Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
ANNO 2022
FEMMINE E LGBTI
QUINTA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
FEMMINE E LGBTI.
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)
PRIMA PARTE
Diversità di genere.
I LGBTQIA+.
Comandano Loro.
Il Potere nel Telecomando.
I Drag Queen.
Il Maschio.
Il Maschilismo.
I Latin Lover.
Il Femminismo.
Gli Omosessuali.
I Transessuali.
I Bisessuali.
Gli Asessuali.
I Fictiosessuali.
I Nudisti.
L’Amore.
Sesso o amore?
Gli orecchini.
Il Pelo.
Le Tette.
Le Mestruazioni e la Menopausa.
Il Feticcio.
Bondage; Fetish: Il Feticismo.
Mai dire… Porno.
Mai dire …Prostituzione.
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)
SECONDA PARTE
La Truffa Amorosa.
La Molestia.
Lo Stupro.
Il Metoo.
Il Revenge Porn.
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)
TERZA PARTE
Le Violenze di Genere: Maschicidi e femminicidi.
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)
QUARTA PARTE
La Gelosia.
L’Infedeltà.
Gli Scambisti.
Gli Stalker.
Il body shaming.
Le Bandiere LGBTQ.
San Valentino.
La crisi di Coppia.
Mai dire…Matrimonio.
Mai dire Genitori.
Mai dire…Mamma.
Mai dire…Padre.
Mai dire…Figlio.
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)
QUINTA PARTE
Il Figlicidio.
Le Suocere.
Il Sesso.
Il Kama Sutra.
Prima del Sesso.
Durante il Sesso.
Dopo il Sesso.
Il Sesso Anale.
La Masturbazione.
L’Orgasmo.
L’ecosessualità.
L'aiutino all'erezione.
Il Triangolo no…non l’avevo considerato.
Il Perineum Sunning: Ano abbronzato.
Il Sesso Orale.
Il Bacio.
Amore Senile.
FEMMINE E LGBTI
QUINTA PARTE
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Antonio Giangrande: Non dovevo nascere.
A proposito di figlicidio. Alla morte di mio padre ogni tabù è caduto. Mia madre mi ha raccontato che sono un sopravvissuto. Uno che non doveva nascere.
Mia nonna paterna era la matrona della famiglia. Era lei a decidere le sorti dei suoi otto figli: quattro maschi e quattro femmine.
Era lei a decidere anche nelle loro famiglie.
Mio padre e mia madre erano appena sposati ed era mia nonna paterna a decidere il loro destino.
Li costrinse ad emigrare per lavorare.
Ma c’era un problema: mia madre era incinta. Ed era un intoppo.
La portò dalla “mammana”, una ostetrica casalinga.
La signora chiese a mia madre: perché vuoi abortire?
Essa, ignara, rispose: cosa è l’aborto?
Era stata portata in quel posto senza sapere cosa dovesse fare. Portata dalla madre di mio padre e, sicuramente, con l’assenso di lui, perché io non ho mai saputo di questo fatto, né che ci siano state ripercussioni nei rapporti tra mio padre e sua madre.
La “mammana” chiese a mia madre: tu lo vuoi questo bambino? Sì, rispose mia madre.
La “mammana” disse a mia nonna paterna: se anziché tua nuora, fosse tua figlia, faresti fare questa cosa? No, rispose mia nonna paterna.
La “mammana” intimò a mia nonna: porta a casa sta piccina e lasciala stare.
Oggi sono qui a raccontare quest’episodio. La mia vita è stata una sofferenza perenne di uno che non doveva nascere: un inaccettato per tutta la vita, avvinghiato da povertà ed ignoranza.
Oggi mio padre è morto per tumore alla prostata. Male che si lascia in eredità.
Mio padre era uno che nulla faceva per gli altri, ma lo pretendeva per sé.
Mio padre, però, sicuramente, era uno che dava. E a me, tra le altre cose, ha dato il suo male.
Oggi, però, sono qui a raccontare che sono un sopravvissuto che non doveva nascere. E tutto quel che è successo è tutto di guadagnato. Sicuro di aver guadagnato 60 anni di vita, pur tribolata.
Solo le donne sanno cosa è l’aborto. Barbara Alberti su L’Espresso il 18 Novembre 2022.
È un lutto segreto, la madre che nega sé stessa, dal quale non si guarisce. E invece circola la favola cattiva che lo descrive come un semplice mezzo di contraccezione
Gli antiabortisti dicono che l’aborto è un assassinio. Hanno ragione. Noi donne lo sappiamo bene. Ed è il più paradossale dei suicidi, la madre uccide sé. Sopprime il feto che è in lei, il germoglio, parte del suo corpo, non ancora bambino e già figlio. Essere tomba invece che culla. Non si guarisce dall’aborto. Se ne esce vive a metà. Portare un lutto segreto per sempre. Questo noi lo sappiamo. Nel millenario massacro dei nostri corpi, nel rimpianto che non dimentica. Solo le donne lo sanno.
C’è quella favola cattiva secondo la quale, la libertà di aborto spingerebbe le donne all’imprudenza, tante ragazze si darebbero al sesso più spensierato, e se restano incinte che importa, tanto c’è l’aborto. Niente di grave, come cavarsi un dente. A questa dicerìa sembravano rispondere le parole di papa Francesco, quando parlando dell’aborto lo definì la tragedia delle donne. Ecco, la pietà.
Nelle parole del Papa c’era pietà per quell’atto di violenza che comprende madre e figlio, lui sentiva il dolore della madre-non-madre. Le donne NON vogliono abortire. Le donne hanno in abominio l’aborto, più del Papa. Per arrivare alla negazione di sé dev’esserci un motivo insindacabile, che riguarda solo la madre: la sua volontà di rinuncia.
La maternità, anche se minuziosamente spiegata dalla scienza, resta un atto magico. Dare la vita. Una vita mortale. Fa tremare. L’uomo nasce figlio, la donna madre. Magari di sé stessa (le donne sono capaci di tenerezza anche verso di sé, sanno darsi consolazione. Il maschio è meno capace di volersi bene, si misura con gli altri, sa meno sorridere di sé, più difficilmente si perdona).
Le donne non vogliono abortire. Si assumono questo delitto per non commetterne un altro, fare un figlio che non si vuole. Solo la madre può decidere. Non esistono metodi sicuri al 100 per 100 per evitare il concepimento. L’errore è sempre in agguato, in certi casi nemmeno la pillola preserva. Esistono solo due anticoncezionali infallibili, la sterilizzazione e la castità.
Non si guarisce dall’aborto. Forse in traumi atroci come la violenza di gruppo, quando si vuole distruggere quel ricordo, e si ha orrore di avere in sé in figlio dell’aguzzino. Ma perfino chi lo vede come incidente e ostacolo, lo strappa da sé con dolore.
L’impero maschile e le religioni del dominio hanno sempre saputo che la donna è la chiave di ogni potere, perché produce la vita. Se ci hanno rinchiuse imprigionate atterrite divise dal nostro corpo bruciate violate calunniate derise schiacciate nell’ignoranza, è perché siamo pericolose davvero. Se sfugge di mano la donna, ogni potere è perduto. Oggi i maschi hanno molta molta molta più paura di noi di quanto non confessino, le loro adulazioni e la strage di donne ne sono la prova.
Una volta smascherati, che ne faranno della loro debolezza? Anche per questo ci ammazzano. Hanno paura delle streghe? Non abbastanza. La nostra libertà è terribile. Contemplava fin dall’inizio questo durissimo arbitrio, e che un giorno dicessimo Vogliamo potere di vita e di morte, perché siamo le padrone del creato. Nessuno può entrare fra noi e il figlio che abbiamo concepito. Non è giusto. È un fatto.
In un mio libriccino di gioventù, "Vangelo secondo Maria", la Madonna è una ragazzina di Nazareth che si è montata la testa con la Bibbia, come don Chisciotte coi romanzi d’avventura. A lei come donna tutto è proibito, ma quando in sinagoga sente i profeti che chiedono conto a Dio, trattandolo da pari a pari, apprende da loro il sollievo della rivolta. E quando scopre di essere la prescelta a far nascere il Redentore, oppone il suo piccolo disegno a quello immenso di Dio, e in nome del libero arbitrio rifiuta la maternità divina. Maria nega il peccato originale, e rifiuta d’essere il vaso del Dio. Ma la sua rivolta è possibile solo perché, come donna, ha in sé il potere della nascita.
«Cara Barbara Alberti, non stigmatizziamo le donne che abortiscono». Federica di Martino su L’Espresso il 24 Novembre 2022.
Federica di Martino della piattaforma "IVG, ho abortito e sto benissimo" replica alla nostra opinionista
In merito al commento di Barbara Alberti vogliamo ribadire la necessità di riconoscere l'aborto come un'esperienza personale e soggettiva, suscettibile di diverse coloriture emotive, che non possono, dunque, essere ricondotte ad una visione univoca.
Alla luce dell'urgenza, in tempi di revisionismo storico sul fronte dei diritti, di riscrivere linguaggi e narrazioni nuovi, non possiamo tollerare una retorica stigmatizzante e colpevole verso chi abortisce.
I diritti di autodeterminazione sui nostri corpi e sulle scelte riproduttive non si pagano in dazi di dolore.
In una società in cui il diritto di aborto è messo continuamente in discussione, non possiamo continuare a paragonarlo a un assassinio. I vissuti che attraversano l'aborto sono molteplici, e ciascuno ha il diritto di potersi dire e rappresentare nel mondo senza essere delegittimato.
Appropriarsi dei vissuti soggettivi attraverso una rappresentazione univoca, che ci vede oltretutto dolenti di fronte alla maternità negata, non fa altro che silenziare le nostre storie, le esperienze che ci attraversano, così come la possibilità di poter rivendicare che l'aborto può essere un'esperienza consapevole e liberatoria. Potrebbe esserlo ancora di più se le donne venissero accompagnate in modo rispettoso, con un accesso alle cure dignitoso, servizi adeguati con la presenza di personale non obiettore, nonché in una società non giudicante.
L'inferno dell'aborto lo crea la solitudine forzata a cui le donne sono costrette per la paura di sentirsi giudicate, per quello stigma sociale che diventa interiorizzato, che non permette loro di sentirsi libere di rivendicare la propria scelta senza sentirsi additate da una società che le vuole dolenti per riuscire ad accedere, previa una via crucis infinita, a elemosinare diritti.
E quel "Non si guarisce dall'aborto. Se ne esce vive a metà", diventa una condanna senza appello per un processo a cui nessuna donna dovrebbe essere chiamata. Continuare a parlare di aborto in termini di sottrazione della maternità è un crinale pericoloso, perché ancora una volta subordina il piano dei diritti sul nostro corpo al mero finalismo riproduttivo. Non siamo nate per essere madri, scegliamo se esserlo, e se incorriamo in una gravidanza indesiderata, l'aborto si configura come una pratica sanitaria volta al benessere, perché in quel momento non vogliamo essere madri. Quindi, sarebbe bene che nessuno ci imputasse la necessità reale, mancata o fantasmatica di doverlo essere.
Alla luce di una corresponsabilità divulgativa, chiediamoci, quindi, cosa possa pensare una donna che ha abortito o che ha scelto di abortire, nel leggere quelle parole. Assumiamo politicamente lo spazio che le nostre parole occupano, nell'idea che possano e debbano diventare luoghi di accoglienza, sostegno e accrescimento della consapevolezza personale.
L'aborto è quello che è per ogni persona. Le nostre parole sono strumenti, cerchiamo di non farle diventare armi.
Maria Berlinguer per “la Stampa” il 15 novembre 2022.
In Toscana, unica di tre Regioni a distribuire gratuitamente contraccettivi alle ragazze sotto i 25 anni nei consultori, le interruzioni di gravidanza sono in forte calo soprattutto tra le giovanissime. Meno 31 per cento tra le ragazze rispetto al meno 16 per cento del resto delle donne che hanno scelto di interrompere la gravidanza. E solo in Emilia Romagna e in Puglia le donne sotto i 25 anni hanno il diritto di accedere gratuitamente ai contraccettivi.
E pure l'aborto è in forte calo ovunque. Gli ultimi dati disponibili e ufficiali dicono, malgrado le alzate di scudi del nuovo governo, che dal 2019 al 2020 gli aborti sono calati del 9,3 per cento. «Questo è stato il merito della contraccezione che ci voglio togliere mettendo consultori cattolici, già la Lorenzin ci ha tolto nel 2018 la contraccezione gratuita e anche questo ha avuto un suo significato - dice Silvana Agatone presidente dei ginecologi non obiettori -: le persone che hanno poco reddito hanno difficoltà anche ad acquistare la contraccezione».
Ma «nonostante tutto c'è un calo, merito di una maggiore consapevolezza. Resta il fatto che una donna che vuole contraccezione si deve pagare tutto - aggiunge - dicono vogliamo meno aborti, beh, cominciassero a pagare la contraccezione nel sistema sanitario».
«Gli aborti sono in diminuzione dal 1978, nel mondo muoiono cinquantamila donne ogni anno di aborto non sicuro e quindi le donne abortiscono comunque» spiega Elisabetta Canitano ginecologa e militante per il diritto della donna di scegliere.
«Se la Toscana può dimostrarci che l'accettazione della sessualità femminile e quindi la distribuzione gratuita dei contraccettivi funzionano beh dobbiamo applaudire». Canitano che ora milita in Potere al Popolo ricorda che solo Puglia e Emilia Romagna sono altrettanto virtuose.
Silvio Viale da sempre in prima linea a difesa del diritto di abortire conferma il calo delle interruzioni di gravidanza. «Io ho i dati dell'ospedale Sant' Anna di Torino che fa la metà degli aborti del Piemonte e il 90% di quelli di Torino e a settembre eravamo in calo del 6% rispetto all'anno precedente, l'età media degli aborti è uguale a quella delle prime gravidanze, 32 anni, sono aumentati gli aborti nelle donne sopra i 40 anni che addirittura sono superiori rispetto alla donne sotto i 25» dice.
In Piemonte non vengono distribuiti gratuitamente i contraccettivi ma questo per Viale è un falso problema. «Fino a pochi anni fa erano dati dal sistema sanitario. Ma c'erano molti più aborti. È la maggior consapevolezza che ha fatto calare gli aborti. Le donne italiane sono tra le più virtuose, in Francia e in Svezia gli aborti sono il doppio. La Francia fa un terzo di figli in più e fa il doppio di aborti».
Il grosso calo in parte è dovuto alla riduzione della popolazione in età feconda, ma la diminuzione è doppia rispetto al calo delle nascite. «Negli ultimi 40 anni abbiamo avuto due terzi in meno di aborti mentre le nascite sono calate del 16%» prosegue Viale. Le donne con meno di 25 anni in Italia sono 3 milioni e ci sono circa dieci milioni di donne in età feconda: secondo le stime il 20 per cento utilizzerebbe la pillola. Secondo i dati 2020, 41 donne su mille hanno avuto una gravidanza, il 5,4 per cento ha sc
Lettera di Eugenia Roccelli per “La Stampa” il 24 ottobre 2022.
Caro direttore, Loredana Lipperini ha ritrovato nella sua libreria «Aborto, facciamolo da noi», un libro del 1975 con la prefazione di Adele Faccio, curato da me. Anch' io l'ho conservato, ma ne ho solo una copia molto sciupata. Sciupata perché all'epoca l'ho prestato cento volte, a ragazze che nulla sapevano del proprio corpo, giovani donne degli anni Settanta che cominciavano a ribellarsi alla mistica della femminilità in modo magari confuso ma coraggioso.
Era un libro politico, certo, anzi era un libro militante, firmato dal Movimento di Liberazione della Donna, di cui ero leader, e dal Cisa, l'organizzazione di Adele Faccio che aveva inaugurato la disobbedienza civile sull'aborto. Fu Adele, con il suo plateale arresto, a dare impulso alla raccolta di firme per il referendum abrogativo delle norme del Codice Rocco sulla «integrità della stirpe» promosso dai radicali.
Oggi ben poche donne, anche tra quelle che si professano femministe o transfemministe, sanno chi era Adele Faccio, sanno delle migliaia di autodenunce raccolte dal Mld, dei digiuni di Pannella ma anche nostri; io ho digiunato 15 giorni per un obiettivo tipicamente radicale, poi raggiunto, cioè la fissazione dei tempi di discussione della legge sull'aborto in commissione. Parlavamo di diritto? Sì, lo facevamo. In realtà erano i radicali a farlo, a differenza delle femministe storiche, e spesso erano accusati di tradire lo slogan femminista («nessuna legge sul nostro corpo») chiedendo, appunto, una legge. L'articolo di Lipperini mi invita a «dire la verità sull'aborto».
Ma delle battaglie di quegli anni nessuno ha più memoria, e se oggi si parla di aborto è solo per usarlo come arma contundente e impropria contro un governo che non è di sinistra e non è nemmeno tecnico (un peccato assai grave), e bisogna agitare lo spauracchio dell'attacco ai diritti delle donne. Che questa maggioranza sia stata votata dagli italiani ha poca importanza, così come non importa che il governo sia guidato da una donna, un fatto rivoluzionario nella storia, molto maschilista, della politica italiana.
La verità è complessa, non si può ridurre a slogan, e nemmeno a semplificazioni del tipo «ha cambiato idea», o peggio, «ha rinnegato il suo passato». Non ho rinnegato proprio nulla. Anche allora l'aborto non era la nostra massima aspirazione, ma un male necessario, per non essere schiacciate in un ruolo che chiudeva le donne in una gabbia di oppressione e subalternità. Al di là del clima gioioso che c'è sempre nelle manifestazioni, l'aborto non era vissuto come una rivendicazione orgogliosa, piuttosto come una disperata via di fuga, non un diritto, ma un potere iscritto nel corpo.
Non è al Mld che ho imparato che l'aborto non è un diritto, ma attraverso il femminismo della differenza. Leggendo per esempio una leader carismatica come Carla Lonzi, che scriveva «L'uomo ha lasciato la donna sola di fronte a una legge che le impedisce di abortire: sola, denigrata, indegna della collettività. Domani finirà per lasciarla sola di fronte a una legge che non le impedirà di abortire». Di citazioni potrei farne tante, ma non è questo il punto.
Il punto è: si può aprire una riflessione sulla rivoluzione antropologica, su quali siano le forme del nuovo patriarcato, su quali siano oggi gli obiettivi delle donne, senza trincerarsi dietro logiche di schieramento e accuse strumentali, false e a volte offensive? Lipperini parla anche del Fuori, una delle prime associazioni gay, ma non spiega che se allora avessi ragionato di matrimonio omosessuale con loro mi avrebbero riso in faccia, accusandomi di voler normalizzare e irreggimentare la libertà sessuale, e avrebbero rilanciato scagliandosi contro il matrimonio eterosessuale, il «pezzo di carta».
Tutto è cambiato, la sinistra sostiene il liberismo procreativo, il nuovo fiorente mercato del corpo, fatto di contratti, compravendite, affitti di parti del corpo femminile; le femministe che ritengono che la fonte dell'esclusione delle donne sia il corpo sessuato sono definite con disprezzo Terf, e non c'è spazio per un pensiero irregolare.
Giorgia Meloni ha ripetuto fino alla nausea che non vuole cambiare la legge sull'aborto, e io non solo non ho nessuna volontà di farlo, ma non ne avrei nemmeno il potere, visto che dell'applicazione della legge 194 si occupa il ministero della Salute insieme alle Regioni. La mia storia è insolita, e sulla mia famiglia, anomala e scombinata, ho scritto un libro che uscirà nei primi mesi dell'anno prossimo.
Se davvero a qualcuno importa conoscere la verità sull'aborto che Lipperini chiede, e anche cosa ha voluto dire vivere dentro una famiglia radicale, dentro il piccolo e straordinario mondo pannelliano, potrà farlo. Ma non mi sembra ci sia in circolazione molta reale curiosità per chi la pensa diversamente, e dietro tutta la retorica della diversità temo si nasconda solo la voglia di rimanere ben chiusi nelle proprie certezze.
Loredana Lipperini per “La Stampa” il 24 ottobre 2022.
Il libro si intitola “Aborto, facciamolo da noi”, edizioni Roberto Napoleone, l’anno di uscita è il 1975, il prezzo, 1500 lire. In copertina, su sfondo rosso, due mani di donna unite e aperte nel gesto femminista. Non ci sono autori, se non le due sigle di Cisa (Centro Informazione Sterilizzazione e Aborto) e Mld (Movimento di Liberazione della Donna). C’è una prefatrice, Adele Faccio, e, infine, c’è una curatrice, Eugenia Roccella, attuale ministra per la Famiglia, Natalità e Pari opportunità.
Sono andata a ricercare il libro nei piani alti della libreria: sapevo di averlo perché le ragazze della mia generazione lo avevano quasi tutte, e perché parlava di anticoncezionali, di visite ginecologiche, della conoscenza di quei nostri corpi su cui, con grande sorpresa, potevamo esercitare una libertà impensata fino a quel momento.
Quel libro era anche un gesto di militanza: nella seconda parte, le militanti del Cisa illustrano come si esegue un’interruzione di gravidanza con il metodo Karman, ovvero non con raschiamento ma con aspirazione, pratica che limitava enormemente le complicazioni nei tempi in cui l’aborto era illegale, e si finiva in assai loschi studi medici a rischiare la perforazione dell’utero e a inzuppare la camicetta di sudore e dolore, visto che non si praticava anestesia.
Quel libro era dunque un libro politico: non un invito al lato oscuro del materno, come dice oggi la ministra, ma semmai il tentativo di salvare le vite delle donne che ogni martedì e giovedì alle 17 affollavano le scale di via di Torre Argentina 18, la sede del Partito radicale dove il Cisa teneva le riunioni riservando ai casi più complessi il volo charter per Londra e distribuendo fra le case delle militanti gli interventi con il Karman.
Quelle donne in lacrime che imploravano aiuto al telefono chiedevano di non morire. Ed Eugenia Roccella questo scriveva nella prefazione: di sentirsi, come femminista, sorella di «Petruzza Lo Prete, immigrata di Genova, morta perché si è infilata un ferro nell’utero nel tentativo di evitare una gravidanza non voluta». La sua lunga dedica, peraltro, include, oltre a Petruzza, Rosalba Morandi, Antonina Vitale, Elena Lauria e «tutte le donne morte per aborto clandestino». Subito sotto, Roccella estende la dedica «a Paolo VI, Fanfani, la Dc, tutti coloro che sono contro l’aborto libero, gratuito, assistito per l’aborto clandestino, di massa e di classe, magari in nome del “principio della vita” perché ci pensino su».
Oggi che entrambe abbiamo scavallato i sessant’anni, mi chiedo quanto lei ci abbia pensato su. L’ho conosciuta nel 1976, appena arrivata al Partito radicale. La chiamavamo tutti Jenny. Era la figlia di Franco, cofondatore del partito, ma era soprattutto una ragazza compunta, precisa, abilissima nello scegliere le parole giuste, non un eccesso o una trasandatezza nel vestire, una determinazione lucida in ogni intervento come segretaria del Movimento di Liberazione della Donna.
Prima dell’occupazione dello stabile di via del Governo Vecchio, la sede Mld era appunto in via di Torre Argentina: per l’esattezza era nel piccolo corridoio che si apriva davanti all’ascensore interno, accanto alla stanza della Lega Obiettori di Coscienza e, a futura ironia, a quella del Fuori (Fronte Unitario Omosessuale Rivoluzionario Italiano). Molti anni dopo, Roccella avrebbe parlato in più occasioni dei suoi ex vicini di corridoio come di “lobby gay”.
Ora, non è che non si possa cambiare, figurarsi: la vita riserva a tutti la possibilità di capriolare, e di diventare la stessa persona che a vent’anni si è combattuta con tutte le proprie forze. Succede, e del resto una piccola parte dei vecchi femminismi, quella che troppo spesso ha confuso sorellanza con posizioni di potere, non ha aiutato a rendere limpide le acque. Però, quel che si auspicherebbe è l’onestà. Non molto tempo fa Roccella ha detto: «Le femministe non hanno mai considerato l’aborto un diritto». Sì, invece. E anche lei. Pagina 18 della sua introduzione: «A difendere il diritto all’aborto dobbiamo essere proprio noi femministe». Per Petruzza Lo Prete, e per tutte le altre di ogni tempo e luogo.
Spezia, la messa in un asilo per commemorare "le vittime dell'aborto": polemiche in paese contro il prete. Chiara Tenca su La Repubblica il 4 Novembre 2022
Don Tomaso Fasoli direttore scolastico diocesano e parroco della chiesa di San Bartolomeo a Santo Stefano Magra
La segnalazione le è arrivata da alcuni concittadini indignati. Poi la consigliera del Comune di Santo Stefano Magra Eva Battistini (Rifondazione Comunista), ha condannato a sua volta l'evento sulla propria pagina Facebook e ora annuncia iniziative anche a livello istituzionale.
La denuncia riguarda l’iniziativa del parroco di Ponzano Magra don Tommaso Fasoli: una messa in suffragio delle "vittime dell'aborto", in programma l’8 novembre, inserita nella commemorazione dei defunti.
Se il feto diventa un numero. "Le parole sono importanti, chi parla male pensa male". Nei giorni scorsi il Comune di Roma a guida Pd ha modificato il regolamento cimiteriale sui feti. Felice Manti il 5 Novembre 2022 su Il Giornale.
«Le parole sono importanti, chi parla male pensa male». Nei giorni scorsi il Comune di Roma a guida Pd ha modificato il regolamento cimiteriale sui feti. Non saranno più sepolti con il nome della madre, ma avranno un numero. «In materia di prodotti abortivi la norma prevede esplicitamente il necessario consenso della donna e una procedura di seppellimento che garantisca la tutela della riservatezza e della dignità personale», gongolano i Radicali in Campidoglio. L'aborto è una sconfitta per tutti: per le donne in primis, a volte lasciate troppo sole a decidere se trasformare il loro dono in una maledizione anche per colpa di una legge vecchia e fuori dalla Storia - la 194 - che il centrodestra si ostina a non voler modificare, sebbene i presupposti da cui nasceva (la tutela della maternità) siano stati sostanzialmente stravolti da una consuetudine che l'ha resa un orribile metodo contraccettivo. Ora che la pillola abortiva RU486 è stata introdotta come farmaco quasi da banco, i numeri degli aborti ospedalieri saranno destinati a crollare. Numeri, per l'appunto. Non nomi. «Prodotti abortivi», non feti, non cellule viventi strappate alla vita, non esseri umani in potenza che non vedranno mai la luce. Se la parola «Natalità» piazzata in una targhetta ministeriale ha fatto inorridire i soliti benpensanti, chi ha partorito il termine «prodotto abortivo» e l'idea che un numero possa seppellire un dolore e cancellare una sofferenza dovrebbe rileggersi un libro. Basta il titolo: Se questo è un uomo.
A Savigliano commemorati i «bambini abortiti»: è polemica. Simona De Ciero su Il Corriere della Sera l'1 Novembre 2022.
La Rete più di 194 Voci: «Ennesimo attacco ai nostri diritti»
Diritto all’aborto e polemiche. Fa discutere l’iniziativa promossa oggi, martedì 1 novembre, a Savigliano dove sono stati commemorati «i bambini morti per cause naturali e quelli che sono stati vittima d’interruzione volontaria di gravidanza, delle tecniche di fecondazione artificiale, dei contraccettivi abortivi e dell’aborto chimico con RU486». È quanto recita il volantino che ha promosso la commemorazione firmato dall’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, dal Centro Aiuto alla Vita e dalle parrocchie saviglianesi e che ha fatto andare su tutte le furie le associazioni pro-choice.
«L’ennesimo attacco dei movimenti reazionari antiabortisti, cristiani di estrema destra - sulla scia della Polonia, degli Stati Uniti e di alcune regioni italiane - ai nostri diritti, alla libertà e all’autodeterminazione, in linea con gli ultimi provvedimenti regionali» commenta Elena Petrosino della Rete più di 194 Voci, riferendosi al fondo «vita nascente» ratificato poche settimane fa a favore delle donne piemontesi incinta che, in un primo momento decise ad abortire, cambieranno idea portando avanti la gravidanza.
Aborto, la costituzionalista: «Il ddl Gasparri vuole creare un cittadino-feto. E sarebbe il caos». «I regimi fascisti appena prendono il potere intervengono contro l’interruzione di gravidanza». La docente di diritto Marilisa D’Amico commenta il disegno del senatore di FI sulla capacità giuridica del concepito: «Avrebbe dunque diritti propri?» Simone Alliva su L'Espresso il 20 Ottobre 2022
Sono andate in frantumi le promesse di Giorgia Meloni che stanca delle «insinuazioni» aveva rassicurato per tutta la campagna elettorale: «Non toccheremo la legge 194 sull’aborto». Il merito va al senatore di Forza Italia, Maurizio Gasparri, fama di politico esperto, conquistata per accumulo - è in politica da trent’anni- che lo scorso 13 ottobre ha depositato un disegno di legge che propone di modificare l'articolo 1 del Codice Civile, quello che prevede il riconoscimento dell'acquisizione della capacità giuridica "dal momento della nascita».
Secondo l'opposizione, si metterebbe in discussione la ratio alla base della legge 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza. Insorge il Pd, che parla di una iniziativa «inaudita». Ma anche Sinistra e M5s si schierano contro il testo a prima firma dell'azzurro. Gasparri si difende e spiega di non voler entrare nella polemica, «i punti di vista diversi sono tutti legittimi» E ricorda che il ddl non è una novità «Lo presento da tempo all'inizio di tutte le legislature, è un impegno morale che avevo preso con Carlo Casini del Movimento per la vita, che fu a lungo deputato Dc e che è scomparso alcuni anni fa. Mi farebbe piacere una discussione serena su questi temi». Di sereno però c’è poco.
«Un caos» spiega a L’Espresso Marilisa D’Amico, Professoressa ordinaria di Diritto costituzionale e prorettrice con delega a Legalità, Trasparenza, e Parità di diritti all’Università di Milano. «A colpi di cavilli e pretesti possono sempre essere create nuove difficoltà».
Professoressa cosa pensa del discusso disegno di legge Gasparri sui diritti del concepito?
«Incidere sull’articolo 1 del Codice civile vuol dire creare, di fatto, un cittadino-feto con i diritti che discendono dalla capacità giuridica. Diritti di qualsiasi tipo. La finalità di questa legge e la storia che si trascina dietro è quella di impattare sulla 194 e vietare l’aborto. Un ritorno a una disciplina repressiva».
Facciamo un'ipotesi, entriamo nel mondo Gasparri: la legge viene approvata grazie a questa maggioranza. Quali saranno gli effetti reali sul corpo delle donne?
«Se si acquista capacità giuridica già al momento del concepimento è un caos. Il cittadino-feto avrebbe diritti propri (e chi lo rappresenterebbe?), in ipotesi anche contro la madre. Erediterebbe? Avrebbe parenti a cui lasciare l’eredità di un eventuale patrimonio, in caso di aborto? E così via».
Difficile dunque immaginare gli esiti. Secondo lei la legge 194 è in pericolo?
«La legge 194 è una legge ordinaria a contenuto costituzionalmente vincolato. La Corte costituzionale con la sentenza 35 del 1997 ha dichiarato non è possibile abrogarla, non può essere modificata con una legge ordinaria, non la si può cambiare mettendo in discussione i principi su cui si basa».
Non c’è da preoccuparsi quindi?
«Ci si deve preoccupare invece. È sicuramente il tentativo di attaccare un istituto simbolo. Lo vediamo nella storia. Pensiamo a quella romana: è sotto l’impero di Augusto che troviamo leggi che vietano l’aborto e storie di aborti clandestini chiesti da donne che controllavano la natalità, il tentativo era quello di un controllo - ideologico per sottomettere le donne. I regimi fascisti appena prendono il potere intervengono contro l’aborto. Guardiamo alla Polonia dove si può abortire solo in caso di incesto, ma è vietato in caso di stupro. In Italia abbiamo una giurisprudenza salda ma il tentativo di stravolgerla è sempre dietro l’angolo».
Il fenomeno di obiezione di coscienza in Italia rende già molto difficile l’aborto. È preoccupata delle iniziative di questo governo su questo fronte?
«C’è da stare attentissimi. L’obiezione di coscienza è stata usata per sabotare l’aborto, non per tutelare chi ha un’etica particolare. A colpi di cavilli e pretesti possono sempre essere create nuove difficoltà. Non dobbiamo dimenticare che l’Italia ha ben due condanne del comitato europeo dei diritti sociali per il modo in cui l'art. 9 della 194 viene utilizzato».
Aborto, il ddl di Gasparri riaccende lo scontro con la sinistra. Il senatore di Forza Italia, come fa ad ogni inizio di nuova legislatura, presenta una proposta di legge per riconoscere la capacità giuridica del concepito. La sinistra si infuria e alza le barricate. Orlando Sacchelli il 18 ottobre 2022 su Il Giornale.
Il senatore Maurizio Gasparri (Forza Italia) presenta una proposta di legge sull'aborto, come fa da anni all'inizio di ogni nuova legislatura, ma la mossa non piace alla sinistra, che grida allo scandalo e protesta contro il presunto "oscurantismo" del centrodestra.
"Il disegno di legge sui 'diritti del concepito' lo presento da tempo all’inizio di tutte le legislature - spiega Gasparri - è un impegno morale che avevo preso con Carlo Casini del Movimento per la vita, che fu a lungo deputato Dc e che è scomparso alcuni anni fa. Mi farebbe piacere una discussione serena su questi temi. Che avesse almeno come obiettivo la applicazione delle intera legge 194, che non va abolita, ma che andrebbe rispettata in tutte le sue norme. Parlare della vita sarà lecito o no? Ripresento sempre questa proposta sperando che prima o poi si possa discutere con serenità di questi temi. Nessuna imposizione ma nessuna fuga davanti a questioni di cui comprendo la rilevanza, la delicatezza e la complessità. La mia speranza è che almeno, come hanno detto più volte Meloni, Tajani, Salvini, si arrivi alla piena e non parziale applicazione della 194".
Ad aprire il fuoco contro la proposta è la capogruppo del Pd al Senato, Simona Malpezzi: "In Senato FI ripresenta il ddl per modificare l’art 1 del codice civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica del nascituro. Questa è la destra che ha a cuore la libertà delle donne, la destra che dice che non toccherà la 194. Inaudito".
Sulla stessa linea Valeria Valente (Pd). "Il disegno di legge del senatore Gasparri per il riconoscimento della capacità giuridica al concepito - spiega - ha un solo scopo: minare alla radice la legge 194/78 sull’interruzione volontaria di gravidanza. Si svelano dunque le promesse da mercante di Giorgia Meloni. Non serve abrogare o modificare la legge sull’aborto, basta approvare il disegno di legge di Fi e riconoscere il diritto alla vita del nascituro per vietare nei fatti la possibilità di abortire. Il contenuto di questo ddl è gravissimo e rivela una volta per tutte, purtroppo per noi, la visione della destra della maternità e della libertà e dei diritti delle donne".
Rincara la dose Chiara Appendino, deputata del Movimento 5 Stelle. "Non si è ancora insediato il governo e Gasparri ha già depositato una proposta di legge contro l'aborto - scrive su facebbok l'ex sindaco di Torino -. In campagna elettorale giocavano con le parole, ora scherzano con il fuoco. Non sarà la politica ad opporsi a questi passi indietro ma l'Italia".
Carlo Calenda, leader di Azione, allarga il discorso citando vari esempi che, a suo dire, evidenziano la crisi del centrodestra. "Oggi: 1) La Russa ha rivendicato i busti di Mussolini; 2) Fontana si è espresso contro le sanzioni; 3) Berlusconi ha riallacciato i rapporti con Putin; 4) Gasparri contro il diritto all'aborto. Così questa coalizione non regge sei settimane altro che sei mesi. Aridatece Draghi".
''Come era quella che 'la destra non vuole cambiare la legge sull'aborto'? - si chiede con sarcasmo Alessia Morani, componente della direzione del Pd -. Basta il Ddl Gasparri depositato il 13 ottobre che vuole modificare l'art. 1 del codice civile. Se si riconosce la capacità giuridica dal momento del concepimento il feto ha gli stessi diritti della madre. Serve altro?".
"Come previsto, la prima mossa della destra in questa nuova legislatura è mettere i diritti delle donne nel mirino", punta il dito Riccardo Magi, deputato e presidente di +Europa. "La proposta di legge depositata al senato da Gasparri contro l’aborto rappresenta solo il primo tentativo di abbattere le conquiste di questi anni. Come +Europa ci opporremo dentro e fuori il parlamento, a difesa di tutte e di tutti".
Come si vede la polemica è già alle stelle, e non sono passati che pochi giorni dall'inizio dei lavori della nuova legislatura. Eppure che i rappresentanti dei cittadini tornino a discutere anche su temi come l'aborto, che dividono le coscienze, è il sale della democrazia. Non vi possono essere temi tabù o totem intoccabili.
Legge sull’aborto: quali sono i limiti e le ambiguità della 194. Filomena Gallo, Anna Pompili su Il Riformista il 13 Ottobre 2022.
Nell’ultima campagna elettorale è stata molto enfatizzata la contrapposizione tra diritto all’aborto e diritto a non abortire. Essendo assolutamente inutile disquisire sulla risibilità del secondo, vorremmo però soffermarci sul primo, che, come l’altro, nel nostro Paese semplicemente non esiste. In Italia, infatti, l’aborto, lungi dall’essere un diritto, è ancora un reato, punito, al di fuori dei casi previsti dalla legge 194 del 1978, a norma dell’art. 19 della stessa legge.
La legge 194 nasce per arginare la piaga degli aborti clandestini e tutela esclusivamente il diritto alla salute fisica e psichica della donna, ma non lascia spazio all’autodeterminazione; anzi, in alcuni punti il dettato della legge suona persino lesivo per la dignità delle donne, come, ad esempio, quando si impone che la richiesta della donna sia avvalorata da un documento redatto da un medico, o quando si impone il periodo di riflessione di 7 giorni. Sin dalla sua approvazione, la legge è stata fortemente attaccata, sia cercando di sfruttare alcune sue ambiguità, sia giocando sulla sua applicazione: come denunciato da “Mai dati”, la ricerca condotta da Chiara Lalli e Sonia Montegiove, in molte parti del nostro Paese la legge è ancora mal applicata, o addirittura inapplicata, con una geopardizzazione di quel diritto alla salute che la legge dovrebbe tutelare. Si inseriscono in questa deliberata azione di boicottaggio l’uso strumentale dell’obiezione di coscienza e l’ostilità ad aprire alla metodica farmacologica, in aperta violazione dell’art. 15 della legge.
Alla vigilia del suo XIX congresso dal titolo “Per la vita della democrazia, delle libertà, del diritto, della scienza, delle persone” che si terrà da oggi al 16 ottobre a Modena con possibilità di seguire anche online, l’Associazione Luca Coscioni rinnova il suo impegno per la piena applicazione della legge 194 del 1978. Tuttavia, nel tempo ci si è resi conto che in alcune sue parti la stessa norma mostra criticità importanti, che minano lo stesso diritto alla salute. Ci riferiamo in particolare agli articoli che fissano al novantesimo giorno di amenorrea il limite per l’aborto volontario. Questo limite è stato fissato arbitrariamente, senza alcun riferimento allo sviluppo embriologico.
Eppure, già l’Abortion Act inglese nel 1967, e successivamente la Sentenza Roe vs Wade della Corte suprema americana, nel 1973, facevano riferimento al raggiungimento della “viability”, ossia della possibilità per il feto di vivere al di fuori dell’utero. Secondo la legge 194, entro i primi 90 giorni la valutazione dei rischi per la salute e, nei fatti, la decisione sull’aborto, spetta solo alla donna; dopo questo limite, la valutazione e la decisione spettano invece esclusivamente al medico. Sebbene oggi in Italia la stragrande maggioranza degli aborti volontari sia eseguita entro la decima settimana di gravidanza, una piccola percentuale di donne, arrivano a chiedere l’interruzione volontaria di gravidanza quando questo limite è ormai superato, e non resta loro alcuna alternativa per l’aborto se non quella di recarsi all’estero.
Lo “studio Turnaway” ha chiaramente dimostrato le gravi conseguenze, non solo per la salute, ma anche per gli eventuali altri figli e per le famiglie, degli aborti negati, che costringono le donne a portare avanti gravidanze non volute. Sulla base di queste osservazioni, molti paesi hanno successivamente esteso i limiti per l’aborto volontario: la Francia, ad esempio, è passata dalla dodicesima alla quattordicesima e, nel 2022, alla sedicesima settimana. Dopo il novantesimo giorno, l’aborto è ammesso in situazioni -ad esempio in presenza di patologie fetali- che comportino un grave rischio per la salute fisica o psichica della donna; una volta raggiunta la viability, attorno alla ventiduesima settimana, la legge prevede che il medico che esegue l’aborto debba fare di tutto per “salvaguardare la vita del feto”.
Non potendo preventivamente praticare un feticidio, anche se raccomandato dalle principali società scientifiche internazionali, in Italia nessuno esegue l’aborto “terapeutico” oltre la ventiduesima settimana, per non rischiare di dover rianimare un feto gravemente malato che dovesse nascere vivo. Per le donne che ricevano una diagnosi tardiva di grave patologia fetale e che decidessero di interrompere la gravidanza, dunque, non vi è alternativa che non sia quella di abortire all’estero. Vi è poi il grande problema dell’obiezione di coscienza, ammessa non solo per coloro che partecipano attivamente alla procedura, ma anche per altre figure professionali, compreso il “personale esercente le attività ausiliarie” che, in un’interpretazione restrittiva dell’articolo 9 della legge 194, può estendersi addirittura al personale amministrativo!
L’articolo 8 della legge, invece, stabilisce che l’aborto può essere eseguito solo da medici ginecologi del Servizio sanitario nazionale. Anche in questo caso, molti Paesi si sono mossi per estendere la possibilità di eseguirlo anche ai medici di famiglia e alle ostetriche: in Francia dal 2022 queste ultime possono eseguire, oltre alle interruzioni di gravidanza farmacologiche, anche le chirurgiche del primo trimestre. Solo qualche mese fa il presidente francese Emmanuel Macron ha aperto il semestre francese di presidenza dell’Unione europea chiedendo l’inserimento nella Carta dei principi fondamentali l’interruzione di gravidanza e l’ambiente: “Vent’anni dopo la proclamazione della nostra Carta dei diritti fondamentali desidero che possiamo aggiornarla, in particolare perché sia esplicita sulla protezione dell’ambiente o il riconoscimento del diritto all’aborto”.
Un messaggio chiaro in tema di diritti fondamentali. La paura di possibili peggioramenti ha sempre bloccato qualsiasi ipotesi di modifica del testo. Eppure, una legge che nega il diritto alla salute e che obbliga ad andare all’estero anche una sola donna non è una legge giusta: dal XIX congresso dell’Associazione Luca Coscioni prenderà le mosse un gruppo di lavoro che, oltre ad elaborare proposte di modifica della norma esistente, si occuperà della elaborazione di una proposta di legge alternativa alla 194. Una legge nuova, che possa finalmente intrecciare due diritti fondamentali, quello alla salute e quello all’autodeterminazione.
Filomena Gallo, Segretario Associazione Luca Coscioni
Anna Pompili, Ginecologa, consigliere generale Associazione Luca Coscioni e cofondatrice di AMICA (Associazione Medici Italiani Contraccezione e Aborto)
“La 194 non si tocca”. Uno slogan buono per ogni stagione. Dalla sinistra alla destra, cambiano le intenzioni ma il risultato non cambia: quelle della politica restano chiacchiere e distintivo. Per parlare della 194 bisogna leggerla e applicarla (fino in fondo). Chiara Lalli su Il Dubbio il 30 settembre 2022.
“La 194 non si tocca” è stato uno slogan della sinistra. Oggi è lo slogan della destra. (Sto semplificando sulla destra e sulla sinistra, ma ci siamo capiti e d’altra parte lo ha detto Giorgia Meloni e lo ha detto Mara Carfagna che nessuno vuole toccare la 194 – che espressione orrenda poi).
Forse le intenzioni sono diverse: nel primo caso quello che si voleva dire era che bisognava difendere l’aborto (chissà perché parlo al passato), nel secondo invece si vuole rinforzare la premessa della legge 194 a protezione della “vita nascente”. Forse sono solo chiacchiere e distintivo. Vedremo nei prossimi mesi, perché ha poco senso adesso urlare per l’ordine del giorno ligure come gravissimo attentato (ma chi se li fila gli ordini del giorno?) o perché Meloni ha vinto e siete sicuri di tutto quello che farà in futuro. Quello che possiamo dire è che molti di quelli che oggi sono venuti già scandalizzati non hanno fatto niente quando potevano. Che molti erano nelle piazze mercoledì scorso, perché era pure una bella giornata e sai che fatica farsi una passeggiata. E che nessuno sembra aver letto la legge 194, esempio perfetto di ambivalenza e di equilibrio su una fune che a forza di tirarla si strapperà – ma che è la legge che abbiamo e se ne volete parlare tocca leggerla.
E se già qualsiasi legge ha un margine di applicazione e di interpretazione, figuriamoci una legge che si intitola Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza. In ogni caso prendiamo sul serio che la 194 non si tocca e non si toccherà e vediamo che cosa significa. C’è almeno una regola in questo gioco: non possiamo prendere solo quello che ci fa comodo di una premessa. E allora bisognerà applicarla tutta e bene questa benedetta 194 e potremmo essere tutti d’accordo. Almeno su alcune cose, perché sebbene la legge 194 non sia una legge perfetta, se fosse applicata sarebbe meglio di come la disegnano.
L’articolo 5, prima di tutto. Non servono le associazioni confessionali, bastano i consultori e le strutture sanitarie. E se non bastano bisognerà rimediare a questa carenza senza bisogno di coinvolgere privati per aiutare la donna a “rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto”. Poi c’è però l’articolo 9 che dovrebbe essere letto, interpretato e applicato. Perché la legge è chiara sulla gerarchia tra obiezione dei medici e richiesta della donna e sui confini dell’esercizio della obiezione. E per capirlo si potrebbe anche rileggere la sentenza che ha preceduto la legge: “non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare”.
Può essere anche utile ricordare che il reato del vecchio codice penale si fondava sulla difesa della stirpe e che l’unica alternativa – dopo aver rimosso gli ostacoli, aver parlato, provato a convincere, discusso – al lasciare alla donna la possibilità di scegliere è obbligarla a portare avanti la gravidanza. Lo cantavano alcuni durante le Marce per la vita: obbligo di gestazione e galera per chi abortisce. Forse sono ottimista ma non mi pare una via percorribile. (Vi prego, un’altra immagine dell’ancella di Gilead e mi metto a piangere.)
Se poi invece è tutto solo posizionamento – i buoni contro i cattivi, le eterne scuole medie, l’insofferenza dei giusti che ti fa rispondere a una ragazzina “eh ma allora fatti difendere da quegli altri”, Giorgia cattiva cattiva e colpevole dell’imminente peggiore dei mondi riproduttivi possibili anche per coprire le proprie manchevolezze, la distrazione, la rivisitazione di quel passato di procrastinazione e di disinteresse di chi oggi è “in prima fila” – se è solo questo, allora resteranno solo quegli slogan inutili e vuoti e che ognuno riempirà di quello che vuole. In una eterna conversazione tra sordi e offesi.
Laura non c’era. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 30 settembre 2022.
Il prossimo segretario del Pd farà bene a guardare tutti i giorni, prima e dopo i pasti, il video delle giovani di sinistra che esortano Laura Boldrini a lasciare la piazza in cui si manifestava a difesa del diritto all'aborto. «Lei non dovrebbe stare qui. Avete messo la pillola abortiva a pagamento» accusa una delle ragazze. «Il problema della pillola è la distribuzione» spiega Boldrini, professorale. «Lo vada a dire ai poveri e ai precari che il problema è la distribuzione!» insiste l'altra. A quel punto Boldrini potrebbe compiere un gesto rivoluzionario e riconoscere la realtà: «Non abbiamo capito che certi diritti stavano diventando un lusso per benestanti e che una sinistra che parla solo di diritti civili e mai di sostegno materiale ai poveri non è di sinistra. Ti chiedo scusa». Arresterebbe la deriva, forse. Invece sale in cattedra per impartire la lezioncina sull'unità delle donne, che la ragazza le ritorce contro: «Sa perché non siamo unite, signora? A lei di chi sta nelle case popolari non frega niente, a me sì». Boldrini potrebbe ancora riscattarsi dicendole: «Da domani trasferirò l'ufficio a Tor Pignattara e chiederò al mio partito di moltiplicare le sezioni nelle periferie». Invece estrae dalla borsa il cliché terrazzato del Babau Nero con cui da trent'anni la sinistra giustifica il proprio lassismo: «Allora fatevi difendere il diritto all'aborto da Fratelli d'Italia!». Poi si allontana dalle contestatrici, applaudendole sarcastica e un po' schifata. Temo, ricambiata. Flavia Amabile,
Simona Buscaglia per “la Stampa” il 29 settembre 2022.
Migliaia di donne sono scese in più di cinquanta piazze italiane per difendere la legge 194, a tre giorni dalle elezioni che hanno consegnato l'Italia nelle mani del centrodestra e per avvertire Giorgia Meloni: il diritto all'aborto non si tocca. Ieri era la Giornata Internazionale dell'aborto sicuro, ma soprattutto era il giorno successivo alla decisione del gruppo di FdI nel Consiglio Regionale della Liguria di astenersi durante la votazione di un ordine del giorno sul «diritto delle donne di scegliere l'interruzione volontaria di gravidanza». Una decisione che per chi si schiera a favore della 194 e del diritto delle donne di scegliere rappresenta un chiaro segnale di quello che potrà accadere d'ora in poi. Riempire le piazze è stata la risposta, anche se la leader di Fratelli d'Italia Giorgia Meloni non ha ancora ricevuto l'incarico di formare un governo.
I presidi e le mobilitazioni si sono svolti in quasi tutte le regioni. A Milano, Roma, Bologna, Cagliari, Brescia, Palermo, Catania, Firenze, Verona, Genova, Reggio Calabria, Modena, Napoli, Catania, Torino - e per la prima volta anche in Molise - le militanti di «Non Una di Meno» e le migliaia di persone che si sono unite alla loro protesta hanno rivendicato il diritto a un aborto «libero, sicuro e gratuito». I manifestanti hanno ricordato che dall'inizio dell'anno sono «73 le vittime della violenza di genere» e denunciato il pericolo rappresentato dalla vittoria di Giorgia Meloni e di una destra «razzista e antiabortista».
Nessun orgoglio, nessun entusiasmo per la possibilità che l'Italia abbia per la prima volta una presidente del Consiglio. «Non è una vittoria delle donne», dicono le militanti di Non una di meno, visto che «vuole garantire il diritto a "non abortire", cancellare i diritti delle persone transgender e l'educazione alle differenze». Come spiega Valeria Valente, presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sul femminicidio, «Giorgia Meloni deve sapere che le donne non le consentiranno di fare passi indietro sui diritti».
«Ma quale Stato, ma quale Dio, sul mio corpo decido io», è scritto su uno dei tanti cartelli presenti alla manifestazione a Milano. Il corteo è partito davanti a Palazzo Pirelli, sede del consiglio regionale lombardo: «Partiamo da qui non a caso, siamo sotto una Regione che dovrebbe tutelare il nostro diritto alla salute, con consultori laici e pubblici dove nessuno viene discriminato o si imbatte in obiettori che ti dicono cosa fare del tuo corpo, ma spesso non è così, qui come altrove.
Vogliamo gli obiettori fuori dalle nostre mutande!». Si definiscono «furiose e preoccupate contro la deriva che potrebbe prendere il Paese guidato dal centrodestra, perché Meloni è espressione del peggior patriarcato». In circa un migliaio si sono ritrovati a Torino e centinaia a Roma. Ovunque striscioni, cori e slogan per difendere la 194 e contro Meloni.
A nulla serve la precisazione del coordinatore nazionale di Fratelli d'Italia Giovanni Donzelli che «in Liguria «non c'era la volontà di indebolire e eliminare la legge 194, ma di rafforzarla in tutte le sue parti».
Le polemiche investono anche il ministro della Salute Roberto Speranza. A un anno di distanza dalla prima richiesta, l'associazione Luca Coscioni ha rivolto un appello ad «aprire i dati sulla 194 per poter conoscere la reale applicazione della legge».
Valentina Ruggiu per repubblica.it il 29 settembre 2022.
"Vada via perché lei e il Pd non rappresentate le rivendicazioni di questa piazza". Così alcune manifestanti a Roma hanno contestato la onorevole Laura Boldrini arrivata all'Esquilino per unirsi alla manifestazione organizzata da Non una di meno per la Giornata mondiale dell'aborto libero, sicuro e gratuito. Un duro botta e risposta che è stato ripreso e condiviso sui social.
Nel filmato si vede la onorevole provare a replicare alle accuse delle manifestanti. "Ci sono donne che in Parlamento hanno lottato e l'hanno voluto l'aborto, quindi la lotta tra il Parlamento e il fuori non funziona. Dovremmo essere tutte unite", dice Boldrini.
"Sa perché non siamo unite?", risponde la manifestante, "perché a lei delle persone che stanno nelle case e nei quartieri popolari non gliene frega niente, invece a me sì e io li difendo. Beatrice Lorenzin (ex ministro della Salute ndr) ha reso la pillola anticoncezionale a pagamento. Lei mi dice che il problema non è quello ma è la distribuzione. Lo vada a dire ai giovani, ai precari a chi vive nei quartieri popolari. E non ha mi ha risposto sui tagli che sono stati fatti alla sanità, sui consultori che sono stati chiusi e su una legge che non viene applicata".
"Se devi fare questi show...a differenza degli altri io sono qui con voi", risponde Boldrini provando a placare la giovane. "Non è uno show, io la rispetto come persona ma non come istituzione. Ve ne dovete andare via perché voi non rappresentate le rivendicazioni di questa piazza. Le donne, le compagne, che sono venute qua a manifestare per l'aborto libero e gratuito non ce l'hanno anche per colpa sua. Il suo partito non ha difeso questo diritto. Se ne vada". "Allora ve lo difenderà Fratelli d'Italia", ha risposto seccata Boldrini prima di lasciare la piazza tra i cori delle manifestanti.
"I dirigenti del Pd vadano nelle periferie..." Il 'mea culpa' sui diritti sociali. Lo scontro tra le attiviste pro-aborto e la Boldrini riaccende lo scontro tra diritti sociali e diritti civili. Ora il Pd fa 'mea culpa'. Francesco Curridori il 29 Settembre 2022 su Il Giornale.
"I vostri principi e valori sono per i ricchi, perché noi nelle periferie non abbiamo servizi”. In questa frase, gridata in faccia a Laura Boldrini da un'attivista durante una manifestazione pro-aborto, si racchiude i motivi della sconfitta del Pd alle Politiche.
L'ex presidente della Camera è stata letteralmente mandata via dalla piazza perché ha commesso l'errore di fondo della sinistra italiana che mette sullo stesso piano i diritti civili e i diritti sociali. L'esito delle urne ha messo in evidenza che il M5S è cresciuto molto puntando sul reddito di cittadinanza e sul contrasto alla povertà, mentre il Pd che si è concentrato maggiormente sui diritti civili cresciuto è calato vistosamente dall'inizio della campagna elettorale. Dentro il Pd, però, è ancora presto per fare mea culpa. “I diritti sociali van tenuti insieme coi diritti civili”, ribadisce la deputata Chiara Gribaudo, parlando con ilGiornale.it. Gli fa eco il collega Andrea De Maria che, per sostenere la sua tesi, prende come esempio lo Ius Scholae “che riconosce un diritto di civiltà ed insieme promuove coesione sociale ed integrazione”. Secondo il parlamentare dem, insomma, non si può scegliere tra i due diritti perché “con la destra al governo saranno a rischio diritti consolidati e, con la flat tax, sarà colpita l'equità sociale”.
L'uscente Alessia Morani ritiene che le contestazioni alla Boldrini siano legittime “poiché siamo in democrazia”, ma proprio per questo motivo crede che “nessuno possa cacciare da una piazza chi manifesta per la difesa di un diritto”. Se, dunque, secondo la parlamentare uscente, sulla 194 è bene che la sinistra non si divida perché “l’avversario politico è da un’altra parte”, sulla recente campagna elettorale il Pd deve fare autocritica. È stata condotta “senza messaggi e proposte forti per dare soluzioni ai problemi delle persone che sono terrorizzate per il loro futuro”, dice la Morani spiegando che “non è tanto l’attenzione ai diritti civili che ci ha penalizzato ma la mancanza di proposte convincenti su economia e lavoro”. Ed è in questa mancanza che si è inserito il M5S difendendo strenuamente il reddito cittadinanza, mentre il Pd ha fatto una campagna elettorale “focalizzando l’attenzione sui motivi per cui gli italiani non avrebbero dovuto votare la destra piuttosto che sulle nostre proposte”, ammette la Morani. Che, poi, attacca i vertici del Pd: “Se alcuni nostri dirigenti politici andassero nelle periferie e nei quartieri popolari si accorgerebbero delle condizioni in cui vivono tantissime persone: immondizia sotto i palazzi, strade crivellate dalle buche, microcriminalità diffusa. Agli abitanti di quei quartieri devi risolvere i problemi che vivono ogni giorno”. Secondo la Morani, il Pd, anziché utilizzare le soluzioni “veloci, dirette e brutali” dovrebbe “realizzare politiche sociali per fare uscire gli abitanti di quei quartieri da degrado esistenziale, sociale e urbano”. Essendo venute a mancare queste risposte “non possiamo avere consenso da chi abita nelle periferie. Anzi, per loro, - ammette la deputata dem - in qualche caso siamo parte del problema”.
“Boldrini vattene”. Contestazione al sit-in sull'aborto: dem cacciata a male parole. Il Tempo il 29 settembre 2022
Brutta serata per Laura Boldrini, contestata pure dalle femministe. Ieri sera a Roma alla piazza convocata per ribadire la necessità del diritto all’aborto da ‘Non Una di Meno’, le studentesse hanno allontanato la deputata dem. «Vattene, non rappresenti le rivendicazioni di questa piazza» un passaggio del duro botta e risposta ieri in piazza Esquilino a Roma tra l'onorevole Pd e alcune manifestanti intervenute al sit in organizzato per la Giornata mondiale dell’aborto libero, sicuro e gratuito. La presenza della Boldrini non è piaciuta alle partecipanti, che l’hanno attaccata fino a costringerla ad allontanarsi dalla piazza.
Il casus belli è la pillola anticoncenzionale. Una manifestante, Giulia, chiede alla Boldrini: «Lei lo sa cosa fece la Lorenzin?». Si riferisce all’ex ministro della Salute che «rese la pillola anticoncezionale a pagamento Non lo sa?». Boldrini prova a difendersi: «Ma il problema non è questo...». «Ah, non è questo?», la incalza la ragazza. «Il problema è la distribuzione della pillola», ricorda Boldrini. «Lo vada a dire ai giovani, ai precari, a chi vive nei quartieri popolari», continua la femminista. «Capisco che sei arrabbiata...», prova a placarla la deputata ma è una missione impossibile: «Chi rappresenta, lei?», chiedono alla deputata. Boldrini abbozza una risposta: «Rappresento i principi e i valori». «Si vede che non li rispetta, mi dispiace tanto». «Andatevene subito, non rappresentate le rivendicazioni di questa piazza, non accettiamo la presenza di chi rappresenta il simbolo di una politica guerrafondaia come quella del Partito Democratico», urla una seconda manifestante.
Boldrini prova a far valere le sue ragioni: «Il diritto all’aborto ce l’avete, ci sono donne in parlamento che hanno combattuto per questo. La rottura tra dentro e fuori non funziona, dovremmo essere unite». Torna alla carica la prima ragazza. «Lo sa perché non siamo unite? Perché a lei delle persone nelle case popolari non gliene frega niente. Io quelle persone invece le difendo. Sui tagli non mi ha risposto, sui consultori chiusi nemmeno. Non se nemmeno dell’esistenza della legge 405, che non viene applicata. A voi non ve ne fotte un cazzo». Boldrini si spazientisce: «Se devi fare questi show...». «Non è uno show», aggiunge la ragazza. E Boldrini: «A me questo sembra un atteggiamento assurdo, bisogna parlare con rispetto». C’è chi precisa il tenore delle critiche: «La stiamo criticando politicamente, non personalmente. Non rispettiamo ciò che lei rappresenta». Boldrini prova un’ultima difesa: «Ma se siamo l’unico partito che difende questa legge...». «A noi non è sembrato», replicano ancora. «E allora ve la difenderà Fratelli d’Italia», conclude la deputata Pd con un applauso ironico alle sue contestatrici, prima di voltare le spalle e allontanarsi dalla discussione. È a quel punto che le manifestanti la cacciano, al grido di «Via, via, via!». «Vada a raccontarlo da un’altra parte che lei è un’alternativa», aggiunge qualcun’altra. L’onorevole è stata respinta con perdite.
Monologo dentro la vagina. Le contestatrici esagitate di Boldrini, lo sciocco legislatore e il mio caro, carissimo, Nuvaring. Guia Soncini su L'Inkiesta il 30 Settembre 2022.
Le adolescenti che protestano in piazza contro chi ha reso a pagamento la pillola anticoncezionale non sanno che non è mai stata gratis né quanto sia difficile acquistare una confezione da tre anelli di silicone
Mentre cominciavo a scrivere questo articolo, nella mia carrozza del treno due ragazzine che avranno avuto sedici anni, o poco più o poco meno, ridevano istericamente. Oltre a una beauté de l’âge, ne esiste anche una specifica sovreccitazione, e quella delle passeggere non era dissimile da quella del video meno sorprendente che si veda da ieri sui social.
Nel video romano, altre ragazzine – più di malumore ma altrettanto esagitate – aggrediscono Laura Boldrini, nel loro universo corresponsabile di non concedere alle cittadine italiane l’aborto gratuito e la pillola pure.
Qualunque adulta sorride, perché la prescrittiva gratuità dell’aborto è il problema della 194 da cui discendono tutti gli altri. Se a chi se lo può permettere fosse consentito andare ad abortire in clinica, i medici obiettori nella sanità pubblica peserebbero meno sull’efficienza del servizio. Ma la 194 è una legge beghina che permette ai medici di obiettare alle loro mansioni, e vieta alle pazienti di pagare per disfarsi d’una gravidanza indesiderata.
Alla Boldrini – a qualunque politica di sinistra di lungo corso, e dico «politica» per assecondare lo sciocco identitarismo per cui, per legiferare sui raschiamenti, occorre avere un utero – si potrebbe semmai rinfacciare di non aver demolito e riscritto la 194 quando sono state al governo. Ma per sapere cosa rinfacciarle devi conoscere il mondo, e le sedicenni sono convinte il mondo sia cominciato quando loro si sono aperte un TikTok.
Sì, lo so che chiunque si affacci sui social vede trentacinquenni certissimi che queste siano state le prime elezioni in cui i fuorisede non potevano votare, ma quella è patologia. Il non sapere un cazzo delle sedicenni è invece fisiologico: sono nate ieri, cosa volete che sappiano.
Ognuno conosce solo la propria esperienza, io che pure di anni ne ho cinquanta sono qui che mi chiedo di cosa parlino quando rimproverano la Boldrini di non essersi opposta a chi ha reso a pagamento la pillola: ho preso la pillola dal 1986 a una decina d’anni fa e l’ho sempre pagata, se era gratuita devono rimborsarmi un sacco di soldi.
Al cui proposito, lasciate che vi parli del contenuto delle mie mutande. Ho smesso di prendere la pillola perché a salvarmi dall’endometriosi è arrivato un sostituto per l’inventore del quale vorrei non solo il Nobel per la medicina ma anche quello per la Pace.
Il Nuvaring è un anello di silicone che t’infili nelle innominabilità (suona scomodissimo; non lo è) per ventuno giorni al mese, lo stesso ciclo della pillola anticoncezionale, e ha fatto per la qualità della mia vita miracoli che nessun oggetto o essere vivente avevano compiuto mai.
Perché ve ne parlo? Mi sono forse messa a piazzare anticoncezionali come la Ferragni piazza tortelli? No, è che il Nuvaring è venduto in due tipi di confezioni. Quella da uno costa diciannove euro e quarantacinque. Quella da tre ne costa quarantotto.
Se siete disorganizzate come me, comprerete quella da tre per evitare di ritrovarvi ogni mese senza proprio nel giorno in cui dovete infilarlo, non essendovi ricordate di comprarne uno nuovo per tempo. Ma, nel comprare quella da tre, risparmiate anche qualche decina di euro l’anno.
Quindi, quando il mese scorso sono andata in una farmacia diversa dal solito, e mi hanno detto che potevano vendermi senza problemi la confezione da uno, ma non quella da tre per la quale serve la ricetta non ripetibile, la sedicenne in me ha urlato allo scandalo: volete impedirmi di risparmiare.
Il vantaggio d’essere una vecchia bacucca è che t’interroghi sulle ragioni delle cose. Ho chiesto a diversi farmacisti e medici, e pare che la ragione sia che, «secondo il legislatore», se io assumo ormoni, ogni tre mesi devo farmi controllare e verificare se quegli ormoni vanno ancora bene per me.
Il legislatore è evidentemente uomo, altrimenti saprebbe che nessuna donna va ogni tre mesi dal ginecologo. Altrimenti saprebbe che nessuna dà duecento euro al ginecologo per avere una ricetta: vai a fartele fare dal medico della mutua (che le fa fare dalla segretaria), e puoi prendere ormoni per una vita senza che nessuno ti abbia mai fatto fare un dosaggio ormonale.
Lo so, lo so: il punto non è che il legislatore non sa queste cose perché, non essendo donna, non ne ha fatto esperienza; è che non le sa perché non si è informato sulla materia di cui legifera. Abbiamo sostituito l’identitarismo allo studio: se non sei in grado di capire come funziona un apparato riproduttivo dai libri, sarà utile che almeno tu ne abbia uno, per capire che leggi fare a di esso tutela.
A ogni farmacista ho chiesto: ma il legislatore che le permette di darmi dieci o venti confezioni da un solo Nuvaring senza ricetta, ma ritiene di tutelarmi dall’incauto acquisto d’una confezione da tre, a quel legislatore lì non sarebbe meglio riconoscergli un’invalidità intellettuale con relativo sussidio che gli consenta di ritirarsi senza ulteriori danni dal mondo del lavoro? Ogni farmacista ha emesso gemiti d’impotenza. La mia ginecologa mi ha poi detto che per il legislatore il farmacista può vendermi non più di un anello al mese, e non senza ricetta. Informazione evidentemente andata perduta nelle comunicazioni ministeriali a tutti i farmacisti che ho incontrato.
Chissà se tutto questo la Boldrini (o la Lorenzin, o chi vi pare) lo sa: io non sarei andata a strillarglielo perché sono un’adulta; e chi ha l’età per strillarglielo non lo sa perché, ontologicamente, non sa un cazzo.
Poi nella carrozza è arrivato il controllore. Le ragazzine sono corse da lui e, sempre ridendo moltissimo, gli hanno detto che avevano sbagliato treno e dovevano andare a Imola. Lui le ha guardate e, come un adulto così ottuso da pensare di poterne cavare una risposta razionale, ha chiesto perché mai avessero preso un treno con scritto «Bari centrale». Loro hanno detto «eh, non abbiamo guardato», perché hanno l’età alla quale Letta voleva concedere il diritto di voto e non sanno come si prenda un treno.
Guardavo loro, guardavo il video della Boldrini, pensavo alla sconfitta di Letta, e pensavo a quelle due righe di Scott Fitzgerald che più o meno dicevano: per molto tempo, da allora in poi, Anson credette che un dio protettore ogni tanto interferisse nelle vicende umane.
Susanna Picone per fanpage.it il 5 ottobre 2022.
È fortunatamente una storia a lieto fine quella che arriva dalla Sicilia, dove un neonato è stato abbandonato all'interno di un sacchetto di plastica, nelle campagne di Paceco, nel Trapanese.
Il piccolo era stato lasciato nei pressi di una scuola elementare, lungo una strada di campagna isolata, e ad allertare i carabinieri di Trapani, che lo hanno salvato, è stata una telefonata. Il primo a trovare il piccolo sarebbe stato il proprietario dell’area, un contadino che stava andando a lavorare nella sua terra quando ha notato il sacchetto. La zona non è trafficata e il ritrovamento del neonato è stato del tutto casuale.
Il ritrovamento risale a ieri, martedì 4 ottobre. I primi ad arrivare sul posto sono stati gli operatori del 118, che hanno fornito le prime cure al bimbo. I carabinieri sono arrivati pochi minuti dopo e hanno iniziato gli accertamenti. Nel sacchetto c’era ancora la placenta, circostanza che fa pensare che la madre abbia partorito in casa.
Il neonato è stato portato in ospedale dove è emerso che, fortunatamente, non rischia la vita. Attualmente, secondo quanto confermato dalle forze dell'ordine a Fanpage.it, si trova in terapia intensiva e presto potrà essere affidato a una nuova famiglia.
Il piccolo, trovato nel giorno di San Francesco, si chiamerà Francesco Alberto: come il Santo di Assisi e come il carabiniere che per primo lo ha preso in braccio. I carabinieri hanno aperto un’indagine per trovare la madre e stanno visionando le telecamere piazzate nella zona.
"Ci hanno avvertito con una telefonata che c'era un bimbo abbandonato, tra l'altro a pochi metri dalla nostra centrale – il racconto affidato ai quotidiani locali di Veronica Catalano, che con Piero Cialona ha soccorso in veste di 118 il neonato trovato nel Trapanese -. C'era ancora il cordone ombelicale tagliato, a fianco. Quando siamo arrivati era avvolto in un sacchetto di plastica, la signora che ci ha avvertiti lo aveva avvolto nelle coperte. Sembrava ancora infreddolito il piccolo, così lo abbiamo messo in una speciale copertina che serve appunto per riscaldare. Sembrava stare bene, le vie respiratorie erano libere. È stata un'esperienza forte, speriamo che adesso vada tutto per il meglio".
Il carabiniere che ha salvato il neonato abbandonato: «Ho tre figli, mi chiedono di portalo a casa da noi». Lara Sirignano Il Corriere della Sera il 5 Ottobre 2022.
Parla il vicebrigadiere Alberto Marino che, insieme a un collega e agli operatori del 118, ha soccorso un neonato abbandonato dentro un sacchetto di plastica.
Gli trema la voce, segno che l’emozione è ancora forte. «In sedici anni di servizio una cosa simile non m’era mai capitata», racconta Alberto Marino, il vicebrigadiere dell’Arma che, ieri, insieme a un collega e agli operatori del 118, ha soccorso un neonato abbandonato dentro un sacchetto della spesa nelle campagne di Paceco, nel trapanese.
Come sta il bambino?
«Sta bene. Per precauzione è ancora in Terapia Intensiva nel reparto di Neonatologia, ma sta bene. È un bambino forte, attaccato alla vita. È salvo solo perché ha strillato e pianto con quanto fiato aveva, attirando l’attenzione di un contadino che passava per andare al lavoro. L’hanno lasciato a terra, sotto al sole, con il cordone ombelicale ancora attaccato. Eppure è fuori pericolo. È un lottatore».
È andato a trovarlo?
«Ancora no, l’ho lasciato in ospedale, ieri, a malincuore ma in ottime mani, spero di poter andare al più presto e portargli dei vestitini, dei giochi, anche se ancora forse è troppo piccolo per i giocattoli. Mi hanno detto che pesa tre chili ed è lungo 50 centimetri, è bellissimo».
Chi via ha avvertito?
«Io e il mio collega, l’appuntato Leonardo Tumbarello, siamo stati avvisati dalla centrale operativa che aveva ricevuto la segnalazione del ritrovamento del bimbo dal contadino che gli ha salvato la vita. Erano le 17,30. Siamo corsi in ospedale subito e abbiamo predisposto l’accoglienza del neonato allertando il pronto soccorso e la Neonatologia e liberando l’ambulatorio dagli altri pazienti perché il bimbo ricevesse subito tutte le cure. Poi siamo corsi sul posto dove già era intervenuto il 118. Il piccolo era in ambulanza e lo abbiamo scortato in ospedale. Era stato avvolto dagli infermieri in una termocoperta e credo avesse i segni di piccole ustioni per l’esposizione al sole. Da quanto i medici hanno appurato è stato lasciato subito dopo la nascita ed è rimasto nella busta di plastica otto-nove ore. Per fortuna il sacchetto in cui l’avevano messo era aperto e ha potuto respirare».
L’ha preso in braccio?
«No perché non c’era tempo da perdere. L’abbiamo dato ai medici che se ne sono presi cura, ma fino alla sera non l’ho mai lasciato. Quando sono tornato a cena ho raccontato tutto ai miei tre figli che hanno 4, 6 e 10 anni. Mi hanno chiesto quando lo portiamo a casa con noi, lo vorrebbero.
Pensa a un quarto figlio?
«Magari, ne sarei felice. Non nego che avrei qualche problema organizzativo visto che mia moglie lavora e dovrei chiedere aiuto a mia madre o ai miei suoceri, ma mi farebbe piacere. Vediamo cosa decideranno per lui. Ho promesso ai bambini che appena sarà possibile li porterò in ospedale a trovarlo».
Che esperienza è stata per lei?
«Una esperienza indescrivibile. Sono nell’Arma dal 2006, ho lavorato al Nord, poi nel palermitano. Ora sono al Nucleo Operativo Radiomobile, ma mai ho provato una emozione così intensa».
A l piccolo è stato dato il suo nome…
«Con la dottoressa che l’ha visitato per prima si è deciso di chiamarlo innanzitutto Francesco, visto che ieri era la festa del Santo di Assisi, poi Alberto come me. Mi fa davvero piacere».
Che pensa di chi ha abbandonato il bambino sapendo che era condannato a morte quasi certa?
«Io non voglio giudicare perché non so cosa ci sia dietro. Ognuno ha una storia e non sappiamo cosa abbia spinto la madre a un gesto simile. Di certo al giorno d’oggi ci sono mille modi per affrontare una maternità non voluta senza mettere a rischio i figli. C’è La Ruota, c’è la possibilità di partorire in anonimato».
La campagna in cui Francesco Alberto è stato trovato è molto isolata… Probabilmente chi l’ha abbandonato è della zona.
«Sì è una zona isolata, ma non faccio ipotesi su cosa sia accaduto e su chi sia responsabile di un comportamento tanto grave. C’è una inchiesta in corso per abbandono di minori. I colleghi ci stanno lavorando. So che è stato un miracolo che il contadino si trovasse a passare di lì. Nella tragedia il bimbo è stato fortunato».
Cosa augura per lui?
« Spero che viva circondato da tutto l’amore che merita. E mi auguro che faccia il carabiniere. Ha la forza d’animo e il coraggio che servono».
Accertamenti per risalire alla madre. Neonato abbandonato in campagna, Francesco Alberto sta bene: “E’ forte, da grande spero faccia il carabiniere”. Redazione su Il Riformista il 5 Ottobre 2022
Si chiamerà Francesco Alberto il neonato abbandonato nelle campagne di Trapani e salvato nel pomeriggio di ieri, intorno alle 17.30, da un contadino che rincasando lo ha sentito piangere ed ha subito chiamato carabinieri e 118. Si chiamerà Francesco Alberto per la coincidenza con San Francesco d’Assisi (che si festeggia il 4 ottobre) e con Alberto, santo patrono di Trapani, stesso nome che ha anche il vicebrigadiere dell’Arma (Alberto Marino), il primo ad intervenire nelle campagne di Paceco dopo l’allarme lanciato dal contadino.
Francesco Alberto pesa tre chili e lungo circa 50 centimetri e sta bene. La sua nascita risalirebbe a circa nove ore prima del ritrovamento. E’ stato ritrovato sul ciglio della strada avvolto in un sacchetto di plastica. “Si alimenta al biberon. Sta bene e per precauzione è ricoverato nel reparto di Terapia intensiva per un monitoraggio, visto il contesto in cui è stato ritrovato e i segni di disidratazione che però si sono risolti rapidamente con adeguato trattamento. Mangia al biberon, sembra nato a termine di gravidanza e non ha apparenti complicanze”, spiega Simona La Placa, direttrice di Neonatologia all’ospedale S. Antonio Abate di Trapani dove il piccolo è ricoverato.
Sulla vicenda è stata aperta una inchiesta per abbandono di minore con i carabinieri che stanno cercando di risalire alla madre di Francesco Alberto, salvato da una morte certa dal contadino. Difficilmente infatti avrebbe superato la notte in aperta campagna. Accertamenti in corso su tutto il territorio con i carabinieri che sono fiduciosi di poter scoprire l’identità della donna grazie alle telecamere di sorveglianza installate nell’area. Una in particolare, molto vicina, potrebbe averla immortalata nel momento di andarsene via. Controlli incrociati anche con ospedali e medici della zona per non escludere alcuna possibilità – come un parto in casa – e soprattutto una verifica dei registri scolastici e delle assenze femminili senza giustificazione in licei, scuole superiori tecniche e professionali e scuole medie. Alla ricerca fra le adolescenti di quella che potrebbe essere una giovane madre rimasta incinta troppo presto e spaventata.
A raccontare con emozione i momenti che hanno portato al ritrovamento del piccolo è il vicebrigadiere Alberto Marino, intervenuto sul posto insieme al collega, l’appuntato Leonardo Tumbarello. Marino, che da anni lavora al Nucleo operativo Radiomobile di Trapani, lancia un appello a tutte le donne: “Non voglio giudicare nessuno perché non so quale storia ci sia dietro, ma certo di questi tempi ci sono mille modi per vivere una maternità non voluta, modi che non mettano a rischio la vita del bambino che è vivo per miracolo. E’ bellissimo ed è forte, spero da grande faccia il carabiniere”.
Dall’ospedale lo stesso appello viene ribadito dalla direttrice di Neonatologia La Placa: “Quello che a noi preme sottolineare che è possibile partorire in assoluto anonimato in ospedale senza nessun rischio, assecondando il diritto della donna di non riconoscere il figlio e al tempo stesso garantendo la sicurezza del parto e del nascituro”.
Nicolò morto per overdose da hashish: indagato il papà. L'uomo accusato di omicidio colposo. Lui e la moglie si sono rifiutati di fare l'esame tossicologico. Tiziana Paolocci il 5 ottobre 2022 su Il Giornale.
«Eravamo insieme al parco pubblico sotto casa a mezzogiorno, prima di pranzo, e ha ingerito una strana sostanza. Me ne sono accorto subito e gli ho tolto subito dalla bocca quel boccone di terriccio».
A quelle parole i militari del comando provinciale di Belluno non avevano creduto nemmeno un minuto e ieri è arrivata la conferma che Nicolò Feltrin, il bambino di due anni di Longarone morto nella serata del 28 luglio in ospedale a Pieve di Cadore, è deceduto a causa di un'overdose da hashish.
