Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

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L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

ANNO 2022

FEMMINE E LGBTI

SECONDA PARTE

 

  

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

 

 

FEMMINE E LGBTI.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

PRIMA PARTE

 

Diversità di genere.

I LGBTQIA+.

Comandano Loro.

Il Potere nel Telecomando.

I Drag Queen.

Il Maschio.

Il Maschilismo.

I Latin Lover.

Il Femminismo.

Gli Omosessuali.

I Transessuali.

I Bisessuali.

Gli Asessuali.

I Fictiosessuali.

Gli indistinti.

I Nudisti.

L’Amore.

Sesso o amore?

Gli orecchini.

Il Pelo.

Le Tette.

Il Ritocchino.

Le Mestruazioni e la Menopausa.

Il Feticcio.

Bondage; Fetish: Il Feticismo.

Mai dire… Porno.

Mai dire …Prostituzione.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

 

SECONDA PARTE

 

La Truffa Amorosa.

La Molestia.

Lo Stupro.

Il Metoo.

Il Revenge Porn.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

 

TERZA PARTE

Le Violenze di Genere: Maschicidi e femminicidi.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

QUARTA PARTE

 

La Gelosia.

L’Infedeltà.

Gli Scambisti.

Gli Stalker.

Il body shaming. 

Le Bandiere LGBTQ.

San Valentino.

La crisi di Coppia.

Mai dire…Matrimonio.

Mai dire Genitori.

Mai dire…Mamma.

Mai dire…Padre.

Mai dire…Figlio.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

QUINTA PARTE

Il Figlicidio.

Le Suocere.

Il Sesso.

Il Kama Sutra. 

Prima del Sesso.

Durante il Sesso.

Dopo il Sesso.

Il Sesso Anale.

La Masturbazione.

L’Orgasmo.

L’ecosessualità.

L'aiutino all'erezione.

Il Triangolo no…non l’avevo considerato.

Il Perineum Sunning: Ano abbronzato.

Il Sesso Orale.

Il Bacio.

Amore Senile.

 

 

 

FEMMINE E LGBTI

SECONDA PARTE

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        La Truffa Amorosa.

Catfishing, chi sono e come operano i bugiardi del «bad web». Irene Soave su Il Corriere della Sera il 26 novembre 2022.

C’è chi ha perso tempo e soldi, a volte tanti. E chi, travolto dalla vergogna per essere stato imbrogliato, si è suicidato. Inventarsi vite che non sono la nostra sta diventando un fenomeno diffuso e pericoloso. Ma perché siamo prede facili dei truffatori?

Un’immagine simbolica per il «catfishing»: il termine deriva da “pescegatto”: corrisponde al tentativo di truffare o ingannare qualcuno online usando un’identità falsa o rubata: negli Usa si registrano 23 mila denunce; in Italia 300 l’anno

Matteo, sedicente avvocato, ha fatto colpo con una barzelletta un po’ fané. Lei insiste per raccontarmela. «Un moscovita va in edicola, compra il giornale, guarda la prima pagina e poi lo butta. Lo fa tutti i giorni. Un giorno l’edicolante sbotta: ma spreca un giornale così? Lui: sto aspettando un necrologio, ma non c’è mai. L’edicolante: ma i necrologi non sono in prima pagina! Il moscovita: quello che aspetto io sì». Mi lascia sorridere, poi: «Vedi? Ha fatto ridere anche te». Sedotta su Tinder da un impostore, Giovanna P. è una traduttrice, innamorata della cultura russa, «certo, prima di questi mesi», e per un po’ pure di “Matteo”. «Aveva questo umorismo colto, sapeva mille cose; amava persino le stesse strade di Mosca che amo io. Ho poi capito che ne snocciolava i nomi avendoli visti su post del mio profilo, anche di 10 anni fa. Penso fosse davvero un avvocato... Ma che ne so».

IL TERMINE DERIVA DA “PESCEGATTO”: CORRISPONDE AL TENTATIVO DI TRUFFARE O INGANNARE QUALCUNO ONLINE USANDO UN’IDENTITÀ FALSA O RUBATA

Succede in Italia a centinaia di persone ogni anno: le denunce nel 2021 sono state trecento, ma la difficoltà a inquadrare in un reato le truffe sentimentali e la vergogna che inibisce i denuncianti fanno pensare che il dato sia al ribasso. Il 15,3% degli italiani ha subito un raggiro dovuto a una falsa identità e il 13% ha subito un furto d’identità (Eurispes, 2022). Spesso tramite il catfishing : una seduzione in cui uno dei due è un falso. Un gioco antico, dai tempi di Cyrano de Bergerac e delle Relazioni pericolose; reso possibile su larga scala, però, dalle app d’incontri e dai social, piattaforme su cui in Italia, ormai, si stima nasca un amore su due (a Londra e New York l’80%).

I PROFILI QUASI SEMPRE CONTENGONO INFORMAZIONI FALSE: LE DONNE MENTONO SUL PESO, GLI UOMINI SU ALTEZZA E PROFESSIONE

«Mai visti dal vivo, e poi chi telefona più?»

Giovanna, 37 anni, e “Matteo” non si sono mai visti. «La nostra corrispondenza è durata tre mesi, lui diceva di vivere a Padova, io stavo a Roma, non c’era mai modo di vederci e non ci siamo mai telefonati. Ma onestamente nel 2022 chi è che telefona? Poi ho letto un vostro articolo sul catfishing e mi sono suonati troppi campanelli: le mille scuse per non incontrarci, le foto in posa, la voce strana nei vocali. Gli ho fatto qualche domanda trabocchetto; ha capito che avevo capito e mi ha bloccata. Fine del nostro amore, per così dire».

Giovanna non ha mai dato un soldo al suo falso innamorato, che non gliene ha mai chiesti; non ha mai capito chi fosse in realtà, «né ho denunciato, e cosa, poi? Credo fosse solo un tipo con scarsa autostima che amava fingersi qualcun altro. O qualche conoscente maligno che si prendeva gioco di me. Era perfetto per me. Ma finto». Ma la colta barzelletta del moscovita l’ha fatta ridere davvero. Giovanna, bella e piena di relazioni, «non sto a casa una sera, ho mille amici, è solo l’amore che mi diserta», sembra restia a pensare che questa storia, che ci ha scritto dopo la pubblicazione su 7 di una nostra inchiesta sulle truffe sentimentali ( Sembrano solo cuori truffati ma è stupro affettivo, 7 del 4 febbraio 2022), sia stata un falso assoluto.

300 LE DENUNCE PRESENTATE IN ITALIA NEL 2021 PER ESSERE STATI RAGGIRATI ATTRAVERSO L’UTILIZZO DI PROFILI FALSI

Daniele, 24 anni: suicida per l’umiliazione

«Non fate i miei errori, io ho sbagliato tutto», ha scritto nell’ultima lettera ai suoi Daniele, il geometra di Forlì che a 24 anni, a settembre 2021, si è ucciso per aver scoperto che la sua relazione tutta virtuale con una sedicente modella era stata un inganno. «Non ho mai avuto un amico, mai una ragazza. Sono stato solo tutta la vita». Una storia immaginaria, con conseguenze (tragiche) molto reali. A illudere il giovane era stato un 64enne di Forlimpopoli, Roberto Zaccaria, che si spacciava per una certa “Irene Martini” e per settimane ha chattato con Daniele promettendogli matrimonio e figli. Ottomila messaggi. Chat lunghe anche 17 ore. Poi l’umiliazione, per Daniele, di sapersi ingannato.

171% L’INCREMENTO DEI DOMINI WEB FRAUDOLENTI DAL 2019

14° POSTO DELL’ITALIA NELLA CLASSIFICA GLOBALE DEI PAESI PIÙ SOGGETTI A SCAMBIO DI DATI DI CARTE DI CREDITO

347% L’AUMENTO DI FURTI DI ACCOUNT DAL 2021

23 MILA I CITTADINI USA CHE HANNO DICHIARATO DI ESSERE VITTIME DI CATFISHING NEL 2020 (TOTALE: 605 MILIONI DI DOLLARI PERDUTI)

«La cosa che mi fa venire voglia di togliermi la vita», scrive in un messaggio WhatsApp, «è che mi sono sentito preso per il culo da qualcuno che non conosco». Era il 2021. Il 2 novembre di quest’anno la vicenda arriva alla ribalta tv delle Iene, che allo smascheramento di truffe sentimentali - ricordate il pallavolista Cazzaniga, che aveva donato 700 mila euro a una spregevole falsa fidanzata di nome Valeria Satta? - dedicano uno spazio ormai quasi fisso. Le Iene, in un servizio poi biasimato dallo stesso ad di Mediaset Piersilvio Berlusconi, rintracciano il truffatore, che si difende: «Io non sto bene». Il suo volto è cancellato con un effetto, i compaesani però lo riconoscono e arrivano insulti e minacce. Domenica 7 novembre Zaccaria si uccide, e nel suo biglietto di addio al mondo ci sono le istruzioni sulle medicine da dare alla madre anziana, con cui abitava.

Gli studi e quei 14 mila risarcimenti impossibili

Dalle ricostruzioni della storia, l’impostore Zaccaria - che al giovane che ha ingannato non ha mai chiesto un euro - sembrava emotivamente coinvolto, per primo, lui stesso. Chiedeva foto intime; chattava per giorni interi; il potere che esercitava sul giovane, forse la fantasia di sentirsi una donna stupenda grazie alle foto rubate dai profili social di una modella, erano la ricompensa che Zaccaria traeva dalla recita. Una recita che è proseguita con altri ragazzi, secondo Le Iene, anche dopo il suicidio di Daniele. Non è strano. Secondo i pochi studi disponibili sul catfishing gli scopi del fingersi qualcun altro online sono vari. Certo, in molti casi la truffa sfocia nella richiesta di denaro: un’associazione «contro le truffe affettive e il cybercrime», Acta, ha ricevuto negli ultimi 8 anni circa 14 mila richieste d’aiuto, da persone che in media hanno perso 20 mila euro in truffe di questo tipo (un solo caso va oltre i 900 mila, irrecuperabili). Ma altrettanto spesso mentire sulla propria identità è un modo di sperimentare un diverso ruolo di genere, o di sentirsi risarciti di insuccessi sperimentati con la propria identità reale.

27,2% QUASI UN ITALIANO SU TRE VITTIMA DI TRUFFE INFORMATICHE

15,3% DEGLI ITALIANI HA SUBITO UN RAGGIRO CON FALSA IDENTITÀ

13,2% DI PERSONE IN ITALIA È STATO OGGETTO DI FURTO D’IDENTITÀ

81% LA PERCENTUALE DI ITALIANI CHE MENTE SUI DATI DEL PROPRIO PROFILO SECONDO UNA RICERCA DATATA 2017

La solitudine del truffatore

«Quando mando le mie foto vere, in genere smettono di rispondermi», risponde uno degli intervistati in una ricerca del 2018 dell’università del Queensland concentrata sui truffatori sentimentali: la solitudine del truffato è spesso superata da quella del truffatore, che è il suo movente, secondo lo studio, nel 41% dei casi. Così nasce ad esempio una commedia natalizia molto popolare su Netflix, Love Hard (2021): zitellona californiana conosce online alpinista sexy costa Est; attraversa gli Stati Uniti per fargli una sorpresa e scopre di persona che a chattare con lei era un nerd bruttino; la commedia ha un lieto fine, ma la realtà è più brutale. La giurisprudenza italiana, per questi casi, è poi costellata di vuoti. Le indagini a carico di Zaccaria presso la procura di Modena erano state archiviate. Ipotizzata e poi caduta la fattispecie di morte come conseguenza di altro reato (art. 586 c.p.), era rimasta in piedi solo una condanna penale per sostituzione di persona (art. 494 c.p.), reato più modesto. La sanzione in cui la condanna è stata convertita era di 825 euro. Non c’è nemmeno stata estorsione.

41% LA PERCENTUALE DI “TRUFFATORI” CHE AGISCE PER “SOLITUDINE” SECONDO UNA RICERCA DATATA 2018 DELL’UNIVERSITÀ AUSTRALIANA DEL QUEENSLAND

Che cosa prevede la legge italiana

Le leggi italiane prevedono appunto la sostituzione di persona, che per la prima volta la Cassazione ha collegato a un caso di account Facebook falso (sentenza 9391/2014): «non è reato», così la sentenza, «la creazione di falsi account (...) ma lo è usarli per molestare altri utenti attraverso la chat». Se poi per fingersi qualcun altro il truffatore usa foto o dati di altre persone realmente esistenti, lede anche il diritto all’immagine (art. 10 c.c.) e viola la legge sulla privacy circa il trattamento dei dati. Se al catfishing segue un raggiro si va su un terreno ancora più scivoloso. La prima sentenza che riconduce a truffa (art. 640 c.p.) un raggiro affettivo, la 25165 di Cassazione, è del 2019. Poca roba. La storia delle truffe, degli inganni e più in generale delle bugie sfugge alle leggi: si può mentire senza mai violarne nessuna. Sulle app di dating si stima che un profilo su 10 sia falso, cioè gestito addirittura da un bot, o dai soliti truffatori. Ma i profili di persone sposate che si dicono libere sono «veri» o «falsi»? E chi bara sull’età?

«CREDIAMO VOLENTIERI A UNA NARRATIVA CHE SOSPETTIAMO POSSA ESSERE VERA SOLO IN PARTE, MA CI SEDUCE. E CI COMPORTIAMO COME SE LO FOSSE»

Inaffidabili i profili sulle app di incontri

L’81% degli italiani (Ipsos Mori per Vodafone) mente sui propri profili di dating; le donne sul peso, gli uomini sull’altezza e sulla professione, e già solo in questo dato - del 2017, ma siamo cambiati molto da allora? - sono riassunti cento manuali di seduzione. Il 54% di chi cerca appuntamenti online, per lo stesso studio, si è imbattuto in profili falsi; solo il 25% dice di «conoscere qualcuno che ha profili falsi»; solo il 4% ammette di averne uno. Contattata dal Corriere non vuole parlare dello «scandalo» che ne ha travolto il profilo Instagram: Giulia Cutispoto, classe 1989, è diventata famosa - cioè ha 670 mila follower, scrive libri per Mondadori, collabora con il Sole 24 Ore - raccontando, a nome Julia Elle, il bello di una famiglia allargata. La sua lo è: un ex compagno, Paolo Paone, e un nuovo compagno, Riccardo Macario. Tre figli i cui nomi - citazione di Kardashian? - iniziano tutti con «ch»: Chloe, Chris e Chiara. I primi due di Paolo, la terza di Riccardo. Così la versione ufficiale. Poi dissapori col primo compagno. Lei lo accusa in tv di essere un padre assente. Lui replica: Chris non è mio. Spunta un terzo uomo, che avrebbe rifiutato la paternità di Chris - che, oggi all’asilo, potrà risparmiare da adulto le prime sedute di psicoterapia comodamente presentando le centinaia di articoli usciti sul caso - e lei controreplica: Paolo è stato un compagno violento. Lui: ma se ti ho accolta mentre eri incinta di un altro. E così via. Cosa c’era di vero nella felicità della famiglia allargata presentata dalla popolare influencer? E chi sono i truffati: i figli? Il pubblico non pagante? I marchi che si associano a «Julia Elle», dai giocattoli all’aromaterapia, dalle profumerie agli integratori? Periodicamente uno «scandalo» di breve durata rivela l’inconsistenza di molte vite popolari online: dell’economista sedicente Imen Jane, a giugno 2020, il sito Dagospia ha rivelato che non aveva una laurea. In quelle settimane il suo profilo ha perduto qualche migliaio di seguaci; poi ha continuato a crescere.

La narrazione ingannevole sui social

Un post su Instagram può valere (dal report 2022 di DeRev, società italiana di comunicazione digitale) fino a 75 mila euro. Quello della pubblicità social — che rispetto ai media tradizionali promettono agli inserzionisti più autenticità e «verità» — è un giro d’affari che in Italia, nel 2022, varrà 335 milioni di euro; nel mondo nel 2022 varrà 16 miliardi, una decina negli Stati Uniti; vere o false, le vicende delle migliaia di Julie Elle del pianeta mobilitano soldi assai concreti. Dov’è la soglia della «verità»? Se una Julia Elle, come trent’anni fa una Wanna Marchi, ci racconta che lo scioglipancia funziona, che la sua felicità è possibile, le dobbiamo credere? «La domanda è malposta» spiega la scrittrice Lauren Olyler. «Crediamo volentieri anche a una narrativa che sospettiamo possa essere vera solo in parte, ma ci seduce. E ci comportiamo di conseguenza. L’influenza dei social sulla politica nell’ultimo decennio lo dimostra. Donald Trump mica voleva davvero sparare ai messicani, lo sapevano tutti. Ma chi sposava questa narrativa l’ha votato, e ha pensato che fosse giusto poter sparare ai messicani».

Un romanzo sui falsi profili online

Olyer, autrice millennial, ha appena pubblicato il suo primo romanzo Fake Accounts (Bompiani, 288 pp., 20 euro, trad. di Marta Barone): la protagonista, curiosando nel cellulare del fidanzato Felix, gli scopre una «vita parallela» da imbonitore complottista con centinaia di migliaia di follower che non credono all’11 settembre. Il vero Felix è intelligente, buffo; il suo alter ego sgrammaticato e violento non gli somiglia, ma spopola. «Volevo mostrare che la truffata è lei: il pubblico di lui crede a un falso, ma ha esattamente quello che si aspetta. Lei si ritrova in una storia basata su presupposti diversi da quelli a cui credeva». La storia svela una più ampia inconsistenza: quella dei «lavori digitali», come il sito di contenuti divertenti in cui lavora la protagonista, «che richiedono sedici ore di impegno al giorno e non contribuiscono in niente alla società, se non con informazioni né vere né false, inconsistenti. O l’economia smaterializzata delle criptovalute, che ti fa chiedere: ma io cosa lavoro a fare? In questo senso sì, il falso influenza il vero. E su larga scala».

Da fanpage.it il 6 novembre 2022. 

Daniele, un ragazzo 24enne di Forlì, si è suicidato impiccandosi nella sua stanza di casa dopo aver scoperto che la sua fidanzata, conosciuta in chat, voleva lasciarlo: ‘Irene' era in realtà un uomo di 64 anni. Suo padre non vuole che la sua storia sia dimenticata. Per questo, ieri, tramite l’agenzia Ansa, ha deciso di rivolgersi direttamente al nuovo capo del governo Giorgia Meloni.

" È mai possibile che non venga riconosciuta una pena severa per questo tipo di reato?", scrive nella conclusione.

Il suicidio del giovane risale al 23 settembre del 2021. Non essendoci stata estorsione di denaro, a giugno la Procura ha ritenuto di chiedere l’archiviazione di quello che appare come il reato principale – quello di morte come conseguenza di altro delitto – chiedendo e ottenendo per il 64enne un decreto penale di condanna per “sostituzione di persona“, ma la condanna è stata convertita in una sanzione pecuniaria di 825 euro.

 "La vita di mio figlio vale questo?" si chiede il signor Roberto.  "Spero vivamente che questa storia possa servire a rivedere alcune leggi e far sì che chi commette questi reati venga punito severamente. Ecco il motivo che mi ha spinto a scriverle" si rivolge alla Meloni. In sostanza il padre di Daniele chiede che il governo preveda pene più severe per reati di questo tipo. "Se oggi sono qui a scriverle questa lettera è perché credo fermamente nella giustizia italiana, ma ad oggi non abbiamo riscontrato nessun esito positivo".

In questi giorni si sta parlando tanto di Daniele, grazie al servizio mandato in onda alle ‘Iene’ qualche giorno fa, ripreso successivamente da molti quotidiani nazionali e locali. Mio figlio è stato vittima di quello che oggi è chiamato ‘catfishing’, una relazione virtuale nata sui social con una ragazza, dietro la quale si celava la figura di un uomo di 64 anni. Questa relazione virtuale ha portato alla morte di mio figlio. Ciò che è accaduto è di una gravità immane e molti altri ragazzi e ragazze sono vittime di questi inganni. Tanti riescono a salvarsi, tanti altri no".

E aggiunge: "Non si utilizzano solo le armi, intese come oggetti, per uccidere; le parole, le illusioni, le sostituzioni di persona possono avere lo stesso potere di un’arma e provocare la morte". Quindi sottolinea: "Ad oggi, l’uomo responsabile di tutto questo si trova a piede libero, si sveglia ogni mattina e se ne va per le vie del suo Paese, come se nulla fosse accaduto. Non avrò più indietro Daniele, nel frattempo, colui che ritengo il responsabile di questo tragico evento è libero e i carabinieri hanno addirittura scoperto che ha continuato con questo gioco sporco".

 Si è ucciso l’uomo che si era spacciato online per la fidanzata, dopo il servizio televisivo de Le Iene. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno  il 6 Novembre 2022.

L'uomo 64enne era stato condannato per la "sostituzione di persona", per una pena pecuniaria di appena 825 euro. Ma vi sembra il prezzo da pagare per avere indotto un ragazzo di 24 anni al suicidio ?

E’ stato trovato dalla madre morto in casa questa mattina alle 7 l’uomo di 64 anni di Forlimpopoli (Forlì-Cesena) finito al centro della vicenda legata al suicidio di Daniele, un giovane di 24 anni, che aveva studiato all’Istituto Geometri e che dalla fine della scuola lavorava nell’impresa edile del padre, e che si era tolto la vita un anno fa dopo aver scoperto di essere stato vittima di uno scherzo durato un anno: quella che credeva essere la sua fidanzata, Irene, conosciuta online, in realtà era l’uomo di 64 anni che, secondo gli inquirenti, oggi si è suicidato. I Carabinieri hanno ricevuto la chiamata di soccorso intorno alle 8,30 di questa mattina, sono arrivati sul posto con magistrato di turno, trovando l’uomo nella sua camera da letto privo di vita. I primi atti di indagine non lasciano dubbi sulla natura della morte, che pertanto esclude l’ opera di terze persone. 

La vicenda era stata denunciata, martedì scorso, da un servizio televisivo della trasmissione Le Iene che aveva raccontato il fatto, raccogliendo la denuncia dei legali dei familiari di Daniele. Con una rete di rapporti sociali molto ristretta, come si è evinto nel corso del servizio delle Iene, il giovane aveva intrecciato una relazione virtuale con una ragazza (poi risultata inventata) spacciatasi con il nome inventata di ‘Irene Martini’ con delle bellissime foto postate del profilo “fake” , che in seguito si è scoperto essere state rubate dai profili social di una modella romana.

La relazione online utilizzando il profilo falso, gestito in realtà dall’uomo 64enne, si era sviluppata in 8mila messaggi e a volte diverse ore di chattate al giorno, era durata per più di un anno costellata da messaggi amorosi sinceri da parte di Daniele, che venivano contraccambiati dal profilo falso, ma ad un certo punto sono emerse però chiaramente le fragilità emotive e sentimentali del ragazzo, che più volte nei messaggi annunciava i suoi propositi di suicidio nel momento in cui il rapporto, sempre e solo virtuale, si era incrinato a seguito del sospetto maturato dal giovane di essere stato raggirato, disperato della non esistenza di una figura femminile che aveva idealizzato. Propositi che purtroppo si sono realizzati il 23 settembre 2021, quando i genitori lo trovarono impiccato nella casa di Forlì.

L’uomo, dopo il suicidio del giovane, era stato indagato dalla Procura, aveva ricevuto un decreto di condanna per sostituzione di persona, ma l’accusa di morte come conseguenza di altro reato era stata archiviata. I genitori di Daniele, nei giorni scorsi, avevano scritto anche una lettera alla premier Giorgia Meloni, dopo aver già proposto opposizione all’archiviazione e nei prossimi mesi sarebbe stata fissata un’udienza. L’uomo 64enne era stato condannato per la “sostituzione di persona“, per una pena pecuniaria di appena 825 euro. Ma vi sembra il prezzo da pagare per avere indotto un ragazzo di 24 anni a mettere fine alla propria vita. E’ giustizia questa ?

Nel servizio televisivo del programma Le Iene andato in onda su Italia Uno nei giorni scorsi, l’uomo era stato raggiunto nel centro di Forlimpopoli dalla troupe televisiva che gli aveva chiesto i motivi del suo gesto. Andato in onda con il volto oscurato, ma in molti lo avrebbero comunque riconosciuto, il 64 enne forlimpopolese si era giustificando sostenendo che “se aveva problemi di testa non è colpa mia” ed aveva definito la finta relazione come uno “scherzo durato un bel po’”. Ma la tragica morte di Daniele, a soli 24 anni, deve essere diventato un fardello pesante da sopportare, inducendo il 64enne a compiere lo stesso gesto suicida. Redazione CdG 1947

Forlì, si era finto donna ingannando in chat un 24enne (poi suicida). Ora si è ucciso. Ferruccio Pinotti su Il Corriere della Sera il 6 Novembre 2022.

L’uomo, un 64enne, era stato riconosciuto colpevole di scambio di persona, ma non di truffa (perché non aveva chiesto soldi). La famiglia del giovane aveva chiesto giustizia, appellandosi anche al programma «Le Iene» che aveva smascherato l’uomo

Il paese lo aveva riconosciuto, dopo il servizio in televisione che aveva raccontato del suo inganno in chat ai danni di un 24enne, poi morto suicida. E lui non ha retto al peso del rimorso e della vergogna. E si è ammazzato a sua volta. La tragedia a Forlimpopoli (Forlì-Cesena), dove ieri è stato trovato morto in casa Roberto Zaccaria, 64 anni, l’uomo al centro della vicenda legata al suicidio di Daniele, il giovane di 24 anni che un anno fa (il 23 settembre 2021) si era tolto la vita dopo aver appreso di essere stato vittima di uno tragico inganno in chat: quella che per un anno credeva essere la sua fidanzata, Irene, conosciuta online, era in realtà proprio Zaccaria.

Il corpo del 64enne è stato trovato ieri alle 7 di mattina dalla madre. La vicenda del suo «inganno» era stata denunciata, martedì scorso, da un servizio televisivo della trasmissione Le Iene su Italia 1 che aveva raccontato il fatto, raccogliendo la denuncia dei legali dei familiari di Daniele. Un approfondimento compiuto dal Corriere aveva permesso anche di accertare che l’uomo se l’era cavata con una sanzione pecuniaria di 825 euro in quanto la Procura, dopo la denuncia della famiglia del ragazzo, aveva archiviato le ipotesi di reato più pesanti a carico dell’uomo (come la truffa, perché non sono state dimostrate richieste di denaro). Lasciando in piedi solo quella di sostituzione di persona, per la quale era stato emanato un decreto penale di condanna.

Una decisione alla quale la famiglia del ragazzo aveva presentato opposizione formale. I genitori di Daniele, nei giorni scorsi, avevano scritto anche una lettera alla premier Giorgia Meloni. Nel servizio delle Iene andato in onda nei giorni scorsi, l’uomo era stato raggiunto nel centro del paese da una troupe che gli aveva chiesto i motivi del suo gesto. In onda era andato il volto oscurato dell’uomo, ma in molti, nella piccola realtà di 13mila abitanti, lo avrebbero comunque riconosciuto. Daniele, geometra 24enne, era stato trovato impiccato nella soffitta della casa dei genitori (il papà è un piccolo impresario edile). Si era innamorato di un falso profilo incontrato sul web: una 20enne bellissima, ma inesistente. In un anno di relazione virtuale aveva scambiato con quella che pensava essere una ragazza 8mila messaggi d’amore, fatti di reciproche promesse di matrimonio e figli. La fine del sogno è avvenuta quando Daniele si è imbattuto, su un altro sito, nelle immagini della «sua Irene». Aveva chiesto spiegazioni, ma il 64enne aveva tagliato corto, scaricandolo.

Il ragazzo aveva lasciato una commovente lettera di addio ai familiari: «Non ve l’ho mai detto, ma vi voglio un mondo bene...». Il 64enne aveva anche spedito a Daniele messaggi con altri due finti nomi, «Braim» (fratello fasullo di Irene) e «Claudia» (amica del cuore della ragazza inesistente). A dramma avvenuto, i genitori erano risaliti all’uomo di Forlimpopoli e lo avevano denunciato ai carabinieri. «Se quel ragazzo era uno squilibrato che colpa ne ho io?», si era inizialmente difeso Zaccaria. In televisione l’inviato delle Iene Matteo Viviani lo aveva messo alle strette e l’uomo aveva replicato: «Era uno scherzo... Non volevo che finisse così». E qualche giorno dopo Al Resto del Carlino aveva dichiarato: «Sono stanco, mi stanno rovinando la vita». In questi giorni il crollo e la decisione di togliersi la vita. La trasmissione di Italia 1, interpellata dal Corriere, non ha commentato l’evento.

Marco Bilancioni per ilrestodelcarlino.it il 6 novembre 2022.

È stato trovato morto, nella sua casa di Forlimpopoli, Roberto Zaccaria, il 64enne che era finito al centro di un servizio delle 'Iene' andato in onda nella serata di martedì 1 novembre. Gli è stato fatale, stando ai primi riscontri, un mix di farmaci: li avrebbe ingeriti nella notte. Quando la madre l'ha trovato a terra, in casa, di prima mattina, era già morto da qualche ora.

Non ci sarebbero dubbi sul fatto che si tratti di un suicidio. La salma, comunque, è a disposizione dell'autorità giudiziaria per un'eventuale autopsia. Sono passati circa 4 giorni dall'inizio del caso. Il volto di Zaccaria, benché oscurato, era stato riconosciuto da tanti: un inviato della trasmissione di Italia Uno gli aveva chiesto conto, in pieno centro del paese, del fatto che si fosse fatto chiamare Irene, dando vita a una relazione a distanza, online, con il 24enne forlivese Daniele. A fine settembre 2021, Daniele si era tolto la vita per quell'amore impossibile. Oggi, a distanza di 13 mesi circa da quella prima tragedia, anche il 64enne è stato trovato morto. Non è chiaro se abbia accompagnato il suo gesto con una lettera o un ultimo messaggio.

A lanciare l'allarme, alle 7 di domenica mattina, è stata l'anziana madre, dopo aver vanamente provato a rianimarlo. A chiamare il 118, allertato dalla donna, è stato un vicino. Nell'abitazione di via De Gasperi, a pochi metri dalla basilica di San Ruffillo, sono giunti i carabinieri di Forlimpopoli coadiuvati dai colleghi di Meldola del nucleo operativo-radiomobile e il pm Brunelli. Dopo le 10 è arrivata, dall'Umbria, anche una sorella di Zaccaria.  

A Forlimpopoli tantissimi avevano individuato l'identità dell'uomo che si era finto 'Irene' (non solo: anche un presunto fratello e un'amica del cuore della stessa Irene). Accusato inizialmente di morte in conseguenza di altro reato, la procura aveva chiesto l'archiviazione (sulla quale avrebbe dovuto decidere un giudice del Tribunale di Forlì): al 64enne era rimasto un decreto penale di condanna per sostituzione di persona (l'uomo non si era appellato) che comporta una sanzione di 852 euro. Il padre di Daniele aveva chiesto giustizia e si era rivolto pubblicamente addirittura alla premier Giorgia Meloni chiedendo leggi più severe per chi commette reati online. Una vicenda che sembra chiudersi, ora, con una seconda morte. 

Si era finto una ragazza e aveva ingannato un 24enne morto suicida: 64enne trovato senza vita. Il 64enne che era finito al centro di un servizio del programma Le Iene andato in onda nella serata di martedì 1 novembre sul caso di Daniele, un 24enne morto suicida per essere stato ingannato. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 06 Novembre 2022.

È stato trovato senza vita, nella sua casa di Forlimpopoli (Forlì-Cesena), Roberto Zaccaria, il 64enne che era finito al centro di un servizio del programma Le Iene andato in onda nella serata di martedì 1 novembre sul caso di Daniele, un 24enne morto suicida per essere stato ingannato per un anno dal 64enne che si fingeva una ragazza. Quando il giovane, un anno fa, aveva scoperto che Irene era un uomo si era sentito ingannato e preso in giro e poi si era ucciso. Sul caso era stata aperta un’inchiesta giudiziaria: la procura di Forlì aveva emesso un decreto penale di condanna per sostituzione di persona (852 euro), ma aveva chiesto l’archiviazione per l’ipotesi di morte come conseguenza di altro delitto, contro la quale i legali della famiglia di Daniele hanno fatto opposizione. I familiari si sono rivolti alla trasmissione televisiva di Italia 1 per raccontare la storia: cioè di un uomo di 64 anni di un paese vicino che per un anno si era spacciato per Irene, una ragazza di 20 anni che si era dichiarata innamorata di Daniele. In un anno si erano scambiati oltre 8mila messaggi, in chat e su whatsapp, nei quali si parlava anche di matrimonio e figli.

L’ipotesi è che il 64enne sia stato ucciso da un mix di farmaci. Il cadavere, come riporta Il resto del Carlino, è stato ritrovato dalla madre. La salma, comunque, è a disposizione dell’autorità giudiziaria per un’eventuale autopsia, ma l’ipotesi più probabile è che si sia trattato di suicidio. Il volto di Zaccaria, benché oscurato, era stato riconosciuto: un inviato della trasmissione gli aveva chiesto conto del fatto che si fosse fatto chiamare Irene, dando vita a una finta relazione a distanza, online, con il 24enne. A Forlimpopoli tantissimi avevano individuato l’identità dell’uomo che si era finto Irene, ma anche un presunto fratello e un’amica del cuore della giovane inesistente. La storia tra il Daniele e “Irene” si era interrotta quando il ragazzo aveva notato che la foto della giovane era identica a quella di una modella di Roma. Alla richiesta di chiarimenti l’uomo con il quale stava intrattenendo un rapporto virtuale aveva deciso di troncare la relazione ed è a quel punto che Daniele si era reso conto di essere stato vittima di un catfish. Il giovane aveva lasciato una lettera ai genitori e al fratello che aveva così scoperto questa relazione virtuale. La famiglia aveva quindi denunciato ai carabinieri l’uomo. “È stato uno scherzo non volevo che finisse così – le sue parole alle Iene – se aveva problemi di testa non è colpa mia”. Secondo i legali dei familiari, però, nelle conversazioni Daniele aveva manifestato l’intento di uccidersi. E il suo interlocutore non avrebbe provato a far niente per impedirlo.

Si era finto donna in chat con un 24enne. Si ammazza dopo il suicidio del ragazzo. Il 64enne era finito sotto inchiesta. Un anno fa la morte del giovane. Redazione su Il Giornale il 7 Novembre 2022.

Alla fine si è tolto la vita anche lui, come aveva fatto un anno fa Daniele, che aveva per lungo tempo ingannato on line facendogli credere di essere Irene, una bella ragazza di cui il 24enne scelto come vittima inconsapevole si era perdutamente innamorato. Uno «scherzo» durato troppo a lungo e finito con una corda al collo di quel giovane troppo fragile caduto nella sua rete. Una vicenda dolorosa raccontata la scorsa settimana dalla trasmissione Le Iene, il cui peso l'uomo non è più riuscito a reggere. Una tragedia nella tragedia. Il 64enne di Forlimpopoli, nel Forlivese, ieri mattina è stato trovato privo di vita da un familiare nella sua camera da letto. Non ci sono dubbi che si sia trattato di un suicidio.

C'era lui dietro alla relazione virtuale con profilo fake che Daniele aveva instaurato con Irene, una ragazza poi risultata inventata. Le foto della giovane, si è scoperto poi, erano state rubate dalle pagine social di una modella romana. È di lei che Daniele, con le sue debolezze e la sua inesistente rete sociale, credeva di essere innamorato dopo ottomila messaggi e ore e ore passate in chat ogni giorno per oltre un anno. Il 64enne non si era fermato neppure quando erano chiaramente emerse le fragilità emotive e sentimentali del giovane, che aveva annunciato la sua intenzione di togliersi la vita quando il rapporto virtuale si era incrinato perché aveva cominciato a sospettare di essere stato raggirato. Propositi che purtroppo è riuscito a realizzare il 23 settembre del 2021, quando i genitori lo hanno trovato impiccato nella sua camera da letto.

L'uomo che si era preso gioco di lui senza badare alle sue debolezze aveva creato una serie di profili social per inscenare un'esistenza fittizia sul web fatta anche di sedicenti amici e parenti della ragazza. Individuato dalle Iene era stato immortalato dalle telecamere della trasmissione Mediaset e ripreso da tutti i mezzi di informazione locale. Ieri è stato trovato cadavere nella sua abitazione, dove sono arrivati i carabinieri e il magistrato di turno. Dalla vicenda erano scaturite due denunce: una per morte come conseguenza di altro delitto e l'altra per sostituzione di persona. Per il primo la Procura forlivese ha chiesto l'archiviazione, ma ha visto opporsi la famiglia del ragazzo. Mentre per il secondo reato era scattato un decreto penale di condanna.

Filippo Fiorini per “La Stampa” il 7 novembre 2022.

Due uomini sono separati da 7 chilometri di distanza e da 40 anni di età. Condividono soprattutto due cose: una conversazione lunghissima attraverso il cellulare e la morte per suicidio. In comune non hanno il modo in cui scelgono di andarsene, perché il più giovane, Daniele, che ha 24 anni, si impicca il 23 settembre 2021 nella sua casa di Forlì, dopo aver scoperto che la ragazza di cui si è innamorato su Internet in realtà non esiste. 

Roberto, invece, di anni ne ha 64 e si uccide con un'overdose di farmaci la notte di sabato a Forlimpopoli, dopo che l'inganno rifilato a Daniele per un anno, fingendosi proprio quella ragazza che in realtà non esisteva, è stato reso pubblico dalla trasmissione Le Iene. In comune non hanno il mestiere, perché uno faceva il muratore e l'altro il parrucchiere, ma entrambi hanno seguito le orme del padre.

 In comune non hanno nemmeno il modo di porsi, perché uno si mostra sereno e in gran forma sui social, mentre l'altro si nasconde dietro a molti pseudonimi con cui vive un'esistenza parallela. In comune, però, hanno la solitudine e poi il fatto che entrambi sono stati trovati morti dalla madre. 

La quantità letale di barbiturici che gli inquirenti considerano essere la causa del decesso di Roberto Zaccaria è l'epilogo di una vicenda iniziata molti mesi fa. Da un lato del telefono c'è il figlio di uno degli storici barbieri di una cittadina romagnola di 13 mila abitanti, Forlimpopoli, che non ha mai nascosto la propria omosessualità e gestisce un negozio di parrucchiere con la sorella identificatasi col genere femminile, dopo essere nata biologicamente maschio.

Oltre al lavoro, i compaesani non lo vedono fare altro che «spingere l'anziana madre invalida sulla carrozzina», riferiscono con compassione. Dall'altro, c'è un ragazzo di bella presenza, forte, atletico, diplomatosi geometra e apparentemente felice di lavorare nell'impresa edile del padre, venuto in Romagna dal Sud e costruitosi una stabilità economica con la moglie e i due figli. 

Il loro contatto su Instagram ha subito un tono sentimentale. Il problema è che Daniele, il ragazzo, chatta col suo vero nome, mentre Roberto si finge femmina, dice di chiamarsi Irene e pubblica foto che in realtà appartengono a una top model romana. Oltre a questo, Roberto gestisce altri account su altrettante piattaforme: uno in cui veste i panni del fratello di Irene (a nome Braim) e l'altro in cui fa la parte della sua amica del cuore (Claudia).

La relazione va avanti solo sul piano virtuale per un anno, con le caratteristiche di ogni innamoramento: profusioni d'affetto, giuramenti di fedeltà, messaggi erotici e litigi, finché Daniele non si insospettisce e scopre la messa in scena. Disperato, dopo aver attraversato settimane di sconforto per le discussioni che lo hanno allontanato da quella che credeva ancora essere Irene, dopo aver fatto ricorso ai consigli di Claudia e Braim, dopo aver paventato il suicidio, si scopre solo e si toglie effettivamente la vita. Nella lettera d'addio si rivolge principalmente al fratello minore e dice: «Io non ho avuto un amico, né mai una ragazza». 

Il padre e la madre, che lo hanno conosciuto come una persona serena, non si capacitano del gesto e cercano risposte nel suo smartphone. Lì trovano le chat con Irene, Braim e Claudia (condotte sempre da Zaccaria).

Dallo sfondo di un'immagine pubblicata sull'account di Irene, capiscono che la ragazza vive a dieci minuti da loro. Ci vanno e scoprono Roberto, che nel frattempo continua ad usare false identità per parlare con terzi in contesti analoghi. Si rivolgono così a un avvocato e lo denunciano per sostituzione di persona e morte in conseguenza di altro reato. Il tribunale accoglie la richiesta, ma riconosce Zaccaria colpevole solo del primo reato, un illecito minore che prevede una multa.

Sentendo di non aver ricevuto giustizia, contattano Le Iene e scrivono a Giorgia Meloni. La trasmissione di Mediaset raccoglie la loro testimonianza attraverso l'inviato Matteo Viviani, che poi da Forlì si sposta a Forlimpopoli e incontra per strada Zaccaria, insieme alla madre in sedia a rotelle. Il servizio mostra il giornalista e il parrucchiere discutere. Zaccaria spinge addirittura la madre in carrozzina contro l'inviato. Credendo che la telecamera sia spenta, Franco a un certo punto dice di sentirsi «a posto sì e no» per ciò che ha fatto a Daniele. «È stato uno scherzo», si giustifica, e poi: «I genitori vadano a rompere da un'altra parte». Il suo volto è sfocato, ma riconoscibile. All'indomani, in paese c'è chi dice di volergliela far pagare, ma ieri all'alba, ha poi fatto in modo che queste restassero solo minacce.

Il caso Iene e Zaccaria suicida dopo essersi finto donna, il programma: «Giusto seguire il caso». Andrea Pasqualetto e Ferruccio Pinotti su Il Corriere della Sera l’8 novembre 2022.

 Aveva scoperto che la ragazza per la quale aveva perso la testa via chat era in realtà Roberto Zaccaria, 64 anni, capace di ingannarlo spacciandosi per la bellissima e fantomatica Irene Martini. Domenica scorsa Zaccaria si è tolto la vita nell’abitazione di Forlimpopoli dove viveva con l’anziana madre: mix di alcol e pasticche. Sul suicidio di Roberto l’ipotesi dei suoi avvocati, Pierpaolo Benini e Antonino Lanza, è quella: «Era sconvolto dai manifesti appesi in paese contro di lui dopo la trasmissione delle Iene che l’aveva individuato. C’era scritto “Maledetto devi morire e bruciare all’inferno”. Il paese è piccolo e il peso enorme. Voleva venire da noi lunedì scorso per formalizzare una denuncia, dovrebbe averne depositata una dai carabinieri. L’hanno trovato morto domenica mattina». Pare che ora quella denuncia vogliano farla i familiari, la madre e la sorella. «Siamo d’accordo che ci si vede al più presto».

Succede poi che la procura di Forlì ha aperto un fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio di Zaccaria. Indagine che intende arrivare alle cause della morte del 64 enne, finito al centro di un recente servizio televisivo delle Iene che l’hanno incalzato com’è nel loro stile mentre si trovava fuori di casa con l’anziana madre in carrozzella. «Lei è Irene Martini?». «Vai via, vai via». Spinte, urla, la madre che va a sbattere su un muro. Le Iene non mollano e alla fine strappano una sua dichiarazione: «Era uno scherzo... il ragazzo aveva un problema di testa». Detto che lo scherzo è durato mesi e che Daniele si era follemente innamorato di Irene (il fenomeno si chiama catfishing), la tragica morte è già stata indagata dagli inquirenti. Sempre la procura di Forlì aveva infatti ipotizzato il reato di «morte come conseguenza di altro reato», indagine chiusa nel giugno scorso con una richiesta di archiviazione. Per Zaccaria un sospiro di sollievo. Contro di lui è stato pronunciato solo un decreto di condanna per sostituzione di persona che si è tradotto in 825 euro di ammenda.

«Proprio perché la procura aveva ritenuto Zaccaria non responsabile del suicidio del giovane, riteniamo che non abbia rispettato i principi del diritto di cronaca, anche perché non era chiaro il fatto dell’archiviazione. Oltretutto il nostro cliente aveva diffidato la trasmissione dal mandare in onda il servizio», ricorda Lanza. Ma una richiesta d’archiviazione non è comunque un’archiviazione, contro la quale la famiglia di Paolo si era opposta. Ora la rabbia del web si è scatenata contro la trasmissione e in particolare contro il giornalista Matteo Viviani, autore del servizio, tacciato di giustizialismo e metodi poco ortodossi. E tira in ballo una vicenda analoga di 12 anni fa, quando un prete di Caravaggio (Bergamo) si era gettato sotto un treno dopo essere stato incastrato dalle Iene come adescatore di bambini. Il prete, come Zaccaria, era stato riconosciuto dalla gente che aveva preso ad additarlo come pedofilo.

«È chiaro che nessuno vorrebbe mai trovarsi di fronte a tragedie come queste ma qui stiamo parlando di qualcosa che ha a che fare con la libertà d’informazione, il cui limite non può che essere quello della legge, non quello dei metodi, in cima a tutto c’è la verità dei fatti», sostiene con forza un collega delle Iene che chiede l’anonimato. Da parte sua Viviani, ieri sera in diretta su Italia 1, è tornato sulla vicenda: «Una tragedia nella tragedia che non solo non lascia indifferenti ma che ha colpito tutti perché si sta parlando della vita di un uomo. Il catfishing è stato da noi trattato più volte, casi che fortunatamente non hanno avuto lo stesso tragico epilogo. Domande: c’è forse un vuoto normativo? Ci sono strumenti per proteggere queste persone?». «Continuare a occuparsi del fenomeno è importante, perché imparare a riconoscere il problema è il primo passo per difendersi», concludono le Iene. Rimane la duplice tragedia. Una famiglia che piange un ragazzo perso nel buco nero del web, ennesima vittima di una grande finzione; e rimane una madre anziana che domenica mattina ha scoperto il corpo senza vita di suo figlio.

Riccardo Pinotti per corriere.it l’8 novembre 2022.

La procura di Forlì ha aperto un’inchiesta per il reato di istigazione al suicidio, in relazione alla morte di Roberto Zaccaria, il 64enne suicidatosi dopo il clamore mediatico esploso in seguito al servizio de Le Iene che lo aveva additato come responsabile della morte di Daniele, il 24enne che il 23 settembre 2021 si era a sua volta tolto la vita. A confermarlo al Corriere è il capo della Procura di Forlì, Maria Teresa Cameli. L’inchiesta è al momento a carico di ignoti.

 In mattinata i legali di Zaccaria, Pierpaolo Benini e Antonino Lanza, avevano affermato che i familiari del pensionato sono determinati a costituirsi quale parte civile nel caso sia aperto un procedimento per reati come la violenza privata e l’istigazione al suicidio. 

Le Iene, interpellate dal Corriere, fanno sapere che solo stasera (in diretta dalle 21,15 su Italia 1) replicheranno alla notizia con la loro versione.

Benini, avvocato di Zaccaria, ha detto al Corriere: «Le ipotesi di reato in discussione sono perseguibili d’ufficio». Dettagliando: «La violenza privata, si potrebbe configurare per il modo in cui le immagini di Zaccaria sono state carpite e diffuse contro la sua volontà, nonostante il nostro assistito avesse proceduto a una diffida formale. Ma anche l’istigazione al suicidio, perché nonostante la Procura avesse archiviato l’ipotesi di reato principale — la morte di Daniele quale conseguenza di altro reato — nella divulgazione al pubblico la tesi implicita che Zaccaria avesse provocato la morte di Daniele aveva scatenato una gogna pubblica che aveva portato all’affissione di manifesti contro Zaccaria».

Il legale ha spiegato che dopo la puntata del programma di Italia 1 di martedì scorso a Forlimpopoli sono apparsi manifesti con su scritto: «Devi morire, maledetto», «Devi bruciare all’inferno». I legali dell’uomo spiegano che Zaccaria «aveva anche fatto anche denuncia ai carabinieri, che mi avrebbe dovuto portare per valutare il da farsi. Poi, evidentemente, non si è sentito neanche più di vivere», ha aggiunto Benini, secondo il quale Zaccaria avrebbe anche lasciato un biglietto: «Ma non è in mio possesso, perché sarebbe al vaglio degli inquirenti. Credo che verrà eseguita l’autopsia per chiarire le cause della morte. Mi sono recato all’agenzia di pompe funebri e attendono il nulla osta, anche per le particolari circostanze». Secondo l’avvocato, Zaccaria «pare abbia fatto uso di cocktail di farmaci.

A criticare l’approccio delle Iene è stata intanto Selvaggia Lucarelli che su Il Domani ha scritto: «Le Iene sono un programma socialmente pericoloso. Lo sostengo da anni, ho scritto numerosi articoli (l’ultimo due settimane fa) denunciando la disinformazione che la squadra di Davide Parenti continua a diffondere da Stamina in poi, ma il problema non è mai stato solo questo. Come più volte ho ricordato, il problema a monte è il metodo. 

Sono due decenni che si assiste allo scempio che le Iene fanno del giornalismo, che accettiamo le immagini di macchiette in giacca e cravatta all’inseguimento di persone per strada, sul proprio posto di lavoro, nelle proprie abitazioni private. A microfoni sbattuti sui denti per strappare manate e parolacce che serviranno a dimostrare chi è il cattivo, a errori grossolani, a giustizialismo spacciato per giustizia, a ghigliottina spacciata per giornalismo».

Resta comunque il tema di un fenomeno, quello delle truffe in rete, che necessita di interventi legislativi. Zaccaria era stato prosciolto e aveva dovuto pagare 825 euro, il corrispettivo del decreto penale di condanna (non appellato) per il reato di sostituzione di persona. La procura di Forlì aveva chiesto l’archiviazione per la «morte in conseguenza di altro reato». Una decisione molto criticata dal papà di Daniele, Roberto, che nei giorni scorsi aveva dichiarato che: «Mio figlio è stato vittima di quello che oggi è chiamato “catfishing”, una relazione virtuale nata sui social con una ragazza, dietro la quale si celava la figura di un uomo di 64 anni. Questa relazione virtuale ha portato alla morte di mio figlio. Ciò che è accaduto è di una gravità immane e molti altri ragazzi e ragazze sono vittime di questi inganni.»

Nel 2021 sono state più di 300 le vittime che hanno denunciato, anche se, sicuramente, sono molto più numerose. Spesso, infatti, le vittime non hanno il coraggio di sporgere querela, schiacciati dalla vergogna e dall’umiliazione di essere stati raggirati e ingannati da un profilo falso. Noto il caso dell’imprenditore veneto, Claudio Formenton, 64 anni, rapito in Costa D’Avorio, dove si era recato per incontrare la donna che aveva conosciuto online. Così come la vicenda del pallavolista Roberto Cazzaniga, che per 15 anni ha creduto di avere una fidanzata in Brasile, con problemi di salute, che gli ha estorto più di 600mila euro.

Andrea Pasqualetto e Ferruccio Pinotti per corriere.it il 9 novembre 2022. 

Daniele, 24 anni, si era impiccato il 23 settembre del 2021 nella soffitta di casa, a Forlì. Aveva scoperto che la ragazza per la quale aveva perso la testa via chat era in realtà Roberto Zaccaria, 64 anni, capace di ingannarlo spacciandosi per la bellissima e fantomatica Irene Martini. Domenica scorsa Zaccaria si è tolto la vita nell’abitazione di Forlimpopoli dove viveva con l’anziana madre: mix di alcol e pasticche. 

Sul suicidio di Roberto l’ipotesi dei suoi avvocati, Pierpaolo Benini e Antonino Lanza, è quella: «Era sconvolto dai manifesti appesi in paese contro di lui dopo la trasmissione delle Iene che l’aveva individuato. C’era scritto “Maledetto devi morire e bruciare all’inferno”. Il paese è piccolo e il peso enorme. Voleva venire da noi lunedì scorso per formalizzare una denuncia, dovrebbe averne depositata una dai carabinieri. L’hanno trovato morto domenica mattina». Pare che ora quella denuncia vogliano farla i familiari, la madre e la sorella. «Siamo d’accordo che ci si vede al più presto».

Succede poi che la procura di Forlì ha aperto un fascicolo contro ignoti per istigazione al suicidio di Zaccaria. Indagine che intende arrivare alle cause della morte del 64 enne, finito al centro di un recente servizio televisivo delle Iene che l’hanno incalzato com’è nel loro stile mentre si trovava fuori di casa con l’anziana madre in carrozzella. «Lei è Irene Martini?». «Vai via, vai via». Spinte, urla, la madre che va a sbattere su un muro. Le Iene non mollano e alla fine strappano una sua dichiarazione: «Era uno scherzo... il ragazzo aveva un problema di testa».

Detto che lo scherzo è durato mesi e che Daniele si era follemente innamorato di Irene (il fenomeno si chiama catfishing), la tragica morte è già stata indagata dagli inquirenti. Sempre la procura di Forlì aveva infatti ipotizzato il reato di «morte come conseguenza di altro reato», indagine chiusa nel giugno scorso con una richiesta di archiviazione. Per Zaccaria un sospiro di sollievo. Contro di lui è stato pronunciato solo un decreto di condanna per sostituzione di persona che si è tradotto in 825 euro di ammenda. 

«Proprio perché la procura aveva ritenuto Zaccaria non responsabile del suicidio del giovane, riteniamo che il servizio delle Iene non abbia rispettato i principi del diritto di cronaca, anche perché non era chiaro il fatto dell’archiviazione. Oltretutto il nostro cliente aveva diffidato la trasmissione dal mandare in onda il servizio», ricorda Lanza. Ma una richiesta d’archiviazione non è comunque un’archiviazione, contro la quale la famiglia di Paolo si era opposta.

Ora la rabbia del web si è scatenata contro la trasmissione e in particolare contro il giornalista Matteo Viviani, autore del servizio, tacciato di giustizialismo e metodi poco ortodossi. E tira in ballo una vicenda analoga di 12 anni fa, quando un prete di Caravaggio (Bergamo) si era gettato sotto un treno dopo essere stato incastrato dalle Iene come adescatore di bambini. Il prete, come Zaccaria, era stato riconosciuto dalla gente che aveva preso ad additarlo come pedofilo. 

«È chiaro che nessuno vorrebbe mai trovarsi di fronte a tragedie come queste ma qui stiamo parlando di qualcosa che ha a che fare con la libertà d’informazione, il cui limite non può che essere quello della legge, non quello dei metodi, in cima a tutto c’è la verità dei fatti», sostiene con forza un collega delle Iene che chiede l’anonimato.

Da parte sua Viviani, ieri sera in diretta su Italia 1, è tornato sulla vicenda: «Una tragedia nella tragedia che non solo non lascia indifferenti ma che ha colpito tutti perché si sta parlando della vita di un uomo. Il catfishing è stato da noi trattato più volte, casi che fortunatamente non hanno avuto lo stesso tragico epilogo. Domande: c’è forse un vuoto normativo? Ci sono strumenti per proteggere queste persone?». «Continuare a occuparsi del fenomeno è importante, perché imparare a riconoscere il problema è il primo passo per difendersi», concludono le Iene.

Rimane la duplice tragedia. Una famiglia che piange un ragazzo perso nel buco nero del web, ennesima vittima di una grande finzione; e rimane una madre anziana che domenica mattina ha scoperto il corpo senza vita di suo figlio.

Non sparate sulle Iene, il processo mediatico ha le sue sporche regole! La gogna è, come l’ergastolo ostativo, il «fine pena mai» della reputazione. Ma chi in queste ore invoca la condanna del programma Tv cade nello stesso errore commesso dal giudice delle Iene. Alessandro Barbano su il Dubbio il 9 novembre 2022.

Caro Direttore,

voglio spezzare una lancia in difesa dell’inviato delle «Iene» Matteo Viviani, travolto dalle polemiche. Non ha causato lui, con il suo scoop, il suicidio di Roberto Zaccaria, il sessantaquattrenne di Forlimpopoli che sul web si spacciava per una ragazza di nome Irene. Così come Zaccaria non ha causato il suicidio di Daniele, il ventiquattrenne che di Irene si era perdutamente innamorato, e che si è tolto la vita quando ha scoperto l’inganno.

Nessuno ha responsabilità penali per questa spirale di autoannientamento, che si è andata amplificando nel megafono dei media. Piuttosto i protagonisti della vicenda meritano una certa dose di pietas per il loro comune analfabetismo affettivo e morale, che gli ha impedito di comprendere a pieno quale violenza può nascondersi dietro le parole. Non è un caso che il pm abbia chiesto e ottenuto mesi fa l’archiviazione dell’accusa di procurata morte a carico di Zaccaria, imputandolo solo del reato contravvenzionale di sostituzione di persona. Perché lo ha fatto? Perché la libertà, in quanto condizione naturale di ogni uomo capace di intendere e di volere, impedisce di stabilire una causalità diretta tra l’influenza delle parole altrui e i nostri gesti. Daniele è stato ingannato sull’identità di quella misteriosa partner virtuale, ma l’inganno non è da solo un’induzione al suicidio. L’azione penale riconosce e accetta, in assenza di prove esplicite di violenza psicologica, il limite dell’insondabilità di un atto così estremo.

Allo stesso modo non è un reato inseguire, con il microfono in mano, un cittadino che spinge la madre novantenne in carrozzina e chiedergli conto, davanti a questa, delle sue perversioni sessuali. L’esecuzione della condanna mediatica sulla pubblica piazza non è di per sé penalmente rilevante. Né lo sono le singole condotte con cui si realizza. Puntare la telecamera come un mirino sulla vittima designata, impedire che la stessa cambi direzione o piuttosto si rifugi in casa, incalzarla con un interrogatorio serrato, umiliarla con censure morali, tutti questi atti insieme, che pure dall’angolo visuale di chi li subisce sembrano un sequestro di persona misto a una diffamazione, non sono in realtà neanche quello che il codice chiama violenza privata. Soprattutto se l’aggressività dell’indagine giornalistica si giustifichi in nome del diritto di cronaca. Diritto potestativo, direbbero i giuristi, perché il suo esercizio coincide con un potere pervasivo che non è mai senza impatto sulla vita altrui. Il giornalismo è una lama affilata nella carne di una comunità. Niente, che riguardi il nostro scoprire, verificare, raccontare, contestare, è senza conseguenze. Ma a certe condizioni il bisturi deve affondare, sezionare, portare in superficie e, talvolta, estirpare il grumo di contraddizioni che trova nelle viscere del sistema.

Che cosa scopre, il «giornalismo», a Forlimpopoli? In realtà niente che non sia stato scoperto dalla giustizia e non sia già agli atti dell’indagine: le chat tra il ragazzo e la finta Irene, dalle quali emerge una relazione lunga un anno, fondata sull’inganno. L’istruttoria mediatica la riqualifica in modo diverso da quello giudiziario, e con una logica congetturale ipotizza connessioni causali dove il giudice le nega. Nella sintesi del servizio giornalistico televisivo, tutte le asimmetrie e le contraddizioni di una vicenda umana così complessa e a tratti impenetrabile si compongono in un disegno concordante che risponde a una tesi. Daniele è raccontato come «un ragazzo senza grilli per la testa, che considerava più semplice trovare i primi approcci on line, prima di avere un incontro reale». Pare soffrisse di depressione, ma in fondo i genitori non se n’erano mai accorti. «Com’è possibile – si domanda a un certo punto la iena investigatrice – che un ragazzo grande e intelligente vada a chattare per un anno con una ragazza senza mai incontrala e senza mai ricevere un vocale che provi la sua reale identità»?

La risposta è affidata a una psicanalista che ha studiato il caso: «Probabilmente era molto ingenuo, con poche esperienze relazionali, e quindi un po’ sprovveduto nella capacità di difendersi. Ma normale, nel senso che ce ne sono tanti così». Il fatto che Daniele fosse “normale” viene assunto a prova della relazione causale tra l’inganno subito e il suo suicidio. Perché di questi tempi l’idea che, da ciò che consideriamo normale, giunga morte è semplicemente inaccettabile. E ancora perché, racconta il servizio televisivo, di fronte ai propositi di farla finita manifestati dal ragazzo in rete, la finta Irene una sola volta gli avrebbe detto: «Non ucciderti, la vita è preziosa». Troppo poco per giustificare l’archiviazione. L’approdo di questa istruttoria è un ribaltamento della sentenza. Per la giustizia penale Roberto Zaccaria è innocente perché il fatto non sussiste. Per la giustizia delle «Iene» è colpevole. Senonché la procedura del processo mediatico è diversa da quella del rito accusatorio. L’interrogatorio dell’imputato non è una prova da acquisire nel dibattimento in contraddittorio tra le parti, ma piuttosto è l’esecuzione stessa della condanna. Da portare a compimento, costi quel che costi.

L’inseguimento per le vie di Forlimpopoli è asfissiante. Roberto Zaccaria intima con disperazione almeno sei volte le parole «Vada via!» alla iena che lo sormonta con il microfono, prima di farsi sfuggire di mano la carrozzina con la madre novantenne, e sentirsi rivolgere dal suo procuratore incalzante una frase che pure suona, per noi, come un interrogativo cosmico: «Ma si rende conto»? Si rende conto il giornalista Matteo Viviani di quello che sta facendo? La risposta è, a quel che si vede, negativa. Perché l’assedio della vittima non si ferma di fronte alla voce di Zaccaria che, trascinando l’anziana madre, grida a ripetizione «No, no, no!». Viviani non ha alcuna intenzione di andarsene. Vuole sapere «perché si è suicidato Daniele», ed è convinto che quell’uomo possa e debba spiegarglielo. Con beffarda ironia lo invita «molto civilmente a scambiare due parole», mentre lo tallona per ogni dove, e aggiunge a un certo punto una frase che regala al dramma un tocco di comicità grottesca: «Ok, non ci avviciniamo più perché non vogliamo far agitare sua madre». Ma a dieci metri di distanza la iena vuole sapere perché Zaccaria non sia andato dai genitori di Daniele, «anche per chiedere scusa o beccarsi uno schiaffo dalla mamma», poiché «queste persone – aggiunge – hanno trovato il proprio figlio attaccato a una corda». «Fino all’ultimo – chiosa – le continueremo a porre queste domande».

L’«ultimo» purtroppo arriva. Perché dopo quell’«incidente probatorio», il cui esito è già scritto nel copione dell’intervistatore, non si darà appello alcuno. La gogna è, come l’ergastolo ostativo, il «fine pena mai» della reputazione. E poiché l’inganno si è compiuto in nome della perversione sessuale, i dettagli più scabrosi e intimi di quella relazione arricchiranno una cronaca già succulenta. Non si può affermare, in via deduttiva, che Roberto Zaccaria si sia ucciso per il rimorso, ancorché qualcuno lo abbia scritto. Né si può sostenere che la sua morte sia in relazione causale con la condanna in tv. Chi in queste ore lo grida sul web cade nello stesso errore commesso dal giudice delle «Iene». Le relazioni umane e le loro conseguenze sono sempre più complesse di quanto immagini una rozza grammatica del sospetto.

Piuttosto c’è da chiedersi, in questo deserto professionale e umano, a che cosa serva l’ordine dei giornalisti, ammesso che esista ancora. Non ci è dato di sapere dove si trovi, che cosa stia facendo, quali giornali abbia letto in queste ore il suo presidente, Carlo Bartoli. Non risultano sue prese di posizione su quanto è accaduto. Né rileva il fatto che l’autore del servizio televisivo non sia propriamente un giornalista, ma piuttosto qualcuno che ne esercita, senza titolo, la funzione nello spazio pubblico. In compenso le «Iene» fanno sapere che torneranno a occuparsi del fenomeno del catfishing, cioè la sostituzione di identità. Perché, spiega ancora Matteo Viviani nel servizio seguito al suicidio del sessantaquattrenne, c’è un vuoto normativo che non consente di proteggere le persone più a rischio. Il reato di sostituzione di persona potrebbe, a suo giudizio, non essere sufficiente, magari ne servirebbero altri, più severi.

E nelle more che il Parlamento li istituisca, il tribunale mediatico s’incaricherà di fare giustizia a suo modo. Non ci rassicura sapere che accadrà con gli stessi metodi che qui abbiamo raccontato. Anche se, ne siamo sinceramente convinti, in questa storia sono tutti drammaticamente «innocenti».

Quando la televisione diventa un tribunale supremo. Il Corriere della Sera il 9 novembre 2022. 

Martedì sera, le Iene (parliamo al plurale per riferirci a un metodo non a una singola persona), in apertura di trasmissione hanno replicato alla sconvolgente storia che da una settimana li vede coinvolti.

Di mezzo ci sono due suicidi, un servizio particolarmente violento delle Iene nei confronti di un signore di Forlimpopoli, un mare di polemiche, vari e audaci sforzi di stabilire un nesso causale tra il suicidio di una persona e la gogna mediatica, soprattutto una duplice tragedia: un uomo di 64 anni si finge donna e seduce online un ragazzo che, scoperto l'inganno, si toglie la vita. Dopo che la storia è finita in tv, sono arrivate le minacce e anche l’autore dell’inganno si è ucciso.

Forse, da parte delle Iene, sarebbe stato meglio il silenzio. Invece, non paghi del loro metodo che da anni condanniamo (l’intervista imboscata, la violazione della privacy, la gogna, la tv come tribunale supremo), si sono difesi dando la colpa alla società. Invece di aspettare che la giustizia faccia il suo corso, la loro missione è anticipare la giustizia, imponendo una loro giustizia.

Poi, se è successo quello che è successo la colpa è del «meccanismo perverso tipico del cat-fishing». Se due persone si sono suicidate la colpa è del vuoto normativo: «E soprattutto abbiamo gli strumenti per proteggere le persone più a rischio? Nel nostro ordinamento è previsto il reato di sostituzione di persona, ma siamo sicuri sia sufficiente?». Nell’attesa, loro precedono e procedono.

Mai un’assunzione di responsabilità, mai un ammettere il cialtronismo di certe interviste, mai chiedere scusa. E dire che il catalogo di servizi deprecabili ormai è lungo.

Stupisce anche l’assenza di Mediaset, rafforzando l’impressione che l’azienda sia ormai divisa in diversi sultanati. Alla linea editoriale si è sostituita la morale del punto in più di share.

Aldo Grasso per il “Corriere della Sera” il 10 novembre 2022. 

Martedì sera, le Iene (parliamo al plurale per riferirci a un metodo non a una singola persona), in apertura di trasmissione hanno replicato alla sconvolgente storia che da una settimana li vede coinvolti. 

Di mezzo ci sono due suicidi, un servizio particolarmente violento delle Iene nei confronti di un signore di Forlimpopoli, un mare di polemiche, vari e audaci sforzi di stabilire un nesso causale tra il suicidio di una persona e la gogna mediatica, soprattutto una duplice tragedia: un uomo di 64 anni si finge donna e seduce online un ragazzo che, scoperto l'inganno, si toglie la vita. Dopo che la storia è finita in tv, sono arrivate le minacce e anche l'autore dell'inganno si è ucciso.

Forse, da parte delle Iene, sarebbe stato meglio il silenzio. Invece, non paghi del loro metodo che da anni condanniamo (l'intervista imboscata, la violazione della privacy, la gogna, la tv come tribunale supremo), si sono difesi dando la colpa alla società. Invece di aspettare che la giustizia faccia il suo corso, la loro missione è anticipare la giustizia, imponendo una loro giustizia.

Poi, se è successo quello che è successo la colpa è del «meccanismo perverso tipico del cat-fishing». Se due persone si sono suicidate la colpa è del vuoto normativo: «E soprattutto abbiamo gli strumenti per proteggere le persone più a rischio? Nel nostro ordinamento è previsto il reato di sostituzione di persona, ma siamo sicuri sia sufficiente?». Nell'attesa, loro precedono e procedono. Mai un'assunzione di responsabilità, mai un ammettere il cialtronismo di certe interviste, mai chiedere scusa. E dire che il catalogo di servizi deprecabili ormai è lungo. Stupisce anche l'assenza di Mediaset, rafforzando l'impressione che l'azienda sia ormai divisa in diversi sultanati. Alla linea editoriale si è sostituita la morale del punto in più di share.

(ANSA il 10 novembre 2022) - Un caso come quello dei suicidi del 64enne Roberto Zaccaria e del 24enne Daniele, coinvolti nella vicenda raccontata dalle Iene su Italia 1 e finita nel mirino della procura di Forlì "non deve più succedere". 

Ne è convinto Pier Silvio Berlusconi, ad di Mediaset. "E' una vicenda che tocca la mia sensibilità: noi facciamo una tv che si occupa di tutti i temi, anche di cronaca, e nel farlo capita di andare oltre ciò che è editorialmente giusto", ha sottolineato rispondendo alle domande dei cronisti a Cologno Monzese. "Penso che dovremo alzare il livello di attenzione e sensibilità ulteriormente".

"Non voglio entrare nello specifico - ha aggiunto Pier Silvio Berlusconi, rispondendo alle domande dei giornalisti in un incontro per fare il punto sulla stagione di Mediaset - e penso che dire basta a un certo tipo di giornalismo sarebbe come tornare indietro invece che andare avanti. 

Ma il punto è come viene fatto: servono attenzione e sensibilità, non è facile. Le Iene è un programma fatto da signori professionisti, Parenti è bravo. Ma è una questione di sensibilità personale: da editore dico che quella cosa lì non mi è piaciuta. Capita, ma bisogna tenere alto il livello di guardia".

Ferruccio Pinotti per corriere.it il 10 novembre 2022.

La vicenda del doppio suicidio del ragazzo 24enne di Forlì innamoratosi di una finta ventenne, in realtà un 64enne di Folimpopoli (anch’egli suicida), sollevato dalla trasmissione di Italia 1 Le Iene, continua a fare discutere e a dividere (c’è anche un’inchiesta in procura per istigazione al suicidio). In questo caso, è esploso un duro diverbio tra Liudmilla Radchenko — moglie dell’inviato delle Iene Matteo Viviani, autore del servizio che ha spinto la Procura di Forlì ad aprire un fascicolo di indagine per violenza privata ed istigazione ai suicidio — e Selvaggia Lucarelli, opinionista de Il Domani che in un articolo ha severamente criticato le modalità con cui la trasmissione ha seguito il delicato caso. Ne è nato un ecco scambio di battute su Instagram.

L’attacco di Ludmilla a Selvaggia

Sotto l’hashtag #tvspazzatura, #giornalismoinutile, #cattiveria #veleno, la pittrice ed ex modella russa Radchenko, 43 anni, ha commentato così il servizio di Lucarelli: «Cara Selvaggia, non vedevi l’ora di rovesciare una secchiata di m... su mio marito vero? Ecco, è arrivata la tua occasione, il tuo momento, finalmente qualcuno parla di te! Tanto è questo il tuo pane, tu vivi di questo, altrimenti il tuo “personaggio squallido” non avrebbe nessun senso. 

Ma veramente, chi sei, tu? Buah. Matteo Viviani è uno che si batte per la giustizia, alza il culo e va a fare gli indagini, si impegna salvare le persone, vite in difficoltà (vi ricordate tutti Alice, Marica, Camilla, Natan), fa beneficenza, spende il suo tempo personale per dargli il supporto. Lui è l’uomo più corretto e affidabile di questa terra . Poi nessuno loda il “bene” e tanti tremano dalla voglia di puntare il dito quando qualcosa va storto. Blue whale? Ci sei andata in fondo oltre a stare a casa affondata nelle tue cattiveria e veleno, digitando i tasti? Tu, che sei la “regina della Tv- spazzatura”, cosa hai fatto veramente di buono per questo mondo oltre a sparare la m.... Perché se non lo facessi saresti inutile oltre che disoccupata».

La replica dell’opinionista

Breve e concisa la risposta di Selvaggia Lucarelli, che con l’hashtag «#Alla prossima puntata#tvspazzatura», risponde così alla moglie dell’inviato delle Iene: «Ciao Ludmilla, ma se sono (vere, ndr) tutte queste cose brutte (magari lo deciderà un giudice, eh), perché mi inviti alle tue mostre dicendomi che avresti piacere al di là degli scontri con tuo marito?». 

Un chiaro invito a moderare i toni, o voleranno le querele civili. Immediata la replica: «Infatti ora ti cancello dal mio elenco! Il veleno non sta bene nel mio mondo a colori!» Dopo questo scambio si sono scatenati sul social centinaia di commenti, che parteggiano per l’una e per l’altra parte e che entrano — a volte con pareri anche qualificati, come quello di una avvocatessa — nel merito della trasmissione in questione e dello stile giornalistico delle Iene, con commenti spesso pregnanti.

Il suicidio dell'uomo braccato dal programma. Roberto Zaccaria, la morte dopo lo sputtanamento delle Iene che fanno solo inchieste-spettacolo. Gian Domenico Caiazza su Il Riformista il 12 Novembre 2022

Il suicidio dell’uomo braccato e linciato in favore di telecamera dai giornalisti della trasmissione “Le Iene” dovrebbe, più che porre interrogativi, segnare semplicemente un punto di non ritorno. Dovrebbe, perché questo non accadrà. Già non sta accadendo. Si apre qui e là qualche riflessione, mentre l’editore alza il sopracciglio e – dopo aver difeso il modo di fare giornalismo della sua trasmissione – si limita a farci sapere che quel suicidio disperato della preda dei suoi amati giornalisti di inchiesta “non deve più succedere”. E che questo è successo perché “capita di andare oltre ciò che è editorialmente giusto”. Ma sia ben chiaro, ammonisce, “dire basta ad un certo tipo di giornalismo sarebbe come tornare indietro invece che andare avanti. Ma il punto è come viene fatto, servono attenzione e sensibilità, non è facile… dico che quella cosa lì non mi è piaciuta”.

“Quella cosa lì”, come la chiama Piersilvio Berlusconi, è invece la regola, la cifra e la ragione stessa di quel giornalismo. Se poi il soggetto esposto voluttuosamente al pubblico ludibrio si suicida e un altro no, dott. Berlusconi, è questione del tutto indipendente ed eventuale. C’è chi riesce a sopravvivere al proprio linciaggio, e chi no. Vediamolo allora, questo “certo tipo di giornalismo”, così orgogliosamente rivendicato dal suo editore, tornando indietro dal quale cadremmo, se ho ben capito, nelle tenebre più profonde della inciviltà. Nulla da dire sulla prima parte del metodo: accade un fatto di cronaca, o si viene raggiunti dalla notizia di un fatto grave che starebbe accadendo (una truffa, un sopruso, una violenza) e si indaga giornalisticamente su di esso. Raccogliere notizie, riscontrarle, rendere pubbliche le testimonianze raccolte, sollecitare o determinare l’attenzione dell’autorità giudiziaria, è la ragione stessa del giornalismo di inchiesta. Il marcio (perché di questo si tratta) arriva dopo, ed è appunto la “presa al laccio”, come nelle migliori tecniche di linciaggio, del presunto colpevole.

È infatti un giornalismo, questo, che ha bisogno vitale del momento “spettacolare”, senza il quale l’inchiesta perderebbe larga parte del suo interesse: e quel momento è, puntualmente, lo sputtanamento del “colpevole”. Già la premessa contiene in sé i batteri micidiali del marciume. Chi sia il colpevole, quanto sia colpevole, come e perché sia colpevole, lo decide la redazione. Perché queste inchieste si nutrono della colpevolezza di qualcuno, sia essa decisa dalla redazione, sia essa ipotizzata da una Procura della Repubblica. Ai fini dello spettacolo da imbastire, i nostri eroi se lo fanno ampiamente bastare. E d’altro canto funziona così: la riprovazione, la indignazione popolare, quella tossica, l’unica che funziona e crea ascolti, è quella alimentata dal sospetto. Che inchiesta sarebbe, che gioco sarebbe, se si dovesse prendere al laccio un colpevole vero, cioè accertato come tale da un giudizio penale? Che noia, parliamoci chiaro. È il sospetto che ci inferocisce, è l’idea di averti scoperto e sputtanato in diretta televisiva, brutto bastardo che pensavi di farla franca, a dare l’adrenalina al giornalista-segugio, ed a noi guardoni. Fatecelo vedere, il bastardo. Vediamo come si giustifica, come balbetta, come suda, come si spaventa. Fammi vedere come si dimena, una volta caduto in trappola.

La cosa spaventosa è che la convenzione sociale prevalente è in linea con questa idea malata, sovvertitrice di ogni parametro costituzionale e di ogni elementare sentimento di umanità. Il capo di imputazione lo scrive la redazione de Le Iene, la sentenza la pronunciamo tutti noi, sbavando, non in nome del popolo italiano ma a furor di popolo, vuoi mettere. Noi ancora non abbiamo capito né perché si sia suicidato il ragazzo ingannato on line ed innamoratosi perdutamente (a quanto si dice) del falso profilo messo su dal “carnefice”, né perché costui lo abbia fatto (un gioco erotico assai cervellotico? Un tentativo di truffa finito male? Un passatempo idiota? Boh). Sta di fatto che, a tutto concedere, quell’uomo avrebbe dovuto rispondere di sostituzione di persona, reato minore, davanti alla giustizia ordinaria. Ma potrebbe mai la giustizia mediatica accontentarsi di un esito così modesto e burocratico, quando abbiamo per le mani un suicidio come conseguenza di quella “sostituzione di persona”? Non scherziamo.

Il Tribunale mediatico esercita la sua giustizia ed infligge le sue sanzioni senza tanti inutili orpelli. Quell’altra, celebrata da giudici e avvocati, è una legalità soporifera, formalistica, costituzionale e bla bla bla, noi altri si va per le spicce. Prendi il bastardo al laccio, e trascinalo sugli schermi, questa è l’unica giustizia che funziona, la giustizia a furor di popolo. Ci scappa il suicidio? Pazienza. Lacrimuccia, facce compunte, “quella cosa lì non ci è piaciuta”, e ripartiamo con la prossima inchiesta. Il laccio è pronto per il collo del prossimo bastardo.

Gian Domenico Caiazza Presidente Unione CamerePenali Italiane

La procura di Forlì apre un’inchiesta per istigazione al suicidio dopo il servizio televisivo delle Iene. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno l’8 Novembre 2022.

