentenza venne pronunciata il 22 gennaio del 1973 e rese legale a livello federale il diritto all’aborto per la donna come libera scelta personale. Prima di allora ogni Stato aveva una propria legislazione in materia. Almeno in trenta l’aborto era considerato un reato di common law, basato sui precedenti giurisprudenziali e non sui codici. In soli quattro Stati bastava la richiesta della donna.

Jane Roe era lo pseudonimo di McCorvey. Il nome venne scelto per tutelarne la privacy. Era nata nel 1947 in Louisiana ed era cresciuta a Houston, in Texas. Era scappata di casa a 18 anni, si era sposata e aveva avuto due figlie. Era incita del terzo figlio, di un uomo che lei definiva come molto violento, quando gli amici la convinsero a chiedere al tribunale di poter abortire. E di raccontare di essere stata vittima di stupro per ottenere l’aborto. Il Texas permetteva all’epoca l’aborto in caso di stupro e incesto. Non essendoci alcun rapporto della polizia sulle violenze la richiesta fu respinta.

Le legali fecero ricorso alla Corte Distrettuale dello Stato che diede ragione a Roe a partire dal IX Emendamento della Costituzione in cui si dichiara che l’elenco dei diritti individuali può essere integrato da altri diritti, non specificamente menzionati nella Costituzione. Wade fece ricorso a sua volta alla Corte Suprema. La decisione fu presa a maggioranza di sette giudici a due su un’interpretazione del XIV Emendamento che riguardava il diritto alla privacy inteso come diritto alla libera scelta per quanto riguarda le questioni della sfera intima di una persona.

“La corte ha dichiarato nullo lo statuto sull’aborto in quanto vago ed eccessivamente lesivo nei confronti di coloro che si appellano al Nono e al Quattordicesimo Emendamento”. Quella decisione rispondeva alla possibilità di abortire anche in assenza di problemi di salute della donna, del feto e di ogni altra circostanza che non fosse libera scelta della donna.

Secondo la sentenza l’aborto doveva essere possibile fino al momento in cui il feto non poteva sopravvivere al di fuori dell’utero materno, e quindi fino al terzo trimestre. Il termine sarebbe stato prorogato oltre tale limite in casi di pericolo per la salute della donna. McCorvey divenne dopo la sentenza simbolo e attivista del diritto d’aborto. Dopo la conversione alla Chiesa evangelica negli anni ’80 cambiò completamente posizione come quando qualche anno dopo si convertì al cattolicesimo. Prima di morire, a 69 anni nel 2017, disse di essere stata pagata da un’associazione religiosa per schierarsi attivamente contro l’aborto.

Il divieto di aborto è atteso entrare in vigore in 13 stati americani nei prossimi 30 giorni. I 13 stati possono vietare l’aborto in 30 giorni eccetto nei casi in cui la vita della madre è in pericolo. Il Missouri ha annunciato di essere il “primo” stato a vietare l’aborto, che ora è illegale anche in Texas con effetto immediato. È intanto esplosa la protesta all’esterno della Corte Suprema degli Stati Uniti. Un gruppo di anti-abortisti hanno accolto la sentenza con esultanze e abbracci. Tre dei sei giudici repubblicani che hanno votato contro la “Roe v. Wade” erano stati nominati dall’ex presidente Donald Trump. I tre nominati dal Partito Democratico hanno votato contro.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

Paolo Giordano: «Aborto, il più fragile dei diritti che riguarda tutti noi». Paolo Giordano su Il Corriere della Sera il 26 Giugno 2022.

Sono nato e cresciuto in un momento in cui il diritto all’aborto era un pilastro, e la sua messa in discussione un tabù. Oggi però la corrente spinge in senso opposto. E anche qui - non solo negli Usa - non possiamo sentirci al sicuro. 

Fra i diritti della modernità — quei diritti che ci fanno sentire fortunati di vivere in un presente per molti versi difficile —, il diritto all’aborto è il più fragile di tutti. 

Lo è sempre stato. 

E non tanto, come si ritiene comunemente, per la «delicatezza» del tema, per le aree di coscienza personale che investe e per quanto sia difficile stabilire scientificamente dove inizia la vita umana, quanto per la mole di pregiudizi — quasi tutti di matrice sessista — che attiva ancora in noi. 

Il più odioso di tutti, sotteso a molte posizioni dei gruppi di destra e dei movimenti pro vita, è che l’aborto sia in fin dei conti una via comoda, quasi sempre la riparazione di una sbadataggine, e comunque evitabile. 

A più di quarant’anni dall’approvazione della 194, l’aborto è ancora qualcosa di cui non si parla, mai, neppure in privato, con la sola eccezione degli ambienti femministi. È un rimosso obbligatorio non solo per le donne che lo affrontano da sole ma perfino per le coppie stabili. 

Se la legge ne ha sancito ormai da tempo la possibilità, la cultura non è mai riuscita a cancellarne i corollari di vergogna, di sconfitta, anzi peggio, di colpa. 

Per questo, ancora oggi, viene implicitamente accettato che l’aborto non debba essere del tutto indolore, almeno non psicologicamente, che qualsiasi forma di ripensamento debba essere indotta nella donna, anche quando sconfina nell’aggressione mentale. 

Da qui, le contiguità con i reparti di ostetricia, le mini odissee e le piccole umiliazioni, e sempre da qui lo scontento mai smaltito di alcuni verso l’introduzione della pillola RU486. 

Nel libro Mai dati, l’indagine di Chiara Lalli e Sonia Montegiove sullo stato dell’applicazione della 194 in Italia, le autrici ci ricordano che l’interruzione volontaria di gravidanza «è un servizio medico». 

Ma illustrano anche come si stia trasformando sempre di più «in una questione di coscienza — del medico, ovviamente, perché la donna che abortisce forse la coscienza non ce l’ha». 

Insomma, la 194 esiste ed è espletata, ma è anche avvolta in una nebbia. Una nebbiolina morale, appunto, che la tiene separata da ciò che è considerato davvero opportuno. Che rende la situazione difforme sul territorio nazionale e i dati reali inconoscibili. Una nebbia che non si sta affatto diradando, anzi. 

E tuttavia, nel giorno buio in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rovesciato la sentenza Roe vs. Wade , ci siamo sentiti abbastanza al sicuro. Povera America, che sprofonda nel proprio oscurantismo. Noi, qui, abbiamo la 194, forse non è perfetta ma nessuno oserà mai toccarla, perché il progresso va avanti e non indietro, la consapevolezza cresce e non diminuisce, i diritti si conquistano e non si perdono. In fondo, troviamo confortante perfino l’estremismo di esponenti come il senatore Pillon: finché certe idee sono appannaggio di personaggi così, significa che sono relegate ai margini del dibattito pubblico, dove non fanno danni. Poco importa che, con quelle stesse opinioni, flirtino a diversi livelli i partiti di cui quegli esponenti fanno parte, e la destra tutta. Poco importa che la decisione della Corte Suprema sia una tappa eclatante di un percorso che va avanti da molti anni, anche in Europa, vicinissimo a noi. E poco importa che la Chiesa, che proprio ai margini del dibattito non è, l’abbia accolta, pur con tutte le cautele retoriche del caso, con la massima gioia. Come si dice in questi casi: la Chiesa fa la Chiesa, non possiamo mica pretendere. 

Facendo qualche passo indietro per osservare il quadro nel suo complesso, la situazione è tutt’altro che rassicurante. E dovrebbe portarci a concludere che no, non siamo poi così al sicuro neppure qui. La tutela delle ragazze e delle donne nel nostro Paese non è così al sicuro. Non lo era giorni fa, e lo è meno che mai da venerdì scorso. 

Non solo. È ingenuo pensare che la decisione della Corte negli Stati Uniti non abbia già innescato una serie di conseguenze a distanza. Da venerdì, l’idea dell’aborto è un po’ meno legittima anche nella mente di tutti noi, e quel senso subliminale d’illegittimità filtrerà rapidamente nella coscienza delle generazioni più giovani (generazioni alle quali sono già state sottratte molte forme di educazione alla sessualità, alla contraccezione, e la cui libertà di scelta è già in parte compromessa). Aumenteranno la confusione, la paura, il disprezzo di sé, la solitudine. Perché l’aborto è una delle esperienze di solitudine peggiore a cui si possa pensare. Una sentenza emessa al di là dell’Atlantico ha già aggravato il peso psicologico delle ragazze e delle donne che questa settimana, il prossimo mese o fra un anno decideranno di abortire qui. Sconteranno ancora più pesantemente una scelta che il nostro codice riconosce come legittima. 

Il presidente Biden ha detto: «It’s not over», non è finita. Ci mancherebbe che lo fosse. Ma aggrapparsi al suo tenue spirito combattivo, così come alle immagini delle proteste a Washington, ha un sapore perdente. Sentenze come Roe vs. Wade, del 1973, e leggi come la nostra, del 1978, sono state possibili in un periodo storico molto specifico, trascinate da un flusso. Oggi non esiste nemmeno un briciolo della propulsione ideologica di quel tempo. Al contrario, tutto suggerisce che la corrente spinga in senso opposto. Da anni, in Italia, non c’è un avanzamento davvero significativo sul fronte delle libertà civili. E ciò che viene perso sembra essere perso e basta. 

All’inizio, lo ammetto, avevo scritto «eroso»: «ciò che viene eroso», ma rileggendo mi sono accorto che anche quel termine denunciava un modo di ragionare obsoleto. È proprio questo il punto: siamo abituati a pensare che i nostri diritti fondamentali possano essere al più «erosi», ma questo non è più il tempo dell’erosione: oggi i pezzi della montagna si staccano e crollano al suolo. In un istante. 

Sono nato e cresciuto in un momento in cui il diritto all’aborto era un pilastro, un assioma, e la sua messa in discussione un tabù. Che per alcuni si tratti di una visione estremista m’interessa poco: ho assorbito il principio per cui qualsiasi tentativo di limitare il diritto di scelta della donna in materia di interruzione della gravidanza non è davvero per la salvaguardia di un’altra vita, ma ha solo un intento punitivo e controllante. Il mio primo ostacolo — il mio e suppongo quello di molti e molte — è innanzitutto credere che qualcosa del genere stia capitando. Ma così è. Occorre imparare il più velocemente possibile come si vive su un piano inclinato al contrario, come ci si aggrega veramente e come si protesta mentre il mondo scivola. Un’indicazione semplice eppure non ovvia l’ha data la scrittrice Rebecca Solnit, reagendo alla sentenza della Corte: «Quelli di noi che non sono sotto attacco diretto devono stare dalla parte di coloro che lo sono». Semplice. Quelli che non sono sotto attacco diretto (o almeno non ci si sentono) sono tanto per cominciare la metà maschile della popolazione. 

Fra i diritti della modernità, il diritto all’aborto è il più fragile di tutti. Lo è sempre stato. Proprio per questo è un diritto segnante della nostra civiltà. Togliamo quel diritto, indeboliamolo anche solo, e vedremo che no, tutto il resto non si regge comunque in piedi.

Mario Ajello per “il Messaggero” il 25 giugno 2022.  

Emma Bonino si fa mandare dall'America i documenti della storica sentenza della Corte Suprema. «La notizia mi ha sconvolto, ma voglio capire bene di che cosa si tratta perché sembra davvero incredibile». Arrivano sulla sua mail i testi del pronunciamento dei giudici e a quel punto la storica leader dei Radicali - mentre guarda in tivvù le prime manifestazioni di protesta delle donne e dei movimenti abortisti - traccia il bilancio di questa «brutta storia». 

Onorevole Bonino, si aspettava questa decisione?

«Non mi aspettavo il punteggio. Il 6 a 3, nel collegio dei giudici, è un risultato molto largo e per niente buono. Da mesi le associazioni abortiste erano molto agitate, evidentemente a ragione. Negli Stati Uniti l'aborto era un diritto federale. Questa sentenza demanda invece la questione ai vari Stati membri. Che è un po' la situazione che c'è in Europa. Dove ogni Paese Ue decide per sé sull'aborto. Per esempio la Polonia ha fatto una legge ultra-restrittiva». 

Si azzera con la sentenza americana uno dei punti, che parevano fermi, ottenuti dalle lotte delle donne?

«Siamo certamente a un passo indietro nella protezione dell'aborto. Questo dimostra che i diritti non stabiliti una volta per sempre, non sono scritti nel marmo. Se non li difendi, non li curi, non li proteggi continuamente, ti svegli una mattina e non ci sono più. C'è un reportage molto bello del New York Times che spiega a questo punto che cosa potrà fare Biden per contrastare questa sentenza».

E che cosa può fare il presidente americano?

«Dal punto di vista legale, niente. È come da noi: così come la nostra Corte Costituzionale anche la Corte Suprema di Washington è il decisore di ultima istanza. Questo reportage però suggerisce a Biden vari accorgimenti per proteggere il diritto federale all'aborto. Il presidente può promuovere politiche che possono aiutare a superare il divieto. Per esempio quelle in favore dell'aborto farmacologico, con la pillola autorizzata dalla Food and Drug Administration. Ma non so davvero che cosa potrà fare l'amministrazione Biden e temo, sostanzialmente, non molto». 

Il presidente ha l'occasione di mettersi alla testa di una nuova stagione di difesa e di estensione dei diritti.

«Io mi chiedo: ne avrà la forza? Comunque ci sono alcuni Stati che seguiranno la sentenza della Corte Suprema, e già il Missouri e il Texas si sono attivati, e altri che si comporteranno diversamente. Per esempio lo Stato di New York. O il Colorado: si sta attrezzando per accogliere le donne che potranno permettersi di passare il confine per abortire. Almeno nel campo dei diritti, è una grande delusione per me questa America che io sono spesso stata abituata a considerare all'avanguardia su certe battaglie. Evidentemente non è più l'America che ho in mente io. Il diritto all'aborto negli Stati Uniti non è in Costituzione ma è stato sancito da una storica sentenza 50 anni fa».

Si riferisce alla Roe vs Wade per cui interrompere la gravidanza è diventato legale nel 1973?

«Sì. Fu quando la Corte Suprema riconobbe il diritto all'aborto alla texana Norma McCorvey. E un gruppo di avvocate, guidato da Sarah Weddington, contattò la donna, incinta del terzo figlio avuto con il marito violento e con problemi di alcolismo. Si trattò di una esemplare pagina di libertà. Ora sono preoccupata. Si intensificherà negli Stati Uniti un fenomeno che noi conosciamo benissimo. Ed è quello del turismo sanitario. Come sempre, i ricchi viaggiano e i poveri emigrano.

Questo toccherà a un numero di donne sempre maggiore. Tra tutti i difetti della sentenza della Corte Suprema c'è anche quello che è classista. Anche prima in America l'aborto non era gratuito. Il bilancio federale si rifiutava di sovvenzionarlo. Ma adesso sarà tutto più complicato, penalizzante e dispendioso».

Questo è un colpo di coda o un nuovo inizio del trumpismo?

I giudici che si sono espressi contro l'aborto sono stati nominati da Trump. Questa comunque è una sentenza figlia di varie ideologie: alcune religiose, altre identitarie, altre di tipo culturale. Un mix di visioni oscurantiste e reazionarie che tolgono alle donne la libertà di scelta». 

Quali conseguenze può avere la sentenza di Washington sull'Europa e in Italia?

«In Europa, penso alla Polonia ma anche all'Ungheria, questo tipo di impostazione purtroppo è già diffusa. Ma anche in Italia da tempo riscontro un rigurgito di posizioni contrarie ai diritti e alle libertà. Si pensi alla portata oscurantista della legge Pillon che, per fortuna, è stata stoppata. Il movimento per la vita, così si chiama, rappresenta un filone che, messo alla prova, per esempio nei referendum, ha sempre perso.

Però è sempre esistito e continua a prosperare. E come può immaginare, non mi è piaciuto il video della Meloni al congresso di Vox in Spagna. È importante però che in Italia sia in corso la campagna, da parte dell'Associazione Coscioni e di altri movimenti, per difendere la legge 194 sull'aborto. In certe parti d'Italia questa legge fondamentale non esiste più a causa dell'obiezione di coscienza. Più o meno il 90 per cento dei medici, in alcune zone del nostro Paese, si rifiutano di applicare il diritto a interrompere la gravidanza».

Celotto: “In Italia l’aborto è legge, la può cambiare solo il Parlamento. Nel 1981 un referendum ha affermato che non andava abrogata”. La Stampa il 24 giugno 2022. 

In Italia la legge sull'aborto è a rischio? Una domanda che nasce da quanto stabilito oggi dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. Una svolta per certi versi storica che però al momento non sembra replicabile nei nostri confini dove, stando all'ultima Relazione al Parlamento sull'attuazione della legge 194/78, continuano a calare le interruzioni di gravidanza: nel 2020 sono state poco più di 66mila, il 9,3% in meno rispetto al 2019. «Parlando di aborto una premessa è fondamentale: il tema nel nostro Paese è disciplinato da una legge ordinaria e quindi per potere procedere ad una modifica è necessaria e sufficiente una altra legge. Cioè un intervento del Parlamento», spiega Alfonso Celotto, professore ordinario di diritto Costituzionale all'Università degli Studi Roma Tre, aggiungendo che «bisogna tenere presente che nel 1981 c'è stato un referendum con il quale il popolo italiano ha affermato che la legge sull'aborto non andava abrogata (come era accaduto dieci anni prima anche per la legge sul divorzio). Quando il popolo si pronuncia in sede di referendum la legge diventa 'non modificabile', ma soltanto per una legislatura, come ci ha ben spiegato nel 2012 la Corte costituzionale. Infatti, nel nostro sistema la democrazia diretta ha un plusvalore rispetto alla democrazia rappresentativa, ma soltanto a tempo». Per il costituzionalista su quest'ultimo aspetto «è emblematico quanto accaduto con l'energia nucleare: è stata abrogata per volontà popolare nel 1987, ma poi dopo vent'anni il Parlamento la aveva introdotta nuovamente, nella sua piena discrezionalità». Su un tema così delicato, come quello della interruzione volontaria della gravidanza, il Parlamento ad oggi è quindi libero. « libero di intervenire, nel complesso quadro dei valori costituzionali di tutela della madre, del nascituro e della salute - aggiunge Celotto -. Va comunque ricordato, in un'ottica liberale, che l'aborto, per quanto delicato, non può non essere disciplinato, per non lasciare un tema così sensibile ad un "mercato nero", come per decenni accaduto anche da noi». A detta del docente, comunque, la decisione presa oggi negli Usa «dimostra il grande dibattito che è in corso nelle democrazie occidentali in tema di diritti. Negli ultimi anni assistiamo a un processo sempre più delicato di bilanciamento dei valori con ripensamenti e specificazioni: in Italia ne abbiamo un esempio con il dibattito attualissimo sulla eutanasia».

La decisione della Corte Suprema: chiesa e conservatori in festa tra le polemiche. Aborto negato, gli Stati Uniti tornano indietro di 50 anni: cosa cambia dopo la sentenza “crudele e scandalosa”. Redazione su Il Riformista il 24 Giugno 2022 

E’ bastata una sentenza della Corte Suprema per far tornare gli Stati Uniti indietro di 50 anni. Nel paese esportatore, almeno così si professano, di democrazia e libertà nel mondo, le donne non hanno più la libertà di abortire perché “l’aborto presenta una profonda questione morale. E la Costituzione non conferisce il diritto all’aborto”. E’ quanto deciso dai giudici che hanno ribaltato la sentenza Roe vs Wade con la quale la stessa Corte, nel 1973 aveva riconosciuto il diritto di interrompere la gravidanza. Una sentenza annunciata da settimane (‘grazie’ alla bozza redatta dal giudice conservatore Samuel Alito finita, non si sa ancora bene come, alla stampa)  che ha visto la stessa Corte divisa con 6 voti a favore e 3 contrari.

Una bozza trapelata nelle scorse settimane (redatta dal giudice Samuel Alito, risalente a febbraio e confermata poi come autentica dalla corte) aveva indicato che la maggioranza dei ‘saggi’ erano favorevoli a ribaltare la Roe v Wade, suscitando vaste polemiche e proteste negli Usa. Alito che scrive nel dispositivo “La Roe vs Wade è stata sbagliata fin dall’inizio in modo eclatante. Il suo ragionamento – aggiunge – è stato eccezionalmente debole, e la decisione ha avuto conseguenze dannose”.

“Tristemente, molte donne hanno perso oggi una tutela costituzionale fondamentale. Noi dissentiamo” commentano i giudici liberal Sonia Sotomayor, Elena Kagan e Stephen Breyer. “Tristemente, molte donne hanno perso oggi una tutela costituzionale fondamentale. Noi dissentiamo” aggiungono. I tre giudici nominati dall’ex presidente Donald Trump hanno invece votato per l’abolizione.

Adesso la decisione spetterà ai singoli Stati che saranno liberi di applicare le loro leggi in materia: in più della metà dei 50 Stati americani l’aborto era considerato reato, in oltre dieci invece era legale sono se costituiva pericolo per la donna, in caso di stupro, incesto o malformazioni fetali. Gli Stati guidati dai governatori repubblicani, e conservatori, sarebbero adesso intenzionati a salvaguardare il diritto alla vita. Quelli governati dai democratici hanno invece anticipato di voler mantenere le legislazioni attuali che consentono l’aborto.

Nello specifico l’aborto potrebbe essere vietato in 22 stati che hanno varato leggi, dette ‘trigger law’ (leggi grilletto) destinate ad entrare in vigore immediatamente dopo la sentenza della Corte Suprema. Per 13 stati – Arkansas, Idaho, Mississippi, Missouri, North Dakota, Kentucky, Louisiana, Oklahoma, South Dakota, Tennessee, Texas, Utah and Wyoming – le leggi prevedono che il divieto entri in vigore praticamente in modo immediato. C’è un altro gruppo di stati – Georgia, Idaho, Iowa, Michigan, South Carolina, Texas, West Virginia, Alabama e Ohio – che anche hanno leggi per mettere al bando l’aborto, ma non entrerebbero in vigore subito. Infine stati come Arkansas, Mississippi e Oklahoma hanno dei divieti sull’interruzione della gravidanza precedenti alla sentenza della Roe, che non vengono applicati da 50 anni.

Per la portavoce della Camera Usa, la democratica Nancy Pelosi, è una decisione “crudele” e “scandalosa“. Duro anche il cinguettio di Barack Obama: “La Corte Suprema non solo ha annullato quasi 50 anni di precedenti, ma ha relegato la decisione più intensamente personale che qualcuno può prendere ai capricci di politici e ideologi: (sono state) attaccate le libertà fondamentali di milioni di americani”.

Visione diversa invece quella dell’ex vicepresidente di Trump, Mike Pence, secondo il quale “la vita ha vinto” e ha esortato tutti a battersi per “la difesa del nascituro e il sostegno alle donne incinte in crisi”. Lo stesso Donald Trump commenta entusiasta. La decisione – secondo l’ex presidente – vuol dire “seguire la Costituzione e restituire i diritti”.

“Giornata storica” per i vescovi cattolici americani. “Questa è una giornata storica nella vita del nostro Paese, che suscita pensieri, emozioni e preghiere. Per quasi cinquant’anni l’America ha applicato una legge ingiusta che ha permesso ad alcuni di decidere se altri possono vivere o morire; questa politica ha provocato la morte di decine di milioni di bambini prenati, generazioni a cui è stato negato il diritto di nascere” commentano gli arcivescovi Josè H. Gomez di Los Angeles, presidente della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti (Usccb), e William E. Lori di Baltimora , presidente del Comitato per le attività pro-life.

La “cultura della vita” delle destre è un attacco all’uguaglianza. GIORGIA SERUGHETTI, filosofa, su Il Domani il 28 giugno 2022

Cos’è la “cultura della vita” che le destre, da occidente a oriente, sostengono di difendere dalla minaccia del progressismo dei diritti? Si può parlare di “vita”, quando la sua portata semantica si riduce al tempo breve del principio e della fine, mentre tante “vite”, al plurale, sono rigettate nell’indifferenza?

Nella discussione sul destino del diritto all’aborto negli Stati Uniti, o in Italia, un tema cruciale è il sacrificio di vite di donne, in particolare povere, razzializzate, marginalizzate, che questo fondamentalismo è orientato a provocare.

Resta da chiedersi se il discorso delle destre che oggi teorizzano la personalità del feto, e attaccano per il suo tramite la salute delle donne, sia compatibile con i requisiti di uno stato di diritto democratico.

Cos’è questa cultura che le destre, da occidente a oriente, sostengono di difendere dalla minaccia del progressismo dei diritti? Si può parlare di “vita”, quando la sua portata semantica si riduce al tempo breve del principio e della fine, mentre tante “vite”, al plurale, sono rigettate nell’indifferenza?

Intorno a questo tema oggi si combatte una battaglia epocale. Da una parte ci sono le vite che “non contano” e chiedono di essere viste, ascoltate, protette.

Si pensi ai movimenti femministi contro il femminicidio, allo slogan Black Lives Matter contro la violenza della polizia, o alle molte iniziative di Ong che lavorano per mettere in salvo le vite dei migranti che sfidano la durezza delle frontiere.

Dall’altra, ci sono gli avversari di queste battaglie, che inneggiano alla sacralità della vita, al singolare.

Ora, nella discussione sul destino del diritto all’aborto negli Stati Uniti, o in Italia, è proprio di questo che dovremmo parlare.

VITE SACRIFICATE

Perché porre l’enfasi solo sulla dimensione della scelta individuale rischia di non essere sufficiente nello scenario che l’attivismo antiabortista sta disegnando.

Un tema cruciale è il sacrificio di vite, vite di donne, in particolare di donne povere, razzializzate, marginalizzate, che questo fondamentalismo è orientato a provocare.

A questo proposito la saggista Jia Tolentino, sul New Yorker, ha invitato a rovesciare il senso dello slogan femminista di resistenza «We won’t go back», non torneremo indietro.

È vero, scrive, il futuro non somiglierà al passato che precedette la sentenza Roe v. Wade, ma sarà peggio.

Perché nel frattempo l’accesso ai dati sanitari, i dispositivi di sorveglianza e le possibilità aperte dalle leggi antiabortiste hanno già trasformato la gravidanza in un’esperienza di cui le donne, e qualunque persona presti loro assistenza, rischiano di rispondere penalmente in tutti i casi in cui qualcosa non va per il verso giusto.

«Alcune delle donne che moriranno a causa del divieto di aborto sono incinte proprio adesso.

Le loro morti non saranno causate da procedure clandestine, ma da una silenziosa negazione delle cure: interventi ritardati, desideri disattesi.

Moriranno di infezioni, di pre-eclampsia, di emorragia, mentre saranno costrette a sottoporre i loro corpi a gravidanze che non hanno mai voluto portare avanti».

Al contempo, la paura delle conseguenze finirà per mettere in pericolo persone che vogliono portare a termine la gravidanza ma che incontrano problematiche mediche.

Tutto questo è già realtà in alcuni stati degli Usa. Anche in Italia un’interpretazione distorta dell’obiezione di coscienza mette a rischio la vita delle donne, non solo negando l’interruzione di gravidanza, ma anche negando le cure in casi di complicazioni.

Eppure, se dal 1978 abbiamo una legge, la legge 194, che tutela la facoltà delle donne di scegliere sul proprio corpo, è anche perché la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 27 del 1975, ha fissato un principio fondamentale: «non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare».

È in base a questa non equivalenza che è possibile difendere, sul piano giuridico e politico, l’interruzione di una gravidanza in circostanze in cui – recita la 194 – «la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica».

Resta da chiedersi quindi se il discorso delle destre politiche e religiose che oggi teorizzano la personalità del feto, e attaccano per il suo tramite la salute delle donne, sia compatibile con i requisiti di uno stato di diritto democratico.

Uno stato in cui sia rispettata e resa effettiva l’uguaglianza tra i generi, in cui tutte le “vite”, al plurale, siano considerate degne di protezione. 

GIORGIA SERUGHETTI, filosofa. Giorgia Serughetti è ricercatrice in Filosofia Politica all’Università di Milano-Bicocca. Ha scritto saggi su questioni di genere e teoria politica, con particolare attenzione a fenomeni migratori, sessualità, violenza contro le donne e movimenti femministi. 

Margherita De Bac per il “Corriere della Sera” il 4 ottobre 2022.

Dodici agosto 2020, una circolare del ministero della Salute cambia le modalità di esecuzione dell'aborto farmacologico: due pillole da prendere a distanza di due giorni. Può essere effettuato fino alla nona settimana di gravidanza, anziché alla settima, in day hospital, quindi senza un ricovero di tre giorni, «anche presso strutture ambulatoriali pubbliche, funzionalmente collegate a ospedali e consultori».

Se la prima parte delle linee di indirizzo è stata applicata in tutta Italia, il passaggio dell'aborto medico negli ambulatori non è avvenuto se non in poche realtà. Solo tre Regioni hanno recepito la circolare: Toscana, Emilia-Romagna e Lazio. Ma anche dove sono presenti linee di indirizzo il progetto non è pienamente partito, tanto che il 30 settembre il presidente dell'Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, ha premuto sull'acceleratore annunciando che la RU486 verrà distribuita nella sua Regione «dalla prossima settimana».

Due i dati di partenza: primo, a livello nazionale il 35,7% delle interruzioni di gravidanza sono mediche; secondo, le Regioni avrebbero potuto offrire l'alternativa dei consultori senza un provvedimento locale ad hoc. I due anni di pandemia hanno poi tenuto bloccati i servizi sanitari e in alcune realtà la pillola abortiva non è così disponibile neppure in ospedale.

In Lombardia non esistono linee guida per l'applicazione del decreto Speranza. La clinica Mangiagalli, padiglione del Policlinico, ha un vicino consultorio di sua pertinenza. Le donne si rivolgono a questa struttura extraospedaliera dove fanno analisi del sangue e tampone. Se optano per la via farmacologica, assumono subito la prima pillola e restano in osservazione per un'ora. Due giorni dopo hanno l'appuntamento per il day hospital. Alcune donne chiedono di poter prendere a casa la seconda compressa. Anche se è già previsto, ancora non è possibile: sarà il prossimo passo, come già avviene in Canada e Gran Bretagna.

Il Lazio è davanti a tutti. Il protocollo regionale del 31 dicembre 2021 prevede che la prima pillola sia assunta in ambulatorio o consultorio, e che venga subito consegnata la seconda. La donna decide se prenderla in ospedale o a casa.

«Sono convinta che sia in grado di eseguire un atto medico. In questo modo è lei ad essere al centro della procedura abortiva, il ginecologo interviene solo nel caso di rarissime complicazioni», afferma Anna Pompili, ginecologa dell'associazione medici contraccezione e aborto. E l'assessore alla sanità, Alessio D'Amato: «Finora si è svolto tutto senza problemi. Se ci sono condizioni di sicurezza, è possibile farlo a casa».

In Piemonte Silvio Viale, responsabile del servizio Interruzione volontaria di gravidanza del Sant' Anna di Torino, dove si concentrano i due terzi degli aborti con RU486 in Piemonte, si dichiara «molto prudente nel mandare a casa». E spiega: «Favorevole che la pillola venga consegnata in luoghi diversi dall'ospedale ma non che una ragazza possa scegliere l'alternativa domiciliare. In altre parole: è bene renderla ambulatoriale, però cautela». In Toscana la delibera che ribadisce la possibilità di appoggiarsi ad ambulatori territoriali collegati agli ospedali è dell'estate 2020. La Regione ha concentrato quest' attività a Firenze ed Empoli.

Chi ricorre all'aborto medico può poi decidere di viverlo a domicilio nella fase finale. «La nostra sensazione è che prevalga il desiderio di essere accompagnate in un momento così difficile», spiega Valeria Dubini, presidente dell'associazione ginecologi territoriali, Agite. In Emilia Romagna sarà Parma a inaugurare l'esperienza, entro l'anno partirà Bologna. «Avviata una procedura che consente anche agli obiettori di prescrivere la pillola.

Già dal 2020 abbiamo superato la formula dei tre giorni di ricovero. Ora si comincerà in consultorio», dice Marinella Lenzi, direttore Unità operativa ostetricia e ginecologia dell'ospedale Maggiore. In Sicilia è invece difficile avere la pillola. «Da noi vengono ragazze di Caltanissetta, Agrigento, Catania e Messina che mi raccontano di difficoltà e liste di attesa di settimane», conferma Nenzi Varsellona, ginecologa dell'ospedale Cervello. E i consultori? Qui non se ne è mai parlato.

Il feticismo e le eccezioni.  Il dibattito sull’aborto che ignora l’esistenza dei contraccettivi (e dei cattolici). Guia Soncini su L'Inkiesta il 28 Giugno 2022

Va bene, la Corte Suprema americana è sporca, brutta e cattiva. Ma perché Biden non ha realizzato la promessa fatta nel 2019 di una legge federale per regolamentare l’interruzione di gravidanza? Evidentemente perché nessuno si vuole impantanare su questo tema, specialmente in una nazione che ha una Costituzione scritta quando non c’era l'acqua corrente. 

Il 4 ottobre del 2019, il Washington Post scrive che la Corte Suprema si accinge a rivedere la legge che regolamenta l’aborto in Louisiana e la possibilità dei medici di spostarsi dall’ospedale in cui operano abitualmente per praticare aborti. Resterebbe a quel punto solo un medico che faccia aborti in tutto lo Stato (neanche fosse il Molise).

Joe Biden è in campagna elettorale (verrà eletto Presidente un mese dopo, il 5 novembre), e il giorno dopo linka l’articolo commentandolo con un tweet che fa così: «Roe v. Wade è una legge della nostra nazione, e dobbiamo combattere ogni tentativo di annullarla. Da Presidente, codificherò Roe in una legge e assicurerò che la scelta si compia tra una donna e il suo medico». Si capisce che è un tweet vecchio dall’uso di «donna», ma non divaghiamo.

Per chi non ha familiarità con l’assurda giurisprudenza statunitense, occorrerà precisare che il tweet non è contraddittorio come sembra. Roe versus Wade è una sentenza che riguarda l’inviolabilità della privacy; in un Paese di common law le sentenze che costituiscono precedente valgono quanto le leggi; senonché era un po’ forzato regolamentare l’aborto in base alla sacralità della privacy, e infatti un bel giorno la Corte Suprema ha detto: ma nella Costituzione mica si parla di aborto.

Il feticismo nei confronti delle costituzioni, se non sei Roberto Benigni, produce disastri. È per quell’inadeguata Costituzione che ci fu l’assalto a Capitol Hill: la Costituzione americana prevede che trascorrano più di due mesi tra l’elezione e l’insediamento del nuovo Presidente, perché nei secoli di carrozze a cavalli in cui è stata scritta quel tempo lì era necessario per raccogliere i voti, contarli, notificare tutto a tutti. E dalla Costituzione americana viene la convinzione che si debba avere il fucile sotto al cuscino, ma non viene una soluzione che sia una ai problemi della contemporaneità: come potrebbe mai fornire chiavi adatte al presente un documento scritto da gente che non aveva l’acqua corrente?

Ma, prima che qualche signorina Silvani sospiri «Ah, pure costituzionalista», vorrei tornare a Biden, che twittava che avrebbe fatto fare una legge federale che regolamentasse l’aborto, e poi nel suo primo anno e mezzo di presidenza neppure ci ha provato – come d’altra parte chiunque prima di lui.

Lui, però, ha una responsabilità in più. L’ha ricordato a quest’epoca senza memoria Maureen Dowd, nel suo editoriale di domenica: se Clarence Thomas divenne giudice della Corte Suprema nonostante le accuse di Anita Hill, è per l’inettitudine di Joe Biden, allora presidente della Commissione Giustizia al Senato degli Stati Uniti, nel condurre le audizioni.

Era trentuno anni fa, e temo che la lezione principale da trarne sia una certa qual mancanza di carattere di Biden, propenso ad assecondare lo spirito del tempo più che a indirizzarlo. Nel 1991 era considerato normale liquidare senza troppe storie le accuse d’una tizia secondo la quale Thomas sul lavoro aveva comportamenti molesti; in questo decennio è considerato normale che il 20 gennaio del 2020, subito dopo aver giurato, il Presidente Biden firmi come prima cosa un’ordinanza esecutiva non per dire che chi ha un utero deve poter abortire se ritiene di farlo, ma per dire che chi ha un pene che però percepisce vagina deve poter utilizzare gli spogliatoi femminili nelle scuole pubbliche.

Clarence Thomas – ve lo dico casomai, come Lilli Gruber l’altra sera quando ha letto l’agenzia che riportava una sua dichiarazione, leggeste il suo nome col tono di chi non l’abbia mai sentito e si chieda se sia un personaggio di Mandalorian – è professionalmente contrario all’applicabilità di Roe v. Wade all’aborto da trent’anni: la prima volta che mise a verbale il proprio dissenso fu in una sentenza del 1992. È una personcina dalle idee progredite che tre anni fa paragonò la contraccezione all’eugenetica, e secondo la quale gli unici diritti garantiti dalla Costituzione sono quelli che erano riconosciuti quando venne ratificata la Carta dei Diritti (cioè: nel 1869).

Insomma: rivuole il tempo di quando sua moglie non aveva diritto di voto (il suffragio femminile negli Stati Uniti esiste dal 1920).

Desiderio che peraltro lo accomuna a molta sinistra americana, giacché la moglie di Thomas mandava messaggi al capo dello staff di Trump incitandolo a non accettare il risultato delle elezioni e a organizzare una rivolta e insomma sarebbe tra le responsabili morali dell’assalto a Capitol Hill – ma non vorrei chiudere troppi cerchi rispetto alle colpe delle costituzioni né diventare di quelle per cui le colpe dei coniugi sono in comunione dei beni. Facciamo già troppe eccezioni alle nostre convinzioni, con gli impresentabili: sui social si portano molto gli insulti razzisti a Thomas, perché se sei nero e di destra i miei neuroni semplicisti non possono farsi una ragione del fatto che sia tuo diritto esistere.

Come in tutte le circostanze che generano isteria, è molto complicato capire cosa sia realistico e cosa sia paranoico, nelle previsioni delle conseguenze di questa decisione. I social – e i giornali che ne riportano le analisi senza alcuno spirito critico – non aiutano: se una tesi viene ripetuta cento volte è perché è fondata o solo perché nessuno l’ha verificata?

Davvero bisogna cancellare le app che tengono traccia dei giorni del ciclo, altrimenti qualche esponente di qualche Stato antiabortista potrebbe accorgersi che a un certo punto non ti venivano le mestruazioni ma non hai mai partorito e incriminarti per aborto clandestino o oltre confine? È un pericolo reale o è come quei picchiatelli convinti che scaricando Immuni sarebbe arrivato qualcuno a prendere nonna infetta per portarla in un lager alla Martesana?

Tutte quelle che scrivono che ora facciamo Lisistrata, ora fine della sessualità, ora voi uomini la patonza ve la scordate, perché noi senza aborto ci ritiriamo dal settore della lussuria, tutte queste militanti di buona volontà perché parlano come se i contraccettivi non esistessero? Ha senso un dibattito sull’aborto che affronta la questione come se la contraccezione fosse ferma a cent’anni fa e Thomas non avesse poi tutti i torti a rimarcare che la Carta dei Diritti non la prevedeva?

Alexandria Ocasio-Cortez, che chiede a Biden di costruire con fondi pubblici cliniche per l’aborto su territorio federale, non ce l’ha un assistente che le dica all’orecchio onorevole, esiste l’emendamento Hyde, è vietato usare fondi federali per l’aborto? O è che l’eccezione all’emendamento Hyde (stupro e incesto) rappresenta una percentuale infinitesimale nella realtà ma enorme nel dibattito: il gran ricatto di noialtri pro-choice è «E allora come la mettiamo con le bambine stuprate», mica evochiamo mai le trentenni che la danno in giro senza precauzioni.

Insomma, è un gran casino, e temo abbia ragione Jamelle Bouie quando scrive sul NYT che il Congresso avrebbe tutti gli strumenti per ridimensionare i poteri della Corte Suprema, ma non li userà perché ai democratici non va per niente di andare a impantanarsi sull’aborto: è pur sempre una cosa che secondo alcuni uccide bambini, e non è affatto detto che quegli alcuni non ci votino.

Non ho ancora letto da nessuna parte una spiegazione convincente di come possa mai, chiacchiere a parte, il cattolico Joe Biden essere a favore della libertà di scelta. Sì, lo so che viviamo nell’epoca in cui trasecoliamo che i cattolici siano cattolici e che il Papa non sia abortista; ma forse toccherà a noialtri recuperare lucidità e spiegarlo agli americani: a noialtri che abbiamo avuto parecchie occasioni per capire che i cattolici, anche se di sinistra, sono innanzitutto cattolici.

Corte Suprema, ora Ocasio-Cortez dà istruzioni su come abortire. Roberto Vivaldelli su Inside Over il 28 giugno 2022.

La decisione della Corte Suprema Usa di cancellare la sentenza Roe vs Wade, che dal 1973 garantisce su scala federale la facoltà per le donne incinte di praticare l’aborto, ha scatenato la durissima reazione dei progressisti: dall’ex presidente Barack Obama a Hillary Clinton, passando per Planned Parenthood e MoveOn, tutta la galassia dem si è mobilitata. Nel mirino dei liberal sono finiti soprattutto i sei giudici conservatori che hanno votato a favore dell’abolizione della storica sentenza e, in particolare, quelli nominati dall’ex presidente Donald Trump: Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh ed Amy Coney Barrett. La beniamina dei liberal, Alexandria Ocasio-Cortez, è andata oltre, raccontando a un evento sul diritto all’aborto tenutosi venerdì scorso una storia personale incentrata su un’aggressione sessuale subita quando aveva 22 anni e spiegando ai suoi milioni di “follower” come abortire negli stati a guida repubblicana.

Alexandria Ocasio-Cortez all’attacco

La giovane deputata racconta un terribile episodio della sua vita che non era noto al grande pubblico. “Io stessa, quando avevo circa 22 o 23 anni, sono stata violentata mentre vivevo qui a New York City”, ha raccontato all’evento tenutosi presso il City Union Square Park di New York. “Ero completamente sola. Mi sentivo completamente sola. In effetti, mi sentivo così sola che ho dovuto fare un test di gravidanza in un bagno pubblico nel centro di Manhattan. Quando mi sono seduta lì, ad aspettare quale sarebbe stato il risultato, tutto ciò che potevo pensare era: grazie a Dio che ho almeno una scelta”, ha continuato. “Grazie a Dio potevo, almeno, avere la libertà di scegliere il mio destino”. Ha aggiunto: “Allora non sapevo, mentre stavo aspettando, che il risultato sarebbe stato negativo”. La deputata ha lanciato il guanto di sfida ai conservatori: “Dobbiamo iniziare subito a essere implacabili per ripristinare e garantire tutti i nostri diritti qui negli Stati Uniti d’America”, ha esortato durante il suo discorso di venerdì.

“Qui potete abortire”

Fin qui, nulla da eccepire, anzi: massimo rispetto e solidarietà per quello che AOC ha dovuto passare. Il problema arriva dopo, quando Ocasio-Cortez ha voluto spiegare ai suoi seguaci, questa volta sui social, come abortire e “aggirare” così le leggi in vigore negli stati repubblicani: un vero e proprio vademecum che spiega alle donne come abortire, anche se abitano negli stati dove l’aborto è vietato (al momento sono sette, tutti a guida repubblicana). “Io vivo in Texas e ho visto che posso ordinare la pillola online. È sicura”? chiede una follower, riferendosi alla pillola abortiva. “Sì, il mifepristone è un modo sicuro per interrompere una gravidanza prima delle 11 settimane” spiega la deputata, linkando anche il sito planpilss.org dove è possibile richiedere e ordinare la RU-486. Giusto per mettere un po’ di benzina sul fuoco, Ocasio Cortez accusa poi i movimenti pro vita americani di essere “violenti” e di avere una lunga serie di aggressioni alle spalle.

La deputata parla di omicidi, assalti, operazioni di stalking, “cresciuti solo nel 2021 del 128%”. E afferma: “I repubblicani impazziranno quando vedranno la condivisione di queste informazioni”, contribuendo così a infiammare la guerra culturale negli Usa.

E agita lo spettro dell’impeachment

Si può essere o meno d’accordo con la sentenza della Corte Suprema, ma l’atteggiamento della beniamina dei liberal sembra essere tutt’altro che politicamente responsabile. Massimo rispetto e solidarietà per quello che ha subito da giovane, ma dovrebbe ricordare ai suoi giovani follower che abortire, comunque la si pensi, non è certo una passeggiata di salute, in nessun caso. È una scelta drammatica, devastante per ogni donna, che non può essere presa a cuor leggero dopo aver letto un post su Instagram di una giovane politica che vive in maniera ossessiva e quasi ansiogena la popolarità sui social network. Irresponsabilità che si denota anche quando la stessa deputata agita lo spetto dell’impeachment contro i giudici della Corte Suprema solo perché questi ultimi hanno preso una decisione che a lei non piace, passando la palla ai singoli stati.

“Hanno mentito”, ha accusato AOC durante un’intervista rilasciata alla Nbc, aggiungendo che “devono esserci conseguenze per azioni profondamente destabilizzante e una presa di potere ostile delle nostre istituzioni democratiche”. Se queste parole, tutt’altro che accomodanti, le avesse pronunciate Donald Trump, sarebbe stato messo lui stesso sotto impeachment, per l’ennesima volta. Ma poiché a pronunciarle è la paladina dei “diritti” e delle copertine patinate più trendy, allora tutto è consentito.

Arrestata Ocasio Cortez: manifestava a favore dell’aborto. Giuseppe Sarcina, corrispondente da Washington, su Il Corriere della Sera il 19 Luglio 2022.

La parlamentare democratica è stata fermata assieme ad altre 34 persone, tra cui 17 deputate. L’iniziativa di «disobbedienza civile» contro la recente sentenza della Corte Suprema Usa. 

La poliziotta ripete l’avvertimento per tre volte: «La vostra è una manifestazione non autorizzata; state bloccando la viabilità, spostatevi o verrete arrestate». L’idea non è dispiaciuta a 17 parlamentari democratiche, tra le quali Alexandria Ocasio-Cortez . Erano alla testa di un piccolo corteo diretto verso l’edificio della Corte Suprema degli Stati Uniti. Una manifestazione contro la decisione che il 24 giugno scorso ha cancellato la sentenza Roe v.Wade e quindi la tutela del diritto di scelta garantito a tutte le donne americane dal 1973.

Una una scossa alla politica americana. Ma la maggioranza democratica che controlla i due rami del Congresso non è in grado di rimediare con una legge. Non ci sono i numeri per scardinare l’ostruzionismo repubblicano al Senato. L’ala più radicale del partito, allora, ha deciso di dare visibilità alla protesta, fino ad arrivare alla provocazione. Ad animare l’iniziativa c’erano le quattro star della cosiddetta «Squad», la Squadra. Oltre a Ocasio-Cortez, ecco Ilhan Omar, Ayanna Pressley e Rashida Tlaib. Nel gruppo anche deputate di lungo corso, come la californiana Jackie Speier. Sono uscite a metà pomeriggio da Capitol Hill, marciando e gridando slogan con le attiviste: «Noi non ci tireremo indietro».

La polizia le ha seguite con discrezione, fino a quando il gruppone non si è fermato in un incrocio critico sul versante che porta alla Stazione. Ma dopo il richiamo a spostarsi, diverse manifestanti si sono sedute sull’asfalto. A quel punto sono scattati gli arresti. Al posto delle manette metalliche, sono state usate le fascette di plastica. Le immagini mostrano Ocasio-Cortez che saluta con il pugno chiuso, prima di essere bloccata con le mani dietro la schiena. Dovrebbero essere trattenute per poche ore. Prima di essere rilasciate, saranno però multate.

Usa, Alexandria Ocasio Cortez e altre 16 parlamentari democratiche arrestate durante protesta per l'aborto. La manifestazione era una delle tante iniziative in difesa del diritto costituzionale all'interruzione di gravidanza, negato dalla Corte suprema. La Repubblica il 20 Luglio 2022.  

Diciassette parlamentari democratiche, fra le quali Alexandria Ocasio-Cortez e Ilhan Omar, sono state arrestate nel corso di una manifestazione in favore dell'aborto a Washington, non lontano dalla Corte suprema e da Capitol Hill.

"Abbiamo arrestato un totale di 35 persone, tra le quali 17 componenti del Congresso" perché dopo che era stato loro intimato tre volte di disperdersi "si sono rifiutate di sgomberare la strada", ha riferito la polizia.

Ilhan Omar, come Ocasio-Cortez esponente dell'ala radicale del Partito democratico, ha scritto sui social di essere stata fermata durante "un'azione di disobbedienza civile". "Farò tutto quello che posso per suonare l'allarme sull'attacco ai nostri diritti riproduttivi", ha aggiunto.

Ocasio-Cortez ha postato un video in cui si vede un poliziotto che la fa allontanare dalla strada di fronte alla Corte suprema. La stessa strada in cui decine di migliaia di persone si erano radunate nelle ore e nei giorni immediatamente successivi alla sentenza con cui il 24 giugno la Corte suprema statunitense ha negato il diritto costituzionale all'interruzione di gravidanza rimandando ai singoli Stati la regolamentazione della materia. Una decisione che ha scatenato uno scontro politico di grande portata, nei palazzi del potere e nelle piazze.

In questa situazione l'amministrazione Biden sta valutando di dichiarare un'emergenza sanitaria "limitata" per difendere l'aborto e in particolare l'accesso alle pillole abortive.

Aborto negli Usa: la battaglia si sposta negli Stati. Simona Iacobellis su Inside Over il 28 giugno 2022.

Dopo la decisione della Corte Suprema di annullare la sentenza Roe v. Wade, eliminando così il diritto all‘aborto a livello nazionale, i singoli Stati si sono armati per una battaglia a suon di leggi e cause legali. Da un lato i conservatori, che coinvolgono circa metà degli Stati, intenti a minare la libertà di aborto; dall’altro i liberali, pronti a contrastarli per preservare i diritti riproduttivi.  

I sostenitori dei diritti all’aborto si sono scatenati in vari Stati, come Texas, Louisiana, Mississippi. I casi più interessanti sono quelli della Louisiana e dello Utah: lunedì i giudici hanno temporaneamente bloccato l’applicazione di leggi che avrebbero vietato l’aborto. La strategia per preservare i diritti in questione prevede la richiesta ai tribunali di ingiunzioni temporanee che diano la possibilità di praticare l’aborto nel breve termine. 

Ma facciamo un passo indietro. Negli anni passati, in tredici Stati americani, tra cui i due appena citati, erano state approvate le cosiddette “trigger laws”. Si trattava di leggi che sarebbero entrate in scena proprio nel preciso istante in cui la Corte Suprema avesse preso l’azzardata decisione di eliminare il diritto all’aborto, vietandone quindi la pratica negli Stati che avevano aderito. Ed è ciò che è accaduto lo scorso venerdì. In molti di questi Stati le leggi sono così rigide da vietare l’aborto anche in caso di stupro o incesto. Per qualche Stato, l’eliminazione del diritto costituzionale ha addirittura riesumato leggi antiabortiste dei primi del Novecento, definite “zombie laws”. 

La repentina applicazione delle “trigger laws” ha dato il via a battaglie legali per bloccarle. Il giudice Andrew Stone, del terzo distretto congressuale dello Stato dello Utah, ha accolto una richiesta presentata dall’organizzazione Planned Parenthood, sospendendo temporaneamente l’entrata in vigore di una legge per criminalizzare l’aborto. Il tribunale è riuscito a bloccare la legge per soli quattordici giorni, attendendo le argomentazioni delle parti. In questo breve periodo gli aborti possono essere temporaneamente praticati. Anche in Louisiana gli aborti saranno possibili nell’attesa di una sentenza, prevista per l’8 luglio. 

“La sentenza della Corte Suprema è stata devastante e terrificante per i nostri pazienti e operatori sanitari, ma almeno per ora, gli Utah saranno in grado di ottenere le cure di cui hanno bisogno”, ha dichiarato Karrie Galloway, presidente della Planned Parenthood Association of Utah. “Oggi è una vittoria, ma è solo il primo passo di quella che sarà senza dubbio una lotta lunga e difficile”.

Un altro caso degno di menzione è quello della California. La super maggioranza, consistente nei due terzi dell’Assemblea dei legislatori statali (di cui molti democratici), ha approvato un emendamento costituzionale per proteggere il diritto all’aborto, nel tentativo di modificare la Costituzione dello Stato e rendere permanenti i diritti. L’emendamento verrà sottoposto al giudizio dei cittadini durante le votazioni di novembre per il rinnovo del Congresso. Gli elettori potranno così esporsi sui diritti alla contraccezione e all’aborto, senza che il diritto sia più basato sulla privacy. Toni Atkins, presidente pro tempore del Senato, ha spiegato che il testo stabilisce “in modo innegabilmente chiaro che in California l’aborto e la contraccezione sono una questione privata tra il paziente e il medico”, proteggendo anche da eventuali denunce donne e medici. 

L’iniziativa elettorale prevede che lo Stato “non neghi o interferisca con la libertà riproduttiva di un individuo nelle sue decisioni più intime, che includono il suo diritto fondamentale di scegliere di abortire e il suo diritto fondamentale di scegliere o rifiutare i contraccettivi”. 

I sostenitori invece… 

La lotta ha preso piede anche in quegli Stati che cercano di vietare l’aborto. In Mississippi, ad esempio, il procuratore generale ha riconosciuto ufficialmente la sentenza della Corte Suprema, dando un margine di tempo di dieci giorni, trascorsi i quali quasi tutti gli aborti saranno vietati. 

In Indiana, invece, il procuratore generale ha chiesto ai tribunali di approvare diverse leggi, tra cui quella che vieta gli aborti per motivi di razza, sesso o disabilità. Il procuratore Todd Rokita ha dichiarato: “Credo nella costruzione di una cultura della vita in Indiana. Questo significa proteggere la vita dei bambini non ancora nati e salvaguardare il benessere fisico, mentale ed emotivo delle loro madri”.  

Nella giornata di lunedì i procuratori generali di ventuno Stati, tra cui New Messico, Nord Carolina e Minnesota, e del Distretto di Columbia hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che mirava a rassicurare le pazienti che si trovavano fuori dallo Stato, assicurando che avrebbero protetto il loro accesso all’aborto. È infatti previsto un maggior numero di pazienti provenienti dagli Stati vicini che vietano la pratica. La dichiarazione congiunta è stata una risposta alla richiesta al Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti di altri diciannove Stati, tra cui Florida, Ohio e Texas, di proteggere le organizzazioni anti-aborto dalla violenza. 

Nel Sud Carolina un giudice federale si sta impegnando per far rispettare la sua legge, che vieta l’aborto dal momento in cui viene rilevato un battito cardiaco fetale. L’aborto è previsto solo in casi di stupro o incesto, a patto che il feto non abbia più di venti settimane, e nei casi in cui sia l’unico modo per salvare la vita della madre. 

I divieti statali avviati da legislatori conservatori, come in Ohio dove l’aborto è stato vietato dopo sei settimane di gravidanza, sono stati contestati da città liberali come Cincinnati, che sta prendendo provvedimenti per cambiare il piano sanitario della città e rimborsare i viaggi per motivi legati all’aborto. E come ha twittato il sindaco Aftab Pureval, “non è mio compito rendere più facile per il legislatore e il governatore dello Stato trascinare le donne indietro negli anni Cinquanta e privarle dei loro diritti. Il mio compito è quello di renderlo più difficile”. 

Le sfide giudiziarie ai divieti di aborto si sono poi focalizzate sulle costituzioni statali, soprattutto quelle in cui è incorporato il diritto alla privacy, come ad esempio in Arizona, California e Louisiana. 

Nel ventunesimo secolo, solo Stati Uniti, Polonia e Nicaragua sono stati in grado di emanare leggi più restrittive degli altri paesi. Questo punto appena raggiunto, però, non può essere definito d’arrivo, poiché presumibilmente mette le basi per possibili ulteriori limitazioni di altri diritti, tra cui la protezione delle minoranze razziali ed etniche. 

Come ha affermato Adam Serwer dell’Atlantic, “la Corte Suprema è diventata un’istituzione il cui ruolo principale è quello di imporre una visione di destra della società americana al resto del Paese”. Il punto, ora, è capire fin dove si spingerà. 

Da billboard.it il 28 giugno 2022.

Madonna si è divertita molto a festeggiare il New York Pride lo scorso giovedì 23 giugno. Ma è rimasta inorridita il giorno dopo, quando ha visto la notizia che la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva annullato la sentenza Roe v. Wade. 

«Mi sono svegliata con la terrificante notizia che la Roe v Wade è stata ribaltata e che la legislazione ha deciso che non abbiamo più diritti come donne sui nostri corpi». Questo quanto ha scritto l’icona pop in un post su Instagram domenica 26 giugno con alcune foto condivise. «Questa decisione ha gettato me e ogni altra donna in questo Paese in una profonda disperazione». 

Madonna ha proseguito «ora la Corte Suprema ha deciso che i diritti delle donne non sono più diritti costituzionali. In realtà abbiamo meno diritti di una pistola».

«Ho paura per le mie figlie» ha detto la star. «Ho paura per tutte le donne d’America. Sono veramente spaventata». 

«Credo che Dio abbia messo questo sulle nostre spalle proprio ora perché sapeva che eravamo abbastanza forti da sopportare il peso» ha scritto Madonna. «Abbastanza forti da lottare! Abbastanza forti da superare. E così noi supereremo! Troveremo un modo per far diventare legge federale la protezione dei diritti all’aborto! Signore siete pronte a combattere?».

Madonna fa parte di una lista di innumerevoli artisti che da venerdì hanno espresso sui social media la loro opinione sulla preoccupante decisione della Corte Suprema. Durante vari concerti, musicisti come Olivia Rodrigo, Megan Thee Stallion, Phoebe Bridgers, Billie Joe Armstrong e Billie Eilish si sono rivolti al pubblico nel fine settimana. Olivia Rodrigo ha dedicato il brano di Lily Allen F**k You alla Corte Suprema, mentre Billie Joe Armstrong ha dichiarato di voler rinunciare alla cittadinanza statunitense.

C’è una chiesa in Texas che aiuta le donne che vogliono abortire. La “First Unitarian Church of Dallas” opera nello stato più conservatore degli Usa. Nel 73 è stata all’origine della celebre Roe vs Wade, oggi torna in prima linea. Daniele Zaccaria su Il Dubbio il 29 giugno 2022.

Uno pensa alle comunità religiose negli Stati Uniti e si immagina subito i cortei di fanatici pro life, le crociate contro i diritti civili, il fondamentalismo veterotestamentario delle chiese evangeliche con i loro accoliti born again Christian, il cuore pulsante della Bible belt che ancora oggi sembra incompatibile con i principi della laicità e della separazione tra Stato e religione, tra leggi terrene e valori trascendenti. E, naturalmente, pensa al lungo sodalizio con la destra politica che da Ronald Reagan a Donald Trump, passando per Bush padre e figlio, ha concesso loro visibilità e una grande influenza sulle questioni di società.

Se la Corte suprema ha deciso di abolire la Roe vs Wade calando un mantello proibizionista sulla libertà di abortire è perché ha piena cognizione di questa spinta popolare che forse non rappresenta la maggioranza cittadini statunitensi ma che legittima la brutale guerra ai diritti civili sferrata dai giudici conservatori. Giù sono pronte in tal senso le offensive contro la contraccezione e i matrimoni tra persone dello stesso sesso annunciate in un’intervista dal giudice Clarence Thomas. Ma i cristiani d’oltreoceano non sono certo tutti degli integralisti violenti e dei nemici delle libertà individuali. Questo anche a livello di confraternite.

Prendiamo, per esempio, la First Unitarian Church of Dallas che opera nello Stato senza dubbio più conservatore dell’Unione, storica roccaforte del partito repubblicano: il Texas. Da anni i suoi volontari aiutano materialmente le donne che non possono interrompere la gravidanza a causa delle leggi ultrarestrittive, spesso accompagnandole in altri Stati come il New Mexico. Lo fanno da oltre quarant’ anni, e non è un caso che la First Unitarian Church of Dallas sia all’origine della Roe vs Wade, avendo rappresentato nel 1973 i diritti di Jane Roe (il vero nome era Norma Leah McCorvey) nel suo ricorso all’alta Corte che poi diede luogo alla storica sentenza. Da qualche anno erano attivissimo nella rete Clergy Consultation Service on Abortion, fondata a New York nel 1967 dai pastori protestanti metodisti di Washington square e un gruppo di rabbini di cultura liberal. Una strana creatura, figlia della travolgente stagione dei diritti che ha squadernato la società americana anche nella variegata galassia religiosa partorendo sorprendenti sincretismi. Come il Religious Coalition for Reproductive Choice nato all’inizio degli anni 70 : «Cristo è vicino alle persone vulnerabili, in particolare agli emarginati dal sistema e dalle ineguaglianze, Cristo non è un giudice», spiega l’attuale direttrice Katey Zeh, pastora battista.

Per gli adepti della First Unitarian Church, che si ispira apertamente all’ “universalismo unitario” e appartiene a una congregazione fondata in Canada, il diritto di scelta della donna prevale sui moniti della Bibbia che considera l’aborto un omicidio, ma anche sui dilemmi etici che ne derivano, in quanto la donna è la prima vittima di un aborto e sarebbe assurdo paragonarla a un’assassina. Inoltre la possibilità di interrompere la gravidanza in sicurezza evita il barbaro mercato nero degli aborti clandestini una piaga che combatte dalla fine degli anni 60. Antiproibizionista e ovviamente contraria alla pena di morte.

È soprattutto una chiesa sociale, molto presente sul territorio, che offre assistenza concreta a tutti, che spesso sostituisce il welfare minimalista statunitense, fornendo ricoveri e cibo ai senza tetto, occasioni di lavoro ai disoccupati e, appunto, aiuto legale e sanitario alle donne delle classi popolari, quasi tutte afroamericane o ispaniche, molte di loro vittime di violenza sessuale. Riescono a farlo da decenni grazie a una fitta rete di donatori pro choice di diversa estrazione religiosa, l’unico requisito per ottenere servizi è essere al di sotto della soglia di povertà. «Noi facilitiamo solamente l’accesso a strutture mediche sicure a donne in gravi difficoltà, non incoraggiamo nessuno ad abortire e non facciamo propaganda, si tratta di una scelta individuale che appartiene solo alla donna», spiega il reverendo Daniel Kanter Senior minister della First Unitarian Church in un’intervista alla britannica Bbc. Venerdì notte, poche ore dopo la sentenza della Corte suprema centinaia di fedeli si sono riuniti a Dallas per pregare e per «trovare la forza di continuare la missione anche se nel prossimo futuro molti Stati vieteranno il diritto ad abortire o lo renderanno impossibile», racconta Kanter.

Ma l’attivismo della First Unitarian Church e la rete di cui fa parte rappresentano solo un piccolo segmento dei cristiani americani, in larga parte ostili ai diritti civili e alla separazione tra Stato e Chiesa. Secondo un recente sondaggio realizzato dal Pew Review Center tre protestanti bianchi su quattro considerano l’aborto un omicidio “in ogni caso” e vorrebbero che fosse illegale in tutto il territorio federale. Ma queste cifre cambiano in modo notevole se consideriamo i protestanti afroamericani (una comunità molto più colpita dal dramma delle gravidanze in giovanissima età) le proporzioni si ribaltano e persino tra i bianchi non evangelici la maggioranza è favorevole alla legge che autorizza l’interruzione di gravidanza.

Spot vs. messa. Note paradossali per quelli che festeggiano la sentenza americana sull’aborto. Iuri Maria Prado su L'Inkiesta il 27 Giugno 2022.La scelta dei giudici di Washington potrebbe contaminare campi contigui della moralità in decadenza, tra insegnamento bacchettone della Chiesa e pubblicità morbose in televisione (ma meglio di no!) 

Siccome c’è caso che non si capisca immediatamente, chiarisco: sto scherzando.

Tanto premesso, così il direttore è tranquillo, dico che l’aria fresca che vien dagli Stati Uniti, quella che secondo l’immagine di qualche cristiano nazionale contribuirà qui da noi a far pulizia dell’impunitismo in materia di aborto, e che secondo l’antiabortismo cavilloso spira da un innocuo ripristino dell’originaria giuridicità nordamericana, potrebbe favorevolmente contaminare campi contigui della moralità in decadenza.

Mi riferisco al fenomeno, ormai quotidianamente pervasivo, degli spot pubblicitari – dal prodotto per spolverare casa allo strumento assicurativo, dal dessert al viaggio organizzato – che rammostrano, a volte persino in atteggiamenti d’intimità, coppie omosessuali. Si tratta di un pernicioso tentativo di delegittimazione della famiglia naturale, e della promozione di un modello sociale, di convivenza e delle relazioni personali che urta in modo plateale le fondamenta della civiltà cattolica. L’insegnamento della Chiesa, secondo cui l’omosessualità rappresenta alternativamente o cumulativamente una manifestazione morbosa o un segnale di grave disordine morale, e in ogni caso una degradazione peccaminosa meritevole di sanzione e correzione, è esposto a un gravissimo pericolo di diluizione se non è impugnato da chi di dovere per denunciare l’intollerabilità di questo andazzo di perversione.

Deve essere posto rimedio al disorientamento dei figli d’Italia, esposti in modo contraddittorio al messaggio parrocchiale che illustra i tratti patologici dell’omosessualità e a quello maleficamente suadente della pubblicità che invece la equipara al modello legittimo dell’accoppiamento. E a porvi rimedio deve essere la Chiesa in un ritrovato senso apostolare che la smetta una buona volta di esercitarsi nella ridotta della messa senza quorum e nelle ritualità stanche delle feste obbligate. Se pure fosse una battaglia perduta, la Chiesa dovrebbe intervenire con il vigore che a essa non manca per riaffermare in modo più netto, e ovunque abbia modo di farsi sentire, che la famiglia, cellula connettiva della nostra comunità valoriale, trova nella legittimazione pubblicitaria della patologia omosessuale il più grave motivo di affronto e la più efficiente causa di disgregazione.

Chi educa i propri figli all’insegnamento cattolico ha il diritto di pretendere che la Chiesa non si vergogni nel reclamare ciò su cui fa dottrina: e cioè la necessità di proteggere la società dal peccato e dalla turba omosessuale. E se il maligno è tanto ficcante da essersi insinuato nella réclame dei surgelati e delle offerte telefoniche, ebbene è anche da lì, o forse soprattutto da lì, che bisogna cominciare. E chissà, appunto, che la notizia statunitense non aiuti. Un po’ d’aria fresca a spazzar via la mistificazione mercatista, e finalmente un po’ di verità sul fatto che la donna che abortisce è un’assassina e il frocio è un malato.

E a questo punto tocca il P.S. per ripetere che no, non penso che gli omosessuali siano malati e non penso che le pubblicità con le coppie omosessuali attentino alla sacralità della famiglia fondata sul matrimonio. Così l’articolo è rovinato ma Rocca torna tranquillo.  

Libertà va raschiando. Confessioni di un’abortista che si è stancata della narrazione dolente dell’aborto. Guia Soncini su L'Inkiesta il 29 Giugno 2022.

Gli editoriali sui quotidiani, la paura delle riviste femminili e un’intervista di Marina Abramovic sulle sue tre interruzioni di gravidanza. Gli appunti di un maschio mancato che ama il conflitto e della sua recente infedeltà pubblicistica all’ideologia del raschiamento

Niente racconta la mia parabola ideologica – dalla giovinezza alla pigrizia – come le (mie) reazioni alla pubblicistica sull’aborto. Oddio, «giovinezza»: all’altezza del primo aneddoto avevo trentasei anni.

Nell’autunno del 2008 smisi sdegnata di scrivere per un quotidiano col quale avevo iniziato da pochissimo a collaborare perché pubblicarono un articolo che esprimeva dei dubbi verso la libertà d’abortire. Un articolo altrui. Ero così invasata rispetto all’ideologia del raschiamento che m’importava perfino degli articoli altrui.

Nell’estate del 2016 avevo quarantatré anni, e Marina Abramović dichiarò d’aver abortito tre volte. Giacché, trascrivo dai miei appunti d’epoca, l’arte è una questione totalizzante e non lascia il tempo di cambiare i pannolini. Avevo una rubrica su un femminile – ho avuto rubriche sui giornali femminili per la più parte della mia vita lavorativa – e commentai quest’episodio.

Nel pezzo che inviai, all’inizio di agosto, a una vicedirettrice che voleva solo chiudere le pagine e andare al mare, c’era scritto: «Marina Abramović ha 68 anni e, in un’intervista a un giornale tedesco, ha detto di aver abortito tre volte (un numero abbastanza normale, in un’intera vita riproduttiva)».

A questo punto dobbiamo mettere in pausa l’illuminazione sul mio rammollimento ideologico per dare spazio a un’illuminazione sul perché le donne guadagnino meno degli uomini. Sì, il patriarcato, il lavoro di cura gratuito, le gravidanze, la rava, la fava: tutte ragioni minoritarie. Principalmente, le donne guadagnano meno perché sono terrorizzate dal conflitto.

Lo sa chiunque abbia avuto a che fare con le riviste femminili, scritte da donne, redatte da donne, dirette da donne; da donne che hanno figli o non ne hanno, si vestono bene o male, sanno l’italiano o più spesso non lo sanno, ma tutte inderogabilmente hanno una cosa in comune: paura della loro ombra.

Ho avuto parecchie direttrici e parecchie vicedirettrici, e tutte quando intravedevano il rischio del conflitto – conflitto rappresentato anche solo da una mail di protesta – ne erano terrorizzate (per fortuna i femminili tendenzialmente non fanno scoop, altrimenti alla prima smentita ci sarebbero attacchi di panico nelle redazioni); ma, poiché avevano paura della loro stessa ombra, il loro terrore non si limitava al conflitto col pubblico, ma anche a quello con la collaboratrice cui dovevano dire «questo lo tagli sennò le lettrici chi le sente». La soluzione era sempre un piano più su. Se parlavi con la vicedirettrice, ti diceva che lei te l’avrebbe lasciato scrivere, ma sai com’è la direttrice. Se a dirti di no era la direttrice, spiegava che fosse stato per lei liberissima, ma l’editore non vuole. Può gente che non sa dire a una collaboratrice di non rompere i coglioni saper ottenere un aumento?

L’estate del 2016 non fece eccezione. La vicedirettrice mi disse che le redattrici le avevano chiesto di farmi tagliare quella parentesi perché «sono tutte madri». Siccome le redattrici hanno dei figli, tu non puoi scrivere nella tua rubrica che abortire tre volte in una vita è normale. Da qualche parte i trattati di logica stavano piangendo.

Ne seguì un carteggio che, sei estati dopo, ho riletto strozzandomi dal ridere. Seguono stralci.

Soncini: «Di adulte che non abbiano abortito due o tre volte conosco solo cielline e lesbiche».

Vicedirettrice: «Che lo dica lei è un fatto, che lo avalliamo noi-tu è troppo».

Soncini: «“Dovete lasciarci l’aborto perché fa schifo anche a noi e lo useremo con moderazione”, l’aborto legale come i 70 grammi di pasta integrale, dai».

Vicedirettrice: «Le nostre lettrici non sono così avanti. E non ho tempo di rispondere a una valanga di lettere di protesta».

Soncini: «Prima o poi toccherà svelarti una sconvolgente verità, cioè che se non ti arrivano lettere di protesta vuol dire che non scrivi niente d’interessante e che nessuno ti legge».

A quel punto i social esistevano da quasi un decennio, tutti avevano la mail sul telefono, tutti smaniavano per notificarti la loro opinione, e valeva quel che vale adesso: se nessuno si offende, nessuno ti ha letto. Non sono mai riuscita a farlo capire a nessuna direttrice di femminile con cui abbia collaborato, e infatti sono andati tutti in rovina: hanno scambiato il silenzio per assenso invece che per disinteresse per giornali fatti con accurata assenza di personalità.

Ma non è di loro che stavamo parlando, bensì di me. Di me che a un certo punto di questo carteggio ho pensato che non me ne fregava più abbastanza dell’aborto da sbattermi a difendere l’esistenza di quella parentesi in un articolo che cominciava così: «Una volta Simone de Beauvoir, all’insinuazione che scrivesse libri perché non era riuscita ad avere figli, rispose con un’ovvietà: non sarà che fate dei figli perché non siete capaci di scriver dei libri? […] Simone de Beauvoir è morta nel 1986: ha quindi vissuto in quel lussuoso secolo in cui, se un’intellettuale diceva qualcosa sul mondo, poi al massimo doveva risponderne ad altri intellettuali, non a chiunque si annoi in ufficio e si metta a scrivere i propri pensierini su Facebook».

Della me quarantatreenne che pensò a quella povera crista in un open space periferico milanese invece che in coda per il mare, e disse ma sì, taglia la parentesi, senza neanche rompere troppo i coglioni sull’assurda idea d’affidare una rubrica d’opinione a qualcuna per poi sottoporre le sue opinioni a referendum confermativo redazionale (allora tanto valeva chiedere alle commentatrici di Facebook cosa ne pensassero).

Non stavamo parlando della sinistra italiana, che non si sbatte per migliorare la 194, una legge ostaggio d’una truffa quale l’obiezione di coscienza. Non stavamo parlando della sinistra americana, che non si sbatte per avere diritti sanitari (uno solo dei quali è quello all’aborto). Stavamo parlando di me – un maschio mancato al quale il conflitto è sempre piaciuto moltissimo – che molto prima della menopausa m’ero già stufata di dover litigare sull’aborto.

E di come passino quelle piccole vittorie che sono il racconto dolente dell’aborto, il racconto dell’aborto come eccezione, e tutto ciò che contribuisce a renderlo l’unico diritto della cui utilizzazione ci si scusa; insistendo implacabili per decenni, non tenendo conto d’obiezioni logiche o altro, col metodo che mia nonna attribuiva a me: tu la gente la pigli per stanchezza.

A Gilead, a Gilead! Anche sull’aborto noialtri intelligenti siamo molto stupidi. Guia Soncini su L'Inkiesta il 27 Giugno 2022

Pur pensando che essere incinte sia un’invalidità, e perfino dopo aver sbirciato un paio di talk show italiani sul tema, riesco ancora a capire che le donne americane che festeggiano la decisione della Corte Suprema non gioiscono perché viene negato loro un diritto, ma perché sono convinte che si metta fine a un crimine.

Riesco a immaginare solo un’invalidità più insopportabile, una tragedia più abissale, uno stato più atroce dell’essere incinta, ed è: essere incinta senza aver desiderato d’esserlo. È una delle ragioni per cui le sciatte militanti che in questi anni hanno scomodato Gilead per ogni fischio per strada sono imperdonabili: a che serve la potenza della letteratura che evoca donne incinte per imposizione se poi, quando arriva il momento in cui in alcuni degli Stati Uniti non si può più abortire per nessuna ragione, quei personaggi di fantasia non puoi più citarli perché “Il racconto dell’ancella” è consunto dalle similitudini a casaccio?

In cima alla pagina di The Cut, la sezione femminile del New York Magazine, c’è l’occhiello «Life after Roe», la vita dopo che la Corte Suprema ha deciso che la sentenza Roe vs. Wade non attiene all’aborto, non essendo l’aborto citato in una Costituzione scritta nel Settecento (ma tu pensa), e non tutelando quindi quella sentenza, come fin qui ritenuto, il diritto all’interruzione di gravidanza. Prima dell’articolo c’è un avviso. Fa così: abbiamo rimosso il paywall da questa e altre storie sulla possibilità di abortire. Certo che è importante dare informazioni sulle questioni urgenti (e se non lo è liberarti d’una gravidanza che non vuoi, non saprei che definizione dare di «urgenza»), ma magari un articolo che ti dice che non devi credere a TikTok, il bidet con la Coca Cola non fa abortire, dovremmo averlo superato a dodici anni, che è l’età alla quale leggevo le smentite di queste leggende su Cioè. Sto per compierne cinquanta, e la demolizione delle leggende abbiamo cominciato a chiamarla debunking, e non pensiamo si smetta d’averne bisogno dopo le scuole medie.

Lo so, questa cosa d’aver detto «sezione femminile» fa di me una retrograda. Anche le persone trans e non binarie possono aver bisogno d’un aborto, possono mestruare, possono amare: sono tali e quali a noi, noi normali. Ma cosa volete ne sappia io, che ogni volta che sento «non binario» ho il riempimento automatico di «triste e solitario».

Dunque è andata così: Barack Obama ha avuto una maggioranza mai vista e non l’ha usata per fare una legge federale che regolamentasse l’aborto; a seconda di chi siano tifosi, gli studiosi di leggi americane ti dicono che non l’ha fatto perché il precedente d’una sentenza che s’appoggia alla Costituzione è più forte d’una legge federale e non c’era ragione di pensare decadesse, o che non l’ha fatto come non ha fatto mille altre cose, tra cui i nuovi giudici della Corte Suprema. Le militanti strepitano perché Donald Trump ne ha fatti tre, e non s’accorgono mai mai mai che stanno dicendo: è stato più bravo. Chi vuol far vedere che ha spirito critico dice: eh, certo, è un po’ colpa di Ruth Bader Ginsburg che si sarebbe dovuta dimettere a Obama in forze, permettendogli di metterci un altro giudice abortista. Ma chi la doveva convincere a dimettersi, RBG, io? Se Obama fosse stato bravo a fare il presidente quanto a venire bene in foto, chissà dove saremmo.

L’altra sera alla tv italiana sono andati in onda quelli che mi sono sembrati i quaranta minuti di tv più incredibili di tutti i tempi, ma probabilmente è il livello medio dei talk show e sono io che non sono abituata a guardarli. A osservare senza neanche troppa attenzione, si vedeva in controluce la costruzione del disastro. Una puntata preparata con un parterre di ospiti televisivi abituali, di quelli ritenuti in grado di parlare di Ucraina e di PNRR, dell’afa e della pandemia. Poi, nel pomeriggio, la notizia: in America è saltato per aria il fragile escamotage su cui si basava la possibilità di abortire. Mica vorrai smontare il parterre. Aggiungiamo due donne, ché l’aborto è cosa di donne, due con utero e che sappiano anche quattro cose sul tema. Ma quaranta minuti cinque ospiti? Ma figuriamoci: alle due in quota competenza facciamo una domanda e poi le congediamo.

Quando la conduttrice, dopo averle fatte parlare trenta secondi l’una, manifestando una certa qual insofferenza per ventinove dei trenta secondi, dice «so che ci dovete lasciare», la regia si guarda bene dall’inquadrarle, acciocché non si veda il labiale «no veramente noi potremmo pure restare». Se inquadrassero le due che conoscono il tema mentre vengono congedate per proseguire la discussione sul tema con gente che di solito parla di scissione dei Cinque stelle, vedremmo probabilmente due emule di Valeria Parrella allo Strega, quando la congedarono per parlare di MeToo: «E lei ne vuole parlare con Augias? Auguri».

L’omaggio a quel grandissimo momento di televisione può quindi proseguire con gli abituali turnisti del circo, uno dei quali – d’un quotidiano di destra – dice delle cose ovvie per un conservatore ma le dice come le dicono le macchiette televisive italiane: risultando insopportabile. Perdipiù la conduttrice, che è in modalità in-quanto-donna e quindi deve dire che l’aborto è un diritto inalienabile, è così maldisposta nei suoi confronti che la regia non osa inquadrarlo, e quindi quello diventa una voce dall’indefinito del suo bravo collegamento mentre tengono fisso il primo piano della conduttrice che sbuffa. Quando ero giovane e fertile queste trasmissioni esistevano per diventare Blob, ora probabilmente per diventare meme.

La stessa sera, sulla Hbo andava in onda il talk migliore del mondo, quello di Bill Maher. Era ospite Andrew Sullivan, che esprimeva gli stessi concetti del conservatore italiano ma come li esprime uno alfabetizzato, e spiegava bene l’assurdità dell’Italia che si scalda sulla regolamentazione dell’aborto americano, pur senza nominarci mai.

La sinistra americana è scandalizzata perché i primi interventi di riduzione della possibilità di abortire (in Florida, per esempio) hanno abbassato il termine da sei mesi a meno di quattro (quindici settimane). Gli americani non sanno talmente mai niente che il primo che studia due schede da sussidiario su quel che accade fuori dagli Stati Uniti pare subito un genio. Sullivan (che è inglese, inserire qui la battuta di Hamilton sugli immigrati sui quali contare per un lavoro ben fatto) fa presente che in mezza Europa il termine è a dodici settimane (anche in Italia).

Una giornalista ospite interviene dicendo sì, ma lì hanno la sanità pubblica. Già, ragazza: qui in dodici settimane, non potendo per legge abortire nel privato, devi anche fare in tempo a trovare un non obiettore nel pubblico. Ha tentato di spiegarlo Chiara Lalli a Lilli Gruber, ma alla Gruber «Molise» sembrava meno chic di «Florida» e quindi l’ha interrotta come stesse andando fuori tema. (Dovendo scegliere un modello, suggerirei l’Inghilterra: sanità pubblica, e termine a sei mesi).

Ci sarebbe poi anche da parlare della questione «come osano parlarne gli uomini» o, come dicono quelli cui piace citare in inglese, «no uterus no opinion». La giornalista ospite da Bill Maher è lesbica: l’utero inutilizzato ha comunque diritto a opinioni? E, se pensi che quella che abortisce ammazzi qualcuno, non hai non solo il diritto ma forse pure il dovere d’intervenire, anche se un utero non ce l’hai?

Com’è possibile che da questo lato delle cose – quello in cui abortire pare non solo un diritto ma addirittura un dovere, e quella fuori legge dovrebbe essere la gravidanza portata a termine – non riusciamo ad avere argomentazioni adulte, e a capire che una questione etica che per qualcuno (anche per molti di quelli che cianciano di «dramma morale» sperando così diventi più accettabile) non è niente, e per altri è assassinio, non la risolvi fingendo che le donne siano tutte da questo lato della questione?

Certo che più o meno tutte le donne hanno l’handicap di rischiare di restare incinte a ogni rapporto sessuale per metà della loro vita, e che questa disgrazia richiederebbe una pensione d’invalidità universale, e che l’idea che se resti incinta tu debba tenertelo è distopica e inaccettabile per molte di noi. Ma ci sono pure quelle che pensano che farti aspirare un embrione o un feto sia un omicidio, e rispetto all’omicidio hanno problemi di coscienza: avere un utero non basta neanche ad avere tutte la stessa opinione sui diritti che abbiamo su quell’utero.

Com’è possibile che non capiamo che le donne americane che manifestavano felicità per la fine di Roe vs Wade non sono donne che gioiscono perché viene negato loro un diritto, sono donne convinte che si metta fine a un crimine? Com’è possibile che noialtri intelligenti siamo così stupidi?

Politica e Costituzione. Che cosa vuol dire la sentenza contro l’aborto per l’America (e per l’Italia). Cataldo Intrieri su L'Inkiesta il 25 Giugno 2022.

La decisione della Corte Suprema americana non riguarda solo il tema dell’autodeterminazione della donna, ma investe profili altrettanto delicati come l’equilibrio tra potere legislativo e intervento dei giudici

La Suprema Corte Federale degli Stati Uniti pone fine dopo mezzo secolo agli effetti di quella che era la sua pronuncia più famosa, la sentenza Roe v Wade con cui nel 1973 aveva ritenuto incostituzionale il divieto di abortire fino a quando il nascituro non avesse raggiunto una propria autonomia di vita ( 24/28 settimane).

La decisione (213 pagine di motivazione fittissima del tutto insolita per una cultura giuridica abituata a una tacitiana asciuttezza espressiva), ha scatenato durissime polemiche nonostante fosse stata anticipata da una bozza fatta circolare nel mese scorso che si è rivelata esatta.

Come buona abitudine, i commenti provengono da soggetti che palesemente non hanno letto una riga e in alcuni casi neanche hanno capito di che cosa esattamente si occupasse la sentenza.

Cominciamo col dire che la Corte non vieta l’aborto ma intervenendo sulla legislazione dello Stato del Mississippi si limita a dire che i vari Stati dell’Unione hanno diritto a porvi per via legislativa limiti e regolamentazione.

Questo è sembrato sufficiente a buona parte dell’opinione pubblica progressista per esprimere indignazione e spingere il presidente Joe Biden, con un’evidente forzatura del suo ruolo, a invocare l’intervento del Congresso per porre rimedio agli effetti di una sentenza emessa dall’organo custode della corretta applicazione della più antica delle carte costituzionali.

Un autorevole studioso ed esperto della legislazione statunitense come Stefano Ceccanti ha ipotizzato che la sentenza possa costituire la molla per una mobilitazione dell’opinione pubblica laica alle elezioni di midterm di novembre.

Eppure sia consentito dire che a una prima lettura il contestato provvedimento si presta a una riflessione più complessa che coinvolge anche temi delicati di democrazia istituzionale oltre che quelli più scontati della libertà personale.

Il punto più controverso è proprio quello che riguarda la tutela costituzionale dell’aborto come espressione della autonomia e della libertà personale. La Corte non ritiene che alcuno dei principi costituzionali contempli la tutela di un simile diritto.

Non mi avventuro in una simile materia, ma richiamo l’attenzione su un profilo che sembra di gran lunga più significativo che è quello che riguarda il potere del diritto di origine giurisprudenziale di limitare e condizionare la libertà del legislatore.

Se dovessimo enucleare il concetto più rivoluzionario che la sentenza esprime esso è contenuto nella sintesi introduttiva (syllabus) laddove la Corte, con riferimento alla sentenza Roe-Wade che costituiva il parametro fino a oggi vincolante in materia, scrive che lo «Stare Decisis» (vale a dire il precedente giurisprudenziale costituzionale) non è un «inesorabile comando» e non esiste la prevalenza del diritto delle sentenze e dei giudici su quello del legislatore.

Nel ragionamento dei giudici, l’inviolabilità del precedente giurisprudenziale costituirebbe un freno alla libertà dei cittadini di affermare le loro idee in sede legislativa e parlamentare.

A ben vedere, il tema è ben conosciuto anche nel nostro paese particolarmente segnato dal conflitto tra la politica e una sorta di impropria tutela etico-giudiziaria esercitata dalla magistratura.

Quello che sostiene la Corte Suprema è che i grandi temi etici sono materia estranea all’intervento del giudice e vanno regolati dal legislatore come espressione del libero e democratico confronto parlamentare.

Una sentenza non è per sempre e non può la decisione di un organo giurisdizionale limitare la libertà dell’elettore di contribuire a una diversa regolamentazione conforme all’evoluzione del costume e del pensiero.

È significativo che in un passaggio del commento introduttivo, la Corte evidenzi che «lo schema della sentenza Roe ha prodotto una para legislazione e la corte ha fornito una sorta di enunciazione simile a quella che ci si aspetterebbe da un corpo legislativo».

Un tema, come si vede, assai delicato e che non merita gli strilli isterici da talk show dei commentatori che palesemente non hanno letto nulla.

Chi scrive, ad esempio, ritiene che a certe condizioni l’interpretazione dei giudici (salvo eccessi creativi) possa fornire garanzie migliori rispetto a un potere di legislazione esercitato da una maggioranza illiberale e populista, ma il punto è che il profilo abbracciato (a maggioranza) dai giudici federali è invero assai meno rozzo e schematico di quanto lo si voglia rappresentare.

Quanto alla rivendicazione di una sorta di diritto costituzionale all’aborto ferve già il dibattito sulle possibili ricadute della sentenza statunitense sul destino della legge 194 e in generale sulle legislazioni europee a tutela dell’autonomia della donna in materia di gravidanza: ma le conclusioni affrettate sono destinate a possibili clamorose smentite.

La corte federale ha scritto che non esiste un diritto costituzionale all’aborto, cosa deciderebbe la Consulta qualora qualcuno volesse sollevare oggi il problema di legittimità costituzionale della legislazione sull’aborto in funzione della tutela dei nascituri quali soggetti deboli?

Ebbene conviene richiamare ciò che la nostra Corte Costituzionale ha scritto nella sentenza 242/ 19 nella drammatica vicenda di dj Fabo in materia altrettanto scottante quale il diritto alla autodeterminazione nel fine vita e la legittimità dell’eutanasia: «Dall’art. 2 Cost. – non diversamente che dall’art. 2 CEDU – discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello – diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire». Ecco: il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo e l’implicito limite al concetto allargato di libertà personale («ordinata autoregolamentazione», secondo i giudici americani).

La Consulta ha per inciso escluso che la legge che puniva l’aiuto al suicidio, dichiarata parzialmente incostituzionale «si ponga, sempre e comunque sia, in contrasto con l’art. 8 CEDU, il quale sancisce il diritto di ciascun individuo al rispetto della propria vita privata: conclusione, questa, confermata dalla pertinente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo». È lo stesso argomento utilizzato dalla Corte Suprema americana per escludere un’espressa tutela costituzionale al diritto di aborto.

Certamente il dibattito è aperto e, come si vede, non può essere liquidato istericamente secondo gli schemi di buoni/cattivi e destra/sinistra.

C’è un interrogativo serio e politico sullo sfondo: il tema della vita e della morte (specie di quelle altrui), una materia complessa che esula dalle aule di tribunale come dal personale arbitrio.

Vaticano. Paglia: «La sentenza Usa sull'aborto sfida il mondo a riaprire il dibattito». Redazione Internet su Avvenire.it venerdì 24 giugno 2022

La Pontificia Accademia per la Vita esorta a «sviluppare scelte politiche che promuovano condizioni di esistenza favorevoli alla vita senza cadere in posizioni ideologiche a priori» 

"Il fatto che un grande Paese con una lunga tradizione democratica abbia cambiato posizione su questo tema sfida anche il mondo intero". Lo sottolinea in una nota la Pontificia Accademia per la Vita presieduta da monsignor Vincenzo Paglia a proposito della sentenza della Suprema Corte Usa che ha annullato la sentenza del 1973 che legalizzò l'aborto.

"Di fronte alla società occidentale che sta perdendo la passione per la vita, questo atto è un forte invito a riflettere insieme sul tema serio e urgente della generatività umana e delle condizioni che la rendono possibile; scegliendo la vita, è in gioco la nostra responsabilità per il futuro dell'umanità" afferma Paglia.

"Il parere della Corte - osserva l'Accademia - mostra come la questione dell'aborto continui a suscitare un acceso dibattito. Il fatto che un grande Paese con una lunga tradizione democratica abbia cambiato posizione su questo tema sfida anche il mondo intero. Non è giusto che il problema venga accantonato senza un'adeguata considerazione complessiva".

"La protezione e la difesa della vita umana - prosegue - non è una questione che può rimanere confinata all'esercizio dei diritti individuali, ma è una questione di ampio significato sociale. Dopo 50 anni, è importante riaprire un dibattito non ideologico sul posto che la tutela della vita ha in una società civile per chiederci che tipo di convivenza e società vogliamo costruire".

"Si tratta di sviluppare scelte politiche che promuovano condizioni di esistenza favorevoli alla vita senza cadere in posizioni ideologiche a priori. Questo significa anche garantire un'adeguata educazione sessuale, garantire un'assistenza sanitaria accessibile a tutti e predisporre misure legislative a tutela della famiglia e della maternità, superando le disuguaglianze esistenti. Abbiamo bisogno di una solida assistenza alle madri, alle coppie e al nascituro che coinvolga l'intera comunità, favorendo la possibilità per le madri in difficoltà di portare avanti la gravidanza e di affidare il bambino a chi può garantire la crescita del bambino". 

Cara Bernardini De Pace, sull’aborto sceglie l’uomo anche in caso di stupro? 

La replica di Chiara all'articolo sulla Stampa di Annamaria Bernardini de Pace: l’unica a poter decidere è la donna. E le uniche alternative sarebbero il voto o l'obbligo. Chiara Lalli su Il Dubbio il 20 luglio 2022.

«Ho lottato per l’aborto, decida anche l’uomo» è il titolo di un commento di Annamaria Bernardini de Pace del 3 luglio sulla Stampa. Il solito titolo esagerato? No, è peggio, è il riassunto di alcuni errori comuni.

Parto dalla fine, dalla distrazione di riportare il 67% degli obiettori, verosimilmente il numero della penultima relazione ministeriale perché l’ultima dà un numero diverso (64,6 come media nazionale dei ginecologi). Poi per carità, non cambia molto nel difettoso ragionamento che precede, la disattenzione per i dati è preoccupante. Risalendo poi nella lettura verso il titolo ecco il condizionamento irriflesso dell’aborto come «sempre una decisione gravissima che sconvolge chiunque»: mi colpisce sempre il nominarsi portavoce di tutte, ignorando l’azzardo di ogni legge universale. No, non per tutte è una decisione gravissima e sconvolgente. No, non significa che «allora è un divertimento», perché questa è una falsa dicotomia. E lo sconvolgimento necessario e universale è una sciocchezza.

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E poi la domanda che ispira il titolo e che viene declinata in vari modi (decide anche l’uomo?) ma che è sempre abbastanza insensata se non condizionata alla volontà della donna, come peraltro stabilito dalla legge 194 (in una delle sue parti non paternalistiche). Sono poche parole e bastano a rispondere ai dubbi di Bernardini de Pace: «Ove la donna lo consenta» (articolo 5). E non può che essere così e non dovrebbe esserci bisogno di spiegare perché (chissà poi dove e come lo troviamo «il padre» se la donna non lo vuole coinvolgere). L’unica a poter decidere è la singola donna sulla propria gravidanza. E ricordiamo che le uniche alternative sarebbero mettere ai voti (gravidanza o aborto?, votate!) e imporre di portare avanti la gravidanza (oltre alla ripugnanza morale di questa possibilità, mi chiedo sempre come sarebbe possibile mettere in pratica questo obbligo).

Sebbene non mi piaccia l’abitudine (molto diffusa) di parlare di aborto volontario usando i casi estremi, vorrei chiedere a Bernardini de Pace se ha pensato di far decidere l’uomo anche in caso di violenza, di stupro o di abuso. E come fare in caso di conflitto: io voglio abortire, il padre dell’embrione (fa già ridere così) non vuole. Solo alla fine penso che una soluzione esiste e che ci avevano già pensato. Basta quindi recuperare il curatore del ventre e conferirgli anche tutti i poteri di un tutore e di un amministratore di sostegno, perché le donne non possono essere mica lasciate sole a decidere. Ovviamente è per il nostro bene.

E arriviamo alla premessa e al commento sulla decisione della Corte suprema riguardo a Roe vs Wade – che è una questione più generale e forse perfino più importante. Scrive Bernardini de Pace: «Si sono subito scatenati gli arrabbiati femministi di tutto il mondo, scandalizzandosi perché con questa decisione viene compresso il “diritto all’aborto”. Peraltro, raccontando che viene vietato l’aborto e che si torna indietro di 50 anni. Dimenticando che ciascuno dei 50 stati americani avrà una legge rispettosa del pensiero dei propri cittadini, pro o contro l’aborto. Ma un diritto all’aborto non c’è, non esiste. Non è possibile, infatti, parlare di un diritto laddove non vi sia un corrispondente dovere». A parte il disprezzo che sembra trapelare da «arrabbiati femministi», e a parte che questa è una questione che confinare nei femminismi (mi chiedo se “femministi” sia un refuso) è ingiusto e tipico del fronte più conservatore, vorrei sottolineare due cose.

La prima è che il diritto all’aborto rientra nel diritto all’autodeterminazione personale, che riguarda l’ambito sanitario e non solo (questo vale per la 194 e per Roe vs Wade). Per usare una espressione molto cara a Benjamin Constant, questo è lo spazio della cosiddetta libertà negativa, quello spazio in cui lo Stato non deve venirci a dire cosa fare (vale anche per l’articolo 29 della nostra Costituzione invocato a sproposito per dire no ai matrimoni ugualitari). Questo significa che lo Stato – ma pure tutti gli altri – hanno il dovere di rispettare questa libertà negativa. Ah, non si dovrebbe votare, perché nemmeno un plebiscito dovrebbe avere il potere di privarmi di alcuni diritti fondamentali. È vero che la Corte italiana ha ancorato l’interruzione volontaria della gravidanza alla salute, ma non è vero che non ci sia un dovere conseguente, che è quello di garantire l’accesso a un servizio medico sicuro (quando sono presenti determinati presupposti stabiliti dalla legge).

La seconda è che una volta stabilita una premessa poi non possiamo tenere solo quello che ci fa comodo e che volevamo dimostrare. Quindi se si usa l’assenza di un esplicito diritto all’aborto nella Costituzione per dire che è una specie di miraggio, allora lo stesso discorso vale per la obiezione di coscienza (aggiungiamo il diritto di voto per le donne, se vogliamo sembrare persone di mondo). Per fortuna le norme evolvono e non tutti interpretano in modo così letterale (e sbagliato) la Costituzione.

L'aborto visto (e vissuto) da lui tra fake news e psiche: l'uomo oltre il trauma. Eugenia Nicolosi su alfemminile.com.

Medicina, psicologia e perfino etica e religione si intrecciano attorno a una donna che vive l'esperienza dell'aborto: che succede invece agli uomini?

Indice

 · Un progetto di vita che va in frantumi

 · Attenzione alle fake news sulle reazioni di lui all'aborto

 · La medicina non riconosce alcun “trauma post aborto maschile”

 · Aborto spontaneo: per lei lo stress c'è (ma si sopravvive)

 · Il tasso di abortività in Italia: dipende solo dalla donna?

 · E se l'aborto spontaneo fosse (anche) colpa del partner?

 · Guarire il dolore con il sesso (senza pensare a concepire)

Un progetto di vita che va in frantumi

Se l'interruzione volontaria di gravidanza è una scelta consapevole e una pratica legale, che nasce dal diritto della donna di disporre del proprio corpo, l'aborto spontaneo è una perdita imprevista e dolorosa. 

Si tratta di perdere l'idea di un figlio prima ancora che nasca e di uno stop forzato al proprio progetto di vita. Il più delle volte si tratta di un rallentamento temporaneo ma è comunque un evento che mette alla prova la stabilità emotiva di chi fisicamente affronta la fine improvvisa della gravidanza e, nel caso in cui si sia in coppia, mette alla prova anche la stabilità della relazione. 

Inesistente la letteratura non faziosa che si è occupata delle reazioni del partner in caso di aborto spontaneo, moltissima, invece, quella di matrice anti abortista che inventa sindromi maschili per fortuna fortemente screditate dalla medicina tradizionale. Ma, il partner che subisce l'esperienza, seppur non vivendola fisicamente, ha o non ha delle ripercussioni sul piano emotivo e psicologico? 

Secondo la psicologa Carla Maria Brunialti, quando la coppia funziona e se la complicità è forte "pur non essendo vissuta nel proprio corpo la ferita è condivisa dall'uomo". Laddove "invece la coppia è disfunzionale e quando la donna è totalmente concentrata su sé stessa e chiusa nel proprio dolore l'uomo si sente escluso". Inoltre, si tratta di un comportamento che prepara il terreno "all'esclusione del partner nella costruzione di una diade madre-figlio che frequentissimamente si riscontra".

Attenzione alle fake news sulle reazioni di lui all'aborto

Secondo alcuni scritti, tra gli effetti psicologici cui va incontro l'uomo che vive l'esperienza dell'aborto c'è o ci potrebbe essere la messa in discussione della propria virilità. Il concetto di virilità nasce in seno alla cultura eteropatriarcale e tossica ed è un costrutto sociale, non una caratteristica naturale dell'uomo. La virilità viene insegnata all'uomo da altri uomini (e donne) attraverso modelli sociali da seguire, regole e divieti. 

Riguardo a questo tema le associazioni religiose e antiabortiste fanno riferimento a un disturbo che chiamano “Male Post-abortion Trauma” (trauma post aborto maschile) che sarebbe una sofferenza in grado di provocare reazioni a catena nella psiche del maschio tra cui l'erosione dell’identità maschile minandone l’autostima (‘Non valgo nulla perché non ho saputo impedirlo’) e l'impedimento della maturazione di una “compiuta identità di genere” (l'uomo è un vero uomo se dà prova di essere virile). 

“Infatti, per il maschio”, continua lo scritto dei no choice, “contribuire al concepimento di un figlio significa vivere il nucleo centrale della virilità, dell’essere davvero uomini: la capacità, intesa anche come forza e potenza, di avviare il processo vitale di un altro essere umano”. Le associazioni proseguono elencando una serie di effetti devastanti sull'uomo che sperimenta l'aborto, ripercussioni che vanno dalle manie incendiarie (in particolare, si legge che “possono incendiare chiese”) fino al femminicidio.

La medicina non riconosce alcun “trauma post aborto maschile”

Naturalmente la medicina tradizionale ha indagato il fenomeno e non solo con lo scopo di fare luce su teorie di questo tipo. Tra i documenti prodotti nel tempo e pubblicati nella National Library of Medicine (creata dal governo federale degli Stati Uniti d'America, è la più grande biblioteca medica del mondo) emerge uno studio che si è concentrato proprio sulla condizione “pseudopsicologica”, così c'è scritto, chiamata "sindrome post aborto".

E in particolare è stata messa sotto esame la veridicità di quanto trovato negli spazi online nel tentativo di rimediare, colmando lacune e togliendo spazio alle fake news. “Lo studio è proseguito in due parti”, recita il documento, “in primo luogo abbiamo recuperato tutte le carte diffuse dagli attivisti anti-aborto che facevano affermazioni sulla sindrome post aborto maschile e li abbiamo analizzati, affermazione dopo affermazione". 

"In secondo luogo li abbiamo sottoposti a revisione confrontandoli con 41 articoli medici sul tema, includendo nel paragone descrizioni approfondite, dati, analisi e risultati. E emerge che gli attivisti parlano di un disturbo clinico con lo scopo di disincentivare le pratiche di aborto volontario perché non c'è alcun dato scientifico che registri una sindrome traumatica post aborto negli uomini, al netto del fisiologico dolore che un uomo con il desderio di paternità può provare vedendo la concretizzzazione del desiderio allontanarsi. 

Infatti il risultato dello studio è che "gli attivisti sotengono che gli uomini dovrebbero impedire alle donne di abortire per prevenire i gravi disturbi psicologici da loro descritti e per manenere l'ordine nelle tradizioni familiari e sessuali". 

"Al contrario, per quanto gli studi scientifici provino che una serie di risposte psicologiche siano in qualche modo presenti, non sono niente affatto simili alla sindrome post aborto descritta dagli attivisti. Conclusione: non troviamo supporto scientifico per le affermazioni degli attivisti anti-aborto né per sostenere l'esistenza di una sindrome post aborto tra gli uomini".

Aborto spontaneo: per lei lo stress c'è (ma si sopravvive)

Le donne che vivono un aborto spontaneo (non si parla, qui, di interruzione volontaria di gravidanza), sono state anche loro oggetto di uno studio pubblicato nel 2019 dall’American Journal of Obstetrics and Gynecology. 

Hanno partecipato in 1.098 e sono state ben in 492 le donne a completare nel giro di un mese la “Hospital Anxiety and Depression Scale”. Si tratta di una scheda di autovalutazione somministrata a pazienti in fase di ricovero che si è rivelata uno strumento più che affidabile nella rilevazione di stati di depressione e ansia in un arco temporale variabile e monitorato. A essere misurate, grazie a un questionario, sono anche le sottoscale di ansia e depressone afferenti a disturbi di tipo emotivo. 

Altre 426 (il 58%) lo hanno completato nell'arco di 3 mesi e 338 nel giro di 9 mesi. I criteri secondo cui si identifica l'uscita dal livello di stress post-traumatico sono stati soddisfatti dal 29% delle donne entro un mese e solo nel 18% oltre i 9 mesi. Ansia moderata o grave è stata riportata solo nel 24% di loro dopo un mese e nel 17% dopo 9 mesi. 

La conclusione dello studio è che le donne sperimentano alti livelli di stress post-traumatico, ansia e depressione dopo un aborto spontaneo ma si tratta di un disagio che diminuisce nel tempo e che può rimanere a livelli clinicamente validi per un periodo di circa 9 mesi.

Il tasso di abortività in Italia: dipende solo dalla donna?

Nel 2022 sono stati diffusi da Istat i dati sull'abortività spontanea (l’interruzione involontaria di gravidanza entro il 180° giorno compiuto di amenorrea). Il numero assoluto dei casi registrati è passato da 56.157 nel 1982 a 42.782 nel 2018, con una riduzione del 23,8%. 

Questa riduzione può essere in parte attribuita alla tendenza recente a trattare gli aborti spontanei, in particolare quelli precoci, in regime ambulatoriale, in Pronto Soccorso o comunque in assenza di ospedalizzazione, e così questi casi sfuggono alla rilevazione che invece analizza le schede di dimissione degli ospedali. Infatti sono dati confermati parzialmente anche dal Ministero della Salute che analizza le stesse schede. 

Dai dati emerge anche che l’età della donna è un fattore a cui si associa un rischio di abortività più elevato: le donne in Italia hanno una gravidanza sempre più tardi, tanto che l’età media al parto è aumentata di oltre quattro anni tra il 1982, quando era di circa 27 anni, e il 2018 (oltre 32 anni): i livelli di abortività crescono al crescere dell’età della donna e un rischio significativamente più elevato si nota a partire dalla classe di età 35-39 anni, quando il valore dell’indicatore supera di circa il 60% quello riferito alla classe d’età precedente.

E se l'aborto spontaneo fosse (anche) colpa del partner?

Tra le cause conosciute di aborto ci sono le aberrazioni cromosomiche occasionali, cosiddette “de novo”, alcune forme di trombofilia ereditaria, anomalie uterine congenite o acquisite come per esempio i polipi, endocrine, disturbi autoimmuni e, forse, abitudini di vita non salutari come il fumo, l’obesità e lo stress psicologico. 

La maggior parte di queste condizioni sono legate alla donna, mentre il contributo del maschio rimane relativamente inesplorato. Il medico urologo Gian Luca Milan ha prodotto una ricerca circa la responsabilità maschile in tema di aborto spontaneo che ha poi diffuso sul suo spazio web dedicato a medicina e informazione. 

L'esigenza di lavorare a tale a ricerca nasce proprio dal fatto che soprartutto di recente sono molte le coppie a domandare all'andrologo se esistono "delle cause maschili di tipo cromosomico o genetico”. 

Ebbene, l''alterazione dei parametri spermatici valutati in base a criteri classici del WHO (concentrazione, motilità, morfologia) non è chiaramente associata al rischio di aborto sporadico o ricorrente. Tuttavia alcune carenze del liquido seminale potrebbero rappresentare la manifestazione di una causa più profonda.

Un esempio di questo è il caso di embrioni con anomalie cromosomiche originati da errori di divisione dei cromosomi durante la spermatogenesi di uomini con oligoastenoteratospermia grave. È stato eseguito in Spagna uno studio prospettico condotto dall’Università di Valencia: si è preso in considerazione come ipotesi di causa sconosciuta di aborto spontaneo ricorrente le microdelezioni del cromosoma Y, la frammentazione del DNA e lo stress ossidativo del DNA spermatico. 

Dall’analisi dei dati è risultato che solo la frammentazione del DNA degli spermatozoi risulta aumentata, anche se in modo lieve, nel gruppo dei pazienti sottoposti all'esperimento che avevano vissuto l'aborto spontaneo ripetuto. Riguardo le microdelezioni del cromosoma Y, queste non sono state rilevate in nessuno dei maschi di coppie con aborto ricorrente. Neanche le misurazioni dell’ossidazione del DNA degli spermatozoi sono risultate rilevanti per l’aborto ripetuto. 

Una tesi confermata al Congresso Annuale ENDO 2019 della Endocrine Society: alcuni casi di aborti ripetuti possono essere legati ad un danno del DNA dello sperma nel partner maschile, piuttosto che da un problema della donna, sebbene siano le donne a essere sottoposte a numerose indagini per individuare una causa che infatti molto spesso non viene trovata perché semplicemente non dipende da lei. 

In sintesi lo studio suggerisce che potrebbe essere utile indagare sui partner maschili di donne che vivono aborti ripetuti circa eventuali anomalie nella loro funzione riproduttiva e, nello specifico, di aprire la farmacologia alla possibilità di progettare farmaci per arrestare il danno del DNA dello sperma e quindi ridurre il rischio di aborto spontaneo.

Guarire il dolore con il sesso (senza pensare a concepire)

Il sesso come pratica per alleviare il dolore: la psicologa Carla Maria Brunialti spiega che “mentre la donna può riparare la ferita psichica ritentando la gravidanza, l'uomo si interroga; si chiede - inconsciamente - se avrebbe potuto evitare l'aborto spontaneo, se ha fatto tutto il possibile per la mamma e il feto, si sente in colpa, e qualcuno di loro sperimenta fortemente la luttuosità dell'evento”. 

Il consiglio che inoltre suggerisce di seguire è quello di "evitare di avere, in una prima fase, rapporti sessuali mirati al concepimento: c'è da riparare la sessualità” per vederla “come oggetto buono, non come mezzo per procreare”, e aggiunge, “per quasi tutti i giorni del mese la sessualità può essere ludica, gioiosa e creativa e solo un paio di giorni è realmente mirata all'obiettivo. Tenere separate le due cose permette di difendere la sessualità sia dal processo di elaborazione lutto che dall'obiettivo procreativo”. 

Inoltre invita le coppie a rivolgersi a un, o una, professionista di psicologia se lo stato d'animo sgradevole si perpetrasse nel tempo e se la condizione di dolore dovesse trasformarsi in una condizone di malessere patologico, permanente. “Chiedere aiuto non è una debolezza", ricorda. 

Eugenia Nicolosi. È giornalista, scrittrice e attivista femminista e del movimento Lgbtqia+. Fa parte di e lavora con diverse associazioni e organizzazioni che promuovono la parità di genere e la parità di …

Controcorrente, “scelta clamorosa”. Cesara Buonamici sconvolta sull'aborto: delitto contro le donne. Il Tempo il 24 giugno 2022

Cesara Buonamici, giornalista e volto noto del Tg5, è tra gli ospiti presenti in studio nell’edizione del 24 giugno di Controcorrente, il talk show di Rete4 condotto da Veronica Gentili. Si discute della scelta dei giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti, che hanno stabilito che l’interruzione di gravidanza non è più da considerare un diritto costituzionale: “È - dice Buonamici - una decisione eccezionale e clamorosa. Ci sono state reazioni opposte tra Barack Obama e Donald Trump, che ha detto che è il volere di Dio. Come donna sono assolutamente contraria, trovo che sia un delitto non garantire questo diritto costituzionale alle donne americane. È una sentenza che non passa di certo inosservata, non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo. È una decisione molto grave”. 

Controcorrente, “a favore dei deboli”. Mario Giordano si schiera contro l'aborto: “Viene tutelato il bambino”. Il Tempo il 24 giugno 2022

Fa discutere la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha deciso di revocare la sentenza del 1973 sul caso roe v. Wade, cancellando il diritto costituzionale di abortire. Il tema è discusso nell’edizione del 24 giugno di Controcorrente, il talk show di Rete4 condotto da Veronica Gentili, e c’è chi trova sensata la decisione dei giudici statunitensi. Mario Giordano, giornalista e conduttore di Fuori dal coro sulle reti Mediaset, spiega il proprio punto di vista: “Essendo cattolico sono convinto che la vita sia nel momento del concepimento. Non penso che sia un tornare indietro tutelare i più deboli e il più debole è il bambino, il nascituro nel momento in cui viene concepito. Una tutela nei confronti del nascituro non penso sia un arretramento sul piano dei diritti. Lo so che sono fuori dal coro, che ho detto una cosa stravagante e strana, ma è quello che penso”.

"Vietato l'aborto? No, è democrazia". E a Otto e mezzo scoppia la lite. Francesco Curridori il 24 Giugno 2022 su Il Giornale.

Scontro a Otto e mezzo tra Francesco Borgonovo e Lilli Gruber sulla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha negato il diritto all'aborto.  

Continua a dividere la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha negato il diritto all'aborto a livello federale. Stavolta, lo scontro non è tra due politici, ma tra due giornalisti: Francesco Borgonovo e Lilli Gruber.

Il vicedirettore de La Verità, ospite stasera a Otto e mezzo, su La7, non ha dubbi sul fatto che si tratti di una "decisione assolutamente democratica" e che"non c'entra nulla la morale e nulla la religione". Per Borgonovo è solo"una questione di democrazia" dato che la Corte Suprema americana non abolisce l'aborto, ma concede ai singoli Stati di decidere "attraverso il voto". Secondo il giornalista de La Verità "i diritti delle donne non sono in pericolo". E aggiunge: "E non c'entra nulla con l'Italia". Un discorso che ha mandato Lilli Gruber su tutte le furie che ha subito voluto puntualizzare: "Qui la democrazia non c'entra niente. C'entra, invece, con uno Stato democratico e civile garantire i diritti civili ai propri cittadini". Non si è fatta attendere la replica di Borgonovo: "Chi ha deciso che l'aborto è un diritto umano? Lo avete deciso voi adesso?".

A quel punto ecco che interviene Alessandro De Angelis, vicedirettore dell'HuffPost, che attacca il collega con una provocazione: "Perdonami, io capisco, sei anche vestito di nero e, quindi, queste teorie ben si calzano...". E poi si sfoga ulteriormente: "L'autodeterminazione di sé, del proprio corpo e l'amore che non ha sesso, sant'Iddio, si chiama libertà". E infine: "La democrazia liberale è questo, è l'opposto del comizio che ha fatto la Meloni in Andalusia. Quella è boia chi mollas....". Borgonovo, che si trova in collegamento e non in studio, cerca di far valere le sue ragioni, ma il volume del suo microfono viene silenziato al minimo per impedirgli di parlare. Solo, poco dopo, il giornalista de La Verità, può far valere brevissimamente le sue ragioni, ma la Gruber concede l'ultima parola a Beppe Severgnini del Corriere della Sera che, ovviamente, non esprime giudizi favorevoli alla sentenza della Corte Suprema americana.

Adinolfi: “Sentenza Corte Suprema USA su aborto importante, decideranno singoli Stati". I Tempo il 24 giugno 2022

(Agenzia Vista) Roma 24 giugno 2022 La decisione assunta dalla Corte Suprema americana è di grandissima importanza. Finalmente si riconosce il diritto alla vita e si stabilisce che non può esserci una decisione sull'aborto presa contro il volere del popolo. Quello che circola in queste ore è davvero qualcosa di stupido e falso. Non è stato cancellato il diritto di abortire negli Stati Uniti, ma semplicemente rimandato alle decisioni dei singoli Stati. Il caso è quello del Mississipi che voleva limitare l'aborto alla 15esima settimana”. Lo ha dichiarato il Presidente del Popolo della Famiglia Mario Adinolfi. Fonte: Agenzia Vista / Alexander Jakhnagiev agenziavista.it

Filippo Facci per “Libero quotidiano” il 17 giugno 2022.

Insopportabili quelli che «l'avevano detto», noi però l'avevamo detto (scritto) tre volte: nel 2016, 2017 e 2019, su questa pagina. Ora Repubblica riporta che dal 2002 al 2019, in Italia, 473 bambini sono stati uccisi dai genitori (dati Eures) col dettaglio che sotto i sei anni sono quasi sempre le madri ad ammazzare. Noi avevamo aggiunto (sempre dati Eures) che un omicidio su due è commesso in famiglia. 

La verità taciuta non è il femminicidio: l'emergenza omnicomprensiva si chiama «familicidio» perché rimane stabile in una società sempre meno violenta dove negli ultimi vent' anni gli assassinii si sono più che dimezzati: ma a rimanere costante, appunto, è il tasso degli omicidi domestici che continua a rimanere circa il 25 per cento del totale.

In famiglia si uccide più di quanto facesse la mafia, e all'attenzione morbosa dei media assurgono pochi «casi unici» che non sono unici per niente. Se ne parla poco, si preferisce battagliare attorno al femminicidio- che non è estraneo al problema - e però si tralasciano gli impressionanti dati Istat, Eures o gli studi di sociologi come Marzio Barbagli. 

L'altra verità taciuta è che una campagna sul «familicidio» scatenerebbe gli strepiti dell'intero arco costituzionale e naturalmente della Chiesa: perché in Italia abbiamo sempre delle grandi difficoltà, a chiamare le cose col loro nome

La decisione sull'aborto. I giudici della Corte Suprema Usa sono retrogradi e oscurantisti. Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino su Il Riformista l'1 Luglio 2022 

Dopo la decisione Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, che ha cancellato i precedenti favorevoli al diritto delle donne alla interruzione volontaria della gravidanza, non è facile anticipare l’impatto che essa potrà avere sulla vita politica americana, in particolare sui risultati delle elezioni dette di metà mandato che avranno luogo in novembre. Negli ultimi mesi i sondaggi sulle intenzioni di voto non sono favorevoli ai Democratici, che potrebbero perdere la maggioranza al Congresso, e l’approvazione del Presidente Biden è data al 41% dai sondaggi Gallup. Quello che è certo è che la decisione della Corte Suprema si inscrive in un clima di conflitto e di scontro politico e culturale presente da tempo nella società americana e che si è fortemente accentuato a partire dall’elezione di Trump nel 2017 e ancor più a partire dalla sua sconfitta elettorale.

Questa divisione che spacca la società di oltre Atlantico vede al tempo stesso la crescita degli estremismi e il discredito delle istituzioni. La stessa Corte Suprema, che partecipa in realtà dello stesso estremismo, ha una reputazione bassissima fra i cittadini americani e raggiunge appena il 25% di approvazione, un giudizio senza precedenti. La decisione Dobbs è peraltro il risultato di una lunga battaglia della destra americana contro la celebre sentenza Roe v. Wade del 1973 che aveva, in assenza di una legge federale, garantito alle donne il diritto di abortire. La svolta è avvenuta con la nomina di tre giudici conservatori scelti dal presidente Trump e approvati dal Senato, i quali, in aggiunta ad altri tre nominati da precedenti presidenti Repubblicani, controllano ormai la Corte Suprema. Se si tiene conto del fatto che i giudici della Corte sono, in base alla costituzione del 1787, nominati a vita e che si tratta, per tutti quelli scelti da Trump, di giudici cinquantenni, si capisce che esiste ormai un corpo di guardiani della costituzione che può interpretarla a lungo secondo canoni della destra radicale, nonostante la presidenza del giudice Roberts, che è considerato dai più come una figura più moderata (come testimonia anche la sua opinione separata che, come chi scrive, considera estrema la decisione della maggioranza).

Per capire come le opinioni evidentemente di parte della maggioranza della Corte Suprema possano venir presentate come difesa della costituzione, dobbiamo tener presente che la Corte nella sua maggioranza adotta una teoria dell’interpretazione che va sotto il nome di “originalismo”. Con questo termine si intende la sorprendente dottrina in base alla quale le leggi sottoposte al vaglio dei giudici supremi devono essere compatibili con il dettato letterale della Carta costituzionale. Da cui risulta senza grande sforzo interpretativo che, poiché nel 1787 i Padri fondatori dell’Unione Americana non avevano parlato e nemmeno fatto menzione in nessuno dei successivi emendamenti di interruzione volontaria della gravidanza, la Corte non può (come avevano invece preteso le decisioni precedenti a partire da Roe) statuire sul punto. Dopo di che, il giudice redattore dell’opinione di maggioranza Samuel Alito sostiene che è compito e facoltà degli Stati dell’Unione – legislature e corti dei medesimi – decidere sulla materia.

In realtà, potrebbe decidere il Congresso federale, ma questo non ha mai voluto farlo per le divisioni interne ai due partiti monopolisti del potere politico, che, non essendo del tutto omogenei sulla questione, temono di alienarsi un po’ di elettori quale che sia la decisione che dovessero prendere. In assenza di una legge federale e avendo cancellato un diritto riconosciuto a partire dal 1973 dalla Corte Suprema, la conseguenza della decisione presa ora, che rovescia e cancella quelle precedenti, è che il paese si troverà, come su molti altri temi, diviso fra gli Stati liberali che consentono l’aborto e quelli che lo restringeranno rapidamente ai minimi termini. In sostanza questo vuol dire che in buona parte degli Stati conservatori del sud e del centro in molti casi per abortire le donne saranno costrette a recarsi negli Stati liberali.

Ciò evidentemente divide i diritti delle donne americane fra quelle che li hanno e quelle che invece no. Da questo punto di vista, la sentenza è conservatrice nei suoi effetti nel senso più tradizionale del termine: i diritti non sono gli stessi per i ricchi e per i poveri. Non si può essere più classicamente conservatori di così. Sarebbe tuttavia interessate vedere cosa accadrebbe se qualche Stato più conservatore degli altri decidesse di punire in qualche modo il turismo forzato per ottenere un aborto. Si tratterebbe di un aggravio dei costi del viaggiare dentro gli Stati Uniti. Ma questo probabilmente non avverrà poiché i conservatori americani amano i ricchi più dei diritti eguali.

Quello che questa strana vicenda insegna è la crisi profonda della società e dalla vita politica americana, al di là delle stravaganze dell’interpretazione costituzionale oggi dominante nella Corte Suprema, molto distante da quelle praticate nelle Corti costituzionali di paesi come la Germania, la Francia e l’Italia. Uno studioso di indiscussa autorità, che è stato giudice della Corte costituzionale tedesca, Dieter Grimm, ha sostenuto più volte che in Germania non esiste alcun equivalente dell’originalismo americano, così come non esistono nomine a vita dei giudici costituzionali e nomine di estremisti nelle Corti supreme di giustizia. In Germania, esattamente come in Italia.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

Alberto Simoni per “la Stampa” il 4 luglio 2022.

Lunedì scorso, tre giorni dopo la storica sentenza sull'aborto che ha archiviato la Roe contro Wade, la dottoressa Caitlin Bernard, ginecologa di Indianapolis, ha ricevuto una telefonata da un collega dell'Ohio che si occupa di abusi sessuali. Le ha raccontato una vicenda incredibile. E drammatica. Da pochi secondi una bambina di appena dieci anni aveva lasciato il suo studio medico, era stata violentata ed era incinta da sei settimane e tre giorni. Tre giorni oltre il limite, quelli in cui la legge dell'Ohio ritiene non si possa più interrompere una gravidanza.

Il Buckeye State consente l'aborto entro le prime sei settimane, ovvero quando inizia l'attività cardiaca del feto. Il trasferimento in Indiana era l'unica speranza. I legislatori di Indianapolis non hanno ancora approvato la legge statale che restringerà i tempi dell'aborto. La finestra si chiuderà il 25 luglio, ma fino ad allora non c'è il limite delle sei settimane di gestazione.

Secondo quanto ha riferito l'Indianapolis Star che per primo ha dato la notizia, la bambina è già arrivata in Indiana dalla dottoressa Bernard. Non si sa se sia già stata sottoposta al trattamento per interrompere la gravidanza.

Questo caso non è isolato. Mentre il divieto all'aborto è entrato in vigore negli Stati Uniti e tocca alle Assemblee statali legiferare, sono moltissime le donne che si sono rivolte a cliniche in altri Stati. Anche l'Indiana ha visto in questi primi sette giorni l'aumento degli arrivi di donne dagli Stati limitrofi. La dottoressa Katie McHugh ha parlato di un «anomalo incremento di richieste» da parte di persone incinte provenienti dal Kentucky e dall'Ohio. Nel 2021 il 5,5 per cento degli aborti in Indiana (sono stati circa 8400) sono stati praticati su persone che provenivano da altri Stati. La percentuale è destinata a crescere quest' anno anche se con il probabile ingresso in vigore della nuova legge il 25 luglio, gli aborti caleranno drasticamente. E dall'Indiana le donne saranno costretto a cercare aiuto in Illinois.

La sentenza della Corte suprema ha delegato agli Stati il compito di dotarsi di norme sull'aborto. Da qui la miriade di provvedimenti che rendono il sistema una vera e propria giungla. Il presidente Joe Biden vorrebbe che il Congresso facesse una legge sulle orme della Roe contro Wade in modo da codificare nelle norme federali il diritto all'interruzione di gravidanza. Ma non ha la maggioranza dei 60 voti necessari a superare l'ostruzionismo dei senatori repubblicani.

Sabato, intanto, in Texas la Corte suprema statale ha rimesso in vigore una legge del 1925 che vieta l'aborto e punisce con il carcere chi lo pratica ribaltando la sentenza di una corte minore. In direzione opposta sta andando invece lo Stato di New York, che ha approvato un emendamento per inserire l'aborto nella costituzione statale, che deve essere approvato dalla prossima legislatura e quindi sottoposto a referendum.

I giudici della Corte suprema sono sempre più nel mirino. Dopo le manifestazioni fuori dalle abitazioni in Maryland della giudice Amy Coney Barrett e l'arresto di un californiano armato vicino alla casa di Brett Kavanaugh, ieri il capo della Sicurezza della Corte ha chiesto ai governatori di Virginia e Maryland di aumentare la protezione attorno alle residenze dei giudici.

Biden ha citato una storia virale sull’aborto non verificata. Il Domani il 12 luglio 2022

Ha detto che una bambina di dieci anni, incinta dopo essere stata stuprata, ha dovuto cambiare stato per poter abortire. Nessuno però è riuscito a verificare la notizia che sembra fare acqua da molte parti

Venerdì scorso, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha citato una storia sull’aborto con un’unica fonte e che, fino ad ora, nessuno è riuscito a verificare. Biden ha parlato di una bambina di dieci anni, messa incinta dopo una violenza sessuale che, non potendo abortire in Ohio dopo la sentenza della Corte suprema, si sarebbe spostata nel vicino stato dell’Indiana per ricevere il trattamento. 

Biden ha raccontato l’episodio in un momento altamente simbolico: mentre si apprestava a firmare un ordine esecutivo che cerca di limitare gli effetti del divieto all’aborto già implementato da diversi stati repubblicani. Si tratta dell’azione più concreta intrapresa dal presidente sull'aborto fino a questo momento.

La storia era già diventata virale prima di essere ripresa da Biden, con migliaia di tweet e numerosi articoli sui giornali degli Stati Uniti e di altri paesi. La credibilità dell’episodio, però, è traballante.

La storia ha un’unica fonte: Caitlin Bernard, una dottoressa dell’Indiana e attivista a favore del diritto all’aborto. Bernard ha raccontato al giornale locale IndyStar di aver saputo del caso da un medico dell’Ohio che l’avrebbe contattata per aver informazioni su come comportarsi, poiché la legge introdotta nel suo stato dopo la decisione della Corte suprema vieta l’aborto anche in caso di stupro e incesto.

Dopo aver parlato con Bernard, il medico avrebbe consigliato alla famiglia della bambina di recarsi in Indiana per ottenere un’interruzione di gravidanza.

COSA NON TORNA

Dopo la ripresa della storia da parte di diversi media e soprattutto dopo che Biden ne ha parlato, numerosi giornalisti e factchecker hanno cercato di verificarla, ma dopo giorni di ricerca non sono emerse conferme, anzi.

Bernard ha rifiutato tutte le richieste di chiarimento e il giornale IndyStar, il primo a riferire la notizia, si è limitato a far sapere di aver svolto tutte le verifiche del caso e ha preferito non commentare ulteriormente la vicenda.

Il caso è divenuto sospetto anche perché i medici dell’Ohio sono tenuti a denunciare i casi di sospetta violenza sessuale nei quali si imbattono. Nello stato non esiste un registro centralizzato di questo tipo di denunce, quindi senza conoscere la giurisdizione dove è avvenuto il fatto è quasi impossibile verificare se una denuncia è stata sporta o meno. Il Washington Post ha contattato le autorità delle principali città dello stato e nessuna ha ricevuto una denuncia di questo tipo.

Altri dubbi sono stati sollevati da Dave Yost, il procuratore generale dello stato, un repubblicano che ha sostenuto parte degli sforzi di Donald Trump per invalidare l’elezione del suo successore. Yost ha detto che in un caso simile ci sarebbe stata una richiesta da parte delle autorità locali di un’esame medico per provare a individuare il Dna del violentatore. Il laboratorio che esegue queste analisi è alle dirette dipendenze del procuratore e Yost ha detto che nessun caso del genere è arrivato alla loro attenzione di recente.

UN CASO PLAUSIBILE?

Secondo Yost, inoltre, un caso del genere sarebbe del tutto impossibile, poiché il divieto di aborto dello stato non si applicherebbe in questo caso. Questa seconda questione è in realtà più complicata. La legge dell’Ohio prevede il divieto di aborto a partire da quando diventa udibile il battito del cuore del feto, il che può avvenire tra la quinta e la sesta settimana di gravidanza, quando molte donne non sanno ancora di essere incinta.

La legge non prevede eccezioni in caso di aborto o stupro, ma stabilisce che l’aborto è consentito per emergenze mediche, definite come un «grave rischio di un danno sostanziale e irreversibile ad una delle principali funzioni corporee della donna incinta». La legge esclude esplicitamente le conseguenze psicologiche della gravidanza tra le possibili eccezioni.

Ospite di una trasmissione del network di destra FoxNews, Yost ha detto che la legge dell’Ohio «ha una sezione sulle emergenze mediche più ampia della semplice tutela della vita della madre», ma non ha spiegato a quale eccezione potrebbe far ricorso una minorenne messe incinta dopo uno stupro se la sua gravidanza fosse non problematica per la sua salute dal punto di vista medico come definito dalla legge dello stato.

Gli effetti della sentenza della Corte Suprema negli USA. Incinta a 10 anni dopo uno stupro, costretta a lasciare l’Ohio per abortire: arrestato il suo aguzzino. Redazione su Il Riformista il 14 Luglio 2022. 

Altro che ‘fake news’ inventata di sana pianta per difendere la posizione pro-aborto dell’amministrazione democratica di Joe Biden, in contrapposizione alla sentenza della Corte Suprema che nelle scorse settimane ha demolito la Roe v Wade sul diritto all’interruzione di gravidanza in caso di incesto e stupro.

La notizia data per falsa di una bambina di 10 anni alla quale era stato negato il diritto all’aborto dopo esser stata vittima di stupro è stata infatti confermata dalla polizia dell’Ohio, Stato dal quale la bambina è stata costretta a uscire per poter procedere all’interruzione di gravidanza. 

Incinta di sei settimane e tre giorni, ha abortito il 30 giugno in uno stato del Midwest, in Indiana, dove l’aborto è ancora legale. Una vicenda che anche il presidente Joe Biden aveva citato  un suo recente discorso in occasione della firma di un ordine esecutivo per difendere l’accesso all’aborto.

Per l’orribile crimine è stato arrestato un uomo, il 27enne del Guatemala Gershon Fuentes, residente a Columbus. Il giovane è accusato di “stupro di un minore di età inferiore ai 13 anni”, violenza che sarebbe avvenuta il 12 maggio scorso. Dopo l’arresto Fuentes ha confessato di aver violentato la bambina almeno due volte.

Secondo quanto scrive l’Afp, parti dell’embrione della ragazzina sono stati sottoposti a test genetici per poter confermare o meno i legami con il sospetto in questione.

Da repubblica.it il 14 luglio 2022.

Un uomo di 27 anni è stato arrestato e incriminato per lo stupro della bambina di 10 anni alla quale è stato negato di interrompere la gravidanza in Ohio a seguito della legge entrata in vigore nello Stato dopo che la Corte Suprema ha annullato la sentenza che tutelava il diritto all'aborto. La bambina era stata costretta a trasferirsi nel vicino Indiana per poter interrompere la gravidanza. 

Dopo l'arresto Gershon Fuentes, residente a Columbus, ha confessato di aver violentato la bambina almeno due volte.

La vicenda della piccola a cui era stato negato l'aborto dopo la violenza sessuale ha attirato una grande attenzione negli Stati Uniti e lo stesso presidente Joe Biden l'ha citata in un suo recente discorso in occasione della firma di un ordine esecutivo per difendere l'accesso all'aborto. 

La notizia della gravidanza era stata data nelle ultime settimane per falsa, ma la polizia dell'Ohio ha confermato sia la violenza subita, sia la decisione della famiglia di uscire dallo Stato per abortire. 

Il caso della bambina era stato anche bollato come fake news da molti anti-abortisti. L'accusa era che sarebbe stata inventata "solo per difendere" la posizione dell'amministrazione Biden contro la Corte Suprema, che ha vietato l'aborto per qualsiasi caso, compreso l'incesto e lo stupro.

Usa, indagine sulla ginecologa che ha fatto abortire la bimba di 10 anni stuprata. Massimo Basile su La Repubblica il 15 Luglio 2022.

Il caso aveva destato scalpore dopo la decisione della Corte Suprema contro il diritto all'interruzione volontaria di gravidanza

Prima era stata definita una storia trash, poi una “fake news”: la bambina di 10 anni dell’Ohio rimasta incinta dopo uno stupro, e costretta ad andare nell’Indiana per abortire, esiste, anche se a nessuno sembra importare. Prima l’ha confermato la polizia dell’Ohio, poi è arrivata l’incriminazione per il presunto stupratore e, adesso, il procuratore generale dell’Indiana ha annunciato l’apertura di un’indagine sulla ginecologa che ha fatto abortire la bambina.

Simona Siri per “La Stampa” il 17 luglio 2022.

Si chiama Caitlin Bernard, è assistente professore presso la facoltà di Medicina dell'Università dell'Indiana ed è la ginecologa che ha praticato l'aborto alla bambina di dieci anni dell'Ohio rimasta incinta in seguito a uno stupro, un caso che dal primo luglio si è impossessato dell'attenzione dell'opinione pubblica sulla scia della decisione della Corte Suprema che ha reso l'aborto non più protetto a livello federale. 

In una situazione normale, il suo nome non dovrebbe fare notizia: il fatto che lo sia rende l'idea di quanto violenta sia diventata la discussione. Prima, c'è stato il tentativo da parte di alcuni media e del procuratore generale dell'Ohio - il repubblicano Dave Yost - di screditare il suo nome e la storia in generale.

Dal momento che Bernard era citata come l'unica fonte nel primo articolo che riportava la storia della ragazza, le è stato detto che mentiva, e che la storia era inventata o, come ha scritto la sezione opinioni del Wall Street Journal, «troppo perfetta per essere vera». 

Poi, quando le evidenze sono diventate fatti e lo stupratore della ragazzina è stato arrestato e ha confessato, gli attacchi sono continuati. Il procuratore generale dell'Indiana ha dichiarato mercoledì sera su Fox News di avere aperto un'indagine su di lei. Mentre lo diceva, la rete mandava in onda una sua fotografia, rendendola di fatto un target.

Non è la prima volta che un medico abortista riceve minacce e non sarà l'ultima. Negli Anni 80 e 90 fuori dalle cliniche americane venivano appese le foto dei medici e gli anti abortisti offrivano ricompense in denaro a chiunque fornisse informazioni che portassero alla condanna dei suddetti. 

Qualcuno pagò addirittura con la vita: il medico del Kansas George Tiller, uno dei pochi a praticare l'aborto tardivo negli Usa, fu ferito nel 1993 e poi ucciso nel 2009 sul sagrato di una chiesa. Non fu il solo: dal 1993 al 2015 ben 11 persone furono uccise in attacchi perpetrati da anti abortisti.

La stessa Bernard era già finita nel mirino degli anti abortisti: secondo il Guardian, il suo nome compare su un sito web estremista pro life collegato a Amy Coney Barrett prima che fosse nominata alla Corte Suprema. L'anno scorso, in un caso riguardante le restrizioni all'aborto in Indiana, Bernard ha testimoniato di essere stata costretta a smettere di fornire aborti nel primo trimestre in una clinica a South Bend perché, avvertita da Planned Parenthood che a sua volta era stata allertata dall'Fbi, c'erano state minacce di rapimento contro sua figlia.

Sempre secondo il Guardian a gennaio i nomi di sei fornitori di aborti, così come il loro background scolastico e gli indirizzi dei luoghi di lavoro, sono stati postati sul sito web di un gruppo estremista chiamato Right to Life Michiana, in una sezione intitolata «minaccia di aborto locale». 

Kendra Barkoff Lamy, portavoce di Bernard, ha dichiarato: «Le notizie riguardanti le minacce contro la famiglia della dottoressa nel 2020 sono purtroppo vere. Queste minacce personali e pericolose sono ovviamente devastanti per un medico che ha dedicato la carriera a migliorare la vita delle donne fornendo cure riproduttive cruciali, compresi gli aborti. Purtroppo, Bernard non è sola, succede a molti medici che come lei forniscono aborti».

Daniele Dell'Orco per “Libero quotidiano” il 5 luglio 2022.

Il Nancy Pelosi-gate continua a dividere la Chiesa cattolica. La speaker della Camera dei rappresentanti Usa lo scorso 29 giugno ha fatto la comunione durante la messa in parte presieduta da papa Francesco nella Basilica di San Pietro. E questo nonostante poche settimane prima l'arcivescovo Salvatore Cordileone di San Francisco, la diocesi natale della Pelosi, le avesse vietato di ricevere la comunione per il suo esplicito sostegno all'aborto. 

«Dopo numerosi tentativi di parlare con lei per aiutarla a capire il grave male che sta perpetrando, lo scandalo che sta causando e il pericolo per la propria anima che sta rischiando, ho stabilito che è giunto il punto in cui devo dichiarare che non è ammessa alla Santa Comunione a meno che e fino a quando non ripudi pubblicamente il suo sostegno ai "diritti" dell'aborto e confessi e riceva l'assoluzione perla sua collaborazione in questo male nel sacramento della penitenza», così aveva motivato duramente la sua scelta Cordileone.

Il diktat del vescovo californiano era stato aggirato dalla Pelosi durante il soggiorno Roma per una vacanza in famiglia (anche se i ben informati sostengono non si trattasse affatto di villeggiatura ma della concreta possibilità che possa diventare il prossimo ambasciatore americano in Italia), quando aveva partecipato alla liturgia per la festa dei Santi Pietro e Paolo nella Basilica vaticana e avrebbe ricevuto l'ostia. 

Non dal Papa in persona che, per il dolore al ginocchio, ha presieduto solo la prima parte della messa e la liturgia della parola, lasciando poi la guida della liturgia eucaristica al cardinale decano Giovanni Maria Re. Il sacramento eucaristico è stato celebrato da un altro sacerdote di cui non si conosce la nazionalità e non è nemmeno chiaro se sapesse chi aveva di fronte. 

Ma dalle parole di Papa Francesco, riportate in una intervista alla Reuters, il Pontefice ha in un certo senso comunque «rivendicato» il gesto, difendendo la possibilità di dare la comunione a quei politici che hanno posizioni pro-choice (come pure lo stesso presidente Usa Joe Biden) e sostengono progetti di legge abortisti.

In America la questione è tutt' altro che chiara, e ha spaccato in due l'episcopato: da una parte coloro che fanno valere il magistero e si rifiutano di dare la comunione ai politici abortisti e dall'altra chi, invece, fa prevalere il dialogo e la misericordia. Papa Francesco ha in qualche modo dettato la linea in un passaggio in cui dice che «quando la Chiesa perde la sua natura pastorale, quando un vescovo perde la sua natura pastorale, questo causa un problema politico. Questo è tutto ciò che posso dire».

Allo stesso tempo però, mentre non si placano le proteste e i tentativi di correre ai ripari negli Stati Uniti dopo la sentenza della Corte Suprema, il Papa, interrogato sulla sentenza della che ha ribaltato la storica sentenza Roe v. Wade, che nel 1973 stabilì il diritto di una donna a interrompere la gravidanza, ha affermato di rispettare la decisione ma di non poter dire, da un punto di vista giuridico, se (la Corte) abbia fatto "bene o male". Il Pontefice, però, nell'intervista ha ribadito la sua visione antiabortista, paragonando l'interruzione di gravidanza all'assunzione di un sicario. 

La Chiesa cattolica insegna che la vita inizia al momento del concepimento, ha detto in sostanza, affidandosi infine alla domanda retorica: «Chiedo: è legittimo, è giusto eliminare una vita umana per risolvere un problema?».

Le star della musica promettono mobilitazioni massicce in difesa del diritto all’aborto. Gino Castaldo su L'Espresso il 4 luglio 2022.  

Un numero senza pari di big statunitensi si sono espressi contro la sentenza della Corte Suprema, giurando battaglia. E il fenomeno non può essere sottovalutato.

Ci voleva una sentenza allucinante come quella della Corte Suprema americana che ha annullato il diritto costituzionale all’aborto, per scatenare l’ira dell’intero mondo della musica. Eddie Vedder dei Pearl Jam ha urlato a Imola che in America i diritti delle donne non sono garantiti, Pink ha postato sui suoi social una proposta forte e condivisibile: «Se apprezzate la sentenza antiabortista allora non ascoltate più la mia musica», come dire se la pensate in quel modo non voglio neanche immaginare che le mie canzoni siano da voi amate e ascoltate.

Al festival di Glastonbury, ormai la tribuna rock per eccellenza, è stato un coro continuo: Billy Joe Armstrong dei Greenday ha detto che rinuncerà alla cittadinanza americana, e in questo periodo è anche questo un pensiero condivisibile; Olivia Rodrigo ha tuonato contro i giudici e poi insieme a Lily Allen hanno cantato “Fuck you”, Billie Eilish ha detto che è una giornata nera per le donne in America. Quel gran genio di Kendrick Lamar ha terminato il suo concerto con in testa una corona di spine e il sangue che colava sulla sua camicia bianca urlando a ripetizione: «Godspeed for women’s rights; they judge you, they judge Christ!». E poi ancora Taylor Swift, Bon Iver che ha postato un laconico ma significativo «I cant stop cryng», e poi ancora Harry Styles, Cher, Cat Power, Alicia Keys, John Legend, uomini e donne di ogni stile e generazione.

Perfino Mariah Carey ha tuonato: «It is truly unfathomable and disheartening to have to try to explain to my 11 year old daughter why we live in a world where women’s rights are disintegrating in front of our eyes».

È vero, come si fa a spiegare a una figlia di 11 anni perché viviamo in un mondo in cui i diritti delle donne si stanno disintegrando davanti ai nostri occhi? Il problema come sempre è l’America, il Paese delle massime contraddizioni, il rigoglioso luna park della cultura moderna e poi la nazione della pena di morte, delle armi libere, di Trump.

«Viviamo in un’America che non riconosco», scrive Jennifer Lopez e Madonna lo spiega ancora meglio: «Mi sono svegliata con una notizia terrificante, il ribaltamento di Roe v. Wade», in riferimento a una sentenza storica del 1973 che affermò il diritto di una donna alla scelta dell’aborto. E continua: «Ora la Corte Suprema ha deciso che i diritti delle donne non sono più diritti costituzionali. Di fatto abbiamo meno diritti di una pistola». La scesa in campo è potente e massiccia. I messaggi non si limitano a deplorare l’accaduto. Molti annunciano battaglia, e allora ne vedremo delle belle. Non capita spesso che la musica si mobiliti in massa, ma quando succede l’effetto è garantito. 

«Cari smemorati, l’attacco ai diritti delle donne va avanti da anni. E noi resisteremo». Loredana Lipperini su L'Espresso il 4 luglio 2022.

Prontuario per chi è rimasto stupito dalla decisione della Corte Suprema Usa. E per ricordare che anche in Italia, il tentativo di rimettere in discussione il diritto all’autodeterminazione torna ciclicamente.

È sacrosanto evocare Margaret Atwood e “Il racconto dell’ancella” per sfogare costernazione e rabbia dopo la decisione della Corte suprema degli Stati Uniti sull’aborto. Peccato, però, che quel romanzo sia stato scritto nel 1985, e, certo, reso famoso dalla serie televisiva che ne è stata tratta nel 2017 sotto la presidenza Trump. Dunque, occorre avere memoria, e avere ben chiaro che negli Stati Uniti l’attacco ai diritti delle donne (e non solo) è cominciato esattamente in quel tempo, con la presidenza di Ronald Reagan, che proprio nel 1985 bloccò i finanziamenti del governo federale alle organizzazioni non governative internazionali che praticano l’interruzione di gravidanza all’estero o informano sulla medesima. La norma, detta Mexico City Policy, venne eliminata da Bill Clinton nel 1993, reintrodotta da George W. Bush nel 2001, eliminata ancora da Barack Obama nel 2009 e infine nuovamente introdotta da Donald Trump in uno dei suoi primi ordini esecutivi.

L’altalena di provvedimenti dovrebbe dimostrare che c’è da decenni una larghissima parte di politici ed elettori che si rifiuta di ammettere la libera scelta delle donne. E che spesso passa alle vie di fatto: negli anni Novanta i no-choice bloccavano fisicamente l’accesso alle cliniche, cari smemorati: in soli sei mesi, nel 1993, due medici abortisti sono stati uccisi, e un terzo, che indossava il giubbotto antiproiettile, venne colpito alle braccia «per impedirgli di continuare nella sua opera di morte». Il parroco di Mobile, Alabama, dirà nella sua predica: «Se si devono ammazzare 100 medici per salvare un milione di bambini, benissimo, il prezzo non è troppo alto».

Erano gli anni di Bill Clinton, che venivano dopo il lungo governo di Reagan prima e di Bush senior poi. Quegli spari venivano dalla paura: paura di una vera legge sull’aborto, paura che il mondo sarebbe andato diversamente. Paura, teniamolo a mente. Stephen King ne parlò in almeno un romanzo, “Insomnia”, dove i no-choice assaltano un centro femminista, uccidendo la gran parte delle organizzatrici e delle ospiti.

Il problema è che tutto questo non riguarda solo gli Stati Uniti, come moltissime donne si sono sgolate a ripetere prima della sentenza, ma un grandissimo numero di Paesi, anche europei. E riguarda noi. Sì, è vero, la legge 194 è ancora in piedi. Formalmente. L’indagine Mai Dati! condotta da Chiara Lalli e Sonia Montegiove, e pubblicata dall’Associazione Luca Coscioni, ci dice che in 11 regioni italiane c’è almeno un ospedale con il 100 per cento di obiettori. 31 in tutto, per essere precisi, e ce ne sono 50 con percentuale superiore al 90 per cento e oltre 80 con tasso di obiezione superiore all’80 per cento. Le cose sono peggiorate durante e dopo il Covid-19. E in molti casi, i dati, appunto, non sono pervenuti. Per non parlare delle regioni, come Umbria e Marche, che di fatto impediscono il ricorso all’aborto farmacologico.

Un piccolo sforzo di memoria, dunque, è necessario per chi si stupisce dei numeri, e per quanto è avvenuto negli Stati Uniti, e a Malta, dove una turista americana ha rischiato la morte perché anche in caso di perdita di liquido amniotico, se il cuore del feto batte, non si può intervenire, e per chi è rimasto stupefatto per lo Strajk Kobiet, lo sciopero delle donne polacche del 2020 e 2021 contro la sentenza della Corte Costituzionale che ha reso illegali quasi tutti i casi di aborto.

Passo indietro. 1988. È Giuliano Amato a intraprendere quel «parliamone» che diventerà frequentissimo. Durante un dibattito sulla legge 194 organizzato al club Turati di Milano, Amato critica la sentenza della Corte Costituzionale che consente alla donna di abortire anche senza il consenso del coniuge. In realtà, contesta tutta la legge, sostenendo che la donna dovrebbe decidere da sola solo se la gravidanza mette in pericolo la sua salute. In parole ancor più povere, Amato non accetta l’idea stessa di autodeterminazione. 

1992. Amato è presidente del Consiglio. Viene intervistato dall’emittente cattolica Telepace. Sostiene che la vita «è un valore enorme. Se mettiamo in discussione questo, se non limitiamo a casi essenzialissimi le ipotesi in cui un essere umano può mettere in discussione la vita di un altro essere umano, allora viene meno proprio il fondamento della convivenza prima ancora che il fondamento della solidarietà».

Dunque, la vita va protetta «una volta che si è formata». In quello stesso anno, in commissione Giustizia viene approvato un emendamento di Carlo Casini (leader del Movimento per la vita) che estende la «protezione dell’ infanzia alla fase prenatale». Salto di secolo e di millennio. Negli anni Zero inizia la battaglia di Giuliano Ferrara, culminata nella presentazione della lista elettorale “Aborto? No grazie”, e peraltro mai terminata. In mezzo, tanti episodi che forniscono il clima.

Nel settembre 2011 a San Giovanni in Fiore (Cosenza) il parroco Don Emilio Salatino decide di suonare le campane a morto ogni volta che in città viene praticato un aborto. Due mesi prima, il presidente della Regione Piemonte Cota aveva proposto un protocollo, bocciato dal Tar e riproposto sotto altra forma «per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza». Il miglioramento prevedeva l’inserimento nei consultori di associazioni no-choice. Sempre all’inizio degli anni Dieci, le ginecologhe di alcuni consultori torinesi si rifiutano di affiggere un manifesto del Centro aiuto alla vita, con un feto e la scritta: «Mamma, ti voglio bene». Stesso mese, stessa città. Tre volontari dell’Associazione Ora et Labora in Difesa della Vita si muniscono di una croce che al posto dei chiodi ha feti di plastica e diffondono volantini dove il feto parla in prima persona alla madre che lo uccide. Fermano le donne, tutte le donne. Sfileranno a Roma, in un giorno di maggio 2012 (lo stesso della festa della mamma), con quelle stesse croci, ricordando alle donne che abortiscono, le assassine, che le loro anime bruceranno all’inferno.

E dunque, care e cari smemorati, il problema c’è sempre stato. Per paura. Forse per il timore occidentale della crescita zero. Di certo per la mancata accettazione di quanto le donne siano cambiate, siano determinate e più forti di prima. Paura, certo: non è per questo che si uccidono le mogli e le fidanzate che abbandonano? Quando lo si sottolinea, scatta lo scherno verso le femministe con le ascelle pelose, in tutti gli ambienti. Anche letterari, sì, certo.

Infine, un altro appello alla memoria. Quelle famose femministe non si sono mai distratte, in Italia e altrove. Ci sono sempre state anche se non sono sempre state narrate. Dal 1971 hanno rivendicato il diritto di scegliere se essere madri o non esserlo. Femministe di prima, seconda, terza, quarta ondata, settantenni e ventenni, con pratiche che si aggiornano e resistono, anche se nessuno se ne accorge (tranne le donne, evidentemente). Se si vuole citare Atwood, è bene ricordare che la scrittrice ha sempre sostenuto di non aver mai scritto nulla che non sia già accaduto. E che è pronto ad accadere ancora.

Medici obiettori di coscienza: quando tutelare il nascituro tutela anche il profitto. Roberto Saviano su Il Corriere della Sera l'8 luglio 2022.  

La foto parla da sola: «Tieni le tue leggi lontano dal mio corpo» porta scritto sulla propria pelle una donna che protestava in piazza a Los Angeles contro la recente sentenza della Corte suprema Usa che ha cancellato il diritto costituzionale all’aborto. 

In questa immagine la protesta di una donna, SophiaMeneakis, a Los Angeles, in California, il 26 giugno scorso: la Corte suprema statunitense ha appena sancito la cancellazione del diritto costituzionale ad interrompere volontariamente la gravidanza (foto Jason Armond/Los Angeles Times/Getty)

Questa rubrica di Roberto Saviano è stata pubblicata su 7 in edicola l’8 luglio. E’ dedicata alla fotografia. Meglio, ad una foto «da condividere con voi — spiega l’autore — che possa raccontare una storia attraverso uno scatto». Perché «la fotografia è testimonianza e indica il compito di dare e di essere prova. Una prova quando la incontri devi proteggerla, mostrarla, testimoniarla. Devi diventare tu stesso prova»

Dice che in Molise ci sono solo due medici abortisti e che le cose vanno male, ma io ricordo che fino a pochi anni fa non ce n’era nemmeno uno. Fino a pochissimo tempo fa in Molise tutte le strutture pubbliche praticavano l’obiezione di coscienza al 100% e quindi, chi avesse voluto abortire, avrebbe dovuto spostarsi altrove. E altrove le cose non andavano e non vanno molto meglio. Ciò che è accaduto negli Usa ha acceso i riflettori su un dramma eterno - l’accesso all’aborto - che solo formalmente ha trovato una soluzione in Italia con la 194 del 1978 e in Usa con la sentenza Roe contro Wade del 1973. L’argomento è interessantissimo e ricco di sfumature, lo si può affrontare attraverso molte lenti, ma quella che preferisco è seguire il profitto: cui prodest? Chi trae profitto dall’aborto negato nelle strutture pubbliche?

IN ITALIA SOLO IL 30% DEI GINECOLOGI PRATICA ABORTI IN STRUTTURE PUBBLICHE. LA SOLUZIONE? IL PRIVATO, DOVE PAGHI PER UN DIRITTO

In Italia solo il 30% dei ginecologi pratica l’aborto nelle strutture pubbliche, ci sono intere aziende ospedaliere in cui tutto il personale ha scelto di obiettare. In queste realtà territoriali, molto più diffuse di quanto si pensi e presenti in ogni angolo del Paese, la soluzione è il privato. Pagare per un diritto che è costituzionalmente garantito. La stessa cosa avveniva - e avverrà in maniera ancor più drammatica - negli Usa dove, se è vero che la sentenza Roe contro Wade garantiva l’accesso all’aborto facendo ricorso al Quattordicesimo Emendamento (diritto alla privacy inteso come diritto di libera scelta, diritto di autodeterminazione), anche lì abortire senza dover pagare era ed è un’impresa ardua. E allora, provando a non apparire complottista, mi domando se la tutela della vita del nascituro non sia piuttosto tutela del profitto.

Mi domando se tutte le persone che, a vario titolo, si impegnano perché un diritto come l’aborto sia considerato un privilegio, un capriccio immorale della donna, o peggio, un metodo di contraccezione, stiano pensando a tutelare i diritti di un essere umano non ancora nato o i profitti di qualche essere umano già nato. Il progressivo smantellamento della sanità pubblica a vantaggio della privata mi farebbe pensare di non essere poi così lontano dal vero. Quindi, se da un lato sentirsi fare la morale o addirittura leggere di esternazioni di esultanza per un diritto negato è davvero inaccettabile, dall’altro dovremmo interrogarci, a prescindere dalle biografie di questo o quel giudice, su quale sia il fine ultimo delle Corti costituzionali; fine non dichiarato, ma sempre perseguito. Su argomenti «divisivi» - come piace a certo giornalismo e a certa politica definire le questioni cruciali che determinano la quotidianità di noi umani - l’orientamento è sempre di base conservatore, tende sempre a cristallizzare lo status quo.

UNA MINORENNE INCINTA, PER IGNORANZA O PER ERRORE, HA LA VITA ROVINATA E NESSUNO NE TUTELERÀ I DIRITTI

Negli Usa, mi si dirà, il diritto c’era, a che pro stabilire che non fosse costituzionalmente garantito e affidarne la gestione ai singoli Stati? Solo formalmente il diritto era garantito; nella prassi gli ostacoli erano tanti e tali da essere già di fatto, il diritto all’aborto, un diritto negato. A questo si aggiunga l’orientamento politico dei giudici della Corte suprema e di alcuni Stati federali e si capisce bene come questa scioccante decisione fosse di fatto nell’aria da tempo e affondi le sue radici nella diserzione delle urne. Possiamo sentirci al sicuro in Italia? No. E non avremmo dovuto sentirci al sicuro nemmeno prima della sentenza Usa. In Italia abortire è relativamente facile per chi ha mezzi propri, quasi impossibile per fasce sociali ed economiche meno tutelate. Ma le fasce più deboli di norma non hanno voce né rappresentanti politici a garantirne i diritti acquisiti. Quindi si dirà sempre che abortire si può, basta volerlo.

Raccontate questa favola a una minorenne di provincia che, per ingenuità, ignoranza o errore è rimasta incinta; raccontatelo a lei che se lo vengono a sapere a casa la sua vita è rovinata! Per lei non è questione divisiva, ma vitale. La direzione dell’Italia è evidente da quando la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili i tre quesiti referendari che avrebbero stimolato dibattito sul referendum spingendo verso il quorum e dato un impulso importante su diritti conquistati (eutanasia), contrasto alla criminalità organizzata (legalizzazione della cannabis) e responsabilità degli organi giudicanti. La foto che ho scelto parla da sola: tieni le tue leggi lontane dal mio corpo.

"La sentenza della Corte Suprema è politica". Aborto, Biden firma ordine su interruzione gravidanza: “Donne votate per fermare estremisti repubblicani”. Redazione su Il Riformista l'8 Luglio 2022 

A due settimane dalla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di cancellare il diritto all’aborto, arriva la prima mossa del presidente Joe Biden. che ha firmato un ordine esecutivo a difesa del diritto all’accesso all’interruzione di gravidanza per le donne americane. La “terribile, estrema e completamente sbagliata” decisione della Corte Suprema sull’Aborto “non è stata una guidata dalla Costituzione”, ma è stato un “esercizio di potere politico” spiega l’inquilino della Casa Bianca in riferimento ai giudici nominati dal suo predecessore Donald Trump.

L’ordine esecutivo di oggi garantisce a tutte le donne che vogliono abortire la libertà di movimento da uno Stato all’altro. Per Biden il modo per ristabilire il diritto all’Aborto su tutto il territorio nazionale, cancellato dalla decisione della Corte Suprema, è “votare“, esprimendo “la speranza” che a novembre le “donne voteranno in massa per riprendersi i diritti”. Il presidente americano ha infatti ricordato che “la via più veloce” per difendere il diritto all’aborto è approvare al Congresso “una legge che codifichi” quanto era stabilito dalla sentenza Roe vs Wade, cioè che il diritto all’aborto è tutelato dal diritto alla privacy sancito dalla Costituzione. E per farlo bisogna che vengano eletti a novembre più rappresentanti pro choice, in particolare al Senato.

Corte che “ha praticamente sfidato le donne americane ad andare alle urne” per ristabilire il diritto che “è stato tolto loro”. Biden ha sottolineato ancora una volta l’importanza del voto di midterm di novembre, per ottenere al Congresso la maggioranza necessaria a fare approvare una legge federale in tema di Aborto. Il presidente ha quindi rilevato che nelle liste elettorali la percentuale di donne registrate è “più alta” rispetto a quella degli uomini. “Questa è la strada più rapida“, ha detto il presidente in riferimento al voto, aggiungendo che gli “estremisti repubblicani”, dopo avere ottenuto la loro vittoria politica con la decisione della Corte Suprema, ora “vogliono spingersi oltre”, attaccando altri diritti.

Con l’ordine esecutivo firmato oggi, Biden ha formalizzato una serie di istruzioni per i dipartimenti di Giustizia e Salute per consentire alle donne di accedere con più facilità a farmaci abortivi approvati dal governo federale o di viaggiare attraverso i confini statali per accedere ai servizi di Aborto nelle cliniche specializzate. L’ordine esecutivo riguarda anche la privacy e la diffusione dei dati delle pazienti.

Nelle misure della Casa Bianca, anche la richiesta alla Federal Trade Commission di soluzioni per proteggere la privacy di coloro che cercano informazioni sull’assistenza riproduttiva online e l’istituzione di una task force inter-agenzia per coordinare gli sforzi federali per salvaguardare l’accesso all’Aborto. La Casa Bianca ha affermato che convocherà anche degli avvocati volontari per fornire alle donne e agli operatori del settore assistenza legale pro bono per aiutarli a superare le nuove restrizioni statali dopo la sentenza della Corte Suprema.

La sentenza. Non vogliono l’aborto e sono fan della pena di morte, chi sono i giudici della Corte Suprema. Elisabetta Zamparutti su Il Riformista il 15 Luglio 2022. 

Vita! Ineffabile mistero legato al respiro, dal primo vagito all’ultimo sospiro. E quanti i guardiani di questo fluire, dentro e fuori i polmoni, dell’aria, a volte ferma a volte burrascosa. Tra questi i giudici della Corte Suprema americana che hanno deciso in sei contro tre di mettere fine alle garanzie costituzionali per l’aborto. Lo hanno fatto dopo mezzo secolo dalla loro introduzione. “Ha vinto la vita!” ha commentato qualcuno. Per Donald Trump siamo addirittura all’espressione della “volontà di Dio”. Strumenti della manifestazione di questa “volontà divina” sono certamente i tre giudici che lui stesso ha designato: Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett i quali hanno costituito la super maggioranza conservatrice della Corte Suprema, unendosi all’afroamericano Clarence Thomas scelto da Bush padre e a John Roberts e Samuel Alito voluti da Bush figlio. Conservare, cum-servare, tenere con sé.

Sono d’accordissimo. La vita stessa è mantenimento di un equilibrato insieme di elementi diversi quali parti di un tutto. Ordine armonico e per questo vitale in un disordine altrimenti distruttivo. Marco Pannella, sull’aborto, diceva che ciò che bisogna assicurare è il diritto a procreare con amore, con consapevolezza, anziché il riprodursi come bestie. Questo attiene alla vita, in una dimensione nonviolenta e civile. Mentre, invece, trovo una matrice violenta, primordiale, disordinata, in fin dei conti mortifera nell’imposizione della vita a tutti i costi come inteso dai guardiani americani della Corte Suprema. Non è un caso che i tre giudici di nomina trumpiana si siano distinti per un morboso attaccamento da un lato alla vita di un feto e contemporaneamente alla pena di morte. Ricordo ancora la motivazione scritta dal giudice Gorsuch nel rigetto del ricorso di un condannato a morte del Missouri, Russell Bucklew, che spiegava come fosse affetto da una malattia rara che gli avrebbe causato atroci dolori se giustiziato con l’iniezione letale e che pertanto chiedeva un metodo alternativo.

Si era appellato all’ottavo emendamento che vieta trattamenti crudeli e inusuali. Per Gorsuch “l’ottavo emendamento vieta metodi ‘crudeli e inusuali’ ma non garantisce una morte indolore”. Non so cosa possa esserci di più cinico e violento. D’altro canto lo stesso Trump ha danzato con la morte per consegnare la sua presidenza alla storia. Nel 2020, fece giustiziare dieci persone – un numero maggiore rispetto a quello delle esecuzioni nei cinquanta Stati dell’intero continente – ripristinando le esecuzioni federali sospese dal 2003. Trump ha inteso passare alla storia con il bottino del maggior numero di esecuzioni federali dal 1896 e uscire di scena con la messa a morte, senza alcuna pietà, di una persona torturata e abusata per una vita: Lisa Montgomery, la prima donna giustiziata in settant’anni negli USA. Ecco, un pensiero conservatore servirebbe per manifestare, anche politicamente, il senso di una vita concepita con amore e capace di contenere – di tenere con sé – anche chi nella sua vita ha conosciuto tempeste, scommettendo sull’inesorabile schiarita. Contenimento e conservazione possibile se fondata sulla fiducia, oserei dire sull’amore, per la persona umana: la donna che decide di abortire o il condannato che decide di cambiare. Elisabetta Zamparutti 

Dopo soli quattro anni la forca tornò legale. Quando gli Stati Uniti abolirono la pena capitale, ma solo per pochi anni…Valerio Fioravanti su Il Riformista l'8 Luglio 2022 

Il 29 giugno 1972 la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiarò incostituzionale la pena di morte. Nel 50° anniversario della famosa sentenza Furman v. Georgia ne hanno scritto in tanti. A noi italiani francamente interessa poco, e non siamo nemmeno molto sicuri che le sentenze di costituzionalità servano a qualcosa, perché in Italia in effetti restano ferme sui libri, e sortiscono scarsi effetti. Però possiamo approfittarne per fare un riassunto della comunque interessante situazione della pena di morte nel Paese “più potente del mondo”.

La fede assoluta che alcuni settori degli Stati Uniti hanno nel concetto di “punizione durissima” deve interessarci, non è opportuno che rimanga relegata ai buoni sentimenti di chi lavora nelle ONG, perché non c’è una grande differenza tra i principi istitutivi secondo cui molti statunitensi vogliono punire i propri cittadini “sbagliati”, e il desiderio di punire anche il resto del mondo quando “sbaglia” anch’esso. La sentenza del ’72 riconosceva che la vaghezza delle leggi accordava alle giurie popolari poteri discrezionali troppo ampi, che sconfinavano nell’arbitrio. A quell’epoca, infatti, come un retaggio dei “linciaggi” del passato, in molti Stati si poteva emettere una condanna a morte anche solo per rapimento o per stupro. Ovviamente in quegli anni l’elemento razziale era particolarmente rilevante, e per “stupro” si intendeva spesso un uomo nero che faceva sesso con una donna bianca. Molte giurie consideravano questa cosa “stupro” a prescindere anche dalla consensualità.

La Corte Suprema dal 1965 in poi aveva già emesso una serie di sentenze parziali, ma nel 1972 mise ordine alle proprie deliberazioni e ne emise una complessiva, e dichiarò incostituzionali le leggi di 40 Stati e del governo federale, e ridusse automaticamente all’ergastolo le 629 condanne a morte allora esistenti. Fu una sentenza elaborata, emessa con la maggioranza minima: 5-4. Due dei componenti, Brennan e Marshall (il primo nero nominato alla Corte Suprema) sostenevano che era la pena di morte di per sé a essere incostituzionale, altri tre sostennero che era il modo in cui veniva amministrata a non essere corretto, e gli altri quattro, i “contrari”, ammisero che c’erano degli elementi di “arbitrarietà”, ma in una misura accettabile, in quanto ogni procedimento giudiziario è in qualche misura “arbitrario”. Gli ottimisti scrissero che gli Stati Uniti avevano abolito la pena di morte. I pragmatici invece si misero al lavoro, e dopo soli quattro anni, modificate le varie leggi, ottennero, nel luglio 1976, un’altra sentenza “storica”, Gregg v. Georgia, votata 7-2: si poteva ricominciare a emettere condanne a morte.

Il combinato disposto tra le sentenze parziali e “Furman” aveva bloccato tutte le esecuzioni negli Stati Uniti dal 1967 al 1977. La prima persona giustiziata nel “nuovo corso” fu Gary Gilmore, che volle creare un certo scandalo e affrettò la procedura, e si presentò volontariamente alla fucilazione, in Utah, lo Stato mormone, il 17 gennaio 1977. La storia di Gilmore venne raccontata in un romanzo da Norman Mailer, che con Il canto del boia vinse il Premio Pulitzer. A parte Gilmore, le uccisioni ripartirono molto lentamente, e nei primi sei anni furono giustiziate solo 7 persone. Poi la macchina infernale terminò il rodaggio, e nel 1984 si arrivò a 21 esecuzioni, che diventarono 98 nel 1999, il record nell’epoca post-Furman, e da lì iniziò un calo costante: 60 nel 2005, 39 nel 2013, 25 nel 2018 e 17 nel 2020, 10 delle quali fortemente volute da Trump in campagna elettorale. Nel 2021 le esecuzioni sono state 11 e nei primi 6 mesi di quest’anno 7.

Nel frattempo 23 Stati hanno abolito la pena di morte, comprese le due “capitali”, Washington e New York. Dal 1977 a oggi sono state emesse complessivamente 9.763 condanne a morte ed effettuate 1.547 esecuzioni. Già solo questo fatto, che in media solo una condanna su sei arrivi davvero all’esecuzione, conferma che molto è affidato al caso: a parità di reato farà la differenza la geografia, la razza, il censo, l’ignoranza, la malattia mentale, il quoziente intellettivo. Come sappiamo tutti, oltre l’80% delle esecuzioni sono negli Stati del Sud, e il Texas da solo ne ha il 37%. Questi Stati hanno una vera a propria “cultura” della durezza giudiziaria. Considerato però che a fronte di tanta severità sono e rimangono la parte degli Stati Uniti con il più alto tasso di omicidi, forse il termine più appropriato sarebbe “fede ferrea”. Quando si insiste a fare qualcosa anche se non funziona, evidentemente è “fede”. Malriposta, ma fede. Valerio Fioravanti

La Corte Suprema il 24 giugno scorso ha annullato la sentenza Roe contro Wade. Aborto, Biden alle donne: “Continuate a protestare, è di cruciale importanza”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 10 Luglio 2022. 

“Continuate a protestare. Continuate a tenere il punto. È di cruciale importanza”. È quanto ha detto il presidente Usa, Joe Biden, rivolgendosi alle manifestanti che protestano per il diritto all’Aborto a seguito della sentenza della Corte suprema del mese scorso. Biden ha parlato con i giornalisti durante una sosta nel corso di un giro in bicicletta vicino alla sua casa di famiglia sulla spiaggia in Delaware.

Poche ore prima più di diecimila persone si sono radunate a Washington per manifestare a favore dell’Aborto. Al grido di “non torneremo indietro” i manifestanti si sono diretti verso la Casa Bianca e hanno chiesto di contrastare la decisione della Corte Suprema, che ha revocato il diritto all’Aborto, stabilito quasi cinquant’anni fa. Alcune persone, sotto gli sguardi della polizia, si sono legate alle cancellate che si trovano attorno alla residenza presidenziale. Molti gli appelli ai Democratici ad agire. “O lo fate voi, o lo faremo noi”, hanno scandito i manifestanti. Non sono stati segnalati incidenti.

Biden ha detto di non avere il potere di costringere ad applicare l’Aborto gli Stati Usa che hanno rigide restrizioni o divieti e per questo ha riferito che sta valutando la possibilità di dichiarare un’emergenza sanitaria pubblica per liberare risorse federali per promuovere l’accesso all’Aborto, anche se la Casa Bianca ha detto che non sembra “un’ottima opzione”. “Non ho l’autorità per dire che ripristineremo la Roe v.Wade come legge del Paese”, ha detto Biden riferendosi alla decisione della Corte Suprema del 1973 che aveva stabilito un diritto nazionale all’Aborto, ma ha ribadito che il Congresso dovrebbe codificare quel diritto e che per avere maggiori possibilità in futuro gli elettori dovrebbero eleggere più parlamentari che supportino l’accesso all’Aborto.

Biden ha affermato che la sua amministrazione sta cercando di fare “molte cose per accogliere i diritti delle donne” dopo la sentenza, inclusa appunto la possibilità di dichiarare un’emergenza sanitaria pubblica per liberare risorse federali. Una mossa del genere è stata promossa dai sostenitori, ma i funzionari della Casa Bianca ne hanno messo in dubbio sia la legalità che l’efficacia e hanno notato che quasi certamente dovrà affrontare sfide legali. Il presidente ha detto di aver chiesto ai funzionari “di vedere se ho l’autorità per farlo e quale impatto avrebbe”. Venerdì Jen Klein, il direttore del Consiglio per la politica di genere della Casa Bianca, aveva dichiarato che “non sembra un’ottima opzione”. “Quando abbiamo esaminato l’ipotesi dell’emergenza sanitaria pubblica – ha detto – abbiamo imparato un paio di cose: una è che non libera molte risorse”, ha detto ai giornalisti, spiegando che “è quello che c’è nel fondo di emergenza per la salute pubblica, e ci sono pochissimi soldi, decine di migliaia di dollari”, e che “inoltre non rilascia una quantità significativa di autorità legale. Ed ecco perché non abbiamo ancora intrapreso questa azione”.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

La sentenza Usa. Il Parlamento Ue “risponde” alla Corte Suprema: l’aborto è un diritto fondamentale. Redazione su Il Riformista l'8 Luglio 2022 

Il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione (324 sì, 155 no, 38 astenuti) che chiede di inserire il diritto all’aborto nella Carta fondamentale dei diritti Ue. L’iniziativa, che non ha valore vincolante, nasce in contrapposizione alla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, che ha cancellato la precedente sentenza Roe vs Wade che nel 1973 aveva legalizzato l’aborto a livello federale. Hanno votato a favore Socialisti e Democratici (tra cui tutta la delegazione del Pd), i Verdi e la Sinistra unitaria. Hanno votato contro i Conservatori (tra cui la delegazione di FdI), la destra euroscettica (tra cui la Lega, tranne un voto a favore). Il Ppe, invece, si è diviso. Compatta per il no alla risoluzione Forza Italia (tranne uno).

“Si tratta di una risposta finalmente positiva del Parlamento europeo all’appello promosso dalle associazioni femministe italiane ed europee e di un importante segnale di solidarietà nei confronti delle donne americane e di chi si batte per la salvaguardia del diritto a un accesso sicuro all’interruzione di gravidanza – commenta la presidente della Casa Internazionale delle Donne di Roma, Maura Cossutta -. Già il 9 giugno un’altra risoluzione aveva chiesto agli Stati membri un impegno per contrastare le limitazioni all’accesso all’interruzione di gravidanza, a partire dall’obiezione di coscienza. Atti che sono in linea con quanto richiesto dalle associazioni per i diritti delle donne in Italia e in Europa”.

Gli eurodeputati chiedono una modifica dell’articolo 7 della Carta dei diritti, allegata ai Trattati Ue, inserendo la frase “ogni persona ha diritto all’aborto sicuro e legale”. Ieri a Roma con un presidio a piazza dell’Esquilino Non Una Di Meno e Women’s March Rome hanno manifestato solidarietà con le donne Usa e contro l’obiezione di coscienza: “Non torneremo indietro”. Nei prossimi giorni manifestazioni in tutta Italia in difesa dell’interruzione volontaria di gravidanza. 

Se per la Ue dei diritti l'aborto è un vanto: la risoluzione e le polemiche. Gianluca Veneziani su Libero Quotidiano il 09 luglio 2022.

Ue pare un vagito ma è la sigla di morte della vita nascente. Lo è tanto più da ieri, quando l'Europarlamento ha approvato a larga maggioranza, con 324 voti favorevoli, 115 contrari e 38 astenuti, una risoluzione per inserire il diritto di aborto nella Carta europea dei diritti fondamentali. In particolare, la richiesta è di adottare l'espressione «Ogni persona ha diritto all'aborto sicuro e legale» come articolo 7 bis della Carta, subito dopo quello che stabilisce che «ogni persona ha diritto al rispetto del proprio domicilio e della propria corrispondenza»: e già qui si capisce la confusione dell'Ue che mette la vita umana sullo stesso piano valoriale di una missiva o una mail.

E poi, cosa vuol dire «ogni persona ha diritto all'aborto»? La hanno anche i maschi, per caso? Si dice «persona» forse perché chiamare la donna «donna» per l'Ue sarebbe discriminatorio? Vabbè, tralasciamo... La risoluzione approvata non sarà vincolante per gli Stati membri, ma verrà comunque sottoposta al Consiglio dell'Unione europea che ha la facoltà di procedere a una revisione dei trattati, a cui è equiparata appunto la Carta.

MAGGIORANZA URSULA Non sorprende che, a votare a favore della risoluzione abortista, sia stata tutta la maggioranza Ursula, con l'adesione pressoché unanime dei Socialisti, del gruppo The Left, dei Verdi, dei grillini, e di mezzo Ppe, mentre a opporsi siano stati il gruppo di Identità e democrazia (di cui è parte la Lega) e quello dei Conservatori europei, guidato dalla Meloni.

Semmai è singolare che, anziché tutelare il diritto alla vita, come è riconosciuto ad esempio nella Costituzione americana, insieme alla libertà e alla felicità, l'Unione europea preferisca riconoscere come fondamentale il diritto (doloroso, traumatico) di sopprimere una vita nascente. Non ha saputo riconoscere come fondamentali le radici cristiane, l'Europa preferisce ritenere come fondante lo sradicamento di un feto... A riguardo, il testo della risoluzione sottolinea più volte, come è sacrosanto e ci mancherebbe, i diritti della donna e la sua libertà di scelta; ma li declina sempre nell'ottica del dovere degli Stati di «eliminare e combattere gli ostacoli all'aborto sicuro e legale». Mai una volta che ci fosse invece il riferimento all'urgenza per gli Stati di rimuovere e superare gli ostacoli che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza. Insomma, ai firmatari della risoluzione, sfugge il concetto che l'aborto deve restare sempre l'extrema ratio e ogni Paese dovrebbe impegnarsi perché sia tale. Altrettanto incredibilmente manca nel testo approvato dal Parlamento Ue ogni riferimento al diritto del nascituro così come al diritto dei medici e del personale sanitario di fare obiezione di coscienza.

No, per l'Ue esiste solo il diritto della donna d’abortire.

Non meno clamoroso è che l'Unione europea si impicci negli affari di altri Paesi sovrani, come gli Usa, giudicando le scelte dei suoi più alti organi istituzionali, con un atto di ingerenza e di sfida (geo)politica. Scopo della risoluzione è infatti anche quello di «condannare fermamente la regressione in materia di diritti delle donne e di salute sessuale e riproduttiva negli Stati Uniti», a seguito della sentenza della Corte Suprema che ha deciso di revocare il diritto costituzionale federale all'aborto. Nel testo si esprime più volte lo sdegno per quella decisione che, oltre ad «aggravare il circolo vizioso della povertà» di molte donne, soprattutto adolescenti (se hanno figli, non potranno più lavorare, è la tesi), «potrebbe incoraggiare il movimento antiabortista nell'Ue» (e anche se fosse?).

Da qui un appello esplicito a interferire nelle faccende interne agli Usa: l'Europarlamento, si legge, «sostiene la richiesta affinché il Congresso degli Stati Uniti approvi un progetto di legge che tuteli l'aborto a livello federale» e «chiede che le prossime delegazioni del Parlamento europeo a Washington sollevino costantemente la questione dei diritti in materia di aborto». 

METODI ILLIBERALI A livello di affari relativi ai Paesi europei, invece, suona decisamente inquietante e profondamente illiberale la richiesta di togliere finanziamenti ai gruppi pro-vita (l'Europarlamento «esprime preoccupazione per un possibile aumento del flusso di denaro per finanziare gruppi anti-genere e anti-scelta nel mondo, anche in Europa»), così come l'esortazione a «intensificare il sostegno politico a favore dei prestatori di assistenza sanitaria che lavorano per far progredire la salute sessuale e riproduttiva e i relativi diritti» (leggi, i gruppi abortisti). Alla faccia della libertà di scelta, qui siamo all'imposizione di un Pensiero Unico. «Un indicatore inquietante del progetto sociale delle sinistre per l'Europa: vogliono sponsorizzare il ricorso all'aborto e liberalizzarlo al massimo, così da tramutarlo in un banale prodotto di consumo», lo definisce l'eurodeputato di Fdi Vincenzo Sofo. «Un delirio ideologico di ispirazione totalitaria», aggiunge il portavoce di Pro Vita & Famiglia Jacopo Coghe avvertendo: «Non ci faremo intimidire da un colpo mortifero che condanna le future generazioni europee a non vedere mai la luce». Eh già, ad abortire ieri è stata soprattutto l'idea di una nuova Europa, aperta alla vita e al domani.

Se la libertà abortisce. Marcello Veneziani 

La sentenza sull’aborto della Corte suprema americana ha riaperto una ferita profonda nella società americana e ha confermato una divaricazione radicale nella società occidentale, destinate entrambi a perdurare. Non vi parlerò ancora della sentenza e nemmeno dell’allineamento drastico, militante del 99% dei media e del paese legale contro la sentenza che invece spacca in due il paese reale. Ma vorrei riflettere su una realtà che ci ostiniamo a non voler vedere, così minando alle basi la nostra democrazia e la stessa libertà e cittadinanza.

Gli States sono la casa del politically correct e di ogni altro suo derivato tossico. Ma sono anche la patria della militanza conservatrice e religiosa come non succede da nessun’altra parte d’Occidente. Oltre l’aborto, infatti, ieri la Corte ha riammesso la possibilità di pregare in classe e in campo, inginocchiandosi: era consentito in nome di Blacks Live Matter, ma non nel nome di Dio.

Sarebbero impensabili sentenze del genere in Italia, e in quasi tutta Europa. E impensabile sarebbe una forza politica cospicua pronta a dar battaglia sul piano parlamentare. Già due forze su tre nel centro-destra nostrano si sono defilate.

Ma al di là delle ipocrisie, la realtà torna a bussare alle coscienze civiche e politiche dell’occidente. La realtà è che ci sono due visioni della vita contrapposte in modo irriducibile e non possiamo continuare a pensare che solo una sia quella giusta, sacrosanta, umana, moderna, eco-compatibile e l’altra debba solo soccombere. Da una parte c’è quella che in queste ore sta montando furiosa in tutto l’Occidente contro la sentenza della corte, che insorge rabbiosa su tutti i temi sensibili che riguardano soprattutto i diritti civili e umani. E che considera barbara ogni scelta, opinione, pronunciamento in direzione opposta o anche solo diversa. E’ la parte liberal, radical, progressista, che pur sostenendo il relativismo dei valori, non ammette altri valori e altre scelte all’infuori delle proprie, ponendosi non come la parte ma come il tutto; l’Assoluto nel senso del Bene, del Giusto, del Vero.

Dall’altra parte c’è una larga opinione pubblica che non si riconosce in quello schema e in gradi diversi inclina per la visione opposta, ma tace o lo dice solo a mezza voce. E poi c’è una parte minore, a cui si unisce il Papa, che invece è netta e perentoria, soprattutto negli Usa, e propone la stessa intransigenza dei suoi avversari su valori che ritiene non negoziabili, assoluti. Come il diritto alla vita, la salvezza dei nascituri, il diritto di pregare anche nei luoghi pubblici. Sono quelli dell’aborto come omicidio, per dirla con Bergoglio.

Come forse sapete, chi scrive propende per questa visione, senza nasconderlo, e ritiene effettivamente che quei principi siano fondamentali. Ma se la società è spaccata in due su questi temi non si può pensare di eliminare il nemico, tra prova muscolare e criminalizzazione. Pur ribadendo i propri principi si deve vedere se sono possibili intese di alto profilo, senza sotterfugi e ipocrisie, tra due visioni così radicalmente antagoniste.

Non si può pretendere che il fronte dell’aborto si converta o sia sconfitto ed eliminato. I suoi punti di forza sono il diritto delle donne a decidere della loro maternità e la convinzione che il feto non sia ancora una persona con i suoi diritti. I punti di forza dell’altro versante sono invece il diritto alla vita e la convinzione che una vita si formi al suo concepimento: il feto è già una persona e una promessa reale di vita. Gli abortisti dicono: se tu non vuoi abortire sei libera di non farlo ma lascia alle altre il diritto di farlo. Ma se l’aborto è per te un omicidio, non puoi dire: Uccidi? fatti tuoi, io sono libero di non farlo…

Non si può pretendere che uno o l’altro si rassegni ad accettare le ragioni opposte ma si può tentare di stabilire una zona di frontiera. Del tipo: ferme restando le due opposte convinzioni, e il legittimo intendimento di affermarle, si può concordare sul fatto che abortire è comunque una tragedia e perciò è lecito e doveroso aiutare a non farlo. Non boicottare chi abortisce, ma in positivo, aiutare chi recede dal suo proposito.

Non si tratta di relativizzare i propri principi e diritti elementari ma di capire che la loro traduzione nella realtà comporta di fare i conti con la reale umanità. E’ inutile negarlo, ci sono due modi di vedere la realtà e per vivere abbiamo due soluzioni: o accettare l’alternanza di leggi pro e contro l’aborto, a seconda di chi vince le elezioni, senza recriminare; o tentare un punto di mediazione pur restando ciascuno nelle proprie convinzioni. Questo vuol dire libertà e reciproco rispetto. Detto in termini filosofici: non si tratta di ridurre la verità a punto di vista ma di riconoscere sì la verità sopra di noi, però ritenere che nessuno detenga il monopolio assoluto della sua traduzione.

Invece si è scatenata una campagna feroce in cui i giudici, i movimenti pro life, i conservatori sono stati ridotti a mostri. In particolare vergognosa la campagna contro il giudice nero Clarence Thomas (ma guarda, la sinistra legalitaria che si schiera contro la legge e contro il magistrato nero). Si è cercato, come sempre fa la sinistra, non di confutare la “sua” sentenza ma di discreditare e diffamare il magistrato, insinuando che tutta la sua battaglia non abbia nulla di legale né di ideale ma risponda a un rancore personale contro i progressisti e a un proposito di vendetta a lungo covato. La smerdizzazione dell’avversario, la riduzione a carogna… Ma la soluzione non è rovesciare lo schema e riproporlo uguale dall’altra parte. Il problema di fondo resta e tocca tutti: dobbiamo imparare a convivere con la differenza di visioni della vita, senza mostrificare l’avversario. Perché se non accettiamo di convivere con questa realtà divisa, la soluzione più coerente è la guerra civile, l’ordalia. E non mi sembra il caso… La Verità (29 giugno 2022)

Testo di Pier Paolo Pasolini del 30 gennaio 1975 - pubblicato da “Sette - Corriere della Sera” l'8 luglio 2022.  

Veniamo all’aborto. Tu (il destinatario dell’intervento è lo scrittore Alberto Moravia; ndr) dici che la lotta per la prevenzione dell’aborto che io suggerisco come primaria, è vecchia, in quanto son vecchi gli «anticoncezionali» ed è vecchia l’idea delle tecniche amatorie diverse (e magari è vecchia la castità).

Ma io non ponevo l’accento, sui mezzi, bensì sulla diffusione della conoscenza di tali mezzi, e soprattutto sulla loro accettazione morale, per noi – uomini privilegiati – è facile accettare l’uso scientifico degli anticoncezionali e soprattutto è facile accettare moralmente tutte le più diverse e perverse tecniche amatorie. Ma per le masse piccolo-borghesi e popolari (benché già «consumistiche») ancora no. 

Ecco perché io incitavo i radicali (con cui è avvenuto tutto il mio discorso, che solo appunto visto come un colloquio con essi acquista il suo pieno senso) a lottare per la diffusione della conoscenza dei mezzi di un «amore non procreante», visto (dicevo) che procreare è oggi un delitto ecologico. 

Se alla televisione per un anno si facesse una sincera, coraggiosa, ostinata opera di propaganda di tali mezzi, le gravidanze non volute diminuirebbero in modo decisivo per quel che riguarda il problema dell’aborto. 

Tu stesso dici che nel mondo moderno ci sono due tipi di coppie: quelle borghesi privilegiate (edonistiche) che «concepiscono il piacere distinto e separato dalla procreazione» e quelle popolari, che «per ignoranza e bestialità non arrivano a una simile concezione». 

Ebbene, io ponevo come prima istanza alla lotta progressista e radicale proprio questo: pretendere di abolire – attraverso i mezzi cui il paese ha democraticamente diritto – tale distinzione classista. 

Insomma, ripeto, la lotta per la non-procreazione deve avvenire nello stadio del coito, non nello stadio del parto. Per quel che riguarda l’aborto, io avevo suggerito paradossalmente di rubricare tale reato nel quadro del reato di eutanasia, inventando per esso una serie di attenuanti di carattere ecologico. Paradossalmente. 

In realtà la mia posizione su questo punto – pur con tutte le implicazioni e le complessità che sono tipiche di un intellettuale singolo e non di un gruppo – coincide infine con quella dei comunisti. Potrei sottoscrivere parola per parola ciò che ha scritto Adriana Seroni su Epoca (25-1-1975).

Bisogna evitare prima l’aborto, e, se ci si arriva, bisogna renderlo legalmente possibile solo in alcuni casi «responsabilmente valutati» (ed evitando dunque, aggiungo, di gettarsi in una isterica e terroristica campagna per la sua completa legalizzazione, che sancirebbe come non reato una colpa). 

Mentre per il «referendum» sul divorzio ero in pieno disaccordo coi comunisti (che lo temevano) prevedendo la vittoria che poi si è avuta; mentre sono in disaccordo coi comunisti sugli «otto referendum» proposti dai radicali, prevedendo anche qui una vittoria (che ratificherebbe in effetti una realtà esistente), sono invece d’accordo coi comunisti sull’aborto.

Qui c’è di mezzo la vita umana. E non lo dico perché la vita umana è sacra. Lo è stata; e la sua sacralità è stata sentita sinceramente nel mondo antropologico della povertà, perché ogni nascita era una garanzia per la continuità dell’uomo. Ora sacra non lo è più, se non in senso maledetto (sacer ha tutti e due i sensi), perché ogni nuova nascita costituisce una minaccia per la sopravvivenza della umanità. 

Dunque dicendo «c’è di mezzo la vita umana», parlo di questa vita umana – questa singola, concreta vita umana – che, in questo momento, si trova dentro il ventre di questa madre. È a ciò che tu non rispondi. È popolare essere con gli abortisti in modo acritico e estremistico? Non c’è neanche bisogno di dare spiegazioni?

Si può tranquillamente sorvolare su un caso di coscienza personale riguardante la decisione di fare o non fare venire al mondo qualcuno che ci vuole assolutamente venire (anche se poi sarà un disgraziato)? Bisogna a tutti i costi creare il precedente «incondizionato» di un genocidio solo perché lo «status quo» lo impone?

Va bene, tu sei cinico (come Diogene, come Menippo... come Hobbes), non credi in nulla, la vita del feto è una romanticheria, un caso di coscienza su un tale problema è una sciocchezza idealistica... Ma queste non sono delle buone ragioni.

ABORTO/SENTENZA USA: I ‘SINCERI DEMOCRATICI’? IN PIENO DELIRIO – di GIUSEPPE RUSCONI – rossoporpora.org – 26 giugno 2022

La sentenza della Corte Suprema statunitense che ha negato l’aborto come diritto costituzionale a livello federale (demandandone la valutazione ai singoli Stati dell’Unione) ha scatenato forti reazioni ancora in corso. Negli Stati Uniti e in altri Paesi. Anche in Italia. Ve ne offriamo un florilegio ‘democratico’, con un occhio anche a titoli e commenti deliranti. Alla fine una bella sorpresa giornalistica e un Post Scriptum che riempie di speranza.

Come facilmente prevedibile sono tanto numerose quanto spesso isteriche e turbolente le reazioni (anche di piazza) alla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di affossare- con un Atto del 24 giugno 2022, di 213 pagine molto ben argomentate - la sentenza Roe v. Wade del 1973, con cui veniva riconosciuto l’aborto come un diritto garantito costituzionalmente a livello federale. La possibilità dell’aborto legale negli Usa non viene abolita, ma demandata alla valutazione autonoma di ogni singolo stato dell’Unione. Già in questi giorni e in ogni caso a breve si prospettano in una metà degli Stati dell’Unione il divieto di aborto o in ogni caso forti restrizioni alla sua pratica. Con conseguente chiusura di molte cliniche, in particolare della famigerata rete Plannet Parenthood, un impero industriale cresciuto sulla pelle delle donne (e degli uomini), comprovato grande finanziatore da tempo del partito democratico di Biden, di Obama, di Hillary Clinton.

La Corte era stata chiamata in causa per valutare la legge approvata dal Mississippi che limitava a 15 settimane il periodo in cui era possibile abortire, condizionando fortemente tale facoltà anche prima. La maggioranza della Corte ha però ritenuto di andare oltre, argomentando che in realtà il ‘diritto’ di aborto a livello federale non aveva nessun fondamento e la sentenza Roe v Wade poggiava su premesse sbagliate. Grande il coraggio civile – anche derivato dalla fede religiosa - mostrato dai sei giudici favorevoli (cinque convintissimi più uno che personalmente avrebbe preferito limitarsi alla convalida della legge del Mississippi): da tempo devono vivere sotto scorta per le continue minacce alla loro vita.

E’ indubbio che la storica decisione della Corte è un duro colpo da digerire per i fautori della sovversione antropologica: per i suoi ideologi, i suoi propagandisti e anche per l’ormai vasta cerchia delle aziende interessata agli enormi profitti economici legati al suo concretizzarsi.

Alla sentenza attinge con speranza rinnovata chi - non solo negli Stati Uniti, ma in tante parti del mondo-  si batte, con ardore e con costanza spesso vilipesi dal politicamente corretto, perché cessi la strage disumana degli innocenti nel grembo materno. Sì, la nota e proteiforme lobby può essere costretta a indietreggiare, la gioiosa macchina da guerra si può fermare. Contro tutti o quasi… si può fermare, come ha dimostrato la Corte Suprema degli Stati Uniti. Si può fermare dappertutto, anche nell’Europa occidentale, anche in Italia.