Il padre, che aveva cercato di sviare le indagini, è ora indagato per omicidio colposo. Gli esami tossicologici sui materiali biologici prelevati nel corso dell'autopsia sul corpo del piccolo confermano tra l'altro che Nicolò aveva familiarità non solo con quella droga, ma anche con altre. L'hashish però lo ha avvelenato e ucciso. Nella casa di Longarone (Belluno), dove abitava con mamma e papà, di stupefacenti ce n'erano. E parecchi, dal momento che le analisi dei capelli della vittima evidenziano tracce di cocaina ed eroina, segno che Nicolò nella sua breve vita era entrato in contatto con quelle sostanze.
L'anticipazione dell'autopsia svolta dal medico legale Antonello Cirnelli, nominato dalla procura, è agghiacciante e inchioda l'uomo alle sue responsabilità, anche se bisognerà attendere gli altri accertamenti sul materiale sequestrato nell'abitazione della coppia, affidati invece alla dottoressa Donata Favretto.
Diego Feltrin, boscaiolo di 43 anni, alla luce delle nuove evidenze, è stato invitato dai carabinieri a sottoporsi al test del capello, che avrebbe probabilmente collegato la sostanza ingerita dal bambino a quella consumata dal padre. Ma si è presentato al laboratorio completamente glabro. Se da un lato è stato impossibile quindi per gli esperti prelevare peli e capelli utili alle indagini, dall'altro questo comportamento non fa che addensare le ombre su di lui. Il pomeriggio di quel 28 luglio il bambino era affidato a lui, mentre la mamma era al lavoro. Ma ci sono altre novità che emergono dalle indagini. Alla luce del risultato dell'autopsia, il padre del bambino è stato invitato dai carabinieri a sottoporsi al test del capello, ma pare che l'uomo si sia presentato al laboratorio completamente glabro, in questo modo è stato impossibile per gli addetti prelevare peli e capelli utili alle indagini.
Anche la moglie, che non risulta però indagata, è stata invitata a sottoporsi alle analisi, ma si è rifiutata. La sera del 28 luglio l'indagato arrivò all'ospedale di Pieve di Cadore con il figlio in braccio, raccontando che si era addormentato dopo pranzo, per il solito pisolino, ma non si era svegliato più. Aveva il battito rallentato e poco dopo il cuore si era fermato. I medici si erano accorti subito, però, che non si trovavano di fronte a una morte per cause naturali e avevano chiamato i carabinieri. I militari avevano effettuato indagini e sopralluoghi nel parco a caccia di qualche sostanza velenosa. Ma la storia era ben diversa.
Nell'appartamento in cui la coppia abitava hanno trovato un panetto di hashish in una tazza sul comodino del bambino. Ed è stato tutto chiaro. Ieri i carabinieri hanno avuto problemi a mettersi in contatto con Feltrin e la moglie. Sembrerebbe che i due si siano trasferiti da amici. «Per loro è troppo doloroso rimanere in quella casa dove hanno cresciuto il loro bambino che non c'è più - ha spiegato l'avvocato della coppia - se qualcuno vuole parlare con loro io sono qui a disposizione, chiunque può mettersi in contatto con me».
Casarile, bambina picchiata dal compagno della madre: «Mi sono disconnesso dal mio cervello». Andrea Galli su Il Corriere della Sera il 03 ottobre 2022.
Milano: il 28enne, durante un’assenza della madre, ha colpito la piccola di 9 mesi con calci e pugni. Muratore, senza precedenti, è in carcere a Pavia per tentato omicidio aggravato
Ha confessato il massacro della figlia della compagna, nove mesi di vita. Senz’altro aggiungere.
Semmai ripetendo che «non me lo so proprio spiegare, mi sono improvvisamente disconnesso dal mio cervello, non ragionavo, non ero io», e aggiungendo, in un agghiacciante tentativo di difesa, di aver comunque colpito, esclusivamente, con degli «schiaffi» e mai «in altro modo».
Un 28enne italiano, una lontana segnalazione per droga (legata al possesso d’una dose per uso personale), ha colpito con azioni ripetute, con calci e pugni, forse con oggetti contundenti, la bimba, che dormiva in culla e il cui indicibile quadro clinico riporta plurime fratture con ossa spezzate.
Del tardo pomeriggio di sabato il pestaggio, in una casa in provincia di Milano dove l’uomo, professione muratore, appassionato di sport violenti, velocità in macchina e giochi di guerra sulla playstation, abita da pochi mesi, ovvero dall’inizio della relazione con la compagna, assente per lavoro.
Quest’ultima ha chiamato più e più volte per sapere come stesse la figlia, ma il cellulare suonava a vuoto; preoccupata, ha invitato la madre ad approfondire, e l’anziana, raggiunto il vicino appartamento e visto il corpicino pieno di lividi, ha telefonato al 118, non ascoltando quel 28enne che raccontava di una casuale caduta dal seggiolone. In ospedale non sono serviti esami supplementari: i medici hanno avvisato i carabinieri.
Delle 19 di domenica un primo tentativo di estubazione dei medici per verificare le reazioni della piccola, trasferita a Bergamo, dagli specialisti del Papa Giovanni XXIII; per lunedì è annunciato un bollettino nella speranza che non abbia ricadute, pur annotando che «non si trova più in terapia intensiva e versa in condizioni stabili».
Al netto dell’esasperato riserbo della Procura di Pavia, le indagini proseguono mancando numerosi dettagli. Eccone alcuni, insieme alle risposte che ci sono state date.
Non risulta che il 28enne, originario dell’hinterland, «fosse in uno stato di alterazione causata da stupefacenti, alcolici, medicinali»; non risultano «precedenti aggressioni» alla bimba, e nemmeno alla donna nella quotidianità del rapporto; non risultano «problemi occupazioni ed economici» del picchiatore, in carcere a Pavia per tentato omicidio aggravato dalle 8.30 di domenica.
Dopodiché, siccome è legittimo ampliare al massimo ogni accertamento possibile, gli inquirenti non parlano — salvo novità che saranno rese dai dottori — di «antecedenti aggressioni» alla piccola, così come gli stessi inquirenti «tolgono» la compagna, ugualmente di nazionalità italiana, da ogni ipotesi di responsabilità o complicità: insomma, il trauma cranico o l’emorragia cerebrale o ancora la frantumazione dell’omero, sarebbero stati conseguenza del singolo episodio di sabato, un episodio per appunto privo di una storia pregressa.
Per quanto possano offrire un relativo e parziale contributo, i profili social del 28enne illustrano l’entusiasmo, quantomeno nei commenti da tastiera, per fatti di cronaca animati dall’aggressività, ma conviene ripetere che di recente e nel passato l’esistenza dell’uomo non sarebbe stata conflittuale.
Casarile, il patrigno fumava da solo sul terrazzo. Poi le botte alla piccola: «Non me lo so spiegare». Luca Caglio e Eleonora Lanzetti su Il Corriere della Sera il 4 ottobre 2022.
Riflettori su Casarile, meno di 4 mila abitanti, per un tentato infanticidio che permea i discorsi e scuote le coscienze. Le troupe televisive generano capannelli di curiosi, i più giovani ne subiscono il fascino e non lesinano dettagli: indicano il quarto piano del palazzo dove una bimba di nove mesi, sabato scorso, sarebbe stata percossa dal patrigno Mario Franchino mentre la sua compagna (madre della piccola) si trovava al lavoro e tentava invano di contattarlo. Quindi l’arrivo in casa della nonna materna, allertata dalla figlia, e la scoperta dei traumi sul corpicino con immediata chiamata al 118.
«Ma anche lei, la nonna, ha confermato ai sanitari che la nipote era caduta dal fasciatoio — ricorda un residente del condominio testimone del dialogo —. Non accusava Franchino di averle fatto del male, forse in un primo momento ha creduto alla sua versione. Lui non lo conosco, abita qui da 4-5 mesi, posso dire di averlo visto fumare spesso marijuana sul terrazzo, l’odore era inconfondibile».
Il ragazzo sembrava ben inserito nel nucleo famigliare, come riconosciuto da don Riccardo, parroco a Casarile: «Il 17 settembre c’è stato il battesimo della bimba, era presente anche Franchino, ho percepito affiatamento». Sebbene la piccola sia stata dichiarata fuori pericolo dall’ospedale Papà Giovanni di Bergamo, i familiari preferiscono non esporsi, ancora sotto choc ma sicuramente più sollevati. Mario Franchino dalla cella della sezione protetti del carcere di Torre del Gallo di Pavia, chiede in continuazione della bambina.
L’avvocato Maria Teresa Gobba che difende il muratore 28enne che ha confessato di aver picchiato la figlia della compagna, ha incontrato il suo assistito dopo l’interrogatorio nella caserma dei carabinieri di San Pietro in Ciel d’Oro. Dice di averlo trovato «sconvolto» e «pentito». Termini forse stridenti alla luce di quanto successo. Ciò che è accaduto sabato 1° ottobre nell’appartamento al quarto piano della palazzina di Casarile, è un gesto apparentemente inspiegabile, come lo ha definito lui stesso. «Non ero io. Non me lo so spiegare», avrebbe risposto agli inquirenti. «È molto preoccupato per le condizioni di salute della piccola con la quale aveva davvero un legame affettivo — ha riportato il legale — È angosciato, non tanto per le conseguenze penali nei suoi confronti, ma per la bambina che fortunatamente è fuori pericolo».
Una vita banale, quella di Franchino, così è stata descritta. Lavorava come muratore ma ora era in cassa integrazione in attesa di essere richiamato. Pochi amici, qualche uscita, nulla più. Da marzo aveva una relazione con Arianna, con la quale era andato a convivere. Non lo conosceva nessuno in paese, neppure i vicini di casa della ragazza che lo avevano visto soltanto qualche volta sul balcone, o al portone. Gli sguardi di chi vive in quei palazzi si incrociano ai giardinetti condominiali. Non si parla d’altro. «Siamo senza parole — ripetono — Accanirsi su una bambina che era parte della famiglia, e che solo poche settimane fa è stata battezzata tra la gioia dei parenti».
La piccola di 8 mesi è fuori pericolo ma ancora grave. Bimba ridotta in fin di vita da patrigno, le telefonate della mamma e le parole dell’uomo: “Ho vuoti di memoria”. Redazione su Il Riformista il 3 Ottobre 2022
Ha confessato di averla picchiata ma, allo stesso tempo, ha spiegato di non ricordare quello che è accaduto e di aver vuoti di memoria relativi agli istanti in cui ha colpito con schiaffi e pugni la bimba di appena 8 mesi che si trovava nella sua culla, procurandole la frattura del cranio, emorragia cerebrale e fratture dell’omero e del radio.
E’ sotto choc Mario Franceschini, il 28enne muratore originario di Martina Franca (Taranto) ma residente a Casarile (Milano) dove convive con la compagna e la figlia di quest’ultima, brutalmente aggredita nella giornata di sabato 1 ottobre. “E’ preoccupato per le condizioni della bambina e pentito per quanto è successo” ha spiegato l’avvocato Maria Teresa Gobba.
Domani, martedì 4 ottobre, è in programma davanti al gip l’interrogatorio di garanzia dell’uomo sottoposto a fermo con l’accusa di tentato omicidio aggravato dalla procura di Pavia dopo le violenze appurate dai medici dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e provate a nascondere, in un primo momento, dai familiari della piccola che hanno giustificato le numerose ecchimosi e lividi con una “caduta dal seggiolone”. L’ultimo bollettino dell’ospedale bergamasco dove la piccola è ricoverata parla di “condizioni stazionarie” e che “non è in pericolo di vita”.
A LaPresse la sindaca di Casarile, Silvana Cantoro, ha spiegato che “si tratta di una famiglia che non ha mai dato problemi né al Comune e ai servizi sociali né alle forze dell’ordine”. Parla di “sgomento e vicinanza alla famiglia” per una “situazione silente non nota alla comunità” riferendo come il condominio di via Colombo sia “in una zona centrale, non periferica come altre a ridosso di aree industriali, un contesto in cui non mi sarei mai aspettata potesse capitare qualcosa di simile”.
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori (le indagini sono condotte dai carabinieri), nel pomeriggio di sabato la mamma della bambina, preoccupata per il fatto di non riuscire a contattare Franchini al telefono, ha chiesto alla madre di andare a controllare l’abitazione: la nonna della piccola si è recata nella cameretta dove ha trovato la neonata e ha notato che aveva alcune ecchimosi sul volto e sul torace. Da lì la chiamata al 118, il ricovero prima all’ospedale San Matteo di Pavia e successivamente dagli specialisti pediatrici di Bergamo.
Due settimane fa, la bimba era stata battezzata nella chiesa di Casarile (Milano). Il parroco don Riccardo Foletti spiega all’Ansa che “il rito si è svolto in un clima di festa, non ho notato alcuna tensione. Erano presenti la mamma della bimba, il suo compagno e la nonna materna. Mi sono sembrati tutti felici. Dopo il battesimo so che avevano in programma un pranzo. Mi è capitato nelle scorse settimane di incontrare per strada la mamma con la figlia e la nonna: una famiglia all’apparenza normale e senza problemi”.
Napoli, bambina di 9 anni maltrattata alla nascita: non si può sdraiare e ha gli arti fratturati. Valentina Mericio il 12/08/2022 su Notizie.it.
Accade nel Napoletano. Una bambina di soli 9 anni è stata segnalata ai servizi sociali perché maltrattata alla nascita. Salvata con i fratellini.
Non ha mai dormito in un letto, aveva fratture multiple agli arti e la colonna vertebrale deformata. Queste erano le drammatiche condizioni in cui versava una bambina di appena 9 anni residente nel napoletano. Stando a quanto riporta Fanpage.it, la piccina era stata maltrattata dai genitori fin dalla sua nascita.
Oltre a ciò era anche malnutrita e ha potuto cibarsi solo grazie ai fratellini.
Napoli, bambina 9 anni maltrattata dai genitori: assistenti sociali la salvano con i fratellini
La bambina è stata fortunatamente portata via dai genitori grazie ad una segnalazione pervenuta agli assistenti sociali. Questi ultimi hanno portato via anche i fratellini della piccola, infine il ricovero presso l’Ospedale Pediatrico Santobono di Napoli. Purtroppo – si apprende ancora – è disabile, ma non è chiaro se lo fosse alla nascita o se tale disabilità sia stata dovuta alle condizioni di degrado nelle quali è vissuta in questi anni.
Quanto avvenuto alla bambina è stato denunciato dall’assessore al Welfare del Comune di Napoli e padre della piccola Alba Luca Trapanese. Quest’ultimo si è occupato con il presidente de La Casa di Matteo Marco Caramanna di andare a prendere la bambina all’ospedale napoletano.
In un post sui social ha raccontato: “La piccola neospite ha una storia surreale, che va oltre ogni nostra possibile immaginazione. Ha nove anni e da quando è nata ha subito violenze indescrivibili.
I suoi genitori non si occupavano neanche semplicemente di nutrirla; erano solo i fratelli più piccoli che ogni tanto le davano da mangiare qualche biscotto e un po’ di latte. Non ha mai dormito in un letto e questo le ha causato una malformazione della colonna vertebrale che non le consente di stendersi; ha diverse fratture scomposte alle braccia e alle gambe per le numerose percosse, che non sono mai state curate”.
Da ansa.it il 19 agosto 2022.
Per nove anni Elsa (nome di fantasia) è stata un fantasma, completamente trascurata dai genitori, alimentata saltuariamente dai fratelli con latte e biscotti, e mai assistita nonostante i segni di fratture scomposte a braccia e gambe - forse frutto di violenze ancora da accertare - una spina dorsale deformata, perché probabilmente non ha mai dormito in un vero e proprio letto.
Da qualche giorno però (della sua vicenda si stanno occupando i media) la bimba, proveniente da un comune dell'hinterland napoletano, è stata tolta ai genitori dai servizi sociali che l'hanno affidata all'associazione "La Casa di Matteo", e la sua vita è cambiata.
Al suo fianco ha educatori ed infermieri esperti, ed sta iniziando così a comportarsi un po' come tutti i bimbi.
"Sta cominciando ad interagire con gli altri - spiega Marco Caramanna, presidente dell'associazione - a sorridere, a guardarsi intorno, a dormire e mangiare. Tutto ciò può sembrare normale, ma dopo ciò che ha passato, è invece una vittoria. Ogni giorno scopriamo qualcosa di nuovo di Elsa.
Di vicende come la sua purtroppo ce ne sono tante, e come in questo caso non vengono denunciate. Ci sono sicuramente responsabilità nella rete che dovrebbe tutelare i minori, dalla scuola al servizio sanitario, visto che nessuno in nove anni si è mai accorto di nulla, almeno fino a pochi giorni fa, quando i servizi sociali hanno ricevuto una segnalazione relativa alla situazione di Elsa e si è messo in moto il percorso che l'ha portata fino a noi".
Dopo 9 anni è stata tolta ai genitori: accertamenti su maltrattamenti e disabilità. Elsa, la bimba invisibile: arti spezzati, spina dorsale deformata, cresciuta a latte e biscotti. Terzo caso in pochi mesi a Napoli. Redazione su Il Riformista il 18 Agosto 2022
Ha nove anni, braccia e gambe spezzate, la spina dorsale deformata e non parla. Si chiama Elsa, nome di fantasia dato dai suoi nuovi angeli dell’associazione di Napoli “La Casa di Matteo“, che ha sede in via Pigna, nel quartiere Soccavo e che è l’unica nel Sud Italia ad assistere bambini con gravi problemi di salute provenienti da contesti familiari raccapriccianti.
E’ da brividi la storia della bambina proveniente da un comune in provincia di Napoli, finita prima all’ospedale pediatrico Santobono e poi affidata dai servizi sociali – che l’hanno tolta ai genitori – all’associazione. Sarebbe stata maltrattata dalla nascita dai genitori, accudita saltuariamente dai fratelli più grandi che per nutrirla le davano latte e biscotti. Una bambina che in nove anni non è stata mai assistita nonostante le fratture scomposte a braccia e gambe e i problemi alla spina dorsale perché probabilmente non ha mai dormito su un letto vero e proprio. Saranno gli accertamenti medici e neurologici a stabilire se la piccola, ad oggi disabile, sia nata così o le condizioni attuali sono il frutto delle costanti violenze subite dai genitori.
Quel che più importa è che Elsa è ritornata a vivere da qualche giorno, circondata dall’amore e dalla professionalità dei componenti dell’associazione “La Casa di Matteo”. Certo, sono passati ben nove anni prima che il muro di omertà e indifferenza fosse squarciato con una segnalazione ai servizi sociali. Una bimba invisibile, un fantasma per genitori, familiari e istituzioni stesse (andava a scuola? Perché non ci sono stati controlli?). Una bambina che ad oggi non parla e non riesce a muoversi. Che si porta dietro dolori fisici da quando è nata, alimentati dall’atteggiamento criminale di chi l’ha messa al mondo.
“Sta cominciando ad interagire con gli altri – spiega all’Ansa Marco Caramanna, presidente dell’associazione – a sorridere, a guardarsi intorno, a dormire e mangiare. Tutto ciò può sembrare normale, ma dopo ciò che ha passato, è invece una vittoria. Ogni giorno scopriamo qualcosa di nuovo di Elsa. Di vicende come questa – evidenzia – ce ne sono tante, e come in questo caso non vengono denunciate. Ci sono sicuramente responsabilità nella rete che dovrebbe tutelare i minori, dalla scuola al servizio sanitario, visto che nessuno in nove anni si è mai accorto di nulla, almeno fino a pochi giorni fa, quando i servizi sociali hanno ricevuto una segnalazione e si è messo in moto il percorso che l’ha portata fino a noi”.
Troppi i casi analoghi. Dala recente tragedia della piccola Diana, la bimba di appena 18 mesi morta di stenti dopo essere stata lasciata da sola in casa per sei giorni dalla madre Alessia Piffari, 37 anni, allontanatasi per raggiungere il compagno, ai due casi relativi alla provincia di Napoli registrati negli ultimi mesi: quello del bimbo di 7 mesi morto in culla in una palestra abusiva di Nola, con i fratellini successivamente tolti ai genitori e quello della bimba di 4 anni morta al Santobono, con la salma sequestrata a poche ore dal funerale perché “Maria veniva picchiata“. Troppa omertà, troppa indifferenza da parte di tutti: familiari, vicini, cittadini e istituzioni latitanti.
Ci sono temi intoccabili. Un esempio: "l'aborto". Alessandro Gnocchi il 23 Settembre 2022 su Il Giornale. In passato si potevano esprimere dubbi anche radicali. Ora vincono sempre la riprovazione e il conformismo.
Spesso si ha l'impressione che il dibattito pubblico in Italia abbia fatto due o tre passi indietro rispetto agli anni nei quali, paradossalmente, le divisioni ideologiche erano molto più nette rispetto a ora. Prendiamo un tema difficile: l'aborto. Dati di fatto: esiste una legge, la 194, che nessuna delle principali forze politiche ha in programma di toccare; tale legge consente di abortire e inoltre dichiara che l'interruzione della gravidanza non è un mezzo per il controllo delle nascite; a partire da questi presupposti, dovrebbe essere possibile un franco dibattito sul tema. Invece non è così. Qualunque posizione, ragionata o propagandistica, intelligente o cretina, in buona o cattiva fede, finisce prima tritata nella pattumiera del pensiero, cioè i social network, poi etichettata sbrigativamente come fascista o patriarcale o comunista o femminista, quindi, in molti casi, esclusa dal dibattito pubblico.
Non è vero? Facciamo una prova. Prendiamo alcune opinioni disallineate al politicamente corretto, eppure legittime, come tutte le opinioni, e pensiamo a chi, oggi, le pubblicherebbe. Pensiamo anche a cosa accadrebbe se venissero pubblicate.
Sul Corriere della sera dell'8 maggio 1981, Norberto Bobbio, non credente e padre nobile della sinistra, risponde alle domande di Giulio Nascimbeni in vista del referendum sull'aborto. Leggiamo: «È un problema molto difficile, è il classico problema nel quale ci si trova di fronte a un conflitto di diritti e di doveri». Nascimbeni chiede quali diritti e quali doveri siano in conflitto: «Innanzitutto il diritto fondamentale del concepito, quel diritto di nascita sul quale, secondo me, non si può transigere. È lo stesso diritto in nome del quale sono contrario alla pena di morte. Si può parlare di depenalizzazione dell'aborto, ma non si può essere moralmente indifferenti di fronte all'aborto». Ci sono altri diritti: «C'è anche il diritto della donna a non essere sacrificata nella cura dei figli che non vuole. E c'è un terzo diritto: quello della società. Il diritto della società in generale e anche delle società particolari a non essere superpopolate, e quindi a esercitare il controllo delle nascite». Il diritto del concepito è «fondamentale»; gli altri, dice Bobbio, sono «derivati». Siamo arrivati al cuore della riflessione: «Inoltre, e questo per me è il punto centrale, il diritto della donna e quello della società, che vengono di solito addotti per giustificare l'aborto, possono essere soddisfatti senza ricorrere all'aborto, cioè evitando il concepimento. Una volta avvenuto il concepimento, il diritto del concepito può essere soddisfatto soltanto lasciandolo nascere». Nascimbeni muove l'obiezione più logica e forte: abrogando la legge 194, si tornerebbe ai «cucchiai d'oro», alle «mammane», ai drammi e alle ingiustizie dell'aborto clandestino. Bobbio non fa marcia indietro: «Il fatto che l'aborto sia diffuso, è un argomento debolissimo dal punto di vista giuridico e morale. E mi stupisce che venga addotto con tanta frequenza. Gli uomini sono come sono: ma la morale e il diritto esistono per questo. Il furto d'auto, ad esempio, è diffuso, quasi impunito: ma questo legittima il furto? Si può al massimo sostenere che siccome l'aborto è diffuso e incontrollabile, lo Stato lo tollera e cerca di regolarlo per limitarne la dannosità. Da questo punto di vista, se la legge 194 fosse bene applicata, potrebbe essere accolta come una legge che risolve un problema umanamente e socialmente rilevante». Nascimbeni chiede a Bobbio se riesce a immaginare la reazione del mondo laico alle sue parole. Bobbio: «Vorrei chiedere quale sorpresa ci può essere nel fatto che un laico consideri come valido in senso assoluto, come un imperativo categorico, il non uccidere. E mi stupisco a mia volta che i laici lascino ai credenti il privilegio e l'onore di affermare che non si deve uccidere». Ne venne fuori un putiferio ma intanto Bobbio aveva potuto esprimere la sua idea controcorrente da una tribuna importante.
Molto prima di Bobbio, il 19 gennaio 1975, il Corriere della sera aveva pubblicato un articolo corsaro di Pier Paolo Pasolini, non credente e marxista eretico, sullo stesso tema. Pasolini: «Sono contrario alla legalizzazione dell'aborto, perché la considero, come molti, una legalizzazione dell'omicidio. Nei sogni, e nel comportamento quotidiano cosa comune a tutti gli uomini io vivo la mia vita prenatale, la mia felice immersione nelle acque materne: so che là io ero esistente. Mi limito a dir questo, perché, a proposito dell'aborto, ho cose più urgenti da dire. Che la vita sia sacra è ovvio: è un principio più forte ancora che ogni principio della democrazia, ed è inutile ripeterlo». Poi accusava i Radicali, ai quali si sentiva comunque vicino, di cinismo e di essersi arresi ai fatti. Ne uscì un altro putiferio, anche perché le motivazioni di Pasolini sconfinavano in un ambito, quello del coito eterosessuale e omosessuale, che non sembrava del tutto calzante.
Nel 1980, Giovanni Testori, cattolico imperfetto per inquietudine, scrisse il monologo Factum est. Nell'opera parla solo il feto, il «grumo di cellule», che nella realtà non ha voce né volontà. È lui il nuovo Cristo crocefisso, rifiutato prima che esca dal ventre della madre. Fu uno scandalo. Ma intanto andò in scena e successivamente fu proposto perfino nelle università al pubblico degli studenti.
Lettera a un bambino mai nato di Oriana Fallaci, non credente e socialista con sfumature liberali, fu pubblicato nel 1975, doveva essere un'inchiesta per l'Europeo, diventò un romanzo bestseller (due milioni di copie in Italia, due milioni e mezzo nel resto del mondo). Fu scritto però circa dieci anni prima, di getto, proprio in seguito a un aborto spontaneo (il secondo: la Fallaci aveva già vissuto un'esperienza drammatica nel 1958). Il tragico monologo di una donna che si rivolge al figlio che porta in grembo, interrogandosi sulla responsabilità di dare la vita, e affrontando senza timori la questione dell'aborto, suscitò infinite polemiche. Ne scrive la Fallaci, che non aveva aspettato il femminismo per essere femminista, in una lettera del 1975 all'amico Pasolini: «Le donne si indignano da un parte, gli uomini si arrabbiano dall'altra, gli abortisti mi maledicono perché concludono che io sono contro l'aborto, gli antiabortisti mi insultano perché concludono che io sono per l'aborto. E nessuno o quasi si accorge di cosa vuol dire il libro veramente. Nella rissa non hanno ragione né gli uni né gli altri, o hanno ragione tutti e due. Il libro è la saga del dubbio. Vuol essere la saga del dubbio» (da La paura è un peccato. Lettere da una vita straordinaria, Rizzoli). Libro controverso ma pubblicato da un colosso come Rizzoli.
Ecco, ora, archiviato anche il caso particolare del Foglio di Giuliano Ferrara, provate a pensare se queste opinioni troverebbero accoglienza nel deprimente mondo dell'editoria italiana dove si fanno dibattiti ma solo a patto di essere tutti d'accordo e tutti politicamente corretti.
Ungheria, stretta del governo sull'aborto: "Le donne ascoltino il battito del cuore del feto". La Repubblica il 13 settembre 2022.
Prima di abortire, dovrai ascoltare il battito del suo cuore. Il governo ungherese di Viktor Orban lancia una nuova crociata contro l'aborto e le donne che decidono di interrompere la gravidanza. Un decreto del ministero dell'Interno pubblicato sulla Gazzetta ufficiale ungherese prevede che oltre ai requisiti già previsti per abortire ci sia anche l'obbligo per i medici di presentare alle donne la prova "chiaramente identificabile delle funzioni vitali del feto". In altre parole un'ecografia del cuore.
Firmato dal ministro dell'Interno Sandor Pinter, il decreto entrerà in vigore giovedì 15 settembre. Il partito di estrema destra Mi Hazank ha fatto sapere di essere lieto che "le mamme ora ascolteranno il battito cardiaco fetale", anche se il testo non lo afferma esplicitamente in questi termini. "Almeno per alcuni secondi, il bambino in età fetale potrà essere ascoltato dalla madre prima che venga eseguito l'aborto", ha detto la deputata Dora Duro in un post su Facebook.
In Ungheria l'aborto fino alla dodicesima settimana di gravidanza è legale dagli anni '50. La legge, modificata nel 1992, "non è scolpita nella pietra in un Paese cristiano degno di questo nome. Scriviamo la storia!", ha aggiunto, ringraziando le organizzazioni pro-vita per il loro sostegno.
Amnesty International parla di un "preoccupante declino". Questa decisione presa "senza alcuna consultazione" renderà "più difficile l'accesso all'aborto" e "traumatizzerà più donne già in situazioni difficili", ha detto all'Afp il portavoce Aron Demeter.
La legge ungherese prevede che si possa abortire in quattro casi: gravidanza in conseguenza di un reato o violenza sessuale, pericolo per la salute della donna, embrione con handicap fisico grave, situazione sociale insostenibile della donna.
L'aborto è un diritto e non trasforma una donna in un'assassina. Daniela Missaglia su Panorama il 20/09/22.
In Ungheria l'esecutivo guidato da Viktor Orbàn ha approvato l’obbligo, per i medici chiamati a eseguire un aborto, di presentare alle pazienti la prova “chiaramente identificabile delle funzioni vitali del feto". Così facendo il governo ultraconservatore ungherese di Viktor Orban stringe le fila della crociata contro l'aborto, sottoponendo la donna ad una vera e propria “tortura” al fine di dissuaderla dal suo intento. D’ora in avanti (il decreto è esecutivo dal 15 settembre), la futura madre intenzionata a interrompere la gravidanza sarà così costretta ad ascoltare il battito del cuore del feto portato in grembo.
Il supplizio cui vengono costrette - per legge - le donne ungheresi è grave, anzi gravissimo e lede i diritti umani, andando a schiacciare un tasto sensibile di una tematica delicata come quella dell’interruzione della gravidanza. E’ prassi, morale prima ancora che sanitaria, che quando una donna decida di abortire, la si assista in modo diametralmente opposto a quello imposto da Orbàn, rassicurandola sul fatto che il feto non senta alcun dolore, anche se i gruppi “antiaborto” o “pro-vita” sostengono che il feto sia in grado di provare dolore e che l’aborto debba essere vietato per ragioni etiche. Tesi che stride con la relazione pubblicata sul “British Medical Journal” secondo cui i feti non sarebbero in grado di provare dolore, capacità che può essere sviluppata solo dopo la nascita. A scanso di equivoci c’è da osservare che non è solo l’Ungheria ad avere inserito la retromarcia sul tema dell’aborto, visto che a giugno la Corte Suprema degli Stati Uniti (a trazione democratica) ha abolito la storica sentenza Roe v. Wade, del 1973, decretando l’illegalità dell’aborto. Sia chiaro che qui la politica non centra e la questione non può essere strumentalizzata dall’uno o dall’altro schieramento: l’aborto non ha colore e ciò che accade in Ungheria inerisce principi universali. Stiamo infatti oggettivamente parlando di un clamoroso passo indietro, che asfalta i diritti civili e il principio di autodeterminazione del singolo, facendo precipitare nell’oscurantismo la nostra civiltà. La compressione della libertà della donna di decidere se diventare madre è il primo aspetto del dibattito che precede quello del figlio che non vuole o non può avere. Una vita per una vita, anche quando non c’è rischio per la salute della ipotetica madre. Che madre non sarà, per sua volontà, o sarà costretta ad essere, per volontà altrui.
Più che imporre con decreto di ascoltare il battito del feto occorrerebbe consigliare a Orbàn la lettura del libro di Oriana Fallaci “ Lettera a un bambino mai nato”. “ Una goccia di vita scampata dal nulla… un nodo di cellule appena iniziate” in un mondo crudele e perbenista dove nei secoli scorsi chi iniziava una gravidanza non voluta, accaduta in un attimo di distrazione, ricorreva ai rimedi più impensabili per liberarsi dell’incomodo, rischiando la propria vita nella solitudine e nella paura che gli altri sapessero. Caro Orbàn e cari Giudici Supremi degli Stati Uniti, ricordatevi che una donna potrebbe seguire un percorso inverso, rovesciando i suoi primi intendimenti, senza ricorrere alla tortura e alle imposizioni che avete pensato. Sappiate che una donna decide di far nascere - o non nascere - il proprio bambino non certo per l’inquietudine di essere un’assassina o una maledetta, ma per un consapevole inno alla vita che la porta a donare tutta se stessa per un altro essere umano. Sicuro che Orbàn, così come i Giudici Supremi dell’America democratica, non sanno che una donna, prima di affrontare una scelta così difficile, si pone il dilemma di dare la vita o negarla, dilemma personale non sindacabile da terzi, sacrosanta come sacrosanta è la vita di un figlio che si è deciso consapevolmente di crescere, senza imposizioni o torture altrui.
La rivolta delle ginecologhe: "Tortura contro le donne sentire il cuore che batte prima di un aborto". Maria Novella De Luca su La Repubblica il 15 Settembre 2022
Dopo la denuncia di Sinistra Italiana contro un ospedale umbro, parlano le ginecologhe che difendono la legge 194: "Inutile sul fronte sanitario". Ma si scopre che è già successo in Veneto e in Emilia Romagna. Il ministro Speranza: "Valuto un'ispezione"
E' successo in Umbria, ma anche in Emilia Romagna, in Veneto. Ed è il nuovo, ultimo e dolorosissimo attacco contro la libertà di scelta delle donne. Il tentativo, ancora, di rendere difficile, se non impossibile, l'aborto legale. Accade, sempre più spesso, che alle pazienti in attesa di una interruzione volontaria di gravidanza, farmacologica o chirurgica, venga chiesto di aspettare fino a che non si senta con chiarezza il cuore del feto che batte.
Antonio Bravetti per “La Stampa” il 15 settembre 2021.
Nuovo attacco alla legge 194. Da Genova, durante un comizio elettorale, Giorgia Meloni dice: «Vogliamo dare il diritto alle donne che pensano che l'aborto sia l'unica scelta che hanno, di fare una scelta diversa. Non stiamo togliendo un diritto, ma aggiungendolo». Il diritto a non abortire? Intervistata da La7, la leader di FdI spiega: «Non voglio abolire la 194, non voglio modificarla. Voglio applicare integralmente, do you know applicare?, anche la parte sulla prevenzione, che significa aggiungere diritti. Vorrei dare un'alternativa a chi ad esempio abortisce per ragioni economiche».
A Pd e +Europa, però, suona diversamente. «Dopo l'America trumpiana e l'Ungheria di Orban, l'offensiva sulla 194 da parte di Fratelli d'Italia parte stasera. Ecco cosa è in gioco il 25 settembre», dice il deputato Filippo Sensi, ricandidato al Senato per il partito di Enrico Letta. «L'idea qui in Italia è che bisogna partorire con dolore e abortire sotto tortura - ragiona Emma Bonino - e credo che Giorgia Meloni, che ha questa ideologia Dio-patria-famiglia, qualora dovesse vincere non metterà in discussione la legge 194, ma spingerà per non farla applicare».
Nei giorni scorsi diverse cantanti, attrici e donne dello spettacolo hanno alzato la voce contro l'ex ministra della Gioventù. Ieri si aggiunta Chiara Ferragni. A fine agosto aveva criticato Fratelli d'Italia sull'aborto negato nelle Marche. Questa volta Ferragni condivide un post di "apriteilcervello", profilo che si definisce «antifascista, antirazzista e support Lgbt+», dove si legge: «I partiti di Salvini, Meloni, Berlusconi sono gli stessi che poche settimane fa al Parlamento europeo hanno votato contro una risoluzione che chiedeva di condannare l'abolizione del diritto di aborto negli Stati Uniti».
Di qui, l'appello: «Fate sentire la vostra voce il 25 settembre». Ora Meloni prova a rassicurare l'elettorato femminile: «Leggo appelli alle donne perché non votino Giorgia Meloni, toglierebbe diritti alle donne. Ma nessuno dice quali. Il diritto all'aborto, al divorzio, a lavorare? No. A cosa? A mettersi lo smalto?».
Tutt' altro, assicura: «Abbiamo nel programma un'infinità di provvedimenti per non dover scegliere tra avere un bambino o un lavoro».
Bonino allarga lo sguardo oltre i confini, ai modelli della destra italiana, e avverte: «Tra chi abolisce l'aborto attraverso la corte costituzionale, come Trump, e chi con altri mezzi come in Polonia, noi abbiamo scelto la terza via: non applichiamo la legge. Ci sono intere regioni dove la legge 194 non esiste, perché i ginecologi sono tutti obiettori. Parlo delle Marche, governate da Fratelli d'Italia, ma non solo.
In Ungheria oggi a Orban è venuta fuori l'idea di far sentire il battito cardiaco del feto, magari Meloni lo copierà. Ma non credo che Meloni metterà in discussione la 194: penso che lo farà in modo più subdolo e quindi più difficile da contrastare».
Il dibattito sull'aborto. Come si misura la libertà dell’individuo. Giovanni Doria su Il Riformista il 20 Settembre 2022.
All’alba dello scorso 30 agosto, davanti al pronto soccorso ostetrico di Monza, è stata trovata una neonata dentro una scatola. Un caso di abbandono come molti. Alternativa certamente migliore al gettarlo nei cassonetti dell’immondizia, come ancora, purtroppo, e più frequentemente di quanto immaginiamo, accade. Questi indizi, da soli (sebbene ve ne siano di ulteriori, e ancor più numerosi), basterebbero per denunciare i limiti di una società considerata “evoluta”, nella quale il “progresso” ha introdotto la possibilità dell’aborto, che il pensiero c.d. progressista assume quale massima espressione di autodeterminazione della donna (osteggiata solamente dai medici obiettori), solo così libera di scegliere in ordine ad atti che coinvolgono il proprio corpo. Chi pensi, o continui a pensare che unicamente l’aborto garantisca una effettiva libertà di scelta della donna, non si avvede, però, del fatto che la possibilità di interrompere la gravidanza apre, in realtà, soltanto ad un bivio: diventare madre o abortire.
Ma un bivio non è ancora libertà. Molte altre strade lo sono. E nonostante ciò, chiunque profili ulteriori prospettive, è, paradossalmente, etichettato come reazionario. L’evoluzione cresce in maniera direttamente proporzionale alla libertà dell’individuo; e la libertà si misura con il numero delle possibilità di autodeterminazione che la collettività organizzata può offrire. La questione, in altri termini, non può risolversi, quasi semplicisticamente, nel decidere: diritto all’aborto si, diritto all’aborto no. Pensare di ridiscutere, nel nostro Paese, la l. n. 194/1984, costituirebbe, infatti, oggi, una discussione antistorica sul piano socio-giuridico, oltre che estremamente “pericolosa” sul piano della adeguata tutela della donna, che, de facto, verrebbe costretta ad accedere a pratiche abortive clandestine, o, laddove possa, a sistemi di shopping abortivo. Occorre, piuttosto, “allargare”, in qualche misura, il piano di valutazione, coinvolgendo nel dibattito politico-giuridico l’intera prospettiva della (crisi della) genitorialità nel contesto del riconoscimento gius-costituzionale. E ciò attraverso l’assunzione (socio-normativa) solidaristica del figlio come “vantaggio”, “risorsa” per la collettività, cui spetta, dunque, il compito di creare le condizioni di incentivo e di tutela (specie – naturalmente – per la donna) perché sia consentita un’effettiva e non solo formale libertà di scelta per la madre.
La soluzione è possibile nella misura in cui l‘apertura alla nuova generazione non resterà un fatto meramente privato di cui il singolo o la coppia dovranno in ogni senso sopportarne il “peso”, ma una questione di pubblico interesse di cui deve farsi carico la collettività, e per essa lo Stato, in attuazione di principi costituzionali già presenti nell’ordinamento. In questa prospettiva, è dell’11 settembre 2015 la prima proposta di legge n. 3306 (presentata da Ignazio La Russa) di modifica della disciplina delle adozioni, in modo da consentire lo stato di adottabilità del concepito. Proposta evidentemente fondata su principi di civiltà giuridica del rispetto della libera scelta della madre e di un giusto assistenzialismo, con effetti, tra l’altro, di risparmio erariale (un neonato abbandonato o non riconosciuto dai genitori viene immediatamente affidato ad una struttura idonea con relativi costi) e di incremento demografico (così tanto auspicato). Si tratta, peraltro, di un modello adozionale sperimentato con successo da molto tempo negli Stati Uniti, paese progressista per definizione, di per sé privo di connotazione ideologica, e idoneo, perciò, ad accogliere consensi politicamente trasversali.
Paradossalmente, proprio in nome del progresso, l’anzidetto progetto di legge ha ripetutamente fallito l’obiettivo, reo di conferire al concepito, in ragione dello stato di adottabilità, “personalità giuridica” e, per questa via, di incidere sulla normativa che consente l’aborto rendendolo nuovamente un crimine penalmente perseguibile. Il progresso è certamente un obiettivo comune e ambìto; ma se non vuole risolversi in un grande inganno, in immagini fallaci, richiede un certo sforzo di analisi. La soggettività giuridica del concepito nel nostro ordinamento è incontestabile (così, da ultimo, l’art. 1, comma 1, della legge 19 febbraio 2004 n. 40). Ed è affermata anche dalla nostra giurisprudenza costituzionale (sentenza 8 maggio 2009 n. 151) che lo riconosce quale titolare di diritti fondamentali. Il concepito, ad esempio, può essere beneficiario di un lascito testamentario o di un fondo fiduciario, oppure, una volta nato (quindi diventato “persona” per l’ordinamento), può chiedere il risarcimento per un danno subito nella sua vita prenatale.
La soggettività giuridica del concepito, del resto, non è ignorata nemmeno dalla legge sull’aborto che, infatti, operando un bilanciamento con l’interesse materno, consente l’interruzione della gravidanza secondo una procedura e in circostanze rigidamente determinate, fuori dalle quali resta un reato. Una donna che preferisca far nascere un concepito con la consapevolezza di affidarlo immediatamente alle cure di una famiglia idonea in lista d’attesa, dovrebbe essere non solo libera di farlo, ma anche sostenuta e tutelata sotto ogni profilo. Il progresso, evidentemente, si è confuso con gli slogan; e rischia di mancare un obiettivo importante nell’evoluzione sociale.
Giovanni Doria
La destra italiana e i “cimiteri dei feti” se dovesse vincere. Giampiero Casoni il 04/09/2022 su Notizie.it.
La destra italiana e i “cimiteri dei feti” se dovesse vincere la formula anti abortista di una coalizione che ha specifici punti in agenda politica
La destra italiana non ha mai abbandonato del tutto il tema dei “cimiteri dei feti”, specie se dovesse vincere esso potrebbe tornare in agenda, anche se non si tratta di un tema di grande rispondenza mediatica per ovvi motivi. Ma di cosa parliamo? Una mini inchiesta di Fanpage ha rimesso a fuoco il tema che di fatto è uno dei punti “etici” della visione politica e di governo di Giorgia Meloni torna a far parlare di sé.
Il progetto sarebbe quello di “estendere a livello nazionale la pratica dei cimiteri dei feti”, cioè dei luoghi in Italia dove ciò che resta di un aborto viene inumato.
La destra italiana e i “cimiteri dei feti”
A seconda che quel “ciò” sia già persona o “prodotto” la legge italiana ha delle regole disciplinate dal regolamento di polizia mortuaria del 1990. Quali? I feti tra le 20 e le 28 e al di sopra delle 28 settimane di età intrauterina sono considerati “nati morti”, quindi vanno sepolti a cura delle Asl o dei genitori.
Termodistruzione o inumazione a prescindere?
Sotto le 20 settimane vengono gestiti dall’ospedale attraverso una procedura chiamata “termodistruzione”. Un esponente di Fratelli d’Italia, Luca De Carlo, aveva rimesso a fuoco la questione per cui i cimiteri dei feti dovrebbero essere tali per tutti, secondo un mood velatamente anti abortista che è appannaggio non plebiscitario. Fa fede il “laboratorio Marche”, una sorta di schema di governo Meloni che ha in agenda i diritti riproduttivi in Italia: limitato accesso all’aborto, contrasto al gender e cimiteri dei feti.
Il vescovo di Ventimiglia: «Giusto seppellire i feti. E chi difende l’aborto non è cattolico». Redazione il 3 Settembre 2022 su Il Secolo d'Italia.
“Giusto dare una sepoltura ai feti: il concepito è un essere umano e non può finire nei rifiuti speciali”. Parola di monsignore. Il vescovo di Ventimiglia-Sanremo, Antonio Suetta, in una intervista all’Adnkronos, entra nel dibattito di queste ore sulla sepoltura dei bimbi mai nati. E, con buona pace della galassia progressista in cerca di scandali, definisce “coerente” e “buona” la proposta rilanciata da Fratelli d’Italia. Che ha fatto gridare allo scandalo le femministe. “Nel merito della questione – spiega il prelato – io credo che sia una cosa coerente e buona. Perché il concepito è un essere umano ed è una questione di dignità dell’essere umano avere una giusta sepoltura e non finire nei rifiuti speciali”.
Il sindaco di Ventimiglia: giusto seppellire i feti, ma quale oscurantismo
Eppure il centrosinistra è insorto definendo la proposta del partito di Giorgia Meloni “oscurantista” e “contro le donne’. Ma quando mai. “L’aborto è un argomento scomodo”, dice il vescovo di Ventimiglia. “Io sono convinto che l’aborto si spieghi e si condanni da solo. Purtroppo si capisce che coloro che desiderano soltanto promuovere e legittimare l’aborto, tra le attenzioni che adottano certamente inseriscono quella di parlare il meno possibile di aborto”. Parola sferzanti. Che demoliscono la narrazione della sinistra che blatera di diritti delle donne negando la tutela della vita.
“Chi difende l’aborto non è cattolico”
“Il tema dell’aborto – continua monsignor Suetta – non è una questione politica e non è una questione di schieramento. L’aborto è un dato di fatto. La soppressione di un essere umano. E chi sostiene che la soppressione di un essere umano sia legittima, mi dispiace dirlo, ma non è cattolico anche se si proclama tale”. Ma non è tutto. Il vescovo vuole spiegarsi meglio. “È incompatibile con la fede non perché lo dica io ma perché lo dice la Dottrina della Chiesa. Una persona, naturalmente, può esprimere liberamente le proprie convinzioni. Ma non necessariamente queste sono vere e accettabili. Come il fatto che uno si proclami cattolico e poi affermi cose non conformi alla Chiesa cattolica”.
Gennaro Marco Duello per fanpage.it il 16 agosto 2022.
Maria Monsé ha rilasciato una intervista al settimanale salutista “Ok Salute e Benessere” e ha raccontato il dramma di aver subito due aborti. La showgirl protagonista del Grande Fratello Vip 6: “Sei bionica, mi diceva mio marito quando ero incinta di nostra figlia Perla. Lo diceva perché non mi fermavo mai: praticavo sport, andavo in barca, stavo bene, ero felice, luminosa. Saranno stati i 32 anni, sarà stata l’ebbrezza della prima gravidanza, ma io non avevo la benché minima percezione del rischio”.
Gli aborti subiti da Maria Monsé
Era il 2006 e lei aveva anche accettato di partecipare come concorrente del reality show La Fattoria, che si registrava in Marocco, e aveva detto di sì, pensando che non sarebbe stato un problema. Ma poi il ginecologo la fermò, era incinta e avrebbe fatto meglio a evitare: “Mi spiegò che era meglio non stressare eccessivamente il corpo. Rinunciai, limitandomi a fare l’opinionista in studio. Perla nacque e andò tutto bene, finché, passati tre anni, io e mio marito decidemmo che era arrivato il momento di allargare la famiglia. Ero entusiasta di cercare un altro figlio: della gravidanza, dopotutto, serbavo solo ricordi positivi”.
Maria Monsé rimase incinta quasi subito, l’estate successiva. Le analisi erano a posto e non aveva e non sentiva necessità di altri controlli. Poi il dramma: “Un giorno, però, ho iniziato a sentire dolori alla pancia, così sono corsa a fare un’ecografia. Era solo la terza settimana, il medico mi disse che non c’erano più i battiti e io rimasi scioccata. Ma come? La mia favola era improvvisamente crollata. Tornai a Roma per abortire e fu un dramma.
Non solo convivere con questa notizia, veramente inaspettata, ma anche l’intervento in ospedale dove, per una tragica ironia della sorte, mi misero nella stanza accanto a quella in cui nascevano i bambini. Io stavo per abortire e dall’altra parte del muro sentivo piangere i neonati. Uno strazio. Presi dei calmanti. L’operazione andò bene, nonostante il mio stato d’animo e le mie preoccupazioni”.
L'aiuto della madre
A starle vicino fu sua madre: “Lei cercava di consolarmi dicendomi che la volta successiva sarebbe andata bene. Con il tempo il trauma dell’aborto si affievolì e a un certo punto i ricordi positivi della prima gravidanza, con la felicità che mi dava avere accanto Perla, mi spronarono a riprovarci”. Come era capitato già in precedenza, subito riuscì a rimanere incinta, ma si ripresentarono le stesse problematiche come dolori e assenza di battito all’ecografia:
Ero disperata, non ci volevo credere. Andai da un altro medico per una seconda ecografia e nonostante l’esito fu lo stesso, dopo il secondo raschiamento ho convissuto per mesi con il pensiero che i dottori avessero sbagliato e che mio figlio, invece, era vivo e lo avevo perso volontariamente. Ma ero io che vivevo di false speranze, ero io che ero entrata in un tunnel da cui non riuscivo a uscire. Per un po’ di tempo ho cercato di capire il motivo di questi aborti: c’era chi mi diceva che a una certa età il rischio aumenta perché gli ovuli non sono più quelli «di una volta», chi mi diceva che avrei dovuto fare una cura di eparina, chi sosteneva che fosse colpa della tiroide.
Poi ha trovato in Perla Maria, la sua spalla e la sua ragione di vita: "La verità è che io a un certo punto ho detto basta e non ho più voluto andare alla ricerca della causa. Avevo sofferto troppo e mi sono resa ancora più conto del valore di quello che già avevo. Accanto a me c’era Perla e ancora oggi che lei ha 16 anni siamo inseparabili. Sono una donna molto fortunata".
Elezioni politiche, Chiara Ferragni attacca Giorgia Meloni: “Far sì che non accada”. Il messaggio dell'influencer. Il Tempo il 24 agosto 2022
Chiara Ferragni all’attacco di Giorgia Meloni. “Ora è il nostro tempo di agire e far sì che queste cose non accadano”. Con questa frase l'imprenditrice digitale e influencer, nonché moglie di Fedez, si schiera in difesa del diritto all'aborto. La frase è stata postata in una storia sul suo profilo Instagram, social dove Ferragni è seguita da 27,7 milioni di follower, e riprende un post della rivista 'The Vision' che afferma “Fratelli d’Italia ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche, che governa. Una politica che rischia di diventare nazionale se la destra vince le elezioni" e che a sua volta riprende un articolo pubblicato lunedì sul sito del quotidiano britannico The Guardian.
"L'aborto in Italia è stato legalizzato nel 1978" ma "l'alto numero di ginecologi che rifiutano di interrompere le gravidanze per motivi di coscienza - il 64,6%, secondo il 2020 dati - fa sì che le donne incontrino enormi difficoltà nell'accesso a procedure sicure", si legge nell'articolo di The Guardian. Secondo il quotidiano inglese, "la leadership conservatrice in diverse regioni italiane negli ultimi anni ha ulteriormente ostacolato l'accesso all'aborto, soprattutto nelle Marche, ex roccaforte della sinistra, che da settembre 2020 è governata da Fratelli d'Italia". Una delle prime mosse del Consiglio regionale "è stata quella di non applicare una misura del ministero della Salute, introdotta lo scorso anno, che permetteva alle cliniche, non solo agli ospedali, di fornire la pillola abortiva. Mentre la legge nazionale prevede che gli aborti medici possano essere effettuati fino a nove settimane di gravidanza, nelle Marche il limite è di sette settimane", prosegue il testo. Giorgia Meloni, il capo del partito "che spera di diventare presidente del Consiglio - aggiunge -, ha descritto l'aborto come una 'sconfitta', anche se di recente ha affermato che l'abolizione della legge del 1978 non era nella sua agenda. Tuttavia, le Marche, descritte come un 'laboratorio' per le politiche di Fratelli d'Italia, forniscono un'idea di ciò che potrebbe accadere se la coalizione guidata dal partito e che include la Lega di Matteo Salvini, che ugualmente contraria all'aborto, conquistasse il potere".
Ieri sera alle 21 Ferragni aveva pubblicato la stessa storia, ma con un'altra frase ad accompagnare: “Facciamoci sentire a queste elezioni”. Non ci sono state repliche da parte della stessa Meloni o di FdI.
L'influencer contro la politica di Fratelli d'Italia. Chiara Ferragni affossa Meloni: “Nelle sue Marche impossibile abortire, è tempo di agire”. Giovanni Pisano su Il Riformista il 24 Agosto 2022
Fratelli d’Italia “ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche, che governa. Una politica che rischia di diventare nazionale se la destra vince le elezioni”. Chiara Ferragni entra in campagna elettorale e attacca il partito di Giorgia Meloni. “Ora è il nostro tempo di agire e far si che queste cose non accadano” scrive l’influencer, seguita da oltre 27 milioni di followers, in una storia pubblicata su Instagram che condivide un post di The Vision, la rivista online dedicata ai millennial italiani, sull’aborto diventato quasi impossibile nelle Marche, regione governata dalla destra e nello specifico dal governatore di Fratelli d’Italia Francesco Acquaroli. Regione dove proprio ieri è partita la campagna elettorale della leader Fdi Giorgia Meloni sul palco ad Ancona.
Dall’isola spagnola di Ibiza, dove sta trascorrendo le vacanze con il marito Fedez e i due figli, Ferragni lancia una frecciata al partito di Giorgia Meloni e invita gli italiani “ad agire” partendo proprio da quel “modello Marche” millantato in questi mesi da Fratelli d’Italia, che guida la regione dal 2020, e che nel 2021 si è opposta alla pillola Ru486, quella per l’interruzione della gravidanza, nei consultori.
Non solo però le politiche contro l’aborto. Nelle Marche si contrastano anche altri diritti come quello relativo al suicidio assistito dove nonostante la sentenza Cappato/Dj Fabo, tre pazienti hanno dovuto combattere a lungo contro il comitato etico regionale perché desse il via libera alla somministrazione del farmaco. Altro tema controverso è quello relativo ai diritti civili con il mancato patrocinio in occasione del Gay Pride perché considerato un evento politico.
Nei giorni scorsi un articolo del quotidiano britannico The Guardian sulle Marche spiegava come “una delle prime mosse del consiglio regionale sia stata stata quella di non applicare una misura del ministero della Salute, introdotta lo scorso anno, che permette alle cliniche, non solo agli ospedali, di fornire la pillola abortiva”. Non solo: “Mentre la politica nazionale prevede che gli aborti possano essere effettuati fino a nove settimane di gravidanza, nelle Marche il limite è di sette settimane“. Il Guadian sottolinea anche come il “laboratorio Marche” rischia di essere esteso all’Italia intera in caso di vittoria di un governo a guida Meloni.
Giovanni Pisano. Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.
Dopo il post dell'influencer il dibattito torna sui diritti civili. Che cos’è il “Modello Marche”: suicidio assistito, diritti civili e aborto su cui punta il dito Chiara Ferragni. Rossella Grasso su Il Riformista il 24 Agosto 2022
Il post di Chiara Ferragni con cui ha preso posizione sul tema dell’aborto ha segnato l’agenda del dibattito politico di una nuova giornata di campagna elettorale. E si torna a parlare di diritti civili in particolare nella regione Marche. L’influencer ha ripostato sul suo profilo un contenuto di The Vision: una stanza di ospedale con il lettino nero e la scritta “Fdi ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche, che governa. Una politica che rischia di diventare nazionale se la destra vince le elezioni”. La Ferragni poi ha aggiunto: “Ora è il nostro tempo di agire e far sì che queste cose non accadano”. Questo è bastato per riportare al centro del dibattito politico il delicato tema dell’aborto che ancora troppo spesso è negato in tutta Italia.
Perché si parla di “Modello Marche”? La regione è governata da Fratelli d’Italia, il partito che da settimane è in testa ai sondaggi per le prossime elezioni. Giorgia Meloni ha scelto Ancona come palco per dare il via alla campagna elettorale del suo partito. Qualcuno, come Laura Boldrini, ha definito la regione il “laboratorio dell’ultra-destra” e, come riporta Repubblica, ne ha pronunciato il mea culpa della sinistra: “Dal 2008 – ragiona l’ex presidente della Camera, che è nata a Macerata – non abbiamo saputo intercettare i bisogni delle persone. Queste zone sono state desertificate, tante aziende hanno chiuso, altre hanno delocalizzato. Chi dei nostri era sul territorio, non ha saputo dare risposte”.
“Modello marche” si riferisce ai vari episodi che hanno visto la regione dura e controcorrente su alcune scelte che riguardano i diritti civili. Nel 2021 la regione si è opposta alla pillola Ru486, quella per l’interruzione della gravidanza, nei consultori. “Fratelli d’Italia metterà a rischio il diritto all’aborto”, ha scritto il Guardian pochi giorni fa. A questo si aggiunge anche un gran numero di medici obiettori di coscienza che, sebbene la legge preveda il diritto all’aborto, poi nei fatti è davvero difficile riuscirci.
“Concordo con Chiara Ferragni sulla questione dell’obiezione di coscienza nelle Marche, è una situazione che denunciamo e che va avanti ormai da anni, da quando c’era il governo di centrosinistra e che negli ultimi due anni, con il governo di centrodestra, si è ulteriormente accentuata”, ha detto all’Ansa Marte Manca, attivista del movimento femminista Non Una di Meno Transterritoriale Marche. Manca, già il 28 settembre 2021, nella Giornata Internazionale dell’Aborto Sicuro, insieme ad altre esponenti del movimento, aveva manifestato davanti a Palazzo Leopardi, una delle sedi del Consiglio regionale a sostegno dell’Aborto libero, gratuito e farmacologico.
“Nelle Marche c’è un elevato tasso di obiezione di coscienza che rende complicato per le donne accedere all’Ivg, l’interruzione volontaria di gravidanza – dice l’attivista – una situazione decennale, che a seconda delle strutture ospedaliere oscilla tra il 70% e il 100% di obiezione. Purtroppo non abbiamo dati aggiornati sull’obiezione di coscienza, gli ultimi risalgono al 2020, in quanto l’Asur non ce li ha più forniti – aggiunge – a già all’epoca era emersa chiaramente la problematicità della situazione, tanto che a Jesi, ad esempio, l’obiezione di coscienza tocca livelli del 100% (10 ginecologi su 10 e 20 ostetriche su 20)”. Oltre alle criticità sul fronte dell’Ivg, l’associazione torna alla carica sulla “mancata applicazione delle linee di indirizzo ministeriali per la Ru486, non recepite nelle Marche, le quali prevedono la possibilità di accedere all’Aborto farmacologico non solo negli ospedali, ma anche tramite consultori e fino a nove settimane di gestazione. Nelle Marche però – sostiene – questa possibilità è prevista solo negli ospedali di Macerata, Urbino e Senigallia e solo per le donne residenti e fino a sette settimane di gestazione e non nove”.
Subito è arrivata la replica di Fratelli d’Italia. “Se la stampa e le influencer vogliono occuparsi seriamente dell’aborto nella regione Marche, dovrebbero informarsi sulla base dei dati e consultare le relazioni annuali al Parlamento sulla legge 194. Per esempio, leggendo l’ultima firmata dal ministro Speranza si evince che nelle Marche l’offerta del cosiddetto servizio di Ivg è di gran lunga superiore a quella nazionale: le interruzioni volontarie di gravidanza, possono essere effettuate nel 92,9% delle strutture sanitarie mentre la media italiana è del 62%”. Lo dichiarano Isabella Rauti, responsabile del dipartimento famiglia di Fdi ed Eugenia Roccella candidata nelle liste di Fratelli d’Italia.
“Per quanto riguarda gli obiettori – aggiungono – il numero di aborti a carico dei medici non obiettori è 0,8 aborti a settimana, non sembra quindi che l’obiezione di coscienza, diritto civile previsto dalla legge 194, sia un ostacolo. Per quanto riguarda il cosiddetto ‘aborto chimico’ (pillola RU486), invece, va ricordato che le linee guida del Ministero non sono vincolanti (infatti l’Emilia Romagna ne ha sempre avute di proprie, diverse da quelle nazionali); e soprattutto che quelle attuali, emanate dal ministro Speranza, non rispettano la stessa legge 194, quando prevedono che l’aborto possa essere effettuato nei consultori ovvero fuori dalle strutture ospedaliere. È doveroso ricordare anche che la pillola Ru486 è un aborto più economico per il servizio sanitario ma più pericoloso per la salute delle donne, considerati i numerosi effetti collaterali e una mortalità più alta, come emerge dalla letteratura scientifica in materia”.
Ma la regione non si è fermata al tema dell’aborto. Lo scontro sui diritti nelle Marche riguarda anche il suicidio assistito, pratica riconosciuta nel 2019 dalla cosiddetta sentenza Cappato della Corte costituzionale. Ben tre pazienti si sono dovuti scontrare con il comitato etico della Regione, tra cui il noto Federico Carboni (conosciuto alle cronache con “Mario“), per la somministrazione del farmaco e – l’ultima in ordine di tempo – di Antonio. A sentirsi poco tutelata è anche la comunità Lgbtqia+. La Regione non ha infatti autorizzato il patrocinio per la manifestazione del Pride perché considerato un ”evento politico”.
Rossella Grasso. Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Tra le varie testate con cui ha collaborato il Roma, l’agenzia di stampa AdnKronos, Repubblica.it, l’agenzia di stampa OmniNapoli, Canale 21 e Il Mattino di Napoli. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. E’ autrice del documentario “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.
Chiara Ferragni contro Giorgia Meloni e l’aborto negato nelle Marche. VANESSA RICCIARDI su Il Domani il 24 agosto 2022
L’influencer da oltre 27 milioni di follower ha ricondiviso un post sui problemi nella regione amministrata da Fratelli d’Italia: «Ora è il nostro tempo di agire e far sì che queste cose non accadano». La leader di FdI ha fatto partire la campagna elettorale da Ancona
Chiara Ferragni parla ai suoi 27,7 milioni di follower e si lancia contro Giorgia Meloni e il diritto negato di abortire. Fratelli d’Italia nella regione Marche ritenuta laboratorio della destra a trazione meloniana, ha rifiutato il protocollo nazionale sulla pillola abortiva, e l’influencer ha condiviso su Instagram un post sull’argomento che avverte sul pericolo di vittoria alle elezioni della destra. «Ora – ha commentato Ferragni – è il nostro tempo di agire e far sì che queste cose non accadano». La storia su Instagram è arrivata lo stesso giorno in cui Meloni ha fatto partire la sua campagna elettorale da Ancona.
LE MARCHE
La misura come raccontato su Domani era stata giustificata dal capogruppo di FdI in consiglio, Carlo Ciccioli, medico, dicendo che «siccome la nostra società non fa figli, possiamo essere sostituiti da persone che provengono da altre etnie». Non tutti però si sono dimostrati d’accordo nemmeno all’interno di Fratelli d’Italia. La coordinatrice e consigliera regionale Leonardi ha bollato le parole come «opinioni personali» e ridimensionato la mossa del governatore sulla Ru486, spiegando che «la giunta sostiene la piena applicazione della legge 194».
Secondo gli ultimi dati tuttavia, le Marche sono tra le 11 regioni con ospedali in cui tutti i medici sono obiettori di coscienza.
IL PD
Valeria Fedeli, dem che in passato si era ritrovata a difendere la libertà di espressione del marito di Ferragni, Fedez, in commissione di vigilanza Rai, oggi si schiera con lei. Quando il rapper aveva criticato al concerto del Primo Maggio la Lega e le sue posizioni contro il ddl Zan contro l’omotransfobia aveva ribadito l’importanza di permettere all’artista di dare la sua versione dei fatti.
Adesso ha apprezzato il gesto di Ferragni. «Brava Chiara Ferragni! – ha scritto in una nota –. Difendiamo l'aborto, la maternità consapevole e la salute delle donne. Nella Regione Marche, laboratorio della destra più nera, i diritti sono sotto attacco. Rischiamo ora che lo siano in tutta Italia. Chiediamo a Meloni: cosa pensa, onorevole, della Legge 194?».
LA POSIZIONE DI MELONI
Meloni, dopo aver fatto discutere perché nella sua autobiografia ha scritto che sua madre avrebbe deciso di farla nascere cambiando idea sull’aborto, più volte si è espressa per ridurre al minimo la decisione di interrompere la gravidanza. In Campidoglio, dove è stata consigliera nella passata amministrazione, aveva presentato insieme a Rachele Mussolini, nipote del duce, e Andrea De Priamo, oggi candidato in parlamento, una mozione sponsorizzata dai pro vita che prevedeva finanziamenti per i «Centri di aiuto alla vita» e l’istituzione della “Giornata della Famiglia”.
VANESSA RICCIARDI. Giornalista di Domani. Nasce a Patti in provincia di Messina nel 1988. Dopo la formazione umanistica tra Pisa e Roma e la gavetta giornalistica nella capitale, si specializza in politica, energia e ambiente lavorando per Staffetta Quotidiana, la più antica testata di settore.
La legge viene continuamente disattesa. Chiara Ferragni ha ragione sull’aborto: negli ospedali si fa di tutto per umiliare le donne e farle sentire colpevoli. Angela Azzaro su Il Riformista il 25 Agosto 2022
Chiara Ferragni ha criticato Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia dicendo che se dovessero andare al Governo sarebbe ancora più difficile abortire. La Ferragni lo dice sulla base delle regioni già governate dalla destra. Quando parliamo di interruzione di gravidanza in Italia dobbiamo ricordare che è già difficilissimo poter accedere alla legge 194, questo a causa del numero altissimo di obiettori di coscienza, al fatto che praticamente non esistono i consultori o, se esistono, le donne vanno lì e non vengono informate dei loro diritti ma si fa di tutto per convincerle a non fare questa scelta, al fatto che comunque la legge viene continuamente disattesa.
Nella risposta di Fratelli d’Italia a Chiara Ferragni si parla anche della pillola abortiva ovvero della RU486 e si riconosce il fatto che non viene utilizzata. La destra dice che il motivo del mancato utilizzo sarebbe dovuto a problemi di salute che potrebbe causare alle donne, in realtà si fa di tutto per non rendere questa scelta meno invasiva e meno umiliante per le donne.
Perché negli ospedali pubblici si fa di tutto per far sentire colpevoli le donne che fanno questa scelta. Questo è un ulteriore aggravio e peso che si vorrebbe mettere sulle spalle delle donne non utilizzando la pillola abortiva.
Quando parliamo di interruzione di gravidanza stiamo parlando di libertà di scelta, di diritto all’autodeterminazione. Dietro alla legge 194 c’è il movimento delle donne che continuerà a battersi per questo diritto di libertà di scelta rispetto al proprio corpo. Questo non possiamo e non dobbiamo dimenticarlo.
Angela Azzaro. Vicedirettrice del Riformista, femminista, critica cinematografica
Un messaggio sbagliato. La propaganda di Chiara Ferragni, tutte le inesattezze sull’aborto e sulle critiche a Giorgia Meloni: è ignoranza di base. Hoara Borselli su Il Riformista il 25 Agosto 2022
Il diritto all’aborto non è messo in discussione. Chiara Ferragni parla di un pericolo inesistente. C’è una grande polemica social che si sta alimentando di ora in ora e che vede protagonisti, da una parte, la notissima influencer Chiara Ferragni e dall’altra un partito, il partito leader in assoluto in questa tornata elettorale che è Fratelli d’Italia. Andiamo per ordine. Chiara Ferragni sul suo profilo Instagram, precisamente nelle storie, ha postato un’immagine, l’immagine di una sala operatoria, o per meglio dire una di quelle sale dove viene praticato l’aborto. E ha scritto questa frase: “Fratelli d’Italia ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche, dove governa. Una pratica che rischia di diventare nazionale laddove la destra dovesse vincere le elezioni”.
Un concentrato di inesattezze all’interno di questo post o di questa propaganda politica. Vi dico perché. La prima è che nelle Marche non risulta alcun veto all’interruzione volontaria di gravidanza all’interno di una struttura pubblica. Sicuramente ci saranno degli obiettori di coscienza (ci sono in tutte le strutture pubbliche dislocate in tutta Italia). E la seconda è dire che laddove dovesse vincere la destra si estenderà a livello nazionale il divieto di abortire. Dice un’inesattezza perché non può essere vietata alcuna legge dello Stato. C’è una legge, la 194, la quale dice, dal 1978, che qualunque donna può ricorrere all’interruzione di gravidanza in qualunque struttura, laddove si ritenga ci siano le condizioni affinché possa essere praticato.
Ora ritengo molto grave dare un messaggio errato in questo senso, soprattutto da una persona che ha un seguito notevole e quindi ha un grande senso di responsabilità. Hanno un peso importante le parole che dice la stessa Ferragni. Vorrei ricordare che Giorgia Meloni è stata quella che, a posteriori della sentenza della Corte Suprema in America rispetto alla pratica dell’aborto, ha dichiarato ufficialmente, pubblicamente, davanti a tutti i microfoni ha detto la legge 194 non si tocca. Quindi le sue parole hanno rassicurato in tal senso.
È vero che Fratelli d’Italia ha detto che si impegnerà a far sì che possano essere implementati i centri d’ascolto o comunque far di tutto per poter supportare quelle donne e quelle madri che si trovano spesso costrette a dover ricorrere alla pratica dell’aborto perché non hanno i soldi, non hanno la condizione economica per poter sostenere una gravidanza. E’ qui che vuole intervenire Fratelli d’Italia. La trovo una logica di assoluto buon senso e che nulla va a ledere in termini di diritti a quelle donne che vogliono liberamente ricorrere a questa pratica.
Quindi Chiara Ferragni sta dando un messaggio sbagliato che fa parte di quella propaganda politica, però su delle basi che non stanno oggettivamente in piedi, che serve soltanto ad andare ad alimentare quella comunicazione sbagliata per dare contro l’avversario politico. Però, in questo caso con un’ignoranza di base, in termini di chi ignora quelle che sono poi le vere realtà dei fatti.
Hoara Borselli. Inizio la mia carriera artistica come una delle protagoniste della fortunata "soap opera" CENTOVETRINE per essere poi chiamata dal Cinema a rivestire il ruolo di protagonista nel film PANAREA. Il grande successo è arrivato con la trasmissione BALLANDO CON LE STELLE, vincendo la prima edizione. Ho proseguito partecipando alle tre edizioni successive. Da lì il ruolo da protagonista nella tournèe teatrale la febbre del sabato sera, dove ho calcato, a ritmo di "sold out", tutti i più grandi teatri italiani. A seguire sono stata chiamata come co-conduttrice e prima ballerina nel programma CASA SALEMME SHOW, quattro prime serate su Rai1. In seguito ho affiancato Fabrizio Frizzi nella conduzione della NOTTE DEGLI OSCAR, poi Massimo Giletti nella conduzione di GUARDA CHE LUNA sempre su Rai1. Poi ho condotto il Reportage di MISS ITALIA. Sono stata protagonista della fiction televisiva PROVACI ANCORA PROF, otto puntate in prima serata su Rai1 e TESTIMONIAL di importanti aziende di vari settori.
Elena Tebano per 27esimaora.corriere.it il 25 agosto 2022.
Al centro della campagna elettorale ieri sono finiti i diritti civili, a causa di un messaggio in difesa del diritto all’aborto inviato da Chiara Ferragni, imprenditrice e influencer, ai suoi 27,7 milioni di follower.
Ferragni ha commentato un articolo sui vincoli alla legge 194 istituiti dalle Marche: la regione guidata da Fratelli d’Italia, come altre amministrate dal centrodestra, è stata accusata dall’opposizione di non seguire le direttive del ministero della salute, vietando di praticare l’aborto farmacologico (con la pillola Ru 486) nei consultori, e limitandone l’uso alle prime 7 settimane di gravidanza. Versione contestata da Fratelli d’Italia che ha invitato «le influencer a informarsi» e sostiene che il 92,9% degli ospedali delle Marche praticano aborti.
Cosa dicono i dati
Dicono entrambi il vero, perché si tratta in realtà di due cose diverse. I dati citati da Fratelli d’Italia sono tratti dall’ultima Relazione del Ministro della salute sull’attuazione della legge 194 e si riferiscono al 2020, cioè per lo più al periodo in cui le Marche erano ancora guidate dal Partito democratico (il governatore di FdI Francesco Acquaroli è entrato in carica il 20 settembre, cioè solo per gli ultimi tre mesi di quell’anno).
Riguardano inoltre soltanto gli ospedali dove si praticano gli aborti e non i medici obiettori (in ogni regione le amministrazioni devono garantire per legge un numero sufficiente di punti per l’interruzione di gravidanza in rapporto alla popolazione ). Se si guarda alla percentuale di medici che non effettuano Ivg i dati sono però molto diversi: le Marche hanno il 70% di ginecologi obiettori, più della media nazionale, che è del 64,6%.
La pillola Ru486
Questi dati, inoltre, non comprendono ancora gli aborti effettuati nei consultori, che sono autorizzati a praticare quelli farmacologici solo dall’agosto del 2020 in base alle nuove linee guida ministeriali. Quindi sottostimano i limiti all’applicazione della legge 194 nelle Marche che, analogamente ad altre regioni di centrodestra, vietano la somministrazione della pillola Ru486 nei consultori prevista invece dalle linee guida ministeriali (rendendo così l’accesso all’aborto più difficoltoso).
Chiara Ferragni e l'endorsement contro Fratelli d'Italia: così gli influencer condizionano le elezioni. Domenico Giordano su Il Tempo il 25 agosto 2022
Prima e, forse più pervicacemente dei presunti e possibili attacchi portati dagli hacker russi, questa campagna elettorale è già di fatto condizionata dalle incursioni e dagli endorsement a gamba tesa, per dirla con un efficace gergo calcistico, di social influencer e artisti vari che hanno manifestato in Rete e nelle interviste tutta la loro preoccupazione qualora dovesse trionfare nelle urne la leader di Fratelli d'Italia. Tant'è che dopo le incursioni di Loredana Bertè e di Giorgia, entrambe presenti su Instagram con una discreta dose di follower, 342 mila per la prima e ben 947 mila per la seconda, ieri è stata la volta di Chiara Ferragni, celebrity leader per antonomasia con i suoi 27.764.842 follower, a lanciare l'allarme della possibile regressione culturale e civile che l'Italia subirebbe in caso di vittoria della destra. Nelle sue stories di Instagram, infatti, la Ferragni ha condiviso un post lanciato da @thevisioncom nel quale veniva paventato il pericolo che in caso di vittoria della destra sarebbe diventato «praticamente impossibile abortire» in Italia, come già avviene nella regione Marche amministrata da Fratelli d'Italia. Nella condivisione, però, Ferragni aggiunge un testo per nulla neutrale che vale in termini di audience quanto dieci serate da Bruno Vespa e scrive «ora è il nostro tempo di agire far si che queste cose non accadano».
Perché, è opportuno rammentare, giusto per comprendere la capacità di penetrazione di un contenuto social veicolato da un celebrity leader e, come già accaduto in passato proprio con lei o con Fedez la capacità di condizionare l'agenda del dibattito pubblico su temi sociali ampi, che solo negli ultimi 28 giorni le reaction totali ottenute dal profilo Instagram di Ferragni sfiorano i 27 milioni. O, se vogliamo raggiungere vette più elevate, è sufficiente pensare che dall'inizio dell'anno le reaction sono state poco meno di 307 milioni, mentre i follower sono cresciuti di altri 2 milioni. Si tenga conto che se sommiamo invece le reazioni dei tre social leader politici più attivi, ovvero Gianluigi Paragone e Giorgia Meloni su Facebook e Matteo Salvini su Instagram, di reaction arriviamo a quota 75 milioni, quindi siamo a un quarto di quelle incassate dalla Ferragni.
È questo termine di paragone a farci comprendere la concreta possibilità, soprattutto se si manifesta nelle ultime giornate di campagne elettorale nei confronti dei «last minute voters» che solitamente possono spostare degli equilibri tra le liste e le coalizioni, quanto nella nostra società il presidio reputazionale delle piattaforme è strategico per le aziende, per la politica e per le istituzioni.
"Arrivano i nostri", deve aver pensato un Enrico Letta tremebondo ma vagamente rassicurato, di fronte all'ultima uscita di Chiara Ferragni sull'aborto. Francesco Maria Del Vigo il 25 Agosto 2022 su Il Giornale.
«Arrivano i nostri», deve aver pensato un Enrico Letta tremebondo ma vagamente rassicurato, di fronte all'ultima uscita di Chiara Ferragni sull'aborto. Che la regina di Instagram non si sarebbe più accontentata di pontificare solo di moda era facilmente intuibile e proprio da queste colonne lo avevamo preconizzato. Ora è arrivata la chiamata ufficiale alle armi. Contro la Meloni e in favore del Pd, ovviamente. Una sorta di discesa in campo per l'imprenditrice che da anni, insieme al marito Fedez, si impegna in tutte le battaglie politiche più chic, quelle che piacciono tanto alla gente che piace e che finiscono sulle copertine patinate delle riviste: dall'eroica campagna free the nipple (la libertà di mostrare i capezzoli sui social...) alla difesa del ddl Zan e delle frange più estreme degli attivisti Lgbtq+, ecc. Tutte crociate altamente salottiere e, infatti, l'unica volta che ha criticato Sala per l'emergenza sicurezza a Milano, dopo due giorni ha ingranato la retromarcia.
Questa volta, invece, è partita in quarta per dare manforte ai dem. La macchina elettorale del centrosinistra si è inceppata e serve un testimonial efficace. E chi può influenzare gli italiani più della madre di tutte le influencer? I vuoti vengono riempiti e, nella totale mancanza di leadership, un post della Ferragni fa più baccano di cento comizi. D'altronde lei su Instagram ha 27,7 milioni di follower, Letta non arriva a 100mila. Volete mettere? I 5 Stelle, d'altronde, sono nati dal basso del web, magari il partito dei Ferragnez (ma ormai possiamo parlare di Lettagnez) può sbocciare dall'attico delle vette dei social. Il dna radical chic è perfettamente in linea con la tradizione della sinistra elitaria. Fallita l'utopia del socialismo, si può sempre puntare sulla rivoluzione social(ista), la gauche caviar oggi è molto digital.