L’inchiesta è al momento a carico di ignoti come ha confermato al Corriere è il capo della Procura di Forlì, Maria Teresa Cameli

La procura di Forlì ha aperto un’inchiesta per il reato di istigazione al suicidio, in relazione alla morte di Roberto Zaccaria, il 64enne suicidatosi dopo il clamore mediatico esploso in seguito al servizio de Le Iene dove veniva additato come responsabile della morte di Daniele, il 24enne che il 23 settembre 2021 si era a sua volta tolto la vita. A confermarlo al Corriere della Sera è il capo della Procura di Forlì, Maria Teresa Cameli. L’inchiesa è al momento a carico di ignoti.

Sulla triste e squallida vicenda puntualmente è intervenuta l'”alzapalette di Stato”, cioè Selvaggia Lucarelli la giurata (pagata con soldi dei contribuenti-abbonati RAI) del programma “Ballando con le Stelle” che ha scritto su Il Domani : “Le Iene sono un programma socialmente pericoloso. Lo sostengo da anni, ho scritto numerosi articoli (l’ultimo due settimane fa) denunciando la disinformazione che la squadra di Davide Parenti continua a diffondere da Stamina in poi, ma il problema non è mai stato solo questo. Come più volte ho ricordato, il problema a monte è il metodo. Sono due decenni che si assiste allo scempio che le Iene fanno del giornalismo, che accettiamo le immagini di macchiette in giacca e cravatta all’inseguimento di persone per strada, sul proprio posto di lavoro, nelle proprie abitazioni private. A microfoni sbattuti sui denti per strappare manate e parolacce che serviranno a dimostrare chi è il cattivo, a errori grossolani, a giustizialismo spacciato per giustizia, a ghigliottina spacciata per giornalismo“.

Secondo noi chi dovrebbe vergognarsi di quello che scrive in realtà è proprio la Lucarelli, e non un programma come Le Iene che hanno consentito alla Magistratura ed alle Forze dell’ ordine di assicurare alla giustizia pedofili, truffatori, e delinquenti di ogni genere, mentre la Lucarelli passa le sue settimane ad alzare palette o a vivere sul suo telefonino ad imperversare sui social a giudicare e sparlare di tutto e di tutti. e sul cui giornalismo…non ci risultano benefici per la società civile e la giustizia.

sarà stato questo servizio trasmesso a suo tempo dalle Iene ad “inacidire” la Lucarelli con Le Iene e Davide Parenti ?

Selvaggia Lucarelli deve aver dimenticato nel suo (poco) illuminante giornalismo, quando è finita sotto processo a Milano insieme ai blogger Gianluca Neri e Guia Soncini, accusati per aver rubato segreti e immagini a personaggi dello spettacolo attraverso presunti accessi abusivi nei loro account di posta elettronica. La sua salvezza processuale è stata la decisione del giudice dell’XI sezione penale del Tribunale di Milano, Stefano Corbetta, nel trasformare le imputazioni di “accesso abusivo a sistema informatico“, l’”intercettazione illecita di comunicazioni” e la violazione di corrispondenza oggetto delle querele e riportate nel capo d’imputazione avanzato dalla Procura di Milano, riqualificando la contestazione del pm Colacicco in un altro reato la “rivelazione del contenuto di corrispondenza” per il quale il Tribunale ha dichiarato il proscioglimento “per mancanza di querela” da parte delle presunte parti offese, ovvero la Canalis e la Fontana , così assolvendo così tutti gli imputati . E così la “tuttologa” di Civitavecchia si è salvata da una condanna pressochè certa.

Agli imputati, con vari ruoli, nell’inchiesta del pm Grazia Colacicco, veniva contestato di aver violato l’account di posta elettronica della show girl Federica Fontana, ospite al compleanno di Elisabetta Canalis nella villa di George Clonney sul lago di Como. Durante il compleanno della Canalis ,  Felice Rusconi marito  Federica Fontana, aveva scattato 191 fotografie che poi aveva inviato via email agli invitati a Villa Oleandra. “L’interno della villa fino a quel momento non era mai stata fotografato – ha spiegato il pm Colacicco nel corso dell’udienza,  in cui aveva chiesto pene fino a 1 anno e 2 mesi, – e quegli scatti avevano anche un notevole valore commerciale”.

Gli imputati, secondo l’accusa sostenuta dalla Procura di Milano, una volta entrati in possesso delle immagini – che avrebbero ottenuto “hackerando” l’accesso all’account di posta di Felice Rusconi – avrebbero tentato di venderle tramite il fotografo Giuseppe Carriere al settimanale Chi. La vendita di quelle fotografie però non è andata in porto perché il direttore della rivista, Alfonso Signorini, ha correttamente avvertito la Canalis. Eh si, è questo il giornalismo “sano”… idealizzato dalla Lucarelli ! Redazione CdG 1947

Le Iene, il legale del 64enne suicida: “Ci sono gli estremi per un esposto”. Il Dubbio l’8 novembre 2022.

Le accuse sarebbero di violenza privata o istigazione al suicidio: l'uomo si sarebbe tolto la vita per la gogna subita in paese dopo il servizio televisivo

Potrebbe finire in tribunale la vicenda del 64enne di Forlimpopoli (FC) che si è tolto la vita dopo la puntata delle Iene sul caso del 24enne forlinese, a sua volta suicida dopo aver scoperto che era lui la “donna” con cui aveva a lungo chattato. La famiglia del 64enne – madre e sorella – sta valutando con il proprio legale, Pier Paolo Benini, un esposto alla Procura di Forlì per istigazione al suicidio o violenza privata.

«Le Iene l’hanno fatta grossa» tanto che «ci sono gli estremi per fondare un esposto senza incorrere nella calunnia», dichiara a LaPresse l’avvocato. «Personalmente la vedo come una possibilità di ricostruire l’intera vicenda senza le “infarciture” fatte dalla trasmissione». Secondo Benini «gli estremi» sarebbero per «violenza privata a cominciare da come è stato bloccato impedendogli i movimenti per realizzare il servizio» e perché la trasmissione «è andata in onda nonostante una diffida per iscritto». Una vicenda che «ha lasciato profonda tristezza e amarezza – commenta la sindaca del piccolo centro romagnolo, Milena Garavini – ma è anche un invito a fare una riflessione, ovvero quanto possa essere dannosa la spettacolarizzazione delle disgrazie altrui, soprattutto quando causa un’ondata emotiva che spinge le persone a emettere giudizi senza conoscere i fatti».

Il 64enne, infatti, sarebbe stato riconosciuto da alcuni suoi compaesani nel servizio televisivo a causa per esempio di alcune connotazioni fisiche (era senza capelli) e degli ambienti ripresi dalle telecamere. Per questo si ipotizza che non avrebbe retto alla vergogna. Il giorno dopo la messa in onda del servizio, a Forminpopoli erano anche comparsi sui muri manifesti con scritte del tenore “Maledetto devi morire e bruciare all’inferno”. Nelle ore successive l’uomo si era rivolto ai carabinieri della stazione locale sporgendo denuncia contro ignoti. A quanto si apprende, sarebbero proprio questi anonimi a rischiare, una volta individuati, l’iscrizione sul registro degli indagati per minaccia e istigazione al suicidio, reati che la Procura di Forlì, guidata dalla dottoressa Maria Teresa Cameli potrebbe decidere di perseguire d’ufficio senza necessità di una querela di parte. Responsabilità quindi che si abbatterebbero più sugli hater che sulla trasmissione, coperta dal diritto di cronaca e dall’aver comunque condotto interviste lungo strade pubbliche.

La retorica dopo la "tragedia nella tragedia". Si toglie la vita dopo servizio delle Iene, niente scuse dopo la gogna: “Altre vittime di catfishing”. Ciro Cuozzo su Il Riformista l’8 Novembre 2022

Nessun passo indietro. Niente scuse per la gogna mediatica contro Roberto Zaccaria, il 64enne che si è tolto la vita pochi giorni dopo il servizio andato in onda sulla tragedia di Daniele, il 24enne di Forlì che ha deciso di farla finita dopo una decisione amorosa vissuta online con la fidanzata-fake “Irene Martini”, profilo controllato dallo stesso Zaccaria.

Le Iene tirano dritto. Anzi rilanciano e provano a concentrare la raccapricciante vicenda solo sul fenomeno del catfishing. Come se inseguire in strada una persona che spingeva la carrozzina dell’anziana madre disabile, preoccupandosi solo di oscurarne in modo assai amatoriale il volto, rendendo di fatto riconoscibile Zaccaria sia per l’aspetto fisico, sia per i numerosi tatuaggi, sia per aver inquadrato il luogo dove viveva, fosse cosa normale.

Poco importa se il 64enne di Forlimpopoli (piccolo comune di 13mila abitanti) dopo il servizio andato in onda martedì primo novembre è stato oggetto di minacce, offese e manifesti – così come rimarcato dai legali della famiglia – che lo invitavano a “bruciare all’inferno”. Circostanze denunciate anche ai carabinieri. Poco importa che domenica 6 novembre l’anziana madre lo ha trovato senza vita in casa, stroncato da un mix di farmaci.

Per il programma televisivo di Mediaset e per la Iena Matteo Viviani nessun passo indietro neanche davanti alla “tragedia nella tragedia che non solo non ci lascia indifferenti, ma ha colpito tutti noi”. Viva lo pseudo giornalismo d’inchiesta, quello che mira alla gogna mediatica, sbattendo il “mostro” davanti alle telecamere senza preoccuparsi della tutela della privacy e delle norme deontologiche da rispettare.

Poco importa anche che le indagini, guidate dalla Procura di Forlì (che ora ha aperto un fascicolo a carico di ignoti per istigazione al suicidio) e dai carabinieri, hanno portato alla richiesta di archiviazione di Zaccaria dall’accusa di morte come conseguenza di altro reato perché, secondo i pm forlivesi, non è stato ravvisato un nesso causale fra la morte del giovane e il comportamento dell’uomo (condannato per sostituzione di persone a una ammenda di 825 euro).

Nel servizio andato in onda martedì 8 novembre la Iena Viviani, e la redazione, si preoccupano solo di non mostrare nel filmato il 64enne che si è ammazzato dopo il video della scorsa settimana. Poi tanta retorica da chi spesso riesce a ricoprire più ruoli (giudice, magistrato e “giornalista”) nello stesso servizio.

“Con un servizio di Matteo Viviani ‘Le Iene’ stasera tornano a parlare della tragedia che ha colpito Daniele, un ragazzo di 24 anni che circa un anno fa si è tolto la vita, e del suicidio dell’uomo che aveva una relazione virtuale con il ragazzo. Il giovane di Forlì si era innamorato di una bellissima ragazza, ”Irene Martini”, conosciuta sui social. Dopo un anno in chat e migliaia di messaggi si era reso conto che la sua ”Irene” in realtà non è mai esistita, che dietro a quel profilo c’era un’altra persona. Da qui, il crollo” aveva fatto sapere la trasmissione in onda su Italia 1.

Viviani spiega poi che “prima di raccontare questa drammatica vicenda, ne abbiamo raccontate altre, molto simili, ma che fortunatamente non hanno avuto lo stesso epilogo. Oltre a Daniele, altri ragazzi avrebbero iniziato un rapporto via social con ”Irene Martini”. Se per alcuni non è stato nulla di significativo per altri, invece, la storia ha rappresentato qualcosa in più come per Daniele”.

“Il ‘catfishing’ è un fenomeno molto più ampio e pericoloso di quello che si può immaginare e le vittime sono sempre i soggetti più deboli, quelli che dovrebbero essere maggiormente tutelati” aggiunge.

Poi l’illuminazione: “La domanda è: attorno a questo problema stiamo vivendo un vuoto normativo? Abbiamo gli strumenti per proteggere le persone più a rischio? Nel nostro ordinamento è previsto il reato di sostituzione di persona, ma siamo sicuri che sia sufficiente?”. Nel frattempo però Le Iene non si sono preoccupate di proteggere la privacy delle persone coinvolte nel loro tritacarne mediatico. La presunzione d’innocenza c’è, esiste, ma loro la ignorano. Zaccaria dopo il servizio della scorsa settimana è stato riconosciuto facilmente per le strade del piccolo paesino in provincia di Forlì. In quella circostanza lo stesso Viviani non si creava problemi a inseguire il 64enne nonostante la presenza dell’anziana madre in carrozzella. Così come la redazione non si è preoccupata, in fase di montaggio, di oscurare tutti gli elementi utili al riconoscimento di un uomo innocente fino a prova contraria.

“Sicuramente continueremo ad occuparci di ‘catfishing’, perché imparare a conoscere il problema è il primo passo per evitarlo” questo il commento di Viviani in chiusura del servizio.

Intanto la Procura di Forlì ha aperto una inchiesta per istigazione al suicidio dopo il clamore mediatico generato dal servizio de Le Iene e le successive minacce ricevute nei giorni scorsi da Zaccaria, con – stando a quanto riferiscono i legali che assistono la famiglia – manifesti che invitavano l’uomo protagonista del ‘catfishing‘ (l’utilizzo di un account con falsa identità da parte di una persona, allo scopo di raggirare altri utenti con il nome usato falsamente) a ‘bruciare all’inferno’. L’inchiesta, così come confermato al quotidiano da Maria Teresa Cameli, capo della procura di Forlì, è al momento a carico di ignoti.

Gli avvocati Pierpaolo Benini e Antonino Lanza hanno annunciato che la madre e la sorella del 64enne, da loro assistiti, sono pronti a costituirsi parte civile in caso di apertura di un procedimento per reati come violenza privata e, appunto, istigazione al suicidio.

LA VICENDA – Il servizio de Le Iene era relativo al suicidio di Daniele, un ragazzo di 24 anni di Forlì che nel settembre 2021 decise di farla finita dopo una delusione amorosa: per circa un anno, durante l’emergenza Covid, aveva ‘conosciuto’ online una ragazza, Irene. In realtà dietro al profilo della giovane ci sarebbe stato Roberto Zaccaria che con delle foto prese dal profilo di una modella aveva iniziato a chattare con il 24enne, scambiando migliaia di messaggi via WhatsApp. Nessuna nota vocale, nessuna telefonata, nessuna videochiamata. Solo tanti messaggi che avevano portato Daniele a credere di aver istaurato una relazione sentimentale con ‘Irene’. Dopo aver scoperto che era tutta una finzione, la delusione avrebbe portato il 24enne al suicidio lasciando una lettera ai genitori e al fratello nella quale invitava quest’ultimo a non isolarsi, a “non fare i stessi miei errori, io ho sbagliato tutto, non ho mai avuto un amico, mai una ragazza. Sono stato solo tutta la vita”.

“Le Iene l’hanno fatta grossa” tanto che “ci sono gli estremi per fondare un esposto senza incorrere nella calunnia”, dichiara a LaPresse l’avvocato Benini. “Personalmente la vedo come una possibilità di ricostruire l’intera vicenda senza le ‘infarciture’ fatte dalla trasmissione”. Secondo Benini “gli estremi” sarebbero per “violenza privata a cominciare da come è stato bloccato impedendogli i movimenti per realizzare il servizio” e perché la trasmissione “è andata in onda nonostante una diffida per iscritto”.

LA PRIMA INCHIESTA – Dopo il suicidio del 24enne Daniele e la denuncia dei familiari ai carabinieri, l’inchiesta aperta dalla procura di Forlì si era conclusa con un decreto di condanna penale nei confronti di Zaccaria, con un’ammenda di 825 euro, per sostituzione di persona, mentre era stata chiesta l’archiviazione per l’accusa di morte come conseguenza di altro reato perché, secondo i pm forlivesi, non è stato ravvisato un nesso causale fra la morte del giovane e il comportamento dell’uomo.

 Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

Due suicidi per una chat, tra debolezze, fragilità e una lunga serie di errori. La vicenda dovrebbe insegnare molte cose. La prima è che non si possono costruire relazioni, tantomeno d’amore, attraverso le chat. Michele Partipilo su La Gazzetta del Mezzogiorno l’08 Novembre 2022.

Due suicidi per una chat. Potrebbe riassumersi così la storiaccia avvenuta nel Forlivese, ma sarebbe irrispettoso verso quei morti e superficiale. I fatti. Il 23 settembre del 2021 un giovane di 24 anni si uccide dopo aver scoperto che per un anno era stato ingannato in chat: Irene, la ragazza bellissima di cui si era innamorato e con cui aveva scambiato più di ottomila messaggi d’amore, era in realtà un adulto.

Un falso profilo costruito rubando la foto di una modella e inventandosi un nome. Il giovane aveva anche lasciato un commovente messaggio alla famiglia. È evidente che siamo di fronte a una fragilità psicologica e a una debole, se non inesistente, rete di relazioni. Ma quanti giovani oggi vivono una situazione simile? Se già uccidersi per una fallita relazione reale è segno di una delicata condizione mentale, quali vuoti si nascondono dietro il suicidio per una fasulla relazione virtuale? L’altra mattina l’epilogo, ancora più triste. Un uomo di 64 anni si uccide perché non regge al rimorso e alla vergogna. In paese (13mila abitanti) lo hanno riconosciuto: è lui che ha creato e gestito il profilo della falsa Irene. La famiglia della vittima lo aveva denunciato, era stato accusato di truffa e morte come conseguenza di altro reato.

Ma non essendoci stata richiesta di denaro, il reato di truffa è caduto e con esso anche l’altra grave accusa. Alla fine è stata riconosciuta solo la sostituzione di persona: un decreto penale di condanna e 825 euro di sanzione e la cosa è finita lì.

Ma non per i genitori della vittima, che non si arrendono, scrivono anche alla premier e, alla fine, raccontano la vicenda alle Iene, la popolare trasmissione di Italia1.

L’inviato del programma si mette sulle tracce della finta Irene: è un uomo di 64 anni, lo intervista oscurando il volto; però nel filmato si intravedono alcuni tatuaggi che lo rendono subito riconoscibile nel piccolo paese dove vive. Comincia il suo calvario. Intervistato dal Resto del Carlino dice fra le altre cose: «Sono stanco, mi stanno rovinando la vita». Passa qualche giorno e anche lui si uccide.

La vicenda dovrebbe insegnare molte cose. La prima è che non si possono costruire relazioni, tantomeno d’amore, attraverso le chat. La confusione tra vita reale e vita virtuale rischia di far pagare prezzi altissimi, soprattutto quando i protagonisti sono persone psicologicamente fragili, timide, introverse. Il compito di vigilanza da parte delle famiglie, degli amici – se ci sono – e degli insegnanti è importantissimo.

Soprattutto i genitori hanno gli strumenti psicologici per scoprire il disagio, di intuire la nascita di un innaturale rapporto virtuale che altera la percezione del reale.

Poi c’è il ruolo della giustizia, ancora impreparata ad affrontare temi così complessi e legati a comportamenti e dinamiche che i Codici ancora non contemplano o che valutano alla luce di una norma e di una giurisprudenza obsolete. Forse una sanzione diversa avrebbe reso più giustizia a quel giovane morto nel fiore degli anni e la famiglia non avrebbe provato il bisogno di rivolgersi ai media. Una soluzione il cui obiettivo era in definitiva una giustizia fai da te attraverso la gogna mediatica.

L’avvocato che ha seguito i genitori forse avrebbe dovuto farsi qualche domanda in più su quella scelta e chiedersi quali conseguenze avrebbe potuto avere dare in pasto al pubblico l’autore del falso profilo. Se la rabbia giustizialista dei genitori è comprensibile, desta molti dubbi la leggerezza con cui il loro legale li avrebbe assecondati.

Da ultimo il ruolo di programmi come «Le Iene» che, sotto la nobile veste del giornalismo d’inchiesta o di approfondimento, troppo spesso rimestano nel torbido.

I pomeriggi televisivi sono ormai colonizzati dall’infotainment pseudo giornalistico, con tutto il corollario di esperti, criminologi e tuttologi. Il giornalismo e l’inchiesta non c’entrano nulla con tali surrogati, senza regole né etica. Tanto che nella maggior parte dei casi i giornalisti, quelli iscritti a un Ordine e vincolati al rispetto di una deontologia, sono ai margini o non ci sono affatto. Interviste, programmi e presunti approfondimenti vengono realizzati da altri, che si credono al di sopra di ogni minimo rispetto per la dignità e l’intimità delle persone.

Il confine fra diritto di cronaca e diritto alla privacy è labile, faticoso da individuare e rispettare, ma questo non significa che si possa allegramente ignorarlo. Molto spesso, come in questo caso, la soluzione è un ipocrita oscuramento del volto dei soggetti al centro della cronaca. Un’idiozia, purtroppo comune anche a molti giornalisti. Perché mostrare un volto oscurato o pixellato è un’offesa agli utenti, un controsenso comunicativo e poi perché il riconoscimento attraverso un particolare sfuggito (il tatuaggio, nel caso forlivese) è sempre possibile. Le immagini o si possono pubblicare o non si possono pubblicare. I volti oscurati o le voci artefatte sono una presa per i fondelli per chi guarda e ascolta e una pezza sulla coscienza di chi li diffonde. Ora ci sono due famiglie distrutte, ma non solo per colpa delle chat.

Una piaga dilagante. Suicidio dopo servizio delle Iene: aprire una riflessione sulla solitudine e l’autostima social. Hoara Borselli su Il Riformista il 7 Novembre 2022

Voglio parlarvi, oggi, di una terribile vicenda dove si intrecciano due tipi di realtà, quella virtuale e quella reale. Una vicenda terribile, conclusasi con un duplice suicidio. La storia è quella di Daniele, un giovane di 24 anni, che intesse una relazione virtuale, via chat, con una persona. Daniele è convinto di avere per molto tempo una storia con una ragazza, Irene, e su questa relazione riversa tutte le aspettative e i suoi sogni. Un legame vero, sincero, sul quale investe molto.

Cosa succede, però? Che Daniele scopre che la donna che riteneva essere la sua fidanzata, era in realtà un uomo, un uomo di 64 anni che si è spacciato per Irene e ha mantenuto con Daniele una relazione finché poi, molti mesi dopo, l’inganno è stato scoperto. Daniele non ha sopportato la delusione, la frustrazione, l’oppressione di non essermene accorto, un mix di dolore che l’ha portato ad impiccarsi nella sua stanza a soli 24 anni.

A questo punto, l’uomo che l’ha ingannato ha subito un processo, è stato denunciato e ha ricevuto una condanna per sostituzione di persona: è stato costretto a pagare una multa di 852 euro. Però, l’accusa della morte per conseguenza di reato, è stata archiviata. Poi l’uomo è stato rintracciato dal programma televisivo, Le Iene, il programma va in onda e questa mattina alle 7 il 64enne è tato ritrovato a terra, morto, da sua madre: si è suicidato con un mix di farmaci.

Quindi assistiamo ad una doppia tragedia, da una parte un ragazzo che non ha sopportato il dolore, la frustrazione di aver subito un tale affronto e dall’altra parte un uomo che non ha saputo superare il senso di colpa. Troppo spesso, purtroppo, si parla di queste ‘truffe amorose’ che rappresentano una piaga, quella della solitudine, si ricercano sul web quegli amori dove – forse per incapacità di potersi confrontare con persone reali – si affidano alla rete tutte le nostre aspettative. Purtroppo molto spesso ciò che è virtuale diventa un inganno, una trappola. E di queste storie bisogna parlare, perché sono molto più frequenti di quanto si possa pensare. E noi che ci occupiamo di comunicazione, che abbiamo la possibilità di veicolare massaggi importanti come questi, dobbiamo accendere un faro, far capire a i nostri ragazzi la distinzione che si deve fare tra reale e virtuale.

Ormai lo sappiamo, la maggior parte del nostro tempo la passiamo sul web, l’autostima dei nostri giovani, purtroppo, si basa sui like che ricevono. E’ importante accendere un faro perché questa può diventare una piaga dilagante. Prendiamo questo caso come avvertimento, affinché tragedie del genere non debbano avvenire più.

Hoara Borselli

Le Iene, il suicidio dopo il servizio di Viviani? "Cosa c'è dietro davvero". Hoara Borselli su Libero Quotidiano il 09 novembre 2022

Fino a dove si può spingere il diritto di cronaca? Chi traccia quel limite che stabilisce il confine fra l'inchiesta e lo sciacallaggio mediatico?

È una domanda che dobbiamo porci, visto che oggi a margine di una duplice tragedia si trova coinvolto un notissimo programma televisivo, Le Iene, di fatto indagato dalla procura per istigazione al suicidio.

Tutto inizia con la morte di un ragazzo 24enne, Daniele, trovato impiccato dai suoi genitori nella soffitta della sua abitazione. Il motivo? La ragazza, Irene, con la quale si scambiava messaggi d'amore da circa un anno, era in realtà un uomo 64enne che si fingeva tale.

Semplicistico pensare che il folle gesto di Daniele sia riconducibile unicamente alla terribile delusione subìta. Può un ragazzo così giovane pensare che la vita non possa offrire nessun'altra possibilità di riscatto? Sicuramente c'era tanta fragilità, nel suo mondo interiore.

A questo punto entrano in gioco Le Iene. Matteo Viviani e Marco Fubini, specializzati nelle inchieste d'assalto. Il 64enne viene sorpreso per strada mentre spinge la carrozzella della madre disabile. Volti pixellati ma riconoscibili. Domande incalzanti. Nulla viene tralasciato, in gergo giornalistico possiamo dire che hanno portato a casa un gran lavoro. Il giorno dopo nel paesino di 13 mila abitanti vengono affissi i poster dell'uomo: nonostante fosse celato, tutti lo avevano riconosciuto. Il mostro sbattuto in prima pagina, come si dice.

Accade poi l'imponderabile: la preda delle Iene si ammazza. Lo troverà la ma dre il giorno dopo la messa in onda del servizio, riverso a terra dopo aver ingerito un quantitativo letale di farmaci. Responsabile della sua morte è proprio il programma Le Iene, scrivono. Lo dice la stampa, sta indagando la procura.

Ora, per noi è semplice stampare manifesti di condanna e di messa all'indice. Le Iene hanno colpito, hanno messo alla gogna, Le Iene hanno spinto al suicidio. Andiamoci piano. Per due ragioni. 

La prima riguarda l'essenza stessa del suicidio, le sue cause, i suoi misteri. Soprattutto i suoi misteri. Chiediamoci: come succede che a un certo punto, a un essere umano, a qualunque età e di qualunque condizione sociale, sparisce l'istinto di conservazione, cioè il principio fondamentale della vita, soppiantato dalla disperazione e dal desiderio di morte? Nessuno sa rispondere a questa domanda. Ma allora, scusate, perché parliamo con tanta facilità di istigazione al suicidio? Che reato è? In che cosa consiste? Come si riconosce questo reato?

Chi è in grado di capirlo e definirlo?

La seconda ragione di prudenza riguarda il giornalismo. Certo, il giornalismo è un attrezzo pericoloso. Spesso può fare molto male alle persone. Non è un caso raro. Pensate a quante persone famose sono state demolite nella loro reputazione dalle inchieste giornalistiche, o più spesso ancora dalla superficialità di chi si limitava a pubblicare sui giornali e dare clamore e risalto al lavoro di accusa, o solo di sospetto, di qualche pm. Allora tutto questo che cosa vuol dire, che va sospeso il giornalismo? Soprattutto in questo caso, finisce sotto accusa il giornalismo di inchiesta. Il lavoro di scavo, di ricerca, di cronaca appunto, che hanno fatto alcuni nostri colleghi. Certo, potevano fermarsi un metro prima, perché sapevano che stavano trattando un argomento delicatissimo, intimo, pericoloso. Ma chi decide qual è questo metro prima?

Adesso che quest' uomo si è suicidato è facile per noi ragionare. Ma quando sei nel fuoco del lavoro, dell'inchiesta, e le tessere tornano e si incastrano, chi te lo dice: amico, adesso basta. Mi piacerebbe se contro Le Iene, quantomeno, non si accanisse la stessa mania di ricerca del colpevole seguendo la quale le stesse Iene hanno portato quest' uomo alla disperazione. Dico solo questo: spezziamo il cerchio. Interrompiamo la furia moralizzatrice. Non moralizziamo i moralizzatori. E salviamo il giornalismo perché un giornalismo cattivo è meglio di nessun giornalismo.

Da primaonline.it il 14 novembre 2022.

 Non si placa il dibattito suscitato dal suicidio – domenica 6 novembre – di Roberto Zaccaria. Il 64enne per un anno si era finto in chat una ragazza. La vittima, il 24enne Daniele, si è poi suicidato (la ricostruzione più sotto).

Su questa vicenda il 1° novembre era tornate le ‘Iene’, inseguendo Zaccaria. Dopo diverse polemiche sul fatto, e sul modo in cui il programma conduce le sue inchieste, adesso interviene Davide Parenti. L’autore delle ‘Iene’ ci ha inviato una lettera esclusiva. 

Di seguito, la lettera in esclusiva di Davide Parenti.

“In questi giorni tutto il gruppo che lavora a ‘Le Iene’ è stato scosso da un fatto tragico, che ci addolora in modo profondo. 

Due settimane fa abbiamo raccontato una storia di catfishing: Daniele, un ragazzo di ventiquattro anni si è suicidato dopo aver scoperto che quella che pensava fosse la sua fidanzata era invece Roberto Zaccaria, un uomo di 64 anni. Dopo il suicidio di Daniele, Roberto ha continuato a fare la stessa cosa con altri quattro ragazzi.

È stato allora che siamo andati a chiedergli conto delle sue azioni, incalzandolo. Dal giorno seguente alla messa in onda, il servizio è stato ripreso da trentuno giornali cartacei e online, due telegiornali, e ha spopolato sui social. 

“La storia era chiaramente di pubblico interesse, perché svelava la perversione di un meccanismo molto diffuso, che fa leva sulla fragilità affettiva e psichica di chi ne cade vittima. L’abbiamo raccontata perché potesse richiamare ogni potenziale ‘emulo’ alla gravità del gesto e alla sua responsabilità. Nel farlo, l’onda alimentata anche da chi ha ripreso il nostro lavoro è montata oltre ogni misura immaginabile, tanto che nel piccolo paese dove Roberto abitava sembra che qualcuno gli abbia fatto trovare dei cartelli nei pressi di casa.

“Il sabato successivo al servizio, a quattro giorni dalla messa in onda, Roberto si è tolto la vita. Da allora non smettiamo di domandarci qual è il limite, come bilanciare il diritto a fare informazione su fatti importanti e il diritto alla privacy, anche quella di chi è responsabile di questi fatti. Molti, dopo la morte di Roberto, hanno sollevato critiche sul nostro modo di raccontare, hanno sostenuto che è stato sbagliato, eccessivo. Accogliamo tutte queste critiche. 

Guido il gruppo de ‘Le iene’ da ventisei anni e da ventisei anni sono responsabile di ogni singolo minuto che va in onda; e se su altri casi – anche molto controversi – dormo sonni tranquilli, sul servizio di Roberto continuo a interrogarmi, così come le oltre cento persone che lavorano al programma. Con la nostra esperienza avremmo potuto essere più capaci di ‘sentire’ chi avevamo di fronte. 

“Chi fa il nostro lavoro si muove sul filo sottile della libertà di cronaca, una funzione delicatissima, per questo tutelata dalla Costituzione e disciplinata dalla legge. C’è poi un terzo elemento di cui chi fa comunicazione non può non tenere conto, la sensibilità collettiva, che negli ultimi anni ha fluttuato in modo continuo.

Molti oggi vorrebbero collegare il gesto di Roberto Zaccaria al fatto di essere stato incalzato da un nostro inviato, perché ha trovato il suo modo irruente, violento. Eppure esiste una differenza tra sensibilità e nesso di causalità. 

Al nostro editore, come ad altri, il servizio non è piaciuto, ed è legittimo.

Quello che facciamo può non piacere, è migliorabile – siamo esseri umani. La nostra libertà di farlo non è negoziabile col gusto di una platea, per quanto ampia.

Alla domanda se il “giornalismo estremo che praticano ‘Le Iene’ fatto di inseguimenti per strada possa andare avanti in questo modo”, il nostro editore ha risposto che “dire basta a un certo tipo di giornalismo sarebbe come tornare indietro invece che andare avanti, qualsiasi altro programma di informazione di Mediaset e non (lo pratica)”, un’affermazione che condividiamo. 

Il servizio sulla morte di Daniele andava fatto meglio, ma andava fatto. Così come andava fatto il servizio sul pallavolista Roberto Cazzaniga, su David Rossi, Chico Forti, DJ Fabo, il sangue iperimmune, i chierichetti del Papa, Marco Vannini, il ginecologo di Bari, le firme false del Movimento Cinque Stelle, il secondary ticketing, il disastro della Terra dei Fuochi, le truffe al 110, i rimedi al cancro della Brigliadori e della Mereu, i portaborse in nero, i furbetti del cartellino, la droga in parlamento, le molestie nel cinema, le aggressioni, i raggiri, gli inganni, le frodi, le estorsioni, le violenze e gli abusi subiti dai più deboli di cui il nostro programma è zeppo.

A sessantacinque anni ogni giorno ancora imparo che posso fare meglio. Alzeremo il livello di guardia, cambieremo alcune modalità di approccio ai fatti e alle persone. Non cambierà la nostra attenzione alla società, alla politica e la necessità di raccontarne storture e iniquità. Non abbiamo nessuna intenzione di ignorare ogni suggerimento utile e dato in buona fede su come migliorare il nostro lavoro. E soprattutto, non abbiamo nessuna intenzione di smettere di darci da fare.”  

Non avrebbe retto alla gogna mediatica innescata da un servizio della trasmissione ‘Le Iene‘ e si è tolto la vita pochi giorni dopo che il servizio, curato dall’aretino Matteo Viviani, è andato in onda. Due suicidi in tredici mesi, nel mezzo il servizio della trasmissione di Italia 1.

È stato trovato morto in casa l’uomo di 64 anni di Forlimpopoli, Roberto Zaccaria, finito al centro della vicenda legata al suicidio di Daniele, un giovane di 24 anni che un anno fa si era a sua volta tolto la vita dopo aver appreso di essere stato vittima di uno scherzo durato un anno: quella che credeva essere la sua fidanzata, Irene Martini, conosciuta online, era in realtà l’uomo di 64 anni che aveva usato foto di una modella romana. Zaccaria, dopo il suicidio del giovane, era stato indagato dalla Procura, aveva ricevuto una multa di circa 800 euro per sostituzione di persona ma l’accusa di morte come conseguenza di altro reato era stata archiviata. 

Nel servizio curato da Matteo Viviani, l’uomo era stato raggiunto vicino a casa. È andato in onda con il volto oscurato, ma in molti lo avrebbero riconosciuto. Ora la famiglia di Zaccaria ha preannunciato querela nei confronti della trasmissione e di Viviani.

Selvaggia Lucarelli si è subito schierata contro il giornalismo della Iene: “Sono due decenni che si assiste allo scempio che le Iene fanno del giornalismo, che accettiamo le immagini di macchiette in giacca e cravatta all’inseguimento di persone per strada, sul proprio posto di lavoro, nelle proprie abitazioni private”. 

Sulla morte di Zaccaria è intervenuto anche Pier Silvio Berlusconi: “Non voglio entrare nello specifico e penso che dire basta a un certo tipo di giornalismo sarebbe come tornare indietro invece che andare avanti. Ma il punto è come viene fatto: servono attenzione e sensibilità, non è facile. Le Iene è un programma fatto da signori professionisti, Davide Parenti è bravo. Ripeto, è una questione di sensibilità personale e da editore dico che quella cosa lì non mi è piaciuta. Capita, ma bisogna tenere alto il livello di guardia”.

La spettacolarizzazione delle disgrazie altrui. Roberto Zaccaria si toglie la vita dopo servizio delle Iene: la caccia all’uomo e la gogna nello show in tv. Ciro Cuozzo su Il Riformista il 7 Novembre 2022

La tutela della privacy secondo Le Iene

Non avrebbe retto alla ‘gogna mediatica‘ innescata da un servizio della trasmissione “Le Iene” e si è tolto la vita pochi giorni dopo il filmato che, in barba a qualsiasi norma deontologica e di tutela della privacy, lo ha dato letteralmente in pasto al grande pubblico. Due suicidi in tredici mesi, nel mezzo il servizio della trasmissione di Italia 1 che sta scatenando polemiche e richieste di chiusura del programma, non nuovo a scivoloni e a pseudo inchieste che con il giornalismo spesso non hanno nulla a che vedere.

Questa volta però il servizio di Marco Fubini e Matteo Viviani, sotto il coordinamento del delegato della trasmissione che non è considerata una testata giornalistica perché non ha un direttore responsabile (così come stabilito dalla Cassazione il 24 maggio 2021), è andato oltre, mostrando in diretta tv Roberto Zaccaria, 64 anni, oscurato parzialmente in volto, con tutti i tatuaggi riconoscibili, e ripreso e inseguito mentre portava in giro per Forlimpopoli (Forlì-Cesena), piccolo comune di appena 13mila anime, l’anziana madre costretta su una sedia a rotelle. Una vera e propria caccia all’uomo, facile da indentificare ‘grazie’ all’oscuramento decisamente ‘amatoriale‘ e dalla riconoscibilità dei luoghi per i suoi concittadini. E, stando alla denuncia del legale che assiste la famiglia dell’uomo, nei giorni scorsi a Forlimpopoli sarebbero apparsi persino dei manifesti contro di lui che l’avrebbero portato all’estremo gesto di domenica 6 novembre, quando è stata l’anziana madre a trovarlo senza vita in casa.

Una vicenda raccapricciante perché trattata, dal programma di Italia 1, senza alcuna sensibilità ma solo per ottenere sensazionalismo e massacrare un uomo certamente debole e solo, nonostante la stessa Procura di Forlì avesse chiesto l’archiviazione per l’accusa di istigazione al suicidio. Zaccaria aveva ricevuto una multa di 825 euro per sostituzione di persona.

L’inchiesta è quella relativa al suicidio di Daniele, un ragazzo di 24 anni di Forlì che nel settembre 2021 decise di farla finita dopo una delusione amorosa: per circa un anno, durante l’emergenza Covid, aveva “conosciuto” online una ragazza, Irene. In realtà dietro al profilo della giovane c’era Roberto Zaccaria che con delle foto prese dal profilo di una modella aveva iniziato a chattare con il 24enne, scambiando migliaia di messaggi scritti via WhatsApp. Nessuna nota vocale, nessuna telefonata, nessuna videochiamata. Solo tanti messaggi che avevano portato Daniele a credere di aver istaurato una relazione sentimentale con “Irene”. Dopo aver scoperto che era tutta una finzione, la delusione ha portato il 24enne al suicidio lasciando una lettera ai genitori e al fratello nella quale invitava quest’ultimo a non isolarsi, a “non fare i stessi miei errori, io ho sbagliato tutto, non ho mai avuto un amico, mai una ragazza. Sono stato solo tutta la vita”.

Zaccaria aveva dichiarato alle Iene che “era uno scherzo, non volevo finisse così”, per poi aggiungere che “se aveva dei problemi di testa non è colpa mia”. Un servizio finito in tragedia, con la stessa famiglia del 64enne che in queste ore sta valutando di fare un esposto contro la trasmissione Mediaset per come è stata trattata la vicenda che lo ha visto protagonista. “Valuteremo la questione”, dice l’avvocato Pierpaolo Benini, spiegando che proprio oggi avrebbe dovuto incontrare l’assistito per “valutare una forma di tutela che lo mettesse al riparo dalla gogna mediatica”, dopo che in paese erano apparsi dei manifesti contro di lui, in seguito al programma televisivo. Nei prossimi giorni l’avvocato parlerà coi familiari del 64enne, attualmente sconvolti per quanto successo, per decidere che iniziative intraprendere.

Le Iene, come riferito dal Corriere della Sera, preferiscono non commentare la vicenda. Sui social c’è chi fa notare che “volendo ragionare con gli stessi criteri populisti della redazione de #leiene, a questo punto dovremmo considerare il loro servizio istigazione al suicidio?”. Un altro utente aggiunge: “Trasmissioni come #leiene basano il loro successo sul piacere provato dall’essere umano nel vedere qualcuno che viene bullizzato dalla gogna mediatica. Populismo e giustizialismo mediatico usato come valvola di sfogo di un pubblico di mezza età frustrato”.

Dure anche le parole della sindaca di Forlimpopoli Milena Garavini che a LaPresse commenta la tragedia: “Lo vedevo spesso, ma difficilmente insieme ad altre persone: al massimo andava in giro con la madre. Posso ipotizzare vivesse una condizione di solitudine. Questa vicenda ha lasciato profonda tristezza e amarezza, ma è anche un invito a fare una riflessione, ovvero quanto possa essere dannosa la spettacolarizzazione delle disgrazie altrui, soprattutto quando causa un’ondata emotiva che spinge le persone a emettere giudizi senza conoscere i fatti”.

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

Le Iene sono pericolose, chi sarà la prossima vittima del loro manganello televisivo? SELVAGGIA LUCARELLI su Il Domani il 07 novembre 2022

Sono due decenni che si assiste allo scempio che le Iene fanno del giornalismo, che accettiamo le immagini di macchiette in giacca e cravatta all’inseguimento di persone per strada, sul proprio posto di lavoro, nelle proprie abitazioni private.

A microfoni sbattuti sui denti per strappare manate e parolacce che serviranno a dimostrare chi è il cattivo, a errori grossolani, a giustizialismo spacciato per giustizia, a ghigliottina spacciata per giornalismo.

La tv usata come manganello sui detrattori, da sempre.

Le Iene sono un programma socialmente pericoloso. Lo sostengo da anni, ho scritto numerosi articoli (l’ultimo due settimane fa) denunciando la disinformazione che la squadra di Davide Parenti continua a diffondere da Stamina in poi, ma il problema non è mai stato solo questo.

Come più volte ho ricordato, il problema a monte è il metodo. Sono due decenni che si assiste allo scempio che le Iene fanno del giornalismo, che accettiamo le immagini di macchiette in giacca e cravatta all’inseguimento di persone per strada, sul proprio posto di lavoro, nelle proprie abitazioni private. A microfoni sbattuti sui denti per strappare manate e parolacce che serviranno a dimostrare chi è il cattivo, a errori grossolani, a giustizialismo spacciato per giustizia, a ghigliottina spacciata per giornalismo.

La tv usata come manganello sui detrattori, da sempre.

E’ per questo che quello che è accaduto in questi giorni – il suicidio di un uomo a seguito di un servizio di Matteo Viviani e Marco Fubini de Le Iene- non mi stupisce affatto.

 I PRECEDENTI

Il metodo di lavoro di Matteo Viviani è noto e ne avevo parlato su Domani di recente. L’inviato, ex modello e ballerino in discoteca, è anche quello che fece disinformazione sul fenomeno Blue Whale (che non è mai stato un fenomeno, per giunta) montando immagini di finti suicidi di adolescenti con conseguenze molto gravi.

Ma è anche colui che si occupa spesso di pedofilia utilizzando il mezzo tv con estrema superficialità quando va bene e con drammatiche conseguenze quando va meno bene.

Un prete, nel 2010, si è gettato sotto un treno a seguito di un servizio di Viviani in cui un attore lo aveva trascinato in una trappola per dimostrare che adescasse ragazzini. Ovviamente quel prete era stato riconosciuto, licenziato, si sentiva addosso lo stigma.

«II suicidio del  prete mi ha scosso, sì. Quando, dall’altra parte, c’è una persona palesemente colpevole di qualcosa di orribile come può essere la pedofilia, tutti noi ci siamo autorizzati a scrivere ‘Ti sparerei’, ‘Ammazzati’. Ma quando vieni a sapere che una persona si è tolta la vita a causa dell’interazione che ci è stata fra te e lui… beh, pensi tanto. Pensi ai suoi genitori. Pensi alle persone, ignare della sua ‘deviazione’, che gli volevano bene. Non soffrire di una simile notizia denoterebbe ottusità mentale. Ho tanti difetti, ma non quello di essere ottuso», aveva dichiarato proprio Matteo Viviani in un’intervista sull’accaduto.

Dopo dieci anni, un altro uomo si è suicidato a seguito di un servizio da lui confezionato: ben 22 minuti, roba che neppure su Totò Riina. Ma andiamo ai fatti.

CATFISHING

Matteo Viviani ha raccontato la brutta storia di catfishing con epilogo drammatico che ha coinvolto Roberto, 64 anni, e il ventiquattrenne Daniele. Il catfishing è una sorta di inganno via web che consiste nel crearsi un’identità falsa per raggirare gli altri, spesso intrattenendo rapporti sentimentali che durano mesi o anni e non necessariamente a scopo di lucro.

Talvolta, dietro a questi inganni, ci sono persone con disturbi della personalità o che fanno fatica ad ammettere il proprio orientamento sessuale e che dietro una falsa identità sui social possono essere quello che non riescono ad essere nella vita reale: uomini che si fingono donne e viceversa.

In questo caso, il sessantaquattrenne Roberto fingeva di essere un’avvenente ragazza di nome Irene. Con questa falsa identità aveva adescato Daniele, con cui aveva avuto una relazione virtuale per circa un anno, finché l’altro non aveva scoperto l’inganno e si era suicidato.

Era seguito un processo, il sessantaquattrenne  era stato condannato a una multa per sostituzione di persona ma non era stato ritenuto colpevole del suicidio del ragazzo (le altre ipotesi di reato erano state archiviate). Insomma, tra processo e multa, Roberto aveva pagato il suo debito con la giustizia. I genitori del ragazzo suicida però ritenevano comprensibilmente che la giustizia fosse stata troppo clemente con lui e se ne erano lamentati pubblicamente, chiedendo maggiore severità per queste condotte. 

DOPPIA PUNIZIONE

E qui arrivano le Iene. Iene che non si accontentano di raccontare la storia e accendere una luce su quanto si possa arrecare dolore con le truffe sentimentali, no, dovevano andare a caccia del colpevole. Le legge non lo ha punito a sufficienza, serve la gogna in prima serata. Serve che il giudice- poliziotto Matteo Viviani vada a stanarlo.

Un po’ come il Dexter della serie americana che fa a pezzi con la motosega i criminali che se la sono scampata con la giustizia. Il servizio è agghiacciante.

Viviani compie l’agguato: insegue questo signore per le stradine di Forlimpopoli, 13.000 abitanti, senza uno traccio di pietà per il contesto. Roberto infatti, quando viene assalito dalle telecamere, sta spingendo la sua anziana madre in carrozzina. E’ dunque presumibilmente il suo caregiver. «Perchè lo hai fatto?», «Quale era il tuo scopo?», gli urla per strada.

Roberto, che non sembra una persona in uno stato mentale normalissimo, gli urla di lasciarlo, accelera il passo, la carrozzina con la madre sopra sbatte su una colonna, la signora anziana spaventata grida, volano dei fogli, un signore in monopattino si ferma per aiutare l’anziana che ne frattempo era stata scagliata con la sua sedia a rotelle contro Viviani.

Viviani continua, legge ad alta voce  i messaggi che l’uomo inviava via chat al ragazzo suicida. Legge anche messaggi sessualmente espliciti, tipo «Voglio vedere il tuo ca..o duro», messaggi che non hanno alcuna utilità ai fini della ricostruzione giornalistica, ma che servono solo ad alimentare il senso di vergogna.

Intanto viene inquadrata l’abitazione dell’uomo. Vengono rubate delle frasi registrate di nascosto. Tutti in paese lo riconoscono. A questa gogna si aggiungono interviste a una psicanalista che mai aveva incontrato l’uomo e che rincara la dose sottolineando il suo piacere sadico nel fare ciò. E stabilendo che c’è una causa-effetto chiarissima tra la condotta di Roberto e il suicidio di Daniele.

Evidentemente la psicanalista Giuliana Barberi conosce molto poco le dinamiche del catfishing perché non si tratta necessariamente di sadismo ma anche, per esempio, di un problema di identità sessuale. E il fatto che questi individui (per esempio Roberto) costruiscano una rete di fake compresi finti amici e parenti del loro fake principale, cosa che Viviani trova essere un’aggravante sorprendente, è un elemento tipico in questi fenomeni. Alcun costruiscono interi finti alberi genealogici.

La psicanalista non si è preoccupata neppure di capire che vita potesse fare un anziano che si prende cura di una madre disabile, non si è domandata se la costruzione di identità meravigliose nel virtuale non possa rendere meno brutte vite faticose. 

LA DEPRESSIONE

Nel servizio, poi, viene fuori che il povero Daniele aveva confessato al fake di soffrire di depressione, e in effetti nella lettera di addio confessa di non aver avuto mai amici o fidanzate. Alla finta Irene diceva: «Sei la cosa più bella che mi sia capitata nella vita». A 24 anni non aveva mai avuto rapporti sessuali.

Pur col massimo rispetto per il suo dolore e con profondo disgusto per l’inganno che aveva subito, non si può dire che il suicidio sia avvenuto in un contesto privo di concause.

 Esisteva una sofferenza pregressa, probabilmente non compresa nel profondo da chi lo amava o forse dissimulata bene.

Questo servizio de Le Iene, così feroce nei confronti di un uomo che per quanto colpevole non si poteva rieducare con un agguato mortificante e la vergogna mediatica, ha provocato un’ondata di violenza nei confronti di Roberto: messaggi di odio sui social, minacce, insulti.

E poi dei manifesti apparsi nel suo paese dove ormai tutti sapevano chi fosse con la scritta “devi morire”. Anche Roberto, travolto da vergogna e sensi di colpa, si è tolto la vita mandando giù un mix di farmaci. Matteo Viviani può essere soddisfatto, giustizia è fatta.

Del resto gliel’aveva gridato per strada: «Fino all’ultimo continueremo a chiedere perché lo hai fatto!». Ecco, quell’uomo ha capito che la sua vergogna avrebbe avuto un vestito preciso: il completino giacca e cravatta nero del grande giustiziere de Le iene. Chi sarà la prossima vittima? 

SELVAGGIA LUCARELLI. Selvaggia Lucarelli è una giornalista, speaker radiofonica e scrittrice. Ha pubblicato cinque libri con Rizzoli, tra cui l’ultimo intitolato “Crepacuore”. Nel 2021 è uscito “Proprio a me", il suo podcast sulle dipendenze affettive, scaricato da un milione di persone. Ogni tanto va anche in tv.

Tiziana Morandi, il memoriale della «mantide della Brianza»: «Io innocente, quegli uomini da me si aspettavano altro». Federico Berni su Il Corriere della Sera il 23 Ottobre 2022.

Nell'interrogatorio la 47enne ha negato tutte le accuse, dalla rapina alle lesioni aggravate, e ha sostenuto che i clienti che si prenotavano per i massaggi pretendevano da lei prestazioni sessuali

La sua difesa affidata a un memoriale, scritto a mano, e consegnato ai pm Carlo Cinque e Marco Santini. «Nego tutto. Forse quegli uomini si aspettavano altro da me». Il faccia a faccia fra la 47enne brianzola Tiziana Morandi e gli inquirenti di Monza, che le contestano nell’atto di chiusura dell’inchiesta venti capi di imputazione con accuse di rapina, lesioni aggravate, possesso di stupefacenti, dura pochi minuti. 

La donna si è consultata con il suo legale — l’avvocato Alessia Pontenani, alla quale, poche ore prima dell’interrogatorio, ha rinnovato la fiducia che le aveva revocato in estate — e ha consegnato un memoriale nel quale respinge ogni accusa. «Non è mai successo nulla». Nessun uomo narcotizzato con i sedativi sciolti di nascosto nelle bevande (una decina i casi denunciati), nessun furto commesso approfittando dello stato di incoscienza delle vittime, come emerso dalle indagini. In un caso, la donna avrebbe anche negato di conoscere uno dei denuncianti. 

«Volevano qualcosa d’altro», si è difesa Tiziana Morandi relativamente alla sua attività di massaggiatrice, che offriva attraverso i social, e che era il modo per approcciare gli uomini che adesso la accusano. Non c’è mai stata prostituzione, secondo quanto confermato dagli stessi carabinieri di Vimercate, e da alcune vittime che hanno raccontato la loro esperienza con la «mantide» al Corriere, in questi mesi. 

Ma, secondo la 47enne, questi si sarebbero aspettati da lei una prestazione sessuale, e sarebbero rimasti delusi. Secondo quanto trapelato, la procura si appresterebbe a chiedere il giudizio immediato. Massimo riserbo sulle possibili strategie difensive. La donna, dalla fine di luglio, alterna la permanenza in carcere (dove si trova attualmente) a periodi di ricoveri ospedalieri per problemi di salute.

Federico Berni per milano.corriere.it il 20 ottobre 2022.

Venti capi di imputazione, per reati che vanno dalla rapina alle lesioni, dall’utilizzo indebito di carte di credito alla violazione della legge sugli stupefacenti. La procura di Monza ha chiuso le indagini preliminari a carico di Tiziana Morandi, la «mantide brianzola» accusa di aver narcotizzato e derubato una decina di uomini, ai quali avrebbe raccontato una serie di bugie sulla propria vita e sulla propria professione: ad alcuni diceva di essere un medico, ad altri di essere «gravemente malata, allo stato terminale».

La donna ha chiesto di essere ascoltata dagli inquirenti, che hanno fissato un interrogatorio per la mattinata di sabato 22 ottobre. La 47enne si trova al carcere di San Vittore, dopo un periodo trascorso in ospedale, a causa di problemi di salute aggravati dal rifiuto del cibo, iniziato questa estate, quando i carabinieri della compagnia di Vimercate l’avevano arrestata dopo le prime denunce arrivate da parte di uomini, soprattutto anziani, ma non solo. 

La brianzola si spacciava per massaggiatrice, invitava le vittime a casa propria per un trattamento (in altre occasioni le approcciava con la scusa di una raccolta benefica) e queste ultime, in molti casi, si risvegliavano dopo un sonno profondo, senza oggetti di valore o senza soldi nel portafogli. Le successive analisi mediche riscontravano sempre la presenza di benzodiazepine (circostanza che le è valsa l’accusa di possesso di stupefacenti).

In un caso un pensionato di Avellino è stato soccorso alla stazione di Torino (dove era andato in compagnia dell’indagata) in stato di incoscienza, per poi scoprire di essersi ritrovato privo di una collezione di oggetti d’oro di un certo valore. 

In un altro, un uomo di mezza età della provincia di Como, dopo aver bevuto una bibita a casa della donna, nella Brianza vimercatese, aveva accusato un malore al volante, andando a sbattere contro il guardrail della tangenziale nord di Milano, rischiando per la propria incolumità e per quella di altri automobilisti. Ora per la donna si prospetta la richiesta di rinvio a giudizio, mentre la difesa sta valutando di chiedere che venga sottoposta a una perizia psichiatrica.

Federico Berni per corriere.it il 2 settembre 2022.  

Per l’opinione pubblica è diventata la «mantide della Brianza», per gli inquirenti della procura di Monza è «una donna pericolosa». L’accusa è di aver narcotizzato almeno nove uomini con del sedativo sciolto nelle bevande, per derubarli di soldi e oggetti preziosi. Tiziana Morandi, 47enne brianzola, arrestata alla fine di luglio, si trova adesso nel carcere di San Vittore, dove è tornata dopo un ricovero in ospedale per un drastico calo di peso dovuto al rifiuto del cibo. 

Non si hanno notizie su possibili strategie difensive. Al suo ultimo difensore, che ha rinunciato all’incarico, aveva detto di essere vittima di un equivoco, e di pagare magari la gelosia di altre donne che avevano saputo delle frequentazioni dei loro mariti presso casa sua, dove praticava massaggi per mantenersi. Non si tratta di prostituzione - gli inquirenti lo escludono - ma di furti, prevalentemente di piccola entità.

La camomilla e la finta beneficenza

Una catena di episodi ricostruita dai carabinieri di Vimercate, agli ordini del maggiore Mario Amengoni, nell’inchiesta coordinata dal pm Carlo Cinque, a partire dall’agosto 2021. A quell’epoca un 83enne di Roncello (Monza), trovato dal figlio in casa privo di sensi e trasportato al pronto soccorso dell’ospedale di Vimercate, da dove fortunatamente era stato dimesso, era risultato positivo alla benzodiazepina. 

Ai carabinieri aveva detto di essersi addormentato dopo aver condiviso una camomilla con una donna che si era presentata alla sua porta con la scusa di una raccolta di soldi per beneficenza. Una volta risvegliatosi in ospedale, si era accorto di non avere più la catenina con alcune medagliette e la fede al dito.

L’approccio al bar e la bibita in casa

Stesso modus operandi per altri due uomini, sempre nel mese di agosto 2021, ancora a Roncello, quando un 84enne, conosciuto in un bar ed invitato a consumare una bevanda si era ritrovato senza i 50 euro che aveva nel portafogli. E per un 67enne, che aveva conosciuto la donna su Facebook. Invitato dalla stessa presso la sua abitazione per bere qualcosa in compagnia, era caduto in uno stato di sonnolenza. 

Si era poi svegliato a casa sua, senza ricordare come ci fosse arrivato, e si era accorto di non indossare più la catenina al collo. Dopo alcuni giorni, si era visto addebitare sul proprio bancomat un prelievo al bancomat di 250 euro. I carabinieri avevano acquisito i referti medici dal pronto soccorso di Vimercate di coloro che erano risultati positivi all’utilizzo dello psicofarmaco, riscontrando altri casi.

L’invito al cinema

La donna aveva contattato, sempre tramite i social, altri due uomini. Nell’ottobre 2021, un 51enne della provincia di Milano, invitato al cinema per vedere l’ultimo film di 007, si era risvegliato in un lettino del pronto soccorso dell’ospedale, con 150 euro in meno e positivo, anche lui, alla sostanza. 

Il 27enne agganciato su Facebook

Analoga sorte per un 27enne della Val Badia, che si era spostato in Lombardia per conoscere la donna di persona dopo i primi approcci sui social. Una volta bevuta un’aranciata, era caduto in un sonno catatonico. Il giovane, dopo essersi ripreso, nel fare rientro in Trentino, durante il tragitto aveva cominciato ad accusare forte dolori addominali e conati di vomito, decidendo così di fermarsi all’ospedale di Rovereto. Lì si era accorto che dallo zaino mancavano 400 euro; sottoposto all’esame, era risultato positivo al farmaco. 

La collezione di monete e pennini d’oro

Ma il colpo grosso Tiziana Morandi lo ha fatto con un 71enne di origini irpine, il quale, nel parlare delle sue passioni, aveva portato la donna a conoscenza della sua intenzione di vendere la sua collezioni di monete e pennini d’oro. Lei gli aveva fatto credere di conoscere un possibile acquirente a Torino. La vittima si era ritrovata all’ospedale Umberto I («mi hanno raccolto in stazione, ero incosciente, credevano fossi ubriaco», ha raccontato l’uomo). 

Gli appuntamenti per un massaggio

A questi 6 denunce se ne sono aggiunte altre 3, depositate nei giorni scorsi in procura. Sono uomini di età compresa tra 27 e 52 anni, e hanno raccontato di aver contattato la Morandi per farsi praticare un massaggio. All’appuntamento, però, sarebbero stati sedati con dei tranquillanti somministrati a tradimento e derubati di piccole somme di denaro.

Tiziana Morandi, prima il massaggio e poi il sedativo: spuntano tre nuove vittime della «mantide della Brianza». Federico Berni su Il Corriere della Sera il 31 agosto 2022.

Tre nuove denunce. E lo stesso copione che le è valso il soprannome di «mantide della Brianza». La conoscenza tramite i social network, l’appuntamento a casa per un massaggio, una bibita offerta dalla donna, l’improvvisa sonnolenza e poi il risveglio, dopo ore, con meno soldi nel portafogli. Altri uomini accusano Tiziana Morandi, la 47enne della provincia di Monza arrestata a fine luglio con l’accusa di aver narcotizzato e derubato sei vittime, prevalentemente anziane. Ora, le querele arrivano da altri uomini, residenti tra la Brianza e la Lombardia, di età compresa tra 27 e 52 anni.

Dopo l’esecuzione dell’ordinanza di custodia del gip Silvia Pansini, poco più di un mese fa, e la diffusione della notizia dell’arresto, le ulteriori possibili vittime si sono fatte avanti per raccontare la loro versione dei fatti ai carabinieri della compagnia di Vimercate, comandata dal maggiore Mario Amengoni. Si tratterebbe di uomini che avevano contattato l’indagata per farsi praticare un massaggio (gli investigatori escludono scenari legati alla prostituzione), attività con la quale la 47enne brianzola originaria di Como e trasferitasi nel Vimercatese, secondo quanto riferito, si manteneva. All’appuntamento, però, sarebbero stati sedati con dei tranquillanti somministrati a tradimento, e derubati di piccole somme di denaro. Denunce poi finite sul tavolo del sostituto procuratore Carlo Cinque, che coordina l’inchiesta sulla donna che, da quanto appreso, è tornata da sabato scorso nel carcere di San Vittore, dopo settimane trascorse in una struttura ospedaliera (sempre in regime di detenzione) per un drastico .

La sua posizione, alla luce delle nuove accuse formalizzate nei suoi confronti, si fa ora sempre più pesante. E non si hanno nemmeno notizie su una sua possibile strategia difensiva. Anzi, anche il suo ultimo difensore, proprio nella giornata di ieri, ha preferito rinunciare all’incarico: dal momento dell’arresto, Tiziana Morandi ha già cambiato due avvocati e ora probabilmente gliene sarà attribuito uno d’ufficio. Gli inquirenti la considerano una «donna pericolosa». In base a quello che le viene contestato, drogava le sue vittime (anche persone ultraottantenni) con le benzodiazepine (che diceva di possedere in casa per suoi problemi di salute personali) provocando effetti che avrebbero potuto rivelarsi anche molto pericolosi. Colpi di sonno improvvisi o malori come capitato a un giovane altoatesino che, di ritorno dalla Brianza, era stato costretto a fermarsi a Rovereto, in provincia di Trento, in preda a un forte attacco di nausea e mal di stomaco che lo aveva sorpreso mentre guidava in autostrada. Di solito i bottini erano piuttosto modesti, al massimo qualche centinaio di euro, oppure catenine o anelli d’oro che potevano avere più che altro valore affettivo.

In un caso, però, un 71enne campano ha denunciato la scomparsa di parte di una collezione di monete e oggetti d’oro: «L’avevo conosciuta via Facebook, niente sesso, solo amicizia — aveva raccontato l’anziano al Corriere —. Quando le avevo manifestato l’intenzione di vendere questi oggetti mi aveva detto di aver trovato un acquirente a Torino». Nel capoluogo piemontese, l’uomo era stato drogato e abbandonato nei pressi della stazione: «Pensavano fossi ubriaco, poi in ospedale è emersa la verità».

Federico Berni per corriere.it il 9 agosto 2022.

La «mantide» della Brianza? Molto «provata» dalla detenzione, assicura il suo difensore, l’avvocata Alessia Pontanani. Al punto che «si trova da giorni ricoverata in ospedale per problemi di salute aggravati da quando si sono presentati i carabinieri a casa sua». Ossia dal giorno in cui in cui i militari della compagnia di Vimercate (Monza), si sono presentati alla porta di Tiziana Morandi, 47enne indagata di lesioni e rapina per avere, secondo il pm Carlo Cinque, narcotizzato e derubato almeno sei uomini, per eseguire l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Monza Silvia Pansini.

La donna avrebbe, secondo quanto riferito, «perso sette chili di peso», essendo rimasta «sconvolta» dalle accuse che le vengono mosse da vari uomini di età compresa tra i 27 e gli 83 anni. Secondo le indagini, le vittime venivano conosciute via Facebook, attirate a casa della donna (una villetta di proprietà in Brianza che condivideva con i suoi due cani pastori tedeschi per i quali «è molto preoccupata») addormentati con delle bevande allungate con le benzodiazepine e poi derubati di catenine, anelli, oggetti d’oro, soldi contanti.

«Sono accuse e vicende ancora tutte da chiarire -spiega il legale – in generale si tratta di fatti di entità modesta, forse qualche oggetto potrebbe esserle stato regalato, a parte una collezione di monete sul cui reale valore bisogna fare accertamenti». 

Secondo quanto ricostruito, Tiziana Morandi, che ha frequentato il liceo artistico a Como e poi ha interrotto gli studi universitari, praticava massaggi in casa per mantenersi. La difesa assicura che non si trattava di prostituzione, e che le stesse vittime erano legate da «rapporti di amicizia e basta». Forse, la moglie di qualcuno di questi uomini potrebbe essere ingelosita dalla figura ostentata dalla donna su Facebook (che tuttavia – assicura chi la conosce – non rispecchia il suo reale aspetto fisico, in realtà più minuto e probabilmente condizionato da una salute precarcia) ma di queste si è mai presentata a denunciare ai carabinieri di Bellusco.

L’accusa sostiene che la donna si procurava i farmaci con false prescrizioni (due ricette sono state sequestrate) ma secondo l’avvocato la presenza di sedativi era dovuta a «problemi di salute pregressi». Il primo difensore, nominato d’ufficio, aveva chiesto gli arresti domiciliari, ma il gip aveva respinto. Per il momento Tiziana Morandi si trova dunque in ospedale, convinta di essere finita «in un grande equivoco».

Marco Santoro per corriere.it il 6 Agosto 2022.   

Ammaliava le sue vittime, soprattutto anziani, attraverso il web Tiziana Morandi, 47enne nota alle cronache come la “Mantide della Brianza” arrestata con l’accusa di truffa. E tra queste c’è un uomo di 71 anni della provincia di Avellino, al quale era riuscita a sottrarre valori per 80mila euro. Ma per riuscirci lo avrebbe drogato, mandandolo in ospedale.

Il ricovero a Torino, lo scorso giugno. La Morandi aveva invitato l’anziano tramite il social, incautamente l’uomo le aveva detto di voler vendere una collezione di monete e pennini d’oro. Morandi ha finto di fissare un contro con un compratore. Ma il 71enne presentatosi all’appuntamento è stato stordito con benzodiazepina, versata in una bevanda offertagli dalla donna. 

Non è chiaro poi se la “Mantide” abbia usato la carta di credito dell’anziano per comprare gioielli e vestiti esaurendo il plafond di quattromila euro o se si tratta di regali che l’uomo le avrebbe fatto prima di raggiungere il bar della stazione di Torino Porta Nuova, dove è stato drogato ed ha perso i sensi. Ricoverato all’Umberto I di Torino, una volta sveglio l’amara sorpresa: la sua collezione era sparita con la “Mantide”.

Federico Berni per il “Corriere della Sera - Edizione Milano” il 2 agosto 2022.

«Sono stato drogato e abbandonato». Ma - la vittima tiene a ribadire - «non sono uno sprovveduto, né sono stato sedotto, avevo preso le mie precauzioni e ora, contro quella donna, andrò fino in fondo con l'avvocato». Eppure, per un 70enne pensionato della provincia di Avellino, la disavventura con la 47enne brianzola Tiziana Morandi, la donna arrestata dai carabinieri di Vimercate con l'accusa di aver narcotizzato con le benzodiazepine e derubato almeno 6 uomini tra i 27 e gli 80 anni, rischiava di trasformarsi in un ostacolo molto duro da superare sotto il profilo psicologico.

«Sono una persona molto presente a me stessa e da quel punto di vista non sento più alcun contraccolpo. Certo, è stata dura: mi sono svegliato all'ospedale di Torino, dopo essere caduto in stato di incoscienza. Pensavano fossi ubriaco, mi hanno raccolto in zona stazione, ma di alcolici non c'erano tracce nel sangue, in realtà quella donna mi ha drogato per impossessarsi dei miei oggetti preziosi». 

I due, vittima e truffatrice, si erano conosciuti via social: «Era una conoscenza maturata su Facebook, tramite chat. Solo un'amicizia, niente sesso, niente rapporti sentimentali, nemmeno platonici - racconta l'uomo -. In una occasione ci eravamo anche visti di persona e non era successo nulla. Poi, quando le ho manifestato l'intenzione di vendere una collezione di monete d'oro, chiedendole se ci fosse qualcuno di sua conoscenza interessato, mi disse di aver trovato l'acquirente». I due finiscono così a Torino, dove avrebbero dovuto incontrare il potenziale compratore.

 «Avevo lasciato le monete custodite in macchina, sotto casa di questa donna. Quando mi sono svegliato in ospedale, non avevo più le chiavi della vettura e poi ho scoperto che parte della collezione era sparita. Sono venuti i miei figli a prendermi. Ho fatto denuncia e con lei non ho più avuto rapporti. Faccio fatica a trovare una logica nel suo comportamento, come credeva di farla franca?» La donna è accusata di avergli fatto sparire, parte dei suoi oggetti preziosi (alcuni sono stati ritrovati) e di aver fatto spese per 4 mila euro con la sua carta di credito.

Anche un 67enne di Mariano Comense si è imbattuto tramite social network in Tiziana Morandi: «Ci siamo conosciuti chattando e ci eravamo anche incontrati una prima volta in un centro commerciale, assieme a due suoi amici. In quel caso non era successo nulla di che, un caffè, qualche chiacchiera, insomma sembrava finita lì. In un'altra occasione, invece, mi ha invitato a casa sua. Dopo aver bevuto un aranciata, sono crollato in catalessi. Poi, non so come, mi sono risvegliato a casa mia. Non avevo più la catenina d'oro che portavo al collo, e poi, dopo aver fatto l'estratto conto, mi sono accorto che mancavano 250 euro dal conto corrente».

La 47enne brianzola, nullafacente, è stata arrestata e condotta a in carcere a San Vittore con l'accusa di rapina aggravata e lesioni. Per procurarsi il sedativo, la donna usava false prescrizioni mediche, raccontando di essere in cura psichiatrica. Le indagini dei carabinieri di Bellusco (Monza) sono partite nell'agosto 2021, quando un anziano 83enne di Roncello, trovato dal figlio in casa privo di sensi, era risultato positivo alla benzodiazepina. 

 Ai carabinieri aveva detto di essersi addormentato nella sua abitazione dopo aver bevuto una camomilla con una donna che si era presentata alla sua porta, con la scusa di una raccolta di fondi per beneficenza. 

Federico Berni per corriere.it il 2 agosto 2022.  

I pretesti per gli incontri erano vari: una raccolta benefica (falsa), una serata al cinema, un caffè o un aperitivo per conoscersi. Lo scopo era uno soltanto: drogare le bevande delle vittime con le benzodiazepine per narcotizzarle, e poi rubare loro anelli, gioielli, catenine d’oro, contanti. Sono sei gli episodi ricostruiti dai Carabinieri della Stazione di Bellusco che hanno arrestato Tiziana Morandi, una 47enne del Vimercatese, nullafacente, con l’accusa di rapina aggravata e lesioni.

La malvivente, che ha dei trascorsi per furto e circonvenzione di incapaci, agiva indisturbata nell’appartamento delle vittime, sia anziane che giovani, portando via tutto quello che di prezioso riusciva a trovare. Per procurarsi il sedativo, la donna usava false prescrizioni mediche che esibiva all’occorrenza in pronto soccorso millantando di essere in cura psichiatrica. 

Le indagini dei militari della compagnia di Bellusco sono partite nell’agosto 2021, quando un 83enne di Roncello era stato trovato dal figlio in casa privo di sensi. Trasportato al pronto soccorso dell’ospedale di Vimercate, da dove fortunatamente era stato dimesso, l’anziano era risultato positivo alla benzodiazepina. Ai carabinieri aveva detto di essersi addormentato in casa dopo aver condiviso una camomilla con una donna che si era presentata alla sua porta con la scusa di una raccolta di soldi per beneficenza. Una volta risvegliatosi in ospedale, si era accorto di non avere più al collo la collana con alcune medagliette; sparita anche la fede nuziale.

Stesso modus operandi, nel mese di agosto 2021, a Roncello: un 84enne, abbordato dalla Morandi in un bar ed invitato a consumare una bevanda, si era ritrovato senza i 50 euro che aveva nel portafogli. Idem per un 67enne che aveva conosciuto la donna su Facebook: invitato a casa di lei per bere qualcosa in compagnia, era caduto in uno stato di sonnolenza. Si era poi svegliato a casa sua, senza ricordare ci fosse arrivato, e si era accorto di non indossare più la catenina al collo. Dopo alcuni giorni, si era visto addebitare sul proprio bancomat un prelievo di 250 euro effettuato presso uno sportello di Roncello a lui sconosciuto. 

I carabinieri hanno acquisito i referti medici dal Pronto soccorso di Vimercate di coloro che erano risultati positivi all’utilizzo dello psicofarmaco, riscontrando altri casi. In particolare, Tiziana Morandi aveva contattato, sempre tramite i social, altri due uomini. Nell’ottobre 2021, un 51enne della provincia di Milano, invitato al cinema per vedere l’ultimo film di «007», si era risvegliato in un lettino del pronto soccorso dell’ospedale, privo di circa 150 euro e positivo, anche lui, alla sostanza.

Analoga sorte ad un 27enne della Val Badia che si era spostato in Lombardia per conoscere la donna di persona dopo i primi approcci sui social. Una volta bevuta un’aranciata, era caduto in un sonno catatonico. Il giovane, dopo essersi ripreso, nel fare rientro in Trentino, durante il tragitto aveva cominciato ad accusare forti dolori addominali e conati di vomito, decidendo così di fermarsi all’ospedale di Rovereto. Lì si era accorto che dal proprio zaino mancavano 400 euro, si era sottoposto all’esame riscontrando la positività al farmaco. 

Ma il colpo grosso la Morandi lo ha fatto con un 71enne di origini irpine, il quale, nel parlare delle sue passioni, le aveva confidato di voler vendere la sua collezione di monete e pennini d’oro del valore di circa 80 mila euro. Lei gli aveva fatto credere di conoscere persone del settore per piazzare la merce, e lo aveva invitato a casa.

A giugno 2022, dopo averlo drogato, era riuscita ad utilizzare la sua carta di credito per acquistare 4mila euro di monili in oro presso una gioielleria, nonché capi di abbigliamento per un valore di circa 100 euro. Successivamente, facendogli credere di avere trovato un compratore per le monete, lo aveva convinto a prendere un treno per Torino. Qui l’uomo era finito all’ospedale Umberto I. La preziosa collezione di monete e pennini? Sparita. Anche in questo caso, i medici avevano riscontrato la presenza di benzodiazepina. 

Ora Tiziana Morandi è finita in carcere, a San Vittore. In casa le sono stati trovati 10 pennini e 2 bracciali in oro; 2 flaconi di «delorazepam», 1 flacone di «sedivitax» e 2mila euro circa in contanti. 

Federico Berni per il “Corriere della Sera” il 10 agosto 2022.

La «mantide della Brianza»? Molto «provata» dalla detenzione, assicura il suo difensore, l'avvocata milanese Alessia Pontanani. Sofferente (rifiuta il cibo e avrebbe per questo accusato un calo drastico di peso) al punto che «si trova da giorni ricoverata in ospedale per problemi di salute, aggravati da quando si sono presentati i carabinieri a casa sua».

Ossia dal giorno in cui i militari della compagnia di Vimercate (Monza), agli ordini del maggiore Emanuele Amorosi, si sono presentati alla porta di Tiziana Morandi, 47enne indagata di lesioni e rapina per avere, secondo l'inchiesta condotta dal pm Carlo Cinque, narcotizzato e derubato almeno sei uomini, ed hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Monza Silvia Pansini.

La donna, secondo quanto riferito, avrebbe «perso sette chili», dopo essere finita «sotto choc» per i reati che vengono ipotizzati nei suoi confronti da uomini di età compresa tra i 27 e gli 84 anni. Secondo le indagini, le vittime venivano approcciate via Facebook, attirate dalla donna a casa sua (una villetta di proprietà in Brianza che condivideva con i suoi due cani pastori tedeschi per i quali «è molto preoccupata»), addormentati con delle bevande allungate con le benzodiazepine, e poi derubati di catenine, anelli, oggetti d'oro, soldi contanti.

«Sono accuse e vicende ancora tutte da chiarire - ha spiegato ieri il legale al telefono -. In generale si tratta di fatti di entità modesta, forse qualche oggetto potrebbe esserle stato regalato dalle vittime stesse, a parte una collezione di monete, sul cui reale valore bisogna fare accertamenti». Secondo quanto ricostruito, Tiziana Morandi, che ha frequentato il liceo artistico a Como e poi ha interrotto gli studi universitari, per mantenersi praticava massaggi in casa: attività che pubblicizzava sui social. La difesa assicura che non si trattava di prostituzione, e che le stesse vittime erano legate da «rapporti di amicizia e basta». 

La Morandi stessa, secondo quanto riferito dall'avvocato, subito dopo l'arresto, avrebbe ipotizzato che la moglie di qualcuno di questi «amici» potrebbe essersi ingelosita dalle frequentazioni della sua casa degli stessi («chissà cosa si sono messi in testa», si sarebbe sfogata). La figura avvenente della 47enne ostentata su Facebook (che tuttavia - dice chi la conosce - non rispecchia il suo reale aspetto fisico, minuto e probabilmente condizionato da una salute precaria) potrebbe aver scatenato delle gelosie, ma nessuna donna si è mai presentata a denunciare i fatti ai carabinieri.

L'accusa, inoltre, sostiene che Tiziana Morandi si procurava i farmaci con false prescrizioni (due ricette sono state poste sotto sequestrato), ma, sempre secondo l'avvocato la presenza di sedativi e tranquillanti in casa era dovuta a «problemi di salute pregressi» dovuti a presunte crisi di panico. Il primo difensore dell'indagata, nominato d'ufficio, aveva chiesto l'alleggerimento della misura cautelare dalla detenzione agli arresti domiciliari (la madre sarebbe disposta ad accoglierla in casa), ma il gip aveva respinto. Per il momento, Tiziana Morandi si trova dunque in ospedale, convinta di essere vittima «di un grande equivoco». 

Estratto dell'articolo di Giuseppe Scarpa per “la Repubblica – Edizione Roma” l'1 maggio 2022.