Della sentenza (che pure induce anche a qualche fondata perplessità quando delega la tutela della vita umana agli elettori dei singoli Stati… ma tale tutela è delegabile, subordinata come sarebbe alle opinioni dominanti in un tempo ben definito?) proponiamo qui un passo particolarmente chiaro e incisivo.

Lo troviamo alle pagg. 14 e 15 della sentenza (Opinione Corte, sezione I):

“Per dare forza a questo Atto, si richiama una serie di fatti. Dapprima si nota che al momento dell’elaborazione dell’Atto, solo sei Paesi oltre gli Stati Uniti permettevano un aborto non terapeutico o su domanda dopo la ventesima settimana di gestazione. In realtà si constata che già alla quinta o sesta settimana di gravidanza incomincia a battere il cuore di un essere umano non ancora nato; all’ottava settimana l’essere umano non nato incomincia a muoversi nel grembo; alla nona settimana sono presenti tutte le funzioni fisiologiche fondamentali; alla decima settimana gli organi vitali incominciano a funzionare e le unghie delle mani e delle dita dei piedi incominciano a prendere forma; all’undicesima settimana il diaframma si sta sviluppando e ora l’essere umano non nato si muove liberamente nel grembo; e alla dodicesima settimana l’essere umano non nato ha preso forma umana in tutti i suoi aspetti più rilevanti”.   

DALLA REAZIONE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEGLI STATI UNITI – Dichiarazione del 24 giugno 2022 a firma del presidente  José H. Gomez (arcivescovo di Los Angeles) e del presidente della Commissione episcopale per la vita William F. Lori (arcivescovo di Baltimora)

Questo è un giorno storico nella vita del nostro Paese, che suscita pensieri, emozioni e preghiere. (…) Per quasi cinquant’anni l’America ha applicato una legge ingiusta che ha permesso ad alcuni di decidere se altri possono vivere o morire; generazioni a cui è stato negato il diritto di nascere.

La sentenza è anche il frutto delle preghiere, dei sacrifici e della testimonianza  pubblica di innumerevoli americani di ogni ceto sociale. In questi lunghi anni, milioni di nostri concittadini hanno lavorato insieme pacificamente per educare e persuadere i loro vicini sull’ingiustizia dell’aborto, per offrire assistenza e consulenza alle donne e per lavorare per alternative all’aborto, compresa l’adozione, l’affidamento e l’assistenza pubblica politiche a sostegno delle famiglie. Condividiamo la loro gioia oggi e gli siamo grati. Il loro lavoro per la causa della vita riflette tutto ciò che c’è di buono nella nostra democrazia e il movimento pro-vita merita di essere annoverato tra i grandi movimenti per il cambiamento sociale dei diritti civili nella storia della nostra nazione». 

I ‘SINCERI DEMOCRATICI’ STATUNITENSI, DIFENSORI DEI ‘VALORI DELL’OCCIDENTE’ SONO TREMENDAMENTE INDIGNATI…

Joe Biden (presidente democratico e cattofluido degli Stati Uniti):  Oggi è un giorno triste per la Corte Suprema e il Paese. E’ un tragico errore. Questa decisione è la realizzazione di tentativi che vanno avanti da decenni per rovesciare le leggi, la realizzazione di un’ideologia estrema: la Corte ha fatto una cosa mai fatta prima, togliere un diritto costituzionale fondamentale per milioni di americani. Non lo ha limitato, lo ha semplicemente eliminato. Con questa decisione la maggioranza conservatrice alla Corte Suprema ha mostrato quanto estrema sia, quanto si sia allontanata dalla maggioranza di questo Paese.

Jill Biden (moglie del presidente): Per quasi 50 anni, noi donne abbiamo avuto il diritto di prendere le nostre decisioni sul nostro corpo. Oggi quel diritto ci è stato rubato

Barack Obama (ex-presidente democratico degli Stati Uniti): La Corte Suprema non solo ha annullato quasi 50 anni di precedenti, ma ha relegato la decisione più intensamente personale che qualcuno può prendere ai capricci di politici e ideologi: (sono state) attaccate le libertà fondamentali di milioni di americani

Michelle Obama (moglie dell’ex-presidente): Ho il cuore spezzato per gli americani che hanno perso il diritto fondamentale di assumere decisioni informate. Avrà delle conseguenze devastanti. Una decisione orribile, dagli effetti devastanti.

Hillary Clinton (ex-Segretario di Stato, moglie dell’ex-presidente democratico Bill Clinton): Un’infamia.

Nancy Pelosi (speaker democratica Camera dei Rappresentanti) Decisione crudele, scandalosa. Un insulto.

Alexandria Ocasio-Cortez (esponente dell’ala sinistra del partito democratico): Biden apra immediatamente cliniche per l'aborto su terreni federali negli Stati repubblicani che imporranno il divieto. (…) Le elezioni non bastano, dobbiamo riempire le strade. 

E LE AZIENDE DELLA NOTA LOBBY?

Saranno coperte le spese di viaggio delle dipendenti che vorranno abortire, ma non potranno farlo nel loro Stato di residenza: l’hanno comunicato le tante aziende di grande rilievo infiltrate pesantemente dalla nota lobby. Tra loro troviamo (prenda buona nota chi ci legge): Disney, Apple,  JPMorgan , Tesla, Meta e Bank of America,  Netflix, Levi Strauss e Microsoft. 

IN CANADA (è previsto a fine luglio il viaggio apostolico in Canada di papa Francesco, che con Justin Trudeau ha apparentemente ottimi rapporti)

Justin Trudeau (primo ministro, esponente coccolato della sovversione antropologica): E’ orribile. Le notizie che arrivano dagli Stati Uniti sono orribili, Non riesco nemmeno a immaginare la paura e la rabbia che le donne statunitensi stanno provando in questo momento. Il mio primo pensiero va alle donne che hanno perso il diritto all’aborto. 

IN FRANCIA Emmanuel Macron, (presidente francese tanto spavaldo quanto elettoralmente acciaccato): ha fatto annunciare che sarà depositata una proposta di legge all’Assemblea Nazionale per inserire il diritto all’aborto nella Costituzione francese (già l’ha annunciato per quella dell’Unione europea): L’aborto è un diritto fondamentale per tutte le donne. Deve essere difeso. Desidero esprimere la mia solidarietà alle donne le cui libertà sono state minate dalla Corte Suprema degli Stati Uniti.  

IN INGHILTERRA Boris Johnson (primo ministro inglese): La decisione è un grande passo indietro. Io ho sempre creduto nel diritto di scelta delle donne.  

ALL’ONU Michelle Bachelet (Alto Commissario per i diritti umani - !!! – già presidente del Cile): E’ una grave battuta d'arresto dopo cinque decenni di protezione della salute sessuale e riproduttiva e dei diritti negli Stati Uniti attraverso Roe v Wade. L'accesso ad un aborto sicuro, legale ed efficace è saldamente radicato nel diritto internazionale dei diritti umani. E’ un duro colpo per i diritti umani delle donne e l'uguaglianza di genere. Gli Stati Uniti si stanno purtroppo allontanando dalla tendenza progressista. 

IN ITALIA Alcune citazioni (ce ne sarebbero però altre assai problematiche sul versante del centro-destra…) relative a esponenti del centro-sinistra che incessantemente inneggiano all’impegno per la difesa delle libertà democratiche e dei valori occidentali (vedi ad esempio riguardo alla guerra scellerata in Ucraina, con un invio scandaloso di armi in conflitto grave con l’art. 11 della Costituzione)

Enrico Letta (segretario del Pd): La decisione della Corte americana sull'aborto è stato un errore grave perché è figlia di una svolta ideologica. (…) Un ritorno indietro che genera sconforto, alimenterà sofferenze e farà divampare conflitti. Da noi nessun ritorno al ‘900.

Elena Bonetti (ministro renziano della Famiglia, cattofluida di radici scoutistiche Agesci): E’ una decisione che lascia sgomenti, che ferisce la dignità e i diritti delle donne.

Nicola Zingaretti (Pd, governatore del Lazio): La terribile scelta della corte suprema americana rappresenta un drammatico passo indietro

Emma Bonino (radicale storica, in passato ha praticato aborti con una pompa aspirante infilata nell’utero della donna): La sentenza della Corte Suprema dopo 50 anni cancella il diritto di aborto negli Usa a livello federale, che perde così il livello di costituzionalità. Ora saranno i singoli Stati, un po’ come avviene in Europa, basti pensare a Polonia e Ungheria, oltre ai rigurgiti antiabortisti anche nel nostro Paese, a disciplinare questa libertà. E' sicuramente un passo indietro e la mia solidarietà va alle donne americane

I parlamentari del M5S (… e si è detto tutto…): Questa sentenza è l’ultima manifestazione di un’inquietante tendenza oscurantista presente non solo negli USA, ma anche in Europa e in tutto il mondo e che in Italia conosciamo molto bene. 

I TITOLI PIU’ DELIRANTI: VINCE ‘LA STAMPA’ DI TORINO

La Stampa, 25 giugno 2022. A tutta prima pagina: L’America che odia le donne. Commento di Concita De Gregorio che incomincia in prima pagina: Così la destra umilia i più deboli. Altro commento di Linda Laura Sabbadini che incomincia in prima pagina: Non ci toglieranno la voglia di libertà. Grande titolo a pagina 2: Aborto: medioevo USA. Poker! 

SI SI, NO NO? NEL VANGELO, MA NON NEI TITOLI DI ‘AVVENIRE’

Avvenire, 26 giugno 2022. Titolo di apertura: Ma la vita è dialogo. Titolo a tutta pagina 6: Vita e aborto, tempo di dialogo. 

COMMENTI DI MAESTRI  DEL VIVER CIVILE, DEMOCRATICAMENTE INTESO

Gianni Riotta (noto esperto della ‘vita buona’ da salotto, Repubblica, 26 giugno 2022), fa proprio come incipit del suo articolo questo giudizio di Ian Bremer, “sofisticato stratega del forum internazionale Eurasia”: Gli Stati Uniti non son più la democrazia dei tempi della caduta del Muro di Berlino. Non sono l’Ungheria, non sono la Turchia, ma vanno in quella direzione. Non si poteva dimenticare l’Ungheria…

Massimo Giannini (direttore de La Stampa, 26 giugno 2022): Anche in Europa si avverte una tendenza alla Grande Restaurazione. Se parliamo di aborto, basta vedere quello che sta succedendo in Polonia, dove una legge del gennaio 2021 ha ristretto drasticamente il diritto all’interruzione della gravidanza (…) Ma poi anche a Malta, o in Ungheria, dove Orbán ha fatto inserire in Costituzione “la tutela del feto fin dal suo concepimento” (…) In Italia già ora in molte strutture ospedaliere i medici obiettori si rifiutano di applicare la legge. (…) Bisogna dire no a queste tentazioni di nuovo Medioevo. Non si potevano dimenticare non solo l’Ungheria, ma anche Polonia e Malta. E il ‘Medioevo’ dell’obiezione di coscienza…Un perfetto democratico!

Lucetta Scaraffia (storica femminista, qui in versione cattofluida, La Stampa, 26 giugno 2022): Meglio chiarire subito: sono convinta che la decisione della Corte Suprema americana di negare all’aborto lo status di diritto inalienabile costituzionalmente garantito rappresenti di fatto una grave ferita alla libertà delle donne statunitensi. (…) E parimenti sono convinta che l’entusiasmo con il quale la Chiesa cattolica ha accolto questa decisione le costerà un ulteriore allontanamento delle donne. (poi la Scaraffia fa qualche considerazione condivisibile, ad esempio sulla necessità di non ignorare i padri dei nascituri, ma intanto le affermazioni iniziali restano).

Concita De Gregorio (nota editorialista radicalchic, La Stampa, 25 giugno 2022): Peccato, Peccato per il tempo che ci vorrà a risarcire questa ferita colossale, un salto indietro di cinquant’anni, ma come si sa la destra demolisce con un calcio castelli costruiti in decenni, sulle rovine festeggia. Nel Paese in cui da oggi non si può più abortire ma si può entrare in un asilo con la pistola in mano da puntare alla tempia dei bambini (…). Lucida la De Gregorio nella ricerca di immagini per palati forti…

Linda Laura Sabbadini (che si definisce ‘direttora del Dipartimento Metodi e Tecnologie Istat’, La Stampa, 25 giugno 2022): Non a caso dopo il popolo ucraino che anela a libertà e democrazia, le prime a essere sotto attacco nucleare sono le donne (…) Ma loro, i reazionari, non hanno più remore, preparano l’assalto al cielo, quello che fallirono a Capitol Hill. Vogliono distruggere la democrazia dei diritti e delle libertà, vogliono colpire al cuore le donne americane. La strategia è unitaria. La truppa di Trump si muove all’unisono con quella di Putin. Poteva non c’entrare Putin?

Filippo Facci (ovvero il Galateo fatto uomo, Libero, 25 giugno – il commento, intitolato “L’Italia ignori questa follia di quaccheri”,  è pubblicato in prima pagina con seguito a pagina 2, accanto al commento contrapposto -bello e intenso – di Renato Farina, che porta il titolo: Così l’America ha ritrovato i suoi valori”): Della sentenza della Corte Suprema non ce ne frega niente. Della singola opinione di qualche baciapile – a me personalmente – non me ne frega niente. Se negli USA, dopo 49 anni, hanno deciso che una donna non è libera di interrompere una gravidanza, a questo Paese e a questo continente (fa eccezione la nota avanguardia polacca) non gliene frega niente, perché nel nostro caso c’è una decisione sancita da un referendum, promulgata a mezzo legge (la 194) e che soprattutto funziona. (…) La legge 194 c’è solo il problema di difenderla dai troppi sabotatori: l’Italia è stata uno degli ultimi Paesi occidentali in cui è stata introdotta la pillola Ru 486 che resta di complicata reperibilità; impossibile poi tacere di quella truffa da codice penale che resta l’obiezione di coscienza che è esercitata da circa l’80% dei ginecologi soprattutto in Campania, Basilicata e Sicilia (…) Noi, con il nostro 80% siamo ultimi con Portogallo e Argentina, nazioni note per i loro convincimenti etici. Dopo aver offeso i’ baciapile’, offende anche gli obiettori di coscienza e i meridionali cui la addebita in buona parte e offende anche polacchi, portoghesi e argentini: un nuovo Guinness dei primati in così poche righe! 

A SORPRESA IL COMMENTO DI VITTORIO FELTRI

Vittorio Feltri (fondatore di ‘Libero’), in apertura di Libero del 26 giugno 2022 con prosecuzione a pagina 3, sotto il titolo “Quella volta che anch’io volevo fermare una vita”: Anche io quando ero un giovane padre mi trovai di fronte al dilemma. Io e mia moglie, persona mite, avevamo già tre figli. Ella a un certo punto scoprì di essere incinta (…) Se avesse portato a termine la gravidanza, con il quarto pargolo, non avrebbe più potuto continuare la sua attività importante presso un ente pubblico, l’Amministrazione provinciale. Sorse in me ed anche in lei l’idea dell’aborto, il quale però non era ancora stato reso lecito. (…) Presi contatto con una struttura (in Svizzera). (…) Avvicinandosi la data dell’intervento io e la mia consorte cominciammo ad avere titubanze che crebbero quotidianamente. Non discutevamo d’altro in casa mia (…) Una sera si mise a singhiozzare. Non riusciva a digerire la situazione che si andava profilando. Le presi la mano e gliela accarezzai, poi le sussurrai mentre il mio cuore sobbalzava (…) Teniamoci anche questo quarto rompicoglioni e che sia finita ogni tribolazione. Ci abbracciammo come due sposini (…) Basta col tormento che mi procurava l’ipotesi di stroncare una creaturina che non era neanche in grado di opporsi e protestare. (…) Quando risalii nel reparto mi venne incontro una giovane infermiera che teneva tra le braccia un fagottino: con entusiasmo mi disse: ‘Ecco, è nata la Sua bambina’. Guardai la piccola come si osserva un gioiello. Mi sembrava un miracolo. E pensare che aveva rischiato di finire in un bidone della spazzatura. (…) Allorché leggo sui giornali che la gente si lamenta perché in Italia le culle sono vuote, penso che l’aborto abbia contribuito a svuotarle”.

P.S. A scorrere titoli e citazioni deliranti si può essere presi da un certo sconforto. Però, stamattina, durante la messa domenicale delle 10.30 a Sant’Ippolito a piazza Bologna, si sono registrati due battesimi, di Chiara e di Matteo, con il Coro che ha eseguito in modo molto intenso e coinvolgente il Benedicat di San Francesco a Frate Leone. E allora… Benedicat/ benedicat/ benedicat tibi Dominus et custodiat te. 

Così l’America ha ritrovato i suoi valori.  Renato Farina 25 Giugno 2022 

Dai più deboli, da quei condannati a morte, ma non ancora nati, ci arriva una richiesta di soccorso.

La Corte Suprema degli Stati Uniti, l’equivalente della nostra Corte costituzionale, ma persino più solenne perché chi ne fa parte lo è fino alla tomba, ha stabilito che in base ai principi sulla cui base è nata la multiforme e multiculturale nazione americana non esiste il diritto di aborto, e chi lo ha introdotto in passato, ha sbagliato. Anzitutto perché viola un diritto che viene prima: quello alla vita dell’esserino che palpita nell’utero di una donna, e che non è una sua propaggine, anche se in tutto e per tutto dipende da lei. Quel “coso”, detto feto anche se nessuno quando tocca quella pancia lo chiama così, è “un altro” che sta in casa tua, mamma, e nessuno può autorizzarti a ucciderlo. 

Papa Francesco che non è certo un bigotto, e non perdona niente a chi non è capace di perdonare, definisce killer chi pratica l’aborto, come applicazione più tremenda di una cultura dello scarto. Non è una faccenda cattolica, ma un dato di scienza e coscienza. Di ragione e di cuore. È un dato di fatto che in Occidente, ma probabilmente anche in Oriente, ci sia stato una radicale mutazione antropologica, l’evidenza della realtà non è più tale. Non esiste più il primato dello sguardo ma dell’emozione. Per cui chi non ha voce non ha chance di suscitare commozione. 

Il grido del suo soccombere non attraversa le pareti del grembo, e non è in grado – ciò che vale del resto anche per i neonati – di esprimere il suo pensiero in argomento. Ma esiste una forza tremenda e documentata dentro quella creaturina non ancora nata. Quel grumo di carne e sangue, con le sue piccole dita, nuota nelle acque materne, e disperatamente cerca di salvarsi la vita davanti alla chimica che lo vuole dissolvere o alla pinza del dottore che lo vuole ridurre a brandelli. Ci sono immagini inconfutabili e che subiscono una censura assoluta. Ieri sera in nessun tigì sono state trasmesse. 

Nessun sito del web di proprietà dei grandi gruppi editoriali italiani e internazionali ha non dico approvato la sentenza ma riconosciuto la sua dignità. Neppure un piccolo, minimo “forse”, è sfuggito dalle bocche serrate nella protesta e dalle penne schierate a falange in una sorta di conformismo benpensante. La storia – dice il coro della nostra tragedia – non può fare un passo indietro di cinquant’anni. Qual è l’unità di misura del valore degli anni? Riaffermare solennemente il diritto alla vita, non in generale, ma proprio quella che eri tu in boccio, è andare avanti, che non si misura in anni ma in potenza di una luce che si era perduta chissà dove. 

Questo articolo è stato pubblicato oggi, 25 giugno 2022 su Libero Quotidiano.

Lucetta Scaraffia per “la Stampa” il 26 giugno 2022.  

Meglio chiarire subito: sono convinta che la decisione della Corte Suprema americana di negare all'aborto lo status di diritto inalienabile costituzionalmente garantito rappresenti di fatto una grave ferita alla libertà delle donne statunitensi, che molto probabilmente i repubblicani pagheranno caro nelle elezioni locali. E parimenti sono convinta che l'entusiasmo con il quale la Chiesa cattolica ha accolto questa decisione le costerà un ulteriore allontanamento delle donne. Ma c'è un punto sul quale vorrei riflettere. 

Una domanda che anche noi femministe dobbiamo avere il coraggio di farci: l'aborto può essere davvero considerato un diritto naturale, indipendentemente da ogni atto legislativo che lo sanzioni (perché è proprio ciò e solo ciò che la Corte americana ha negato)?

Può davvero essere considerato un diritto naturale la facoltà di sopprimere la possibilità di vita di un altro essere umano? E quindi, di conseguenza, abbiamo fatto bene a fondare le battaglie femministe su questo straordinario diritto? 

Viceversa combattere per la semplice depenalizzazione dell'aborto è una battaglia giusta e sacrosanta, fondativa del movimento femminista, così come la battaglia che ha portato a riconoscere lo stupro come reato contro la persona e non contro la morale. È da entrambe queste battaglie, infatti, che deriva il rispetto per il corpo femminile e per il diritto della donna di disporne liberamente.

Diritto imprescindibile per fondare la libertà delle donne e il rispetto nei loro confronti. Invece l'aborto, formulato come un vero e proprio diritto naturale, di fatto coinvolge un'altra persona, cioè il padre del nascituro, e in un certo senso anche il possibile nascituro. E quindi, come si capisce, risulta oggettivamente alquanto problematico considerarlo un vero e proprio diritto naturale, trattandosi tra l'altro di una decisione che coinvolge altri interessati ma privi in alcun modo della possibilità di interferire. Mi chiedo quindi se non sarebbe allora stato meglio impostare fin dall'inizio la battaglia sul tema dell'aborto chiedendo la sua pura e semplice depenalizzazione.

Questo mi sembra il vero problema che pone la sentenza della Corte Suprema americana. La sua decisione, sicuramente oltremodo deprecabile per i suoi effetti, mette però il dito su una contraddizione effettivamente esistente alla base dell'ideologia femminista. Affermare il diritto all'aborto come un diritto naturale inalienabile delle donne infatti significa inevitabilmente negare qualunque diritto a chiunque altro a qualsiasi titolo sia interessato all'eventuale nascita di un essere umano. Limitarsi alla depenalizzazione dell'aborto significa invece consegnare la terribile decisione alla coscienza di chi la compie, e accettare quindi che questa scelta dolorosa venga pagata, nel corpo e nella psiche, dalla donna che la compie.

A Gilead, a Gilead! Anche sull’aborto noialtri intelligenti siamo molto stupidi. Guia Soncini su L'Inkiesta il 27 Giugno 2022

Pur pensando che essere incinte sia un’invalidità, e perfino dopo aver sbirciato un paio di talk show italiani sul tema, riesco ancora a capire che le donne americane che festeggiano la decisione della Corte Suprema non gioiscono perché viene negato loro un diritto, ma perché sono convinte che si metta fine a un crimine

Riesco a immaginare solo un’invalidità più insopportabile, una tragedia più abissale, uno stato più atroce dell’essere incinta, ed è: essere incinta senza aver desiderato d’esserlo. È una delle ragioni per cui le sciatte militanti che in questi anni hanno scomodato Gilead per ogni fischio per strada sono imperdonabili: a che serve la potenza della letteratura che evoca donne incinte per imposizione se poi, quando arriva il momento in cui in alcuni degli Stati Uniti non si può più abortire per nessuna ragione, quei personaggi di fantasia non puoi più citarli perché “Il racconto dell’ancella” è consunto dalle similitudini a casaccio?

In cima alla pagina di The Cut, la sezione femminile del New York Magazine, c’è l’occhiello «Life after Roe», la vita dopo che la Corte Suprema ha deciso che la sentenza Roe vs. Wade non attiene all’aborto, non essendo l’aborto citato in una Costituzione scritta nel Settecento (ma tu pensa), e non tutelando quindi quella sentenza, come fin qui ritenuto, il diritto all’interruzione di gravidanza. Prima dell’articolo c’è un avviso. Fa così: abbiamo rimosso il paywall da questa e altre storie sulla possibilità di abortire. Certo che è importante dare informazioni sulle questioni urgenti (e se non lo è liberarti d’una gravidanza che non vuoi, non saprei che definizione dare di «urgenza»), ma magari un articolo che ti dice che non devi credere a TikTok, il bidet con la Coca Cola non fa abortire, dovremmo averlo superato a dodici anni, che è l’età alla quale leggevo le smentite di queste leggende su Cioè. Sto per compierne cinquanta, e la demolizione delle leggende abbiamo cominciato a chiamarla debunking, e non pensiamo si smetta d’averne bisogno dopo le scuole medie.

Lo so, questa cosa d’aver detto «sezione femminile» fa di me una retrograda. Anche le persone trans e non binarie possono aver bisogno d’un aborto, possono mestruare, possono amare: sono tali e quali a noi, noi normali. Ma cosa volete ne sappia io, che ogni volta che sento «non binario» ho il riempimento automatico di «triste e solitario».

Dunque è andata così: Barack Obama ha avuto una maggioranza mai vista e non l’ha usata per fare una legge federale che regolamentasse l’aborto; a seconda di chi siano tifosi, gli studiosi di leggi americane ti dicono che non l’ha fatto perché il precedente d’una sentenza che s’appoggia alla Costituzione è più forte d’una legge federale e non c’era ragione di pensare decadesse, o che non l’ha fatto come non ha fatto mille altre cose, tra cui i nuovi giudici della Corte Suprema. Le militanti strepitano perché Donald Trump ne ha fatti tre, e non s’accorgono mai mai mai che stanno dicendo: è stato più bravo. Chi vuol far vedere che ha spirito critico dice: eh, certo, è un po’ colpa di Ruth Bader Ginsburg che si sarebbe dovuta dimettere a Obama in forze, permettendogli di metterci un altro giudice abortista. Ma chi la doveva convincere a dimettersi, RBG, io? Se Obama fosse stato bravo a fare il presidente quanto a venire bene in foto, chissà dove saremmo.

L’altra sera alla tv italiana sono andati in onda quelli che mi sono sembrati i quaranta minuti di tv più incredibili di tutti i tempi, ma probabilmente è il livello medio dei talk show e sono io che non sono abituata a guardarli. A osservare senza neanche troppa attenzione, si vedeva in controluce la costruzione del disastro. Una puntata preparata con un parterre di ospiti televisivi abituali, di quelli ritenuti in grado di parlare di Ucraina e di PNRR, dell’afa e della pandemia. Poi, nel pomeriggio, la notizia: in America è saltato per aria il fragile escamotage su cui si basava la possibilità di abortire. Mica vorrai smontare il parterre. Aggiungiamo due donne, ché l’aborto è cosa di donne, due con utero e che sappiano anche quattro cose sul tema. Ma quaranta minuti cinque ospiti? Ma figuriamoci: alle due in quota competenza facciamo una domanda e poi le congediamo.

Quando la conduttrice, dopo averle fatte parlare trenta secondi l’una, manifestando una certa qual insofferenza per ventinove dei trenta secondi, dice «so che ci dovete lasciare», la regia si guarda bene dall’inquadrarle, acciocché non si veda il labiale «no veramente noi potremmo pure restare». Se inquadrassero le due che conoscono il tema mentre vengono congedate per proseguire la discussione sul tema con gente che di solito parla di scissione dei Cinque stelle, vedremmo probabilmente due emule di Valeria Parrella allo Strega, quando la congedarono per parlare di MeToo: «E lei ne vuole parlare con Augias? Auguri».

L’omaggio a quel grandissimo momento di televisione può quindi proseguire con gli abituali turnisti del circo, uno dei quali – d’un quotidiano di destra – dice delle cose ovvie per un conservatore ma le dice come le dicono le macchiette televisive italiane: risultando insopportabile. Perdipiù la conduttrice, che è in modalità in-quanto-donna e quindi deve dire che l’aborto è un diritto inalienabile, è così maldisposta nei suoi confronti che la regia non osa inquadrarlo, e quindi quello diventa una voce dall’indefinito del suo bravo collegamento mentre tengono fisso il primo piano della conduttrice che sbuffa. Quando ero giovane e fertile queste trasmissioni esistevano per diventare Blob, ora probabilmente per diventare meme.

La stessa sera, sulla Hbo andava in onda il talk migliore del mondo, quello di Bill Maher. Era ospite Andrew Sullivan, che esprimeva gli stessi concetti del conservatore italiano ma come li esprime uno alfabetizzato, e spiegava bene l’assurdità dell’Italia che si scalda sulla regolamentazione dell’aborto americano, pur senza nominarci mai.

La sinistra americana è scandalizzata perché i primi interventi di riduzione della possibilità di abortire (in Florida, per esempio) hanno abbassato il termine da sei mesi a meno di quattro (quindici settimane). Gli americani non sanno talmente mai niente che il primo che studia due schede da sussidiario su quel che accade fuori dagli Stati Uniti pare subito un genio. Sullivan (che è inglese, inserire qui la battuta di Hamilton sugli immigrati sui quali contare per un lavoro ben fatto) fa presente che in mezza Europa il termine è a dodici settimane (anche in Italia).

Una giornalista ospite interviene dicendo sì, ma lì hanno la sanità pubblica. Già, ragazza: qui in dodici settimane, non potendo per legge abortire nel privato, devi anche fare in tempo a trovare un non obiettore nel pubblico. Ha tentato di spiegarlo Chiara Lalli a Lilli Gruber, ma alla Gruber «Molise» sembrava meno chic di «Florida» e quindi l’ha interrotta come stesse andando fuori tema. (Dovendo scegliere un modello, suggerirei l’Inghilterra: sanità pubblica, e termine a sei mesi).

Ci sarebbe poi anche da parlare della questione «come osano parlarne gli uomini» o, come dicono quelli cui piace citare in inglese, «no uterus no opinion». La giornalista ospite da Bill Maher è lesbica: l’utero inutilizzato ha comunque diritto a opinioni? E, se pensi che quella che abortisce ammazzi qualcuno, non hai non solo il diritto ma forse pure il dovere d’intervenire, anche se un utero non ce l’hai?

Com’è possibile che da questo lato delle cose – quello in cui abortire pare non solo un diritto ma addirittura un dovere, e quella fuori legge dovrebbe essere la gravidanza portata a termine – non riusciamo ad avere argomentazioni adulte, e a capire che una questione etica che per qualcuno (anche per molti di quelli che cianciano di «dramma morale» sperando così diventi più accettabile) non è niente, e per altri è assassinio, non la risolvi fingendo che le donne siano tutte da questo lato della questione?

Certo che più o meno tutte le donne hanno l’handicap di rischiare di restare incinte a ogni rapporto sessuale per metà della loro vita, e che questa disgrazia richiederebbe una pensione d’invalidità universale, e che l’idea che se resti incinta tu debba tenertelo è distopica e inaccettabile per molte di noi. Ma ci sono pure quelle che pensano che farti aspirare un embrione o un feto sia un omicidio, e rispetto all’omicidio hanno problemi di coscienza: avere un utero non basta neanche ad avere tutte la stessa opinione sui diritti che abbiamo su quell’utero.

Com’è possibile che non capiamo che le donne americane che manifestavano felicità per la fine di Roe vs Wade non sono donne che gioiscono perché viene negato loro un diritto, sono donne convinte che si metta fine a un crimine? Com’è possibile che noialtri intelligenti siamo così stupidi?

Aborto, Vittorio Feltri racconta tutto: "Quella volta che io...", drammatica confessione. Vittorio Feltri su Libero Quotidiano il 26 giugno 2022

Se avesse portato a termine la gravidanza, con il quarto pargolo, non avrebbe più potuto continuare la sua attività importante presso un ente pubblico, l'Amministrazione provinciale. Sorse in me e anche in lei l'idea dell'aborto il quale però non era ancora stato reso lecito.

Che fare? Possiamo andare in Svizzera, pensammo. Presi contatto con una struttura elvetica e mi accordai anche sulla data dell'intervento. Avvicinandosi la quale io e la mia consorte cominciammo ad avere titubanze che crebbero quotidianamente.

SCELTA GIUSTA? Non discutevamo d'altro in casa mia mentre la pancia di Enoe (mia moglie) non faceva che crescere.

Una sera ero un po' nervoso, anzi turbato, lei mi interrogò, la solita domanda imbarazzante: ma sei sicuro chela nostra scelta sia quella giusta? Risposi: certamente amore, sono sicuro che stiamo facendo una incredibile puttanata. Enoe annuì e si mise a singhiozzare. Non riusciva a digerire la situazione che si andava profilando. Le presi la mano e gliela accarezzai, poi le sussurrai mentre il mio cuore sobbalzava: senti amore mio, a me i bambini hanno sempre portato fortuna, ho un lavoro importante e ben retribuito, rinunceremo al tuo stipendio, io mi adopererò per non far mancare nulla alla mia famiglia. Teniamoci anche questo quarto rompicoglioni e che sia finita ogni tribolazione. Ci abbracciammo come due sposini, poi disdissi l'appuntamento svizzero e provai un sollievo liberatorio. Basta col tormento che mi procurava l'ipotesi di stroncare una creaturina che non era neanche in grado di opporsi e di protestare. L'abbiamo concepita ed è nostro dovere farla nascere nel migliore dei modi e provvedere a lei come abbiamo fatto con gli altri tre bambini a cui ci dedichiamo con tutto il nostro impegno. La gestazione filò liscia fino all'ultimo giorno quando Enoe ebbe le doglie. Senza tentennare la caricai in macchina e la condussi di fretta all'ospedale. La ricoverarono immediatamente mentre io mi intrattenni negli uffici amministrativi per il disbrigo delle pratiche burocratiche.

IL MIRACOLO Quando risalii nel reparto mi venne incontro una giovane infermiera che teneva tra le braccia un fagottino: con entusiasmo mi disse, ecco è nata la sua bambina. Guardai la piccola come si osserva un gioiello. Mi sembrava un miracolo. E pensare che aveva rischiato di finire in un bidone della spazzatura. La presi in braccio un attimo con titubanza, avevo paura di rovinarla, invece lei mi sorrise, anche se nessuno crede, ogni volta che racconto questo dettaglio, che una neonata sia già allegra. Oggi mia figlia ha 50 anni, due lauree, gestisce una farmacia, ha un figlio grande, e quando spesso viene a trovarmi la rivedo come il giorno che era appena uscita dal grembo materno. Lei non sa che sono stato sul punto di ucciderla. Allorché leggo sui giornali che la gente si lamenta perché in Italia le culle sono vuote, penso che l'aborto abbia contribuito a svuotarle.

Alessandra Arachi per il “Corriere della Sera” il 26 giugno 2022. 

Ci sono molte lacune nell'applicazione della legge sull'interruzione volontaria di gravidanza, la 194 del 1978. Il punto è l'obiezione di coscienza di medici, anestesisti, infermieri: è prevista dalla norma, ma questa prevede anche che quando ci sono obiezioni di coscienza, nel presidio sanitario deve comunque essere garantita l'interruzione volontaria di gravidanza.

Ma così non è. Perlomeno non lo è affatto in 31 strutture sanitarie, secondo i dati che le giornaliste Chiara Lalli e Sonia Montegiove hanno raccolto in un libro inchiesta. E al 100% di obiezione nelle 31 strutture seguono almeno 72 strutture dove questa raggiunge l'80%. Sono 180 i luoghi che le due giornaliste hanno preso in considerazione (su 560 dove in Italia si pratica l'aborto) e i loro dati vengono supportati da quelli che il ministero della Salute ha presentato al Parlamento all'inizio di giugno.

È diverso il modo di raccogliere i dati, quelli del ministero sono dati aggregati, e ci dicono che a livello nazionale ci sono il 64,6% di medici obiettori, il 44,6% di anestesisti, il 36,2% di personale non medico. Con un picco nell'Italia del sud, 76,9% di medici obiettori, e nelle isole, 73,2%. 

Nel nord Italia il dato è al 58,2%, nell'Italia centrale al 63,3%. Il picco delle obiezioni di coscienza è nella provincia autonoma di Bolzano (84,5%) seguita da Abruzzo (83,8%) e Molise (82,8%). E al contrario in Valle D'Aosta c'è il 25%, nella provincia autonoma di Trento il 35,9%. Non è facile far funzionare questa legge con questi dati. 

Ma Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, vuole mettere in luce le lacune della norma dalla parte opposta: «Per quel che riguarda noi, continueremo semplicemente a chiedere e a operare affinché venga applicata la prima parte della legge 194 relativa alla prevenzione, e per dare alle donne una possibilità di scelta diversa da quella, troppo spessa obbligata, dell'aborto».

Meloni non vuole abolire la 194. Lo ha detto chiaramente: «Corre l'obbligo di segnalare alcune questioni abbastanza banali a chi usa anche la sentenza della Corte americana in tema di aborto per attaccare Fratelli d'Italia, vaneggiando di proposte di abolizione della legge 194: Usa e Italia hanno ordinamenti giuridici profondamente diversi e che non possono essere paragonati. Chi lo fa o è in malafede o lo fa per motivi ideologici».

Enrico Letta mette a fuoco il rischio per il diritto di abortire. Dice infatti il leader del Pd: «C'è un pericolo che esiste a partire dagli Stati Uniti, pensare che i diritti sono qualcosa di scontato. Abbiamo capito che non è così». Giuseppe Conte, leader del M5s, alza le barricate: «Non permetteremo che la 194 venga messa in discussione. Non consentiremo un ritorno al passato». Intanto i dati ufficiali ci dicono che gli aborti volontari sono in diminuzione. Erano 73.207 nel 2019, sono scesi a 66.413 nel 2020. 

Anche in questo caso i dati aggregati del ministero ci offrono un quadro della situazione questa volta sull'età delle donne che abortiscono. Nel 2020 la fascia più numerosa è stata quella delle donne tra i 30 e i 34 anni (23%), seguita da quella delle donne tra i 35 e i 39 anni (21,6%) e tra i 25 e i 29 (20,2%). Ci sono aborti anche tra le donne che hanno più di 45 anni. Sono state 837 nel 2020, pari all'1,3 per cento del totale. Non ininfluente nemmeno il dato delle minorenni: tra i 15 e i 19 anni sono state 4.159 (il 6,3 per cento). Infine ci sono anche le giovanissime: hanno abortito in 125 sotto i 15 anni.

"Gridava, l'ho fatto smettere". Matias ucciso nel cassettone dal padre. Rosa Scognamiglio il 28 Giugno 2022 su Il Giornale.

Matias, dieci anni, è stato ucciso dal papà. La confessione choc: "Diceva che dovevo andarmene così gli avvolto la testa con il nastro adesivo" 

"Ero ubriaco". A distanza di 7 mesi dal delitto, Mirko Tomkow ha confessato di aver ucciso il figlioletto Matias, di soli 10 anni. A ritrovare il corpo senza vita del bimbo, chiuso in un cassettone della camera da letto e con il nastro adesivo attorno alla testa, era stata la mamma. L'uomo ha spiegato davanti ai giudici della Corte d'Assise di Viterbo le ragioni dell'aggressione mortale: "Matias gridava. Mi ha detto 'vai via, non puoi stare qui'".

L'alcool e le botte: la vita da sbandato dell'uomo che ha ucciso il figlio

La confessione

L'omicidio risale al 26 novembre scorso in un appartamento a Cura di Vetralla, nel Viterbese. Mirko Tomkow, un muratore di origini polacche con gravi problemi di alcolismo, aveva ricevuto il dievito di avvicinamento alla moglie e al figlio per via di presunti maltrattamenti familiari. Ma quel giorno si era fatto trovare nella casa dello stradone di via Luzi, dove aveva convissuto con i due prima dell'allontanamento forzato. "Sono entrato in casa e non c’era nessuno - ha raccontato - Sono entrato con le chiavi nascoste fuori in una ciabatta. Con un coltello della cucina ho aperto la porta della soffitta. Ho fumato, bevuto e aspettato. Mentre ero lì ho sentito le ruote dello zaino di mio figlio che sbattevano sui gradini e sono sceso. Appena mi ha visto ha urlato: 'Vai via, non puoi stare qui'. Mentre gridava il suo telefono non smetteva di suonare. Io ero nervoso, così l’ho scaraventato a terra e messo nel lavandino del bagno. Matias però continuava a gridare. Era arrabbiato per il cellulare. Era fastidioso. Per farlo smettere ho preso lo scotch e glielo ho avvolto su tutta la faccia. Non parlava più".

"Era sempre più taciturno e aggressivo": la moglie aveva già denunciato Mirko

L'alcol

Come ben precisa Il Messaggero, il 43enne era stata appena dimesso dalla struttura romana dove aveva trascorso la quarantena per il Covid. Giunto alla stazione Termini, aveva preso un treno per Bracciano e poi la coincidenza per Vetralla. "Ho iniziato a bere alle fermate - ha spiegato - poi arrivato a Cura ho preso la macchina, dove mia moglie qualche giorno prima mi aveva lasciato soldi e vestiti e sono andato al supermercato a comprare la vodka. Ho preso tre bottiglie. Poi ho lasciato l’auto in un parcheggio e ho raggiunto la casa a piedi. Sapevo che non potevo avvicinarmi, ma avevo bevuto tanto ed ero nervoso". Ma non è tutto.

"Lo ammazzo". Lo zio di Matias fa irruzione armato in ospedale

La benzina

Quel giorno Tomkow aveva con sé una bottiglia di Vodka e una tanica di benzina. Quando il bimbo è rientrato da scuola, ha perso la testa. "Matias gridava - ha rivelato -perché io gli avevo rotto il telefono. Ero ubriaco e quelle urla mi davano fastidio. Prima gli ho messo una mano su naso e bocca per non farlo strillare, poi ho preso lo scotch sopra la caldaia. Quando era fermo sono andato ad aprire il cassettone e l’ho messo dentro. Non si muoveva più. A quel punto sono tornato in soffitta a fumare. Poi ho preso la benzina e l’ho sparsa per tutta la casa. Il coltello l’ho preso alla fine, ma non mi ricordo". Il 43enne ha detto di non ricordare di aver colpito il figlio con tre coltellate ma è certo che di aver sparso la benzina sparsa per la casa: "Non lo so se volevo bruciare tutto - ha concluso - ero solo molto ubriaco. Sono stato molto arrabbiato quando il giudice mi ha allontanato dalla casa e dalla mia famiglia per maltrattamenti. Io non avevo mai fatto del male a mia moglie e al bambino. Non l’ho mai minacciata di darle fuoco o di ucciderla".

IL FIGLICIDIO DI ELENA È IL SABBA DELLA MATERNITÀ. Donatella Papi su L'Opinione delle Libertà il 15 giugno 2022 

Uno scricciolo di cinque anni che mangiava il budino mentre guardava i cartoni dal telefonino della mamma intenta a stirare. Era da poco tornata dall’asilo Elena Del Pozzo, la bimba di Tremestieri etneo nel catanese uccisa barbaramente dalla madre, Martina Patti, 23 anni, che ha confessato dopo aver inscenato un falso rapimento: “L’hanno portata via tre uomini incappucciati e armati”, gridava ai carabinieri. Poi, nella notte, è crollata e ha confessato il figlicidio: “L’ho uccisa io, non ero in me, ho pianto tanto”. Un coltello da cucina, tre o cinque fendenti sul quel corpicino ignaro, nascosto in cinque sacchi da cucina uno dentro l’altro e scaricato in un campo vicino casa, dove le forze dell’ordine hanno fatto la macabra scoperta.

Non è il primo caso di mamme che uccidono i figli. Le scienze psicologiche spiegano che vi è un rapporto particolare tra colei che mette al mondo e partorisce un figlio e quella rivoluzione interiore che cancella l’umano e, guidata da spinte nefaste, arriva a colpire il frutto di sé, la prosecuzione, il proprio corpo nell’altro. Per svariati meccanismi: il ricatto, la punizione, il masochismo, la delirante scelta di cancellare la vita nella vita.

È un misfatto perfino antico. L’infanticidio risale alle culture greche ed egiziane, esercitato dal padre che deteneva la patria potestà, spesso un rito legato a pregiudizi o diritti di sangue fino alle credenze dell’Africa e dell’Amazzonia e alle sette sataniche. Come spiega nella preziosa analisi Sara Fariello nel suo “Madri assassine. Maternità e figlicidio nel post patriarcato” (Mimesis Editore). Punito con la pena capitale fino a che nel Novecento la psicologia ha provato a spiegare l’istinto omicida della madre che uccidendo il figlio uccide se stessa.

A Castiglione delle Stiviere, l’ospedale psichiatrico giudiziario più grande d’Italia, sono internate per sempre queste “mamme killer”. Se ne stanno lì, sulle sedie rosse di plastica a rimuginare il proprio dolore. Dal 1996 a oggi sono passate 94 “mamme assassine”. La giornalista del Tg1 Adriana Pannitteri nel 2006 ha scritto un libro, “Madri assassine. Un diario da Castiglione delle Stiviere” (Gaffi Editore), che è un documento straziante e importante, perché indagando le loro storie ha cercato di capire se sono donne malvage o non comprese. Come pare il caso di Martina Patti, che aveva avuto Elena a 18 anni, poi si era separata, il papà con qualche precedente penale si era rifatto una vita, la nuova compagna, i nonni che cercavano di vedere la nipotina, la mamma che poneva ostacoli. Oggi tutti piangono disperati. La nonna ammette qualche stranezza, “a volte era manesca, dovevamo pregare per vedere la nipotina”. Insomma, il copione noto. Però la cronaca non basta. Che cosa possiamo e dobbiamo fare?

Intanto cosa non dobbiamo fare. Cedere all’istinto sanguinario trascinatore, che dopo queste mattanze infantili vorrebbe far dilagare l’odio e la tortura, per cui tutte quelle frasi da social allo sbando inneggianti alla violenza come colpa vanno cancellate. Non sappiamo se sono solo energie, o se per caso qualche mano occulta si può celare, per cui bastano la pietà e la misericordia sacre per questo, perché distruggono il processo a catena del male. Lo Stato di diritto è l’unica misura valida.

Tuttavia, non si può neppure reagire col solo buonismo. Possiamo discernere e possiamo limitare le occasioni. Si tratta di mettere in relazione condizioni corrispondenti a componenti sociali e politiche. Il divorzio non è una passeggiata, è stato una conquista politica di una parte nel 1975, ma come l’aborto e come tutto il resto delle libertà inerenti alla coppia e alla famiglia vanno guidate. Strettamente guidate con la consapevolezza ferma e unita che in quel contesto possono cadere uomini, donne e soprattutto figli. La generalizzazione maschile del padre-padrone e maschio omicida è apparente. Mi batto da anni contro questo. È un’illusione.

Un divorzio è un lutto, spesso un cataclisma, una guerra tra coniugi e per i figli una perdita sempre. La donna è fragile e nella solitudine delle responsabilità può arrivare ad annullare il figlio come colpa, punizione o addirittura liberazione. Tutta la società, la famiglia, la scuola, l’ambiente, le leggi devono contribuire a colmare un evento drammatico e pericoloso. Se non arriviamo a questa consapevolezza condivisa staremo sempre a piangere figli, donne e famiglie distrutte.

Poi la vita. Oggi la vita ha scarso valore, scarsa sacralità, la maternità è stata svuotata dei suoi significati intrinsechi sia come specifico femminile e sia come unicità della specie. Intorno alla maternità c’è un sabba deformante e spaventoso, nel senso ovviamente di rito dell’ubriacatura. Divorzio, aborto e infine l’omosessualità sono i diretti avversari. Non ho detto che gli uni siano la colpa del fatto, ma se non liberiamo le sofferenze degli oppressi armonizzando le relazioni il conto diventa insostenibile. Per cui se debbo credere nel diritto di tutti di essere sicuri, accettati e al riparo dalla violenza, mi aspetto un ripensamento drastico sulla maternità che appartiene alla donna e solamente della donna nella coppia naturale con il senso di responsabilità necessario, che va al di là del sesso, della propria felicità, realizzazione ed emancipazione.

Il matrimonio non è solo un atto laico, il matrimonio è un sacramento per una cultura vastissima, unica e determinante come il Cristianesimo, che ci distingue e vince sulla barbarie. I figli sono al di sopra di tutto e non si può sconvolgere la natura. Le vittime sono una madre, Martina Patti, e una figlia di 5 anni, Elena Del Pozzo. Dobbiamo restituire alla natura il suo ruolo e rispettare.

Sono passati vent’anni e la domanda è sempre la stessa: “Come può una madre uccidere il proprio figlio?” I figlicidi da Cogne a Catania: smettetela di idealizzare la maternità. Lea Melandri su Il Riformista il 17 Giugno 2022. 

Da Cogne (2002) a Catania, dove è appena stata uccisa la piccola Elena del Pozzo, sono passati vent’anni e la domanda è sempre la stessa: “Come può una madre uccidere il proprio figlio?”. Il fatto che a uccidere siano sempre stati, sia pure in percentuale minore, anche i padri, non suscita lo stesso interesse, né da parte dei media né della gente comune. Sulla donna che uccide il figlio cade quasi sempre un giudizio impietoso. Se non si può addebitarle l’uso di droghe o velleità malcelate di carriera, amori, successi, le ragioni che spingono una donna ad abbandonare quello che resta, nonostante i cambiamenti, il “naturale” destino femminile, sono considerate in ogni caso imperdonabili. Sul disagio e sulla violenza che c’è dietro nulla si dice perché della maternità, dell’oscuro travaglio di vita e di morte che essa comporta fin dalla gravidanza e dal parto molto poco hanno detto le donne stesse.

Nella Prefazione al romanzo Teresa di Artur Schintzler, Sibilla Aleramo commenta così il tentato infanticidio della protagonista: “Quella feroce brama di annientamento, quell’attimo di coscienza, non sai se disumana o sovrumana, in cui la donna si ribella alla natura, si ribella a essere strumento di vita, poi quel trapasso dall’odio all’amore, quell’accettazione sommessa, quel rapimento e, infine, unica ma formidabile rivalsa, quel sentimento assoluto per tutta l’eternità, che il figlio è suo, soltanto suo”. Con una lucidità che neppure il femminismo sembra avere conservato, Sibilla sottolinea il legame perverso tra due violenze: quello che ha fatto della donna lo strumento della conservazione della specie per secoli, senza il suo consenso, e quella che, a sua volta, per “rivalsa” o per un disperato rifiuto, la donna è spinta a esercitare sul figlio come suo “possesso”. “Si può uccidere un bambino perché piange?” – ci si è chiesto a proposito del delitto di Cogne. La risposta tragica e banale che si esita a dare è “sì, si può”, almeno finché si pensa che la sorte della madre e del figlio siano legate per sempre e in modo esclusivo, che per crescere l’individualità dell’uno sia necessario il sacrificio dell’individualità dell’altra.

Quando fu pubblicato in Italia la prima volta il libro di Glauco Carloni e Daniela Nobili, La madre cattiva. Fenomenologia, antropologia e clinica del figlicidio, presso l’editore Guaraldi nel 1975, i mezzi di informazione ancora non riportavano, se non con marginali trafiletti, la puntuale sequenza di episodi di abusi incestuosi, maltrattamenti da parte dei genitori o di veri e propri figlicidi. E poiché era soprattutto la figura della madre a essere protetta da uno specifico tabù, che la voleva totalmente buona ed amorevole, a essere censurati, rimossi, erano tutti i segnali che potevano dimostrare l’esistenza, accanto all’amore, di una aggressività altrettanto intensa. In tempi più vicini a noi, l’idealizzazione della figura materna sembra aver ceduto il passo a riconoscimenti più realistici, senza per questo aver incrinato il più solido e duraturo dei pregiudizi: quello che vuole potente e irresistibile, o meglio istintiva e senza limiti, la dedizione della madre alla felicità del figlio. L’immagine “dell’anitra norvegiana” (il pellicano) che “sotto il cielo di ghiaccio si strappa dal petto le mollissime piume per farne un nido caldo ai suoi piccini” – evocata da Paolo Mantegazza per descrivere il sacrificio delle madri, chiamate a vivere della vita altrui e a non serbare a sé che la felicità degli altri -, nonostante sia passato oltre un secolo, non sembra avere ancor abbandonato del tutto il sentire comune.

Per questo è particolarmente gradita la parola delle poche donne che con spudoratezza visionaria hanno saputo dare voce a esperienze considerate “impresentabili” della maternità. Nel suo libro Smarrirsi in pensieri lunari (Grauss editore, Napoli2007), Agnese Seranis -Agnese Piccirilo, fisica e femminista torinese, morta nel 2008 – scrive: “C’erano dei momenti in cui sentivi di appartenere alla natura e provavi un tale appagamento sapevi perché esistevi: perché la vita continuasse. Ed eri invasa da un sentimento di forza di potenza immensa. Nel tuo utero era innescato un processo delicato complesso: le leggi delle fisica e le leggi della chimica giocavano energia (…) E la percezione a volte di essere divorata da dentro da un estraneo che si era introdotto nel tuo corpo nascostamente e che senza pietà avrebbe fatto scempio di te e che c’era in gioco un duello mortale da cui uno dei due avrebbe potuto uscire perdente. Questo essere così inerme in apparenza ha come alleato la Natura o meglio la vita che giocherà tutto per tutto perché nulla la fermi decisa a lasciarti come un tronco vuoto se ciò fosse necessario al nuovo germe. Per lei non fa differenza se esisti tu o se la tua linfa vitale è stata trasferita a un altro essere”.

Se la cultura maschile ha per un verso svilito la maternità, considerata la “componente carnale dell’uomo”, e per l’altro esaltata quale “divino principio di amore, unità e pace in una vita piena di violenze” (Paolo Mantegazza), Carloni e Nobili fanno notare, più realisticamente, che essa ha imposto alla madre “uno sfibrante esercizio a tempo pieno, una dedizione assoluta, una disponibilità senza limiti, un totale spirito di sacrificio”. Corpo minaccioso, invasivo e ingombrante per il figlio che si viene a trovare nella posizione di totale dipendenza, la donna vive a sua volta nel timore di essere “vampirizzata” dalle incessanti richieste di lui, privata della sua libertà, costretta a una “cura ininterrotta”. Si può pensare che a rendere la madre che genera e nutre una figura mortifera sia stata la pretesa dell’uomo di prolungare, sovrastandola da una posizione di dominio, l’esperienza dell’infanzia nella vita amorosa e coniugale adulta. Ma non si può trascurare il fatto che difronte all’insopportabilità di una schiavitù imposta come “naturale”, la donna si sia fatta scudo di una potente rivalsa: che il figlio è suo, soltanto suo.

Di fronte al giudizio di chi ancora, di fronte a questi drammi, parla di “madri snaturate”, viene il dubbio che molta strada ci sia ancora da fare per ricondurre il femminile dentro la storia e la cultura patriarcale che ne ha deciso fin dall’origine il destino, che molti miti siano ancora da sfatare per quella collocazione ambigua che ha visto la donna come la “caduta” e insieme la “elevazione morale” dell’uomo. Inquietante, per venire al contesto in cui viviamo, è il sospetto che, nel sempre più difficile rapporto tra i sessi, i figli, le figlie, non siano più soltanto gli spettatori della violenza domestica, ma “l’oggetto” attraverso cui passano rancori e vendette tra i genitori, e su cui vanno a confondersi la possessività affettiva delle madri e il potere dei padri. Lea Melandri

Genitori killer: 480 figli uccisi in 20 anni. Nino Materi il 15 Giugno 2022 su Il Giornale.

Ricercatori divisi: "Madri e sindrome di Medea", "Più assassini tra i padri".

La suggestione «mitologica» delle madri che - colpite dalla «sindrome di Medea» - «in 20 anni hanno ucciso centinaia di figli», è forte. Ma fuorviante. Gli analisti della contabilità dell'orrore familiare non concordano sui dati: gli studiosi dell'Eurispes sostengono che «nella maggior parte dei casi l'autore dei figlicidi è il padre (172 figli uccisi dal 2010, pari al 64,2%), a fronte del 35,8% dei figli uccisi dalle madri (96 in valori assoluti)»; altri ricercatori stimano invece che «sei figlicidi su dieci sono commessi dalla madre». Una guerra «statistica» che però non ha senso. Il punto non è infatti stabilire se, ad essere «più cattivi», sono i padri o le madri: trasformare perfino questi delitti in una classifica «di genere» è un esercizio sterile che lasciamo a chi semplifica la realtà attraverso la distinzione manichea bene/male in base al sesso. Qui il discorso è più complesso e verte sulle problematiche degenerative psicologico-relazionali tra i membri della coppia. Un «lui» e una «lei» che, nel momento in cui la crisi diventa delirio patologico, vede nei figli (soprattutto quelli più piccoli) «strumenti di possesso» da trascinare nella distruzione del partner, diventato un «nemico da abbattere», e nell'annientamento di se stesso (leggasi suicidio). Un cupio dissolvi che può nascere, svilupparsi ed esplodere non necessariamente in contrapposizione a un soggetto «altro», ma al proprio interno. Come un tarlo dell'anima incapsulato nel meandro più recondito del cervello, e del cuore. Sono possibili chiavi di lettura (ma esistano davvero chiavi per leggere trame così inconcepibili?) che fanno da sfondo ad alcuni degli «infanticidi/neonaticidi» più neri degli ultimi due decenni. Dal 2000 ad oggi 480 bimbi morti in Italia per mano dei genitori: padri killer e madri assassine, drammi che si ripetono sempre più frequentemente. Così come l'immagine stereotipata della «madre Medea» che «fa titolo», rischiando però di allontanarci dalla verità. Da Cogne a Mascalucia nel Catanese, «il filo comune che lega i figlicidi - sottolineano gli esperti - sono i problemi di salute mentale». Peccato che nessuno parli di «salute sociale»: l'incapacità, cioè, di prevenire attraverso l'«ascolto» decodificando i «segnali premonitori» (sempre presenti). Per evitare, poi, di tirare fuori la solita formuletta della «tragedia annunciata, che si poteva evitare». Ma che, puntualmente, non viene mai evitata. Una sfilza di drammi cominciati «mediaticamente» nel gennaio 2002 con Samuele Lorenzi, 3 anni, massacrato nel lettone matrimoniale. Nonostante la condanna definitiva, la mamma Annamaria Franzoni continua a dirsi innocente. Sempre nel 2002 a Valfurva (Sondrio), Loretta Zen uccise nella lavatrice la figlia di 8 mesi. A Vieste (Foggia) nel luglio 2004 Giuseppina Di Bitonto soffocò i figli, di 2 e 4 anni, tappando loro la bocca con del nastro adesivo. Mirko, 5 anni, a Casatenovo (Lecco) nel 2005 annegò nella vasca per il bagnetto: la madre, Mery Patrizio, raccontò che dei ladri erano entrati in casa aggredendola, pochi giorni dopo confessò il delitto. Nel 2010 q Ceggia (Venezia) Tiziana Bragato impicca il figlio Gabriele di 6 anni e si uccide. Nell'agosto 2011 a Feniglia (Grosseto) Laura Pettenello uccise Federico, di 16 mesi, lanciandolo in mare durante una gita in pedalò. A Santa Croce Camerina (Ragusa), nel 2014 Loris Stival venne trovato in un canalone, a 4 chilometri dalla scuola che frequentava: la madre, Veronica Panarello, condannata all'ergastolo. Ma l'elenco sarebbe lunghissimo, al pari della lista dei padri assassini. Difficile averne pietà.

Alessandra Ziniti per larepubblica.it il 14 Giugno 2022.

Venti anni dopo, Annamaria Franzoni non ha mai ammesso di aver ucciso il suo piccolo Samuele, trovato morto a 3 anni con profonde ferite alla testa nel letto dei genitori a Cogne. È stata riconosciuta colpevole del più orribile dei delitti, senza un perché, ha scontato 11 dei 16 anni di reclusione che le hanno inflitto e adesso è libera. Neanche Veronica Panariello, ormai da 8 anni in cella, ha mai ammesso di aver ucciso, strangolandolo con delle fascette, Loris, il maggiore dei suoi figli che nel novembre 2014 aveva 8 anni. 

Un silenzio persistente, che non ha mai ceduto in tanti anni, alle evidenze processuali che hanno portato queste due donne a condanne ormai definitive. Un buio nella testa, un disagio dissimulato con i familiari più stretti, un'alterazione psichica che le ha portate, così come ha fatto la mamma della piccola Elena Del Pozzo a Mascalucia, a chiamare loro le forze dell'ordine. Ma soprattutto una verità mai del tutto raggiunta. Perché per Cogne, per Santa Croce di Camerina come per molti altri figlicidi, quello che spesso resta nell'ombra dopo anni e anni di processi e di indagini, è il vero movente del delitto. Che neanche le perizie psichiatriche spesso riescono a portare alla luce.

Sono un numero enorme, ben 480 negli ultimi vent'anni, i bambini uccisi dai genitori. E il più delle volte a compiere il gesto sono le madri. Ci sono stati processi mediatici come appunto Cogne e Santa Croce Camerina mentre tanti altri delitti egualmente sconvolgenti sono rimasti sulle pagine di cronaca solo per pochi giorni.

Molte volte, alla base del gesto, ci sono matrimoni finiti e, in questo caso, il piu delle volte, sono i padri a uccidere. Come è successo a marzo scorso, a Mesenzana in provincia di Varese dove un uomo di 44 anni, ha ucciso i suoi figli di 13 e 7 anni e si è poi tolto la vita. Per uomini che non accettano la separazione, la più terribile delle "punizioni" nei confronti dell'ex moglie: la stessa sorte toccata a gennaio al figlio di Davide Paitoni, Daniele, ucciso a 7 anni dal padre a Mozzarone in provincia di Varese con una coltellata alla gola.

Sono solo gli ultimi episodi di una lista lunghissima. Secondo l'ultimo rapport dell'Eures, associazione di ricerche economiche e sociali, sono le donne a uccidere di più i figli più piccoli, mentre man mano che l'età dei bambini aumenta, aumenta la responsabilità dei padri. 

Pierangelo Sapegno per "La Stampa" il 15 giugno 2022.

«Perché lu fici? Perché?». La mamma di Loris lo chiedeva a se stessa, ma chissà se ce lo siamo sognati. Non riusciremo mai a capire un motivo per cui le mamme uccidono i loro bambini. Però lo fanno.

Sono 85 le creature con meno di un anno uccise in Italia dai genitori, dal 2002 al 2019, e 473 i figlicidi (indagine Eures). Sotto i sei anni, sono quasi sempre le madri a buttarci addosso queste scene di orrore.

Mirko galleggiava a faccia in giù, sembrava una bambola di pezza dimenticata nell'acqua del bagno. Benedetta è morta lentamente, fra atroci dolori, dopo aver preso il diserbante che le aveva dato sua madre. Lei, Francesca Sbano, era stata appena abbandonata dal marito, bracciante agricolo di San Normanno (Brindisi), e dopo aver lasciato il flacone del veleno nel bidone della spazzatura, era andata sul balcone e s' era buttata giù dal terzo piano. C'era una lettera scritta a mano sopra il tavolo: «Vado via, porto mia figlia con me». Aveva fatto come Medea.

Samuele lo trovarono con la testa spaccata nella villetta di Cogne.

È stata condannata sua madre, Anna Franzoni, che non ha mai confessato, e che tutto il paese attorno a lei, dal marito agli amici al prete, continua a ritenere innocente. Il più delle volte, invece, confessano. E scopriamo che sono loro le figure più tragiche, come se fossero donne di un altro mondo. E forse lo sono. Perché la vita non è sempre un buon affare, e ci sono tanti modi per scappare. Questo è il più terribile.

Loris Stival era stato trovato in un canalone a 4 chilometri dalla scuola che frequentava, e la madre, Veronica Panariello, ne aveva denunciato la scomparsa collaborando con la polizia alle ricerche, fino a quando le prove e gli indizi non l'avevano inchiodata: era stata lei a ucciderlo e gettarlo senza mutandine in quello scarico d'acqua che passava fra i campi d'erba secca e qualche desolata trazzera sperduta sotto il sole. In un video, Veronica si metteva le mani nei capelli: «Perché lu fici? Perché?». Nel maggio 2002 a Valfurva, Loretta Zen uccise la piccola Vittoria, di 8 mesi, dopo averla messa nel cestello della lavatrice e fatto partire il lavaggio, come se volesse cancellarla.

A Vieste, nel luglio 2004, Giuseppina Di Bitonto soffocò i figli di due e 4 anni tappando loro la bocca con il nastro adesivo. Poi si tolse la vita nello stesso modo. Mery Patrizio annegò nella vasca da bagno il suo piccolo Mirko di cinque anni e lo confessò solo dopo 15 giorni passati a inventarsi la storia di fantomatici ladri che li avevano aggrediti nella loro casa in provincia di Lecco. Aveva organizzato meticolosamente tutta la scena, cercando di curarla nei minimi dettagli e s' era fatta trovare pure legata e imbavagliata. 

Dagli archivi Mediaset spuntò un book fotografico di una Mery più giovane di qualche anno in pose da diva, e i giornali si buttarono a pesce morto sui suoi sogni infranti di aspirante velina, spazzati via dalla sua nuova dimensione di mamma e sposa. Non è vero che le cattive ragazze vanno dappertutto. E noi facciamo fatica a riconoscere un'umanità sconfitta anche in quelle donne che compiono un gesto contro natura, uccidendo barbaramente la vita che hanno creato.

Ma qualche volta sono vittime pure loro, distrutte proprio dalla loro stessa follia, dall'insostenibile fardello della normalità. La vita non è sempre un buon affare.

Quelle immagini, Mery le aveva mandate a Mediaset solo per avere un posto tra il pubblico alla Ruota della Fortuna. In realtà, dietro il suo timido sorriso e i capelli biondi, aveva avuto un'infanzia difficile con una madre malata di depressione e da ragazza quel ruolo di bella del paese l'aveva vissuto quasi come un illusorio riscatto, prima di cercare un'identità diversa per trovare un posto in mezzo a noi, e innamorarsi, e sposarsi, come tutte le belle ragazze dei paesi, e accettare dopo 5 anni di matrimonio l'idea della maternità, per affrontare un parto difficile e poi quel senso di inadeguatezza e la fatica di allevare un bambino che amava senza capire perché.

Quando confessò disse: «L'ho ucciso io. Ma lo amavo. Lo amavo più di me». Mery è finita in un ospedale psichiatrico a Castiglione delle Stiviere, dove hanno ricoverato anche Aisha Christine Eulodie Coulibaly, una mamma ivoriana di Abbadia Lariana che il 25 ottobre del 2013 aveva ucciso il suo bambino più piccolo, Nicolò, di appena 3 anni, con un colpo di forbice dritto al cuore. Aisha diceva che non sapeva perché l'aveva fatto. L'aveva ucciso come fosse una figurina. Era bastato un solo fendente.

Qualcuno può spiegare perché? Nella mitologia, la prima madre assassina è Medea che sposa Giasone e mette al mondo dei bambini che poi uccide per vendicarsi del marito che l'aveva lasciata perché si era innamorato di un'altra. Nelle madri Medea, sostiene lo psicologo Stefano Becagli, «si riscontra una metamorfosi crudele. La felicità della maternità non è più quella di donare la vita, bensì unicamente quella di possedere un figlio ideale». Il figlio viene percepito come un oggetto, e non come un individuo e la prosecuzione del proprio corpo a cui hai dato la vita. Gli esperti ci hanno sempre spiegato che la maternità in alcuni casi produce un'ansia invasiva, che rischia di sfociare in uno stato di depressione capace di generare pulsioni aggressive incontrollabili.

L'equilibrio fisico e psicologico delle neomadri viene stravolto da ritmi ed esigenze che non corrispondono più ai suoi bisogni, fino a generare depressioni post partum o esplodere in vere e proprie psicosi. Nelle confessioni delle mamme assassine si ritrovano molte volte gli stessi deliri, «sentivo le voci che mi dicevano di ucciderlo», «ho dovuto farlo per salvarlo dalla vita». Ma la vita che pensavano di salvare era quella loro. Non quella del bambino. Hanno ucciso tutt' e due le vite. È l'unica cosa che abbiamo capito.

Le fascette, la denuncia, i depistaggi: "Elena Dal Pozzo come Lorys Stival". Rosa Scognamiglio il 21 Giugno 2022 su Il Giornale.

Lorys Andrea Stival, 8 anni, fu strangolato dalla madre con delle fascette di plastica. Veronica Panarello fu condannata a 30 anni di reclusione. La perizia psichiatrica: "Capace di intendere e volere".

Sono passati 8 anni da quando Lorys Andrea Stival, un bambino di 8 anni, fu ucciso dalla madre, strangolato con delle fascette da elettricista e gettato in un canalone nelle campagne di Santa Croce Camerina (Ragusa). Proprio come, 8 anni dopo e a poco più di cento chilometri di distanza, dalla madre è stata uccisa la piccola Elena Del Pozzo.

Veronica Panarello, al tempo dell'omicidio 26enne, nel novembre del 2019 fu condannata con sentenza passata in giudicato a 30 di reclusione per omicidio e occultamento di cadavere. Sia durante le indagini che al processo, la donna non ammise mai le proprie responsabilità fornendo versioni fortemente contrastanti sulla dinamica del delitto. La perizia psichiatrica stabilì che fosse perfettamente in grado di intendere e volere nonostante mostrasse "tratti disarmonici della personalità".

"Quando la perizia nel carcere di Catania, la signora Panarello mostrava dei tratti istrionici della personalità. Vale a dire una tendenza ad alterare la realtà attraverso una serie di 'contronarrazioni' immaginarie che le servivano, non solo ad allontanare da sé i sospetti, ma anche come scudo dalla realizzazione del senso di colpa", racconta alla redazione de ilGionale.it il dottor Silvio Ciappi, psichiatra e criminologo, nonché perito di parte nel processo a carico di Veronica Panarello.

La denuncia di scomparsa 

È il 29 novembre del 2014, un sabato come tanti a Santa Croce Camerina, una tranquilla cittadina del Ragusano. Attorno alle ore 13 Veronica Panarello telefona alla polizia per denunciare la scomparsa del figlio, Lorys Andrea Stival. La donna racconta di aver accompagnato il bambino a scuola verso le 8.30, poi di aver portato il figlio minore Diego in ludoteca. Alle 12.30 sarebbe andata a riprendere Lorys ma le maestre gli avrebbero detto che il ragazzino non era in classe quella mattina. Da qui la decisione di allertare le forze dell'ordine.

Il ritrovamento del cadavere

Passano alcune ore. Veronica, che da tutti viene descritta come una madre premurosa e apprensiva, è molto provata. Telefona al marito, Davide Stival, che è via dalla Sicilia per lavoro chiedendogli di rientrare a casa. L'uomo, un autotrasportatore, non fa in tempo a mettersi alla guida del camion che, pressappoco alle ore 16, apprende la notizia della morte di Lorys. Il bambino è stato ritrovato senza vita in un canale di scolo nella campagne alla periferia di Santa Croce Camerina, a circa 4 chilometri dal centro abitato, lungo la via che conduce al "Mulino Vecchio".

A segnalare la presenza del cadavere è stato un pensionato con l'hobby della caccia, tal Orazio Fidone, che durante una passeggiata ha notato il corpicino senza vita del bimbo. Sul posto accorrono gli agenti della squadra Mobile, guidata al tempo dall’Antonio Ciavola, e un'ambulanza. Ma per Lorys è già troppo tardi.

Le prime ipotesi

Tra le prime ipotesi investigative c'è quella di un rapimento a scopo sessuale. Il bimbo è stato rinvenuto riverso a pancia in giù, con i pantaloni abbassati e senza slip. Una circostanza macabra, per certo equivoca, che costringe la procura di Ragusa ad aprire un fascicolo per sequestro di persona e omicidio volontario contro ignoti. Nelle prime 24 ore l'attenzione degli inquirenti si concentra sul pensionato che ha rinvenuto il cadavere. Ma l'anziano non c'entra nulla con la morte del bambino, risultando da tutte le evidenze investigative completamente estraneo ai fatti. Allora chi è "l'orco" che ha ucciso Lorys?

I sospetti su Veronica Panarello 

A Santa Croce Camerina si diffonde la paura di un fantomatico predatore sessuale che aggredisce i bambini. Intanto gli inquirenti indagano a tutto campo nel tentativo di stanare rapidamente il killer. I genitori di Lorys sono fortemente provati, Veronica piange e si dispera stretta ai vestiti del suo bambino. Una mattina però accade qualcosa.

Due maestre di Lorys fanno visita agli Stival per le condoglianze di rito. Durante la conversazione, Veronica mostra alle insegnanti alcune fascette di plastica che il figlio, a suo dire, le avrebbe fatto acquistare per un esperimento di scienze. Le insegnanti negano di aver mai fatto agli alunni richieste del genere supponendo sia stata una iniziativa del bimbo. Davide Stival intuisce che c'è qualcosa di strano. Soprattutto non riesce a spiegarsi il motivo per cui Veronica ha estratto dalla scatola degli attrezzi quelle fascette da elettricista, apparentemente innocue, attribuendogli particolare rilevanza. Dunque decide di informare immediatamente il capo della squadra mobile che, dopo aver parlato al telefono con le due maestre, comincia a sospettare di Veronica.

L'arma del delitto

Gli inquirenti sospettano che quelle fascette possano essere l'arma del delitto. L'autopsia rileva infatti che il bimbo è morto per strangolamento da costrizione. E quei collarini in plastica hanno la stessa lunghezza dei solchi rinvenuti sul collo e sui polsi di Lorys. Una traccia più delle altre corrisponde inequivocabilmente al nottolino di chiusura delle fascette. Veronica viene sentita in qualità di persona informata sui fatti ma giura e spergiura di aver accompagnato Loris a scuola quel sabato mattina. Si tratta, però, di una versione poco convincente.

Dopo aver passato al vaglio centinaia di registrazioni delle telecamere di sorveglianza cittadina, gli inquirenti scovano un frame che riprende la Polo nera di Veronica al passaggio di un incrocio. Si tratta di una deviazione anomala rispetto al percorso ordinario che, dalla casa degli Stival, conduce all'istituto frequentato dal bambino. Ma c'è di più. Gli altri filmati escludono la possibilità di percorsi alternativi: Lorys non è mai arrivato a scuola quella mattina.

I filmati

A una settimana dall'apertura delle indagini, Veronica Panarello viene convocata nuovamente in procura. A tarda sera, dopo un lungo interrogatorio, viene emesso un provvedimento di fermo a carico della 26enne, formalmente indagata per l'omicidio del figlio. A supporto dell'ipotesi accusatoria vi sono i filmati di una telecamera privata puntata in via Garibaldi, dove vive la famiglia Stival. Alle ore 8.30 di sabato 29 novembre il sistema inquadra tre "sagome" che escono dal portone dell'abitazione al civico 12. Per gli inquirenti si tratta di Veronica, Lorys e Diego. Dopo una manciata di secondi uno di questi "profili" torna indietro. Verosimilmente si tratta di Lorys mentre la mamma e il secondogenito salgono a bordo della Polo nera.

La sequenza successiva di filmati fissa la dinamica degli eventi: alle 8.40 Veronica parcheggia accanto alla ludoteca; alle 8.47 torna a casa e parcheggia l'autovettura in garage. Alle 9.23 l'utilitaria della Panarello esce nuovamente di casa; due minuti più tardi la Polo svolta verso la strada del "Mulino vecchio", il luogo dove è stato rinvenuto il cadavere del bimbo. Alle 9.38 Veronica Panarello rientra a casa per poi riuscire subito e dirigersi a Donnafugata dove, alle ore 10, è attesa per un corso di cucina. Per gli inquirenti non ci sono dubbi: Lorys è stato ucciso a casa e poi trasportato, già senza vita, nelle campagne alla periferia di Santa Croce Camerina.

La presunta confessione

Il 7 agosto 2015, dopo 8 mesi di reclusione, Veronica viene scortata al cimitero dove è seppellito il figlio. Gli inquirenti hanno ambientalizzato la tomba con delle microspie auspicando una confessione della donna. Ma Veronica non fa altro che piangere e si disperarsi sulla lapide di Lorys. Sulla strada di ritorno verso il carcere però alla 26enne cominciano ad affiorare dei ricordi di quella tragica mattinata. Tre mesi dopo, durante un colloquio col marito, rivela di non aver accompagnato il figlioletto a scuola quel sabato. Ma quando il padre del bimbo chiede ulteriori spiegazioni, lei si giustifica: "Ho un vuoto, un buio - dice - Come se la mente si oscura a un certo punto".

Nel tentativo di "risvegliare i ricordi", gli inquirenti accompagnano Veronica nell'abitazione di via Garibaldi, il presunto luogo del delitto. La 26enne ricostruisce, passo dopo passo, la dinamica dell'accaduto. A suo dire, avrebbe trovato Lorys in camera sua, con i pantaloni abbassati, e una fascetta da elettricista stretta attorno al collo. In preda al panico, pare nel tentativo di salvarlo, avrebbe stretto ulteriormente il collarino in plastica anziché reciderlo con delle forbici. Spaventata dall'idea di doversi giustificare col marito ha desistito dall'idea di chiamare i soccorsi lasciando morire il figlioletto sotto i suoi occhi.

In buona sostanza ventila l'ipotesi di una morte accidentale, un "gioco" finito in tragedia. Quella stessa mattina Veronica viene scortata anche al canalone dove è stato trovato il cadavere di Lorys. "L'ho gettato io ma non so perché l'ho fatto - racconta al capo della squadra mobile Antonio Ciavola - Non credevo ci fosse il vuoto. Che razza di persona sono? Mi merito l'ergastolo". Ma per gli investigatori si tratta di una narrazione mendace, incompatibile con le risultanze investigative.

Le accuse contro il suocero 

Pochi mesi dopo Veronica cambia ancora una versione. Stavolta chiama in causa il suocero, Andrea Stival, accusandolo del delitto. La 26enne racconta di una presunta relazione sentimentale col nonno di Lorys, circostanza della quale il figlioletto sarebbe venuto a conoscenza minacciando di rivelare tutto al padre. A quel punto, racconta ancora la Panarello, il suocero avrebbe aggredito il nipotino e, al culmine di un litigio, lo avrebbe strangolato con le fascette da elettricista.

In questa narrazione il ruolo della 26enne sembra marginale poiché avrebbe partecipato solo alla fase di occultamento del cadavere. Ma le telecamere di via Garibaldi escludono categoricamente la presenza di Andrea Stival sulla scena del crimine. Inoltre, non risulta alcun tipo di relazione sentimentale tra Veronica Panarello e il nonno di Lorys. Andrea Stival è assolutamente estraneo alla vicenda, confermano gli inquirenti.

La perizia su Veronica Panarello: "Lucida e consapevole"

La perizia psichiatrica

Nel 2015 l'avvocato della 26enne, Francesco Villardita, chiede il rito abbreviato con perizia psichiatrica. Veronica, a colloquio con il pm Francesco Rota, si finge pazza mettendo in atto una serie di comportamenti fuorvianti e sopra le righe. Ma per gli psichiatri incaricati dal gup di Ragusa, Andrea Reale, la mamma del piccolo Lorys è "perfettamente in grado di intendere e volere", mostrando una "tendenza a manipolare la realtà attraverso meccanismi consci istrionici e onnipotenti".

"Veronica è sicuramente una persona con un vissuto traumatico - spiega il dottor Silvio Ciappi - In passato aveva messo in scena tre tentativi di suicidio, c'era stato anche un ricovero in psichiatria. Questo non giustifica la gravità del gesto ma ci aiuta a comprendere le dinamiche che sottendono il delitto. Per certo si tratta di una persona 'disorganizzata' in cui, cioè, tutte le componenti cognitive non sono in armonia con le emozioni. Si è servita di contronarrazioni immaginarie sia per allontanare i sospetti da sé per farsi scudo dalla realizzazione del senso di colpa. Così facendo si è 'autoassolta', finendo per credere al racconto frutto della sua fantasia".

La condanna 

Il 17 ottobre del 2016 Veronica Panarello viene condannata in primo grado a trent'anni di reclusione per omicidio volontario e occultamento di cadavere. La pena viene confermata il 5 luglio del 2018 dai giudici della Corte d'Assise d'Appello di Catania. Il 21 novembre del 2019 la sentenza passa in giudicato con la pronuncia definitiva della Corte Suprema di Cassazione. "Giuro che ti ammazzo con le mie mani quando esco", dice la Panarello rivolgendosi al suocero durante la lettura del dispositivo. Il 17 settembre 2021 il giudice monocratico del Tribunale di Ragusa Elio Manenti ha stabilito che la donna, oggi 34enne, dovrà scontare due anni di reclusione per calunnie nei confronti di Andrea Stival oltre a rifondere la parte offesa con 24mila euro di risarcimento e provvedere al pagamento di tutte le spese processuali.

Mamme che uccidono i figli

Il delitto di Santa Croce Camerina rimanda, quasi inevitabilmente, all'omicidio avvenuto il 13 giugno a Mascalucia, in provincia di Catania. Proprio come Lorys anche la piccola Elena, di soli 5 anni, è stata uccisa dalla madre, Martina Patti, e poi abbandonata in un campo.

"I due drammatici episodi presentano delle analogie - conclude il dottor Ciappi - Di fondo credo via sia una profonda paura dell'abbondo da parte delle due donne (Veronica Panarello e Martina Patti, ndr). Per quel che riguarda la mia esperienza posso dire che dietro questi agiti violenti vi è quasi sempre una storia di enorme sofferenza. Di fronte al dolore – ma questo vale per chiunque - abbiamo due possibili modi reagire: il primo è quello di trasformare la sofferenza in qualcosa di positivo, il secondo è quello di mettere in atto una serie di comportamenti ancor più distruttivi. Ed è quello, credo, che è scattato nella mente di queste due giovani madri".

Davide Paitoni, si è suicidato in carcere il 40enne che sgozzò il figlio di 7 anni a Morazzone. Andrea Camurani su Il Corriere della Sera il 12 Luglio 2022.

Pochi dubbi sul fatto che si sia trattato di un gesto volontario. Mercoledì sarebbe dovuto comparire dinanzi al giudice per l’udienza preliminare di Varese per il tentato omicidio di un collega di lavoro

Davide Paitoni, il quarantenne di Varese che il primo di gennaio ha ucciso, sgozzandolo, il figlio Daniele di 7 anni a Morazzone si è tolto la vita nel carcere San Vittore, a Milano, dove era detenuto. Non è ancora chiara la dinamica dei fatti anche se sembra assodato che si è trattato di un gesto volontario. Mercoledì Paitoni sarebbe dovuto comparire dinanzi al giudice per l’udienza preliminare di Varese per il tentato omicidio di un collega di lavoro avvenuto ad Azzate, sempre in provincia di Varese, nello scorso autunno, reato per il quale si trovava ai domiciliari nella casa del padre, quando avvenne l’omicidio del figlio. La sera del primo gennaio l’uomo tentò di uccidere anche la moglie prima di venire fermato dai carabinieri al confine con la Svizzera.

«Ognuno faccia i conti con la propria coscienza», è stato il commento dell’avvocato Stefano Bruno, il legale che assisteva il 40enne. Sabato scorso il gip di Varese aveva respinto la richiesta di una perizia psichiatrica per Davide Paitoni.

Sgozzò il figlio per vendetta. Perizia negata, suicida in cella. Paola Fucilieri il 13 Luglio 2022 su Il Giornale.

Il gip ha rifiutato l'esame psichiatrico per Davide Paitoni. Il legale: "Ognuno faccia i conti con la propria coscienza".

Il 6 luglio gli era stato notificato l'avviso di conclusione indagini in relazione all'omicidio di suo figlio e lunedì il gip di Varese aveva reso noto il rigetto della perizia psichiatrica richiesta dal proprio avvocato, Stefano Bruno, a suo carico, stabilendo che le modalità con cui il killer aveva commesso il reato erano talmente chiare da non rendere necessario l'esame.

Per oggi inoltre l'imputato avrebbe dovuto affrontare la discussione in abbreviato per il tentato omicidio di un suo collega, nel 2021. Così, l'altra notte Davide Paitoni, 40 anni - che il primo gennaio a Morazzone, in provincia di Varese, aveva ucciso Daniele, il suo bambino di 7 anni e qualche ora prima, tentato di ammazzare la madre del piccolo - ha deciso di farla finita e si è tolto la vita nella sua cella di San Vittore, strangolandosi con un cappio al collo e un cerotto sul naso. L'uomo avrebbe lasciato un biglietto, sul cui contenuto c'è massimo riserbo.

«Ognuno faccia i conti con la propria coscienza» ha commentato ieri il legale del morto, l'avvocato Bruno, con Il Giornale, sostenendo di riferirsi in primo luogo a se stesso. E ha aggiunto: «Chiunque si sia affacciato su questa vicenda deve riflettere pensando se ha fatto tutto quello che poteva. Appena arrivato in carcere Paitoni era sotto stretta sorveglianza 24 ore su 24, poi anche grazie alla somministrazione di farmaci e alla sua linea di condotta pacata, l'amministrazione carceraria aveva allentato la presa e lo aveva messo in cella con un altro. Negli ultimi tempi però, per ragioni legate alla pandemia, Davide Paitoni era solo in cella. Io gli stavo vicino più come conforto morale che come avvocato perché avevo grosse difficoltà a entrare in comunicazione con lui. Volevo farlo interrogare, ma non riuscivo a mettere insieme nulla perché ogni volta che si arrivava a parlare dell'uccisione del figlio, Paitoni entrava in un loop di dichiarazioni deliranti».

«L'ho sentito lunedì - conclude il legale -. Abbiamo commentato l'ordinanza con cui gli veniva negata la perizia psichiatrica: era molto amareggiato».

Sul suicidio di Paitoni sono in corso degli accertamenti da parte del pm di turno, Stefano Ammendola che ha disposto l'autopsia sul cadavere. Nel frattempo sono stati effettuati i rilievi della Scientifica nella cella del carcere milanese di San Vittore dove nella notte il 40enne si è tolto la vita.

Quando ha ucciso il suo bimbo Davide Paitoni era ai domiciliari, ospite a casa del padre, a Morazzone, dopo che aveva cercato di ammazzare a colpi di taglierino un collega nel parcheggio della ditta dove lavorava. La tragedia si era consumata appunto a casa del nonno del piccolo. «Mi dispiace, perdonami papà» diceva il biglietto lasciato dal killer al padre sul cadavere del bambino, rinchiuso in un armadio. Un breve messaggio nel quale l'uomo aveva confessato l'omicidio del piccolo e manifestato il «grande disprezzo» per la moglie. Quindi, in un altro messaggio, stavolta vocale e inviato su WhatsApp, lo aveva avvertito di aver fatto del male a Davide («Lo so fa schifo uccidere il proprio figlio») insistendo affinché l'uomo non guardasse nell'armadio. Quindi Davide Paitoni era scappato e i carabinieri lo avevano catturato più tardi quasi al confine con la Svizzera, a Viggiù.

Si suicida in carcere Davide Paitoni. Il legale. «Ognuno faccia i conti con la propria coscienza». L'uomo era accusato di aver ucciso il figlio di 7 anni. Il 4 gennaio il gip aveva messo in guardia l'amministrazione penitenziaria: «Necessaria ogni misura utile a prevenire possibili gesti autolesivi del detenuto». Valentina Stella su Il Dubbio il 13 luglio 2022.

«Davide Paitoni, accusato di aver ucciso il figlio Daniele di sette anni a Morazzone il primo gennaio scorso, si è suicidato nella sua cella nel carcere di San Vittore»: lo ha comunicato ieri in una nota il procuratore di Varese Daniela Borgonovo. «Il 6 luglio gli era stato notificato l’avviso di conclusione indagini in relazione all’omicidio del figlio e domani (oggi per chi legge, ndr) era fissata la discussione con giudizio abbreviato nel procedimento per tentato omicidio di un collega di lavoro», termina la nota. Ancora ignota la dinamica del gesto.

Del caso è stato informato il pm di turno di Milano, che nell’ambito di un fascicolo, la cui apertura è scontata in questi casi, ha disposto i primi accertamenti. Proprio all’inizio di luglio il suo difensore Stefano Bruno aveva richiesto una perizia psichiatrica: «Era in condizioni di grave sofferenza fisica, psichica e, secondo me, anche psichiatrica. Per quello avevo chiesto per lui una perizia, ma il giudice ha ritenuto di non disporla perché dalle modalità con cui è stato eseguito il delitto ha desunto esservi una prova “tranquillizzante” della sua capacità di intendere e di volere. E anzi una perizia psichiatrica sarebbe stata anche dilatoria». Il problema, per Bruno, era anche la difficoltà di instaurare un canale di comunicazione con Paitoni: «Io parlavo, ma quando si cominciava ad entrare in argomento, lui andava in confusione, in depressione, in pianto; diceva di avere un buio, di non ricordare, di avere le idee confuse; straparlava. Diceva cose a volte con poco senso».

Nonostante l’intervento di una psicologa richiesta dalla difesa, la situazione non era migliorata. Da qui la richiesta di una perizia psichiatrica per stabilire «sia la sua capacità a partecipare coscientemente al giudizio, sia la sua capacità (ovvero incapacità totale o parziale) di intendere e di volere al momento del fatto». Due giorni fa il gip di Varese Giuseppe Battarino aveva negato l’accertamento: l’uomo «ha agito con perfetta organizzazione ideativa e derivate azioni, finalizzando coerentemente il complesso delle sue condotte», «non esiste alcuna traccia di eventuali patologie di tipo psichiatrico», «quanto alla capacità di partecipare al procedimento penale in corso a suo carico, l’indagato ha posto in essere atti coerenti e finalizzati, a partire dalla nomina di un difensore di fiducia».

L’avvocato, interpellato dal Dubbio, si dice «affranto». Aveva incontrato solo due giorni fa il suo assistito: «Lui inizialmente era stato messo in un reparto dove ci sono i soggetti a rischio suicidario. All’inizio non gli erano state date neanche le lenzuola. Leggeva questo fatto come un atto ritorsivo. Io gli avevo spiegato che erano dure ma necessarie misure di prevenzione. Poi è stato preso in carico dal servizio infermieristico del carcere, dove è stato oggetto di un percorso di tamponamento mediante la somministrazione di psicofarmaci e calmanti; il rischio era stato considerato venuto meno ed era stato messo in una cella con altre persone. Da quando però si era riacutizzata la pandemia era di nuovo solo in cella. Due giorni poi fa abbiamo discusso del rigetto della perizia da parte del Gip e questo lo aveva gettato ulteriormente nello sconforto», ha concluso l’avvocato. Per poi aggiungere all’Ansa: «Ognuno faccia i conti con la propria coscienza».

Sicuramente qualcosa non ha funzionato se un uomo si suicida quando è sotto la custodia dello Stato e nulla c’entra il delitto per cui era privato della libertà personale, in questo caso il peggiore dei crimini, ossia l’uccisione del figlio. La questione trova ancora maggiore sostegno se si tiene conto che il 4 gennaio lo stesso gip Battarino aveva inviato alla casa circondariale di Varese una comunicazione in cui si evidenziava la «necessità di ogni misura utile a prevenire possibili gesti autolesivi del detenuto». L’Amministrazione penitenziaria aveva chiesto poi di trasferirlo a San Vittore come carcere più idoneo e da Varese era stato inoltrato il provvedimento di Battarino. Come mai allora un soggetto in quelle situazioni è rimasto solo in cella? Chi doveva vigilare e non lo ha fatto?

Bimba uccisa, la frase choc della ginecologa da migliaia di follower: “La mamma di Elena come quelle che abortiscono”. Poi le scuse (dopo la bufera sui social). CHIARA BALDI su La Stampa il 17 giugno 2022.  

Se l’intento voleva essere quello di non attaccare Martina Patti, la madre 23enne che ha ucciso sua figlia Elena, di cinque, non è riuscito al meglio. Sarà che la dottoressa Monica Calcagni, ginecologa titolare di uno studio privato a Roma e divulgatrice social da 806 mila followers su Tik Tok e 164 mila su Instagram, ha tirato in ballo un argomento che tra le ragazze e sulle varie piattaforme è negli ultimi anni particolarmente sentito: l’aborto. In un video postato ieri la ginecologa si è scagliata contro «tutti quelli che accusano questa donna (cioè Martina Patti, ndr) di aver ammazzato la figlia sono poi quelli che però non accusano le donne che abortiscono, che ammazzano i loro figli, solo che quelli non sono mai nati, e quindi non li hanno mai tenuti in braccio, in grembo, non li hanno mai allattati». Parole che hanno suscitato le ire delle follower della dottoressa, che hanno per tutto il giorno commentato la storia dentro e fuori Instagram e Tik Tok. Tanto che in serata la stessa Calcagni ha dovuto fare marcia indietro, chiarendo la sua posizione in alcune story: «Mi dispiace che abbiate frainteso, non era assolutamente mia intenzione, il paragone non era calzante. Io mantengo però il pensiero che ho che non avete capito ma va bene così. Chiedo scusa alle persone che si sono sentite toccate, non voglio dare dell’assassina a nessuno, non sono io giudicare, non sono io magistrato né dio. esprimo una opinione e poi me la tengo per me». E ha aggiunto: «Il mio vero lavoro è in ambulatorio, quello dei social alla fine è un gioco, solo un gioco» (ma da migliaia di seguaci, appunto). Il ragionamento su Martina PattiNel video incriminato la dottoressa aveva commentato la vicenda che ha visto Elena vittima della madre. «Oggi sono qui per esprimere la mia opinione su quello che è successo alla piccola Elena. Sui social ci sono migliaia di commenti di persone disgustate e arrabbiate per l’abominio commesso, per questa mamma che ha ucciso sua figlia», ha detto, specificando di essere «mamma di 3 figli e mai mi sognerei di uccidere o fare del male a uno dei miei figli. Ma – ha aggiunto – non mi sento neanche di puntare il dito contro questa donna. Non la conosciamo, non sappiamo che vissuto abbia, non sappiamo nulla di questa donna e dovremmo allora a questo punto puntare il dito anche contro tutto quelli che questa donna hanno frequentato e non hanno capito che malessere aveva». Parlando sempre a titolo personale – sempre che così si possa definire un account tanto popolare e che affronta temi così rilevanti per il pubblico dei social “giovani” come Instagram e Tik Tok – la ginecologa ha spiegato che «per arrivare a uccidere il proprio figlio bisogna stare veramente male, non sappiamo la solitudine, la depressione, che cosa è passato nella testa di questa donna, non la conosciamo, possiamo solo sentirci amareggiati, tristi, colpevoli per non aver capito che c’era un malessere». E a questo punto ha inserito il passaggio sull’aborto, mandando su tutte e furie coloro che la seguono. Poi ha rilanciato: «Tutti quelli che accusano questa donna di aver ammazzato il figlio sono poi quelli che però non accusano le donne che abortiscono, che ammazzano i loro figli, solo che quelli non sono mai nati, e quindi non li hanno mai tenuti in braccio, in grembo, non li hanno mai allattati. Quelli che puntano il dito sono gli stessi che puntano il dito contro le donne che lasciano il loro figlio in ospedale per farlo adottare e sono definite “ingrate” per esser diventate madri? Non è forse meglio lasciarlo in ospedale perché non ci si sente in grado di crescerlo e dargli la possibilità di trovare una famiglia giusta, che lo ami, che lo riempia d’amore?». Per Calcagni, «non ci sono cose giuste e sbagliate, ci sono solo situazioni che ci lasciano basiti, amareggiati, tristi e delle situazioni che invece ci lasciano indifferenti». Poi ha concluso con un pensiero a Elena: «Il mio pensiero va a te piccola elena e a tutti i bambini che sono stati massacrati dai propri genitori, non ne salvo nessuno. E a tutti mando un grande bacio perché siete stati veramente sfortunati. m a altrettanto sfortunati sono stati i vostri genitori che vi hanno ucciso, perché non sono stati capiti, né compresi e non hanno capito cosa hanno perso e meritano di pagare per il torto che vi hanno fatto, ma pagare per tutta la vita, e tranquilli che pagheranno perché il peso lo porteranno per sempre nel loro cuore».

La madre in lacrime in caserma: "Erano armati". Il sindaco: "Dinamiche familiari". Bimba di 5 anni scomparsa in Sicilia: “E’ stata sequestrata da tre uomini incappucciati fuori scuola”. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 13 Giugno 2022. 

Una bambina di cinque anni scomparsa nel pomeriggio in provincia di Catania sarebbe stata sequestrata da “tre persone incappucciate a bordo di un’auto di cui non si conoscono modello, colore e targa”. E’ quanto affermano sui social diversi residenti della zona prima di ottenere conferme dalla procura etnea. A denunciare la scomparsa della piccola, avvenuta a Piano di Tremestieri, è stata la madre che si è presentata in lacrime nella caserma dei carabinieri di Mascalucia.

La bimba si chiama Elena Del Pozzo e compirà 5 anni a luglio e, secondo il racconto della madre, era appena uscita dall’asilo in sua compagnia quando “siamo stati aggrediti da tre persone, che avevano il volto coperto ed erano armate“. Persone che -prosegue la donna – “hanno portato via la piccola fra le mie urla”. Le ricerche sono scattate dal primo pomeriggio con i militari dell’Arma che stanno analizzando le telecamere di videosorveglianza presenti nella zona. Istituiti inoltre numerosi posti di blocco.

Secondo quanto riferisce Repubblica, le indagini, coordinate dalla procura di Catania, vanno avanti serrate con gli investigatori che hanno individuato un’auto abbandonata alla periferia di Tremestieri. Sono in corso i rilievi della Scientifica a caccia di indizi utili per rintracciare la piccola.

Sui social in queste ore si stanno susseguendo gli appelli, con la foto della piccola, nel tentativo di sensibilizzare chiunque fosse a conoscenza di dettagli utili alle indagini e al rintracciamento.

La Procura di Catania che ha confermato ufficialmente quanto accaduto in un paese della provincia, a Piano Tremestieri, con il sequestro della bambina di cinque anni, fa sapere che né l’ufficio né i carabinieri del comando provinciale etneo e della Tenenza di Mascalucia, che hanno avviato indagini per ricostruire la vicenda “daranno al momento ulteriori informazioni”. 

Due scatti di Elena sono stati diffusi dalla stessa Procura perché ritenuti utili alle indagini. Una foto è relativa al giorno della scomparsa: si vede la piccola in un’immagine riflessa, indossare una maglietta a maniche corte bianca e un paio di pantaloncini gialli, mentre sembra giocare serenamente. Gli investigatori escludono al momento che il sequestro sia “opera della criminalità organizzata“, che storicamente non vuole rapimenti e gesti eclatanti nel territorio in cui opera. Né che sia “collegato a una richiesta di riscatto”. 

In giornata è stato ascoltato anche il padre della piccola che, stando a quanto ricostruito, è separato dalla madre. Secondo il sindaco di Mascalucia Enzo Magra “mi è stato riferito che non si tratta di smarrimento o di fuga bensì di altro, probabilmente, dinamiche familiari. Ci auguriamo possa risolversi al meglio e nel tempo più breve possibile, non si possono mettere in mezzo bambini innocenti che poi piangono per l’intera vita traumi di tal genere. Speriamo vada tutto bene”.

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

Fabio Russello per lasicilia.it il 14 Giugno 2022.

Un delitto ancora senza un perché e al quale Martina Patti, 23 anni, la madre che si è auto accusata dell’omicidio della figlia di quasi 5 anni, Elena Del Pozzo, avuta da un matrimonio ormai finito, non ha ancora chiarito esattamente perché l’ha uccisa. La Procura sta predisponendo il suo fermo per omicidio pluriaggravato e occultamento di cadavere.

IL FINTO RAPIMENTO L’allarme era scattato ieri sera quando la donna si è presentata dai carabinieri raccontando che sua figlia era stata rapita mentre era con lei in auto a Piano di Tremestieri Etneo. Un racconto che aveva sin da subito mostrato troppe lacune. Ai militari dell’Arma della tenenza di Mascalucia, paese dove vive, la donna ha raccontato, disperata in lacrime, che stava rientrando a casa, dopo avere preso la figlia all’asilo, quando tre persone incappucciate e una armata di pistola hanno aperto la portiera della sua vettura prelevando e portando via Elena. 

Una versione troppo lacunosa che ha spinto i carabinieri e la Procura di Catania ad approfondire molti aspetti legati alla vita privata della donna. Subito esclusa la pista della criminalità organizzata e il rapimento a scopo di estorsione. E infatti il sindaco Enzo Magra aveva subito parlato di dinamiche familiari.

LA SVOLTA Nella notte la svolta quando la donna è crollata di fronte alle incongruenze e alle carenze del suo racconto. Il procuratore Carmelo Zuccaro ha spiegato che la donna ha fatto dichiarazioni confessorie indicando anche il luogo dopo poi effettivamente è stato ritrovato il cadavere della piccola. La confessione sarebbe stata piena. 

IL GIALLO Il padre della bambina in passato è stato denunciato per spaccio di sostanze stupefacenti ed è stato anche indagato per una rapina, reato, quest’ultimo, da cui è stato poi assolto per «non avere commesso il fatto».

Un episodio che è stato ricordato dalla sorella del padre della piccola, Vanessa Del Pozzo: «Martina Patti, la mamma di Elena, voleva incastrare mio fratello. Un anno fa mio fratello fu accusato ingiustamente di una rapina, ma fortunatamente fu scagionato completamente. Quando dal carcere passò ai domiciliari, sotto casa trovammo un biglietto di minacce con scritto: “non fare lo sbirro, attento a quello che fai”. Mio fratello non sa nulla di nulla. A quel biglietto la madre della bimba ha fatto riferimento dicendo che avevano rapito Elena».

Da ilmessaggero.it il 14 Giugno 2022.

Nessun rapimento.  Elena Del Pozzo, la bambina di cinque anni scomparsa ieri a Tremestieri etneo, in provincia di Catania, è stata uccisa dalla mamma Martina Patti, 24 anni.

La donna aveva raccontato ai  carabinieri che la bimba era stata rapita da tre uomini incappucciati nei pressi dell'asilo ma le ricostruzioni fornite sono apparse subito «poco credibili». Questa mattina, nel corso di uno dei tanti interrogatori, la mamma di Elena ha confessato l'omicidio della piccola. 

Il ritrovamento e la confessione

È stata proprio la madre a fare trovare il corpo di Elena. Il cadavere è stato ritrovato a 200 metri dalla casa in un campo incolto. Il ritrovamento, secondo quanto si apprende, è stato possibile grazie alle «pressioni esercitate durante gli interrogatori» dagli investigatori. La notizia del ritrovamento è stata confermata dal procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro. La zona è sorvolata da un elicottero e viene battuta da militari dell'Arma, come se fossero alla ricerca di qualcosa.

Nell'interrogatorio della notte scorsa «la madre era stata lungamente sentita» e durante un «lungo interrogatorio le erano state contestate varie incongruenze». Lo afferma il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, sulla posizione della mama di Elena. «Stamattina ha fatto ritrovare il cadavere - aggiunge il procuratore - e adesso stiamo raccogliendo le sue dichiarazioni, presumibilmente confessorie». 

Vicino al luogo del ritrovamento del corpicino (in via Turati, a Mascalucia), è giunto il padre della piccola Elena: l’uomo, anch’egli poco più che ventenne, è scoppiato in lacrime. I genitori di Elena vivevano in case separate, dopo alcuni recenti dissidi personali.

La famiglia

I genitori di Elena si erano trasferiti a Mascalucia, nel catanese, 'solò da qualche anno e per questo non erano 'moltò conosciuti in paese. Da poco non vivevano nella stessa abitazione e il padre della bimba aveva avuto 'problemì con la giustizia con precedenti per spaccio di sostanze stupefacenti.

La nonna paterna: «La madre aveva atteggiamento autoritario»

«Avevamo creduto alla storia degli uomini incappucciati: non avevamo ragione di non credere. Elena era una bimba meravigliosa», dice Rosaria Testa nonna paterna della bambina, nel luogo del ritrovamento del corpo della nipotina di cinque anni. 

«Quando hanno litigato non voleva andare via da casa - ricorda la nonna distrutta dal dolore - un giorno la mamma le stava dando botte e gliela abbiamo dovuta togliere dalle mani. Quella mattina l'ho accompagnata a scuola e le ho detto 'nessuno ti vuole bene più di mè. Lei mi ha guardata e mi ha fatto capire che aveva capito quello che avevo detto. La madre aveva un atteggiamento autoritario e aristocratico. Decideva lei quando portarci la bambina».

«Sembra tutto molto strano - aggiunge il nonno - La madre era un tipo molto chiuso. Adesso  chi è stato a compiere un gesto del genere deve pagare così come altre persone, eventualmente, l'avessero aiutata». 

Il finto rapimento

Ai militari dell'Arma della tenenza di Mascalucia, la donna aveva raccontato, disperata in lacrime, che stava rientrando a casa, dopo avere preso la figlia all'asilo, quando tre persone incappucciate e una armata di pistola avevano aperto la portiera della sua vettura prelevando e portando via Elena.

Una ricostruzione che è stata più volte analizzata dagli investigatori per trovare elementi utili alle indagini. Ieri sera la Procura di Catania aveva autorizzato la diffusione di due foto della bimba. Una scattata proprio ieri: si vede la piccola in un'immagine riflessa sfocata, indossare una maglietta a maniche corte bianca e un paio di pantaloncini gialli. 

L'altra è dell'8 maggio scorso: la piccola indossa il sopra di una tuta e, sorridente, mostra un biglietto con in basso la parte finale della scritta 'auguri mamma'. «Hanno bloccato l’auto, hanno aperto gli sportelli, hanno tirato fuori la bambina», ha continuato a ripetere la donna.

Elena Del Pozzo uccisa con 7 coltellate: la madre confessa il delitto. Felice Cavallaro su Il Corriere della Sera il 14 Giugno 2022.

Il corpo ritrovato a 200 metri da casa dopo le indicazioni della mamma. La piccola, una volta uccisa, è stata infilata in cinque sacchi della spazzatura. La donna: «Non ero in me».  

Non sapeva di essere diventata un peso per la mamma, la piccola Elena, con quel suo sguardo innocente dei cinque anni appena compiuti, il corpicino esile, le fossette sulle guance. E invece, a 23 anni, Martina Patti è diventata l’assassina di sua figlia. Uccisa, infilata in cinque sacchi della spazzatura e sepolta dietro casa. Con una frase rimasta a galleggiare nei verbali dei carabinieri, dopo il tentativo di depistare: «Non ero in me».

Ma era in lei quando alle 13.30 di lunedì recuperava per mano la bimba all’asilo di Tremestieri dopo avere comprato una pala e una zappa. Attrezzi usati dopo una, due, sette coltellate assestate all’interno della villetta in cui abitavano, a Mascalucia, sulle pendici dell’Etna. E da lì è uscita dopo le 15.30 per avvertire zii, madre e parenti lanciando appelli via social prima di andare in caserma a inventare con sorprendente lucidità una trama di incappucciati e minacce da rovesciare sul padre della bimba. Un modo per punire anche lui, Alessandro Dal Pozzo, 24 anni, odontotecnico, qualche precedente con la giustizia, assolto, emigrato e tornato dalla Germania con una compagna, Laura. «La fidanzata».

Un’ossessione per Martina che aveva convissuto senza mai sposarsi con questo padre in pena, adesso sconvolto perché nonostante le liti continue mai avrebbe immaginato un epilogo tanto drammatico. Come la madre di Alessandro, la nonna Rosaria Testa e suo marito Giovanni. Felici domenica per una giornata trascorsa tutti insieme con la nipotina, con figlio e fidanzata, avvertendo Martina Patti che la mattina dopo sarebbe stata l’altra loro figliola, Vanessa, ad accompagnare Elena all’asilo. Gli investigatori azzardano l’ipotesi della gelosia come movente. Da una parte, la piccola con una famiglia al completo, compresa «la fidanzata», già immaginata nei panni di «matrigna». E lei, sola. «Non tollerava che vi si affezionasse anche la propria figlia» dicono gli inquirenti.

Nella notte fra domenica e lunedì deve avere accumulato la rabbia che l’ha portata a recuperare gli attrezzi per scavare una fossa, forse per preparare il coltellaccio da cucina prima di tornare all’asilo, prendere per mano la figlia e condurla verso la fine. Questo possibile travaglio associato a quel «non ero in me» potrà diventare il refrain di una difesa che fa a pugni con la lucida descrizione dell’immaginario commando intervenuto fuori dalla scuola. L’ha detto ad Alessandro, alla nonna, ai carabinieri che la bimba gliel’hanno strappata di mano, un’arma in pugno, scappando con un’altra auto. Dopo avere sputato una frase altrettanto fantasiosa: «Questa è l’ultima che fa tuo marito, la bambina morta la vedrà».

È bastato setacciare le registrazioni delle telecamere di sorveglianza fra strade, negozi e abitazioni di questi paesini a due passi da Catania per fare emergere i primi dubbi. Ma c’è voluta una notte di interrogatori e un sopralluogo ieri mattina nella villetta di Mascalucia perché Martina confessasse il delitto: «Sì sono stata io, non so perché l’ho fatto...». Non ha più lacrime da versare nonna Rosaria. Come la figlia Vanessa, medico: «Non chiamatemi cognata. Lei per me non è più niente. Avevo creduto anch’io alla storia degli uomini incappucciati che rapiscono la bimba...». E ci avevano creduto tutti al racconto delle minacce degli incappucciati. «Voleva far credere che la bambina era stata rapita per incastrare mio fratello Alessandro di chissà quali colpe. S’era inventata una vendetta».

Le indagini non sono ancora chiuse, spiega il colonnello Piercarmine Sica, mentre la Procura diretta da Carmelo Zuccaro contesta omicidio premeditato e occultamento di cadavere a Martina. Con stupore e sgomento di chi all’università aveva festeggiato la sua laurea triennale in Scienze motorie, decisa a proseguire con un altro corso a Messina per un diploma in Scienze infermieristiche. Ma emerge la doppia personalità di questa aspirante infermiera magra, mora, capelli raccolti sulla nuca, ossessionata, come confermano suocera e cognata, adesso tormentate perché non s’erano ribellate quando capivano che la bimba veniva presa a botte. Effetto di una rabbia non capita e frenata in tempo.

Elena Del Pozzo, la confessione della mamma: «Ha visto i cartoni animati, poi l’ho colpita con forza come fossi un’altra persona». Alfio Sciacca, inviato a Catania, su Il Corriere della Sera il 15 Giugno 2022.

Il drammatico interrogatorio di Martina Patti: «Ricordo solo di avere pianto tanto». 

«Quando ho colpito Elena avevo una forza che non avevo mai percepito prima. Non ricordo la reazione della bambina mentre la colpivo, forse era ferma, ma ho un ricordo molto annebbiato». È una donna gelida quella che alle 12.50 di ieri, nella caserma del comando provinciale dei carabinieri di Catania, assistita dall’avvocato Gabriele Celesti, confessa di aver ucciso la figlia Elena. Una mamma totalmente diversa da quella che meno di 24 ore prima si era presentata in lacrime ai carabinieri del suo paese, Mascalucia, per denunciare che la figlia era stata sequestrata da tre uomini armati e incappucciati.

L’inizio della confessione di Martina Patti, 23 anni, sembra un normale quadretto familiare. Quella donna minuta, mamma-bambina che frequentava la facoltà di Scienze Infermieristiche a Messina, descrive in maniera piana il rientro a casa con la figlia, dopo l’asilo. Prima dell’orrore di sette coltellate al collo e alla schiena e poi il corpo riposto in cinque diversi sacchetti di plastica, uno dentro l’altro, come una macabra matrioska. E poi il terriccio buttato sopra per nascondere tutto.

«Quando ho preso mia figlia all’asilo siamo andate a casa mia — racconta —, Elena ha voluto mangiare un budino poi ha guardato i cartoni animati dal mio cellulare. Io intanto stiravo... in serata saremmo dovute andare da un mio amico per il suo compleanno ed Elena era contenta... poi siamo uscite per andare a casa di mia madre, ma poi ho rimosso tutto». Il piano per uccidere la bambina, però, è già in atto. «Non ricordo se ho portato con me qualche oggetto da casa. All’incirca erano le 14.30, siamo andate nel campo che ho indicato ai carabinieri». E poi aggiunge: «Era la prima volta che portavo la bambina in quel campo... ho l’immagine del coltello, ma non ricordo dove l’ho preso. Non ricordo di aver fatto del male alla bambina, ricordo solo di aver pianto tanto».

Quasi assente, ricostruisce la fase successiva al delitto e la messinscena del rapimento. «...forse ho capito che la bambina era morta e non sapevo che cosa fare. Subito dopo ho chiamato il padre di Elena, ma ero così agitata che non capivo cosa dicessi... quindi sono andata a casa dei miei genitori, ero molto confusa e quello che era successo non mi sembrava reale». Gli inquirenti la incalzano ma lei è evasiva: «Non ricordo dove ho messo il coltello... prima di andare dai miei genitori mi sono cambiata, ma i vestiti che indossavo quando ero con la bambina non erano sporchi di sangue, ero macchiata solo nelle braccia e ricordo che piangevo forte... quando ho incontrato i miei genitori e Alessandro (l’ex compagno, ndr) ho inventato la storia che ci avevano fermato e che avevano rapito la bambina sfruttando la storia delle minacce ad Alessandro». Il riferimento è ad un particolare vero. Tempo fa il compagno aveva ricevuto un biglietto di minacce a lui e alla bambina. Un dettaglio che nella mente di Martina avrebbe reso credibile la storia del sequestro, da collegare però ai vecchi precedenti penali del padre di Elena.

La donna è molto evasiva sull’occultamento del cadavere: «Non ricordo di aver sotterrato la bambina, ma sicuramente sono stata io». E poi la parte più agghiacciante: «Non ricordo cosa sia passato per la mia mente quando ho colpito mia figlia, anzi posso dire che non mi è passato nessun pensiero, era come se in quel momento fossi stata una persona diversa». La voglia di confessare sarebbe maturata dopo l’interrogatorio della notte. «Stamattina (ieri, ndr) all’uscita dalla caserma mentre salivamo a casa ho cominciato a raccontare la verità a mio padre, anche se con difficoltà e con il timore che potesse sentirsi male».

A. Sc. per il "Corriere della Sera" il 15 giugno 2022.

«Certo che ci abbiamo creduto allo storia del rapimento. Anche mio figlio ci ha creduto e le è stata accanto fino all'ultimo. Come si può pensare che si arrivi a uccidere la propria creatura?». Rosaria Testa, la nonna paterna della piccola Elena, comincia a piangere ogni volta che pronuncia il suo nome. 

Che bambina era?

«Meravigliosa, bellissima, speciale. Di una dolcezza unica. Era la luce della nostra famiglia».

L'ha accompagnata lei all'asilo lunedì?

«Certo, la notte prima aveva dormito nel lettone con noi. Sono stata io a mettergli quella maglietta e i pantaloni gialli che vedete nella sua ultima fotografia. Le scarpe gliele avevo regalate qualche giorno prima. Lei era contentissima, e non vedeva l'ora di andarci a scuola». 

Come ha saputo della storia del rapimento?

«È stata lei a chiamare mio figlio e al telefono urlava come una pazza. Alessandro ha cercato subito di starle accanto» 

Lunedì Elena era serena o percepiva qualche pericolo?

«Tranquilla come sempre. Prima di lasciarla all'asilo le ho detto: "Elena, come ti voglio bene io non ti vuole bene nessuno, ricordatelo sempre". Piuttosto ero io che mi sentivo come se dovesse succedere qualcosa di brutto. Lei mi ha guardato e mi ha detto: "Lo so nonna"»

Era successo qualcosa che lasciasse prevedere questa tragedia?

«Sicuramente avevano avuto dei problemi di coppia, ma nessuno poteva immaginare che arrivasse a tanto. Lei comunque era una donna strana e molto fredda. Con la bambina era affettuosa e possessiva. Elena era legatissima a noi e spesso voleva restare a dormire con noi. Una volta, per fare una ripicca a mio figlio, lei è arrivata anche a picchiare la bambina, perché insisteva a restare a casa nostra. Quella volta avevamo pensato di denunciarla. Ma poi ci siamo detti: "I carabinieri non crederanno a noi". Purtroppo è sempre il maschio ad essere visto con sospetto». 

Come avevano vissuto la separazione?

«Nonostante il suo atteggiamento mio figlio lasciava correre. Lo faceva per il bene e la serenità della bambina. Dopo che si sono lasciati Alessandro per un po' è andato a vivere dai suoceri, poi da noi. Quindi, per cambiare aria, era andato in Germania e lì ha conosciuto la nuova ragazza. Una donna splendida che è entrata a casa mia e alla quale si stava affezionando tanto anche Elena». 

Elena uccisa dalla mamma. I punti ancora oscuri e l’ipotesi di un complice per nascondere il cadavere. Alfio Sciacca, inviato a Catania, su Il Corriere della Sera il 15 giugno 2022.

La donna in cella controllata a vista. La maestra dell’asilo el’ultimo disegno della bimba. 

Tra rovi e sterpaglie c’è ancora la piccola fossa dove Martina Patti ha riposto il corpo della figlia, cercando poi di ricoprirlo con il terriccio. Accanto alla fossa qualcuno ha lasciato fiori, peluche e un bigliettino. È di una mamma che scrive: «Non so perché la tua mamma ti abbia fatto questo». Tra la macchia mediterranea dell’Etna ecco quel che resta dell’orrore di una giovane donna che uccide con sette coltellate la figlia che non aveva ancora compiuto cinque anni.

Oltre le indagini e i tanti paricolari che stanno emergendo c’è il disorientamento di una piccola comunità che fatica a capire. Non sa ancora cosa dire ai compagni di classe Veronica Piazza, la maestra d’asilo di Elena. Lo stesso asilo che ha registrato il suo ultimo fotogramma di vita, mentre corre felice in braccio alla mamma che due ore dopo l’avrebbe uccisa. Veronica tiene in mano un disegno con tanti colori pastello e non riesce a trattenere le lacrime. È uno degli ultimi di Elena. Lo aveva fatto per mamma Martina proprio nel giorno della sua festa. «Vi pare il disegno di una bambina che mostra una situazione di disagio o sofferenza? — chiede — Dietro quei colori c’è una bambina solare e felice, come era lei». Tanta gioia di vivere la piccola l’aveva portata in dono alla mamma che esattamente un mese dopo l’ha accoltellata alla schiena, dopo averle permesso di mangiare il budino e vedere i cartoni animati sul telefonino. Non c’era nessun segnale premonitore neanche nei modi di fare di Martina Patti. «Una splendida mamma, almeno apparentemente», dice la maestra.

Invece per gli inquirenti sarebbe una fredda calcolatrice, che aveva pianificato tutto sin nei minimi dettagli. Una donna che per i carabinieri era ossessionata dalla nuova compagna del suo ex e terrorizzata che la bambina si affezionasse a lei. Resta ancora da capire se, come dice lei, ha fatto tutto da sola o è stata aiutata. «I punti da chiarire — dice il capitano Salvatore Mancuso, dei carabinieri di Catania — restano il luogo del delitto e l’eventuale responsabilità di altre persone nell’omicidio o nell’occultamento del cadavere». Luogo ed eventuali complici sono aspetti strettamente correlati. 

Oltre a sostenere di aver agito da sola, Martina dice di aver ucciso la figlia nel posto in cui è stata ritrovata. Mentre i militari dell’Arma ritengono che sia stata uccisa in casa e poi portata nella zona di campagna, a 600 metri di distanza. Se è così prima o poi salteranno fuori le tracce di sangue. Ma è possibile che una bambina venga uccisa tra le 14 e le 15 e nessuno si accorga di nulla? E la mamma poteva da sola portare il corpo per 600 metri e in pieno giorno? Gli zii di Martina, che abitano al piano di sotto rispetto al suo appartamento, anche ieri hanno spiegato: «Noi usciamo presto la mattina e rientriamo tardi nel pomeriggio».

Se invece la donna ha detto la verità sul luogo del delitto, stupisce che la zona non sia stata sequestrata e venga «contaminata» da decine di cronisti e curiosi. Per non dire che l’arma, forse un coltello, non è stato trovata e magari è ancora tra i rovi. Smentito invece che Martina abbia comprato zappa e pala prima del delitto. «Erano in casa e molto usate», dicono gli inquirenti. Passaggio chiave per l’indagine l’esame della Scientifica, che domani farà un sopralluogo nell’abitazione di Martina Patti, a caccia di tracce di sangue. Sempre domani è previsto l’interrogatorio di garanzia in carcere, dove è vigilata a vista. 

L’avvocato Gabriele Celesti, che ieri è stato vittima di pesanti minacce sui social, smentisce che sia una donna glaciale: «Piuttosto l’ho vista scossa, stanca, provata. Il su o è stato un interrogatorio drammatico. Ci sono state tante interruzioni, durante le quali ha pianto». Gli inquirenti restano convinti che il movente sia legato all’arrivo della nuova compagna del suo ex. Risentimento che, stando ai familiari di lui, aveva affidato anche ad alcuni sms di fuoco. L’esame del suo telefono ne svelerà il contenuto. Presto Martina sarà sottoposta a visita psichiatrica, sulla base della quale il legale valuterà se chiedere formale perizia per accertare se al momento del delitto era capace di intendere e volere.

Michela Allegri per il Messaggero il 15 giugno 2022.

Un amore finito, che ha lasciato spazio a liti e veleni, accuse, vendette. Una bimba meravigliosa, i genitori che si sono rifatti una vita con nuove relazioni, ma non sono riusciti a risolvere il loro rapporto. Gelosia folle, contrasti tra ex e anche tra le loro famiglie. 

Martina Patti non riusciva ad accettare che Alessandro Del Pozzo, padre della sua bimba, abitasse con la nuova compagna e, soprattutto, che la figlia Elena si fosse affezionata a quella donna. Ha ucciso la bambina per gelosia, perché temeva di venire messa da parte. Non poteva accettare che Del Pozzo fosse di nuovo felice, senza di lei. Martina avrebbe fatto di tutto per tenere Elena solo per sé. Avrebbe anche cercato di ostacolare gli incontri con i nonni paterni, che la accusavano di picchiare la piccola e di tentare in ogni modo di incastrare l'ex. Ci avrebbe provato anche dopo avere ucciso la bambina, raccontando che Elena era stata rapita da uomini che avevano minacciato Del Pozzo in passato.

I FAMILIARI Quando ha confessato l'omicidio, Martina non ha fornito un movente: «L'ho fatto, non so perché». Ma i parenti del papà di Elena non le credono. La cognata, Vanessa Del Pozzo, non ha dubbi: «Voleva incastrare mio fratello». Ha raccontato le minacce passate: «Un anno fa lui fu accusato ingiustamente di una rapina, ma fortunatamente fu scagionato. Quando dal carcere passò ai domiciliari, sotto casa trovammo un biglietto di minacce: Non fare lo sbirro, attento a quello che fai. Martina ha fatto riferimento a quel biglietto con i carabinieri». 

I nonni paterni ieri sono stati i primi ad arrivare nel campo abbandonato dove è stato trovato il corpicino devastato dalle coltellate. «Non credevamo possibile una cosa del genere», ha detto Giovanni Del Pozzo, in lacrime, mentre la nipotina veniva portata via rinchiusa in una bara. E ancora: «Mi sembra tutto così strano, assurdo.

La madre di Elena era una ragazza molto chiusa, ma non riesco a spiegarmi il motivo di quello che è accaduto. Adesso deve pagare lei, e anche chi l'ha eventualmente aiutata». La nonna, Rosaria Testa, non si dà pace: «Elena era meravigliosa, sua madre aveva un atteggiamento autoritario e aristocratico, non mostrava segni di affetto e non era empatica, nemmeno nei confronti della bambina. Non rispondeva mai al telefono alle mie chiamate e decideva lei quando portarci la bambina. Quando litigavano, Elena non voleva andare via da casa nostra. Un giorno la mamma le stava dando botte e gliela abbiamo dovuta togliere dalle mani. 

L'abbiamo accompagnata a scuola e le ho detto: Nessuno ti vuole bene più di me. Lei mi ha guardata e mi ha fatto capire che aveva capito». 

Nessuno di loro pensava che Martina fosse capace di un gesto così crudele: «In un primo momento abbiamo creduto alla storia degli incappucciati, non abbiamo mai pensato che potesse essere stata lei. Quando ha chiamato mio figlio gridava e ha raccontato che qualcuno le aveva puntato una pistola».

LA SERATA È proprio con la famiglia del padre che Elena aveva trascorso la sera prima dell'omicidio. Aveva dormito a casa dei nonni. Era contenta e sorridente, si divertiva insieme alla nuova fidanzata di papà. Martina lo sapeva e non riusciva ad accettarlo. Così ha iniziato a pensare a come vendicarsi, a come impedire alla nuova coppia di essere felice. Il giorno dopo, è andata a prendere la bambina all'asilo, l'ha sentita raccontare della bella serata trascorsa con la famiglia del padre. 

E l'ha uccisa. L'ha colpita con un coltello da cucina, ha nascosto il cadavere e, due ore dopo, ha dato l'allarme. Ha cercato di fare ricadere la colpa sull'ex, ma i carabinieri non le hanno creduto. Ora, l'intero paese di Mascalucia, a pochi chilometri da Catania, è sconvolto. Il sindaco, Enzo Magra, ha annullato i festeggiamenti per il patrono: si farà solo una giornata di preghiera per la bimba. «Quando mi hanno detto quello che era successo sono scoppiato a piangere. È una notizia di una drammaticità unica»,

L’autopsia di Elena Del Pozzo e l’interrogatorio di Martina Patti: «L’ho uccisa io da sola nel campo». Alfio Sciacca su Il Corriere della Sera il 17 Giugno 2022.

Concluso l’interrogatorio di garanzia di Martina Patti, la mamma rea confessa del delitto. Ha risposto alle domande del giudice. La procura: «Ma ci sono tanti non ricordo». L’autopsia nel pomeriggio.

«Sì, Elena l’ho uccisa io, da sola nel campo». Martina Patti, la 23enne fermata con l’accusa di omicidio della figlia di 5, conferma nell’interrogatorio davanti al Gip di Catania gran parte di quanto detto nelle dichiarazioni rese a carabinieri e procura, ribadendo di avere ammazzato, da sola, la bimba nel luogo in cui il corpo è stato ritrovato. È quanto si apprende da fonti informate. In procura si sottolinea che «adesso non ci resta che attendere l’esito degli accertamenti tecnici, già sollecitati, e quelli dell’autopsia». L’esame medico legale sarà eseguito nel pomeriggio nell’obitorio dell’ospedale Cannizzaro di Catania. Per la procura, però, nelle dichiarazioni della Patti ci sarebbero «tanti non ricordo sulla dinamica che — sottolineano i magistrati — sembrano pretestuosi».

L’interrogatorio di garanzia si è concluso intorno alle 11.30 all’interno della casa circondariale di Piazza Lanza: la donna è accusata anche di occultamento del cadavere della figlia Elena. L’udienza si è tenuta davanti al Gip Daniela Monaco Crea. Ad assistere la donna l’avvocato Gabriele Celesti, che ieri sera aveva avuto una videochiamata con la donna in vista dell’interrogatorio di oggi. «Abbiamo parlato mezzora — ha riferito ieri l’avvocarto — . È molto provata e scossa dallo stato di detenzione. Quando parla della figlia è travolta dall’emozione e piange, ma vuole collaborare con gli inquirenti».

Molto più cauto è stato il legale, in mattinata, all’uscita dal carcere dopo l’interrogatorio. «La signora ha risposto alle domande del giudice, non posso aggiungere dettagli di alcun tipo», sono state le poche parole dell’avvocato. Non è ancora chiaro se nell’interrogatorio Martina Patti ha chiarito tutti i dubbi nella ricostruzione dell’omicidio che avevano avanzato nelle ore precedenti gli investigatori.

Chi è Martina Patti, la donna che ha ucciso sua figlia Elena a Mascalucia: le bugie, la separazione, le accuse della suocera

In particolare sono due i punti che restano da chiarire nella sua ricostruzione. Il primo riguarda il luogo del delitto: Elena è stata accoltellata in casa oppure nel campo di rovi a 600 metri dall’abitazione della famiglia, dove il corpo è stato ritrovato? Secondo quanto trapela lei l’avrebbe uccisa nei campi, ma questo potrebbe confermarlo o smentirlo l’autopsia. Il secondo: qualcuno l’ha aiutata nel compiere il delitto o all’occultamento del cadavere?

Il secondo motivo per cui quella di oggi è una giornata importante in questa drammatica è l’autopsia sul corpo della piccola. Verrà eseguita nel pomeriggio nell ’obitorio dell’ospedale Cannizzaro di Catania. La Procura e l’avvocato Gabriele Celesti, che difende la donna, hanno nominato i rispettivi consulenti di parte. L’esame medico legate è importante per chiarire definitivamente qual è stata l’arma del delitto, probabilmente un coltello. E quanti sono i colpi sferrati dalla madre.

Domani invece la Scientifica dei Carabinieri farà i rilievi nell’abitazione dove risiedevano Martina Patti e la figlia. Cercheranno soprattutto tracce di sangue per stabilire, se come sostengono gli inquirenti, la piccola è stata uccisa in casa e solo dopo portata nel luogo dove è stato trovato il cadavere. Oppure se è vera la versione della madre che ha raccontato di averla uccisa nello stesso posto dove poi ha fatto ritrovare il corpo.

Alfio Sciacca per il corriere.it il 18 giugno 2022.

Non sette coltellate come avevano detto gli inquirenti dopo un primo esame del cadavere, ma addirittura undici. Questi i colpi inferti sulla piccola Elena, di appena 5 anni, dalla sua mamma, Martina Patti, che si è autoaccusata del delitto facendo ritrovare il cadavere in una zona di campagna a circa 600 metri dalla propria abitazione. 

I colpi inferti sulla bambina, che l’hanno raggiunta al collo e alla schiena, «sono compatibili con un coltello da cucina che non è stato ancora trovato. Uno solo dei quali è stato letale, perché ha reciso i vasi dell’arteria succlavia. Ma la morte della bambina non è stata immediata».

Questi i primi risultati dell’autopsia eseguita ieri sera nell’obitorio dell’ospedale «Cannizzaro» di Catania dal medico legale Giuseppe Ragazzi. Dalle risultanze dell’autopsia sono arrivati dettagli che hanno permesso di stabilire anche l’orario del delitto. «La morte della bambina sarebbe avvenuta dopo più di un’ora dal pasto che la bimba aveva consumato a scuola intorno alle 13». Questi particolari sull’autopsia sono stati forniti dalla Procura di Catania che, almeno in questa fase, non intende aggiungere altro.

L’esame del medico legale è primo punto fermo nell’attività di ricerca dei riscontri al racconto della madre. Resta ora da verificare dove è avvenuto il delitto: in casa o nella zona di campagna dove è stato rinvenuto il corpo, come sostiene la madre. Per accertarlo oggi pomeriggio la Scientifica farà un sopralluogo in casa della donna a caccia di eventuali tracce di sangue. 

Passerà più tempo invece per avere il risultato dell’esame tossicologico chiesto dalla Procura che mira ad accertare se la piccola sia stata sedata prima di quegli 11 colpi di coltello. Sempre in giornata il gip, Daniela Monaco Crea, dovrebbe convalidare il fermo della donna. È probabile che sempre oggi il cadavere della piccola venga restituito alla famiglia per i funerali che non sono stati ancora fissati. 

 Elena Del Pozzo colpita dalla mamma con undici coltellate. L’autopsia: «La bambina non morta subito». Alfio Sciacca, inviato a Catania, su Il Corriere della Sera il 18 giugno 2022.

«È stata colpita più di undici volte con un’arma, compatibile con coltello da cucina, che non è stata ancora trovata». Il riscontro medico-legale aggiunge altro orrore alla tragedia della piccola Elena Del Pozzo, la bimba di cinque anni uccisa dalla madre. Dopo l’ispezione del cadavere si era parlato di sette fendenti. Ora l’autopsia accerta che sono stati inferti «undici colpi, di cui uno solo letale». E poi c’è il particolare più agghiacciante: «La morte della bambina non è stata immediata». Il medico legale Giuseppe Ragazzi ha stabilito anche la probabile ora del delitto: «Dopo più di un’ora dal pasto che la bimba aveva consumato a scuola intorno alle 13».

L’esito dell’autopsia è il primo punto fermo nelle indagini di Procura e Carabinieri di Catania che cercano riscontri al racconto della mamma, Martina Patti, che si è autoaccusata del delitto e ha fatto ritrovare il cadavere in un campo a 600 metri dalla casa alla periferia di Mascalucia, in provincia di Catania. Ma per gli inquirenti nel racconto della madre di Elena ci sono ancora «molti punti oscuri». Gli stessi evidenziati anche dal giudice per le indagini preliminari, Daniela Monica Crea, che ieri ha convalidato il fermo della donna. Nelle 15 pagine del suo provvedimento il gip mette in rilievo la «fredda determinazione» di Martina Patti e scrive che ha «organizzato il delitto con l’aggravante della premeditazione». Per questo deve restare in carcere, in quanto ci sono tutte le esigenze cautelari: pericolo di fuga, di inquinamento delle prove e di reiterazione del reato. 

Insomma, secondo il magistrato, questa donna minuta e dall’aria apparentemente inoffensiva è ancora pericolosa per gli altri e per se stessa. Quindi dovrà restare in isolamento. «Valuteremo il provvedimento del gip — dice il suo legale Gabriele Celesti — e nei termini previsti decideremo se impugnarlo». «Al termine dell’interrogatorio di garanzia — osserva invece il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro — è stato accolto il nostro impianto accusatorio e i nostri dubbi sulle parti ancora oscure, dovuti per noi ai tanti “non ricordo” e alla tendenza a mentire dell’indagata». Tra i «punti oscuri» Martina afferma: «Non ricordo se ho sotterrato la bambina», «non ricordo di aver deciso di andare nel campo prima di uscire», «non ricordo dove ho preso il coltello». E poi la strana sequenza temporale. Dopo il delitto dice di essere andata a casa dei genitori in stato confusionale e poi di essersi andata a cambiare a casa sua. Successivamente dice di avere incontrato, ma in strada, i genitori e l’ex compagno. E solo in quel momento avrebbe raccontato la storia del sequestro. Insomma c’è un buco di circa un’ora dopo il delitto in cui non si capisce bene cosa abbia fatto, prima di imbastire il suo fragile castello di bugie, danneggiando la maniglia dell’auto per rendere credibile la storia del sequestro. Al vaglio degli inquirenti anche le telefonate dei giorni precedenti con un ragazzo che frequentava.

Dopo l’accurato sopralluogo di ieri sera, Ris e Sis dei Carabinieri dovrebbero far chiarezza sul luogo del delitto. Se in casa non troveranno tracce di sangue vorrà dire che Martina dice il vero quando afferma di aver ucciso la figlia nel campo. Ma nell’abitazione la Scientifica cerca anche gli abiti che indossava prima di cambiarsi. A breve la salma della piccola Elena sarà restituita ai familiari. I funerali, officiati dal vescovo Luigi Renna, si svolgeranno mercoledì in Duomo a Catania.

Elena Del Pozzo, la madre è stata due ore al telefono dopo l’omicidio: “Cercava aiuto”. Debora Faravelli il 17/06/2022 su Notizie.it.

Dopo aver ucciso Elena Del Pozzo, la madre della piccola è stata oltre un'ora al telefono: si indaga su possibili complici dell'occultamento del cadavere. 

Continuano ad emergere nuovi dettagli sull’omicidio di Elena Del Pozzo, la bimba di quattro anni uccisa dalla madre Martina Patti. Dai tabulati del suo telefono sono emersi contatti forsennati tra le 14 e le 15, dopo il delitto e prima dell’arrivo dei Carabinieri a cui aveva denunciato la scomparsa della piccola inscenando un finto rapimento.

Elena Del Pozzo: la madre al telefono dopo l’omicidio

Dato il numero delle chiamate effettuate, i magistrati stanno indagando se qualcuno l’abbia aiutata ad occultare il corpo della figlia, abbandonato in un campo, svestito e coperto da sacchi della spazzatura, e soprattutto se il possibile complice sia tra le persone chiamate subito dopo l’uccisione.

Un altro dato importante sul caso è inoltre fornito dai filmati di una telecamera di videosorveglianza puntata sulla casa della donna, che permetterà di capire se qualcuno sia andato nella villetta di via Euclide ad aiutare Martina.

In più, si stanno ancora attendendo i risultati dei rilievi effettuati nell’abitazione per capire se la donna abbia ucciso Elena in casa, come sospettano gli inquirenti, o nel campo come ha raccontato la madre. Per il momento non sarebbero state trovate tracce di sangue evidenti, nemmeno sui vestiti della donna, ma quest’ultima potrebbe aver pulito abiti e pavimenti.

Nella giornata di venerdì 17 giugno 2022 è inoltre previsto l’interrogatorio di convalida di Martina, che ha già confessato ai pm l’omicidio crollando dopo una giornata trascorsa a mentire.

Nel decreto di fermo, gli inquirenti hanno sottolineato che la donna aveva un atteggiamento algido anche nei confronti della bambina e che non sembrava particolarmente provata dalla scomparsa della bimba. Un dato che troverebbe conferma anche nelle parole del padre della piccola, secondo cui la madre non provava empatia nei suoi confronti.

Da repubblica.it il 18 giugno 2022.

Lunedì, poco dopo l’ora di pranzo, la piccola Elena Del Pozzo è entrata in auto con il suo solito sorriso. Mamma Martina le aveva detto probabilmente che sarebbero andate a fare un gioco, nel campo poco distante. È l’ultima ipotesi degli investigatori. Invece, in quel campo, Elena è stata uccisa. Martina Patti ha chiuso la bambina in un sacco e ha iniziato a infierire con un coltello. 

È straziante l’esito dell’autopsia effettuata dal medico legale Giuseppe Ragazzi. Già dai primi accertamenti effettuati lunedì, erano emersi sette colpi: al collo, all’orecchio, alla spalla. Una scena raccapricciante. Ieri mattina, davanti alla gip Daniela Monaco Crea, la donna è tornata ad ammettere di avere ucciso la figlia nel campo, ma il suo racconto continua ad essere pieno di non ricordo.

«Ho l’immagine del coltello - sussurra - ma non ricordo assolutamente dove l’ho preso». E ancora: «Non ricordo di avere sotterrato la bambina, ma sicuramente sono stata io». Un altro passaggio dell’interrogatorio, che ripercorre le parole della prima confessione, dopo il ritrovamento del cadavere: «Non ricordo di avere deciso di andare nel campo prima di uscire. Non ricordo cosa sia passato nella mia mente quando ho colpito mia figlia, anzi posso dire che non mi è passato nessun pensiero, era come se in quel momento fossi stata una persona diversa». 

“Non ricordo” che martedì avevano fatto subito sorgere il sospetto di un complice, per nascondere sottoterra il cadavere della piccola, con una zappa ritrovata poco distante. Ipotesi che in queste ore perde consistenza.

Sin dal primo momento, inoltre, c’era stato anche il sospetto che il delitto fosse avvenuto in casa e non nel campo. Ma, adesso, i primi esami della sezione Investigazioni scientifiche dicono che non ci sono tracce di sangue nella 500 di Martina Patti. Né all’interno dell’abitacolo, né nel portabagagli. Segno che la bambina è entrata ancora viva in quell’auto. Immaginando un pomeriggio di giochi con la sua mamma.

"Colpita al collo, all'orecchio e alla schiena". Così è morta la piccola Elena. Francesca Galici il 14 Giugno 2022 su Il Giornale.

Sono molteplici le ferite rinvenute sul piccolo corpo di Elena, la bimba di quasi 5 anni uccisa dalla madre in provincia di Catania.

In attesa che venga effettuata l'autopsia sulla piccola Elena, un primo esame ha permesso di rilevate tre o quattro coltellate inferte da sua madre per ucciderla. Martina Patti "l'ha colpita al collo, all'orecchio e alla parte alta della schiena", hanno riferito i carabinieri durante la conferenza stampa. La donna ha confessato l'omicidio della piccola ma non è stata in grado di riferire né il movente e nemmeno la dinamica. "Siamo in una fase dove manca il contraddittorio tra le parti e potrebbero emergere aspetti ulteriori. Siamo ancora in fase di approfondimento investigativo", ci hanno tenuto a specificare gli inquirenti. L'arma del delitto, forse un coltello da cucina, non è stato ancora trovata.

"Il corpicino della bambina, all'esito dell'ispezione medico legale ha evidenziato molteplici ferite di arma da taglio alla regione cervicale e intrascapolare", hanno spiegato ancora gli uomini dell'Arma. Il comandante dei Carabinieri della provincia di Catania, Rino Coppola, ha reso noto che "nei confronti della madre della piccola vittima Elena sarà notificato a breve un provvedimento di fermo per omicidio premeditato e pluriaggravato e soppressione di cadavere". Sarebbero diversi, sempre secondo gli investigatori, gli elementi che farebbero propendere per la premeditazione dell'omicidio di Elena, uccisa da sua madre in casa poco dopo l'uscita dall'asilo. La contestazione si basa sulla ricostruzione della dinamica del delitto da parte dei carabinieri. Alla donna, nella prima fase dell'inchiesta, è stato anche contestato anche il reato di false informazioni al pubblico ministero per avere mentito.

La donna non ha spiegato il movente dell'omicidio ma una prima pista gli inquirenti sembrano averla individuata. "Uno dei motivi del gesto ricondurrebbe alla gelosia e al possibile affezionarsi della nuova compagna del marito da parte della bimba. La signora ha risposto restando sul vago senza sapere il perché di aver compiuto il gesto", ha detto in conferenza stampa Piercarmine Sica, capo reparto operativo dei carabinieri di Catania

"Il cadavere della piccola Elena era occultato nel terreno all'interno di cinque sacchi differenti. E sul terreno in questione a circa 600 metri dalla loro abitazione, sono state rinvenute una pala ed una zappa", ha riferito Rino Coppola. Le indagini comunque non si fermano, come hanno spiegato gli uomini dell'Arma: "L'indagata, la madre della bimba, al momento, ha riferito di aver commesso l'omicidio della figlia in maniera autonoma. Non ha riferito circa il coinvolgimento di altre persone". Per quanto riguarda il racconto del rapimento da parte di un gruppo di uomini incappucciati e armati, agli investigatori è sembrato fin dal principio uno scenario improbabile: "Nel punto e nell'orario indicato dalla signora dove sarebbe avvenuto il sequestro da lei raccontato insistentemente, grazie allo studio delle immagini dell'impianto di videosorveglianza, si è evinto che non era presente alcun commando armato. A fronte di questa discrepanza è stata fatta alla signora la prima contestazione".

Inoltre, durante la conferenza stampa gli inquirenti hanno sottolineato come nella donna non si siano evinti segnali di pentimento o di commozione mentre raccontava quanto accaduto nel pomeriggio di ieri.

 "L'ho uccisa dopo l'asilo". La mamma di Elena confessa: tutta la dinamica. Francesca Galici il 14 Giugno 2022 su Il Giornale.

Alla fine Martina Patti ha confessato l'omicidio di sua figlia, che avrebbe compiuto 5 anni a luglio: la donna ha fatto ritrovare il cadavere in un campo incolto.

Martina Patti, 23 anni e madre di Elena, ha confessato di aver ucciso sua figlia, che avrebbe compiuto 5 anni il prossimo luglio. L'interrogatorio è durato ore ma la donna, residente a Mascalucia in provincia di Catania, non ha saputo spiegare il perché del suo gesto. Stando al racconto della Patti, la piccola sarebbe stata uccisa nella sua abitazione e poi il suo corpo sarebbe stato trasportato dalla donna in un campo incolto del paese, dove poi l'ha fatto ritrovare, a circa 200 metri di distanza dalla sua abitazione. Avrebbe cercato di occultare il cadavere della figlia con terra e cenere lavica.

Il delitto si sarebbe consumato subito dopo il rientro della piccola dall'asilo, dove aveva trascorso l'intera giornata, quando le due erano sole in casa. Non c'è stato nessun rapimento da parte di un comando armato come, invece, aveva denunciato la donna alle autorità nella giornata di ieri. Il suo racconto era troppo lacunoso e troppo impreciso per non destare dubbi negli investigatori, che infatti avevano immediatamente escluso la pista della criminalità organizzata. Si erano concentrati sull'ambito familiare finché, messa sotto pressione dagli inquirenti, la donna non ha deciso di confessare.

"Le botte, poi quel biglietto. Ecco perché abbiamo creduto al rapimento"

La donna avrebbe detto di avere agito senza capire quello che stava facendoe non è stata in grado di ricostruire il delitto, né del movente. La procura di Catania sta predisponendo il suo fermo per omicidio pluriaggravato e occultamento di cadavere. "Non ero in me", ha detto la donna ai carabinieri, che stanno ultimando gli atti del fermo nei suoi confronti. Chi conosce Martina Patti la descrive come una madre in genere "affettuosa" con la bambina anche se, secondo la versione della famiglia di lui, un "po' strana, autoritaria, aristocratica".

Intanto, il corpo della piccola Elena è stato trasferito presso l'obitorio di un ospedale catanese in attesa che venga disposta l'autopsia per fugare tutti i dubbi sulla sua morte. "Angelo mio, angelo mio...", ha detto con le lacrime agli occhi e una mano sulla bara, il nonno paterno, Giovanni Del Pozzo, che ha accompagnato la salma della nipotina Elena dal luogo del ritrovamento al carro funebre. In lacrime anche la nonna e la zia paterne. Grande il dolore di chi ha assistito al passaggio del carro funebre con a bordo la piccola Elena. "Sono sconvolto. Appena ho saputo la notizia sono scoppiato in un pianto a dirotto", ha detto il sindaco di Mascalucia, Enzo Magra. 

"Le botte, poi quel biglietto. Ecco perché abbiamo creduto al rapimento". Laura Cataldo il 14 Giugno 2022 su Il Giornale.

Dopo aver sentito la tragica notizia i nonni di Elena, la bimba che si pensava fosse stata rapita e che è stata trovata in un campo, hanno raggiunto il posto. "Era una bambina dolcissima. Sembra tutto molto strano".

Rabbia e dolore tra i campi di Tremestieri Etneo, in provincia di Catania. Il giovane padre e i nonni paterni della piccola Elena Del Pozzo sono accorsi immediatamente dopo la chiamata dei carabinieri con la quale li avvisavano di aver trovato la piccola. La mamma, Martina Patti, ha confessato di aver ucciso la figlia e averla lasciata vicino a una strada di periferia.

Ancora increduli hanno cercato di farsi forza a vicenda e dopo un pianto disperato hanno cercato di fare mente locale per aiutare le forze dell'ordine nelle loro ricerche. "Elena era una bimba meravigliosa. Avevamo creduto alla storia degli uomini incappucciati, non avevamo ragione di non credere", così la nonna, Rosaria Testa, ha ricordato l'amata nipote. Poi la donna ha raccontato di alcuni episodi precedenti che le sono sembrati strani e che potevano essere un campanellino d'allarme.

Dalle ultime indiscrezioni i genitori della piccola, entrambi giovanissimi, erano in rapporti ostili e per questo motivo negli ultimi tempi vivevano in due case diverse. "Quando i genitori hanno litigato la piccola non voleva andare via da casa, - ha continuato la nonna paterna - Un giorno la mamma le stava dando botte e gliela abbiamo dovuta togliere dalle mani". Un momento di crisi, così era stato visto il gesto della madre di Elena, niente di preoccupante. "Quella mattina - ricorda la nonna in lacrime - l'ho accompagnata a scuola e le ho detto 'nessuno ti vuole bene più di mè. Lei mi ha guardata e mi ha fatto capire che aveva capito quello che avevo detto". Da quella volta, però, il comportamento della giovane donna era cambiato: "La madre aveva un atteggiamento autoritario e aristocratico. Decideva lei quando portarci la bambina...".

Oltre ad alcuni litigi in famiglia, i carabinieri avevano scavato nel passato dei due genitori per capire se ci fossero dati utili per scoprire qualcosa in più di quello si credeva ancora un "sequestro". I carabinieri avevano scoperto che il padre della bambina, in passato, era stato denunciato per spaccio di sostanze stupefacenti. In seguito è stato indagato anche per una rapina, ma assolto per "non avere commesso il fatto". Ora si sa di più rispetto all'ultima vicenda: "Martina Patti voleva incastrare mio fratello. Un anno fa fu accusato ingiustamente di una rapina ma fortunatamente fu scagionato completamente. - ha dichiarato la zia di Elena - Quando dal carcere passò ai domiciliari, sotto casa trovammo un biglietto di minacce con scritto: 'non fare lo sbirro, attento a quello che fai.". Allacciandosi poi al finto rapimento della piccola ha aggiunto: "Mio fratello non sa nulla di nulla. A questo biglietto la madre della bimba ha fatto riferimento dicendo che avevano rapito Elena. Infatti disse che quelle persone incappucciate avevano fatto riferimento al biglietto dicendo 'non ti è bastato il biglietto? Digli a tuo marito che questa è l'ultima cosa che fa: a sua figlia la trova morta".

L'arma, il luogo e il raptus: quello che non torna nell'omicidio della piccola Elena. Francesca Galici il 15 Giugno 2022 su Il Giornale.

La madre parla di una sorta di raptus che l'avrebbe colta durante l'omicidio ma per i carabinieri l'uccisione della bimba è stata premeditata.

Sono ancora tanti, troppi, i punti oscuri della morte di Elena Del Pozzo, la bambina di quasi 5 anni uccisa dalla madre, Martina Patti, che ne ha confessato l'omicidio. La donna si trova in carcere, in una cella di isolamento controllata a vista 24 ore su 24 per evitare che commetta gesti estremi, in attesa dell'interrogatorio del giudice. Ha detto di averla uccisa nello stesso luogo in cui la bambina è stata ritrovata, un campo distante poco più di 500 metri dall'abitazione di Mascalucia dove viveva con sua madre. La donna avrebbe anche tentato di occultarne il cadavere, nascondendolo dentro 5 sacchetti della spazzatura e gettandolo in un fosso, per poi ricoprire il tutto con terra e cenere lavica.

Nonostante gli inquirenti ipotizzino che dietro l'uccisione della bambina ci possa essere la gelosia nei confronti del padre, che da tempo si era rifatto una nuova vita, l'assassinio resta ancora senza un perché. "Ha agito come se non fosse lei, come se avesse avuto una forza sovrannaturale alla quale non ha potuto resistere e non c'è stato un pensiero che l'ha potuta frenare", ha spiegato l'avvocato Gabriele Celesti, che incontrerà Martina Patti solo domani, prima dell'interrogatorio di garanzia davanti al Gip per la convalida del fermo. L'indagata aveva da prima denunciato un fantomatico rapimento da parte di una banda armata e incappucciata, che aveva subito destato qualche sospetto negli investigatori. Solo sotto la pressione dell'interrogatorio la Patti ha confessato l'orrendo delitto.

"Il luogo di commissione del delitto e l’eventuale coinvolgimento di altre persone nella commissione del reato o nell’occultamento della salma restano ancora temi di approfondimento investigativo", ha dichiarato Salvatore Mancuso, comandante della Prima sezione del nucleo investigativo dei carabinieri di Catania. Le domande che ancora aspettano una risposta, infatti, sono numerose. Qualcuno ha aiutato Martina Patti a compiere l'omicidio? C'era qualcuno quando la donna ha occultato il cadavere della figlia? È possibile che nessuno si sia accorto di niente?

Le maestre dell'asilo che lunedì hanno consegnato la bambina tra le braccia della madre, prima che questa la uccidesse, non segnalano segni di disagio nella piccola e nella famiglia: "Noi vedevamo una famiglia attenta e premurosa". Eppure, per i carabinieri la donna avrebbe premeditato l'omicidio della bambina. E durante l'interrogatorio sarebbe stata impassibile, tranne cedere dopo le contestazioni che le sono state mosse. Una verità che non coincide con le dichiarazioni della donna di essere stata in preda a un raptus durante l'atto delittuoso. Le ammissioni della donna sul luogo del delitto e sull'arma sono tutte da verificare e saranno i prossimi accertamenti a mettere dei punti fermi. 

La piccola Elena colpita con la zappa. Così la mamma aveva pianificato tutto. Valentina Dardari il 16 Giugno 2022 su Il Giornale.

Martina Patti, la donna accusata di aver ucciso la figlia Elena, avrebbe premeditato tutto. Dall'omicidio, al finto rapimento, fino all'occultamento del cadavere.

Martina Patti, la madre 23enne di Elena Dal Pozzo, aveva premeditato tutto, fin dall’inizio. Aveva deciso come uccidere la bambina, dove nascondere il suo corpicino, e anche chi incolpare della sua sparizione. La 23enne è stata arrestata e accusata di omicidio premeditato pluriaggravato e occultamento di cadavere. La donna aveva perfino acquistato l’oggetto da utilizzare per uccidere la piccola Elena: una zappa, da quanto ipotizzato dagli investigatori che stanno indagando sul caso. Sembra comunque essere stata accantonata l’idea che la vittima di soli 5 anni sia stata uccisa nel campo, a circa 600 metri dall’abitazione, dove è stato poi rinvenuto il suo corpicino senza vita. Nell’area mancano infatti tracce ematiche. Probabilmente l’omicidio è avvenuto nell’abitazione in cui madre e figlia vivevano, che la Procura di Catania ha posto sotto sequestro. Solo i rilievi che verranno ora effettuati dai carabinieri dei Sis potranno confermare quanto ipotizzato dagli inquirenti.

Ha fatto tutto da sola

La madre avrebbe ucciso la propria figlia colpendola più volte alla schiena e al collo e, dopo averla ammazzata, l’avrebbe riposta nell’automobile e avrebbe quindi raggiunto il campo a Mascalucia dove ha poi abbandonato il cadavere. Avrebbe fatto tutto da sola, dall’omicidio all’occultamento del corpo. Prima ha provato a mettere il corpicino nudo della bambina in 5 sacchi, poi ha coperto il tutto con delle pietre, della terra e della sciara, la polvere formata da residui provenienti dalle eruzioni vulcaniche. Dopo aver in qualche modo nascosto il suo terribile omicidio, la 23enne è tornata a casa, si è cambiata i vestiti sporchi di sangue e si è recata dai carabinieri con l’intenzione di denunciare il rapimento della figlia, effettuato a suo dire da una banda di criminali incappucciati.

L'arma, il luogo e il raptus: quello che non torna nell'omicidio della piccola Elena

Fin da subito il suo racconto non aveva però convinto del tutto gli investigatori: c’erano troppe zone oscure che non avevano risposta. Tra l’altro, nel luogo in cui Martina aveva detto di essere stata aggredita dai rapinatori c’è una telecamera di sicurezza che ha filmato la vettura della donna mentre passava in strada, senza però riprendere l’assalto dei rapitori. La donna aveva anche dato ai carabinieri un possibile movente del rapimento, parlando del fatto che il suo ex compagno aveva avuto un anno prima alcune minacce dopo essere uscito dal carcere, nel quale era entrato perché accusato, e poi assolto, di aver preso parte a una rapina. La 23enne aveva quindi ipotizzato che il rapimento potesse essere stato messo in piedi dal complice.

Il movente: forse la gelosia

Quando i militari hanno però accompagnato a casa la donna, pronti a perquisire l’abitazione, la 23enne è crollata e ha confessato tutto. Martina ha passato la prima notte in una cella d’isolamento nel carcere femminile di Catania, controllata a vista 24 ore su 24 per il timore che potesse commettere un gesto estremo. Nei prossimi giorni verrà eseguito l’esame autoptico sul corpicino di Elena. La madre potrebbe aver ucciso la figlia perché mossa dalla gelosia nei confronti della nuova compagna del suo ex e dal fatto che la bimba fosse affettuosa con lei. L'avvocato Gabriele Celesti ha spiegato: “Ha agito come se non fosse lei, come se avesse avuto una forza sovrannaturale alla quale non ha potuto resistere e non c'è stato un pensiero che l'ha potuta frenare. Era come annebbiata”. Il legale ha poi raccontato che si è trattato di un interrogatorio drammatico in cui la donna stava probabilmente prendendo coscienza di ciò che aveva fatto e alla fine è scoppiata in lacrime.

L'arma del delitto scomparsa e la messa in scena sul corpo: i buchi nell'omicidio di Catania. Francesca Galici il 16 Giugno 2022 su Il Giornale.

È ancora un mistero l'arma del delitto di Elena Del Pozzo e intanto avanza l'ipotesi di una seconda messa in scena della madre per simulare un rapimento a sfondo sessuale.

La madre di Elena Del Pozzo potrebbe non dire altro agli inquirenti che indagano sull'uccisione, per sua mano, della bambina. Le zone d'ombra sono tante, forse troppe a diversi giorni dall'ammissione di colpevolezza da parte della donna. "Se lei vorrà colmare alcuni 'buchi' allora farà dichiarazioni aggiuntive. Ma potrebbe scegliere di non farle in questa fase e le farà più avanti", ha dichiarato l'avvocato Gabriele Celesti, difensore della donna. Tra i tanti "buchi" che cercano ancora risposte c'è l'arma del delitto di Elena.

Perché ancora non è stato ritrovato il coltello da cucina con il quale la donna avrebbe colpito sua figlia? Sul corpo della piccola sono stati individuati numerosi tagli compatibili con una lama, che lei ora non ricorda dove possa essere. Agli inquirenti ha dichiarato anche di non ricordare di averla colpita. Nel frattempo, però, avanza anche l'ipotesi che la bambina possa essere stata colpita con la zappa ritrovata, insieme alla pala, nel campo in cui la donna ha maldestramente seppellito la bambina. Escludendo che possa essere stata uccisa in quel campo incolto, visto che non c'erano tracce significative di sangue, per gli inquirenti è quasi certo che la donna abbia ucciso sua figlia all'interno della loro abitazione e che poi da lì l'abbia portata nel campo. Ha fatto tutto da sola? L'ipotesi che possa essere stata aiutata da un complice resta in piedi, anche se gli inquirenti derubricano l'indagine in tal senso ad "atto dovuto".

La piccola Elena colpita con la zappa. Così la mamma aveva pianificato tutto

La teoria del raptus omicida, alla luce di tutto questo, sembra non reggere. Dopo aver fatto trovare il corpo della bambina, perché la donna non ha fornito agli inquirenti anche indicazioni per far ritrovare l'arma utilizzata per compiere il delitto? Il coltello verrà cercato nelle prossime ore all'interno dell'abitazione della donna ma non è sicuro che venga ritrovato. Intanto si avvalora l'ipotesi della premeditazione dell'omicidio, che farebbe crollare definitivamente la tesi del raptus. La bambina è stata sepolta nuda in quella fossa, con i pantaloncini gialli sfilati e inseriti all'interno del sacco nero. Per i pm, potrebbe essere una ulteriore messa in scena della donna, che potrebbe aver voluto suggerire l'ipotesi del rapimento a sfondo sessuale nel caso in cui il corpo fosse stato ritrovato dai carabinieri. Una costruzione che non collima con le troppe amnesie della donna, che nemmeno domani davanti al gip potrebbe fornire la spiegazione per queste anomale mancanze.

"Non ha agito da sola". È caccia ai complici della madre assassina. Valentina Raffa il 16 Giugno 2022 su Il Giornale.

Sotto esame i video delle telecamere che puntano sulla casa. Ancora sotto sequestro.

Martina Patti, la 24enne che ha ucciso con sette coltellate la figlia Elena Del Pozzo, di quasi 5 anni, ha agito da sola? E dove l'ha uccisa?

Un aiuto fondamentale agli inquirenti per fare luce su quanto è accaduto quel maledetto 13 giugno sarà fornito dai video delle telecamere che riprendono la zona dove si trova l'abitazione di Mascalucia in cui vivevano madre e figlia, mentre nessuna telecamera è puntata sul campo in cui la madre ha fatto rinvenire ai carabinieri il corpicino esanime della bambina. Era in una fossa poco profonda, avvolto in 5 sacchi neri e coperto con terra e cenere vulcanica. I rilievi in casa proseguiranno nei prossimi giorni e l'abitazione resta sotto sequestro. La bambina potrebbe essere stata uccisa lì in una giornata che, dal racconto di Martina, trascorreva nella normalità: Elena aveva guardato i cartoni dal cellulare mentre la mamma stirava, poi ha mangiato un budino e qui si interrompe il racconto. Martina sostiene di avere un vuoto. È forse questo vuoto il momento dell'accoltellamento alle spalle, mentre si avviavano all'uscita di casa.

I rilievi nel campo, pure con l'utilizzo di droni, invece sono già conclusi, e anche se sulla terra battuta è più difficile individuare del sangue, il fatto che l'area non sia sotto sequestro indica che non sarebbe stato trovato nulla di interessante ai fini delle indagini. I video saranno ancora una volta fondamentali per capire se Martina abbia avuto un complice. Tutti gli alibi delle persone vicino a lei sono stati, da prassi, controllati. Troppe le bugie raccontate dalla donna, a cominciare dalla denuncia del sequestro della piccola da parte di un commando armato di uomini incappucciati che le avrebbero anticipato che Elena sarebbe morta. Il delitto ruota attorno alla gelosia che nutriva nei confronti dell'ex compagno e del rapporto sereno che lui aveva intrecciato con un'altra. Martina non digeriva la cosa, malgrado anche lei abbia un uomo, anche se non convivono.

Ma soprattutto, ed è qui, pare, la chiave del figlicidio, non riusciva ad accettare che Elena fosse felice della relazione del papà e che si era affezionata alla matrigna. Il dolore per l'abbandono, la frustrazione provata sono state anteposte alla felicità di Elena, vittima sacrificale e strumento per far soffrire l'ex. Martina ha voluto sottrarla ad affetti di altre persone e alla felicità che non coinvolgeva lei.

La procura di Catania contesta la premeditazione, perché in altro modo non potrebbero spiegarsi alcuni dettagli e la versione inventata: zappa e pala per scavare, sacchi per il corpo, la denuncia del rapimento che è servita non solo ad allontanare da lei ogni responsabilità sulla scomparsa di Elena, ma anche a fare ricadere la colpa sull'ex, a cui avrebbero fatto riferimento i rapitori rivangando un suo arresto per rapina finito poi con un proscioglimento. Tutto ciò per colpirlo dinanzi alla giustizia, ma soprattutto per farlo soffrire per la perdita della figlia. Martina, dal carcere di Piazza Lanza, a Catania, dove viene controllata h24 per timore che si faccia del male, sostiene che quando ha ucciso Elena non era in sé: «Era come se qualcuno si fosse impadronito di me». Per l'avvocato Gabriele Celesti, che valuta la perizia psichiatrica, è «tutt'altro che fredda e calcolatrice, sta prendendo consapevolezza del fatto». «Ha agito come se avesse avuto una forza sovrannaturale alla quale non ha potuto resistere e non c'è stato un pensiero che l'ha potuta frenare» ha detto il legale. Domani è in programma l'autopsia sul corpicino e l'interrogatorio di garanzia per la convalida del fermo della madre.

L'ultimo abbraccio all'asilo, poi il budino a casa: il video prima dell'orrore. Laura Cataldo il 15 Giugno 2022 su Il Giornale.

I carabinieri di Catania hanno recuperato le immagini degli ultimi istanti di vita della bambina catanese uccisa dalla madre. Il video mostra Elena un attimo prima della tragedia.

Esce con lo sguardo basso, poi vede la mamma, sorride, corre tra le sue braccia e le due si stringono forte. Immagini che si vedono spesso all'uscita di un asilo, quando i bambini scorgono i propri genitori e sono felici di tornare a casa. Questi fotogrammi, però, lasciano l'amaro in bocca a chi li guarda. Il primo pensiero che viene in mente è: com'è possibile che qualche minuto dopo quei sorrisi si sono trasformati in dramma?

"L'ho uccisa io, dopo l’asilo”. Queste sono state le parole decisive e da brivido pronunciate da Martina Patti, la 23enne che ha finto che la figlia fosse stata rapita ma che in verità aveva già ammazzato ore prima. Quattro sono le coltellate inferte alla piccola Elena. "L'ha colpita al collo, all'orecchio e alla parte alta della schiena". Una follia improvvisa scaturita probabilmente dalla gelosia.

La 23enne era separata da qualche tempo dal compagno, Alessandro Del Pozzo. I due si erano messi insieme quando erano giovanissimi e a causa di alcuni problemi giudiziari si erano lasciati. Il giovane stava provando a rifarsi una vita con un'altra donna, era sereno. Martina invece no e sembra che sia stato proprio questo il folle motivo che l'ha spinta a commettere la più cruda delle tragedie: il neonaticidio."Quando ho colpito Elena avevo una forza che non avevo mai percepito prima. Non ricordo la reazione della bambina mentre la colpivo, forse era ferma, ma ho un ricordo molto annebbiato", ha detto la giovane in lacrime. La domenica precedente la piccola aveva passato l'intera giornata assieme alla famiglia paterna. A casa dei nonni c'erano gli zii, il papà Alessandro e la sua fidanzata. Da qui scatta la sindrome di Medea. "Non tollerava che vi si affezionasse anche la propria figlia", hanno detto gli inquirenti.

A Mascalucia, piccolo comune nel Catanese, la gente è ancora incredula. Qualche giorno fa l'intera comunità si era attivata per cercarla dopo l'appello disperato che ha lanciato proprio la madre: "Hanno rapito mia figlia, erano in tre incappucciati". Lo sgomento, l'indignazione e l'apertura delle indagini per cercare i farabutti e la piccola. Di vero, però, non c'era niente: Elena Del Pozzo, 5 anni a luglio, è stata uccisa in un assolato pomeriggio siciliano e, per una notte intera, il cadavere è stato abbandonato nelle terre aride dei campi. Proprio lì, il giorno stesso, la madre ha cercato di scavare una buca per darle almeno una sepoltura. Non ci è riuscita. Così l'ha infilata dentro alcuni sacchi neri. Poi è andata a casa e ha provato a costruirsi un alibi per coprire l'omicidio. Da qui l'idea del sequestro. Alla sua ricostruzione, però, i carabinieri non hanno creduto sin dall'inizio e, dopo un'intera notte di pressioni, ha ceduto: nessun commando armato, nessun sequestro, niente di niente.

Dopo l'asilo la donna aveva portato la piccola a casa. "Elena ha voluto mangiare un budino poi ha guardato i cartoni animati dal mio cellulare. Io intanto stiravo. Poi siamo uscite per andare a casa di mia madre". L'auto della donna, invece, ha fatto sosta in quella strada di campagna, tra l'erba secca dal colore dorato: "Era la prima volta che portavo la bambina in quel campo... ho l’immagine del coltello, ma non ricordo dove l’ho preso. Non ricordo di aver fatto del male alla bambina, ricordo solo di aver pianto tanto".

Una mamma che sorride vedendo la propria figlia, lei che le corre in braccio. Scene di ordinaria quotidianità per tutti, l'inizio di una tragedia per la famiglia della piccola Elena.

"Non ha mai pianto. La bimba spogliata". Valentina Raffa il 17 Giugno 2022 su Il Giornale.

Il comandante dei carabinieri: "Complici? Stiamo esaminando i filmati".

Catania. Cosa è accaduto il 13 giugno in quella casa di Mascalucia in cui vivevano la 24enne Martina Patti e la figlia Elena di quasi 5? Per lei era un giorno come altri. All’uscita dall’asilo ha abbracciato la mamma e, insieme, sono tornate a casa. Chissà se si è accorta che a colpirla era proprio la sua mamma, se ha tentato di scappare. Abbiamo ripercorso le fasi salienti delle indagini con il capitano Salvatore Mancuso, comandante della Prima sezione del Nucleo investigativo carabinieri di Catania.

La Patti denuncia in caserma a Mascalucia il sequestro della figlia. Com’era in questa fase? «È arrivata con i genitori quasi in contemporanea alla nonna paterna. I parenti erano stati informati per telefono dalla stessa dopo il sequestro che, poi, accerteremo non sia mai avvenuto. Sono fasi concitate. I colleghi si attivano per le ricerche e informano il Nucleo investigativo che comando».

Non è strano che dopo il sequestro di una figlia si chiamino i parenti prima che i carabinieri?

«Sarebbe più logico chiamare le forze dell’ordine, ma, vista la giovane età, poteva starci la confusione».

Come si sono dipanate le indagini?

«Mentre avviavamo le ricerche dei rapitori, si verificava la versione della Patti attraverso i video della strada del presunto sequestro. Non c’era rispondenza».

La Patti è messa sotto torchio. Qual è l’atteggiamento? Come ha reagito capendo di essere la sospettata numero uno?

«Ha avuto un autocontrollo spiccato e nelle prime fasi era distaccata. Ha sostenuto la sua verità anche dinanzi al pm, iniziando a cedere solo dopo essere stata indagata per false dichiarazioni. Non ha mai pianto».

Cosa ha provato nel campo in cui era seppellita la piccola lasciata seminuda in dei sacchi neri?

«Ho indagato su tanti omicidi e visto tanti cadaveri, ma quando si tratta di una bimba così piccola è tutto difficile. È arduo metabolizzare. Sono uomo e padre».

Viene contestata la premeditazione. Cozzano da un lato i preparativi al figlicidio e dall’altro le dichiarazioni della Patti sul «non essere in sé».

«Per questo aspetto sarà sottoposta a perizia psichiatrica. Dal punto di vista investigativo posso dire che durante la denuncia è saltato fuori anche il riferimento al biglietto anonimo di un anno prima inerente a un problema giudiziario dell’ex compagno che poi era stato prosciolto. La Patti, dunque, ha tentato di sviare le indagini».

Perché il campo in cui era seppellito il corpo non è sotto sequestro? Se si fossero trovate tracce di sangue tali da poter dire che Elena è stata uccisa lì, sarebbe transennato.

«Sul sito sono stati effettuati tutti i rilievi necessari, per cui, di concerto con l’autorità giudiziaria, si è deciso così. Altro non posso dire».

Gli accertamenti proseguiranno in casa. È il luogo del delitto?

«Nei prossimi giorni saranno espletati degli accertamenti irripetibili per ricostruire cosa è accaduto».

Delle telecamere riprendono la casa. Dai video si vede se la Patti era da sola o c’era qualcuno con lei e se Elena era viva quando sono uscite?

«Abbiamo esaminato i video e si stanno effettuando accertamenti. Non posso dire altro».

È la gelosia il movente? Sia nei confronti dell’ex che del rapporto che Elena aveva con la nuova compagna del papà?

«È un aspetto più di natura psicologica. Le confermo che la bambina aveva trascorso dei momenti con la compagna del padre».

Quali sono i prossimi passaggi giudiziari?

«Oggi ci sarà l’autopsia e l’interrogatorio di garanzia per la convalida dell’arresto. Poi proseguiremo con gli accertamenti nella casa».

Quelle due ore di buco nell'omicidio di Elena Del Pozzo. Francesca Galici il 17 Giugno 2022 su Il Giornale.

Subito dopo l'omicidio di sua figlia, Martina Patti ha chiesto chiesto aiuto ai parenti: tra quelle chiamate potrebbe esserci quella al complice.

Gli inquirenti continuano a cercare il complice di Martina Patti, la donna che ha ucciso sua figlia di quasi 5 anni. È possibile, infatti, che sia stata aiutata da qualcuno per le operazioni di occultamento del corpo della bambina e, in quel caso, gli inquirenti potrebbero già arrivare a una svolta nelle prossime ore, grazie alle immagini di una telecamera di sicurezza puntata sull'abitazione della donna. Sembrano non esserci più dubbi per quanto riguarda il luogo del delitto, che non sarebbe il campo dove la Elena Del Pozzo è stata fatta trovare cadavere da sua madre ma la villetta in cui Martina Patti viveva con la bambina. E il complice potrebbe essere proprio tra le persone che la donna, tra le 14 e le 16, ha contattato freneticamente chiedendo aiuto. Sono due le ore di buco in questo terribile omicidio, che ora gli inquirenti devono ricostruire attraverso gli strumenti a loro disposizione.

"Non è pazza, è un mostro sadico". Lo sfogo del papà di Elena

Come riferisce il Messaggero, i tabulati restituiscono un'intensa attività della donna nel lasso di tempo compreso tra l'uccisione della bambina e la denuncia di Martina Patti per il finto rapimento di Elena. Numerose le richieste d'aiuto inviate ai parenti da parte della donna ed è tra quelle che ora si concentra la ricerca del possibile complice. La telecamera di sorveglianza dirà se qualcuno si è recato a casa di Martina Patti in quelle ore ma a dare supporto alle indagini ci saranno anche i rilievi che nelle prossime ore verranno condotti proprio in quell'abitazione dagli esperti dell'Arma. La casa è sotto sequestro e tutte le operazioni troveranno compimento sabato: si cercano tracce di sangue ma anche la possibile arma del delitto, finora introvabile e sulla quale Martina Patti ha dichiarato di non essere in grado di fornire indicazioni. Quando i carabinieri sono entrati per la prima volta in casa non hanno trovato tracce di sangue evidenti e nemmeno abiti sporchi e il sospetto è che la donna abbia anche avuto il tempo e la lucidità di pulire tutto.

Il padre della piccola si è sfogato con una lunga lettera inviata alla stampa: "Ho sentito parlare di pazzia e di gelosia morbosa, ma non ho sentito parlare di cattiveria e di sadismo. Come si può reputare un raptus quello che ha fatto Martina? Un omicidio premeditato e studiato in ogni particolare". L'uomo, distrutto dal dolore, ha aggiunto: "I momenti di pazzia sono susseguiti da momenti di lucidità. Momenti in cui non si è nemmeno pentita di aver ucciso la bambina. Bensì ha messo Elena dentro dei sacchi della spazzatura, l'ha sotterrata, si è ripulita e ha ripulito, ha inventato un sequestro creandosi un alibi e ha colpito la sua macchina per inscenare un aggressione! 24 ore di bugie. Quindi un omicidio in cui ci si crea pure un alibi e si occulta il corpo. Non può essere un raptus di pazzia".

In queste ore, intanto, è in corso l'esame autoptico sul corpo di Elena Del Pozzo, che potrà fornire ulteriori informazioni su come la madre l'abbia uccisa. Oggi è anche il giorno dell'interrogatorio di convalida per Martina Patti, che come ha già anticipato il suo avvocato potrebbe non rilasciare ulteriori dichiarazioni oltre a quelle già fornite al momento della confessione. La ricostruzione finora fatta dai carabinieri indica che la donna ha ucciso sua figlia in casa, per poi inserirla svestita all'interno di diversi sacchi neri in modo da trasportarla nel campo a 600 metri da casa dove poi l'ha fatta ritrovare. Si ipotizza anche che la donna possa aver tentato di sviare le indagini, in modo tale che il corpo della bambina fosse stato trovato dai carabinieri si sarebbe potuto pensare a un rampimento con fini sessuali. Resta da capire se abbia agito da sola o se qualcuno possa averla aiutata.

Elena Del Pozzo, "coltellate e cenere lavica": cos'ha fatto la mamma dopo avere ucciso sua figlia. Libero Quotidiano il 14 giugno 2022

Emergono nuovi agghiaccianti dettagli su Elena Del Pozzo, la bimba di 5 anni trovata morta nel Catanese. A ucciderla sarebbe stata la mamma Martina Patti, 23 anni, che ha confessato il terribile delitto dopo essere stata messa sotto torchio dagli inquirenti. "L'ho uccisa, ma non so perché", ha spiegato la donna. Per ora manca il movente, ma secondo la ricostruzione fornita dalla Patti la piccola sarebbe stata ammazzata a coltellate in casa a Mascalucia. La mamma avrebbe poi nascosto il corpo in un vicino terreno abbandonato, nella campagna circostante, coprendo il cadavere con terra e cenere lavica. 

Quindi il tentativo di depistaggio, la prima versione fornita nella giornata di lunedì che tanto sconcerto aveva sollevato: Elena, aveva spiegato la madre, era stata rapita da tre uomini incappucciati dopo essere tornata a casa dall'asilo. Sono bastate poche ore agli uomini della Procura di Catania per far emergere contraddizioni e lacune nel racconto della donna, letteralmente "crollata" davanti alle domande degli inquirenti. Gli esperti sono ora al lavoro sul corpo di Elena per capire come materialmente sia stata uccisa. 

Sconvolti i nonni paterni, che hanno ammesso la crisi coniugale tra Martina e il marito. I due si erano da poco separati. La nonna paterna, in particolare, ha accennato ad alcuni episodi di violenza della madre sulla bimba. E la sorella dell'uomo, Martina Vanessa Del Pozzo, parlando con i giornalisti accorsi sul luogo dov'è stata ritrovata la bimba ha apertamente accusato la Patti di aver cercato di "incastrare" il marito.

"Un anno fa mio fratello fu accusato ingiustamente di una rapina, ma fortunatamente fu scagionato completamente. Quando dal carcere passò ai domiciliari, sotto casa trovammo un biglietto di minacce con scritto: 'Non fare lo sbirro, attento a quello che fai'. Mio fratello non sa nulla di nulla. A quel biglietto la madre della bimba ha fatto riferimento dicendo che avevano rapito Elena".

Bimba uccisa a Catania, minacce social al legale della madre. Il Dubbio il 15 giugno 2022.  

Insulti e commenti violente contro il legale di Martina Patti, accusata dell'omicidio della figlia. Il Coa di Catania: «Inaccettabile, la difesa è un diritto».

Ancora minacce nei confronti di un avvocato. Questa volta commenti violenti e minacce sui social sono stati rivolti a Gabriele Celesti, che assiste Martina Patti, 23 anni, la donna accusata di omicidio premeditato pluriaggravato e occultamento di cadavere della figlia Elena di cinque anni. Ne dà notizia il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Catania.

Tanti i commenti offensivi nei confronti del professionista a corredo delle decine di articoli pubblicati in rete: «Avvocaticchio, sei uno stronzo», scrive un utente social, «nell’acido lui e la madre», aggiunge un altro, «sei più colpevole della madre (se così si può chiamare) anzi sei complice di un’assassina», scrive ancora un altro commentatore. «Il ruolo del penalista non è quello di difendere il reato, ma quello di tutelare, sempre, un principio sancito dalla nostra Costituzione – si legge in una nota del Coa, che è intervenuto così in risposta agli attacchi nei confronti del penalista -. L’Avvocato, infatti, costituisce un baluardo fondamentale delle libertà e dei diritti dei cittadini, perché tutti, ma proprio tutti – piaccia o non piaccia ad alcuni – hanno il diritto di essere difesi e di ricevere un giusto processo. E per difesa, ovviamente, non deve intendersi la difesa dell’azione criminale ma quella tecnica».

«Il Coa evidenzia come ogni Avvocato senta il peso delle responsabilità che derivano dall’assunzione di un incarico difensivo, ma ha la consapevolezza di svolgere una funzione essenziale ed irrinunciabile per qualsiasi stato di diritto. Il Coa, infine, sottolinea come, purtroppo, nell’opinione pubblica si assista sempre più frequentemente all’errata equiparazione dell’Avvocato con il proprio assistito, e ciò è, evidentemente, frutto della errata percezione del ruolo e della funzione del Difensore, che opera a tutela e garanzia del proprio assistito e dell’intero sistema giustizia. Per questa ragione – conclude la nota – l’Ordine degli Avvocati di Catania è a fianco del Collega oggetto di inaccettabili minacce e aggressioni verbali».

Dal finto rapimento all'omicidio che non è chiaro dove sia avvenuto. Elena uccisa per gelosia, il piano diabolico di Martina Patti: “Temeva si affezionasse alla nuova compagna dell’ex”. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 14 Giugno 2022. 

Aveva pianificato tutto Martina Patti, la 23enne accusata dell’omicidio della figlioletta di 5 anni, Elena Del Pozzo, avvenuto nel primo pomeriggio di lunedì 13 giugno a Mascalucia, in provincia di Catania. Dal finto sequestro alle fantomatiche minacce rivolte dal commando e relative a vecchie vicende giudiziarie dell’ex convivente, Alessandro Del Pozzo, 24 anni. La giovane mamma ha confessato di aver ucciso la bambina, colpita con diverse coltellate al collo, all’orecchio e alla parte superiore della schiena prima di sotterrarla parzialmente in un terreno distante circa 600 metri dalla sua abitazione, all’interno di ben cinque sacchi di plastica.

Ha confessato di aver ucciso la piccola Elena senza però spiegare il movente. Il coltello non è stato ancora ritrovato così come non è ancora chiaro dove è avvenuto l’omicidio: se all’interno dell’abitazione (anche se la Scientifica non ha rinvenuto tracce di sangue, forse ripulite dalla donna) o nelle immediate vicinanze. Un omicidio raccapricciante, orribile dettato – secondo una parziale ricostruzione degli investigatori non confermata dalla donna – dalla gelosia che provava nei confronti dell’ex compagno e della sua nuova fidanzata. Martina temeva che la piccola Elena si legasse sempre di più alla nuova ‘donna‘ del genitore, così avrebbe attuato il piano diabolico procurandosi dalla mattina di lunedì 13 giugno pala e zappa, già posizionate nel giardino di casa, e organizzando la messa in scena del rapimento che non ha convinto, sin dalle prime battute, i carabinieri e la procura di Catania.

Troppe le incongruenze nel racconto fornito, in sede di denuncia, dalla donna. Dal tragitto fatto dopo essere andata a prendere la figlia a scuola, intorno alle 13, alle parole attribuite ai fantomatici rapitori e riconducibili a una lettera anonima inviata all’ex convivente nel marzo del 2021, quando si trovava agli arresti domiciliari dopo alcuni mesi di carcere perché accusato di rapina (accusa poi caduta nell’autunno del 2021). L’attività degli investigatori ha potuto ricostruire nel dettaglio il percorso fatto dalla donna con le telecamere di videosorveglianza che hanno cristallizzato l’inesistenza del commando armato che avrebbe sequestrato la piccola Elena.

Martina infatti dopo aver prelevato alle 13 la figlia a scuola (nel video diffuso dai carabinieri si vede la piccola abbracciare la donna e poi salutare amici, amiche e maestre), ha raccontato di essere intercettata lungo la strada da un’auto con persone a bordo armate ma dalle telecamere è la sola auto della donna a transitare in quella fascia oraria. Dopo il finto-rapimento, la donna non si è recata subito dai carabinieri a denunciare l’accaduto ma è passata a salutare prima un amico per gli auguri dell’onomastico (ieri era san Antonio) poi alle 15 ha chiamato l’ex compagno e poi i suoi genitori per comunicare la scomparsa della bambina. Successivamente si è presentata dai carabinieri della Tenenza di Mascalucia dove, in lacrime, ha iniziato a raccontare quanto pianificato in precedenza.

Nel corso della conferenza stampa, i carabinieri del Comando Provinciale di Catania hanno riferito che domenica, la sera prima dell’omicidio, Elena ha dormito a casa del padre e dei nonni paterni. In quella circostanza – stando alle testimonianze raccolte nel corso di indagini serrate e concluse in circa 18 ore – la piccola si sarebbe trovata molto bene con la nuova compagna del genitore, circostanza che avrebbe ancora di più alimentato la gelosia di Martina Patti. Ieri mattina ad accompagnare la bimba a scuola è stata la sorella del papà. Poi alle 13 l’inizio della fine, con Elena che saluta tutti, abbraccia la madre e va incontro a una morte violenta e assurda, determinata da chi l’ha messa al mondo. 

Patti è destinataria di un decreto di fermo di indiziato di delitto nei confronti perché ritenuta responsabile di omicidio premeditato pluriaggravato della figlia, nonché della soppressione del cadavere sotterrandolo. Le indagini hanno consentito di ricostruire, seppur in una fase procedimentale caratterizzata dall’assenza del contraddittorio, i reali accadimenti e di definire la responsabilità personale a seguito della denuncia presentata dalla stessa madre della piccola, quando, suscitando un gravissimo allarme sociale, veniva segnalato il sequestro della predetta Elena ad opera d un non meglio indicato gruppo di uomini incappucciati che, verso le 15, dopo aver bloccato l’autovettura condotta dalla madre lungo la via Piave e minacciatala mediante una pistola o una mazza, l’avrebbero rapita, preannunciandone la morte.

Nella circostanza, secondo quanto riferito dalla donna, l’episodio sarebbe una conseguenza del comportamento dell’ex compagno per non aver ascoltato precedenti messaggi minatori fattigli recapitare presso la propria abitazione in ragione del tentativo posto in essere di individuare il reale complice di una rapina ai danni di una gioielleria di Catania al posto del quale venne arrestato il 15 ottobre 2020 e successivamente assolto nel settembre 2021 per non aver commesso il fatto.

Le prime risultanze investigative, anche grazie alla tempestiva acquisizione di idonee telecamere di videosorveglianza, hanno consentito di accertare la mancata corrispondenza al vero del fatto denunciato, attesa l’assenza di gruppi “armati” in via Piave nelle fasce orarie indicate e nonostante una strenua difesa ad oltranza della propria versione da parte della Patti.

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

Bimba morta: padre, Martina un mostro, non meritava Elena. (ANSA il 17 giugno 2022) -  "Sono distrutto mi sento un vuoto dentro incolmabile ho sempre promesso a mia figlia che l'avrei tenuta al sicuro come ogni buon padre farebbe, avrei dato la vita al posto suo, l'ho chiesto a Dio, ma non accetta sostituzioni! 

Non potevo mai e, dico mai, pensare che l'avrei dovuta proteggere proprio da sua madre. Tutti parlano dell'amore della mamma, ma nessuno parla mai dei sacrifici che fa un papà... Martina è un mostro non meritava una figlia come Elena speciale e unica in tutto! Elena vive! Ogni giorno! Dentro il mio cuore...". Lo afferma il padre di Elena, Alessandro Del Pozzo, in una dichiarazione affidata alla sorella Vanessa. 

Bimba morta: padre, omicidio premeditato e 24 ore di bugie. (ANSA il 17 giugno 2022) -  "Ho sentito parlare di pazzia e di gelosia morbosa ma non ho sentito parlare di cattiveria e di sadismo. Come si può reputare un raptus quello che ha fatto Martina?! Un omicidio premeditato e studiato in ogni particolare! I momenti di pazzia sono susseguiti da momenti di lucidità! 

Non si è nemmeno pentita di aver ucciso la bambina! Bensì ha messo Elena dentro dei sacchi della spazzatura, l'ha sotterrata, si è ripulita e ha ripulito, ha inventato un sequestro creandosi un alibi e ha colpito la sua macchina per inscenare un’aggressione! 24 ore di bugie". Lo afferma il padre di Elena, Alessandro Del Pozzo, in una dichiarazione.

"Un omicidio - ripete il padre di Elena - in cui ci si crea pure un alibi e si occulta il corpo non può essere un raptus di pazzia! Ho sentito parlare l'avvocato di Martina il quale può solo fare questo… parlare e sprecare fiato perché davanti alla realtà non ci sono parole che possano cambiarla!". 

Alessandro Del Pozzo ha rilasciato una dichiarazione affidandola alla sorella e premettendo di "non avere alcuna intenzione di rilasciare un intervista perché sono troppo addolorato da ciò che è successo, ma lo reputo giusto nei confronti di mia figlia". "Amo mia figlia - scrive il padre della bambina - più di ogni altra cosa al mondo. Era uguale a me in tutto e per tutto! Me l'ha uccisa!

Me l'ha portata via… non perché non volesse che legasse con la mia compagna, ma perché voleva mettermela contro… le parlava male di me ogni giorno ed Elena me lo veniva a raccontare!! Non ci sarebbe potuta riuscire perché io ed Elena siamo una cosa sola e lei la odiava per questo!!! Ha tentato tanto di parlare male di me fino al giorno che ha capito che non ci sarebbe riuscita e ha studiato come ammazzarla!!! Distruggendo la sua innocente vita…" 

Secondo Del Pozzo, la donna "ha preso Elena dall'asilo un'ora prima perché già era preparata mentalmente! E questa è una chiara prova di una mente sana in grado di organizzarsi!!! Un suicidio sarebbe stato più plausibile! Elena aveva tutta la vita davanti e tanti traguardi da raggiungere!"

"Non è pazza, è un mostro sadico". Lo sfogo del papà di Elena. Francesca Galici il 16 Giugno 2022 su Il Giornale.

Alessandro, padre della piccola Elena Del Pozzo, ha affidato a uno scritto le sue prime parole dopo l'uccisione della figlia per mano di sua madre.

Nei primi momenti, quando sembrava che la bambina fosse stata rapita da uomini armati e incappucciati, qualcuno aveva iniziato a guardare nella sua direzione. Ma Alessandro Del Pozzo, padre di Elena, in quei momenti viveva le sue ore peggiori. Solo dopo molte ore si è scoperta la verità, ossia che la piccola era stata uccisa da sua madre e che il rapimento altro non era che una macabra e terribile messa in scena per sviare le indagini e recuperare tempo.

Oggi, a distanza di giorni dal ritrovamento del cadavere della bambina in un campo incolto di Mascalucia, Alessandro Del Pozzo ha deciso di parlare per la prima volta, affidando il suo sfogo alla sorella Vanessa. "Sono distrutto mi sento un vuoto dentro incolmabile ho sempre promesso a mia figlia che l'avrei tenuta al sicuro come ogni buon padre farebbe, avrei dato la vita al posto suo, l'ho chiesto a Dio, ma non accetta sostituzioni! Non potevo mai e, dico mai, pensare che l'avrei dovuta proteggere proprio da sua madre", dichiara Alessandro, forse ancora troppo giovane per essere definito un uomo, che con Martina Patti aveva provato (senza riuscire) a costruire una famiglia.

"Follia disumana". Il dolore del paese di Elena Dal Pozzo

Sono parole disperate quelle di Alessandro Del Pozzo, che aveva deciso di tornare nel paese del catanese dopo un'esperienza lavorativa in Germania, dove si era trasferito dopo la separazione con la madre di Elena. "Tutti parlano dell'amore della mamma, ma nessuno parla mai dei sacrifici che fa un papà... Martina è un mostro non meritava una figlia come Elena speciale e unica in tutto! Elena vive! Ogni giorno! Dentro il mio cuore...", dice ancora il padre della piccola uccisa dalla madre, lasciando trapelare un dolore incolmabile, che niente potrà mai sanare. La bambina aveva dormito a casa sua la notte prima di quel terribile giorno in cui Martina Patti ha deciso di porre fine alla sua vita. Come sempre, aveva giocato con lui e con la sua nuova compagna e questo, per la madre, sembra non fosse tollerabile.

La donna dice di essere stata preda di un raptus, di essere stata dominata da una "forza sovrannaturale" e di non ricordarsi niente di quei momenti. Ma la ricostruzione delle forze dell'ordine racconta un'altra verità, tanto che il pm ora la accusa, tra le altre cose, di omicidio premeditato. "Un omicidio in cui ci si crea pure un alibi e si occulta il corpo non può essere un raptus di pazzia! Ho sentito parlare l'avvocato di Martina il quale può solo fare questo… Parlare e sprecare fiato perché davanti alla realtà non ci sono parole che possano cambiarla", accusa Alessandro, che non crede alla ricostruzione dell'ex moglie.

Dalle parole dell'uomo emerge un retroscena di gelosie già ipotizzato dagli inquirenti: "Amo mia figlia più di ogni altra cosa al mondo. Era uguale a me in tutto e per tutto! Me l'ha uccisa! Me l'ha portata via… Non perché non volesse che legasse con la mia compagna, ma perché voleva mettermela contro… Le parlava male di me ogni giorno ed Elena me lo veniva a raccontare!! Non ci sarebbe potuta riuscire perché io ed Elena siamo una cosa sola e lei la odiava per questo". E poi, Alessandro aggiunge: "Ha tentato tanto di parlare male di me fino al giorno che ha capito che non ci sarebbe riuscita e ha studiato come ammazzarla!!! Distruggendo la sua innocente vita…".