Così, lady Ferragni, si è scatenata sul diritto all'aborto che, sia ben chiaro, non è in discussione in Italia. Ma spuntate le ridicole accuse di fascismo, putinismo, deriva autoritaria, assalto alla Costituzione e tutte le catastrofi che possono venirvi in mente - a un mese dal voto -, tutto fa brodo. L'influencer - tra una foto su uno yacht, una in cui reclamizza i prodotti del suo brand e a pochi giorni dallo spericolato selfie sull'orlo del precipizio che ha indignato il web - ha rilanciato un articolo dal titolo chiarissimo: «Fdi ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche. Una politica che rischia di diventare nazionale se la destra vince le elezioni». E poi l'appello da barricadera in paillettes: «Ora è il nostro tempo di agire e far sì che queste cose non accadano».
Infatti non accadono, perché il presupposto è falso. Non solo non è vero che nelle Marche è impossibile abortire ma, secondo gli ultimi dati disponibili (fine 2020), il numero dei medici obiettori di coscienza negli ultimi anni è diminuito. Tutto il resto è speculazione e pregiudizio. Ma, soprattutto, non è nei programmi della Meloni - e men che meno dei suoi alleati - la volontà di mettere mano alla legge 194. Di questo, alla Che Guevara della Fashion week, interessa poco, perché ogni polemica fa marketing. Però occhio: i follower saranno pure seguaci, ma non sono mica tutti stupidi.
La bufala della Ferragni: dati vecchi, col Pd era peggio. Nel 2019 col centrosinistra il 73% dei medici era anti aborto. Ora è il 70%. Francesca Galici il 25 Agosto 2022 su Il Giornale.
A un mese esatto dal voto, in campagna elettorale entra a gamba tesa pure Chiara Ferragni. Non è la prima volta che l'influencer fornisce appoggio esterno al Partito democratico e alla sinistra in affanno e stavolta ha rilanciato il post di un altro profilo Instagram, in cui testualmente si dice che «FdI ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche, che governa».
Peccato che sia una bufala. Il post decontestualizza infatti il dato secondo il quale nelle Marche il 70% dei medici sia obiettore di coscienza, lasciando intendere che questo sia frutto della gestione di Francesco Acquaroli, in forza Fdi e governatore dal 2020.
I trascorsi della Regione Marche, però, raccontano un'altra verità. Nel 2012, quando il governatore era Gian Mario Spacca (eletto con il centrosinistra), l'Associazione Vita di Donna e la Cgil denunciavano che nell'ospedale di Jesi 10 ginecologi su 10 erano obiettori. E secondo i report, nella Regione, al 31/12 di quell'anno, gli obiettori erano il 68% dei medici e il 73% dei paramedici.
Guardando ai dati di qualche anno dopo, per esempio a quelli del 2017 quando il governatore della Regione era Luca Ceriscioli (Pd), l'associazione Non una di meno parlava del 71,2% di medici obiettori, «escluso l'ospedale di Ancona che non ha risposto». Un dato che già all'epoca era in linea con quello nazionale, con il governo di Paolo Gentiloni (Partito democratico).
E poi ancora, nel 2019, sempre sotto la guida Pd, le sigle sindacali Cgil, Cisl e Uil fecero uno screening di tutti gli ospedali della Regione dal quale risultò che a essere obiettori era il 73% dei ginecologi. Si arriva poi al 2020, quando a settembre si è insediato Acquaroli. Alla fine di quell'anno, secondo quanto riporta il giornale della Cgil, i medici obiettori di coscienza nelle Marche erano il 70%. L'ultimo report ufficiale del Ministero della Salute è stato presentato lo scorso 13 giugno 2022 con i dati definitivi proprio del 2020 (lo stesso 70% denunciato dal sindacato). Nessun dato ufficiale sulla situazione attuale: insomma, la polemica si basa su informazioni che riguardano la giunta di centrodestra in carica da soli tre mesi.
E mentre da sinistra applaudono alle parole di Chiara Ferragni, che invita «ad agire» perché «queste cose non accadano», la stessa associazione Non una di meno, che da anni segue l'evoluzione del numero dei medici obiettori di coscienza, sottolinea che quella delle Marche è una situazione «che va avanti ormai da anni, da quando c'era il governo di centrosinistra». Persino le femministe - secondo cui la situazione «negli ultimi due anni, con il governo di centrodestra, si è ulteriormente accentuata» - devono ammettere di non avere «dati aggiornati sull'obiezione di coscienza» e che «gli ultimi risalgono al 2020». La solita polemica strumentale della sinistra.
"I dem influenzati dall'influencer: i numeri dimostrano che è una bufala". La responsabile famiglia Fdi: "Nelle Marche il 92,9% dei centri offrono il servizio di interruzione di gravidanza, la media nazionale è del 62%". Massimo Malpica il 25 Agosto 2022 su Il Giornale.
«Si potrebbe dire che a sinistra, non potendo più influenzare nessuno, ci si fa influenzare dalle influencer». È un calembour la prima lettura che Isabella Rauti, responsabile del dipartimento Famiglia di Fdi, dà delle dichiarazioni di Chiara Ferragni sull'aborto «impossibile» nelle Marche. Così, tra la promozione del suo nuovo «diario fluffy» e quella di un paio di orecchini, la Ferragni entra decisa anche nella calda campagna elettorale, sparando secca: «Fdi ha reso praticamente impossibile abortire nelle Marche che governa. Una politica che rischia di diventare nazionale se la destra vince le elezioni». Un messaggio che più diretto non si può, piovuto sui suoi quasi 28 milioni di follower, che è stato raccolto al volo dalla deputata dem Alessia Morani, marchigiana, lesta nel ringraziare l'influencer per aver acceso «un faro sulle Marche governate da Fdi».
Davvero la regione guidata da Francesco Acquaroli è un laboratorio anti-194?
«Detto che lascia perplessi che per la sinistra parli la Ferragni, il polverone che si è sollevato nel merito non è altro che una evidente strumentalizzazione di carattere elettorale. Additare le Marche è totalmente infondato e sbagliato. Come dimostra l'ultima relazione al Parlamento del ministro Speranza sull'attuazione della 194, le Marche offrono un servizio, in termini di strutture, invariato rispetto a due anni fa. E le strutture sanitarie marchigiane disponibili per le interruzioni volontarie di gravidanza sono il 92,9 per cento del totale, contro una media nazionale del 62 per cento. Va anche ricordato, per contestualizzare, che, nel frattempo, in Italia c'è un crollo della natalità che influisce ovviamente anche sugli aborti».
Il problema, a leggere i commenti alla presa di posizione della Ferragni, riguarderebbe più che le interruzioni di gravidanza la Ru486, che nelle Marche viene somministrata solo in ospedale.
«A luglio 2020 Speranza emanò linee guida per la pillola abortiva che, contravvenendo a quanto previsto dalla legge 194, consentono alle Regioni di scegliere se permettere la somministrazione della Ru486 fuori dagli ospedali, dunque nei consultori. Sono linee guida, non vincolanti. Dare a una donna la pillola e farla tornare a casa, sola sia da un punto di vista medico che psicologico, nonostante gli effetti collaterali spesso pericolosissimi, sarebbe emancipazione? Certo, il servizio sanitario in questo modo risparmia, ma a me sembra che si abbandoni una donna a se stessa in un momento che, comunque la si pensi a riguardo, per lei è estremo e drammatico».
Se Fdi andrà al governo, potrebbe mettere in discussione la legge 194?
«Come abbiamo sempre detto non pensiamo affatto alla sua abrogazione, ma semmai alla piena applicazione di quanto la legge prevede in termini di tutela, di prevenzione, di rimozione delle cause economiche e sociali che possono spingere una donna ad abortire. Come è stato fatto in Piemonte, creando un fondo per sostenere progetti di tutela materno-infantile. Un punto che prova come sia tipico della sinistra non andare al centro del problema, nel caso di specie ignorando la parte non applicata della 194. Quella, appunto, che riguarda la prevenzione».
Per Chiara Ferragni la campagna elettorale serve solo a rafforzare il proprio brand. STEFANO FELTRI, direttore de Il Domani il 24 agosto 2022
Soltanto una “storia” effimera, di quelle che durano 24 ore, ma l’attacco di Chiara Ferragni a Giorgia Meloni segna un passo nella direzione della rilevanza politica degli influencer. Ma quanti voti sposta Ferragni?
La spiegazione per l’apparente sciatteria dei messaggi politici è che questi non abbiano come obiettivo di scuotere le coscienze, ma soltanto affinare l’identità del brand Ferragni.
Certo, Chiara Ferragni è associata alla leggerezza e al disimpegno, ma leggerezza e disimpegno possono essere di destra o di sinistra.
La rivincita delle bionde. Chiara Ferragni e Giorgia Ocasio-Cortez, il bipolarismo che ci meritiamo. Guia Soncini su L'Inkiesta il 25 Agosto 2022
Alla milionaria di Cremona è bastata una storia su Instagram per egemonizzare il dibattito pubblico. La nostra attenzione è equamente divisa tra una che di lavoro indossa cose che le regalano e la Meloni che dice di aver imparato più cose da cameriera che in Parlamento
Quindi la classe dirigente di sinistra italiana, quella che non si fa condizionare la campagna elettorale da Giorgia Meloni, se la fa condizionare da Chiara Ferragni. E nessuno ha ancora titolato le cronache di questo agosto La rivincita delle bionde: cos’è, abbiamo paura d’essere didascalici?
(Mi perdonerete se vi costringo a uno sforzo di disabitudine, usando l’italiano «condizionare la campagna elettorale» invece del doppiaggese «dettare l’agenda»: la legge morale dentro di me mi vieta di utilizzare «agenda» come se in italiano volesse dire altro dalla Smythson. Oltretutto Ferragni le agende – quelle vere, con le pagine, dove segnare se t’interrogano in matematica o se devi comprare il Prostamol – le vende, come tutto, e quindi si creerebbe confusione).
Enrico Letta non aveva ancora finito di twittare «Viva le devianze» (segnalo l’assai precisa battuta dell’immunologa Antonella Viola: «È come se avesse detto “viva l’ipertensione”»), che tutti – opinionisti, politici, nani, ballerine – s’accorgevano della questione-Marche.
La questione-Marche non è che a Senigallia ci sono ottimi ristoranti stellati ma poi ti tocca fare il bagno nell’Adriatico e insomma possibile che se vuoi il mare della Sardegna ti tocchi mangiar male. La questione-Marche è che la regione, amministrata da Giorgia Meloni (dal suo partito, non da lei personalmente, ma questo articolo si rifiuta di uscire dalla contrapposizione tra bionde), si è opposta all’utilizzo della pillola abortiva, complicando quindi la vita alle marchigiane che vogliano abortire e, grazie all’illuminata 194, vedano il loro appuntamento in agenda ostacolato dai soliti obiettori e non possano cavarsela con la chimica.
Com’è successo? Chiara Ferragni ha forse letto “Mai dati”, il libro di Chiara Lalli e Sonia Montegiove sull’impossibilità non solo di abortire ma anche di sapere se puoi abortire giacché i dati sull’obiezione di coscienza nei singoli ospedali sono un mistero glorioso? Ha forse, oltre che un manager rapinato (da cui l’allarme-sicurezza da lei già lanciato come scorso tema di campagna elettorale), una cugina marchigiana indesideratamente gravida? Non so.
Quello che so – quello che sappiamo tutti – è che un giornale, The Vision, ha scritto un articolo sulla questione-Marche, e Chiara Ferragni ne ha pubblicato il titolo nelle proprie storie di Instagram. Tra una foto di lei con le amiche in barca, e una di lei a cavalcioni del marito (non sono due esempi ideali, sono proprio le foto subito prima e subito dopo), ha condiviso il post di The Vision con un suo commento.
Questo: «Ora è il nostro tempo di agire e far si [senza accento, nota di Soncini] che queste cose non accadano». Tutti sono corsi a interessarsi alle Marche come non avrebbero mai fatto (d’altra parte noialtri dei giornali sbagliamo altrettanti accenti e, diversamente dalla bionda milanese, non abbiamo ventotto milioni di follower: come possiamo mai egemonizzare il dibattito pubblico?).
Ma cos’aveva voluto dire, Chiara? Il doppiaggese della sintassi mi ha subito fatto pensare che, delle due interpretazioni possibili della frase, quella giusta fosse quella americana.
La divisione non è tra destra e sinistra: è tra le cose cui siamo abituati e quelle che ci destabilizzano: in America quasi nessuno fa un plissé per la gestazione per altri, che qui è la frontiera che neanche le più libertarie osano proporre; a noi d’altra parte pare inconcepibile non avere il servizio sanitario nazionale, e loro invece mettono in conto d’andare in bancarotta per una colica.
Quindi, in una nazione che si è abituata a non avere il congedo di maternità retribuito a meno di non lavorare per aziende eccezionalmente generose, l’idea di non poter però più abortire serenamente fino al sesto mese com’era finché l’aborto era tutelato dalla sentenza Roe v Wade ha destabilizzato gli americani. C’è stato, in risposta all’emergenza percepita, un affollamento di aziende che si precipitavano a dichiarare che avrebbero pagato la trasferta alle dipendenti che andavano ad abortire in Stati in cui era ancora concesso. I giornali hanno passato settimane ad aggiornare le liste, aspetta c’è anche Google, ecco pure H&M, Estée Lauder ci tiene a dire che l’aereo per il raschiamento è a carico del datore di lavoro.
Ecco, quando la bionda di Milano ha postato quell’intenzione, non l’ho presa come intenzione di voto (contro la bionda di Roma), ma come intenzione d’investimento: care follower marchigiane, il treno per andare ad abortire ve lo pago io, prima classe con tramezzino di Cracco.
Il treno per dove, visto che appunto non si può sapere come sia messo l’accesso all’aborto nei vari ospedali? Sonia Montegiove ieri ha twittato chiedendo a Roberto Speranza, che alle istanze sue e di Chiara Lalli non ha dato gran retta, se almeno alla Ferragni risponderà. Questo siamo: una nazione le cui priorità dipendono da quindici secondi di copertura ferragnica.
E per fortuna le liste elettorali sono chiuse: se questi quindici secondi di militanza alla Ferragni fossero scappati la settimana scorsa, ci sarebbero toccati giorni di speculazioni da parte di saperlalunghisti che ci spiegano che una multimilionaria ha intenzione di candidarsi, ché si sa che il potere sta in Parlamento, mica nell’egemonizzare il dibattito pubblico mentre vendi rossetti e sofficini.
Tutto questo mentre, al Meeting di Comunione e Liberazione, Giorgia Meloni diceva che la dignità viene dal lavoro, non dai sussidi, e che certo, i ragazzi vorrebbero un lavoro adeguato alla loro formazione, ma lei ritiene sia meglio un lavoro che non è quello per cui ha studiato che stare a casa col reddito di cittadinanza. Era già la cosa più di sinistra che avessi sentito da parecchio tempo, poi ha pure aggiunto che la insultano sempre perché ha fatto la cameriera, ma lei facendo la cameriera ha imparato tanto («più che stando in Parlamento», ha aggiunto, perché non diventi Giorgia Meloni se non ci metti sempre la chiusa populista, e perché le bionde lo sanno, che in Parlamento si perde tempo).
Finalmente abbiamo anche noi una donna di potere che abbia avuto un lavoro vero. Giorgia Ocasio-Cortez. Chissà come finirà lo scontro programmatico tra lei e una che, di lavoro, indossa delle cose che le regalano, inquadra i figli, decide di cosa dobbiamo discutere, vende diamanti e acrilico. Comunque vada, sarà il successo d’una bionda.
Aborto. Sempre dalla parte del più forte.
Nati senza volerlo e morti senza volerlo. Il proprio destino in mano altrui. Quei piccoli senza nome, condannati all'oblio dall'egoismo dei grandi. Lo scandalo dei figlicidi materni sepolti dall'anonimato, per nascondere la vergogna.
Tutti dalla parte della madre che non vuol essere nominata.
Non si conoscono forma e sostanza dell'aborto in cronaca. Ma è una vergogna parteggiare per l'oblio di un figlio innominato, a cui non è stato dato nemmeno un nome, oltre che la dignità, ma certamente non ignoto, trattato come un rifiuto organico.
Discarica o cimitero dei caduti ignoti? E' la brutta sorte dei bambini non voluti e quindi uccisi.
Una Vita è Vita e va rispettata, anche quella degli altri.
Antiabortisti al Senato, in Italia 6 milioni di bimbi mai nati. 'Migliaia le donne morte'. Senatori Lega, un tagliando per la legge 194. Redazione ANSA ROMA il 24 luglio 2022.
Sei milioni di bambini "eliminati", ovvero mai nati, a causa dell'aborto in 40 anni in Italia.
E' questo il principale effetto cui ha portato la legge 194 del 1978 sull'interruzione volontaria di gravidanza (ivg): a sostenerlo è l'associazione antiabortista Provita che oggi, in un incontro al Senato cui hanno partecipato vari senatori della Lega e la senatrice Isabella Rauti di Fratelli d'Italia, ha denunciato la mancanza di informazione alle donne sui rischi legati all'aborto chirurgico e farmacologico.
Dopo il caso del maxi manifesto di Provita, affisso a Roma e poi rimosso, che raffigurava un feto di 11 settimane con la scritta pro-life 'Tu eri così a 11 settimane. Tutti i tuoi organi erano presenti. E ora sei qui perché la tua mamma non ha abortito', il movimento antiabortista torna a farsi sentire: questa volta lo fa da una sede istituzionale, con l'appoggio di esponenti di Lega e Fratelli d'Italia. E lancia un messaggio chiaro: alle donne non sono comunicati i rischi dell'aborto, dal maggior rischio di cancro al seno e suicidio alla morte.
Per questo Provita lancia una petizione affinché "il ministero della Salute garantisca che le donne vengano messe a conoscenza delle conseguenze provocate dall'aborto volontario sulla loro salute".
Sono "232 - ha affermato il senatore leghista Massimiliano Romeo - i bambini eliminati ogni giorno nel grembo materno nel nostro Paese attraverso l'aborto chirurgico". Ma l'ivg, sostengono i promotori dell'incontro, ha determinato negli anni anche "migliaia di morti tra le donne, dati di cui però non si parla".
"L'Organizzazione mondiale della sanità - ha sottolineato Rauti - afferma che le morti per aborto sono pari al 7,9% sul totale della mortalità materna, pari a 193mila decessi l'anno, ma il dato è sottostimato. Un altro studio del 2014 pubblicato su Lancet, infatti, ha calcolato che le morti per aborto sono il 14,9% della mortalità materna, quasi il doppio".
Un dato però contestato dalla Cgil, che rileva come Lancet si riferisse ai rischi legati agli aborti clandestini: "La legge 194 - ha avvertito la responsabile Cgil Loredana Taddei - è oggi più che mai violentemente attaccata, in un pericoloso clima di regressione dei diritti".
Una lettura opposta, che conferma lo scontro in atto, è quella che invece arriva dal senatore leghista Simone Pillon, che parla della necessità di un "tagliando" per la legge: "Il tagliando - ha chiarito - va fatto per assicurare una piena applicazione della prima parte della legge, che è quella che punta a rimuovere gli ostacoli che spingono la donna ad abortire. L'obiettivo deve cioè essere 'zero aborti', rendendo efficace il sistema di prevenzione".
Mennuni sul diritto di nascita: “6 milioni di bambini in meno con la 184”. Rec News - Articolo del 30 Settembre 2022 di Redazione
“Mi immaginerei un sostegno anche economico nel caso in cui ci sia una donna che abbia una situazione di fragilità economica, perchè mettere al mondo un bambino senza avere una sensazione di serenità e sicurezza, se peraltro la condizione è una condizione di precarietà, può essere un qualcosa che preoccupa molto. Allora è necessario che le istituzioni intervengano per sostenere economicamente con servizi, anche di diversa natura, perché il problema è che oggi la maternità viene vissuta in solitudine dalle donne, vissuta come una ricchezza per tutta la società”.
MENNUNI SUL DIRITTO ALLA NASCITA A RADIO 24 “Purtroppo il fatto che noi abbiamo avuto 6 milioni di bambini che non sono nati, il fatto che noi abbiamo il tasso di natalità più basso d’Europa e il fatto che oggi non abbiamo mezzi per investire su questo tasso di natalità, io credo che le istituzioni dovrebbero porre come priorità delle loro agende cosa stiamo facendo noi per invertire questo dato, cosa stiamo fa accrescere la situazione di sicurezza della donna, cosa stiamo facendo per evitare che le donne scelgano di abortire perché magari sono stati abortiti perché c’era questa situazione di assoluta disattenzione. Bisogna ricordare alla donna che c’è uno Stato che gli è vicino e non bisogna dirle, abortisci, abortisci, tanto non c’è problema”. Lo afferma Lavinia Mennuni, neo senatrice di Fratelli d’Italia, a 24 mattino su Radio 24.
Aborto: i perché di un figlicidio.
Come si fa a votare un partito che del figlicidio ne fa una bandiera.
Di Antonio Giangrande domenica 26 giugno 2022.
La Corte suprema degli Stati Uniti ha ribaltato la storica sentenza Roe contro Wade del 1973, annullando così il diritto costituzionale Usa all'aborto. In questo modo ha sentenziato che ogni Stato ha la competenza di legiferare in riferimento all'interruzione della gravidanza.
In base al dibattito che ne è scaturito sorgono delle domande spontanee.
1 Perché i media politicizzati, fomentando dibattiti e polemiche, oltre che proteste, hanno fatto passare il messaggio che la sentenza riguardasse l’abolizione dell’aborto e non la libertà di scelta di ciascuno Stato?
2 Perché nei talk show il dibattito era palesemente schierato a favore dell’aborto ed al diritto costituzionale al figlicidio, considerando la sentenza un arretramento della civiltà? Perché tutelare la vita del figlio è incivile e retrogrado?
3 Perché nel paese più civile al mondo si considerano incivili da una parte la vendita delle armi libere che causano morti e dall’altra parte la libertà di scelta di ogni Stato a vietare la morte dei nascituri?
4 Perché la sinistra fa sua la battaglia sull’aborto, confermando quel detto sui comunisti che mangiano i bambini, non foss’altro che, intanto, ne agevolano la morte?
5 Perché è primario il diritto della donna all’aborto, violando l’istinto naturale materno alla difesa dei cuccioli, rispetto al diritto alla vita del nascituro?
6 Perchè il diritto all'aborto della donna va pari passo al diritto della donna alla libera sessualità, irresponsabile degli eventi?
7 Perché è diritto della sola donna decidere sulla vita del nascituro, tenuto conto che c’è sempre un uomo che ha avuto rilevanza fondamentale alla fecondazione? E perché, se il figlio non lo si vuole per problemi economici e/o sociali, non si fa un regalo a coppie sfortunate che la gioia di un figlio non la possono avere?
8 Perché una vita deve essere sindacata in base alla cronologia dello sviluppo e non in base all’esistenza?
9 Perché un delitto viene punito in base all'evolversi del diritto politico alla morte e non al diritto naturale alla vita?
Assumono denominazioni specifiche l’uccisione del padre (parricidio), della madre (matricidio), del coniuge (uxoricidio), di bambini (infanticidio), del fratello o sorella (fratricidio), del sovrano (regicidio), di una donna (femminicidio).
Si noti bene: il politicamente corretto elude il termine figlicidio, scaturente dal reato di aborto.
La scriminante è la carta del pepe.
Si dibatte quando, l'embrione, prima, ed il feto, poi, ha valore di nascituro.
Il diritto alla vita dell'embrione e del feto nascente: futuri nascituri di fatto.
10 Perché il dispositivo dell'art. 544 bis Codice Penale prevede: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni”; mentre per l’omicidio del nascituro la sinistra si batte per l’immunità dell'omicida?
(1) Tale articolo è stato inserito dalla l. 20 luglio 2004, n. 189.
(2) La l. 20 luglio 2004, n. 189 ha previsto una serie di ipotesi in cui sussiste per presunzione la necessità sociale. Si tratta della caccia, pesca, allevamento, trasporto, macellazione, sperimentazione scientifica, giardini zoologici, etc. (art. 19ter disp.att.).
(3) Il trattamento sanzionatorio prima previsto nei limiti di tre e diciotto mesi di reclusione è stato innalzato secondo quanto previsto dall'art. 3, comma 1, lett a), della l. 4 novembre 2012, n. 201.
Ratio Legis
La norma è stata introdotta al fine di apprestare una tutela più incisiva agli animali, i quali però non ricevono copertura legislativa diretta, rimanendo ferma la tradizionale impostazione che nega un certo grado di soggettività anche agli animali. Di conseguenza risulta qui garantito il rispetto del sentimento per gli animali, inteso come sentimento di pietà.
In conclusione: perchè per gli animali si ha sentimento di pietà e per i nascituri viene negata l'umana misericordia?
Luca Telese per tpi.it il 30 luglio 2022.
Voi anti-abortisti italiani gioite per la sentenza della Corte americana: si può festeggiare perché si toglie un diritto alla donne??
«Semplice. Questo diritto non esiste».
Non esiste, dici??
«Cito il Santo Padre: “Abortire equivale ad assoldare un sicario per uccidere qualcuno”».
Non usare papa Francesco per eludere il tema e coprirti.?
«Non ne ho nessun bisogno. Cito un pensatore ateo e marxista, Pier Paolo Pasolini: “Sono traumatizzato dalla decisione di legalizzare l’aborto, perché equivale a legalizzare l’omicidio”, Corsera, 19 gennaio 1975».
Ancora con questo collage di frasi ad effetto? Eludi il punto della mia domanda: tu neghi il diritto della donna a decidere.?
«Nessuno ha diritto di sopprimere una vita. Si chiama “omicidio”».
Non è una intervista, quella con Mario Adinolfi sull’aborto. È un corpo a corpo. Ed infatti il leader del Popolo della Famiglia spiega in questo dialogo senza mezze misure, la sua certezza: «Il vento americano diventerà un progetto politico anche in Italia».
La natura, che tanto vi piace invocare come giudice ha assegnato il poter di far nascere alla donna. Accettatelo.?
«Balle. Se non vuoi diventare omicida devi essere obbligata a consentire che il bimbo nasca».
Ci vuoi portare in un moderno medioevo in cui gli integralisti decidono per gli altri? Ottimo.?
«Voi laici, casomai, usate l’aborto come strumento di contraccezione».
Quindi qualsiasi ovulo fecondato per te è vita. Anche eliminare un ovulo fecondato è omicidio??
«È evidente».
Quindi per te una gravidanza nata da uno stupro etnico va portata a termine? O non ci credi o sei matto.?
«Ancora con questa argomentazione ridicola dello stupro? Che pena…».
Dici che è ridicola perché non sai cosa rispondere.?
«So benissimo cosa rispondere. Primo, è un caso assolutamente anomalo e raro. Secondo: capisco che una donna possa non voler crescere il frutto di una violenza…».
Bontà tua.?
«…Ma può affidarlo ad altri. L’importante è che il bimbo nasca».
Per fanatismo ignori che quel bambino è figlio dell’odio, non dell’amore.?
«Il tuo laicismo ti impedisce di capire che il bambino è incolpevole, e il suo diritto va difeso ad ogni costo».
Quindi, in questa tua visione tribale, la donna è solo un contenitore. Va costretta a portare a termine gravidanze indesiderate se la tribù e i maschi lo pretendono.?
«Ti sei già ridotto ad utilizzare le vecchie stanche argomentazioni del femminismo ideologico, sei messo male».
Tu pensi di parlare in nome di Dio, ma rappresenti una sparuta minoranza integralista.?
«Sai che solo un bambino su sei, tra tutti i concepiti, vede la luce?».
Per fortuna lo Stato laico impedisce ai fanatici come te di imporre alle donne che fare.?
«Eludi il vero tema: nove volte su dieci, giovani donne rinunciano ai loro figli per ragioni futilissime, diciamo pure del cazzo».
Un figlio non è bestiame da allevamento, ma il frutto di un amore, di un progetto. Mi meraviglio che un cattolico dimentichi questo. Avete l’ossessione del controllo sul corpo delle donne.?
«Sono come uno che per strada interviene per fermare un omicidio».
Per tua disgrazia, la legge 194 dice che nessuna autorità religiosa, o politica ha questo diritto.?
«Oggi in America non è più così. Una Costituzione va bene quando garantisce un diritto delle donne e male se riconosce il diritto di un bambino?».
La Costituzione non assegna mai il diritto di decidere al mullah Omar, al Papa, a qualche Ayatollah, o alla barba di Mario Adinolfi.?
«È straordinario che tu ricorra a ridicoli espedienti dialettici per evitare l’unica argomentazione che non sai eludere: è il primo concepimento il giorno in cui la vita prende forma».
L’aborto non è un valore. È drammatica necessità. Quindi tu preferisci tornare ai ferri da calza e alle mammane, alla clandestinità, alle donne morte per setticemia??
«Un omicidio commesso senza spargere sangue e senza sofferenza è meno grave?».
La 194 pone limiti, definisce percorsi, fornisce assistenza alle donne.?
«La 194 va cancellata con il Napalm: l’assistenza, i consultori… balle! È una legge che maschera la possibilità di uccidere».
Io non pretendo di decidere per gli altri, come te. Non sei il capo di una Chiesa, non puoi arrogarti il diritto di prescrivere precetti.?
«Voi non capite: il vento è cambiato. La sentenza della Corte americana vi dice questo».
Questo “Voi” non esiste: sono un cittadino come te. Evita di attribuirmi la seconda persona plurale, o di usarla tu, come i matti.?
«Di nuovo fingi di non capire cosa ti dico: l’abortismo è un frutto avvelenato degli anni Settanta. Vecchia ideologia. L’Occidente che va verso crescita zero non può più permettersi l’olocausto dei suoi figli».
Insisti con questo transfert allucinato? Non sono figli tuoi, né di altri. Sono delle donne che li portano in grembo, talvolta dei loro padri. È la donna che dà la vita: se tu avessi l’utero potresti reclamare diritti. Purtroppo ne sei privo.?
«Che pena. Ci manca solo che ti metta a gridare “l’utero e mio e me lo gestisco io”».
Sei tu che dici: “l’utero e mio”. Quello altrui, però.?
«Torno al punto vero: la difesa della vita diventa, dopo la sentenza americana, la grande battaglia etica di questi tempi. C’è un nuovo, enorme consenso, intorno all’antiabortismo: voi laicisti nemmeno lo immaginate».
Se pensate che questo consenso ci sia, contatevi. Lo avete già fatto, però: in Italia la democrazia e i referendum hanno decretato che gli italiani sono favorevoli, nei limiti della 194, a riconoscere questo diritto: alle donne, e non ai predicatori come te.?
«Si parla da giorni del comizio della Meloni in Spagna, e non vi siete neanche accorti che le sue parole chiave erano sull’aborto: “Sì alla cultura della vita / no alla morte”».
Convinci Fdi, raccogliete le firme per un referendum abrogativo. Auguri.?
«Hai poco da scherzare: dopo la vittoria in America questo è già uno dei grandi temi, se non il grande tema delle prossime politiche: una nuova generazione fa del diritto alla vita la sua missione».
Mettetevi le corna sulla testa, come a Capitol Hill e assaltate i consultori.?
«Ecco la vostra arroganza: voi laicisti difendete la cultura della morte, ma siete buoni carini e legittimati. Noi, che difendiamo la vita, invece, siano brutti sporchi e cattivi. E con le corna».
A Verona il vescovo che pretendeva di chiamare gli elettori ad una nuova crociata, in nome del nuovo integralismo, ha perso. Prova a cancellare il divorzio, già che ci sei.?
«(Sorriso). Una battaglia alla volta».
Proprio tu che sei divorziato, vuoi dire agli altri cosa devono fare delle loro vite??
«Sei meschino».
Logico, semmai.?
«Proprio perché ho una mia esperienza di vita posso dirlo: l’Italia senza il divorzio era più bella e più sana di questa».
Decanti sui social la bellezza della tua nuova unione, ma vuoi impedire agli altri di trovare la compagna della loro vita se hanno sbagliato?
?«Non ridicolizzare tutto. Come un ex drogato può spiegare meglio di tutti gli effetti perversi della droga, così io posso spiegare meglio il dramma del divorzio».
Sei neo-medievale. Speri di poter imporre ad altri cosa fare?«Vi siete svegliati, ma tardi. C’è una nuova generazione in campo: li dipingete con le corna, brutti, fanatici e cattivi. Ma vinceranno. Rassegnatevi».
L’aborto volontario è un omicidio. Dopo la sentenza Usa, si riapre il dibattito sull’interruzione di gravidanza. Franco Battaglia su Nicolaporro.it l'1 Luglio 2022
Chi è contrario all’aborto invoca il principio di sacralità della vita, chi è a favore invoca il principio di autodeterminazione della donna. Se ragioniamo liberi da ogni condizionamento ideologico, dobbiamo innanzitutto sottoporre a critica i due principi appena nominati; anzi, meglio, non dobbiamo neanche considerarli. Un’etica veramente libera da condizionamenti ideologici non pone prescrizioni a priori, immutabili e assolute. L’unica prescrizione è quella di non avere altre prescrizioni di quelle che contraddicono il fine stesso dell’indagine etica: la ricerca del benessere e della libertà, con ognuno giudice di sé stesso, a condizione (questo è importante) che la stessa libertà venga riconosciuta all’altro.
Non mi è riconosciuta la libertà di ucciderti (anche se questa azione, per qualche ragione, dovesse procurarmi soddisfazione e benessere) perché io non son disposto a riconoscere a te la libertà di uccidermi. Per cui non è certamente lecito che una donna sostenga di voler uccidere il bimbo appena nato, in quanto non pronta alla maternità (autodeterminazione) o esposta, in conseguenza della maternità, ad una condizione di squilibrio psichico (diritto alla salute).
Ci si può ora chiedere: forse ciò che non è lecito il giorno della nascita sarebbe lecito il giorno precedente? Non è difficile argomentare ed arrivare ad una risposta negativa. Ma è possibile continuare ad andare a ritroso nel tempo e “dedurre” l’illeicità della soppressione dell’embrione sino alla fecondazione dell’ovulo? Ecco: questo non sembra possibile. Si può argomentare che nelle prime due settimane del suo sviluppo l’embrione non può essere tutelato come “individuo ragionevole” perché certamente, sino a quello stadio, non è un individuo, non avendo ancora deciso se deperire, come avviene per l’80% degli embrioni, o cosa essere (una forma tumorale, un bimbo, più gemelli), né ha capacità raziocinanti, essendo privo di tessuto nervoso e di cervello.
Ma dopo la seconda settimana di sviluppo l’embrione ha certamente le caratteristiche dell’individualità e a due mesi dalla fecondazione esso è già una miniatura umana. Certo, il suo sviluppo futuro dipende dalla madre con la quale esso è in interazione. Ma anche lo sviluppo futuro (e la vita) di un bimbo appena nato dipende da qualcuno che se ne curi.
Il principio di sacralità della vita non sembra essere applicabile prima della seconda settimana di sviluppo di un embrione, quello di autodeterminazione e di salvaguardia della salute della donna non sembra esserlo dopo l’ottava settimana (ad esclusione, naturalmente, del caso in cui dovesse essere in pericolo la vita stessa della donna). Insomma, vi è un salto di qualità tra ciò che è nelle prime due settimane dopo la fecondazione e ciò che è dopo.
E ciò che è dopo non differisce qualitativamente da ciò che alla fine nascerà. Poste così le cose, quella dell’aborto oltre la seconda settimana dalla fecondazione è una pratica barbara, ammantata di diritti della donna e di progresso della civiltà solo per nascondere, per convenienza, ciò che essa veramente è: un omicidio. Oggi la ricerca farmacologica mette a disposizione strumenti tali che non giustificano più il dover ricorrere all’aborto, che appare così una pratica primitiva. Naturalmente il problema etico sollevato da chi ritiene la cosa inaccettabile fin dal primo giorno del concepimento è degno del massimo rispetto ma, temo, non ha soluzione o, comunque, io non ne vedo una. Sicuramente però l’aborto oggi, così com’è praticato, non ha più alcuna giustificazione. Franco Battaglia, 1 luglio 2022
Il reato di omicidio e le sue varie esplicazioni. Concas Alessandra, Referente Aree Diritto Civile, Commerciale e Fallimentare e Diritto di Famiglia - 20 ottobre 2020 diritto.it
L’omicidio è la soppressione di una vita umana da parte di un altro essere umano.
L’omicida può provocare la morte altrui attraverso qualsiasi modalità, anche per omissione, ma in ogni caso la sua azione o inazione sono volontarie.
Questa volontà non va confusa con il dolo, ed è presente anche nell’omicidio colposo e preterintenzionale, come volontà di compiere l’azione che causa la morte altrui.
Ad esempio superare i limiti di velocità, finendo involontariamente, per travolgere e uccidere un pedone.
Si avrà omicidio volontario quando l’omicida, a causa della sua azione od omissione volontaria, vuole causare la morte della vittima.
L’omicidio volontario può essere premeditato oppure non premeditato.
In lingua italiana la parola assassinio è a volte intesa come sinonimo di omicidio, ma per alcuni lessicografi indica l’omicidio proditorio, o motivato da una vendetta, o dall’odio o da scopi di rapina, è relativa esclusivamente all’omicidio volontario.
L’omicidio è una pratica condannata socialmente e punita come reato da ogni legislazione, anche se nessuna società ha mai assicurato una tutela assoluta e incondizionata alla vita umana, vietandone la soppressione in qualsiasi caso.
Ad esempio quasi ogni società ammette l’uccisione del nemico in guerra.
Gli ordinamenti del passato e alcuni ordinamenti contemporanei ammettono l’abolizione della vita umana come sanzione penale (pena di morte), mentre alcune società praticavano il sacrificio rituale di umani alla divinità.
Persino le società più moderne considerano lecita l’uccisione di qualcuno in presenza di circostanze in grado di giustificarla, e alcune di queste circostanze, scriminanti, ad esempio la legittima difesa, sono considerate morali da parte della società e in determinati casi conformi anche ai dettami religiosi, altre come lo stato di necessità possono essere amorali o in determinati casi persino immorali.
Assumono denominazioni specifiche l’uccisione del padre (parricidio), della madre (matricidio), del coniuge (uxoricidio), di bambini (infanticidio), del fratello o sorella (fratricidio), del sovrano (regicidio), di una donna (femminicidio).
Il Delitto consiste nella soppressione di una o più vite umane. Previsto e disciplinato dal titolo XII c.p. dedicato ai delitti contro la persona, l’omicidio può assumere la forma dolosa (art. 575 c.p.) – aggravata (art. 576, 577) o meno – preterintenzionale (art. 584 c.p.) e colposa (art. 589 c.p.). Elementi comuni a tutte le ipotesi indicate sono: il bene giuridico, la struttura del reato, la natura e la forma. Il bene giuridico è la vita umana che, nel rispetto dei principi costituzionali (art. 2 Cost.), non è di esclusiva pertinenza del singolo, ma appartiene alla collettività intera in quanto espressione di un interesse statale.
L’omicidio è una pratica condannata socialmente e punita come reato da ogni legislazione, anche se nessuna società ha mai assicurato una tutela assoluta e incondizionata alla vita umana, vietandone la soppressione in qualsiasi caso.
Ad esempio quasi ogni società ammette l’uccisione del nemico in guerra.
Gli ordinamenti del passato e alcuni ordinamenti contemporanei ammettono l’abolizione della vita umana come sanzione penale (pena di morte), mentre alcune società praticavano il sacrificio rituale di umani alla divinità.
Persino le società più moderne considerano lecita l’uccisione di qualcuno in presenza di circostanze in grado di giustificarla, e alcune di queste circostanze, scriminanti, ad esempio la legittima difesa, sono considerate morali da parte della società e in determinati casi conformi anche ai dettami religiosi, altre come lo stato di necessità possono essere amorali o in determinati casi persino immorali.
Assumono denominazioni specifiche l’uccisione del padre (parricidio), della madre (matricidio), del coniuge (uxoricidio), di bambini (infanticidio), del fratello o sorella (fratricidio), del sovrano (regicidio), di una donna (femminicidio).
Si noti bene: il politicamente corretto elude il termine figlicidio, scaturente dal reato di aborto.
La scriminante è la carta del pepe.
Si dibatte quando, l'embrione, prima, ed il feto, poi, ha valore di nascituro.
Il diritto alla vita dell'embrione e del feto nascente: futuri nascituri di fatto.
Da Manuale MSD. Un feto attraversa diversi stadi di sviluppo, a partire dalla fecondazione. L’ovulo si sviluppa in blastocisti, quindi in embrione, poi in feto.
Fecondazione. Durante ogni ciclo mestruale normale, un ovulo viene solitamente rilasciato da una delle ovaie, circa 14 giorni dopo il ciclo mestruale precedente. Tale rilascio è definito ovulazione. L’ovulo viene immesso all’interno dell’estremità imbutiforme di una tuba di Falloppio. Al momento dell’ovulazione, il muco cervicale diviene più liquido e più elastico, consentendo agli spermatozoi di penetrare rapidamente nell’utero. Entro cinque minuti, gli spermatozoi possono migrare dalla vagina, spostarsi dalla cervice all’utero fino all’estremità imbutiforme di una tuba, che è la sede fisiologica della fecondazione. Le cellule che rivestono la tuba di Falloppio facilitano la fecondazione. Se la fecondazione non avviene, l’ovulo scende dalla tuba di Falloppio nell’utero, dove si deteriora, per poi abbandonarlo in occasione del ciclo mestruale successivo. La penetrazione di uno spermatozoo nell’ovulo produce la fecondazione. Il rivestimento delle tube di Falloppio, simile a ciglia, spinge l’ovulo fecondato (zigote) verso l’utero attraverso la tuba. Le cellule dello zigote si dividono ripetutamente durante lo spostamento lungo la tuba di Falloppio verso l’utero. Lo zigote entra nell’utero nell’arco di 3-5 giorni. Nella cavità uterina, le cellule continuano a dividersi, assumendo l’aspetto di una struttura sferica cava, definita blastocisti. La blastocisti si impianta sulla parete dell’utero circa 6 giorni dopo la fecondazione. In caso di rilascio e fecondazione di diversi ovuli, si verifica una gravidanza con più di un feto, in genere due (gemelli). Poiché il materiale genetico di ciascun ovulo e di ciascuno spermatozoo è leggermente diverso, ogni ovulo fecondato assume caratteri diversi, dando così origine a gemelli eterozigoti. I gemelli monozigoti (identici) derivano da un unico ovulo fecondato, che si divide in due embrioni attraverso un processo di scissione. Poiché un solo ovulo viene fecondato da un solo spermatozoo, il materiale genetico dei due embrioni è identico.
Dall’ovulo all’embrione. Una volta al mese, un ovulo viene rilasciato da un’ovaia all’interno di una tuba di Falloppio. Dopo un rapporto sessuale, gli spermatozoi migrano dalla vagina attraverso la cervice e l’utero fino alle tube di Falloppio, dove uno spermatozoo feconda l’ovulo. L’ovulo fecondato (zigote) si divide ripetutamente durante lo spostamento dalla tuba verso l’utero. Dapprima, lo zigote diviene un insieme cellulare solido, di forma sferica, quindi assume un aspetto cavo, trasformandosi in blastocisti. All’interno dell’utero, la blastocisti si impianta sulla parete uterina, dove si sviluppa in un embrione, collegato a una placenta e circondato da membrane che contengono liquido.
Sviluppo della blastocisti. Circa 6 giorni dopo la fecondazione la blastocisti si attacca alla mucosa uterina, solitamente nella parte superiore. Tale processo, definito impianto, viene completato entro 9-10 giorni. La parete della blastocisti presenta lo spessore di una cellula, tranne in una zona, in cui è spesso quanto quello di tre o quattro cellule. Le cellule interne presenti nella zona ispessita si sviluppano dando origine all’embrione e le cellule esterne penetrano nella parete dell’utero e si sviluppano nella placenta; questa produce diversi ormoni che contribuiscono a mantenere lo stato di gravidanza. Quest’ultima produce diversi ormoni che contribuiscono a mantenere lo stato di gravidanza, come la gonadotropina corionica umana, che impedisce alle ovaie di rilasciare ovuli e le stimola a produrre continuamente estrogeno e progesterone. Inoltre, trasporta l’ossigeno e le sostanze nutritive dalla madre al feto e i materiali di rifiuto dal feto alla madre. Alcune cellule della placenta si sviluppano in uno strato esterno di membrane (corion) che circonda la blastocisti in via di maturazione. Altre cellule si sviluppano in uno strato di membrane interne (amnio), che formano il sacco amniotico. Una volta formatosi il sacco amniotico (entro 10-12 giorni circa), la blastocisti è considerata embrione. Il sacco si riempie di liquido limpido (liquido amniotico) e si estende in modo da inglobare l’embrione in fase di sviluppo, che fluttua al suo interno.
Sviluppo dell’embrione. Lo stadio successivo di sviluppo è l’embrione, che cresce su un lato dell’utero nella sottomucosa. Questo stadio è caratterizzato dalla formazione della maggior parte degli organi interni e delle strutture esterne del corpo. La maggior parte degli organi comincia a formarsi a circa 3 settimane dalla fecondazione, vale a dire a 5 settimane di gravidanza (dato che i medici datano la gravidanza dal primo giorno dell’ultima mestruazione, che si verifica generalmente 2 settimane prima della fecondazione). A questo punto, l’embrione si allunga e comincia a delinearsi una forma umana. Poco dopo, inizia a formarsi la zona che diverrà il cervello e il midollo spinale (tubo neurale). Il cuore e i principali vasi sanguigni iniziano a svilupparsi dal 16° giorno. Il cuore inizia a pompare liquidi attraverso i vasi sanguigni a partire dal 20° giorno e i primi globuli rossi compaiono il giorno seguente. I vasi sanguigni continuano a formarsi nell’embrione e nella placenta. Quasi tutti gli organi sono pienamente formati intorno alla decima settimana dopo la fecondazione (che corrisponde a 12 settimane di gravidanza). Fanno eccezione il cervello e il midollo spinale, che continuano a svilupparsi durante tutta la gravidanza. La maggior parte delle malformazioni (difetti congeniti) si verifica durante la formazione degli organi. In questo periodo, l’embrione è più vulnerabile all’effetto di farmaci, radiazioni e virus. Pertanto, una donna in stato di gravidanza non deve essere sottoposta a vaccinazione con virus vivo, né deve assumere alcun farmaco durante questo periodo, a meno che non sia indispensabile per la sua salute (vedere Uso di farmaci in gravidanza).
Placenta ed embrione dopo circa otto settimane. A otto settimane di gravidanza, la placenta e il feto si sono sviluppati per sei settimane. La placenta forma delle sottili proiezioni simili a capelli (villi) che si estendono nella parete dell’utero. I vasi sanguigni dell’embrione, che passano attraverso il cordone ombelicale verso la placenta, si sviluppano nei villi. Una sottile membrana separa nei villi il sangue dell’embrione dal sangue della madre che scorre nello spazio che li circonda (spazio intervilloso). Questa disposizione permette quanto segue:
Consente lo scambio di sostanze tra il sangue materno e quello dell’embrione
Impedisce che il sistema immunitario della madre attacchi l’embrione, perché gli anticorpi materni sono troppo grandi per poter attraversare la membrana (gli anticorpi sono proteine prodotte dal sistema immunitario per aiutare a difendere l’organismo dalle sostanze estranee)
L’embrione fluttua nel liquido (liquido amniotico), che è contenuto in un sacco (sacco amniotico).
Il liquido amniotico:
Fornisce uno spazio in cui l’embrione può crescere liberamente
Contribuisce a proteggere l’embrione dai traumi
Il sacco amniotico è robusto ed elastico.
Stadi di sviluppo del feto e della placenta
Al termine dell’ottava settimana dopo la fecondazione (dieci settimane di gravidanza), l’embrione è considerato feto. In questo stadio, le strutture già formate crescono e si sviluppano. Di seguito sono indicati alcuni momenti fondamentali della gravidanza:
entro 12 settimane di gestazione: il feto occupa l’intero utero
entro circa 14 settimane: si può individuare il sesso
entro circa 16-20 settimane: solitamente, la donna può avvertire i movimenti del feto. Le donne con gravidanze precedenti avvertono solitamente i movimenti circa due settimane prima di quelle alla prima gravidanza.
entro circa 24 settimane: Il feto ha una probabilità di sopravvivere al di fuori dell’utero.
Il processo di maturazione polmonare prosegue fino al momento del parto. Nel cervello si depositano nuove cellule per tutta la gravidanza e per il primo anno di vita dopo la nascita.
Gravidanza. La placenta, durante il suo sviluppo, emette sottili proiezioni capillari (villi) all’interno della parete dell’utero. Le proiezioni si ramificano in una complessa disposizione ad albero, che aumenta notevolmente la superficie di contatto tra le pareti dell’utero e la placenta, in modo da permettere lo scambio di una maggior quantità di sostanze nutritive e di scarto. La placenta è pienamente sviluppata verso 18-20 settimane, ma continua a crescere per tutta la gravidanza. Al momento del parto, pesa circa 0,5 kg.
Il diritto alla vita del feto nascente. Di Federica Scordino su camminodiritto.it.
In tema di delitti contro la persona, il criterio distintivo tra la fattispecie di interruzione colposa della gravidanza e quella di omicidio colposo si individua nell'inizio del travaglio e, dunque, nel raggiungimento dell'autonomia del feto, coincidendo quindi con la transizione dalla vita intrauterina a quella extrauterina.
Sommario:
1. Legge 194/78: prevalenza della vita della donna su quella del feto;
2. Differenze tra l’aborto colposo, l'omicidio e l'infanticidio;
3. Sentenza n°27539/2019;
4. Cassazione: il termine “feto” non deve creare confusione, le fattispecie di omicidio ed infanticidio tutelano lo stesso bene giuridico.
1. Legge 194/78: prevalenza della vita della donna su quella del feto. La legge 194/1978 è stata il frutto di dibattiti storici su un tema che ancora oggi lascia perplessi: l’aborto. Il testo normativo ha come filo conduttore il diritto alla salute e il diritto all’autodeterminazione, tematiche che hanno reso l’aborto, in determinate condizioni, legale. Infatti, fino alla metà degli anni ’70, l’aborto in Italia era considerato una pratica illegale e perciò perseguibile penalmente. Già la Consulta con la sentenza n° 27 del1975 , dopo avere riconosciuto il fondamento costituzionale della tutela del concepito nell’art. 2 Cost .consentiva la soppressione del feto quando la gravidanza implicasse danno o pericolo grave, medicalmente accertato e non altrimenti evitabile per la salute della donna, sancendo così implicitamente il principio poi ripreso dalla successiva legge n° 194/1978, della prevalenza della vita della donna su quella del feto. Prima del ’78, la disciplina penale, considerava l’aborto volontario come un reato grave tanto che erano previste sanzioni piuttosto severe nel Codice penale. Si possono in particolar modo ricordare alcuni articoli tra cui 545 , 546 , 547 , 548 , 549 e 550 poi abrogati con la legge 194/1978. Quest’ultima fu sottoposta a referendum nel maggio del 1981 attraverso il quale gli elettori italiani confermarono il testo della legge: infatti furono due gli orientamenti politici che cercarono di modificare il testo normativo (uno chiedeva l’abrogazione di alcune norme per rendere più libero l’aborto; l’altro invece intendeva restringere i casi di liceità dell’interruzione volontaria di gravidanza); ma nessuno dei due riuscì a raggiungere il proprio scopo. Un obiettivo della legge è stato sicuramente quello di evitare gli aborti definibili “clandestini”, cioè i casi in cui le donne si sottoponevano alle pratiche di “ostetriche-ginecologhe non professioniste” che operando in condizioni igieniche inadeguate sottoponevano la donna a rischi per la sua vita elevatissimi. La legge n°194 ha dunque rappresentato il primo passo verso una visione più moderna, consentendo l’interruzione della gravidanza entro i primi 90 giorni di gestazione nei casi in cui la sua prosecuzione costituisse gravi rischi per la salute psico-fisica della donna. La stessa legge nel 1° articolo ribadisce che “lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite”. Da questo primo articolo può dedursi come l’interruzione volontaria della gravidanza è connotata dalla legge non come diritto esclusivo della madre, ma come una scelta capace di incidere sulla società circostante. Tutto ciò funge da ratio alle limitazioni imposte dalla legge per l’aborto, per cui nell’eventualità che queste non vengano rispettate, l’interruzione di gravidanza sarà perseguibile penalmente ai sensi dell’art. 19 della stessa legge. Quest’ultimo articolo stabilisce al 1° comma che “chiunque cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 e 8 , è punito con la reclusione sino a tre anni”. Gli articoli 5 e 8 fanno rispettivamente riferimento agli obblighi ricadenti sul consultorio e sulla struttura sociosanitaria affinché effettuino tutti i controlli necessari sulla donna e l’aiutino a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza; ed inoltre vengono specificati medici e strutture che sono legalmente considerati idonei ad effettuare l’interruzione di gravidanza.
2. Differenze tra l’aborto colposo, l’infanticidio e l’omicidio. Fin dalla prima lettura risulta ben chiara la distinzione tra l’art.19 della legge 194 e l’art. 578 c.p. Se il primo articolo descrive una fattispecie che, nonostante sia percepita negativamente, nel pieno rispetto delle condizioni descritte dal legislatore, risulti essere legale; l’art. 578 c.p. descrive una fattispecie di reato per la quale non sono previste condizioni che possano renderla lecita. Si tratta di un reato proprio in quanto può essere commesso solo dalla madre. Il 2°comma prevede l’ipotesi di concorso, secondo il quale ai concorrenti verrebbe applicata la sanzione penale prevista dall’art. 575 c.p. (reato di omicidio), a coloro che agiscono per favorire la madre si applica lo stesso art. 578 c.p. Una principale differenza tra le due fattispecie riguarda il momento in cui l’azione è compiuta: è elemento fondamentale che nell’ipotesi dell’art. 578 c.p., il fatto sia compiuto immediatamente dopo il parto, momento coincidente con la fase di perturbamento psichico della madre. La legge 194, invece, richiama la fase anteriore al parto e cioè quella della gestazione con diversi riferimenti cronologici indicati negli articoli 4 e 6 che rispettivamente prevedono le ipotesi, con le rispettive indicazioni e limitazioni, dell’interruzione di gravidanza entro i primi 90 giorni e dopo. Il requisito cronologico sarà elemento di distinzione evidenziato dalla Corte di Cassazione nella sentenza n° 27539/2019, nella quale è attenzionato il momento di acquisizione di autonomia del feto attraverso il quale quest’ultimo rientra perfettamente nella categoria di “uomo” non essendo più tutelato dalle norme di procurato aborto ma da quelle che prevedono la fattispecie di omicidio. Anche il fatto o la ragione che può determinare l’azione cambia nelle due fattispecie. La prima infatti (art. 578 c.p.) fa riferimento a “condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto”, comprendendo sia l’ipotesi di una situazione economica deficitaria, sia l’assenza di qualsiasi assistenza pubblica o privata. La stessa Corte nella sentenza n°27539/2019 ha in primis escluso ogni valenza al prospettato paragone del caso di specie con l’art. 578 c.p. il quale, per le ragioni esposte, si ricollega ad una situazione particolare. La seconda (legge 194/1978) prevede, nell’ipotesi di interruzione volontaria della gravidanza entro i primi 90 giorni, la condizione che la donna accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito. Nel termine superiore ai 90 giorni, l’aborto può essere praticato soltanto in due casi tassativamente elencati nell’art. 6 : quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna, o quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. La legge 194/1978 prevede poi l’ipotesi di interruzione colposa della gravidanza al 1° comma dell’art.17 . Infatti, gli articoli 17-20 sanzionano i reati di così detto “procurato aborto”. Sono questi gli articoli che trovano applicazione ogni qual volta l’aborto si può considerare reato e cioè quando non vengono rispettate le indicazioni e le limitazioni espresse tassativamente dal legislatore. Le differenze tra queste singole fattispecie hanno costituito una parte fondamentale della motivazione esposta dalla Corte di Cassazione, quarta sezione penale, nella sentenza n°27539/2019, nella quale il ricorso viene considerato infondato. Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale il criterio distintivo tra le fattispecie di aborto e omicidio, si individua nell’inizio del travaglio e dunque, nel raggiungimento dell’autonomia del feto coincidendo con la transizione della vita intrauterina e quella extrauterina, ciò vuol dire che l’inizio del travaglio coincide con il momento in cui il feto rientra perfettamente nel concetto di uomo. È stato infatti preferito tale criterio ai fini della identificazione del minimum temporale della previsione normativa di omicidio, abbandonando quello inizialmente indicato del momento del distacco del feto dall’utero materno, che non offriva riferimenti temporali sufficientemente precisi.
3. Sentenza n°27539/2019. Il caso in esame riguarda la responsabilità colposa di un’ostetrica sulla quale, già il Tribunale aveva riscontrato gravi profili di colpa professionale per negligenza ed imperizia, in quanto addetta all’assistenza della partoriente e al controllo delle fasi di travaglio, le era stato addebitato il mancato espletamento dei necessari monitoraggi cardiotocografici soprattutto durante la fase di trasferimento della paziente in sala parto. La Corte di merito aveva escluso ogni possibilità di riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, in quanto risultava che la stessa infermiera fosse consapevole del risultato della propria negligenza: infatti, immediatamente dopo al parto, avrebbe riferito lei stessa che il bambino era vivo e di aver controllato personalmente il battito cardiaco. I tracciati eseguiti mostravano chiare anomalie in quanto non registravano contrazioni uterine, che sicuramente erano presenti, ciò non può essere ricondotto ad un cattivo funzionamento degli apparecchi, che non solo erano diversi tra loro, ma inoltre, nel caso di mancato funzionamento, non avrebbero rilevato il battito fetale. Se l’ostetrica, con la diligenza professionale richiesta, avesse effettuato una corretta rilevazione del battito cardiaco fetale, con una tempestiva diagnosi, il ginecologo sarebbe potuto intervenire evitando l’esito letale del feto. Omettendo l’ostetrica il monitoraggio fetale non aveva consentito di rilevare la sofferenza del feto, la quale ha condotto quest’ultimo alla morte per asfissia perinatale. Ad avviso della Corte Salernitana l’ostetrica, avendo preso in carico la gestione del travaglio della paziente, avrebbe dovuto monitorare la paziente continuamente, assicurandosi con l’esecuzione corretta e ripetuta dei CTG dell’andamento delle contrazioni e della stabilità del benessere del feto. Per questo l’ostetrica versava in ipotesi di colpa per violazione di norme precauzionali, potendosi escludere nel caso di specie il così detto “principio di affidamento” su altri che potevano assumere la posizione di garanzia. La posizione di garanzia rivestita dall’ostetrica, inoltre, è ricavabile dallo statuto regolamentare della sua figura professionale. La Corte ha inoltre confermato quanto già esposto in secondo grado di giurisdizione: e cioè ha escluso la possibilità per la ricorrente di sindacare la decisione del Tribunale della condanna pari ad un anno e nove mesi. Infatti, spiega la Corte, la scelta di quantificazione della pena all’interno del compasso edittale è un potere discrezionale del giudice che tuttalpiù lo stesso ha ben motivato; il sindacato di legittimità sussiste solo quando la quantificazione costituisce il frutto di mero arbitrio e di ragionamento illogico, fattispecie che non ricorre nel caso di specie, laddove la commisurazione della pena è stata correttamente giustificata in riferimento alla complessiva negativa valutazione della vicenda criminosa e della personalità dell’imputata. La ricorrente ha inoltre sollevato un’errata qualificazione giuridica della fattispecie sostenendo che la stessa non poteva rientrare nell’ipotesi di reato di cui all’art. 589 c.p. ma nell’art. 17 della legge 194/1978 (reato che tuttalpiù prevede un compasso edittale notevolmente più ridotto), in quanto la nascita del feto, e dunque la possibile applicazione dell’art. 589 c.p., si realizza esclusivamente con la fuoriuscita del feto dall’alveo materno e col compimento di un atto respiratorio, accertabile con la docimasia polmonare. Al momento dell’estrazione del feto dall’utero, quest’ultimo era già senza vita, per cui ad avviso della ricorrente, il reato doveva essere qualificato come aborto colposo e non come omicidio colposo. 4. Cassazione: il termine “feto” non deve creare confusione, le fattispecie di omicidio ed infanticidio tutelano lo stesso bene giuridico. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso chiarendo che i reati di omicidio e infanticidio tutelano lo stesso bene giuridico, cioè la vita dell’uomo nella sua interezza. Ciò si desume anche dalla terminologia adoperata dall’art. 578 c.p. “cagiona la morte”, identica a quella adottata per il reato di omicidio, in quanto si può evidentemente cagionare la morte solo ad un essere vivo. Il legislatore, quindi, ha riconosciuto anche al feto la qualità di uomo vero e proprio, giacché la morte è l’opposto della vita. Ad avviso della Corte, non deve inoltre confondere l’utilizzo del termine feto nell’art. 578 c.p. poiché il nascente vivo non è più feto, né in senso biologico, né in senso giuridico, bensì persona. Ciò spiega sicuramente il rigetto da parte della Corte della tesi difensiva secondo la quale includere il feto nel concetto di uomo rappresenterebbe un’analogia in malam partem. La Corte, a tal proposito ha ribadito che è impossibile riscontrare profili di incostituzionalità in questo quadro normativo che ha avuto, invece, come obiettivo quello di incrementare la tutela dell’uomo come persona, anche in conformità al diritto internazionale, ampliando la nozione di soggetto meritevole di tutela fino a ricomprendere l’embrione. Questo ampliamento avrebbe inoltre evitato il rischio di vuoti normativi, poiché stando alla fattispecie di aborto, il feto sarebbe stato assurdamente tutelato, contro i fatti lesivi della vita individuale, solo nell’ipotesi di morte cagionata nelle predette condizioni di abbandono morale e materiale connesse al parto, con la conseguenza che in tutti i casi di morte del feto non legata a tali condizioni ci si verrebbe a trovare in situazioni ambigue in cui non risulterebbe applicabile né la fattispecie di aborto e neanche quella di omicidio. Così l’individuazione del momento in cui il feto assume la qualifica di uomo a tutti gli effetti, non è soltanto il criterio di distinzione tra due fattispecie penali, ma diviene un requisito che incorpora la tipicità della fattispecie in modo tale che chiunque possa percepire il momento in cui, una volta compiuta una certa azione, questa verrebbe poi punita in qualità di omicidio. Quindi l’aver inserito il feto, in un certo momento (inizio del travaglio), nella qualifica di uomo, non soltanto ha permesso alla Corte di precisare il significato stesso della parola, ma ha consentito al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del valore precettivo della fattispecie penale. Dunque, in caso di parto che si concluda con la morte del prodotto del concepimento, l’illecito sarà omicidio o procurato aborto a seconda che il nascente abbia goduto di vita autonoma o meno. Volendo così semplificare la decisione della Corte, il feto raggiunge l’autonomia all’inizio del travaglio, momento che distingue l’aborto dall’omicidio. Infatti, il feto che nasce, dopo la rottura del sacco amniotico è una persona e come tale se l’ostetrica ne procura la morte per asfissia perinatale non è “aborto colposo”, ma omicidio colposo. In conclusione, il feto durante il travaglio rientra dunque nel concetto di “uomo”. Qualora la condotta criminosa sia realizzata dopo il distacco, naturale o indotto, del feto dall’utero materno e qualora non sussistano le specifiche condizioni previste dall’art. 578 c.p. il fatto configura il reato di omicidio di cui all’art. 589 c.p. Soltanto prima di tale limite temporale la vita del feto è tutelata da reato di procurato aborto.
Note e riferimenti bibliografici
Legge n°194/1978: prima legge italiana che ha depenalizzato e disciplinato l’aborto.
Sentenza n°27/1975: ha avuto ad oggetto la questione di costituzionalità dell’art. 546 c.p. nella parte in cui puniva chi cagionasse l’aborto di una donna consenziente anche nel caso in cui fosse stata accertata la pericolosità della gravidanza per il benessere fisico e psichico della gestante, senza che ricorressero gli estremi della necessità.
Art. 2 Cost.: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.
Art. 545 c.p. (abrogato): “Chiunque cagiona l’aborto di una donna, senza il consenso di lei, è punito con la reclusione da sette a dodici anni”.
Art. 546 c.p. (abrogato): “Chiunque cagiona l’aborto di una donna, col consenso di lei, è punito con la reclusione da due a cinque anni”.
Art. 547 c.p. (abrogato): “La donna che si procura l’aborto è punita con la reclusione da uno a quattro anni”.
Art. 548 c.p. (abrogato): “Chiunque fuori dai casi di concorso nel reato preveduto dall’articolo precedente, istiga una donna incinta ad abortire, somministrandole mezzi idonei, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni”.
Art. 549 c.p. (abrogato): “Se dal fatto preveduto dall’articolo 545 deriva la morte della donna, si applica la reclusione da dodici a venti anni; se deriva una lesione personale, si applica la reclusione da dieci a quindici anni. Se dal fatto preveduto dall’articolo 546 deriva la morte della donna, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni; se deriva una lesione personale, è della reclusione da tre a otto anni”.
Art. 550 c.p. (abrogato): “Chiunque somministra a una donna creduta incinta mezzi diretti a procurarle l’aborto, o comunque commette su di lei atti diretti a questo scopo, soggiace, se dal fatto deriva una lesione personale o la morte della donna, alle pene rispettivamente stabilite dagli articoli 582, 583 e 584. Qualora il fatto sia commesso col consenso della donna, la pena è diminuita”.
Art. 19, legge 194/78: “Chiunque cagiona l’interruzione volontaria della gravidanza senza l’osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 o 8, è punito con la reclusione sino a tre anni. La donna è punita con la multa fino a lire centomila. Se l’interruzione volontaria della gravidanza avviene senza l’accertamento medico dei casi previsti dalle lettere a) e b) dell’articolo 6 o comunque senza l’osservanza delle modalità previste dall’articolo 7, chi la cagiona è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La donna è punita con la reclusione sino a sei mesi. Quando l’interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l’osservanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà. La donna non è punibile. Se dai fatti previsti dai commi precedenti deriva la morte della donna, si applica la reclusione da tre a sette anni; se ne deriva una lesione personale gravissima si applica la reclusione da due a cinque anni; se la lesione personale è grave questa ultima pena è diminuita. Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma”.
Art. 5, legge 194/78: “Il consultorio e la struttura socio-sanitaria, oltre a dover garantire i necessari accertamenti medici, hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto. Quando la donna si rivolge al medico di sua fiducia questi compie gli accertamenti sanitari necessari, nel rispetto della dignità e della libertà della donna; valuta con la donna stessa e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della persona indicata come padre del concepito, anche sulla base dell’esito degli accertamenti di cui sopra, le circostanze che la determinano a chiedere l’interruzione della gravidanza; la informa sui diritti a lei spettanti e sugli interventi di carattere sociale cui può fare ricorso, nonché sui consultori e le strutture socio-sanitarie. Quando il medico del consultorio o della struttura sociosanitaria, o il medico di fiducia, riscontra l’esistenza di condizioni tali da rendere urgente l’intervento, rilascia immediatamente alla donna un certificato attestante l’urgenza. Con tale certificato la donna stessa può presentarsi ad una delle sedi autorizzate a praticare la interruzione della gravidanza. Se non viene riscontrato il caso di urgenza, al termine dell’incontro il medico del consultorio o della struttura sociosanitaria, o il medico di fiducia, di fronte alla richiesta della donna di interrompere la gravidanza sulla base delle circostanze di cui all’articolo 4, le rilascia copia di un documento, firmato anche dalla donna, attestante lo stato di gravidanza e l’avvenuta richiesta, e la invita a soprassedere per sette giorni. Trascorsi i sette giorni, la donna può presentarsi, per ottenere la interruzione della gravidanza, sulla base del documento rilasciatole ai sensi del presente comma, presso una delle sedi autorizzate”.
Art. 8, legge 194/78: “L’interruzione della gravidanza è praticata da un medico del servizio ostetrico-ginecologico presso un ospedale generale tra quelli indicati nell’articolo 20 della legge 12 febbraio 1968, numero 132, il quale verifica anche l’inesistenza di controindicazioni sanitarie. Gli interventi possono essere altresì praticati presso gli ospedali pubblici specializzati, gli istituti ed enti di cui all’articolo 1, penultimo comma, della legge 12 febbraio 1968, n. 132, e le istituzioni di cui alla legge 26 novembre 1973, numero 817, ed al decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 1958, n. 754, sempre che i rispettivi organi di gestione ne facciano richiesta. Nei primi novanta giorni l’interruzione della gravidanza può essere praticata anche presso case di cura autorizzate dalla regione, fornite di requisiti igienico-sanitari e di adeguati servizi ostetrico-ginecologici. Il Ministro della sanità con suo decreto limiterà la facoltà delle case di cura autorizzate, a praticare gli interventi di interruzione della gravidanza, stabilendo:
1) la percentuale degli interventi di interruzione della gravidanza che potranno avere luogo, in rapporto al totale degli interventi operatori eseguiti nell’anno precedente presso la stessa casa di cura;
2) la percentuale dei giorni di degenza consentiti per gli interventi di interruzione della gravidanza, rispetto al totale dei giorni di degenza che nell’anno precedente si sono avuti in relazione alle convenzioni con la regione. Le percentuali di cui ai punti 1) e 2) dovranno essere non inferiori al 20 percento e uguali per tutte le case di cura. Le case di cura potranno scegliere il criterio al quale attenersi, fra i due sopra fissati. Nei primi novanta giorni gli interventi di interruzione della gravidanza dovranno altresì poter essere effettuati, dopo la costituzione delle unità sociosanitarie locali, presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali ed autorizzati dalla regione. Ilcertificato rilasciato aisensi del terzo comma dell’articolo 5 e, alla scadenza dei sette giorni, il documento consegnato alla donna ai sensi del quarto comma dello stesso articolo costituiscono titolo per ottenere in via d’urgenza l’intervento e,se necessario, il ricovero”.
Art. 578 c.p.: “La madre che cagiona la morte del proprio neonato immediatamente dopo il parto, o del feto durante il parto, quando il fatto è determinato da condizioni di abbandono materiale e morale connesse al parto, è punita con la reclusione da quattro a dodici anni”.
Art. 575 c.p.: “Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”. Sentenza n°27539/2019: strumento mediante il quale la Corte di Cassazione ha stabilito che il feto, anche se ancora nell’utero, una volta iniziato il travaglio deve essere considerato una persona.
Art. 6, legge 194/78: “L’interruzione volontaria della gravidanza, dopo i primi novanta giorni, può essere praticata: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro,che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.
Art.17, legge 194/78: “Chiunque cagiona ad una donna percolpa l’interruzione della gravidanza è punito con la reclusione da tre mesi a due anni. Chiunque cagiona ad una donna per colpa un parto prematuro è punito con la pena prevista dal comma precedente, diminuita fino alla metà. Neicasi previsti daicommi precedenti, se il fatto è commesso con la violazione delle norme poste a tutela del lavoro la pena è aumentata”.
Art. 589 c.p.: “Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se il fatto è commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro la pena è della reclusione da due a sette anni. Se il fatto è commesso nell'esercizio abusivo di una professione per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato o di un'arte sanitaria, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.
1. 1) soggetto in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni;
2. 2) soggetto sotto l'effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope. Nel caso di morte di più persone, ovvero di morte di una o più persone e di lesioni di una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni quindici. Autore Federica Scordino su camminodiritto.it.
Estratto dell'articolo di Anna Lombardi per “la Repubblica” l'8 agosto 2022.
Li chiamano "rifugi sicuri": ma le "Safe Haven Baby Box" che negli ultimi tre anni un'organizzazione antiabortista ha collocato negli Stati più conservatori degli Stati Uniti sono solo il simbolo più estremo della disperazione di madri impossibilitate a crescere le loro creature. (...)
A Carmel, Indiana, per dire, ne era stata collocata una sul retro della locale stazione dei pompieri. In tre anni non era mai stata usata.
Ma da quando, pochi mesi fa, è iniziato il dibattito sull'aborto nello Stato che poi venerdì scorso lo ha vietato fin dal concepimento - una delle leggi più restrittive varate fino ad ora - la cassetta si è improvvisamente riempita: e per sei volte di seguito.
A rispolverare l'arcaico metodo è stata l'attivista pro-life Monica Kelsey, 46 anni e una storia difficile alle spalle: adottata dopo essere stata abbandonata da una mamma teenager che era stata stuprata. (...) Si tratta di contenitori in metallo con dentro una culla da ospedale a temperatura controllata. Una volta che il bambino è dentro non sono possibili ripensamenti: si blocca automaticamente e dall'esterno non si può più riaprire.
Viene invece attivato un allarme e il personale della struttura può accorrere e avere accesso alla culla. In contemporanea parte pure una chiamata al numero d'emergenza 911. (...)
A chi si occupa professionalmente di adozione, la Safe Box però proprio non piace. Innanzitutto, spiegano, molte donne non sanno che usare la "scatola" mette legalmente fine ai loro diritti di genitori. E già due sono in causa per riavere indietro i propri bambini. Poi perché quei neonati non hanno praticamente più nessuna possibilità di risalire alle loro origini.
E questo non riguarda tanto il nome dei genitori: ma, il diritto di essere al corrente di eventuali malattie ereditarie. Insomma: nell'estremo caso di un abbandono, meglio affidarsi a strutture ospedaliere. «Se un genitore usa le Safe Haven», dice in sintesi Ryan Hanlon, presidente del Consiglio nazionale per l'adozione parlandone al New York Times , «vuol dire che l'intero sistema ha fallito».
Dall'Indiana stretta radicale sull'aborto. È il primo stato Usa a vietarlo totalmente. Valeria Robecco il 7 Agosto 2022 su Il Giornale.
Nuova legge: uniche eccezioni incesto, stupro e pericolo di vita della madre.
L'Indiana vara una stretta sull'aborto e diventa il primo stato americano ad approvare un divieto quasi totale dopo che la Corte Suprema ha ribaltato la storica sentenza Roe v. Wade a giugno. Il Parlamento dello stato americano ha dato il via libera ad una misura, firmata dal governatore repubblicano Eric Holcomb, che impedisce l'interruzione di gravidanza dal concepimento fatta eccezione solo per i casi di incesto, stupro, quando la vita della donna è a rischio o per problemi gravi al feto. Le regole attuali, invece, consentono l'aborto sino alla 22esima settimana. È un'azione «devastante», un «altro passo radicale dei repubblicani per strappare alle donne i loro diritti e la loro libertà riproduttiva, mettendo le decisioni sull'assistenza sanitaria personale nelle mani dei politici piuttosto che in quelle delle donne e dei loro medici», ha commentato la portavoce della Casa Bianca, Karine Jean Pierre. «Il Congresso - ha aggiunto - dovrebbe agire immediatamente e approvare una legge che ripristini i diritti previsti dalla Roe v. Wade, ma fino ad allora il presidente Joe Biden è impegnato a proteggere i diritti, le libertà delle donne e l'accesso alle cure che sono offerte dalla legge federale». L'approvazione della legge giunge solo tre giorni dopo che gli elettori del Kansas, un altro stato conservatore del Midwest, hanno respinto a stragrande maggioranza un emendamento che avrebbe eliminato le tutele dei diritti all'aborto dalla sua Costituzione. In Indiana, invece, le nuove restrizioni sono passate nonostante l'opposizione di parte dei repubblicani, alcuni dei quali le ritenevano troppo estreme, mentre altri erano contrari alle seppur limitatissime eccezioni. Ad esempio il deputato John Jacob, che sostiene il divieto totale all'interruzione di gravidanza, ha fatto sapere prima del voto che non avrebbe sostenuto il provvedimento perché «regola l'aborto, che è un omicidio di bambini» e ha invitato i suoi colleghi a pentirsi davanti a Dio. «Sono molto orgoglioso di tutti i cittadini dell'Indiana che si sono fatti avanti per condividere coraggiosamente le loro opinioni in un dibattito che difficilmente cesserà presto», ha dichiarato da parte sua il governatore Holcomb firmando il provvedimento, che entrerà in vigore il 15 settembre. Mentre la senatrice Sue Glick, che ha sponsorizzato il disegno di legge, ha detto che non pensa che «tutti gli stati arriveranno allo stesso punto», ma che la maggior parte dei residenti dell'Indiana sostiene alcuni aspetti della misura. Nelle prossime settimane California, Michigan, Nevada, e Vermont chiederanno ai loro cittadini di tutelare il diritto all'aborto, mentre in Kentucky si voterà per abolirlo. E in Florida, il governatore repubblicano Ron DeSantis ha sospeso il procuratore di Tampa Andrew Warren, un democratico che aveva annunciato che non avrebbe perseguito le donne che si fossero sottoposte all'aborto o i medici che lo avessero praticato. «Prendere una posizione contro le leggi dello stato è insostenibile», ha dichiarato DeSantis, che con tutta probabilità si candiderà alle primarie Gop per le presidenziali del 2024. Il Sunshine State ha una delle leggi più restrittive in materia, e al momento vieta l'interruzione di gravidanza dopo la quindicesima settimana, ma dopo la decisione della Corte Suprema di rovesciare la sentenza Roe v. Wade, i conservatori puntano a inasprire ulteriormente i limiti.
Corte suprema Usa abolisce sentenza sul diritto all'aborto. Ora i singoli Stati liberi di applicare le loro leggi in materia
(ANSA il 24 giugno 2022) - La Corte suprema Usa ha abolito la storica sentenza Roe v. Wade con cui nel 1973 la stessa Corte aveva legalizzato l'aborto negli Usa. Ora quindi i singoli Stati saranno liberi di applicare le loro leggi in materia.
La decisione è stata presa nel caso "Dobbs v. Jackson Women's Health Organization", in cui i giudici hanno confermato la legge del Mississippi che proibisce l'interruzione di gravidanza dopo 15 settimane. A fare ricorso era stata l'unica clinica rimasta nello Stato ad offrire l'aborto. "L'aborto presenta una profonda questione morale. La costituzione non proibisce ai cittadini di ciascuno stato di regolare o proibire l'aborto", scrivono i giudici. Una bozza trapelata nelle scorse settimane (redatta dal giudice Samuel Alito, risalente a febbraio e confermata poi come autentica dalla corte) aveva indicato che la maggioranza dei 'saggi' erano favorevoli a ribaltare la Roe v Wade, suscitando vaste polemiche e proteste negli Usa. Su 50 Stati, 26 (tra cui Texas e Oklahoma) hanno leggi più restrittive in materia. Nove hanno dei limiti sull'aborto che precedono la sentenza 'Roe v. Wade', e che non sono ancora stati applicati ma che ora potrebbero diventare effettivi, mentre 13 hanno dei cosiddetti 'divieti dormienti' che dovrebbero entrare immediatamente in vigore.
