Denuncio al mondo ed ai posteri con
i miei libri
tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le
mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non
essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o
di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio
diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli
editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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L’ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
L’AMBIENTE
TERZA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
L’AMBIENTE
INDICE PRIMA PARTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Per fare un albero ci vuole…
La morte degli Allevamenti.
La morte dell’Agricoltura.
L’Orto.
Il Biologico.
Il Legname.
Il Tovagliolo.
I sensi del buon gusto.
Cibi Biblici.
I Cibi che fanno bene e fanno male.
L’Acqua.
L’Amido.
La co2 per uso alimentare.
Lo Spreco Alimentare.
La Scadenza.
Il Ricettario di Artusi.
Mangiare italiano.
Sovranità alimentare.
Mangiare non italiano.
L’alimentazione alternativa.
Il Brodo.
I Cuochi.
Lo Zucchero.
Il Sale.
Il Pepe.
Il Peperoncino.
La Cozza.
La Seppia.
La Carne.
Gli Insaccati.
Gli Alcolici.
Il Vino.
La Birra.
Il Caffè.
Il Cacao.
L’Olio d’Oliva.
L’Olio di Palma.
Il Formaggio.
Il grano e i suoi derivati.
Il Mais.
La Polenta.
Il Pomodoro.
Il Lampone.
Le Fave.
I Lupini.
La Zucca.
La Melanzana.
I Limoni.
L’Anguria.
Il Tartufo.
Lo Zafferano.
INDICE SECONDA PARTE
SOLITO ANIMALOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
La pesca.
Le Migrazioni degli Animali.
La Transumanza.
A tutela degli animali.
Il Cane.
Il Lupo.
Le Galline.
Il Cavallo.
L’Asino.
Le pecore.
Il Maiale.
I Rettili.
La Tartaruga.
I Coralli.
I Pesci.
I Crostacei.
Api e Vespe.
Gli Uccelli.
I Felini.
La Lontra.
Lo Yeti.
L’Orso.
IL SOLITO TERREMOTO E…(Ho scritto un saggio dedicato)
Sprechi e Ritardi nella ricostruzione.
Ed Omissioni…
Le Valanghe.
Gli Incendi.
Le Eruzioni.
INDICE TERZA PARTE
IL SOLITO AMBIENTOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Economia circolare.
L’Edilizia.
Il Mare.
I Parchi.
La Pioggia.
Il Pozzo Artesiano.
Il Caldo.
Il Freddo.
Il Riciclaggio.
Il Vetro.
La Plastica.
La transizione ecologica - energetica.
I Gretini.
Gli antigretini.
Le Fake News.
Negazionismo e Doomismo climatico.
Il Costo della Transizione.
IL SOLITO AMBIENTOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
L’Inquinamento Acustico.
L’Inquinamento atmosferico.
Gli Inquinatori.
La sostenibilità di facciata: Il Greenwashing.
La Risorsa dei Rifiuti.
L’Amianto.
Emergenza energetica ed è austerity.
Le Correnti del mare.
L’Eolico.
Il Gas metano.
Il Fotovoltaico.
L’Agrivoltaico.
I Termovalorizzatori.
Quelli che…Il Litio.
Quelli che…il Carbone.
Quelli che…l’Idrogeno.
Quelli che…Il Nucleare.
Quelli che…sempre no!
La Xylella.
L’AMBIENTE
TERZA PARTE
IL SOLITO AMBIENTOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
· A tutela dell’Ambiente.
Cop15: perché gli indigeni si schierano contro le aree protette. Valeria Casolaro su L'Indipendente il 9 dicembre 2022.
Nella città di Montreal, in Canada, ha preso il via il la quindicesima Conferenza delle Parti (COP15) della Convenzione sulla Diversità Biologica, che si protrarrà fino al 19 dicembre. Sono oltre 190 i Paesi che vi hanno preso parte per discutere delle misure da mettere in atto da qui al 2030 per salvare la biodiversità e gli ecosistemi. Tra queste vi è un’iniziativa controversa, la cosiddetta 30×30, che prevede di trasformare il 30% del pianeta in Aree Protette entro il 2030 e la cui adozione è prevista proprio nell’ambito dell’attuale Conferenza. Tale misura tuttavia non è vista in modo favorevole da tutti: alcune associazioni di rilievo, tra le quali Amnesty International e Survival International, hanno redatto una dichiarazione congiunta che elenca i motivi per i quali la creazione di tali Aree costituisce in primo luogo una minaccia per la sopravvivenza delle popolazioni indigene e di conseguenza della biodiversità della quale sono custodi.
L’80% della biodiversità attualmente esistente sul pianeta si trova infatti all’interno delle terre dei popoli indigeni: per tale motivo, sostengono nella dichiarazione congiunta Survival International (associazione che si occupa della tutela dei diritti dei popoli nativi) e le altre ONG, “il modo migliore per conservare gli ecosistemi è proteggere i diritti di coloro che vivono e dipendono da essi”. Le Aree Protette, infatti, costituiscono il “cardine del modello di conservazione dominante condotto dall’Occidente”, promosso attraverso il perpetrarsi di abusi ai danni della popolazione tra i quali omicidi, stupri e torture e sfratti diffusi, tanto in Africa quanto in Asia. Uno degli esempi più recenti lo ha illustrato la ricercatrice Fiore Longo a L’Indipendente, descrivendo il tentativo della Tanzania di sfrattare le popolazioni Maasai dalle proprie terre ancestrali anche con mezzi violenti, incendiando le case della popolazione e sparando contro le persone.
Come scrive Survival, all’interno della propria Guida per decolonizzare il linguaggio nella conservazione, vi è una profonda differenza tra le Aree Protette così come vengono concepite in Occidente e come invece lo sono nelle zone tipicamente collocate nel Sud globale, figlia degli squilibri di potere che evidentemente legano i due emisferi del globo. Mentre infatti in Europa non sarebbe possibile costituire un’area di questo tipo senza tenere in conto i bisogni delle comunità locali, in genere attraverso consultazioni, leggi e processi politici, in Africa e Asia questo genere di aree è gestito “da agenzie governative e ONG conservazioniste occidentali” e difficilmente le comunità hanno un qualche ruolo nella loro gestione. Una modalità di gestione che non si allontana troppo da quello di terra nullius (letteralmente “terra che non appartiene a nessuno”), in base al quale i colonizzatori britannici poterono appropriarsi dei nativi nel Pacifico sulla base del fatto che non vi era un controllo statale tale come concepito in Occidente a delimitarne i confini. “In Europa, i parchi nazionali devono tipicamente portare qualche beneficio agli abitanti locali, mentre in Africa e Asia hanno lo scopo di ‘proteggere’ dalla popolazione locale e indigena”. Oltre il 13% del nostro pianeta è costituito da Aree protette, per un valore totale di due miliardi di ettari (l’equivalente di due volte gli Stati Uniti).
La proposta del 30×30, istituita nell’ambito del Quadro Globale per la Biodiversità post-2020 dell’ONU (Global Biodiversity Framework, GBF), contiene al suo interno molte promesse di inserire la tutela dei diritti umani e territoriali, ma queste si limitano ad essere mere “indicazioni”, denunciano le associazioni, piuttosto che criteri rigorosi e vincolanti. Il 30×30, inoltre, non sarebbe supportato da alcun criterio scientifico, costituendosi piuttosto come obiettivo arbitrario. Allo stesso modo “le evidenze scientifiche dicono chiaramente che per fermare il collasso ecologico sarà necessario ben più di una rete globale allargata di Aree Protette”, indagando “le cause reali della perdita di biodiversità, come il sovra-consumo”.
«L’idea che il 30×30 sia uno strumento efficace nella protezione della biodiversità non ha alcuna base scientifica» dichiara Fiore Longo, «L’unico motivo per cui è ancora in discussione nelle negoziazioni è che viene spinto con forza dall’industria della conservazione, che vede in esso un’opportunità per raddoppiare la quantità di terra sotto il suo controllo. Se sarà approvato, costituirà il più grande furto di terra della storia e deruberà milioni di persone dei loro mezzi di sussistenza. Se i governi intendono davvero proteggere la biodiversità, la risposta è semplice: riconoscere i diritti territoriali dei popoli indigeni». [di Valeria Casolaro]
La guerra bianca. Il nuovo ordine mondiale si decide sull’Artico. Marzio Mian su L’Inkiesta il 6 Dicembre 2022.
Il conflitto in Ucraina ha sancito la fine dell’eccezionalismo della convivenza pacifica nel Grande Nord, dove la Cina è attiva alleata della Russia contro la Nato. Putin è pronto a giocare su questo fronte la sua ultima partita
«Quella della Russia e della Cina nell’Artico è un’aggressione all’ordine internazionale…»
«Ammiraglio, con il dovuto rispetto, il suo intervento è pieno d’arroganza e alquanto paranoico…»
«Ho una domanda per lei, ambasciatore. Visto che la Cina si richiama tanto al principio di sovranità, allora perché non avete ancora condannato l’attacco russo all’Ucraina?»
«Non stiamo parlando d’Ucraina qui. La verità è che voi della Nato state approfittando di questo conflitto per espandervi nell’Artico e dominarlo. È un gioco molto pericoloso…»
Lo scambio avviene all’assemblea dell’Arctic Circle di Reykjavík a metà ottobre 2022. Dal palco sta parlando l’ammiraglio Rob Bauer, presidente del comitato militare Nato, quando l’ambasciatore cinese in Islanda si alza in prima fila e lo interrompe. Volti attoniti e brusio generale. I due si puntano l’indice l’un altro. […]
Pubblicamente, alle conferenze internazionali sull’Artico come quella islandese, non ricordo d’aver mai sentito pronunciare la parola «conflitto», un tabù ben custodito, per scaramanzia o ipocrisia. Il mantra della diplomazia artica era «cooperazione, stabilità, dialogo». Un modo per esorcizzare la realtà, e cioè quella d’una regione fragile non solo dal punto di vista ambientale, ma destinata a essere contesa con la forza perché non esistono accordi capaci di garantire la spartizione pacifica dell’unica area del mondo ancora non sfruttata e che nasconde quelle risorse di cui il mondo è affamato – ora soprattutto i minerali alla base delle tecnologie green e militari –, cruciali per alimentare il modello capitalista della crescita permanente.
Non s’è infatti mai visto che si presenta l’opportunità di mettere le mani su un nuovo continente e gli uomini le tengono in tasca. Non basta abbattere le statue di Cristoforo Colombo per cancellare la cultura dell’impero e del dominio, o pensare che il colonialismo sia archiviato soltanto perché i nuovi colonialisti usano parole corrette come «resilienza» e «inclusione».
Eppure le speciali regole d’ingaggio nelle relazioni artiche hanno resistito. Non secondario il fatto che tra le nazioni che s’affacciano sull’oceano polare ci sono due potenze, Russia e Stati Uniti, che si combattono in vario modo da oltre settant’anni, entrambe chiamate dalla stessa missione d’espandere la propria influenza e supremazia, e poi che ci siano confini polari condivisi da Nato e Russia.
Nasceva soprattutto da qui l’eccezionalismo dell’Artico: il dovere di collaborare e mantenere la stabilità nonostante tutto, nonostante l’oceano di ghiaccio fosse stato il teatro più caldo della Guerra fredda con i sottomarini nucleari che si davano la caccia come il gatto col topo. Lo spirito era quello indicato da Michail Gorbačëv a Ronald Reagan nel 1987, auspicando il disarmo dei missili a medio raggio dispiegati in Artico: «Facciamo del Polo un polo di pace» disse il leader sovietico davanti alla Flotta del Nord a Murmansk.
Il Consiglio artico, quando nacque nel 1996, era poco più d’una dichiarazione di buoni e pacifici intenti tra gli otto Paesi artici – oltre a Russia e Usa, Cana- da, Norvegia, Islanda, Danimarca (grazie alla Groenlandia), Svezia e Finlandia – che si proponevano di ritrovarsi allo stesso tavolo per lavorare assieme sulle questioni ambientali, sulla navigazione o sui diritti delle popolazioni indigene.
Non sulla sicurezza, perché non si trattava d’una organizzazione internazionale, ma d’un forum intergovernativo. Per diversi anni nessuno s’accorse dell’esistenza del Consiglio artico, frequentato da diplomatici pronti alla pensione; man mano che il ghiaccio si fondeva, e cominciavano a circolare le stime delle ricchezze sfruttabili e addirittura s’annunciavano rotte artiche alternative a Suez e Panama, allora sono arrivati i pezzi grossi, ministri degli Esteri, da Sergej Lavrov a Hillary Clinton.