La truffa sentimentale. Illudere una persona di voler costruire un rapporto, in realtà l'obiettivo è rubare quanti più soldi possibile. Adesso, però, giocare con i sentimenti diventa un reato e può costare caro. Si rischia il carcere. Così a Roma una ragazza è indagata per truffa. Un fatto singolare - di solito in questi casi gli inquirenti contestano la circonvenzione d'incapace - eppure il pm ha deciso di optare per altro. 

La vittima, infatti, non era un soggetto «incapace di intendere e di volere». Non era una persona fragile. Ma, semplicemente, un ragazzo che è stato raggirato ad arte da parte di una truffatrice. Questa la tesi. [...] 

Ecco la nuova storia: il caso va in scena a Roma nel 2019. Lei è una giovane romena, bella, mora, ha 26 anni. Magdalena Tafta. Lui, 50 anni, si innamora perdutamente. Lei capisce e se ne approfitta. La 26enne gli fa perdere la testa e inizia a chiedere soldi. Il denaro e la leva che Tafta (difesa dall'avvocato Stefano Giorgio) utilizza per incontrarlo. Niente denaro, niente passeggiate assieme.

I due, nei messaggi che si scambiano, si chiamano "amore", si mandano i cuoricini. Di fatto, si frequentano saltuariamente, nonostante lui chieda di vederla spesso. La 26enne declina, inventa scuse: «Non sto bene, non riesco a venire». Lei, però, accetta di uscire solo quando è certa di incassare qualche cosa.[...] 

La vittima, alla fine rinsavisce. Capisce di essere stato imbrogliato e la denuncia. Così scrive il pm nel capo d'imputazione: Tafta inviava «messaggi dal contenuto sentimentale tesi a prospettare (...) un progetto di vita in comune» . Adesso la procura ha chiuso l'indagine. Per Tafta si prospetta all'orizzonte un processo. Con i sentimenti non si scherza. 

(ANSA il 28 aprile 2022) - La Guardia di Finanza di Monza ha sequestrato denaro e altre disponibilità a due donne, una residente a Vimercate (Monza), e una in provincia di Cagliari, perché indagate con l'ipotesi di aver truffato per oltre 15 anni un giocatore di Serie B di pallavolo, Roberto Cazzaniga, facendogli credere di essere fidanzato con una modella brasiliana.

Il sequestro preventivo di beni, eseguito dalle Fiamme Gialle su delega della Procura della Repubblica di Monza, riguarda una minima parte dei 600 mila euro che sarebbero stati sottratti all'uomo con diversi stratagemmi. Il reato contestato per entrambe le donne è di truffa aggravata e continuata.

Federico Berni e Alessandro Fulloni per il "Corriere della Sera" il 29 aprile 2022.

Un «sequestro preventivo», su conti correnti bancari e postali in gran parte «già completamente svuotati», di 74.595 euro. Ma gli altri 520.000 euro, quelli regalati, tra il 2008 e il 2016, alla donna di cui si era perdutamente innamorato - mai vista dal vero e per oltre 13 anni contattata solo telefonicamente -, Roberto Cazzaniga, il 42enne giocatore di pallavolo brianzolo vittima di un clamoroso raggiro sentimentale, non li rivedrà mai più. I reati commessi in quel periodo e su cui indaga la Procura di Monza sono prescritti. Resta però in piedi quello, proseguito sino allo scorso anno, di truffa.

Ieri l'inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza è giunta a una svolta. Il gip Silvia Pansini ha congelato i conti delle due indagate. Una è Valeria Satta, 39enne disoccupata di Cagliari e, soprattutto, la «voce» che aveva fatto perdere la testa a Roberto dopo essersi presentata come la modella brasiliana Alessandra Ambrosio, del tutto ignara, invece, del coinvolgimento in questa storia.

L'altra donna sotto inchiesta, sempre per truffa, è Manuela Passero, 33 anni, monzese, amica di Roberto e quella che ha dato il via alla trappola, dicendogli della presunta top model che lo voleva conoscere.

L'imbroglio, orchestrato in ogni dettaglio, è scattato quando Passero ha mostrato al giocatore le foto di «Maya», finto nome della sedicente modella. Per fugare le incertezze iniziali, gli ha anche mostrato - si legge nelle carte giudiziarie - «un'asserita carta d'identità» con false generalità: quelle di «Maya Alina Alessandra Ambrosio Mancini».

Comincia così quella che per Cazzaniga era una storia d'amore ma che invece è stato solo un inganno che lo ha portato sul lastrico, costringendolo a elemosinare aiuti ai familiari e ai compagni del «New volley Gioia del Colle», la squadra dove gioca ora in Serie B, dopo un passato in Superlega e in azzurro.

I finanzieri hanno ricostruito circa 1.400 transazioni attraverso le quali Roberto ha trasferito alla Satta oltre 600.000 euro - tra il 2008 e il 2021 - con ricariche su più carte postepay (tra i 200 e i 3.000 euro) e con bonifici.

Ascoltati dagli investigatori, genitori e amici del giocatore hanno descritto ogni passo della truffa. Secondo la madre, Gesuina, suo figlio «era circondato da persone che volutamente gli impedivano che avessimo normali rapporti» con lui.

E il padre Gian Paolo, «nel ripensare a quanto successo», ritiene che «anche la scelta di Roberto di accettare l'offerta di andare a giocare in una squadra così lontana fosse dovuta al fatto di non volere intromissioni».

Non solo. «L'incessante bisogno di danaro», ha proseguito il genitore, era motivato con scuse tipo che «non era pagato abbastanza» e che «aveva investito in fondi arabi», restando senza cash.

Se la relazione è rimasta a distanza, e solo telefonica, è perché Maya ha detto a Roberto di soffrire di una «grave malattia cardiaca» e di «avere patologie immunodepressive tali da proibire contatti con estranei».

Quanto «all'indigenza economica» di cui lei parlava ossessivamente, era dovuta al «blocco dei conti correnti familiari» per una situazione ereditaria seguita alla morte dei bisnonni.

La finta modella ha cominciato così a spillargli soldi per «farmaci, visite specialistiche, interventi chirurgici» e spesso è stata Passero ad accompagnarlo alle Poste per sincerarsi dei versamenti.

Per gli investigatori la finta malattia di Maya è lo snodo cruciale della truffa. Agli inquirenti, il pallavolista ha detto che «quando provavo ad andare un po' più a "muso duro" con lei» per chiedere spiegazioni, Maya rispondeva «che stava male; io allora, angosciato, mi fermavo. Un giorno il telefono fu preso da sua madre per dirmi che la figlia era svenuta».

Addirittura, quella volta che Roberto accennò alla restituzione dei soldi, la «voce» di cui si era invaghito lo liquidò così: «Se sto male è solo per colpa tua e se insisti vado a denunciarti ai carabinieri: stai facendo peggiorare le mie condizioni». 

Manipolazione emotiva, cos'è e come difendersi. Maria Girardi il 15 Aprile 2022 su Il Giornale.

Sono aggressivi, hanno una scarsa autostima e soffrono di vittimismo. Ecco chi sono i dominatori dai quali è bene imparare a difendersi.

È un problema molto più diffuso di quanto si possa credere. Stiamo parlando della manipolazione emotiva che si verifica nel momento in cui un soggetto perennemente alla ricerca del proprio tornaconto, utilizzando tecniche persuasive, riesce a convincere un altro individuo a fare ciò che desidera. Caratteristiche comuni dei persuasori sono senza dubbio la spiccata capacità oratoria e l'abilità nello scovare le debolezze del proprio interlocutore che diviene una vera e propria vittima. In quanto tale, infatti, inizia a trascurare le esigenze personali di qualsivoglia natura per poi, smarrita definitivamente l'autostima, rinchiudersi in una bolla fatta di tristezza e di solitudine. Non è raro che i perseguitati finiscano per difendere i propri aguzzini, sentendosi addirittura in colpa per la situazione che si è generata. Come riconoscere la manipolazione emotiva? È possibile difendersi dalla stessa? Gli esperti di Guidapsicologi.it ci illuminano a riguardo.

Come riconoscere la manipolazione emotiva 

La manipolazione emotiva, sebbene contempli sempre le solite caratteristiche, alle volte non è semplice da smascherare. Il primo passo che compie il sogetto dominante è quello di studiare con attenzione la vittima al fine di sfruttare ogni sua più piccola fragilità. Ma qual è il profilo psicologico dei manipolatori? Si tratta di persone con una bassa autostima,

Come coltivare l'autostima

con una insicurezza marcata che li spinge a mostrare un'immagine di sé opposta. Nei confronti del prossimo essi si pongono in maniera brusca e tale aggressività (attiva o passiva) è facilmente intuibile osservando le loro cosiddette abilità sociali. Essendo privi o quasi di assertività, coloro che esercitano la manipolazione emotiva ricorrono al ricatto per ottenere ciò che vogliono. Ma non solo. I dominatori non si sentono a proprio agio negli ambienti che li circondano (famiglia, lavoro, relazioni) e pertanto si trincerano dietro una inespugnabile rigidità: giudicano gli altri e vogliono dimostrare di avere sempre ragione su tutto.

Hanno altresì una scarsa tolleranza alla frustrazione e le loro reazioni solitamente sono guidate dalla rabbia, dall'essere costantemente sul chi va là. Riversano su chi hanno dinanzi critiche distruttive, sono estremamente esigenti e alimentano il proprio ego mediante la manipolazione emotiva perché solo così riescono a percepire una sensazione di controllo e di potere. Gli individui dominanti, infine, ricorrono al vittimismo e pertanto tendono ad esacerbare sentimenti e comportamenti talora inesistenti.

Quando la manipolazione emotiva è un problema personale 

Riconoscere di esercitare una manipolazione emotiva sul prossimo non è scontato. Serve innanzitutto una minima capacità di autoanalisi che si concretizzerà, in primis, con il valutare la tipologia di relazioni intrattenute con il partner, con la famiglia e con gli amici. Ci si deve chiedere se le stesse siano soddisfacenti o meno o se esista qualche forma di dipendenza. Scattato il campanello di allarme è bene interrogarsi sulla reale volontà di cambiare e, ottenuta questa consapevolezza, il passo decisivo è quello di chiedere aiuto ad uno psicoterapeuta.

De Marchi, liberale "eretico" che cambiò la psicoterapia

Il percorso di analisi consentirà al manipolatore di dare voce alle proprie insicurezze, di elaborare i comportamenti aggressivi e di imparare a soddisfare i bisogni personali senza prevaricare sugli altri. Inutile dire che questo processo richiede un grande impegno mentale, ma la pace interiore che si conquista a lavoro terminato ripaga tutte le difficoltà che si sono dovute affrontare.

Come difendersi dalla manipolazione emotiva 

Imparare a difendersi dalla manipolazione emotiva significa riprendere in mano le redini della propria esistenza e tornare a respirare senza affanno. Ecco alcuni utili suggerimenti:

Consapevolezza: capire che si sta subendo una manipolazione è il passo principale da compiere;

No ai sensi di colpa: si ha il diritto di non soddisfare le esigenze altrui. Il dominatore soffre di problematiche psicologiche delle quali non ci si deve sentire responsabili;

Lavorare sull'autostima: avere una maggiore consapevolezza di sé, incluse le zone d'ombra, è fondamentale per non farsi scalfire dai colpi del dominatore;

Allenare l'assertività: la risolutezza aiuta a formulare il messaggio che si vuole trasmettere al dominatore poiché, grazie ad essa, è possibile instaurare una comunicazione verbale amichevole, naturale e rispettosa che consolida le emozioni di entrambi gli interlocutori;

Stabilire dei limiti: essi devono essere posti in maniera chiara e ferma. Il loro rispetto permette al manipolatore di rendersi conto di stare sprecando del tempo in qualcosa dalla quale non trarrà alcun tipo di beneficio;

Trattare: in alcuni casi esaudire la richiesta del dominatore non implica molti sacrifici. In queste situazioni è bene avvalersi della negoziazione per far sì che entrambe le parti possano trarre vantaggio.

Truffe amorose per estorcere denaro: dopo il caso Flavia Vento "ecco perché in tanti ne sono vittime". Veronica Mazza su La Repubblica il 21 Gennaio 2022.  

Tutto inizia con un like, e finisce con una truffa online, architettata per estorcere denaro. Che oltre ai danni economici lascia una scia di danni emotivi e psicologici gravi. Il parere della psicologa e sette consigli per non cadere nelle trappole. 

Sembra amore, invece è un raggiro. Si chiamano romance scam, truffe amorose online ben architettate allo scopo di estorcere denaro, che lasciano non solo conti bancari a secco, ma soprattutto cuori spezzati e danni emotivi e psicologici, con scie di depressione, ansia e senso di sfiducia nei confronti del prossimo. Si parte sempre da un like o da una richiesta di amicizia, sulle app di dating oppure sui social, con profili falsi costruiti ad arte - dai soldati americani ai manager in carriera fino all’avvenenti ed esotiche straniere - che dimostrano un acceso e improvviso interesse per la vittima. Piano piano, con pazienza e dovizia, si mette in scena un corteggiamento serrato a distanza, fatto di manipolazioni e di false promesse, che può durare anche mesi. Il fine è far credere che si è follemente innamorati e desiderosi di creare una relazione affettiva seria e duratura. E una volta guadagnata la fiducia della preda e conquistato il suo amore, ecco che iniziano le richieste di soldi e aiuti materiali, per sostenerli in un momento di grave difficoltà, che continua a ripetersi nel tempo e non sembra mai finire. Un lungo calvario, a cui la vittima ha difficoltà a sottrarsi, perché ormai troppo coinvolta in questa storia che pensa sia vera e piena di buoni sentimenti. E spesso per vergogna o pudicizia, chi si trova a che fare con questi criminali subisce senza chiedere aiuto a familiari e amici, nascondendo a tutti i continui e consistenti esborsi economici.

Le truffe del cuore sono più diffuse di quanto si possa immaginare: nel 2021 le vittime sono state più di 300 e le cifre elargite ai loro seduttori o seduttrici sono ben 4,5 milioni di euro. Un fenomeno criminale in crescita, con un aumento del 118% rispetto all'anno precedente, che continua a riempire le pagine di cronaca. Come il recente caso dell’imprenditore veneto Claudio Formenton rapito per tre giorni in Costa d’Avorio, dove era volato per incontrare Olivia, la donna conosciuta online e di cui si era innamorato. A cadere in questo tipo di truffe amorose abilmente orchestrate sono stati anche personaggi noti come il pallavolista Roberto Cazzaniga, la showgirl Flavia Vento, sedotta da un finto Tom Cruise, e anche Pamela Prati con il famoso caso del fantomatico Mark Caltagirone, con il quale doveva convolare a nozze. Una soap drammatica che per mesi ha tenuto banco sui giornali e in tv, una delle storie più clamorose, tra le tante che purtroppo accadono, a cui ha dato spesso voce anche la Sciarelli nel suo programma “Chi l’ha visto”. A farne le spese sembrano essere più le donne rispetto agli uomini e per capire come evitare di cadere in questi imbrogli sentimentali abbiamo intervistato Maria Claudia Biscione, psicologa e psicoterapeuta, che ci ha dato anche dei consigli per smascherare queste truffe sentimentali. 

Le truffe sentimentali sono più diffuse che mai, perché questo tipo di raggiro sta prendendo sempre più piede?

“Intanto perché avviene attraverso una modalità, internet, trasversale a tutti e sempre più usata per incontrare anime gemelle e non solo. Rispetto al passato, dove queste truffe erano perpetrate dal vivo con tempi nettamente più lunghi e maggior rischi visto che bisognava metterci la propria faccia, lo strumento virtuale consente meglio di rubare identità, costruire strategie di manipolazione e di raggiro che portano alle “romance scam”. L'online, inoltre, si presta molto bene anche a micro-truffe, poiché aumenta il numero dei truffatori che le mettono in atto e, di conseguenza, il numero delle vittime”. 

Quali sono i motivi psicologici che portano una persona a cadere nella trappola delle romance scam?

“Sicuramente il bisogno di contrastare un senso profondo di solitudine. Il desiderio di avere un legame speciale, un amore, una relazione duratura tendono ad abbassare le difese di fronte a qualcuno che ben sa “vendere” le parole e agganciare proprio sul bisogno di essere desiderati e amati. Chi crea questo tipo di truffa sa bene come sedurre le sue vittime e soprattutto è in grado di insinuarsi in quei varchi di debolezza per creare l'illusione amorosa e, quindi, l'inganno. Paradossalmente, la lontananza rafforza questo sistema di manipolazione. Perché, è proprio la distanza fisica che può lasciare spazio all’idealizzazione dell’altro. Per di più, i messaggi sono tutti finalizzati al far sentire importanti, belli, ascoltati, capiti. Così, quando a un certo punto, colui o colei che ti ha conquistato fiducia e cuore, incappa in una serie di "difficoltà" e ha bisogno di aiuto, tu sei già senza difese e con il portafogli in mano”.

Proviamo a tracciare un “profilo” delle possibili vittime…

“Sembrerebbero essere in prevalenze donne, ma gli uomini non ne sono esenti, sia single che dentro relazioni insoddisfacenti, in cerca di avventure adrenaliniche o di un amore romantico che possa dare un po’ di colore alla loro vita monotona e infelice. Le vittime, che possono provenire da contesti socioeconomici e livelli di scolarizzazione eterogenei, hanno forse in comune una certa tendenza ad essere più impulsive e fiduciose negli altri rispetto alla media e, sicuramente, un grande bisogno di credere a qualcuno di speciale, caratteristiche che le vedono più ricettive e facili prede di questi amanti virtuali. Le dipendenti affettive sono certamente quelle più a rischio perché, nel loro estremo bisogno di avere una relazione, sono più fragili e manipolabili e maggiormente a rischio di minimizzare o non vedere segnali anche chiari di truffa e simulazione. Infine, la presenza quotidiana e costante dei truffatori è come una droga, che giorno dopo giorno, conquista, riempie e a cui si fa molta fatica a rinunciare anche lì dove si percepisce che c'è qualcosa che non convince pienamente”.

Ci sono dei segnali, delle bandiere rosse a cui prestare attenzione, che possono allertarci ed evitare di diventare preda di questi impostori?

“L'obiettivo delle truffe amorose è sempre di tipo economico. Per cui il primo campanello di allarme è quello della richiesta di soldi, che in genere viene ben costruita attraverso storie commoventi (incidenti, malattie, ricatti, crack finanziario, etc), in cui la promessa di viversi il sogno d'amore passa sempre necessariamente attraverso la risoluzione di un problema economico. Tutto l'inganno, dopo aver lungamente e pazientemente corteggiato e conquistato la fiducia della vittima, ruota attorno a questi continui ostacoli che fanno leva proprio sul desiderio di eliminarli per poter finalmente concretizzare il rapporto. Spesso, una volta ottenuta la prima somma di denaro, è facile che gli impedimenti al viversi pienamente la relazione reale aumentino di volta in volta e le richieste economiche pure, spostando l'agognato incontro sempre più in là. Un altro segnale importante è l'eccessiva enfasi e rapidità con cui si dichiarano i propri sentimenti. A fronte del non essersi mai incontrati e verificato per davvero i vari aspetti di compatibilità, si viene inondati da parole eccessive, intenzioni e promesse a lungo termine, che, se visti con un occhio più attento e lucido, dovrebbero far capire la difformità tra realtà e illusione. Anche il modo in cui si viene adescati può tanto indicare su questa possibile truffa. Spesso sono persone che spuntano fuori dal nulla, con nessun link con altre conoscenze, che irrompono nella vita delle vittime stordendole con parole lusinghiere e corteggiamenti serratissimi. Ultimo segnale, molto importante e da non sottovalutare mai, è la sensazione di disagio che si prova in fondo al cuore. Perché, per quanto ci si voglia illudere o desiderare qualcosa di ideale, per quanto il bisogno di un rapporto faccia essere completamente decentrati, quando le parole d'amore non sono reali una parte di sé lo comprende bene, perché non nutrono, non riempiono ma, anzi, spesso, agitano soltanto le emozioni e frustrano i bisogni”. 

Cosa fare invece se stiamo vivendo una truffa del cuore?

“Se si realizza di essere vittima di un romance scam, la prima cosa è interrompere ogni forma di pagamento e fare subito una denuncia alla polizia.

È importante inoltre non minacciare o anticipare al truffatore le azioni che si intendono intraprendere. Meglio bloccarlo su tutti i canali e agire per impedire eventuali altre sottrazioni di denaro. È bene ricordarsi di non inviare mai foto e video hot, anche dietro suppliche, perché potrebbero essere elementi ricattatori nel momento in cui ci si volesse tirare indietro. Spesso, poi, in queste situazioni, ancor più dei possibili danni economici, molto è il danno di natura emotiva nel sentirsi defraudati della propria fiducia, nel vedere la propria intimità violata e derisa. È fondamentale quindi farsi aiutare, parlarne con un esperto, soprattutto per capire come e cosa ha dato spazio al truffatore. Comprendere i propri meccanismi e funzionamenti relazionali è il miglior modo per rompere uno schema disfunzionale ed emotivamente pericoloso ed imparare a costruire un copione più sano e protettivo”. 

E se conosciamo qualcuno che sta vivendo questo tipo di situazione, che si supporto possiamo dare?

“Intanto è importante capire se la vittima è cosciente oppure no di essere caduta in una trappola amorosa. Perché se è ancora nella fase di credere al suo truffatore, allora bisogna accompagnarla a questa consapevolezza delicatamente per non correre il rischio che, infastidita da parole troppo dirette, ci tenga fuori da questa storia. È cruciale non farle sentire il nostro biasimo o giudizio, ma porre delle domande aperte e stimolare delle riflessioni, che possano far emergere dei dubbi e via via la verità su ciò che sta accadendo. Ricordiamoci, inoltre, che quando si realizza di essere stati truffati, o di essere vittima di un raggiro a sfondo sessuale, purtroppo, spesso, la vergogna, la mortificazione, l'angoscia, la rabbia sono i sentimenti prevalenti, oltre che la paura che vengano coinvolti, per esempio con ricatti, i propri familiari. Questo è uno dei motivi per cui sovente non si denuncia e del perché le truffe amorose sono cosi frequenti. Se, poi, la vittima non vuole sentir ragione e se la sua situazione finanziaria è messa in forte pericolo, ci si può anche rivolgere alle autorità competenti per la tutela degli adulti in casi come questi”.

7 consigli anti truffe amorose

Può succedere a tutti. Non bisogna sottovalutare la grande abilità comunicativa di questi personaggi che si dimostrano “reali” e che con grande maestria riescono ad insinuarsi nella vita della vittima. Le storie strappalacrime che spesso raccontano, unite a una creatività davvero incredibile, possono, più facilmente di quanto si creda, far breccia in momenti di maggior instabilità, fragilità, che appartengono ad ognuno di noi.

No “caramelle” dagli sconosciuti. Di fronte a richieste di amicizia di sconosciuti, specie quando risiedono all'estero è sempre bene insospettirsi. E' importante porre attenzione, soprattutto, quando mostrano sin da subito di avere interessi comuni e cercano di sedurre parlando delle tue passioni perché, è probabile, che, prima di contattarti, abbiano studiato il tuo profilo.

Attenzione al “Love bombing”. Termine coniato per illustrare il plagio effettuato su qualcuno che viene messo al centro di una girandola di attenzioni affettuose. Questo bombardamento di amore ha lo scopo preciso di far sentire la persona unica, speciale, capita e in totale condivisione e allineamento con valori e sogni, provocando una sensazione di euforia, appagamento, eccitazione, che può rendere “dipendenti”, tanto da far prevalere completamente la parte emotiva su quella razionale.

Mai dare soldi. Aiutare qualcuno in difficoltà è un gesto nobile, ma bisogna diffidare di chi chiede aiuto in nome di un rapporto, di fatto, solo virtuale. Se proprio si vuol spedire del denaro, che lo si faccia, almeno, con un bonifico internazionale. In caso si cambiasse idea, può essere revocato entro qualche giorno. Tenere, inoltre, sempre traccia di tutte le chat e dei pagamenti. Serviranno eventualmente a denunciare la truffa, anche se riavere i soldi prestati risultasse impossibile.

Prima di raccontare dettagli privati va verificato che il profilo dell’interlocutore sia autentico. Esistono molti siti su internet in cui controllare quali sono i profili più usati con foto rubate.

Non renderti ricattabile. Purtroppo, le confidenze fatte via chat, le immagini o le frasi condivise con superficialità (carpite anche attraverso screenshot) seppur nella piena fiducia con lo spasimante, diventano il veicolo attraverso il quale minacciare di rendere tutto pubblico e attuare estorsioni (sextortion, revenge porn) in caso di mancato pagamento.

Diffida sempre di chi non ti “può” incontrare mai. Non esiste un rapporto senza contatto, senza vedersi in faccia, annusarsi, abbracciarsi, baciarsi. Una storia dove non si verifica mai ciò che si sente attraverso la chimica, data solo dalla vicinanza e da quella speciale “prima impressione” che si ottiene dal vivo. Se sei ingabbiata in una relazione fatta di parole e di promesse sempre vane e di incontri rinviati costantemente, allora sei dentro una bolla di finzione.

Perché continuiamo a cadere negli amori tossici? C’è una spiegazione (e una via d’uscita). Giancarlo Dimaggio su Il Corriere della Sera il 23 Gennaio 2022.

Storia di Maddalena, e di tante e tanti come lei, prigioniera di un legame che la fa stare male ma dal quale non riesce a liberarsi. Perché, spiega lo psicoterapeuta, il vincolo relazionale malato rimanda a «uno schema interno». Sciogliere quel vincolo costa dolore e impegno. Ma il solvente esiste. 

Questo articolo è stato pubblicato sul magazine 7 in edicola venerdì 21 gennaio. Lo proponiamo online per i lettori di Corriere.it. Buona lettura

Una via d’uscita esiste. La porta d’entrata l’aveva decisa l’evoluzione. Siamo disegnati per avere necessità degli altri. Siamo costruiti per desiderare, per aspettarci qualcosa. Nei momenti di sofferenza speriamo nell’arrivo di soccorso, coperte, cibo e un bacio sulla fronte da una figura protettiva. È il sistema dell’attaccamento. In presenza di risorse limitate ci aspettiamo che ci assegnino un posto nella gerarchia sociale che definisca l’ordine d’accesso, e se lottiamo per conquistarlo serve che qualcuno riconosca il nostro valore. Se esploriamo l’ambiente alla ricerca di cibo, rifugi, partner per l’accoppiamento e, in modo più evoluto, nutrimento per la conoscenza, chiediamo che ci venga lasciata libertà d’azione, che ci offrano risorse. Mamma, papà, mi accompagnate al parco avventura? Se ci sentiamo soli abbiamo bisogno di andare incontro a un gruppo che ci includa, che ci dica: sei uno dei nostri. E infine, se ci muove il desiderio erotico, speriamo di incontrare partner che lo ricambino, in modo più o meno stabile e meglio se accompagnato da calore e scambi di tenerezze.

Le delusioni sistematiche

L’entrata nelle relazioni tossiche inizia quando siamo guidati da almeno una di queste spinte relazionali e ci aspettiamo che l’altro, almeno in una certa misura, la soddisfi. Entro certi limiti. Quando è possibile. Ma con una certa prevedibilità e affidabilità. È una speranza normale, umana, che siamo costruiti per coltivare. Se le persone a cui ci rivolgiamo deludono in modo sistematico le nostre aspettative la sofferenza psicologica è inevitabile. Volevo cure e mi hai trascurato. Avevo bisogno di sentirmi dire brava e mi hai detto: quel vestito ti sta male, e comunque il tuo lavoro non è granché. Volevo candidarmi per un posto di lavoro bello, stimolante e mi hai detto che non era il caso, che lo avresti preso come un tradimento. A fronte di queste risposte che reazioni possiamo sperimentare? Tristezza, vergogna, frustrazione, rabbia, a volte colpa. Sono emozioni dolorose, inevitabili, congrue. Fanno il lavoro delle emozioni: ci segnalano il rapporto tra i nostri scopi e lo stato del mondo. Ci dicono che qualcosa alla quale tendevamo sta andando male. La porta d’ingresso in una relazione tossica è quando questa frustrazione relazionale si cronicizza. Cosa significa? Che a un certo punto abbiamo informazione sufficiente a prevedere che la delusione che abbiamo sperimentato oggi si ripresenterà domani. Sappiamo che a fronte delle nostre richieste di cure, conforto, supporto o apprezzamento quella persona a noi tanto cara risponderà con disinteresse, distanza, disprezzo, assenza o, semplicemente, scomparirà per un po’ per riaffacciarsi quando ormai la ferita abbiamo dovuto curarla da soli.

Le reazioni: rinuncia, sottomissione, protesta rabbiosa

Ma nel frattempo, mossi da quella ferita, avremo già risposto. In una varietà di modi: rinuncia, sottomissione, protesta rabbiosa, controllo ossessivo (si è connesso a WhatsApp? Quella storia su Instagram... non mi aveva detto che era lì). E, attenzione, nessuna di queste reazioni migliora l’andamento della relazione. Anzi, spesso ne inasprisce il sapore. Eppure, non ci stacchiamo. Sperimentiamo sofferenza e spesso ne causiamo in un circuito che si autoalimenta. Noi psicoterapeuti lo chiamiamo ciclo interpersonale disfunzionale. Solo una soluzione rimane impensabile: staccarsi. È la più logica, sensata, ha la promessa della leggerezza e della libertà eppure niente, siamo ancora lì a dannarci l’anima e piangere e urlare e chiedere e restare a pensarci su ancora e ancora prima di dormire. Perché?

Ragionevolezza perduta

La porta di uscita non è: trovare una nuova via di comunicazione. Non è: sperare che l’altro, che ha già dato prova di inaffidabilità, si è mostrato fonte di frustrazione permanente, cambi. Questo incrementa lo spasimo, nutre l’ossessione, imprigiona. Dov’è, allora, il sentiero per liberarsi? Intanto serve una definizione. Possiamo dire che una relazione è tossica quando una persona, pure avendo i mezzi e gli strumenti per svincolarsi da un partner fonte in maniera provata di dolore e frustrazione cronici, permane nel rapporto. Contro ogni ragionevolezza. Certo, in alcuni casi staccarsi è difficile perché la realtà pone vincoli. Mancanza di lavoro o di una casa in cui trasferirsi. A volte l’altro, oltre a frustrare i nostri bisogni è aggressivo, violento, minaccioso. Lì svincolarsi richiede supporto esterno. Ma è un altro discorso, queste non sono relazioni tossiche, queste sono relazioni pericolose e non per come le intendeva Choderlos de Laclos. E allora, come svincolarsi da una relazione tossica? Il primo passo è la consapevolezza. Ovvero, capire cosa ci vincola a quella relazione. È un sapere di tipo semplice, spietato e liberatorio: la nostra sofferenza non dipende da quella relazione. Ma dalla struttura interna delle nostre aspettative. Che significa? Che tutti noi entriamo nelle relazioni guidati da un sistema di aspettative e previsioni apprese, cariche di affetti. Noi psicoterapeuti cognitivisti li chiamiamo: schemi interpersonali. I colleghi psicoanalisti: relazioni oggettuali. La sostanza non cambia. Siamo portati a legarci a figure che, in un certo modo, riproducono il modo in cui abbiamo imparato a essere trattati nel corso dello sviluppo. Se sono stato trascurato, facilmente mi legherò o a persone fredde o cercherò l’opposto, una persona estremamente calda e disponibile, ma mai sarò completamente acquietato, il gelo è dietro l’angolo. Se sono stato allevato a critiche e disprezzo cercherò persone intelligenti e ciniche (o solo ciniche, succede). E proprio da loro mi aspetterò un finale diverso, finale che, purtroppo nessuno sceneggiatore mai scrive.

I gatti con la stufa

Guidati dagli schemi raggiungiamo una saggezza mai superiore a quella dei gatti. Il nostro micio una volta scottato non si avvicina più alla stufa, neanche fredda. Chi è cresciuto con un certo schema si scotta e torna continuamente dalla stufa a dirle: «Ehi, perché mi hai bruciato? Che ti ho fatto di male? Non puoi trattarmi così». Poggia la mano. Si scotta ancora. Hanno svolto degli esperimenti interessanti (chiedete di Katja Bertsch, università di Monaco). Le partecipanti erano donne affette da un problema conosciuto come disturbo borderline di personalità, la tendenza a sperimentare vuoto, rabbia, disperazione, a entrare in relazioni instabili e intense e, quando le cose non funzionano, a farsi del male. Bene, a quelle donne venivano mostrate espressioni facciali con emozioni di vario tipo: alcune neutre, altre con vari gradi di rabbia. Quelle donne erano molto brave e veloci a riconoscere la rabbia, la fiutavano a livelli minimi. Non solo, avevano una certa facilità a leggere rabbia in espressioni neutre. La attribuivano, era nella loro mente già da prima e la leggevano laddove nel viso non c’era.

SIAMO PORTATI A LEGARCI A FIGURE CHE RIPRODUCONO IL MODO IN CUI ABBIAMO IMPARATO A ESSERE TRATTATI NEL CORSO DELLO SVILUPPO

Queste donne si sono scottate da piccole e hanno sviluppato un sistema di allerta ipertrofico: aggressività nell’aria, attenzione. Se il sistema poi suggerisse: scappa, andrebbe meglio. Certo, la sirena sempre accesa disturba, ma in teoria ci espone a meno rischi. Invece altri esperimenti completavano il puzzle. Donne affette dallo stesso problema, a fronte di espressioni facciali di rabbia, che tendenza avevano secondo voi? Allontanarsi (come saggezza imporrebbe) o avvicinarsi? Intuite la risposta, vero? Esatto, si approcciavano. Quelle facce per loro erano: interessanti. Catturavano la loro attenzione. Quelle facce le attraevano. E se nella realtà qualcuno le tratta in modo aggressivo? Esatto, restano lì, vincolate, in un mondo di attacchi e fughe, di graffi e insulti, ferite, perdite e strazi. Il collante che tiene insieme questi pezzi scaleni e taglienti non è la volontà dell’altro. È il proprio schema interno. Ecco la consapevolezza necessaria. La porta d’uscita si apre quando ci rendiamo conto che il vincolo relazionale nasce da dentro. La seconda consapevolezza è che sciogliere quel vincolo costa dolore e impegno. Ma il solvente esiste.

Un esempio da manuale

Maddalena si è innamorata, mi riferisce una collega di Bologna. Per la prima volta dopo non sa più quanti anni. È sposata, ha una figlia adolescente e il suo rapporto matrimoniale si regge, dice, sulla responsabilità materna. Incontra un uomo che la corteggia, la affascina, la seduce e lei che ha sempre scelto il dovere sopra l’istinto cede. «Me lo posso concedere, è normale, giusto dottoressa? Mia figlia ormai sta diventando grande». Lì iniziano i problemi. Lui è un ex-calciatore e cercava di aprire uno spa-hotel. La ama, la fa sentire unica, a Maddalena sembra di tornare a vivere. Poi le parla dei debiti che ha accumulato, delle depressioni in cui cade da quando i suoi sogni hanno iniziato a sfrangersi contro le scogliere aguzze della realtà. Maddalena s’intenerisce, gli presta denaro, i soldi che ha accumulato facendo gli straordinari, una garanzia per gli studi della figlia. Maddalena gli presta più soldi. Lui non migliora. Maddalena tenta di dire: no, non posso darti altro. Lui minaccia di farla finita. Maddalena gli presta più soldi. Si sente in colpa verso di lui, verso la figlia e il marito prova rabbia verso sé stessa. Lei, che ha passato una vita guidata dal controllo sugli impulsi, lo ha perso ed è sconvolta. Alla terapeuta chiede una soluzione per convincere quell’uomo a curarsi, a smettere di chiederle denaro. Questa non è la via d’uscita. Questo è il canale che amplifica la tossicità della relazione: focalizzarsi sulla speranza che l’altro cambi, dannarsi l’anima a tentare di convincerlo a comportarsi diversamente. La terapeuta le dice: «Maddalena, questo bisogno di avere amore da qualcuno che allo stesso tempo soffre e le chiede cure, arriva da qualche luogo lontano nel tempo?». Sì. Maddalena unisce i puntini. Vede la figura formarsi.

MADDALENA UNISCE I PUNTI. LA MADRE DEPRESSA PER LA PERDITA

DEL PRIMO FIGLIO, IL CONTINUO RICORDARLE LA SUA FUNZIONE DI DARE SOLLIEVO

Una madre depressa perché aveva perso il primo figlio in grembo. Un continuo ricordarle, da parte di entrambi i genitori, di quanto la sua nascita abbia dato momenti di sollievo alla mamma, peccato per le ricadute. Il padre, di suo, non ha mai incoraggiato l’indipendenza di Maddalena: mamma ha bisogno di te, io ho bisogno di te. Maddalena inizia a vedere quanto quel suo misto di onnipotenza curativa «solo io ero capace di tirare mamma fuori dai momenti bui» e colpa «non posso avere per me» la condizioni. Soprattutto, scopre la forza con cui ha appreso la regola: se io ho bisogno di cure, l’altro è assente. E allora quest’uomo folle e imprevedibile, romantico e predatore per lei è miele. Colui a cui chiedeva quello che non ha avuto: «Scrivi per me un finale diverso: smetti di soffrire e dammi l’amore e l’attenzione che meritavo». Con questa consapevolezza, la porta di uscita si dischiude. Maddalena smette di prestargli denaro che non riavrà mai e lentamente, con dolore, se ne allontana.

Giuseppe Scarpa per "il Messaggero" il 14 gennaio 2022.

Una nonnina di 77 anni ha regalato i suoi risparmi a un misterioso uomo, Mark Orion. Il mister x le prometteva, via social, amore eterno. La signora, vedova, in cambio di frasi sdolcinate e promesse di un immediato futuro assieme, apriva il portafoglio, fino a prosciugare il conto in banca. Quando la figlia dell'anziana romana ha scoperto che la madre, nel giro di sette mesi, aveva autorizzato bonifici per 40mila euro ha chiesto spiegazioni al genitore. La donna però, non solo le ha detto di essersi fidanzata, ma le ha chiesto un prestito per inviare altro denaro al suo Orion.

Adesso il pm Roberta Capponi e i carabinieri, in un'inchiesta per circonvenzione, stanno cercando di dare nome e cognome a Mark Orion con cui la pensionata ha a lungo chattato, ma che non ha mai visto e conosciuto. Sugar baby - sugar daddy, si può declinare anche al femminile, con la donna nelle vesti, non dell'abbindolatrice, ma nei panni della vittima. 

Insomma non si registrano solo i casi del nobile romano che si spoglia del suo patrimonio per regalarlo alla fidanzata dell'est Europa o dell'imprenditore veneto che va in Africa per conoscere una lady (con cui ha avuto conversazione via social) e viene rapito all'aeroporto da un gruppo di banditi. A Roma, tra dicembre del 2020 e giugno 2021, va in scena una storia a ruoli ribaltati: un'anziana si è spogliata della sua liquidazione per darla a un uomo conosciuto su Facebook. La signora ha incominciato a mandare soldi via Western Union, poi con dei bonifici.

Ad accorgersi che qualche cosa non andava è stata la direttrice delle poste che ha avvisato la famiglia della cliente. In pochi mesi erano partiti bonifici per 5mila euro, una volta in Francia, l'altra in Germania. Anche in questo caso la donna non aveva mai conosciuto l'uomo. Tuttavia i suoi messaggi erano sufficienti per convincerla a pagare. Quando la pensionata gli chiedeva di farsi vedere e di accendere la telecamera, lui ribatteva: «non funziona». Alla 77enne la risposta andava più che bene.

Scorrendo le chat si leggono messaggi come: «Ciao amore mio come stai? Non ho dormito tutta la notte sono preoccupato». «Tesoro - le scriveva sempre Orion - sono preoccupato per te, non oserò mai mentirti. Sono soldi tuoi fai quello che vuoi». Ma la 77enne aveva deciso che i suoi risparmi li voleva dare al suo compagno virtuale. E quando la figlia aveva iniziato a intromettersi per far naufragare la relazione, la madre aveva rassicurato Mark: «ho parlato con l'avvocato e gli ho detto che abbiamo intenzione di frequentarci». 

Lui che aveva capito che non avrebbe più potuto rubare altro denaro alla pensionata aveva tentato un ultimo colpo: «Stai rischiando molto, ho la possibilità di incassare 1 milione di euro, ma devo vincere la causa. Grazie a te lo posso fare. Sappi che nulla mi importa più del nostro amore. La fiducia è alla base del nostro rapporto è la cosa più importante». La figlia alla fine è riuscita a bloccare l'ultimo folle bonifico mandando in frantumi i progetti di Mark Orion e anche il cuore della madre che, dello sconosciuto mai visto, si era realmente invaghita.  

Giuseppe Scarpa per "il Messaggero" il 14 gennaio 2022.

Ufficialmente in Africa è andato per ragioni umanitarie. Ad aiutare i missionari. In realtà, il 25 novembre, in Costa D'Avorio un imprenditore veneto di 64 anni, Claudio Formenton, è andato per rincorrere una bella ragazza locale, Olivia Martens. L'esito finale di questa storia? L'uomo è stato sequestrato. 

Poi liberato dopo un blitz delle forze di polizia locali nel giro di un paio di giorni. Insomma, la lady conosciuta su internet, comodamente dal pc di casa, ha fatto da esca. L'imprenditore non l'ha mai vista dal vivo. Mai conosciuta faccia a faccia. La presentazione via social, e le frequenti chattate, lo hanno convinto a volare verso l'aeroporto di Abidjan cadendo nelle mani di un gruppo di banditi.

Ci risiamo insomma. La procura di Roma avrebbe trovato un'altra vittima, sempre in stile sugar baby - sugar daddy. Così gli chiamano negli Usa quegli uomini facoltosi un po' anziani che si fanno abbindolare da giovanissime miss conosciute nel web. Dopo il caso, per certi aspetti simile, del principe Giacomo Bonanno di Linguaglossa, caduto in disgrazia ricoprendo di regali stratosferici una bellissima bielorussa di 36 anni, adesso c'è una nuova storia. Una vicenda in cui la vittima supera perfino i confini nazionali per incontrare la signorina.

Martens, così si chiama la donna di cui Formenton si era invaghito, gli aveva inoltrato una prima richiesta economica verso fine ottobre. Periodo in cui il loro rapporto virtuale si era ormai consolidato. Voleva dei soldi perché, così aveva spiegato a Formenton, aveva dei guai con la giustizia. Doveva pagare gli avvocati e una cauzione. L'imprenditore, a quanto pare, non avrebbe versato un solo euro, perché la famiglia lo convinse a lasciar perdere. L'uomo diede retta ai suoi cari salvo poi pianificare il volo verso il Paese natio della presunta signorina. 

E qui, infatti, si pone un altro interrogativo: dal momento che l'uomo non l'ha mai conosciuta, Olivia Martens esiste davvero? Un mistero. Ma le sue foto sono state sufficienti a farlo andare all'altro capo del mondo per incontrarla. Una volta arrivato sul posto, però, è scattato il trappolone. Il rapimento, infatti, era un vero sequestro. Reato per cui indaga, per altro, la procura di Roma.

Cosa è accaduto ad Abidjan non è ancora del tutto chiaro. L'uomo lo dovrà spiegare agli investigatori nei prossimi giorni, adesso è ancora in quarantena. Ad ogni modo quando è arrivato in aeroporto è stato preso da un tassista locale, inviato lì probabilmente dalla presunta Olivia Martens. Dopodiché l'auto si è diretta verso la foresta. E così di Formenton si sono perse per più di una giornata le tracce. 

La situazione ha mandato nel panico più totale i parenti e un suo amico stretto. Ancora di più quelli che sapevano le ragioni, non proprio umanitarie, della trasvolata. Da qui è partita la segnalazione alle forze dell'ordine italiane. Alla fine l'imprenditore è stato liberato, un paio di giorni dopo l'arrivo nel Paese, mentre si trovava dentro la stanza di un albergo a Bonoua, una cittadina più a Est e più all'interno rispetto alla grande città costiera di Abidjan. Con lui solo un carceriere, che è stato subito arrestato.

Adesso a volerci vedere chiaro su questo nuovo caso è il pubblico ministero Erminio Amelio e i carabinieri del Raggruppamento operativo speciale, il Ros. Anche perché, lo scherzetto del rapimento ha mobilitato i militari dell'Arma direttamente dall'Italia. Un lavoro di precisione con tanto di intercettazioni e intelligence mobilitate da Roma in piena notte per individuare il covo in cui Formenton era stato nascosto dai suoi rapitori. 

Un'operazione conclusa con successo. Gli investigatori hanno trovato il punto esatto in cui era l'imprenditore, intercettando il suo cellulare. Poi hanno comunicato la posizione precisa alle forze speciali della Costa D'Avorio che lo hanno liberato, rimesso sull'aereo e spedito in Italia. 

Alessandra Ziniti per “la Repubblica” il 14 gennaio 2022.

Il più delle volte comincia con un like sotto una foto, uno tra i tanti. Poi arriva un commento innocuo a un post aperto. Ancora qualche giorno, ed ecco la richiesta di amicizia su Facebook della bella ragazza, quasi sempre straniera, o dell'avvenente militare. Nulla, assolutamente nulla, né nell'aspetto né nei modi che induca sospetti sui nuovi "amici". 

Che, per settimane o mesi, tessono la loro tela con professionalità, pazienza e tanta empatia. Perché magicamente c'è sempre qualcosa che ti accomuna a loro e alla fine ti fa innamorare: una delusione d'amore, un matrimonio finito, difficoltà sul lavoro, preoccupazioni per i figli, ma anche progetti per il futuro, voglia di viaggi, di avventure, sogni e desideri.

E quell'amicizia virtuale con la bella straniera o con l'avvenente manager o ufficiale in divisa (che quasi sempre non esistono e si nascondono dietro foto altrui rubate dalla rete) diventa piano piano ben di più di un piacevole passatempo o di uno sfogo in tempi di isolamento sociale da pandemia. 

«Così, quando arriva la prima richiesta di denaro, ormai è troppo tardi, il coinvolgimento sentimentale o anche solo emotivo o psicologico è già fortissimo e per la vittima diventa molto difficile tirarsi fuori dall'abbraccio di questa rete criminale», spiega Ivano Gabrielli, direttore del centro nazionale anticrimine informatico della Polizia postale. Sì, perché c'è una vera e propria rete criminale dietro la cosiddetta Romance scam , la truffa amorosa che - a parte i casi più noti alle cronache della showgirl Flavia Vento, del pallavolista Roberto Cazzaniga, dell'imprenditore veneto Claudio Formenton - solo nel 2021 in Italia ha coinvolto più di 300 persone, a cui sono stati sottratti ben 4,5 milioni di euro, oltre a mesi o anni di tormenti amorosi e danni psicologici.

Con un aumento del 118% rispetto all'anno precedente, 73 persone denunciate e grosse indagini in corso, anche se realisticamente i numeri sono addirittura da raddoppiare. Reato odioso la truffa romantica, difficile da ammettere innanzitutto a sé stessi, faticoso da digerire, complicato da denunciare. «E infatti la più parte delle vittime - conferma Gabrielli - non denuncia. Molto spesso sono i familiari che si insospettiscono e ci avvertono. 

E dunque non c'è dubbio che il sommerso di questo tipo di reato sia decisamente più del 50 per cento». La disavventura del 64enne imprenditore veneto Claudio Formenton, sequestrato per tre giorni in Costa d'Avorio dove era volato per incontrare finalmente, dopo mesi di chat , la bella Olivia di cui si era invaghito, è esattamente il prototipo di quello che avviene dietro le quinte della Romance scam . Che tutto è tranne che iniziativa di singoli Arsenio Lupin della rete.

Ad agire sono organizzatissimi gruppi criminali con sede soprattutto nel Corno d'Africa e vere e proprie batterie di profiler che scelgono accuratamente le loro vittime sui social. Studiano i loro interessi, le abitudini, i comportamenti, si insinuano tra i follower e decidono il metodo migliore per contattarle, talvolta direttamente con un messaggio quando riescono a trovare in rete il numero di cellulare, molto più spesso agganciandole su Facebook, Instagram, Tik Tok. 

Gabrielli ci aiuta a tracciare l'identikit della vittima: «Più donne che uomini, età media sulla cinquantina, benestanti, che sui social lasciano trasparire una certa solitudine o una necessità di nuovi stimoli magari dopo un matrimonio o una relazione finiti male». Si comincia lievemente, ci si conosce, ci si confronta su gusti, opinioni, libri, serie tv.

Poi si comincia a parlare in privato e i "ganci" confidano le loro difficoltà: una battaglia legale per un'eredità in arrivo che non sanno come portare avanti per mancanza di liquidità immediata, famiglie nei Paesi d'origine in difficoltà, progetti di lavoro che stentano a decollare in attesa di un piccolo investimento. «La casistica è molto studiata - spiega Gabrielli - Le organizzazioni, straniere ma spesso presenti anche in Italia, formano i loro uomini e le loro donne con una grande strategia di comunicazione: devono essere in grado di affrontare mesi di conversazioni e domande sempre più insistenti sulle loro famiglie, sul lavoro, sugli amici, sul contesto in cui si vive.

Sono persone in grado di entrare in empatia, di conquistare la fiducia, di scatenare sentimenti ed emozioni. Fino a quando poi arriva la prima richiesta di denaro. A cui ne segue una seconda, una terza. E le vittime, anche se cominciano a dubitare, continuano a pagare, sperano di recuperare i soldi, si vergognano ad ammettere con sé stessi di essersi sbagliati e di aver bisogno di quell'amore, difficilmente chiedono aiuto entrati in un tunnel di sudditanza psicologica».

Gli uomini, più che le donne, restano invece vittima della sex extortion , il ricatto per quei rapporti sessuali virtuali di cui si accontentano in attesa dell'incontro reale che non avverrà mai. «Il primo consiglio che mi sento dare - dice Gabrielli - è di fare una ricerca per immagini per verificare l'identità di chi si propone. Subito, prima di ritrovarsi emotivamente coinvolti tanto da non voler sapere che il volto della presunta fidanzata è quello di un'attrice».

Federica Angeli per “la Repubblica” il 14 gennaio 2022.  

«No, non ho denunciato il finto Tom Cruise. Ma a chiunque venga contattato da sedicenti star dico: la prova del nove è la videochiamata, se non la fanno, tagliate ogni contatto». La showgirl Flavia Vento è stata una delle vittime delle truffe d'amore sul web.

Com' è cominciata questa storia virtuale?

«Ho ricevuto un messaggio privato su Twitter dove Tom mi scriveva: "Grazie per il tuo continuo supporto". Vado a vedere il suo profilo e c'è la stessa frase in risposta a un mio tweet in cui gli avevo scritto che non vedevo l'ora uscisse il sequel di Top Gun . Quindi, sempre in privato, gli chiedo se è davvero lui. E mi risponde di sì, poi mi manda un suo cellulare». 

La conversazione si sposta da Twitter a Whatsapp, giusto?

«Sì e più volte gli dico di non prendermi in giro, gli scrivo proprio testuale: "Se non sei tu non mi va di chattare". E lui mi rassicura: era Tom». 

Niente la poteva far dubitare?

«No, niente. Il cellulare era americano. Quando gli ho chiesto se si ricordava dell'intervista che gli avevo fatto venti anni prima per la Rai, lui mi ha risposto di sì e che non poteva dimenticare il mio bellissimo sorriso. Il sosia impersonava perfettamente la parte di Tom. Sapeva tutto di lui: dov' era, cosa aveva girato, il suo cibo preferito».

Quando è cominciata?

«Maggio 2021 ed è durata sei mesi. Solo una cosa mi aveva un po' insospettito».

Quale?

«Gli chiedevo di fare videochiamate e ogni volta che ci provavamo cadeva la linea. Non siamo mai riusciti, ma sono andata avanti lo stesso: era così romantico». 

Quando si è resa conto della truffa?

«Il giorno in cui gli ho detto: "Senti, ora ci dobbiamo vedere, il film è finito, vengo a Londra da te". E lui mi fa mandare una mail a un contatto. Mi hanno riposto che per l'incontro era necessario acquistare una card. Per accedere a questo meeting avrei dovuto pagare 500, mille o 1.500 euro, a seconda del tempo che dovevo trascorrere con lui. A quel punto mi sono cadute le braccia». 

E cosa ha fatto?

«Gli ho scritto che non sono così deficiente e scritto: "Non sei Tom, sei un cretino mi hai preso in giro e non capisco perché". Lui continuava a negare. Poi è esploso il caso mediatico e lui ha mi ha scritto: "Ho saputo che mi hai usato per avere attenzioni". A volte penso: e se era davvero lui?».

·        La Molestia.

Mondiali, giornalista palpato da una tifosa in diretta tv: "Mi ha toccato il c..." Il Tempo l’08 dicembre

Una sorta di caso Greta Beccaglia, la giornalista toscana molestata in diretta tv davanti allo stadio mentre era in collegamento, ma al contrario e che alla fine si è risolto tra grasse risate. Il protagonista è Tancredi Palmeri, giornalista di SportItalia inviato ai Mondiali in Qatar per l'emittente televisiva. Durante un collegamento da Doha una tifosa passa alle sue spalle e gli palpa il sedere mentre l'inviato aggiorna in diretta sulle notizie dal mondiale. La reazione del giornalista è tutt'altro che risentita. “Mi ha appena toccato il c***”, afferma e comincia a chiamare la ragazza per farla intervenire davanti alle telecamere: "Come here!". Poco dopo chiama anche la sua amica, con cui inizia una piccola intervista.

Si scopre che quella che gli ha toccato il fondoschiena è neozelandese, mentre l’amica proviene dal Regno Unito. Palmeri ha preso la curiosa situazione sul ridere, con il conduttore da studio che chiede il Var per isolare il momento esatto della palpata in diretta. Il video del siparietto è stato diffuso dallo stesso Palmieri che ha commentato: "Niente da vedere quì. Solo una ragazza neozelandese in bikini a Doha che mi stringe il sedere mentre sono in diretta, chiedendo poi supporto alla sua amica gallese, per concludere infine il segmento sorseggiando birra dalla spiaggia di Doha".

Qatar 2022, Palmeri palpato in diretta: "Me lo ha appena toccato". Libero Quotidiano l’08 dicembre 2022

Tancredi Palmeri è l’inviato in Qatar per Sportitalia. Durante un suo collegamento da Doha, una tifosa è passata alle sue spalle e per la sorpresa di tutti gli ha palpato il sedere. Un gesto goliardico che il giornalista ha trasformato in un simpatico siparietto: ha infatti invitato la ragazza ad avvicinarsi e poi ha fatto lo stesso con una sua amica, facendo una rapida “intervista” a entrambe. 

La “palpatrice” è neozelandese, mentre l’amica proviene dal Regno Unito. La dinamica è stata curiosa, con la ragazza che è passata rapidamente alle spalle di Palmeri e quest’ultimo che ha fatto una faccia stranita per poi fermarsi ed esclamare: “Mi ha appena toccato il c***”. La ragazza allora è scoppiata a ridere e gli ha chiesto con chi stesse parlando, scoprendo poi che era in collegamento diretto con la televisione italiana. Palmeri non ha dato troppo peso all’accaduto, ci ha scherzato su e poi ha salutato le due donne, tra l’altro pure attraenti.  

In studio si è poi riflettuto come in passato siano accaduti episodi spregevoli in cui giornaliste sono state molestate: “In passato è successo un atto da condannare - ha ricordato Michele Criscitiello - quando c'era una giornalista bravissima, che mentre faceva il collegamento, un tifoso un po' volgarotto ha messo la manina. Questa volta è successo al contrario, è una notizia secondo me”. 

CULO NON VALE CULO – IL “CORRIERE DELLA SERA” CI SPIEGA CHE LA PALPATA SUL SEDERE A TANCREDI PALMERI E QUELLA A GRETA BECCAGLIA NON SONO PARAGONABILI: “BASTA RICORDARE IL CONTESTO IN CUI È SUCCESSO TUTTO, E LA DIVERSA FORZA CHE AVEVANO I DUE PROTAGONISTI”. MA IL VERO MOTIVO NON È IL CONTESTO, NÉ LA FORZA, MA IL GENERE: SE TI DANNO UNA STRIZZATA ALLE CHIAPPE E SEI DONNA, È MOLESTIA. SE SEI UOMO, T’ATTACCHI AL CAZZO (RICORDATE IL CASO BLANCO 

Elvira Serra per il “Corriere della Sera” il 12 dicembre 2022.

Tancredi Palmeri è un giornalista sportivo. Ha 42 anni ed è una persona autoironica e divertente, che sa prendere con leggerezza le cose che sono leggere e con gravità quelle più serie. 

Come ha fatto qualche giorno fa a Doha, da dove sta seguendo per SportItalia i Mondiali di calcio. Nel bel mezzo di una diretta sulla spiaggia, una ragazza neozelandese gli ha assestato soavemente una pacca su sedere, lui ha strabuzzato un poco gli occhi e in mezzo secondo le ha chiesto di avvicinarsi alla telecamera, invitando anche l'amica gallese, riuscendo così a trasformare l'inconveniente in un siparietto da avanspettacolo.

Poche ore dopo sul web, dove lui stesso aveva rilanciato il video spiegando che non era successo niente di più di quello che mostrava il filmato (una tifosa in bikini che fa quel che fa, con il finale di una birra sotto l'ombrellone), è diventato l'eroe dei due mondi, con il merito di aver reagito all'imprevisto «con spirito, mica le solite fregnacce da femministe racchie e baffute». 

Il rimando era al caso di Greta Beccaglia, quando poco più di un anno fa, fuori dallo stadio di Empoli-Fiorentina, il ristoratore marchigiano Andrea Serrani le aveva dato uno schiaffone su sedere (l'uomo, accusato di violenza sessuale, ha chiesto il rito abbreviato: la prossima udienza al Tribunale di Firenze sarà il 20 dicembre). Lo stesso collega di Palmeri in studio aveva ricordato subito quanto successo alla «bellissima», poi per fortuna «bravissima anche », giornalista di Toscana Tv, condannando naturalmente il gesto.

Da lì, sui social, è partita la domanda delle domande: perché le femministe adesso, a ruoli invertiti, non dicono nulla? Ma poiché ogni risposta nasconde un'insidia, che richiederebbe una controreplica ancora più insidiosa, forse basta ricordare il contesto in cui è successo tutto, e la diversa forza, che in quel momento avevano, i due protagonisti. 

Chiediamolo a Tancredi: si è sentito molestato? «No, e non perché lei fosse una bella ragazza, ma perché il clima era scherzoso. Mi è capitato, dopo il caso di Greta Beccaglia, che un tifoso mi desse una pacca sul sedere. Voleva fare il simpatico, ma fu solo sgradevole e inopportuno. Con le molestie non si scherza. Sonia, la tifosa di Doha, non è una sexual offender. Lo spirito del gesto era lo stesso di un baffo con la vernice rossa. Altrimenti la mia reazione sarebbe stata diversa».

Non confondere «avances» e molestie? Tenere mani (e lingua) a posto. Storia di Marco Tarquinio su Avvenire il 25 novembre 2022.  

Gentile direttore,

premesso che la violenza sulle donne è estremamente grave, pericolosa e contro natura, perché l'uomo è dotato di un apparato muscolare più forte proprio per difendere la donna e i bambini dai nemici e dai pericoli fin dall'origine della specie umana. Le avances sono un tentativo di superare le barriere interpersonali per un rapporto più intimo. Fanno parte del corteggiamento. La legalizzazione del divorzio, cioè della possibilità di risposarsi, e delle coppie gay, comporta un corteggiamento perciò anche delle avances. Queste avances se consensuali e bene accette fanno parte della vita; se respinte in modo soft possono preludere a una futura accettazione; se invece rifiutate drasticamente e definitivamente sono molestie sessuali sanzionabili. A mio avviso, però, la sanzione dovrebbe essere versata allo Stato, non a chi ha ricevuto la "palpatina", perché non si tratta della retribuzione di una prestazione ancorché indesiderata! Questo anche per sgombrare il campo dalle tante false denunce che pongono l'uomo in balia degli umori di qualche donna arrivista. Quanto sopra, direttore, a prescindere da giudizi morali o religiosi. Giulio Donati 

A proposito delle avances, come lei le chiama alla francese, gentile signore, un po’ la seguo e un po’ no. Le molestie nel senso – cito – della "palpatina", invece, non le concepisco. E meno male che siamo in tantissimi a pensarla così, gente di una vecchia scuola che credo sia attualissima e buona per tutti: le mani si tengono a freno e a posto, e le parole si misurano.

Memo Remigi: «Chiedo scusa a Jessica Morlacchi, ma ho saputo del mio licenziamento guardando la tv». Maria Volpe su Il Corriere della Sera il 13 Novembre 2022.

Il cantautore commenta il palpeggiamento in diretta a «Oggi è un altro giorno» su Rai1: «È stato un gesto orrendo, ma non sono un mostro. Non ho chiamato Jessica, sarebbe stato invadente da parte mia, ma ora le dico che sono mortificato»

«Non posso che ribadire le mie scuse: ho fatto un gesto totalmente sbagliato». Firmato Memo Remigi. Era venerdì 21, un tranquillo pomeriggio di ottobre, e su Rai1 come sempre andava in onda «Oggi è un altro giorno», condotto da Serena Bortone con un cast fisso tra cui Memo Remigi e Jessica Morlacchi. Un tranquillo pomeriggio fino a che il giorno dopo non è uscito un twitter che mostrava un filmato, dove si vedeva Memo Remigi che, durante la diretta, fa scivolare la sua mano giù fino al sedere di Jessica, giovane collega e amica, anche lei cantante. Il filmato, dopo due giorni, approda su «Striscia la notizia» e poi viene ripreso da Dagospia. Il caso diventa pubblico. E il caso pubblico diventa scandalo. Memo Remigi viene allontanato dal programma, per aver violato il codice Etico della Rai. In questi giorni è girata voce fosse ricoverato per accertamenti.

Memo Remigi, come sta?

«Un po’ meglio. Certo quanto accaduto mi ha un po‘ traumatizzato. Una botta violenta che non mi aspettavo. E per come si è svolta, del tutto inaspettata».

Cominciamo dal fondo: se ripensa a tutto quanto accaduto dal 21 ottobre a oggi, quali riflessioni le vengono in mente?

«Il gesto - seppur con un intento scherzoso - è stato totalmente sbagliato e non andava fatto. Ho chiesto scusa e lo ribadisco qui. Scusa a Jessica Morlacchi, scusa a Serena Bortone, scusa alla Rai. Tuttavia, non mi aspettavo una reazione del genere e soprattutto con queste modalità».

Cosa intende per modalità inaspettate?

«Dopo 50 anni di carriera, sono venuto a conoscenza del mio licenziamento dal programma, ascoltando in diretta Serena Bortone».

Un autore Rai dopo l’episodio l’aveva avvisata però.

«Il giorno stesso che è uscito il video su twitter, mi ha chiamato un autore e mi ha detto: “Vediamo che succede, tu resta a casa un paio di giorni, capiamo che piega prende questa storia”. Poi più niente. So che quel video ha avuto 47 visualizzazioni . Poi è stato mostrato su “Striscia la notizia”, infine ripreso da Dagospia ed è scoppiato il putiferio».

Prima riflessione: il gesto grave resta grave, sia che lo abbia visto il mondo intero, sia che non lo abbia visto nessuno.

«Assolutamente sì, solo che io non ne ho avuto evidenza. Prima del putiferio non sapevo di aver creato disagio a Jessica. Nel mio animo era uno scherzo tra amici cari quali eravamo. Altrimenti mi sarei immediatamente scusato».

Seconda riflessione: se quindi il video non fosse diventato di dominio pubblico, secondo lei non sarebbe accaduto nulla, lei non sarebbe stato cacciato dalla Rai?

«Assolutamente nulla, ne sono certo».

Nessun dirigente Rai si è fatto vivo con lei?

«Nessuno. Ribadisco che ho saputo del mio licenziamento guardando la tv. Penso sarebbe stato giusto chiamarmi e dirmi: “Lei ha fatto una fesseria, dobbiamo prendere provvedimenti”. Io non ho in mano neanche nulla di scritto».

Serena Bortone è una bravissima giornalista e di fronte a un episodio così, non poteva non essere dura e non poteva non comunicare al pubblico la sua uscita dal programma. In quel momento lei rappresentava la Rai. E bisognava prendere le distanze con nettezza da un gesto che aveva creato profondo disagio a una giovane donna e al pubblico

«Stimo profondamente Serena Bortone, è una grande professionista, e capisco dovesse agire così. Umanamente, visto il nostro rapporto, mi è dispiaciuto solo non ricevere una telefonata da lei per chiarirci. Ho solo dell’amarezza perché abbiamo lavorato bene per anni. Avrei preferito una telefonata dove me ne diceva di tutti i colori, ma l’indifferenza ferisce di più».

Serena ha detto pubblicamente che anche per lei è stato un profondo dolore a livello umano. Non sono situazioni facili da affrontare e probabilmente Bortone ha dedicato le sue attenzioni alla «vittima», cioè a Jessica. A proposito l’ha sentita?

«No, ho fatto a Jessica le mie scuse pubbliche naturalmente che non smetterò mai di ribadire, ma non me la sono sentita di chiamarla. Sarebbe stato invadente da parte mia».

Come definirebbe il vostro rapporto in questi anni?

«Di profonda amicizia, eravamo davvero legati da sincero affetto. Io avevo anche scritto una canzone per lei e avevo chiamato il suo agente dicendogli “tenta la carta di Sanremo” perché Jessica è proprio una brava cantante».

C’era amicizia, confidenza?

«Sì tanta. Jessica mi aveva aiutato a organizzare il mio compleanno lo scorso maggio. Scherzavamo tanto. Per questo non mi do pace: mi è così dispiaciuto che lei si sia sentita offesa. Se me ne fossi accorto subito quel giorno, le avrei chiesto scusa immediatamente».

Forse Jessica, molto più giovane, aveva una sorta di timore reverenziale di fronte a lei, il Maestro, il grande cantautore della musica italiana. Forse per questo non ha detto nulla...

«In due anni non mi ha mai dato questa idea, davvero. Eravamo proprio compagnoni. Se solo mi avesse fatto intendere imbarazzo, probabilmente non mi sarei spinto a uno scherzo così idiota e soprattutto mi sarei scusato immediatamente».

Onestamente Memo, ma cosa le è venuto in mente?

«Uno scherzo idiota. Quando Staffelli mi ha dato il Tapiro di “Striscia”, la prima cosa che gli ho detto è stato: “Non è un tapiro, è un ta-pirla perchè sono stato proprio un pirla”. E voglio dire a tutti: attenzione agli scherzi, attenzione a gesti superficiali, possono esserci pessime conseguenze e si può urtare la sensibilità delle persone».

Anche perché Remigi, bisogna tenere conto che i tempi e le sensibilità sono cambiate, specie dopo il MeToo. Su certi gesti, le donne non sono più disposte a passarci sopra

«Me ne rendo conto, siamo in un momento storico diverso. Il mio gesto è di per se è orrendo ed è sacrosanto il fastidio, il disagio, la rabbia di chi lo subisce. Ma vista la forte confidenza tra noi, forse Jessica poteva dirmelo. Ma soprattutto mi sono chiesto spesso in questi giorni, come è stato possibile che una persona come me - che per decenni ha rappresentato il garbo e l’eleganza - in un minuto sia diventato un mostro. Lei ha giustamente ricordato il MeToo, ma lì si parlava di violenze, abusi sessuali. Forse bisognerebbe anche fare dei distinguo».

Fermo restando che anche un palpeggiamento è un atto grave, lei si è sentito trattato come un mostro?

«Beh all’inizio sì. Non ci si rende conto che una certa gogna mediatica possa avere effetti pesanti anche sulla famiglia: penso a mio figlio, ai miei nipoti. Si rischia di distruggere una persona».

E’ rimasto solo?

«No, sento molto affetto attorno a me. Tanti colleghi mi hanno inviato messaggi di solidarietà, di affetto, perché mi conoscono. Io avevo paura della gente, temevo di uscire di casa. Mi dicevo: “penseranno che sono un maniaco..?” Invece no, in tanti mi hanno salutato con affetto. Detto tutto questo, se c’è una parte di persone che si sente offesa da ciò che ho fatto, va rispettata. Bisogna contemplare la sensibilità di tutti. E ho ancora da imparare».

Perché si è rivolto al grande avvocato Giorgio Assumma, esperto proprio di tutto quanto riguarda il mondo dello spettacolo: pensa a una causa contro la Rai?

«Al momento è escluso che io faccia causa alla Rai, anche se sono stato trattato come un delinquente. Contratto rescisso senza neppure essere ascoltato. Detto ciò, ho violato il codice Etico e accetto le conseguenze. Mi sono rivolto all’avvocato Assumma per proteggermi da eventuali campagne diffamatorie».

Trova ci siano state campagne diffamatorie nei suoi confronti?

«Ad oggi no. Però una certa iniquità di comportamenti sì c’è stata».

Si riferisce al caso Franco di Mare riproposto da «Striscia la notizia»?

«A quello, o anche a Mara Venier che scherzosamente tocca il sedere a Biagio Antonacci. Io ho tenuto un comportamento esemplare per oltre 50 anni».

A chi deve la sua rinascita artistica qualche anno fa?

«A “Propaganda Live” (su La7, il venerdì sera condotto da diego Bianchi, ndr) che mi ha fatto conoscere a un publico giovane. Tutti pensavano solo io fossi quello in giacca e cravatta che canta “Innamorati a Milano”. Poi dopo un anno brutto, nel quale ho perso mia moglie, è arrivato il miracolo: una intervista da parte di Serena Bortone proprio nel programma “Oggi è un altro giorno”. Lei fu bravissima, mi fece una intervista molto emotiva, dove mi incoraggiò a vivere. Da lì mi fecero il contratto per essere parte fissa nel cast del programma. Poi mi chiamò anche Milly Carlucci per partecipare a “Ballando”».

Ora cosa si aspetta dal futuro?

«Continuerò a scrivere musica e sto scrivendo un libro».

Dica qualcosa a Serena Bortone?

«Ti guardo sempre in tv, non ho perso una puntata e continuerò a seguire il programma fino alla fine».

Dica qualcosa a Jessica Morlacchi.

«Sono mortificato. Se posso fare qualcosa sono qui».

Giuseppe Candela per Dagospia il 27 Ottobre 2022.

Esplode il caso Memo Remigi a Viale Mazzini. I fatti. Il cantante di "Innamorati a Milano" è ormai da tempo nel cast degli "affetti stabili" di "Oggi è un altro giorno", il programma del primo pomeriggio di Rai1 condotto da Serena Bortone. Nella puntata in onda venerdì 21 ottobre la giornalista intorno alle 14 è apparsa su Rai1 per il solito lancio di puntata, snocciolando i temi e i nomi degli ospiti. 

La regia in primo piano inquadra Remigi e Jessica Morlacchi, poi stacca su Serena Bortone ma dietro si vede chiaramente la mano del cantante 83enne poggiata sul fianco della Morlacchi.

Mano che scende fino ad arrivare al lato B con una visibile palpata in diretta tv. La leader dei Gazosa non gradisce e schiaffeggia la mano del cantante e per evitare un nuovo palpeggiamento la riporta in alto al fianco, tenendola ferma. 

Episodio non sfuggito ai telespettatori e ieri segnalato da Striscia la notizia che ha parlato della "tempesta ormonale di Memo Remigi". Episodio che nulla a che fare con la goliardia ma molto di più con la molestia, se non peggio. Basti pensare al caso Greta Beccaglia, la cronista palpeggiata fuori dallo stadio dopo Empoli-Fiorentina, la Procura ha chiesto per il tifoso il rinvio a giudizio per violenza sessuale.

Stando alle nostre fonti l'episodio avrebbe creato un piccolo terremoto dietro le quinte della trasmissione. Morlacchi furiosa avrebbe ricevuto l'immediata solidarietà di dirigenti e responsabili. Il gruppo di lavoro, capitanato da Bortone, è intervenuto immediatamente, con molto dispiacere per quanto accaduto. 

Memo Remigi è stato di fatto sospeso, non era presente nelle puntate di lunedì, martedì e mercoledì. Tornerà in onda? Cosa succederà?

Memo Remigi, rompe il silenzio Jessica Morlacchi: "Menzogne da parte sua". Il Tempo il 28 ottobre 2022.

 Il caso Memo Remigi scuote la Rai in un cortocircuito social-televisivo. Pochi telespettatori si erano accorti della palpata in diretta al fondoschiena di Jessica Morlacchi, ex leader dei Gazosa e nello staff della trasmissione Oggi è un altro giorno proprio come il cantante di Innamorati a Milano. Ma il video è stato postato su Twitter e il caso è esploso con viale Mazzini che ha stracciato il contratto di Remigi, 84 anni, che dalla puntata incriminata non è più apparso nel programma pomeridiano condotto da Serena Bortone su Rai1. 

"La Rai ha risolto il contratto che prevedeva la partecipazione dell’artista Memo Remigi al programma 'Oggi è un altro giorno' in onda su Rai1. A seguito di un comportamento in violazione del Codice Etico dell’Azienda, la Direzione Day Time aveva già deciso lo scorso sabato 22 ottobre la sospensione delle presenze nella trasmissione che è stata comunicata all’interessato. La Commissione stabile per il Codice Etico dell’Azienda ha confermato la violazione delle norme", la gelida nota del servizio pubblico. 

I retroscena parlano di una Morlacchi furiosa per quella che è asta ritenuta una vera e propria molestia. Il cantante, al secolo Emidio Remigi, da parte sua si è lanciato in scuse acrobatiche: "Nessuno mi ha comunicato nulla. Avevo degli esami da fare, ho fatto il tagliando, sa, a 84 anni...ma non è vero che mi hanno sospeso (...). C’è un’atmosfera goliardica tra noi, ci si fa degli scherzi. È stato un gesto involontario. Io cercavo di sistemare il microfono che era caduto dalla cintura. Gli ho messo la mano dietro perché stava cadendo questo microfono e scherzando gli ho dato la pacchetta sul sedere. Non avevo nessuna intenzione di essere un uomo libidinoso, non sono mai stato questo tipo di persona".

"La Morlacchi, povera stella, è quella che più di tutti ha subìto questa cosa. Io mi sono scusato e mi dispiace che lei in questo caso sia un po' la vittima di questa situazione. Io non avevo alcuna intenzione di metterla sul piano della volgarità e della violenza su di lei. È stata una cosa goliardica, ci si danno pacche sulle spalle e qualche volta anche sul sedere. Se guardiamo cosa succede per davvero in televisione, non mi sembra che sia stato questo grande scandalo" sono le parole del cantante riportate da Fanpage. 

Morlacchi, 35 anni e una carriera solista dopo l'avventura dei Gazosa, è restata in silenzio fino alle parole del collega che ridimensiona l'accaduto a goliardata: "Sono molto dispiaciuta e mi aspettavo almeno delle scuse immediate. Non che si inventasse delle menzogne", le parole della cantante riportate dal Corriere della sera. 

Memo Remigi choc, cacciato dalla Rai. L'artista 84enne ha palpeggiato Morlacchi in diretta tv. Bortone: non finisce qui. Paolo Giordano il 28 Ottobre 2022 su Il Giornale.

Ma chi l'avrebbe detto. Bandito dalla Rai. Mitragliato dai social. Condannato senza appello. Accusa insindacabile: all'inizio della puntata del 21 ottobre di Oggi è un altro giorno su Raiuno ha palpeggiato in diretta tv il fondoschiena di Jessica Morlacchi, cantante che si è fatta conoscere con i Gazosa. Il video è implacabile, il contatto in effetti c'è e la reazione infastidita di Morlacchi pure.

Lui, Memo Remigi, anni 84 egregiamente portati, è quello di Innamorati a Milano, il cantante, compositore, conduttore da sempre politicamente correttissimo che finora ha vissuto una seconda giovinezza sugli schermi Rai. Rilanciato nel 2017 da Propaganda Live su La7, l'anno scorso, dopo la scomparsa della moglie, ha fatto parte del cast di Ballando con le stelle e fino a pochi giorni fa faceva parte (con successo) del cast fisso di Oggi è un altro giorno proprio come Jessica Morlacchi, ex cantante dei Gazosa ritornata sotto i riflettori «dopo 12 anni di depressione».

Venerdì scorso la follia: nelle prime fasi della diretta, la telecamera inquadra la conduttrice ma, dietro di lei, si vede chiaramente la mano di Memo Remigi che palpeggia, poi viene bloccata da uno schiaffetto di Morlacchi e rimessa bruscamente «a posto». Una scena che poi i social hanno ovviamente evidenziato. Infine Striscia la Notizia ha portato la «palpata» all'attenzione di tutto il pubblico tv che ieri, anche grazie al rilancio immediato di Dagospia, ha intasato i commenti dei social. Durante la diretta di ieri, Serena Bortone ha detto senza giri di parole: «Da lunedì Memo Remigi non fa più parte del nostro gruppo di lavoro. Remigi in questo studio si è reso responsabile di un comportamento che non può essere tollerato in questo programma, in questa azienda e per quanto mi riguarda in nessun luogo. Per rispetto della persona coinvolta avevamo mantenuto il riserbo, ma ora che l'episodio è diventato pubblico sento di avere un dovere di sincerità con voi e di esprimere anche pubblicamente la mia solidarietà a Jessica». Infine la frase che non chiude il caso, ma lo rilancia: «Mi fermo qui, per ora».

A stretto giro, le agenzie di stampa hanno confermato che la Rai ha risolto il contratto con Memo Remigi «a seguito di un comportamento in violazione del Codice Etico dell'Azienda». Una decisione divenuta pubblica ieri ma presa già «sabato 22 ottobre». «La sospensione (è scritto così, ma forse avrebbe dovuto essere scritto l'annullamento - ndr) delle presenze nella trasmissione è stata comunicata all'interessato».