Usa: abolizione aborto, proteste davanti a Corte Suprema.
(ANSA il 24 giugno 2022) Fuori dalla Corte Suprema degli Stati Uniti è scoppiata la protesta, pochi minuti dopo che i massimi giudici hanno abolito il diritto all'aborto dopo 50 anni. I manifestanti stanno aumentando ogni minuto che passa, c'è anche un contigente di anti-abortisti che si sono abbracciati e hanno esultato alla notizia che la Corte Suprema ha rovesciato la storica sentenza 'Roe v. Wade'.
Corte Suprema, Costituzione non conferisce diritto aborto
"La Costituzione non conferisce il diritto all'aborto". E' quanto si legge nella sentenza della Corte Suprema che abolisce la Roe v. Wade. La decisione è stata presa da una Corte divisa, con 6 voti a favore e 3 contrari.
Corte Suprema, Costituzione non conferisce diritto aborto
"La Costituzione non conferisce il diritto all'aborto". E' quanto si legge nella sentenza della Corte Suprema che abolisce la Roe v. Wade. La decisione è stata presa da una Corte divisa, con 6 voti a favore e 3 contrari.
Usa: leader repubblicani Camera plaude, salvate vite umane
Il leader dei repubblicani alla Camera, Kevin McCarthy, palude alla decisione della Corte Suprema di abolire la Roe v. Wade, la storica sentenza del 1973 che ha legalizzato l'aborto negli Stati Uniti. "Paludo a questa storica sentenza che salva vite umane", twitta McCarthy.
Usa: Obama accusa, attaccate libertà milioni americani
Barack Obama attacca la Corte Suprema sull'aborto, accusandola di aver "attaccato le libertà fondamentali di milioni di americani" con la sua decisione.
Giuseppe Sarcina e Alice Scaglioni per corriere.it il 24 giugno 2022.
La Corte Suprema cancella un pezzo di storia americana: oggi venerdì 24 giugno ha cancellato la sentenza Roe v.Wade che da cinquant’anni garantiva il diritto di aborto a tutte le donne del Paese.
La Corte ha deciso con una maggioranza netta: 6 giudici contro tre. Ha prevalso il blocco conservatore formato da Samuel Alito, che ha scritto il parere vincente, e poi Thomas Clarence, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh, Amy Coney Barrett. Le ultime tre toghe sono state nominate da Donald Trump. Ha votato a favore anche il presidente John G. Roberts, che ha aggiunto: «Avrei adottato un approccio più moderato». Si sono schierati contro i tre componenti di estrazione liberal: Sonia Sotomayor, Elena Kagan, Stephen Breyer (che uscirà a breve).
L’esame della Corte era partito lo scorso autunno dalla causa costituzionale intentata dalla Jackson Women’s Health Organization contro la legge varata nel 2018 dal parlamento del Mississippi, controllato dai repubblicani. La norma vieta il ricorso all’aborto dopo la quindicesima settimana di gravidanza. La sentenza Planned Parenthood v. Casey del 1972 stabilisce, invece, che l’aborto è praticabile fino a quando il feto non sia autosufficiente, cioè fino a circa sette mesi di gravidanza. Il parere di Alito, poi condiviso da altri cinque togati, è molto secco: «La sentenza Roe v.Wade è nata sbagliata».
Viene contestato il radicamento giuridico del diritto di scelta nel 14° Emendamento della Costituzione, che assicura ai cittadini le libertà politiche e civili. Quelle norma è stata introdotta in un’epoca (1868 ndr) <in cui neanche si discuteva di aborto». Non c’è, quindi, alcuna ragione per garantire su tutto il territorio federale il diritto di scelta in tema di gravidanza. La conseguenza immediata è che la materia «dovrà tornare ai singoli stati». Oggi sono già 22 gli Stati che hanno adottato legislazioni molto restrittive, come il Texas e più di recente l’Oklahoma . Altri quattro Stati sono pronti a seguire l’esempio. Le donne avrebbero ancora libertà di scelta negli Stati liberal delle due coste, dalla California a New York. Lo scenario più probabile, quindi, è quello di un Paese ancora più diviso.
Appena si è diffusa la notizia, centinaia di persone si sono radunate davanti all’edificio della Corte. Inizia una giornata di accese proteste. Da oggi il Paese è ancora più lacerato e come ha appena dichiarato la Speaker democratica Nancy Pelosi, il «tema dell’aborto diventerà centrale nelle elezioni di midterm a novembre».
Le reazioni
Il Dipartimento di Giustizia americano userà «tutti gli strumenti a sua disposizione per proteggere i diritti e la libertà alla riproduzione», ha fatto sapere.
Il presidente Usa Joe Biden, che ha parlato qualche ora dopo l’annuncio della decisione, ha detto che la Corte Suprema ha tolto il diritto agli americani. «Un giorno triste per l’America». «Questa decisione è la realizzazione di tentativi che vanno avanti da decenni per rovesciare le leggi, di un’ideologia estrema: la Corte ha fatto una cosa mai prima, togliere un diritto costituzionale fondamentale per milioni di americani. Non lo ha limitato, lo ha semplicemente eliminato». Per Biden ora la salute delle donne è «rischio», ma aggiunge «il mio governo resterà vigilante». Il presidente Usa ha poi aggiunto che farà di tutto per far garantire, grazie al Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani, che la contraccezione sia disponibile agli americani, anche se gli Stati cercano di limitarli.
«La Corte Suprema non solo ha annullato quasi 50 anni di precedenti, ma ha relegato la decisione più intensamente personale che qualcuno può prendere ai capricci di politici e ideologi: (sono state) attaccate le libertà fondamentali di milioni di americani»: ha twittato l'ex presidente Usa, Barack Obama. Anche l’ex first lady, Michelle Obama, è intervenuta sulla decisione della Corte Suprema: «Ho il cuore spezzato per gli americani che hanno perso il diritto fondamentale di assumere decisioni informate. Avrà delle conseguenze devastanti».
Per la portavoce della Camera Usa, la democratica Nancy Pelosi, è una decisione «crudele» e «scandalosa». Per Hillary Clinton è «un’infamia» e «un passo indietro per i diritti delle donne e i diritti umani». «Molti americani ritengono che la decisione di avere un figlio sia sacra e dovrebbe rimanere fra la donna e il suo medico», ha aggiunto.
L'ex vicepresidente e numero due di Trump Mike Pence ha detto che «la vita ha vinto» e ha esortato tutti a battersi per «la difesa del nascituro e il sostegno alle donne incinte in crisi». «Avendo avuto questa seconda possibilità per la vita, non dobbiamo riposare e non dobbiamo cedere finché la santità della vita non sarà ripristinata al centro della legge americana in ogni Stato del Paese». Anche l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha commentato la decisione, lodando la Corte Suprema. La decisione vuol dire «seguire la Costituzione e restituire i diritti», dice l’ex presidente Usa a Fox. La decisione «funzionerà per tutti», ha detto.
Dopo la decisione della Corte Suprema, il Missouri ha deciso di proibire l’aborto, tranne che per le emergenze sanitarie. Il governatore repubblicano, Mike Parson, ha infatti firmato la legge che innesca il divieto di aborto nello Stato. «Nulla nel testo, nella storia o nella tradizione della Costituzione degli Stati Uniti ha dato ai giudici federali non eletti l’autorità di regolare l’aborto», ha aggiunto il governatore.
A ruota, anche il Texas ha fatto sapere che l’interruzione volontaria di gravidanza è ora illegale nello Stato, con effetto immediato. Il procuratore generale del Texas, Ken Paxton, ha sottolineato che le strutture che offrono le interruzioni di gravidanza possono essere considerate «responsabili penalmente a partire da oggi».
Dall’altra parte, i governatori di California, Oregon e Washington hanno appena rilasciato una dichiarazione congiunta in cui si impegnano a proteggere l’accesso all’aborto e ai contraccettivi e a difendere i pazienti e i medici dai divieti di aborto che verranno adottati negli altri Stati. Anche il governatore dello Stato di New York, Kathy Hochul, ci ha tenuto a rassicurare sul diritto all’aborto: «È un fondamentale diritto umano e resta sicuro, accessibile e legale a New York». A lei si unisce anche il sindaco della Grande Mela, Eric Adams. «A coloro che vogliono un aborto nel Paese, sappiate che qui siete le benvenute. Faremo ogni sforzo per assicurare che i servivi riproduttivi restino disponibili e accessibili per voi».
Biden: «Giudici nominati da Trump hanno rovesciato la legge sull'aborto». Aborto, negli Usa la Corte Suprema ha annullato la sentenza «Roe vs. Wade». Giuseppe Sarcina e Alice Scaglioni su Il Corriere della Sera il 24 Giugno 2022
I giudici Usa hanno annullato la storica sentenza «Roe vs. Wade» che ha garantito il diritto all’interruzione di gravidanza nei vari Stati
La Corte suprema cancella un pezzo di storia americana: oggi venerdì 24 giugno ha cancellato la sentenza Roe vs. Wade che da cinquant’anni garantiva il diritto di aborto a tutte le donne del Paese.
La Corte ha deciso con una maggioranza netta: 6 giudici contro tre. Ha prevalso il blocco conservatore formato da Samuel Alito, che ha scritto il parere vincente, e poi Thomas Clarence, Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh, Amy Coney Barrett. Le ultime tre toghe sono state nominate da Donald Trump. Ha votato a favore anche il presidente John G. Roberts, che ha aggiunto: «Avrei adottato un approccio più moderato». Si sono schierati contro i tre componenti di estrazione liberal: Sonia Sotomayor, Elena Kagan, Stephen Breyer (che uscirà a breve).
L’esame della Corte era partito lo scorso autunno dalla causa costituzionale intentata dalla Jackson Women’s Health Organization contro la legge varata nel 2018 dal parlamento del Mississippi, controllato dai repubblicani. La norma vieta il ricorso all’aborto dopo la quindicesima settimana di gravidanza. La sentenza Planned Parenthood v. Casey del 1972 stabilisce, invece, che l’aborto è praticabile fino a quando il feto non sia autosufficiente, cioè fino a circa sette mesi di gravidanza. Il parere di Alito, poi condiviso da altri cinque togati, è molto secco: «La sentenza Roe vs. Wade è nata sbagliata».
Viene contestato il radicamento giuridico del diritto di scelta nel 14° Emendamento della Costituzione, che assicura ai cittadini le libertà politiche e civili. Quella norma è stata introdotta in un’epoca (1868 ndr) <in cui neanche si discuteva di aborto». Non c’è, quindi, alcuna ragione per garantire su tutto il territorio federale il diritto di scelta in tema di gravidanza. La conseguenza immediata è che la materia «dovrà tornare ai singoli stati». Oggi sono già 22 gli Stati che hanno adottato legislazioni molto restrittive, come il Texas e più di recente l’Oklahoma . Altri quattro Stati sono pronti a seguire l’esempio. Le donne avrebbero ancora libertà di scelta negli Stati liberal delle due coste, dalla California a New York. Lo scenario più probabile, quindi, è quello di un Paese ancora più diviso.
Appena si è diffusa la notizia, centinaia di persone si sono radunate davanti all’edificio della Corte. Inizia una giornata di accese proteste. Da oggi il Paese è ancora più lacerato e come ha appena dichiarato la Speaker democratica Nancy Pelosi, il «tema dell’aborto diventerà centrale nelle elezioni di midterm a novembre».
Le reazioni
Il presidente Usa Joe Biden ha parlato qualche ora dopo l’annuncio della decisione, che lui stesso ha definito «un tragico errore»: «Oggi è un giorno triste per l’America». Ha addossato la responsabilità della decisione che annulla la sentenza del 1973 ai tre giudici nominati dal suo predecessore alla Casa Bianca, Donald Trump: «Sono stati tre giudici nominati da un presidente, Donald Trump, quelli al centro della decisione odierna (della Corte Suprema) di eliminare un diritto fondamentale delle donne in questo Paese», ha detto. «Questa decisione è la realizzazione di tentativi che vanno avanti da decenni per rovesciare le leggi, la realizzazione di un’ideologia estrema: la Corte ha fatto una cosa mai fatta prima, togliere un diritto costituzionale fondamentale per milioni di americani. Non lo ha limitato, lo ha semplicemente eliminato». Per Biden ora la salute delle donne è «rischio».
«Molte donne hanno perso una tutela costituzionale fondamentale. Noi dissentiamo», affermano i giudici liberal Sonia Sotomayor, Elena Kagan e Stephen Breyer, che hanno votato contro la decisione di capovolgere la storica sentenza.
Il presidente Usa Joe Biden
Il Dipartimento di Giustizia americano ha detto che userà «tutti gli strumenti a sua disposizione per proteggere i diritti e la libertà alla riproduzione».
«La Corte Suprema non solo ha annullato quasi 50 anni di precedenti, ma ha relegato la decisione più intensamente personale che qualcuno può prendere ai capricci di politici e ideologi: (sono state) attaccate le libertà fondamentali di milioni di americani»: ha twittato l'ex presidente Usa, Barack Obama. Anche l’ex first lady, Michelle Obama, è intervenuta sulla decisione della Corte Suprema: «Ho il cuore spezzato per gli americani che hanno perso il diritto fondamentale di assumere decisioni informate. Avrà delle conseguenze devastanti».
Per la portavoce della Camera Usa, la democratica Nancy Pelosi , è una decisione «crudele» e «scandalosa». Per Hillary Clinton è «un’infamia» e «un passo indietro per i diritti delle donne e i diritti umani». «Molti americani ritengono che la decisione di avere un figlio sia sacra e dovrebbe rimanere fra la donna e il suo medico», ha aggiunto.
L'ex vicepresidente e numero due di Trump Mike Pence ha invece accolto positivamente la sentenza: ha detto che «la vita ha vinto» e ha esortato tutti a battersi per «la difesa del nascituro e il sostegno alle donne incinte in crisi». «Avendo avuto questa seconda possibilità per la vita, non dobbiamo riposare e non dobbiamo cedere finché la santità della vita non sarà ripristinata al centro della legge americana in ogni Stato del Paese». Anche l’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha commentato la sentenza, lodando la Corte Suprema. La decisione «segue la Costituzione e restituisce i diritti», ha detto l’ex presidente Usa a Fox, che ha aggiunto: «Alla fine, questo sia qualcosa che funzionerà per tutti». Ma secondo quanto scrive il New York Times , l’ex inquilino della Casa Bianca non sarebbe così contento della decisione della Corte Suprema: Trump avrebbe ribadito a più persone che potrebbe trattarsi di un boomerang e potrebbe avere conseguenze negative per i Repubblicani, soprattutto in un’ottica che guarda alle prossime elezioni.
Anche il Vaticano ha commentato positivamente la decisione, dicendo che la sentenza sull’aborto «sfida il mondo intero» sui problemi della vita e lodando la Corte Suprema. L’Onu invece ha parlato di «un colpo terribile ai diritti umani delle donne». «È una grave battuta d’arresto dopo cinque decenni di protezione della salute sessuale e riproduttiva e dei diritti negli Stati Uniti attraverso Roe vs Wade», ha detto l’Alto commissario Onu per i diritti umani Michelle Bachelet.
Dopo la decisione della Corte Suprema, il Missouri ha deciso di proibire l’aborto, tranne che per le emergenze sanitarie. Il governatore repubblicano, Mike Parson, ha infatti firmato la legge che innesca il divieto di aborto nello Stato. «Nulla nel testo, nella storia o nella tradizione della Costituzione degli Stati Uniti ha dato ai giudici federali non eletti l’autorità di regolare l’aborto», ha aggiunto il governatore.
A ruota, anche il Texas ha fatto sapere che l’interruzione volontaria di gravidanza è ora illegale nello Stato, con effetto immediato. Il procuratore generale del Texas, Ken Paxton, ha sottolineato che le strutture che offrono le interruzioni di gravidanza possono essere considerate «responsabili penalmente a partire da oggi».
Dall’altra parte, i governatori di California, Oregon e Washington hanno rilasciato una dichiarazione congiunta in cui si impegnano a proteggere l’accesso all’aborto e ai contraccettivi e a difendere i pazienti e i medici dai divieti di aborto che verranno adottati negli altri Stati. Anche il governatore dello Stato di New York, Kathy Hochul, ci ha tenuto a rassicurare sul diritto all’aborto: «È un fondamentale diritto umano e resta sicuro, accessibile e legale a New York». A lei si unisce anche il sindaco della Grande Mela, Eric Adams. «A coloro che vogliono un aborto nel Paese, sappiate che qui siete le benvenute. Faremo ogni sforzo per assicurare che i servivi riproduttivi restino disponibili e accessibili per voi».
Francesco Semprini per “la Stampa” il 26 giugno 2022.
È un'onda che si alza dai quattro angoli del Paese e passa attraverso i palazzi del potere di Washington, quella della protesta contro la sentenza della Corte Suprema che decreta il diritto a vietare l'aborto. Un'onda destinata inesorabilmente a tenere in scacco il dibattito in vista dell'appuntamento elettorale di novembre.
«La decisione presa dalla Corte Suprema è devastante e dolorosa, difenderemo i diritti delle donne», afferma Joe Biden, firmando la legge bipartisan sulla stretta delle armi, prima di partire per i vertici del G7 e della Nato. Con lui nella Roosevelt Room la First Lady Jill Biden. La norma su pistole e fucile arriva all'indomani di un'altra sentenza della Corte Suprema a trazione conservatrice che ha smontato una legge newyorkese vecchia più di un secolo che imponeva limiti alla detenzione di armi in pubblico.
«È il provvedimento più significativo degli ultimi 30 anni. Voglio ringraziare le famiglie delle vittime da Columbine a Sandy Hook a Uvalde. Niente potrà colmare il loro vuoto, ma hanno aperto la strada per arrivare a questo punto», ha aggiunto il Presidente, dimostrando come il potere legislativo, con la maggioranza democratica in entrambe le Camere, è determinato a contrastare quello giudiziario a colpi di norme.
Dopo le armi, sarà la volta dell'aborto, come lo stesso Biden ha auspicato dopo il ribaltamento della storica sentenza Roe vs Wade del 1973. La Casa Bianca, intanto, tiene alta la guardia in vista di altre battaglie sui valori che sembrano profilarsi all'orizzonte.
L'amministrazione Biden ha diffidato gli Stati antiabortisti dal vietare la vendita della pillola abortiva, col ministro della Giustizia Garland che ha fatto riferimento al principio dell'ubi maior, secondo il quale gli Stati non possono opporsi a una legge federale.
L'accesso alla pillola, approvata dalla Food&Drug Administration (l'autorità del settore farmaceutico) dopo il voto del Congresso, è il nuovo teatro della lotta per l'aborto. Oggi il 50% degli aborti in Usa avviene entro le prime 10 settimane, tramite il ricorso alla pillola.
Intanto la senatrice Susan Collins, repubblicana del Maine, punta il dito verso i giudici conservatori della Corte Suprema, Brett Kavanaugh e Neil Gorsuch, rei - a suo dire - di aver infranto un impegno fatto a Capitol Hill. «La decisione - tuona - non è coerente con ciò che i togati hanno affermato nella testimonianza e con me, entrambi avevano insistito sull'importanza di sostenere precedenti di lunga data».
Da segnalare il botta e risposta tra le due «pasionarie» dei poli opposti, Alexandria Ocasio Cortez e Marjorie Taylor Greene. La deputata liberal è scesa in piazza, esortando gli americani e le americane a fare lo stesso, «perché le elezioni non bastano, dobbiamo riempire le strade». Ha replicato su Twitter la collega ultraconservatrice: «Aoc ha appena lanciato un appello all'insurrezione. Se ci saranno violenze e sommosse saranno il risultato diretto degli ordini di squadra democratici».
Non ha avuto sosta anche ieri l'afflusso di manifestanti davanti alla Corte Suprema a Washington, mentre le proteste si sono allargate ad altre città, come Denver, Atlanta, Chicago, New York, Philadelphia, e Austin, in Texas, uno degli Stati in cui è già in vigore una legge iper-restrittiva sull'aborto e che si avvia a vietarlo del tutto nei prossimi giorni. Paura durante una manifestazione pro-aborto a Cedar Rapids, Iowa, quando un pick-up si è lanciato contro la folla, una donna è stata ricoverata in ospedale.
A Phoenix, Arizona, la polizia ha usato gas lacrimogeni per disperdere una protesta pro-aborto: secondo gli agenti, i manifestanti avevano «ripetutamente preso a pugni la porta di vetro dell'ingresso del Senato». A Seattle un'attivista antiabortista è stata aggredita da attivisti di Antifa che le hanno anche spruzzato spray urticante.
Anche il mondo dello spettacolo insorge con l'attrice di «Sex and the City», Cynthia Nixon, che è portavoce della comunità Lgbtqi+. «Inorridita perché in America le pistole hanno più diritti delle donne», è Kim Kardashian che, sebbene in passato si stata vicina a Trump sui temi della riforma penale, ha preso le distanze da un verdetto che per l'ex Presidente «è venuto da Dio». Mobilitato anche il basket, con la star Nba LeBron James che parla di «un abuso di potere», e la Corporate America con Google che concede ai dipendenti di chiedere il trasferimento in altro Stato «senza giustificazione».
Al momento sette Stati Usa hanno bandito l'aborto subito dopo la sentenza, altri sette lo faranno nei prossimi 30 giorni. Si tratta di Stati a guida repubblicana che avevano già varato restrizioni sull'interruzione di gravidanza, ma sono in tutto 26 quelli in cui l'aborto potrebbe essere bandito per sempre. L'onda delle proteste preoccupa la destra, a partire da Trump. Per quanto volubile, l'ex Presidente ha da tempo difficoltà nell'affrontare l'argomento dell'aborto, che ha sostenuto per anni come diritto, ma ha affermato di detestare personalmente. Ora però subentra il fattore politico: ha ammesso ad amici e consiglieri che la sentenza è «nociva per i repubblicani», in vista della riconquista di Camera e Senato su cui punta alle elezioni di novembre.
Alberto Simoni per “la Stampa” il 26 giugno 2022.
La decisione della Corte suprema Usa era scontata. Nessuno si era fatto illusioni che la Roe vs Wade superasse le forche caudine di un tribunale a forte trazione conservatrice, simbolo di un disequilibrio che non rappresenta il Paese e che è destinato a durare decenni.
Il giudice Samuel Alito ha evocato la Costituzione per sentenziare che, non essendoci riferimenti all'aborto, tutte le leggi e le sentenze che la richiamavano come base di un diritto erano impure.
E così via la Roe vs Wade. Alito ha anche spiegato che questo approccio vale solo per la questione dell'aborto.
Se guardate la foto dei nove togati, però, soffermatevi su Clarence Thomas, il veterano dei giudici - è in carica dal 1991 - ultraconservatore e secondo afroamericano a sedere fra i nove custodi delle leggi Usa. È il teorico della restaurazione e non condivide questa «timidezza» di Alito. Secondo Thomas, ora la Corte ha il dovere di «correggere l'errore - ha scritto nel parere associato - stabilito in alcuni precedenti».
Linguaggio oscuro, che significa che almeno tre sentenze del passato (Griswold, Lawrence, Obergefell) che proteggevano la contraccezione, il sesso consensuale fra gay e il matrimonio omosessuale possono venire spazzate via. La sua è una posizione estremista, gli altri giudici conservatori hanno preferito sposare la linea di Alito, ma è un indizio di dove una fetta di America vuole portare la nazione: a cancellare ogni diritto civile faticosamente conquistato.
Il miglior alleato di Thomas è in famiglia: la moglie Ginni è un'attivista e lobbysta, adepta dei Tea Party, sugli scudi contro l'Obamacare, e così intimamente trumpiana da aver inondato il capo dello staff di Donald, Mark Meadows, di email affinché trovasse il modo di ribaltare l'esito del voto del 2020. La Commissione 6 gennaio le ha inviato un mandato di comparizione.
Il giudice Thomas è stato sin dal suo esordio un falco, ma la sua posizione è spesso stata mitigata da un equilibrio della Corte a maggioranza conservatrice (5-4) da decenni, ma con un esponente - il moderato Anthony Kennedy, nominato da Reagan - a fare da bilanciere e sovente schierato con l'ala progressista sui sociali, come i diritti Lgbtq. Kennedy, nel 2018, ha rassegnato le dimissioni e Trump al suo posto ha nominato Brett Kavanaugh, conservatore anti-abortista.
E il piano restauratore di Thomas (e della moglie) qualche chance di andare in porto ce l'ha. I primi segnali di una svolta si ebbero quando il 13 febbraio del 2016 un infarto stroncò la vita del giudice conservatore Antonin Scalia. Barack Obama si trovò dinanzi la ghiotta opportunità di nominare un liberal: la sua scelta cadde su Merrick Garland, ma i repubblicani insorsero, dicendo che nomine così importanti nell'ultimo anno di Presidenza erano inopportune.
L'ostruzionismo che fecero fu così forte che la Presidenza arrivò al termine e il nuovo giudice lo scelse Donald Trump: Neil Gorsuch. Poi ne prese altri due, lo stesso Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett.
Quest' ultima venne nominata appena un mese prima delle elezioni del 2020, ma evidentemente i repubblicani avevano dimenticato le critiche che avevano fatto a Obama. La storia sarebbe andata diversamente se Obama fosse riuscito a portare un «suo» giudice alla Corte.
E sarebbe stata diversa se H Bader Ginsburg, morta nel 2020 a 87 anni, avesse rassegnato le dimissioni durante l'epoca di Obama. Invece Donald Trump si è trovato a nominare ben tre giudici e Thomas ha trovato alleati tanto che, paradossalmente in una Corte con sei conservatori, il giudizio del presidente, John Roberts, moderato nominato da Bush junior, è ininfluente.
Nessuno pensa che la Corte rispecchi la società americana in termini di pensiero, costumi, valori. Solo il 30% degli statunitensi è favorevole alla cancellazione del diritto dell'aborto. Ovviamente il lavoro dei giudici non è tenere conto dei sondaggi, stare sconnessi con la realtà però è un pericolo perché le conseguenze di scelte come quella sull'aborto investono il futuro della nazione.
E minano anche la credibilità delle istituzioni. Se anche il Tribunale supremo, per definizione super partes, entra nell'arena politica, di chi fidarsi? Oggi il tasso di approvazione della Corte scavalla appena il 20%. Eppure, è questa minoranza ad avere il potere: è una destra cristiana fondamentalista che ha trovato in Trump il guardiano di un modo di concepire l'America come un fortino assediato da un mondo volgare, debole e depravato.
Davanti al vortice Trump il partito repubblicano si è sgonfiato. Chi si espone - come Liz Cheney - vede in pericolo la rielezione; altri come il deputato Adam Kinzinger sono minacciati di morte (con la moglie e il figlio di 6 mesi) perché «traditori del giuramento». E in questo clima la restaurazione dei coniugi Thomas, una volta chimera, è un più vicina. E il paradosso è che il potere di fermarla è nelle mani degli altri giudici conservatori.
Anna Guaita per “il Messaggero” il 27 giugno 2022.
«Mi sono fidato del giudice Gorsuch e del giudice Kavanaugh quando hanno testimoniato sotto giuramento che credevano che Roe vs Wade fosse un precedente legale oramai stabilito».
Con queste parole il senatore democratico Joe Manchin ha di fatto accusato due giudici della Corte Suprema di aver mentito durante le udienze di conferma della loro nomina davanti al Senato. Manchin ha unito la sua voce a quella della collega repubblicana del Maine, Susan Collins, la quale ha puntato i suoi strali accusatori soprattutto contro Kavanaugh, con il quale aveva avuto lunghi colloqui a quattr'occhi.
Le televisioni, dal canto loro, ripropongono anche la testimonianza della giudice Amy Coney Barrett, terzo giudice voluto da Donald Trump e approvato a ridosso delle elezioni del 2020. Anche lei aveva ribadito di considerare «un precedente radicato» la sentenza "Roe Vs Wade" del 1973, che stabiliva che l'aborto era un diritto costituzionale.
Ora però il Paese si interroga se ci sia qualche punizione per i giudici che abbiano mentito sotto giuramento quando i senatori li interrogavano per decidere se approvare la loro nomina. Certo è che nel Paese la Corte ha perso molto del lustro di cui ha goduto per decenni. Secondo un sondaggio Gallup, solo il 25% degli americani continua ad avere «alta fiducia» nella Corte.
Se si pensa che nel 2020 si arrivava al 58%, si capisce quanto sia grave la caduta. Dall'inizio del Novecento i giudici supremi erano stati oggetto di stima e rispetto al pari delle forze armate. Sia gli uni che gli altri sono sempre stati visti come super partes e non piegati al volere dei politici.
Ma la situazione è cambiata proprio con Donald Trump, che sin dalla sua campagna elettorale aveva apertamente promesso di scegliere giudici che abolissero il diritto di aborto, e dopo averli scelti e averne ottenuto l'approvazione dal Senato si è vantato di aver fatto più di ogni altro presidente per la causa degli anti-abortisti.
La Corte di adesso, con una super maggioranza di sei conservatori a tre liberal è sbilanciata come non lo era da decenni. Tutti i presidenti hanno sempre cercato di mantenere un bilanciamento nella Corte, strategia abbandonata in pieno da Trump, che sta così ottenendo che le leggi del Paese si spostino più a destra di dove la maggioranza dell'opinione pubblica le vorrebbe.
E per bloccare l'attivismo con-servatore dei giudici non c'è nulla da fare: la Corte non risponde a nessuno, i giudici sono nominati a vita e possono essere sottoposti a impeachment solo per gravi reati criminali.
Matteo Persivale per il “Corriere della Sera” il 27 giugno 2022.
Clarence Thomas è un uomo di parola: «I progressisti mi hanno rovinato la vita per 43 anni; adesso io rovinerò la loro per i prossimi 43», disse nel 1993 ai suoi assistenti.
Arrivò alla Corte Suprema nel 1991, appena 43enne per l'appunto, e i giudici supremi restano in carica a vita: da allora la sua vendetta verdiana, da Rigoletto con la toga, si è articolata attraverso un'impressionante serie di sentenze allineate con le istanze della destra americana più estrema.
Strategia repubblicana
Thomas non è un'anomalia del sistema, è il frutto di una strategia lucidissima di interessi precisi: una proposta politica che indicasse nel 1787 il modello di Paese sarebbe improponibile in parlamento, ma non nel sistema giudiziario.
Allora è stata formata dal partito repubblicano una generazione di giudici-attivisti (ottimamente finanziata dall'opaca Federalist Society) decisi per statuto a riportare la Costituzione americana a quello che la destra vede essere il suo spirito originario, scevro cioè della maggior parte dei diritti che nei secoli successivi si sono aggiunti al nucleo di quelli del 1787 (in origine la Costituzione prevedeva, tra le altre cose, che votassero solo i proprietari terrieri maschi, che le donne stessero a casa e i neri in catene; niente Stato sociale, etc).
Thomas, «originalista», offre al partito garanzie assolute non soltanto in materia politica ma anche temperamentale: la sua sete di vendetta nei confronti dei progressisti che cercarono - goffamente, e invano - di affondarne la storica nomina alla Corte Suprema lo anima dal 1991.
Il pegno di Bush (padre)
George Bush padre, moderato nordista trapiantato in Texas, pagò pegno alla base più ideologizzata che gli aveva garantito l'elezione nel 1988, terzo mandato repubblicano dopo i due, storici, di Ronald Reagan.
Andava in pensione un'icona dei diritti civili, il giudice Thurgood Marshall protagonista dell'affrancamento degli afroamericani dalla segregazione razziale degli Stati del Sud, e Bush padre (che aveva già mandato alla Corte Suprema un moderato del nordest in sintonia con le sue idee e anche il suo stile, il centrista David Souter) decise di sostituirlo con un uomo che con Marshall aveva in comune soltanto il colore della pelle: Thomas.
Umilissime origini, un'istruzione di lusso ottenuta grazie alle corsie preferenziali per le minoranze (corsie che dal 1991 cerca appena può di chiudere), funzionario ministeriale reaganiano, giudice federale per soli 18 mesi finché non viene scelto per la Corte Suprema.
Il 43enne non appare agli analisti come un genio della giurisprudenza ma le audizioni davanti al Senato (a maggioranza democratica: la Storia ha un crudele senso dello humour) cominciano sotto discreti auspici finché una professoressa universitaria che aveva lavorato per lui lo accusa di averla ripetutamente molestata e bersagliata con battute grevi.
Le audizioni senatoriali diventano un circo e la professoressa Hill da testimone finisce imputata, l'impressione generale dei senatori (tutti maschi, bianchi) che la interrogano senza pietà è che si tratti dell'intemerata di un'ex amante assetata di vendetta (non è vero).
«È un linciaggio», grida Thomas, probabilmente la mossa vincente perché evoca linciaggi (non mediatici, veri) sui quali l'America bianca aveva allora come adesso molto da farsi perdonare.
Alcuni democratici (pochi, ma bastano) decidono che votare contro un nero pare brutto, e così anche grazie alla clamorosa debolezza del capo-commissione democratico, il senatore del Delaware Joe Biden (qui il crudele sense of humour della Storia ha fatto il bis), Hill viene derubricata a «un po' mattocchia e un po' zoccoletta» secondo un sicario giornalistico dei repubblicani poi pentito, David Brock. Thomas esce ammaccato ma vivo dalla commissione, il Senato al completo vota, e la nomina passa di pochissimo, 52 a 48, grazie all'aiuto democratico.
La moglie trumpiana
Da allora Thomas si scatena, duettando con la moglie Ginni, attivista e organizzatrice non pentita del fallito golpe del 6 gennaio 2021. Ora la sinistra democratica ne invoca l'impeachment della Camera ma è pura follia immaginare che due terzi dei senatori lo caccino dalla Corte. E Thomas continua così la lunga marcia dei suoi 43 anni di vendetta, «tremenda vendetta, di quest' anima è solo desio, di punirti già l'ora s' affretta», una sentenza dopo l'altra, con l'America del 1787 nel cuore.
Irene Soave per il “Corriere della Sera” il 27 giugno 2022.
«Quando avevo 22 o 23 anni sono stata violentata, qui a New York. Ero completamente sola, e feci un test di gravidanza in un bagno pubblico. Quando ero là seduta, tutto quello che mi restava da pensare era: grazie a Dio ho una scelta».
I manifestanti di Union Square, a Manhattan, ascoltano in silenzio mentre Alexandria Ocasio-Cortez, la parlamentare dem più giovane, diventa l'immagine della protesta. Giorni fa, dopo la pronuncia della Corte Suprema, aveva detto: «La gravidanza forzata è un crimine contro l'umanità». L'altra sera ci ha messo la faccia.
Non si fermano le proteste nemmeno nel resto degli Stati Uniti: in Colorado un centro pro-life è stato incendiato; Portland (Oregon) è stata teatro di scontri violenti. E il governo della California potrebbe approvare già oggi un emendamento alla Costituzione che blinderà il diritto all'aborto.
In attesa di statistiche, gli indizi che le donne corrano ai ripari informalmente si moltiplicano nelle cronache dai 22 Stati dove l'aborto è già di fatto impossibile. Nelle zone di confine programmano gli straordinari: alcune cliniche Planned Parenthood, per esempio, prevedranno due ore in più al giorno, e chiusura solo due domeniche al mese.
Il New York Times raccoglie testimonianze di donne che fanno scorte di pillole abortive e di contraccettivi: «Non si sa più cosa potrebbero vietare». Circolano, soprattutto, numerosi vademecum, sulla falsariga di quello, premonitore, pubblicato dal New York Magazine il 23 maggio: cosa fare se si vuole interrompere la gravidanza in uno Stato dove non si può.
L'ipotesi più sicura è l'aborto farmacologico. Cioè la combinazione di mifepristone e misoprostolo che in pandemia è già diventata il modo in cui metà delle americane abortiscono: a casa, seguite a distanza.
È «sicura nel 99% dei casi», spiega la divulgatrice Abigail Atkin, e non lascia tracce nell'organismo: chi l'ha presa e ha bisogno di cure può presentarsi in ospedale come «aborto spontaneo». La spediscono a casa, in pacchetti anonimi, reti come Just The Pill, Hey Jane, Mayday.
Gli sviluppatori di app che monitorano il ciclo - come Flo, Clue, Apple Health - sono al lavoro per rendere i dati che raccolgono totalmente anonimi, nell'ipotesi non remota che un giudice li richieda: i vademecum (così ad esempio il Nymag) consigliano, nel dubbio, di «distruggere le app» e segnarsi le mestruazioni sul diario.
«Non parlare a nessuno» dell'intenzione di abortire, se non a medici (vincolati dal segreto); «disabilitare il riconoscimento facciale dai cellulari» perché in tribunale ci si può rifiutare di fornire il pin ma non di accedere con la fotocamera; «spegnere lo smartphone» se si va a ritirare il pacco con la pillola, per non essere tracciate. E così via, in un crescendo che rimanda agli anni delle mammane, in versione tech.
Ieri un editoriale del sito Vatican News, firmato dal direttore delle comunicazioni della Santa Sede Andrea Tornielli, ha ribadito la posizione antiabortista della Chiesa ma enfatizzato che proteggere la vita significa, anche, occuparsi di congedi di paternità e «della minaccia delle armi da fuoco, crescente negli Usa».
Aborto, 9 stati Usa lo hanno già vietato. Altri 12 lo faranno a breve. Redazione Esteri su Il Corriere della Sera il 26 giugno 2022.
Dopo il ribaltamento della storica sentenza «Roe v. Wade» da parte della Corte Suprema, tocca ai singoli stati decidere come regolamentare l’interruzione di gravidanza.
Con il ribaltamento della storica sentenza sul diritto all’aborto, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha di fatto demandato a ciascuno stato la competenza di decidere su come regolamentare l’interruzione di gravidanza. Molti stati governati dai Repubblicani avevano già preparato leggi, le «trigger laws», pensate proprio per entrare in vigore subito dopo la decisione dei giudici. Così già da venerdì, subito dopo la sentenza dei giudici supremi, nove stati americani hanno immediatamente vietato l’aborto nella gran parte dei casi e si prevede che nei prossimi giorni o nelle prossime settimane altri 12 stati faranno lo stesso.
Si tratta di Stati a guida repubblicana che avevano già varato restrizioni durissime sull’interruzione di gravidanza.
Divieti scattati subito
In Kentucky, Louisiana e South Dakota il divieto è entrato in vigore immediatamente dopo che la Corte Suprema ha emesso la sua sentenza, mentre in Arkansas, Missouri e Oklahoma qualche ora dopo a seguito della certificazione ufficiale da parte dei procuratori.
In Alabama, dopo la decisione dei massimi giudici, un tribunale ha dichiarato valido un divieto che era stato bloccato.
Il divieto è entrato in vigore anche in Wisconsin e in Nort Utah, ad eccezione che nei casi di stupro, incesto e se la vita della donna è in pericolo.
Prossimi divieti
Con il ribaltamento della sentenza «Roe v. Wade» è molto probabile che l’aborto verrà proibito o comunque fortemente limitato anche in altri dodici stati, secondo una ricostruzione del New York Times. Alcuni di questi avevano a loro volta pronta una «trigger law» che dovrebbe entrare in vigore a giorni, come nel caso del Mississippi, lo stato da cui era partita la causa esaminata dalla Corte Suprema. O entro un mese dalla decisione, come nel caso dell’Idaho, del North Dakota e del Texas, che già l’anno scorso aveva introdotto una legge estremamente restrittiva. In quest’ultimo stato le cliniche hanno già smesso di praticare aborti, come pure in Arizona, Alabama, Arkansas, Kentucky, Missouri, South Dakota, West Virginia e Wisconsin.
Stati incerti
Infine altri nove stati stanno discutendo della possibilità di vietare o comunque limitare il diritto all’interruzione di gravidanza, tra cui Pennsylvania, Kansas e Indiana: le loro scelte impatteranno sulla vita di 11 milioni di donne in età riproduttiva.
L’ex sindaco Giuliani aggredito
L’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani e’ stato aggredito e schiaffeggiato dal commesso di un supermercato di Staten Island. Secondo quanto riferito dal dipartimento di Polizia di New York, Giuliani è stato aggredito alle spalle e schiaffeggiato durante un evento a sostegno della campagna govenatoriale di suo figlio, Andrew Giuliani. L’aggressore, un commesso 39enne della catena di supermercati ShopRite, è stato arrestato dopo l’incidente, e verrà incriminato per aggressione di secondo grado, essendo Giuliani un ultra-65enne. Secondo la testimonianza dello stesso Giuliani, prima di aggredirlo l’uomo ha gridato più volte «ucciderete le donne»: un evidente riferimento alla sentenza della Corte Suprema che ha abolito la sentenza Roe v. Wade e restituito agli Stati Usa il potere decisionale in materia di aborto. Il pronunciamento della Corte, lo scorso venerdì 24 giugno, ha innescato durissime proteste da parte del fronte pro-aborto sull’intero territorio degli Stati Uniti.
Aborto, perché la Corte suprema ha sbagliato. Sabino Cassese su Il Corriere della Sera il 26 giugno 2022.
Nel Paese in cui è stato maggiormente enfatizzato il ruolo creativo dei giudici, dove si insegna che il diritto è quello che stabiliscono i tribunali, piuttosto che quello che decidono i parlamenti, proprio i giudici supremi si sono spogliati del proprio potere e l’hanno delegato ai cinquanta parlamenti degli Stati.
La maggioranza dei giudici della Corte suprema americana ha «ridato il potere di regolare o proibire l’interruzione volontaria della gravidanza al popolo e ai suoi rappresentanti eletti», come ha scritto nella sua sentenza del 24 giugno scorso. Invece, la minoranza dissenziente ha osservato con amarezza che ora «uno Stato può forzare una donna a portare a termine la gravidanza anche se deve affrontare i più grandi costi personali e familiari, anche se il feto ha le più gravi anomalie o è il frutto di uno stupro o della violenza commessa da un padre su una giovane figlia».
Il presidente della Corte si è dissociato osservando che la maggioranza ha fatto un passo che non era necessario, mentre avrebbe dovuto autolimitarsi. La Corte suprema, contestando sé stessa, ha scritto una delle più brutte pagine della storia della giustizia costituzionale e ha messo in crisi il modello che essa ha rappresentato nel mondo.
La sentenza che aveva permesso l’aborto, riconosciuto come diritto della donna, era di cinquant’anni fa. Era stata confermata da un’altra sentenza del 1992. I 28 casi citati dalla maggioranza a sostegno della propria tesi, in cui la Corte ha radicalmente modificato il proprio orientamento, si fondavano su precedenti decisioni della Corte stessa.
La sentenza e le opinioni concorrenti e dissenzienti mostrano che la Corte americana è divenuta più simile a un Parlamento che a un tribunale: prevalgono gli schieramenti sui ragionamenti; le tesi sono sostenute con acredine e in modo apodittico, senza evitare contrapposizioni e cercare il compromesso (proposto dallo stesso presidente). I tribunali sono solitamente organi collegiali perché lì si deve esercitare l’arte di ascoltare, convincere, cercare accordi, ragionare, ponderare, mostrare l’equilibrio non i muscoli, decidere incrementalmente, aiutando il progresso civile, non opponendovisi o imponendosi ad esso.
Questa decisione ha mostrato tutti i difetti della Corte suprema (che hanno contribuito a ridurre della metà la fiducia della popolazione). I suoi giudici hanno solo una provenienza: sono nominati dal presidente, con il consenso del Senato. Una provenienza, quindi, eminentemente politica. Sono nominati a vita e lasciano la carica solo per morte o dimissione. Ma questo consente ai singoli giudici di stabilire quando lasciare libero il posto, in modo che il successore sia nominato da un presidente e da un Senato dello stesso orientamento. La nomina senza durata, che doveva servire ad assicurare l’indipendenza dei giudici, si è rovesciata, diventando un modo per consentire la continuità dell’influenza politica sulla Corte. Infatti, l’attuale presidente degli Stati Uniti ha nominato una commissione con l’incarico di riesaminare le norme sulla Corte.
Il terzo paradosso messo in luce da questa sentenza è più generale. Nel Paese in cui è stato maggiormente enfatizzato il ruolo creativo dei giudici, dove si insegna che il diritto è quello che stabiliscono i tribunali («judge – made law»), piuttosto che quello che decidono i parlamenti, proprio i giudici supremi si sono spogliati del proprio potere e l’hanno delegato ai cinquanta parlamenti degli Stati.
Questa decisione evidenzia la bontà della soluzione scelta dai costituenti italiani nel decidere come comporre la Corte costituzionale e di quella del sistema politico-costituzionale italiano nell’introdurre nel nostro Paese la disciplina dell’interruzione volontaria di gravidanza. Infatti, la Costituzione italiana prevede che i giudici abbiano tre diverse provenienze: siano per un terzo nominati dal presidente della Repubblica, per un altro terzo eletti dal Parlamento e per l’altro terzo dalle supreme magistrature. Quanto alla disciplina dell’interruzione volontaria di gravidanza, ad essa si è arrivati con un processo lento, che ha visto l’intervento prima, nel 1975, della Corte costituzionale; poi del Parlamento nel 1978, con la legge numero 194; poi del popolo con i due referendum del 1981, e, infine, nuovamente della Corte costituzionale con la sentenza numero 35 del 1997. L’«iter» ha coinvolto popolo, Parlamento e Corte costituzionale. L’errore delle forze politiche americane è stato quello di pensare che la disciplina di un tema così sensibile potesse essere lasciata per mezzo secolo soltanto alla decisione della Corte Suprema del 1973. In conclusione, la Corte suprema americana, con questo atto eversivo, rovesciando una sua decisione di mezzo secolo fa e contestando sé stessa, ha ammesso che i giudici non hanno quel ruolo supremo o finale che viene illustrato in tutte le «Law School» americane, perché esso spetta ai rappresentanti dei cinquanta Stati (creando così forti diseguaglianze tra i cittadini appartenenti alle diverse zone del Paese), ed ha anche contribuito alla disgregazione della federazione, stabilendo che una questione tanto importante, su un diritto fondamentale, non va presa a Washington.
Roe vs. Wade, la storia del giudice Thomas, che disse: «Rovinerò la vita ai progressisti». Matteo Persivale su Il Corriere della Sera il 26 giugno 2022.
Il giudice della Corte Suprema Usa, repubblicano, che ha firmato il parere che ha cancellato Roe, fu accusato di molestie a ridosso della sua nomina. Passò per un pelo.
Clarence Thomas è un uomo di parola: «I progressisti mi hanno rovinato la vita per 43 anni; adesso io rovinerò la loro per i prossimi 43», disse nel 1993 ai suoi assistenti. Arrivò alla Corte Suprema nel 1991, appena 43enne per l’appunto, e i giudici supremi restano in carica a vita: da allora la sua vendetta verdiana, da Rigoletto con la toga, si è articolata attraverso un’impressionante serie di sentenze allineate con le istanze della destra americana più estrema.
Thomas — uno dei nove giudici che hanno annullato «Roe vs. Wade», la sentenza che garantiva il diritto all’interruzione di gravidanza nei vari Stati, ndr — non è un’anomalia del sistema, è il frutto di una strategia lucidissima di interessi precisi: una proposta politica che indicasse nel 1787 il modello di Paese sarebbe improponibile in parlamento, ma non nel sistema giudiziario. Allora è stata formata dal partito repubblicano una generazione di giudici-attivisti (ottimamente finanziata dall’opaca Federalist Society) decisi per statuto a riportare la Costituzione americana a quello che la destra vede essere il suo spirito originario, scevro cioè della maggior parte dei diritti che nei secoli successivi si sono aggiunti al nucleo di quelli del 1787 (in origine la Costituzione prevedeva, tra le altre cose, che votassero solo i proprietari terrieri maschi, che le donne stessero a casa e i neri in catene; niente Stato sociale, etc).
Thomas, «originalista», offre al partito garanzie assolute non soltanto in materia politica ma anche temperamentale: la sua sete di vendetta nei confronti dei progressisti che cercarono – goffamente, e invano – di affondarne la storica nomina alla Corte Suprema lo anima dal 1991.
George Bush padre, moderato nordista trapiantato in Texas, pagò pegno alla base più ideologizzata che gli aveva garantito l’elezione nel 1988, terzo mandato repubblicano dopo i due, storici, di Ronald Reagan. Andava in pensione un’icona dei diritti civili, il giudice Thurgood Marshall protagonista dell’affrancamento degli afroamericani dalla segregazione razziale degli Stati del Sud, e Bush padre (che aveva già mandato alla Corte Suprema un moderato del nordest in sintonia con le sue idee e anche il suo stile, il centrista David Souter) decise di sostituirlo con un uomo che con Marshall aveva in comune soltanto il colore della pelle: Thomas.
Umilissime origini, un’istruzione di lusso ottenuta grazie alle corsie preferenziali per le minoranze (corsie che dal 1991 cerca appena può di chiudere), funzionario ministeriale reaganiano, giudice federale per soli 18 mesi finché non viene scelto per la Corte Suprema.
Il 43enne non appare agli analisti come un genio della giurisprudenza ma le audizioni davanti al Senato (a maggioranza democratica: la Storia ha un crudele senso dello humour) cominciano sotto discreti auspici finché una professoressa universitaria che aveva lavorato per lui lo accusa di averla ripetutamente molestata e bersagliata con battute grevi.
Le audizioni senatoriali diventano un circo e la professoressa Hill da testimone finisce imputata, l’impressione generale dei senatori (tutti maschi, bianchi) che la interrogano senza pietà è che si tratti dell’intemerata di un’ex amante assetata di vendetta (non è vero). «È un linciaggio», grida Thomas, probabilmente la mossa vincente perché evoca linciaggi (non mediatici, veri) sui quali l’America bianca aveva allora come adesso molto da farsi perdonare.
Alcuni democratici (pochi, ma bastano) decidono che votare contro un nero pare brutto, e così anche grazie alla clamorosa debolezza del capo-commissione democratico, il senatore del Delaware Joe Biden (qui il crudele sense of humour della Storia ha fatto il bis), Hill viene derubricata a «un po’ mattocchia e un po’ zoccoletta» secondo un sicario giornalistico dei repubblicani poi pentito, David Brock. Thomas esce ammaccato ma vivo dalla commissione, il Senato al completo vota, e la nomina passa di pochissimo, 52 a 48, grazie all’aiuto democratico.
Da allora Thomas si scatena, duettando con la moglie Ginni, attivista e organizzatrice non pentita del fallito golpe del 6 gennaio 2021. Ora la sinistra democratica ne invoca l’impeachment della Camera ma è pura follia immaginare che due terzi dei senatori lo caccino dalla Corte. E Thomas continua così la lunga marcia dei suoi 43 anni di vendetta, «tremenda vendetta, di quest’anima è solo desio, di punirti già l’ora s’affretta», una sentenza dopo l’altra, con l’America del 1787 nel cuore.
La crociata del giudice Thomas: dopo l’aborto i matrimoni gay. Diritto alla contraccezione e unioni civili nel mirino della toga ultra conservatrice. In gioventù era un libertariano anti-razzista, oggi guida l’offensiva reazionaria. Daniele Zaccaria su Il Dubbio il 28 giugno 2022.
«Dobbiamo riformare tutta la giurisprudenza sui diritti, dobbiamo correggere gli errori», promette il giudice della Corte Suprema americana Clarence Thomas che non riesce a nascondere la soddisfazione dopo lo storico voto di venerdì scorso che ha annullato la Roe vs, Wade che, da 49 anni, stabiliva il diritto legale all’interruzione di gravidanza.
Poco importa che la decisione dell’alta corte abbia scatenato un’eccezionale ondata di proteste in tutto il Paese, o che lo stesso presidente Biden l’abbia definita «una sciagura», secondo il 74enne Thomas, che si fa forte della maggioranza di toghe conservatrici (Neil M. Gorsuch, Brett M. Kavanaugh, Amy Coney Barrett e Samuel A. Alito), la stagione dei diritti civili è finita. E non mostra remora ad andare allo scontro con il governo, I prossimi obiettivi del giudice sono d’altra parte molto chiari anche se per il momento rimangono opinioni personali.
Come ha ripetuto più volte ai media statunitensi vorrebbe annullare altre tre pietre miliari della giurisprudenza d’oltreoceano che negli ultimi decenni hanno contribuito a costruire plicata architettura dei diritti civili. Ovvero la Griswold v. Connecticut del 1965 che permette liberamente di ricorrere alla contraccezione, la Lawrence v. Texas (2003) che revoca il divieto a contrarre matrimoni tra persone dello stesso sesso, e la Obergefell v. Hodges (2015) che autorizza i matrimoni omosessuali su tutto il territorio federale da tempo bersaglio grosso della destra religiosa.
All’appello mancherebbe soltanto la Loving vs. Virginia, una sentenza del 1967 che abolisce il Racial Integrity Act del 1924, ponendo così fine al divieto di matrimonio inter- raziale. Ma sarebbe un paradosso anche per il tetragono Thomas, che è un afroamericano sposato con una donna bianca.
La consorte si chiama Virginia Thomas ed è un’avvocata d’affari molto influente (lo stesso Thomas è stato assunto come legale dalla multinazionale Monsanto per diversi anni; tra il novembre del 2020 e il gennaio 2021 si è dannata anima e corpo per raccogliere le “prove” che avrebbero dovuto invalidare l’elezione di Joe Biden.
Nell’entourage democratico in molti la sospettano di aver avuto un ruolo primario nell’organizzazione dell’assalto al palazzo del Congresso di Washington del 6 gennaio 2021, ma la commissione d’inchiesta del Senato non ha trovato indizi concreti di un suo coinvolgimento attivo. Naturalmente speciale è stato il feeling tra Thomas e l’ex presidente Donald Trump che ha difeso con fermezza nell’inchiesta sull’assalto a Capitol Hill, opponendosi alla procedura di incriminazione del tycoon.
Nominato da Bush padre nel 1991 dopo anni di servizio alla Corte d’appello del distretto di Columbia e poi al ministero dell’educazione, Thomas, che in gioventù aveva addirittura fondato un sindacato studentesco vicino alle black panther, proviene da una cultura politica libertariana. Da ragazzo era un sostenitore di Martin Luther King e un militante antirazzista, ma da fervente cattolico non amava i movimenti di sinistra. Poi ha preso una traiettoria tutta sua e nel corso degli anni si è progressivamente spostato su posizioni conservatrici se non apertamente reazionarie.
Pare che la prima svolta ideologica di Thomas sia avvenuta all’inizio degli anni 70, durante le violente contestazioni contro la guerra in Vietnam, che lo hanno avvicinato al partito repubblicano perché «disgustato» dalle proteste studentesche. Poi la laurea in diritto, le consulenze nel mondo degli affari, i ruoli istituzionali, insomma una folgorante carriera che lievita parallela ai 14 anni di presidenze Reagan- Bush fino al prestigioso approdo della Corte suprema. Probabilmente tra i suoi colleghi solo il giudice Kavanaugh è più a destra di lui, ma non possiede un’oncia della sua autorità e del suo carisma: sarà dunque Thomas a dettare i tempi delle prossime iniziative dell’alta corte. Con la prospettiva di un durissimo scontro con la Casa Bianca e con un pezzo di società americana.
Una Corte "orientata" che ribalta la Storia. La guerra ideologica colpisce l'Occidente. Paolo Guzzanti il 25 Giugno 2022 su Il Giornale.
Giudici conservatori decisivi. Il Paese lacerato, lo scontro sui diritti e le ricadute internazionali.
Le immagini che arrivano dall'America mostrano i riots, i tumulti nelle strade in tutte le grandi città con la polizia schierata poco convintamente contro una gran quantità di donne non soltanto nere che protestano contro una legge temutissima e dannatamente lacerante come quella emessa dalla Corte Suprema che ha abolito l'aborto come diritto federale lasciando così ai singoli Stati la possibilità di metterlo al bando o limitarlo secondo diversi criteri. Questa decisione della Corte suprema americana avrà un pessimo impatto sulla politica internazionale perché gli Usa avevano finora goduto anche del prestigio di Paese più liberale in materia di diritti civili, essendo l'aborto considerato dalla maggior parte delle donne del mondo come un diritto non alienabile. Tutti i Paesi emergenti hanno praticato politiche abortive per motivi anche economici (in Cina mancano all'appello 180 milioni di donne a causa degli aborti selettivi nell'epoca del maoismo).
Gli Stati più conservatori come già sta facendo il Texas - chiuderanno tutte le procedure per l'aborto libero e specialmente quelle su feti ormai maturi per nascere, ma si vedono in strada e su tutti gli schermi televisivi anche gli attivisti Pro Life, che si sono sempre battuti contro l'aborto che in America rappresenta una questione non soltanto di diritti ma investe anche la questione razziale. Negli Stati del Sud molti leader neri, specialmente donne, da tempo si sono levate contro l'aborto totalmente permissivo e di immediato accesso per - sostengono loro - distruggere la riproduzione degli afroamericani. La questione ha avuto sviluppi molto laceranti che da noi sarebbero incomprensibili e che hanno visto tra i protagonisti della contestazione all'aborto molti difensori della collettività nera, ma anche delle comunità latino-americane.
La decisione dipende dal fatto che sotto Trump e poi ancora più recentemente il numero dei componenti conservatori della Corte ha superato quello dei progressisti, benché la materia ha a che fare soprattutto con divisioni religiose ed etniche. Si contrappongono diversi modelli di cultura ebraica, come anche le diverse convinzioni delle comunità native in genere ostili alle pratiche abortive perché considerate genocide.
L'aspetto razziale della questione dell'aborto è in genere quello più incomprensibile per noi europei: non soltanto Negli Stati Uniti ma anche in Brasile e in molti paesi di cultura latina e indigena le cliniche abortive sono vissute come abominevoli centrali di compagnie farmaceutiche e di imprese a vario titolo biologiche, le quali hanno un dimostrato interesse ai lucrosi proventi dei materiali umani ricavabili dagli aborti di massa. Negli Stati del Sud le minoranze afroamericane accusano i bianchi di avere accoppiato due sistemi per impedire alla società nere di incrementarsi e strutturarsi. Il primo è quello di un aborto servito a domicilio con una catena di strutture installate nelle aree marginali delle periferie urbane. E la seconda consiste nella pratica di compensare ogni ragazza nera incinta dall'età di 14 anni con un sussidio per garantire la sua vita e quella di suo figlio, col risultato di avere un'intera popolazione di donne sole che hanno messo al mondo cinque o sei figli destinati alla marginalità senza alcuna possibilità di costruire una famiglia.
Ciò che separa l'America bianca dall'altra di colore è l'idea costante che i bianchi altro non vogliano che limitare o impedire la procreazione delle razze meno gradite. Ciò non vuol dire che le donne nere o latine siano contente di questa decisione che non nasce certamente da un desiderio filantropico ma da quello di dar ragione ai movimenti antiabortisti e Pro Life che nel corso degli anni si sono fatti sempre più violenti, arrivando ad attaccare le cliniche abortiste con le armi e in qualche caso uccidendo vittime innocenti.
Il paese è dunque spaccato. Fino a ora il diritto all'aborto era considerato comunque un traguardo raggiunto universalmente e un diritto di tutte le donne. Ora non è più così.
La svolta sull’aborto infiamma la guerra culturale negli Usa. Roberto Vivaldelli su Inside Over il 24 giugno 2022.
La decisione della Corte Suprema Usa di cancellare la sentenza Roe vs Wade, che dal 1973 garantisce su scala federale la facoltà per le donne incinte di praticare l’aborto, riaccende la “guerra culturale” fra progressisti e conservatori che imperversa negli Stati Uniti. Una decisione storica che, inevitabilmente, polarizzerà più di quanto non lo sia ora il dibattito americano fra i due schieramenti, con tensioni ideologico-politiche che potrebbero sfociare anche in violenze. A testimoniarlo, le reazioni di queste ore. I media e gli organi di stampa conservatori non hanno nascosto la loro gioia per la notizia. “Lode a Dio”, ha twittato la caporedattrice del Federalist, Mollie Hemingway. “Il Paese ha un enorme debito verso tutti gli attivisti per i diritti umani pro-vita, studiosi, avvocati, politici, genitori, pastori, operatori sanitari, ecc., che hanno lavorato per 50 lunghi e duri anni per portare il Paese a questo momento di liberazione da Roe. Grazie”, ha aggiunto.
E i conservatori festeggiano
“Questo è un giorno straordinario per i diritti umani in America. È una vittoria per la gentilezza, la decenza e l’umanità, e una sconfitta per la crudeltà”, ha scritto Dan McLaughlin di National Review. “Un giorno glorioso assoluto per la vita in America! Lode a Dio!”, ha twittato il caporedattore di NewsBusters Curtis Houck.
“È un grande giorno per la vita. Un grande giorno per il ripristino della giurisprudenza costituzionale. È semplicemente un grande giorno”, ha detto l’ex procuratore americano Andrew McCarthy. Intervistato da Fox News, anche l’ex presidente Donald Trump ha elogiato la decisione della Corte Suprema. “Questo è seguire la Costituzione e restituire i diritti quando avrebbero dovuto essere dati molto tempo fa”, ha detto Trump a Fox News. “Dio ha preso la sua decisione” ha aggiunto, rimarcando il fatto che ora la palla passa agli stati federali. Trump gioisce perché è, di fatto, uno degli artefici di questa svolta storica: durante la sua presidenza ha infatti nominato alla Corte Suprema i giudici conservatori Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett.
Con quelle nomine, ricorda Fox News, la corte è diventata a maggioranza conservatrice, con il giudice capo John Roberts, il giudice Samuel Alito, il giudice Clarence Thomas, Gorsuch, Kavanaugh e Barrett. L’evangelista cristiano Franklin Graham, Ceo e presidente di Samaritan’s Purse, nonché Ceo e presidente della Billy Graham Evangelistic Association, ha dichiarato che la “sinistra radicale chiede una notte di rabbia, i centri per la gravidanza sono già stati vandalizzati e attaccati e i nostri giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti sono presi di mira con minacce e intimidazioni”. Ha poi aggiunto: “Roe v. Wade, approvata 49 anni fa, ha provocato la morte di oltre 63 milioni di bambini innocenti in questo paese. Purtroppo, questa decisione non pone fine all’aborto, ma riporta la battaglia negli Stati Uniti”.
Obama e i progressisti all’attacco
Anche l’ex presidente Barack Obama ha deciso di far sentire la sua voce. “Oggi, la Corte Suprema non solo ha annullato quasi 50 anni di storia, ma ha relegato la decisione più personale che una persona possa prendere ai capricci di politici e ideologi, attaccando le libertà essenziali di milioni di americani”, ha affermato Obama in una nota. “Da più di un mese sapevamo che questo giorno sarebbe arrivato, ma questo non lo rende meno devastante”, ha continuato. La governatrice di New York Kathy Hochul ha commentato la decisione della Corte Suprema dichiarando il suo stato un “porto sicuro” per coloro che vogliono abortire, riaffermando il suo impegno per il diritto all’aborto e definendo la decisione dei giudici “ripugnante”. Per il New York Times, la democrazia americana è a rischio. “È attraente credere che i giudici possano elevarsi al di sopra della politica, interpretando la legge e nient’altro, e rimanere indifferenti alle conseguenze delle loro decisioni. Ma è chiaro che nel corso degli anni la Corte Suprema è diventata l’ennesima istituzione partigiana” si legge.
La svolta storica della Corte Suprema
Come ha spiegato Andrea Muratore su InsideOver, la Corte Suprema ha stabilito che non esiste alcun diritto costituzionalmente garantito all’aborto negli Stati Uniti, dove manca una legge ad hoc a quasi mezzo secolo dalla sentenza del 1973 che garantì una facoltà mai normata da una legge di carattere nazionale. La Roe vs Wade impediva a qualsiasi Stato federale di promuovere leggi capaci di abolire sul suo territorio l’interruzione di gravidenza, demandando ai singoli membri dell’Unione la decisione sulle leggi da promuovere in forma più o meno restrittiva.
La sentenza della corte è arrivata nel caso cruciale Dobbs vs Jackson Women’s Health Organization, in cui l’ultima clinica per aborti nel Mississippi si è opposta agli sforzi dello stato dell’America profonda di vietare l’interruzione delle gravidanze dopo 15 settimane e di rovesciare Roe, risultando sconfitta nel processo.
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Biden: “Un giorno triste per gli Usa. Sull’aborto un grave errore”. Francesca Salvatore su Inside Over il 24 giugno 2022.
In queste ore negli Stati Uniti si fa la storia, ma nel senso inverso. Dopo la fuga di notizie chiacchieratissima del maggio scorso, la decisione sembrava nell’aria ma non così imminente: quest’oggi, invece, la Corte Suprema ha definitivamente ribaltato la sentenza Roe vs Wade che dal 1973 è stata il baluardo dell’America pro-choice e che per quasi mezzo secolo ha consentito l’aborto entro le 24 settimane di gravidanza.
La decisione
Eliminata la garanzia della storica sentenza, e in assenza di una legge federale sul tema, quasi la metà degli Stati potrebbe mettere al bando o limitare severamente l’aborto a seguito della decisione. Altri Stati prevedono di mantenere regole più liberali nel regolare l’interruzione di gravidanza. “La Costituzione non conferisce il diritto all’aborto e l’autorità di regolamentare l’aborto viene restituita al popolo e ai suoi rappresentanti eletti”, si legge nel parere reso pubblico e scritto dal giudice Samuel Alito. I tre giudici liberal – Stephen Breyer, Sonia Sotomayor e Elena Kagan – hanno votato contro: “Con dispiacere – per questa Corte, ma soprattutto per i molti milioni di donne americane che oggi hanno perso una fondamentale protezione costituzionale – dissentiamo”.
Un colpo di scena che promette di gettare sale sulle ferite di un’America scollata e spaccata a metà, e che andrà esacerbando i toni e modi delle elezioni di mid term. Un altro duro colpo alla presidenza Biden e al mondo progressista.
“Un giorno triste”
Biden si presenta alla conferenza stampa abbattuto, con un filo di voce, ma stranamente fermo. Lo definisce un giorno triste per la Corte quello appena passato, e rispolverando il linguaggio tipico del costituzionalismo americano bolla la decisione della Corte come un “attentato alla privacy”: in effetti è proprio attorno al concetto di privacy che negli Stati Uniti è nato l’humus fertile ai diritti delle donne su temi come aborto e contraccezione. La privacy del corpo inteso come luogo sacro, come confine invalicabile tra noi e gli altri, tra la scelta personale e la norma o la morale.
Il presidente lancia un allarme: ora le donne americane sono a rischio, perché è a rischio non solo la loro scelta ma la loro salute. Ne fa una questione bipartisan: cita le tre grandi presidenze repubblicane (Nixon, Reagan, Bush) sotto le quali la Roe vs Wade ha prosperato come garanzia di legge. E indica un responsabile, a chiare lettere, di questo ribaltamento: Trump e il trumpismo, che aleggia come un fantasma nella composizione della Corte Suprema. Un’ideologia estrema la definisce Biden, poichè l’abolizione del diritto costituzionale all’aborto ha dimostrato quanto la maggioranza conservatrice all’interno della Corte suprema sia “estrema, e quanto le sue idee siano distaccate dalla realtà e dalla popolazione”. Questo ribaltamento costituzionale, secondo la Casa Bianca, costringerà le donne “a tenere i figli dei loro stupratori”, “renderà attive le leggi degli Stati che bandiscono l’aborto”. Stessa cosa dicasi per i casi di incesto. Biden allarga la visuale e la battaglia anche alla salute femminile intesa nel senso più ampio, passando per la tutela del diritto alla contraccezione e alle cure femminili.
Il presidente promette battaglia: “Roe is on the ballot!” ripete più volte, annunciando di fare qualsiasi cosa in suo potere per ripristinare un diritto riconosciuto federalmente. Ma ribadisce anche l’impossibilità per il presidente di agire da solo, rimandando a senatori e deputati la responsabilità e il potere di metterla ai voti una volta per tutte. “Tuttavia, la battaglia non è finita: la mia amministrazione farà tutto il possibile per difendere i diritti delle donne, ma un’azione del Congresso è fondamentale e con il voto alle prossime elezioni di medio termine i cittadini possono avere l’ultima parola”. Prima di congedare la stampa, il presidente ha ribadito due punti: il primo, rifiuto di qualsiasi forma di violenza, minaccia o intimidazione chiedendo che qualsiasi protesta si tenga pacificamente; con il secondo, prendendo posizione: “I stand with you!”, grida alle donne d’America.
Biden ha scelto davvero questa battaglia?
Il panorama giuridico adesso si complica. Se c’è chi preannuncia già uno scenario in stile Il racconto dell’ancella, quello che più facilmente accadrà nei prossimi mesi sarà una spaccatura netta tra Stati progressisti e Stati conservatori. Se i primi continueranno a garantire l’accesso all’aborto e a tutti i canali legati alla maternità e alla contraccezione consapevole, nelle aree dominate da Governi repubblicani e dalla forte impronte evangelica, il rischio è che non solo l’aborto venga vietato ma perfino l’accesso alla contraccezione, con grave pregiudizio della salute femminile. Si assisterà a veri e propri spostamenti in massa di donne che cercheranno di abortire oltre frontiera e un’impennata di aborti clandestini.
Biden sembra aver scelto la sua battaglia interna, optando per una simbologia interna che ancora sembrava assente. Eppure, non sono in molti a credere che il presidente abbraccerà questa lotta senza se e senza ma: numerosi osservatori notano che Biden stenti ad usare il termine “aborto” e che nel suo discorso ci sia stato, ad onor del vero, uno shift verso il tema ben più generale della salute della donna.
“È tempo che questo Presidente dichiari ciò che sta accadendo come un fallimento morale in questo paese e come una crisi della salute pubblica e dei diritti umani. È oltre il punto di fare politica. È tempo di pronunciare la parola aborto ad alta voce”, ha affermato la rappresentante dello stato del New Mexico, Michaela Lara Cadena. Il New Mexico, uno Stato senza alcun tipo di restrizioni all’aborto, è candidato a ricevere un alto afflusso di pazienti dagli stati vicini come il Texas.
Il presidente ora si trova sotto la pressione dell’ara radicale dei dem e del ondo dell’attivismo pro-choice. Nelle settimane precedenti la sentenza, discutendo con i lawmakers, a Biden sono state fornite diverse opzioni alternative per fronteggiare l’eventuale ribaltamento della Roe. Fra queste, ad esempio, consentire ai fornitori di aborti di lavorare dalla proprietà federale; oppure, fornire finanziamenti federali alle donne per viaggiare fuori dallo Stato, opzione che ha il potenziale di entrare in conflitto con l’emendamento Hyde, la legge che proibisce il finanziamento federale all’aborto in quasi tutti i casi. Altre opzioni sono apparse più fattibili, incluso rendere più facile per le donne ottenere pillole abortive per posta. Ma restano gli ostacoli legali.
Per gli Stati Uniti e per la Casa Bianca si prepara un autunno caldo: c’è da scommettere che l’aborto sarà protagonista del mid term e della corsa per il 2024.
Diane Derzis: «Le mani sull’aborto negli Usa? È spaventoso ed è solo l’inizio. Ora le donne ricominceranno a morire». «Tenete tutti alta la guardia. Se può accadere qui, può accadere ovunque» dice la proprietaria dell’unica clinica in Mississippi in cui si pratica l’interruzione di gravidanza. E che è al centro del caso su cui si è espressa la Corte Suprema. «Sono quarant’anni che ci minacciano in nome di Dio, ma non mi fermerò». Manuela Cavalieri e Donatella Mulvoni su L'Espresso il 6 maggio 24 giugno 2022.
AGGIORNAMENTO 24 GIUGNO 2022: La Corte Suprema Usa ha abolito la sentenza Roe v Wade che garantiva il diritto di interrompere la gravidanza a livello federale e in vigore da 50 anni. Ora ogni Stato potrà legiferare sul tema
«Ho sempre pensato che prima o poi sarebbe successo. Ora ci siamo e non so se sono pronta. È spaventoso». Diane Derzis scandisce bene l’aggettivo con la voce roca: «spaventoso». Vuole che afferriamo la portata del terremoto sociale che sta scuotendo gli Stati Uniti. «Se la Corte Suprema dovesse davvero confermare il ribaltamento della Roe contro Wade, in una nazione avanzata come l’America molte donne ricominceranno a morire perché non potranno accedere in sicurezza a una procedura medica che è stata disponibile negli ultimi cinquant’anni. Saranno costrette di nuovo agli aborti clandestini o dovranno fare le valige e viaggiare».
Derzis è proprietaria dell’unica clinica che in Mississippi - uno stato di tre milioni di abitanti – pratica l’interruzione volontaria di gravidanza. È lei la donna che da oltre quarant’anni, schivando picchetti di manifestanti imbufaliti e trappole legislative non meno rabbiose, accudisce l’autodeterminazione delle donne del sud conservatore. «È il 2022 e stiamo tornando indietro» sbotta sconfortata quando la raggiungiamo al telefono. È esausta, sono giornate di fuoco. Il suo ambulatorio, la Jackson Women’s Health Organization, è al centro del caso che la Corte Suprema sta esaminando, ovvero la costituzionalità di una legge del 2018 dello Stato del Mississippi che vieta l’aborto dopo 15 settimane di gestazione. La decisione è attesa tra la fine di giugno e l’inizio di luglio. È molto probabile che Derzis perderà. E questa sconfitta, dai confini del Mississippi si espanderà a tutta l’America. Nei giorni scorsi, infatti, il sito Politico ha reso pubblico un documento in bozza a firma del giudice conservatore Samuel Alito sul parere della maggioranza delle toghe che ripudia la Roe contro Wade. Se questa sentenza storica - che dal 1973 garantisce il diritto di aborto - dovesse veramente cadere, in assenza di una legge federale in merito, la decisione sarà completamente rimandata agli Stati.
Abbiamo davanti un’America spaccata: da una parte ci sono gli Stati democratici che proteggeranno l’aborto in tutti i modi; l’altra metà, quella più conservatrice, è pronta a vietarlo o a limitarlo pesantemente, incluso il Mississippi, ma anche ad esempio il Texas e l’Oklahoma. Che ne sarà della sua clinica?
«Ci trasferiremo. Ho comprato una struttura in Nuovo Messico dove questo diritto è protetto, stiamo allestendo l’ambulatorio. Di sicuro non mi fermerò. Bisognerà raccogliere fondi affinché le donne possano viaggiare in altri Stati. Tra queste ci sono tante persone che non hanno disponibilità economiche; le più vulnerabili, ovvero donne di colore in condizioni di povertà che di certo non possono permettersi un biglietto aereo per New York. È la parte più triste di questa storia. Dovremo lavorare sul fronte legale. Mi aspetto anche arresti, perché in alcuni Stati sarà proibito andare ad abortire fuori. Mi auguro solo che tutto ciò svegli la gente».
Cosa risponde a chi, come Alito, sostiene che nella Costituzione non ci sia cenno all’aborto come diritto?
«È un argomento ridicolo. Gioverebbe ricordare che le uniche persone menzionate nella Costituzione sono gli uomini. Non le donne, né i neri. La carta originale non permetteva agli afroamericani di votare. La verità è che puntano al controllo delle donne. Ci vogliono fuori dalla forza lavoro, sperano di tornare indietro a quando non avevamo scelta».
Cosa controbatte a chi ritiene di proteggere la vita?
«Non credo che gli importi dei bambini. Se fosse così, finanzierebbero programmi per prendersene cura. L’unica preoccupazione è quel che accade prima della nascita. Non c’è empatia, non capiscono che una parte dell’America non è come loro.
Pro-life contro pro-choice, in questo Paese il confronto non è sempre solo dialettico.
Le minacce non mancano. Nel 1998 hanno ucciso una delle guardie della mia clinica a Birmingham in Alabama. Ho visto in prima persona cosa sia capace di fare questa gente in nome di Dio. Ma Dio non ha niente a che vedere con questa violenza.»
A novembre ci saranno le elezioni di metà mandato. L’aborto è uno dei temi più divisivi in questo Paese, cosa si aspetta alle urne?
«Spero che lo sconvolgimento di queste settimane spingerà la gente ad andare a votare per blindare la maggioranza al senato e permettere l’approvazione del Women's Health Protection Act che garantisca l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza. Biden ha detto molto chiaramente che è pro-choice ma può fare poco da solo. Vorrei avere fiducia nel popolo americano, ma non ce l'ho».
Il 70% degli americani pensa che sia una scelta che andrebbe lasciata alla donna e al suo medico. Le proteste e l’opinione pubblica potrebbero portare la Corte a un ripensamento?
«No, credo che sia la posizione finale. Non vedrò mai l’aborto legalizzato in tutto il Paese ed è una cosa terrificante».
Cosa farà l’America progressista nelle prossime settimane?
«È bene che sia in allerta. Il timore più grosso è che questa lotta contro l'aborto sia parte di un movimento più ampio. È tutto legato insieme: diritti delle donne, delle minoranze. È solo l'inizio. Credo davvero che siano in pericolo anche la comunità Lgbtq, il matrimonio e le adozioni gay. Siamo a un bivio della nostra storia. Credo anche che tutte le nazioni progressiste debbano tenere alta la guardia. Se può accadere qui, può accadere ovunque».
"Sui diritti non si può mai rimanere fermi, altrimenti si torna indietro". Sentenza contro l’aborto, Italia tra timori e gioia: “Qui troppi obiettori”, “Grazie Trump”. Redazione su Il Riformista il 24 Giugno 2022
Come conseguenza della storica sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti di abolire il diritto costituzionale all’aborto, che da oggi verrà deciso dai singoli Stati americani, “c’è il rischio di morte per aborti clandestini“. La decisione (6 contro 3) dei giudici statunitensi scatena indignazione e timori in Italia, con i Radicali che riaccendono i riflettori su alcune mancanze che riguardano il rispetto della legge 194 in Italia (che riguarda appunto il diritto all’interruzione di gravidanza) e i rischi di un’inversione di tendenza anche nel nostro Paese.
Per Emma Bonino di Più Europa si tratta di una “sentenza politica” con “le associazioni sia antiabortiste che abortiste in agitazione da mesi. La sentenza della Corte Suprema dopo 50 anni cancella il diritto di aborto negli Usa a livello federale, perdendo così il livello di costituzionalità. Ora saranno i singoli Stati, un po’ come avviene in Europa, basti pensare a Polonia e Ungheria – osserva Bonino -, oltre ai rigurgiti antiabortisti anche nel nostro Paese, a disciplinare questa libertà”.
“È sicuramente un passo indietro e la mia solidarietà va alle donne americane che si ritrovano nella stessa situazione di decenni fa con una sentenza tutta intrisa di politica, visto che i giudici eletti erano stati nominati dall’amministrazione Trump”.