E i Paesi che volevano contare sulla scena mondiale facevano a sportellate per essere ammessi come osservatori al club boreale, in primis la Cina. Quell’area rimasta ai margini della Grande Storia dell’umanità si trovava improvvisamente sotto i riflettori, al centro d’interessi globali.
Lo spirito di Gorby ha retto sotto molte tempeste, l’Artico è rimasto un luogo speciale, in parte perché è il totem della lotta al riscaldamento globale, la fetta di mondo che paga il prezzo più alto, dove sono più estreme le conseguenze della nostra hybris. E poi per quel tabú della guerra, un’ipotesi che non andava nemmeno contemplata lassù, fosse solo per la quantità di testate nucleari con cui Vladimir Putin piantona i suoi 22mila chilometri di costa polare.
Le crisi internazionali sono rimaste fuori dall’uscio del Consiglio artico, Stati Uniti e Russia hanno continuato a parlarsi, a studiare insieme lo smottamento del permafrost, la decimazione degli orsi, lo stravolgimento dell’ecosistema marino. Le guardie costiere dei Paesi artici non hanno cessato di condividere codici di navigazione per gestire gli inediti pericoli creati dal crescente traffico commerciale e turistico.
Il «patto del ghiaccio» tra gli Otto aveva superato anche l’annessione russa della Crimea nel 2014. Ma non l’invasione dell’Ucraina del 24 febbraio 2022. Sette Paesi artici hanno chiuso ogni collaborazione con la Russia, tra l’altro presidente di turno del Consiglio e titolare del 52 per cento di coste polari. L’Artico s’è spaccato
in due e s’è rotto il tabú della guerra. L’attenzione è sul Donbass e il Mar Nero, le mappe dei generali occidentali segnate in rosso riguardano il Grande Nord, il Mare di Barents e lo Stretto di Bering. «Dopo l’Ucraina è cambiato tutto. Ora la questione non è se ci sarà un conflitto nella regione polare, ma come evitarlo» mi ha detto Angus King, senatore indipendente del Maine: «Ciò che si prepara sul tetto del mondo è un problema di sicurezza nazionale per ogni Paese occidentale».
Con l’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato, il Consiglio artico è interamente euro-atlantico e di fatto il braccio politico della Nato. Dopo l’aggressione russa all’Ucraina, l’Alleanza ha presto accelerato verso una dottrina militare a trazione nordica, concentrando le sue attenzioni lì dove la Russia potrebbe sfidare l’articolo V del Patto atlantico perché è dove Putin ha ammassato la sua forza non convenzionale in grado di colpire l’Occidente con una gittata balistica più breve.
Da quello che ritiene il mare nostrum dei russi, lo zar proietta le sue ambizioni neo-imperiali, perché la Flotta del Nord, dalle acque polari, può collegarsi velocemente sia all’Atlantico sia al Pacifico. Nell’Artico, Putin protegge, armi (nucleari) in pugno, la sua cassaforte di gas e petrolio; ora che non può più confidare sulla barriera naturale dei ghiacci, su quei confini è pronto a giocarsi la partita finale. E, se servisse, a sparare l’ultimo colpo.
Nell’Artico tutto si tiene e tutto sembra convergere verso il peggio. Se Xi Jinping temporeggia sull’Ucraina, qui però è già militarmente alleato con Putin. Russia e Cina svolgono per la prima volta manovre navali congiunte nel Mare di Bering, hanno installato in due mesi – stando a quel che mi hanno detto al Dipartimento di Stato americano – una struttura integrata per la navigazione satellitare basata sulla piattaforma Huawei e il sistema di posizionamento BeiDou, l’alternativa cinese al gps utilizzato dalla Nato.
Non è un caso che, improvvisamente, Stati Uniti e Nato hanno alzato il tiro oltre Putin, parlando di «aggressione militare di Russia e Cina nell’Artico». Washington ha pubblicato in fretta e furia, sull’onda degli sviluppi seguiti al conflitto ucraino, la nuova National Strategy for the Arctic Region, dove s’avvisa la Russia che le verrà impedito «con ogni mezzo» di dominare l’Artico, ma molto spazio nel documento è riservato alla «minaccia militare cinese» e alle «finte basi scientifiche» nella regione. Le intelligence militari di alcuni Paesi euro-atlantici – come ho potuto verificare ascoltando varie fonti in Italia e Regno Unito – ritengono che Pechino e Mosca stiano dando per certa l’escalation nell’Artico.
Sarà Guerra bianca? «Quel che è certo è che il nuovo ordine mondiale si decide oltre il Circolo Polare» è il giudizio di Anton Vasiliev, ex ambasciatore russo in Islanda. «La Nato concentra le sue forze a nord-est approfittando dell’impegno russo in Ucraina. Sanno che la nostra esistenza dipende dal Grande Nord. Per noi anche l’embargo europeo al petrolio russo è un’azione ostile della Nato».
Lo scontro verbale alla conferenza di Reykjavík a metà ottobre 2022 è stato il momento in cui è finito un Artico, quello condannato alla pace, e ne sono nati due, condannati a scontrarsi. Non c’erano delegati russi, ma l’inviato speciale di Pechino per la regione polare, Feng Gao, ha parlato anche per Mosca. Annunciando che si andrà verso la creazione d’un Consiglio artico russo-asiatico, alternativo a quello dei sette Paesi occidentali e Nato. «Non riconosceremo mai un Consiglio artico senza la Russia» ha detto a brutto muso il diplomatico cinese.
Frasi che, a quelle latitudini, sono sembrate siluri. Non è più tempo di buone maniere, del bon ton di circostanza che s’usava verso un ambiente naturale in via di disfacimento e che disvela, insieme alle ricchezze, la nostra natura tracotante. Gli scenari di guerra che racconto in questo libro sono infatti gli stessi dove è già chiara, sul campo, la Waterloo del pianeta.
Il linguaggio è cambiato, ora è quello spietato della Storia che ingloba l’Artico, inquinandolo anche con le parole. Prima che spazio geografico, geopolitico o biologico, era soprattutto un’idea che nasce dal bisogno d’altrove, dalla speranza che vi sia infine un luogo diverso, senza Storia, dove le cose sono sempre state come sono, una parte del pianeta ibernata in un’immacolata, primordiale, purezza. Addio, mitica, ultima thule.
Percepita nei millenni lontana come una Luna, l’Artide in meno d’una generazione, con il cortocircuito climatico, è diventata luogo di conquista neo-coloniale; qualcuno sostiene che sia addirittura il Piano B dell’umanità in un globo sempre più desertificato, sovraffollato e scarso di risorse. Oggi non c’è regione del mondo dove le cannonate sparate in Ucraina rimbombino forte come nel Grande Nord.
Da “Guerra bianca. Il fronte artico“ di Marzio G. Mian, Neri Pozza, 304 pagine, diciannove euro.
La Svastica sull’Antartide. Emanuel Pietrobon il 4 Dicembre 2022 su Inside Over.
È dal XIX secolo che l’Antartide, il continente ghiacciato, è un’importante arena di confronto tra le grandi potenze. Oggi è una delle tante terre in cui vanno germogliando i semi della Terza guerra mondiale a pezzi, tra militarizzazione sottotraccia e giochi di spie. Ieri ospitò l’altro paragrafo glaciale della Guerra fredda. E l’altroieri, cioè durante la Seconda guerra mondiale, fu un obiettivo della Germania nazista.
Il mito della Nuova Svevia
La storia dell’ossessione antartica della Germania non inizia con Adolf Hitler, ma con Guglielmo II. La weltpolitik imponeva ai tedeschi di piantare ovunque la loro bandiera, dai Caraibi all’Oceania, perciò una prima spedizione antartica, guidata dal comandante Erich von Drygalski, fu organizzata fra il 1901 e il 1903. Poi, cause la Grande guerra e il successivo decennio nero, l’oblìo.
I tedeschi avrebbero dovuto attendere l’arrivo di Hitler per rimettere piede nel continente bianco. Berlino era alla ricerca di postazioni per la caccia alla balena, essendo il suo prezioso olio richiesto dall’industria nazionale, e l’Antartide sembrava il luogo perfetto in cui edificarne una. Anche perché, se fruttuosa, la spedizione avrebbe potuto soddisfare due obiettivi: uno economico, cioè la riduzione delle importazioni di olio di balena dalla Norvegia, e uno militare, ossia il possesso di una testa di ponte utile in caso di guerra.
La storia dimenticata dell’assalto nazista al Sudafrica
Nel dicembre 1938, nella più totale segretezza, il veterano della Marina tedesca Alfred Ritscher lasciò il porto di Amburgo alla volta dell’Antartide. Ritscher e l’equipaggio arrivarono nella costa della principessa Marta, parte di una più ampia regione che di lì a poco avrebbe reclamato la Norvegia – la terra della regina Maud –, poco più di un mese dopo.
Ritscher battezzò quella porzione di Antartide la Nuova Svevia, un omaggio alla nave catapulta sulla quale avevano viaggiato – la MS Schwabenland –, stabilendovi una base ed esplorandola da cima a fondo. Bandiere della Germania nazista furono piantate lungo la costa e colonne con in cima la svastica nell’entroterra.
A missione finita, nell’aprile dello stesso anno, Ritscher rincasò con più di diecimila fotografie aeree della Nuova Svevia e regioni adiacenti, equivalenti ad una mappatura territoriale dall’alto di circa 350mila chilometri quadrati di Antartide, e con dei rapporti oceanografici sui mari del polo sud e sull’Atlantico meridionale.
La Norvegia, venuta a conoscenza della spedizione nazista attraverso dei cacciatori di balene che avevano visto la nave catapulta in rotta verso il continente bianco, avrebbe reagito all’affronto estendendo le proprie rivendicazioni dalla costa della principessa Marta all’intera area mappata da Ritscher, chiamandola terra della regina Maud, ponendo fine alle ambizioni glaciali del Terzo Reich. O forse no.
Alla ricerca dei nazisti tra i ghiacci
Agosto 1946, la seconda guerra mondiale è finita da un anno quando un’imponente forza viene spostata dagli Stati Uniti al continente bianco. Una forza composta da 4.700 soldati, 33 aerei e 13 navi. Obiettivo dichiarato del dispiegamento, rispondente al nome di operazione Highjump, è la preparazione delle forze armate all’azione nei climi estremi. Passo necessario e propedeutico all’ingresso degli Stati Uniti in Antartide.
Ma Highjump potrebbe essere stata molto più di un’esercitazione avanzata. Highjump potrebbe aver perseguito, secondo letture controcorrente – e non per forza prive di senso –, anche un fine occulto: la ricerca di presunte installazioni naziste.
Gli Stati Uniti erano a conoscenza della grande trasmigrazione nazista verso le Americhe Latine e, seguendo le indiscrezioni ruotanti attorno la rete Odessa, si era fatta strada la convinzione, mai esplicitata, che da qualche parte tra il cono sud e l’Antartide i superstiti del Terzo Reich si stessero riorganizzando per un futuro colpo di mano.
Quando i nazisti tentarono l’assalto all’America Latina
Prove di attività naziste nel continente bianco non erano presenti. Dopo la spedizione di Ritscher, invero, Berlino avrebbe ufficialmente annullato le successive missioni in programma – almeno due – a causa dello scoppio del conflitto. Versione contestata dai pettegolezzi provenienti dall’Argentina, dove si parlava di basi sotterranee naziste nei pressi della penisola antartica, che il sensazionale approdo degli U-Boat 530 e 977 a Mar del Plata, sul finire della guerra, avrebbe contribuito in maniera determinante a investire di veridicità.
Gli Stati Uniti dovevano sapere se i superstiti del Terzo Reich avessero effettivamente costruito la vociferata Nuova Berlino nel continente bianco. E Highjump, secondo il filone cospirazionistico, avrebbe servito il proposito di scoprirla per distruggerla. Una teoria affascinante, ma che tale resterà fino a quando non emergeranno prove a suo supporto. Se mai emergeranno.
Il grande gioco per l’Antartide. Emanuel Pietrobon il 4 Dicembre 2022 su Inside Over.