Poco prima del comunicato, Memo Remigi a Fanpage aveva definito l'episodio come frutto «dell'atmosfera goliardica tra noi», descrivendolo così: «È stato un gesto involontario. Cercavo di sistemare il microfono dietro, che era caduto dalla cintura. Gli ho messo la mano dietro perché stava cadendo questo microfono e scherzando gli ho dato la pacchetta sul sedere». E ancora: «La Morlacchi, povera stella, è quella che più di tutti ha subìto questa cosa. Io mi sono scusato e mi dispiace».

Una situazione onestamente grave, oltre che inattesa, visto il contesto. A memoria d'uomo è difficile ricordare nel mondo tv un caso di eguale, dirompente evidenza e di tale, fulminea evoluzione. Nella sua difesa, Remigi (che è stato aggiunto da Morgan nella chat gestita con Sgarbi «Rinascimento e Dissoluzione» con la proposta di cantare una canzone porno già composta da lui) ha anche minimizzato alludendo a «cosa succede per davvero in tv». Fermo restando che le immagini parlano chiaro, se non spiega a cosa si riferisce, le sue parole valgono zero. 

La mano sul sedere e la sospensione. Il caso di Memo Remigi imbarazza la Rai. A Oggi è un altro giorno Remigi tocca il fondoschiena di Jessica Morlacchi in diretta e viene sospeso. Ma l'episodio emerge solo quando Striscia manda in onda il video. Novella Toloni il 28 Ottobre 2022 su Il Giornale.

Tabella dei contenuti

 L'episodio incriminato

 La segnalazione dei telespettatori

 Cosa è successo in trasmissione

 Remigi sospeso per molestie

 La dura replica di Serena Bortone

 La risposta di Memo Remigi

Memo Remigi è stato "cacciato" da Oggi è un altro giorno. L'ufficialità è arrivata dalla bocca di Serena Bortone, la conduttrice del programma. Il caso Remigi si era aperto dopo l'indiscrezione trapelata su Dagospia, che ha portato all'attenzione del pubblico l'episodio accaduto nella puntata di venerdì scorso, quando Remigi ha fatto scivolare le mani sul fondoschiena di Jessica Morlacchi, che da quest'anno fa parte del cast della trasmissione di Serena Bortone. "Una molestia", hanno tuonato i telespettatori sui social e la polemica sul web ha attirato l'attenzione di Striscia la notizia. Il video è stato mandato in onda nell'ultima puntata del tg satirico e il caso, che viale Mazzini avrebbe trattato al riparo da occhi indiscreti, è diventato pubblico.

L'episodio incriminato

I fatti si sono verificati venerdì 21 ottobre. Alle 14 Serena Bortone ha aperto il collegamento dallo studio di Oggi è un altro giorno per fare il consueto lancio con il cast degli "affetti stabili" sui temi della puntata. Le telecamere di Rai Uno hanno stretto sul mezzo busto della conduttrice mentre sullo sfondo si intravedono Memo Remigi e Jessica Morlacchi. All'occhio attento dei telespettatori non è sfuggita la mano del cantautore 84enne, che dal fianco della Morlacchi è scivolata sul sedere di quest'ultima, che lo ha subito schiaffeggiato sull'arto per la palpata indesiderata. E per evitare una nuova toccatina la cantante ha riportato la mano di Memo sul fianco, tenendola ferma con la sua.

La segnalazione dei telespettatori

L'episodio sarebbe passato del tutto inosservato se non fosse stato per i telespettatori, che hanno visto la puntata. Qualcuno ha riguardato al rallentatore la scena e, una volta scoperto quanto accaduto, ha condiviso il video del fattaccio sui social network, aprendo di fatto il caso. Non è la prima volta che il pubblico porta a galla fatti o situazione da "var". Ne sanno qualcosa gli affezionati del Grande fratello vip, che spesso finisce sotto la lente di ingrandimento degli utenti del web.

"Non è un problema mio...". E cala il gelo in studio

Cosa è successo in trasmissione

Da viale Mazzini non è arrivato nessun chiarimento in merito e con l'inizio della nuova settimana televisiva, Oggi è un altro giorno è tornato regolarmente in onda lunedì 24 ottobre. In puntata, però, si è subito notata l'assenza di Memo Remigi, mancante anche nei giorni successivi (martedì e mercoledì). Serena Bortone non ha chiarito i motivi della scomparsa del cantautore nelle fila del cast e la settimana è scivolata via senza ulteriori scossoni. Fino alla puntata di Striscia la notizia del 26 ottobre, quando il video del fattaccio è andato in onda, sollevando il polverone.

Remigi sospeso per molestie

La "tempesta ormonale" di Memo Remigi, così la definita Striscia, è costata cara all'84enne che è stato estromesso dal programma. A anticiparlo è stato Dagospia che ha rivelato: "Stando alle nostre fonti l'episodio avrebbe creato un piccolo terremoto dietro le quinte della trasmissione. Morlacchi furiosa avrebbe ricevuto l'immediata solidarietà di dirigenti e responsabili. Il gruppo di lavoro, capitanato da Bortone, è intervenuto immediatamente, con molto dispiacere per quanto accaduto e Memo Remigi è stato di fatto sospeso".

La dura replica di Serena Bortone

La notizia di Dagospia ha trovato conferma solo ora. In avvio di puntata Serena Bortone ha annunciato ufficialmente l'estromissione di Remigi dal cast. "Come avete visto da lunedì Memo Remigi non fa più parte del nostro gruppo di lavoro. Si è reso responsabile di un comportamento che non può essere tollerato in questo programma, in questa azienda e in nessun altro luogo". La conduttrice ha fatto sapere che per rispetto della persona coinvolta, l'episodio era rimasto privato ma una volta venuto a galla si è sentita in "dovere di esprimere la mia solidarietà, di quella della direttrice e dell'azienda a Jessica e il mio profondo dispiacere. Mi fermo qui, per ora". Chi non si è fermato è il diretto interessato.

La risposta di Memo Remigi

A Fanpage, il cantautore si è discolpato parlando di goliardia: "Io cercavo di sistemare il microfono dietro, che era caduto dalla cintura. Gli ho messo la mano dietro perché stava cadendo questo microfono e scherzando gli ho dato la pacchetta sul sedere. Ma non entriamo nei particolari, dico solo che non avevo nessuna intenzione di essere un uomo libidinoso, ho l'età che ho e non sono mai stato questo tipo di persona". Rispedita al mittente l'accusa di molestie, Remigi ha poi chiarito di non essere stato contattato né dalla Rai né dalla produzione del programma per comunicargli la sua uscita dal cast: "No, adesso sono in attesa di vedere quello che succede, ma avevo degli esami da fare, ho fatto il tagliando, sa, a 84 anni…ma non è vero che mi hanno sospeso, per adesso non ho avuto nessuna notizia riguardo questo". Ma a quanto pare la comunicazione è arrivata in diretta tv.

Memo Remigi e la palpata, bomba Striscia: il precedente che imbarazza la Rai. Francesco Fredella su Libero Quotidiano il 28 ottobre 2022

Una polemica incontenibile, che vede al centro Memo Remigi. Fino a poche ore fa era ospite fisso di Oggi è un altro giorno, il programma di Serena Bortone. Ma il suo gesto, assurdo e ingiustificabile, gli è costato il posto di lavoro. Remigi palpeggia Jessica Morlacchi in diretta. Una scena assurda, che avviene venerdì scorso e che solo poche ore fa è diventata pubblica dopo il tam tam sui giornali e siti.

La Bortone interviene dicendo che aveva preferito la strada della discrezione. Poi tutto diventa di dominio pubblico ed è necessaria una spiegazione della conduttrice. Che dice: "Da lunedì Memo Remigi non fa più parte del nostro gruppo di lavoro. Remigi in questo studio si è reso responsabile di un comportamento che non può essere tollerato in questo programma, in questa azienda e per quanto mi riguarda in nessun luogo. Per rispetto della persona coinvolta avevamo mantenuto il riserbo, ma ora che l'episodio è diventato pubblico sento di avere un dovere di sincerità con voi e di esprimere anche pubblicamente la mia solidarietà a Jessica. Solidarietà mia, della direttrice, dell'Azienda e il mio profondo dispiacere. Mi fermo qui, per ora". Si tratta di un caso che era rimasto segreto per diversi giorni, ma è stato segnalato mercoledì su Striscia la notizia e poi approfondito da Dagospia. 

Pinuccio di Striscia la notizia torna sull'argomento e indaga con la sua rubrica "Rai scoglio 24". L'inviato, senza mezzi termini e con la sua proverbiale ironia, manda in onda una clip che ripercorre altre vicende simili. "Franco Di Mare approcciò qualche collega con atteggiamenti da maschio alfa", dice Pinuccio di Striscia la notizia collegato da Viale Mazzini. Altra burrasca in Rai? Chissà. Intanto, sulla vicenda resta l'alone delle molestie in Rai, in uno studio tv, davanti a milioni di spettatori. Intanto Remigi resta in silenzio. Nessuna intervista. Parla il suo agente Andrea Di Carlo, che spara a zero nei confronti del programma e della conduttrice. 

Maria Volpe per corriere.it il 28 ottobre 2022. 

Una molestia su Rai1. Una mano, quella di Memo Remigi , il romantico cantante 84enne di «Innamorati a Milano», che scivola giù oltre la schiena di Jessica Morlacchi, anche lei cantante di 35 anni. Un episodio a dir poco sgradevole, accaduto venerdì scorso nel programma di Serena Bortone Oggi è un altro giorno, in onda su Rai1, alle 14. E ieri, la giornalista-conduttrice ha aperto la puntata con parole dure. Raro vedere Serena Bortone così livida: « Memo Remigi non fa più parte del nostro gruppo di lavoro».

Dopo poco arriva una nota di viale Mazzini, molto netta: «La Rai ha risolto il contratto che prevedeva la partecipazione dell’artista Memo Remigi al programma “Oggi è un altro giorno” in onda su Rai1. A seguito di un comportamento in violazione del Codice Etico dell’Azienda, la Direzione Day Time aveva già deciso lo scorso sabato 22 ottobre la sospensione delle presenze nella trasmissione che è stata comunicata all’interessato. La Commissione stabile per il Codice Etico dell’Azienda ha confermato la violazione delle norme». 

Venerdì scorso dopo la trasmissione, in pochi si erano accorti dell’accaduto, ma a un certo punto è comparso un tweet che rendeva conto dell’episodio. Episodio che poi mercoledì sera era stato evidenziato da Striscia la notizia (che parlava della «tempesta ormonale di Memo Remigi») mentre ieri mattina il sito Dagospia aveva svelato tutti i retroscena dell’accaduto.

Con tanto di video della mano del cantante poggiata sul fianco della Morlacchi. Mano che scende fino ad arrivare al lato B con una visibile palpata in diretta tv. La ex leader dei Gazosa non gradisce, schiaffeggia la mano del cantante e per evitare un nuovo palpeggiamento la riporta in alto al fianco, tenendola ferma. Un episodio che tutta la squadra di «Oggi è un altro giorno» ha voluto tenere riservato per tutelare Jessica, ma una volta diventato pubblico ha visto compattarsi tutta la squadra attorno alla cantante, spingendo anche Serena Bortone a esporre con chiarezza la propria posizione.

In tutto ciò Memo Remigi nella giornata di ieri ha rilasciato una intervista a Fanpage dove un po’ smentisce, un po’sdrammatizza, un po’ mente : « Nessuno mi ha comunicato nulla. Avevo degli esami da fare, ho fatto il tagliando, sa, a 84 anni...ma non è vero che mi hanno sospeso». E ancora: «C’è un’atmosfera goliardica tra noi, ci si fa degli scherzi. È stato un gesto involontario. Io cercavo di sistemare il microfono che era caduto dalla cintura. Gli ho messo la mano dietro perché stava cadendo questo microfono e scherzando gli ho dato la pacchetta sul sedere. Non avevo nessuna intenzione di essere un uomo libidinoso, non sono mai stato questo tipo di persona». Solito copione insomma... 

Peccato, però che invece Jessica Morlacchi ieri sera amaramente abbia detto: «Sono molto dispiaciuta e mi aspettavo almeno delle scuse immediate. Non che si inventasse delle menzogne».

 Maria Francesca Troisi per mowmag.com il 28 ottobre 2022.

Memo Remigi è stato sospeso dal programma “Oggi è un altro giorno” di Rai1, dopo l’accusa di aver palpeggiato Jessica Morlacchi, una delle componenti del cast. Il fatto è stata rilanciato da un video diventato in breve virale sui social, con tanto di critiche dagli utenti. Ma Vittorio Sgarbi non ci sta e annuncia di volerlo sostenere per riportarlo in tv: “Quando sei vecchio non hai più i riflessi pronti. Poi a quell’età se tocchi il culo di una ragazza è come se toccassi la sedia...” 

È gogna mediatica per Memo Remigi accusato di aver palpeggiato l'ex Gazosa Jessica Marlocchi in diretta Tv a Oggi è un altro giorno. 

Il fatto risale alla puntata di venerdì 21 ottobre, e denunciato prontamente dalla twittata di una spettatrice con correlato video di una manciata di secondi, nel frattempo diventato virale. “Memo Remigi tocca il fondochiena...

Ma è tutto regolare. Vergogna”. La clip si riferisce al lancio dei temi centrali della giornata in cui si nota la mano del cantante classe'38 tenuta sul fianco della collega per poi calare e finire sul fondoschiena di lei che non gradisce e la riporta fermamente sul fianco. Un episodio finora tenuto nascosto, come fa sapere Serena Bortone - che nella puntata odierna anticipa la sospensione di Remigi dal programma -  e diffuso solo in seguito al servizio di Striscia la notizia andato in onda ieri sera, con conseguente rilancio di Dagospia già dalla mattinata. 

Anche se in casa Rai erano partiti subito i provvedimenti, visto che il musicista lombardo era sparito dai radar già da lunedì.

Intanto che lo stesso Remigi si difende dall’accusa di molestia a mezzo social sui suoi profili ufficiali -  “Ci tengo a precisare che quanto accaduto, sicuramente mal riuscito rispetto ai suoi intenti, era soltanto un gesto innocente e scherzoso nei confronti di una stimata collega di lavoro..” - noi scomodiamo sul fattaccio del giorno il signore dell'arte Vittorio Sgarbi, che si dichiara pronto a difenderlo. 

Sgarbi, ma un colpetto sul fondoschiena è una molestia?

Sicuramente non è una molestia, ma Memo ha oltre 80 anni (84 nda), insomma è talmente vecchio che non è escluso sia scesa la mano in modo involontario… E poi lo conosco da tanti anni, non l’ha mai fatto in vita sua, figuriamoci. 

Anche un gesto scherzoso?

Sì, ma non solo, come dicevo, quando sei vecchio non hai più i riflessi pronti. Poi a quell’età se tocchi il culo di una ragazza è come se toccassi la sedia, un’automobile… 

Non si eccita?

Ma certo che no. 

Intanto la Rai ha recesso il contratto…

La Rai non doveva cacciarlo. Lui può fare causa all’azienda, specie se lei non dichiara di essere stata molestata. Sta zitta, no? Se lei non denuncia, lo devono riammettere. 

Ma il processo via social continua…

I vecchi vanno perdonati, io lo difenderò contro tutti. E adesso sa che c’è? Quasi quasi lo chiamo per dirglielo…

Dagospia il 28 ottobre 2022. Dal profilo Instagram di Jessica Morlacchi

Questo è il post che non avrei mai voluto scrivere ma adesso vivo una situazione di tale dispiacere e disagio che ho deciso di rompere il silenzio e dire la mia sulle conseguenze di quel video che tutti avete visto e che ora mi sottopone a una pressione mediatica che non auguro a nessuno. 

Quando Remigi ha fatto scivolare la sua mano sul mio fondoschiena, ho provato un disagio enorme ma come si vede l’imbarazzo non mi ha impedito di reagire immediatamente e con decisione. Eravamo in diretta e non potevo fare altro che schiaffeggiare e tirar su quella mano. 

Remigi ora chiede scusa, solo ora. Sono contenta che lo faccia, ma mentre si scusa insinua che quel gesto fosse solo goliardia motivata dalla mia condiscendenza. È inaccettabile. 

Remigi sa bene che la mia naturale confidenza, dopo due anni di lavoro insieme, non l’ha mai autorizzato ad allungare le mani. Ora, forse per età, formazione ed esperienza sostiene che quel gesto era solo uno scherzo: mi auguro che adesso finalmente capisca che si tratta di un comportamento invadente ed offensivo.

Anche ad 84 anni si può imparare dagli errori della vita. A tutti, per favore, chiedo ora silenzio e ringrazio la Rai per avermi protetta e sostenuta.

Memo Remigi: "Le ho telefonato, ma...". Cos'è successo dopo la palpata. Libero Quotidiano il 28 ottobre 2022

"Solo una pacchettina": Memo Remigi parla dopo il caso scoppiato a Oggi è un altro giorno su Rai 1. Il cantante e conduttore tv è stato sospeso dopo aver palpato il sedere di Jessica Morlacchi durante la trasmissione di Serena Bortone, di cui lui era ospite fisso. Ai microfoni de La Zanzara su Radio 24, Remigi si è difeso dicendo: "Una cosa ingiusta, non è stata neanche approfondita la cosa. La pacchettina sul sedere era un segno di 'buona trasmissione' come il 'merda' che si dice".

Il cantante ha detto anche di aver provato a chiamare la Morlacchi, che però avrebbe preferito non rispondergli per ora: "C’è un rapporto di amicizia e goliardia tra noi. Non ho mai molestato nessuno e la sto provando a contattare ma non risponde. Non capisco perché". Intanto sono diventate virali le immagini del gesto di Remigi. Mentre Serena Bortone dà qualche anticipazione in attesa dell'inizio del programma, sullo sfondo si vede Memo che sfiora la collega, prima sul braccio e poi sul sedere, con lei che subito gli sposta la mano.

La cantante, intanto, ha detto la sua: "Sono molto dispiaciuta e mi aspettavo almeno delle scuse immediate. Non che si inventasse delle menzogne". La Bortone invece si è scusata in diretta tv: "Remigi si è reso responsabile di un comportamento che non può essere tollerato in questo programma, in questa azienda e per quanto mi riguarda in nessun luogo".

Dagospia il 27 Ottobre 2022. Da “La Zanzara – Radio24”

Memo Remigi, cantante e conduttore tv, è al centro di una polemica a causa di una palpata al sedere della collega di trasmissione Jessica Morlacchi. A causa di questo Remigi è stato sospeso da “Oggi è un altro giorno” condotta da Serena Bortone. 

A La Zanzara su Radio 24 il cantante ha raccontato il momento: “Sono stati cinque giorni senza darmi nessuna notizia, è una cosa ingiusta visto che non è stata neanche approfondita la cosa. 

Tutto è nato da un video pubblicato sui social dove si vede la mia mano che scivola e dà una pacchettina sul sedere.

Era un segno di “buona trasmissione” come il “merda” che si dice, anche perchè ho un rapporto piacevole e gradevole con i miei compagni di viaggio. Ma era già successo, durante le prove” 

“C’è un rapporto di amicizia e goliardia tra noi  -  continua Remigi a La Zanzara -

Non ho mai molestato nessuno e la sto provando a contattare ma non risponde. Non capisco perchè.

Forse c’è rimasta male ma abbiamo sempre giocato e scherzato anche per rendere più piacevoli i rapporto. Cazzo scrivi sui social qualcosa e dì che Remigi non è un vecchio libidinoso” 

“Come ha reagito alla palpata? Niente, si vede nel video come ha spostato la mano, mica le ho stretto la chiappa. Il licenziamento in diretta? Tutto fa spettacolo, anche questo. Io vecchio porco? Posso dire di essere vecchio ma non porco, è ingiusto che mi si accusi di questa stronzata, qui stanno montando una cosa al di fuori della normalità. Non esageriamo”

Da fanpage.it il 27 Ottobre 2022.

Il terremoto mediatico causato dall'immagine di Memo Remigi che palpa Jessica Morlacchi è stato molto forte. A Fanpage.it, il cantante di "Innamorati a Milano" si difende e racconta le cose dal suo punto di vista. Memo Remigi spiega di non aver mai avuto l'intenzione di molestare l'affetto stabile di "Oggi è un altro giorno" e soprattutto smentisce le voci di una sua sospensione dal programma: "Nessuno mi ha comunicato nulla, sono fuori dal programma per fare degli esami".  

(L'intervista è stata registrata tra le 12 e le 12.30 del 27 ottobre e pubblicata prima che Serena Bortone ufficializzasse la sospensione di Memo Remigi dal programma) 

Signor Remigi, può spiegare cosa è successo in quello studio? 

Non c'è niente da spiegare, abbiamo sempre avuto un'atmosfera goliardica tra noi, tra gli affetti stabili, si scherza e ci si fa degli scherzi. È stato un gesto involontario.

Io cercavo di sistemare il microfono dietro, che era caduto dalla cintura. Gli ho messo la mano dietro perché stava cadendo questo microfono e scherzando gli ho dato la pacchetta sul sedere. Ma non entriamo nei particolari, dico solo che non avevo nessuna intenzione di essere un uomo libidinoso, ho l'età che ho e non sono mai stato questo tipo di persona. 

Ha parlato con Jessica Morlacchi dopo quel gesto?

La Morlacchi, povera stella, è quella che più di tutti ha subìto questa cosa. Io mi sono scusato e mi dispiace che lei in questo caso sia un po' la vittima di questa situazione. Io non avevo alcuna intenzione di metterla sul piano della volgarità e della violenza su di lei. È stata una cosa goliardica, ci si danno pacche sulle spalle e qualche volta anche sul sedere. Se guardiamo cosa succede per davvero in televisione, non mi sembra che sia stato questo grande scandalo. 

Non le dispiace che sia successo proprio nella trasmissione che l'ha rilanciata in tv?

Beh, prima di tutto diciamo che è stato Propaganda Live, poi Ballando con le stelle e alla fine è arrivato Oggi è un altro giorno. Ora sono in attesa di vedere cosa succede. 

Ma quindi è vero che l'hanno sospesa? 

No, adesso sono in attesa di vedere quello che succede, ma avevo degli esami da fare, ho fatto il tagliando, sa, a 84 anni…ma non è vero che mi hanno sospeso, per adesso non ho avuto nessuna notizia riguardo questo. 

Cosa le ha detto Serena Bortone?

Non ci siamo sentiti. Questa storia è uscita fuori da un tweet che nessuno ha commentato ufficialmente. Se qualcuno mi dirà qualcosa, io farò lo stesso.

Dagospia il 28 ottobre 2022. Questa sera a Striscia la notizia (Canale 5, ore 20.35) Valerio Staffelli consegna un Tapiro d’oro avvolto da un polpo a Memo Remigi, che ha palpeggiato il sedere alla collega Jessica Morlacchi in diretta, durante una puntata di Oggi è un altro giorno, su Raiuno, di cui il cantante era ospite fisso. La Rai ha annunciato ieri di aver interrotto il suo contratto dopo averlo allontanato dalla trasmissione. 

«Più che un Tapiro questo potrei definirlo un Tapirlo, perché mi sento davvero un pirla!», ammette Remigi. «Mi scuso con Jessica, con Serena Bortone, con la Rai e anche con il pubblico. Mi sono sempre comportato in maniera pulita, ma stavolta ho commesso un grave errore: è stato un gioco tra amici venuto male». 

«Che gioco è toccare il culo a una persona?», lo incalza l’inviato di Striscia. E il cantante risponde: «A volte porta fortuna, ma non questa volta», commenta Remigi, che sul suo futuro aggiunge: «Temo che in Rai sia finito. Spero di fare qualche altra cosa, magari scrivere un libro».

Giancarlo Dotto per Dagospia il 31 ottobre 2022.  

Stanotte ho sognato la Bortone. Un incubo. Giuro. Mi sono cagato sotto. La chiamano Serena, ma comandava un plotone d’esecuzione. All’inizio stavo dentro un sottomarino e mi chiamavo Capitan Memo, quello di Ventimila seghe sotto e sopra i mari prima di sentirmi innamorato e strano a Milano, poi mi ritrovo di colpo in una tela di Francisco Goya e c’era lei la Bortone che mi sparava al petto davanti a una telecamera. Sembrava Giovanna d’Arco. 

Sopravvissuta al rogo, era lei stessa il rogo. Mi accusava, in pratica, la Ciclope, buttando fiamme, collera e olio bollente dall’unico occhio d’aver mollato una palpatina di soppiatto a una ragazza del circo, con la stessa manina tremula e lievemente parletica, certamente patetica,  con cui di solito vado palpeggiando e palleggiando il mio teschio e la dozzina di vermi (tali sono fino a che non diventano verbi) che alloggiano di solito nelle tasche dei vecchi decrepiti. Sai, la vecchia storia del “Memento mori”, “devi morire!” (molto in voga negli stadi degli anni per l’appunto ’70, ’80, per non dire ‘90), da cui il nome del protagonista, Memo. Lo smemorato Memo. 

Ma anche la storia di “una mano lava l’altra”. Una mano palpa teschi e vermi (da cui l’espressione “mano morta”) e l’altra sfiora i culi di giovani donne, il cui eventuale consenso, per una volta, prescinde da un mediocre atto di volontà politicamente molesto ma discende da una compassionevole e indiscutibile esortazione dall’Alto, alias chiamata divina. Sta di fatto che, mentre la Bortone mi trafigge, stavolta con le frecce e io adesso sono San Sebastiano con la patta visibilmente sbottonata (l’indecenza in questo caso dovuta all’incontinenza), urlo prima di cadere al suolo la fatidica frase: “La carne è debole!”.

Il sogno era così verosimile che al risveglio ho cancellato il numero della Bortone che invece, quando non è un incubo e non guarda le telecamere, è una simpaticona, di quelle che con i capitan Memo si sollazza all’ora dell’apericena parlando del più e soprattutto del meno. I sogni, se li prendi per il verso giusto, sono cronache vere, soprattutto quando sono cronici. 

Piovono dal mondo reale. Che non è quello dei fumetti quotidiani. Come se ne esce dunque, senza incappare nell’intemerata ma meritando la serenata della Bortone? Liberalizzare la palpatina ma solo dagli ottanta in su, autobus di linea inclusi? Sarebbe bello, ma troppo audace. Di questi tempi poi, dove la morale è uno scudiscio modaiolo e assai flessibile per cui si lincia la furtiva mano di un anziano signore (“Non ci resta che tangere”), manco fosse Jeffrey Dahmer all’apice del suo mattatoio.

Detto, tra tutte le parentesi del mondo, che c’è più lirismo, più sottrazione d’amore  e meno pornografia nel capitan Memo che allunga la mano morta nei territori della carne viva che, per dirne una, cioè tante, nelle tante ninfette che ammiccano sculettanti e libere di farlo nei video ipnotici di Tik Tok, evocando e lisciando i capitan Memo sparsi nel pianeta. 

Detto questo, aspetto il prossimo sogno per chiamare alle armi un nuovo esercito della salvezza. Giovani donne e giovani uomini, ispirati al compassionevole detto di Annabel Chang, la celebre pornostar (“Mi piace essere trattata come un pezzo di carne”) si concedano con sentimento (ma anche senza) a bordo di autobus autorizzati e molto affollati alle palpatine di anziani signori e anziane signore che di solito non hanno più da palpeggiare che il proprio teschio. Piccoli, innocenti svaghi, tra un sinistro pensiero e l’altro. Un gigantesco atto di amore e di solidarietà. Di questo si parla. Facciamoci avanti, generosi, noi ventenni. Se la vecchiaia è un handicap. E, a quanto pare, lo è.

Dagospia il 31 ottobre 2022. Riceviamo e pubblichiamo:

Caro Dago, ma in cosa differisce la palpata di Memo Remigi da quella di Mara Venier a Biagio Antonacci e Alvise Rigo? Dal tipo di pressione? Dal gluteo? O da una semplice mala interpretazione del porconamente corretto? Giovanni Bertuccio 

Da liberoquotidiano.it il 31 ottobre 2022.  

Mara Venier fuori controllo. Nella puntata di Domenica In in onda su Rai 1 il 9 ottobre, la conduttrice si lascia andare. Complice l'ospitata di Biagio Antonacci. Il cantante e la Venier erano uno vicino all'altro in piedi mentre al telefono c'era Vincenzo Mollica che esaltava le doti dell'artista. Fin qui nulla di strano, se non fosse che a un certo punto la conduttrice e Antonacci si sono abbracciati. 

La Venier ha messo le mani sul fianco del cantante, sottolineando quanto fosse magro. Poi però la conduttrice non ha potuto fare a meno di notare un dettaglio, che ha scatenato l'ilarità del pubblico. La Venier ha infatti notato il fisico dell'artista mentre Antonacci le domandava: "Hai sentito il sedere?". La Venier non se l'è fatto ripetere due volte e ha palpato i glutei dell'ospite: "Sì, ho sentito! Ma quanti anni hai? Stai così messo bene!". 

Immediata la risata in studio…

Da ilfattoquotidiano.it il 31 ottobre 2022.  

Mara Venier non le manda a dire neanche questa volta: “Ho inviato tutto al mio avvocato Carlo Longari e valuteremo se è il caso di querelare il giornalista“, ha riferito all’Adnkronos. I fatti. Durante la puntata di Domenica In andata in onda il 28 novembre scorso, la conduttrice ha ospitato anche Alvise Rigo, il 29enne ex rugbista che sta partecipando a Ballando con le Stelle. Nello studio di Rai 1 era presente anche Rossella Erra, opinionista del programma condotto da Milly Carlucci, che ha detto: “Alvise voleva mettersi la camicia, io gli ho detto ‘mettiti la t-shirt che è meglio per tutti'”. Poi ha aggiunto: “Lui è davvero un bel toccare, Mara tocca, tocca“.

La conduttrice, allora, stando al gioco, ha palpato il lato B di Alvise e ha detto: “È un bel toccare, porta bene. Lo faccio solo perché porta bene. Alla mia età posso fare tutto”. Le grandi risate in studio di domenica, oggi stridono con le critiche che Mara Venier ha ricevuto, soprattutto alla luce del recente caso di Greta Beccaglia, la giornalista di Toscana TV molestata da un tifoso (per il quale è scattato il Daspo) dopo il match Empoli-Fiorentina. Questo accostamento ha fatto andare su tutte le furie Mara che, non solo sta pensando di agire per vie legali, ma ha anche aggiunto che è “vergognoso accostare il gesto goliardico fatto con simpatia e affetto in assoluta buona fede nei confronti di Alvise, mio concittadino veneziano, all’atto di molestia nei confronti della giornalista sportiva di Toscana Tv. Le molestie sessuali sono una cosa, una bottarella al sedere fatta ridendo, un’altra “. 

E ancora ha sottolineato: “Prima di scrivere un pezzo così un giornalista ci deve pensare molto bene. Non lo accetto”. Anche il protagonista di Ballando con le Stelle è sereno al riguardo: “Se mi sono sentito molestato? Ma scherziamo? Mara è una zia per me. Il nostro era un gioco. Non è assolutamente accostabile una cosa così grave come quella accaduta alla giornalista sportiva Beccaglia a una cosa così simpatica e goliardica come quella fra Mara e me”, ha dichiarato.

Da liberoquotidiano.it il 31 ottobre 2022.

Botta e risposta tra Salvo Sottile e Franco Di Mare. I due, a distanza, non se le mandano a dire. E su Twitter si scatena il putiferio. Tutto ha inizio con il direttore di Rai3 che pubblica il video di un vecchio servizio di Striscia la Notizia. 

Qui si racconta della palpata ai danni dell'allora collega Sonia Grey durante Uno Mattina. "2004, 18 anni fa. Ecco come andò. Striscia lo sa bene ma continua a parlare di mie molestie. Non è più satira, è diffamazione. E infatti li ho querelati" ha commentato dopo che il tg satirico ha riproposto il filmato in merito alla vicenda di Memo Remigi e Jessica Morlacchi.

"Possibile - interviene Sottile - che esistano ancora credenze mesozoiche secondo le quali toccare il c**o a una donna (per giunta in tv) è 'solo uno scherzo'? Ma che messaggio passa così ? Che se scherzi puoi farlo? Io (anche) da telespettatore li trovo 'scherzi' di pessimo gusto". Un'uscita che non piace a Di Mare, che a quel punto rincara la dose: "Prima o poi convincerò una mia ex collaboratrice che riceveva pressioni telefoniche indesiderate da un ex conduttore di rai tre a raccontarlo pubblicamente. Ci faremo risate mesozoiche".

"Siamo pronti - dice ancora Sottile - Invece altre donne che ricevevano attenzioni e sms indesiderati da un altro 'ex' col vizietto delle minacce da mafioso di terza fila mi risulta, siano pronte a raccontarlo prestissimo... Sai che risate! Arriviamo al paleolitico!". Non è il primo scontro tra i due questo. Già anni fa Sottile non aveva preso bene la sostituzione nel programma Mi Manda Rai Tre.

(ANSA il 31 ottobre 2022) "Sono moralmente distrutto. Alla mia età non è facile superare il grave stato d'animo in cui la azienda Rai, alla quale ho legato tutta la mia vita artistica, mi ha ridotto''. Così, in una nota, Memo Remigi dopo la vicenda della molestia a Jessica Morlacchi che lo hanno portato ad essere escluso dalla Rai. ''Il provvedimento, con il quale sono stato espulso da un programma a cui stavo dando la collaborazione più convinta ed entusiastica - continua Memo Remigi -, mi pare ingiusto per la sproporzionata gravità della condanna inflittami, senza neppure aver sentito le mie ragioni e considerato le mie scuse. 

Mi rasserenano tuttavia le centinaia di messaggi di stima e di solidarietà espressi a mio favore anche da persone interne all'azienda. Ora ho bisogno di riposo, di silenzio e di cure, sperando di riprendere le mie forze e la mia tranquillità. Ho, comunque, dato mandato all'Avv. Giorgio Assumma di Roma di esaminare, sotto il profilo legale, la via più idonea per la tutela della mia dignità di uomo e di artista". 

Memo Remigi vittima di se stesso. Le donne devono denunciare. Francesca Galici il 31 Ottobre 2022 su Il Giornale.

La Rai ha deciso di allontanare Memo Remigi dopo quanto accaduto con la Morlacchi. Lui non ci sta: "Sproporzionata gravità della condanna inflittami" 

Memo Remigi è stato allontanato dalla Rai con l'accusa di aver avvicinato la sua mano al fondoschiena di Jessica Morlacchi durante il programma Domani è un altro giorno condotto da Serena Bortone. Licenziamento e pubblica gogna per il cantante, che da alcune stagioni era una presenza costante nel programma del pomeriggio di Rai 1.

"Mi scuso con Jessica, con Serena Bortone, con la Rai e anche con il pubblico. Mi sono sempre comportato in maniera pulita, ma stavolta ho commesso un grave errore: è stato un gioco tra amici venuto male", ha detto il cantante ai microfoni di Striscia la notizia, che gli ha consegnato un particolare Tapiro d'oro con un polpo. Un messaggio nemmeno troppo subliminale per il cantante.

Memo Remigi è stato vittima di se stesso. Forse sperava di non essere notato, visto che il tutto si è verificato in un momento defilato della trasmissione. Se le telecamere non lo avessero inquadrato, Jessica Morlacchi l'avrebbe segnalato? Una domanda alla quale è impossibile dare una risposta certa, visto che le immagini della mano del cantante che scivolano sul fondoschiena della cantante hanno rimbalzato di profilo in profilo sui social e anche in tv. Tuttavia, almeno stando a quello che oggi molte donne dichiarano, è probabile che se non ci fossero state le immagini non ci sarebbe stato il clamore mediatico.

Certo, la Rai ha preso provvedimenti immediati contro Memo Remigi, allontanandolo immediatamente dalla trasmissione, ma quanti altri casi come questi ci sono stati senza che venisse fatta la segnalazione? Non solo in ambito televisivo, ovviamente, dove comunque la "moviola" ha il suo peso grazie alle telecamere posizionate un po' ovunque. Stare in silenzio e poi dopo anni dire "è successo anche a me" non ha la stessa efficacia. Così come è sbagliato subire atteggiamenti di un certo tipo solo perché si è in amicizia.

Memo Remigi ha parlato di "un gioco tra amici venuto male": che gioco può essere la mano sul sedere in modo così lascivo? Questa storia è avvolta da una patina di "non detti" che difficilmente verranno dipanati. E che forse non è nemmeno necessario conoscere. Anche perché il tempo delle chiacchiere su questa vicenda è concluso: si è detto tutto quello che c'era da sapere. "Sono moralmente distrutto", ha detto in una nota Memo Remigi, che considera l'allontanamento dalla Rai "ingiusto per la sproporzionata gravità della condanna inflittami". Si è rivolto a un avvocato per tutela la sua dignità e ha aggiunto: "Ho bisogno di riposo, di silenzio e di cure, sperando di riprendere le mie forze e la mia tranquillità".

La Rai ha scelto la linea dura, forse anche simbolica, contro il cantante. Le immagini ci sono, Jessica Morlacchi si è sentita molestata e non ci sono margini di discussione davanti ai fatti. Ora però è il momento del silenzio, per tutti. Anzi no, non per tutti. Perché le donne che si sentono molestate o, ancora peggio, violate, devono parlare. E lo devono fare in tutti i modi che conoscono, a voce alta, anche se ci potrebbe essere qualcuno che non crederà alle loro parole. Perché le conseguenze del silenzio sono imperscrutabili.

Jessica Morlacchi palpeggiata: "Veleno e mestruazioni". Libero Quotidiano l'01 novembre 2022

Volano stracci tra Selvaggia Lucarelli e Jessica Morlacchi, la cantante ospite fissa di Serena Bortone a Oggi è un altro giorno. Di recente si è parlato parecchio di lei per via della palpata in diretta del collega Memo Remigi. La giornalista e giurata di Ballando con le Stelle aveva commentato il caso condannando duramente il gesto di Memo ma anche lanciando una bordata a Jessica, la quale, a suo dire, ha avuto in passato comportamenti non proprio teneri nei suoi confronti. Secondo la Lucarelli, infatti, quando Iva Zanicchi le diede della “tro*a” a Ballando e si parlò dell'episodio a Oggi è un altro giorno, la Morlacchi avrebbe fatto alcune smorfie, sminuendo la questione.

Ieri la Morlacchi ha pubblicato una storia su Instagram facilmente collegabile alla Lucarelli: "Mi sono capitati sotto mano più post… Che dire… Immagino il nervosismo che ti pervade quando si vede ballare il proprio fidanzatino con la bellissima ballerina. Quindi ci sta… Poi magari subentra anche il ciclo. Poi in questo caso si parte da una base di 'veleno d’animo' puro. Insomma, comprendo comprendo…”. Non è tardata ad arrivare la replica della giornalista: "Quando è scoppiato il caso Memo Remigi, ho scritto che per me Memo Remigi poteva starsene a casa come deciso dalla Rai senza rimpianti e andava bene così, ma che la vittima del suo palpeggiamento aveva molto da imparare da questa vicenda. E lo dicevo perché la vedevo sempre ridacchiare e scocciarsi quando si parlava di epiteti sessisti a me rivolti, la vedevo sempre dalla parte dei maschi”. 

"Piccata dalle mie osservazioni - continua la Lucarelli - oggi scrive questa specie di disastro sessista tra pregiudizi avvilenti su invidie femminili e acidità da mestruazioni. Appunto, non sbagliavo. Si può essere vittime di Memo Remigi e pensare come Memo Remigi, non c’è nulla di strano. Ma molto di deprimente". In un secondo momento comunque la Morlacchi ha cancellato la storia e ha scritto: "Mi hanno fatto notare che stavo usando stereotipi e pregiudizi della peggiore cultura maschilista e qualunquista verso un'altra donna. Ho capito di aver sbagliato e quindi ecco qiu le mie scuse sincere".

Franco Giubilei per “la Stampa” il 31 ottobre 2022.

«Andrò in tv a difendere Remigi, di certo mi massacreranno sui social». Enrica Bonaccorti conosce benissimo l'ambiente televisivo, veterana com' è di programmi Rai e Mediaset, ma ha anche una buona esperienza di teatro che, fa capire, non era certo immune da certe cattive abitudini: «A me capitò a teatro che due attori mi dessero pacche sul sedere, ma era 50 anni fa ed eravamo figli di un'epoca che finalmente si sta sgretolando». 

Conoscendo personalmente anche Memo Remigi, da un lato ne stigmatizza il gesto immortalato dalla telecamera e rilanciato dai social fino a diventare argomento di discussione a livello nazionale, la scena vista e stravista del cantante-conduttore che palpeggia Jessica Morlacchi durante il programma di Serena Bortone sulla Rai (che poi lo ha licenziato).

Dall'altro però si rifiuta di crocifiggerlo senza rimedio, così come di appiccicargli addosso definizioni come quelle piovute sul colpevole: «Di sicuro è un brutto gesto, ma lasciargli questo marchio di libidinoso a 84 anni». Il gesto però è grave, lei allora come lo definirebbe?

«Il gesto di Memo è stato inopportuno e maschilista. Aggiungo che io mi sono sempre definita orgogliosamente femminista e che sono stata guardata male per questo da tutti gli uomini e purtroppo anche da tante donne. Eppure oggi non mi scaglio contro Memo, anche se lo rimprovero sia per il gesto che per le giustificazioni, arrampicate sugli specchi».

Secondo lei cosa avrebbe dovuto fare dopo essere stato ripreso in quella maniera dalla telecamera?

«Avrei voluto sentirgli dire: "Mi dispiace tanto e mi scuso, è stato uno sbaglio figlio della cultura maschilista di una volta che sdoganava parole e gesti oggi inaccettabili, aiutato da un cameratismo che ho evidentemente equivocato". 

Detto questo, trova ci sia accanimento nei suoi confronti?

«Conosco Memo, ha 84 anni, fa scherzi in continuazione, e battute che oggi non si dovrebbero più fare, ma non è un vecchio libidinoso come lo stanno descrivendo. Anzi, è un vecchio signore gentile che non merita di essere ricordato per questo, ma per "Innamorati a Milano"». 

Lei ha lavorato per molti anni alla radio, nella televisione nazionale pubblica e privata, avrà visto di persona o sarà stata a conoscenza di certe molestie alle donne, piccole o grandi. «In realtà era peggio, perché non c'era consapevolezza e non c'era da ambo le parti, uomini e donne, dunque non c'era vera condanna, soprattutto nei paesi latini. Ma il vero discrimine secondo me è da chi parte la molestia verbale o fisica: se la fa chi ha potere su di te, sul tuo lavoro, questo è un vero crimine. E non è certo questo il caso di Memo». 

A lei è successo?

«Non parlo di me, faccio solo considerazioni scaturite dal disgraziato caso di Remigi, ma vedrà che sarò massacrata per i miei distinguo, in un paese manicheo come il nostro». 

Se non ci fossero stati i social, che hanno diffuso il filmato evidenziando il comportamento di Remigi, la vicenda sarebbe comunque diventata un caso nazionale o sarebbe morta così? Jessica Morlacchi non aveva denunciato il fatto.

«A questo risponda lei, per favore».

Dagospia il 28 ottobre 2022. Dal profilo Instagram di Caterina Collovati

Classe 1938, signore gentile, d'altri tempi, cantante e compositore di testi che hanno fatto innamorare migliaia di coppie. 

Da qualche giorno è nel mirino delle critiche, perché reo in diretta tv di aver toccato il lato B di tale Jessica Morlacchi, cantante, sua collega nel programma di Rai 1 " Oggi è un altro giorno ". 

Mi rifiuto di vedere del torbido in quella mano rugosa, che dopo aver cinto la vita della collega per la posa imposta dalla scena, cade avvizzita lungo il fianco della cantante.

L'unica palpata degna di nota Memo Remigi la riserva ai tasti del pianoforte che suona ancora magistralmente. 

Lui da signore pacato ha incassato il licenziamento senza opposizione, bensì scusandosi per quel gesto che avrebbe irritato la collega.

Io dico che a ricevere le scuse, da coloro che hanno tendenziosamente frainteso il suo gesto, dovrebbe essere lui. 

Quanta ipocrisia e moralismo inutile; un Paese che non sa difendere le donne da uomini che maltrattano, da uomini che stuprano, ma sa benissimo umiliare le persone perbene.

Jessica Morlacchi torna su Memo Remigi: "Gli voglio bene come fosse mio nonno, non lo posso denunciare". di Federica Bandirali su Il Corriere della Sera il 18 Novembre 2022.

In un'intervista a Diva e Donna la giovane è tornata a parlare del caso. "In molti mi hanno detto che avrei dovuto denunciarlo, non lo farò. Non ho idea di che cosa gli sia venuto in mente in quel momento” ha detto al settimanale 

A poche settimane dal gesto di Memo Remigi a Jessica Morlacchi, la cantante (che oggi è molto amata in tv in quanto presenza fissa del programma di Rai1 “Oggi è un altro giorno”) torna a parlare di quanto accaduto e del perché non ha denunciato Remigi. E l’ha fatto in un’intervista rilasciata a “Diva e Donna”. «Penso abbia avuto un momento di confusione. È l’unica spiegazione che riesco a darmi. In molti mi hanno detto che avrei dovuto denunciarlo, non lo farò. Gli voglio bene come se fosse mio nonno. Non ho idea di che cosa gli sia venuto in mente in quel momento».

Il lavoro

La ragazza ricorda il lavoro insieme per due anni senza nessun problema e nel massimo rispetto reciproco, e poi, in diretta tv, il gesto del genere: «Ma perché?» si chiede. Prova poi a darsi una risposta con un’allusione all’età di Remigi, 84 anni: «Penso che sia proprio vero che a una certa età si perdano i freni inibitori e si torni un po' bambini. È l’unica spiegazione che riesco a darmi» ha aggiunto, confermando però come un gesto simile vada condannato a prescindere dall'età. 

DAGONEWS il 27 Ottobre 2022.

Fermi tutti! Morgan ha aggiunto Memo Remigi nella mega chat Rinascimento e Dissoluzione, che ha aperto insieme a Vittorio Sgarbi scatenando il panico nei cellulari di politici, artisti, giornalisti e critici d’arte. 

Il cantante ha voluto dare così la sua solidarietà a Remigi, licenziato dalla trasmissione “Oggi è un altro giorno” per l’ormai celebre “palpatina” a Jessica Morlacchi. Morgan ha chiesto a Memo cosa fosse successo, e quello ha ringraziato per il sostegno.

Poi Morgan ha proposto all’84enne di cantare una canzone porno che ha composto lui per l’occasione. Per convincerlo, ha mandato una specie di demo cantata da Siri, l’assistente vocale dell’iPhone. Secondo Morgan, dopo lo scandalo dalla Bortone, farebbe il botto, e a giudicare dal testo, non ce la sentiamo di dargli torto.

Quando ho voglia di scoparti io penso alle tue tette. Sono uno di quei tanti che tu fai eccitare. È finalmente vedo, vedo, questo mio grosso cazzo che tu non hai visto mai.

Vendo, vendo il mio grosso cazzo che…. […] Come vorrei che tu vedessi che cosa sto facendo […] con questo duro cazzo che causa l’orgasmo […] Le mie palle son gonfie, più gonfie di due secchi […] così vengo nel pensare che poi ti penetro […]

Claudio Tadicini per corriere.it il 15 settembre 2021.

Avrebbe taciuto i palpeggiamenti subiti dalla figlioletta in cambio di 600 euro, ricevuti dal presunto molestatore per non essere denunciato. Ed ora, insieme a quest’ultimo, rischia di affrontare il processo: lei con l’accusa di favoreggiamento personale; lui con quella di violenza sessuale, aggravata perché compiuta su un minore.

I fatti risalgono all’estate 2020 e si sarebbero verificati su una spiaggia di Porto Cesareo, una delle mete balneari più gettonate del Salento. È qui che, secondo la ricostruzione degli inquirenti dell’Arma dei carabinieri, il presunto pedofilo avrebbe palpeggiato la giovanissima – alla data dei fatti di soli 9 anni – con la scusa di fare un bagno in mare assieme, allungando le mani sulle sue parti intime. Abusi che l’uomo, un quarantenne di Copertino, avrebbe compiuto dopo avere afferrato con forza la ragazzina ed averla stretta a sé, raccomandandole poi di non dire nulla alla madre.

A fare scattare l’inchiesta del pubblico ministero Maria Rosaria Petrolo della Procura della Repubblica di Lecce, ora giunta ad un primo punto fermo con la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ai due indagati, è stata la confessione fatta ad un’insegnante dalla minorenne che, almeno in un primo momento - forse perché spaventata - aveva tenuto per lei quel terribile segreto. E così la vicenda è giunta all’attenzione dei carabinieri.

Convocata in caserma dai militari per essere ascoltata, la madre della ragazzina – pur ammettendo di essere a conoscenza di quanto accaduto alla figlia - avrebbe però cercato di coprire l’indagato: prima indicando quale responsabile (come già riferito alla maestra) un non meglio identificato «zio» della bambina; poi rifiutandosi di fornire indicazioni utili per identificare il presunto molestatore.

La sua omertà, come emerso dalle indagini, sarebbe stata comprata dal quarantenne per 600 euro: «Avevo paura di una reazione violenta di mio marito». Accertata la sua capacità di testimoniare, la giovanissima ha confermato le violenze subite nel corso dell’incidente probatorio davanti al gip Marcello Rizzo. I due indagati sono difesi dagli avvocati Raffaele Leone e Luigi Rella.

Indagata una mamma che si fa pagare per non denunciare le molestie subite dalla figlia a Porto Cesareo. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 14 Settembre 2022 

La mamma avrebbe taciuto sui palpeggiamenti subiti dalla figlioletta in cambio di 600 euro, ricevuti dal presunto molestatore per non essere denunciato.

Ad attivare l’inchiesta condotta dal pubblico ministero Maria Rosaria Petrolo della Procura della Repubblica di Lecce, oche ha portato alla notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari ai due indagati, è stata la confessione della minorenne ad un’insegnante  che in un primo momento preoccupata aveva mantenuto per se quel segreto affidatole. E stato così la vicenda è arrivata a conoscenza dei Carabinieri. Convocata in caserma dai militari per essere ascoltata, la madre della ragazzina pur ammettendo di essere a conoscenza di quanto accaduto alla figlia avrebbe però tentato di coprire l’indagato: prima indicando quale responsabile (come già riferito alla maestra) un non meglio identificato “zio” della bambina, ed in seguito rifiutandosi di fornire indicazioni utili per identificare il presunto molestatore. 

La mamma della ragazzina adesso dovrà affrontare il processo insieme al pedofilo chiamato a rispondere dell’ accusa di violenza sessuale aggravata perché compiuta su un minore, la mamma con l’accusa di favoreggiamento personale, sarebbe stata comprata dal quarantenne per 600 euro: “Avevo paura di una reazione violenta di mio marito“. 

La vicenda risale all’estate 2020 e si sarebbe verificata sulla spiaggia di Porto Cesareo, una delle mete balneari più frequentate del Salento. Secondo la ricostruzione degli investigatori dell’Arma dei Carabinieri, il presunto pedofilo che con la scusa di fare un bagno in mare assieme, avrebbe palpeggiato la giovanissima ragazza che aveva soltanto 9 anni , allungando le proprie mani sulle sue parti intime. Abusi che l’uomo, un quarantenne di Copertino, avrebbe fatto dopo avere afferrato con forza la ragazzina ed averla stretta a sé, raccomandandole poi di non riferire nulla alla madre.

Verificata la sua capacità di testimoniare, la ragazza che adesso ha 11 anni, nel corso dell’incidente probatorio davanti al Gip Marcello Rizzo ha confermato le violenze subite dal pedofilo. I due indagati sono difesi dagli avvocati Raffaele Leone e Luigi Rella. Redazione CdG 1947

Bari, molestò per anni l'addetta alle pulizie della caserma: finanziere condannato. Tre anni e sei mesi di reclusione per un militare 55enne di Molfetta, imputato per violenza sessuale e stalking nei confronti di una 39enne barese che lavorava come addetta alle pulizie nella caserma dove il finanziere era in servizio. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 27 Luglio 2022.

Il Tribunale di Bari ha condannato alla pena di tre anni e sei mesi di reclusione un militare 55enne di Molfetta, imputato per violenza sessuale e stalking nei confronti di una 39enne barese che lavorava come addetta alle pulizie nella caserma dove il finanziere era in servizio, la Caserma Macchi di Bari. I fatti contestati risalgono al periodo compreso tra settembre 2012 e febbraio 2017. Il finanziere, è l’ipotesi accusatoria condivisa dai giudici, avrebbe perseguitato la donna per anni, nonostante lei avesse manifestato di non corrispondere l’interesse dell’uomo, seguendola mentre svolgeva la sue mansioni in caserma, intervenendo perché non fosse affiancata da altre colleghe, minacciando di farla licenziare, fino a molestarla fisicamente mentre la donna era sola in un magazzino. I giudici hanno condannato il militare anche al risarcimento danni nei confronti della presunta vittima, costituita parte civile con l’avvocato Emiliano D’Alessandro, con provvisionale immediatamente esecutiva di cinquemila euro. Il finanziere, assistito dall’avvocato Antonio La Scala, farà appello contro la sentenza di condanna.

Gaia Martino per fanpage.it il 24 maggio 2022.

Lo scorso sabato al concerto organizzato da Radio Italia in piazza Duomo a Milano si è esibito anche Blanco, la star italiana del momento che insieme a Mahmood ha vinto il Festival di Sanremo 2022 e si è piazzato sesto all'Eurovision 2022. 

Come solito fare, il cantante 19enne si è scatenato con i fan cantando le sue hit tra la folla, facendo "impazzire" tutti ma in particolare una ragazza che, proprio avanti a lui, si è approfittata della vicinanza per toccargli le parti intime. Il gesto, ripreso da un'altra fan, ha indignato gli utenti Twitter che ora la accusano di molestia. 

Il video della presunta molestia

Blanco stava cantando la sua hit Notti in bianco tra la folla in piazza Duomo durante il concerto Radio Italia Live quando una ragazza si sarebbe approfittata della vicinanza del cantante per toccargli le parti intime. 

Una fan stava riprendendo l'esibizione di Riccardo Fabbriconi e dal video è chiaramente visibile la mano dell'"incriminata" che gli tocca diverse volte i genitali. "Grazie alla ragazza che ha messo la mano sul ca**o di Blanco rovinandomi il video dove lui prende per mano il mio ragazzo" ha scritto l'utente sui social. Su Twitter ora tutti lanciano l'accusa: "Questa è una molestia".

L'accusa dei fan: "Questa è una molestia"

Su Twitter è scoppiata la polemica da diverse ore, in tanti si stanno confrontando sul video che sta circolando. Per la maggior parte si tratta della testimonianza di una vera e propria molestia sessuale, a tutti gli effetti. 

A chi sostiene che il gesto sia stato "casuale", in molti si stanno rivoltando: "Quella nei confronti di Blanco è una molestia, punto. È una molestia voluta, e non credo minimamente che sia stata "casuale" come ho sentito in giro. Ma come vi permettete? Ma io davvero, sono senza parole" ha scritto un utente. 

A qualcuno che ha sostenuto che la colpa fosse stata anche del cantante, solito a cantare tra la folla, un altro utente ha sbottato: "Io non posso credere che si ragioni così di me*da. Cioè solo perché crea contatto con il suo pubblico deve essere molestato? 

Perché questo è. UNA CA**O DI MOLESTIA. E non è normale andare in giro a toccare il ca**o della gente, non dovrebbe dirlo Blanco che, per giunta, é un Ca**o di ragazzino che magari nemmeno ha saputo reagire a quella situazione dato che stava comunque facendo il suo lavoro. 

Magari era mortificato ma non ha voluto rovinare una serata importante. O forse non se ne é accorto, dubito, ma resta comunque una ca**o di molestia".

Le mani su Blanco. Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 25 Maggio 2022.

Ieri molti italiani compulsavano freneticamente le loro protesi digitali per commentare un video in cui la mano di una ragazza indugiava sopra la patta del cantante Blanco durante uno spettacolo in piazza Duomo. 

Si era trattato o no di molestia? Una star che si offre all’abbraccio dei fan, nel rito sempre un po’ orgiastico e sacrificale del concerto, deve mettere in conto un incontro ravvicinato di qualsiasi tipo? Oppure anche chi si esibisce in pubblico conserva il diritto a non farsi spupazzare come un peluche? 

Confesso che il dilemma non mi aveva ispirato riflessioni appassionate come quelle che fioccavano sui social. Poi un amico mi ha fatto notare il famoso elefante in mezzo alla stanza: la notizia non era che si stesse discutendo sulla natura di un gesto invasivo, ma che quel gesto avesse per bersaglio un maschio. Qualcuno ha detto: «Se la molestata fosse stata una donna, se ne parlerebbe di più», ma il fatto stesso che lo dicesse era la prova che se ne stava finalmente parlando. 

È esistito un tempo in cui la molestia veniva tollerata e, in certi ambienti, guardata addirittura con simpatia. Negli ultimi anni c’è stato uno scatto di sensibilità e le intrusioni non richieste di gran lunga più frequenti — quelle sul corpo delle donne — hanno ricevuto l’attenzione e la sanzione che meritano. Ora siamo a un passaggio ulteriore, che ci si augura definitivo: «Alla fin della licenza, io tocco» vale solo per Cyrano a duello. Tutti gli altri la licenza se la devono far dare dagli interessati. Femmine o maschi che siano.

Blanco e la mano della fan al concerto per Radio Italia. «È una molestia», «No, è normale». Elvira Serra su Il Corriere della Sera il 24 Maggio 2022.

Un caso il video del cantante toccato sul palco. Giulia Bongiorno: «Quella è violenza sessuale, un reato punito da 6 a dodici anni». Il silenzio del vincitore di Sanremo con Mahmood: «Un bagno d’amore». 

Nessuno se ne sarebbe accorto (a parte Blanco), se @luciadalgri non avesse postato il video su Tik Tok. E in quel breve filmato, che ha poi fatto il giro del web (anche grazie al tweet di @camreline), l’artista bresciano, al secolo Riccardo Fabbriconi, 19 anni, Sanremo 2022 vinto con Mahmood, sta chiudendo la festa in piazza Duomo per i quarant’anni di Radio Italia in un mare di fan, mentre una mano femminile indugia un po’ troppo sul suo baricentro. E Lucia, l’autrice delle immagini, commenta in sovrimpressione: «Grazie alla ragazza che mette la mano sul c... di Blanco rovinandomi il video dove lui prende per mano il mio ragazzo».

Molestia o violenza sessuale?

Forse sarebbe finita lì se quelle immagini non fossero diventate virali, scatenando commenti favorevoli, contrari, è una molestia, non è una molestia, lui era circondato dai fan (dunque se l’è cercata?), in altri tempi il cantante avrebbe chiamato la groupie in camerino e nessuno avrebbe avuto niente da ridire, e così via all’infinito. O forse no. Perché quello che è successo a Blanco, in una piazza che conteneva 19.900 persone, più altre trentamila intorno, è diventato lo spunto per farsi una domanda e provare a trovare la risposta. Era molestia?

Un reato punibile da 6 a 12 anni

«No, era una violenza sessuale», commenta l’avvocata Giulia Bongiorno, senatrice leghista, fondatrice assieme a Michelle Hunziker di «Doppia difesa», la onlus impegnata contro le discriminazioni, gli abusi, la violenza sulle donne. Codice penale alla mano, articolo 609 bis, spiega: «La violenza sessuale è costituita da qualsiasi atto che risolvendosi in un contatto corporeo anche fugace tra soggetto passivo e soggetto attivo ponga in pericolo la libertà di autodeterminazione». Nella fattispecie: palpeggiare zone erogene senza il consenso dell’altro — uomo o donna che sia — può integrare il delitto di violenza sessuale, con una pena da 6 a 12 anni di reclusione. «La parola chiave è il consenso», va avanti l’avvocata. «Durante la sua esibizione Blanco non era nelle condizioni di manifestarlo».

Non è uno «scherzetto»

Buona parte della discussione sui social si è invece concentrata sulla parola «molestia» — a parti invertite, cosa sarebbe successo? — che Giulia Bongiorno però esclude. «Le molestie sessuali si riscontrano in caso di espressioni volgari a sfondo sessuale: atti di corteggiamento invasivo e insistito diversi dall’abuso sessuale». Ma anche qui, la parlamentare puntualizza: «Vorrei non si derubricasse allo scherzetto. Quello che è successo a Blanco non è “un fatto grave”: è un reato».

Il silenzio di Blanco

Molti commenti, proprio di donne, dimostrano nuova consapevolezza. @In2siamounklan scrive su Twitter: «Riccardo non vi autorizza a palparlo come vi pare solo perché vi si avvicina durante i concerti, allo stesso modo in cui una ragazza non vi autorizza a fare niente solo perché indossa una minigonna. Il concetto di base rimane il rispetto». Sarebbe interessante sapere cosa pensa il diretto interessato. Ma Blanco, nel post pubblicato dopo il concerto su Instagram, dà solo appuntamento ai fan a Bologna e li ringrazia. «Un bagno d’amore». No comment.

Blanco palpeggiato, sul palco vige la legge del rock and roll ma senza consenso è sempre violenza. Elena Stancanelli su La Repubblica il 24 maggio 2022.  

Senza alcun dubbio una donna che mette le mani tra le gambe a un uomo senza che questo lo desideri lo sta molestando. Eppure in un concerto fa parte dello show offire il proprio corpo al pubblico.

Il video della ragazzina che impugna con entusiasmo e ostinazione il membro di Blanco, suscitando in lui una radicale indifferenza ieri è stato visto da milioni di persone. Colpa del caldo che fa passar la voglia di attività più faticose, degli algoritmi che impongono priorità a nostra insaputa. Tutto vero, ma di certo c’è anche il gusto di vedere una ragazzina compiere un gesto tradizionalmente maschile, una generazione Z comportarsi come un boomer qualsiasi.

Se Blanco palpeggiato non indigna le femministe. Francesco Maria Del Vigo il 25 Maggio 2022 su Il Giornale.

Il vincitore di Sanremo toccato da una fan nelle parti intime. Ma se fosse stato una donna...

Partiamo dai fatti: Blanco è stato palpeggiato da una fan durante un concerto. Un lettore potrebbe legittimamente chiedersi: ma chi diavolo è Blanco? Blanco, all'anagrafe Riccardo Fabbriconi, nato a Brescia nel 2003, è il cantante che insieme a Mahmood ha vinto l'ultima edizione del Festival di Sanremo con la canzone «Brividi».

Torniamo a quella che, in altre circostanze, sarebbe una «notizia» e che invece viene derubricata a notiziucola. Sabato scorso in piazza del Duomo a Milano Radio Italia ha organizzato un mega concerto, il primo post pandemia, nel quale ha messo insieme il meglio della musica dello Stivale: da Elisa a Elodie, da Morandi a Marracash, passando appunto per l'ormai arcinoto Blanco. Ma durante la sua performance accade l'inaudito. Il cantante si avvicina alla folla in visibilio e una fan, evidentemente più disinibita delle altre, mette una mano laddove non dovrebbe battere il sole. Ci sono anche degli screenshot di un filmato pubblicato su TikTok che testimoniano, in modo inequivocabile, l'improvvido agguantamento. Tutto ciò potrebbe essere comodamente derubricato nella gigantesca sottocategoria del «chissenefrega». Blanco non sappiamo se abbia provato dei «Brividi» in seguito al fugace strofinamento, ufficialmente non ha fatto un plissè: non ha detto una parola. Però c'è un però grosso come una casa. Se al posto di Blanco ci fosse stata una qualunque Blanca e un uomo le avesse toccato, chessò, il lato b durante un concerto, che cosa sarebbe accaduto? Ve lo diciamo noi: sarebbe venuto giù il mondo. Innanzitutto non si parlerebbe - tra un sorriso e un'alzata di spalle -, di una bravata di cattivo gusto, ma di una vera e propria molestia. Hanno messo in croce gli alpini per degli sguaiati complimenti da caserma a delle sventurate passanti, probabilmente in presenza di una mano morta avrebbero sciolto l'intero corpo militare. Le associazioni femministe (grazie a Dio non esistono le associazioni «maschiliste») avrebbero scagliato piccati comunicati stampa denunciando lo sfruttamento del corpo femminile, le varie Laure Boldrini e Michele Murgie avrebbero inzaccherato con l'inchiostro del disgusto pagine intere di giornale per denunciare il cavernicolo machismo dell'uomo predatore, tutto il popolo del #metoo e del «Se non ora quando» avrebbe potuto - con grande compiacimento - indignarsi per l'ennesima volta. Saremmo stati a un passo dall'invio dei caschi blu dell'Onu. Invece no. Per fortuna non è successo nulla di tutto ciò. Ma qualcosa non torna. Se la palpatina la subisce un uomo non è più molestia, non è materiale buono per scatenare la reprimenda con il sopracciglio inarcato? Alla faccia della parità dei sessi. A tal proposito è emblematico il commento di una ragazza testimone oculare che ha postato il video del fattaccio: «Ha messo la mano sul c...o di Blanco rovinandomi il video dove lui prende per mano il mio ragazzo». Capito? Il problema non è che la sopraccitata ragazza abbia allungato le mani sul cantante bresciano, ma che abbia rovinato la sua video opportunity con la star.

Posto che questa è una polemica facilmente archiviabile alla zona anatomica esplorata dalla scalmanata fan e che le molestie vere sono ben altra cosa, forse chi si straccia le vesti e imbastisce crociate per cat calling e apprezzamenti vari, dovrebbe aprire quantomeno una riflessione su quello che è accettabile per una donna e per un uomo. Altrimenti - usando uno dei termini a loro molto caro - si sente puzza di sessismo.

Il “Blanco molestato” e la “vittima” dimenticata. D'improvviso il più molestato di tutti appare proprio quel ragazzo strizzato dalla folla a cui Blanco "prende la mano". Prima costretto (presumiamo) dalla sua ragazza a farsi strada per farsi filmare in prima fila, e poi beffato dal gesto che ha rovinato l'idillio...Giorgio Cappozzo su Il Dubbio il 25 maggio 2022.

Il caso del “Blanco molestato” conquista le cronache grazie a una clip girata da una fan, tra la folla in piazza Duomo. Si sente la sua voce fuori campo che stigmatizza il siparietto con queste parole: «Grazie a quella che ha messo la mano sul ca**o di Blanco rovinandomi il video dove lui prende per mano il mio fidanzato». Lamento sarcastico che invita a una riflessione ben più ampia di quella trattata dai giornali.

L’inviata sul campo, impegnata a riprendere col suo cellulare la performance del nostro, lo dice chiaramente: la mano sul pacco rovina l’inquadratura, che aveva come scopo quella di rappresentare il contatto, più amoroso che erotico, tra il fidanzato e il cantante. Non trova disturbante il gesto in sé, ma l’invadenza della strizzatina in un momento irripetibile in cui le dita dei due si incrociano in un gesto di comunione molto spirituale e sobriamente fisico. La dimensione apollinea del compagno contro la presa dionisiaca della fan anonima.

Se solo l’avvocata Giulia Bongiorno, che ha presto ricordato come si tratti di violenza sessuale, punibile dai 6 ai 12 anni di galera, conoscesse questa parte del racconto, invocherebbe pene ben più severe. Lei si limita al gesto congelato nel fotogramma. E ci sta che, supponendo il mancato consenso del cantante, si possa parlare di molestia. Per quanto, ingenuo io, non capisco perché del toccare il corpo di una star che si butta tra la folla, un rito che da Cristo a Jim Morrison grida “prendete e mangiatene tutti”, sacrificatemi e divoratemi in un’orgia d’amore (o bagno d’amore, come lo stesso Blanco ha commentato sui suoi social), ci si debba limitare al pisello. A me darebbe molto fastidio pure sentire le mani nei capelli, quindi non mi avvicinerei mai alla platea, anche se docciata con amuchina, ma infatti nessun palco mi prevede.

La Bongiorno, dicevamo, si limita alla strizzatina rock, ignorando l’aggravante perpetrata dalla virago dall’artiglio facile: non aver considerato la presenza della spettatrice munita di smartphone intenta a immortalare l’impresa del suo ragazzo, convinto a suon di preghiere (presumiamo) a farsi schiacciare dalla folla adorante pur di raggiungere la prima fila a favore di camera. È lui che, stretto tra Blanco che «lo prende per mano», la fidanzata che registra l’evento e la palpatina sabotatrice, appare d’improvviso come il più molestato di tutti.

Italiani ossessionati dalle molestie, ora è caccia alla peccatrice della palpatina. Hoara Borselli su Il Riformista il 25 Maggio 2022. 

Ormai siamo diventati un popolo di molestati e molestatori. Ci eravamo appena lasciati alle spalle due settimane dove non si è parlato altro che delle molestie degli alpini. Pensavamo di essere usciti da questo loop che automaticamente si è entrati in un altro.

Protagonista Blanco, il cantante più in auge tra i ragazzi in questo momento. Radio Italia ha fatto questo grande concerto in piazza Duomo a Milano che ha raccolto circa 20 mila persone e mentre Blanco si stava esibendo in un suo pezzo, una fan molto vicina a lui ha allungato una mano e l’ha avvicinata, per non dire appoggiata, nelle sue parti intime.

Lo stesso protagonista, che dovrebbe essere essenzialmente il molestato della situazione, non ha proferito verbo rispetto a questo. Invece le persone sui social ma anche i giornali hanno gridato allo scandalo. “E’ violenza sessuale”, addirittura dicono. C’è anche chi dice che è una violenza che deve essere pagata come reato da sei a 12 anni di galera.

Quando si parla di violenza sessuale va benissimo essere tutti ponti a denunciare immediatamente però cerchiamo di non portare l’effetto contrario, ovvero a depotenziare quelle che poi veramente sono violenze sessuali. Perché quando noi parliamo di una pacca al sedere, ve la ricordate tuti la giornalista fuori allo stadio, o parliamo di questa fan scatenata di Blanco e diciamo che dovrebbe pagare con 6-12 anni di galera qualche domanda dobbiamo porcela.

Penso che ognuno di noi possa rendersi conto di quale sia il limite tra molestia e violenza. Nessuno giustifica questi atteggiamenti che sono indubbiamente maleducati, ognuno dovrebbe tenere le mani a posto e non permettersi di andare a invadere la privacy di un’altra persona. Però moderiamo i termini e soprattutto moderiamo questa invocazione alle pene. Da questo punto di vista Blanco, che è il diretto interessato, non ha proferito verbo.

Quindi io credo sia necessario discernere il limite tra chi ha piacere di essere toccato, palpeggiato, e chi invece reagisce in maniera contraria. Evitiamo di fare di tutta l’erba un fascio e gridare alla violenza quando come in questo caso di violenza non si tratta perché l’interessato non si è minimamente scandalizzato di questo gesto “caloroso” che ha fatto la sua fan.

Il genere della vittima non fa nessuna differenza: le molestie fanno schifo, sempre. Giulio Cavalli il 24/05/2022 su Notizie.it.

Il cantante Blanco è stato toccato da una ragazza nelle parti intime mentre si avvicinava al pubblico durante l’esibizione. 

Avviso a tutti quelli che ripetono da tempo “se le molestie accadessero a un uomo non si sentirebbe tutto questo baccano”: vi siete sbagliati. Durante il concerto in piazza Duomo organizzato da Radio Italia il cantante Blanco è stato toccato da una ragazza nelle parti intime mentre si avvicinava al pubblico durante l’esibizione.

E indovinate un po’? Non “gli è piaciuto”, come dicono i fallocrati dei nostri tempi, non c’è stato un applauso generale per dirgli quanto sia figo farsi palpare mentre si lavora e soprattutto il fatto non è passato né inosservato né sotto silenzio.

Il video della molestia è comparso inizialmente su Tik Tok, postato da una ragazza giovanissima che sottolineava il gesto, ed è poi rimbalzato su tutti i social. Blanco durante la sua esibizione sposta la mano inopportuna e continua a cantare, come accade a molti molestate che non possono permettersi di interrompere il proprio lavoro nonostante cretini (e cretine) nei paraggi.

Quindi no, non gli è piaciuto. Spiace per i piccoli uomini che sognano che possa capitare anche a loro non riuscendo a trattenere l’istinto animale di essere predatori e prede. Anche i commenti sono confortanti: nonostante la giovane età media degli utenti di Tik Tok l’opinione diffusa è che quel gesto sia in tutto per tutto una molestia, da condannare senza preoccuparsi del fatto che la vittima sia maschio o femmina, senza scendere in particolarismi che solitamente vengono usati semplicemente per irridere una denuncia.

Per rendersi conto ancora di più che il genere della vittima non comporti nessuna differenza vale la pena sottolineare che anche nel caso di Blanco, esattamente come avviene per una qualsiasi donna, c’è stato chi ha avuto lo sconcio coraggio di dire che “se l’è cercata” perché ha voluto cercare il contatto con il suo pubblico. La “gonna troppo corta” che di solito viene usata come randello contro le vittime in questo caso sarebbe la “troppa disponibilità” da parte del cantante.

Cambiano i fattori ma il risultato è sempre lo stesso: una frangia è sempre concentrata nel ri-vittimizzare la vittima.

Il rumore intorno alla vicenda di Blanco è l’ennesima dimostrazione che a scandalizzare delle molestie non è la professione (o l’appartenenza a un corpo militare) del molestatore, non scandalizza e non importa l’abbigliamento o la professione delle vittime: le molestie fanno schifo sempre. E fanno schifo sempre anche coloro che da anni tentano di normalizzarle inventando una “guerra” delle donne contro gli uomini perché hanno il timore di dover affrontare il tema nel merito.

L’hanno capito su Tik Tok ma evidentemente non è ancora stato compreso alcuni autorevoli editorialisti di autorevoli giornali o alcuni leader di partito. E questo è un altro sintomo di una questione che è tutta culturale e sociale.

Dal profilo Instagram di Selvaggia Lucarelli il 26 maggio 2022.

Risposta per i tanti che qui mi stanno sollecitando. Non parlo di Blanco perché non mi faccio dire di cosa devo parlare, tanto più col pregiudizio neppure sottinteso che esistano argomenti per me scomodi di cui non voglio parlare. E comunque per farla più semplice: parlo di quello che cazzo mi pare

Filippo Facci per “Libero quotidiano” il 26 maggio 2022.

Proposta giurisprudenziale: si può parlare di violenza sessuale su una persona, anzitutto, quando la persona ritenga di averne subita una, e non quando lo ritenga l'avvocato Giulia Bongiorno. Il noto antefatto: un giovane cantante, Blanco, durante un concerto è stato in-quadrato dalla telecamera di un cellulare e si vede una mano femminile che scivola in zona cerniera dei pantaloni. 

Non se n'era accorto nessuno: è diventata una «notizia» solo perché il video è stato messo in rete e ha scatenato un dibattito da desiderare che un meteorite largo dieci chilometri (tipo quello che cadde nello Yucatan durante il Cretaceo) si scaraventi sul Pianeta: «E se l'avessero fatto a una donna?», «lui non ha espresso il suo consenso», «è molestia», «è violenza sessuale».

Poi l'avvocato Giulia Bongiorno, una personcina equilibrata, già nota per aver proposto l'ergastolo per tutti i maschi colpevoli di femminicidio, ha sedato gli animi: ha detto che la ragazzina che ha allungato la mano (magari una minorenne, perché Blanco ha 19 anni) merita dai 6 ai 12 anni di carcere, perché è colpevole di una violenza sessuale bella e buona. Subito è stata applaudita dal gruppo di invasate de «La 27ma ora», una riserva museale pubblicata dal Corriere online. Dettaglio: Blanco, sul tema, evidentemente turbato e violentato, ha reagito così: «Ci vediamo a Bologna». 

Da Ansa il 26 maggio 2022.

"Anche a me è successo tanti anni fa: mi sentivo un po' una rockstar. Mi piaceva e mi faceva sentire amato. Oggi c'è una sensibilità diversa". A tornare sui palpeggiamenti subiti da Blanco durante un concerto, è Biagio Antonacci, che dopo due anni di silenzio torna con il singolo Seria, fuori dal 27 maggio. 

"All'epoca tornavo a casa e dicevo: 'mi hanno toccato il sedere'. 'Beato te', rispondeva mio padre. Oggi è diverso. Ognuno ha la sua sensibilità - aggiunge - e ognuno le vede come le vuole vedere. Però io non ci vedo nulla di strano e non mi sembra una molestia: sei sul palco, succede anche quello".

Da mowmag.com il 28 maggio 2022.

Oliviero Toscani scatenato contro il politicamente corretto e le femministe Intervenuto ai microfoni di BlackList per MOW, il fotografo italiano più famoso al mondo (e più provocatorio) ha stigmatizzato chi sta attaccando la giovane fan che a un concerto si è premessa di palpare nelle parti intime il cantante Blanco e poi, non contento, ha tuonato contro le femministe che hanno fatto cambiare l’evento “Miss Lato B” alla Pro Loco di Bollengo, nel torinese, in un più politicamente “Miss Sorriso”. 

Oliviero Toscani, che ne pensa delle discussioni sulla palpata a Blanco?

Siamo patetici! Con tutti i problemi che abbiamo, che si parli di queste cazzate è assurdo. Dobbiamo riderci su. Lui si è lamentato?

No. Ma qualcuno fa il parallelo con Greta Beccaglia, la giornalista “palpata” fuori da uno stadio.

Qual è l’uomo che non è stato mai palpato una volta nella sua vita? Da un uomo o da una donna.

A lei è capitato?

Io sono stato in collegio dai preti e non facevano altro che cercare di palpare. Posso dirlo ad alta voce. 

È grave quello che sta dicendo.

Alzi la mano chi non è mai stato palpato una volta in vita sua, lo ripeto.

Se fosse stata una donna al posto di Blanco?

Uguale! Cosa facciamo, discriminazione? Per una donna è un palpeggio diverso da un uomo? 