L'uomo sottolinea: "Ho sentito parlare di pazzia e di gelosia morbosa ma non ho sentito parlare di cattiveria e di sadismo. Come si può reputare un raptus quello che ha fatto Martina?! Un omicidio premeditato e studiato in ogni particolare! I momenti di pazzia sono susseguiti da momenti di lucidità! Non si è nemmeno pentita di aver ucciso la bambina! Bensì ha messo Elena dentro dei sacchi della spazzatura, l'ha sotterrata, si è ripulita e ha ripulito, ha inventato un sequestro creandosi un alibi e ha colpito la sua macchina per inscenare un aggressione! 24 ore di bugie".

Il papà della bimba, nel suo scritto, ricostruisce anche ciò che potrebbe essere accaduto in quel momento: "Ha preso Elena dall'asilo un'ora prima perché già era preparata mentalmente! E questa è una chiara prova di una mente sana in grado di organizzarsi!!! Un suicidio sarebbe stato più plausibile! Elena aveva tutta la vita davanti e tanti traguardi da raggiungere". 

Il silenzio rotto dal pianto del marito. Ultimo saluto a Filomena, uccisa a coltellate dal figlio: “È morta per troppo amore”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 18 Giugno 2022. 

“Che cosa mi doveva capitare”, ha detto tra le lacrime il marito di Filomena Galeone, 61 anni, psichiatra e dirigente medico in servizio all’Asl di piazza Nazionale, uccisa a coltellate mercoledì scorso nella sua abitazione al centro di Napoli dal figlio 17enne. I funerali si sono svolti in un clima di grande commozione nel suo paese di origine, a Santa Maria la Fossa (Caserta).

Tanta la commozione e lo sgomento nella chiesa di Maria Santissima Assunta in Cielo. “Non ci sono addii per noi. Ovunque tu sia, sarai sempre nei nostri cuori” scrivono su un manifesto le sue ex compagne di scuola. In fila, in religioso silenzio, in tanti hanno rivolto le condoglianze al vedovo ancora incredulo per l’accaduto e colto a ripetere più volte la frase: “Cosa mi doveva capitare”.

Nel corso dell’omelia, come riportato dall’Ansa, don Pasquale Buonpane, amico d’infanzia della donna, ha ricordato commosso la dottoressa, sottolineandone la disponibilità, l’attenzione verso gli altri, e il grande amore verso la famiglia e il figlio: “È morta per troppo amore. Ha amato fino al sacrificio supremo” le parole dell’omelia. All’uscita un lungo applauso ha salutato il passaggio del feretro.

Il figlio 17enne ha confessato l’omicidio. “Le volevo bene, non avevo intenzione di ucciderla”, ha detto in Questura al pm minorile. È stato fermato con l’accusa di omicidio aggravato dalla crudeltà e dal legame di convivenza. Il padre ha fatto sapere tramite i suoi avvocati: “Dite a mio figlio che gli voglio bene, non lo lascerò solo”.

Galeone era psichiatra e dirigente medico in servizio all’Asl di piazza Nazionale. Il marito è anche lui medico, neurologo in un grande ospedale del capoluogo campano. Avevano adottato il figlio appena promosso all’ultimo anno di Liceo Scientifico. L’omicidio sarebbe scaturito, mercoledì sera, da una lite per i 100 euro che il figlio aveva speso per un acquisto alla Playstation 4. La madre lo aveva rimproverato.

Dopo essere andato nella sua stanza, il minorenne sarebbe uscito e avrebbe impugnato un coltello da cucina e colpito la donna ripetutamente. Forse provocato dal fatto che la donna avesse parlato di quella spesa e quella lite a telefono con qualcuno. Almeno trenta fendenti. Nessuno scampo per la 61enne. Il minorenne è uscito più volte sul balcone piangendo e gridando. Avrebbe prima parlato di un tentativo di suicidio, di essere stato aggredito. Si sarebbe chiuso in casa e avrebbe urlato: “Non volevo farlo, adesso finirò a Nisida”. Per entrare i vigili del fuoco hanno dovuto forzare la porta.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

MICHELA ALLEGRI per il Messaggero il 19 giugno 2022.

L'INCHIESTA ROMA Ha infierito su quel corpicino con più di undici coltellate, violentissime. Ma la piccola Elena Del Pozzo non è morta sul colpo: quando la madre Martina Patti cercava di spingere il corpo della piccola dentro alla buca che aveva appena scavato nel campo abbandonato dietro casa, probabilmente, la bambina era ancora viva, avvolta in cinque sacchi neri. Emerge dall'autopsia effettuata ieri nell'ospedale Cannizzaro dal medico legale Giuseppe Ragazzi, nominato dalla Procura di Catania. 

L'ORDINANZA Intanto il gip ha convalidato il fermo della Patti e ha disposto la misura cautelare in carcere. Le accuse sono omicidio premeditato e pluriaggravato, e occultamento di cadavere. Il delitto è stato studiato nei dettagli: la donna, 23 anni, era andata a prendere la piccola all'asilo alle 13, con un'ora di anticipo, poi l'aveva portata a casa - una villetta in via Euclide, a Mascalucia - e l'avrebbe convinta a uscire di nuovo, dicendole che sarebbero andate in un campo a giocare.

Invece, in auto aveva caricato una pala, una zappa, un coltello da cucina e cinque sacchi neri, della spazzatura. Elena sarebbe stata infilata in una delle buste e poi accoltellata. Con violenza, con crudeltà, sottolineano gli inquirenti. «Quella donna ha agito con lucida freddezza - ha detto il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro - I colpi sono stati inferti con un'arma compatibile con un coltello da cucina. E sono più di undici. Uno solo è stato letale, perché ha reciso i vasi dell'arteria succlavia, ma la morte non è stata immediata. Il decesso è intervenuto dopo più di un'ora dal pasto che la bimba aveva consumato a scuola intorno alle 13».

Ora, quindi, è possibile ricostruire con esattezza l'ora del delitto: le 14. La speranza degli inquirenti è che la piccola fosse stata sedata prima della mattanza. Un dato che verrà chiarito dagli esami tossicologici disposti dalla Procura. 

IL SOPRALLUOGO Ieri i carabinieri del Ris hanno effettuato nuovi rilievi nella villetta di via Euclide e anche nell'area circostante, fondamentali per stabilire se effettivamente la piccola sia stata uccisa nel campo. Gli inquirenti avevano infatti ipotizzato che la piccola potesse essere colpita a morte dentro casa e che qualcuno potesse avere aiutato la madre a trasportare fuori il cadavere. Il sopralluogo è servito anche per cercare l'arma del delitto. Ma non è l'unico punto oscuro della vicenda: nemmeno il movente è chiaro. Per il momento si sospetta una vendetta nei confronti dell'ex compagno, che aveva presentato alla piccola la nuova fidanzata.

«L'ho uccisa nel campo, ma non ricordo i particolari», aveva detto la Patti lunedì notte, crollando davanti agli inquirenti dopo avere mentito per un'intera giornata. Alle 15, infatti, si era presentata dai carabinieri della Tenenza di Mascalucia dicendo di essere stata aggredita da uomini armati che avevano rapito la piccola. 

«Tornata da scuola, Elena ha voluto mangiare un budino, aveva già pranzato all'asilo, poi ha guardato i cartoni animati dal mio cellulare. Io intanto stiravo, in serata dovevamo andare da un amico di famiglia per festeggiare l'onomastico insieme ai miei genitori e la bambina era contenta», aveva detto Martina, con estrema calma. Troppa, secondo chi indaga. «Io ed Elena siamo uscite per andare a casa di mia madre, ma poi ho rimosso tutto, ricordo solo che siamo scese per le scale null'altro».

GLI INSULTI Le notizie sulla Patti, dopo la confessione e il ritrovamento della piccola, sono diventate virali sui social. Ieri centinaia di persone hanno insultato e minacciato via web un'omonima della donna: una ragazza di Catania che lavora in un panificio e non conosce nemmeno la ventitreenne di Mascalucia. «Non sono io la mamma della bambina trovata morta», ha scritto su Facebook. Poi, ha denunciato le minacce alla Polizia Postale. Sui suoi profili Fb e Instagram si leggono frasi durissime: «Marcisci in carcere e rifletti su cosa hai fatto», «Sei una m... di donna. Hai ucciso tua figlia, il sangue del tuo sangue», «Ti sei rovinata l'esistenza. Tua figlia ti maledirà, come i tuoi genitori e i tuoi suoceri».

Il 22 giugno i funerali della piccola nella Cattedrale di Catania. Elena Del Pozzo, la mamma le disse: “andiamo a giocare in un campo”, poi l’ha sepolta ancora viva. Elena Del Mastro su Il Riformista il 19 Giugno 2022. 

Quanto è già emerso dall’autopsia mostra un quadro agghiacciante. Martina Patti ha ucciso la sua bambina con 11 coltellate a Mascalucia. Ma la piccola non è morta sul colpo. Quando la madre ha cercato di far sparire il corpicino nella buca appena scavata probabilmente, la bambina era ancora viva, avvolta in cinque sacchi neri. Emerge dall’autopsia effettuata ieri nell’ospedale Cannizzaro dal medico legale Giuseppe Ragazzi, nominato dalla Procura di Catania.

Intanto il gip ha convalidato il fermo della Patti e ha disposto la misura cautelare in carcere. Le accuse sono omicidio premeditato e pluriaggravato, e occultamento di cadavere. Si terrà mercoledì 22 giugno, alle 17, presso la cattedrale di Catania, il funerale di Elena. La funzione sarà celebrata dal vescovo di Catania, monsignor Luigi Renna. “A Mascalucia avevamo predisposto tutto per l’organizzazione dei funerali della bambina – spiega Vincenzo Magra, il sindaco di Mascalucia – per esigenze dettate dai familiari della bambina però la funzione si terrà a Catania. Noi saremo comunque presenti, la polizia di Mascalucia in suo onore terrà un picchetto”. La piccola Elena poi, secondo quanto apprende LaPresse, verrà seppellita a Catania.

Il delitto è stato studiato nei dettagli: la donna, 23 anni, era andata a prendere la piccola all’asilo alle 13, con un’ora di anticipo, poi l’aveva portata a casa – una villetta in via Euclide, a Mascalucia – e l’avrebbe convinta a uscire di nuovo, dicendole che sarebbero andate in un campo a giocare. Invece, in auto aveva caricato una pala, una zappa, un coltello da cucina e cinque sacchi neri, della spazzatura. Elena sarebbe stata infilata in una delle buste e poi accoltellata. Con violenza, con crudeltà, sottolineano gli inquirenti.

“Quella donna ha agito con lucida freddezza – ha detto il procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro – I colpi sono stati inferti con un’arma compatibile con un coltello da cucina. E sono più di undici. Uno solo è stato letale, perché ha reciso i vasi dell’arteria succlavia, ma la morte non è stata immediata. Il decesso è intervenuto dopo più di un’ora dal pasto che la bimba aveva consumato a scuola intorno alle 13”. Ora, quindi, è possibile ricostruire con esattezza l’ora del delitto: le 14. La speranza degli inquirenti è che la piccola fosse stata sedata prima della mattanza.

Secondo quanto riportato dal Mattino, ieri i carabinieri del Ris hanno effettuato nuovi rilievi nella villetta di via Euclide e anche nell’area circostante, fondamentali per stabilire se effettivamente la piccola sia stata uccisa nel campo. Gli inquirenti avevano infatti ipotizzato che la piccola potesse essere colpita a morte dentro casa e che qualcuno potesse avere aiutato la madre a trasportare fuori il cadavere. Il sopralluogo è servito anche per cercare l’arma del delitto. Ma non è l’unico punto oscuro della vicenda: nemmeno il movente è chiaro. Per il momento si sospetta una vendetta nei confronti dell’ex compagno, che aveva presentato alla piccola la nuova fidanzata. “L’ho uccisa nel campo, ma non ricordo i particolari”, aveva detto la Patti lunedì notte, crollando davanti agli inquirenti dopo avere mentito per un’intera giornata dicendo che la piccola era stata rapita da uomini incappucciati.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

La mamma di Elena Del Pozzo, Martina Patti, al gip: «Mentre colpivo mia figlia mi sono girata, perché non volevo guardare». Alfio Sciacca, inviato a Catania, su Il Corriere della Sera il 21 Giugno 2022.

I particolari dell’ordinanza con la quale è stato convalidato il fermo della donna. «Per la piccola è stata una lenta agonia, dalla madre nessun segno di pentimento». 

Nella selva di «non ricordo» si scuote solo quando le chiedono di raccontare il momento esatto in cui ha colpito la figlia. «Non ricordo», dice. Ma subito sente il bisogno di spiegare: «Perché ero girata e non volevo guardare». È una delle tante istantanee della tragedia della piccola Elena che emergono dall’ordinanza di convalida del fermo di Martina Patti. Il gip Daniela Monaco Crea prova a immaginare anche lo strazio della vittima. «Patti ha inferto più colpi d’arma da punta e taglio alla figlia, che è stata vittima di una morte violenta . Particolarmente cruenta e probabilmente lenta, alla quale è anche verosimile ritenere che abbia, pur solo istintivamente, tentato di opporsi e sfuggire... tutto induce a dedurre che la madre volesse uccidere e che il suo sia stato un gesto premeditato».

Dopo la ricostruzione dei fatti e la confessione (che ricalca quella fatta ai carabinieri) la gip è durissima. «Perché uccidere un figlio in tenera età e, quindi indifeso, oltre a integrare un gravissimo delitto, è un comportamento innaturale, ripugnante, eticamente immorale, riprovevole e disprezzabile, per nulla accettabile in alcun contesto... indice di un istinto criminale spiccato e di elevato grado di pericolosità». Martina inoltre non ha manifestato segni di pentimento: «...ha inscenato il rapimento con estrema lucidità e non ha manifestato segni di ravvedimento e pentimento. Tutti elementi che denotano una particolare spregiudicatezza, insensibilità, assoluta mancanza di resipiscenza». La definisce «lucida e calcolatrice» che, se non arrestata, «potrebbe darsi alla fuga».

Leggendo l’ordinanza sembra quasi di vederla Martina quel 13 giugno. Dopo una mattina a studiare in vista dell’esame alla facoltà di Scienze Infermieristiche indossa «un corpetto e la gonna bianca e azzurra». All’una va a prendere la figlia all’asilo, la porta a casa, le consente di mangiare un budino al cioccolato e di guardare i cartoni sul suo cellulare. All’improvviso il cambio scena. La fa salire in auto e porta con sé un coltello, la pala, una zappa e cinque sacchi della spazzatura. Quindi si ferma a 600 metri da casa per compiere l’inimmaginabile. Non riferibili i dettagli sulle condizioni del cadavere.

Sotto un sole a picco Martina ora ha la gonna bianca e azzurra impastata di terra nera dell’Etna e del sangue della figlia. Torna a casa, fa una doccia, si cambia i vestiti e comincia la messinscena del rapimento. Alle 16 racconta ai carabinieri degli uomini armati e incappucciati che le avevano gridato: «A te non facciamo niente, ma la bambina la ammazziamo». La vecchia storia delle minacce all’ex rendono credibile il suo racconto e l’alibi perfetto. Poi aggiunge che in passato lui l’aveva anche picchiata. E in effetti per qualche ora quei sospetti fanno breccia. Fino a quando il castello di bugie crolla.

Ci sono anche i dettagli delle ripicche con l’ex compagno per le foto sui social. «Lui ne ha messo una con la nuova ragazza e Elena mi ha detto che quando era con lui c’era anche lei... non provo fastidio, anzi meglio, così mi lascia stare in pace...». Conferma l’ex, ma in chiave opposta. «Giorni fa Martina mi ha detto che Elena era arrabbiata con me perché la mamma le aveva fatto vedere una mia foto insieme alla mia compagna. Forse ho sbagliato, ma pure io ho fatto vedere a Elena le foto di sua madre con il suo compagno... credo che Martina provi ancora qualcosa per me». E racconta che la sera prima del delitto Elena aveva dormito con lui e con la nuova compagna. Insomma la bambina era diventa un’arma impropria per ripicche reciproche. L’ordinanza svela infine che la mattina della confessione, il primo cedimento Martina ce l’ha con il padre, il quale aveva intuito qualcosa. «Dimmi la verità», le chiede il genitore. E lei: «Papà poi va a finire che non mi volete più bene!». E aggiunge: «La bambina non c’è più».

Da ansa.it il 22 giugno 2022.

"Tutti noi, come giudici, siamo pronti a lapidare sempre qualcuno che ha sbagliato. Ho letto su un muro della città una frase che chiedeva riposo eterno per Elena e tormento eterno per la sua mamma. Non credo che la piccola Elena sarebbe d'accordo con quelle parole, come ogni bambino".

Sono le parole pronunciate dall'arcivescovo di Catania, monsignor Luigi Renna, a chiusura dell'omelia pronunciata nella cattedrale etnea per l'ultimo saluto a Elena del Pozzo, la bambina di 5 anni uccisa lo scorso 13 giugno a Mascalucia dalla mamma ventitrenne Martina Patti.

Davanti l'altare sulla bara bianca c'è una foto di Elena. Il nonno materno della bimba ha portato un palloncino con un personaggio dei cartoni animati. Prima della Funzione Renna ha abbracciato i familiari di Elena e il padre Alessandro Del Pozzo in chiesa con la nuova compagna. 

L'arcivescovo, che ha aperto l'omelia con un brano del Vangelo secondo Marco, ha esortato i genitori a "non insegnare la violenza delle parole ai figli, né sui social, né sui nostri muri già abbastanza sporchi. Perché un bambino non è capace di concepire vendette, sedie elettriche, patiboli mediatici e, se impara queste cose, le impara da noi".

Citando le parole di un pedagogista polacco, Janusz Korczak, morto nel campo di concentramento di Treblinka con i bambini orfani che aveva raccolto nel ghetto di Varsavia, monsignor Renna ha invitato gli adulti ad alzarsi "sulle punte dei piedi, per stare all'altezza dei bambini. Quando non mettiamo al centro i piccoli, perdiamo il metro per giudicare ciò che è importante. 

Ed ecco bambini contesi, barattati nella loro dignità e nei loro diritti, resi ostaggio dalla nostra incapacità d'amare. Basta con queste violenze. I figli sono 'pezzi di cuore', come si dice popolarmente. Ferire un bambino è la cosa più terribile che possa accadere a una mamma, a un papà, a un adulto.

Cari adulti tenete fuori i bimbi dai vostri conflitti. Ci sono altre strade da percorrere, molto più sicure per la gioia di tutti, per vedere ritornare il sorriso sul volto dei piccoli: il dialogo, il perdono, l'umiltà di chi vuol riparare, saper uscire in punta di piedi dalla vita dell'altro, con rispetto e con la mitezza". 

"Al tuo arrivo ti accolga la santa martire Agata, e tutti gli angeli, angelo tra gli angeli" ha detto Renna al termine della funzione religiosa. "Piccola Elena, veglia su di noi adulti, perché nessuno ferisca più alcun bambino, perché non dimentichiamo che il dono più bello che riceviamo da Dio, è quello dei piccoli: 'Ecco, dono del Signore sono i figli, sua grazia il frutto del grembo'" ha detto il vescovo citando il salmo 127.

"E se un domani ci dovessero essere altre vittime come la nostra piccola Elena, sarà perché qualcuno avrà seminato nel campo di Dio la gramigna dell' odio, della vendetta, della rabbia, della irrazionalità. Sforziamoci di seminare ciò che Cristo e ogni uomo animato da buona volontà spargono con abbondanza: misericordia, pietà, giustizia, dialogo, prevenzione di ogni forma violenza. 

Solo così non ci saranno più funerali com'è questo. Che la Vergine Santa e Sant'Agata prendano per mano la piccola Elena e preghino per tutti noi adulti, perché sappiamo "allungarci, alzarci sulle punte dei piedi, per stare all'altezza dei bambini" ha detto Renna. 

Fuori dalla cattedrale di Catania, la gente ha gridato il nome della vittima e anche "Vergogna, vergogna".

L'ultimo saluto alla bimba uccisa da chi l'ha messa la mondo. L’addio alla piccola Elena, l’arcivescovo: “Sbagliato lapidare la mamma, i bimbi non concepiscono vendette”. Redazione su Il Riformista il 22 Giugno 2022. 

“Ho letto su un muro della città una frase che chiedeva riposo eterno per Elena e tormento eterno per la sua mamma. Tutti noi, come giudici, siamo pronti a lapidare sempre qualcuno che ha sbagliato. Non credo che la piccola sarebbe d’accordo con quelle parole, come ogni bambino”. E’ l’omelia dell’arcivescovo di Catania, monsignor Luigi Renna, nel corso dei funerali nella cattedrale etnea di Elena Del Pozzo, la bimba di 5 anni uccisa lo scorso 13 giungo a Mascalucia dalla madre Martina Patti, 23 anni, che ha poi tentato di coprire il brutale omicidio, avvenuto in un terreno vicino casa, con la messinscena di un sequestro.

Cattedrale gremita per l’ultimo saluto alla bambina la cui storia ha sconvolto l’Italia intera. Un lungo applauso ha accolto l’ingresso della bara bianca in chiesa dove davanti all’altare è stata posizionata una foto di Elena. Presenti ai funerali, iniziati alle 17, anche i genitori della mamma 23enne, oggi in carcere con l’accusa di omicidio premeditato e pluriaggravato e occultamento di cadavere. Il nonno materno della bimba ha portato un palloncino con un personaggio dei cartoni animati. Prima della funzione Renna ha abbracciato i familiari di Elena e il padre Alessandro del Pozzo in chiesa con la nuova compagna.

Nel corso della sua omelia, monsignor Renna ha esortato i genitori a “non insegnare la violenza delle parole ai figli, né sui social, né sui nostri muri già abbastanza sporchi. Perché un bambino non è capace di concepire vendette, sedie elettriche, patiboli mediatici e, se impara queste cose, le impara da noi. I bambini sono “puri di cuore”, dice Gesù Cristo e non sanno imbracciare né armi, né impugnare pietre”.

Poi incalza: “E se un domani ci dovessero essere altre vittime come la nostra piccola Elena, sarà perché qualcuno avrà seminato nel campo di Dio la gramigna dell’odio, della vendetta, della rabbia, della irrazionalità. Sforziamoci di seminare ciò che Cristo e ogni uomo animato da buona volontà spargono con abbondanza: misericordia, pietà, giustizia, dialogo, prevenzione di ogni forma violenza. Solo così non ci saranno più funerali com’è questo. Che la Vergine Santa e Sant’Agata prendano per mano la piccola Elena e pregano per tutti noi adulti, perché sappiamo allungarci, alzarci sulle punte dei piedi, per stare all’altezza dei bambini”.

All’esterno della cattedrale, la folla di persone presenti ha urlato più volte il nome di Elena oltre alle parole “vergogna, vergogna” per l’orrore accaduto.

Le immagini inchiodano Martina Patti: così è stata uccisa Elena. Francesca Galici il 25 Giugno 2022 su Il Giornale.

Un'ora e nove minuti: questo è il tempo servito a Martina Patti per uccidere sua figlia. I tre passaggi in auto ripresi dalla telecamera di sicurezza

A Martina Patti sarebbe bastata poco più di un'ora per uccidere sua figlia. È questo quello che si evince dalle immagini in esclusiva mostrate durante la trasmissione Quarto grado, condotta da Gianluigi Nuzzi il venerdì sera su Rete4. Le telecamere di sorveglianza hanno registrato tre passaggi significativi di quella donna lo scorso 13 giugno. Il ritorno dall'asilo, dove Martina Patti è andata a prendere sua figlia nel pomeriggio, l'uscita di casa e poi il rientro dopo averla uccisa. Il tutto in un lasso temporale poco più ampio di un'ora e mezzo.

Infatti, nel primo passaggio si vede Martina Patti rientrare insieme a Elena, seduta sul sedile anteriore dell'auto. Trascorrono appena 24 minuti prima che la donna esca nuovamente di casa: in questo lasso di tempo lei ha dichiarato di avere stirato mentre la bambina mangiava uno yogurt e guardava i cartoni animati dal suo telefono. Quando Martina Patti esce nuovamente dalla villetta di Mascalucia, la bambina è seduta sul sedile posteriore della vettura. Il terzo passaggio, senza la bambina, è stato registrato dalle telecamere di sicurezza un'ora e 9 minuti dopo il primo, alle 15.03.

"Non ricordo... ero di spalle quando colpivo Elena". L'interrogatorio choc di Martina

Al netto del tempo trascorso per raggiungere il campo, che dista appena poche centinaia di metri dall'abitazione, alla donna è servita un'ora di tempo per uccidere sua figlia e sotterrarla. Questo si può dedurre da quelle immagini, ma non solo. Perché osservando l'atteggiamento di Martina Patti al momento del suo rientro nella villetta, la donna non mostra nessun segno di nervosismo, nessun elemento che possa lasciar trasparire una qualche emozione. Dal suo comportamento non si evince niente che dia indicazioni su quanto era appena successo. Le sue mani sono ben salde sul volante e il suo viso non mostra nervosismo o tensione.

Tuttavia, gli inquirenti hanno notato che nell'ultimo fotogramma registrato dalla telecamera, Martina Patti indugia sul cruscotto della sua auto. In questo caso le immagini non danno indicazioni chiare su quelle che possono essere state le sue intenzioni, ma il dubbio degli inquirenti è che in quel frangente la donna abbia potuto nascondere l'arma del delitto, che ancora non è stata trovata. Le immagini sciolgono ogni dubbio sul fatto che la piccola Elena sia stata uccisa nel campo e non in casa ma non danno risposte su altri interrogativi.

È possibile che Martina Patti abbia ucciso e sotterrato la figlia senza che nessuno vedesse nulla? Il delitto è avvenuto di pomeriggio, in un campo nei pressi del centro abitato, ed è servita un'ora alla donna per mettere termine alla vita di Elena. Inoltre, è possibile che l'arma del delitto sia stata gettata lungo il percorso dal campo alla casa? Il sopralluogo compiuto nella villetta ha dato esito negativo in tal senso e la donna continua a dichiarare di non ricordare elementi importanti di quel drammatico 13 giugno.

Elena Del Pozzo, spuntano le immagini della madre che si reca al campo: da quanto meditava l’omicidio? Valentina Mericio l'01/07/2022 su Notizie.it

Nelle ore antecedenti alla morte di Elena Del Pozzo, la madre Martina Patti si era recata nel campo dove avrebbe sepolto la figlia. 

“Da quanto meditava l’omicidio della piccola?” Questo è uno dei tanti interrogativi che è stato posto nel corso della puntata di Quarto Grado andata in onda venerdì 1 luglio. Sono state infatti mostrate nuove e inedite immagini nelle quali si vede Martina, nelle ore antecedenti all’omicidio, dirigersi verso il campo, prima con la Fiat 500, poi di corsa mentre fa jogging: è proprio lì che la piccola Elena sarebbe stata sepolta qualche ora più tardi.

Le immagini riprese dalla telecamera di via Turati a Mascalucia, hanno mostrato in particolare cosa è successo nell’arco di tempo che va dalle 8.54 del 13 giugno, quando Martina rincasa da una festa di compleanno di un’amica, alle ore 9.55.

Circa una decina di minuti dopo essere rientrata dalla festa dell’amica, la 500 grigia di Martina si dirige verso il campo. Il punto dove il veicolo si ferma appare molto chiaro, mentre non lo è ciò che avviene in quei minuti in quanto la 500 è coperta da una siepe. Secondo gli inquirenti la donna potrebbe aver portato insieme con sé attrezzi come la pala e la zappa che avrebbe in seguito usato per seppellire e occultare il corpo.

In quel campo ci tornerà anche qualche minuto più tardi, ma questa volta a piedi in tenuta da ginnastica mentre fa jogging. Passano circa una quarantina di minuti da quel momento. Sarebbe stato in questo preciso frangente che sarebbe stata scavata la buca. Le immagini più inquietanti, tuttavia, arrivano dopo.

La 500 ripercorrerà quel tratto ancora una volta, ma con la bimba seduta, ignara di quello che le sarebbe successo più tardi. Nulla dunque da quando la andrà a prendere all’asilo la dissuaderà: l’abbraccio della piccola Elena, alla luce di ciò, fa ancora più male. Un boccone amarissimo difficile da buttare giù.

Jogging, perizia e telecamere: "Così ha agito Martina Patti". Angela Leucci il 2 Luglio 2022 su Il Giornale.

Le novità sull'omicidio di Elena Del Pozzo: il legale ha chiesto la perizia per la madre Martina Patti, che il cappellano descrive come addolorata.

A che punto sono le indagini sull’omicidio di Elena Del Pozzo? Gli inquirenti sono al lavoro per stabilire la presunta premeditazione del delitto, e intanto la difesa di Martina Patti lavora su una perizia psichiatrica di parte. Ci sono discordanze nel modo in cui la giovane madre omicida viene descritta, da quando il 13 giugno ha ucciso la figlioletta di 5 anni a Mascalucia: anche per questo si cerca di scoprire il movente, sebbene spesso si sia citato la sindrome di Medea.

I frammenti che inchiodano Martina Patti

Quarto Grado ha mostrato delle immagini inedite che potrebbero inchiodare Martina alle sue responsabilità, immagini che lascerebbero presupporre una premeditazione dell’omicidio di Elena.

Poco prima delle 9, Martina viene inquadrata dalle telecamere di sorveglianza mentre rientra in casa in auto. Dopo pochi minuti, alle 9.04 la giovane esce di nuovo con l’automobile, posizionando il cofano rivolto verso il campo in cui venne ritrovata la bimba semisepolta: gli inquirenti credono che sia quello il momento in cui Martina ha portato nel campo gli attrezzi per scavare la buca.

Tra le 9.14 e poco prima delle 10, Martina viene nuovamente ripresa, all’andata e al ritorno dal campo in tenuta da jogging. È allora che ha scavato la buca? Starà agli inquirenti, che le hanno attribuito una “determinazione criminosa”, stabilire quindi la dinamica.

La perizia psichiatrica

Intanto l’avvocato Gabriele Celesti ha nominato un consulente, così come ha fatto la procura: il fine è comprendere se questo delitto abbia una natura psichiatrica e se questa condizione possa sfumare nel tempo: il legale ha infatti chiesto l’incidente probatorio per cristallizzare la situazione di Martina, tanto più che il processo non inizierà prima di alcuni mesi. La perizia potrebbe stabilire anche se la donna deve restare in carcere o andare in Rems.

Il coetaneo che aveva da poco intrapreso una timida relazione con Martina - pare si siano visti 5-6 volte in circa un mese e mezzo, e in compagnia di altri - ha fatto sapere di non voler rilasciare interviste e di essersi messo a disposizione degli inquirenti per dare una mano.

Continua a parlare e a fornire la sua versione, stavolta a Quarto Grado la nonna paterna di Elena, Rosaria Testa, madre di Alessandro Del Pozzo, che descrive la nuora come “bugiarda”, “lucida” e “cattiva” e a negare il presunto movente della gelosia: “‘Sta cosa della gelosia non regge, perché lei stessa non voleva mio figlio. Noi ci aspettavamo una guerra legale adesso, che iniziava con lei che ci toglieva la bambina”. Testa ha aggiunto che il figlio aveva lasciato la casa che condivideva con Martina lo scorso aprile, perché la trovava “apatica”.

Le fascette, la denuncia, i depistaggi: "Elena come Lorys"

Le parole del cappellano

Cozzano profondamente con il giudizio della famiglia paterna della piccola Elena le considerazioni di don Antonio Giacona, cappellano del carcere di Catania. Il religioso ha incontrato Martina.

“Ho trovato una persona che comincia a rendersi conto di tutto ciò che è accaduto - ha raccontato il sacerdote alla trasmissione di Gianluigi Nuzzi - e sente dolore per questo. Mi ha detto che stava pregando, sia la mattina sia la sera. E mi chiedeva di pregare. C’è stato un momento di conversazione, di confessione sacramentale per il suo bisogno o il desiderio di essere perdonata. Non potrei definire Martina una persona impassibile. Nessuna aridità, al contrario i suoi sentimenti sono lì presenti. Certo, si esprimono, non si esprimono. Ci sarà bisogno di tempo perché tutto venga meglio alla coscienza”.

L’uomo di Chiesa ha aggiunto che Martina trascorre le giornate leggendo, parlando con le altre detenute, che si sta ambientando, e che quando pregano insieme lo fanno per tutta la famiglia.

"Non credo al raptus. Cosa è scattato nella testa della mamma di Elena". Rosa Scognamiglio il 17 Giugno 2022 su Il Giornale.

L'esperto a ilGiornale.it: "La mamma killer completamente distaccata dalla realtà".  

Martina Patti, 23 anni, ha ucciso la figlioletta Elena Del Pozzo, di 5 anni, colpendola alla schiena con una zappa. Poi ha provato a occultare il cadavere in un campo incolto di Mascalucia, nel Catanese, a pochi passi dall'abitazione in cui viveva con la bimba. Subito dopo si è rivolta ai carabinieri denunciando il presunto rapimento della piccola che, a suo dire, era stata prelevata da "tre uomini incappucciati", e uno armato di pistola, all'uscita dall'asilo mentre si trovava a bordo dell'auto assieme alla mamma.

Fin da subito il racconto della donna è stato ritenuto poco credile. Le telecamere di sorveglianza cittadina hanno smentito l'eventualità di un agguato lungo il percorso dalla scuola, in località Piano Trimestieri Etneo, fino a casa. Dopo un pressante interrogatorio, Martina Patti ha confessato il figlicidio, precisando di non ricordare alcunché del delitto. "Non ero io - ha spiegato agli inquirenti - Avevo la mente annebbiata".

"Nella circostanza dell'evento omicida potrebbe esserci stata una completa dissociazione del pensiero dal corpo, una sorta di obnubilamento della coscienza cognitiva", spiega alla redazione de IlGiornale.it il dottor Silvio Ciappi, psicoterapeuta e criminologo che ha periziato Veronica Panarello, la mamma di Lorys Stival, il bimbo di 8 anni ucciso a Santa Croce Camerina il 29 novembre del 2014.

"Non ha agito da sola". È caccia ai complici della madre assassina

Dottor Ciappi, cosa ne pensa del figlicidio avvenuto a Mascalucia?

"Allo stato attuale dei fatti, e in considerazione delle informazioni trapelate attraverso la stampa, è difficile trarre delle conclusioni. A mio avviso, la vicenda ricorda molto l'omicidio del piccolo Lorys (il delitto di Santa Croce Camerina) in cui Veronica Panarello uccise il figlio con delle fascette da elettricista e gettò il corpo in un canalone".

Analogie tra Veronica Panarello, la mamma di Lorys Stival, e Martina Patti?

"Ravvedo delle analogie nel comportamento di queste due giovani madri: entrambe erano isolate dal contesto sociale. E anche la dinamica del delitto sembrerebbe molto simile. Uso il condizionale perché attualmente, ripeto, abbiamo a disposizione ancora poche informazioni per poter capire realmente cosa è scattato nella mente di questa mamma. Per certo, trattasi di una donna problematica".

Che intende dire?

"A mio avviso, gli stati emotivi manifestati da Martina Patti – fortemente contrastanti – rimandano a un quadro severo di psicopatologia. Verosimilmente, secondo la mia esperienza, siamo di fronte a una persona con un vissuto traumatico. Ciò non giustifica la gravità del gesto ma ci aiuta a comprenderne le dinamiche".

Si è parlato della "sindrome di Medea". Di cosa si tratta?

"Sicuramente è una possibilità. È probabile che la mamma della piccola Elena si sentisse 'minacciata' dalla presenza di un'altra donna nella vita dell'ex marito e padre della bambina. Pertanto, proprio come Medea, nell'atto estremo di trattenere a sé sua figlia, per sempre, l'ha uccisa. Ma è solo una ipotesi perché potrebbero essere intervenuti altri fattori".

Cosa scatta nella testa di quelle "madri killer" che uccidono un figlio

Cioè?

"Non è da escludere che Martina Patti abbia riversato sulla bimba sentimenti di rabbia, rancore e frustrazione. Sembrerebbe, almeno da quanto si è appreso sinora dai media, che avesse delle reazioni anche violente con la figlioletta. Forse riteneva che la bambina fosse di ostacolo per il suo futuro, all'eventualità di trovare un nuovo compagno o all'affermazione professionale".

Nel corso dell'interrogatorio Martina Patti ha detto di "non ricordare" molti dettagli dell'omicidio. È credibile?

"Penso di sì. Nella circostanza dell'evento omicida potrebbe esserci stata una completa dissociazione del pensiero dal corpo, una sorta di obnubilamento della coscienza cognitiva. Il corpo ha agito in maniera distaccata dalla mente mettendo in atto degli automatismi".

Perché ha avvolto il cadavere della piccola Elena in cinque sacchi?

"Anche questo è un gesto illogico che conferma lo stato di 'annebbiamento' in cui presumibilmente la donna versava quando ha ucciso la figlia. Ed è uno dei motivi per cui credo che non dettaglierà ulteriormente la sua versione dei fatti".

Vale lo stesso per la messinscena del rapimento?

"Certo. La messinscena del rapimento è frutto di una totale dissociazione dalla realtà. Come se si fosse rifugiata in un mondo immaginario in cui il 'racconto di copertura' serviva a colmare quei vuoti cognitivi che ci sono stati mentre inveiva contro la bimba. Peraltro credo che si tratti di un racconto fortemente simbolico".

In che senso?

"La storia dei tre uomini incappucciati e il presunto rapimento della figlioletta dall'auto potrebbero avere qualche pertinenza con il vissuto di questa giovane donna. Sarà interessante, credo, 'scavare' nel suo passato e capire se ci si stata un evento particolarmente doloroso nella sua crescita".

Secondo lei ci sono stati dei campanelli d'allarme?

"Da quello che è trapelato sinora, mi sembra di aver capito che fosse molto solitaria. La solitudine e l'isolamento sono senza dubbio, sempre, due campanelli di allarme da non sottovalutare. Probabilmente l'assenza di una rete sociale di sostegno e di relazioni amicali stabili hanno aggravato una condizione psicopatologica già esistente. Ripeto, in casi come questo, non credo all'ipotesi del raptus".

I dati sono sconcertanti: 480 bambini uccisi dai genitori. Come si può intervenire?

"Bisogna che si attivino i servizi territoriali, specie per quelle situazioni familiari più critiche. Penso soprattutto alle giovani madri in cui, talvolta, si annidano ansie, paure e aspettative. Bisogna mantenere alta l'attenzione sulle condizioni di monogenitorialità. È l'unico modo per evitare altre vittime innocenti".

Mostruose storie di genitori assassini. Nemmeno l’archetipo mitologico di Medea ci può far comprendere questa follia. Le prose di Romana Petri. Lisa Ginzburg su La Gazzetta del Mezzogiorno il 18 Giugno 2022.

Morbosa, l’informazione ci racconta dettagli del «prima» di un efferato infanticidio: gli ultimi istanti di apparente normalità nella relazione tra una madre, Martina Patti, 24 anni, e la figlia, la piccola Elena, la bambina di lì a poco ammazzata per mano della propria madre. Morbosa l’informazione mostra un breve video che ha campeggiato sulle homepage delle principali testate online: pochi fotogrammi in movimento che mostrano la bambina all’uscita dall’asilo mentre corre contenta verso la madre, si getta nelle sue braccia, con tutta l’energia della sua innocenza si affida a quella giovane donna dai lunghi, pettinatissimi capelli neri, la stessa che poco dopo, brandendo un coltellaccio, metterà fine alla sua vita di bambina, di figlia, di essere umano da lei generato e ne occulterà il cadavere.

I commenti si scatenano, impazzano, si rincorrono e si moltiplicano. In molte direzioni ci si sforza di verbalizzare il senso di naturale sgomento che si prova davanti a un avvenimento del genere, quando nelle nostre menti si insinua e si fissa l’immagine di un genitore che uccide il proprio figlio. E se quel genitore è una donna, una madre, il senso di abnormità e la sensazione di orrore per complesse incommentabili ragioni sono più forti.

Di recente la scrittrice Romana Petri ha dedicato al tema un libro, una serie di affilate prose raccolte sotto il titolo Mostruosa maternità. E il mostruoso in un fatto come questo accaduto a Catania sta lì, sotto gli occhi del mondo; già, ma anche in pasto all’informazione.

Episodi che ci sconvolgono, temi che ci toccano, tutte e tutti, perché di per sé stessi, con il loro atroce accadere, danno forma a un abisso, e al peggiore degli abissi. Una madre che come Medea uccide la (le) creature che ha dato alla luce: è il Male assoluto, una voragine che getta nell’angoscia.

Bisognerebbe però, anche, per almeno in parte aggirare la morbosità sia dell’informazione che della sua fruizione, stemperarne la componente di spirale ossessiva da cui tutti come spettatori ci sentiamo afferrare davanti a fatti di cronaca come questo.

Provare a fermarsi a riflettere evitando le trappole del pensiero più comuni. Nel caso degli infanticidi compiuti dai padri si usano uguali parametri, si azzardano diagnosi piscologiche appellandosi ad archetipi mitologici come in questi casi al mito di Medea? Non proprio: eppure nemmeno questo è il punto. Piuttosto, saper vedere il disagio psichico per prima cosa, sarebbe passo importante. Gli infanticidi ci sono sempre stati, nei frangenti più disagiati e meno «monitorati», e non solo.

Oggi assumono forse un aspetto ancora più tetro, perché inseriti in un contesto collettivo di forte malessere psichico che in maniera impressionante non viene compreso, non seguito, non derubricato. Viviamo nella società del controllo, nell’epoca delle più sofisticate tecnologie: eppure quotidianamente leggiamo di individui che psichicamente crollano, spesso trasformando il loro disagio in furia omicida verso i loro cari più vicini; ma senza che del loro crollare nessuno si sia accorto, né lo abbia segnalato, né abbia intrapreso strade e tentativi perché quel qualcuno fosse seguito.

«C’erano momenti strani», afferma la ex cognata della giovane Martina Patti infanticida, parlando del suo modo di stare con la sua bambina, del suo modo di essere madre. Nessuno che accorgendosi di quei «momenti strani» abbia fatto nulla. Viviamo nel controllo collettivo, eppure le dimensioni psicologiche più intime (delle coppie, delle famiglie, dell’essere mariti, mogli, ex fidanzati, padri, madri, divorziati, separati, coniugati) da tutti vengono tenute lontane, nel pensiero per prima cosa, poi nell’azione. Esplorate solo a posteriori, quando tragicamente è ormai troppo tardi. Una società evoluta, che porti a compimento tutti gli strumenti di cui dispone per sostenere i suoi membri, dovrebbe creare strutture di sostegno psicologico e psichiatrico infinitamente più numerose, attive ed efficaci di quanto non sia.

Ogni singolo caso di «mostruosa maternità», così come di mostruosa paternità, o mostruosa ex coniugalità, su questo dovrebbe farci ragionare.

Non è Medea. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 16 giugno 2022.

Pur con tutta la delicatezza che la vicenda richiede, vorrei provare a staccare un paio di etichette appiccicate alla madre assassina di Catania. La prima è quella di . Non ho mai sentito definire «snaturato» uno dei tanti padri che uccidono i figli. L’alone sacrale che circonda la figura materna, e che finisce per ripercuotersi come un boomerang su qualunque donna non se ne riveli all’altezza, è qualcosa che ha a che fare con la natura o non piuttosto con la cultura, intesa come modello dominante? Per la nostra cultura una madre deve sempre dimostrarsi felice di esserlo, altrimenti diventa una «cattiva madre» e, se fa del male al figlio, «una snaturata», anziché semplicemente (e terribilmente) quello che è: un’assassina. La seconda etichetta riguarda , che starebbe a indicare le madri che uccidono i figli per fare dispetto ai padri. A Martina Patti non andava giù che l’ex compagno si fosse, come si dice, rifatto una vita. Non c’è dubbio che il suo malessere abbia innescato una tragedia, però non si tratta di una tragedia greca. Anche la Medea di Euripide arriva a uccidere i figli avuti dal fedifrago Giasone, ma al culmine di un tormento interiore estenuante che porta lo spettatore, se non a identificarsi con lei, a comprendere la sua rabbia e il suo desiderio di vendetta. Nella madre di Catania non c’è nulla di tutto questo. L’arte illumina le pulsioni più oscure dell’animo umano, la cronaca le ricaccia nel buio da cui provengono. 

La rabbia nella notte, la "sindrome di Medea": cosa nascondeva Martina Patti? Laura Cataldo il 15 Giugno 2022 su Il Giornale.

L'ex compagno si stava rifacendo una vita e sembrava contento. Lei invece era rimasta sola e aveva paura che le togliessero l'unica persona che amava: sua figlia.

Una domenica passata con i nonni paterni. Il tipico pranzo domenicale siciliano. L'affetto della famiglia, i giochi con gli zii e le coccole. Tutto questo è quello che Elena ha vissuto prima di morire. La bambina era felice, loro la rendevano felice. E se si fosse affezionata più a loro che a lei? La rabbia covata da Martina Patti, la mamma della piccola, stava diventando ingestibile. Ancora di più quando ha scoperto che durante quei pranzi vi era anche la nuova fidanzata del suo ex compagno, Alessandro Del Pozzo.

Con lui il rapporto era finito da tempo. Erano giovanissimi quando si erano messi insieme e avevano avuto Elena. Gli scontri e i litigi, però, avevano avvelenato il rapporto e i due si erano separati. Il ragazzo era andato via per cercare lavoro dopo alcuni guai con la giustizia. Aveva scelto la Germania e lì aveva conosciuto una donna. Tornati a Mascalucia la coppia sembrava felice ed Elena si stava affezionando a quella nuova figura accanto al padre.

Domenica 12 giugno, il giorno prima della tragedia, la nonna Rosaria Testa e suo marito Giovanni, avevano organizzato una domenica in famiglia. L'avevano trascorsa tutti insieme con la nipotina, con figlio e fidanzata: la "matrigna". "Non tollerava che vi si affezionasse anche la propria figlia", hanno affermato gli inquirenti dopo aver ascoltato il racconto della Patti. Martina ha solo 23 anni, è madre da quando era poco più che una ragazzina e ha già affrontato una separazione. Si stava chiudendo sempre più all'interno della sua bolla, isolandosi. Stava cominciando ad avere un comportamento iperprotettivo nei confronti della figlia. "Aveva un atteggiamento autoritario e aristocratico. Decideva lei quando portarci la bambina", aveva detto nonna Rosaria agli inquirenti.

La sindrome di Medea

"Sarebbe stato necessario un intervento sociale per rompere l’isolamento della donna". Lo psichiatra Claudio Mencacci ha tracciato il profilo della madre-assassina e al Corriere ha dichiarato: "È possibile che la donna abbia agito sulla base di quello che viene definito 'complesso di Medea', un impulso omicida che ha come obiettivo finale la sofferenza dell’ex compagno". Non un raptus quindi, ma una rabbia covata da chissà quanto tempo e mai capita.

La maga della mitologica greca aveva lasciato il padre per seguire l'amore: Giasone. Questi però l'aveva allontanata per sposare Glauce. A quel punto Medea, sola e afflitta dal dolore si vendica dell'ex marito uccidendo il suo nuovo amore e i loro figli.

A posteriori si pensa dunque che il figlicidio poteva essere evitato cogliendo i momenti di ira o di silenzio della mamma di Elena. "Martina Patti avrebbe dovuto curare il proprio discontrollo della rabbia ha aggiunto Mencacci. Un sostegno da parte di persone competenti, probabilmente, avrebbero potuto evitare la tragedia in un ambiente che, per molto tempo, ha nascosto un disagio familiare e psicologico.

La vendetta di una madre tradita contro l'isolamento affettivo. Karen Rubin il 15 Giugno 2022 su Il Giornale.

Quando il padre di sua figlia è riuscito ad andare oltre la loro relazione ormai finita e a stringerne un'altra, a quanto sembra felice, Martina Patti potrebbe aver pensato che la condizione di madre single le impediva la sua realizzazione sentimentale.

Quando il padre di sua figlia è riuscito ad andare oltre la loro relazione ormai finita e a stringerne un'altra, a quanto sembra felice, Martina Patti potrebbe aver pensato che la condizione di madre single le impediva la sua realizzazione sentimentale. Le madri che uccidono i figli per vendicarsi del marito, descritte come il personaggio di Medea, non tollerano di essere tradite e abbandonate dal loro oggetto d'amore e molto spesso dopo il figlicidio tentano o concretizzano un suicidio. L'aggressività si sposta dall'oggetto effettivo di risentimento, il marito, verso il figlio, meno forte e indifeso, che rappresenta concretamente il frutto di quell'unione. In questo caso si può ipotizzare un'immaturità patologica. Eccessivamente concentrata su di sé, la giovane donna ha vissuto la bambina, dipendente da lei come ogni piccolo dalla madre, come un tiranno che le portava via tempo ed energie che avrebbe potuto utilizzare per la sua soddisfazione. Esiste la madre narcisista che non ha mai tempo per il figlio e la sua freddezza è un trauma per il bambino, quella depressa che uccide il figlio perché il mondo è «cattivo» e non può lasciarlo vivere in luogo minaccioso e inospitale, quella capace di intendere e volere che piena di frustrazioni per quello che ritiene la vita non gli abbia dato maltratta il piccolo con violenze psicologiche e fisiche che possono spingersi fino all'infanticidio. La madre non è soltanto pietà e misericordia, colei che nutre e protegge i suoi figli con tutta la forza che ha. Se da un lato c'è quella amorosa, dall'altra può trovarsi quella negativa. Madri che sono solite maltrattare i figli e uccidono per risposta al pianto o al capriccio del bambino, perché non sanno elaborare e accogliere la sua angoscia di essere trascurato. Nella loro infanzia possono essere state trascurate, aver subito abusi fisici o psicologici e perpetuano lo stesso schema avendo sviluppato un disturbo di personalità caratterizzato da instabilità e impulsività. Emotivamente squilibrate e ambivalenti, oscillano tra amore e odio, idealizzazione e svalutazione di sé stesse e degli altri, che attaccano verbalmente e fisicamente diventando pericolose. La maternità diventa un sacrificio che risveglia un desiderio di rivalsa nei confronti di un'infanzia in cui sono state a loro volta trascurate. Una rabbia che può trasformare in un genitore punitivo che castiga il figlio perché non obbedisce alla sua volontà. Se il figlio è un impedimento punirlo o ucciderlo diventa un tentativo di uscire dal proprio isolamento affettivo.

Mencacci sul delitto di Catania: «Impulso omicida costruito nel tempo per far soffrire l’ex compagno». Laura Cuppini su Il Corriere della Sera il 14 Giugno 2022.

Lo psichiatra analizza la possibile origine del dramma: «Sarebbe stato necessario un intervento sociale per rompere l’isolamento della donna».

Claudio Mencacci, direttore emerito del Dipartimento di Neuroscienze all’Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano, cosa può avere portato Martina Patti a uccidere la figlia?

«Certamente non un raptus. Drammi come questo nascono da contesti complessi che si costruiscono nel tempo e di cui non vengono intercettati i segnali».

Gli inquirenti hanno parlato di gelosia nei confronti dell’ex partner.

«È possibile che la donna abbia agito sulla base di quello che viene definito “complesso di Medea”, un impulso omicida che ha come obiettivo finale la sofferenza dell’ex compagno».

Elena è stata uccisa con diverse coltellate: il gesto può essere stato commesso con lucidità?

«Parlerei piuttosto di intenzionalità non premeditata. Ora si dovrà capire se la donna abbia un disturbo di personalità borderline, ma possiamo presumere — anche stando alle parole dei familiari — che ci fosse una sorta di abitudine al maltrattamento nei confronti della figlia, unita a forte tensione emotiva».

A posteriori, questa tragedia si sarebbe potuta evitare?

«Dalla bambina possono essere arrivati segnali di malessere, evidentemente non colti. Martina Patti avrebbe dovuto curare il proprio discontrollo della rabbia, ma in primo luogo penso che sarebbe stato necessario un intervento sociale per rompere l’isolamento della donna, unito forse a difficoltà economiche, povertà anche culturale, ambiente familiare instabile e, senza dubbio, la giovane età».

Cosa si può fare per prevenire i figlicidi?

«Ogni anno in Italia vengono uccisi da un genitore circa 25 bambini. Tra le pareti di casa possono esserci abusi, violenze e non sempre riusciamo a percepirli. Nel nostro Paese, ai Servizi di salute mentale viene destinato il 3,2% del Fondo sanitario, contro la media del 10% nei Paesi europei ad alto reddito. Andrebbe creata un’Agenzia nazionale che coordini gli interventi di prevenzione per la salute mentale, a partire dalle donne incinte e gli adolescenti».

Da leggo.it il 14 Giugno 2022.

Picchiato, frustato e seviziato fino alla morte dalla madre e dal suo amante. Settimane di abusi su un ragazzino di 15 anni raccontate in tribunale con dovizia di particolari nel processo che vede la coppia accusata di aver ucciso il piccolo Sebastian, morto in casa a Huddersfield, in Inghilterra, lo scorso agosto a causa di complicazioni per fratture costali multiple. 

Sebastian era nel Regno Unito da meno di un anno dopo essersi trasferito dalla Polonia per vivere con sua madre Agnieszka, 35 anni, e il suo partner Andrzej, di 36 anni. Da principio la mamma era entusiasta di poter avere il figlio con lei, ma le cose sono velocemente precipitate. I due, secondo quanto riferito dal procuratore, avrebbero iniziato con delle punizioni che sono man mano diventate sempre più crudeli, fino a veri abusi. 

L’adolescente, riporta la Bbc, sarebbe stato picchiato con un’asse della rete del letto, frustato con una prolunga e infilzato con un ago. Sebastian veniva maltrattato per qualsiasi cosa: non poteva andare in bagno la notte, né far cadere per sbaglio del cibo a terra. «Castighi ragionevoli» secondo gli imputati, che negano l’omicidio colposo, ma che ora dovranno vedersela con il parere dei giurati.

Secondo quanto ricostruito in aula, il giorno della morte del 15enne i servizi di emergenza sono stati chiamati «dopo che Sebastian era svenuto da circa due ore e mezza». L’uomo, accusato della maggior parte delle violenze, avrebbe detto ai sanitari di aver trovato il ragazzo nella vasca da bagno con la testa nell’acqua. Facendo intendere che si trattasse di un incidente e aggiungendo di aver provato a rianimarlo.

In realtà il 36enne avrebbe cercato di simulare un annegamento versando dell’acqua nella bocca del ragazzino esanime. L’ennesima e ultima violenza sul corpo di Sebastian è stata però registrata dalle telecamere di sicurezza che la madre e il compagno avevano installato per controllarlo a distanza e mostrata in tribunale insieme agli altri abusi.

Potrebbe essere morta per gli stenti a nemmeno una settimana di vita. Neonata trovata senza vita, la mamma aveva partorito in casa 5 giorni fa: “È morta di fame”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 18 Giugno 2022. 

La mamma aveva partorito in casa solo 5 giorni fa. Poi la tremenda scoperta del corpicino senza vita della neonata all’interno di un’abitazione a Burgos, un piccolo comune di circa 870 abitanti in provincia di Sassari, nella regione storica del Gocean. Sul fatto indagano i carabinieri della compagnia di Bono, guidati dal capitano Davide Masina.

Come riportato dall’Ansa, secondo le pochissime indiscrezioni che trapelano, la piccola sarebbe stata partorita in casa dalla madre 18enne e potrebbe essere morta da giorni. Su questo e altri aspetti sono in corso accertamenti serrati da parte dei militari dell’Arma. Gli approfondimenti degli investigatori si stanno concentrando sulle cause del decesso della neonata, che potrebbe essere morta di inedia.

Anche questo aspetto verrà comunque accertato nei prossimi giorni con i risultati dell’autopsia, che è stata già disposta. La Procura territoriale di riferimento è quella di Nuoro, dove al momento non risultano fascicoli aperti sul caso, ma non si escludono sviluppi nelle prossime ore.

Potrebbe essere morta di fame e di stenti, a neanche una settimana di vita, dopo essere stata partorita dalla madre in una stanza della casa dove vive con alcuni parenti. Qualcuno, impietosito da quel corpicino pelle e ossa, si è finalmente deciso a chiamare il 118. Ma era già troppo tardi: i medici, gli infermieri, hanno fatto di tutto per salvare la piccola, che aveva appena 5 giorni di vita, ma non ci sono riusciti. Sarà ora l’autopsia, già disposta dalla procura di Nuoro, a far luce su quanto è accaduto. Incredula l’intera comunità di Burgos, sotto choc per quanto successo.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

La famiglia aveva tenuto nascosta la gravidanza a tutti. Nasce in casa e muore di stenti 5 giorni dopo, 4 indagati: “È morta senza avere nemmeno un nome”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 19 Giugno 2022. 

Quando i soccorritori sono entrati nella casa di famiglia di Burgos, ieri pomeriggio, si sono trovati di fronte strazio e degrado. Il corpicino di pochi giorni della piccola, denutrita e disidratata, era senza vita, adagiato su un letto sporco di sangue e con tracce chiare del parto avvenuto quasi certamente in quella stessa stanza. É stata la mamma della piccola, 28 anni, e una gravidanza da tenere nascosta a chiamare l’ambulanza ieri dopo pranzo, quando ha visto che la piccola non si muoveva più. Ma era già troppo tardi.

In casa con lei a Burgos, 870 anime appena nel sassarese, c’erano i suoi genitori e la sorella. Da questa mattina sono tutti e 4 indagati per abbandono di incapace, come confermano fonti della procura di Nuoro. Per il corpicino della piccola è stato disposto il sequestro e lunedì prossimo il medico legale cagliaritano Alberto Cighine effettuerà l’autopsia per capire se sia morta di fame e sete o per altre cause. L’esame si svolgerà nell’istituto di patologia forense dell’ospedale Santissima Annunziata di Sassari, dove è stata trasferita la salma della neonata. Titolare dell’inchiesta, aperta dopo l’interrogatorio dei quattro familiari ieri notte nella caserma di Bono, il sostituto procuratore Giorgio Bocciarelli.

Dalle prima indiscrezioni, sul corpicino non ci sarebbero tracce di violenza, ma la famiglia viveva in una disperata condizione di sporcizia e degrado. Il padre della piccola, che vive a Budoni nel nuorese, è stato avvisato dell’accaduto dai carabinieri ieri sera con una telefonata. In paese in pochissimi sapevano della gravidanza. La madre e i nonni l’hanno tenuta nascosta persino agli altri parenti. La nascita della piccola non era stata nemmeno denunciata all’ufficio anagrafe di Burgos. Non si sa nemmeno chi abbia aiutato la 28enne al momento del parto. La procura di Nuoro dovrà ora accertare cosa sia accaduto dal momento della nascita della piccola al momento dell’allarme lanciato ieri pomeriggio e stabilire con certezza, alla luce dell’esito dell’autopsia, quando e come sia morta la neonata. Anche i reati ipotizzati a carico dei familiari della bimba potrebbero aggravarsi. Ancora da chiarire, infine, se i servizi sociali del Comune di Burgos fossero a conoscenza delle condizioni in cui viveva la famiglia. (Fonte:LaPresse)

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Roberta Pugliesi per ilmessaggero.it il 13 giugno 2022.

Era affacciata dal finestrino della macchina quando è stata colpita da un trattore in transito. Il drammatico incidente si è verificato ieri sera a Ponte Melfa, nel comune di Atina. Da una prima ricostruzione dei fatti pare che la piccola di cinque anni si stava sporgendo con il capo dal finestrino della macchina quando è stata colpita da un trattore. Gravi le sue condizioni.

È stata elitrasportata a Roma. Sul posto i carabinieri che hanno raccolto le testimonianze per ricostruire la dinamica. Non è chiaro come l'auto si sia avvicinata al trattore al punto da rendere inevitabile l'impatto tra la bimba e il mezzo agricolo. 

Sono stabili le condizioni della bambina di 5 anni rimasta ferita gravemente alla testa ieri sera a Ponte Melfa. E' stata sottoposta a intervento chirurgico e si trova all'ospedale Gemelli di Roma in coma farmacologico. Sono in corso gli accertamenti dei carabinieri per ricostruire la dinamica.

La tragedia e le indagini. Vittoria, inchiesta sulla morte della bimba annegata in mare: verifiche sul lido e sui bagnini. Redazione su Il Riformista il 12 Giugno 2022. 

Probabilmente una tragica fatalità, ma la Procura di di Torre Annunziata guidata da Nunzio Fragliasso non vuole lasciare nulla al caso. Sulla morte di Vittoria, la bambina di 5 anni deceduta nel pomeriggio di sabato annegando nello specchio di mare antistante il lungomare Marconi, i magistrati hanno aperto un’inchiesta.

Vittoria era in spiaggia dal mattino, assieme alla madre Mine e alla sorellina di pochi mesi. Intorno alle due del pomeriggio i avvicina alla riva, la madre distante pochi metri: nessuno si accorge che in pochi secondi la bambina scompare, probabilmente travolta da un’onda che la fa finire in mare, trascinata poi dalla corrente.

L’allarme lo lancia la stessa mamma, che non riesce più a rintracciarla. Si mobilita l’intero stabilimento, vengono diffuse anche le foto della piccola Vittoria, il passaparola raggiunge anche un carabiniere fuori servizio che chiede l’intervento dei colleghi.

A quel punto intervengono i soccorritori ‘ufficiali’, carabinieri e capitaneria di porto: le ricerche dalla spiaggia si spostano in acqua. Intorno alle 16:30 Vittoria viene localizzata al largo, quasi 80 metri dalla costa, a testa in giù ed esanime.

Iniziano quindi i disperati tentativi di rianimazione, continuati poi dai medici dell’ospedale di Castellammare di Stabia dove viene trasferita. Sono però gli stessi sanitari, poco dopo, a essere costretti a comunicare alla madre Mina e al padre Bruno del decesso della bambina, che non si è mai ripresa.

Ora toccherà ai magistrati di Torre Annunziata chiarire cosa sia successo. I carabinieri delegati dell’indagine, scrive Il Mattino, hanno ascoltato i titolari del lido, la madre di Vittoria e anche alcuni bagnanti, vicini di ombrellone. La procura dovrà verificare se il bagnino di salvataggio fosse presente e se tutte le norme di sicurezza siano state rispettate. La salma della bambina resterà a disposizione della magistratura per l’autopsia.

Bimbo ucciso a bastonate: chiesto l’ergastolo per la madre, stessa pena per il suo compagno. Manuela Galletta su La Stampa il 10 Giugno 2022.

«Avrebbe potuto urlare, chiamare la polizia», «interrompere la violenza su due bambini indifesi» che sono stati «selvaggiamente picchiati per lungo tempo in tutte le maniere possibili e immaginabili». Avrebbe potuto fare scudo ai bimbi col suo corpo. E, invece, Valentina Casa non mosse un dito: «ha assistito passivamente a questa terribile, oscena, mattanza dei suoi figli». E pensare «anche gli animali hanno l'istinto di proteggere i propri cuccioli». Il sostituto procuratore generale Anna Grillo usa parole durissime, dinanzi ai giudici della seconda sezione della Corte d’Assise d’Appello di Napoli (presidente Alfonso Barbarano), per censurare l’orrore consumatosi il 27 gennaio del 2019 in un appartamento a Cardito, comune in provincia di Napoli. Giuseppe e Noemi, due fratelli di appena 6 e 7 anni, vennero picchiati con un manico di scopa, ma anche a mani nude, dal patrigno Toni Essobti Badre, il quale - dichiarerà l’uomo alle autorità - perse la testa perché i piccoli, giocando, avevano rotto la testiera del letto nuovo. Valentina Casa, mamma dei bimbi, non batte ciglio, mentre Giuseppe e Noemi incassavano, senza potersi sottrarre, quella violenza bestiale. Giuseppe si accasciò sul divano e lì, mentre la madre era indaffarata a pulire il sangue, si spense lentamente nell’indifferenza di chi lo aveva messo al mondo. La perizia medico legale dirà che Giuseppe, se fosse stato soccorso per tempo, si sarebbe potuto salvare. Procuratore Noemi, invece, respirava ancora quando arrivarono gli uomini del 118: «Aveva lividi dappertutto, era completamente sfigurata dalle botte. Dalle guance agli occhi. Aveva anche una parte dell’orecchio staccato. Non riusciva neppure ad aprire gli occhi, si aiutava con le dite delle mani», disse nel corso del dibattimento uno degli agenti di polizia che entrò in casa e soccorse la piccola. «La scena del crimine era una vera e propria scena dell'orrore... coloro che avevano perso tutto quel sangue erano due bambini di sei e otto anni... selvaggiamente picchiati per lungo tempo in tutte le maniere possibili e immaginabili», racconta in aula il pg. Ed è proprio sul ruolo della donna che il rappresentante della pubblica accusa pone l’accento per motivare la richiesta di riforma, in peius, della condanna di primo grado (6 anni ma solo per maltrattamenti, fu escluso l’omicidio pure contestato dalla procura). Valentina Casa, è la conclusione rassegnata alla Corte, va condannata alla pena dell’ergastolo perché a lei va riconosciuta la condotta del concorso in omicidio. Sì, perché - è il ragionamento dell’accusa - pur non usando materialmente violenza nei confronti dei suoi piccoli, fu comunque pienamente responsabile del massacro condotto da Tony Essobti dal momento che era nelle condizioni di poter fermare il compagno. «Valentina avrebbe potuto e assolutamente dovuto, giuridicamente dovuto, evitare quelle conseguenze lesive, fare di tutto per interrompere l'attività criminale e invece ha assistito passivamente a questa terribile, oscena, mattanza dei suoi figli - incalza il pg Grillo - Avrebbe potuto urlare, poteva frapporsi, assumere lei quella violenza che si scatenava sui suoi figli. Avrebbe potuto chiamare la polizia, i vicini, i familiari, urlare, anche soltanto per distogliere quell'essere che fatico a definire umano per interrompere la violenza su due bambini indifesi». Invece, insiste il pg, «ha preferito la vita e l'esistenza dei suoi bimbi al rapporto con Essobti Badre perché i figli erano d'intralcio. Ed è assurdo che una mamma possa essere indifferente alla sofferenza dei suoi figli». È assurdo perché «anche gli animali hanno l'istinto di proteggere i propri cuccioli». Valentina, invece, quei due bambini non li hai mai tutelati. Noemi e Giuseppe, è emerso dalle indagini, hanno subito per mesi le botte date loro da Tony Essobti Badre. Noemi, in più di un’occasione, s’era presentata a scuola con dei segni che avrebbero dovuto essere delle ‘spie’: lei provava a giustificarsi e nelle insegnanti il campanello d’allarme è scattato troppo tardi. Giuseppe, invece, a scuola faceva parecchie assenze. Forse per via delle botte che prendeva. Quelle botte di cui la piccola Noemi ha riferito, una volta ripresasi. La violenza culminò nell’orrore il 27 gennaio 2019. Dopo avere picchiato i due bambini, Tony Essobti Badre uscì di casa e si recò in farmacia per comprare qualche farmaco con il quale medicare le ferite dei bimbi. Trovò ad attenderlo la polizia. «Su Essobti c'è poco da dire - sottolinea il pg - La sua condotta è stata insistentemente, pervicacemente e crudelmente rivolta per fare del male in maniera incredibilmente feroce a questi due bambini, colpendoli su tutte le parti del corpo ma in particolare sulla testa». Per questa ragione - è la conclusione del pg - all’uomo, che ha subito confessato, non vanno concesse attenuanti e la condanna all’ergastolo di primo grado va confermata.

Bambino di otto mesi muore per annegamento: la madre gli stava facendo il bagnetto. La tragedia a Milano. Massimo Pisa su La Repubblica il 7 giugno 2022.

E' accaduto in via Costantino Baroni, nella vasca anche il fratellino di 3 anni. La madre ha chiamato i soccorsi. Trasportato in eliambulanza a Bergamo è morto poco dopo

Le urla straziano prima il secondo piano di questo palazzone di dieci piani bianco e giallo di via Costantino Baroni, poi riempiono i vialetti a fondo cieco di questo pezzo di Gratosoglio all'ombra delle torri bianche. Chiedono aiuto, quelle urla, e ne trovano dalle vicine di casa, sul pianerottolo, dalle amiche,da chiunque senta questa mamma disperata che lotta per salvare il suo Marouane, bimbo di otto mesi scivolato in fondo alla vasca che si stava riempiendo d'acqua per fare il bagnetto a lui e al fratellino di 3 anni.

Gratosoglio, neonato morto per annegamento: la mamma gli stava facendo il bagnetto. Indagini della polizia. Cesare Giuzzi su Il Corriere della Sera il 7 Giugno 2022.

La tragedia in via Costantino Baroni. Il piccolo è stato subito portato in elisoccorso all’ospedale di Bergamo, Papa Giovanni XXIII. Sul posto la polizia scientifica.  

La tragedia in via Costantino Baroni. Un bimbo di otto mesi è morto per annegamento. La mamma, 36 anni e di origine marocchina, gli stava facendo il bagnetto in casa al Gratosoglio, nella periferia sud di Milano.

Il piccolo, poco prima delle 16 , è stato portato in elisoccorso al pronto soccorso dell’ospedale di Bergamo, Papa Giovanni XXIII, per aver ingerito dell’acqua. Sul posto, gli agenti della squadra volante e della squadra mobile della Questura per ricostruire l’accaduto. Dai primi accertamenti le cause della morte del bambino, avvenuta in ospedale un’ora dopo l’arrivo, sono state accidentali.

Secondo la prima ricostruzione sembra che la madre abbia lasciato il rubinetto della vasca aperto ma abbia tolto il tappo di scarico. Ad un certo punto però, proprio mentre la donna si è allontanata per prendere alcuni giochi, il fratellino di tre anni sembra si sia seduto proprio in corrispondenza dello scarico bloccandolo. In quei pochi minuti la vasca s’è riempita con una decina di centimetri d’acqua e la vittima, il piccolo Marouane, è annegata. Gli altri due fratelli erano invece a scuola. La tragedia è avvenuta in un appartamento al secondo piano di uno stabile Aler dove la famiglia vive da un paio d’anni. Gli investigatori delle Volanti stanno interrogando la donna e anche alcuni amici di famiglia che sono subito intervenuti.

Irene Soave per il “Corriere della Sera” il 7 giugno 2022.

La Polonia, dove da gennaio 2021 l'aborto è già vietato in quasi tutti i casi, registrerà le gravidanze. Così, paventano femministe e deputati di opposizione, saranno usati i dati personali che un decreto di venerdì del ministero della Salute impone ai medici di schedare. In un database centralizzato del ministero finiranno, per ogni cittadino, allergie, gruppo sanguigno, condizioni croniche.

E gravidanze. La previsione è che il governo polacco, ultraconservatore, intenda usare la «schedatura» per monitorare i tentativi di abortire all'estero o clandestinamente (lo fanno, si stima, in 4 mila al mese).

Il portavoce del ministero della Salute, Wojciech Andrusiewicz, si è affrettato a dichiarare che i dati saranno accessibili solo ai medici - cioè non ad altri pubblici ufficiali - e che la «schedatura» serve solo a recepire una direttiva Ue. «Nessuno sta creando un registro delle gravidanze», ha ripetuto al tg nel weekend. Ma in un Paese che è già il più severo d'Europa in materia la «schedatura» ha il sapore di una nuova stretta sui diritti delle donne.

A ottobre 2020 la Corte Costituzionale polacca ha definito incostituzionali anche gli aborti per gravi malformazioni del feto, che a quel punto erano già il 98% delle interruzioni di gravidanza praticate nel Paese, dopo altre leggi restrittive in materia. La sentenza è effettiva da gennaio 2021, e da allora interrompere una gravidanza è possibile solo se la madre è a rischio di vita, o se è frutto di stupro o incesto.

L'attivista Marta Lempart, volto del movimento femminista polacco e leader del movimento Women's Strike, che dal 2016 anima le proteste di piazza sull'aborto in Polonia - proprio le proteste impedirono, nel 2016, l'approvazione di una legge simile a quella in vigore - dice ai media nazionali di «non fidarsi della promessa del governo di mantenere la riservatezza su quei dati»: lei stessa, quando aveva contratto il Covid nel 2020, aveva visto la notizia direttamente sulla tv di Stato.

«Un partner scontento», ha denunciato, «può già informare la polizia che la propria compagna è incinta, e la polizia può interrogarla». La possibile conseguenza degli effetti di un «registro» è che molte donne incinte eviteranno gli ospedali pubblici: le più ricche, prosegue Lempart, potranno cercare cure private o andare all'estero; le più povere eviteranno i medici.

Per abortire clandestinamente, in Polonia, oggi ci sono due modi: rivolgersi a ginecologi che operano nell'ombra, o a reti come WHW (Women Help Women) che spediscono dall'estero farmaci abortivi, offrendo assistenza via Skype. Le proteste non cessano e mobilitano folle che si erano viste solo dopo la caduta del comunismo.

A gennaio di quest' anno, dopo la morte di una 37enne a cui i medici non avevano praticato un aborto nonostante evidenti complicanze, sono scese in piazza, di nuovo, in migliaia. Anche le rifugiate ucraine vittime di stupri di guerra, arrivando in Polonia, vengono accolte da psicologi antiabortisti. Interrompere una gravidanza, nel Paese più conservatore d'Europa, è impossibile anche per loro.

Giorgia Soleri: «Il mio aborto a 21 anni, la ginecologa mi aggredì. Lo Stato mette in castigo le donne». Rosanna Scardi su Il Corriere della Sera l'1 giugno 2022.

L’influencer e poetessa, compagna di Damiano dei Maneskin, alla Fiera dei Librai di Bergamo. Il dolore, la malattia e quel trauma in un ospedale brianzolo: «La Legge 192 ha delle grosse lacune, si punta a far sentire in colpa le donne». 

Modella, scrittrice, influencer. E femminista. Giorgia Soleri, 26 anni, si racconta domani, alle 20.30, alla Fiera dei Librai di Bergamo. La sua prima raccolta di poesie è «La signorina Nessuno», edita da Vallardi. Un libro che affronta temi forti, come il suicidio, l’aborto e il dolore fisico, tanto che la stessa autrice mette in guardia il lettore: «Se per tutelarti, non te la senti di andare avanti ti capisco e ti abbraccio forte». Nel corso dell’intervista indossa una maglietta con la scritta «libera di abortire». Non si nega su nulla. L’unica cosa di cui sceglie di non parlare è il suo rapporto con Damiano David, cantante e ormai superstar internazionale con i Maneskin, di cui è la compagna da cinque anni.

Chi è la signorina Nessuno?

«Nasce come frutto della mia codardia, era il mio alter ego quando non avevo il coraggio di dire con il mio nome le cose che sentivo. Poi è diventata un universo a sé, la chiamo la mia “signorina” perché è come se fosse reale. Abbiamo fatto un bellissimo viaggio insieme e le devo tanto. Ma, fortunatamente, me ne sono liberata perché ora c’è Giorgia». 

Quanto c’è della sua vita nelle poesie? Il capitolo intitolato “Abisso”, ad esempio, tratta la malattia.

«Tutto riguarda me o persone a me vicine. Rileggendo “Abisso” e altre poesie rivedo quel dolore e mi fa tenerezza. Ma quando ho scritto la maggior parte dei versi non avevo la diagnosi di vulvodinia e non davo spazio né legittimazione al mio dolore che dal libro esce in tutta la sua potenza». 

Quando è arrivata la diagnosi?

«Il 2 settembre 2020. Mia mamma ha avuto tre volte il cancro e ogni diagnosi è stata difficile. Per chi soffre di vulvodinia, endometriosi, fibromialgia, cistite interstiziale dare un nome alla malattia è una liberazione perché passi anni a dire di avere certi dolori, senza sapere cosa siano. Il 99 per cento delle persone, tra amici familiari e personale medico, crede che tu non abbia nulla. Vieni delegittimata nel tuo dolore. È quasi una vergogna provarlo». 

Lei dice di essere il primo medico di se stessa, è così?

«Ho passato il primo lockdown a cercare tutti i sintomi su Google. Sono capitata sul blog di un’associazione dove in tanti parlavano di vulvodinia. Me la sono autodiagnosticata e ho cercato un medico in grado di darmi una conferma e trattarla. Ho trovato il dottor Galizia che riceveva a Roma, Bologna e Modena. A Modena la lista era di soli tre mesi, lì ho ricevuto la diagnosi che già sapevo». 

Ha presentato una proposta di legge per il riconoscimento della vulvodinia e della neuropatia del pudendo dal sistema sanitario nazionale. Cosa significa?

«Pochissimi ambulatori sono in grado di fare una diagnosi e prendere in cura i pazienti. Occorre un approccio multidisciplinare, ti trovi sola, spaesata, senza capire a chi rivolgerti e dove, con una notevole spesa economica. Solo di riabilitazione del pavimento pelvico spendevo 240 euro al mese, più farmaci, integratori e visite». 

E a Bergamo si è affidata alla ginecologa Chiara Marra del centro polispecialistico CasaMedica.

«Da lei ho ricevuto la diagnosi di endometriosi. Le ho regalato una copia del mio libro, scrivendo “alla prima persona che ha creduto al mio dolore”. Abbiamo un bel rapporto di fiducia». 

Una poesia recita: “Il dolore è solo felicità non condivisa e andata a male”.

«Ho scoperto il potere della condivisione facendo attivismo, da lì ho avuto la forza di trattare altri aspetti della mia vita, come il soffrire di depressione o l’aver abortito, a proposito della maglia che indosso in questo momento. Ci sono cose di cui non si parla, perché c’è uno stigma pesante. Ma quando apri uno spiraglio, si apre un vaso di pandora. Scopri che molti conoscono quell’esperienza». 

Perché scelse di abortire?

«Ero giovanissima, avevo problemi di salute mentale ed economici, non avevo un lavoro con entrate certe. Il momento in cui mi sono interfacciata col mondo sanitario è stato un’esperienza che mi è stata fatta vivere in modo estremamente negativo. La 194 ha lacune enormi che dovrebbero essere prese in considerazione. Invece rimane una legge fuori dal periodo storico in cui viviamo». 

Quale è stata la sua esperienza?

«Sono andata in consultorio e sono stata aggredita dalla ginecologa, che mi sgridò dicendo che noi giovani facciamo sesso senza precauzioni e usiamo l’aborto come contraccettivo, senza sapere nulla della mia storia». 

Dove è accaduto?

«In Brianza». 

Poi la prassi cosa prevede?

«Un’assistente sociale indaga sulla tua famiglia per capire se ci siano traumi che ti hanno portato ad abortire con domande violente e invadenti a cui non vorresti rispondere poiché, qualsiasi sia il motivo della scelta, l’aborto è un diritto. Per sette giorni devi soprassedere, non puoi abortire: è come se lo Stato dicesse “ti permetto di fare questa cosa brutta, tu vai in castigo sette giorni, pensaci, se hai ancora il coraggio di farlo, va bene”. Ci sono donne che abortiscono senza senso di colpa, è ingiusto obbligarle a vivere questa esperienza in modo traumatico quando è possibile accompagnarle. Piuttosto di un colloquio con l’assistente sociale, proporrei delle sedute di psicoterapia». 

“Ottobre 2014, 18 anni, 9° piano. Trova tu un numero, ora, per esprimere il dolore della morte nel ricordo degli occhi di Gaia”. Chi era?

«È l’unica persona menzionata per nome nel libro. Una mia amica e coetanea, morta suicida a 18 anni. A 18 anni, tutti noi amici siamo caduti dal 9° piano con lei. Non sei preparato, è un tabu enorme. Io e Giulia, la mia editor, siamo state indecise se inserire o meno quei versi. Ma era un passo troppo importante della mia vita per non farlo». 

Oggi scrive che porta il rosa come una medaglia, perché?

«Tutto ciò che riguarda il femminile viene visto come delicato, fragilino e io che volevo avere un’immagine forte l’ho odiato. Quando mi sono resa conto che queste cose fanno parte di me l’ho rivendicato. E poi puoi presentarti truccata e con la scollatura e parlare di poesia». 

E quali sono i più belli tra i ricordi d’infanzia?

«Quando cucinavo con mia mamma le torte al pomeriggio. Era un momento di unione. E le giornate passate a leggere». 

Il libro che le ha cambiato la vita?

«”Il ritratto di Dorian Gray”, “L’insostenibile leggerezza dell’essere” di Milan Kundera, “Manuale per ragazze rivoluzionarie” di Giulia Blasi, “Parità in pillole” di Irene Facheris. E poi i libri di poesia di Antonia Pozzi. Ma se un libro non ti cambia la vita che senso ha leggerlo?».

Francesco Borgonovo per “La Verità” il 4 giugno 2022.

La Banca d'Italia, come ricordava ieri Dario Di Vico sul Corriere della Sera, ha calcolato che le famiglie e le coppie italiane spendono la bellezza di 640 euro al mese per il mantenimento di un figlio. 

Ai più poveri (perché, nonostante gli eufemismi, questo sono: poveri) lo Stato allunga al massimo 175 euro a pargolo, meno della metà della cifra necessaria, nel migliore dei casi. Studiosi autorevoli come lo statistico Roberto Volpi ci informano che l'inverno demografico ormai in corso da anni si è trasformato in un'era glaciale e l'idea della scomparsa degli italiani non è poi così folle. Giancarlo Blangiardo, presidente dell'Istat, poche settimane fa ha spiegato che «il Covid-19 ha lasciato un segno pesante sulle famiglie italiane. L'effetto pandemia si è sentito in modo forte anche sul fronte della diminuzione della natalità. Il 2021 è stato un anno molto negativo con una diminuzione della natalità e dell'investimento nel progetto familiare come non si vedeva da tempo». I dati a questo proposito sono impietosi: secondo l'Istat in 20 anni il numero medio di componenti delle famiglie italiane «è passato da 2,7 (media 1999-2000) a 2,3 (media 2019-2020), per effetto dell'incremento del numero di famiglie unipersonali. Le famiglie monocomponente rappresentano circa un terzo del totale delle famiglie (il 32,9 per cento): sono infatti cresciute di dieci punti nell'arco di 20 anni».

Dulcis in fundo, «si è ridotta anche la quota di famiglie di almeno 5 componenti che è passata dal 7,5 per cento del biennio 1999-2000 ad appena il 5,2 per cento nell'ultimo biennio». Al di là delle cifre, gli effetti sono evidenti nella vita di tutti i giorni. Un esempio? In Friuli Venezia Giulia, riporta la stampa locale, il nuovo anno scolastico si aprirà con 2.481 alunni e 54 classi in meno. Sembra la storia di una estinzione. E infatti persino un inquietante stramboide come Elon Musk si è accorto del dramma demografico in corso.

Questo il quadro della situazione. Eppure sapete qual è il problema che morde le coscienze di tanti commentatori e - come si definiscono - influencer italiani? Il fatto che dalle nostre parti non si abortisca abbastanza facilmente. Ieri La Stampa ha pubblicato in prima pagina l'intervento della modella Giorgia Soleri, nota per essere la fidanzata di Damiano, cantante dei Maneskin. Il titolo era eloquente: «Vi racconto il dramma del mio aborto. Aggredita e colpevolizzata dai medici».

Capito? Il dramma non è la gravidanza interrotta, ma il fatto di aver incontrato un dottore sgarbato. Non ci permettiamo certo di giudicare le scelte di una giovane donna che, come tanti, ha sicuramente cicatrici dolenti e brutti ricordi con cui convivere, per carità. Ma poiché ha deciso di rendere pubblica la sua vicenda, e lo ha fatto per uno scopo politico, ci dev'essere almeno concessa qualche riflessione. La prima riguarda l'ossessione contemporanea per la spettacolarizzazione del trauma. 

Oggi la sofferenza va messa in piazza, perché i nuovi eroi sono le vittime. Non c'è Vip che non racconti il suo tormento, gesto utile ad acquisire spessore umano, «autenticità». Beh, signori, da che esiste il mondo gli uomini soffrono. E questa venerazione della vittima conduce il più delle volte a una sovrastima del trauma, che diviene il metro con cui valutare tutto (come dimostrano le rabbiose minoranze ferite in cerca di un riscatto sotto forma di nuovi diritti, che spesso diritti non sono).

Nel caso della Soleri l'esperienza traumatica è la seguente. A 21 anni, nel 2017, è rimasta incinta e ha deciso di abortire. Il medico le ha fatto la paternale: «Ah voi giovani che scopate senza precauzioni e poi pensate di usare l'aborto come contraccettivo...». Poi, la legge le ha imposto di parlare con un assistente sociale e di aspettare addirittura una settimana prima di procedere all'intervento, periodo che la modella ha vissuto come «un castigo».

Esperienza spiacevole? Di sicuro. Il dottore poteva essere più dolce? Può anche darsi. Ma è curioso che il medico che fa la morale sia sgradito solo quando c'è di mezzo l'aborto e non, per dire, il Covid. Ed è curioso anche che a tale impatto con il personale sanitario la Soleri attribuisca la responsabilità esclusiva della depressione che l'ha investita successivamente, e che l'ha portata per due anni a sognare di partorire feti morti. Chissà, magari questo stato di sofferenza aveva persino qualcosa a che fare con l'interruzione di gravidanza, che non è esattamente una passeggiata, no? 

E proprio qui sta il nodo della questione. E proprio qui sta il nodo della questione. Sul fatto che non si debbano maltrattare o perseguitare le donne che abortiscono siamo tutti d'accordo, e dobbiamo esserlo perché lo impone la legge. Ma la modella pretende che l'aborto sia presentato a tutti i livelli come un atto normalissimo da svolgersi in tutta serenità.

Qualcosa che si può fare senza problemi o ricaschi. Una formalità. Ed è ovviamente libera di farlo, esattamente come sono liberi di esistere gli ormai numerosi siti Web creati proprio per ribadire - specie alle ragazze più giovani - che spegnere una gravidanza è un gesto come un altro: «Ho abortito e sono felice». Qualcosa però non torna. La promozione della cultura dello scarto è non solo considerata più che legittima, ma pure incentivata. Però appena Pro Vita organizza una campagna di sensibilizzazione contro l'aborto, ecco che scatta rapida la censura. 

In Italia abortire è possibile ovunque, ma ogni anno si assiste alla criminalizzazione dei medici obiettori di coscienza, che pure - chissà perché - sono sempre di più.

Oggi, per paradosso, non sono i movimenti pro vita a minare la legge 194: sono le varie transfemministe che regolarmente tentano di smontarla per sostituirla con qualcosa di più permissivo, spesso appoggiate dalle istituzioni che si impegnano a sdoganare la pillola abortiva in ogni dove. Viviamo una crisi demografica devastante, la sterilità è in aumento a causa dello stile di vita, chi riesce ad avere figli affronta micidiali difficoltà economiche. Eppure il problema è che non si raschiano via abbastanza feti. Si pretende di elevare a norma la deresponsabilizzazione, si rivendica il diritto a depotenziare la morte, medicalizzandone la mistificazione. Si esibisce e si celebra il trauma proprio - per quanto piccolo - ma la vita altrui, soprattutto se appena sbocciata - non ha alcun valore. In fondo, una civiltà di eterni bambinoni fragili come fiocchi di neve non ha certo bisogno di altri bambini.

Aborto, la conquista della libertà di scelta. Chiediamo dell’asciugamano stretto tra i denti come anestetico e come riparo dalle orecchie indiscrete dei vicini. Erica Mou su La Gazzetta del Mezzogiorno il 29 maggio 2022.

Non perdiamo l’opportunità di domandare alle donne più anziane, alle nostre nonne, alle vicine di casa.

Chiediamo loro di quella volta in cui sono state fatte stendere sul tavolo di una cucina, con le bacinelle per terra, con i fili di ferro infilati nel corpo, con il dottore che a volte dottore non era, con la sofferenza durante e dopo. Chiediamo loro dell’amica a cui la procedura non è riuscita, negandole per sempre la possibilità di un figlio, in seguito.

Chiediamo dell’asciugamano stretto tra i denti come anestetico e come riparo dalle orecchie indiscrete dei vicini. Sono 44 anni che l’aborto in Italia è legale, un tempo breve separa il presente dall’entrata in vigore della legge 194, che consente, nei casi previsti, di poter ricorrere alla IVG in una struttura pubblica. Ma questo è vero sempre? In Italia i ginecologi non obiettori di coscienza sono solo il 33%, cifra che andrebbe ulteriormente ridotta perché non tutti i non obiettori eseguono IVG (perché ad esempio nell’ospedale in cui lavorano non esiste il servizio). I dati sull’argomento non sono chiari, ce ne parla il libro intitolato appunto “Mai dati” di Chiara Lalli e Sonia Montegiove in uscita per Fandango.

A Febbraio di quest’anno mi sono ritrovata in Colombia tra centinaia di donne e uomini a festeggiare l’introduzione della legge che regolarizza l’aborto nel loro paese. Io e il mio compagno, che desideriamo avere figli, ci siamo emozionati nell’assistere a un momento storico per il Sud America e per il mondo intero, per la libertà di ogni persona. In questi giorni è invece proprio l’Occidente a sgretolare la solidità dei diritti acquisiti. L’Oklahoma vieta l’aborto fin dal concepimento, rivendicando, con il fucile sottobraccio, posizioni cosiddette “pro-life”.

Ma il corpo continueranno a gestirlo per sempre le donne, a costo di rimetterci la vita. Torneranno i fili di ferro, le bacinelle, gli asciugamani tra i denti e sarà solo colpa del silenzio e delle leggi che dovrebbero tutelare gli esseri umani.

Alessandro Fulloni e Valentina Lanzilli per corriere.it l'1 giugno 2022.

Ore 10 e 20 di ieri. Delle grida echeggiano da un cortile dietro via Arginetto, strada che attraversa Soliera, 15 mila abitanti nella Bassa Modenese. «Un bimbo è caduto da un balcone! Chiamate i soccorsi!» urlano. Quella che si accerta poi è una storia terribile che vede una babysitter di 32 anni, Monica Santi, incensurata, laureata in Economia e Commercio, arrestata per tentato omicidio. 

La donna avrebbe lanciato deliberatamente un piccolo di 13 mesi da un balcone al secondo piano. In quel momento i genitori erano al lavoro e in casa, oltre alla tata, c’era anche la colf. Il bimbetto è adesso ricoverato all’ospedale Maggiore di Bologna dove è giunto, in condizioni critiche, trasportato in eliambulanza. Ha riportato un trauma toracico e delle fratture. La prognosi è riservata, anche se le sue condizioni sono andate via via stabilizzandosi, hanno riferito i medici, cautamente ottimisti, nel corso della serata. Filtra pochissimo dall’indagine che il procuratore di Modena Luca Masini ha affidato al sostituto Pasquale Mazzei.

La babysitter è stata portata alla caserma dei carabinieri di Soliera dove è stata interrogata nel primo pomeriggio. Ma non sarebbe stata in condizioni di spiegare nulla. «È sotto choc, fortemente provata, non ricorda niente» spiega Francesca Neri, l’avvocata, nominata d’ufficio, che assiste la nurse di Carpi, sempre da queste parti nella Bassa. «L’interrogatorio è durato pochissimo — riferisce la legale — perché la mia assistita è in completo stato confusionale, quasi incapace di parlare». 

Ma perché un’accusa così grave come quella di tentato omicidio? Indicazioni importanti sarebbero arrivate dalla signora delle pulizie ascoltata dagli inquirenti. In sintesi: non sarebbe stato un incidente ma un gesto volontario. Dei vicini di casa nessuno, in questo condominio di villette a schiera dove vive la famiglia del bimbo avrebbe assistito direttamente alla scena della caduta, avvenuta da un balcone laterale e a un’altezza di circa quattro metri.

L’allarme è arrivato da qualcuno che lo ha visto a terra. «Era riverso a terra, sembrava dormisse» ha raccontato l’uomo che per primo ha chiamato il 112 e che però, precisa, non ha «visto altro». 

La babysitter lavorava da gennaio con i genitori del bimbo. «Otto ore al giorno, ma non so aggiungere nulla di più» racconta ancora l’avvocata delle bambinaia. 

«Non aveva mai dato segni di squilibrio» ha chiarito in serata la nonna del piccolo. «Siamo scioccati — ha proseguito la donna —, è una cosa troppo brutta da raccontare. Non posso dire altro, ci sono indagini in corso». 

I genitori — una coppia giovane, la mamma impegnata nel volontariato, i quattro nonni con interessi nel commercio — sono stati tutto il giorno al Maggiore, sperando in buone notizie dai medici. 

Dopo la formalizzazione dell’arresto, Monica Santi — minuta, i capelli raccolti in uno chignon: così la ritrae un video della Gazzetta di Modena mentre entra nella «gazzella» che l’ha portata in caserma — si trova in carcere in attesa dell’udienza di convalida. 

«Sono choccato, è una vicenda che per ora è incomprensibile: bisogna solo attendere che giungano notizie rassicuranti per il piccolo» ha detto in serata il sindaco di Soliera Roberto Solomita. 

Sette giorni fa un’altra vicenda simile era accaduta ancora a Modena. La piccola Rejoice Bellow, tre anni, è morta dopo essere caduta da un balcone a un’altezza di 23 metri. Si è trattato, in quel caso, di un incidente.

Soliera, del bimbo caduto dal balcone parla la donna che ha chiamato il 118: «La baby sitter Monica Santi? Impassibile». Alessandro Fulloni su Il Corriere della Sera il 2 Giugno 2022.

Simonetta Bergianti è la donna che ha allertato i soccorsi a Soliera, Modena: «L’ho visto a terra, non respirava, mi sono sentita morire. È stata bravissima la signora delle pulizie: lo ha preso in braccio, lo ha scosso. Lui ha vomitato, respirando subito meglio».

«La babysitter? L’ho vista alla finestra e poi in casa, al primo piano. Impassibile, non si è mossa, impalata così... Mi ha fatto impressione. E poi quelle parole che ha detto alla signora delle pulizie che invece ha fatto l’impossibile per salvarlo: “Ora il bambino è libero”. Una parola ripetuta altre due volte: “libero, libero...”». Simonetta Bergianti è la donna che ha chiamato il 118, attivando il soccorso che ha permesso di portare tempestivamente in ospedale il bambino di 13 mesi caduto da una finestra al secondo piano di una villetta a Soliera, nella Bassa Modenese. A spingerlo giù, martedì, sarebbe stata la babysitter, la 32enne Monica Santi, una laurea in Economia e commercio, residente con i genitori nella vicina Carpi, arrestata dai carabinieri per tentato omicidio.

Ieri pomeriggio Simonetta era ancora in via Arginello, dove tutto è successo e dove vive la famiglia del piccolo che è ricoverato al Maggiore di Bologna. È in prognosi riservata, ha fratture varie ma i medici sono fiduciosi. Parlando con il Corriere della Sera e la Rai, la donna ha raccontato «quei 15 o 20 minuti parsi un’eternità». Erano le 10 e 20 «e sono scesa di casa perché la vicina che rientrava in bici, dal retro delle villette a schiera ha visto il bimbo esanime nel cortile. Incredula, non sapeva cosa fare... ha visto la mia auto parcheggiata in strada e ha citofonato ai miei genitori. Io ero da loro, ero passata a trovarli. “Corri giù”, ha gridato... Allora sono uscita dalla cucina, il piccolo era sul lastricato. Mi sono sentita morire, il corpicino steso a terra. Poverino, faticava già a respirare, aveva le labbra nere...».

La donna, visibilmente scossa, piange — «ho pregato tutta la notte per lui» — eppure l’altra mattina ha trovato, in quello scenario terribile, lucidità e freddezza per allertare i soccorsi, «magari farfugliando qualcosa, ma chiara nel dirgli di sbrigarsi». Il resto ha tentato di farlo la signora delle pulizie «prendendo in braccio e scuotendo il piccolo che per fortuna ha vomitato, respirando meglio». A un certo punto c’è stato da avvertire i genitori, al lavoro, «e così ho preso il cellulare della colf salendo in casa». Al primo piano Simonetta ha visto la babysitter «immobile, non un cenno, niente di niente». Poco prima era stata proprio la signora delle pulizie «a dirmi che la Santi era al secondo piano, dove è caduto il piccolo. Poi era scesa di sotto e le aveva detto: “Ora lui è libero...”. Non so cosa intendesse. Non so darmi una risposta, forse non se la darà mai nemmeno lei».

E dopo? «Ho pianto e basta. Fare del male a un esserino così...». L’arresto della babysitter è scattato al termine dell’interrogatorio davanti ai carabinieri del comando provinciale di Modena diretto da Paolo Bigi, e al pm Pasquale Mazzei che coordina l’inchiesta: decisiva la testimonianza della stessa colf, un’italiana sui 40 anni che vive a Soliera. «Sotto choc, la babysitter non è stata in grado di spiegare nulla» racconta la sua avvocata Francesca Neri. Domani ci sarà l’udienza di convalida. In carcere, prosegue la legale, Monica Santi ha chiesto «come stava il bambino e se stesse ancora in ospedale».

Dal corriere.it il 2 giugno 2022.

«Mi ha fatto impressione, lei (la baby sitter ndr) non si è mossa, è rimasta impalata mentre noi correvamo per questo bambino». È la testimonianza a "La Vita in diretta" su Rai 1 di una vicina di casa del bimbo di 13 mesi precipitato da un balcone del secondo piano a Soliera, nel Modenese. 

La baby sitter, 32 anni, è stata arrestata e deve rispondere Il piccolo è ricoverato in gravi condizioni all'Ospedale Maggiore di Bologna. «Il piccolo Tommaso è fin di vita per colpa di una che doveva occuparsi di lui», ha aggiunto la vicina.

Modena, il bimbo caduto. La babysitter arrestata: «Non faccio altro che pensare a lui». Si va verso perizia psichiatrica. Alessandro Fulloni su Il Corriere della Sera il 2 giugno 2022.

«Non faccio altro che pensare a come sta quel bimbo...». E ancora: «Sta meglio? È ancora in ospedale?». Sono le due frasi che, in carcere, Monica Santi, la babysitter di 32 anni che avrebbe gettato dal secondo piano un bimbo di 13 mesi, ha pronunciato non appena ha visto l’avvocata che l’assiste, Francesca Neri, in visita mercoledì. La 32enne «mi ha subito chiesto come stesse il piccolo» dice al Corriere la legale. Che rivedrà la bambinaia domattina alle 9 quando al «Sant’Anna» di Modena si terrà l’udienza di convalida dell’arresto. «È davvero preoccupata per il bimbo, mi ha raccontato che è il suo pensiero continuo in queste ore che sta trascorrendo in cella».

Sull’accaduto la donna, interrogata martedì, poche ore dopo quanto successo al piccolo — ricoverato al reparto Terapia intensiva dell’ospedale Maggiore di Bologna dove i medici sono cautamente ottimisti sulle sue condizioni — non ha detto nulla. Black-out totale, «non ricorda assolutamente niente» spiega l’avvocata. Per questo motivo non è da escludere che il giudice possa disporre una perizia sulle condizioni mentali dell’arrestata, così come potrebbe chiedere la difesa. Sarebbe stata lei, secondo le testimonianze, a far cadere da una finestra al secondo piano della casa in cui si stava occupando del piccolino a Soliera, nella Bassa modenese.

Alla base dell’arresto ci sono anche i racconti di una donna delle pulizie e di una vicina che hanno indotto carabinieri e il pm Pasquale Mazzei a ritenere la 32enne responsabile dell’accaduto. Santi , una volta che le due donne hanno visto il minore a terra sul retro dell’abitazione, avrebbe riferito la frase: «Il bimbo ora è libero».

La baby sitter del bambino caduto: «Sono stata io, ero in catalessi». Alessandro Fulloni, inviato a Modena, su Il Corriere della Sera il 3 Giugno 2022.

Monica Santi, 32 anni, ha confermato il racconto della colf e ha confessato: «Non è stato un gesto deliberato, vengo da un periodo difficilissimo».

 Monica Santi, la 32enne baby sitter di Carpi, ha confessato di aver gettato dal secondo piano il bambino di Soliera (Modena) che aveva in affidamento. Interrogata durante l’udienza di convalida dell’arresto, in lacrime, la giovane donna ha confermato il racconto della colf, ammettendo di avere gettato il bambino dalla finestra. «Ero in catalessi — ha detto al giudice —, ma non è stato un gesto deliberato, ho avuto un malore. Vengo da un periodo difficilissimo».

Da gennaio

La baby sitter lavorava da gennaio con i genitori del bimbo. «Otto ore al giorno», ha raccontato l’avvocata della bambinaia. E, secondo quanto dichiarato dalla nonna del piccolo, non aveva mai dato segni di squilibrio. I genitori del bambino, che versa ancora in gravi condizioni, sono una giovane coppia: la mamma è impegnata nel volontariato, i quattro nonni con interessi nel commercio.

L’avvocata

«È stata lei che ha lanciato il bambino dalla finestra — conferma il suo avvocato Francesca Neri, fuori dal carcere Sant’Anna di Modena —. Lei ha spiegato che non è stato un gesto premeditato ma frutto di un malore che improvvisamente l'ha colpita. Lei si è trovata in uno stato di catalessi dove si sentiva soffocata ed ha compiuto questo gesto del quale non riesca a dare alcuna spiegazione. Dopo aver compiuto questo gesto dice che si trovava in una realtà parallela e non capiva cosa gli stesse succedendo. L’unica cosa che è stata in grado di fare è stato di scendere dal piano superiore e andare dalla donna delle pulizie che era al piano inferiore e riferire la frase: “adesso il bambino è libero”»

Senso di abbandono

«La sua era una richiesta di aiuto nei confronti della colf — prosegue l’avvocata — infatti quella frase l’ha ripetuta due-tre volte in quanto la signora non capiva cosa stesse dicendo. Solo dopo la colf ha capito che il bambino si trovava sul retro. Lei era priva di alcun sentimento, era immobilizzata. Ha potuto dire che nell’ultimo periodo, a seguito di insoddisfazioni in campo lavorativo, precedenti al lavoro di baby sitter, è nato in lei un senso di abbandono e insicurezza. Aveva bisogno di attenzioni che non riusciva a trovare da parte di nessuno. Riteneva di riuscire a gestire questo suo malessere». Invece, purtroppo, il malessere ha avuto il sopravvento sul suo raziocinio.

«Piange e si dispera»

«In carcere — riferisce sempre il legale— ha chiesto subito delle condizioni di Tommaso, è disperata e continua a piangere. E il suo dolore e anche quello dei suoi familiari». L’avvocato conferma che verrà presto nominato un perito, per vedere «quanto il suo disagio abbia influito nel suo gesto». Il magistrato si è comunque riservato di decidere. Da parte sua, inoltre, la difesa non ha richiesto misure alternative al carcere. «In questa fase — dice l’avvocato Francesca Neri — la custodia cautelare è quella che meglio la possa tutelare».

La mamma della baby sitter: «Me l’hanno rovinata, era stata mobbizzata nell’azienda dove lavorava». Alessandro Fulloni su Il Corriere della Sera il 5 giugno 2022.

La madre di Monica Santi, arrestata per il tentato omicidio del bambino che ha fatto cadere dal balcone: «Mia figlia era scossa per come perse il vecchio impiego. è una donna sola... voleva bene a quel piccino».

«Mia figlia? Era scossa per come aveva perduto l’impiego da segretaria: sì, loro me l’hanno rovinata... Ma di una cosa sono certa: Monica a quel bimbo voleva bene...». Distrutta, a raccontarlo è stata la madre della baby sitter 32enne arrestata per tentato omicidio dalla Procura di Modena. Parole che arrivano per bocca di Francesca Neri, l’avvocata che difende la tata. Quest’ultima ieri (venerdì) nel corso dell’udienza di convalida del fermo, ha confessato tutto: «Ho gettato il bimbo fuori dalla finestra... non so spiegare il perché, ero in catalessi, quasi soffocata. Dopo è come se mi fossi trovata in una realtà parallela. L’unica cosa che poi sono riuscita a fare è stata scendere al piano di sotto, raggiungere la colf e dirle: “Adesso il bambino è libero”». Una frase, questa, ripetuta altre due volte, «perché la signora non capiva e solo dopo la mia insistenza, che era una specie di richiesta di aiuto, è corsa giù, nel retro della casa dove era caduto il piccolo. A quel punto io ero spenta, priva di sentimenti, immobilizzata».

Ore 8 e 30, carcere Sant’Anna di Modena. Monica Santi confessa spontaneamente durante l’udienza di convalida del suo arresto, disposto martedì pomeriggio, qualche ora dopo aver spinto il piccolo di 13 mesi dal secondo piano di una casa a Soliera, da queste parti nella Bassa. La donna, minuta, entra nella stanzetta degli interrogatori e domanda delle condizioni del piccolo. Il gip Andrea Scarpa e il pm Pasquale Mazzei la rassicurano e l’avvocata che l’assiste, appunto Francesca Neri, le dirà che il bambino sta fortunatamente meglio: i medici dell’ospedale Maggiore di Bologna, dove è ricoverato in Terapia intensiva per un trauma toracico, sono «cautamente ottimisti».

La bambinaia chiede di poter parlare subito, piange, la voce trema. Non sa dire come e il motivo per cui ha lasciato cadere il piccolo. A riguardo è ancora buio completo e i due magistrati - dirà poi l’avvocata ai giornalisti fuori dal carcere - sul punto non insistono, lasciandola proseguire «nel suo sfogo». Racconta di «insoddisfazioni in campo lavorativo» precedenti di qualche mese l’impiego presso la famiglia di Soliera, trovato a fine 2021 «leggendo un annuncio online» e dopo aver trascorso l’estate a Nizza, sempre come baby sitter.

Laureata in Economia, appassionata di fotografia e disegno, sino allo scorso giugno aveva lavorato come segretaria amministrativa presso un’azienda nel Modenese. Un rapporto di lavoro «finito male», ha spiegato la legale, «sul filo del mobbing» e per la cui risoluzione è stato necessario «l’intervento dell’avvocato». Ciò ha provocato, ha detto la donna davanti al gip, «un senso di abbandono e insicurezza . Avevo bisogno di attenzioni che non ho trovato da nessuna parte». Da qui «un malessere» che «pensavo di poter gestire. Ma non ci sono riuscita».

Con la famiglia di Soliera, ha ripetuto, «mi sono sempre trovata bene» e martedì «non è stato un comportamento particolare del bimbo» a provocare quel gesto che «non so spiegare» e che per l’avvocata «non è stato premeditato». Al termine dell’udienza, il gip ha confermato l’arresto per tentato omicidio ravvisando il rischio della reiterazione del reato. «Non ho chiesto misure alternative, in questa fase la custodia cautelare è quella che meglio può tutelare Monica» puntualizza la legale confermando che verrà presto nominato un perito, «anche su richiesta del pm, per chiarire, in incidente probatorio, quanto il suo disagio abbia influito in ciò che ha commesso» .

«La baby sitter viveva con gli anziani genitori che hanno un podere nella vicina Carpi. «Mia figlia è sempre stata una donna sola e da sola andava al cinema o in gita, come domenica scorsa a Forte dei Marmi» racconta ora la mamma per bocca dell’avvocata. «Era scossa per come aveva perduto l’impiego da segretaria: sì, loro me l’hanno rovinata...». Al bimbo «mia figlia voleva bene —ha proseguito — . Quando rientrava dal lavoro mi tempestava di domande: “Ma io quando ho cominciato a camminare? E a parlare?”. Cose così... Voleva sapere come regolarsi con quel piccino che adorava». Parole confermate, nelle tre pagine dell’ordinanza d’arresto, pure da Anna, la colf che martedì, scuotendolo e permettendogli di tornare a respirare dopo averlo fatto rigurgitare, ha forse salvato il bambino. «La baby sitter? Si è sempre comportata bene, è una brava ragazza».

Alessandro Fulloni per corriere.it il 5 giugno 2022.

Anna è una donna minuta, gli occhi pieni di grinta. Siciliana, sui quarantacinque anni. Molto religiosa. È lei che, martedì mattina, in qualche modo ha salvato il piccolo di 13 mesi gettato dalla finestra al secondo piano da Monica Santi, la 32enne babysitter arrestata dalla Procura di Modena per tentato omicidio e che in queste ore è assistita, in carcere, da un team di medici e psicologi. 

Una specie di «sorveglianza» nel timore di «gesti autolesionistici». Incrociamo Anna a Soliera, dove è avvenuto il fatto, mentre esce dall’ufficio dei nonni del piccino dove si occupa delle pulizie. Le diciamo: «Signora, senza il suo intervento oggi racconteremmo tutta un’altra storia...». Anna si schermisce, allunga il passo. «Il Cielo ha voluto così...».

Ricordiamo brevemente quello che è accaduto in via Arginello, poco lontano da dove ci troviamo ora, vicino alla Rocca medievale e al Municipio. Erano le 10 e 20 e la tata scende dal secondo piano per raggiungere il primo. Davanti al gip Andrea Scarpa e al pm Pasquale Mazzei, venerdì la bambinaia ha detto che «l’unica cosa che sono riuscita a fare è stato dire la colf — in quel momento le due donne erano sole in casa — : “Adesso il bambino è libero”». 

Una frase, questa, ripetuta altre due volte, «perché la signora non capiva e solo dopo la mia insistenza, che era una specie di richiesta di aiuto, è corsa giù, nel retro della casa dove era caduto il piccolo». 

Qui nel cortile Anna, dopo aver visto il piccolo esanime, ha afferrato il bimbo — assumendosi una responsabilità tremenda nello spostarlo —, lo ha scosso, lo ha fatto rigurgitare. Poi il bimbo ha ripreso a respirare. Intanto era arrivata l’eliambulanza che poi lo ha portato all’ospedale Maggiore di Bologna dove i medici, cautamente ottimisti, pur facendo permanere la prognosi riservata, dicono che il bimbo sarebbe «fuori pericolo» tanto che hanno deciso di estubarlo. 

Insistiamo con Anna. Lei scuote la testa. Dice solo «che Dio mi ha dato la forza di aiutare il bimbo in quel momento terribile. Io sono molto credente e anche adesso continuo a pregare incessantemente». E ora che sta un po’ meglio? «Lavoro, prego ancora. Non so quanti “Padre nostro” avrò recitato...». 

Domanda inevitabile: ma la baby sitter? «Una brava ragazza, non si vedeva niente di strano e si era sempre comportata bene». Parole che sarebbero state ripetute anche al pm e ribadite nelle tre pagine che compongono l’ordinanza di arresto e che vertono sulla testimonianza della signora delle pulizie. Che prima di allontanarsi ci tiene a dire: «Speriamo che lui guarisca. Gli vogliamo tutti bene...».

Questione di feeling. L’uomo incinto coi baffi, la legge 194 e la tragicommedia del postmodernismo. Guia Soncini su L'Inkiesta l'8 Giugno 2022.

Questa storia di dare la priorità alle emozioni è sfuggita di mano se nel 2022 si critica la legge sull’aborto perché «si riferisce esclusivamente alle donne». Tutta questa ridicolaggine non può che essere un complotto della destra per far iscrivere le professoresse democratiche ai nazisti dell’Illinois.

La prima canzone che ricordi uscì quando avevo due anni, i miei genitori la ascoltavano ossessivamente, e perciò quasi cinquant’anni dopo, ogni volta che il postmodernismo c’ingiunge di preoccuparci di ciò che sentiamo, proviamo, percepiamo, io mi ritrovo a canticchiare: feelings, nothing more than feelings.

Questa cosa di dare la priorità alle nostre, santiddio, emozioni, ha preso la mano agli americani, e a cascata a noi, goffa provincia dell’impero. Ieri ero in chat con un’impiegata americana di Amazon che, in risposta alle mie proteste perché il libro che avevo pagato perché arrivasse il 31 non era ancora arrivato una settimana dopo, mi rispondeva, applicando probabilmente un modulo fisso per clienti insoddisfatti, che le dispiaceva molto per come la situazione mi faceva feel.

E quindi, in un’epoca il cui teorico è stato evidentemente Ligabue (l’amore conta, ma pure il genere sessuale, ma pure qualunque altra emotività ti venga in mente), è del tutto normale che una pagina di militanza abortista, Libera di abortire, ci spieghi che la 194 ha 44 anni e li porta malissimo.

Perché è una legge che dice che se vuoi abortire il personale sanitario deve provare a dissuaderti e dirti di pensarci un po’ su come fossi una cinquenne che vuole il gelato prima di cena e non è sicura dei propri feelings? Mmm, no. Perché prevede l’obiezione di coscienza anche coi medici in servizio negli anni Settanta tutti ormai abbondantemente in pensione e perciò non bisognosi di essere tutelati nei loro feelings col diritto all’obiezione? Mmm, no. Perché vieta di abortire privatamente, lasciandoti anche se solvibile in balìa dei capricci degli obiettori, e sovraccaricando le strutture pubbliche (qui pochi feelings e molta banale economia)? No, neanche questa è la rimostranza che hanno da fare all’impresentabile legge che in Italia regolamenta l’interruzione volontaria di gravidanza.

Il problema, ricopio sperando di non morire dal ridere prima di arrivare alla fine della citazione, è che la 194, «riflettendo le dinamiche di genere degli anni Settanta» (o le dinamiche biologiche da che esistono i mammiferi, a seconda che uno viva nei propri feelings o nella realtà), «si riferisce esclusivamente alle donne».

E mica abortiscono solo le donne, brutti arretrati che leggete e vi chiedete di cosa diavolo stiano parlando: «Per noi il Pride month è ricordare che anche le persone transgender e non binarie possono abortire». Propongo un emendamento: l’Italia ripudia la guerra a meno che qualche suo cittadino non si percepisca Napoleone.

Riepiloghiamo, prendiamo sul serio questa istanza, tanto non c’è bisogno di ridicolizzarla. Tu sei nata Maria Giuseppina: è il nome che ti hanno assegnato dopo aver osservato che avevi la vagina e non il pene, nell’ecografia o direttamente alla nascita; tu ora diresti che quello femminile è il «sesso assegnato alla nascita» perché sei preda d’un culto che Mamma Ebe in confronto era illuminista, un’ideologia che t’impedisce di capire che non è che in sala parto sorteggino dei sessi, esiste la biologia, l’hai studiata alle scuole medie. Ma andiamo con ordine.

Ti chiami Maria Giuseppina, ma ti percepisci non binaria, ti metti la schwa e tutte cose. Poi un giorno resti incinta, e dovresti farti delle domande, dirti che forse questo lavaggio del cervello che ti ha fatto il postmodernismo è una stronzata, che effettivamente sei una mammifera femmina e se ti accoppi con un mammifero maschio senza anticoncezionali (ti feelavi non binaria, mica potevi fare cose da donna quali prendere la pillola) può accadere tu resti incinta; guarda un po’, è accaduto, e neanche lo volevi, quindi ti tocca fare una delle quattro uniche cose che distinguono le umane mammifere dagli umani mammiferi: abortire (le altre sono mestruare, partorire e allattare).

Col cazzo (scusate la prescrittività patriarcale). Col cazzo, dice l’algoritmo (che mi pubblicizza mutande mestruali per uomini, giuro) e dici tu e dicono i tuoi lavandai di cervello. Mica sei tu che ti adeguerai alla normatività biologica. Sarà la legge che si adatta a te, dicendo che a partorire può essere non solo una donna ma anche un it (o come diavolo vogliamo chiamare quella che si feela non femmina né maschio).

E che dire delle «persone transgender» (vi siete mai chiesti perché solo di loro si ribadisca un vieppiù ridondante «persone»? Ve lo dico io: perché l’italiano è una lingua romanza, e dire «persone» è l’unico modo per non dire di che sottinsieme mammifero faccia parte l’oggetto della conversazione: i transgender, le transgender).

L’uomo incinto coi baffi, quello che una volta era una commedia con Mastroianni, adesso è abbastanza realtà da avere la sua brava emoji. Ho amiche assai progressiste che il giorno in cui la Apple ci ha fatto dono dell’uomo incinto hanno perso la pazienza; ho un amico convinto che tutto questo postmodernismo sia un complotto delle multinazionali per distrarci dai diritti economici; unendo i due aneddoti, viene fuori: tutta questa ridicolaggine non può che essere un complotto dei partiti di destra per far iscrivere le mie amiche professoresse democratiche ai nazisti dell’Illinois.

Sarà una grande vittoria delle istanze di genere. L’aborto neutro, e il travaso del ceto medio riflessivo come nuovo bacino elettorale di Giorgia Meloni. Tanto, se una tizia incinta può percepirsi uomo, loro possono votare i fascisti percependosi di sinistra: mica è più d’un feeling.

Il muro di gomma. In Italia c’è un enorme problema sui dati relativi all’aborto. Chiara Lalli e Sonia Montegiove su L'Inkiesta il 31 Maggio 2022.

Sono pochi, vecchi e inservibili. Le strutture stesse faticano a fornirli. Come spiega la ricerca di Chiara Lalli e SIlvia Montegiove, pubblicata da Fandango, questo rende difficile capire in quali ospedali si pratica l’interruzione volontaria della gravidanza e quanti siano i medici disposti a farlo.

Come sta la 194, la legge sull’interruzione volontaria della gravidanza? Per saperlo avremmo bisogno dei dati, ma quelli della relazione di attuazione del Ministero della salute sono chiusi, aggregati per regione e vecchi. Cioè sono poco utili e poco a fuoco.

Immaginate di voler sapere se in un ospedale si eseguono le interruzioni volontarie della gravidanza, perché non in tutti gli ospedali si può abortire, quanti ginecologi ci sono e quanti di questi sono obiettori di coscienza. È possibile? Non proprio. Che fare? O avete un amico medico, meglio se in buoni rapporti con la direzione sanitaria di quell’ospedale, oppure potete provare a telefonare o a mandare una email (possibilmente certificata e con la ricevuta di avvenuta consegna), ma in questo caso potrebbe volerci molto tempo e non è nemmeno detto che riuscirete a ottenere questa informazione.

Perché le Asl o i singoli ospedali non sempre ti rispondono all’email, anche se dovrebbero, al telefono elencano scuse burocratiche e amministrative e difficoltà nel recuperare i dati (cioè, quanti sono i medici del tuo reparto – sembra una impresa eroica e forse lo è), a volte ti attaccano o cade la linea quando ti passano l’interno giusto (come un qualsiasi call center Tim) o ti promettono di richiamarti e poi scendono a comprare le sigarette. A volte ti mandano via posta certificata il numero di protocollo che hanno assegnato alla tua richiesta cui risponderanno e poi si incontrano tutti al bar o dal tabaccaio. Anche solo “fate ancora interruzioni della gravidanza?” oppure “c’è il reparto?” sono domande che non prevedono una risposta facile e tempestiva. 

Non sempre chi ha bisogno di sapere questo dato ha così tanto tempo da perdere. (Diciamo quasi mai, soprattutto se ti serve per decidere dove andare ad abortire.)

Ecco perché MAI DATI, perché i numeri delle singole strutture non ci sono o si trovano solo con molta fatica. Ecco perché abbiamo mandato molte richieste di accesso civico generalizzato ai singoli ospedali, per sapere quanti ginecologi c’erano e quanti di loro erano obiettori di coscienza.

Non tutti ci hanno risposto, anche se avrebbero dovuto e anche se dopo il primo invio abbiamo mandato un sollecito al responsabile trasparenza (a volte la pagina dedicata non funzionava nemmeno, anche se avrebbe dovuto, e trovare il giusto interlocutore non è stato sempre facile).

Sono passati alcuni mesi dal nostro primo invio e dalla prime risposte – era agosto scorso – e bisognerebbe ricominciare tutto dall’inizio perché quei numeri sono già vecchi (alcuni lo erano già quando ce li hanno mandati) e anche la nostra fotografia non è a fuoco.

Abbiamo bisogno di una mappa dettagliata e aggiornata, disegnata a partire da dati aperti e ufficiali. Tutti i numeri e tutte le tabelle della relazione ministeriale dovrebbero essere declinati sui singoli ospedali e dovrebbero essere aggiornati con una certa frequenza e non ogni anno e mezzo (più o meno, quando capita). Dovrebbe esserci un elenco pubblico e facilmente rintracciabile dei centri in cui si eseguono le interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg) e dei centri in cui non si eseguono, e non solo il numero totale e quello parziale. Quello che ci dice la relazione, oggi, è che ci sono 564 ospedali; di questi in 356 si effettua l’Ivg, cioè nel 63,1%. Anche il significato di questo dato è nebbioso se preso da solo. Dovremmo cioè leggerlo insieme al numero delle donne che chiedono di abortire, ai tempi di attesa, al rapporto tra richiesta e offerta.

Non solo. Sappiamo poi che questo numero potrebbe essere perfino sbagliato, perché di questi 356 alcuni ci hanno risposto che hanno il 100% di obiettori di coscienza e quindi, pur essendo magari ufficialmente punti Ivg, non c’è nessun medico a garantire il servizio di interruzione della gravidanza. Che è un servizio medico ma che sembra essere diventato solo una questione di coscienza – del medico, ovviamente, perché la donna che abortisce forse la coscienza non ce l’ha.

Ci sono anche ospedali in cui gli anestesisti o i professionisti sanitari non medici sono tutti obiettori, che è curioso e preoccupante.

Dovrebbe anche esserci un’altra informazione: quanti non obiettori eseguono davvero le interruzioni volontarie della gravidanza. Questo è un dato più invisibile degli altri. Non c’è nemmeno aggregato nella relazione e non c’è nei dati che la Regione Lazio ci ha mandato. Ce ne siamo accorte per caso leggendo alcune risposte (poche, pochissime). E all’inizio ci siamo sentite un po’ sceme: in che senso “non obiettore che esegue Ivg”? E gli altri? E quindi nelle percentuali ufficiali del Ministero va aggiunta una ulteriore percentuale (ignota, ovviamente)? Quanti di quel 33% di medici non obiettori di coscienza eseguono Ivg?1

Non basta dunque essere non obiettore per eseguire aborti (cioè per essere tra quelli che garantiscono una procedura medica), e quelli che eseguono aborti sono un sottoinsieme dei non obiettori che sono a loro volta un sottoinsieme di tutti i medici.

Per non sembrare dei picchiatelli al parco, parlando a vanvera in piedi su una cassetta, abbiamo bisogno di avere i dati ufficiali. Aperti, aggiornati e dettagliati. E sui quali non dobbiamo fare ipotesi magiche o essere costrette a verifiche complicatissime.

Non è impossibile, non è nemmeno troppo difficile se impostiamo bene il modello da usare. E se non abbiamo abbastanza fantasia, basta copiare chi lo ha già fatto.

Alcuni dati preliminari sono stati pubblicati nella pagina del sito dell’Associazione Luca Coscioni dedicata a 194. MAI DATI.

Speriamo che tutti questi (mai) dati si possano trovare presto sui siti istituzionali. Aperti e aggiornati.

Da “Mai dati. Dati aperti (sulla 194) Perché sono nostri e perché ci servono per scegliere”, di Chiara Lalli e Sonia Montegiove, Fandango, 2022, pagine 172, euro 15

Egle Priolo per “Il Messaggero” il 25 maggio 2022. 

Nella lingua dei genitori, il suo nome significa Felice. Ma in un anno appena di vita, un mese passato in ospedale per arresto cardiaco e fratture alla testa e alla spalla, un padre in Francia che si è dimenticato di lui e una madre accusata di lesioni, la paura è che quel bimbo, felice, lo sia stato solo a favore di fotocamera per Fb. 

Perché il piccolo lotta ancora come un leone in un lettino dell'ospedale Meyer di Firenze sempre in prognosi riservata, dopo essere morto per almeno sei minuti e salvato dai medici della Rianimazione del Santa Maria della misericordia di Perugia, dove è arrivato il 15 maggio in arresto cardiocircolatorio. Un incidente domestico, ha detto la madre accompagnata da un uomo poi sparito: si è affogato per un virus gastrointestinale e non respirava più.

I SOSPETTI Troppi incidenti in casa, è invece la teoria della procura diretta da Raffaele Cantone che, con il sostituto procuratore Mara Pucci, accusa la donna, una 25enne di origini nigeriane da tempo residente in quel paesone alle porte di Perugia che è Ponte San Giovanni, di maltrattamenti in famiglia, lesioni personali aggravate e abbandono di minore. Il bambino era stato già ricoverato due settimane in ospedale tra il 24 marzo e l'8 aprile per una frattura all'omero spiegata come una botta contro una porta, ma che secondo gli investigatori potrebbe assumere un altro valore.

Ieri sono iniziate le operazioni peritali per quegli accertamenti urgenti e irripetibili che la procura ha affidato al professor Mauro Bacci, mentre la mamma ha nominato il medico legale Sergio Scalise, convinta di poter dimostrare di avere un figlio solo sfortunato. Che quella «frattura longitudinale, con diastasi dei frammenti, dell'osso parietale sinistro e una tumefazione dei tessuti molli in sede frontale destra» con cui è arrivato l'ultima volta in ospedale, più quella precedente, se le è procurate in casa, sì, ma senza alcuna colpa.

LO SMARTPHONE Alla donna, assistita dagli avvocati Carmela Grillo e Francesca Crisopulli, sono stati sequestrati anche il cellulare e i vestiti del piccolo: e proprio nel suo smartphone è convinta di far trovare le prove della sua innocenza, tra i messaggi alla pediatra che segue il bambino, le sue continue attenzioni e i controlli mensili per un'ernia che «non hanno mai fatto emergere anomalie», dicono i legali. Al momento, però, è diversa la versione che serpeggia nel reparto perugino di Pediatria, dove è emersa la pista di possibili maltrattamenti.

La domanda, però, è perché allora non si sia attivata la procedura Codice rosso. Perché qualcosa sembra essersi inceppato nei vari passaggi che hanno portato all'apertura del fascicolo a 38 giorni dal primo ricovero? Perché i racconti della madre sono stati considerati attendibili o perché la burocrazia ha un fuso orario diverso da quello della giustizia? Domande a cui cerca risposta la procura. Perché il piccolo ha solo diritto di essere davvero felice.

Francesco Papa per “la Stampa” il 26 maggio 2022.

Cos' hanno in comune Sergio Mattarella, Papa Francesco ed Elon Musk? Sono preoccupati per l'Italia. Per un aspetto particolare, forse il più importante: il suo futuro, sbirciando nelle culle dove dormono i neonati. E sono sempre di meno. «Il calo della natalità mi preoccupa, servono politiche per la famiglia» ha ammesso il capo dello Stato due settimane fa. «Non vedere il problema della denatalità in Italia è miope, bisogna abbassare gli steccati ideologici» aveva aggiunto il Pontefice. 

E al coro del dibattito sulla denatalità in Italia ieri si è aggiuntala voce d'Oltreoceano, inaspettata e per questo più rumorosa, soprattutto per i giovani: quella dell'uomo più ricco del mondo - 219 miliardi di patrimonio stimato - e mr Tesla, mr PayPal, futuro mr Twitter. Proprio sul social network dei cinguettii Elon Musk, interrogato con un grafico sul numero annuo di nati in Italia dal 1946 al 2018 dell'informatico Andrea Stoppa, ha lanciato al mondo la sua profezia in 280 caratteri. Anzi, meno: «Italy will have no people if these trends continue».

Tradotto e interpretato: se questa tendenza continua, l'Italia diventerà un deserto. La sua voce, invece, non si è persa nel deserto. In tanti hanno risposto, italiani e non. Citando il Covid, il lavoro, le politiche per la famiglia, per alcuni anche la «dispersione dei valori familiari». Tra le risposte al tweet di Elon Musk c'è il punto di vista di giovani e adulti, genitori, aspiranti tali e chi non ne vuole sapere. «Nonostante il buon livello di welfare, la natalità è in calo» scrive Andrea Stroppa con il grafico in allegato da cui nasce il dibattito. Un buon livello di welfare? Paolo Bucci non è d'accordo: «Gli aiuti statali per sostenere la maternità ci sono, ma sono ridicoli». 

Poi, la stoccata: «E c'è anche mancanza di valori familiari...». Eusapia sembra condividere: «Si attende troppo il momento giusto, che non arriverà mai. Bisognerebbe essere solo più audaci, serve solo la voglia di rinunciare un po' a sé, e affidarsi alla provvidenza». La soluzione che propone, però, è «boicottare un tir di profilattici».

Troppa provvidenza. Le voci si moltiplicano, nel tweet che ormai è in tendenza: «L'Italia è un Paese per ricchi, i poveri sopravvivono. I neonati senza latte materno hanno bisogno di 300 euro al mese per quello in polvere, che paghiamo il doppio del resto del mondo» suggerisce Antonella. L'utente Mishaboar, invece, riassume il problema così: «Gli italiani non si sentono più "sicuri" nel fare figli: gli stipendi sono bassi, il potere d'acquisto anche, il reddito disponibile a fine mese è misero».

A conferma delle difficoltà, secondo uno studio di Moneyfarm, crescere un figlio fino ai 18 anni ha un costo medio di oltre 175 mila euro. E non ultimo, il problema lavoro: «A 22 anni, con una triennale in mano in Italia, non riesci a combinare niente se non stage non pagati fino ai trenta - racconta Mattia - Fare un figlio così è semplicemente follia». 

Nel dibattito fin qui manca "l'elefante nella stanza", anche se online. Lo scopre Sophia, dagli Stati Uniti: «L'immigrazione è una risposta a problemi interni ed esterni allo stesso tempo. I Paesi devono essere più aperti ai rifugiati». Katalina replica: «L'Italia deve iniziare a fare quello che già fa l'Ungheria e limitare l'immigrazione, incentivando le famiglie autoctone».

Anand aggiunge: «I rifugiati potrebbero trasformare l'Europa in un Paese come la Siria, l'Afghanistan, il Pakistan nei prossimi anni. Avremo un nuovo ordine mondiale». Ma l'Istat suggerisce che il problema sia al rovescio: il numero di emigranti residenti all'estero è superiore all'immigrazione. Nell'anno del Covid l'Italia ha perso quasi 384 mila residenti sul suo territorio (dato Istat) e ne ha guadagnati 166 mila all'estero (dato Aire). 

E, a proposito di Istat, i numeri che fotografano il fenomeno sono chiari: nel rapporto "Indicatori demografici", nel 2021 le nascite in Italia sono scese al minimo storico. Sono 399.400 bambini venuti alla luce nel corso dell'anno, un calo dell'1,3% rispetto al 2020. Nell'anno dello scoppio della pandemia, è andata anche peggio: meno 15 mila nascite rispetto all'anno precedente, un calo record.

E ancora: le nascite e i decessi non sono in equilibrio dal 2006, con gli ultimi dati riferiti al 2021 che contano «7 neonati e 12 morti ogni mille abitanti». Trend che porterebbero l'Italia del 2050 con 5 milioni di italiani in meno: come se, nel giro di 30 anni, in Veneto e Sicilia non ci vivesse più nessuno. Sotto la profezia di Elon Musk il dibattito prosegue. L'arbitro dello scontro, mr Tesla, resta a guardare. Tra giovani inquieti e genitori giudicanti, la fazione dei "demografi dolenti" la fa da padrona.

E le mamme latitano, anche se nel dibattito sulla denatalità i riflettori sono spesso puntati su di loro, onori e oneri della questione. «Se c'è una cosa che il nostro tempo chiede a gran voce non è certo un nipotino, ma il rispetto per la gente che sulla Terra c'è già, e ha diritto di non morire di fame e di freddo» ha scritto Elena Stancanelli su queste pagine. Nadia Terranova, invece, ha dedicato alla figlia in arrivo un'orizzonte di ottimismo e felicità: «Figlia: m' insegnerai chi sei, io ti regalerò l'universo intero e tu mi spiegherai pure quello». Scrittori, social network, analisti, alte cariche dello Stato e il Papa.

Da ieri, anche Elon Musk. Tutti si interrogano, nessuno ha una reale soluzione a portata di mano. Chissà se Musk, padre di sette figli («ma contrariamente a quanto molti pensano, più ricchi si è meno si hanno figli» scrive) ne ha una in programma in mezzo alle sue continue invenzioni. C'è chi gli chiede «di creare posti di lavoro in Italia: solo così si inverte il trend». E poi c'è Jim, dagli Stati Uniti: «Rendi la Tesla più romantica: così si stimolano le nascite». Il problema, però, sembra essere permettersi non solo la Tesla, ma pannolini, latte in polvere, la scuola, il cibo in tavola. Un futuro.

Luca Monticelli per “la Stampa” il 7 giugno 2022.  

Il lungo inverno demografico dura in Italia da oltre dieci anni, e nel 2021 i nuovi nati sono stati meno di 400 mila, un traguardo così negativo che non si era mai verificato prima. La denatalità è un fenomeno che colpisce gran parte dell'Europa, ma il nostro paese soffre più di altri. Le ragioni sono diverse: una popolazione sempre più vecchia, la bassa occupazione, l'incertezza generale e le difficili prospettive economiche. 

La Banca d'Italia, nell'ultima relazione annuale, ha stimato che nel periodo tra il 2017 e il 2019 i nuclei familiari - composti da due adulti e uno o più figli minori - hanno speso in media poco più di 640 euro al mese per mantenere ogni figlio (un quarto della spesa media di una famiglia italiana). Un costo che però nel 2021, a causa delle conseguenze della pandemia, si è ridotto del 12% a 580 euro al mese.

Le spese individuate dagli economisti di Bankitalia comprendono rette scolastiche, pagamenti per l'abitazione e per i trasporti. Quasi il 60% è stato destinato a soddisfare bisogni primari come la salute, l'istruzione, gli alimentari e l'abbigliamento. 

Nel Mezzogiorno la spesa per i figli è risultata inferiore rispetto al Centro nord: il divario ha riguardato per circa un quinto le spese per la casa, che riflettono il prezzo più elevato degli immobili nelle regioni centro-settentrionali, e per circa due terzi i consumi meno essenziali (tempo libero e viaggi).

A gennaio di quest'anno è entrato in vigore l'assegno unico, il nuovo strumento che assorbe i vecchi assegni familiari e le detrazioni, e che ha come obiettivo proprio il sostegno alle famiglie e all'occupazione femminile. I genitori si affidano alla scuola e alle baby sitter per conciliare i tempi della vita con quelli del lavoro, tuttavia tutto questo, spesso, non basta e allora l'altro pilastro del welfare italiano è costituito dai nonni.

Se entrambi i genitori sono occupati, spiega l'Istat, i nonni si prendono cura dei bambini nel 60% dei casi, quando il nipote ha 2 anni; nel 61% quando ha da 3 a 5 anni e nel 47% se è più grande. Valori che superano il 65% nel Mezzogiorno. Sul lavoro, le donne con figli sono più penalizzate delle loro colleghe che non ne hanno: hanno un tasso di occupazione minore, fanno meno carriera e spesso sono costrette al part-time involontario. 

DAGONEWS l'8 luglio 2022.

È la storia più vecchia del mondo. Gli uomini fanno figli per combattere l’idea di mortalità. Figuriamoci se si tratta di uomini con grandi quantità di denaro, un ego enorme e la voglia di dimostrare al mondo di essere ancora prestanti. Non è un caso che uomini di potere come Elon Musk stia continuando a figliare, arrivando a quota nove: gli ultimi a entrare nella nidiata sono due gemelli avuti da una delle sue dirigenti e il piccolo avuto da Grimes. 

Ma Musk è solo l’ultimo a entrare nel club dei padri famosi con sei o più figli. Del nutrito gruppo fanno parte Mick Jagger, 78 anni, che di figli ne ha otto. Stesso numero per Rod Stewart, 77 anni.

David Foster, 72 anni, ha raggiunto quota sei come Rupert Murdoch. Clint Eastwood ha otto figli mentre l’inarrestabile Eddie Murphy ha raggiunto quota dieci. Kevin Costner ha sette figli, Alec Baldwin, invece, ne ha otto. Ma cosa spinge questi uomini ad ambire a delle squadre di calcio? 

L'esperta di relazioni Tina Wilson dice che è solo il desiderio degli uomini di "dimostrare a se stessi" e di "mostrare al mondo" che sono ancora giovani e virili, specialmente quando trovano l'amore con donne più giovani in età fertile. 

Ovviamente questa tendenza è particolarmente pronunciata nelle celebrità che hanno uno stile di vita che si presta a matrimoni, divorzi e nuove relazioni. E poi c’è sicuramente il fattore economico. Avere tanti soldi permette di poter anche mantenere questo mini esercito.   

«Uscire con donne più giovani li aiuta a far emergere la loro personalità, a rimanere rinvigoriti e giovani - ha detto Tina - Alcuni uomini, quando entrano nella mezza età, sentono il bisogno di dimostrare al mondo esterno che hanno ancora tutto e possono fare quello che facevano a 20 anni. Non vogliono che la loro vita sia vista come un rallentamento. Il loro istinto di base è quello di portare avanti il seme maschile. Ovviamente tutto dipende da quanto sia in espansione il loro ego. 

Dall’altra parte ci sono donne più giovani che desiderano avere figli. Potrebbero anche amare uomini più grandi e la loro virilità. Ma quando capiscono che i soldi non fanno la felicità, capiscono che avere figli da' un senso alla loro vita».

L'Italia resta senza figli: crollo delle nascite e futuro incerto. Il Paese muore. Christian Campigli su Il Tempo il 09 luglio 2022

Vecchi, poveri e senza figli. È un quadro desolante quello dipinto da Istat nel consueto ed approfondito rapporto annuale. La popolazione italiana continua a diminuire, in un lento ma costante peggioramento, iniziato nel 2014. Un saldo così negativo, che non viene più compensato dall'apporto numericamente positivo dato dagli immigrati che giungono nel nostro Paese, vi si stabilizzano e, a nostra differenza, procreano. Al 1°gennaio 2022 la popolazione è scesa a 58 milioni 983mila unità, cioè 1 milione 363mila in meno nell'arco di otto anni. Il calo della nuzialità non è stato ancora recuperato e la diminuzione di coppie giovani al primo matrimonio ha ristretto il numero di potenziali genitori, con evidenti ripercussioni sulle nascite a partire dagli ultimi due mesi del 2020. Il crollo delle culle si è protratto nei primi sette mesi del 2021, per poi rallentare verso la fine dell'anno. A marzo si è toccato il dato più basso (-11,9% rispetto allo stesso mese del 2021). Spagna e Italia non hanno ancora recuperato il calo della natalità del 2020. In Francia, dopo arrivando a 32,2 nel 2020.

Nello stesso periodo è cresciuta anche l'età media alla nascita del primo figlio, che raggiunge i 31,4 anni. Nel 2021 il numero medio di figli per donna è di 1,25, lo stesso del 2001, quando era in atto un recupero della fecondità (soprattutto ad opera delle donne straniere nel Centro-nord) dopo il minimo storico di 1,19 figli per donna toccato nel 1995. La fecondità delle straniere è ancora superiore a quella delle italiane ma in diminuzione: nel 2020 è pari a 1,89 figli per donna (da 2,22 nel 2011) contro 1,17 per le italiane (da 1,32). Numero sconvolgenti, che devono essere analizzati sotto almeno tre aspetti: uno organizzativo, uno lavorativo ed uno, infine, economico. Il principale motivo per il quale i giovani decidono di non fare figli è spesso legato alla mancanza di un supporto statale.

Gli asili sono carissimi, entrare in quelli pubblici (che, in ogni caso, costano nelle grandi città almeno trecentocinquanta euro al mese) è sostanzialmente impossibile se si è italiani e non tutti hanno a disposizione seicento euro per pagare i nidi privati. Ad oggi sperare in strutture aziendali organizzate, come in Svezia o in Norvegia, è pura utopia. Non va sottovalutato il massivo ricorso a contratti a tempo determinato, che rendono complicati gli accessi ai mutui. Non sono poche le coppie che scoppiano proprio perché non riescono a comprare un alloggio, un nido nel quale costruire la propria famiglia. Infine, si fa per dire, la penosa situazione economica nazionale, l'impennata dell'inflazione e i costi ormai fuori controllo. Una situazione apocalittica, della quale però il Paese sembra ricordarsi solo una volta all'anno.

Alessandra Arachi per corriere.it l'8 luglio 2022.

Aumenta la povertà nel nostro Paese, ma non soltanto per quel milione di persone che da un anno all’altro è caduto nella povertà assoluta. Siamo poveri di capitale umano, in Italia non nascono più bambini. 

E se abbiamo già segnalato il record negativo di nascite lo scorso anno (sotto i 400 mila), il rapporto Istat di quest’anno evidenzia come in prospettiva la situazione non è destinata a migliorare visto che il numero dei single ha superato quello delle coppie con figli (33% contro 31,2%). 

Ancora peggiore guardando da qui al 2040 quando ci saranno più coppie senza figli che quelle con i figli. Una vera emergenza che si somma a quella delle diseguaglianze sociali, retributive, economiche. E anche alla disgrazia della carenza di acqua che caratterizza questo periodo: l’Istat ci segnala che nell’ultimo decennio ci sono stati tre eventi siccitosi maggiori, a fronte del fatto che dal secondo Dopoguerra alla fine degli anni Ottanta non ve ne è stato nessuno. 

Il debito demografico

Da un anno all’altro c’è stato un calo della popolazione di 658 mila unità, saldo tra nascite e decessi. Sono calate le nascite, sono in costante calo dopo il 2008, anno di massimo relativo più recente. E continuano a calare: nel primo trimestre del 2022 si è registrato già un meno 12%. Con una notazione: il crollo delle nascite è particolarmente accentuato tra le donne con meno di 30 anni. 

Per capire quanto sia alto il debito demografico che lasciamo alle generazioni future: al 1° gennaio 2022 la stima dell’indice di vecchiaia — anziani di almeno 65 anni per 100 giovani di età inferiore a 15 anni — è pari al 187,9 per cento, aumentato in 20 anni di oltre 56 punti percentuali. Nei prossimi 20 anni si prevede un aumento di altri 100 punti con l’indice di vecchiaia pari al 293 per cento nel 2042.

Non è difficile immaginare cosa possa significare questo in termini di previdenza, spesa sanitaria e assistenza. Gli individui in età 65 anni e oltre sono 14 milioni e 46 mila a inizio 2022, 3 milioni in più rispetto a venti anni or sono, e costituiscono il 23,8 per cento della popolazione totale; nel 2042 saranno quasi 19 milioni e rappresenteranno il 34 per cento della popolazione totale. 

Meno di 12 mila euro l’anno la paga di un lavoratore privato su tre

C’è un dato sulle retribuzioni che salta agli occhi nel rapporto dell’Istat, quello dei lavoratori dipendenti nel settore privato. Il calcolo è stato fatto escludendo i lavoratori nell’agricoltura e quelli domestici, ed è venuto fuori che quasi un lavoratore su tre (il 29,5%) ha una retribuzione lorda l’anno inferiore a 12 mila euro, mentre per circa 1,3 milioni di dipendenti (il 9,4%) la retribuzione oraria è inferiore a 8,41 euro l’ora. 

L’erosione dello stipendio

Il potere di acquisto dello stipendio è destinato a deflagrare. Nel 2012, infatti un’inflazione all’1,9% ha generato l’erosione dell’1% dello stipendio, facile immaginare quanto schizzerà questa erosione con un’inflazione che ad oggi si attesta intorno all’8%. 

La povertà dei bambini

«Da un anno all’altro c’è stato un aumento di un milione di persone che sono cadute nella povertà assoluta», ha detto la dirigente dell’Istat Linda Laura Sabbadini, aggiungendo però che «grazie al reddito di cittadinanza e al reddito di emergenza si è evitato che un altro milione scivolasse nella povertà assoluta». 

Inquietante il tasso di povertà che riguarda i bambini: è arrivato a essere il 14%, era il 3,9% nel 2005. In numeri assoluti significa che nel 2021 sono in povertà assoluta 1 milione 382 mila minori. 

Lo ius scholae

«Secondo i criteri previsti dalla legge dello ius scholae sarebbero 280 mila i bambini stranieri che avrebbero diritto alla cittadinanza italiana», ha detto Linda Laura Sabbadini smentendo le cifre che parlavano di un milione di bambini ai quali sarebbe stata data la cittadinanza italiana una volta approvata la norma.

Davide Desario per leggo.it l'8 luglio 2022.

C’è un dato statistico che ci sentiamo ripetere da un po’ di tempo: in Italia nascono pochi bambini. Molti meno che nei decenni passati e meno anche rispetto agli altri Paesi europei, alcuni dei quali non se la passano comunque troppo bene da questo punto di vista. Molti, superficialmente, pensano che non sia un problema grave. Altri si domandano: non è che in un Paese meno popolato si può stare un po’ meglio, un po’ più larghi, consumando e inquinando meno?

Due giornalisti del Messaggero da sempre attenti a raccontare il Paese reale, Luca Cifoni e Diodato Pirone, provano a spiegarci in un libro in uscita oggi perché la crisi demografica non solo è un problema ma una vera emergenza. Da trattare con stessa serietà riservata ad altri rischi che si profilano nel nostro futuro: da quello climatico a quello legato alle pandemie. 

Già il titolo, La trappola delle culle, ci dà in qualche modo l’idea della situazione; poi leggendo il primo capitolo si capisce perché le cose sono così complicate: nel 1964 sono venuti al mondo oltre un milione di bambini, mentre nel 2021 siamo scesi sotto quota 400 mila.

Ma risalire la china è difficilissimo, perché al di là delle scelte delle italiane e degli italiani tra i 20 e i 50 anni (che pure sono diverse da quelle dei loro genitori e dei loro nonni) c’è un fattore numerico che gioca contro di noi: proprio il calo demografico dei decenni scorsi, iniziato verso la metà degli anni Settanta e poi divenuto via via più pesante, ha falcidiato il numero dei potenziali genitori contribuendo in modo decisivo ad abbassare ancora il numero delle nascite. 

Ecco la trappola, il circolo vizioso di cui siamo prigionieri. Il Paese – nonostante i flussi migratori dell’inizio di questo secolo - da qualche anno sta assistendo alla riduzione del numero complessivo dei residenti: siamo meno di 59 milioni e secondo le previsioni dell’Istat arriveremo a circa 54 nel 2070. 

Le conseguenze iniziano ad essere ben visibili: intere aree del Paese si stanno spopolando e i territori che soffrono di più sono nel Mezzogiorno, mentre il mondo del lavoro, già afflitto da ben noti problemi di incrocio tra domanda e offerta e dalla fuga dei talenti verso l’estero, inizia a sperimentare la carenza di figure professionali fondamentali.

Altri guai si profilano per il futuro prossimo, nel quale una quota sempre più ridotta di cittadine e cittadini in età lavorativa dovrà assicurare con le proprie tasse servizi e assistenza all’intera collettività; oltre alle pensioni che giustamente spettano ad una platea sempre più numerosa, visto il nostro Paese sta sperimentando da tempo - e questa è una buonissima notizia – un processo di allungamento della vita media tra i più marcati al mondo. 

Si può fare qualcosa per invertire questa tendenza? I fenomeni demografici, o almeno alcuni di essi, sono per definizione lenti: le conseguenze di un eventuale cambiamento di oggi si vedranno nella loro pienezza non prima di una ventina d’anni.

Cifoni e Pirone però, dopo aver descritto impietosamente lo scenario attuale, vogliono dare speranza. Lo fanno proponendo nove azioni che, se attuate tutte insieme, potrebbero aiutarci a invertire la tendenza. Il primo traguardo è recuperare all’inizio del prossimo decennio la quota di mezzo milione di nascite l’anno. Serve l’impegno dello Stato che deve potenziare i propri sostegni economici alle famiglie (l’assegno unico è un buon passo avanti ma ancora insufficiente) e i congedi in particolare per i papà. Serve anche lo sforzo delle imprese che nel loro stesso interesse devono entrare in questa partita aiutando con un welfare su misura i lavoratori che vogliono essere genitori. Serve una politica oculata ma lungimirante sull’immigrazione. 

Ma – osservano gli autori - servono anche alcune svolte culturali: a partire dalla possibilità di porre senza tabù il tema della natalità come risorsa per il Paese. Senza dimenticare la spinta all’occupazione femminile (che nel resto d’Europa non è un ostacolo alla natalità, anzi il contrario!) e il possibile ripensamento delle regole su adozioni e procreazione medicalmente assistita.

Le culle vuote e il costo di un figlio. Dario Di Vico su Il Corriere della Sera l'1 Giugno 2022.  

Il bonus copre solo una parte, tra un terzo e la metà della spesa necessaria per crescere un erede.

Nel dibattito sul declino demografico interviene la Banca d’Italia. Nella relazione predisposta per l’assemblea annuale, il ricco documento che affianca le Considerazioni finali del governatore, gli economisti di Via Nazionale formulano una stima del costo del mantenimento di un figlio. Dando così un contributo all’ampia e controversa discussione sulle scelte prioritarie da implementare nel contrasto della denatalità. La cifra in questione misurata sull’arco degli anni che vanno dal 2017 al 2020 è di 640 euro al mese per ogni figlio.

Cifra calcolata su un nucleo genitoriale di due persone e che sul totale della spesa media di una famiglia un figlio finisce per costare circa un quarto. Le uscite riguardano consumi specifici (alimenti per neonati, rette scolastiche, ecc.) sommati alla ripartizione delle spese generali (abitazione, trasporti, tempo libero e quant’altro). Nel Sud il costo del figlio è inferiore rispetto al Centro-Nord ma il dato è influenzato dai prezzi delle case sensibilmente diversi. Anche in questo caso la pandemia ci ha messo del suo: nel 2020 i 640 euro medi del triennio sono scesi a 580 a causa delle restrizioni della mobilità e la rinuncia ad alcuni consumi. Ma Bankitalia non si ferma qui: mette in relazione il costo del figlio con l’assegno unico deciso dal governo Draghi ed erogato da marzo nella misura massima di 175 euro per figlio. Il risultato è che per il primo quinto della scala dei redditi (le famiglie meno abbienti) il bonus copre solo una parte, tra un terzo e la metà della spesa necessaria per crescere un erede. La calcolatrice è sempre utile per misurare la consistenza di un fenomeno e in questo caso poi, grazie all’autorevolezza della Banca d’Italia, ha il pregio di spingere la riflessione più in avanti: infatti la «via economica» per il contrasto alla denatalità da sola appare insufficiente. E di conseguenza sembra sensato chiedersi, con maggiore piglio di quanto siamo stati capaci di fare finora, dove vada rintracciata la causa prima del gelo demografico. Nella mancanza di reddito per l’appunto, nel sistema di valori che sta dietro la scelta della paternità/maternità, nel presunto «egoismo dell’aperitivo»? Di sicuro l’orizzonte antropologico da indagare è ampio — si manifesta peraltro in molti ambiti come nel caso delle dimissioni dal lavoro — ed esprime una (scabrosa) domanda di senso. Forse più che di portafoglio.

Il costo di un figlio? 640 euro al mese. Il Corriere della Sera l'1 Giugno 2022.

E' la spesa di una famiglia secondo Bankitalia

(LaPresse) Secondo una relazione di Bankitalia, una famiglia tipo italiana spende per un figlio in media 640 euro al mese. Il dato è calcolato sul periodo 2017-20 e si basa su nuclei familiari composti da due adulti e uno o più figli minori. Il costo comprende gli acquisti di beni e servizi destinati esclusivamente ai figli e una quota di consumi rilevati a livello familiare. Quasi il 60% della spesa è destinato a soddisfare bisogni primari (alimentari, abbigliamento e spese per la casa, istruzione e salute). Il costo di un figlio pesa in maniera abbastanza omogenea sul bilancio famigliare per circa un quarto del reddito medio. La spesa è inferiore nell'Italia meridionale ma l'incidenza è simile a quella del Centro Nord. Il divario tra le due aree è dovuto al costo degli immobili, e ai consumi meno essenziali, come tempo libero e trasporti. L’importo è rimasto stabile nel triennio 2017-19 mentre si è contratto nel 2020 a 580 euro soprattutto a causa della pandemia.

Figlio mio, quanto mi costi e quanto detraggo. Da Chiara Pizzimenti su Vanity Fair.it il 23 maggio 2022.

La cifra che serve per mantenere un figlio da 0 a 18 anni si avvicina più ai 200mila euro che ai 100mila. Il rapporto dell’Osservatorio nazionale Federconsumatori è dello scorso dicembre e propone un calcolo medio: 175.642,72 euro dall'ecografia alla maturità.

Questa cifra è calcolata su un reddito medio, ma si arriva a numeri ben più alti per famiglie con oltre 70mila euro di reddito l'anno: in questo caso si sale a 321.617,36 euro. Sono quasi 18 mila euro l'anno. Se i figli sono due per un reddito medio sono 20mila euro l'anno.

Un nuovo studio di Moneyfarm, società di consulenza finanziaria, pubblicato all'inizio del mese di maggio, stima costa medi tra 96 mila e i 183 mila euro. Fino ai 3 anni si possono spendere tra 10 mila e 25 mila euro, dai 12 ai 18 anni tra 45 mila e 74 mila euro.

I costi sono saliti in pandemia dell'1,2% rispetto al 2018. Sono salite le spese per l'abitazione e le utenze, per l'alimentazione e del 6% quelle per l'educazione e la cura. Sono calate quelle per trasporti e attività sportive e ludiche. Costa oltre 2500 euro fare una vacanza studio in Inghilterra di 2 settimane, per un anno di studio all'estero si spendono anche 20 mila euro.

Non tutti gli anni sono uguali. Si comincia a pagare prima della nascita con 2000 euro fra ecografie, abiti e controlli medici. Nel primo anno di vita si può arrivare a 15mila euro. Le spese maggiori sono per istruzione, abbigliamento, sport, viaggi, dentista, babysitter, tecnologia, quindi cibo e trasporti. I costi sono più alti nelle città del Centro Nord che al Sud e sono uno dei segni tangibili oltre che dei motivi della scarsa natalità italiana: 201esimo posto al mondo per numero di figli. Non è che in Italia costi più che all'estero è che ci sono meno minori sostegni, meno welfare per le famiglie rispetto, per esempio, a Francia e Germania.

In periodo di dichiarazione dei redditi è bene ricordare che chi ha figli a carico, ha diritto a detrazioni. Per le spese legate all'istruzione il limite annuo massimo è di 800 euro per ogni figlio che studia: la tassa di iscrizione alla scuola, le spese per la mensa scolastica, il servizio di pre e post-scuola, gite e ogni attività finalizzata all'ampliamento dell'offerta formativa. Non sono detraibili le spese per lo scuolabus, per la cancelleria e per i libri di testo. Al nido si detraggono le spese per la retta fino al 19%, per un massimo di 632 euro per ciascun figlio. Stessa percentuale di detrazione per l'università statale. Identica la percentuale di detrazione per l'acquisto di strumenti compensativi e sussidi tecnici e informatici per i dsa.

La detrazione per le spese sportive dei figli di età compresa tra i 5 e i 18 anni, massimo 210 euro, è del 19%.  Lo stesso vale per le spese sanitarie con un tetto di 129,11 euro di franchigia. 

Il Papa: «No all’aborto, la vita è un dono di Dio, è sacra e inviolabile». Ester Palma su Il Corriere della Sera il 22 Maggio 2022.

Al Regina Coeli in piazza San Pietro, Francesco ha ringraziato i partecipanti della Marcia per la vita che si è tenuta ieri a Roma: «Ingiusto cercare di limitare l’obiezione di coscienza all’aborto». 

«La vita è un dono di Dio, è sempre sacra e inviolabile e non possiamo far tacere la voce della nostra coscienza. Oggi si cerca di limitare l’obiezione di coscienza all’aborto, perché si è sempre più portati a pensare che la vita sia un bene a nostra totale disposizione, ma non è così». Dopo la Marcia della Vita di ieri pomeriggio, cui hanno preso parte oltre 40 mila persone, Francesco al Regina Coeli in piazza San Pietro torna a dire no all’aborto e ringrazia i partecipanti della manifestazione pro life «Scegliamo la vita»: «Non possiamo scegliere di manipolare, far nascere e morire a nostro piacimento, come esito esclusivo di una scelta individuale».

Francesco, commentando le letture del giorno, è poi tornato sul tema della pace: «La mitezza è possibile, Dio ci vuole aperti, disponibili all’ascolto, capaci di disinnescare le contese e di tessere concordia. Chiediamoci se, nei luoghi dove viviamo, noi discepoli di Gesù ci comportiamo così: allentiamo le tensioni, spegniamo i conflitti? Siamo anche noi in attrito con qualcuno, sempre pronti a reagire, a esplodere, o sappiamo rispondere con la non violenza, sappiamo rispondere con parole e gesti miti? Certo, questa mitezza non è facile: quanta fatica si fa, ad ogni livello, a disinnescare i conflitti». E ha aggiunto: «Gesù sa che da soli non siamo in grado di custodire la pace, che ci serve un aiuto, un dono. La pace, che è impegno nostro, è prima di tutto dono di Dio. «Non si può dare pace se non si è in pace. E’ lo Spirito Santo, che disarma il cuore e lo riempie di serenità, che spegne le tentazioni di aggredire gli altri. È Lui a ricordarci che accanto a noi ci sono fratelli e sorelle, non ostacoli e avversari. È Lui che ci dà la forza di perdonare, di ricominciare, di ripartire».

Infine il Papa ha pregato per i cattolici in Cina e la loro difficile situazione, ricordando che martedì si celebra la festa della Madonna di Sheshan: «Rinnovo loro l’assicurazione della mia vicinanza spirituale. Seguo con attenzione e partecipazione la vita e le vicende dei fedeli e pastori, spesso complesse. Prego ogni giorno per loro. Vi invito ad unirvi in questa preghiera - ha detto ai fedeli in Piazza San Pietro - affinché la Chiesa in Cina, in libertà e in tranquillità, possa vivere in comunione effettiva con la Chiesa universale ed esercitare la sua missione di annuncio del Vangelo a tutti, offrendo così anche un positivo contributo al progresso spirituale e materiale della società».

Aborto e nozze gay: a cosa servono davvero. Le “finte” di Bergoglio e il monito di Benedetto XVI.  

Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 24 luglio 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Aborto e nozze gay, nozze gay e aborto: non ci sono altre priorità al mondo, tanto che il direttore Vittorio Feltri sottolineava l’assurdità del fatto che in Ucraina, pur sotto le bombe, la massima urgenza sia divenuta questa. La guerra, la pandemia, il riscaldamento globale, (il quale ora si è trasformato in “cambiamento climatico”, così ci azzeccano sia che faccia caldo o freddo), e tutte le altre emergenze vere o presunte care all’”emozione unica” (upgrade del pensiero unico), passano ormai in secondo piano.

E’ il momento di fare un discorso duro, ma necessario. Queste due istanze, promosse in modo ossessivo-compulsivo dalle solite élite global-massonico-progressiste, NON HANNO NULLA A CHE VEDERE con una sincera attenzione verso le donne o le persone di orientamento omosessuale.

Non servono solo, utilitaristicamente, a sfoltire demograficamente la popolazione , ma sono, piuttosto, gli strumenti più efficaci di una manipolazione di massa, una rivoluzione psico-antropologica e morale portata avanti per disancorare i popoli dal pensiero logico e dalla realtà oggettiva, tagliando definitivamente i ponti con l’eredità cristiana. Un lavaggio del cervello planetario.

Infatti, fra le pochissime e indubitabili certezze che ci sono al mondo abbiamo che i bambini, i quali nascono dall’UNIONE FRA UN UOMO E UNA DONNA, devono essere PROTETTI.

Aborto e nozze gay, invece, RIBALTANO QUESTE OVVIETÀ. Nel momento in cui si riesce a convincere miliardi di persone che sopprimere una vita umana nascente e legalizzare un’unione costituzionalmente antitetica alla creazione di nuovi individui sia un atto sociale, un atto d’amore, li si ha in pugno. E’ come se si riuscisse a convincere le masse che gli asini volano e che il sole è blu.

Vuol dire che, a quel punto, i cittadini saranno arrivati a un tale livello di abbrutimento razionale che saranno cera nelle mani di pochi: potranno essere convinti di qualsiasi cosa, che ci sono gli alieni, che gli insetti sono squisiti, che devono farsi geolocalizzare anche quando vanno al bagno, che bisogna razionare l’acqua e l’aria. L’obiettivo è questo: sovvertire nelle masse il residuo legame con la logica e l’oggettività per assoggettarle e annichilire qualsiasi possibilità di ribellione.

La REALTÀ OGGETTIVA è, infatti, che nessun “grumo di cellule” umane lasciato svilupparsi liberamente NON diventerà un essere umano. Nessuno di voi lettori NON è già stato un grumo di cellule o un feto e se state leggendo qui, è perché siete nati da una madre che NON vi ha abortito. La vita umana inizia dalla fecondazione dell’ovulo. Punto. Infatti, ora si pratica l’aborto al nono mese perché si è capito benissimo che la distinzione fra prima e dopo il terzo mese era solo una ridicola pezza a colore. Ciò che al massimo potrebbe essere dirimente è, semmai, la situazione dentro-fuori il corpo della donna, ma poi bisogna fare i conti con una delle conquiste più banali della società laica e liberale: “Il tuo agitare di braccia finisce dove comincia la punta del mio naso”. La libertà di agire sul nostro corpo finisce dove comincia il corpo di un signor Rossi che viene al mondo per i fatti suoi.

Quando, poi, introiettate il concetto che fare un favore alle donne non è assisterle e tutelarle, facilitando, al limite, l’adozione di un figlio indesiderato, ma fornire loro la licenza di 007, vuol dire che siete già atterrati col razzo sul soffice suolo lunare.

Allo stesso modo, il matrimonio viene da mater e, da sempre, in tutte le società del mondo, ha avuto carattere esclusivamente eterosessuale (anche se non sempre monogamico) e non ha MAI tutelato i labili sentimenti, ma solo il nucleo civile-amministrativo, il patto dove nascono i nuovi cittadini con il migliore habitat per crescere.  E, in merito alla “ciliegina” dell’utero in affitto, come potrebbe mai essere un atto d’amore commissionare un figlio a una donna, privandolo della propria madre?    

Quindi, se riuscite a convincere le masse della saggezza di queste assurdità illogiche, ammannendole come “conquiste dello stato laico”, AVETE VINTO. Vuol dire che il Pathos, l’emozione, il sentimentalismo, l’”empatia”, il pietismo becero hanno sottomesso il Logos, la logica, il pensiero razionale che appura la verità. Non a caso, questa è l’arma principale delle elite massonico-mondialiste per manipolare le masse e viene applicato per tutto, non solo per la distruzione della famiglia naturale, ma anche per l’orgia di diritti, l’immigrazionismo, la privazione di libertà, l’annichilimento delle differenze e delle identità, tutto per creare un nuovo individuo senza sesso, forza, famiglia, etnia, radici, cultura, intelligenza, patria, tradizioni, lingua, che possa essere dominato e sfruttato come una gallina d’allevamento.

E infatti, Benedetto XVI, l’unico vero papa, (in sede impedita, come abbiamo dimostrato in “Codice Ratzinger”, Byoblu ed.), non a caso parlò di aborto e nozze gay come “segni dell’Anticristo”. Ovvio, dal punto di vista cattolico: se Cristo è il Logos, il Verbo incarnato, l’Anticristo non potrà che essere l’A-logos, l’Illogico per definizione che domina, appunto, utilizzando il Pathos. E i conti tornano tutti, come vedete.  

Non a caso abbiamo definito l’anti-papa Bergoglio, il “signore del Pathos”, contrapposto al “signore del Logos”, Benedetto XVI.

Capirete quindi il perché sia stato messo forzosamente sul trono di Pietro il Bergoglio e inquadrerete perfettamente la sua schizofrenica condotta proprio su aborto e nozze gay. Recentemente, il direttore de La Nuova Bussola quotidiana Riccardo Cascioli ha scritto un articolo QUI  intitolato “Papa e aborto, qualcosa non torna” che, pure, suona un po’ come il “mi è semblato di vedele un gatto” di Tweety. Eh sì, Direttore, qualcosa non torna, te lo diciamo da due anni che Bergoglio non è il papa, QUI  ma da quest’orecchio non ci senti.

E’ infatti assurdo che Bergoglio faccia grandi sparate del tipo “l’aborto è come assoldare un sicario”, per far contenti e canzonati i cattolici, e poi definisca Emma Bonino, che ha sulla coscienza sei milioni di aborti, “una grande italiana”. E del suo compare Pannella, Bergoglio disse che apprezzava l’impegno in NOBILI CAUSE.

Peraltro, “Francesco” dà la comunione (per quanto consacrata in comunione con un antipapa) ai turboabortisti Biden e Nancy Pelosi, che non si stancano di propagandare l’aborto al nono mese. Prima del referendum abortista in Irlanda (2018) e a San Marino (2021), dove hanno vinto inaspettatamente i sì, pur essendo i cittadini in maggioranza cattolici, avete sentito Bergoglio ricordare qualcosa in proposito? NO. Si è sempre limitato a piangere sul latte versato e la sua “sincerità” si può comprendere dall’indifferenza con cui accoglie i pochi successi delle istanze pro-vita. Quando la Corte Suprema Usa ha negato l’aborto essere un diritto, lui ha detto che «rispetta la sentenza» ma che non è in grado di entrare nelle questioni tecnico-giuridiche.

Per non parlare delle nozze gay: l’argentino si è detto “personalmente favorevole alle unioni civili”, che legalizzano, in ottica cattolica, il secondo dei “Quattro peccati che gridano vendetta al Cielo”, insieme a Omicidio volontario, Oppressione dei poveri, Defraudare la giusta mercede a chi lavora. Non ha minimamente sanzionato quei cento preti che in Germania hanno benedetto delle coppie omosessuali.

Come ha ben individuato Mattia Spanò andando spulciare il libro delle interviste di Bergoglio, edito dalla LEV, ecco come rispose a una giornalista brasiliana nel 2013 che gli chiedeva: “Perché lei non ha parlato ai giovani in Brasile di aborto e nozze gay?”.

Bergoglio: “La Chiesa si è già espressa su questo, non era necessario tornarci”.

La tecnica è chiara, no? Non occorre avere un master in PNL per capirlo.

Si spiega perfettamente perché Benedetto XVI abbia subito atroci pressioni per togliersi di mezzo e perché al suo posto sia stato piazzato un antipapa che parla di fratellanza universale, elogiato da 70 logge massoniche internazionali, e che sta menando per il naso un miliardo e 285 milioni di cattolici facendo il gioco del Nemico.  

Quindi, non occorre essere credenti per essere contro la manipolazione delle masse, il rimbecillimento indotto e quindi contro le istanze di punta di questo disegno che per i credenti è diabolico e per i laici è terribilmente distruttivo e antiumano.

“Stato laico” non significa uno stato che abiura al pensiero logico.

L'indagine. Aborto, 100% di obiettori in 31 strutture, oltre 80 superano l’80%: “Dati aperti subito”. Redazione su Il Riformista il 17 Maggio 2022. 

Sono 31 (24 ospedali e 7 consultori) le strutture sanitarie in Italia con il 100% di obiettori di coscienza per medici ginecologi, anestesisti, infermieri o OSS. Quasi 50 quelli con una percentuale superiore al 90% e oltre 80 quelli con un tasso di obiezione superiore all’80%. È quanto emerge dall’indagine aggiornata “Mai Dati!” condotta su oltre 180 strutture da Chiara Lalli, docente di Storia della Medicina, e Sonia Montegiove, informatica e giornalista, resa nota con l’Associazione Luca Coscioni e presentata questa mattina durante la conferenza stampa alla Camera dei Deputati. In occasione dei 44 anni dall’entrata in vigore della legge 194, la ricerca, tramite accesso civico generalizzato, ha evidenziato ciò che la Relazione ministeriale non fa emergere, pubblicando i dati chiusi e aggregati per Regione. Inoltre l’ultima Relazione del Ministero della salute, presentata al parlamento lo scorso anno, si riferisce ai dati definitivi relativi al 2019.

“In questi giorni la 194 sulla interruzione volontaria della gravidanza compie 44 anni. Avere un quadro chiaro dello stato di salute di questa legge purtroppo non è facile, proprio perché non abbiamo dati aggiornati e dettagliati”, ha dichiarato Filomena Gallo, avvocato e Segretario Nazionale dell’Associazione Luca Coscioni. “Una cosa è però molto chiara: la legge 194 è ancora mal applicata o addirittura ignorata in molte aree del nostro paese. Con Anna Pompili e Mirella Parachini, ginecologhe, e con l’Associazione Luca Coscioni abbiamo spesso evidenziato le criticità reali dell’applicazione e dell’accesso alla interruzione volontaria della gravidanza. Oggi chiediamo con urgenza al Ministro della Salute Roberto Speranza e al Ministro della Giustizia Marta Cartabia che i dati sull’applicazione della legge 194 siano in formato aperto, di qualità, aggiornati e non aggregati; che si sappia quanti sono i non obiettori che eseguono le IVG e gli operatori che le eseguono dopo il primo trimestre; che tutte le regioni offrano realmente la possibilità di eseguire le IVG farmacologiche in regime ambulatoriale; che venga inserito nei LEA un indicatore rappresentativo della effettiva possibilità di accedere alla IVG in ciascuna regione; e che la relazione ministeriale venga presentata ogni anno nel rispetto dell’articolo 16 della stessa 194”.

“L’’indagine Mai dati ci dice che la valutazione del numero degli obiettori e dei non obiettori è troppo spesso molto lontana dalla realtà”, aggiungono Chiara Lalli e Sonia Montegiove, autrici della indagine Mai Dati, che a giugno sarà pubblicato da Fandango Libri con il titolo «Mai dati. Dati aperti (sulla 194). Perché sono nostri e perché ci servono per scegliere». “Dobbiamo infatti sapere, tra i non obiettori, chi esegue realmente le IVG (in alcuni ospedali alcuni non obiettori eseguono solo ecografie, oppure ci sono non obiettori che lavorano in ospedali nei quali non esiste il servizio IVG, e quindi non ne eseguono). La percentuale nazionale di ginecologi non obiettori di coscienza (che secondo la Relazione è del 33%) deve, dunque, essere ulteriormente ridotta perché non tutti i non obiettori eseguono IVG. Non basta conoscere la percentuale media degli obiettori per regione per sapere se l’accesso all’IVG è davvero garantito in una determinata struttura sanitaria. Perché ottenere un aborto è un servizio medico e non può essere una caccia al tesoro”.

* L’indagine di Lalli e Montegiove tramite accesso civico generalizzato evidenzia come l’ultima Relazione sulla stessa legge del Ministero della salute e i dati in essa contenuti, relativi al 2019, restituiscono una fotografia poco utile, sfocata, parziale di quanto avviene realmente nelle strutture ospedaliere del nostro Paese. La relazione dovrebbe restituire un quadro il più possibile realistico sullo stato di applicazione della legge, al fine di avviare tutte le manovre correttive, per superare le diseguaglianze tra le regioni e per assicurare a tutte le donne l’accesso all’IVG. Di fatto, sia il ritardo nella presentazione, sia gli indicatori e le modalità di pubblicazione dei dati (chiusi e aggregati), rendono la relazione un’osservazione passiva e neanche tanto veritiera della realtà. Questo rende impossibile qualunque miglioramento. L’indagine rende evidente come sia necessario aprire i dati, non solo sulla obiezione di coscienza, al fine di consentire la lettura, l’analisi e la rielaborazione di queste informazioni da parte di chiunque.

Simona Buscaglia per “la Stampa” il 5 maggio 2022.

Si riaccende il dibattito sul diritto all'aborto. Non solo in Italia, con le recenti polemiche in Piemonte, dove la Regione ha stanziato 400mila euro da destinare alle associazioni anti-abortiste che operano nei consultori, ma anche all'estero, con le proteste negli Usa dopo la fuga di notizie su un documento provvisorio della Corte Suprema che potrebbe cancellare la sentenza che dal 1973 garantisce questo diritto alle donne. Nel nostro Paese le interruzioni volontarie di gravidanza (Ivg) sono in calo, (gli ultimi dati disponibili parlano di un -4,1% dal 2018 al 2019), e seguono un trend negativo dal 1983.

Esistono però delle carenze organizzative delle strutture, unite a un'alta percentuale di obiettori di coscienza (nel 2019 in Italia lo sono il 67% dei ginecologi, il 43,5% degli anestesisti e il 37,6% del personale non medico) che rendono in alcuni casi difficoltosi gli aborti. Ad esempio, Maria, nome di fantasia, racconta: «Il mio intervento era prenotato per la mattina ma ho aspettato 10 ore per attendere il cambio turno di un anestesista obiettore che si era rifiutato di partecipare».

Eppure un modo per non utilizzare le sale operatorie ci sarebbe: si tratta dell'aborto farmacologico e dal 2009 permette di evitare la chirurgia. I problemi qui però sono diversi.

Per la mancanza di personale «molte strutture cercano di non averli il sabato e la domenica, ma questo impedisce di averli anche il giovedì perché la seconda pillola sarebbe da prendere il sabato, e lo stesso vale per il venerdì.

Alla donna che decide per l'Ivg farmacologica viene data una prima pillola e dopo due giorni, tornando in ospedale, la seconda», spiega Annamaria Marconi, direttrice di Ostetricia e Ginecologia al San Paolo di Milano. In questo ospedale milanese, ad esempio, non ci sono restrizioni legate al giorno, e questo fa la differenza: negli ultimi tre anni l'utilizzo della pillola abortiva è passata dal 35,1% del 2019 al 66,3% nel 2021.

«Servono strutture in day hospital che permettano di farlo qualunque giorno della settimana - precisa Alessandra Kustermann, ex primaria di Ginecologia della Mangiagalli di Milano - Se si riuscisse a concentrare in strutture territoriali l'Ivg farmacologica sarebbe più semplice rispetto a un ospedale che ha tempi e modalità di azione che prevedono che i letti siano occupati».

Le nuove linee d'indirizzo sulle Ivg dell'agosto 2020, oltre ad aver allungato il periodo che permette il ricorso all'aborto farmacologico da 7 a 9 settimane, ha concesso che si potesse effettuare in day hospital (prima era previsto un ricovero di 3 giorni).

«All'estero la somministrazione della Ru486 avviene quasi solo in consultorio, in alcuni casi a casa con un controllo in telemedicina - aggiunge Marconi - Da noi invece si effettua quasi sempre in ospedale con l'occupazione di un letto, anche se non serve, basterebbero delle sale attrezzate con delle poltrone».

Anche tutto questo può aver portato a un ricorso all'aborto farmacologico che, nonostante una lieve crescita, ha ancora percentuali basse: «Nel 2019 è stato usato nel 24,9% dei casi, rispetto al 20,8% del 2018 - si legge in un articolo dell'Iss - Si tratta di un dato largamente inferiore a quanto rilevato in altri Paesi europei». Eppure, «dal punto di vista sanitario l'aborto farmacologico è preferibile - precisa Marconi - un intervento di qualsivoglia genere dell'utero, anche piccolo, ha una serie di rischi, per quanto bassi.

L'Ivg farmacologica in pratica non ne ha. Inoltre il personale obiettore può gestire una Ivg con la pillola perché di fatto non serve che faccia niente, se non l'assistenza, e questo, come dice anche la legge, è appannaggio di tutti». 

Esistono poi delle differenze territoriali. Un'analisi condotta dal gruppo Pd regionale evidenzia come in Lombardia l'utilizzo della Ru486 si attesti intorno al 35%, dato molto più basso rispetto ad altre regioni italiane paragonabili per dimensioni e qualità del servizio sanitario, come ad esempio la Toscana e l'Emilia Romagna, che nel 2021 superano il 50%.

E le nuove generazioni? Alcuni diventano obiettori per evitare di doversi occupare solo di Ivg. Il numero di Ivg a settimana per un non obiettore registra il valore più basso in media in Valle d'Aosta (0,5) e il più alto in Molise (6,6). Ci sono strutture con un carico di lavoro superiore alle 9 Ivg in sette giorni: «Servono premialità negli ospedali - conclude Kustermann - chi non obietta alla legge 194 potrebbe avere un accesso preferenziale alla ginecologia chirurgica o uno sgravio dai servizi di primo livello che non sono molto ambiti».

La decisione della Corte Suprema. Diritto di aborto, cosa c’è dietro l’attacco della Corte Suprema. Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino su Il Riformista l'11 Maggio 2022. 

Ci sono ragioni per pensare che la bozza della decisione della Corte suprema americana sul tema dell’aborto, fatta trapelare e rivelata dalla stampa nei giorni scorsi, possa diventare la decisione finale che verrà resa nota verosimilmente in giugno. In tal caso, gli Stati Uniti sarebbero sulla strada di trasformarsi in uno Justizstaat, un regime politico in cui sono i giudici che decidono sovranamente del diritto alla vita e alla morte dei cittadini: dall’aborto alla eutanasia. Bisogna tener presente i passaggi essenziali della procedura che caratterizza il lavoro della Suprema Corte degli Stati Uniti. Che è molto diversa da quelle in uso nelle Corti costituzionali europee.

Dopo un dibattimento, nel corso del quale i nove membri che compongono il collegio giudicante ascoltano le parti e discutono talvolta animatamente con loro, i giudici si riuniscono a porte chiuse e votano a maggioranza sul dispositivo del caso o della controversia. Semplificando, nell’ipotesi in cui emerga una questione di costituzionalità – il che non è sempre il caso perché la Corte Suprema è il giudice di ultimo grado di ogni tipo di conflitti – ciascun giudice prende posizione a favore di una delle due parti, pro o contro la conformità alla costituzione della norma contestata. Si forma in questo modo una maggioranza. A quel punto, la regola generale è che il presidente della Corte assegni ad uno dei membri della maggioranza la redazione della sentenza (opinion). Nel caso in questione, Samuel Alito, un giudice notoriamente molto conservatore, è stato incaricato di redigere il draft della decisione sull’aborto.

Quest’ultimo non viene discusso collegialmente con gli altri membri, ma fatto circolare affinché possano essere proposti eventuali emendamenti e i dissensi della minoranza vengano redatti tenendo conto della tesi e degli argomenti espressi in quella che sarà la decisione della maggioranza. È nel corso di questi scambi, in genere scritti, fra i nove giudici, che la bozza della decisione di Alito è stata – surrettiziamente e probabilmente senza precedenti – consegnata alla stampa da uno dei collaboratori dei giudici o da un membro del personale della Corte. Quanto detto sin qui ci fa supporre che, nonostante possibili modifiche minori, è poco verosimile che la tesi di Alito venga rovesciata. Accade infatti estremamente di rado che la decisione della maggioranza sul dispositivo, la quale, come abbiamo detto, precede la motivazione da parte di uno dei giudici della maggioranza, venga poi modificata, dando luogo ad una decisione finale diversa.

Occorre sottolineare che della deriva verso un regime politico che finisce per dare ai membri della Corte suprema un ruolo predominante, non sono responsabili solo i nove giudici della Corte stessa, ma anche il Congresso e per certi versi la stessa costituzione americana. Il Congresso, in particolare, si è rifiutato sin dall’inizio della controversia sull’aborto di emanare una legge federale, valida cioè per tutti gli Stati Uniti, che ne regoli i limiti. Questi, fin dai tempi della sentenza Roe v. Wade (1973), sono stati definiti dalla Corte Suprema, che considerò a suo tempo contraria alla costituzione une legge dello stato del Texas che limitava il diritto delle donne alla interruzione volontaria della gravidanza. In tal modo, la Corte faceva valere la sua decisione al di sopra delle legislazioni e delle Corti dei singoli stati membri dell’Unione Americana. Oggi, la maggioranza conservatrice della Corte vuole capovolgere le sue precedenti sentenze, facendo strame della dottrina dello stare decisi (i precedenti), che domina la retorica dell’insegnamento del diritto costituzionale nelle law schools di oltreatlantico.

Questo rovesciamento di tutte le decisioni che più di recente hanno confermato Roe v. Wade, dipende naturalmente – oltre che dalla volontà dei rappresentanti eletti nel Congresso di decidere di non decidere – anche dal fatto che i giudici federali, inclusi dunque quelli della Corte suprema, sono nominati dal Presidente con il consenso del Senato. Se dunque, come è accaduto di recente durante la Presidenza di Trump, il Presidente e il Senato sono espressione della stessa parte politica, entrambi gli organi costituzionali preposti alla nomina dei giudici, possono scegliere e ormai designano di fatto giudici che sono molto vicini alle posizioni di parte che li individua, dopo averli selezionati accuratamente. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di persone relativamente giovani e che, dato che, come si sa, l’incarico è assegnato a vita, sono destinate a restare alla Corte solitamente per circa trenta anni. Questa modalità della nomina dei membri della Corte, che è definita dall’art. 3 della Costituzione americana, mette decisamente in questione la neutralità della Corte stessa, se questa – come nel caso presente – è dominata (sei contro tre, tre dei quali nominati da Trump) da membri di una sola sezione dello schieramento politico e diventa inevitabilmente partigiana. Il suo potere può allora andare in molti casi a scapito della giustizia imparziale e, certamente, come mostrano le ricerche sulla opinione pubblica condotte negli Stati Uniti, porta a un grave detrimento della reputazione di un organo che deve la sua legittimità all’essere, per quanto sia umanamente possibile, super partes.

Naturalmente, la neutralità di un organo come la Corte suprema non può voler dire che essa giudichi senza avere opinioni o senza preconcetti da parte dei suoi membri. Inoltre, quando esiste come negli Stati Uniti la possibilità di pubblicare opinioni dissenzienti, i giudici non hanno veri incentivi per cercare dei compromessi fra di loro. Ma, proprio per questo, la Corte dovrebbe essere costituita in modo che la parzialità venga ridotta al minimo, grazie alla scelta di membri con opinioni politiche diverse e non estreme che cercano un compromesso. Altrimenti, com’è evidente, da organo super partes, essa diventa una terza camera, che peraltro, diversamente dalle prime due che sono soggette all’elezione e al periodico rinnovo da parte dei cittadini, non è responsabile in alcun modo dinanzi al corpo elettorale.

È quello che rischia di essere oggi la Corte Suprema americana. Né si può ignorare che la nomina a vita – forse comprensibile quando oltre due secoli fa, nel momento in cui fu ideata e creata, la speranza media di vita era inferiore a cinquanta anni, mentre oggi raggiunge facilmente gli ottanta – allontani la Corte nella sua composizione – così a lungo immutata – dalle evoluzioni della società. In altre parole, i giudici e la loro maggioranza, restando così lungamente in carica, diventano un organo che rischia di divergere sempre di più dai mutamenti delle maggioranze regolarmente elette dai cittadini. Se, come è possibile o probabile, la bozza di Alito contiene l’essenziale della futura sentenza, la Corte finirà con l’imporre un ritorno verso un sistema confederale, in cui i diritti dei cittadini (oltre all’aborto, anche le leggi relative alla normativa elettorale) saranno in larga misura lasciate alle singole decisioni e regolamentazioni dei diversi stati dell’Unione.

Poiché è questo che sembra voler decidere la maggioranza della Corte: la cancellazione di una norma come Roe v. Wade, che in base alla clausola della superiorità delle norme federali si imponeva alle legislature ed alle giurisdizioni di tutti gli stati. Sicché, nel caso che stiamo considerando, le donne incinte potranno molto più facilmente interrompere la loro gravidanza negli Stati più liberali e molto meno in quelli più conservatori del Sud e del centro del paese. Con una svolta – dalla democrazia federale ad una repubblica confederale – che, pur non contrastando esplicitamente e formalmente la lettera della vecchia costituzione, tradisce certamente lo spirito dei Padri Fondatori.

Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino

Aborto, quando la libera scelta prevale sullo Stato. Nel 1973 la Corte Suprema stabilì che il «diritto alla privacy comprende la decisione di abortire». Ma ora l'America rischia di regredire di 50 anni. Francesca Spasiano su Il Dubbio il 5 maggio 2022.

Per ora quello della Corte Suprema è soltanto un parere, una bozza. Tale però da scuotere come un terremoto l’America che ora si spacca sul diritto di aborto. “La fuga di notizie accende la battaglia sull’aborto”, titola il Wall Street Journal. Mentre il New York Times parla di «una svolta politica sismica». Tutto è cominciato lunedì scorso, quando il sito Politico ha ricevuto e poi reso pubblico un documento firmato dal giudice di destra Samuel Alito. Il quale scrive che la Corte Suprema sarebbe pronta ad annullare la storica sentenza Roe contro Wade del 1973 con cui si è sancito il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza.

Apriti cielo. Da quel momento negli Stati Uniti non si parla d’altro. E i movimenti pro choice, così come i militanti antiabortisti, manifestano notte e giorno attorno alla Corte. In ballo c’è un po’ di tutto. È già molto grave che un documento riservato sia finito nelle mani della stampa. Un documento sì autentico, come conferma il presidente della Corte John Roberts. Che al contempo precisa che quella bozza «non rappresenta una decisione della Corte o la posizione finale di alcun membro sulle questioni in discussione». Il riferimento è alla sentenza attesa per giugno con cui la Corte dovrà esprimersi sulla legge approvata nel 2018 in Mississippi, che vieta l’aborto dopo la quattordicesima settimana di gravidanza. Dunque il parere è ancora provvisorio, e potrebbe cambiare nelle prossime settimane.

Ma la soffiata spezza una liturgia consolidata della Corte, e la fuga di notizie arriva come una bomba sulle prossime elezioni di Midterm. Al punto che i giornali americani si chiedono: cui prodest? Per il Nyt, la «inaudita fuga di notizie potrebbe minare la credibilità della Corte», perché resterà comunque negli americani la sensazione che l’interpretazione della Costituzione è soltanto un fatto politico. Ed ecco il primo punto: il diritto ad abortire non è sancito dalla Costituzione, né da una legge federale. Una volta caduto lo scudo della sentenza del ’73, la scelta andrebbe ai singoli stati. Quindi agli elettori. Agli effetti sulla politica è dedicato un altro commento del Nyt, secondo cui il cambio di orientamento della Corte avrebbe sorpreso tanto i democratici quanto i repubblicani. Che i dem abbiano cercato di fermare la crociata dei conservatori sull’aborto, mobilitando i propri elettori? Difficile a dirsi, ma è utile capire perché un diritto sancito 50 anni fa precita verso l’abolizione.

Il documento e la soffiata

Nelle 98 pagine licenziate da Alito si afferma che la sentenza del ’73 deve essere «ribaltata» perché «clamorosamente sbagliata sin dall’inizio», fondata su «un’argomentazione eccezionalmente debole che ha avuto conseguenze negative» con il risultato di «infiammare il dibattito ed aumentare le divisioni: è arrivato il momento di tornare alla Costituzione e restituire la questione dell’aborto ai rappresentati del popolo». Se la Corte annullerà la Roe – eventualità rara, ma possibile – ogni Stato potrà regolamentare a suo modo l’accesso all’aborto, o vietarlo completamente. E per il New York Times – che ne ha pubblicato una mappa – sarebbero in molti ad introdurre subito restrizioni o ad imporre un divieto assoluto. Nella Corte, più alta istanza giudiziaria del Paese, siedono in tutto nove giudici. E con Alito sarebbero d’accordo in quattro, di cui tre giudici scelti dall’ex presidente Donald Trump: Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett. La loro decisione, se confermata, rischia di spazzare via anni di battaglie. E una giurisprudenza consolidata, confermata nel ’92 con la sentenza Planned Parenthood vs Casey. Certo i democratici non si arrenderanno. E il presidente Joe Biden ha già evocato una legge federale che codifichi la sentenza e preservi il diritto di abortire. Ma qual è «l’argomentazione eccezionalmente debole» di cui parla Alito?

Cosa prevede la sentenza Roe contro Wade

Prima del 1973, l’aborto negli Usa era disciplinato da ciascuno Stato con una legge propria. E il servizio era garantito soltanto in circostanze eccezionali, in caso di stupro o di pericolo di vita per la donna. La volontà non era contemplata. Ma nel 1969 un team di avvocate decide di portare la battaglia di Norma McCorve, alias Jane Roe (da cui il nome della sentenza) in tribunale. Norma si era sposata a 16 anni con un uomo violento, da cui aveva già avuto tre figli. E voleva interrompere la sua terza gravidanza, sfidando la legge del Taxas. A difendere le ragioni del Texas vi era l’allora attorney general Henry Wade. La Corte decise a larga maggioranza, sette giudici contro due, in favore della donna – che intanto aveva comunque avuto la sua terza figlia – stabilendo che, sebbene la Costituzione non affronti direttamente la questione del diritto all’aborto, questo viene tutelato dal diritto alla privacy, inteso come diritto alla libera scelta di ciò che attiene alla sfera più intima dell’individuo. Alla base c’è un’interpretazione del 14esimo emendamento, che sancisce i fondamenti del giusto processo e stabilisce che nessuno Stato può “privare qualsiasi persona della vita, della libertà o della proprietà senza un processo nelle dovute forme di legge”, né può “negare a qualsiasi persona sotto la sua giurisdizione l’eguale protezione delle leggi”. Alito contesta che il 14esimo emendamento sia stato «introdotto in un’epoca in cui neanche si discuteva di aborto». Eppure il giudice della Corte Harry Blackmun, largamente sostenuto, allora argomentava: «Noi concludiamo che il diritto alla privacy personale comprende la decisione di abortire», perché si tratta di un diritto che deve «prevalere sugli interessi regolatori degli Stati».

Diane Derzis: «Le mani sull’aborto negli Usa? È spaventoso ed è solo l’inizio. Ora le donne ricominceranno a morire». Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni su L'Espresso il 6 Maggio 2022.

«Tenete tutti alta la guardia. Se può accadere qui, può accadere ovunque» dice la proprietaria dell’unica clinica in Mississippi in cui si pratica l’interruzione di gravidanza. E che è al centro del caso che la Corte Suprema sta esaminando. «Sono quarant’anni che ci minacciano in nome di Dio, ma non mi fermerò».

«Ho sempre pensato che prima o poi sarebbe successo. Ora ci siamo e non so se sono pronta. È spaventoso». Diane Derzis scandisce bene l’aggettivo con la voce roca: «spaventoso». Vuole che afferriamo la portata del terremoto sociale che sta scuotendo gli Stati Uniti. «Se la Corte Suprema dovesse davvero confermare il ribaltamento della Roe contro Wade, in una nazione avanzata come l’America molte donne ricominceranno a morire perché non potranno accedere in sicurezza a una procedura medica che è stata disponibile negli ultimi cinquant’anni. Saranno costrette di nuovo agli aborti clandestini o dovranno fare le valige e viaggiare». 

Derzis è proprietaria dell’unica clinica che in Mississippi - uno stato di tre milioni di abitanti – pratica l’interruzione volontaria di gravidanza. È lei la donna che da oltre quarant’anni, schivando picchetti di manifestanti imbufaliti e trappole legislative non meno rabbiose, accudisce l’autodeterminazione delle donne del sud conservatore. «È il 2022 e stiamo tornando indietro» sbotta sconfortata quando la raggiungiamo al telefono. È esausta, sono giornate di fuoco. Il suo ambulatorio, la Jackson Women’s Health Organization, è al centro del caso che la Corte Suprema sta esaminando, ovvero la costituzionalità di una legge del 2018 dello Stato del Mississippi che vieta l’aborto dopo 15 settimane di gestazione. La decisione è attesa tra la fine di giugno e l’inizio di luglio. È molto probabile che Derzis perderà. E questa sconfitta, dai confini del Mississippi si espanderà a tutta l’America. Nei giorni scorsi, infatti, il sito Politico ha reso pubblico un documento in bozza a firma del giudice conservatore Samuel Alito sul parere della maggioranza delle toghe che ripudia la Roe contro Wade. Se questa sentenza storica - che dal 1973 garantisce il diritto di aborto - dovesse veramente cadere, in assenza di una legge federale in merito, la decisione sarà completamente rimandata agli Stati. 

Abbiamo davanti un’America spaccata: da una parte ci sono gli Stati democratici che proteggeranno l’aborto in tutti i modi; l’altra metà, quella più conservatrice, è pronta a vietarlo o a limitarlo pesantemente, incluso il Mississippi, ma anche ad esempio il Texas e l’Oklahoma. Che ne sarà della sua clinica?