La fame di egemonia delle grandi potenze non conosce limiti. Esse ambiscono al dominio di qualsiasi terra sulla quale posino lo sguardo o sulla quale camminino. È nel loro dna. Un determinismo genetico che può essere solo inibito, ma non estinto. È così da sempre. E sempre sarà.
Grandi potenze, la loro diplomazia parla la lingua delle cannoniere, dei preti e dei commercianti. Tra loro è grande gioco, torneo delle ombre, ovunque si trovino risorse in abbondanza. Perciò ogni epoca, sebbene in modo diverso, è stata testimone di competizioni egemoniche, corse coloniali e guerre di conquista nei polmoni del pianeta – Latinoamerica e Africa centrale – e nel suo cuore – Asia centrale.
Il cambiamento climatico e il progresso tecnologico hanno poco alla volta portato le grandi potenze a combattersi per le, e alle, estremità del pianeta: i due poli. Ma, mentre della corsa all’Artico è dato sapere di più, sul grande gioco per l’Antartide si scrive di meno. Anche se, numeri e fatti alla mano, ciò che sta accadendo nel continente ghiacciato è tutto fuorché irrilevante e trascurabile.
Tutti pazzi per l’Antartide
Antartide, l’anti-Artide, è da quando Fabian Gottlieb von Bellingshausen ne scoprì l’esistenza, nel lontano 1820, che le grandi potenze avanzano rivendicazioni su di essa. Il diritto internazionale la scherma dalle attività militari e commerciali – sulla base del Trattato del 1959 –, ma se la storia insegna qualcosa è che nulla è perpetuo. E, difatti, cambiamento climatico e competizione tra grandi potenze stanno lentamente portando il continente bianco al centro dell’attenzione di vecchi e nuovi attori.
Nel sottosuolo antartico giacciono quantità indefinite di risorse naturali dal valore strategico, in particolare terre rare, oro, rame, uranio, petrolio e gas naturale. Estrarre questo tesoro non è possibile in ragione del Trattato del 1959, che del continente vuole preservare anche il fragile ecosistema, ma le necessità dell’economia globale e la sfrontatezza di alcuni giocatori sono suscettibili di alterare lo status quo. La Russia, ad esempio, sta investendo nella mappatura del sottosuolo e dei fondali, delle cui ricchezze elabora stime generose da dare in pasto al pubblico, con l’obiettivo implicito di stuzzicare l’appetito delle influenti lobby degli idrocarburi.
Risorse naturali a parte, l’Antartide è un magnete per le potenze di ogni taglia per via della situazione sui generis che la caratterizza. Perché è, nonostante le rivendicazioni territoriali di sette stati – la sola Australia vorrebbe per se stessa il 42% dell’intero continente –, una terra di nessuno. Vuoto di sovranità conclamata che la rende aperta alla contesa e nel quale si è inserita con vigore la Repubblica Popolare Cinese, che sull’Isola Inexpressible sta costruendo la sua quinta base.
Tensioni lungo la Buenos Aires-McMurdo
L’Argentina è la terza nazione più attiva in Antartide in termini di stazioni di ricerca – ben sedici – ed è anche, per ragioni geografiche, naturalmente votata a incidere sulle geografie del potere dell’Atlantico meridionale. Due fattori che potrebbero renderla, in futuro, un attore-chiave all’interno del grande gioco antartico.
Chi controlla l’Atlantico meridionale è proiettato sull’Antartide, perciò il Regno Unito custodisce e continuerà a custodire con gelosia la sovranità sulle Falkland/Malvine. E perciò la Cina, facendo leva sul rancore argentino per l’esito della guerra delle Falkland, sta corteggiando la classe dirigente biancoazzurra e investendo massicciamente tra Patagonia e Terra del fuoco allo scopo di minare l’egemonia regionale britannica – e, dunque, statunitense.
Parlare di asse sino-argentino è precoce, sebbene negli Stati Uniti si parli già di “ArgenCina“, ma ritenerne improbabile la materializzazione e sottovalutarne le potenziali implicazioni è altrettanto sbagliato. Pechino gestisce una stazione radiospaziale in Patagonia dal 2012 – che, di concerto con le basi antartiche, è potenzialmente in grado di permettere intelligence dei segnali a lungo raggio – e starebbe trattando per l’apertura di un porto nella Terra del fuoco, balcone sul continente bianco.
Il surriscaldamento del teatro argentino è la prova del fatto che la grande partita per l’Antartide non si giocherà soltanto sui ghiacci, ma anche nei loro dintorni. Ragion per cui è lecito attendersi scossoni lungo la Buenos Aires-McMurdo e un giorno, forse, la riapertura della questione Falkland/Malvine.
La catastrofe post datata. Paolo Di Paolo su La Repubblica il 21 Novembre 2022.
Dopo l'alluvione a Pianello di Ostra (Ancona) il 16 settembre 2022 (foto: Alberto Pizzoli/Afp via Getty Images)
Abbiamo chiesto a 13 scrittori italiani di raccontarci cosa sta davvero succedendo. "I Racconti del Cambiamento Climatico", una serie che ha l’ambizione di arrivare là dove gli scienziati e i giornalisti si sono fermati
B con le distopie! Il protagonista del romanzo che sto finendo di scrivere lo dice, per essere sinceri, con meno eleganza. Ma gli ho prestato un'insofferenza che è anche mia: rispetto a un genere di racconto - letterario, filmico - che tende a proiettarci in un domani minaccioso. Non si contano i libri, spesso libracci, in cui le grandi metropoli sono invase dalle acque. A un certo punto, magari, si affacciano gli alieni. Vedo un rischio concreto nell'alimentare a dismisura un immaginario giocato sulla catastrofe post-datata: puoi esserne spaventato ma per gioco, riconoscendola come iperbole narrativa - una specie di caricatura del possibile. E comunque, non riguarda l'immediato.
In realtà, nelle oscillazioni violente di un quadro climatico sufficientemente stravolto, la sconcertante evidenza restituisce una distopia già in atto. Ha infiltrato il presente: come fa con le case l'acqua che sommerge e cancella Cantiano, Marche, Italia.
La dimensione che più sfugge agli umani - un paradosso che spesso rovina intere esistenze - è quella del presente: la capacità immaginativa riesce a lavorare sulla memoria e sul futuro, a cogliere meglio in forma di ricordo o di presagio ciò che è già sotto gli occhi. Se ne ha la prova nel discorso politico: quando per l'appunto si appella alla grandezza (spesso idealizzata) di figure del passato; quando, nell'illustrare programmi ambiziosi quanto aleatori, si rivolge ai giovani con insopportabile retorica. I giovani, che - da frase fatta - "sono il nostro futuro". Il futuro di chi? Intanto esiste e richiede cura e si sfarina e si complica il presente di tutti.
"Il caldo e il freddo estremi non consentono di fabbricare un mondo", ha osservato per tempo un filosofo che, in certi pomeriggi di studio, poteva e può dare qualche preoccupazione. Si tratta di Hegel, che aveva colto o recuperato - dall'alba del diciannovesimo secolo - l'indiscutibile tensione della specie umana verso un "optimum" climatico comunque instabile. L'attesa della singola bella giornata. La spinta migratoria verso climi più temperati. Il Sapiens è duttile, adattabile, sì, e tenace, ma soffre nella furia degli elementi. La meteorologia domina da sempre nelle conversazioni spicce, da bar e da mercato; alle cosiddette previsioni del tempo diamo più di un'occhiata al giorno, ma la verità più impegnativa non viene mai ripetuta dal colonnello dell'aeronautica: il nostro organismo soffre nella furia degli elementi, va in panne se le temperature si innalzano oltre misura, sragioniamo e boccheggiamo nel caldo afoso, sentiamo sfaldarsi la tenuta del nostro complesso energetico; viceversa, a tredici gradi esterni, se nudi, cominciamo a tremare. Se la temperatura corporea scende a trentatré gradi, non stiamo più in piedi.
L'impatto del clima e delle condizioni atmosferiche sulla vita dei popoli non è meno significativo nell'esistenza di un singolo individuo: stati ansiosi, depressione, istinti suicidi o violenti, oscillazioni dell'appetito, del desiderio sessuale, alterazioni della motilità intestinale. Questo per richiamare un'ovvietà fattasi opaca: niente ha più rilievo del clima rispetto al semplice e miracoloso fatto di essere qui, di essere vivi.
Lavorando al romanzo di cui dicevo, ho risalito i secoli in cerca di voci umane in grado di testimoniare la vertigine emotiva, lo sconcerto, la disperazione di fronte alla violenza degli sbalzi climatici. Ho trovato invocazioni e preghiere, l'attribuzione atterrita al divino del furore con cui temporali e grandinate devastano i raccolti, picchi di calore che rendono inabitabili zone desertificate. Ho interrogato la capacità delle società di assorbire gli shock legati alle crisi ambientali non in un futuro possibile, ma nel passato, secoli di gelo, anni senza estate, stagioni torride che minano la tenuta degli imperi. E ho - ingenuamente! Tardivamente! - colto ciò che non sfugge a storici, antropologi, climatologi: che niente è stato più ferale, per la sopravvivenza delle comunità umane su questo pianeta, di un clima ostile.
Il 6 settembre scorso, a Sacramento, California, il termometro ha toccato i 47 gradi. Dove qualcuno legge eccessivo allarmismo, e con un'alzata di spalle stizzosa liquida come catastrofisti e apocalittici scienziati e cittadini impegnati, c'è una solida sequenza di dati. Che fatica comunque a generare autentica preoccupazione, come se nella cultura umana l'idea di un'apocalisse a rate - per certi versi già piuttosto visibile - fosse meno sinistra e omicida di un'apocalisse che si compie di colpo, in un solo istante. È la "grande cecità", la rimozione di cui ha parlato lo scrittore indiano Amitav Ghosh, quella che impedisce anche a noi scrittori di vedercela davvero con flutti e tifoni, se non per gioco. Se non quando l'acqua arriva in cucina: durante l'uragano Sandy - ha raccontato Zadie Smith - ho sceso quindici piani di scale a piedi, incinta di parecchi mesi, al buio, solo per raggiungere una connessione wi-fi e mandare una mail a un mio conoscente che negava il cambiamento climatico per dargli questa recente prova della sua idiozia".
Qualche volta mi dico che, di fronte al fallimento della nostra immaginazione etica e politica, bisognerebbe davvero sostituire allo spirito farsesco-catastrofista alla The Day after Tomorrow un più solido e non meno angosciante The Day before Yesterday. Provare cioè - come invita a fare il glaciologo Carlo Barbante - a dissolvere le nebbie della fantascienza con notizie dalla Storia. Lui si riferisce ai dati concreti ("per capire cosa lo studio del passato possa dirci del clima di oggi, per poter poi meglio prevedere anche quello di domani"). Io aggiungerei un dato emotivo: e anziché inventare creaturine romanzesche da piantare in un futuro remoto, recuperare l'angoscia di chi in un mondo diventato inabitabile per il caldo sperimentava l'inferno in terra. E non per metafora. O chi, in un mondo raggelato, si domandava: che ne sarà di noi in questo secolo di gelo?
Dobbiamo fidarci di queste voci, di questi sguardi: seguirli mentre indovinano un sole pallido, quasi spento, dietro il velo compatto dei cirrostrati. Mentre si disperano di fronte a una terra infeconda. La presenza di selvaggina è dimezzata; i capi di bestiame, sfiniti, crollano nei torrenti di acqua gelida - ne vanno recuperate le carcasse, e poi, con astuzia, con rabbia, spartite. Perché il vero grande indicibile nemico è la fame, e (come leggevamo sui libri di scuola, mandando a memoria date di battaglie e anni di regno in uno sbadiglio) il prezzo dei cereali raddoppia, triplica; il costo del pane cala o aumenta anche solo in base alle piogge. Non è un caso - racconta chi "predice" il passato - che Filippo II venisse tenuto minuziosamente al corrente delle variazioni climatiche nei suoi vasti domini.
Paolo Di Paolo. Nel 2005 è stato finalista del Campiello giovani, ha esordito con "Nuovi cieli, nuove carte", poi ha proseguito la sua attività con numerosi libri-intervista. Nel 2019 con "Lontano dagli occhi" vince il Premio Viareggio. Il suo ultimo lavoro è la cura di un'antologia di scritti di Indro Montanelli
Il Consiglio di Stato ha messo fine all’abbattimento indiscriminato degli alberi. di Raffaele De Luca su L'Indipendente il 17 novembre 2022.