“Ma – ammonisce la leader di Più Europa – questa sentenza è un richiamo forte anche per noi, donne e uomini in Italia ed in Europa: sui diritti non si può mai rimanere fermi, se non si va avanti si rischia di andare indietro. Se non si conquistano maggiori spazi di libertà e responsabilità, il rischio è di perdere conquiste che sembravano immodificabili. Dobbiamo esserne tutte e tutti consapevoli, anche nelle battaglie politiche, perché non è vero che ‘sono tutti uguali’, specialmente sui diritti e delle donne in particolare”.
Sulla stessa lunghezza d’onda Giulia Crivellini, radicale e promotrice della campagna ‘Libera di Abortire’, secondo cui quanto avvenuto dimostra che “i diritti che sembrano acquisiti possono essere sottratti alle persone da un momento all’altro. Ci sono percentuali altissime di obiettori di coscienza e numerose giunte regionali, come quelle di Marche e Abruzzo, che sfruttano le zone grigie della legge per impedire nei fatti l’accesso all’aborto”.
Gioisce invece il senatore leghista Simone Pillon secondo il quale la “famosa sentenza Roe vs. Wade” era “fondata su un caso falso, che aveva autorizzato l’aborto negli Stati Uniti. L’aborto volontario non è un diritto. Nella sentenza, approvata 6 contro 3, si legge che ‘la costituzione non fa alcun riferimento all’aborto, né il nessun diritto del genere è implicitamente protetto da alcuna previsione costituzionale, incluse quelle su cui si basano i difensori di Roe e Casey'”. Poi rincara: “Ora portiamo anche in Europa e in Italia la brezza leggera del diritto alla vita di ogni bambino, che deve poter vedere questo bel cielo azzurro. Lavoreremo per questo, senza metterci contro nessuno ma restando dalla parte delle mamme, dei papà e dei loro bambini”. Infine Pillon ringrazia il “presidente Trump, che non ha mai fatto mistero di voler difendere la vita nascente, nominando giudici pro life alla Corte Suprema”.
Parole che vengono in parte smentite dal leader della Lega Matteo Salvini, scettico su quanto affermato dalla Corte Suprema degli Usa: “Credo nel valore della vita, dall’inizio alla fine, ma – dice – a proposito di gravidanza l’ultima parola spetta sempre alla donna”.
Usa, storica sentenza della Corte Suprema: annullato il diritto all’aborto. Biden parla alla nazione. Redazione venerdì 24 Giugno 2022 su Il Secolo d'Italia.
Come era stato anticipato a maggio, la Corte Suprema degli Stati Uniti con una sentenza storica ha di fatto annullato il diritto all’aborto fino a 24 settimane. L’annullamento riguarda la sentenza Roe vs Wade che da 50 anni garantisce alle donne il diritto ad interrompere la gravidanza. “La Costituzione non garantisce un diritto all’aborto”, si legge nella sentenza appoggiata dalla maggioranza conservatrice della Corte. Che ribadisce inoltre che “l’autorità di regolare l’aborto torna al popolo ed ai rappresentanti eletti”, vale a dire autorizza gli stati alla possibilità di vietarlo.
“La Roe è stata sbagliata in modo eclatante sin dall’inizio” ha scritto nell’opinione della maggioranza il giudice Samuel Alito riferendosi alla sentenza del 1973. “La sua argomentazione era eccezionalmente debole, ed ha avuto dannose conseguenze – ha scritto ancora – e piuttosto che portare ad un accordo nazionale sulla questione dell’aborto, ha infiammato il dibattito ed aumentato le divisioni”.
Con questa decisione, destinata a provocare un enorme terremoto politico e sociale negli Stati Uniti, i sei giudici conservatori hanno quindi confermato la legge approvata dal Mississippi che vieta l’aborto dopo le prime 15 settimane, che è in contrasto con quanto stabilito dalla Roe, che lo rende possibile fino a 24 settimane.
Sono oltre una ventina gli Stati, in maggioranza in stati del Sud e Mid West a guida repubblicana, che hanno approvato leggi restrittive sull’aborto, o veri e propri divieti. Leggi che sono state di fatto legittimate dalla decisione di oggi della Corte Suprema. Una sentenza che rappresenta una vittoria storica per il movimento conservatore e pro life americano che per anni ha lavorato in questa direzione.
Tra i primi a criticare la scelta è stato Barack Obama: “Oggi la Corte suprema non solo ha annullato quasi 50 anni di precedenti, ha relegato la decisione più intensamente personale che qualcuno possa prendere ai capricci di politici e ideologi, attaccando le libertà essenziali di milioni di persone”. Il presidente Joe Biden ha annunciato che terrà un discorso alla nazione in serata.
“Questo è un giorno monumentale per la sacralità della vita”, commenta invece su Twitter l’attorney generale del Missouri, Eric Schmitt, annunciando che “a seguito della decisione della Corte Suprema di annullare Roe vs Wade, il Missouri è il primo a mettere fine all’aborto”.
“Oggi è un giorno storico, ma noi ricordiamo i 60 milioni di vite innocenti perse – ha aggiunto Schmitt che ha postato la foto mentre firma la misura – c’e’ stato molto lavoro dietro le quinte per raggiungere questa incredibile vittoria”.
Oltre al Mississipi – ha scritto di recente Vanity fair – nel luglio 2021 ha suscitato molte proteste la legge del Texas, che, oltre a vietare l’aborto dal momento in cui è percepibile il battito fetale (intorno alle sei settimane), ha introdotto una ricompensa di 10 mila dollari a chiunque denunciasse un’interruzione di gravidanza illegale.
Attualmente la norma delle sei settimane è stata votata in Idaho, Georgia, Ohio, Kentucky e Louisiana. In Missouri sale a otto settimane. Alabama e in Oklahoma hanno approvato la legge più restrittiva: l’aborto è sempre vietato, anche in caso di stupro o incesto, tranne nei casi in cui sia a rischio la vita della gestante.
Giulia Mattioli per repubblica.it il 24 giugno 2022.
È un’esperienza che, purtroppo, vivono tantissime donne. Eppure è circondata da un assordante silenzio, che porta chi la subisce a sentirsi tremendamente sola, inadeguata, a soffrire in segreto, e a viverla come un fallimento, una colpa: commentando un post su Instagram Sharon Stone fa luce sul dramma dell’aborto spontaneo, e riassume in poche righe quello che pensano moltissime donne che lo hanno vissuto. L’attrice si apre sotto un post del magazine People che racconta l’esperienza dell'aborto vissuta da Peta Murgatroyd (ballerina di un programma televisivo americano), la quale confessa di aver provato, oltre ad un immenso dolore, un grande imbarazzo, un senso di vergogna.
Sharon Stone replica scrivendo: “Noi donne non abbiamo uno spazio per parlare della profondità di questa perdita. Ho perso 9 bambini a causa di aborti spontanei. Non è una cosa da nulla, fisicamente ed emotivamente, e nonostante questo rimane qualcosa che dobbiamo sopportare da sole e segretamente, e con un certo senso di fallimento”. Anche Meghan Markle aveva scelto di raccontare pubblicamente il suo aborto spontaneo, avvenuto nel 2020, per contribuire ad abbattere i tabù che ancora permeano questo evento.
“Per guarire avremmo bisogno di ricevere compassione ed empatia” prosegue Sharon Stone, “ma il sistema sanitario è nelle mani dell’ideologia maschile, che è negligente, nel migliore dei casi, o addirittura ignorante, o persino violentemente oppressiva in certi casi”. L’attrice aveva già raccontato in passato di aver vissuto il dramma dell’aborto spontaneo, e di aver fatto richiesta di adozione del primo dei suoi figli proprio di ritorno dall’ospedale dopo una di queste brutte esperienze. Attualmente Sharon Stone ha tre figli adottivi: Roan, Laird e Quinn.
Molti dei commenti che seguono quello di Sharon Stone sono dello stesso tenore (come spesso accade quando una donna si apre sui social rispetto a questo tema), e raccontano il dolore profondo, ben più profondo di quanto sia socialmente riconosciuto, oltre alla sensazione di solitudine, di fallimento. Il tema della salute riproduttiva femminile e delle ripercussioni che certi percorsi hanno sulla psiche delle donne in tempi recenti viene sollevato sempre più spesso da testimoni e attiviste stanche di trovarsi ad avere a che fare con un sistema sanitario pensato su misura per gli uomini.
Rossello Gesa per “Libero quotidiano” il 25 giugno 2022.
Il presidente del Paese più importante del mondo ha bisogno della badante. Non è una cattiveria, ma una confessione dello stesso Joe Biden. Giovedì, durante una riunione con alcuni vertici dell'industria dell'eolico, il presidente americano ha sfoggiato un papello predisposto dallo staff con istruzioni dettagliate. «Siediti al TUO posto», «Limita i commenti a due minuti», «Fai una domanda» a tizio, «Ringrazia i partecipanti», «Esci».
Ben più della prassi a scanso di equivoci. Parte dell'imbarazzo è il fatto che Biden abbia mostrato questa "road map per dummy", esponendosi al tiro a segno del ridicolo.
Ora, i presidenti americani sono noti per le gaffe. Da manuale di storia quelle di Richard M. Nixon, da "Rischiatutto" quelle di George W. Bush Jr. Ma questo non ha impedito mai di sfoderare leadership forti. Con Biden è diverso.
Che sia suonato è evidente da tempo, che spesso non sia all'altezza è lampante dall'insediamento. Ma che abbia bisogno della velina persino per trovare l'uscio di casa è inquietante.
Il rispetto dovuto alla sua età è fuori discussione e sta oltre ogni partigianeria. Ma il punto è: se Biden non è in grado, chi comanda alla Casa Bianca? Il ghost writer dei poveri che gli ha preparto la noticina? Sarebbe il minore dei mali. Il peggio è se Biden fosse un fantoccio degno del XXV Emendamento alla Costituzione (quello che permette di sollevare un presidente dall'incarico per incapacità) tenuto in vita politica artificiale per motivi opachi.
Niente incappucciati, complotti e "masserie" alla Checco Zalone: bastano le cronache. Che ricordano che, benché il vicepresidente federale non sia di per sé affatto carta da parati, Biden al fianco di Barack Obama lo fu eccome. Poi è tornato in auge quando media, Sinistre e sfascisti di ogni sorta si sono fusi per fare la forca a Donald Trump. Evidentemente mancava uno stallone più focoso. Oppure serviva un brocco sfiancato: non forse da sostituire al momento buono, quanto da manovrare.
Gli indici hanno puntato spesso sulla vice, Kamala Harris, vista come terminale di un mondo estremista incapace di conquistare la titolarità del potere, ma bravo a esercitarlo dietro la sagoma di cartone di Biden. Che infatti l'Amministrazione Biden sia tutt' altro che centrista lo dimostrano la foga con cui la Casa Bianca sostiene l'aborto a ogni costo, il radicalismo gender e persino un "burro e cannoni" che nemmeno i falchi di un tempo. E questo è evidente pur sostenendo la necessità di armare la resistenza ucraina, benché sia chiaro che i falchi liberal abbiano a cuore ben altro che il bene degli ucraini.
Epperò il pregresso di Biden al Senato ricorda un altro uomo. E quindi, o la sua vecchiaia va rispettata ma magari non messa in capo alle sorti del mondo, oppure altri agiscono dietro di lui. Il Pentagono? L'establishment del Partito Democratico deciso alla "guerra civile" dopo la cancellazione della sentenza «Roe w. Wade»? I loro potenti finanziatori, da Silicon Valley a Hollywood? Il difficile è soprattutto capire verso quale meta siano diretti ora. Sul bigliettino di Biden giovedì non c'era scritto.
Usa, mobilitazioni in ogni città contro la revoca del diritto all’aborto. Il Dubbio il 25 giugno 2022.
Stati Uniti attraversati da marce di proteste e di tensioni, dopo la decisione della Corte Suprema che ha revocato il diritto all’aborto, in vigore da quasi cinquant’anni. Da Washington a New York, da Los Angeles a Phoenix sono decine di migliaia i cittadini scesi in piazza.
A New York sono almeno venti le persone arrestate dopo la marcia di protesta organizzata ieri lungo le strade della città. Tensioni ci sono state vicino a Bryant Park, nel cuore di Manhattan. Al raduno organizzato a Lower Manhattan c’erano anche la comica Amy Schumer e la Procuratrice generale dello stato Letitia James, appena eletta nel consiglio comunale della Grande Mela. «Non torneremo indietro ai giorni in cui usavamo i ganci di filo metallico», ha urlato dal palco la donna, rivelando di aver abortito quasi due decenni fa. «Il diritto di controllare i propri corpi è un diritto fondamentale sancito dal 14esimo emendamento», ha aggiunto la politica democratica.
A Los Angeles i manifestanti pro-aborto hanno marciato lungo la 110 Freeway, una delle strade più importanti, bloccando il traffico. Nella capitale Washington centinaia di persone di entrambi gli schieramenti, pro e contro l’aborto, si erano radunate già dal mattino davanti alla Corte Suprema. Un attivista in favore dell’aborto, Guido Reichstadter, si è arrampicato sul Frederick Douglass Memorial Bridge, e ha postato video e foto sui social dalla sommità del ponte, dopo aver disteso un grande striscione verde. «Sono salito qui sopra – ha detto in una diretta su TikTok – perchè la Corte Suprema ha lanciato un attacco vigliacco e anticostituzionale ai diritti delle donne in questo Paese».
A Phoenix i manifestanti, che si erano radunati attorno al palazzo del Congresso statale, sono stati dispersi con i lacrimogeni dopo un tentativo di fare irruzione nell’edificio del Senato. In molte città le zone dove si trovano i palazzi governativi e le Corti supreme statali sono presidiate da polizia e soldati in assetto anti sommossa
A. Gua. Per “il Messaggero” il 25 giugno 2022.
Prima lo shock, poi il rimboccarsi le maniche. Nell'arco di poche ore le donne americane hanno cominciato a reagire pragmaticamente alla storica decisione della Corte Suprema che dopo 49 anni cancellava il diritto costituzionale all'aborto. Mentre gli antiabortisti cantavano vittoria e ringraziavano Iddio della vittoria, i pro-choice hanno cominciato a versare contributi e presentare offerte di volontariato alle associazioni che garantiranno aiuto alle donne intrappolate negli Stati repubblicani ed evangelici che da ieri hanno chiuso ogni accesso all'interruzione volontaria della gravidanza.
Fondi per finanziare il viaggio a chi abbia bisogno di interrompere una gravidanza erano già stati creati quando il documento era trapelato durante l'inverno, ma ieri sono stati inondati da contributi record. Numerose aziende di spicco hanno immediatamente confermato di aver incluso nei propri pacchetti di assicurazione medica anche la garanzia di pieno rimborso per un viaggio al fine di ottenere un aborto.
Impossibile elencare tutte quelle che compaiono nell'elenco, ma basti riassumerne alcune, da Netflix a LeviStrauss, da Disney a Sony, da Tesla a JPMorgan Chase. La metà dei lavoratori americani sono donne, in buona parte ancora in età fertile, e le aziende in questione hanno concordato che imporre loro una gravidanza non voluta andrebbe non solo contro i diritti della donna, ma sarebbe anche una scelta perdente per le stesse aziende.
Il presidente Biden ha detto ieri che darà ordine al Dipartimento di Giustizia di assicurarsi che i diritti delle donne che vogliano viaggiare in cerca di un aborto non vengano ostacolati, fatto peraltro possibile considerato che alcuni degli Stati più estremisti nella loro convinzione anti-abortista imporranno anche divieti di spostamento oltre i confini statali per cercare laborto altrove.
Per questo ci sono regioni del Paese, più liberal, che stanno organizzandosi, un po' come è successo all'inizio della pandemia. Stati del nord-est come New York, New Jersy, Connecticut, Massachusetts, promettono di accogliere e aiutare le donne che provengano da Stati repressivi, tutti raccolti nel sud e nel centro. All'altro capo dell'America i governatori della California, Oregon e Washington hanno firmato un impegno multi statale per la libertà riproduttiva, impegnandosi a proteggere le donne che cercheranno assistenza nei loro tre stati.
I tre governatori si impegnano a non collaborare con gli Stati repressivi se questi chiedessero l'arresto di donne sfuggite per cercare un aborto. In California si sta anche creando un fondo di sostegno pratico per aiutare a coprire i costi logistici del viaggio mentre associazioni di volontari si impegnano a offrire ospitalità e assistenza per le donne che arrivassero dagli Stati antiabortisti e repressivi come il Texas, l'Oklahoma, il Mississippi, il Missouri o l'Alabama.
Molte voci di leader femminili si sono incrociate ieri, fra lo sgomento e la rabbia: «Questa sentenza crudele è oltraggiosa e straziante. Ma non commettete errori: a novembre voteremo sui diritti delle donne e di tutti gli americani» ha reagito la speaker della Camera Nancy Pelosi. La ex first lady, Michelle Obama ha detto che la decisione è «orribile» e «deve essere una sveglia, specie per i giovani...Se cedete adesso, erediterete un Paese che non assomiglia a voi e a nessuno dei valori in cui credete».
Dal canto suo Hillary Clinton ha parlato di «un passo indietro per i diritti delle donne e i diritti umani». «Dobbiamo temere per tanti altri diritti ha detto la vicepresidente Kamala Harris -. Abbiamo sempre sognato di allargare i diritti nel nostro Paese, ora dobbiamo ergerci insieme per difenderli, a cominciare dal diritto alla libertà e al diritto di decidere per noi stessi». Anche nel mondo dello spettacolo e della cultura le reazioni sono state di preoccupazione: «Per tanti decenni abbiamo lottato per i diritti sul nostro corpo, la decisione di oggi ce ne ha private» ha scritto la popolare cantante Taylor Swift.
La senatrice dem liberal Elizabeth Warren ha dal canto suo lanciato una proposta al presidente Biden, che potrebbe tagliare le gambe agli Stati più restrittivi: concedere in quegli Stati l'apertura di cliniche per l'aborto in terreni o costruzioni federali. Poco dopo che Warren aveva avanzato questa proposta, altri senatori l'hanno sostenuta.
Aborto negli Usa, da Lizzo a Spielberg, star mobilitate: pioggia di dollari in difesa dell’interruzione di gravidanza. Viviana Mazza su Il Corriere della Sera il 21 Agosto 2022.
Dopo la vittoria in Kansas dei «pro-choice» altri Stati chiamano gli elettori a scegliere sull’aborto
Il regista Steven Spielberg e la moglie, l’attrice Kate Capshaw, hanno donato 25mila dollari ciascuno al fronte per il diritto all’aborto, che ha stravinto (59% contro 41%) nel referendum in Kansas il 2 agosto. È stato il primo referendum statale sull’aborto da quando la Corte Suprema ha rovesciato la sentenza Roe v. Wade, che lo tutelava a livello federale. Ora che la responsabilità è passata agli Stati, molti altri prevedono di chiamare direttamente gli elettori a scegliere di proteggerlo o vietarlo nella loro Costituzione.
Chiamati ad approvare un emendamento che dichiarasse che la Costituzione del Kansas non protegge il diritto all’aborto (il che avrebbe consentito al parlamento statale di introdurre ulteriori restrizioni), gli elettori si sono rifiutati. Gli anti-abortisti hanno sostenuto che la loro causa è stata sconfitta dai soldi arrivati dalle élite liberal extra-statali. Ciascuno dei due fronti ha speso circa 11 milioni di dollari. L’aiuto di Spielberg non è l’unico da Hollywood.
Planned Parenthood, associazione che assiste le donne che vogliono abortire e che ha investito anche in questo referendum, ha ricevuto negli ultimi mesi un milione di dollari dalla cantante Lizzo , 250 mila da Ariana Grande e ogni mese Mila Kunis versa denaro a nome dell’ex vice di Trump, Mike Pence (solo per fare qualche esempio). Hanno contribuito anche l’ex sindaco di New York ed ex candidato alla presidenza Michael Bloomberg (1,25 milioni), l’associazione Sixty Thirty Fund che finanzia cause progressiste (1,5 milioni) e una trentina di gruppi e individui. Sul fronte opposto, la Chiesa cattolica ha versato 4,3 milioni di dollari.
I fondi sono cruciali in una battaglia Stato per Stato che si preannuncia lunga. Ma la vera sorpresa in Kansas è stata la scelta moderata sull’aborto in uno Stato che Donald Trump conquistò con 15 punti di vantaggio. Invece i sondaggi pre-referendum suggerivano che l’elettorato fosse spaccato, facendo presagire un testa a testa, osserva Nathan Cohn, l’esperto in analisi statistiche del New York Times. Quattro Stati del Sud — Louisiana nel 2020, Alabama e West Virginia nel 2018, Tennessee nel 2014 — avevano approvato emendamenti costituzionali, scegliendo in modo opposto al Kansas. Dunque, suggerisce il giornalista, la fine di Roe v. Wade ha energizzato l’elettorato democratico su un tema che normalmente motiva i repubblicani. Cohn calcola che se un referendum come quello del Kansas venisse proposto nel resto della nazione, oggi con l’eccezione di 7 Stati tutti gli altri voterebbero per tutelare il diritto all’aborto. Ma diversi esperti politici e costituzionali restano più cauti, nota il Pew Research Center. Quel che ha funzionato in Kansas potrebbe non valere in Stati dove ci sono già maggiori restrizioni all’aborto. Sarà importante vedere cosa succede in Kentucky, dove Trump ha vinto con 26 punti di vantaggio, e dove a novembre, alle elezioni di midterm, i cittadini saranno chiamati anche a votare sulla proposta di un emendamento costituzionale simile a quello del Kansas.
Sempre a novembre, California e Vermont approveranno invece quasi certamente di inserire nelle costituzioni statali il diritto all’aborto. In Michigan, la governatrice Gretchen Whitmer è riuscita a impedire l’entrata in vigore di una legge del 1931 che lo criminalizza senza eccezioni per stupro o incesto e che sarebbe stata attivata con l’abolizione di Roe; ma la decisione del giudice può essere rovesciata. Perciò una petizione forte di 750mila firme (il doppio del necessario) mira alla tutela nella Costituzione dello Stato. Non è certo che passi, ma i conservatori sembrano temerlo e cercano di bloccarla per un errore tipografico.
Un sondaggio mostra come per il 62% degli americani l’aborto debba essere legale nella maggior parte dei casi. Il Kansas mostra che la questione non segue nettamente l’affiliazione ai partiti. Bisognerà guardare caso per caso.
Ecco chi sono i giudici che hanno stoppato l'aborto in America. Francesca Galici il 25 Giugno 2022 su Il Giornale. Per anni hanno nascosto la loro posizione sull'aborto e ora sono al centro della polemica: chi sono i giudici della Corte suprema che hanno cambiato la storia
La discussione sulla decisione della Corte suprema americana di ribaltare la storica sentenza Roe contro Wade, che stabiliva fin dal 1973 il diritto costituzionale all'aborto negli Stati Uniti, ha sollevato un polverone di polemiche a livello mondiale. Definito da più parti un "terremoto costituzionale", è destinato a spaccare ulteriormente l'America, provocando rivolte e proteste che sono già cominciate il tutto il Paese e non solo. La sentenza conferisce ai singoli Stati il potere di stabilire le proprie leggi sull'aborto, senza più preoccuparsi di entrare in conflitto con la sentenza Roe contro Wade, che per quasi mezzo secolo aveva consentito l'aborto entro 24 settimane di gravidanza. Ora i riflettori sono puntati sui giudici che hanno ribaltato cinquant'anni di storia.
L'unica donna presente nel council responsabile della decisione è anche l'ultima arrivata. Si chiama Amy Coney Barrett, proviene dalla Louisiana, ha 50 anni ed è di religione cattolica. Ha 7 figli, di cui 2 adottati, ed è stata nominata nel 2020 da Donald Trump. Il legame tra il giudice e l'ex presidente degli Stati uniti appare molto forte, considerando che è stato lo stesso Trump a volere Coney Barrett alla Corte d'appello nel 2017.
Una Corte "orientata" che ribalta la Storia
Quello che in queste ore negli Stati uniti viene contestato al giudice è che durante le audizioni per la conferma, lei non ha mai rivelato la sua posizione in merito all'aborto. Anzi, si è allineata agli altri candidati sottolineando l'importanza del principio "stare decisis", che indica la fedeltà al precedente giurisprudenziale vincolante negli ordinamenti del common low. Coney Barrett ha preso il posto di Ruth Bader Ginsburg alla sua morte, quando il 57enne Brett Kavanaugh venne considerato il più progressista dei conservatori. Ex assistente di Ken Starr, Kanaugh veniva posizionato più spostato verso i conservatori anche rispetto a Neil Gorsuch, parte della Corte dal 2017. Anche loro in sede di conferma avevano dimostrato lealtà al principio "stare decisis".
La sentenza di ieri, però, dimostra che niente è solido e tutto può essere modificato. A spiegare bene questo orientamento è stato il giudice Samuel Alito, uno dei membri anziani arrivati alla Corte suprema nel 2006 sotto la gestione Bush. In base a quanto da lui dichiarato, quel principio ha "un ruolo considerevole ma non assoluto". Un passaggio fondamentale per capire come si possa essere arrivati alla decisione, ben noto anche all'altro membro anziano, Clarence Thomas, da 31 anni giudice della Corte suprema.
La decisione del 1973. Cos’è la sentenza Roe v. Wade, la storica decisione sull’aborto abolita dalla Corte Suprema USA. Antonio Lamorte su Il Riformista il 24 Giugno 2022.
La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America ha abolito la storica sentenza Roe v. Wade della stessa Corte che aveva legalizzato l’aborto nel 1973. “La Costituzione non conferisce il diritto all’aborto”, recita la decisione presa con sei voti favorevoli e tre contrari anticipata a inizio maggio da uno scoop di Politico. Da oggi i singoli Stati saranno liberi di applicare le loro leggi in materia.
Il diritto all’aborto era stato sancito con una storica sentenza quasi 50 anni fa. La Corte Suprema aveva riconosciuto il diritto della donna texana Norma Leah McCorvey di interrompere la gravidanza dopo che un gruppo di avvocati guidati da Sarah Weddington fu contattato dalla donna incinta del suo terzo figlio. A rappresentare lo Stato del Texas era l’avvocato Henry Menasco Wade.
La sentenza venne pronunciata il 22 gennaio del 1973 e rese legale a livello federale il diritto all’aborto per la donna come libera scelta personale. Prima di allora ogni Stato aveva una propria legislazione in materia. Almeno in trenta l’aborto era considerato un reato di common law, basato sui precedenti giurisprudenziali e non sui codici. In soli quattro Stati bastava la richiesta della donna.
Jane Roe era lo pseudonimo di McCorvey. Il nome venne scelto per tutelarne la privacy. Era nata nel 1947 in Louisiana ed era cresciuta a Houston, in Texas. Era scappata di casa a 18 anni, si era sposata e aveva avuto due figlie. Era incita del terzo figlio, di un uomo che lei definiva come molto violento, quando gli amici la convinsero a chiedere al tribunale di poter abortire. E di raccontare di essere stata vittima di stupro per ottenere l’aborto. Il Texas permetteva all’epoca l’aborto in caso di stupro e incesto. Non essendoci alcun rapporto della polizia sulle violenze la richiesta fu respinta.
Le legali fecero ricorso alla Corte Distrettuale dello Stato che diede ragione a Roe a partire dal IX Emendamento della Costituzione in cui si dichiara che l’elenco dei diritti individuali può essere integrato da altri diritti, non specificamente menzionati nella Costituzione. Wade fece ricorso a sua volta alla Corte Suprema. La decisione fu presa a maggioranza di sette giudici a due su un’interpretazione del XIV Emendamento che riguardava il diritto alla privacy inteso come diritto alla libera scelta per quanto riguarda le questioni della sfera intima di una persona.
“La corte ha dichiarato nullo lo statuto sull’aborto in quanto vago ed eccessivamente lesivo nei confronti di coloro che si appellano al Nono e al Quattordicesimo Emendamento”. Quella decisione rispondeva alla possibilità di abortire anche in assenza di problemi di salute della donna, del feto e di ogni altra circostanza che non fosse libera scelta della donna.
Secondo la sentenza l’aborto doveva essere possibile fino al momento in cui il feto non poteva sopravvivere al di fuori dell’utero materno, e quindi fino al terzo trimestre. Il termine sarebbe stato prorogato oltre tale limite in casi di pericolo per la salute della donna. McCorvey divenne dopo la sentenza simbolo e attivista del diritto d’aborto. Dopo la conversione alla Chiesa evangelica negli anni ’80 cambiò completamente posizione come quando qualche anno dopo si convertì al cattolicesimo. Prima di morire, a 69 anni nel 2017, disse di essere stata pagata da un’associazione religiosa per schierarsi attivamente contro l’aborto.
Il divieto di aborto è atteso entrare in vigore in 13 stati americani nei prossimi 30 giorni. I 13 stati possono vietare l’aborto in 30 giorni eccetto nei casi in cui la vita della madre è in pericolo. Il Missouri ha annunciato di essere il “primo” stato a vietare l’aborto, che ora è illegale anche in Texas con effetto immediato. È intanto esplosa la protesta all’esterno della Corte Suprema degli Stati Uniti. Un gruppo di anti-abortisti hanno accolto la sentenza con esultanze e abbracci. Tre dei sei giudici repubblicani che hanno votato contro la “Roe v. Wade” erano stati nominati dall’ex presidente Donald Trump. I tre nominati dal Partito Democratico hanno votato contro.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
Paolo Giordano: «Aborto, il più fragile dei diritti che riguarda tutti noi». Paolo Giordano su Il Corriere della Sera il 26 Giugno 2022.
Sono nato e cresciuto in un momento in cui il diritto all’aborto era un pilastro, e la sua messa in discussione un tabù. Oggi però la corrente spinge in senso opposto. E anche qui - non solo negli Usa - non possiamo sentirci al sicuro.
Fra i diritti della modernità — quei diritti che ci fanno sentire fortunati di vivere in un presente per molti versi difficile —, il diritto all’aborto è il più fragile di tutti.
Lo è sempre stato.
E non tanto, come si ritiene comunemente, per la «delicatezza» del tema, per le aree di coscienza personale che investe e per quanto sia difficile stabilire scientificamente dove inizia la vita umana, quanto per la mole di pregiudizi — quasi tutti di matrice sessista — che attiva ancora in noi.
Il più odioso di tutti, sotteso a molte posizioni dei gruppi di destra e dei movimenti pro vita, è che l’aborto sia in fin dei conti una via comoda, quasi sempre la riparazione di una sbadataggine, e comunque evitabile.
A più di quarant’anni dall’approvazione della 194, l’aborto è ancora qualcosa di cui non si parla, mai, neppure in privato, con la sola eccezione degli ambienti femministi. È un rimosso obbligatorio non solo per le donne che lo affrontano da sole ma perfino per le coppie stabili.
Se la legge ne ha sancito ormai da tempo la possibilità, la cultura non è mai riuscita a cancellarne i corollari di vergogna, di sconfitta, anzi peggio, di colpa.
Per questo, ancora oggi, viene implicitamente accettato che l’aborto non debba essere del tutto indolore, almeno non psicologicamente, che qualsiasi forma di ripensamento debba essere indotta nella donna, anche quando sconfina nell’aggressione mentale.
Da qui, le contiguità con i reparti di ostetricia, le mini odissee e le piccole umiliazioni, e sempre da qui lo scontento mai smaltito di alcuni verso l’introduzione della pillola RU486.
Nel libro Mai dati, l’indagine di Chiara Lalli e Sonia Montegiove sullo stato dell’applicazione della 194 in Italia, le autrici ci ricordano che l’interruzione volontaria di gravidanza «è un servizio medico».
Ma illustrano anche come si stia trasformando sempre di più «in una questione di coscienza — del medico, ovviamente, perché la donna che abortisce forse la coscienza non ce l’ha».
Insomma, la 194 esiste ed è espletata, ma è anche avvolta in una nebbia. Una nebbiolina morale, appunto, che la tiene separata da ciò che è considerato davvero opportuno. Che rende la situazione difforme sul territorio nazionale e i dati reali inconoscibili. Una nebbia che non si sta affatto diradando, anzi.
E tuttavia, nel giorno buio in cui la Corte Suprema degli Stati Uniti ha rovesciato la sentenza Roe vs. Wade , ci siamo sentiti abbastanza al sicuro. Povera America, che sprofonda nel proprio oscurantismo. Noi, qui, abbiamo la 194, forse non è perfetta ma nessuno oserà mai toccarla, perché il progresso va avanti e non indietro, la consapevolezza cresce e non diminuisce, i diritti si conquistano e non si perdono. In fondo, troviamo confortante perfino l’estremismo di esponenti come il senatore Pillon: finché certe idee sono appannaggio di personaggi così, significa che sono relegate ai margini del dibattito pubblico, dove non fanno danni. Poco importa che, con quelle stesse opinioni, flirtino a diversi livelli i partiti di cui quegli esponenti fanno parte, e la destra tutta. Poco importa che la decisione della Corte Suprema sia una tappa eclatante di un percorso che va avanti da molti anni, anche in Europa, vicinissimo a noi. E poco importa che la Chiesa, che proprio ai margini del dibattito non è, l’abbia accolta, pur con tutte le cautele retoriche del caso, con la massima gioia. Come si dice in questi casi: la Chiesa fa la Chiesa, non possiamo mica pretendere.
Facendo qualche passo indietro per osservare il quadro nel suo complesso, la situazione è tutt’altro che rassicurante. E dovrebbe portarci a concludere che no, non siamo poi così al sicuro neppure qui. La tutela delle ragazze e delle donne nel nostro Paese non è così al sicuro. Non lo era giorni fa, e lo è meno che mai da venerdì scorso.
Non solo. È ingenuo pensare che la decisione della Corte negli Stati Uniti non abbia già innescato una serie di conseguenze a distanza. Da venerdì, l’idea dell’aborto è un po’ meno legittima anche nella mente di tutti noi, e quel senso subliminale d’illegittimità filtrerà rapidamente nella coscienza delle generazioni più giovani (generazioni alle quali sono già state sottratte molte forme di educazione alla sessualità, alla contraccezione, e la cui libertà di scelta è già in parte compromessa). Aumenteranno la confusione, la paura, il disprezzo di sé, la solitudine. Perché l’aborto è una delle esperienze di solitudine peggiore a cui si possa pensare. Una sentenza emessa al di là dell’Atlantico ha già aggravato il peso psicologico delle ragazze e delle donne che questa settimana, il prossimo mese o fra un anno decideranno di abortire qui. Sconteranno ancora più pesantemente una scelta che il nostro codice riconosce come legittima.
Il presidente Biden ha detto: «It’s not over», non è finita. Ci mancherebbe che lo fosse. Ma aggrapparsi al suo tenue spirito combattivo, così come alle immagini delle proteste a Washington, ha un sapore perdente. Sentenze come Roe vs. Wade, del 1973, e leggi come la nostra, del 1978, sono state possibili in un periodo storico molto specifico, trascinate da un flusso. Oggi non esiste nemmeno un briciolo della propulsione ideologica di quel tempo. Al contrario, tutto suggerisce che la corrente spinga in senso opposto. Da anni, in Italia, non c’è un avanzamento davvero significativo sul fronte delle libertà civili. E ciò che viene perso sembra essere perso e basta.
All’inizio, lo ammetto, avevo scritto «eroso»: «ciò che viene eroso», ma rileggendo mi sono accorto che anche quel termine denunciava un modo di ragionare obsoleto. È proprio questo il punto: siamo abituati a pensare che i nostri diritti fondamentali possano essere al più «erosi», ma questo non è più il tempo dell’erosione: oggi i pezzi della montagna si staccano e crollano al suolo. In un istante.
Sono nato e cresciuto in un momento in cui il diritto all’aborto era un pilastro, un assioma, e la sua messa in discussione un tabù. Che per alcuni si tratti di una visione estremista m’interessa poco: ho assorbito il principio per cui qualsiasi tentativo di limitare il diritto di scelta della donna in materia di interruzione della gravidanza non è davvero per la salvaguardia di un’altra vita, ma ha solo un intento punitivo e controllante. Il mio primo ostacolo — il mio e suppongo quello di molti e molte — è innanzitutto credere che qualcosa del genere stia capitando. Ma così è. Occorre imparare il più velocemente possibile come si vive su un piano inclinato al contrario, come ci si aggrega veramente e come si protesta mentre il mondo scivola. Un’indicazione semplice eppure non ovvia l’ha data la scrittrice Rebecca Solnit, reagendo alla sentenza della Corte: «Quelli di noi che non sono sotto attacco diretto devono stare dalla parte di coloro che lo sono». Semplice. Quelli che non sono sotto attacco diretto (o almeno non ci si sentono) sono tanto per cominciare la metà maschile della popolazione.
Fra i diritti della modernità, il diritto all’aborto è il più fragile di tutti. Lo è sempre stato. Proprio per questo è un diritto segnante della nostra civiltà. Togliamo quel diritto, indeboliamolo anche solo, e vedremo che no, tutto il resto non si regge comunque in piedi.
Mario Ajello per “il Messaggero” il 25 giugno 2022.
Emma Bonino si fa mandare dall'America i documenti della storica sentenza della Corte Suprema. «La notizia mi ha sconvolto, ma voglio capire bene di che cosa si tratta perché sembra davvero incredibile». Arrivano sulla sua mail i testi del pronunciamento dei giudici e a quel punto la storica leader dei Radicali - mentre guarda in tivvù le prime manifestazioni di protesta delle donne e dei movimenti abortisti - traccia il bilancio di questa «brutta storia».
Onorevole Bonino, si aspettava questa decisione?
«Non mi aspettavo il punteggio. Il 6 a 3, nel collegio dei giudici, è un risultato molto largo e per niente buono. Da mesi le associazioni abortiste erano molto agitate, evidentemente a ragione. Negli Stati Uniti l'aborto era un diritto federale. Questa sentenza demanda invece la questione ai vari Stati membri. Che è un po' la situazione che c'è in Europa. Dove ogni Paese Ue decide per sé sull'aborto. Per esempio la Polonia ha fatto una legge ultra-restrittiva».
Si azzera con la sentenza americana uno dei punti, che parevano fermi, ottenuti dalle lotte delle donne?
«Siamo certamente a un passo indietro nella protezione dell'aborto. Questo dimostra che i diritti non stabiliti una volta per sempre, non sono scritti nel marmo. Se non li difendi, non li curi, non li proteggi continuamente, ti svegli una mattina e non ci sono più. C'è un reportage molto bello del New York Times che spiega a questo punto che cosa potrà fare Biden per contrastare questa sentenza».
E che cosa può fare il presidente americano?
«Dal punto di vista legale, niente. È come da noi: così come la nostra Corte Costituzionale anche la Corte Suprema di Washington è il decisore di ultima istanza. Questo reportage però suggerisce a Biden vari accorgimenti per proteggere il diritto federale all'aborto. Il presidente può promuovere politiche che possono aiutare a superare il divieto. Per esempio quelle in favore dell'aborto farmacologico, con la pillola autorizzata dalla Food and Drug Administration. Ma non so davvero che cosa potrà fare l'amministrazione Biden e temo, sostanzialmente, non molto».
Il presidente ha l'occasione di mettersi alla testa di una nuova stagione di difesa e di estensione dei diritti.
«Io mi chiedo: ne avrà la forza? Comunque ci sono alcuni Stati che seguiranno la sentenza della Corte Suprema, e già il Missouri e il Texas si sono attivati, e altri che si comporteranno diversamente. Per esempio lo Stato di New York. O il Colorado: si sta attrezzando per accogliere le donne che potranno permettersi di passare il confine per abortire. Almeno nel campo dei diritti, è una grande delusione per me questa America che io sono spesso stata abituata a considerare all'avanguardia su certe battaglie. Evidentemente non è più l'America che ho in mente io. Il diritto all'aborto negli Stati Uniti non è in Costituzione ma è stato sancito da una storica sentenza 50 anni fa».
Si riferisce alla Roe vs Wade per cui interrompere la gravidanza è diventato legale nel 1973?
«Sì. Fu quando la Corte Suprema riconobbe il diritto all'aborto alla texana Norma McCorvey. E un gruppo di avvocate, guidato da Sarah Weddington, contattò la donna, incinta del terzo figlio avuto con il marito violento e con problemi di alcolismo. Si trattò di una esemplare pagina di libertà. Ora sono preoccupata. Si intensificherà negli Stati Uniti un fenomeno che noi conosciamo benissimo. Ed è quello del turismo sanitario. Come sempre, i ricchi viaggiano e i poveri emigrano.
Questo toccherà a un numero di donne sempre maggiore. Tra tutti i difetti della sentenza della Corte Suprema c'è anche quello che è classista. Anche prima in America l'aborto non era gratuito. Il bilancio federale si rifiutava di sovvenzionarlo. Ma adesso sarà tutto più complicato, penalizzante e dispendioso».
Questo è un colpo di coda o un nuovo inizio del trumpismo?
I giudici che si sono espressi contro l'aborto sono stati nominati da Trump. Questa comunque è una sentenza figlia di varie ideologie: alcune religiose, altre identitarie, altre di tipo culturale. Un mix di visioni oscurantiste e reazionarie che tolgono alle donne la libertà di scelta».
Quali conseguenze può avere la sentenza di Washington sull'Europa e in Italia?
«In Europa, penso alla Polonia ma anche all'Ungheria, questo tipo di impostazione purtroppo è già diffusa. Ma anche in Italia da tempo riscontro un rigurgito di posizioni contrarie ai diritti e alle libertà. Si pensi alla portata oscurantista della legge Pillon che, per fortuna, è stata stoppata. Il movimento per la vita, così si chiama, rappresenta un filone che, messo alla prova, per esempio nei referendum, ha sempre perso.
Però è sempre esistito e continua a prosperare. E come può immaginare, non mi è piaciuto il video della Meloni al congresso di Vox in Spagna. È importante però che in Italia sia in corso la campagna, da parte dell'Associazione Coscioni e di altri movimenti, per difendere la legge 194 sull'aborto. In certe parti d'Italia questa legge fondamentale non esiste più a causa dell'obiezione di coscienza. Più o meno il 90 per cento dei medici, in alcune zone del nostro Paese, si rifiutano di applicare il diritto a interrompere la gravidanza».
Celotto: “In Italia l’aborto è legge, la può cambiare solo il Parlamento. Nel 1981 un referendum ha affermato che non andava abrogata”. La Stampa il 24 giugno 2022.
In Italia la legge sull'aborto è a rischio? Una domanda che nasce da quanto stabilito oggi dalla Corte Suprema degli Stati Uniti. Una svolta per certi versi storica che però al momento non sembra replicabile nei nostri confini dove, stando all'ultima Relazione al Parlamento sull'attuazione della legge 194/78, continuano a calare le interruzioni di gravidanza: nel 2020 sono state poco più di 66mila, il 9,3% in meno rispetto al 2019. «Parlando di aborto una premessa è fondamentale: il tema nel nostro Paese è disciplinato da una legge ordinaria e quindi per potere procedere ad una modifica è necessaria e sufficiente una altra legge. Cioè un intervento del Parlamento», spiega Alfonso Celotto, professore ordinario di diritto Costituzionale all'Università degli Studi Roma Tre, aggiungendo che «bisogna tenere presente che nel 1981 c'è stato un referendum con il quale il popolo italiano ha affermato che la legge sull'aborto non andava abrogata (come era accaduto dieci anni prima anche per la legge sul divorzio). Quando il popolo si pronuncia in sede di referendum la legge diventa 'non modificabile', ma soltanto per una legislatura, come ci ha ben spiegato nel 2012 la Corte costituzionale. Infatti, nel nostro sistema la democrazia diretta ha un plusvalore rispetto alla democrazia rappresentativa, ma soltanto a tempo». Per il costituzionalista su quest'ultimo aspetto «è emblematico quanto accaduto con l'energia nucleare: è stata abrogata per volontà popolare nel 1987, ma poi dopo vent'anni il Parlamento la aveva introdotta nuovamente, nella sua piena discrezionalità». Su un tema così delicato, come quello della interruzione volontaria della gravidanza, il Parlamento ad oggi è quindi libero. « libero di intervenire, nel complesso quadro dei valori costituzionali di tutela della madre, del nascituro e della salute - aggiunge Celotto -. Va comunque ricordato, in un'ottica liberale, che l'aborto, per quanto delicato, non può non essere disciplinato, per non lasciare un tema così sensibile ad un "mercato nero", come per decenni accaduto anche da noi». A detta del docente, comunque, la decisione presa oggi negli Usa «dimostra il grande dibattito che è in corso nelle democrazie occidentali in tema di diritti. Negli ultimi anni assistiamo a un processo sempre più delicato di bilanciamento dei valori con ripensamenti e specificazioni: in Italia ne abbiamo un esempio con il dibattito attualissimo sulla eutanasia».
La decisione della Corte Suprema: chiesa e conservatori in festa tra le polemiche. Aborto negato, gli Stati Uniti tornano indietro di 50 anni: cosa cambia dopo la sentenza “crudele e scandalosa”. Redazione su Il Riformista il 24 Giugno 2022
E’ bastata una sentenza della Corte Suprema per far tornare gli Stati Uniti indietro di 50 anni. Nel paese esportatore, almeno così si professano, di democrazia e libertà nel mondo, le donne non hanno più la libertà di abortire perché “l’aborto presenta una profonda questione morale. E la Costituzione non conferisce il diritto all’aborto”. E’ quanto deciso dai giudici che hanno ribaltato la sentenza Roe vs Wade con la quale la stessa Corte, nel 1973 aveva riconosciuto il diritto di interrompere la gravidanza. Una sentenza annunciata da settimane (‘grazie’ alla bozza redatta dal giudice conservatore Samuel Alito finita, non si sa ancora bene come, alla stampa) che ha visto la stessa Corte divisa con 6 voti a favore e 3 contrari.
Una bozza trapelata nelle scorse settimane (redatta dal giudice Samuel Alito, risalente a febbraio e confermata poi come autentica dalla corte) aveva indicato che la maggioranza dei ‘saggi’ erano favorevoli a ribaltare la Roe v Wade, suscitando vaste polemiche e proteste negli Usa. Alito che scrive nel dispositivo “La Roe vs Wade è stata sbagliata fin dall’inizio in modo eclatante. Il suo ragionamento – aggiunge – è stato eccezionalmente debole, e la decisione ha avuto conseguenze dannose”.
“Tristemente, molte donne hanno perso oggi una tutela costituzionale fondamentale. Noi dissentiamo” commentano i giudici liberal Sonia Sotomayor, Elena Kagan e Stephen Breyer. “Tristemente, molte donne hanno perso oggi una tutela costituzionale fondamentale. Noi dissentiamo” aggiungono. I tre giudici nominati dall’ex presidente Donald Trump hanno invece votato per l’abolizione.
Adesso la decisione spetterà ai singoli Stati che saranno liberi di applicare le loro leggi in materia: in più della metà dei 50 Stati americani l’aborto era considerato reato, in oltre dieci invece era legale sono se costituiva pericolo per la donna, in caso di stupro, incesto o malformazioni fetali. Gli Stati guidati dai governatori repubblicani, e conservatori, sarebbero adesso intenzionati a salvaguardare il diritto alla vita. Quelli governati dai democratici hanno invece anticipato di voler mantenere le legislazioni attuali che consentono l’aborto.
Nello specifico l’aborto potrebbe essere vietato in 22 stati che hanno varato leggi, dette ‘trigger law’ (leggi grilletto) destinate ad entrare in vigore immediatamente dopo la sentenza della Corte Suprema. Per 13 stati – Arkansas, Idaho, Mississippi, Missouri, North Dakota, Kentucky, Louisiana, Oklahoma, South Dakota, Tennessee, Texas, Utah and Wyoming – le leggi prevedono che il divieto entri in vigore praticamente in modo immediato. C’è un altro gruppo di stati – Georgia, Idaho, Iowa, Michigan, South Carolina, Texas, West Virginia, Alabama e Ohio – che anche hanno leggi per mettere al bando l’aborto, ma non entrerebbero in vigore subito. Infine stati come Arkansas, Mississippi e Oklahoma hanno dei divieti sull’interruzione della gravidanza precedenti alla sentenza della Roe, che non vengono applicati da 50 anni.
Per la portavoce della Camera Usa, la democratica Nancy Pelosi, è una decisione “crudele” e “scandalosa“. Duro anche il cinguettio di Barack Obama: “La Corte Suprema non solo ha annullato quasi 50 anni di precedenti, ma ha relegato la decisione più intensamente personale che qualcuno può prendere ai capricci di politici e ideologi: (sono state) attaccate le libertà fondamentali di milioni di americani”.
Visione diversa invece quella dell’ex vicepresidente di Trump, Mike Pence, secondo il quale “la vita ha vinto” e ha esortato tutti a battersi per “la difesa del nascituro e il sostegno alle donne incinte in crisi”. Lo stesso Donald Trump commenta entusiasta. La decisione – secondo l’ex presidente – vuol dire “seguire la Costituzione e restituire i diritti”.
“Giornata storica” per i vescovi cattolici americani. “Questa è una giornata storica nella vita del nostro Paese, che suscita pensieri, emozioni e preghiere. Per quasi cinquant’anni l’America ha applicato una legge ingiusta che ha permesso ad alcuni di decidere se altri possono vivere o morire; questa politica ha provocato la morte di decine di milioni di bambini prenati, generazioni a cui è stato negato il diritto di nascere” commentano gli arcivescovi Josè H. Gomez di Los Angeles, presidente della Conferenza dei vescovi cattolici degli Stati Uniti (Usccb), e William E. Lori di Baltimora , presidente del Comitato per le attività pro-life.
La “cultura della vita” delle destre è un attacco all’uguaglianza. GIORGIA SERUGHETTI, filosofa, su Il Domani il 28 giugno 2022
Cos’è la “cultura della vita” che le destre, da occidente a oriente, sostengono di difendere dalla minaccia del progressismo dei diritti? Si può parlare di “vita”, quando la sua portata semantica si riduce al tempo breve del principio e della fine, mentre tante “vite”, al plurale, sono rigettate nell’indifferenza?
Nella discussione sul destino del diritto all’aborto negli Stati Uniti, o in Italia, un tema cruciale è il sacrificio di vite di donne, in particolare povere, razzializzate, marginalizzate, che questo fondamentalismo è orientato a provocare.
Resta da chiedersi se il discorso delle destre che oggi teorizzano la personalità del feto, e attaccano per il suo tramite la salute delle donne, sia compatibile con i requisiti di uno stato di diritto democratico.
Cos’è questa cultura che le destre, da occidente a oriente, sostengono di difendere dalla minaccia del progressismo dei diritti? Si può parlare di “vita”, quando la sua portata semantica si riduce al tempo breve del principio e della fine, mentre tante “vite”, al plurale, sono rigettate nell’indifferenza?
Intorno a questo tema oggi si combatte una battaglia epocale. Da una parte ci sono le vite che “non contano” e chiedono di essere viste, ascoltate, protette.
Si pensi ai movimenti femministi contro il femminicidio, allo slogan Black Lives Matter contro la violenza della polizia, o alle molte iniziative di Ong che lavorano per mettere in salvo le vite dei migranti che sfidano la durezza delle frontiere.
Dall’altra, ci sono gli avversari di queste battaglie, che inneggiano alla sacralità della vita, al singolare.
Ora, nella discussione sul destino del diritto all’aborto negli Stati Uniti, o in Italia, è proprio di questo che dovremmo parlare.
VITE SACRIFICATE
Perché porre l’enfasi solo sulla dimensione della scelta individuale rischia di non essere sufficiente nello scenario che l’attivismo antiabortista sta disegnando.
Un tema cruciale è il sacrificio di vite, vite di donne, in particolare di donne povere, razzializzate, marginalizzate, che questo fondamentalismo è orientato a provocare.
A questo proposito la saggista Jia Tolentino, sul New Yorker, ha invitato a rovesciare il senso dello slogan femminista di resistenza «We won’t go back», non torneremo indietro.
È vero, scrive, il futuro non somiglierà al passato che precedette la sentenza Roe v. Wade, ma sarà peggio.
Perché nel frattempo l’accesso ai dati sanitari, i dispositivi di sorveglianza e le possibilità aperte dalle leggi antiabortiste hanno già trasformato la gravidanza in un’esperienza di cui le donne, e qualunque persona presti loro assistenza, rischiano di rispondere penalmente in tutti i casi in cui qualcosa non va per il verso giusto.
«Alcune delle donne che moriranno a causa del divieto di aborto sono incinte proprio adesso.
Le loro morti non saranno causate da procedure clandestine, ma da una silenziosa negazione delle cure: interventi ritardati, desideri disattesi.
Moriranno di infezioni, di pre-eclampsia, di emorragia, mentre saranno costrette a sottoporre i loro corpi a gravidanze che non hanno mai voluto portare avanti».
Al contempo, la paura delle conseguenze finirà per mettere in pericolo persone che vogliono portare a termine la gravidanza ma che incontrano problematiche mediche.
Tutto questo è già realtà in alcuni stati degli Usa. Anche in Italia un’interpretazione distorta dell’obiezione di coscienza mette a rischio la vita delle donne, non solo negando l’interruzione di gravidanza, ma anche negando le cure in casi di complicazioni.
Eppure, se dal 1978 abbiamo una legge, la legge 194, che tutela la facoltà delle donne di scegliere sul proprio corpo, è anche perché la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 27 del 1975, ha fissato un principio fondamentale: «non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita ma anche alla salute di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell’embrione che persona deve ancora diventare».
È in base a questa non equivalenza che è possibile difendere, sul piano giuridico e politico, l’interruzione di una gravidanza in circostanze in cui – recita la 194 – «la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica».
Resta da chiedersi quindi se il discorso delle destre politiche e religiose che oggi teorizzano la personalità del feto, e attaccano per il suo tramite la salute delle donne, sia compatibile con i requisiti di uno stato di diritto democratico.
Uno stato in cui sia rispettata e resa effettiva l’uguaglianza tra i generi, in cui tutte le “vite”, al plurale, siano considerate degne di protezione.
GIORGIA SERUGHETTI, filosofa. Giorgia Serughetti è ricercatrice in Filosofia Politica all’Università di Milano-Bicocca. Ha scritto saggi su questioni di genere e teoria politica, con particolare attenzione a fenomeni migratori, sessualità, violenza contro le donne e movimenti femministi.
Margherita De Bac per il “Corriere della Sera” il 4 ottobre 2022.
Dodici agosto 2020, una circolare del ministero della Salute cambia le modalità di esecuzione dell'aborto farmacologico: due pillole da prendere a distanza di due giorni. Può essere effettuato fino alla nona settimana di gravidanza, anziché alla settima, in day hospital, quindi senza un ricovero di tre giorni, «anche presso strutture ambulatoriali pubbliche, funzionalmente collegate a ospedali e consultori».
Se la prima parte delle linee di indirizzo è stata applicata in tutta Italia, il passaggio dell'aborto medico negli ambulatori non è avvenuto se non in poche realtà. Solo tre Regioni hanno recepito la circolare: Toscana, Emilia-Romagna e Lazio. Ma anche dove sono presenti linee di indirizzo il progetto non è pienamente partito, tanto che il 30 settembre il presidente dell'Emilia-Romagna, Stefano Bonaccini, ha premuto sull'acceleratore annunciando che la RU486 verrà distribuita nella sua Regione «dalla prossima settimana».
Due i dati di partenza: primo, a livello nazionale il 35,7% delle interruzioni di gravidanza sono mediche; secondo, le Regioni avrebbero potuto offrire l'alternativa dei consultori senza un provvedimento locale ad hoc. I due anni di pandemia hanno poi tenuto bloccati i servizi sanitari e in alcune realtà la pillola abortiva non è così disponibile neppure in ospedale.
In Lombardia non esistono linee guida per l'applicazione del decreto Speranza. La clinica Mangiagalli, padiglione del Policlinico, ha un vicino consultorio di sua pertinenza. Le donne si rivolgono a questa struttura extraospedaliera dove fanno analisi del sangue e tampone. Se optano per la via farmacologica, assumono subito la prima pillola e restano in osservazione per un'ora. Due giorni dopo hanno l'appuntamento per il day hospital. Alcune donne chiedono di poter prendere a casa la seconda compressa. Anche se è già previsto, ancora non è possibile: sarà il prossimo passo, come già avviene in Canada e Gran Bretagna.
Il Lazio è davanti a tutti. Il protocollo regionale del 31 dicembre 2021 prevede che la prima pillola sia assunta in ambulatorio o consultorio, e che venga subito consegnata la seconda. La donna decide se prenderla in ospedale o a casa.
«Sono convinta che sia in grado di eseguire un atto medico. In questo modo è lei ad essere al centro della procedura abortiva, il ginecologo interviene solo nel caso di rarissime complicazioni», afferma Anna Pompili, ginecologa dell'associazione medici contraccezione e aborto. E l'assessore alla sanità, Alessio D'Amato: «Finora si è svolto tutto senza problemi. Se ci sono condizioni di sicurezza, è possibile farlo a casa».
In Piemonte Silvio Viale, responsabile del servizio Interruzione volontaria di gravidanza del Sant' Anna di Torino, dove si concentrano i due terzi degli aborti con RU486 in Piemonte, si dichiara «molto prudente nel mandare a casa». E spiega: «Favorevole che la pillola venga consegnata in luoghi diversi dall'ospedale ma non che una ragazza possa scegliere l'alternativa domiciliare. In altre parole: è bene renderla ambulatoriale, però cautela». In Toscana la delibera che ribadisce la possibilità di appoggiarsi ad ambulatori territoriali collegati agli ospedali è dell'estate 2020. La Regione ha concentrato quest' attività a Firenze ed Empoli.
Chi ricorre all'aborto medico può poi decidere di viverlo a domicilio nella fase finale. «La nostra sensazione è che prevalga il desiderio di essere accompagnate in un momento così difficile», spiega Valeria Dubini, presidente dell'associazione ginecologi territoriali, Agite. In Emilia Romagna sarà Parma a inaugurare l'esperienza, entro l'anno partirà Bologna. «Avviata una procedura che consente anche agli obiettori di prescrivere la pillola.
Già dal 2020 abbiamo superato la formula dei tre giorni di ricovero. Ora si comincerà in consultorio», dice Marinella Lenzi, direttore Unità operativa ostetricia e ginecologia dell'ospedale Maggiore. In Sicilia è invece difficile avere la pillola. «Da noi vengono ragazze di Caltanissetta, Agrigento, Catania e Messina che mi raccontano di difficoltà e liste di attesa di settimane», conferma Nenzi Varsellona, ginecologa dell'ospedale Cervello. E i consultori? Qui non se ne è mai parlato.
Il feticismo e le eccezioni. Il dibattito sull’aborto che ignora l’esistenza dei contraccettivi (e dei cattolici). Guia Soncini su L'Inkiesta il 28 Giugno 2022
Va bene, la Corte Suprema americana è sporca, brutta e cattiva. Ma perché Biden non ha realizzato la promessa fatta nel 2019 di una legge federale per regolamentare l’interruzione di gravidanza? Evidentemente perché nessuno si vuole impantanare su questo tema, specialmente in una nazione che ha una Costituzione scritta quando non c’era l'acqua corrente.
Il 4 ottobre del 2019, il Washington Post scrive che la Corte Suprema si accinge a rivedere la legge che regolamenta l’aborto in Louisiana e la possibilità dei medici di spostarsi dall’ospedale in cui operano abitualmente per praticare aborti. Resterebbe a quel punto solo un medico che faccia aborti in tutto lo Stato (neanche fosse il Molise).
Joe Biden è in campagna elettorale (verrà eletto Presidente un mese dopo, il 5 novembre), e il giorno dopo linka l’articolo commentandolo con un tweet che fa così: «Roe v. Wade è una legge della nostra nazione, e dobbiamo combattere ogni tentativo di annullarla. Da Presidente, codificherò Roe in una legge e assicurerò che la scelta si compia tra una donna e il suo medico». Si capisce che è un tweet vecchio dall’uso di «donna», ma non divaghiamo.
Per chi non ha familiarità con l’assurda giurisprudenza statunitense, occorrerà precisare che il tweet non è contraddittorio come sembra. Roe versus Wade è una sentenza che riguarda l’inviolabilità della privacy; in un Paese di common law le sentenze che costituiscono precedente valgono quanto le leggi; senonché era un po’ forzato regolamentare l’aborto in base alla sacralità della privacy, e infatti un bel giorno la Corte Suprema ha detto: ma nella Costituzione mica si parla di aborto.
Il feticismo nei confronti delle costituzioni, se non sei Roberto Benigni, produce disastri. È per quell’inadeguata Costituzione che ci fu l’assalto a Capitol Hill: la Costituzione americana prevede che trascorrano più di due mesi tra l’elezione e l’insediamento del nuovo Presidente, perché nei secoli di carrozze a cavalli in cui è stata scritta quel tempo lì era necessario per raccogliere i voti, contarli, notificare tutto a tutti. E dalla Costituzione americana viene la convinzione che si debba avere il fucile sotto al cuscino, ma non viene una soluzione che sia una ai problemi della contemporaneità: come potrebbe mai fornire chiavi adatte al presente un documento scritto da gente che non aveva l’acqua corrente?
Ma, prima che qualche signorina Silvani sospiri «Ah, pure costituzionalista», vorrei tornare a Biden, che twittava che avrebbe fatto fare una legge federale che regolamentasse l’aborto, e poi nel suo primo anno e mezzo di presidenza neppure ci ha provato – come d’altra parte chiunque prima di lui.
Lui, però, ha una responsabilità in più. L’ha ricordato a quest’epoca senza memoria Maureen Dowd, nel suo editoriale di domenica: se Clarence Thomas divenne giudice della Corte Suprema nonostante le accuse di Anita Hill, è per l’inettitudine di Joe Biden, allora presidente della Commissione Giustizia al Senato degli Stati Uniti, nel condurre le audizioni.
Era trentuno anni fa, e temo che la lezione principale da trarne sia una certa qual mancanza di carattere di Biden, propenso ad assecondare lo spirito del tempo più che a indirizzarlo. Nel 1991 era considerato normale liquidare senza troppe storie le accuse d’una tizia secondo la quale Thomas sul lavoro aveva comportamenti molesti; in questo decennio è considerato normale che il 20 gennaio del 2020, subito dopo aver giurato, il Presidente Biden firmi come prima cosa un’ordinanza esecutiva non per dire che chi ha un utero deve poter abortire se ritiene di farlo, ma per dire che chi ha un pene che però percepisce vagina deve poter utilizzare gli spogliatoi femminili nelle scuole pubbliche.
Clarence Thomas – ve lo dico casomai, come Lilli Gruber l’altra sera quando ha letto l’agenzia che riportava una sua dichiarazione, leggeste il suo nome col tono di chi non l’abbia mai sentito e si chieda se sia un personaggio di Mandalorian – è professionalmente contrario all’applicabilità di Roe v. Wade all’aborto da trent’anni: la prima volta che mise a verbale il proprio dissenso fu in una sentenza del 1992. È una personcina dalle idee progredite che tre anni fa paragonò la contraccezione all’eugenetica, e secondo la quale gli unici diritti garantiti dalla Costituzione sono quelli che erano riconosciuti quando venne ratificata la Carta dei Diritti (cioè: nel 1869).
Insomma: rivuole il tempo di quando sua moglie non aveva diritto di voto (il suffragio femminile negli Stati Uniti esiste dal 1920).
Desiderio che peraltro lo accomuna a molta sinistra americana, giacché la moglie di Thomas mandava messaggi al capo dello staff di Trump incitandolo a non accettare il risultato delle elezioni e a organizzare una rivolta e insomma sarebbe tra le responsabili morali dell’assalto a Capitol Hill – ma non vorrei chiudere troppi cerchi rispetto alle colpe delle costituzioni né diventare di quelle per cui le colpe dei coniugi sono in comunione dei beni. Facciamo già troppe eccezioni alle nostre convinzioni, con gli impresentabili: sui social si portano molto gli insulti razzisti a Thomas, perché se sei nero e di destra i miei neuroni semplicisti non possono farsi una ragione del fatto che sia tuo diritto esistere.
Come in tutte le circostanze che generano isteria, è molto complicato capire cosa sia realistico e cosa sia paranoico, nelle previsioni delle conseguenze di questa decisione. I social – e i giornali che ne riportano le analisi senza alcuno spirito critico – non aiutano: se una tesi viene ripetuta cento volte è perché è fondata o solo perché nessuno l’ha verificata?
Davvero bisogna cancellare le app che tengono traccia dei giorni del ciclo, altrimenti qualche esponente di qualche Stato antiabortista potrebbe accorgersi che a un certo punto non ti venivano le mestruazioni ma non hai mai partorito e incriminarti per aborto clandestino o oltre confine? È un pericolo reale o è come quei picchiatelli convinti che scaricando Immuni sarebbe arrivato qualcuno a prendere nonna infetta per portarla in un lager alla Martesana?
Tutte quelle che scrivono che ora facciamo Lisistrata, ora fine della sessualità, ora voi uomini la patonza ve la scordate, perché noi senza aborto ci ritiriamo dal settore della lussuria, tutte queste militanti di buona volontà perché parlano come se i contraccettivi non esistessero? Ha senso un dibattito sull’aborto che affronta la questione come se la contraccezione fosse ferma a cent’anni fa e Thomas non avesse poi tutti i torti a rimarcare che la Carta dei Diritti non la prevedeva?
Alexandria Ocasio-Cortez, che chiede a Biden di costruire con fondi pubblici cliniche per l’aborto su territorio federale, non ce l’ha un assistente che le dica all’orecchio onorevole, esiste l’emendamento Hyde, è vietato usare fondi federali per l’aborto? O è che l’eccezione all’emendamento Hyde (stupro e incesto) rappresenta una percentuale infinitesimale nella realtà ma enorme nel dibattito: il gran ricatto di noialtri pro-choice è «E allora come la mettiamo con le bambine stuprate», mica evochiamo mai le trentenni che la danno in giro senza precauzioni.
Insomma, è un gran casino, e temo abbia ragione Jamelle Bouie quando scrive sul NYT che il Congresso avrebbe tutti gli strumenti per ridimensionare i poteri della Corte Suprema, ma non li userà perché ai democratici non va per niente di andare a impantanarsi sull’aborto: è pur sempre una cosa che secondo alcuni uccide bambini, e non è affatto detto che quegli alcuni non ci votino.
Non ho ancora letto da nessuna parte una spiegazione convincente di come possa mai, chiacchiere a parte, il cattolico Joe Biden essere a favore della libertà di scelta. Sì, lo so che viviamo nell’epoca in cui trasecoliamo che i cattolici siano cattolici e che il Papa non sia abortista; ma forse toccherà a noialtri recuperare lucidità e spiegarlo agli americani: a noialtri che abbiamo avuto parecchie occasioni per capire che i cattolici, anche se di sinistra, sono innanzitutto cattolici.
Corte Suprema, ora Ocasio-Cortez dà istruzioni su come abortire. Roberto Vivaldelli su Inside Over il 28 giugno 2022.
La decisione della Corte Suprema Usa di cancellare la sentenza Roe vs Wade, che dal 1973 garantisce su scala federale la facoltà per le donne incinte di praticare l’aborto, ha scatenato la durissima reazione dei progressisti: dall’ex presidente Barack Obama a Hillary Clinton, passando per Planned Parenthood e MoveOn, tutta la galassia dem si è mobilitata. Nel mirino dei liberal sono finiti soprattutto i sei giudici conservatori che hanno votato a favore dell’abolizione della storica sentenza e, in particolare, quelli nominati dall’ex presidente Donald Trump: Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh ed Amy Coney Barrett. La beniamina dei liberal, Alexandria Ocasio-Cortez, è andata oltre, raccontando a un evento sul diritto all’aborto tenutosi venerdì scorso una storia personale incentrata su un’aggressione sessuale subita quando aveva 22 anni e spiegando ai suoi milioni di “follower” come abortire negli stati a guida repubblicana.
Alexandria Ocasio-Cortez all’attacco
La giovane deputata racconta un terribile episodio della sua vita che non era noto al grande pubblico. “Io stessa, quando avevo circa 22 o 23 anni, sono stata violentata mentre vivevo qui a New York City”, ha raccontato all’evento tenutosi presso il City Union Square Park di New York. “Ero completamente sola. Mi sentivo completamente sola. In effetti, mi sentivo così sola che ho dovuto fare un test di gravidanza in un bagno pubblico nel centro di Manhattan. Quando mi sono seduta lì, ad aspettare quale sarebbe stato il risultato, tutto ciò che potevo pensare era: grazie a Dio che ho almeno una scelta”, ha continuato. “Grazie a Dio potevo, almeno, avere la libertà di scegliere il mio destino”. Ha aggiunto: “Allora non sapevo, mentre stavo aspettando, che il risultato sarebbe stato negativo”. La deputata ha lanciato il guanto di sfida ai conservatori: “Dobbiamo iniziare subito a essere implacabili per ripristinare e garantire tutti i nostri diritti qui negli Stati Uniti d’America”, ha esortato durante il suo discorso di venerdì.
“Qui potete abortire”
Fin qui, nulla da eccepire, anzi: massimo rispetto e solidarietà per quello che AOC ha dovuto passare. Il problema arriva dopo, quando Ocasio-Cortez ha voluto spiegare ai suoi seguaci, questa volta sui social, come abortire e “aggirare” così le leggi in vigore negli stati repubblicani: un vero e proprio vademecum che spiega alle donne come abortire, anche se abitano negli stati dove l’aborto è vietato (al momento sono sette, tutti a guida repubblicana). “Io vivo in Texas e ho visto che posso ordinare la pillola online. È sicura”? chiede una follower, riferendosi alla pillola abortiva. “Sì, il mifepristone è un modo sicuro per interrompere una gravidanza prima delle 11 settimane” spiega la deputata, linkando anche il sito planpilss.org dove è possibile richiedere e ordinare la RU-486. Giusto per mettere un po’ di benzina sul fuoco, Ocasio Cortez accusa poi i movimenti pro vita americani di essere “violenti” e di avere una lunga serie di aggressioni alle spalle.
La deputata parla di omicidi, assalti, operazioni di stalking, “cresciuti solo nel 2021 del 128%”. E afferma: “I repubblicani impazziranno quando vedranno la condivisione di queste informazioni”, contribuendo così a infiammare la guerra culturale negli Usa.
E agita lo spettro dell’impeachment
Si può essere o meno d’accordo con la sentenza della Corte Suprema, ma l’atteggiamento della beniamina dei liberal sembra essere tutt’altro che politicamente responsabile. Massimo rispetto e solidarietà per quello che ha subito da giovane, ma dovrebbe ricordare ai suoi giovani follower che abortire, comunque la si pensi, non è certo una passeggiata di salute, in nessun caso. È una scelta drammatica, devastante per ogni donna, che non può essere presa a cuor leggero dopo aver letto un post su Instagram di una giovane politica che vive in maniera ossessiva e quasi ansiogena la popolarità sui social network. Irresponsabilità che si denota anche quando la stessa deputata agita lo spetto dell’impeachment contro i giudici della Corte Suprema solo perché questi ultimi hanno preso una decisione che a lei non piace, passando la palla ai singoli stati.
“Hanno mentito”, ha accusato AOC durante un’intervista rilasciata alla Nbc, aggiungendo che “devono esserci conseguenze per azioni profondamente destabilizzante e una presa di potere ostile delle nostre istituzioni democratiche”. Se queste parole, tutt’altro che accomodanti, le avesse pronunciate Donald Trump, sarebbe stato messo lui stesso sotto impeachment, per l’ennesima volta. Ma poiché a pronunciarle è la paladina dei “diritti” e delle copertine patinate più trendy, allora tutto è consentito.
Arrestata Ocasio Cortez: manifestava a favore dell’aborto. Giuseppe Sarcina, corrispondente da Washington, su Il Corriere della Sera il 19 Luglio 2022.
La parlamentare democratica è stata fermata assieme ad altre 34 persone, tra cui 17 deputate. L’iniziativa di «disobbedienza civile» contro la recente sentenza della Corte Suprema Usa.
La poliziotta ripete l’avvertimento per tre volte: «La vostra è una manifestazione non autorizzata; state bloccando la viabilità, spostatevi o verrete arrestate». L’idea non è dispiaciuta a 17 parlamentari democratiche, tra le quali Alexandria Ocasio-Cortez . Erano alla testa di un piccolo corteo diretto verso l’edificio della Corte Suprema degli Stati Uniti. Una manifestazione contro la decisione che il 24 giugno scorso ha cancellato la sentenza Roe v.Wade e quindi la tutela del diritto di scelta garantito a tutte le donne americane dal 1973.
Una una scossa alla politica americana. Ma la maggioranza democratica che controlla i due rami del Congresso non è in grado di rimediare con una legge. Non ci sono i numeri per scardinare l’ostruzionismo repubblicano al Senato. L’ala più radicale del partito, allora, ha deciso di dare visibilità alla protesta, fino ad arrivare alla provocazione. Ad animare l’iniziativa c’erano le quattro star della cosiddetta «Squad», la Squadra. Oltre a Ocasio-Cortez, ecco Ilhan Omar, Ayanna Pressley e Rashida Tlaib. Nel gruppo anche deputate di lungo corso, come la californiana Jackie Speier. Sono uscite a metà pomeriggio da Capitol Hill, marciando e gridando slogan con le attiviste: «Noi non ci tireremo indietro».
La polizia le ha seguite con discrezione, fino a quando il gruppone non si è fermato in un incrocio critico sul versante che porta alla Stazione. Ma dopo il richiamo a spostarsi, diverse manifestanti si sono sedute sull’asfalto. A quel punto sono scattati gli arresti. Al posto delle manette metalliche, sono state usate le fascette di plastica. Le immagini mostrano Ocasio-Cortez che saluta con il pugno chiuso, prima di essere bloccata con le mani dietro la schiena. Dovrebbero essere trattenute per poche ore. Prima di essere rilasciate, saranno però multate.
Usa, Alexandria Ocasio Cortez e altre 16 parlamentari democratiche arrestate durante protesta per l'aborto. La manifestazione era una delle tante iniziative in difesa del diritto costituzionale all'interruzione di gravidanza, negato dalla Corte suprema. La Repubblica il 20 Luglio 2022.
Diciassette parlamentari democratiche, fra le quali Alexandria Ocasio-Cortez e Ilhan Omar, sono state arrestate nel corso di una manifestazione in favore dell'aborto a Washington, non lontano dalla Corte suprema e da Capitol Hill.
"Abbiamo arrestato un totale di 35 persone, tra le quali 17 componenti del Congresso" perché dopo che era stato loro intimato tre volte di disperdersi "si sono rifiutate di sgomberare la strada", ha riferito la polizia.
Ilhan Omar, come Ocasio-Cortez esponente dell'ala radicale del Partito democratico, ha scritto sui social di essere stata fermata durante "un'azione di disobbedienza civile". "Farò tutto quello che posso per suonare l'allarme sull'attacco ai nostri diritti riproduttivi", ha aggiunto.
Ocasio-Cortez ha postato un video in cui si vede un poliziotto che la fa allontanare dalla strada di fronte alla Corte suprema. La stessa strada in cui decine di migliaia di persone si erano radunate nelle ore e nei giorni immediatamente successivi alla sentenza con cui il 24 giugno la Corte suprema statunitense ha negato il diritto costituzionale all'interruzione di gravidanza rimandando ai singoli Stati la regolamentazione della materia. Una decisione che ha scatenato uno scontro politico di grande portata, nei palazzi del potere e nelle piazze.
In questa situazione l'amministrazione Biden sta valutando di dichiarare un'emergenza sanitaria "limitata" per difendere l'aborto e in particolare l'accesso alle pillole abortive.
Aborto negli Usa: la battaglia si sposta negli Stati. Simona Iacobellis su Inside Over il 28 giugno 2022.
Dopo la decisione della Corte Suprema di annullare la sentenza Roe v. Wade, eliminando così il diritto all‘aborto a livello nazionale, i singoli Stati si sono armati per una battaglia a suon di leggi e cause legali. Da un lato i conservatori, che coinvolgono circa metà degli Stati, intenti a minare la libertà di aborto; dall’altro i liberali, pronti a contrastarli per preservare i diritti riproduttivi.
I sostenitori dei diritti all’aborto si sono scatenati in vari Stati, come Texas, Louisiana, Mississippi. I casi più interessanti sono quelli della Louisiana e dello Utah: lunedì i giudici hanno temporaneamente bloccato l’applicazione di leggi che avrebbero vietato l’aborto. La strategia per preservare i diritti in questione prevede la richiesta ai tribunali di ingiunzioni temporanee che diano la possibilità di praticare l’aborto nel breve termine.
Ma facciamo un passo indietro. Negli anni passati, in tredici Stati americani, tra cui i due appena citati, erano state approvate le cosiddette “trigger laws”. Si trattava di leggi che sarebbero entrate in scena proprio nel preciso istante in cui la Corte Suprema avesse preso l’azzardata decisione di eliminare il diritto all’aborto, vietandone quindi la pratica negli Stati che avevano aderito. Ed è ciò che è accaduto lo scorso venerdì. In molti di questi Stati le leggi sono così rigide da vietare l’aborto anche in caso di stupro o incesto. Per qualche Stato, l’eliminazione del diritto costituzionale ha addirittura riesumato leggi antiabortiste dei primi del Novecento, definite “zombie laws”.
La repentina applicazione delle “trigger laws” ha dato il via a battaglie legali per bloccarle. Il giudice Andrew Stone, del terzo distretto congressuale dello Stato dello Utah, ha accolto una richiesta presentata dall’organizzazione Planned Parenthood, sospendendo temporaneamente l’entrata in vigore di una legge per criminalizzare l’aborto. Il tribunale è riuscito a bloccare la legge per soli quattordici giorni, attendendo le argomentazioni delle parti. In questo breve periodo gli aborti possono essere temporaneamente praticati. Anche in Louisiana gli aborti saranno possibili nell’attesa di una sentenza, prevista per l’8 luglio.
“La sentenza della Corte Suprema è stata devastante e terrificante per i nostri pazienti e operatori sanitari, ma almeno per ora, gli Utah saranno in grado di ottenere le cure di cui hanno bisogno”, ha dichiarato Karrie Galloway, presidente della Planned Parenthood Association of Utah. “Oggi è una vittoria, ma è solo il primo passo di quella che sarà senza dubbio una lotta lunga e difficile”.
Un altro caso degno di menzione è quello della California. La super maggioranza, consistente nei due terzi dell’Assemblea dei legislatori statali (di cui molti democratici), ha approvato un emendamento costituzionale per proteggere il diritto all’aborto, nel tentativo di modificare la Costituzione dello Stato e rendere permanenti i diritti. L’emendamento verrà sottoposto al giudizio dei cittadini durante le votazioni di novembre per il rinnovo del Congresso. Gli elettori potranno così esporsi sui diritti alla contraccezione e all’aborto, senza che il diritto sia più basato sulla privacy. Toni Atkins, presidente pro tempore del Senato, ha spiegato che il testo stabilisce “in modo innegabilmente chiaro che in California l’aborto e la contraccezione sono una questione privata tra il paziente e il medico”, proteggendo anche da eventuali denunce donne e medici.