«Ci trasferiremo. Ho comprato una struttura in Nuovo Messico dove questo diritto è protetto, stiamo allestendo l’ambulatorio. Di sicuro non mi fermerò. Bisognerà raccogliere fondi affinché le donne possano viaggiare in altri Stati. Tra queste ci sono tante persone che non hanno disponibilità economiche; le più vulnerabili, ovvero donne di colore in condizioni di povertà che di certo non possono permettersi un biglietto aereo per New York. È la parte più triste di questa storia. Dovremo lavorare sul fronte legale. Mi aspetto anche arresti, perché in alcuni Stati sarà proibito andare ad abortire fuori. Mi auguro solo che tutto ciò svegli la gente».

Cosa risponde a chi, come Alito, sostiene che nella Costituzione non ci sia cenno all’aborto come diritto?

«È un argomento ridicolo. Gioverebbe ricordare che le uniche persone menzionate nella Costituzione sono gli uomini. Non le donne, né i neri. La carta originale non permetteva agli afroamericani di votare. La verità è che puntano al controllo delle donne. Ci vogliono fuori dalla forza lavoro, sperano di tornare indietro a quando non avevamo scelta».

Cosa controbatte a chi ritiene di proteggere la vita?

«Non credo che gli importi dei bambini. Se fosse così, finanzierebbero programmi per prendersene cura. L’unica preoccupazione è quel che accade prima della nascita. Non c’è empatia, non capiscono che una parte dell’America non è come loro.

Pro-life contro pro-choice, in questo Paese il confronto non è sempre solo dialettico.

Le minacce non mancano. Nel 1998 hanno ucciso una delle guardie della mia clinica a Birmingham in Alabama. Ho visto in prima persona cosa sia capace di fare questa gente in nome di Dio. Ma Dio non ha niente a che vedere con questa violenza.» 

A novembre ci saranno le elezioni di metà mandato. L’aborto è uno dei temi più divisivi in questo Paese, cosa si aspetta alle urne?

«Spero che lo sconvolgimento di queste settimane spingerà la gente ad andare a votare per blindare la maggioranza al senato e permettere l’approvazione del Women's Health Protection Act che garantisca l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza. Biden ha detto molto chiaramente che è pro-choice ma può fare poco da solo. Vorrei avere fiducia nel popolo americano, ma non ce l'ho».

Il 70% degli americani pensa che sia una scelta che andrebbe lasciata alla donna e al suo medico. Le proteste e l’opinione pubblica potrebbero portare la Corte a un ripensamento?

«No, credo che sia la posizione finale. Non vedrò mai l’aborto legalizzato in tutto il Paese ed è una cosa terrificante».

Cosa farà l’America progressista nelle prossime settimane?

«È bene che sia in allerta. Il timore più grosso è che questa lotta contro l'aborto sia parte di un movimento più ampio. È tutto legato insieme: diritti delle donne, delle minoranze. È solo l'inizio. Credo davvero che siano in pericolo anche la comunità Lgbtq, il matrimonio e le adozioni gay. Siamo a un bivio della nostra storia. Credo anche che tutte le nazioni progressiste debbano tenere alta la guardia. Se può accadere qui, può accadere ovunque».

L'aborto. La Corte Suprema degli Stati Uniti e il femminismo degli anni Settanta. Lea Melandri su Il Riformista il 6 Maggio 2022. 

La guerra mai dichiarata e mai interrotta del sesso che si è arrogato il dominio del mondo, in nome della sua “natura superiore”, ha da sempre un obiettivo prioritario, che è il controllo del corpo femminile e della sua capacità generativa. Che l’aborto sia, sotto qualsiasi cielo, per gli uomini un’ossessione, non dovrebbe meravigliare: il corpo della donna è quello che dà la vita, e cure, affetto, nel momento della maggiore dipendenza e inermità, ma che potrebbe non darli, un corpo che è venuto conquistando libertà, diritti, e che comincia a non voler più essere un “corpo a disposizione”, dal punto di vista sessuale e procreativo.

Si potrebbe parlare di una guerra “sui generis”, in senso letterale: violenza di un “genere” che stenta a riconoscersi come tale, e le cui armi ancora oggi vanno dalla legge al coltello, dalla cancellazione del diritto di aborto al femminicidio. Pochi si chiedono come uscirne e chi lo fa, come il movimento delle donne, è tenuto nel silenzio o represso con la forza. Eppure, come non sono mancate grandi manifestazioni in tanti Paesi del mondo, così si è venuta formando, fin dagli anni Settanta, una cultura femminista capace di impedire che un fenomeno, che ricompare puntualmente e con sempre maggiore virulenza, quanto più si allentano i vincoli e i pregiudizi con cui ci è stato consegnato da millenni di patriarcato, venga ridotto dentro i termini della politica tradizionale.

La notizia che la Corte Suprema degli Stati Uniti potrebbe decidere di limitare il diritto di aborto, ribaltando la sentenza Roe V. Wade che lo garantiva a livello federale, non mancherà di essere portata al centro del dibattito tra conservatori e democratici, tra Trump e Biden, fatta oggetto di propaganda elettorale. È per questo che torna ancora una volta utile “muoversi su un altro piano”, come indicava Carla Lonzi, e riascoltare le voci del convegno che si tenne al Circolo De Amicis a Milano, nel febbraio 1975, restie a fare dell’aborto solo una questione di diritti, insieme a forze politiche organizzate. “Non è nel nostro interesse trattare il problema dell’aborto per se stesso. Il nostro sforzo è, invece, di legare questo tema a tutta la nostra condizione, in particolare a quella della nostra sessualità e del nostro corpo, altrimenti rischiamo di dare solo una risposta parziale che si rivolta magari contro di noi o che comunque non è una soluzione per noi (…) il ritrovarsi tra noi significa che noi affrontiamo questa tematica nei modi politici che sono nostri, e quindi con il racconto di esperienze e anche con prese di posizione che magari non hanno grande coerenza, ma riflettono quello che è il nostro pensiero e desiderio.” (Sottosopra rosso, fascicolo speciale, 1971).

Il rapporto tra il corpo e la legge, tra pratiche di liberazione da modelli interiorizzati e battaglie per i diritti, non ha mai più conosciuto, come negli anni Settanta, la tensione vitale di un conflitto aperto da una tematica che comportava l’uscita da polarizzazioni note, tra privato e pubblico, tra vissuto personale e istituzioni della sfera pubblica. Due furono allora le posizioni di fondo: una che vedeva nella formulazione di una legge che legalizzasse e rendesse assistito e gratuito l’aborto, la conquista di un diritto civile e il riconoscimento della forza delle donne; l’altra che invece non riteneva utile una riforma sociale, quale è la normativa dell’aborto, attuata da un sistema che non comprende le donne, e che perciò avrebbe preferito l’abolizione del reato di aborto, la depenalizzazione. La legge fu approvata il 25 maggio del 1978, ma la posizione critica sui rischi riguardanti l’iscrizione delle vite nell’ordine statuale è ricomparsa trent’anni dopo nei commenti di una generazione di giovani femministe, il gruppo A/Matrix di Roma.

“La maggior parte delle donne si batteva non per una legge, ma per la depenalizzazione del reato di aborto. Il ragionamento era chiaro: la legge avrebbe significato che lo Stato metteva bocca sul corpo delle donne. Così è stato, anche perché alcuni degli articoli del testo aprono di fatto all’obiezione di coscienza da una parte e dall’altra alle varie interpretazioni su quando e come inizia la vita (…) L’autodeterminazione non è più tale se si subordina all’interesse dei partiti e delle logiche parlamentari, se una volta ottenuta una legge si impiegano le energie in una lotta difensiva le cui regole sono date dalle istituzioni ospedaliere, giudiziarie amministrative (…) La lotta contro l’aborto è stata una lotta a tutto campo, di certo non liquidabile con l’idea di rivendicare e ottenere un ‘diritto’. Parlare pubblicamente di aborto ha significato anzitutto una radicale messa in discussione della sessualità e di rapporti tra uomo e donna.” (Liberazione, 21.5.2008).

Maternità e aborto sono, senza ombra di dubbio, legate a un modello di sessualità penetrativa e generativa contrassegnata, all’interno del dominio storico dell’uomo, da un carico di violenza materiale e psicologica, che non accenna a diminuire neppure in presenza di culture altamente civilizzate. Ciò nonostante, l’interruzione volontaria di gravidanza è ancora vista come “questione morale”, con riferimento alla religione, o “questione femminile”, come se non c’entrasse l’uomo e un dominio che si è imposto per secoli, e tutt’oggi, come controllo sul corpo della donna, affermazione di virilità, fissazione della donna nel ruolo di madre. L’assenza dell’unico soggetto a cui è stata riconosciuta una sessualità propria, riproduttiva e il potere di imporla con la forza, provocando gravidanze indesiderate, dovrebbe quanto meno indurre a chiedere dove sia finito l’attore primo di quello che continua ad apparire come un “dramma” con una protagonista unica.

L’uomo in realtà c’è, c’è come figlio potenziale, promessa racchiusa in quel “tu” che deve ancora divenire persona, ma che la “tutela del concepito”, prevista da una legge dello Stato italiano, ha fatto assurgere a soggetto titolare di diritti, primo fra tutti il “diritto di nascere”. E’ alla “ personalità giuridica dell’embrione”, sancita dalla Legge 40 , che fanno appello tutte le crociate contro l’aborto. Se il corpo femminile ha avuto bisogno di essere confinato in un ordine naturale, sottoposto a controlli di ogni sorta, fatto oggetto d’amore e di insieme di violenza, è perché nella memoria dell’uomo-figlio è rimasto il luogo di una irripetibile fusione e, contemporaneamente, il richiamo a una dipendenza minacciosa per la sua individualità adulta.

La nostalgia del ritorno e l’ombra di abbracci mortiferi non potevano che acuirsi e trasformarsi in una poltiglia esplosiva di odi, risentimenti, malcelata misoginia o aggressioni esplicite, nel momento in cui le donne hanno dato prova di sopportare sempre meno il destino che altri ha deciso per loro. La liberazione di un corpo vincolato per millenni alle leggi della procreazione e della sopravvivenza, ha voluto dire, prima ancora di decidere se essere o non essere madri, la riscoperta di una sessualità propria, e il legittimo desiderio di provarsi nel mondo come persone intere. Lea Melandri

Da corriere.it il 2 maggio 2022.

È stata fermata con l’accusa di tentato omicidio la madre della bimba che domenica a Macerata era precipitata dal balcone della sua abitazione. La donna, una 40enne di origini indiane, temeva che il marito stesse per partire per il Paese d’origine portando con sé la bambina. Un timore, secondo gli inquirenti, che si sarebbe rivelato infondato.

Domenica la donna si era chiusa nella sua camera da letto con la figlia: prima avrebbe gettato nel vuoto, dal terzo piano, la bimba che ha 4 anni. Poi lei stessa avrebbe tentato di togliersi la vita nello stesso modo senza però riuscirvi. La piccola è fuori pericolo ma resta ricoverata in ospedale a causa di fratture al bacino e a una gamba. La madre è stata trattenuta nel reparto di psichiatria e da questa mattina è piantonata dalla polizia.

Orrore a Macerata: bimba cade dal terzo piano, la madre fermata. Valentina Dardari il 2 Maggio 2022 su Il Giornale.

La piccola è stata ricoverata in ospedale in gravi condizioni ma non sarebbe in pericolo di vita. La madre si è tagliata le vene.

Una bimba indiana di 4 anni si trova ricoverata in ospedale in gravi condizioni dopo essere caduta da una finestra della propria abitazione, posta al terzo piano di un condominio in via Dante Alighieri a Macerata. Dopo essere precipitata la piccola è stata soccorsa e trasportata in eliambulanza in codice rosse nella struttura ospedaliera di Torrette di Ancona. Intervenuto sul luogo della tragedia insieme ai vigili del fuoco, il personale sanitario del 118 ha dovuto prestare soccorso anche alla mamma della bimba, anche lei di origini indiane, trovata in casa con alcune ferite ai polsi. La donna, trasportata all’ospedale di Macerata e poi ricoverata, è stata fermata dalla polizia: per gli inquirenti avrebbe volutamente gettato la figlia dalla finestra, tentando poi il suicidio.

Indaga la Procura

Sull’episodio sta indagando la Squadra Mobile di Macerata in coordinamento con il pubblico ministero Stefania Ciccioli. La procura di Macerata ha affidato a carabinieri e polizia il compito di ascoltare alcuni testimoni, residenti del condominio dove è avvenuta la tragedia e i parenti della donna.

Secondo quanto fino a questo momento è stato ricostruito dagli investigatori, nel pomeriggio di ieri, verso le 16 di domenica primo maggio, la bimba sarebbe caduta da una finestra della sua casa, posta a una altezza di circa una decina di metri, mentre si trovava in casa con i suoi genitori, di origine indiana. La piccola vittima, in seguito ad alcune segnalazioni pervenute da passanti, è stata soccorsa dai sanitari del 118 e trasportata in ospedale in gravi condizioni. Attualmente si trova ricoverata, in prognosi ancora riservata, nel Reparto di Rianimazione dell'Ospedale materno infantile Salesi di Ancona, dopo un primo intervento dei medici di Torrette, e non sarebbe comunque in pericolo di vita. Da quanto reso noto, quando è stata soccorsa era cosciente e i medici hanno riscontrato nella bimba alcune fratture, uno pneumotorace e quella che sembrerebbe una lieve ferita da arma bianca al collo.

Quel triste sospetto

La Squadra mobile, diretta dal commissario Matteo Luconi, ha svolto un lungo sopralluogo nell'abitazione e i rilievi necessari alle indagini, svolti in collaborazione con la Polizia Scientifica, in particolare sulla finestra e sul balcone attiguo della casa, per accertare se la caduta sia stata accidentale o provocata. Importanti, per capire se si sia trattato di una disgrazia o di un gesto volontario della mamma, saranno le testimonianze di alcune persone, anche loro presenti all'interno dell'appartamento al momento della tragedia. Oggi la madre è stata fermata per tentato omicidio. La 40enne risulta essere gravemente indiziata. Secondo gli investigatori la donna si sarebbe chiusa in camera con la figlia per timore, infondato, che il padre portasse la piccola con lui in India. Poco dopo avrebbe lanciato la bimba dalla finestra e si sarebbe tagliata le vene tentando il suicidio.

L'indagata si trova adesso nel reparto di psichiatria dell'ospedale di Macerata, piantonata dagli agenti, ed è a disposizione della locale Procura che coordina le indagini. Fin da subito le indagini degli investigatori si erano concentrate sulla madre della piccola. Dalle informazioni raccolte emergerebbe un quadro indiziario chiaro che andrebbe a giustificare il provvedimento di fermo accolto dalla procura della Repubblica in attesa che venga convalidato.

Ripartire dalla 194. L’aborto in Italia resta un diritto ostacolato. Micol Maccario su L'Inkiesta il 29 Aprile 2022.

Gli ostacoli per le donne che decidono di interrompere una gravidanza rimangono numerosi: dai chilometri da fare per trovare un medico disponibile alle spese impreviste (e giudizi non richiesti) 

L’aborto è un diritto ostacolato. Sono sempre di più gli Stati che restringono (o negano) la possibilità di scegliere l’interruzione volontaria di gravidanza.

L’Oklahoma nell’aprile 2022 lo ha vietato – anche nei casi di incesto e stupro – a meno che non ci sia il pericolo di compromettere la vita della donna. Si rischiano fino a 10 anni di carcere e 100mila dollari di multa. La Florida pochi giorni fa ha vietato l’interruzione di gravidanza dopo le 15 settimane anche in caso di stupro, incesto o traffico di esseri umani; questa legge modifica la precedente, che permetteva di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza (ivg) fino alla ventiquattresima settimana. In Polonia, dove è vietato abortire anche in caso di malformazione del feto, la scorsa settimana si è aperto il primo processo in Europa per aver «prestato aiuto ad abortire». Justyna Wydrzynska rischia fino a tre anni di carcere per aver fornito pillole abortive a una donna vittima di violenza domestica.

In Italia il diritto all’aborto – stabilito dalla legge 194 del 22 maggio 1978 – non sembra garantito ovunque. In Piemonte l’assessore Maurizio Marrone di Fratelli d’Italia ha stanziato un fondo di 400mila euro per i progetti di tutela materno-infantile. “Vita Nascente” ha lo scopo di incentivare donne che avrebbero voluto abortire a continuare la gravidanza, fornendo loro 4mila euro. Questa scelta è stata criticata da molte associazioni, tra cui il collettivo Non una di meno, che l’ha giudicata «inaccettabile», ritenendola uno strumento elettorale e di «posizionamento politico» ai danni della libera scelta delle donne.

Teresa (nome di fantasia per garantire il rispetto della privacy) racconta a Linkiesta che dopo aver scoperto di essere incinta si è rivolta alla propria ginecologa che solo in seguito si è rivelata obiettrice. La dottoressa le ha fornito informazioni false per dissuaderla: «Guarda che se abortisci faticherai ad avere figli in futuro». Il giorno dell’interruzione di gravidanza si è recata al San Camillo di Roma, dove il reparto per abortire si trova nel seminterrato, esattamente sotto quello di maternità, «sono entrata e c’era scritto ovunque “Benvenuto”». «Mi auguro che fosse un caso, ma nella sala d’aspetto c’era come sottofondo la canzone “Avrai” di Claudio Baglioni. È stato surreale».

Miriam ha manifestato l’intenzione di non portare avanti la gravidanza al suo ginecologo di Pontremoli. «Ma come, non sei contenta? Lo devi tenere, in Italia non puoi più fare niente», erano infatti già passati i 90 giorni entro cui, per legge, l’aborto è consentito. Dopo averle fatto l’ecografia e mostrato piedi e mani del feto, le ha detto che avrebbe commesso un omicidio, «sei giovane, non ti serve un uomo, puoi farcela da sola».

«Ero disperata, io quella gravidanza non la volevo. Sono venuta a sapere che potevo andare in Spagna, ma dovevo prima fare una visita dal mio ginecologo. A lui sono stata obbligata a dire che avrei tenuto il bambino o non mi avrebbe visitata. Il 16 febbraio sono partita per Barcellona, il 17 ho iniziato i controlli presso il Centro Médico Aragón. Ho pagato più di 1000 euro per abortire, lì il prezzo dipende dalla settimana in cui sei», ha aggiunto.

In seguito ha deciso di cambiare ginecologo, ma per trovarne uno non obiettore si sposta fuori regione. Secondo i dati dell’associazione Luca Coscioni sono obiettori 7 ginecologi su 10.

Anche Serena, che ha praticato l’ivg a Torino, ha sollevato la questione degli obiettori di coscienza. «Per me ognuno può avere la propria opinione, ma se sei un medico la tua ideologia dovrebbe rimanere fuori dal reparto». E ancora: «Mi hanno fatta rimanere un’ora e mezza da sola in sala d’attesa, proprio davanti a dove avrei abortito. I miei pensieri in quel momento oscillavano tra “ok lo tengo”, “ora mi alzo e me ne vado” e “rimango, è la scelta giusta per me”. Mi hanno fatto sentire il battito prima di abortire, è stato brutto». Prima di uscire le hanno fatto una visita ginecologica, «il medico non ha avuto nessuna delicatezza, mi ha fatto molto male, non vedevo l’ora di uscire», ha affermato.

Gloria è rimasta incinta nonostante la pillola del giorno dopo. Ha deciso di abortire e, per avere pareri diversi, si è rivolta a due ginecologi. «Il primo è stato disponibile, mi ha spiegato in che cosa sarebbe consistito l’aborto e mi ha fatto il foglio apposito. La seconda è stata più insistente. A un certo punto prima dell’ecografia interna mi ha detto “speriamo sia morto il feto, così non hai più da scegliere”». L’interruzione di gravidanza è avvenuta a Mondovì, in provincia di Cuneo. «Ore e ore di attesa, un’infermiera ha trattato me e la mia vicina di letto come se fossimo due carcerate. Io avevo così paura che ho vomitato dall’ansia, ma non ho avuto una parola di conforto. Siamo state chiuse tutto il giorno in quella stanza».

In seguito all’aborto «siamo state veramente male, ma non ci è stato dato nulla. Abbiamo chiesto un tè caldo, ma non ci è stato concesso. Nonostante fosse una mia scelta è stato doloroso. Mi sarebbe piaciuto avere uno specialista a fianco, o anche solo un po’ di gentilezza in un momento così delicato».

Sara ha vissuto una situazione simile presso consultorio e ospedale di Cuneo. «Sono stata malissimo dopo l’aborto farmacologico. Il medico mi ha detto “ha preso questa decisione, ora se ne assume le responsabilità”». Nonostante la richiesta di qualcosa per alleviare il dolore, nessuno le ha somministrato nulla. Solo a posteriori ha scoperto dal medico di base che poteva prendere la tachipirina.

«Ci sono casi scandalosi in Italia, come quello dell’ospedale universitario Umberto I di Roma, che sembra non faccia aborti farmacologici e rimandi i pazienti al San Camillo», afferma Roberta Lazzeri di Pro-choice Rete italiana contraccezione aborto. Alcuni ospedali dichiarano di praticare l’aborto farmacologico fino alla nona settimana, «ma poi nei fatti lo negano passata la settima». Spesso la donna incontra ostacoli fin dall’inizio, «è difficile trovare qualcuno che già solo faccia il certificato, ma qualunque medico lo può fare, anche uno di base».

La rete Pro-choice è una formazione multidisciplinare che ha l’obiettivo di rimuovere gli ostacoli che ancora oggi ci sono in Italia sia sulla contraccezione che sull’aborto. Fa campagne su obiettivi specifici, come è stato per la modifica delle linee di indirizzo ministeriali su aborto farmacologico e il certificato telemedico, e offre supporto informativo alle donne che hanno difficoltà ad accedere ai servizi.

Le difficoltà che si incontrano nell’abortire spesso portano le persone a trovare strade alternative. Prima dell’entrata in vigore della 194 si parlava di “aborto clandestino”. Adesso chi può va all’estero, chi non può utilizza Internet. Trovare le dosi necessarie e reperire la Ru486 in rete è molto semplice, si può far arrivare a casa direttamente. Secondo Roberta Lazzeri, «un aborto fuori dalla legge può non essere pericoloso a certe condizioni, ma gli ostacoli che si incontrano in Italia fanno sì che lo diventi».

In molti Stati c’è la telemedicina, e i pazienti sono seguiti a distanza da operatori sanitari. In Italia no. E la conseguenza è che è possibile prendere una dose sbagliata del farmaco acquistato su Internet e pagarne le conseguenze.

Si faticano a trovare dati sugli aborti svolti nelle strutture apposite, gli ultimi risalgono a 3 anni fa, ma sono inutilizzabili perché dovrebbero essere disaggregati. Sull’aborto fuori dalla legge i numeri sono praticamente inesistenti, si stimano all’anno tra i 12mila e i 15mila casi tra le donne italiane e tra i 3mila e i 5mila tra quelle straniere. Ma questa stima, effettuata dall’Istituto Superiore di Sanità, risale al 2012.

Bisognerebbe ripartire dalla legge. La 194 è «frutto di un compromesso politico», afferma l’avvocata Giulia Crivellini, membro di Libera di Abortire. «Sono decenni che questa legge viene violata impunemente». Secondo quanto stabilisce l’articolo 9, le regioni dovrebbero controllarne l’attuazione, provvedendo – se necessario – alla mobilità del personale per garantire il servizio, «ma ci sono regioni in cui ciò non avviene». Molti sostengono che «la 194 non si tocca», in realtà consente altri tassi di obiezione e avrebbe bisogno di essere riformulata per poter stare al passo con i tempi.

Oltre agli obiettori di coscienza ci sono altri ostacoli, soprattutto la mancanza di informazione (o disinformazione), le donne non sanno dove andare, a chi chiedere. Secondo Giulia Crivellini questa difficoltà inizia banalmente dal sito del ministero della Salute. «Stiamo chiedendo di rifare il sito, inserendo ad esempio una mappatura delle strutture in cui è possibile abortire». Ma gli ostacoli non si limitano a prima e durante l’aborto, continuano anche dopo. Tristemente noti sono i cimiteri dei feti, ma risale solo a qualche mese fa la proposta di Fdi di procedere alla loro sepoltura anche senza il consenso della donna.

Fino a pochi giorni fa non si poteva dare il cognome della madre alla nascita, «ma non ci sono mai stati problemi nell’apporlo quando la donna decide di abortire».

Da leggo.it il 23 aprile 2022.

Orrore in Salento. Svolta nell'inchiesta sulla tragedia consumata a Martano il 23 luglio scorso quando una donna ha tentato di uccidere sua figlia, appena venuta al mondo, con tre colpi di coltello alla gola. 

Come riporta Mino Marinazzo sul Quotidiano di Puglia, i carabinieri, perquisendo l'abitazione della donna, già accusata di aver tentato omicidio, hanno scoperto sotto il letto lo scheletro di un neonato, avvolto in alcuni stracci di cotone chiusi con del filo di ferro in una valigia. 

All'epoca, la donna è stata arrestata in flagranza di reato, e tutt’ora è ai domiciliari in casa di parenti. Ora, le viene anche contestata l’ipotesi di reato di occultamento di cadavere.

 E ora sorge il dubbio: è stata la madre a trovare il figlio in fin di vita a casa. La corsa in ospedale, poi il decesso. Sono ancora in corso le indagini sull'infanticidio per stabilire se il cadavere ritrovato sotto il letto sia venuto alla luce vivo oppure morto. 

Decisiva sarà la consulenza del medico-legale Roberto Vaglio sull’esito dell’autopsia, che però ha già stabilito che la madre sia la stessa donna che avrebbe poi cercato di disfarsi anche della bambina nata l’estate scorsa. 

L'ultima follia green: "Niente figli, così salviamo per il pianeta". Roberto Vivaldelli il 15 Aprile 2022 su Il Giornale.

È sempre più diffusa l'idea, fra le riviste progressiste più patinate del mondo anglosassone, che non fare figli sia un ottimo modo per salvaguardare il pianeta dai cambiamenti climatici.

"Avere figli, in generale, è ancora visto come un imperativo morale". E ancora: "Avere meno figli può essere il modo migliore per ridurre le emissioni di Co2". A dirlo è la giornalista scientifica Donna Lu sulle pagine del Guardian, il quotidiano di riferimento della sinistra britannica. È l'ultima frontiera dell'eco-femminismo, sempre più diffusa fra le élite progressiste e sulle pagine delle riviste più chic e modaiole. Da una parte la cara vecchia lotta contro il patriarcato; dall'altra l'ossessione per i cambiamenti climatici e la convinzione che avere meno figli possa contribuire a contrastare i cambiamenti climatici in corso. Gli appelli in tal senso arrivano anche da personaggi famosi. Miley Cyrus ha promesso di non avere un bambino su un "pianeta di merda": la deputata Alexandria Ocasio-Cortez ha riflettuto in un video pubblicato su Instagram sul fatto se sia giusto avere figli, mentre i sondaggi, come riporta The Altlantic, suggeriscono che un terzo o più degli americani di età inferiore ai 45 anni non hanno figli o si aspettano di averne meno di quanto potrebbero per via dei cambiamenti climatici.

L'ultima follia liberal: eco-femminismo e lotta al patriarcato

Nell'articolo del Guardian citato poc'anzi si fa riferimento un libro, pubblicato di recente, che racconta in maniera emblematica questa deriva del liberal-progressismo che incita le donne a non avere figli: The Most Important Job in the World della scrittrice e giornalista australiana Gina Rushton. "Sappiamo che più di un terzo di tutte le emissioni di gas serra dal 1965 possono essere ricondotte a sole 20 società di combustibili fossili", scrive Rushton. "L'idea che dovremmo ridurre i nostri desideri per le dimensioni delle nostre famiglie e comunità prima di trasformare i nostri sistemi energetici è peculiare, eppure so che se dovessi avere un figlio, mi affretterei a ridurre la sua impronta climatica prima ancora che i suoi piedi tocchino il terreno".

Ma la questione non riguarda solamente i cambiamenti climatici. La scrittrice australiana sottolinea che le statistiche dimostrano come le donne arrivino a casa dal lavoro per svolgere un secondo turno di lavoro non retribuito. Il rapporto 2021 sulla famiglia, il reddito e la dinamica del lavoro in Australia, scrive, ha rilevato che le donne nelle coppie eterosessuali, con figli a carico, svolgono 21 ore di lavoro non retribuito a settimana in più rispetto agli uomini. Considerato tutto questo, – l'accelerazione della crisi climatica, le disuguaglianze strutturali, la difficoltà di destreggiarsi tra carriera e genitorialità – nota Donna Lu sul Guardian, perché mettere al mondo un bambino? È la domanda che attanaglia la coscienza dei liberal.

"Niente figli per il bene del pianeta"

A differenza di quello che si può pensare, si tratta di un pensiero tutt'altro che isolato nel mondo anglosassone. Come scrive Giulio Meotti sul Foglio, i neomalthusiani sembrano infatti aver conquistato la guida dell'ecologismo. L'organizzazione Stop Have Kids, ad esempio, sta sponsorizzando cartelloni pubblicitari sulla costa occidentale degli Stati Uniti. Uno di questi recita: "Molti esseri umani vorrebbero non essere mai nati". Secondo quest'associazione no-profit con sede negli Stati Uniti, gli "antinatalisti" cercano di ridurre radicalmente la sofferenza e la distruzione ambientale nel mondo. Astenersi dal creare nuova vita, spiegano, è il mezzo più efficiente ed efficace per ridurre al minimo la sofferenza per tutti gli esseri senzienti attuali e futuri. Vivere secondo la filosofia anatalista mantiene intatte la maggior parte delle forme di vita naturali, delle risorse, della bellezza e della salute della terra. Gli antinatalisti possono essere esseri umani di qualsiasi fascia di età e possono aver avuto figli (intenzionalmente o meno) in passato.

Peccato che in Europa la natalità sia in calo pressoché ovunque. Dopo la crisi del 2008, infatti, ad essere in controtendenza sono state solo Germania ed Austria. E negli Stati Uniti la situazione non è migliore: secondo Italia Oggi, bisogna infatti risalire al 1900 per ritrovare un aumento della popolazione così modesto come quello osservato nel 2021. I Paesi con più nascite al mondo, in compenso, sono tutti africani: Niger, Somalia, Ciad, e Mali. Lì le idee progressiste neomalthusiane non fanno breccia.

Paola Del Vecchio per “Avvenire” il 14 aprile 2022.

Molestare o infastidire le donne che si recano in ospedale o in clinica per abortire è diventato un reato in Spagna, in virtù della riforma del Codice penale approvata dal Senato. 

E che entra in vigore oggi, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Secondo il testo promosso dal Partito socialista del premier Pedro Sánchez, tutti quelli che, «per ostacolare l'esercizio del diritto all'interruzione volontaria di gravidanza», infastidiscono una donna «con atti molesti, offensivi, intimidatori o coercitivi che ledano la sua libertà» saranno puniti col carcere da tre mesi a un anno, o con il lavoro comunitario.

Le stesse sanzioni sono previste per chi viene accusato di voler intimidire medici e professionisti che lavorano nei centri sanitari nei quali si pratica l'interruzione di gravidanza (Ivg). 

Le associazioni in difesa della vita hanno espresso il loro «rifiuto unanime» alla normativa, che «nella pratica criminalizza quanti cercano di persuadere le donne che un'altra scelta è possibile».

Spesso pregando, recitando slogan, mostrando cartelli o piccoli feti di plastica o invitando le donne a salire sull'«Ambulanza Vita» alle porte delle cliniche, «perché possano sentire il battito del feto all'ecografo». Tutte forme sul cui stile si può anche dibattere e dissentire, ma non certo passibili del carcere. Almeno fino a oggi. 

«Pregare non è un reato, e continueremo a offrire il nostro aiuto alle donne perché vedano che l'aborto non è l'unica soluzione», ha protestato Inmaculada Fernández a nome della Piattaforma «Derecho a Vivir», assieme ai rappresentanti di 140 associazioni dell'Assemblea per la Vita concentrati davanti al Senato.

Contro il via libera alla norma hanno votato il Partito Popolare e Vox, che valutano di impugnarla davanti alla Corte costituzionale. Mentre la piattaforma «One of Us» denuncia «il grave attentato alla libertà di espressione e di manifestazione». 

A esprimere preoccupazione è la coordinatrice della federazione europea, Ana Del Pino, per la quale «si è imposto il business, la pressione della potente lobby delle cliniche private sui chi difende i valori della vita». Il nuovo reato poi «colpisce le stesse donne, privandole della possibilità di ricevere aiuto o informazione su una decisione così importante».

Secondo un recente rapporto dell'Associazione spagnola delle cliniche accreditate per l'Ivg (Acai), l'89% di coloro che hanno abortito nei centri privati in Spagna si sono sentite molestate e il 66% minacciate. Già nel 2019 il Difensore del Popolo aveva aperto un dossier per verificare presso le forze di polizia quale fosse stato l'esito di denunce per «violazione del diritto all'intimità e all'integrità fisica e morale» presentate da donne che si erano sentite «ostacolate nel diritto all'aborto».

L'interruzione di gravidanza è legale in Spagna dal 1985. «Se la nuova norma punta a perseguire atti coattivi o intimidatori, questi erano già codificati nel Codice penale - spiega Carlos Pérez del Valle, docente di Diritto penale dell'Università San Pablo Ceu -. Ora si fa riferimento ad atti molesti e offensivi, un concetto molto più aperto in termini di coercizione, poiché soggettivo, e che converte in intimidazioni le azioni che presuntamente non lo sono». 

Secondo il penalista «quando questo concetto è applicato ai centri sanitari privati, che possono percepire come molestie anche atti che oggettivamente non lo sono, come le preghiere, l'unico scopo è criminalizzare gli attivisti per la vita, in un modo che si ripercuote sulla libertà di espressione e manifestazione».

Nella Spagna a forte tradizione cattolica, l'aborto era stato depenalizzato per tre soli motivi: stupro, grave rischio per la donna o malformazione del feto. Nel 2010 è stato legalizzato in tutti i casi fino alla 14esima settimana con la legge Zapatero, sulla quale pende ancora il ricorso di incostituzionalità presentato dal Pp. 

Nel frattempo, sulla cosiddetta 'controriforma', promossa nel dicembre 2013 dall'esecutivo di Rajoy, si è infranta una delle più promettenti carriere dei Popolari; quella del ministro della Giustizia Alberto Ruiz-Gallardón, costretto a dimettersi, uscendo dalla scena politica.

Secondo i dati del Ministero della Sanità, nel 2020 l'84,5% delle Ivg sono state realizzate in cliniche convenzionate e solo il 15,5% in ospedali pubblici, dato l'alto numero di medici obiettori. In Andalusia, Aragona, Castilla-La Mancha, Estremadura, Madrid e Murcia neanche l'1% degli aborti fra il 2010 e il 2020 è stato realizzato in strutture pubbliche. 

E in almeno 11 province non si praticano Ivg, con le donne che vanno in altre regioni. Per questo la ministra dell'Uguaglianza Irene Montero, di Unidas Podemos, intende riformare la legge entro l'anno, con la creazione di un registro dei medici obiettori.

Al progetto si oppone la titolare della Sanità, la socialista Darias, che ha escluso di regolare per legge l'obiezione di coscienza. Nella «nota dottrinale» approvata a marzo dalla Commissione per la Dottrina della fede la Chiesa spagnola ha ricordato che «occorre che una persona anteponga il dettato della propria coscienza a quanto ordinato o permesso dalle leggi. Questo non giustifica la disobbedienza alle norme promulgate dalle autorità legittime», chiariscono i vescovi, evidenziando che «lo Stato non deve restringere o minimizzare» il diritto all'obiezione «con il pretesto di garantire l'accesso delle persone a certe pratiche riconosciute legalmente, e presentarlo come un attentato ai 'diritti degli altri'».

L'ultima della sinistra spagnola: in carcere chi convince una donna a non abortire. Gerry Freda il 9 Aprile 2022 su Il Giornale.

In Spagna, per effetto della riforma, chi cercherà di convincere una donna a non abortire rischierà da tre mesi a un anno di reclusione.

Il parlamento spagnolo ha appena approvato una legge che criminalizza chiunque ostacoli una donna riguardo alla scelta di abortire. Il Senato del Regno iberico ha infatti dato il via libera alla riforma del Codice penale nazionale, che introduce il carcere per chiunque faccia pressioni e tenti di impedire il libero esercizio del diritto all'interruzione di gravidanza. L'aborto è stato legalizzato in Spagna nel 1985, ma, da allora, è stato per anni consentito soltanto in conseguenza di stupro, malformazione fetale e grave rischio per la partoriente. Soltanto nel 2010 è arrivata la piena depenalizzazione di tale pratica, permessa attualmente fino alla quattordicesima settimana di gestazione.

La riforma in questione è stata promossa dal governo del premier Pedro Sanchez, esponente del Partito socialista spagnolo. La normativa, prossima a entrare in vigore con la sua pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, stabilisce che "chiunque, al fine di ostacolare l’esercizio del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza, metterà in atto contro una donna atti molesti, offensivi, intimidatori o coercitivi che ledano la sua libertà verrà punito con il carcere". Chi commetterà questo nuovo reato andarà incontro a una pena che può variare da tre mesi a un anno di reclusione. Una sanzione alternativa sono i lavori di pubblica utilità. Queste pene saranno inflitte non soltanto a coloro che proveranno a intimidire le donne decise ad abortire, ma anche a chiunque cercherà di esercitare le medesime pressioni sui medici e sugli operatori sanitari intenti a praticare interruzioni di gravidanza.

La riforma è stata voluta dalla sinistra iberica su impulso delle testimonianze di tante donne che, in tutto il Paese, si trovano costrette a fronteggiare numerosi collettivi anti-aborto. Gli esponenti di questi ultimi cercano di convincere le donne a non interrompere le loro gravidanze e, per raggiungere questo scopo, recitano slogan, pregano e fanno vedere alle donne piccoli feti di plastica.

Gli stessi rappresentanti di queste associazioni, nonché i membri di tante organizzazioni religiose, hanno immediatamente protestato contro l'approvazione della nuova legge, bollandola come una mossa del governo di sinistra per reprimere ogni tentativo di preservare in Spagna i valori della sacralità della vita e della natalità.

(ANSA il 25 marzo 2022)  - La camera dell'Oklahoma, controllata dai repubblicani, ha approvato un disegno di legge che vieta l'aborto in qualsiasi momento della gravidanza, tranne nei casi di incesto e stupro o se la donna incinta è in pericolo di vita. 

Una misura ancora più rigida di quelle approvate in Texas e Arizona che vietano l'interruzione di gravidanza dopo la quindicesima settimana senza nessuna eccezione. Inoltre, la legge appena approvata in Oklahoma consente a qualsiasi cittadino di denunciare non solo coloro che praticano l'aborto, ma anche chiunque "aiuti o favorisca l'esecuzione o l'induzione di un aborto".

Antiabortisti in cattedra all'Università di Pavia. Sofia Mattioli e Beatrice Petrella su L'Espresso il 10 febbraio 2022. 

Un convegno sull’interruzione di gravidanza nell’Ateneo pubblico curato da Pro-Vita. E non è la prima volta. I pro-life salgono ancora in cattedra all’università. Dopo il caso dei volantini e banchetti anti-abortisti alla Sapienza, del convegno all’Università di Torino e del logo della Carlo Bo di Urbino che compare nel volantino del talk “L’aborto: il dubbio delle 9 settimane”, ora tocca a Pavia, sede del convegno “L’interruzione di gravidanza nella relazione 2021 al Parlamento”, promosso dal movimento anti-abortista FederVita Lombardia insieme all'Unione Giuristi Cattolici e il CAV di Pavia e accreditato per la formazione continua di avvocati e del personale medico-sanitario. 

Non è la prima volta che l’Ateneo di Pavia ospita eventi legati ad associazioni e gruppi pro-life e le organizzazioni studentesche uniscono le loro voci di protesta. Era successo anche nel 2019, pochi mesi dopo il Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona, quando a parlare era stato il senatore della Lega Simone Pillon. «Anche allora avevamo organizzato proteste e manifestazioni. L’università non dovrebbe privilegiare la presenza di organizzazioni pro-vita all’interno di uno spazio pubblico» spiega Rossella Cabras, attivista di Non Una di Meno Pavia. Ma, a quanto si apprende, nelle aule universitarie non sembra ci sia posto per il dissenso. «Quando le attiviste sono andate nei giorni scorsi nelle aule ad attaccare i volantini per informare gli altri studenti in merito alla protesta  uno dei guardiani ha intimato loro di andarsene. Le attiviste hanno anche scritto un comunicato chiedendo al Rettore Francesco Svelto di assumersi la responsabilità politica di una scelta che privilegia visioni retrograde e conservatrici» prosegue Cabras. Tuttavia per l’Università di Pavia non sembrano esserci questioni ideologiche: l’ateneo si sarebbe limitato ad affittare l'aula previo pagamento. 

«Il convegno si contrappone alle buone pratiche promosse da gruppi preparati (ce ne sono molti) che da anni cercano di fare formazione laica nelle scuole». A parlare è la giornalista e scrittrice Stefania Prandi. «Le associazioni cattoliche estremiste hanno dichiarato, anni fa, guerra al cosiddetto "gender", introducendo, con questa parola inglese male interpretata e usata in modo distorto, una categoria fittizia e strumentale per portare avanti istanze retrograde e dannose per un miglioramento della società. In realtà, gli studi di genere sono una disciplina vera e propria in molti ambiti universitari a livello internazionale».

L’anno scorso al Liceo Giulio Cesare di Roma è stato bloccato il corso sull’interruzione volontaria di gravidanza organizzato in collaborazione con Laiga, Libera Associazione Italiana Ginecologi per Applicazione Legge 194, e il collettivo ZeroAlibi durante la settimana dello studente. Nel gennaio 2020, durante il normale orario didattico, Senesi ha organizzato l’evento "Avrò cura di te - Dialogo sulla vita e la medicina", presentato come una sessione per l’orientamento alla facoltà di medicina, che si è rivelato un convegno antiabortista. L’incontro è stato organizzato con Minas Tirith, centro studi che si pone come “punto di riferimento culturale per chi vuole contribuire all’educazione delle nuove generazioni”, insieme all'Associazione italiana Ginecologi e Ostetrici Cattolici. Altro caso emblematico è il report a cui ha contribuito Benedetto Rocchi, professore associato al Dipartimento di scienze per l'economia dell’Università di Firenze sui costi della legge 194, report commissionato dall’associazione antiabortista Pro-Vita e Famiglia. Secondo Rocchi la legge 194 sarebbe responsabile di una spesa tra i 4,1 e i 5,6 miliardi in 40 anni e metterebbe “ a rischio la salute delle donne”. 

In un contesto in cui infiltrazioni pro-vita avvengono frequentemente in aule e spazi predisposti alla formazione, l’educazione alla parità di genere è l’unica via possibile. «In Italia siamo ancora molto arretrati, rispetto al resto dell'Europa occidentale e del Nord, l'educazione alla parità di genere, alle differenze e alla sessualità» prosegue Stefania Prandi delineando uno scenario tutt'altro che rassicurante . «Basti pensare che in Paesi come Francia, Danimarca e Germania l’educazione sessuale è diventata una consuetudine già una cinquantina di anni fa. A pesare sulla situazione italiana il forte imprinting cattolico che non riusciamo a scrollarci di dosso. È tuttavia indispensabile per prevenire la violenza maschile contro le donne, i femminicidi, e per dare alle ragazze e ai ragazzi, ma ancora prima ai bambini e alle bambine, la possibilità di autodeterminarsi».

"Mio figlio mi chiedeva sempre i soldi e l'ho ucciso". La confessione choc del capo della polizia. Il Tempo l'01 febbraio 2022.

 «Io gli davo ogni mese 600 euro ma quei soldi non gli bastavano mai, mi picchiava e minacciava. Voleva sempre più soldi. Anche oggi». E oggi ad Agrigento, dopo l’ennesima lite per strada, l’assistente capo della Polizia Gaetano Rampello ha estratto la pistola e ha ucciso il figlio Vincenzo di 24 anni con problemi psichici. A raccontarlo è lo stesso poliziotto interrogato dai carabinieri.

«Mi ha telefonato e mi ha chiesto 30 euro, io glieli ho dati ma ha iniziato a insultarmi e minacciarmi dicendomi che ne voleva 50. Mi ha aggredito e sfilato il portafogli prendendo altri 15 euro. A quel punto ho avuto un corto circuito e gli ho sparato non so quanti colpi». Il giovane in passato era stato più volte denunciato per delle aggressioni subite dal padre. 

 Sono 15, e non nove come comunicato in un primo momento dai carabinieri, i colpi di pistola esplosi dal 57enne, assistente capo della polizia in forza al reparto Mobile della questura di Catania, all’indirizzo del figlio. Alla base dell’omicidio ci sarebbero i dissidi familiari tra padre e figlio, che in queste ore sono sotto la lente di ingrandimento della Compagnia dei carabinieri di Agrigento diretta dal maggiore Marco La Rovere.

L’omicida, che ha cercato di allontanarsi dopo avere commesso il delitto, è stato subito fermato e identificato dai carabinieri del Nucleo operativo e radiomobile di Agrigento all’altezza di una fermata dell’autobus: l’uomo ha confessato ai militari quanto aveva commesso ed è stato poi interrogato dalla sostituta procuratrice di Agrigento Chiara Bisso.

Uccide il figlio in piazza con 15 colpi. Il padre agente: "Voleva sempre soldi". Valentina Raffa il 2 Febbraio 2022 su Il Giornale.

Fermato alla fermata dell'autobus, poi ha confessato l'omicidio.  

Sembrava un'esecuzione, invece a uccidere il 24enne Vincenzo Gabriele Rampello ieri mattina in pieno centro a Raffadali, nell'Agrigentino, è stato il padre.

«C'erano continue liti», ha confessato ai carabinieri Gaetano Rampello, 57 anni, assistente capo coordinatore di polizia in servizio dal 2001 al X Reparto mobile di Catania. Il delitto è avvenuto dopo le 11.30 al culmine di una lite. L'ennesima. Vincenzo, che aveva problemi psichici e diverse denunce per stalking, stava incontrando il padre a cui aveva chiesto 50 euro. Presto la discussione è degenerata, si è passati alle minacce e agli spintoni. Tutto, però, sembrava essere finito lì e Vincenzo se ne stava andando, quando il padre ha estratto la pistola d'ordinanza e gli ha sparato.

Quindici colpi, l'intero caricatore. Uno lo ha raggiunto in testa, sparato da una distanza ravvicinata, gli altri al torace quando il ragazzo era già a terra. Per i carabinieri di Raffadali e, in supporto, quelli della Compagnia di Agrigento non c'è nemmeno il tempo di fare ipotesi, perché nella piazza sono installate le telecamere di videosorveglianza comunali che hanno immortalato l'assassino. Non ci sono dubbi quindi: a uccidere Vincenzo è stato suo papà Gaetano, agente di polizia che in questi giorni era libero dal servizio perché stava usufruendo di alcuni recuperi.

L'uomo è stato rintracciato dai militari del Nucleo operativo Radiomobile di Agrigento mentre, seduto su una panchina sotto una pensilina, era in attesa dell'arrivo di un bus di linea probabilmente per fare rientro a Catania. Non ha opposto resistenza, ha consegnato il suo zaino con le armi all'interno, compresa quella utilizzata per uccidere il figlio. Il poliziotto è stato condotto in caserma dove è stato sentito dal magistrato di turno, Chiara Bisso, alla presenza del capitano Alberto Giordano. Incalzato dalle domande ha ammesso l'omicidio. Dei dissidi col figlio, che viveva da solo a Raffadali dopo la separazione dei genitori, Rampello non ne faceva segreto. Anche i colleghi ne erano a conoscenza ma, malgrado il «carattere particolare» dell'uomo, nulla faceva presagire una tragedia di tale portata. La lettura che del delitto, fatta dal procuratore capo di Agrigento, Luigi Patronaggio, riguarda la sfera del sociale e accomuna questa all'altra tragedia recente di Licata, in cui Angelo Tardino, 48 anni, ha freddato a colpi d'arma da fuoco il fratello, la cognata e i due nipoti di 11 e 15 anni sempre per motivi materiali e poi si è suicidato. «I recenti episodi di tragica e inaudita violenza avvenuti in questi giorni in provincia di Agrigento ha detto il procuratore capo - hanno evidenziato malesseri profondi all'interno della società e delle famiglie, acuiti dal grave isolamento provocato dalla pandemia e non adeguatamente contenuti da un sistema socio-sanitario-assistenziale non sempre pronto ad erogare idonei servizi alla collettività». E ha aggiunto: «Troppo spesso quelli che vengono definiti gesti di follia sono il portato di conflitti sociali e familiari che il sistema, inteso in senso ampio e non escluso quello giudiziario, non è stato in grado di adeguatamente e legittimamente arginare e contenere». Valentina Raffa

Da ilmessaggero.it il 31 gennaio 2022.

Le immagini sono drammatiche. Documentano un gesto folle che soltanto per puro caso non si è trasformato in tragedia. Ma cominciamo dall'inizio. Siamo allo Zoo di Tashkent, capitale dell'Uzbekistan. È un giorno come tanti e i visitatori, ripresi dalle telecamere di sorveglianza e nonostante la pandemia, sembrano affollare la struttura. 

Tra le attrazioni più visitate quella degli orsi. All'interno dell'area, Zuzu, l'orso bruno arrivato dallo zoo di Baku nel 2017, gironzola annoiato. Poi, improvvisamente, accade l'impensabile. Tra la gente che si affaccia a guardare l'orso, una donna sembra gettare qualcosa.

Quel qualcosa è una bambina di tre anni che dopo un volo di 5 metri, finisce nel recinto. Scatta l'allarme e dopo qualche attimo, come documentato dalle telecamere in un filmato diffuso da The Voice of Liverty sui social, sembra chiaro che a gettare quella bambina è stata la mamma. 

Pochi attimi ed è il caos. Nel frattempo, mentre si attendono i soccorsi, l'orso incuriosito da quel fuori programma, si avvicina e in un attimo è sopra di lei. A quel punto però, Zuzu la annusa e, senza mostrare alcun segno di aggressività, decide di lasciarla in pace fino a quando, arrivati i soccorsi, non viene allontanato per permettere il recupero della povera bimba.

E la madre? Stando alle immagini e a quanto riportato dalla stampa locale, sarebbe rimasta ad assistere alla scena senza scomporsi più di tanto. Almeno fino a quando non è stata portata via dalla polizia. Come è andata a finire? La bambina, ricoverata in ospedale, se la caverà. Ha riportato ferite alla testa e vari tagli e contusioni dovuti alla caduta.

Per la mamma, responsabile di un gesto che ancora non trova spiegazione alcuna, si prospetta qualcosa di ben più grave. Nel caso dovesse venire confermata l'accusa di tentato omicidio, infatti, rischia una pena non inferiore a 15 anni. Per quanto riguarda l'orso pare che il comportamento esemplare di Zuzu abbia riscosso successo. Sembra sia stato premiato con una golosa doppia razione.

Da leggo.it il 29 gennaio 2022.

Stava per diventare mamma e giovedì, il 27 gennaio, avrebbe compiuto 37 anni. Ma il giorno prima ha deciso di togliersi la vita, lanciandosi dal nono piano con suo figlio in grembo. 

Una vicenda terribile, sulla quale gli investigatori stanno provando a fare luce. La storia arriva da Torino. La donna viveva in un palazzo al nono piano, in piazza Adriano. Stando alle ricostruzioni, prima di compiere l'insano gesto stava parlando con una collega (era una commercialista), che a un certo punto della conversazione non l'ha più sentita parlare. 

Quando sono intervenuti i sanitari non c'era più niente da fare. In casa è stata ritrovata una lunga lettera, con molte indicazioni lavorative per i colleghi. Niente che desse una spiegazione al folle gesto. Secondo gli inquirenti potrà comunque essere preziosa per arrivare alla verità. 

Secondo la ricostruzione degli investigatori, che stanno interrogando chi la conosceva, era molto stanca e lavorava troppo, nonostante la nascita imminente del figlio. Aveva un compagno, il padre del bambino e una famiglia che le voleva bene. Il sospetto è che la donna si sia sentita in qualche modo soverchiata dagli impegni, quelli lavorativi e quelli futuri, familiari

Lo strazio del marito della commercialista suicida: «Giuliana amava il lavoro ma l’ha distrutta». Simona Lorenzetti su Il Corriere della Sera il 28 Gennaio 2022.

La donna al nono mese di gravidanza si è uccisa lanciandosi dal balcone mentre era al telefono con una collega. 

Da qualche giorno Giuliana Tosco era in ansia all’idea di dover assentarsi dal lavoro. Era preoccupata per le decine di clienti che avrebbero dovuto interfacciarsi con altri colleghi che si erano offerti di darle una mano. Lei era al nono mese di gravidanza e non poteva più occuparsene. Era arrivato il momento di prendersi del tempo, di dedicarsi a quel bambino che tanto aveva desiderato. Eppure, qualcosa dentro di lei è esploso.

Mercoledì, in tarda mattinata, mentre era al telefono con un collega ha ceduto alla paura. Non ha neanche chiuso la telefonata. Ha appoggiato il cellulare in un angolo della casa, ha aperto la finestra e si è lanciata nel vuoto portando con sé la vita che aveva in grembo. A dare l’allarme sono stati alcuni passanti: a quell’ora in via Monforte, all’angolo con piazza Adriano, c’è un passaggio continuo di persone. Ci sono la palestra, il bar, la banca. Un via vai di estranei, ognuno indaffarato nei propri pensieri, che si è trovato di fronte a una scena straziante.

Il giorno dopo Giuliana avrebbe compiuto 37 anni. «Mia moglie amava tantissimo il suo lavoro. Lo faceva con passione, ma l’ha distrutta», spiega sottovoce il marito Federico prima di chiudersi nel proprio dolore. È una storia drammatica, difficile da raccontare, quella di Giuliana. Perché obbliga parenti e amici a scavare nel profondo dell’animo umano. Una storia, però, che deve fare riflettere e che nella sua insopportabile tragicità offre uno spaccato di esistenza di cui spesso si parla, senza poi trovare soluzioni adeguate. Giuliana era «stanca», «esausta»: costretta nella giostra della vita a conciliare lavoro e famiglia. Un compito arduo, complicato da sostenere. E lei voleva garantire pari dedizione alla carriera, per la quale aveva a lungo studiato, e alla famiglia, fortemente desiderata.

Giuliana era una commercialista apprezzata. Aveva un proprio portafoglio clienti e collaborava con lo studio Rubatto-De Magistris. Sarebbero stati i colleghi a farsi carico dei suoi impegni durante la maternità. E il lungo messaggio di addio trovato sul tavolo dell’alloggio altro non è che la narrazione di fascicoli, scadenze e pratiche da svolgere nei prossimi mesi. Un lavoro certosino e dettagliato da lasciare ai colleghi per rendere più agevole il districarsi tra i documenti. Anche nell’ultima telefonata stava dando indicazioni su un cliente. «Era una professionista seria — racconta Marco Rubatto —. Siamo tutti sconvolti. Il giorno prima era venuta in studio. Avevamo parlato di come organizzare il lavoro, così che avesse il tempo di dedicarsi al bambino e alla famiglia».

Giuliana e Federico si erano sposati lo scorso anno, nonostante le restrizioni per la pandemia. E lei desiderava tanto diventare mamma. A gennaio si era ammalata di Covid. Al ritorno in ufficio aveva confessato di sentirsi strana: «Il Covid mi ha lasciato qualcosa. Non ne sono ancora uscita. Mi ha cambiato». «Aveva tutto il sostegno necessario — sottolinea la suocera, che vive nell’alloggio accanto —. Nulla lasciava presagire quello che è accaduto».

Omicidio del piccolo Evan, la Procura: "Ergastolo per la madre e il compagno". Marco Lignana su La Repubblica l'8 Luglio 2022.  

Il caso del bambino morto in Sicilia: il padre naturale aveva presentato un esposto a Genova per denunciare i maltrattamenti subiti dal figlio.

Dopo sei ore di udienza le richieste dell'accusa sono state durissime: ergastolo sia per la madre Letizia Spatola che per il compagno di lei, Salvatore Blanco. Perché per il procuratore capo di Siracusa Sabrina Gambino e per il sostituto Carlo Enea Parodi, a uccidere il piccolo Evan Lo Piccolo ad appena due anni sono stati entrambi.

Bimbo morto a Modica, ergastolo alla madre e al patrigno. Lara Sirignano su Il Corriere della Sera il 22 luglio 2022.  

Per mesi avrebbe maltrattato e picchiato fino ad ucciderlo il piccolo Evan, 21 mesi, figlio della compagna. «Padre padrone» lo definì la Procura, che ne dispose il fermo. In carcere finì anche la madre del bimbo, accusata di aver tollerato in silenzio le violenze del convivente. Oggi la corte d’assise di Siracusa ha condannato entrambi all’ergastolo per omicidio. La terribile storia risale a due anni fa. Evan morì all’ospedale di Modica per le lesioni provocate dalle botte subite dal patrigno, Salvatore Blanco, 32 anni, nell’indifferenza della madre, Letizia Spatola, 24 anni. Per entrambi è stata disposta l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e la decadenza della potestà genitoriale, oltre al pagamento di una provvisionale di 50 mila euro alle parti civili: la nonna di Evan, il padre naturale del piccolo e gli zii.

Il bambino, che viveva a Rosolini, in provincia di Siracusa, è morto per la «grave insufficienza cardio-respiratoria da broncopolmonite da aspirazione», riconducibile, secondi i periti, alle lesioni subite nel corso dei mesi. I medici si sono subito accorti delle ecchimosi sul corpicino e delle fratture al femore e allo sterno che, secondo l’accusa, sarebbero state provocate dalle botte del patrigno. Blanco, che aveva precedenti per maltrattamenti in famiglia, non sopportava i pianti del bambino: per questo lo scuoteva e lo picchiava. Più volte il piccolo era stato portato all’ospedale: la madre aveva sempre parlato ai medici di cadute accidentali. Ma il padre naturale, che viveva in Liguria, qualche mese prima della morte del figlio aveva presentato una denuncia contro ignoti per maltrattamenti e lesioni.

Una decisione presa dopo che la madre, nonna di Evan, gli aveva raccontato di aver visto dei lividi sul volto del nipotino. La donna, che aveva anche fatto delle foto alle ecchimosi, aveva notato che Evan aveva difficoltà a camminare e si era rivolta ai Servizi Sociali. L’ultima aggressione sarebbe stata fatale. La madre di Evan, spaventata dalle condizioni del figlio, aveva chiamato il 118. Il bambino era stato portato all’ospedale Maggiore di Modica. Anche allora Spatola e il compagno avrebbero mentito su quanto era accaduto, cercando di nascondere la violenza con le bugie. Evan avrebbe ingoiato un giocattolo, sarebbe rimasto incastrato in una porta di casa. Tutte menzogne. Le ferite evidenti e l’esperienza del medico di turno al pronto soccorso hanno fatto scattare l’allarme. Il dottore, hanno raccontato i pm in udienza, sarebbe rimasto senza parole davanti alle lesioni presenti sul corpo del bimbo, che nel frattempo, era morto.

Bimbo ucciso a botte a Siracusa: ergastolo a mamma e patrigno. Letizia Spatola e Salvatore Blanco La Repubblica il 22 luglio 2022.  

In aula, c'erano i parenti del padre di Evan, Elisa Congiu, nonna della vittima, e gli zii, Michael Lo Piccolo e Jessica Lo Piccolo mentre era assente il padre di Evan, che vive a Genova

I giudici della Corte d'assise di Siracusa hanno emesso sentenza d'ergastolo per Letizia Spatola, 24 anni, e Salvatore Blanco, 32 anni, rispettivamente madre e patrigno di Evan, il bimbo di un anno e mezzo di Rosolini, nel Siracusano, ucciso il 17 agosto del 2020 a seguito di percosse.

La donna ha ascoltato nell'aula del Tribunale di Siracusa la lettura della sentenza, mentre il suo compagno lo ha fatto da una stanza del carcere di Vibo Valentia dove si trova detenuto.

Il pm di Siracusa, al termine della requisitoria, aveva sollecitato per entrambi l'ergastolo per omicidio e 5 anni e 6 mesi ciascuno per maltrattamenti, ma la Corte ha deciso di accorpare i due capi di imputazioni per cui la condanna è per omicidio in concorso con i maltrattamenti. Inoltre, disposta per i due imputati l'interdizione perpetua dai pubblici uffici.

In aula, c'erano i parenti del padre di Evan, Elisa Congiu, nonna della vittima, e gli zii, Michael Lo Piccolo e Jessica Lo Piccolo, assistiti dagli avvocati, Aurora Cataudella e Nino Savarino mentre era assente il padre di Evan, che vive a Genova. "La nonna - ha detto l'avvocato Cataudella - è sempre stata certa delle responsabilità dell'ex nuora".

Per i magistrati di Siracusa, Evan è deceduto a causa delle lesioni inflitte dall'uomo nella loro casa, a Rosolini, sotto gli occhi della madre. Violenze che si sarebbero consumate prima della tragedia. Nelle conclusioni dell'autopsia, è indicato che la "grave insufficienza cardio-respiratoria da broncopolmonite da aspirazione", per cui è morto Evan, sarebbe riconducibile a delle lesioni subite dal minore.

A supporto della ricostruzione degli inquirenti, ci sono  le intercettazioni ambientali grazie alle microspie sistemate dai carabinieri nella casa in cui si è consumato il dramma. Quelle conversazioni sono finite nel processo, insieme alle immagini relative all'arrivo della vittima al Pronto soccorso dell'ospedale di Modica in cui sarebbero emerse delle ecchimosi sul corpo del bimbo.

Il piccolo, secondo la tesi della procura, avrebbe subito da tempo le percosse del compagno della madre. Per i parenti paterni del piccolo, Letizia Spatola avrebbe fatto di tutto per tenere nascoste le violenze. Il pediatra avrebbe e saputo solo di una delle due lesioni, alla clavicola e al femore, subite da Evan prima del delitto.

La sentenza. Omicidio del piccolo Evan, ergastolo per la madre e il compagno: il bimbo morto dopo mesi di botte. Redazione su Il Riformista il 22 Luglio 2022. 

Ergastolo per la madre, Letizia Spatola, e il compagno di lei, Salvatore Blanco. È questa la condanna stabilita dai giudici del tribunale di Siracusa per l’omicidio di Evan Lo Piccolo, il bambino genovese di due anni morto il 17 agosto del 2020 all’ospedale di Modica dopo mesi di botte e maltrattamenti.

Il padre naturale del bambino, Stefano Lo Piccolo, assistito dalla legale Federica Tartara, poco prima della morte del piccolo aveva presentato un esposto alla Procura di Genova denunciando possibili maltrattamenti ai danni del figlio, che viveva in Sicilia assieme alla madre e al compagno.

Blanco, 32enne già recluso in carcere, avrebbe agito secondo la Procura perché non sopportava il pianto del bambino. La madre Letizia Spatola, 24 anni, che era già stata indagata per maltrattamenti, avrebbe anche nascosto tutto ciò che avveniva nella loro casa a Rosolini per evitare l’intervento dei servizi sociali.

Letizia Spatola era in aula quando è arrivata la sentenza, Blanco invece era collegato dal carcere di Vibo Valentia dove è detenuto.

Confermata così la richiesta presentata nell’ultima udienza dai rappresentanti dell’accusa, il procuratore capo di Siracusa Sabrina Gambino e il sostituto Carlo Enea Parodi. La madre del piccolo Evan aveva sempre negato il coinvolgimento nell’omicidio del figlio, sostenendo di esser stata a sua volta picchiata e maltrattata dal compagno. Elementi che per la Procura “non sussistono” perché tra i due non vi era alcun rapporto di sottomissione.

Nelle conclusioni dell’autopsia, sottolinea l’Agi, era indicato che la “grave insufficienza cardio-respiratoria da broncopolmonite da aspirazione” per cui è morto Evan sarebbe riconducibile a delle lesioni subite dal bambino. A supporto della ricostruzione degli inquirenti ci sono inoltre le intercettazioni ambientali grazie alle microspie sistemate dai carabinieri nella casa in cui si è consumato il dramma. Quelle conversazioni sono finite nel processo, insieme alle immagini relative all’arrivo della vittima al Pronto soccorso dell’ospedale di Modica in cui sono emerse delle ecchimosi sul corpo del bimbo. Evan, secondo la tesi della procura, avrebbe subito da tempo le percosse del compagno della madre.

Il procuratore capo Gambino aveva chiesto nella requisitoria anche una condanna a 5 anni e 6 mesi per i maltrattamenti ai due imputati per maltrattamenti. I giudici oggi hanno condannato entrambi per l’omicidio del bambino con un anno di isolamento, l’interdizione dai pubblici uffici compresa la responsabilità genitoriale ed è stata disposta una provvisionale per le parti civili. La Corte ha deciso di accorpare i due capi di imputazione, omicidio e maltrattamenti, per cui la condanna è stata per omicidio in concorso con i maltrattamenti.

"La mamma di Evan mentì mentre moriva tra le sue braccia". Francesca Bernasconi il 22 Gennaio 2022 su Il Giornale.

"Capace di intendere e volere". È il risultato della perizia chiesta nei confronti di Salvatore Blanco, compagno della madre del piccolo Evan e accusato di concorso in omicidio e maltrattamenti. La criminologa Anna Vagli, consulente degli zii paterni: "Ci batteremo per la più alta delle pene".

Evan Lo Piccolo è morto all'ospedale di Modica il 17 agosto del 2020. Per la sua morte sono imputati la madre Letizia Spatola e il suo compagno Salvatore Blanco, accusato, in concorso con la donna, di omicidio volontario e di maltrattamenti in famiglia aggravati. "Una morte che poteva essere evitata", ha commentato a ilGiornale.it la criminologa Anna Vagli, nominata consulente dagli zii paterni, che ha fatto il punto sul caso.

Chi era Evan Lo Piccolo?

"Evan era un bambino di 21 mesi strappato alla vita nel peggiore dei modi, ucciso dal compagno di una madre troppo distratta. È stato maltrattato per mesi, senza che le grida di aiuto della nonna paterna Elisa Congiu e del padre biologico Stefano Lo Piccolo venissero ascoltate. Una morte che poteva essere evitata. Evan è una vittima figlia di un mondo distratto, di una società che non è stata in grado di tutelare i diritti dell’infanzia".

A che punto della vicenda giudiziaria siamo?

"Siamo nella fase dibattimentale del processo che si svolge in Corte d’Assise a Siracusa e già sono stati ascoltati i primi testimoni".

Recentemente è stata effettuata una perizia psichiatrica sul compagno della madre di Evan. Che cosa è emerso?

"Salvatore Blanco è imputato, in concorso con la mamma di Evan, per il reato di omicidio volontario e per maltrattamenti in famiglia aggravati. Nei suoi confronti era stata chiesta e ottenuta perizia psichiatrica giacché nel 2016 gli era stato diagnosticato un disturbo psicotico breve. Tuttavia, a seguito di questa nuova perizia, siffatto disturbo, riconosciuto in passato nella forma della schizofrenia, è risultato in remissione. Per questo motivo Salvatore Blanco è risultato pienamente capace di intendere e di volere per la mancanza di alterazioni psicopatologiche tali da configurare un’infermità psichica. Dunque è stato ritenuto in grado di partecipare coscientemente al processo".

Modica, bimbo muore: fermato il convivente della madre del piccolo

Cosa sarebbe potuto succede se fosse stata riconosciuta l’incapacità?

"Qualora fosse stato riconosciuto incapace di intendere e volere, Salvatore poteva essere assolto e aver chiuso il suo conto con la giustizia, rischiando al massimo, se riconosciuto come socialmente pericoloso, di finire in una rems (residenza per l'esecuzione di misure di sicurezza). Difatti la schizofrenia è una malattia mentale riconosciuta dalla giurisprudenza come causa di incapacità totale di mente. Per fortuna, nel caso del piccolo Evan, la diagnosi ha avuto un corso differente".

Potrebbe tentare ancora questa strada?

"No, assolutamente".

La madre invece è già ai domiciliari? Cosa ne pensa?

"Letizia Spatola ha chiesto la sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari, in attesa che si svolga il processo, adducendo di versare in condizione di schiavitù a causa del suo ex compagno Salvatore e di non essere riuscita a salvare Evan perché anche lei veniva picchiata. Ma la signora Spatola ha mentito anche quando il figlio le moriva tra le braccia. Il 17 agosto, quando i sanitari tentavano di rianimarlo ed era già privo di coscienza, ha giustificato i lividi che Evan aveva sul volto raccontando che se li era procurati con il laccetto del ciuccio. Penso che una madre realmente preoccupata per un figlio abbia interesse a salvarlo non ha usare menzogne per tutelare il proprio compagno".

Quali sono adesso i prossimi passi?

"È appena iniziato il dibattimento e il fatto che Salvatore è stato reputato capace di intendere e di volere ci fa ben sperare su quello che potrà essere l’esito processuale della vicenda. Una cosa è certa. Ci batteremo affinché venga comminata la più alta delle pene. Sia a Letizia che a Salvatore. Del resto la cosa che più ci sta a cuore è dare voce a chi voce non ce l'ha più: il piccolo Evan".

Francesca Bernasconi. Nata nel 1991 a Varese, vivo tra il Varesotto e Rozzano. Mi sono laureata in lettere moderne e in scienze della comunicazione. Arrivata al Giornale.it nel 2018, mi occupo soprattutto di cronaca, ma mi interesso di un po' di tutto: da politica e esteri, a tecnologia e scienza. Scrivo ascoltando Vasco Rossi.

(ANSA il 15 gennaio 2022) - "Giocavo con Fatima sul balcone. La lanciavo in aria e la riprendevo, con la mamma che ci guardava da sotto. Non so come sia potuto accadere...".

Lo ha detto al gip Agostino Pasquariello, nel corso dell'interrogatorio di garanzia, Mohssine Azhar, il 32enne fermato per la morte della bambina di tre anni precipitata da un palazzo del centro di Torino. L'uomo, assistito dall'avvocato Alessandro Sena, ha ammesso di avere bevuto qualche bicchiere e di aver assunto hashish, ma ha ribadito di "non avere perso lucidità", se non quando si è reso conto che la bimba era caduta

Bimba morta a Torino, il patrigno: «Stavamo giocando e la lanciavo in aria, mi è scivolata dalle mani». Simona Lorenzetti su Il Corriere della Sera il 15 Gennaio 2022.

Mohssine Azhar ha reso dichiarazioni spontanee al gip: «È stata colpa mia, non so come sia successo. Volevo bene a Fatima e quel gioco le piaceva tanto». 

Prima ancora che il pubblico ministero elencasse gli indizi contro di lui, Mohssine Azhar ha chiesto al gip di poter rendere spontanee dichiarazioni. E così ha confessato: «Stavo giocando con Fatima sul ballatoio. La lanciavo in aria. Lei rideva e salutava mamma che ci stava guardando dal balcone.  Mi è scivolata dalle mani. Non so come sia successo». È avvenuto tutto in un attimo e all’improvviso il gioco, uno dei tanti che Mohssine era solito fare con la sua piccola Fatima, si è trasformato in tragedia. La bambina è scivolata oltre la ringhiera del quarto piano ed è precipitata nel cortile interno della casa di via Milano 13.

«È stata colpa mia. Quella bambina era la mia famiglia. Le volevo bene e quel gioco le piaceva tanto. Adesso non mi do pace, ma non potevo immaginare quello che poi è accaduto. Vorrei parlare con Lucia, sua madre» ha detto al gip. 

Ora il giudice dovrà decidere se convalidare il fermo e disporre la misura cautelare in carcere. Mohssine è accusato di omicidio volontario nella forma del dolo eventuale. Per la Procura è pacifico che il 33enne marocchino non abbia gettato con rabbia e violenza la bambina dal balcone. Ma allo stesso tempo ritiene che giocando in quel modo con la piccola, in un punto pericoloso (un ballatoio largo circa 80 centimetri) e in uno stato di alterazione (per aver bevuto e forse fumato hashish), si sia assunto e rappresentato il rischio che la bambina potessi farsi del male: da qui la contestazione del dolo eventuale. L’avvocato Alessandro Sena, che assiste il ragazzo, ha chiesto la scarcerazione e la riqualificazione in omicidio colposo: «Azhar è sconvolto. Per lui quella bambina era una figlia, non le avrebbe mai fatto del male. Inoltre, ritengo che non sussista il pericolo di fuga. Non ha mai lasciato la città neanche quando è incorso in altri problemi con la giustizia».

Dal racconto di Azhar emergono nuovi dettagli della sera di giovedì (13 gennaio). Il giovane era in casa con alcuni amici, si erano ritrovati per vedere la partita. La compagna Lucia Chinelli vive in un altro appartamento al quarto piano dello stesso stabile. Stavano insieme da poco tempo, ma tra Mohssine e la bambina c’era un forte legame. Dopo cena lui è sceso un attimo a casa della donna, quando è risalito nel proprio alloggio Fatima lo ha seguito. «L’ho presa in braccio e abbiamo cominciato a giocare. Le dicevo ‘saluta la mamma’. All’improvviso mi è scivolata dalle mani e l’ho vista precipitare. Sono corso giù,  ma respirava a malapena», ha detto.

Lucia, secondo il suo racconto, era sul balcone che li osservava.  Dopo la caduta, l’uomo ha spiegato di aver perso la testa. Venerdì di fronte al pm aveva ammesso le proprie responsabilità, ma aveva anche detto di non ricordare cosa fosse accaduto: «Era in casa con me. È colpa mia, avrei dovuto fare attenzione».  In serata era stato portato in carcere. Per lui è stata una lunga notte, tormentata. E questa mattina ha deciso di raccontare tutto. 

Valentina Errante per “il Messaggero” il 15 gennaio 2022.  

Un tonfo e poi le urla disperate di mamma Lucia. Il corpicino di Fatima, 3 anni, era immobile sul selciato, volato giù dal quarto piano. Erano circa le 21.45 di giovedì quando, in un palazzo di via Milano, a Torino, si è consumato l'orrore. Fatima è morta ieri mattina all'ospedale Regina Margherita, dopo un lungo intervento chirurgico. 

Qualche ora dopo il compagno della mamma, Azar Mohssine, marocchino, 32 anni, è stato fermato. Un provvedimento che conferma i drammatici sospetti delle prime ore, rispetto a una ricostruzione che non poteva reggere: l'uomo, che per primo ha chiamato i soccorsi, è accusato di omicidio volontario con dolo eventuale.

Adesso piange e si dispera, secondo gli inquirenti, non avrebbe voluto uccidere Fatima, ma la morte della piccola sarebbe stata provocata dalla negligenza di Mohssine. Forse era ubriaco o drogato. È escluso che la bimba sia riuscita a scavalcare da sola l'alto parapetto. 

Gli inquirenti sperano di ricostruire, attraverso l'autopsia e i rilievi dei periti, la traiettoria della caduta. Nella notte di giovedì, hanno sequestrato il filmato di una telecamera di videosorveglianza, che avrebbe parzialmente ripreso la scena. Secondo la prima ricostruzione, sembra che la piccola fosse salita dall'appartamento dove viveva con la madre, al piano di sopra, dove viveva l'uomo.

Al momento della tragedia sarebbe stata in braccio a Mohssine che, non essendo del tutto vigile, potrebbe essersi avvicinato troppo alla ringhiera, forse per parlare con la mamma della piccola. Non è chiaro se i due stessero litigando. 

Lucia, italiana di 41 anni, e il suo compagno, insieme a un amico dell'uomo e ad altri testimoni, sono stati portati in questura dove sono stati sentiti per tutta la notte, ma Mohssine non era lucido e non è stato in grado di rispondere alle domande degli investigatori. 

Urlava e sputava contro i poliziotti. In auto ha battuto i pugni contro il finestrino della volante, «Fatemi uscire, altrimenti ve la spacco». Proprio la mattina della tragedia era stato condannato a otto mesi di carcere per detenzione ai fini di spaccio. «Sono disperato, mi sento in colpa - ha detto ieri agli inquirenti, quando ha saputo che Fatima era morta - è successo mentre Fatima era a casa mia, ma lei, per me, era come una figlia».

LA DISPERAZIONE

«Non sono stato attento», ha detto in lacrime, Mohssine. L'uomo abita al quinto piano della palazzina, mentre la madre della piccola al quarto. «Volevo tanto bene a Fatima e anche lei ne voleva a me». Il trentaduenne, assistito dall'avvocato Alessandro Sena, ha detto di avere scoperto che la bimba era morta quando è stato portato in procura. Ha anche spiegato che giovedì sera non aveva bevuto più di tanto e che ha «perso la lucidità» quando si è reso conto che Fatima era caduta.

LE TESTIMONIANZE

È stata una dipendente del panificio, che ha il retro sul cortile nel palazzo di via Milano, a scoprire il corpicino. «Avevo appena finito di fare le pulizie - ha raccontato - ho sentito un uomo parlare una lingua straniera e una donna che gli rispondeva in italiano; sembrava una discussione, non un litigio. 

Poi sono rientrata e ho sentito come un boato, come il tonfo di una cassa d'acqua che cade dall'alto. Sono uscita per dire loro di abbassare la voce e quando ho aperto la porta ho visto la bambina a terra». Piange, Stefania: «La piccola ha fatto qualche respiro, poi un respiro più profondo, il cuore le batteva pianissimo, ho detto al mio compagno di chiamare i soccorsi. Subito dopo è scesa la mamma che continuava a dire la mia bambina, la mia bambina, poi è arrivato il compagno e io ho coperto la piccola, che era fredda, con il mio giubbotto e le sono rimasta accanto.

I soccorsi sono arrivati subito e poi è arrivata la polizia». Un mazzo di fiori è stato depositato nel cortile, dove la Scientifica fino a tarda sera ha fatto i rilievi. Attaccato al mazzo un biglietto con la scritta: Ciao piccola, ora gioca felice con gli altri angeli. Rimarrai sempre nei nostri cuori. «Abbiamo sentito delle urla disumane. Abbiamo guardato giù e abbiamo visto quel corpicino».

Sono sconvolti gli inquilini, con le lacrime agli occhi, attraversano il cortile dove è precipitata Fatima. E raccontano la terribile scena di giovedì sera: «Abbiamo sentito le urla strazianti della mamma, che conosciamo, come conoscevamo il suo precedente compagno», dice una donna. 

«Ci stiamo chiedendo un po' tutti - sottolinea - come avrebbe potuto, una bimba così piccola, scavalcare le ringhiere del ballatoio che sono alte». I soccorsi sono arrivati immediatamente, ma Fatima, dopo la caduta da circa 12 metri, aveva riportato un gravissimo trauma cranico, un trauma toracico e lesioni ossee multiple. Il lungo intervento chirurgico è tecnicamente riuscito, ma la piccola non ce l'ha fatta.

Fatima, bimba morta a Torino. Il racconto della mamma: «Le piaceva giocare con Mohssine al ‘vola vola’». Simona Lorenzetti su Il Corriere della Sera il 16 gennaio 2022. 

Il gip convalida il fermo per il patrigno della piccola, derubricato il reato da omicidio volontario a colposo: «Non voleva far del male, ma ha commesso una negligenza inaccettabile e ingiustificata».

Una «tragedia umana senza eguali» che poteva essere evitata. Azhar Mohssine non voleva far del male, ma ha commesso una «negligenza inaccettabile e ingiustificata». È quanto si legge nell’ordinanza con cui il gip Agostino Pasquariello ha convalidato il fermo del marocchino trentatreenne che lo scorso giovedì ha fatto precipitare dal balcone la piccola Fatima, di 3 anni. L’uomo resta in carcere perché sussistono il pericolo di fuga e il rischio che possa commettere altri episodi violenti, ma il giudice ha derubricato il reato da omicidio volontario con dolo eventuale a colposo.

Per il gip è chiaro che Mohssine non volesse uccidere: «Per quanto sia ancora da indagare l’esistenza di fattori di possibile marginalità sociale, non risultavano conflitti evidenti all’interno della coppia. L’indagato aveva un ottimo rapporto con la vittima. Non vi erano contrasti tra lui e la madre, che avrebbero potuto innescare forme di patologica ritorsione». È stata la mamma di Fatima, Lucia Chinelli, a raccontare il forte legame affettivo tra il fidanzato e la figlia: «A lei piaceva stare con Mohssine. Giocavano a cavalluccio, si rincorrevano, si facevano il solletico. Tra i giochi preferiti della piccola vi era il “vola vola”: lui l’afferrava dal busto, sotto le braccia, e la spingeva verso l’alto».

La donna, la cui posizione è ancora al vaglio degli inquirenti, ha riferito che la bambina quella sera era uscita di casa per raggiungere il patrigno al piano di sopra. Dopo un po’, non vedendola, Lucia sarebbe andata sul balcone e avrebbe notato Mohssine sul ballatoio andare incontro alla piccola che lo chiamava. «Giocaci un po’ e poi riportamela a casa», avrebbe urlato la donna al fidanzato. Lucia ha spiegato che a quel punto sarebbe rientrata in casa e poco dopo avrebbe sentito le grida della figlia che precipitava. L’uomo, invece, ha raccontato che la fidanzata era in balcone e che quando Fatima gli è scivolata dalle mani la piccola stava salutando la mamma. Due versioni che ora dovranno essere messe a confronto.

Mohssine non ha mai negato che la morte di Fatima fosse colpa sua. In un primo momento aveva raccontato che la bambina era nel suo appartamento, al quinto piano dello stabile di via Milano 18, quando è caduta dal ballatoio senza che lui se ne accorgesse. Poi durante l’udienza di convalida ha ammesso: «La lanciavo in aria, la buttavo e la prendevo. Poi è scivolata dalle mie mani ed è caduta». L’uomo aveva bevuto e fumato hashish: in casa, sul tavolo, c’erano una bottiglia di vodka e un posacenere pieno di mozziconi. E il ciuccio di Fatima. «Ha confidato in maniera strabica e criminale nelle sue inesistenti capacità di controllo» e se «si fosse adeguato a elementari regole di cautela avrebbe evitato una tragedia umana senza eguali», scrive il giudice. Che aggiunge: «È allora evidente che pur non avendo egli direttamente voluto la morte di Fatima, l’ha però altrettanto direttamente cagionata».

Il magistrato sottolinea che «tenere in braccio una bambina di tenera età, su un balcone posto al quinto piano di un immobile, in prossimità della ringhiera di protezione, in stato di alterazione dovuta all’uso di alcol e/o stupefacenti, spingendosi addirittura a “giochi” di equilibrio di una pericolosità estrema è espressione di una negligenza inaccettabile e ingiustificata». La sua confessione è per il tribunale «verosimile», ma restano alcuni elementi da chiarire. Oggi verranno disposte l’autopsia e una consulenza tecnica che dovrà chiarire la traiettoria di caduta della bambina, la direzione e la forza con cui è stata lanciata in aria.

Fatima, ora la madre accusa il compagno: «L’ha lanciata di sotto apposta perché avevamo litigato».  Simona Lorenzetti su Il Corriere della Sera il 17 Gennaio 2022.  

La verità sulla morte della piccola Fatima è una storia ancora tutta da scrivere. Le apparenti certezze investigative lasciano il posto ai dubbi e gli scenari che si profilano non sono solo inquietanti, ma crudeli. Tre giorni dopo il decesso della piccola, precipitata dal ballatoio del quinto piano di uno stabile di via Milano 18, la madre Lucia Chinelli accusa il fidanzato Mohssine Azhar: «L’ha gettata apposta perché avevamo litigato e lui era arrabbiato». Ora gli inquirenti stanno cercando di capire se le parole della mamma sono lo sfogo di una donna travolta dal dolore o se ci sono riscontri oggettivi e lei finora abbia taciuto per paura.

Una narrazione che stride con il comportamento che la donna mostrava quando ancora i soccorritori cercavano di salvare la vita alla bambina. I testimoni, infatti, raccontano di averla vista consolare Mohssine che in preda al panico si era lasciato sfuggire: «È colpa mia, mi è scivolata dalle mani». Risposte si attendono dall’autopsia che verrà eseguita oggi. Il medico legale dovrà ricostruire la traiettoria di caduta della bimba, la direzione e la forza con cui Mohissine l’ha lanciata mentre giocavano. In base alle ferite dovrà dire se ha incontrato ostacoli nella caduta: durante il sopralluogo, infatti, è emerso che sotto il ballatoio di Azhar c’è una tettoia che sporge di circa 40 centimetri. Chiarimenti verranno chiesti anche agli amici di Azhar che erano con lui la sera della tragedia. Uno di loro ha già raccontato che stava dormendo, quando il connazionale lo ha svegliato gridando: «Svegliati, quel c… ha buttato giù la bambina». Verifiche tecniche e testimoniali per mettere pace tra le troppe versioni fornite dalla madre e dall’indagato.

Sentita dagli uomini della squadra mobile giovedì notte, quando ancora Fatima lottava tra la vita e la morte, Lucia racconta di aver aperto la porta di casa per fare uscire del fumo e che la figlia in pigiama avrebbe raggiunto il patrigno che abita al piano di sopra, al quinto: «A lei piaceva stare con Mohssine. Giocavano a cavalluccio, si rincorrevano, si facevano il solletico. Adorava il “vola vola”: lui l’afferrava dal busto, sotto le braccia, e la spingeva verso l’alto». Aggiunge di non aver visto il momento in cui la figlia è caduta, ma di aver sentito le urla e di averla vista sul selciato. Venerdì Fatima muore e l’uomo, interrogato in Procura, spiega che la figlia era sul balcone, di essersi distratto e di non aver visto come fosse precipitata. Ma ammette: «È stata colpa mia». Il pm lo accusa di omicidio volontario con dolo eventuale. Sabato, durante l’udienza di convalida, Mohssine confessa: «Stavamo giocando al “vola vola”. Le dicevo “saluta la mamma”. Mi è scivolata dalle mani». Stando alle sue parole, Lucia in quel momento era sul balcone: poco prima aveva visto la piccola salire da lui e gli avrebbe detto: «Giocaci un po’ e poi riportala giù». Infine, ammette di aver fumato hashish e bevuto un paio di bicchieri di vodka.

Il gip conferma la custodia in carcere, ma derubrica l’accusa da omicidio con dolo eventuale a colposo: «Non vi erano contrasti tra lui e la madre, che avrebbero potuto innescare forme di patologica ritorsione». Il marocchino si è comportato da incosciente, commettendo «una negligenza inaccettabile e inqualificabile». Nel frattempo, gli inquirenti sentono per la seconda volta Lucia per chiarire alcune incongruenze tra la sua deposizione e la confessione di Mohssine. Ed è a quel punto che la donna cambia versione: «Avevamo litigato, l’ha gettata di sotto perché era arrabbiato».

Giacomo Nicola per “il Messaggero” il 17 gennaio 2022.

«È stato lui, l'ha buttata di sotto». Lucia Chinelli, la mamma della piccola Fatima Skika, tre anni appena, morta lo scorso 13 gennaio giù dal balcone del quinto piano alla periferia di Torino, alla fine ha cambiato versione parlando con il suo avvocato. 

E ha indicato come responsabile della morte della figlia il suo compagno Mohssine Azhar, 32 anni, di origine marocchina. Proprio lui è stato fermato lo scorso 14 gennaio per l'omicidio della piccola. 

Il gip aveva modificato il capo di accusa in omicidio colposo, perché lui aveva parlato di un gioco finito male, ma la nuova versione della mamma cambia tutto.

 In un primo momento Mohssine aveva detto di aver lasciato la porta del balcone aperta e di non essersi accorto che la bambina era uscita. Poi ha ammesso che gli è caduta mentre stava giocando con lei. 

«La stavo facendo volare in aria per poi riprenderla, ma mi è scivolata dalle mani. Mi ero sporto perché stavamo salutando la mamma che era rimasta sull'altro balcone. E poi ho perso la presa». 

Secondo questa ricostruzione la bambina sarebbe morta davanti agli occhi della madre, che non avrebbe potuto fare nulla per salvarla, trovandosi sul ballatoio al piano di sotto. Molto diversa la versione di lei. 

«Ero anch' io di sopra. Una prima volta lui ha preso la bambina e l'ha buttata per terra, sul pavimento. Lui era molto alterato. Poi l'ha presa in braccio un amico di lui, me la stava portando. Lui si è messo in mezzo e l'ha buttata di sotto».

Due tesi opposte che saranno ora verificate dagli inquirenti. Azhar era stato subito individuato dagli investigatori della squadra mobile di Torino come il possibile responsabile di quella morte, sebbene fosse ancora poco chiaro il contorno in cui era avvenuto. 

Sin da subito l'uomo, che aveva una relazione con la madre della piccola, che abita in un altro appartamento dello stesso stabile, aveva ammesso che la bambina era con lui quando è precipitata, ma non aveva chiarito il momento esatto della caduta, avvenuta quando lui era ubriaco.

Sulla base dei primi rilievi e delle testimonianze, era stato disposto dalla pm Valentina Sellaroli il fermo per omicidio con dolo eventuale perché l'uomo avrebbe accettato il rischio che, facendo un gioco simile su un ballatoio che è largo 80 centimetri, la bambina potesse cadere.

Fatima avrebbe raggiunto da sola l'abitazione del patrigno, che si trova sopra quella in cui viveva con la madre. Indosso aveva solo il pigiamino e le calze antiscivolo. L'uomo, che stava bevendo con alcuni amici, l'avrebbe presa in braccio e sarebbe andato sul balcone a salutare mamma Lucia, al piano di sotto sul ballatoio. Poi quel tragico gioco, davanti allo sguardo della madre. «L'ho presa in braccio e abbiamo cominciato a giocare. Le dicevo saluta la mamma'. All'improvviso mi è scivolata dalle mani e l'ho vista precipitare. Sono corso giù, ma respirava a malapena». 

L'uomo, assistito dall'avvocato Alessandro Sena, ha ammesso di avere bevuto qualche bicchiere e di aver assunto hashish, ma ha ribadito di «non avere perso lucidità», se non quando si è reso conto che la bimba era caduta. Tanti piccoli particolari ancora non tornano. E adesso la madre lo accusa apertamente. Giacomo Nicola

Bimba morta a Torino, l’autopsia: Fatima non è caduta in verticale, il suo corpo ha eseguito una parabola. Simona Lorenzetti su Il Corriere della Sera il 18 Gennaio 2022.

Sarà necessaria una consulenza cinetica per stabilire la dinamica della tragedia.

La piccola Fatima, la bambina di tre anni precipitata lo scorso giovedì da un ballatoio al quinto piano dello stabile in via Milano 18, non sarebbe caduta verticalmente. Il corpicino avrebbe eseguito una parabola prima di atterrare nel cortile. È quanto emergerebbe dai primi accertamenti tecnici legati all’autopsia, svolta ieri mattina. Alcuni dettagli spingono in questa direzione: se il lancio fosse avvenuto perpendicolare al terreno e poi scivolata, Fatima avrebbe sbattuto prima contro la tettoia del balcone e cadendo di sotto avrebbe anche urtato i quaranta centimetri di pensilina che sbordano dal ballatoio sottostante. Ma c’è un elemento su tutti che induce a pensare che il lancio sia avvenuto con una forza tale da spingerla oltre gli ostacoli: il punto d’impatto con il selciato. Il corpo della piccola sarebbe stato trovato a circa tre metri e mezzo dal confine disegnato dai balconi che si susseguono uno sotto l’altro. Inoltre, è caduta di schiena. Una ricostruzione che potrà essere confermata solo al termine dell’elaborazione di alcuni dati specifici. Dovrà infatti essere calcolata la parabola percorsa dal corpo della bambina: nei prossimi giorni la Procura potrebbe disporre una consulenza cinetica e affidare l’incarico a un ingegnere. Per questo gli inquirenti continuano a rimanere cauti sulla dinamica della morte di Fatima.

Il medico legale ha anche analizzato un video sequestrato dagli uomini della squadra mobile di Torino. Si tratta di un filmato registrato da una telecamera di sorveglianza: l’occhio elettronico punta verso il basso e quindi compare la bambina si percepisce soltanto che negli ultimi momenti la traiettoria era verticale. Un dettaglio considerato, però, poco importante dagli inquirenti in considerazione del fatto che mostra gli ultimi istanti della tragedia. I risultati dell’autopsia e della consulenza verranno incrociati con le dichiarazioni dei protagonisti di questa vicenda.

In carcere, con l’accusa di omicidio colposo, c’è Mohssine Azhar (difeso dall’avvocato Alessandro Sena). È il patrigno della vittima e ha confessato: «Stavo giocando con lei al “vola vola” quando mi è scivolata dalle mani. Volevo bene a quella bambina, per me era una figlia e non le avrei mai fatto del male».

Una versione che contrasta con quella della madre Lucia Chinelli, assistita da Silvia Lorenzin. In un primo momento, la donna aveva detto di non aver assistito alla scena. Ma riascoltata dagli investigatori ha cambiato versione: «Anch’io ero di sopra. Io e Mohssine avevamo litigato e lui era arrabbiato. L’ha prima sbattuta per terra. Poi l’ha lanciata apposta di sotto».

La tragedia di Torino. Bimba precipitata dal quarto piano, l’autopsia ‘smentisce’ il patrigno: “Non è caduta verticalmente”. Fabio Calcagni su Il Riformista il 18 Gennaio 2022.  

Mohssine Azhar lo aveva definito un “tragico gioco”, con la bambina che gli era scivolata di mano mentre stava giocando con lei sul balcone. Ma dall’esito dell’autopsia effettuata sul corpo della piccola Fatima, la bambina di 3 anni morta precipitando dal ballatoio al quarto piano di un palazzo del centro di Torino, in via Milano, questa versione potrebbe venire meno.

Fatima, secondo i primi accertamenti tecnici legati all’autopsia svolta ieri mattina, non sarebbe caduta verticalmente ma eseguendo una ‘parabola’ prima dell’impatto mortale nel cortile del palazzo.

Risultati ancora parziali, sarà infatti necessaria una consulenza cinetica per stabilire l’esatta dinamica della tragedia, ma che inducono gli inquirenti a mettere fortemente in dubbio la versione dei fatti racconta dal 32enne, compagno della madre di Fatima e residente nello stesso palazzo, in un appartamento al piano superiore rispetto a quello in cui abitavano la bambina e la madre Lucia.

Insomma, il gioco di cui aveva parlato Mohssine Azhar avrebbe comportato che la bambina fosse lanciata in aria verticalmente: in quel caso la piccola Fatima sarebbe prima sbattuta contro la tettoia del ballatoio, poi sarebbe precipitata vicino alle ringhiere. Il corpo della bambina invece è stato trovato a oltre tre mezzi rispetto confine disegnato dai balconi.

Intanto il 32enne, difeso dall’avvocato Alessandro Sena, resta in carcere con l’accusa di omicidio colposo. La procura aveva disposto il fermo per omicidio volontario con dolo eventuale, ma il gip ha modificato il titolo di reato.

Contro di lui ci sono ora anche le parole della madre di Fatima, Lucia: se in un primo momento la donna aveva raccontato di non aver assistito alla scena, riascoltata dagli inquirenti ha accusato il compagno. 

“Anch’io ero di sopra. Io e Mohssine avevamo litigato e lui era arrabbiato. L’ha prima sbattuta per terra. Poi l’ha lanciata apposta di sotto”, ha detto la donna, difesa dall’avvocato Silvia Lorenzin. 

Esaminato anche il breve video che riprende l’ultima fase della caduta di Fatima. Il filmato realizzato da una telecamera di sorveglianza, secondo quanto trapelato, non rivela quasi nulla sulla dinamica: l’obiettivo era puntato verso il basso e dai pochissimi fotogrammi in cui compare la bambina si può percepire soltanto che la traiettoria, in quel momento, era verticale,  dettaglio però considerato poco importante data la distanza percorsa.

Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.

Torino, i funerali di Fatima caduta dal ballatoio: l’abbraccio tra la madre e Lo Russo. Nicolò Fagone La Zita su Il Corriere della Sera il 28 Gennaio 2022.

Alla parrocchia Maria Ausiliatrice l’addio alla piccola morta dopo essere precipitata dal quinto piano.  

La foto della piccola Fatima adagiata sulla bara bianca restituisce l’immagine del suo sorriso. Quello di una bambina felice «che ora gioca con altri bambini nei giardini del cielo», spiega il parroco nell’omelia.

Fiori di un rosa delicato e palloncini bianchi raccontano l’affetto del quartiere, delle maestre e dei compagni della scuola materna: “Piccolo angelo resterai sempre nei nostri cuori”.

Accanto al feretro c’è un orsacchiotto bianco. Si sono celebrati questa mattina (28 gennaio), nella parrocchia Maria Ausiliatrice, i funerali della bambina precipitata il 14 gennaio dal ballatoio al quinto piano dello stabile di via Milano 18.

Presente alle esequie anche il sindaco Stefano Lorusso, che ha voluto così manifestare il cordoglio della città per la famiglia della bambina: il Comune si è fatto carico delle spese. In prima fila la madre Lucia Chinelli piange senza trovare consolazione nell’abbraccio dei familiari.

Nessun riferimento nelle parole del parroco alla tragedia e ai suoi protagonisti. In carcere con l’accusa di omicidio colposo c’è il patrigno della bambina, Mohossine Azhar, 32 anni.

L’uomo si è assunto la responsabilità della morte: «Stavo giocando con lei al vola vola. L’ho lanciata in aria, mi è scivolata dalle mani». Una versione che ora è al vaglio degli inquirenti. La madre della bambina lo accusa: «L’ha buttata di sotto apposto. Avevamo litigato e lui era arrabbiato». 

Claudia Osmetti per "Libero quotidiano" il 4 gennaio 2021. La fotografia (scattata, prima della pandemia, dall'Eures) è fin troppo nitida: negli ultimi vent' anni, in Italia, 85 bambini non han potuto nemmeno festeggiare il primo compleanno perché sono stati uccisi dai loro genitori. La media è di una vittima a trimestre e, signori, mamma-chioccia fino a un certo punto: l'89,4% di questi drammatici crimini viene commesso dalle madri, solo il 10,6% dai padri.

«Occorre una precisazione», dice Marco Pingitore, psicologo e criminologo che, per lavoro, si interessa a questi fenomeni. C'è il caso di Torre del Greco (Napoli), col bimbo di due anni e mezzo ucciso annegato in mare dalla mamma. C'è quello di Morazzone (Varese), col ragazzino di sette ritrovato cadavere dentro l'armadio del papà. «In entrambi il reato è l'omicidio di un minorenne», spiega Pingitore, «però si distingue tra l'infanticidio, che è l'assassinio dell'infante, cioè di chi ha solo poche settimane di vita, e il figlicidio che, invece, riguarda bambini più grandi».

Dottor Pingitore, perché così tante donne uccidono i propri bambini?

«Le donne sono spesso più responsabili degli uomini per gli infanticidi. D'altronde la primaria figura di accudimento, nei primi giorni di vita, è la madre. E se lei non sta bene, magari perché ha delle brutte ricadute depressive dovute al post-partum, anche il bimbo è a rischio».

Come ce ne si accorge?

«In ospedale stanno attenti ai segnali: se una donna accampa scuse per non attaccare al seno il neonato, per esempio. Però non c'è solo questo». 

Cioè?

«C'è anche l'ipercura. Si tratta di un problema difficilissimo da scoprire e che, ancora una volta, riguarda in massima parte le donne. Ha mai sentito parlare della sindrome di Münchhausen per procura?». 

Quella di chi crea apposta disturbi fisici negli altri?

«Esatto. Alle volte succede che le madri, per stare al centro dell'attenzione, usino i bambini in questo senso».

E per i figlicidi?

«L'articolo 572 del Codice penale che disciplina i maltrattamenti in famiglia ha una casistica oltremodo variegata. Le dinamiche domestiche vanno lette da un punto di vista sistemico». 

Cosa vuol dire?

«Pensi al marito che usa violenza nei confronti della moglie la quale non lo denuncia, o (capita anche questo, purtroppo) lo giustifica davanti al figlio. Ecco, in questo caso abbiamo una forma di violenza ulteriore perché nemmeno lei riesce a tutelarlo». 

Mi perdoni, però in questo caso la donna è evidentemente una vittima.

«Certo, d'accordissimo. Ma così stiamo di nuovo perdendo di vista il bambino. Qualcuno lo deve proteggere. Il problema è una visione troppo adultocentrica. La donna non va colpevolizzata, ci mancherebbe. Però, intanto che cerchiamo di salvarla, come è sacrosanto fare, il piccolo che fine fa?». 

Allora che differenze ci sono, tra un padre che uccide la sua prole e una madre che fa altrettanto?

«L'uomo è più "semplice", più esplicito. Per lui la violenza è un esercizio di potere. Quando non si vede riconosciuto il ruolo di punto di riferimento può andare in crisi. Per la donna è una questione più intima. Lei agisce nell'ambito psicologico, l'uomo in quello fisico». 

Ci sono meccanismi che qualificano l'agire dell'uno o dell'altra?

«No, non ci sono grosse diversità. Infatti abbiamo avuto casi addirittura commessi da entrambi, con un concorso di causa». 

Accidenti. Quando si concentrano questi fatti?

«La maggior parte delle volte nell'ambito delle separazioni». 

Perché?

«Perchè i ragazzini vengono usati un contesto di ripicca come un oggetto. "Tu non mi vuoi più e allora io ti colpisco con qualcosa a cui tieni". Questi bimbi vengono spersonalizzati». 

Torre del Greco, "Francesco non è morto annegato": cosa rischia la madre. Libero Quotidiano il 25 giugno 2022

L'autopsia parla chiaro: il piccolo Francesco non è morto annegato. Il bimbo di due anni e mezzo trovato senza vita sulla spiaggia di Torre del Greco lo scorso 2 gennaio, sarebbe morto per soffocamento. Un vero e proprio colpo di scena che riscrive questa tristissima vicenda che ha sconvolto un'intera famiglia e un'intera comunità. Secondo quanto riportato dal consulente della Procura di Torre Annunziata, il piccolo sarebbe deceduto per "soffocamento attraverso l'occlusione di naso e bocca". Il perito avrebbe inoltre rintracciato nel corso dell'esame autoptico filamenti di cellulosa vegetale proprio nei bronchi del bambino. Le tracce sarebbero compatibili con quelle rilasciate ad esempio da un fazzoletto di carta, come riporta Repubblica. Intanto Adalgisa Gamba da circa sei mesi si trova in carcere nel penitenziario femminile di Pozzuoli con l'accusa di aver ammazzato il figlio. "I risultati dell'esame autoptico - spiega l'avvocato - gettano delle ombre sulle responsabilità di Adalgisa sull'orribile morte del figlio". Il marito della donna, sin dal primo momento, ha sempre puntato il dito contro la consorte accusandola di avere progettato l'omicidio di Francesco. L'uomo avrebbe anche urlato alla donna "Sei pazza, hai ucciso mio figlio, avresti dovuto ammazzarti tu". "Voglio sottolineare - precisa l'avvocato Del Giudice - che Adalgisa non ha mai confessato l'omicidio e anche che è completamente errata l'interpretazione dei messaggi in chat i quali evidenzierebbero l'odio che la madre nutriva per il piccolo". Ora i nuovi accertamenti complicano la posizione della mamma del piccolo Francesco che dovrà ulteriormente spiegare i dettagli su quel terribile 2 gennaio ai magistrati. 

Bimbo morto in mare, l’autopsia smentisce la gogna: “Non è annegato”, e la madre tenta il suicidio in carcere. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 25 Giugno 2022 

Il piccolo Francesco non è morto per annegamento ma per “soffocamento attraverso l’occlusione di naso e bocca” e non aveva “nessun segno di violenza sul corpo“. E’ quanto emerge dall’esame autoptico effettuato sei mesi fa sul corpicino del bambino di due anni e mezzo morto la sera del 2 gennaio su una spiaggia di Torre del Greco (Napoli) mentre si trovava in compagnia della madre, la 41enne Adalgisa Gamba, detenuta da gennaio nel carcere femminile di Pozzuoli con l’accusa di omicidio volontario.

A riportare la notizia, che potrebbe cambiare la posizione della donna, è l’agenzia Ansa. Secondo quanto scrive il consulente della Procura di Torre Annunziata delegato all’esame autoptico, è stata rilevata la presenza di filamenti di cellulosa vegetale (forse riconducibili a un fazzolettino di carta) nei polmoni e nei bronchi del piccolo e nessun segno di violenza esterna sul naso e sulla bocca, sempre riscontrati nei precedenti casi quando si tappa il naso e la bocca di una vittima per soffocarla.

Il legale della donna, l’avvocato Salvatore Del Giudice Grossi ha già chiesto ma non ottenuto la sua scarcerazione. “I risultati dell’esame autoptico – spiega – gettano delle ombre sulle responsabilità di Adalgisa” che, stando a quanto riportato dal quotidiano Metropolis, nei giorni scorsi avrebbe tentato il suicidio nel carcere femminile di Pozzuoli ed è sorvegliata a vista per evitare che compia altri gesti estremi.

La donna sin dal principio ha sempre negato di aver ucciso il figlio. “E’ inciampato all’indietro ed è caduto in mare, a testa in giù” la sua versione. Nessuno le ha mai creduto, vedendo nello stato confusionale della 40enne un indizio certo per ritenerla responsabile di omicidio. E invece i primi esiti dell’autopsia dicono tutt’altro e soprattutto sono in contrasto con l’accusa di omicidio volontario.

A non credere ad Adalgisa è stato in primis il marito che ha accusato la donna, con cui ha un’altra figlia di 8 anni, di aver progettato l’omicidio di Francesco, ucciso perché convinta che il piccolo fosse affetto da autismo nonostante non vi fosse alcuna conferma in tal senso dal punto di vista sanitario. “Sei pazza, hai ucciso mio figlio, avresti dovuto ammazzarti tu” le sue parole.

“Ulteriori perizie sono state affidate dalla Procura di Torre Annunziata al Ris, – fa sapere Del Giudice, il quale ha già fatto appello al Riesame – ci sono diversi punti oscuri, in questa triste vicenda: ritengo ci siano diversi scenari alternativi da vagliare”. 

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

Torre del Greco, annega in mare bimbo di 2 anni. La madre arrestata per omicidio volontario. Alessandro Fulloni e Redazione Cronaca su Il Corriere della Sera il 3 gennaio 2021. È successo verso le 22 e 30. Il piccolo affogato davanti alla spiaggia. Indagano i carabinieri. La donna interrogata in mattinata. Forse voleva togliersi la vita. Un bambino di due anni è morto, intorno alle 22.30 di domenica. Annegato in mare, a Torre del Greco. Nel pomeriggio di oggi (lunedì) c’è stata una svolta drammatica nell’inchiesta: la madre, una quarantenne, è stata arrestata per omicidio volontario al termine di un interrogatorio durato tutta la mattinata. Il decreto di fermo è stato firmato dal procuratore di Torre Annunziata Nunzio Fragliasso. Stando a quanto accertato dai carabinieri, la donna era in riva al mare con il bambino tra le braccia quando il marito ha segnalato alle forze dell’ordine — attorno alle 22 — il suo allontanamento da casa con il figlio.

Sconvolgente quel che sarebbe successo, raccontato anche da alcuni testimoni: la madre sarebbe entrata in acqua con il piccolo tra le braccia. Con l’intenzione — è l’ipotesi investigativa — di ucciderlo. Un gesto forse riconducibile al fatto che credeva che il bimbo fosse affetto — è stata la sua ammissione — da problemi di ritardo mentale, «anche se dal punto di vista sanitario non c’era nessuna conferma» spiegano in Procura.

È successo all’altezza della spiaggia in una zona detta «La scala», dove il bambino è stato portato dalla madre (di Torre del Greco, un altro figlio di sette anni). Dei giovani sarebbero intervenuti per il salvataggio. Per il piccolino non c’è stato nulla da fare e il personale del 118 non ha potuto fare altro che constatarne la morte. Il tratto di spiaggia è stato sequestrato. La salma è a disposizione della magistratura.

La donna è stata interrogata per diverse ore, in mattinata, nella caserma dei carabinieri. È stato ascoltato anche il marito. Sembra che lei non avesse mai avuto problemi psichici in precedenza. Si cerca in particolare di capire se domenica sera, prima che madre e figlio uscissero di casa, sia avvenuta una lite in famiglia o qualche altro episodio che possa avere indotto la donna a dirigersi verso il mare per farla finita. O se invece si sia trattato di un incidente. Nel frattempo sono stati ascoltati anche alcuni testimoni che si trovavano sul posto al momento della tragedia. Tra loro, naturalmente, anche i giovani che si sono tuffati in mare per tentare di salvare il bambino.

Sarebbe stato un uomo il primo a provare a prestare soccorso. A raccontare la vicenda sono due amici minorenni (anche loro ascoltati in Procura) che poco dopo si sono gettati in acqua per aiutarlo, dopo averlo visto in difficoltà nel trascinare il piccolo. «Abbiamo udito le grida di aiuto provenire dalla zona e quando ci siamo avvicinati abbiamo notato una donna sull’estremità della scogliera e un uomo in mare. Abbiamo poi pensato potesse essere il padre del piccolo, anche se non lo sappiamo — hanno detto —. Visto che era in difficoltà, abbiamo deciso di entrare in acqua dalla parte dove sapevamo si faceva piede fino a raggiungere la zona dove si trovava il bimbo. Ma già nel portarlo a riva abbiamo capito che la situazione era disperata».

I ragazzi avrebbero poi dato una mano alla donna: «Quando siamo tornati verso la scogliera, la signora era in evidente stato di choc e farfugliava qualcosa, dicendo di essere stata rapinata da una persona straniera. Arrivati a riva, c’era chi stava provando a rianimare il piccolo attraverso un massaggio cardiaco, una pratica risultata purtroppo inutile».

Sulla piccola spiaggetta in cui è avvenuta la tragedia ora c’è, deposta da uno sconosciuto, una croce in legno. Sulla sabbia sono ancora visibili i rilievi che i carabinieri hanno effettuato durante la notte, prima che l’arenile venisse posto sotto sequestro. Poi ci sono le voci di chi vive davanti al mare. «Non è pensabile che una mamma arrivi ad uccidere il figlio piccolo. È una tragedia terribile» sospira un’anziana, che aggiunge di« non avere chiuso occhio». «Per tutta la notte è stato un via-vai di auto e mezzi di soccorso — racconta un altro residente—. Non dimenticherò mai quanto accaduto».

Dario Sautto per “il Mattino” il 4 gennaio 2021. Non ricorda cosa è accaduto in quei tragici momenti. Dopo aver percorso alcuni chilometri a piedi fino alla spiaggia, ha un vuoto di memoria e ricordi confusi. Lì, sulla scogliera, qualcuno l'ha vista lanciare il suo bimbo in mare. È morto annegato il piccolo Francesco, un bambino di appena due anni e mezzo. La tragedia si è verificata a Torre del Greco, nei pressi del lido La Scala, in via Calastro, nella tarda serata di domenica. 

Dopo un lungo interrogatorio, durato tutta la notte, la mamma Adalgisa Gamba, 40 anni, è stata fermata per omicidio volontario pluriaggravato e accompagnata nel carcere femminile di Pozzuoli in attesa della convalida. «Pensavo che Francesco fosse autistico» ha raccontato Adalgisa.

Il timore che quel bimbo potesse avere qualche problema aveva trascinato nello sconforto assoluto la casalinga 40enne, mamma anche di un'altra bimba e sposata con un ingegnere di Torre del Greco. Una famiglia tranquilla, degli ambienti «bene» della città del corallo, dove però si è consumata una tragedia assurda, che ha molte analogie con il delitto di Cogne avvenuto esattamente vent' anni fa in una villetta della Val d'Aosta.

Sul caso indagano i carabinieri della sezione operativa di Torre del Greco, coordinati dalla Procura di Torre Annunziata (procuratore Nunzio Fragliasso, sostituto Andreana Ambrosino), i primi ad arrivare su quella spiaggia, dopo l'allarme lanciato dal papà di Francesco. 

La prima ricostruzione della drammatica serata sembra fin troppo chiara agli inquirenti, anche se ci sono alcuni aspetti secondari da non sottovalutare e da approfondire. Adalgisa si era allontanata da casa nel pomeriggio di domenica, insieme al piccolo Francesco. Era andata a fare una passeggiata, cosa che faceva spesso.

Da alcuni giorni era particolarmente agitata, ha spiegato il marito, e proprio ieri avrebbero avuto una visita dal pediatra per il piccolo Francesco. La donna temeva che il bimbo «fosse affetto da problemi di ritardo mentale» come scrive in una nota il procuratore Fragliasso. Intorno alle 21, però, la mamma e il bambino non erano ancora rientrati, così il papà ha fatto scattare l'allarme. Prima ha chiesto ai familiari, poi ha allertato carabinieri e polizia. 

Qualcuno ha visto la donna lì nella zona della spiaggia e lo ha avvisato, così lui si è precipitato in via Calastro temendo il peggio. Quando è arrivato, però, c'erano due adolescenti in mare che aiutavano la donna: erano stati attirati dalle urla di Adalgisa e la stavano aiutando a recuperare il piccolo.

Un testimone ha raccontato di aver visto la donna lanciare il bimbo in mare. Riportato a riva il corpicino di Francesco, qualcuno ha provato a rianimarlo in attesa dei soccorsi, ma al loro arrivo i medici hanno potuto soltanto constatarne il decesso. Purtroppo, per il bimbo di due anni e mezzo non c'era più nulla da fare. 

Poco dopo, sulla spiaggia sono intervenuti il pm di turno alla Procura di Torre Annunziata, Andreana Ambrosino, e il medico legale Antonio Sorrentino per effettuare un primo esame esterno della salma, in attesa dell'autopsia che sarà fissata probabilmente domani. Il corpicino del bimbo resta a disposizione della magistratura, mentre la Procura oplontina ha disposto il sequestro della porzione di spiaggia in attesa di ulteriori rilievi.

Adalgisa è stata accompagnata nella caserma dei carabinieri di Torre del Greco per il lungo interrogatorio, difesa dall'avvocato Tommaso Ciro Civitella: «La mia assistita spiega il legale ha confermato di essere uscita con il bimbo, ma non ricorda nulla di quel momento. Chiaramente le indagini serviranno a far luce sull'accaduto e non ha tentato il suicidio. 

Di certo, la signora viveva da tempo uno stato di difficoltà che andrà accertato e parliamo di una donna tuttora in forte stato di shock». Nel primo pomeriggio di ieri, poi, il pm ha firmato il decreto di fermo d'indiziato per omicidio volontario e disposto il trasferimento in carcere. Nel frattempo, è molto probabile che il difensore possa chiedere che la sua assistita venga sottoposta ad una perizia psichiatrica.

Torre del Greco, fermata la madre: ha confessato di aver ucciso il bimbo di due anni morto in mare. Dario del Porto su La Repubblica il 3 gennaio 2021. La donna fermata per omicidio volontario: era convinta che il figlio avesse un ritardo psichico. La tragedia nella tarda serata di domenica 2. Il corpo del piccolo recuperato da un ragazzo che si era lanciato in acqua nel tentativo di salvarlo. Torre del Greco. È stata fermata con l’accusa di omicidio volontario aggravato nei confronti del figlio di due anni e mezzo la donna di 42 anni che a Torre del Greco ha ucciso il bimbo annegandolo in mare. Il fermo è stato disposto dalla pm Andreana Ambrosino coordinata dal procuratore Nunzio Fragliasso. Interrogata alla presenza del suo difensore nella caserma dei carabinieri di viale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la donna (che ha un altro figlio di sette anni) ha confessato: avrebbe compiuto il gesto nella convinzione che il bimbo avesse problemi di ritardo psichico.

Estratto dell’articolo di Dario del Porto per su La Repubblica il 3 gennaio 2021. È stata fermata con l’accusa di omicidio volontario aggravato nei confronti del figlio di due anni e mezzo la donna di 42 anni che a Torre del Greco ha ucciso il bimbo annegandolo in mare. Il fermo è stato disposto dalla pm Andreana Ambrosino coordinata dal procuratore Nunzio Fragliasso. Interrogata alla presenza del suo difensore nella caserma dei carabinieri di viale Carlo Alberto Dalla Chiesa, la donna (che ha un altro figlio di sette anni) ha confessato: avrebbe compiuto il gesto nella convinzione che il bimbo avesse problemi di ritardo psichico.

Da quanto si è appreso, intorno alle 21 di ieri la 42enne si era allontanata da casa con il bambino. Sono subito scattate le ricerche e la madre è stata ritrovata in mare sul litorale torrese con il bambino tra le braccia. Inutili i tentativi di soccorso dei due adolescenti e del marito dalle donna che si sono tuffati in acqua nel disperato intento di salvare il piccolo. 

Oggi la donna ha confessato. Ma dai primi accertamenti è emerso che non vi era alcuna conferma del temuto ritardo psichico del bambino. (…)

 (ANSA il 3 gennaio 2021) - Era convinta che il figlio di due anni e mezzo fosse affetto da problemi di ritardo mentale, nonostante questa sua teoria non fosse finora stata confermata dal punto di vista sanitario. Per questo motivo avrebbe ucciso il piccolo. 

È la convinzione degli inquirenti che indagano sulla morte del piccolo, annegato nelle acque antistanti la zona della Scala a Torre del Greco. Per questo motivo la donna, 40 anni, è stata raggiunta da un decreto di fermo di indiziato di delitto emesso dalla Procura di Torre Annunziata: la donna è accusata di omicidio volontario, sulla base delle indagini condotte dai carabinieri della sezione operativa.

Secondo quanto riferisce la Procura, non c'era alcuna conferma dal punto di vista sanitario che il figlio fosse affetto da problemi di ritardo mentale. In base a quanto ricostruito al momento dai carabinieri ci sarebbe questo dunque dietro l'omicidio del bimbo di due anni a Torre del Greco. 

A dare l'allarme, ieri sera è stato il marito della donna: è stato lui a segnalare alle forze dell'ordine l'allontanamento da casa intorno alle ore 21. La donna, nella serata di ieri, è stata ritrovata in mare, sul litorale torrese, con il bambino tra le braccia. Il marito aveva segnalato alle forze dell'ordine l'allontanamento da casa, insieme al figlio. Nonostante i tentativi di soccorso e rianimazione il bambino è stato dichiarato morto per annegamento.

La donna è stata condotta nella caserma dei Carabinieri dove è stata interrogata, alla presenza del difensore di fiducia, dal pubblico ministero della Procura di Torre Annunziata che, al termine dell'interrogatorio, ha emesso un decreto di fermo nei suoi confronti. L'indagata sarà condotta nella casa circondariale femminile di Pozzuoli.

(ANSA il 3 gennaio 2021. ) -  Si sarebbe concluso da poco l'interrogatorio della mamma del bambino di due anni e mezzo morto annegato questa notte a Torre del Greco (Napoli). La donna è stata ascoltata a lungo dai carabinieri nella caserma di viale Carlo Alberto Della Chiesa, dove è stato ascoltato anche il marito della donna. Intanto è emerso che la coppia, oltre al bambino di due anni e mezzo, avrebbe un'altra figlia di sette anni. Si è ora in attesa di conoscere la decisione dei magistrati: sul caso è stato aperta un'inchiesta dalla Procura di Torre Annunziata. Nella zona della Scala, dove è stato recuperato il corpo senza vita del piccolo, sono proseguiti per tutta la mattinata i rilievi degli inquirenti. Arrivata anche una squadra specializzata nella ricerca in mare nel tentativo di recuperare elementi utili alle indagini.

Dario Sautto, Francesca Mari per “il Messaggero” l'8 gennaio 2022. «La paura dell'autismo era diventata un'ossessione», tanto da farla arrivare a «rifiutare completamente il bambino», anche se frutto di una «diagnosi fai-da-te» fatta «via Google». E da una chat WhatsApp viene fuori una frase agghiacciante mentre il bimbo piangeva: «O vogliamo farlo schiattare e magari si toglie il vizio». 

Così, secondo il giudice Fernanda Iannone che ha convalidato il fermo della Procura di Torre Annunziata (procuratore Nunzio Fragliasso, sostituto Andreana Ambrosino), la 40enne Adalgisa Gamba aveva «programmato l'efferato gesto». «Non provava affetto verso lui» e aveva deciso di uccidere suo figlio Francesco, morto annegato ad appena due anni e mezzo, domenica scorsa, nelle acque antistanti i lidi balneari di via Calastro a Torre del Greco. 

Adalgisa «ha pianificato nei minimi dettagli» quello che il gip definisce senza mezzi termini «un atto crudele, sconsiderato e assolutamente innaturale». Per questo, dopo un lungo interrogatorio, ha deciso di convalidare il fermo e disporre il trasferimento in carcere della donna, anche se su richiesta avanzata dall'avvocato Tommaso Ciro Civitella, difensore dell'indagata ha nominato il dottor Camillo De Lucia per accertamenti urgenti: è ritenuta «pericolosa, spregiudicata e incline a delinquere», ma c'è da capire se la sua situazione sia compatibile con il regime carcerario. 

La tragedia è avvenuta nella serata di domenica scorsa, quando il papà di Francesco è tornato a casa e non ha trovato Adalgisa e il piccolo. Subito ha chiesto l'intervento delle forze dell'ordine e si è ritrovato su quella spiaggia, dove ha visto la moglie in mare, adagiata su uno scoglio, con il bimbo ormai privo di vita.  

Ascoltato in caserma insieme ad altri testimoni, tra cui i due ragazzi che hanno soccorso con lui Adalgisa e riportato il corpicino di Francesco a riva, l'uomo ha detto senza mezzi termini ai carabinieri che la moglie «lo aveva premeditato», perché aveva deciso di uscire quando lui non c'era. Dopo l'autopsia, in forma strettamente privata, ieri è stato dato l'ultimo saluto al bimbo.  

Il papà ha affidato al sindaco di Torre del Greco, Giovanni Palomba, poche parole da riferire a tutti. Niente funerali in chiesa, né palloncini bianchi e caos, solo silenzio e rispetto. Sul viale principale del cimitero, per terra, sopra la tomba di Francesco c'è ora un lenzuolo bianco fissato con dei sassi, una ghirlanda e piccoli bouquet di orchidee.  

«A inumazione avvenuta - dice una nota diramata dal portavoce di Palomba - a seguito di interlocuzione privata con il primo cittadino, la famiglia esprime il proprio sentito ringraziamento al sindaco, all'amministrazione comunale, alle forze dell'ordine e ai cittadini tutti per la vicinanza e la solidarietà».

Inutile il tentativo di salvarlo di alcuni passanti che si sono tuffati in mare. Bimbo di due anni affoga in mare, fermata la mamma: “Pensavo avesse un ritardo mentale”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 3 Gennaio 2022. È una vera e propria tragedia nella tragedia quella che si è consumata la sera del 2 gennaio a Torre del Greco. Una mamma, una 40enne del posto, ha portato il suo piccolo di due anni vicino al mare nei pressi del lido “La scala” e lo gettato in acqua. Per il piccolo sono stati inutili tutti i soccorsi, è morto annegato. Per la procura di Torre Annunziata la mamma avrebbe commesso il tragico delitto perché convinta che il piccolo fosse affetto da problemi di ritardo mentale nonostante, a quanto si apprende, non vi fosse alcuna conferma in tal senso dal punto di vista sanitario. È stata fermata con l’accusa di omicidio volontario.

Secondo quanto riferisce la Procura, non c’era alcuna conferma dal punto di vista sanitario che il figlio fosse affetto da problemi di ritardo mentale. In base a quanto ricostruito al momento dai carabinieri ci sarebbe questo dunque dietro l’omicidio del bimbo di due anni a Torre del Greco. A dare l’allarme, ieri sera è stato il marito della donna: è stato lui a segnalare alle forze dell’ordine l’allontanamento da casa intorno alle ore 21.

La donna, nella serata di ieri, è stata ritrovata in mare, sul litorale torrese, con il bambino tra le braccia. Il marito aveva segnalato alle forze dell’ordine l’allontanamento da casa, insieme al figlio. Un uomo aveva notato il piccolo in mare e subito si è tuffato per salvarlo. Poi altri due ragazzi minorenni vedendolo in difficoltà si sono tuffati nel tentativo di aiutarli entrambi.

”Abbiamo udito le grida di aiuto provenire dalla zona e quando ci siamo avvicinati abbiamo notato una donna sull’estremità della scogliera e un uomo in mare – hanno raccontato i due ragazzi, come riportatyo dall’Ansa – Abbiamo poi pensato potesse essere il padre del piccolo, anche se non lo sappiamo. Visto che era in difficoltà, abbiamo deciso di entrare in acqua dalla parte dove sapevamo si faceva piede fino a raggiungere la zona dove si trovava il bimbo. Ma già nel portarlo a riva abbiamo capito che la situazione era disperata”. I ragazzi avrebbero poi dato una mano alla donna: ”Quando siamo tornati verso la scogliera, la signora era in evidente stato di choc e farfugliava qualcosa, dicendo di essere stata rapinata da una persona straniera. Arrivati a riva, c’era chi stava provando a rianimare il piccolo attraverso un massaggio cardiaco, una pratica risultata purtroppo inutile”.

Nonostante i tentativi di soccorso e rianimazione il bambino è stato dichiarato morto per annegamento. La donna è stata condotta nella caserma dei Carabinieri dove è stata interrogata, alla presenza del difensore di fiducia, dal pubblico ministero della Procura di Torre Annunziata che, al termine dell’interrogatorio, ha emesso un decreto di fermo nei suoi confronti. L’indagata sarà condotta nella casa circondariale femminile di Pozzuoli.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Stefano Vladovich per “il Giornale” il 9 gennaio 2022.  

«Il bambino era nelle mie braccia, gli parlavo ma non davo peso al fatto che fosse sott' acqua». Omicidio volontario per Adalgisa Gamba, 40 anni, accusata di aver ucciso il figlioletto di due anni e mezzo in mare, a Torre del Greco. Interrogata dal gip di Torre Annunziata per due giorni, tra vuoti di memoria e ricordi nitidi, la donna ripercorre la domenica del 2 gennaio. E parla della presunta malattia di suo figlio. Un chiodo fisso, un incubo, anche se nessun medico l'ha mai diagnosticata. 

Per lei quel gesto ripetitivo, compulsivo, delle manine era il chiaro segno di autismo. Nell'interrogatorio di convalida la Gamba mette a verbale: «Ho notato un ritardo nel linguaggio e problemi di apprendimento sebbene fisicamente sia sempre stato molto attivo. Faceva movimenti ripetuti con le mani, agitandole davanti al volto e agitando anche le dita. Questa mia convinzione era diventata un tarlo. Tante volte mi sono detta che forse sarebbe stato meglio avere solo una figlia. Lo spettro dell'autismo ha cominciato a perseguitarmi. Mio figlio faceva cose che la mia prima bambina non aveva mai fatto». 

«L'ha ucciso lei?» domanda più volte il gip Fernanda Iannone alla 40enne. «No, non so dirvi, è come se avessi avuto un vuoto in quel momento. Come se il cervello fosse spento». Di fatto, sempre secondo il racconto della donna, i due entrano in acqua nonostante la bassa temperatura, nuotando assieme fino a quando l'acqua non le arriva al petto. Cioè fino a quando il bambino finisce con la testa sotto il livello del mare. 

«Sì, era fra le mie braccia. Non mi sono resa conto che era sott' acqua». Una difesa per ottenere la seminfermità mentale? «Cosa faceva il bimbo?» chiede il gip. «Non piangeva ma comunque si muoveva. Guardavo il mare e pensavo alla libertà, senza rendermi conto di tutto il resto. Ho avvertito una sensazione di liberazione, per me e per quella che sarebbe stata la vita di mio figlio. Credo di non essere stata in me». 

Di fatto una confessione. Ma gli inquirenti insistono: «Ha annegato lei suo figlio?». «Non ho realizzato fosse il bambino, non so perché è andata così. Non l'ho sopportato, è stato il mio incubo giorno e notte». Il piccolo è rimasto in acqua tre ore, dalle 18 fino alle 21,35, quando li raggiunge il marito. In 20 centimetri d'acqua il bimbo non sarebbe annegato se non ci fosse rimasto tutto quel tempo a una temperatura di 15 gradi, condizione che ha compromesso «la normale circolazione sanguigna, comportando danni irreparabili».

BAMBINA DI 18 MESI MORTA DOPO ESSERE STATA LASCIATA DA SOLA IN CASA PER 6 GIORNI

(ANSA il 21 luglio 2022) - Ha lasciato per sei giorni la sua bambina di un anno e mezzo da sola a casa a Milano e quando è tornata, ieri mattina, l'ha trovata morta. La donna, 37 anni, è stata fermata con l'accusa di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e premeditazione. La piccola era in un lettino da campeggio e a fianco c'era il biberon ma anche una boccetta di benzodiazepine piena a metà.

 (ANSA il 21 luglio 2022) - "Sapevo che poteva andare così". E' quanto avrebbe detto, in sostanza, la donna di 37 anni fermata per omicidio volontario dalla polizia per aver lasciato la figlia di un anno e mezzo sola in casa a Milano per 6 giorni, da giovedì della scorsa settimana fino a ieri mattina. E' stata fermata ieri e interrogata nella notte dal pm di turno Francesco De Tommasi. E' apparsa lucida, a quanto si è saputo, anche se di fronte ad alcune domande è rimasta in silenzio. (ANSA).

(ANSA il 22 luglio 2022) - Alessia Pifferi, la 37enne che si trova in carcere con l'accusa di omicidio volontario aggravato per aver lasciato per più di 6 giorni a casa la figlia di un anno e mezzo, per portare avanti le sue relazioni e divertirsi non ha avuto scrupoli nel lasciare la piccola nell'abitazione ben sapendo che poteva morire di stenti. 

E' per questo motivo che il pm di Milano Francesco De Tommasi ha contestato, assieme a quella della premeditazione, anche l'aggravante dei futili motivi. 

Tra l'altro, tra le esigenze cautelari contestate c'è il pericolo di reiterazione del reato, perché la donna è ritenuta una persona pericolosa.

(ANSA il 23 luglio 2022) - "Io ci contavo sulla possibilità di avere un futuro con lui (il compagno, ndr) e infatti era proprio quello che in quei giorni stavo cercando di capire; è per questo che ho ritenuto cruciale non interrompere quei giorni in cui ero con lui anche quando ho avuto paura che la bambina potesse stare molto male o morire".  

Così Alessia Pifferi, interrogata dal gip Fabrizio Filice, ha tentato di giustificare il suo comportamento. Lo si legge nell'ordinanza. Il giudice ha disposto per la 37enne, che ha abbandonato la figlia di un anno e mezzo per 6 giorni, il carcere per omicidio volontario nell'ipotesi omissiva aggravato da futili motivi.

(ANSA il 23 luglio 2022) - Alessia Pifferi, la 37enne che ha abbandonato la figlia di un anno e mezzo sola in casa per 6 giorni, non si è limitata a prevedere e accettare "il rischio" che la piccola morisse ma, "pur non perseguendolo come suo scopo finale, alternativamente" lo ha voluto, come è risultato anche da varie dichiarazioni del suo interrogatorio, tra cui, come sintetizza il gip di Milano Fabrizio Filice, anche riferimenti alla "paura" e "all'orgoglio di non chiedere aiuto alla sorella". 

Sorella che avrebbe potuto "in qualsiasi momento andare nel suo appartamento a soccorrere la figlia".  Il giudice riporta anche alcune dichiarazioni, le più significative della donna, per qualificare l'omicidio volontario nella forma dell'omissione (e non come 'dolo eventuale', ossia come accettazione del rischio della morte conseguente). 

"Dopo la discussione all'inizio lui ha detto che mi avrebbe riaccompagnata a casa, poi però ho visto che mi prendeva la mano e che si dirigeva verso Leffe, lì ho capito che saremmo tornati a casa sua e non ho detto niente", è un passaggio del verbale davanti al gip. E ancora: "A questo punto io avevo paura che la bambina potesse morire - ha detto la donna, fermata nelle indagini della Squadra mobile e del pm Francesco De Tommasi - dall'altra però avevo anche paura sia della reazione, del giudizio negativo di mia sorella, sia della reazione del mio compagno. Se ora ci ripenso la mia percezione è che quelle due paure avessero pari forza senza che una prevalesse sull'altra".  

Sempre Pifferi ha spiegato: "A partire dalla domenica, quando cominciavano a passare più giorni del solito, ho cominciato ad avere concretamente paura che la bambina morisse ma comunque mi auguravo che non succedesse. Questo augurio - ha aggiunto - nella mia mente un po' era una specie di speranza, un po' era il pensiero che magari le cose che le avevo lasciato le bastassero". E poi quella frase sulla volontà di avere a tutti i costi un "futuro" col suo compagno, che l'avrebbe portata a "non interrompere" quei giorni con lui.

(ANSA il 23 luglio 2022) – “Mi diceva che preferiva venire senza di lei così 'respirava'". Con queste parole il compagno di Alessia Pifferi, la donna in carcere per l'omicidio volontario della figlia di un anno e mezzo, ha raccontato agli investigatori perché la 37enne, anche in altri fine settimana e non solo nei 6 giorni dal 14 al 20 luglio, non aveva portato a Leffe (Bergamo), a casa dell'uomo, la piccola, lasciata sola nell'abitazione di Milano. 

All'uomo (non è il padre), come ha messo a verbale, Pifferi diceva che "Diana rimaneva con la sorella" o con "la babysitter" e lui anzi ha sostenuto che "se lei l'avesse portata" a casa sua gli avrebbe "fatto piacere". Il giudice Fabrizio Filice individua proprio nel modo in cui la donna viveva quella relazione con il compagno, anteposta all'accudimento della bimba, la "principale motivazione del delitto" e spiega che la 37enne ha una "personalità non equilibrata". 

 Nell'ordinanza viene riportata anche la terribile descrizione delle condizioni in cui è stato trovato il corpo della bimba mercoledì scorso. C'è pure il racconto della vicina a cui la donna, quel mattino in cui è rientrata e ha trovato Diana morta, continuava a ripetere "più volte di non essere una cattiva mamma". 

Pierpaolo Lio per corriere.it il 3 agosto 2022.

Aveva detto di non sapere neppure di essere incinta. E in alcune occasioni aveva anche negato di sapere quale fosse l’identità del padre biologico di Diana, la piccola di 18 mesi, morta di stenti dopo essere stata lasciata sola in casa per quasi una settimana. Alessia Pifferi, la madre 36enne accusata del suo omicidio, mercoledì mattina, durante un nuovo colloquio in carcere, ha invece confessato ai suoi avvocati Luca D’Auria e Solange Marchignoli di conoscerne l’identità. 

L’uomo in questione, un italiano che la donna avrebbe conosciuto in maniera estemporanea, non saprebbe di essere il padre della bimba. In quei mesi Alessia Pifferi avrebbe tentato di tenere nascosta la sua gravidanza, prima, e il nome del padre, poi, per evitare di mettere a repentaglio la relazione che in quel periodo stava riallacciando con il compagno, un 58enne di Leffe (Bergamo), e per sottrarsi al giudizio dei suoi familiari.

Durante il colloquio con i suoi legali, la donna è tornata poi a negare con forza l’ipotesi che abbia mai somministrato tranquillanti alla piccola Diana, prima di abbandonarla per quasi una settimana nel lettino all’interno dell’appartamento della casa di corte di via Parea, nel quartiere Ponte Lambro di Milano. 

In attesa che si svolgano gli esami tossicologici sui reperti sequestrati nel bilocale – tra cui il biberon che la donna aveva lasciato alla bambina – prosegue il lavoro di analisi degli investigatori della squadra mobile sulle chat contenute nel telefonino della 36enne per individuare eventuali elementi utili a ricostruire i 18 mesi di vita della bambina.

Durante questo lavoro sui dati finora non era uscito alcun elemento che potesse invece portare a individuare il possibile padre di Diana. Non appena saranno messi a conoscenza delle sue generalità, gli investigatori sono pronti a rintracciare e ascoltare l’uomo.

Enrico Chillè per leggo.it il 3 agosto 2022.

Aver abbandonato la figlia, di appena 18 mesi, per sei giorni, facendola morire, non sembra turbarla più di tanto. Alessia Pifferi, la mamma della piccola Diana, dal cercare di San Vittore a Milano continua a chiedere solo del suo compagno, l'elettricista di Leffe (Bergamo) con cui aveva passato quei giorni durante i quali la sua piccola è morta di fame e di sete. 

Il compagno di Alessia irreperibile

Da giorni, Alessia Pifferi continua a chiedere solo del proprio fidanzato. La donna vorrebbe incontrarlo, ma l'uomo non ha mai risposto alle telefonate dei legali della donna. Di fatto, sin dal giorno in cui Diana è stata trovata morta e Alessia arrestata, non ha più fatto avere proprie notizie. E potrebbe anche aver cambiato numero di telefono. L'uomo, un 58enne, come la madre della donna arrestata, probabilmente non vuole più avere niente a che fare con Alessia. Lo riporta Il Giorno. 

Il 58enne è l'uomo con cui Alessia Pifferi si era rifatta una vita, e con cui aveva passato quei drammatici sei giorni in cui aveva abbandonato la figlia. All'uomo, la 36enne avrebbe detto di aver affidato la figlia alla sorella prima di raggiungerlo a Leffe nel week-end, per poi tornare insieme a Milano. Ma senza passare a controllare Diana nella casa di via Parea. 

I dubbi da chiarire

Alessia Pifferi, durante l'interrogatorio di garanzia con il gip Fabrizio Filice, aveva spiegato di aver preferito restare con il fidanzato per una settimana invece di tornare dalla figlia, pur sapendo che la piccola Diana sarebbe con tutta probabilità morta di stenti. Tra oggi e domani è previsto un incontro in carcere tra la 36enne e l'avvocato Solange Marchignoli, che ha ricevuto minacce di morte sui social dopo aver accettato di difendere la donna e che nei giorni scorsi aveva chiesto l'incidente probatorio sull'esame del latte contenuto nel biberon trovato accanto al corpicino della bambina. 

Tempi lunghi

I tempi non sono brevi: si attendono gli interventi dei periti dell'accusa e della difesa, ma gli esiti delle analisi sul latte non saranno disponibili prima di settembre. Se nel biberon dovessero essere trovate le benzodiazepine, questo confermerebbe che Diana era stata drogata e aggraverebbe ulteriormente, con la premeditazione, la già delicata situazione giudiziaria di Alessia Pifferi.

Milano, lascia la figlia di 18 mesi a casa da sola per sei giorni: la trova morta. «Sapevo che poteva andare così». Cesare Giuzzi e Pierpaolo Lio su Il Corriere della Sera il 21 Luglio 2022.

Alessia Pifferi, 36 anni, era andata via per raggiungere il compagno in provincia di Bergamo. Ha lasciato la neonata in via Parea, in zona Ponte Lambro. È stata fermata con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi

Il corpo senza vita della bambina, di 18 mesi, è stato trovato all’alba di mercoledì nel suo lettino. La madre, Alessia Pifferi di 36 anni, l’aveva lasciata sola per sei giorni a casa, un appartamento in via Parea al 16, in zona Ponte Lambro a Milano. Era andata via per raggiungere il compagno in provincia di Bergamo.

Giovedì mattina, la 36enne è stata fermata con l’accusa di omicidio volontario aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi. «Sapevo che poteva andare così», sarebbero le poche parole pronunciate dalla donna. La piccola Diana Pifferi era in un lettino da campeggio e a fianco c’era il biberon ma anche una boccetta di benzodiazepine piena a metà. Il corpo della piccola Diana nata il 29 gennaio 2021 sarebbe stato scoperto all’alba di mercoledì dalla madre rientrata da Bergamo. Poi all’arrivo della polizia era presente anche la madre che è stata subito interrogata dal pm Francesco De Tommasi e dagli agenti della squadra Mobile diretti da Marco Calì. Al momento non risulta che la donna avesse problemi di droga. Sono invece in corso verifiche su eventuali problematiche psichiche.

Fuori dalla casa di corte, alcuni palloncini bianchi in ricordo della piccola sono stati legati giovedì mattina al cancello dai residenti del quartiere: «Diana piccolo angelo». Sul retro, fuori dalle finestre dell’appartamento al primo piano in cui la donna ha sempre vissuto, sono ancora appesi ad asciugare i vestitini della figlia. Fino a qualche anno fa con lei viveva anche la madre che poi s’è trasferita fuori regione. Nell’appartamento accanto, sempre al primo piano, abita l’ex marito della 36enne dal quale si era separata tre anni fa. La donna ha raccontato agli inquirenti di non sapere chi fosse il padre della piccola e di avere scoperto la gravidanza solo al settimo mese. La piccola è nata il 29 gennaio dello scorso anno.

Alessia Pifferi, la mamma della bimba morta a 18 mesi: «Stava male, le ho dato le gocce. Al mio compagno ho detto che l’accudiva mia sorella». Cesare Giuzzi e Pierpaolo Lio su Il Corriere della Sera il 22 Luglio 2022.

Parla Alessia Pifferi, 36 anni, madre della bambina di 18 mesi lasciata sola in casa a Milano per sei giorni. La donna è accusata di omicidio volontario. Anche in altre occasioni ha lasciato la piccola sola per interi weekend e ai vicini diceva che era con la babysitter.

Diana è rimasta chiusa in casa per quasi una settimana. Accanto a lei, nel lettino, un biberon. I poliziotti lo trovano vuoto, ma ha ancora i segni lasciati dal latte. Il pannolino è sul lettone, l'ha strappato e lanciato oltre le sbarre della culla. Un altro è sul davanzale, pieno di vermi. 

Diana è morta di stenti e disidratata nella casa dove sua mamma, Alessia Pifferi, 36 anni, l'ha lasciata alle 18.55 di giovedì 14 luglio. A quell'ora, dopo «averle dato alcune gocce di tachipirina», le stesse che dice di averle somministrato il giorno prima («La vedevo molto agitata e sbavava, pensavo fosse per i dentini»), la mamma chiude il trolley e parte alla volta di Leffe (Bergamo) per andare dal nuovo compagno. Gli investigatori in casa non troveranno alcun flacone di antipiretico, ma solo una boccetta di «En», benzodiazepine, vuota per tre quarti, su un mobile della cucina: «Me l'aveva data una persona che ho conosciuto». Forse, questo il sospetto degli inquirenti, la mamma dava alla piccola Diana dosi di ansiolitico per tenerla tranquilla, mansueta. Nata «settimina» il 29 gennaio di un anno fa, Diana era gracile e aveva piaghe sul corpo. Il segno dei pannolini lasciati per giorni nelle altre occasioni in cui la mamma la chiudeva a casa da sola. Per interi weekend. 

Mercoledì mattina alle 11.30 Alessia Pifferi rientra a casa, nel piccolo bilocale di via Parea nel quartiere popolare e periferico di Ponte Lambro (il solo di Milano oltre l'anello della Tangenziale), entra in camera e trova Diana immobile. Sono trascorsi sei giorni da quando l'ha lasciata lì: «Ho visto che non si muoveva. Le ho dato una pacchetta sulla schiena. Le ho messo i piedi nel lavandino per bagnarla, ma non reagiva». La donna chiede aiuto a una vicina, chiama il 118, scende in cortile e si rivolge ai vicini: «Non sono una cattiva madre». 

Davanti al pm Francesco De Tommasi e al capo della Mobile Marco Calì, racconta le tappe di una vita disordinata, tra relazioni fugaci con uomini conosciuti via Tinder, il padre di Diana di cui nessuno conosce il nome e il nuovo compagno che vive nella Bergamasca e con il quale diceva che sarebbe andata a convivere ad agosto. È stata da lui durante questi sei giorni, mentre la piccola Diana moriva di fame e di sete nel suo lettino. «Senza mai piangere», diranno i vicini alimentando il sospetto che la madre possa davvero averla «sedata» prima di abbandonarla. «Pensavo di partire giovedì e tornare venerdì, il giorno dopo», dice interrogata. Quando il magistrato le chiede perché non lo ha fatto, ma è rimasta dal compagno, lei però si zittisce. «Gli avevo detto che Diana era al sicuro, al mare, accudita da mia sorella. Ho mentito perché mi sentivo sempre giudicata». Ai vicini aveva raccontato che durante le sue assenze c'era una babysitter. In quella casa però non entrava mai nessuno. «Forse Alessia viveva quella figlia come un peso che le impediva di uscire, divertirsi», dice un vicino.

Lei interrogata racconta di aver lasciato Diana sola per la prima volta quattro settimane fa, per andare con un'amica dal compagno: «Ma sono stata via solo qualche ora». Poi però le uscite si fanno frequenti e sempre più lunghe: «La cambiavo e le lasciavo due biberon e quattro bottigliette d'acqua». Mercoledì mattina gli investigatori troveranno un solo biberon nella culla. «S'è mai resa conto delle conseguenze che potevano avere su una bambina di 18 mesi l'assenza di cibo, le alte temperature e un digiuno prolungato?», le chiede il magistrato. Lei risponde fredda: «Sì, a parte la disidratazione, la morte». Alessia Pifferi non versa lacrime durante l'interrogatorio. Ogni volta che gli investigatori le contestano d'aver ucciso la figlia Diana, si chiude nel silenzio. Dice di non essere mai tornata a Milano durante quei sei giorni. Ma il compagno la smentisce: «Lunedì siamo tornati in città perché dovevo sbrigare questioni di lavoro. Ma lei non mi ha chiesto di passare da casa». Forse Diana era ancora viva. «Quando giovedì sono andata via non ero tranquilla - ha detto agli inquirenti - sapevo che stavo facendo qualcosa che non andava fatto, che poteva accadere di tutto, anche quello che è poi successo». Ora la 36enne è chiusa nel carcere di San Vittore con l'accusa di omicidio volontario aggravato anche dalla premeditazione.

Alessia Pifferi resta in carcere: «Diana? Avevo paura ma il futuro con il mio compagno era più importante». Redazione Milano su Il Corriere della Sera il 23 Luglio 2022.

La mamma di Diana, la bimba morta a Ponte Lambro (Milano), parla al gip, che convalida il fermo: «La morte della bimba non era il suo scopo, ma l’ha voluto». La 36enne: «Ho ritenuto cruciale non interrompere i giorni in cui ero con il mio compagno»

Resta in carcere Alessia Pifferi, la madre accusata dell’omicidio della figlia di quasi un anno e mezzo abbandonata per sei giorni in casa. 

Lo ha deciso il gip di Milano, Fabrizio Filice, che ha convalidato il fermo e disposto la misura cautelare. Rispetto alla richiesta del pm Francesco De Tommasi il giudice ha escluso l’aggravante della premeditazione riconoscendo alla donna solo quella dei futili motivi. Pifferi, infine, per il gip, potrebbe commettere ancora reati «di tipo violento e persecutorio» e per questo deve stare in carcere. 

Pifferi però, scrive il Gip, non si è limitata a prevedere e accettare «il rischio» che la piccola morisse ma, «pur non perseguendolo come suo scopo finale, alternativamente» lo ha voluto, come è risultato anche da varie dichiarazioni del suo interrogatorio, tra cui, come sintetizza il gip Filice, anche riferimenti alla «paura» e «all’orgoglio di non chiedere aiuto alla sorella». Sorella che avrebbe potuto «in qualsiasi momento andare nel suo appartamento a soccorrere la figlia».

Il Gip affronta anche il nodo della relazione tra la donna e l’attuale compagno, nei confronti del quale aveva «una forma di dipendenza psicologica» che «l’ha indotta ad «anteporre la possibilità di mantenere una relazione con lui anche a costo dell’inflizione di enormi sofferenze» alla bimba. Con una «condotta dall’impatto intrinsecamente ed estremamente violento, anche se non in forma commissiva, nei confronti della persona in assoluto più vulnerabile».

«Io ci contavo sulla possibilità di avere un futuro con lui (il compagno, ndr) e infatti era proprio quello che in quei giorni stavo cercando di capire», ha dichiarato la donna, secondo quanto si legge nell’ordinanza. «È per questo che ho ritenuto cruciale non interrompere quei giorni in cui ero con lui anche quando ho avuto paura che la bambina potesse stare molto male o morire». 

La donna — secondo il Gip — è «incline alla mistificazione e alla strumentalizzazione degli affetti» e non ha «rispetto per la vita umana». 

Nell’ordinanza, il Gip riporta anche alcune frasi pronunciate dalla donna durante l’interrogatorio. 

«Dopo la discussione» con il compagno, «all’inizio lui ha detto che mi avrebbe riaccompagnata a casa. Poi però ho visto che mi prendeva la mano e che si dirigeva verso Leffe (vicino a Bergamo, dove l’uomo vive, ndr), lì ho capito che saremmo tornati a casa sua e non ho detto niente». 

«A questo punto io avevo paura che la bambina potesse morire, ma dall’altra avevo anche paura sia della reazione, del giudizio negativo di mia sorella, sia della reazione del mio compagno. Se ora ci ripenso la mia percezione è che quelle due paure avessero pari forza senza che una prevalesse sull’altra». 

«A partire dalla domenica, quando cominciavano a passare più giorni del solito, ho cominciato ad avere concretamente paura che la bambina morisse, ma comunque mi auguravo che non succedesse. Questo augurio nella mia mente un po’ era una specie di speranza, un po’ era il pensiero che magari le cose che le avevo lasciato le bastassero».

Nel corso dell’interrogatorio davanti al gip sono emersi altri elementi, particolari sull’insofferenza di Pifferi verso la figlia e quindi la sua fatica per il ruolo di genitore. Ma anche la presunta preoccupazione dopo il terzo giorno che la bambina era da sola: «Non ero tranquilla, ma forse ha prevalso la mia stanchezza che mi portavo dentro, perché sono una ragazza madre, nessuno mi aiutava ed era molto pesante».

Quando lunedì scorso è tornata a Milano per un appuntamento di lavoro del compagno, Alessia Pifferi avrebbe pensato «di utilizzare questo passaggio in città per prendere la bambina», che era sola in casa dal 14 luglio, ma in seguito a «una discussione» con lui non l’ha più fatto.

La donna mette ancora l’accento sulla difficoltà di essere una ragazza madre. «Negli ultimi tempi ero molto stanca. Mi mantenevo con gli aiuti di mia madre che mi mandava un po’ di soldi tutti i mesi, avevo però attivato i bonus a cui potevo accedere grazie alla bambina». Sono inoltre emersi altri dettagli sulla relazione con il compagno, interrotta a gennaio ma ripresa a giugno: nel mezzo avrebbe frequentato altri due uomini.

Nel verbale della procura aveva anche spiegato che «il mio compagno aveva accettato la bambina come se fosse sua», tanto che lei lo «chiamava papà», e «le cose sembrava che andassero bene», ma poi «dopo circa un anno il nostro rapporto è entrato in crisi».

«Mi diceva che preferiva venire senza di lei così “respirava”»: con queste parole il compagno di Alessia Pifferi ha raccontato agli investigatori perché la 37enne, anche in altri fine settimana e non solo nei 6 giorni dal 14 al 20 luglio, non aveva portato a Leffe. a casa dell’uomo, la piccola, lasciata sola nell’abitazione di Milano. All’uomo Pifferi diceva che «Diana rimaneva con la sorella» o con «la babysitter» e lui anzi ha sostenuto che «se lei l’avesse portata» a casa sua gli avrebbe «fatto piacere». Il giudice Fabrizio Filice individua proprio nel modo in cui la donna viveva quella relazione con il compagno, anteposta all’accudimento della bimba, la «principale motivazione del delitto» e spiega che la 37enne ha una «personalità non equilibrata».

Nell’ordinanza viene riportata anche la terribile descrizione delle condizioni in cui è stato trovato il corpo della bimba mercoledì scorso. C’è pure il racconto della vicina a cui la donna, quel mattino in cui è rientrata e ha trovato Diana morta, continuava a ripetere «più volte di non essere una cattiva mamma».

Alessia Pifferi, la mamma della bimba morta di stenti a 18 mesi: «Diana era un ostacolo alla mia libertà». I pm: donna capace di ogni atrocità. Cesare Giuzzi e Pierpaolo Lio su Il Corriere della Sera il 23 Luglio 2022.

Diana Pifferi è morta di stenti a Milano. Mercoledì scorso la madre ha scritto alla nonna della piccola: «Ieri ho tribolato ma nulla di grave, saranno i dentini». In realtà aveva lasciato la figlia di 18 mesi a casa da sola. Il compagno credeva che la bambina fosse al mare con una parente

Alessia Pifferi è partita mercoledì scorso con due trolley pieni di vestiti. Non le valigie per trascorrere una giornata fuori casa, come ha detto agli investigatori. Ma abiti per almeno una settimana. Sei giorni in cui sua figlia Diana di soli 18 mesi è rimasta chiusa nel bilocale di via Parea , con trenta gradi in casa e soltanto un biberon di latte nella culla.

Quando mercoledì mattina ha avvisato il compagno della morte di Diana lui è rimasto incredulo: «Ma non era al mare con tua sorella?». Lei ha risposto che in realtà la piccola era rimasta tutto quel tempo a casa da sola e che lo stesso era successo in occasione di altri weekend trascorsi insieme. «Ma perché non me lo hai mai detto? L’avremmo portata con noi, come è stato possibile?».

Diana era nata proprio nella casa nella Bergamasca di proprietà dell’elettricista 58enne compagno di mamma Alessia. Un parto improvviso al settimo mese di gravidanza: «Non sapevo neanche di essere incinta», ha detto alla polizia. Ma secondo gli inquirenti la donna sapeva della gravidanza, almeno dal terzo mese. Quel giorno, il 29 gennaio 2021, la piccola Diana era venuta alla luce nel bagno della casa di Leffe, grazie all’intervento del 118.

La nascita di Diana aveva portato a una rottura della loro relazione, iniziata dopo essersi conosciuti su Tinder. Poi nella primavera di quest’anno la coppia si era riavvicinata. La 36enne ha raccontato agli inquirenti di aver lasciato sola la figlioletta per la prima volta a maggio «ma solo poche ore». Il sospetto però è che tutto sia iniziato molto prima.

Per questo gli investigatori della Mobile, diretti da Marco Calì, e coordinati dal pm Francesco De Tommasi, stanno analizzando le chat trovate nel telefonino della donna. Messaggi e appuntamenti scambiati con diversi uomini che Alessia Pifferi conosceva online. E proprio questo sarebbe il movente dietro «l’omicidio volontario pluriaggravato» contestato dalla procura: «Si tratta di una persona priva di scrupoli e capace di commettere qualunque atrocità per i propri bisogni personali legati alla necessità di intrattenere a qualunque costo relazioni sentimentali con uomini».

La donna avrebbe detto che la piccola era «un peso» e che «voleva riprendersi la sua libertà». Mercoledì mattina, quando è tornata a casa e ha trovato la bimba senza vita nel lettino, la donna ha chiesto aiuto a una vicina. A lei avrebbe detto che Diana era accudita da una babysitter. Ma della fantomatica tata non c’è mai stata traccia. La polizia ha interrogato la madre e la sorella di Pifferi. Loro erano a conoscenza delle sue relazioni con altri uomini. La madre era stata accanto alla piccola Diana quando lei aveva avuto un’infezione.

Mercoledì mattina aveva ricevuto un messaggio dalla figlia: «Ieri ho tribolato con Diana, ma nulla di grave». La madre le ha chiesto se si trovasse con la piccola e Alessia le ha risposto di sì che sarebbero tornate a Milano «in giornata». La donna ha raccontato che da un po’ di mesi la figlia «sembrava nervosa» e «piuttosto insofferente».

Nei sei giorni trascorsi lontano da Diana, la mamma sarebbe stata sempre a Leffe, con il compagno, dove c’era anche la festa del paese. Tranne lunedì mattina, quando ha accompagnato il fidanzato a Milano per un incontro di lavoro. «Ma non ha chiesto di passare nella casa di via Parea», ha detto il compagno interrogato.

Per gli inquirenti la piccola è morta di fame e disidratazione. Il pm ha disposto gli esami tossicologici sul biberon trovato nella culla. Il sospetto è che nel latte ci fossero benzodiazepine. Oggi il gip Fabrizio Filice deciderà sulla convalida del fermo. Per la procura Alessia Pifferi è «pericolosa» e «non ha avuto scrupoli».

Alessia Pifferi ha partorito Diana in bagno, da sola: i 18 mesi della bimba, dal finto battesimo per «scroccare» regali alle notti in passeggino. Cesare Giuzzi su Il Corriere della Sera il 25 Luglio 2022.

Della piccola non ci sono foto, ricordi. Le sgridate di Alessia Pifferi al parco e le corse in ospedale con la nonna mentre la mamma era a Montecarlo con il compagno

Diana è nata in un bagno e ha trascorso il suo primo mese di vita in una stanza d’ospedale. Ci è tornata due mesi dopo mentre la mamma era a Montecarlo con il compagno e lei, accudita dalla nonna, aveva la febbre altissima. Aveva una patologia ai reni, legata al parto prematuro. Non ha un papà, Diana Pifferi, che viene registrata dalla madre con il suo cognome. Lei, Alessia, 36 anni, dice di conoscerne l’identità ma «di non avergli mai detto della figlia». Lo ripete anche ai poliziotti, mercoledì, quando Diana viene trovata senza vita nel suo lettino: «Devo avvisare il papà». Poi ci ripensa e agli investigatori non darà mai nessuna indicazione.

Della piccola Diana non ci sono fotografie. Almeno non quelle che ti aspetti, quelle dei parenti, degli amici, della festa di compleanno, mentre fa il bagnetto, mentre sorride. A ricordarla ci sono solo palloncini, lumini e pupazzi portati dagli abitanti di Ponte Lambro durante la fiaccolata in suo ricordo. È come se di lei, oggi, restasse solo un nome, scritto con lettere argentate sulla cancellata. Diana Pifferi non era nei registri dei servizi sociali, non compariva nelle liste d’attesa dei nidi, non era assistita dalla Caritas di quartiere. È morta di fame e di sete a 18 mesi in una casa sigillata, senza un filo d’aria, per non rischiare che dalle finestre uscisse il suo pianto.

Un’amica di famiglia ha raccontato ieri agli investigatori: una festa per il battesimo della piccola Diana organizzata da mamma Alessia. Un battesimo che però non c’è mai stato, e neppure la festa, servita soltanto per «scroccare» regali da amici e parenti. Diana era soltanto un modo per muovere a pietà, per raccattare una busta di banconote, un braccialetto d’argento.

È difficile, rileggendo oggi le parole di mamma Alessia, immaginarsi abbracci e sorrisi. I figli non sono per forza desiderati, e neppure amati. Ma nelle parole della 36enne c’è il distacco di chi parla di una vecchia automobile, di un oggetto rotto e buttato. «Ho partorito la bambina da sola nel bagno dell’appartamento del mio compagno (a Leffe, nella Bergamasca). Erano le due di pomeriggio. Appena partorito sono andata in camera da letto, ho preso il telefono e ho chiamato il mio compagno che stava lavorando al piano terra». Poi il ricovero all’ospedale Papa Giovanni di Bergamo. «La bambina è stata dichiarata con il mio cognome».

I rapporti con il compagno, conosciuto solo pochi mesi prima, si interrompono. La donna dice di non avere mai saputo prima della gravidanza: «Mi sono accorta quando ho iniziato ad avere forti dolori alla schiena». La nonna, però, interrogata dagli agenti della Mobile, diretti da Marco Calì e coordinati dal pm Francesco De Tommasi, spiega di sapere che la figlia era incinta già dal terzo mese. Mamma e figlia lasciano Bergamo e tornano a vivere a Milano, nella casa di via Parea, insieme alla nonna. È lei a tenere la piccola quando, una volta riappacificati, Alessia Pifferi e il compagno vanno a Montecarlo per una vacanza: «Volevo portarla con me, ma poi alla fine l’ho lasciata da mia madre». Il giorno dopo la piccola si sente male e la nonna la porta al Papa Giovanni. Così si interrompe la vacanza e Alessia è costretta a tornare a Milano. Un’amica ha raccontato alla polizia di quando una sera si erano fermate insieme a dormire a casa del compagno: «Alessia aveva tenuto Diana nel passeggino. Non l’aveva portata a letto con lei, ma lasciata lì tutta la notte».

Nei suoi verbali dice soltanto che la piccola è sempre stata in salute, e solo negli ultimi giorni «era meno vivace del solito». Dice d’averle dato gocce di Tachipirina. Il sospetto della procura è che invece le abbia somministrato tranquillanti. La risposta arriverà dall’autopsia che sarà eseguita martedì. Ma racconti di una bimba vivace e solare sembrano smentiti dai vicini di casa che parlano di una piccola gracile, sempre tenuta nel passeggino, che si muoveva a fatica, come stordita: «Quando la portava qui — ricorda una vicina in piazzetta —, appena Diana si agitava o voleva avvicinarsi agli altri bambini veniva ripresa in modo brusco dalla mamma. Subito si fermava, era come intimorita da lei». Nessuno però ha mai segnalato la situazione di quella famiglia ai servizi sociali. La nonna pochi mesi dopo la nascita della nipotina aveva lasciato Milano ed era andata a Crotone dal compagno. La sorella, invece, vive a poche centinaia di metri da via Parea. Ma i rapporti tra loro erano pessimi: «Non condivideva le mie frequentazioni», dirà a verbale la 36enne.

Così Diana è rimasta a casa, sola, sempre più spesso. Quantomeno negli ultimi due mesi, come ha confermato la madre. Ma forse di più. Mercoledì all’arrivo della polizia nel bilocale c’era latte e poco altro. Nel frigo soltanto due uova e un panetto di burro.

Cesare Giuzzi per corriere.it il 25 luglio 2022.

Alessia che indossava di giorno abiti lunghi con lustrini e paillettes. Alessia la diva, con le fotografie in posa su una panchina sullo sfondo di palazzi popolari e cestini della spazzatura. Alessia che la settimana prima di abbandonare Diana fotografa la limousine che la va a prendere sotto casa: il suo «sogno». 

Alessia che non lavora da tre anni, che dice di essere una psicologa infantile, ma che si mantiene grazie alla madre (200 euro al mese), con poche centinaia di euro dall’ex marito e con gli assegni famigliari. Alessia che incontra di continuo uomini conosciuti su Tinder e Meetic, in cambio di regali, cene, vestiti. Alessia che si muove solo con l’autista («lo prenotavo su Google») come fosse una vip. 

Alessia Pifferi, 36 anni, è oggi una presunta assassina, accusata dell’omicidio della piccola Diana. Quella figlia vissuta come un «peso», progressivamente rimossa, mese dopo mese, per riconquistare la «libertà». 

Per lei il giudice Fabrizio Filice, che ha confermato la custodia cautelare, ha chiesto che la direzione di San Vittore valuti «l’applicazione di un regime di sorveglianza rafforzata» per il rischio di suicidio ma anche «una collocazione protetta» visto che il tipo «di reato e la risonanza mediatica che esso ha avuto potrebbe esporla a pericolo all’interno dell’ambiente carcerario». Alessia sorvegliata a vista, quindi, perché chi ha ucciso la figlia lasciandola morire di fame e di sete, chiusa in casa per sei giorni, in carcere non trova pietà. 

Mentre Diana moriva, lei era dal compagno. Quel fidanzato verso il quale aveva «una forma di dipendenza psicologica che l’ha indotta ad anteporre la possibilità di mantenere una relazione con lui anche a costo dell’inflizione di enormi sofferenze» alla figlia di 18 mesi.

Diana così «vulnerabile», abbandonata da una madre «incline alla mistificazione e alla strumentalizzazione degli affetti» e che non ha «rispetto per la vita umana». Al compagno, che pure la piccola chiamava «papà» e alla quale lui era molto legato, diceva che preferiva stare senza di lei «così respirava». 

Abbracciare la «sensazione di essere libera, finalmente sollevata per un po’ dal peso di essere una ragazza madre». Lei durante i sei giorni a Leffe nella Bergamasca, ha «cominciato ad avere concretamente paura che la bambina morisse»: «Ma comunque mi auguravo che non succedesse. Era una specie di speranza».

Per questo motivo il giudice contesta l’omicidio volontario «nell’ipotesi dell’omissione». Cade solo l’aggravante della premeditazione, in attesa degli esami tossicologici sul biberon , dove il pm Francesco De Tommasi che coordina le indagini della squadra Mobile diretta da Marco Calì, sospetta che possano esserci tracce di benzodiazepine . La 36enne avrebbe potuto chiedere alla sorella «in qualsiasi momento andare a soccorrere la figlia». Ma non lo fa.

Non solo per «orgoglio», visti i rapporti freddi con la famiglia, ma per «preservare la relazione già in crisi» con il compagno. È per questo che lunedì scorso, quando trascorre una mattinata a Milano con il fidanzato, non chiede di passare dalla casa di via Parea, «Avevamo discusso, mi ha detto che mi avrebbe riaccompagnata a casa. Poi mi ha preso la mano ed è tornato verso Leffe. Volevo capire se c’era la possibilità di un futuro con lui. Ho ritenuto cruciale non interrompere quei giorni in cui ero con lui anche quando ho avuto paura che la bambina potesse stare molto male o morire».

Il futuro era l’ossessione di mamma Alessia. Non per Diana, ma per sé. Un futuro d’amore che cercava in un turbine di relazioni. Davanti al giudice, con freddezza glaciale, racconta di aver interrotto da poco un rapporto «con un imprenditore che si era legato molto a me e alla bambina». Perché? «Era malato di tumore. Non c’era futuro».

Pierpaolo Lio per corriere.it il 26 luglio 2022.

«Nessuna causa evidente di morte». La piccola Diana Pifferi è morta di stenti. Ci vorrà tempo prima di riuscire a stabilire con certezza cosa più precisamente abbia provocato il decesso della bambina di 18 mesi abbandonata per quasi una settimana dalla madre, la 36enne Alessia Pifferi, in un appartamento di via Parea, a Ponte Lambro. 

E serviranno altri approfondimenti anche per individuare il giorno del decesso, che in base alle primissime osservazioni è stato ipotizzato possa essere avvenuto almeno 24 ore prima del ritrovamento del corpo, mercoledì mattina, quando la madre ha fatto ritorno dopo sei giorni passati a Leffe (Bergamo) insieme al suo compagno.

Per la Procura il quadro probatorio è comunque talmente solido che si arriverà probabilmente nei prossimi mesi a una richiesta di processo con rito immediato per omicidio volontario pluriaggravato a carico della donna. 

Saranno decisive le analisi su quel velo di latte rimasto nell’unico biberon lasciato da Alessia Pifferi nella culla della bambina. Gli esami della polizia scientifica dovranno verificare se nel latte ci fossero tracce di benzodiazepine. Il sospetto degli investigatori è infatti che Diana possa essere stata sedata per impedirle di urlare e richiamare l’attenzione dei vicini.

Gli esperti dovranno verificare anche il contenuto del flaconcino di «En», un potente sedativo ritrovato nell’appartamento, per verificare che si tratti davvero di benzodiazepine. Infine, gli investigatori dovranno individuare pure se vi sia o meno il Dna della bimba sul beccuccio del biberon. 

I risultati, che dovrebbero arrivare non prima di una decina di giorni, saranno fondamentali per stabilire le aggravanti: se venisse accertato che la madre ha fatto assumere benzodiazepine alla piccola, per stordirla e fare in modo che non piangesse, l’accusa di omicidio volontario si potrebbe aggravare riconoscendo il «dolo pieno» e la premeditazione.

I nuovi difensori della donna, gli avvocati Luca D’Auria e Solange Marchignoli, intendono chiedere una consulenza «neuroscientifica e psichiatrica» su Alessia Pifferi. I due legali hanno già affidato l’incarico a i professori Giuseppe Sartori, ordinario di Neuropsicologia forense e Neuroscienze cognitive all’Università di Padova, e a Pietro Pietrini, ordinario di Biochimica clinica e Biologia molecolare clinica all’Università di Pisa. 

«A breve comincerà un lavoro — hanno spiegato — per capire il percorso mentale che ha potuto portare a un fatto così tragico». I due consulenti tecnici della difesa si sono occupati di parecchi casi di omicidi, tra cui la strage di Erba.

Alessia Pifferi «è sotto choc, spaesata e passiva come se navigasse su una bolla d’acqua». Da San Vittore chiede: «Portatemi al funerale» di Diana. Elisabetta Rosaspina su Il Corriere della Sera il 28 Luglio 2022.

La foto della piccola apparsa sulla coccarda funebre. Gli avvocati della madre: «Alessia Pifferi è sotto choc, spaesata e passiva. Non riesce a spiegare quello che è successo». 

L’unica foto di Diana Pifferi racconta di un giorno di festa, tra fiori e palloncini; e nessuno l’avrebbe vista se non fosse stata scelta, forse dalla nonna, per illustrare la coccarda funebre appesa al cancello della casa in cui è morta di stenti, poco più di una settimana fa. Ma quell’immagine lascia intravvedere anche quello che la bimba rappresentava nell’ultima settimana dei suoi 18 mesi di vita, per chi avrebbe dovuto proteggerla: una bambola in attesa, seduta sul letto. Una bambola infiocchettata, con il suo cerchietto fra i capelli, un vestitino elegante di tulle rosa e pizzo. Una bambola triste sì, ma che può essere lasciata sulla trapunta per giorni e notti, da sola in una casa vuota, senza che le capiti nulla, perché tanto una bambola non prova fame, né sete, né caldo, né paura. Aspetta, immobile e indifferente, che qualcuno si ricordi di lei.

L’unica foto di Diana, però, le rende anche giustizia. Non ci sono più soltanto un nome, un’età, un dossier per infanticidio aperto in procura: c’è il volto che, per sei giorni, è scomparso dalla memoria di sua madre. Esiste, esisteva, ma non per chi l’ha partorita. Nemmeno Solange Marchignoli e Luca D’Auria, gli avvocati di Alessia Pifferi, sono riusciti ieri a penetrare il mistero di quel buco nero che per sei giorni ha risucchiato nella mente della loro assistita l’immagine della figlia. «Ti guarda, ma non ti vede» hanno detto i due legali uscendo dal colloquio con la trentaseienne, rinchiusa nel carcere di San Vittore da giovedì scorso. «Alessia Pifferi è sotto choc, spaesata e passiva come se navigasse su una bolla d’acqua».

Eppure Diana, adesso, le manca. Avrebbe chiesto di partecipare ai funerali della bambina, previsti per domani. «Non capisce perché non le sia permesso» hanno riferito ancora i suoi difensori. «Non riesce a spiegare, né a spiegarsi quello che è successo». E dai periti, i professori Giuseppe Sartori, ordinario di Neuropsicologia forense e Neuroscienze cognitive all’Università di Padova, e Pietro Pietrini, ordinario di Biochimica clinica e Biologia molecolare clinica all’Università di Pisa, i suoi legali si aspettano una diagnosi di infermità mentale. Cui sembra credere poco il pm Francesco De Tommasi, dopo che la donna ha ammesso con il gip di aver vissuto la bambina come «un peso», un ostacolo al suo futuro con il nuovo compagno di Leffe (Bergamo) dove ha trascorso quella settimana tra il 14 e il 20 luglio.

Lunedì prossimo inizieranno anche gli accertamenti non ripetibili sul flacone di ansiolitico trovato sul microonde e sui residui di latte nel biberon. Gli esami tossicologici chiariranno se Diana sia stata sedata prima di essere abbandonata a sé stessa. Il poco che si può chiarire. 

Lascia la figlia di 18 mesi da sola per sei giorni in casa e la trova morta "per stenti": 37enne fermata per omicidio pluriaggravato. Ilaria Carra su La Repubblica il 21 Luglio 2022.

La donna ha lasciato la bambina in un appartamento a Milano e ha raggiunto il compagno a Bergamo. A fianco del corpo un biberon e una boccetta di benzodiazepine. Sarebbe apparsa lucida e avrebbe detto: "Sapevo che poteva andare così"

Ha lasciato per sei giorni la sua bambina di 18 mesi da sola a casa a Milano e quando è tornata, ieri mattina, l'ha trovata morta. La donna, Alessia Pifferi, 37 anni, è stata fermata con l'accusa di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e premeditazione. La piccola era in un lettino da campeggio e a fianco c'era il biberon ma anche una boccetta di En, un ansiolitico, piena a metà.

Il corpo della piccola è stato scoperto all'alba di mercoledì mattina in un appartamento in via Parea, periferia est di Milano nel quartiere di Mecenate. La madre era andata via di casa lasciando da sola la figlia nel lettino per raggiungere il compagno in provincia di Bergamo giovedì scorso. Stando alle prime indagini della Squadra mobile e del pm di turno Francesco De Tommasi la donna, nei sei giorni in cui ha lasciato la figlia, nata da un precedente relazione, sarebbe anche passata da Milano per accompagnare il compagno che doveva svolgere delle commissioni di lavoro. E in questa breve tappa non sarebbe passata a verificare le condizioni della piccola. "Sapevo che poteva andare così". E' quanto avrebbe detto, in sostanza, la donna, che aveva lasciato l'appartamento giovedì ed è tornata ieri mattina. E' stata fermata ieri e interrogata nella notte dal pm di turno Francesco De Tommasi. E' apparsa lucida, a quanto si è saputo, anche se di fronte ad alcune domande è rimasta in silenzio.

Nel comunicato della polizia di Stato si legge che "a seguito del rinvenimento nella giornata di ieri del cadavere di una bambina di 18 mesi all'interno di un'abitazione privata in zona Mecenate, a Milano, nel corso della notte appena trascorsa, essendo emersi elementi di presunta responsabilità a carico della madre, italiana incensurata classe 1985, ha eseguito nei suoi confronti la misura del fermo di indiziato di delitto emesso dal Pubblico Ministero di turno per il reato di omicidio pluriaggravato. Gli agenti della Squadra Mobile, all'atto del sopralluogo compiuto con gli specialisti del Gabinetto Regionale della Polizia Scientifica hanno rilevato delle incongruenze che hanno consentito al Pubblico Ministero  di procedere ad interrogatorio raccogliendo dichiarazioni circa un ripetuto stato di abbandono della bambina determinato dalle condotte della madre".

La pm di Milano Francesco De Tommasi inoltrerà nelle prossime ore all'ufficio gip la richiesta di convalida del fermo e di custodia cautelare in carcere con l'accusa di omicidio volontario aggravato dai futili motivi e dalla premeditazione. La donna sarà poi interrogata dal giudice.

La madre ha raccontato agli inquirenti di aver lasciato la figlia nel lettino giovedì scorso, di averle prima "cambiato il pannolino", di averla "pulita", di averle lasciato accanto un biberon con del latte. E, a quanto si è saputo, però, nell'interrogatorio ha anche detto che era consapevole delle gravi conseguenze che potevano derivare dal suo comportamento, quando è uscita di casa ed è tornata dopo 6 giorni.

I vicini della donna la descrivono come una persona schiva, che non dava confidenza. Al cancello verde della palazzina dove la piccola è deceduta ieri una vicina ha legato con dei nastri bianchi palloncini dello stesso colore con su scritti alcuni messaggi d'addio 'Ciao Diana', 'Piccolo angelo'. In via Parea, pochi hanno voglia di parlare. Di certo non la madre di Alessia tornata a Milano dalla Calabria. Capelli raccolti, abbigliamento sportivo è arrivata in via Parea con due borse della spesa e  ai giornalisti ha gridato "Allontanatevi o vi denuncio" prima di rincasare nell'appartamento al primo piano dove sul filo da stendere ad asciugare, sotto le finestre dell'appartamento si vedono ancora i vestitini rosa, qualche asciugamano e un bavaglino.

Nella stessa palazzina, spiegano i vicini, abita l'ex marito di Alessia, da cui era separata da tre anni, che si adopera con qualche 'lavoretto' nel vicinato.

"Non era una mamma buona, non giocava mai con lei, non la portava a passeggio. La teneva sempre nel passeggino": commenta una vicina di casa.   "Era una persona un pò schiva non dava molta confidenza" racconta un uomo che abita a poca distanza nella stessa via.  Anche i social raccontano poco di Alessia. Nessun post su Instagram, aggiornamento delle immagini su Facebook al 2019 con qualche commento sulle relazioni difficili e sul bisogno di amore.

Alessia Pifferi e la settimana in cui Diana è morta di stenti: “Diceva che la bimba era via”. Ilaria Carra,  Luca De Vito su La Repubblica il 23 Luglio 2022. 

Sgomento tra chi ha incontrato la donna: “Girava tranquilla con il compagno”

A passeggio per il centro cittadino. Assieme, con il compagno al quale si era riavvicinata da un mese e mezzo, alla festa del paese. La domanda di molti era sorta spontanea: "Le abbiamo chiesto dove fosse la bambina, diceva a tutti che era al mare con sua sorella". A Leffe, in Val Gandino nella Bergamasca, sono in tanti a ricordarsi di Alessia Pifferi per le strade della cittadina della comunità montana della Val Seriana piene di eventi e mercatini, da giovedì a domenica scorsa, mentre la figlia Diana, 18 mesi, era a casa, da sola, abbandonata.

Diana, morta a 18 mesi lasciata sola dalla mamma. La rabbia dei vicini: "Lei non giocava mai con la bambina". Ilaria Carra, Luca De Vito su La Repubblica il 22 Luglio 2022.

Alessia Pifferi è stata arrestata per l'omicidio della figlia. "Io la conosco da quando era bambina, non posso pensare che sia successa una cosa così"

"Ho ancora la bomboniera in casa, un mucchio di confetti bianchi in un sacchettino legati con un bellissimo fiore di metallo. Non li avevo nemmeno mangiati tanto era bella e non volevo rovinarla. Ora piango quando la guardo". Una delle vicine di casa di Alessia Pifferi, la 37enne fermata per l'omicidio della figlia di 18 mesi, è una signora molto anziana che vive da sempre in questo spicchio di Ponte Lambro dove le case hanno tutte un piccolo cortile o un giardino con i tavoli fuori e tutti sentono un po' tutto anche senza volerlo.

Diana, morta di stenti a 18 mesi. L'interrogatorio di sua madre: "Le ho lasciato il biberon, ma sapevo di fare qualcosa che non andava fatto". Ilaria Carra, Luca De Vito su La Repubblica il 22 Luglio 2022. 

Alessia Pifferi, la 37enne arrestata dopo il ritrovamento del corpo di sua figlia, lasciata sola in casa per sei giorni, parla davanti al pm e agli agenti della Mobile: "Sapevo che un digiuno prolungato poteva portare alla disidratazione e alla morte".

"Ma lei pensava che bastasse un biberon per sfamare sua figlia? Lei sa che conseguenze può avere l'assenza di cibo e di liquidi, specie con alte temperature? Sa che conseguenze può avere un digiuno prolungato in un bimbo di un anno e mezzo?". "Sì. A parte la disidratazione, la morte". Con queste parole, messe a verbale, incalzata dalle domande del pm Francesco De Tommasi e degli investigatori della Squadra Mobile, Alessia Pifferi, la madre della piccola Diana ritrovata morta dopo essere stata abbandonate per sei giorni in casa in un lettino da campeggio e con un biberon di latte, ha ammesso di sapere che cosa stava per succedere alla figlia dopo il suo allontanamento da casa...

Chi è Alessia Pifferi, la madre di Diana lasciata sola in casa per sei giorni a 18 mesi e morta di stenti. Luca De Vito su La Repubblica il 21 Luglio 2022.

La donna, 37 anni, avrebbe spiegato di non essersi resa conto di essere incinta fino alla nascita della piccola, nata dalla relazione con un uomo che non ha mai saputo della gravidanza. Già altre volte l'aveva lasciata sola.

Un racconto mai interrotto da una lacrima, fatto da una persona che mostrava lucidità. Alessia Pifferi, 37 anni, ha detto di essersene andata per sei giorni lasciando la figlia Diana a morire di stenti in un lettino da campeggio per andare dal compagno a Leffe, in provincia di Bergamo. Consapevole del fatto che senza cibo e senza acqua la piccola avrebbe rischiato la vita.

Ilaria Carra e Luca De Vito per “la Repubblica” domenica 24 Luglio 2022.

Non era la prima volta, era quasi un'abitudine. Diana, un anno e mezzo, era già rimasta da sola a casa in altre circostanze. Nel suo lettino da campeggio, con uno o due biberon, due acque col beccuccio e del tè. Prima per qualche ora, poi per giorni. «Almeno nel fine settimana di fine giugno e nei tre di luglio» confessa la stessa madre sotto interrogatorio.  

Ma questa verità non la diceva a nessuno, Alessia Pifferi, 36 anni. Solo bugie. Al compagno che la vedeva arrivare da sola al Leffe, in provincia di Bergamo, diceva che era con sua sorella al mare o con la baby sitter, «così io respiro». Alla madre diceva che la bambina era con lei, alle amiche nascondeva che andava a Bergamo perché, a suo dire, non volevano che si riavvicinasse a lui. È lo stesso gip Filice, quando decide di lasciarla in carcere, a osservare che così facendo «abbatte qualsiasi realistica possibilità che qualcuno possa sospettare cosa stia accadendo».

Ci si chiede allora se questa tragedia fosse prevedibile. In attesa di perizie o analisi, al momento di certo c'è solo lo scudo di falsità che Alessia Pifferi aveva costruito intorno a sé, quell'«impermeabilità emotiva» di cui parla Alessandra Kustermann, per anni anima del Servizio di soccorso violenza sessuale e domestica (Svsed) del Policlinico di Milano.  

Bugie alla madre, al compagno, ai vicini. Bugie agli investigatori e probabilmente anche a se stessa, quando lava e pulisce la piccola prima di uscire di casa e le lascia quell'unico biberon vicino al lettino da campeggio. «Perché lo hai fatto?» è la domanda macigno. Glielo chiede per primo il compagno, l'elettricista di Leffe, Bergamo, che lei chiama subito dopo che la vicina ha allertato il 118.

E stavolta è solo silenzio, riproposto ai poliziotti, al pm e al giudice davanti allo stesso quesito. Sul compagno gli investigatori non hanno sospetti, perché le versioni concordano. Anche alla madre, la "nonna" che è andata a vivere a Crotone col compagno lasciandola a Milano, erano continue bugie, l'ultima mentre sta rientrando a Milano mercoledì 20: «Sono con Diana». E la sorella non la sente da due mesi, dice di temerne il giudizio. Con entrambe i rapporti erano difficili, «tesi e distaccati, per via del suo stile di vita e del suo carattere» ha riferito la madre.

Il giudice osserva «l'assenza di collegamenti familiari con il territorio, avendo lei interrotto rapporti con la sorella e con la cugina, le uniche parenti che vivono a Milano». Ma anche «sul piano lavorativo ed economico». Perché l'arrestata non lavorava da tre anni. A Leffe si spacciava per una psicologa infantile, a qualcuno in paese ha parlato persino della morte della madre. E sulle prime dice una bugia anche quella mattina al 118 e alla polizia, quando sostiene di aver lasciato la figlia a una baby sitter, Jasmine. 

E che l'ha sentita nei giorni precedenti, dice, ma poi non ha il suo numero. E allora cosa si poteva prevedere o intuire nel comportamento di questa donna, non in cura psichiatrica, non segnalata ai servizi sociali, «irascibile se veniva contraddetta» e dal carattere difficile? Un segnale forse era da intravedere in quella gravidanza tenuta nascosta, che il padre biologico ignorava e mai rivelata nemmeno all'elettricista di Bergamo che confessa di essersene accorto solo quando lei ha partorito sul water di casa sua.  

«Me ne sono accorta anche io alla fine», dirà un po' a tutti. Altra menzogna. Diana non era riempita di affetto materno. «Non giocava mai con lei», dicono i vicini. Forse troppo poco per prevedere questo dramma, anche perché a più di una persona Pifferi era andata a dire di lavorare con i bambini. 

«Difficile fare una diagnosi a distanza ma sembra che questa donna vivesse una realtà scissa - dice David Lazzari, presidente dell'Ordine degli psicologi - Quanto emerso è così macroscopico che chi la conosceva meglio poteva rendersi conto di quanto fosse problematica, anche se spesso si riesce a occultare bene. In questo caso emerge una forte marginalità sociale».

"Mia figlia è un mostro": sui social la frase della madre di Alessia Pifferi che ha lasciato morire la piccola Diana. Redazione Milano su La Repubblica il 25 Luglio 2022.  

La risposta di Maria, la nonna della bambina morta di stenti a Milano, lo ha scritto su Facebook a chi le faceva le condoglianze.

"Mia figlia è un mostro". Maria, la madre di Alessia Pifferi, lo avrebbe scritto sul suo profilo Facebook a chi - amici e parenti, visto che è un profilo chiuso - le faceva le condoglianze. Da mercoledì scorso, da quando ha saputo che sua nipote Diana, diciotto mesi appena, era morta dopo sei giorni sola in casa, senza acqua, senza cibo, nel caldo soffocante dell'appartamento di Ponte Lambro, la donna non ha voluto parlare con nessuno. E' arrivata a Milano, nell'appartamento di via Parea dove sua figlia Alessia viveva con la bambina e dove lei stessa aveva vissuto fino a poco tempo fa, prima di trasferirsi a Crotone con il compagno: nessun contatto con i giornalisti, ma sabato sera - quando nel quartiere hanno improvvisato una piccola fiaccolata per Diana - si è affacciata per pochi minuti alla finestra dell'appartamento che confina con quello di Franco, l'ex marito di Alessia Pifferi. E domenica mattina la donna è scesa in cortile: sul cancello di ingresso da giorni la gente arriva e lascia peluche, fiori, palloncini, biglietti per Diana: la nonna li ha sistemati un po', come fossero nella stanza di una bambina che in diciotto mesi di vita di tenerezza ne ha vista ben poca.

Il rapporto tra Alessia Pifferi e la nonna della piccola Diana, morta di stenti a 18 mesi

Sono fondamentali i racconti che Maria, la madre di Alessia Pifferi, sta facendo in questi giorni agli investigatori che devono ricostruire la breve vita e la morte di Diana. Perché la donna ha vissuto in quella casa nei primi mesi di vita della bambina, e perché forse più di chiunque altro sa chi è sua figlia, nonostante le tante bugie e le omissioni che adesso sembra siano sempre state una costante per la 36enne. Del resto a Leffe, nel paese della Bergamasca dove vive il suo compagno e dove ha trascorso i sei giorni di agonia di Diana, aveva raccontato di essere una psicologa infantile. E al suo stesso compagno, quando era arrivata a casa sua con due trolley pieni di abiti giovedì scorso, aveva detto che Diana era al mare con sua sorella, sorella che esiste realmente e vive poco lontano da via Parea, ma con cui Alessia Pifferi non aveva grandi rapporti.

"Mia figlia è un mostro", insomma, così dice a parenti e amici - lo scrive il quotidiana Il Giorno - la madre Maria. Che ha anche raccontato alla polizia che della gravidanza della figlia sapeva sin dai primi mesi, mentre Alessia Pifferi ha detto alla polizia di aver scoperto di essere incinta soltanto quando, al settimo mese e mezzo, ha partorito la bambina nel bagno dell'appartamento di Leffe, chiamando solo in quel momento il suo compagno che stava lavorando. La relazione con l'uomo si era interrotta, forse proprio per l'enormità di una gravidanza - e di un bambino nato dalla relazione con un altro uomo - tenuta nascosta. E Alessia Pifferi, a quel punto, era tornata nella casa di via Parea, dove c'era anche la madre e vicino al suo ex marito.

I primi mesi di vita della piccola Diana: la vacanza della madre a Montecarlo

Diana era rimasta a lungo in ospedale, il parto prematuro aveva avuto conseguenze sui suoi reni. Alessia Pifferi aveva continuato la sua vita e dopo un paio di mesi c'era stato il riavvicinamento con il compagno di Leffe. Con lui era partita, a un certo punto, per Montecarlo, per una breve vacanza: interrotta dopo solo un giorno, perché Diana era stata male, aveva avuto la febbre molto alta e la nonna l'aveva portata in ospedale, imponendo alla figlia di tornare a Milano. Poi la nonna è partita, si è trasferita a Crotone: e da allora - anche su questo le ammissioni di Alessia Pifferi sono ancora troppo parziali - la donna ha iniziato a lasciare sola la bambina, prima per poche ore, poi per interi giorni, con acqua e biberon nel lettino da campeggio. Le chiedono gli investigatori, increduli: "Ma lei pensava che bastasse un biberon per sfamare sua figlia? Lei sa che conseguenze può avere l'assenza di cibo e di liquidi, specie con alte temperature? Sa che conseguenze può avere un digiuno prolungato in un bimbo di un anno e mezzo?". La risposta è senza una lacrima: "Sì. A parte la disidratazione, la morte".

Andrea Siravo e Monica Serra per “la Stampa” il 22 luglio 2022.

I vestitini rosa della piccola Diana sono ancora appesi davanti alla finestra sul retro. C'è una magliettina, un pantalone, un lenzuolo. Minuti, proprio come lo era lei col suo anno e mezzo, oramai senza vita nel lettino. Addosso neppure il pannolino, che la bimba si era strappata via. Accanto soltanto un biberon vuoto. 

Quando mercoledì mattina sono arrivati i soccorsi del 118 in questo bilocale al primo piano di una casa di corte dai muri bianchi un po' scrostati alla periferia di Milano, nel quartiere Ponte Lambro, l'hanno trovata così. Sembrava quasi una morte in culla. 

La madre, Alessia Pifferi, 36 anni, all'inizio diceva di averla lasciata con la baby sitter, che però si era allontanata e che non riusciva più a trovare. E invece in quella casa di cinquanta metri, piena di oggetti ma col frigo vuoto, una baby sitter non aveva mai messo piede. 

La donna aveva abbandonato la piccola Diana giovedì della settimana scorsa in quella culla con le protezioni alte, un biberon pieno di latte e niente più, per andare a stare una settimana dal compagno, a Leffe, in provincia di Bergamo. E non era la prima volta che lo faceva. Solo che questa volta la bimba è morta. «Di stenti e per mancanza del necessario accudimento» ipotizzano gli investigatori in attesa dell'autopsia. 

Un omicidio volontario premeditato, secondo il pm di turno Francesco De Tommasi che nella notte tra mercoledì e ieri ha firmato il fermo della trentaseienne dopo averla a lungo interrogata.

«Sapeva che così la piccola poteva morire? » , le ha chiesto. E lei, senza mai versare una lacrima, ha risposto solo: «Sì». «E come giustifica quel che ha fatto? » .

Alessia Pifferi non ha aggiunto una parola. 

«Si atteggiava a fare la diva», dicono ora le anziane vicine sedute in cerchio a godere dell'ombra del giardino a pochi passi dalla corte. Qualcuna di loro ha legato al cancello dei palloncini bianchi. C'è scritto: «Diana piccolo angelo». 

«Qui siamo tutti sconvolti», scuote la testa un'anziana. Aggiunge l'altra, in ciabatte e gonna lunga: «Quella bambina era sempre nel passeggino, troppo tranquilla per la sua età, silenziosa, sembrava intontita». E in effetti i poliziotti della Squadra mobile di Milano, diretti da Marco Calì, nella cucina hanno sequestrato una boccetta di benzodiazepine vuota per tre quarti.

La trentaseienne avrebbe detto che non sono sue, che non le ha mai usate, che le ha lasciate lì un suo amico Ma per verificare le sue parole, che spesso si sono contraddette, il medico legale dovrà capire se in qualche modo ha fatto ingerire i farmaci alla piccola per tenerla buona in sua assenza. Anche perché nessuno dei vicini, in questi sette interminabili giorni, ha sentito i pianti di Diana, i suoi lamenti.