Non si può ordinare l’abbattimento d’urgenza degli alberi se non esiste alcun rischio concreto per l’incolumità pubblica: è quanto si desume da una recente sentenza del Consiglio di Stato, con la quale è stata annullata un’ordinanza del Sindaco di Pont Canavese (Torino) del 12 marzo 2020 che imponeva ad alcuni cittadini di abbattere un abete rosso secolare alto circa 29 metri e ricadente entro la loro proprietà, poiché era stato ravvisato in esso un “pericolo imminente per la pubblica incolumità sulla viabilità pubblica e nell’abitato circostante”. Una posizione evidentemente non condivisa dal Consiglio di Stato, che ha ritenuto fondata l’illegittimità dell’ordinanza sindacale sostenuta dagli appellanti. Quest’ultima, infatti, era caratterizzata da diversi difetti sui quali ha fatto luce la sentenza, che rappresenta un importante punto a favore della salvaguardia degli alberi.
Del resto, come testimoniato dal caso in questione, la possibilità che gli stessi vengano sbrigativamente definiti come un pericolo per l’incolumità pubblica – e che venga dunque ordinato il loro abbattimento senza che però via sia alcuna valida motivazione – non è remota, visto che senza l’intervento del Consiglio di Stato la tutela dell’albero in questione sarebbe di fatto venuta meno. Dopo l’ordinanza emessa dal Sindaco su parere dei Carabinieri Forestali locali, i proprietari avevano infatti fatto ricorso al TAR del Piemonte, che tuttavia con un provvedimento del 4 marzo 2021 lo aveva respinto ritenendo legittima l’ordinanza impugnata. Se quindi i proprietari non avessero proposto appello al Consiglio di Stato contestando l’illegittimità dell’ordinanza per motivi quali il “difetto di motivazione” e l'”eccesso di potere per difetto di istruttoria”, l’albero avrebbe dovuto essere sottoposto ad abbattimento nonostante quest’ultimo, a quanto pare, non fosse giustificato.
In tal senso, non solo il “cosiddetto ‘rischio zero’ di caduta di un (qualsiasi) albero non esiste, come del resto esplicitato dalle ‘Linee guida per la valutazione delle condizioni vegetative, fitosanitarie e di stabilità degli alberi’ del Ministero dell’ambiente”, ma – come sostenuto dagli appellanti – allo stato attuale manca del tutto un “grave pericolo che minacci l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”, necessario per emanare un’ordinanza d’urgenza. Del resto, la sola constatazione che l’ordinanza in questione risale ad oltre due anni fa e che ad oggi l’abete oggetto dell’ordine di abbattimento non ha mostrato alcun segno di cedimento, permette di comprendere per quale motivo tale posizione è stata ritenuta fondata: a documentare quest’ultimo punto, infatti, è stata non solo una “perizia di parte”, ma anche il “verificatore” incaricato dal Consiglio di Stato. Lo stesso – a cui nello specifico è stato assegnato il compito di “acquisire una valutazione della reale stabilità dell’albero, alla luce dei protocolli riconosciuti a livello nazionale ed internazionale” – è infatti arrivato alla conclusione che “tali rischi si collocano a livelli internazionalmente riconosciuti come accettabili, in quanto attualmente ‘i più bassi ragionevolmente possibili'”.
Venendo poi all’“eccesso di potere correlato al difetto di un’adeguata istruttoria”, gli appellanti hanno ricordato come l’amministrazione di Pont Canavese li avesse inizialmente incaricati di “produrre una perizia che accertasse lo stato di conservazione della pianta”. Quest’ultima aveva escluso “la sussistenza – all’epoca – di un concreto ad attuale pericolo di crollo dell’albero” ed aveva giudicato “l’intervento di potatura eseguito il 12 ottobre 2019 idoneo a garantire la corretta e sicura fruibilità della strada pubblica”, ma nonostante ciò nella successiva ordinanza il Sindaco si era limitato ad accogliere l’invito all’abbattimento espresso dal “Comando Regione Carabinieri Forestale Piemonte” tramite parere, senza però “indicare i profili argomentativi – nel confronto tra le divergenti ragioni espresse dalle parti – che l’avevano determinato a concludere in tal senso”.
È per questi motivi dunque che il Consiglio di Stato, dopo un lungo procedimento, ha annullato l’ordinanza e condannato il Comune di Pont Canavese al pagamento delle spese legali, tramite una sentenza che rappresenta un monito importante. Mediante la stessa, infatti, è stato indirettamente sottolineato che se da un lato i sindaci hanno il potere di emanare provvedimenti del genere, dall’altro non devono disporre in maniera arbitraria di quest’ultimo, onde evitare di ordinare un abbattimento non necessario e di non tutelare in maniera adeguata gli alberi.
[di Raffaele De Luca]
Gli ultimi giorni della Terra. Come abbiamo fatto ad arrivare a un passo dall’estinzione? Andrew H. Knoll su L’Inkiesta il 29 Ottobre 2022
Abbiamo alterato il clima fino a una crisi irreversibile. Andrew H. Knoll spiega come è stato possibile, partendo dalle origini dell’umanità di 4,6 miliardi di anni fa per arrivare fino al nostro ventunesimo secolo
Viviamo la nostra vita ancorati al nostro pianeta dalla forza di gravità. Ogni nostro passo ci mette in contatto con rocce e terreno, anche se sono nascosti dall’asfalto e dai pavimenti. Possiamo pensare di sfuggire alla forza di gravità quando viaggiamo in aereo, ma il senso di libertà è effimero: dopo poche ore siamo costretti a tornare sulla terraferma e a concedere alla gravità la sua vittoria. Ma il nostro legame con la Terra va ben oltre quello rappresentato dalla gravità.
Il cibo che mangiamo è fatto dell’anidride carbonica che si trova nell’atmosfera o ne gli oceani, oltre che dell’acqua e delle sostanze nutritive che si trovano in mare o nel suolo. A ogni respiro immettiamo nei nostri polmoni l’ossigeno che ci con sente di ricavare energia dal nostro pranzo. Al tempo stesso l’anidride carbonica nell’atmosfera ci impedisce di congelare. Inoltre l’acciaio della porta del frigorifero, l’alluminio delle lattine, il rame delle monete e le terre rare nei nostri cellulari vengono tutti dalla Terra. Stando così le cose, è strano quanta poca curiosità nutra la maggior parte di noi per la grande sfera che ci sostiene e che ogni tanto ci mette in pericolo, in occasione di uragani e di terremoti.
In che modo possiamo comprendere il posto della Terra nell’universo? Come si sono formate le rocce, l’aria e l’acqua che definiscono la nostra esistenza? Come spieghiamo i continenti, le valli e le montagne, i terremoti e i vulcani? Che cosa determina la composizione degli elementi di cui sono fatti i mari e l’atmosfera? Come si è sviluppata l’immensa diversità della vita che ci circonda? E soprattutto: in che modo le nostre azioni stanno cambiando la Terra e la vita? La struttura di questo libro è definita dall’intreccio delle questioni scientifiche con l’indagine storica. La storia di cui parliamo è quella della nostra casa, la Terra, e degli organismi che vivono sulla sua superficie. E la Terra è qualcosa di dinamico, malgrado un (fallace) senso comune che la considera sempre uguale a se stessa.
Boston, per esempio, gode di un clima temperato, con estati calde, inverni freddi e precipitazioni moderate distribuite più o meno regolarmente nel corso dell’anno. Le stagioni sono prevedibili e se, come me, siete in circolazione da qualche decennio, potete avere l’impressione che non ci sia mai niente di nuovo sotto il sole. I meteorologi, per altro, vi possono assicurare che la temperatura media annuale di Boston è aumentata di 0,6 °C nel corso della vita dei suoi cittadini più anziani. Sappiamo anche che la quantità di anidride carbonica nell’atmosfera – uno dei fattori principali che regolano la temperatura del nostro pianeta – è aumentata di circa un terzo negli ultimi settant’anni. Analogamente, sappiamo che il livello globale degli oceani sta salendo, e che la quantità di ossigeno disciolta nell’acqua è diminuita di circa il 3 per cento da quando i Beatles sono diventati famosi.
Con il passare del tempo si accumulano piccoli cambiamenti. Un volo aereo da Boston a Londra si allunga ogni anno di 2,5 centimetri, dato che il fondale marino allontana lentamente il Nord America dall’Europa. Se potessimo riavvolgere il nastro, constateremmo che 200 milioni di anni fa la vecchia e la Nuova Inghilterra erano parti di un unico continente, con fosse tettoniche (simili a quelle attualmente osservabili nell’Africa orientale) che stavano cominciando a formare un bacino oceanico. Se si prende in considerazione una scala temporale adeguata, le trasformazioni terrestri sono davvero profonde. Per esempio, se fossimo stati liberi di vagare sulla Terra miliardi di anni fa, saremmo morti subito per l’atmosfera priva di ossigeno.
La storia della Terra e degli organismi che vivono su di essa è più spettacolare di qualunque kolossal hollywoodiano, e ha abbastanza colpi di scena per fare concorrenza a un thriller di successo. Più di quattro miliardi di anni fa, dall’aggregazione di detriti rocciosi si formò un piccolo pianeta in orbita attorno a una giovane stella di modeste dimensioni. Nelle sue prime fasi, la Terra versava in uno stato di continua catastrofe, bombardata da comete e meteore, con la superficie coperta da oceani di magma e un’atmosfera satura di gas tossici.
Col tempo, però, il pianeta cominciò a raffreddarsi. Si formarono i continenti, ma solo per essere prima lacerati e poi per collidere gli uni contro gli altri, provocando la formazione di spettacolari catene montuose di cui ormai non rimane quasi più traccia. Vulcani un milione di volte più grandi di qualunque cosa abbia mai visto l’occhio umano. Cicli di glaciazioni globali. Innumerevoli mondi perduti che solo adesso cominciamo a ricostruire. In questa fase di grande dinamismo, in qualche modo prese piede la vita, finendo per trasformare la superficie del nostro pianeta e preparando la strada a trilobiti, dinosauri e a una specie in grado di parlare, pensare, costruire utensili e, alla fine, cambiare nuovamente il mondo.
Comprendere la storia della Terra ci aiuta a capire come si sono formati i monti, gli oceani, gli alberi e gli animali attorno a noi, per tacere di oro, diamanti, carbone, petrolio e dell’aria stessa che respiriamo. In questo modo, la storia del nostro pianeta fornisce il contesto necessario per capire come le attività umane stanno trasformando il mondo nel XXI secolo. Per la maggior parte della sua storia, il pianeta che ci ospita non è stato abitabile dagli esseri umani; e una delle lezioni più profonde della geologia è la consapevolezza di quanto sia fuggevole, fragile e prezioso il momento che stiamo vivendo.
Di questi tempi, i titoli dei notiziari spesso sembrano versetti dell’Apocalisse: la California è colpita da incendi boschivi senza precedenti; l’Amazzonia è in fiamme; in Alaska si raggiungono temperature record, mentre in Groenlandia si accelera lo scioglimento dei ghiacciai; i Caraibi e il Golfo del Messico sono devastati da spaventosi uragani, il Midwest degli Stati Uniti soffre, con crescente regolarità, di alluvioni ogni volta più catastrofiche delle precedenti; Chennai, la sesta città dell’India, rimane priva di acqua, e lo stesso rischiano Città del Capo e San Paolo del Brasile.
Le notizie che vengono dal mondo della biologia non sono migliori: un calo del 30 per cento della fauna avicola nordamericana a partire dal 1970; un dimezzamento degli insetti; una massiccia morte dei coralli lungo la Grande barriera corallina; un rapido calo nel numero di elefanti e rinoceronti; la pesca in crisi in tutto il mondo.
Declino non significa ancora estinzione: ma è la strada che porta le specie alla fase finale. Dobbiamo concludere che il mondo è impazzito? A dire il vero, sì. E sappiamo anche il perché. I colpevoli siamo noi: noi uomini, responsabili di quell’effetto serra che non solo riscalda il pianeta, ma rende più devastanti e più frequenti le ondate di calore, le siccità e gli uragani. E siamo noi uomini ad avere messo in pericolo le specie animali attraverso lo sfruttamento sconsiderato del terreno e il cambiamento climatico. Ciò detto, la notizia forse più deprimente è la reazione umana: una diffusa indifferenza, soprattutto nel mio paese, gli Stati Uniti d’America.