L’iniziativa elettorale prevede che lo Stato “non neghi o interferisca con la libertà riproduttiva di un individuo nelle sue decisioni più intime, che includono il suo diritto fondamentale di scegliere di abortire e il suo diritto fondamentale di scegliere o rifiutare i contraccettivi”.
I sostenitori invece…
La lotta ha preso piede anche in quegli Stati che cercano di vietare l’aborto. In Mississippi, ad esempio, il procuratore generale ha riconosciuto ufficialmente la sentenza della Corte Suprema, dando un margine di tempo di dieci giorni, trascorsi i quali quasi tutti gli aborti saranno vietati.
In Indiana, invece, il procuratore generale ha chiesto ai tribunali di approvare diverse leggi, tra cui quella che vieta gli aborti per motivi di razza, sesso o disabilità. Il procuratore Todd Rokita ha dichiarato: “Credo nella costruzione di una cultura della vita in Indiana. Questo significa proteggere la vita dei bambini non ancora nati e salvaguardare il benessere fisico, mentale ed emotivo delle loro madri”.
Nella giornata di lunedì i procuratori generali di ventuno Stati, tra cui New Messico, Nord Carolina e Minnesota, e del Distretto di Columbia hanno rilasciato una dichiarazione congiunta che mirava a rassicurare le pazienti che si trovavano fuori dallo Stato, assicurando che avrebbero protetto il loro accesso all’aborto. È infatti previsto un maggior numero di pazienti provenienti dagli Stati vicini che vietano la pratica. La dichiarazione congiunta è stata una risposta alla richiesta al Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti di altri diciannove Stati, tra cui Florida, Ohio e Texas, di proteggere le organizzazioni anti-aborto dalla violenza.
Nel Sud Carolina un giudice federale si sta impegnando per far rispettare la sua legge, che vieta l’aborto dal momento in cui viene rilevato un battito cardiaco fetale. L’aborto è previsto solo in casi di stupro o incesto, a patto che il feto non abbia più di venti settimane, e nei casi in cui sia l’unico modo per salvare la vita della madre.
I divieti statali avviati da legislatori conservatori, come in Ohio dove l’aborto è stato vietato dopo sei settimane di gravidanza, sono stati contestati da città liberali come Cincinnati, che sta prendendo provvedimenti per cambiare il piano sanitario della città e rimborsare i viaggi per motivi legati all’aborto. E come ha twittato il sindaco Aftab Pureval, “non è mio compito rendere più facile per il legislatore e il governatore dello Stato trascinare le donne indietro negli anni Cinquanta e privarle dei loro diritti. Il mio compito è quello di renderlo più difficile”.
Le sfide giudiziarie ai divieti di aborto si sono poi focalizzate sulle costituzioni statali, soprattutto quelle in cui è incorporato il diritto alla privacy, come ad esempio in Arizona, California e Louisiana.
Nel ventunesimo secolo, solo Stati Uniti, Polonia e Nicaragua sono stati in grado di emanare leggi più restrittive degli altri paesi. Questo punto appena raggiunto, però, non può essere definito d’arrivo, poiché presumibilmente mette le basi per possibili ulteriori limitazioni di altri diritti, tra cui la protezione delle minoranze razziali ed etniche.
Come ha affermato Adam Serwer dell’Atlantic, “la Corte Suprema è diventata un’istituzione il cui ruolo principale è quello di imporre una visione di destra della società americana al resto del Paese”. Il punto, ora, è capire fin dove si spingerà.
Da billboard.it il 28 giugno 2022.
Madonna si è divertita molto a festeggiare il New York Pride lo scorso giovedì 23 giugno. Ma è rimasta inorridita il giorno dopo, quando ha visto la notizia che la Corte Suprema degli Stati Uniti aveva annullato la sentenza Roe v. Wade.
«Mi sono svegliata con la terrificante notizia che la Roe v Wade è stata ribaltata e che la legislazione ha deciso che non abbiamo più diritti come donne sui nostri corpi». Questo quanto ha scritto l’icona pop in un post su Instagram domenica 26 giugno con alcune foto condivise. «Questa decisione ha gettato me e ogni altra donna in questo Paese in una profonda disperazione».
Madonna ha proseguito «ora la Corte Suprema ha deciso che i diritti delle donne non sono più diritti costituzionali. In realtà abbiamo meno diritti di una pistola».
«Ho paura per le mie figlie» ha detto la star. «Ho paura per tutte le donne d’America. Sono veramente spaventata».
«Credo che Dio abbia messo questo sulle nostre spalle proprio ora perché sapeva che eravamo abbastanza forti da sopportare il peso» ha scritto Madonna. «Abbastanza forti da lottare! Abbastanza forti da superare. E così noi supereremo! Troveremo un modo per far diventare legge federale la protezione dei diritti all’aborto! Signore siete pronte a combattere?».
Madonna fa parte di una lista di innumerevoli artisti che da venerdì hanno espresso sui social media la loro opinione sulla preoccupante decisione della Corte Suprema. Durante vari concerti, musicisti come Olivia Rodrigo, Megan Thee Stallion, Phoebe Bridgers, Billie Joe Armstrong e Billie Eilish si sono rivolti al pubblico nel fine settimana. Olivia Rodrigo ha dedicato il brano di Lily Allen F**k You alla Corte Suprema, mentre Billie Joe Armstrong ha dichiarato di voler rinunciare alla cittadinanza statunitense.
C’è una chiesa in Texas che aiuta le donne che vogliono abortire. La “First Unitarian Church of Dallas” opera nello stato più conservatore degli Usa. Nel 73 è stata all’origine della celebre Roe vs Wade, oggi torna in prima linea. Daniele Zaccaria su Il Dubbio il 29 giugno 2022.
Uno pensa alle comunità religiose negli Stati Uniti e si immagina subito i cortei di fanatici pro life, le crociate contro i diritti civili, il fondamentalismo veterotestamentario delle chiese evangeliche con i loro accoliti born again Christian, il cuore pulsante della Bible belt che ancora oggi sembra incompatibile con i principi della laicità e della separazione tra Stato e religione, tra leggi terrene e valori trascendenti. E, naturalmente, pensa al lungo sodalizio con la destra politica che da Ronald Reagan a Donald Trump, passando per Bush padre e figlio, ha concesso loro visibilità e una grande influenza sulle questioni di società.
Se la Corte suprema ha deciso di abolire la Roe vs Wade calando un mantello proibizionista sulla libertà di abortire è perché ha piena cognizione di questa spinta popolare che forse non rappresenta la maggioranza cittadini statunitensi ma che legittima la brutale guerra ai diritti civili sferrata dai giudici conservatori. Giù sono pronte in tal senso le offensive contro la contraccezione e i matrimoni tra persone dello stesso sesso annunciate in un’intervista dal giudice Clarence Thomas. Ma i cristiani d’oltreoceano non sono certo tutti degli integralisti violenti e dei nemici delle libertà individuali. Questo anche a livello di confraternite.
Prendiamo, per esempio, la First Unitarian Church of Dallas che opera nello Stato senza dubbio più conservatore dell’Unione, storica roccaforte del partito repubblicano: il Texas. Da anni i suoi volontari aiutano materialmente le donne che non possono interrompere la gravidanza a causa delle leggi ultrarestrittive, spesso accompagnandole in altri Stati come il New Mexico. Lo fanno da oltre quarant’ anni, e non è un caso che la First Unitarian Church of Dallas sia all’origine della Roe vs Wade, avendo rappresentato nel 1973 i diritti di Jane Roe (il vero nome era Norma Leah McCorvey) nel suo ricorso all’alta Corte che poi diede luogo alla storica sentenza. Da qualche anno erano attivissimo nella rete Clergy Consultation Service on Abortion, fondata a New York nel 1967 dai pastori protestanti metodisti di Washington square e un gruppo di rabbini di cultura liberal. Una strana creatura, figlia della travolgente stagione dei diritti che ha squadernato la società americana anche nella variegata galassia religiosa partorendo sorprendenti sincretismi. Come il Religious Coalition for Reproductive Choice nato all’inizio degli anni 70 : «Cristo è vicino alle persone vulnerabili, in particolare agli emarginati dal sistema e dalle ineguaglianze, Cristo non è un giudice», spiega l’attuale direttrice Katey Zeh, pastora battista.
Per gli adepti della First Unitarian Church, che si ispira apertamente all’ “universalismo unitario” e appartiene a una congregazione fondata in Canada, il diritto di scelta della donna prevale sui moniti della Bibbia che considera l’aborto un omicidio, ma anche sui dilemmi etici che ne derivano, in quanto la donna è la prima vittima di un aborto e sarebbe assurdo paragonarla a un’assassina. Inoltre la possibilità di interrompere la gravidanza in sicurezza evita il barbaro mercato nero degli aborti clandestini una piaga che combatte dalla fine degli anni 60. Antiproibizionista e ovviamente contraria alla pena di morte.
È soprattutto una chiesa sociale, molto presente sul territorio, che offre assistenza concreta a tutti, che spesso sostituisce il welfare minimalista statunitense, fornendo ricoveri e cibo ai senza tetto, occasioni di lavoro ai disoccupati e, appunto, aiuto legale e sanitario alle donne delle classi popolari, quasi tutte afroamericane o ispaniche, molte di loro vittime di violenza sessuale. Riescono a farlo da decenni grazie a una fitta rete di donatori pro choice di diversa estrazione religiosa, l’unico requisito per ottenere servizi è essere al di sotto della soglia di povertà. «Noi facilitiamo solamente l’accesso a strutture mediche sicure a donne in gravi difficoltà, non incoraggiamo nessuno ad abortire e non facciamo propaganda, si tratta di una scelta individuale che appartiene solo alla donna», spiega il reverendo Daniel Kanter Senior minister della First Unitarian Church in un’intervista alla britannica Bbc. Venerdì notte, poche ore dopo la sentenza della Corte suprema centinaia di fedeli si sono riuniti a Dallas per pregare e per «trovare la forza di continuare la missione anche se nel prossimo futuro molti Stati vieteranno il diritto ad abortire o lo renderanno impossibile», racconta Kanter.
Ma l’attivismo della First Unitarian Church e la rete di cui fa parte rappresentano solo un piccolo segmento dei cristiani americani, in larga parte ostili ai diritti civili e alla separazione tra Stato e Chiesa. Secondo un recente sondaggio realizzato dal Pew Review Center tre protestanti bianchi su quattro considerano l’aborto un omicidio “in ogni caso” e vorrebbero che fosse illegale in tutto il territorio federale. Ma queste cifre cambiano in modo notevole se consideriamo i protestanti afroamericani (una comunità molto più colpita dal dramma delle gravidanze in giovanissima età) le proporzioni si ribaltano e persino tra i bianchi non evangelici la maggioranza è favorevole alla legge che autorizza l’interruzione di gravidanza.
Spot vs. messa. Note paradossali per quelli che festeggiano la sentenza americana sull’aborto. Iuri Maria Prado su L'Inkiesta il 27 Giugno 2022.La scelta dei giudici di Washington potrebbe contaminare campi contigui della moralità in decadenza, tra insegnamento bacchettone della Chiesa e pubblicità morbose in televisione (ma meglio di no!)
Siccome c’è caso che non si capisca immediatamente, chiarisco: sto scherzando.
Tanto premesso, così il direttore è tranquillo, dico che l’aria fresca che vien dagli Stati Uniti, quella che secondo l’immagine di qualche cristiano nazionale contribuirà qui da noi a far pulizia dell’impunitismo in materia di aborto, e che secondo l’antiabortismo cavilloso spira da un innocuo ripristino dell’originaria giuridicità nordamericana, potrebbe favorevolmente contaminare campi contigui della moralità in decadenza.
Mi riferisco al fenomeno, ormai quotidianamente pervasivo, degli spot pubblicitari – dal prodotto per spolverare casa allo strumento assicurativo, dal dessert al viaggio organizzato – che rammostrano, a volte persino in atteggiamenti d’intimità, coppie omosessuali. Si tratta di un pernicioso tentativo di delegittimazione della famiglia naturale, e della promozione di un modello sociale, di convivenza e delle relazioni personali che urta in modo plateale le fondamenta della civiltà cattolica. L’insegnamento della Chiesa, secondo cui l’omosessualità rappresenta alternativamente o cumulativamente una manifestazione morbosa o un segnale di grave disordine morale, e in ogni caso una degradazione peccaminosa meritevole di sanzione e correzione, è esposto a un gravissimo pericolo di diluizione se non è impugnato da chi di dovere per denunciare l’intollerabilità di questo andazzo di perversione.
Deve essere posto rimedio al disorientamento dei figli d’Italia, esposti in modo contraddittorio al messaggio parrocchiale che illustra i tratti patologici dell’omosessualità e a quello maleficamente suadente della pubblicità che invece la equipara al modello legittimo dell’accoppiamento. E a porvi rimedio deve essere la Chiesa in un ritrovato senso apostolare che la smetta una buona volta di esercitarsi nella ridotta della messa senza quorum e nelle ritualità stanche delle feste obbligate. Se pure fosse una battaglia perduta, la Chiesa dovrebbe intervenire con il vigore che a essa non manca per riaffermare in modo più netto, e ovunque abbia modo di farsi sentire, che la famiglia, cellula connettiva della nostra comunità valoriale, trova nella legittimazione pubblicitaria della patologia omosessuale il più grave motivo di affronto e la più efficiente causa di disgregazione.
Chi educa i propri figli all’insegnamento cattolico ha il diritto di pretendere che la Chiesa non si vergogni nel reclamare ciò su cui fa dottrina: e cioè la necessità di proteggere la società dal peccato e dalla turba omosessuale. E se il maligno è tanto ficcante da essersi insinuato nella réclame dei surgelati e delle offerte telefoniche, ebbene è anche da lì, o forse soprattutto da lì, che bisogna cominciare. E chissà, appunto, che la notizia statunitense non aiuti. Un po’ d’aria fresca a spazzar via la mistificazione mercatista, e finalmente un po’ di verità sul fatto che la donna che abortisce è un’assassina e il frocio è un malato.
E a questo punto tocca il P.S. per ripetere che no, non penso che gli omosessuali siano malati e non penso che le pubblicità con le coppie omosessuali attentino alla sacralità della famiglia fondata sul matrimonio. Così l’articolo è rovinato ma Rocca torna tranquillo.
Libertà va raschiando. Confessioni di un’abortista che si è stancata della narrazione dolente dell’aborto. Guia Soncini su L'Inkiesta il 29 Giugno 2022.
Gli editoriali sui quotidiani, la paura delle riviste femminili e un’intervista di Marina Abramovic sulle sue tre interruzioni di gravidanza. Gli appunti di un maschio mancato che ama il conflitto e della sua recente infedeltà pubblicistica all’ideologia del raschiamento
Niente racconta la mia parabola ideologica – dalla giovinezza alla pigrizia – come le (mie) reazioni alla pubblicistica sull’aborto. Oddio, «giovinezza»: all’altezza del primo aneddoto avevo trentasei anni.
Nell’autunno del 2008 smisi sdegnata di scrivere per un quotidiano col quale avevo iniziato da pochissimo a collaborare perché pubblicarono un articolo che esprimeva dei dubbi verso la libertà d’abortire. Un articolo altrui. Ero così invasata rispetto all’ideologia del raschiamento che m’importava perfino degli articoli altrui.
Nell’estate del 2016 avevo quarantatré anni, e Marina Abramović dichiarò d’aver abortito tre volte. Giacché, trascrivo dai miei appunti d’epoca, l’arte è una questione totalizzante e non lascia il tempo di cambiare i pannolini. Avevo una rubrica su un femminile – ho avuto rubriche sui giornali femminili per la più parte della mia vita lavorativa – e commentai quest’episodio.
Nel pezzo che inviai, all’inizio di agosto, a una vicedirettrice che voleva solo chiudere le pagine e andare al mare, c’era scritto: «Marina Abramović ha 68 anni e, in un’intervista a un giornale tedesco, ha detto di aver abortito tre volte (un numero abbastanza normale, in un’intera vita riproduttiva)».
A questo punto dobbiamo mettere in pausa l’illuminazione sul mio rammollimento ideologico per dare spazio a un’illuminazione sul perché le donne guadagnino meno degli uomini. Sì, il patriarcato, il lavoro di cura gratuito, le gravidanze, la rava, la fava: tutte ragioni minoritarie. Principalmente, le donne guadagnano meno perché sono terrorizzate dal conflitto.
Lo sa chiunque abbia avuto a che fare con le riviste femminili, scritte da donne, redatte da donne, dirette da donne; da donne che hanno figli o non ne hanno, si vestono bene o male, sanno l’italiano o più spesso non lo sanno, ma tutte inderogabilmente hanno una cosa in comune: paura della loro ombra.
Ho avuto parecchie direttrici e parecchie vicedirettrici, e tutte quando intravedevano il rischio del conflitto – conflitto rappresentato anche solo da una mail di protesta – ne erano terrorizzate (per fortuna i femminili tendenzialmente non fanno scoop, altrimenti alla prima smentita ci sarebbero attacchi di panico nelle redazioni); ma, poiché avevano paura della loro stessa ombra, il loro terrore non si limitava al conflitto col pubblico, ma anche a quello con la collaboratrice cui dovevano dire «questo lo tagli sennò le lettrici chi le sente». La soluzione era sempre un piano più su. Se parlavi con la vicedirettrice, ti diceva che lei te l’avrebbe lasciato scrivere, ma sai com’è la direttrice. Se a dirti di no era la direttrice, spiegava che fosse stato per lei liberissima, ma l’editore non vuole. Può gente che non sa dire a una collaboratrice di non rompere i coglioni saper ottenere un aumento?
L’estate del 2016 non fece eccezione. La vicedirettrice mi disse che le redattrici le avevano chiesto di farmi tagliare quella parentesi perché «sono tutte madri». Siccome le redattrici hanno dei figli, tu non puoi scrivere nella tua rubrica che abortire tre volte in una vita è normale. Da qualche parte i trattati di logica stavano piangendo.
Ne seguì un carteggio che, sei estati dopo, ho riletto strozzandomi dal ridere. Seguono stralci.
Soncini: «Di adulte che non abbiano abortito due o tre volte conosco solo cielline e lesbiche».
Vicedirettrice: «Che lo dica lei è un fatto, che lo avalliamo noi-tu è troppo».
Soncini: «“Dovete lasciarci l’aborto perché fa schifo anche a noi e lo useremo con moderazione”, l’aborto legale come i 70 grammi di pasta integrale, dai».
Vicedirettrice: «Le nostre lettrici non sono così avanti. E non ho tempo di rispondere a una valanga di lettere di protesta».
Soncini: «Prima o poi toccherà svelarti una sconvolgente verità, cioè che se non ti arrivano lettere di protesta vuol dire che non scrivi niente d’interessante e che nessuno ti legge».
A quel punto i social esistevano da quasi un decennio, tutti avevano la mail sul telefono, tutti smaniavano per notificarti la loro opinione, e valeva quel che vale adesso: se nessuno si offende, nessuno ti ha letto. Non sono mai riuscita a farlo capire a nessuna direttrice di femminile con cui abbia collaborato, e infatti sono andati tutti in rovina: hanno scambiato il silenzio per assenso invece che per disinteresse per giornali fatti con accurata assenza di personalità.
Ma non è di loro che stavamo parlando, bensì di me. Di me che a un certo punto di questo carteggio ho pensato che non me ne fregava più abbastanza dell’aborto da sbattermi a difendere l’esistenza di quella parentesi in un articolo che cominciava così: «Una volta Simone de Beauvoir, all’insinuazione che scrivesse libri perché non era riuscita ad avere figli, rispose con un’ovvietà: non sarà che fate dei figli perché non siete capaci di scriver dei libri? […] Simone de Beauvoir è morta nel 1986: ha quindi vissuto in quel lussuoso secolo in cui, se un’intellettuale diceva qualcosa sul mondo, poi al massimo doveva risponderne ad altri intellettuali, non a chiunque si annoi in ufficio e si metta a scrivere i propri pensierini su Facebook».
Della me quarantatreenne che pensò a quella povera crista in un open space periferico milanese invece che in coda per il mare, e disse ma sì, taglia la parentesi, senza neanche rompere troppo i coglioni sull’assurda idea d’affidare una rubrica d’opinione a qualcuna per poi sottoporre le sue opinioni a referendum confermativo redazionale (allora tanto valeva chiedere alle commentatrici di Facebook cosa ne pensassero).
Non stavamo parlando della sinistra italiana, che non si sbatte per migliorare la 194, una legge ostaggio d’una truffa quale l’obiezione di coscienza. Non stavamo parlando della sinistra americana, che non si sbatte per avere diritti sanitari (uno solo dei quali è quello all’aborto). Stavamo parlando di me – un maschio mancato al quale il conflitto è sempre piaciuto moltissimo – che molto prima della menopausa m’ero già stufata di dover litigare sull’aborto.
E di come passino quelle piccole vittorie che sono il racconto dolente dell’aborto, il racconto dell’aborto come eccezione, e tutto ciò che contribuisce a renderlo l’unico diritto della cui utilizzazione ci si scusa; insistendo implacabili per decenni, non tenendo conto d’obiezioni logiche o altro, col metodo che mia nonna attribuiva a me: tu la gente la pigli per stanchezza.
A Gilead, a Gilead! Anche sull’aborto noialtri intelligenti siamo molto stupidi. Guia Soncini su L'Inkiesta il 27 Giugno 2022
Pur pensando che essere incinte sia un’invalidità, e perfino dopo aver sbirciato un paio di talk show italiani sul tema, riesco ancora a capire che le donne americane che festeggiano la decisione della Corte Suprema non gioiscono perché viene negato loro un diritto, ma perché sono convinte che si metta fine a un crimine.
Riesco a immaginare solo un’invalidità più insopportabile, una tragedia più abissale, uno stato più atroce dell’essere incinta, ed è: essere incinta senza aver desiderato d’esserlo. È una delle ragioni per cui le sciatte militanti che in questi anni hanno scomodato Gilead per ogni fischio per strada sono imperdonabili: a che serve la potenza della letteratura che evoca donne incinte per imposizione se poi, quando arriva il momento in cui in alcuni degli Stati Uniti non si può più abortire per nessuna ragione, quei personaggi di fantasia non puoi più citarli perché “Il racconto dell’ancella” è consunto dalle similitudini a casaccio?
In cima alla pagina di The Cut, la sezione femminile del New York Magazine, c’è l’occhiello «Life after Roe», la vita dopo che la Corte Suprema ha deciso che la sentenza Roe vs. Wade non attiene all’aborto, non essendo l’aborto citato in una Costituzione scritta nel Settecento (ma tu pensa), e non tutelando quindi quella sentenza, come fin qui ritenuto, il diritto all’interruzione di gravidanza. Prima dell’articolo c’è un avviso. Fa così: abbiamo rimosso il paywall da questa e altre storie sulla possibilità di abortire. Certo che è importante dare informazioni sulle questioni urgenti (e se non lo è liberarti d’una gravidanza che non vuoi, non saprei che definizione dare di «urgenza»), ma magari un articolo che ti dice che non devi credere a TikTok, il bidet con la Coca Cola non fa abortire, dovremmo averlo superato a dodici anni, che è l’età alla quale leggevo le smentite di queste leggende su Cioè. Sto per compierne cinquanta, e la demolizione delle leggende abbiamo cominciato a chiamarla debunking, e non pensiamo si smetta d’averne bisogno dopo le scuole medie.
Lo so, questa cosa d’aver detto «sezione femminile» fa di me una retrograda. Anche le persone trans e non binarie possono aver bisogno d’un aborto, possono mestruare, possono amare: sono tali e quali a noi, noi normali. Ma cosa volete ne sappia io, che ogni volta che sento «non binario» ho il riempimento automatico di «triste e solitario».
Dunque è andata così: Barack Obama ha avuto una maggioranza mai vista e non l’ha usata per fare una legge federale che regolamentasse l’aborto; a seconda di chi siano tifosi, gli studiosi di leggi americane ti dicono che non l’ha fatto perché il precedente d’una sentenza che s’appoggia alla Costituzione è più forte d’una legge federale e non c’era ragione di pensare decadesse, o che non l’ha fatto come non ha fatto mille altre cose, tra cui i nuovi giudici della Corte Suprema. Le militanti strepitano perché Donald Trump ne ha fatti tre, e non s’accorgono mai mai mai che stanno dicendo: è stato più bravo. Chi vuol far vedere che ha spirito critico dice: eh, certo, è un po’ colpa di Ruth Bader Ginsburg che si sarebbe dovuta dimettere a Obama in forze, permettendogli di metterci un altro giudice abortista. Ma chi la doveva convincere a dimettersi, RBG, io? Se Obama fosse stato bravo a fare il presidente quanto a venire bene in foto, chissà dove saremmo.
L’altra sera alla tv italiana sono andati in onda quelli che mi sono sembrati i quaranta minuti di tv più incredibili di tutti i tempi, ma probabilmente è il livello medio dei talk show e sono io che non sono abituata a guardarli. A osservare senza neanche troppa attenzione, si vedeva in controluce la costruzione del disastro. Una puntata preparata con un parterre di ospiti televisivi abituali, di quelli ritenuti in grado di parlare di Ucraina e di PNRR, dell’afa e della pandemia. Poi, nel pomeriggio, la notizia: in America è saltato per aria il fragile escamotage su cui si basava la possibilità di abortire. Mica vorrai smontare il parterre. Aggiungiamo due donne, ché l’aborto è cosa di donne, due con utero e che sappiano anche quattro cose sul tema. Ma quaranta minuti cinque ospiti? Ma figuriamoci: alle due in quota competenza facciamo una domanda e poi le congediamo.
Quando la conduttrice, dopo averle fatte parlare trenta secondi l’una, manifestando una certa qual insofferenza per ventinove dei trenta secondi, dice «so che ci dovete lasciare», la regia si guarda bene dall’inquadrarle, acciocché non si veda il labiale «no veramente noi potremmo pure restare». Se inquadrassero le due che conoscono il tema mentre vengono congedate per proseguire la discussione sul tema con gente che di solito parla di scissione dei Cinque stelle, vedremmo probabilmente due emule di Valeria Parrella allo Strega, quando la congedarono per parlare di MeToo: «E lei ne vuole parlare con Augias? Auguri».
L’omaggio a quel grandissimo momento di televisione può quindi proseguire con gli abituali turnisti del circo, uno dei quali – d’un quotidiano di destra – dice delle cose ovvie per un conservatore ma le dice come le dicono le macchiette televisive italiane: risultando insopportabile. Perdipiù la conduttrice, che è in modalità in-quanto-donna e quindi deve dire che l’aborto è un diritto inalienabile, è così maldisposta nei suoi confronti che la regia non osa inquadrarlo, e quindi quello diventa una voce dall’indefinito del suo bravo collegamento mentre tengono fisso il primo piano della conduttrice che sbuffa. Quando ero giovane e fertile queste trasmissioni esistevano per diventare Blob, ora probabilmente per diventare meme.
La stessa sera, sulla Hbo andava in onda il talk migliore del mondo, quello di Bill Maher. Era ospite Andrew Sullivan, che esprimeva gli stessi concetti del conservatore italiano ma come li esprime uno alfabetizzato, e spiegava bene l’assurdità dell’Italia che si scalda sulla regolamentazione dell’aborto americano, pur senza nominarci mai.
La sinistra americana è scandalizzata perché i primi interventi di riduzione della possibilità di abortire (in Florida, per esempio) hanno abbassato il termine da sei mesi a meno di quattro (quindici settimane). Gli americani non sanno talmente mai niente che il primo che studia due schede da sussidiario su quel che accade fuori dagli Stati Uniti pare subito un genio. Sullivan (che è inglese, inserire qui la battuta di Hamilton sugli immigrati sui quali contare per un lavoro ben fatto) fa presente che in mezza Europa il termine è a dodici settimane (anche in Italia).
Una giornalista ospite interviene dicendo sì, ma lì hanno la sanità pubblica. Già, ragazza: qui in dodici settimane, non potendo per legge abortire nel privato, devi anche fare in tempo a trovare un non obiettore nel pubblico. Ha tentato di spiegarlo Chiara Lalli a Lilli Gruber, ma alla Gruber «Molise» sembrava meno chic di «Florida» e quindi l’ha interrotta come stesse andando fuori tema. (Dovendo scegliere un modello, suggerirei l’Inghilterra: sanità pubblica, e termine a sei mesi).
Ci sarebbe poi anche da parlare della questione «come osano parlarne gli uomini» o, come dicono quelli cui piace citare in inglese, «no uterus no opinion». La giornalista ospite da Bill Maher è lesbica: l’utero inutilizzato ha comunque diritto a opinioni? E, se pensi che quella che abortisce ammazzi qualcuno, non hai non solo il diritto ma forse pure il dovere d’intervenire, anche se un utero non ce l’hai?
Com’è possibile che da questo lato delle cose – quello in cui abortire pare non solo un diritto ma addirittura un dovere, e quella fuori legge dovrebbe essere la gravidanza portata a termine – non riusciamo ad avere argomentazioni adulte, e a capire che una questione etica che per qualcuno (anche per molti di quelli che cianciano di «dramma morale» sperando così diventi più accettabile) non è niente, e per altri è assassinio, non la risolvi fingendo che le donne siano tutte da questo lato della questione?
Certo che più o meno tutte le donne hanno l’handicap di rischiare di restare incinte a ogni rapporto sessuale per metà della loro vita, e che questa disgrazia richiederebbe una pensione d’invalidità universale, e che l’idea che se resti incinta tu debba tenertelo è distopica e inaccettabile per molte di noi. Ma ci sono pure quelle che pensano che farti aspirare un embrione o un feto sia un omicidio, e rispetto all’omicidio hanno problemi di coscienza: avere un utero non basta neanche ad avere tutte la stessa opinione sui diritti che abbiamo su quell’utero.
Com’è possibile che non capiamo che le donne americane che manifestavano felicità per la fine di Roe vs Wade non sono donne che gioiscono perché viene negato loro un diritto, sono donne convinte che si metta fine a un crimine? Com’è possibile che noialtri intelligenti siamo così stupidi?
Politica e Costituzione. Che cosa vuol dire la sentenza contro l’aborto per l’America (e per l’Italia). Cataldo Intrieri su L'Inkiesta il 25 Giugno 2022.
La decisione della Corte Suprema americana non riguarda solo il tema dell’autodeterminazione della donna, ma investe profili altrettanto delicati come l’equilibrio tra potere legislativo e intervento dei giudici
La Suprema Corte Federale degli Stati Uniti pone fine dopo mezzo secolo agli effetti di quella che era la sua pronuncia più famosa, la sentenza Roe v Wade con cui nel 1973 aveva ritenuto incostituzionale il divieto di abortire fino a quando il nascituro non avesse raggiunto una propria autonomia di vita ( 24/28 settimane).
La decisione (213 pagine di motivazione fittissima del tutto insolita per una cultura giuridica abituata a una tacitiana asciuttezza espressiva), ha scatenato durissime polemiche nonostante fosse stata anticipata da una bozza fatta circolare nel mese scorso che si è rivelata esatta.
Come buona abitudine, i commenti provengono da soggetti che palesemente non hanno letto una riga e in alcuni casi neanche hanno capito di che cosa esattamente si occupasse la sentenza.
Cominciamo col dire che la Corte non vieta l’aborto ma intervenendo sulla legislazione dello Stato del Mississippi si limita a dire che i vari Stati dell’Unione hanno diritto a porvi per via legislativa limiti e regolamentazione.
Questo è sembrato sufficiente a buona parte dell’opinione pubblica progressista per esprimere indignazione e spingere il presidente Joe Biden, con un’evidente forzatura del suo ruolo, a invocare l’intervento del Congresso per porre rimedio agli effetti di una sentenza emessa dall’organo custode della corretta applicazione della più antica delle carte costituzionali.
Un autorevole studioso ed esperto della legislazione statunitense come Stefano Ceccanti ha ipotizzato che la sentenza possa costituire la molla per una mobilitazione dell’opinione pubblica laica alle elezioni di midterm di novembre.
Eppure sia consentito dire che a una prima lettura il contestato provvedimento si presta a una riflessione più complessa che coinvolge anche temi delicati di democrazia istituzionale oltre che quelli più scontati della libertà personale.
Il punto più controverso è proprio quello che riguarda la tutela costituzionale dell’aborto come espressione della autonomia e della libertà personale. La Corte non ritiene che alcuno dei principi costituzionali contempli la tutela di un simile diritto.
Non mi avventuro in una simile materia, ma richiamo l’attenzione su un profilo che sembra di gran lunga più significativo che è quello che riguarda il potere del diritto di origine giurisprudenziale di limitare e condizionare la libertà del legislatore.
Se dovessimo enucleare il concetto più rivoluzionario che la sentenza esprime esso è contenuto nella sintesi introduttiva (syllabus) laddove la Corte, con riferimento alla sentenza Roe-Wade che costituiva il parametro fino a oggi vincolante in materia, scrive che lo «Stare Decisis» (vale a dire il precedente giurisprudenziale costituzionale) non è un «inesorabile comando» e non esiste la prevalenza del diritto delle sentenze e dei giudici su quello del legislatore.
Nel ragionamento dei giudici, l’inviolabilità del precedente giurisprudenziale costituirebbe un freno alla libertà dei cittadini di affermare le loro idee in sede legislativa e parlamentare.
A ben vedere, il tema è ben conosciuto anche nel nostro paese particolarmente segnato dal conflitto tra la politica e una sorta di impropria tutela etico-giudiziaria esercitata dalla magistratura.
Quello che sostiene la Corte Suprema è che i grandi temi etici sono materia estranea all’intervento del giudice e vanno regolati dal legislatore come espressione del libero e democratico confronto parlamentare.
Una sentenza non è per sempre e non può la decisione di un organo giurisdizionale limitare la libertà dell’elettore di contribuire a una diversa regolamentazione conforme all’evoluzione del costume e del pensiero.
È significativo che in un passaggio del commento introduttivo, la Corte evidenzi che «lo schema della sentenza Roe ha prodotto una para legislazione e la corte ha fornito una sorta di enunciazione simile a quella che ci si aspetterebbe da un corpo legislativo».
Un tema, come si vede, assai delicato e che non merita gli strilli isterici da talk show dei commentatori che palesemente non hanno letto nulla.
Chi scrive, ad esempio, ritiene che a certe condizioni l’interpretazione dei giudici (salvo eccessi creativi) possa fornire garanzie migliori rispetto a un potere di legislazione esercitato da una maggioranza illiberale e populista, ma il punto è che il profilo abbracciato (a maggioranza) dai giudici federali è invero assai meno rozzo e schematico di quanto lo si voglia rappresentare.
Quanto alla rivendicazione di una sorta di diritto costituzionale all’aborto ferve già il dibattito sulle possibili ricadute della sentenza statunitense sul destino della legge 194 e in generale sulle legislazioni europee a tutela dell’autonomia della donna in materia di gravidanza: ma le conclusioni affrettate sono destinate a possibili clamorose smentite.
La corte federale ha scritto che non esiste un diritto costituzionale all’aborto, cosa deciderebbe la Consulta qualora qualcuno volesse sollevare oggi il problema di legittimità costituzionale della legislazione sull’aborto in funzione della tutela dei nascituri quali soggetti deboli?
Ebbene conviene richiamare ciò che la nostra Corte Costituzionale ha scritto nella sentenza 242/ 19 nella drammatica vicenda di dj Fabo in materia altrettanto scottante quale il diritto alla autodeterminazione nel fine vita e la legittimità dell’eutanasia: «Dall’art. 2 Cost. – non diversamente che dall’art. 2 CEDU – discende il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo: non quello – diametralmente opposto – di riconoscere all’individuo la possibilità di ottenere dallo Stato o da terzi un aiuto a morire». Ecco: il dovere dello Stato di tutelare la vita di ogni individuo e l’implicito limite al concetto allargato di libertà personale («ordinata autoregolamentazione», secondo i giudici americani).
La Consulta ha per inciso escluso che la legge che puniva l’aiuto al suicidio, dichiarata parzialmente incostituzionale «si ponga, sempre e comunque sia, in contrasto con l’art. 8 CEDU, il quale sancisce il diritto di ciascun individuo al rispetto della propria vita privata: conclusione, questa, confermata dalla pertinente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo». È lo stesso argomento utilizzato dalla Corte Suprema americana per escludere un’espressa tutela costituzionale al diritto di aborto.
Certamente il dibattito è aperto e, come si vede, non può essere liquidato istericamente secondo gli schemi di buoni/cattivi e destra/sinistra.
C’è un interrogativo serio e politico sullo sfondo: il tema della vita e della morte (specie di quelle altrui), una materia complessa che esula dalle aule di tribunale come dal personale arbitrio.
Vaticano. Paglia: «La sentenza Usa sull'aborto sfida il mondo a riaprire il dibattito». Redazione Internet su Avvenire.it venerdì 24 giugno 2022
La Pontificia Accademia per la Vita esorta a «sviluppare scelte politiche che promuovano condizioni di esistenza favorevoli alla vita senza cadere in posizioni ideologiche a priori»
"Il fatto che un grande Paese con una lunga tradizione democratica abbia cambiato posizione su questo tema sfida anche il mondo intero". Lo sottolinea in una nota la Pontificia Accademia per la Vita presieduta da monsignor Vincenzo Paglia a proposito della sentenza della Suprema Corte Usa che ha annullato la sentenza del 1973 che legalizzò l'aborto.
"Di fronte alla società occidentale che sta perdendo la passione per la vita, questo atto è un forte invito a riflettere insieme sul tema serio e urgente della generatività umana e delle condizioni che la rendono possibile; scegliendo la vita, è in gioco la nostra responsabilità per il futuro dell'umanità" afferma Paglia.
"Il parere della Corte - osserva l'Accademia - mostra come la questione dell'aborto continui a suscitare un acceso dibattito. Il fatto che un grande Paese con una lunga tradizione democratica abbia cambiato posizione su questo tema sfida anche il mondo intero. Non è giusto che il problema venga accantonato senza un'adeguata considerazione complessiva".
"La protezione e la difesa della vita umana - prosegue - non è una questione che può rimanere confinata all'esercizio dei diritti individuali, ma è una questione di ampio significato sociale. Dopo 50 anni, è importante riaprire un dibattito non ideologico sul posto che la tutela della vita ha in una società civile per chiederci che tipo di convivenza e società vogliamo costruire".
"Si tratta di sviluppare scelte politiche che promuovano condizioni di esistenza favorevoli alla vita senza cadere in posizioni ideologiche a priori. Questo significa anche garantire un'adeguata educazione sessuale, garantire un'assistenza sanitaria accessibile a tutti e predisporre misure legislative a tutela della famiglia e della maternità, superando le disuguaglianze esistenti. Abbiamo bisogno di una solida assistenza alle madri, alle coppie e al nascituro che coinvolga l'intera comunità, favorendo la possibilità per le madri in difficoltà di portare avanti la gravidanza e di affidare il bambino a chi può garantire la crescita del bambino".
Cara Bernardini De Pace, sull’aborto sceglie l’uomo anche in caso di stupro?
La replica di Chiara all'articolo sulla Stampa di Annamaria Bernardini de Pace: l’unica a poter decidere è la donna. E le uniche alternative sarebbero il voto o l'obbligo. Chiara Lalli su Il Dubbio il 20 luglio 2022.
«Ho lottato per l’aborto, decida anche l’uomo» è il titolo di un commento di Annamaria Bernardini de Pace del 3 luglio sulla Stampa. Il solito titolo esagerato? No, è peggio, è il riassunto di alcuni errori comuni.
Parto dalla fine, dalla distrazione di riportare il 67% degli obiettori, verosimilmente il numero della penultima relazione ministeriale perché l’ultima dà un numero diverso (64,6 come media nazionale dei ginecologi). Poi per carità, non cambia molto nel difettoso ragionamento che precede, la disattenzione per i dati è preoccupante. Risalendo poi nella lettura verso il titolo ecco il condizionamento irriflesso dell’aborto come «sempre una decisione gravissima che sconvolge chiunque»: mi colpisce sempre il nominarsi portavoce di tutte, ignorando l’azzardo di ogni legge universale. No, non per tutte è una decisione gravissima e sconvolgente. No, non significa che «allora è un divertimento», perché questa è una falsa dicotomia. E lo sconvolgimento necessario e universale è una sciocchezza.
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E poi la domanda che ispira il titolo e che viene declinata in vari modi (decide anche l’uomo?) ma che è sempre abbastanza insensata se non condizionata alla volontà della donna, come peraltro stabilito dalla legge 194 (in una delle sue parti non paternalistiche). Sono poche parole e bastano a rispondere ai dubbi di Bernardini de Pace: «Ove la donna lo consenta» (articolo 5). E non può che essere così e non dovrebbe esserci bisogno di spiegare perché (chissà poi dove e come lo troviamo «il padre» se la donna non lo vuole coinvolgere). L’unica a poter decidere è la singola donna sulla propria gravidanza. E ricordiamo che le uniche alternative sarebbero mettere ai voti (gravidanza o aborto?, votate!) e imporre di portare avanti la gravidanza (oltre alla ripugnanza morale di questa possibilità, mi chiedo sempre come sarebbe possibile mettere in pratica questo obbligo).
Sebbene non mi piaccia l’abitudine (molto diffusa) di parlare di aborto volontario usando i casi estremi, vorrei chiedere a Bernardini de Pace se ha pensato di far decidere l’uomo anche in caso di violenza, di stupro o di abuso. E come fare in caso di conflitto: io voglio abortire, il padre dell’embrione (fa già ridere così) non vuole. Solo alla fine penso che una soluzione esiste e che ci avevano già pensato. Basta quindi recuperare il curatore del ventre e conferirgli anche tutti i poteri di un tutore e di un amministratore di sostegno, perché le donne non possono essere mica lasciate sole a decidere. Ovviamente è per il nostro bene.
E arriviamo alla premessa e al commento sulla decisione della Corte suprema riguardo a Roe vs Wade – che è una questione più generale e forse perfino più importante. Scrive Bernardini de Pace: «Si sono subito scatenati gli arrabbiati femministi di tutto il mondo, scandalizzandosi perché con questa decisione viene compresso il “diritto all’aborto”. Peraltro, raccontando che viene vietato l’aborto e che si torna indietro di 50 anni. Dimenticando che ciascuno dei 50 stati americani avrà una legge rispettosa del pensiero dei propri cittadini, pro o contro l’aborto. Ma un diritto all’aborto non c’è, non esiste. Non è possibile, infatti, parlare di un diritto laddove non vi sia un corrispondente dovere». A parte il disprezzo che sembra trapelare da «arrabbiati femministi», e a parte che questa è una questione che confinare nei femminismi (mi chiedo se “femministi” sia un refuso) è ingiusto e tipico del fronte più conservatore, vorrei sottolineare due cose.
La prima è che il diritto all’aborto rientra nel diritto all’autodeterminazione personale, che riguarda l’ambito sanitario e non solo (questo vale per la 194 e per Roe vs Wade). Per usare una espressione molto cara a Benjamin Constant, questo è lo spazio della cosiddetta libertà negativa, quello spazio in cui lo Stato non deve venirci a dire cosa fare (vale anche per l’articolo 29 della nostra Costituzione invocato a sproposito per dire no ai matrimoni ugualitari). Questo significa che lo Stato – ma pure tutti gli altri – hanno il dovere di rispettare questa libertà negativa. Ah, non si dovrebbe votare, perché nemmeno un plebiscito dovrebbe avere il potere di privarmi di alcuni diritti fondamentali. È vero che la Corte italiana ha ancorato l’interruzione volontaria della gravidanza alla salute, ma non è vero che non ci sia un dovere conseguente, che è quello di garantire l’accesso a un servizio medico sicuro (quando sono presenti determinati presupposti stabiliti dalla legge).
La seconda è che una volta stabilita una premessa poi non possiamo tenere solo quello che ci fa comodo e che volevamo dimostrare. Quindi se si usa l’assenza di un esplicito diritto all’aborto nella Costituzione per dire che è una specie di miraggio, allora lo stesso discorso vale per la obiezione di coscienza (aggiungiamo il diritto di voto per le donne, se vogliamo sembrare persone di mondo). Per fortuna le norme evolvono e non tutti interpretano in modo così letterale (e sbagliato) la Costituzione.
L'aborto visto (e vissuto) da lui tra fake news e psiche: l'uomo oltre il trauma. Eugenia Nicolosi su alfemminile.com.
Medicina, psicologia e perfino etica e religione si intrecciano attorno a una donna che vive l'esperienza dell'aborto: che succede invece agli uomini?
Indice
· Un progetto di vita che va in frantumi
· Attenzione alle fake news sulle reazioni di lui all'aborto
· La medicina non riconosce alcun “trauma post aborto maschile”
· Aborto spontaneo: per lei lo stress c'è (ma si sopravvive)
· Il tasso di abortività in Italia: dipende solo dalla donna?
· E se l'aborto spontaneo fosse (anche) colpa del partner?
· Guarire il dolore con il sesso (senza pensare a concepire)
Un progetto di vita che va in frantumi
Se l'interruzione volontaria di gravidanza è una scelta consapevole e una pratica legale, che nasce dal diritto della donna di disporre del proprio corpo, l'aborto spontaneo è una perdita imprevista e dolorosa.
Si tratta di perdere l'idea di un figlio prima ancora che nasca e di uno stop forzato al proprio progetto di vita. Il più delle volte si tratta di un rallentamento temporaneo ma è comunque un evento che mette alla prova la stabilità emotiva di chi fisicamente affronta la fine improvvisa della gravidanza e, nel caso in cui si sia in coppia, mette alla prova anche la stabilità della relazione.
Inesistente la letteratura non faziosa che si è occupata delle reazioni del partner in caso di aborto spontaneo, moltissima, invece, quella di matrice anti abortista che inventa sindromi maschili per fortuna fortemente screditate dalla medicina tradizionale. Ma, il partner che subisce l'esperienza, seppur non vivendola fisicamente, ha o non ha delle ripercussioni sul piano emotivo e psicologico?
Secondo la psicologa Carla Maria Brunialti, quando la coppia funziona e se la complicità è forte "pur non essendo vissuta nel proprio corpo la ferita è condivisa dall'uomo". Laddove "invece la coppia è disfunzionale e quando la donna è totalmente concentrata su sé stessa e chiusa nel proprio dolore l'uomo si sente escluso". Inoltre, si tratta di un comportamento che prepara il terreno "all'esclusione del partner nella costruzione di una diade madre-figlio che frequentissimamente si riscontra".
Attenzione alle fake news sulle reazioni di lui all'aborto
Secondo alcuni scritti, tra gli effetti psicologici cui va incontro l'uomo che vive l'esperienza dell'aborto c'è o ci potrebbe essere la messa in discussione della propria virilità. Il concetto di virilità nasce in seno alla cultura eteropatriarcale e tossica ed è un costrutto sociale, non una caratteristica naturale dell'uomo. La virilità viene insegnata all'uomo da altri uomini (e donne) attraverso modelli sociali da seguire, regole e divieti.
Riguardo a questo tema le associazioni religiose e antiabortiste fanno riferimento a un disturbo che chiamano “Male Post-abortion Trauma” (trauma post aborto maschile) che sarebbe una sofferenza in grado di provocare reazioni a catena nella psiche del maschio tra cui l'erosione dell’identità maschile minandone l’autostima (‘Non valgo nulla perché non ho saputo impedirlo’) e l'impedimento della maturazione di una “compiuta identità di genere” (l'uomo è un vero uomo se dà prova di essere virile).
“Infatti, per il maschio”, continua lo scritto dei no choice, “contribuire al concepimento di un figlio significa vivere il nucleo centrale della virilità, dell’essere davvero uomini: la capacità, intesa anche come forza e potenza, di avviare il processo vitale di un altro essere umano”. Le associazioni proseguono elencando una serie di effetti devastanti sull'uomo che sperimenta l'aborto, ripercussioni che vanno dalle manie incendiarie (in particolare, si legge che “possono incendiare chiese”) fino al femminicidio.
La medicina non riconosce alcun “trauma post aborto maschile”
Naturalmente la medicina tradizionale ha indagato il fenomeno e non solo con lo scopo di fare luce su teorie di questo tipo. Tra i documenti prodotti nel tempo e pubblicati nella National Library of Medicine (creata dal governo federale degli Stati Uniti d'America, è la più grande biblioteca medica del mondo) emerge uno studio che si è concentrato proprio sulla condizione “pseudopsicologica”, così c'è scritto, chiamata "sindrome post aborto".
E in particolare è stata messa sotto esame la veridicità di quanto trovato negli spazi online nel tentativo di rimediare, colmando lacune e togliendo spazio alle fake news. “Lo studio è proseguito in due parti”, recita il documento, “in primo luogo abbiamo recuperato tutte le carte diffuse dagli attivisti anti-aborto che facevano affermazioni sulla sindrome post aborto maschile e li abbiamo analizzati, affermazione dopo affermazione".
"In secondo luogo li abbiamo sottoposti a revisione confrontandoli con 41 articoli medici sul tema, includendo nel paragone descrizioni approfondite, dati, analisi e risultati. E emerge che gli attivisti parlano di un disturbo clinico con lo scopo di disincentivare le pratiche di aborto volontario perché non c'è alcun dato scientifico che registri una sindrome traumatica post aborto negli uomini, al netto del fisiologico dolore che un uomo con il desderio di paternità può provare vedendo la concretizzzazione del desiderio allontanarsi.
Infatti il risultato dello studio è che "gli attivisti sotengono che gli uomini dovrebbero impedire alle donne di abortire per prevenire i gravi disturbi psicologici da loro descritti e per manenere l'ordine nelle tradizioni familiari e sessuali".
"Al contrario, per quanto gli studi scientifici provino che una serie di risposte psicologiche siano in qualche modo presenti, non sono niente affatto simili alla sindrome post aborto descritta dagli attivisti. Conclusione: non troviamo supporto scientifico per le affermazioni degli attivisti anti-aborto né per sostenere l'esistenza di una sindrome post aborto tra gli uomini".
Aborto spontaneo: per lei lo stress c'è (ma si sopravvive)
Le donne che vivono un aborto spontaneo (non si parla, qui, di interruzione volontaria di gravidanza), sono state anche loro oggetto di uno studio pubblicato nel 2019 dall’American Journal of Obstetrics and Gynecology.
Hanno partecipato in 1.098 e sono state ben in 492 le donne a completare nel giro di un mese la “Hospital Anxiety and Depression Scale”. Si tratta di una scheda di autovalutazione somministrata a pazienti in fase di ricovero che si è rivelata uno strumento più che affidabile nella rilevazione di stati di depressione e ansia in un arco temporale variabile e monitorato. A essere misurate, grazie a un questionario, sono anche le sottoscale di ansia e depressone afferenti a disturbi di tipo emotivo.
Altre 426 (il 58%) lo hanno completato nell'arco di 3 mesi e 338 nel giro di 9 mesi. I criteri secondo cui si identifica l'uscita dal livello di stress post-traumatico sono stati soddisfatti dal 29% delle donne entro un mese e solo nel 18% oltre i 9 mesi. Ansia moderata o grave è stata riportata solo nel 24% di loro dopo un mese e nel 17% dopo 9 mesi.
La conclusione dello studio è che le donne sperimentano alti livelli di stress post-traumatico, ansia e depressione dopo un aborto spontaneo ma si tratta di un disagio che diminuisce nel tempo e che può rimanere a livelli clinicamente validi per un periodo di circa 9 mesi.
Il tasso di abortività in Italia: dipende solo dalla donna?
Nel 2022 sono stati diffusi da Istat i dati sull'abortività spontanea (l’interruzione involontaria di gravidanza entro il 180° giorno compiuto di amenorrea). Il numero assoluto dei casi registrati è passato da 56.157 nel 1982 a 42.782 nel 2018, con una riduzione del 23,8%.
Questa riduzione può essere in parte attribuita alla tendenza recente a trattare gli aborti spontanei, in particolare quelli precoci, in regime ambulatoriale, in Pronto Soccorso o comunque in assenza di ospedalizzazione, e così questi casi sfuggono alla rilevazione che invece analizza le schede di dimissione degli ospedali. Infatti sono dati confermati parzialmente anche dal Ministero della Salute che analizza le stesse schede.
Dai dati emerge anche che l’età della donna è un fattore a cui si associa un rischio di abortività più elevato: le donne in Italia hanno una gravidanza sempre più tardi, tanto che l’età media al parto è aumentata di oltre quattro anni tra il 1982, quando era di circa 27 anni, e il 2018 (oltre 32 anni): i livelli di abortività crescono al crescere dell’età della donna e un rischio significativamente più elevato si nota a partire dalla classe di età 35-39 anni, quando il valore dell’indicatore supera di circa il 60% quello riferito alla classe d’età precedente.
E se l'aborto spontaneo fosse (anche) colpa del partner?
Tra le cause conosciute di aborto ci sono le aberrazioni cromosomiche occasionali, cosiddette “de novo”, alcune forme di trombofilia ereditaria, anomalie uterine congenite o acquisite come per esempio i polipi, endocrine, disturbi autoimmuni e, forse, abitudini di vita non salutari come il fumo, l’obesità e lo stress psicologico.
La maggior parte di queste condizioni sono legate alla donna, mentre il contributo del maschio rimane relativamente inesplorato. Il medico urologo Gian Luca Milan ha prodotto una ricerca circa la responsabilità maschile in tema di aborto spontaneo che ha poi diffuso sul suo spazio web dedicato a medicina e informazione.
L'esigenza di lavorare a tale a ricerca nasce proprio dal fatto che soprartutto di recente sono molte le coppie a domandare all'andrologo se esistono "delle cause maschili di tipo cromosomico o genetico”.
Ebbene, l''alterazione dei parametri spermatici valutati in base a criteri classici del WHO (concentrazione, motilità, morfologia) non è chiaramente associata al rischio di aborto sporadico o ricorrente. Tuttavia alcune carenze del liquido seminale potrebbero rappresentare la manifestazione di una causa più profonda.
Un esempio di questo è il caso di embrioni con anomalie cromosomiche originati da errori di divisione dei cromosomi durante la spermatogenesi di uomini con oligoastenoteratospermia grave. È stato eseguito in Spagna uno studio prospettico condotto dall’Università di Valencia: si è preso in considerazione come ipotesi di causa sconosciuta di aborto spontaneo ricorrente le microdelezioni del cromosoma Y, la frammentazione del DNA e lo stress ossidativo del DNA spermatico.
Dall’analisi dei dati è risultato che solo la frammentazione del DNA degli spermatozoi risulta aumentata, anche se in modo lieve, nel gruppo dei pazienti sottoposti all'esperimento che avevano vissuto l'aborto spontaneo ripetuto. Riguardo le microdelezioni del cromosoma Y, queste non sono state rilevate in nessuno dei maschi di coppie con aborto ricorrente. Neanche le misurazioni dell’ossidazione del DNA degli spermatozoi sono risultate rilevanti per l’aborto ripetuto.
Una tesi confermata al Congresso Annuale ENDO 2019 della Endocrine Society: alcuni casi di aborti ripetuti possono essere legati ad un danno del DNA dello sperma nel partner maschile, piuttosto che da un problema della donna, sebbene siano le donne a essere sottoposte a numerose indagini per individuare una causa che infatti molto spesso non viene trovata perché semplicemente non dipende da lei.
In sintesi lo studio suggerisce che potrebbe essere utile indagare sui partner maschili di donne che vivono aborti ripetuti circa eventuali anomalie nella loro funzione riproduttiva e, nello specifico, di aprire la farmacologia alla possibilità di progettare farmaci per arrestare il danno del DNA dello sperma e quindi ridurre il rischio di aborto spontaneo.
Guarire il dolore con il sesso (senza pensare a concepire)
Il sesso come pratica per alleviare il dolore: la psicologa Carla Maria Brunialti spiega che “mentre la donna può riparare la ferita psichica ritentando la gravidanza, l'uomo si interroga; si chiede - inconsciamente - se avrebbe potuto evitare l'aborto spontaneo, se ha fatto tutto il possibile per la mamma e il feto, si sente in colpa, e qualcuno di loro sperimenta fortemente la luttuosità dell'evento”.
Il consiglio che inoltre suggerisce di seguire è quello di "evitare di avere, in una prima fase, rapporti sessuali mirati al concepimento: c'è da riparare la sessualità” per vederla “come oggetto buono, non come mezzo per procreare”, e aggiunge, “per quasi tutti i giorni del mese la sessualità può essere ludica, gioiosa e creativa e solo un paio di giorni è realmente mirata all'obiettivo. Tenere separate le due cose permette di difendere la sessualità sia dal processo di elaborazione lutto che dall'obiettivo procreativo”.
Inoltre invita le coppie a rivolgersi a un, o una, professionista di psicologia se lo stato d'animo sgradevole si perpetrasse nel tempo e se la condizione di dolore dovesse trasformarsi in una condizone di malessere patologico, permanente. “Chiedere aiuto non è una debolezza", ricorda.
Eugenia Nicolosi. È giornalista, scrittrice e attivista femminista e del movimento Lgbtqia+. Fa parte di e lavora con diverse associazioni e organizzazioni che promuovono la parità di genere e la parità di …
Controcorrente, “scelta clamorosa”. Cesara Buonamici sconvolta sull'aborto: delitto contro le donne. Il Tempo il 24 giugno 2022
Cesara Buonamici, giornalista e volto noto del Tg5, è tra gli ospiti presenti in studio nell’edizione del 24 giugno di Controcorrente, il talk show di Rete4 condotto da Veronica Gentili. Si discute della scelta dei giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti, che hanno stabilito che l’interruzione di gravidanza non è più da considerare un diritto costituzionale: “È - dice Buonamici - una decisione eccezionale e clamorosa. Ci sono state reazioni opposte tra Barack Obama e Donald Trump, che ha detto che è il volere di Dio. Come donna sono assolutamente contraria, trovo che sia un delitto non garantire questo diritto costituzionale alle donne americane. È una sentenza che non passa di certo inosservata, non solo negli Stati Uniti, ma in tutto il mondo. È una decisione molto grave”.
Controcorrente, “a favore dei deboli”. Mario Giordano si schiera contro l'aborto: “Viene tutelato il bambino”. Il Tempo il 24 giugno 2022
Fa discutere la decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha deciso di revocare la sentenza del 1973 sul caso roe v. Wade, cancellando il diritto costituzionale di abortire. Il tema è discusso nell’edizione del 24 giugno di Controcorrente, il talk show di Rete4 condotto da Veronica Gentili, e c’è chi trova sensata la decisione dei giudici statunitensi. Mario Giordano, giornalista e conduttore di Fuori dal coro sulle reti Mediaset, spiega il proprio punto di vista: “Essendo cattolico sono convinto che la vita sia nel momento del concepimento. Non penso che sia un tornare indietro tutelare i più deboli e il più debole è il bambino, il nascituro nel momento in cui viene concepito. Una tutela nei confronti del nascituro non penso sia un arretramento sul piano dei diritti. Lo so che sono fuori dal coro, che ho detto una cosa stravagante e strana, ma è quello che penso”.
"Vietato l'aborto? No, è democrazia". E a Otto e mezzo scoppia la lite. Francesco Curridori il 24 Giugno 2022 su Il Giornale.
Scontro a Otto e mezzo tra Francesco Borgonovo e Lilli Gruber sulla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha negato il diritto all'aborto.
Continua a dividere la sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti che ha negato il diritto all'aborto a livello federale. Stavolta, lo scontro non è tra due politici, ma tra due giornalisti: Francesco Borgonovo e Lilli Gruber.
Il vicedirettore de La Verità, ospite stasera a Otto e mezzo, su La7, non ha dubbi sul fatto che si tratti di una "decisione assolutamente democratica" e che"non c'entra nulla la morale e nulla la religione". Per Borgonovo è solo"una questione di democrazia" dato che la Corte Suprema americana non abolisce l'aborto, ma concede ai singoli Stati di decidere "attraverso il voto". Secondo il giornalista de La Verità "i diritti delle donne non sono in pericolo". E aggiunge: "E non c'entra nulla con l'Italia". Un discorso che ha mandato Lilli Gruber su tutte le furie che ha subito voluto puntualizzare: "Qui la democrazia non c'entra niente. C'entra, invece, con uno Stato democratico e civile garantire i diritti civili ai propri cittadini". Non si è fatta attendere la replica di Borgonovo: "Chi ha deciso che l'aborto è un diritto umano? Lo avete deciso voi adesso?".
A quel punto ecco che interviene Alessandro De Angelis, vicedirettore dell'HuffPost, che attacca il collega con una provocazione: "Perdonami, io capisco, sei anche vestito di nero e, quindi, queste teorie ben si calzano...". E poi si sfoga ulteriormente: "L'autodeterminazione di sé, del proprio corpo e l'amore che non ha sesso, sant'Iddio, si chiama libertà". E infine: "La democrazia liberale è questo, è l'opposto del comizio che ha fatto la Meloni in Andalusia. Quella è boia chi mollas....". Borgonovo, che si trova in collegamento e non in studio, cerca di far valere le sue ragioni, ma il volume del suo microfono viene silenziato al minimo per impedirgli di parlare. Solo, poco dopo, il giornalista de La Verità, può far valere brevissimamente le sue ragioni, ma la Gruber concede l'ultima parola a Beppe Severgnini del Corriere della Sera che, ovviamente, non esprime giudizi favorevoli alla sentenza della Corte Suprema americana.
Adinolfi: “Sentenza Corte Suprema USA su aborto importante, decideranno singoli Stati". I Tempo il 24 giugno 2022
(Agenzia Vista) Roma 24 giugno 2022 La decisione assunta dalla Corte Suprema americana è di grandissima importanza. Finalmente si riconosce il diritto alla vita e si stabilisce che non può esserci una decisione sull'aborto presa contro il volere del popolo. Quello che circola in queste ore è davvero qualcosa di stupido e falso. Non è stato cancellato il diritto di abortire negli Stati Uniti, ma semplicemente rimandato alle decisioni dei singoli Stati. Il caso è quello del Mississipi che voleva limitare l'aborto alla 15esima settimana”. Lo ha dichiarato il Presidente del Popolo della Famiglia Mario Adinolfi. Fonte: Agenzia Vista / Alexander Jakhnagiev agenziavista.it
Filippo Facci per “Libero quotidiano” il 17 giugno 2022.
Insopportabili quelli che «l'avevano detto», noi però l'avevamo detto (scritto) tre volte: nel 2016, 2017 e 2019, su questa pagina. Ora Repubblica riporta che dal 2002 al 2019, in Italia, 473 bambini sono stati uccisi dai genitori (dati Eures) col dettaglio che sotto i sei anni sono quasi sempre le madri ad ammazzare. Noi avevamo aggiunto (sempre dati Eures) che un omicidio su due è commesso in famiglia.
La verità taciuta non è il femminicidio: l'emergenza omnicomprensiva si chiama «familicidio» perché rimane stabile in una società sempre meno violenta dove negli ultimi vent' anni gli assassinii si sono più che dimezzati: ma a rimanere costante, appunto, è il tasso degli omicidi domestici che continua a rimanere circa il 25 per cento del totale.
In famiglia si uccide più di quanto facesse la mafia, e all'attenzione morbosa dei media assurgono pochi «casi unici» che non sono unici per niente. Se ne parla poco, si preferisce battagliare attorno al femminicidio- che non è estraneo al problema - e però si tralasciano gli impressionanti dati Istat, Eures o gli studi di sociologi come Marzio Barbagli.
L'altra verità taciuta è che una campagna sul «familicidio» scatenerebbe gli strepiti dell'intero arco costituzionale e naturalmente della Chiesa: perché in Italia abbiamo sempre delle grandi difficoltà, a chiamare le cose col loro nome
La decisione sull'aborto. I giudici della Corte Suprema Usa sono retrogradi e oscurantisti. Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino su Il Riformista l'1 Luglio 2022
Dopo la decisione Dobbs v. Jackson Women’s Health Organization, che ha cancellato i precedenti favorevoli al diritto delle donne alla interruzione volontaria della gravidanza, non è facile anticipare l’impatto che essa potrà avere sulla vita politica americana, in particolare sui risultati delle elezioni dette di metà mandato che avranno luogo in novembre. Negli ultimi mesi i sondaggi sulle intenzioni di voto non sono favorevoli ai Democratici, che potrebbero perdere la maggioranza al Congresso, e l’approvazione del Presidente Biden è data al 41% dai sondaggi Gallup. Quello che è certo è che la decisione della Corte Suprema si inscrive in un clima di conflitto e di scontro politico e culturale presente da tempo nella società americana e che si è fortemente accentuato a partire dall’elezione di Trump nel 2017 e ancor più a partire dalla sua sconfitta elettorale.
Questa divisione che spacca la società di oltre Atlantico vede al tempo stesso la crescita degli estremismi e il discredito delle istituzioni. La stessa Corte Suprema, che partecipa in realtà dello stesso estremismo, ha una reputazione bassissima fra i cittadini americani e raggiunge appena il 25% di approvazione, un giudizio senza precedenti. La decisione Dobbs è peraltro il risultato di una lunga battaglia della destra americana contro la celebre sentenza Roe v. Wade del 1973 che aveva, in assenza di una legge federale, garantito alle donne il diritto di abortire. La svolta è avvenuta con la nomina di tre giudici conservatori scelti dal presidente Trump e approvati dal Senato, i quali, in aggiunta ad altri tre nominati da precedenti presidenti Repubblicani, controllano ormai la Corte Suprema. Se si tiene conto del fatto che i giudici della Corte sono, in base alla costituzione del 1787, nominati a vita e che si tratta, per tutti quelli scelti da Trump, di giudici cinquantenni, si capisce che esiste ormai un corpo di guardiani della costituzione che può interpretarla a lungo secondo canoni della destra radicale, nonostante la presidenza del giudice Roberts, che è considerato dai più come una figura più moderata (come testimonia anche la sua opinione separata che, come chi scrive, considera estrema la decisione della maggioranza).
Per capire come le opinioni evidentemente di parte della maggioranza della Corte Suprema possano venir presentate come difesa della costituzione, dobbiamo tener presente che la Corte nella sua maggioranza adotta una teoria dell’interpretazione che va sotto il nome di “originalismo”. Con questo termine si intende la sorprendente dottrina in base alla quale le leggi sottoposte al vaglio dei giudici supremi devono essere compatibili con il dettato letterale della Carta costituzionale. Da cui risulta senza grande sforzo interpretativo che, poiché nel 1787 i Padri fondatori dell’Unione Americana non avevano parlato e nemmeno fatto menzione in nessuno dei successivi emendamenti di interruzione volontaria della gravidanza, la Corte non può (come avevano invece preteso le decisioni precedenti a partire da Roe) statuire sul punto. Dopo di che, il giudice redattore dell’opinione di maggioranza Samuel Alito sostiene che è compito e facoltà degli Stati dell’Unione – legislature e corti dei medesimi – decidere sulla materia.
In realtà, potrebbe decidere il Congresso federale, ma questo non ha mai voluto farlo per le divisioni interne ai due partiti monopolisti del potere politico, che, non essendo del tutto omogenei sulla questione, temono di alienarsi un po’ di elettori quale che sia la decisione che dovessero prendere. In assenza di una legge federale e avendo cancellato un diritto riconosciuto a partire dal 1973 dalla Corte Suprema, la conseguenza della decisione presa ora, che rovescia e cancella quelle precedenti, è che il paese si troverà, come su molti altri temi, diviso fra gli Stati liberali che consentono l’aborto e quelli che lo restringeranno rapidamente ai minimi termini. In sostanza questo vuol dire che in buona parte degli Stati conservatori del sud e del centro in molti casi per abortire le donne saranno costrette a recarsi negli Stati liberali.
Ciò evidentemente divide i diritti delle donne americane fra quelle che li hanno e quelle che invece no. Da questo punto di vista, la sentenza è conservatrice nei suoi effetti nel senso più tradizionale del termine: i diritti non sono gli stessi per i ricchi e per i poveri. Non si può essere più classicamente conservatori di così. Sarebbe tuttavia interessate vedere cosa accadrebbe se qualche Stato più conservatore degli altri decidesse di punire in qualche modo il turismo forzato per ottenere un aborto. Si tratterebbe di un aggravio dei costi del viaggiare dentro gli Stati Uniti. Ma questo probabilmente non avverrà poiché i conservatori americani amano i ricchi più dei diritti eguali.
Quello che questa strana vicenda insegna è la crisi profonda della società e dalla vita politica americana, al di là delle stravaganze dell’interpretazione costituzionale oggi dominante nella Corte Suprema, molto distante da quelle praticate nelle Corti costituzionali di paesi come la Germania, la Francia e l’Italia. Uno studioso di indiscussa autorità, che è stato giudice della Corte costituzionale tedesca, Dieter Grimm, ha sostenuto più volte che in Germania non esiste alcun equivalente dell’originalismo americano, così come non esistono nomine a vita dei giudici costituzionali e nomine di estremisti nelle Corti supreme di giustizia. In Germania, esattamente come in Italia.
Renato Mannheimer, Pasquale Pasquino
Alberto Simoni per “la Stampa” il 4 luglio 2022.
Lunedì scorso, tre giorni dopo la storica sentenza sull'aborto che ha archiviato la Roe contro Wade, la dottoressa Caitlin Bernard, ginecologa di Indianapolis, ha ricevuto una telefonata da un collega dell'Ohio che si occupa di abusi sessuali. Le ha raccontato una vicenda incredibile. E drammatica. Da pochi secondi una bambina di appena dieci anni aveva lasciato il suo studio medico, era stata violentata ed era incinta da sei settimane e tre giorni. Tre giorni oltre il limite, quelli in cui la legge dell'Ohio ritiene non si possa più interrompere una gravidanza.
Il Buckeye State consente l'aborto entro le prime sei settimane, ovvero quando inizia l'attività cardiaca del feto. Il trasferimento in Indiana era l'unica speranza. I legislatori di Indianapolis non hanno ancora approvato la legge statale che restringerà i tempi dell'aborto. La finestra si chiuderà il 25 luglio, ma fino ad allora non c'è il limite delle sei settimane di gestazione.
Secondo quanto ha riferito l'Indianapolis Star che per primo ha dato la notizia, la bambina è già arrivata in Indiana dalla dottoressa Bernard. Non si sa se sia già stata sottoposta al trattamento per interrompere la gravidanza.
Questo caso non è isolato. Mentre il divieto all'aborto è entrato in vigore negli Stati Uniti e tocca alle Assemblee statali legiferare, sono moltissime le donne che si sono rivolte a cliniche in altri Stati. Anche l'Indiana ha visto in questi primi sette giorni l'aumento degli arrivi di donne dagli Stati limitrofi. La dottoressa Katie McHugh ha parlato di un «anomalo incremento di richieste» da parte di persone incinte provenienti dal Kentucky e dall'Ohio. Nel 2021 il 5,5 per cento degli aborti in Indiana (sono stati circa 8400) sono stati praticati su persone che provenivano da altri Stati. La percentuale è destinata a crescere quest' anno anche se con il probabile ingresso in vigore della nuova legge il 25 luglio, gli aborti caleranno drasticamente. E dall'Indiana le donne saranno costretto a cercare aiuto in Illinois.
La sentenza della Corte suprema ha delegato agli Stati il compito di dotarsi di norme sull'aborto. Da qui la miriade di provvedimenti che rendono il sistema una vera e propria giungla. Il presidente Joe Biden vorrebbe che il Congresso facesse una legge sulle orme della Roe contro Wade in modo da codificare nelle norme federali il diritto all'interruzione di gravidanza. Ma non ha la maggioranza dei 60 voti necessari a superare l'ostruzionismo dei senatori repubblicani.
Sabato, intanto, in Texas la Corte suprema statale ha rimesso in vigore una legge del 1925 che vieta l'aborto e punisce con il carcere chi lo pratica ribaltando la sentenza di una corte minore. In direzione opposta sta andando invece lo Stato di New York, che ha approvato un emendamento per inserire l'aborto nella costituzione statale, che deve essere approvato dalla prossima legislatura e quindi sottoposto a referendum.
I giudici della Corte suprema sono sempre più nel mirino. Dopo le manifestazioni fuori dalle abitazioni in Maryland della giudice Amy Coney Barrett e l'arresto di un californiano armato vicino alla casa di Brett Kavanaugh, ieri il capo della Sicurezza della Corte ha chiesto ai governatori di Virginia e Maryland di aumentare la protezione attorno alle residenze dei giudici.
Biden ha citato una storia virale sull’aborto non verificata. Il Domani il 12 luglio 2022
Ha detto che una bambina di dieci anni, incinta dopo essere stata stuprata, ha dovuto cambiare stato per poter abortire. Nessuno però è riuscito a verificare la notizia che sembra fare acqua da molte parti
Venerdì scorso, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha citato una storia sull’aborto con un’unica fonte e che, fino ad ora, nessuno è riuscito a verificare. Biden ha parlato di una bambina di dieci anni, messa incinta dopo una violenza sessuale che, non potendo abortire in Ohio dopo la sentenza della Corte suprema, si sarebbe spostata nel vicino stato dell’Indiana per ricevere il trattamento.
Biden ha raccontato l’episodio in un momento altamente simbolico: mentre si apprestava a firmare un ordine esecutivo che cerca di limitare gli effetti del divieto all’aborto già implementato da diversi stati repubblicani. Si tratta dell’azione più concreta intrapresa dal presidente sull'aborto fino a questo momento.
La storia era già diventata virale prima di essere ripresa da Biden, con migliaia di tweet e numerosi articoli sui giornali degli Stati Uniti e di altri paesi. La credibilità dell’episodio, però, è traballante.
La storia ha un’unica fonte: Caitlin Bernard, una dottoressa dell’Indiana e attivista a favore del diritto all’aborto. Bernard ha raccontato al giornale locale IndyStar di aver saputo del caso da un medico dell’Ohio che l’avrebbe contattata per aver informazioni su come comportarsi, poiché la legge introdotta nel suo stato dopo la decisione della Corte suprema vieta l’aborto anche in caso di stupro e incesto.
Dopo aver parlato con Bernard, il medico avrebbe consigliato alla famiglia della bambina di recarsi in Indiana per ottenere un’interruzione di gravidanza.
COSA NON TORNA
Dopo la ripresa della storia da parte di diversi media e soprattutto dopo che Biden ne ha parlato, numerosi giornalisti e factchecker hanno cercato di verificarla, ma dopo giorni di ricerca non sono emerse conferme, anzi.
Bernard ha rifiutato tutte le richieste di chiarimento e il giornale IndyStar, il primo a riferire la notizia, si è limitato a far sapere di aver svolto tutte le verifiche del caso e ha preferito non commentare ulteriormente la vicenda.
Il caso è divenuto sospetto anche perché i medici dell’Ohio sono tenuti a denunciare i casi di sospetta violenza sessuale nei quali si imbattono. Nello stato non esiste un registro centralizzato di questo tipo di denunce, quindi senza conoscere la giurisdizione dove è avvenuto il fatto è quasi impossibile verificare se una denuncia è stata sporta o meno. Il Washington Post ha contattato le autorità delle principali città dello stato e nessuna ha ricevuto una denuncia di questo tipo.
Altri dubbi sono stati sollevati da Dave Yost, il procuratore generale dello stato, un repubblicano che ha sostenuto parte degli sforzi di Donald Trump per invalidare l’elezione del suo successore. Yost ha detto che in un caso simile ci sarebbe stata una richiesta da parte delle autorità locali di un’esame medico per provare a individuare il Dna del violentatore. Il laboratorio che esegue queste analisi è alle dirette dipendenze del procuratore e Yost ha detto che nessun caso del genere è arrivato alla loro attenzione di recente.
UN CASO PLAUSIBILE?
Secondo Yost, inoltre, un caso del genere sarebbe del tutto impossibile, poiché il divieto di aborto dello stato non si applicherebbe in questo caso. Questa seconda questione è in realtà più complicata. La legge dell’Ohio prevede il divieto di aborto a partire da quando diventa udibile il battito del cuore del feto, il che può avvenire tra la quinta e la sesta settimana di gravidanza, quando molte donne non sanno ancora di essere incinta.
La legge non prevede eccezioni in caso di aborto o stupro, ma stabilisce che l’aborto è consentito per emergenze mediche, definite come un «grave rischio di un danno sostanziale e irreversibile ad una delle principali funzioni corporee della donna incinta». La legge esclude esplicitamente le conseguenze psicologiche della gravidanza tra le possibili eccezioni.
Ospite di una trasmissione del network di destra FoxNews, Yost ha detto che la legge dell’Ohio «ha una sezione sulle emergenze mediche più ampia della semplice tutela della vita della madre», ma non ha spiegato a quale eccezione potrebbe far ricorso una minorenne messe incinta dopo uno stupro se la sua gravidanza fosse non problematica per la sua salute dal punto di vista medico come definito dalla legge dello stato.
Gli effetti della sentenza della Corte Suprema negli USA. Incinta a 10 anni dopo uno stupro, costretta a lasciare l’Ohio per abortire: arrestato il suo aguzzino. Redazione su Il Riformista il 14 Luglio 2022.
Altro che ‘fake news’ inventata di sana pianta per difendere la posizione pro-aborto dell’amministrazione democratica di Joe Biden, in contrapposizione alla sentenza della Corte Suprema che nelle scorse settimane ha demolito la Roe v Wade sul diritto all’interruzione di gravidanza in caso di incesto e stupro.
La notizia data per falsa di una bambina di 10 anni alla quale era stato negato il diritto all’aborto dopo esser stata vittima di stupro è stata infatti confermata dalla polizia dell’Ohio, Stato dal quale la bambina è stata costretta a uscire per poter procedere all’interruzione di gravidanza.
Incinta di sei settimane e tre giorni, ha abortito il 30 giugno in uno stato del Midwest, in Indiana, dove l’aborto è ancora legale. Una vicenda che anche il presidente Joe Biden aveva citato un suo recente discorso in occasione della firma di un ordine esecutivo per difendere l’accesso all’aborto.
Per l’orribile crimine è stato arrestato un uomo, il 27enne del Guatemala Gershon Fuentes, residente a Columbus. Il giovane è accusato di “stupro di un minore di età inferiore ai 13 anni”, violenza che sarebbe avvenuta il 12 maggio scorso. Dopo l’arresto Fuentes ha confessato di aver violentato la bambina almeno due volte.
Secondo quanto scrive l’Afp, parti dell’embrione della ragazzina sono stati sottoposti a test genetici per poter confermare o meno i legami con il sospetto in questione.
Da repubblica.it il 14 luglio 2022.