«Pensavamo fossero in vacanza», racconta una adolescente che, con la sua numerosa famiglia sinti, vive al piano di sotto. Dice anche che mercoledì mattina, quando Pifferi è tornata a casa e ha chiesto aiuto a una dirimpettaia che ha poi chiamato i soccorsi, l'ha sentita pronunciare queste parole: «Sono una buona mamma, non sono una delinquente». 

La piccola, che porta il suo cognome, non ha mai conosciuto il papà. Pifferi avrebbe scoperto la gravidanza, che non aveva cercato, quando Diana stava per nascere. O almeno così ha raccontato agli investigatori. E lei, con la sua vita disordinata, un matrimonio alle spalle e una relazione nata su Tinder che andava avanti tra alti e bassi, probabilmente questa figlia non l'ha mai accettata.

Disoccupata, orfana di padre, con una sorella che non sentiva da qualche mese, una mamma che abita lontano da qui, viveva da sola con la piccola. In questi sette giorni è anche tornata a Milano, per accompagnare il compagno a sbrigare impegni di lavoro, ma non è passata da casa: «Eravamo stati insieme anche altri weekend - ha spiegato lui -. Mi diceva, ogni volta, che Diana era con la nonna. Oppure con la baby sitter». 

Monica Serra per “la Stampa” il 23 luglio 2022.

«È una persona capace di tutto, che va immediatamente fermata. Priva di scrupoli e capace di commettere qualunque atrocità pur di assecondare i propri bisogni personali, legati alla necessità di intrattenere, a qualunque costo, relazione sentimentali e amorose con gli uomini». 

Proprio le relazioni con gli uomini - se in cambio di soldi si capirà dalle tante chat nel cellulare della donna - sarebbero state il movente dell'omicidio volontario e premeditato della piccola Diana, 18 mesi giovedì prossimo, se non fosse stata abbandonata per sette lunghissimi giorni nel lettino da campeggio in casa con un solo biberon. Lasciata morire «di stenti, a causa del digiuno prolungato e della conseguente mancata assunzione di cibo e liquidi, dato che per la sua tenera età non era ovviamente in grado di sfamarsi da sola». 

Per di più forse anche sedata: «Non si esclude (sono in corso accertamenti) che la vittima, magari attraverso il latte contenuto nel biberon che la madre ha lasciato accanto alla figlia prima di andarsene, abbia ingerito benzodiazepine, visto che in casa è stata rinvenuta un flaconcino di tranquillante, quasi vuoto. Ciò giustificherebbe il fatto che nessuno dei vicini abbia sentito la bimba piangere» in questi sette interminabili giorni. 

È come se, da quel che emerge anche dalle testimonianze, la bimba fosse solo un «peso» per la madre. Un «ostacolo» alla sua libertà. Alla «vita libertina» iniziata quando lei si «è separata dal marito», ricostruisce la nonna della piccola, davanti agli investigatori. Fatta di «diversi uomini dei quali mi parlava quando ci sentivamo al telefono». 

Una vita di frivolezze che preoccupava la nonna di Diana, «perché Alessia non si impegnava neanche a trovare un lavoro per il suo sostentamento», anche se a Leffe, nella Bergamasca, il paese del compagno, si spacciava per psicologa infantile e diceva di lavorare con i bambini. 

Una bugia. Una delle tante che ha raccontato, forse anche a se stessa. Era la madre, invece, ad aiutarla economicamente: «Nell'ultimo periodo era molto cambiata», non le faceva più neanche vedere Diana per videochiamata. «L'8 luglio scorso mi ha inviato la foto di una limousine lussuosa, che la stava andando a prendere. E che lei non si poteva permettere». La madre, arrabbiata, le aveva chiesto spiegazioni: «Lei mi ha risposto che si trattava di un sogno che aveva da tempo».

Anche per questo il pm Francesco De Tommasi, nella richiesta di convalida del fermo inoltrata al giudice Fabrizio Filice, che si pronuncerà dopo aver interrogato Pifferi a San Vittore, ha scritto: «Si tratta di un soggetto incapace di controllare i propri impulsi e con una soglia di valori assai bassa, per ciò solo in grado di porre in essere condotte produttive di effetti deleteri per l'incolumità degli altri, specie dei soggetti più indifesi».

A dirlo al pm, interrogata, è stata Alessia: «Quando ho lasciato mia figlia da sola a casa, non ero tranquilla, sapevo di fare una cosa che non andava fatta, poteva succedere qualsiasi cosa, sia con riferimento al cibo che ad altro. Sarebbe potuta venire fuori dal lettino, sarebbe potuto subentrare qualche malore. Ho pensato che sarebbe potuto succedere anche quello che poi è successo».  

Davanti alla domanda secca del pm: «Ma lei pensava che bastasse un biberon per sfamare sua figlia? Sa che conseguenze può avere un digiuno prolungato in un bambino di un anno e mezzo?», lei ha risposto: «Si. A parte la disidratazione, la morte». Peraltro non era la prima volta che lo faceva. Che andava via da casa abbandonando sua figlia. 

Quando andava a stare dal compagno bergamasco, a lui diceva che la piccola era a casa con la nonna. O «al mare con la sorella» come aveva raccontato questa volta all'uomo, rimasto impietrito davanti a quel che successo. All'ultima telefonata in cui Alessia Pifferi, appena rientrata mercoledì, gli ha detto che Diana era morta, che l'aveva lasciata sola. «Perché non l'hai portata a stare qui con noi?» , le avrebbe chiesto lui arrabbiato. 

Alla madre invece non ha detto nulla. L'unico messaggio che Pifferi le ha mandato presto quella mattina è stato: «Tutto bene, ieri ho tribolato con Diana ma nulla di grave. Stai tranquilla». «Sei da lui?» , la risposta, intendendo il compagno. «Si. Oggi rientriamo. A dopo». Diana era nata a Leffe, nel bagno della casa del compagno. Ma non era figlia sua. E non è neanche vero che - come Pifferi ha dichiarato davanti al pm, e ai poliziotti della Squadra mobile diretti da Marco Calì - lei non sapesse di essere incinta. 

L'ha smentita sua madre: «Nel maggio 2020 Alessia mi ha detto al telefono di essere in attesa di un bambino, di essere al terzo mese di gravidanza. In quel periodo conviveva col compagno in provincia di Bergamo, ma a dire di mia figlia non era lui il padre». L'identità di quest' uomo non l'ha mai rivelata neppure alla madre: «Alessia ha un carattere autoritario e non accetta consigli. Ha sempre voluto fare le cose a modo suo».

Andrea Siravo per “La Stampa” il 27 luglio 2022.

La piccola Diana è morta sola, nel suo lettino da campeggio, chiusa al caldo in casa per quasi una settimana. È questa l'unica certezza che finora hanno gli inquirenti. Neanche i primi esami svolti nell'ambito dell'autopsia eseguita ieri all'istituto di Medicina Legale di Milano hanno chiarito il quando e il come del decesso. 

È morta probabilmente di stenti, di fame e sete. Tramontata l'ipotesi di una morte violenta. Uno scenario, in realtà, mai preso in considerazione da chi indaga, ma fatto accertare con esami radiologici per non lasciare nulla al caso. Al momento, però, «non è emersa alcuna causa evidente sulla morte», si sono limitati a dire i consulenti medici nominati dalla procura.

Una valutazione sospesa in attesa di ricevere gli esiti delle analisi del sangue e sui tessuti della bimba alla ricerca di altri elementi. Tra questi, eventuali tracce di delorazepam. Il principio attivo della famiglia delle benzodiazepine alla base dello psicofarmaco En, di cui è stato trovato nella cucina del bilocale di via Parea un flaconcino per tre quarti vuoto. 

Una prima relazione preliminare del collegio, presieduto dal professore Andrea Gentilomo, è attesa entro metà agosto sulla scrivania del pm Francesco De Tommasi. Decisivi poi per chiarire i punti d'ombra sulla morte della bimba, che avrebbe compiuto un anno e mezzo il prossimo giovedì, anche gli accertamenti della Polizia scientifica che partiranno nei prossimi giorni sul velo di latte contenuto nel biberon trovato fuori dalla culla di Diana.

L'unica fonte di sostentamento che la madre Alessia Pifferi aveva lasciato. Il sospetto degli investigatori della Squadra mobile, guidati dal dirigente Marco Calì, è che con questo inganno abbia fatto assumere l'ansiolitico alla figlia. Per stordirla ed evitare che piangesse quando l'ha abbandonata alle 18. 55 di giovedì 14 luglio per andare a trovare il compagno a Leffe, in provincia di Bergamo.

Una ricostruzione negata con forza da Alessia. «Non ho mai assunto tranquillanti e tantomeno li ho dati a mia figlia», ha sostenuto. «Le avevo dato delle goccine di Tachipirina sia mercoledì che giovedì» perché «particolarmente capricciosa», forse per il caldo o per i dentini. Nella casa di Ponte Lambro, però, non sono state trovate boccette di paracetamolo. 

La trentaseienne che negli interrogatori con gli inquirenti e il gip è apparsa lucida, distaccata e non ha mai versato una lacrima, nel carcere cittadino di San Vittore è apparsa «frastornata». 

Così l'ha descritta chi l'ha potuta incontrare nel luogo in cui è rinchiusa in regime di sorveglianza rafforzata. Una doppia "protezione": da sé stessa per possibili gesti autolesionistici e dalle ritorsioni di altre detenute per la legge non scritta del carcere che non prevede pietà per chi è accusato di aver fatto male ai bambini. Rabbia e sgomento non solo dietro le sbarre, ma anche tra la gente comune.

«Non dormo la notte, mi auguro un ergastolo senza sconti», ha scritto la mamma di un bimbo di 13 mesi in una delle email inviate in procura. Per evitarle l'ergastolo, pena che Alessia rischia di vedersi infliggere a processo, si sono mossi i suoi nuovi difensori che ieri hanno sostituito l'avvocato d'ufficio. 

I penalisti Luca D'Auria e Solange Marchignoli puntano a giocarsi la carta dell'infermità mentale. Con una consulenza tecnica «neuro-scientifica e psichiatrica» che sarà svolta dai professori Giuseppe Sartori, ordinario di Neuropsicologia forense e Neuroscienze cognitive all'Università di Padova, e a Pietro Pietrini, ordinario di Biochimica Clinica all'Università di Pisa.

Professionisti che si sono già occupati di casi mediatici, dalla strage di Erba alla più recente consulenza sull'imprenditore del web Alberto Genovese. In settimana dovrebbero essere celebrati i funerali della piccola. Il Comune di Milano si è offerto di pagarne le spese. All'ultimo saluto cercherà di essere presente anche il sindaco Beppe Sala. 

Le gocce, i pannolini sporchi e il biberon: così è morta la piccola Diana. Rosa Scognamiglio il 22 Luglio 2022 su Il Giornale.

L'accusa nei confronti di Alessia Pifferi, la mamma della bimba di 18 mesi trovata morta in casa, è di omicidio volontario. Gli inquirenti ipotizzano che la piccola Diana sia stata sedata

Quando mercoledì 14 luglio Alessia Pifferi, la mamma della bimba di 18 mesi trovata senza vita in casa, è scesa in strada per chiedere aiuto si è giustificata con i vicini: "Non sono una cattiva madre". Ma la piccola Diana, nata il 29 gennaio di un anno fa, giaceva esanime nella sua culletta: morta di disidratazione e stenti. Accanto al corpicino c'era un biberon vuoto e un pannolino sporco. Poi un altro sul davanzale, pieno di vermi. In cucina, gli investigatori hanno trovato anche un flacone di "En", un farmaco contenente benzodiazepine, vuoto per tre quarti. Gli inquirenti ipotizzano che la bimba possa essere stata sedata, motivo per cui alla 36enne è stato contestato il reato di omicidio volontario con l'aggravante della premeditazione e dei futili motivi. Ora si trova reclusa nel carcere di San Vittore.

I fatti

Mercoledì mattina, pressappoco alle ore 11.30, Alessia Pifferi torna nell'appartamentino di via Parea, nel quartiere di Ponte Lambro, alla periferia di Milano, e trova la figlia morta. "Ho visto che non si muoveva - ha spiegato durante l'interrogatorio - Le ho dato una pacchetta sulla schiena, poi l'ho messa nel lavandino per bagnarla ma ho visto che non si riprendeva". A quel punto, ricostruisce il Corriere della Sera nell'articolo a firma di Pierpaolo Lio, la 36enne chiede aiuto a una vicina, allerta il 118 e poi si precipita in cortile. Sul posto, oltre all'ambulanza, intervengono gli agenti della squadra Mobile, diretta da Marco Calì, e la donna viene accompagnata in Questura.

L'interrogatorio

Davanti al Pm Francesco De Tommasi, la giovane donna ha raccontato di una vita allo sbando tra relazioni con uomini conosciuti su Tinder e il nuovo compagno che vive a Leffe, in provincia di Bergamo. È stata con lui nei sei giorni in cui la piccola Diana è rimasta da sola in casa morendo di fame e sete. Sentito dagli inquirenti, l'uomo ha in parte confermato la versione fornita dalla 36enne anche se ha precisato che, il lunedì antecedente alla tragedia, sarebbe stato a Milano per lavoro e la fidanzata non gli avrebbe chiesto di passare da casa. "A lui (il compagno ndr) ho detto che Diana era al sicuro, accudita da mia sorella. Non volevo essere giudicata", ha spiegato Alessia al pm ammettendo, altresì, di lasciare spesso la figlioletta da sola in casa. Lo ha fatto, per la prima volta, quattro settimane fa per andare dal compagno con un'amica: "Sono stata via solo per qualche ora. E poi l'ho lasciata con due bottigliette e altrettanti biberon", ha assicurato. Ma per gli inquirenti qualcosa non torna nel racconto.

L'ipotesi

Forse Diana è stata "sedata". Nel tinello del bilocale dove la 36enne viveva assieme alla figlioletta, gli investigatori hanno trovato una boccetta semivuota di benzodiazepine: "Me le aveva date una persona che ho conosciuto", ha spiegato Alessia. La donna ha negato di aver mai somministrato il farmaco alla bimba: "Le ho dato qualche goccia di tachipirina perché ho pensato che le facessero male i dentini, sbavava". Ma nell'appartamento non c'era traccia di alcun antipiretico. Durante l'interrogatorio il pm ha domandato alla giovane mamma se avesse mai considerato i rischi e le conseguenze di lasciare la piccola da sola in casa. "Sì ma non la disidratazione e la morte. Quando sono andata via non era tranquilla. - ha ammesso - Sapevo che stavo facendo qualcosa che non andava fatto, che poteva succedere di tutto. Anche quello che poi è successo".

"Temevo per mia figlia, ma il mio compagno era più importante": Alessia Pifferi resta in carcere. Rosa Scognamiglio il 23 Luglio 2022 su Il Giornale.

Il gip ha convalidato il fermo della 36enne escludendo l'aggravante della premeditazione dall'accusa di omicidio volontario. La difesa della donna: "Sognavo un futuro con il mio compagno"

Alessia Pifferi, la mamma della bimba di 18 mesi trovata morta in un bilocale alla periferia est di Milano, resta in carcere. Lo ha deciso il giudice Fabrizio Filice che, questa mattina, ha disposto la misura cautelare per la 36enne, già reclusa da giovedì pomeriggio nella casa circondariale di San Vittore. Per il gip la piccola Diana "era la persona in assoluto più vulnerabile con la quale Alessia Pifferi si trovasse in relazione, e alla quale era, come in effetti è stato, facilissimo fare del male".

L'ordinanza del gip

Non ci sono dubbi di alcuna sorta sulle responsabilità della giovane mamma accusata di aver fatto morire la figlioletta lasciandola senza cibo né accudimento per una settimana. Il giudice per le indagini preliminari è stato chiaro al riguardo: "Alessia Pifferi ha avuto una condotta dall'impatto intrinsecamente ed estremamente violento, anche se non in forma commissiva" nei confronti della bimba di quasi un anno e mezzo. Nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere il gip ha precisato altresì che la 36enne non si è limitata a prevedere e accettare "il rischio" che la piccola morisse ma, "pur non perseguendolo come suo scopo finale, alternativamente" lo ha voluto. La donna, sintetizza infine il magistrato nel testo dell'ordinanza, avrebbe potuto chiedere aiuto alla sorella ma non lo ha fatto per "paura" ed "orgoglio" seppur "sua sorella avrebbe potuto in qualsiasi momento andare nel suo appartamento a soccorrere la figlia".

Le gocce, i pannolini sporchi e il biberon: così è morta la piccola Diana

"Forma di dipendenza psicologica"

Alessia Pifferi è accusata di omicidio volontario (nella forma omissiva) per futili motivi. Il giudice ha escluso dunque l'aggravante della premeditazione contestata dalla procura. Quanto alla relazione col fidanzato, il gip precisa che la giovane mamma aveva una "forma di dipendenza psicologica dall'attuale compagno, che l'ha indotta ad anteporre la possibilità di mantenere una relazione con lui anche a costo dell'inflizione di enormi sofferenze" alla bimba. La 36enne, secondo il magistrato, è "incline alla mistificazione e alla strumentalizzazione degli affetti" non mostrando "alcun rispetto per la vita umana".

La difesa di Alessia Pifferi

"Contavo sulla possibilità di avere un futuro col mio compagno - si è difesa la Alessia - E infatti era proprio quello che in quei giorni stavo cercando di capire: è per questo che ho ritenuto cruciale non interrompere quei giorni in cui ero con lui anche quando ho avuto paura che la bambina potesse stare molto male o morire". Stando a quanto scrive il Corriere.it, nel corso dell'interrogatorio di ieri la donna avrebbe raccontato anche di una non meglio precisata "discussione" col compagno. In quella circostanza "lui (il fidanzato ndr) ha detto che mi avrebbe riaccompagnata a casa. - ha spiegato la36enne - Poi però ho visto che mi prendeva la mano e che si dirigeva verso Leffe (vicino a Bergamo, dove l’uomo vive, ndr), lì ho capito che saremmo tornati a casa sua e non ho detto niente". A questo punto "io avevo paura che la bambina potesse morire, ma dall’altra avevo anche paura sia della reazione, del giudizio negativo di mia sorella, sia della reazione del mio compagno. Se ora ci ripenso la mia percezione è che quelle due paure avessero pari forza senza che una prevalesse sull’altra". La donna ha raccontato che, da domenica sera, aveva il timore che alla piccola potesse accadere qualcosa: "Ho cominciato ad avere concretamente paura che la bambina morisse, ma comunque mi auguravo che non succedesse. Questo augurio nella mia mente un po’ era una specie di speranza, un po’ era il pensiero che magari le cose che le avevo lasciato le bastassero".

"Diana è stata giustiziata senza sporcarsi le mani". Cos'ha portato alla morte Diana lasciata da sola per una settimana dalla madre? La criminologa: "Emergono i tratti di una personalità egocentrica e incline alla menzogna". Angela Leucci il 29 Luglio 2022 su Il Giornale.

Luglio 2022, Milano: una bambina muore di stenti. Alla base però non c’è una tragedia della povertà. Diana, 16 mesi, è rimasta per un’intera settimana da sola, senza acqua e viveri sufficienti, una boccetta di benzodiazepine nella sua culla da campeggio: è questo lo scenario che il giornalismo può descrivere con continenza, rispondendo alla logica dell’essenzialità dell’informazione. Ma ogni lettore d’Italia probabilmente ha un’immagine precisa in mente, anche senza aver mai visto il volto di quella bimba.

Non doveva andare a finire così, ma è accaduto. La madre, Alessia Pifferi, è ora in carcere per omicidio. Dalla sua confessione sono emersi diversi dettagli: l’aver ignorato di essere incinta, le bugie raccontate nel tempo alle persone - che la bambina si trovasse insieme a qualcuno, la babysitter o la zia, quando la lasciava sola, il fatto di essere una psicologa infantile -, il fatto che nessuno abbia sentito la piccola piangere.

Quello delle madri assassine è una sorta di tema ricorrente nella cronaca di questi anni. Ma la storia di Diana è molto diversa da quella di Elena Del Pozzo, di Lorys Stival, di Samuele Lorenzi. “È stata giustiziata senza sporcarsi le mani”, spiega a ilGiornale.it Anna Vagli, criminologa investigativa ed esperta in scienze forensi.

Dottoressa Vagli, come possiamo inquadrare, per ipotesi, il caso di Alessia Pifferi alla luce dei dettagli emersi? Esistono in letteratura casi simili a questi, di abbandono e morte di un minore da parte di un genitore?

“Sì, la letteratura riporta evenienze simili. Accade nei casi, come quello della piccola Diana, nei quali la madre trascura deliberatamente un figlio perché non è capace di adempiere adeguatamente alla funzione materna (il cosiddetto coping maternal). Alessia Pifferi rientra nella categoria di quelle donne che non hanno mai voluto la gravidanza e che addebitano al figlio, o la figlia come in questo caso, la colpa di averle costrette a vivere in ambienti e scenari non graditi e considerati limitanti. E lo confermano le sue affermazioni”.

Cioè?

“La donna ha dichiarato agli inquirenti di aver lasciato Diana da sola almeno un fine settimana di giugno e tutti di quelli di luglio. Aveva persino negato al compagno la gravidanza. Quella figlia proprio rappresentava un ostacolo. E lei ha fatto di tutto per rimuoverlo mettendo in conto anche che potesse fare una fine atroce. Che poi ha fatto. Emergono i tratti di una personalità egocentrica e incline alla menzogna. E il fatto di raccontare di essere una psicologa infantile serviva ad Alessia ad acquisire una sorta di etichetta sociale: era un modo per darsi un tono alludendo a delle competenze e capacità, come quelle genitoriali e di relazione con i bambini, che era consapevole di non avere”. 

Crede che potrebbe essere disposta una perizia psichiatrica sulla donna, che ha confessato?

“Certo, è quasi una prassi in questi casi che i difensori chiedano la perizia psichiatrica anche – e forse a maggior ragione – quando c’è la confessione. Oltre agli scontati benefici in termini di pena, la richiesta di una simile perizia assolve anche a una funziona sociale”.

Ovvero?

“Mi spiego. Razionalmente è difficile spiegare che una madre possa uccidere un figlio. Per questo è in primis la collettività a spingersi nella ricerca di una presunta follia della madre assassina. Non è però una richiesta scontata come mostra la vicenda di Martina Patti che ha ucciso sua figlia Elena Del Pozzo. Al momento, i suoi legali hanno preferito non chiederla forse perché lo scenario clinico che emergerebbe potrebbe essere addirittura peggiore”.

Perché l’autopsia e gli esami sulla piccola Diana potrebbero essere tanto decisivi?

“Sarà dirimente per capire le cause del decesso. Il nodo cruciale sarà capire se Alessia ha somministrato a Diana sostanze come le benzodiazepine trovate all’interno dell’abitazione, con lo scopo di stordirla e non farla piangere. Il che renderebbe lo scenario ancor più agghiacciante”.

C’è chi sceglie deliberatamente di uccidere un figlio “senza sporcarsi le mani”, come scrive in un suo articolo, o la storia di Diana è ascrivibile a un’altra casistica?

“Diana purtroppo è stata giustiziata senza sporcarsi le mani. Uccisa passivamente perché Alessia Pifferi l’ha fatta morire di stenti dopo averla abbandonata con coscienza. L’ha lasciata consapevolmente in balia del suo tragico destino. Peraltro è lei stessa ad averlo ammesso durante la convalida del fermo. ‘Sapevo che sarebbe potuto accadere’, ha dichiarato”.

"Temevo per mia figlia, ma il mio compagno era più importante": Alessia Pifferi resta in carcere

Cosa l’ha colpita?

“Anche se abitualmente mi interfaccio con lucidi scenari criminali, mi ha profondamente colpita la noncuranza e la normalizzazione della presa di coscienza di Alessia rispetto alla morte della figlia. Davanti ai magistrati non ha mostrato alcun segnale di disperazione, pentimento o dolore per aver perso la figlia. Una maternità mostruosa che porta con sé una inaccettabile considerazione: la donna non aveva mai voluto Diana ed è altamente probabile che si senta sollevata ora che non c’è più. È umanamente difficile da comprendere, ma la cronaca nera degli ultimi tempi ci mette di fronte a scenari che dobbiamo imparare a digerire per contrastarli”.

Negli ultimi anni, accanto agli infanticidi commessi dai padri, spuntano diversi casi di infanticidi compiuti dalle madri. Perché questi delitti compiuti dalle madri colpiscono così tanto l’immaginario?

“Negli ultimi vent’anni la società ha dovuto imparare a fare i conti con una terribile consapevolezza: le madri possono uccidere i loro figli. Ed è una consapevolezza che lascia sgomenti perché è innaturale che una madre tolga la vita a un figlio o a una figlia dopo avergliela donata. Bisogna fare però una precisazione”.

Quale?

“Dal punto di vista criminologico, si utilizza il termine figlicidio per indicare l’omicidio di un figlio, di età superiore a un anno, da parte di uno dei genitori. Ma nel Codice Penale italiano non esiste questa categoria. Difatti quest’ultimo distingue esclusivamente tra infanticidio e omicidio. Il reato di infanticidio, di cui all’articolo 578 del Codice Penale, punisce la procurata morte di un neonato subito dopo il parto e comunque non oltre l’anno di età. Questa è la ragione per la quale, anche nei confronti di Alessia, si procede per il reato di omicidio pluriaggravato. Perdoni la dovuta precisazione, ma sono anche giurista di formazione”.

Lei ha scritto di aspettative sociali nei confronti delle madri. Esiste un modo per prevenire questo tipo di crimini?

“Purtroppo viviamo in una società dove da millenni è radicato lo stereotipo per il quale le donne sono biologicamente predisposte all’annullamento della propria persona in favore del figlio che hanno messo al mondo. La realtà delle cose è molto diversa perché l’esperienza della maternità spesso genera ansia invasiva. Ansia che se non curata può sfociare in episodi omicidiari. È difficile prevenire, proprio per le convenzioni sociali di cui parlo”.

Perché?

“Lo è perché le madri si circondano di una sorta di impermeabilità emotiva: devono apparire a tutti i costi buone madri, sia nel quotidiano che su Instagram. Di conseguenza diventa complicato – in una società come la nostra – offrire aiuto a chi non lo chiede. Di strutture che si occupano di aiutare giovani madri in difficoltà ce ne sono tantissime sul nostro territorio. Ma se una persona non si mostra bisognosa e non chiede aiuto, diventa impossibile. Sarebbe utile, invece, portare all’attenzione mediatica i casi gestiti in maniera efficace dai servizi sul territorio. Un buon inizio che potrebbe indurre le madri in difficoltà ad abbattere il muro sociale dello stereotipo”.

Il sistema della giustizia italiana si basa sulla riabilitazione di chi commette un crimine. In questi casi la riabilitazione può avere un reale effetto?

“Pur con le difficoltà connesse alla generalizzazione rispetto a una risposta in merito, le dico questo. Accantonate le ipotesi psichiatriche, la possibilità di rieducazione è soggettiva e dipende anche molto dal tipo di istituto penitenziario nel quale si capita. Nelle carceri italiane siamo lontani anni luce da percorsi rieducativi efficienti e che possano definirsi tali. Frequento case di reclusione abitualmente e le parlo per esperienza. La realtà è drammatica e non conforme a quella europea”.

Provo pena per questa bambina e anche per questa mamma. Alessia Piffari e la morte di Diana, Sansonetti: “Basta con i pm confessori, tutti chiedono ergastolo ma è una donna che va curata”. Redazione su Il Riformista il 26 Luglio 2022. 

Per la rubrica Fatela Finita su Riformista Tv con il direttore de Il Riformista Piero Sansonetti, Hoara Borselli approfondisce sul caso di cronaca che ha visto coinvolte una madre Alessia Piffari e la piccola Diana.

“La donna – racconta Borselli – avrebbe lasciato la piccola Diana da sola, morta poi di stenti. L’opinione pubblica in genere si spacca. Qual è il sentimento dominante? Come può una madre, che per definizione tende a dover protegger il proprio figlio, arrivare a fare ciò? La donna ha detto allo stesso Pm di avere l’esigenza di stare una settimana col compagno. Sono andati per sagre. E poi anche a Milano, dove non ha neanche pensato di andare a trovare la figlia. Era consapevole che sarebbe morta”.

Prosegue Borselli sul comportamento della donna: “Il primo commento è che non sia capace di intendere e di volere. Non è normale che una donna lucida possa fare una cosa del genere”.

Se ci si sia il rischio che l’imputazione di tali gesti alla follia sia motivo troppo spesso di giustificazione, il direttore Sansonetti: “Credo che su queste vicende ci vorrebbe una grande sobrietà anche da parte della stampa. Non silenzio ma neanche la voglia di attirare lettori o ascoltatori. Questa è una storia molto difficile da capire. Come si fa a capire una mamma che lascia una settimana il proprio figlio di un anno e mezzo solo con un biberon e due goccine di calmante?”.

A proposito della dichiarazione del pm: “Sono rimasto francamente molto colpito. Ma i pm devono fare dichiarazioni in questo caso? Perché non indagano? Cosa vuol dire un pm che sta indagando su un delitto così terribile che dice ‘quella donna era senza scrupoli. Può essere capace delle più feroci atrocità’. Ma chi sei il confessore? Il suo compito è soltanto indagare”.

Risponde Borselli: “E’ giusto che il pm svolga il proprio lavoro. Tuttavia, non appena ha ascoltato le dichiarazioni della donna, ha evidenziato la lucidità nelle dichiarazioni della madre. ‘Sapevo benissimo quale rischio avrebbe corso mia figlia però per me era più importante preservare quel rapporto’. Probabilmente ha ravveduto una certa volontà nella donna”.

Sansonetti: “Il pm dovrebbe occuparsi delle indagini e non delle dichiarazioni della stampa. Dopodiché io sono convinto che una mamma che uccide o lascia morire in questo modo il proprio bambino ha dei gravissimi problemi psichiatrici. Non si tratta di indagare su un delitto misterioso. Questo è un delitto evidentissimo. Non c’è molto da scoprire su come sono andate le cose. Proprio le dichiarazioni della madre che tiene più a stare col compagno che alla vita del bambino dimostra che ci sono dei problemi psichiatrici”.

Borselli ritorna sul periodo della gravidanza nascosta da parte della donna. “Fin dall’inizio – spiega Borselli – non ha accettato la presenza di questa bimba. Ha nascosto la gravidanza. Di solito una mamma ne è sempre fiera, orgogliosa. Esibisce la propria pancia, raccontandolo come un miracolo meraviglioso. L’ha nascosta anche a questa sorta di compagno, partorendo nel bagno. Si dice che si sia inventata anche il battesimo per ricevere dei regali. C’è una proprio una tendenza da parte della donna a considerare la bimba un elemento di disturbo, di cui doversi liberare”.

“Si dice – racconta – non sia stata neanche la prima volta ad aver lasciato la bambina da sola, anche un paio di giorni. Evidentemente era un comportamento reiterato, non un raptus determinato dalla follia”.

Sansonetti: “Non credo fosse un raptus. Credo piuttosto sia una donna disturbata psichicamente da molto tempo. Tutti i suoi atteggiamenti dimostrano questo. Da come ha gestito la gravidanza. Quello che mi stupisce è che nessuno se ne fosse accorto”.

Perché appunto nessuno se ne sia accorto, partendo dalla nonna. Borselli: “Dice che la figlia è un morso. Ma ci viene da chiedere quale rete avesse questa donna da arrivare a trascorrere una settimana col compagno lasciando la figlia a qualche caro o vicino. Sembra la storia di una persona totalmente isolata. Perché a nessuno è venuto in mente di chiamare i servizi sociali?”

Sansonetti: “Come questo può accadere in una società così comunicativa come la nostra, nella quale si riesce a sapere tutto? Nessuno si è accorto che questa persona aveva dei problemi psichiatrici gravissimi”. Sul dopo, prosegue Sansonetti: “Si dovrebbe discutere adesso su cosa si fa in questi casi. Se l’ergastolo o la cura, o ancora l’ospedale psichiatrico. Su questo l’opinione pubblica si divide subito. Credo che ci sia questo riflesso condizionato dell’opinione pubblica che quando vede un delitto particolarmente efferato si esalta anche perché dice ‘io non sono così’.

Borselli: “Davanti a episodi del genere, da madre e con tutto il garantismo che posso mettere in campo l’idea di una bambina di 18 mesi lasciata in casa, morta di fame e di sete, l’istinto è quello di dare giustizia a questa bimba. Questa donna deve pagare in qualche modo”.

Conclude Sansonetti: “Provo pena per questa bambina e anche per questa mamma”.

Diana Pifferi, i dubbi dopo l’autopsia sulla bimba morta abbandonata in casa: analisi sul biberon. Redazione su Il Riformista il 26 Luglio 2022. 

Restano ancora molti i misteri e i punti da chiarire sulla morte della piccola Diana Pifferi, la bimba di 18 mesi trovata senza vita mercoledì 20 luglio nell’abitazione della madre Alessia a Milano in via Parea, lì dove la donna l’aveva abbandonata per sei giorni così da poter raggiungere il compagno a Leffe, in provincia di Bergamo.

Dai primi esiti dell’autopsia non è emersa alcuna causa evidente della morte: saranno decisivi dunque gli ulteriori accertamenti che ha già disposto la Procura e che sono attesi nelle prossime settimane, in particolare per chiarire se la bambina sia stata sedata dalla madre con un ansiolitico. 

I primi accertamenti avevano rilevato come Diana fosse morta di stenti almeno 24 ore prima del ritrovamento del cadavere, non avendo cibo o acqua per poter sopravvivere sei giorni, peraltro in assenza di un adulto. 

Una questione dirimente, quella dell’eventuale traccia di benzodiazepine nel latte del biberon, sequestrato e sottoposto ad analisi dalla Polizia scientifica. Nel caso fosse accerta la presenza, all’accusa di omicidio volontario per la 37enne Alessia Pifferi potrebbe aggiungersi l’aggravante della premeditazione. 

In ogni caso quello che filtra dalla Procura è che il quadro probatorio è talmente solido che nei prossimi mesi si potrebbe arrivare a una richiesta di processo con rito immediato per omicidio volontario pluriaggravato a carico della donna: le accuse contestate possono portare alla pena dell’ergastolo.

Intanto emergono dettagli sulle condizioni di Alessia Pifferi, che è reclusa in carcere da giovedì scorso. A riferirli è l’Ansa, che spiega come la 37enne sia apparsa “frastornata, a tratti piange e a tratti non si rende conto della situazione”. Pifferi è rinchiusa in isolamento e sotto sorveglianza speciale, per impedire gesti di autolesionismo e possibili ‘vendette’ da parte di altri detenuti.

Da blitzquotidiano.it il 25 luglio 2022.

  Ha preso i due figli di 2 e 4 anni, ha raggiunto un anfiteatro naturale roccioso e si è gettata con loro nel dirupo. Sono tutti morti. Tutto è avvenuto a Creux du Van, nel cantone svizzero di Neuchatel. 

Il ritrovamento dei corpi

L’allarme è stato lanciato nella giornata di ieri, domenica 24 luglio, quando il corpo della donna, una 37enne, è stato notato da un escursionista nella Val de Travers. 

Poco dopo i soccorritori hanno trovato anche i cadaveri dei due bambini. Gli investigatori, almeno per ora, stanno lavorando sulla pista del possibile suicidio. La donna, la cui identità non è stata ancora resa nota, potrebbe aver raggiunto di proposito il luogo per poi decidere di lanciarsi nel vuoto con i figli. 

 L'incontro con gli avvocati. Alessia Pifferi “sotto shock, vuole andare al funerale di Diana”: le parole dal carcere della donna accusata di aver ucciso la figlia di stenti. Redazione su Il Riformista il 28 Luglio 2022. 

Alessia Pifferi “è sotto choc, spaesata e passiva come se navigasse su una bolla d’acqua”. A parlare sono gli avvocati della 36enne accusata dell’omicidio della figlia Diana, la bambina di soli 18 mesi abbandonata nell’appartamento di via Parea a Milano per sei giorni, così da poter raggiungere il compagno nella bergamasca, e morta probabilmente di stenti.

I legali hanno fatto il punto della situazione uscendo dal carcere di San Vittore in cui la donna è reclusa, sotto regime di sorveglianza speciale per evitare gesti autolesionistici o possibile ‘vendette’ in cella. Nemmeno Solange Marchignoli e Luca D’Auria, i due legali ai quali la donna si è affidata in vista del processo, per ora riescono però ad entrare in quello che appare come il buco nero dei ricordi di quei sei giorni. “Ti guarda, ma non ti vede”, hanno detto i due legali uscendo dal colloquio.

La 36enne è apparsa agli occhi dell’avvocato Solange Marchignoli “confusa, smarita e non riesce a spiegarsi né a spiegare quello che è successo”. “Ci ha chiesto di poter andare al funerale della figlia – aggiunge il legale – non rendendosi conto che non potrà partecipare“. Il pm Francesco De Tommasi, infatti, ha disposto il dissequestro della salma della bambina, dopo l’autopsia eseguita ieri e le esequie avverranno nei prossimi giorni.

“Diana era un peso, un ostacolo alla mia libertà”: Alessia Pifferi, la madre della bimba abbandonata per 6 giorni e morta

Una donna che all’avvocato “non è apparsa lucida”. Anche per questo i due legali hanno chiesto una consulenza “neuroscientifica e psichiatrica” sulla donna, affidando l’incarico ai professori Giuseppe Sartori, ordinario di Neuropsicologia Forense e Neuroscienze Cognitive all’Università di Padova, e a Pietro Pietrini, ordinario di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica all’Università di Pisa. Perizia non richiesta invece dalla Procura, ai magistrati Pifferi era apparsa infatti una donna lucida, “una persona priva di scrupoli e capace di commettere qualunque atrocità pur di assecondare i propri bisogni personali legati alla necessità di intrattenere, a qualunque costo, relazioni sentimentali e amorose con gli uomini”.

Ai suoi avvocati Alessia Pifferi ha inoltre ribadito di non aver “mai mai preso le gocce di tranquillante e di averle mai fatte prendere alla figlia”, chiarisce Marchignoli. “Il flaconcino è stato trovato sopra il microonde in cucina, dove la bambina non poteva in ogni caso arrivare da sola”, spiega l’avvocato. Parlando con i suoi legali ha anche aggiunto di aver “praticato il massaggio cardiaco alla figlia” e di aver fatto il possibile per tentare di rianimarla. Ai legali ha chiesto anche “un fiocco per capelli“.

I due legali hanno fatto sapere che nomineranno un consulente sia per valutare gli esiti dell’autopsia sia per gli accertamenti irripetibili, in programma il primo agosto, sul flacone di En, sul beccuccio del biberon e sul latte rimasto dentro, sugli indumenti della bimba e su un asciugamano blu sequestrati. Uno dei punti nodali da verificare è l’ipotesi che la piccina possa essere stata stordita con l’ansiolitico.

Dagospia il 29 luglio 2022. Da “TeleLombardia”  

Avvocato Marchignoli, come le è venuto in mente di accettare la difesa di Alessia Pifferi?

«Io faccio l'avvocato penalista quindi difendo una persona che commette un omicidio, come difendo una persona che è al 41Bis. Per me è la stessa cosa, l'emotività è una cosa che non mi puo' appartenere» 

Quando ha letto le carte che cosa ha pensato?

«Non mi torna qualcosa, sono subito andata a trovarla in carcere perché ho detto: non è possibile. Sono mamma anche io e facevo fatica a comprendere come fosse possibile lasciare una bambina a casa per tanti giorni e non rendersi conto di quanto potesse essere grave. 

L'ho incontrata e apparentemente è in una bolla. Non ha la struttura intellettuale per comprendere. Io le parlo, lei mi guarda ma non mi vede e non credo sia una questione di shock. Credo sia per una questione di struttura intellettuale. Per questa ragione noi abbiamo chiesto l'aiuto del prof. Sartori. Appena ci siamo incontrate mi ha sorriso, era felice di conoscermi perché sono una donna e perché in qualche modo si sente più a suo agio. Non la conoscevo, mi è arrivata la sua nomina attraverso una mail del carcere.

Alessia Pifferi è di pochissime parole, mi sono seduta di fronte alla mia assistita e le ho chiesto come stesse. Mi ha detto che non sta bene e che le manca la sua bambina. Ha contezza che sua figlia non c'è più ma me lo racconta come se fosse una storia. Questa cosa mi ha colpito. Mi ha chiesto di andare ai funerali, le ho spiegato della situazione che c'è fuori: l'opinione pubblica, la TV, i giornalisti. Le ho spiegato che non può». 

Di questa bambina cosa le ha detto?

«Nulla, ho trovato una persona assente.. Capisce di essere in carcere ma non capisce il disvalore di quello che ha fatto». 

Capisce di aver lasciato morire la figlia?

«Lei lo sa, io però non ho percepito una persona che guardandomi negli occhi fosse consapevole della gravità del fatto. Ha contezza che la bambina non c'è più. Mi ha chiesto il significato di ergastolo. Continua a ripetere sempre le stesse cose. Ovvero che le manca la sua bambina e che non riesce a dormire di notte. Le ho chiesto se aveva somministrato le gocce di En trovate in casa a sua figlia. Mi ha risposto che non ha mai dato queste gocce alla bambina. Dice che non sono sue ma di un ex fidanzato. Le ho spiegato che ci sarà una perizia». 

La strada è la perizia psichiatrica?

«No, la linea difensiva è un'area cosa. Lavorerò sui documenti faremo le perizie. Abbiamo incaricato il prof. Sartori, neuroscienziato. Cercheremo di capire se ci sono delle "lesioni". La signora è in solitudine in carcere e in qualche modo sta elaborando ed è in difficoltà. Ora aspettiamo di sapere cosa ci dirà il professor Sartori, neuropsichiatra. Magari la perizia dirà che non c'è nessun disturbo, attendiamo i risultati. 

Abbiamo scelto Sartori perché abbiamo già lavorato con lui, ad esempio sul caso della strage di Erba con Rosa e Olindo. Io mi sono fatta l'idea che in questa storia c'è qualcosa che manca, non è possibile che sia semplicemente una mamma che decide di lasciare la figlia perché ritiene sia un pacco postale. Questa è una lettura superficiale ma lecita, visto che ci troviamo di fronte a un fatto molto grave. 

C'è qualcosa di molto grave che non torna, magari nel passato della donna. La signora Pifferi mi ha chiesto di chiamare il fidanzato, che non sono riuscita a contattare. Poi mi ha chiesto di contattare la mamma. L'ho chiamata mi ha risposto dicendomi che non se la sentiva di parlare, l'altra figlia - sorella di Alessia - le ha strappato il telefono e mi ha caricato di una serie di insulti irripetibili solo perché sono l'avvocato difensore.

Lunedì alle 11 iniziano le operazioni peritali biologico-forensi in Questura, abbiamo depositato una richiesta di approfondimento perché nel verbale che ci è stato notificato non dice nulla. Né su cosa, né quel sia il materiale acquisito. Nomineremo i nostri consulenti».

(ANSA il 29 luglio 2022) - Un mazzetto di palloncini bianchi, alcuni a forma di cuore, ondeggiano all'entrata della parrocchia dei Santi Pietro e Paolo, a San Giuliano Milanese, dove sono in corso i funerali di Diana Pifferi, la bimba morta di stenti a 16 mesi dopo essere stata lasciata in casa sola per sei giorni. Un lungo applauso ha accompagnato la piccola bara bianca al suo ingresso nella chiesa piena. 

Alcune mamme del quartiere Ponte Lambro, alla periferia di Milano, dove abitava la bambina, accompagnano la lenta marcia che percorre il carro funebre, come in un breve corteo. Tra le mani tengono uno striscione in rosa: 'Volerò sulle ali del mondo nel cielo infinito. Resterò per sempre bambina, piccola Diana'. Ad incorniciarlo, c'è la foto con cui le cronache l'hanno conosciuta: abitino da principessa, un grande fiocco rosa in testa, attorno a lei un tappeto di palloncini.

'Insieme a te è volato in cielo anche un pezzo del nostro cuore' dicono le magliette che indossano le donne. Sull'auto, con il feretro, ci sono la nonna e la zia di Diana, che la salutano tra strazianti singhiozzi prima di entrare. 

Seduti ai primi banchi, in fascia tricolore, siedono i sindaci di Milano, di San Giuliano e San Donato Milanese. In chiesa ci sono molte famiglie con bambini nei propri passeggini, tutti visibilmente commossi.

(ANSA il 29 luglio 2022) "Diana, noi non ti abbiamo mai abbandonato. E' tua madre che è una pazza". Lo ha detto Maria, la nonna materna della piccola Diana Pifferi all'uscita dalla chiesa, al termine delle esequie religiose, piangendo sulla piccola bara bianca deposta nell'auto funebre.

Diana Pifferi, la nonna: «Stava bene, la vedevo in videochiamata. Poi mia figlia è sparita». Pierpaolo Lio su Il Corriere della Sera il 29 Luglio 2022.

Il racconto di Maria: «Era una bambina sana, diceva le prime parole, cominciava a staccarsi dal divano e a camminare». Negli ultimi 15 giorni Alessia Pifferi non rispondeva al telefono. «Non ne vogliamo più sapere di lei».

«La bambina era in salute, cresceva bene». È la testimonianza della nonna della piccola Diana Pifferi, la signora Maria, al termine del funerale che si è svolto venerdì pomeriggio a San Giuliano Milanese. Il dolore, le parole rotte dal pianto, l’incredulità, soprattutto la rabbia verso sua figlia Alessia, che ora si trova nel carcere di San Vittore.

Si è data una spiegazione?

«No. Non ci sono parole».

Diana stava bene?

«La vedevo due volte al giorno, in videochiamata, qualche volta mi sorprendeva camminando, i suoi primi passi, cominciava a staccarsi dal divano. Certo che mi sembrava in buona salute. Parlava. Diceva mamma, nonna, pappa. Così fino a quindici giorni fa».

Poi cosa è cambiato?

«È cambiato l’atteggiamento di mia figlia. Alessia aveva sempre premura, diceva che Diana stava dormendo quando chiedevo di vederla. Non sapevo cosa stesse organizzando. Probabilmente era presa solo dall’uomo che frequentava».

Alessia l’ha mai chiamata durante il soggiorno nella Bergamasca?

«No, quando era via non chiamava quasi mai, ma io credevo avesse sempre la bimba con sé.

Abbiamo sentito che ha tentato di contattarla dal carcere...

«Sì, ha provato a chiamarmi qualche giorno fa... le ho anche risposto male. Sono disgustata. Ad oggi non ne vogliamo sapere di lei».

L'ultimo saluto e l'appello di sindaco e chiesa. Funerali Diana, la bimba morta tra l’indifferenza di tutti. Messaggio familiari e cittadini: “Segnalate i disagi, siamo comunità”. Redazione su Il Riformista il 29 Luglio 2022. 

E’ importante “che tutti segnalino i disagi. Non è questione di essere delatori ma di dare segnali” perché “così il lavoro è facilitato” per le istituzioni. E’ il messaggio di Giuseppe Sala, sindaco di Milano che oggi ha partecipato ai funerali della piccola Diana, la bimba di appena 18 mesi morta di stenti dopo essere stata lasciata da sola in casa per sei giorni dalla madre Alessia Piffari, 37 anni, allontanatasi per raggiungere il compagno. Una bambina morta nell’indifferenza non solo della madre ma anche dei familiari e di quei residenti che, nonostante le condizioni precarie in cui viveva ‘grazia’ alla madre, non hanno mai segnalato la vicenda.

Nel giorno dei funerali nella chiesa dei Santi Pietro e Paolo di San Giuliano Milanese, tra palloncini bianchi e striscioni con la foto della povera bimba, arriva l’invito a cittadini e familiari in questo caso della vittima di non girarsi dall’altra parte, di segnalare, di denunciare per far sì che su episodi del genere si intervenga in tempo. “Assolutamente” anche le istituzioni sono responsabili ha aggiunto Sala ma “non è facile individuare i segni prima: le comunità sono fatte di grandi città ma anche di singoli quartieri. In questo periodo storico veramente tremendo ci deve essere responsabilità all’interno delle famiglie, nella comunità istituzioni e nella chiesa”.

Per il sindaco “deve prevalere l’umanità altrimenti sarà veramente difficile ricomporre tutte queste ferite che si stanno evidenziando nella nostra società“. La morte di Diana è “una tragedia che lascia allibiti. La cerimonia è stata molto emozionante e i pensieri vanno alla povera bambina. Anche da credente, quale sono, non è facile credere nella vita eterna. Ma sarebbe importante sapere che c’è un futuro anche per lei, e giustizia”. Il sindaco ha spiegato che intende contribuire ai funerali: “Tra me e il sindaco di San Giuliano ce ne faremo carico senza problemi”.

“Diana era un peso, un ostacolo alla mia libertà”: Alessia Pifferi, la madre della bimba abbandonata per 6 giorni e morta

Anche per l’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, che ha celebrato i funerali, “non comprendiamo come sia potuto succedere l’abbandono di una bambina fino all’esito tragico della morte di stenti. Condividiamo lo sconcerto e l’orrore. Abitare in città dovrebbe significare far parte di una comunità – è il monito dell’arcivescovo – e ogni solitudine dovrebbe trovare rimedio nell’attenzione reciproca e nell’operosa solidarietà. Riconosciamo la nostra impotenza”.

Nei giorni scorsi sono emerse anche le prime indiscrezioni sull’autopsia svolta sulla salma della piccola Diana. Al momento non c’è “nessuna evidente causa della morte” della bambina, così come “segni di violenza o percosse“. L’ipotesi più probabile da quanto emerso dall’autopsia eseguita all’istituto di Medicina Legale di Milano dal professor Andrea Gentilomo è che Diana Pifferi sia morta di stenti.

Diana Pifferi, l’autopsia: potrebbe aver morso il cuscino per sfamarsi. Giampiero Casoni l'01/08/2022 su Notizie.it.

Le tracce di un materiale compatibile ritrovate nel suo stomaco durante l'autopsia parlano chiaro: Diana potrebbe aver morso il cuscino per sfamarsi 

Diana Pifferi, l’autopsia rivela un particolare agghiacciante anche se non confermato dalla relazione e dal deposito finali: la bambina potrebbe aver morso il cuscino per sfamarsi. A dirlo, secondo Fanpage, l’esito dell’esame sul corpo della piccola lasciata morire dalla madre Alessia.

Secondo le notizie di queste ore infatti sarebbero stati trovati pezzi di cuscino nello stomaco di Diana Pifferi.

Diana potrebbe aver morso il cuscino

Questo elemento getterebbe una luce nuova e terribile sulle dinamiche che avevano portato al decesso della bimba di 18 mesi morta a Milano dopo che la madre, Alessia Pifferi, l’aveva lasciata in casa sola per 6 giorni. La prima relazione prodotta dopo l’esame tanatologico direbbe proprio questo: Diana potrebbe essere morta per “consunzione”.

Cosa significa? Che il suo piccolo cuore ha cessato di battere a causa di una progressiva carenza di alimenti, cibo ed acqua.

Il materiale nello stomaco e le analisi

E le prove? Pare che nello stomaco di Diana sia stata individuata una piccola quantità di materiale pare identico a quello trovato sotto il cuscino della piccola. Adesso è atteso l’esito delle analisi al gas-cromatografo con spettrometro di massa per confermare questa agghiacciante ipotesi Per averne conferma bisognerà però aspettare i risultati delle analisi.

Analisi che dicono, al di là del crudo linguaggio medico legale, che Diana forse ha cercato di sopravvivere e, affamata allo stremo, probabilmente per farlo ha preso a morsi il cuscino.

La 20enne coinvolta in una faida tra trapper. Sara Ben Salha: “Ho incontrato Alessia Pifferi in carcere, non è un mostro ed è sola al mondo”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 7 Agosto 2022 

Sara Ben Salha, 20 anni, è ai domiciliari da mercoledì 3 agosto dopo essere stata arrestata insieme ad altri otto coetanei nell’ambito dell’indagine sul collettivo del trapper lecchese Simba La Rue, arrestato anche lui, soprattutto in merito alla violenta faida con la crew del padovano Touché, in cui Ben Salha ha avuto il ruolo di “esca”. La giovane, infatti, è stata arrestata per avere attirato con la scusa di un “appuntamento galante” Akrem Ben Haj Aouina, amico di Touché, poi accoltellato.

Una brutta vicenda di faide tra bande rivali in cui è finita anche la 20enne che ammette le sue colpe e chiede scusa: “Ho fatto da esca per quel ragazzo, lo ammetto, gli chiedo scusa nel modo più sincero. Non mi aspettavo che lo avrebbero accoltellato, pensavo che volessero soltanto spaventarlo. Mi sono lasciata trascinare, ammetto le mie colpe, se devo pagare con altro carcere lo accetterò”, ha detto in una lunga intervista a Repubblica.

Sara ha passato alcuni giorni a San Vittore dove ha incontrato Alessia Pifferi, la 36enne in carcere per aver lasciato la sua bambina di 18 mesi da sola per 6 giorni. La piccola è morta di stenti. La cella di Alessia era di fronte a quella di Sara che ha potuto parlarle a lungo in quelle ore di attesa in carcere. “Ognuna ha raccontato la sua storia all’altra – ha detto Sara nell’intervista a Repubblica – Lei si è aperta molto con me, non nega assolutamente le sue colpe, soffre molto. L’ho sentita piangere tutto il giorno, sdraiata in silenzio a guardare il soffitto. Non è un mostro ed è sola al mondo, la famiglia le ha voltato le spalle, il compagno è sparito, le altre detenute la odiano. Ho provato tanto dispiacere quando l’ho salutata, le ho assicurato che le avrei scritto e lo farò. Lei pagherà a vita il prezzo di ciò che ha fatto, quindi anche lei merita una spalla su cui piangere. Il carcere mi ha insegnato a non giudicare le persone solo con l’apparenza”.

La ragazza nella faida tra i giovani trapper avrebbe avuto il ruolo di “esca”, accettato per vendicare l’amico, membro del gruppo di Simba e anche lui arrestato, Fabio Carter Gapea, vittima di un agguato alla stazione di Padova lo scorso febbraio. “Quel giorno lui voleva solo parlare con i ragazzi di Touché ma è stato accerchiato e aggredito, ha rischiato di finire in carrozzina per via delle coltellate, lo ha salvato la giacca che indossava. Da lì è partito tutto. Io volevo molto bene a Gapea e ho deciso di fare questa vendetta insieme agli altri – spiega Ben Salha – Ma io l’avevo detto ai ragazzi la sera dell’agguato ad Akrem di non usare i coltelli, di non fargli del male, ci sono le intercettazioni che lo provano. Non mi hanno ascoltata. Ho le mie colpe, ovviamente potevo anche aspettarmelo che quello non era solo un modo per spaventarlo ma che avevano altre intenzioni, sono stata io una ingenua a fidarmi della loro parola”.

La ragazza ha parlato anche del gruppo di Simba e di Touché: “Sono tutti giovani che vogliono solo vivere la loro vita, qualcuno prova a farsi valere tramite le canzoni, ma nessuno di loro è un vero criminale – ha detto – Sia Simba che Touché sono entrati nei loro personaggi senza pensare alle conseguenze, prendendo spunto dai cantanti americani che certe cose le hanno fatte davvero. Ma se uno di questi ragazzi fosse morto durante la faida, ne avrebbero sofferto tutti”, conclude la 20enne, che già prova a guardare avanti. “Sono iscritta a giurisprudenza, vorrei diventare magistrato, il gip Guido Salvini durante l’interrogatorio mi ha detto di non darmi per vinta, che ci sono magistrati che hanno avuto un passato difficile. Non so quanto sarà possibile realizzare questo sogno, ma io ci proverò”.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Valentina Baldisserri per corriere.it il 13 agosto 2022.

«Alessia Pifferi non ha ancora capito cosa ha fatto. Si rende conto che sua figlia non c’è più ma c’è bisogno di altro tempo perché realizzi davvero cosa è successo». Solange Marchignoli è l’avvocato chiamato a difendere Alessia Pifferi, rinchiusa dal 21 luglio nel carcere di San Vittore a Milano con l’accusa di aver fatto morire di stenti sua figlia Diana, di 18 mesi, lasciandola da sola in casa (a Ponte Lambro-Milano) per 6 giorni. 

La vita in carcere di Alessia Pifferi è in totale isolamento. Controllata a vista , la donna non ha contatti con l’esterno. Ha cercato però attraverso il suo legale di sentire la madre e l’ex compagno, ma i tentativi sono andati a vuoto. «La signora Pifferi è una donna molto sola- racconta l’avvocato- . Né la madre, né il compagno vogliono più sentire parlare di lei. Però devo dire che in carcere le sono arrivate lettere di persone a lei sconosciute che vorrebbero aiutarla. Anch’io ricevo ogni giorno lettere di uomini e donne che chiedono cosa poter fare per darle una mano, per poterle comprare dei vestiti, o mandarle del denaro».

Avvocato, nei vari colloqui che ha avuto con la sua assistita, lei si è mai sfogata, le ha mai detto “Ma cosa ho fatto?”. «No, questo no. Non ancora. Però ha pianto. Soprattutto le prime volte che ci siamo parlate e ha raccontato la sua storia, ha pianto».

Anna Vagli per fanpage.it il 28 agosto 2022.

Il 20 luglio scorso, alle undici di mattina, Diana di soli diciotto mesi veniva ritrovata senza vita nell'abitazione da Alessia Pifferi, sua madre. A chiamare il numero unico, però, non era stata quest’ultima, ma una donna che abitava nella palazzina di fronte ed alla quale Alessia si era rivolta per ricevere aiuto. Grazie al supporto di soccorritori e personale sanitario, con i quali siamo entrati in contatto, è stato possibile ricostruire gli ultimi momenti di vita e le condizioni di Diana al momento del suo ritrovamento.

 Le menzogne sulla baby-sitter

Ad accogliere i soccorritori era stata la vicina dirimpettaia di Alessia. Quest’ultima, al loro arrivo, era seduta sul divano. Sul suo volto nessuna lacrima. Questo lo hanno ribadito più volte coloro i quali hanno avuto accesso alla scena del crimine. 

Anzi, le prime parole pronunciate dalla donna sono state probabilmente tentativo di depistaggio. Agli operatori sopraggiunti ha iniziato a raccontare di aver lasciato la bambina alla baby-sitter nei giorni in cui si era assentata da casa. Una baby-sitter con la quale era rimasta in contatto attraverso videochiamate per sincerarsi che Diana stesse bene.

Ma non si è limitata a raccontare soltanto questo. Resasi conto della gravità della situazione, dopo che le erano state somministrate alcune gocce di Valium, ha pronunciato le seguenti parole: “Ho sbagliato a fidarmi della baby-sitter. Mi sento in colpa, ma non sono una delinquente. Non sono una cattiva madre. Non voglio andare in carcere”. E, per rendere maggiormente credibile la ricostruzione, aveva dato il cellulare incentivando il personale accorso a cercare sulla rubrica il numero della baby-sitter per chiamarla. Quel numero è risultato immediatamente essere inesistente. 

Il ritrovamento della piccola Diana

Diana si trovava sul lettino in camera da letto. Indossava un vestitino giallo, era senza pannolino ed era tutta bagnata. Alla domanda sul perché fosse bagnata, Alessia aveva risposto che appena rientrata in casa aveva posato i bagagli e le aveva dato da bere pensando che potesse avere sete. Una versione poco credibile. Difatti, il personale sanitario non ha constatato la mancanza del rilascio sfinterico. Che, quando interviene un decesso, è sempre presente.

Dunque, proprio la mancanza di urina e feci nelle vicinanze della bambina potrebbe significare che Alessia abbia lavato Diana prima di denunciarne le condizioni. La casa era perfettamente in ordine e pulita. C’erano pochissimi giochi e sulle pareti erano appese foto di bambini, forse parenti della donna, ma nessuna foto di Diana. Al contrario, invece, come sfondo sullo smartphone aveva proprio un’immagine che ritraeva Alessia con in braccio la bambina al parco ed accanto un uomo. Forse il compagno. 

Il messaggio inviato da Alessia alla sorella

Fin da subito Alessia ha cercato di giustificarsi porgendo il suo cellulare a chi, a vario titolo, era arrivato nella sua abitazione per soccorrere la bambina. Sempre grazie a quanto ricostruito, poco dopo le otto, la donna aveva inviato un messaggio alla sorella nel quale diceva “di aver avuto problemi con la figlia perché faceva i capricci a causa dei dentini”. Forse insospettita, la sorella le aveva domandato “Se fosse tutto ok”. Ed Alessia aveva risposto “Sì, tutto ok. Stiamo tornando”.

Alessia Pifferi, analisi sulle chat: "La piccola Diana era un peso per la mamma". Respinta per ora la visita psichiatrica in carcere. Redazione Milano su La Repubblica l'1 Settembre 2022.  

Il gip ha rigettato la richiesta di accesso a San Vittore del professor Pietrini, incaricato dalla difesa per la consulenza sulla donna che ha lasciato morire di stenti la sua bambina di un anno e mezzo: per ora non ci sono elementi che fanno pensare ad eventuali patologie psicofisiche

E' stata rigettata la richiesta di accesso in carcere del professor Pietro Pietrini, Ordinario di Biochimica Clinica e Biologia Molecolare Clinica all'Università di Pisa, uno dei due docenti incaricati dalla difesa di redigere una consulenza neuroscientifica e psichiatrica su Alessia Pifferi, la donna di 37 anni arrestata il 21 luglio scorso per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana di quasi un anno e mezzo, abbandonandola da sola in casa per sei giorni.

La decisione, che risale alle scorse settimane e di cui si è avuta notizia oggi, è stata presa dal gip di Milano Fabrizio Filice, in quanto non ha ravvisato, allo stato delle indagini, motivi validi per consentire i colloqui, al di là di quelli con i legali, con persone esterne e medici ai fini di una consulenza tecnica sullo stato di salute mentale della donna. Anche perché agli atti dell'inchiesta, coordinata dal pm Francesco De Tommasi e condotta dalla Squadra mobile, per ora non ci sono elementi che fanno pensare ad eventuali patologie psicofisiche della 37enne.

Mentre c'è attesa per l'incidente probatorio, che prenderà il via il prossimo 28 settembre, per gli "accertamenti tecnici di natura biologica e chimico-forense" sul materiale sequestrato, tra cui il biberon trovato accanto al corpo senza vita della piccina, gli investigatori hanno depositato le chat estrapolate dal cellulare di Alessia Pifferi. Sul loro contenuto c'è il più stretto riserbo ma, da quanto pare di capire, confermerebbero il quadro finora emerso in base al quale la piccola Diana sarebbe stata un 'peso' per la madre che soffre, per dirla con le parole del giudice Filice, di una "evidente instabilità affettiva recentemente" manifestata "in una forma di dipendenza psicologica dall'attuale compagno, che l'ha indotta ad anteporre la possibilità di mantenere una relazione con lui anche a costo di infliggere enormi sofferenze", culminate nella morte della bambina.

Infine, da quanto si è saputo, anche la nonna e la zia di Diana hanno nominato un loro legale in vista della costituzione di parte civile contro Alessia Pifferi, che risponde di omicidio volontario aggravato.

Ad Alessia Pifferi in carcere per aver lasciato morire la figlia Diana profumi, regali e soldi da tante donne: "E' sola e spaurita". Luca De Vito su La Repubblica il 10 Settembre 2022.   

Ai legali della donna arrestata lo scorso 21 luglio per aver lasciato sola in casa per sei giorni la bimba di un anno e mezzo stanno arrivando regali di ogni genere da portare a San Vittore

Una scatola piena di profumi, creme per il corpo, smalti per le unghie, acqua di colonia, balsami. E poi ancora libri sul pensiero positivo, vestiti, elastici per capelli, biancheria e addirittura qualche centinaio di euro utilizzabili in carcere (secondo le procedure), bonificati sul conto corrente apposito e con il nome del beneficiario indicato: Alessia Pifferi. Una scatola che raccoglie i doni che arrivano da diverse città, indirizzati allo studio legale di Solange Marchignoli, l'avvocata che difende la

Da open.online il 10 settembre 2022.

Alessia Pifferi, 37 anni, arrestata il 21 luglio scorso con l’accusa di aver lasciato morire da sola in casa la figlia di un anno e mezzo Diana, riceve molti regali. E anche soldi. Arrivano allo studio della sua avvocata Solange Marchignoli. 

Profumi, creme per il corpo, smalti, acqua di colonia, balsami. E ancora: libri, vestiti, elastici per capelli. E anche qualche centinaio di euro spendibile in carcere secondo le procedure e bonificato sul conto apposito con il nome del beneficiario. 

L’edizione milanese di Repubblica scrive che a inviarli sono cittadini che non c’entrano nulla con il caso: «Voglio dare una mano anche io — si legge in uno dei messaggi arrivati allo studio legale —. Non inviando soldi (non mi sembra il caso) ma magari qualcosa che può aiutarla nel quotidiano: una piccola coccola a questa donna confusa e spaurita». 

«Una caccia alle streghe contro di lei»

L’avvocata fa sapere che nei prossimi giorni porterà i regali alla donna in carcere: «Per quanto mi riguarda, non c’è una causa più urgente né più giusta del proteggere Alessia da questa medioevale caccia alle streghe. Ha bisogno di aiuto, questo è indubbio. E non mi troverà sorda al suo appello, mai». 

Un mese fa Sara Ben Sahla, usata come ‘ragazza-esca’ nella faida tra trapper di Milano, ha detto di aver incontrato Pifferi in carcere: «Soffre molto, è sola al mondo». Mentre nelle scorse settimane i suoi legali avevano chiesto di far entrare a San Vittore il professore di biochimica Pietro Pietrini, incaricato di redigere una consulenza psichiatrica. Ma il Gip ha rigettato la richiesta. Perché per ora non ci sono elementi che facciano pensare a patologie psicofisiche dell’indagata.

Da blitzquotidiano.it il 16 settembre 2022.

Emergono nuovi dettagli sulla 37enne arrestata per aver lasciato per più di 6 giorni la figlia di un anno e mezzo a casa da sola facendola morire di stenti. Come riporta Il Giorno, dai messaggi che inviava ai suoi contatti emerge che la donna voleva una vita “senza figli”, i quali venivano considerati “un intralcio alle speranze”.

Stando al quotidiano, inoltre, la donna desiderava una vita bella “come quelle che si vedono in tv”. La 37enne si diceva sollevata dalla separazione dal marito e felice per aver conosciuto il nuovo compagno, descritto come “l’uomo giusto”.  

Per i pm che coordinano le indagini, dai messaggi emerge una “chiara e lucida strategia complessiva di vita che ha guidato tante sue ultime scelte”. La donna “appare lucidissima nei suoi comportamenti, anche in quelli precedenti alla morte della piccola. La donna sceglie cosa fare, sceglie le persone da frequentare, sceglie di rischiare lasciando sola la bimba per costruirsi un futuro, suo personale prima di tutto e sopra tutto”. Le chat (che sono parte determinate dell’inchiesta) “raccontano tanto della personalità della donna e del mondo in cui lei pensava, immaginava, di poter vivere. Anche a scapito della bambina”, sottolineano i pm.

La donna si trova ancora reclusa a San Vittore con l’accusa di omicidio volontario, in attesa dell’esito dell’esame tossicologico che accerterà se nel biberon lasciato di fianco alla figlia di 18 mesi fossero contenute benzodiazepine: un’informazione fondamentale, che aiuterà a comprendere se la piccola sia morta di stenti o se sia stata narcotizzata dalla madre, prima di essere abbandonata per una settimana da sola.

La 37enne arrestata. Neonata morta in casa di stenti, la lettera dal carcere della madre Alessia Pifferi: “Vorrei tornare indietro per riavere la mia bambina”. Vito Califano su Il Riformista il 20 Settembre 2022 

Alessia Pifferi, la donna accusata di aver abbandonato la figlia Diana, neonata di appena 18 mesi morta di stenti, in casa da sola per una settimana, ha scritto una lettera dal carcere. Lettera indirizzata alla trasmissione Quarto Grado su Rete 4. “Sento il bisogno di avere la necessità di avere persone vicino a me; anche se giudicano male. Per parlare di oggi e del papà di Diana devo dire che non mi sento di esprimere nulla perché sono fatti così delicati che potrei parlarne solo privatamente a lui. So solo che vorrei poter tornare indietro a quel giorno per non uscire e riavere la mia bambina”.

La donna è difesa dagli avvocati Luca D’Auria e Solange Marchignoli. La piccola, di soli 18 mesi, è rimasta chiusa in casa, nel bilocale di via Parea, zona Ponte Lambro a Milano, per sei giorni. E quando la madre è tornata l’ha ritrovata senza vita, nel lettino, non c’era già più nulla da fare. La donna era andata a Leffe, in provincia di Bergamo, per passare del tempo con il suo compagno. Né l’uomo che la madre ora vogliono più avere a che fare, parlare con la donna. Pifferi è in carcere, l’accusa è di omicidio volontario pluriaggravato.

“Ho vissuto a Milano fino al matrimonio fino a quasi 20 anni, poi sono andata in Sicilia a Palermo perché mi sono sposata. Poi sono tornata a Milano a casa mia”, ha scritto la donna ricostruendo la sua vita nella missiva. “Ho vissuto solo con il mio ex marito. Per il resto ero sempre in casa con i miei genitori o da sola”. Il matrimonio “in municipio a Palermo e in chiesa a Milano, a Ponte Lambro – ha continuato – è stato molto bello. In Sicilia indossavo l’abito da sposa prestato da mia sorella, invece quello di Milano l’ho comprato io risparmiando”.

Con l’ex marito avevano una famiglia “normale”, il figlio che avevano cercato non è mai arrivato. “Io non ho mai detto che mia figlia era un intralcio nella mia vita e vorrei proprio sapere chi lo ha detto e perché. Ho semplicemente detto che è molto più difficile fare la propria vita con un figlio piccolo, ancora di più essendo una ragazza madre”. La lettera è lunga tre pagine, fogli a quadretti, calligrafia in stampatello. La donna è detenuta a San Vittore a Milano.

Pifferi ha raccontato anche un sogno: “Mi hanno chiamata per il colloquio e ho trovato l’avvocato D’Auria (che è uno dei suoi legali) insieme a quello che credevo fosse il mio compagno attuale. Durante questo colloquio l’avvocato è rimasto fuori, mentre io non riuscivo neanche a parlare. Mi sono alzata e nel sogno non ho più immaginato niente”. Stando a quanto scritto dal quotidiano Il Giorno, dagli interrogatori sarebbe emerso che il padre della bambina sarebbe un piccolo imprenditore che vive in zona Ponte Lambro.

Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.

Le lettere, gli ovali, la rimozione: chi c'è dietro la morte della piccola Diana. Alessia Pifferi ha scritto due lettere dal carcere dove è rinchiusa per aver fatto morire di stente la figlia. Ecco cosa rivela l'analisi grafologica sulla sua firma. Evi Crotti il 24 Settembre 2022 su Il Giornale.

Dalla scrittura e dalla firma di Alessia Pifferi (clicca qui) emerge una personalità apparentemente nella norma. Ella è senz’altro persona estroversa e bisognosa di spazi adeguati a poter esprimere se stessa, con tutte le sue ambizioni.

Tuttavia, nelle lettere a me sottoposte si notano alcune cancellature anomale, indice di aggressività di fronte ad impegni che possano interferire sulla sua vita. Ciò viene evidenziato anche da una pressione irregolare, come si può ben cogliere negli ovali delle lettere “a” e “o”; essi mettono in evidenza una carica pressoria irregolare, indice, a sua volta, di una notevole emotività che ella fatica a controllare. Lo si vede anche nella firma, dove il nome risulta poco leggibile e gli si rileva uno stacco anomalo all’interno del cognome (“Pi…fferi”).

Ecco ciò che afferma in una lettera: “Ho semplicemente detto che è molto difficile fare una propria vita con un figlio piccolo, ancora di più essendo una ragazza madre”.

Oltre ciò da lei dichiarato, la grafia evidenzia una carica energetica disordinata che l’ha portata ad un mancato controllo sul mondo delle emozioni, dando spazio a pulsioni incontrollate. L’ondeggiamento del rigo di base, che si nota nella grafia, anche su un foglio quadrettato, indica alternanza d’umore ed instabilità di comportamento.

La Pifferi possiede un’intelligenza pratica e dotata di un pensiero concreto basato sull’immediato; è del tutto incapace di giudizio, di verifica e di controllo per cui le scelte in lei sono dettate dall’impulso e non da un ragionamento logico, con le conseguenze che necessariamente ne derivano.

Pertanto, ella abitualmente adotta, se pur inconsapevolmente, il meccanismo di difesa definito dalla psicanalisi “rimozione”: vale a dire che ad Alessia, anche ripensandoci, sembra impossibile aver volutamente lasciato morire la piccina.

Forse le difficoltà che ha incontrato nella vita le hanno impedito di vivere secondo schemi immaginati e sognati, troncati invece dalla presenza di una maternità non proprio desiderata.

Luigi Ferrarella per corriere.it il 28 settembre 2022.

Pallida, senza trucco, smagrita in un tailleur nero gessato, molto diversa dall’immagine sinora restituita dalle foto posate per i social, mercoledì mattina è entrata per la prima volta in Tribunale a Milano la 37enne Alessia Pifferi, arrestata il 21 luglio con l’accusa di omicidio aggravato per aver lasciato morire di stenti la figlia Diana, di un anno e mezzo, abbandonandola da sola in casa per sei giorni. Bersagliata in corridoio da una selva di flash di fotografi, telecamere e microfoni, Pifferi è entrata in silenzio nella stanza del giudice Fabrizio Filice per un’udienza puramente tecnica sul conferimento o meno di una perizia.

«Parla sempre di sua figlia, chiede sempre della bambina, si rende conto che non l’abbraccerà mai più. Passa da fasi di sconforto e di pianto ad altri in cui non ha nessuna cognizione di quanto accaduto», raccontano i suoi difensori Solange Marchignoli e Luca D’Auria, per far comprendere quale sarebbe il suo stato d’animo. «È terrorizzata - prosegue l’avvocato Marchignoli -, ha paura, vive ovattata in carcere e queste telecamere le fanno paura. A me fa tenerezza, è spaventata da questa attenzione mediatica. Dopo l’iniziale caccia alle streghe bisogna capire che ha una storia drammatica, vogliamo fare luce su quanto accaduto senza inventare storie».

La difesa ha nuovamente chiesto al giudice di poter fare entrare in carcere alcuni esperti per «una consulenza neuroscientifica. Preferiamo agire con i guanti di velluto e quindi, per non inquinare il suo ricordo, lasciare ai consulenti questo compito, ossia capire cosa comprende. Vogliamo vedere - contestualizza l’avvocato D’Auria - come questa persona si relaziona rispetto alla realtà, il che non integra per forza la capacità di intendere e di volere». 

I pm Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro si sono opposti alla perizia, e il gip Filice si è riservato di decidere nei prossimi giorni. Il 14 ottobre sarà poi conferito in incidente probatorio l’incarico a un genetista per procedere all’analisi del contenuto sul biberon, su una bottiglia d’acqua e sulla boccetta di benzodiazepine trovati accanto alla culla. 

Lasciò morire la figlia, "terrorizzata" davanti ai giudici. Alessia Pifferi in tribunale per l'incidente probatorio. I legali: serve una consulenza neuroscientifica. Redazione il 29 Settembre 2022 su Il Giornale.

Viso tirato e sguardo pietrificato, Alessia Pifferi, la donna accusata dell'omicidio pluriaggravato della figlia Diana di quasi 18 mesi, è stata scortata ieri in tribunale a Milano per l'udienza dell'incidente probatorio sulle analisi sul contenuto del biberon e su altri oggetti del piccola.

La donna accompagnata dagli agenti della Polizia Penitenziara e dai suoi avvocati, Solange Marchignoli e Luca D'Auria, si è infilata nella stanza del gip Fabrizio Filice senza dire nulla. All'udienza partecipavano anche i pm Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro, titolari dell'inchiesta. Il giudice e le parti hanno formalizzato il conferimento degli incarichi ai rispettivi consulenti per svolgere gli «accertamenti tecnici di natura biologica e chimico-forense sul materiale in sequestro», tra cui il latte residuo contenuto nel biberon che era accanto alla culla in cui la bimba è stata trovata senza vita lo scorso 20 luglio.

«Parla sempre di sua figlia, chiede sempre della bambina, si rende conto che non l'abbraccerà mai più. Passa da fasi di sconforto e di pianto ad altre in cui non ha nessuna cognizione di quanto accaduto», hanno riferito gli avvocati, cercando di spiegare il suo stato d'animo davanti a una folla di giornalisti e telecamere, presenti al settimo piano del tribunale di Milano. «È terrorizzata - ha sottolineato l'avvocato Marchignoli - ha paura, vive ovattata in carcere e queste telecamere le fanno paura. A me fa tenerezza, è spaventata da questa attenzione mediatica. Dopo l'iniziale caccia alle streghe bisogna capire che ha una storia drammatica, vogliamo fare luce su quanto accaduto senza inventare storie».

Per questo la difesa ha chiesto al giudice di poter fare entrare in carcere gli esperti per «una consulenza neuroscientifica». «Preferiamo agire con i guanti di velluto e quindi, per non inquinare il suo ricordo, lasciare ai consulenti questo compito, ossia capire cosa comprende. Vogliamo vedere - precisa l'avvocato D'Auria - come questa persona si relaziona rispetto alla realtà che non è per forza la capacità di intendere e di volere». Una richiesta a cui la procura si è opposta - titolari del fascicolo sono i pm Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro - mentre il gip Fabrizio Filice si è riservato di decidere nei prossimi giorni. Intanto, nulla di fatto sul fronte dell'incidente probatorio: serve nominare anche un genetista per procedere all'analisi del contenuto sul biberon, su una bottiglia d'acqua e la boccetta di benzodiazepine trovati accanto alla culla.

Da corriere.it il 3 ottobre 2022.

Alessia Pifferi, la 37enne arrestata per omicidio volontario aggravato per aver abbandonato per 6 giorni in casa la figlia Diana morta di stenti, «anche dopo l’ingresso in carcere, come attestano le relazioni del Servizio di psichiatria interna» di San Vittore «si è sempre dimostrata consapevole, orientata e adeguata, nonché in grado di iniziare un percorso, nei colloqui psicologici periodici di monitoraggio, di narrazione ed elaborazione del proprio vissuto affettivo ed emotivo». Lo scrive il gip di Milano, Fabrizio Filice, nel provvedimento con cui ha respinto la seconda istanza della difesa che chiedeva di far accedere esperti in carcere per una consulenza neuroscientifica.

Una «prospettiva» che «allo stato non si aggancerebbe ad alcun elemento fattuale», anche perché Pifferi non ha alcuna «storia di disagio psichico» nel suo passato. I difensori puntavano su un particolare accertamento «neuroscientifico-cognitivo» per «cercare di sondare il funzionamento strettamente cognitivo dell’indagata». E con la «espressa finalità», scrive il gip, da parte della difesa di «incidere sul processo interpretativo del giudice», che dovrà valutare nel procedimento l’eventuale dolo dell’azione commessa.

Il giudice chiarisce che ci sono «suggestive adesioni in campo accademico» sul fronte dell’utilizzo delle neuroscienze, ma non si può permettere che una consulenza di questo tipo entri nel processo senza contradditorio. Il gip, comunque, afferma che in teoria non si può escludere «una possibile utilità della prova neuroscientifica come supporto al processo decisionale del giudice», ma dovrà essere semmai proprio il giudice a disporre una perizia sul punto, se la riterrà necessaria.

Alessia Pifferi ha diritto a un esame psichico ma vogliono seppellirla. La donna è accusata di omicidio volontario aggravato per aver abbandonato la figlia di 18 mesi. L’avvocata Marchignoli: «Siamo di fronte a una sentenza già scritta». Valentina Stella su Il Dubbio il 6 Ottobre 2022

L’ultimo atto della vicenda giudiziaria (le indagini ancora non sono ancora chiuse) di Alessia Pifferi, la 37enne accusata di omicidio volontario aggravato per aver abbandonato a casa per sei giorni la figlia di 18 mesi Diana provocandone la morte, è il rigetto da parte del gip di Milano Fabrizio Filice di una nuova istanza con cui i legali di fiducia della donna – Solange Marchignoli e Luca D’Auria – chiedevano l’accesso al carcere di due consulenti tecnici (i professori Pietro Pietrini e Giuseppe Sartori) per un accertamento neuro-psichiatrico.

«Così si nega il sacrosanto diritto di difesa», racconta al Dubbio l’avvocato Marchignoli, che abbiamo imparato a conoscere in quanto legale di Azouz Marzouk. «Ci hanno negato una prova scientifica con una motivazione che ritengo assurda, ossia che la nostra volontà sarebbe stata quella di “incidere sul processo interpretativo del giudice” in riferimento alla questione del dolo». La procura, ci spiega la legale, «sostiene che la signora Pifferi si sarebbe rappresentata nella sua mente la possibilità dell’evento morte. Pur tuttavia l’ha accettato. Noi sosteniamo invece che, in base a quello che emerge anche dai colloqui con la nostra assistita, ci sarebbe bisogno di un approfondimento maggiore dello stato mentale della signora. Ma ci impediscono di farlo. Perché il giudice, che dovrebbe essere super partes, nega un ulteriore elemento di valutazione?».

Ricordiamo che ovviamente non sarà il gip a giudicare la donna, però il problema è un altro chiarisce l’avvocato Marchignoli: «Noi andremo in dibattimento dinanzi ad una Corte di Assise ma questo accertamento andrebbe fatto adesso per la vicinanza ai fatti. Le indagini le fa il pm ma anche la difesa. Invece in questo caso siamo con le mani legate, sembra quasi che la sentenza sia già scritta. È come se ci stessero dicendo che quella possibile prova non deve entrare nel fascicolo perché poi potrebbe influenzare il giudice che verrà a favore della nostra assistita. Ma questo è inconcepibile, è gravissimo».

I legali non avrebbero voluto far periziare la donna in merito alla sua capacità di intendere e di volere: «Sappiamo che lo era. Avremmo voluto solo approfondire lo stato cognitivo della donna a ridosso dei fatti, attraverso una valutazione neuroscientifica. Purtroppo in Italia si sottovaluta il grande apporto che le neuroscienze possono offrire anche nelle aule di Tribunale. Da questo punto di vista siamo indietro rispetto agli altri Paesi».

Come ci spiega nel dettaglio proprio il professor Pietro Pietrini, Direttore del Molecular Mind Lab presso la Scuola IMT Alti Studi Lucca e già consulente insieme a Sartori della difesa di Benno Neumair, «di fronte ad un fatto così grave, sarebbe (stato) più utile ed efficace poter valutare lo stato psichico della signora nei momenti più vicini al tragico accadimento. Soprattutto sarebbe stato importante poterla vedere in una fase in cui non aveva avuto ancora né tempo, né modo, né occasione di rivisitare – anche a seguito della permanenza nella comunità penitenziaria – ciò che era successo.

Ciò non toglie che se nella donna è presente una patologia, un disturbo della personalità o una condizione mentale particolare che possa avere una rilevanza nella criminogenesi e nella criminodinamica di ciò che è accaduto, questo non possa emergere dagli esami e dalla ricostruzione anamnestica effettuati anche a distanza di tempo, ribadito tuttavia che prima si fa e meglio è. Da qui era nata l’esigenza e la richiesta di poterla visitare ad inizio agosto (la donna è in carcere dallo scorso 21 luglio, ndr)». Il professor Pietrini conclude dicendo che «di fronte a fatti di questa gravità, occorre capire bene cosa e come possa essere accaduto. Se è comprensibile che la reazione di pancia della persona comune possa essere quella di “buttare via la chiave”, i tecnici sono tenuti ad interrogarsi adeguatamente sulle possibili cause di un tale comportamento. Questo al fine di adempiere pienamente a quanto previsto dalla nostra Costituzione».

Stesso concetto ribadito ancora al Dubbio dall’avvocato Marchignoli: «Per emettere un giudizio sereno su questo caso occorre raccogliere quanti più elementi possibili. Anche ciò che potrebbe non essere utile. La signora Pifferi rischia l’ergastolo e noi come difensori dobbiamo fare tutto il possibile per scandagliare questa vicenda, per capire. Invece il gip ci impedisce di vedere. Vogliamo un secondo caso Bossetti?». In questa vicenda oltre a questo profilo, c’è anche quello del solito vilipendio all’avvocato che difende il «mostro» ed infatti i legali della signora Pifferi hanno subìto attacchi e minacce sui social.

«A queste persone – puntualizza sempre l’avvocato Marchignoli – sfugge il fatto che in Italia il diritto di difesa è costituzionalmente garantito. Io conosco la mia etica e posso confermare che non provo nessuna solidarietà con il delitto ma questo non impedisce di difendere al meglio, tecnicamente, con gli strumenti che mi offre il codice di rito la signora Pifferi e i suoi diritti». Un ruolo importante lo sta giocando anche il processo mediatico: «Ma questa volta in senso positivo. Dobbiamo far emergere, e sta emergendo anche tra l’opinione pubblica, che non è giusto negare a questa donna il diritto ad una difesa completa. Chi ha paura della verità? Per conoscere la verità sulla strage di Erba dobbiamo ringraziare le Iene, adesso è importante non spegnere i riflettori anche su questa storia».

Da leggo.it il 14 ottobre 2022.

La piccola Diana morta di stenti. Nell'agonia avrebbe ingerito frammenti di cuscino e gommapiuma che i medici legali avrebbero ritrovato nel suo stomaco. Dettagli aberranti, quelli che emergono dall'autopsia, indiscrezioni raccontate nel programma Mediaset, Mattino Cinque, e che rivelano - ancora una volta - la crudeltà di Alessia Pifferi, la madre della bimba, lasciata morire nella più cinica indifferenza. 

Soffocata nella culla

I materiali rinvenuti nel piccolo stomaco di Alessia, secondo i medici, sono compatibili con il materiale di cui era fatto il materassino della culla. Ma l'avvocato della donna, sminuisce le indiscrezioni sulla morte della bimba.

«Non c’è certezza, prima di lanciarci in considerazioni dobbiamo fissare l'evento morte per capire bene se Diana ha ingoiato parti del materassino e del cuscino in preda alla fame, perché potrebbe essere anche morta di soffocamento», ha detto nel corso del programma, aggiungendo: ««Chiederemo anche l'analisi del pannolino e approfondimenti attraverso l'incidente probatorio».

Diana Pifferi, «tracce di tranquillanti»: la madre Alessia rischia l'ergastolo in ogni caso. Luigi Ferrarella su Il Corriere della Sera il 21 Ottobre 2022 

La 37enne ha sinora negato di aver somministrato sostanze alla figlia. Comunque la contestazione di omicidio volontario è già appesantita da due aggravanti 

Già era stata trovata una boccetta di ansiolitico accanto alla culla di Diana Pifferi, e ora le indiscrezioni sugli esiti delle analisi tossicologiche (per i quali i consulenti hanno chiesto una proroga di 30 giorni) accreditano il ritrovamento di benzodiazepine, cioè di tranquillanti, nel corpo della bambina di un anno e mezzo morta di stenti dopo essere stata lasciata sola in casa per sette giorni dalla 37enne madre Alessia, al momento indagata per l’ipotesi di omicidio volontario.

La donna, difesa dagli avvocati Luca D’Auria e Solange Marchignoli, dal carcere ha sinora negato di aver somministrato sostanze alla figlia, salvo solo alcune gocce di paracetamolo, e dunque anche questa indiscrezione sugli esiti tossicologici andrà valutata meglio quando i risultati saranno ufficiali, per comprendere di quali quantità si stia parlando e in quali parti del corpo siano state rilevate, in modo da distinguere se si tratti di una traccia ingerita dalla piccola o potenzialmente di una contaminazione da prodotti usati dalla madre.

L’esito degli accertamenti avrà peraltro un riverbero anche sulla ricostruzione del fatto, potendo oscillare tra una eventuale somministrazione (nella stralunata, distorta ottica mentale della donna) per tenere tranquilla e far riposare la bimba, o invece la scelta consapevole di dare quei tranquillanti per «silenziare» la piccola a costo di rappresentarsi l’evento morte di Diana.

Al momento, peraltro, non c’è nemmeno bisogno di questo aspetto tossicologico perché la madre debba prendere in considerazione la possibilità dell’ergastolo: già adesso, infatti, la contestazione di omicidio volontario mossa dai pm Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro, seppure senza la premeditazione che a oggi non è stata accolta dal gip, è comunque appesantita da due aggravanti (l’aver agito nell’ambito del rapporto genitoriale e l’aver agito per futili e abietti motivi) che già bastano e avanzano, in linea teorica, a farle rischiare in giudizio il carcere a vita.

All’estremo opposto delle possibilità giuridiche sta invece l’obiettivo massimo difensivo di scendere sino al reato di maltrattamenti nella forma dell’ultimo comma, quello della morte del maltrattato come conseguenza di un evento non voluto dal maltrattante, con pena da 12 a 24 anni: una soluzione che, riconosciuta di recente dalla Corte d’Appello a Milano (ma contro l’orientamento della Procura generale che ha impugnato in Cassazione) nel controverso caso di un bimbo rom di due anni morto a causa delle protratte percosse del padre, le permetterebbe di schivare l’ergastolo. 

Venerdì si terrà una riunione tra i consulenti delle parti (compreso l’ex comandante del Ris dei carabinieri Luciano Garofalo, incaricato dalla difesa) per stabilire il programma dell’incidente probatorio a casa della madre sul materassino del letto della bimba, sul biberon, sul flaconcino di ansiolitici e su una bottiglietta d’acqua, tutti reperti sui quali l’attenzione degli inquirenti si è concentrata attorno al punto del ritrovamento della bambina senza vita. Poi, il 31 gennaio, i risultati dell’incidente probatorio dovrebbero essere discussi dalle parti nell’udienza davanti al giudice delle indagini preliminari Fabrizio Filice.

Da repubblica.it il 20 ottobre 2022.

A Diana Pifferi, la bimba di 18 mesi abbandonata e morta di stenti a fine luglio, sarebbero state somministrate delle benzodiazepine compatibili con quelle del flaconcino di En trovato vicino alla sua culla. E' quanto emerge dagli esiti preliminari dell'autopsia sul corpicino della piccola. Nel sangue e nei suoi cappelli i consulenti nominati dalla procura - da quanto appreso - hanno trovato tracce del principio attivo del tranquillante, psicofarmaco ansiolitico. Un riscontro che contrasta con la versione della madre Alessia, accusata dell'omicidio pluriaggravato della piccola.

Alessia Pifferi: "A Diana solo gocce di paracetamolo"

La 37enne aveva detto di aver dato alla figlia solo delle gocce di paracetamolo prima di abbandonarla per sei giorni mentre ha finora sempre negato con forza di averle fatto assumere i potenti tranquillanti. La consulenza autoptica sarà depositata formalmente nei prossimi giorni, dalla Procura di Milano nell'inchiesta a carico di Alessia Pifferi, accusata di omicidio volontario aggravato e in carcere dal 21 luglio. 

Caso Pifferi, la perizia per cercare tracce di benzodiazepine

Alessia Pifferi è la donna accusata di omicidio volontario per aver lasciato morire di stenti la figlia di 18 mesi abbandonandola per sei giorni nel suo lettino di via Parea. Nei giorni scorsi il giudice aveva disposto nuovi esami per capire altri dettagli sulla morta di Diana Pifferi che si aggiungevano a quelli per verificare o meno la presenza di benzodiazepine nel latte o negli altri liquidi (era stata trovata in casa una boccetta di En) e delle eventuali tracce di dna della bambina sul beccuccio del flacone per capire se le sono stati somministrati i tranquillanti. Ora i test confermano che alla bambina erano stati fatti assumere tranquillanti. Analisi verranno poi effettuate anche sul materiale ritrovato all'interno dello stomaco di Diana Pifferi.

Luciano Garofano, ex capo del Ris, nel pool della difesa di Alessia Pifferi

Il generale Luciano Garofano, l'ex comandante del Ris di Parma in congedo dall'Arma e genetista forense, era entrato nel pool dei consulenti nominati dalla difesa di Alessia Pifferi. A conferire l'incarico a Garofano, negli ultimi anni spesso ospite in tv per le sue competenze in materia, sono stati i difensori della donna, gli avvocati Solange Marchignoli e Luca D'Auria. Il giudice non aveva concesso la possibilità di effettuare rilevamenti delle impronte.

Ad Alessia Pifferi in carcere erano arrivati profumi, regali e soldi da tante donne

Ad Alessia Pifferi erano arrivati molti regali da diverse città d'Italia indirizzati allo studio della sua legale Solange Marchignoli. Una scatola piena di profumi, creme per il corpo, smalti per le unghie, acqua di colonia, balsami. E poi ancora libri sul pensiero positivo, vestiti, elastici per capelli, biancheria e addirittura qualche centinaio di euro utilizzabili in carcere (secondo le procedure), bonificati sul conto corrente apposito e con il nome del beneficiario indicato: Alessia Pifferi.

Alessia Pifferi aveva scritto una lettera dal carcere: "Vorrei tornare indietro e riavere la mia Diana"

"Vorrei poter tornare indietro a quel giorno per non uscire e riavere la mia bambina": l'aveva scritto Alessia Pifferi in una lettera trasmessa in diretta televisiva durante la trasmissione "Quarto Grado" di Rete 4. La donna, attualmente detenuta a San Vittore, spiega di avere "la necessità di (avere, ndr) persone vicino a me, anche se giudicano male". In quella missiva aveva smentito che la figlia rappresentasse per lei un peso. "Io non ho mai detto che mia figlia era un intralcio nella mia vita. Vorrei proprio sapere chi l'ha detto e perché. Io ho semplicemente detto che è molto più difficile fare una propria vita con un figlio piccolo, ancora di più essendo una ragazza madre".

Pifferi, le chat dell'orrore. "Abusi sessuali su Diana". Altra inchiesta. Messaggi della madre a un 56enne che chiede: "Posso baciarla?". Lei replica: "Lo farai". Patricia Tagliaferri il 26 Ottobre 2022 su Il Giornale.

Non ha solo lasciato morire di stenti la sua bambina mentre lei se ne stava tranquilla dal fidanzato, Alessia Pifferi avrebbe anche usato della figlia per organizzare prestazioni sessuali dietro compenso. La nuova accusa contro la donna arrestata a Milano a fine luglio per omicidio volontario aggravato dopo aver lasciato da sola sei giorni la piccola Diana di 18 mesi in una casa del quartiere popolare di Ponte Lambro, è stata formulata dai magistrati dopo aver analizzato le chat del cellulare della 37enne. È stato, in particolare, uno scambio con un uomo bergamasco di 56 anni a mettere in allarme gli inquirenti milanesi. «Posso baciarla», scrive lui. «Lo farai», replica lei. Parole che lasciano poco spazio all'immaginazione, anche se saranno necessari ulteriori riscontri. Per questo i pm hanno fatto scattare una perquisizione a casa dell'uomo con cui la Pifferi intratteneva una delle sue molteplici frequentazioni. Tutti e due adesso sono indagati per corruzione di minorenne. Durante la perquisizione sono stati sequestrati tre dispositivi elettronici, che adesso vengono passati al setaccio dagli investigatori alla ricerca di eventuali prove. Dall'analisi del cellulare e dei due pc i magistrati vogliono capire se la piccola possa essere stata vittima di atti sessuali durante gli incontri della madre con il 56enne. Nelle chat whatsapp sarebbero stati trovati altri messaggi che dimostrano come la donna fosse solita organizzare prestazioni sessuali dietro compenso con alcuni uomini.

Il nuovo scenario va ad aggravare ulteriormente la posizione della Pifferi, che si trova nel carcere di San Vittore. La donna avrebbe somministrato alla figlia delle benzodiazepine compatibili con quelle del flaconcino di En trovato vicino alla culla. Tracce del principio attivo dello psicofarmaco ansiolitico sono state riscontrate durante l'autopsia nel sangue e nei capelli di Diana. L'ipotesi è che sia stata sedata prima di essere abbandonata nel lettino senza acqua e senza cibo. La Pifferi finora ha sempre negato di aver fatto assumere alla figlia dei tranquillanti, ma solo delle gocce di paracetamolo. Anche se la Procura ha ritenuto di contestare alla donna la premeditazione. È stato intanto disposto un incidente probatorio sul biberon, sulla bottiglietta d'acqua e la boccetta di En trovati nell'appartamento per chiarire quali sostanze sono state somministrate alla bambina. I vicini di casa hanno comunque raccontato agli inquirenti di non averla mai sentita piangere. Un dettaglio non secondario, che fa pensare ad una sedazione. Durante l'interrogatorio la donna ha spiegato cosa l'avesse spinta a comportarsi così, seppure nella consapevolezza dei rischi che avrebbe comportato l'abbandonare la figlia da sola tutti quei giorni: «Ci contavo sulla possibilità di avere un futuro con lui (il compagno, non è il padre della bimba, ndr) e infatti era proprio quello che in quei giorni stavo cercando di capire. È per questo che ho ritenuto cruciale non interrompere quei giorni in cui ero con lui, anche quando ho avuto paura che la bambina potesse stare molto male o morire».

Dagospia il 3 novembre 2022.Anticipazione da “Iceberg Lombardia” – in onda questa sera su "Telelombardia" a partire dalle 20.30 

In casa avevo capito che se non si lavorava non si mangiava, ho fatto vari lavori nella mia vita anche se in nero; ma a me importava trovare dei lavori come pulizie, baby sitter, assistevo un anziano anche come compagnia, pulizie in ospedale centro tumori, assistente alla poltrona.

Per me quello che conta e contava era trovare lavori onesti e umili che mi consentissero di avere soldi in tasca per fare la spesa e per mantenermi ed io ogni fine settimana o ogni fine mese ero molto felice. Non sono mai stata una spendacciona grazie agli insegnamenti che ho ricevuto dalla mia famiglia. Ricordo che quando lavoravo avevo iniziato anche ad andare in vacanza da sola ed ero felicissima perché ero finanziariamente indipendente, ma in casa non doveva mancare nulla nel frigor.

A Diana facevo cucù e ridevamo come due matte e poi dopo un po' si addormentava. Da che mia figlia non c'è più mi sento vuota e spenta sia psicologicamente che nel cuore, mia figlia mi manca da morire ed il dolore è molto forte ed intenso; ogni volta che chiudo gli occhi spero che tutta questa situazione sia solo un brutto sogno ed invece mi sveglio in carcere e mia figlia non c'è più. Penso di sapere solo io il dolore, la sofferenza che ho nel cuore per questa situazione, ed il trauma che sto vivendo. Vorrei tanto tornare indietro se si potesse soltanto per riavere con me mia figlia.

Alessia Pifferi sulla morte della figlia Diana: "Spero sia solo un brutto sogno". A cura della redazione Milano su La Repubblica il 3 Novembre 2022. 

Venerdì interrogata: nelle chat con un uomo l'ombra di abusi sessuali sulla piccola Diana. Il gip: "Non necessarie analisi su impronte digitali"

"Da che mia figlia non c'è più mi sento vuota e spenta sia psicologicamente che nel cuore, mia figlia mi manca da morire ed il dolore è molto forte ed intenso; ogni volta che chiudo gli occhi spero che tutta questa situazione sia solo un brutto sogno ed invece mi sveglio in carcere e mia figlia non c'è più".

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A dirlo è Alessia Pifferi, in carcere con l'accusa di aver lasciato morire la figlia Diana, in dichiarazioni scritte diffuse dalla trasmissione "Iceberg Lombardia" in onda questa sera su Telelombardia.

"A Diana - scrive Alessia Pifferi - facevo cucù e ridevamo come due matte e poi dopo un pò si addormentava ... Penso di sapere solo io il dolore, la sofferenza che ho nel cuore per questa situazione, ed il trauma che sto vivendo. Vorrei tanto tornare indietro se si potesse soltanto per riavere con me mia figlia".

Nelle dichiarazioni diffuse da Telelombardia, Alessia Pifferi si descrive così nella vita di tutti i giorni: "in casa avevo capito che se non si lavorava non si mangiava - afferma -, ho fatto vari lavori nella mia vita anche se in nero; ma a me importava trovare dei lavori come pulizie, baby sitter, assistevo un anziano anche come compagnia, pulizie in ospedale centro tumori, assistente alla poltrona".

"Per me quello che conta e contava era trovare lavori onesti e umili - dice Alessia Pifferi - che mi consentissero di avere soldi in tasca per fare la spesa e per mantenermi ed io ogni fine settimana o ogni fine mese ero molto felice. Non sono mai stata una spendacciona grazie agli insegnamenti che ho ricevuto dalla mia famiglia".

"Ricordo che quando lavoravo avevo iniziato anche ad andare in vacanza da sola ed ero felicissima perché ero finanziariamente indipendente, ma in casa non doveva mancare nulla nel frigo".

Gip: "Non necessarie analisi su impronte digitali"

Il gip di Milano Fabrizio Filice ha ribadito, respingendo un'istanza della difesa, che non sono necessarie analisi dattiloscopiche, ossia sulle impronte digitali su alcuni reperti, tra cui il biberon, nel caso della morte della piccola Diana, la bimba di quasi un anno e mezzo abbandonata sola in casa per sei giorni dalla madre Alessia Pifferi, in carcere dal 21 luglio per omicidio volontario aggravato.

Su richiesta dei difensori Solange Marchignoli e Luca D'Auria, l'incidente probatorio in corso su biberon, bottiglietta d'acqua e boccetta di En (un tranquillante) trovati vicino al letto di fortuna della bambina era stato già allargato ad analisi nell'appartamento, su pannolino, cuscino e sul materasso.

Respinta, invece, la richiesta sulle verifiche dattiloscopiche, poi ribadita dai legali in una seconda istanza e di nuovo bocciata.

Venerdì sarà interrogata: nelle chat con un uomo l'ombra di abusi sessuali sulla piccola Diana

Intanto, domani Pifferi sarà interrogata nel filone, sempre coordinato dai pm Francesco De Tommasi e Rosaria Stagnaro con indagini della Squadra mobile, che la vede indagata, assieme ad un 56enne, per corruzione di minorenne in relazione alle ormai note chat dalla quale era venuta a galla l'ombra di presunti abusi sulla bimba. Chat da cui è emerso pure che la madre mostrava ad alcuni uomini, con cui aveva rapporti a pagamento, foto della figlia

Rosa Scognamiglio per ilgiornale.it il 5 novembre 2022.

"Non ho mai fatto sesso davanti alla bambina". Alessia Pifferi, in carcere con l'accusa di omicidio volontario, - avrebbe lasciato morire di stenti la figlioletta di 18 mesi, Diana, abbandonandola per 6 giorni in un appartamento alla periferia di Milano - nega di aver mai avuto rapporti sessuali (anche occasionali) in presenza della bambina. La 37enne, indagata assieme a un 56enne con l'ipotesi di reato per corruzione di minorenne, ha scritto e inviato una lettera alla redazione di un programma televisivo: "Mi sento vuota e spenta. - le sue parole - Mi sento vuota e spenta".

L'interrogatorio di Alessia Pifferi

Ieri (venerdì 4 novembre), Alessia Pifferi ha risposto alle domande dei pm circa l'eventualità di un coinvolgimento della piccola Diana nelle relazioni occasionali intrattenute con uomini conosciuti sui social. La 37enne, difesa dagli avvocati Solange Marchignoli e Luca D'Auria, ha negato di aver avuto rapporti sessuali, talvolta a pagamento o in cambio di un regalo, in presenza della figlioletta.

Come ben ricorda Il Giorno, dal telefono sequestrato alla donna nel corso delle indagini, è emersa una chat intercorsa con il 56enne indagato per corruzione di minorenne. "Voglio baciare anche Diana", avrebbe scritto l'uomo; "Lo farai", sarebbe stata la risposta di Alessia Pifferi. Circostanza che aveva indotto gli inquirenti a ventilare l'ipotesi di abusi sessuali sulla piccina. La donna, però, ha respinto con tono fermo le accuse: "mai sesso davanti alla bambina".

La lettera

Nei giorni scorsi la 37enne ha scritto e inviato una lettera dal carcere alla redazione di un programma televisivo in cui ha raccontato di essere stravolta dal "dolore" per la perdita della figlioletta. "Ogni volta che chiudo gli occhi spero che tutta questa situazione sia solo un brutto sogno ed invece mi sveglio in carcere e mia figlia non c’è più", si legge nella missiva. "Mi sento vuota e spenta sia psicologicamente che nel cuore - continua la lettera - mia figlia mi manca da morire ed il dolore è molto forte ed intenso.

A Diana facevo cucù e ridevamo come due matte e poi dopo un po' si addormentava... Penso di sapere solo io il dolore, la sofferenza che ho nel cuore per questa situazione, ed il trauma che sto vivendo. Vorrei tanto tornare indietro se si potesse soltanto per riavere con me mia figlia". Poi conclude: "Per me quello che conta e contava era trovare lavori onesti e umili che mi consentissero di avere soldi in tasca per fare la spesa e per mantenermi ed io ogni fine settimana o ogni fine mese ero molto felice".

Dagospia il 17 novembre 2022. Anticipazione da Telelombardia

Di seguito uno stralcio delle dichiarazioni rilasciate alla trasmissione “Iceberg Lombardia” da parte del vicino di casa di Alessia Pifferi, la donna in carcere con l’accusa di aver lasciato morire la figlia Diana. Il vicino mostra alcune chat in cui Alessia Pifferi chiedeva a lui contatti di uomini disposti a fare sesso a pagamento. L’intervista integrale sarà in onda questa sera a partire dalle 20.30 

“Alessia Pifferi mi aveva chiesto se conoscevo qualcuno che poteva pagarla anche in cambio di sesso. Mi diceva che aveva bisogno di soldi. Conoscevo Alessia Pifferi, parlavamo attraverso la chat di Messenger.

A inizio luglio, prima di essere arrestata, mi ha scritto: "prova a chiedere al tuo amico se vuole passare la notte con me, mi da' 300 euro. Devo per forza trovare quei 300 euro entro domani perché ho le bollette della corrente da pagare. Se non le pago sono nella cacca perché sono già scadute. Io le ho risposto che avrei provato a chiedere a questo mio amico, ma le ho scritto che poi doveva essere direttamente lei a parlarci. Anche perché non potevo chiedere io a questo ragazzo 300 euro per fare sesso con Alessia Pifferi.

La Pifferi mi aveva chiesto se conoscevo qualcuno e io le ho mandato un mio amico, sapevo che non c'era problema per né per me né per lui. Quindi si sono organizzati ed è andato a casa di lei. Io non ho mai avuto a che fare con lo scambio di soldi tra lei e questo ragazzo, io no ho mai preso niente. 

Non ho mai "procurato" uomini ad Alessia Pifferi. Falso anche che le ho proposto di farle la spesa in cambio di sesso con me. Le ho mandato questa persona due volte. La prima volta l'ha pagata, la seconda quei 300 euro erano solo un prestito e Alessia Pifferi aveva detto che glieli avrebbe restituiti.

Il ragazzo mi ha contattato per sapere quando la Pifferi gli avrebbe dato indietro i soldi. Ho scritto alla Pifferi, mi ha risposto il 13 luglio 2022 alle 18.58 (il giorno prima che Alessia lasciasse sua figlia da sola per andare a Leffe). 

Mi ha scritto: "ciao sono in ospedale dal papà della bimba ha avuto un incidente. Su c'è la babysitter con Diana. Domani mattina vado io una banca. Subito". Raccontava un sacco di balle. Ho tutte le chat che provano quello che sto dicendo, non le ho mai cancellate. Mi aveva raccontato che il papà di Diana era morto, non era sincera raccontava un sacco di balle. È stato quello il problema.

Quei 300 euro non glieli ha mai restituiti, perché dopo si è inventata un po' di cose e l'ha tirata per le lunghe. Poi dopo c'è stato il casino. Non capivo bene cosa facesse, mi faceva vedere foto strane. Foto in cui era mezza nuda. E infatti aveva chiesto anche a me se volevo fare sesso in cambio di denaro, non ho cancellato nessuna chat, le conservo”

Da leggo.it il 29 novembre 2022. 

La piccola Diana è morta di sete ed in bocca aveva frammenti di pannolino. L'autopsia rivela che nello stomaco non aveva brandelli di cuscino, ma dello stesso pannolino che si era strappato e che giaceva vicino al suo corpicino. Diana non beveva da giorni ed era chiusa nell'appartamento, con le finestre chiuse nell'afa di luglio. Dettagli di una fine atroce, che avranno il suo peso in fase dibattimentale, nel processo nei confronti di Alessia Pifferi, la madre della bimba di 18 mesi, scrive Il Giorno.

Indagini verso la fine

Il 30 gennaio le indagini saranno chiuse e verranno depositate le relazioni sull’incidente probatorio chiesto dalla difesa, mentre il Gip ha respinto gli accertamenti su due tazzine da caffè trovate in cucina perché ritenuti inutili e dispersivi; la difesa di Pifferi, invece, sosteneva che avrebbero potuto provare la presenza di persone in casa nelle ore precedenti alla morte della neonata.

L'ergastolo

La procura, comunque, è intenzionata a chiedere il giudizio immediato con l’accusa di omicidio pluriaggravato, che prevede la pena fino all'ergastolo. La mamma, Alessia Pifferi di 37 anni, che è in carcere dal luglio scorso, in isolamento, non ha mai cambiato la versione del motivo che l'ha spinta ad abbandonare sua figlia per giorni: «Ci contavo sulla possibilità di avere un futuro con lui e, infatti, era proprio quello che in quei giorni stavo cercando di capire». Secondo le parole della donna, dunque, avrebbe rischiato che la bimba morisse, come è avvenuto, pur di restare con quell'uomo. 

Da leggo.it il 3 dicembre 2022.

«Chi altro mi telefonerà, per farmi ancora più male? Oggi è la giornata del male», questo uno dei messaggi scritto da Alessia Pifferi, la mamma di Diana, in carcere per aver abbandonato sua figlia di 18 mesi sola in casa per sei giorni, lasciandola morire di stenti, fame e caldo. Quarto Grado, il programma Mediaset rivela in esclusiva alcuni messaggi audio inviati via chat dalla donna.

Fallimenti amorosi

Un mese prima della morte della bimba, a giugno, Alessia Pifferi si confida con un'amica. «Mi ha chiamato quell'altro di Bergamo e mi ha chiesto come sta Diana?». Alla confidente dice piangendo di sentirsi vittima di amori non corrisposti da parte di tre uomini. Nell'audio ad un certo punto si sente la piccola Diana piangere e Alessia elenca cosa ha mangiato la bimba. «Gli manca Diana, non è una persona stabile» dice ancora Pifferi parlando di un uomo. «Non ne va bene uno...mi dice che gli manca la bambina. Ora lo blocco».

Umore instabile

In un altro audio invece ride e scherza, è di buon umore e racconta che sta giocando con la figlia. «Oggi è contenta, ti saluto, le faccio da mangiare». Poi di nuovo, la situazione peggiora e piange al telefono con l'amica. «Ho bisogno di conforto, quando vuoi venire».

Moderna Medea. Quanto ci terrorizza l’idea che una madre possa voler uccidere i figli. Assia Neumann Dayan su L'Inkiesta il 26 Luglio 2022.

Le donne mentono, uccidono e abbandonano la prole con le stesse modalità dei padri. E quando succede il primo pensiero va sempre a una giustificazione: la malattia mentale, il compagno assente, l’assenza di welfare. 

Pare che siano stati i vicini. Anzi no, pare che sia stato il welfare, anche se le ultime notizie danno per certo che siano stati il padre che non sapeva di esserlo, la madre, la sorella, la malattia mentale, il compagno, l’ex marito, lo Stato, anzi no: siamo stati tutti noi.

La verità è che faremmo qualunque cosa pur di non schiantarci contro l’idea che le madri siano esseri umani capaci di ammazzare i figli, saremmo pure capaci di dire che la colpa è nostra invocando un personale ergastolo ostativo.

Le madri mentono, uccidono, abbandonano, lo fanno con le stesse modalità dei padri, ma in quei casi nessuno parla di infermità mentale. Se uccidi un figlio sei malata di mente, ma non tutte le malate di mente uccidono i figli, e dunque mi chiedo: può una donna sana di mente ammazzare la prole?

In Italia abbiamo avuto la madre che ha messo il neonato in lavatrice insieme alla tovaglia piena di briciole, quella che ha soffocato il figlio con un calzino mentre era impegnata a rifiutarsi di scopare in macchina con il padre del bambino perché indisposta, quella che ancora oggi non se lo ricorda, quella che ha finto un rapimento e che ha seppellito la figlia forse ancora viva in una buca, quella che il neonato l’ha insacchettato nella spazzatura, e potrei andare avanti ore e ore.

Alessia Pifferi è un caso a sé: non ha ammazzato la figlia, l’ha lasciata morire. Questa bambina non esisteva, non esistono fotografie, la madre ha fatto sì che la bambina non potesse piangere in modo tale che nessuno potesse salvarla. «Ora la figlia del faraone scese al Nilo per fare il bagno, mentre le sue ancelle passeggiavano lungo la sponda del Nilo. Ella vide il cestello tra i giunchi e mandò la sua schiava a prenderlo. L’aprì e vide il bambino: ecco, il piccolo piangeva». Se Mosè fosse stato sedato con l’En non avrebbe pianto e nessuno avrebbe mai separato il mare e il bene dal male.

Pare anche che nessuno legga mai i giornali, ma sui social nulla può contro l’irresistibile desiderio di dire qual è il punto. Ci sono quelli che continuano a chiedersi dov’era il padre anche se ovunque è scritto che questo padre biologico non sa di esserlo, e chissà se ora lo sa, e se si prova dolore a perdere un figlio che non sapevi di avere. Ci sono quelli che non bisogna paragonare la mamma assassina alle bestie perché è un insulto verso le bestie, tra il forcaiolo e l’animalier. Ci sono le anime belle che dicono di non giudicare questa donna: sarà una donna molto malata, sarà una vittima che va curata, c’è lo stigma, c’è la salute mentale.

Fioccano i post dove le mamme si offrono di dare aiuto a chi si trova in difficoltà, invitano a parlare, perché loro non ci credono che i vicini non sospettassero nulla, alla fine bastava chiedere: «Come stai?»: un giorno poi faremo pace con il tema dei consigli non richiesti, dove se una persona prova a farti una domanda personale o a darti un consiglio è tutto sempre e solo: ma come ti permetti?

Nel 2005 Mary Patrizio uccise suo figlio di 5 mesi in 5 centimetri d’acqua. È l’unica rea confessa in Italia ad aver rilasciato un’intervista, nello specifico a Franca Leosini. Mary ha avuto un’infanzia piuttosto triste: un padre molto amato e una madre malata di nervi che faceva fatica ad alzarsi dal letto. Mary lavorava come panettiera a Monza dove «veniva il maggiordomo di Berlusconi a comprare il pane», si è sposata con il suo primo fidanzato, insieme hanno comprato casa, dopo qualche anno nasce il bambino.

Una vita come tante, la vita di chiunque. Ha avuto un parto molto difficile, un travaglio lunghissimo, dice che in ospedale nessuno l’abbia aiutata. Aveva perso molto sangue, non era in grado di prendersi cura né di sé stessa né di suo figlio. «Io mi sentivo sola e non sapevo perché, avevo una sensazione sulla testa difficile da spiegare». Parla come di una sfera appoggiata sul cranio che le intontiva i pensieri, è una cosa che ripete più volte.

Durante i primi tre mesi la nuova famiglia si trasferisce dai suoceri perché la caldaia era rotta: loro la aiutano in tutto, sono molto amorevoli e per questo volevano che rimanesse lì. «Mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo, stavo male e non capivo perché, piangevo sempre sempre sempre sempre».

Mary chiede aiuto a chiunque, va dalla psicologa della mutua di Casatenovo che le dice che ha la classica depressione post partum, ma insomma signora si faccia forza, poi se sta male ora si figuri quando cresce, faccia un sorriso: «Mi metteva davanti tutti i problemi che il bambino avrebbe avuto a sei mesi, un anno»; Mary dice che fare terapia le faceva più male che bene; a questo punto va da uno psichiatra di Milano che le diagnostica la depressione post partum e che le prescrive dei farmaci. Li prende, ma il marito le dice: «Cosa le prendi a fare le medicine che non ti fanno niente». Mary interrompe immediatamente la terapia.

Stiamo guardando un’intervista a Kitty Genovese. Mary ha sempre avuto paura dei ladri. Una volta si è trovata nel mezzo di una rapina in banca e le hanno puntato dei coltelli alla gola. Era un pensiero fisso, svegliava di notte il marito che scendeva con un bastone, ma non c’era mai stato nessun ladro. Aveva paura che facessero del male a lei e a suo figlio, che rapissero il bambino, che le rubassero l’oro. Mary racconta che sono stati i ladri a legarla e a uccidere suo figlio. Lei non lo chiama mai per nome. Il bambino si chiamava Mirko.

Mary dice a Leosini che vorrebbe ricordare, ma non ci riesce, però le dice cosa c’era nella sfera che le opprimeva la testa: «Io non ho creduto di fare del male a mio figlio, io ho salvato mio figlio. Se non avessi fatto io quello che ho fatto, lo avrebbero fatto i ladrI».

Quando Mary confessa, e confessa perché gli investigatori le dicono che è stata lei a uccidere Mirko e non i ladri, nessuno dei familiari ci crede. Era una madre perfetta. Gli inquirenti le contestano anche la premeditazione, viene condannata a 14 anni e 6 mesi. Mary è stata giudicata capace di intendere e volere.

Alessia Strinati per leggo.it l'1 novembre 2022.

Ammette di aver ucciso il figlio di 11 anni dopo che il corpo è stato trovato dal papà. Una mamma di 39 anni è stata arrestata a Marsiglia, nel sud della Francia, dopo aver confessato di aver ammazzato il figlio autistico di 11 anni. Nei giorni scorsi la famiglia aveva denunciato la scomparsa del bambino, quando poi è stato trovato il cadavere dal padre e dallo zio sotto un ponte, tra i cespugli, la donna ha parlato. 

Inizialmente la mamma aveva raccontato alla polizia che il bambino era scappato di casa approfittando di una sua distrazione e non era riuscita a rintracciarlo. Gli agenti hanno subito avviato le ricerche, che sono state supportate anche dalla famiglia del piccolo. Qualche giorno dopo il padre ha trovato la giacca del figlio sulle rive del fiume Huveaune e poco dopo hanno trovato anche il corpo del piccolo ormai privo di vita.

La confessione

Il bambino aveva evidenti segni di coltellate addosso, era completamente vestito ed è stato trovato con la faccia rivolta a terra. Le prime indagini hanno portato all'arresto della madre che poco dopo ha ammesso il delitto.

La donna ha spiegato di essere stata sopraffatta dalla malattia del figlio, dicendo di essere disperata dal fatto che non sarebbe mai finita. Ha ammesso di averlo picchiato e poi di averlo accoltellato perché non ce la faceva più a badare a lui da sola, visto che lei e il padre del figlio non stavano più insieme e lei si occupava di lui per la maggior parte del tempo. La famiglia della donna è sotto choc, è stata descritta come una madre protettiva e affettuosa, mai nessuno avrebbe pensato potesse essere capace di un simile gesto.

Estratto dell'articolo di Nicola Sorrentino per “il Messaggero” il 31 ottobre 2022.

La dinamica è ancora tutta da chiarire ma per gli inquirenti potrebbe trattarsi di tentato omicidio. È questa l'accusa con cui è stato posto in stato di fermo un quarantenne di Fisciano, in provincia di Salerno, poi condotto nel carcere di Fuorni. Secondo l'ipotesi dell'autorità giudiziaria avrebbe spinto o lanciato la figlioletta di appena due anni della finestra della sua abitazione al terzo piano di una palazzina in pieno centro. 

L'episodio è avvenuto ieri mattina intorno alle 10 e in seguito all'impatto con il suolo la piccola ha riportato lesioni agli arti e vari ematomi ma per i medici che l'hanno in cura non è in pericolo di vita. L'episodio ha lasciato increduli e sgomenti i cittadini di Fisciano.

FUORI PERICOLO

[...] Le ferite lievi, sebbene la bambina sia caduta dal terzo piano, sono dovute probabilmente al fatto che l'impatto è stato attutito da una rete di ferro che si trova nell'area sottostante l'edificio. È ipotizzabile, inoltre, che a rallentare la caduta della piccina e a salvarle la vita siano state le corde degli stendibiancheria.

LE INDAGINI

[...] I militari hanno svolto gli accertamenti, dalla perimetrazione dell'area per individuare il luogo esatto dove è stata trovata la piccola dai primi soccorritori. Ogni centimetro dell'area è stato controllato, poi l'attenzione si è concentrata sull'interno dell'appartamento, dove la piccola si trovava insieme ai genitori, entrambi professionisti. La coppia è stata oggetto d'interrogatorio per diverse ore per ricostruire la dinamica di quanto accaduto.

Elementi fortemente indiziari sarebbero emersi nei riguardi del padre della piccola, che non avrebbe fornito spiegazioni chiare su quanto accaduto. Una delle informazioni trapelate è che il genitore stava cambiando la piccola, poi sarebbe accaduto qualcosa. La madre, invece, avrebbe risposto alle domande degli inquirenti, chiarendo la sua posizione. [...] 

IL MOVENTE

L'ipotesi del movente stesso lascia pensare che gli inquirenti ritengano l'uomo responsabile di quanto accaduto alla figlia. [...] Nelle prime ore successive al fatto, si era pensato a un incidente, certamente grave visti i contorni dell'episodio. Poi, con il prosieguo delle verifiche, specie con gli interrogatori del padre e della madre, si sarebbe fatta più forte l'ipotesi di un fatto non accidentale.  L'uomo resterà in carcere per le prossime 48 ore, poi comparirà - come da rito - dinanzi al giudice per le indagini preliminari, per l'interrogatorio di garanzia. [...]

Da leggo.it il 3 novembre 2022.

«Ha detto che è stata la parola di Dio a fargli lanciare la bambina dalla finestra». A dirlo ai giornalisti è stato l'avvocato Silverio Sica, difensore - insieme al collega Tommaso Amabile - del 40enne di Fisciano, in provincia di Salerno, accusato del tentato omicidio della figlia di due anni. 

La bimba, dopo essere stata lanciata dal terzo piano, è salva per miracolo. L'uomo questa mattina è comparso dinanzi al gip del Tribunale di Nocera Inferiore (Salerno), Daniela De Nicola ed ha ammesso le proprie responsabilità. I legali hanno chiesto l'attenuazione della misura cautelare ed il ricovero in una struttura psichiatrica. 

Il calmante in ospedale e «la bomba nel pacco»

Quando era andato in ospedale tre giorni prima dell’episodio, all'uomo avevano dato un forte calmante. Qualche giorno prima ancora, era andato a ritirare un pacco alle poste, che conteneva un termometro che aveva comprato per la figlia. Aveva detto: «Qui non c’è il termometro, ci hanno messo una bomba». 

Morto Simone Borin, papà della piccola Matilda, uccisa nel 2005 a soli 22 mesi. Floriana Rullo su Il Corriere della Sera il 28 Ottobre 2022.

Aveva 46 anni. Era stato ricoverato da circa una settimana per problemi polmonari 

Matilda Borin, uccisa nel 2005 a Roasio, nel Vercellese

È morto a 46 anni, all’ospedale di Busto Arsizio dov’era stato ricoverato da circa una settimana per problemi polmonari, Simone Borin il papà della piccola Matilda, uccisa nel 2005, quando aveva solo 22 mesi, in una villetta di Roasio, in provincia di Vercelli. Un giallo senza soluzione, quello della piccola: dopo tanti anni e tanti processi, la giustizia si è arresa all’impossibilità di individuare un responsabile per quel delitto. Arrestata e processata, la mamma della piccola, Elena Romani, è stata sempre assolta in tutti i gradi di giudizio. Allo stesso modo, dopo essere stato indagato a piede libero, anche il compagno della donna, Antonino Cangialosi, mandato a processo e assolto. Erano le uniche due persone presenti nella villetta al momento della morte della bimba.

Simone Borin, che all’epoca era già separato dalla mamma di Matilda, non si è mai ripreso dalla morte della bimba.

In primo grado la donna era stata condannata a sei anni di reclusione. Bimbo ucciso di botte, ergastolo per il patrigno e la madre: “Lui impugnò il bastone e lei non lo impedì”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 21 Ottobre 2022 

La vicenda della morte del piccolo Giuseppe Dorice è un vero dramma. La Corte di Assise di Appello di Napoli (seconda sezione, presidente Alfonso Barbarano, giudice a latere Davide Di Stasio) ha confermato la condanna all’ergastolo per Toni Essobti Badre per l’omicidio del piccolo Giuseppe, il bimbo di 7 anni picchiato a morte, anche con un bastone, il 27 gennaio 2019, a Cardito, in provincia di Napoli, e per il tentato omicidio della sorellina.

Come riportato dall’Ansa, la stessa condanna anche per la mamma di Giuseppe, Valentina Casa, che in primo grado era stata condannata a sei anni di reclusione. Determinante per la decisione, è stato il comportamento di Valentina che non avrebbe impedito l’omicidio del figlio. Al termine del primo grado di giudizio Essobti e Casa erano stati condannati rispettivamente all’ergastolo e a sei anni di reclusione. Lo scorso 10 giugno, il sostituto procuratore generale di Napoli Anna Grillo al termine della requisitoria ha chiesto ai giudici di confermare la condanna all’ergastolo inflitta in primo grado a Toni Essobti Badre, e di comminare la stessa pena anche per Valentina Casa.

“Anche gli animali hanno l’istinto di proteggere i propri cuccioli“. Aveva detto Anna Grillo, sostituto procuratore generale di Napoli nel corso della requisitoria, nel processo di secondo grado, in cui chiede l’ergastolo per Valentina Casa, la 32enne madre di Giuseppe Dorice, il bimbo ucciso di botte a 7 anni dal patrigno Toni Badre, 28enne italo-marocchino. Pena pesantissima richiesta, così come in primo grado, anche per la donna che durante la brutale violenza a mani nude e a colpi di mazza da scopa non si preoccupava di soccorrere il figlioletto e l’altra figlia più grande di un anno (salvata poi dai medici del Santobono) ma – secondo la ricostruzione degli inquirenti – pensava a “ripulire il sangue con dei teli lasciati in bagno”, “occultava all’interno della pattumiera le ciocche di capelli strappate dal compagno alla figlia” e durante l’intervento dei carabinieri e dei sanitari del 118 “non riferiva immediatamente che Toni era stato l’autore di quello scempio, negava piuttosto la violenza già perpetrata all’indirizzo dei bambini”.

Anzi, così come confermato dallo stesso compagno, “la storia dell’incidente…” (diverse ore dopo l’aggressione vennero chiamati i soccorsi e al 118 ha detto che i bimbi erano stati vittima di un incidente stradale, ndr) che Valentina ha raccontato è stata una sua iniziativa…” come la decisione di pulire “…tutta la casa e di posare la struttura del letto…”. Secondo il sostituto pg “si è toccato il fondo della crudeltà umana” e per tale motivi ha chiesto la conferma della condanna all’ergastolo per Toni Essobti Badre e la stessa pena anche per Valentina Casa, condannata a sei anni in primo grado lo scorso 9 novembre 2020.

L’omicidio avvenne la domenica del 27 gennaio 2019 a Cardito, comune in provincia di Napoli. “La scena del crimine era una vera e propria scena dell’orrore… coloro che avevano perso tutto quel sangue erano due bambini di sei e otto anni… selvaggiamente picchiati per lungo tempo in tutte le maniere possibili e immaginabili”, ha spiegato Grillo così come riferisce l’Ansa.

“Su Essobti c’è poco da dire – ha sottolineato Grillo – la sua condotta è stata insistentemente, pervicacemente e crudelmente rivolta per fare del male in maniera incredibilmente feroce a questi due bambini, colpendoli su tutte le parti del corpo ma in particolare sulla testa”. Parole durissime anche nei confronti della madre che, se fosse intervenuta in modo tempestivo, avrebbe potuto salvare il figlioletto Giuseppe. “Valentina avrebbe potuto e assolutamente dovuto, giuridicamente dovuto, evitare quelle conseguenze lesive, fare di tutto per interrompere l’attività criminale e invece ha assistito passivamente a questa terribile, oscena, mattanza dei suoi figli”.

“Avrebbe potuto urlare, poteva frapporsi, assumere lei quella violenza che si scatenava sui suoi figli – ha detto ancora il magistrato – avrebbe potuto chiamare la polizia, i vicini, i familiari, urlare, anche soltanto per distogliere quell’essere che fatico a definire umano per interrompere la violenza su due bambini indifesi“… invece “…ha preferito la vita e l’esistenza dei suoi bimbi al rapporto con Essobti perché il figlio erano d’intralcio. Ed è assurdo che una mamma possa essere indifferente alla sofferenza dei suoi figli”.

Nella penultima udienze, Badre aveva letto una lunga lettera ai giudici nella quale chiedeva perdono perché “mi sono fumato un canna, uso sostanze stupefacenti quotidianamente” e quando “ho visto la struttura del letto rotta, mi venne un raptus, come se si fosse spento il cervello…”. E’ raptus la parola chiave sui cui si soffermano Tony Essobti Badre e il suo legale Pietro Rossi nel processo d’Appello che si sta celebrando a Napoli nel tentativo di ottenere un’attenuante ed evitare la condanna all’ergastolo.

In una precedente udienza, Badre aveva scritto un’altra lettera dove chiedeva al giudice di aiutarlo a capire “perché ho ricevuto un trattamento così duro. Ho sempre ammesso le mie responsabilità…”. Poi aggiunse: “Mi sono messo nel letto per rilassarmi un po’… verso le 8 e qualcosa, sentii che (i bambini, ndr) saltavano sul letto … mi è venuto un raptus di follia, mi si è spento il cervello, e li picchiai… ma non ho mai voluto ammazzarli”.

Secondo il legale Rossi “l’imputato ha compreso la gravità delle proprie azioni ma avverte la pena come ingiusta. In effetti la pena dimostra la tendenza punitiva della sentenza che non tiene conto né delle risultanze processuali né della situazione sociale ed umana di un ragazzo che vuole una rieducazione che l’ergastolo non potrà mai dargli“.

Nel corso del processo di primo grado Valentina Casa descrisse la mattinata dell’orrore vissuta nell’appartamento di Cardito: “Non si fermava più… buttava mazzate e mentre picchiava i bambini le mazze si sono spezzate… In quel momento sembrava un diavolo… picchiava i bambini anche quando sono caduti…”. La donna riferì poi di aver subito violenze: “Mi ha tirato i capelli e mi ha dato un morso dietro i capelli”.

Nel corso di una udienza, sempre nel processo di primo grado, del 30 ottobre 2019, l’agente della Questura di Napoli, intervenuto nell’ospedale pediatrico Santobono in quei drammatici giorni, ricorda l’incontro con la sorellina di Giuseppe, più grande di un anno, miracolosamente sopravvissuta alle violenze del compagno della madre. “Una scena raccapricciante, la bimba era totalmente sfigurata dalle botte, aveva lividi ovunque e faceva fatica anche a vedere”. Le parole della piccola al poliziotto sono state sin da subito chiare: “Dovete portate in prigione mio padre (il patrigno, ndr), la sera beve la birra e ci picchia, e mamma deve chiamare i carabinieri”.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Novara, morte del piccolo Leonardo: ergastolo alla madre Gaia Russo e all’ex compagno Nicolas Musi. Floriana Rullo per il “Corriere della Sera” il 28 settembre 2022.

Pene confermate dalla Corte d’Assise d’Appello di Torino. Il delitto il 26 marzo 2021, il bimbo aveva 19 mesi

Ergastolo confermato per Gaia Russo e l’ex compagno Nicolas Musi, accusati dell’omicidio del piccolo Leonardo, il figlio di lei di soli diciannove mesi. La Corte d’Assise d’Appello di Torino ha confermato questa mattina, mercoledì 28 settembre, la condanna al carcere a vita che era arrivata già il 26 marzo 2021 a Novara. Non ha trovato accoglimento la richiesta delle difese di rivalutare il materiale probatorio: Gaia, in particolare, chiedeva un’assoluzione piena, sostenendo di essere stata vittima di violenze psicologiche, e che amava suo figlio. Nicolas, invece, aveva ammesso alcune percosse, ma negato di essere l’autore del delitto avvenuto mentre lui si trovava in un’altra stanza.

Il delitto era avvenuto il 23 maggio 2019, nella casa di corso Trieste a Novara dove Gaia viveva col figlioletto e il nuovo compagno, biellese. Nella ricostruzione fatta dalla procura di Novara sulla base delle indagini dalla Squadra Mobile, l’uomo era ritenuto l’esecutore materiale, ma la madre del piccolo aveva dato il proprio contributo morale nell’uccisione del bambino. E aveva giustificato il fidanzato nelle occasioni in cui il figlio mostrava segni di percosse, presentate per lo più come normali incidenti casalinghi. I due, arrivati in ospedale dopo l’ennesima violenza sul piccolo che lo ha condotto alla morte, avevano raccontato che «Leonardo è caduto dal lettino». Ma una volta scoperti avevano finito per accusarsi a vicenda, scaricandosi le colpe. Molto probabilmente il caso arriverà in Cassazione. 

Un impotente dolore per le mamme e le figlie delle cronache quotidiane. L’inferno per quella bimba deve essere stato un luogo di silenzi, dove il pianto, i singhiozzi, ma anche i sorrisini e le mossette buffe dei cuccioli di ogni specie, non solo quella umana, non sortiscono effetto alcuno. Rossana Gismondi su La Gazzetta del Mezzogiorno il 23 Luglio 2022

Non so, come tutti, se l’inferno sia davvero un luogo di fiamme in cui ognuno arde eternamente nei propri peccati. Non lo so e non me l’immagino. Però immagino come debba essere l’inferno vissuto in terra. Simile a quello di Diana, un anno e mezzo di Milano, che la mamma, per raggiungere il fidanzato a Bergamo, ha lasciato sola in casa per sei giorni, ritrovandola morta.

Lo immagino da essere umano soprattutto, e anche come madre e nonna. L’inferno per quella bimba deve essere stato un luogo di silenzi, dove il pianto, i singhiozzi, ma anche i sorrisini e le mossette buffe dei cuccioli di ogni specie, non solo quella umana, non sortiscono effetto alcuno. L’inferno deve essere non solo non ricevere affetto dalla propria madre, ma nemmeno le cure e attenzioni di cui ogni bimbo necessita: i piccoli, si dice con un sorriso, vanno maneggiati con cura. Diana, raccontano i vicini di casa, usciva di rado e la sua mamma dava poca confidenza. «Non era una buona mamma».

Già, evidentemente. Una bimba nata da una relazione occasionale, leggiamo, non voluta, non cercata. Lasciata sola spesso: una, due notti. L’hanno trovata nel suo lettino, un biberon accanto e una boccetta di medicine che fanno dormire. Le notti stavolta sono state sei: la sua mamma a Milano c’era pure tornata, nel mezzo, per accompagnare il fidanzato, ma non era passata a vedere come stesse.

«Sapevo che sarebbe potuto accadere» ha detto agli investigatori, lucida. Nessuno, pare, ha sentito piangere nei sei giorni di nulla. Nessuno si è posto domande, su quella mamma che non portava mai fuori la piccina. Su quella bimba che stava sempre nel passeggino. Che la mamma non faceva giocare. E che spesso rimaneva sola. Diana è morta di stenti, di abbandono, di indifferenza. Come morì nel 2005 un’altra piccola della stessa età: a Bari, quartiere Loseto, Eleonora. Ricordo bene Eleonora: aveva 16 mesi, pesava come una bimba di 4.

Le sue giornate le trascorreva nel passeggino: legata, di fronte al muro. Le trovarono piaghe da decubito, fratture non curate, lesioni. Anche lei non voluta, nata occasionalmente. Anche lei ha vissuto l’inferno in terra, come Diana. Anche lei morta di stenti. Perché siamo tutti figli, ma non tutte le donne sono madri. E l’istinto materno non esiste se non c’è l’amore che ognuna dovrebbe provare. Quell’amore che ti porta a nutrire, accudire, allevare un figlio.

Diana, Eleonora sono morte di stenti e di indifferenza: e l’indifferenza è anche di chi gira la testa per non guardare. Di chi sa e preferisce farsi gli affari propri.

Ciò che mi atterrisce dinanzi a storie come quelle di Diana ed Eleonora è la desolante, banalità del male. Qualche giorno fa, a Bari una giovane mamma è morta cadendo da una scala a chiocciola: in braccio aveva la propria neonata, che si è salvata grazie a quell’abbraccio forte. Istintivamente avrebbe potuto allargare, allungare le braccia in avanti : ma avrebbe allentato l’abbraccio. L’istinto, se c’è, è stato fermato dall’amore. Più forte di tutto.

A Eleonora, Diana è stata negata un’occasione: se quelle donne avessero rinunciato a loro, con i molti mezzi legali che sono a tutela degli abbandoni, non ne avrebbero decretato la morte. L’inferno in terra, prima della morte. Il Male, prima di annunciarsi in tutta la sua crudeltà lavora subdolo, silenzioso: ne devi cogliere un guizzo prima che esploda. Ora, qualche mano pietosa, ha messo davanti alla casa di Diana un mucchio di palloncini bianchi. Chissà se questa povera, sciagurata, bambina avrà mai avuto un palloncino: non penso che all’inferno possano esserci palloncini. Solo la banalità del male.

E un desolato, impotente dolore per chi vorrebbe scrivere di altro.

·        Le Suocere.

(ANSA il 27 aprile 2022) - Il Papa invita a riallacciare i legami tra le generazioni anche tra suocere e nuore o generi. "Oggi la suocera - ha detto Papa Francesco nell'udienza generale - è un personaggio mitico. La suocera, non dico che la pensiamo come il diavolo, ma sempre la si pensa come una brutta figura. Ma la suocera è la mamma di tuo marito o la mamma di tua moglie". Bisogna superare il pensiero che "la suocera quanto più lontano è meglio è. No, è madre, è anziana", ha sottolineato il Pontefice ricordando che "la cosa più bella per le nonne è vedere i nipotini".

Il Papa ha invitato i fedeli in piazza San Pietro per l'udienza generale: "Guardate il rapporto che avete con le vostre suocere. A volte sono un po' speciali... ma hanno dato la maternità del coniuge", "falla felice". "Se hanno qualche difetto si correggano. Anche voi suocere: state attente con la lingua perché la lingua è uno dei peccati più brutti delle suocere". Papa Francesco ha definito infine "un pericolo" la gelosia della suocera per il proprio figlio.

·        Il Sesso.

DAGONEWS il 9 dicembre 2022.

Il dottor Don Ingber, bioingegnere ad Harvard, "crea" organi per vivere. Utilizzando pezzi flessibili di silicone intagliati con minuscoli canali, fa crescere tessuti che possono imitare le complesse interazioni fisiche tra cellule e fluidi, creando modelli tridimensionali di organi. 

Negli ultimi dieci anni ha realizzato più di 15 di questi organi su chip, tra cui quelli che simulano polmoni, fegati, intestini e pelle. Ora ha aggiunto alla lista un organo molto meno studiato: la vagina. 

La "vagina su chip" è stata realizzata con cellule vaginali donate da due donne. Il modello è stato coltivato all'interno di chip di gomma siliconica delle dimensioni di una gomma da masticare, formando canali che rispondevano alle fluttuazioni dei livelli di estrogeni e dei batteri.

Il chip ha riprodotto con successo le caratteristiche chiave del microbioma vaginale, le comunità di batteri che giocano un ruolo cruciale nella salute dell'organo.

Il chip è più realistico di altri modelli in  laboratorio dell'organo. 

Lui e altri ricercatori sono ottimisti sul fatto che lo strumento potrebbe offrire un modo migliore per testare i trattamenti per la vaginosi batterica, un'infezione da microbi nocivi nella vagina che colpisce circa il 30% delle donne ogni anno. 

«È un grande sviluppo» ha dichiarato il dottor Ahinoam Lev-Sagie, ginecologo dell'Hadassah Medical Center di Gerusalemme che studia il microbioma vaginale. 

Lo studio, finanziato dalla Gates Foundation, ha utilizzato il chip vaginale per riprodurre il modo in cui una vagina reale risponde agli ambienti batterici buoni e cattivi. 

I ricercatori hanno dimostrato che il tessuto all'interno del chip ha reagito positivamente a un cocktail di lattobacilli, un tipo di batterio che digerisce gli zuccheri e produce acido lattico, creando un ambiente acido all'interno della vagina umana che la protegge dalle infezioni.

Quando un altro tipo di batterio, associato alle infezioni vaginali, è stato messo in coltura sul chip senza la presenza di lattobacilli, l'infiammazione è aumentata e le cellule sono state rapidamente danneggiate. 

Questa reazione è simile a quella che si verifica quando si contrae la vaginosi batterica, una condizione in cui i batteri nocivi prendono il sopravvento sul microbioma vaginale, abbassandone l'acidità e talvolta causando prurito e aumento delle perdite.

La vaginosi batterica viene in genere trattata con antibiotici, ma i tassi di ricaduta sono elevati. Se non trattata, la vaginosi batterica aumenta il rischio di infezioni sessualmente trasmissibili e di cancro cervicale. 

Nelle donne in gravidanza, può aumentare il rischio di parto pretermine o di basso peso alla nascita.

Nonostante questi rischi, la vaginosi batterica e la vagina stessa sono ancora poco studiate.

Paola Scaccabarozzi per iodonna.it il 26 novembre 2022. 

Complici i ritmi frenetici quotidiani, il lavoro, i figli da gestire, problemi vari ed eventuali che talvolta diventano talmente pressanti da risultare imprescindibili e soverchianti, durante la stagione fredda la voglia di fare sesso diminuisce. Accade già dopo il rientro dalle ferie, tende ad acuirsi sempre di più verso la fine dell’autunno e crolla durante l’inverno. 

La mancanza delle ore di luce ha un impatto significativo sull’umore perché in primavera ed estate il sole e la vita all’aria aperta stimolano la produzione di serotonina, una sorta di anti depressivo naturale. Ma non solo. Anche i livelli di testosterone, un ormone legato al desiderio sessuale, tendono a diminuire durante la stagione fredda. Quindi, in inverno, si è biologicamente meno predisposti al sesso. A questo si aggiungono strati di vestiti che, se in alcuni casi possono anche rendere più allettante il gioco della seduzione, in coppie già collaudate possono costituire un ulteriore deterrente al risveglio del desiderio sessuale.

Un gran peccato, perché a farne le spese è sia la vita di coppia sia il benessere individuale. Bisogna imparare ad accettare il proprio corpo. In questo modo ci si rende automaticamente più attraenti. «Piacersi è un ottimo afrodisiaco. E se ci si piace davvero lo si comunica a chi ci sta accanto. Bisogna, inoltre partire dal presupposto che,  per chi ci ha scelti, ammirare il nostro corpo nudo è fonte di enorme godimento. E non noterà certo il chilo di troppo o la smagliatura», ricorda Chiara Simonelli, sessuologa dell’Università La Sapienza di Roma. Bisogna anche imparare ad assecondare i sensi. Un rapporto sessuale soddisfacente deve appagare le parti sensoriali di ognuno di noi. 

«Tendenzialmente, uomini e donne hanno preferenze diverse. Gli uomini sono molto appagati dalla vista: per mantenere forte l’eccitazione hanno, infatti, bisogno di vedere. Le donne, invece, hanno molto sviluppata la parte uditiva. Quindi sentire la voce del proprio uomo è sempre molto eccitante», conclude Simonelli. 

Fare sesso fa bene per mantenere viva una relazione, non ci sono dubbi. Ma molti sono i vantaggi per la salute in genere, soprattutto nei mesi invernali. Fare sesso è:

1. È UN TOCCASANA CONTRO RAFFREDDORI E INFLUENZE. Secondo uno studio dei ricercatori dalla Wilkes University in Pennsylvania, la saliva delle persone che fanno spesso l’amore contiene maggiori quantità di immunoglobuline A, ossia gli anticorpi che proteggono dai virus. Anche l’immunologo svizzero Manfred Schedlovski, pochi anni fa è giunto alla medesima conclusione. Grazie a un curioso studio eseguito nel 2012 ha rilevato, infatti, durante i rapporti sessuali, un aumento del 30% nel numero di fagociti (le cellule in grado di eliminare gli elementi patogeni presenti nel nostro organismo), con picchi del 150% durante l’orgasmo. 

2. TIENE A BADA IL COLESTEROLO. Se d’inverno si tende a mangiare di più, consumando più grassi e cibi elaborati, il sesso ti dà una mano. Durante un recente Congresso della Società Italiana di Andrologia e Medicina della Sessualità (Siams) è emerso, infatti, che una vita sessuale appagante ha un impatto significativo sui livelli di colesterolo “cattivo”, soprattutto nell’uomo. Notizia di non poco conto, se pensiamo che proprio in questi giorni è stato ulteriormente abbassato dai cardiologi  il livello di colesterolo LDL consigliabile, che deve essere preferibilmente sotto i 100 mg/dl per metterci al riparo dal rischio cardiovascolare. 

3. AIUTA A BRUCIARE LE CALORIE. Durante un rapporto sessuale si bruciano minimo 200 calorie, l’equivalente di una ventina di minuti sulla cyclette.

 4. MANTIENE GIOVANI. Secondo David Weeks, neuropsicologo del Royal Hospital di Edimburgo, alle coppie che avevano rapporti almeno 3 volte la settimana venivano attribuiti in media 10 anni in meno rispetto alla loro vera età. È quanto emerso da uno studio condotto su 3500 persone tra 21 e 101 anni. Secondo il ricercatore questo varrebbe soprattutto per le donne, poichè gli estrogeni prodotti durante il sesso favorirebbero la brillantezza dei capelli e contribuirebbero a mantenere la pelle tonica ed elastica.

5. FA DORMIRE MEGLIO. In inverno l’aria in casa è secca e può essere più difficile addormentarsi. Ma il sesso rilascia sostanze chimiche, come le dopamine, che aiutano a rilassarsi e a riposare meglio. E dormire bene ha un sacco di vantaggi, anche sull’umore del giorno successivo e, di conseguenza, sul rapporto con il proprio partner. Insomma, si innesca una specie di circolo virtuoso.

Che fare allora per movimentare un po’ la vita di coppia?

DAGONEWS l’8 novembre 2022.

Un controverso esperto di relazioni ha rivelato quanto spesso le coppie dovrebbero fare sesso e afferma che le sue statistiche sono provate dalla "scienza".

Jake Maddock, di Brisbane, dice che dovreste fare sesso due o tre volte a settimana perché fornisce "benefici per la salute mentale e fisica" e consente la "regolazione ormonale". 

«È stato dimostrato con studi scientifici che è molto buono per le donne raggiungere l'orgasmo tre volte a settimana. Fa bene alla loro salute mentale, fisica, fa bene al loro corpo. Ed è buono per la regolazione ormonale, la salute mentale, la salute fisica degli uomini. Fare sesso con tale frequenza vi aiuterà a mantenere il legame».

Maddock ha spiegato che nel tempo, quando le coppie si sentono a proprio agio, iniziano a essere "pigre" non facendo sesso così spesso.

 «Le persone nelle relazioni a lungo termine sembrano diventare pigre e dicono “una volta alla settimana va bene", "una volta al mese va bene", diventano sempre più pigre e ci si allontana. Quindi due o tre volte a settimana serve a tenere il legale solido».

Uno studio pubblicato su Archives of Sexual Behavior ha rivelato che le coppie sposate fanno sesso 51 volte l'anno, circa una volta alla settimana. Ma altri sostengono che non esiste un "numero magico" quando si tratta di quanto spesso le coppie debbano fare sesso.

DAGONEWS il 24 Ottobre 2022. 

Le dimensioni contano. E in Gran Bretagna pare abbiano preso la questione veramente sul serio, dedicando ai super dotati “My Massive C**k” (“Il mio cazzo gigantesco”) , il programma in onda questa sera alle 22 su Channel 4. 

Ma c’è poco da ridere perché, se il titolo può sollevare qualche ilarità, il documentario è serissimo e indaga nell’esistenza di alcuni uomini che vivono con un pene extra-large. Se da un lato c’è chi parla orgoglioso delle sue dimensioni, dall’altro c’è chi racconta come un pene gigante complichi seriamente le loro giornate. 

Vi pare strano? Sappiate che il programma ha incontrato diversi uomini che stanno pensando di sottoporsi a un intervento chirurgico per la riduzione del pene.

Da ilfattoquotidiano.it il 27 Ottobre 2022.

Viene cacciato da un colloquio di lavoro perché i possibili datori di lavoro hanno pensato che avesse un’erezione improvvisa e insostenibile. Questo è uno dei racconti raccolti del programma di Channel 4, My Massive cock. Spazio tv in cui, come si può intuire, protagonisti sono uomini con peni giganti. Ma attenzione, altro che celebrità da pornodivi e da grandi amatori.

A My massive cock la maggior parte dei casi riguarda persone con enormi peni che per questo devono scontare grandi pene nella vita quotidiana. Il caso è quello del giovane Joe. Il ragazzo ha un pene lungo quanto e oltre il suo avambraccio. Le prova tutte, Joe, per tenere a bada questa lunga protuberanza, tra cui abiti ad hoc a partire da speciali mutande. Solo che, come ha raccontato nel programma di Channel 4, ad un colloquio di lavoro le dimensioni del suo pene hanno fatto pensare che avesse un’erezione, ed è stato mandato via.

Del resto il lancio del programma My Massive cock recita: “Un pene extra large è un oggetto del desiderio per molti, ma per alcuni uomini complica seriamente la loro vita e le loro relazioni. L’unica risposta diventa la chirurgia per la riduzione del pene”.

Mario Tafuri per blitzquotidiano.it l'1 novembre 2022.

Lo rivela uno sconvolgente documentario di Channel 4, My Massive C***, che racconta degli abusi subiti e delle difficoltà vissute da uomini con pene extra-large, ha lasciato i telespettatori scioccati. 

Uomini con pene extra-large hanno rivelato di essere stati rifiutati per un lavoro, di essere stati maltrattati da estranei e di avere difficoltà a uscire con qualcuno perché “feticizzati” dalle donne in un documentario sconvolgente andato in onda su Channel 4. 

Uno degli intervistati, di nome Scott, ha dichiarato che il suo pene è di circa 24 pollici quando è eretto e ha spiegato come i suoi amici lo considerino alla stregua di un oggetto. Un altro, Joe, 22 anni, ha detto che cerca disperatamente di nascondere il suo grande rigonfiamento. Matt, 39 anni, che non riesce a mantenere una relazione a causa del suo pene di 15 centimetri e mezzo.

Scott ha affermato, inoltre, che “Le persone sono curiose per il tuo pene e non per quello che sei”. 

“Non è una cosa che normalmente tiro fuori al primo appuntamento ma ora sono in un momento della mia vita in cui voglio che le cose vadano per il verso giusto e che siano rese pubbliche”. Sogna di trovare una ragazza che si interessi a lui per la sua personalità e non per il suo pene.

Joe ha dichiarato che il suo pene è di 24 centimetri quando è eretto. Subisce abusi quotidiani a causa di questo. Racconta: “Di solito indosso biancheria intima con un sacchetto sul davanti. Spendo 200 sterline al mese per degli slip speciali perché è quasi un dodicesimo della mia altezza. È più spesso del mio avambraccio”. 

Ha ricordato come sia stato intervistato per un lavoro ma non abbia ottenuto il posto a causa di un “comportamento inappropriato” e di un “abbigliamento sbagliato”.

Matt ha raccontato che i suoi precedenti tentativi di trovare un partner online lo hanno fatto sentire un feticcio. 

Le sue dimensioni estreme lo hanno portato a considerare la possibilità di affrontare un intervento di riduzione del pene per una migliore qualità della vita ma alla fine ha rinunciato a causa dei “molti rischi” connessi ad una operazione simile. 

Molti telespettatori hanno contestato le scelte di Channel 4 ed hanno dichiarato di essere stati scioccati dal documentario My Massive C***.

 Clitoride, "lesioni e non solo": quello che ancora non sappiamo. Libero Quotidiano il 24 ottobre 2022

C'è ancora tanto da imparare sul clitoride. Come confermato dalla dottoressa Rachel Rubin, urologa a Washington, DC, "è completamente ignorato da tutti. Non esiste una comunità medica che si sia assunta la responsabilità della ricerca, della gestione, della diagnosi della vulva e delle condizioni a essa correlate".

Eppure non studiare più in generale la vulva, presenta preoccupanti conseguenze. In una ricerca del 2018 apparsa sulla rivista Sexual Medicine, il dottor Rubin, il dottor Goldstein e i colleghi hanno scoperto che il mancato esame della vulva e del clitoride ha portato diversi medici a trascurare regolarmente la salute sessuale delle donne.

Tra le documentazioni, quelle riguardanti lesioni al clitoride in procedure come interventi chirurgici alla zona pelvica, episiotomie durante il parto e persino interventi chirurgici all'anca. "Molte di queste lesioni potrebbero essere prevenute - ha affermato Rubin - se i medici dedicassero più tempo a conoscere il clitoride". Ma allora, viene da chiedersi, cosa c'è dietro il mancato studio. Come riportato da Dagospia, il clitoride è intimamente legato al piacere e all'orgasmo femminile. E fino a poco fa questi temi non erano in cima alla lista delle priorità della medicina, né considerati aree appropriate di ricerca medica. Da qui i numerosi casi di lesioni in quest'area da parte di donne durante semplici procedure di routine.

DAGONEWS il 24 Ottobre 2022.

Se la vulva nel suo insieme è già poco esplorata, il clitoride rimane un mondo totalmente sconosciuto. «È completamente ignorato da tutti - ha affermato la dottoressa Rachel Rubin, urologa a Washington, DC - Non esiste una comunità medica che si sia assunta la responsabilità della ricerca, della gestione, della diagnosi della vulva e delle condizioni a essa correlate». 

Alla domanda su cosa avesse imparato alla facoltà di medicina sul clitoride, la dottoressa Rubin ha risposto: «Niente che io mi ricordi. Quando era menzionato, nel migliore dei casi, era una nota a margine».

Solo anni dopo, grazie a una borsa di studio in medicina sessuale con il dottor Goldstein, imparò a esaminare la vulva e la parte visibile del clitoride. Il clitoride completo, ha appreso, è una struttura profonda, costituita in gran parte da tessuto erettile, che raggiunge il bacino e circonda la vagina. 

Oggi, la dottoressa Rubin è la principale "clitologa" di Washington. La battuta, ovviamente, è che pochi sono in lizza per il titolo. «I medici amano concentrarsi su ciò che sappiamo - ha detto - Non ci piace mostrare debolezza, non ci piace dire che non sappiamo qualcosa».

Evitare di studiarlo, ha conseguenze per i pazienti. In uno studio del 2018 sulla rivista Sexual Medicine, il dottor Rubin, il dottor Goldstein e i colleghi hanno scoperto che il mancato esame della vulva e del clitoride ha portato diversi medici a trascurare regolarmente la salute sessuale delle donne. 

Sono state documentate lesioni al clitoride in procedure tra cui interventi chirurgici alla zona pelvica, episiotomie durante il parto e persino interventi chirurgici all'anca. Se eseguita male, una labioplastica - una procedura per ridurre le dimensioni delle piccole labbra e uno degli interventi di chirurgia estetica in più rapida crescita al mondo - può anche danneggiare i nervi, causando dolore genitale e perdita della sensibilità sessuale.

«Molte di queste lesioni potrebbero essere prevenute - ha detto Rubin - se i medici dedicassero più tempo a conoscere il clitoride». Allora perché non lo facciamo? Per il dottor Rubin, il motivo è semplice: il clitoride è intimamente legato al piacere e all'orgasmo femminile. E fino a tempi molto recenti, questi temi non erano in cima alla lista delle priorità della medicina, né considerati aree appropriate di ricerca medica. La ginecologia, da parte sua, è molto più focalizzata sulla fertilità e sulla prevenzione delle malattie.

E non è un caso che, sempre più spesso, ci sono donne che parlano delle lesioni subite in quest'area durante procedure di routine. Una è Julie, una manager di 44 anni dell'Essex, a est di Londra, che ha perso la capacità di raggiungere l'orgasmo nel 2012 dopo un'operazione all'anca per affrontare il mal di schiena. 

Ha condiviso la sua storia pubblicamente su “The Telegraph” l'anno scorso: Julie ha raccontato il risveglio dall'anestesia, ricordando un dolore lancinante intorno al clitoride. Il suo chirurgo le ha detto che erano solo lividi e che sarebbero svaniti. Alcuni mesi dopo, ha scoperto che non poteva più raggiungere l'orgasmo. Quando ha provato «era come se tutto fosse morto».

Ci sono voluti due anni di ricerche su Internet per rendersi conto che un palo cilindrico posizionato tra le sue gambe durante l'operazione le aveva probabilmente schiacciato i nervi del clitoride. È noto che l'uso del dispositivo causa danni ai nervi. Ma questo non è stato menzionato nel suo modulo di consenso.

Madri, padri, figli e l’altra metà della mela. Dai primi amoretti, dall’averne osservato gli sviluppi, ho tratto l’impressione di una strana educazione sentimentale. Lisa Ginzburg su La Gazzetta del mezzogiorno il 27 Agosto 2022.

Conosco diversi giovanissimi adolescenti, e questa estate di alcuni di loro ho seguito le vicende sentimentali. Acerbe vicende se si considera l’anagrafe, perché quattordici o quindici anni non è certo tempo maturo a sufficienza per imbastire «vere» relazioni amorose. Ma per cotte e innamoramenti sicuramente sì, certo che è l’età giusta. Di questi primi amori e amoretti estivi, dall’averne osservato gli sviluppi, ho tratto l’impressione di una strana educazione sentimentale, insieme scarsa e condizionata: senza parole e senza nozioni, ma già impregnata di preconcetti. Cosa sia l’amore e come si ama, non lo sappiamo mai: nessuno di noi, mai, nemmeno dopo avere vissuto molti amori, neppure da vecchi. Il sentimento amoroso, l’attrazione, la passione, il sentimento, sono, e restano, un mistero. Come coltivare le nostre relazioni, in che modo avvicinarci all’altro sesso e intrattenere con quello rapporti sani e limpidi, destinati se non a durare, a gettare buoni semi, invece è qualcosa che prende forma presto, e specie negli anni della pubertà.

I giovanissimi adolescenti maschi: alcuni gentili, altri impacciati e piuttosto aggressivi nell’avvicinare le ragazzine loro coetanee. Ovvia e anagraficamente normale la loro inesperienza: gradevole quando prende forma di stupore, incantamento, meraviglia, non di arroganza o di preconcetta sicumera. Quest’ultima, la baldanza aggressiva, da dove arriva? Spesso dalle madri di quei figli maschi.

Non ho figli maschi; se ne avessi avuti, probabilmente ancor più di quanto non faccia come madre di una femmina sarei stata una madre autocritica, esigente con me stessa. A una donna, e a una madre per prima (subito prima che a un padre) spetta l’insegnare a un figlio maschio a relazionarsi nel modo migliore con «l’altra metà della mela», con il femminile, con le ragazze (più tardi donne). Insegnare a considerarle, a trattarle bene, con rispetto e gentilezza. A non temere la potenza e la bellezza della natura di donna, a non aver paura di farsi soggiogare dal suo incanto; al contrario, imparare a supportarle, rendendo quell’incanto nutrimento e motivo di ispirazione. Molto più di quanto la maggioranza di loro non faccia, le madri dovrebbero insegnare ai figli maschi a non temere le donne come una minaccia da «tenere a bada», piuttosto a considerarle come pari, creature bellissime e degne di massima attenzione.

L’Italia versa in condizioni arretrate sul fronte della condizione femminile, ma sono le madri per prime a dover incominciare a educare i loro figli maschi a rapportarsi con fiduciose apertura e dolcezza nei confronti delle donne. Il discorso non è a senso unico, figuriamoci. Anche in certe ragazzine ho notato attitudini distorte, preconcetti risentimenti nei confronti dei maschi, un escludente aprioristico considerarli troppo insolenti, o arroganti, o immaturi per potere loro, le femmine, averci a che fare. Analogo atteggiamento prefabbricato, spesso introiettato dalle figlie osservando le madri, madri non trattate bene dagli uomini (gli stessi padri delle ragazze, o altri), donne che con gli uomini sono arrabbiate di una rabbia velenosa, antica, amara, senza riuscire a fare pace né con gli uomini, né con loro stesse (con la loro parte arrabbiata).

È tempo di combattere l’incultura sessista, insegnando ai nostri figli e alle nostre figlie a rispettarsi e a crescere insieme. Tempo per le madri di sentire la grande responsabilità di allevare nel rispetto e l’amore delle donne e del femminile i loro figli maschi. Tempo per i padri di fare lo stesso, così che i figli e le figlie respirino in casa un clima di reciproca attenzione e solidarietà, senza poi, fuori di casa, doversi «vendicare» esercitando sui loro coetanei dell’altro sesso il potere distruttivo del livore, di rabbia e delusione e rancore incondizionati. Tempo di crescere e crescere insieme, in un Paese che sulla questione di genere, e prima ancora su quella della parità tra i generi ha ancora un lungo, lunghissimo cammino da fare. I giovani adolescenti raccontano di questa immensa falla nella cultura dominante, una volta ancora, senza saperlo, così puntando il dito sulla mancanza di linguaggio per quella stessa cultura.

Tempo di educarsi, e a educare, a essere per prima cosa profondamente amici dell’altro sesso, dell’altra metà della mela. Un principio affettivo e morale (e pedagogico) da cui possono germogliare comportamenti di certo migliori dei molti che dilagano e appestano l’aria, alterando pregiudicando sin da troppo presto i rapporti tra i maschi e le femmine, futuri uomini e donne.

Da luce.lanazione.it il 28 agosto 2022.

L’età della prima volta tra i giovanissimi negli ultimi tempi è diventata sempre più precoce, o perlomeno è stato così fino a questo momento. 

La gioventù dei nostri giorni inverte invece questa storica tendenza, e altro che 14 anni: l’asticella è salita di tre anni per tutti senza distinzione, maschi e femmine. Il primo rapporto sessuale completo i giovanissimi italiani hanno dichiarato infatti di averlo in media intorno ai 17 anni. Solo una scarsa percentuale, pari al 19,8%, ha dichiarato di aver perso la verginità prima dei 16 anni. 

Dunque, quello della sessualità precoce, dati alla mano, sembra un mito a tutti gli effetti oramai superato. Ma c’è di più: che la situazione sia molto cambiata rispetto agli anni scorsi lo dimostra un altro dato, secondo il quale è risultato evidente un recupero del gender gap tra ragazzi e ragazze nell’approccio al primo momento passionale. 

In pratica, guardando alla fotografia scattata dalla ricerca riguardo a “Conoscenza e prevenzione del Papillomavirus e delle patologie sessualmente trasmesse tra i giovani in Italia”, oramai non esiste più, o quasi, differenza di genere nell’approccio all’intimità. Secondo quanto emerso dalla ricerca realizzata dal Censis l’età della ‘prima volta‘ è diventata infatti molto simile per tutti, attestandosi sui 17,5 anni per i maschi e i 17,3 anni per le femmine. 

I giovanissimi italiani hanno inoltre dimostrato di essere a conoscenza dei rischi e delle malattie sessualmente trasmissibili connessi ai rapporti intimi, qualora non si adottino adeguate precauzioni. 

Quasi la totalità degli intervistati, nella fascia d’età tra i 12 e i 24 anni, ben il 93,8%, ha dichiarato di essere a conoscenza che il pericolo numero uno è rappresentato da infezioni e patologie trasmesse col contatto intimo, di cui in genere ha sentito parlare. 

Al primo posto, la patologia che è stata maggiormente citata, dall’89,6% degli intervistati, è l’Aids, mentre le altre non sembrano essere così note a livello di sintomi, conseguenze e prevenzione: solo il 23,1% del campione ha infatti indicato la sifilide, il 18,2% la candida, il 15,6% il Papilloma Virus e percentuali ancora minori, che si attestano addirittura tra il 15% e il 13% dei giovani, è informato su che cos’è e cosa comportano la gonorrea, le epatiti e l’herpes genitale.

Ma dove ricevono le informazioni i giovani riguardo ai rischi connessi ai rapporti intimi e su come prevenirli? Per la maggior parte, nell’epoca dei social, sono i media a occupare un ruolo centrale nell’informazione, utilizzati per documentarsi dal 62,3% del campione. La scuola è invece stata citata come canale privilegiato di informazione e approfondimento solo dal 53,8% dei giovani.

Ovviamente in questo caso sono risultate differenze tra le diverse aree del Paese: i giovani del nord hanno maggiormente messo la crocetta su questa opzione rispetto a quelli del sud. Si predilige dunque far riferimento a canali più alla portata di mano rispetto a quelli scientifici, si bussa cioè ancora con troppa fatica alla porta di studi di professionisti. Ed è questo il dato più preoccupante emerso dell’indagine: solo il 9,8% dei giovanissimi ha detto di fare rifermento a medici e farmacisti. 

Le ragazze a un certo punto della loro vita entrano per forza di cose in contatto con la ginecologa, come spiega il presidente della Società Italiana di Endocrinologia, Andrea Lenzi: “Resta molta diffidenza da parte dei giovani nei confronti dell’andrologo. Molti non lo conoscono, la maggior parte ritiene di non averne bisogno. Culturalmente non sono abituati a considerare la possibilità che anche i maschi possano essere interessati da patologie che riguardano il sesso. Dobbiamo sviluppare maggior informazione ed educazione”.

Valeria Montebello: «Il dating ha stravolto il sesso dei trentenni». Micol Sarfatti su Il Corriere della Sera il 22 Agosto 2022.

L’autrice, classe 1989, ha indagato l’erotismo dei Millennials in un podcast. «Siamo rimasti sospesi tra i tempi dell’amore reale e quelli dell’amore virtuale. Oscilliamo tra il porno e la goffaggine» 

Valeria Montebello, giornalista classe 1989, ha realizzato il podcast Il sesso degli altri, prodotto da Chora Media e Spotify

La rubrica di 7 «Luce verde» è dedicata ai Millennials. Generazione accattivante per poche stagioni. I nati tra il 1980 e il 1995 sono cresciuti in fretta, stretti tra le tante possibilità dei fratelli maggiori della Generazione X, la velocità di quelli minori della Gen Z e una crisi economica che li ha travolti quando erano pronti a spiccare il volo. Hanno iniziato a compiere 40 anni, ma ancora faticano a trovare spazi e riconoscimenti. Hanno stipendi mediamente bassi, una nuova idea di famiglia, un uso disinvolto della Rete, nato però in epoca pre smartphone, e capacità di reinventarsi. Sono perduti o pronti al riscatto? Proviamo a raccontarli con una serie di interviste

Come è cambiato il sesso negli ultimi decenni, come lo hanno cambiato i Millennials, i nati tra il 1980 e il 1995, protagonisti della serie Luce Verde. Dopo aver indagato il lavoro, la disaffezione per la politica, la nostalgia e l’amore secondo questa generazione parliamo di erotismo. Lo facciamo con Valeria Montebello, classe 1989, nata in Abruzzo e trasferitasi a Roma, che ha raccontato l’intimità dei trentenni nel podcast Il sesso degli altri , prodotto da Chora Media e Spotify. Un affresco, a tratti sorprendente, nato da un’esperienza personale: Montebello ha analizzato usi e costumi sentimentali dei coetanei in un articolo diventato virale, che le ha portato centinaia di confessioni, trasformate poi in un osservatorio privilegiato.

La nostra generazione è stata la prima a confrontarsi con le app di dating, da Tinder in poi. Hanno stravolto il sesso e le relazioni?

«Totalmente. Noi, in ogni settore della vita, siamo la fascia di età ponte tra l’era analogica e quella digitale, non facciamo eccezione nemmeno in questo. Abbiamo vissuto un’adolescenza e una prima giovinezza di corteggiamenti e incontri fisici, poi dieci anni fa, ci siamo ritrovati sui telefoni questo nuovo strumento per conoscersi e tutto è cambiato. Io stessa vivo le app di dating in modo ambivalente, da un lato sono ipercritica perché ci hanno tolto dal reale e dal rischio. Dal vivo è più fastidioso essere rifiutati, online si può fare la cosiddetta “pesca a strascico” senza troppe ripercussioni emotive. Il consenso da match o da like dà una scarica di adrenalina a cui è difficile rinunciare. Dall’altro lato mi vengono in mente certi approcci molesti nei locali o alle feste che non rimpiango. Ho nostalgia però delle chiacchierate faccia a faccia, senza chat».

La nostra autostima, sentimentale e non solo, oggi passa dal consenso online.

«Questo crea un profonda scissione: in Rete siamo tutti disinibiti, ma nella realtà, spesso, siamo goffi. Noi, a differenza della Generazione Z, quella dei ventenni, non siamo nati in questo ecosistema. Conosciamo perfettamente il meccanismo dell’incontro online, ma ha sempre qualcosa di straniante. In fondo siamo un po’ Boomer, sembriamo i sessantenni che fanno un uso smodato di emoticon ( ride). Le app di dating sono sempre più settoriali: esistono quelle politicizzate, di destra o di sinistra, quelle per vegani, per animalisti... Questa specificità estrema elimina la casualità dell’incontro, lo rende un mercificio».

Valeria Montebello, giornalista classe 1989, ha realizzato il podcast Il sesso degli altri, prodotto da Chora Media e Spotify

Sembriamo avere grande consapevolezza tecnologica e pure del nostro corpo, che accettiamo e mostriamo sempre di più. Apparenza o verità? «Io non credo che il femminismo della quarta ondata, fatto di hashtag e battaglie su Instagram, abbia portato a una vera consapevolezza del corpo. Si rivendica il diritto di non depilarsi esattamente come nel Sessantotto. Poi, per fortuna, sono stati fatti grandi passi avanti per i diritti civili, c’è un uso della terminologia identitaria più consapevole, ma non tutte le battaglie in voga oggi sono così contemporanee. C’è ancora molto da fare. Nel mio podcast non sono a favore della positivizzazione del sesso e del corpo a tutti i costi. Non mi piace l’esibizione retorica del difetto fisico, è un meccanismo esclusivo e non inclusivo. Se una ha la fortuna di essere bellissima si sente quasi obbligata a trovare un’imperfezione. Questo nuovo racconto è comunque un’imposizione, un canone estetico a cui sottostare e un modo per imbrigliare il sesso e le relazioni».

«OGGI È IN VOGA LA POSITIVIZZAZIONE DEL CORPO. SONO CONTRARIA ALLA RETORICA DEL DIFETTO A TUTTI I COSTI, A SUA VOLTA NON È INCLUSIVA»

Una volta il porno era proibito, difficile da reperire, circondato da un alone di mistero. Oggi possiamo fruirlo liberamente e quando vogliamo dal nostro smartphone. Il nostro modo di immaginare e vivere il sesso è cambiato?

«L’industria pornografica è sempre esistita, ma prima era fatta di star che vivevano perlopiù in California nella San Bernardo Valley, ora è immersiva e non solo per i siti raggiungibili da chiunque. La piattaforma OnlyFans, ad esempio, è stata una rivoluzione: con un abbonamento dai 3 ai 50 euro hai a disposizione creator che inventano contenuti soft porno apposta per te. Molti però vogliono solo piccoli momenti di quotidianità, come uno scatto appena svegli al mattino, mentre si studia, si gioca al computer o si fa una torta. Così si ha l’illusione di avere una relazione. Questa intimità surrogata rende sempre più difficili i veri legami».

Quindi, nella realtà, si fa meno sesso?

«Sì, si fa sempre meno sesso reale. Lo hanno dimostrato anche molte ricerche, pubblicate soprattutto da testate americane. La pandemia poi non ha contribuito a migliorare la situazione».

Non è che la liberazione di cui ci siamo sentiti portabandiera negli ultimi 10-15 anni, dalla fluidità al poliamore, alla fine, ci ha ingabbiati?

«Abbiamo sicuramente creato delle crepe nel modo di vivere le relazioni, ma non tutte sono ancora codificate, è come se stessimo prendendo le misure. In teoria siamo progressisti, ma nella pratica stiamo diventando conservatori, a volte persino reazionari, perché continuiamo a imporci regole. Se non vivi il sesso in un determinato modo sei fuori dal tempo, se vuoi una dimensione erotica “semplice” ti senti un alieno. Poi c’è il grande tema dei filtri: in rete, non solo sulle app di incontri, mostriamo una versione di noi che spesso non corrisponde alla realtà, per questo abbiamo paura dell’incontro dal vivo. C’è un grande spaesamento».

Valeria Montebello fotografata in uno studio di registrazione radiofonico

Tra ipersessualizzazione, app, sdoganamento del porno, esiste ancora un’idea di sesso “normale”?

«Sì, soprattutto tra le coppie di lungo corso, che, magari, si sono conosciute prima della rivoluzione delle app. Sono una specie da preservare e tutelare come le volpi artiche. Se parlano con un amico single rischiano di andare in crisi, vengono assaliti da mille dubbi».

Ormai però siamo una generazione adulta. Saremo condannati in eterno a questa idea del sesso?

«La storia ci insegna che i periodi di grande attenzione verso la sfera sessuale sono ciclici. Non sarà certo facile liberarsi dall’idea di un approccio prima virtuale e poi fisico, ma, ad un certo punto, non sarà più gratificante essere apprezzati solo per delle foto ritoccate, viste da uno schermo. Abbiamo passato gli ultimi tre anni chiusi in casa, più in rete che nella realtà. Ci stuferemo. A me è già successo».

Malattie sessualmente trasmesse: ecco le più comuni, come prevenirle e come curarle. Laura Cuppini su Il Corriere della Sera il 30 Luglio 2022.

Dalla clamidia all’Hiv, fino alle sempre più diffuse sifilide e gonorrea. Ma anche condilomi ed herpes genitale: le fonti di contagio, quali sono i sintomi, come evitare di infettarsi. Le schede sono state redatte in collaborazione con i medici dell’Unità Operativa Complessa di Malattie Infettive del Policlinico Tor Vergata (Roma)

Candidosi

È un’infezione causata da funghi, appartenenti al genere Candida, che può essere trasmessa per via sessuale. Il fungo Candida albicans solitamente vive nell’organismo senza dare segno di sé, come “commensale” della cute e delle mucose. Tra i fattori favorenti la candidosi si annoverano la gravidanza, lo stress, determinate abitudini alimentari (molti zuccheri o molti alcolici), l’abuso di lavande vaginali. Inoltre il rischio di sviluppare candidosi aumenta in corso di terapie con antibiotici o cortisonici o in presenza di diabete.

Sintomi: nell’uomo arrossamento del pene, prurito, bruciore, presenza di patina biancastra sul glande (balanopostite); nella donna perdite biancastre “caseose” non maleodoranti, bruciore quando si urina, prurito nell’area genitale (vulvovaginite).

Cura: solitamente si adopera terapia locale (ovuli o crema) e, nei casi più gravi, una terapia orale a base di antimicotici.

Prevenzione: controllare l’alimentazione (riducendo apporto di zuccheri e alcolici), evitare di indossare abiti stretti e biancheria intima di tessuto sintetico.

Clamidia

La clamidia è un’infezione sessualmente trasmissibile tra le più diffuse, causata dal batterio Chlamydia trachomatis. Tra i fattori di rischio ci sono la promiscuità sessuale e la coesistenza di altre malattie sessualmente trasmesse. I sintomi sono lievi, tanto da non essere riconosciuti, ma le conseguenze per l’apparato riproduttivo, specie femminile, possono essere molto gravi. Nella maggior parte dei casi l’infezione interessa le donne, soprattutto adolescenti e giovani. Fino al 40% delle donne con infezione non trattata sviluppa la malattia infiammatoria pelvica, che può condurre alla sterilità. Inoltre, le donne affette da clamidia hanno una probabilità di rischio di contrarre il virus dell’Hiv cinque volte più alta. Esiste uno screening specifico per la ricerca della Chlamydia mediante tampone cervicale per le donne e tampone uretrale per gli uomini.

Trasmissione: la clamidia si trasmette generalmente attraverso i rapporti sessuali vaginali, anali e orali. Una donna gravida infetta può, durante il parto, contagiare il neonato, che manifesta infiammazione agli occhi e all’apparato respiratorio (la clamidia è, infatti, una delle prime cause di congiuntivite e di polmonite nei neonati).

Sintomi: la clamidia è asintomatica nella grande maggioranza dei soggetti (70% delle donne e 50% degli uomini). Nelle donne i sintomi possono essere perdite vaginali (leucorrea) o irritazione. Negli uomini l’infezione può interessare l’epididimo (dotto collegato al testicolo), causando dolore e febbre cui si possono accompagnare secrezioni o sensazione di irritazione e prurito.

Cura: data la natura batterica dell’infezione, la clamidia è trattabile con antibiotici.

Prevenzione: l’uso di preservativi riduce notevolmente il rischio di infezione.

Condiloma (o verruca genitale)

Si tratta di una lesione benigna causata frequentemente dai genotipi 6 e 11 di Hpv (Papillomavirus) in donne e uomini sessualmente attivi. In particolare, i condilomi anali e perianali sono presenti nei soggetti che praticano sesso anale.

Trasmissione: l’infezione può essere trasmessa attraverso rapporti vaginali, anali o orali venendo favorita dalla presenza di microlesioni della cute o delle mucose.

Sintomi: sui genitali e/o intorno all’ano compaiono lesioni di colore rosa o bruno, singole o multiple, talvolta riunite a grappolo (definite “a cavolfiore” o “a cresta di gallo”), a superficie irregolare, e di dimensioni variabili. Le lesioni sono solitamente asintomatiche oppure associate a prurito o dolore, a seconda della loro sede e della loro dimensione. Le persone con condilomi rischiano 6 volte di più il contagio da Hiv durante un rapporto non protetto con una persona sieropositiva.

Cura: i condilomi possono essere trattati con l’applicazione di creme specifiche per un minimo di sei mesi. Nei casi gravi o non rispondenti a terapia farmacologica, il ricorso alla chirurgia è inevitabile.

Prevenzione: pur non essendo assoluta l’efficacia del preservativo, le regole per il sesso sicuro sono sempre raccomandabili nel diminuire il rischio di contrarre l’infezione.

Epatite A, B, C

Le epatiti virali sono infezioni del fegato, più frequentemente causate dai virus Hav, Hbv e Hcv e la cui diagnosi si effettua mediante la ricerca degli anticorpi.

Il virus Hav causa l’epatite A, che si trasmette per via oro-fecale, quindi generalmente attraverso il consumo di alimenti e bevande contaminati da feci oppure tramite il contatto diretto con persone infette (inclusi i rapporti sessuali di natura oro-anale). La malattia può essere asintomatica o manifestarsi con malessere generale, sintomi gastrointestinali, ittero, urine scure. Il decorso è generalmente benigno in assenza di cronicizzazione, ma in alcuni casi può essere grave e prolungato o perfino fulminante e mortale. La cura è solo sintomatica. Per la prevenzione è disponibile un vaccino efficace.

L’epatite B è causata dal virus Hbv. Fonte d’infezione dell’epatite B sono i soggetti con malattia acuta o i portatori cronici (circa 600mila in Italia), in cui il virus persiste nel sangue e in altri liquidi biologici, quali saliva, bile, secreto nasale, latte materno, sperma, muco vaginale. La trasmissione attraverso rapporti sessuali è frequente. Dal momento che il virus è resistente sulle superfici e nell’ambiente, il contagio può avvenire anche per via indiretta e inapparente (spazzolini, forbici, pettini, rasoi). È asintomatica nella maggior parte dei casi. La malattia acuta può, in alcuni casi, manifestarsi con i sintomi classici (malessere generale, sintomi gastrointestinali, ittero). L’epatite B può avere differenti evoluzioni: risoluzione spontanea, con produzione degli anticorpi protettivi; latenza nell’organismo con possibilità di riattivazione (in chi soffre di malattie debilitanti o riceve terapia immunosoppressiva); cronicizzazione nel 5-10% dei casi degli adulti (mentre 9 volte su 10 avviene nei neonati contagiati dalla madre al parto o poco dopo la nascita). La cronicizzazione favorisce la cirrosi epatica e lo sviluppo del tumore del fegato (epatocarcinoma). L’epatite cronica B può richiedere un trattamento farmacologico quotidiano a vita, in quanto il virus è generalmente non eradicabile. Contro l’epatite B esiste un vaccino sicuro ed efficace, obbligatorio alla nascita, in grado di prevenire il contagio e le complicanze.

Il virus Hcv è causa dell’epatite C, che si trasmette attraverso il sangue, a volte anche in maniera inapparente e, meno frequentemente, per via sessuale. Analogamente ad Hbv, per Hcv le trasfusioni rappresentano un rischio di trasmissione possibile, ma altamente improbabile in quanto esistono stringenti controlli sui donatori e sul sangue. L’infezione è nella maggior parte dei casi asintomatica. In coloro che manifestano la malattia acuta, i sintomi sono inappetenza, nausea, vomito, febbre, dolori addominali e ittero. Un’elevata percentuale dei casi (fino all’85%) va incontro a cronicizzazione (più di 1 milione di persone in Italia). L’infezione cronica rimane asintomatica anche per 10-20 anni fino allo sviluppo di cirrosi epatica che avviene nel 20-30% dei pazienti. In circa l’1-4% si sviluppa l’epatocarcinoma. Oggi è disponibile una cura in grado di eliminare l’infezione e ridurre il rischio di complicanze, ma non esiste un vaccino per l’Hcv.

Gonorrea

È una delle patologie veneree oggi più diffuse. È chiamata comunemente “scolo”, per la tipica sintomatologia con cui si manifesta nell’uomo, ed è dovuta a infezione da parte del batterio Neisseria gonorrhoeae.

Trasmissione: i rapporti sessuali di tipo orale, vaginale e/o anale trasmettono in ugual misura l’infezione, se non protetti dal profilattico; anche il contatto oro-anale (chiamato “rimming”) è a rischio. Il batterio può anche essere trasmesso da madre a figlio.

Sintomi: l’infezione può interessare la cavità orale e faringea, con forte dolore alla gola e aumento di volume delle tonsille. A livello genitale, nell’uomo, si ha la tipica uretrite gonococcica, che compare abitualmente 4-7 giorni dopo il contagio, caratterizzata da prurito e dolore durante la minzione, arrossamento del meato uretrale e copiosa fuoriuscita di pus dal pene. Se non trattata, l’infezione può raggiungere l’epididimo e il testicolo, la prostata e le vescichette seminali. Nella donna, almeno nelle fasi iniziali, si può avere un quadro del tutto asintomatico (è quasi sempre la diagnosi nel partner maschile a spingere la donna a sottoporsi ai dovuti controlli), oppure può comparire dolore durante la minzione o perdita di secrezioni bianco-verdastre a livello genitale. Se non trattata prontamente, l’infezione può diffondersi dalla cervice uterina alle tube, coinvolgendo gli organi della pelvi e causando la malattia infiammatoria pelvica. Questa riguarda il 45% delle pazienti con cervicite gonococcica non trattata e può avere come conseguenza l’infertilità o le gravidanze ectopiche. L’infezione in gravidanza, invece, aumenta il rischio di complicanze ostetriche (per esempio rottura prematura delle membrane e il parto pre-termine). Esiste anche un interessamento anorettale, per il quale il soggetto percepisce forte dolore rettale e sensazione di mancato svuotamento fino alla comparsa di vero e proprio sanguinamento anale. Se non eliminato a tempo debito, il batterio diffonde a tutto l’organismo attraverso il sangue, coinvolgendo articolazioni e cuore.

Cura: è a base di antibiotici, somministrati per via orale e parenterale. Purtroppo l’uso improprio di antibiotici ha comportato, negli ultimi anni, la diffusione di ceppi multi-resistenti di Neisseria gonorrhoeae.

Prevenzione: se usato a partire dall’inizio dell’atto sessuale (anche durante il sesso orale), il profilattico riduce drasticamente il rischio di trasmissione.

Herpes genitale

È un’infezione diffusa in tutto il mondo, causata il più delle volte dal virus Hsv-2 e, in minor misura, anche dal virus che provoca l’infezione delle labbra (Hsv-1). Dopo essere entrato nel corpo, il virus può causare un primo episodio di malattia oppure essere asintomatico nel 25% dei soggetti; il virus resta nello stato dormiente ma, nel 50-60% dei casi, può risvegliarsi e periodicamente provocare sintomi simili a quelli dell’infezione primaria, anche se a decorso più lieve, oppure non provocarne nessuno. Quest’ultima condizione è quella più temibile perché il soggetto è contagioso e non è consapevole di esserlo.

Trasmissione: avviene tramite rapporti sessuali (vaginali, anali e orali). Il virus può essere passato al neonato durante il parto con conseguenze gravi (infezione disseminata, encefaliti, infezioni di bocca, occhi e cute). Le donne hanno un rischio di infettarsi triplo rispetto agli uomini.

Sintomi: prurito e bruciore talvolta precedono la comparsa di vescicole, che poi si rompono lasciando il posto a piccole ulcere dolorose, localizzate sul prepuzio (negli uomini) o sulla vulva e vagina (nella donna). A volte le lesioni si disseminano in regione perianale, glutei e cosce. La prima infezione può essere accompagnata da febbre, mal di testa, dolori muscolari e aumento di volume dei linfonodi inguinali. Chi contrae l’infezione da herpes genitale rischia 7 volte di più l’infezione da virus Hiv, se ha rapporti non protetti con una persona sieropositiva, perché le lesioni erpetiche contengono un elevato numero di linfociti T CD4, che sono le cellule bersaglio del virus Hiv. Le lesioni erpetiche durano 2-3 settimane e guariscono, nella maggior parte dei casi, spontaneamente.

Cura: sono disponibili farmaci antivirali a cui associare eventualmente farmaci antidolorifici.

Prevenzione: l’uso del preservativo riduce di oltre il 50% il rischio di contagio per via sessuale, mentre il taglio cesareo contribuisce a prevenire l’infezione perinatale.

Hiv-Aids

L’Aids (sindrome da immunodeficienza acquisita) è lo stato di malattia che si sviluppa in seguito all’infezione da virus Hiv (Human immunodeficiency virus). Il virus colpisce le cellule specializzate del nostro sistema immunitario chiamate linfociti T-Helper (o CD4) e, dopo essersi moltiplicato al loro interno, le distrugge progressivamente. Nel corso degli anni, a causa della diminuzione del numero di queste cellule, diminuisce la capacità dell’organismo di difendersi contro altre infezioni. L’Aids rappresenta la fase più avanzata del danno da Hiv.

Trasmissione: avviene tramite il passaggio diretto del virus da una persona infetta a una persona sana. Questo può accadere durante i rapporti sessuali (vaginali, anali e oro-genitali) non protetti da profilattico, attraverso il contatto con sangue infetto o durante la gravidanza, il parto o l’allattamento da parte di una madre infetta al proprio bambino.

Sintomi: dopo il contagio trascorrono alcune settimane prima che una persona diventi sieropositiva al test, anche se il virus ha già iniziato a colpire il sistema immunitario. Prima della fase di Aids possono presentarsi sintomi più lievi e aspecifici come febbre, malessere, dermatite, ingrandimento dei linfonodi, diarrea e dimagrimento. In seguito, le persone sieropositive possono essere prive di sintomi per molti anni, ma sono portatrici del virus dell’Hiv e possono trasmetterlo.

Cura: non esistono vaccini o cure risolutive dell’infezione e per tale motivo si rimane sieropositivi per tutta la vita. Tuttavia, esistono farmaci che permettono di tenere sotto controllo la replicazione del virus impedendogli di distruggere le difese immunitarie e di arrivare allo stato di Aids.

Prevenzione: il preservativo utilizzato nei rapporti vaginali, anali e orali costituisce il mezzo di protezione più efficace contro Hiv.

Papilloma virus

L’infezione da Hpv (Human papilloma virus) è molto frequente nella popolazione e notevolmente contagiosa. I fattori favorenti l’infezione sono rappresentati dall’elevato numero e dalla precocità dei rapporti sessuali, dalla concomitanza di altre malattie sessualmente trasmesse. Si conoscono genotipi di Hpv a basso rischio oncogeno (fra i quali 6 e 11) e ad alto rischio oncogeno (fra i quali 16 e 18). I primi sono responsabili della maggior parte delle verruche cutanee e dei condilomi ano-genitali; i secondi sono responsabili del 70% circa dei carcinomi cervicali, anali e dell’orofaringe (inclusi i tumori delle tonsille e della base della lingua) e del 50% circa dei carcinomi del pene e vulvo-vaginali.

Trasmissione: il virus Hpv si trasmette prevalentemente per via sessuale, favorito anche da microlesioni presenti su cute e mucose. L’uso del preservativo, sebbene ne riduca il rischio, non lo elimina totalmente, dal momento che il virus può infettare anche la cute non protetta dal profilattico a livello scrotale o vulvare.

Sintomi: la stragrande maggioranza delle infezioni è transitoria (nel corso di un anno circa il 70% delle lesioni regredisce spontaneamente) e asintomatica. Tuttavia, l’infezione può persistere anni (soprattutto in soggetti con deficit immunitari o alterazioni genetiche) e si può riattivare periodicamente, esitando in lesioni benigne o maligne.

Cura: non esistono terapie farmacologiche per eradicare il virus dall’organismo. Verruche e condilomi possono essere trattati con creme; in alternativa è possibile procedere con trattamenti chirurgici locali anche per le lesioni precancerose localizzate nel collo uterino.

Prevenzione: a differenza del Pap test, che consente l’individuazione precoce di cellule anomale infettate da Hpv (prevenzione secondaria), la vaccinazione protegge dall’azione oncogena del virus (prevenzione primaria). Nel Piano nazionale di prevenzione vaccinale 2017-19 il vaccino anti-Hpv è calendarizzato per le ragazze e i ragazzi al dodicesimo anno di età. Inoltre, la vaccinazione è considerata opportuna per le donne di 25 anni di età ed è consigliabile per i soggetti le cui situazioni di vita o comportamenti li pongono a rischio aumentato di esposizione all’infezione (per esempio, gli uomini che fanno sesso con uomini). Attualmente sono disponibili in commercio tre vaccini: bivalente, tetravalente e nonavalente.

Pediculosi del pube (o piattole)

L’infestazione è causata da un parassita (Phthirus pubis) che si annida tra i peli pubici, ma anche tra i peli del petto e sotto le ascelle. Colpisce milioni di persone al mondo ed è molto comune.

Trasmissione: avviene durante il rapporto sessuale, ma anche attraverso il contatto con lenzuola, asciugamani o abiti usati da una persona infestata dai parassiti.

Sintomi: possono essere visibili animaletti simili ai pidocchi che causano pruriti soprattutto nell’area genitale; tra i peli del pube o nella biancheria possono comparire piccolissimi residui scuri simili (feci dei parassiti).

Cura: per eliminare parassiti e uova servono specifiche lozioni prescritte dal medico; è consigliabile radere la zona infestata. La malattia si può prendere più volte nella vita se non ci si protegge. È necessario che venga trattato anche il partner sessuale per evitare la reinfezione.

Prevenzione: le normali norme igieniche e l’uso del preservativo sono utili per evitare l’infestazione. I vestiti e le lenzuola vanno lavati in acqua molto calda o a secco, stirati con ferro caldo e non usati per 72 ore.

Scabbia

La scabbia è un’infestazione dovuta a un parassita, l’acaro Sarcoptes scabiei (variante “hominis”). Il sintomo più comune è il prurito intenso e i fattori che ne favoriscono la diffusione sono la scarsa igiene e la vita in comunità.