Perché così tante persone hanno così poco interesse nei confronti dei cambiamenti che modificheranno la vita dei nostri nipoti? Nel 1968 una guardia forestale senegalese, di nome Baba Dioum, fornì una risposta memorabile. «Alla fine» disse, «conserveremo solo ciò che amiamo, ameremo solo ciò che capiamo, e capiremo solo ciò che ci verrà insegnato».
Questo libro è un tentativo di capire. Un invito a renderci conto della lunga storia che ha portato il nostro pianeta fino al momento presente. Un’esortazione a prendere atto di come l’attività umana stia radicalmente alterando un mondo che ha impiegato 4 miliardi di anni per diventare così. E una sfida a porre rimedio.
Come le banche continuano a finanziare la deforestazione globale. Simone Valeri su L'Indipendente il 24 Ottobre 2022.
Le principali istituzioni finanziarie al mondo continuano ad elargire investimenti alle aziende implicate nel disboscamento delle foreste tropicali. E lo fanno senza vincolarle a scelte più sostenibili o trasparenti. La tendenza, tra l’altro, è persino in aumento. Tra il 2020 e il 2021, il flusso di capitali è cresciuto del 60%, toccando quota 47 miliardi solo lo scorso anno. Dal 2015 – anno in cui è stato firmato l’Accordo di Parigi – a oggi, il totale dei finanziamenti è arrivato a 267 miliardi di dollari. A rivelare cosa accaduto in appena sette anni, un rapporto di Forest&Finance, una coalizione di diverse ONG ambientaliste attive nel monitoraggio delle foreste pluviali. Dal documento, in sostanza, è emerso che banche e grandi investitori hanno delle politiche “pericolosamente inadeguate” per le merci legate alla deforestazione. Ne sono un esempio i gruppi indonesiani implicati nella lavorazione della carta Sinar Mas e Royal Golden Eagle, i quali hanno ricevuto investimenti per quasi 23 miliardi di dollari, cioè il 95% del totale donato dalle banche al settore. Questo dal 2016 al 2022, ma i finanziamenti non hanno mai subito battute d’arresto nonostante i due gruppi abbiano politiche del tutto insufficienti in relazione alla tutela degli ecosistemi e al rapporto con le comunità locali. Sinar Mas è ad esempio appurato che espande sistematicamente le sue piantagioni su torbiere drenate, degli ecosistemi particolarmente preziosi e vulnerabili, mentre è accusata di aver fatto ricorso a violenza e intimidazioni contro gli abitanti delle regioni interessate.
Nel complesso, in termini di sostenibilità ambientale e sociale, i 200 maggiori attori finanziari lasciano a desiderare. Per giungere a questa conclusione, le ONG redattrici del rapporto sopracitato hanno valutato le politiche delle banche e degli investitori in esame
sulla base di 35 diversi criteri ambientali, sociali e di governance (i cosiddetti ESG). Su 10 punti totali, 197 istituti di credito su 200 non hanno superato la soglia dei 7 punti. Con un punteggio medio di 1.6, il 59% degli enti valutati è poi risultato addirittura sotto l’1. Ad allarmare, in particolare, le banche che sostengono imperterrite i tre principali gruppi brasiliani del settore della carne: JBS, Marfrig e Minerva. Il Brasile è il più grande esportatore di carne bovina al mondo, il settore identificato come il principale motore della deforestazione nel Paese. L’attività ha contribuito infatti al disboscamento di circa 37 milioni di ettari nella sola Amazzonia, l’80% di tutta la deforestazione brasiliana dal 1985 ad oggi. Nel 2017, quasi il 70% delle esportazioni bovine è stato gestito da questi tre gruppi commerciali, i quali hanno non a caso attratto finanziamenti consistenti: dal 2015, un totale di 67 miliardi di dollari di crediti. Di questa quota, quasi il 90% è derivato dal credito rurale sovvenzionato dal governo, il Programma di Finanziamento dell’Agricoltura del Brasile che sostiene economicamente gli agricoltori e ad altri attori della filiera agroalimentare brasiliana. Ad oggi, JBS, Marfrig e Minerva non sono però riuscite ad attuare gli impegni di ‘zero deforestazione’, sottoscritti più di dieci anni fa, e non sono ancora in grado di garantire che le loro catene di approvvigionamento siano libere da fenomeni di disboscamento. Anzi. JBS, il principale beneficiario dei suddetti investimenti (1.1 miliardi di dollari nel solo 2022), è stata persino più volte collegata alla deforestazione illegale. [di Simone Valeri]
Un’azienda italiana complice del disboscamento delle terre indigene: la denuncia di Survival. Valeria Casolaro su L'Indipendente il 15 Dicembre 2022.
Survival International, l’associazione internazionale dedita alla tutela delle popolazioni indigene nel mondo, ha presentato all’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico dei Paesi membri) un’istanza contro la conceria italiana Pasubio, fornitrice di case automobilistiche quali Jaguar Land Rover e BMW. L’azienda acquisirebbe infatti i pellami da concerie colpevoli di occupare e disboscare illegalmente le terre ancestrali della popolazione Ayoreo Totobiegosode, nella pianura paraguaiana del Gran Chaco. Le foreste del Chaco soffrono infatti di uno dei più alti tassi di deforestazione al mondo, la quale mette a rischio la sopravvivenza delle popolazioni incontattate che vivono delle sue risorse.
In un comunicato Survival ha infatti fatto sapere di aver inviato lettere di diffida alle due aziende italiane leader della realizzazione di volanti, sedili ed interni in pellame, ovvero la Pasubio Spa e il Gruppo Mastrotto Spa. Entrambe, riferisce Survival, “si riforniscono da concerie che commerciano con allevamenti colpevoli di occupare la terra ancestrale degli Ayoreo e quella dei loro gruppi isolati e di disboscarla illegalmente mettendo a rischio la loro stessa sopravvivenza”. Tuttavia, mentre il Gruppo Mastrotto avrebbe “avviato un dialogo”, Pasubio Spa non ha mostrato la medesima volontà di confronto, motivo per cui l’organizzazione ha deciso di ricorrere all’OCSE.
Secondo due rapporti della ONG britannica Earthsight, citati da Survival, pressoché due terzi delle pelli esportate dal Paraguay ogni anno sono destinate ad aziende italiane, Pasubio in primis. Secondo quanto riferito da Survival, il 98% delle pelli che l’Italia importa dal Paraguay proviene da 4 concerie che commerciano con allevamenti colpevoli di occupare e disboscare illegalmente la terra ancestrale degli indigeni del Chaco. E Pasubio ne è il principale destinatario. La condotta dell’azienda, che non rispetta così le linee guida OCSE in materia di tutela di diritti umani, ambiente e consumatori, alimenta la deforestazione illegale e viola i diritti della popolazione Ayoreo Totobiegosode, che dalla foresta dipendono per vivere. Il contatto forzato con popolazioni che vivono isolate, inoltre, mette queste ultime a rischio di contagio di malattie che, come accaduto innumerevoli volte in passato, ne causa la decimazione. Teresa Mayo, responsabile della campagna di Survival, denuncia la complicità del governo paraguaiano, che «ha consegnato la maggior parte del territorio ancestrale degli Ayoreo ad aziende agroindustriali che abbattono la foresta senza sosta: prima tagliano gli alberi preziosi, poi incendiano la foresta e infine introducono il bestiame sulla terra disboscata».
“Sebbene la pelle di una mucca rappresenti solo il 10% del valore totale dell’animale al momento della macellazione, essa rappresenta una proporzione molto più alta del valore finale di vendita” denuncia Survival. Secondo i dati FAO (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), infatti, le esportazioni globali di pelli grezze e finite costituiscono un mercato da ben 28,5 miliardi di dollari, l’equivalente di quello delle esportazioni di carne bovina (29,2 miliardi di dollari). Le previsioni, inoltre, sono che la domanda di pelle destinata al mercato automobilistico aumenterà di oltre il 5% all’anno fino al 2027.
Per sensibilizzare maggiormente il pubblico sulla vicenda, Survival ha lanciato sui social la campagna #SullaPelledegliAyoreo, nell’ambito della quale chiede ai sostenitori di “informare le case automobilistiche dell’impatto devastante che le pelli paraguayane hanno sulla vita degli Ayoreo Totobiegosode e sulle loro foreste, e di sollecitare i loro fornitori a interrompere tali importazioni”.
Nonostante i nostri ripetuti tentativi di contattare l’azienda, Pasubio Spa non ha voluto rilasciare commenti sulla vicenda. [di Valeria Casolaro]
MAIL A DAGOSPIA il 15 Dicembre 2022.
Riceviamo e pubblichiamo:
Caro Roberto, ho letto la Dagonota secondo cui la rimozione di Lirio Abbate dalla Direzione de l’Espresso sarebbe stata richiesta da Exor o da CNH Industrial. Sei fuori strada, e ti do una notizia: aspettiamo a braccia aperte il ritorno di Lirio nel Gruppo GEDI (controllato da Exor).
Andrea Griva - Comunicazione Gruppo GEDI
DAGONOTA il 15 Dicembre 2022.
Lirio Abbate non è più il direttore dell’Espresso. Lo comunica il cdr del settimanale, che ha proclamato lo stato di agitazione in polemica con l’editore, Danilo Iervolino.
Ma come mai Abbate è stato fatto improvvisamente fatto fuori? La goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso è un’inchiesta, pubblicata nell’edizione di domenica scorsa, 11 dicembre, sull’Amazzonia. Ma cosa c’era di tanto scomodo nel lungo articolo, firmato da Paolo Biondani e Pietro Mecarozzi da giustificare il siluramento del direttore?
La risposta è semplice: un attacco durissimo a Exor e Cnh di John Elkann. Le due società degli Agnelli venivano tirate in ballo tra quelle che finanziano i colossi brasiliani accusati dei roghi che stanno devastando le foreste amazzonica. E Yaki, memore dei bei tempi in cui era lui l’editore dell’Espresso, non avrebbe affatto gradito.
Il nipote dell’Avvocato si è incazzato e l’ha fatto presente a Iervolino, minacciando di stracciare l’accordo per la distribuzione del settimanale in allegato a Repubblica (che scade a marzo). E a quel punto il vispo “golden boy” dell’editoria italiana si è rivalso sul direttore, che già la settimana prima gli aveva causato qualche grattacapo con la finta esclusiva sulla polizia cinese in Italia.
A sostituire Abbate dovrebbe arrivare Alessandro Rossi, fedelissimo di Iervolino: è direttore editoriale di “Forbes Italia” e manager di punta della BFC Media, società di cui il presidente della Salernitana ha acquisito il controllo completo a maggio.
COMUNICATO DEL CDR DELL’ESPRESSO il 15 Dicembre 2022.
La nuova proprietà dell’Espresso oggi ha comunicato al comitato di redazione l’immediata e immotivata sostituzione del direttore Lirio Abbate proprio nel momento in cui deve essere attuato il piano editoriale. La redazione dell’Espresso ha proclamato lo stato di agitazione, si riunisce in assemblea permanente e ha dato mandato al cdr di prendere ogni tipo di iniziativa a tutela del prestigio e dell’indipendenza della testata.
Il cdr dell’Espresso Il sindacato Rsa
L’AMAZZONIA BRUCIA ANCHE PER NOI: SOLDI ITALIANI DIETRO GLI INCENDI IN BRASILE. Estratto Dell’articolo di Paolo Biondani e Pietro Mecarozzi Per “l’Espresso” il 15 Dicembre 2022.
Dietro gli incendi delle foreste dell’Amazzonia ci sono anche soldi italiani. Finanziamenti per decine di milioni concessi dalle maggiori banche del nostro Paese. E prestiti commerciali per somme molto più alte, per un totale di circa un miliardo e mezzo di euro, che arrivano da società finanziarie con la targa italo-olandese del gruppo Exor, che controlla anche la Fiat. […]
Mirko Crocoli per affaritaliani.it - articolo dell'8 settembre 2021
L ARTICOLO DELL ESPRESSO SULL AMAZZONIA (CON ATTACCO A CNH DI JOHN ELKANN)
Ha lanciato 11 start up nell’editoria, scrive libri gialli comici con il macellaio Dario Cecchini.
I RICORDI: l’ ”Unita”, poi “Class”, “Milano Finanza”, “Italia Oggi”, “Bloomberg” e oggi ci parla di Forbes Italia. L’evento del 15 settembre al Four Seasons di Firenze: “forse il più importante insieme al Private Banking Award”.