Il politicamente corretto ha colpito anche nella Pro loco di Bollengo, nel torinese, dove l’evento “Miss Lato B” è stato costretto a cambiare in “Miss Sorriso”.

Il culo è meno importante della faccia? È incredibile. Un bel culo è come una bella faccia. 

Una volta si faceva anche “Miss maglietta bagnata”.

Il problema è che chi vuole il politicamente corretto è perché è politicamente scorretto. Maleducatamente scorretto!

Lei è un cultore del culo come Tinto Brass?

Il mio Jesus Jeans era un culo! Anche perché ormai è tutta una messa in scena teatrale, come si vestono i personaggi e come vanno sul palco. Rientra tutto in questo happening. Non erano in classe durante una lezione di etica. Se fosse stata una ragazza che in classe mette la mano sul ca**o al professore, allora sarebbe stato diverso, ma Blanco canta canzoni provocatorie sul sesso, cosa vuoi dirgli? Il problema delle femministe è essere femmine. Non donne, femmine. 

Cosa intende?

Essere femminista è uno sbaglio. Non sono “donniste”, ma femministe. Il loro problema è non sentirsi esseri umani, ma femmine. È nella loro radice, le conosco da 60 anni. Hanno iniziato le donne della mia generazione queste cazzate. Non tutte, alcune utili per una giustizia umana, altre sono delle fanatiche che hanno il problema anche di essere brutte esteticamente. 

Ma come brutte?

Sì, perché non si vogliono bene, non si piacciono. E quindi combattono la loro acquisita bruttezza

Alessandro Fulloni per il "Corriere della Sera" l'11 maggio 2022.

«Mi hanno presa per un braccio, strattonata, insultata con sconcezze irriferibili... Erano in tre, tre alpini. È successo sabato pomeriggio tra la folla... Sono riuscita a divincolarmi in qualche modo e a scappare». Ancora sotto choc, lo ha raccontato ai carabinieri di Rimini una 26enne che, ieri, accompagnata dal suo avvocato, ha presentato una denuncia.

È la prima, sporta per molestie contro ignoti, arrivata alle forze dell'ordine dopo che domenica, nella cittadina romagnola, si è concluso il raduno nazionale delle «penne nere» contrassegnato da fischi, offese e palpeggiamenti che alcuni avrebbero indirizzato a donne e ragazze a spasso tra i viali oppure al lavoro nei bar, ristoranti, alberghi e negozi. 

Altri esposti sono attesi nelle prossime ore. In mattinata le attiviste e i legali di «Casa Madiba» e «Non Una di Meno-Rimini» che hanno raccolto le segnalazioni si riuniranno per preparare il dossier da portare in Questura.

Conterrà «almeno due o tre denunce circostanziate» spiega Alice, una delle militanti.

Ma ci saranno anche gli estremi dei circa 200 «terribili racconti», giunti agli account social delle due associazioni che già nei giorni scorsi avevano preparato un questionario online per chiedere di eventuali molestie al raduno.

Una delle testimonianze è quella di Federica, di Cattolica, commessa a Misano. Sabato sera era a Rimini con due amiche e il fidanzato di una loro, tutti diciannovenni. Già dopo aver parcheggiato l'auto «abbiamo capito - racconta al Corriere - che l'atmosfera, con tutti quegli alpini che affollavano il lungomare, era terribile». Insulti, sconcezze, «persino una bestemmia urlata a squarciagola» quando «uno di quei vecchi, non lo definirei diversamente, si è avvicinato squadrandoci come se non avesse mai visto una donna». Il quartetto si è fatto largo «tra i palpeggiamenti delle penne nere», «molti già ubriachi, parevano senza controllo», raggiungendo infine una piadineria.

«Accanto al nostro tavolo c'era una dozzina di alpini, tutti sopra i cinquant' anni. Ci guardavano con la bava alla bocca. Hanno chiesto di unirci "per una birra assieme".

Abbiamo detto no, loro hanno insistito. Al nostro ennesimo rifiuto, in quattro si sono alzati, sollevando la panchina e trascinandola verso di loro. Ridevano come fosse un gioco normale. Ero terrorizzata... Abbiamo gridato e ci hanno lasciato in pace ma solo dopo averci rivolto queste parole: "Voi tre donne dovreste fare più sesso"». Il ritorno all'auto è stato un «altro incubo: un settantenne si è avvicinato per dirmi che avevo "bellissime gambe" mimando poi un gesto osceno"». 

Intanto altri gruppi «cercavano di bloccarci e se siamo riusciti a proseguire è stato solo perche il compagno della mia amica ci ha protette sgomitando». In tanti orinavano sul lungomare e quando, infine, «ho riposto la mia borsetta nel bagagliaio, uno mi ha gridato un'altra frase volgare».

Non diverso il racconto di Golshan 33 anni, iraniana laureata a Bologna e un impiego a Rimini nel settore del commercio. «Sabato sera stavo andando al lavoro a piedi, mangiando un gelato. A un tratto - è il racconto - uno di questi alpini si è avvicinato facendomi cadere il cono. Un uomo accanto a lui ha fatto una smorfia disgustosa con la lingua... Pochi metri più avanti un altro gruppetto ha cercato di bloccarmi. Per liberarmi mi sono messa a correre». 

Una testimonianza che finirà nel dossier delle femministe di Rimini al pari di quella di Raffaela, diciottenne bolognese arrivata in Riviera sabato in treno assieme a un'amica e al fidanzato. Anche lei apostrofata, infastidita, circondata. Il momento peggiore è stato al ritorno quando «un alpino mi ha seguita, avvicinandosi d'improvviso. Non so che intenzioni avesse: ma so che per fermarlo è intervenuto il mio amico, preso a pugni. Fortunatamente dei poliziotti nelle vicinanze sono intervenuti, fermando l'aggressione. Ho chiesto perché non avessero arrestato quel violento. Mi hanno risposto che dovevo essere io a denunciarlo».

Riccardo Bruno per il "Corriere della Sera" l'11 maggio 2022.  

L'Adunata degli Alpini si lascia dietro una coda di polemiche e ora anche di denunce. Dopo la sfilata delle novantamila penne nere (ma si stima che in 400 mila, compresi familiari e accompagnatori, abbiano partecipato alla 4 giorni di Rimini), crescono le testimonianze di donne che dicono di essere state molestate. E ieri una 26enne si è presentata dai carabinieri raccontando di essere stata aggredita da tre uomini sabato scorso. Alla vigilia dell'evento clou di domenica, il gruppo locale femminista di «Non una di meno» aveva raccolto i racconti di decine di ragazze e invitato anche altre a farsi avanti. Adesso il numero sfiorerebbe i duecento casi. 

«Ci stiamo attivando tramite i nostri avvocati per accompagnare in questura chiunque ne faccia richiesta» annunciano dall'associazione che chiede anche che «queste adunate non si ripetano mai più in nessuna città».

Ieri è intervenuto anche il ministro della Difesa Lorenzo Guerini. Netto il suo commento: «I comportamenti raccontati sono gravissimi.

Non ci deve essere nessuna tolleranza. Episodi che certamente andranno accertati dagli organi competenti, ma che non possono e non devono essere sottovalutati. Episodi, voglio ribadirlo con forza, che sarebbero all'opposto dei valori degli Alpini e di una manifestazione che è celebrazione di solidarietà, principi e bellissime tradizioni». 

L'Ana, l'Associazione nazionale che raccoglie le penne nere in congedo e che organizza l'Adunata, continua a minimizzare, ma ieri (prima che si sapesse del primo esposto contro ignoti) aveva fatto un passo in più: «A noi non risulta alcuna denuncia, ma se saranno formalizzate e saranno coinvolti appartenenti della nostra associazione allora siamo pronti a prendere provvedimenti». Non è la prima volta che gli alpini vengono accusati di comportamenti scorretti durante la loro kermesse. Era successo a Milano nel 2019 e a Trento l'anno prima, quando sempre il gruppo locale di «Non una di meno» aveva raccolto diverse segnalazioni, tra cui persino un concorso per eleggere «Miss alpina bagnata» (servendosi della birra).

La stessa Ana, prima dell'appuntamento, evidentemente temendo i rischi, aveva diffuso un decalogo nel quale si invitava tutti al «rispetto per il gentil sesso». Le giornate di Rimini innescano anche uno scontro politico. Salvini (Lega): «Se qualcuno ha sbagliato è giusto che paghi, ma giù le mani dalla storia, dal passato e dal futuro degli Alpini». Lo attacca Boldrini (Pd): «Ma verso gli stupratori e i molestatori (immigrati), non bisognava avere #tolleranzazero ». Anche Meloni (FdI) puntualizza: «Sia fatta luce ma non generalizzare».

Non scontata la posizione delle donne del Pd riminese: «Intendiamo dissociarci da toni accusatori, tesi a incrementare un clima di polemica generalista e qualunquista, che getta un inaccettabile discredito verso un Corpo dal valore riconosciuto e indiscusso del nostro Esercito».

Riccardo Bruno per il “Corriere della Sera” il 12 maggio 2022.  

Presidente, adesso le denunce sono state presentate.

«Adesso ci sono fatti concreti. E mi consenta innanzitutto di chiedere scusa a chi ha subito le molestie. Faremo di tutto, insieme alle forze dell'ordine, per individuare i responsabili. E se sono appartenenti alla nostra associazione, prenderemo provvedimenti molto forti».

Sebastiano Favero, ingegnere, 73 anni, è il presidente dell'Associazione nazionale alpini, 340 mila soci, che ogni anno organizza la sua Adunata. Durante l'ultima, a Rimini, decine di donne hanno lamentato comportamenti inappropriati, a volte vere e proprie aggressioni. «Sono episodi molto gravi, che noi abbiamo condannato fin dall'inizio - continua Favero - Hanno sicuramente creato malessere in chi li ha subiti, ma hanno anche provocato un danno d'immagine alla nostra organizzazione. Stiamo valutando con i nostri legali come tutelarci qualora vengano trovati gli autori».

Vi sentite anche voi delle vittime?

«Quello che mi dispiace è che, per colpa di quelli che definirei degli imbecilli, è stata coinvolta un'associazione che nella sua lunga storia si è guadagnata rispetto per la serietà e l'impegno mostrati. Si è generalizzato, facendo passare tutta la realtà alpina, anche quella degli alpini in armi, per qualcosa di diverso da ciò che è». 

Non ritiene che alla base di certi comportamenti ci sia un problema culturale?

«Può anche essere. E una volta che le cose si saranno chiarite, faremo al nostro interno le necessarie valutazioni. Certi atteggiamenti non sono più accettabili né tollerabili».

Molestie e polemiche. Molestie all’adunata degli Alpini, decine di denunce ma l’associazione ridimensiona: “Ci sono infiltrati”. Redazione su Il Riformista il 9 Maggio 2022. 

Centocinquanta testimonianze di violenze, oscenità, catcalling, insulti. È il bilancio, secondo il collettivo femminista ‘Non una di meno’ di Rimini, della quattro giorni della 93esima adunata nazionale degli Alpini, terminata lo scorso week end nella città della riviera e a San Marino.

Se infatti per il sindaco Jamil Sadegholvaad l’evento, che ha invaso di 400mila persone la città, con 80mila soltanto domenica per la sfilata di chiusura, è stato “una sfida vinta”, la pensano in altro modo le donne che hanno denunciato i comportamenti aggressivi e vessatori degli stessi alpini.

“Ieri sera mentre andavo in bici mi hanno fermata cercando di farmi entrare in un capannone, io sono scappata pedalando più veloce”, ha raccontato una donna in una delle molte testimonianze raccolte dal movimento femminista. “Faccio la cameriera e tra ieri e oggi è stato surreale il livello di molestie che ho dovuto sopportare. Gente che allunga le mani, cerca di darti baci sulla guancia dopo averti tolto di forza la mascherina, continui apprezzamenti che passano dal “sei bella” a chiederti che intimo indossi, se lo indossi”, ha detto un’altra ragazza, stando alle testimonianze riportata dal collettivo femminista. 

Altri racconti rivelano come in città siano stati distribuiti biglietti da visita per strada sui quali, oltre a un numero di cellulare, c’era scritto: “Se ti senti sola ed annoiata chiama un Alpino dell’Adunata…”.

Per Chiara Bellini, il vicesindaco di Rimini, “non si deve accusare mai un gruppo o una categoria di persone solo perché fanno parte di essi alcuni poco di buono, delinquenti o molestatori. Sarebbe come dire che tutti i tifosi di calcio siano degli ultras violenti”. Bellini quindi sottolinea che “vanno condannati senza se e senza ma certi atteggiamenti sessisti, molestie verbali, commenti non voluti o graditi alle donne. Nessun uomo è autorizzato a farli, con o senza cappello con la piuma. È bene, tuttavia, che i rappresentanti dei gruppi alpini monitorino il comportamento dei loro appartenenti e che diano segnali chiari. Per questo ho chiamato l’organizzazione e fatto presente le segnalazioni di alcune donne”.

Polemiche e tam tam sui social che costringe quindi l’ANA, l’Associazione nazionale alpini, a intervenire prendendo “ovviamente le distanze dai comportamenti incivili segnalati, che certo non appartengono a tradizioni e valori che da sempre custodisce e porta avanti”. Ma l’ANA sottolinea anche che non risulterebbe alcuna denuncia presentata alle forze dell’ordine e che la grandissima maggioranza dei soci dell’Ana, a causa della sospensione della leva nel 2004, oggi ha almeno 38 anni: dunque persone molto più giovani difficilmente sono autentici alpini.

Il presidente dell’Associazione, Sebastiano Favero, ha poi ‘ridimensionato’ le accuse e in una intervista a Il Resto del Carlino parla di “allegria e un po’ di goliardia” e che vi sarebbero “gruppi di infiltrati”, giovani, “che comprano un cappello finto e si mescolano tra noi per fare baldoria”.

Quanto accaduto a Rimini non è però una novità. Già nel 2018 a Trento, all’epoca sede dell’adunata nazionale, per gli stessi motivi l’ANA fu costretta a prendere posizione dopo l’emergere di numerose testimonianze di violenze verbali e fisiche. E probabilmente non è un caso se sul sito dell’ANA si possa trovare anche un decalogo dell’adunata dove viene definita “l’ubriachezza uno dei peggiori vizi dell’uomo” e dove si richiama al “rispetto per il gentil sesso” per non trasformare l’adunata in un baccanale.

(ANSA il 10 maggio 2022) - - "I comportamenti raccontati da alcune donne sono gravissimi. Episodi che certamente andranno accertati dagli organi competenti, ma che non possono e non devono essere sottovalutati. Episodi, voglio ribadirlo con forza, che sarebbero all'opposto dei valori degli Alpini e di una manifestazione che è celebrazione di solidarietà, principi e bellissime tradizioni". Così il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, sui casi di violenza denunciati in occasione del raduno di Rimini. "È sbagliato - aggiunge - fare generalizzazioni, ma allo stesso tempo non ci deve essere nessuna tolleranza: le molestie e le violenze non devono mai e in nessun caso trovare alcuna giustificazione e vanno condannate senza esitazioni"

Da ansa.it il 10 maggio 2022.

Sono centinaia, e continuano ad aumentare, le denunce di molestie raccolte a Rimini da Non una di meno, andate in scena nel corso del fine settimana a Rimini, quando c'è stata l'adunata nazionale degli alpini. 

L'associazione femminista ha infatti invitato le persone che hanno subito molestie a raccontare la propria esperienza e in molte, soprattutto giovani donne, molte dei quali lavoratrici nel settore del turismo, lo hanno fatto. 

Stasera a Rimini ci sarà un'assemblea, definita dagli organizzatori una 'contro adunata'. 

"Abbiamo iniziato a raccogliere e condividere le loro testimonianze e la risposta é stata altissima - scrive Non una di meno - tanto quanto sconvolgente per il numero e l'intensità delle molestie ricevute.

Fischi, cat-calling, minacce e vere e proprie molestie hanno colpito diverse persone colpevoli solo di voler vivere la propria città. 

Molestie mascherate da goliardia e tradizione che in realtà sono figlie di una cultura patriarcale che vuole donne, persone trans e gender non conforming assoggettate al potere e alla paura, al ricatto e alle minacce in caso di rifiuto".

Chiara Baldi per “la Stampa” il 10 maggio 2022.

Il sabato pomeriggio con l'amica, gli stand in piazzale Kennedy, la musica alta, il ballo: poi, a un certo punto, il braccio che viene strattonato, Adriana che non capisce chi sia e nell'arco di qualche minuto si ritrova in mezzo a un cerchio di 8-10 uomini, tutti over 50, con la "divisa" e la penna nera. 

La mettono davanti a un signore con i capelli canuti, lui le scosta il giubbino di pelle dalla spalla, glielo apre sul seno, glielo sfiora. 

Lei gela. L'amico, un altro signore di mezza età, le dice «sai, lui è un chirurgo plastico, se vuoi ti dà una sistemata». Adriana ha 27 anni e sabato era con un'amica a Rimini, voleva godersi un pomeriggio di relax e spensieratezza, il primo dopo oltre due anni di pandemia: c'erano gli Alpini che nella città romagnola hanno festeggiato, per tre giorni, il loro 93° anniversario.

Per poco più di 72 ore di festeggiamenti l'associazione transfemminista Non Una Di Meno Rimini, che ieri sera ha convocato una "controAdunata" con decine di persone per valutare la possibilità di una denuncia collettiva alle autorità, ha raccolto tra le 150 e le 170 testimonianze: sono arrivate via social, via messaggio, molte anonime. Nessuna, a ieri, alle autorità.

In tante, però, ci hanno messo la faccia. Come Adriana, appunto, che ancora non ci crede, ha quasi vergogna a parlarne: «Ho urlato "come vi permettete", ho detto "basta", ma non è servito a nulla. Nessuno è intervenuto, salvo la mia amica, e loro hanno soltanto riso. Mi sono sentita umiliata, come se fossi una sorta di prodotto su uno scaffale al supermercato, come se fossi un oggetto. Sicuramente non mi hanno fatta sentire una persona: mi hanno tolto il diritto di dare il mio consenso e anche quando ho detto "no" l'hanno ignorato». 

Interno giorno, hotel sul mare. Azzurra fa la receptionist, ha 34 anni. Sabato riceve una chiamata al fisso, le chiedono una stanza alle 15 per un gruppo di alpini, vogliono fare una doccia. 

Lei organizza. Poi loro arrivano in ritardo, lei sta quasi per staccare. Ma li aspetta.

«Per fortuna non ero sola, c'era il mio collega, un ragazzo di 26 anni. Se non ci fosse stato lui non so come sarebbe finita», ci racconta due giorni dopo.

Arrivano in dodici, sono già ubriachi «ma non è un'attenuante, anzi», la spingono in un angolo, lei finisce dietro il bancone. Uno di loro la punta con le mani, le intimano: «Vieni a fare la doccia con noi». Interviene il collega, Azzurra va a casa. Ma il giorno dopo gli Alpini - altri Alpini - tornano: festeggiano la fine dell'Adunata proprio nell'hotel in cui la ragazza lavora da sei anni. «Ero fuori a fumare una sigaretta, d'un tratto uno degli ospiti, senza che io quasi lo vedessi, mi viene di fronte e mi mette il cappello in testa. 

Poi mi dà un bacio sulla guancia destro e un altro sulla sinistra. Lo conoscevo? No. Gliel'ho chiesto? Nemmeno. Ma dato che era una Penna Nera si sentiva in diritto di dovermi comunque stampare due baci». 

Altra scena, enoteca del cento di Rimini. Amina, 27 anni, italo-somala. «Non solo mi hanno detto frasi imbarazzanti del tipo "mi sono innamorato di te" oppure "che sport fai per avere questo bel culo?", ma visto che sono mezza nera mi hanno dedicato un saluto fascista». 

Qualche centinaio di metri più in là, altro bar centralissimo. Ci lavora anche Francesca, che ha 24 anni. «Mentre servivo all'esterno un signore sui 70 anni mi ha tirato a sé con una tale forza da farmi atterrare sulle sue ginocchia. Non ho detto nulla perché il bar era così pieno che non volevo creare problemi. Ma mi ha fatto schifo e non è stato neppure l'unico episodio».

Altri le hanno rivolto attenzioni non desiderate: «Che begli occhi», le ha detto uno. Che poi ha approfittato di un momento con la mascherina abbassata per provare a baciarla. A Raffaela, 19 anni, di Bologna non è andata tanto meglio. «Se non ci fosse stato il mio amico non so come sarebbe finita. Già così è andata che la polizia ci ha chiesto i documenti e anche "accusato" di aver scatenato una rissa. La verità è che io e i miei due amici eravamo a Rimini per fare un giro e a un certo punto mi sono ritrovata a essere seguita da quest' uomo che non mi dava tregua. Allora il mio amico mi ha protetta mettendosi alle mie spalle.

Solo che poi si sono spintonati e alla quarta volante della polizia che passava, si sono fermati. E ci hanno chiesto i documenti». E ancora: Marta - la chiameremo così, perché lavora in una delle istituzioni che ha finanziato l'Adunata - ha 43 anni e le sue molestie sono avvenute una mattina al bar mentre faceva colazione. «Erano in tre, mi hanno accerchiata e strattonata per la giacca, volevano andassi a bere con loro. Mi sono ribellata, mi hanno toccato la pancia, ho perso la testa: nessuno deve permettersi di toccarmi senza il mio consenso». 

Episodi in cui nessuno è intervenuto a interrompere le molestie. Come tre anni fa a Milano, al 90° dalla fondazione degli Alpini, quando decine di ragazze e donne vennero toccate e abusate verbalmente. «È goliardia», «sono clienti, dai, devi assecondarli», «cosa vuoi che sia, succede a tutte» le frasi - insopportabili - più ripetute. Tutte pronunciate da uomini. Tutte pronunciate da chi avrebbe potuto alzare la voce, sbattere fuori i clienti inopportuni e chiamare le forze dell'ordine. «Non c'è assenso senza consenso».

Chiara Baldi per “la Stampa” il 12 maggio 2022.

Un profluvio di firme digitali arrivate in neanche 24 ore, al ritmo di più di 600 ogni minuto per un totale - non ancora definitivo - di oltre 14 mila. L'obiettivo è semplice e chiaro: chiedere di «sospendere per due anni le adunate degli Alpini in modo tale da dare un chiaro segnale». 

Perché - spiegano i promotori della petizione lanciata martedì sera sulla piattaforma online Change.org - «non siamo più disposti come cittadini ad accettare un comportamento simile, svilente per tutte le donne e le minoranze. Vogliamo sentirci liberi di occupare la città senza sentirci minacciati e in pericolo. È necessario che il Consiglio degli Alpini prenda dei seri provvedimenti, soprattutto in materia di rieducazione riguardo ai diritti umani: le scuse (che peraltro dall'Ana non sono mai arrivate, ndr) non sono più sufficienti».

Insorge il sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad, che si dice pronto a ospitare «nuovamente e il prima possibile» una nuova adunata, che lui definisce una «festa di civiltà» (festa che ha interessato anche le casse della città, provata da oltre due anni di pandemia, visto che i 520 mila ospiti della tre giorni hanno creato un indotto stimato in 168 milioni di euro, secondo l'osservatorio turistico di Unioncamere Emilia Romagna).

L'incontro con i legali Sul fronte delle ragazze, nel pomeriggio di ieri le attiviste di Non Una Di Meno Rimini e del centro sociale Casa Madiba, che per prime hanno supportato le 200 ragazze destinatarie di molestie, hanno incontrato - con qualche vittima - gli avvocati che potranno affiancarle nelle eventuali denunce: nelle prossime ore, infatti, potrebbero arrivare nuove querele contro ignoti con l'accusa di molestia sessuale.

La prima arrivata sul tavolo dei carabinieri riminesi è stata depositata due giorni fa da una 26enne che tre uomini avevano tentato di spogliare per toccarle il seno: gli inquirenti hanno già sentito la testimonianza dell'amica, che la accompagnava sabato quando è avvenuta la molestia. (…)

Chiara Baldi per “La Stampa” il 13 maggio 2022.

Si è dimessa Sonia Alvisi, la coordinatrice delle donne dem di Rimini, finita nella bufera per la posizione nelle molestie al raduno degli Alpini. 

«Visto che le argomentazioni da me espresse hanno destato un forte dibattito che può mettere in dubbio la serietà del mio impegno, ma soprattutto la forza delle donne democratiche a servizio della libertà delle donne, faccio un passo indietro per consentire le riflessioni necessarie», ha scritto in una nota che ha avuto l'approvazione della Conferenza nazionale delle donne democratiche. 

Alvisi aveva non solo rilasciato un'intervista a La Stampa in cui sottolineava l'importanza della denuncia formale per «essere più credibili», ma aveva anche scritto una nota di solidarietà agli Alpini. 

Nel frattempo, sono arrivate a 500 le segnalazioni, con oltre 160 racconti fatti e raccolti dall'associazione transfemminista Non Una Di Meno. Una, ad oggi, la denuncia formale presentata ai carabinieri della città romagnola mentre un'altra segnalazione - che potrebbe trasformarsi presto in querela - è arrivata un paio di giorni fa sull'app YouPol della polizia di Stato da parte di una 40enne. Non Una Di Meno ha stilato un decalogo per segnalare «foto, video, messaggi o chiamate di Whatsapp, storie di Instagram, post di Facebook, fatti che aiutino a ricordare e che possano essere visualizzati e utilizzati come prove». L'obiettivo è presentare un esposto collettivo nei prossimi giorni. 

Le polemiche non si placano. La ministra per le Pari Opportunità Elena Bonetti, commentando la petizione su Change.org - che ha raggiunto le 18 mila firme e chiede la sospensione di due anni dell'adunata - ha detto: «Bisogna che si svolgano nel pieno rispetto. È chiaro che non è il raduno in sé il problema, ma il fatto che durante sia accaduto qualcosa di grave e lesivo della dignità delle donne». Le fa eco la presidente del Pd alla Camera Debora Serracchiani, ex presidente del Friuli che nel 2024, a Udine, ospiterà la 94ª adunata: «Sospendere il raduno sarebbe come arrendersi a un pugno di violenti».

Duro il presidente della Camera Roberto Fico, secondo cui «quanto successo è inaccettabile: siamo un Paese ancora troppo e fortemente maschilista». Parole sconcertanti arrivano invece dall'assessora alle Pari opportunità del Veneto, Elena Donazzan di Fratelli d'Italia, che oltre a essere «quasi certa che non si tratti degli alpini», elargisce lezioni di galateo della molestia: «Se uno mi fa un sorriso e mi fischia dietro io sono pure contenta».

Intanto è stata fissata per il 31 maggio l'udienza, in Corte d'Appello a L'Aquila, di due uomini accusati di violenza sessuale di gruppo nei confronti di una minorenne all'88ª adunata degli Alpini del 2015. I due, all'epoca 35enni, avrebbero approfittato della minore conducendola in un luogo isolato. Simona Giannangeli, legale della vittima, ha sottolineato che «è importante denunciare». In primo grado gli imputati, di origine emiliana, sono stati condannati a quattro anni di carcere.

Alessandra Ziniti per “la Repubblica” il 12 maggio 2022.

«Sabato notte qualche avance l'ho ricevuta anche io, del tipo: "Sono innamorato di te, dai bella, vieni con me". Saranno state le tre di notte quando un ragazzo mi si è avvicinato tentando l'approccio. Io ero con tre amici che mi hanno detto: "Se vuoi interveniamo". Ma non ce n'è stato bisogno, l'ho messo a posto io. 

Diciamo che è stata una molestia gentile. C'era una folla immensa e un clima di euforia e di festa. Io di molestie pesanti non ne ho viste, ma se altre donne ne hanno ricevute hanno fatto bene a denunciarle. Gli eccessi sono da condannare e da punire, anche se arrivassero da veri alpini, cosa di cui però dubito. Anche perché, ormai da anni, in queste occasioni gli alpini veri sono sempre di meno». 

Linda Peli, bresciana, 35 anni, è stata una delle prime donne, nel 2005, a indossare la divisa da alpino. E di adunate ne ha fatte ben 16. Anche quella di Rimini dove è arrivata in bicicletta, con il cappello da alpino sulle spalle. 

Linda, ci sono più di 150 racconti di ragazze molestate. Perché dubita che gli autori possano essere alpini?

«Perché ho il loro Dna nel sangue. Mio padre era alpino, io sono stata tra le prime cinque donne ad arruolarsi e dico che l'alpino ha dentro di sé il corteggiamento. Io, donna che ha sempre vissuto tra gli alpini, ho ricevuto serenate, poesie, decine di inviti a ballare. Ma mai ho subìto comportamenti fastidiosi e offensivi.

Certo, l'atteggiamento di cameratismo c'è ed è innegabile che l'ambiente di questi raduni sia decisamente maschile, ma io - anche quando ero in caserma a Merano o in missione in Kosovo - non ho mai subìto angherie. Anzi, i marescialli mi aprivano la porta» 

A Rimini, però, di serenate non se ne sono sentite. E centinaia di ragazze hanno raccontato di essere state palpate, apostrofate con parole inaccettabili. Lei era lì, non si è accorta di nulla?

«Se fossi stata testimone di comportamenti di questo genere sarei intervenuta per prima. A queste donne va tutta la mia solidarietà e il plauso per la denuncia, mi rendo anche conto che magari ragazze molto giovani o che stavano lavorando nei bar e nei ristoranti, e dunque impossibilitate ad allontanarsi, possono essersi sentite a disagio se sono state fatte oggetto di questo tipo di comportamenti.

Che non devono mai più ripetersi. Per questo credo che, visti gli eventi, occorra intervenire subito, al di là dell'inchiesta che accerterà eventuali responsabilità personali. Per evitare che si ripetano e per evitare di infangare il corpo degli alpini, che è ben altro e incarna i valori della comunità, della solidarietà, dell'amicizia. Gli alpini ci sono sempre e comunque per tutti, sono un pilastro della nostra società». 

Intervenire come?

«Accertare se ci sono mele marce ed eventualmente prendere seri provvedimenti, prevedere servizi d'ordine più efficaci e, soprattutto, nuove regole sul nostro cappello».

Cioè, cosa vuole farne del cappello?

«Oggi è troppo facile acquistare un cappello e una camicia da alpino su una qualsiasi bancarella. In queste adunate - come dicevo - gli alpini veri sono sempre di meno e i simpatizzanti (che vanno benissimo, per carità) e i curiosi che vengono a festeggiare, sono sempre di più. Il cappello devono indossarlo solo gli alpini veri perché adesso non si capisce più chi è vero alpino e chi no». 

Quello che è successo a Rimini non è stato un fatto isolato. Episodi del genere erano stati denunciati anche a Trento e Milano. Se lei avesse ricevuto avance del genere avrebbe reagito?

 «Ma certo, io sono un'alpina ma sono innanzitutto una donna e sicuramente se io fossi stata vittima non avrei tollerato. Bisogna rendersi conto del contesto estremamente maschile e goliardico di queste serate. La differenza è che oggi, ed è giusto, le donne non sono più disposte a tollerare atteggiamenti irrispettosi».

 Da alpina cosa si sente dire alle donne di Rimini che hanno denunciato?

«Che capisco e che mi dispiace enormemente. Per una donna è offensivo essere trattata così. Ma mi dispiace davvero sentire queste accuse generalizzate, mi piange il cuore pensando a tutti gli alpini veri e alla straordinaria bellezza dei loro valori. Che l'Italia tutta riconosce e ama. E spero che sia ancora così, per questo bisogna fare in modo che non succeda mai più».

SALVINI E GLI ALTRI. La cultura dell’abuso che giustifica le molestie degli Alpini a Rimini.

07/05/2022 Rimini 93° Adunata Nazionale Alpini che, come da consuetudine, hanno invaso la cittadina romagnola provenienti da ogni regione d' Italia. Il culmine della manifestazione sarà domenica 8 Maggio con “l' ammassamento” sul lungomare di Rimini e la sfilata alla presenza delle massime autorità. nella foto un gruppetto di alpini tra musica, canti e bevute. SELVAGGIA LUCARELLI su Il Domani il 10 maggio 2022.

Anche dieci, venti, trent’anni fa orde di uomini in branco, in divisa, convinti di poter contare sull’impunità hanno approfittato della gita fuori porta per intimorire, assalire, molestare donne, comprese ragazze minorenni e donne incinte.

E lo hanno fatto convinti che mai nessuno avrebbe presentato il conto, perché alla fine gli alpini sono eroi, chi mai metterebbe in dubbio il loro valore?

Ma, soprattutto, l’hanno fatto sapendo che anche in caso di qualche guaio, c’è sempre un superiore pronto a confondere la verità.

«Viva gli Alpini, più forti di tutto e di tutti!». Così ha scritto Matteo Salvini commentando le inquietanti testimonianze di centinaia di ragazze sull’accaduto all'adunata nazionale dell’Associazione Nazionale Alpini che si è svolta nel fine settimana a Rimini e San Marino.

Così, senza un ulteriore commento, una spiegazione, un approfondimento quantomeno necessari, visto che le accuse erano di molestie e abusi subiti dai militari presenti. Un messaggio chiaro, come a dire “che esagerazione” o “che lagna”, «che bugiarde” e “che saranno mai un paio di molestie!».

A leggere i numerosi commenti dei suoi follower, la minimizzazione dell’accaduto ha funzionato. Ecco qualche perla dalla sua bacheca: «Povere cretine penose acide e tristi. A Genova durante il raduno ne ho incontrati a centinaia. Simpatici educati e rispettosissimi. Siete delle povere frustrate squallide!».

«Ad ogni raduno che mio marito ha fatto al ritorno m’ha sempre detto dello schifo di donne che c’erano... nel senso che certe donne aspettano il raduno x rimorchiare e essere importanti.. nessuna lamentela a raduno finito».  

«Andando avanti di questo passo le donne si faranno i complimenti da sole...non ci sarà più un uomo che le guardi.. povero mondo di lgbt e gay e lesbiche!!!».  «Vogliono sputtanare anche gli alpini…commenti sinistri pidioti!».

«Sono vecchio ma non capisco alcune donne che vogliono tutti gli uomini gay. Io ero sabato a Rimini, alcuni alle 10 erano già alticci e facevano battute sulle donne ma non erano offensive e nessuna delle signore nel bus ha protestato! Buona 93esima adunata!».

Commenti dello stesso tenore si trovano in coda a tutti gli articoli che riportano le testimonianze di molestie e abusi subiti, testimonianze dettagliate, orribili e riferite all’ultima adunata ma anche ad adunate lontane nel tempo, ad episodi accaduti perfino più di 30 anni fa, eppure terribilmente simili ai fatti di Rimini e San Marino.

SOLTANTO A RIMINI? NO

A quanto pare, infatti, nelle diverse città in cui si è svolto l’evento negli anni si sono registrati puntualmente episodi di molestie fisiche e verbali quali catcalling, palpeggiamenti, insulti sessisti, inseguimenti, proposte oscene, richieste di sesso a pagamento, accerchiamenti e perfino vere e proprie violenze, oltre che incuria e mancanza di senso civico nei confronti delle città ospitanti.

Patrizia mi ha raccontato: «Nel 2011 a Torino fui letteralmente caricata su una camionetta, sono partiti e hanno iniziato a leccarmi la schiena, neppure gli animali. Dopo qualche centinaio di metri, dopo che mi sono messa ad urlare, mi hanno fatta scendere. Era il 2011, il mio ragazzo rimasto a terra era senza parole».

Cristiano: «Era il 2018, a Trento. Fu molestata mia moglie, mi diedero del terrone perché la difendevo. Scrissi una mail all’associazione alpini». E poi: «Abito a Rimini, ho visto tutto. Sono stata molestata già dal venerdì, col mio ragazzo eravamo sconvolti dall’atteggiamento predatorio che avevano con le ragazze. Una mia amica è stata palpata, i nostri fidanzati ci chiedevano di stargli vicino».

«Era il 1999, a Cremona. Avevo 14 anni, salii su un carretto con mia madre e mia sorella e un alpino mi mise la mano sotto al sedere, non me lo scordo».

«Era il 2009 a Latina, mia figlia aveva 15 anni e tornò a casa turbata perché un alpino l’aveva invitata ad andare in tenda con lui dicendo “Vieni dentro, ti mando via felice”». «A Milano gli alpini mi hanno alzato la gonna, un’umiliazione». «A Brescia più di 20 anni fa gli alpini mi saltarono sopra la jeep, ero terrorizzata. Mimavano oscenità ai finestrini. Avevo 20 anni».

«Nel maggio 2019 ero a Milano con mia figlia di 5 mesi nel marsupio, due alpini ubriachi mi tirano per un braccio, fanno commenti sul fare la poppata…Erano le 11 del mattino in pieno centro».

«A Bergamo lavoravo in un bar, durante l’adunata alpini anziani mi hanno perfino offerto soldi per fare sesso, un’altra sera ero con delle amiche nella Panda e un gruppo di alpini ci ha circondate, facevano ondeggiare la vettura. Non ti dico il terrore che abbiamo provato». «Molestarono una mia amichetta, aveva 13 anni».

Potrei andare avanti ancora molto, perché i messaggi che sono arrivati sulle mie pagine social sono tantissimi e perfettamente in linea con quelli postati in questi giorni dal collettivo Non una di meno, ma allargano il problema e rendono evidente un tema: il raduno degli alpini è sempre stato questo. O meglio, anche questo.

TUTTO È LECITO AGLI ALPINI?

Anche dieci, venti, trent’anni fa orde di uomini in branco, in divisa, convinti di poter contare sull’impunità hanno approfittato della gita fuori porta per intimorire, assalire, molestare donne, comprese ragazze minorenni e donne incinte.

E lo hanno fatto convinti che mai nessuno avrebbe presentato il conto, perché alla fine gli alpini sono eroi, chi mai metterebbe in dubbio il loro valore?

Chi mai si lamenterebbe per una mano sul sedere o per una città lasciata come una latrina, se il colpevole è l’eroe con la piuma in testa?

Ma, soprattutto, l’hanno fatto sapendo che anche in caso di qualche guaio, c’è sempre un superiore pronto a confondere la verità.

La lettera del presidente dell’Ana (Associazione nazionale alpini) Sebastiano Favero spiega bene la situazione: afferma che non vi è stata alcuna denuncia, che quando si concentrano in un luogo migliaia di persone «è quasi fisiologico che si possano verificare episodi di maleducazione, che alcuni comprano cappelli da alpino alle bancarelle e si fingono tali».

Insomma, siccome le ragazze non hanno sporto denuncia non è vero, le molestie sono fisiologiche e comunque una mano sul culo è maleducazione, ma soprattuto è pieno di gente che ama travestirsi da alpino, tipo cosplayer. 

LA LOGICA DELLA DIVISA

Una cosa vera, però, la dice: quell’abitudine alle molestie, nel branco, è ancora fisiologica, purtroppo. Il presidente pensa di fare un’affermazione che attenui il problema e invece accende esattamente la luce sul problema. Che è il ritenere normale, goliardico, cameratesco quel clima predatorio.

Un clima in cui le divise giocano il loro ruolo preciso, perché di fronte a una divisa ci si sente pure in una posizione di sudditanza e la vergogna, la paura, l’umiliazione sono pure doppie. E se tutto questo è legittimo, se tutto questo va bene perché sono solo degli uomini in divisa un po’ alticci che fanno apprezzamenti o allungano una mano, che vuoi che sia, se tutto questo vale perché accade in un giorno di festa, mi domando cosa si sia pronti a legittimare in guerra, vista l’attualità del tema.

E no, non sono affatto discorsi distanti, perché la cultura dello stupro ha radici larghe e profonde, in cui il branco, l’appartenenza a un gruppo, la minimizzazione  o addirittura normalizzazione di questi comportamenti, l’idea che tutto questo sia accettabile e che il problema siano le donne troppo lagnose, troppo femministe, troppo fighe di legno sono esattamente gli elementi che la compongono e la alimentano.

Non a caso, dopo l ‘evviva gli alpini di Matteo Salvini, si sono espressi anche i parlamentari del dipartimento Difesa di Lega Salvini premier, Roberto Paolo Ferrari, Massimo Candura e Stefano Corti: «All’evento erano presenti oltre venti parlamentari della Lega e non ci sono giunte nemmeno lontanamente segnalazioni di questo tipo. Nemmeno una. Detto questo, è evidente che eventuali comportamenti di violenza e molestia, se ci sono stati, vanno condannati e puniti severamente, ma vanno denunciati nelle sedi opportune. Tutto questo non può in alcun modo gettare un’ombra  sul corpo degli alpini. Guai a chi tocca gli alpini. Ancor più se chi lo fa è da ascrivere a quella sub-cultura di sinistra che ha cercato sin da subito di sabotare l’Istituzione di una giornata dedicata alle Penne nere». Capito?

Nessuno ha palpeggiato ragazze in presenza di politici, da non crederci. Nessuna ha denunciato chi nella folla le urlava quale pratica sessuale le avrebbe riservato. Nessuno ha messo una mano sul culo alle ragazze. E se qualcuna, per caso, ha sentito chiaramente una mano sul culo, s’è confusa: non era una mano sinistra. Era una certa subcultura di sinistra. Viva gli alpini!

SELVAGGIA LUCARELLI. Selvaggia Lucarelli è una giornalista, speaker radiofonica e scrittrice. Ha pubblicato cinque libri con Rizzoli, tra cui l’ultimo intitolato “Crepacuore”. Nel 2021 è uscito “Proprio a me", il suo podcast sulle dipendenze affettive, scaricato da un milione di persone. Ogni tanto va anche in tv.

Alpini, il precedente dell’Aquila: condanna per gli abusi su una 15enne. SELVAGGIA LUCARELLI su Il Domani il 12 maggio 2022

Sedici e diciassette maggio 2015. Migliaia di alpini e di iscritti all’Associazione nazionale alpini si sono ritrovati a L’Aquila per il raduno nazionale.

Finiti i cerimoniali, il copione è stato simile a quello raccontato in questi giorni dalle tante testimoni vittime di abusi e molestie all’ultima adunata di Rimini.

Una ragazzina di 15 anni venne adescata da due uomini: l’allora ventottenne Davide Ceci, iscritto da dieci anni all’Associazione Nazionale Alpini e il suo coetaneo Smir Belhaj, un venditore ambulante. Sono stati condannati in primo grado.

Sedici e diciassette maggio 2015. Migliaia di alpini e di iscritti all’Associazione nazionale alpini si sono ritrovati a L’Aquila per il raduno nazionale, a ben 26 anni dall’ultimo incontro in Abruzzo (a Pescara nel 1989).

Ore di sfilata, una bandiera lunga 99 metri, la presenza di cariche politiche per accogliere degnamente le penne nere giunte da tutto il paese.

Finiti i cerimoniali però, il copione è stato simile a quello raccontato in questi giorni dalle tante testimoni vittime di abusi e molestie all’ultima adunata di Rimini e -sempre secondo le tante testimonianze- anche negli anni precedenti, già a partire dagli anni Ottanta e chissà quanto prima ancora.

Torniamo all’Aquila, perché quello che è accaduto nel capoluogo abruzzese spiega bene il valore e l’importanza del fiume di testimonianze di questi giorni. 

Era sera, la città pareva letteralmente “invasa” da alpini che festeggiavano.

Secondo i racconti emersi dopo l’adunata di Rimini anche quella de L’Aquila fu caratterizzata da numerosi episodi di molestie verbali e fisiche, e in quel caso la denuncia è arrivata eccome.

Una ragazzina di 15 anni venne adescata da due uomini: l’allora ventottenne Davide Ceci, iscritto da dieci anni all’Associazione Nazionale Alpini e il suo coetaneo Smir Belhaj, un venditore ambulante.

La fecero bere. La condussero in un posto isolato, dove approfittandosi del suo stato di alterazione abusarono di lei entrambi.

Dopo un po’ la ragazza decise di sporgere denuncia, le indagini furono complesse ma alla fine si risalì all’identità dei due uomini. Dopo ben sette anni dall’inizio del processo si deve ancora celebrare l’appello (è previsto alla fine del mese).

Un evento organizzato a Trento nel 2018 durante l'adunata degli alpini

In primo grado, intanto, i due sono stati condannati nel 2019 con rito abbreviato a 4 anni di reclusione col pagamento delle spese processuali e l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni.

L’avvocata Simona Giannangeli, legale della vittima e del centro antiviolenza-Associazione Donatella Tellini che è parte civile nel processo, racconta: «La ragazza era uscita per divertirsi pensando che fosse una serata di festa e ha incontrato queste due persone. Non è riuscita a denunciare subito, piano piano ha elaborato l’accaduto e ha trovato il coraggio di rivolgersi alle forze dell’ordine. Le indagini sono state faticose, si è arrivati a identificare i colpevoli perché uno dei due, un po’ di tempo dopo la violenza, l’aveva perfino contattata su Messenger».

Come mai sia trascorso così tanto tempo dall’inizio del processo e non si sia ancora arrivati a una sentenza definitiva? «Il processo è molto lungo, la ragazza è stata perfino risentita in fase di appello e questo mi ha lasciata perplessa. Era stata creduta, ha dovuto ripercorrere tutto il vissuto. Queste dinamiche creano quel circolo di vittimizzazione secondaria che è un’altra violenza, mi preoccupa. Non si dovrebbe essere esposte più volte alla narrazione dei fatti. Spero che la condanna sarà confermata, anche se esigua. Mi chiedo perché si consenta l’accesso a riti speciali per certi tipi di reati. C’è un problema culturale e strutturale in questo paese per cui intorno alla violenza sulle donne c’è un atteggiamento normalizzante. “Fisiologico” ha detto il presidente dell’Ana, disvelandosi».

Le domando se durante il processo sia emerso il clima molesto di queste adunate in cui tutto è lecito nei confronti delle donne, quel clima che è emerso dalle testimonianze di questi giorni: «Certo, è emerso che scorrevano fiumi di alcol, che c’era un clima “allentato”, come se questo fosse il presupposto per tollerare qualsiasi atteggiamento, anche illecito. Ricordo tra l’altro che in quei giorni io stessa andai via dall’Aquila, fu tutto fuori controllo. Ci furono perfino pullman di prostitute arrivati in città».

Le chiedo, infine, cosa abbiano detto gli imputati per difendersi. 

«Si sono difesi come si difendono tutti in questi casi, hanno detto che lei era d’accordo, in un clima di complicità e allegria. E poi il classico: “La ragazza appariva più grande, era seduttiva, vestita in modo provocante, è stata una bella esperienza».

Nulla di nuovo insomma.

«Già nulla. Basta leggere quanto fango si sta gettando sulle ragazze che hanno testimoniato in questi giorni per capire quanto sia normale questa mentalità e quanta strada ci sia ancora da fare per cambiare la mentalità quando si parla di violenza sulle donne».

SELVAGGIA LUCARELLI. Selvaggia Lucarelli è una giornalista, speaker radiofonica e scrittrice. Ha pubblicato cinque libri con Rizzoli, tra cui l’ultimo intitolato “Crepacuore”. Nel 2021 è uscito “Proprio a me", il suo podcast sulle dipendenze affettive, scaricato da un milione di persone. Ogni tanto va anche in tv.

DAGONOTA il 13 maggio 2022.

Scivola sull’Amaca di “Repubblica” il pur ottimo Michele Serra che nel commentare le bravate imperdonabili (pesanti molestie sessuali) degli alpini al raduno di Rimini sostiene che esse andrebbero “dealpinizzate”. Già, secondo lui “il problema non sono gli alpini, sono i maschi”. 

Il pensiero di Serra fin qui fila. Ma fa il suo ragionamento capitola quando aggiunge che in simili affollate manifestazioni “cameratesche” anche trecentomila commercialisti (quelli senza anima?) o i ragionieri (che danno i numeri?) potrebbero, senza consumare grappini, emulare i fanti con la penna nera. Cioè palpare o intimidire le donne. Causa, ovviamente, testosterone impazzito.

A Serra sfugge che a Rimini non era in programma un concerto di Vasco Rossi con spinello al seguito, ma la tradizionale e storica parata del corpo degli Alpini sotto il patrocinio del ministero della Difesa e del Quirinale. Non una gita goliardica o la sagra del capriolo. Bensì un evento ufficiale, amato da sempre dagli italiani. 

Ogni anno le amministrazioni che ospitano, con orgoglio, stima e affetto il raduno delle penne nere, si prodigano nel facilitare l’ospitalità ai vecchi e nuovi soldati delle montagne oggi impegnati anche in pericolose missioni di pace. Allora, non si possono tollerare sfilate (o trovare alibi diversivi) in cui uomini in divisa (e in borghese) prima di passare ai fatti espongono cartelli con “Viva la gnocca”, “Figa al nastro” o intonano “Siamo sempre sulle cime, ma quando scendiamo a valle attente ragazzine”.

Certe ostentate dichiarazioni maschiliste in questi anni sono sfuggite (o peggio tollerate) anche dagli organizzatori dell’Associazione nazionale Alpini? Il problema riguarda soprattutto il corpo delle penne nere inquadrato nell’Esercito e non qualche pecora nera sfuggita a chi dovrebbe controllare il gregge senza proteggere il lupo infoiato. E non basta il Figliuolo (prodigo), il generale chiamato a gestire l’emergenza Covid, a cancellare una pagina di storia disonorevole per le penne nere.

Alpini molestatori? Hoara Borselli: "Care ragazze, basta frignare. Tirate fuori le palle". Hoara Borselli su Libero Quotidiano il 12 maggio 2022.

Donne riprendetevi le palle! Si, avete capito bene. Uscite da questo stato catatonico in cui vi hanno fatto sprofondare le femministe. Vi stanno rincoglio*** il cervello facendovi credere che gli attributi siano un'offesa imperdonabile se abbinati al gentilsesso. Vi ripetono: «Sono cose da maschi!». Cioè una sciagura per definizione. Possibile vi sia stato fatto un lavaggio del cervello tale da non riuscire a vedere in quale stato siate sprofondate? Sembrate una specie protetta, incapace di sapersi difendere da sola. Esseri così fragili che sentono la necessità di farsi tutelare come animaletti in via di estinzione.

Vabbè, direte voi, come sei esagerata: in fondo anni di battaglie femministe ci hanno consegnato la possibilità di essere appellate al femminile. La desinenza è importante! Vuoi mettere che da oggiposso essere chiamata avvocata, assessora, direttora. Ti sembra roba da poco? E poi possiamo chiamare nostro figlio con il nostro cognome posizionato prima di quello del maschio dominante. Che ingenerosa che sei a lamentarti! 

Ma veramente, femministe 2.0, volete convincermi che sia la battaglia sulle vocali o sui cognomi a farci sentire più donne? Per me le vere donne sono quelle che negli anni Sessanta scendevano in piazza a lottare veramente per noi. Quelle che sono riuscite a portare a casa la legge sull'aborto e sul divorzio. Quelle a cui se chiedevi con quale desinenza volessero essere appellate, ti avrebbero risposto che non avevano tempo per queste stronz***. Quelle che se venivano palpeggiate da una mano morta sull'autobus, rispondevano con una gomitata secca fra le costole. Quelle che al fischio per strada, o ignoravano, o sorridevano, o alla peggio sapevano rifilare un vaffanc*** sonante.

Queste donne avevano le palle ed erano orgogliose di essere portatrici di attributi. E adesso invece? Sembra che l'unica cosa che sapete fare sia correre piagnucolando da un giudice, o da un giornalista, e chiedergli di mettere alla gogna gli alpini, o i registi, o i produttori o i manager... Ma vi sembra una cosa seria?

Avete dato ai vostri "gruppi di pianto" nomi sicuramente poetici ma che con le battaglie c'entrano poco: "Se non ora quando", scomodando Primo Levi, "Non una di meno", "Cognome di donna". Ma non sarebbe molto meglio usare questa espressione molto maschilista, "Tirare fuori le palle"? Ecco, questa sono io. Sogno una nuova stagione dove le donne stiano sulla scena pubblica con la spina dorsale di ferro. Cosa succede se una donna ha la spina dorsale di ferro al posto della valvola lacrimale lenta? Succede che se un alpino, un operaio, un dentista, un cuoco, grida per strada parole oscene o complimenti non graditi, la donna di ferro risponde con uno schiaffone (Se è agile può anche sferrare un calcio sulle palle). Ecco, sogno questo. Oggi purtroppo il femminismo moderno è solo pianto, politically correct e frasi fatte.

E poi fango, solo fango sugli uomini. A me piacerebbe avere un mondo dove le donne e gli uomini valgono allo stesso modo, sono rispettate nello stesso modo, sono pagate nello stesso modo, sono dignitose allo stesso modo. Perciò mi dispiaccio per voi, amiche femministe immaginarie, quando vi vedo sottoporvi a quel rito umiliante che consiste nel correre a piangere dal giornalista o dal magistrato. Mi dispiaccio perché vedo che in questo modo voi vi spogliate della vostra dignità e vi consegnate agli uomini. A quelli che chiamate "patriarchi". Che tristezza! 

Alpini, quattro giorni e zero denunce: se anche i poliziotti di Rimini smentiscono le femministe. Serenella Bettin su Libero Quotidiano il 13 maggio 2022.

Questo palco messo in piedi dalle femministe, dalle proporzioni bibliche, come ha scritto ieri il direttore di Libero Alessandro Sallusti, sta assumendo caratteristiche tragicomiche. Non per minimizzare. O per difendere i molestatori. Pare logico a tutti che se ci sono reati questi vanno condannati senza "se" e senza "ma". Ma perché oltre al fatto che finora è pervenuta una sola denuncia, le femministe di Non Una di Meno, ieri, hanno chiesto con una petizione online la sospensione per due anni delle Adunate degli Alpini. Ma allora dovremmo sospendere anche le sagre della soppressa. Le feste del vino. Del prosecco. Dovremmo chiudere le discoteche. Dovremmo vietare tutte quelle manifestazioni dove se per caso si alza il gomito ci scappa qualche commento o occhiata di troppo. «Ogni anno la seconda settimana di maggio scrivono le attiviste - si tiene l'adunata degli Alpini in una città prescelta. L'ultima a Rimini. Nel giro di poche ore sono state esposte più di 150 denunce da parte di donne e minoranze alle attiviste di Non Una di Meno, che hanno raccolto testimonianze sconcertanti riguardo al comportamento irrispettoso, sessista e violento degli Alpini, i quali non si sono limitati alle molestie verbali ma sono arrivati a molestare fisicamente anche delle ragazze minorenni».

Fonti della Questura riferiscono a Libero che nessuna denuncia, nessuna, nemmeno una richiesta di aiuto, è pervenuta ai loro uomini durante i giorni dell'Adunata. E nemmeno nei giorni seguenti. Solo ieri mattina nell'applicazione YouPol della Polizia di Stato, un'app a disposizione dei cittadini che consente segnalare un reato in tempo reale, è giunta una segnalazione di una tizia di 40 anni che dice che durante il raduno «un alpino le ha leccato il piede o ha tentato di farlo», nemmeno si capisce. Rintracciata la donna questa manco si è presentata in questura, dicendo che è fuori Italia. Fuori del tutto.

Mala segnalazione mediante YouPol non sostituisce la denuncia o la querela, ma serve a segnalare un fatto potenzialmente illecito alle autorità. Ma allora di che parliamo? Da che mondo e mondo se vengo molestata chiedo aiuto. Mi rivolgo alle Forze dell'ordine. Invece durante l'Adunata, gli uomini in divisa sono sì intervenuti per calmare qualcuno su di giri a causa dell'alcol, ma, mi fanno sapere, «roba di ordinaria amministrazione. Noi qui siamo una città di mare». Tutte queste molestie di cui si parla sembrerebbero essere relegate al mondo dei social. Ma nell'era degli idioti che credono di avere una vita nel Metaverso accade questo.

Da un video girato durante una serata si vedono due ragazze che dicono: «Boh va beh non lo so. Qualcuno fa apprezzamenti troppo spinti». In altre scene non si vede assolutamente nulla. Anzi a far volare qualche bestemmia sono le ragazze stesse. Del resto come dimenticare. Loro sono quelle che a Verona nel 2019, durante una manifestazione, lanciavano assorbenti in faccia ai poliziotti. «Obietta, obietta, obietta su sta fre**a», gridavano. Ai carabinieri martedì pomeriggio è giunta una denuncia. Una ragazza riferisce di essere stata circondata e presa per un braccio da tre Alpini, strattonata e insultata con frasi sessiste. Al momento la denuncia è contro ignoti. Certo. Denunciarne uno. Per colpirne cento. «Le vittime di queste violenze - dicono le attiviste faticano a esporre denunce alle Forze dell'ordine a causa di diversi fattori e risulta ancora più complicato rintracciare i colpevoli». Ok. Quindi?

Salvatore Dama per “Libero quotidiano” il 12 maggio 2022.

La colpa non è dei singoli, ma del maschio. Punto. C'è una discriminante ontologica verso chiunque osi essere pene-munito. E chi si permette di negare questa verità apodittica passa direttamente dalla parte del nemico: il patriarcato. Capita a un giornale, tipo Libero, ma anche all'interno della sinistra. Dove le donne del Pd riminese sono state manganellate (virtualmente) dalle femministe per essersi dissociate da «una polemica generalista e qualunquista». Quella contro gli alpini.

(…) "Complici", agli occhi delle femministe, sono anche le donne del Pd riminese, che si sono permesse di scrivere questa cosa qui: «Intendiamo dissociarci da toni accusatori, tesi a incrementare un clima di polemica generalista e qualunquista, che getta un inaccettabile discredito verso un Corpo dal valore riconosciuto e indiscusso del nostro Esercito. La cospicua presenza di Forze dell'ordine a presidiare un evento così partecipato, era a garanzia della tempestiva segnalazione, repressione e denuncia di eventuali episodi a connotazione antigiuridica». 

«COLPE PERSONALI» Il comunicato è firmato dalla Conferenza delle donne del Pd di Rimini e viene pubblicato sui social dalla portavoce delle Donne dem, Sonia Alvisi. Nei commenti succede un casino: «Vergogna», «Scusatevi con le donne molesta te», è un «comunicato pilatesco». E c'è un altro passaggio contestato: «La responsabilità penale è individuale», dicono le donne del Pd di Rimini, «ed è imprescindibile che le vittime di eventuali violenze provvedano a esporre querela verso fatti che le abbiano viste coinvolte. Gli strumenti posti a tutela di chi subisce comportamenti illeciti, sono ben noti a tutti noi e non dovrebbero cedere il passo a mezzi diversi. Il social ha innumerevoli pregi, ma è troppo spesso veicolo di informazioni approssimative e fuorvianti».

Apriti cielo. Sembra un attacco all'associazione che ha sollevato il caso. Lo è. La responsabilità non è individuale, rispondono inviperite le femministe, ma collettiva. Il problema è la «cultura patriarcale». Alvisi è costretta a scusarsi: «C'è stato un fraintendimento». Però ribadisce quello che ha visto: '. «Ho vissuto la manifestazione e non ho visto comportamenti non corretti altrimenti sarei intervenuta. Sono stata an- che in un locale dove c'erano gli alpini tutti ubriachi, mi hanno invitato a ballare, ho rifiutato ed è finita lì». Nel frattempo le deputate del Pd hanno inviato una interrogazione al governo per «fare chiarezza». Il segretario del Rifondazione Maurizio Acerbo chiede di sospendere i raduni. Idea rilanciata da una petizione on line che, a ieri, aveva raggiunto 13mila firme.

"Molestie e insulti sessisti da parte degli alpini". Almeno 150 denunce dopo il raduno di Rimini. Nino Materi il 10 Maggio 2022 su Il Giornale.

L'accusa di "Non una di meno". La replica: "Nessuna segnalazione alle autorità".

«Alpini molestatori di donne». Se fosse vero, sarebbe gravissimo. Se invece è una fake, sarebbe una vera e propria calunnia. I precedenti sono favorevoli agli alpini, ma questo non li esime da eventuali responsabilità che - lo ripetiamo -, se provate, andrebbero perseguite penalmente.

Fatto sta che nella lunghissima tradizione dei raduni alpini mai nessuna denuncia di «molestie» ha macchiato le adunate delle penne nere: accolte in tutta Italia, da Nord a Sud, sempre con entusiasmo e consenso sociale; una simpatia guadagnata sul campo, considerata la solidarietà e l'impegno mostrati dagli alpini in occasione di situazioni difficili (vedi calamità naturali) che hanno colpito il nostro Paese.

Coglie quindi tutti impreparati l'allarme lanciato dall'associazione femminista «Non una di meno» secondo cui sarebbero «centinaia, e continuano ad aumentare, le denunce di molestie raccolte a Rimini andate in scena nel corso del fine settimana a Rimini, in occasione dell'Adunata nazionale degli alpini».

L'associazione femminista ha «invitato le persone che hanno subito molestie a raccontare la propria esperienza. Già in molte, soprattutto giovani donne, molte dei quali lavoratrici nel settore del turismo, lo hanno fatto». Ieri sera a Rimini c'è stata addirittura un'assemblea, definita dagli organizzatori una «contro adunata».

«Abbiamo iniziato a raccogliere e condividere le testimonianze delle donne molestate e la risposta è stata altissima - scrive «Non una di meno» - tanto quanto sconvolgente per il numero e l'intensità delle molestie ricevute. Fischi, cat-calling, minacce e vere e proprie molestie hanno colpito diverse persone colpevoli solo di voler vivere la propria città. Molestie mascherate da goliardia e tradizione che in realtà sono figlie di una cultura patriarcale che vuole donne, persone trans e gender non conforming assoggettate al potere e alla paura, al ricatto e alle minacce in caso di rifiuto». La replica degli Alpini? «Tutte fandonie. La nostra storia parla per noi».

«Centociquanta denunce di molestie? A noi non risulta». Cade dalle nuvole in sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad, che invece parla espressamente di «sfida vinta»: «In 400mila hanno invaso Rimini per quattro giorni e con gli 80mila che hanno sfilato domenica alla chiusura della 93esima adunata nazionale degli alpini, tutto si è svolto nel migliore dei modi». Ma restano le ombre. Sotto forma di decine di testimonianze-choc postate sui sociale. «Palpeggiamenti» e «offese» non sono goliardia.

Femministe scatenate: spunta il vademecum per denunciare gli alpini. Nino Materi il 13 Maggio 2022 su Il Giornale.

Non si placano le polemiche per i fatti di Rimini. Arrivano le scuse del presidente dell'associazione.

Ci mancava solo il «vademecum acchiappa-alpini». Con tanto di identikit («com'era la divisa?», «indossava il cappello?», «era ubriaco?»). A idearlo e lanciarlo sul mercato social è l'agitatissima associazione femminista «Non una di meno» (Nudm): sodalizio di «donne guerriere» fino alla settimana scorsa noto come il professor Orsini prima della guerra in Ucraina. Ora, invece, la sigla Nudm gode di una visibilità abbacinante; tutto merito dell'adunata nazionale degli alpini che tra mille polemiche (ma poche denunce in questura) su presunte molestie sessuali, si è conclusa quattro giorni fa a Rimini. Comunica la sezione riminese di Nudm: «Stiamo raccogliendo tutte le segnalazioni, i video e le foto di questi giorni per valutare la procedura legale più opportuna da adottare collettivamente. Chiediamo a tutt* (notare la finezza linguistica dell'asterisco sexually-correct ndr) di aiutarci con la raccolta di questi materiali» inviandoli all'indirizzo di posta elettronica dell'associazione». Inoltre «la memoria» dovrebbe contenere i «dati anagrafici di eventuali testimoni (anche se non li conosci): persone presenti che stavano registrando o facendo foto; persone con cui eri; persone intervenute; persone con cui hai parlato dopo i fatti; eventuali foto, video, messaggi o chiamate di Wa, storie di Ig, post di Fb che hai fatto che ti aiutano a ricordare e che possono essere visualizzati ed eventualmente utilizzati come prove». Roba che, in confronto, i dossier dell'ex Kgb sembrano documenti da Manuale delle Giovani Marmotte. Peccato che nella mobilitazione delle femministe «Non una di meno» manchi «una» cosa importante: la coerenza. La suddetta associazione è infatti la stessa che, in occasione delle violentissime aggressioni sessuali avvenute a Capodanno in Piazza Duomo a Milano contro numerose ragazze da parte di orde di giovani nordafricani, si mostrò non altrettanto solerte nel denunciare gli abusi; arrivando addirittura a mettere in guardia dal pericolo che «facili generalizzazioni» potessero animare «sentimenti di razzismo verso gli extracomunitari». Un appello alla prudenza che nel caso degli alpini di Rimini è totalmente mancato. Lasciando l'amarissima sensazione che anche su un tema così delicato come le molestie alcuni quantifichino lo sdegno in base alla propria convenienza politica e/o ideologica: un atteggiamento di parte piuttosto vergognoso.

A quattro giorni dall'esplosione del «caso alpini» sono giunte finalmente le «scuse» da parte del vertice dell'Ana che, in un'intervista al Corriere della Sera del presidente Sebastiano Favero, ha ricondotto la vicenda nei giusti binari di civiltà; se magari - anche alla luce di vari precedenti - Favero lo avesse fatto giocando di anticipo, avrebbe evitato qualche speculazione strumentale di troppo. Invece si è scatenata l'operazione «fango sugli alpini», glissando su una cronologia di eventi che merita invece di essere approfondita. Uno «storico» alpino come l'ex senatore Carlo Giovanardi, interpellato dal magazine Mow, ha rivelato un curioso retroscena: «Venerdì 6 maggio sulla pagina Instagram del collettivo "Non una di meno", è apparso un post che invitava a inviare testimonianze di molestie subite ad opera dei 400mila alpini arrivati in città. Ma da sempre il grosso arriva nel weekend. Quindi prima ancora che l'evento entrasse nel vivo, già le femministe scrivevano che gli alpini erano ubriaconi e molestatori».

Ottimo materiale per i complottisti.

Alpini sotto accusa, tutto cominciò con Murgia contro Figliuolo e ora le femministe dicono: fate schifo. Adele Sirocchi mercoledì 11 Maggio 2022 su Il Secolo D'Italia.  

Ora una denuncia contro gli Alpini c’è. E’ quella di una donna di 26 anni che ha raccontato di pesanti avances. Le penne nere si difendono e parlano di casi isolati, dicendosi pronti a cacciare con ignominia i colpevoli, qualora venissero scovati. Il ministro della Difesa Guerini si scopre colpevolista e attacca, parlando di comportamenti gravissimi. In pratica, l’onorabilità degli Alpini è compromessa.

C’è anche un video di Fanpage che mostra ragazze che raccontano di avere udito volgarità a sfondo sessuale al loro indirizzo e di avere dovuto fronteggiare molestie da vecchi ubriachi partecipanti al raduno. Erano 400mila. I casi segnalati alle femministe di Non una di meno sono 160. Ciò non assolve comportamenti scorretti e poco rispettosi verso le donne, ma non giustifica questo processo mediatico che coinvolge anche Matteo Salvini additato quasi come uno stupratore per avere fatto un post in cui festeggiava il raduno di Rimini. Sui social il dibattito esplode. Chi difende gli alpini fa notare che già prima del raduno le femministe erano partite all’attacco con lo slogan sui social: “Alpino molesto, se mi tocchi ti calpesto”.

Ciò che stupisce è il clamore mediatico. A Capodanno a Milano ci furono 11 denunce per violenza sessuale di gruppo a carico di ragazze palpeggiate e umiliate che erano in piazza Duomo a festeggiare. Non risultano gli strepiti di Non una di meno. I responsabili individuati erano tutti stranieri. Ma la sinistra ci ha abituato ai due pesi e due misure. Del resto, come annota La Verità, fanno i militaristi guerrafondai contro il dittatore Putin ma poi liberano l’antimilitarista che è in loro mostrando fastidio per i maschi in divisa. Un vero mischione tra me too e fedeltà alla Nato. Pulsioni incompatibili ma che marciano a braccetto nelle schiere progressiste.

Dove le donne si fanno sentire. Emule di Michela Murgia che aveva paura del generale alpino Figliuolo. Era turbata dalla divisa. Dimenticava che gli alpini avevano costruito un enorme ospedale da campo a Bergamo per l’emergenza coronavirus. Tutto cancellato. Figliuolo è stato oggetto di una campagna denigratoria che ha unito no vax e nostalgici delle gesta del commissario Domenico Arcuri. Uniamoci il catcalling e il polverone è perfetto.

Sui fischi alcolici alle ragazze di Rimini si accanisce Elena Stancanelli con un pezzo sulla Stampa che rievoca i toni del femminismo anni Settanta:

“Fate schifo – è l’esordio – potrebbero essere i nostri padri, anzi no, i nonni, dicono le ragazze che hanno avuto a che fare con gli alpini radunati a Rimini. Ragazze che lavoravano nei bar e sono state costrette a servirli, a subire quei comportamenti grotteschi, donne che camminavano per le strade della loro città, ragazzine vestite come pare a loro, stupefatte di sentire commenti che immaginavano estinti”. E ancora: “Non so cosa si faccia a un raduno degli alpini e quale senso abbia. Poco importa, perché di loro, degli alpini rispettosi a Rimini non si ricorderà nessuno. Alla domanda su chi sia un alpino, tutti, ridendo, descriveranno un uomo barcollante col cappello intento a molestare ragazzine dicendo frasi sconnesse”.

Conclusione: “Adesso – scrive Stancanelli – non saremmo qui a dire che gli alpini sono razzisti, maschilisti e molestatori. Adesso diremmo che alcuni di loro lo sono, ma che tutti gli altri li hanno ostracizzati, inchiodati al loro disonore. E invece gli alpini, come tutti i maschi trogloditi e ridicolmente fastidiosi, si sono difesi, hanno fatto quadrato. Hanno aspettato di essere scoperti per poi dire, senza ritegno: non siamo stati noi“. Quanta rabbia legittima, vero? E ora si proceda con la mozione per lo scioglimento del corpo di questi maschi trogloditi. E ciò anche se la sinistra difende l’aumento delle spese militari. Ma tranquilli. Casomai la Russia dovesse invaderci, manderemo in prima linea quelle di Non una di meno…

Detto questo l’associazione nazionale Alpini farebbe bene a vigilare sui comportamenti degli associati. Spiegando loro che non c’è e non ci può essere alcuna deroga al rispetto verso le donne che possa essere giustificata dall’alcol, dalla goliardia, dal ritrovarsi in “branco”.

Basta fango su un orgoglio nazionale. Giannino della Frattina il 12 Maggio 2022 su Il Giornale.

Non vi permettete. Giù le mani dagli alpini.

Non vi permettete. Giù le mani dagli alpini. Perché spacca il cuore dover vedere il caporale Luca Barisonzi, rimasto paraplegico in Afghanistan per i colpi di un terrorista islamico mentre il suo commilitone Luca Sanna perdeva la vita, costretto a difendersi. A spiegare l'ovvio e cioè che «non bisogna generalizzare», perché «noi siamo portatori di valori». E «noi» sono quegli alpini che in un soffio sono passati dall'essere il frutto più bello della nostra terra, all'infamante accusa di essere dei volgari violentatori. Sia ben chiaro che qualunque anche minimo caso di stupro va documentato e i suoi autori condannati, proprio perché con l'aggravante di essere alpini, alla più severa delle pene. Ma, appunto, i casi vanno denunciati e provati. E va dimostrato che i suoi autori fossero effettivamente alpini e non delinquenti che hanno approfittato della grande festa delle penne nere per scatenare i loro istinti peggiori. Come del resto è successo negli ultimi capodanni in Piazza Duomo a Milano, dove gli stupratori si sono confusi tra la folla e nessuno ha mai pensato di dare dei violentatori a tutti i milanesi e chiesto di abolire le prossime feste in piazza. E così anche per Rimini, così come si sta facendo a Milano, si documentino i reati e si perseguano i responsabili, lasciando stare gli 80mila alpini che anche quest'anno hanno celebrato il loro sacro rito, cristiano e pagano in rappresentanza di una moltitudine di eroi che hanno dato la vita per la Patria e per la Patria continuano a dare il meglio di sé. E allora a chi chiede di sospendere la loro parata, verrebbe da chiedere se siamo disposti a rinunciare per altrettanto tempo a tutti i servigi che le penne nere offrono quotidianamente e gratuitamente a chi è in difficoltà. La Protezione civile, gli aiuti ai portatori di handicap e agli indigenti, le raccolte d fondi per le più disparate iniziative di solidarietà, le scuole aggiustate e i parchi giochi per i bimbi. E, non ultima, la campagna contro il Covid che li ha visti erigere in un attimo centri vaccinali e ospedali d'emergenza con calma e serenità marziale, mentre il resto del Paese era nel panico. Guidati da quel generale Francesco Figliuolo che abbiamo eretto a eroe nazionale e che nessun sospetto di molestia sessuale potrà mai far cadere da quel piedistallo che gli dobbiamo. E su cui deve continuare a stare con orgoglio, insieme a tutti i meravigliosi alpini.

LETTERA a Dagospia l'11 maggio 2022. Riceviamo e pubblichiamo:

Sai caro Dago, sono un Alpino. Più di un trentennio fa ho svolto il mio servizio militare come Tenente di Complemento.

Da diversi anni, il tuo sito è la mia preferenziale fonte di informazione. Dopo la scomparsa di Massimo Bordin (che perdita incolmabile!), la tua rassegna stampa è, a mio sentire, tra le più equilibrate, efficaci e anche divertenti che il panorama italiano possa offrire.

Quanta amarezza sto vivendo della rappresentazione che alcuni giornali stanno facendo in queste ore, dell’Adunata degli Alpini a Rimini. 

È il secondo giorno che, con immensa tristezza, leggo superficiali, denigratori, infamanti e semplicemente stupidi articoli, che come spesso accade non fanno informazione ma tentano di lanciare il nuovo mostro della settimana.

Che in questa sembrano essere i 500.000 alpini in congedo di tutte le età. 

Non ho idea se i lettori di questa rubrica abbiano mai partecipato ad un’adunata degli Alpini, ma da decennale frequentatore so che è un delle più belle feste che si possono vivere in Italia.

L’unica manifestazione (gioiosa) in cui le città vengono invase per una settimana da un’orda gigantesca di uomini e il lunedì successivo si ritrova una città più pulita che mai. Con la gioia e la nostalgia nei cuori dei cittadini che l’hanno vissuta. 

Sono genitore di una figlia e so che l’adunata degli alpini è l’unico luogo al mondo dove sarei tranquillo se camminasse nuda per le strade, tra decine e decine di migliaia di uomini. Sapendo che arriverebbe, a casa incolume e sorridente, avendo forse ricevuto qualche commento goliardico, magari anche eccessivo a causa di testosterone e alcool, ma incolume e sicura come mai sono le città e le province italiane e di tutto il mondo.

L’adunata degli Alpini è un luogo sicuro dove migliaia di uomini valoriali, civili, generosi e gioiosi festeggiano con rispetto di uomini, donne, animali, natura e ambiente.

Se qualche ragazza ha subito violenze di qualsiasi genere certo denunci e venga tutelata, ma non si denigri un corpo e una festa, decine di migliaia di uomini che rappresentano valori e personalità tra le migliori che il sesso maschile rappresenta. 

In questi anni, dove finalmente si è maturato nel mondo occidentale di non tollerare più la prevaricazione del sesso maschile su quello femminile, in ogni forma essa sia espressa, gli Alpini in armi e quelli in congedo rappresentano, per definizione ma anche per sostanza, il concetto di rispetto, ma spesso anche quello di amore.

Quanto sarebbe bello che chi ha la fortuna e l’onere di svolgere il bel mestiere di giornalista sapesse onorarlo informando e non facendo disinformazione come spesso capita.

Fortunatamente bastano i numeri per scorgere la verità: 500.000 uomini (che si rifletta sull’immensità di questa cifra) ed una manciata di deplorevoli e gravissimi (sia ben inteso) casi di molestie che fanno dell’avvenimento, il più tollerante, sicuro, femminista luogo della terra. 

E non il contrario.

Concludo con un'altra riflessione in merito.

Doveroso, necessario e sacrosanto mettere l’accento su ogni tipo di violenza ma anche solo prevaricazione sulla donna. 

Ha, però, senso o verità continuare a dipingere l’uomo, inteso come maschio, come un predatore da cui difendersi?

Con affetto, Alpino Roberto Garino.

Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera” l'11 maggio 2022.

Se tante ragazze di Rimini e Torino sostengono di essere state molestate durante l'adunata degli alpini e la festa dell'Eurovision, non si può liquidare la denuncia come un'esagerazione o attribuirne la responsabilità a fantomatici infiltrati. Per una volta sarebbe bello uscire dal solito schema corporativo che porta a difendere a testuggine la categoria di appartenenza: alpini, ballerini, maschi intruppati in qualche clan da stadio o da osteria. Senza alcuna pretesa di moralismo, agli uomini con un serio deficit di educazione sentimentale potrebbe essere utile un breve prontuario per adeguarsi alla sensibilità mutata del tempo in cui tocca loro vivere, che non è più il Paleolitico e neanche il Novecento.

Se, come a Rimini, fermi una sconosciuta per strada e le chiedi a che ora aprono le sue gambe, non la stai corteggiando, la stai molestando. Se, come a Torino, le tocchi il sedere mentre ti passa davanti, non la stai corteggiando, la stai molestando. Se, come a Torino, le dici: dai, non ti offendere e fai la carina con me, non la stai corteggiando, la stai molestando.

Se, come a Rimini, ti metti di traverso per impedirle di passare e intanto le gridi «Ehi, bella f...», muovi la lingua come se avessi in bocca un gelato e fai il verso del cane, non la stai corteggiando, la stai molestando. Insomma, ogni volta che le tue parole e i tuoi gesti esprimono un senso di possesso, non la stai corteggiando. La stai molestando. Per quanto in branco tu ti creda assolto, direbbe De André (con quel che segue).

Paolo Coccorese per il “Corriere della Sera” l'11 maggio 2022.