Un uomo di 27 anni è stato arrestato e incriminato per lo stupro della bambina di 10 anni alla quale è stato negato di interrompere la gravidanza in Ohio a seguito della legge entrata in vigore nello Stato dopo che la Corte Suprema ha annullato la sentenza che tutelava il diritto all'aborto. La bambina era stata costretta a trasferirsi nel vicino Indiana per poter interrompere la gravidanza.
Dopo l'arresto Gershon Fuentes, residente a Columbus, ha confessato di aver violentato la bambina almeno due volte.
La vicenda della piccola a cui era stato negato l'aborto dopo la violenza sessuale ha attirato una grande attenzione negli Stati Uniti e lo stesso presidente Joe Biden l'ha citata in un suo recente discorso in occasione della firma di un ordine esecutivo per difendere l'accesso all'aborto.
La notizia della gravidanza era stata data nelle ultime settimane per falsa, ma la polizia dell'Ohio ha confermato sia la violenza subita, sia la decisione della famiglia di uscire dallo Stato per abortire.
Il caso della bambina era stato anche bollato come fake news da molti anti-abortisti. L'accusa era che sarebbe stata inventata "solo per difendere" la posizione dell'amministrazione Biden contro la Corte Suprema, che ha vietato l'aborto per qualsiasi caso, compreso l'incesto e lo stupro.
Usa, indagine sulla ginecologa che ha fatto abortire la bimba di 10 anni stuprata. Massimo Basile su La Repubblica il 15 Luglio 2022.
Il caso aveva destato scalpore dopo la decisione della Corte Suprema contro il diritto all'interruzione volontaria di gravidanza
Prima era stata definita una storia trash, poi una “fake news”: la bambina di 10 anni dell’Ohio rimasta incinta dopo uno stupro, e costretta ad andare nell’Indiana per abortire, esiste, anche se a nessuno sembra importare. Prima l’ha confermato la polizia dell’Ohio, poi è arrivata l’incriminazione per il presunto stupratore e, adesso, il procuratore generale dell’Indiana ha annunciato l’apertura di un’indagine sulla ginecologa che ha fatto abortire la bambina.
Simona Siri per “La Stampa” il 17 luglio 2022.
Si chiama Caitlin Bernard, è assistente professore presso la facoltà di Medicina dell'Università dell'Indiana ed è la ginecologa che ha praticato l'aborto alla bambina di dieci anni dell'Ohio rimasta incinta in seguito a uno stupro, un caso che dal primo luglio si è impossessato dell'attenzione dell'opinione pubblica sulla scia della decisione della Corte Suprema che ha reso l'aborto non più protetto a livello federale.
In una situazione normale, il suo nome non dovrebbe fare notizia: il fatto che lo sia rende l'idea di quanto violenta sia diventata la discussione. Prima, c'è stato il tentativo da parte di alcuni media e del procuratore generale dell'Ohio - il repubblicano Dave Yost - di screditare il suo nome e la storia in generale.
Dal momento che Bernard era citata come l'unica fonte nel primo articolo che riportava la storia della ragazza, le è stato detto che mentiva, e che la storia era inventata o, come ha scritto la sezione opinioni del Wall Street Journal, «troppo perfetta per essere vera».
Poi, quando le evidenze sono diventate fatti e lo stupratore della ragazzina è stato arrestato e ha confessato, gli attacchi sono continuati. Il procuratore generale dell'Indiana ha dichiarato mercoledì sera su Fox News di avere aperto un'indagine su di lei. Mentre lo diceva, la rete mandava in onda una sua fotografia, rendendola di fatto un target.
Non è la prima volta che un medico abortista riceve minacce e non sarà l'ultima. Negli Anni 80 e 90 fuori dalle cliniche americane venivano appese le foto dei medici e gli anti abortisti offrivano ricompense in denaro a chiunque fornisse informazioni che portassero alla condanna dei suddetti.
Qualcuno pagò addirittura con la vita: il medico del Kansas George Tiller, uno dei pochi a praticare l'aborto tardivo negli Usa, fu ferito nel 1993 e poi ucciso nel 2009 sul sagrato di una chiesa. Non fu il solo: dal 1993 al 2015 ben 11 persone furono uccise in attacchi perpetrati da anti abortisti.
La stessa Bernard era già finita nel mirino degli anti abortisti: secondo il Guardian, il suo nome compare su un sito web estremista pro life collegato a Amy Coney Barrett prima che fosse nominata alla Corte Suprema. L'anno scorso, in un caso riguardante le restrizioni all'aborto in Indiana, Bernard ha testimoniato di essere stata costretta a smettere di fornire aborti nel primo trimestre in una clinica a South Bend perché, avvertita da Planned Parenthood che a sua volta era stata allertata dall'Fbi, c'erano state minacce di rapimento contro sua figlia.
Sempre secondo il Guardian a gennaio i nomi di sei fornitori di aborti, così come il loro background scolastico e gli indirizzi dei luoghi di lavoro, sono stati postati sul sito web di un gruppo estremista chiamato Right to Life Michiana, in una sezione intitolata «minaccia di aborto locale».
Kendra Barkoff Lamy, portavoce di Bernard, ha dichiarato: «Le notizie riguardanti le minacce contro la famiglia della dottoressa nel 2020 sono purtroppo vere. Queste minacce personali e pericolose sono ovviamente devastanti per un medico che ha dedicato la carriera a migliorare la vita delle donne fornendo cure riproduttive cruciali, compresi gli aborti. Purtroppo, Bernard non è sola, succede a molti medici che come lei forniscono aborti».
Daniele Dell'Orco per “Libero quotidiano” il 5 luglio 2022.
Il Nancy Pelosi-gate continua a dividere la Chiesa cattolica. La speaker della Camera dei rappresentanti Usa lo scorso 29 giugno ha fatto la comunione durante la messa in parte presieduta da papa Francesco nella Basilica di San Pietro. E questo nonostante poche settimane prima l'arcivescovo Salvatore Cordileone di San Francisco, la diocesi natale della Pelosi, le avesse vietato di ricevere la comunione per il suo esplicito sostegno all'aborto.
«Dopo numerosi tentativi di parlare con lei per aiutarla a capire il grave male che sta perpetrando, lo scandalo che sta causando e il pericolo per la propria anima che sta rischiando, ho stabilito che è giunto il punto in cui devo dichiarare che non è ammessa alla Santa Comunione a meno che e fino a quando non ripudi pubblicamente il suo sostegno ai "diritti" dell'aborto e confessi e riceva l'assoluzione perla sua collaborazione in questo male nel sacramento della penitenza», così aveva motivato duramente la sua scelta Cordileone.
Il diktat del vescovo californiano era stato aggirato dalla Pelosi durante il soggiorno Roma per una vacanza in famiglia (anche se i ben informati sostengono non si trattasse affatto di villeggiatura ma della concreta possibilità che possa diventare il prossimo ambasciatore americano in Italia), quando aveva partecipato alla liturgia per la festa dei Santi Pietro e Paolo nella Basilica vaticana e avrebbe ricevuto l'ostia.
Non dal Papa in persona che, per il dolore al ginocchio, ha presieduto solo la prima parte della messa e la liturgia della parola, lasciando poi la guida della liturgia eucaristica al cardinale decano Giovanni Maria Re. Il sacramento eucaristico è stato celebrato da un altro sacerdote di cui non si conosce la nazionalità e non è nemmeno chiaro se sapesse chi aveva di fronte.
Ma dalle parole di Papa Francesco, riportate in una intervista alla Reuters, il Pontefice ha in un certo senso comunque «rivendicato» il gesto, difendendo la possibilità di dare la comunione a quei politici che hanno posizioni pro-choice (come pure lo stesso presidente Usa Joe Biden) e sostengono progetti di legge abortisti.
In America la questione è tutt' altro che chiara, e ha spaccato in due l'episcopato: da una parte coloro che fanno valere il magistero e si rifiutano di dare la comunione ai politici abortisti e dall'altra chi, invece, fa prevalere il dialogo e la misericordia. Papa Francesco ha in qualche modo dettato la linea in un passaggio in cui dice che «quando la Chiesa perde la sua natura pastorale, quando un vescovo perde la sua natura pastorale, questo causa un problema politico. Questo è tutto ciò che posso dire».
Allo stesso tempo però, mentre non si placano le proteste e i tentativi di correre ai ripari negli Stati Uniti dopo la sentenza della Corte Suprema, il Papa, interrogato sulla sentenza della che ha ribaltato la storica sentenza Roe v. Wade, che nel 1973 stabilì il diritto di una donna a interrompere la gravidanza, ha affermato di rispettare la decisione ma di non poter dire, da un punto di vista giuridico, se (la Corte) abbia fatto "bene o male". Il Pontefice, però, nell'intervista ha ribadito la sua visione antiabortista, paragonando l'interruzione di gravidanza all'assunzione di un sicario.
La Chiesa cattolica insegna che la vita inizia al momento del concepimento, ha detto in sostanza, affidandosi infine alla domanda retorica: «Chiedo: è legittimo, è giusto eliminare una vita umana per risolvere un problema?».
Le star della musica promettono mobilitazioni massicce in difesa del diritto all’aborto. Gino Castaldo su L'Espresso il 4 luglio 2022.
Un numero senza pari di big statunitensi si sono espressi contro la sentenza della Corte Suprema, giurando battaglia. E il fenomeno non può essere sottovalutato.
Ci voleva una sentenza allucinante come quella della Corte Suprema americana che ha annullato il diritto costituzionale all’aborto, per scatenare l’ira dell’intero mondo della musica. Eddie Vedder dei Pearl Jam ha urlato a Imola che in America i diritti delle donne non sono garantiti, Pink ha postato sui suoi social una proposta forte e condivisibile: «Se apprezzate la sentenza antiabortista allora non ascoltate più la mia musica», come dire se la pensate in quel modo non voglio neanche immaginare che le mie canzoni siano da voi amate e ascoltate.
Al festival di Glastonbury, ormai la tribuna rock per eccellenza, è stato un coro continuo: Billy Joe Armstrong dei Greenday ha detto che rinuncerà alla cittadinanza americana, e in questo periodo è anche questo un pensiero condivisibile; Olivia Rodrigo ha tuonato contro i giudici e poi insieme a Lily Allen hanno cantato “Fuck you”, Billie Eilish ha detto che è una giornata nera per le donne in America. Quel gran genio di Kendrick Lamar ha terminato il suo concerto con in testa una corona di spine e il sangue che colava sulla sua camicia bianca urlando a ripetizione: «Godspeed for women’s rights; they judge you, they judge Christ!». E poi ancora Taylor Swift, Bon Iver che ha postato un laconico ma significativo «I cant stop cryng», e poi ancora Harry Styles, Cher, Cat Power, Alicia Keys, John Legend, uomini e donne di ogni stile e generazione.
Perfino Mariah Carey ha tuonato: «It is truly unfathomable and disheartening to have to try to explain to my 11 year old daughter why we live in a world where women’s rights are disintegrating in front of our eyes».
È vero, come si fa a spiegare a una figlia di 11 anni perché viviamo in un mondo in cui i diritti delle donne si stanno disintegrando davanti ai nostri occhi? Il problema come sempre è l’America, il Paese delle massime contraddizioni, il rigoglioso luna park della cultura moderna e poi la nazione della pena di morte, delle armi libere, di Trump.
«Viviamo in un’America che non riconosco», scrive Jennifer Lopez e Madonna lo spiega ancora meglio: «Mi sono svegliata con una notizia terrificante, il ribaltamento di Roe v. Wade», in riferimento a una sentenza storica del 1973 che affermò il diritto di una donna alla scelta dell’aborto. E continua: «Ora la Corte Suprema ha deciso che i diritti delle donne non sono più diritti costituzionali. Di fatto abbiamo meno diritti di una pistola». La scesa in campo è potente e massiccia. I messaggi non si limitano a deplorare l’accaduto. Molti annunciano battaglia, e allora ne vedremo delle belle. Non capita spesso che la musica si mobiliti in massa, ma quando succede l’effetto è garantito.
«Cari smemorati, l’attacco ai diritti delle donne va avanti da anni. E noi resisteremo». Loredana Lipperini su L'Espresso il 4 luglio 2022.
Prontuario per chi è rimasto stupito dalla decisione della Corte Suprema Usa. E per ricordare che anche in Italia, il tentativo di rimettere in discussione il diritto all’autodeterminazione torna ciclicamente.
È sacrosanto evocare Margaret Atwood e “Il racconto dell’ancella” per sfogare costernazione e rabbia dopo la decisione della Corte suprema degli Stati Uniti sull’aborto. Peccato, però, che quel romanzo sia stato scritto nel 1985, e, certo, reso famoso dalla serie televisiva che ne è stata tratta nel 2017 sotto la presidenza Trump. Dunque, occorre avere memoria, e avere ben chiaro che negli Stati Uniti l’attacco ai diritti delle donne (e non solo) è cominciato esattamente in quel tempo, con la presidenza di Ronald Reagan, che proprio nel 1985 bloccò i finanziamenti del governo federale alle organizzazioni non governative internazionali che praticano l’interruzione di gravidanza all’estero o informano sulla medesima. La norma, detta Mexico City Policy, venne eliminata da Bill Clinton nel 1993, reintrodotta da George W. Bush nel 2001, eliminata ancora da Barack Obama nel 2009 e infine nuovamente introdotta da Donald Trump in uno dei suoi primi ordini esecutivi.
L’altalena di provvedimenti dovrebbe dimostrare che c’è da decenni una larghissima parte di politici ed elettori che si rifiuta di ammettere la libera scelta delle donne. E che spesso passa alle vie di fatto: negli anni Novanta i no-choice bloccavano fisicamente l’accesso alle cliniche, cari smemorati: in soli sei mesi, nel 1993, due medici abortisti sono stati uccisi, e un terzo, che indossava il giubbotto antiproiettile, venne colpito alle braccia «per impedirgli di continuare nella sua opera di morte». Il parroco di Mobile, Alabama, dirà nella sua predica: «Se si devono ammazzare 100 medici per salvare un milione di bambini, benissimo, il prezzo non è troppo alto».
Erano gli anni di Bill Clinton, che venivano dopo il lungo governo di Reagan prima e di Bush senior poi. Quegli spari venivano dalla paura: paura di una vera legge sull’aborto, paura che il mondo sarebbe andato diversamente. Paura, teniamolo a mente. Stephen King ne parlò in almeno un romanzo, “Insomnia”, dove i no-choice assaltano un centro femminista, uccidendo la gran parte delle organizzatrici e delle ospiti.
Il problema è che tutto questo non riguarda solo gli Stati Uniti, come moltissime donne si sono sgolate a ripetere prima della sentenza, ma un grandissimo numero di Paesi, anche europei. E riguarda noi. Sì, è vero, la legge 194 è ancora in piedi. Formalmente. L’indagine Mai Dati! condotta da Chiara Lalli e Sonia Montegiove, e pubblicata dall’Associazione Luca Coscioni, ci dice che in 11 regioni italiane c’è almeno un ospedale con il 100 per cento di obiettori. 31 in tutto, per essere precisi, e ce ne sono 50 con percentuale superiore al 90 per cento e oltre 80 con tasso di obiezione superiore all’80 per cento. Le cose sono peggiorate durante e dopo il Covid-19. E in molti casi, i dati, appunto, non sono pervenuti. Per non parlare delle regioni, come Umbria e Marche, che di fatto impediscono il ricorso all’aborto farmacologico.
Un piccolo sforzo di memoria, dunque, è necessario per chi si stupisce dei numeri, e per quanto è avvenuto negli Stati Uniti, e a Malta, dove una turista americana ha rischiato la morte perché anche in caso di perdita di liquido amniotico, se il cuore del feto batte, non si può intervenire, e per chi è rimasto stupefatto per lo Strajk Kobiet, lo sciopero delle donne polacche del 2020 e 2021 contro la sentenza della Corte Costituzionale che ha reso illegali quasi tutti i casi di aborto.
Passo indietro. 1988. È Giuliano Amato a intraprendere quel «parliamone» che diventerà frequentissimo. Durante un dibattito sulla legge 194 organizzato al club Turati di Milano, Amato critica la sentenza della Corte Costituzionale che consente alla donna di abortire anche senza il consenso del coniuge. In realtà, contesta tutta la legge, sostenendo che la donna dovrebbe decidere da sola solo se la gravidanza mette in pericolo la sua salute. In parole ancor più povere, Amato non accetta l’idea stessa di autodeterminazione.
1992. Amato è presidente del Consiglio. Viene intervistato dall’emittente cattolica Telepace. Sostiene che la vita «è un valore enorme. Se mettiamo in discussione questo, se non limitiamo a casi essenzialissimi le ipotesi in cui un essere umano può mettere in discussione la vita di un altro essere umano, allora viene meno proprio il fondamento della convivenza prima ancora che il fondamento della solidarietà».
Dunque, la vita va protetta «una volta che si è formata». In quello stesso anno, in commissione Giustizia viene approvato un emendamento di Carlo Casini (leader del Movimento per la vita) che estende la «protezione dell’ infanzia alla fase prenatale». Salto di secolo e di millennio. Negli anni Zero inizia la battaglia di Giuliano Ferrara, culminata nella presentazione della lista elettorale “Aborto? No grazie”, e peraltro mai terminata. In mezzo, tanti episodi che forniscono il clima.
Nel settembre 2011 a San Giovanni in Fiore (Cosenza) il parroco Don Emilio Salatino decide di suonare le campane a morto ogni volta che in città viene praticato un aborto. Due mesi prima, il presidente della Regione Piemonte Cota aveva proposto un protocollo, bocciato dal Tar e riproposto sotto altra forma «per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza». Il miglioramento prevedeva l’inserimento nei consultori di associazioni no-choice. Sempre all’inizio degli anni Dieci, le ginecologhe di alcuni consultori torinesi si rifiutano di affiggere un manifesto del Centro aiuto alla vita, con un feto e la scritta: «Mamma, ti voglio bene». Stesso mese, stessa città. Tre volontari dell’Associazione Ora et Labora in Difesa della Vita si muniscono di una croce che al posto dei chiodi ha feti di plastica e diffondono volantini dove il feto parla in prima persona alla madre che lo uccide. Fermano le donne, tutte le donne. Sfileranno a Roma, in un giorno di maggio 2012 (lo stesso della festa della mamma), con quelle stesse croci, ricordando alle donne che abortiscono, le assassine, che le loro anime bruceranno all’inferno.
E dunque, care e cari smemorati, il problema c’è sempre stato. Per paura. Forse per il timore occidentale della crescita zero. Di certo per la mancata accettazione di quanto le donne siano cambiate, siano determinate e più forti di prima. Paura, certo: non è per questo che si uccidono le mogli e le fidanzate che abbandonano? Quando lo si sottolinea, scatta lo scherno verso le femministe con le ascelle pelose, in tutti gli ambienti. Anche letterari, sì, certo.
Infine, un altro appello alla memoria. Quelle famose femministe non si sono mai distratte, in Italia e altrove. Ci sono sempre state anche se non sono sempre state narrate. Dal 1971 hanno rivendicato il diritto di scegliere se essere madri o non esserlo. Femministe di prima, seconda, terza, quarta ondata, settantenni e ventenni, con pratiche che si aggiornano e resistono, anche se nessuno se ne accorge (tranne le donne, evidentemente). Se si vuole citare Atwood, è bene ricordare che la scrittrice ha sempre sostenuto di non aver mai scritto nulla che non sia già accaduto. E che è pronto ad accadere ancora.
Medici obiettori di coscienza: quando tutelare il nascituro tutela anche il profitto. Roberto Saviano su Il Corriere della Sera l'8 luglio 2022.
La foto parla da sola: «Tieni le tue leggi lontano dal mio corpo» porta scritto sulla propria pelle una donna che protestava in piazza a Los Angeles contro la recente sentenza della Corte suprema Usa che ha cancellato il diritto costituzionale all’aborto.
In questa immagine la protesta di una donna, SophiaMeneakis, a Los Angeles, in California, il 26 giugno scorso: la Corte suprema statunitense ha appena sancito la cancellazione del diritto costituzionale ad interrompere volontariamente la gravidanza (foto Jason Armond/Los Angeles Times/Getty)
Questa rubrica di Roberto Saviano è stata pubblicata su 7 in edicola l’8 luglio. E’ dedicata alla fotografia. Meglio, ad una foto «da condividere con voi — spiega l’autore — che possa raccontare una storia attraverso uno scatto». Perché «la fotografia è testimonianza e indica il compito di dare e di essere prova. Una prova quando la incontri devi proteggerla, mostrarla, testimoniarla. Devi diventare tu stesso prova»
Dice che in Molise ci sono solo due medici abortisti e che le cose vanno male, ma io ricordo che fino a pochi anni fa non ce n’era nemmeno uno. Fino a pochissimo tempo fa in Molise tutte le strutture pubbliche praticavano l’obiezione di coscienza al 100% e quindi, chi avesse voluto abortire, avrebbe dovuto spostarsi altrove. E altrove le cose non andavano e non vanno molto meglio. Ciò che è accaduto negli Usa ha acceso i riflettori su un dramma eterno - l’accesso all’aborto - che solo formalmente ha trovato una soluzione in Italia con la 194 del 1978 e in Usa con la sentenza Roe contro Wade del 1973. L’argomento è interessantissimo e ricco di sfumature, lo si può affrontare attraverso molte lenti, ma quella che preferisco è seguire il profitto: cui prodest? Chi trae profitto dall’aborto negato nelle strutture pubbliche?
IN ITALIA SOLO IL 30% DEI GINECOLOGI PRATICA ABORTI IN STRUTTURE PUBBLICHE. LA SOLUZIONE? IL PRIVATO, DOVE PAGHI PER UN DIRITTO
In Italia solo il 30% dei ginecologi pratica l’aborto nelle strutture pubbliche, ci sono intere aziende ospedaliere in cui tutto il personale ha scelto di obiettare. In queste realtà territoriali, molto più diffuse di quanto si pensi e presenti in ogni angolo del Paese, la soluzione è il privato. Pagare per un diritto che è costituzionalmente garantito. La stessa cosa avveniva - e avverrà in maniera ancor più drammatica - negli Usa dove, se è vero che la sentenza Roe contro Wade garantiva l’accesso all’aborto facendo ricorso al Quattordicesimo Emendamento (diritto alla privacy inteso come diritto di libera scelta, diritto di autodeterminazione), anche lì abortire senza dover pagare era ed è un’impresa ardua. E allora, provando a non apparire complottista, mi domando se la tutela della vita del nascituro non sia piuttosto tutela del profitto.
Mi domando se tutte le persone che, a vario titolo, si impegnano perché un diritto come l’aborto sia considerato un privilegio, un capriccio immorale della donna, o peggio, un metodo di contraccezione, stiano pensando a tutelare i diritti di un essere umano non ancora nato o i profitti di qualche essere umano già nato. Il progressivo smantellamento della sanità pubblica a vantaggio della privata mi farebbe pensare di non essere poi così lontano dal vero. Quindi, se da un lato sentirsi fare la morale o addirittura leggere di esternazioni di esultanza per un diritto negato è davvero inaccettabile, dall’altro dovremmo interrogarci, a prescindere dalle biografie di questo o quel giudice, su quale sia il fine ultimo delle Corti costituzionali; fine non dichiarato, ma sempre perseguito. Su argomenti «divisivi» - come piace a certo giornalismo e a certa politica definire le questioni cruciali che determinano la quotidianità di noi umani - l’orientamento è sempre di base conservatore, tende sempre a cristallizzare lo status quo.
UNA MINORENNE INCINTA, PER IGNORANZA O PER ERRORE, HA LA VITA ROVINATA E NESSUNO NE TUTELERÀ I DIRITTI
Negli Usa, mi si dirà, il diritto c’era, a che pro stabilire che non fosse costituzionalmente garantito e affidarne la gestione ai singoli Stati? Solo formalmente il diritto era garantito; nella prassi gli ostacoli erano tanti e tali da essere già di fatto, il diritto all’aborto, un diritto negato. A questo si aggiunga l’orientamento politico dei giudici della Corte suprema e di alcuni Stati federali e si capisce bene come questa scioccante decisione fosse di fatto nell’aria da tempo e affondi le sue radici nella diserzione delle urne. Possiamo sentirci al sicuro in Italia? No. E non avremmo dovuto sentirci al sicuro nemmeno prima della sentenza Usa. In Italia abortire è relativamente facile per chi ha mezzi propri, quasi impossibile per fasce sociali ed economiche meno tutelate. Ma le fasce più deboli di norma non hanno voce né rappresentanti politici a garantirne i diritti acquisiti. Quindi si dirà sempre che abortire si può, basta volerlo.
Raccontate questa favola a una minorenne di provincia che, per ingenuità, ignoranza o errore è rimasta incinta; raccontatelo a lei che se lo vengono a sapere a casa la sua vita è rovinata! Per lei non è questione divisiva, ma vitale. La direzione dell’Italia è evidente da quando la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili i tre quesiti referendari che avrebbero stimolato dibattito sul referendum spingendo verso il quorum e dato un impulso importante su diritti conquistati (eutanasia), contrasto alla criminalità organizzata (legalizzazione della cannabis) e responsabilità degli organi giudicanti. La foto che ho scelto parla da sola: tieni le tue leggi lontane dal mio corpo.
"La sentenza della Corte Suprema è politica". Aborto, Biden firma ordine su interruzione gravidanza: “Donne votate per fermare estremisti repubblicani”. Redazione su Il Riformista l'8 Luglio 2022
A due settimane dalla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di cancellare il diritto all’aborto, arriva la prima mossa del presidente Joe Biden. che ha firmato un ordine esecutivo a difesa del diritto all’accesso all’interruzione di gravidanza per le donne americane. La “terribile, estrema e completamente sbagliata” decisione della Corte Suprema sull’Aborto “non è stata una guidata dalla Costituzione”, ma è stato un “esercizio di potere politico” spiega l’inquilino della Casa Bianca in riferimento ai giudici nominati dal suo predecessore Donald Trump.
L’ordine esecutivo di oggi garantisce a tutte le donne che vogliono abortire la libertà di movimento da uno Stato all’altro. Per Biden il modo per ristabilire il diritto all’Aborto su tutto il territorio nazionale, cancellato dalla decisione della Corte Suprema, è “votare“, esprimendo “la speranza” che a novembre le “donne voteranno in massa per riprendersi i diritti”. Il presidente americano ha infatti ricordato che “la via più veloce” per difendere il diritto all’aborto è approvare al Congresso “una legge che codifichi” quanto era stabilito dalla sentenza Roe vs Wade, cioè che il diritto all’aborto è tutelato dal diritto alla privacy sancito dalla Costituzione. E per farlo bisogna che vengano eletti a novembre più rappresentanti pro choice, in particolare al Senato.
Corte che “ha praticamente sfidato le donne americane ad andare alle urne” per ristabilire il diritto che “è stato tolto loro”. Biden ha sottolineato ancora una volta l’importanza del voto di midterm di novembre, per ottenere al Congresso la maggioranza necessaria a fare approvare una legge federale in tema di Aborto. Il presidente ha quindi rilevato che nelle liste elettorali la percentuale di donne registrate è “più alta” rispetto a quella degli uomini. “Questa è la strada più rapida“, ha detto il presidente in riferimento al voto, aggiungendo che gli “estremisti repubblicani”, dopo avere ottenuto la loro vittoria politica con la decisione della Corte Suprema, ora “vogliono spingersi oltre”, attaccando altri diritti.
Con l’ordine esecutivo firmato oggi, Biden ha formalizzato una serie di istruzioni per i dipartimenti di Giustizia e Salute per consentire alle donne di accedere con più facilità a farmaci abortivi approvati dal governo federale o di viaggiare attraverso i confini statali per accedere ai servizi di Aborto nelle cliniche specializzate. L’ordine esecutivo riguarda anche la privacy e la diffusione dei dati delle pazienti.
Nelle misure della Casa Bianca, anche la richiesta alla Federal Trade Commission di soluzioni per proteggere la privacy di coloro che cercano informazioni sull’assistenza riproduttiva online e l’istituzione di una task force inter-agenzia per coordinare gli sforzi federali per salvaguardare l’accesso all’Aborto. La Casa Bianca ha affermato che convocherà anche degli avvocati volontari per fornire alle donne e agli operatori del settore assistenza legale pro bono per aiutarli a superare le nuove restrizioni statali dopo la sentenza della Corte Suprema.
La sentenza. Non vogliono l’aborto e sono fan della pena di morte, chi sono i giudici della Corte Suprema. Elisabetta Zamparutti su Il Riformista il 15 Luglio 2022.
Vita! Ineffabile mistero legato al respiro, dal primo vagito all’ultimo sospiro. E quanti i guardiani di questo fluire, dentro e fuori i polmoni, dell’aria, a volte ferma a volte burrascosa. Tra questi i giudici della Corte Suprema americana che hanno deciso in sei contro tre di mettere fine alle garanzie costituzionali per l’aborto. Lo hanno fatto dopo mezzo secolo dalla loro introduzione. “Ha vinto la vita!” ha commentato qualcuno. Per Donald Trump siamo addirittura all’espressione della “volontà di Dio”. Strumenti della manifestazione di questa “volontà divina” sono certamente i tre giudici che lui stesso ha designato: Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett i quali hanno costituito la super maggioranza conservatrice della Corte Suprema, unendosi all’afroamericano Clarence Thomas scelto da Bush padre e a John Roberts e Samuel Alito voluti da Bush figlio. Conservare, cum-servare, tenere con sé.
Sono d’accordissimo. La vita stessa è mantenimento di un equilibrato insieme di elementi diversi quali parti di un tutto. Ordine armonico e per questo vitale in un disordine altrimenti distruttivo. Marco Pannella, sull’aborto, diceva che ciò che bisogna assicurare è il diritto a procreare con amore, con consapevolezza, anziché il riprodursi come bestie. Questo attiene alla vita, in una dimensione nonviolenta e civile. Mentre, invece, trovo una matrice violenta, primordiale, disordinata, in fin dei conti mortifera nell’imposizione della vita a tutti i costi come inteso dai guardiani americani della Corte Suprema. Non è un caso che i tre giudici di nomina trumpiana si siano distinti per un morboso attaccamento da un lato alla vita di un feto e contemporaneamente alla pena di morte. Ricordo ancora la motivazione scritta dal giudice Gorsuch nel rigetto del ricorso di un condannato a morte del Missouri, Russell Bucklew, che spiegava come fosse affetto da una malattia rara che gli avrebbe causato atroci dolori se giustiziato con l’iniezione letale e che pertanto chiedeva un metodo alternativo.
Si era appellato all’ottavo emendamento che vieta trattamenti crudeli e inusuali. Per Gorsuch “l’ottavo emendamento vieta metodi ‘crudeli e inusuali’ ma non garantisce una morte indolore”. Non so cosa possa esserci di più cinico e violento. D’altro canto lo stesso Trump ha danzato con la morte per consegnare la sua presidenza alla storia. Nel 2020, fece giustiziare dieci persone – un numero maggiore rispetto a quello delle esecuzioni nei cinquanta Stati dell’intero continente – ripristinando le esecuzioni federali sospese dal 2003. Trump ha inteso passare alla storia con il bottino del maggior numero di esecuzioni federali dal 1896 e uscire di scena con la messa a morte, senza alcuna pietà, di una persona torturata e abusata per una vita: Lisa Montgomery, la prima donna giustiziata in settant’anni negli USA. Ecco, un pensiero conservatore servirebbe per manifestare, anche politicamente, il senso di una vita concepita con amore e capace di contenere – di tenere con sé – anche chi nella sua vita ha conosciuto tempeste, scommettendo sull’inesorabile schiarita. Contenimento e conservazione possibile se fondata sulla fiducia, oserei dire sull’amore, per la persona umana: la donna che decide di abortire o il condannato che decide di cambiare. Elisabetta Zamparutti
Dopo soli quattro anni la forca tornò legale. Quando gli Stati Uniti abolirono la pena capitale, ma solo per pochi anni…Valerio Fioravanti su Il Riformista l'8 Luglio 2022
Il 29 giugno 1972 la Corte Suprema degli Stati Uniti dichiarò incostituzionale la pena di morte. Nel 50° anniversario della famosa sentenza Furman v. Georgia ne hanno scritto in tanti. A noi italiani francamente interessa poco, e non siamo nemmeno molto sicuri che le sentenze di costituzionalità servano a qualcosa, perché in Italia in effetti restano ferme sui libri, e sortiscono scarsi effetti. Però possiamo approfittarne per fare un riassunto della comunque interessante situazione della pena di morte nel Paese “più potente del mondo”.
La fede assoluta che alcuni settori degli Stati Uniti hanno nel concetto di “punizione durissima” deve interessarci, non è opportuno che rimanga relegata ai buoni sentimenti di chi lavora nelle ONG, perché non c’è una grande differenza tra i principi istitutivi secondo cui molti statunitensi vogliono punire i propri cittadini “sbagliati”, e il desiderio di punire anche il resto del mondo quando “sbaglia” anch’esso. La sentenza del ’72 riconosceva che la vaghezza delle leggi accordava alle giurie popolari poteri discrezionali troppo ampi, che sconfinavano nell’arbitrio. A quell’epoca, infatti, come un retaggio dei “linciaggi” del passato, in molti Stati si poteva emettere una condanna a morte anche solo per rapimento o per stupro. Ovviamente in quegli anni l’elemento razziale era particolarmente rilevante, e per “stupro” si intendeva spesso un uomo nero che faceva sesso con una donna bianca. Molte giurie consideravano questa cosa “stupro” a prescindere anche dalla consensualità.
La Corte Suprema dal 1965 in poi aveva già emesso una serie di sentenze parziali, ma nel 1972 mise ordine alle proprie deliberazioni e ne emise una complessiva, e dichiarò incostituzionali le leggi di 40 Stati e del governo federale, e ridusse automaticamente all’ergastolo le 629 condanne a morte allora esistenti. Fu una sentenza elaborata, emessa con la maggioranza minima: 5-4. Due dei componenti, Brennan e Marshall (il primo nero nominato alla Corte Suprema) sostenevano che era la pena di morte di per sé a essere incostituzionale, altri tre sostennero che era il modo in cui veniva amministrata a non essere corretto, e gli altri quattro, i “contrari”, ammisero che c’erano degli elementi di “arbitrarietà”, ma in una misura accettabile, in quanto ogni procedimento giudiziario è in qualche misura “arbitrario”. Gli ottimisti scrissero che gli Stati Uniti avevano abolito la pena di morte. I pragmatici invece si misero al lavoro, e dopo soli quattro anni, modificate le varie leggi, ottennero, nel luglio 1976, un’altra sentenza “storica”, Gregg v. Georgia, votata 7-2: si poteva ricominciare a emettere condanne a morte.
Il combinato disposto tra le sentenze parziali e “Furman” aveva bloccato tutte le esecuzioni negli Stati Uniti dal 1967 al 1977. La prima persona giustiziata nel “nuovo corso” fu Gary Gilmore, che volle creare un certo scandalo e affrettò la procedura, e si presentò volontariamente alla fucilazione, in Utah, lo Stato mormone, il 17 gennaio 1977. La storia di Gilmore venne raccontata in un romanzo da Norman Mailer, che con Il canto del boia vinse il Premio Pulitzer. A parte Gilmore, le uccisioni ripartirono molto lentamente, e nei primi sei anni furono giustiziate solo 7 persone. Poi la macchina infernale terminò il rodaggio, e nel 1984 si arrivò a 21 esecuzioni, che diventarono 98 nel 1999, il record nell’epoca post-Furman, e da lì iniziò un calo costante: 60 nel 2005, 39 nel 2013, 25 nel 2018 e 17 nel 2020, 10 delle quali fortemente volute da Trump in campagna elettorale. Nel 2021 le esecuzioni sono state 11 e nei primi 6 mesi di quest’anno 7.
Nel frattempo 23 Stati hanno abolito la pena di morte, comprese le due “capitali”, Washington e New York. Dal 1977 a oggi sono state emesse complessivamente 9.763 condanne a morte ed effettuate 1.547 esecuzioni. Già solo questo fatto, che in media solo una condanna su sei arrivi davvero all’esecuzione, conferma che molto è affidato al caso: a parità di reato farà la differenza la geografia, la razza, il censo, l’ignoranza, la malattia mentale, il quoziente intellettivo. Come sappiamo tutti, oltre l’80% delle esecuzioni sono negli Stati del Sud, e il Texas da solo ne ha il 37%. Questi Stati hanno una vera a propria “cultura” della durezza giudiziaria. Considerato però che a fronte di tanta severità sono e rimangono la parte degli Stati Uniti con il più alto tasso di omicidi, forse il termine più appropriato sarebbe “fede ferrea”. Quando si insiste a fare qualcosa anche se non funziona, evidentemente è “fede”. Malriposta, ma fede. Valerio Fioravanti
La Corte Suprema il 24 giugno scorso ha annullato la sentenza Roe contro Wade. Aborto, Biden alle donne: “Continuate a protestare, è di cruciale importanza”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 10 Luglio 2022.
“Continuate a protestare. Continuate a tenere il punto. È di cruciale importanza”. È quanto ha detto il presidente Usa, Joe Biden, rivolgendosi alle manifestanti che protestano per il diritto all’Aborto a seguito della sentenza della Corte suprema del mese scorso. Biden ha parlato con i giornalisti durante una sosta nel corso di un giro in bicicletta vicino alla sua casa di famiglia sulla spiaggia in Delaware.
Poche ore prima più di diecimila persone si sono radunate a Washington per manifestare a favore dell’Aborto. Al grido di “non torneremo indietro” i manifestanti si sono diretti verso la Casa Bianca e hanno chiesto di contrastare la decisione della Corte Suprema, che ha revocato il diritto all’Aborto, stabilito quasi cinquant’anni fa. Alcune persone, sotto gli sguardi della polizia, si sono legate alle cancellate che si trovano attorno alla residenza presidenziale. Molti gli appelli ai Democratici ad agire. “O lo fate voi, o lo faremo noi”, hanno scandito i manifestanti. Non sono stati segnalati incidenti.
Biden ha detto di non avere il potere di costringere ad applicare l’Aborto gli Stati Usa che hanno rigide restrizioni o divieti e per questo ha riferito che sta valutando la possibilità di dichiarare un’emergenza sanitaria pubblica per liberare risorse federali per promuovere l’accesso all’Aborto, anche se la Casa Bianca ha detto che non sembra “un’ottima opzione”. “Non ho l’autorità per dire che ripristineremo la Roe v.Wade come legge del Paese”, ha detto Biden riferendosi alla decisione della Corte Suprema del 1973 che aveva stabilito un diritto nazionale all’Aborto, ma ha ribadito che il Congresso dovrebbe codificare quel diritto e che per avere maggiori possibilità in futuro gli elettori dovrebbero eleggere più parlamentari che supportino l’accesso all’Aborto.
Biden ha affermato che la sua amministrazione sta cercando di fare “molte cose per accogliere i diritti delle donne” dopo la sentenza, inclusa appunto la possibilità di dichiarare un’emergenza sanitaria pubblica per liberare risorse federali. Una mossa del genere è stata promossa dai sostenitori, ma i funzionari della Casa Bianca ne hanno messo in dubbio sia la legalità che l’efficacia e hanno notato che quasi certamente dovrà affrontare sfide legali. Il presidente ha detto di aver chiesto ai funzionari “di vedere se ho l’autorità per farlo e quale impatto avrebbe”. Venerdì Jen Klein, il direttore del Consiglio per la politica di genere della Casa Bianca, aveva dichiarato che “non sembra un’ottima opzione”. “Quando abbiamo esaminato l’ipotesi dell’emergenza sanitaria pubblica – ha detto – abbiamo imparato un paio di cose: una è che non libera molte risorse”, ha detto ai giornalisti, spiegando che “è quello che c’è nel fondo di emergenza per la salute pubblica, e ci sono pochissimi soldi, decine di migliaia di dollari”, e che “inoltre non rilascia una quantità significativa di autorità legale. Ed ecco perché non abbiamo ancora intrapreso questa azione”.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
La sentenza Usa. Il Parlamento Ue “risponde” alla Corte Suprema: l’aborto è un diritto fondamentale. Redazione su Il Riformista l'8 Luglio 2022
Il Parlamento Europeo ha approvato una risoluzione (324 sì, 155 no, 38 astenuti) che chiede di inserire il diritto all’aborto nella Carta fondamentale dei diritti Ue. L’iniziativa, che non ha valore vincolante, nasce in contrapposizione alla sentenza della Corte Suprema degli Stati Uniti, che ha cancellato la precedente sentenza Roe vs Wade che nel 1973 aveva legalizzato l’aborto a livello federale. Hanno votato a favore Socialisti e Democratici (tra cui tutta la delegazione del Pd), i Verdi e la Sinistra unitaria. Hanno votato contro i Conservatori (tra cui la delegazione di FdI), la destra euroscettica (tra cui la Lega, tranne un voto a favore). Il Ppe, invece, si è diviso. Compatta per il no alla risoluzione Forza Italia (tranne uno).
“Si tratta di una risposta finalmente positiva del Parlamento europeo all’appello promosso dalle associazioni femministe italiane ed europee e di un importante segnale di solidarietà nei confronti delle donne americane e di chi si batte per la salvaguardia del diritto a un accesso sicuro all’interruzione di gravidanza – commenta la presidente della Casa Internazionale delle Donne di Roma, Maura Cossutta -. Già il 9 giugno un’altra risoluzione aveva chiesto agli Stati membri un impegno per contrastare le limitazioni all’accesso all’interruzione di gravidanza, a partire dall’obiezione di coscienza. Atti che sono in linea con quanto richiesto dalle associazioni per i diritti delle donne in Italia e in Europa”.
Gli eurodeputati chiedono una modifica dell’articolo 7 della Carta dei diritti, allegata ai Trattati Ue, inserendo la frase “ogni persona ha diritto all’aborto sicuro e legale”. Ieri a Roma con un presidio a piazza dell’Esquilino Non Una Di Meno e Women’s March Rome hanno manifestato solidarietà con le donne Usa e contro l’obiezione di coscienza: “Non torneremo indietro”. Nei prossimi giorni manifestazioni in tutta Italia in difesa dell’interruzione volontaria di gravidanza.
Se per la Ue dei diritti l'aborto è un vanto: la risoluzione e le polemiche. Gianluca Veneziani su Libero Quotidiano il 09 luglio 2022.
Ue pare un vagito ma è la sigla di morte della vita nascente. Lo è tanto più da ieri, quando l'Europarlamento ha approvato a larga maggioranza, con 324 voti favorevoli, 115 contrari e 38 astenuti, una risoluzione per inserire il diritto di aborto nella Carta europea dei diritti fondamentali. In particolare, la richiesta è di adottare l'espressione «Ogni persona ha diritto all'aborto sicuro e legale» come articolo 7 bis della Carta, subito dopo quello che stabilisce che «ogni persona ha diritto al rispetto del proprio domicilio e della propria corrispondenza»: e già qui si capisce la confusione dell'Ue che mette la vita umana sullo stesso piano valoriale di una missiva o una mail.
E poi, cosa vuol dire «ogni persona ha diritto all'aborto»? La hanno anche i maschi, per caso? Si dice «persona» forse perché chiamare la donna «donna» per l'Ue sarebbe discriminatorio? Vabbè, tralasciamo... La risoluzione approvata non sarà vincolante per gli Stati membri, ma verrà comunque sottoposta al Consiglio dell'Unione europea che ha la facoltà di procedere a una revisione dei trattati, a cui è equiparata appunto la Carta.
MAGGIORANZA URSULA Non sorprende che, a votare a favore della risoluzione abortista, sia stata tutta la maggioranza Ursula, con l'adesione pressoché unanime dei Socialisti, del gruppo The Left, dei Verdi, dei grillini, e di mezzo Ppe, mentre a opporsi siano stati il gruppo di Identità e democrazia (di cui è parte la Lega) e quello dei Conservatori europei, guidato dalla Meloni.
Semmai è singolare che, anziché tutelare il diritto alla vita, come è riconosciuto ad esempio nella Costituzione americana, insieme alla libertà e alla felicità, l'Unione europea preferisca riconoscere come fondamentale il diritto (doloroso, traumatico) di sopprimere una vita nascente. Non ha saputo riconoscere come fondamentali le radici cristiane, l'Europa preferisce ritenere come fondante lo sradicamento di un feto... A riguardo, il testo della risoluzione sottolinea più volte, come è sacrosanto e ci mancherebbe, i diritti della donna e la sua libertà di scelta; ma li declina sempre nell'ottica del dovere degli Stati di «eliminare e combattere gli ostacoli all'aborto sicuro e legale». Mai una volta che ci fosse invece il riferimento all'urgenza per gli Stati di rimuovere e superare gli ostacoli che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza. Insomma, ai firmatari della risoluzione, sfugge il concetto che l'aborto deve restare sempre l'extrema ratio e ogni Paese dovrebbe impegnarsi perché sia tale. Altrettanto incredibilmente manca nel testo approvato dal Parlamento Ue ogni riferimento al diritto del nascituro così come al diritto dei medici e del personale sanitario di fare obiezione di coscienza.
No, per l'Ue esiste solo il diritto della donna d’abortire.
Non meno clamoroso è che l'Unione europea si impicci negli affari di altri Paesi sovrani, come gli Usa, giudicando le scelte dei suoi più alti organi istituzionali, con un atto di ingerenza e di sfida (geo)politica. Scopo della risoluzione è infatti anche quello di «condannare fermamente la regressione in materia di diritti delle donne e di salute sessuale e riproduttiva negli Stati Uniti», a seguito della sentenza della Corte Suprema che ha deciso di revocare il diritto costituzionale federale all'aborto. Nel testo si esprime più volte lo sdegno per quella decisione che, oltre ad «aggravare il circolo vizioso della povertà» di molte donne, soprattutto adolescenti (se hanno figli, non potranno più lavorare, è la tesi), «potrebbe incoraggiare il movimento antiabortista nell'Ue» (e anche se fosse?).
Da qui un appello esplicito a interferire nelle faccende interne agli Usa: l'Europarlamento, si legge, «sostiene la richiesta affinché il Congresso degli Stati Uniti approvi un progetto di legge che tuteli l'aborto a livello federale» e «chiede che le prossime delegazioni del Parlamento europeo a Washington sollevino costantemente la questione dei diritti in materia di aborto».
METODI ILLIBERALI A livello di affari relativi ai Paesi europei, invece, suona decisamente inquietante e profondamente illiberale la richiesta di togliere finanziamenti ai gruppi pro-vita (l'Europarlamento «esprime preoccupazione per un possibile aumento del flusso di denaro per finanziare gruppi anti-genere e anti-scelta nel mondo, anche in Europa»), così come l'esortazione a «intensificare il sostegno politico a favore dei prestatori di assistenza sanitaria che lavorano per far progredire la salute sessuale e riproduttiva e i relativi diritti» (leggi, i gruppi abortisti). Alla faccia della libertà di scelta, qui siamo all'imposizione di un Pensiero Unico. «Un indicatore inquietante del progetto sociale delle sinistre per l'Europa: vogliono sponsorizzare il ricorso all'aborto e liberalizzarlo al massimo, così da tramutarlo in un banale prodotto di consumo», lo definisce l'eurodeputato di Fdi Vincenzo Sofo. «Un delirio ideologico di ispirazione totalitaria», aggiunge il portavoce di Pro Vita & Famiglia Jacopo Coghe avvertendo: «Non ci faremo intimidire da un colpo mortifero che condanna le future generazioni europee a non vedere mai la luce». Eh già, ad abortire ieri è stata soprattutto l'idea di una nuova Europa, aperta alla vita e al domani.
Se la libertà abortisce. Marcello Veneziani
La sentenza sull’aborto della Corte suprema americana ha riaperto una ferita profonda nella società americana e ha confermato una divaricazione radicale nella società occidentale, destinate entrambi a perdurare. Non vi parlerò ancora della sentenza e nemmeno dell’allineamento drastico, militante del 99% dei media e del paese legale contro la sentenza che invece spacca in due il paese reale. Ma vorrei riflettere su una realtà che ci ostiniamo a non voler vedere, così minando alle basi la nostra democrazia e la stessa libertà e cittadinanza.
Gli States sono la casa del politically correct e di ogni altro suo derivato tossico. Ma sono anche la patria della militanza conservatrice e religiosa come non succede da nessun’altra parte d’Occidente. Oltre l’aborto, infatti, ieri la Corte ha riammesso la possibilità di pregare in classe e in campo, inginocchiandosi: era consentito in nome di Blacks Live Matter, ma non nel nome di Dio.
Sarebbero impensabili sentenze del genere in Italia, e in quasi tutta Europa. E impensabile sarebbe una forza politica cospicua pronta a dar battaglia sul piano parlamentare. Già due forze su tre nel centro-destra nostrano si sono defilate.
Ma al di là delle ipocrisie, la realtà torna a bussare alle coscienze civiche e politiche dell’occidente. La realtà è che ci sono due visioni della vita contrapposte in modo irriducibile e non possiamo continuare a pensare che solo una sia quella giusta, sacrosanta, umana, moderna, eco-compatibile e l’altra debba solo soccombere. Da una parte c’è quella che in queste ore sta montando furiosa in tutto l’Occidente contro la sentenza della corte, che insorge rabbiosa su tutti i temi sensibili che riguardano soprattutto i diritti civili e umani. E che considera barbara ogni scelta, opinione, pronunciamento in direzione opposta o anche solo diversa. E’ la parte liberal, radical, progressista, che pur sostenendo il relativismo dei valori, non ammette altri valori e altre scelte all’infuori delle proprie, ponendosi non come la parte ma come il tutto; l’Assoluto nel senso del Bene, del Giusto, del Vero.
Dall’altra parte c’è una larga opinione pubblica che non si riconosce in quello schema e in gradi diversi inclina per la visione opposta, ma tace o lo dice solo a mezza voce. E poi c’è una parte minore, a cui si unisce il Papa, che invece è netta e perentoria, soprattutto negli Usa, e propone la stessa intransigenza dei suoi avversari su valori che ritiene non negoziabili, assoluti. Come il diritto alla vita, la salvezza dei nascituri, il diritto di pregare anche nei luoghi pubblici. Sono quelli dell’aborto come omicidio, per dirla con Bergoglio.
Come forse sapete, chi scrive propende per questa visione, senza nasconderlo, e ritiene effettivamente che quei principi siano fondamentali. Ma se la società è spaccata in due su questi temi non si può pensare di eliminare il nemico, tra prova muscolare e criminalizzazione. Pur ribadendo i propri principi si deve vedere se sono possibili intese di alto profilo, senza sotterfugi e ipocrisie, tra due visioni così radicalmente antagoniste.
Non si può pretendere che il fronte dell’aborto si converta o sia sconfitto ed eliminato. I suoi punti di forza sono il diritto delle donne a decidere della loro maternità e la convinzione che il feto non sia ancora una persona con i suoi diritti. I punti di forza dell’altro versante sono invece il diritto alla vita e la convinzione che una vita si formi al suo concepimento: il feto è già una persona e una promessa reale di vita. Gli abortisti dicono: se tu non vuoi abortire sei libera di non farlo ma lascia alle altre il diritto di farlo. Ma se l’aborto è per te un omicidio, non puoi dire: Uccidi? fatti tuoi, io sono libero di non farlo…
Non si può pretendere che uno o l’altro si rassegni ad accettare le ragioni opposte ma si può tentare di stabilire una zona di frontiera. Del tipo: ferme restando le due opposte convinzioni, e il legittimo intendimento di affermarle, si può concordare sul fatto che abortire è comunque una tragedia e perciò è lecito e doveroso aiutare a non farlo. Non boicottare chi abortisce, ma in positivo, aiutare chi recede dal suo proposito.
Non si tratta di relativizzare i propri principi e diritti elementari ma di capire che la loro traduzione nella realtà comporta di fare i conti con la reale umanità. E’ inutile negarlo, ci sono due modi di vedere la realtà e per vivere abbiamo due soluzioni: o accettare l’alternanza di leggi pro e contro l’aborto, a seconda di chi vince le elezioni, senza recriminare; o tentare un punto di mediazione pur restando ciascuno nelle proprie convinzioni. Questo vuol dire libertà e reciproco rispetto. Detto in termini filosofici: non si tratta di ridurre la verità a punto di vista ma di riconoscere sì la verità sopra di noi, però ritenere che nessuno detenga il monopolio assoluto della sua traduzione.
Invece si è scatenata una campagna feroce in cui i giudici, i movimenti pro life, i conservatori sono stati ridotti a mostri. In particolare vergognosa la campagna contro il giudice nero Clarence Thomas (ma guarda, la sinistra legalitaria che si schiera contro la legge e contro il magistrato nero). Si è cercato, come sempre fa la sinistra, non di confutare la “sua” sentenza ma di discreditare e diffamare il magistrato, insinuando che tutta la sua battaglia non abbia nulla di legale né di ideale ma risponda a un rancore personale contro i progressisti e a un proposito di vendetta a lungo covato. La smerdizzazione dell’avversario, la riduzione a carogna… Ma la soluzione non è rovesciare lo schema e riproporlo uguale dall’altra parte. Il problema di fondo resta e tocca tutti: dobbiamo imparare a convivere con la differenza di visioni della vita, senza mostrificare l’avversario. Perché se non accettiamo di convivere con questa realtà divisa, la soluzione più coerente è la guerra civile, l’ordalia. E non mi sembra il caso… La Verità (29 giugno 2022)
Testo di Pier Paolo Pasolini del 30 gennaio 1975 - pubblicato da “Sette - Corriere della Sera” l'8 luglio 2022.
Veniamo all’aborto. Tu (il destinatario dell’intervento è lo scrittore Alberto Moravia; ndr) dici che la lotta per la prevenzione dell’aborto che io suggerisco come primaria, è vecchia, in quanto son vecchi gli «anticoncezionali» ed è vecchia l’idea delle tecniche amatorie diverse (e magari è vecchia la castità).
Ma io non ponevo l’accento, sui mezzi, bensì sulla diffusione della conoscenza di tali mezzi, e soprattutto sulla loro accettazione morale, per noi – uomini privilegiati – è facile accettare l’uso scientifico degli anticoncezionali e soprattutto è facile accettare moralmente tutte le più diverse e perverse tecniche amatorie. Ma per le masse piccolo-borghesi e popolari (benché già «consumistiche») ancora no.
Ecco perché io incitavo i radicali (con cui è avvenuto tutto il mio discorso, che solo appunto visto come un colloquio con essi acquista il suo pieno senso) a lottare per la diffusione della conoscenza dei mezzi di un «amore non procreante», visto (dicevo) che procreare è oggi un delitto ecologico.
Se alla televisione per un anno si facesse una sincera, coraggiosa, ostinata opera di propaganda di tali mezzi, le gravidanze non volute diminuirebbero in modo decisivo per quel che riguarda il problema dell’aborto.
Tu stesso dici che nel mondo moderno ci sono due tipi di coppie: quelle borghesi privilegiate (edonistiche) che «concepiscono il piacere distinto e separato dalla procreazione» e quelle popolari, che «per ignoranza e bestialità non arrivano a una simile concezione».
Ebbene, io ponevo come prima istanza alla lotta progressista e radicale proprio questo: pretendere di abolire – attraverso i mezzi cui il paese ha democraticamente diritto – tale distinzione classista.
Insomma, ripeto, la lotta per la non-procreazione deve avvenire nello stadio del coito, non nello stadio del parto. Per quel che riguarda l’aborto, io avevo suggerito paradossalmente di rubricare tale reato nel quadro del reato di eutanasia, inventando per esso una serie di attenuanti di carattere ecologico. Paradossalmente.
In realtà la mia posizione su questo punto – pur con tutte le implicazioni e le complessità che sono tipiche di un intellettuale singolo e non di un gruppo – coincide infine con quella dei comunisti. Potrei sottoscrivere parola per parola ciò che ha scritto Adriana Seroni su Epoca (25-1-1975).
Bisogna evitare prima l’aborto, e, se ci si arriva, bisogna renderlo legalmente possibile solo in alcuni casi «responsabilmente valutati» (ed evitando dunque, aggiungo, di gettarsi in una isterica e terroristica campagna per la sua completa legalizzazione, che sancirebbe come non reato una colpa).
Mentre per il «referendum» sul divorzio ero in pieno disaccordo coi comunisti (che lo temevano) prevedendo la vittoria che poi si è avuta; mentre sono in disaccordo coi comunisti sugli «otto referendum» proposti dai radicali, prevedendo anche qui una vittoria (che ratificherebbe in effetti una realtà esistente), sono invece d’accordo coi comunisti sull’aborto.
Qui c’è di mezzo la vita umana. E non lo dico perché la vita umana è sacra. Lo è stata; e la sua sacralità è stata sentita sinceramente nel mondo antropologico della povertà, perché ogni nascita era una garanzia per la continuità dell’uomo. Ora sacra non lo è più, se non in senso maledetto (sacer ha tutti e due i sensi), perché ogni nuova nascita costituisce una minaccia per la sopravvivenza della umanità.
Dunque dicendo «c’è di mezzo la vita umana», parlo di questa vita umana – questa singola, concreta vita umana – che, in questo momento, si trova dentro il ventre di questa madre. È a ciò che tu non rispondi. È popolare essere con gli abortisti in modo acritico e estremistico? Non c’è neanche bisogno di dare spiegazioni?
Si può tranquillamente sorvolare su un caso di coscienza personale riguardante la decisione di fare o non fare venire al mondo qualcuno che ci vuole assolutamente venire (anche se poi sarà un disgraziato)? Bisogna a tutti i costi creare il precedente «incondizionato» di un genocidio solo perché lo «status quo» lo impone?
Va bene, tu sei cinico (come Diogene, come Menippo... come Hobbes), non credi in nulla, la vita del feto è una romanticheria, un caso di coscienza su un tale problema è una sciocchezza idealistica... Ma queste non sono delle buone ragioni.
ABORTO/SENTENZA USA: I ‘SINCERI DEMOCRATICI’? IN PIENO DELIRIO – di GIUSEPPE RUSCONI – rossoporpora.org – 26 giugno 2022
La sentenza della Corte Suprema statunitense che ha negato l’aborto come diritto costituzionale a livello federale (demandandone la valutazione ai singoli Stati dell’Unione) ha scatenato forti reazioni ancora in corso. Negli Stati Uniti e in altri Paesi. Anche in Italia. Ve ne offriamo un florilegio ‘democratico’, con un occhio anche a titoli e commenti deliranti. Alla fine una bella sorpresa giornalistica e un Post Scriptum che riempie di speranza.
Come facilmente prevedibile sono tanto numerose quanto spesso isteriche e turbolente le reazioni (anche di piazza) alla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di affossare- con un Atto del 24 giugno 2022, di 213 pagine molto ben argomentate - la sentenza Roe v. Wade del 1973, con cui veniva riconosciuto l’aborto come un diritto garantito costituzionalmente a livello federale. La possibilità dell’aborto legale negli Usa non viene abolita, ma demandata alla valutazione autonoma di ogni singolo stato dell’Unione. Già in questi giorni e in ogni caso a breve si prospettano in una metà degli Stati dell’Unione il divieto di aborto o in ogni caso forti restrizioni alla sua pratica. Con conseguente chiusura di molte cliniche, in particolare della famigerata rete Plannet Parenthood, un impero industriale cresciuto sulla pelle delle donne (e degli uomini), comprovato grande finanziatore da tempo del partito democratico di Biden, di Obama, di Hillary Clinton.
La Corte era stata chiamata in causa per valutare la legge approvata dal Mississippi che limitava a 15 settimane il periodo in cui era possibile abortire, condizionando fortemente tale facoltà anche prima. La maggioranza della Corte ha però ritenuto di andare oltre, argomentando che in realtà il ‘diritto’ di aborto a livello federale non aveva nessun fondamento e la sentenza Roe v Wade poggiava su premesse sbagliate. Grande il coraggio civile – anche derivato dalla fede religiosa - mostrato dai sei giudici favorevoli (cinque convintissimi più uno che personalmente avrebbe preferito limitarsi alla convalida della legge del Mississippi): da tempo devono vivere sotto scorta per le continue minacce alla loro vita.
E’ indubbio che la storica decisione della Corte è un duro colpo da digerire per i fautori della sovversione antropologica: per i suoi ideologi, i suoi propagandisti e anche per l’ormai vasta cerchia delle aziende interessata agli enormi profitti economici legati al suo concretizzarsi.
Alla sentenza attinge con speranza rinnovata chi - non solo negli Stati Uniti, ma in tante parti del mondo- si batte, con ardore e con costanza spesso vilipesi dal politicamente corretto, perché cessi la strage disumana degli innocenti nel grembo materno. Sì, la nota e proteiforme lobby può essere costretta a indietreggiare, la gioiosa macchina da guerra si può fermare. Contro tutti o quasi… si può fermare, come ha dimostrato la Corte Suprema degli Stati Uniti. Si può fermare dappertutto, anche nell’Europa occidentale, anche in Italia.
Della sentenza (che pure induce anche a qualche fondata perplessità quando delega la tutela della vita umana agli elettori dei singoli Stati… ma tale tutela è delegabile, subordinata come sarebbe alle opinioni dominanti in un tempo ben definito?) proponiamo qui un passo particolarmente chiaro e incisivo.
Lo troviamo alle pagg. 14 e 15 della sentenza (Opinione Corte, sezione I):
“Per dare forza a questo Atto, si richiama una serie di fatti. Dapprima si nota che al momento dell’elaborazione dell’Atto, solo sei Paesi oltre gli Stati Uniti permettevano un aborto non terapeutico o su domanda dopo la ventesima settimana di gestazione. In realtà si constata che già alla quinta o sesta settimana di gravidanza incomincia a battere il cuore di un essere umano non ancora nato; all’ottava settimana l’essere umano non nato incomincia a muoversi nel grembo; alla nona settimana sono presenti tutte le funzioni fisiologiche fondamentali; alla decima settimana gli organi vitali incominciano a funzionare e le unghie delle mani e delle dita dei piedi incominciano a prendere forma; all’undicesima settimana il diaframma si sta sviluppando e ora l’essere umano non nato si muove liberamente nel grembo; e alla dodicesima settimana l’essere umano non nato ha preso forma umana in tutti i suoi aspetti più rilevanti”.
DALLA REAZIONE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE DEGLI STATI UNITI – Dichiarazione del 24 giugno 2022 a firma del presidente José H. Gomez (arcivescovo di Los Angeles) e del presidente della Commissione episcopale per la vita William F. Lori (arcivescovo di Baltimora)
Questo è un giorno storico nella vita del nostro Paese, che suscita pensieri, emozioni e preghiere. (…) Per quasi cinquant’anni l’America ha applicato una legge ingiusta che ha permesso ad alcuni di decidere se altri possono vivere o morire; generazioni a cui è stato negato il diritto di nascere.
La sentenza è anche il frutto delle preghiere, dei sacrifici e della testimonianza pubblica di innumerevoli americani di ogni ceto sociale. In questi lunghi anni, milioni di nostri concittadini hanno lavorato insieme pacificamente per educare e persuadere i loro vicini sull’ingiustizia dell’aborto, per offrire assistenza e consulenza alle donne e per lavorare per alternative all’aborto, compresa l’adozione, l’affidamento e l’assistenza pubblica politiche a sostegno delle famiglie. Condividiamo la loro gioia oggi e gli siamo grati. Il loro lavoro per la causa della vita riflette tutto ciò che c’è di buono nella nostra democrazia e il movimento pro-vita merita di essere annoverato tra i grandi movimenti per il cambiamento sociale dei diritti civili nella storia della nostra nazione».
I ‘SINCERI DEMOCRATICI’ STATUNITENSI, DIFENSORI DEI ‘VALORI DELL’OCCIDENTE’ SONO TREMENDAMENTE INDIGNATI…
Joe Biden (presidente democratico e cattofluido degli Stati Uniti): Oggi è un giorno triste per la Corte Suprema e il Paese. E’ un tragico errore. Questa decisione è la realizzazione di tentativi che vanno avanti da decenni per rovesciare le leggi, la realizzazione di un’ideologia estrema: la Corte ha fatto una cosa mai fatta prima, togliere un diritto costituzionale fondamentale per milioni di americani. Non lo ha limitato, lo ha semplicemente eliminato. Con questa decisione la maggioranza conservatrice alla Corte Suprema ha mostrato quanto estrema sia, quanto si sia allontanata dalla maggioranza di questo Paese.
Jill Biden (moglie del presidente): Per quasi 50 anni, noi donne abbiamo avuto il diritto di prendere le nostre decisioni sul nostro corpo. Oggi quel diritto ci è stato rubato
Barack Obama (ex-presidente democratico degli Stati Uniti): La Corte Suprema non solo ha annullato quasi 50 anni di precedenti, ma ha relegato la decisione più intensamente personale che qualcuno può prendere ai capricci di politici e ideologi: (sono state) attaccate le libertà fondamentali di milioni di americani
Michelle Obama (moglie dell’ex-presidente): Ho il cuore spezzato per gli americani che hanno perso il diritto fondamentale di assumere decisioni informate. Avrà delle conseguenze devastanti. Una decisione orribile, dagli effetti devastanti.
Hillary Clinton (ex-Segretario di Stato, moglie dell’ex-presidente democratico Bill Clinton): Un’infamia.
Nancy Pelosi (speaker democratica Camera dei Rappresentanti) Decisione crudele, scandalosa. Un insulto.
Alexandria Ocasio-Cortez (esponente dell’ala sinistra del partito democratico): Biden apra immediatamente cliniche per l'aborto su terreni federali negli Stati repubblicani che imporranno il divieto. (…) Le elezioni non bastano, dobbiamo riempire le strade.
E LE AZIENDE DELLA NOTA LOBBY?
Saranno coperte le spese di viaggio delle dipendenti che vorranno abortire, ma non potranno farlo nel loro Stato di residenza: l’hanno comunicato le tante aziende di grande rilievo infiltrate pesantemente dalla nota lobby. Tra loro troviamo (prenda buona nota chi ci legge): Disney, Apple, JPMorgan , Tesla, Meta e Bank of America, Netflix, Levi Strauss e Microsoft.
IN CANADA (è previsto a fine luglio il viaggio apostolico in Canada di papa Francesco, che con Justin Trudeau ha apparentemente ottimi rapporti)
Justin Trudeau (primo ministro, esponente coccolato della sovversione antropologica): E’ orribile. Le notizie che arrivano dagli Stati Uniti sono orribili, Non riesco nemmeno a immaginare la paura e la rabbia che le donne statunitensi stanno provando in questo momento. Il mio primo pensiero va alle donne che hanno perso il diritto all’aborto.
IN FRANCIA Emmanuel Macron, (presidente francese tanto spavaldo quanto elettoralmente acciaccato): ha fatto annunciare che sarà depositata una proposta di legge all’Assemblea Nazionale per inserire il diritto all’aborto nella Costituzione francese (già l’ha annunciato per quella dell’Unione europea): L’aborto è un diritto fondamentale per tutte le donne. Deve essere difeso. Desidero esprimere la mia solidarietà alle donne le cui libertà sono state minate dalla Corte Suprema degli Stati Uniti.
IN INGHILTERRA Boris Johnson (primo ministro inglese): La decisione è un grande passo indietro. Io ho sempre creduto nel diritto di scelta delle donne.
ALL’ONU Michelle Bachelet (Alto Commissario per i diritti umani - !!! – già presidente del Cile): E’ una grave battuta d'arresto dopo cinque decenni di protezione della salute sessuale e riproduttiva e dei diritti negli Stati Uniti attraverso Roe v Wade. L'accesso ad un aborto sicuro, legale ed efficace è saldamente radicato nel diritto internazionale dei diritti umani. E’ un duro colpo per i diritti umani delle donne e l'uguaglianza di genere. Gli Stati Uniti si stanno purtroppo allontanando dalla tendenza progressista.
IN ITALIA Alcune citazioni (ce ne sarebbero però altre assai problematiche sul versante del centro-destra…) relative a esponenti del centro-sinistra che incessantemente inneggiano all’impegno per la difesa delle libertà democratiche e dei valori occidentali (vedi ad esempio riguardo alla guerra scellerata in Ucraina, con un invio scandaloso di armi in conflitto grave con l’art. 11 della Costituzione)
Enrico Letta (segretario del Pd): La decisione della Corte americana sull'aborto è stato un errore grave perché è figlia di una svolta ideologica. (…) Un ritorno indietro che genera sconforto, alimenterà sofferenze e farà divampare conflitti. Da noi nessun ritorno al ‘900.
Elena Bonetti (ministro renziano della Famiglia, cattofluida di radici scoutistiche Agesci): E’ una decisione che lascia sgomenti, che ferisce la dignità e i diritti delle donne.
Nicola Zingaretti (Pd, governatore del Lazio): La terribile scelta della corte suprema americana rappresenta un drammatico passo indietro
Emma Bonino (radicale storica, in passato ha praticato aborti con una pompa aspirante infilata nell’utero della donna): La sentenza della Corte Suprema dopo 50 anni cancella il diritto di aborto negli Usa a livello federale, che perde così il livello di costituzionalità. Ora saranno i singoli Stati, un po’ come avviene in Europa, basti pensare a Polonia e Ungheria, oltre ai rigurgiti antiabortisti anche nel nostro Paese, a disciplinare questa libertà. E' sicuramente un passo indietro e la mia solidarietà va alle donne americane
I parlamentari del M5S (… e si è detto tutto…): Questa sentenza è l’ultima manifestazione di un’inquietante tendenza oscurantista presente non solo negli USA, ma anche in Europa e in tutto il mondo e che in Italia conosciamo molto bene.
I TITOLI PIU’ DELIRANTI: VINCE ‘LA STAMPA’ DI TORINO
La Stampa, 25 giugno 2022. A tutta prima pagina: L’America che odia le donne. Commento di Concita De Gregorio che incomincia in prima pagina: Così la destra umilia i più deboli. Altro commento di Linda Laura Sabbadini che incomincia in prima pagina: Non ci toglieranno la voglia di libertà. Grande titolo a pagina 2: Aborto: medioevo USA. Poker!
SI SI, NO NO? NEL VANGELO, MA NON NEI TITOLI DI ‘AVVENIRE’
Avvenire, 26 giugno 2022. Titolo di apertura: Ma la vita è dialogo. Titolo a tutta pagina 6: Vita e aborto, tempo di dialogo.
COMMENTI DI MAESTRI DEL VIVER CIVILE, DEMOCRATICAMENTE INTESO
Gianni Riotta (noto esperto della ‘vita buona’ da salotto, Repubblica, 26 giugno 2022), fa proprio come incipit del suo articolo questo giudizio di Ian Bremer, “sofisticato stratega del forum internazionale Eurasia”: Gli Stati Uniti non son più la democrazia dei tempi della caduta del Muro di Berlino. Non sono l’Ungheria, non sono la Turchia, ma vanno in quella direzione. Non si poteva dimenticare l’Ungheria…
Massimo Giannini (direttore de La Stampa, 26 giugno 2022): Anche in Europa si avverte una tendenza alla Grande Restaurazione. Se parliamo di aborto, basta vedere quello che sta succedendo in Polonia, dove una legge del gennaio 2021 ha ristretto drasticamente il diritto all’interruzione della gravidanza (…) Ma poi anche a Malta, o in Ungheria, dove Orbán ha fatto inserire in Costituzione “la tutela del feto fin dal suo concepimento” (…) In Italia già ora in molte strutture ospedaliere i medici obiettori si rifiutano di applicare la legge. (…) Bisogna dire no a queste tentazioni di nuovo Medioevo. Non si potevano dimenticare non solo l’Ungheria, ma anche Polonia e Malta. E il ‘Medioevo’ dell’obiezione di coscienza…Un perfetto democratico!
Lucetta Scaraffia (storica femminista, qui in versione cattofluida, La Stampa, 26 giugno 2022): Meglio chiarire subito: sono convinta che la decisione della Corte Suprema americana di negare all’aborto lo status di diritto inalienabile costituzionalmente garantito rappresenti di fatto una grave ferita alla libertà delle donne statunitensi. (…) E parimenti sono convinta che l’entusiasmo con il quale la Chiesa cattolica ha accolto questa decisione le costerà un ulteriore allontanamento delle donne. (poi la Scaraffia fa qualche considerazione condivisibile, ad esempio sulla necessità di non ignorare i padri dei nascituri, ma intanto le affermazioni iniziali restano).
Concita De Gregorio (nota editorialista radicalchic, La Stampa, 25 giugno 2022): Peccato, Peccato per il tempo che ci vorrà a risarcire questa ferita colossale, un salto indietro di cinquant’anni, ma come si sa la destra demolisce con un calcio castelli costruiti in decenni, sulle rovine festeggia. Nel Paese in cui da oggi non si può più abortire ma si può entrare in un asilo con la pistola in mano da puntare alla tempia dei bambini (…). Lucida la De Gregorio nella ricerca di immagini per palati forti…
Linda Laura Sabbadini (che si definisce ‘direttora del Dipartimento Metodi e Tecnologie Istat’, La Stampa, 25 giugno 2022): Non a caso dopo il popolo ucraino che anela a libertà e democrazia, le prime a essere sotto attacco nucleare sono le donne (…) Ma loro, i reazionari, non hanno più remore, preparano l’assalto al cielo, quello che fallirono a Capitol Hill. Vogliono distruggere la democrazia dei diritti e delle libertà, vogliono colpire al cuore le donne americane. La strategia è unitaria. La truppa di Trump si muove all’unisono con quella di Putin. Poteva non c’entrare Putin?
Filippo Facci (ovvero il Galateo fatto uomo, Libero, 25 giugno – il commento, intitolato “L’Italia ignori questa follia di quaccheri”, è pubblicato in prima pagina con seguito a pagina 2, accanto al commento contrapposto -bello e intenso – di Renato Farina, che porta il titolo: Così l’America ha ritrovato i suoi valori”): Della sentenza della Corte Suprema non ce ne frega niente. Della singola opinione di qualche baciapile – a me personalmente – non me ne frega niente. Se negli USA, dopo 49 anni, hanno deciso che una donna non è libera di interrompere una gravidanza, a questo Paese e a questo continente (fa eccezione la nota avanguardia polacca) non gliene frega niente, perché nel nostro caso c’è una decisione sancita da un referendum, promulgata a mezzo legge (la 194) e che soprattutto funziona. (…) La legge 194 c’è solo il problema di difenderla dai troppi sabotatori: l’Italia è stata uno degli ultimi Paesi occidentali in cui è stata introdotta la pillola Ru 486 che resta di complicata reperibilità; impossibile poi tacere di quella truffa da codice penale che resta l’obiezione di coscienza che è esercitata da circa l’80% dei ginecologi soprattutto in Campania, Basilicata e Sicilia (…) Noi, con il nostro 80% siamo ultimi con Portogallo e Argentina, nazioni note per i loro convincimenti etici. Dopo aver offeso i’ baciapile’, offende anche gli obiettori di coscienza e i meridionali cui la addebita in buona parte e offende anche polacchi, portoghesi e argentini: un nuovo Guinness dei primati in così poche righe!
A SORPRESA IL COMMENTO DI VITTORIO FELTRI
Vittorio Feltri (fondatore di ‘Libero’), in apertura di Libero del 26 giugno 2022 con prosecuzione a pagina 3, sotto il titolo “Quella volta che anch’io volevo fermare una vita”: Anche io quando ero un giovane padre mi trovai di fronte al dilemma. Io e mia moglie, persona mite, avevamo già tre figli. Ella a un certo punto scoprì di essere incinta (…) Se avesse portato a termine la gravidanza, con il quarto pargolo, non avrebbe più potuto continuare la sua attività importante presso un ente pubblico, l’Amministrazione provinciale. Sorse in me ed anche in lei l’idea dell’aborto, il quale però non era ancora stato reso lecito. (…) Presi contatto con una struttura (in Svizzera). (…) Avvicinandosi la data dell’intervento io e la mia consorte cominciammo ad avere titubanze che crebbero quotidianamente. Non discutevamo d’altro in casa mia (…) Una sera si mise a singhiozzare. Non riusciva a digerire la situazione che si andava profilando. Le presi la mano e gliela accarezzai, poi le sussurrai mentre il mio cuore sobbalzava (…) Teniamoci anche questo quarto rompicoglioni e che sia finita ogni tribolazione. Ci abbracciammo come due sposini (…) Basta col tormento che mi procurava l’ipotesi di stroncare una creaturina che non era neanche in grado di opporsi e protestare. (…) Quando risalii nel reparto mi venne incontro una giovane infermiera che teneva tra le braccia un fagottino: con entusiasmo mi disse: ‘Ecco, è nata la Sua bambina’. Guardai la piccola come si osserva un gioiello. Mi sembrava un miracolo. E pensare che aveva rischiato di finire in un bidone della spazzatura. (…) Allorché leggo sui giornali che la gente si lamenta perché in Italia le culle sono vuote, penso che l’aborto abbia contribuito a svuotarle”.
P.S. A scorrere titoli e citazioni deliranti si può essere presi da un certo sconforto. Però, stamattina, durante la messa domenicale delle 10.30 a Sant’Ippolito a piazza Bologna, si sono registrati due battesimi, di Chiara e di Matteo, con il Coro che ha eseguito in modo molto intenso e coinvolgente il Benedicat di San Francesco a Frate Leone. E allora… Benedicat/ benedicat/ benedicat tibi Dominus et custodiat te.
Così l’America ha ritrovato i suoi valori. Renato Farina 25 Giugno 2022
Dai più deboli, da quei condannati a morte, ma non ancora nati, ci arriva una richiesta di soccorso.
La Corte Suprema degli Stati Uniti, l’equivalente della nostra Corte costituzionale, ma persino più solenne perché chi ne fa parte lo è fino alla tomba, ha stabilito che in base ai principi sulla cui base è nata la multiforme e multiculturale nazione americana non esiste il diritto di aborto, e chi lo ha introdotto in passato, ha sbagliato. Anzitutto perché viola un diritto che viene prima: quello alla vita dell’esserino che palpita nell’utero di una donna, e che non è una sua propaggine, anche se in tutto e per tutto dipende da lei. Quel “coso”, detto feto anche se nessuno quando tocca quella pancia lo chiama così, è “un altro” che sta in casa tua, mamma, e nessuno può autorizzarti a ucciderlo.
Papa Francesco che non è certo un bigotto, e non perdona niente a chi non è capace di perdonare, definisce killer chi pratica l’aborto, come applicazione più tremenda di una cultura dello scarto. Non è una faccenda cattolica, ma un dato di scienza e coscienza. Di ragione e di cuore. È un dato di fatto che in Occidente, ma probabilmente anche in Oriente, ci sia stato una radicale mutazione antropologica, l’evidenza della realtà non è più tale. Non esiste più il primato dello sguardo ma dell’emozione. Per cui chi non ha voce non ha chance di suscitare commozione.