IL GRUPPO BFC MEDIA: Otto magazine, quattro siti, milioni di visitatori, newletters quotidiane, 200 mila iscritti, due tv, accordi con Amazon, Samsung, Huawei, Twitter. A ottobre il lancio dell’edizione italiana di Robb Report, il magazine mondiale del lusso per antonomasia.
Da buon toscano, Alessandro Rossi, ha sempre la battuta pronta. Per esempio a chi gli chiede se parla inglese, risponde con un sorriso “like a spanish cow”. Sarà. Intanto però è l’unico giornalista italiano ad aver portato nel nostro Paese due colossi Usa dell’informazione come Bloomberg e Forbes.
E senza mai avere dietro i grandi gruppi dell’editoria italiana. Per creare Bloomberg Investimenti nel 1998 ha fondato una società con Rolando Polli, altri soci italiani e Mike Bloomberg. Per Forbes invece il grimaldello è stata BFC Media, la società fondata dall’amico Denis Masetti e quotata alla Borsa di Milano, all’Aim, di cui è socio da molti anni.
Oggi Alessandro dirige, con successo, l’edizione italiana di Forbes ed è uno dei manager di punta di BFC Media. Ha cominciato da molto lontano, da Siena, dove è nato nella contrada dell’Onda, e dove ha mosso i primi passi professionali al settimanale Nuovo Corriere Senese, prima di passare alla redazione toscana de l’Unità e poi a Milano, nel 1986, per fondare Milano Finanza con il nascente Gruppo Class Editori. Da lì, piano piano, Alessandro ha costruito la sua carriera, passando per Repubblica, poi tornando al gruppo Class fino a incontrare, 13 anni dopo, Mike Bloomberg. Ecco che cosa ci ha detto.
Alessandro, che cosa si porta con sé di quel periodo a l’Unità e la Repubblica?
Sono stati periodi completamente diversi. Alla redazione regionale toscana de l’Unità sono stato assunto nel 1980 dove ho fatto il praticantato e sono diventato professionista. E’ stata una scuola professionale di altissimo livello: ho avuto colleghi come Gabriele Capelli e Renzo Cassigoli, persone integerrime, di grande professionalità, cultura e umanità.
I miei direttori si chiamavano Claudio Petruccioli e Emanuele Macaluso: credo, come si dice, che basti la parola. Sono molto legato a quel periodo, perché ero giovane e poi perché lì ho incontrato mia moglie Daniela. A Repubblica invece è stata una parentesi. Mi vollero fortemente Scalfari e Pansa che, dissero, erano stati fulminati da un mio pezzo su Milano Finanza sulla guerra del Credito Romagnolo tra gli schieramenti guidati da Agnelli e da De Benedetti. Era il 1988, arrivai in carrozza, ma le grandi strutture non fanno per me. Troppo impersonali, si perde troppo tempo a parlar male dei colleghi. Dopo un anno alla redazione economica di Milano tornai a Milano Finanza per fondare Mf. Meglio re nell’orto che ortolano nel regno.
Cofondatore di importanti realtà editoriali come “Bloomberg Investimenti”, “Milano Finanza” e “Italia Oggi”. Giornalista di lunga data ma anche e soprattutto “creatore” di magazine di indiscusso spessore.
Diciamo che ho una passione per le start up e le piccole case editrici dove la gente si conosce tutta e ci si può guardare negli occhi. Ho avviato 11 nuove iniziative tra quotidiani, settimanali, magazine e siti web. L’esperienza più importante è stata quella nel gruppo Class dove sono stato per 13 anni partecipando appunto alla fondazione di Milano Finanza (eravamo in sei ed io ero l’unico professionista in redazione insieme a Massimo Novelli che però se ne andò al secondo numero), poi di Mf e Italia Oggi.
Ho ancora delle minuscole partecipazioni azionarie in quei giornali. Lì c’era la figura imperiosa di Paolo Panerai, un talento straordinario, un uomo difficile, ma sicuramente unico. A lui devo moltissimo. Nella sua bottega ha forgiato alcuni dei migliori giornalisti italiani. Compreso il vostro direttore con cui ho lavorato assieme per un paio d’anni. Poi un giorno mi chiamò Michael Bloomberg perché voleva fare un giornale in Italia e alcuni amici comuni gli avevano parlato di me.
Insieme a Rolando Polli, director di Mc Kinsey, mettemmo assieme una squadra di azionisti di tutto rispetto, mentre Mike tenne per sé il 50%. Paolo si arrabbiò tantissimo anche perché credo che mi considerasse quasi un figlio adottivo, una sua creatura. Dicono che non me l’abbia ancora perdonata. Ma secondo me fa finta. Con Bloomberg sono stati quattro anni strepitosi fino alla bolla dei titoli tech e alle torri gemelle.
Certo, da l’Unità a Bloomberg e Forbes il passo è lungo…
Meno di quanto sembri. Almeno per me. Intanto perché sono un professionista e poi perché la politica ormai mi interessa molto poco. Ma soprattutto perché mi sono sempre ispirato a Romano Bilenchi, senese anche lui, di Cole Val d’Elsa, che con il suo Nuovo Corriere aveva dato esempio che è possibile pubblicare un giornale con opinioni libere e indipendenti.
Il Nuovo Corriere era finanziato dal Pci che lo chiuse dopo la rivolta degli operai di Poznan del 1956 proprio perché ospitava opinioni dei grandi liberali e cattolici del tempo da La Pira a Ungaretti a Anna Banti e prese una posizione allora considerata scomoda. Cos’è, in fondo, Forbes, almeno il mio, se non un magazine del capitalismo democratico che celebra il successo e non la ricchezza e valorizza chi restituisce parte della sua fortuna ai suoi collaboratori o ai meno fortunati?
Come nasce la passione di mettersi in gioco anche nei piani dirigenziali?
E’ sempre stata una scommessa con me stesso, riuscire a costruire qualcosa e a governarla. Sono un leader per caso, uno che è arrivato dove è arrivato da solo, senza padrini, con molta fatica, ma sempre con fermi principi morali e professionali. E tanto lavoro. Se fossi stato più accondiscendente (credo che il termine esatto sia paraculo) forse avrei potuto fare una carriera ancora più importante. Ma a me basta quello che sono. Se penso da dove sono partito.
Attuale direttore responsabile dell’edizione italiana di “Forbes” e direttore editoriale della casa editrice BFC Media. Correva l’anno? Quando parte l’idea e come si è sviluppata nel corso del tempo? Oggi, ricordiamolo, è un magazine molto seguito e apprezzata soprattutto nel mondo dell’economia, del management e dell’imprenditoria.
BFC Media è nata nel 1995 per iniziativa di Denis Masetti. Lui sì che è un manager vero, strutturato, coraggioso e anche visionario. Io sono più concreto, operativo e anche creativo. Ci integriamo e intendiamo alla perfezione. Siamo amici proprio da quegli anni e abbiamo fatto un lungo percorso insieme.
L’anno di svolta è stato il 2015 quando ci siamo quotati con 1,6 milioni di fatturato: oggi viaggiamo vicino ai 15 milioni, quasi 10 volte in sei anni. E’ chiaro che l’arrivo di Forbes ci ha dato una grossa mano, ma anche noi ci abbiamo messo del nostro. Intanto abbiamo posizionato il giornale non improntandolo sulle storie dei miliardari ma su quelle di successo. Il successo piace a chi lo racconta e a chi lo legge. E poi è democratico: tutti possono avere successo indipendentemente dai risultati economici. Oggi apparire su Forbes significa acquisire reputazione, affidabilità, credibilità per la propria azienda.
Ma poi c’è tutto il resto: otto magazine complessivi, quattro siti con milioni di visitatori, newletters quotidiane per oltre 200 mila iscritti, due tv (Bike con la nuovissima tecnologia Hbb tv e Bfc sul 511 di Sky), accordi per i contenuti con i più grandi player del mondo da Amazon a Samsung, da Huawei a Twitter. E a ottobre lanceremo l’edizione italiana di Robb Report, il magazine mondiale del lusso per antonomasia.
C’è soddisfazione nel suo staff?
Direi che il più soddisfatto sono io. Ma credo anche loro. C’è entusiasmo e orgoglio: firmare su Forbes a 30 anni non capita proprio a tutti. La redazione è molto giovane, ma è una caratteristica di tutta la nostra azienda. Lavorano sodo con grande passione e molta professionalità. Siamo bravi anche a dare il giusto peso alle cose: non mancano le occasioni per scherzare, divertirci, fare gruppo. Dopo, però, tutti al pezzo…
Sono ormai in voga anche da noi (come negli Usa), le famose liste top women e men. Esserci è simbolo indiscusso di successo. Su quali criteri giudicate i vari soggetti?
Vengono scelti dalla redazione sulla base di informazioni che raccogliamo tutto l’anno. Per esempio sulla lista degli Under 30 2022, in uscita ad aprile prossimo, stiamo lavorando su centinaia di profili giunti in redazione o da noi individuati, sin dal maggio 2021. E così per le altre liste. Il difficile è trovare ogni anno cento nomi nuovi per ogni elenco.
Se le diciamo Dario Cecchini lei cosa ci risponde?
Un grande, grandissimo amico. E’ il macellaio più famoso al mondo. Ma è anche molto umile. Ha ristoranti a Dubai, Bahamas, Bolgheri e presto ad Erbusco ma torna sempre a casa, a Panzano in Chianti. Sa vivere e sa ridere. Abbiamo molte cose in comune e soprattutto abbiamo fondato la Libera Università della Nobile Arte del Cazzeggio dove noi due siamo docenti e discenti. E’ un modo come un altro per non prenderci troppo sul serio e ricordarci sempre da dove veniamo. Insieme abbiamo scritto anche un libro per Giunti, è un giallo, un giallo tutto da ridere ambientato nel paesino di Panzano in Chianti con personaggi reali. Per capirlo basta leggere il titolo: “Il mistero della finocchiona a pedali”. Ad aprile ne uscirà un altro.
Come si struttura il suo lavoro. Roma, Milano, il Chianti? Riesce a coniugare affetti, impegni e dirigenza?
Vivo in campagna a Panzano in Chianti da diversi anni dove avevo comprato una casa durante la mia parentesi milanese quasi ventennale. Non è lontana da Firenze dove c’è sempre un treno che in un paio d’ore al massimo mi collega con Milano o Roma. Vivo la mia vita con molta intensità e trovo il tempo per tutto e tutti, anche per la mia nipotina Giorgia e il mio cane Viola che riesco a portare a caccia (o forse è lei che porta me).
Come “Forbes” fate anche eventi annuali dedicati ai vari settori. Cosa c’è in programma per i prossimi mesi? Al Firenze Four Seasons ci sarà un incontro con le piccole e medie imprese. Ci spiega meglio?
Facciamo oltre 100 eventi all’anno tra virtuali e fisici. Quello di Firenze è uno di questi, forse il più importante insieme al Private Banking Award. E’ nato quattro anni fa ed ha un successo di partecipanti straordinario. Quest’anno è dedicato alle pmi e sarà il kick off di un grande progetto di Forbes su quelle aziende che abbiamo chiamato Piccoli Giganti del Made in Italy.
Ora andiamo al Covid-19. Pandemia devastante. Ci vuol raccontare anche a livello personale come ha vissuto questo dramma globale e quanto le sue aziende hanno risentito del fermo dovuto al lockdown? Il settore ne ha sofferto?
Abito in aperta campagna e il primo lockdown è stata un’occasione per stare un po’ più a casa. Personalmente non ho avuto grossi problemi anche se ho lavorato tantissimo da remoto. Come azienda abbiamo utilizzato quel periodo per lavorare a nuovi progetti. È stato proprio durante il lockdown che è nata l’idea di lanciare la tv e il magazine Bike dedicato a chi ama vivere in movimento e poi di acquistare il trisettimanale Trotto&Turf, il giornale degli appassionati di cavalli. Nel 2020 il fatturato di BFC Media è salito del 40% rispetto all’anno precedente.
Vaccini sì vaccini no, green pass sì green pass no. Qual è il suo pensiero?
Sono vaccinato. Senza se e senza ma. Il green pass è utile anche se non decisivo perché il contagio è subdolo. Però dà un minimo di garanzia di sicurezza. Ed oggi è quello che tutti cerchiamo.