Trasmissione: la fonte più comune di trasmissione della scabbia è il contatto diretto e prolungato con un individuo infestato. È semplice trasmettere la scabbia al partner sessuale, ma, a differenza di altre malattie sessuali (come la gonorrea o la sifilide), che si trasmettono dopo un breve contatto sessuale, la scabbia ha bisogno di un contatto prolungato (per esempio l’aver trascorso la notte nello stesso letto).

Sintomi: prurito intenso, che in genere si manifesta soprattutto la notte e può essere così forte da impedire di dormire.

Cura: il trattamento della scabbia si basa sull’applicazione di prodotti che uccidono l’acaro responsabile (acaricidi). Anche il partner sessuale e i contatti della persona affetta da scabbia vanno controllati e, se necessario, trattati.

Prevenzione: si attua rispettando le comuni norme igieniche, evitando per quanto possibile il sovraffollamento e l’utilizzo di asciugamani o biancheria in comune, specie nelle scuole, nei collegi e nelle comunità. Inoltre, per evitare la diffusione ai contatti stretti, i vestiti e le lenzuola vanno lavati in acqua molto calda o a secco, stirati con ferro caldo e non usati per 72 ore.

Sifilide

È un’infezione trasmessa dal batterio Treponema pallidum e ha un’incidenza annuale di 12 milioni di nuovi malati nel mondo.

Trasmissione: la sifilide è trasmessa per via sessuale, da madre a feto e mediante le emotrasfusioni e il trapianto di organi. Per quanto riguarda la trasmissione sessuale, l’infezione avviene attraverso i fluidi biologici (anche la saliva) e il contatto diretto tra mucose. Il sesso orale, oltre a quello penetrativo, costituirebbe la modalità di trasmissione più frequente, poiché praticato nella quasi totalità dei casi senza l’uso del profilattico; anche il contatto oro-anale (definito “rimming”) è a rischio. Il batterio, infatti, riesce a penetrare attraverso piccole lesioni delle mucose e della cute (anche quelle non visibili a occhio nudo) e da qui si diffonde rapidamente, attraverso i vasi sanguigni e linfatici, a tutto l’organismo. Le ulcere e le escoriazioni causate dalla sifilide aumentano da 2 a 5 volte il rischio di contrarre Hiv.

Sintomi: nel 50% dei casi, la sifilide è completamente asintomatica, e questo costituisce uno dei fattori che permettono all’infezione di diffondere rapidamente nella popolazione (nella metà dei casi, i soggetti colpiti non sanno di essere contagiosi). Nel restante 50%, la patologia si manifesta con una precisa quanto variegata gamma di sintomi. La prima fase (sifilide primaria) è caratterizzata dalla comparsa di un’ulcera venerea nel sito di ingresso del batterio; tale ferita, è tipicamente indolore e, sebbene compaia di solito a livello genitale (pene e scroto nell’uomo; vulva e vagina nella donna), può interessare qualsiasi distretto corporeo (ano, retto, cute, bocca). Tale lesione si risolve spontaneamente nel giro di 4-6 settimane. Se l’infezione non è curata in questo stadio, diventa sistemica coinvolgendo tutto l’organismo (sifilide secondaria). In questo caso si osserva generalmente un’eruzione cutanea, accompagnata anche febbre, dolori ossei, diarrea e, nei casi più gravi, da problemi a carico di fegato, reni e sistema nervoso centrale. Esaurita questa fase il soggetto torna asintomatico e, in assenza di terapia, dopo una lunga (5-10 anni) il batterio torna a farsi sentire colpendo cuore, ossa, muscoli e sistema nervoso centrale con paralisi progressiva (sifilide terziaria).

Cura: il trattamento è semplice e efficace nella quasi totalità dei casi, ed è a base di antibiotici.

Prevenzione: l’uso del preservativo riduce drasticamente il rischio di trasmissione se usato a partire dall’inizio dell’atto sessuale (anche durante il sesso orale). Una persona sessualmente attiva, dovrebbe sottoporsi a screening per sifilide almeno una volta all’anno, facendo attenzione al “periodo finestra”. Infatti, deve trascorrere un periodo di 2 mesi dal contagio, prima che l’infezione possa essere rilevata dai test sierologici su sangue.

Tricomoniasi

Il trichomonas vaginalis è un protozoo responsabile di un’infezione che nelle donne può interessare uretra, vagina, cervice e, raramente, le vie urinarie; nell’uomo l’infezione è prevalentemente causa di uretriti.

Trasmissione: l’infezione si trasmette attraverso i rapporti sessuali.

Sintomi: nell’uomo è nella maggior parte dei casi asintomatica, nella donna può manifestarsi con perdite vaginali e irritazione della vulva. Diventa più pericolosa se contratta in gravidanza.

Cura: l’infezione si cura con terapia antibiotica.

Prevenzione: è efficace l’uso del profilattico durante i rapporti sessuali.

Nicola H. Cosentino per “la Lettura – Corriere della Sera” il 25 luglio 2022. 

La più bella scena di sesso della storia della letteratura? Pare sia questa, dall’Eneide: «La consueta fiamma gli s’apprese,/ E per l’ossa gli corse e le midolle,/ E per le vene al core». D’altronde descrive la reazione di Vulcano a un bacio di Venere: non poteva che restare insuperata.  

Nel 1959, in un articolo dal titolo Sex in the Modern Novel pubblicato sul numero di gennaio dell’«Atlantic», il critico letterario statunitense Douglas Bush la indicò come vetta della scrittura «sensuale», per dimostrare che non è necessario ricorrere a troppi particolari se si vuole descrivere (bene) un amplesso. 

«Stendhal, Balzac e Flaubert, Dostoevskij, Turgenev e Tolstoj. Che io ricordi, nessuno di loro è noto per avere mostrato e detto tutto» scrisse Bush. «Nonostante i portentosi esempi di Joyce e D. H. Lawrence, si può sostenere che [...] l’accumularsi di dettagli fisici costituisca, di norma, un fallimento». 

Il messaggio di Douglas Bush — rivolto ai romanzieri emergenti dell’epoca — era sia stilistico che sociologico, e rivelava la preoccupazione che, a un secolo dalla pubblicazione del suo articolo, leggendo i bestseller degli anni Cinquanta si potesse pensare ai cittadini americani come a gente «impegnata esclusivamente in relazioni amorose ed extraconiugali, con deviazioni occasionali nel mondo degli affari, della politica, della guerra, e così via»; ma anche che il sesso stesse diventando «l’unica area in cui l’individualità è capace di affermarsi», nonché una scappatoia per tentare di riassumere in maniera scioccante e provocatoria «l’intero spettro dell’esperienza umana».

Ecco, circa sessant’anni dopo Sex in the Modern Novel è naturale ribaltare la prospettiva di Bush per domandarsi cosa penserebbe un critico letterario degli anni Cinquanta di alcuni romanzi pubblicati oggi, dai quali emerge chiaramente che: a) le relazioni amorose non sono affatto, come si credeva, separate dal «mondo degli affari, della politica, della guerra, e così via»; b) quel «mostrare tutto», da presunto rifugio per scrittori pigri e privi di talento, si è rivelato un metodo tra i più intellettualmente stimolanti per raccontare, ed esplorare, lo spirito del tempo. 

Prendiamo Servirsi di Lillian Fishman, pubblicato in Italia da e/o nella traduzione di Silvia Montis. Qui, Eve conosce online Olivia e Nathan, e intraprende con loro una relazione sessuale i cui dettagli la sorprendono a ogni incontro. 

Primo, perché nella sua vita c’è già una partner stabile e praticamente perfetta, Romi, che non aveva mai sentito l’esigenza di tradire. Secondo, perché non era mai stata attratta da un uomo, mentre alla sola vista di Nathan prova «sollievo ed eccitazione, lo sconfinato, melodioso piacere» di trovarsi «sola con la vastità della sua attenzione».  

Terzo, perché il godimento che trae dal sottomettersi a lui — ricco, carismatico, un po’ cinico — si scontra con le idee, i desideri e i sentimenti della giovane donna queer e femminista in cui si è sempre orgogliosamente riconosciuta. «Finora non ho fatto altro che rinchiudermi in una trappola ideologica» penserà, a un certo punto, «proprio come quella che avrei affrontato cinquant’anni fa, solo al contrario».

Servirsi è l’esempio più recente di come, oggi, raccontare il sesso significhi soprattutto pensare attraverso il sesso e interpretare i comportamenti collettivi a partire da quelli privati. Nel descrivere un personaggio inconsciamente stanco della propria routine di donna libera ed emancipata, Fishman ci suggerisce che le provocazioni un tempo funzionali a sentirsi bene con sé. 

Prendiamo per esempio «Servirsi» di Lillian Fishman: è l’esempio più recente di come, oggi, raccontare il sesso significhi soprattutto pensare attraverso il sesso e interpretare i comportamenti collettivi a partire da quelli privati. Né sembra un caso se molti romanzi che problematizzano il desiderio — nel modo nuovo delle Fishman, delle Naoise Dolan, delle Sally Rooney — siano scritti da donne. Come non è un caso che la fantasia più diffusa sia la sottomissione. 

Così accade anche in «Fame blu» di Viola Di Grado stessi e a spezzare la monotonia dell’esistenza, oggi sono parte integrante di quella monotonia, ma anche l’unico piccone capace di scalfirla nuovamente (e all’infinito) dall’interno. «Sono cresciuta parlando di sesso come di qualcosa che le donne dovrebbero vivere come pare e piace a loro, di libertà sessuale come culmine dell’esperienza, al di là di ogni morale o mentalità provinciale» dice Eve a Olivia e Nathan, durante uno dei loro incontri. 

«Quindi dovrei credere che non posso danneggiare me stessa, che le cose non possono farmi male se le scelgo io, se le vedo per quello che sono. Ma questa non è forse la più profonda sottomissione al potere, al dominio maschile?». Nathan ribatte per primo, d’impulso — «Non ti piace quando stiamo insieme? Non scegli di tornare qui di continuo?» —, ma è la risposta di Olivia a fare la differenza: «Non ti sembra stupendo tutto questo? Non ti sembra profondamente buono?». 

Amare è una cosa buona, e dare piacere a un altro — non importa come — un gesto tra i più generosi. Se suona come una novità è perché i criteri con cui stabiliamo se qualcuno è «buono» o «non buono» corrispondono a valori e convenzioni borghesi, secondo i quali l’immateriale è sempre più importante del corpo, o di ciò che il corpo chiede ed è capace di offrire.  

Eppure, nonostante il suo piazzamento nella gerarchia conformista delle cose serie, commentare o descrivere il sesso genera ancora molto turbamento. Persino Nathan, che in Servirsi è il capofila della rivoluzione, si ritrae dai dibattiti sul tema, dimostrando di pensarla (in parte) come Douglas Bush: «Non sono cose di cui possiamo parlare apertamente» dice. «Non si può togliere il telo che copre il dipinto. Così si rischia di rovinare tutto». 

È una prospettiva interessante. La reticenza verbale, ma mai fisica, dell’unico uomo sulla scena fa pensare che a non voler parlare orizzontalmente di sesso, e a ritenere le indagini in proposito rischiose e spoetizzanti, sia chi, dal sesso, ha tratto sempre e solo beneficio. 

È un caso se molti libri che oggi problematizzano il desiderio — nel modo nuovo in cui lo fanno le Fishman, le Naoise Dolan, le Sally Rooney — siano, appunto, scritti da donne? Probabilmente no. Come non è un caso che, in questi romanzi, la fantasia sessuale più diffusa sia quella della sottomissione. L’inafferrabile Nathan (dominatore scherzoso e sorridente, a sottolineare la distanza dell’idea di Fishman dai cliché in stile Christian Grey) è una metafora della difficoltà di stringere un legame, ovvero del conflitto più eccitante, attuale e romanzesco dell’esperienza umana tutta.

Accade la stessa cosa in Fame blu di Viola Di Grado (La nave di Teseo). La protagonista — trasferitasi da Roma a Shanghai per elaborare la morte del fratello — s’innamora di una ragazza del luogo, Xu, che ricambia in modo ambiguo, scostante e manipolatorio. Anche qui, come in Fishman, tutto si apre con la scoperta di una nuova pulsione: «Non avevo mai fatto sesso con una donna e non ero sicura che potesse essere utile alla mia felicità, ma speravo tanto di sì», pensa la protagonista di Fame blu. Eve in Servirsi dice: «La maggior parte degli uomini quasi non esisteva per me [...]. Eppure, in presenza di un uomo che irradiava potere, avvertivo un’assenza di gravità». 

Ad accomunare questi romanzi — avvicinandoli ad altri, di poco precedenti, che sfiorano temi analoghi: si pensi a Il mio anno di riposo e oblio di Ottessa Moshfegh, a Chiaroscuro di Raven Leilani e al nostro Le ore piene di Valentina Della Seta — è anche il rapporto tra le donne protagoniste, i loro desideri e le città in cui vivono, tutte metropoli. Cosa c’è nell’aria di New York, Roma e Shanghai che spinge a dipendere emotivamente e sessualmente da persone diversissime da sé? 

La risposta, forse, è offerta dal libro di Viola Di Grado, in cui il rapporto tra spazio e sessualità viene affrontato apertamente, e con bravura: la metropoli, proprio come la sottomissione a un partner dominante, è un dispositivo di spersonalizzazione, di abbandono del sé alla volontà di qualcun altro — in questo caso, un qualcuno collettivo.  

Spiega Xu: «Le telecamere a Shanghai sono miliardi, quindi è facile cominciare a comportarti come una diva. Se sai di essere sempre guardata sei come ti vorrebbero gli altri». Ed è proprio quello che, in forma ridotta, privata, la protagonista pretende da lei: «Essere vista. Ascoltata»; cambiare identità — o sforzarsi di ritrovare la propria — grazie agli occhi di chi finge di ignorarci.

Nel suo ultimo libro, la raccolta di racconti Solo storie di sesso (Nottetempo), Francesco Pacifico esplora il tema dell’apertura all’alterità in un capitolo, «Esercizi per respirare», presentato come una «pratica per chi si trova in una relazione di coppia da molto tempo». Scrive Pacifico: «Conta i tuoi respiri, da uno a dieci e poi da capo, mentre immagini l? tu? partner sedut? in un bar a parlare con una persona che l? piace. [...] sta vivendo un momento di leggerezza, di spontaneità, di piacere, di invisibile lussuria. [...] Cosa ti sta sottraendo?».  

E ancora: «La ragione per cui non hai cercato di realizzare alcuni desideri è stata la paura di non riuscire a tornare all’ovile?». Entrambe le domande sono semplici ma spaventose, e replicano in forma schietta e pseudo-didattica quello che Nathan e Xu provano a suggerire alle loro partner, nei romanzi di Fishman e Di Grado: è vero, siamo rappresentati più da ciò che scegliamo di fare che da quello che desideriamo, quindi più dai limiti che ci poniamo che da quelli che infrangeremmo, ma siamo proprio sicuri di star difendendo e ritenendo importanti, capaci di generare valore, i limiti giusti?

Pacifico facilita il lavoro a chi ha il compito di estrarre i temi dalle storie, e dice: se vogliamo capire come va e come sta il mondo, almeno in Occidente, dobbiamo parlare di sesso e inibizioni, e fare in modo che le donne ne parlino più degli uomini. Nella finta postfazione a Solo storie di sesso, il personaggio della studiosa Gioia Di Donato descrive l’eccitazione (erotica e intellettuale) provata mentre il marito, a cena fuori, le spiega che secondo lui bisognerebbe «smetterla di ossessionarci con la reciprocità», e che la vera rivoluzione sarebbe se, invece di dire «la coppia-deve-superare-i limiti-borghesi-della-fedeltà... noi dicessimo che è solo la donna che deve superare il dovere della fedeltà».  

Nel senso che l’equilibrio non può creare rottura, mentre un nuovo squilibrio — l’infedeltà della sola donna — sì. Ripensando all’enunciazione di questa teoria, combinata a un’efficace sessione di petting sotto il tavolo del ristorante, Di Donato dice: «Anche se stavo per venire era un momento che aveva dignità politico-filosofica in sé».

Ecco, il fulmine scagliato sessant’anni fa atterrerà da queste parti: le storie di sesso hanno una dignità politico-filosofica enorme, tanto che è impossibile non accorgersi di come molte tra le migliori riflessioni di oggi, almeno nella fiction, partano dal ribaltamento degli schemi sessuali, compresi quelli relativi alla propria libertà ed emancipazione. Perché a letto non si appartiene a nessuna categoria; non si rappresenta davvero né un genere né una classe: solo se stessi. 

Il sesso è l’unica sfera della vita in cui contribuiamo a qualcosa di universale rivendicando come tutti un desiderio individualista. In Ema, il bel film di Pablo Larraín uscito nel 2019, la protagonista omonima riesce a costruire una famiglia allargata e felice seducendo separatamente entrambi i componenti della coppia che ha adottato, dopo varie vicissitudini, il figlio che lei aveva abbandonato. Una storia lunga e travagliata. Ma alla fine la pace interiore, che sembrava irraggiungibile, passa dal corpo; la ritrovata serenità, dalla passione; l’equilibrio, dallo squilibrio. 

Lillian Fishman, citando la scrittrice Eve Babitz, chiama le esperienze come queste di Ema, Gioia Di Donato e la sua Eve «capolavori che ottieni col sesso». Aggiungendo che «le nostre storie d’amore» sono «l’unica occasione che avremo di vedere il paradiso». Ha senso. Il paradiso non è forse un luogo in cui si è incolpevoli, disinteressati al possesso, finalmente pieni di risposte? Peraltro, ci si arriva da nudi.

Gli affreschi erotici di Pompei, dove l’amore è eterno. Le opere al centro di una mostra. Nuove domus aperte al pubblico. Vini e cibi prodotti tra gli scavi. Si ravviva il fascino della città sepolta più famosa al mondo. Marisa Ranieri Panetta  su L'Espresso il 25 Luglio 2022. 

L’affascinante viaggio nell’antico continua. Le case di Pompei che stanno per aprirsi al pubblico, dopo lunghe chiusure e restauri, ampliano le nostre conoscenze su usi, arte e gusti della vita quotidiana: volti, paesaggi, minute descrizioni che si rincorrono sulle pareti di domus aristocratiche.

Entro l’estate, come anticipa L’Espresso, sarà accessibile la casa delle “Nozze d’argento”, scoperta nel 1893 e così denominata per l’anniversario in quell’anno dei reali d’Italia Umberto e Margherita di Savoia. Molte abitazioni infatti prendono il nome da ricorrenze, visite illustri, ritrovamenti particolari; a volte, in occasione della presenza di un sovrano o di un personaggio altolocato, come il pontefice Pio IX, si faceva finta di trovare reperti già venuti alla luce, che venivano poi offerti in regalo.

La domus di cui parliamo, risalente nella prima fase al II sec. a.C., è un esempio di come si presentavano le case delle nobili famiglie pompeiane prima che la città diventasse municipio romano. La maestosità dell’atrio, come una cattedrale, con le alte colonne in tufo disposte agli angoli della vasca centrale, suggerisce l’importanza sociale anche dell’ultimo proprietario Albucio Celso, candidato all’edilità tra il 76 e il 79 d. C. Una tenda, rivelata da un disco di bronzo con rostro, lo separava dal tablino, dove il padrone di casa riceveva clienti, scriveva lettere, conservava documenti.

Subito dietro, si apre un giardino porticato e, sulla destra, si trova la cucina con un gabinetto adiacente: una rarità, quest’ultimo servizio, manca pure in domus lussuose e ampie. Dopo la cucina, ecco un altro giardino, che esibiva tre statuine smaltate di animali a tema egizio, ora al Museo nazionale di Napoli insieme al mosaico dell’ingresso, dove è raffigurata una città turrita con il porto e il faro.

Nel corso della sua storia, la casa aveva subito vari rifacimenti, assicurando sempre un’esistenza più che confortevole: fontane ovunque, un bagno fornito di acqua calda, vasche all’aperto, ambienti piccoli e grandi dalle decorazioni accurate.

Un’altra particolarità contraddistingue l’edificio, finora non evidenziato: sulla sinistra dell’atrio, esisteva un orto. Non tutte le zone destinate al verde erano adibite ad accogliere piante fiorite, statue e fontane, per il godimento dei proprietari e come status symbol da ostentare agli ospiti; già sono stati identificati alberi da frutto, vigneti e piante di ulivo sparsi in città. Ma ci sono molte zone destinate a coltivazioni, non indagate o abbandonate.

Gabriel Zuchgrietel, direttore del Parco archeologico, vuole andare avanti in questa ricerca, con un progetto che riguarda anche Stabia e Oplontis, perché «da un censimento effettuato, le zone agricole a ridosso delle mura e negli abitati sono circa cento ettari: un patrimonio che deve essere riscoperto, reintegrato con le coltivazioni originarie». E riferisce in anteprima a L’Espresso: «Sta per partire un bando per coinvolgere partner privati nella produzione del vino e di altri alimenti, così come avveniva in antico. Si tratta di un nuovo approccio di conoscenza, all’interno di una visione articolata del Parco: storia, arte, alimentazione e paesaggio, in grado di restituirci nel suo complesso la vita reale degli ultimi abitanti. Nello stesso tempo, si potranno generare sviluppo e occupazione attraverso la valorizzazione dei prodotti».

Sono state già riaperte altre dimore, ma in autunno si conosceranno domus pregiate e un intero isolato (2300 mq), lungo la centrale via dell’Abbondanza, che comprende botteghe, giardini, e due case principali. Quella dei “Casti Amanti” a più livelli, dà il nome ai fabbricati e si riferisce a una pittura murale che raffigura un banchetto con una coppia che si scambia un bacio non volgare. Decora il triclinio del quartiere residenziale e inneggia a incontri conviviali innaffiati dal vino, ribaditi in altre scene con comportamenti diversi. Entrando, si incontra prima un grande panificio, che costituiva la notevole risorsa economica del proprietario. Si vedono il forno, le mole per macinare il grano e gli scheletri dei muli che le azionavano. Erano sette; evidentemente, utilizzati anche per il trasporto del pane.

L’altra abitazione, dei “Pittori al lavoro”, documenta invece un cantiere in piena attività, rivelando in un salone le suddivisioni dei compiti. Pompei continuava a subire terremoti e ovunque c’erano operai per riparare tubazioni, rinforzare murature, ripristinare affreschi. Qui, era stata portata a termine una bella decorazione di soffitti (crollati in migliaia di pezzi, li stanno ricomponendo), ma c’erano tante pareti da risistemare. Appena si è scatenata l’eruzione, i pittori hanno abbandonato la casa, lasciando disegni preparatori, figure in attesa del collante finale, coppette con i pigmenti da polverizzare. Nessuno si aspettava quel cataclisma; sul focolare della Casa dei Casti amanti stavano arrostendo un volatile e un piccolo cinghiale.

L’isolato si presenterà alle visite con una novità assoluta per Pompei: una copertura in pannelli di alluminio con lucernai in vetro stratificato e l’installazione di una passerella sospesa in acciaio che consentirà di conoscere dall’alto tutti gli ambienti.

Archeologi, tecnici e restauratori sono impegnati anche nella domus dei Vettii, una delle più note, aperta in passato per poco tempo e non interamente. Apparteneva ai fratelli Conviva e Restituto, ricchi liberti nell’ultimo periodo di vita della città, che avevano fatto fortuna con attività mercantili e agricole. Come simbolo beneaugurante di prosperità, nell’ingresso avevano raffigurato il dio Priapo, che poggia il suo enorme membro sul piatto di una bilancia, mentre sull’altro è posta una borsa piena di monete. Dall’augurio alla reale sostanza economica: nell’atrio, centro focale della casa, si notavano subito due “arche” sostenute da basamenti in muratura: bauli come casseforti, serrati da chiodi e ornamenti bronzei, per salvaguardare i beni preziosi della famiglia.

In asse con l’entrata, visibile dalla strada col portone aperto, si allungava il giardino circondato da portici che traboccava di tavoli, piante e zampilli d’acqua provenienti da tante statue di marmo e di bronzo.

La ricca borghesia pompeiana seguiva, nella decorazione delle proprie dimore, la moda che si diffondeva a Roma; appaiono così le pitture con motivi fantastici, protagoniste della Domus Aurea neroniana (“grottesche”), che occupano tutto il campo lasciato libero dai grandi quadri sulle pareti. Le pitture murali a Pompei, come altrove, erano la seconda pelle dell’abitazione e ne costituivano l’arredamento vero e proprio. I mobili erano pochi ed essenziali, le stanze da letto piccole, ma le pareti erano dipinte a vivaci colori; quando lo spazio era ridotto, affreschi illusori ampliavano i volumi con architetture e paesaggi.

A caratterizzare le sale che si affacciano sul giardino dei Vettii sono racconti di episodi mitologici dal contenuto moralistico, come il Supplizio di Dirce, cattiva matrigna; il re Issione, punito da Giove perché si era invaghito di Era; Pasifae, la moglie del re cretese Minosse, invaghita di un toro, col quale aveva generato il Minotauro. Più che storie a lieto fine, erano gli amori infelici, gli atti di empietà, a ispirare tragediografi, poeti, artisti: esemplari per indicare il limite tra umano e divino da rispettare. E Conviva, che ricopriva una carica sacerdotale, si adeguava all’intento didascalico.

Gli affreschi più celebrati della casa appartengono al triclinio posto al centro del portico settentrionale, e non si tratta di ampie partiture, bensì di un fregio a sfondo nero che corre nella parte inferiore delle pareti. In sequenza, sfilano scenette che, con grande abilità e grazia, rimandano ad attività quotidiane. Ad interpretare orafi, profumieri, lavandai, fabbri, sono deliziosi amorini in compagnia di psychae, il loro corrispondente femminile, e ogni singolo racconto lascia incantati.

I visitatori degli scavi hanno intanto un’altra occasione per comprendere il vissuto del sito: la mostra “Arte e sensualità nelle case di Pompei”, allestita nella Palestra Grande, di fronte all’anfiteatro (a cura di Gabriel Zuchtriegel e Maria Luisa Catoni, fino al 15 gennaio 2023).

L’arte e l’immaginazione si fondono nelle settanta opere esposte, provenienti dai depositi del Parco archeologico, e rimandano a comportamenti privi di inibizioni. I quadretti dipinti, le statue, gli oggetti quotidiani che raffigurano amplessi, o alludono ad incontri amorosi, non facevano parte soltanto della quotidianità di Pompei; ma furono gli scavi dell’area vesuviana a svelare una realtà lontana da come appariva il mondo classico, lasciando stupiti i primi scopritori. Nell’esposizione sono presenti anche ritrovamenti recenti, come i due medaglioni con raffigurazioni erotiche del carro cerimoniale di Civita Giuliana, e viene spiegato il contesto di riferimento per ogni opera, e il loro significato. Con l’app My Pompeii, è anche possibile rintracciare gli edifici che si riferiscono al tema della mostra. Un racconto intrigante, per una corretta comprensione storica.

C.Mor. per il “Corriere della Sera” il 16 luglio 2022.

«Sul sesso, sono la banca dati delle cose più strane del mondo». Esordisce così Willy Pasini, 84 anni, Fondatore della Federazione Europea di Sessuologia, presidente dell'Aispa, Associazione Italiana Sessuologia Psicologia Applicata, già docente di Psichiatria a Ginevra, decine di libri all'attivo (l'ultimo pubblicato in Francia, Voglio un figlio quando voglio ). 

Professore, conferma che il sesso in terza età non è più e un tabù?

«Non lo è, purché ci siano i soldi. Il bidello di 80 anni non trova la fanciulla di venticinque». 

Non trova nemmeno una coetanea?

«No, perché pure la ottantenne cerca il venticinquenne». 

Oggi, da anziani, si fa più sesso o se ne parla solo di più?

«Si fa più sesso in età avanzata per motivi sociali e per motivi medici. Intanto, le versioni generiche di Viagra e Cialis hanno abbattuto il prezzo a un decimo. Poi, si sta meglio in salute e il sesso fa bene a uomini e donne. C'è una ricerca australiana importante di un urologo su mille uomini di ottant' anni: ha scoperto che, se eiaculavano due volte a settimana, avevano il 30 per cento in meno di rischio di cancro alla prostata.

Io l'ho verificato anche nella mia esperienza clinica. Ho avuto una coppia fusionale, lui 80 anni, lei 68, che mi domandavano come fare ancora l'amore anche se lei soffriva d'artrosi. Gli ho spiegato come fare e, la volta dopo, lei è arrivata senza bastone: camminava normalmente perché l'orgasmo agisce sul cortisolo, è un toccasana». 

Nel 1998 l'avvento della pillola blu fu salutato come una rivoluzione, perché la pillola rosa non ha avuto pari impatto?

«Perché è meno efficace e per fattori culturali: nelle donne, il desiderio ha più componenti psicologiche. Per farle un esempio: una mia paziente, una scrittrice europea molto nota, aveva 92 anni e riusciva a scrivere solo se aveva tutti i giorni un rapporto completo. Aveva un compagno malato di cuore di 84 anni, glielo depositavano nel letto e lei, dopo, poteva finalmente scrivere. Quando il cardiologo vietò i rapporti all'uomo, lei non ha più scritto. Poteva trovare un altro partner, ma era da penetrazione romantica». 

Il sesso dipende dall'età anagrafica o dall'età della relazione?

«Dipende dal desiderio. Per cui, c'entrano l'amore, l'attrazione per il corpo o il denaro che compensa: abbiamo separato il sesso dal cuore, ma non dal denaro. Ho tanti pazienti anziani che vanno con escort che si pagano gli studi, poi, una è diventata notaio, una studia Medicina. E ho pazienti escort che dicono che gli anziani sono più simpatici perché hanno meno urgenza dei giovani». 

Perché una escort viene da lei?

«Non per la sessuologia, ma per la psichiatria: è depressa o ha un conflitto con la madre eccetera». 

E le ragioni sociali, a cui accennava prima, per cui, intorno agli 80 anni, si fa più sesso che in passato?

«Il sesso rientra nel movimento del narcisismo. È uno stile che si sta sviluppando in maniera grave, perché si parte da sé e non si tiene conto dell'altro. Stiamo uccidendo il romanticismo e il sesso è sempre più egocentrico, una conferma di se stessi. 

Le persone hanno bisogno di farlo per sentirsi vive, per allontanare la morte. Io, invece, combatto per il romanticismo: Goethe, a settant' anni, si era innamorato di una 17enne che non lo voleva e ha scritto tre libri. Il romanticismo crea sublimazione, arte, bellezza. Oggi, siamo al sesso per scaricare la tensione». 

Lei è sposato da 55 anni, come tiene vivo il romanticismo?

«Io e mia moglie abbiamo stabilito che in Svizzera, dove viviamo, siamo molto fedeli». 

E fuori dalla neutrale Svizzera che succede?

«Che lei nella sua Germania e io nella mia Italia, o comunque entrambi in giro per il mondo, siamo liberi». 

Amanti fissi o occasionali?

«Le donne mi cercano e mi sorprende sempre, credo di avere successo perché parlo con loro, molto di sentimenti». 

Che età hanno le sue fan?

«Io non sopporto quelle sotto i trenta, perché hanno un Edipo caldo e vogliono soddisfarlo con me». 

Che sarebbe l'edipo caldo?

«Amano gli uomini anziani perché cercano il padre». 

E sua moglie come si regola?

«So per certo che almeno fino a dieci anni fa era molto richiesta. Ma, malgrado tutto, io sono geloso». 

Che significa che è geloso? Preferisce non sapere?

«Esatto. È una cattiva abitudine, ma me la porto dietro dalla nascita, ero geloso pure dei giochi di mio fratello». 

Come nasce questo contratto con la Svizzera pacifica e il resto del mondo no?

«Eravamo a cena a Los Angeles con una coppia, lui avvocato, lei ginecologa, ci hanno invitati a casa e il caffè si prendeva in una tinozza di acqua calda. Erano i tempi degli hippy, ci hanno proposto lo scambio di coppia. Abbiamo rifiutato, ma dopo ne abbiamo discusso varie volte e siamo arrivati alla conclusione che, in fondo, gli americani possono aver ragione. Solo che lo scambismo non ci piace, non l'abbiamo mai fatto, ci siamo organizzati diversamente». 

E lei a sua moglie racconta le sue avventure?

«Assolutamente no. Le racconto ora a lei perché mia moglie non legge l'italiano. A un giornalista di Berlino o di Parigi non l'avrei detto».

Da focus.it il 20 Novembre 2022. 

Il pene di Napoleone è custodito in uno scrigno da Evan Lattimer, cittadino americano residente nel New Jersey, che l'ha ricevuto in eredita dal padre, un urologo che a sua volta lo aveva acquistato in un'asta a Parigi negli anni Settanta per 3.000 dollari.  

La storia del membro di Napoleone e stata raccontata dal giornalista britannico Mike Evans nel programma televisivo Dead famous DNA, il cui scopo e rinvenire tracce organiche di personaggi storici, da Hitler fino a Elvis. Dopo la morte di Bonaparte, il suo pene fu asportato e imbalsamato dal dottor Francesco Antommarchi, che ne esegui l'autopsia di fronte a 17 testimoni nel 1821.

Il membro fu quindi acquisito da un sacerdote, l'abbe Anges Paul Vignali, e rimase di proprieta della sua famiglia fino al 1924, quando fu venduto al commerciante di libri americano Abraham Rosenbach. 

 Quest'ultimo lo cedette tre anni dopo al Museum of French Art di New York, dove rimase fino all'asta vinta da Lattimer. Una curiosità: le dimensioni, in seguito all'imbalsamazione, sono di poco meno di cinque centimetri.

Da leggo.it il 5 ottobre 2022.

L'uomo con il pene più grande del mondo chiede di poter entrare nel Guinness World Record. Roberto Esquivel Cabrera, 54 anni, di Saltillo, in Messico, ha un organo genitale di circa 50 cm, una condizione straordinaria e unica al mondo, che lo ha spinto a chiedere che venga riconosciuta questa sua unicità e sia inserito nel libro dei record mondiali. 

Delle sue doti si era già saputo nel 2015, quando un video in cui misurava la sua virtù divenne virale sui social, ora però il 54enne chiede che il suo fallo, la cui precisa misurazione è di 47,5 cm, sia inserito nel libro dei record. Il suo pene rappresenta per Roberto motivo di orgoglio, anche se è stato causa di numerosi problemi di salute. Le dimensioni del suo fallo gli impediscono, di fatto, di avere una vita sessuale, inoltre è spesso esposto a infezioni del tratto urinario e ha frequenti irritazioni dovute allo sfregamento inevitabile del suo organo genitale, visto che non riesce ad essere contenuto in nessun tipo di biancheria intima.

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Il motivo per cui Roberto non è stato inserito nel Guinness dei primati è perché la lunghezza del suo pene deriva dal suo prepuzio allungato, non dall'organo stesso. Si tratta quindi di una malformazione di una sola parte del suo organo genitale, di fatto il suo pene misura solo 18 cm, una lunghezza perfettamente nella media. La malformazione non sarebbe però congenita, ma causata dal diretto interessato: Roberto ha passato tutta la sua vita a cercare di allungare il suo pene mettendo sin da piccolo dei pesi sul suo prepuzio. 

Un medico, che lo ha esaminato per verificare le dimensioni dei suoi genitali, il dottor Gonzalez, ha spiegato: «Ha iniziato con questo ingrandimento da quando era un adolescente, avvolgendo alcune fasce attorno al suo pene con alcuni pesi e cercando di allungarlo». Questa pratica ha provocato di volta in volta piccole lesioni che sono state riparate naturalmente con la formazione di altro tessuto, che negli anni si è esteso e allungato fino a misurare oggi circa 50 cm. Roberto ha ammesso di aver passato la vita cercando di renderlo più grande e ha rifiutato ogni possibilità di operarsi per ridurlo (e avere una normale vita sessuale) perché vuole entrare nell'industria del porno. 

Sesso, "la misura del pene". Il segreto per un rapporto perfetto: "Orgasmo garantito". Libero Quotidiano il 26 aprile 2022.

Il sesso e le dimensioni del pene: quanto e come contano? È la storia più antica del mondo, sulla quale il Cosmopolitan ha provato a fare chiarezza una volta per tutte, avvalendosi di esempi portati da donne reali e cercando di offrire risposte con i suoi esperti. Ad esempio Emily, 35 anni, ha raccontato la sua esperienza: stava per avere il primo rapporto sessuale con un nuovo ragazzo, che aveva sfoggiato un preservativo Magnum.

Lei come prima reazione si era messa a ridere, pensando che il ragazzo volesse fare lo spavaldo: poi però lui ha tirato fuori il suo membro, che effettivamente era il più grosso che Emily avesse visto. E così poi c’è stato ben poco da ridere: il rapporto è stato doloroso per lei, disagevole per lui. Cosa fare in questi casi? La risposta è offerta dagli esperti del Cosmopolitan: “Se il pene è troppo grosso, meglio che la donna stia sopra e che si usi lubrificante. Se è troppo lungo, fategli mettere la mano alla base prima di infilarlo, in modo che non entri tutto. Evitate la posizione a pecorina, che porta a una penetrazione profonda”.

Poi c’è il caso opposto a quello di Emily: lo ha raccontata Sara, 28 anni, che si è trovata dinanzi al pene più piccolo che avesse mai visto. Nessun panico, spiega Cosmopolitan: “La misura conta poco se si sa come usare le risorse. Ad esempio può aiutare chiedergli di fare un moto circolare con i fianchi, così si sente di più che facendo dentro e fuori”.

Da tg24.sky.it il 22 aprile 2022.

È morta a 74 anni Cynthia Plaster Caster, artista nota per aver realizzato i calchi in gesso dei peni e di altre parti del corpo di celebrità come Jimi Hendrix. Nata il 24 maggio del 1947, si chiamava in realtà Cynthia Albritton e si definiva una “groupie in ripresa”. Come riporta Variety, che ha confermato la notizia, la sua peculiare carriera iniziò a Chicago grazie anche a un incontro con il musicista Frank Zappa, che non partecipò al suo progetto ma divenne un suo sostenitore. Fu però a Los Angeles che l’artista trovò le giuste condizioni per le sue creazioni.

Variety riferisce che la sua collezione include, tra l’altro, calchi in gesso di parti del corpo di Wayne Kramer, Pete Shelley, Jello Biafra, Laetitia Sadier di Stereolab e Sally Timms dei Mekons. Per anni, non riuscì tuttavia a esporre. In un primo momento, ci furono screzi con altri artisti, poi Albritton fu costretta ad ricorrere a vie legali per rientrare in possesso di alcuni calchi che aveva affidato anni prima a Herb Cohen, socio di Zappa, dopo un furto. 

Nel 2000 riuscì finalmente ad organizzare la sua prima mostra e, col tempo, decise di includere nelle sue opere anche i calchi del seno di alcune donne e di non limitarsi alla sfera musicale. Nel 2010 provò anche ad entrare in politica, candidandosi come sindaca di Chicago, ma non ebbe successo.

Come riferisce Rolling Stone Italia, più di recente Caparezza l'ha anche citata in una sua canzone: La rivoluzione del sessintutto. A un certo punto, nel brano si legge: “1-9-6-8, groupies nelle band / Seni nudi su Electric Ladyland / Jimi Hendrix è ginseng / Dio si chiama Zappa Frank Vincent / A Chicago dalle Plaster Caster / Posso farmi il calco delle parti basse”. 

Dagotraduzione dal Daily Mail il 13 aprile 2022.

Morte. Guerra. Discussioni. Qual è l'unica cosa che hanno in comune? 

Stranamente, la risposta è sesso! Non ti aspetteresti che nessuna di queste situazioni improbabili provochi l'eccitazione, ma ci sono molte ragioni logiche per cui invece succede. 

«Quando mia madre è morta inaspettatamente, sono passata dal cercare di evitare il sesso a cercare di averne il più spesso possibile», mi ha detto una donna sposata di 34 anni.

«Fare sesso era l'unica occasione in cui potevo sfuggire al dolore di aver perso mia madre così presto; l'unica volta in cui mi sentivo nel presente e non bloccata nei ricordi. Il sesso è stato fantastico, ma dopo mi sentivo malissimo. Sembrava irrispettoso. Poi ho imparato a godermi ciò che istintivamente sentivo di dover fare: fare molto sesso». 

Altri desiderano «sesso animalesco e intensamente appassionato» dopo aver scoperto che il loro partner ha avuto una relazione.

Dolore e sesso: non sono parole che spesso mettiamo insieme. Eppure, eccoti qui, qualcuno vicino a te è appena morto e invece di (o anche) volerti sdraiare in una stanza buia, hai un'inspiegabile brama di fare sesso. Più è abbondante e lussurioso, meglio è. 

Sapevate che il dolore, l'emozione che dovrebbe essere sessualmente la meno allettante, rende spesso le persone, beh, eccitate? Ci sono varie teorie sul perché questo accada. La prima è che la morte di qualcuno a noi vicino è un duro promemoria che il nostro tempo su questo pianeta è fugace.

Il sesso ci fa sentire vivi. E ci fa anche sentire giovani. Fare sesso selvaggio ci collega al nostro io più giovane, quando la vita era meno complicata e la gratificazione istantanea era tutto ciò che contava. È anche un modo subliminale per ricordare a noi stessi che la vita è un ciclo: le persone nascono, le persone muoiono. È come sono sempre state le cose. C'è conforto in questo. 

Il sesso soddisfa il bisogno di contatto.  Un altro buon motivo per stare in orizzontale se sei triste: il sesso soddisfa un profondo bisogno di avvicinarsi il più fisicamente possibile a un altro corpo caldo.

Il sesso è una distrazione. Il dolore è estenuante e se riesci a ritagliarti 20 minuti di felicità e ottenere una pausa disperatamente necessaria dal dolore implacabile, perché non farlo? Il buon sesso rilascia dopamina nel cervello: l'ormone del benessere che ci fa sentire calmi e ottimisti. La sensazione dura: uno studio ha scoperto che le persone che hanno fatto sesso provano livelli di felicità più elevati anche il giorno dopo (indipendentemente da quanto sia stato bello). 

Il "sesso mortale" non è sempre con il nostro partner.  Non è insolito per coloro che sono in lutto escano dalla loro relazione principale per fare sesso con uno sconosciuto, un conoscente o qualcuno che conoscono.

«Potresti tornare a casa da un funerale, fare sesso con un vicino e non parlarne mai più», mi ha detto uno psicologo clinico. Dobbiamo capire, dice, che voler fare sesso dopo la devastazione potrebbe non essere dovuto alla lussuria ma al bisogno di rassicurazione. Un'affermazione della vita e che noi siamo i vivi. Il desiderio di sesso è così forte che può reprimere qualsiasi senso di colpa o tradimento. 

È anche del tutto normale, tra l'altro, che invece le nostre pulsioni sessuali si arrestino quando incrociamo la morte. Molti si sentono in colpa provando qualsiasi tipo di emozione positiva; altri sono semplicemente troppo traumatizzati per affrontare qualsiasi altra cosa, le basi della vita. Ognuno soffre in modo diverso: non esiste un modo "giusto" per gestire la perdita di una persona cara.

Come gestirlo con delicatezza. Se hai un partner, spiegagli come ti senti e che non è insolito sentire una forte spinta al sesso dopo la perdita. Rifiutati di vergognarti per il tuo desiderio. È una risposta umana a una situazione tragica. Tieni anche presente che è una cosa molto personale che alcune persone potrebbero avere difficoltà a capire. Fai attenzione a condividere la tua esperienza con le persone giuste. 

Se non hai un partner e hai voglia di fare sesso occasionale, ricorda che non devi dire ai tuoi amanti perché lo stai facendo. È il tuo momento di sfuggire alla perdita. Concediti il permesso di prenderti una pausa dal lutto e goderti il tempo.

Se è il tuo partner che ha subito una perdita e vuole molto sesso, non giudicare, anche se sai che non è così che reagiresti. 

Se hai una relazione e sei tentato di fare sesso con qualcuno a caso, fai un respiro prima di proseguire. La reazione non è insolita ma rischi comunque di perdere il tuo partner se lo scopre. 

«La nostra giovane figlia ci ha sorpreso due giorni dopo che il mio partner ha confessato la sua relazione», mi ha detto una donna sulla quarantina. «Era così arrabbiata: "Cosa? Stai facendo sesso con LUI dopo quello che ci ha fatto?».

«Non potevo spiegarglielo, ma penso che fosse perché fare sesso era il modo più rapido per riportarlo a ricordarsi di "noi". C'era anche un po' di "Vuoi davvero perdere questo?" in corso. Non sono mai stata più esibizionista sessualmente». 

Mentre molte persone trovano impensabile fare sesso dopo aver scoperto un tradimento (la fantasia di uccidere il nostro partner è probabilmente più allettante), altri vogliono un sesso animalesco, intensamente appassionato con la stessa persona che li ha feriti. Come mai? 

Avete paura di perdervi a vicenda. Innanzitutto, vuoi disperatamente connetterti perché hai il terrore che vi perdiate. Entra in gioco anche la "guardia del compagno" primordiale: vuoi rivendicare ciò che è tuo.

Una relazione extraconiugale crea distanza. Più la coppia è vicina, più è probabile che sperimenti problemi di desiderio. 

Il desiderio rinasce. L'amore ama la sicurezza, la lussuria vuole l'incertezza. Dopo una relazione non conosci più il tuo partner. Chi è questa persona? Pensavi di poter prevedere ogni sua mossa. Questo potrebbe creare sofferenza di cuore, ma fa sì che altre parti del nostro corpo si mettano sull'attenti. Stai effettivamente dormendo con una nuova persona e i corpi amano la novità. Se qualcun altro vuole il tuo partner, diventa molto più attraente. Lo vedi in modo diverso rispetto a prima. Le sue spalle sono sempre state così larghe? Ha sempre camminato in quel modo sexy?

Vedi il tuo partner attraverso gli occhi dell'altra persona e apprezzi ciò che non hai fatto prima. Anche se ti odi perché fai sesso selvaggio e fantastico – non vuoi che il tuo partner pensi che l’hai perdonato – succede. 

Come gestirlo con delicatezza. Sei stato tu a tradire? Lascia che sia il tuo partner a iniziare il sesso. Potresti venire sopraffatto da un impeto di lussuria, oppure dalla rabbia. Fare del buon sesso ti aiuterà sicuramente a ricostruire la relazione, ma non è una scorciatoia per riportare la fiducia. Devi avere lo stesso conversazioni dolorose: capire perché è avvenuta la relazione e come prevenirne un'altra.

Anche se la relazione non riguardava il sesso, usala come un'opportunità per avere conversazioni brutalmente oneste su ciò che entrambi volete sessualmente. Non dare per scontato che sesso significhi perdono. Alcune persone che sperimentano la forte spinta a fare sesso dopo una relazione, finiscono comunque per lasciare il loro partner. 

«Io e la mia ragazza non litighiamo mai, semplicemente non siamo quel tipo di persona», mi ha detto un uomo di 23 anni. «Ma entrambi sentiamo la tensione di lavorare da casa in un piccolo appartamento. Di recente abbiamo litigato per qualcosa di stupido ed è finita che ci siamo urlati addosso. All’improvviso ci siamo fermati, scioccati, e ci siamo guardati l'un l'altro. E abbiamo fatto sesso, proprio lì sul pavimento. È stata la peggior discussione e il miglior sesso che abbiamo mai fatto».

Sembra illogico che urlare cose orribili a qualcuno che ami possa eccitarci ma, fisiologicamente, ci sono molte ragioni per cui il "sesso con litigio" è attraente. 

Quando litighiamo con il nostro partner, la nostra pressione sanguigna aumenta, il testosterone si rilascia e ci sentiamo in piena allerta. La nostra temperatura aumenta, i nostri palmi sudano e tutti i nostri muscoli sono tesi. 

Suona familiare? Hai ragione: non è dissimile da come ci sentiamo quando siamo pronti per il sesso. L'eccitazione è una sensazione che è sorella dell’ansia.

Il tuo cervello riconosce le caratteristiche fisiche e può premere molto rapidamente l'interruttore e trasformare la rabbia in desiderio. Poiché l'adrenalina pompa, il sesso così sembra intensificato e potente. 

Così il sesso ti aiuta a riparare il danno causato dall'argomento. Allo stesso modo del tradimento, anche avere una discussione ci fa sentire insicuri. Fare sesso è un modo veloce e fisico per dire: «Ehi, potrei odiare quello che hai detto o fatto, ma ti amo comunque». 

Aiuta a liberare il corpo da tutto quell'orrendo cortisolo, l'ormone che rilasciamo quando siamo stressati, e incoraggia i nostri corpi a produrre un po' di ossitocina confortante.

Come gestirlo con delicatezza. Per ogni persona che ama il sesso dopo il litigio, ce n'è un'altra che non riesce a pensare a niente di peggio. Se il tuo partner ha bisogno di riconnettersi emotivamente prima di diventare fisico, rispettalo. 

Fare sesso potrebbe renderti di nuovo vicino, ma se l'argomento non viene risolto, non sarà il sesso a risolverlo.  Se scopri che stai iniziando discussioni per ottenere il sesso bollente, fermati ora. Parla invece di alcuni modi più sani per evocare l'eccitazione e il dramma che brami.

«La situazione in Ucraina ha avuto un profondo effetto sulla mia vita sessuale», mi ha confessato un uomo di 26 anni. «Da bambino, mio padre giaceva a letto terrorizzato che qualcuno facesse esplodere una bomba nucleare. Improvvisamente, sono io a farlo - sono estremamente preoccupato per quello che accadrà in futuro. La mia ragazza e io di solito facciamo sesso durante il giorno nei fine settimana. Ora mi ritrovo a raggiungerla nel cuore della notte. È sesso tenero e intimo e un vantaggio inaspettato per quello che sta succedendo».

Abbiamo tutti sentito parlare di corrispondenti esteri (presumibilmente) che hanno accumulato un numero elevato di amanti. Non è solo perché spuntano le caselle "opportunità" e "tentazione". È anche perché, se sono in una situazione di guerra, le loro vite sono in pericolo. 

Cosa faresti se sapessi che potresti essere spazzato via da un momento all'altro? Molte persone, se oneste, troverebbero qualcuno con cui fare sesso. La risposta a "Cosa vorresti fare quando morirai?" molto spesso è "Fare sesso o avere un orgasmo".

I disastri sono eccitanti. I disastri e le tragedie stimolano il desiderio perché provocano la «risposta di lotta o fuga» (una risposta evolutiva che ci spinge a combattere le bestie feroci o a scappare da loro). 

Potrebbero essere orribile ma è anche eccitante. Induce novità, paura e pericolo: emozioni che non si provano spesso nella nostra società (generalmente sicura) oppure se si ha una relazione a lungo termine.

Questo è il motivo per cui la minaccia di una guerra o di un altro evento calamitoso è molto efficace per scacciare il sesso noioso dalle coppie. Miracolosamente, sei tornato a com'era il sesso all'inizio: focoso, urgente ed esilarante. 

Molte coppie l'hanno sperimentato quando il Covid ha colpito per la prima volta e c'era una paura mondiale molto reale che il virus potesse effettivamente spazzare via la razza umana. Un altro motivo per cui la guerra ci fa venire voglia di fare sesso: a livello istintivo, vuoi garantire la sopravvivenza della specie.

Come affrontarlo con delicatezza. Se fare sesso allevia l'ansia e ti fa sentire più calmo, perché dovresti combatterlo? Non sei strano, è noto da tempo che il sesso allevia lo stress.

Siate consapevoli che alcune persone si muovono nella direzione opposta: si chiudono in se stesse quando si sentono in pericolo. Come per il dolore, non esiste un modo "giusto" per rispondere quando ti senti minacciato. 

I disastri ci fanno apprezzare ciò che spesso diamo per scontato. Quando la minaccia è finita, alimenta le fiamme del tuo rinnovato desiderio provando cose nuove e continuando a spingerti fuori dalle tue zone di comfort. 

Dagotraduzione dal Daily Star il 7 febbraio 2022.

Il miliardario Elon Musk ha due obiettivi estremamente ambiziosi: stabilire una colonia umana permanente su Marte e creare una tecnologia che colleghi il cervello umano con l'intelligenza artificiale. 

Dei due sogni futuristici di Musk, è il secondo che ha il maggior potenziale per cambiare l'umanità. 

Mentre la maggior parte della prima pubblicità su Neuralink, l'interfaccia cervello-computer dell'imprenditore di SpaceX, si è concentrata sul suo potenziale per sbloccare la vita delle persone che vivono con una grave paralisi consentendo di controllare armi robotiche e persino un giorno interi esoscheletri, la tecnologia potrebbe cambia il modo in cui il resto di noi comunica, impara e fa sesso.

Il neurobiologo professor Andrew Hires ha dichiarato: «La prima applicazione che puoi immaginare è un migliore controllo mentale per un braccio robotico per qualcuno che è paralizzato». 

Ma più di un ricercatore ha esplorato l'idea di stimolare direttamente i centri del piacere del cervello, consentendo alle persone di fare a meno di droghe o alcol per ottenere sensazioni piacevoli. 

Il dottor Stuart Meloy ha sviluppato un dispositivo nel 2001 che è stato scherzosamente soprannominato "The Orgasmatron".

È stato progettato come un sistema di gestione del dolore ma, come ha detto a New Scientist: «Stavo posizionando gli elettrodi e all'improvviso la donna ha iniziato a esclamare con enfasi. Le ho chiesto cosa stesse succedendo e lei ha detto: 'Dovrai insegnare a mio marito a farlo'». 

Meloy aveva accidentalmente dato alla donna un orgasmo collegando gli elettrodi del suo sistema di gestione del dolore al punto giusto della sua colonna vertebrale.

La tecnologia avrebbe potuto dare vita a una versione radicalmente nuova del vibratore tradizionale, ma secondo Meloy avrebbe avuto bisogno di oltre sei milioni di dollari per i test necessari per portare il suo "Orgamatron" sul mercato. 

Liz Klinger, l'imprenditrice dietro il vibratore intelligente Leonessa, afferma che ottenere sostegno per un dispositivo mirato principalmente al piacere sessuale delle donne è ancora difficile: «C'è ancora molto stigma, pregiudizi e mancanza di risorse nell'assistenza sanitaria per la sessualità femminile».

«Anche se un dispositivo avesse superato i test clinici e ottenuto l'approvazione della FDA, l'ambiente attuale non avrebbe favorito un percorso chiaro per il rimborso dell'assicurazione». 

Ma per Musk, i soldi non sono un problema. 

Quindi Neuralink potrebbe facilmente offrire «l'orgasmo su richiesta» promesso dalla tecnologia di Meloy. 

Utilizzando Neuralink «la stimolazione dei centri del piacere potrebbe essere usata per aumentare l'eccitazione e la risposta sessuale orgasmica», scrive l'esperto di sex-tech Ben Barnes.

«Se le risposte di piacere di un'altra persona potessero essere registrate da un chip, allora quella stessa esperienza di piacere potrebbe potenzialmente essere ricablata nel suo partner, facendogli sapere come il proprio partner sente il piacere sessuale». 

Musk ha affermato che la sua azienda spera di iniziare a impiantare i suoi chip negli esseri umani nel 2022, due anni dopo rispetto a quanto aveva inizialmente promesso.

Nel 2020, l'azienda ha mostrato il sistema funzionante in un maiale di nome Gertrude durante una dimostrazione dal vivo. Nell'aprile 2021, Musk ha pubblicato un video che mostra una scimmia che usa Neuralink per giocare a un gioco per computer di base semplicemente pensando di muovere il braccio. 

Passare ai soggetti umani solo due anni dopo il primo test su animali vivi è certamente ambizioso, ma Elon Musk non è noto per essere eccessivamente prudente.

Robert Moon per Dagospia il 6 febbraio 2022.

"Accetto di fare questa chiacchierata solo se mi metti un nome di fantasia, perché tra i miei colleghi sono già particolarmente noto ma a me non va di diventare un fenomeno da baraccone. Un animale da circo". 

Di animale, questo signore sulla quarantina, metaforicamente parlando se ne porta a spasso uno da 26.5 centimetri. Per questo lo chiamano Sandrone 26.5 

Allora, Sandrone ventisei e mezzo. Ventisei e mezzo sta per...

"La giostra. La dote meno visibile che nel mio caso è croce e delizia. Gioia e condanna. Il pitone lo chiamo io. 26.5 centimetri di roba che mi porto tra le gambe...". 

Ma come, un superdotato che si lamenta di esserlo?

"Non mi lamento, ma guardate, chi non ci si trova, non può capire. E' un casino avere una giostra così tra le gambe, anche perché poi si sparge la voce e tutti vogliono provare. Mia moglie, poveretta, è convinta che io le sia fedele. Ma è impossibile. Tante mie amiche tra di loro si sono passate parola. Ormai sanno tutte nel mio paese che sono molto dotato quindi tutte vogliono vedere la giostra" 

Quindi il problema è solo legato alle richieste difficili da accontentare?

"Ma non è solo quello. Guardate che 26.5 centimetri sono tanti. Quando ti spogli la donna davanti a te è attratta. Ma poi anche spaventata. Portarsi questo pacco dietro è complicato. Magari a scartarlo ti piace, ma ad usarlo può fare male. Si capisce quello che voglio dire? Qualche centimetro in meno sarebbe stato meglio".

Quindi stai pensando di ridurlo?

"Ci ho pensato qualche volta. Mia moglie mi dice sempre che fare sesso se ce l'avessi più contenuto sarebbe più divertente anche per lei. Però poi ho paura che mi faccia male. Sarebbe come tagliare un pezzo di me". 

Che lavoro fai nella vita?

"Camionista. Molti dei miei colleghi mi conoscono. Sulla strada le leggende corrono veloci, tutti mi conoscono come Sandro ventisei e mezzo". 

E in palestra, quando fai la doccia, come reagiscono gli altri uomini?

"Non vado in palestra. Io fatico tutto il giorno, l'idea di pagare per andare a faticare non ha mai nemmeno sfiorato". 

Come ti sei accorto di essere un superdotato?

"Da ragazzini con i miei compagni di classe all'inizio per vedere chi era più sviluppato facevamo a gara di peli. Poi uno disse vediamo chi ce l'ha più lungo. Quando l'ho tirato fuori sono tutti rimasti di sasso". 

Quante donne hai avuto?

"Più o meno 300" 

Così tante?

"Si sparge la voce e vogliono provare la giostra. Che però poi spaventa". 

E tua moglie non ha mai sospettato di nulla?

"Io sono un marito affettuoso e presente per quanto posso. Ho negato sempre e le ho sempre detto che quelle su di me erano tutte dicerie che arrivano da persone invidiose". 

E l'idea di fare l'attore porno ti ha mai sfiorato?

"Mai" 

Perché?

"Perchè scopare è la cosa più bella del mondo e sarebbe un peccato farla diventare un lavoro. E poi con la mia giostra metterei in secondo piano i divi del cinema hard. Non mi vorrebbero a lavorare con loro. E poi te l'ho detto, non voglio diventare un fenomeno da baraccone, una barzelletta". 

Addirittura una barzelletta? Molti uomini pagherebbero per avercelo come te

"Perché non ce l'hanno. Ripeto, ti aiuta per il primo impatto ma poi spaventa". 

Ma secondo te le dimensioni contano?

"Contano se sei superdotato come me, e può far male, o sei ce l'hai proprio tanto piccolo. Secondo me meglio di tutti stanno quelli che ce l'hanno di 17-18, sopra la media, ma non troppo" 

·        Il Kama Sutra. 

Da "donnamoderna.com" il 15 aprile 2022.

Non hai mai sentito parlare del Kamafitness? Dove sei stata finora? Si tratta di un rivoluzionario metodo di allenamento che, attraverso il piacere dei sensi, permette di perdere peso e di tonificare il fisico. 

Naturalmente, come dice la parola stessa, prende ispirazione dalle posizioni sessuali del Kamasutra che, insieme a specifici esercizi fisici, riescono a modellare il corpo e scolpire i muscoli. Ma il "fitness da camera" mantiene in forma e giovani anche la mente ed il desiderio: si inizia e finisce con una 'seduta' di stretching e si continua con gli addominali, i bicipiti, i glutei, i pettorali, le spalle e i tricipiti.

Si tratta di un 'allenamento' efficace e casalingo se sei stanca delle solite corse in palestra tra attrezzi e docce veloci e hai voglia di quiete e intimità. Ma attenzione, perché allenarsi con il Kamafitness richiede particolare complicità nella coppia: il sesso acrobatico non è da tutti. 

Volete sapere un ultimo segreto? Anche se il Kamafitness nasce per essere praticato in coppia, può essere 'ravvivato' anche da sole: ti basta un dildo con ventosa da appoggiare al muro, al tavolo o al pavimento, così da simulare la penetrazione. Avrai risultati insperati sul fisico e sulla tua vita sessuale.

Perché non inizi subito a divertirti? 

Iniziamo con un po' di stretching (da ripetere anche alla fine del circuito!). Il tuo partner inginocchiato di fronte a te che stai sdraiata supina ti solleva le gambe fino a formare un angolo di 90 gradi. Quando senti la tensione arrivare alla parte posteriore delle cosce, mantieni la posizione per 30 secondi.  

Per tonificare glutei, addome e gambe (Gag) durante il sesso, si può praticare questa posizione. Tu devi incominciare con una serie di squat, avvicinandoti di volta in volta al pene del tuo partner, che rimane supino a terra mentre fa gli addominali. 

Questa posizione è perfetta per le amanti del cunnilingus: ci si sdraia sulla fitball per fare i classici crunch addominali e il tuo partner si china in ginocchio e pratica sesso orale. Niente di meglio per unire il piacere al dovere. 

Il tuo partner deve restare sdraiato sul materassino mentre tu ti prepari ai push-up: mantieni la schiena e le gambe dritte e fletti le braccia più che puoi abbassandoti lentamente senza però appoggiarti a lui. Gli sfioramenti accenderanno il desiderio e daranno certamente i loro frutti. 

Il tuo partner è sdraiato sul materassino con le gambe leggermente divaricate mentre tu ti posizioni in piedi davanti a lui, di spalle. Le tue gambe devono essere alla stessa apertura del bacino, la schiena dritta e l'addome contratto. Inspira piegando le ginocchia e portando le cosce parallele al suolo e sfiorando il suo pene.  

La posizione bridge evolution è perfetta per rassodare cosce e glutei: stesa supina con le ginocchia flesse, spingendoti sui talloni devi sollevare verso il più in alto possibile i lombari. Il tuo partner intanto può dedicarsi al cunnilingus nel frattempo.

Questa posizione è solo per i più esperti 'acrobati'. Mentre tu sei in ginocchio appoggiata sulla gamba destra e sostenuta dai gomiti devi sollevare la gamba sinistra più in alto possibile, portandola verso il pavimento (il tutto mentre il tuo uomo ti penetra e alterni le gambe). 

Eugenio Spagnuolo per focus.it il 14 aprile 2022.  

CHE COS'È IL KAMA SUTRA? Tutti ne hanno sentito parlare, ma pochi ne conoscono il significato. Confuso spesso con un manualetto erotico, il Kama sutra (letteralmente, “Massime sull’amore”) è considerato di solito un compendio di posizioni per fare sesso. In realtà è uno dei testi più importanti della poesia sanscrita, anche se non l’unico (Per saperne di più. Nell'immagine, sculture erotiche tratte dal Kama Sutra scolpite sulle pareti del tempo Khajuraho, a Madhya Pradesh in India. 

LA REGOLA DELL'8 Scritto tra il I e il VI secolo da un certo Vatsyayana, elabora e riunisce opere diverse, tramandate oralmente. Contiene le descrizioni di 64 posizioni sessuali, conosciute come le 64 arti. Vatsyayana, credeva che ci fossero 8 modi di fare l'amore, moltiplicati per 8 posizioni per ciascuno di questi, per un totale di 64. Il testo descrivere il fare l'amore come una “unione divina”. Ma come detto, soltanto il 20% del libro parla di posizioni, anche se è divenuto famoso proprio per questo.

KAMASUTRA CATALANO. Cercare nuove posizioni sessuali non è una mania recente e neppure orientale. Anche nel Medioevo c’era curiosità a proposito. Speculum al foder è un testo catalano del XV secolo dedicato proprio alle posizioni sessuali. A volte tradotto come “Lo specchio di Coitus” è più un manuale di corteggiamento e di igiene, ma descrive (a parole, niente disegni, come si vede nell'immagine) l'arte delle posizioni sessuali come farà poi nel Rinascimento De omnibus Veneris noto anche come "I modi" o “Le 16 posizioni” dell’incisore Marcantonio Raimondi, che a sua volta si era ispirato a una serie di dipinti erotici di Giulio Romano. 

POSIZIONI ANTICHE. Ancora prima le posizioni sessuali erano state materia del trattato della greca Elefantide nel V secolo: Varias Concubitis Genera, che illustrava nove posizioni del coito e che era una delle letture preferite dell’imperatore Tiberio, che secondo Svetonio apprezzava l’arte erotica al punto da avere esposto in camera da letto un dipinto che rappresentava Atalanta e Meneagro impegnati in un… rapporto orale.

SHAKESPEARE E LA BESTIA A DUE SCHIENE. La posizione del missionario (lui sopra, lei sotto nella variante eterosessuale) ha molti nomi tra cui la “matrimoniale” e la “english-american”. Shakespeare nell’Otello la indica metaforicamente come “la bestia con due schiene”.

È la posizione più praticata nel mondo, sebbene gli Zulu la giudichino volgare e sconveniente, mentre per i Santal e gli abitanti di Bali sia goffa e poco pratica. 

MA POI PERCHÉ LA POSIZIONE DEL MISSIONARIO SI CHIAMA COSÌ Secondo l’antropologo Bronislaw Malinowski (1884- 1942), questa posizione sessuale fu chiamata così nel 1700 dagli aborigeni dell’isola Trobriand, nella Melanesia occidentale, a est nella Nuova Guinea. Era infatti la posizione praticata dai missionari che, sbarcati nell’arcipelago per convertire gli indigeni, si prendevano... qualche libertà con le loro fanciulle. I locali guardavano questo modo di accoppiarsi con curiosità e stupore perché originale e diverso da quello in uso (donna accovacciata davanti, uomo dietro), ispirato agli animali. Secondo un’altra versione, questa posizione fu imposta dai missionari (i quali non “praticavano”) agli indigeni per motivi di ordine religioso: la posizione “faccia a faccia” sarebbe stata ritenuta l’unica adatta ai rapporti tra membri del genere umano, in grado di rafforzare la monogamia, e anche la migliore per la fecondazione.

VADE RETRO. La posizione da dietro (alla “pecorina” o doggy style per gli anglosassoni) ha anche un nome latino: coitus more ferarum, coito come le fiere. Nel Kama sutra invece è nota come: “l’unione della mucca”. Secondo una ricerca dell’Università di Waterloo (Canada) è la migliore per chi soffre di mal di schiena, a patto di fare forza sulle anche. 

QUANTE CE NE SONO? Secondo lo scienziato inglese Alex Comfort (1920-2000), autore di La gioia del sesso, libro che ebbe un ruolo importante nella rivoluzione sessuale, le posizioni sessuali possibili sono più di 600. Anche se, come ammise in seguito: «spesso le coppie cominciano col provarle tutte, ma quasi inevitabilmente finiscono con l'usarne sempre una o due, ricorrendo ai manuali solo in occasioni speciali».

SPERIMENTARE FA BENE. E invece una coppia dovrebbe sempre sperimentare nuove posizioni. Secondo gli psicologi della Chapman University saerebbe segno di vitalità e soddisfazione. In particolare, hanno scoperto che gli uomini e le donne sessualmente soddisfatti si impegnano in comportamenti più intimi, come coccole e baci profondi e ridono insieme durante l'attività sessuale; incorporano più atti di varietà sessuale come provare nuove posizioni sessuali o fantasie; e apprezzano atmosfere romantiche o sensuali, a base di candele e musica. E non hanno paura di dire “ti amo” durante il rapporto sessuale. 

QUALI POSIZIONI ERANO CONSIDERATE LECITE NEL MEDIOEVO? L’unica realmente tollerata era quella del missionario (termine di origine incerta che allude alla classica posizione uomo sopra, donna sotto), mentre tutte le altre venivano a vario titolo bollate come immorali e illecite dalla Chiesa. Altre posizioni sconsigliate erano quelle che prevedevano la donna in posizione dominante, ovvero sopra all’uomo, oppure quelle in cui veniva presa da tergo, senza che potesse scambiare sguardi amorevoli con il partner. Questi modi di fare l’amore erano considerati animaleschi.

ESISTE UN KAMA SUTRA DELLE SCIMMIE? In un certo senso sì. Diversi studi sul comportamento sessuale dei primati (tra cui quello condotto dallo zoologo J. P. Hanby) rivelano infatti che alcuni praticano una sorta di Kama sutra. In pratica, durante l’accoppiamento non ricorrono esclusivamente alla posizione più “classica”, quella in cui la femmina resta ferma, in segnale di invito, ed il maschio la monta “da tergo”. In particolare, gibboni siamango e gorilla in cattività praticano anche la posizione “del missionario”, come anche i bonobo (vedi foto). E dei macachi giapponesi sono state documentate ben otto diverse modalità di accoppiamento: quella in cui il maschio, in piedi, monta la femmina da dietro; oppure si aggrappa alle sue gambe; la morde; si accovaccia sul dorso; si sdraia sul dorso; o, in alternativa, di lato; alla “missionaria”; seduti di fronte.

PAPIRI EROTICI. Non sono noti manuali sessuali dell'antico Egitto. Ma esistono vari papiri dedicati al sesso. Il più noto è il Papiro Erotico databile attorno al 1150 a.C. (XX dinastia) e oggi conservato nel Museo Egizio di Torino. In esso sono raffigurati un uomo e una donna che, aggrovigliati in posizioni sessuali al limite dell’acrobatico, svelano dettagli piccanti sulle abitudini dell’antico popolo egizio in camera da letto.

·        Prima del Sesso.

DAGONEWS il 14 settembre 2022.  

Tuo marito ti tocca in continuazione e ti tormenta per fare sesso? Hai a che fare con un “parassita sessuale” che rischia di rimanere il più delle volte a bocca asciutta mettendoti in difficoltà per il fatto che lo hai rifiutato. Parola della sexperta Tracey Cox che spiega come risolvere il problema del desiderio differente all’interno della coppia. 

«Le donne che si lamentano di sentirsi spinte a fare sesso non è un fatto nuovo, ma tutti siamo d'accordo sul fatto che il numero di donne che ne parla è in aumento. Principalmente perché possono. I giorni in cui le donne pensavano che fosse il loro "lavoro" "compiacere" i loro mariti sono finiti da tempo.

Questo non significa che gli uomini vogliano il sesso più delle donne. Anche se è vero che sono più le donne rispetto agli uomini a dire no. Ma questo non è perché abbiamo una libido più bassa, ma perché il sesso che facciamo con il partner non ci soddisfa». 

Cos'è un parassita sessuale?

«È colui che tenta in ogni modo di far capire che vuole fare sesso ed è arrapato.

Se lei si china, lui le schiaffeggia il sedere. Fa commenti hot mentre si guarda la tv e se lei gli mette i piedi in grembo sul divano, lui prova a metterle le mani tra le gambe. Consentitemi di chiarire che costringere un partner a fare sesso quando non lo desidera non è mai accettabile. Credo che il problema abbia meno a che fare con la quantità di sesso richiesta e più con il modo in cui viene richiesto. Ecco perché la prima tappa per fermare un parassita sessuale è decidere il modo in cui te lo deve chiedere. Non conosco nessuna donna (o uomo) che voglia essere palpata e toccata sessualmente in maniera costante, senza invito. 

La soluzione più rapida per porre fine immediatamente al comportamento dei parassiti sessuali è raggiungere un accordo su un modo accettabile per richiedere sesso. Ti consiglio vivamente di accontentarti delle parole, non delle azioni. Inoltre è imperativo separare il sesso dall'affetto. Altrimenti anche i gesti innocenti saranno visti come richieste mascherate e finirai per evitare sia il sesso che l'affetto.

Successivamente, devi chiarire che più una donna si sentirà sotto pressione per fare sesso e meno lo vorranno fare. Se le donne sono tormentate dal sesso, il loro desiderio crolla. Falle sapere che vuoi fare sesso con lei in una conversazione tranquilla in cui entrambi esprimete i vostri bisogni». 

Quante volte dovresti aspettarti sesso dal tuo partner?

«Vuoi un numero? La risposta è che dipendete tutto da voi. Il sesso una volta alla settimana per alcune coppie potrebbe essere irraggiungibile, il sesso una volta al giorno non è abbastanza per altri. È tutto relativo alle tue pulsioni sessuali, allo stadio della relazione e a cos'altro sta succedendo nelle vostre vite. Ma ricordate che il desiderio non è l’unica motivazione che spinge al sesso. Pensarlo sarebbe ingenuo, soprattutto in una relazione a lungo termine. Altre motivazioni includono far capire di amare l’altro, renderlo felice e valorizzare la relazione. Quando sei in una relazione monogama, c'è un impegno non detto a cercare di soddisfare i bisogni sessuali dell'altro nel miglior modo possibile.

La formula magica per tutte le coppie

«Tenendo presente tutti questi punti, c'è un modo pratico per decidere quanto spesso dovreste fare sesso.

La persona con basso desiderio decide quanto più spesso sarebbe disposta a fare sesso. L’altra persona che ha più desiderio dice ogni quanto lo farebbe. La via di mezzo è la soluzione per voi. Ma ricordate che oltre alla quantità la cosa che è importa è la qualità. Fate sapere al vostro partner cosa vi piace»

Cambia il modo in cui rifiuti il sesso

«Se non hai voglia di sesso ma il tuo partner sì, chiarisci che non lo giudicherai perché vuole soddisfare se stesso. Questo potrebbe significare che scomparirà per un po' in bagno con il suo telefono. Oppure potrebbe significare accettare di fare un po' di sesso a basso sforzo: lui si masturba mentre lo guardi, per esempio.

Devi anche considerare che dovresti cambiare prospettiva e diventare la persona che propone una notte di sesso: chiedi al tuo partner di astenersi per un periodo di due settimane. Questo ti darà la possibilità di capovolgere le carte in tavola: essere quello che suggerisce una notte di fuoco piuttosto che essere quello che rifiuta.

DAGONEWS l'11 settembre 2022.

Finiremo che non ci interesserà nemmeno più trombare in presenza. L’ultima innovazione di Teslasuit è una tuta con un sistema di “feedback tattile su tutto il corpo” che offre alle persone un'interazione bidirezionale in ambienti virtuali. 

La tuta non solo può proiettare la presenza di chi la indossa in un mondo virtuale, ma stimola nervi e muscoli con minuscole correnti elettriche, portando le sensazioni del mondo virtuale in quello reale

Oltre alla stimolazione elettrica, la tuta può anche essere dotata di un controller per la temperatura che consentono di simulare i cambiamenti, creando un'immersione ancora più profonda. 

Sarah Cox della BBC, che ha sperimentato il suo primo "abbraccio digitale", ha raccontato: «Potevo sentire tutto lungo la schiena, sulle spalle e sullo stomaco. Ed è davvero eccitante». Non sorprende, dunque, che molte persone pensino sia il futuro del sesso.

Ben Barnes, scrivendo su The Future of Sex, ha detto: «Gli utenti potrebbero chattare con una prostituta tramite webcam, concordare i termini e quindi sincronizzare le loro tute per un'esperienza sessuale immersiva, il tutto rimanendo a migliaia di chilometri di distanza».

Melania Rizzoli per “Libero quotidiano” l'11 settembre 2022.

Per non arrossire in farmacia, dove è più facile incontrare qualcuno che si conosca, 7 italiani su 10 comprano i preservativi e i prodotti per il benessere sessuale esclusivamente al supermercato, riponendoli nel carrello assieme al resto della spesa, nascondendo le confezioni tra le scatole di biscotti e rotoli di carta igienica, non guardando mai in faccia la cassiera quando passa il codice a barre dei pacchetti sul display del prezzo.

Una indagine di Everli, il principale marketplace europeo per la spesa online, rivela che solo un quarto degli italiani dichiara di essere a proprio agio quando acquista profilattici, mentre tutti gli altri percepiscono sempre un lieve imbarazzo, non sentendosi al riparo da sguardi indiscreti mentre ritirano i prodotti dagli scaffali, ed anche la scelta dei condom risulta affrettata e veloce, al punto che tra i dispositivi di prevenzione e protezione sessuale, i classici preservativi in lattice di gomma naturale, trasparenti e lubrificati, risultano i più venduti, a discapito di quelli con ingredienti di origine vegetale, di quelli ultrasottili o di quelli aromatizzati alla frutta.

Contrariamente a quanto si pensi, ad acquistare condom, lubrificanti e sex toys sono principalmente le donne tra i 35 e i 45 anni, seguite dalle giovani under 25, e tale acquisto femminile appare una tendenza transgenerazionale, che si inverte solo superati i 55 anni, quando risultano gli uomini i maggiori acquirenti.

Le donne notoriamente sono quelle più attente alla prevenzione delle malattie a trasmissione sessuale ed alle gravidanze indesiderate, ma sono anche quelle più disinvolte ed abituate a fare la spesa, per cui molti uomini preferiscono delegare alla partner questo compito per loro ritenuto ancora imbarazzante.

Da un'analisi più approfondita risulta che nei carrelli dei supermercati non finiscono solo i profilattici, ma al secondo posto dei preferiti in materia di benessere sessuale compaiono il gel 2 in 1, pensato per coccole rilassanti o più piccanti, e tra i prodotti top un posto d'onore è riservato ai lubrificanti per rendere i rapporti più confortevoli, soprattutto quelli a base di Guaranà, erroneamente creduto afrodisiaco, mentre entrano timidamente nella spesa anche i sex toys, come l'anello vibrante adatto ad entrambi i partners, anche se non disponibile in tutti gli ipermercati nazionali.

Nella panoramica tra le città italiane, sempre secondo i dati di Everli, a spendere più in preservativi ed affini svetta Milano, seguita da Torino, Bologna, Rimini, Padova e Verona, mentre grandi assenti in questa classifica sono le regioni meridionali e le isole, perché l'ultima città più a sud della penisola in cui si acquistano più preservativi è la capitale Roma.

A livello regionale la Lombardia fa da capofila e vanta ben tre località nel ranking delle 10 province italiane in cui si spende di più per consumare in sicurezza i rapporti sessuali, e nello specifico, ben dopo Milano al 1o posto, conquistano posizioni ragguardevoli Pavia e Monza-Brianza, mentre molto meno attente alla prevenzione risultano le province della Emilia Romagna e del Veneto. Da anni i preservativi nelle farmacie non si devono più chiedere direttamente al sanitario poiché, proprio per evitare il disagio della richiesta, vengono posizionati negli scaffali al di fuori del banco principale.

Ed in più si ha il tempo di scegliere anche la misura che si adatta di più al proprio organo genitale maschile in erezione, senza dovere essere costretti a dichiarare o far notare le proprie dimensioni, e si può scegliere quello senza lattice (in pluriuretano) o quello più adatto alla propria voglia, sentimento o passione, come quelli ad azione stimolante o ritardante, in una vasta gamma di tipologie adatte ad ogni necessità.

Naturalmente i profilattici possono essere acquistati anche nei distributori automatici, solitamente posizionati non distanti dalle farmacie, spesso utilizzati la sera tardi dai ragazzi più giovani e timidi in completa discrezione, ad un prezzo lievemente superiore a discapito di una scelta molto limitata in termine di tipologie ed offerte, non sempre aggiornata sulle novità in commercio.

Importante sottolineare che i profilattici prima dell'uso, non vanno assolutamente tenuti nelle tasche posteriori dei pantaloni, nel portafoglio o nel vano portaoggetti dell'auto, perché il calore del corpo o quello atmosferico potrebbe danneggiarli anche da confezionati, comprometterne l'efficacia, e favorire la loro lacerazione durante il rapporto sessuale, come non andrebbero mai usati oltre la data di scadenza. 

Il preservativo è il contraccettivo più famoso al mondo, protegge dalle malattie sessualmente trasmissibili e da gravidanze indesiderate, ed andrebbe utilizzato sempre nei rapporti occasionali o a rischio, anche se purtroppo ancora molti uomini sono reticenti al suo uso e si rifiutano di utilizzarlo in modo palese nel fare sesso, sia nei rapporti vaginale che anali.

Dietro il rifiuto di usare il contraccettivo un articolo del New York Times sospetta che ci sia una questione di "dimensioni", poiché secondo quelle standard della FDA ( Food and Drug Administration) queste devono essere di 16,9 cm di lunghezza, (lunghezza media peniena è di 14,5cm) per l'idea base che i condom debbano essere lunghi abbastanza per adattarsi alla maggior parte dei peni maschili e che la parte in eccesso può semplicemente rimanere arrotolata, cosa che però provoca un senso di costrizione alla base del pene, con disagio e difficoltà nel raggiungimento del piacere sessuale durante il rapporto. 

Inoltre uno studio dell'Università di Southampton, sottolinea come gli uomini eterosessuali siano meno inclini ad usare il preservativo con donne che reputano attraenti o delle quali sono profondamente innamorati. Forse ci sarà un cambiamento a favore dell'utilizzo abituale nei prossimi anni in termini di prevenzione sanitaria, ma nel frattempo, imbarazzi o disagi a parte nell'acquisto dei profilattici, la responsabilità del rischio dei rapporti sessuali protetti resta e rimane ancora e soprattutto una questione di donne.

Dagotraduzione da un articolo di Tracey Cox per Daily Mail l'8 giugno 2022.

Tutti pensiamo di sapere cosa fa fallire una relazione.

Dopotutto, la maggior parte dei comportamenti nocivi è palesemente ovvia. Tradire il proprio partner, comportarsi in maniera aggressiva, non essere affettuosi ed evitare il sesso sono tutti segnali che indicano notoriamente che c’è qualcosa che non va. 

Ma ci sono altri fattori apparentemente innocenti che possono danneggiare la tua relazione, senza che tu te ne accorga. 

Ecco alcuni dei più insoliti:

Fate attenzione se uno di voi due... 

Cerca di “comprare” l'amore

Gesti eclatanti come un weekend a sorpresa a Parigi sono, beh, grandiosi. Ma sono i piccoli ma quotidiani atti di gentilezza che tengono unite le coppie. 

Il famoso studio Enduring Love ha fatto luce su questo aspetto quando ha seguito 5.000 persone per due anni per scoprire cosa mantenesse le loro relazioni vive e felici. 

Erano le tazze di tè prese insieme, una coccola e altri piccoli gesti d'amore che contavano di più. I soldi spesi in fiori, cioccolatini e profumi possono essere bei gesti, ma sono le piccole premure che fanno prosperare l'amore. 

Non dormire abbastanza

Numerosi studi hanno mostrato una correlazione tra sonno e conflitto nelle relazioni. È stato chiesto alle coppie come avevano dormito la notte precedente, quindi è stato domandato loro di descrivere una recente discussione con il partner: quelli che avevano dormito male hanno mostrato meno empatia, scarse capacità comunicative e scarso senso critico nei confronti delle emozioni del partner. 

Quindi Tracey vi suggerisce che dormire di più potrebbe portare a una relazione più felice. 

Dormendo poco e male il tuo cervello non funziona correttamente. Reagisci in modo eccessivo a cose che normalmente non ti darebbero fastidio, o reagisci in maniera inadeguata alle emozioni del partner quando normalmente risponderesti bene.

La scarsità di sonno ci fa sentire stressati, tristi e depressi, il che ha un impatto sul nostro partner e sulla relazione. 

Se questa non è una ragione sufficiente per farti andare a dormire presto, sappi questo: non dormire abbastanza ti rende anche meno attraente. 

I partecipanti a uno studio del 2017 sono stati invitati a valutare le immagini di alcuni sconosciuti: quelli che avevano dormito poco sono stati giudicati meno attraenti di quelli che si erano fatti le loro otto ore di sonno. (Non che avessimo bisogno di ricerche per dirci che chi ha l’aspetto smorto non è attraente!)

Sposarsi a 23 anni 

Che ne dici di questo: sposarti all'età di 23 anni significa che hai il 45% di possibilità di divorziare. 

Questo è il risultato di uno studio che mirava a scoprire le principali ragioni del divorzio. Ai partecipanti (divorziati dopo un periodo di tempo che va da uno a 14 anni di matrimonio) è stato fornito un elenco di problemi comuni per valutare quale di questi avesse contribuito maggiormente al divorzio. 

Oltre il 45% ha affermato che sposarsi troppo presto è stato un fattore determinante e 23,3 si è rivelata la loro l'età media al momento delle nozze.

Il fatto di non aver dedicato abbastanza tempo alla conoscenza del proprio partner prima di sposarsi è stato il motivo per cui queste persone hanno spuntato la casella.

Sposarsi dopo i 32 

Secondo un altro studio, basato sui dati di 10.000 intervistati raccolti in sette anni, dovresti andare all'altare entro i 32 anni se vuoi durare la distanza. 

I ricercatori hanno scoperto che se ti sposi prima dei 32 anni, ogni anno prima fa la differenza, riducendo le probabilità di divorzio fino all'11%. 

Per ogni anno in cui ti sposi dopo i 32 anni, il rischio di divorzio aumenta del 5%.

Tuttavia, c'è un periodo in stato di grazia: le persone che si sposano tra i 28 ei 32 anni hanno meno probabilità di divorziare. (Ironico, perché mi sono sposata a 31 anni e il mio primo matrimonio non è certo durato a lungo!) 

Mettere 'me' prima di noi 

Uno studio recente sulle coppie in Nord America mira a identificare ciò che rende le coppie felici a lungo termine. I ricercatori hanno scoperto che coloro che pensano "prima noi" e non "prima io" sono molto più felici. 

Pensare a ciò che è positivo per la relazione, piuttosto che a ciò che è buono per te, forse non porta a una felicità immediata ma, nel tempo, la porta eccome. 

Il 55% delle persone all’interno di coppie "floride" hanno detto di concentrarsi meno su di sé e molto di più sul partner.

NON discutere 

Quando una coppia si vanta di non litigare mai, guardali con allarme e non con invidia. Di solito significa che uno o entrambi evitano i conflitti: non parlano di questioni delicate per non far vacillare la relazione. 

Due anni fa, uno studio statunitense ha confermato che le coppie che discutono insieme, stanno insieme. (La ricerca si basava su 121 coppie tra i 30 ei 70 anni che erano state felicemente sposate tra i nove ei 42 anni.) C'era però un avvertimento interessante: le coppie felici che litigavano, si concentravano su cose che erano facili da risolvere. I ricercatori hanno concluso che, evitando i problemi difficili e forse irrisolvibili, hanno aumentato la sicurezza nella relazione. 

Un altro studio lo conferma, riportando che le coppie che discutono hanno dieci volte più probabilità di avere un buon matrimonio rispetto a quelle che nascondono i problemi sotto il tappeto.

Litigare significa che tieni abbastanza al tuo partner da volere che sia d'accordo con te: l'opposto dell'amore non è odio, è indifferenza. 

Ovviamente, se hai continui e aspri litigi su tutto, la tua relazione è nei guai. Ma è meglio avere una discussione ogni due o tre settimane che nessuna per mesi e mesi. 

Omettere certi fatti sulla tua vita 

Per essere gentili è necessaria una certa dose di 'bugie bianche': ringrazi le persone per un regalo indesiderato, dici al cameriere che è andato tutto bene quando è stato il peggior pasto che hai fatto nella tua vita. Ma la completa trasparenza in una relazione è fondamentale se vuoi sopravvivere e prosperare. 

Mentire non significa solo nascondere l'infedeltà, è raccontare mezze verità: fare promesse che non hai intenzione di mantenere, non essere onesto riguardo ai tuoi sentimenti e nascondere informazioni che influiscono sulla relazione.

Di tutte queste cose, sono le bugie per omissione - non rivelare informazioni importanti perché non ti è stato chiesto direttamente di farlo - che sono le più imperdonabili, perché non c'è modo di garantire che ciò non accada di nuovo. 

'Ma tu non mi hai chiesto se fossi mai stato in prigione/se avessi violentato qualcuno/se fossi stato tossicodipendente, è la solita difesa.

Qual è la soluzione? Chiedere al tuo partner se ha mai commesso ogni cosa spregevole che riesci a pensare? 

Numerosi studi sulle relazioni dimostrano che la bugia detta per tenere in piedi una relazione spesso causa più danni alla relazione dell'infedeltà fisica. 

Avere sogni diversi

Il tuo sogno è andare in pensione in un piccolo villaggio con un pub mentre il tuo partner va in iperventilazione se è a più di un miglio da un fast food? 

Le coppie più compatibili possono avere obiettivi di vita incompatibili: può succedere, ma ci deve essere spazio di manovra per il compromesso. 

Uno studio australiano su coppie che stanno insieme da più di 30 anni ha scoperto che gli obiettivi di vita condivisi sono un forte fattore di legame. 

Un altro studio su 450 coppie ha rilevato invece che le coppie si influenzano a vicenda a lungo termine quando si tratta di obiettivi. Questo potrebbe essere un meccanismo vitale che funziona per mantenere stabili le relazioni. 

Non fare terapia di coppia

Molte coppie pensano che ammettere di aver bisogno di una consulenza sia il bacio della morte per una relazione: solo quelle sul punto di separarsi vanno dal terapeuta! 

Non vero. Le coppie che vanno da un terapeuta appena non riescono a risolvere un problema hanno molte meno probabilità di separarsi rispetto a quelle che non lo fanno. 

Trent'anni fa, la terapia di coppia aveva una percentuale di successo inferiore al 50%. I benefici tendevano insomma ad essere di breve durata. I nuovi approcci, come l'EFT (terapia focalizzata sulle emozioni), hanno una percentuale di successo compresa tra il 75 e il 98%. 

Nonostante ciò, la maggior parte delle coppie aspetta in media sei anni prima di ricevere aiuto. Non aspettare: prima cercherai aiuto, maggiori saranno le possibilità e minori saranno i danni che il problema causerà sulla tua relazione. 

Il terapeuta non risolverà magicamente tutti i tuoi problemi - sono terapeuti, non maghi. Ma farsi aiutare da un esperto imparziale e preparato aiuta molto.

Avere figli 

Prima di indignarti e dirmi che avere figli è la cosa migliore che tu abbia mai fatto, lascia che ti chiarisca che a livello personale, è più probabile che i bambini ti rendano più felice piuttosto che meno felice.

Qualche altra buona notizia per i genitori: le coppie che erano felici prima di avere figli sembrano essere relativamente protette dalla maggior parte degli effetti negativi dell'avere figli. A maggior ragione, se la decisione di averli è stata di entrambi. 

Ciò che è chiaro, tuttavia, è che i figli non ti avvicineranno al partner se siete infelici già all’inizio: avere figli per "salvare" il tuo matrimonio è una delle decisioni più sciocche e fuorvianti che tu possa mai prendere. 

La ricerca mostra che c'è un "urto" che i genitori sperimentano subito dopo la nascita di un bambino. Ma questo tende a scomparire nel corso di un anno.

Crescere i bambini è dura! Avere figli può dare soddisfazione, ma ha un prezzo: responsabilità tremende e stress costante. 

Potremmo chiamare le donne non sposate e senza figli con nomi dispregiativi come "zitella", ma la scienza continua a dirci che sono il sottogruppo più felice della popolazione. Ed è anche più probabile che vivano più a lungo delle loro coetanee sposate e che allevano figli.

Dagotraduzione da un articolo di Tracey Cox per Daily Mail l'1 giugno 2022.  

La maggior parte delle persone giudica la propria vita sessuale in base alla frequenza con cui fa sesso. Se lo fai regolarmente, va tutto bene. Se non è così, hai dei problemi. 

La verità è che la frequenza è solo uno dei parametri che indica se la nostra vita sessuale è soddisfacente oppure no. Ci sono altre bandiere rosse molto più importanti a cui prestare attenzione.

Fai attenzione se...

Il sesso ti sembra un lavoro ingrato 

Cominciamo con l'ovvio.

Se il sesso si è trasformato da qualcosa che non vedevi l'ora di fare, a ciò che temi, non hai bisogno che ti dica che evidentemente, non va bene.

Non sto parlando dell'occasionale "ma dobbiamo proprio farlo?" - è normale. A nessuno piace fare sesso tutto il tempo. 

In effetti, alcuni terapisti sessuali affermano che nelle relazioni a lungo termine solo la metà degli atti sessuali sono soddisfacenti per entrambi i partner. Di solito un quarto delle volte lo acciamo per compiacere l’altro, non noi stessi. 

Non è qualcosa di cui parliamo apertamente, ma se lo domandi a chiunque abbia avuto una relazione sana e a lungo termine, ti dirà che fa tutto parte del gioco dei ruoli tra due persone che cercano di mantenersi felici a vicenda. 

Quello di cui sto parlando qui è diverso: siete stanchi ogni volta che dovete fare sesso? Lo vedete come un’attività da spuntare dall'elenco delle "cose da fare", piuttosto che una fonte di piacere e connessione con l’altro? 

Lo stress e il sonno insufficiente sono le cause più comuni del problema: troppo dell'uno, non abbastanza dell'altro. Il sesso di routine è l'altro grosso problema: la prevedibilità è un killer della lussuria. 

Non sai cosa vuoi

La maggior parte di noi ha un repertorio limitato di tecniche su cui fare affidamento durante il sesso: si tratta delle cose che pensiamo di saper fare bene. Il partner invece si aspetta che la nostra mente legga ciò che li eccita e li soddisfa, tutto ciò che possiamo fare è mettere in pratica tutto il nostro repertorio e sperare che una delle cose che sappiamo fare funzioni. 

Ovviamente, più sai che cosa piace e cosa non piace al tuo partner, più feedback ricevi, e migliore sarà il sesso.

Ma per poterlo chiedere all’altro, bisogna sapere ciò che si vuole. 

Sei mai andato dal parrucchiere e hai detto: "Fai quello che vuoi" e sei uscito soddisfatto?

Se non sai quale tecnica fa per te, quale pressione e velocità, dove ti senti meglio e quando ti piace, le tue possibilità di avere un’ottima vita sessuale sono estremamente basse.

Pensa a cosa ti eccita. Guardare o leggere qualcosa di sexy? Hai una fantasia nella testa? Ti piace vedere il tuo partner spogliarsi o nudo?

Quale parte del sesso ti piace di più? Essere accarezzati? Il sesso orale? Usare sex toy? Vestire ed eccitare il tuo partner? Come raggiungi la maggior parte dei tuoi orgasmi? Qual è il modo migliore per raggiungerli?

Una volta che hai capito tutto questo, dillo al tuo partner. 

Se non ti masturbi 

Fammi indovinare: sei una donna.

Le statistiche ci dicono che, a livello globale, gli uomini tendono a masturbarsi 140 volte all'anno o 2,6 volte a settimana. Le donne si masturbano in media 53 volte l'anno, ovvero circa una volta alla settimana.

Personalmente penso che la statistica sia al rialzo: conosco molte donne che si masturbano una volta ogni due o tre mesi e un numero allarmante che non lo ha mai fatto.  

Ci sono molti motivi per cui tutti dovrebbero masturbarsi regolarmente. Potrei elencarli all'infinito. Innanzitutto, attraverso la masturbazione impariamo ciò che ci eccita e quale tecnica funziona per farci raggiungere l'orgasmo. (Masturbarsi è la prima cosa suggerita quando una donna non riesce a raggiungere l'orgasmo.)

Avere orgasmi regolari ci ricorda quanto ci fa sentire bene il sesso, rendendoci più propensi a fare sesso con i nostri partner. Fisicamente, gli orgasmi fanno bene perché aumentano il flusso sanguigno, migliorano la circolazione e la salute del cuore, riducono lo stress e promuovono sensazioni di benessere.

Dovremmo tutti masturbarci almeno una volta a settimana. 

Il tuo partner ti lascia fare tutto il lavoro 

In teoria, vi alternate per dare e ricevere piacere. In realtà, le nostre "personalità" sessuali ci predispongono a preferire l'una o l'altra opzione.

Se sei timido per natura e ti imbarazzi durante il sesso, è improbabile che salti sopra e assumi con entusiasmo la posizione da cowgirl. Se sei sessualmente esperto e un amante sicuro di sé, non ti stenderai e penserai all'Inghilterra. 

Ma mentre non esiste un giusto equilibrio tra dare e avere – ogni coppia è diversa – è la percezione che conta.

Se hai la sensazione di fare tutto il lavoro durante il sesso e il tuo partner si sdraia semplicemente, il risentimento si instaura.

Se il tuo partner raramente ricambia il per darti piacere ed è qualcosa che vuoi che faccia, parla. 

Incolparlo non ti porterà da nessuna parte ("Ti rendi conto di quanto sei pigro durante il sesso? Non ti preoccupi mai di darmi piacere!'). Devi far notare con tatto che il rapporto è squilibrato. ("Adoro il nostro sesso, ma ultimamente mi sento come se fossi io quello che fa tutto lo sforzo. Possiamo cambiare ruolo e io posso sdraiarmi e godermi la prossima volta?"). 

Una persona inizia sempre

Un recente studio norvegese ha rilevato che in una relazione eterosessuale a lungo termine gli uomini intraprendono il sesso tre volte più spesso rispetto alle donne. Ha anche scoperto che il sesso è più frequente nelle coppie quando è la donna a fare la prima mossa. 

 Gli uomini sperano sempre che le donne "prendano l’iniziativa nel sesso". È la cosa che desiderano di più.

Ma non sono solo gli uomini ad aspettarsi che le donne facciano la prima mossa: molte donne si lamentano per lo stesso motivo, si aspettano più l’iniziativa dall’uomo. 

Se il sesso non avviene a meno che tu non lo suggerisca, il tuo partner sta inviando un messaggio chiaro: non mi piace molto fare sesso con te e lo faccio solo per farti piacere.

Questo è il motivo per cui prendere più spesso l’iniziativa nel sesso è una delle cose più importanti che puoi fare per migliorare la tua vita sessuale. 

Non solo renderà felice il tuo partner, essere quello che propone: "Ehi, che ne dici?" ti fa sentire più sexy e più potente. Spostare la dinamica del potere da "inseguito" a "inseguitore" aumenta la fiducia e la libido.

Se non pianifichi le coccole sessuali 

Potrebbe essere un nuovo capo di biancheria intima. Un sex toy. Un fine settimana in un hotel per fare l’amore.

Potresti guardare un film o un programma TV con scene di sesso che sai che piaceranno a entrambi. Prova qualcosa che hai sempre desiderato.

Fai un bagno con un bicchiere di champagne, prima di andare a letto per fare sesso. 

Le coccole sessuali sono cose che fate insieme per celebrare il sesso: trasformate questo momento in un evento. Un modo per mostrare l'uno all’altra che il sesso è qualcosa di speciale e non vedi l'ora di farlo; la sensualità è diversa dalla sessualità.

Idealmente, dovresti pianificare un “trattamento” sessuale ogni mese. Se è troppo difficile, punta a uno ogni due mesi. 

Non ti 'scaldi mai' 

Invece di aspettare che il tuo partner ti ricordi che all'ordine del giorno c’è un rapporto sessuale, accenditi.

Se il tuo partner non fosse in casa e tu dovessi masturbarti, cosa faresti? Prendi il tuo vibratore e fantastichi? Leggi qualcosa di erotico? Guardi un porno? Usai le dita per quelle fantasie sessuali che avevi in testa? 

La prossima volta prima di fare sesso, vai in bagno con il telefono e un vibratore per un po'. Fai un bagno e fantastica.

Fai tutto ciò che è meglio per te per iniziare il sesso "caldo" e non "freddo" - è molto più probabile che poi raggiungerai l’orgasmo più facilmente. 

Non parli di sesso 

“Devi parlare di sesso" è qualcosa che hai già sentito molte (molte) volte.

Ma "lo so già" è molto diverso da "lo faccio".

Lo FAI?

Essere in grado di parlare apertamente di ciò che ti piace e non ti piace a letto, discutere di eventuali cambiamenti che stai vivendo e di come è il sesso per te in questo momento, senza imbarazzo o paura di essere giudicato, è fondamentale. 

Non è mai troppo tardi per iniziare a parlare di sesso ed è facile iniziare la conversazione.

Puoi dire: "Hai notato che non parliamo mai di sesso insieme? Ho letto un articolo che dice che tutte le coppie dovrebbero farlo. Facciamo un tentativo? Potrebbe essere divertente/interessante.

Stefania Netti per mammemagazine.it il 22 maggio 2022.

Se avete perso la libido e non siete pronte a riprendere il sesso dopo il parto, non siete certo sole. È del tutto normale provare una mancanza di interesse per il sesso durante il primo anno di vita del bambino, soprattutto a causa della stanchezza sia fisica che mentale. 

Il sesso di solito diminuisce in questo periodo a causa dello squilibrio ormonale, della diminuzione del sonno e dello stress. Potreste non avere fiducia nel vostro corpo dopo il parto o temere che fare di nuovo sesso sia doloroso se vi sentite secche, che è un normale effetto collaterale dell’allattamento.

L’intimità e il benessere di una coppia possono essere compromessi quando uno o entrambi i partner sono sotto stress, e il primo anno con un bambino, anche se meraviglioso, può essere molto stressante. 

Quando le coppie sono agitate, dimenticano di comunicare e diventano irritabili e tese. Dedicate 15 minuti al giorno senza telefoni o computer per guardare il vostro partner e parlare. Lo stress non scompare, ma possiamo imparare a conviverci e a gestirlo.

Riprendere il sesso dopo il parto: importanti fattori da considerare

È importante trovare il tempo per rivedere l’intimità e la sensualità. Programmate un appuntamento, vestitevi a festa, acconciatevi, spruzzate il vostro profumo preferito e prenotate un ristorante romantico. 

Cercate di uscire di casa anche solo per un’ora o due. Se non potete uscire, godetevi un appuntamento a casa preparando una bella cena a lume di candela o prendendo alcuni dei vostri finger food preferiti e servendoli con un buon vino. Siate aperti a nuove idee, scioglietevi e rilassatevi.

Dopo cena fate un bagno con luci soffuse e fatevi a turno dei massaggi sensuali. Provate una candela da massaggio: hanno un profumo invitante e la cera è calda e perfettamente adatta a massaggiare la pelle dell’altro. 

Potete anche sperimentare il massaggio Nuru, un’antica forma giapponese di passione corpo a corpo che rilassa anche la neomamma più stressata.

Quando il sesso non è un problema, non occupa molto spazio nel matrimonio. Nel caso sia un problema, diventa tutto nel matrimonio. Se allontanate vostro marito perché non avete voglia di fare sesso, lui potrebbe sentirsi ferito e arrabbiato. Abbracciatelo, parlategli e ditegli cosa vi succede. Gli idratanti vaginali sono un modo importante per affrontare la secchezza. Usato due o tre volte alla settimana come parte di un programma di mantenimento, un buon prodotto nutre i tessuti vaginali e aumenta la lubrificazione fino a tre giorni. Inoltre, non contiene estrogeni, quindi è sicuro per le donne in gravidanza o che allattano.

Tuttavia, è importante utilizzare un buon lubrificante prima del rapporto sessuale o del piacere personale. A differenza dei lubrificanti a base d’acqua, quelli in silicone durano per ore per migliorare la facilità e il comfort dell’attività sessuale. Ci saranno alti e bassi, ma l’incredibile legame della creazione di una nuova vita insieme vi renderà più vicini e più connessi che mai: dovete solo permettervi di sentirlo.

Da tebigeek.comil 24 aprile 2022.

Le donne che fanno jogging godono di orgasmi più intensi e più corrono, migliore è il climax. Gli esperti affermano che la corsa rafforza i muscoli pelvici e aiuta a migliorare il flusso sanguigno alle aree vitali. 

I ricercatori affermano che i medici di base dovrebbero utilizzare i risultati dello studio per ricordare alle donne che il jogging ha più vantaggi del semplice aiuto per mantenersi in forma.

Hanno analizzato gli effetti della corsa sulla vita sessuale di 180 volontari che facevano jogging almeno una volta alla settimana. Un gruppo ha corso per più di 12 miglia ogni sette giorni per lo studio, l’altro per meno di 12 miglia. 

Sono stati anche interrogati sulle loro vite amorose. Secondo l’International Urogynecology Journal, i corridori sulla distanza più lunga avevano il 28% in più di probabilità di avere un climax migliore e i loro orgasmi erano un terzo più intensi.

La ricercatrice Shanny Sade, dell’Università Ben-Gurion in Israele, ha dichiarato: “Il nostro studio ha rilevato che le donne che hanno eseguito gli orgasmi più intensi e più sperimentati. 

“Può essere spiegato da una migliore circolazione del clitoride, un migliore lavoro dei muscoli del pavimento pelvico, una migliore autostima e immagine corporea, o una combinazione di questi”. 

Il terapista sessuale Phillip Hodson, ha dichiarato: “La corsa, a quanto pare, è l’aiuto sessuale perfetto, specialmente per le donne. “Vuoi fare jogging nella tua vita amorosa? Fai jogging”.

Dagotraduzione dal Daily Mail il 10 aprile 2022.

Se c'è mai stato un anno in cui tutti ci siamo meritati una vacanza, è il 2022. Se sei abbastanza fortunato da poterti permettere una pausa, fai un grande favore alla tua relazione e alla tua vita sessuale e prenota. 

Più spesso andate in vacanza insieme, migliore sarà la vostra relazione: l’80% dei più rispettati terapeuti al mondo ha votato le vacanze regolari come il modo migliore per mantenere felice un matrimonio. 

Non sorprende che le vacanze siano il momento in cui la maggior parte delle coppie fa più sesso. Ecco come sfruttare al meglio il tuo lungo weekend fuori porta con tutte le mosse, le posizioni, i luoghi e i trucchi per tenerti caldo!

Non si tratta solo di ricordare la protezione solare. Assicurati di fare le valigie e mettere... 

I tuoi vestiti più lusinghieri e più eleganti. Sì, sappiamo tutti che ti sei abituato a un look con pantaloni da ginnastica gloriosamente comodi. Ma se non ti sforzi per vestirti per cena nei giorni festivi, quando lo farai? 

Tessuti fluidi. Abiti larghi e gonne per lei, pantaloncini facili da abbassare per lui per sfruttare le subdole opportunità del sesso all'aperto. 

Letture sexy. Accenditi mentre sei sdraiato accanto alla piscina prima di quel "pisolino" di metà pomeriggio. Se preferisci guardare che leggere, portati un tablet con alcuni programmi TV o film volgari scaricati.

Un cucchiaio di legno. Sì. Hai letto bene. Se viaggi con bambini, non vorrai mettere in valigia oggetti sessuali che, beh, sembrino oggetti sessuali. Porta invece un umile cucchiaio di legno, un eccellente strumento per sculacciare. (Perché hai portato quella mamma? Per costruire castelli di sabbia te con tesoro.) Un cucchiaio non è l'unica cosa che dovresti rubare dalla cucina. Mentre sei lì, prendi... 

Un paio di guanti da cucina. Non dire niente finché non l'hai provato: una sega con i guanti gialli da cucina è davvero un'esperienza! Usa molto lubrificante, indossa i guanti e il gioco è fatto. I guanti creano un piacevole attrito che non puoi creare solo con le tue mani. Credi che scoppierai a ridere, anche se dovesse funzionare? Prova la prossima mossa...

Un elastico per i capelli. Non solo è utile per legare i capelli, puoi usarlo anche per masturbarlo. Avvolgilo attorno alla base del suo pene e arrotolalo su e giù: funziona particolarmente bene se lui è stato circonciso. 

Giocattoli sessuali telecomandati. Se sei senza figli, metti in valigia alcuni dei tuoi giocattoli sessuali preferiti. Porta un giocattolo telecomandato e un vibratore impermeabile di dimensioni discrete (come un proiettile) per giocare. (Se porti giocattoli sessuali, mettili nel bagaglio principale e controlla le regole del paese dove stai andando. Sono illegali in alcuni paesi.) 

Lubrificante personale. Perché fa sentire tutto meglio e perché farai sesso più spesso. La lubrificazione ti impedirà di farti male.

Antibiotici. Se sei incline alla cistite dopo aver bevuto troppo vino o essere stato troppo tempo con il costume da bagno bagnato. Va bene anche un tubetto di crema di mughetto. 

Contraccezione d'emergenza. Tieni un set in valigia e l'altro nel bagaglio a mano perché perdere il bagaglio sarà ancora più traumatico se contiene la pillola. 

Anche se hai bambini al seguito, ci sono alcuni modi per rendere la vacanza un incontro rilassante e sexy. Non tutte queste mosse sono adatte ai bambini (ovviamente!), ma c'è molto che puoi fare fuori dalla camera da letto, in piena vista degli altri.

Spegni per accendere. Non c'è niente di più scoraggiante di un partner che trascorre l'intera vacanza con gli occhi fissi su uno schermo. Decidi i momenti in cui va bene controllare i tuoi telefoni e dispositivi e il resto del tempo concentrati sull'altro. 

Sdraiatevi al sole insieme. Aumenta la vitamina D che mantiene alti i livelli di testosterone e la tua libido andrà bene. (Se riuscite a prendere il sole nudi, ancora meglio: essere completamente nudi al sole fa schizzare il desiderio alle stelle) 

Gioca con i piedi. Non c'è mai stato un momento migliore per provare questo... Succhia le dita dei piedi del tuo partner e lecca gli spazi tra di loro. Il momento buono è quando sono appena usciti dalla piscina o dal mare con i piedi perfettamente puliti. (Sembra più sexy di quanto pensi!)

Recita una storia d'amore estiva. Fai finta di esserti appena incontrato in vacanza e di avere una calda avventura estiva. Entra nel personaggio mentre sei in giro durante il giorno. 

Vai senza mutande in un ristorante. Togliti le mutandine mentre indossi un vestito di media lunghezza. Non c’è bisogno di annunciarlo, basta afferrare discretamente la sua mano sotto il tavolo per mostrarlo e raccontarlo. 

Fai una lista dei desideri del sesso. Annota tutte le novità che entrambi vorreste provare mentre ti rilassi a bordo piscina. Una persona scrive la prima idea, l'altra ne aggiunge un’altra alla lista. Vai avanti e indietro finché non hai almeno 10-15 nuove idee. I bambini non avranno la più pallida idea di cosa stia succedendo.

Bagnarsi. Indossa una bella maglietta attillata e dimentica comodamente il reggiseno. Quindi spruzzati "accidentalmente" per evidenziare le tue caratteristiche migliori! L'abbigliamento trasparente è più erotico della carne nuda perché è misterioso e offre uno scorcio allettante di ciò che c'è sotto. 

Scrivi un biglietto. Scrivi su un bigliettino le cose che hai intenzione di fare al tuo partner quella notte, piegalo in due e chiedi al personale della piscina di consegnarlo al suo lettino, insieme al suo drink preferito.

Usa una parola in codice. Che significherà: «Troviamo una scusa per tornare nella stanza per cinque minuti per una sveltina». 

Vai a fare un'immersione. Aspetta che i bambini dormano e scendi di soppiatto per una nuotata notturna in piscina o al mare. Fare qualcosa contro le regole ci fa rilasciare adrenalina, una sostanza che ti lega al tuo partner. 

Usa i cubetti di ghiaccio per riscaldare le cose. Prendi alcuni cubetti dal secchiello del ghiaccio e falli scorrere su e giù sulle braccia del tuo partner e intorno ai suoi capezzoli. È fantastico se passi sui pezzetti di pelle che hai appena "congelato" con un caldo bacio.

Prova un modo nuovo e fresco di massaggiare. Usa del talco o del borotalco invece dell'olio. Il talco è bello e scivoloso, più fresco e funziona come l'olio ma senza sporcare. 

Condividi un po' di champagne (ma in modo insolito). Fai sdraiare il tuo partner sulla schiena con te a cavallo su di lui. Prendi un buon sorso di qualcosa di frizzante in bocca, resisti all'impulso di deglutire e tienilo semplicemente lì. Ora, piegati e baciali, lasciando che una piccola quantità di champagne coli nella loro bocca. Aspetta finché non si rendono conto di quello che stai facendo e ingoia, prima di lasciar entrare un altro po' di gocciolamento. Fai a turno e stai attento: è così divertente che è piuttosto facile ubriacarsi!

Fai sesso in completo silenzio. Potrebbe essere una necessità (i bambini o tua suocera potrebbero sentirvi), ma può anche essere una svolta. Provocatevi l’un l’altro senza pietà, sapendo che non potete emettere nemmeno un lamento. 

Prova il tantra. Il caldo ci fa sentire languidi e lenti. Prova alcune semplici mosse sessuali tantriche. Fai sesso senza interrompere il contatto visivo o usa il tuo respiro per un'esperienza sorprendentemente intima.

È ora di provare qualcosa di nuovo! Ecco tre nuove posizioni per soddisfare ogni umore durante la vacanza: romantico, pigro e caldo al trotto.

Triangolo amoroso: provalo dopo aver cenato fuori e passato un po’ di tempo a parlare di quanto siete felici insieme! Lei si sdraia, lui si inginocchia davanti a lei. Le prende i piedi e unisce le piante, spingendo indietro le gambe verso il petto. Le sue gambe formano un triangolo, formando una "cornice" attorno a entrambi i tuoi pezzi cattivi. 

Il pigro rocker: perfetto per il sesso pigro e sensuale quando sei stato tutto il giorno al sole. Lei si siede con le gambe tese davanti a lui, che le ha divaricate e mette le gambe sopra le sue e i piedi su entrambi i lati del suo petto. Stringetevi i polsi e poi dondolatevi. Uno si appoggia indietro mentre l'altro si sporge in avanti, tirandosi su con le braccia.

La spinta al muro: questo è per il sesso veloce, appassionato ed estemporaneo; è anche una posizione virile, tipica del cavernicolo. Lei si appoggia a un muro e lui la solleva afferrandole saldamente il sedere. Gli avvolge le braccia intorno al collo, gli afferra le cosce con le sue e appoggia i piedi contro il muro per fare leva e aiutarsi a spingere. Non aspettarti di durare per più di qualche minuto, ma è fattibile!

Il Mile High Club (il club che ammette soci solo se hanno fatto sesso ad alta quota) è uno dei preferiti nei film (dove tutti viaggiano in prima classe) ma è meno probabile che accada se viaggi in economica. Hai a che fare con uno spazio ristretto, un ambiente tutt'altro che glamour (un gabinetto, un'illuminazione poco lusinghiera) e una possibile interruzione. Mantieni basse le aspettative.

Scegli un volo notturno per le migliori opportunità: le luci della cabina sono soffuse, ci sono cuscini e coperte e la maggior parte dei passeggeri dorme. Se sei in business o in prima classe con un letto piatto, entrare a far parte del club è un gioco da ragazzi. È semplicemente una questione di cucchiaio, penetrazione e tempismo delle spinte. 

Puoi ancora farla franca con alcune carezze pesanti sul sedile, indipendentemente dalla classe in cui stai volando, se i tuoi vestiti lo consentono. E puoi nasconderti sotto le coperte. Fai finta di guardare un film sui tuoi telefoni, e le tue mani potranno muoversi in tutti i modi.

Vuoi seguire la strada tradizionale e farlo in bagno? Non farlo quando il segnale della cintura di sicurezza è acceso, sii discreto, sii silenzioso e la maggior parte dell'equipaggio di condotta chiuderà un occhio. Le persone vengono principalmente sgridate quando sono ubriache, rumorose e fastidiose. 

Una persona va in bagno, l'altra osserva la scena e se nessuno sta guardando, bussa di nascosto e scompare discretamente all'interno. Una volta dentro, non perdere tempo. Più a lungo rimani lì, più è probabile che tu venga richiamato. 

Spingi gli indumenti da parte invece di rimuoverli. Stare in piedi è la tua migliore opzione per il rapporto sessuale (guarda la porta in modo da non essere sorpreso), siediti sul gabinetto (chiuso) se vuoi dargli la bocca. (Purtroppo, lo spazio non gli consente davvero di restituire il favore senza che sia inginocchiato sul pavimento. E nessuno vuole farlo.)

Non è il momento di lamenti e gemiti rumorosi: inoltre, dovrai prestare attenzione a chi bussa alla porta. 

Se le persone iniziano a bussare alla porta o (peggio) senti l'equipaggio dire che sta per aprire la porta dall'esterno, disimpegnati immediatamente, aggiusta i vestiti e preparati a trovare una scusa. Alza le mani, fai un sorriso sfacciato e torna al posto.

Da "ansa.it" il 26 marzo 2022.

Una vita sessuale soddisfacente dipende anche dal percorso compiuto prima di arrivare in camera da letto, cioè dagli stili di vita e dalle scelte quotidiane.  (..) Il Professor Emmanuele A.  Jannini, Ordinario di Endocrinologia e Sessuologia Medica dell'Università Tor Vergata di Roma, racconta il percorso salute ideale.

1. LA CUCINA - È ormai dimostrato che la dieta ha un ruolo fondamentale nel mantenere un buono stato di salute. La dieta mediterranea, con un'adeguata piramide alimentare a base di cereali integrali, frutta e verdura e con al vertice i grassi animali e gli zuccheri semplici, è quella che meglio contribuisce al benessere, anche sessuale, dell'uomo.

2. IL SALOTTO - Sul divano solo per poche ore: la vita sedentaria è correlata ad una maggiore incidenza di sovrappeso e obesità, oltre che di malattie metaboliche. Al contrario, è dimostrato che condurre una vita attiva e svolgere un'attività sportiva con regolarità migliora anche le performance sessuali. 

3. I LOCALI DELLA MOVIDA - Alcol, droghe e fumo di sigaretta hanno un effetto negativo, nel breve e nel lungo termine sull'attività sessuale. Il fumo, ad esempio, e un fattore di rischio importantissimo nello sviluppo sia dell'arterosclerosi che della disfunzione erettile.

4. LO STUDIO MEDICO - I check up periodici sono importanti strumenti di prevenzione, soprattutto dopo una certa età. Inoltre, quando si cominciano ad avere problemi in camera da letto, il medico va considerato il primo alleato e la persona di riferimento a cui chiedere aiuto.

5. LA FARMACIA - Il consiglio del farmacista è un valido aiuto sia nel fornire indicazioni e chiarire dubbi sullo stile di vita più salutare, sia per guidare il paziente nella scelta delle possibili soluzioni indicate dal medico.

LA DÉFAILLANCE E IL BENESSERE SESSUALE Per l'88% degli uomini il sesso rimane una componente centrale della vita. Secondo i dati della ricerca GFK condotta dell'ambito della campagna Ticket to Love e promossa da IBSA Farmaceutici Italia, la défaillance sessuale rimane un tasto dolente per l'uomo: il 51% degli intervistati l'ha conosciuta almeno una volta nella vita, mentre per il 13% si tratta di un problema che si presenta in maniera intermittente o cronica (da una volta su quattro a ogni rapporto). Di coloro che hanno il problema, la percentuale dei più giovani (35-44 anni) è comunque rilevante (17%).  

Da “Corpo e cuore” - “Oggi” il 24 marzo 2022.  

«Mia mamma, 68 anni, fumatrice, ha avuto un infarto piuttosto serio un anno fa. Ha ripreso a fumare di gusto dopo aver letto del “paradosso dei fumatori”: pare che, dopo un infarto, muoiano meno di chi non fuma. Mancava solo questa storia. Ho letto molti suoi articoli sul cuore delle donne. Può aiutarci a farle cambiare idea?».

Risposta di Alessandra Graziottin, Direttore del centro di ginecologia San Raffaele Resnati, Milano

Far cambiare idea a una donna che fuma “con gran gusto” è impresa ardua, ancor più se ha trovato l’alibi perfetto nello smokers’s paradox. Ci provo, con l’aiuto di una ricerca che ha studiato il “dopo infarto miocardico” su ben 28.735 pazienti, appena pubblicato (Hall et Al, J. Women’s Health, 2022). 

Il punto sul paradosso dei fumatori: la differenza di mortalità dopo infarto, quando si esaminano bene tutte le variabili, è dovuta a un fatto preciso. 

I fumatori infartuati sono in genere molto più giovani degli infartuati non fumatori: per questo hanno una salute meno compromessa, con meno diabete, arteriosclerosi o broncopneumopatia ostruttiva.

L’infarto acuto li colpisce ben prima dei non fumatori, quando per il resto sono ancora in discreta salute: questo NON significa che il fumo “protegga” dopo l’infarto. Semmai è talmente dannoso per il cuore, che li ha colpiti prima! 

Anche se globalmente gli infartuati sono più uomini (nello studio il 70,8% contro il 29,2% di donne), le donne hanno una vulnerabilità maggiore ai rischi cardiaci da fumo rispetto agli uomini, sia prima che dopo l’infarto.

Hanno più malattia coronarica, quindi più attacchi d’angina e infarti; più malattia aterosclerotica, con l’inquietante demenza aterosclerotica in agguato; e più ictus. Dopo l’infarto, le donne sono più vulnerabili all’ospedalizzazione per le comorbilità associate al fumo (24% donne contro 10% uomini). 

Non ultimo, e questo aggrava i rischi, nelle donne l’infarto è diagnosticato più tardi rispetto all’esordio dei sintomi. Direi quindi alla mamma di lasciare perdere il paradosso dei fumatori, chiudere col fumo o limitarlo a una piccola liturgia, e riassaporare a fondo questa seconda chance di vita con qualcosa di nuovo! 

In margine, annoto per le lettrici che il fumo è dannoso anche per la sessualità femminile: il danno vascolare riduce la lubrificazione e impoverisce l’orgasmo. 

Fare jogging può migliorare la risposta sessuale? Ma perché?

Anita S., Torino 

Risposta di Alessandra Graziottin, Direttore del centro di ginecologia San Raffaele Resnati, Milano

Vero: l’attività fisica aerobica facilita la lubrificazione vaginale e la congestione genitale, come è stato dimostrato in studi specifici. Venti o trenta minuti di jogging scaricano le tensioni negative, stress, collera, rabbia e aggressività, e ricaricano energia pulita, fisica e mentale.

Aumentano la serotonina, migliorando l’umore, e la dopamina, neurotrasmettitore che accende la voglia di vivere e di fare l’amore. Facilitano la risposta vascolare: la rapidità con cui i vasi sanguigni che circondano fittamente la vagina si dilatano, facilitando la lubrificazione, e la congestione dei corpi cavernosi, strutture specializzate che riempiendosi di sangue aumentano l’eccitazione fisica che prelude all’orgasmo. Inoltre, ci si sente più belle e seduttive. Contenta? Tutte a fare 30 minuti di jogging!

Dagotraduzione dal Daily Mail il 3 marzo 2022.

Sei appena tornata da una fantastica serata fuori, stai baciando appassionatamente il tuo partner e tutto va per il meglio. Poi, proprio quando non vedi l'ora di fare del buon sesso, è come se qualcuno avesse appena versato un secchio d'acqua sul letto. 

Che si tratti dei bambini che vengono riportati indietro dai nonni stanchi, della tua mamma che chiama per ricevere consigli su come trasmettere in streaming o dell'heavy metal che improvvisamente esplode da Alexa quando hai chiesto di rilassarti, ci sono molte ragioni per cui il desiderio diventa improvvisamente freddo. 

Ecco i 10 più killer dell'umore più comuni, che fermano anche gli amanti più decisi.

Non essere egoista. In cima alla lista degli sbalzi d’umore c’è un amante che si assicura di ottenere tutto ciò di cui ha bisogno per raggiungere l'orgasmo ma non fa nessuno sforzo per assicurarsi che anche il tuo piacere sia assicurato. 

Si aspetta che tu faccia sesso ogni volta che ne ha voglia? Si infastidisce se chiedi più preliminari? Raramente o mai ti fa sesso orale ma si aspetta che tu lo faccia a lui? Spunta bene la casella egoista! 

Altrettanto scoraggianti sono gli amanti che vanno all'altro estremo, chiedendo «Hai già avuto un orgasmo?» ogni pochi minuti.

Cattivi odori. Ad alcuni non piace fare sesso dopo la doccia perché il profumo naturale e muschiato che i nostri corpi emanano quando siamo eccitati viene attenuato. 

Ma nessuno vuole avere a che fare con cattivi odori che si diffondono dalle ascelle o con un alito da drago. Fare sesso orale con qualcuno che non ha i genitali puliti è abbastanza per scoraggiarti a vita! 

Fretta di penetrazione. I preliminari non sono un lusso per le donne, sono essenziali. È solo quando siamo eccitate che il sangue scorre ai genitali, causando l'espansione e la lubrificazione della nostra vagina, rendendo confortevole il sesso penetrativo. Correre verso il traguardo - il rapporto sessuale - prima che la donna sia pronta rende ancora meno probabile l'orgasmo e molto probabilmente proveremo dolore e non piacere.

Le donne non sono le uniche a cui piacciono i preliminari: più lunga è la sessione, più intensi sono gli orgasmi per persone di tutti i sessi e sessualità.

Avere tempo limitato. Allo stesso modo è scoraggiante dover fare sesso entro un certo periodo di tempo. Certo, può essere una svolta nel dare una sveltina di nascosto quando i tuoi suoceri in visita vanno al negozio all'angolo. Ma alla maggior parte di noi non piace essere costretti a fare sesso con un occhio all'orologio. Inoltre, suggerire di fare sesso dieci minuti prima che i bambini tornino a casa o che la cena sia pronta invia un segnale forte al tuo partner: voglio che tutto finisca il più rapidamente possibile. 

Uno studio sul Journal of Sexual Medicine ha scoperto che le donne eterosessuali impiegano esattamente 13,46 minuti di attività sessuale per raggiungere l'orgasmo. Come possono essere così specifici?

Perché i ricercatori hanno seguito 645 donne nel corso di otto settimane e hanno chiesto loro di utilizzare un cronometro per misurare il tempo impiegato per passare dall'inizio dell'attività sessuale all'orgasmo. 

Hai bisogno di almeno questo tempo per aumentare le possibilità di orgasmo; fare pressione su qualcuno per raggiungere l'orgasmo entro un certo periodo di tempo garantisce che per molti non accadrà affatto.

Guardare il telefono. Ti stai godendo del sesso piuttosto buono, ma quando apri gli occhi per guardare il tuo partner, lo sorprendi mentre si sforzano di leggere un messaggio che è appena arrivato.

Secondo uno studio su 1000 persone, una persona su 10 controlla il telefono durante il sesso. Di quel 10%, il 43% sono recidivi. I millennial sono i più propensi a controllare il cellulare, con le persone nella fascia di età 18-34 che hanno il doppio delle probabilità di farlo durante il sesso rispetto a quelle di età compresa tra 35 e 51 anni.

La dipendenza dal telefono provoca un conflitto estremo nelle relazioni, ma scegliere il telefono invece di fare sesso con il proprio partner è un tipo molto speciale di depressione.

Parlare troppo o troppo sporco. Una persona su cinque interrompe un rapporto sessuale perché le "parole sporche" del partner le hanno spente. Parlare sporco è sempre un rischio, soprattutto con qualcuno che non conosci molto bene. Se è troppo esplicito, crudo o inappropriato, si ritorce contro facilmente, facendo sentire gli amanti a disagio invece che eccitati. 

Fare commenti sprezzanti. Di tutte le cose che possono scoraggiare dal sesso, la peggiore è probabilmente distruggere la tua autostima, fare commenti cattivi sul tuo corpo, le tue parti intime o le tue prestazioni. 

Essere troppo rumoroso. Certo, un partner che non risponde affatto non è favoloso. Ma qualcuno che geme molto forte è imbarazzante e scoraggiante. Avere i vicini che battono sul muro per dirti di abbassare il volume non solo spezza la poesia, ma crea momenti spiacevoli in ascensore.

Cambiare posizione di continuo. Alcune posizioni facilitano il passaggio dall'una all'altra e, se l'umore lo richiede, può funzionare meravigliosamente bene. Essere buttati in giro per la camera da letto solo per il gusto di farlo non solo distrugge l'umore, ma rende impossibile costruire il desiderio e l'eccitazione. 

Avere animali in camera. C'è qualcosa di più snervante che guardare in basso e vedere un cane o un gatto seduto sul bordo del letto, con gli occhi fissi su quello che stai facendo?

Da newsitaliane.it il 27 Febbraio 2022.  

Se alcune volte la vostra fidanzato moglie non vuole avere rapporti intimi con voi, è normale, che dovete preoccuparvi. Ma tutto ciò non significa che non ci sia alcun rimedio, sicuramente parlarne può’ aiutare a trovare la causa del problema e a riaccendere il desiderio e la passione che avevate in precedenza. 

ECCO PERCHÉ LE VOSTRE DONNE NON VOGLIONO PIÙ FARE SESSO:

1) Insoddisfazione e noia: non si intende quella a letto. Ma l’insoddisfazione nella relazione sentimentale. Se la donna si annoia a passare con voi la giornata. fare sesso diventerà l’ultimo dei suoi pensieri. “Bisogna che chiediate al vostro partner di farvi capire cosa prova – ha detto Krauss Whitbourne, psicologa – Potrebbe tirar fuori qualcosa di poco conto, come qualche vostra abitudine che le dà fastidio, così come potrebbe farvi partecipe di un problema di maggiore rilievo che riguarda il rispetto reciproco o la comunicazione fra voi due”. Fondamentale poi capire se una donna vi considera ancora una persona interessante ed eventualmente correre ai ripari, magari riscoprendo un hobby e delle aspirazioni che avete perso.

2) Dolore durante il sesso: Mai sottostimare questo problema. Fare sesso può essere doloroso per le donne. Soprattutto se l’età della coppia comincia ad essere avanzata. “Sia gli uomini sia le donne vivono delle fluttuazioni ormonali e fisiche – ha detto Elizabeth McGrath, sessuologa alla Baia di San Francisco – Per le donne, tali fluttuazioni potrebbero avere un impatto sul desiderio sessuale insieme alla preparazione fisica all’atto sessuale, alle diverse condizioni di umidità vaginale o alla semplice necessità di ‘sentirsi sexy”. È così l’uomo dovrebbe ricordare periodicamente alla donna di essere attratto da lei. E se non bastasse può essere utile ricorrere a lubrificanti vaginali. Senza dimenticare di non avere fretta durante il rapporto sessuale: l’eccitazione della donna ha tempi enormemente più lunghi.

3) Sono troppi giorni che non vi toccate a vicenda: si parte dai baci all’andata mano nella mano. Sentirsi coppia è fondamentale per avere poi relazioni sessuali ottimali. Concentratevi quotidianamente sul contatto fisico e su manifestazioni d’affetto e non precipitatevi nell’atto sessuale – dice Nelson – Sedetevi uno affianco all’altro sul divano, datevi la mano, massaggiale il collo, non farle credere di toccarla con il solo obiettivo di fare sesso”. 

4) “Mi sento esausta”: se ve lo dice, è probabile che sia veramente così. “La stanchezza è concreta – ha detto McGrath – le donne hanno bisogno di sentirsi piene di energia e di carica”. “Se la vostra compagna non ha tempo per sé o non ha un momento per riposarsi, rilassarsi e ricaricare le batterie, allora le potrebbe risultare davvero difficile concedersi sessualmente” – ha aggiunto. L’unico modo per rimediare è concedersi del tempo ognuno per sé.

6) Il sesso è diventato una routine: se l’attività sessuale è sempre uguale (ora, modalità, luogo, posizioni) allora si rischia di cadere nella monotonia. Che può spegnere la scintilla. “Cambiate la scena – dice Dawn Michael, scrittrice e sessuologa – rendete la camera da letto sexy e romantica con l’aggiunta di candele e musica soft, sono piccoli accorgimenti che possono davvero gettare le basi per un’esperienza romantica. Usate la vostra immaginazione per giochi di ruolo ma, cosa più importante, divertitevi. Lasciatevi andare e godetevi il momento e la persona con cui condividete un’esperienza così intima e sensuale”

7) La donna non è emotivamente con essa: “A volte, sentirsi emotivamente collegate può aiutare le donne a eccitarsi prima del rapporto e indovinate un po’? Questo è valido anche per gli uomini – sostiene Nelson – Provate a condividere tre cose che vi piacciono della vostra relazione. Dopo ogni proposta, l’altro la ripete in modo da essere sicuri di averla compresa bene, prima di passare alla successiva.” Poi chiedete cosa le piace fare a letto. “Mentre svolgerete questo esercizio – conclude Nelson – vi sentirete emotivamente connessi e vi ricorderete cosa vi ha unito all’inizio come coppia. È probabile che questo gioco vi ecciti a tal punto da farvi finire tra le lenzuola.”

Dagotraduzione dall’articolo di Tracey Cox per il Daily Mail il 13 febbraio 2022.

Se aspetti che si verifichino le condizioni perfette per fare sesso, non lo farai mai. Ci saranno sempre momenti in cui la vita ti impedirà di divertirti e se la tua vita sessuale è salutare e la situazione è temporanea, la soluzione migliore potrebbe essere quella di mettere il sesso nel dimenticatoio per un po’. 

Ma se la frequenza con cui fai sesso sta diminuendo, le scuse per evitarlo stanno vincendo, e sarai tu il perdente. Se continui a lasciare che situazioni difficili ti impediscano di connetterti con il tuo partner, finirai per non fare più sesso.

Il sesso è un’abitudine, ed è necessario uno sforzo per mantenere le cose fresche e grintose. Ecco come rimettere in moto l’attività. 

Sei troppo occupato. Il 75% delle coppie afferma che la mancanza di tempo è la più grande frustazioni della loro vita sessuale. È vero? 

Rispondi a questa domanda e avrai la tua risposta: quanto tempo passi al giorno al telefono?

I sondaggi nel Regno Unito e negli Stati Uniti suggeriscono che una persona trascorre in media tra le due e le cinque ore al giorno (escluso il lavoro) al telefono. Ora dimmi che non hai tempo per il sesso. 

Potresti essere povero di tempo, ma probabilmente non ne sei completamente fuori. 

Soluzione: conta il tempo che hai. Prendi l'abitudine di avere sessioni di sesso veloce e accendi te stesso in anticipo ripensando a momenti hot. Mandatevi messaggi sexy, leggete un libro erotico nel bagno (e già che ci siete, riscaldatevi con un vibratore a forma di proiettile), date un'occhiata al porno online.

Applica la stessa efficienza che hai nel resto della tua vita: cosa ti fa eccitare e infastidire velocemente? 

Hai il tuo periodo. Non c'è bisogno di evitare il sesso durante il ciclo e molte donne in quel periodo hanno un picco di desiderio. In effetti, ci sono dei vantaggi nel fare sesso in quei giorni. 

Gli orgasmi possono alleviare i crampi mestruali perché provocano la contrazione e il rilascio dell'utero. Inoltre innescano la produzione di endorfine, sostanze chimiche che attenuano il dolore e ci fanno sentire più felici.

Ci sono prove che il sesso durante il ciclo potrebbe rendere il periodo più breve (le contrazioni uterine che si verificano durante l'orgasmo spingono fuori il rivestimento che il tuo corpo sta cercando di rimuovere più velocemente). 

Soluzione: conosciamo il lato negativo di tutto questo: il disordine. E la possibilità che il tuo partner sia schizzinoso. Allora affrontalo prima essendo onesta e sincera riguardo al fatto di avere il ciclo. Cercare di fingere e incrociare le dita, non funziona. Ad alcune persone piace molto l'idea del sesso mestruale, ad altre meno.

Se il tuo partner davvero non lo apprezza, perché non fare una sessione di masturbazione reciproca usando invece il tuo vibratore? Oppure risolvi facendo sesso sotto la doccia, o mettendo giù un asciugamano di colore scuro e tenedo a portata di mano delle salviette umidificate vicino al letto. Per quanto riguarda la posizione: se uno di voi due è schizzinoso, il cucchiaio funziona bene perché non puoi davvero vedere cosa sta succedendo.

Se hai intenzione di ricevere sesso orale, lascia l'assorbente interno e spingi il cordino da un lato (o usa quel cappuccio mestruale!). Altrimenti, toglilo prima di qualsiasi tipo di sesso penetrativo per evitare che venga spinto in alto nella vagina e dimenticato. 

Altri due fattori che devi considerare: il rischio di trasmettere una malattia sessualmente trasmessibile come l'HIV o l'epatite è più alto durante il ciclo. Un preservativo aiuterà a ridurre questo rischio. Potresti volerne uno anche per motivi contraccettivi: è improbabile che tu possa rimanere incinta durante il sesso mestruale, ma non impossibile.

Hai mal di testa. Chi vuole fare sesso se ha l’impressione di avere 800 bambini di sei anni con la batteria dentro? 

Ci sono prove che l'emicrania e il mal di testa a grappolo possono essere alleviati facendo sesso (fintanto che porta a un orgasmo). Sono di nuovo quelle endorfine: sono un antidolorifico naturale e l'orgasmo innesca il loro rilascio.

Ma c'è anche una ricerca che suggerisce che il sesso può peggiorare il mal di testa o addirittura scatenarlo. Non sto colpevolizzando nessuno, ma se volendo testate se è d’aiuto...

Soluzione: se hai mal di testa regolarmente, prova a vedere se il sesso può ancora essere piacevole masturbandoti da solo. Puoi farlo in silenzio, in una stanza buia, senza alcuna pressione per andare avanti se improvvisamente sembra uno sforzo eccessivo. 

Ha funzionato bene? Provalo con il tuo partner a condizione che se peggiora il mal di testa, smetterai. Questa è una sessione in cui dovresti davvero sdraiarti e pensare all'Inghilterra: il tuo partner si assume la responsabilità di fornire l'orgasmo, tu puoi rilassarti e goderti.

Hai la casa piena di ospiti. Molte coppie sono diventate creative mentre la nonna è rimasta nella stanza degli ospiti durante il blocco, quindi è del tutto possibile intrufolarsi in alcune sessioni di sesso bollente con una casa piena di ospiti questo Natale. Hai solo bisogno di essere un po' fantasioso. 

Soluzione: suggerisci sonnellini pomeridiani: poche persone diranno di no a un momento di tranquillità quando soggiornano a casa di qualcun altro. Se nessuno accetta questa offerta, fai sesso la mattina sotto la doccia. Il rumore della doccia copre eventuali gemiti.

Se hai un ufficio, dì a tutti che non vuoi essere disturbato e chiedi al tuo partner di portarti il pranzo. C'è appena il tempo per una sveltina sulla scrivania. Meglio ancora, inventa un motivo per una chiamata Zoom privata per entrambi e chiuditi lì dentro per mezz'ora. 

Se sei determinato a farlo a letto e il materasso scricchiola, metti i cuscini e il piumone sul pavimento. Se le assi del pavimento sono ancora più rumorose, resta sul letto e opta per un 69 durante il rapporto.

Fai il gioco del silenzio: è erotico non poter gemere di piacere proprio mentre stai per raggiungere l'orgasmo. 

Hai appena avuto una discussione. Alcune persone hanno bisogno di tempo per riprendersi da una discussione, altre ne creano una solo per fare sesso lussurioso. 

I nostri corpi sono inondati di ormoni come l'adrenalina e il testosterone quando combattiamo, facendoci sentire tutti i sensi intensificati e vigili.

Se ti senti eccitato e nervoso anche dopo che la discussione è stata risolta, non ti sorprendere che il tuo cervello ti suggerisca il sesso come mezzo per ottenere alcune sostanze chimiche per inondare il tuo sistema e farti tornare calmo. 

Soluzione: se ti stai immergendo nel sesso per evitare una discussione approfondita necessaria per risolvere la discussione, lascia stare. Ma se desideri intimità, o hai paura di perderti l'un l'altro, vai avanti.

Il sesso alimentato dalla rabbia è sesso egoistico. Rende il sesso migliore, ironia della sorte. Le coppie tempestose hanno spesso una vita sessuale più soddisfacente per questo motivo. 

Se vi sentite entrambi feriti e vulnerabili, fatelo faccia a faccia in modo da poter stabilire un contatto visivo con l'anima. 

Sei ubriaco. Uno o due drink ti rendono più avventuroso, tre o più possono rendere gli orgasmi sfuggenti e le erezioni inaffidabili. Ma anche se stiamo parlando di bottiglie e non di bicchieri, c'è un modo per sfruttare al meglio la mancanza di inibizione indotta dall'alcol e affrontare le sue inevitabili oscillazioni.

Soluzione: inizia la sessione condividendo alcune fantasie sessuali o confessando qualcosa che hai sempre voluto fare ma eri troppo spaventato per ammetterlo. Lasciati trasportare e se va a finire con un rapporto sessuale e senti che lui perde l'erezione, fallo stare sopra. La gravità funzionerà a suo favore, mantenendo tutto il sangue nel pene invece che lasciarlo defluire. Ancora meglio, fagli indossare un anello al pene per intrappolare il sangue nelle camere. 

Se il suo pene è troppo morbido per il rapporto, opta invece per una sexy sessione di sesso orale reciproco girando un 69 dalla sua parte. Ognuno di voi riposa comodamente la testa sulla coscia dell'altro.

Sei stanco. Se riesci a trovare l'energia per chiamare i tuoi amici o guardare Netflix, questa scusa non è valida. Se hai tre bambini sotto i tre anni, sei sicuramente idonea e puoi appendere i tacchi del sesso per almeno un anno. Per il resto di voi... 

Soluzione: tenere gli occhi aperti anziché chiusi e aumentare la stimolazione. Stimolare due punti contemporaneamente (un pizzicotto sui capezzoli durante il sesso orale o un vibratore tenuto sul clitoride durante la penetrazione) per mantenere alta la motivazione.

Se sei davvero sfinito, abbandonati all’altro, ma se vuoi creare energia, mettiti al posto di guida – letteralmente – e salta in cima. 

Proprio come per una passeggiata di 20 minuti, una sessione di sesso farà di più per i bassi livelli di energia rispetto a un pisolino.

Dagotraduzione dell’articolo di Tracey Cox per il Daily Mail il 30 gennaio 2022.

Un terapista sessuale una volta mi ha detto che se una coppia sposata da 20 anni afferma che il sesso è buono come all'inizio, ci sono solo tre possibilità. Dicono la verità perché non hanno fatto del buon sesso all'inizio, stanno mentendo, o il sesso è tutto ciò che hanno mai fatto perché non si sono collegati emotivamente. 

La maggior parte di noi è consapevole che la nostra vita sessuale generalmente segue un percorso prevedibile: più a lungo sei in una relazione, meno sesso tendi a fare. 

La frequenza del sesso è anche fortemente influenzata dalla nostra libido "a riposo", dall'età, dallo stadio della relazione, dalla salute generale, da quanto siamo felici con il nostro partner, dalle abitudini al bere, dai cicli mestruali e da mille altri fattori. 

Questo è il motivo per cui dire a tutti di fare sesso una volta alla settimana non è molto utile. Potrebbe essere un "punto debole", ma se hai tre bambini sotto i cinque anni, è semplicemente irraggiungibile.

A cosa è sensato mirare, nelle diverse fasi della tua vita? 

Ecco quelli che penso siano obiettivi sensati. 

VI SIETE APPENA CONOSCIUTI

L’obiettivo ideale: ogni volta che vi incontrate, siete sessualmente attivi. 

Cosa sta succedendo: Si chiama "periodo della luna di miele" per un motivo: i primi mesi di una relazione sono senza dubbio il momento in cui farai il sesso più lussurioso, avventuroso e frequente.

Come mai? Perché è dettato da potenti ormoni che producono un picco nel desiderio. Alte dosi di dopamina e serotonina creano una sensazione di euforia che rende il sesso quasi intollerabilmente eccitante. Viene chiamata “lussuria spontanea”, e non necessita sforzi. Basta pensare o vedere il tuo partner per far scorrere i fluidi. 

Il problema è che il sesso non è reale. Francamente, potresti fare sesso con una capra e non rendertene conto perché la maggior parte dell'eccitazione erotica è prodotta dagli ormoni del cervello piuttosto che da ciò che è veramente di fronte a te.

Obiettivo: le nuove coppie non hanno bisogno di mirare a nulla, il sesso fantastico accade e basta. 

Se invece non ti eccita, la chimica sessuale scarseggia. La chimica si può costruire nel tempo, ma è preferibile se è presente all'inizio. 

Fallo accadere più spesso: poche coppie hanno bisogno di incentivi per fare sesso più spesso all'inizio, ma se introduci nuove avventure sessuali (sesso all'aperto, giochi con giocattoli sessuali, esperimenti con diversi tipi di orgasmi) prima che gli ormoni svaniscano, puoi allungare artificialmente la loro durata.

TI SEI APPENA TRASFERITO O SPOSATO

L’obiettivo ideale: è raro che una coppia non sperimenti un tuffo una volta che si trasferisce per la prima volta, quindi quasi quanto prima che ti "sposassi" o ti “trasferissi” è abbastanza buono. 

Cosa sta succedendo: avere una sola casa ha un impatto significativo sulla tua vita sessuale. Tutte le cose non proprio perfette che hai schermato l'uno dall'altro - tagliarti le unghie dei piedi, depilarti il labbro superiore, andare in giro per una settimana senza lavarti i capelli, sentirti stressato o irritato - sono improvvisamente in mostra.

Non c'è privacy e nessuna pausa dalla relazione una volta che ti trasferisci o ti sposi. Potreste pensare di essere "uno", ma siete due individui con idee diverse su come gestire una casa e le vostre vite. C'è inevitabilmente una lotta per il potere e un massiccio aggiustamento da entrambe le parti. 

Il sesso può migliorare notevolmente o cadere in un mucchio.

Dopo anni passati a nascondersi da genitori o coinquilini, riuscire a fare sesso in un posto diverso da un letto è un sogno che diventa realtà. Alcuni prosperano in relazioni monogame e amano fare l'amore in modo prevedibile perché si sentono al sicuro e possono rilassarsi quando sanno cosa sta (letteralmente) arrivando.

Altri trovano che essere in grado di fare sesso 24 ore su 24, 7 giorni su 7, sia una svolta, specialmente quando è con la stessa persona. È noto che la familiarità smorza il desiderio ed è quando prendi quel primo grande impegno – trasferirti o sposarti – che lo senti più acutamente. 

I termini "marito" e "moglie" potrebbero scaldarti il cuore, ma è probabile che ti lascino freddo l'inguine. Essere "amanti" è molto più sexy che dover essere ufficialmente "adulti".

Obiettivo: quasi tutti gli sposi segnalano un calo del sesso: il 62% in un sondaggio ha affermato di desiderare di averne di più. 

Cosa inizia a interferire? Mancanza di tempo, stress e il fatto di dover affrontare la fatica della vita quotidiana. 

Una buona regola è concedersi qualche mese per riadattarsi, quindi puntare alla stessa quantità di sesso che avevi prima di sposarti o trasferirti. Probabilmente non ce la farai, ma se ti accontenti di una tacca o due sotto, stai bene.

Fallo accadere più spesso: Programma il tempo per il sesso: potrebbe non sembrare sexy ma è efficiente: il 36% degli sposini programma il sesso nella propria vita. 

Confessa le tue fantasie più oscure: è un modo efficace per combattere il tuo nuovo nemico: la domesticità. La condivisione di fantasie sfida attivamente la tendenza a diventare i migliori amici l'uno dell'altro piuttosto che amanti.

Avvia un "barattolo del sesso": ciascuno annota 10 cose che ti piacerebbe provare su un pezzo di carta. Strappare in punti separati, piegarli e metterli tutti in un barattolo. Scegline uno a settimana da provare. (Puoi insistere sulla pre-approvazione o fare un atto di fede!)

SEI DIVENTATO GENITORE

L’obiettivo ideale: dipende dalla nascita e da quanto è facile la genitorialità, ma una o due volte al mese, circa quattro mesi dopo la nascita, sarebbe un numero a cui aspira la maggior parte dei nuovi genitori.

Cosa sta succedendo: non è solo la privazione del sonno che trasforma una coppia sessualmente carica in un tronco di legno. 

I bambini mettono a dura prova la tua relazione e la tua vita sessuale più di quanto tu abbia mai immaginato possibile: non c'è spontaneità, privacy, libertà e tempo per la coppia. 

I genitori con bambini trascorrono in media 20 minuti a settimana in intimità. Uno studio su 11.000 donne e uomini di età compresa tra 16 e 44 anni ha rivelato che le donne sposate con bambini di età inferiore ai cinque anni hanno la libido più bassa di tutti i gruppi.

C'è una ragione biologica per il disinteresse a breve termine delle donne: concentrarsi sulla cura del bambino invece che farne un altro. 

“Riusciremo mai a riprenderci la nostra vita sessuale?” è la domanda che mi viene posta dai neo-genitori. “Lo rivorrò mai indietro?”, viene spesso aggiunto, di solito dalla madre, con una vocina miserabile. 

La risposta a tutt’e due le domande è sì, ma non per un po'. 

Obiettivo: Francamente, sono in soggezione nei confronti di tutti i nuovi genitori che gestiscono qualsiasi sessualità nel primo anno! Ma ecco alcune statistiche affidabili per aiutarti a decidere cosa potrebbe funzionare per te.

La maggior parte delle coppie non fa sesso per sette settimane dopo il parto. Molti non iniziano prima di tre mesi, alcuni aspettano fino a un anno. Circa quattro mesi dopo la nascita, tuttavia, la maggior parte delle coppie di solito torna a fare sesso. Sei mesi dopo la nascita, la maggior parte dei genitori più giovani registra sessioni da tre a cinque volte al mese. 

Un anno dopo, le coppie dicono che il sesso sta iniziando ad andare di nuovo bene, anche se pochi dicono che è buono come lo era prima dei bambini. (Quasi tutti i genitori dicono a livello personale di essere più felici, comunque.)

Dopo un anno, il 95% delle coppie afferma di fare ancora meno sesso rispetto a prima della gravidanza, ma temo che questo sia il vantaggio dell'essere genitori! 

Fallo accadere più spesso: prendi tutto il sesso che puoi: non essere pignolo. Non preoccuparti se non "finisci" il sesso. Quand'è stata l'ultima volta che hai preparato un pasto caldo e sei riuscito a mangiarlo tutto caldo? Le cose andranno così per un po'. 

La maggior parte delle persone è felice di non fare sesso per un po'. È quando non riescono mai a vedere la fine della siccità che provano risentimento. Parla di quanto sarà bello quando le cose si calmeranno e lo supererai. 

STATE INSIEME DA MOLTO TEMPO

L’obiettivo ideale: una volta alla settimana è l'ideale, ma una volta ogni quindici giorni mantiene felici molte coppie a lungo termine. 

Cosa sta succedendo: più a lungo stai con il tuo partner, meno sesso fai a causa di quella che viene chiamata “abitudine”: rimozione del fattore novità. 

Questo succede alle coppie di qualsiasi età. Le coppie tra i 20 ei 30 anni fanno sesso in media da otto a nove volte al mese. Dopo due anni di relazione, si scende a sei volte al mese.

E che ne dici di questo per una statistica: il numero di volte in cui fai sesso nel primo anno di relazione, determina quanto spesso farai sesso da quel momento in poi. La ricerca mostra che si stabilisce uno schema: se hai una quantità di sesso superiore alla media, continuerai anche dopo due anni. 

Ci sono molte ricerche sul sesso coniugale con cifre selvaggiamente contrastanti. Questo perché fattori come l'età, i figli e la durata della relazione alterano drasticamente la frequenza.

Una volta alla settimana è l'ideale per le persone con relazioni serie, ma solo circa la metà delle persone fa sesso così frequentemente. 

I terapisti del sesso definiscono un matrimonio "a basso sesso" quando si fa sesso meno di una settimana sì e una no (quindi meno di 25 volte l'anno). Circa il 15 per cento delle coppie di lunga data rientra in questa categoria. 

Il 20% delle coppie rientra nella categoria dei matrimoni "senza sesso" inferiori a 10 volte all'anno. Da allora questa definizione è stata messa in discussione, come dovrebbe essere. Conosco molte coppie a lungo termine che amano il sesso una volta al mese oppure ogni sei settimane e si considerano molto soddisfatte sessualmente.

Obiettivo: la giusta quantità di sesso per ogni coppia è altamente soggettiva. 

La giusta quantità di sesso, in questo caso, ha meno a che fare con la frequenza con cui lo fai. 

Il sesso settimanale è fantastico per te fisicamente ed emotivamente. Ma se questo non fa galleggiare la tua barca, non preoccuparti. 

Non esiste "normale", solo ciò che funziona per voi due.

Fallo accadere più spesso: fai sesso che ti spinge fuori dalla tua zona di comfort: sii avventuroso e giocoso. Audace! All'inizio, ti sentirai impacciato a uscire da quella zona di comfort sessuale con le pantofole vicino al fuoco. Ma diventerai sempre più coraggioso man mano che andrai avanti. 

Gioca alla "cosa" del tuo partner: tutti noi abbiamo un tema erotico fondamentale, qualcosa che dobbiamo esprimere per essere in grado di alimentare o provare desiderio. 

È la nostra "cosa", qualcosa che non manca mai di farci eccitare. Potrebbe essere fare sesso in semi-pubblico, indossare i tacchi a letto, guardare porno mentre si fa sesso, godersi l'anale, essere sculacciati.

Molte persone custodiscono la loro "cosa" e non lo dicono al proprio partner per paura di essere giudicate. La coppia che scopre e asseconda il tema erotico principale dell'altro ha un tasso di soddisfazione sessuale molto alto. 

HAI SUPERATO UNA CERTA ETÀ 

L’obiettivo ideale: qualunque frequenza, da una volta alla settimana a una volta ogni due mesi. 

Cosa sta succedendo: se sei una donna, ad un certo punto entrerai in menopausa con tutte le sue sfide uniche. Il sesso doloroso, la secchezza vaginale, la minore sensibilità e i sintomi di rottura della libido come le vampate di calore provocano il caos sul desiderio sessuale.

Problemi di salute generali associati all'invecchiamento - meno energia, schiena, fianchi e ginocchia instabili, erezioni meno affidabili e una generale perdita di desiderio - significano tutti che la frequenza dei rapporti sessuali diminuisce. 

La buona notizia è che non c'è mai stato un momento migliore per invecchiare in termini di vita sessuale perché una migliore istruzione e una vita più lunga significano che le persone si godono il sesso molto più a lungo che mai.

Una ricerca nel Regno Unito ha fornito queste statistiche: il 5,3% delle coppie eterosessuali di età compresa tra 45 e 55 anni che erano sposate da 10-15 anni facevano sesso ogni giorno; il 42,1% lo settimanalmente; il 31,6% mensilmente; Il 15,8 per cento ogni anno e il restante 5,2 per cento non faceva più sesso. 

Un altro sondaggio statunitense su persone tra i 50 e gli 80 anni ha rilevato che la maggior parte di loro fa sesso due volte al mese, in media. La motivazione è più alta di quanto ti aspetteresti: il 51% delle persone intervistate ha affermato che continuerà a fare sesso fino a quando non sarà più in grado di farlo. Il 44% ha affermato che la loro vita sessuale era molto più avventurosa di quando erano più giovani. 

SESSO TRA ANZIANI

Obiettivo: l'età è davvero solo un numero in questo caso, perché il tuo desiderio e la tua capacità di fare sesso dipendono molto dalla tua salute generale, dal livello di libido naturale e da quando vi siete messi insieme. (Tutti sperimentiamo un drammatico aumento del desiderio all'inizio delle relazioni, indipendentemente dall'età). 

Per le coppie anziane, di solito è un compromesso tra ciò che è meglio (sesso regolare), ciò che è fisicamente possibile, la soddisfazione della relazione e quanto ti piace fare sesso.

Fallo accadere più spesso: concediti o perderai la capacità di farlo. Questo vale praticamente per tutto una volta superato il mezzo secolo, ma è fondamentale quando si tratta di sesso. 

Più regolarmente fai sesso, migliore sarà la forma dei tuoi genitali. Come gli altri muscoli del nostro corpo, hanno bisogno di esercizio. 

Fare sesso con penetrazione regolare manterrà i tuoi muscoli tonici, le pareti vaginali flessibili e le camere del pene sane. Se ciò non è attraente o possibile, mira a orgasmi regolari. Le contrazioni muscolari all'orgasmo e gli ormoni rilasciati fanno la loro magia. Se non hai un partner, masturbati un paio di volte a settimana - fino all'orgasmo - per ottenere gli stessi benefici per la salute.

Usa il lubrificante. Inizia a usarlo per ogni attività sessuale: rapporti sessuali, seghe, sessioni di sesso da solista con la tua atmosfera. Se non l'hai già scoperto, questo cambierà anche molto la tua vita sessuale. 

Usa giocattoli sessuali. Sono la soluzione a molti problemi. Ti aiutano a rimanere sessuale se sei single, aiutano a risolvere eventuali problemi di erezione e la necessità di più stimolazione se la sensibilità è diminuita.

Dagotraduzione dal Daily Mail il 29 gennaio 2022. Di Tracey Cox.

Sono stati 18 mesi difficili. Restrizioni, dad, preoccupazioni per i soldi, paure per i genitori anziani: non c’è da meravigliarsi se i nostri livelli di ansia sono aumentati vertiginosamente e la nostra libido si è fermata. 

Se, come molte coppie, avete fatto meno sesso negli ultimi 18 mesi, niente panico. Non siete soli. Se invece non facevate sesso neanche prima, appartenete al 15% delle coppie che hanno matrimoni bianchi. 

Più a lungo le coppie restano senza sesso, più è difficile riprendere la mano. Ecco un piano passo passo per riportare voi e il vostro partner a letto…

Parlatene insieme. Parlare è essenziale. Perché non dire al proprio partner: «Hai notato che non facciamo sesso come prima? Mi manca. Perché pensi che non lo facciamo più così tanto?». Non sorprendetevi se il partner si mette sulla difensiva. A nessuno piace pensare di non essere più “sexy”. L’importante è non dare la colpa all’altro, ma parlare in maniera positiva: «Mi piaceva quando facevamo…» invece di «non mi tocchi più!».

Risolvete i problemi di fondo. «Il nostro problema non è il sesso, ma la rabbia» mi ha detto un uomo. «Tutto quello che faccio la infastidisce. E il fatto che lavoriamo entrambi da casa e non c’è modo di sfuggire uno all’altro non aiuta». 

La rabbia è un ovvio killer del desiderio. Lo stress e la stanchezza anche. Il fatto di non avere abbastanza tempo da passare da soli è uno dei principali motivi per cui molte coppie hanno smesso di fare sesso durante la pandemia, e non hanno ricominciato.

Create e fate le cose separatamente per concedervi una pausa l’uno dall’altro. Se non riuscite a risolvere i vostri problemi, chiedete aiuto. 

Ricomincia a masturbarti se hai smesso. È uno dei modi per risvegliare una libido addormentata. Basta leggere un libro erotico, guardare un film sexy o porno, ricordare il miglior sesso che si è fatto o quello che si desidera fare. Al nostro corpo non importa da dove arriva l’orgasmo, il piacere è sempre lo stesso.

Rimettete in forma i vostri genitali. Se non avete rapporti sessuali da un po’ di tempo, potrebbe essere meglio allenarsi. Anche qui entra in gioco la masturbazione, ma questa volta, invece di concentrarsi sul clitoride, meglio lavorare sull’interno della vagina, per prepararsi, usando molto lubrificante e usando le dita o un piccolo vibratore. Ma se il sesso non è mai stato doloroso e siete giovani, questo passaggio è superfluo. Altrimenti 

Cominciate con poco. Non passate direttamente dall’astinenza alla penetrazione completa, prendetela con calma. Iniziate baciandovi e toccandovi di più. Magari proponete un massaggio alle spalle. Abituatevi prima a toccarvi di nuovo intimamente, magari dormendo nudi. Se, dopo, il blocco, avete problemi di immagine corporea, mangiate bene, fate più esercizio e osservate l’effetto positivo che queste due cose avranno sui vostri impulsi sessuali.

Elaborate un piano d’azione. Parlate insieme di come vorreste riprendere a fare sesso. Pensatela come un’opportunità per cancellare tutte le cattive abitudini. Discutete di cosa vi piace più del sesso e cosa vi piacerebbe fare di più. Quale è il momento migliore? Cosa deve succedere perché abbiate l’umore giusto? 

Il sesso non deve includere per forza un rapporto sessuale. La maggior parte delle persone pensa al “sesso” come a qualcosa che deve includere un rapporto. Non è così. Il rapporto sessuale potrebbe essere “buono” per gli uomini, ma spesso è la cosa meno interessante per le donne. Il sesso che si concentra troppo sulla penetrazione, che la rende l’elemento principale, è spesso il motivo per cui le donne perdono interesse.

Cercate di concentrarvi sui preliminari: una sessione di sesso solo di carezze e sesso reciproco può essere ancora più soddisfacente. 

Usate molto lubrificante. Anche se non c’è penetrazione, il lubrificante aiuta a farci sentire tutto meglio. E non sorprendetevi se lui ha qualche oscillazione durante l’erezione. Se è da tempo che non fate sesso, anche lui sarà ansioso. I peni riflettono l’umore del loro proprietario: se è nervoso, lo sarà anche lui.

Non fate dell’orgasmo l’obiettivo. L’obiettivo è l’intimità, non il climax.   

Ricreate l’abitudine. Il sesso è un’abitudine. Se avete l’abitudine di farlo una volta alla settimana, il vostro corpo lo ricorderà. Se avete smesso di fare sesso, dovete abituare il tuo corpo ad aspettarlo di nuovo regolarmente. Quindi pianificate un programma regolare per almeno un mese o due fino a quando il sistema non si ripristina. Concordate una frequenza adatta ad entrambi e partite.

Fate sesso di giorno invece che di notte. «Sono troppo stanco» è la scusa più utilizzata dalle coppie quando viene chiesto loro il motivo dell’astinenza. Il sesso è spesso l’ultima cosa facciamo di notte, e se è l’ultima della lista non c’è da meravigliarsi che spesso venga accantonata. Fate sesso al mattino o a metà pomeriggio nel fine settimana. 

Prendetevi una vacanza. Le coppie fanno più sesso durante le vacanze che in qualsiasi altro momento. Sarete più rilassati, avrete più tempo e sarete in un ambiente piacevole. Basta anche una notte in un hotel vicino casa. 

Fate a turno per chi inizia. Chi fa la prima mossa? Spesso risolvere il quesito è un vero problema. «Se le piace davvero il sesso quanto piace a me, perché qualche volta non è lei a iniziare?» dicono spesso gli uomini. 

Il sesso spesso si ferma proprio per questo motivo: uno dei due si stanca di essere l’unico a guidare e si arrende. L’altra persona, che non è abituata a iniziare, raramente prende in mano la situazione.

Girate l’interruttore. Oltre a fare gli esercizi fisici, lavorate per cambiare la testa. Emily Nagoski, autrice di “Come as Your Are”, dice che invece di pensare «Non mi piace pià il sesso» bisognerebbe immaginare “Come penserei se fossi una donna o un uomo a cui piace il sesso?». 

Collegatelo alla vostra identità. «Non limitatevi a correre, siate dei corridori. Non limitatevi a fare sesso, siate deliziosamente erotici, curiosi e giocosi» dice.   

·        Durante il Sesso.

DAGONEWS il 4 dicembre 2022.

Volete fare colpo e far capire al vostro amante che lo aspetta una vita di sesso fantastico? Ecco un elenco di ciò che la maggior parte delle persone vuole da un partner, la prima volta che va a letto. 

1. Tenere le luci accese

Un po' d'atmosfera è ottimo ma il buio totale no. È già abbastanza difficile per lui capire se quello che sta facendo vi piace guardandovi in faccia e leggendo il vostro linguaggio del corpo. Cercare di capirlo quando non può vedere nulla è praticamente impossibile.  

2. Non stressatevi per il vostro corpo

Insistere sul buio, nascondersi sotto le coperte, tenere il reggiseno perché non vi piace il vostro seno, indossare una maglietta a letto: molte donne sono inutilmente autocritiche nei confronti del proprio corpo.

Il fatto è che la maggior parte degli uomini non vi giudica. Sono così felici di fare sesso che sono eccitati e non ti guardano con occhio critico.

3. Non reagire in modo eccessivo se non va tutto secondo i piani

È davvero utile ricordare che non siete gli unici a voler fare colpo la prima volta. L'ansia da prestazione è reale.

È normale che la prima volta abbia problemi di erezione. Non significa che non gli piaci o che il tuo corpo non sia all'altezza. Significa solo che è nervoso quanto te. Idem se raggiunge l'orgasmo troppo presto o ci mette troppo tempo. 

4. Siate attivi

Per favore non lasciate che sia lui a fare tutte le mosse.

Il sesso è faticoso e non è giusto lasciare che sia lui a fare tutto lo sforzo. È anche paternalistico, insinuando che il semplice fatto di permettergli di fare sesso con voi dovrebbe essere sufficiente a eccitarlo.

Non siate una "stella marina morta": attivatevi! Mettiti sopra di lui e cavalcalo. Afferrate quello che volete e non siate timide; mettete le sue mani dove volete, date indicazioni e feedback. Ditegli cosa fare e cosa vi piace. Ditelo in questo modo: 'Puoi spostarti leggermente a sinistra? Oh mio Dio, proprio lì, è una sensazione fantastica. Continua e non fermarti". 

5. Praticare un ottimo sesso orale

Prima di tutto, vorrete che questo favore venga restituito. In secondo luogo, non solo è una delle sue cose preferite, ma farlo senza che vi venga richiesto dimostra che siete interessate a dare e ricevere piacere. Fategli vedere che vi eccitate allo stesso modo, guardando lui che si eccita. 

6. Fagli sapere che stai godendo

Gemere ad alta voce e fingere che vi piaccia tutto quello che fa è imbarazzante per entrambi. Ma è necessario dare un feedback, e molte donne non lo fanno. 

7. Parcheggiare l'ansia post-sesso

Più siete rilassati, più lui sarà entusiasta. Siate affettuose e lanciategli qualche sguardo significativo per fargli capire che ha significato qualcosa. 

1. Fare molti complimenti all'inizio

Anche se pensate che siamo una donna da 10 e non avete bisogno di dircelo, ditecelo comunque. Non c'è niente di più sexy di un amante che ti guarda dritto negli occhi, dicendoti: "O Mio Dio!" con voce strozzata e sopraffatta. È scoraggiante essere nudi davanti a qualcuno per la prima volta. Sapere che pensa che siamo bellissime, aiuta a rilassarci. 

2. Mostraci quanto ci vuoi

Essere un po' "cavernicoli" è una buona cosa. Questo non significa spingerci sul letto, aprirci la cerniera e darci dentro. Non è questo che vogliamo, ma essere troppo esitanti è scoraggiante.

3. Una volta ottenuto il nostro consenso, dateci dentro!

Spogliateci come se fossimo il regalo più ambito che abbiate mai desiderato. Lasciate che i vostri occhi e le vostre dita percorrano ogni parte del nostro corpo. 

4. Baciateci tanto

Baci morbidi sulle labbra. Baci profondi con una lingua che di tanto in tanto entra ed esce. Mordicchiamenti e morsi sul collo. Le donne amano i baci, quindi non affrettatevi per arrivare al momento della penetrazione.

Più lentamente prendete tutto, meglio è. Prestate attenzione ai nostri seni, accarezzate le nostre cosce.  

5. Fate dell'ottimo sesso orale

Per molte donne, la tecnica del sesso orale è il banco di prova. Dato che è il modo in cui la maggior parte delle donne raggiunge l'orgasmo, dimostrare che vi piace farlo e che lo sapete fare bene. Vi porterà lontano. 

6. Prima l'orgasmo..

Lei viene prima: questo mantra dovrebbe essere insegnato nelle scuole. Il modo più funzionale per garantire un orgasmo a entrambi è che lei raggiunga l'orgasmo prima con la lingua, le dita o con un sex toy e che lui lo raggiunga poi con la penetrazione.

7. Dite qualcosa di carino dopo

Se c'è stato un problema, parlarne aiuta. Se è stato fantastico, parlarne lo rende ancora migliore. 

DAGONEWS il 15 novembre 2022.

Una buona comunicazione è la chiave per avere una vita sessuale sana e soddisfacente, secondo lo psicoterapeuta familiare e direttore del “The Therapy Institute”, Richard Hogan. Lo psicoterapeuta spiega che le relazioni durature prosperano grazie a una buona comunicazione, che è la chiave per una vita sessuale sana e soddisfacente. Inoltre è sbagliato il modo in cui gli uomini hanno sempre visto le donne e il loro desiderio sessuale.

«Ci sono studi che indicano che le donne tendono a sottostimare il numero di partner sessuali che hanno avuto nel corso della loro vita, mentre gli uomini tendono a sovrastimarlo – afferma Hogan - La società tende a disapprovare le donne sessualmente libere». 

Una ricerca della Cornell University ha interrogato 500 donne e ha scoperto che una donna che ha avuto più di 20 partner è ritenuta "meno affettuosa e più dominante" di una donna che ha avuto due partner sessuali.

Richard Hogan afferma che: «La società ritiene che il sesso sia più importante per gli uomini che per le donne». Nel corso della storia, la letteratura ha raccontato il desiderio degli uomini verso le donne, mentre quest’ultime sono sempre state viste come passive:

«Le donne hanno sempre avuto desideri sessuali, ma non sono stati riconosciuti apertamente dalla società. Il motivo è molto semplice: la cultura era dettata dagli uomini.

Percepire le donne come sessualmente desiderose è qualcosa che gli uomini avrebbero trovato difficile. Questa visione sbilanciata del sesso lede una relazione sana e paritaria tra uomini e donne. Mentre l'uguaglianza si è evoluta in altri aspetti della nostra società, l'uguaglianza sessuale deve ancora arrivare».

Melissa Panarello per “La Stampa – Specchio” il 30 ottobre 2022.

Nelle ingenue fantasie di noi donne e uomini post-moderni, gli antichi, quelli che ancora oggi pensiamo in bianco e nero, con buffi cappellini e gonne troppo ingombranti, facevano sesso solo al buio. Un po' perché l'elettricità non c'era, e questo è un fatto. 

Un po' perché la notte copriva la vergogna e, sempre nelle nostre fantasie ingenue, i corpi degli antichi erano distillati di desiderio e allo stesso tempo negazione di quel desiderio, soprattutto se a provarlo erano le femmine, concentrati di vergogna di fronte agli abissi dell'eros. Avevano i mutandoni - qualcuno ricorda "La casa nella prateria"?

Corpetti che impiegavi secoli a slacciare e tanti, troppi figli stipati nello stesso stanzone dal cui sguardo bisognava per forza sottrarsi, consegnando le cose dell'amore all'oscurità. Ma chi ci dice che di giorno, quando quei bimbi erano lontani, fra una raccolta di olive e una di patate, i coniugi non si dedicassero al sesso alla luce del sole? Lo facevano eccome. 

Al buio, si sa, si compiono le imprese più folli, perché la notte è una coperta sotto alla quale tutto può succedere perché nessuno ti vede, ma il guaio è che così non ti vede nemmeno il partner. Così come sicuramente ci saranno stati estrosi contadini dediti al sesso outdoor, di certo ci saranno state timide coppie che sono state sposate per decenni, molti decenni, senza mai conoscere le fattezze fisiche l'uno dell'altra.

Immaginare un seno, un sedere, un pene, essere ciechi e sentire solo la pelle, l'odore, i sapori e ascoltare sospiri, ha probabilmente contribuito a una maggiore longevità del desiderio coniugale. Perché è chiaro che dove c'è mistero solo l'immaginazione può regnare e grazie all'immaginazione non è mai morto di noia nessuno. 

Esibiamo con orgoglio i nostri corpi sin dagli anni 80, spogliandoci ogni giorno di più, regalando le nostre grazie persino a sconosciuti sui social oppure concedendo immagini sconce, più pornografiche che erotiche, nelle chat infuocate fra amanti. Fra il sesso al buio e il sesso alla luce, si è quindi insediata una terza via che è quella del non-sesso alla luce del sole che va oltre la virtualità, perché in questa nuova forma erotica c'è un corpo da vedere, ma non c'è coinvolgimento di altri sensi.

È così che gli amanti si accontentano di quel che vedono, si procurano piacere da soli e il mittente della foto e del video, quasi sempre di sesso femminile, rimane a bocca asciutta, e forse pure raffreddata. Si vede tutto, ma non si fa niente, al contrario di quando non si vedeva niente ma si faceva di tutto. Ma chi ancora pratica il sesso dal vivo, sa benissimo che la scelta della luce spenta e accesa dipende da fattori che non sempre, anzi quasi mai, sono dettate da una preferenza, ma da una necessità.

È così che coppie prima allegrissime che preferivano guardarsi e bramarsi alla luce del sole, amandosi nei primi momenti del mattino o subito dopo il pranzo, possono ripiegare verso il sesso notturno perché è l'unico momento in cui i figli dormono; oppure, coppie amanti della notte che possono invece solo farlo di giorno perché praticano il co-sleeping con i figli e approfittano delle ore in cui quelli vanno a scuola. Secondo uno studio, inoltre, le cose dell'amore si preferisce farle di notte perché il piacere dilata le pupille e la luce può disturbare gli amanti, ma questo è un vezzo che può permettersi chi ha del tempo a disposizione perché, a un certo punto della vita di tutti, è fuor di dubbio che il sesso si fa quando si può e non quando si vuole.

DAGONEWS il 29 ottobre 2022.

Tutti sanno che l'alcol agisce come afrodisiaco, aumentando il desiderio sessuale.

Bere qualche drink scioglie le inibizioni, ci rende più avventurosi e ci garantisce orgasmi più intensi. Ma tutto questo è vero se ci si limita a uno o due drink. Bevete di più e scoprirete che non è poi così piacevole. La sexperta Tracey Cox ha raccolto le storie di tre persone che hanno integrato l’alcol nella loro relazione traendone risultati diversi. 

Amo il sesso da ubriaco anche se a volte mi rende triste

Lisa ha 36 anni, è single e lavora per un'agenzia pubblicitaria

«Non credo di aver mai fatto sesso da sobria e non sono sicura di volerlo. Sono ambiziosa e mi sto concentrando sulla mia carriera in questa fase della mia vita, quindi ho solo relazioni fugaci. L’alcol mi aiuta a sentirmi meno in imbarazzo durante un appuntamento con persone che non conosco, mi mette di buon umore e il sesso è più divertente.

Bere mi dà fiducia. Essere un po' ubriachi ti dà anche una scusa per scatenarti. Faccio fatica a raggiungere l'orgasmo se ho bevuto troppo. Ho sempre e solo l'orgasmo attraverso il sesso orale, il che significa che il ragazzo deve essere abbastanza sobrio da farlo correttamente. Se non raggiungo l'orgasmo nei primi dieci minuti, non accadrà. 

Uno svantaggio per me del bere e del sesso è che può farmi sentire vulnerabile. Lavoro molto e lavoro da casa e mi sento sola. Sono consapevole di avere relazioni con uomini con cui non ho intenzione di instaurare una vera relazione. Voglio solo avere qualcuno con cui fare sesso nei fine settimana. Ma posso diventare piuttosto malinconico dopo che il sesso è finito. Mi risveglio e mi ritrovo sola. 

Ho smesso di bere e amo il sesso da sobria

Elena ha 34 anni ed è sposata 

«Quando ho incontrato il mio attuale marito e mi ha detto che era astemio, mi ha scoraggiato. Non volevo che qualcuno mi guardasse e mi giudicasse da quello che bevevo. Soprattutto, temevo che il sesso sarebbe stato terribile. Ma dopo la prima uscita non mi sono sentita a disagio. Lui non mi guardava male, ma ho aspettato un mese prima di fare sesso perché non ero sicura che sarei stata in grado di farlo da sobria con una persona che non aveva bevuto un goccio di alcol. 

La prima volta è stata terribile, ma ci abbiamo riso su. Ero innamorata di lui, sentivo che era diverso dalle relazioni avute in precedenza. Lo abbiamo rifatto al buio, sotto le coperte e mi è sembrato più naturale.

A poco a poco, ci siamo sentiti più a nostro agio l'uno con l'altro. Ed è allora che ho scoperto quanto può essere sconvolgente il sesso da sobri. Innanzitutto, funziona tutto. Non ha mai avuto problemi di erezione e io non ho mai avuto problemi a raggiungere l'orgasmo. Ogni tocco sembra così intenso. È molto più facile dire a qualcuno cosa ti piace quando il tuo cervello è vigile e puoi comunicare correttamente. C'è molto contatto visivo durante il sesso. Lo guardo quando raggiungo l'orgasmo e questo è incredibilmente intenso.

Stiamo insieme da quattro anni e siamo sposati da un anno. Non potrei essere più felice – o più sobrio. A volte bevo qualche drink, ma adesso apprezzo tutto anche senza alcol. 

Mia moglie ha smesso di bere e la nostra vita sessuale è finita

Jeremy ha 54 anni ed è sposato da 27

«Se mi avessero detto che io e mia moglie saremmo diventati una di quelle coppie che non fa quasi mai sesso, avrei riso. Facevamo sesso selvaggio mentre i nostri amici ci avevano già rinunciato. A entrambi ci piaceva bere e tra i nostri ricordi più belli ci sono le serate alcoliche al pub e il sesso tornati a casa. 

È tutto finito quando mia moglie ha deciso di smettere di bere. È iniziato quando ha compiuto 50 anni. Ha deciso di astenersi dall’alcol per un mese e la prima cosa a soffrirne è stato il sesso. 

Dopo il primo mese aveva perso un po’ di peso e ha deciso di continuare. Ha cercato di farmi smettere di bere, ma mi sono sentito abbastanza infelice. Il sesso è diventato sempre meno frequente e quando lo facevamo, sembrava che lo stesse facendo solo per compiacermi. Non mi sono mai sentito così prima. Ne abbiamo parlato e lei è d'accordo sul fatto che il suo desiderio sessuale sia scomparso, ma lo attribuisce alla menopausa.

Mi sento come se avessi perso la mia complice. Ci divertivamo così tanto insieme e ora no. Non la disturbo più per il sesso. Ma mi manca così tanto il nostro sesso e mi sento disperatamente depresso».

Daniela Mastromattei per “Libero quotidiano” il 17 settembre 2022.

«Anto' fa caldo», così la seducente Luisa Ranieri con addosso una mini sottoveste cerca di tenere a bada le avances del focoso marito in una calda e afosa serata di mezza estate.

Era uno spot televisivo diventato il tormentone del 2002.

Una scena che probabilmente si ripete chissà quante volte in questi giorni, complici le bollenti temperature straordinarie. Certo, è facile in questa stagione dare la colpa a Lucifero (l'anticiclone africano) per respingere il partner, mantenendo la scusa del classico mal di testa nel resto dell'anno. 

Che tra l'altro ha pure i giorni contati: secondo alcuni studi l'eccitazione cancellerebbe emicrania e dolori dovuti alle tensioni muscolari.

Tuttavia, nel fantastico mondo del matrimonio («...in ricchezza e in povertà finché morte non vi separi») il sesso si fa desiderare. E chissà che non abbia ragione Oscar Wilde nel dire che non bisognerebbe mai sposarsi e restare sempre innamorati (in case separate).

Appena fidanzati l'erotismo è a mille ogni momento (nonostante i richiami della Chiesa, ribaditi recentemente da Papa Bergoglio, sulla preziosa virtù della castità prima delle nozze). Poi, che succede? «L'amore non consiste nel guardarsi l'un l'altro, ma nel guardare insieme nella stessa direzione», direbbe Antoine de Saint Exupéry, autore de Il Piccolo Principe.

«La vita di una coppia è caratterizzata da varie tappe e una routine che portano a diversi cambiamenti, a nuovi equilibri e a piccoli grandi aggiustamenti reciproci», spiega a Libero la sessuologa Maria Antonietta Donà. «Fare sesso è segue dalla prima anche un modo di comunicare; da sposati, o conviventi, ci sono tanti altri modi di comunicare e amarsi; si lavora insieme sul progetto famiglia. Ma non è detto che se diminuisce la frequenza con cui si fa sesso diminuisca di conseguenza anche la soddisfazione erotica», aggiunge la dottoressa Donà.

«La sessualità va coltivata, bisogna continuare a corteggiarsi e a non dare mai nulla per scontato; per esempio è utile rivivere quei momenti che hanno permesso l'innamoramento inziale, come la cena fuori, il week end, vestirsi come piace al partner, truccarsi. E al primo campanello d'allarme, è importante aprirsi, parlare, raccontarsi. Rimandare il confronto peggiora solo le cose».

La verità è che l'uomo e la donna vivono il sesso in modo diverso. «Lui lo desidera più spesso anche da un punto di vista biologico, mentre lei punta più a un benessere psicofisico, ama sentire il compagno vicino sotto altri aspetti», sottolinea la sessuologa.

Come si misura la salute erotica di una coppia? Studi recenti sostengono che dovrebbero fare l'amore una volta a settimana. Siamo lontani dalla ricetta di Jennifer Lopez e Ben Affleck che hanno inserito una bizzarra clausola nel contratto prematrimoniale, ovvero la frequenza di ben quattro rapporti sessuali a settimana. È stata un'iniziativa della Lopez che però Affleck sembra aver sottoscritto con piacere. Ma può essere davvero questa la soluzione per evitare infedeltà e mantenere nel tempo un buon rapporto di coppia?

C'è chi è critico. «Programmare a tavolino la vita intima è del tutto controproducente», spiega Marco Inghilleri, psicoterapeuta, sessuologo e vicepresidente della Società italiana di sessuologia ed educazione sessuale (Sises), in un'intervista al Mattino «formalizzare una condizione che non è formalizzabile è impossibile; il matrimonio dovrebbe essere un punto di arrivo di un innamoramento. Bisogna sapere adattare la storia della coppia ad esigenze in evoluzione. Si inizia con tutta una serie di presupposti legati all'innamoramento, ma poi dopo cinque anni, anche per una questione di carattere biologico, il desiderio cala. Entriamo in crisi, però solo se cerchiamo di parametrare la relazione attuale con i presupposti iniziali».

Ecco perché bisogna essere preparati e «avere la capacità di trasformare la sessualità da una dimensione erotica ad una di tipo affettivo e a manifestazioni di amore. In genere, nel rapporto di coppia si parte con la malsana aspettativa di sentirsi amati, ma poi col tempo bisogna riuscire a imparare che amare è più importante di essere amati. Che è anche un modo per uscire dalla dimensione commerciale del do ut des (dal latino: io do affiché tu dia): un ricatto paradossale», afferma Inghilleri.

Invece «l'amore non aspetta di essere invitato, si offre per primo», come scriveva il poeta spagnolo Fray Luis de León. «Nella fase iniziale il desiderio sessuale è parte integrante della conoscenza e di fusione delle due persone; un modo per entrare in sintonia con l'altro attraverso il proprio corpo», asserisce la psicoteraputa Mioli Chiung.

«E man mano che la relazione si consolida si crea un sentimento di sicurezza emotiva, di fiducia e appartenenza che, a volte, va a rimpiazzare il desiderio sessuale».

IN BIANCO Ecco qua. Dopo qualche anno la passione si trasforma in amicizia, condivisione e complicità. I "sexless marriage", come li chiamano gli anglosassoni, secondo le ricerche, coinvolgono circa il 30 per cento delle coppie. «Accettare un matrimonio bianco vuol dire vivere felici, perché in un rapporto è proprio la sessualità il tema di conflittualità più frequente», ne è convinto Paolo Crepet. La pensa così anche la sessuologa Roberta Rossi: «La decisione comune rende paritaria la rinuncia e in questo modo la coppia gode di una maggiore vicinanza emotiva che soddisfa probabilmente il bisogno di intimità e che dunque non lascia percepire la necessità di intraprendere un'attività sessuale.

Quindi se vissuta da entrambi come non limitante la mancanza non esiste, si annulla e i partner possono godere appieno della loro relazione affettiva. A quel punto diventa essenziale sentirsi amati». E «se vuoi essere amato, ama», direbbe Seneca. Per chiudere, meglio affidarsi al pensiero di Pedro Almodòvar: «L'erotismo è importante non per il sesso in sé, ma per il desiderio. Il sesso è solo ginnastica, il desiderio è forza del pensiero. E la forza del pensiero ha un potere immenso, può fare qualunque cosa».

Amie Rose Spiegel per Salon il 16 settembre 2022.

Le giovani donne che fanno sesso si imbarcano in una commedia degli errori, una serie di  disavventure, o almeno questo raccontano, in una autocritica o in un vittimismo che in genere non riguarda la controparte maschile. 

Il sesso non è bello o brutto. Non posso fingere che tutte le mie scopate siano state indimenticabili ma fare errori è una delle cose migliori nella vita, perché così sai come evitarli in futuro. L’importante è non lasciare che siano loro a predominare e a distogliere l’attenzione dai superbi aspetti della vita sessuale. 

Quando parlo di errori o inconvenienti, mi riferisco a effluvi corporei, rumori, imbarazzi. Invece di sentirvi umiliati, comunicate un senso di calma e consapevolezza. Se qualcuno vi mortifica per fenomeni naturali e inattesi che si manifestano mentre state insieme, calciatelo via senza rimorso: nessun effetto collaterale del sesso è abbastanza repellente da farvi rinunciare al piacere.

Non vi sentite imbarazzate per il ‘queefing’, l’aria intrappolata che la vagina espelle. E’ normale, incontrollabile e inevitabile quando si fa sesso. I suoni non saranno armoniosi ma possono essere un elemento ‘hot’, se sapete coglierne il significato. 

Se venite beccati a fare sesso in pubblico, a una cena o a una cerimonia, o a fare autoerotismo nella stanza, ricordate che è rarissimo che non accada. Come evitare di diventare rossi come peperoni? Non spogliatevi mai del tutto e muovetevi con cautela. 

Probabilmente sarà il sesso più memorabile che farete. Tenete in considerazione il vostro potenziale pubblico: è diverso se si tratta di vostro padre, di sconosciuti, di agenti della polizia. Comunque negate, inventate, mentite: chi sta a disagio, vorrà credervi a tutti i costi.

Eiaculazione precoce? Non preoccupatevi perché chi ne soffre, cercherà di essere incredibilmente bravo con altre parti della anatomia. Una volta feci sesso con una persona i cui genitali proprio non entravano nei miei, era come far entrare una vite piegata in una ciambella. 

Eravamo infatuati da due anni e ci siamo lasciati in cinque giorni. Le grandi cotte possono sparire se non c’è alchimia corporea. Abbiamo provato tutte le posizioni e nessuno dei due ha mai goduto. Ebbi forti dolori alla vagina, perché avevo usato il condom ma solo saliva come lubrificante. Il consiglio è: se porti con te un profilattico, accompagnalo con un po’ di ‘lube’.

DAGONEWS il 14 settembre 2022.  

Chiunque abbia sofferto di calcoli renali dolorosi sarà pronto a provare qualsiasi cosa per non soffrirne mai più. Ma invece di bere acqua per espellerli naturalmente, gli esperti ritengono che esista un altro modo per liberarli dal corpo: fare sesso o masturbarsi tre volte a settimana funziona 

Secondo uno studio indonesiano pubblicato sul “Journal of Sexual Medicine”, la contrazione e il rilassamento del collo della vescica, che si verificano durante l'orgasmo e l'eiaculazione, potrebbero anche aiutare a far passare i calcoli. Questo perché quando i muscoli si rilassano, l'urina è incoraggiata a passare attraverso l'uretra insieme ai calcoli.

Il dottor Yudhistira Pradnyan Kloping e il suo team hanno esaminato in che modo gli atti sessuali hanno influenzato la presenza di calcoli o meno: i risultati mostrano che il tasso di espulsione è 5,7 volte superiore nel gruppo che fa sesso almeno tre volte a settimana.

Ilaria Perrotta per vanityfair.it il 10 luglio 2022.

In estate, riscaldare l’atmosfera e alzare la temperatura della stanza mentre si entra in sintonia con l’altro non suona più così invitante come nei mesi più freddi, giusto? D’altra parte le ondate di calore in genere significano indossare meno vestiti. I segnali sessuali sono presenti ovunque nei mesi bollenti. 

Gli scienziati parlano di sessualizzazione dell’ambiente, che in pratica significa più bikini, pantaloncini corti e camicie attillate. Ma quindi nella bella stagione, il caldo spegne o accende l’eros?

In Francia un sondaggio ripreso da Madame Le Figaro, spiega che il 38% dei francesi non fa sesso o ne fa meno proprio durante le vacanze e proprio a causa delle elevate temperature: l’idea di sudare e faticare ulteriormente, pare spegnerebbe anche gli spiriti più bollenti. 

Di contro la pratica smentisce la teoria: avventure, divertimento, amori estivi, in questo periodo sembra esserci qualcosa che rende un po’ più interessati all’amore e al sesso.

Al di là dei sondaggi, dunque, la chimica nell’aria rimane, anzi in estate c’è forse più voglia di scoprirsi, in tutti i sensi. Per questo non è necessario rinunciare al sesso quando vediamo superare i 30 gradi sul termometro. 

Magari, con una serie di consigli e idee per evitare che la pigrizia dovuta al caldo intenso impedisca di godersi una buona sex session, riprendere una sana e consapevole attività erotica ci sembra cosa buona e giusta.

Lasciarsi abbattere dal caldo non è un’opzione, si tratta di essere soltanto più creativi e cercare soluzioni che far sì che il sesso in estate risulti ugualmente piacevole e, magari, ancora più eccitante. Occorre solo aprire la mente per essere predisposti a provare nuove esperienze, soli o con altri, per scoprire la propria sessualità senza alcun tipo di pregiudizio.

 1 - Approfitta delle notti

Può sembrare scontato, ma la notte fa sempre più freschetto. Aspettate che il sole tramonti e le temperature scendono anche un po'. Dopo le 22 è ancora meglio.

2 - Prova nuove esperienze in acqua

L'acqua è una delle cose che naturalmente rinfresca di più durante i mesi estivi, quindi l'ideale è cambiare il letto tradizionale con la doccia o la vasca, o anche la piscina e il mare. Approfitta di immersioni in acqua fresca di coppia per scoprire insieme nuove e più divertenti esperienze sessuali.

3 - Usa il ghiaccio

Qui tutto dipende dalla tua immaginazione, anche perché i giochi con il  ghiaccio si prestano a molte possibilità. Dal semplice passarlo sulle zone erogene del tuo partner all'uso del ghiaccio al posto degli oli per un massaggio erotico. È anche possibile mettere i propri sex toys in frigorifero, ad esempio un dildo di vetro, per intensificare le sensazioni.

4 - Approfitta del virtuale

Il contatto fisico con un'altra persona genera, senza dubbio, più calore. Pertanto, una buona opzione è fare sesso a distanza attraverso uno schermo. Da valutare.

5 - Un ventilatore per amico

Il trucco più classico ma anche uno dei più efficaci. Un ventilatore acceso al momento giusto può aiutare ad abbassare la temperatura e sicuramente, dopo aver iniziato a sudare, entrambi apprezzerete sentire l'aria sul corpo.

DAGONEWS il 10 luglio 2022.

Evviva le vacanze, il periodo in cui si accendono i bollori e le coppie sperimentano il miglior sesso di tutta la stagione. Parola di Tracey Cox che assicura come la mancanza di impegni, il crollo dello stress e la possibilità di staccarsi per qualche ora dai figli può accendere quel fuoco che rimane sopito dal logorio della vita quotidiana. Ecco, dunque, come sfruttare al meglio il periodo di relax. 

Più tempo: invece di una sveltina veloce finalmente avete il tempo per rilassarti e godervi qualche ora di sano sesso.

Rendete infuocata l’intera giornata: non limitatevi a fare sesso solo una volta, ma fatelo spesso e frequentemente per mantenere alta l’eccitazione lungo tutto l’arco della giornata. 