«Ero con le altre volontarie, quei ballerini stranieri ci hanno fissato a lungo e dopo si sono avvicinati. Ballavamo vicini, poi abbiamo incominciato a sentire le loro mani addosso. Quando ci siano rese conto di quello che stava capitando, abbiamo cambiato stanza della festa». Francesca (il nome è di fantasia) ha 20 anni, studia Giurisprudenza. Ammette di non essere un’appassionata di lungo corso dell’Eurovision. 

Quando le hanno proposto di diventare la volontaria assegnata alla delegazione di una cantante del Nord Europa, ha accettato con curiosità. Ha partecipato alla festa della Reggia di Venaria di domenica, dove ci sarebbe stati abusi. È lei che nella chat dei volontari ha scritto: «Fate attenzione a quei ballerini: sono molesti». 

I volontari erano invitati alla festa vip?

«No, solo i tre host assegnati a ogni delegazione»

Che mansioni avete?

«Siamo i volontari al servizio della delegazione. Li seguiamo ovunque. Con la mia sono andata a visitare Stupinigi. Poi, banalmente, dobbiamo servire loro un bicchiere d’acqua quando hanno sete». 

Come dei maggiordomi?

«Beh, le host della Moldavia sono andate ad acquistare un trenino giocattolo per il manager. Insomma, li aiutiamo con la lingua, prenotiamo i ristoranti o i taxi. I capi dei volontari ci hanno detto: “Dovete fare tutto quello che vogliono. Tranne pagare i conti”».

Torniamo a domenica: che atmosfera c’era?

«All’inizio molto noiosa, era un rinfresco. Poi, dopo le sette, noi host ci siamo tolte le magliette arancioni, ci siamo sistemate un po’ eleganti. E ci siamo messe a ballare».

E il clima è cambiato?

«Sì, abbiamo contagiato tutti. Il bar serviva da bere gratis. Si è bevuto così tanto che abbiamo finito le scorte di alcol. È diventata una festa senza freni. Come una discoteca».

Poi, cosa è accaduto?

«C’erano questi ballerini di un artista straniero. Sono quelli che nell’intervista della sfilata hanno detto che amavano le ragazze italiane. Un nero e un bianco. Ci hanno fissato con insistenza prima di avvicinarsi al nostro gruppo. Erano fastidiosi». 

Chi c’era oltre a lei?

«Altre tre host».

E poi?

«Hanno incominciato a ballare, a farci girare e poi hanno incominciato a toccarci». 

Toccare?

«Sempre più giù, ci hanno palpato il sedere».

Meno male che era una festa elegante...

«Un’altra host di una delegazione dell’Est ha detto che ha dovuto chiedere al manager di smetterla di toccarla». 

Ha assistito alla scena?

«Me lo ha raccontato. Ma ho visto, invece, un’host allontanare in modo deciso un artista che ha provato a baciarla».

Ha denunciato l’accaduto ai suoi responsabili?

«No, non volevamo creare problemi». 

Ma quei ballerini hanno capito che voi eravate delle volontarie?

«Sì, avevamo il badge e parlavamo italiano. Era evidente. E poi con noi sono stati più insistenti». 

Cioè?

«Anche la cantante di Cipro ha ricevuto molte attenzioni. Ma con lei non si sono permessi di superare il limite».

Perché non avete reagito?

«In discoteca avrei dato qualche schiaffo».

E quando siete andate via?

«Quei ballerini si sono buttate su altre ragazze».

Eurovision, volontarie denunciano: "Molestate al party inaugurale". La responsabile: "Non è vero". Redazione Tgcom24 il 10 maggio 2022.

Alcune volontarie di Eurovision hanno denunciato di aver subito molestie da parte degli artisti di alcune delegazioni in occasione del party inaugurale di domenica sera alla Reggia di Venaria. Accuse di molestie girate nelle chat delle giovani, che, come anticipato dall'edizione torinese del Corriere della Sera, sono però state smentite dal Comune di Venaria. A quanto risulta, non sono state presentate denunce alle forze dell'ordine. "Se mai mi fossi accorta che c'era qualcosa che non andava, sarei intervenuta io per prima. Ho partecipato a tutto il party e posso assicurare che di molestie non ne ho viste", ha invece affermato Alessandra Aires, coordinatrice dei Delegation Host, i 120 ragazzi che accompagnano le delegazioni. Il collettivo femminista "Non Una di Meno" si è schierato con le volontarie, dicendo: "Come spesso capita la voce delle donne che vivono violenza viene silenziata, i loro racconti non creduti e le loro esperienze non ascoltate". 

Il racconto - "Mi sono sentita indifesa, volevo scappare, ma non potevo...". Paola, il nome è di fantasia, è una delle volontarie che sostiene di essere stata molestata da alcuni ballerini durante il party di inaugurazione dell'Eurovision Song Contest. Una festa vip in una cornice esclusiva, la Citroniera della residenza sabauda patrimonio dell'Unesco, che per alcune ragazze con la maglia arancione, il colore della loro divisa, si è trasformata in una esperienza "imbarazzante" e "tutt'altro che piacevole". Chi ha assistito alla serata parla di "persone che hanno esagerato con l'alcol". "C'erano alcuni ragazzi delle delegazioni che ci abbracciavano in continuazione - è il racconto che rimbalza sulle chat delle ragazze -. Uno mi ha messo la mano sulla vita e ha cercato di baciarmi. Sono riuscita a svincolarmi, ma un altro si è avvicinato e si è comportato nella stessa maniera. Alla fine siamo riuscite ad allontanarci". "Sono contenta di fare la volontaria di Eurovision - ha aggiunto Paola -, ma non mi aspettavo che quella che doveva essere per me una bella esperienza si trasformasse in palpeggiamenti e molestie. Le stesse che purtroppo capitano spesso in discoteca. Mai mi sarei aspettata che questo avvenisse in party come quello di domenica".

La responsabile dei volontari: "Al party nessuna molestia" - "Forse nelle chat c'è stato qualche commento sopra le righe, ma tutto riconducibile all'entusiasmo della festa - ha aggiunto Aires -. Fa male che si voglia sporcare un evento tanto bello e formativo per i nostri giovani".

Le reazioni - "A fronte delle segnalazioni rese pubbliche da numerose lavoratrici rispetto alle molestie subite sul proprio posto di lavoro durante la kermesse dell'Eurovision a che titolo il Comune dichiara che non sia successo niente di male? - ha affermato Chiara di "Non Una di Meno" -. Si tratta di molestie sul posto di lavoro e come tali vanno affrontate, puntando l'attenzione sulle condizioni di estremo sfruttamento e ricattabilità che le donne vivono in ambito lavorativo e in alcuni contesti di lavoro in particolare. A queste donne va tutta la nostra solidarietà e siamo a loro disposizione per qualunque tipo di sostegno possano aver bisogno". "Segnalazioni simili sono arrivate anche da Rimini nel corso dell' adunata degli alpini", ha concluso.

"Questi episodi purtroppo non ci stupiscono. Le segnalazioni sono state moltissime anche riguardo al raduno degli alpini proprio di questi giorni. Non si tratta di goliardia e non è più accettabile far passare episodi di questo tipo sotto questo cappello. Sono vere e proprie molestie. Altrettanto grave è il fatto che si tenda ancora una volta a sottovalutare le dichiarazioni di donne che lamentano questo tipo di episodi". Lo sostiene Carola Messina, vicepresidente dell'associazione "Torino Città delle Donne".

"Non ero presente all'evento di Eurovision, ma spero che si facciano tutti gli accertamenti del caso per verificare che nessuna ragazza sia stata molestata - aggiunge la consigliera comunale torinese del Pd Ludovica Cioria, interpellata sulla vicenda -. Una festa è tale solo quando possono godersela davvero tutte e tutti liberamente".

Da "repubblica.it" il 14 maggio 2022. 

I casi di molestie raccontate dalle donne durante l'adunata degli Alpini a Rimini continuano a far discutere. Questa volta a buttare benzina sul fuoco è il sindaco forzista di Trieste, Roberto Dipiazza. "Ma stiamo scherzando? Una ha raccontato: 'mi hanno detto che ho un bel paio di gambe e mi sono sentita violentata'. Quando vediamo passare una bella ragazza, cosa pensiamo? Siamo maschi. 

Ma stiamo scherzando? Se le avessero detto 'hai un bel c...', cosa avrebbe fatto allora? Viva gli alpini! Viva gli alpini! Vorrei dire a questa persona: signora, guardi che la violenza è un'altra cosa", dice Dipiazza intervenuto sull'emittente tv triestina "TeleQuattro" in riferimento alla polemica a seguito del raduno degli alpini a Rimini attaccando anche l'associazione "NonUnaDiMeno" che ha denunciato gli episodi, definendola "gentaglia".

Proprio il gruppo transfemminista, insieme al centro sociale Casa Madiba e Pride Off, parla di oltre 160 racconti dei fatti delle molestie subite e di "oltre 500 segnalazioni". Altre denunce alle forze dell'ordine sono in arrivo, oltre a quella presentata ai carabinieri da una 26enne, sulla quale la Procura di Rimini ha aperto un fascicolo contro ignoti (l'identificazione con 400mila presenze all'adunata non sarà però facile).

La bufera non si placa. Con il primo cittadino giuliano, Dipiazza, che aggiunge: "Si fanno degli apprezzamenti, è normale. È grave se si dice 'guarda che bella quella ragazza ... guarda che bel paio di ... che ha quella ragazza ... oppure guarda che bel fondoschiena che ha quella ragazza?". Ricordando che a Rimini c'erano "500mila alpini". "Fare queste polemiche significa fare male a tutto" ha concluso Dipiazza.

 Chiara Baldi per "La Stampa" il 15 maggio 2022.

Ci sarebbero altre due ragazze pronte a denunciare nelle prossime ore le molestie subite alla 93ª adunata degli Alpini a Rimini. E a distanza di giorni non si placa la polemica politica: a bruciare ogni speranza ci ha pensato il sindaco di Trieste Roberto Dipiazza, Forza Italia. Ospite della tv locale "TeleQuattro", si è lanciato in una profonda analisi del fenomeno delle molestie alle donne (tra cui anche minorenni): «Ma stiamo scherzando? Una ha detto: mi hanno detto che ho un bel paio di gambe e mi sono sentita violentata.

Quando vediamo passare una bella ragazza, cosa pensiamo? Siamo maschi. Ma stiamo scherzando? Se le avessero detto "hai un bel c...", cosa avrebbe fatto allora? Viva gli alpini! Viva gli alpini! Vorrei dire a questa persona: "Signora guardi che la violenza è un'altra cosa"». 

Non pago, ha rincarato la dose: «Si fanno degli apprezzamenti, è normale. È grave se si dice "guarda che bella quella ragazza ... guarda che bel paio di ... che ha quella ragazza ... oppure guarda che bel fondoschiena che ha quella?" Fare queste polemiche significa fare male a tutto». Insorge il Pd che con il vicepresidente del consiglio regionale Francesco Russo chiede scusa, mentre la senatrice dem Tatjana Rojc parla di modello fermo a «Wilma, dammi la clava».

Proprio il Friuli si ospiterà il prossimo anno, a Udine, l'adunata delle penne nere. E è arrivato anche l'invito di Matteo Salvini, che si scaglia contro la «cancel culture»: «C'è solo una denuncia. Quella donna va difesa. L'Italia che desidero è orgogliosa del suo passato: chi ha radici entra nel futuro. 

Ma non è normale che da una settimana si faccia polemica su una istituzione come gli alpini. Se qualcuno ha sbagliato paga. Ma chiederò agli 800 sindaci della Lega di invitare gli alpini».

L'associazione transfemminista Non Una Di Meno - le cui attiviste sono state definite da Dipiazza «gentaglia» - ha replicato al sindaco parlando di «cultura e società profondamente sessiste e patriarcali: il machismo si respira in ogni ambito della vita fin dalla nascita, è parte dell'educazione che le persone ricevono in questo Paese». E specificano che «non andiamo a cercare un singolo colpevole ma facciamo un discorso sistemico: stiamo subendo stigmatizzazione e intimidazioni per il lavoro di emersione e di supporto alle vittime. Ci viene detto che i 168 milioni di introiti portati dall'Adunata dovrebbero essere motivo di silenzio». Intanto il sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad, che venerdì ha ricevuto in copia stampata le 500 testimonianze, assicura: «Leggerò i documenti. E non per dovere istituzionale ma perché proprio ho detto che voglio ascoltare quelle voci e quelle segnalazioni anche se non dovessero diventare denuncia penale. Questo è il compito di un sindaco. Prima ascoltare. E non emettere pre-giudizi senza ascoltare o leggere».

Alpini accusati di molestie, il dossier è ancora fermo. Le femministe: «Clima ostile alle denunce». Alessandro Fulloni su Il Corriere della Sera il 21 maggio 2022.

Il dossier con le denunce delle molestie degli alpini? «Penso sarà presentato all’autorità giudiziaria all’inizio della settimana» dice al Corriere Alice, una delle attiviste di «Non Una di Meno», una delle associazioni transfemministe che hanno raccolto — con un sondaggio online — le segnalazioni di fischi, apprezzamenti pesanti, offese e palpeggiamenti censita all’adunata nazionale delle «Penne nere» a Rimini dal 5 all’8 maggio scorsi. Domanda inevitabile: possibile che dopo due settimane di annunci la consegna del fascicolo slitti ancora? Alice, minuta, battagliera, scuote la testa: «Stiamo continuando a incontrare le ragazze che vogliono denunciare, quando avremo finito ci sarà una conferenza stampa con il team legale che ci assiste». Sta di fatto che per adesso una sola è la denuncia formalizzata.

A presentarla ai carabinieri è stata una 25enne che, nelle vicinanze di un bar, sarebbe stata circondata da tre persone in mezzo alla folla che l’avrebbero strattonata e insultata con frasi dall’esplicito riferimento sessuale. Lei si è divincolata ed è scappata via. Dopo il rapporto inoltrato dall’Arma, la Procura ha aperto un’indagine contro ignoti. Sul contenuto dell’inchiesta filtra pochissimo, salvo che sono stati acquisiti i filmati delle telecamere di sicurezza. Per ora non c’è stato alcun interrogatorio «ma è un lavoro lungo» notano gli inquirenti. L’orario preciso della presunta molestia non sarebbe stato indicato nell’esposto mentre per strada c’erano migliaia di persone. Ed ecco perché quei video bisogna «vagliarli attentamente». Quanto alla segnalazione inoltrata tramite la app Youpol alla Questura — dove precisano che durante il raduno nessun allarme molestie è arrivato ai centralini d’emergenza — la donna che l’ha inviata si trova all’estero ed eventualmente sarà ascoltata al suo rientro in Italia.

Ma qual è il contenuto del dossier? Di sicuro ci saranno i 170 racconti giunti a «Non una di meno Rimini», «Casa Madiba» e «Pride Off» tramite mail o con messaggi agli account social. Per esempio quello di Sara, 27 anni, nazionalità italo-somala, cameriera in un bar chiamata, per le ordinazioni, dalle penne nere con il saluto fascista. Oppure Lela, 18enne bolognese, seguita da «un alpino che si è avvicinato d’improvviso. Per fermarlo è intervenuto un mio amico, preso a pugni. Rivolgermi alle forze dell’ordine? Certo — dice ora —, ci sto pensando: non voglio passarci sopra. Ecco perché ho contattato un legale della Casa delle Donne».

«Difficile denunciare, in città c’è un clima ostile, omertoso» sostengono le femministe che giovedì alle 18 si sono incontrate in un’assemblea in piazza Malatesta, a un chilometro dal palazzo in cui, poche ore prima, un peruviano ha ucciso la moglie che voleva lasciarlo. Circa cento le attiviste (ma c’erano anche uomini) al dibattito in cui si sono sentite frasi così: «Se lavori dietro al bar e sei precaria è difficile parlare di molestie con il titolare che ti guarda storto...». E ancora: «Ci hanno intimidito per quello che abbiamo fatto emergere», «ci è stato detto che i 168 milioni di euro portati dagli alpini al raduno — la cifra è quella fornita dal Comune, ndr — dovevano essere un buon motivo per stare zitti...». Infine: «chi lavora nel settore turistico ha subito ricatti di ogni tipo, ascoltando queste parole: “Se ti offrono da bere, devi bere anche tu e assecondarli”».

Poi c’è il racconto, pure questo finito nel dossier femminista, di ciò che è avvenuto in una scuola professionale non lontano dalla stazione. Non ci sono denunce, sebbene al Corriere diverse testimonianze confermino la scena. Questa: delle studentesse sono in pausa pranzo in un bar dove accettano una birra da alcuni alpini visibilmente alticci. Verso le 13 una prof si affaccia in strada richiamandole per la lezione. Le penne nere le dicono: «resti qui...» e l’afferrano, palpeggiandola. La docente si divincola, scalcia, si rifugia nella scuola di fronte al locale. I «bocia» la seguono schiamazzando, salgono le scale sino al secondo piano. Solo l’arrivo di altri docenti consente di respingere le penne nere che però, scendendo, prendono di peso, sempre ridendo, una segretaria per lasciarla infine nell’androne. Secondo la dirigente gli alpini sarebbero saliti «ma bonariamente e non sarebbero stati molesti».

Contro le «penne nere» girano anche, sul web, vere e proprie «bufale» tipo quella per cui tre di loro avrebbero trascinato in un hub una ragazza con indosso un cartello «no vax». Non la molestano, ma la vaccinano. Per quanto assurda, la vicenda diventa virale. Eppure la sedicente giornalista che l’ha rilanciata per prima da tempo è stata smascherata dai «debunker»: il suo è un profilo fake. E mette in Rete solo storie inventate.

Sessismo, molestie e solidarietà. Se il pregiudizio è (anche) delle donne. Elvira Serra su Il Corriere della Sera il 15 maggio 2022.

Francesca Bardelli Nonino e la fatica di ottenere credibilità se si è giovani e di bell’aspetto. Agli insulti sessisti si sommano i commenti di chi squalifica a priori un ruolo.  

Francesca Bardelli Nonino. Ha 32 anni ed è considerata «l’influencer della grappa». Facile, si dirà: è di famiglia. Eppure Francesca Bardelli Nonino il ruolo in azienda se l’è conquistato sul campo. Ha studiato in Italia e all’estero, ha rubato i segreti del mestiere alla madre, alle zie e ai nonni, e vuole continuare a imparare: se le chiedete qual è il prossimo obiettivo, vi risponderà diventare anche lei Mastro Distillatore. Cin cin! La sua preparazione, però, pare non basti. Un paio di giorni fa, in una diretta Instagram con Laura Donadoni, «The Italian Wine Girl», ha raccontato di come sia difficile ottenere credibilità se si è giovani e di bell’aspetto. E ha ricordato di quando a certi incontri di lavoro le facevano le domande a trabocchetto per accertare le sue competenze. Qui, ha ammesso, ci poteva stare: ha cominciato a 26 anni ad accompagnare la zia Elisabetta e doveva conquistarsi il rispetto di tutti. Ma non trovano giustificazione i commenti irriferibili comparsi nella pagina Facebook dell’azienda sotto alcuni suoi video: battute a sfondo sessuale al limite del porno, scritte da uomini con nome e cognome, magari moglie e figli, così spregiudicati o superficiali dal concedersi a ruota libera in giudizi sprezzanti.

«Me lo sono andato a cercare?», si è chiesta lei, confessando di essersi rivista i video «incriminati» per controllare come fosse vestita (camicetta e jeans), prigioniera del condizionamento sociale che ancora domanda a una donna come era vestita quando ha subito una violenza. Mi ha fatto pensare a quell’ascoltatrice di Norcia che all’ultima puntata di Giletti 102.5, su Rtl, difendendo gli alpini ha condiviso il suo pensiero stupendo: «Mettiamo in conto anche noi donne quanto possiamo fare danno psicologicamente all’uomo quando ci si presenta vestite in maniera provocante... Quella non è violenza per gli uomini?». Non è una voce fuori dal coro, purtroppo, perché tra coloro che hanno avuto da ridire sui video di Francesca Bardelli Nonino c’è anche una mediatrice familiare, in teoria con gli strumenti per riconoscere sessismo e molestie. «È necessario che mettiate una donna?», ha domandato, forse facendo un paragone con certe pubblicità che sfruttano il corpo della donna, e squalificando al tempo stesso le competenze della protagonista, «messa lì» da qualcuno. La conclusione è un po’ mesta. C’è ancora molto da fare. E non solo tra gli alpini.

Pietro Senaldi contro Boldrini e femministe: "Così la sinistra usa le donne per colpire i rivali politici". Pietro Senaldi su Libero Quotidiano il 16 maggio 2022

E così si scopre che, per la sinistra in generale e le femministe in particolare, in caso di violenza sessuale, categoria molto ampia, che oggi comprende dallo stupro di gruppo al palpeggiamento in tram, l'identità del molestatore conta più della vittima e del tipo di aggressione subita. Ce lo svela la cronaca. A Rimini, ormai lo sanno tutti, durante il ritrovo dei quattrocentomila alpini della scorsa settimana, si sono verificati alcuni deplorevoli casi di molestie ad alcune donne, mal apostrofate e toccacciate vigliaccamente. Episodi che hanno gettato discredito e disonore sulle Penne nere.

È intervenuto per bacchettarle perfino il ministro della Difesa, mentre Boldrini e compagne hanno ipotizzato di sospendere per due anni i raduni del Corpo, a mo' di punizione esemplare. Sonia Alvisi, sparuta esponente locale dei dem, è stata addirittura costretta alle dimissioni per aver speso parole in difesa degli alpini, che sono stati descritti dall'isterismo ideologico imperante come nient' altro che una masnada di assatanati ubriaconi. 

I NUMERI PARLANO - Il tempo è galantuomo e, a oggi, il solo caso di tentato stupro a Rimini riportato dalle cronache recenti vede come aggressore un somalo, mai arruolato nel nostro esercito patrio. Si tratta di un 27enne ospite di un centro di accoglienza, di un clandestino insomma, se ancora è lecito chiamarli così. Da sinistra però nessuno si è alzato per chiedere due annidi sospensione dell'accoglienza di chi immigra illegalmente in Italia. Eppure, dati alla mano, ce ne sarebbero le giustificazioni, visto che, stando ai numeri dell'Istat, gli stranieri, che rappresentano l'8% della popolazione residente in Italia, commette il 41% degli stupri, il che rende in potenza un immigrato sette volte più pericoloso di un italiano per la sicurezza delle donne. Con marocchini, nigeriani e tunisini che occupano tre dei primi quattro posti nella classifica delle nazioni di provenienza dei violentatori.

Il guaio però è che da sinistra, e dai banchi delle varie Boldrini, nessuno si è alzato nemmeno per esprimere una banale condanna del somalo aggressore.

In realtà nessuno si è alzato neppure per esprimere una minima solidarietà all'italiana aggredita. È sconvolgente che i progressisti si ergano a paladini delle donne solo quando a importunarle è un italiano, meglio se in divisa o comunque in qualsiasi modo riferibile al centrodestra, mentre allorché, ed è il più delle volte, ad allungare le mani, e qualcos' altro, sul gentil sesso è quella che il Pd fino a poco fa si ostinava ancora a chiamare una «risorsa», su reato e autore cali un complice silenzio.

Ne abbiamo avuto la riprova a Rimini, ma a Capodanno a Milano ne abbiamo avuto forse la dimostrazione più significativa, quando bande di giovani extracomunitari in piazza Duomo avevano aggredito ragazze in festa e il Pd cittadino ha tentato per settimane di insabbiare tutto.

Lo stupro, a sinistra, prima che una violenza è un'arma politica da scaricare contro supposti avversari. Si utilizza il corpo della donna violato per colpire il rivale, mentre si cerca di nascondere il corpo del reato quando ad abusarne è stato un amico o un protetto. È una discriminazione del molestatore italiano rispetto quello immigrato, ma è notorio che la realtà dalla sinistra è sempre interpretata in base alle gradazioni di colore.

OPINIONI MISTIFICATE - Anni fa, sempre a Rimini, noi di Libero ne abbiamo avuto una conferma eclatante. Un gruppo di giovani immigrati sorprese sulla spiaggia una coppia di turisti, picchiò selvaggiamente lui e abusò di lei in ogni modo. Noi pubblicammo il verbale dei carabinieri che descriveva l'episodio, molto crudo, ovviamente senza nessun elemento che potesse far risalire all'identità della vittima, che peraltro era da tempo già rientrata in Polonia. Ebbene, sinistra e femministe si indignarono perla pubblicazione da parte nostra di un documento giudiziario più che per la violenza dei criminali immigrati. L'opinione pubblica, per processare noi, quasi si scordò di condannare loro. Viva gli alpini, viva Libero.

Alpini, viene fuori la verità: solo 3 denunce, a distanza di giorni, su 500 “testimonianze”. Lucio Meo lunedì 16 Maggio 2022 su Il Secolo d'Italia.

Anche uno dei giornali che fin dall’inizio ha cavalcato l’onda dell’indignazione popolare per i presunti abusi sulle donne da parte degli alpini, nel raduno di Rimini, è costretto ad ammettere che finora c’è solo una denuncia formale agli atti, a fronte delle “centinaia” di testimonianze rilasciate ai giornali e alle tv. Al massimo, nei prossimi giorni, si arriverà a tre. “Sarebbero altre due ragazze pronte a denunciare nelle prossime ore le molestie subite alla 93ª adunata degli Alpini a Rimini”, scrive La Stampa di Torino.

Alpini, le molestie raccontate e le poche denunce

Dopo i primi giorni di stupore, un po’ tutti, oggi, si iniziano a chiedere come mai nessuna, o quasi nessuna, abbia deciso di andare a raccontare quanto subito ai carabinieri, che probabilmente si sarebbero stupiti di dover raccogliere denunce su fischiate alle spalle o complimenti volgari. Non molla, però, l’associazione transfemminista Non Una Di Meno – le cui attiviste sono state definite dal sindaco di Trieste Dipiazza “gentaglia” – che parla di  “discorso sistemico: stiamo subendo stigmatizzazione e intimidazioni per il lavoro di emersione e di supporto alle vittime” mentre il sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad, annuncia di aver  ricevuto in copia stampata le 500 testimonianze degli abusi sessuali subiti dalle donne. “Leggerò i documenti. E non per dovere istituzionale ma perché proprio ho detto che voglio ascoltare quelle voci e quelle segnalazioni anche se non dovessero diventare denuncia penale”, scrive La Stampa.

Lettera di un lettore al “Fatto quotidiano” il 18 maggio 2022.

Le molestie degli Alpini all’adunata di Rimini Nei primi anni Settanta ero un giovane Auc (allievo ufficiale di complemento) presso la Scuola Militare Alpina di Aosta. La mitica Smalp, per molti giovani italiani. Tra le tantissime cose che mi sono state insegnate (che già comunque molti di noi conoscevano) c’erano proprio le lezioni sui nostri sottoposti, sul rispetto e sul Comando che su di essi dovevamo avere. Ho conosciuto migliaia di miei sottoposti e, personalmente, mi riesce difficile credere ciò che viene raccontato da tante ragazze su quanto è accaduto a Rimini.

Non che gli Alpini siano diversi da altre componenti della società. Se, come successo al sottoscritto, si è avuta la fortuna e il privilegio di frequentare gli Alpini, su questo caso non si darebbero giudizi così trancianti e umilianti. Vorrei ricordare le migliaia di Alpini morti in terra di Russia, in Grecia e in Albania per delle guerre folli e fasciste. Vorrei ricordare le migliaia di Alpini, in armi e in congedo, che hanno partecipato e partecipano quando, in Italia, ci sono purtroppo calamità di ogni genere.

Ho partecipato a decine di nostre adunate e mai (mai!) sono venuto a conoscenza di fatti simili a quelli che avrebbero avuto luogo all’adunata di Rimini, anche perché chi si fosse mai macchiato di tali condotte sarebbe stato subito espulso dall’Ana. Gli alpini non hanno nulla di cui vergognarsi. Anzi. Possibile che con centinaia di raduni annuali (di sezione e/o di gruppo) non ci sia mai stato alcunché da dire sui toni scherzosi e amicali che li hanno contraddistinti? Personalmente ho forti dubbi sui racconti che vengono esposti. Se fossero veri non dovrà esserci clemenza per nessuno.

Mi auguro, per la scelta di vita che ho fatto e per ciò che ho insegnato ai miei sottoposti, che le accuse non siano veritiere e che si siano scambiati dei complimenti (seppure inutili) per delle violenze. Se qualche imbecille ha usato il cappello alpino per commettere illegalità, ne risponderà e sarà portato al ludibrio dei veri alpini. Antonio Barzan 

Risposta di Marco Travaglio

Caro Antonio, anch’io sono un ex alpino ma credo che molte di quelle denunce siano purtroppo fondate.

Alpini molestatori? La giornalista che ha denunciato non esiste: lo scandalo, chi è davvero questa donna. Francesco Specchia su Libero Quotidiano il 17 maggio 2022.

J.L Borges, reduce dalle sue Finzioni, ne rimarrebbe ammirato. La scena è d'una ferocia rara (e esilarante): tre alpini - ovviamente al solito raduno dionisiaco di Rimini - invasati dalla grappa si accaniscono su una candida ragazza no vax di passaggio. La spingono a forza in un hub e, trasfigurati, invece di violentarla, la vaccinano. Immaginatevi le penne nere che sfoderano siringoni di Pfizer dal chiaro simbolismo fallico contro la minoranza sanitaria. Ah, giusto per gustarsi i dettagli: la ragazza si chiama Sossella Lage, "indossava una maglietta con la scritta "fiera di non essere vaccinata", ha denunciato di essere stata presa con la forza"; e l'inevitabile commento alla notizia è "si fa sempre più inquietante il quadro delle molestie relative al raduno degli Alpini". La suddetta scena, con tanto di virgolettati di denuncia, viene evocata dal post di Beatrice Juvenal, sedicente "giornalista indipendente" da 500 followers su Facebook che fa girare il suo post - assieme alla sua foto di ragazza acqua e sapone da pubblicità della Topexan sotto il cartello "No Vax" - assieme a un curriculum abbastanza stitico. Peccato che Beatrice Juvenal non esista. 

LE COSPIRAZIONI

Eppure Juvenal affolla la Rete con i suoi racconti che mandano in sovreccitazione complottisti, putiniani, cospiratori della "dittatura sanitaria" e del pregiudizio antioccidentale. È Beatrice ad aver inventato la storia di Magon d'Aloia (una fantasia ineffabile per i nomi) il 17enne "sospeso dal liceo scientifico 3 giorni per aver fatto un tema contro la dittatura sanitaria. Abituano le giovani menti all'implementazione del pensiero unico dove i trasgressori vengono puniti, infamati ed emarginati poi dal branco", scrive appunto la cronista fantasma. E' Beatrice ad aver raccontato la tragica storia di "Giulia, 19enne entrata nel supermercato Maxisconto a Le Fornaci di Beinasco (To) senza mascherina come previsto dalla legge" e, nonostante ciò, la giovane viene "picchiata selvaggiamente" per poi versare "in gravi condizioni all'ospedale San Luigi di Orbassano".

Ed è sempre Beatrice, la nostra cantastorie inesistente, a denunciare la vicenda del bambino "Matteo Iannini, 2 anni e mezzo, non aveva mai praticamente vissuto senza mascherina. Viene obbligato giorno e notte ad indossarla da genitori con manie ipocondriache". Cioè: piccolo Matteo sarebbe stato praticamente segregato in una cantina con la mascherina incollata al volto, come il protagonista della Maschera di ferro; al punto che i vicini non l'avevano "mai visto in faccia". Naturalmente trattasi una serie impressionate di balle colossali, di vaporose menzogne. Tutte, peraltro, scoperte dal sito di Enrico Mentana Open che - forte di un ottimo sistema di factchecking, di controllo dei fatti - ha spinto il suo algoritmo di verifica e smascherare sia le notizie tarocche sia il loro autore. E Beatrice Juvenal risulta quindi il frutto di una simulazione facciale estratta dal portale thispersondoesn'exista.com, ossia un'invenzione dell'ingegnere Philip Wang pensato inizialmente per addestrare le intelligenze artificiali a riconoscere i volti.

Il caso Juvenal è solo la punta dell'iceberg della disinformazione sistematica e dell'ossessiva creazione di fake. Ricordano le invenzioni letterarie del Pierre Menard del già citato Borges anche le figure di Vladimir Bondarenko, un ex ingegnere aeronautico e blogger di Kyiv che pubblica su Ukraine Today contenuti particolarmente critici verso le autorità dell'Ucraina. E quella di Irina Kerimova, caporedattrice dello stesso sito web nonché insegnante di chitarra di Kharkiv, la seconda città più grande del Paese, e impegnata anche lei nella propaganda anti-ucraina. Volti da fotomodelli, prosa d'attacco e menzogna come stile di vita: i due naturlamente non danno prove della loro esistenza. Non che la creazione di scrittore o giornalisti fittizi sia una novità. Gli studiosi delle fake e del cosiddetto "giornalismo reticolare del web" (dove le news del Washington Post si aggrovigliano sullo stesso piano di lettura delle bugie dell'ultimo pirla) conoscono bene le storie di grandi autori realmente inventati. Come, per esempio, Aleksandr Zavarov (nome ispirato al calciatore sovietico nella Juventus anni 80). Noto per il bellissimo libro Quarto di libbra con Vodka, storia con valenze autobiografiche scritta sul finire degli anni' 80. 

CASO ZAVAROV

Zavarov è un ex-giocatore di hockey su ghiaccio; "e lo sport gli ha dato la possibilità di conoscere il mondo occidentale, causandogli problemi politici e la conseguente fuga dall'Urss, per andare in esilio in Canada". "La sua storia personale è un po' un mix fra quella di Nabokov e quella di Solgenitsin, ma le maggiori similitudine letterarie le ha con Erofeev e Pelevin" scrive di lui qualche presunto critico letterario del web. Un altro personaggio a Zavarov accostabile è "Shimon Halfin, il Celebre Scrittore Israeliano, la cui storia tragica narra di suo fratello che "fu prima ostaggio e poi vittima di Settembre Nero, era uno dei nove atleti morti alle olimpiadi di Monaco". Naturalmente, ogni cosa è immaginata, ogni dettaglio il frutto di una potente credulità. Sta diventando una prassi. Certo, con Beatrice Juvenal siamo arrivati ad altissimi livelli di sofisticazione. La vedremo in qualche talk show, anche se non esiste...

Alpini pronti a denunciare le femministe: un mese dopo... la clamorosa svolta nel caso-molestie. Serenella Bettin su Libero Quotidiano l'01 giugno 2022

«Se ci saranno le condizioni siamo pronti a denunciare le femministe». Non usa mezzi termini il presidente dell'Associazione Nazionale Alpini, Sebastiano Favero. «L'immagine degli Alpini - dice a Libero - non può essere compromessa da episodi isolati. Il 99,9% delle Penne Nere e dei nostri associati è gente seria, che si impegna, lavora, dà una mano, che mai si è tirata indietro dinanzi a qualsiasi calamità o emergenza. E che incarna lo spirito del sacrificio e della condivisione. Questo è il vero valore degli Alpini e di tutti i suoi associati. E di questo non è stato tenuto minimamente conto, gettando fango addosso a una categoria». Favero si riferisce a tutto quel bailamme montato dalle femministe di "Non una di Meno - Rimini" durante l'Adunata degli Alpini tenutasi nella città romangola ormai quasi un mese fa, dal 5 all'8 maggio. Le attiviste segnalarono centinaia di molestie nei canali Instagram.

Ma a distanza di quasi un mese come è evoluta la situazione? Fonti di Libero fanno sapere che nessuna denuncia è stata depositata in questura, a parte una segnalazione sull'applicazione YouPol della Polizia di Stato, l'app che permette di segnalare reati in tempo reale, c'è mai stata. Agli atti resta dunque una sola denuncia giunta ai carabinieri e per la quale la Procura di Rimini ha aperto un fascicolo contro ignoti. Per il resto nulla. Le 150 segnalazioni dichiarate dalle attiviste, dunque, sembrano evaporate. Favero ha dunque istituito un gruppo di lavoro formato da professionisti, avvocati, psicologici, esperti di comunicazione, per far luce su quanto accaduto. «Se ci sono stati episodi isolati vanno approfonditi sicuramente- dice Favero-, voglio capire che cosa è successo e qual è la portata di questa denuncia». Lui, alla fine di questa settimana, incontrerà gli esperti che formano il gruppo e da lì trarrà le sue conclusioni. «Se ci saranno le condizioni - dice - siamo pronti a denunciare di sicuro». «Ad oggi risulta una denuncia - conferma Massimo Cortesi, sempre dell'Ana- per un episodio isolato, sicuramente da condannare, non serviva di certo gettare discredito verso tutta una categoria. Che senso ha avuto?». Anche perché, in effetti, le accuse delle femministe hanno di fatto gettato fango non solo sugli Alpini, ma anche sull'intera città di Rimini. Al punto che più di qualcuno aveva iniziato a boicottare la Riviera Romagnola. Cosa che ha fatto imbestialire gli albergatori, che hanno espresso solidarietà alle Penne Nere. Non solo.

Il sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad, ha espresso il suo invito all'Ana «di tornare a svolgere il più presto possibile la loro Adunata a Rimini». «Sugli Alpini - ha detto - si è creato un clima che non mi piace. Per niente. All'ormai classico balletto della politica, in cui si sgomita per prendere una posizione più visibile ai potenziali elettori, ormai interessano poco i fatti. Interessano le reazioni a catena». Il primo cittadino non minimizza sui fatti, anzi. «Ci sono episodi, ovvero le segnalazioni e le denunce, che hanno peso e gravità anche al di là degli esiti investigativi veri e propri: segnalano un problema culturale precedente ogni eventuale esito giudiziario. Anche un solo gesto o comportamento sessista è di troppo e inaccettabile». Quindi la sua difesa per il Corpo. «Poi ci sono gli Alpini - ha ribadito - che vengono brutalmente colpevolizzati di ogni nefandezza. E questo è inaccettabile. L'impianto accusatorio è quello di impedire ogni adunata di qui in avanti, e in ogni città d'Italia». E infatti le femministe ci avevano provato. Tramite la piattaforma Change.org hanno avviato una petizione per sospendere per due anni le adunate che da 93 anni non hanno mai dato fastidio a nessuno. Una petizione giunta a 21.772 firme in un mese. Manco hanno raggiunto finora le 25 mila firme che si erano prefissate. Ottenendo che per l'Adunata 2023 a Udine sia già tutto pieno. Alberghi, ristoranti, b&b, appartamenti. Non si trova un posto nemmeno a pagarlo oro. «Il nostro ha rimarcato Sebastiano Favero perla ricorrenza di domani 2 giugno - è un patrimonio di dedizione e valori, che ci impegniamo a trasmettere ai giovani, i quali se coinvolti rispondono con entusiasmo, come dimostra il successo dei nostri campi scuola, che anche quest' anno saranno frequentati da centinaia e centinaia di ragazzi e ragazze tra i 16 e i 25 anni». 

Daniele Dell'Orco per ilgiornale.it il 5 luglio 2022.

Si sono sciolte come neve al torrido sole di questi giorni le accuse mosse dai benpensanti della sinistra contro il Corpo degli Alpini. La Procura della Repubblica di Rimini ha infatti l'archiviazione dell'indagine sulle molestie al grande raduno ospitato nella città romagnola dal 5 all'8 maggio scorsi. 

Un'inchiesta che era formalmente partita dalla denuncia presentata da una ragazza di 25 anni ma condita da un polverone gigantesco sollevato contro gli Alpini in generale ritratti come dei molestatori seriali. In merito a quell'unica denuncia, la richiesta della procura si è basata, come confermato dal procuratore capo Elisabetta Melotti, sull’impossibilità di identificare i presunti autori delle molestie. Anche perché la folla era composta da 400mila persone e la copertura delle telecamere della zona era solo parziale.

Inoltre, né la giovane molestata né l’amica che era con lei, unica testimone oculare, sono state in grado di riferire particolari utili a rintracciare i responsabili. Nella sua denuncia presentata ai carabinieri tramite il proprio legale, la giovane ha raccontato di essere stata strattonata e bersagliata dagli alpini di frasi sessualmente allusive. Nel gergo femminista moderno è il cosiddetto catcalling.

Quello, per inciso, che hanno segnalato altre decine e decine di ragazze sui vari social network nelle ore successive all'evento, alcune delle quali raccolte in un video da Fanpage che mostra di testimoni che raccontano di avere udito volgarità a sfondo sessuale al loro indirizzo e di avere dovuto fronteggiare molestie da vecchi ubriachi partecipanti al raduno. L'associazione "Non una di meno" ne ha raccolte 160.

Di tutte, comunque, solo una si era tradotta in una vera e propria denuncia. E anche quella, secondo la Procura, è ben lontana dall'essere dimostrata. Una decisione che però, come ricorda all'Adnkronos Sebastiano Favero, presidente dell'Associazione Nazionale Alpini, non può compensare il fango gettato nei confronti di tutto il Corpo: "Con grande amarezza dico che invece di generalizzare su un'intera associazione che ha dimostrato in tutti questi anni i suoi valori e i suoi ideali bisognerebbe essere più cauti - puntualizza "amareggiato" -. Invece, purtroppo, si sparano sentenze senza avere alcuna prova e poi non si ha neanche il coraggio di chiedere scusa". Perché, inutile dirlo, anche solo ipotizzare che qualcuno possa scusarsi sarebbe da ingenui.

Andrea Valle per “Libero quotidiano” il 7 Luglio 2022.

La notizia della richiesta di archiviazione da parte della procura le ha scosse, ma non è bastata. Le femministe di "Non una di meno" sono convinte di avere ragione, per questo hanno deciso che comunque loro presenteranno lo stesso una denuncia contro gli alpini. 

Altri, dopo una simile figuraccia si sarebbero ritirate in attesa di battaglie migliori. Magari avrebbero calibrato meglio le loro iniziative e si sarebbero accertate di avere davvero un molestatore con cui prendersela. Invece, no. Le signore accusatrici delle penne nere sono ancora lì a provare a dimostrare le colpe di un Corpo, quello degli Alpini, che finora nessuno aveva infangato.

«Sappiamo benissimo che quando accadono determinati fatti non veniamo credute», scrive su Facebook il gruppo femminista della città di Rimini, luogo al centro della vicenda perché lì si era tenuta l'adunata annuale. «Siamo state noi a portare alla luce i casi di molestie durante quei giorni. Come Gruppo di Autodifesa Transfemminista», è l'annuncio, «depositeremo denunce e testimonianze raccolte insieme alla nostra legale in prossimità dello scadere dei 3 mesi perché la procura possa lavorarvi e prendere atto dei fatti. La nostra azione ha messo in luce un sessismo culturale e sistemico, che si amplifica su più livelli e questa archiviazione non fa che confermarlo».

Mentre gli Alpini si stanno organizzando per la loro prossima adunata, nel weekend a Pescara, ieri è intervenuto il sindaco di Rimini, Jamil Sadegholvaad: «Troppo rumore, con il risultato di schiacciare ogni possibilità di dialogo serio. Inutile chiedere le scuse o invocare una vendetta politica».

Ma gli Alpini non nascondono la loro soddisfazione: «La giustizia, come sempre, ha fatto il suo corso e ha evidenziato come sono andate le cose», ha dichiarato il generale Giorgio Battisti, primo comandante del contingente italiano della missione Isaf in Afghanistan. E Andrea Adorno, medaglia d'oro al valor militare, non ha dubbi: «Sono contentissimo di aver letto della richiesta di archiviazione come è giusto che andasse a finire, perché non c'era nulla di fondato se non per quattro mascalzoni che avranno approfittato certamente dell'occasione»

Le femministe insistono col fango sugli alpini. FI: "Il ministero prenda posizione". Gli alpini scelgono le vie legali dopo la richiesta di archiviazione della denuncia della procura di Rimini contro chi ha offeso per settimane il corpo militare. Francesca Galici su Il Giornale il 7 luglio 2022.

Dopo settimane di strepiti e di accuse infondate, la procura di Rimini ha chiesto l'archiviazione per l'unica denuncia di molestia sessuale formalizzata dopo l'adunata nazionale degli Alpini tenutasi nella città romagnola dal 5 all'8 maggio scorsi. Solo una, infatti, era la denuncia formalizzata presso le autorità competenti a fronte di un numero elevatissimo di segnalazioni che, però, non sono mai uscite dai social network. Ora che la procura ha deciso di archiviare l'unica denuncia, le attiviste di Non una di meno non si rassegnano e si dicono pronte a consegnare decine di segnalazioni, che però finora non erano mai pervenute alle forze dell'ordine. Intanto, però, gli alpini hanno deciso di rivolgersi alla legge per vedersi riconosciuti i danni di settimane di fango mediatico gettato sul corpo militare. "Molestie e reati inesistenti, giornalisti e comunisti chiedano scusa a tutti i gloriosi e generosi Alpini!", ha commentato Matteo Salvini.

"Il ministero della Difesa prenda posizione"

"Ora che la procura di Rimini ha chiesto l’archiviazione del caso relativo alle presunte molestie avvenute durante l’adunata degli alpini, qualcuno chiederà scusa? Ce lo auspichiamo", dice oggi il senatore Enrico Aimi, capogruppo di Forza Italia in commissione Affari esteri a palazzo Madama. L'impatto mediatico della vicenda è stato dirompente, a scapito della credibilità e dell'onore di un intero corpo d'armata con una tradizione radicata e affidabilità consolidati nell'opinione pubblica. "In moltissimi casi sono apparse anche dichiarazioni pubbliche, di diversi esponenti politici di sinistra, che sono andate a danno dell’intera associazione e dell’intero corpo degli Alpini. Il tutto, senza che vi fosse prova alcuna di quanto accaduto", ha sottolineato il senatore.

Gli Alpini e le molestie? La procura chiede l'archiviazione. Tanto fango per nulla

Ed è proprio per le conseguenze discredito gettato sugli alpini, che Enrico Aimi ha deciso di presentare un'interrogazione al ministero della Difesa, sottoscritta da numerosi senatori, allo scopo di "sapere se si intenda assumere una posizione ufficiale sulla vicenda, esprimendo solidarietà all’Associazione nazionale e al corpo militare degli alpini. Ho chiesto altresì che vengano organizzati e promossi eventi e manifestazioni, anche nelle scuole di ogni ordine e grado". L'obiettivo delle iniziative promosse dal senatore Aimi dovrà essere quello di "far conoscere anche alle nuove generazioni l’importante lavoro svolto dall’Associazione nazionale in tempo di pace e il sacrificio incommensurabile affrontato in tempo di guerra".

"Chiederemo i danni"

Ora, archiviata la denuncia, le Penne nere passano al contrattacco: "Abbiamo conferito mandato ai nostri avvocati di intraprendere azioni legali contro chi ci ha offeso durante e dopo il raduno", ha dichiarato Sebastiano Favero, ingegnere e presidente dell'Associazione nazionale alpini. Il motivo è semplice: "Troppo fango è stato gettato sul nome dell'Ana. Sono molto amareggiato perché il comportamento di singole persone, peraltro non accertato, è stato usato per screditare l'associazione che proprio domani compie 103 anni". L'associazione si costituirà parte offesa nell'ambito dell'inchiesta condotta dalla procura ed è in corso di valutazione l'ipotesi di intraprendere un'azione di risarcimento danni in sede civile contro Non una di meno di Rimini.

Molestie, gli alpini all'attacco. "Querele per diffamazione". Daniela Uva il 14 Settembre 2022 su Il Giornale.

Dopo che la Procura ha archiviato le accuse alle penne nere, via alle prime quattro azioni legali: "È solo l'inizio"

Non ci stanno a passare per molestatori, a sentirsi additati come ubriaconi e violenti, a vedere il loro storico corpo infangato e preso di mira. Così, dopo la bufera per le presunte violenze durante l'adunata nazionale dello scorso maggio a Rimini, gli alpini hanno deciso di passare alle vie legali querelando per diffamazione quattro persone responsabili secondo l'Associazione nazionale degli alpini di aver offeso l'intera categoria.

A diffondere la notizia è l'edizione riminese del Resto del Carlino spiegando attraverso il portavoce di Ana Massimo Cortesi che, a oggi, «le persone querelate sono un politico, un giornalista e due soggetti che hanno offeso il corpo e l'associazione, rappresentando tutti gli alpini come ubriaconi e molestatori». Secondo quanto reso noto da Ana, «a due il provvedimento è già stato notificato, agli altri arriverà a giorni». Infine la promessa: «Siamo solo all'inizio».

L'intenzione è quindi di fare completa luce sulla vicenda e di mettere in chiaro che la questione non riguarda gli alpini nel loro complesso. Prima di passare alla controffensiva legale l'associazione aveva atteso alcune settimane, in modo che la vicenda giudiziaria sulle presunte molestie avvenute fra il 5 e l'8 maggio scorsi nella città romagnola fosse chiarita. Fino a questo momento l'unica denuncia formale e circostanziata è stata sporta da una ragazza di 26 anni che ha raccontato di essere stata accerchiata e strattonata nel pomeriggio del 7 maggio da tre uomini di mezza età, con la piuma nera sul cappello, mentre passeggiava con un'amica. La Procura di Rimini ha aperto un'indagine, sono stati visionati i filmati delle telecamere della zona ma, come annunciato dal procuratore capo Elisabetta Melotti, è scattata l'archiviazione «per l'impossibilità di identificare i molestatori». Nei giorni dell'adunata le segnalazioni e le denunce via social erano però state centinaia. Adesso i legali dell'Ana stanno valutando anche la posizione dell'associazione femminista «Non una di meno», la prima a segnalare online le presunte molestie, raccogliendo alcuni racconti attraverso i social e altri canali. Il collettivo aveva anche annunciato la presenza di un dossier con oltre 170 segnalazioni, fra le quali quella di una ragazza che in un'intervista aveva raccontato di frasi oscene, di violenze fisiche e verbali, senza però arrivare a una denuncia formale perché «gli amici che si trovavano con me quel giorno non erano molto propensi a testimoniare».

Per il presidente dell'Ana Sebastiano Favero «resta una grande amarezza per la vicenda». E spiega: «Avevamo invitato tutti alla prudenza dopo le prime segnalazioni di presunte molestie a Rimini. Purtroppo c'è chi ha generalizzato offendendo e condannando l'intero corpo degli alpini per i comportamenti di alcuni. Comportamenti che, va sottolineato, sono tutti ancora da accertare». Insomma, il caso è tutt'altro che chiuso. 

Serenella Bettin per “Libero quotidiano” l'8 luglio 2022.

A forza di tutelare e garantire chiunque entri in Italia senza i dovuti controlli, ci ritroviamo nel mezzo di un fenomeno che era prevedibile, ma che abbiamo preferito non vedere. Il razzismo al contrario. Ossia «se sei un'italiana del c....», hai diritto a essere picchiata. 

Questo fenomeno l'abbiamo visto crescere, abbiamo lasciato che si gonfiasse, che ci travolgesse fino a farlo esplodere con i giovani di seconda e terza generazione che si picchiano con gli italiani. Era accaduto a Peschiera dove un gruppo di giovani nordafricani aveva molestato sei ragazzine sul treno che le riportava a Milano, dicendo loro: «Le bianche qui non possono entrare».

Non solo. Quel giorno era il 2 giugno scorso - a Peschiera del Garda era successo il finimondo. Il sindaco, Orietta Gaiulli, aveva parlato di «guerriglia urbana». Ragazzotti in preda a litri di alcol che ballonzolavano sopra le auto dei turisti in un vortice indecoroso di risse, pestaggi, violenze. «Peschiera come l'Africa» scrivevano su TikTok.

«Siamo venuti a riconquistarla». L'appuntamento viene dato nel social e da qui si lancia la sfida e si organizza il raduno al solo scopo di spaccare tutto. Prima regola: «Non sono ammessi italiani». 

Ma passa qualche giorno e i giovanotti si accordano per invadere Riccione. «A Peschiera è stato solo un assaggio», scrive qualcuno. A scrivere poi sono sempre gli stessi e quindi non si capisce bene perché nessuno faccia niente. E veniamo a sabato sera scorso. A Riccione è in corso la "Notte Rosa" quando una ragazzina di 15 anni viene aggredita e rapinata da un gruppo di 5 coetanee. «Mi hanno pestata e derubata. Presa per i capelli e riempita di calci e pugni.

Erano ragazze molto giovani, sembrava si divertissero a picchiarmi. Nessuno dei presenti ha mosso un dito per difendermi. Qualcuno ha fatto un video, mentre un gruppo di ragazzini cantava "Riccione come Africa"». 

A testimoniarlo infatti c'è un video ripreso dal leader della Lega Matteo Salvini dove si sente perfettamente qualcuno dire: "Italiana del c....". La malcapitata ha avuto sette giorni di prognosi per le botte e ha detto di aver presentato denuncia. E non è la sola. Lunedì scorso due minorenni di origine nordafricana sono stati sottoposti a fermo per una rapina ai danni di un ragazzino di Bologna.

La vittima ha raccontato ai carabinieri di essere stato accerchiato da un gruppo di giovanissimi nordafricani e sotto la minaccia di un coltello, di essere stato costretto a consegnare lo smartphone. Smartphone che li ha traditi, perché grazie all'applicazione di geolocalizzazione, i militari hanno tracciato il telefonino e nel punto individuato oltre a varie refurtive, hanno trovato tre ragazzini che bivaccavano allegramente. Uno è stato trovato in possesso di una mannaia da macellaio e denunciato a piede libero.

Gli altri due sono stati sottoposti a fermo e trasferiti al centro di prima accoglienza per minori. Perché hai voglia a dire che ci vuole lo ius scholae, se il 60% dei giovani identificati lungo la Riviera romagnola è di origine straniera. L'età media è compresa trai 16 e i 22 anni, e il 30% è anche recidivo. «Riccione? No. Maroccolandia», si legge su TikTok. 

Qualche altro invece si diverte col monopattino tra le pompe di benzina scrivendo: «I marocchini stanno colonizzando l'Italia. Peschiera, fatto. Riccione anche». Ah. Ci sono anche i furbi che derubando un gruppo di turisti sono incappati negli allievi marescialli dei carabinieri della Scuola di Firenze. Bel colpo.

 "Riccione? No, Maroccolandia". Cronache di una violenza annunciata. Marco Leardi l'8 Luglio 2022 su Il Giornale.

Lo avevano promesso. E così è stato. Nella riviera romagnola boom di episodi violenti commessi da giovani gang di stranieri: allerta sulle ferie degli italiani.

Ancora risse, pestaggi, rapine. Violenze annunciate sui social, poi commesse e rivendicate con strafottenza. Talvolta, con la soddisfazione di esibire un insensato orgoglio su base etnica. A compiere le suddette scorribande sono infatti gruppi di stranieri giovanissimi, in genere di età compresa trai 16 e i 22 anni. Perlopiù nordafricani: ci tengono loro stessi a precisarlo, quasi a voler mettere una firma ai loro vandalismi. "I marocchini stanno colonizzando l'Italia. Peschiera, fatto. Riccione anche", si legge in uno dei messaggi postati in rete dagli stessi componenti di queste gang. Sì, perché la scia delle barbarie parte da lontano e arriva sino alla recentissima cronaca.

A far esplodere il fenomeno, per la verità già esistente ma da molti ignorato (chissà, forse anche per interesse politico), erano stati i disordini commessi il 2 giugno scorso sul Garda da alcune baby gang di stranieri. Avevano preso d'assalto la cittadina di Peschiera, poi sul treno di ritorno verso Milano avevano molestato diverse ragazze. "Era solo il riscaldamento, vedremo a Riccione come sarà", avevano giurato quei "bravi ragazzi" sui social, promettendo di prendere d'assalto la località romagnola in estate. E così è stato. Lo dimostra l'agghiacciante cronaca degli ultimi giorni, con un susseguirsi di episodi violenti commessi dagli stessi nordafricani con la medesima sfrontatezza. Con il medesimo e dichiarato disprezzo per gli italiani.

"Sei un'italiana del ca...", si sente nel video con cui è stato documentato il tremendo pestaggio contro una 15enne compiuto proprio a Riccione da una gang di ragazzine. Contro la vittima, calci, pugni e pedate con i tacchi. Intanto, quel ritornello ripetuto: "Riccione come Africa". Domenica scorsa, durante l'evento della Notte rosa, l'ulteriore episodio avvenuto sempre nella riviera romagnola: due minorenni di origine nordafricana sono stati fermati per una rapina ai danni di un giovane bolognese. Sotto la minaccia di un coltello, il ragazzo era stato costretto a consegnare il proprio smartphone, poi ritrovato dalle forze dell'ordine grazie alla geolocalizzazione. Il mattino successivo al furto, i militari hanno trovato i responsabili del reato che bivaccavano nella zona del lungomare. Uno di essi aveva con sé un coltello da macellaio.

"Riccione? No, Maroccolandia", si legge in uno dei video postati su TikTok nei quali si allude alle recenti scorribande estive. E ancora, altri episodi analoghi: a Rimini un giovane straniero si era avvicinato a un gruppo di italiani e con la "tecnica dell'abbraccio" li aveva derubati. Non sapeva, però, di aver scelto le vittime sbagliate: si trattava di un gruppo di allievi marescialli della Scuola dei carabinieri di Firenze, che stava trascorrendo un periodo di vacanza sulla riviera romagnola.

Ora l'attenzione e i timori sono già puntati sul prossimo weekend e in generale sulle prossime settimane, per tradizione quelle delle ferie degli italiani. Intanto, mentre nei palazzi della politica c'è chi parla di ius scholae, nella vita reale succedono cose che richiederebbero - prima ancora che una riflessione - un intervento immediato.

Serenella Bettin per “Libero quotidiano” il 5 giugno 2022.

Che la figura del ministro Lamorgese sia vana e inconcludente è sotto gli occhi di tutti. Hai poco da dire che non è colpa della gestione dell'immigrazione se ogni fine settimana assistiamo a episodi dove bande di giovanotti, alcuni irregolari, ne commettono di tutti i colori. 

L'ultimo fattaccio è avvenuto mercoledì scorso a bordo del treno regionale 2640 che da Peschiera del Garda (Verona) va a Milano. Sei ragazze trai 16 e i 17 anni sono state molestate, palpeggiate e insultate a bordo per lunghi minuti, e in modo pesante, da alcuni ragazzi nordafricani. 

Per l'occasione le femministe che avevano montato tutto quel palco con gli Alpini a Rimini, dipingendo il Corpo come assatanato e in preda ai fiumi dell'alcol e degli ormoni, qui se ne sono state belle zitte. Nessuna vignetta di solidarietà postata nei canali Instagram per queste ragazze divenute prede di immigrati. Nonostante i fatti siano ben più pesanti.

«Eravamo circondate hanno raccontato - il caldo era asfissiante, alcune di noi sono svenute. Mentre cercavamo un controllore avanzando a fatica lungo i vagoni è avvenuta l'aggressione sessuale. Ridevano. Ci dicevano: "le donne bianche qui non salgono"». 

Pericolose discriminazioni al contrario che negli ultimi anni sono sempre più palesi. Le ragazze, quattro di Milano e due di Pavia, avevano appena trascorso una giornata a Gardaland e volevano semplicemente tornare a casa. Ma ultimamente salire nei treni regionali è un po' come giocare un terno al lotto. Ti ci devi infilare dentro, chiudere gli occhi e sperare di uscirne indenne. Non mancano i racconti di ragazze e donne molestate per lo più da stranieri.

Anche se si continua a far finta di nulla adducendo ogni responsabilità al maschio bianco, agli Alpini, al nostro modello di società patriarcale eccetera eccetera.

Un mese prima degli stupri di Capodanno in Piazza a Milano, una ragazza venne violentata sul treno Trenord Milano-Varese da un italiano e un marocchino e un'altra venne aggredita in stazione. 

Qui a Peschiera invece, giovedì scorso, poco prima delle 18, la banchina e i binari della stazione erano invasi da centinaia di giovani, la maggior parte nordafricani.

«Urlavano e correvano», hanno raccontato le ragazze, «hanno anche sputato sui finestrini di un treno arrivato prima del nostro». I giovani con ogni probabilità erano lì per quel maxi raduno annunciato su TikTok per il 2 giugno proprio a Peschiera. 

Funziona così ora. Ci si mette d'accordo sui social e ci si ritrova per «spaccare tutto».

Sul fatto è intervenuto il presidente del Veneto Luca Zaia. «Tolleranza zero - ha detto - pensare che delle ragazze vengano importunate, molestate o che siano oggetto di aggressione nei nostri territori non esiste. Il mio appello è che ci sia tolleranza zero e che le forze dell'ordine ci mettano il massimo impegno per trovare i responsabili».

 «Pugno di ferro contro questi delinquenti - ha twittato il deputato di Fratelli d'Italia Ciro Maschio - Lamorgese svegliati! O dimettiti!». «Lamorgese - ha scritto Fratelli d'Italia - quali misure intende mettere in atto per fermare questi episodi?». Ma le misure sono state spesso inesistenti e se ci sono state sono state sempre disattese. Lo abbiamo visto con i rave party, con le proteste dei no pass e no vax in piazza. Lo abbiamo visto quando la Lamorgese spiegando i disordini a Roma del 9 ottobre scorso, dopo l'assalto alla sede della Cigl, parlava di moti ondulatori. 

Pochi giorni fa poi, sempre lei intervenendo alla tavola rotonda durante il congresso confederale della Cisl ha ribadito che non è colpa sua se arrivano i migranti e, lavandosene le mani, ha asserito che c'è la crisi del grano. Certo. Adesso. Ma da quando c'è la Lamorgese, fa eccezione la parentesi pandemica del 2020, la curva è tornata a salire pericolosamente.

L'immigrazione se non la gestisci ti scivola via. Inonda le strade della città come un fiume in piena. E una volta giunti in Italia se fai passare il messaggio che il Belpaese è il Paese dei Balocchi, non c'è più un freno a nulla. Infatti, una volta arrivati qui, la maggior parte fa quello che vuole.

Queste povere ragazze finite in mano ai nordafricani mentre stavano subendo le violenze, non hanno nemmeno chiamato la polizia per paura di essere picchiate. Hanno chiamato i genitori che a loro volta hanno chiamato i soccorsi ma non ha risposto nessuno.

«Abbiamo chiamato noi il 112 ma nessuno è intervenuto» dicono madri e padri. Le giovani sono state aiutate da un ragazzo che le ha fatte scendere alla fermata successiva che è quella a Desenzano del Garda. Con l'unica differenza che queste hanno trovato il coraggio di denunciare alla Polfer. Le femministe di "Non una di meno", non avendo niente da dire, no.

Fabio Amendolara per “La Verità” il 9 giugno 2022.

Il copione è sempre lo stesso: risse, pestaggi, violenza. E se sul Garda dopo i fatti del 2 giugno ormai è scattata la psicosi, con il sindaco di Castelnuovo che riceve preallarmi su una possibile e imminente nuova calata dell'orda da mucchio selvaggio, di località turistiche prese d'assalto ce ne sono diverse. 

A Rimini l'altra notte ombrelloni e lettini si sono trasformati in oggetti atti a offendere. È finita con una lotta corpo a corpo, durante la quale un immigrato africano ha staccato con un morso la falange di un dito al contendente albanese e l'ha ingoiata. La rissa tra due albanesi e due nigeriani è scoppiata all'altezza del bagno 70. Alle 3 della notte tra lunedì e martedì è dovuta intervenire la polizia, allertata da un istituto di vigilanza. In tre sono stati arrestati con l'accusa di rissa aggravata, mentre il quarto è ricercato. 

L'avanzata africana in Italia sembra inarrestabile: proprio come a Peschiera del Garda, solo due mesi fa anche a Riccione gli squilli di tromba sono arrivati via Tik tok, con un video che è subito diventato virale: due ragazzini scendono la scalinata del Palazzo dei Congressi e, a un certo punto, dicono «pure quest' estate Riccione sarà colonizzata». 

Sullo schermo sventolano quattro bandiere: Tunisia, Marocco, Senegal e Albania. È stato così annunciato a residenti e turisti che sarà un'altra estate bollente. Come quella dello scorso anno, quando la Riviera si è trasformata nel campo di battaglia delle baby gang: bande composte da giovani nordafricani poco più che maggiorenni, dediti a furti, risse e rapine.

Per quelle avvenute il 16 e il 23 di agosto 2021 sono anche scattati degli arresti. Ma l'episodio simbolo resta quello del 21 agosto nelle strade di Riccione, quando la solita orda, arrivata in città per partecipare al concerto a Misano del trapper Baby Gang (poi annullato), si era scatenata con danneggiamenti a go go.

«Da oggi in poi tornerò a zanzare (ovvero a derubare, ndr) i turisti» aveva annunciato sul Web, come riporta il Resto del carlino, il cantante marocchino Zaccaria Mouhib, in carcere dallo scorso gennaio. Dichiarazioni che gli erano valse il foglio di via del questore. E con l'estate ormai alle porte e le minacce di nuove invasioni, gli operatori turistici non nascondono la loro preoccupazione.

Le agenzie di security confermano di aver raddoppiato il personale. E per le forze dell'ordine si preannuncia un gran bel da fare. Il sindaco di Riccione Renata Tosi, proprio come ha fatto anche la collega di Peschiera del Garda Maria Orietta Gaiulli, ha giocato d'anticipo, scrivendo al prefetto. E anche il questore Francesco De Cicco, nel suo messaggio di saluto alla festa della polizia, ha invitato a «non sottovalutare il fenomeno».

Di certo è una questione che non potrà che essere affrontata dal Comitato per l'ordine e la sicurezza. Proprio come a Verona, dove ieri i sindaci dell'area del Garda, Trenitalia e Trenord, si sono collegati in videoconferenza con il prefetto per verificare l'opportunità di continuare con i controlli rafforzati sulla spiaggia. Tra le altre cose, è stato chiesto di poter usare lo strumento del Daspo urbano. 

Mentre le indagini della Squadra mobile veronese vanno avanti per identificare i facinorosi del 2 giugno. Le bocche sono cucite, ma gli investigatori sarebbero già riusciti a dare un nome a decine di africani. Poi scatteranno le denunce. Così come vanno avanti le indagini sulle molestie che le ragazzine di ritorno in treno da Gardaland hanno denunciato alla polizia. Con tanto di polemiche su chi ha permesso a centinaia di immigrati reduci dal rave di Peschiera di salire su quel regionale. 

«Abbiamo all'ordine del giorno i mezzi di trasporto e la stazione di Peschiera, soprattutto dopo quanto accaduto il 2 giugno, e a questo riguardo ho coinvolto Trenord e Trenitalia perché si tratta di garantire un trasporto in condizioni di sicurezza. E questo vuol dire dover dotare i vagoni di videosorveglianza», ha detto al termine del vertice con i sindaci il prefetto di Verona Donato Carfagna.

E anche a Jesolo, in provincia di Venezia, le notti sul litorale si stanno facendo sempre più complicate da gestire: risse innescate dalle solite baby gang di immigrati, vandalismo, schiamazzi. Il sindaco Valerio Zoggia ha chiesto rinforzi al prefetto di Venezia, denunciando una situazione «già grave». 

«Il periodo più difficile», ha spiegato, «è proprio l'inizio della stagione balneare. Sono situazioni che riguardano centinaia di ragazzi, non decine. Io stesso li ho visti arrivare con casse di superalcolici e poi partecipare alle risse. Controllare il territorio con questi numeri è impossibile». Il bilancio dello scorso fine settimana è di centinaia di interventi, soprattutto nella notte di sabato. Ma a Jesolo non è solo il litorale l'area presa di mira. C'è un problema di sicurezza anche nella centralissima piazza Mazzini, dove nelle ultime sere non sono mancate le risse tra giovani pieni d'alcol.

La minore molestata sul treno dal Garda: «Insultate perché bianche, ho pianto di paura» Le urla al rave: «Qui è Africa». Cesare Giuzzi, Alfio Sciacca su Il Corriere della Sera il 5 giugno 2022.

Al grido «questa è Africa» hanno stretto d’assedio il lungolago del Garda, tra Peschiera e Castelnuovo. «Siamo venuti a riconquistare Peschiera. Questo è territorio nostro, l’Africa deve venire qui». Lo hanno urlato in faccia anche al sindaco di Castelnuovo Giovanni Del Cero poco prima che partisse il lancio di bottiglie e la sassaiola contro i reparti della Celere. «Ho cercato di capire — dice Del Cero — ma loro urlavano frasi assurde, sbandierando bandiere di vari Paesi africani».

Città occupate

Un racconto confermato dai video sui social per quella che è stata un’occupazione organizzata delle due cittadine già affollate di turisti. In azione giovani tra i 16 e 20 anni, ma anche ragazzini di 12-14 anni. Moltissimi nordafricani e anche immigrati di seconda generazione per uno street rave non autorizzato ma cominciato quasi in sordina. Fino all’una c’erano circa 600 partecipanti al raduno che scorazzavano per la città, ma senza dare particolare fastidio. La situazione è andata fuori controllo all’arrivo del treno da Milano quando una marea umana di almeno 1.500 persone si è riversata sul Garda. Quasi tutti provenienti dalle province di Milano, Brescia e Bergamo. È bastato il furto di una borsa perché scoppiasse la prima rissa a colpi di bastone e coltellate. Quindi la folla ha invaso le stradine del lungolago e la spiaggia. «Hanno distrutto ogni cosa — raccontano gli operatori commerciali — hanno spaccato vetrine, preso d’assalto il trenino turistico e bloccato passanti a piedi o in motorino». Il tutto sotto effetto dell’alcol e del martellante sottofondo di musica trap alternata a motivi etnici. A quel punto è dovuta intervenire la polizia in assetto antisommossa, scatenando la sassaiola e il lancio di bottiglie. «Io non so se fossero immigrati di prima o seconda generazione — si accende la sindaca di Peschiera Orietta Gaiulli — sono solo una razza di delinquenti che hanno lasciato una profonda ferita nella mia comunità. Abbiamo vissuto una giornata di guerra».

Il precedente

Le prime avvisaglie sul Garda c’erano già state l’anno scorso, più o meno nello stesso periodo. In quel caso però i partecipanti erano appena un centinaio. Un ragazzo si lanciò in acqua ed annegò. Ma mentre il giovane agonizzava altri ne approfittarono per rubare borse e zaini ai turisti. Questa volta tutto è partito con un passaparola su TikTok. E chi ha organizzato il raduno gli ha voluto dare una strampalata matrice di rivendicazione etnica. Fino alle minacce sul treno di ritorno per Milano. Intorno alle 17 la marea umana si è riversata sui binari della stazione di Peschiera in contemporanea con il rientro delle comitive da Gardaland. Tra queste anche quella delle cinque ragazze che hanno denunciato le molestie. Anche a loro hanno gridato: «Su questo treno non salgono i bianchi».

Il racconto delle vittime

E in effetti molti hanno preferito restare in stazione. «C’erano tanti nordafricani. Avevano anche le bandiere del Marocco. Correvano da una parte all’altra della stazione. Hanno anche tentato di salire su un Frecciarossa bloccandolo per dieci minuti», così, dopo aver parlato con il Giorno, una delle vittime racconta quegli istanti. Una volta a bordo le cinque ragazze si sono trovate in trappola: «Era stracolmo, faceva caldissimo. Volevamo scendere, ma ce l’hanno impedito azionando l’allarme. Abbiamo attraversato varie carrozze e nel tragitto hanno iniziato a toccarci ovunque. Sono scoppiata a piangere e ho avuto un attacco di panico. Mentre andavamo avanti ci toccavano, sentivo l’aria mancarmi. La gente fumava, le ragazze specialmente ci davano delle “bianche”, delle privilegiate e non ci facevano passare».

Gli immigrati

Alla prima fermata, a Desenzano, le vittime terrorizzate hanno implorato aiuto. «Per fortuna — raccontano — un altro ragazzo, anche lui nordafricano, ha spinto via gli amici e ci ha fatto scendere». A riprenderle sono stati i genitori che il giorno dopo le hanno accompagnate alla Polfer di Milano per formalizzare la denuncia. La giornata di follia sul Garda sta suscitando, tra gli altri, anche l’indignazione di giovani immigrati che vivono in Italia. «Avete fatto vedere il lato negativo di noi» scrive Ossamaelougui. Aggiunge Abdel: «State rovinando la reputazione di tutti gli immigrati».

Ragazze molestate in treno, trenta i sospettati: le indagini concentrate in Lombardia. Cesare Giuzzi e Alfio Sciacca su Il Corriere della Sera il 6 Giugno 2022.

Dopo la denuncia di cinque minorenni che tornavano da una gita a Gardaland, una decina di ragazze si sarebbero fatte avanti descrivendo anche l’abbigliamento e alcune caratteristiche fisiche degli aggressori. 

Alcune delle ragazze molestate sul treno

Una trentina di ragazzi, tutti di origine africana e nordafricana. Giovani saliti alla stazione di Peschiera del Garda sul treno diretto a Milano dopo una giornata di scorribande sul lungolago e tensioni con le forze dell’ordine. Sarebbero loro gli autori delle violenze denunciate dalle cinque minorenni, tre milanesi e due pavesi, costrette a scendere dal treno strapieno alla stazione di Desenzano dopo aver subito palpeggiamenti e minacce.

Gli investigatori hanno già acquisito i video delle telecamere della stazione e alcuni filmati apparsi su TikTok. Immagini nelle quali non si vedono le fasi delle violenza ma che riprendono la folla in stazione e soprattutto sul treno. Stando alle prime ricostruzioni si tratterebbe di giovani bresciani, bergamaschi e milanesi di ritorno dal maxi raduno. Le vittime, nonostante lo choc e la paura, nella loro denuncia hanno descritto anche l’abbigliamento e alcune caratteristiche fisiche che potrebbero portare presto all’identificazione degli autori.

L’indagine però si allarga. Gli inquirenti stanno lavorando su una decina di ragazze in totale che avrebbero subito le stesse molestie: «Stiamo ricostruendo i fatti avvenuti in spiaggia e sul treno. Gli accertamenti proseguiranno su tutto ciò che può avere risultanze penali», conferma il dirigente della Mobile di Verona Carlo Bartelli.

La Polfer di Milano che ha raccolto le denunce delle cinque vittime ha inoltrato gli atti alla Procura scaligera, ma non è escluso che nei prossimi giorni le indagini possano concentrarsi sulla Lombardia, proprio per la provenienza dei presunti molestatori. C’è anche da capire come mai il treno sia stato fatto partire e con quali condizioni di sicurezza visto il sovraffollamento e la presenza di ragazzi che fumavano e «saltavano sui sedili». Domenica la stazione è stata presidiata da agenti in assetto anti sommossa per il timore di un nuovo raduno: decine i ragazzi identificati ma nessun assalto bis.

Il caso infiamma la politica. «Se qualcuno prende Peschiera per fare i loro casini e scorribande biglietto di solo andata», dice il leader leghista Matteo Salvini. «Su questo gravissimo fatto è calata una cappa di silenzio da parte di certa sinistra e delle femministe. Nessuna parola di sdegno, probabilmente per paura di mettere in cattiva luce gli immigrati», aggiunge la presidente di FdI Giorgia Meloni. Replica la senatrice del Pd Valeria Valente: «Ci stringiamo alle giovani che hanno trovato il coraggio di denunciare. Spiacciono le parole di esponenti della destra che non perdono occasione per fare speculazione politica, anche sulla pelle di minorenni».

 Molestie sul treno da Gardaland, il papà di una delle ragazze: «Mia figlia in trappola, io al telefono non potevo far nulla». Cesare Giuzzi, Alfio Sciacca per corriere.it il 7 giugno 2022.

Le violenze al rientro dal Garda, il racconto di uno dei genitori. «Ho chiamato le forze dell’ordine, ma sono arrivate quando lei era già scesa dal treno. È ancora sotto choc». 

«Quando mi ha detto che era bloccata, che le stavano tutti addosso e non riusciva nemmeno a respirare sono impazzito… mia figlia era in balia di gente senza scrupoli e io ero a casa, impotente. Se non fosse riuscita a scendere a Desenzano quelli non so cosa le avrebbero fatto». Alberto è il papà di una delle due ragazze del Pavese che hanno denunciato, assieme a altre tre minori di Milano, di essere state molestate sul treno, dopo una giornata a Gardaland. Quattro giorni dopo ricostruisce tutto così minuziosamente da farti rivivere la sua angoscia di padre.

«Dal treno mi chiamava terrorizzata. Uno squillo, poche parole e cadeva la linea. Aveva paura che pensassero che stava chiamando la polizia. Parlava a monosillabi e riattaccava. Poi non rispondeva, quindi mandava un messaggio: “Papà siamo ammassati, non ci fanno scendere”. L’ho implorata di spostarsi in un altro vagone e scendere alla prima fermata. E lei: “non riesco neanche a girarmi”. A quel punto sono andato nel panico. Erano degli invasati e le potevano fare di tutto. Pensavo: magari saranno anche ubriachi... e se hanno dei coltelli...».

Ha avvisato le forze dell’ordine?

«L’ho fatto ed è stato un altro incubo. Ho chiamato prima i numeri della polizia ferroviaria di Peschiera, ma non rispondeva nessuno. Quindi ho telefonato al 112, e mi hanno passato i carabinieri di Peschiera. Gli ho spiegato cosa stava succedendo e mi hanno detto che non era di loro competenza e avrebbero chiamato la polizia ferroviaria. Al che gli ho urlato: “ma è questo il modo di gestire un’emergenza?”».

Cosa ha fatto?

«Non mi è rimasto che mettermi in macchina. Mezz’ora dopo mi chiamano i carabinieri dicendomi che stavano mandando le pattuglie a Peschiera. Peccato che mia figlia intanto era già riuscita a scendere, ma a Desenzano».

Quindi erano già al sicuro?

«Mi ha chiamato quando io ero ancora in strada. Al telefono piangeva. Gli ho detto: “Restate in gruppo, andate in un posto affollato”. Al mio arrivo le ho trovate tutte cinque in un bar. Tremavano ancora per la paura».

Cosa le hanno raccontato?