Ultima a conclusione. Vuole ringraziare qualcuno in particolare per i suoi 40 anni di onorata carriera?
Di solito si ringraziano sempre le mogli. E io sono riconoscente a mia moglie Daniela che ha avuto una gran pazienza e comprensione. Professionalmente sono legato a tutti coloro che mi hanno dato molto ricevendo in cambio solo professionalità, disponibilità e, in qualche caso, amicizia. Quindi sono molto grato, come dicevo, a Gabriele Capelli e Renzo Cassigoli, ma anche a Denis Masetti, Paolo Panerai, Eugenio Scalfari, Mike Bloomberg e Maurizio Boldrini, oggi professore di Scienze della comunicazione all’Università di Siena, che è stato il mio primo maestro.
Giovanni Contratti, il medico eroe che denunciò i veleni della chimica. E venne isolato dalla politica. Intorno al 1970 fu il primo a combattere l’impianto Montedison di Bussi sul Tirino, mettendosi contro i potenti e venendo abbandonato dalle istituzioni. Mezzo secolo dopo le scorie tossiche restano ancora sotto terra. Maurizio Di Fazio su L'Espresso il 4 aprile 2022.
In rete girano pochissime informazioni su di lui. Giovanni Contratti aveva capito tutto, ma troppo in anticipo. E non che le cose oggi vadano di prassi meglio di mezzo secolo fa. Difesa della natura e della salute pubblica contro ogni cinismo di profitto bulldozer. «Le vedeva come priorità assolute», ricorda la figlia Luana. «Un eroe borghese, un visionario, una voce nel deserto», afferma il procuratore della Repubblica di Pescara Giuseppe Bellelli, che nel processo Bussi-Montedison è stato pubblico ministero.
Sabrina Cottone per "il Giornale" il 9 febbraio 2022.
Forse è l'unico effetto positivo della pandemia, tra fenicotteri rosa in giro sulle strisce pedonali, picchi che martellavano alberi nel centro di Milano, papere con seguito di paperotti a zonzo senza paura di finire sotto l'autobus.
E non c'è bisogno di interpellare il commissario Rex, la giungla di Mowgli, Zanna Bianca o Masha e Orso, lo charme di Duchessa, i dalmata in fuga da Crudelia Demon, Gatto di Colazione da Tiffany.
Gli animali, cani, gatti, conigli, criceti, tartarughe, pesci ma non solo, persino il perfido serpente Bis di Robin Hood, insieme ad alberi secolari, pianure, laghi, valli, montagne, foreste anche non amazzoniche fanno parte dell'amorevole immaginario collettivo da tempo immemore e la battaglia per farli entrare in Costituzione è iniziata anni fa.
Ieri è accaduto. In compagnia del resto del creato, con ambiente, biodiversità e ecosistemi, gli animali hanno trovato la propria tutela costituzionale negli articoli 9 e 41 della Carta.
Il primo è una dichiarazione di principio che li accosta alla tutela del paesaggio e del patrimonio artistico, il secondo una precisazione sulla libertà di iniziativa economica, che non può ledere ambiente, biodiversità, ecosistemi, animali.
A differenza degli argomenti che dividono, in questo caso il passaggio al Senato e alla Camera è avvenuto senza ostacoli, con oltre i due terzi dei voti favorevoli in entrambe le Camere. Ciò significa che questa legge costituzionale non potrà essere sottoposta a referendum.
Fine della storia, almeno in teoria. Leggi entreranno nel dettaglio per specificare meglio come bisognerà comportarsi con la natura e gli amici dell'uomo che in molti, per delusione, cinismo o smisurata passione, arrivano a preferire agli esseri umani.
Intanto è come l'allunaggio nella storia delle missioni spaziali. Animali come gli uomini? Non proprio, ma certo non palloni da prendere a calci come ha fatto il difensore francese Zouma a un gatto in un video diventato virale proprio ieri, che gli ha scatenato addosso la rabbia del web.
Creature da tutelare, con diritti se non uguali, simili a quelli che pretendiamo per noi stessi. L'arco costituzionale è per una volta compatto per un successo bipartisan, e le dichiarazioni di gioia arrivano da Enrico Letta per il Pd («Il Parlamento unito difende il pianeta e il domani») a Luigi Di Maio per i 5S («passo avanti per le future generazioni») fino a Forza Italia e alla Lega (libertà di voto in Fdi), c'è chi gioisce più di altri, soprattutto al governo.
Il ministro della Transizione ecologica, Stefano Cingolani, usa toni enfatici: «Giornata epocale, ne sono molto contento come cittadino e come proprietario di cani, gatti e pappagalli».
Ma tra i politici il ruolo di paladina degli animali va senza discussione a Michela Vittoria Brambilla. Sono note le sue campagne, i programmi televisivi dedicati a trovare casa a cuccioli abbandonati, al punto da aver pagato con una certa ironìa nel centrodestra quella che era considerata una battaglia «di sinistra», se non addirittura una fissazione.
In realtà, come ricorda Brambilla, non facciamo che raggiungere Paesi quali Germania, Austria, Svizzera: «La tutela ambientale non è una materia o un diritto soggettivo, e oggi lo scriviamo in Costituzione come valore di rango primario anche nell'interesse delle future generazioni, facendo della tutela dell'ambiente e degli animali un valore obiettivo».
Non finisce qui. Perché una cosa è dare rango costituzionale alla natura, altra cosa è limitare allevamenti intensivi e vessazioni immotivate di cavie o frenare ruscelli di scorie nere che ancora oggi si buttano nei fiumi e nei mari.
La proposta di legge approvata a Montecitorio. La tutela dell’ambiente entra nella Costituzione, Sì della Camera: “Giornata epocale”. Redazione su Il Riformista l'8 Febbraio 2022.
La tutela dell’ambiente entra nella Costituzione Italiana. La camera dei deputati ha approvato con 468 voti (superiore alla maggioranza di due terzi dell’aula) la proposta di legge. Il testo – che riguarda la tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecostistemi – era passato al Senato lo scorso 3 novembre. La proposta modifica due articoli della Carta, il 9 e il 41. Un contrario e sei astenuti. La modifica entra da subito in vigore e senza referendum.
“Credo che oggi sia una giornata epocale, ne sono molto contento come cittadino e come proprietario di cani, gatti e pappagalli, assolutamente contento. Ma come Governo aggiungo che stiamo facendo uno sforzo enorme sul Pnrr, la transizione ecologica è un po’ questo: riuscire a fare una grande trasformazione che deceleri il riscaldamento, che freni certi eventi avversi a livello meteorologico, mantenendo la sostenibilità sociale“, il commento del ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, a pochi minuti dal voto di Montecitorio. “È una sfida nella sfida ma tutte queste cose, però, sono previste dalla Costituzione: il lavoro, la società, i diritti delle nuove generazioni e l’ambiente. E questo ci dovrebbe anche concettualmente facilitare molto il lavoro”.
E sulle modifiche agli articoli 9 e 41: “L’articolo 9 afferma il valore primario di tutelare la casa in cui viviamo, sancisce il diritto a un ambiente salubre. Molti Paesi del mondo hanno già fatto questa operazione e si tratta di un passaggio assolutamente necessario per un Paese come l’Italia che comunque sta guidando la trasformazione verso la sostenibilità. Ora aggiungiamo ambiente, biodiversità, ecosistema per le future generazioni, e la tutela degli animali. Mentre l’articolo 41 ci dice che l’iniziativa privata economica resta libera, ma è scritto ‘nero su bianco’ sulla Costituzione che non deve danneggiare e non deve essere a detrimento della salute e dell’ambiente“.
“Il WWF accoglie con estrema soddisfazione la notizia della votazione favorevole della Camera sulla riforma degli articoli 9 e 41 della Costituzione che ritiene debbano essere il presupposto di un intervento organico per adeguare strumenti normativi vigenti a tutela della biodiversità, degli ecosistemi e degli animali. Da oggi, con la modifica all’art. 9 della Costituzione, la tutela dell’ambiente, della biodiversità, degli ecosistemi e degli animali “anche nell’interesse delle future generazioni” entrano di diritto tra i principi fondamentali della nostra Repubblica”, si legge in una nota dell’organizzazione.
“Il voto di oggi rappresenta un fatto storico. Finalmente la tutela dell’ambiente diventa un principio fondamentale della Repubblica a cui la legislazione futura si dovrà ispirare e a cui la legislazione passata si dovrà adeguare”, commenta Donatella Bianchi, presidente del WWF Italia. “Questa modifica costituzionale è un primo importantissimo passo che armonizza il nostro sistema con i principi formulati a livello europeo e internazionale e fatti propri dalla giurisprudenza costituzionale, di legittimità e di merito. Per dare concretezza a questi passaggi è ora necessario definire un sistema normativo organico e innovativo a tutela della natura d’Italia. Il nuovo assetto costituzionale rafforza significativamente il principio della sostenibilità, fin qui trattato solo in termini di dottrina e giurisprudenza, e crea il presupposto per aumentare il livello di salvaguardia del capitale naturale che costituisce la base insostituibile di tutte le nostre attività anche economiche”.
In Costituzione la tutela di animali e ambiente: «Una giornata storica». Adriana Logroscino su Il Corriere della Sera il 9 Febbraio 2022.
Modifiche a due articoli. Via libera della Camera con 468 sì Il governo Cingolani in Aula: «Il governo crede in questo cambiamento.
La tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi e l’impegno a disciplinare «i modi e le forme di tutela degli animali» entrano tra i principi fondamentali della Costituzione. Ieri, con un voto favorevole ad amplissima maggioranza (468 sì, sei astenuti, un solo voto contrario) alla Camera, in quarta e definitiva lettura, la proposta di legge che modifica l’articolo 9 e l’articolo 41 della Carta, è stata approvata. «È una giornata epocale - commenta il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, presente in Aula - testimonio qui la presenza del governo che crede in questo cambiamento grazie al quale la nostra Repubblica introduce la tutela dell’ambiente tra i valori fondanti». Emozionata per il traguardo raggiunto «dopo decenni di battaglie» Michela Vittoria Brambilla, presidente dell’intergruppo parlamentare per i diritti degli animali e della Lega italiana per la difesa degli animali e dell’ambiente.
«Dell’aggettivo storico spesso si abusa, ma oggi possiamo adoperarlo propriamente e giustamente - dice Brambilla nella dichiarazione di voto a nome del gruppo di Forza Italia - questo voto è un sogno che diventa realtà. Un punto d’arrivo al quale lavoro con le mie proposte di legge da tre legislature, certo, ma anche un punto di partenza per norme più stringenti contro i reati a danno dell’ambiente e degli animali, purtroppo molto diffusi».
L’iter legislativo previsto per la modifica della Carta, si è quindi definitivamente concluso ieri alla Camera. Con il voto favorevole dei due terzi della maggioranza, l’entrata in vigore è immediata, senza la necessità di referendum confermativo. La modifica interviene sull’articolo 9 integrando la tutela di paesaggio e patrimonio storico e artistico, con quella dell’«ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni» e inserendo il richiamo a una «legge dello Stato» che «disciplina i modi e le forme di tutela degli animali».
L’altro intervento riformula l’articolo 41 della Costituzione, dedicato all’«iniziativa economica privata» che non deve «recare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana» e ora neppure «alla salute e all’ambiente». «Per le azioni che facciamo oggi e per le conseguenze che ci saranno in futuro, è una conquista fondamentale e ci permette di avere regole ben definite per proteggere il nostro pianeta», commenta Cingolani.
Che la tutela dell’ambiente sia in Costituzione, per Brambilla, è la premessa per un’azione più decisa e risolutiva nella direzione delle «esigenze profondamente sentite nella società». Spiega la parlamentare: «Riconosciamo la tutela ambientale non come una “materia” o un “diritto soggettivo”, ma come “valore” di rango primario, trasversale, che interessa vari aspetti dell’agire e chiama in causa la responsabilità di ciascuno di noi. Esplicitare il valore-obiettivo della tutela ambientale ci aiuterà a rafforzare e a indirizzare il cambiamento, che per convinzione e per forza di cose è già iniziato nei nostri comportamenti personali, nelle abitudini delle famiglie, nel modus operandi delle imprese». Unanime, a testimonianza della inevitabile trasversalità del tema ambientale, l’apprezzamento da parte di forze politiche e associazioni ambientaliste. «Grande soddisfazione per l’affermazione di un principio di tutela intergenerazionale», conclude il ministro delle Infrastrutture, Enrico Giovannini.