Non dimenticate il sesso orale: bastano anche due minuti per mandare il partner fuori giri. Non spogliatevi: basta tirargli giù i pantaloni (o alzarle la gonna) e abbassare le mutandine.

Provate un nuovo massaggio: esplorate quello erotico e genitale. Tutto quello di cui si ha bisogno è un lubrificante o un olio per massaggi adatto alle zone intime. Stendete il partner in una posizione in cui si può accedere facilmente ai genitali e prendetevi tempo per regalargli piacere. 

Se sei una donna prendi in mano il pene del tuo partner e scivola verso l’alto, usando un movimento circolare e rotatorio con la mano. Funziona solo se il movimento è verso l’alto: quando arrivi alla cappella, usa il palmo della mano per accarezzare l'intera superficie. 

Se sei un uomo, stimola il clitoride con movimenti circolari provando a farti spiegare in quale punto la tua partner prova più piacere. Fai attenzione: non tutte le donne amano la stimolazione diretta del clitoride, quindi prova a capire (o a chiedere) quale punto per lei è più sensibile. Prendi il clitoride tra due dita e prova a tirarlo delicatamente e poi torna a formare cerchi concentrici intorno all’area di piacere. 

I consigli per le vacanze 

Niente figli: se siete in vacanza con loro, assicuratevi di aver scelto un resort che abbia un mini club che si prenda cura dei bimbi. Una volta soli, sperimentate e accertatevi di aver portato sex toys, abiti per giochi di ruolo, fruste e tutto ciò che può accendere l’eccitazione. 

Provate a cambiare ruolo: sebbene l'89% delle donne scelga di essere sottomessa e in una situazione di “schiavitù”, coloro che osano avventurarsi in una posizione dominante scoprono un potere afrodisiaco diverso.

Sperimentate cose nuove: avere un legame con il partner significa anche provare cose nuove a letto e allontanarsi dal percorso prevedibile. È questa imprevedibilità che forse crea la più grande eccitazione per le coppie di lunga data.

Usate le manette, una sciarpa, vecchie calze o un kit di bondage per legare i polsi o le caviglie. Improvvisate uno spettacolino erotico, avventuratevi in situazione “sporche”. Sussurrate in modo seducente tutte le cose che avete intenzione di fare e poi fatelo!

Pizzichi, schiaffi e solletico: il numero di coppie che hanno introdotto la sculacciata nelle loro sessioni sessuali è aumentato da quando è esploso il fenomeno “Fifty Shades”. Molti altri lo hanno introdotto nella loro "lista dei desideri". Se siete già devoti a queste pratiche, usate una frusta morbida sul sedere del partner con colpi dal basso verso l’alto.

Nessuna inibizione: le vacanze sono fatte anche per bere. Il vostro fegato non vi ringrazierà, ma probabilmente la vostra vita sessuale lo farà. L'alcol è un afrodisiaco per la maggior parte delle persone ed essere leggermente ubriachi contribuisce a lasciarsi andare sotto le coperte. 

Drink o non drink, siamo più rilassati durante le vacanze, il che le rende il momento ideale per provare qualcosa per cui di solito siete troppo timidi. 

Giochi di ruolo: alcune coppie adorano i giochi di ruolo, tra i quali i più praticati sono la deflorazione di una "vergine", giocare alla schiava del sesso o avere un rapporto. In quest’ultimo caso entra in gioco il kit di sex toys che avete portato in vacanza.

Come in ogni gioco, seguendo alcune linee guida di base, tutto si svolgerà senza intoppi. Scegliete le fantasie che piacciono a entrambi, stabilite la location e scegliete i ruoli. 

Guardate film porno: guardarli, da soli o in coppia, può introdurre la varietà tanto necessaria nella vita sessuale di molte coppie di lunga data. 

Alcune persone hanno problemi “morali” con il porno, quindi si può optare per qualcosa di soft o per qualche film erotico. Se entrambi amate il porno, fatelo senza paura di essere interrotti dai bambini, dai vicini, da vostra madre o dai vostri coinquilini.

DAGONEWS il 3 luglio 2022.

Volete perdere calorie? c’è un modo facile e divertente per farlo, che non prevede diete particolari ma solo un po’ di esercizio fisico: fate sesso, e spesso! Ma attenzione, c’è posizione e posizione, come spiega la sexperta Tracey Cox sul tabloid britannico Daily Mail. 

Non pensate che stendersi e aspettare annoiati l’orgasmo vi faccia dimagrire: serve costanza, esercizio e tanto sudore. Secondo Tracey Cox una scopata di almeno mezz’ora potenzialmente vi fa perdere tra le 70 e le 200 calorie. Ma non pensate di poter fare a meno delle vostre sessioni di palestra o di corsette, perché, come spiega la Cox, “essere più attivi a letto è sempre una buona idea – ma allo stesso tempo esserlo fuori può migliorare la vostra vita sessuale. 

L’aumento di esercizio aumenta il flusso di sangue, che quando si parla di sesso è un’ottima cosa. Un’attività fisica regolare funziona come un Viagra naturale per gli uomini: quelli di mezza età che si allenano spesso hanno prestazioni sessuali migliori e più soddisfacenti dei sedentari. E anno meno problemi di erezione. Di contro le donne fisicamente attive riportano un desiderio sessuale più forte, sono più eccitate e godono di più” 

Senza considerare che l’allenamento fisico aumenta la flessibilità, accresce i livelli di energia e resistenza: tutti fattori piuttosto utili quando c’è da contorcersi in camera da letto. Ci rende anche più attraenti e desiderati. Morale della favola? Combinate le due cose - sport e sesso – e avrete risultati eccezionali.

LE POSIZIONI CHE VI FANNO BRUCIARE PIÙ CALORIE

IN PIEDI: LA PIÙ FATICOSA, E QUINDI LA MIGLIORE

Fare sesso in piedi – spiega Tracey Cox – è fantastico ed eccitante, ma è molto faticoso per entrambi i partner. Se riuscite ad avere un servizio completo – con le gambe di lei avvolte sui suoi fianchi e lui che sostiene il peso magari contro un muro – è mejo di una sessione core di palestra. L’uomo lavora su praticamente tutti i muscoli: il petto, le braccia, le cosce e i fianchi. Il godimento è assicurato e anche la perdita di calorie. Se le donne si sentono particolarmente atletiche e in forze possono provare a girarsi e a poggiare le mani a terra, con il sedere sospeso. Così si ottiene il miglior risultato: i glutei, la parte alta del corpo si tonifica, tutti sono felici e si bruciano almeno 200 calorie 

PECORINA CON VARIANTE

Il doggy stile già di suo è un buon sistema per perdere calorie. Ma ci sono alcune varianti che potete provare per aumentarne l’efficacia: la prima è abbastanza semplice e prevede una contro-spinta attiva della donna. La seconda invece è più complicata: fare perno su un ginocchio e stendere l’altra gamba indietro. L’equilibrio e la tensione muscolare saranno meglio di una lunga serie di squat: fino a 70 calorie bruciate

SQUAT SESSO

A proposito di squat: un’altra posizione ottima per consumare calorie è una specie di variante dell’amazzone. La donna sta sopra ma invece che poggiare le ginocchia a terra ci pianta i piedi. A quel punto inizia a fare degli squat veri e propri muovendosi su e giù. Se ce la fate, questa posizione è un toccasana ad altissimo tasso erotico: dopo mezz’ora avrete perso almeno 170 calorie.

MISSIONARIO SOLLEVATO

Il missionario è noioso e – spiega Tracey Cox – fa bruciare alla donna soltnto 44 calorie. L’uomo  - che fa tutto il lavoro – può arrivare a 143, ma è una posizione troppo prevedibile. A meno che non usiate la variante che suggerisce la sexperta. Fate inginocchiare l’uomo sopra di voi e iniziate ad alzare e abbassare voi i fianchi con la schiena ben salda al suolo: è come se faceste un ponte, mantenendo il bacino vicinissimo al suo. Lui di contro vi può tenere alto il sedere: è una posizione eccitante e che può farvi perdere almeno 150 calorie. 

LA CARRIOLA-PLANK

La carriola tradizionale già di per sé è un’ottima posizione per bruciare grassi: lui in piedi, la donna con le mani a terra e le gambe sollevate, come appunto una carriola. Nella versione canonica l’uomo lavora le braccia e il sedere, la donna invece le braccia e le spalle, che sostengono l’intero corpo. Ma se volete uno step superiore, basta fare la stessa cosa facendo contemporaneamente un plank. Più tenete le gambe dritte, più faticoso sarà il workout, ma maggiore sarà la quantità di calorie bruciate, all’incirca un centinaio. 

PEGGING

Per le donne: c’è un’ultima cosa che potete fare per massimizzare il consumo di grassi e calorie, una soluzione estrema che presuppone un’intimità enorme con il partner. Questa soluzione si chiama il pegging, cioè penetrare analmente il vostro fidanzato con un dildo strap-on. Mettetelo a pecorina e spingete. Se lo fate sdraiare nel letto e per penetrarlo fate degli scuot, avrete ottimi risultati non solo in termini di calorie, ma anche di tonicità dei glutei. Sempre che lui sia d’accordo, brucerete almeno 100 calorie

 Valentina Mazza per cosmopolitan.com il 5 giugno 2022.

Sesso d’estate? Sfatiamo un mito, non è proprio il massimo farlo quando fa caldo, perché trovare le posizioni comode non è facile se in un attimo diventate sudati e appiccicosi. 

Una sensazione per niente piacevole che non invoglia a lasciarsi andare ad acrobazie erotiche tra le lenzuola. Eppure non puoi perderti l’occasione di viverti la passione, che in questo periodo, proprio come le temperature, è più hot che mai. Perché sarà merito dell’abbronzatura e di questo senso di libertà e voglia di divertirsi che si attivano quando si entra in modalità vacanza, ma confessiamolo, ognuna di noi in questo momento dell’anno si sente ancora più sexy e seducente. E questo ti rende ancora più affascinante e più sicura, pronta a sperimentare e capace di scegliere liberamente quello che è meglio per te. L'importante è prendere sempre le giuste precauzioni e fare sesso protetto per goderti il piacere senza pensieri. Quindi l’attimo va colto amica, ma evitando di farsi una sauna tra le braccia del proprio partner. Basta solo trovare il modo giusto di amarsi, magari provando a farlo non solo a letto, ma anche in altre ambienti più freschi, come la doccia o la vasca da bagno. Ecco 7 posizioni “estive” per fare sesso in modo comodo, all’insegna del piacere.

1. In piedi sotto la doccia

Tornati dal mare o a fine serata, infilatevi assieme sotto il getto dell’acqua. Dagli le spalle e appoggia le mani alla parete trovato una postura comoda, lui da dietro saprà fare il resto. Una posizione alternativa è la ballerina, uno di fronte all’altro, e tu con una gamba alzata. La doccia è una situazione perfetta per darsi una bella rinfrescata e accendere la scintilla della passione. Perché una volta rigenerati e appagati, potrete continuare il vostro rendez vous erotico in qualche altra stanza, l’importante è che sia ben ventilata.

2. Il Doggy style

Magari non rientra nelle tue posizioni preferite, perché ti sembra poco romantico, visto che non vi guardate negli occhi. Oppure pensi che sia troppo hard e ti fa sentire esposta. Ma se superi questi timori e vuoi provarla, sappi che durante i mesi estivi, quando fa troppo caldo, è molto funzionale. Il motivo? La pecorina richiede un minimo contatto di pelle e quindi il rischio di sudare si abbassa notevolmente.

3. La X

Potete sperimentarla sul tavolo o sul letto. Stenditi a pancia in su, alza le gambe e incrociale, appoggiandole al suo petto. Il tuo lui invece sarà in piedi di fronte a te. Più stringerai le gambe, più il piacere sarà intenso. Questa posizione, anche se può sembrare faticosa, in realtà non richiede grandi sforzi e abilità acrobatiche. E inoltre vi permette di amarvi con passione senza sudare troppo.

4. Il Joystick

Vuoi guidare tu il gioco? Fallo stendere sulla schiena, dicendogli di rilassarsi e stendere le braccia in alto sopra la testa. Ora siediti sopra di lui a cavalcioni, allungando le gambe fino all’altezza delle sue spalle, con le ginocchia leggermente piegate. Per sentirti comoda puoi appoggiare le mani sulle sue ginocchia, prima di iniziare a muoverti ruotando i fianchi. 

5. Nella vasca

Riempitela di acqua fresca (non freddissima, perché potrebbe inibire la sua erezione) e poi siediti sopra di lui, inginocchiandoti e dandogli la schiena. Inclinati leggermente in avanti e con il doccino indirizza il getto d’acqua tra le vostre gambe mentre fate l’amore. Sarà un’insolita stimolazione che solleticherà ancora di più i vostri sensi, regalandovi un piacere in più. 

6. L’amazzone

Fai sdraiare il tuo partner sulla schiena, lasciando una gamba distesa e tirando l'altra su, con il ginocchio piegato. Ora mettiti sopra di lui, tra le sue gambe, dandogli le spalle e conduci tu al galoppo fino a raggiungere il massimo piacere. Questa posizione ti aiuta anche ad avere una fantastica stimolazione clitoridea, che ti poterà più velocemente all’orgasmo.

7. Rafting

Perfetto da fare in piscina, se ne avete una tutta per voi. Sdraiati su un materassino a pancia sotto e con le gambe a mollo. Lascia che a sostenerle sia lui, aggrappandosi alle tue cosce mentre fate l’amore. Questa posizione, che ricorda quella della carriola, ma molto meno faticosa visto che siete in acqua, permette una profonda penetrazione, dandovi un forte piacere.

Tracey Cox per “Men’s Health” il 12 maggio 2022.

C’è solo un problema con il sesso ‘missionario’: la maggior parte degli uomini lo fa sempre nello stesso modo convenzionale. Dentro e fuori, stessa velocità, stessa profondità, stesso movimento di anche. Stesso tutto. In pratica, sbadiglia e ripeti. Eppure ci sono modi più eccitanti di introdurre il pene, tipo queste sei idee prese direttamente dal Kama Sutra.

Prendete il pene alla base, con la mano, e muovetelo circolarmente nella sua vagina. La sensibilità vaginale varia a seconda dei posti, e in questo modo scoprirete quali sono i punti più ricettivi. Potete provare anche a virare il pene a destra e a sinistra della vagina. 

Molte donne amano la frizione frontale, nella zona dove pare sia il punto G, ma a volte fa bene cambiare, spostarsi verso il retro, per provare nuove sensazioni. Perciò quando fate il missionario, dirigete il pene verso il basso invece che verso l’alto. Spingete poco e non troppo in profondità.

Stendetela di schiena, salite sopra, in modo che le vostre spalle siano allineate con la sua testa, e fate lentamente dentro e fuori. In questo modo stimolerete esattamente il clitoride. Altra tecnica è quella di uscire completamente fuori e penetrare di nuovo con un colpo veloce e forte. E’ animalesco, primitivo, ludico ed eccitante per una donna. Rapidi colpi dentro e fuori si possono dare anche senza uscire completamente dalla vagina: i primi millimetri in genere sono i più sensibili. 

Laura Avalle per “Libero quotidiano” il 9 aprile 2022.  

Si possono avere rapporti sessuali in gravidanza? È quanto si chiedono molte coppie in attesa del primo figlio. «La risposta è sì, certamente, se la donna li desidera, se la gestazione ha un decorso normale e se il medico non vede controindicazioni specifiche», risponde Alessandra Graziottin, direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica dell' Ospedale San Raffaele Resnati di Milano.

«Non solo: le donne che hanno avuto rapporti desiderati e frequenti da incinte hanno minori complicanze sia durante la gravidanza, sia nel parto e hanno più frequentemente parti a termine con bambini con più elevato Apgar (il voto che il pediatra dà al bimbo alla nascita e che indica il suo stato di benessere o meno: 10 è nascita perfetta con bimbo in gran forma). 

Inoltre anche il puerperio ha un andamento più sereno, con minori depressioni e crisi.

Non ultimo, un marito sessualmente felice in gravidanza è anche un padre migliore e più attento al piccolo». 

Naturalmente la corrispondenza è biunivoca, come si direbbe in matematica. Nel senso che è più probabile che abbia desiderio e rapporti soddisfacenti la donna che ha una gravidanza normale, in una coppia che si ama e ha molto desiderato quel bimbo.

Se i dati scientifici sono rassicuranti, quando è saggio e necessario non avere rapporti completi? Rivolgiamo la domanda ancora alla professoressa Graziottin, che replica così: «L' astinenza è da rispettare quando il decorso della gravidanza è complicato da patologie. 

Tra cui: 1. minaccia d' aborto o di parto prematuro (ma solo finché dura il problema: dopo non c' è motivo di protrarre l' astinenza per tutta la gravidanza, perché si favorisce un blocco dell' intimità erotica poi difficile da recuperare); 2. ipercontrattilità uterina in trattamento con farmaci volti a rilassare la parete uterina stessa; 3. placenta "previa" (ossia impiantata nella parte inferiore della cavità uterina, fino a coprire in parte o totalmente il versante interno del collo dell' utero, e il cui distacco può provocare emorragie), che sia stata accertata con l' ecografia;

4. dilatazione del collo dell' utero prematura rispetto alla data del parto; 5. rottura prematura delle membrane (ossia del sacco amniotico) in trattamento "conservativo", cioè con farmaci volti a facilitare nel frattempo la maturazione dei polmoni del bambino; 6. infezioni vaginali e/o delle membrane amniotiche ("amnioniti"). L' amnios è il sacco che avvolge in bambino in utero; 7. gestosi (pre-eclampsia ed eclampsia, serissima complicanza della gravidanza con crisi ipertensive gravi).

In tutti questi casi è la donna stessa che istintivamente preferisce evitare l' attività sessuale». E quando è l' uomo a tirarsi indietro? 

«Ogni uomo, ogni donna, ogni coppia, hanno un loro modo di sentire e vivere questo delicato periodo», sottolinea Graziottin. «Anzi, ricerche recenti hanno mostrato che l' uomo ha una riduzione di desiderio, che aumenta con il progredire della gravidanza, in circa il 48% dei casi.

E questo sia per la paura di nuocere alla gravidanza, sia per una percezione disturbante del fatto di sentire il bambino come una presenza viva, oltre che per il progressivo "ingombro" del pancione. Io credo che il compito del medico sia spiegare alla coppia l' importanza di un' intimità sessuale, se desiderata da entrambi, e la valutazione di eventuali controindicazioni. Lasciando poi a ciascuno di trovare la propria misura e la propria musica.

L' amore si manifesta in tanti modi ed è saggio rispettare questa unicità, senza voler fare di un unico comportamento l' assoluta normalità che debba per forza essere valida per tutti».

Da leggo.it il 9 aprile 2022.

Il sesso a tre è una delle fantasie più comuni negli uomini come nelle donne, ma per certi aspetti è ancora un tabù e una pratica inesplorata. Come tutte le esperienze sessuali, ha lati positivi ma anche negativi e solo con la pratica è possibile avere un rapporto davvero piacevole e soddisfacente. Le parti in gioco, in questo caso, sono tre, quindi le esigenze da rispettare aumentano rispetto al sesso 'tradizionale' di coppia. Per questo ci sono dei consigli da seguire, elencati da Virgilio.it, che ha interpellato sessuologi e persone comuni che hanno già provato questa esperienza. 

Ecco le regole da seguire per rendere il sesso a tre davvero indimenticabile:

1) Essere sicuri: prima di iniziare, tutti i partecipanti devono essere certi al 100% di voler provare questo tipo di esperienza.

2) Evitare l'egoismo: non si è più in due, le attenzioni vengono condivise e non si può esserne 'gelosi'. Occorre accettare di essere una parte in gioco, ma non l'unica. 

3) Moderare l'uso di alcol: bere alcolici può aiutare a superare le inibizioni, ma quantità esagerate possono influire negativamente sulla vostra prestazione sessuale. 

4) Concordare le precauzioni: prima di iniziare, i tre partecipanti devono trovare un accordo preciso sulle precauzioni da prendere durante il rapporto. 

5) Prestare attenzione ai sentimenti: dal sesso selvaggio, duro e puro, possono nascere anche sentimenti. Può capitare e va accettato, senza particolari gelosie. 

6) Rilassarsi e divertirsi: una pratica così particolare può causare anche profondi imbarazzi, per evitarli è bene scherzarci su ed essere ironici. 

7) Verificare la compatibilità: prima di iniziare, è bene cercare di capire se i gusti sessuali di tutti i partecipanti sono compatibili. Ciò che piace ad una persona può creare estremo disagio negli altri.

8) Utilizzare sex toys: per rendere il sesso a tre più piacevole, dinamico e inclusivo non esitate a ricorrere a questi 'strumenti'. Non c'è niente di peggio nel vedere uno dei tre partecipanti con le mani in mano per troppo tempo. 

9) Essere rispettosi: ognuno ha i propri gusti e in ogni momento può rifiutarsi di fare qualcosa che non desidera. Fondamentale, in questo caso, rispettare le esigenze di ognuno, senza costrizioni o forzature.   

Dagotraduzione dal Daily Mail l'8 aprile 2022.

Un'amante professionista che esce esclusivamente con uomini sposati ha rivelato i motivi per cui gli uomini sono infedeli e come evitare di essere tradite. 

Amy Kupps, 33 anni, della Carolina del Nord, ha spiegato che i suoi amanti si lamentano tutti delle stesse cose e dice che esistono modi infallibili per evitare i tradimenti. Kupps consiglia di portare più eccitazione in camera da letto, che si tratti di guardare video porno insieme o di far lavorare le tette per soddisfare i loro desideri.

«Il tuo partner resterà sicuramente con te se soddisfi le sue fantasie sessuali», ha detto Amy. Fare piacere al tuo partner spesso è la chiave. «Devi guardare il porno insieme, essere aperto a un massaggio con le tette, cambiare il colore dei tuoi capelli e indossare qualcosa che normalmente non indossi. Sii sexy in pubblico: un uomo ama la sicurezza, quindi metti in mostra un po' di sedere e scollatura. Se sei una semplice conservatrice, probabilmente scapperà». 

«Devi recitare come nei giochi di ruolo, indossare costumi, fare sesso nel retro di una chiesa o [a] un concerto. Sii spericolato ed eccitante e non aver mai paura di mostrare pubblicamente l’affetto. Impara le sue fantasie e lo manterrai per sempre». 

Amy, che ha accumulato 85.000 follower su Instagram pubblicando contenuti sexy, consiglia anche di condividere le password del telefono e di comunicare apertamente quando si tratta di finanze.  

Quando si tratta degli uomini a cui presta servizio, afferma che esiste un elenco di lamentele comuni che condividono sui loro partner. 

Amy ha detto: «Sento spesso, "Mia moglie non fa più sesso con me", "Io amo i miei figli ma hanno rovinato la mia intimità", "Mia moglie è noiosa e non ha tempo per me" e "Mia moglie non ha sex appeal, non è avventuroso e non è rischioso"». 

«Gli uomini si confidano sempre con me e il 100 per cento delle volte è una di quelle ragioni. Quello che spinge un partner a tradire è la mancanza di comunicazione, eccitazione e divertimento in camera da letto». 

«Non fare sesso è un rompicapo. I partner che non comunicano le loro fantasie sessuali spesso si sentono isolati quando dovrebbero essere inclusi, se possibile. Dovresti sempre trovare del tempo per l'altro, non importa quanto sia impegnata la tua vita e non aver paura di impazzire in camera da letto o addirittura invitare un terzo membro per dare una mano a ravvivare le cose».

Nonostante il suo lavoro, Amy è stata tradita in passato. Ha detto: «Mio marito mi ha tradito con una donna molto più giovane. Alcuni dei miei amici lo hanno notato in più occasioni. Per un po' mi sono sentito malissimo, ma ho capito che non avevo bisogno di lui. Non mi sono incolpata, ma avrei dovuto tagliare prima. Ho avviato OnlyFans per rendere più piccante la nostra vita sessuale. Lo eccitava, ma è diventato geloso molto rapidamente». 

«Se un fidanzato o un marito dovessero tradirmi di nuovo, non mi importerebbe. Sono sicura di me stessa, sexy e avventurosa. Sono il tipo di donna che piace agli uomini: adoro la birra e le ali calde e non ho paura di sporcarmi. 

«Mi alleno sodo e mi mantengo al passo con il mio mantenimento: seguire una dieta a basso contenuto di carboidrati, allenarmi con i pesi, fare jogging e yoga e, naturalmente, interventi di chirurgia estetica qua e là per migliorare i difetti e dare una spinta alla fiducia».

«Sono così fiduciosa dopo il mio primo matrimonio, niente può abbattermi. Fiducia in se stessi, essere in grado di uscire dalla tua zona di comfort sessualmente e comunicare si tradurranno in un matrimonio felice e sano e forse anche in un po' di pornografia».

Secondo Amy, uno dei motivi principali per cui gli uomini tradiscono è il più ovvio: il sesso.

DAGONEWS il 27 marzo 2022.

L'amore non sempre garantisce un grande rapporto sessuale. Parola della sexperta Tracey Cox che offre qualche consiglio su come sciogliere il complicato dilemma tra cuore e orgasmo. 

«Partiamo facendo due ipotesi - dice l’esperta di relazioni - premettendo che il problema riguarda soprattutto le donne, perché la maggior parte degli uomini ha raramente problemi di orgasmo. 

Senza contare che molto spesso si tratta di donne eterosessuali, visto che le lesbiche hanno un tasso di orgasmo molto più elevato rispetto a quelle etero. 

Detto questo bisogna riflettere su che tipologia di uomo ci si trova davanti, visto che da un lato ci sono quelli che se ne infischiano di farvi raggiungere il climax e dall’altra quelli che si scervellano per cercare di farvi godere.

In questo secondo caso ricordate che nessuno “dona” un orgasmo: dovete essere capace di farlo accadere, magari aiutandovi con vibratori o semplicemente mostrando al partner come muoversi. 

Voi sapete come funziona il vostro corpo e l’unico modo per far capire cosa vi serve è farlo vedere al vostro compagno e parlargli di quello di cui avete bisogno. "Scaricarlo" perché non riesce a farvi godere è da folli». 

Il dilemma: fare sesso noioso o non farlo affatto? 

«Se volete riaccendere la passione, rivolgetevi a un sessuologo che vi aiuterà a “disintossicarvi” dai tentativi falliti. Molti suggeriscono un periodo di astinenza per "pulire la lavagna" e ricominciare.

Vi imporrà dei periodi in cui potrete toccarvi, bandendo la penetrazione: sarà un modo per concentrarsi sui preliminari, che sono fondamentali soprattutto per le donne, visto che difficilmente raggiungono l’orgasmo esclusivamente con il rapporto. 

Poi si passerà alla lingua e al sesso orale. L'elemento della penetrazione "non disponibile" rende tutto più creativo, perché  si devono trovare diverse strade per raggiungere il climax». 

Devo fare sesso orale?   

«È una buona idea che entrambi facciano sesso orale. Rifiutarsi di fare sesso orale con il proprio partner non significa solo eliminare una parte estremamente soddisfacente del rapporto,  ma risulta respingente per l’altra persona. Il sesso orale è la parte più intima dell'unione: state letteralmente prendendo in bocca la parte più privata del vostro partner.

Assaporarne il gusto, la consistenza, l'odore, vorrà dire mostrare il massimo livello di accettazione che esista. 

Anche se non vi piace particolarmente farlo, è qualcosa che fate per il piacere del vostro partner, a patto che venga ricambiato. Se il partner si rifiuta di fare sesso orale, chiedete perché. 

Le preoccupazioni per l'olfatto e il gusto sono facilmente risolvibili facendo prima una doccia, lavandosi correttamente e curando eventuali infezioni. Le preoccupazioni sul soffocamento possono essere risolte chiedendo di non spingere la vostra testa e, se non amate deglutire, potete farvi venire in mano».

Avere una relazione extra-coniugale può aiutare? 

«A parer mio no - continua Cox - Avere una relazione per ravvivare il sesso con il vostro partner è un'idea davvero stupida. Una delle ragioni per cui si tradisce è il senso dell’avventura e la novità. Provate a reiventarvi programmando gli appuntamenti e stuzzicando la fantasia del vostro compagno e pensando alla biancheria intima che indosserete. Il sesso in una coppia è raramente “spontaneo”, è un sesso programmato. E questo non vuol dire che non possa essere bollente». 

Come posso suggerire sesso a tre al mio partner?

«È un campo minato in cui bisogna muoversi attentamente.

Anche se qualche volta lo vedete scherzare sull’argomento, non significa che voglia provarci davvero. Un conto è l'idea, ma poi trovarsi con due uomini o con due donne nel letto può portare a situazioni e pensieri spiacevoli. 

Sondate il territorio chiedendo che cosa pensa di questa esperienza e fate attenzione alla reazione. 

Risposte della serie “ma come riescono a fare” o “non potrei pensare a nulla di peggio” ovviamente non lasciano spazi. Se invece reagisce in maniera possibilista e anche con cauta curiosità, si può pensare di procedere a piccoli passi ricordando che nulla deve essere fatto se non siete entrambi d’accordo».

Tracey Cox per “Men’s Health” il 24 marzo 2022.

C’è solo un problema con il sesso ‘missionario’: la maggior parte degli uomini lo fa sempre nello stesso modo convenzionale. Dentro e fuori, stessa velocità, stessa profondità, stesso movimento di anche. Stesso tutto. In pratica, sbadiglia e ripeti. Eppure ci sono modi più eccitanti di introdurre il pene, tipo queste sei idee prese direttamente dal Kama Sutra.

Prendete il pene alla base, con la mano, e muovetelo circolarmente nella sua vagina. La sensibilità vaginale varia a seconda dei posti, e in questo modo scoprirete quali sono i punti più ricettivi. Potete provare anche a virare il pene a destra e a sinistra della vagina.

Molte donne amano la frizione frontale, nella zona dove pare sia il punto G, ma a volte fa bene cambiare, spostarsi verso il retro, per provare nuove sensazioni. Perciò quando fate il missionario, dirigete il pene verso il basso invece che verso l’alto. Spingete poco e non troppo in profondità.

Stendetela di schiena, salite sopra, in modo che le vostre spalle siano allineate con la sua testa, e fate lentamente dentro e fuori. In questo modo stimolerete esattamente il clitoride. Altra tecnica è quella di uscire completamente fuori e penetrare di nuovo con un colpo veloce e forte. E’ animalesco, primitivo, ludico ed eccitante per una donna. Rapidi colpi dentro e fuori si possono dare anche senza uscire completamente dalla vagina: i primi millimetri in genere sono i più sensibili.

 Sesso, la posizione ammazza-desiderio: l'errore più comune degli uomini sotto alle lenzuola. Libero Quotidiano il 25 marzo 2022.

Un errore che molti uomini commettono? Il sesso "missionario". Proprio così, molti finiscono per farlo sempre nello stesso modo convenzionale. Eppure ci sono tante tecniche per aumentare il desiderio nel proprio partner. A rivelarlo la rivista Men’s Health, che spiega che basta prendere il pene alla base con la mano e muoverlo circolarmente nella sua vagina. D'altronde la sensibilità vaginale varia a seconda dei posti.

Per questo è bene stendere la propria compagna sulla schiena, salire sopra ricordando che le spalle degli uomini devono essere allineate con la sua testa. Solo dopo bisogna fare lentamente dentro e fuori. In questo modo si riesce a stimolare il clitoride. Ma questo non è il solo consiglio utile. Un'altra tecnica è quella di uscire completamente fuori e penetrare di nuovo con un colpo veloce e forte. 

Si tratta di una tecnica più animalesca e primitiva con rapidi colpi dentro e fuori. Questi - si legge - si possono dare anche senza uscire completamente dalla vagina: i primi millimetri in genere sono i più sensibili. Insomma, una posizione molto eccitante per la donna e che sicuramente potrà riaccendere la passione all'interno di una coppia. Un consiglio dunque per spezzare la solita monotonia che, in tempo di Covid e lockdown, ha portato a numerosi, tra divorzi e separazioni. 

Da “donnaglamour.it” il 18 marzo 2022.

Durante il sesso si bruciano circa 600 calorie, almeno secondo le ultime statistiche. Però per arrivare a bruciare tutte quelle in un rapporto sessuale conta anche la durata. Per bruciare 600 calorie bisogna fare l’amore per circa un’ora di seguito. 

Considerando che la media europea arriva a malapena a 14 minuti, forse il dato è un po’ sopravvalutato. Gli studiosi hanno elaborato un vero e proprio vademecum su come dimagrire con il sesso. Si parte dalle 4 calorie per i massaggi per arrivare alle 240 della posizione del missionario.

Fare l’amore invece che andare in palestra Per le posizioni più artistiche si superano addirittura le 350 calorie. Naturalmente ci sono diversi fattori e condizioni che entrano in gioco quando si cerca di dimagrire con il sesso. Ad esempio, stando sopra si brucia di più. 

Il dispendio di calorie è anche sorprendentemente maggiore se il sesso è da tradimento o occasionale. L’importante, come in ogni cosa, è non esagerare. Il rischio è quello di apparire visibilmente stanchi a lavoro, oltre a quello dell’infarto, soprattutto oltre una certa età.

I ricercatori dell’Università del Quebec in Canada, sono andati oltre e hanno calcolato con precisione le calorie bruciate. Lo studio condotto ha dimostrato che durante l’attività sessuale, un uomo riesce a bruciare circa 4 kilocalorie al minuto, mentre ne brucia 9,2 correndo. 

Una donna ne consuma rispettivamente 3,1 e 7,1. Togliersi i vestiti fa consumare 12 calorie, in 20 minuti di baci e coccole si consumano tra le 80 e le 110 calorie. Con la posizione del missionario, in 10 minuti si consumano 250 calorie, con la posizione della cowgirl, in 10 minuti la donna consuma 300 calorie, l’uomo 130. 

La notizia migliore pare proprio che il momento del massimo piacere può far consumare fino a 122 calorie!!! Buon allenamento!

La lunghezza del Pene. Pene eretto, tutta la verità sulla lunghezza: quello che non sapete. Libero Quotidiano l'8 agosto 2022

Sono tanti i luoghi comuni sul sesso a dover essere smontati. A dirlo è Tracey Cox, giornalista specializzato sul tema. Proprio lei svela che nessuno sa davvero quale sia la dimensione media di un pene e questo nemmeno quando è eretto. Non esiste infatti uno studio definitivo. E ancora, un altro mito da sfatare è che le donne impiegano più tempo per eccitarsi. "Se è vero - scrive l'esperta sulle colonne del Daily Mail - che il rapporto sessuale è più comodo per le donne quando la vagina si espande per fare spazio al pene, è altrettanto vero che uomini e donne raggiungono il picco di eccitazione nello stesso tempo".

Ma non è tutto, perché la Cox afferma che diverse prove evidenti dimostrano che i preliminari più lunghi portano a livelli più elevati di soddisfazione per gli uomini, così come per le donne. Altro errore è quello di pensare che il clitoride abbia 8000 terminazioni nervose solo nella punta. Nulla di più falso.

La giornalista riporta una ricerca che dimostra che tutte queste terminazioni nervose in realtà non ci sono. Finita qui? Neanche per sogno, visto che non c'è neanche il punto G. La "zona del punto G" altro non è che un punto d'incontro caldo per il clitoride, la spugna uretrale, la ghiandola di Skene e forse altre aree.

Dagotraduzione dal Daily Mail. Di Tracey Cox il 7 agosto 2022.

Scrivo libri da più di 20 anni e, cosa piuttosto orribile, parte di ciò che ho scritto nei primi tempi non è più vero. E forse non lo è mai stato. 

La ricerca sul sesso è un grande business in questi giorni. Oggi i ricercatori hanno il tempo e il denaro per tornare indietro e rintracciare da dove provenivano le "prove" originali a sostegno di queste affermazioni. In un numero allarmante di casi, non ce ne sono.

Molte delle cose che pensavamo di sapere sul sesso non hanno prove a sostegno. Diamo per scontato che siano vere semplicemente perché l'abbiamo visto o sentito dire così tante volte. 

Ecco allora gli ultimi luoghi comuni sul sesso da demolire.

Nessuno sa quale sia la dimensione media di un pene. La statistica che viene citata, «il pene eretto è lungo 12,7 centimetri in media» non è altro che un’ipotesi. E neanche troppo realistica. Non esiste uno studio definitivo che dimostri quale è la dimensione media del pene di un uomo, ed è molto improbabile che sarà mai realizzato. Il perché è presto spiegato: pochissimi uomini si fanno avanti volentieri per farsi misurare il pene da un medico esperto. La maggior parte degli uomini è convinta che non sarà all’altezza. Quasi tutti gli studi realizzati si basano infatti sull’automisurazione, inaffidabile e spesso generosa.

Non è mai stato fatto uno studio che fornisse una misurazione accurata da parte di qualcuno addestrato a farlo correttamente, di una sezione trasversale di uomini che rappresentano tutte le culture, le età e le fasi. È improbabile che l'ultimo studio, condotto in Giappone, aggiunga qualcosa. I ricercatori hanno misurato la lunghezza del pene flaccido allungato invece che del pene eretto. Come mai? Gli uomini erano morti: i ricercatori hanno misurato i cadaveri.

Le donne non impiegano più tempo per eccitarsi rispetto agli uomini. La maggior parte delle persone crede che la funzione principale dei "preliminari" sia quella di far eccitare le donne e che gli uomini non ne abbiano affatto bisogno. Se è vero che il rapporto sessuale è più comodo per le donne quando la vagina si espande per fare spazio al pene, è altrettanto vero che uomini e donne raggiungono il picco di eccitazione nello stesso tempo.

I ricercatori hanno utilizzato la termografia per misurare il flusso sanguigno ai genitali (un indicatore affidabile di eccitazione) e hanno chiesto a uomini e donne di guardare un mix di video, compresi quelli erotici. Dopo aver visto il video sessualmente eccitante, entrambi i sessi hanno impiegato lo stesso tempo per eccitarsi. 

E già che siamo in tema, ci sono anche prove evidenti che i preliminari più lunghi portano a livelli più elevati di soddisfazione per gli uomini, così come per le donne.

Non ha senso fare pipì dopo il sesso. A qualsiasi donna che abbia mai avuto un'infezione del tratto urinario (UTI) è stato sempre detto di fare pipì dopo il sesso per ridurre le possibilità di contrarne un'altra. L'idea era che la pipì eliminasse tutti i batteri forzati nell'uretra durante il rapporto. 

Ma non ci sono prove concrete per confermare questa teoria. Stranamente, anche i siti web medici affidabili che ammettono che non ci sono prove, continuano a dire "non c'è nulla di male" nel continuare a seguire i consigli.

Le donne hanno ancora 30 volte più probabilità di contrarre un'infezione delle vie urinarie rispetto agli uomini perché la nostra uretra è vicina alla vagina e l'ano e i batteri si diffondono facilmente. Inoltre la nostra uretra è più corta, quindi i batteri possono raggiungere più facilmente la vescica. 

Il vibratore non è stato inventato per facilitare il lavoro del dottore. C'è una storia estremamente eccitante e divertente che racconta come i vibratori siano stati inventati perché i medici riuscissero a curare l’isteria delle donne.

L'isteria era il termine che i medici usavano per descrivere qualsiasi tipo di stress femminile o sintomi legati all'ansia nell’Ottocento. La presunta "cura" per l'isteria era che il dottore masturbasse il paziente fino all'orgasmo. Non solo questo rendeva i tempi degli appuntamenti troppo lunghi, ma si dice che i poveri vecchi dottori fossero stanchi di svolgere questo compito, in modo ripetitivo, su così tante donne. Il vibratore, dunque, fu progettato per rendere il lavoro molto più semplice!

Peccato però che non ci sia letteratura o dati che forniscano prove sul fatto che i medici abbiano masturbato le loro pazienti. 

È vero che un medico vittoriano ha creato il "vibratode", ma è stato originariamente progettato come dispositivo medico per gli uomini per curare il dolore (su parti non sessuali). I vibratori sono stati inizialmente commercializzati per uso generale come apparecchi domestici e medici nei primi anni del 1900. 

La pubblicità mostrava uomini, donne, bambini e anziani che li usavano per curare tutto, dalle rughe alla tubercolosi. Le donne, tuttavia, non hanno impiegato molto a scoprire che accadono cose spettacolari quando si applica sul clitoride.

Il clitoride non ha il doppio delle terminazioni nervose del pene. Viene continuamente segnalato che il clitoride ha 8000 terminazioni nervose solo nella punta (la parte che puoi vedere). È un "fatto" che appare nei libri di testo e in molte altre fonti altamente affidabili: ho scritto questa frase esatta in molti dei miei libri nel corso degli anni.

Quando un ricercatore sessuale ha deciso di tornare indietro e trovare gli studi originali che mostravano prove di così tante terminazioni nervose, si è scoperto che non ce n'erano. Tutto ciò che è emerso è stato uno studio basato su... mucche. 

La verità è che non ci sono studi che ci dicano quante terminazioni nervose ci sono nel pene o nel clitoride.

Non c'è neanche il punto G. La maggior parte di voi non sarà sorpresa di questo fatto. Perché il nome è ancora un luogo comune? Perché è più facile usarlo per descrivere un'area altamente sensibile all'interno della vagina rispetto alla (più accurata) "parete anteriore" o "stimolazione clitoridea/uretrale interna". 

La "zona del punto G" è un punto d'incontro caldo per il clitoride, la spugna uretrale, la ghiandola di Skene e forse altre aree.

La rivista Cosmopolitan l'anno scorso si è scusata per aver usato il termine e averlo promosso ampiamente nel corso degli anni. Non è un'entità anatomica distinta. 

Il che rende i medici che stanno attualmente eseguendo un intervento chirurgico di "amplificazione del punto G" ancora più ciarlatani di quanto sembrino.

Debby Herbenick per vice.com/it il 13 marzo 2022.

A proposito di orgasmi, dimensione del pene, sesso anale etc.

Per più di 15 anni ho tenuto corsi di educazione sessuale in centinaia di università americane. Ho anche tenuto rubriche su riviste, giornali, e siti. In altre parole, ne ho viste di ogni, ne ho sentite di ogni. E grazie alla situazione disastrosa dell'educazione sessuale in occidente, so che ci sono un sacco di miti duri a morire. 

(Nel 2014, molte scuole americane ancora dicevano che il modo migliore per non incorrere in gravidanze e trasmissione di malattie era l'astinenza. E solo il 35 percento dei responsabili insegnava a usare correttamente un preservativo.) Queste sono le sei credenze sbagliate che mi sono trovata ad affrontare più spesso—ogni volta sperando che fosse l'ultima.

Mi contattano spesso giovani e adolescenti preoccupate all'idea di essere rimaste incinte per aver fatto sesso senza preservativo durante la settimana di interruzione della pillola. Questo mi fa capire che molte donne e molti uomini non sanno come funziona la pillola. Pensano che funzioni solo nei giorni in cui la prendi, come se ogni pillola assicurasse 24 ore di protezione. 

Falso! La verità è che ogni pillola previene l'ovulazione. Molte prendono pillole combinate (estroprogestiniche), che sopprimono l'ovulazione. Altre prendono minipillole, ovvero solo progestiniche, che sopprimono meno l'ovulazione ma prevengono la gravidanza in altri modi. (Le confezioni di pillole combinate hanno spesso anche le pillole placebo per la settimana di interruzione, mentre le minipillole no.)

Quindi, le donne che prendono le pillole seguendo le indicazioni sono protette da gravidanze indesiderate per tutto il mese—e anche durante la settimana in cui avranno perdite di sangue. Le pillole anticoncenzionali possono essere in confezioni da 21 giorni, con sette giorni di interruzione—durante i quali sei protetta, ma devi ricominciare sempre nel giorno giusto il pacchetto successivo.

Altre confezioni possono essere da 28, da 90 o da 365 giorni, e anche questi possono avere "strisce" da sette giorni non ormonali, o solo estrogeniche, o che contengono supplementi come il ferro. L'interruzione non inficia la protezione dalla gravidanza nemmeno in questi casi. Detto questo, ci sono anche coppie che per sicurezza psicologica usano anche il preservativo durante l'interruzione. 

Le pubblicità per l'allungamento del pene—e il porno—hanno incasinato la percezione delle dimensioni del maschio medio. Quando gli dici di indovinare quale sia la dimensione media, ti dirà che il pene eretto medio dovrebbe essere lungo 15-16 centimetri. Perciò un sacco di uomini mi hanno scritto, preoccupati che il loro pene—normalissimo—sia inadeguato. Ma molti studi nel corso degli anni hanno stabilito che la lunghezza media di un pene eretto sta tra i 13,7 e i 14,2 cm.

Uno studio condotto su 1661 uomini dal mio team ha scoperto che la lunghezza media in erezione è di 14,14 cm, e almeno un uomo su quattro ha un pene di 13,7 cm o più corto. I ricercatori hanno anche stabilito che i migliori indicatori della soddisfazione di una coppia sono cose come quanto spesso i partner si baciano, coccolano, e quanto si sentono legati psicologicamente ed emotivamente.

Anche se il numero di persone che hanno provato il sesso anale è aumentato nel corso degli ultimi trent'anni, sono pochi quelli che lo fanno con regolarità. Secondo il National Survey of Sexual Health and Behavior, circa un terzo degli americani hanno fatto sesso anale almeno una volta nella vita. Però solo il 12 percento degli americani ha fatto sesso anale almeno una volta in un anno—e non sorprende che siano soprattutto uomini gay o bisessuali.

Ma molti dei miei studenti dicono che il sesso anale è "la norma" e si sentono sotto pressione per provarlo. Considerato che molte donne descrivono il sesso anale come doloroso, è difficile immaginare di voler essere costretti a provarlo. Detto questo, se vi piace il sesso anale, ottimo—il mio consiglio è di usare un sacco di lubrificante, comunicare apertamente con l'altro, e andare molto, molto piano all'inizio. 

E se non vi piace? Ci sono un sacco di altre cose da fare. E poi, qualunque cosa facciate, non fingete per nessun motivo di aver "sbagliato buco"—secondo alcune ricerche il 10 percento degli universitari hanno accampato questa scusa.

Anche se molti pensano che l'orgasmo sia un importante fattore di soddisfazione sessuale, non tutti lo raggiungono sempre. E decenni di ricerca nel campo del sesso hanno reso chiaro che per le donne ci vuole spesso molto più che per gli uomini a capire come farlo, forse perché cominciano a masturbarsi più tardi. 

E la masturbazione è quello che ci insegna come raggiungere l'orgasmo. Le "regole" legate al genere fanno anche sì che le donne non si sentano in diritto di insistere sul loro bisogno di raggiungere l'orgasmo, anche quando sanno come farlo. Non importa il tuo genere, però, se vuoi fare sesso con qualcuno devi sempre fare del tuo meglio per essere gentile, generoso e attento. Cerca di capire cosa piace all'altro.

Chiedi che ti dica cosa prova quando lo tocchi, lecchi, penetri, o altro. Cerca di migliorare usando anche app come OMG Yes. Ma se una ragazza non ha mai avuto un orgasmo, non significa che il suo corpo sia sbagliato o il suo clitoride non funzioni. Molte donne danno la colpa al proprio corpo quando, in realtà, nella maggior parte dei casi sarebbero in grado di avere un orgasmo. Spesso ci vogliono tempo, esperienza, pazienza, comunicazione e attenzione. 

La diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili ha spesso a che fare con la scarsa educazione sessuale, il costo delle spese mediche, e il livello di "sex positivity" in una cultura. Ancora peggio è il fatto che molti non usino il preservativo. Ma quello che dovreste sapere è molto semplice: i preservativi sono l'unico modo di proteggervi da malattie sessualmente trasmissibili come la clamidia, la gonorrea e l'HIV. 

Eppure spesso bastano un paio di settimane con una persona per decidere che non è più il caso di usarli, anche se ancora non si è deciso per l'esclusività della coppia. Ecco, prima di farlo, fatevi testare, fatevi curare, e usate il preservativo almeno un mese più a lungo di quello che ritenete necessario. 

Non so se sia perché il nome fa pensare a una specie di bottone magico che apre le porte a ondate di piacere, o perché gli uomini si raccontano storie fantastiche a riguardo, ma diversi ragazzi mi hanno detto di esser rimasti piacevolmente sorpresi nello scoprire la verità sul punto G. C'era anche un po' di delusione nello scoprire che non si tratta di un punto segreto nel corpo della donna che, se toccato anche una sola volta, porta a un orgasmo dopo l'altro.

Il cosiddetto G–spot è in realtà una zona situata sulla parete anteriore della vagina che, se stimolata—di solito facendoci un po' di pressione—può dar piacere. In altre parole, a volte la stimolazione del punto G può portare all'orgasmo, a volte no. Se la tua partner rientra in questa seconda categoria, non è un problema—hai comunque tutto il resto del corpo e del cervello con cui lavorare.

Francesca Favotto per vanityfair.it il 12 marzo 2022.

Ben 8 donne su 10 fanno sesso durante il ciclo: lo ha svelato un sondaggio recente svolto da Intimina, brand che si occupa di benessere femminile a 360 gradi, chiedendo le abitudini a letto a oltre 500 donne di tutto il mondo, di età compresa tra i 18 e i 50 anni. 

Un dato che la dice lunga sulle resistenze a letto delle donne. Ci stiamo liberando di una scusa? Stiamo forse imparando a gestire meglio le mestruazioni? Oppure ci stiamo lasciando andare a qualcosa che succede a livello ormonale?

«Fino a qualche decennio fa, ma che dico, anni fa, noi donne eravamo ancora soggette a numerose credenze e tabù riguardo alle mestruazioni – spiega la dottoressa Roberta Rossi, psicoterapeuta e sessuologa presso l'Istituto di Sessuologia Clinica di Roma – Ci hanno insegnato a non farci il bagno, a non lavarci i capelli, figuriamoci se l'attività sessuale era contemplata durante le mestruazioni... Oggi qualcosa sta cambiando».

La resistenza però non era solo femminile, anche maschile. «Sì, non vanno demonizzate solo le donne in questo. È sbagliato pensare che agli uomini vada il sesso sempre e comunque. Anche qualche uomo non era d'accordo a fare sesso durante le mestruazioni, e qualcuno lo è ancora oggi, così come molte donne ancora oggi non vogliono farlo. Il pensiero che il sangue mestruale sia “sporco” è comune e accettabile. Ecco, vorrei passasse il messaggio che fare sesso con il ciclo è un'opportunità, ma non un obbligo. Occorre sempre che le due controparti siano consenzienti. Ma di sicuro vi sono dei vantaggi importanti nel farlo durante il ciclo mestruale».

Ecco i vantaggi e anche un espediente per fare sesso in modo sicuro e sereno durante le mestruazioni. 

Aumenta il desiderio per via degli ormoni

Il desiderio sessuale di solito aumenta durante le mestruazioni. «Le donne si stanno riappropriando di un periodo che spesso veniva indicato come scusa per non fare sesso. Ovviamente immagino che siano donne che non vivono in modo troppo sofferto la mestruazione e anche che i rapporti probabilmente si situano nei giorni meno abbondanti.

È difficile collegare la libido alla funzione di un unico ormone, poiché sono moltissimi i fattori che hanno un impatto sul desiderio femminile – spiega Rossi -. Le mestruazioni dipendono da un calo drastico nel progesterone e questo potrebbe in parte spiegare l’incremento del desiderio sessuale, che solo secondariamente potrebbe incidere sull’eccitazione riportata da molte donne soprattutto nel primo giorno di ciclo».

Si vive il sesso con più libertà e serenità

«Sulla maggiore eccitazione è possibile che agisca anche un fattore psicologico che fa sentire la donna più libera dal pericolo gravidanza in questa fase – prosegue Rossi - Ma attenzione a questo pensiero: in realtà è raro, ma è possibile che si possa rimanere incinta anche durante il ciclo, sia per la possibilità di una doppia ovulazione sia perché una volta finito il rapporto sessuale, gli spermatozoi possono sopravvivere nel corpo femminile per 3-4 giorni».

Si è più lubrificate in modo naturale

«Altro aspetto è la sensazione di bagnato prodotta dal ciclo, che potrebbe contribuire alla sensazione di eccitazione, simulando la “lubrificazione” tipica di questa fase», continua Rossi. 

I dolori mestruali diminuiscono

«Il sesso con il ciclo può anche essere molto benefico per il corpo. È dimostrato che può aiutare a diminuire il dolore e i crampi e può anche ridurre la durata del periodo poiché un orgasmo può accelerare il processo dell'utero che perde il suo rivestimento», conclude Rossi.

Fare sesso durante il ciclo in modo più sereno? Con la coppetta mestruale

Un espediente per fare sesso in modo confortevole e senza problemi è utilizzare la coppetta mestruale riciclabile. «Molte donne magari vogliono anche provare a farlo durante il ciclo, ma temono di sporcare. Ma la coppetta mestruale è un'ottima soluzione per godersi il momento senza pensieri. La sua forma, infatti, è simile a un diaframma e si trova proprio sotto la cervice, permettendo così la penetrazione standard senza interruzioni. 

Da "donnaglamour.it" il 9 marzo 2022.

Madre Natura con il tuo lui si è data da fare: essendo superdotato, potrebbe essere ancora più eccitante fare l’amore con il tuo partner. Peccato, però, che potrebbe anche fare un po’ male... 

La vagina è sì elastica, ma ha anche una profondità che, ovviamente, prima o poi giunge al termine. Se lui ha il pene grande potrebbe provocare dolore il contatto con la cervice; senza nulla togliere al sesso orale, che potrebbe provocare anche dei disagi… Ecco come fare l’amore se lui ha il pene grande!

Lui ha il pene grande, le posizioni per fare l’amore Innanzitutto, è importante sapere che in primis lui deve concentrarsi molto sui preliminari: in questo modo rende la vagina più lubrificata e… pronta a difendersi. 

Ovviamente, per avere maggiore sicurezza, tu e il tuo partner potete ricorrere al lubrificante. Non solo per te, ma anche il suo gioiello ha bisogno di diventare più pratico e il lubrificante potrebbe aiutare molto.

Non sarà Rocco Siffredi (mai dire mai), ma per non trasformare il sesso in un film hot, potete ricorrere a delle posizioni ottime per sentire meno dolore e aumentare l’eccitazione! Quella più gettonata è che tu stia sopra e lui sotto: con questa posizione puoi gestire bene la penetrazione e tenere tutto sotto controllo. 

Un’altra posizione perfetta per fare l’amore è “il loto”: lui seduto sul letto e tu seduta sopra di lui con le gambe incrociate dietro la sua schiena.

Una posizione non proprio romantica, ma molto passionale: in piedi, appoggiata su un muro, con una gamba alzata e lui che ti penetra con semplicità ma senza esagerare. Il dolore, così, viene percepito molto di meno e il piacere prende il sopravvento.

Tre posizioni dove il romanticismo e la passione non mancano di certo; l’importante è non concentrarsi solo sul dolore, ma focalizzarsi sulla passione!

Pasquale Chessa per “il Messaggero” il 6 marzo 2022.  

Facendo leva sul celebre assioma femminista di Simone De Beauvoir, «Donna non si nasce, lo si diventa» Catherine Malabou, filosofa del femminile alla Kingston University di Londra, cerca di sollevare la coltre di pregiudizi antropologici e storici, ma soprattutto politici, che hanno condizionato la riflessione teoretica sul godimento sessuale della donna: quel «continente nero», inesplorato e inesplorabile, di cui parla Sigmund Freud. 

Se il titolo propone il tema classico del Piacere rimosso è con il sottotitolo Clitoride e pensiero che si radicalizza il punto di vista della filosofa francese con l'obbiettivo di sovvertire la concezione della sessualità femminile al di là della contrapposizione uomo/donna. Contro la teoria di Freud che vedeva la normale evoluzione della sessualità femminile nel passaggio dal primigenio stadio clitorideo al piacere vaginale, Malabou rielabora la tesi della esistenza di «due organi» preposti al godimento sessuale della donna ché «senza la clitoride la vagina rimarrebbe muta» indipendenti dalle finalità riproduttive della sessualità. 

D'altronde l'orgasmo femminile, al contrario dell'orgasmo maschile, non ha nessuna funzione diretta nella riproduzione. In questa prospettiva, alla pratica della mutilazione fisica della clitoride (clitoridectomia), in Occidente corrisponderebbe una mutilazione simbolica. Con la sua filosofia anarchica la clitoride, «organo del pensiero», sottrae la donna alla condizione di uomo mutilato e quindi di oggetto sessuale, restituendole la dignità che la storia le ha negato. 

In un saggio parallelo intitolato Il sesso che verrà. Donne e desiderio nell'era del consenso, con divertita spregiudicatezza la sessuologa della femminilità Katherine Angel cita la prosa ribalda di Norman Mailer quando, nel suo Prigioniero del sesso, rivela una profonda invidia di fronte «all'abbondanza sconfinata degli orgasmi femminili». 

Ecco: la sessualità contempla una tale complessità esistenziale che non può essere imbrigliata nella retorica delle contrapposte pulsioni. Perciò, oltre a consenso la parola chiave è consapevolezza. Ne discende che a ciascuna donna va riconosciuto il diritto di chiedere cosa desidera. Come ha spiegato Jacques Lacan, l'interprete più autentico del pensiero di Freud, il sesso degli umani ha bisogno della parola al contrario degli animali obbedisce alle leggi del linguaggio, cioè deve essere parlato, detto, raccontato.  

C'è davvero poco sesso e zero erotismo nel video che l'attore porno James Deen ha girato con una sua fan consenziente con lo pseudonimo Girl X. Invece ci sono molte chiacchiere preliminari: dire sì è tanto difficile quanto dire no! Si piacciono e se lo confessano ma lei non vorrebbe mostrarsi al mondo intero; lui asseconda i suoi dubbi visibilmente attratto da lei che manifesta il suo desiderio e infine cede. Il passaggio all'atto è totale: il video sarà messo in rete. 

Sia nel Piacere rimosso che nel Sesso che verrà, si sente come una mancanza l'assenza del discorso amoroso, l'inconciliabilità fra sesso e amore. Ma, rispetto all'ottimismo un po' dolciastro di Katherine Angel che immagina per il futuro un edonismo diffuso, addirittura una nuova concordanza fra piacere femminile e desiderio maschile, appare di gran lunga più riuscita la riflessione filosofica di Catherine Malabou, spesso messa alla prova dal profondo pessimismo intrinseco al suo radicalismo, che ci consente di infrangere il diaframma fra la donna ideale e la donna reale.

Sesso, l'abitudine-killer: qual è l'errore che azzera la tua vita sotto alle lenzuola. Libero Quotidiano il 04 marzo 2022.

Sono dieci gli errori da non fare per evitare di rendere la vita sessuale con il proprio partner un incubo. Primo tra tutti, alla base di un buon rapporto, quello di non essere egoisti. In cima alla lista degli sbalzi d’umore - scrive il Daily Mail - c’è un amante che si assicura di ottenere tutto ciò di cui ha bisogno per raggiungere l'orgasmo ma non fa nessuno sforzo per assicurarsi che anche il tuo piacere sia assicurato. Seguono poi i cattivi odori. Mai e poi mai verrebbe voglia dopo che si ha davanti a sé una persona le cui ascelle o il cui alito puzzano. Per questo è consigliabile sistemarsi sempre prima di mettersi a letto. Almeno quando si è in compagnia.  

Ma non è tutto. Anche la fretta può giocare brutti scherzi. I preliminari non sono un lusso per le donne, sono essenziali. Ma le donne sono in buona compagnia, visto che non sono le uniche a cui piacciono i preliminari: più lunga è la sessione, più intensi sono gli orgasmi per persone di tutti i sessi e sessualità. Altrettanto scoraggiante avere il tempo limitato. Alla maggior parte delle persone infatti non piace essere costretti a fare sesso con un occhio all'orologio. Altro sbaglio? Guardare il telefono. Secondo uno studio sono addirittura 10 le persone, su 1000 testate, a controllare il cellulare. 

Guai anche lasciarsi andare a "parole sporche". Molti, tra uomini e donne, non apprezzano il parlare troppo del compagno/compagna. A maggior ragione se si tratta di frasi inappropriate. Allo stesso tempo, non è consigliabile essere troppo rumorosi: qualcuno che geme molto forte è imbarazzante e scoraggiante. A spegnere la passione anche il cambio di posizione. Sempre se continuo. Infine, l'ultima regola riguarda gli animali domestici. Avere cane e gatto sul letto è tutt'altro che romantico.

DAGONEWS il 3 marzo 2022.

Se vi state chiedendo perché New York è la città in cui non si non si dorme mai, ecco la risposta. In un anno sono arrivate 270 denunce di newyorkesi che si lamentano di non poter più sopportare le urla dei vicini di casa durante le loro maratone di sesso. 

C’è chi si lamenta di “orge in cortile”, chi non riesce a chiudere occhio perché la vicina urla che il compagno è un “tirannosauro del sesso” e chi è stato costretto ad ascoltare l’amplesso dei dirimpettai in pieno pomeriggio. «Sono una donna cristiana, aiuta questa ragazza a smettere di fare sesso rumoroso prima che lo faccia Dio» ha detto esasperata al telefono una donna del Bronx dopo una notte insonne.

In tutti i cinque distretti della città, il Queens ha registrato il maggior numero di denunce, con 103. Manhattan è arrivata seconda con 66 mentre Brooklyn ne ha ricevute 55, Bronx 48 e Staten Island quattro. 

Milena Gabanelli e Simona Ravizza per il “Corriere della Sera - DataRoom” il 21 Febbraio 2022.  

La paura degli effetti collaterali è esplosa con la campagna vaccinale, spinta dall’attenzione verso un farmaco messo inizialmente sul mercato con un’autorizzazione in via emergenziale, tant’è che i vaccini contro il Covid sono i più osservati di sempre, e ogni minimo sintomo viene segnalato al medico e alla farmacovigilanza. 

Su altri medicinali la preoccupazione sta a zero. Prendiamo quelli contro la disfunzione erettile: Viagra (a base di Sildenafil), Cialis (a base di Tadalafil) e Levitra (a base di Vardenafil), e i generici con gli stessi principi attivi.

Nel 2020, ultimi dati Aifa disponibili, le vendite ufficiali ammontano a 212,9 milioni di euro per 41,4 milioni di dosi, collocandoli tra i farmaci più venduti di fascia C (ossia non rimborsati dal Servizio sanitario nazionale) dopo il paracetamolo e gli ansiolitici a base di benzodiazepine. L’Italia è il secondo Paese al mondo per consumo dopo la Gran Bretagna.

In farmacia e solo con ricetta: gli effetti collaterali

Devono essere venduti solo in farmacia e su prescrizione medica, perché rischiosi (d.lgs. 219/2016, art. 112-quater comma 1). Le reazioni avverse del Viagra sono segnalate da Ema. Quelle molto comuni (più di 1 su 10): mal di testa. Le comuni (1 su 100): vertigini, disturbi visivi, vampate di calore, congestioni nasali e nausea.

Uno su 1.000: rinite, sonnolenza, congiuntiviti, vertigini, tachicardia, palpitazioni, ipertensione, epistassi, vomito, dolori addominali e dolori al petto, frequenza cardiaca aumentata. Uno su 10.000: morte cardiaca improvvisa, infarto, aritmia e fibrillazione atriale. 

Chi li compra: i numeri del sommerso

Dalle statistiche della Società italiana di Urologia su 3 milioni di maschi italiani che hanno il problema il 13% del totale, solo 600 mila, seguono una terapia; vuol dire che gli altri 2,4 milioni sono potenzialmente gli acquirenti che si rivolgono al mercato web illegale.

Lo sono, come confermano urologi e andrologi, soprattutto i giovani che assumono la pillola per fare fronte all’ansia da prestazione, e per i quali sarebbe più utile invece un colloquio con uno psicologo. A questi numeri si sommano quelli che sfuggono alle statistiche: i consumatori di serate hard, dove insieme alla pillola blu si assumono anche stupefacenti. 

(...) su 3 milioni di maschi italiani che hanno il problema il 13% del totale, solo 600 mila, seguono una terapia; (...) altri 2,4 milioni sono potenzialmente gli acquirenti che si rivolgono al mercato web illegale

Le farmacie online: come funzionano

Online possono essere venduti solo medicinali senza obbligo di ricetta e solo da farmacie o «corner della salute» autorizzati. Per rendere immediatamente riconoscibili gli esercizi commerciali con il permesso di vendere farmaci, il ministero della Salute ha predisposto un «logo identificativo» da esporre sulla pagina web: all’utente basta cliccare sul logo e, se tutto è in regola, viene rinviato all’elenco delle farmacie autorizzate. Tutte le altre sono fuorilegge.

A metà febbraio ne abbiamo contate almeno 46 che offrono illegalmente in Italia il Viagra e gli altri farmaci contro la disfunzione erettile: non viene chiesta la ricetta medica, il prezzo è più basso di almeno il 30% (intorno ai 10 euro a pillola spacciata per una compressa da 100 mg di Viagra contro i 15-16 euro di quella originale Pfizer), tempo per completare l’ordine 3 minuti, consegna in 4-7 giorni, pagamento anche in bitcoin, garanzia di anonimato, recapito in busta non identificabile. Ma chi c’è dietro a queste farmacie che operano spudoratamente alla luce del sole? Vediamolo, con l’aiuto della società milanese di cyber security Swascan (gruppo Tinexta spa) guidata dal ceo Pierguido Iezzi.

Cos’è il meccanismo del web mirroring

Per un consumatore è sufficiente digitare su Google «acquisto Viagra» e il primo sito che compare è apertafarmacia.it, attivo in Italia dal 28 luglio 2020, segnalato da Dataroom ai Nas e infine oscurato il 16 febbraio. 

L’indirizzo Ip, ossia la base del server, è a Zurigo. Il sito è intestato a un prestanome (Wolfgang Preussner), per il servizio clienti è indicato un numero di telefono italiano. L’e-mail fornita (supportateu-sup24x7.com) è la stessa di altri siti come vera-farmacia.com (indirizzo Ip Londra, 24-1-2020) farmacia-amore.com (indirizzo Ip Filadelfia, in Pennsylvania, 7-11-2019) medsitalia.com (indirizzo Ip Milano, attiva dal 12-10-2014).

Il meccanismo si chiama web mirroring: questi siti sono mirror, ossia hanno indirizzi diversi ma contenuti identici o quasi che fanno capo a un unico portale «madre», in questo caso ipillcash.com con 730 domini in tutto il mondo e che offre in cambio del 45% degli incassi l’infrastruttura per aprire la farmacia online e gestisce in background ordini, vendite, spedizioni e pagamenti.

Dietro c’è un tale Mikle Bodro, che risiede probabilmente nell’area dell’ex Unione Sovietica in quanto appare molto frequentemente in forum e pagine cirilliche e soprattutto quando contattato ha risposto tramite un dominio e-mail che corrispondeva al fuso orario UTC+2.

L’e-mail di riferimento è sempre supportateu-sup24x7.com anche per adriaship.it e rigatoromano.it: uno è un sito di imbarcazioni, l’altro di pellami, ma a insaputa dei gestori reali dietro questo indirizzo è nascosta la url che rimanda a siti per l’acquisto di pillole contro l’impotenza. In generale, per l’utente è facile arrivarci perché hanno motori di ricerca a «inserimento previsione rapido», vuol dire che metti le prime lettere ed esce subito quello che stai cercando.

I rischi dei farmaci falsificati: con calce e vernici tossiche

Dunque Ema ha certificato i rischi del Viagra evidenziati dalla casa produttrice Pfizer, dove viene imposta l’assunzione solo dietro controllo medico, anche perché la disfunzione erettile può essere conseguenza di problemi di salute più gravi (come ipertensione, diabete e scompensi cardiaci) e che devono essere curati per non degenerare.

A questi rischi si aggiungono quelli delle pillole acquistate online, in quanto farmaci falsificati e illegali. Dalle indagini dell’Oms solo l’1% è originale e arriva da mercati paralleli, mentre il resto o non contiene i principi attivi (32,1%), o sono presenti in quantità non corrette (20,2%), oppure è composto da ingredienti sbagliati (21,4%), o contiene alti livelli di impurità e contaminanti (8,5%). Il 15,6% infine ha un packaging falso.

I farmaci contro l’impotenza sono in assoluto i più contraffatti e falsificati: i dati dell’Ufficio qualità dei prodotti e contrasto al crimine farmaceutico di Aifa mostrano che da almeno 10 anni oltre il 75% dei medicinali sequestrati attraverso operazioni di controllo doganale come «Pangea» o «Shield», oppure attraverso controlli mirati sul campo, riguardano proprio la disfunzione erettile.

Dal 2017 a oggi sono state sequestrate oltre 2,5 milioni di pillole. Dalle analisi effettuate è stata scoperta calce al posto del magnesio stearato e la presenza di vernice blu per colorare le pillole. La National Association of Boards of Pharmacy (Nabp) che monitora migliaia di farmacie online rileva che il 95% vende farmaci illegali e pericolosi per la salute. Spesso ingannano pure: richiedono la ricetta medica dando la possibilità di ottenerla online sullo stesso sito dietro pagamento di un’ulteriore cifra o mettendo in contatto l’acquirente con un sedicente medico. 

Le attività di indagine: i siti oscurati

Dal 2018 l’Ufficio della direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico del ministero della Salute ha fatto oscurare 90 siti su segnalazione di Nas, Aifa, Federazione dell’ordine dei farmacisti e privati cittadini. Il tempo medio per oscurare un sito è di un paio di settimane.

Ma come li chiudi ne vengono aperti altri il giorno dopo. Chi compra su questo mercato, se poi ha problemi, tende a non parlarne con il medico e quindi non si attiva il sistema di farmacovigilanza. Ed è come se il problema non esistesse. Informazione collaterale per chi si preoccupa degli incassi di Big Pharma: basta guardare Statista.com e appare evidente come sul Viagra e simili il guadagno per le case farmaceutiche è del 95%. Luogo di produzione: India e Cina. Gli stessi luoghi dove si producono anche i farmaci falsi del mercato online. 

Dagotraduzione da Le Monde il 14 febbraio 2022.

A letto bisogna “tenere duro”: gli uomini si ripetono questa formula dalla notte dei tempi. È dal cronometro che valutano non solo le loro prestazioni sessuali, ma, a quanto pare, il loro valore come esseri umani. 

Quando sei una donna, questa ossessione è esoterica come il volo degli storni. Perché gli uomini non mettono il piacere, o la scoperta, in cima alle loro priorità sessuali? Sembrerebbe buon senso. Sfortunatamente, il maschio contemporaneo è fastidioso. Vuole "tenere". Se lo fa, è felice. Se fallisce, si sbriciola in polvere.

Il problema è che apparentemente il maschio contemporaneo fallisce. Quasi sempre. Secondo il sondaggio IFOP/Charles.co dell'ottobre 2019, il 90% degli uomini vorrebbe eiaculare più lentamente. Traduzione: il 90% degli uomini si trova sessualmente insufficiente. 

Dovremmo accusare la pornografia o il culto della performance? Personalmente, voto per un'affascinante tendenza a mettere la propria arroganza nel peggior posto possibile. L'eiaculazione è un riflesso. Voler ostacolare il normale funzionamento del proprio corpo equivale a voler addomesticare l'animale in sé stessi: una barriera contro il biologico. Tutto questo è di una nobiltà ammirevole. Tuttavia, beh, non funziona.

Quale durata si dovrebbe raggiungere per “tenere” sufficientemente – diciamo, il minimo sindacale di prestazione? La media statistica delle penetrazioni, cronometrata dalla scienza, è di 5 minuti e 40 secondi. E tu sai cosa? 5 minuti 40 sono già tanti. Personalmente, in 5 minuti e 40, ho il tempo di finire un sudoku non troppo complicato. 

Solo che gli uomini non sono soddisfatti di questa durata così onorevole. Tenere duro abbastanza a lungo non è abbastanza per loro: devi resistere molto. E forse anche oltre. Quando gli uomini stessi dichiarano la durata della loro penetrazione, la stimano in 13 minuti. Secondo i sondaggisti, questa durata è sopravvalutata (IFOP/Charles.co).

Ora poniamo la domanda fastidiosa: per quale scopo dovremmo "trattenere" queste interminabili erezioni? Se ascoltiamo gli uomini stessi, l'obiettivo dichiarato si rivela invariabilmente altruistico. Non ci prendiamo cura di noi stessi – oh no, soprattutto no – ci prendiamo cura dell'altro. Perché come tutti sanno, nessun essere umano, dopo Matusalemme e perfino le amebe, ha mai provato il minimo piacere senza la stimolazione di un pene.

Incomprensione sessuale

Il problema di questo scenario è che si scontra con una realtà rimasta a lungo invisibile, ma ormai comunemente accettata: a letto, le donne preferiscono quando la penetrazione finisce velocemente. Non sono io a dirlo, sono le cifre della simulazione. Secondo le ultime notizie, il 91% delle donne aveva già simulato l'orgasmo... E tra loro, il 56% aveva simulato con l'obiettivo di abbreviare l'atto sessuale (indagine Gleeden, dicembre 2021).

Il 56% del 91% delle donne è la maggioranza. Questa cifra rivela la portata dell'equivoco sessuale: gli uomini fanno di tutto per prolungare relazioni che le donne farebbero di tutto per abbreviare. E quando parlo di dolore intenso, non è solo una figura retorica: quasi due uomini su tre sono preoccupati di raggiungere l'orgasmo troppo in fretta. 

L'11% ha già assunto farmaci per ritardare l'eiaculazione, il 52% ha già pensato a cose che potrebbero rompere la sua eccitazione, il 66% si costringe a fare delle pause e l'82% rallenta il ritmo (IFOP/Charles.co ). E perché non prendere la prima galea per la colonia penale, sempre che ci siamo?

Naturalmente, questa domanda ci obbliga a rimettere in discussione uno dei fondamenti della nostra immaginazione sessuale: che il volere quella penetrazione "parifichi" uomini e donne, che sarebbero, per qualche istante (5 minuti e 40 appunto), in stato di beata fusione. 

A questa finzione vogliamo credere. È anche per questo desiderio di crederci che le donne fingono. Ma bisogna ammetterlo: durante il sesso, uomini e donne hanno interessi opposti. Potrei anche andare oltre: ciò che gli uomini considerano una performance costituisce, per la maggior parte delle donne, una performance scadente. E ogni volta che un uomo si sente come se avesse «risolto il suo problema» di eiaculazione precoce, in realtà ha creato un problema per i suoi partner. 

Un amante che "tiene" è la ferita

Questa discrepanza alla fine sarebbe abbastanza comica se la nostra cultura sessuale desse a tutte le voci lo stesso peso. Ma questo non è il caso. L'eiaculazione rapida è concettualizzata, e persino oggettivizzata, come un problema. Quando si digita "eiaculazione rapida" su Google, i risultati suggeriscono che si tratta di una malattia grave, da curare il prima possibile. Cosa accadrebbe se invertissimo l'equazione e considerassimo questo problema come una soluzione? Perché per non sentire la voce delle donne, continuiamo a diffondere l'idea che un uomo che "tiene duro" impressionerà i suoi partner e, più in generale, eserciterà un enorme potere di attrazione.

Bene, scusa: non sono d'accordo. Un amante che "tiene" è la ferita. È anche la doppia ferita. Non solo devi tollerare il sesso lungo, ma devi anche ascoltare il commento dell'eroe del giorno sulle sue imprese, qualcosa che non manca mai di fare prima, durante e dopo. Inoltre, anche se significa rompere l'umore, non ho mai veramente capito la differenza tra un maratoneta sessuale e un rompicoglioni. Se non sei d'accordo, tieni presente che ho la semantica dalla mia parte: quando ti trattieni, ti trattieni. Non ci arrendiamo. Essere l'amante di un uomo che non si arrende mai: che noia!

E poi francamente, gli uomini che non reggono hanno un sacco di qualità. Non solo ci danno il tempo di finire la griglia della giornata su Wordle ma, necessariamente, cercheranno di compensare altrove. Il loro talento si esprimerà poi in mille altri modi: volenti o nolenti, reinventano la nostra idea di performance. Perché non ringraziarli, invece di prenderli costantemente in giro?

Inoltre, questi eiaculatori rapidi sono la maggioranza: secondo il sondaggio IFOP/Charles.co effettuato nell'ottobre 2019, quattro uomini su cinque non sono già stati in grado di trattenere un'eiaculazione. E non stiamo parlando di un singolo evento: il 70% degli uomini ha avuto questa esperienza almeno una volta nei dodici mesi precedenti. 

Se vuoi la mia opinione, è giunto il momento di riabilitare la velocità. In tutti gli ambiti della nostra vita, siamo valutati in base alla nostra capacità di portare a termine rapidamente i compiti che ci spettano: nel sesso dovrebbe essere lo stesso. Consiglio anche di smettere di parlare di eiaculatori precoci, ma di parlare di eiaculatori efficaci. E se ti piacciono i piaceri lunghi, anche infiniti, nessun problema: a prenderti il tuo tempo, ci saranno sempre cunnilingus, carezze e sex toys.

Da "Lelo" il 9 febbraio 2022.

Romantici e passionali. Tradizionalisti o trasgressivi. Desiderosi di sperimentare e provare sensazioni nuove.  Altruisti e consapevoli del proprio piacere. Lo stereotipo "Italians do it better", gli italiani lo fanno meglio, descrive da sempre gli italiani come tra i migliori amanti del mondo. Ma quali sono le loro vere abitudini e preferenze in camera da letto? 

LELO, brand leader nel mercato dei sex toys, svela la classifica delle posizioni sessuali più amate dagli italiani, risultato di una ricerca realizzata in collaborazione con l’Istituto AstraRicerche.

Legs Up, il nuovo must have degli italiani

Una persona è sdraiata supina e tiene le gambe sollevate, mentre l’altra la penetra sorreggendole le gambe e posizionandosi sulle ginocchia: è Legs Up la posizione più amata dagli italiani, al primo posto in classifica con una preferenza per il 54%. 

Una posizione che non risparmia gli sforzi o le energie, ma restituisce il massimo del piacere e del godimento di coppia permettendo di trovare la perfetta sintonia tra penetrazione e stimolazione clitoridea. 

Questa posizione è un’ottima alternativa alla più tradizionale posizione del missionario se si vuole mantenere il contatto visivo e intimo. Inoltre, è ideale se si vuole introdurre nel gioco anche un sex toy. In particolare, Sila Cruise con cui raggiungere il culmine del piacere con dolci onde soniche che sentirai dalla testa ai piedi. 

Lo Squat

Tra le posizioni più gradite (53.1%) e più passionali (29.8%) dagli italiani, la posizione dello Squat è perfetta per le donne in quanto dà loro il controllo sull'angolo di penetrazione, la profondità e la velocità mentre sono sopra, oltre a dominare il partner invertendo i ruoli della coppia. 

Mentre permette all’uomo, in posizione più rilassata di afferrare i glutei della compagna, assecondarne i movimenti e stimolare le sue zone erogene. 

La pecorina, e il piacere femminile è assicurato

Chiude il podio, al terzo posto, l’intramontabile “Pecorina” apprezzata dal 52.7% degli italiani. Un grande classico che garantisce una penetrazione profonda e restituisce all’uomo una sensazione di dominio, che risveglia istinti animaleschi (sarà forse questo a giustificare una crescita del valore di preferenza proprio nel sesso maschile con un 64%).

Ma non per questo meno apprezzata dalle donne: la pecorina è infatti una delle migliori posizioni sessuali per garantire l’orgasmo femminile. 

La posizione di Andromaca o Cowgirl

Con il 52.6% del gradimento degli italiani, Andromaca o Cowgirl offre il massimo del contatto e dell’intimità pelle su pelle. I partner possono mantenere il contatto visivo in ogni momento e stimolare contemporaneamente altri punti erogeni (come ad esempio il petto e il seno) o baciarsi facilmente.

Particolarmente indicata per raggiungere il punto G, questa posizione consente al partner che sta sopra di avere il pieno controllo della penetrazione, della velocità, della profondità e degli angoli per adattarsi al meglio al proprio piacere. Allo stesso tempo è molto apprezzata anche da chi sta sotto perché, in un ruolo passivo, può godere di tutti i movimenti del partner. 

Il Missionario: la zona di confort tra le lenzuola

La donna è sdraiata supina e l’uomo la penetra posizionandosi sopra di lei. La posizione del Missionario è sicuramente una delle più conosciute e semplici da eseguire, una sicurezza per gli italiani che la inseriscono al 5° posto in classifica.

Gradita dal 46% degli italiani, questa posizione non deve però trarci in inganno: “zona di confort” non significa infatti monotonia. È proprio con questa posizione che si possono sperimentare varianti e alternative giocose interessanti per conoscere il proprio piacere e accrescere la sintonia di coppia. 

L’agguato, quando la passione diventa l’irresistibile

Non poteva mancare in classifica una posizione da sesso in piedi. L’agguato, apprezzata dal 40.8% degli italiani. Poco impegnativa da un punto di vista fisico, senza il bisogno di appoggiarsi da nessuna parte, e nemmeno di togliersi completamente i vestiti; è l’ideale per quei momenti di passione a cui non si può resistere, quando si ha un’irrefrenabile voglia di fare l’amore ovunque.

Tra le posizioni di media difficoltà fisica preferite dagli italiani ci sono anche la Seduta (38.9%), l’Elefante (37.2%) e la Cowgirl Reverse (34.9%), ottimi esempi con cui rompere la routine di coppia ed esplorare nuovi viaggi verso il piacere. 

Chiudono la classifica le posizioni più “romantiche” il Cucchiaio e il Loto, rispettivamente 25.2% e 23.8%. Nel primo caso i due amanti sono distesi su un fianco, in posizione fetale; nel secondo, invece, uno è seduto a gambe incrociate mentre l’altro si posiziona sopra di lui cingendolo con le sue cosce. Per entrambe le occasioni l’estrema vicinanza dei corpi assicura il massimo dell’eccitamento e della sensualità, anche se la penetrazione non è così profonda come in altre posizioni.

B. Fiorillo per today.it il 4 febbraio 2022.  

L’ipersessualità, o dipendenza dal sesso, rientra nella categoria delle “dipendenze comportamentali“, cioè dei comportamenti patologici nei confronti di oggetti o attività apparentemente innocue (come il cibo, il gioco d’azzardo, il lavoro, lo shopping e la sessualità). A volte questo disturbo è confuso erroneamente con l’alta frequenza di rapporti sessuali. 

Ma mentre in quest’ultimo caso le persone vivono eccessi sessuali che sono in grado di gestire, i dipendenti dal sesso sperimentano una completa perdita di controllo sulla propria capacità di dire no e di scegliere quando si tratta di sesso. 

Il comportamento dell’ipersessuale è, infatti, caratterizzato da fantasie sessuali ricorrenti, impulsi e comportamenti promiscui che non riesce a controllare in nessun modo, e di cui si vergogna o per cui nutre sensi di colpa. 

Tra i più frequenti c’è l’avere rapporti con molti partner diversi e a pagamento, il sesso telefonico, il cybersex, un uso ricorrente della pornografia, la masturbazione compulsiva. 

Comportamenti che  hanno un carattere marcatamente impulsivo e/o compulsivo e che vengono accompagnati da pensieri ossessivi circa le fantasie e le condotte in questione. 

Ovviamente, tali “eccessi” sessuali creano forti disagi a tal punto da interferire con la vita sociale, lavorativa e di coppia.

Sebbene il riconoscimento recente dell’ipersessualità come disturbo del comportamento sessuale compulsivo rappresenti un significativo passo avanti per l'identificazione e il trattamento dei soggetti che ne soffrono, le cause della dipendenza sessuale sono ancora sconosciute. Quel che è certo è che gli ipersessuali vivono la sessualità come una risposta a stati d’animo spiacevoli (es. umore depresso) o come una strategia per ridurre lo stress. 

Nonostante le ricerche condotte sino ad ora sulla risposta sessuale abbiano osservato un coinvolgimento delle strutture cerebrali del sistema di ricompensa mesolimbico (interviene in ogni processo legato alla motivazione) e della dopamina (neurotrasmettitore che controlla la sensazione di piacere), ancora non è chiaro come gli impulsi sessuali possano diventare difficili da controllare e causare l’ipersessualità. 

Ad aver scoperto qualcosa in più sulle cause di questo disturbo, uno studio svedese dell’Università di Umeå (Umeå) e della Karolinska Institutet (Stoccolma), pubblicato sul Journal of Clinical Endocrinology & Metabolism della Endocrine Society. I ricercatori hanno scoperto che l’ossitocina, noto come "ormone dell’amore”, potrebbe spiegare perché alcuni uomini hanno un disturbo ipersessuale, e trovato nella terapia cognitivo-comportamentale una possibile cura per gestirlo in modo efficace.

I ricercatori hanno analizzato i campioni di sangue di 64 uomini sani con disturbo ipersessuale confrontandoli con i campioni di sangue di 38 uomini senza disturbo ipersessuale, sottoponendo i componenti di entrambi i gruppi a un questionario. I risultati iniziali hanno rivelato che il gruppo di uomini con una dipendenza dal sesso aveva livelli di ossitocina più alti rispetto a quelli senza il disturbo, e che livelli più alti erano associati a un punteggio maggiore per il comportamento ipersessuale.

L’ossitocina è un ormone prodotto dall'ipotalamo e rilasciato dalla ghiandola pituitaria, coinvolto nel legame sociale, nella regolazione dello stress del comportamento sessuale e nel percorso della ricompensa. Evidenze scientifiche suggeriscono che il rilascio centrale di ossitocina contribuisce alla modulazione e al mantenimento dei livelli di cortisolo che favoriscono un rapido ritorno agli stati di base pre-stress, oltre ad avere un ruolo neuromodulatore sulla via della ricompensa con effetti inibitori sui comportamenti di dipendenza. 

Uno studio in particolare, mostra come questo ormone svolga un ruolo centrale nel controllo della funzione erettile e del comportamento sessuale maschile. In questa direzione è andata anche la ricerca svedese dimostrando come, mentre livelli normali di ossitocina servono ad aver un comportamento sessuale sano, livelli elevati di questo ormone negli uomini potrebbero essere causa dell’ipersessualità.

Nella seconda fase dello studio, i ricercatori svedesi hanno testato la terapia cognitivo-comportamentale o CBT (attualmente considerata a livello internazionale uno dei più affidabili ed efficaci modelli per la comprensione ed il trattamento dei disturbi psicopatologici) sui 30 uomini con disturbo ipersessuale, e scoperto che questo trattamento è in grado di riportare a livelli normali l’ossitocina. 

Le analisi del sangue di follow-up hanno, infatti, mostrato che dopo un ciclo di CBT della durata di 7 settimane, gli uomini ipersessuali avevano livelli di ossitocina ridotti rispetto alle loro concentrazioni iniziali. La terapia CBT ha, quindi, sia ridotto i livelli di ossitocina, che gestito la dipendenza dal sesso e i suoi comportamenti associati. 

"Con il nostro studio - ha dichiarato il dott. Andreas Chatzittofis, dell'Università di Umeå - abbiamo dimostrato che l'ossitocina svolge un ruolo importante nella dipendenza dal sesso. Questo ormone - ha concluso - potrebbe essere un potenziale bersaglio farmacologico per il futuro trattamento farmacologico dell’ipersessualità”. 

Paolo Tomaselli per il “Corriere della Sera” il 5 Febbraio 2022.

Un autogol dietro l'altro per un grandissimo bomber divenuto ormai da cinque anni presidente della Liberia. George Weah, Pallone d'Oro nel 1995, è nella bufera per un pasticcio da lui stesso creato e anche per la classica toppa peggiore del buco. Tutto nasce dalla biografia pubblicata in patria il mese scorso «George Weah: il sogno, la leggenda, la salita al potere». 

Nel capitolo 13, curato da Isaac Vah Tukpah, uno dei due autori del libro, si parla della first lady, Clar Marie Duncan, cittadina americana al fianco dell'ex attaccante milanista dal 1993: «Una furia a letto» è il virgolettato attribuito a Weah, che ha scatenato un caso politico, innescando la reazione del leader dell'opposizione, Alexander Cummings, soprattutto per la «mancanza di rispetto e per la denigrazione delle ragazze e delle donne».

Ma l'intreccio presenta ulteriori nodi, politici e sociali, in un Paese che non ne sentiva il bisogno: Tukpah ha lavorato al libro e in seguito è diventato capo dello staff dello stesso Cummings, che si è visto costretto ad accettare le dimissioni del suo collaboratore, pur sottolineandone l'affidabilità e la competenza. L'incauto biografo martedì notte ha cercato di lasciare il Paese per scollinare in Sierra Leone nella zona di Grand Cape Mount County, ma è stato bloccato e trattenuto.

Non si è trattato però di una misura repressiva, come era sembrato in un primo momento e il governo di Monrovia per evitare ulteriori danni di immagine ha precisato in una nota dettagliata che Tukpah «non è ricercato, non rischia alcun arresto ed è libero di viaggiare, sebbene sia stata intrapresa un'azione legale nei suoi confronti». Sostanzialmente la colpa è sua, come ha sottolineato il ministro dell'informazione, Ledgerhood Rennie, perché ha tentato «di attraversare il confine in un punto non autorizzato e già chiuso, senza gli appropriati documenti di viaggio.

È stato trattenuto per ragioni di sicurezza, data la tarda ora». La reazione sconclusionata di Tukpah, così come la proditoria divulgazione delle confidenze private fatte da Weah sulla moglie, vengono derubricate dal governo di Monrovia come l'ennesimo tentativo di screditare il presidente. Proprio ieri però l'Economist , in un pezzo titolato «Un orrore che continua», ha ricordato con storie e numeri sconfortanti la piaga degli stupri in Liberia, che lo stesso Weah ha definito «emergenza nazionale». Il lavoro da fare è improbo. E, nel suo piccolo, la biografia, che doveva lanciare la campagna per la rielezione del 2023, non aiuta.

Maurizio Stefanini per "Libero quotidiano" il 4 febbraio 2022.  

Pallone d'oro del 1995, 43esimo nella speciale classifica dei migliori calciatori del XX secolo diramata dalla rivista World Soccer, campione che giocò anche nel Milan, dopo aver acquisito la gloria sui campi George Weah culminò una straordinaria vita iniziata in una povera baraccopoli diventando nel 2018 presidente della Liberia.

Pare non con risultati superlativi: ricorrenti proteste di piazza lo accusano di non aver mantenuto le promesse, mentre il Paese sprofonda nella povertà e nella corruzione. Ma in questo momento al centro della polemica politica è diventato uno scandalo sulle abitudine e prestazioni della First Lady. Il tutto per un libro che si intitola George Weah: The Dream, The Legend, The Rise to Power.

Costruito attraverso le interviste a almeno 180 testimoni della vita del protagonista, il libro è firmato da Emmanuel Clarke e Isaac Vah Tukpah, Jr.: il primo, docente universitario negli Stati Uniti (di linguaggi informatici); mail secondo assistente di Alexander B. Cummings, leader del partito di opposizione Alternative National Congress. Non particolarmente forte, ma comunque alle elezioni del 2014 ha ottenuto un seggio tra i 15 del Senato.

Proprio Vah Tukpah è stato accusato di aver riferito le prestazioni e abitudini sessuali per cui Weah nel 1993 si sarebbe preso come moglie Clar Marie Duncan. Una cittadina statunitense di origini giamaicane, più vecchia di lui di un anno (è del 1965), che col tempo ha avuto modo di segnalarsi come donna d'affari, filantropa e avvocatessa. È probabile che l'avere avuto un marito vip e ricco le abbia consentito di potersi dedicare alla sua carriera con più cura. 

Attenzione però che lui, oltre ai tre figli con la moglie, due dei quali diventati a loro volta calciatori, ne ha avuto anche un quarto da un'altra donna, che nel 2016 lo citò in tribunale per farlo partecipare al mantenimento. Comunque, secondo il libro sarebbe stato Weah a spettegolare sui gusti e abilità sessuali della moglie con l'autore. Ciò ha provocato appunto l'ira delle femministe contro il presidente, e l'ira del presidente contro Tukpah, forse però andata oltre, visto che gli è stato impedito di lasciare il Paese. 

Dopo che in un primo momento lo scandalo era stato dunque sulla First Lady ninfomane, in un secondo sul Presidente marito indiscreto e in un terzo sullo scrittore pettegolo e forse calunniatore, nella sua quarta fase la buriana si è spostata sul regime repressore per difendere i segreti sessuali del potere. E dunque il ministero dell'Informazione ha precisato che allo scrittore era stato impedito di lasciare il Paese per motivi di sicurezza in quanto a quell'ora il confine era già chiuso ma precisando che Tukpah «non è ricercato» e che è «libero di vivere o viaggiare fuori dalla Liberia». 

LICENZIAMENTI Ma a quel punto, sesto momento, si è arrabbiato Cimmunghs, che ha licenziato il suo assistente. «Il libro, coautore del signor Tukpah, rivela una presunta discussione da parte di un marito, il signor George Weah, di sua moglie.

La rivelazione della presunta discussione espone un comportamento deviante nella nostra società nella continua mancanza di rispetto e denigrazione delle ragazze e le donne; trovo che la pubblicazione della presunta discussione sia un errore di giudizio che, di per sé, ha l'effetto di consentire e alimentare comportamenti così riprovevoli da parte degli uomini che mancano di rispetto alle donne», ha scritto Cummings, pur non mancando comunque di dare una botta anche al presidente. 

«Ciò non giustifica certo la presunta discussione irrispettosa e privatamente invasiva da parte di un marito di sua moglie, che trovo vergognosa e offensiva». Alla fine, l'unica che è rimasta zitta è stata proprio la First Lady.

Dagotraduzione da Study Finds il 31 gennaio 2022.

Morire mentre si fa l'amore è qualcosa che la maggior parte delle persone immagina accada solo agli anziani. Tuttavia, un nuovo studio rivela che problemi cardiaci improvvisi possono colpire anche i giovani adulti mentre fanno sesso. 

Un team di St. George's, Università di Londra, sostiene che, anche se la morte durante una notte di sesso è rara, gli uomini di mezza età non sono le uniche persone a rischio da "controllare" durante un momento di passione. In una revisione di quasi 6.900 casi di morte cardiaca improvvisa tra il 1994 e il 2020, i ricercatori hanno scoperto che solo 17 decessi si sono verificati durante o entro un'ora dal rapporto sessuale, cioè solo lo 0,2 percento.

Gli autori dello studio hanno notato che l'età media delle persone morte mentre facevano l'amore era di soli 38 anni! E il 35 per cento erano donne. Entrambe queste cifre differiscono notevolmente da studi precedenti che hanno esaminato la morte improvvisa per problemi cardiaci durante il sesso. 

In effetti, uno studio tedesco su 32.000 morti improvvise in un periodo di 33 anni aveva rilevato che lo 0,2% era morto durante il sesso, ma l'età media di questi individui era di 59 anni e la stragrande maggioranza erano uomini. Nella maggior parte dei casi, gli uomini sono morti per un attacco di cuore (o infarto del miocardio), ma un docente senior di patologia chimica dell'Università di Westminster afferma che non è l'unica cosa che può causare la morte improvvisa durante un'avventura in camera da letto.

«Ci sono molte ragioni per cui questo accade alle persone. Nella maggior parte dei casi, è causato dallo sforzo fisico dell'attività sessuale, o da farmaci da prescrizione (farmaci per curare la disfunzione erettile, ad esempio), o droghe illegali, come la cocaina, o entrambi», scrive David Gaze, che non ha assunto parte allo studio, in La conversazione. 

A differenza dei precedenti rapporti, il team di St. George ha scoperto che gli attacchi di cuore non erano la principale causa di morte tra le persone che morivano durante una sessione di sesso. Invece, il 53 per cento aveva un cuore strutturalmente sano, ma è morto per un improvviso ritmo cardiaco anormale. I medici chiamano questa condizione sindrome da morte aritmica improvvisa o SADS.

Un altro 12 per cento è morto per una dissezione aortica, in cui gli strati nella parete della grande arteria cardiaca che fornisce sangue al corpo si strappano. Ciò fa sì che il sangue fluisca tra gli strati della parete, facendo gonfiare l'arteria che alla fine esplode. 

Il resto dei casi era dovuto ad anomalie strutturali nel cuore della persona o a rare condizioni genetiche chiamate canalopatie. Le anomalie strutturali in genere compaiono a causa della cardiomiopatia, una malattia del muscolo cardiaco che rende più difficile pompare il sangue in tutto il corpo. 

Per quanto riguarda i problemi genetici, le canalopatie si verificano quando i canali ionici che lasciano passare sodio e potassio dentro e fuori le cellule del cuore smettono di funzionare correttamente. Questo può alterare la corrente elettrica attraverso il muscolo cardiaco e far battere l'organo in modo irregolare. 

Sebbene queste morti siano rare, i nuovi risultati identificano un rischio per le persone di età inferiore ai 50 anni, non solo per gli anziani.

«I giovani adulti a cui sono state diagnosticate queste condizioni dovrebbero chiedere consiglio al proprio cardiologo sul rischio associato all'attività sessuale. Tuttavia, la bassa incidenza di morte in questi studi suggerisce che il rischio è molto basso, anche nelle persone con patologie cardiache esistenti», raccomanda Gaze. 

Ma i ricercatori notano che il sesso è anche molto benefico per la salute fisica e mentale. Studi precedenti mostrano che l'atto sessuale può abbassare la pressione sanguigna, rafforzare il sistema immunitario e migliorare il sonno. Fare sesso e raggiungere l'orgasmo rilascia anche l'ormone ossitocina, l '"ormone dell'amore". L'ossitocina svolge un ruolo chiave nella creazione di fiducia e nel legame tra le persone.

Dagotraduzione dal Daily Mail il 16 gennaio 2021.

Cosa hai fatto l'ultima volta che hai fatto sesso? Eri nella tua camera da letto o nel bagno di una discoteca? Secondi oppure ore? Hai dato del filo da torcere al Kama Sutra o hai fatto sesso in stile missionario, a luci spente, il sabato sera? 

Quando le persone dicono di «aver fatto sesso», può significare tutto o niente. Certo, per la maggior parte, il "sesso" normalmente implica una combinazione piuttosto prevedibile di preliminari e rapporto sessuale. Ma non per tutti.

Ho chiesto a uomini e donne molto diversi fra loro di dirmi cosa hanno fatto durante il loro ultimo incontro sessuale per scoprire quanto siano davvero varie le nostre vite. 

I risultati potrebbero sorprenderti!

Coppia sposata, 30 anni, con figli   

«Quando ci siamo messi insieme, eravamo avventurosi. Guardavamo porno insieme, inviavamo foto e video di nudo. Tutto è andato all’aria dopo quattro estenuanti cicli di fecondazione in vitro». 

«Ha funzionato - abbiamo un bambino - ma a scapito della nostra vita sessuale. Il mio compagno ha due figli adolescenti da un altro matrimonio e anche loro stanno molto con noi». 

«Come puoi fare sesso bollente con un bambino di 18 mesi e due adolescenti in casa? Facciamo sesso una volta al mese. L'ultima volta è stato di notte, entrambi esausti. Niente baci, ci tuffiamo subito. Usa il mio vibratore per scaldarmi, ma poi andiamo subito al rapporto. Ha un orgasmo entro cinque minuti. Io no.

«Si offre sempre di "prendersi cura di me" – un modo di propormi sesso orale - ma io dico sempre di no. Preferisco dormire piuttosto che raggiungere l'orgasmo».  

Maschio, 22 anni, da quattro mesi con la fidanzata    

«Il sesso è abbastanza stressante per me perché eiaculo troppo velocemente. La mia ragazza è piuttosto brava e sa che non ci vuole molto per farmelo perdere. L'ultima volta che abbiamo fatto sesso, indossava della biancheria intima fantastica e tacchi alti: adora mostrare il suo corpo. Si è inginocchiata davanti a me e mi ha fatto sesso orale e io sono venuto in pochi secondi».

«Siamo abituati a questo, quindi ho continuato e le ho fatto sesso orale. Dopo un po', ero di nuovo un po' duro, quindi abbiamo provato ad avere un rapporto. È umiliante quando non sei abbastanza duro, ma ha funzionato. Sono durato circa tre minuti prima di venire. Un risultato abbastanza buono per me, quindi eravamo entrambi felici». 

Coppia sposata, 50 anni, insieme da 12 anni 

«Ho avuto alcuni problemi con il sesso doloroso dopo la menopausa, quindi non abbiamo più rapporti. Mio marito è piuttosto bravo: mi preoccupo che gli manchi ma non si lamenta». 

«Facciamo sesso circa una volta ogni quindici giorni ed è quasi sempre dopo aver bevuto vino - non riesco a ricordare l'ultima volta che abbiamo fatto sesso da sobri». 

«Gli pratico sesso orale per circa cinque minuti e lo porto al limite, poi lui inizia con me. Lo facciamo quasi sempre in salotto o in cucina, quindi o salto sulla panca della cucina o lui si sdraia sul divano e io mi metto a cavalcioni».

«Si eccita quando vengo, quindi di solito si stimola mentre mi fa l'orale. A volte ho l'orgasmo, a volte no, ma non è un problema, quindi non devo fingere». 

«Siamo bravi così: si tratta più di darsi piacere l'un l'altro. Finché uno di noi ne ha uno, è tutto ciò che ci interessa».    

Donna, 49 anni, sposata da 15 anni    

«Un tempo amavo il sesso, ma adesso faccio di tutto per evitarlo. Riguarda mio marito, io non ne traggo alcun piacere. Ora è solo sesso per "occasioni speciali", anche se il suo compleanno è appena arrivato ed è passato indenne. Grazie a Dio». 

«Quando ci proviamo, sono invariabilmente io a fare delle cose a lui. È sempre ubriaco e ci mette un'eternità: è come un mini-allenamento e mi fanno male i polsi».

«Non mi chiede mai cosa ho bisogno o cosa voglio; Immagino perché è ovvio che non mi piace fare sesso con lui. Ma cosa è nato prima? Il sesso noioso o l'essere annoiati dal sesso?».  

Donna, 41 anni, single 

«Sono single da anni, quindi il sesso è sempre tra me e il mio vibratore. O guardo il porno o leggo un libro con pezzi che so che mi faranno eccitare». 

«Mi piace molto anche l'audio porno: mi fa sentire come se ci fosse qualcuno nella stanza con me. A volte mi chiedo se ci sarà mai di nuovo». 

«Forse il sesso per me sarà sempre solo io e i giocattoli sessuali e questo è il mio destino». 

Donna gay, 37 anni, impegnata in una relazione 

«Questa è la mia prima relazione a lungo termine da un po' di tempo e ha pro e contro. Amo l'intimità ma mi piace il sesso feroce e abbastanza energico». 

«Il nostro sesso è fatto da lunghe sessioni di sesso orale e uso di dita e giocattoli sessuali. Mi piace l'eiaculazione femminile e posso raggiungerla abbastanza facilmente, quindi ci sono anche molte cose sul punto G». 

«Preferivo il sesso che facevo ma sono felice di farne a meno perché il rapporto è fantastico». 

Femmina, 28 anni, gode di un sacco di sesso occasionale

«Io e il mio ex restiamo in contatto perché a entrambi piace il sesso anale e molte delle persone che frequentiamo no». 

«Ci incontriamo a tarda notte nei fine settimana e di solito fumiamo un po' d'erba e ci divertiamo con alcuni giocattoli per il sesso anale». 

«Riserviamo sempre i nostri orgasmi per il rapporto anale, però, che di solito avviene circa 15 minuti dopo. Il rapporto vaginale è così così una volta che si sperimenta l'anale». 

«L'anale è molto più intenso e soddisfacente. Dopo, fumiamo un po' di più e guardiamo un film, poi uno di noi torna a casa». 

Coppia, 20 anni, che sta insieme da tre anni

«Mi sono svegliato accarezzando la mia ragazza, come faccio sempre. Abbiamo fatto sesso pigro, io da dietro, ma ho trattenuto l'orgasmo». 

«Abbiamo preso un caffè a letto, poi l'ho girata e le ho fatto sesso orale e l'ho fatta venire due volte. Poi è saltata sopra e l'ho fatto anch'io». 

«È così che iniziamo la maggior parte dei giorni del fine settimana, anche se ovviamente proviamo posizioni diverse». 

Coppia gay sposata, sui 30 anni 

«La gente pensa che gli uomini gay abbiano un sacco di sesso fantastico e molti partner, ma il nostro sesso è stereotipato e di routine». 

«Di solito riceve dei video porno sul suo telefono e li guardiamo mentre ci facciamo seghe o del sesso orale. Penso che sia ancora un po' sconvolto dopo il nostro trio». 

«Ha meno esperienza di me e voleva provarne uno. L'ho organizzato ma sapevo che non sarebbe andato bene: ne ho avuti tanti e so come funziona». 

«È competitivo e non gli piaceva fare il secondo violino».

Amie Rose Spiegel per Salon il 15 gennaio 2022.

Le giovani donne che fanno sesso si imbarcano in una commedia degli errori, una serie di  disavventure, o almeno questo raccontano, in una autocritica o in un vittimismo che in genere non riguarda la controparte maschile. 

Il sesso non è bello o brutto. Non posso fingere che tutte le mie scopate siano state indimenticabili ma fare errori è una delle cose migliori nella vita, perché così sai come evitarli in futuro. L’importante è non lasciare che siano loro a predominare e a distogliere l’attenzione dai superbi aspetti della vita sessuale. 

Quando parlo di errori o inconvenienti, mi riferisco a effluvi corporei, rumori, imbarazzi. Invece di sentirvi umiliati, comunicate un senso di calma e consapevolezza. Se qualcuno vi mortifica per fenomeni naturali e inattesi che si manifestano mentre state insieme, calciatelo via senza rimorso: nessun effetto collaterale del sesso è abbastanza repellente da farvi rinunciare al piacere.

Non vi sentite imbarazzate per il ‘queefing’, l’aria intrappolata che la vagina espelle. E’ normale, incontrollabile e inevitabile quando si fa sesso. I suoni non saranno armoniosi ma possono essere un elemento ‘hot’, se sapete coglierne il significato. 

Se venite beccati a fare sesso in pubblico, a una cena o a una cerimonia, o a fare autoerotismo nella stanza, ricordate che è rarissimo che non accada. Come evitare di diventare rossi come peperoni? Non spogliatevi mai del tutto e muovetevi con cautela. 

Probabilmente sarà il sesso più memorabile che farete. Tenete in considerazione il vostro potenziale pubblico: è diverso se si tratta di vostro padre, di sconosciuti, di agenti della polizia. Comunque negate, inventate, mentite: chi sta a disagio, vorrà credervi a tutti i costi.

Eiaculazione precoce? Non preoccupatevi perché chi ne soffre, cercherà di essere incredibilmente bravo con altre parti della anatomia. Una volta feci sesso con una persona i cui genitali proprio non entravano nei miei, era come far entrare una vite piegata in una ciambella. 

Eravamo infatuati da due anni e ci siamo lasciati in cinque giorni. Le grandi cotte possono sparire se non c’è alchimia corporea. Abbiamo provato tutte le posizioni e nessuno dei due ha mai goduto. Ebbi forti dolori alla vagina, perché avevo usato il condom ma solo saliva come lubrificante. Il consiglio è: se porti con te un profilattico, accompagnalo con un po’ di ‘lube’.

Hai fatto sesso con le mestruazioni e un disastro con il sangue? Puoi pulire le lenzuola con il bicarbonato. Tieni sempre un asciugamano sotto la vagina, se non vuoi far diventare il letto un’opera di Jackson Pollock. Una volta un mio partner dimenticò di lavarsi le mani dopo aver condito con il peperoncino, e quando facemmo sesso la mia vagina andò a fuoco. Ecco, il consiglio è di lavare sempre le mani dopo i pasti, perché non è questo che si intende con ‘sesso piccante’.

Sapete che quando guardate il mondo attraverso il filtro del seme, gli occhi si infiammano e si arrossano? Se vi masturbate avendo un pene ricurvo o se avete scelto un trattamento facciale naturale al 100%, considerate che lo sperma negli occhi fa malissimo e non fate finta che non sia successo niente solo perché tutto quello che esce dal corpo di chi ti piace è bene accetto. Sciacquatevi gli occhi subito e usate un collirio.

Sesso, in gravidanza non è il caso di rinunciare. Viola Rita su La Repubblica il 6 Gennaio 2022.  

Avere rapporti sessuali, se non ci sono situazioni di rischio, è sempre possibile. Con qualche accortezza in più, soprattutto nell'ultimo mese. I consigli della sessuologa.  

Molte donne e anche alcuni uomini pensano o temono che avere rapporti sessuali durante la gravidanza possa far male al feto. Si tratta spesso di false credenze e paure infondate, da tempo smontate dagli scienziati. Non c'è alcuna controindicazione, anche nei rapporti con penetrazione, durante i 9 mesi, ad esclusione del caso in cui la gravidanza sia a rischio.

Da “donnaglamour.it” il 2 gennaio 2021. Durante il sesso si bruciano circa 600 calorie, almeno secondo le ultime statistiche. Però per arrivare a bruciare tutte quelle in un rapporto sessuale conta anche la durata. Per bruciare 600 calorie bisogna fare l’amore per circa un’ora di seguito. 

Considerando che la media europea arriva a malapena a 14 minuti, forse il dato è un po’ sopravvalutato. Gli studiosi hanno elaborato un vero e proprio vademecum su come dimagrire con il sesso. Si parte dalle 4 calorie per i massaggi per arrivare alle 240 della posizione del missionario.

Fare l’amore invece che andare in palestra Per le posizioni più artistiche si superano addirittura le 350 calorie. Naturalmente ci sono diversi fattori e condizioni che entrano in gioco quando si cerca di dimagrire con il sesso. Ad esempio, stando sopra si brucia di più. 

Il dispendio di calorie è anche sorprendentemente maggiore se il sesso è da tradimento o occasionale. L’importante, come in ogni cosa, è non esagerare. Il rischio è quello di apparire visibilmente stanchi a lavoro, oltre a quello dell’infarto, soprattutto oltre una certa età.

I ricercatori dell’Università del Quebec in Canada, sono andati oltre e hanno calcolato con precisione le calorie bruciate. Lo studio condotto ha dimostrato che durante l’attività sessuale, un uomo riesce a bruciare circa 4 kilocalorie al minuto, mentre ne brucia 9,2 correndo. 

Una donna ne consuma rispettivamente 3,1 e 7,1. Togliersi i vestiti fa consumare 12 calorie, in 20 minuti di baci e coccole si consumano tra le 80 e le 110 calorie. Con la posizione del missionario, in 10 minuti si consumano 250 calorie, con la posizione della cowgirl, in 10 minuti la donna consuma 300 calorie, l’uomo 130.

La notizia migliore pare proprio che il momento del massimo piacere può far consumare fino a 122 calorie!!! Buon allenamento!

Filippo Ceccarelli per “il Venerdì di Repubblica” l'1 gennaio 2022.  Mutamenti in atto, accelerazioni in corso e sdoganamenti in via definitiva. Sarà d'interesse, dopo le feste, sapere quante persone hanno comprato e regalato oggetti sessuali o sex toys, per dirla in modo da cancellare per sempre l'asettica denominazione, "coadiuvanti", che fino a qualche anno fa veniva mestamente usata nelle indagini giudiziarie e nelle sentenze della Cassazione.

Si leggeva l'altro giorno in un dispaccio dell'Adn-Kronos che nei venti mesi della pandemia il comparto ha aumentato il suo giro d'affari del 160 per cento. La notizia era correlata a un sito di e-commerce in cui la classica bella ragazza col berretto da Babbo Natale invitava a "regalare un orgasmo" con pacco anonimo, consegna in 24 ore, cambio e reso gratis. In spigliata esibizione erano i vari prodotti, il fruttifero kit "Fiki Fiki", lo sbarazzino gadget "Nessuno mi può giudicare", l'enfasi rafforzata della linea "Godo godo da capogiro" , e può anche essere.

Ma come in tutte le impennate s' intuisce qualcosa di più profondo del marketing woman oriented o della complicità di coppia. Ovvio che i giocattoli sessuali esistono da prima dell'antico Egitto. Ma anche in questo ambito l'evoluzione tecnologica ha tutta l'aria di aver scardinato l'immaginario portando alla luce comportamenti fino a una generazione fa impensabili. I dispositivi vibranti e telecomandati di ultima generazione hanno preso il volo sulle ali del mercato e dell'intrattenimento, film, serie tv, variazioni radiofoniche e lettere ai giornali; scivolando cautamente dalle tenebre del porno e dai nascondigli domestici, si sono approssimati al più solare e trainante settore Moda&Beauty.

Per quel poco che può recare in dote la pregressa specializzazione del titolare di questa rubrichetta ben due sex toys entrarono nelle inchieste sulle spese pazze dei consiglieri regionali qualche anno fa. Sui social se ne vedono ormai di tutte le fogge e di tutti i colori, anche con l'aspetto di John Travolta, per dire, o di cromatura mimetico-militarizzata; in Russia un realistico dildo è stato spedito addirittura su un drone a disturbare una conferenza stampa, prima che uno della sicurezza lo buttasse giù con una manata.

Già un paio d'anni fa le allegre ragazze della pagina Instagram MySecretCase, che sponsorizza questi prodotti, ci hanno arredato l'albero di Natale, con tanto di puntale ad hoc. Adesso è il tempo delle influencer che ne rivendicano l'uso e dei personaggi popolari come Alessia Marcuzzi che mostrano le loro collezioni. L'immagine qui a sinistra, tutta rose e fiori, illustra e celebra la nuova accattivante legittimità romanticona. Ma non si pensi a un segno di pace natalizio e giulivo. Ben oltre il sessismo e il gender, quel giocattoletto rosa punta al cuore, già malmesso, del patriarcato.

Dagonews da nypost.it l'1 gennaio 2022.  Le donne che fanno più sesso hanno un cervello maggiormente sviluppato. E ci sono le prove! Un gruppo di ricercatori ha infatti identificato la regione del cervello legata alla stimolazione genitale nelle donne, scoprendo che è più sviluppata rispetto agli uomini. 

Lo studio, pubblicato sul Journal of Neuroscience, ha esaminato la connessione tra tatto e attività cerebrale in 20 donne adulte. 

Come parte della ricerca, le donne volontarie - di età compresa tra 18 e 45 anni - hanno stimolato i loro clitoridi mentre i cervelli sono stati scansionati utilizzando una risonanza magnetica.

"Abbiamo trovato un'associazione tra la frequenza dei rapporti genitali e lo spessore di quella parte del cervello", ha affermato la coautrice dello studio, la dott.ssa Christine Heim, professore di psicologia medica all'ospedale universitario Charite di Berlino. 

I ricercatori hanno anche chiesto alle volontarie con quale frequenza avevano fatto sesso nell'ultimo anno. I risultati hanno confermato che la regione della corteccia del cervello è stata attivata in ogni donna quando si è stimolata, magari anche con l'uso di un vibratore. 

I ricercatori hanno quindi misurato lo spessore di quell'area del cervello, scoprendo che era più robusto nelle volontarie che hanno riferito di avere più rapporti sessuali. In altre parole: più c'è sesso, più grande è la regione.

Tuttavia, la ricerca non è stata in grado di confermare se avere una corteccia somatosensoriale più sviluppata richiede più rapporti o se più rapporti espandono quella regione del cervello, come se si trattasse dell'allenamento di un muscolo. I ricercatori ritengono che potrebbe essere la seconda opzione. 

È stato precedentemente stabilito che alcune parti del cervello diventano più grandi man mano che vengono utilizzate, un concetto noto come "plasticità cerebrale". Per esempio, è stato scoperto che la regione dell'ippocampo del cervello nei tassisti londinesi si espande con una maggiore esperienza di navigazione.

Heim ha detto che sono necessari ulteriori studi. "È poco studiato come i genitali femminili siano rappresentati nella corteccia negli esseri umani e se questa ha la capacità di cambiare in relazione all'esperienza o all'uso", ha detto.

In uno studio del 2013, Heim ha scoperto che le persone che hanno subito una violenza sessuale traumatica hanno avuto un assottigliamento delle aree cerebrali connesse ai genitali. 

"Allora abbiamo ipotizzato che questa potesse essere la risposta del cervello per limitare la percezione dannosa dell'abuso", ha detto all'AFP, aggiungendo che spera che la sua nuova ricerca possa aiutare nello sviluppo di future terapie orientate alla riabilitazione di questa regione tra i sopravvissuti agli abusi. 

·        Dopo il Sesso.

Da donnaglamour.it il 30 marzo 2022.

Parlare di sesso tra amiche è più che normale, specialmente quando si è molto in intimità oramai da lunghissimi anni. Le donne amano raccontare e condividere le loro esperienze con le loro più carissime amiche e quando lo fanno non si lasciano sfuggire niente. Infatti, quando una donna va a letto con un uomo, solitamente la prima cosa che fa dopo averlo salutato è chiamare le sue amiche. Un incontro last minute, davanti ad un caffè, ecco che anche loro scopriranno com’è quell’uomo sotto le lenzuola!

Cosa si raccontano le donne?

Niente sarà tralasciato e ogni minimo particolare di quella notte di fuoco verrà raccontata davanti a quelle tazze di caffè? Ecco cosa si dicono le donne tra di loro quando parlano di sesso!

– Com’è stato? La prima domanda che probabilmente si sentono chiedere è proprio questa ed è l’inizio di un lungo e intenso monologo…

– Le dimensioni. Ovviamente impossibile non condividere le dimensioni dell’uomo con cui si è stati a letto e se la donna non ne è rimasta soddisfatta, probabilmente il suo racconto sarà più lungo del solito…

– Ma è stato bravo? Molto differente dalla prima domanda, perché anche se è stato bello ovviamente tocca capire se lui è stato effettivamente bravo e ci ha saputo fare. Con questa domanda non si intende se è stato bravo a fare coccole e carezze, ma se con i preliminari ha dato il meglio di sé. Perché è risaputo che anche i preliminari vogliono la loro parte!

– E l’orgasmo? Vuoi non raccontare alle più care amiche se l’orgasmo è stato raggiunto anche da te? Un punto fondamentale da sapere e capire sin da subito se sia stato davvero bravo a letto!

– Imprevisti. Se c’è stato qualche problema o un imprevisto sicuramente verrà raccontato anche questo: insomma, le donne non si lasciano scappare proprio niente!

·        Il Sesso Anale.

Donny Meacham per “Elite Daily” il 9 dicembre 2022.

E quindi, il sesso anale è una cosa che la gente fa. Spesso. Ho sperimentato parecchi buchi, nella mia vita sessuale, dallo stile “la spada nella roccia” in poi. Può essere tanto divertente quanto stressante. Ecco le domande che in genere si pone chi fa sesso anale, la prima volta, che si tratti di donne o uomini.

La serata va bene, ti spogli, partono i baci, volano le mutande e lo vedi: quella cosa lì deve entrarmi dentro? Farà male? Come faccio a rilassarmi e a provare piacere? La verità è che sì, la prima volta fa male. Poi, rilassandosi, diventa un’esperienza gradevole. Evitate di puntare dritti alla penetrazione, iniziate con un massaggio esterno, i preliminari sono importanti più che mai in questa situazione delicata. 

L’altro pensiero fisso durante il sesso anale è: oddio, sono pulito? Questo terrore accompagna soprattutto chi riceve, in particolar modo se ha problemi di intestino. Con il condom almeno i “regalini” non restano attaccati alla pelle. Il consiglio è di usare le lenzuola scure, per evitare ogni imbarazzo.

La domanda che si pongono tutti, ma non solo nel sesso anale, è: «Come sono a letto?», perché il sesso ti deforma, ti mette in strane posizioni ed espressioni. Ma tu vuoi apparire sempre al meglio, e allora devi cercarti un partner che ti rassicuri, e ti faccia sentire comunque al massimo della bellezza.

Nella mia esperienza, si deve fare sesso, non una maratona. Più la seduta è lunga, meno si gode. Non c’è un tempo specifico, ma in due si capisce quando è abbastanza. Dopo il sesso anale, uno si domanda: perché l’ho fatto? E’ ancora un po’ fonte di vergogna, e soprattutto, non scendiamo in particolari, ma implica del tempo passato al bagno, e non sempre quando te lo aspetti. 

B. Fiorillo per today.it il 4 settembre 2022.  

L'ano è un organo che, se stimolato adeguatamente, può massimizzare il piacere sessuale di una donna. Contiene, infatti, una fitta rete di nervi sensoriali che partecipano con i genitali alla tensione muscolare e alle contrazioni dell'eccitazione sessuale e dell’orgasmo. 

Ma nonostante il potenziale (in termini di piacere) della ragione anatomica (nota come perineo posteriore) in cui risiede l'ano, gran parte della ricerca scientifica sul sesso anale si è concentrata soprattutto su “quale” parte del corpo – tipicamente il pene, raramente la bocca/lingua o il dito – stimola o penetra l'ano, piuttosto che su "come" le donne e i loro partner possono individuare tecniche di stimolazione e penetrazione anale per procurarsi piacere. 

La gran parte degli studi esistenti si riferiscono, infatti, al "sesso anale" in termini di penetrazione dell’ano della donna da parte del pene di un partner maschile. A tal proposito diverse indagini rappresentative condotte nell'ultimo decennio suggeriscono che circa un terzo delle donne fa regolarmente sesso anale penieno.

Tra l'11,8% e il 13,2%, invece, ha fatto sesso anale penieno nell'ultimo anno, e circa il 10% lo ha fatto negli ultimi 90 giorni. Meno del 5% delle donne ha riferito di aver fatto sesso anale durante la sua esperienza sessuale più recente. 

Un corpus di letteratura meno ampio che utilizza dati rappresentativi a livello nazionale negli Stati Uniti e in Australia, suggerisce che le donne hanno anche testato altre tecniche di stimolazione e penetrazione anale, come la penetrazione digitale, la stimolazione manuale e/o il contatto orale-anale. Ma nessuno di questi studi ha considerato mai le tecniche utilizzate dalle donne e dai loro partner per stimolare l'ano internamente o esternamente, o in che misura queste tecniche fossero piacevoli.

Ora un nuovo studio, condotto su larga scala negli USA, ha indagato, per la prima volta in assoluto, quali sono le tecniche di tocco e stimolazione anale, poco convenzionali, che possono generare piacere nelle donne. 

I ricercatori hanno condotto l’indagine utilizzato i dati del Secondo OMGYES Pleasure Report, individuato e descritto in maniera dettagliata tre diverse tecniche di stimolazione e penetrazione anale (Anal Shallowing, Anal Surfacing e Anal Pairing), mai definite precedentemente, che le donne preferisco per massimizzare il piacere sessuale, sia durante l’autoerotismo che il sesso in coppia. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista PLOS ONE.

Lo studio

I ricercatori hanno utilizzato i dati del Secondo OMGYES Women's Pleasure Report (uno studio statunitense rappresentativo a livello nazionale che esamina le preferenze del mondo femminile per quanto riguarda le tecniche di tocco vaginale interno), sulle esperienze sessuali di 3017 donne americane (di età compresa tra 18 e 93 anni). Lo scopo era descrivere ed etichettare nuove tecniche di stimolazione e penetrazione anale che le donne trovano più piacevoli. 

Attraverso una ricerca qualitativa, hanno così identificato e descritto in maniera dettagliate tre tecniche di tocco anale che le donne trovano particolarmente piacevoli, e che espandono il repertorio sessuale anale.

“Un contributo importante offerto da questo lavoro - hanno dichiarato i ricercatori - è la denominazione data a queste tecniche di tocco e stimolazione utilizzate dalle donne e dai loro partner. Come già abbiamo suggerito nel nostro lavoro precedente incentrato sulla stimolazione e penetrazione vaginale, affinché le donne si sentano a proprio agio nel comunicare quali tecniche vogliono provare e/o quali tecniche esistenti vogliono provare in modo diverso, le parole e le descrizioni che usano per fare ciò devono essere  semplici ed immediate. 

Per la stragrande maggioranza delle pratiche sessuali anali, tuttavia, con alcune eccezioni relative al tocco sessuale orale-anale (denominato analingus) e alla penetrazione anale con una mano (indicata come fisting anale), c'è stata sino ad oggi una mancanza di terminologia chiara”. 

Tre nuove tecniche di stimolazione anale

I ricercatori hanno così individuato e coniato tre tecniche: "Emersione anale" (Anal Surfacing), "Penetrazione anale o superficiale" (Anal Shallowing) e "Accoppiamento anale" (Anal Pairing).

Il termine Anal Surfacing si riferisce al tocco della parte esterna, sopra o intorno, dell'ano, che 4 donne su 10 hanno scoperto essere particolarmente piacevole. La tecnica Anal Shallowing si riferisce, invece, al tocco penetrante appena all'interno dell'apertura anale, non più profondo di un polpastrello/nocca, che è stato trovato piacevole dal 38,2% delle donne che apprezzano qualsiasi forma di penetrazione anale. 

Il “tocco anale accoppiato” - denominato “accoppiamento anale” -, infine, è un tocco vaginale e/o clitorideo simultaneo, che può lavorare in sinergia con altre forme di tocco sessuale come miglioramento del piacere e dell'orgasmo delle donne, apprezzato dal 40% del campione.

Il saper riferire con un termine chiaro quale tipo di tocco anale richiedere al partner può essere particolarmente importante per una donna. “Le diverse età in cui le donne hanno scoperto che il tocco anale esterno e/o penetrante era per loro piacevole - hanno dichiarato gli autori - dimostra che nuove tecniche di tocco possono essere scoperte a qualsiasi età, e possono incoraggiare le donne a continuare a esplorare la sfera del loro piacere per tutta la vita”.  

Strumenti utilizzati per la stimolazione anale

I ricercatori hanno anche esplorato la dimensionalità di queste tecniche, identificando ciò che viene utilizzato per il tocco o la stimolazione (es. dito, pene o sex toy propri o del partner), il modo in cui viene utilizzato (es. in superficie vs. dentro, o appena dentro vs. una nocca dentro vs. più profonda di un dito dentro), perché le donne lo trovano piacevole (es. aumento dell'intensità dell'orgasmo vs. brivido vs. intimità) e come l'hanno scoperto (ad es. presentazione del partner vs. autoesplorazione). 

“Questo studio - hanno sottolineato gli autori - supporta un modello di sessualità anale incentrato sulla donna in cui le donne e/o i loro partner hanno il potere di scegliere il tocco anale e le tecniche di stimolazione che soddisfano maggiormente i propri bisogni sessuali”. 

Quali sono le tecniche preferite dalle donne

In sintesi, i risultati dello studio suggeriscono che il 40% delle donne ha trovato piacevole l'"Anal Surfacing" (tocco sessuale con un dito, un pene o un giocattolo sessuale sopra e intorno all’ano), circa il 35% delle ha provato piacere usando l"Anal Shallowing” (tocco penetrante con un dito, un pene o un sex toy appena all'interno dell'apertura anale, non più profondo di un polpastrello/nocca). 

Infine, il 40% delle donne ritiene più piacevoli altre forme di tocco sessuale utilizzando l'"accoppiamento anale” (tocco all'interno dell'ano che avviene contemporaneamente ad altri tipi di tocco come la penetrazione vaginale o quello clitorideo).

Questi dati forniscono la descrizione chiara di tecniche che le donne utilizzano per esplorare il piacere generato dalla stimolazione dell'ano, e che possono aiutare le donne ad identificare meglio le proprie preferenze sessuali, comunicarle chiaramente ai loro partner e massimizzare il loro piacere sessuale. 

Perfezionare il linguaggio del sesso per abbattere i tabù

Come suggerito prima in questo articolo, la maggior parte di ciò che è "noto" - sia attraverso la letteratura scientifica che attraverso la cultura popolare - si riferisce al sesso anale penino o enfatizza gli esiti avversi di questo (ad es. malattie sessualmente trasmissibili, dolore o coercizione). 

“Il nostro studio - hanno concluso gli autori - amplia la letteratura scientifica con nuove tecniche di stimolazione anale per il piacere femminile, perfezionando il linguaggio del sesso, e sottolinea come la donna oggi non ricopre più un ruolo passivo ma attivo nel rapporto sessuale, contribuendo all'abbattimento dei tabù”.

DAGONEWS il 13 agosto 2022.

Le donne nel Regno Unito stanno sperimentato lesioni causate dalla crescente popolarità del sesso anale tra le coppie eterosessuali: tra le conseguenze ci sono incontinenza e infezioni sessualmente trasmesse, nonché dolore e sanguinamento dovuti al trauma fisico durante la pratica. 

In un articolo del  "British medical journal", a firma di Tabitha Gana e Lesley Hunt, i due chirurghi hanno spiegato come la riluttanza dei medici a discutere dei rischi associati al sesso anale sta portando diverse donne ad avere problemi.

«Il rapporto anale è considerato un comportamento sessuale a rischio a causa della sua associazione con alcol, uso di droghe e partner sessuali multipli. Tuttavia grazie anche a serie tv come “Sex and the City” e “Fleabag” sono entrate nelle relazioni».

Ma occhio. Perché oltre all’aspetto piacevole si può andare incontro ad altri problemi, soprattutto per le donne: «E’ stato segnalato un aumento dei casi di incontinenza fecale e lesioni dello sfintere anale nelle donne che hanno rapporti anali. Le donne sono più a rischio di incontinenza rispetto agli uomini a causa della loro diversa anatomia e degli effetti degli ormoni, della gravidanza e del parto sul pavimento pelvico. Le donne hanno sfinteri anali meno robusti e il danno causato dalla penetrazione anale è quindi più consistente. Il dolore e il sanguinamento dopo che il sesso anale è indicativo di un trauma e i rischi possono aumentare se il sesso anale viene forzato».

La ricerca del “National Survey of Sexual Attitudes”, condotta in Gran Bretagna, ha rilevato che la proporzione di persone di età compresa tra i 16 ei 24 anni che hanno rapporti anali eterosessuali è aumentata dal 12,5% al 28,5% negli ultimi decenni. Allo stesso modo, negli Stati Uniti dal 30% al 45%. «Non è più considerato un comportamento estremo, ma sempre più come un'esperienza apprezzata e piacevole».

B. Fiorillo per today.it il 16 luglio 2022.  

L'ano è un organo che, se stimolato adeguatamente, può massimizzare il piacere sessuale di una donna. Contiene, infatti, una fitta rete di nervi sensoriali che partecipano con i genitali alla tensione muscolare e alle contrazioni dell'eccitazione sessuale e dell’orgasmo. 

Ma nonostante il potenziale (in termini di piacere) della ragione anatomica (nota come perineo posteriore) in cui risiede l'ano, gran parte della ricerca scientifica sul sesso anale si è concentrata soprattutto su “quale” parte del corpo – tipicamente il pene, raramente la bocca/lingua o il dito – stimola o penetra l'ano, piuttosto che su "come" le donne e i loro partner possono individuare tecniche di stimolazione e penetrazione anale per procurarsi piacere. 

La gran parte degli studi esistenti si riferiscono, infatti, al "sesso anale" in termini di penetrazione dell’ano della donna da parte del pene di un partner maschile. A tal proposito diverse indagini rappresentative condotte nell'ultimo decennio suggeriscono che circa un terzo delle donne fa regolarmente sesso anale penieno.

Tra l'11,8% e il 13,2%, invece, ha fatto sesso anale penieno nell'ultimo anno, e circa il 10% lo ha fatto negli ultimi 90 giorni. Meno del 5% delle donne ha riferito di aver fatto sesso anale durante la sua esperienza sessuale più recente. 

Un corpus di letteratura meno ampio che utilizza dati rappresentativi a livello nazionale negli Stati Uniti e in Australia, suggerisce che le donne hanno anche testato altre tecniche di stimolazione e penetrazione anale, come la penetrazione digitale, la stimolazione manuale e/o il contatto orale-anale. Ma nessuno di questi studi ha considerato mai le tecniche utilizzate dalle donne e dai loro partner per stimolare l'ano internamente o esternamente, o in che misura queste tecniche fossero piacevoli.

Ora un nuovo studio, condotto su larga scala negli USA, ha indagato, per la prima volta in assoluto, quali sono le tecniche di tocco e stimolazione anale, poco convenzionali, che possono generare piacere nelle donne. 

I ricercatori hanno condotto l’indagine utilizzato i dati del Secondo OMGYES Pleasure Report, individuato e descritto in maniera dettagliata tre diverse tecniche di stimolazione e penetrazione anale (Anal Shallowing, Anal Surfacing e Anal Pairing), mai definite precedentemente, che le donne preferisco per massimizzare il piacere sessuale, sia durante l’autoerotismo che il sesso in coppia. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista PLOS ONE.

Lo studio

I ricercatori hanno utilizzato i dati del Secondo OMGYES Women's Pleasure Report (uno studio statunitense rappresentativo a livello nazionale che esamina le preferenze del mondo femminile per quanto riguarda le tecniche di tocco vaginale interno), sulle esperienze sessuali di 3017 donne americane (di età compresa tra 18 e 93 anni). Lo scopo era descrivere ed etichettare nuove tecniche di stimolazione e penetrazione anale che le donne trovano più piacevoli. 

Attraverso una ricerca qualitativa, hanno così identificato e descritto in maniera dettagliate tre tecniche di tocco anale che le donne trovano particolarmente piacevoli, e che espandono il repertorio sessuale anale.

“Un contributo importante offerto da questo lavoro - hanno dichiarato i ricercatori - è la denominazione data a queste tecniche di tocco e stimolazione utilizzate dalle donne e dai loro partner. Come già abbiamo suggerito nel nostro lavoro precedente incentrato sulla stimolazione e penetrazione vaginale, affinché le donne si sentano a proprio agio nel comunicare quali tecniche vogliono provare e/o quali tecniche esistenti vogliono provare in modo diverso, le parole e le descrizioni che usano per fare ciò devono essere  semplici ed immediate. 

Per la stragrande maggioranza delle pratiche sessuali anali, tuttavia, con alcune eccezioni relative al tocco sessuale orale-anale (denominato analingus) e alla penetrazione anale con una mano (indicata come fisting anale), c'è stata sino ad oggi una mancanza di terminologia chiara”. 

Tre nuove tecniche di stimolazione anale

I ricercatori hanno così individuato e coniato tre tecniche: "Emersione anale" (Anal Surfacing), "Penetrazione anale o superficiale" (Anal Shallowing) e "Accoppiamento anale" (Anal Pairing).

Il termine Anal Surfacing si riferisce al tocco della parte esterna, sopra o intorno, dell'ano, che 4 donne su 10 hanno scoperto essere particolarmente piacevole. La tecnica Anal Shallowing si riferisce, invece, al tocco penetrante appena all'interno dell'apertura anale, non più profondo di un polpastrello/nocca, che è stato trovato piacevole dal 38,2% delle donne che apprezzano qualsiasi forma di penetrazione anale. 

Il “tocco anale accoppiato” - denominato “accoppiamento anale” -, infine, è un tocco vaginale e/o clitorideo simultaneo, che può lavorare in sinergia con altre forme di tocco sessuale come miglioramento del piacere e dell'orgasmo delle donne, apprezzato dal 40% del campione.

Il saper riferire con un termine chiaro quale tipo di tocco anale richiedere al partner può essere particolarmente importante per una donna. “Le diverse età in cui le donne hanno scoperto che il tocco anale esterno e/o penetrante era per loro piacevole - hanno dichiarato gli autori - dimostra che nuove tecniche di tocco possono essere scoperte a qualsiasi età, e possono incoraggiare le donne a continuare a esplorare la sfera del loro piacere per tutta la vita”.  

Strumenti utilizzati per la stimolazione anale

I ricercatori hanno anche esplorato la dimensionalità di queste tecniche, identificando ciò che viene utilizzato per il tocco o la stimolazione (es. dito, pene o sex toy propri o del partner), il modo in cui viene utilizzato (es. in superficie vs. dentro, o appena dentro vs. una nocca dentro vs. più profonda di un dito dentro), perché le donne lo trovano piacevole (es. aumento dell'intensità dell'orgasmo vs. brivido vs. intimità) e come l'hanno scoperto (ad es. presentazione del partner vs. autoesplorazione). 

“Questo studio - hanno sottolineato gli autori - supporta un modello di sessualità anale incentrato sulla donna in cui le donne e/o i loro partner hanno il potere di scegliere il tocco anale e le tecniche di stimolazione che soddisfano maggiormente i propri bisogni sessuali”. 

Quali sono le tecniche preferite dalle donne

In sintesi, i risultati dello studio suggeriscono che il 40% delle donne ha trovato piacevole l'"Anal Surfacing" (tocco sessuale con un dito, un pene o un giocattolo sessuale sopra e intorno all’ano), circa il 35% delle ha provato piacere usando l"Anal Shallowing” (tocco penetrante con un dito, un pene o un sex toy appena all'interno dell'apertura anale, non più profondo di un polpastrello/nocca). 

Infine, il 40% delle donne ritiene più piacevoli altre forme di tocco sessuale utilizzando l'"accoppiamento anale” (tocco all'interno dell'ano che avviene contemporaneamente ad altri tipi di tocco come la penetrazione vaginale o quello clitorideo).

Questi dati forniscono la descrizione chiara di tecniche che le donne utilizzano per esplorare il piacere generato dalla stimolazione dell'ano, e che possono aiutare le donne ad identificare meglio le proprie preferenze sessuali, comunicarle chiaramente ai loro partner e massimizzare il loro piacere sessuale. 

Perfezionare il linguaggio del sesso per abbattere i tabù

Come suggerito prima in questo articolo, la maggior parte di ciò che è "noto" - sia attraverso la letteratura scientifica che attraverso la cultura popolare - si riferisce al sesso anale penino o enfatizza gli esiti avversi di questo (ad es. malattie sessualmente trasmissibili, dolore o coercizione).

“Il nostro studio - hanno concluso gli autori - amplia la letteratura scientifica con nuove tecniche di stimolazione anale per il piacere femminile, perfezionando il linguaggio del sesso, e sottolinea come la donna oggi non ricopre più un ruolo passivo ma attivo nel rapporto sessuale, contribuendo all'abbattimento dei tabù”.

Andrea Centini per fanpage.it il 25 febbraio 2022.

Il primo preservativo espressamente progettato per il sesso anale è stato autorizzato dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense, l'agenzia federale che si occupa di regolamentare farmaci, prodotti alimentari, nuove terapie e dispositivi medici. Secondo la FDA rendere disponibile un preservativo specifico per questo tipo di rapporti spingerà sia gli omosessuali che gli eterosessuali a utilizzarlo. 

Benché i comuni preservativi fossero ampiamente raccomandati da tutte le principali autorità sanitarie anche per i rapporti anali, che rappresentano la principale fonte di rischio per la trasmissione del virus dell'HIV, in realtà il loro utilizzo era considerato “off label”, cioè fuori etichetta, perché comunque non erano progettati per quella tipologia di rapporto. Ma da oggi, grazie al “One Male Condom”, ci sarà anche un preservativo ad hoc.

La decisione di autorizzare il primo preservativo per sesso anale è seguita alla pubblicazione dei risultati di uno studio guidato da scienziati della Scuola di Salute Pubblica “Rollins” dell'Università Emory di Atlanta, che hanno collaborato a stretto contatto con i colleghi della Scuola di Medicina e delle società TheyFit.  

I ricercatori, coordinati dal professor Aaron J. Siegler, docente presso il Dipartimento di Scienze Comportamentali e Salute dell'ateneo americano, sono giunti alla loro conclusione dopo aver testato il preservativo One Male Condom in un esperimento che ha coinvolto oltre 500 uomini tra i 18 e i 54 anni. In 252 dei partecipanti hanno avuto rapporti con altri uomini, gli altri 252 con donne. 

Nello studio gli scienziati hanno valutato il tasso di fallimento del preservativo, definito come "scivolamento" e "rottura". Dalle analisi è emerso che il preservativo ha presentato un tasso di fallimento dello 0,68 percento per i rapporti anali e dell'1,89 percento per quelli vaginali, dimostrandosi ampiamente efficace per il suo ruolo, cioè quello di ridurre il rischio di trasmettere le malattie sessualmente trasmissibili o IST. Il preservativo è comunque approvato anche per la prevenzione delle gravidanze.

“Il rischio di trasmissione di IST durante il rapporto anale è significativamente più alto che durante il rapporto vaginale. L'autorizzazione della FDA di un preservativo che è specificamente indicato, valutato ed etichettato per il rapporto anale può aumentare la probabilità di utilizzo del preservativo durante il rapporto anale”, ha dichiarato in un comunicato stampa dell'FDA la professoressa Courtney Lias, direttrice dell'Office of GastroRenal dell'agenzia. 

 Il One Male Condom, spiega l'FDA, è guaina in lattice di gomma naturale disponibile in tre versioni differenti: standard, sottile e aderente. Per quanto concerne quest'ultima versione, sono disponibili ben 54 misure differenti: un modello in carta aiuta chi li acquista a scegliere quello più adatto. I dettagli della ricerca “Levels of clinical condom failure for anal sex: A randomized cross-over trial” sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Eclinical Medicine. 

Donny Meacham per “Elite Daily” il 30 gennaio 2022.

E quindi, il sesso anale è una cosa che la gente fa. Spesso. Ho sperimentato parecchi buchi, nella mia vita sessuale, dallo stile “la spada nella roccia” in poi. Può essere tanto divertente quanto stressante. Ecco le domande che in genere si pone chi fa sesso anale, la prima volta, che si tratti di donne o uomini.

La serata va bene, ti spogli, partono i baci, volano le mutande e lo vedi: quella cosa lì deve entrarmi dentro? Farà male? Come faccio a rilassarmi e a provare piacere? La verità è che sì, la prima volta fa male. Poi, rilassandosi, diventa un’esperienza gradevole. Evitate di puntare dritti alla penetrazione, iniziate con una massaggio esterno, i preliminari sono importanti più che mai in questa situazione delicata. 

L’altro pensiero fisso durante il sesso anale è: oddio, sono pulito? Questo terrore accompagna soprattutto chi riceve, in particolar modo se ha problemi di intestino. Con il condom almeno i “regalini” non restano attaccati alla pelle. Il consiglio è di usare le lenzuola scure, per evitare ogni imbarazzo.

La domanda che si pongono tutti, ma non solo nel sesso anale, è: «Come sono a letto?», perché il sesso ti deforma, ti mette in strane posizioni ed espressioni. Ma tu vuoi apparire sempre al meglio, e allora devi cercarti un partner che ti rassicuri, e ti faccia sentire comunque al massimo della bellezza.

Nella mia esperienza, si deve fare sesso, non una maratona. Più la seduta è lunga, meno si gode. Non c’è un tempo specifico, ma in due si capisce quando è abbastanza. Dopo il sesso anale, uno si domanda: perché l’ho fatto? E’ ancora un po’ fonte di vergogna, e soprattutto, non scendiamo in particolari, ma implica del tempo passato al bagno, e non sempre quando te lo aspetti. 

Da donnaglamour.it il 13 febbraio 2022.

L’uso di lubrificanti rende i rapporti molto più piacevoli, soprattutto quando si tratta di sesso anale. Questo lo sapevano bene anche i nostri antenati, che per lubrificare gli organi sessuali usavano le sostanze più disparate.

Oggi grazie all’industria del sesso troviamo in commercio sex toys di ogni genere, per non parlare dei lubrificanti, che vanno da quelli aromatizzati a quelli con effetto caldo o freddo. Nei secoli scorsi, invece, bisognava arrangiarsi. Il sito web AlterNet ha raccolto in un recente articolo tutti i lubrificanti più strani che venivano usati nell’antichità. Vediamo quali sono!

Gli antichi usavano spesso come lubrificante prodotti naturali, come gel d’aloe, olio vegetale e grasso animale. A farne largo uso erano soprattutto i Greci, che praticavano molto sesso, in quanto credevano che aiutasse a combattere depressione, indigestione, itterizia e mal di schiena. 

Essendo il sesso anale molto praticato nella civiltà greca, era ovvio che si sentisse la necessità di usare un lubrificante. Secondo alcune fonti, le prime testimonianze di utilizzo dell’olio d’oliva come lubrificante risalgono al 350 a.C., quando hanno cominciato ad essere prodotti anche i primi dildo in legno. 

Anche Aristotele parla nei suoi scritti dell’uso di olio di oliva durante il sesso, spiegando come fosse considerato un contraccettivo. Anticamente l’olio d’oliva era un prodotto molto ricercato e veniva prodotto nelle case dei nobili e nei bordelli.

·        La Masturbazione.

Da 105.net il 25 ottobre 2022.

Una recente indagine condotta  da Chemist4U su 2.000 persone intervistate, ha rivelato che non è così strano concedersi un momento di “piacere” durante l’orario lavorativo. Lo fa il 14% delle persone! 

Lo fanno maggiormente gli uomini e i più giovani

Ovviamente non tutti si concedono una pausa di “piacere”, ma quelli che lo fanno maggiormente sono gli uomini con il 22% che confessa di sfruttare le pause per un momento di piacere contro il 7% delle donne. Per quanto riguarda l’età, la fascia di maggiore “attività” autoerotica sul lavoro è quella tra i 25 e i 34 anni: tra questi più di una persona su quattro si tocca in orario lavorativo! Segue poi la fascia 35-44 e infine la fascia 45-54 con il 15% di persone che ammettono di concedersi piacere in orario di ufficio. 

Chi guadagna di più si tocca di più

L’indagine ha evidenziato un’altra differenza: quelli che hanno un salario più alto si toccano con maggiore probabilità di quelli che guadagnano meno: chi guadagna tra 40.000 euro e i 50.000 è più facile che si tocchi rispetto a chi incassa tra i 30.000 euro e i 40.000 euro, che ha il 24% di probabilità di dedicarsi all’amor proprio. Infine chi ha uno stipendio tra i 20.000 euro e le 30.000 euro all’anno ha il 18% di probabilità. Forse molti soldi equivalgono a molto stress da sciogliere con una toccatina? 

Darsi piacere fa bene alla produttività

Prima che capoufficio e direttori si arrabbino, diciamolo subito: sembra che concedersi uno stop di piacere faccia bene alla concentrazione! Cliff Arnall, psicologo e life coach, pensa addirittura che i luoghi di lavoro dovrebbero attuare una “politica del darsi piacere” per rendere più soddisfatti i loro impiegati.

“Mi aspetterei che una politica simile porti a una maggiore concentrazione, a una minore aggressività, a una maggiore produttività e a un maggior numero di sorrisi. Certamente fare una pausa di piacere per noia o per evadere aumenterebbe l’attenzione sul lavoro”, ha dichiarato. Insomma toccarsi fa bene all’umore, ma anche all’azienda!

Letizia Tortello per “la Stampa” il 18 ottobre 2022.

Chi è la donna? «Una tartaruga indaffarata a spezzare i vincoli del guscio ideologico del patriarcato», quella gabbia che le dice chi è, che ruolo ha, cosa deve desiderare. Chi è l'uomo? Il re è nudo, in tutti i sensi: un essere che «prova ad arrivare alla sua identità fallica simbolica, ossessionato dal dubbio: sono davvero un uomo?». 

Slavoj Zizek lascia l'attualità della riflessione politica e sociale per portarci ancora una volta dentro la natura archetipica di noi stessi. Prende uno specchio e ci toglie i vestiti. Nell'ultimo libro Il sesso e l'Assoluto, appena uscito per Ponte alle Grazie, il filosofo sloveno scava ed esplora, tra Lacan, l'idealismo tedesco, la fisica e l'immancabile cultura cinematografica, le fondamenta delle relazioni tra i sessi, in un'epoca di edonismo sfrenato. Rapporti di gabbie e potere.

Viviamo tra piacere ed egoismo, diventato valore Assoluto. Cos' è il Buddismo occidentale?

«Un'attitudine spirituale verso il mondo, ma sottile, non brutale. Non è il "voglio sesso denaro potere". Punta a realizzare se stessi, ma la lezione è "fai quello che vuoi, divertiti, ma in modo moderato, da non rovinarti".

Ho letto una ricerca sui top manager americani, da Bezos a Bill Gates, che parlava di un edonismo liberale di sinistra, che produce immediatamente forme di censura. Il paradosso è pensare a un edonismo fortemente regolamentato. Il mondo s' è ribaltato: quelli che fingono di sostenere i cosiddetti valori cristiani tradizionali, nella vita infrangono tutte le regole, umiliano gli altri e così via. 

Pensiamo a Trump, neo conservatore, pro valori familiari, contro l'aborto, poi guardate come reagisce in pubblico, pieno di volgarità, commenti sessisti. Oggi è la sinistra che cerca di parlare in modo più dignitoso. E la nuova destra è volgare. Vi ricordate il 6 gennaio 2021, l'assalto al Congresso? Alcuni miei amici di sinistra piangevano. Aspettate un attimo: la nuova destra ci ha persino rubato la grande rivolta popolare?». 

Lei parla di desiderio maschile e femminile, che nel sesso non si incontrano mai. Tutto così rigido e determinato? Ma non eravamo singolarità?

«Ciascuno di noi è una singolarità, ha una struttura unica di fantasie. Ma aggiungerei che tale esistenza singolare è sempre mediata dagli altri: prendiamo pezzi di fantasie che non sono nostre, anche dalla cultura popolare, e le trasportiamo dentro di noi. La mia storia preferita sul misunderstanding del sesso l'ho letta sul Guardian, era un commento a un breve documentario sulla realizzazione di un film pornografico.

Succede che, nel bel mezzo dell'atto sessuale, l'uomo faccia un passo indietro e perda l'erezione, e dica: "Per favore, datemi l'iPhone, devo andare su Pornhub per eccitarmi". Non è questa l'assurdità massima? Voi siete lì. Intimi con il reale, supponiamo un uomo o una donna sexy. 

Avete bisogno di guardare lo schermo e lavorare di fantasia? Ma credo che questa sia la lezione di Freud, così funziona il sesso normalmente. Tu o io non siamo mai soli con il nostro partner. Userò la formulazione di Lacan: spesso si dice che la masturbazione è sesso con un partner immaginato. Io ribalto la questione: il vero sesso nella maggior parte dei casi è masturbarsi con il vero partner, si usa l'altro solo come un inizio approssimativo, per proiettare desideri, e si riduce l'altro a un oggetto. Avete bisogno di un supporto reale per giocare con le vostre fantasie». 

E l'amore? Liquidato così?

«Al contrario, e ci arrivo. I miei amici dicono che sono troppo romantico. Sapete cosa succede per me in amore? Nell'amore vero, l'altro non è completamente conosciuto, è un abisso, un vuoto impenetrabile. Se ci si ferma alla sessualità, come ho spiegato prima, non riusciamo mai ad avere l'altro. Nella vita reale, invece, il partner non è un'idea, è accettato con tutti i suoi fallimenti. Ho inventato anni fa la definizione del mio appuntamento sessuale perfetto».

Un appuntamento al buio?

«No. Scusate l'impertinenza ma dobbiamo chiamare in causa un dildo di plastica per le donne e un oggetto elettrico simile per gli uomini, una specie di vagina artificiale. Ora diciamo, io vengo a trovarti o tu vieni a trovare me. Tu porti il tuo dildo. Io la mia vagina di plastica. Li colleghiamo tra loro e all'elettricità e premiamo i pulsanti. Loro lo fanno per noi. Noi, intanto, possiamo bere una tazza di tè e discutere di filosofia. È depressivo, lo so, ma è qui che ci stiamo lentamente avvicinando». 

Sta dicendo che il sesso è una superflua illusione?

«No, no. La mia invenzione di due organi sessuali di plastica che si divertono per noi non significa che il sesso sia finito. Noi parliamo, poi magari, per caso, la tua mano tocca la mia. Il dovere di oggi è quello di godere, abbiamo detto. Molti psicoanalisti mi dicono che la maggior parte dei pazienti si lamenta di non riuscire a godere abbastanza nella vita. La mia soluzione: lasciate che la macchina goda per voi e poi, forse, quando vi libererete di questa pressione del super-Io che deve godere, potrete ottenere un po' di vero godimento libero, oggi molto difficile». 

Così spiega la precarietà delle coppie?

«L'attaccamento amoroso permanente ormai è considerato patologico. L'idea è che per essere un vero soggetto contemporaneo devi sperimentare. 

Amici dell'America Latina, probabilmente la terra più promiscua, mi hanno detto che 50 anni fa se un marito o una moglie tradivano, questo era considerato un sintomo. Come dire: "Oh mio Dio, cosa c'è di sbagliato in te? Perché scappi da uno all'altro?". E dovevi andare in psicanalisi. 

Oggi, almeno in Brasile e in Argentina, se sei fedele al partner, questo è considerato un sintomo. "Perché sei così drammaticamente fissato? Perché il vostro amore non è più dinamico? Stai ripetendo la fissazione per tua madre o per chiunque altro?". Io sono a favore dell'amore, non contro il sesso. Avete mai avuto la sfortuna di leggere il Marchese de Sade? Riuscite a immaginare qualcosa di più noioso? Mi piace sottolineare questo paradosso dell'amore: deve essere libero. Non posso ordinarti di amare qualcuno. 

Non si sceglie mai chi amare.

Se dici: "Quel ragazzo/a ha i capelli migliori, l'altro ha il corpo migliore", cioè se fai una scelta, questo non è amore. L'amore è: scoprire all'improvviso di essere innamorati. Intima necessità. In questo senso, sono a favore della fedeltà, ma non nel senso istituzionale religioso. Il matrimonio è qualcosa di molto cinico. Significa: sei innamorato, ma ci sarà un tempo in cui forse non lo sarai più. Il sesso invece penso che sia un grande pasticcio. Non esiste una formula primordiale, poi corrotta dal patriarcato.

La forma più triste e disgustosa di maschilismo è quando un uomo non solo si aspetta da una donna che dica sì e gli permetta di possederla, ma pretende anche che lei partecipi come vuole lui». 

Il sesso come umiliazione maschilista?

«Sì. Ho avuto amici il cui piacere era di eccitare una donna, penetrarla, e poi quando era completamente calda, dicevano: "Scusa, non mi va più, a me va bene così". È chiaro che lo scopo era umiliarla. Conoscevo donne che facevano lo stesso. Ho rotto l'amicizia». 

Il patriarcato, però, è vivissimo. Come se ne esce?

«Partirò dall'Italia. Avete notato quando Giorgia Meloni ha vinto? La leader, che non voglio definire fascista, ma diciamo radicale, populista di destra, neo fascista, ha giocato sul fatto di essere una donna (scusate per questa svolta sciovinista), ma il suo partito si chiama Fratelli d'Italia. Perché non "Sorelle?". Sarebbe un segnale. Invece, siamo ancora nell'ordine della fratellanza, nel legame maschile, di aggressività, competizione, conquista. Non solo in Italia. Guardiamo al Regno Unito, una società ancora razzista, ma quanti conservatori oggi sono di origine indiana, stranieri?

Voglio dire che non bisogna sottovalutare la capacità del sistema di approvare, a un certo livello superficiale, le rivendicazioni antirazziste e antisessiste, ma di integrarle nel suo funzionamento. Horkheimer e Adorno, già alla fine degli Anni 30, notarono che il declino dell'autorità paterna portava all'ascesa di nuove oscene forme di dominio. Hitler non è una figura paterna. È più simile a un fratello che impazzisce, anche un po' infantile con i suoi sfoghi storici. Trump non è una figura paterna. E soprattutto Stalin». 

Meglio il padre padrone del dittatore?

«Alcuni psicologi, teorici sociali, persino psicoanalisti, sostengono che negli ultimi 50 anni se si perde il nome del padre si finisce nel caos sociale, in personalità narcisistiche e così via. Rifiuto totalmente questa conclusione. Ma continuo a pensare che i movimenti politici debbano avere un leader, uomo, donna, non importa. È il problema di oggi». 

Un leader di che tipo?

«Emancipatore. Il cui messaggio non sia come quello di Stalin: "Io so meglio di voi cosa è bene, quindi obbeditemi". Un leader il cui messaggio sia: "Potete farlo, vi apro uno spazio". Non idealizzo Nelson Mandela come persona, ma il suo mantra era: "Possiamo raggiungere la libertà". Basta dare speranza. 

Anche Obama, sebbene in seguito abbia deluso, disse: "Yes we can"». Mi sta nominando solo leader maschi, se ne rende conto? «Sono d'accordo. E questo mi preoccupa. Sono a favore delle quote rosa e così via. Sono un bene per motivi etici e pragmatici. Ma, come mi ha insegnato la psicoanalisi, cerco sempre il lato oscuro, e cioè che il sistema si sta già preparando a mobilitare le donne per adattarsi al nuovo autoritarismo. Ricorda Sarah Palin? Il sistema è impegnato a costruire nuovi ruoli per le donne, usando il loro volto gentile per perpetuarsi. Sapete qual è la mia lezione?». 

Ci dica.

«L'ho scritto quando è morta Margaret Thatcher. Non abbiamo bisogno di una femminilità gentile. Donne che parlano solo di compassione, cooperazione. Abbiamo bisogno forse di una Thatcher di sinistra. Gentile, dura quando deve». 

Donne che vanno alla guerra?

«Penso che, come la storia ha dimostrato, negli stati di emergenza il leader ideale sia donna. Il perché lo spiegherò con Elisabetta I. Cercò di rimandare la guerra contro l'Armada spagnola il più possibile per evitarla. Oggi penso che una donna avrebbe fatto un lavoro migliore con Putin, nel trattare in modo più furbo e sottile. Abbiamo bisogno di evitare che la sconfitta della Russia significhi l'atomica. Dobbiamo offrire una storia russa alternativa a Putin. La Russia non è piena di folle entusiasmo nazionalistico. E questo è un lavoro per una donna».

Marta Occhipinti per repubblica.it il 18 settembre 2022.

Copertina fucsia fluo, gommata a rilievo. Quasi, un oggetto di design. E illustrazioni in bianco e nero con tante, tante curiosità su un tabù antico quanto la preistoria. Un saggio sul dildo, sex toy più antico e copiato al mondo, non si era ancora visto in Italia. A colmare l’assenza, ci ha pensato la casa editrice emiliana Quinto Quarto che pubblica Il libro del dildo (162 pagine, 22 euro): piccola enciclopedia e guida pop in chiave storica e ironica sui giocattoli sessuali. A idearlo e disegnarlo è Pamela Cocconi, in arte Pamcoc, disegnatrice versatile al suo libro d’esordio dopo anni di collaborazioni in comunicazione ed editoria. 

“Per le tue ricette, l’ingrediente segreto è sempre la passione”, scrive Cocconi. E proprio la passione è il filo rosso dell’illustrato che ripercorre la storia sessuale dell’umanità dagli oggetti erotici dell’industria litica alle serie tv come “Masters of Sex” che documentano la rivoluzione sessuale degli anni Cinquanta in America. Un racconto libero e creativo, il libro sul dildo è la storia illustrata delle fasi evolutive, delle forme, dei materiali e della progressiva snaturalizzazione dell’autoerotismo dalle società antiche a oggi.

“È nato tutto per gioco, come uscendo un coniglio dal cappello – dice Cocconi – incuriosita dalla ricerca sulla sessualità, soprattutto nella sua espressione grafica, ho iniziato a studiare. E ho ritrovato informazioni e curiosità sparse tra libri e rete”. Così ha deciso di riunire, a modo suo, tutto il materiale, abbinandolo a disegni semplici che trasformano il libro in un inventario dettagliato dei dildo contemporanei.

Il primo dildo della storia, scrive Pamcoc, è composto di siltite ed è lungo 20 cm. È stato ritrovato nel 2005 in una caverna tedesca, nel sito archeologico di Hohle Fels, luogo noto per la Venere di Hohle Fels, la statuina dalle forme femminili primo esempio di arte figurativa dei nostri antenati. “Gli archeologi non sapevano come classificare questi oggetti – dice Pamcoc – e li chiamarono ‘bastoni dell’era glaciale’. Fu l’inizio un processo di nascondimento delle pratiche di autoerotismo, assolutamente naturali in ogni tempo per egizi, greci e inglesi all’epoca di Shakespeare che cità il dildo persino in una sua opera". Era Racconto d’inverno del 1611.

Oggetti fallici, di tutte le forme: Cleopatra ne aveva uno in oro massiccio, regalatole dal suo leggendario amante Giulio Cesare, mentre per i giapponesi i dildo diventano oggetti d’arte come dimostrano gli shunga, le stampe erotiche di origine nipponica famose nel periodo Edo, tra i primi del Seicento e la seconda metà dell’Ottocento. Il fallo, caro alla sacralità dei romani, viene riprodotto anche in Buthan come artigianato locale e street art.

Come scrive Pamcoc: “Il fascino ossessivo del Bhutan per i disegni e gli idoli fallici è attribuito a Drukpa Kunley, noto anche come il Divino Pazzo, un eccentrico monaco del XV secolo che diffondeva i suoi insegnamenti in modi non convenzionali. Pare infatti che il folle yogi, appassionato di donne e di vino, insegnasse il buddhismo invitando i suoi studenti ad aprirsi alla dissolutezza sessuale, e che abbia battezzato l’usanza di dipingere peni eretti sui muri e di far volare falli dai tetti per scacciare gli spiriti maligni. In pratica adorava i piaceri carnali, in contrasto con quella che è la comune idea dell’asceta tibetano”.

Sorprende a ogni pagina questo piccolo compendio sulla sessualità in silicone. L’autrice recupera scene cinematografiche, dai fratelli Farrelly a Guy Ritchie, recupera Priapo e le “libelle” ingiuriose dell’Ancien Régime francese come forma di scandalo sessuale legato a politica e moralità. Mai volgare, sempre divertita e capace di stimolare curiosità, Pamcoc disegna un manuale che spiega la sessualità a giovani e meno giovani. “Vorrei che questo libro arrivasse soprattutto agli anziani e che queste si divertissero”, dice Cocconi. L’autrice sarà presente il prossimo 21 maggio, alle 17.15 al Salone del libro di Torino in compagnia di Melissa Panarello e del duo La Sex En Rose, “per parlare di sesso come arte, impresa e racconto”.

Da liberoquotidiano.it il 29 maggio 2022. 

"Masturbazione: un potente antistress": questo l'argomento che Daniele Luttazzi decide di trattare oggi nella sua rubrica sul Fatto Quotidiano, "Non c'è di che". Il comico spiega perché è un bene sottoporsi a questa pratica. I benefici non sarebbero solo fisici, ma anche psicologici e morali. "Voglia di ritagliarsi uno spazio per prendere le distanze da paure e inquietudini del mondo moderno, rallentare ritmi di vita troppo frenetici, tornare a una dimensione di valori e certezze forti": questa la descrizione offerta nell'articolo.

Durante l'atto della masturbazione, prosegue Luttazzi, "la mente si libera e la fantasia vola (le mie fantasie sessuali le misuro in Kleenex. Diletta Leotta: due Kleenex. Valentina Lodovini: due pacchetti di Kleenex)". Il comico, poi, continua ad elencare i vantaggi che derivano da questa pratica: "È benefica come lo yoga, la masturbazione dà una soddisfazione impagabile e migliora l’autostima: raggiungere l’orgasmo aumenta la considerazione di sé".

Luttazzi spiega pure che è praticabile ovunque si voglia: "Al parco, sul treno, in una sala d’aspetto: per chi è appassionato della masturbazione ogni posto è buono per masturbarsi". Infine viene sottolineato anche il lato politico dell'atto: "Nel corso delle due guerre mondiali, le spie si masturbavano per mandare messaggi in codice Morse. Posizione delle truppe, numero delle armi, movimento dei treni: tutto si può cifrare con una pugne**a. Non a caso, Churchill vietò la masturbazione in pubblico, temendo che potesse essere usata per trasmettere informazioni ai tedeschi".

·        L’Orgasmo.

DAGONEWS l'1 novembre 2022.

L'amore non sempre garantisce un grande rapporto sessuale. Parola della sexperta Tracey Cox che offre qualche consiglio su come sciogliere il complicato dilemma tra cuore e orgasmo. 

«Partiamo facendo due ipotesi - dice l’esperta di relazioni - premettendo che il problema riguarda soprattutto le donne, perché la maggior parte degli uomini ha raramente problemi di orgasmo.  

Senza contare che molto spesso si tratta di donne eterosessuali, visto che le lesbiche hanno un tasso di orgasmo molto più elevato rispetto a quelle etero. 

Detto questo bisogna riflettere su che tipologia di uomo ci si trova davanti, visto che da un lato ci sono quelli che se ne infischiano di farvi raggiungere il climax e dall’altra quelli che si scervellano per cercare di farvi godere.

In questo secondo caso ricordate che nessuno “dona” un orgasmo: dovete essere capace di farlo accadere, magari aiutandovi con vibratori o semplicemente mostrando al partner come muoversi. 

Voi sapete come funziona il vostro corpo e l’unico modo per far capire cosa vi serve è farlo vedere al vostro compagno e parlargli di quello di cui avete bisogno. "Scaricarlo" perché non riesce a farvi godere è da folli».

 Il dilemma: fare sesso noioso o non farlo affatto? 

«Se volete riaccendere la passione, rivolgetevi a un sessuologo che vi aiuterà a “disintossicarvi” dai tentativi falliti. Molti suggeriscono un periodo di astinenza per "pulire la lavagna" e ricominciare.

Vi imporrà dei periodi in cui potrete toccarvi, bandendo la penetrazione: sarà un modo per concentrarsi sui preliminari, che sono fondamentali soprattutto per le donne, visto che difficilmente raggiungono l’orgasmo esclusivamente con il rapporto. 

Poi si passerà alla lingua e al sesso orale. L'elemento della penetrazione "non disponibile" rende tutto più creativo, perché  si devono trovare diverse strade per raggiungere il climax». 

Devo fare sesso orale?   

«È una buona idea che entrambi facciano sesso orale. Rifiutarsi di fare sesso orale con il proprio partner non significa solo eliminare una parte estremamente soddisfacente del rapporto,  ma risulta respingente per l’altra persona. Il sesso orale è la parte più intima dell'unione: state letteralmente prendendo in bocca la parte più privata del vostro partner.

Assaporarne il gusto, la consistenza, l'odore, vorrà dire mostrare il massimo livello di accettazione che esista. 

Anche se non vi piace particolarmente farlo, è qualcosa che fate per il piacere del vostro partner, a patto che venga ricambiato. Se il partner si rifiuta di fare sesso orale, chiedete perché. 

Le preoccupazioni per l'olfatto e il gusto sono facilmente risolvibili facendo prima una doccia, lavandosi correttamente e curando eventuali infezioni. Le preoccupazioni sul soffocamento possono essere risolte chiedendo di non spingere la vostra testa e, se non amate deglutire, potete farvi venire in mano».

Avere una relazione extra-coniugale può aiutare? 

«A parer mio no - continua Cox - Avere una relazione per ravvivare il sesso con il vostro partner è un'idea davvero stupida. Una delle ragioni per cui si tradisce è il senso dell’avventura e la novità. 

Provate a reiventarvi programmando gli appuntamenti e stuzzicando la fantasia del vostro compagno e pensando alla biancheria intima che indosserete. Il sesso in una coppia è raramente “spontaneo”, è un sesso programmato. E questo non vuol dire che non possa essere bollente». 

Come posso suggerire sesso a tre al mio partner? 

«È un campo minato in cui bisogna muoversi attentamente.

Anche se qualche volta lo vedete scherzare sull’argomento, non significa che voglia provarci davvero. Un conto è l'idea, ma poi trovarsi con due uomini o con due donne nel letto può portare a situazioni e pensieri spiacevoli. 

Sondate il territorio chiedendo che cosa pensa di queste esperienze e fate attenzione alla reazione.

Risposte della serie “ma come riescono a fare” o “non potrei pensare a nulla di peggio” ovviamente non lasciano spazi. Se invece reagisce in maniera possibilista e anche con cauta curiosità, si può pensare di procedere a piccoli passi ricordando che nulla deve essere fatto se non siete entrambi d’accordo».

Valentina Arcovio per repubblica.it il 15 ottobre 2022.

Può essere comprensibilmente considerato uno degli uomini più "sfortunati" al mondo. Un ragazzo di 27 anni, sulla cui identità si mantiene un rigido riserbo, è costretto ad astenersi dal sesso perché è allergico al proprio orgasmo. In pratica, ogni volta che eiacula il giovane paziente manifesta sintomi simil-influenzali e altre manifestazioni più o meno gravi: febbre, tosse, rinite, debolezza muscolare, nonché problemi di linguaggio, di concentrazione e memoria; e poi anche ingrossamento dei linfonodi ed eruzioni cutanee sulle braccia. Questi disturbi possono persistere tra i due e i sette giorni dopo l'eiaculazione.

Diagnosi a 18 anni

I medici ritengono che l'"angosciante" malattia del paziente, descritta sulla rivista Urology Case Reports, abbia avuto origine all'incirca 10 anni prima, quando il giovane aveva appena 18 anni d'età. Da allora ha sempre cercato di evitare rapporti sessuali fino ad arrivare anche a rinunciare ad avere una relazione romantica. Almeno fino a quando i medici non hanno individuato la malattia, dandole un nome: sindrome da malessere post orgasmico. 

Non sappiamo con certezza le cause di questa allergia. Secondo Andrew Shanholtzer della William Beaumont School of Medicine dell'Università di Oakland (Usa), tra gli autori dello studio, è possibile che la sindrome possa insorgere a seguito di un'infezione o di una lesione ai testicoli, traumi quindi che possono portare alla fuoriuscita di quantità microscopiche di sperma nel flusso sanguigno, a cui il corpo risponde. Normalmente, lo sperma ha una membrana che lo separa dal resto dell'organismo ma se questa viene danneggiata, il liquido seminale non è più isolato e a quel punto si innesca la reazione allergica.

Il sistema immunitario attacca lo sperma, come fosse un virus

"Le cellule immunitarie del corpo sono addestrate ad attaccare qualsiasi sostanza estranea trovata", spiega Shanholtzer. "Ci sono cellule speciali chiamate cellule di Sertoli che nutrono e circondano lo sperma e lo mantengono isolato dalle cellule immunitarie", spiega Shanholtzer. "Quando le cellule di Sertoli vengono danneggiate - aggiunge - lo sperma viene esposto al sistema immunitario per la prima volta e il sistema immunitario lo attacca come se fosse un virus o un batterio estraneo". Da qui si origina la sindrome da malessere post orgasmico, difficilissima da diagnosticare. 

L'antistaminico riduce i sintomi

Non a caso il giovane paziente era stato visitato da moltissimi medici e specialisti, come urologi, otorinolaringoiatri e persino esperti di malattie infettive. I suoi testicoli sono stati sottoposti a esami di imaging e i medici hanno analizzato sperma e ormoni. Ma ogni volta tutto risultava nella norma. Gli sono stati anche somministrati antibiotici, inutilmente. Poi finalmente la diagnosi e, dopo diversi tentativi, una terapia che sembra funzionare bene. Il paziente ha infatti ricevuto diversi antistaminici fino alla scoperta che uno specifico, ad azione prolungata, chiamato fexofenadina, ha portato a una riduzione del 90% dei suoi sintomi. 

Sindrome molto rara

Il giovane paziente alla fine è stato "fortunato nella sfortuna". La sindrome da malessere post orgasmico, pur essendo molto rara, colpisce decine, centinaia o forse migliaia di altri uomini senza che lo sappiano. Finora, gli scienziati hanno scoperto quasi 60 casi di uomini con la stessa patologia ma, poiché così poche persone sono consapevoli dell'esistenza di questa malattia, potrebbero esserci molte più persone che convivono con essa. "Molti operatori sanitari non lo sanno, per non parlare del pubblico", sottolinea Shanholtzer. "È più che probabile che sia sottodiagnosticata e che ci siano molti malati là fuori", aggiunge. 

Il trattamento è di facile accesso

Gli uomini che ne soffrono possono essere sottoposti a "numerosi test e trattamenti potenzialmente non necessari", evidenzia l'esperto. Ma una volta arrivati alla diagnosi, i ricercatori suggeriscono un trattamento di facile accesso. "La fexofenadina - dicono i ricercatori - è un farmaco relativamente sicuro, poco costoso e ben tollerato, ma richiede ulteriori studi prima che possano essere valutati i suoi benefici terapeutici in questa popolazione selezionata. La nostra esperienza dimostra la fattibilità del trattamento di una malattia complessa con un semplice farmaco e, si spera, verrà replicata in futuri pazienti".

Da "donnaglamour.it" il 3 settembre 2022.

Vuoi dare al tuo uomo un super orgasmo? Allora devi imparare a fare il pompoir, una particolare tecnica del sesso tantrico, che consiste nella “mungitura” del pene. 

Detto anche “milking”, dal fatto che ricorda la mungitura, il pompoir è una tecnica che le donne asiatiche praticano fin da tempi antichissimi. Se ne trovano infatti alcune testimonianze in testi indiani del XVI secolo, che lo descrivendo come la capacità di contrarre la vagina “imprigionando” il pene in una stretta morsa, capace di dare un piacere grandissimo.

Altri studi orientali lo chiamano “Singapore Kiss”, in quanto le concubine di Singapore più esperte sarebbero in grado di praticarlo. Ma come si fa questo pompoir? Per dirlo in parole semplici, bisogna imparare a contrarre e rilassare i muscoli vaginali ritmicamente. Per riuscirci è necessario allenarsi a lungo con gli esercizi di Kegel, che tonificano i muscoli pelvici femminili.

Secondo l’esperta di sesso Denise Costa, autrice di un libro per imparare l’arte del pompoir, basta un’ora di pratica al giorno per imparare a padroneggiare questa tecnica. Ovviamente, l’ideale è allenarsi con il proprio partner maschile, ma in sua assenza è possibile usare vibratori e palline da geisha. 

Una volta imparata la tecnica base, si possono sperimentare altri interessanti giochini, come l’effetto risucchio o la “riverginazione”, che consiste nel contrarre i muscoli vaginali così tanto da rendere difficoltosa la penetrazione, come con le donne vergini.

Ci sono poi la mungitura, ovvero la contrazione ritmica e progressiva, la ghigliottina, contrazione forte e decisa, e l’espulsione, che consiste nel riuscire a far uscire il pene dalla vagina senza usare le mani. I benefici, secondo gli esperti, sono innumerevoli sia per gli uomini che per le donne. Provare per credere! 

Simona Marchetti per corriere.it il 30 Agosto 2022.

Per quanto travolgente e appassionato possa essere stato l’incontro sessuale, una volta concluso, molti uomini faticano a tenere gli occhi aperti e si addormentano all’istante o quasi. Vero, anche ad alcune donne capita di cadere fra le braccia di Morfeo al termine del rapporto, ma il fenomeno sembra colpire prevalentemente l’altro sesso. 

E come spiega Melinda Wenner Moyer, giornalista scientifica con una laurea in biologia molecolare all’Università del Michigan, in un articolo su LifeScience, pur non potendo individuare la causa esatta della sonnolenza maschile post-sesso, esistono tuttavia delle ragioni biochimiche ed evolutive, alcune dirette e altre indirette, per cercare di spiegarla. 

L’orgasmo porta al rilassamento

Fatto salvo l’ovvia stanchezza fisica che si verifica dopo il sesso, atto che in genere si svolge di notte e in un letto, favorendo così il riposo, una ricerca ha però evidenziato come un requisito primario per l’orgasmo sia quello «di riuscire a lasciarsi andare». Ovvero, di liberarsi di paure e ansia, così da rilassarsi, il che spiegherebbe la tendenza ad addormentarsi dubito dopo averlo raggiunto.

Non bastasse, durante l’eiaculazione gli uomini rilasciano un cocktail di sostanze chimiche del cervello, fra cui noradrenalina, serotonina e, soprattutto, ossitocina, vasopressina, e prolattina, tre ormoni quest’ultimi che sono associati al sonno e alla riduzione dei livelli di stress, che può così favorire il rilassamento. 

La spiegazione evolutiva: dormire per rigenerarsi

A detta della scienziata, più difficili da spiegare sono invece le ragioni evolutive della sonnolenza post-sesso. Assodato che, dal punto di vista evolutivo, l’obiettivo principale dell’uomo sia quello di riprodursi, dormire non sembra quindi essere la mossa più azzeccata per raggiungere lo scopo. In realtà - suggerisce ancora la Wenner Moyer - il sonno potrebbe servire come mezzo per rigenerarsi e riprendere le forze, così da essere pronto per un nuovo rapporto. 

È anche possibile che la sonnolenza sia solo «un effetto collaterale» unito al rilascio di ossitocina e vasopressina. Oltre infatti a essere associate al sonno, queste due sostanze chimiche del cervello sono coinvolte in quello che viene definito «legame di coppia» e, di conseguenza, la loro produzione durante l’orgasmo può aumentare la fiducia fra i partner sessuali, spiegando così in parte il legame fra sesso e attaccamento emotivo.

Insomma, come si è visto, le possibili spiegazioni alla sonnolenza post-sesso possono essere molteplici, anche se nessuna risolutiva, e le donne non possono fare altro che abituarsi a questa condizione quasi esclusivamente maschile, perché non sembra destinata a mutare a breve. La consolazione? Un recente sondaggio svolto su 10.000 uomini inglesi ha rivelato che il 48% di loro si addormenta durante il sesso, il che è decisamente molto peggio.

Silvia Turin per corriere.it il 22 agosto 2022.  

Il calo del desiderio è un problema comune in alcune coppie, specie quelle di lunga data e conviventi. Adesso uno studio condotto da sessuologi australiani sostiene che il lavoro in più che le donne spesso si trovano a fare in casa (con il relativo carico di stanchezza e ansia) sarebbe la causa del problema.

Lo studio

Non più solo un fisiologico calo di libido per cui spesso è stata data «colpa» alle donne, quanto un carico extra di ore di lavoro, anche «mentali», che riguardano a tutto tondo l’organizzazione familiare e che spengono l’entusiasmo tra le lenzuola. Sono mansioni che si aggiungono spesso al lavoro quotidiano retribuito, ma non sono più solo i classici «lavare i piatti» e «rifare i letti», ma anche pensare alla spesa, portare fuori il cane, aiutare i figli con i compiti, accompagnarli in piscina, organizzare le feste di compleanno e così via. 

La ricerca, pubblicata sul Journal of Sex Research , ha analizzato le risposte di 299 donne australiane di età compresa tra 18 e 39 anni a un questionario online che misurava i fattori di relazione e le dimensioni del desiderio sessuale. Le partecipanti sono state divise in tre gruppi: lavoro paritario, lavoro appannaggio principalmente delle donne e lavoro svolto principalmente dal partner. 

Non è noia ma stanchezza

I risultati hanno mostrato che le donne in relazioni paritarie (in termini di lavori domestici e carico mentale) erano più soddisfatte delle loro coppie e, di conseguenza, provavano più desiderio sessuale rispetto alle donne impegnate in relazioni «disuguali», che registravano il calo di libido (nonostante la giovane età delle partecipanti).

Il gruppo in cui il partner svolgeva in misura maggiore i compiti casalinghi è stato giudicato troppo esiguo per essere valutato. I risultati si ripetevano simili in coppie omosessuali.

Due particolari ulteriori: quando i ricercatori hanno indagato sul desiderio votato all’autoerotismo, i risultati non hanno mostrato variazioni che dipendessero dall’equità delle relazioni di coppia, segno che «il basso desiderio delle donne potrebbe non essere un problema fisiologico», scrivono gli autori.

Anche la durata della relazione ha giocato un ruolo. La ricerca ha mostrato che le relazioni a lungo termine erano associate alla diminuzione del desiderio per le donne, ma anziché imputarlo alla classica noia, gli studiosi hanno riscontrato che il calo poteva essere ascritto sempre alla disparità di compiti: che aumentavano a sfavore delle donne man mano che gli anni di convivenza trascorrevano. 

«L’insoddisfazione relazionale è un fattore di rischio principale per il basso desiderio nelle donne, anche più degli impatti fisiologici dell’età e della menopausa. Provare per credere», hanno concluso gli autori.

Estratto dell’articolo di Jane Mulkerrins per “The Times” l'11 agosto 2022.

Per conto del Times e in nome della scienza, ho diligentemente testato “Lioness”, il primo “vibratore intelligente” al mondo. Registra i movimenti involontari del pavimento pelvico per creare un grafico dei picchi e degli avvallamenti del piacere di una donna. 

Descritto eroticamente da Pfaus come "essenzialmente uno strumento di biofeedback del pavimento pelvico" e venduto per 229 dollari, Lioness non sembra molto diverso da un vibratore normale: elegante, chic, ricoperto di silicone e leggermente curvo, con uno stimolatore clitorideo e 100 “intensità di vibrazione personalizzabili”. Ma Lioness ha quattro minuscoli sensori che monitorano l’orgasmo.

Il kit high-tech è stato creato da Anna Lee, ingegnere meccanico di 31 anni, che ha iniziato la sua carriera presso Amazon Lab126, il braccio di ingegneria concettuale del gigante della tecnologia. Dopo aver incontrato il fondatore di un'azienda di giocattoli sessuali a una festa era curiosa di sapere come sapeva che quello che stavano progettando funzionava per le donne. Il fondatore le riferì dello standard industriale consolidato: testare i vibratori sulla punta del naso (la sua sensibilità, le disse, è considerata vicina a quella del clitoride). Riteneva di poter fare di meglio e ha trascorso sette anni a lavorare su prototipi per perfezionare Lioness.

Tuttavia, l'intenzione non è mai stata semplicemente quella di creare un sex toy.

A livello individuale, i dati raccolti consentono agli utenti di comprendere meglio il proprio corpo, tracciando un grafico di un climax: fattori esterni come alcol, droghe, caffeina e stress, nonché interni, come sonno, umore, problemi di età o di salute possono influenzare il piacere. 

A livello macro, Lee mira a costruire un database di orgasmi. Il team di Lioness raccoglie e aggrega i dati di migliaia di utenti per avere dati più approfonditi sull’orgasmo ed entrare ancora di più nell’universo femminile.

In definitiva, Lee spera che la Lioness possa aiutare a colmare "il divario di conoscenze tra uomini e donne.

Ma davvero è necessario che il nostro climax venga tracciato come il numero dei passi e la pressione sanguigna? Molto di ciò che ho raccolto dai miei grafici sono dati di cui sono consapevole. Ad esempio, il vino non è particolarmente utile per raggiungere l'orgasmo, ma le caramelle gommose al CBD sì. Insomma forse risulta più utile nella fascia tra i 20 e i 30 che ancora devono conoscere bene il proprio corpo e tendono a tracciare tutto.

Da today.it l'8 Agosto 2022 

Aurora Ramazzotti torna a parlare di sesso. La figlia di Eros Ramazzotti e Michelle Hunziker, che solitamente è al centro di polemiche per gli attacchi degli haters che la considerano solo una raccomandata, questa volta decide di cambiare argomento e sceglie di dare qualche consiglio a tutte le donne che non sono soddisfatte della propria vita sessuale. 

Non è la prima volta che la venticinquenne, con il sogno di diventare presentatrice proprio come mamma Michelle, tratta questo argomento che, spesso, fa parte dei suoi dibattiti social. Questa volta, però, Aurora sceglie di parlare di sesso durante un viaggio in treno e prova a dare qualche prezioso consiglio a tutte le donne che hanno qualche problemino sotto le lenzuola spiegando loro cosa fare per migliorare i rapporti intimi con i propri partner. Argomento scottante: la posizione del clitoride, spesso sconosciuta agli uomini.

Il tutto, infatti, è iniziato con un siparietto ironico dove la Ramazzotti, sulle sue stories Instagram, fa un'imitazione simpatica degli uomini che sarebbero convinti di sapere dov'è il clitoride ma, in realtà, avrebbero le mani da tutt'altra parte. "Lui che sfrega le labbra pensando di beccare il clito" scrive la giovane donna sul video dove affronta il tema e, subito dopo, dà una bella lezione di sesso e comunicazione alle donne. 

"Ok, fa ridere ma se poi non gli dici dove sta sbagliando hai più colpe tu di lui che è solo vittima di essersi addormentato durante la classe di anatomia" commenta la Ramazzotti nella sua storia successiva, facendo ricadere, così, le colpe dell'insoddisfazione sessuale femminile alle stesse donne che, molto spesso, hanno paura di parlare e dire ai propri uomini che stanno sbagliando qualcosa in fatto di sesso.

"Non abbiate paura di parlare, indicare, insegnare cosa vi piace", sottolinea, ancora, Aurora, "così facendo, aiuterete la prossima amica e contribuirete a un mondo sessualmente migliore".

Federica Portoghese per leggo.it l'8 Agosto 2022  

Aurora Ramazzotti super sexy tra le rocce di Panarea. Due scatti che infiammano il web: seno al vento, le mani che coprono i capezzoli e il riferimento nella didascalia al movimento "free the nipple". L'influencer si fa fotografare dall’amico Jonathan Kashanian, ex gieffino, che ironizza con un commento sotto il post di Aurora: «Scusa i crediti? ho rischiato un dito per queste foto». 

In vacanza alle Eolie con Aurora, è infatti presente anche il fidanzato Goffredo Cerza e l’amica Sara Daniele. La comitiva sembra divertirsi in catamarano tra momenti divertenti, pranzi lunch, balletti e relax. La figlia di Michelle Hunziker ed Eros Ramazzotti si fa rapire dai paesaggi suggestivi e si concede qualche scatto. 

Provocatrice, bella e sensuale, Aurora si mostra in tutta la sua naturale bellezza sfidando ancora una volta i commenti "pungenti" degli hater. Intanto arrivano i primi commenti d'apprezzamento, e non manca il like di mamma Michelle.  

Ramazzotti ha ragione. In tanti hanno criticato Aurora Ramazzotti per aver affermato su Instagram che gli uomini non conoscono la posizione del clitoride. Ma siamo sicuri che a sbagliare sia lei? Giulia Mattioli La Repubblica l'8 Agosto 2022 

Aurora Ramazzotti non si fa problemi a dire quello che pensa, e usa i social per esporsi su diversi argomenti, tra cui la celebrità, il rapporto con il corpo, il cat-calling, la sessualità. Lo fa nonostante le critiche che gli haters le riservano ogni volta che si esprime, fatto accaduto anche in questi giorni dopo aver pubblicato alcune stories su Instagram in cui, in modo ironico, parlava di clitoride. Per la precisione, canzonava gli uomini che non sanno dove si trovi questa parte così importante dell'anatomia femminile, aggiungendo che le donne dovrebbero insegnare loro a rintracciarla, se necessario. Il punto era “Non abbiate paura di parlare, indicare, insegnare cosa vi piace. Così facendo, aiuterete la prossima amica e contribuirete a un mondo sessualmente migliore”.

Da un lato, Aurora Ramazzotti voleva parlare della scarsa conoscenza del piacere femminile, dall’altro esortare le donne a comunicare ciò che desiderano, condizione che moltissime esperte ed educatrici sessuali sostengono. Eppure, le stories di Aurora Ramazzotti non sono piaciute a molti utenti, indispettiti dall’accusa di non sapere dove si trovi un clitoride – e quindi dall’insinuazione di non saper dare piacere a una donna. I commenti più soft, tra Facebook, Instagram e Twitter (dove l’argomento è diventato immediatamente un trending topic), sono del tenore “Ma che uomini hai incontrato finora?” oppure dei sempreverdi inviti a tacere, mentre quelli ironici suggeriscono di usare Google Maps per farsi dare indicazioni. Purtroppo ce ne sono anche moltissimi meno gentili, addirittura aggressivi, denigratori e violenti.

Aurora Ramazzotti ha evidentemente toccato un nervo scoperto, eppure sul web si sprecano i meme e le discussioni (Reddit è piena di thread a tema) su quanto la conoscenza dell’anatomia femminile scarseggi, per usare un eufemismo. Il tema dell’uomo che non sa trovare il clitoride è ampiamente dibattuto ed elaborato, sia da importanti sessuologhe, ginecologhe, attiviste, sia dalle utenti dei social. E persino dalle statistiche e dagli studi. A onor del vero non sono solo gli uomini ad ignorare il posizionamento esatto del clitoride, ma anche molte donne, perché il tema del piacere femminile è un tabù culturale le cui conseguenze ricadono su entrambi i generi.

Come riporta il Guardian, una recente indagine (2021) ha evidenziato che almeno un terzo delle persone nel Regno Unito non sa dove si trova il clitoride: circa il 40% dei soggetti a cui era stato chiesto di nominare le parti anatomiche della vulva lo ha mancato, spesso confondendolo con l’uretra. Lo studio è stato pubblicato sull’International Urogynecology Journal. Un altro studio, condotto nel 2013 e pubblicato sulla rivista medica Jama, ha riscontrato che il 44% degli uomini presi a campione non sapeva individuare il clitoride, e in generale ha registrato una scarsa conoscenza della ginecologia.

Non ha valore scientifico, ma il sondaggio divenuto virale nel 2019 condotto da un’utente su Twitter (Oloni, autrice ed esperta di sessualità) ha scoperchiato un vaso di Pandora: dopo aver pubblicato un’immagine stilizzata di una vulva, ha chiesto agli uomini di indicare la posizione del clitoride. A fronte di diverse risposte corrette, alcune delle reazioni che si leggono sono esilaranti (“La vagina nell’immagine è deformata”), moltissime confondono il clitoride con l’uretra, e svariate esprimono totale disorientamento.

Qualche mese fa Jimmy Kimmel, il celebre presentatore televisivo americano, ha mandato in onda un breve sondaggio fatto per strada, in cui sono state rivolte ai passanti domande relative all’anatomia femminile: la correttezza delle risposte è a dir poco scarsa (c'è chi pensa che le donne abbiano due uteri e quattro ovaie, per fare un esempio). Ci sarebbe da ridere, se poi la stessa ignoranza non fosse accessorio di chi legifera in materia di riproduzione, commentano in molti sotto il video.

Sono esempi certamente non rappresentativi del mondo intero o dell’universo maschile in toto, ma danno la percezione del fatto che gli uomini non conoscano la vulva, e non sappiano davvero dove si trova un clitoride. Non sarebbe dunque solo un’idea di Aurora Ramazzotti. E non è un caso, visto che la sessualità femminile è storicamente stata permeata di tabù e il clitoride è diventato oggetto di studio e di aperta discussione solo da poche decine di anni.

“A causa della cultura repressiva, fino a cinquant’anni fa le donne nemmeno sapevano di avere un clitoride”, spiega Sheri Winston, ginecologa ed educatrice sessuale. “Come possono trovarlo gli uomini se a malapena si sa che c’è?”. Insomma, anziché aggredire Aurora Ramazzotti per aver detto una cosa che tutte le donne, o quasi, sanno, forse sarebbe il caso di cercare meglio. 

Tracy Clark-Flory per “Cosmopolitan” il 3 agosto 2022.

A volte il sesso è noioso e ci sono ostacoli all’orgasmo che sembrano insuperabili. Emily, 35 anni, stava per avere un rapporto con un nuovo ragazzo che ha sfoggiato un preservativo Magnum. Lei ha riso per la spavalderia ma poi lui ha sciolto il drago ed effettivamente era il più grosso che avesse mai visto. Il rapporto è stato doloroso per lei, disagevole per lui. Cosa fare in questi casi?

Se il pene è troppo grosso, meglio che la donna stia sopra e che si usi lubrificante. Se è troppo lungo, fategli mettere la mano alla base prima di infilarlo, in modo che non entri tutto. Evitate la posizione a pecorina, che porta ad una penetrazione profonda. 

Esiste anche il caso contrario, cioè che l’uomo ha il pene troppo piccolo. Sara, 28 anni, si è trovata davanti il più piccolo che avesse mai visto, ma la misura conta poco se si sa come usare le risorse. Ad esempio può aiutare chiedergli di fare un moto circolare con i fianchi, così si sente di più che facendo dentro e fuori.