Il grido del suo soccombere non attraversa le pareti del grembo, e non è in grado – ciò che vale del resto anche per i neonati – di esprimere il suo pensiero in argomento. Ma esiste una forza tremenda e documentata dentro quella creaturina non ancora nata. Quel grumo di carne e sangue, con le sue piccole dita, nuota nelle acque materne, e disperatamente cerca di salvarsi la vita davanti alla chimica che lo vuole dissolvere o alla pinza del dottore che lo vuole ridurre a brandelli. Ci sono immagini inconfutabili e che subiscono una censura assoluta. Ieri sera in nessun tigì sono state trasmesse.
Nessun sito del web di proprietà dei grandi gruppi editoriali italiani e internazionali ha non dico approvato la sentenza ma riconosciuto la sua dignità. Neppure un piccolo, minimo “forse”, è sfuggito dalle bocche serrate nella protesta e dalle penne schierate a falange in una sorta di conformismo benpensante. La storia – dice il coro della nostra tragedia – non può fare un passo indietro di cinquant’anni. Qual è l’unità di misura del valore degli anni? Riaffermare solennemente il diritto alla vita, non in generale, ma proprio quella che eri tu in boccio, è andare avanti, che non si misura in anni ma in potenza di una luce che si era perduta chissà dove.
Questo articolo è stato pubblicato oggi, 25 giugno 2022 su Libero Quotidiano.
Lucetta Scaraffia per “la Stampa” il 26 giugno 2022.
Meglio chiarire subito: sono convinta che la decisione della Corte Suprema americana di negare all'aborto lo status di diritto inalienabile costituzionalmente garantito rappresenti di fatto una grave ferita alla libertà delle donne statunitensi, che molto probabilmente i repubblicani pagheranno caro nelle elezioni locali. E parimenti sono convinta che l'entusiasmo con il quale la Chiesa cattolica ha accolto questa decisione le costerà un ulteriore allontanamento delle donne. Ma c'è un punto sul quale vorrei riflettere.
Una domanda che anche noi femministe dobbiamo avere il coraggio di farci: l'aborto può essere davvero considerato un diritto naturale, indipendentemente da ogni atto legislativo che lo sanzioni (perché è proprio ciò e solo ciò che la Corte americana ha negato)?
Può davvero essere considerato un diritto naturale la facoltà di sopprimere la possibilità di vita di un altro essere umano? E quindi, di conseguenza, abbiamo fatto bene a fondare le battaglie femministe su questo straordinario diritto?
Viceversa combattere per la semplice depenalizzazione dell'aborto è una battaglia giusta e sacrosanta, fondativa del movimento femminista, così come la battaglia che ha portato a riconoscere lo stupro come reato contro la persona e non contro la morale. È da entrambe queste battaglie, infatti, che deriva il rispetto per il corpo femminile e per il diritto della donna di disporne liberamente.
Diritto imprescindibile per fondare la libertà delle donne e il rispetto nei loro confronti. Invece l'aborto, formulato come un vero e proprio diritto naturale, di fatto coinvolge un'altra persona, cioè il padre del nascituro, e in un certo senso anche il possibile nascituro. E quindi, come si capisce, risulta oggettivamente alquanto problematico considerarlo un vero e proprio diritto naturale, trattandosi tra l'altro di una decisione che coinvolge altri interessati ma privi in alcun modo della possibilità di interferire. Mi chiedo quindi se non sarebbe allora stato meglio impostare fin dall'inizio la battaglia sul tema dell'aborto chiedendo la sua pura e semplice depenalizzazione.
Questo mi sembra il vero problema che pone la sentenza della Corte Suprema americana. La sua decisione, sicuramente oltremodo deprecabile per i suoi effetti, mette però il dito su una contraddizione effettivamente esistente alla base dell'ideologia femminista. Affermare il diritto all'aborto come un diritto naturale inalienabile delle donne infatti significa inevitabilmente negare qualunque diritto a chiunque altro a qualsiasi titolo sia interessato all'eventuale nascita di un essere umano. Limitarsi alla depenalizzazione dell'aborto significa invece consegnare la terribile decisione alla coscienza di chi la compie, e accettare quindi che questa scelta dolorosa venga pagata, nel corpo e nella psiche, dalla donna che la compie.
A Gilead, a Gilead! Anche sull’aborto noialtri intelligenti siamo molto stupidi. Guia Soncini su L'Inkiesta il 27 Giugno 2022
Pur pensando che essere incinte sia un’invalidità, e perfino dopo aver sbirciato un paio di talk show italiani sul tema, riesco ancora a capire che le donne americane che festeggiano la decisione della Corte Suprema non gioiscono perché viene negato loro un diritto, ma perché sono convinte che si metta fine a un crimine
Riesco a immaginare solo un’invalidità più insopportabile, una tragedia più abissale, uno stato più atroce dell’essere incinta, ed è: essere incinta senza aver desiderato d’esserlo. È una delle ragioni per cui le sciatte militanti che in questi anni hanno scomodato Gilead per ogni fischio per strada sono imperdonabili: a che serve la potenza della letteratura che evoca donne incinte per imposizione se poi, quando arriva il momento in cui in alcuni degli Stati Uniti non si può più abortire per nessuna ragione, quei personaggi di fantasia non puoi più citarli perché “Il racconto dell’ancella” è consunto dalle similitudini a casaccio?
In cima alla pagina di The Cut, la sezione femminile del New York Magazine, c’è l’occhiello «Life after Roe», la vita dopo che la Corte Suprema ha deciso che la sentenza Roe vs. Wade non attiene all’aborto, non essendo l’aborto citato in una Costituzione scritta nel Settecento (ma tu pensa), e non tutelando quindi quella sentenza, come fin qui ritenuto, il diritto all’interruzione di gravidanza. Prima dell’articolo c’è un avviso. Fa così: abbiamo rimosso il paywall da questa e altre storie sulla possibilità di abortire. Certo che è importante dare informazioni sulle questioni urgenti (e se non lo è liberarti d’una gravidanza che non vuoi, non saprei che definizione dare di «urgenza»), ma magari un articolo che ti dice che non devi credere a TikTok, il bidet con la Coca Cola non fa abortire, dovremmo averlo superato a dodici anni, che è l’età alla quale leggevo le smentite di queste leggende su Cioè. Sto per compierne cinquanta, e la demolizione delle leggende abbiamo cominciato a chiamarla debunking, e non pensiamo si smetta d’averne bisogno dopo le scuole medie.
Lo so, questa cosa d’aver detto «sezione femminile» fa di me una retrograda. Anche le persone trans e non binarie possono aver bisogno d’un aborto, possono mestruare, possono amare: sono tali e quali a noi, noi normali. Ma cosa volete ne sappia io, che ogni volta che sento «non binario» ho il riempimento automatico di «triste e solitario».
Dunque è andata così: Barack Obama ha avuto una maggioranza mai vista e non l’ha usata per fare una legge federale che regolamentasse l’aborto; a seconda di chi siano tifosi, gli studiosi di leggi americane ti dicono che non l’ha fatto perché il precedente d’una sentenza che s’appoggia alla Costituzione è più forte d’una legge federale e non c’era ragione di pensare decadesse, o che non l’ha fatto come non ha fatto mille altre cose, tra cui i nuovi giudici della Corte Suprema. Le militanti strepitano perché Donald Trump ne ha fatti tre, e non s’accorgono mai mai mai che stanno dicendo: è stato più bravo. Chi vuol far vedere che ha spirito critico dice: eh, certo, è un po’ colpa di Ruth Bader Ginsburg che si sarebbe dovuta dimettere a Obama in forze, permettendogli di metterci un altro giudice abortista. Ma chi la doveva convincere a dimettersi, RBG, io? Se Obama fosse stato bravo a fare il presidente quanto a venire bene in foto, chissà dove saremmo.
L’altra sera alla tv italiana sono andati in onda quelli che mi sono sembrati i quaranta minuti di tv più incredibili di tutti i tempi, ma probabilmente è il livello medio dei talk show e sono io che non sono abituata a guardarli. A osservare senza neanche troppa attenzione, si vedeva in controluce la costruzione del disastro. Una puntata preparata con un parterre di ospiti televisivi abituali, di quelli ritenuti in grado di parlare di Ucraina e di PNRR, dell’afa e della pandemia. Poi, nel pomeriggio, la notizia: in America è saltato per aria il fragile escamotage su cui si basava la possibilità di abortire. Mica vorrai smontare il parterre. Aggiungiamo due donne, ché l’aborto è cosa di donne, due con utero e che sappiano anche quattro cose sul tema. Ma quaranta minuti cinque ospiti? Ma figuriamoci: alle due in quota competenza facciamo una domanda e poi le congediamo.
Quando la conduttrice, dopo averle fatte parlare trenta secondi l’una, manifestando una certa qual insofferenza per ventinove dei trenta secondi, dice «so che ci dovete lasciare», la regia si guarda bene dall’inquadrarle, acciocché non si veda il labiale «no veramente noi potremmo pure restare». Se inquadrassero le due che conoscono il tema mentre vengono congedate per proseguire la discussione sul tema con gente che di solito parla di scissione dei Cinque stelle, vedremmo probabilmente due emule di Valeria Parrella allo Strega, quando la congedarono per parlare di MeToo: «E lei ne vuole parlare con Augias? Auguri».
L’omaggio a quel grandissimo momento di televisione può quindi proseguire con gli abituali turnisti del circo, uno dei quali – d’un quotidiano di destra – dice delle cose ovvie per un conservatore ma le dice come le dicono le macchiette televisive italiane: risultando insopportabile. Perdipiù la conduttrice, che è in modalità in-quanto-donna e quindi deve dire che l’aborto è un diritto inalienabile, è così maldisposta nei suoi confronti che la regia non osa inquadrarlo, e quindi quello diventa una voce dall’indefinito del suo bravo collegamento mentre tengono fisso il primo piano della conduttrice che sbuffa. Quando ero giovane e fertile queste trasmissioni esistevano per diventare Blob, ora probabilmente per diventare meme.
La stessa sera, sulla Hbo andava in onda il talk migliore del mondo, quello di Bill Maher. Era ospite Andrew Sullivan, che esprimeva gli stessi concetti del conservatore italiano ma come li esprime uno alfabetizzato, e spiegava bene l’assurdità dell’Italia che si scalda sulla regolamentazione dell’aborto americano, pur senza nominarci mai.
La sinistra americana è scandalizzata perché i primi interventi di riduzione della possibilità di abortire (in Florida, per esempio) hanno abbassato il termine da sei mesi a meno di quattro (quindici settimane). Gli americani non sanno talmente mai niente che il primo che studia due schede da sussidiario su quel che accade fuori dagli Stati Uniti pare subito un genio. Sullivan (che è inglese, inserire qui la battuta di Hamilton sugli immigrati sui quali contare per un lavoro ben fatto) fa presente che in mezza Europa il termine è a dodici settimane (anche in Italia).
Una giornalista ospite interviene dicendo sì, ma lì hanno la sanità pubblica. Già, ragazza: qui in dodici settimane, non potendo per legge abortire nel privato, devi anche fare in tempo a trovare un non obiettore nel pubblico. Ha tentato di spiegarlo Chiara Lalli a Lilli Gruber, ma alla Gruber «Molise» sembrava meno chic di «Florida» e quindi l’ha interrotta come stesse andando fuori tema. (Dovendo scegliere un modello, suggerirei l’Inghilterra: sanità pubblica, e termine a sei mesi).
Ci sarebbe poi anche da parlare della questione «come osano parlarne gli uomini» o, come dicono quelli cui piace citare in inglese, «no uterus no opinion». La giornalista ospite da Bill Maher è lesbica: l’utero inutilizzato ha comunque diritto a opinioni? E, se pensi che quella che abortisce ammazzi qualcuno, non hai non solo il diritto ma forse pure il dovere d’intervenire, anche se un utero non ce l’hai?
Com’è possibile che da questo lato delle cose – quello in cui abortire pare non solo un diritto ma addirittura un dovere, e quella fuori legge dovrebbe essere la gravidanza portata a termine – non riusciamo ad avere argomentazioni adulte, e a capire che una questione etica che per qualcuno (anche per molti di quelli che cianciano di «dramma morale» sperando così diventi più accettabile) non è niente, e per altri è assassinio, non la risolvi fingendo che le donne siano tutte da questo lato della questione?
Certo che più o meno tutte le donne hanno l’handicap di rischiare di restare incinte a ogni rapporto sessuale per metà della loro vita, e che questa disgrazia richiederebbe una pensione d’invalidità universale, e che l’idea che se resti incinta tu debba tenertelo è distopica e inaccettabile per molte di noi. Ma ci sono pure quelle che pensano che farti aspirare un embrione o un feto sia un omicidio, e rispetto all’omicidio hanno problemi di coscienza: avere un utero non basta neanche ad avere tutte la stessa opinione sui diritti che abbiamo su quell’utero.
Com’è possibile che non capiamo che le donne americane che manifestavano felicità per la fine di Roe vs Wade non sono donne che gioiscono perché viene negato loro un diritto, sono donne convinte che si metta fine a un crimine? Com’è possibile che noialtri intelligenti siamo così stupidi?
Aborto, Vittorio Feltri racconta tutto: "Quella volta che io...", drammatica confessione. Vittorio Feltri su Libero Quotidiano il 26 giugno 2022
Se avesse portato a termine la gravidanza, con il quarto pargolo, non avrebbe più potuto continuare la sua attività importante presso un ente pubblico, l'Amministrazione provinciale. Sorse in me e anche in lei l'idea dell'aborto il quale però non era ancora stato reso lecito.
Che fare? Possiamo andare in Svizzera, pensammo. Presi contatto con una struttura elvetica e mi accordai anche sulla data dell'intervento. Avvicinandosi la quale io e la mia consorte cominciammo ad avere titubanze che crebbero quotidianamente.
SCELTA GIUSTA? Non discutevamo d'altro in casa mia mentre la pancia di Enoe (mia moglie) non faceva che crescere.
Una sera ero un po' nervoso, anzi turbato, lei mi interrogò, la solita domanda imbarazzante: ma sei sicuro chela nostra scelta sia quella giusta? Risposi: certamente amore, sono sicuro che stiamo facendo una incredibile puttanata. Enoe annuì e si mise a singhiozzare. Non riusciva a digerire la situazione che si andava profilando. Le presi la mano e gliela accarezzai, poi le sussurrai mentre il mio cuore sobbalzava: senti amore mio, a me i bambini hanno sempre portato fortuna, ho un lavoro importante e ben retribuito, rinunceremo al tuo stipendio, io mi adopererò per non far mancare nulla alla mia famiglia. Teniamoci anche questo quarto rompicoglioni e che sia finita ogni tribolazione. Ci abbracciammo come due sposini, poi disdissi l'appuntamento svizzero e provai un sollievo liberatorio. Basta col tormento che mi procurava l'ipotesi di stroncare una creaturina che non era neanche in grado di opporsi e di protestare. L'abbiamo concepita ed è nostro dovere farla nascere nel migliore dei modi e provvedere a lei come abbiamo fatto con gli altri tre bambini a cui ci dedichiamo con tutto il nostro impegno. La gestazione filò liscia fino all'ultimo giorno quando Enoe ebbe le doglie. Senza tentennare la caricai in macchina e la condussi di fretta all'ospedale. La ricoverarono immediatamente mentre io mi intrattenni negli uffici amministrativi per il disbrigo delle pratiche burocratiche.
IL MIRACOLO Quando risalii nel reparto mi venne incontro una giovane infermiera che teneva tra le braccia un fagottino: con entusiasmo mi disse, ecco è nata la sua bambina. Guardai la piccola come si osserva un gioiello. Mi sembrava un miracolo. E pensare che aveva rischiato di finire in un bidone della spazzatura. La presi in braccio un attimo con titubanza, avevo paura di rovinarla, invece lei mi sorrise, anche se nessuno crede, ogni volta che racconto questo dettaglio, che una neonata sia già allegra. Oggi mia figlia ha 50 anni, due lauree, gestisce una farmacia, ha un figlio grande, e quando spesso viene a trovarmi la rivedo come il giorno che era appena uscita dal grembo materno. Lei non sa che sono stato sul punto di ucciderla. Allorché leggo sui giornali che la gente si lamenta perché in Italia le culle sono vuote, penso che l'aborto abbia contribuito a svuotarle.
Alessandra Arachi per il “Corriere della Sera” il 26 giugno 2022.
Ci sono molte lacune nell'applicazione della legge sull'interruzione volontaria di gravidanza, la 194 del 1978. Il punto è l'obiezione di coscienza di medici, anestesisti, infermieri: è prevista dalla norma, ma questa prevede anche che quando ci sono obiezioni di coscienza, nel presidio sanitario deve comunque essere garantita l'interruzione volontaria di gravidanza.
Ma così non è. Perlomeno non lo è affatto in 31 strutture sanitarie, secondo i dati che le giornaliste Chiara Lalli e Sonia Montegiove hanno raccolto in un libro inchiesta. E al 100% di obiezione nelle 31 strutture seguono almeno 72 strutture dove questa raggiunge l'80%. Sono 180 i luoghi che le due giornaliste hanno preso in considerazione (su 560 dove in Italia si pratica l'aborto) e i loro dati vengono supportati da quelli che il ministero della Salute ha presentato al Parlamento all'inizio di giugno.
È diverso il modo di raccogliere i dati, quelli del ministero sono dati aggregati, e ci dicono che a livello nazionale ci sono il 64,6% di medici obiettori, il 44,6% di anestesisti, il 36,2% di personale non medico. Con un picco nell'Italia del sud, 76,9% di medici obiettori, e nelle isole, 73,2%.
Nel nord Italia il dato è al 58,2%, nell'Italia centrale al 63,3%. Il picco delle obiezioni di coscienza è nella provincia autonoma di Bolzano (84,5%) seguita da Abruzzo (83,8%) e Molise (82,8%). E al contrario in Valle D'Aosta c'è il 25%, nella provincia autonoma di Trento il 35,9%. Non è facile far funzionare questa legge con questi dati.
Ma Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia, vuole mettere in luce le lacune della norma dalla parte opposta: «Per quel che riguarda noi, continueremo semplicemente a chiedere e a operare affinché venga applicata la prima parte della legge 194 relativa alla prevenzione, e per dare alle donne una possibilità di scelta diversa da quella, troppo spessa obbligata, dell'aborto».
Meloni non vuole abolire la 194. Lo ha detto chiaramente: «Corre l'obbligo di segnalare alcune questioni abbastanza banali a chi usa anche la sentenza della Corte americana in tema di aborto per attaccare Fratelli d'Italia, vaneggiando di proposte di abolizione della legge 194: Usa e Italia hanno ordinamenti giuridici profondamente diversi e che non possono essere paragonati. Chi lo fa o è in malafede o lo fa per motivi ideologici».
Enrico Letta mette a fuoco il rischio per il diritto di abortire. Dice infatti il leader del Pd: «C'è un pericolo che esiste a partire dagli Stati Uniti, pensare che i diritti sono qualcosa di scontato. Abbiamo capito che non è così». Giuseppe Conte, leader del M5s, alza le barricate: «Non permetteremo che la 194 venga messa in discussione. Non consentiremo un ritorno al passato». Intanto i dati ufficiali ci dicono che gli aborti volontari sono in diminuzione. Erano 73.207 nel 2019, sono scesi a 66.413 nel 2020.
Anche in questo caso i dati aggregati del ministero ci offrono un quadro della situazione questa volta sull'età delle donne che abortiscono. Nel 2020 la fascia più numerosa è stata quella delle donne tra i 30 e i 34 anni (23%), seguita da quella delle donne tra i 35 e i 39 anni (21,6%) e tra i 25 e i 29 (20,2%). Ci sono aborti anche tra le donne che hanno più di 45 anni. Sono state 837 nel 2020, pari all'1,3 per cento del totale. Non ininfluente nemmeno il dato delle minorenni: tra i 15 e i 19 anni sono state 4.159 (il 6,3 per cento). Infine ci sono anche le giovanissime: hanno abortito in 125 sotto i 15 anni.
"Gridava, l'ho fatto smettere". Matias ucciso nel cassettone dal padre. Rosa Scognamiglio il 28 Giugno 2022 su Il Giornale.
Matias, dieci anni, è stato ucciso dal papà. La confessione choc: "Diceva che dovevo andarmene così gli avvolto la testa con il nastro adesivo"
"Ero ubriaco". A distanza di 7 mesi dal delitto, Mirko Tomkow ha confessato di aver ucciso il figlioletto Matias, di soli 10 anni. A ritrovare il corpo senza vita del bimbo, chiuso in un cassettone della camera da letto e con il nastro adesivo attorno alla testa, era stata la mamma. L'uomo ha spiegato davanti ai giudici della Corte d'Assise di Viterbo le ragioni dell'aggressione mortale: "Matias gridava. Mi ha detto 'vai via, non puoi stare qui'".
L'alcool e le botte: la vita da sbandato dell'uomo che ha ucciso il figlio
La confessione
L'omicidio risale al 26 novembre scorso in un appartamento a Cura di Vetralla, nel Viterbese. Mirko Tomkow, un muratore di origini polacche con gravi problemi di alcolismo, aveva ricevuto il dievito di avvicinamento alla moglie e al figlio per via di presunti maltrattamenti familiari. Ma quel giorno si era fatto trovare nella casa dello stradone di via Luzi, dove aveva convissuto con i due prima dell'allontanamento forzato. "Sono entrato in casa e non c’era nessuno - ha raccontato - Sono entrato con le chiavi nascoste fuori in una ciabatta. Con un coltello della cucina ho aperto la porta della soffitta. Ho fumato, bevuto e aspettato. Mentre ero lì ho sentito le ruote dello zaino di mio figlio che sbattevano sui gradini e sono sceso. Appena mi ha visto ha urlato: 'Vai via, non puoi stare qui'. Mentre gridava il suo telefono non smetteva di suonare. Io ero nervoso, così l’ho scaraventato a terra e messo nel lavandino del bagno. Matias però continuava a gridare. Era arrabbiato per il cellulare. Era fastidioso. Per farlo smettere ho preso lo scotch e glielo ho avvolto su tutta la faccia. Non parlava più".
"Era sempre più taciturno e aggressivo": la moglie aveva già denunciato Mirko
L'alcol
Come ben precisa Il Messaggero, il 43enne era stata appena dimesso dalla struttura romana dove aveva trascorso la quarantena per il Covid. Giunto alla stazione Termini, aveva preso un treno per Bracciano e poi la coincidenza per Vetralla. "Ho iniziato a bere alle fermate - ha spiegato - poi arrivato a Cura ho preso la macchina, dove mia moglie qualche giorno prima mi aveva lasciato soldi e vestiti e sono andato al supermercato a comprare la vodka. Ho preso tre bottiglie. Poi ho lasciato l’auto in un parcheggio e ho raggiunto la casa a piedi. Sapevo che non potevo avvicinarmi, ma avevo bevuto tanto ed ero nervoso". Ma non è tutto.
"Lo ammazzo". Lo zio di Matias fa irruzione armato in ospedale
La benzina
Quel giorno Tomkow aveva con sé una bottiglia di Vodka e una tanica di benzina. Quando il bimbo è rientrato da scuola, ha perso la testa. "Matias gridava - ha rivelato -perché io gli avevo rotto il telefono. Ero ubriaco e quelle urla mi davano fastidio. Prima gli ho messo una mano su naso e bocca per non farlo strillare, poi ho preso lo scotch sopra la caldaia. Quando era fermo sono andato ad aprire il cassettone e l’ho messo dentro. Non si muoveva più. A quel punto sono tornato in soffitta a fumare. Poi ho preso la benzina e l’ho sparsa per tutta la casa. Il coltello l’ho preso alla fine, ma non mi ricordo". Il 43enne ha detto di non ricordare di aver colpito il figlio con tre coltellate ma è certo che di aver sparso la benzina sparsa per la casa: "Non lo so se volevo bruciare tutto - ha concluso - ero solo molto ubriaco. Sono stato molto arrabbiato quando il giudice mi ha allontanato dalla casa e dalla mia famiglia per maltrattamenti. Io non avevo mai fatto del male a mia moglie e al bambino. Non l’ho mai minacciata di darle fuoco o di ucciderla".
IL FIGLICIDIO DI ELENA È IL SABBA DELLA MATERNITÀ. Donatella Papi su L'Opinione delle Libertà il 15 giugno 2022
Uno scricciolo di cinque anni che mangiava il budino mentre guardava i cartoni dal telefonino della mamma intenta a stirare. Era da poco tornata dall’asilo Elena Del Pozzo, la bimba di Tremestieri etneo nel catanese uccisa barbaramente dalla madre, Martina Patti, 23 anni, che ha confessato dopo aver inscenato un falso rapimento: “L’hanno portata via tre uomini incappucciati e armati”, gridava ai carabinieri. Poi, nella notte, è crollata e ha confessato il figlicidio: “L’ho uccisa io, non ero in me, ho pianto tanto”. Un coltello da cucina, tre o cinque fendenti sul quel corpicino ignaro, nascosto in cinque sacchi da cucina uno dentro l’altro e scaricato in un campo vicino casa, dove le forze dell’ordine hanno fatto la macabra scoperta.
Non è il primo caso di mamme che uccidono i figli. Le scienze psicologiche spiegano che vi è un rapporto particolare tra colei che mette al mondo e partorisce un figlio e quella rivoluzione interiore che cancella l’umano e, guidata da spinte nefaste, arriva a colpire il frutto di sé, la prosecuzione, il proprio corpo nell’altro. Per svariati meccanismi: il ricatto, la punizione, il masochismo, la delirante scelta di cancellare la vita nella vita.
È un misfatto perfino antico. L’infanticidio risale alle culture greche ed egiziane, esercitato dal padre che deteneva la patria potestà, spesso un rito legato a pregiudizi o diritti di sangue fino alle credenze dell’Africa e dell’Amazzonia e alle sette sataniche. Come spiega nella preziosa analisi Sara Fariello nel suo “Madri assassine. Maternità e figlicidio nel post patriarcato” (Mimesis Editore). Punito con la pena capitale fino a che nel Novecento la psicologia ha provato a spiegare l’istinto omicida della madre che uccidendo il figlio uccide se stessa.
A Castiglione delle Stiviere, l’ospedale psichiatrico giudiziario più grande d’Italia, sono internate per sempre queste “mamme killer”. Se ne stanno lì, sulle sedie rosse di plastica a rimuginare il proprio dolore. Dal 1996 a oggi sono passate 94 “mamme assassine”. La giornalista del Tg1 Adriana Pannitteri nel 2006 ha scritto un libro, “Madri assassine. Un diario da Castiglione delle Stiviere” (Gaffi Editore), che è un documento straziante e importante, perché indagando le loro storie ha cercato di capire se sono donne malvage o non comprese. Come pare il caso di Martina Patti, che aveva avuto Elena a 18 anni, poi si era separata, il papà con qualche precedente penale si era rifatto una vita, la nuova compagna, i nonni che cercavano di vedere la nipotina, la mamma che poneva ostacoli. Oggi tutti piangono disperati. La nonna ammette qualche stranezza, “a volte era manesca, dovevamo pregare per vedere la nipotina”. Insomma, il copione noto. Però la cronaca non basta. Che cosa possiamo e dobbiamo fare?
Intanto cosa non dobbiamo fare. Cedere all’istinto sanguinario trascinatore, che dopo queste mattanze infantili vorrebbe far dilagare l’odio e la tortura, per cui tutte quelle frasi da social allo sbando inneggianti alla violenza come colpa vanno cancellate. Non sappiamo se sono solo energie, o se per caso qualche mano occulta si può celare, per cui bastano la pietà e la misericordia sacre per questo, perché distruggono il processo a catena del male. Lo Stato di diritto è l’unica misura valida.
Tuttavia, non si può neppure reagire col solo buonismo. Possiamo discernere e possiamo limitare le occasioni. Si tratta di mettere in relazione condizioni corrispondenti a componenti sociali e politiche. Il divorzio non è una passeggiata, è stato una conquista politica di una parte nel 1975, ma come l’aborto e come tutto il resto delle libertà inerenti alla coppia e alla famiglia vanno guidate. Strettamente guidate con la consapevolezza ferma e unita che in quel contesto possono cadere uomini, donne e soprattutto figli. La generalizzazione maschile del padre-padrone e maschio omicida è apparente. Mi batto da anni contro questo. È un’illusione.
Un divorzio è un lutto, spesso un cataclisma, una guerra tra coniugi e per i figli una perdita sempre. La donna è fragile e nella solitudine delle responsabilità può arrivare ad annullare il figlio come colpa, punizione o addirittura liberazione. Tutta la società, la famiglia, la scuola, l’ambiente, le leggi devono contribuire a colmare un evento drammatico e pericoloso. Se non arriviamo a questa consapevolezza condivisa staremo sempre a piangere figli, donne e famiglie distrutte.
Poi la vita. Oggi la vita ha scarso valore, scarsa sacralità, la maternità è stata svuotata dei suoi significati intrinsechi sia come specifico femminile e sia come unicità della specie. Intorno alla maternità c’è un sabba deformante e spaventoso, nel senso ovviamente di rito dell’ubriacatura. Divorzio, aborto e infine l’omosessualità sono i diretti avversari. Non ho detto che gli uni siano la colpa del fatto, ma se non liberiamo le sofferenze degli oppressi armonizzando le relazioni il conto diventa insostenibile. Per cui se debbo credere nel diritto di tutti di essere sicuri, accettati e al riparo dalla violenza, mi aspetto un ripensamento drastico sulla maternità che appartiene alla donna e solamente della donna nella coppia naturale con il senso di responsabilità necessario, che va al di là del sesso, della propria felicità, realizzazione ed emancipazione.
Il matrimonio non è solo un atto laico, il matrimonio è un sacramento per una cultura vastissima, unica e determinante come il Cristianesimo, che ci distingue e vince sulla barbarie. I figli sono al di sopra di tutto e non si può sconvolgere la natura. Le vittime sono una madre, Martina Patti, e una figlia di 5 anni, Elena Del Pozzo. Dobbiamo restituire alla natura il suo ruolo e rispettare.
Sono passati vent’anni e la domanda è sempre la stessa: “Come può una madre uccidere il proprio figlio?” I figlicidi da Cogne a Catania: smettetela di idealizzare la maternità. Lea Melandri su Il Riformista il 17 Giugno 2022.
Da Cogne (2002) a Catania, dove è appena stata uccisa la piccola Elena del Pozzo, sono passati vent’anni e la domanda è sempre la stessa: “Come può una madre uccidere il proprio figlio?”. Il fatto che a uccidere siano sempre stati, sia pure in percentuale minore, anche i padri, non suscita lo stesso interesse, né da parte dei media né della gente comune. Sulla donna che uccide il figlio cade quasi sempre un giudizio impietoso. Se non si può addebitarle l’uso di droghe o velleità malcelate di carriera, amori, successi, le ragioni che spingono una donna ad abbandonare quello che resta, nonostante i cambiamenti, il “naturale” destino femminile, sono considerate in ogni caso imperdonabili. Sul disagio e sulla violenza che c’è dietro nulla si dice perché della maternità, dell’oscuro travaglio di vita e di morte che essa comporta fin dalla gravidanza e dal parto molto poco hanno detto le donne stesse.
Nella Prefazione al romanzo Teresa di Artur Schintzler, Sibilla Aleramo commenta così il tentato infanticidio della protagonista: “Quella feroce brama di annientamento, quell’attimo di coscienza, non sai se disumana o sovrumana, in cui la donna si ribella alla natura, si ribella a essere strumento di vita, poi quel trapasso dall’odio all’amore, quell’accettazione sommessa, quel rapimento e, infine, unica ma formidabile rivalsa, quel sentimento assoluto per tutta l’eternità, che il figlio è suo, soltanto suo”. Con una lucidità che neppure il femminismo sembra avere conservato, Sibilla sottolinea il legame perverso tra due violenze: quello che ha fatto della donna lo strumento della conservazione della specie per secoli, senza il suo consenso, e quella che, a sua volta, per “rivalsa” o per un disperato rifiuto, la donna è spinta a esercitare sul figlio come suo “possesso”. “Si può uccidere un bambino perché piange?” – ci si è chiesto a proposito del delitto di Cogne. La risposta tragica e banale che si esita a dare è “sì, si può”, almeno finché si pensa che la sorte della madre e del figlio siano legate per sempre e in modo esclusivo, che per crescere l’individualità dell’uno sia necessario il sacrificio dell’individualità dell’altra.
Quando fu pubblicato in Italia la prima volta il libro di Glauco Carloni e Daniela Nobili, La madre cattiva. Fenomenologia, antropologia e clinica del figlicidio, presso l’editore Guaraldi nel 1975, i mezzi di informazione ancora non riportavano, se non con marginali trafiletti, la puntuale sequenza di episodi di abusi incestuosi, maltrattamenti da parte dei genitori o di veri e propri figlicidi. E poiché era soprattutto la figura della madre a essere protetta da uno specifico tabù, che la voleva totalmente buona ed amorevole, a essere censurati, rimossi, erano tutti i segnali che potevano dimostrare l’esistenza, accanto all’amore, di una aggressività altrettanto intensa. In tempi più vicini a noi, l’idealizzazione della figura materna sembra aver ceduto il passo a riconoscimenti più realistici, senza per questo aver incrinato il più solido e duraturo dei pregiudizi: quello che vuole potente e irresistibile, o meglio istintiva e senza limiti, la dedizione della madre alla felicità del figlio. L’immagine “dell’anitra norvegiana” (il pellicano) che “sotto il cielo di ghiaccio si strappa dal petto le mollissime piume per farne un nido caldo ai suoi piccini” – evocata da Paolo Mantegazza per descrivere il sacrificio delle madri, chiamate a vivere della vita altrui e a non serbare a sé che la felicità degli altri -, nonostante sia passato oltre un secolo, non sembra avere ancor abbandonato del tutto il sentire comune.
Per questo è particolarmente gradita la parola delle poche donne che con spudoratezza visionaria hanno saputo dare voce a esperienze considerate “impresentabili” della maternità. Nel suo libro Smarrirsi in pensieri lunari (Grauss editore, Napoli2007), Agnese Seranis -Agnese Piccirilo, fisica e femminista torinese, morta nel 2008 – scrive: “C’erano dei momenti in cui sentivi di appartenere alla natura e provavi un tale appagamento sapevi perché esistevi: perché la vita continuasse. Ed eri invasa da un sentimento di forza di potenza immensa. Nel tuo utero era innescato un processo delicato complesso: le leggi delle fisica e le leggi della chimica giocavano energia (…) E la percezione a volte di essere divorata da dentro da un estraneo che si era introdotto nel tuo corpo nascostamente e che senza pietà avrebbe fatto scempio di te e che c’era in gioco un duello mortale da cui uno dei due avrebbe potuto uscire perdente. Questo essere così inerme in apparenza ha come alleato la Natura o meglio la vita che giocherà tutto per tutto perché nulla la fermi decisa a lasciarti come un tronco vuoto se ciò fosse necessario al nuovo germe. Per lei non fa differenza se esisti tu o se la tua linfa vitale è stata trasferita a un altro essere”.
Se la cultura maschile ha per un verso svilito la maternità, considerata la “componente carnale dell’uomo”, e per l’altro esaltata quale “divino principio di amore, unità e pace in una vita piena di violenze” (Paolo Mantegazza), Carloni e Nobili fanno notare, più realisticamente, che essa ha imposto alla madre “uno sfibrante esercizio a tempo pieno, una dedizione assoluta, una disponibilità senza limiti, un totale spirito di sacrificio”. Corpo minaccioso, invasivo e ingombrante per il figlio che si viene a trovare nella posizione di totale dipendenza, la donna vive a sua volta nel timore di essere “vampirizzata” dalle incessanti richieste di lui, privata della sua libertà, costretta a una “cura ininterrotta”. Si può pensare che a rendere la madre che genera e nutre una figura mortifera sia stata la pretesa dell’uomo di prolungare, sovrastandola da una posizione di dominio, l’esperienza dell’infanzia nella vita amorosa e coniugale adulta. Ma non si può trascurare il fatto che difronte all’insopportabilità di una schiavitù imposta come “naturale”, la donna si sia fatta scudo di una potente rivalsa: che il figlio è suo, soltanto suo.
Di fronte al giudizio di chi ancora, di fronte a questi drammi, parla di “madri snaturate”, viene il dubbio che molta strada ci sia ancora da fare per ricondurre il femminile dentro la storia e la cultura patriarcale che ne ha deciso fin dall’origine il destino, che molti miti siano ancora da sfatare per quella collocazione ambigua che ha visto la donna come la “caduta” e insieme la “elevazione morale” dell’uomo. Inquietante, per venire al contesto in cui viviamo, è il sospetto che, nel sempre più difficile rapporto tra i sessi, i figli, le figlie, non siano più soltanto gli spettatori della violenza domestica, ma “l’oggetto” attraverso cui passano rancori e vendette tra i genitori, e su cui vanno a confondersi la possessività affettiva delle madri e il potere dei padri. Lea Melandri
Genitori killer: 480 figli uccisi in 20 anni. Nino Materi il 15 Giugno 2022 su Il Giornale.
Ricercatori divisi: "Madri e sindrome di Medea", "Più assassini tra i padri".
La suggestione «mitologica» delle madri che - colpite dalla «sindrome di Medea» - «in 20 anni hanno ucciso centinaia di figli», è forte. Ma fuorviante. Gli analisti della contabilità dell'orrore familiare non concordano sui dati: gli studiosi dell'Eurispes sostengono che «nella maggior parte dei casi l'autore dei figlicidi è il padre (172 figli uccisi dal 2010, pari al 64,2%), a fronte del 35,8% dei figli uccisi dalle madri (96 in valori assoluti)»; altri ricercatori stimano invece che «sei figlicidi su dieci sono commessi dalla madre». Una guerra «statistica» che però non ha senso. Il punto non è infatti stabilire se, ad essere «più cattivi», sono i padri o le madri: trasformare perfino questi delitti in una classifica «di genere» è un esercizio sterile che lasciamo a chi semplifica la realtà attraverso la distinzione manichea bene/male in base al sesso. Qui il discorso è più complesso e verte sulle problematiche degenerative psicologico-relazionali tra i membri della coppia. Un «lui» e una «lei» che, nel momento in cui la crisi diventa delirio patologico, vede nei figli (soprattutto quelli più piccoli) «strumenti di possesso» da trascinare nella distruzione del partner, diventato un «nemico da abbattere», e nell'annientamento di se stesso (leggasi suicidio). Un cupio dissolvi che può nascere, svilupparsi ed esplodere non necessariamente in contrapposizione a un soggetto «altro», ma al proprio interno. Come un tarlo dell'anima incapsulato nel meandro più recondito del cervello, e del cuore. Sono possibili chiavi di lettura (ma esistano davvero chiavi per leggere trame così inconcepibili?) che fanno da sfondo ad alcuni degli «infanticidi/neonaticidi» più neri degli ultimi due decenni. Dal 2000 ad oggi 480 bimbi morti in Italia per mano dei genitori: padri killer e madri assassine, drammi che si ripetono sempre più frequentemente. Così come l'immagine stereotipata della «madre Medea» che «fa titolo», rischiando però di allontanarci dalla verità. Da Cogne a Mascalucia nel Catanese, «il filo comune che lega i figlicidi - sottolineano gli esperti - sono i problemi di salute mentale». Peccato che nessuno parli di «salute sociale»: l'incapacità, cioè, di prevenire attraverso l'«ascolto» decodificando i «segnali premonitori» (sempre presenti). Per evitare, poi, di tirare fuori la solita formuletta della «tragedia annunciata, che si poteva evitare». Ma che, puntualmente, non viene mai evitata. Una sfilza di drammi cominciati «mediaticamente» nel gennaio 2002 con Samuele Lorenzi, 3 anni, massacrato nel lettone matrimoniale. Nonostante la condanna definitiva, la mamma Annamaria Franzoni continua a dirsi innocente. Sempre nel 2002 a Valfurva (Sondrio), Loretta Zen uccise nella lavatrice la figlia di 8 mesi. A Vieste (Foggia) nel luglio 2004 Giuseppina Di Bitonto soffocò i figli, di 2 e 4 anni, tappando loro la bocca con del nastro adesivo. Mirko, 5 anni, a Casatenovo (Lecco) nel 2005 annegò nella vasca per il bagnetto: la madre, Mery Patrizio, raccontò che dei ladri erano entrati in casa aggredendola, pochi giorni dopo confessò il delitto. Nel 2010 q Ceggia (Venezia) Tiziana Bragato impicca il figlio Gabriele di 6 anni e si uccide. Nell'agosto 2011 a Feniglia (Grosseto) Laura Pettenello uccise Federico, di 16 mesi, lanciandolo in mare durante una gita in pedalò. A Santa Croce Camerina (Ragusa), nel 2014 Loris Stival venne trovato in un canalone, a 4 chilometri dalla scuola che frequentava: la madre, Veronica Panarello, condannata all'ergastolo. Ma l'elenco sarebbe lunghissimo, al pari della lista dei padri assassini. Difficile averne pietà.
Alessandra Ziniti per larepubblica.it il 14 Giugno 2022.
Venti anni dopo, Annamaria Franzoni non ha mai ammesso di aver ucciso il suo piccolo Samuele, trovato morto a 3 anni con profonde ferite alla testa nel letto dei genitori a Cogne. È stata riconosciuta colpevole del più orribile dei delitti, senza un perché, ha scontato 11 dei 16 anni di reclusione che le hanno inflitto e adesso è libera. Neanche Veronica Panariello, ormai da 8 anni in cella, ha mai ammesso di aver ucciso, strangolandolo con delle fascette, Loris, il maggiore dei suoi figli che nel novembre 2014 aveva 8 anni.
Un silenzio persistente, che non ha mai ceduto in tanti anni, alle evidenze processuali che hanno portato queste due donne a condanne ormai definitive. Un buio nella testa, un disagio dissimulato con i familiari più stretti, un'alterazione psichica che le ha portate, così come ha fatto la mamma della piccola Elena Del Pozzo a Mascalucia, a chiamare loro le forze dell'ordine. Ma soprattutto una verità mai del tutto raggiunta. Perché per Cogne, per Santa Croce di Camerina come per molti altri figlicidi, quello che spesso resta nell'ombra dopo anni e anni di processi e di indagini, è il vero movente del delitto. Che neanche le perizie psichiatriche spesso riescono a portare alla luce.
Sono un numero enorme, ben 480 negli ultimi vent'anni, i bambini uccisi dai genitori. E il più delle volte a compiere il gesto sono le madri. Ci sono stati processi mediatici come appunto Cogne e Santa Croce Camerina mentre tanti altri delitti egualmente sconvolgenti sono rimasti sulle pagine di cronaca solo per pochi giorni.
Molte volte, alla base del gesto, ci sono matrimoni finiti e, in questo caso, il piu delle volte, sono i padri a uccidere. Come è successo a marzo scorso, a Mesenzana in provincia di Varese dove un uomo di 44 anni, ha ucciso i suoi figli di 13 e 7 anni e si è poi tolto la vita. Per uomini che non accettano la separazione, la più terribile delle "punizioni" nei confronti dell'ex moglie: la stessa sorte toccata a gennaio al figlio di Davide Paitoni, Daniele, ucciso a 7 anni dal padre a Mozzarone in provincia di Varese con una coltellata alla gola.
Sono solo gli ultimi episodi di una lista lunghissima. Secondo l'ultimo rapport dell'Eures, associazione di ricerche economiche e sociali, sono le donne a uccidere di più i figli più piccoli, mentre man mano che l'età dei bambini aumenta, aumenta la responsabilità dei padri.
Pierangelo Sapegno per "La Stampa" il 15 giugno 2022.
«Perché lu fici? Perché?». La mamma di Loris lo chiedeva a se stessa, ma chissà se ce lo siamo sognati. Non riusciremo mai a capire un motivo per cui le mamme uccidono i loro bambini. Però lo fanno.
Sono 85 le creature con meno di un anno uccise in Italia dai genitori, dal 2002 al 2019, e 473 i figlicidi (indagine Eures). Sotto i sei anni, sono quasi sempre le madri a buttarci addosso queste scene di orrore.
Mirko galleggiava a faccia in giù, sembrava una bambola di pezza dimenticata nell'acqua del bagno. Benedetta è morta lentamente, fra atroci dolori, dopo aver preso il diserbante che le aveva dato sua madre. Lei, Francesca Sbano, era stata appena abbandonata dal marito, bracciante agricolo di San Normanno (Brindisi), e dopo aver lasciato il flacone del veleno nel bidone della spazzatura, era andata sul balcone e s' era buttata giù dal terzo piano. C'era una lettera scritta a mano sopra il tavolo: «Vado via, porto mia figlia con me». Aveva fatto come Medea.
Samuele lo trovarono con la testa spaccata nella villetta di Cogne.
È stata condannata sua madre, Anna Franzoni, che non ha mai confessato, e che tutto il paese attorno a lei, dal marito agli amici al prete, continua a ritenere innocente. Il più delle volte, invece, confessano. E scopriamo che sono loro le figure più tragiche, come se fossero donne di un altro mondo. E forse lo sono. Perché la vita non è sempre un buon affare, e ci sono tanti modi per scappare. Questo è il più terribile.
Loris Stival era stato trovato in un canalone a 4 chilometri dalla scuola che frequentava, e la madre, Veronica Panariello, ne aveva denunciato la scomparsa collaborando con la polizia alle ricerche, fino a quando le prove e gli indizi non l'avevano inchiodata: era stata lei a ucciderlo e gettarlo senza mutandine in quello scarico d'acqua che passava fra i campi d'erba secca e qualche desolata trazzera sperduta sotto il sole. In un video, Veronica si metteva le mani nei capelli: «Perché lu fici? Perché?». Nel maggio 2002 a Valfurva, Loretta Zen uccise la piccola Vittoria, di 8 mesi, dopo averla messa nel cestello della lavatrice e fatto partire il lavaggio, come se volesse cancellarla.
A Vieste, nel luglio 2004, Giuseppina Di Bitonto soffocò i figli di due e 4 anni tappando loro la bocca con il nastro adesivo. Poi si tolse la vita nello stesso modo. Mery Patrizio annegò nella vasca da bagno il suo piccolo Mirko di cinque anni e lo confessò solo dopo 15 giorni passati a inventarsi la storia di fantomatici ladri che li avevano aggrediti nella loro casa in provincia di Lecco. Aveva organizzato meticolosamente tutta la scena, cercando di curarla nei minimi dettagli e s' era fatta trovare pure legata e imbavagliata.
Dagli archivi Mediaset spuntò un book fotografico di una Mery più giovane di qualche anno in pose da diva, e i giornali si buttarono a pesce morto sui suoi sogni infranti di aspirante velina, spazzati via dalla sua nuova dimensione di mamma e sposa. Non è vero che le cattive ragazze vanno dappertutto. E noi facciamo fatica a riconoscere un'umanità sconfitta anche in quelle donne che compiono un gesto contro natura, uccidendo barbaramente la vita che hanno creato.
Ma qualche volta sono vittime pure loro, distrutte proprio dalla loro stessa follia, dall'insostenibile fardello della normalità. La vita non è sempre un buon affare.
Quelle immagini, Mery le aveva mandate a Mediaset solo per avere un posto tra il pubblico alla Ruota della Fortuna. In realtà, dietro il suo timido sorriso e i capelli biondi, aveva avuto un'infanzia difficile con una madre malata di depressione e da ragazza quel ruolo di bella del paese l'aveva vissuto quasi come un illusorio riscatto, prima di cercare un'identità diversa per trovare un posto in mezzo a noi, e innamorarsi, e sposarsi, come tutte le belle ragazze dei paesi, e accettare dopo 5 anni di matrimonio l'idea della maternità, per affrontare un parto difficile e poi quel senso di inadeguatezza e la fatica di allevare un bambino che amava senza capire perché.
Quando confessò disse: «L'ho ucciso io. Ma lo amavo. Lo amavo più di me». Mery è finita in un ospedale psichiatrico a Castiglione delle Stiviere, dove hanno ricoverato anche Aisha Christine Eulodie Coulibaly, una mamma ivoriana di Abbadia Lariana che il 25 ottobre del 2013 aveva ucciso il suo bambino più piccolo, Nicolò, di appena 3 anni, con un colpo di forbice dritto al cuore. Aisha diceva che non sapeva perché l'aveva fatto. L'aveva ucciso come fosse una figurina. Era bastato un solo fendente.
Qualcuno può spiegare perché? Nella mitologia, la prima madre assassina è Medea che sposa Giasone e mette al mondo dei bambini che poi uccide per vendicarsi del marito che l'aveva lasciata perché si era innamorato di un'altra. Nelle madri Medea, sostiene lo psicologo Stefano Becagli, «si riscontra una metamorfosi crudele. La felicità della maternità non è più quella di donare la vita, bensì unicamente quella di possedere un figlio ideale». Il figlio viene percepito come un oggetto, e non come un individuo e la prosecuzione del proprio corpo a cui hai dato la vita. Gli esperti ci hanno sempre spiegato che la maternità in alcuni casi produce un'ansia invasiva, che rischia di sfociare in uno stato di depressione capace di generare pulsioni aggressive incontrollabili.
L'equilibrio fisico e psicologico delle neomadri viene stravolto da ritmi ed esigenze che non corrispondono più ai suoi bisogni, fino a generare depressioni post partum o esplodere in vere e proprie psicosi. Nelle confessioni delle mamme assassine si ritrovano molte volte gli stessi deliri, «sentivo le voci che mi dicevano di ucciderlo», «ho dovuto farlo per salvarlo dalla vita». Ma la vita che pensavano di salvare era quella loro. Non quella del bambino. Hanno ucciso tutt' e due le vite. È l'unica cosa che abbiamo capito.
Le fascette, la denuncia, i depistaggi: "Elena Dal Pozzo come Lorys Stival". Rosa Scognamiglio il 21 Giugno 2022 su Il Giornale.
Lorys Andrea Stival, 8 anni, fu strangolato dalla madre con delle fascette di plastica. Veronica Panarello fu condannata a 30 anni di reclusione. La perizia psichiatrica: "Capace di intendere e volere".
Sono passati 8 anni da quando Lorys Andrea Stival, un bambino di 8 anni, fu ucciso dalla madre, strangolato con delle fascette da elettricista e gettato in un canalone nelle campagne di Santa Croce Camerina (Ragusa). Proprio come, 8 anni dopo e a poco più di cento chilometri di distanza, dalla madre è stata uccisa la piccola Elena Del Pozzo.
Veronica Panarello, al tempo dell'omicidio 26enne, nel novembre del 2019 fu condannata con sentenza passata in giudicato a 30 di reclusione per omicidio e occultamento di cadavere. Sia durante le indagini che al processo, la donna non ammise mai le proprie responsabilità fornendo versioni fortemente contrastanti sulla dinamica del delitto. La perizia psichiatrica stabilì che fosse perfettamente in grado di intendere e volere nonostante mostrasse "tratti disarmonici della personalità".
"Quando la perizia nel carcere di Catania, la signora Panarello mostrava dei tratti istrionici della personalità. Vale a dire una tendenza ad alterare la realtà attraverso una serie di 'contronarrazioni' immaginarie che le servivano, non solo ad allontanare da sé i sospetti, ma anche come scudo dalla realizzazione del senso di colpa", racconta alla redazione de ilGionale.it il dottor Silvio Ciappi, psichiatra e criminologo, nonché perito di parte nel processo a carico di Veronica Panarello.
La denuncia di scomparsa
È il 29 novembre del 2014, un sabato come tanti a Santa Croce Camerina, una tranquilla cittadina del Ragusano. Attorno alle ore 13 Veronica Panarello telefona alla polizia per denunciare la scomparsa del figlio, Lorys Andrea Stival. La donna racconta di aver accompagnato il bambino a scuola verso le 8.30, poi di aver portato il figlio minore Diego in ludoteca. Alle 12.30 sarebbe andata a riprendere Lorys ma le maestre gli avrebbero detto che il ragazzino non era in classe quella mattina. Da qui la decisione di allertare le forze dell'ordine.
Il ritrovamento del cadavere
Passano alcune ore. Veronica, che da tutti viene descritta come una madre premurosa e apprensiva, è molto provata. Telefona al marito, Davide Stival, che è via dalla Sicilia per lavoro chiedendogli di rientrare a casa. L'uomo, un autotrasportatore, non fa in tempo a mettersi alla guida del camion che, pressappoco alle ore 16, apprende la notizia della morte di Lorys. Il bambino è stato ritrovato senza vita in un canale di scolo nella campagne alla periferia di Santa Croce Camerina, a circa 4 chilometri dal centro abitato, lungo la via che conduce al "Mulino Vecchio".
A segnalare la presenza del cadavere è stato un pensionato con l'hobby della caccia, tal Orazio Fidone, che durante una passeggiata ha notato il corpicino senza vita del bimbo. Sul posto accorrono gli agenti della squadra Mobile, guidata al tempo dall’Antonio Ciavola, e un'ambulanza. Ma per Lorys è già troppo tardi.
Le prime ipotesi
Tra le prime ipotesi investigative c'è quella di un rapimento a scopo sessuale. Il bimbo è stato rinvenuto riverso a pancia in giù, con i pantaloni abbassati e senza slip. Una circostanza macabra, per certo equivoca, che costringe la procura di Ragusa ad aprire un fascicolo per sequestro di persona e omicidio volontario contro ignoti. Nelle prime 24 ore l'attenzione degli inquirenti si concentra sul pensionato che ha rinvenuto il cadavere. Ma l'anziano non c'entra nulla con la morte del bambino, risultando da tutte le evidenze investigative completamente estraneo ai fatti. Allora chi è "l'orco" che ha ucciso Lorys?
I sospetti su Veronica Panarello
A Santa Croce Camerina si diffonde la paura di un fantomatico predatore sessuale che aggredisce i bambini. Intanto gli inquirenti indagano a tutto campo nel tentativo di stanare rapidamente il killer. I genitori di Lorys sono fortemente provati, Veronica piange e si dispera stretta ai vestiti del suo bambino. Una mattina però accade qualcosa.
Due maestre di Lorys fanno visita agli Stival per le condoglianze di rito. Durante la conversazione, Veronica mostra alle insegnanti alcune fascette di plastica che il figlio, a suo dire, le avrebbe fatto acquistare per un esperimento di scienze. Le insegnanti negano di aver mai fatto agli alunni richieste del genere supponendo sia stata una iniziativa del bimbo. Davide Stival intuisce che c'è qualcosa di strano. Soprattutto non riesce a spiegarsi il motivo per cui Veronica ha estratto dalla scatola degli attrezzi quelle fascette da elettricista, apparentemente innocue, attribuendogli particolare rilevanza. Dunque decide di informare immediatamente il capo della squadra mobile che, dopo aver parlato al telefono con le due maestre, comincia a sospettare di Veronica.
L'arma del delitto
Gli inquirenti sospettano che quelle fascette possano essere l'arma del delitto. L'autopsia rileva infatti che il bimbo è morto per strangolamento da costrizione. E quei collarini in plastica hanno la stessa lunghezza dei solchi rinvenuti sul collo e sui polsi di Lorys. Una traccia più delle altre corrisponde inequivocabilmente al nottolino di chiusura delle fascette. Veronica viene sentita in qualità di persona informata sui fatti ma giura e spergiura di aver accompagnato Loris a scuola quel sabato mattina. Si tratta, però, di una versione poco convincente.
Dopo aver passato al vaglio centinaia di registrazioni delle telecamere di sorveglianza cittadina, gli inquirenti scovano un frame che riprende la Polo nera di Veronica al passaggio di un incrocio. Si tratta di una deviazione anomala rispetto al percorso ordinario che, dalla casa degli Stival, conduce all'istituto frequentato dal bambino. Ma c'è di più. Gli altri filmati escludono la possibilità di percorsi alternativi: Lorys non è mai arrivato a scuola quella mattina.
I filmati
A una settimana dall'apertura delle indagini, Veronica Panarello viene convocata nuovamente in procura. A tarda sera, dopo un lungo interrogatorio, viene emesso un provvedimento di fermo a carico della 26enne, formalmente indagata per l'omicidio del figlio. A supporto dell'ipotesi accusatoria vi sono i filmati di una telecamera privata puntata in via Garibaldi, dove vive la famiglia Stival. Alle ore 8.30 di sabato 29 novembre il sistema inquadra tre "sagome" che escono dal portone dell'abitazione al civico 12. Per gli inquirenti si tratta di Veronica, Lorys e Diego. Dopo una manciata di secondi uno di questi "profili" torna indietro. Verosimilmente si tratta di Lorys mentre la mamma e il secondogenito salgono a bordo della Polo nera.
La sequenza successiva di filmati fissa la dinamica degli eventi: alle 8.40 Veronica parcheggia accanto alla ludoteca; alle 8.47 torna a casa e parcheggia l'autovettura in garage. Alle 9.23 l'utilitaria della Panarello esce nuovamente di casa; due minuti più tardi la Polo svolta verso la strada del "Mulino vecchio", il luogo dove è stato rinvenuto il cadavere del bimbo. Alle 9.38 Veronica Panarello rientra a casa per poi riuscire subito e dirigersi a Donnafugata dove, alle ore 10, è attesa per un corso di cucina. Per gli inquirenti non ci sono dubbi: Lorys è stato ucciso a casa e poi trasportato, già senza vita, nelle campagne alla periferia di Santa Croce Camerina.
La presunta confessione
Il 7 agosto 2015, dopo 8 mesi di reclusione, Veronica viene scortata al cimitero dove è seppellito il figlio. Gli inquirenti hanno ambientalizzato la tomba con delle microspie auspicando una confessione della donna. Ma Veronica non fa altro che piangere e si disperarsi sulla lapide di Lorys. Sulla strada di ritorno verso il carcere però alla 26enne cominciano ad affiorare dei ricordi di quella tragica mattinata. Tre mesi dopo, durante un colloquio col marito, rivela di non aver accompagnato il figlioletto a scuola quel sabato. Ma quando il padre del bimbo chiede ulteriori spiegazioni, lei si giustifica: "Ho un vuoto, un buio - dice - Come se la mente si oscura a un certo punto".
Nel tentativo di "risvegliare i ricordi", gli inquirenti accompagnano Veronica nell'abitazione di via Garibaldi, il presunto luogo del delitto. La 26enne ricostruisce, passo dopo passo, la dinamica dell'accaduto. A suo dire, avrebbe trovato Lorys in camera sua, con i pantaloni abbassati, e una fascetta da elettricista stretta attorno al collo. In preda al panico, pare nel tentativo di salvarlo, avrebbe stretto ulteriormente il collarino in plastica anziché reciderlo con delle forbici. Spaventata dall'idea di doversi giustificare col marito ha desistito dall'idea di chiamare i soccorsi lasciando morire il figlioletto sotto i suoi occhi.
In buona sostanza ventila l'ipotesi di una morte accidentale, un "gioco" finito in tragedia. Quella stessa mattina Veronica viene scortata anche al canalone dove è stato trovato il cadavere di Lorys. "L'ho gettato io ma non so perché l'ho fatto - racconta al capo della squadra mobile Antonio Ciavola - Non credevo ci fosse il vuoto. Che razza di persona sono? Mi merito l'ergastolo". Ma per gli investigatori si tratta di una narrazione mendace, incompatibile con le risultanze investigative.
Le accuse contro il suocero
Pochi mesi dopo Veronica cambia ancora una versione. Stavolta chiama in causa il suocero, Andrea Stival, accusandolo del delitto. La 26enne racconta di una presunta relazione sentimentale col nonno di Lorys, circostanza della quale il figlioletto sarebbe venuto a conoscenza minacciando di rivelare tutto al padre. A quel punto, racconta ancora la Panarello, il suocero avrebbe aggredito il nipotino e, al culmine di un litigio, lo avrebbe strangolato con le fascette da elettricista.
In questa narrazione il ruolo della 26enne sembra marginale poiché avrebbe partecipato solo alla fase di occultamento del cadavere. Ma le telecamere di via Garibaldi escludono categoricamente la presenza di Andrea Stival sulla scena del crimine. Inoltre, non risulta alcun tipo di relazione sentimentale tra Veronica Panarello e il nonno di Lorys. Andrea Stival è assolutamente estraneo alla vicenda, confermano gli inquirenti.
La perizia su Veronica Panarello: "Lucida e consapevole"
La perizia psichiatrica
Nel 2015 l'avvocato della 26enne, Francesco Villardita, chiede il rito abbreviato con perizia psichiatrica. Veronica, a colloquio con il pm Francesco Rota, si finge pazza mettendo in atto una serie di comportamenti fuorvianti e sopra le righe. Ma per gli psichiatri incaricati dal gup di Ragusa, Andrea Reale, la mamma del piccolo Lorys è "perfettamente in grado di intendere e volere", mostrando una "tendenza a manipolare la realtà attraverso meccanismi consci istrionici e onnipotenti".
"Veronica è sicuramente una persona con un vissuto traumatico - spiega il dottor Silvio Ciappi - In passato aveva messo in scena tre tentativi di suicidio, c'era stato anche un ricovero in psichiatria. Questo non giustifica la gravità del gesto ma ci aiuta a comprendere le dinamiche che sottendono il delitto. Per certo si tratta di una persona 'disorganizzata' in cui, cioè, tutte le componenti cognitive non sono in armonia con le emozioni. Si è servita di contronarrazioni immaginarie sia per allontanare i sospetti da sé per farsi scudo dalla realizzazione del senso di colpa. Così facendo si è 'autoassolta', finendo per credere al racconto frutto della sua fantasia".
La condanna
Il 17 ottobre del 2016 Veronica Panarello viene condannata in primo grado a trent'anni di reclusione per omicidio volontario e occultamento di cadavere. La pena viene confermata il 5 luglio del 2018 dai giudici della Corte d'Assise d'Appello di Catania. Il 21 novembre del 2019 la sentenza passa in giudicato con la pronuncia definitiva della Corte Suprema di Cassazione. "Giuro che ti ammazzo con le mie mani quando esco", dice la Panarello rivolgendosi al suocero durante la lettura del dispositivo. Il 17 settembre 2021 il giudice monocratico del Tribunale di Ragusa Elio Manenti ha stabilito che la donna, oggi 34enne, dovrà scontare due anni di reclusione per calunnie nei confronti di Andrea Stival oltre a rifondere la parte offesa con 24mila euro di risarcimento e provvedere al pagamento di tutte le spese processuali.
Mamme che uccidono i figli
Il delitto di Santa Croce Camerina rimanda, quasi inevitabilmente, all'omicidio avvenuto il 13 giugno a Mascalucia, in provincia di Catania. Proprio come Lorys anche la piccola Elena, di soli 5 anni, è stata uccisa dalla madre, Martina Patti, e poi abbandonata in un campo.
"I due drammatici episodi presentano delle analogie - conclude il dottor Ciappi - Di fondo credo via sia una profonda paura dell'abbondo da parte delle due donne (Veronica Panarello e Martina Patti, ndr). Per quel che riguarda la mia esperienza posso dire che dietro questi agiti violenti vi è quasi sempre una storia di enorme sofferenza. Di fronte al dolore – ma questo vale per chiunque - abbiamo due possibili modi reagire: il primo è quello di trasformare la sofferenza in qualcosa di positivo, il secondo è quello di mettere in atto una serie di comportamenti ancor più distruttivi. Ed è quello, credo, che è scattato nella mente di queste due giovani madri".
Davide Paitoni, si è suicidato in carcere il 40enne che sgozzò il figlio di 7 anni a Morazzone. Andrea Camurani su Il Corriere della Sera il 12 Luglio 2022.
Pochi dubbi sul fatto che si sia trattato di un gesto volontario. Mercoledì sarebbe dovuto comparire dinanzi al giudice per l’udienza preliminare di Varese per il tentato omicidio di un collega di lavoro
Davide Paitoni, il quarantenne di Varese che il primo di gennaio ha ucciso, sgozzandolo, il figlio Daniele di 7 anni a Morazzone si è tolto la vita nel carcere San Vittore, a Milano, dove era detenuto. Non è ancora chiara la dinamica dei fatti anche se sembra assodato che si è trattato di un gesto volontario. Mercoledì Paitoni sarebbe dovuto comparire dinanzi al giudice per l’udienza preliminare di Varese per il tentato omicidio di un collega di lavoro avvenuto ad Azzate, sempre in provincia di Varese, nello scorso autunno, reato per il quale si trovava ai domiciliari nella casa del padre, quando avvenne l’omicidio del figlio. La sera del primo gennaio l’uomo tentò di uccidere anche la moglie prima di venire fermato dai carabinieri al confine con la Svizzera.
«Ognuno faccia i conti con la propria coscienza», è stato il commento dell’avvocato Stefano Bruno, il legale che assisteva il 40enne. Sabato scorso il gip di Varese aveva respinto la richiesta di una perizia psichiatrica per Davide Paitoni.
Sgozzò il figlio per vendetta. Perizia negata, suicida in cella. Paola Fucilieri il 13 Luglio 2022 su Il Giornale.
Il gip ha rifiutato l'esame psichiatrico per Davide Paitoni. Il legale: "Ognuno faccia i conti con la propria coscienza".
Il 6 luglio gli era stato notificato l'avviso di conclusione indagini in relazione all'omicidio di suo figlio e lunedì il gip di Varese aveva reso noto il rigetto della perizia psichiatrica richiesta dal proprio avvocato, Stefano Bruno, a suo carico, stabilendo che le modalità con cui il killer aveva commesso il reato erano talmente chiare da non rendere necessario l'esame.
Per oggi inoltre l'imputato avrebbe dovuto affrontare la discussione in abbreviato per il tentato omicidio di un suo collega, nel 2021. Così, l'altra notte Davide Paitoni, 40 anni - che il primo gennaio a Morazzone, in provincia di Varese, aveva ucciso Daniele, il suo bambino di 7 anni e qualche ora prima, tentato di ammazzare la madre del piccolo - ha deciso di farla finita e si è tolto la vita nella sua cella di San Vittore, strangolandosi con un cappio al collo e un cerotto sul naso. L'uomo avrebbe lasciato un biglietto, sul cui contenuto c'è massimo riserbo.
«Ognuno faccia i conti con la propria coscienza» ha commentato ieri il legale del morto, l'avvocato Bruno, con Il Giornale, sostenendo di riferirsi in primo luogo a se stesso. E ha aggiunto: «Chiunque si sia affacciato su questa vicenda deve riflettere pensando se ha fatto tutto quello che poteva. Appena arrivato in carcere Paitoni era sotto stretta sorveglianza 24 ore su 24, poi anche grazie alla somministrazione di farmaci e alla sua linea di condotta pacata, l'amministrazione carceraria aveva allentato la presa e lo aveva messo in cella con un altro. Negli ultimi tempi però, per ragioni legate alla pandemia, Davide Paitoni era solo in cella. Io gli stavo vicino più come conforto morale che come avvocato perché avevo grosse difficoltà a entrare in comunicazione con lui. Volevo farlo interrogare, ma non riuscivo a mettere insieme nulla perché ogni volta che si arrivava a parlare dell'uccisione del figlio, Paitoni entrava in un loop di dichiarazioni deliranti».
«L'ho sentito lunedì - conclude il legale -. Abbiamo commentato l'ordinanza con cui gli veniva negata la perizia psichiatrica: era molto amareggiato».
Sul suicidio di Paitoni sono in corso degli accertamenti da parte del pm di turno, Stefano Ammendola che ha disposto l'autopsia sul cadavere. Nel frattempo sono stati effettuati i rilievi della Scientifica nella cella del carcere milanese di San Vittore dove nella notte il 40enne si è tolto la vita.
Quando ha ucciso il suo bimbo Davide Paitoni era ai domiciliari, ospite a casa del padre, a Morazzone, dopo che aveva cercato di ammazzare a colpi di taglierino un collega nel parcheggio della ditta dove lavorava. La tragedia si era consumata appunto a casa del nonno del piccolo. «Mi dispiace, perdonami papà» diceva il biglietto lasciato dal killer al padre sul cadavere del bambino, rinchiuso in un armadio. Un breve messaggio nel quale l'uomo aveva confessato l'omicidio del piccolo e manifestato il «grande disprezzo» per la moglie. Quindi, in un altro messaggio, stavolta vocale e inviato su WhatsApp, lo aveva avvertito di aver fatto del male a Davide («Lo so fa schifo uccidere il proprio figlio») insistendo affinché l'uomo non guardasse nell'armadio. Quindi Davide Paitoni era scappato e i carabinieri lo avevano catturato più tardi quasi al confine con la Svizzera, a Viggiù.
Si suicida in carcere Davide Paitoni. Il legale. «Ognuno faccia i conti con la propria coscienza». L'uomo era accusato di aver ucciso il figlio di 7 anni. Il 4 gennaio il gip aveva messo in guardia l'amministrazione penitenziaria: «Necessaria ogni misura utile a prevenire possibili gesti autolesivi del detenuto». Valentina Stella su Il Dubbio il 13 luglio 2022.
«Davide Paitoni, accusato di aver ucciso il figlio Daniele di sette anni a Morazzone il primo gennaio scorso, si è suicidato nella sua cella nel carcere di San Vittore»: lo ha comunicato ieri in una nota il procuratore di Varese Daniela Borgonovo. «Il 6 luglio gli era stato notificato l’avviso di conclusione indagini in relazione all’omicidio del figlio e domani (oggi per chi legge, ndr) era fissata la discussione con giudizio abbreviato nel procedimento per tentato omicidio di un collega di lavoro», termina la nota. Ancora ignota la dinamica del gesto.
Del caso è stato informato il pm di turno di Milano, che nell’ambito di un fascicolo, la cui apertura è scontata in questi casi, ha disposto i primi accertamenti. Proprio all’inizio di luglio il suo difensore Stefano Bruno aveva richiesto una perizia psichiatrica: «Era in condizioni di grave sofferenza fisica, psichica e, secondo me, anche psichiatrica. Per quello avevo chiesto per lui una perizia, ma il giudice ha ritenuto di non disporla perché dalle modalità con cui è stato eseguito il delitto ha desunto esservi una prova “tranquillizzante” della sua capacità di intendere e di volere. E anzi una perizia psichiatrica sarebbe stata anche dilatoria». Il problema, per Bruno, era anche la difficoltà di instaurare un canale di comunicazione con Paitoni: «Io parlavo, ma quando si cominciava ad entrare in argomento, lui andava in confusione, in depressione, in pianto; diceva di avere un buio, di non ricordare, di avere le idee confuse; straparlava. Diceva cose a volte con poco senso».
Nonostante l’intervento di una psicologa richiesta dalla difesa, la situazione non era migliorata. Da qui la richiesta di una perizia psichiatrica per stabilire «sia la sua capacità a partecipare coscientemente al giudizio, sia la sua capacità (ovvero incapacità totale o parziale) di intendere e di volere al momento del fatto». Due giorni fa il gip di Varese Giuseppe Battarino aveva negato l’accertamento: l’uomo «ha agito con perfetta organizzazione ideativa e derivate azioni, finalizzando coerentemente il complesso delle sue condotte», «non esiste alcuna traccia di eventuali patologie di tipo psichiatrico», «quanto alla capacità di partecipare al procedimento penale in corso a suo carico, l’indagato ha posto in essere atti coerenti e finalizzati, a partire dalla nomina di un difensore di fiducia».
L’avvocato, interpellato dal Dubbio, si dice «affranto». Aveva incontrato solo due giorni fa il suo assistito: «Lui inizialmente era stato messo in un reparto dove ci sono i soggetti a rischio suicidario. All’inizio non gli erano state date neanche le lenzuola. Leggeva questo fatto come un atto ritorsivo. Io gli avevo spiegato che erano dure ma necessarie misure di prevenzione. Poi è stato preso in carico dal servizio infermieristico del carcere, dove è stato oggetto di un percorso di tamponamento mediante la somministrazione di psicofarmaci e calmanti; il rischio era stato considerato venuto meno ed era stato messo in una cella con altre persone. Da quando però si era riacutizzata la pandemia era di nuovo solo in cella. Due giorni poi fa abbiamo discusso del rigetto della perizia da parte del Gip e questo lo aveva gettato ulteriormente nello sconforto», ha concluso l’avvocato. Per poi aggiungere all’Ansa: «Ognuno faccia i conti con la propria coscienza».
Sicuramente qualcosa non ha funzionato se un uomo si suicida quando è sotto la custodia dello Stato e nulla c’entra il delitto per cui era privato della libertà personale, in questo caso il peggiore dei crimini, ossia l’uccisione del figlio. La questione trova ancora maggiore sostegno se si tiene conto che il 4 gennaio lo stesso gip Battarino aveva inviato alla casa circondariale di Varese una comunicazione in cui si evidenziava la «necessità di ogni misura utile a prevenire possibili gesti autolesivi del detenuto». L’Amministrazione penitenziaria aveva chiesto poi di trasferirlo a San Vittore come carcere più idoneo e da Varese era stato inoltrato il provvedimento di Battarino. Come mai allora un soggetto in quelle situazioni è rimasto solo in cella? Chi doveva vigilare e non lo ha fatto?
Bimba uccisa, la frase choc della ginecologa da migliaia di follower: “La mamma di Elena come quelle che abortiscono”. Poi le scuse (dopo la bufera sui social). CHIARA BALDI su La Stampa il 17 giugno 2022.
Se l’intento voleva essere quello di non attaccare Martina Patti, la madre 23enne che ha ucciso sua figlia Elena, di cinque, non è riuscito al meglio. Sarà che la dottoressa Monica Calcagni, ginecologa titolare di uno studio privato a Roma e divulgatrice social da 806 mila followers su Tik Tok e 164 mila su Instagram, ha tirato in ballo un argomento che tra le ragazze e sulle varie piattaforme è negli ultimi anni particolarmente sentito: l’aborto. In un video postato ieri la ginecologa si è scagliata contro «tutti quelli che accusano questa donna (cioè Martina Patti, ndr) di aver ammazzato la figlia sono poi quelli che però non accusano le donne che abortiscono, che ammazzano i loro figli, solo che quelli non sono mai nati, e quindi non li hanno mai tenuti in braccio, in grembo, non li hanno mai allattati». Parole che hanno suscitato le ire delle follower della dottoressa, che hanno per tutto il giorno commentato la storia dentro e fuori Instagram e Tik Tok. Tanto che in serata la stessa Calcagni ha dovuto fare marcia indietro, chiarendo la sua posizione in alcune story: «Mi dispiace che abbiate frainteso, non era assolutamente mia intenzione, il paragone non era calzante. Io mantengo però il pensiero che ho che non avete capito ma va bene così. Chiedo scusa alle persone che si sono sentite toccate, non voglio dare dell’assassina a nessuno, non sono io giudicare, non sono io magistrato né dio. esprimo una opinione e poi me la tengo per me». E ha aggiunto: «Il mio vero lavoro è in ambulatorio, quello dei social alla fine è un gioco, solo un gioco» (ma da migliaia di seguaci, appunto). Il ragionamento su Martina PattiNel video incriminato la dottoressa aveva commentato la vicenda che ha visto Elena vittima della madre. «Oggi sono qui per esprimere la mia opinione su quello che è successo alla piccola Elena. Sui social ci sono migliaia di commenti di persone disgustate e arrabbiate per l’abominio commesso, per questa mamma che ha ucciso sua figlia», ha detto, specificando di essere «mamma di 3 figli e mai mi sognerei di uccidere o fare del male a uno dei miei figli. Ma – ha aggiunto – non mi sento neanche di puntare il dito contro questa donna. Non la conosciamo, non sappiamo che vissuto abbia, non sappiamo nulla di questa donna e dovremmo allora a questo punto puntare il dito anche contro tutto quelli che questa donna hanno frequentato e non hanno capito che malessere aveva». Parlando sempre a titolo personale – sempre che così si possa definire un account tanto popolare e che affronta temi così rilevanti per il pubblico dei social “giovani” come Instagram e Tik Tok – la ginecologa ha spiegato che «per arrivare a uccidere il proprio figlio bisogna stare veramente male, non sappiamo la solitudine, la depressione, che cosa è passato nella testa di questa donna, non la conosciamo, possiamo solo sentirci amareggiati, tristi, colpevoli per non aver capito che c’era un malessere». E a questo punto ha inserito il passaggio sull’aborto, mandando su tutte e furie coloro che la seguono. Poi ha rilanciato: «Tutti quelli che accusano questa donna di aver ammazzato il figlio sono poi quelli che però non accusano le donne che abortiscono, che ammazzano i loro figli, solo che quelli non sono mai nati, e quindi non li hanno mai tenuti in braccio, in grembo, non li hanno mai allattati. Quelli che puntano il dito sono gli stessi che puntano il dito contro le donne che lasciano il loro figlio in ospedale per farlo adottare e sono definite “ingrate” per esser diventate madri? Non è forse meglio lasciarlo in ospedale perché non ci si sente in grado di crescerlo e dargli la possibilità di trovare una famiglia giusta, che lo ami, che lo riempia d’amore?». Per Calcagni, «non ci sono cose giuste e sbagliate, ci sono solo situazioni che ci lasciano basiti, amareggiati, tristi e delle situazioni che invece ci lasciano indifferenti». Poi ha concluso con un pensiero a Elena: «Il mio pensiero va a te piccola elena e a tutti i bambini che sono stati massacrati dai propri genitori, non ne salvo nessuno. E a tutti mando un grande bacio perché siete stati veramente sfortunati. m a altrettanto sfortunati sono stati i vostri genitori che vi hanno ucciso, perché non sono stati capiti, né compresi e non hanno capito cosa hanno perso e meritano di pagare per il torto che vi hanno fatto, ma pagare per tutta la vita, e tranquilli che pagheranno perché il peso lo porteranno per sempre nel loro cuore».
La madre in lacrime in caserma: "Erano armati". Il sindaco: "Dinamiche familiari". Bimba di 5 anni scomparsa in Sicilia: “E’ stata sequestrata da tre uomini incappucciati fuori scuola”. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 13 Giugno 2022.
Una bambina di cinque anni scomparsa nel pomeriggio in provincia di Catania sarebbe stata sequestrata da “tre persone incappucciate a bordo di un’auto di cui non si conoscono modello, colore e targa”. E’ quanto affermano sui social diversi residenti della zona prima di ottenere conferme dalla procura etnea. A denunciare la scomparsa della piccola, avvenuta a Piano di Tremestieri, è stata la madre che si è presentata in lacrime nella caserma dei carabinieri di Mascalucia.
La bimba si chiama Elena Del Pozzo e compirà 5 anni a luglio e, secondo il racconto della madre, era appena uscita dall’asilo in sua compagnia quando “siamo stati aggrediti da tre persone, che avevano il volto coperto ed erano armate“. Persone che -prosegue la donna – “hanno portato via la piccola fra le mie urla”. Le ricerche sono scattate dal primo pomeriggio con i militari dell’Arma che stanno analizzando le telecamere di videosorveglianza presenti nella zona. Istituiti inoltre numerosi posti di blocco.
Secondo quanto riferisce Repubblica, le indagini, coordinate dalla procura di Catania, vanno avanti serrate con gli investigatori che hanno individuato un’auto abbandonata alla periferia di Tremestieri. Sono in corso i rilievi della Scientifica a caccia di indizi utili per rintracciare