«Che si sono sentite in trappola, braccate, senza l’aiuto di nessuno. Le toccavano, dicendo: “Donne bianche voi non potete stare qui.. siete delle privilegiate”. Quando una di loro ha avuto l’attacco di panico ed è svenuta loro si sono tolti la maglietta per farle aria, intanto le si avvicinavano al viso dicendo “I love you”. Alla fine si sono salvate solo grazie a un ragazzo, anche lui di colore, che è riuscito a farsi largo tra la folla a spintoni consentendo alle ragazze di aprire le porte».

Lei è in collera anche con le Ferrovie...

«Di più. In questa vicenda hanno una grossissima responsabilità. Era evidente quello che stava succedendo con quella gente che aveva già bloccato l’alta velocità. Erano tutti ubriachi e violenti. In quelle condizioni non dovevano assolutamente far partire quel treno fuori controllo».

Ma sua figlia perché è salita?

«Mi ha detto che quando sono arrivate loro in stazione c’era casino, ma erano ancora in pochi. La marea umana è arrivata quando erano già a bordo e quindi sono rimaste intrappolate».

Come sta ora sua figlia?

«È ancora traumatizzata, quando ne parla piange. Pensi: era la prima volta che andava in gita da sola con la sua amica, che come lei ha 17 anni. Appena l’ho riabbracciata la prima cosa che mi ha detto è stata: “In vita mia non prenderò mai più un treno”».

Riconoscerebbe chi l’ha molestata?

«Non lo so. Dice che parlavano italiano e racconta che erano così pigiati tra loro che sembravano tutti uguali».

Avete avuto qualche esitazione prima di denunciare?

«Confesso che ci abbiamo pensato un po’ con gli altri genitori. Poi ci siamo detti: “Alle nostre figlie è andata bene, ma ad altre ragazze è andata o potrebbe andar peggio. È giusto che facciamo il nostro dovere di cittadini”. Non possiamo abbassare la testa. C’è anche bisogno che se ne parli per evitare che cose del genere, o anche più gravi, accadano ancora ad altre ragazze come mia figlia».

Michela Marzano per “la Repubblica” il 6 giugno 2022.

L'aggressione delle amiche che tornavano in treno da Gardaland, e che sono state molestate da un gruppo di giovani di origini nordafricane, rappresenta qualcosa di estremamente grave. Tanto più che alcune delle frasi urlate alle ragazze, in particolare: «Le donne bianche qui non salgono», ricordano in maniera imbarazzante le parole che, per secoli, sono state scagliate contro le persone nere. Un fatto molto grave, dicevo.

Che illustra bene quel senso di impunità che alimenta la logica assurda e violenta del branco, quella logica che si scatena quando un gruppo di individui - spesso giovani, quasi sempre maschi - si ritrova insieme e, dopo aver designato una o più vittime - spesso femmine - si accanisce brutalmente contro di loro. Con l'aggravante che, in questo caso, si è trattato di un branco di ragazzi neri convinti di poter trattare un gruppo di adolescenti come oggetti, non solo perché femmine, ma anche perché bianche.

Una logica di violenza alimentata senz' altro dall'atavica cultura dello stupro. Sebbene oggi siano spesso i più giovani a insegnare ai più grandi che le molestie legate al sesso, al genere e all'orientamento sessuale sono un retaggio del passato.

A meno che non crescano all'interno di ambienti gretti, misogini e omofobi, non leggano gli stessi libri che leggono i propri contemporanei, non vedano le stesse serie e non ascoltino la stessa musica.

Oppure vengano da paesi in cui il radicalizzarsi dell'Islam giustifica l'umiliazione e la cancellazione delle donne. La violenza è sempre inaccettabile, indipendentemente dal colore della pelle, dal credo religioso, dal sesso o dall'orientamento sessuale dei carnefici e delle vittime. 

Esattamente com' è inaccettabile che tante ragazze e tante persone omosessuali e trans debbano ancora oggi crescere sapendo che dovranno fare attenzione a come si vestono, a quanto bevono, a dove vanno e alle persone che frequentano, per evitare di subire stupri o molestie. Quand'è che anche le donne e le persone omosessuali e trans saranno libere di non dover sempre cercare di tenere tutto sotto controllo?

Ma è anche inaccettabile che i seminatori di odio, e tutte e tutti coloro che hanno contribuito ad affossare la legge contro l'omotransfobia e la misoginia, vengano adesso a fare la morale a "quelli di sinistra", come dicono loro, perché non avrebbero, sempre secondo loro, dato sufficientemente rilevanza al fatto che i molestatori erano ragazzi neri. Il tutto, ovviamente, con toni estremamente violenti. Senza capire che, in questo modo, alimentano l'odio e la violenza, e non contribuiscono affatto a smantellare la cultura dello stupro. Anzi. Ne diventano, in fondo, i principali promotori.

 Da “Anteprima. La spremuta di giornali di Giorgio dell’Arti”

Giovedì 2 giugno centinaia di ragazzi tra i 12 e i 20 anni, moltissimi nordafricani e immigrati di seconda generazione, provenienti dalle province di Brescia, Bergamo e Milano, dopo un passaparola su Tik Tok, si sono riversati sul lungolago del Garda, tra Peschiera e Castelnuovo. Tutto è iniziato in sordina. All'una c'erano circa 600 partecipanti, che scorrazzavano sul lungolago senza dare troppo fastidio. La situazione è andata fuori controllo all'arrivo del treno da Milano quando una marea umana di almeno 1.500 persone si è riversata sul Garda.

È bastato il furto di una borsa perché scoppiasse la prima rissa a colpi di bastone e coltellate. Quindi la folla ha invaso le stradine del lungolago e la spiaggia. «Hanno distrutto ogni cosa — raccontano gli operatori commerciali hanno spaccato vetrine, preso d'assalto il trenino turistico e bloccato passanti a piedi o in motorino». Il tutto sotto effetto dell'alcol e del martellante sottofondo di musica trap alternata a motivi etnici. A quel punto è dovuta intervenire la polizia in assetto antisommossa. «Siamo venuti a riconquistare Peschiera. Questo è territorio nostro, l'Africa deve venire qui» hanno gridato i ragazzi, prima di scatenare una sassaiola contro i poliziotti [Giuzzi e Sciacca, CdS]. 

«Intorno alle 17 la marea umana si è riversata sui binari della stazione di Peschiera in contemporanea con il rientro delle comitive da Gardaland. Tra queste anche quella delle cinque ragazze che hanno denunciato le molestie. Anche a loro hanno gridato: "Su questo treno non salgono i bianchi". E in effetti  molti hanno preferito restare in stazione».

Serenella Bettin per “Libero quotidiano” il 6 giugno 2022.

La chiamano «Giornata Africa». E la Giornata Africa è quella per cui migliaia di ragazzotti di seconda generazione, come li chiamano adesso, si ritrovano in una qualche località d’Italia e decidono di «spaccare tutto» e «fare casino». Una sorta di raduno a cui non sono ammessi italiani. Non sono ammessi bianchi. 

Un razzismo al contrario che i talebani del politicamente corretto faticano a riconoscere. L’appuntamento viene dato su TikTok, pericoloso quanto geniale, che sfugge a ogni controllo. E qui il ritrovo era per il 2 giugno scorso a Peschiera del Garda, splendida località balneare in provincia di Verona. Migliaia e migliaia di giovani, prevalentemente nordafricani, si sono ritrovati nella rinomata cittadini e hanno devastato tutto.

«Devasto», appare nelle scritte che accompagnano i video pubblicati nel social per eccellenza che nel 2021 ha registrato più utenti di Twitter e più visualizzazioni su YouTube negli Stati Uniti. «Spacchiamo tutto», si legge. «Se non sei a Peschiera del Garda giovedì 2 giugno ti perdi tutta l’Africa in un solo posto». 

E di Africa ce n’era veramente tanta. «Quello che è successo oggi a Peschiera rimarrà nella storia», scrive qualche immigrato. E poi ancora: «Africa a Peschiera». «Oggi Peschiera è stata conquistata dagli africani». «Peschiera come l’Africa». 

Ad accompagnare le scritte ci sono immagini eloquenti e imbarazzanti. Ragazzotti di colore che mostrano il sedere, ballano in spiaggia denigrando e prendendo in giro le donne bianche, saltano sopra i tettucci delle automobili, rovesciano tavolini, sputano per terra, e soprattutto se le danno di santa ragione.

Tanto che mercoledì appunto, il giorno del ritrovo, qui è scoppiata una maxi rissa. A far scattare la scintilla un tentativo di furto. Un ragazzo avrebbe provato a rubare un portafoglio e in cambio avrebbe ricevuto una coltellata. Da qui sono partite le botte, le manate, le bottigliate in testa, e l’intervento degli uomini in divisa in tenuta antisommossa. Insomma il delirio. 

«Erano tutti di seconda generazione», conferma a Libero una fonte investigativa, «si danno appuntamento su TikTok e organizzano queste Giornate Africa». Finora gli identificati, circa una trentina, sono tutti nordafricani che vivono in Italia, un branco pronto a tutto.

Una decina, invece, le ragazze molestate, comprese quelle assalite sul treno. Tra i capi d’imputazione ci sono lesioni personali, rissa aggravata, danneggiamento e furto. La questura di Verona ha parlato di «una rissa scoppiata tra alcune bande di giovani». E sempre le nostre fonti ci riferiscono che con tutta probabilità, i molestatori delle ragazzine minorenni, sul treno che da Peschiera del Garda va a Milano, appartengono alla medesima cerchia. 

Le molestie sono avvenute lo stesso giorno del raduno a danno di sei amiche tra i 16 e i 17 anni che stavano rientrando a casa dopo una giornata passata a Gardaland. «Qui le donne bianche non salgono», si sono sentite dire. Una madre, sull’account Instagram di MilanoBellaDaDio, ha scritto: «Mia figlia di 16 anni oggi si è recata a Gardaland con le sue amiche e salite sul treno per il rientro verso Milano sono state accerchiate, palpeggiate e molestate da alcuni soggetti. Non riuscivano a scendere dal treno perché ammassati». 

E infatti hanno riferito le malcapitate: «Eravamo circondate, il caldo era asfissiante, alcune di noi sono svenute. Mentre cercavamo un controllore avanzando a fatica lungo i vagoni è avvenuta l’aggressione». Anche qui ovviamente, a distanza di giorni ormai, nessun intervento da parte delle siore femministe che si erano stracciate le vesti per gli Alpini. Quelle di «Non una di meno», almeno fino a ieri, che tanto si erano impegnate ad attaccare le Penne nere, non hanno fatto una storia, un post, un qualcosa che gridi all’indignazione se in un paese popolato da famiglie ti ritrovi invaso da migliaia di nordafricani che vogliono spaccare tutto e fare casino e molestare le bianche.

«Dove sono le femministe e la sinistra che attaccano gli Alpini?», scrive il deputato di Fratelli d’Italia, Ciro Maschio, «quanto accaduto ha caratteristiche simili ai fatti di Capodanno, animati da una subcultura aggressiva che ha ideologie abbastanza precise. Il modello Lamorgese è fallito. E in Italia è passato il messaggio che tanto si può fare ciò che si vuole». Il che è molto vero. 

La maggior parte delle volte questi fatti, con tutto lo sforzo che fanno le forze dell’ordine, rimangono impuniti. «Auspico che si applichi anche qui la Legge Mancino», dice Maschio, «se c’è una normativa per razzismo, allora anche qui deve essere fatta valere. È un razzismo al contrario». Già. Noi lo diciamo da mo’, ma le anime belle non ci sentono.

Continuano le violenze degli immigrati. Ma la sinistra le nasconde ancora. Andrea Indini il 6 Giugno 2022 su Il Giornale.

Il caso di Peschiera del Garda è solo l'ultimo. Di fronte ai fatti di Colonia, alle violenze di Milano e a quelle di oggi, i progressisti continuano a girare la testa dall'altra parte e a tifare ius soli.

Ci risiamo. Sei mesi dopo siamo punto e a capo. Stesso drammatico copione, stesse polemiche sterili. Gli abusi inflitti alle povere ragazze di ritorno da Gardaland ricordano drammaticamente le violenze dell'ultimo dell'anno in piazza Duomo a Milano. Branchi di bestie venuti dalle periferie di grandi città, come appunto Milano e Torino. Tutti di origine nordafricana, figli di immigrati, quelle famose seconde generazioni a cui la sinistra di Enrico Letta e compagni vorrebbero svendere la cittadinanza italiana a suon di ius soli. La logica del branco, appunto. Tanti maschi contro poche femmine. Le vittime scelte perché bianche, indifese, facili prede. E poi la mischia, alcuni che fanno da palo, gli altri che si fanno addosso, le mani dappertutto, gli insulti, le violenze sessuali. Poi il dopo, che è terrificante quanto il prima: la maggior parte dei giornali che raccontano fino a un certo punto, che fanno di tutto per nascondere la nazionalità delle bestie, che si mettono a discettare sul branco e non sull'integrazione impossibile, che tengono fuori dal dibattito la matrice culturale del gesto vile. Eppure, viene da dire, ci eravamo già passati.

Ci eravamo già passati all'inizio dell'anno, con i fatti di piazza Duomo a Milano, appunto. E prima ancora, stesso copione, con le orde di barbari in piazza a Colonia. Allora era il 2016 e la Germania, forse, ci sembrava troppo lontana. Lo scorso capodanno, invece, era Milano e non avrebbe dovuto sembrarci così lontano. Perché, sebbene in quei giorni molti milanesi fossero in montagna a sciare o a festeggiare chiusi in casa, quello spaccato culturale, che è andato in scena ai piedi della Madonnina e che nel Nord Africa ha un nome ben preciso (taharrush gamea che in arabo significa "aggredire e molestare le donne in strada"), era un morbo che aveva già contagiato la nostra società. Avrebbe dovuto risuonare nelle nostre teste come un campanello d'allarme. Così non è stato, almeno non per tutti. I progressisti hanno estrapolato, creato distinguo a non finire. E poi si sono arrampicati sugli specchi arrivando addirittura a dire che ci troviamo di fronte a "violenze e comportamenti figli di una cultura patriarcale della nostra società in cui un gruppo di ragazzi si sente in diritto di poter fare quello che vuole nei confronti delle ragazze" .

Non è così che avrebbero dovuto raccontarla. Quei crimini hanno un preciso humus culturale che affonda le proprie radici nelle periferie delle nostre città, sempre più simili alle banlieue parigine, sempre più quartieri dormitorio in mano a immigrati di seconda generazione. È qui, soprattutto a Milano e Torino ma non solo, che si formano i branchi ed è da qui che questi partono all'attacco. Una violenza che trova nell'islam radicale lo svilimento della donna e nel disagio sociale l'odio contro l'Occidente e il Paese che li ha accolti. Prima ancora del capodanno di Milano li avevamo visti in azione in piazza Vittorio, a Torino. Petardi, roghi di cassonetti, fumogeni, bombe carta e lanci di bottiglie. Dopo il blitz al concerto di fine anno, invece, li abbiamo visti rendere sempre meno sicure le vie del capoluogo lombardo. E, mentre veniva smentellata l'operazione "Strade sicure", il sindaco Beppe Sala continuava a voltarsi dall'altra parte, quasi a non voler ammettere che esiste un'emergenza sicurezza.

Il treno che tornava a Milano da Peschiera del Garda è stato bloccato azionando il freno d'emergenza. Nella confusione generale, al grido "le donne bianche qui non salgono", sono state prese di mira sei giovanissime, tutte tra i 16 e i 17 anni. Impossibile sottrarsi. "Abbiamo attraversato varie carrozze e nel tragitto hanno iniziato a toccarci ovunque", ha raccontato una delle vittime al Corriere della Sera. "Mentre andavamo avanti ci toccavano, sentivo l’aria mancarmi - ha continuato - le ragazze specialmente ci davano delle 'bianche', delle privilegiate e non ci facevano passare". La forza del branco. Ma, anche a questo giro, i progressisti s'inventeranno un'altra storia e scaricheranno tutta la colpa sulla nostra società, permettendo così che questi crimini diventino un male endemico capace di infettare le nostre città.

 Monica Serra per “la Stampa” il 7 giugno 2022.

Magliette griffate, canotte bianche, collane e anelli dorati. I loro idoli sono cantanti trap, vivono sui social - su Tiktok soprattutto che Facebook è «per vecchi» - dove raccontano ogni passo che fanno, compresi i momenti banali, trascorsi ad ascoltare musica al parco, a indossare un paio di sneakers nuove. Tra loro si chiamano «fra'», «bro'». E pubblicano senza sosta. Balletti improvvisati in stazione, richieste di compagnia femminile per una serata a Jesolo o a Rimini, attimi di follia in cui «spacchiamo tutto», al ritmo del tormentone Alicante. 

Com' è successo a Peschiera del Garda il 2 giugno, dove dopo una giornata di follie nonostante l'allarme lanciato in anticipo dalla sindaca Orietta Giaulli, e rimasto inascoltato, ora la procura di Verona indaga sulla presunta violenza sessuale sul treno di ritorno a cinque ragazze di Milano e Pavia, e sta valutando se ipotizzare anche l'aggravante dell'odio razziale (al contrario) perché chi ha accerchiato e palpeggiato urlava «Qui comanda Africa», «Le bianche non devono salire».

Nel piccolo centro sul lago e sulla spiaggia lido Campanello giovedì scorso erano 2.500, soprattutto italiani di seconda e terza generazione, tra i quindici e i vent' anni, nati da famiglie marocchine ed egiziane. 

«Tutto è nato da un video virale su Tiktok», racconta Momo (nome di fantasia), 16 anni e genitori marocchini, ritratto nei video di Peschiera e che dopo qualche resistenza ha deciso di parlare, a differenza di un paio di sue coetanee (una italiana) che invece in cambio chiedono soldi: «Racconto solo se ci guadagno qualcosa».

Momo spiega che alcuni ragazzi hanno girato il video-invito «il sabato precedente sulla spiaggetta: ballano, cantano, fanno il bagno». In testa c'è la scritta «2 giugno a Peschiera?». 

Il maxi-raduno nasce così, con un filmato che raggiunge soprattutto studenti in vacanza per il ponte di Vicenza, Padova, Verona, ma anche Cremona, Milano, Bergamo, Brescia... In maniera incontrollata come accade col passaparola sui social. «Non tutti sono andati lì per fare bordello - spiega Momo - io non l'ho fatto. Ero lì per divertirmi, ballare, fare il bagno, conoscere gente». I saccheggi nei bar, i danneggiamenti, gli assalti ai turisti, o al trenino, le pietre contro la polizia in tenuta antisommossa, l'accoltellamento dopo il furto sarebbero stati commessi «da un gruppo ristretto, 50-60 ragazzi, di quelli che riescono a divertirsi solo se fanno tanto casino e non si può fare nulla per fermarli», prende le distanze Momo. Che però non sa spiegare l'origine di tanta rabbia: un po' sarebbe colpa del «lockdown» o di «condizioni di famiglia disagiate», un po' sarebbe «colpa dello Stato che non fa nulla per dare a questi ragazzi un'opportunità». 

Sulla questione ha le idee più chiare Ossama, 20 anni, famiglia marocchina, che parla con accento lombardo e sta studiando per la maturità. Lui su Tiktok, come tanti, ha criticato quel che è successo a Peschiera: «Invadete una città come animali, accoltellate, spaccate, fate risse, rubate, fate intervenire la squadra antisommossa e poi vi lamentate del razzismo in Italia. State rovinando la reputazione di tutti gli stranieri che sono brave persone. E per cosa? Per comportarvi come delle scimmie appena uscite dallo zoo? Mi vergogno per voi!».

Al telefono sostiene che questi giovani di seconda e terza generazione «sono troppo influenzati dai social, dal mondo della musica trap, che ascolto anch' io, non voglio condannarla, da certi film e finiscono per credere che vivere ispirandosi a quella violenza e a quegli ideali faccia "figo"». 

Ossama vive in Lombardia e fino allo scorso anno frequentava «solo ragazzi stranieri, gruppi che da una parte soffrono il razzismo che ancora esiste, dall'altra tendono a isolarsi, vivono di pregiudizi che esistono solo nella loro testa. Era il nostro mood, ci sentivamo diversi e restavamo in disparte. È una specie di razzismo al contrario che fa più ridere dell'altro», riflette. «Con i miei amici non andavamo in centro perché ci sentivamo guardati male, stavamo sempre tra di noi, rischiavamo di metterci nei guai». Poi però qualcosa per Ossama è cambiato: «Ho capito che alcuni limiti erano nella mia testa, ho iniziato a frequentare altra gente, a pensare che voglio costruire qualcosa nella vita».

Chi danneggia, spacca, saccheggia per Ossama non viene necessariamente da periferie disagiate: «In alcuni casi sì, ma tanti di questi ragazzi a casa sono agnellini, sempre educati con mamma e papà. Poi quando escono si trasformano». Spesso «si circondano di ragazzine italiane che siccome sentono una certa musica pensano faccia figo uscire col marocchino: è una moda». Ma «sbaglia chi pensa che le violenze o le molestie alle ragazze siano figlie della nostra cultura. 

Molti di noi sono musulmani e il Corano non consentirebbe mai un simile trattamento delle donne». Quel che è successo sul treno alle cinque ragazze o se davvero ci sono altri casi di violenze che la procura di Verona per ora ipotizza, per Ossama «è frutto dell'ignoranza che non ha colore». E per chi indaga è figlio anche della dinamica di massa. Che mai come in questo caso, si muove con le regole del branco.

Karima Moual per “la Repubblica” il 7 giugno 2022.  

«Quello che è successo è vergognoso, quelle molestie sono terribili, ma possibile che i riflettori si accendono solo quando scoppia il caos? Si svegliano solo adesso scoprendo la rabbia e la violenza che molti ragazzi stanno sfogando? Ma di noi non ha mai avuto pietà nessuno, dallo stesso momento in cui ci hanno sbattuti nei peggiori quartieri, possibilmente ammassando tutti insieme, per identificarci ancora meglio come immigrati, africani a vita. Alla fine, ce l'hanno fatta. Sono riusciti a farci credere di essere più africani che italiani. Non capisco quindi perché tutto sto scandalo». Così Hassan (nome di fantasia) da Milano, quartiere San Siro, spiega il disagio di una generazione di figli di immigrati. «Sì, mi sento africano, marocchino e non certo italiano. Non sono mica scemo. So come ci guardano gli italiani e, sinceramente, preferisco tenermi strette le mie origini ».

Mentre si racconta, cerca di spiegare, la voce a volte trema, eppure non ha nessuna voglia di fermarsi ed è convinto di rientrare in una specie di figura, marocchina, immigrata, africana, che non è altro che qualcosa di immaginario e astratto.

E basta vedere il volto dei genitori, sentirli parlare, per capire quanta distanza ci sia tra lui e il loro mondo. «Ma non ti guardi intorno sorella? Siamo solo la feccia per loro (inteso, gli italiani, ndr), e da dentro queste fatiscenti palazzine sono in pochi a permettersi di sognare. Fare piccole rapine, spacciare, per molti ragazzi è ormai normale».

Un disagio che esprime anche Farid, che ha appena 14 anni e vive a Vercelli, Mounir, diciottenne di Tor bella Monaca, estrema periferia est di Roma. Ragazzi che vivono in quartieri popolari e realtà diverse ma sembrano tutti fatti con lo stampino: abbigliamento, gusti musicali, tanta rabbia e voglia di emergere, uscire dal "ghetto" a tutti i costi.

«È un ghetto non solo di palazzine - spiega Fatma, 18 anni, tunisina ma di percezioni, opportunità, parole, stigmatizzazione e pregiudizi che continuano ad imprigionarci, senza via di scampo. I rapper emergenti, come Sacky, Baby Gang, Neima Ezza un po' danno sfogo al nostro disagio». 

Dice Rashid, 20 anni, Barriera di Torino: «Io non sono una vittima. Semplicemente so che devo andare a prendere quello che mi spetta. Perché tanto qui non me lo darà nessuno. Sai quante volte mi hanno fermato le forze dell'ordine solo perché ho la faccia da maghrebino? Tanto vale fare il vero spacciatore».

Parole troppo grandi per ragazzi troppo giovani nati in Italia da genitori immigrati e dove «l'Africa» è in realtà la città o il villaggio dove sono nati i loro genitori. Eppure, quelle parole riescono a dirle leggeri. 

Quella che sembra accomunare una parte dei figli di immigrati. Basta parlarci, entrare un po' nella loro testa e scardinare i miti che si sono costruiti per capire che sono, da una parte, al centro di un vero scontro generazionale con la cultura e le tradizioni dei genitori; dall'altra, in un conflitto identitario con il Paese dove sono nati e cresciuti. Uno scontro che, in ultima istanza, sfocia in rabbia e violenza, come quella avvenuta il 2 giugno sulle spiagge di Castelnuovo e Peschiera del Garda dove si sono riversati centinaia di ragazzi arrivati dalla Lombardia per un raduno trap chiamato «L'Africa a Peschiera».

Come si è riusciti a portare una parte delle seconde generazioni di nuovi italiani a percepirsi "Africa" nel Paese in cui sono nati e cresciuti? E attenzione, a percepirsi "Africa" nell'accezione negativa, rispondendo al peggior pregiudizio razzista. Perché quello è stato: la devastazione fisica del luogo pubblico per finire con le molestie orrende che hanno colpito anche qui, come a Capodanno a Milano, ragazze inermi, magari coetanee, compagne di scuola, sorelle, amiche, che di colpo vengono disumanizzate, per diventare solo «bianche» da molestare.

Un nichilismo estremo. Una semplificazione rozza e al limite che divide tra bianco e nero, quando anche il bianco e il nero in quel dato contesto in realtà non esistono, ma sono solo una percezione che si è fatta realtà nella più becera violenza, che ci indica come nei prossimi anni sarà complicato trovare la ricetta giusta per scardinare un incubo che si è avverato, per la gioia di chi ha tifato sempre affinché una integrazione non fosse possibile e non ha fatto nulla perché si realizzasse.

Ilaria Carra per “la Repubblica” il 7 giugno 2022.

Si cercano volti, tracce, legami. Indizi che possano aiutare a dare un nome agli autori delle aggressioni ai danni di cinque adolescenti lombarde di ritorno da Gardaland sul treno regionale Verona-Milano lo scorso 2 giugno. 

Il fascicolo in procura a Verona è aperto per violenze sessuali - ben più delle molestie - ancora contro ignoti. Che, se e quando ci saranno, si vedranno verosimilmente contestato anche l'aggravante dell'odio razziale. 

Un'inchiesta con priorità da codice rosso rispetto a quella, parallela, che accerterà le responsabilità dei danneggiamenti, delle risse e delle tentate rapine durante il maxiraduno di centinaia di ragazzi, per lo più di origine africana, che il giorno della festa della Repubblica hanno invaso e creato disordini sulla spiaggia tra Peschiera del Garda e Castelnuovo. Eppure i timori alla vigilia non erano mancati: la sindaca di Peschiera aveva chiesto aiuto alle forze dell'ordine, ma l'allarme è caduto nel vuoto.

Le indagini sono a tappeto. Ma difficili. La Polfer di Milano assieme a quella di Verona sta recuperando i video di tutte le telecamere delle stazioni. «In particolare di Brescia e di Milano, ma anche di quelle intermedie ». «Faremo accertamenti - dicono dalla Mobile veronese - sulla base di quelle immagini». 

Che saranno mostrate alle cinque vittime, tra i 16 e i 17 anni, a caccia di un riconoscimento. Le giovani sono salite sul treno delle 18, stracolmo, «c'era un caldo asfissiante, ci hanno aggredite alle spalle, palpeggiate, eravamo in balia di quei ragazzi» hanno scritto nelle cinque denunce. Il branco era composto da una trentina di ragazzi, alcuni sarebbero stati identificati, ma al momento non è stato possibile collegare un nome a una responsabilità penale.

E saranno indagini complicate: le telecamere, anche quando restituiscono immagini utili, immortalano la folla sulle banchine della stazione e non cosa sia accaduto a bordo del treno. Quello che agli investigatori è ormai chiaro è il nesso tra i partecipanti al raduno di Peschiera e le aggressioni alle ragazze con frasi tipo «le bianche non salgono, siete delle privilegiate» 

Il sindaco di Peschiera, lista civica vicina al centrodestra, Orietta Gaiulli, ricorda che «già nel 2020 avevamo avuto un centinaio di ragazzi africani sulla spiaggia libera di Castelnuovo, poi diventati 5-600 l'anno dopo, con disordini e un annegamento. Allora il prefetto introdusse un filtro nelle stazioni per prevenire nuovi disordini: identificazioni, video, controllo del biglietto. E il problema sembrava risolto». 

Invece la scorsa settimana si è ripresentato, e per il sindaco c'è stata «una sottovalutazione » del rischio. Tanto che ora chiede «le dimissioni di chi non mi ha dato ascolto». 

E aggiunge: «Il 30 maggio ho avvisato prefetto e questore che le bande erano tornate e ho chiesto un servizio di prevenzione, il 31 ho allertato i carabinieri e la polizia di Peschiera che si rischiavano problemi per il video virale su Tik Tok che richiamava al raduno gente malintenzionata. Il 1 giugno il questore ha emesso un servizio di controllo ma decisamente sottodimensionato. Infatti è stato un disastro: il treno delle 13 del 2 giugno ha portato un migliaio di ragazzi che hanno devastato la spiaggia e la città».

Sul posto c'erano alcune pattuglie di polizia e carabinieri, «troppo poche, hanno dovuto chiamare i rinforzi ma era tardi». In questura nessuno vuole commentare. 

E il prefetto di Verona, Donato Cafagna, interpellato, preferisce tacere anche lui. Il padre di una vittima, che giovedì scorso ha recuperato la figlia a Desenzano dice che «era talmente agitata che le tremava la mano: non riusciva a tenere in mano una bibita». 

Gardaland, l'incubo coda e l'ingiusto salta-coda. Andrea Indini il 7 Giugno 2022 su Il Giornale.

Cronistoria di una giornata trascorsa nel più famoso e bel parco di divertimento d'Italia: coda per uscire dall'autostrada, coda all'ingresso, code alle giostre. E poi i super pass per saltare la coda.

"E allora oggi è sabato 18 marzo e sono seduto nel bar strapieno di gente dell'aeroporto di Fort Lauderdale, e dal momento in cui sono sceso dalla nave da crociera al momento in cui salirò sull'aereo per Chicago devono passare quattro ore che sto cercando di ammazzare facendo il punto su quella specie di puzzle ipnotico-sensoriale di tutte le cose che ho visto, sentito e fatto per il reportage che mi hanno commissionato". Bisogna immaginarlo David Foster Wallace di ritorno dalla crociera "Sette notti ai caraibi". Bisogna immaginarlo coi suoi demoni addosso e il carico di una settimana passata in mezzo a un'orgia di delirio consumistico, sfrenato divertimento di massa e intrattenimento demenziale.

"Ho visto spiagge di zucchero e un'acqua di un blu limpidissimo. Ho visto un completo casual da uomo tutto rosso col bavero svasato. Ho sentito il profumo che ha l'olio abbronzante quando è spalmato su oltre dieci tonnellate di carne umana bollente...". Per una settimana, nel 1995, DFW si è recluso, "volontariamente e dietro compenso", a bordo della Zenith, un mostro da 47.255 tonnellate di proprietà della Celebrity Crociere, una delle oltre venti compagnie che al tempo operavano tra la Florida e i Caraibi. Molto probabilmente non si sarebbe mai sognato di farlo volontariamente. Eppure in quegli anni stava già lavorando a Infinite Jest, vero caleidoscopio dell'alienazione americana per l'entertainment. A pagargli l'ingaggio per salire sulla Zenith fu la rivista Harper's Magazine. Gli dissero di andare e raccontare tutto senza filtri. E così fece. Due anni dopo uscì il saggio Una cosa divertente che non farò mai più.

Quando venerdì sera sono finalmente rientrato a casa dopo aver trascorso una giornata a Gardaland mi sono stravaccato sul divano, ho chiuso gli occhi e ho provato a spegnere il cervello. I pensieri, però, continuavano a ronzare, creando un frastuono di sottofondo. Frastuono che, come in una compulsante rassegna di vecchie diapositive dai colori striati, si arricchiva dei flash di una giornata devastante, iniziata con due ore e mezza di coda che si snodava tra il casello autostradale di Peschiera del Garda e il parcheggio del parco di divertimento. La manciata di chilometri disseminati tra rotatorie, strade secondarie di campagna e incroci di paese si erano trasformati in un fiume di lamiera immobile e stagnante. Il sole, che pulsava contro i cofani, bruciava all'interno dell'abitacolo. In lontananza, i clacson riecheggiavano stanchi per scandire i minuti che scorrevano nell'immobilità di una situazione surreale. In quel momento nessuno di noi poteva immaginarselo ma quelle due ore e mezza sarebbero state solo l'antipasto di una giornata passata eternamente in coda. Coda per entrare nel parcheggio a pagamento (i più volenterosi abbandonano l'auto in mezzo alla campagna e se la fanno a piedi sotto il sole). Coda per usare la toilette prima di varcare l'ingresso del parco (i display all'ingresso segnalano prontamente i "posti liberi"). Coda per entrare a Gardaland (nessuno ha ancora pensato di automatizzare i tornelli come in metropolitana). E quando, dopo cinque ore di estenuante attesa, sei finalmente dentro, tiri un sospiro di sollievo e pensi "È fatta!". E, invece, l'immagine di quella famiglia che, in coda con te, si affannava, prima di varcare l'ingresso, a farsi i panini in piedi e a trangugiarli avrebbe dovuto farti sorgere qualche dubbio. E invece no. Nessuno di noi aveva capito che quel gesto calcolato, probabilmente dettato dall'esperienza, non era mosso da ragioni economiche ma da un disperato tentativo di guadagnare tempo.

È quando sei dentro, travolto da un via vai interminabile di bambini, ragazzi, famiglie, amici e dipendenti del parco che capisci il tranello. Eppure, all'ingresso, lo avevano messo in chiaro sin da subito. Ovunque era un continuo pubblicizzare offerte per saltare la coda. Opzione "Sixteen infinity", opzione "Unlimited five", opzione "Fabulous fourteen", opzione "The best five". Ovviamente più paghi, prima arrivi. Il ché non è così facile da spiegare a un bambino in coda che si vede passare davanti altre persone. Come non è facile districarsi nel forsennato gioco di incastri per sopravvivere alla logica del salta-coda. Perché ogni codice va inserito in un'app. E l'app ti avvisa quando è il tuo turno. Nel frattempo, se sei bravo a calcolare gli orari e incastrare la giornata con la mappa del parco in mano, puoi fare più code (virtuali) contemporaneamente. Viene così a sgretolarsi il concetto di tempo. Che, Albert Einstein, già ci aveva avvertito non esistere. È tutto soggettivo: per alcuni è infinitamente lungo, per altri è una velocissima montagna russa.

Lo ammetto: venerdì scorso ho toppato sin dall'inizio. Da sempre sono contrario al salta-coda. È una questione di principio: non mi è mai sembrato istruttivo nei confronti delle mie figlie. La coda si fa, non si salta. L'ho sempre pensato. Me lo hanno insegnato quando ero piccolo e me lo trascino ancora oggi. E così sono partito con le migliori intenzioni. Coda per salire sulle mongolfiere di Peppa Pig. Coda per i Corsari. Coda per il Colorado Boat. Tutto molto bello. Poi qualcosa si è incrinato. Alle tre e mezza inoltrate ci spostiamo verso Kung Fu Panda Master. L'idea è anche di mangiare qualcosa. Purtroppo nei ristoranti più vicini non è rimasto più nemmeno un hot dog. E così ci accontentiamo di quattro porzioni di patatine fritte. Buonissime, va detto. Ma un po' pochine. Mentre mia moglie si mette in coda per salire a bordo del panda che fa arti marziali, affronto l'obiettivo della giornata: Jumanji. Un'impresa disperata, lo capisco sin dall'inizio. In coda si vocifera: "Ci sono due ore di attesa...". A malincuore, e con la coda tra le gambe, mi spingo verso l'ombrellone che smercia i salta-coda. Ce n'è uno davanti ad ogni attrazione. Il pass varia dai 5 agli 8 euro a testa. Quello di Jumanji costa 8, ovviamente. Totale per una famiglia di quattro persone: 32 euro. Per arrivare a comprare il salta coda mi sparo una coda di tre quarti d'ora sotto la pioggia. Il ché mi sembra un controsenso. Ma lo accetto perché, dopotutto, è l'ultima fatica della giornata. Dopo tre quarti d'ora, riesco finalmente a comprare il pass. Inserisco il codice nell'app Qoda che mi informa: "Il tuo turno è tra 57 minuti". Nel frattempo si sono fatte le cinque e mezza passate e mi accorgo che non c'è il tempo materiale. Ma ecco il coup de théâtre: a dispetto di quanto segnalato sul sito, il parco non chiude alle 18 ma alle 19. Bingo!

Ricontrollo l'app dopo mezz'ora e, proprio perché il tempo non esiste, l'attesa per l'ingresso a Jumanji è magicamente scesa ad appena tre minuti. Avverto mia moglie che si precipita scapicollandosi da Kung Fu Panda Master. "Eravamo a tanto così dal nostro turno...", mi dice. "Ma qui abbiamo pagato il salta coda", replico io con l'amaro in bocca. Mi accorgo di quanto sia tutto surreale. Quando sul cellulare spunta il QR Code, mi faccio largo tra le persone accalcate davanti alla mastodontica attrazione. Passiamo davanti a tutti quanti: a quelli che da due ore si bagnano in attesa del proprio turno e pure a quelli che si sono fatti il salta-coda ma che non hanno ancora il magico QR Code. "Entriamo, è fatta!", penso per la seconda volta nella giornata. E invece uno degli addetti punta il dito contro mia figlia, la più piccola, e dice: "Lei no!". Le mancano cinque centimetri di altezza. Il regolamento non lo permette. "Lei resta fuori". La bimba scoppia a piangere. Mi immolo. "Esco io", dico a mia moglie. Lei annuisce. Pure la primogenita attacca a piangere: avrebbe voluto fare la giostra tutti insieme. Mi fiondo all'info-point per avere i soldi indietro. Quando ho acquistato il salta-coda, nessuno mi ha informato del limite di altezza. Sono inflessibili: "Niente rimborsi, il regolamento non lo permette". Ne esco sconfitto, non solo da Jumanji. Ho la netta sensazione di aver perso una parte di me, il ricordo bellissimo di una cosa che ho sempre ritenuto divertente ma che probabilmente non rifarò più.

Giorgia Meloni deride il politicamente corretto: “Giustizialisti con gli italiani, garantisti con gli immigrati”. Il Tempo il 07 giugno 2022

Due casi con punti in comune trattati in modo diametralmente opposto. Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, se la prende con Repubblica per come ha scelto di descrivere gli episodi di presunte molestie durante il raduno degli alpini e quello occorso nei confronti di alcune ragazze italiane che tornavano da Peschiera del Garda, che hanno denunciato presunti episodi spiacevoli perpetrati da alcuni nord-africani: “Il fantastico mondo del politicamente corretto: giustizialisti con gli italiani, garantisti e buonisti con gli immigrati”. Il tutto corredato da due diversi titoli. 

La sfida tra Meloni e il quotidiano non è finita, con anche un altro post su Facebook di accusa: “Un branco di immigrati molesta sessualmente un gruppo di ragazzine sul treno? Colpa di chi ha affossato la legge Zan. Non capite il nesso? Neppure io, ma se lo scrive Repubblica sarà sicuramente vero…”.

Molestie, Giorgia Meloni sbugiarda la sinistra: “Cappa di silenzio, non vogliono mettere in cattiva luce gli immigrati”. Il Tempo il 05 giugno 2022

"Le donne bianche qui non salgono". Fa discutere l'episodio che hanno coinvolto sei ragazze che sarebbero state molestate a bordo del treno che le stava riportando a Milano dopo aver trascorso una giornata al parco divertimenti di Gardaland. Le ragazze sarebbero state “accerchiate, palpeggiate, molestate” da alcuni ragazzi nordafricani che avevano partecipato ad un raduno nella cittadina veneta.

Ad alzare la voce sull’accaduto è Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia: “Come per le abominevoli violenze di capodanno, anche sul gravissimo episodio avvenuto a Peschiera del Garda è calata una cappa di silenzio da parte di certa sinistra e delle femministe. Nessuna parola di sdegno, nessuna presa di posizione forte e decisa, probabilmente per paura di mettere in cattiva luce gli immigrati. Solidarietà alle giovani, costrette a subire questo episodio indegno per aver voluto passare una semplice giornata di svago al parco divertimenti.

Caccia al branco dei molestatori. Ma le femministe incolpano la destra. Cristina Bassi il 7 Giugno 2022 su Il Giornale.

La procura di Verona indaga sul rave "africano" di Peschiera e sull'aggressione alle ragazze avvenuta sul treno per Milano. Ma a sinistra si indignano per la "speculazione politica".

Risultano due fascicoli aperti dalla Procura di Verona sui fatti del 2 giugno sul lago di Garda. Uno per le risse e i danneggiamenti durante il rave sulla spiaggia tra Castelnuovo e Peschiera del Garda convocato su Tik Tok e uno per le molestie subite da almeno cinque ragazze minorenni sul treno regionale che tornava a Milano. Non ci sono per ora indagati, ma una trentina di giovanissimi sarebbero nel mirino degli inquirenti, individuati grazie ai molti video di quella giornata postati sui social, ai filmati di sorveglianza (anche se il convoglio non aveva telecamere) e alle testimonianze.

Le giovani vittime, di 16 e 17 anni, hanno descritto alcuni degli aggressori che nella calca del treno le hanno accerchiate, insultate e palpeggiate. In tutto, hanno messo a verbale nelle denunce fatte alla Polfer di Milano, un centinaio di ragazzi in gran parte minorenni o poco più grandi e «per la maggior parte nordafricani». I provocatori dei disordini al lago, dove è dovuta intervenire la Celere in assetto anti sommossa, sarebbero gli stessi che a centinaia hanno preso d'assalto il convoglio per rientrare a Milano. E milanesi o lombardi sarebbero i molestatori. Si tratterebbe di giovani stranieri di seconda generazione. Il raduno fuorilegge si chiamava «L'Africa a Peschiera», molti dei 2.500 partecipanti avevano bandiere di Paesi africani e «Questa è Africa, siamo venuti a conquistare Peschiera» è stato il grido rivolto al sindaco di Castelnuovo del Garda, Giovanni Dal Cero, intervenuto quando la situazione è andata fuori controllo. Non solo. Le adolescenti molestate hanno riferito frasi come «le donne bianche non salgono su questo treno». Le vittime del branco, che tornavano da una gita a Gardaland, sono riuscite a scendere a Desenzano grazie all'aiuto di un passeggero, anche lui un giovane straniero.

Il sindaco di Peschiera, Orietta Gaiulli, aveva lanciato già il 30 maggio un allarme per possibili problemi di ordine pubblico nelle zone vicine dopo aver visto post e video social che annunciavano il rave, lo ha scritto in una lettera al governo, al prefetto, al questore e al comandante provinciale dei carabinieri di Verona. Il primo cittadino ora chiede «le dimissioni di coloro che non hanno dato ascolto alla mia richiesta di aiuto, superficialità che ha cagionato gli eventi del 2 giugno a Peschiera del Garda».

Intanto sui fatti del Garda tiene banco la polemica politica. Dopo i rilievi di alcuni esponenti di centrodestra, con Giorgia Meloni in testa, sul silenzio o basso profilo delle femministe e della sinistra sulle molestie del treno. Michela Marzano, filosofa e docente universitaria, scrive su Repubblica che «la violenza è sempre inaccettabile. Ma c'è un immancabile «ma». E chi sono i «principali promotori» della «cultura dello stupro»? Coloro che (a destra naturalmente) hanno affossato il ddl Zan e fatto «la morale» alla sinistra, «alimentando l'odio e la violenza». La senatrice del Pd Valeria Valente, presidente della Commissione femminicidio aggiunge: «Ciò che è accaduto è un fatto gravissimo. Siamo vicini alle ragazze e alle loro famiglie», tuttavia «ciò che mi indigna è la speculazione politica» e la «indignazione propagandistica». L'immigrazione «c'entra poco», continua e chiede di approvare il «disegno di legge per istituire il reato di molestie sessuali, fermo nelle commissioni Giustizia e Lavoro al Senato». Mentre Debora Serracchiani, capogruppo del Pd alla Camera: «La violenza contro le donne è inaccettabile. Sempre. Non importa chi la esercita». E la senatrice dem Valeria Fedeli accomuna «la vicenda degli alpini e quella recente di Peschiera del Garda». Poi: «La destra non strumentalizzi la gravità della cronaca per fini elettorali». Torna sulla condanna senza benaltrismo il governatore del Veneto, Luca Zaia a Tgr 24: «È stata una devastazione, sono stati atti delinquenziali che devono essere puniti senza se e senza ma». Occorre «abbassare la soglia di età per la punibilità» e uscire dall'idea che l'Italia sia «diventato il Bengodi dell'impunibilità».

Chiama studentesse 'orsacchiotte', prof indagato per molestie. ANSA il 10 maggio 2022.

Un professore in servizio in un istituto superiore di Lecce è indagato per molestie. Nei suoi confronti l'istituto ha avviato un procedimento disciplinare. L'inchiesta è nata da un esposto in Procura presentato dalla dirigente dell'istituto sulla base del racconto messo nero su bianco da due studentesse 16enni. Le giovani avrebbero raccontato e poi scritto alla dirigente che il professore le chiamava 'orsacchiotte' e si rivolgeva loro con termini particolarmente affettuosi. Ieri c'è stato l'incidente probatorio, davanti alla pm Simona Rizzo, al quale ha partecipato una delle due studentesse che, pur confermando quanto detto alla dirigente, avrebbe detto di non essersi sentita né umiliata né molestata dagli atteggiamenti del professore. L'avvocato Fabio Zecca, legale difensore del professore, precisa di aver chiesto alla dirigente dell'istituto di trasferire il docente dalla classe in cui sono stati denunciati i fatti ma la dirigente avrebbe risposto che al momento non ci sono ragioni per interrompere il suo percorso didattico. (ANSA).

Lecce, chiama studentesse orsacchiotte: prof indagato per molestie. In Salento, inchiesta scaturita dopo racconto di due 16enni. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 10 Maggio 2022.

LECCE - Un professore in servizio in un istituto superiore di Lecce è indagato per molestie. Nei suoi confronti l’istituto ha avviato un procedimento disciplinare. L'inchiesta è nata da un esposto in Procura presentato dalla dirigente dell’istituto sulla base del racconto messo nero su bianco da due studentesse 16enni.

Le giovani avrebbero raccontato e poi scritto alla dirigente che il professore le chiamava 'orsacchiotte' e si rivolgeva loro con termini particolarmente affettuosi. Ieri c'è stato l’incidente probatorio, davanti alla pm Simona Rizzo, al quale ha partecipato una delle due studentesse che, pur confermando quanto detto alla dirigente, avrebbe detto di non essersi sentita né umiliata né molestata dagli atteggiamenti del professore. L’avvocato Fabio Zecca, legale difensore del professore, precisa di aver chiesto alla dirigente dell’istituto di trasferire il docente dalla classe in cui sono stati denunciati i fatti ma la dirigente avrebbe risposto che al momento non ci sono ragioni per interrompere il suo percorso didattico.

"Ci chiamava orsacchiotte". Il prof finisce indagato per molestie. Marco Leardi il 10 Maggio 2022 su Il Giornale.

Il docente denunciato dalla preside dopo le testimonianze di due alunne. Una di esse, ascoltata dal gip, avrebbe però negato di essersi sentita molestata.

Parole, allusioni, gesti. Attenzioni affettuose per le sue "orsacchiotte", soprannome che un professore in servizio a Lecce avrebbe utilizzato per rivolgersi alle studentesse. Semplici atteggiamenti confidenziali o forse altro, chissà. Le testimonianze messe nero su bianco da due alunne 16enni sono arrivate tra le mani della dirigente scolastica dell'istituto superiore salentino, la quale ha denunciato il docente. Sulla base di quell'esposto presentato, ora l'uomo si ritrova sotto inchiesta con le accuse di atti osceni e molestie.

La vicenda ha contorni ancora tutti da definire, attività alla quale si sta dedicando la procura. Secondo quanto si apprende, gli episodi contestati al professore sarebbero avvenuti nella prima parte dell'anno scolastico 2021-2022, per la precisione tra ottobre e dicembre. Stando alla versione offerta dalle alunne, il docente si sarebbe lasciato andare ad atteggiamenti ambigui nei confronti delle ragazze durante le ore di lezione. Avrebbe rivolto loro anche battute allusive e maliziose davanti al resto della classe. Atteggiamenti che, secondo le accuse, si sarebbero ripetuti più volte.

Le voci sulle presunte licenziosità del professore erano arrivate sino alla preside, la quale senza troppi indugi si era recata in procura per sporgere una denuncia. Ora, però, gli inquirenti dovranno cercare gli effettivi riscontri alle dichiarazioni delle studentesse. Una delle allieve è stata già sentita nel corso dell'incidente probatorio davanti alla giudice per le indagini preliminari, Laura Liguori, alla presenza della pm e di una psicologa che dovrà stilare una relazione finale sull'attendibilità delle testimonianze. Secondo quanto riporta l'Ansa, tuttavia, la ragazza ascoltata - pur confermando quanto riferito alla dirigente - avrebbe detto di non essersi sentita né umiliata né molestata dagli atteggiamenti del professore. L'incidente probatorio proseguirà il 20 giugno, quando sarà sentita un'altra studentessa.

Intanto il docente finito sotto indagine si dichiara sereno e certo di poter dimostrare la propria estraneità alle accuse ricevute. L'insegnante, scrive Repubblica, ha piuttosto definito l'accaduto come una ripicca della dirigente nei suoi riguardi per presunti contrasti che andavano avanti da tempo. Fabio Zecca, avvocato del professore, ha chiesto che il proprio assistito venga trasferito in un'altra classe, ma ancora non è chiaro se ciò accadrà o meno. Secondo quanto si apprende, al momento il prof continua regolarmente a insegnare.

Le parole affettuose, i soprannomi e le attenzioni - ha sostenuto il docente - avrebbero rappresentato un modo più confidenziale di insegnare. Un approccio, a suo giudizio, completamente frainteso.

Lo studente e la preside del Montale di Roma, il racconto del ragazzo: “Mi provocava di continuo non sapevo come uscirne”. Ma lei nega la love story. Valentina Lupia su La Repubblica il 30 Marzo 2022.

Per settimane a scuola si sono ricorse le voci, poi il 18enne ha raccontato tutto ai professori. La docente Sabrina Quaresima: “Mi vogliono rovinare”.

"Lei mi convocava a scuola fuori dall'orario delle lezioni, mi chiedeva cosa dovesse indossare il giorno dopo. Abbiamo avuto un rapporto sessuale in macchina in un parcheggio sotto i palazzi. A un certo punto non sapevo più come uscirne, non riuscivo a troncare. E la situazione mi è sfuggita di mano".

Eccole qui le parole scelte da Francesco (il nome è di fantasia), studente maggiorenne del liceo Montale di Roma, per raccontare la sua storia d'amore e ossessione con Sabrina Quaresima, 50 anni, la preside della sua scuola.

"Mi provocava, quel rapporto...". E spunta una chat tra studente e la preside. Marco Leardi il 30 Marzo 2022 su Il Giornale.

All'attenzione degli ispettori i particolari forniti dallo studente sulla presunta relazione con la preside. "Non sapevo più come uscirne". La dirigente, che rischia il licenziamento, si difende: "Vogliono colpirmi".

Lo scandalo si allarga, arricchendosi di pruriginosi dettagli. Nel caso della presunta relazione tra Sabrina Quaresima, la preside del liceo Montale di Roma, e un suo alunno, ora, trovano spazio alcune scottanti rivelazioni. Non più semplici pettegolezzi, ma testimonianze che lo studente al centro della vicenda avrebbe reso, scendendo nei particolari. Anche intimi. E poi c'è una chat, una conversazione che non solo testimonierebbe i contatti tra i due, ma offrirebbe anche elementi per comprendere l'intensità di quel rapporto finito sotto la lente degli ispettori.

Secondo alcune ricostruzioni, i primi avvicinamenti tra la dirigente scolastica e il 19enne si sarebbero registrati a metà dicembre, durante i giorni delle occupazioni studentesche. Sarebbero poi seguite delle avances, sempre più esplicite, sino al retroscena che lo stesso ragazzo avrebbe svelato: "Abbiamo avuto un rapporto sessuale". I dettagli della presunta relazione sono contenuti - secondo quanto scrive Repubblica - nelle carte dell'indagine avviata sul caso dall'Ufficio scolastico regionale del Lazio. Nella documentazione in mano agli ispettori, visionata e riporatata in alcuni stralci dal quotidiano, lo studente avrebbe raccontato: "Lei mi convocava a scuola fuori dall'orario delle lezioni, mi chiedeva cosa dovesse indossare il giorno dopo. Abbiamo avuto un rapporto sessuale in macchina in un parcheggio sotto i palazzi. A un certo punto non sapevo più come uscirne, non riuscivo a troncare. E la situazione mi è sfuggita di mano".

Dopo un iniziale e più formale scambio di mail, i contatti con il ragazzo (già maggiorenne) sarebbero proseguiti su Whatsapp. E proprio una chat intercorsa tra i due sarebbe ora diventata un elemento cruciale per fare chiarezza sui contorni della vicenda. Come riporta il Corriere, è infatti spuntato uno scambio di messaggi nel quale il 19enne faceva complimenti alla dirigente scolastica e si spingeva in confidenze più intime di quelle che si potrebbero immaginare nel rapporto tra uno studente e la preside. Quest'ultima, spaventata dalla possibilità di essere sottoposta a procedimento disciplinare, avrebbe cancellato quelle conversazioni, conservate invece dal ragazzo. I contenuti della chat potrebbero mettere nei guai la donna nel suo ruolo di dipendente pubblico: nel codice di comportamento si specifica infatti che il dipendente "evita situazioni e comportamenti che possano ostacolare il corretto adempimento dei compiti o nuocere agli interessi o all'immagine della pubblica amministrazione"

La preside - avrebbe aggiunto il liceale nelle sue rivelazioni - "mi chiedeva consiglio su cosa indossare oppure cosa stessi guardando in tv". Poi l'approccio si sarebbe fatto più esplicito con gesti come "un abbraccio, una carezza sui capelli". Le ricostruzioni, a questo punto, vertono sulla versione offerta da alcuni studenti dichiaratisi al corrente di dettagli sul caso. Alcuni di loro, ascoltati da Repubblica, hanno affermato di aver visionato un messaggio scritto dalla preside al loro coetaneo. "Se ti do un indirizzo, te mi raggiungi là?", avrebbe scritto al 18enne la donna. Il giovane protagonista della vicenda avrebbe accettato: il tempo di avvertire gli amici "ed ero già in macchina a 130 verso Roma est". Secondo quanto raccontato dal ragazzo, i due avrebbero avuto un "rapporto sessuale completo, nella macchina della preside". Durante l'atto sarebbe anche arrivata una chiamata del marito, avrebbe rivelato lo studente agli amici.

Qualora venisse verificata proprio in questi termini, la vicenda non costituirebbe reato: entrambi i protagonisti erano infatti maggiorenni e consenzienti. Ma i fatti, se accertati, potrebbero portare al licenziamento della preside, che intanto si è sfogata così: "Sono sconvolta, pensavo che una sciocchezza del genere morisse così com'era nata, e invece è stata ingigantita oltre misura: è evidente che mi hanno voluto fare del male". Interpellata dal Corriere, la donna ha aggiunto: "Io sono felicemente sposata con un uomo meraviglioso, ma sono una donna di bell'aspetto: e purtroppo temo che qualcuno possa pensar male. Ma sono serissima, mi è costato tanto arrivare qui, e sono nell'anno di prova. Qualcuno avrà pensato che in un attimo poteva farmi cacciare". Domani verrà ascoltata dall'ispettrice regionale.

Valentina Santarpia per corriere.it il 30 marzo 2022.

Una chat su WhatsApp: ecco cosa potrebbe essere al centro delle accuse che hanno travolto la dirigente del liceo Montale di Roma, Sabrina Quaresima, 50 anni a dicembre, neo assunta nell’ultimo concorso e sospettata di avere avuto una relazione con uno studente dell’ultimo anno. La dirigente, che smentisce tutto e si dice pronta ad adire alle vie legali per tutelarsi, domani dovrà parlare con l’ispettrice dell’ufficio scolastico regionale per chiarire la vicenda. 

Ma intanto emergono particolari su cosa avrebbe fomentato le voci di un suo rapporto privilegiato con il ragazzo. Una chat, appunto, in cui il diciannovenne le faceva complimenti e si spingeva in confidenze molto più intime di quelle immaginabili e consentite tra una preside e uno studente, anche alla luce del codice di comportamento dei dipendenti pubblici che specifica che il dipendente «non assume nessun altro comportamento che possa nuocere all’immagine dell’amministrazione». 

La preside, spaventata dalla possibilità di essere sottoposta a procedimento disciplinare, avrebbe cancellato quelle conversazioni. Mentre il ragazzo le avrebbe conservate: e ora proprio quelle chat potrebbero diventare un elemento cruciale per stabilire fino a che punto si fosse spinto il rapporto cordiale con lo studente. 

La dirigente non nega di conoscerlo, racconta con tranquillità le circostanze in cui sono entrati in confidenza: quando c’è stata l’occupazione, lui era uno dei rappresentanti di istituto, e lei parlava con lui per le trattative.

È stato proprio lui ad accompagnarla al commissariato a presentare la denuncia perché i locali scolastici erano occupati, con la sua macchina. «Ma c’era un genitore lì ad aspettarci, e non c’era niente di sospetto», ripete lei. Ma dopo quell’episodio il rapporto tra la preside e lo studente sarebbe diventato più stretto: lui le avrebbe confidato i suoi sogni, lei lo avrebbe incoraggiato. Niente di strano, cose che succedono tutti i giorni tra insegnanti e studenti tra cui si instaura un rapporto di fiducia. Purché, appunto, i rapporti non travalichino. 

Il codice disciplinare per i dirigenti scolastici prevede una multa fino a 500 euro in caso di «condotta, negli ambienti di lavoro, non conforme ai principi di correttezza verso i componenti degli organi di vertice dell’amministrazione, gli altri dirigenti, i dipendenti o nei confronti degli utenti o terzi», e la sospensione dal servizio fino a sei mesi per «qualsiasi comportamento dal quale sia derivato grave danno all’amministrazione o a terzi». Ma, essendo la preside nel corso del suo anno di prova, le conseguenze potrebbero essere più pesanti.

Camilla Mozzetti per “il Messaggero” il 30 marzo 2022.

«Non c'è proprio nessuna storia, io non do adito ai gossip». È perentoria Sabrina Quaresima, preside del liceo Classico Eugenio Montale nel respingere le accuse che le vengono mosse: avere avuto una relazione con uno studente (maggiorenne) della scuola. 

Preside Quaresima, pare che l'Ufficio scolastico regionale abbia disposto un'ispezione a suo carico.

«Sono a conoscenza del fatto ma non mi aspettavo tutto questo, cioè questa persona non ha detto di aver ricevuto delle minacce se non faceva una cosa o un'altra».

 Ma scusi allora questo ragazzo che le ha chiesto?

«Non mi ha chiesto nulla, non ho nulla da dire, è una persona che ha cambiato completamente il suo atteggiamento. Non mi è stata rivolta nessuna accusa non capisco di cosa devo rispondere, non mi sono appropriata di beni dello Stato». 

Qui è in discussione il suo atteggiamento nei confronti di uno studente. Si parla di una relazione sentimentale tra di voi.

«Non c'è nessuna relazione, questo è un gossip. Stop. Qui si sta facendo un processo sommario non so bene a cosa. Ci sono altri motivi secondo me che si celano dietro alla vicenda». 

E quali sono questi motivi?

«Li affronterò a tempo debito». 

Lei dirige il Montale da settembre. Dietro questa storia secondo lei potrebbe esserci il tentativo di qualcuno di screditarla o di colpirla? Lei ha anche destituito il vicepreside.

«Lo posso pensare ma non ho nessun dato per poterlo affermare. Può essere un motivo per come si sta cavalcando questa faccenda. Non mi è stato mai addebitato nulla neanche da parte della famiglia di questo ragazzo, quindi per me è un gossip». 

Ma lei questo ragazzo lo ha frequentato fuori scuola?

«No, assolutamente». 

Neanche un caffè al bar, una passeggiata insieme?

«Un caffè al bar, di fronte scuola, sotto gli occhi di tutti durante l'occupazione in sede centrale. Era dicembre e non c'è stato nessun caffè appartato». 

Quindi non l'ha mai frequentato fuori dall'ambiente scolastico.

«No, non ce n'era nessun motivo». 

E questo scambio epistolare? Si parla anche di e-mail e messaggi che vi sareste mandati.

«Le ripeto: non ho nulla da aggiungere». 

Magari a volte capita che si instauri un rapporto tra un preside o un professore e uno studente anche solo per supporto o aiuto.

«Non c'è nessuna relazione né di tipo amoroso né sentimentale. Sono una persona seria e tengo molto al mio lavoro, purtroppo non sono capitata in un ambiente buono ma io continuo a portare avanti il mio lavoro, tranquillamente. Se mi verranno poste delle domande risponderò ma non ho null'altro da dire su questa faccenda». 

Lei in cosa è laureata?

«Sono una docente di Filosofia, Storia e Scienze umane e sono laureata in Pedagogia e Scienze della formazione primaria. Rimango semplicemente basita da tutto questo». 

In queste ore ha avuto modo di parlare con la famiglia del ragazzo o con il ragazzo stesso?

«La famiglia non ha cercato nessun contatto con me e io non l'ho cercato con loro perché non devo giustificarmi di nulla». 

Queste voci della presunta relazione tra lei e il ragazzo sono dilagate nella scuola.

«Andrò a fondo su chi ha messo in giro queste voci. A mio avviso non si possono dire cose su un sentito dire, lo reputo molto discutibile».

Magari qualcuno può aver frainteso un suo comportamento, un'apertura nei confronti del ragazzo?

«Io non ho mai avuto un atteggiamento se non di cordialità». 

Con lui come con tutti gli studenti?

«Con tutti quanti, gli studenti sanno che la mia porta è aperta e possono venire da me per qualsiasi cosa». 

E questo ragazzo si è mai rivolto a lei per una richiesta d'aiuto, un supporto, un consiglio?

«Ha interagito con me come tutti gli altri». 

Ma non tutti gli studenti si recano dal preside se non per un preciso motivo.

«Quando ho conosciuto lo studente era in surroga al consiglio come rappresentante di Istituto, l'ho conosciuto per questo poi quando ci sono state le elezioni il ragazzo non è stato rieletto». 

E può aver montato una storia con gli amici anche a fronte della mancata rielezione nel consiglio di Istituto?

«Certo che può essere accaduto ma io questo non lo so, tutto può essere. Non so cosa possa passare nella testa degli altri. Il ragazzo ha dei buoni voti, oscilla come media tra l'8 e il 9, questo però non si accompagna sempre ad una maturità psicologica. Lei sa bene che si vive molto sui social, l'adolescenza è un'età critica. Poi se mi vede sono una persona di bell'aspetto, molto curata». 

Lei è sposata preside, ha un compagno?

 «Sono felicemente sposata con un uomo che adoro e che mi adora». 

Questo studente le ha mai fatto delle avance?

«Non voglio dire nulla e non voglio dare adito a nessun pettegolezzo. Avevo stima di questo ragazzo perché quando si interloquiva percepivo una certa intelligenza e questo fa sempre piacere perché i ragazzi vengono da un periodo difficile indotto dalla pandemia. Se ne devo parlare da un punto di vista scolastico, non posso dire che sia un cattivo studente ma questo riguarda la didattica e non la sua personalità».

Valentina Lupia per la Repubblica il 30 marzo 2022.

"Lei mi convocava a scuola fuori dall'orario delle lezioni, mi chiedeva cosa dovesse indossare il giorno dopo. Abbiamo avuto un rapporto sessuale in macchina in un parcheggio sotto i palazzi. A un certo punto non sapevo più come uscirne, non riuscivo a troncare. E la situazione mi è sfuggita di mano". 

Eccole qui le parole scelte da Francesco (il nome è di fantasia), studente maggiorenne del liceo Montale di Roma, per raccontare la sua storia d'amore e ossessione con Sabrina Quaresima, 50 anni, la preside della sua scuola. I fatti li ha riportati Repubblica, rivelando l'ispezione dell'Ufficio scolastico regionale del Lazio circa una relazione impropria tra la dirigente scolastica e il ragazzo. Ora quel racconto, che il nostro giornale ha potuto leggere, è finito nell'indagine. E rischia di costare il licenziamento alla donna, qualora la relazione venisse confermata.

I primi contatti tra i due si sarebbero registrati a metà dicembre, quando il liceo - il settimo migliore linguistico di Roma secondo la classifica Eduscopio della Fondazione Agnelli - è stato occupato dagli studenti. Durante quel periodo la dirigente aveva cominciato ad intrattenere con il ragazzo una corrispondenza via mail. Di lì ai messaggi su WhatsApp il passo è stato breve.

Poi "i primi segnali", come li ha definiti il ragazzo col gruppetto di amici fedeli al quale andava a raccontare ogni dettaglio della presunta love story. "Mi chiedeva consiglio su cosa indossare oppure cosa stessi guardando in tv". Poi le avances da parte della preside sarebbero diventati sempre più frequenti ed espliciti, "un abbraccio, una carezza sui capelli", gesti del genere. 

Fino a un messaggio inequivocabile, rimasto limpido nella mente degli studenti che hanno avuto modo di visionarlo e che l'hanno riportato a Repubblica: "Se ti do un indirizzo, te mi raggiungi là?", avrebbe scritto al 18enne la "ds", cioè dirigente scolastico. "Lei si firmava così". 

Il tempo di avvertire gli amici "ed ero già in macchina a 130 (chilometri orari, ndr) verso Roma est". I due, accusa il giovane, si sarebbero appartati "sotto a dei palazzi" e lì, in macchina, avrebbero avuto un "rapporto sessuale completo, nella macchina della preside". Durante l'atto "è anche arrivata una chiamata del marito", ha svelato qualche ora dopo il giovane ai compagni.

La dirigente, contattata da Repubblica, nega tutto. "Ero a conoscenza delle voci messe in giro dal giovane, che comunque è maggiorenne", sottolinea la preside. Nessun reato, quindi, anche se la relazione venisse confermata. Ma dalla sanzione disciplinare, forse anche dal licenziamento, sarebbe difficile scappare. 

La sanzione più pesante, secondo la dirigente, è ciò a cui mirano alcuni docenti: "È evidente che qualcuno non mi voglia qui a scuola". Un complotto, in sostanza, per tentare di mandarla via proprio nell'anno della neo-immissione in ruolo. Potrebbe partire, secondo lei, da un gruppetto di docenti e dai suoi due collaboratori, destituiti una ieri e l'altro pochi giorni fa. 

Per gli studenti la versione della preside non regge. Per questo nelle scorse settimane sui muri rosso scuro della scuola sono comparse frasi allusive: "Il tuo silenzio parla per te", "La laurea in pedagogia l'hai presa troppo seriamente", "Chi sa deve agire". 

Di certo la timeline della presunta love story era sulla bocca di tutti. Una chiamata sarebbe addirittura partita da un liceo vicino, il Malpighi, scientifico, per raccontare delle voci che man mano si stavano diffondendo a macchia d'olio fino ad arrivare alle orecchie di alcuni consiglieri del municipio XII, quello in cui ricade il quartiere di Bravetta.

Ma nessuno, almeno fino a pochi giorni fa, si era spinto fino a una segnalazione. La relazione tra i due sarebbe andata avanti all'incirca un mese, chiudendosi a inizio febbraio. Non senza qualche difficoltà: "A un certo punto io non riuscivo a tagliare", ha raccontato il ragazzo ai compagni di classe, che a loro volta l'hanno riportato ai bidelli. Poi il giovane si è confidato con una docente, infine è stato ricevuto dai vicepresidi, dai quali è tornato per una seconda volta insieme ai genitori. 

Tra gli elementi che l'ispezione avrà da accertare, ieri all'uscita di scuola ne è spuntato un altro: gli studenti hanno accusato la preside di aver accolto in casa altri ragazzi. Un fatto del quale i docenti sarebbero totalmente all'oscuro, ma che si aggiunge a una lunga lista di dettagli da verificare. A partire dalle prove in possesso del ragazzo: "Lei ha preteso che io cancellassi dei messaggi davanti a lei, ma qualcosa ho tenuto". Prove grazie alle quali l'indagine potrebbe chiudersi nel giro di pochi giorni.

Romina Marceca per “la Repubblica” il 30 marzo 2022.

Francesco, nome rigorosamente di fantasia, scappa da un'uscita laterale del liceo, ha il passo veloce. Evita il gruppo di giornalisti sperando di passare inosservato. E quando viene raggiunto dice: «Non voglio lasciare dichiarazioni». Cammina a testa bassa, cartella a tracolla, tuta grigia. È un ragazzo alto, biondo, occhi chiari. È lo studente di 18 anni che avrebbe avuto una relazione con la dirigente scolastica, 32 anni più grande di lui. 

Uno scandalo che nei corridoi ha iniziato a diffondersi a febbraio, nei giorni in cui la professoressa era a casa con il Covid. Francesco si lascia la scuola alle spalle all'ora di pranzo mentre le quinte classi si avvicinano al cancello rosso di via di Barretta. È la fine delle lezioni. 

Sul viso degli studenti c'è preoccupazione. Non sono giorni sereni. I loro nomi sono tutti inventati perché tra i ragazzi c'è il timore di « ritorsioni da parte della dirigente». I docenti restano muti, non vogliono commentare: « Non è questa la sede » . Tra una sigaretta rullata e un'altra Martina dice: « Non ce la saremmo mai aspettata una cosa del genere. Siamo sconvolti. 

Eravamo certi che si sarebbe dimessa. E, invece, lei è ancora qua. Non ha etica, non la vogliamo. Temiamo che possa accadere di nuovo. Ha fatto apprezzamenti anche su altri ragazzi. Noi siamo vicini al nostro compagno, non è stato abbandonato». 

La notizia finita sui giornali ha fatto ripiombare la scuola in quel gossip fino ad ora rimasto dentro le mura dell'istituto e nelle chat. Da qualche settimana il soprannome della prof è " Sabrinona". Lei resta barricata nel suo ufficio al primo piano, non riceve nessuno. Da poche ore è arrivata l'ispettrice dell'ufficio regionale scolastico.

« È stata sempre rigida con noi ragazze soprattutto sul dress- code racconta Vittoria accanto alla cancellata di scuola - tanto che un giorno ha tirato giù la maglietta di una nostra compagna. Diceva che era troppo corta. Però lei si presenta con le gonne bianche attraverso le quali si intravede tutto. Per non parlare delle scollature generose». 

L'occupazione del Montale è scattata proprio per quelle regole rigide. « Appariscente, disinibita, e che spesso rivolge apprezzamenti ai suoi studenti, tipo "Che bel ragazzo che sei". Il " tu" per lei è normale. Non riesco a riconoscerla come un'autorità. E se fosse succeso il contrario? Un dirigente con una studentessa? Sarebbe scoppiato uno scandalo ancora più grosso. 

Invece, il ragazzo che si fa la prof viene considerato da alcuni come un vanto. Fa rabbia » , aggiunge Francesca, gli occhi cerchiati dall'eyeliner. I liceali continuano a sfilare sullo spiazzo con i pini e il prato verde. Sulla facciata della scuola, sopra l'entrata bianca del liceo c'è una scritta con lo spray rosso: « Chiudendoci in classe non sopprimi le voci » . È apparsa dopo che quel rapporto proibito è finito di bocca in bocca. « Lei ha detto sempre " No comment" e ha fatto cancellare le frasi - Giulia indica i muri rosso bordeaux - per denunciare questa grave situazione » . « Il Montale sa» e poi «Il Montale sa e non dimentica » e «Il tuo silenzio parla per te».

Tra gli studenti delle quinte classi c'è una sola speranza: «Che sia vero o no, che venga fatta chiarezza al più presto. Speriamo che l'ufficio regionale faccia gli accertamenti » . Il rammarico di Valentina mentre va via da scuola è che «adesso siamo famosi per questo e non perché siamo il settimo liceo migliore di Roma».

Sabrina Quaresima, la preside liceo Montale di Roma, accusata di avere una relazione con lo studente: «Hanno voluto colpirmi».  Valentina Santarpia su Il Corriere della Sera il 29 Marzo 2022.

Sabrina Quaresima: «I collaboratori poco affidabili hanno fomentato un gossip per mettermi in difficoltà. Sono nell'anno di prova e potrei essere cacciata». Inviata una ispezione dell'ufficio scolastico regionale. 

«Sono sconvolta, pensavo che una sciocchezza del genere morisse così com'era nata, e invece è stata ingigantita oltre misura: è evidente che mi hanno voluto fare del male»: è annichilita la preside del liceo Montale di Roma, Sabrina Quaresima, classe '72, accusata di aver avuto una relazione sentimentale con uno studente. L'ufficio scolastico regionale ha fatto partire un'ispezione per una verifica formale dopo le voci che si rincorrevano e le scritte apparse sui muri. Ma lei ha già contattato un avvocato per difendersi da quelle che definisce «cattiverie».

Conosce il ragazzo che avrebbe denunciato la relazione?

«Certo, chiariamo subito che non è un ragazzino, ha 19 anni, sta per prendere la maturità. E quando l'ho conosciuto era rappresentante di istituto in surroga, perciò abbiamo parlato diverse volte durante il periodo dell'occupazione. Mi ha accompagnato con la sua macchina al commissariato di Monteverde per fare la denuncia, e lì ci aspettava anche un rappresentante dei genitori. Ho avuto con lui un rapporto cordiale e aperto, come con tutti: la mia porta è sempre aperta».

Da dove sono nate allora le voci di una relazione?

«Forse lui le ha messe in giro per vantarsi con gli amici? Non lo so, ma qualcuno poi può aver fomentato la cosa. Ma non c'è stato nulla di nulla con il ragazzo, posso giurarlo davanti a chiunque. Mi sono rivolta ad un legale e chiarirò tutto anche con l'ufficio scolastico regionale ma in questa scuola non mi hanno mai visto di buon occhio, fin dal primo momento. Il sistema su cui si reggeva l‘istituto scolastico non mi convinceva. Ma all'inizio non ho cambiato l’assetto perché volevo prima rendermi conto della situazione generale. Ho sbagliato».

Lei aveva recentemente rimosso il vicepreside?

«Il primo collaboratore, per la precisione. Lui e l'altra collaboratrice gestivano tutte le pratiche, che io ho avocato a me perché volevo controllare la situazione. Erano dei filtri, diciamo così. Ma io non volevo lasciare loro a organizzare tutto, volevo capire. Questa scelta forse non è piaciuta, e quando mi sono decisa a sostituirlo, mi sono ritrovata in una situazione che non mi piaceva».

Un clima di disagio?

«Si, ma non posso fare collegamenti precisi. Infatti non volevo parlare con nessuno perché mi dovrò difendere attraverso le vie legali e gli accertamenti amministrativi. Devo andarci coi piedi di piombo. Però sono amareggiata. Sono una professionista, avevo preso quest'incarico con grande entusiasmo, convinta di poter fare bene e cambiare un po’ le cose. Invece mi sono trovata di fronte a retaggi difficili da modificare».

I genitori del ragazzo l'hanno contattata?

«No, mai. I genitori del comitato, che si sta costituendo, invece sono venuti a parlarmi e mi hanno dato il loro appoggio».

I docenti come hanno reagito?

«Molti sono dalla mia parte e sono venuti a portarmi la loro solidarietà e il loro sostegno».

Perché non ha denunciato quando sono apparse le frasi sui muri? I ragazzi hanno scritto cose del tipo «La laurea in pedagogia l'ha presa troppo seriamente», «Il Montale sa e non dimentica», «Puoi chiuderci in classe ma non spegnere le voci».

«All'inizio non ho denunciato, erano frasi così generiche e non volevo dare tanta importanza ad un gossip. Alla terza scritta ho denunciato alla Procura, si tratta di un bene dello Stato e non potevo permettere che venisse deturpato: ma se restavo zitta era perché non aveva senso giustificarmi per qualcosa che non era successo, significava ammettere una colpa che non avevo».

Come pensa che sia nato questo putiferio?

«Io sono felicemente sposata con un uomo meraviglioso, ma sono una donna di bell'aspetto, abbastanza giovane, sono del '72, e curata: e purtroppo capisco che qualcuno possa pensar male. Ma sono serissima, mi è costato tanto arrivare qui, e sono nell'anno di prova: qualcuno ha pensato che in un attimo poteva farmi cacciare. Giovedì vedrò l'ispettrice regionale, spero davvero di poter chiarire tutto».

Da bari.repubblica.it il 23 marzo 2022.

Avrebbe solo in parte confermato di aver ricevuto dal suo professore, il docente del dipartimento di Giurisprudenza dell'Università Aldo Moro di Bari Fabrizio Volpe, richieste di prestazioni sessuali "sotto la minaccia implicita - ricostruisce la Procura nell'imputazione - di subire conseguenze negative durante un esame". 

Una delle presunte vittime del docente ha testimoniato in aula nella prima udienza dibattimentale del processo in corso dinanzi al Tribunale di Bari, nel quale Volpe è imputato per concussione e violenza sessuale aggravata nei confronti di una studentessa, commessi tra il 2014 e il 2015, e per una tentata concussione nei confronti di un'altra, risalente al 2011. 

Quest'ultima, non costituita parte civile, è stata la prima testimone del processo. Davanti ai giudici ha ripercorso la vicenda, avvenuta più di dieci anni fa, rispondendo alle domande di accusa e difesa sui presunti approcci sessuali del professore, durante i colloqui di preparazione ad un esame. 