Il suo pene è un martello pneumatico? Karen, 23 anni, si è trovata in una simile condizione. Il suo partner spingeva troppo forte e troppo velocemente, trattava la sua vagina come se dovesse rompere il pavimento in un cantiere. La soluzione è rallentare, mettendo la donna sopra. Se lei fa lentamente un moto circolare con i fianchi, gli mostra come procedere.

Se il martellamento inizia solo verso fine rapporto, significa che lui ha bisogno di stimolazione extra. A volte per raggiungere l’orgasmo, l’uomo ha bisogno di una combinazione di frizione e pressione sul pene, perciò provate a dare colpi veloci o a succhiare il Black and Decker per il suo gran finale. 

Il problema di Kelsie, 28 anni, è che il suo partner eiacula troppo presto. Il consiglio è dedicarsi molto ai preliminari per allontanare qualsiasi pressione sulla prestazione di lui e per preparare meglio la strada all’orgasmo di lei. Ancora meglio sarebbe se lui praticasse prima il cunnilingus, lo calmerebbe sul resto.

Kylie, 27 anni, ritiene noioso il sesso con il fidanzato. La routine e la solita posizione del missionario possono spegnere la scintilla. Il consiglio è rompere gli schemi: se in genere fate sesso la sera, provate di giorno. Date al vostro partner appuntamento altrove, fuori casa, e godetevi una sveltina. Concedetevi un po’ di ‘dirty talk’: far sapere al vostro uomo quanto siete eccitate, renderà le cose più eccitanti.

Infine, aldilà delle misure del partner, alcune donne soffrono durante il rapporto sessuale. Può dipendere da squilibri ormonali, ansia, infezioni, mancanza di lubrificazione, o dagli effetti collaterali di certi farmaci (tipo antidepressivi e pillole). Se sanguinate può dipendere da polipi o comunque altre infezioni, perciò è consigliabile andare da un ginecologo.

Da liberoquotidiano.it il 2 agosto 2022.

In vista dell'8 agosto, giornata internazionale dell'orgasmo femminile, ecco alcuni consigli per la coppia. A darli Rossella Nappi, docente dell'Università di Pavia e membro del direttivo della Società Internazionale di Endocrinologia. 

L'esperta ricorda che l'orgasmo prevede il perfetto funzionamento del sistema neurovascolare e neuromuscolare periferico, ma integra una serie di componenti del sistema nervoso centrale che hanno a che fare con la soddisfazione mentale ed i meccanismi di ricompensa cerebrali".

Ecco allora che possono subentrare diversi ostacoli. I principali? Il disfunzionamento pelvico e la chirurgia pelvica. Quest'ultima "comporta una denervazione degli organi genitali". Ma non è tutto, oltre alle cause già citate ci sono le principali malattie neurologiche, ma "soprattutto l'uso di alcuni psicofarmaci e a stati di carenza ormonale che bloccano il riflesso orgasmico generato dalla stimolazione genitale". 

In tutte queste circostanze esista la cosiddetta lassità vaginale, proprio come accade dopo un parto difficile. Ossia, un'alterazione della cosiddetta piattaforma neuromuscolare che scatena le contrazioni orgasmiche.

"Tutti gli stati patologici che colpiscono l'integrità del sistema nervoso centrale e periferico, dalle malattie neurodegenerative a quelle infiammatorie ed autoimmuni fino alle lesioni spinali e alla chirurgia radicale, per esempio, per un tumore della cervice uterina - conclude - interrompono la trasmissione dei messaggi che regolano la contrazione muscolare e bloccano il rilascio dell'ossitocina che media la risposta orgasmica a livello del sistema nervoso centrale e periferico".

Orgasmo femminile, ecco il più grosso ostacolo: quello che non sapete. Libero Quotidiano il 02 agosto 2022.

In vista dell'8 agosto, giornata internazionale dell'orgasmo femminile, ecco alcuni consigli per la coppia. A darli Rossella Nappi, docente dell'Università di Pavia e membro del direttivo della Società Internazionale di Endocrinologia. L'esperta ricorda che l'orgasmo prevede il perfetto funzionamento del sistema neurovascolare e neuromuscolare periferico, ma integra una serie di componenti del sistema nervoso centrale che hanno a che fare con la soddisfazione mentale ed i meccanismi di ricompensa cerebrali".

Ecco allora che possono subentrare diversi ostacoli. I principali? Il disfunzionamento pelvico e la chirurgia pelvica. Quest'ultima "comporta una denervazione degli organi genitali". Ma non è tutto, oltre alle cause già citate ci sono le principali malattie neurologiche, ma "soprattutto l'uso di alcuni psicofarmaci e a stati di carenza ormonale che bloccano il riflesso orgasmico generato dalla stimolazione genitale".

In tutte queste circostanze esista la cosiddetta lassità vaginale, proprio come accade dopo un parto difficile. Ossia, un'alterazione della cosiddetta piattaforma neuromuscolare che scatena le contrazioni orgasmiche. "Tutti gli stati patologici che colpiscono l'integrità del sistema nervoso centrale e periferico, dalle malattie neurodegenerative a quelle infiammatorie ed autoimmuni fino alle lesioni spinali e alla chirurgia radicale, per esempio, per un tumore della cervice uterina - conclude - interrompono la trasmissione dei messaggi che regolano la contrazione muscolare e bloccano il rilascio dell'ossitocina che media la risposta orgasmica a livello del sistema nervoso centrale e periferico".

Orgasmo, il piacere che fa bene (anche) alla salute. Irma D'Aria su La Repubblica il 30 luglio 2022. 

In occasione della Giornata mondiale gli esperti spiegano dal punto di vista della salute cosa può ostacolare l’orgasmo e cosa, invece, lo favorisce.

Voglia di leggerezza: per molti iniziano le vacanze, con più tempo libero da dedicare anche all'amore e alla sessualità. Che si sia single o in coppia, riscoprire il piacere sessuale è una tappa importante per il proprio benessere psico-fisico oltre che per mantenere in vita una relazione amorosa.

Ed è forse anche per questo che tra le letture più diffuse sotto l'ombrellone (e in generale in vacanza) c'è 'Be Kinky! - 12 (e più) esperienze per un anno di piacere', scritto dall'esperto in educazione sessuale Andrea Farolfi (Giunti Editore) che rappresenta un invito a sperimentare e divertirsi insieme alla scoperta di piaceri che hanno a che fare con la sensualità. In occasione della Giornata mondiale dell'orgasmo che si celebra il 31 luglio e in vista della Giornata internazionale dell'orgasmo femminile (8 agosto), cerchiamo di capire dal punto di vista della salute cosa può ostacolare l'orgasmo e cosa, invece, lo favorisce.

L'orgasmo femminile

Dal dolore durante i rapporti sessuali, a contrazioni involontarie dolorose dei muscoli intorno alla vagina, fino alla mancanza di desiderio e problemi con l'eccitazione o l'orgasmo. Sono molte le questioni che spesso vengono lasciate irrisolte nella sfera intima femminile. Infatti, in Italia tra il 30% e il 50% delle donne presenta problemi sessuali nel corso della vita e a risentirne è anche il piacere sessuale. "L'orgasmo - spiega Rossella Nappi, docente dell'Università di Pavia e membro del direttivo della Società Internazionale di Endocrinologia - prevede il perfetto funzionamento del sistema neurovascolare e neuromuscolare periferico, ma integra una serie di componenti del sistema nervoso centrale che hanno a che fare con la soddisfazione mentale ed i meccanismi di ricompensa cerebrali". 

Gli ostacoli al piacere

Ma quali sono le patologie femminili che possono ostacolare il raggiungimento dell'orgasmo? "Le principali cause - risponde Nappi - sono legate alle disfunzioni del pavimento pelvico, alla chirurgia pelvica che comporta una denervazione degli organi genitali, alle principali malattie neurologiche, ma soprattutto all'uso di alcuni psicofarmaci e a stati di carenza ormonale che bloccano il riflesso orgasmico generato dalla stimolazione genitale".

In tutti i casi in cui c'è lassità vaginale come accade dopo un parto difficile può verificarsi un'alterazione della cosiddetta piattaforma neuromuscolare che scatena le contrazioni orgasmiche. 

"Tutti gli stati patologici che colpiscono l'integrità del sistema nervoso centrale e periferico, dalle malattie neurodegenerative a quelle infiammatorie ed autoimmuni fino alle lesioni spinali e alla chirurgia radicale, per esempio, per un tumore della cervice uterina interrompono la trasmissione dei messaggi che regolano la contrazione muscolare e bloccano il rilascio dell'ossitocina che media la risposta orgasmica a livello del sistema nervoso centrale e periferico", prosegua la ginecologa. 

Recuperare l'efficienza sessuale

Si tratta di condizioni superabili e che non vanno considerate un limite alla propria sessualità. "Per favorire l'orgasmo - spiega Nappi - bisogna lavorare sui meccanismi che riducono la nostra inibizione a livello del sistema nervoso centrale dove i centri cerebrali superiori svolgono il ruolo di censori della sessualità. Dunque, spazio alle fantasie, ai ricordi, agli stimoli e ai pensieri più nascosti per forzare i sistemi eccitatori a discapito di quelli inibitori". 

Può essere utile anche lavorare sulla consapevolezza corporea con esercizi del pavimento pelvico: "E' importante - continua la ginecologa - rafforzare la muscolatura con tecniche di elettrostimolazione e biofeedback, oltre che con la radiofrequenza per aumentare l'elasticità e l'innervazione periferica. Anche piccoli sex toys possono aiutare come le palline della Geisha che migliorano il controllo neuromuscolare e stimolano l'afflusso di sangue ai genitali".

Una questione di salute

Oltre che per il piacere che provoca, raggiungere l'orgasmo ha un effetto benefico generale. Prima di tutto perché allevia le tensioni e grazie alla produzione di endorfine ci fa sentire meglio. Ma c'è di più: uno studio sull'American Journal of Cardiology segnala come una vita sessuale regolare consente di ridurre del 45% il rischio di sviluppare problemi cardiovascolari. 

Per gli uomini, poi, c'è qualche vantaggio in più. Spesso preoccupati delle loro performance sessuali, in molti chiedono all'andrologo quante volte dovrebbero avere un'eiaculazione per essere nella 'norma'.

I dubbi degli uomini

"E' una delle domande più frequenti che ricevo - spiega Salvatore Sansalone, specialista in Urologia e Andrologia presso l'Università di Tor Vergata e membro del Comitato Esecutivo dell'European Society for Sexual Medicine.

"Anche se non esiste, ovviamente, un numero ideale scientificamente definito di volte al giorno, alla settimana o al mese, una eiaculazione frequente fa bene alla fertilità e alla prostata, tanto da diminuire il rischio di sviluppare un tumore. Per dare una indicazione di massima possiamo dire che un giusto 'ricambio' delle cellule si ottiene con una eiaculazione ogni due giorni e 20 al mese sono ancora meglio, così come stabilito in una ricerca presentata qualche tempo fa al Congresso Europeo di Urologia". 

Piacere senza penetrazione

Guai a pensare, però, che l'orgasmo sia soltanto penetrativo. Numerosi studi dimostrano come il piacere possa arrivare anche facendo a meno della penetrazione. "La maggior parte delle donne - chiarisce Roberta Rossi, psicoterapeuta e sessuologa

dell'Istituto di sessuologia clinica - prova piacere con una stimolazione diretta o indiretta del clitoride". Cosa si intende per stimolazione indiretta? "Significa che durante la penetrazione, le grandi e piccole labbra si tendono o muovono per

la posizione assunta o per i movimenti che si fanno insieme al partner e che causano una frizione sul clitoride", risponde la sessuologa. E poi alcune donne raggiungono il piacere anche solo con la stimolazione dei capezzoli, ma a volte si sentono in imbarazzo per questo e temono che il partner possa pensare che non sia stato 'abbastanza bravo' da farle raggiungere l'orgasmo con la penetrazione.

"La donna - spiega Rossi - non deve sentirsi 'sbagliata' se non raggiunge il picco del piacere durante l'amplesso tant'è vero che oggi non possiamo più fare diagnosi di anorgasmia su queste basi perché il manuale diagnostico per le disfunzioni sessuali ha eliminato questo criterio".

Letture e documentari per saperne di più

Tutti ricordiamo il celebre film di Carlo Verdone e la frase "O famo strano?" detta da un personaggio per invitare la partner a fare sesso mentre la macchina sfreccia a tutta velocità in autostrada. Questa espressione ha fatto nascere il termine 'famolostranista' che indica una persona incline a sperimentare situazioni insolite nella sessualità.

Ma oggi si usa il termine 'kinkster' che rimanda a una sessualità positiva, piacevole, condivisa e divertente come spiega nel suo libro 'Be Kinky!' Andrea Farolfi, esperto in educazione sessuale: "Chi ha un approccio responsabile alla sessualità 'kinky' - chiarisce - è consapevole che alcune pratiche necessitano di un'adeguata preparazione tecnica, si informa attraverso i libri, articoli e seminari. Tutta l'esperienza della scoperta delle varie pratiche può essere essa stessa un momento di condivisione e crescita all'interno della coppia. Un invito a sperimentare e divertirsi insieme alla scoperta di piaceri che hanno a che fare con la sensualità, la costrizione, lo scambio di potere, il sadomasochismo e una guida per superare tanti tabù e ad avere un approccio creativo e ludico alla sessualità".

Sextape

E proprio in occasione della Giornata mondiale dell'orgasmo e poi di quella dedicata all'orgasmo femminile, la versione italiana del canale culturale Arte.Tv (arte.tv/it) propone una riflessione a 360 gradi sul tema e suggerisce i migliori documentari e serie animate per stimolare il dialogo e approfondire i mille volti della sfera sessuale: dal fenomeno dei sextape all'autoerotismo femminile, dagli stereotipi all'astinenza.

Dagotraduzione dal Daily Mail il 18 maggio 2022.

Quando è stata l'ultima volta che hai avuto un orgasmo? Ora dimmi quando l'ultima volta che hai avuto un orgasmo con il tuo partner? Se la tua risposta a queste due domande è stata diversa e sei una donna, non sei sola. 

Un sondaggio su 2769 persone ha rilevato che solo il 15% delle donne raggiunge l’orgasmo con il proprio partner. 

Un altro campione ha riferito che il 77% delle donne trova più facile raggiungere l'orgasmo in solitaria piuttosto che con un partner, anche se si tratta di sesso orale o di mani.

Ecco allora i 10 motivi più comuni per cui la maggior parte delle donne trova difficile raggiungere l'orgasmo come coppia e suggerimenti su come risolvere il problema. 

(Questo è rivolto alle donne eterosessuali (principalmente perché la dinamica donna/uomo contribuisce in modo significativo al problema) ma è utile per tutti i generi e le sessualità.) 

La tecnica sbagliata

Ci sono due fattori chiave che predicono se una donna raggiungerà l'orgasmo: se è stato speso abbastanza tempo per i preliminari e se quei preliminari includevano la stimolazione diretta del clitoride. Idealmente, una sessione di sesso dovrebbe iniziare con baci profondi, carezze - preliminari che regolano l'umore per metterci nel posto giusto e nello spazio della testa. 

Una volta che siamo eccitati, la maggior parte delle donne ha bisogno di essere stimolata sulla punta del clitoride con una lingua, un dito o un vibratore. 

Non si tratta solo di tecniche inefficaci, come essere troppo ruvidi, non utilizzare abbastanza lubrificazione, pressione o avere una velocità sbagliata. Troppo spesso, gli uomini presumono che i "preliminari" significhino spingere le dita dentro e fuori dalla nostra vagina.

Anche se questo potrebbe sembrare piacevole, è improbabile che ci porti all'orgasmo. 

Alcune donne possono provare l'orgasmo senza stimolazione diretta del clitoride. Ma uno studio definitivo del Journal of Sex and Marital Therapy ha rilevato che solo il 18% delle donne può raggiungere l'orgasmo attraverso la sola penetrazione vaginale. 

Se l'obiettivo principale della stimolazione non è il clitoride, le tue possibilità di raggiungere l'orgasmo sono molto più basse.

Avere fretta 

Un altro fattore importante è il tempo. Anche le donne che hanno il coraggio di mostrare al proprio partner la tecnica che fa per loro, spesso cedono all'ultimo momento perché il loro partner non prosegue abbastanza a lungo. 

Pensiamo: «Lo sta facendo da 10 minuti ormai. Scommetto che la sua lingua è stanca/il collo è dolorante o si annoia». Quindi facciamo finta di essere al traguardo e fingiamo, invece di far sapere al nostro partner che in realtà siamo solo a metà strada.

Eppure gli studi mostrano che gli uomini preferiscono sentirsi dire cosa fare e non si preoccupano di fornire stimoli anche per un lungo periodo. 

Il primo passo per colmare il divario dell'orgasmo è parlarne. Essere onesta e molto specifica su ciò di cui hai bisogno - dita, un vibratore tenuto sul clitoride durante il rapporto, un certo stile di spinta - e comunica al tuo partner per quanto tempo ne hai bisogno. 

La pressione del nostro partner 

Il 39% delle donne che hanno preso parte a un sondaggio su una rivista ha affermato che era la pressione del proprio partner a impedire loro di avere l'orgasmo.

A volte, è fatto con le migliori intenzioni. Vogliono che tu ti goda il sesso tanto quanto loro - e gli uomini raggiungono quasi sempre l'orgasmo. 

Alcuni uomini la prendono sul personale se non raggiungi l'orgasmo. Tutte le altre sue amiche non hanno avuto problemi! (tanto falso quanto inutile). Come potrebbero la sua tecnica/pene/stile di spinta/irresistibile sensualità non essere sufficienti per mandarti oltre il limite? 

Gli orgasmi si verificano quando non si è sotto pressione. 

Spiega al tuo partner che chiede «Sei già vicina?», che la domanda non accelererà il processo.

Arrabbiarsi se non raggiunge affatto l'orgasmo significa solo più finzione - e una fidanzata o una moglie estremamente frustrata! 

Il modo migliore per garantire l'orgasmo del tuo partner è chiarire abbondantemente che non ci sono problemi se non lo raggiungono. 

Non ti masturbi e non l'hai mai fatto 

È probabile che il nostro primo orgasmo arrivi mentre ci masturbiamo. È fondamentale: la maggior parte delle donne si sente troppo imbarazzata per lasciarsi andare con un partner. Durante il sesso da solista, nessuno sta guardando e tu hai il controllo completo su ciò che sta accadendo.

Esplorando il tuo stesso corpo, sei più rilassata e curiosa. Puoi capire che il clitoride si sente benissimo quando è stimolato, sperimentare le tecniche fino a trovare quelle che funzionano per te, scoprire la giusta pressione e velocità. 

Se non l'hai mai fatto - non hai mai provato a raggiungere l'orgasmo usando un vibratore o le dita o sfregando contro qualcosa - probabilmente non sai cosa ti eccita e cosa no. Ciò significa che non puoi guidare il tuo partner su ciò che funziona meglio per darti piacere.

Quasi tutte le donne imparano a raggiungere l'orgasmo attraverso la masturbazione. Ci sono molte guide online su "come masturbarsi" (ne ho diverse su traceycox.com ) e non è mai troppo tardi per iniziare. 

Associ il sesso alla vergogna 

Sei cresciuto in una famiglia severa e religiosa dove il sesso non è mai stato discusso? Ti è stato detto che toccarti è "sbagliato" o "disgustoso"? Crescere circondate da messaggi negativi e vergognosi sul sesso è uno dei motivi più comuni per cui le donne non raggiungono l'orgasmo, sia con un partner che da sole.

La disponibilità è il primo stadio dell'eccitazione sessuale. Devi voler provare sensazioni di piacere sessuale affinché accadano. 

Se ti stai concentrando su pensieri negativi, il sesso è cattivo! Ma il cervello è un organo sessuale e il più importante. 

Supera un background difficile imparando a normalizzare il sesso. Parla con gli amici che ritieni abbiano un buon atteggiamento al riguardo e chiedi quali messaggi hanno ricevuto dai loro genitori, fratelli e coetanei.

Chiama sesso e masturbazione con nomi diversi. Usare una parola che il tuo cervello non associa immediatamente a "cattivo", lo rende meno minaccioso. 

Il sesso potrebbe essere evocato come "divertimento" e la masturbazione come "tempo di festa". 

Non sei educato sul tuo corpo

Anche le donne che crescono in una famiglia sessualmente positiva possono essere colpevoli di questo. 

Avevo uno specchio fuori quando avevo circa sei anni, dando un'occhiata curiosa a cosa c'era "laggiù", ma sono costantemente sbalordito dal numero di donne adulte che non l'hanno mai fatto. 

Più sai dei tuoi genitali e di quale stimolazione hai bisogno per raggiungere un orgasmo, più è probabile che tu ne abbia uno. È logico!

Trova un diagramma chiaro della vulva online. 

Armato di questo e di uno specchio, dai un'occhiata ai tuoi genitali. Trova la punta del clitoride (il bit che puoi vedere). Identifica le labbra interne ed esterne ("labbra" della vagina). Controlla l'uretra, il minuscolo foro attraverso il quale fai pipì, guarda l'apertura vaginale. 

Quindi, cerca "sistema di risposta sessuale femminile" e leggi un po' come funziona il tuo corpo. 

Scoprirai che la tua vagina si 'tende' quando sei eccitata: si espande e si allunga per accogliere un pene. Le ghiandole vicino all'ingresso secernono fluido lubrificante per rendere il rapporto più confortevole.

Scoprirai anche che tutti gli orgasmi hanno origine dal clitoride, non solo dalla punta, ma dal clitoride interno che si estende a forma di braccio oscillante sotto di esso. 

Più conosci i cambiamenti che il tuo corpo subisce nel suo cammino verso l'orgasmo, più sarai in sintonia con il riconoscere a che punto sei nel processo. 

Hai problemi di immagine corporea 

Uno studio dopo l'altro porta allo stesso risultato, anno dopo anno: sentirsi sessualmente attraenti significa che è molto più probabile che tu ti goda il sesso, abbia più orgasmi e ti senta più a tuo agio nel discutere di sesso con il tuo partner.

Una revisione fondamentale del 2012 di 57 studi, nell'arco di due decenni di ricerca, ha trovato legami significativi tra l'immagine corporea e quasi tutti i fattori associati al sesso: eccitazione, desiderio, orgasmo, frequenza del sesso e autostima sessuale. 

Non è scienza missilistica: se ti vergogni del tuo corpo e pensi che sia brutto, perché vorresti che qualcuno lo guardasse o lo toccasse? Come puoi rilassarti abbastanza per goderti il sesso, per permettere al desiderio di crescere fino al punto dell'orgasmo? 

Vuoi sapere il modo migliore per riparare un'immagine corporea sbagliata? Fai più sesso. 

Esatto: fare sesso migliora l'immagine corporea. Esperienze sessuali piacevoli ci fanno sentire meglio con il nostro corpo. Se al nostro partner piace chiaramente fare l'amore, non può essere così male!

È uno scenario vantaggioso per tutti: più ti senti bene con il tuo corpo, migliore è il sesso. Il che ci fa desiderare di più il sesso, che a sua volta aiuta a nutrire una migliore immagine corporea. 

Non essere "presente" 

Le donne sono quasi sempre “accese”: giochiamo più ruoli degli uomini e se non stiamo facendo qualcosa, stiamo pensando di farlo. 

Non essere nel momento significa che non sei fisicamente nella stanza, consapevole del tuo corpo e delle sensazioni che stai vivendo. La consapevolezza è qualcosa che siamo incoraggiati ad abbracciare in tutte le aree della nostra vita, ma è durante il sesso che è particolarmente utile.

Pensa meno senti di più. Non chiudere gli occhi, aprili. Sii attivo: gemi, parla, dai un feedback. Tutto ci aiuta a rimanere concentrati sul piacere. 

Troppa pressione da noi stessi 

Non è solo il nostro partner che ci fa sentire sotto pressione fino all'orgasmo: la pressione spesso viene da noi stessi. 

Gli uomini che sono ansiosi di avere un'erezione stanno creando una profezia che si autoavvera. Stai praticamente assicurandoti di non raggiungere l'orgasmo, se stai sdraiato lì a pensare: «So che non accadrà. Caro Dio, cosa c'è che non va in me? Scommetto che il mio partner vorrebbe aver scelto qualcuno che raggiunge facilmente l'orgasmo!».

Avere un orgasmo non è solo un processo fisico: anche la nostra testa deve essere nel posto giusto. Non significa che non sei "sexy" se non hai l'orgasmo. O che sei a pezzi, o che c'è qualcosa che non va in te. 

Siamo esseri umani, non macchine. Tanti fattori incidono sul fatto che accadrà per te questa volta (sto solo toccando i motivi più comuni qui). Invece di fare dell'orgasmo l'obiettivo, pensalo come un felice sottoprodotto se succede. Rilassati e goditi semplicemente la sensazione di ricevere piacere, senza aspettative.

Non possiedi un vibratore

La vibrazione è uno dei modi più efficaci per stimolare il clitoride. Questo è il motivo per cui la maggior parte delle donne ne usa uno, quando si masturba: puoi avere un orgasmo nel tempo necessario per fare una tazza di tè e succede quasi sempre! 

Ancora più importante, possedere un vibratore significa avere una soluzione istantanea al problema «Non riesco a raggiungere l'orgasmo con il mio partner». Invitalo a letto con voi due e garantirai immediatamente un orgasmo ogni singola sessione. 

Puoi usare il vibratore durante i preliminari o tenerlo sul clitoride durante il sesso penetrativo. Semplice!

Tracy Clark-Flory per “Cosmopolitan” il 25 aprile 2022.

A volte il sesso è noioso e ci sono ostacoli all’orgasmo che sembrano insuperabili. Emily, 35 anni, stava per avere un rapporto con un nuovo ragazzo che ha sfoggiato un preservativo Magnum. Lei ha riso per la spavalderia ma poi lui ha sciolto il drago ed effettivamente era il più grosso che avesse mai visto. Il rapporto è stato doloroso per lei, disagevole per lui. Cosa fare in questi casi?

Se il pene è troppo grosso, meglio che la donna stia sopra e che si usi lubrificante. Se è troppo lungo, fategli mettere la mano alla base prima di infilarlo, in modo che non entri tutto. Evitate la posizione a pecorina, che porta ad una penetrazione profonda. 

Esiste anche il caso contrario, cioè che l’uomo ha il pene troppo piccolo. Sara, 28 anni, si è trovata davanti il più piccolo che avesse mai visto, ma la misura conta poco se si sa come usare le risorse. Ad esempio può aiutare chiedergli di fare un moto circolare con i fianchi, così si sente di più che facendo dentro e fuori.

Il suo pene è un martello pneumatico? Karen, 23 anni, si è trovata in una simile condizione. Il suo partner spingeva troppo forte e troppo velocemente, trattava la sua vagina come se dovesse rompere il pavimento in un cantiere. La soluzione è rallentare, mettendo la donna sopra. Se lei fa lentamente un moto circolare con i fianchi, gli mostra come procedere.

Se il martellamento inizia solo verso fine rapporto, significa che lui ha bisogno di stimolazione extra. A volte per raggiungere l’orgasmo, l’uomo ha bisogno di una combinazione di frizione e pressione sul pene, perciò provate a dare colpi veloci o a succhiare il Black and Decker per il suo gran finale. 

Il problema di Kelsie, 28 anni, è che il suo partner eiacula troppo presto. Il consiglio è dedicarsi molto ai preliminari per allontanare qualsiasi pressione sulla prestazione di lui e per preparare meglio la strada all’orgasmo di lei. Ancora meglio sarebbe se lui praticasse prima il cunnilingus, lo calmerebbe sul resto. 

Kylie, 27 anni, ritiene noioso il sesso con il fidanzato. La routine e la solita posizione del missionario possono spegnere la scintilla. Il consiglio è rompere gli schemi: se in genere fate sesso la sera, provate di giorno. Date al vostro partner appuntamento altrove, fuori casa, e godetevi una sveltina. Concedetevi un po’ di ‘dirty talk’: far sapere al vostro uomo quanto siete eccitate, renderà le cose più eccitanti.

Infine, aldilà delle misure del partner, alcune donne soffrono durante il rapporto sessuale. Può dipendere da squilibri ormonali, ansia, infezioni, mancanza di lubrificazione, o dagli effetti collaterali di certi farmaci (tipo antidepressivi e pillole). Se sanguinate può dipendere da polipi o comunque altre infezioni, perciò è consigliabile andare da un ginecologo.

 Da blitzquotidiano.it il 12 aprile 2022.

Karolin Tsarski, un’insegnante di yoga estone, ha imparato come raggiungere da sola l’orgasmo “quasi istantaneamente” e senza alcuna stimolazione. Secondo quanto riportato dal Daily Mail gli scienziati sostengono che non stia fingendo. Tsarski provava dolore durante il normale rapporto sessuale e nell’arco di dieci anni ha imparato come ottenere da sola un «forte appagamento sessuale». Afferma che può raggiungere l’orgasmo per un massimo di 10 minuti senza alcuna stimolazione.

L’orgasmo istantaneo e il racconto dell’insegnante di yoga

La 33enne, la cui capacità è stata descritta in una rivista scientifica, ritiene che ogni donna possieda il potere di “risvegliare” la propria “energia orgasmica”. I test clinici avrebbero dimostrato che Tsarski – che fa pagare ai clienti circa 72 euro per un’ora e mezza di consulenza su come ravvivare la loro vita sessuale – non stava mentendo. 

Un video mostra l’insegnante che ansima su un lettino dell’ospedale. Afferma che dopo «anni di yoga e allenamento tantrico» ha la capacità di raggiungere l’orgasmo senza alcuna stimolazione.

Gli scienziati le hanno chiesto di classificare i suoi orgasmi su una scala di valutazione dell’orgasmo utilizzata negli studi sul sesso. I risultati hanno mostrato che ha valutato i suoi orgasmi piacevoli quanto quelli che prova stimolando i genitali. Tuttavia, non fornivano gli stessi livelli di intimità emotiva ed estasi dei climax convenzionali. Attraverso ulteriori analisi i medici hanno esaminato i livelli ormonali, per capire se i suoi orgasmi avessero un effetto misurabile all’interno del corpo. Esperimento eseguito tre volte, ciascuna a distanza di una settimana.

Tsarski ha fatto un esame del sangue 30 minuti prima del test, immediatamente dopo l’orgasmo e 30 minuti dopo il test. Nella prima occasione, Tsarski ha raggiunto l’orgasmo senza stimolazione per cinque minuti. Nella seconda occasione per 10 minuti, la terza si è seduta e ha letto un libro per 10 minuti. Gli esami del sangue hanno rivelato che i livelli di prolattina sono aumentati del 25% subito dopo l’orgasmo di cinque minuti.

La prolattina è un ormone regolato dall’ipotalamo, rilasciato dalle donne dopo l’orgasmo. Nel test dell’orgasmo di 10 minuti, immediatamente dopo i livelli di prolattina erano superiori del 48%. Nessun aumento significativo della prolattina è stato osservato nei campioni di sangue prelevati dal test di controllo della lettura del libro. È stato notato che i livelli di prolattina di Tsarski erano particolarmente elevati il giorno dei test da 10 minuti.

Cosa dice lo studio

L’autore principale dello studio, lo psicologo James Pfaus, ha spiegato che ciò potrebbe essere dovuto al fatto che l’insegnante si trovava in una fase particolare del ciclo mestruale. Nessun altro ormone misurato nei campioni di sangue ha visto aumenti significativi simili a quelli della prolattina. In un video girato subito dopo l’orgasmo, Tsarki ha detto: «Quello che ho appena fatto è in grado di farlo ogni donna». I cosiddetti orgasmi non stimolati dai genitali (NGSO) in precedenza sono segnalati nella letteratura scientifica.

Normalmente, la stimolazione delle zone erogene del corpo combinata con l’aspetto mentale dell’eccitazione e del desiderio sessuale, porta all’orgasmo sia uomini che donne. Ma le donne hanno riferito di orgasmi in situazioni non sessuali come durante l’attività sportiva/esercizio fisico o l’allattamento al seno. Tsarski, coautrice dello studio, ha detto che il suo viaggio verso l’orgasmo senza stimolazione ha iniziato a contrastare il suo vaginismo, una condizione incontrollabile in cui la vagina si irrigidisce improvvisamente e dolorosamente quando si inserisce qualcosa al suo interno.

Ha iniziato la formazione di yoga tantra: «Imparando le posture del corpo, le tecniche di respirazione, a superare i blocchi del blocco per risvegliare e percepire l’energia, e imparare a guidarla e spostarla verso l’alto. Ho fatto esercizi per il pavimento pelvico, pratica di massaggio al seno e per allontanare l’imbarazzo e il senso di colpa. Ho imparato a rilassarmi e lasciarmi andare, ho accettato l’immagine corporea e acquisito una maggiore consapevolezza anche nella vita quotidiana». Studio pubblicato sulla rivista Sexual Medicine.

VENGO ANCH’IO NO TU NO - IL 70–80% DELLE DONNE FINGE CLAMOROSAMENTE L'ORGASMO.

Dagospia il 12 febbraio 2022. Gli orgasmi femminili sono lunghi circa 20 secondi, quattro volte più degli uomini. Se il suo orgasmo dura poco (o troppo), dovreste porvi qualche dubbio sulla sua autenticità. Così come se la sua schiena non si inarca, se i suoi piedi non si contraggono, se i suoi muscoli non si muovono e soprattutto se i suoi occhi restano aperti tutto il tempo...

Men’s Fitness il 12 febbraio 2022.  

Come si fa a capire se una donna finge l’orgasmo? Secondo il sessuologo Tammy Nelson, il 70–80% delle donne finge clamorosamente e quindi c’è da preoccuparsi. Lo fanno per paura di deludere o per risparmiare una umiliazione al partner. La maggior parte di loro ha bisogno di stimolazione clitoridea, che può durare dai 7 ai 45 minuti. Se la donna non dà segni, tipo gemiti e contrazioni, l’uomo non capisce nemmeno se ci è vicino.

Una soluzione? Be’, se la donna è eccitata, la sua vagina è molto lubrificata e, quando viene, la vulva pulsa. La personalità è altrettanto importante (sempre che conosciate la vostra partner): se è una persona troppo accomodante, c’è il sospetto di finzione. Se, al contrario, avete a che fare con un tipo generalmente schietto, allora c’è meno da temere.

Esistono comunque dei campanelli di allarme, come riporta “the1stclasslifestyle”, ad esempio se la donna urla troppo presto. Il sesso a voce alta esiste, ma generalmente il climax arriva dopo parecchio e i gemiti vanno in crescendo. 

Il fatto è che gli  uomini eiaculano prima e per molte donne è imbarazzante non avere ancora finito, quindi fingono godimento, recitando come pornostar. Volete essere sicuri che godano? Pensate prima a loro. 

Gli orgasmi femminili sono lunghissimi, durano circa 20 secondi, quattro volte più degli uomini. Se il suo orgasmo dura poco (o troppo), dovreste porvi qualche dubbio sulla sua autenticità. 

Così come se la sua schiena non si inarca, se i suoi piedi non si contraggono, se i suoi muscoli non si muovono e soprattutto se i suoi occhi restano aperti tutto il tempo.  Le donne hanno bisogno di concentrarsi sul piacere, perciò gli occhi devono chiudersi.

Altri sintomi del finto-orgasmo sono: esitazione quando le chiedete se è venuta, il mezzo sorriso dopo il rapporto, il silenzio strano e la distanza improvvisa. Se la donna chiede, dopo il sesso, di stare un po’ da sola, oppure si chiude in bagno, può significare che sta  compensando con l’autoerotismo.

Dagotraduzione da Inside Hook il 9 febbraio 2022.

Sapevi che c'è un legame tra l’essere eccitati sessualmente e il voler raccontare i propri segreti? Chiunque si sia mai crogiolato nel post-orgasmo con un estraneo e si sia ritrovato improvvisamente a rivelare di essere passato davanti alla casa del suo ex 20 volte in una quando era giovane capirà questo potenzialmente spaventoso fenomeno (ma comune). 

Inoltre, non hai nemmeno bisogno di scopare per iniziare a parlare. Uno studio del 2017 pubblicato sulla rivista Personality and Social Psychology Bulletin ha rilevato che non è necessario darsi da fare con qualcuno per voler rivelare le proprie informazioni personali più riservate. Il semplice coinvolgimento con contenuti erotici prima di interagire con un'altra persona è sufficiente per farti scoprire la tua anima.

Ma, ehm, perché, esattamente? Cosa c'è nel sesso che ci fa venire voglia di versare le nostre viscere? Secondo i risultati dello studio, i partecipanti che hanno visto contenuti erotici e poi si sono impegnati in conversazioni su app di appuntamenti avevano maggiori probabilità di condividere dettagli su esperienze specifiche. Non c'è un motivo per cui ciò avvenga, perché nasce da una combinazione di fattori emotivi, psicologici e fisiologici. Tuttavia, ci sono alcuni avvenimenti interessanti nel cervello durante l'eccitazione sessuale che possono offrire un po' di chiarezza.

Lucy Rowett, una sex coach certificata e sessuologa clinica, ci chiede di considerare gli effetti dell'ormone "dell'amore", l'ossitocina. Questa sostanza chimica del cervello aiuta nel legame di coppia. Ciò significa che puoi sentirti vicino a qualcuno con cui hai avuto contatti sessuali, anche se ti sei incontrato solo tre ore fa su Tinder. 

Inoltre, le sostanze neurochimiche come la dopamina e la noradrenalina contribuiscono a farci sentire euforici e storditi. Quando siamo (metaforicamente) ubriachi degli ormoni del benessere che derivano dall'eccitazione (e dagli orgasmi), la nostra guardia cala. Ci perdiamo nel momento, per così dire.

«Quando siamo sessualmente carichi, il nostro cervello invia al nostro corpo segnali di fiducia», afferma Daniel Saynt, fondatore di The New Society for Wellness (NSFW), un club privato per membri del sesso e della cannabis a New York. «Siamo legati alle persone non in base alla nostra attrazione fisica per loro, ma piuttosto per le storie e i segreti che ci sentiamo a nostro agio nel condividere». 

Per quanto intrigante possa essere, dire che questa è un'esperienza onnipresente sarebbe un'irresponsabile generalizzazione eccessiva. Succede a molte persone, comunque. Ogni persona è diversa e avrà un diverso insieme di fattori che determinano il suo sentirsi sciolto oppure no quando è eccitato.

Se sei una persona che ha un talento per chiacchierare solo per pentirsene in seguito, abbiamo delle novità. Quando sei eccitato, la parte del cervello che registra disgusto e orrore si zittisce. Questo è il motivo per cui le persone si eccitano per tutti i tipi di cose "grossolane" o intense come sputi, BDSM, schizzi, maschere di Freddie Krueger o dildo alieni. Poiché la nostra soglia per ciò che è socialmente disapprovato e assolutamente tabù è più bassa, «ci rende più suscettibili a condividere i nostri segreti», afferma Rowett.

Dobbiamo anche tenere a mente che nel raccontare storie durante gli incontri sessuali in realtà, in molti casi, parliamo di sesso; è un'opportunità per creare fantasia. «È come essere un voyeur in una storia sexy», afferma la dott.ssa Valerie Poppel, sessuologa clinica e co-fondatrice dello Swann Center, un'organizzazione che offre educazione sessuale inclusiva e formazione su diversità, inclusione e molestie sessuali. «Guardare [una persona] che racconta la storia e guardare il suo linguaggio del corpo ti porta nella sua storia, ed è molto sexy».

La vicinanza emotiva può, per alcuni, servire da foraggio erotico. La condivisione delle informazioni ha il potenziale per offrire questa vicinanza. In questi casi, «i sentimenti sessuali possono aumentare il desiderio di sentirsi emotivamente intimi con qualcuno, che può manifestarsi nella condivisione di segreti», afferma Sarah Melancon , Ph.D, sociologa, sessuologa clinica ed esperta residente presso The Sex Toy Collective.

Svelare i tuoi segreti sulle app può anche essere una sorta di "test" inconscio, progettato per capire se la persona è qualcuno per cui vale la pena perdere del tempo. «Se questa persona può accettare il mio segreto, allora potrebbe anche accettare il mio corpo in gran parte nascosto e il mio sé sessuale», dice Melancon. «Condividere segreti equivale a spogliarsi emotivamente e può essere parte del processo di costruzione della fiducia che la maggior parte di noi ritiene importante prima di intraprendere un comportamento sessuale».

Anche se rivelare informazioni personali può essere snervante, può anche avere dei risultati positivi, soprattutto se sei interessato a una relazione. Raccontare segreti mostra la nostra umanità, «che è qualcosa che molti di noi trovano piuttosto sexy», dice Melancon. Siamo vulnerabili e permettiamo a qualcuno di avvicinarsi un po' a noi. 

Capire se sei allineato su valori, interessi sessuali, ecc. può aiutarti a conoscerti a un livello più profondo, il che può aiutare a sviluppare una connessione duratura. «Quando condividiamo e l'altra persona è premurosa, accettante e non giudicante, questo crea fiducia» afferma Melancon.

La vicinanza emotiva e la conoscenza reciproca suonano benissimo, certo. Ma condividere i segreti può anche causare grossi problemi. L'eccitazione può «creare una sensazione di falsa intimità e farti sentire come se fossi più vicino di quanto non sei in realtà», dice Rowett. «Potresti pensare di conoscere questa persona molto profondamente, ma poi scopri che non la conoscevi affatto bene e che non era la persona che il tuo cervello inondato di ossitocina ti diceva che era».

Può essere utile riflettere su sé stessi e determinare se sei una persona che tende ad attaccarsi emotivamente facilmente ai nuovi partner. Se lo sei, dovresti considerare di esercitare una certa cautela durante i nuovi incontri sessuali, perché la chimica del tuo cervello potrebbe interferire con la tua capacità di discernere se questa persona è una buona per te. 

Prenditi del tempo per pensare al motivo per cui stai condividendo questi segreti in primo luogo. È perché vuoi creare fiducia o è perché stai perdendo i freni? «La condivisione eccessiva può riguardare più l'ansia o la convalida esterna che la connessione», spiega Melancon.

Come sempre, l'autoriflessione è tua amica. La condivisione dei segreti può essere una buona cosa, ma può diventare acida se lo fai per le ragioni sbagliate.

Dagotraduzione dal Daily Mail il 6 febbraio 2022.

Gli psicologi hanno scoperto che le donne che guadagnano più del loro partner maschile hanno il doppio delle probabilità di fingere un orgasmo in camera da letto. Gli uomini che guadagnano meno del loro partner possono avere un «fragile senso di mascolinità», a causa dello stereotipo di vecchia data secondo cui gli uomini sono i principali capifamiglia. 

Di conseguenza, si pensa che le donne cerchino gentilmente di alleviare l'insicurezza finanziaria dell'uomo e di aumentare il loro ego simulando orgasmi durante il sesso. Ma la protezione del senso di mascolinità del partner può avvenire «forse a proprie spese», poiché soffoca la soddisfazione sessuale e la comunicazione onesta, affermano gli esperti.

Quasi una donna su cinque simula un orgasmo, secondo un sondaggio del 2020, e in media, uomini e donne lo fingono circa quattro volte al mese. 

Il nuovo studio è stato condotto dalla professoressa Jessica Jordan, psicologa della University of South Florida, ed è pubblicato sulla rivista Social Psychological and Personality Science.  

«Le donne danno la priorità a ciò di cui pensano che i loro partner abbiano bisogno rispetto ai propri bisogni e soddisfazioni sessuali», ha affermato il professor Jordan. «Quando la società crea uno standard di mascolinità impossibile da mantenere, nessuno vince».

Per lo studio, il professor Jordan e colleghi hanno intervistato 157 donne che avevano rapporti sessuali con uomini sulla loro vita sessuale. 

Le donne hanno riferito la percentuale di volte in cui hanno un orgasmo quando fanno sesso con il loro partner; la percentuale di volte in cui simulano un orgasmo quando non hanno un orgasmo; e la frequenza dei rapporti sessuali con il proprio partner. 

Le partecipanti hanno guadagnato più dei loro partner il 29,6% delle volte. In media, le donne raggiungevano l'orgasmo il 64% delle volte e, quando non raggiungevano l'orgasmo, riferivano di falsi orgasmi il 18% delle volte.

I risultati hanno mostrato che le donne che guadagnavano più soldi dei loro partner avevano il doppio delle probabilità di fingere l'orgasmo rispetto alle donne che non guadagnavano più del loro partner. 

Il professor Jordan e colleghi hanno anche condotto altri due studi con un campione diverso di partecipanti. In uno studio che ha raccolto dati da 283 donne, hanno scoperto che più le donne percepivano il senso di mascolinità del loro partner come fragile, maggiore era l'ansia e la comunicazione più scarsa che sperimentavano, il che a sua volta prediceva un tasso più basso di orgasmi e soddisfazione sessuale.

Un ulteriore studio, che ha coinvolto 196 donne, ha rilevato che i partecipanti a cui è stato chiesto di immaginare un partner maschio la cui virilità era fragile avevano anche meno probabilità di fornire una "comunicazione sessuale onesta", inclusa la possibilità di ammettere quando hanno o non hanno avuto un orgasmo. 

Secondo il professor Jordan, i risultati non dovrebbero essere interpretati come colpa né dell'uomo né della donna.  

Le donne sono state indotte a credere che sia loro compito proteggere il senso di mascolinità del loro partner trattenendo un feedback sessuale onesto. Gli uomini, nel frattempo, potrebbero non fare nulla per dare alla donna l'impressione che un feedback sessuale onesto sia il benvenuto. 

Secondo il professor Jordan, la ricerca futura dovrebbe esplorare questo fenomeno all'interno delle coppie, compresi gli uomini nelle coppie dello stesso sesso. 

Ricerche passate hanno già studiato le ragioni per fingere gli orgasmi, incluso per compiacere un partner, per "farcela" e per la noia. Ma gli esperti hanno recentemente cercato di sfatare la concezione popolare secondo cui fingere l'orgasmo è una brutta cosa: nel 2019, i ricercatori dell'Università del Texas hanno scoperto che fingere un orgasmo potrebbe effettivamente migliorare la vita sessuale delle donne e renderle più propensi ad averne uno reale.

Rievocare la preparazione a un vero orgasmo, con la respirazione, i rumori e i movimenti dell'anca più rapidi, può spingere le donne "oltre la soglia", hanno detto. 

Tracey Cox, esperta di sesso, autrice e psicologa, ha affermato che ci sono sia pro che contro nel fingere di raggiungere l'orgasmo. «Ci sono sempre state due scuole di pensiero sul fingere l'orgasmo», ha detto. 

«La fazione del "non farlo mai" dice che non ha mai senso fingere un orgasmo perché come dovrebbe il tuo partner sapere come dartene uno vero a meno che tu non sia onesto? Ma c'è un lato "fingi finché non ce la fai" che dice che fingere può effettivamente aiutarti ad avere un vero orgasmo». 

«Rievocando l'inizio di un vero orgasmo – respirando più velocemente, facendo rumore, muovendo i fianchi, tendendo i muscoli – potresti semplicemente spingerti oltre la soglia fino al punto in cui l'orgasmo diventa involontario».

Dagotraduzione dal Daily Mail il 27 giugno 2022.

Che si tratti di Meg Ryan che geme istericamente in un ristorante o degli adolescenti di Sex Education, gli orgasmi sono sempre stati un argomento caldo. E ora sono tornati al centro delle conversazioni, in parte grazie al nuovo film di Emma Thompson “Good Luck to You, Leo Grande”, che esplora il «divario del piacere». Il termine "divario di piacere" si riferisce al deficit nel numero di orgasmi che le donne sperimentano rispetto ai loro partner maschi. 

Intanto, uno studio dell'Università di Ottawa ha scoperto che i gemiti sono uno scarso indicatore del piacere sessuale femminile e dovrebbero essere eliminati del tutto dalla scala ufficiale di valutazione dell'orgasmo. 

Ecco allora sette fatti sorprendenti che hai sempre voluto sapere sull’orgasmo.

L'esperta di sesso Tracey Cox ha rivelato all'inizio di quest'anno che non tutti gli orgasmi sono desiderati. Alcune persone sperimentano l'orgasmo per caso in situazioni non sessuali e quando non vogliono, come durante l'allattamento o l'esercizio fisico. 

Alcune vittime di violenza sessuale sperimentano l'orgasmo durante l'aggressione: un chiaro segno che il nostro cervello e il nostro corpo possono avere una disconnessione estrema. Questa è chiamato "eccitazione non concordante" – cioè quando la mente e il corpo non sono sincronizzati.

Alcune persone trovano l'orgasmo doloroso, altre si sentono in colpa se ne hanno avuto uno con qualcuno con cui non dovrebbero fare sesso. 

Se il tuo partner ti sta facendo pressioni per avere un orgasmo, è improbabile che sia un'esperienza piacevole; per gli uomini, eiaculare troppo presto può portare a sentimenti di vergogna.

Anche se potresti non voler associare i tuoi genitori a nessun tipo di climax, hanno svolto un ruolo fondamentale nella tua capacità di raggiungere l'orgasmo. Secondo uno studio del 2005 condotto sui gemelli, il nostro DNA è responsabile di qualsiasi cosa, e nello specifico influenza da un terzo al 60% la capacità di raggiungere l'orgasmo. 

La ricerca ha rilevato un'influenza genetica significativa, il che significa che se tua madre non ha problemi ad avere orgasmi, probabilmente non ne avrai neanche tu. Tim Spector, che ha co-diretto lo studio presso la Twin Research Unit del St Thomas' Hospital di Londra, ha affermato che l'orgasmo femminile era ancora un "argomento tabù" all'epoca.

Lo stesso studio ha rilevato che solo il 14% delle 700 donne che hanno preso parte alla ricerca ha riferito di raggiungere sempre un orgasmo, mentre il 16% di loro ha affermato di non aver mai raggiunto l'orgasmo o di non saperlo con certezza. 

All'epoca, il team di ricerca suggeriva di confrontare il DNA delle donne che hanno sempre l'orgasmo con quelle che non lo hanno mai fatto, per fare luce sul percorso biologico dietro il climax sessuale. 

Le persone che hanno sofferto di una paralisi inferiore e non riescono a sentire la stimolazione genitale, a volte scoprono di poter raggiungere l'orgasmo attraverso la stimolazione di altre parti del corpo, come la pelle del braccio o i capezzoli. Un articolo del 2005 sul Seattle Times ha scoperto che diverse donne che erano rimaste paralizzate a causa di un infortunio erano state in grado di avere orgasmi se toccate altrove.

È stato riferito che una donna di Filadelfia che era rimasta paralizzata dalla vita in giù all'età di 30 anni ha affermato di essere stata in grado di raggiungere l'orgasmo quando veniva toccata in un punto del tronco o del collo appena sopra la ferita. 

Il neurologo Barry Komisaruk della Rutgers University, che all'epoca aveva studiato il sesso nelle donne paralizzate, ha scoperto un nuovo percorso verso il piacere sessuale attraverso il nervo vago, che va dal cervello attraverso i polmoni, l'intestino e altri organi interni e bypassa il midollo spinale.

Lo specialista ha inoltre riscontrato che negli anni successivi al trauma alcune donne sono state in grado di riorganizzare il proprio sistema nervoso e hanno scoperto nuove aree ipersensibili. 

Mary Roach, autrice di Bonk e giornalista scientifica, ha rivelato in un Ted Talk del 2009 che un orgasmo è un riflesso della parte del sistema nervoso che si chiama sistema nervoso autonomo. Ha fornito gli esempi di una donna che aveva un orgasmo ogni volta che si lavava i denti e ha spiegato che suggeriva che qualcosa nel controllo del movimento sensoriale di questa donna ha innescato i climax.

E sì, si è trattato di una donna. Il numero massimo di organismi che un uomo è riuscito a raggiungere è stato di 16. Al secondo posto (ma per ragioni meno piacevoli) c'è una donna in Arizona che soffre di un disturbo dell'eccitazione genitale persistente. Dice che sopporta fino a sei ore di eccitazione sessuale al giorno e una volta ha avuto più di 180 orgasmi in sole due ore. I malati di PGAD sperimentano un'eccitazione genitale spontanea intrusiva e indesiderata che può durare ore, giorni o anche più a lungo.

La maggior parte delle persone pensa che quando sono coinvolti gli uomini, l'eiaculazione equivalga a orgasmo, tuttavia, questo non è corretto.  Gli uomini possono avere un orgasmo senza eiaculare e possono eiaculare senza avere un orgasmo. 

Gli orgasmi si svolgono nel cervello; l'eiaculazione è l'atto fisico di espellere lo sperma dalla prostata. Di solito si verificano insieme, ma puoi averne uno senza l'altro.

Generalmente si pensa che gli uomini sperimentino simultaneamente sia l'eiaculazione che l'orgasmo, ma i due eventi si verificano l'uno vicino all'altro, non esattamente nello stesso momento. Sarebbe possibile per un uomo avere orgasmi multipli senza eiaculare, tuttavia, ciò richiederebbe un po' di pratica. 

E, per esempio. gli orgasmi che scaturiscono dalla stimolazione anale o della prostata non si manifestano con un'eiaculazione.

C'è un'area dietro l'occhio sinistro, chiamata corteccia orbitofrontale laterale, che si spegne quando raggiungi l'orgasmo. Quest'area è responsabile della ragione e del controllo del comportamento, il che spiega perché tutto il resto cessa di avere importanza durante quei preziosi momenti di piacere. 

Come fanno a saperlo? I ricercatori hanno chiesto alle donne di masturbarsi all'interno di una macchina per la risonanza magnetica per vedere come funziona il cervello durante l'orgasmo. 

Hanno scoperto che 30 aree del cervello si illuminavano durante l'orgasmo, ma alcune si spegnevano per permetterci di concentrarci sul piacere: quelle associate a paura e ansia, memoria e consapevolezza spaziale.

È fondamentale: la maggior parte delle donne si sente troppo imbarazzata per lasciarsi andare con un partner. Durante il sesso da solista, nessuno sta guardando e tu hai il controllo completo su ciò che sta accadendo. Esplorando il tuo stesso corpo, sei rilassato e curioso. Capisci che il clitoride si sente benissimo quando è stimolato, sperimenti le tecniche fino a trovare quelle che funzionano per te, scopri la giusta pressione e velocità.

Se non l'hai mai fatto - non hai mai provato a raggiungere l'orgasmo usando un vibratore o le dita o sfregando contro qualcosa - probabilmente non sai cosa ti eccita e cosa no. 

Ciò significa che non puoi guidare il tuo partner su ciò che funziona meglio per darti piacere. 

Quasi tutte le donne imparano a raggiungere l'orgasmo attraverso la masturbazione. Ci sono molte guide online su "come masturbarsi" e non è mai troppo tardi per iniziare.

·        L’ecosessualità.

Francesca Santolini per “Specchio - la Stampa” il 15 ottobre 2022.

Finiti i tempi del dentifricio fatto in casa, la nuova frontiera dell'attivismo climatico arriva fin sotto le coperte. Si chiamano "Ecosessuali" e vedono l'eros intrinsecamente legato alla natura: non più una madre o una matrigna contro cui rivoltarsi, ma un'amante di cui prendersi cura. 

L'ecosessualità è aperta all'interpretazione individuale: c'è chi passeggia nudo all'aria aperta, chi usa sex toys sostenibili, fino ai più disinvolti che "godono" dei tesori di Madre natura. E così diventa naturale strusciarsi contro un albero, provare un orgasmo rotolandosi nel fango, masturbarsi sotto le cascate. Il movimento ha iniziato a muovere i primi passi anche nel grande business del sesso: nei siti per adulti oggi è possibile trovare la categoria "ecosessuali", per non parlare del boom di giocattoli erotici, lubrificanti e preservativi vegani. 

«Mi rifiuto di associare la mia vagina all'olio di palma!», gridava Frankie, la settantenne anticonformista, ex hippie, nella memorabile serie Netflix Grace and Frankie, cercando disperatamente di vendere il suo lubrificante naturale, senza venir meno ai suoi valori. Per non parlare di Madonna, che nel suo ultimo video in 3D, confermando il suo formidabile intuito, ha celebrato un vero e proprio inno alla sessualità nella natura.

Anche i brand si stanno organizzando: negli Stati Uniti, la Sustain Natural, offre preservativi fatti di lattice proveniente da colture sostenibili e dal commercio equo e solidale. Una sfida tutt' altro che banale, considerando che secondo le Nazioni Unite, ogni anno vengono prodotti miliardi di preservativi che impiegano centinaia di anni per degradarsi. 

Nel 2019 il brand americano Package Free ha lanciato "Gaia Eco", il primo vibratore biodegradabile creato con bioplastica a base di amido, che è andato rapidamente esaurito. Il marchio prometteva un effetto paragonabile ai vibratori classici, ma più rispettoso dell'ambiente. Tutto questo può destare qualche legittima perplessità, ma certo l'ecosessualità potrebbe essere una nuova forma - sicuramente eccentrica - di mobilitazione nella lotta al cambiamento climatico. A ben vedere l'ambientalismo tradizionale - da taluni considerato catastrofista e parruccone - non sta determinando il cambiamento radicale di cui abbiamo bisogno.

Le pratiche ecosessuali potrebbero costituire una sorta di moltiplicatore degli sforzi ambientalisti, rilevante non solo e non tanto per il suo impatto diretto, quanto soprattutto per la sua capacità di attirare l'attenzione in modo non convenzionale sul tema. La gravità della crisi climatica provoca reazioni di frustrazione, di impotenza mentre l'ecosessualità è seducente: spinge le persone a cambiare il rapporto con la natura esplorando la propria sessualità e aggiunge una dimensione di leggerezza nell'ambientalismo, spesso piuttosto legato a sentimenti di depressione. In che modo potrebbe funzionare l'ecosessualità? Forse la risposta arriva sotto forma di Eco Porn, la prima categoria di pornografia "etica" che mette al centro la natura e che può essere utilizzata dalle associazioni ambientaliste per raccogliere fondi per le loro campagne. Un esempio è "Fuck the Forest" (FFF), un'associazione norvegese che produce filmati porno amatoriali e devolve il ricavato per la difesa delle foreste. Il legame tra sessualità e natura ha un potenziale di sensibilizzazione enorme, eppure la maggior parte delle associazioni non accetta donazioni da "Fuck the Forest", considerando il progetto moralmente discutibile e il porno un mezzo inidoneo a veicolare contenuti ambientalisti. E se invece fosse proprio il sesso a salvare il pianeta?

·        L'aiutino all'erezione.

Michele Bocci per “la Repubblica” il 29 agosto 2022.

I luoghi comuni non sempre sono veritieri. Quelli sulla virilità dei campani e la serenità dei toscani, ad esempio, vacillano di fronte ai dati sul consumo dei farmaci. I primi, infatti, prendono più pasticche di Viagra di tutti gli altri italiani, i secondi sono in testa per consumo di antidepressivi. 

Nel rapporto Osmed, dedicato all'uso dei medicinali in Italia e presentato dall'Aifa, si scopre che nel 2021 nessuno ha assunto tanti farmaci contro la disfunzione erettile, tra cui il Viagra, (tutti diventati generici) quanto chi abita in Campania. La Regione ha una popolazione più giovane di chi vive al Centro e al Nord ma comunque gli uomini cercano più che altrove un aiuto quando arriva il momento del sesso. 

E così in un giorno ci sono 7,3 persone ogni mille che prendono la pillola blu. Sono quasi il 50% in più della media italiana, che da anni vede una crescita, rallentata solo nel 2020, quando i lockdown hanno costretto le persone in casa a lungo. 

A seguire ci sono due regioni che invece tanti abitanti anziani li hanno, cioè la Liguria e la Toscana, le più "vecchie" d'Italia. Non può però essere spiegato solo con l'età un altro dei primati toscani, imbattibili quando si tratta di usare antidepressivi. Sono oltre 66 (su mille) ad assumerli ogni giorno, contro una media nazionale di 44. 

«L'incidenza delle malattie nelle varie regioni, salvo qualche eccezione, è tendenzialmente la stessa. Quindi non dovrebbero esserci grossi scostamenti nel consumo dei farmaci - dice Francesco Trotta, responsabile di Osmed - Eventuali differenze, anche importanti, possono significare due cose: o che c'è inappropriatezza, nel senso che vengono utilizzati medicinali anche quando non servono, oppure che c'è una migliore capacità di diagnosi e quindi di cura di certe patologie». 

Il discorso dell'incidenza vale anche per la depressione, che in Toscana non risulta essere più diffusa che altrove. E allora perché i dati sono così alti? «Abbiamo una tradizione culturale nell'uso di questi farmaci - dice l'ordinario di psichiatria di Firenze, Valdo Ricca - Sappiamo che possono essere utilizzati per disturbi diversi dalla depressione, ad esempio nell'ansia, nel dolore cronico o nell'insonnia. Noi e i medici di famiglia non usiamo troppo gli antidepressivi. Anzi, ne andrebbero prescritti di più».

Sempre in fatto di problemi che attengono alla sfera psichica, c'è il capitolo benzodiazepine, sedativi e ansiolitici come lo Xanax (alprazolam è il nome del principio attivo) o il Valium (lorazepam). Ebbene, in questo campo sono in testa i liguri, che staccano tutti gli altri e non di poco, con 83 persone su mille che ogni giorno prendono una dose contro la media di 54. 

Aifa mette in guardia sui rischi di uso inappropriato: «Riguarda l'utilizzo di dosaggi non terapeutici, le prescrizioni per tempi non adeguati e troppo lunghi, l'utilizzo autoterapico» e così via. Sono medicine a carico dei pazienti ma con ricetta con importanti effetti collaterali come la dipendenza.

Anche gli antibiotici vedono consumi molto diversi da regione a regione e anche in questo caso al primo posto c'è la Campania con 19 dosi ogni mille abitanti contro una media nazionale di 13. Proprio perché l'incidenza delle infezioni batteriche non cambia molto da zona a zona (e anzi al Sud grazie al clima dovrebbe essere un po' più bassa) c'è il rischio di prescrizioni non appropriate.

Dagotraduzione da independent.co.uk il 15 agosto 2022.

Dopo la fine di una relazione di cinque anni, James era nervoso all'idea di uscire di nuovo con una ragazza. Aveva 27 anni, era sano e aveva una buona vita sessuale. Ma quando si trattava di andare a letto con nuove persone, provava "ansia da prestazione". «Stavo davvero lottando per avere un’erezione – ha raccontato – Sono arrivato al punto in cui fallivo nel 75% dei casi». 

James non ha chiesto consiglio al suo medico di famiglia e, invece, ha iniziato ad automedicarsi con il Viagra. Ha funzionato all'istante. 

«Quando lo prendi, puoi davvero concentrarti sul goderti il sesso – dice - invece di pensare, 'Oh mio Dio, il mio cazzo non si alza. No! No! Non fermarti! Continua così!».

Ora a 30 anni James prende regolarmente il Viagra e stima che almeno la metà dei suoi amici maschi lo prenda. 

Alcuni, come Josh, 27 anni, ammettono di prenderlo principalmente come "droga ricreativa" per migliorare l'esperienza sessuale: «L'ho provato ed era come se avessi di nuovo 14 anni». La pillola è solitamente presa dagli uomini più anziani, ma un numero crescente di uomini sotto i 50 anni fa ricorso alla pillola blu.

I possibili effetti collaterali includono una riduzione dell'efficacia nel tempo, nonché esiti più gravi. «L'uso a lungo termine del Viagra può potenzialmente aumentare il rischio di dipendenza psicologica ed è stato anche associato a vari problemi che colpiscono l'udito e la vista - afferma la dottoressa Shirin Lakhani - Gli effetti collaterali gravi a breve termine includono ictus e attacchi di cuore in casi molto rari, oltre a diarrea e gastrite» 

I dati della società farmaceutica Viatris mostrano che tra maggio 2020 e maggio 2021 Viagra Connect ha venduto più di sette milioni di compresse nel Regno Unito. Secondo Viatris, oltre il 60% degli utenti del Regno Unito ha un'età compresa tra 25 e 54 anni.

Il farmaco è molto più accessibile di un tempo grazie a un allentamento dei controlli sulla vendita. Viagra Connect è un farmaco da banco che può essere ottenuto senza prescrizione medica. È stato rilasciato nel 2018 ed è diventato così popolare che il mese scorso Boots ha annunciato il lancio della propria versione generica, che avrà un prezzo più basso. 

Sebbene la disfunzione erettile sia ancora un argomento in qualche modo tabù tra i giovani uomini, sembra essere molto comune. Secondo uno studio del 2018, circa la metà degli uomini britannici sulla trentina segnala difficoltà ad avere o mantenere un'erezione. Come James, tuttavia, i giovani uomini con disfunzione erettile non ne parlano necessariamente con il proprio medico finendo per non avere una diagnosi corretta.

James non ha mai chiesto al suo medico la causa alla base della sua disfunzione erettile, ma sospetta che abbia l’ansia da prestazione. 

L'ansia da prestazione è una causa comune ma poco discussa della disfunzione erettile, secondo Peter Saddington, un terapista sessuale che lavora nel dipartimento di andrologia dello Sheffield Royal Hallamshire Hospital: «L'ansia rilascia una sostanza chimica nel cervello che ha un effetto negativo sulle erezioni. Va contro il sentirsi rilassati». Il problema è spesso esacerbato dall'eccitazione di fare sesso con qualcuno per la prima volta: «Il corpo interpreta l'eccitazione come vicino all'ansia perché stai incontrando una nuova persona. A un certo punto però l’ansia può avere un effetto anche sulla pillola».

A dare l’ansia a James è il modo in cui le sue coetanee parlano del sesso e sono ossessionate dai dettagli sul pene del partner: «Parlano di circonferenza, lunghezza, movimento. Tutto è assolutamente analizzato davanti ai loro amici. Quindi, dopo aver assistito a ciò, a un tavolo con persone con cui ho effettivamente dormito, sono consapevole di quanta pressione ci sia nel fare sesso nel miglior dei modi possibile».

Tuttavia, le cause alla base della disfunzione erettile possono essere più complesse. «La disfunzione erettile è spesso liquidata come psicologica o correlata allo stress, temporanea e autolimitante negli uomini più giovani - afferma il dottor Lakhani - Tuttavia, se le ragioni psicologiche possono avere un ruolo, è importante rendersi conto che potrebbero esserci condizioni mediche che causano la disfunzione erettile anche negli uomini più giovani. Anche lo stile di vita, il fumo, il consumo di alcol e l'obesità possono svolgere un ruolo, così come le malattie cardiovascolari o il diabete. L'ansia da prestazione è spesso presente nella disfunzione erettile, ma ciò non significa che sia la causa».

Melania Rizzoli per “Libero quotidiano” il 29 maggio 2022. 

Lo strano fenomeno è stato registrato dagli oculisti in migliaia di uomini di oltre 60anni, i quali lamentavano di veder comparire nel campo visivo stelline luminose o fulminei lampi di luce fastidiosi e recidivanti, oppure macchie scure fluttuanti, grandi o piccole come mosche volanti, o peggio accusavano improvvise perdite della vista, fugaci ma ripetute, della durata di pochi secondi a qualche minuto, con il buio completo nella visione centrale, senza che gli specialisti fossero in grado di individuare, durante la visita, alcun problema all'interno o all'esterno dell'organo della visione.

Uno studio pubblicato sulla rivista Jama Ophthalmologyto, realizzato dalla British Columbia University su 215mila volontari che usavano frequentemente le pillole per il trattamento della disfunzione erettile, nessuno dei quali aveva sofferto di problemi agli occhi nell'anno prima che diventassero consumatori abituali, ha scoperto che tali disturbi visivi erano presenti in un'altissima percentuale di casi, e tali sintomi sono considerati un effetto collaterale non grave di queste terapie, come il frequente fenomeno della visione blu intensa con incapacità a distinguere il rosso e il verde che compare quando si esagera con le dosi di sildenafil (Viagra), in quanto le molecole dei principi attivi sarebbero, per la loro azione specifica, le responsabili dei fattori scatenanti dei problemi agli occhi.

Oltre che con il più noto Viagra, tali disturbi sono stati riscontrati anche nei consumatori regolari di Cialis, Levitra o Spectra, in quanto tali farmaci, aumentando il flusso di sangue ai genitali maschili, potrebbero in determinati momenti ostacolarne il normale apporto in altri organi come gli occhi, i quali, essendo deputati alla visione diretta, segnalano immediatamente al paziente il deficit di ossigeno attraverso i caratteristici segnali visivi. 

Dall'enorme numero di prescrizioni di famaci per la disfunzione erettile dispensate ogni mese negli Stati Uniti, circa 20 milioni di ricette, è stato rilevato che un numero altrettanto significativo di maschi sono colpiti da questa multipla sindrome visiva, la quale comunque viene considerata non frequente e non preoccupante per la totalità dei consumatori di questi medicinali, e sebbene non sia stata ancora dimostrata, scientificamente parlando, la causa-effetto delle sostanze in esame, è stato individuato il meccanismo attraverso il quale si sviluppa questo forte legame tra il farmaco e l'occhio. 

Non solo. Tra i pazienti che soffrivano oltre che di impotenza sessuale anche di malattie cardiovascolari, di ipertensione, dislipidemie e di diabete, i ricercatori hanno segnalato il 158% in più di probabilità di sviluppare il distacco della retina (cosa che provoca comparsa improvvisa di macchie nel campo visivo e repentini lampi di luce) , il 102% in più di possibilità di comparsa di neuropatia ottica ischemica ( che compromette il nervo ottico con perdita della visione centrale) e il 44% in più di sviluppare una occlusione vascolare retinica, con formazione di coaguli, per cui gli scienziati raccomandano agli uomini che accusano i disturbi visivi suddescritti durante la terapia per l'impotenza, di consultare il proprio medico curante per armonizzare ed ottimizzare le dosi prescritte.

I farmaci che curano la disfunzione erettile erano inizialmente, e lo sono tutt' ora, usati per curare l'ipertensione arteriosa, in quanto il loro meccanismo d'azione consiste nel migliorare la circolazione sanguigna, ma possono anche ostacolarne il flusso in altre parti del corpo come gli occhi, anche se temporaneamente, a vantaggio di altri organi, come quelli sessuali. In realtà gli effetti collaterali di questi farmaci, che hanno rivoluzionato la vita sessuale di milioni di uomini nel mondo, sono di scarso impatto clinico e a risoluzione spontanea nella maggior parte dei casi, poiché si tratta di medicinali sicuri, testati da oltre 30 anni, che possono essere impiegati anche in soggetti cardiopatici o con problemi circolatori, ed in età molto avanzate, a patto che il quadro clinico sia ben compensato e stabile, e non vengano sovrapposte concomitanti terapie a base di nitrati che possano confliggere con i meccanismi di azione terapeutica.

È noto che sui bugiardini idi tutta la gamma delle medicine usate per migliorare le potenzialità sessuali degli uomini, sono riportate anche le avvertenze che riguardano la vista, come le possibilità di accusare " irritazione agli occhi, cornee iniettate di sangue, arrossamento dei globi oculari, dolore oculare, lampi di luce, sensibilità alla luce, maggiore luminosità, alterazione della percezione cromatica e lacrimazione", ma questi farmaci, se usati sotto controllo medico ed alle dosi raccomandate, non aumentano affatto il rischio di queste condizioni oculari, anche perché il loro beneficio effettivo viene considerato maggiore dei rari e blandi effetti collaterali, in quanto queste molecole, per vederci chiaro, forniscono, oltre che un comprovato sostegno sessuale, anche un sostegno mentale e psicologico molto importante sia per gli uomini che per le donne.

·        Il Triangolo no…non l’avevo considerato.

Dagotraduzione da un articolo di Tracey Cox per il Daily Mail il 29 maggio 2022.

Invitare altre persone nel tuo letto è sempre complicato, soprattutto se fai parte di una coppia. La maggior parte delle persone sottovaluta quanto possa essere scioccante vedere il proprio partner interagire sessualmente con qualcun altro. 

Ci sono molte (molte) ragioni per cui il sesso di gruppo può andare molto male, molto facilmente. Ho chiesto alle donne di raccontarmi le storie di sesso a tre che non sono andate secondo i piani. 

Ecco tre delle più interessanti (e credetemi, la concorrenza è stata agguerrita!)...

È diventato dolorosamente ovvio che il mio fidanzato di lunga data era gay

Isla aveva 18 anni quando ha incontrato il suo ragazzo. Erano insieme da cinque anni prima che lui suggerisse di fare una cosa a tre con un altro uomo. 

Ho conosciuto il mio ragazzo il giorno in cui ho iniziato l'università. Eravamo anime gemelle ed era ovvio per tutti che avremmo passato la nostra vita insieme. 

Il sesso era la parte più debole della nostra relazione, ma tutto il resto era così perfetto che non mi importava davvero. Non sono mai stata così appassionato di sesso, quindi non ci ho pensato troppo. 

Il mio ragazzo ha iniziato a suggerire di provare alcune cose nuove circa sei mesi prima di provare il triangolo. Abbiamo sperimentato giochi bondage, fatto sesso all'aperto, un po' di giochi di ruolo. Ho capito che voleva scuotere un po' le cose. Quello che non mi è venuto in mente è che stava testando per vedere se il nostro sesso tiepido fosse dovuto a una relazione a lungo termine... o a qualcos'altro.

Quando ha suggerito di fare una cosa a tre con un altro uomo, sono rimasto scioccata. Eravamo così vicini e così innamorati che non avrei mai immaginato che avremmo invitato altre persone nella nostra relazione. Ho passato anni a pensarci, e alla fine ho detto di sì. Non sono ancora sicura del motivo per cui ho accettato. Forse ho sentito che era importante per lui? Ha detto che aveva un amico che aveva incontrato al lavoro che sarebbe stato all'altezza. 

Quando è arrivato il giorno concordato, era eccitato come mai l’avevo visto. Il ragazzo è arrivato ed era davvero bello. Il mio ragazzo non riusciva a staccare gli occhi da lui, il che mi ha fatto sentire molto a disagio. Abbiamo bevuto qualcosa e siamo andati a letto. Il ragazzo mi ha baciato e il mio ragazzo mi ha guardato ed è andato tutto bene, ma quando ho detto: «Puoi baciare anche lui», non ha aspettato un secondo prima di afferrare il ragazzo e baciarlo come se non avesse mai baciato me. Erano uno sopra l'altro, si toccavano i corpi e mi chiedevano il permesso di andare oltre.

Ho annuito, mi sono seduta e li ho guardati. Penso che forse una parte di me sospettava già qualcosa nell'ultimo anno, ma alla fine ho ammesso che l'uomo che avevo amato per cinque anni era gay. 

Guardando indietro devo dire che il mio ragazzo era così appassionato su tutto ma stranamente sottomesso e distaccato durante il sesso. Stava sempre a me iniziare. A volte l'ho visto guardarmi, così triste. Penso che abbia lottato con la sua sessualità e si sia sforzato davvero di essere etero, così non mi avrebbe fatto del male.

Mi sono alzata e ho lasciato la stanza, piangendo. Si è alzato subito e mi ha seguita. Quando gli ho detto che sapevo che era gay, anche lui ha iniziato a singhiozzare e ha detto che aveva sperato che stare con un uomo nella vita reale avrebbe dimostrato che non lo era. Ma sapevamo entrambi che era successo il contrario. 

La separazione è stata insopportabilmente dolorosa per entrambi. Pensavo che il mio cuore non sarebbe mai guarito. Non avrei mai pensato che saremmo rimasti amici, ma circa un anno dopo, ho capito che mi mancava la parte dell'amicizia della nostra relazione più di ogni altra cosa. Gli ho scritto e mi ha richiamato subito. Ama il mio compagno e a me piacciono i suoi fidanzati (non ha ancora niente di serio). Mi chiedo se non avessi detto di sì al trio, per quanto tempo avrebbe continuato a illudersi di essere etero.

L'amica di mia sorella è entrata. È stato facilmente il momento più atrocemente imbarazzante della mia vita.

Hannah ha 30 anni e lavora nel settore della bellezza. Ha fatto una cosa a tre... ma a un certo punto c'erano quattro persone nella stanza. 

Stavo uscendo con un ragazzo che aveva già provato il triangolo numerose ma mai con me ed ero curiosa. Ha prenotato una notte in hotel a Londra per il mio compleanno e ha scherzato dicendo che avrebbe messo anche una prostituta di alta classe. Ho riso e ho detto "Assolutamente no!" ma poi ho pensato: “Perché no?”. Ho lasciato a lui la scelta della ragazza (lo ha fatto online) ma ho chiesto l'approvazione finale. Aveva la pelle olivastra e i capelli scuri ed era formosa. Per me andava bene!

Non ho dormito la notte prima ed ero così nervosa quando siamo arrivati all'hotel. Mi sono sentita ancora più paranoico quando abbiamo fatto il check-in perché era un boutique-hotel minuscolo! Ho immaginato che la ragazza si sarebbe presentata con un mini vestito e stivali alti fino alla coscia e avrebbe chiesto la nostra camera e la reception avrebbe capito tutto! 

Quando si è presentata, era un'attraente ragazza bionda, sui vent'anni, dell'Europa dell'Est, con una coda alta, che indossava un cappotto senape che avevo tenuto d'occhio a Zara. 

Il mio ragazzo ha versato lo champagne che avevamo ordinato e all'improvviso era nuda, tranne un perizoma minuscolo, semplice, senza fronzoli. Ho guardato il suo corpo e sono stata sollevato nel vedere che mentre aveva un bel corpo, non era minacciosamente buono. I suoi seni erano un po' cadenti. Aveva la pancia piatta ma le cosce da ragazza normali - non erano affatto perfette. Mi sono spogliata e sono salita sul letto.

L'ho baciata. Ed è stata, per me, la parte più sexy. Era una grande baciatrice e molto migliore della maggior parte degli uomini. Sapeva di dentifricio e la sua bocca era molto più morbida di quella di un uomo. Totalmente diverso da come si sente la lingua e la bocca di un uomo. La sua lingua era così piccola. 

È stata una sensazione surreale. Continuavo a pensare: «Questo è quello che provano gli uomini che dormono con me». 

Ad essere onesti, mi ero quasi dimenticata che il mio ragazzo fosse anche nella stanza. Ero così curiosa dell'intera esperienza di stare con una donna. (Gli avevo dato rigorose istruzioni di guardare fino a quando non gli avessi dato il permesso di unirsi a noi.) Quello di cui non mi rendevo conto era di quanti drink avesse bevuto mentre ci guardava. Ha chiesto se volevamo che ordinasse lo champagne e ho detto di sì.

Quello che non mi aspettavo era che invitasse il cameriere del servizio in camera nella stanza per consegnarlo. Era così ubriaco che semplicemente non ci ha pensato. Ho sentito bussare alla porta e ho pensato che avesse preso la bottiglia dal cameriere, ma poi ho sentito qualcun altro nella stanza. Mi sono seduta, scioccata dal fatto che avesse fatto entrare qualcuno mentre ero sul letto a pomiciare con una donna, e ho incrociato gli occhi con il ragazzo che apriva lo champagne. Lo conoscevo! 

È stato il momento più atrocemente imbarazzante della mia vita. Era un buon amico di mia sorella all'università ed era stato a cena a casa dei nostri genitori.

Ho nascosto la faccia, ma dalla sua reazione potevo dire che aveva capito chi ero. Quando se ne è andato, ho urlato al mio ragazzo come non avevo mai urlato a nessuno prima. Che idiota! Cosa stava pensando? La ragazza se n'è andata subito e anche io. 

Dopo ho rotto con il mio ragazzo: lui pensava che fosse divertente, io ero furiosa. Ho vissuto nella paura di incontrare il ragazzo per mesi. 

È così che ho conosciuto il mio fidanzato, ma alla fine ci siamo lasciati

Chloe, 26 anni, è una scrittrice di viaggi e ha fatto sesso con due uomini durante un viaggio in una nota località dell'isola. Il suo trio – letteralmente – è finito in lacrime.

Ho fatto subito amicizia con due ragazzi che facevano parte dell'equipaggio della nostra barca a vela. Erano entrambi davvero innamorati di me ed era chiaro che entrambi volevano dormire con me. È diventata una competizione su chi mi avrebbe conquistata, ma in modo divertente invece che serio. 

La mia ultima notte, siamo andati tutti al bar del resort e abbiamo bevuto un sacco. Quando ha chiuso, sembrava scortese non andare nella loro stanza per continuare a festeggiare. Erano caldi ed erano divertenti ed entrambi così gratuiti: è stato un enorme aumento dell'ego. 

Era ovvio dal modo in cui l'intera faccenda era stata gestita che avevano pianificato il trio e discusso su come avrebbe funzionato. Si sono seduti accanto a me sul divano e il ragazzo più giovane ha detto: «Dai, dammi un piccolo bacio. Te ne vai presto» e mi ha afferrato e mi ha dato un grande bacio con la lingua. L'ho ricambiato con un bacio e poi il ragazzo più grande, seduto dall'altra parte, ha detto: «È così ingiusto. Che mi dici di me» e mi ha tirato a lui e così ho baciato anche lui.

Quando abbiamo smesso di baciarci, il ragazzo mi ha afferrato di nuovo e ci siamo baciati. Poi mi sono appoggiata di nuovo tra le sue braccia e lui ha iniziato a baciarmi il collo e sentire i miei seni e il ragazzo più grande mi ha messo le mani sui fianchi e mi ha tirato verso di lui e poi ci siamo spostati tutti sul letto ed entrambi stavano facendo l'amore per me. 

Non ricordo di essermi sentita né scioccata né sorpresa. Ricordo di essermi sentita davvero accesa e non costretta a farlo. Penso di aver scherzato sul fatto che l'avessero pianificato e loro hanno sorriso e l'hanno ammesso. Era chiaro che potevo dire di no in qualsiasi momento, ma non volevo. 

Il ragazzo più giovane è stato il primo dentro di me ed è stato fantastico. L'ho adorato, ma ero più sexy per il ragazzo più grande. L'ho raggiunto e lui ha spinto via l'altro ragazzo e poi è stato dentro di me. I loro stili di spinta erano radicalmente diversi: il suo era più un movimento stridente e mi ha baciata mentre il giovane no.

Non so quando ho smesso di godermelo, ma all'improvviso è stato troppo. È passato dal sentirsi piacevole e vivace al sentirsi come se fossi fuori controllo. Era come se qualcuno avesse premuto un interruttore: così in fretta! Un minuto stavo gemendo, quello dopo stavo piangendo. Eravamo tutti così ubriachi a quel punto che qualcosa doveva andare storto. 

Immediatamente entrambi si sono fermati. Il ragazzo più grande mi ha coccolato e ricordo che il ragazzo mi ha detto: “Merda, stai bene?”. Erano entrambi bravi ragazzi e nessuno dei due voleva fare qualcosa che non volevo mi fosse fatto. Fino a quel momento ero stata molto disponibile.

Sono rimasta in contatto con il ragazzo più grande. Ci siamo telefonati e visti e circa tre mesi dopo, ha rinunciato al suo lavoro, ed è venuto a vivere con me. Penso che l'avrei sposato se non ci fossimo incontrati nel modo in cui ci siamo incontrati, ma alla fine ci ha distrutti. 

Mi vergognavo e lui era paranoico che mi fosse piaciuto più il sesso con il suo amico che con lui. (Perché, non lo so.) Se li avessi salutati entrambi e non avessi più avuto contatti, penso che ricorderei il trio come una bella esperienza. Ho cercato di pensare che sarebbe stato bello e divertente se ci fossimo sposati dopo essere finiti insieme in questo modo. Ma poi ho pensato ai figli, e ho deciso che non volevo passare tutta la vita a sussultare ogni volta che qualcuno mi avrebbe chiesto come ci eravamo conosciuti.

·        Il Perineum Sunning: Ano abbronzato.

 Abbronzatura, sole sull'ano: choc sulle spiagge italiane, cosa sta succedendo. Libero Quotidiano il 22 maggio 2022.

Non si smette mai di imparare. Qual è l'ultima moda dell'estate? Il sole nel fondoschiena. Proprio così, prendere il sole anche nel lato B è l'ultima prassi. Si tratta del "perineum sunning" o "butthole sunning". Oltre all'idea bizzarra, anche la posizione è delle più strane: per abbronzarsi in una delle zone più intime, bisogna mettersi le caviglie vicine alle orecchie. Tutto vero. Sembrerebbe strano, ma la moda è già stata ampiamente sperimentata. 

Prendere il sole nell’ano - secondo Mowmag - stimolerebbe la creatività: le pagine di Lolita di Nabokov, o la vitamina D, fanno più effetto se presi per via rettale. Non è una novità. Non sarebbe infatti un caso che gli egizi scrivevano nei papiri che poi arrotolavano a tubo. A confermarlo "Metaphysical Megan" nei suoi post. Addirittura, basterebbero solo trenta secondi di sole direttamente nel fondoschiena per abbronzarsi come un'intera giornata di tintarella.  

In Sicilia raccontano che sia la moda del momento. C'è anche chi organizza sedute di gruppo in campagna o a bordo piscina. La regola? Basta togliersi i vestiti e stendersi sui tappetini gambe all'aria. E chissà se oltre alle zone più imboscate, la pratica venga messa in atto anche nelle spiagge più popolate d'Italia. 

Ottavio Cappellani per mowmag.com il 22 maggio 2022.

Non solo libri. Anche il sole, quest’anno, dovete prenderlo nel culo. La moda spopola. C’è chi lo chiama “perineum sunning”, mettendo l’accento sul perineo, e chi, “butthole sunning” che individua proprio nell’ano la zona dove prendere il sole. 

Non solo libri, che sia il perineo o l’ano, quest’estate tutti con le caviglie alle orecchie, per leggere o per fare i bagni di sole, è questa infatti la posizione consigliata per trarre i massimi benefici dai raggi solari. 

Non solo libri, prendere il sole nell’ano stimolerebbe la creatività: le pagine di Lolita di Nabokov, o la vitamina D, fanno più effetto se presi per via rettale. Lo dice “Metaphysical Megan” nei suoi post: sonno migliore è vere e proprie ondate di creatività.

Non solo libri: il Dottor Stephen T. Chang, autore di “The Tao of sexology, the book of infinite wisdom” ha dichiarato che prendere il sole dal culo adesso fa parte della sua routine. 

Non solo libri, sfogliare i libri con l’ano o usarlo per prendere il sole è obbligatorio, in quest’estate anticipata, per mostrarsi impegnati, profondi, connessi con la terra, ecologici, femministi, attenti alla biodiversità e, ovviamente, green. 

Dopo lo sbiancamento delle pagine, piene di parole che non aggiungono nulla al pensiero, e dopo lo sbiancamento dell’ano, che non aggiunge nulla alla politica (Rosario Crocetta docet), ecco finalmente la tendenza inversa: ani e libri marroni. E se la cosa vi fa impressione è perché fate parte della cancel culture: qui non si cancella e non si sbianchetta niente, tutto si porta nature e la carta igienica deforesta.

Non solo libri: trenta secondi di sole direttamente nel culo equivarrebbero a una giornata di tintarella, così come un libro infilato pagina per pagina nel culo si assimilerebbe meglio osmoticamente. 

Non solo libri, qui nel sud-est siciliano, dal quale vi scrivo, è la moda del momento: si organizzano sessioni di gruppo, nelle campagne, a bordo piscina, sui prati, sui “tappetimi” (tappeti da yoga fatti di timo); partecipare è semplice, via le mutande e caviglie in alto, poi, al tramonto, un bicchiere di vino autoctono scambiandosi le esperienze.

Non solo libri, si tratta di una esperienza antica, riscoperta diciassette anni fa da Lagioia e adesso dagli intellettuali di tutto il mondo. Secondo voi, perché gli egiziani scrivevano nei papiri che poi arrotolavano a tubo? 

Non solo libri: da quest’anno attraverso l’ano passa tutto; cultura, libri, energia cosmica, lavoro giovanile, inflazione, mutui, bolletta del gas e dell’energia elettrica, letteratura, lotta sindacale, stipendi, relax, servizi satirici, combriccole di potere, prezzo del grano, aumenti al supermercato, classifiche dei libri, recensioni, aria condizionata, arrampicate sugli specchi e file alla Caritas. Non solo libri: quest’estate prenderete tutto nel culo. Non è fantastico?

·        Il Sesso Orale.

Angela Casano per leggo.it il 28 novembre 2022.

Va dal dentista e fa una scoperta sconvolgente o meglio dire... imbarazzante. La tiktoker @missginadarling ha pubblicato un video sulla piattaforma social che ha destabilizzato migliaia di utenti: Gina ha chiesto al suo dentista se fosse in grado di capire se il paziente ha di recente svolto del sesso orale. «Sì, assolutamente», ha risposto divertito. E poi ha spiegato come è possibile...

Il video pubblicato su TikTok, che ha ottenuto più di 500 mila like, mostra Gina seduta sulla poltrona mentre si sta preparando per la visita col suo dentista di fiducia. La tiktoker aveva sentito dire un tempo che i dentisti riuscivano a capire se il paziente avesse avuto recentemente dei rapporti orali, non ha resistito e con tono imbarazzato lo ha chiesto al suo dentista. 

Lui ha sorriso e poi ha spiegato: «Si, riusciamo a capirlo perché si creano dei lividi sui tessuti molli nella parte posteriore del palato», poi ha aggiunto: «Noi dentisti abbiamo notato che dopo San Valentino i lividi erano molto più frequenti, quindi...». 

La dichiarazione ha scatenato diverse reazioni da parte degli utenti, alcuni divertiti hanno scritto sotto al video: «Ecco perché il mio dentista l'ultima volta mi ha guardata in quel modo». Un utente, tutt'altro che divertito, invece ha scritto: «Il mio dentista è mio padre, ops».

Da leggo.it - articolo del 2017

Il sesso orale, ciliegina sulla torta degli incontri più hot, non sempre sarebbe gradito dai maschietti, se non "praticato" nel modo corretto. 

Il sito Elite Daily riporta i 20 consigli degli uomini alle donne, per un sesso orale indimenticabile. 

1) I maschietti vi ricompenseranno... 

2) La lingua è un'arma molto potente, meglio senza piercing. 

3) Non usate i denti. 

4) Ricordarsi di lubrificare, anche con l'aiuto di alcuni cibi (panna montata, cioccolata...) 

5) Rispettate il corpo del vostro lui 

6) Non fate espressioni di disgusto 

7) Guardate l'organo sessuale della dolce metà 

8) Meglio non deglutire durante l'atto 

9) Prendetevi cura dell' "intero pacchetto" 

10) Siate creative, ma con moderazione 

11) Se non amate le "sorprese", dite al partner di avvisarvi nel momento della "gioia" 

12) In questo caso, una massima dei maschietti è "meglio dentro, che fuori" 

13) Cibi come l'ananas addolciscono il sapore... 

14) Anche le mani vanno utilizzate 

15) Finita la performance, meglio evitare i baci 

16) Un'altra richiesta dei maschietti è "siate profonde..." 

17) Siate comunicative... 

18) ...ma senza fare troppe domande 

19) Siate gentili e poco aggressive 

20) Evitate i morsi

Dagotraduzione da Le Monde il 14 agosto 2022.

Non tutti praticano con riluttanza il sesso orale, oppure al contrario lo considerano un must. Alcuni ne traggono il piacere più intenso, egoista e/o altruista. Eppure ... Internet è piena di utenti che cercano disperatamente di sfuggirgli, lamentando odori, mancanza di desiderio, crampi alla mascella o partner troppo «lenti» (secondo quale standard? Non lo sapremo mai). 

Il discorso sessuale non rassicura i refrattari. Non solo la relegazione del sesso orale al campo dei preliminari diminuisce la sua importanza (queste pratiche non farebbero parte del «sesso reale»), ma il sesso orale è strettamente codificato: un partner dà, un partner riceve.

Il sesso orale non è intrinsecamente noioso, né ripetitivo. Se alcuni di noi raggiungono stati euforici mentre praticano il lavoro a maglia o la falegnameria, se ad altri piace affettare le carote quanto vogliono mangiarle, dovremmo riuscire a cavarcela. 

Il modo più semplice consiste nell'aggirare l'aspetto meccanico di questa pratica, invertendo la nostra concezione su di essa. Il preconcetto di base (sesso + bocca = eccitazione + forse orgasmo) costituisce una meraviglia della razionalità, ovviamente. Ma l'equazione troppo spesso suona come un pigro minimalismo: come investire la quantità minima di tempo ed energia per ottenere un risultato accettabile.

La questione del risultato è il più grande ostacolo alla soddisfazione del donatore poiché la motivazione riguarda la fine del processo. Un po' come se il cinema consistesse nel «trattenere» gli spettatori per 90 minuti prima di arrivare ai titoli di coda, e peccato per il contesto, i personaggi e lo scenario. 

Spesso chi pratica sesso orale solleva la questione della comodità. Ma non bisogna confondere "dare piacere" con il "dimenticare se stessi". Il problema si può risolvere con un minimo di praticità: prendersi cura del collo, delle mascelle e delle ginocchia (aiutandosi con i cuscini, il divano, un tutore per il collo, un tappetino d'angora). Non esitate a cambiare posizione al primo segno di stanchezza. Fate delle pause, subentrate con le mani o con degli oggetti.

In secondo luogo, cercate di rinunciare alla rigida divisione dei ruoli tra donatore e ricevente. Non è perché ci inginocchiamo che ci sottomettiamo, non è perché allarghiamo le gambe che perdiamo il controllo. In una logica di collaborazione, bisogna poter chiedere al proprio partner di «farsi carico» di alcune cose in determinati momenti (se devi trovare il lubrificante, o per rispondere alla tua prozia su Messenger), così come è lecito chiedere di essere accarezzati. Puoi masturbarti mentre onori il tuo partner: non è barare.

Poi, e qui arriviamo a un punto cruciale: la noia si nutre della nostra confusione - la noia non cade dal cielo. È più facile essere soddisfatti quando sappiamo cosa stiamo facendo, come lo stiamo facendo, perché lo stiamo facendo. Per dirla senza mezzi termini: se sei annoiato, non stai facendo abbastanza. Non avresti tempo di annoiarti se usassi la bocca in combinazione con una o due mani, fornendo una stimolazione ambidestra o aritmica aggiuntiva, monitorando la cottura del tofu.

Per raggiungere un livello ragionevole di competenza è importante prendere in mano le conoscenze esistenti, ma anche darsi il permesso di definirsi competente. Altrimenti, la mancanza di fiducia impedisce di prendersi delle libertà. Peggio ancora, l'altro si riduce a un corpo inerte, con reazioni arbitrarie. Senza arrivare a proclamare il tuo status di «miglior fornitore di cunnilingus nella categoria dei pesi medi» o «miglior succhiatore dell'Alto Reno», concentrati sull'esperienza più immediatamente gratificante che è essere un esperto del tuo partner. Per fare questo, combina una buona comunicazione (per sapere cosa piace all'altro) e una buona iniziativa (per offrire sfide e sorprese).

Quindi mettiti egoisticamente al centro della pratica. Anche se sembra paradossale, perché non cercare tutte le opportunità per aumentare il tuo piacere fisico e intellettuale? Alcuni usano il culto del pene o della vagina, altri si proiettano in fantasie di dominio o sottomissione («Controllo completamente il tuo pene / Sono in balia del tuo pene»). Altri potrebbero preferire concentrare la loro attenzione su sensazioni piacevoli, come il gusto, il tatto o l'olfatto. 

Il sesso orale può essere utilizzato anche come un gioco: parlando con il proprio partner, mettendosi nei suoi panni, avendo intenzioni che non si limitano necessariamente a questioni di pura efficienza. La situazione della donazione permette di esercitare il controllo: cosa fare di questo grande potere, di questa grande responsabilità? Possiamo ritardare o accelerare il piacere, aumentare o ridurre la pressione, fingere di lasciare la stanza nel momento peggiore, praticare la bordatura. Possiamo ridere. Possiamo anche procedere con assoluta regolarità, come se fossimo una macchina, cercando stati di trance.

Se riuscite a praticare del sesso orale per il vostro piacere, utilizzando un ricco ventaglio di tecniche, emozioni e interazioni, e senza spaccarvi la schiena, uscirete dalla logica del dono per entrare in una logica di scambio.

Sesso orale, età e numero di partner possono far salire il rischio di tumore alla bocca e alla gola. Vera Martinella su Il Corriere della Sera il 22 Luglio 2022.

Il Papillomavirus è tra i maggiori responsabili di queste forme di cancro, in aumento specie fra gli uomini. Si trasmette tramite rapporti e si può prevenire con il vaccino

Il Papillomavirus o Hpv si trasmette per via sessuale ed è ben noto per essere responsabile di diverse forme di cancro: alla cervice uterina (ne è la prima causa), ma anche di tipi più rari che colpiscono vulva, vagina, pene e ano. E dei carcinomi che interessano bocca e gola, i cui casi sono in aumento e per i quali gli esperti hanno lanciato un allarme: serve grande attenzione quando si hanno rapporti di sesso orale perché l'età a cui si inizia, il numero di partner e la frequenza con la quale si cambiano i compagni possono avere un ruolo importante nella diffusione del virus e far salire il rischio di sviluppare un tumore. A questa conclusione è giunto anche l'ultimo studio pubblicato recentemente sulla rivista scientifica Cancer, secondo il quale avere più di 10 partner con i quali si è praticato sesso orale aumenta oltre quattro volte le probabilità di ammalarsi di cancro alla bocca o alla gola collegato all'Hpv. E il pericolo cresce ulteriormente per chi ha iniziato da molto giovane e se si sono avvicendati più compagni in tempi brevi. Proprio in conseguenza dei noti danni provocati dal Papillomavirus, la vaccinazione contro l'Hpv viene offerta gratuitamente in Italia a tutti i maschi e le femmine al compimento dei 12 anni d’età.

La nuova ricerca: cosa fa salire il rischio

Precedenti studi hanno dimostrato che praticare sesso orale è un importante fattore di rischio per l'insorgenza di carcinomi dell’orofaringe, il tratto intermedio della faringe, tra bocca e gola e un’analisi su oltre 13mila persone aveva messo in luce che il pericolo è maggiore per i maschi che hanno avuto rapporti con 5 o più partner. Il virus Hpv viene trasmesso alla bocca e alla gola attraverso il sesso orale e, secondo le statistiche più recenti, è responsabile di circa il 70 per cento dei nuovi casi diagnosticati ogni anno di cancro orofaringeo, che si sviluppa nel retro della gola, alla base della lingua o nelle tonsille. Per appurare quanto e come il comportamento personale influisca sulle probabilità di ammalarsi gli autori americani della nuova indagine, guidati da Virginia Drake, del Dipartimento di Otorinolaringoiatria della Johns Hopkins University di Baltimora, hanno condotto un’indagine su 163 pazienti con un carcinoma orofaringeo collegato all'Hpv e 345 persone sane. «Il numero di casi di questo tipo di cancro è in continua crescita negli Stati Uniti e non solo — dice Drake —. Per questo abbiamo voluto comprendere meglio cosa può favorire la diffusione della malattia e comprendere meglio chi è più a rischio. Dal nostro studio emerge che non conta soltanto il numero precedente di “compagni di letto”, ma anche il fatto di aver avuto molti partner più anziani in età molto giovane e la quantità di relazioni con persone diverse».

Fumo e alcol maggiori responsabili

Il Papillomavirus (o HPV, dall’inglese Human Papilloma Virus) è il primo responsabile del cancro alla cervice uterina, che era il tumore più diffuso ai primi dell’Ottocento e che oggi è invece fra i meno letali, grazie alla prevenzione e alla diffusione del vaccino contro l'Hpv. È poi stato dimostrato il suo ruolo nella formazione di altri tumori  (vulva, vagina, pene, ano orofaringe): secondo stime recenti, milioni di neoplasie potrebbero essere evitate ogni anno nel mondo solo grazie alla vaccinazione. Alcuni dei 150 ceppi di virus hanno un ruolo chiave anche nell’insorgenza di lesioni precancerose (condilomi genitali) maschili e femminili. Nel nostro Paese si stima che ogni anno il Papillomavirus sia responsabile di circa 6.500 nuovi casi di tumori in entrambi i sessi, circa 12mila lesioni anogenitali di alto grado nella donna e almeno 80mila casi di condilomi genitali. Malattie che potrebbero scomparire, o almeno diventare molto rare, grazie alla vaccinazione. Queste neoplasie si presentano più frequentemente nelle persone sopra i 40 anni. Fumo, microtraumi delle mucose, cattiva igiene orale, una dieta povera di frutta e verdura, l’eccessivo consumo di bevande alcoliche e il Papillomavirus sono i maggiori responsabili dei tumori di bocca e gola: maggiore è la quantità di alcol e tabacco consumati, tanto più alte sono le probabilità di ammalarsi. «Gonfiore al collo, deglutizione dolorosa o faticosa, raucedine persistente, mal di gola e o bruciore alla lingua, lesioni rosse o bianche nel cavo orale sono sintomi che devono insospettire — conclude l'esperta —. Se perdurano per almeno tre settimane, non bisogna perdere tempo e andare dal medico per un consulto: un controllo e una diagnosi precoce possono salvare la vita».

Elvira Santagata per alfemminile.com il 25 aprile 2022.  

Quando parliamo di tecnica della gola profonda parliamo proprio dell'abilità di migliorare le tue competenze nel sesso orale, per dargli il massimo piacere, senza strozzarti. 

Quante volte ci è capitato durante un approfondimento orale di avere quella spiacevole sensazione di strozzamento?

In un attimo il nostro rapporto orale potrebbe trasformarsi in una scena da film horror, e temiamo non solo di andare in embolia polmonare ma anche di fare una pessima figura con il nostro partner.

In generale, se si vogliono migliorare le proprie prestazione e garantire una fellatio superiore a quella media, esiste la tecnica della gola profonda e di seguito qualche consiglio per praticarla e rendere le tue performance di un livello superiore, e non solo!

1. Fare pratica

Gli esseri umani hanno un riflesso naturale che impedisce alle cose di scendere lungo la gola. Come fare per controllare quella sensazione che potremmo associare al conato di vomito? Vi suggeriamo di spingere la lingua verso la gola, in modo da accogliere il pene limitando lo sforzo. 

È possibile imparare a controllare questi riflessi e inserire oggetti in bocca, ma bisogna fare pratica signore. Se il vostro compagno vuole percorrere la navata della passione con voi, allora sarà pronto alla sperimentazione pratica, mentre voi migliorerete un centimetro alla volta 

2. Ricercare la posizione

A quanto pare ci sono due posizioni che facilitano l'entrata della nave nel canale: una vi vede riverse con la testa penzoloni sul letto e il ricevitore alle vostre spalle, l'altra è un classico 69. Ricercare un allineamento perfetto gola-ospite è frutto di sperimentazione perché ogni gola è a sé e anche ogni pene. Ma ci sarà un click e scoverete la posizione ottimale per voi. 

3. Respirare con il naso e fermarsi se si ha dolore

Come una sessione di Yoga, il corpo si rilassa con il respiro e il ritmo giusto. Cercate di fare respiri lenti, profondi e controllati durante l'esecuzione dell'atto. Inspirate profondamente prima di prendere un boccone e non trattenete il respiro. 

Il naso è l'unico modo per respirare mentre la gola è impegnata. Ma attenzione! Se sentite dolore fermatevi. Comunque state praticando qualcosa di molto delicato e sforzarsi sì, ma farsi del male...meglio evitarlo! 

4. Andare molto piano

Nonostante si immagini il contrario, anche a causa dei porno, la gola profonda è più una maratona chilometrica che uno sprint. Se cominciate ad affrettare le cose, potreste danneggiare il tessuto della gola che è sensibile. In un primo momento, concentratevi sull'andare lentamente lungo il pene del partner e fermatevi quando si raggiunge un punto scomodo.

Chi va sano va piano e va lontano. Molto lontano. Dopo aver approfondito le tue competenze in ambito di Gola, ti consigliamo di concentrarti su un'altra tipo di "G"...

Sesso orale, la "tecnica del gatto": l'ultima frontiera fa impazzire il mondo, come si pratica (e cosa "offre"). Libero Quotidiano il 10 febbraio 2022.

Dagospia ha ripreso e tradotto un affascinante articolo del Daily Mail, che ha svelato alcune tecniche molto particolari (e neanche di facile realizzazione) da utilizzare a letto per aumentare il piacere e magari interrompere la classica routine sessuale di coppia. 

Una delle tecniche più stravaganti ma allo stesso tempo efficaci si chiama “Cat”, ovvero gatto. “Un famoso studio su donne incapaci di raggiungere l’orgasmo facendo sesso in stile missionario - si legge sul Daily Mail - ha riportato un aumento del 56% della frequenza dell’orgasmo, una volta che loro e i loro partner lo hanno padroneggiato”. Ma questo “stile del gatto” non è fatto facile da mettere in atto se non si ha la giusta esperienza. Però se lo si padroneggia aggiunge un elemento molto importante: la stimolazione del clitoride.

“Lui è in sopra e si sposta verso l’alto - è la spiegazione del Daily Mail - il suo corpo si muove verso la tua testa rimanendo vicino invece che tenendosi sulle braccia. Tieni il bacino vicino, in modo che la base del suo pene sfreghi contro il tuo clitoride e rimanga lì mentre ti muovi insieme. Immagina un movimento regolare della sedia a dondolo: lei guida nel movimento verso l'alto, spingendo su e avanti per forzare il bacino all'indietro. Lui costringe il bacino all'indietro e verso il basso. È pressione e contropressione, non spinta, con penetrazione superficiale non profonda”.

Dagotraduzione dal DailyMail il 10 febbraio 2022.

Ti stai annoiando con la solita vecchia routine ma ti sembra di averle provate tutte? Scommetto che non hai mai provato queste stravaganti tecniche di sesso! Potrebbero sembrare ridicolmente inverosimili, ma ottengono recensioni entusiastiche da parte degli utenti e tutte sono state messe alla prova dai miei coraggiosi volontari.

SESSO ORALE CON POMPELMO

Otto anni fa, una donna di nome Auntie Angel ha pubblicato un video su YouTube che mostra come «far piacere al tuo uomo» facendo sesso orale con un pompelmo intorno alla base del suo pene.  Da allora, il sesso orale al pompelmo è diventato una «cosa». 

Perché dovrei provarlo?

Se guardi il video originale, non sono del tutto sicuro che riuscirai a farlo senza ridere. Ma fallo comunque! Dire che è un'esperienza nuova è affermare l'ovvio, ma è divertente – e diventiamo tutti troppo seri riguardo al sesso. 

La tecnica del pompelmo è perfetta anche per le donne a cui non piace fare sesso orale perché vomitano facilmente. Indossare il pompelmo richiede tre pollici di lunghezza, quindi non c'è alcun potenziale per una «gola profonda». 

Sarà la prima volta per la maggior parte di voi e qualcosa con cui divertire i vostri amici quando racconterete la storia dopo un paio di bicchiere di vino.   

Come lo faccio?

Usa un pompelmo rosso rubino (o la varietà più dolce che riesci a trovare) e mettilo in acqua tiepida per portarlo a temperatura ambiente. (Se sei allergico al pompelmo, puoi usare una grande arancia marina.) 

Quindi fallo rotolare su un banco per un minuto o due per ammorbidire il frutto e rendere la polpa più succosa. Taglia le due estremità dell'ombelico, in modo che assomigli a una ruota spessa, e pratica un piccolo foro al centro del pompelmo. (Più piccolo è il foro, più stretto sarà quando lo spingerai per la prima volta sul pene).

Poiché gli agrumi sono acidi, controlla sempre prima per assicurarti che il suo pene non abbia piccoli tagli o bruciature da rasoio per evitare che pizzichi. Quindi, aspetta che sia eretto, spingi lentamente il pompelmo verso la base del pene: il frutto si espande mentre lo premi verso il basso. 

Come puoi immaginare, il succo va ovunque, quindi metti giù un paio di asciugamani, fallo stare in piedi nella vasca da bagno (sì davvero) o su un pavimento che puoi pulire facilmente in seguito. Il succo, tra l'altro, fa tutto parte dell'esperienza - e il po' che molti uomini hanno detto che era il migliore.

Quindi esegui il sesso orale, come faresti di solito, ruotando il pompelmo attorno all'asta e spingendolo su e giù. Continua a succhiare e torcere il pompelmo fino all'orgasmo. 

Consiglio vivamente di lavargli il pene e i testicoli subito dopo, semplicemente perché il succo è acido, anche se gli urologi dicono che non ci sono rischi per la salute.

Il verdetto: 6.5/10 

«Non fraintendetemi: è stato fantastico e tutti dovrebbero provarlo almeno una volta. Ma è solo comico e il mio partner continuava a ridere, il che mi ha fatto impazzire. In seguito le è scoppiata anche un'eruzione cutanea sul mento: il succo le ha irritato la pelle». 

«Mi fa sentire stranamente bene però: il pompelmo sembrava molto più freddo di quanto mi aspettassi e una lingua calda e qualcosa di freddo erano una buona combinazione».

METODO KIVIN

In poche parole, si tratta di fare sesso orale lateralmente. Quasi tutti noi lo facciamo con il nostro amante posizionato dritto tra le nostre gambe. 

Il metodo Kivin prevede che la persona che agisce metta il proprio corpo perpendicolare – invece che parallelo – rispetto alla persona che sta ricevendo. Confuso? Guarda le foto.

A proposito, è un mistero completo da dove provenga il nome, ma è stato usato per descrivere l'orale laterale dal 2001. 

Perché dovrei provarlo? 

Perché consente al tuo partner di esplorare l'intera vulva, non solo di mirare al clitoride. Molte donne trovano la stimolazione diretta su e giù troppo intensa o scoprono che a loro piace leccare un lato del clitoride più dell'altro. 

La stimolazione laterale sembra sorprendentemente insolita e più intensa per alcune donne, motivo per cui alcuni educatori sessuali affermano che le fa raggiungere l'orgasmo più velocemente (le prove aneddotiche dicono tra i tre e i cinque minuti).

Consente inoltre un facile accesso al perineo, la parte glabra tra la vagina e l'ano. Quest'area è ricca di terminazioni nervose altamente sensibili e risponde bene a un massaggio deciso (usando le dita o un giocattolo sessuale).

Come lo faccio? 

Se sei la fortunata destinataria, sdraiati sul letto (nella posizione in cui dormiresti, la testa vicino alla parte superiore del letto) con una gamba sollevata. 

Il tuo partner giace lateralmente sul letto, a pancia in giù sul letto e scivola sotto la tua gamba sollevata, posizionando la bocca tra le tue gambe. Quindi appoggia la gamba sul collo o sulla parte superiore della schiena del tuo partner.

Alcuni donatori trovano più comodo essere appoggiati sulle ginocchia e sporgersi in avanti. Una posizione alternativa per il ricevitore: tiri su entrambe le gambe, in modo che le ginocchia siano contro il petto. 

Possono quindi stimolare facilmente il clitoride e la vulva, scegliendo l'angolo, la velocità e la pressione che preferisci. Fagli provare a leccare fianco a fianco e avanti e indietro sul clitoride mentre contemporaneamente usa due dita per premere con decisione sul perineo, massaggiando con decisione.

O per combinare la stimolazione del clitoride della lingua con un dito inserito nella vagina o nell'ano. Un'altra fantastica combinazione: utilizzare un sex toy penetrante per via vaginale e/o inserire un plug anale per una stimolazione anale aggiuntiva. 

Aggiungi un cuscino rigido sotto il sedere se vuoi alleviare la pressione sulla schiena del tuo partner, che sta sopportando il peso della tua gamba. 

Il verdetto: 9/10 

«Sono un grande fan del sesso orale, ma non ho mai nemmeno pensato di provare a farlo di lato. Ho adorato la novità e sicuramente mi è sembrata più intensa. Penso che mi piaccia di più del "normale" sesso orale!» 

LA TECNICA DEL GATTO

La tecnica di allineamento del coito è una versione modificata del sesso in stile missionario, in cui l'uomo cavalca più in alto del solito, permettendo alla base del suo pene di sfregare contro il clitoride. 

Un famoso studio su donne incapaci di raggiungere l'orgasmo facendo sesso in stile missionario, ha riportato un aumento del 56% della frequenza dell'orgasmo, una volta che loro e i loro partner lo hanno padroneggiato. 

CAT aggiunge l'importantissimo ingrediente mancante che impedisce alla maggior parte delle donne di raggiungere l'orgasmo solo con la penetrazione: la stimolazione del clitoride.

Probabilmente è più facile tenere un vibratore in posizione: la tecnica richiede pratica per farlo bene. Ma questo metodo può essere più intimo e conosco personalmente molte coppie che considerano CAT un punto di svolta e che ora raramente hanno rapporti sessuali "vecchia scuola". 

Perché dovrei provarlo? 

Dai retta alle statistiche convincenti e il passaggio a CAT raddoppierà istantaneamente le sue possibilità di raggiungere l'orgasmo e lo rallenterà all'incirca allo stesso ritmo. Una combinazione vincente, non direste? 

Come lo faccio?

Lui è in sopra e si sposta verso l'alto, il suo corpo si muove verso la tua testa rimanendo vicino invece che tenendosi sulle braccia. Tieni il bacino vicino, in modo che la base del suo pene sfreghi contro il tuo clitoride e rimanga lì mentre ti muovi insieme. Immagina un movimento regolare della sedia a dondolo: lei guida nel movimento verso l'alto, spingendo su e avanti per forzare il bacino all'indietro. Lui costringe il bacino all'indietro e verso il basso. È pressione e contropressione, non spinta, con penetrazione superficiale non profonda. 

Il verdetto: 5/10 da principiante

«L'ho trovato così innaturale. La spinta è naturale perché lo è: è così che gli animali fanno sesso. Ho trovato davvero difficile trovare un ritmo perché è l'opposto di quello che ho fatto per tutta la mia vita. Sembrava forzato, artificioso e davvero insoddisfacente. Il mio partner non ne è stato entusiasta, ma probabilmente questo ha avuto molto a che fare con me che chiaramente non ci sono entrato.' 

10/10 da un esperto: «Non è così difficile come sembra, ma è così allettante all'inizio tornare alla spinta a cui sei abituato quando senti di voler raggiungere l'orgasmo. Che poi è la rovina per lei, a meno che non sia arrivata prima. Devi essere una persona controllata e paziente per perfezionarlo. Ma, se puoi, il tuo partner ti ringrazierà davvero. Non siamo mai tornati indietro».

·        Il Bacio.

James Hansen per “Italia Oggi” il 16 ottobre 2022.

Oddio! Di nuovo le labbra. O almeno, di nuovo il rossetto… Un brutto segno? Forse no, non ancora. Bisogna sapere che, per radicata tradizione, ci sono prodotti che si vendono molto bene quando l’economia invece va molto male. Uno di questi è proprio il rossetto. Ci si è accorti del fenomeno durante la Grande Depressione, quando i rossetti sono stati tra i pochi prodotti ‘non essenziali’ le cui vendite sono cresciute per tutto il periodo. 

Il tema è tornato in auge durante la recessione del 2001 quando il CEO della Estée Lauder, Leonard Lauder, lo ha ricordato per spiegare l’andamento in controtendenza della sua azienda in un altro periodo buio per l’economia. Così è nato il curioso - e influente - ‘Lipstick index’, uno strumento di previsione che secondo molti operatori di borsa segnalerebbe le recessioni in arrivo.

L’idea degli analisti è che possa assistere nel prevedere le 'burrasche economiche' in quanto l’acquisto del rossetto raramente è programmato, rappresenta la scelta consolatoria di una consumatrice che sente di dover rinunciare a un altro acquisto più impegnativo. Quando milioni di consumatori si muovono tutti nella stessa direzione, vorrà pure dire qualcosa. Bene: secondo i dati del settore, i rossetti sono andati ‘a bomba’ nel primo trimestre 2022, più 48%, un’immensità.

Nelle particolari circostanze del parziale post-COVID, non è detto che ciò significhi poi tanto. Per lunghi periodi ci si è mascherati e non serviva truccarsi le labbra. Così i mercati ora attendono un’ulteriore conferma da un altro indice: quello delle mutande maschili, di segno opposto. Il ragionamento è leggermente diverso, cioè che gli uomini che intravedono probabili tempeste economiche all'orizzonte smettono prima di tutto di comprarsi le mutande nuove. Non si vedono sotto i vestiti e chissenefrega se sono un po’ lise…

Storia del rossetto, il trucco simbolo dell'emancipazione femminile. Michele Mereu su  Open.online il 28 Luglio 2022. 

Nella giornata internazionale del rossetto, ne ripercorriamo la storia. Molto più di un semplice cosmetico, è stato utilizzato da uomini e donne per distinguere il proprio status sociale, ma anche come lettera scarlatta per le donne che si prostituivano, per poi trasformarsi nei secoli nel trucco precursore della fluidità di genere e dell’emancipazione femminile. Valori che rivivono ancora oggi grazie ai marchi di trucco più all’avanguardia. Ecco le tappe principali della sua evoluzione

La storia del rossetto inizia 5.000 anni fa nella città di Ur (oggi Iraq), sulla toeletta della regina sumera Puabi, la prima donna a usare il rossetto. Figura molto rispettata in una delle prime civiltà conosciute in Mesopotamia, indossava gioielli e copricapo elaborati e, parte fondamentale del suo look, come diremmo oggi, erano proprio le sue labbra dai colori vivaci, che dipingeva usando una miscela di polvere a base di rocce rosse e piombo bianco, conservata all’interno di gusci di piccoli animali.

Marino Niola per “la Repubblica” il 10 agosto 2022.

(…) fra la filmologia e la filemologia (la scienza del bacio) c'è sempre stata una complicità molto stretta che si annuncia sin dai primordi del nuovo mezzo. Tanto che già nel 1896 Thomas A. Edison produce The Kiss , un corto di diciotto secondi in cui May Irwin e John Rice, celebri attori di Broadway, si baciano per 18 secondi. (…) 

Di fatto, l'arte cinematografica e quella filematica vanno di pari passo. Anche se la scure censoria ha sempre tentato di mettere i bastoni fra le gote degli attori. Come nel caso del cosiddetto Codice Heys, che stabilisce la durata massima di un bacio in tre secondi, corrispondenti a tre metri di pellicola. Il regolamento che prende il nome dal suo ideatore, il repubblicano William H. Hays ministro Usa delle comunicazioni, condiziona pesantemente la rappresentazione cinematografica dell'amore a partire dal 1922 e fino al 1967. Va detto però che i registi hanno sempre fatto miracoli per bypassare la tagliola dei tre secondi.

L'Oscar per l'astuzia va senza dubbio ad Alfred Hitchcock. Nel 1946 durante le riprese di Notorious , il grande regista, per aggirare il divieto, invita Cary Grant e Ingrid Bergman ad alternare brevi baci e languide carezze, bisbiglii e effusioni, come mordicchiarsi le orecchie e scambiarsi sguardi lunghissimi e ravvicinatissimi. Risultato: un bacio di tre minuti che però è diviso in sessanta rate di tre secondi. Così Hitchcock la spunta e con lui gli spettatori che vedono la scena intera. (…)

In effetti sarebbe impossibile tenere il conto delle scene osculatorie che hanno funzionato da tutorial dell'arte amatoria per generazioni di spettatori. Dal bacio di Humphrey Bogart e Ingrid Bergman in Casablanca alla stralunata replica offertane da Woody Allen e Diane Keaton in Provaci ancora Sam. Dai baci ferali di Dracula in Nosferatu a quelli fatali di Liz Taylor in Cleopatra . Dal bacio nella Fontana di Trevi di Marcello Mastroianni e Anita Eckberg in La dolce vita , a quello torrido di Jessica Lange e Jack Nicholson ne Il postino suona sempre due volte . Dal bacio alieno di E.T. fino a quelli LGBTQi+ di Ennis Del Mar e Jack Twist in Brokeback Mountain o di Timothée Chalamet e di Armie Hammer in Chiamami col tuo nome . Compreso quello lesbo de c di Emma Dante.

Un posto decisivo nella storia dei baci di celluloide va però riservato a quel geniale raccordo tra cinema e pop art che è Kiss , l'anti film che Andy Warhol realizza nel 1963 come parte di una trilogia dedicata ai bisogni fisiologici, iniziata con Sleep e conclusa l'anno successivo da Eat .

(…)  Cinquanta minuti, senza sonoro, dove tredici coppie, etero, omo e multietniche si baciano senza sosta. Warhol lancia così un'autentica bomba contro bacchettoni, benpensanti e razzisti, ma anche contro le leggi segregazioniste e omofobe in vigore all'epoca in molti stati dell'Unione, che proibiscono i rapporti tra persone dello stesso sesso e di diversa etnia. Ma la provocazione di Warhol manda provvidenzialmente in frantumi anche il Codice Heys che di lì a poco viene abrogato anche formalmente, dopo essere stato abbondantemente spernacchiato nei fatti. (…)

Insomma, no kiss no cinema. Per questo Giuseppe Tornatore alla fine di quel toccante omaggio all'invenzione dei Lumière che è Nuovo cinema Paradiso , sintetizza la storia del grande schermo in una sequenza di baci celebri censurati, che scorre davanti agli occhi commossi del protagonista. Proprio come la moviola del ricordo fa scorrere la nostra vita. Coi suoi atti mancati e i suoi baci mai dati.

Quando il bacio fa miracoli. Marino Niola su La Repubblica l'1 Agosto 2022.

"Salutatevi con il bacio santo", scrive san Paolo ai Cristiani. E lo ripete come un mantra nelle sue Lettere, ai Romani, ai Corinzi, ai Tessalonicesi. Lo ribadisce anche san Pietro che però usa l'espressione "bacio d'amore", cioè l'antenato del segno di pace che oggi ci si scambia durante la messa. E che a causa della pandemia si è trasformato in un cenno del capo per evitare ogni contatto fisico.

Antropologia di un gesto, Paolo e Francesca si baciano ancora. Marino Niola su La Repubblica il 27 luglio 2022.

Dal bacio di Paolo e Francesca a quello di Paola e Francesca. Il primo, reso immortale da Dante finì in tragedia, il secondo fra Paola Turci e Francesca Pascale, con un matrimonio. Gli amanti della Divina Commedia furono sorpresi sul fatto dal di lei marito. La cantautrice e l'ex di Berlusconi sono state paparazzate labbra sulle labbra.

Antropologia di un gesto. Prima dell’uomo venne il bacio. Marino Niola su La Repubblica il 19 Luglio 2022.   

Secondo gli scienziati lo hanno inventato le scimmie. Ma solo noi lo abbiamo celebrato. Dandogli infiniti significati. Con questo articolo inizia la serie dedicata da Marino Niola all'apostrofo rosa.

Il bacio è il più epidermico dei gesti umani. Ma è anche il meno superficiale. Dura un attimo, si ricorda per sempre. Questo semplice schiocco di labbra accompagna la storia umana dall'inizio dei tempi. Per noi è il simbolo dell'amore, un apostrofo rosa fra le parole t'amo, per dirla con il poeta Edmond Rostand. Ma in realtà questo contatto bocca a bocca può significare di tutto. Passione, dedizione, compassione, riconciliazione, unione, derisione, separazione, dolcezza, tenerezza. Ma anche tradimento come insegna Giuda. In ogni caso baciando si dà e si dice qualcosa di sé. È l'espressione perfetta della reciprocità perché mentre si bacia si è baciati, come dice William Shakespeare in una celebre scena di Troilo e Cressida.

Purtroppo, negli ultimi due anni bacini e bacetti sono caduti sotto la scure della pandemia. Che ha cambiato almeno temporaneamente i nostri comportamenti trasformando il contatto in contagio e l'effusione in infezione. L'effetto non è una semplice misura immunitaria, ma un'afasia dei sentimenti, un lockdown dell'anima. Perché tutta la nostra vita sentimentale, familiare, sociale passa attraverso questo interfaccia corporeo che fa di due persone un solo essere. Ne era convinto Percy B. Shelley, il romanticissimo poeta inglese secondo il quale "l'anima incontra l'anima sulle labbra degli amanti".

Ma da quand'è che abbiamo cominciato a baciarci? La risposta più convincente l'hanno data l'etologo Desmond Morris e l'antropologa Margaret Mead. Per loro a inventare il bacio non sono stati gli umani ma gli ominidi. Le scimmie da cui discendiamo, infatti, usavano premasticare il cibo e imboccare i pargoletti aiutandosi con la lingua. È questa la ragione remota e dimenticata per cui il bacio è considerato un segno di amore, di intimità, di dedizione. Poi col tempo il gesto di nutrizione diventa gesto di passione e la funzione tecnica lascia il posto alla manifestazione sentimentale.

E qui comincia il bello. Perché da quando il bacio diventa un uso sociale le differenze che le diverse culture gli attribuiscono crescono in maniera esponenziale. A ciascuno il suo. Lo sapevano bene gli antichi romani che distinguevano accuratamente baci, bacioni e bacetti. In base all'occasione e all'intenzione. C'erano quelli amorosi ma anche quelli rispettosi, doverosi, fraterni, paterni, filiali, amicali, conviviali, coniugali. E mentre noi abbiamo una sola parola per qualunque tipo di contatto di labbra, loro ne avevano ben tre. Il basium, da cui la nostra parola bacio, l'osculum e il savium. A classificarli è Isidoro di Siviglia, un dottissimo e bacchettonissimo teologo vissuto nel Sesto secolo dopo Cristo. Il basium, sentenzia, è quello che si scambiano moglie e marito. L'osculum è il bacino che si dà ai bambini, quello con la boccuccia che adesso spopola nei selfie. Ma con il terzo il gioco si fa duro. Il savium, infatti, è il bacio torrido degli amanti, quello che non fa prigionieri, quello che a nullo amato amar perdona. I greci lo chiamavano kataglottisma.

Sembra uno scioglilingua e in realtà lo è. Perché significa proprio bacio linguale, quello che oggi chiamiamo alla francese. Ne parla già Aristofane ne Le nuvole dove un uomo di provincia sposa una fatalona di città che lo fa andare su di giri con una serie di slinguazzate così ben assestate che lo fanno sentire un ragazzotto alle prime armi. E oggi, a distanza di duemilacinquecento anni, la generazione Z, che pure è di casa su YouPorn, consulta tutorial e app che insegnano l'abbiccì del kataglottisma. Per prepararsi al primo incontro con l'anima del partner.

Come ogni regola, però, anche quella di Isidoro ha le sue eccezioni. La prima è Catullo che chiede alla sua amatissima Lesbia mille basia, poi cento, poi altri mille in una escalation sempre più hard. A rigore avrebbe dovuto dire savia ma i poeti sono signori e non servi della lingua. E forse è proprio merito di Catullo se la parola basium ha soppiantato tutte le altre ed è diventata la più usata, almeno nelle lingue neolatine. E se Catullo, che resta uno dei poeti preferiti dai ragazzi, non avesse trasformato il contatto tra le labbra in un simbolo del cortocircuito erotico, in una iperbole della passione che non vuol sentire ragioni, il nostro immaginario amoroso non sarebbe stato lo stesso. E Fabrizio De André nel 1966 non avrebbe potuto scrivere il testo, più catulliano di Catullo, di Amore che vieni amore che vai. Dove un innamorato si domanda dove sono i bei momenti, "quei giorni perduti a rincorrere il vento. A chiederci un bacio e volerne altri cento".

Ma se per noi occidentali baciarsi è essenzialmente una manifestazione orale, la filematologia, cioè la scienza dei baci, dice a chiare lettere che in molte civiltà le manifestazioni amorose e affettuose impegnano altre parti del corpo. È famoso il caso degli Inuit, meglio noti come Eskimesi, che si scambiano effusioni strofinandosi il naso. Fanno così pure malesi e polinesiani. Charles Darwin, il padre dell'evoluzionismo, sostiene che la cosiddetta "cofricazione nasale" risale all'età della pietra ed è una sorta di riconoscimento olfattivo. Un indice di compatibilità corporea che può produrre empatia, simpatia, attrazione. Nell'India antica al posto di baciare si usava il verbo annusare. Laddove noi diciamo "ti adoro", altri direbbero "ti odoro". Anche nella Cina imperiale il bacio consisteva nel soffiare sulle guance del partner per trasmettere i propri aromi.

Del resto nell'eros e in generale nelle pratiche di socializzazione, umana e animale, la componente olfattiva gioca un ruolo fondamentale. Insieme ovviamente a quella tattile e gustativa. È la gamma multisensoriale del bacio che, in più, ha anche la dimensione uditiva. Dal momento che lo schiocco, lo smack, il mwah, il chu, il pciù rappresentano l'indispensabile rumoristica dell'eros. Una lingua franca che non fa eccezione di generi e di generazioni. Non è sessista né binaria. Ma universalista per definizione e queer per vocazione. Insomma, il bacio è il più unisex tra i gesti dell'amore.

Mattia Feltri per “La Stampa” il 29 giugno 2022.  

Ieri Anteprima, la rassegna stampa di Giorgio Dell'Arti, offriva un'adorabile sezione sui baci. 

Laetitia Casta da ragazza baciava una sua coetanea, ma per impratichirsi e arrivare all'esordio col necessario bagaglio di conoscenze; un bacio saffico senza impegno. 

Elisabetta Canalis diede il suo primo bacio a quattordici anni, concedendo l'onore al bullo della scuola che si presentò all'appuntamento scortato da due amiche: sbrigata la pratica con la giovane Elisabetta, che ne fu folgorata, il bullo se ne andò a proseguire l'attività con le accompagnatrici; un bacio smargiasso, seguito da altri baci smargiassi.

In Francia, come in Italia e specialmente al centro e al sud, ci si saluta col bacio sulle guance: al centro della Francia, due baci, uno per guancia, al nord quattro baci, due di qui e due di là e al sud tre baci, dunque con asimmetria;il bacio dell'accoglienza e del commiato. 

In America niente baci, e meglio anche non porgere la mano: no touching, niente contatto fisico; il bacio impossibile. 

Nel 2012, impegnato in un comizio in piazza della Bastiglia, il candidato alla presidenza François Hollande dovette dividere il palco con la ex moglie, Ségolène Royal, e la compagna del tempo, Valérie Trierweiler: Ségolène lo baciò per prima, sulle guance, dopodiché Valérie pretese di essere baciata sulla bocca; un bacio di predominio.

Su Facebook c'è la pagina «anche io voglio limonare quel figo di Gregorio Paltrinieri»; un bacio virtuale, per ora. Su tutti i social disponibili su piazza, c'è una foto di Matteo Salvini che bacia un caciocavallo; ed eccoci finalmente davanti a un banalissimo bacio eterosessuale. 

Da “Anteprima. La spremuta di giornali di Giorgio Dell’Arti” - 28 giugno 2022

Baci

Laetitia Casta, 44 anni, supermodella e attrice, ha raccontato che da ragazzina ha dato baci saffici. 

«Sì, ho baciato una donna quando ero molto giovane, ma era allenamento, come fare jogging, giusto per arrivare preparata al bacio con un ragazzo e fare bella figura». 

Dice che non c'è da meravigliarsi: «Tutti i bambini da piccoli esplorano la sessualità, giocano al dottore» [Proietti, CdS]. 

Paesi

In Francia «la bise fa parte dei fondamenti della vita sociale». 

«Non ci sono regole stabilite né sul numero dei baci, né sulla guancia dalla quale cominciare. Nella Francia centrale la regola impone due baci, uno per guancia; nel Nord, dalla Normandia al confine con il Belgio, nessuno se la cava con meno di quattro; nel Sudest, da Marsiglia alle Alpi, tre è il numero perfetto». Invece negli Stati Uniti «dimenticate i baci. 

L'abitudine di baciarsi prima, durante e dopo ogni incontro è cosa sconosciuta negli Stati Uniti». «Nella cultura americana esiste la regola del "no touching". Non sono abituati al contatto fisico» [Stefanini, Foglio]. 

Bulli

Il primo a toccare le labbra di Elisabetta Canalis fu il bullo della scuola, che lei considerava il suo preferito. 

Aveva 14 anni e per festeggiare la promozione della terza media lo chiamò e si fece portare ai giardinetti. Lui arrivò con due amiche, la baciò («un'emozione pazzesca»). Poi si voltò «per pomiciare con le altre due» [Padovani, Panorama].

Francesi

Nel 2012, Frainois Hollande fu conteso sul palco della Bastiglia tra la madre dei suoi quattro figli, Ségolène Royal, che lo baciò sulla guancia, e dalla compagna di allora Valérie Trierweiler («baciami sulla bocca!») [Cazzullo, CdS]. 

Politici

Salvini sui social, che bacia il caciocavallo. 

Divi

Su Facebook c'è una pagina intitolata «Anch'io voglio limonare quel figo di Gregorio Paltrinieri» [Lippi, Vanity].

Scatoline

Lewis Carroll scrive a una ragazzina, è andato dal dottore perché gli duole la faccia. Diagnosi: «Ha dato troppi baci, i prossimi li mandi in una scatolina» [Mancuso, Foglio]. 

Giornata mondiale del bacio: ecco perché, proprio ora, vale la pena festeggiarla. Abbiamo passato due anni senza poterci scambiare non solo baci, ma nemmeno abbracci e contatti fisici. Ma, ora, possiamo tornare a un'attività che, almeno a leggere le statistiche, sembra piacere molto a noi italiani. CHIARA DALLA TOMASINA su Iodonna.it.  

Potrebbe sembrare strano che, dopo due anni in cui ci sono stati impediti i contatti fisici a causa della pandemia, oggi si festeggi la Giornata mondiale del bacio. E sembra ancora più assurdo farlo in questo momento, dove nel mondo sembrano dominare i conflitti, mentre il bacio è, da sempre, simbolo di armonia, amore e rappacificazione.

Invece, forse proprio per queste ragioni, sarebbe bello festeggiare questa giornata. Senza fare grandi cose, magari solo prendendoci una pausa dalle brutture che abbiamo vissuto, e che stiamo vivendo, e dedicandoci alle persone che amiamo.

Il bacio, da sempre simbolo di amore e passione.

Ma perché la Giornata mondiale del bacio cade proprio oggi? La ricorrenza è stata fissata oggi perché, il 13 aprile 1990, avvenne il bacio più lungo della storia, che una coppia thailandese si è scambiata riuscendo così a vincere il “Kissathon“, ovvero una gara di baci. 

Uno dei baci più belli del cinema: è il 1946 e Cary Grant (1904 – 1986) bacia Ingrid Bergman nel film “Notorious”.

Le regole del concorso erano durissime: bisognava tassativamente restare in piedi, non addormentarsi e, per chi avesse avuto esigenza di andare in bagno, bisognava andarci in coppia continuando a baciarsi. I due si sono baciati prima per 46 ore, 24 minuti e 9 secondi. Ma si sono poi superati, il 14 febbraio del 2013 – non a caso, il giorno di San Valentino – arrivando a ben 58 ore, 35 minuti e 58 secondi.

Occhio, però: se desiderate dichiararvi oggi a qualcuno, sfruttando la Giornata mondiale del bacio, sappiate che non viene festeggiata il 13 aprile in tutto il mondo: in Inghilterra si celebra il 6 luglio, mentre negli Stati Uniti il 22 giugno e in India la vigilia di San Valentino, il 13 febbraio.

Jennifer Lopez e Ben Affleck di nuovo insieme? Il bacio lo conferma!

Qualche numero sui baci

E le più sportive tra voi sappiano che baciarsi è anche un ottimo allenamento: coinvolge ben 34 muscoli facciali e 112 muscoli posturali e prevede lo scambio di circa 80 milioni di batteri.

In media, è stato calcolato che nella vita arriviamo a scambiarci circa 100mila baci, ma chiaramente ci sono popoli che si abbandonano più facilmente a questa pratica. Secondo alcuni studi, saremmo noi italiani e i francesi i più affettuosi, che ci scambiamo baci in media 7 volte al giorno. Tedeschi e svedesi, invece, se ne scambierebbero solo 4.

Il celebre bacio sul palco dei Billiboards tra Madonna e Britney Spears nel 2003.

Ma il bacio non viene scambiato solo tra amanti, bensì anche tra amici e conoscenti: a seconda della regione di appartenenza, in Francia se ne danno 2, 3 o 4, in Germania basta giusto un accenno, a Rio de Janeiro uno ma a San Paolo due, come in Italia e in Ungheria. Ci confermiamo sempre tra i più romantici.

iO Donna

Melania Rizzoli per “Libero quotidiano” il 14 febbraio 2022.

Ogni anno, durante la settimana di San Valentino, si assiste al picco di contagi di una patologia virale molto diffusa, la Mononucleosi, causata dal virus di Epstein-Barr (EBV), conosciuta come la "malattia del bacio", poiché viene trasmessa direttamente tramite lo scambio di saliva durante l' atto del baciare. 

La sindrome colpisce prevalentemente l' età adolescenziale e giovanile, quella compresa tra i 15 e i 25 anni, ed in questa settimana oltre il 75% dei ragazzi che approfittano della festa degli innamorati per eccedere in effusioni affettive, vengono contagiati dai vari partner infetti o da inconsapevoli portatori sani dell' agente patogeno. 

Ad oggi il 90% della popolazione adulta risulta essere sieropositivo per questo virus, avendo sviluppato tale malattia in epoca puberale senza esserne a conoscenza, periodo nel quale il decorso è in genere clinicamente indistinguibile da quello di una faringite acuta o di una tonsillite dolorosa, con febbre, linfonodi del collo ingrossati, malessere generale e debolezza, con sintomi simili a quelli di una comune influenza ma con un decorso lungo almeno tre settimane, mentre, quando contratta in età più avanzata, esso può perdurare per oltre un mese e tende sovente a complicarsi, coinvolgendo l' intero sistema linfatico e il suo organo principale, la milza, che appare aumentata di volume, fragile e dolente. 

È importante sapere che tale virus rimane nell' ospite anche dopo la guarigione, e la sua eliminazione con la saliva continua per oltre un anno, anche se in molti soggetti viene eliminato in maniera saltuaria per tutta la vita. 

Ma le malattie trasmesse con il bacio sono molte e varie, hanno origine batterica e virale, e l' allarme è oggi focalizzato su quelle a trasmissione sessuale (MTS) inerenti la pratica del sesso orale, il quale comporta l' uso della bocca, delle labbra e della lingua, bagnate dalla saliva, per stimolare l' eccitazione reciproca con un partner.

TRA I 18 E I 55 ANNI Il sesso orale è praticato da oltre l' 85% dei soggetti sessualmente attivi, in un' età compresa tra i 18 e i 55 anni, e tale tipologia di rapporto intimo avviene comunemente tra persone sia eterosessuali che omosessuali, e se il partner ha un' infezione alla bocca o alla gola è possibile che questa venga diffusa a livello del pene, della vagina, dell' ano e del retto, mentre se lo stesso ha un' infezione genitale od ano-rettale, il sesso orale non protetto può favorire la trasmissione degli agenti infettivi nel cavo orale o in quello laringo-faringeo.

Occorre considerare che le malattie sessualmente trasmissibili con l' arte del baciare possono essere trasmesse ad un soggetto durante un rapporto anche se la persona infetta non manifesta particolari segni o sintomi, poiché molte di queste sindromi all' inizio sono assolutamente asintomatiche.

Tra le principali infezioni batteriche che si possono contrarre o trasmettere con i baci durante il sesso orale, ad oggi le più diffuse sono la Clamidia, la Gonorrea, la Tricomoniasi e la Sifilide, tutte in aumento, ed il rischio di contagio tra una persona sana ed una infetta si nasconde ogni qualvolta vi sia uno scambio di fluidi sessuali e di saliva includenti microbi, poiché nei casi di rapporti oro-genitali, gli agenti patogeni possono fare ingresso nella gola, ed ivi depositarsi esercitando la loro azione, come anche, se il partner infetto ha il batterio in faringe o in laringe, esso può essere depositato, trasferito ed assorbito a livello della vagina o del tratto urinario ed ano-rettale.

Tra le infezioni di origine virale più note spicca quella da Herpes Virus, che nella sua forma Simplex limita la propria azione nella zona della bocca, delle labbra e del naso, mentre durante i rapporti sessuali di natura orale questo virus può diffondersi per contatto diretto tra la mucosa labiale infetta e i genitali, dove provoca lesioni identiche a quelle cutanee, vescicolose e pustolose a rischio di super contaminazione batterica.

Ma è l' infezione da Papilloma Virus ( HPV) quella più comune, più diffusa e più pericolosa, in quanto questo agente virale, presente in circa il 70% delle donne e degli uomini non vaccinati, vanta oltre 100 sierotipi, alcuni responsabili di lesioni benigne della pelle, come le verruche, i condilomi e i papillomi, mentre altri ceppi virali hanno un potenziale oncogeno considerato medio-alto, cioè in grado di sviluppare lesioni che evolvono in senso neoplastico, riconosciuti come il fattore di rischio più comune e temibile del 100% del tumore femminile della cervice uterina e del 20% dei cancro del laringe in entrambi i generi. 

GIOCATTOLI SESSUALI Tale tipo di virosi si trasmette nei due sessi tramite il sesso orale o con i rapporti vaginali ed anali, e tra le modalità di contagio si deve includere anche lo scambio di giocattoli sessuali contaminati con i fluidi o la saliva dalle persone infette. 

L' assenza di sintomi iniziali di tale patologia virale, sia negli uomini che nelle donne, ne favorisce la diffusione ad ogni partner con cui si viene a contatto, anche per una sola volta e senza distinzione di sesso, in ogni rapporto non protetto.

È importante sottolineare che entro una settimana dal contagio, sia esso virale o batterico, l' infezione può dare manifestazione nel punto d' ingresso orale o genitale dell' agente patogeno, con comparsa di sintomi fastidiosi come bruciore, prurito, arrossamenti, piccole lesioni mucose o cutanee, ma è anche frequente che il virus od il batterio non provochi alcun disturbo evidente o visibile che richiami attenzione, come accade per esempio nei casi di trasmissione inconsapevole della malattia da parte di una persona portatrice sana, la quale non accusa nessun sintomo riconducibile alla patologia, anche se il contatto tra le sue mucose orali o genitali con i fluidi salivari, vaginali o spermatici sono stati sicuramente veicolo e impianto di infezione.

Ma nel giorno di San Valentino criminalizzare scientificamente il bacio può sembrare un proposito scellerato, poiché questo irresistibile contatto labiale ed irrinunciabile atto d' amore dalla psichiatria è considerato invece terapeutico, in quanto coinvolge positivamente la sfera emotiva, psicologica, fisica, cerebrale, erotica, emozionale, sessuale e sociale, stimolando l' encefalo al rilascio di ormoni benefici quali il testosterone, l' ossitocina, le endorfine e i ferormoni, sostanze chimiche che aumentano il desiderio, inducono l' eccitazione, sedano l' ansia, migliorano l' umore, provocano piacere, eliminano le tensioni, rilasciano la muscolatura e favoriscono la procreazione, oltre ad essere indice assoluto di salute generale.

Anche perché è dimostrato che baciarsi è importante, addirittura fondamentale per la vita affettiva e salutare per quella emotiva, per l' equilibrio mentale e la stabilità cerebrale che ne deriva, e il numero di baci scambiati o ricevuti è direttamente proporzionale al livello di benessere fisico e psicologico, poiché è un dato scientifico certo che chi si astiene da questa pratica amatoria, soddisfacente e gratificante, chi rinuncia a questo atto d' amore volontariamente e per qualunque motivo, forse non si infetterà con virus e batteri a trasmissione orale e sessuale, ma tendenzialmente sarà più infelice e malinconico, coverà insoddisfazione repressa, svilupperà un indebolimento del sistema immunitario, e sarà più esposto a contrarre malattie anche più gravi e incurabili, come quelle inguaribili dell' anima.

·        Amore Senile.

Comunicato stampa di Rosamaria Spina l’1 Dicembre 2022.

"Ad alcuni suonerà strano – dice la sessuologa Spina - ma il sesso in menopausa non solo si fa ma può essere anche molto appagante. C’è purtroppo ancora l’idea che dopo una certa età è quasi disdicevole abbandonarsi ad alcune pratiche sessuali. In realtà si è visto che la curva legata all’attività sessuale mostra dei picchi in altezza che ci raccontano una maggiore frequenza dei rapporti nel tempo.

Questo significa che il sesso lo si fa per tutta la vita anche quando si è più in la con l’età. È giusto, come ha affermato recentemente anche Antonella Clerici, lasciarsi andare alla trasgressione magari usando parrucche oppure si potrebbero aggiungere sex toys. Queste cose fanno bene alla coppia."

È vero che nella donna il cambiamento ormonale, dato dalla menopausa, rappresenta un cambiamento fisico e sessuale – prosegue la Dott.ssa Spina - Ma il sesso non è fatto solo ed esclusivamente di ormoni ma c’è una enorme parte legata agli aspetti psicologici.

Quindi se ci si sente in buona salute, in buona forma fisica, se ci si vede ancora attraenti, perché abbandonare qualcosa che da piacere? Ci sono poi possibilità come il lubrificante vaginale che facilita i rapporti riducendo il dolore da sfregamento e che, per esempio, può aiutare la donna a ritrovare il piacere del sesso anche se più in la con gli anni."

"Quando si è più grandi di età c’è poi una maggiore consapevolezza di ciò che piace e ciò che non piace. Questo aiuta a sperimentare maggiormente e di lasciarsi andare di più nel sesso. Quando si è giovani durante il rapporto si teme sempre il giudizio del partner (cosa penserà di me se faccio certe cose?) o si è molto attenti alla forma fisica influenzando molto l’attività sessuale perché sono pensieri che non permettono di lasciarsi andare completamente.

Da adulti ci si accetta di più e poi c’è maggiore consapevolezza di se con la capacità di dire quello che piace e quello che non piace. Tanti tabù cadono rispetto al passato, a quando si era più giovani, e cadendo rendono la sessualità più libera e appagante. Anche per questo molti giovani scelgono una partner più matura, perché capace di lasciarsi andare ed inoltre restituisce un’immagine più rassicurante per il partner maschile. Alcuni uomini si sentono rassicurati dal fare sesso con donne più mature perché le percepiscono più accoglienti e risultare più ‘pratiche’ rispetto all’attività sessuale."

Com’è il sesso dopo i 50 anni? (per le donne e per gli uomini). Laura Cuppini su Il Corriere della Sera il 24 Luglio 2022.

Mentre le prime vanno in menopausa, per i secondi non esiste quella che un tempo veniva chiamata «andropausa». Quali sono i principali cambiamenti fisici legati alla sfera sessuale in questa fase della vita? Ce lo spiegano Stefano Salvatore , ginecologo responsabile ambulatori di uroginecologia IRCCS Ospedale San Raffaele, e Vincenzo Mirone, professore ordinario di Urologia all’Università Federico II di Napoli e componente del comitato esecutivo della SIU (Società Italiana di Urologia)

Più sesso, più benessere

Una sana vita sessuale fa bene a tutte le età. L’ultima conferma arriva da uno studio dell’Anglia Ruskin University inglese (Cambridge), pubblicato sulla rivista Sexual Medicine. I ricercatori hanno analizzato i dati di 6.879 adulti con un’età media di 65 anni: gli uomini e le donne che avevano dichiarato di fare sesso con il partner nei 12 mesi precedenti attribuivano al proprio benessere generale (nel testo enjoyment of life, letteralmente godimento per la vita) un punteggio superiore rispetto ai coetanei che non avevano rapporti intimi. «Precedenti ricerche avevano suggerito che frequenti rapporti sessuali sono associati a una serie di vantaggi per il benessere psicologico e fisiologico - ha detto Lee Smith, a capo dello studio -, con una migliore qualità della vita e della salute mentale e un minore rischio di alcuni tumori ed eventi coronarici fatali. I professionisti della salute dovrebbero riconoscere che gli anziani non sono asessuati e che una vita sessuale attiva e priva di problemi in questa popolazione è correlata a un maggiore benessere». Secondo gli autori dello studio, donne e uomini dopo i 60 hanno modi diversi di vivere la sessualità: per le prime gli ingredienti della salute sono principalmente coccole e tenerezza, i secondi traggono beneficio psico-fisico dai rapporti sessuali completi.a dei capelli (anche a un mese dall'infezione)

Attivi fino a 70 e oltre

Negli ultimi decenni la sessualità è radicalmente cambiata, sia per gli uomini che per le donne. Oggi un/una settantenne che ha una vita sessuale attiva è quasi la norma. Molti dopo i 50 si preoccupano di garantirsi lil mantenimento di una buona intimità di coppia, anche se i cambiamenti fisici , e non solo - sia negli uomini che nelle donne - sono inevitabili. «L’età biologica oggi è completamente diversa rispetto a quella delle persone delle generazioni passate, anche a 70 anni la sessualità viene vissuta pienamente, anche grazie a fatto che esistono terapie e presidi medici in grado di garantirla ovviando ai possibili disturbi fisici legati all’età. Il problema in alcuni casi può essere avere o meno un/una partner» spiega Stefano Salvatore, ginecologo responsabile ambulatori di uroginecologia IRCCS Ospedale San Raffaele. Secondo un recente studio condotto in Australia, il 50% delle donne di 70 anni ha una buona vita sessuale.

Donne/ primo problema: la secchezza

«La menopausa non va vissuta come una patologia, bensì come un evento fisiologico, anche perché è una fase che occupa almeno un terzo della vita delle donne - sottolinea Stefano Salvatore -. L’età media in cui si entra in menopausa, nei Paesi occidentali, è di 52-53 anni, ma i sintomi possono arrivare anche 2-3 anni dopo, nelle donne che non assumono la terapia ormonale sostitutiva. Ci possono essere disturbi fisici, ma anche legati all’immagine di sé». Uno dei problemi più temuti è quello della secchezza vaginale. «Riguarda il 70% delle donne che sono in menopausa e non in terapia sostitutiva - spiega Salvatore -. È la carenza di estrogeni che causa infatti un assottigliamento dei tessuti, con riduzione della lubrificazione e conseguente secchezza, o atrofia, vulvo-vaginale. Un disturbo che interferisce pesantemente con la funzione sessuale, perché in assenza di lubrificazione i rapporti risultano dolorosi. Per curare la secchezza vaginale esistono diverse opzioni efficaci e tutte vanno prescritte dal medico per le possibili controindicazioni: la terapia ormonale locale con creme, gel o ovuli; nuovi farmaci che agiscono da estrogeni in alcuni tessuti e da non estrogeni in altri (SERM, selective estrogen receptor modulator); l’acido ialuronico; trattamenti ambulatoriali con il laser che diminuiscono la secchezza e migliorano la funzione sessuale attraverso un rimodellamento dei tessuto».

Donne/ secondo problema: il rilascio dei tessuti

Con il passare degli anni, dopo la menopausa, i tessuti cambiano e diventano man mano più fragili. «Questo comporta alcuni possibili problemi, come la facilità di sanguinamento durante i rapporti sessuali o la tendenza a sviluppare infiammazioni e infezioni urinarie, come la cistite - chiarisce Salvatore -. Inoltre alcune condizioni, come l’incontinenza e il prolasso dei tessuti vaginali, sono più frequenti dopo la menopausa. L’incontinenza in particolare può far sentire la donna molto a disagio per quanto attiene alla sessualità. Ma anche per curare questi disturbi esistono trattamenti che assicurano un ottimo risultato e quindi il ritorno a una buona vita sessuale. Per l’incontinenza ci si può sottoporre a sedute di fisioterapia, a piccoli interventi chirurgici oppure assumere farmaci; il prolasso può essere curato, nei casi più gravi, con un intervento chirurgico. E poi ci sono diverse opzioni farmacologiche per il sanguinamento e le infezioni urinarie».

Come prevenirli (e prendersi cura di sé)

«Primo, non nascondere i problemi al proprio medico, perché come abbiamo visto esistono molti trattamenti che possono essere risolutivi - dice Salvatore -. Non bisogna trascurare un aspetto di sé che è fondamentale, quello della sessualità, anche perché uno dei momenti in cui le coppie si separano di più è proprio nella post-menopausa e questo comporta per la donna un grosso carico di sensi di colpa. Secondo, l’esercizio fisico è molto importante, anche perché in menopausa il tessuto adiposo tende ad accumularsi: facendo sport si hanno benefici a livello cardiovascolare, si mantiene sotto controllo il peso e può migliorare persino la considerazione di sé». Molto utili gli esercizi del pavimento pelvico: «Migliorano la tonicità muscolare pelvica, la consapevolezza e anche la sensibilità pelvica, molto importante per la funzione sessuale - spiega l’esperto -. Inoltre aiutano a prevenire e combattere l’incontinenza e il prolasso. Si possono fare da soli in casa, ma le prime 4-5 volte meglio essere seguite da una fisioterapista, da un’ostetrica o da un’infermiera con competenze sul pavimento pelvico. Le donne occidentali non hanno grande consapevolezza della propria muscolatura pelvica, al contrario delle donne orientali dove esiste l’abitudine a pratiche come lo yoga. Terzo e ultimo punto, la dieta: «Deve essere equilibrata, è bene non abusare di cibi grassi e piccanti che interferiscono con l’apparato genito-urinario - conclude Salvatore -. Inoltre consiglio di non eccedere con le bevande alcoliche. Bisogna avere una misura sia qualitativa che quantitativa del cibo e delle bevande che si assumono».

Per l’uomo non esiste l’«andropausa»

Per l’uomo non esiste il “corrispettivo” della menopausa. «Il concetto di andropausa è superato da vent’anni, oggi si parla di deficienze parziali androgenetiche legate alla sindrome metabolica, che è causata da un basso livello di testosterone - sottolinea Vincenzo Mirone, professore ordinario di Urologia all’Università Federico II di Napoli e componente del comitato esecutivo della SIU (Società Italiana di Urologia) -. Il calo di questo ormone può essere legato a sovrappeso, scarsa attività fisica, momenti di stress (anche lavorativo) e depressione».

Calo del testosterone e disfunzione erettile

Sono due i disturbi sessuali più frequenti nell’uomo dopo i 50 anni: oltre al testosterone basso - legato come detto alla sindrome metabolica - può comparire anche la disfunzione erettile. «Se la libido scende e il desiderio sessuale scompare spesso è necessario integrare il testosterone, dopo averne misurato i livelli nel paziente - spiega Mirone -. Invece nei casi di disfunzione erettile è possibile aumentare l’afflusso di sangue al pene. In entrambe le situazioni è però fondamentale rivolgersi allo specialista, che deciderà l’eventuale terapia». Per curare la disfunzione erettile (se non derivante da altre patologie e quindi causata solo dal fisiologico invecchiamento vascolare) molti uomini - soprattutto tra i 50 e i 70 anni - usano le cosiddette “pillole dell’amore” (o inibitori della PDE5). «Il grosso problema è che questi farmaci vengono molto spesso comprati su internet, senza alcun controllo - chiarisce Mirone - e questo comporta un enorme rischio per il paziente, anche perché sono prodotti che hanno ben poco farmaco al proprio interno. Il mercato online dei farmaci che aiutano l’erezione ha un fatturato superiore a quello della cocaina. È invece fondamentale, nei casi di calo dell’erezione, rivolgersi a uno specialista che richiederà alcuni esami: un doppler dinamico del pene, che misura l’afflusso di sangue, ed esami per valutare la sindrome metabolica (ormoni, colesterolo, glicemia), ovvero tutti i fattori che possono alterare metabolicamente l’organismo. A quel punto il medico deciderà l’eventuale terapia».

I consigli per gli uomini

«In conclusione, è importante che gli uomini dopo i 50 anni si rivolgano all’urologo per qualunque problema della sfera sessuale, in modo da avere una diagnosi dopo aver controllato il livello del testosterone e l’afflusso di sangue al pene. Altrettanto importante non comprare mai farmaci online. Per quanto riguarda i consigli pratici, il fumo è il peggior nemico dell’erezione perché la nicotina chiude le arterie che arrivano al pene, dunque per una buona vita sessuale bisogna non fumare o smettere di farlo. Inoltre è consigliabile svolgere regolarmente attività fisica. Da non dimenticare che a volte il calo dell’erezione può essere spia di una malattia cardiovascolare più seria, come l’ipertensione o il diabete. Un problema di erezione non va mai sottovalutato e deve essere discusso con il medico» conclude Vincenzo Mirone.

Candida Morvillo per il “Corriere della Sera” il 15 luglio 2022.

Pochi mesi fa, Iva Zanicchi ha raccontato al Corriere che, a 82 anni, fa ancora sesso col marito «perché fa bene». L'ex premier Lamberto Dini - era il 2015 e lui aveva 84 anni - rivelò alla radio di farlo almeno due volte a settimana. Nel 2018, l'ex sindaco sceriffo di Treviso Giancarlo Gentilini, risposandosi a 89 anni, ci ha tenuto a specificare che la sposa, settantaduenne, gli «ha dato la possibilità di continuare a vivere, in tutti i sensi». 

Il «sesso over» non è più un tabù: si pratica di più, si confessa con meno imbarazzo e la comunità scientifica si attrezza per gestire l'arzilla novità. Giusto il 26 giugno scorso, il Mount Sinai Hospital di New York ha pubblicato una ricerca in cui i geriatri Noelle Marie C Javier e Rainier Patrick Soriano certificano «la crescente evidenza che gli anziani hanno bisogni sessuali simili ai giovani». Pertanto, raccomandano ai medici di non trascurare la salute sessuale dei pazienti più âgé. Il che è un balzo significativo, considerando che, fino a 15 anni fa, per dire, le ricerche sulle malattie sessualmente trasmissibili si fermavano a 49 anni d'età, come se dopo i 50 il rischio si azzerasse.

Già una decina d'anni fa, negli Stati Uniti, dove tutto succede prima che da noi, un vasto studio dell'università del Nevada e del celebre Kinsey Institute rivelava che il 53 per cento degli intervistati fra i 65 e i 74 anni e il 26 per cento di quelli tra i 75 e gli 85 anni assicuravano di aver avuto rapporti sessuali negli ultimi dodici mesi. Ancora più alti erano i dati di una ricerca dell'Università di Chicago che identificava come sessualmente attivi il 67,4 per cento dei maschi fra i 65 e i 74 anni e il 38,9 per cento di quelli fra i 75 e gli 85, dati cresciuti di cinque punti rispetto a vent' anni prima.

L'accelerazione recente, però, è misurabile anche dal boom del porno per la terza età. Lo chiamano «Silver Porn» e ha tutta una serie di sottocategorie, che qui risparmiamo per ovvia decenza. Un'altra spia che il mercato si è accorto della tendenza sta negli stock di foto di coppie anziane a letto prodotte dalle agenzie fotografiche occidentali, utili a siti, riviste e pubblicità per illustrare un nuovo fenomeno e, in definitiva, alimentare consumi in ascesa, di vacanze, di cosmetici, di lingerie, di pillole blu e rosa.

D'altra parte, si vive di più e si resta in forma più a lungo. L'Organizzazione mondiale della Sanità ha calcolato che, dal 2000, l'aspettativa di vita è cresciuta di 5,5 anni. In più, gli ottantenni di oggi avevano venticinque-trent' anni nel 1968 e sono i primi nonni ad aver vissuto la rivoluzione sessuale, oltre che l'era del divorzio legale e della moltiplicazione delle possibilità sentimentali e non solo. 

Racconta Iva Zanicchi che, dopo quell'intervista in cui confessava un'intimità mai interrotta, ha avuto solo reazioni positive: «Al supermercato o dal parrucchiere, incontro signore che mi dicono che ho fatto bene perché ci sono ancora tabù. Mi dicono: ai nostri figli non lo si può nemmeno accennare. Rispondo: fregatevene: anche i giovani scopriranno che il sentimento e la fantasia non invecchiano». La cantante di Zingara , che si sta preparando al prossimo Ballando con le stelle («voglio un ballerino bello e forte») , non si aspettava tanto clamore: «Per me, parlare di sesso over 80 è come scoprire l'acqua calda: quando ero bambina, una donna di 60 anni era vecchia e, se era vedova, si metteva abito nero e fazzoletto nero e poteva solo pregare, la sua vita era finita, era così dappertutto. Ora, la vita si è allungata anche in interessi e curiosità. Prima, ti limitavi all'uncinetto, oggi, vai a ballare il liscio. Gli 80 anni sono i nuovi 50 di cinquant' anni fa».

La cantante sta da 38 anni con il produttore Fausto Pinna, che ha nove anni meno di lei e che lei chiama «mio marito». Dice Iva: «Il sesso succede anche alla mia età, se hai il marito giusto che ti dice che è ancora innamorato e che, pure quando ti sei appena alzata e fai schifo, ti dice lo stesso che sei bella. Fausto mi riempie di complimenti ed è ancora geloso». 

Se le chiedi «quante volte figliola», lei risponde: «Ovviamente, non con la frequenza dei vent' anni: alla mia età, il sesso è più fatto di complicità, tenerezze, belle parole. Il resto, se stai bene, può succedere e, più lo fai, più succede. Se smetti, non lo fai più».

Zanicchi parla di amore e tenerezza, ma c'è chi invoca senza mezzi termini la passione, come Sandra Milo, 89 anni e una vita da romanzo (titolo provvisorio dell'autobiografia che sta scrivendo per Mondadori: Una strega bambina ). L'attrice di 8 e mezzo , celebre anche per essersi autodenunciata amante di Federico Fellini e di Bettino Craxi, giura: «La passione è qualcosa dentro di noi, non è controllabile, non puoi dire: voglio passione. Poi, certo, se ami, c'è anche la cura dell'altro, l'affetto». 

Per lei «anche i nostri nonni facevano sesso, solo che non lo dicevano perché temevano di essere giudicati viziosi, ma la sessualità è un istinto come gli altri: come la stanchezza, la fame, il sonno». Lei, assicura, non ha intenzione di dismettere la pratica: «Si combatte fino alla fine, specie perché queste sono lotte non angosciose, ma gioiose. E poi, sono ottimista per il 2022: in Spagna, dove registravo il reality di SkyUno Quelle brave ragazze con Orietta Berti e Mara Maionchi, un mago mi ha predetto che quest' anno mi risposo, il mio quarto marito sarà un incontro casuale». Curiosi di sapere come s' immagina quest' uomo? Lei: «Non lo voglio della mia età. L'ultimo fidanzato, col quale mi sono lasciata da poco, aveva 49 anni».

Al che, uno pensa che lo voglia cinquantenne.

Ma neanche per sogno: «Messa così, è troppo facile: ci sono cinquantenni che, come bisogno di assistenza, sono peggio di un novantenne. Lo voglio più giovane di me, ma con un tipo di giovinezza a prescindere dall'età». 

Dati alla mano, Sandra è in esigua compagnia: secondo un «National Survey» americano in materia di frequenza sessuali, oltre i 70, gli uomini che hanno rapporti sessuali sono quasi il doppio delle donne; e, ovviamente, la discrepanza di genere è indicativa della vecchia storia per cui è più facile che siano più gli uomini che le donne ad avere giovani fiamme, pure a dispetto del successo recente del termine «toyboy».

Sociologia a parte, l'ultima, sommessa domanda a Sandra Milo è questa: lei, che è la più famosa amante rea confessa d'Italia, che cosa può dirci sull'infedeltà dopo gli 80? Risposta: «La fedeltà è un fatto di volontà, io quest' istinto non ce l'ho e questo discorso non me lo sono mai posto». Amen. 

Eh sì, il tradimento appartiene più all'indole che all'età. Due anni fa, Eva Cantarella, la nostra più eminente grecista, classe 1936, raccontò che con l'ormai compianto marito sociologo Guido Martinotti avevano vissuto fino alla fine «con gioia e libertà». A Roberta Scorranese, sul Corriere , confessò: «Pensi che una volta siamo stati beccati insieme in Grecia, innamorati e felici, dai nostri rispettivi amanti. Sa che scenate quelle degli amanti, peggio di quelle dei mariti normali».

Resistono, certo, uomini e donne che, se lo fanno, si guardano bene dal dirlo. Orietta Berti, 79 anni, dopo giorni di viaggio con Maionchi e Milo in Quelle brave ragazze , si è limitata a confidare che il marito Osvaldo Paterlini è stato il suo unico uomo. Né, adesso, le si scuce di più. Le chiedi, dopo 55 anni di matrimonio cosa resta della passione e lei: «Non siamo mai stati da passione travolgente. Non ci siamo mai sbaciucchiati per strada. Mi sembra solo un modo di farsi notare. Poi, tanto, la passione appassisce, ma aumentano amore, stima, tenerezza».

Quindi, lei non direbbe mai quante volta lo fa? «Ma no, alla mia età, trovo più elegante stare zitta». Dunque, da una parte, resiste la Tendenza Orietta, dall'altra, avanza la tendenza Erica (Jong): la guru della liberazione sessuale, 80 anni compiuti a marzo, nell'ultimo libro, Paura di morire , è stata lapidaria... Ha scritto che, alla sua età, «l'indifferenza al sesso è un'infermità».

Sesso e romanticismo dopo i 60 anni: ecco come cambiano e i miti da sfatare. Redazione il 14 Febbraio 2022 su Il Giornale.

Passionali, romantici, appagati: ritratto a tinte accese degli over 60, sempre più propensi a vivere il sesso intensamente e senza tabù.

Come vive il sesso e l’eros chi si avvicina ai 60 anni o ha già superato questa soglia anagrafica? La silver age non rappresenta un impedimento alla vita sessuale, che può essere appagante indipendentemente dall’età e che proprio con il passare degli anni può trasformarsi in un’esperienza ancora più intensa e gratificante.

La maggioranza degli over 60 è partecipe e protagonista della propria sfera amorosa. A mettere nero su bianco questo trend è un recente sondaggio condotto in occasione della festa di San Valentino da Cocooners, la principale community di over 60 attivi e pieni di passioni: il 60,7% dei Senior coinvolti nell’indagine, infatti, ha dichiarato di avere una vita sessuale più che attiva.

Come cambia il sesso dopo i 60 anni 

Il sondaggio Cocooners aiuta a sfatare alcuni miti riguardo l’esperienza amorosa degli over 60. Per la maggior parte degli interpellati, infatti, il mondo dell’eros non è riservato esclusivamente ai più giovani: l’attività sessuale è presente nella vita del 52,4% degli intervistati, sebbene il 46,4% sottolinei come a evolversi sia il linguaggio con il quale ci si rivolge al proprio partner. A diventare predominante con il passare degli anni, ad esempio, è la componente romantica.

La frequenza dei rapporti subisce inevitabilmente alcuni cambiamenti, tuttavia non mancano le sorprese: solo il 27,4% ha pochi “incontri” a settimana, mentre il 14,3% afferma di vivere momenti di passione almeno una volta nell’arco di sette giorni. Se l’8,3% afferma di vantare una “buona media”, il 2,4% ammette di dedicarsi al sesso spesso e volentieri. "Il cliché dell'over 60 che non ha una vita sentimentale appartiene a un certo tipo di visione, spesso suffragiata dai media, che non è indubbiamente la nostra - commenta Viviana Musumeci, coordinatrice della redazione di Cocooners.com. - Nella società i 'cocooners', sono molto più soddisfatti e risolti di quello che si pensa, vivono la vita in modo pieno anche dal punto di vista sessuale".

Benefici del sesso: meno stress, più autostima 

L’eros aiuta a sentirsi vivi, desiderati e amati, indipendentemente dall’età. L’attività sessuale contribuisce a ridurre lo stress e a vivere più serenamente, complice anche il rilascio di serotonina che vanta un elevato potenziale distensivo tanto da essere considerata l’“ormone della felicità”. Il sesso rappresenta anche un elemento fondamentale per migliorare sia l’autostima personale sia la coesione della coppia, obiettivi sempre di primaria importanza.

Il sondaggio Cocooners focalizza l’attenzione anche sul desiderio che gli over 60 provano nei riguardi del proprio partner: il 21,4% degli interpellati ha dichiarato di sentire ancora molta attrazione fisica verso la propria dolce metà. Una percentuale ancora più elevata, pari al 32,1%, infine, corrisponde ai Senior che mettono al primo posto le dimostrazioni d’affetto e che non hanno mai smesso di dire “Ti amo”, mentre il 15,5% ammette di pronunciare queste parole solo saltuariamente.

In ogni caso, i protagonisti della silver age sono pienamente consapevoli di come sia importante godersi a pieno la sfera sentimentale ritagliandosi del tempo speciale da trascorrere con il partner, anche sotto le lenzuola. Che sia proprio questo il segreto della longevità?

Concita Borrelli per "il Messaggero" l'1 febbraio 2022.

Il Terzo tempo di una partita di Rugby a 15 è il momento di socializzazione tra i giocatori delle squadre avverse. Vi partecipano anche le famiglie e, a volte, i tifosi. Fatto sta che il terzo tempo della partita della vita oggi gli assomiglia molto. Un tempo più rilassato, e meno faticoso, in una biologia che si è allungata e non di poco. Terzo Tempo è anche il titolo di un libro di Lidia Ravera del 2017, diventato oggi una collana frutto di un progetto congiunto tra HarperCollins Italia e i periodici di Harmony, a cura della stessa Ravera. Proprio lei. La penna-femmina di Porci con le ali. 

La Lidia Ravera che vendette milioni di copie e che vide il suo romanzo-saggio ritirato dal procuratore Giovanni De Matteo non fosse altro per l'incipit. Andate a ripassarlo. E cosa ci arriverà da questo Terzo Tempo? Che le sessantenni ed oltre ne hanno visto delle belle, così belle che la vita se la devono bere ad un tavolino anche in silenzio, da sole, in un raggio di sole. 

Portandosi a spasso il vento tra i capelli, l'eco delle urla nei cortei, il rischio di lotte (e loro derive) in nome di libertà tinte di terrore e violenza. Ma i diritti civili, il divorzio, la legge sull'aborto, la richiesta di ascolto, il ruolo di persona scisso da quello di femmina di casa e madre di figli sono state vittorie che salde nella testa oggi sono nel loro cuore. E forse anche un po' più giù. 

VOGLIA DI GIOCARE Pertanto, splendide over sessanta, è arrivato il vostro Terzo Tempo. Prendetevelo con il capriccio di iniziare una nuova vita, di parlare a faccia scoperta dei desideri ancora in piedi con il vostro partner. Di andare senza alcuna vergogna dal chirurgo estetico o di giocare, senza pudore, con piglio e bizzarria, con la vostra faccia segnata e affascinante. Con i capelli bianchi, corti, lunghi, raccolti o sciolti sulle spalle. Se non volete, lasciate in borsa il garbato rossetto delle nonne che in tarda età lo trovano un dovere più che un vezzo, e baciate di bocca che sa di mare. 

Il Terzo è il vostro Tempo di scegliere di apparire, scomparire, o semplicemente godervela. «La più consistente scoperta che ho fatto pochi giorni dopo aver compiuto sessantacinque anni è che non posso più perdere tempo a fare cose che non mi va di fare»: Jep Gambardella nella Grande Bellezza. Anche voi, anche noi donne. Eravate adolescenti quando si spiegarono le ali dello psichiatra Marco Lombardo Radice e Lidia Ravera, che con scientifica spudoratezza, raccontarono il diario di Rocco e Antonia. Due ragazzi nel momento del Novecento più problematico e allo stesso tempo il più entusiasmante.

Gli anni in cui l'interesse per l'attivismo era per certi versi obbligatorio, trasformando qualsiasi quesito individuale in una speranza universale, gli anni in cui il personale diventava politico. Oggi però è necessario ricordare che il privato rischia di diventare pubblico. Che i social non devono trasformare il vostro Terzo Tempo ed il linguaggio di chi come voi che, della parola scritta, parlata e urlata si nutriva anche con fanatismo, in un incontro veloce di nostalgie o giovanilismi d'accatto dispiegati su Facebook. Di conquiste forzate o ridicole pose da Instagram. 

LA STORIA È prezioso il Terzo Tempo, è il palco migliore per dire alle giovani credeteci, e alle più anziane vivete. Le sessantenni sono la vera forza per testimoniare quanto la storia delle donne sia stata forte e vincente. Che il massacro consumatosi alle spalle di alte personalità femminili over sessanta, durante le elezioni del Presidente della Repubblica, imponga una definitiva stigmatizzazione. Che nessuno osi più parlare di umilianti quota rosa. E che invece si torni al rosa. Quello di Harmony...e delle gonne petalo di Carrie Bradshaw. Carrie che, nel 2021, ha aggiunto ai suoi trent' anni di allora, rughe, dolori, carriera, rinunce, errori, e altre case, e altre scarpe, e schiette risate. E che, per lei, un'anca rotta o la vista calata non sono che banali effetti collaterali dell'unico farmaco salvavita: il desiderio.

C. Man. per "il Messaggero" il 2 febbraio 2022.  

Negli Stati Uniti lo chiamano old boom, e qualcosa di vero deve esserci se una scrittrice da sempre impegnata su temi femminili, come Lidia Ravera, ha deciso che era arrivato il momento di parlare di amore a 60 anni e oltre. E lo ha fatto, ancora una volta, stupendo: ha ideato e assunto la direzione di Terzo tempo, una nuova collana edita da HarperCollins - quella della collezione Harmony, per intenderci - «proprio per combattere il luogo comune che considera la scelta di amare interdetta alle donne che non sono più giovani».

Come è l'amore a 60 anni?

«È molto sorprendente, perché sei più selettiva. Le donne sono più smaliziate e hanno anche più pretese».

Questo non dovrebbe rendere la cosa più difficile?

«Sì, lo è, perché gli uomini sono spaventati da donne così. Le maggiori pretese spesso coincidono con il fatto che gli uomini non ti vedono perché non ti guardano, perché non hai più vent' anni. E la scommessa dei romanzi d'amore che ho messo in piedi è proprio che ci sia in mezzo a tanti uomini che non vedono, uno che, invece, ti ha guardata. Questo rende l'amore sorprendente, arriva quando non te lo aspetti più. E poi è sorprendente perché hai tutta la cultura occidentale contro, che vuole la donna sempre giovane e perfetta».

Quindi l'aumento delle relazioni d'amore in tarda età va considerato come un buon segno anche per le donne.

«Le donne hanno imparato a sorridere, ed è la più grande arma contro i cliché, devi imparare a dubitare degli stereotipi con cui vieni massacrata tutta la vita, perché la vecchiaia è brutta, ma lo è soprattutto per gli aggettivi che le rifilano. In tutti questi anni si parla delle donne over 60 come sfiorite, spente, ci trattano come insalata. Gli uomini no, invecchiando possono diventare affascinanti, potenti, ricchi, divertenti». 

Pregiudizi che non cambiano?

«Gli uomini hanno sofferto meno delle donne. Mi sono resa conto che nella nostra cultura il razzismo antietà è profondamente radicato e crea delle sacche di sofferenza soprattutto alle donne. Ci si vergogna di invecchiare. Guardiamo allora a quali sono i vantaggi della vecchiaia, continuare a imitare la giovinezza è perdente. Passa una ventenne brufolosa e vince lei. Ma da quando abbiamo imparato a sorridere di noi e anche degli uomini sta andando meglio». 

È per questo che ha ideato la collana Terzo tempo?

«È il mio secondo gesto politico dopo Porci con le ali, il libro che ho scritto da giovanissima. L'ho ideata quando mi sono resa conto che la vera tragedia dell'invecchiare non sono le rughe, non è la consapevolezza, ma i cliché che accompagnano la vita delle donne. Nessuno all'interno della casa editrice mi ha chiesto di scrivere in simil Harmony. Saranno dei romanzi. La collana avrà un amore centrale, un lieto fine, o un finale aperto non drammatico. Ma principalmente avrà protagonisti, finora molto trascurati, quelli che hanno più di 60 anni».

Dagotraduzione dal New York Times Magazine il 13 gennaio 2022. 

Prima che David e Anne si sposassero, non si erano avventurati oltre il toccarsi. 

Era il 1961. Lei aveva 21 anni, lui 22 ed erano cresciuti in famiglie cattoliche conservatrici. «Giovedì e venerdì, il sesso è un peccato, poi ti sposi sabato», ha detto David. «Cos'è un clitoride? Non lo sapevo». 

Fin dall'inizio del loro matrimonio, i due hanno esplorato insieme il sesso. David era più lussurioso e desideroso; Anne era più esitante, a volte tendeva all'accomodazione piuttosto che all'entusiasmo. Pochi anni dopo il loro matrimonio, hanno avuto il loro primo figlio e David ha iniziato a viaggiare per lavoro per metà del mese. Nei cinque anni successivi hanno avuto altri due figli e Anne a volte si sentiva esausta, gestiva i compiti, gli orari, la guida, le emergenze, i crolli. Amava David e le piaceva fare sesso con lui, ma spesso cadeva in basso nella lista di ciò di cui aveva bisogno: una buona notte di sonno, un braccio intorno alla spalla, nessuna aspettativa. Inoltre, Anne non è mai sfuggita completamente alla sensazione che il sesso fosse un tabù: «Non ci era permesso nemmeno pensarci», ha detto dell'approccio dei suoi genitori al sesso. Nella prima parte del suo matrimonio, si sentiva inorridita dal sesso orale e lottava per raggiungere l'orgasmo. «Non credo di essere stata ciò che David aveva sperato», mi ha detto.

David e Anne hanno ormai 80 anni e di recente mi hanno detto che in questa fase della vita, il sesso è il migliore che sia mai stato. Ma arrivarci ha richiesto uno sforzo. David, un uomo curioso e gregario, ha sempre creduto che il sesso fosse importante per la felicità e ha cercato regolarmente suggerimenti per migliorarlo. Alla fine degli anni '70, ha letto un articolo di una rivista sulla "migliore amica di una ragazza", un vibratore chiamato Prelude. Ne ha comprato uno per Anne. (Mi ha chiesto di usare il suo secondo nome per proteggere la sua privacy; David ha chiesto di essere identificato con il suo nome.) All'inizio non è andata così bene: per Anne, è stato un promemoria di quella che vedeva come la sua stessa mancanza. Immaginava che altre donne raggiungessero l'orgasmo più rapidamente, mentre lei aveva bisogno di un intervento meccanico. Ma David l'ha incoraggiata a provare il vibratore da sola e hanno iniziato a usarlo occasionalmente durante il sesso.

Il sesso a volte era fantastico, come quando Anne ha frequentato un corso di sessualità umana un'estate, quando i bambini erano diventati adolescenti e più indipendenti. La sera dopo la lezione, lei e David sedevano sulla veranda che dava su un parco e condividevano ciò che stava imparando sul desiderio e sulla fisiologia del sesso. Sono diventati i loro preliminari. Ma presto David ha iniziato a lavorare più a lungo e Anne ha iniziato un lavoro la sera. I loro impegni fitti li hanno riportati alla routine dei desideri discordanti. Nel punto più basso, il sesso è sceso a un paio di volte al mese, troppo raro per David.

Quando David aveva 50 anni, aveva avuto due relazioni, in gran parte perché le donne lo facevano sentire desiderato. Anche Anne ha avuto una breve relazione, in risposta al suo tradimento. Poi, a 60 anni, David si è ritirato dal lavoro, dove era circondato da colleghi che lo amavano. Anne, nel frattempo, era sempre più fuori casa, perché faceva volontariato nella loro comunità. Desideroso di più attenzioni e affetto di quanto Anne fosse in grado di dargli, David ha avuto una terza relazione, questa volta più emotivamente coinvolta, con una donna che era entusiasta del sesso quanto lui. Non ha mai dovuto insinuare che lo voleva. Non ha mai dovuto chiedere. Era pronta per praticamente qualsiasi cosa.

Anne era furiosa quando l'ha scoperto, ma comunque non voleva perderlo. Lo ha spinto a porre fine alla relazione; l'altra donna ha detto a David che doveva scegliere. Al precipizio della separazione, Anne e David sono andati in terapia e lentamente sono diventati più onesti l'uno con l'altro. Anne ha parlato della sua rabbia per gli affari e del suo rifiuto di fare sesso a causa di questo. David ha espresso le sue speranze di poter portare nella loro relazione il tipo di eccitazione sessuale che ha trovato al di fuori del matrimonio. Se voleva tenerlo stretto, si è detta Anne, doveva provare ad aprirsi. David ha lavorato per essere meno in attesa. E lentamente, a 70 anni, si sono spostati verso un sesso più intimo e avvincente.

«La relazione è stata la cosa migliore e peggiore che ci sia capitata», mi ha detto David un pomeriggio dell'autunno scorso. 

«Non ne sono così sicura», ha detto Anne. Stavamo parlando su Skype per il loro 60° anniversario di matrimonio. La coppia sedeva fianco a fianco al bancone della cucina in una casa che avevano progettato insieme 30 anni fa, affacciata su un lago. Mentre parlavano, Anne ogni tanto metteva la testa sulla spalla di David. Dietro di loro c'era una fila di finestre e, in un angolo, un vaso di girasoli secchi. Anne, che ha luminosi occhi azzurri e una ciocca di capelli argentati che le ricadono su un lato del viso, ha un modo misurato di parlare. È una persona riservata, ma onesta e ricercatrice. «Avevamo bisogno di un inizio in qualche modo», ha detto, prima di aggiungere esplicitamente, «ma non era l'unico modo per farlo».

L'invecchiamento li ha sminuiti fisicamente: Anne ha avuto un cancro al colon; David ha una stenosi spinale e usa un deambulatore. Ma in questi ultimi anni di vita, hanno consapevolmente mantenuto la loro intimità creando un diverso tipo di sessualità rispetto a quando i loro corpi erano forti e agili. 

Quasi tutte le domeniche mattina, dopo il caffè e la frutta, David va nella loro camera da letto. Prende un Viagra, sistema il copriletto, si fa la doccia e, quando è pronto, chiama Anne. I loro telefoni restano in cucina, il cane fuori dalla porta della camera da letto. Si coccolano e si toccano. A volte si masturbano a vicenda, cosa che hanno appena iniziato a fare nell'ultimo decennio. (Anne ha ancora il suo Prelude, che David ha ricablato nel corso degli anni, insieme ad alcuni altri vibratori che usano regolarmente).

Anche con il Viagra, David non può sempre avere un'erezione completa, ma di solito hanno rapporti a prescindere; a volte ha un orgasmo secco, in cui non produce abbastanza sperma per eiaculare. La posizione del missionario non funziona più per loro: David è ingrassato e sarebbe troppo pesante. Invece, spesso si sdraia dietro Anne e mette una gamba tra le sue, l'altra di lato. Esplorano e provano cose nuove. La scorsa estate hanno iniziato a fare ciò che è noto come bordatura. Durante il sesso orale, David si ferma proprio quando Anne è sul punto di raggiungere l'orgasmo. Lo ripete un paio di volte per aumentare l'intensità prima che lei abbia finalmente un orgasmo.

Il sesso è più rilassato di quanto non fosse nei loro 20 e 30 anni, quando avevano così tante responsabilità e poco tempo. Ed è più profondo perché si sentono più connessi. «Ci siamo quasi persi», ha detto Anne. Sottolinea che la loro relazione è tutt'altro che perfetta; discutono in abbondanza. Ma ha superato alcune delle barriere sessuali del passato e si sente più presente durante il sesso. Gran parte di ciò è legato alla loro consapevolezza che il tempo sta finendo, il che rende l'intimità più sacra. Ora, alla fine del sesso, uno di loro dice una versione di: «Grazie, Dio, ancora una volta». 

Poi fanno il brunch e parlano dei bambini, dei nipoti, dei loro piani per trasferirsi in una casa più piccola. Sanno che il sesso potrebbe non rimanere lo stesso mentre continuano a invecchiare. Verrà il momento, mi ha scritto David in un'e-mail, «in cui uno di noi dirà: “Mi dispiace, ma saresti ferito se ci coccolassimo?” Lo spirito è disposto, ma la carne si indebolisce».

Non sorprende che il sesso possa diminuire con l'età: gli estrogeni in genere diminuiscono nelle donne, il che può portare a secchezza vaginale che, a sua volta, provoca dolore. Il testosterone diminuisce per donne e uomini e i problemi di erezione diventano più comuni. 

In uno studio del New England Journal of Medicine del 2007 su un campione rappresentativo della popolazione statunitense, la dott.ssa Stacy Tessler Lindau, professoressa di ostetricia-ginecologia e geriatria all'Università di Chicago, e colleghi hanno intervistato più di 3.000 anziani, single e in coppia, sul sesso (defininendolo come «qualsiasi attività di reciproco volontariato con un'altra persona che comporti un contatto sessuale, indipendentemente dal fatto che si verifichi o meno un rapporto sessuale o un orgasmo»). Hanno scoperto che il 53% dei partecipanti di età compresa tra 65 e 74 anni ha avuto rapporti sessuali almeno una volta nell'anno precedente. Nella fascia di età tra i 75 e gli 85 anni, solo il 26 percento lo faceva. (Lindau osserva che uno dei principali determinanti dell'attività sessuale è se si ha un partner o meno, e molte persone anziane sono vedove, separate o divorziate) Al contrario, tra le persone di età compresa tra 57 e 64 anni, il 73% ha avuto rapporti sessuali almeno una volta nel l'anno scorso.

C'è un paradosso toccante sulle persone anziane e sul sesso. Man mano che i nostri mondi diventano più piccoli - il lavoro rallenta o finisce, le capacità fisiche si riducono, viaggiare diventa più impegnativo, i circoli di amicizia si restringono mentre le persone muoiono - tendiamo ad avere più tempo e inclinazione per assaporare le parti della nostra vita che sono emotivamente significative, il che può includere il sesso. Ma poiché i corpi cambiano, il buon sesso nella vecchiaia spesso ha bisogno di essere reinventato, ampliato, ad esempio, per includere più tocchi, baci, massaggi erotici, sesso orale, giocattoli sessuali.

Le persone anziane ricevono poche indicazioni su tutto questo. Le rappresentazioni realistiche nei media sono rare, specialmente negli Stati Uniti. Alcuni terapisti di coppia non parlano di sesso con i loro clienti. Anche molti medici di base non sollevano l'argomento. L'American Medical Student Association afferma che l'85% degli studenti di medicina dichiara di aver ricevuto meno di cinque ore di educazione sulla salute sessuale. Se un uomo si lamenta di problemi di erezione, i medici spesso offrono farmaci come il Viagra e il Cialis. Ma questi possono avere effetti collaterali e sono controindicati con alcuni farmaci. Inoltre, prescriverli presuppone che l'obiettivo dovrebbe essere il rapporto sessuale. Per le donne, il farmaco Addyi fa molto poco per aumentare il desiderio sessuale ed è solo per le donne in premenopausa. E mentre i medici possono offrire alle donne creme o anelli vaginali con estrogeni, pochi forniscono suggerimenti sulle alternative sessuali alla penetrazione quando fa male.

«La maggior parte dei medici non fa domande e non sa cosa fare in caso di problemi», afferma la dott.ssa June La Valleur, ostetrico-ginecologa e professore associato recentemente in pensione che ha insegnato presso la facoltà di medicina dell'Università del Minnesota. «Pensano che i loro pazienti saranno imbarazzati. Secondo me, non puoi definirti un professionista olistico a meno che tu non faccia queste domande».

Poche comunità di anziani, se non nessuna, offrono molte informazioni sul sesso per i residenti o formazione per il personale. Un'educatrice sessuale mi ha parlato di una donna anziana che cercava informazioni sul sesso e sull'invecchiamento in un centro per anziani. Non poteva accedervi sul computer perché la parola "sesso" era bloccata, molto probabilmente per impedire alle persone di accedere ai siti porno. 

Ma poiché i baby boomer, cresciuti durante la rivoluzione sessuale degli anni '60 e '70, invecchiano - i più anziani hanno circa 75 anni - molti esperti di sesso si aspettano che richiederanno conversazioni e politiche più aperte relative alla loro vita sessuale.

Un sottoinsieme di persone anziane che stanno facendo molto sesso fino a 80 anni potrebbe aiutare a plasmare conversazioni e politiche. Nello studio del New England Journal of Medicine, sebbene poco più di un quarto dei partecipanti di età compresa tra 75 e 85 anni abbia affermato di aver fatto sesso nell'ultimo anno, più della metà di quel gruppo ha fatto sesso almeno due o tre volte al mese. E quasi un quarto di coloro che facevano sesso lo facevano una volta alla settimana, o più. Insieme al piacere, possono ottenere benefici legati al sesso: un sistema immunitario più forte, una migliore funzione cognitiva, salute cardiovascolare nelle donne e minori probabilità di cancro alla prostata. E anche la ricerca - e il buon senso - suggeriscono che il sesso migliora il sonno, riduce lo stress e coltiva l'intimità emotiva.

Negli ultimi tre anni, ho parlato con più di 40 persone nate tra la fine degli anni '60, '70, '80 e l'inizio dei 90 che hanno trovato il modo di cambiare e migliorare la loro vita sessuale. Alcuni hanno cercato terapisti sessuali, che, tra le altre cose, aiutano le persone ad ampliare la loro definizione di sessualità e a distogliere l'attenzione dal sesso orientato all'obiettivo: erezioni, rapporti, prestazioni. Altri hanno approfondito le loro vite sessuali da soli. 

Nel 2005, Peggy J. Kleinplatz, professoressa di medicina all'Università di Ottawa e ricercatrice sul sesso, ha iniziato a intervistare persone che hanno costruito una vita sessuale ricca e intima. Per decenni, gran parte della ricerca sul sesso si è concentrata sulla disfunzione. Al contrario, Kleinplatz, che dirige il team di ricerca sulle esperienze sessuali ottimali all'università, esplora gli aspetti del sesso profondamente appagante che restano veri indipendentemente da altri fattori: età, salute, stato socioeconomico e così via. (Il suo lavoro include anche coppie LGBTQ, coppie poliamorose e persone che amano il kink e il BDSM).

Il suo libro del 2020, "Magnificent Sex: Lessons From Extraordinary Lovers", con la coautrice A. Dana Ménard, si basa su una ricerca che coinvolge persone la cui la vita sessuale è cresciuta sempre meglio nel tempo. Il quaranta per cento dei partecipanti aveva 60, 70 o 80 anni. "Chi meglio intervistare sul sesso appagante delle persone che lo praticano da più tempo?" disse Kleinplatz. Alcuni di questi "amanti straordinari" hanno detto che quando hanno raggiunto i 40 e i 50 anni, si sono resi conto che le loro aspettative per il sesso erano troppo basse. Se volevano un sesso significativamente migliore, sapevano che avrebbe richiesto un impegno di energia e impegno. «Ci vuole un investimento per essere più vulnerabili e avere fiducia quando state insieme da decenni», mi ha detto Kleinplatz. «Ci vuole tanta volontà e coraggio per mostrarti ----nudo, letteralmente e metaforicamente».

Nelle interviste, le persone hanno notato che avevano un migliore senso di ciò che volevano mentre invecchiavano e maturavano ed erano più disposte ad articolarlo con il proprio partner. Hanno ampliato le loro opinioni sul sesso e affrontato le ansie che erano state incoraggiate dai media mainstream e dal porno che facevano sembrare il sesso facile e veloce. E mentre si potrebbe presumere che alcuni problemi di salute limitino la sessualità, gli intervistati di Kleinplatz ne hanno avuti un'ampia varietà: malattie cardiache, ictus, sclerosi multipla, stenosi spinale, perdita dell'udito, incontinenza. In alcuni casi, è stata una disabilità che ha permesso loro di mettere da parte ipotesi e preconcetti sul sesso. Le persone che non sono disabili, come ha detto una persona a Kleinplatz, a volte «si attengono a standard che ostacolano l'apertura mentale e la sperimentazione». Un uomo che soffre di una malattia degenerativa ha detto a Kleinplatz che la sua malattia gli ha permesso di accettare che le sue precedenti definizioni di sesso non funzionassero. Invece, è diventato più aperto a sperimentare, comunicare e rispondere a ciò che voleva il suo partner. E anche se lui stesso non aveva erezioni o orgasmi, ha detto che «il sesso era molto più intenso di quanto non fosse mai stato prima».