L'udienza si è celebrata a porte chiuse. I difensori, gli avvocati Angelo Loizzi e Elio Addante ritengono che "senza entrare nel merito delle dichiarazioni rese, è emersa la inaffidabilità della testimonianza".

Nella prossima udienza, il 21 aprile, saranno sentiti i carabinieri che hanno svolto le indagini delegate dal pm Marco D'Agostino e il 19 maggio toccherà alla teste chiave del processo, la studentessa che ha denunciato il docente e che si è costituita parte civile. Secondo l'accusa la donna, all'epoca 23enne, avrebbe subito atti sessuali e anche la richiesta di denaro per non ostacolare il suo percorso di studi. Il professor Volpe, inizialmente sospeso dall'Università, è stato reintegrato nei mesi scorsi su decisione del Tar.

Su Whatsapp la relazione fra la preside Sabrina Quaresima e il suo studente: oggi l’ispezione al liceo Montale. Camilla Palladino, Valentina Santarpia su Il Corriere della Sera il 31 Marzo 2022.

La dirigente nega. Oggi l’ispezione dell’ufficio scolastico regionale al liceo Montale per chiarire la vicenda. 

Una chat su WhatsApp: ecco l’elemento che potrebbe diventare cruciale nella vicenda delle accuse che hanno travolto la dirigente del liceo Montale di Roma, Sabrina Quaresima, 50 anni a dicembre, neo assunta nell’ultimo concorso e sospettata di avere avuto una relazione con uno studente dell’ultimo anno, A.S., 19 anni. La dirigente, che smentisce tutto e si dice pronta ad adire le vie legali per tutelarsi, oggi dovrà parlare con l’ispettrice dell’ufficio scolastico regionale e chiarire quanto successo.

Ma intanto emergono particolari su cosa avrebbe fomentato le voci di un suo rapporto privilegiato con il ragazzo. Una chat, appunto, in cui il diciannovenne le faceva complimenti e i due si spingevano in confidenze molto più intime di quelle consentite tra una preside e uno studente, anche alla luce del codice di comportamento dei dipendenti pubblici che prescrive di non assumere «nessun comportamento che possa nuocere all’immagine dell’amministrazione». La preside, spaventata dalla possibilità di essere sottoposta a procedimento disciplinare, avrebbe cancellato quelle conversazioni. Mentre il ragazzo avrebbe conservato gli «screenshot» dal telefonino: e ora proprio quelle frasi potrebbero diventare fondamentali per stabilire fino a che punto si fosse spinto il rapporto con lo studente.

Ma cosa rischia Quaranta? Dipende tutto dalla relazione che l’ispettrice, dopo aver parlato oggi con la preside, scriverà. In altre circostanze, rischierebbe una multa fino a 500 euro o una sospensione fino a sei mesi. Ma, visto che sta svolgendo l’anno di prova, potrebbe anche perdere il ruolo da dirigente scolastica e tornare a fare l’educatrice.

Lei sostiene di aver avuto un rapporto cordiale con lo studente, all’epoca rappresentante di istituto, e quindi naturale interlocutore durante l’occupazione. Il ragazzo avrebbe invece raccontato — prima agli amici, poi ai due collaboratori stretti della preside e infine ai suoi genitori — di aver avuto una relazione sentimentale. Secondo il racconto degli studenti, dalle chat i due sarebbero passati ai fatti: «Sappiamo che c’è stato un incontro intimo in macchina, in un parcheggio», raccontano rimanendo anonimi, spaventati dal clamore.

E c’è un altro aspetto da chiarire. La preside sostiene di aver demansionato i suoi due collaboratori più stretti per avocare a sé tutte le pratiche amministrative, che loro gestivano: «Non potevo tenere sotto controllo la situazione», ha spiegato. A scuola vociferano invece che i due sarebbero stati rimossi perché sarebbero stati i primi ad aver sollevato la questione, dopo aver ascoltato il ragazzo.

Intanto, nonostante la bufera, A. S., da studente modello, continua ad andare a scuola tutti i giorni. Il viso pulito, l’atteggiamento composto, all’uscita di scuola si guarda nervosamente intorno. «Mi è stato consigliato di non espormi e di non rilasciare dichiarazioni su questa vicenda», è la sua risposta. «La stessa linea — specifica ancora — la stanno seguendo i miei genitori». I suoi compagni gli fanno scudo: «Questa storia e il diritto allo studio sono due cose che devono restare separate». «Come sto? Benissimo — aggiunge lui —. Ho dormito bene, la mattinata è passata, e ora aspetto solo il pranzo». La descrizione di una giornata come le altre, da normale studente liceale.

Nico Falco per fanpage.it il 20 marzo 2022.

"Sei bellissima e sexy": l'approccio cominciava sempre così. Subito dopo, altri messaggi, una valanga, sempre più espliciti, per portare le ragazzine sull'argomento che preferiva: il sesso. "Cristiano" aveva contattato con lo stesso modus operandi decine di ragazzine, tutte giovanissime, ma dietro quell'account falso si nascondeva uno psicologo 47enne, giudice onorario del Tribunale dei Minori di Napoli. L'uomo è stato condannato per adescamento di minori a 10 mesi di carcere e alla interdizione perpetua dai pubblici uffici legati a minori dal giudice monocratico di Roma.

Adescava ragazzine in chat, condannato giudice onorario

I fatti contestati risalgono al periodo tra il 2016 e il 2017, il giudice onorario avrebbe avuto una media di 9 contatti al giorno, inviando quasi 20mila messaggi. E non si sarebbe fermato nemmeno quando le giovanissime vittime avrebbero cercato di allontanare quelle intenzioni indesiderate, anche affermando di essere minorenni.

Nel corso delle indagini sono state identificate due vittime ma secondo gli inquirenti sarebbero state molte di più, probabilmente decine; l'uomo avrebbe utilizzato per i dialoghi anche altre utenze, di cui non è stato però possibile risalire all'identificazione e che quindi non compaiono nel capo di imputazione. Un incontro reale non ci sarebbe mai stato ma, secondo gli inquirenti, a impedirlo sarebbe stato soltanto l'intervento degli investigatori. 

La Caramella Buona Onlus ha commentato la condanna con un video e un post pubblicato sul profilo Facebook dell'associazione, con una dichiarazione del presidente, Roberto Mirabile: Quando siamo venuti a conoscenza di tale condotta abbiamo valutato approfonditamente quanto in nostro possesso e abbiamo deciso di costituirci parte civile al processo perché combattiamo la pedofilia da 25 anni e lo facciamo con ancora più forza quando a macchiarsi di questo reato sia un soggetto che dovrebbe proteggere bambini e non importunarli. Grazie al lavoro del nostro avvocato Monica Nassisi siamo riusciti a confermare con forza il quadro accusatorio e il giudice ha condannato l'imputato nonostante il pubblico ministero ne avesse chiesto l'assoluzione.

Gli ispettori nel liceo Montale, la preside si difende: «Solo rapporti cordiali». Camilla Palladino, Valentina Santarpia su Il Corriere della Sera il 31 marzo 2022.

Roma, Sabrina Quaresima è sospettata di aver avuto una relazione con un ragazzo che frequenta la sua scuola. I compagni dello studente: lui pentito. 

La sua versione dei fatti: è quella che la dirigente del liceo Montale di Roma ha fornito giovedì all’ispettrice dell’ufficio scolastico regionale per chiarire i contorni della relazione con uno studente di 19 anni in procinto di sostenere la maturità. Sabrina Quaresima, 50 anni il prossimo dicembre, è sospettata di aver avuto un rapporto sentimentale con un ragazzo che frequenta la scuola, mettendo in cattiva luce l’immagine dell’istituto.

Lei nega e parla di un rapporto «cordiale», ma le chat — che lei avrebbe cancellato e lui conservato — raccontano una storia diversa: un rapporto più intimo, che avrebbe ad un certo punto messo in difficoltà lo studente. Il ragazzo, A.S., avrebbe deciso di confidarsi con il vicepreside solo per capire come uscirne, ma sarebbe finito dalla padella nella brace, almeno secondo la ricostruzione dei compagni di scuola. I rapporti non proprio amichevoli tra il collaboratore e la neo dirigente, testimoniati anche da un video in cui i due litigano per una questione di parcheggio, avrebbero infatti alimentato la tensione e amplificato la vicenda. Che nel giro di poche settimane è diventata un caso mediatico. «Lui si è pentito sia di averla incontrata al di fuori dell’ambiente scolastico, sia di averlo raccontato ad amici e docenti», conferma uno studente del quarto anno. Ma è solo una ricostruzione che dovrà essere verificata dall’ispezione appena iniziata.

Il direttore dell’ufficio scolastico, Rocco Pinneri, è chiuso in uno stretto riserbo e fa sapere che non si può «ragionare di semplici illazioni o indiscrezioni giornalistiche». Dopo aver ascoltato la dirigente, l’ispettrice dovrà sentire gli altri protagonisti della vicenda, tra cui appunto il collaboratore sollevato dall’incarico, Luigi Botticelli, e lo stesso studente, prima di stendere la relazione determinante per capire se la preside sia da licenziare, ai sensi del contratto collettivo.

Intanto a scuola il clima è sempre più nervoso. «È una brutta storia, viene infangato il buon nome di questa scuola. Non è giusto che si parli di noi solo per questo motivo, quello che è successo tra il ragazzo e la preside doveva restare tra di loro», si lamenta una studentessa all’ingresso in via di Bravetta. Perplessi anche i genitori: «Il ragazzo è maggiorenne, la dirigente non ha infranto la legge. Per questo sarei contraria al suo licenziamento, opterei più per una sanzione disciplinare», dice la mamma di un alunno. «Mio figlio — racconta ancora — è un bel ragazzo. Anche lui ha avuto dei colloqui privati con la preside, ma non mi sono affatto preoccupata che potesse succedere qualcosa». Ma un’altra mamma, stavolta di un’adolescente, critica: «Mi aspetto una sanzione disciplinare. Non voglio giudicare, ma mi aspettavo ben altro comportamento da una dirigente che, appena arrivata, ha diffuso circolari rigorose sui temi del decoro e dell’abbigliamento adeguato per la scuola».

A confermare l’esasperazione degli studenti è la nota del Collettivo Montale: l’istituto «da settimane versa in un clima di costante tensione dovuta alla circolazione di queste voci all’interno non solo della nostra scuola ma di tutto il quartiere, pertanto se le indagini intraprese confermassero tali voci chiediamo le dimissioni della dirigente».

L’ex vicepreside del liceo Montale: «Le chat tra la preside Sabrina Quaresima e lo studente? Mai viste». Valentina Santarpia su Il Corriere della Sera il 2 Aprile 2022.

Il professore sulla vicenda che riguarda Sabrina Quaresima, preside del liceo di Roma accusata di avere una relazione con lo studente: «Da me nessuna vendetta. Dopo lo sfogo del ragazzo la dirigente doveva chiarire. La segnalazione all’ufficio scolastico è arrivata da diverse persone». 

«Amareggiato»: così diceva di sentirsi Luigi Botticelli, ormai vicepreside del liceo Montale di Roma, quando ieri è tornato nella scuola dove in settimana è scoppiato il caso della presunta relazione tra la preside Sabrina Quaresima e uno studente di 19 anni.

Cosa succede, professore?

«Sono stato defenestrato dopo 37 anni di insegnamento di educazione fisica e 10 anni da vicepreside, da lunedì potrò fare solo supplenze o ore di alternativa».

Ha incontrato la preside?

«No, ma se mi chiama vado a parlarci volentieri».

Ne è sicuro? Non mi sembra corrano buoni rapporti.

«Ci sono stati dei malintesi. Ha fatto bene lei ad avocare le pratiche, ci mancherebbe. È inesperta come lo eravamo tutti all’inizio ma è giusto che provasse a gestire».

Allora perché l’ha demansionata?

«Non esageriamo, io resto un professore. Certo, non sarò più il vicepreside, ma se lei non ha più fiducia ha fatto bene, forse non ho dimostrato di essere affidabile».

O forse non è più vicepreside perché lei, professore, ha usato la storia della relazione contro la preside?

«Non ho usato niente. Ho solo raccolto lo sfogo di un ragazzo. Anzi, lui non voleva nemmeno parlare con me, ma con la sua docente di italiano, di cui si fidava. Il ragazzo ha chiesto di sua spontanea volontà di parlare, non ha chiesto aiuto. E la professoressa ha voluto che assistessi».

Cosa ha raccontato A.S.?

«A parte il fatto che non capisco perché il suo nome e il suo volto non siano usciti, mentre quello della dirigente è finito su tutti i giornali... Non posso dirlo, lo riferirò all’ispettrice. Anzi, mi sembra strano che non mi abbia ancora convocato».

Ora difende la dirigente?

«Guardi, noi avevamo un rapporto normale. Lei ha un carattere... particolare, ogni tanto faceva qualche sfuriata, come quando mi ha detto di parcheggiare bene la moto o di tenermi la mascherina sul viso. Aveva ragione. Anche se mi sono infastidito, ho 65 anni e mi sono sentito rimproverare come da mia madre. Sto pensando a difendermi legalmente».

È il motivo per cui l’ha messa in cattiva luce?

«Ma assolutamente no. Quando il ragazzo ci ha raccontato, le abbiamo chiesto subito un colloquio. Lei non era a scuola, perché in malattia. Quindi abbiamo dovuto aspettare».

Intanto cosa è successo?

«Noi avevamo consigliato al ragazzo di parlarne in famiglia, e si sono presentati i genitori a scuola, alle 8.10 del mattino. Eravamo meravigliati, ma io in quanto vicario avevo la delega a riceverli».

Quando ne avete parlato alla preside?

«Quando è rientrata. Le abbiamo chiesto un incontro urgente via mail».

E lei come ha reagito?

«Era un po’ scocciata, ha preso qualche appunto, ma è finita lì. Mi aspettavo che facesse qualcosa in più».

Lei che avrebbe fatto?

«Io avrei chiamato lo studente e almeno altri dieci testimoni e avrei chiarito la vicenda. Chi dirige deve essere pulito, e se è diffamato, deve subito chiarirlo».

Cosa ha fatto la preside dopo essere venuta a conoscenza della faccenda?

«Era alterata, mi ha rimosso dall’incarico. Come se fosse colpa mia. Ma la segnalazione all’ufficio scolastico regionale è arrivata da parte di diverse persone, tutti ne parlavano».

Le chat le ha fatte circolare lei per vendetta?

«Certo che no. I ragazzi ne parlavano da mesi, ma io non le ho mai viste».

Se ci fosse stata la storia, lei cosa ne penserebbe?

«Se vi fosse stata non sarebbe lecita. È una questione di deontologia professionale. Non si possono impartire lezioni private agli alunni della scuola, figuriamoci se sia possibile tessere una love story».

Per lei sarebbe un vantaggio se venisse licenziata?

«Ma no, sono prossimo alla pensione, figuriamoci se voglio mettermi a guerreggiare. Poco tempo fa aveva comprato anche un regalo per il mio nipotino. Non ho potuto neanche ringraziarla». 

Camilla Palladino, Valentina Santarpia per corriere.it l'1 aprile 2022.

La sua versione dei fatti: è quella che la dirigente del liceo Montale di Roma ha fornito giovedì all’ispettrice dell’ufficio scolastico regionale per chiarire i contorni della relazione con uno studente di 19 anni in procinto di sostenere la maturità. Sabrina Quaresima, 50 anni il prossimo dicembre, è sospettata di aver avuto un rapporto sentimentale con un ragazzo che frequenta la scuola, mettendo in cattiva luce l’immagine dell’istituto. 

Lei nega e parla di un rapporto «cordiale», ma le chat — che lei avrebbe cancellato e lui conservato — raccontano una storia diversa: un rapporto più intimo, che avrebbe ad un certo punto messo in difficoltà lo studente. Il ragazzo, A.S., avrebbe deciso di confidarsi con il vicepreside solo per capire come uscirne, ma sarebbe finito dalla padella nella brace, almeno secondo la ricostruzione dei compagni di scuola. 

I rapporti non proprio amichevoli tra il collaboratore e la neo dirigente, testimoniati anche da un video in cui i due litigano per una questione di parcheggio, avrebbero infatti alimentato la tensione e amplificato la vicenda. Che nel giro di poche settimane è diventata un caso mediatico. «Lui si è pentito sia di averla incontrata al di fuori dell’ambiente scolastico, sia di averlo raccontato ad amici e docenti», conferma uno studente del quarto anno. Ma è solo una ricostruzione che dovrà essere verificata dall’ispezione appena iniziata.

Il direttore dell’ufficio scolastico, Rocco Pinneri, è chiuso in uno stretto riserbo e fa sapere che non si può «ragionare di semplici illazioni o indiscrezioni giornalistiche». Dopo aver ascoltato la dirigente, l’ispettrice dovrà sentire gli altri protagonisti della vicenda, tra cui appunto il collaboratore sollevato dall’incarico, Luigi Botticelli, e lo stesso studente, prima di stendere la relazione determinante per capire se la preside sia da licenziare, ai sensi del contratto collettivo. 

Intanto a scuola il clima è sempre più nervoso. «È una brutta storia, viene infangato il buon nome di questa scuola. Non è giusto che si parli di noi solo per questo motivo, quello che è successo tra il ragazzo e la preside doveva restare tra di loro», si lamenta una studentessa all’ingresso in via di Bravetta. Perplessi anche i genitori: «Il ragazzo è maggiorenne, la dirigente non ha infranto la legge.

Per questo sarei contraria al suo licenziamento, opterei più per una sanzione disciplinare», dice la mamma di un alunno. «Mio figlio — racconta ancora — è un bel ragazzo. 

Anche lui ha avuto dei colloqui privati con la preside, ma non mi sono affatto preoccupata che potesse succedere qualcosa». Ma un’altra mamma, stavolta di un’adolescente, critica: «Mi aspetto una sanzione disciplinare. Non voglio giudicare, ma mi aspettavo ben altro comportamento da una dirigente che, appena arrivata, ha diffuso circolari rigorose sui temi del decoro e dell’abbigliamento adeguato per la scuola».  

A confermare l’esasperazione degli studenti è la nota del Collettivo Montale: l’istituto «da settimane versa in un clima di costante tensione dovuta alla circolazione di queste voci all’interno non solo della nostra scuola ma di tutto il quartiere, pertanto se le indagini intraprese confermassero tali voci chiediamo le dimissioni della dirigente».

La preside del liceo Montale e lo studente: «Non c’è stata alcuna storia, ma oggi sarei più prudente». Valentina Santarpia su Il Corriere della Sera il 3 Aprile 2022.

Intervista a Sabrina Quaresima, preside del Liceo Montale di Roma: per il ragazzo solo simpatia, mi aveva aiutata. Nei messaggi che ci siamo scambiati non penso ci sia nulla di equivoco, ho sempre rispettato il mio ruolo e l’ambiente scolastico. 

Si sente «discriminata» e messa al centro «di una gogna mediatica» e si chiede ogni giorno «il perché di tanta cattiveria»: Sabrina Quaresima, 49 anni, dirigente del liceo Montale, accetta di parlare nuovamente con il Corriere dopo il clamore sollevato dalla presunta relazione con uno studente 19enne. Un lungo sfogo, che termina con un pianto liberatorio. Accanto a lei c’è il marito, che l’ha sempre sostenuta: la abbraccia e la conforta.

Il suo volto e il suo nome in questi giorni è stato su tutti i giornali, mentre il ragazzo è stato tutelato. Cosa ne pensa?

«Penso che sia stato assolutamente discriminatorio e totalmente sbilanciato, una sovraesposizione della mia immagine che mi spiego solo pensando che forse qualcuno avrà fornito, forse lui stesso, delle informazioni ai giornali. C’è stato anche un atteggiamento maschilista: la donna, professionista, messa alla berlina».

Com’è stata la settimana?

«È stata durissima, sconvolgente, mi ha messo a dura prova, è stato difficilissimo dormire e alzarmi tutti i giorni per andare a scuola a fare il mio dovere. Mi ha colpito il male fatto alla mia famiglia: io purtroppo non ho figli, ma se li avessi avuti si sarebbero trovati al centro dell’attenzione, in un turbinio sulla loro madre, non so quali potevano essere le conseguenze. C’è stata un’esposizione mediatica becera e incomprensibile».

Come gestisce il rapporto con l’ex vicepreside?

«I problemi con lui risalgono al mio insediamento. I miei tentativi di organizzare in maniera efficiente si scontravano con i suoi modi veementi e aggressivi. Da novembre volevo sollevarlo dall’incarico. Sono stata cauta perché temevo di avere problemi».

Molti collegano il defenestramento alle voci sulla presunta relazione: è così?

«Non c’è alcuna correlazione, con il prof. Botticelli c’è sempre stato dall’inizio grande difficoltà di collaborazione». 

Com’è andato il colloquio invece con l’ispettrice?

«È stato condotto con molta professionalità e sensibilità, ma estenuante: è durato dieci ore e mezza». 

Avete parlato anche delle chat scabrose che hanno amplificato le voci?

«Ho risposto a tutte le domande, cercando di ricostruire quello che è successo. Il ragazzo l’ho conosciuto in quanto rappresentante in surroga, e si è subito messo a disposizione. Un aiuto prezioso nel periodo dell’occupazione, quando ha dimostrato di voler collaborare con la presidenza. Ma temevo che si inimicasse i compagni». 

I messaggi che vi siete scambiati in quel periodo erano affettuosi?

«Io vengo da un’esperienza come educatrice al Convitto nazionale dove ero abituata a un’interazione più vicina, più tranquilla. Ora mi rammarico di non essere stata più cauta. Ma nei messaggi non c’era nessuna forma di privilegio nei confronti di questo ragazzo. Non pensavo assolutamente ci fosse qualcosa di equivoco o di strano». 

Crede di aver commesso qualche leggerezza nel rapporto con lui?

«Assolutamente nessuna leggerezza. Ma come si fa a non avere simpatia per chi ti sta aiutando come faceva lui, in un periodo così duro?». 

Allora si sarebbe inventato tutto, nel raccontare agli amici che aveva avuto una tresca con lei?

«Non lo so cosa è passato nella testa dello studente, so solo che non è mai esistita nessuna relazione». 

Se tornasse indietro, c’è qualcosa che cambierebbe?

«Sicuramente gli chiederei di essere meno attivo nella sua collaborazione, prendendo un po’ le distanze». 

C’è qualche altra cosa che modificherebbe?

«No, ho sempre cercato di avere toni e abbigliamento professionali, magari con un tocco di originalità, ma sempre nel rispetto del ruolo e dell’ambiente scolastico». 

Resterebbe a dirigere questa scuola se l’ispezione dovesse darle il via libera?

«Non sono in grado di rispondere, è ancora troppo forte la situazione, non ci sto pensando. La scuola è tutta la mia vita ma per svolgere il ruolo da dirigente bisogna farlo in un ambiente sereno. Un trasferimento? Non mi spaventa, ma non ci sto pensando». 

Pensa che a scuola ci siano ancora troppi atteggiamenti bigotti?

«Penso che la scuola abbia tante potenzialità e penso che il mio intento sia stato proprio quello di portare un po’ di innovazione: non so se questo non è piaciuto».

Se potesse fare un discorso agli studenti? 

«Direi loro di avere fiducia nel loro dirigente, di non dare giudizi affrettati, mai, senza conoscere bene le situazioni. Citando Kant: considera gli altri come fini e mai come mezzi»

Se lo studente volesse parlare con lei? «La mia porta è sempre aperta. Sarebbe un confronto difficile, ma ritengo mio dovere ricordare sempre che io sono una persona adulta e che questo ragazzo, per quanto, è pur sempre un ragazzo di quasi 19 anni. Bisogna dimostrare di essere più grandi della miseria che si può trovare in un cuore».

Giordano Tedoldi per “Libero quotidiano” l'1 aprile 2022.  

Potremmo già avviare il casting per assegnare il ruolo della preside, Sabrina Quaresima, della quale infatti sappiamo tutto. Parliamo della vicenda, peraltro dal profilo penale nullo essendo i protagonisti tutti maggiorenni, che vede coinvolti in una presunta relazione pericolosa la preside del liceo romano "Eugenio Montale", bella donna cinquantenne, sbattuta su tutti i giornali, con repêchage istantanei di video in cui la dirigente scolastica espone il suo programma educativo, e uno studente dell'ultimo anno, di cui invece nulla si sa, il nome, il volto, i suoi progetti per il futuro, a parte quello, pare, di vantarsi con gli amici per le sue conquiste, attitudine piuttosto antica. 

Insomma una trama boccaccesca, o dongiovannesca, a seconda dei punti di vista, in cui però si indovina tanta ipocrisia, falsa virtù, e la sensazione che chi mente, a suo modo dica la verità, e chi dice la verità, additando l'immorale preside, menta.

IL TWEET DI GAIA TORTORA La giornalista Gaia Tortora, in un tweet, è stata eloquente: «Lui maggiorenne. Lei pure. Lui studente. Lei preside. Di lei sappiamo già nome cognome volto. Di lui no. Nessun reato. Che cazzo di informazione è?» Ognuno dia la risposta che preferisce. Lasciamo pure stare il fatto che la preside smentisca ostinatamente di aver avuto relazioni sessuali con lo studente, e che si dichiari vittima di un sabotaggio; benché proprio ieri Repubblica abbia fornito ai suoi lettori la trascrizione di alcune registrazioni audio (fatte dallo studente, parrebbe, ma a quale scopo? 

Si va forse a un incontro nel quale si vuole dare addio alla propria bella con il registratore del telefonino acceso? Sì, se poi si vuol far circolare la storia e fare un po' di chiasso...) in cui lui e lei si scambiano le tipiche frasi di ogni coppia che decida di separarsi: «Ho conosciuto un'altra», «Immaginavo ci fosse un'altra, da quanto la conosci?», eccetera, e con l'abbellimento pruriginoso del passaggio sul "toy boy", appellativo che lei avrebbe dato a lui, con leggerezza, e lui, permaloso, se ne sarebbe risentito.

Insomma, lasciamo da parte tutte queste scempiaggini che conosciamo fin troppo bene, perché sono le scempiaggini in cui ognuno di noi sarà cascato tante volte, se ha avuto una vita sentimentale appena decente. 

La questione che resta sul tappeto è: perché i media hanno rappresentato lei come una poco di buono, un'adescatrice, una donna lussuriosa della quale era lecito diffondere generalità, volto, e perfino un video, e lui, il liceale maggiorenne, che tra l'altro avrebbe avuto la risolutezza, dopo solo un mese, di troncare il rapporto chiedendo virtuosamente che d'ora in avanti avrebbe accettato dalla donna solo «rapporti istituzionali», neanche fosse un ministro, lui, dicevamo, è stato tutelato in una profonda, impenetrabile anonimità? 

MORALISMO E IPOCRISIA Ricapitoliamo: nessun reato, entrambi maggiorenni, forse una sbandata dell'una, dell'altro o di entrambi (o di nessuno, a sentire la donna), e con ciò? Perché ci scandalizziamo?

Perché andiamo in cerca dell'Eva tentatrice? Non per assumere i panni dei femministi, che francamente ci starebbero larghi, ma ci pare che questa vicenda puzzi di moralismo da commedia scolastica anni 70, per non dire da satira anni 50, quelle con Alberto Sordi con gli occhialini tondi e i capelli sparati all'insù che s' indigna, ipocritamente (in realtà fa la tratta delle bianche e delle nere) per il malcostume generale nei night-club. La preside è avvenente, ma mica è un reato esserlo, né un impedimento alla propria funzione. 

E se proprio dobbiamo discutere di comportamenti non appropriati, va bene, facciamolo pure, ma allora o tuteliamo l'anonimità di entrambi o di nessuno, altrimenti si avalla l'idea che lui, lo studente maggiorenne, sia un sedotto e abbandonato, quando potrebbe benissimo essere il contrario.

TRITI PREGIUDIZI Che tristezza quest' Italia progressista, secolarizzata, digitalizzata, che si scalda tanto per un amplesso - ammesso che ci sia stato tra uno studente adulto e la sua preside, e dove tutti i più triti pregiudizi si riattivano, designando la donna come la fonte d'ogni tentazione, d'ogni male, e il maschio, specie se più giovane, come un'anima ingenua consegnata con pacco espresso a Satana. 

È stato giusto non fornire le generalità dello studente, non offrirlo in pasto ai commenti del villaggio globale, ma allo stesso tempo, e ancor più, sarebbe stato sacrosanto proteggere anche la preside dagli strali dei moralisti e dai commenti volgari. Forse un giorno si capirà che le faccende di letto tra maggiorenni non riguardano nessuno salvo i diretti interessati, e che divulgare le loro conversazioni è, non diciamo reato - non ci piace prendere sempre la via dei tribunali -, incivile.

Valentina Lupia Luca Monaco per “la Repubblica – Edizione Roma” il 31 marzo 2022.

«La nostra storia? Spero che tu adesso sia contento, per te sono stata solo una tacca in più sulla cintura » . Le parole usate da Sabrina Quaresima, la 50enne preside del liceo Montale restituiscono il sentimento di una donna ferita. Non ci sarebbe nulla di inopportuno. Se non fosse che in questo caso Quaresima parla a un suo studente appena 18enne, Francesco. 

Con quella frase non allude a un gioco di sguardi, a una complicità fatta di sorrisi, ma a un rapporto sessuale consumato nel chiuso di un'auto come accade tra amanti adulti. Certo, Francesco è maggiorenne. Ma è pur sempre un suo studente. Nel caso di specie, un giovane gravato dall'angoscia di non riuscire più a uscire da un gioco «molto più grande» di lui. 

Dopo aver sollevato il caso della Love story al Montale, oggetto di un'ispezione a scuola condotta dagli incaricati dell'Ufficio scolastico regionale del Lazio, ora Repubblica è in grado di ripercorrere il canovaccio del gioco erotico clandestino intrattenuto da Quaresima con un suo studente, pubblicando gli scambi in chat tra la preside e il suo maturando " preferito". I messaggi su WhatsApp salvati e mostrati da Francesco ai suoi amici più fidati, che Repubblica ha potuto visionare, lasciano poco all'immaginazione. Confermano la " cotta" della dirigente scolastica per il giovane iscritto nel suo istituto.

«Guarda qui», fa Luca, un amico di Francesco suonata l'ultima campanella, mentre nascosto dietro a una macchina protegge lo schermo del telefono dalle ultime gocce dell'acquazzone che ieri ha bagnato la città.

« Ciao Sabrina, ci ho pensato molto - le scrive Francesco a metà gennaio - stare con te è stato bello, ma ora è diventato tutto troppo difficile. Non è colpa mia. Non ce la faccio più. Dobbiamo darci un taglio netto. Sappi, che non tornerò indietro su questa decisione ». 

L'amicizia nata a dicembre, con gli scambi via e- mail durante l'occupazione, poi approfondita via WhatsApp e culminata con il rapporto consumato nell'abitacolo dell'auto della preside, all'ombra dei palazzoni di Roma Est, ormai per il 18enne sono acqua passata. 

Francesco è schiacciato dal peso emotivo di quella relazione clandestina. Tanto più che Quaresima è sposata. Lei lo coglie e risponde con tutta l'amarezza che può nutrire una persona ancora coinvolta, se rifiutata. « Benissimo. Sei sicuro di sapere cosa volessi io? Avrei preferito che tu me lo avessi detto di persona, visto che mi scrivevi tutt' altro, ma va bene così». Potrebbe essere l'ultima comunicazione tra i due. Invece l'acredine è troppa.

Quaresima non trattiene la postilla. « Ecco vedi » , aggiunge Luca mostrando un altro messaggio.

«Ti sentirai fico adesso - prosegue la preside - avrei dovuto immaginarlo: per te ero solo una tacca in più sulla cintura » . Dopo due giorni la chat del ragazzo suona ancora: « Devo parlarti - scrive lei - mi chiami? » . Francesco non risponde. Spera così di riuscire a convincerla ad archiviare, con quell'ultimo messaggio, un'avventura più grande di lui.

Mario Landi per leggo.it il 2 aprile 2022.

Tante storie sentimentali alle spalle. Fra cui tre flirt con altrettante presidi. Tutte più grandi di lui, quando allora più di trent'anni fa era uno studente «dall'aria tra il ribaldo e il bravo ragazzo». La storia di Luca parte da un liceo alla periferia Est della Capitale. Se oggi questo 56enne, imprenditore agricolo, parla di quei giorni tra «emozione e amore» «è solo perché la vicenda della preside romana mi colpito».

Perché?

«I media hanno emesso la sentenza in fretta: senza freni, dubbi, remore, sensibilità, rispetto. Eppure non c'è un'indagine penale, ma solo un accertamento ministeriale. E tanto vociare pruriginoso» 

Mentre con le sue tre presidi?

«Tutto diverso. C'era stata intesa, simpatia, rispetto, sesso. In un caso anche amore».

La sua prima storia?

«È una roba a parte, dato che non successe nulla. Eppure è la più importante. Era la prof d'inglese della mia classe che ricevette l'incarico di vicepreside vicaria». 

Che anno era?

«1985. Agosto. Tre settimane prima avevo passato la maturità, sognavo l'Accademia di Modena e serviva una buona conoscenza dell'inglese. Chiesi alla prof un aiuto e lei, all'indomani, mi invitò a casa alle 8.30 di mattina». 

Ci andò?

«Spaccai il secondo». 

Per l'inglese?

«(Ride) È stata indimenticabile. Straordinaria, due lauree: Lettere e Lingue. Una bellezza sensuale, ricordava la Carrà. Ci aveva seguito dal primo anno e ci portò al quinto, mamma dolcissima e insegnante rigidissima. Le ero simpatico, era chiaro: mi telefonò il giorno prima della maturità per farmi gli auguri e al mattino venne persino a vedermi». 

Di quella «lezione» cosa ricorda?

«Suonai, mi aprì in camicia da notte trasparente, pantofole da casa e un profumo che non si scorda, tra mare e pineta. Sui libri restammo poco, sedemmo sul divano parlando quattro ore...». 

Solo parlando?

«Sì, ero di un'ingenuità pazzesca, una specie imbranato Dustin Hoffman ne Il Laureato. Mai vista da vicino una donna sino a quel momento . Discutemmo di innamoramento, ma tutto ruotava attorno a una questione: un diciottenne potrebbe avere una storia con una donna molto più grande di lui? Ci giravamo attorno...».

Quindi?

«Tre ore di seduta psicanalitica, uno stream of consciousness da mal di testa. Io dicevo sì, lei scuoteva la testa...». 

Arrivaste al dunque?

«Mentre la convincevo, squillò il telefono. Era mia madre che voleva sapere che fine avessi fatto. Stavo troppo in ritardo per pranzo. E lei aveva capito tutto, preoccupata...».

La prof?

«Divenne gelida in un istante. Mi disse che forse era il caso che andassi, mi accompagnò alla porta e mi chiese: Ora racconterai a tutti i compagni di classe che ti ho accolto in babydoll, vero?».

Lei che rispose?

«Sbottai così: Non lo farò mai perché sono innamorato di te. La vicepreside arrossì. Si avvicinò e disse: Non posso permettermelo, scusa e mi congedò con un bacio tra labbra e guancia che non posso dimenticare». 

Le altre storie?

«L'età era diversa, ero attorno ai 25 anni, avevo un lavoro che mi metteva in contatto con le scuole. Ma il ricordo che è di tutte è il medesimo: prof di lettere, grande cultura, donne appassionate dell'insegnamento. Non si sceglie quell'incarico se non c'è entusiasmo». 

Alla preside romana che direbbe ora?

«Di tutelarsi il più possibile, è lei la parte lesa. Per il mainstream dell'informazione, cartacea e online, è già colpevole: le sue foto stanno facendo il giro dei social, con commenti da bar e da caserma. Non mi è piaciuto il fatto che siano state pubblicate le immagini degli insulti tracciate sui muri del liceo. Del quale secondo me nemmeno si doveva pubblicare il nome. Una gogna ingiustificabile. Anzi: incomprensibile».

E del ragazzo che idea si è fatto?

«Non voglio giudicare e non lo faccio, ma l'audio chi lo ha tirato fuori? Ora mi ronzano in testa quelle parole della mia prof d'inglese: ora dirai a tutti del baby doll vero? No, non lo feci, mi fermai un attimo prima. Ci fermammo assieme un attimo prima. Quello che dovrebbe fare la stampa in questa brutta storia».

Raffaella Troili per “il Messaggero” il 31 marzo 2022.  

«Non c'è stato sesso sono solo invenzioni, bugie». La preside del liceo classico Eugenio Montale Sabrina Quaresima ripete questo a chi le chiede spiegazioni. Nega di aver avuto una relazione sentimentale con un studente, nonostante le deposizioni fatte sia dal ragazzo sia da docenti. «Avrà voluto farsi bello, era come un cavalier servente. E avrà voluto raccontare cose che non c'erano».

La dirigente, che ieri ha passato tutto il pomeriggio dall'avvocato, in vista della giornata di oggi - è attesa la visita dell'ispettrice dell'Ufficio scolastico regionale e lei è obbligata a dare spiegazioni - ha raccontato a chi l'ha contattata che «con il ragazzo - maggiorenne - si era creato un buon rapporto, durante l'occupazione mi ha accompagnata in commissariato a presentare la denuncia contro i compagni che occupavano, mi supportava quando cercavo di impedire l'occupazione. In quel frangente c'erano anche dei genitori». 

Insomma, nonostante le denunce, le voci insistenti, le chiacchiere, i muri della scuola piena di scritte, la dirigente parla di un rapporto amichevole, di confidenze «mi ha detto che da grande vuole fare il deputato europeo...».

Ma nega che ci sia stato altro, che la complicità sia sfociata in un rapporto sessuale come ha raccontato il ragazzo dell'ultimo anno («sotto dei palazzi a Roma est, mentre il marito la chiamava al cell...»). Nelle chat che lei ha cancellato e lui no, ci sarebbero complimenti e frasi ardite da parte del ragazzo, confidenze via via crescenti anche della preside («come vuoi che mi vesto domani?», «che vedi alla tv?», «se ti do un indirizzo mi raggiungi lì?»). Il tutto in un liceo già carico di tensioni dove la preside - che nei giorni scorsi ha allontanato il suo vice Luigi Botticelli dopo una lite animata ed è arrivata quest' anno - dice di aver avuto tutti contro dall'inizio, e tra le righe spiega così il tranello in cui è caduta. 

«Non c'è mai stato nulla, spero di poter chiarire tutto, c'è anche chi mi sostiene» ha ripetuto ai vertici scolastici in via ufficiosa. «Non sono stata vista di buon occhio dal primo giorno», le sue disposizioni rigide sul dress code delle alunne, la sua battaglia contro l'occupazione, le rigide regole anti covid, una serie di mosse che l'hanno resa invisa ai ragazzi. Studenti che in realtà pensano tutt' altro e si aspettano venga fatta luce. A.S., spiega che «non può parlare, non ho nulla da dire e nemmeno i miei genitori vogliono».

L'ora del silenzio, dopo le denunce fatte all'ex vice preside e alla sua prof di italiano. «La cosa mi è sfuggita di mano», ha detto il giovane, «ho chiesto aiuto a loro». I due hanno denunciato la vicenda all'Ufficio scolastico provinciale, è scattata l'indagine. Ora l'ispettrice dovrà appurare se la preside ha davvero avuto un rapporto con il ragazzo e in tal caso rischia il licenziamento visto che era in prova (insegnava al Convitto nazionale), oppure se lo studente ha inventato tutto può esser denunciato per calunnia e diffamazione.

IL COLLETTIVO L'ispettrice farà una relazione dettagliata, ascoltando più persone poi si deciderà se archiviare o avviare un procedimento disciplinare. Su Instagram il Collettivo Montale rimarca quanto riportato sui giornali e accaduto a dicembre durante l'occupazione. «A quanto sembra, lo studente avrebbe insistito per porre fine al rapporto trovandosi di fronte all'insistenza della dirigente. Queste voci hanno creato un clima di tensione che è sfociato nella denuncia da parte di alcuni docenti all'Ufficio Scolastico Regionale» e ancora «da inizio anno i rapporti con la dirigente non sono stati dei migliori, se le indagini confermassero tali voci chiediamo le sue dimissioni».

Raffaella Troili per “il Messaggero” l'1 aprile 2022.

La preside e lo studente. Gli unici a fuggire i riflettori, gli unici che sanno mentre tutti gli altri raccontano sentito dire, mozzichi e bocconi. Una relazione voluta da entrambi, compiacimento reciproco, per ragioni diverse. Lei - funzionario dello Stato soggetta a una deontologia ferrea e per giunta in prova - nel tritacarne, ieri convocata al Miur per dare la sua versione all'ispettore dell'Ufficio scolastico regionale in merito alla presunta storia con un ragazzo, maggiorenne, dell'ultimo anno. 

E A.S. giovane di belle speranze, eccellente pagella, «ha vinto anche il certamen» che ha smesso di parlare, dopo aver però confidato ad amici e docenti del legame diventato con la preside, Sabrina Quaresima e che ora dice «io non ho fornito chat a nessuno, trattasi di velina». Il garante per la Privacy ha disposto il blocco d'urgenza della diffusione delle chat, «nulla aggiungono». E in molti nonostante le chiacchiere fossero all'ordine del giorno, si chiedono che razza di amici possano aver reso di dominio pubblico la vicenda, gli screenshot, le confidenze, gli audio. I ragazzi amplificano, tutti dicono di sapere, nessuno ha niente in mano. 

Di sicuro tra la liaison tra i due e lo scandalo mediatico, sfugge ancora un tassello ma tutti gli interessati, assicurano che lo diranno solo in sede ufficiale. «Lui era oppresso da lei, lo provocava», dice una studentessa, «la preside non l'ha mai sopportata nessuno per il suo regime dittatoriale» ripetono altri. Di certo, una tessera del puzzle, il jolly, ancora non è stato tirato fuori. E se dalle relazioni e le testimonianze non emergerà potrebbe alla fine, restare solo un polverone. Anche se tutti dicono: «Girava, si sapeva che prima poi sarebbe uscita, un amico ha spifferato tutto». Aurora, Alessia, commentano: «Se è vero deve pagare, assurdo che una donna più grande di mia madre vada con uno studente della mia età». 

E Flaminia: «Se è vero è grave, se non è vero è grave che l'abbiamo voluta diffamare. Ma non la tratterei come una questione di genere. Quanto a lui, ha una media eccellente, non aveva bisogno di notorietà».

LE DIVISIONI Gli studenti cominciano a dividersi tra chi proprio non ne vuole sapere «sono maggiorenni, fatti loro», chi grida allo scandalo «devi tenere un rapporto distaccato, sei un'istituzione, devi essere d’esempio» e chi come Federico, 18 anni, parla «di accanimento nei confronti del dirigente scolastico, forse lei si era pure innamorata mentre lui credo si sia all'inizio compiaciuto della donna più grande, poi la cosa è degenerata». Una parte la difende e mette in dubbio addirittura le chat. «Io li ho visti i messaggi» dice Luca e non erano di quel tenore, tipo come mi devo vestire e «lui si è pentito che sia uscita questa storia». 

Qualcuno mette in dubbio la veridicità. «Sono screenshot, li puoi legare a qualsiasi chat non hanno valore per la Postale», aggiunge un altro fan della preside. I ragazzi raccontano che «i più indignati alla fine sono i prof».

Arriva una mamma e non le manda a dire: «Macron si è sposato la sua prof conosciuta a 15 anni, ci sono problemi più gravi qui davanti come lo spaccio. Lui è pure maggiorenne, lei si è difesa male noi donne sbagliamo, io solidarizzo per lei, il ruolo dei docenti è cambiato, sono più cordiali e aperti, più esposti alle chiacchiere. Un peccato la pubblicità negativa per la scuola e il quartiere, questa storia doveva rimanere dentro queste mura». Oggi rientra in servizio il vice preside rimosso dalla preside e con cui si è confidato A.S. «Voglio bene alla dirigente e la stimo. Lei non stima me. E sono in attesa di raccontare quel che so...».

Valentina Lupia per “la Repubblica - Edizione Roma” l'1 aprile 2022.

L'ispettrice dell'Ufficio scolastico regionale ha ascoltato la preside del liceo Montale, Sabrina Quaresima, accusata di aver avuto una storia sentimentale con suo studente maggiorenne. Oggi gli accertamenti proseguiranno e il fascicolo sarà arricchito con le testimonianze del giovane, dei vicepresidi e di altre persone potenzialmente informate sui fatti. Se chi è in possesso di prove determinanti - le chat che il maturando non ha cancellato, l'audio del loro ultimo incontro - le consegnerà all'Usr, l'ispezione potrebbe chiudersi nel giro di poco tempo. 

L'aria è tesa, nell'istituto di via Bravetta. Lo studente, riporta un suo compagno, si dice « pentito » che la storia sia uscita. Alcuni compagni difendono la dirigente: « Sono adulti, qual è il problema?». E a ribattere sono gli attivisti e le attiviste del Collettivo del Montale: ieri hanno affidato a Instagram un lungo sfogo per spiegare che il problema non starebbe nell'atto sessuale tra due maggiorenni, bensì tra due figure ben distinte. Un problema di ruoli, insomma.

Quando la notizia è esplosa è stato come « gettare benzina sulla fiamma già divampata all'interno dell'istituto » , dove le « voci avevano cominciato a circolare tramite passaparola » , creando « a scuola un clima di tensione » . Le voci, sempre più insistenti, hanno girato in «tutto il quartiere». 

E sono sfociate appunto in una segnalazione all'Usr. Quindi, scrivono ancora gli studenti del Collettivo, «se le indagini intraprese confermassero tali voci, chiederemmo le dimissioni della dirigente». 

Per loro «è inammissibile un comportamento del genere da parte di una figura istituzionale che dovrebbe essere un esempio per gli studenti e dovrebbe rendere la comunità scolastica un luogo di crescita e apprendimento e un ambiente sicuro per gli studenti e le loro famiglie » . Una delle critiche che i liceali muovono alla dirigente è di non aver smentito categoricamente la relazione davanti alla comunità scolastica. La preside, proseguono, « non dovrebbe permettere che "pettegolezzi" del genere prendano piede nel suo istituto e in caso di calunnia dovrebbe dare spiegazioni alla comunità scolastica».

Invece la notizia della presunta relazione è uscita fuori: a chi ha raccolto la sua testimonianza il giovane ha raccontato che è durata un mese, cominciata con uno scambio di email nel periodo dell'occupazione del liceo ( avvenuta a dicembre dello scorso anno) e proseguita con messaggi su WhatsApp, fino a vedersi in zona Roma est per consumare un rapporto sessuale. 

Poi, ancora secondo la narrazione del giovane, i due hanno rotto per sua iniziativa: fallito il tentativo di archiviare tutto con un messaggio i due si sono incontrati per chiarire e dirsi addio durante il quale il giovane ha cercato di limitare la frequentazione alla sfera istituzionale, stando almeno a quanto ha detto lo studente in una registrazione che ha potuto ascoltare Repubblica. Registrazione fondamentale ai fini dell'accertamento in corso. 

Se il giovane la consegnerà all'ispettrice e lei la riterrà sufficiente per confermare l'esistenza di una relazione, allora i giochi potrebbero chiudersi presto. E gli studenti del Collettivo, che con la dirigente hanno avuto un rapporto travagliato fin dall'inizio a causa della stretta sul dress-code, potrebbero essere accontentati. La preside, infatti, rischia il licenziamento.

Da open.online l'1 aprile 2022.

La preside del liceo Montale di Roma, accusata di aver avuto una relazione con un suo alunno maggiorenne (sui giornali sono stati pubblicati dettagli di ogni tipo, chat comprese), «è sconvolta», chiede «rispetto» e che «questa vicenda abbia fine»: 

«Sta vivendo un momento di profondo sconvolgimento personale, un trattamento che nemmeno i mafiosi hanno ricevuto da parte della stampa. Non ci sarà un modo per risarcire un danno di questo tipo. Finora ha ricevuto solo attacchi ingiustificati». 

A parlare a Open è Alessandro Tomassetti, avvocato della professoressa. La preside, nonostante tutto, anche oggi 1 aprile è regolarmente al lavoro. Quello che insospettisce il legale è il fatto che di Sabrina Quaresima, si sappia praticamente tutto, foto comprese. Del ragazzo, che ha 19 anni e che dunque non è minorenne, no. «Come mai? Chi trae vantaggio da questa vicenda?

Le cose non accadono mai per caso. Questo è sconvolgente. Dietro c’è sempre un motivo. Forse è risultata scomoda a qualcuno? Forse qualcuno gliel’ha fatta pagare?», si domanda. E cita un episodio: l’occupazione della scuola nel mese di dicembre. «Lei denunciò la commissione di reati all’autorità pubblica. Già in quel momento aveva assunto una posizione di tutela vera dell’istituzione, di correttezza del lavoro. Si è esposta e questo non l’ha resa popolare». 

Sabrina Quaresima, che prima aveva lavorato in un’altra scuola, viene definita da alcuni ex allievi, in una lettera inviata a Open, come una «donna di estremo valore ma anche una persona scomoda». «La vita della mia assistita è stata sconvolta e stupisce il modo in cui oggi viene rappresentata dai nostri media. Una visione della donna becera, inaccettabile. Ognuno di noi potrebbe essere messo in questa gogna. Di fatto si sta sfruttando la pelle delle persone facendo crescere un interesse morboso intorno alla vicenda e centellinando pure le informazioni». Ma cosa rischia la preside? Qualora avesse davvero avuto una relazione con l’alunno (circostanze che lei smentisce), non avrebbe commesso alcun reato.

Le conseguenze sarebbero semmai sul piano disciplinare, dunque professionale. Ma sarà l’ufficio scolastico regionale, che sta già valutando il caso, a decidere se e cosa fare, la peggiore delle ipotesi sarebbe il licenziamento. «In alcuni Paesi le donne si lapidano con le pietre, nel 2022 in Italia si lapidano a parole sui giornali. Pubblicare nome, cognome, professione, foto e audio, in assenza di reato e ancora prima di qualsiasi ricerca della verità, non è diritto di cronaca ma negazione totale alla privacy e negazione dei diritti fondamentali». Quaresima, conclude il legale, sarebbe stato oggetto «di una caccia alle streghe come forse nel più buio Medioevo poteva accadere».

Da open.online l'1 aprile 2022.

«Il livello di abbruttimento di questo Paese è tale che basta una semplice accusa perché mandrie belluine di analfabeti si scatenino contro di lei, rivolendole insulti e provocazioni oscene. La prof Quaresima è una donna di estremo valore ma anche una persona scomoda e implacabile nei confronti di chi ogni giorno umilia la scuola pubblica». 

A scriverlo, a Open, sono un gruppo di ex alunni (19 in tutto) del Convitto nazionale Vittorio Emanuele II che hanno avuto modo di stare a contatto e di conoscere Sabrina Quaresima, la preside del liceo Montale di Roma, accusata di aver avuto una relazione con un suo alunno maggiorenne (e di cui sono stati pubblicati dettagli di ogni tipo, chat comprese). «La professoressa Quaresima è una gemma di raro splendore che la scuola italiana dovrebbe valorizzare e proteggere», raccontano. E, invece, è bastata una notizia di questa portata per «distruggere una persona»: «Ogni giorno trascorreva con noi circa sei ore di tempo, sia assistendo alle lezioni sia accompagnandoci a mensa sia aiutandoci nello studio pomeridiano», aggiungono. 

Cosa c’è scritto nella lettera

La descrivono come una persona attenta, che ha sempre «anteposto l’interesse di noi ragazzi ad ogni altro impegno personale, non lesinando mai l’aiuto che le richiedevamo». Aveva anche «attivato un laboratorio pomeridiano di filosofia in cui, su base volontaria e gratuita, si potevano approfondire svariati temi con il suo supporto dialettico». Tra l’altro, si era prodigata «per farci ottenere i biglietti di vari spettacoli teatrali (almeno due al mese) ai quali ci accompagnava». 

La prof, dunque, ha lavorato «instancabilmente per renderci cittadini più liberi e consapevoli, interpretando alla perfezione il ruolo pedagogico che la scuola pubblica dovrebbe avere». Per poter partecipare al concorso – che poi l’ha portata a diventare preside al Montale di Roma – ha «dovuto lasciare il posto da educatrice e presentarsi come insegnante di scuola primaria, senza alcuna certezza di essere effettivamente selezionata». Questa scelta «l’ha costretta a rinunciare sia alla comodità di un istituto come il Convitto sia a trascorrere l’ultimo anno di liceo con la nostra classe. Ricordiamo tutti il dolore che l’impossibilità di accompagnarci al termine del quinquennio le ha arrecato». 

In merito alle accuse rivolte alla prof, il giudizio dei suoi ex alunni è netto. Parlano di vicende che, «prima di essere messe in pubblica piazza, dovrebbero essere appurate». Parlano, poi, di «una donna sincera, volitiva, integerrima, giusta. È professionale nel suo lavoro e mette sempre in chiaro che i ruoli vadano rispettati: ha criticato più volte alcuni nostri docenti per un atteggiamento troppo amichevole o poco severo nei nostri confronti». 

Nel corso di quattro anni, è stata l’ultima persona che «si potesse accusare di avere preferenze o rapporti personali equivoci con gli studenti». Le sue capacità e il suo impegno «erano, e sono tuttora, causa di profonda invidia da parte di colleghi meno volenterosi di lei».

Da corriere.it l'1 aprile 2022.

(…) Il suo avvocato Alessandro Tomassetti tenta di arginare una narrazione parziale e, sostiene, squilibrata dei fatti. La donna avrebbe avuto una relazione con un suo studente? Ebbene dice l’avvocato, si è data in pasto ai media la sua cliente prima ancora di accertare come stessero le cose: «Pubblicare nome, cognome, professione, foto e audio in assenza di reato e ancor prima di qualsiasi ricerca della verità non è diritto di cronaca ma negazione totale alla privacy e negazione dei diritti fondamentali per un essere umano donna» risponde Tomassetti. In parallelo si è omesso di pubblicare il nome del ragazzo (un maggiorenne) quasi lei e lui non fossero portatori di analogo diritto alla riservatezza.

Estratto dell'articolo di Lorenzo d'Albergo per “la Repubblica” il 5 aprile 2022.  (...)

Qui, al Montale, c'è un mix di provenienze e ambizioni. L'ex liceo di Damiano dei Måneskin è la casa dei ragazzi di Casetta Mattei e Monteverde, Cornelia e Battistini. E, ancora, Torrevecchia, Casal Lumbroso, Ponte Galeria e Portuense. C'è una sezione considerata d'élite, la A del liceo classico, e centinaia di giovani da far diplomare in quelle del linguistico e del sociopsicopedagogico. Insomma, chi arriva al Montale deve calarsi in fretta nella sua galassia. 

Specie se viene a prendere il posto di Raffaella Massacesi, preside appena andata in pensione e, così pare, piuttosto rimpianta dai docenti. «Al suo posto - ricorda una mamma in attesa della figlia - ci doveva essere Ottavio Fattorini » . Un giovane prof. I genitori dicono fosse «davvero brillante». La vita, però, lo ha portato lontano dai banchi, al ministero. La presidenza allora è di Quaresima. La partenza non è indimenticabile. È del 10 settembre la circolare ( mai digerita dagli studenti) che impone di evitare « un abbigliamento poco consono e scarsamente decoroso».

L'impatto, va da sé, è ostico. Come in tutti gli istituti, poi ci sono giochi di potere e lotte intestine già in atto già da anni. C'è chi attende la nuova dirigente per uscire dall'angolo. E chi, invece, la guarda subito in cagnesco. In ballo ci sono le cattedre delle sezioni migliori, progetti e piccoli finanziamenti. Gelosie e invidie professionali che, ritiene chi si schiera con la dirigente, sarebbero costate a Quaresima uno scandalo a orologeria. I mandanti? Non si fanno nomi. 

Contano i fatti. A raccogliere la testimonianza del 18enne che avrebbe avuto una storia con la dirigente, sono stati i vicepresidi, un team sostenuto da chi fa squadra con il vecchio establishment del Montale. Uno, Luigi Botticelli, è stato sospeso dalla carica. Il video in cui la dirigente lo riprende per la moto parcheggiata fuori posto è il sunto di un rapporto mai decollato. Lettere di richiamo, ricorsi, sospetti incrociati. Colpi di scena di un filmaccio, di quelli da cambiare canale. O scuola. Perché questo colpo sarà difficile da dimenticare. Pure per la generazione Instagram, abituata a metabolizzare di tutto in 15 secondi. Il ritmo delle stories al Montale non tiene.

Valentina Lupia per “la Repubblica” il 5 aprile 2022.

I tempi, le dichiarazioni dei protagonisti e le loro versioni. Il rebus del liceo Montale è complesso. Complicato dalle tensioni che si respirano a Bravetta e che l'ispettrice inviata dall'Ufficio scolastico regionale non potrà ignorare. Prima, però, dovrà riannodare i fili di una storia che da giorni provoca imbarazzi e polemiche. 

I vicepresidi e altri docenti considerati informati sui fatti devono ancora essere ascoltati: riporteranno le parole del diciottenne che a loro ha detto di aver avuto una relazione sentimentale con la preside. In due colloqui, uno addirittura alla presenza dei genitori.

Svelando anche i dettagli: luoghi dove i due si sarebbero visti, messaggi, fino a rivelare l'esistenza di un audio dell'ultimo incontro tra i due. Un audio che Repubblica ha potuto ascoltare e che conferma la tesi del ragazzo. Ma varrà come prova solo se lui, o chiunque ne sia in possesso all'interno dell'istituto, deciderà di consegnarlo all'Ufficio scolastico regionale. La Quaresima, al suo primo anno di prova da dirigente, è stata già ascoltata. « Un colloquio durato dieci ore e mezza», ha dichiarato. Secondo i colleghi più rodati, che preferiscono rimanere anonimi, un incontro così lungo sarebbe indice di un altro tipo di accertamento, una sorta di indagine parallela: quella sull'incompatibilità ambientale. In sintesi, se anche nelle mani dell'ispettrice non finissero prove sostanziali della relazione tra i due, chi è a capo dell'accertamento potrebbe comunque suggerire al direttore dell'Usr il trasferimento.

A pesare, infatti, non è tanto il rapporto ormai compromesso coi vicepresidi, quanto quello con gli studenti che nelle scorse settimane avevano anche fatto scritte sui muri della scuola " dedicate" alla preside, come «La laurea in pedagogia l'hai presa troppo seriamente». « Se la relazione verrà confermata, chiederemo le dimissioni della dirigente», dicono gli studenti del Collettivo Montale, che due giorni fa con una nota hanno dichiarato di «rifiutare la concezione maschilista che giudica le donne per la loro vita sessuale » , ribadendo però che la questione è relativa, piuttosto, al fatto che la storia vedrebbe coinvolti proprio la preside e un suo studente. Questione di «inadeguatezza », dicono. La preside continua a negare. « Non c'è stata nessuna storia. Ma se tornassi indietro sarei più cauta », ha aggiunto. A Repubblica aveva anche confessato di essere al corrente delle voci che « uno studente maggiorenne» aveva messo in giro. « Ma non ho denunciato perché era solo un pettegolezzo». Una versione al vaglio degli ispettori. Un altro nodo da sciogliere. 

Sabrina Quaresima, sesso al liceo. L'audio tra la preside e lo studente: "Quella cosa del toy boy...". Libero Quotidiano il 31 marzo 2022.

Continua a tenere banco il caso della preside del liceo Montale di Roma e dello studente maggiorenne con cui avrebbe intrattenuto una relazione per circa un mese. Nel fascicolo dell’ispezione condotta dall’Ufficio scolastico regionale del Lazio è stato inserito un audio riguardante il presunto ultimo incontro tra Sabrina Quaresima e il ragazzo 18enne: Repubblica ha avuto modo di ascoltarlo e di riportarne i passaggi salienti.

In un primo momento si sente lo studente chiedere di riportare il “nostro rapporto” su un “piano istituzionale”, con la donna che cerca spiegazioni per un allontanamento che ritiene “improvviso”. Il ragazzo spiega di aver conosciuto una ragazza, o meglio di averla reincontrata, e quindi di voler troncare il rapporto con la sua preside. “Ecco, immaginavo che sotto poteva esserci una cosa come questa… ma l’hai conosciuta prima?”, chiede la donna, riferendosi probabilmente all’atto sessuale consumato all’interno di una macchina.

“Ho pensato che stare con lei e vedere te non sarebbe stato rispettoso - risponde il ragazzo - sia nei tuoi che suoi confronti. Così ho preferito tagliare, pensando che comunque la cosa non sarebbe potuta andare avanti. Lei mi piace molto. E tu poi mi hai fatto anche quel discorso del ‘toy boy’, mi hai detto che non avresti voluto averne uno accanto. Ecco, preferisco evitare situazioni spiacevoli”. “Ma io la cosa del ‘toy boy’ l’ho buttata lì così - ribatte la preside - capisco che poteva trarre in inganno… Lo ammetto, è stato un mio errore dirlo. E comunque immaginavo che ci fosse qualcosa sotto come una ragazza”. Poi la conversazione finisce, con il ragazzo che scende dalla macchina e chiude lo sportello.

Valentina Lupia per roma.repubblica.it il 31 marzo 2022.

Esiste un audio dell'ultimo incontro tra la preside del liceo Montale, Sabrina Quaresima, e lo studente maggiorenne che ha raccontato di aver avuto una relazione con lei, durata all'incirca un mese. 

Oggi entrerà ufficialmente nel fascicolo dell'ispezione che l'Ufficio scolastico regionale del Lazio sta portando avanti da lunedì per verificare la condotta della dirigente e stabilire come sono andati davvero i fatti. Repubblica ha avuto modo di ascoltarlo. E ne riporta i passaggi più salienti. 

"Penso sia meglio riportare il nostro rapporto su un piano istituzionale, com'è giusto che sia tra uno studente e una preside, ma rimango disponibile per il bene la scuola", dice la voce maschile, attribuita al 18enne prossimo alla maturità. 

È il momento dell'addio tra i due, in cui il giovane ribadisce alla donna la sua volontà, già espressa giorni prima tramite messaggio: "Sabrina, credo sia meglio non vederci più, non sono pronto a darti quello che vuoi, ho già deciso e non torno indietro". Ma non era riuscito a convincerla ad archiviare, tanto che lei ha insistito per vedersi e chiarire i motivi dell'allontanamento. Secondo la donna avvenuto "all'improvviso". 

"Non ti stavo evitando, eccomi qui per parlare", la conforta lui, dall'interno dell'abitacolo di un'automobile. "Sono risentita del messaggio che mi hai scritto per dire basta, penso sia normale", ribatte la voce femminile, che il giovane ha attribuito alla dirigente scolastica. 

È ancora lei a parlare: "Ma tu sai quello che volevo? Io sono una persona che si emoziona facilmente, per questo i miei messaggi sono sembrati così pieni di enfasi. Però ci tengo a parlarne faccia a faccia, perché mi pare strano che prima ci sia stata tutta questa presa e in un giorno sia cambiato tutto", si sente nell'audio. 

"Ci ho pensato su attentamente", prosegue il ragazzo. Vuole andare dritto al punto e, secco, le annuncia: "Ho conosciuto una ragazza".

"Ecco, immaginavo che sotto poteva esserci una cosa come questa... ma l'hai conosciuta prima?", domanda la donna. Prima di cosa non è specificato. Ma non è difficile immaginare che potrebbe riferirsi all'atto sessuale che i due avrebbero avuto, secondo il racconto del giovane, in una strada tra i palazzi di Roma est, all'interno di una macchina. 

"La conosco da un po', diciamo che l'ho rincontrata. Non te l'ho detto prima perché non volevo essere indelicato". 

Però, poi, prosegue, "ho pensato che stare con lei e vedere te non sarebbe stato rispettoso. Sia nei tuoi che suoi confronti. Così ho preferito tagliare, pensando che comunque la cosa non sarebbe potuta andare avanti. Lei mi piace molto. E tu poi mi hai fatto anche quel discorso del 'toy boy', mi hai detto che non avresti voluto averne uno accanto. Ecco, preferisco evitare situazioni spiacevoli, ho percepito cose... non che tu fossi proprio innamorata di me... ma che fossi già avanti sentimentalmente". 

E lei ribatte: "Ma io la cosa del 'toy boy' l'ho buttata lì così, capisco che poteva trarre in inganno... Lo ammetto, è stato un mio errore dirlo. E comunque immaginavo che ci fosse qualcosa sotto come una ragazza, mi rendo perfettamente conto". 

A questo punto la conversazione, iniziata con l'intenzione di lei di vederci più chiaro sulla 'separazione' - "prima ci sentivamo anche di sera, parlavamo pure di storia e filosofia, poi il nulla" - sta per finire. Così come l'audio, di pochi minuti in totale, ma piuttosto eloquenti. Il ragazzo fa per scendere dall'automobile, questa volta parcheggiata nel quartiere di Bravetta, dove si trova il liceo. 

"E dimmi... come va con lei? È una storia che è già avviata?", chiede ancora lei. "Sìsì", dice lui, senza fornire altri dettagli. Infine ribadisce: "Mi puoi far chiamare in classe quando vuoi, purché però sia chiaro questo: il nostro rapporto deve essere solo di tipo istituzionale, ma istituzionale davvero, come quello tra docente e studente". Poi si il rumore della portiera che si chiude.

Oggi l'ispettrice incaricata dall'Ufficio scolastico regionale del Lazio piomberà a scuola per ascoltare tutti: la preside, con la quale è entrata in contatto nei giorni scorsi, a seguire i vicepresidi che avevano raccolto le deposizioni dello studente. 

E infine dovrà incontrare lui, il 18enne: il suo apporto sarà fondamentale per accertare quando davvero è accaduto. Da un lato, la preside rimanda al mittente ogni accusa: "Si tratta solo di pettegolezzi messi in giro da persone che non mi vogliono qui nell'anno di prova come dirigente". Dall'altro, però, il giovane ha ammesso di avere messaggi e audio che andrebbero in un’altra direzione.

L’atmosfera a scuola è tesa e tutti si aspettano che lui sia collaborativo, confermando le parole più volte deposte. Poi la palla passerà all’Ufficio scolastico regionale.

Da open.online l'8 aprile 2022.

«All’inizio, quando alcuni docenti mi hanno riferito delle voci, mi sembrava un incubo, sembrava quasi che si parlasse di qualcuno che non ero io. Mi dicevo “magari è solo una voce che si spegne così come è venuta fuori». A parlare, a Porta a porta, è la preside del Montale di Roma, Sabrina Quaresima, accusata di aver avuto una relazione con un alunno di 19 anni. 

Circostanza che lei ha sempre smentito (e che, comunque, non costituisce reato): «Non c’è mai stata alcuna relazione». Quaresima – che disconosce quelle chat pubblicate sui giornali – ha conosciuto il ragazzo durante l’occupazione del liceo, alla fine dello scorso anno, quando l’ha aiutata in un momento in cui «si sentiva molto sola». Forse il fatto di aver aiutato la dirigente a individuare i nomi delle persone che occupavano l’istituto scolastico potrebbe avergli fatto inimicare i compagni. Quando sono cominciate a comparire delle scritte sui muri – ha proseguito Quaresima – «allora ho capito che qualcuno ce l’aveva con me». Anche se mai avrebbe immaginato che un pettegolezzo di questo tipo sarebbe poi finito sui giornali: lo aveva derubricato a «un’invenzione di un ragazzo che voleva darsi delle arie». 

I genitori del ragazzo

In tutto questo i genitori del ragazzo non avrebbero mai avuto un colloquio con lei. Mai un confronto. «Se fossero stati indignati, mi avrebbero contatto e questo non è successo», ha spiegato lei. C’è, però, un particolare: i genitori sarebbero già andati a scuola a parlare dell’accaduto nel periodo in cui la preside era a casa per Covid. «Ho ragione di credere che siano stati convocati», dice. Ma in sua assenza. Come mai? Qualcuno voleva fargliela pagare? È quello che fa ipotizzare anche il suo legale, intervistato da Open.

E qui Quaresima, intervistata da Bruno Vespa a “Porta a porta”, introduce uno degli argomenti più spinosi della vicenda: i rapporti con i suoi collaboratori, tra cui l’ex vicepreside che ha poi sollevato dall’incarico. «Ha avuto un modo poco rispettoso di rivolgersi alla mia persona. Io sono stata considerata un’intrusa, una persona che voleva toglier loro dei privilegi. Ora qualcuno degli insegnanti non mi saluta più, ma sono una minoranza». E il ragazzo? «L’ho incontrato due volte, sporadicamente, “buongiorno, buongiorno”. All’inizio avevo tentato anche di contattarlo per capire cosa stesse accadendo ma non ho ricevuto risposta». 

Il colloquio di 10 ore e mezza con l’ispettrice

Quaresima – che al Montale forse non era amatissima dopo aver «suggerito un abbigliamento consono all’ambiente scolastico», fatto che è stato «frainteso» dai ragazzi – ha detto di avere il numero di tutti i rappresentanti d’istituto, tra cui quello del ragazzo di 19 anni che, però, era in surroga (infatti successivamente non è stato eletto). I due hanno avuto interazioni solo «su faccende scolastiche, nulla di privato». A sostenerla, intanto, in tutte queste settimane, è stato il marito «eccezionale» che non le ha mai chiesto di «questa fantomatica relazione», ha subito capito che «si trovava in un ambiente ostile». Anche perché Quaresima, per spiegare le sue ragioni, è stata sentita da un’ispettrice dell’ufficio scolastico regionale per ben 10 e ore e mezza. «Un interrogatorio che mi ha provato molto, dalle 8.20 del mattino alle 19.30 della sera, con una piccola pausa». All’ufficio scolastico – ha scoperto la dirigente – era arrivato un esposto. Da parte di chi? Nessuno lo sa, nemmeno la preside che, intanto, ha registrato la solidarietà dei suoi ex allievi (che hanno mandato una lettera proprio a Open) e della sorella che ha aperto per lei una pagina di sostegno su Facebook. Insomma, Quaresima è stata vittima di «una gogna mediatica», frutto forse di una «strumentalizzazione». I risultati dell’ispezione ancora, però, non si conoscono.

Valentina Santarpia per corriere.it il 20 aprile 2022.

Si chiude con un non luogo a procedere l’ispezione ministeriale a carico della preside del liceo Montale di Roma, Sabrina Quaresima, 49 anni, sospettata di aver avuto una relazione con uno studente di 19 anni. 

L’approfondimento dell’ispettrice dell’ufficio scolastico regionale, che nei giorni scorsi ha sentito tutti i protagonisti della vicenda, si conclude con la scelta di non sottoporre la dirigente ad alcun procedimento disciplinare: non sono stati ravvisati elementi- è in grado di anticipare il Corriere- che possano configurare la sua condotta come una violazione del codice disciplinare.

Massimo riserbo dell’ufficio scolastico sulle relazioni elaborate dopo i colloqui con i diversi protagonisti della spinosa questione, a partire da quello con l’ex vicepreside, Luigi Botticelli, con cui la preside aveva un rapporto conflittuale. La stessa preside aveva avuto un colloquio di oltre dieci ore per chiarire la vicenda che l’aveva coinvolta. La conclusione però è chiara e la libera da qualsiasi coinvolgimento: non sarà sottoposta ad alcuna sanzione né provvedimento disciplinare, il suo comportamento non è stato ritenuto scorretto.

La presunta relazione era diventata un caso mediatico, dopo la pubblicazione dei contenuti ipotetici di chat tra la preside e lo studente, e la sovraesposizione della dirigente, finita in una gogna di accuse e commenti. 

La dirigente ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento e spiegato che con lo studente c’era stato solo un rapporto di amicizia e collaborazione: qui l’intervista in esclusiva al Corriere.

Preside assolta, trama da fiction finita nel nulla. Valeria Braghieri il 21 Aprile 2022 su Il Giornale. Passata la Pasqua, si è chiusa la storia della Quaresima.  

Passata la Pasqua, si è chiusa la storia della Quaresima. Il presunto scandalo della preside romana, impropriamente impegnata in una relazione con uno studente dell'ultimo anno del suo istituto (il liceo Montale), si conclude con un nulla di fatto dal punto di vista disciplinare e con una ghiotta fantasia abortita quasi sul nascere. Gli ispettori dell'Ufficio Scolastico hanno infatti stabilito che non ci sia stata alcuna violazione del codice. La fiction era già partita, però. La pubblicazione delle chat tra i due e anche quelle degli studenti che insinuavano, accusavano, si «dissociavano», i racconti del diciannovenne o degli amici che lasciavano intendere, i genitori del ragazzo, comprensibilmente preoccupati, che chiedevano un incontro al vicepreside per cercare chiarimenti sull'inaccettabile situazione. Era saltato fuori perfino l'«emulatore» che sosteneva anche lui di aver avuto una relazione di circa un mese con la preside, poco prima dell'esplosione dello «scandalo». Vero niente, evidentemente. Ma troppo pruriginoso per non crederci.

Lei incastonata in quell'età perfetta tra «l'esperta» e «l'appetibile», il suo geometrico, aggressivo taglio a caschetto nero-tenebra, il suo rossetto audace, le ciglia finte, gli orecchini pendenti e l'ospitata a Porta a Porta. Preside, per di più. E lui, maturando dell'ultimo anno, rappresentante di istituto in surroga, con il polso dei movimenti studenteschi a esercitarlo a uomo, le giornate gonfie di futuro e il cielo romano, che è sempre un bel complice. Chissà cos'è scattato dove e quando e come. Fatto sta che la fiction è iniziata, e forse sarebbe proseguita con tanto di sceneggiatura e interpreti scelti ad hoc su qualche schermo Rai, se la realtà non avesse mortificato la fantasia. Non c'è stato nulla tra la preside Sabrina Quaresima e il suo studente, il «suo»... uno dei tanti. Ci sarebbero stati tutti gli elementi, ma non c'era la storia. Se fosse accaduto tra un preside maschio e una studentessa femmina, il fastidio avrebbe prevalso sul tifo. Dal romanzo rosa ci si sarebbe spostati alla cronaca nera, perché il Me too, i femminicidi, le molestie hanno giustamente saturato la tolleranza, figuriamoci l'ironia. Ma qui no. Si capiva perfettamente che era la storia perfetta per indignarsi senza sconcertarsi, per volerne sapere di più senza esserne disturbati, per tifare per il seguito pur prendendone le distanze. Troppo ghiotta la vicenda della signora avvenente col ragazzino. E invece... Fine della Pasqua e fine dello scandalo Quaresima.

Valentina Santarpia per corriere.it il 21 aprile 2022.

Si chiude senza provvedimenti l'ispezione ministeriale a carico della preside del liceo Montale di Roma, Sabrina Quaresima, 49 anni, sospettata di aver avuto una relazione con A.S., uno studente di 19 anni in procinto di sostenere l'esame di maturità. 

L'approfondimento dell'ispettrice dell'ufficio scolastico regionale del Lazio, che nei giorni scorsi ha ascoltato tutti i protagonisti della vicenda, si è concluso infatti con la scelta di non sottoporre la dirigente ad alcun procedimento o provvedimento: non sono stati ravvisati elementi che possano configurare la sua condotta come una violazione del codice disciplinare. 

Una notizia che Quaresima accoglie «con immensa gioia»: «È la fine di un'angoscia mai provata - spiega -. Sono stata processata senza appello da un tribunale mediatico senza morale né scrupoli», fa sapere attraverso i suoi legali.

Massimo riserbo dell'ufficio scolastico sulle relazioni elaborate dopo i colloqui con i diversi protagonisti, a partire da quello con l'ex vicepreside, Luigi Botticelli, con cui la preside aveva un rapporto conflittuale. E che lei stessa aveva rimosso dall'incarico di fiducia. La preside aveva avuto un colloquio di oltre dieci ore con l'ispettrice per chiarire la vicenda che l'aveva coinvolta, provando ad approfondire tutti i particolari che avevano fatto circolare le voci di una relazione sentimentale tra lei e il ragazzo. La conclusione però è chiarissima e la libera da qualsiasi coinvolgimento: la preside non sarà sottoposta ad alcuna sanzione, il suo comportamento non è stato ritenuto scorretto o lesivo dell'immagine dell'istituzione scolastica che dirige. 

L'ispezione era partita, come spiega lo stesso ufficio scolastico, «a tutela di tutta la comunità scolastica e per verificare le segnalazioni alle quali la stampa nazionale ha dato ampio risalto». La notizia era infatti rimbalzata dai muri del liceo, dove erano comparse alcune scritte, alle prime pagine dei giornali. 

E a un certo punto a inquinare la scena erano apparse le presunte chat tra la dirigente e il suo studente, che avrebbero dimostrato un legame molto più stretto di quello immaginabile e consentito. Nonostante il Garante della privacy fosse intervenuto per bloccare la pubblicazione di contenuti scabrosi, e non verificati, la preside è stata sottoposta per giorni a quella che lei stessa ha definito una «gogna mediatica». «Con il ragazzo ho avuto solo un rapporto di collaborazione - ha spiegato -. Non posso rimproverarmi nulla, ma oggi sarei più cauta», ha ammesso, raccontando i giorni difficili a scuola.

Fino alla completa «assoluzione» di ieri, quando il direttore dell'ufficio scolastico, Rocco Pinneri, ha pubblicato una stringatissima nota sul sito per dichiarare le conclusioni dell'accertamento. Senza entrare appunto nel dettaglio: i colloqui sono stati riservatissimi e la linea del ministero dell'Istruzione è che rimangano tali. Ma è evidente che le indagini condotte non hanno portato in questa sede alla scoperta di «prove» che avrebbero potuto in qualche modo colpevolizzare la dirigente. 

«La giustizia ha trionfato», è scritto sulla pagina «Sosteniamo Sabrina Quaresima», realizzata dalla sorella della dirigente su Facebook. «Basta mettere il mostro in prima pagina - commenta il responsabile dell'associazione pr