Fulco Pratesi: "Un'orsa mi fece posare il fucile. Ora è tempo di ridare più spazio alla Natura". Giacomo Talignani su La Repubblica il 9 Febbraio 2022.
Per lo storico ambientalista e fondatore del Wwf la tutela dell'ambiente entrata in Costituzione è "una vittoria grandissima. Ma ora bisogna fare altri passi avanti per affrontare le grandi sfide della crisi climatica e la perdita della biodiversità". A 87 anni Fulco Pratesi, storico ambientalista e fondatore del Wwf Italia, dice che una rivoluzione così, con l'ambiente che entra finalmente nella Costituzione, non l'aveva mai vista. "È una vittoria grandissima: ora è tempo di ridare più spazio alla Natura".
È soddisfatto per questa riforma?
"Molto. Avere in Costituzione la parola biodiversità che si aggiunge a paesaggio, la quale si lega a Paese e richiama alla presenza antropica, è una grande rivoluzione costituzionale.
Riparazioni visibili, la moda critica contro il dominio dello stile usa e getta. Marina Savarese su L'Indipendente il 12 novembre 2022.
“Riparare” fa parte delle 7 “R” che sono alla base dell’economia circolare: Ridurre, Riutilizzare, Riciclare, che erano le tre originarie, alle quali sono state aggiunte il Riparare, Ripensare, Rifiutare, Riproporre. Eppure sembra che si faccia sempre prima a buttare e ricomprare che ad aggiustare. La malsana abitudine del sostituire il vecchio/rotto con il nuovo è un’anomalia recente nella storia umana. Per millenni i vestiti sono stati così preziosi, così difficili da produrre e così essenziali per la vita, che il rammendo era una pratica comune a tutti. Basta tornare indietro di soli settanta anni e parlare con mamme e nonne per capire quanto la riparazione fosse un’operazione all’ordine del giorno. Le cose erano fatte per durare e non era di certo un buco a segnare la fine di un capo. Anzi.
Il kit del cucito era presente in tutte le case e saper tenere ago e filo in mano era la norma; in alternativa, la sarta o il sarto del quartiere erano sempre a disposizione per stringere, scorciare o trasformare abiti con maestria e santa pazienza. Un’usanza che è andata svanita nel tempo, soppiantata dalla velocità con la quale i marchi sfornano collezioni usa&getta a basso prezzo, che creano desideri e voglia di nuovo (basta pensare al fatto che vengono dati incentivi per il nuovo anziché spronare per riparare il vecchio). Già, perché è meglio andare in giro con dei nuovissimi jeans strappati sulle ginocchia che riparare quelli vecchi, che vengono buttati via proprio per colpa dello stesso buco.
Figli del consumismo, schiavi delle tendenze, succubi dell’obsolescenza programmata studiata a tavolino da grandi imprenditori per spingerci a comprare costantemente.
Fortunatamente per ogni cosa esiste il suo opposto e per contrastare questo spreco tessile si sono formati, in maniera spontanea e per affinità di intenti (promuovere una moda lenta, attenta ed etica), gruppi di rivoluzionari che stanno riportando in auge l’antica arte del riparare, in maniera creativa e piuttosto visibile.
Un gesto frutto della consapevolezza dell’impatto ambientale della moda, un rifiuto al far parte della catena dei rifiuti tessili; ed anche un modo per dare valore a quello che è già nell’armadio. “I care, I repair” (Io ci tengo, io riparo) è una delle frasi del libro manifesto “Love Clothes Last” (“I vestiti che ami durano a lungo”, ed. Corbaccio) di Orsola de Castro, designer e co-fondatrice del movimento internazionale Fashion Revolution, nel quale invita a utilizzare il rammendo come atto rivoluzionario, liberatorio e creativo. Dopotutto “Il capo più sostenibile è quello che è già nell’armadio”; perché non allungargli la vita, divertendosi?
Il visible mending, a differenza delle riparazioni fatte dalle nonne, che dovevano essere nascoste, è qualcosa che si vede bene, che interrompe volontariamente la regolarità di un capo, che sbuca in maniera irriverente, quasi sfacciata, da una manica o sotto a un colletto. L’arte di riparare in maniera evidente, in realtà, affonda le sue radici nella cultura giapponese, che di questa storia dell’aggiustare ne ha fatto una filosofia di vita, quella del “Wabi-Sabi”: sapere cogliere e apprezzare la bellezza nell’imperfezione. Da qui riparazioni che si vedono, riparazioni che diventano arte, riparazioni che rendono l’oggetto più bello di prima. Perché le cicatrici sono segni della vita che scorre, segni del passato che determinano il presente. Come il Sashiko Stitching, letteralmente “piccole pugnalate”; una di queste arti praticabile a colpi di ago e filo, rigorosamente bianco, che crea disegni con cuciture minuscole che sembrano trattini. Come tutte le tecniche giapponesi ha bisogno di pazienza, dedizione ed un’attitudine Zen (utilizzabile anche come pratica meditativa). Con il termine Boro, invece, si indica una specie di patchwork multi-livello con cuciture a vista che somigliano a ricami, che vanno a costruire un tessuto prezioso composto di stracci. Un controsenso all’apparenza, in realtà è una tradizione che nasconde un insegnamento da rispolverare: “I Boro racchiudono i principi estetici ed etici della cultura giapponese come la Sobrietà e la Modestia (shibui), l’imperfezione, ovvero l’aspetto irregolare, incompiuto e semplice (wabi-sabi) e soprattutto l’avversità allo spreco (motttainai) e l’attenzione alle risorse, al lavoro e agli oggetti di uso quotidiano“. (Cit. dal libro “Boro: The art of Necessity”, K-J. Cottman, P. Holmberg)
Nel corso degli ultimi anni il visible mending è diventata una pratica diffusa, condivisa, utilizzata anche come momento di aggregazione durante serate dal vivo o online (nei tempi in cui uscire da casa era complicato), nelle quali poter apprendere nuove tecniche, scambiare consigli e confrontarsi. La riparazione visibile è stata anche il tema di una mostra, conclusa il 25 Settembre scorso, alla Somerset House di Londra, dal titolo “Eternally Yours: Care, Repair, Healing” (Eternamente tuo: Cura, Riparazione, Guarigione), che ha presentato diversi esempi di riutilizzo creativo, da campioni storici dell’arte giapponese di Kintsugi e Boro, fino alle opere di artisti contemporanei che mettono la riparazione al centro della loro pratica. Un modo per riflettere e celebrare la storia e il valore emotivo degli oggetti a cui teniamo, che vengono preservati e non scartati.
Niente più imbarazzo, quindi, ad andare in giro con capi “rattoppati”, perché la riparazione visibile non è un qualcosa di cui vergognarsi, bensì un segno di cura e attenzione da sfoggiare con orgoglio. È un atto d’integrità di cui andare fieri. Una rivoluzione silenziosa, gentile e creativa, che rende cool il capo e chi lo fa.
[di Marina Savarese]
Antonio Giangrande. A COME ABUSIVISMO EDILIZIO ED EVENTI NATURALI.
La Natura vive. Alterna periodi di siccità a periodi di alluvioni e conseguenti inondazioni.
La Natura ha i suoi tempi ed i suoi spazi.
Anche l’uomo ha i suoi tempi ed i suoi spazi. Natura ed Uomo interagiscono, spesso interferiscono.
Un fenomeno naturale diventa allarmismo anti uomo degli ambientalisti.
Da sempre in montagna si è costruito in vetta o sottocima, sul versante o sul piede od a valle.
Da sempre in pianura si è costruito sul greto di fiumi e torrenti.
Da sempre lungo le coste si è costruito sul litorale.
Cosa ci sia di più pericoloso di costruire là, non è dato da sapere. Eppure da sempre si è costruito ovunque perché l’uomo ha bisogno di una casa, come gli animali hanno bisogno di una tana.
Invece, anziché pulire gli alvei (letti) dei fiumi o mettere in sicurezza i costoni dei monti per renderli sicuri, si impongono vincoli sempre più impossibili da rispettare.
Invece di predisporre un idoneo ed aggiornato Piano Regolatore Generale (Piano Urbanistico Comunale) e limitare tempi e costi della burocrazia, si prevedono sanzioni per chi costruisce la sua dimora.
A questo punto, quando vi sono delle disgrazie, l’allarmismo dell’ambientalismo ideologico se la prende con l’uomo. L’uomo razzista ed ignorante se la prende con i meridionali: colpa loro perché costruiscono abusivamente contro ogni vincolo esistente.
Peccato che le disgrazie toccano tutti: in pianura come in montagna o sulla costa, a prescindere dagli abusi o meno fatti da Nord a Sud.
Solo che al Nord le calamità sono disgrazie, al Sud sono colpe.
Peccato che i media razzisti nordisti si concentrano solo su temi che discriminano le gesta dei loro padroni.
Condono edilizio, cosa dice la legge. Redazione il 16 Dicembre 2022 su Panorama
Si sente spesso parlare di condono, un termine per il quale esistono norme complesse all'interno delle quali bisogna muoversi con cautela
Di Carmen Chierchia, Partner, DLA Piper
Con il termine “condono edilizio” si intende una procedura edilizia speciale, introdotta in Italia per la prima volta nel 1985 (con la L. 47/1985), e poi replicata in altre due occasioni, nel 1994 (con la L. 724/1994, cd. “secondo condono”) e nel 2003 (con il Decreto legge 269/2003, il cd. “terzo condono”). Perché una procedura speciale? Il nostro ordinamento giuridico prevede che occorre premunirsi di un titolo edilizio prima che siano eseguiti dei lavori edilizi di costruzione o di modifica di un bene esistente. La procedura di condono scardina questo naturale ordine delle cose e prevede che opere abusive, ossia costruite o modificate senza permesso o con un permesso non valido, possano essere regolarizzate, “condonate” appunto, successivamente alla loro realizzazione. Si tratta di una procedura “speciale” anche perché è stata introdotta per regolarizzare abusi realizzati in determinate finestre temporali e, in particolare per le costruzioni realizzate entro il 1 ottobre 1983 per accedere al primo condono, entro il 31.12.1993 per il condono ed entro il 31.3.2003 per il terzo). Oltre queste fasce temporali (e quindi, dopo marzo 2003), il condono non è più applicabile; il nostro ordinamento, tuttavia, prevede la possibilità di accedere ad una procedura di regolarizzazione ordinaria, il cd. accertamento di conformità, previsto dagli articoli 36 e 37 del Testo Unico Edilizia, che soggiace ad altre condizioni. Le caratteristiche del condono. Non sempre le amministrazioni comunali hanno riscontrato le istanze ricevute, con provvedimento di condoni o, nel caso in cui non ci fossero i presupposti giuridici per provvedere, emanando dinieghi. Spesso, infatti, i comuni sono stati subissati da un numero imponente di domande che, in assenza di una struttura amministrativa adeguata per rispondere in tempi ragionevoli, sono rimaste pendenti per anni (anche decenni). Così il legislatore ha previsto lo strumento del silenzio assenso: decorsi 24 mesi dall’istanza, il silenzio serbato dal Comune equivale a titolo abilitativo in sanatoria. Tuttavia, la formazione del titolo per silenzio-assenso presuppone che la domanda sia stata corredata dalla documentazione necessaria e prescritta dalla legge, che non sia infedele, ossia che contenga documenti e dichiarazioni vere, sia stata interamente pagata l'oblazione e soprattutto l'opera non sia in contrasto con i vincoli di inedificabilità. Un aspetto molto importante è proprio quello del rapporto tra la procedura di condono e la presenza di vincoli territoriali. Anzitutto è bene chiarire che il termine “vincolo” in Italia racchiude molti significati: esistono i vincoli storici e artistici, paesaggistici (a volte denominati anche “ambientali” utilizzando un aggettivo previsto in norme non più in vigore), idrogeologici ecc. I vincoli possono portare all’inedificabilità assoluta oppure possono consentire l’edificazione a determinate condizioni. In aggiunta, oltre ai vincoli veri e propri, esistono anche le cd. fasce di rispetto, ossia aree che sono vicine a presidi di interesse pubblico (linee elettriche, ferroviarie, aeroporti ecc) e che prevedono limitazioni all’edificabilità. Cosa prevede la procedura di condono per queste aree? Il principio di fondo, sia pur articolato in modi differenti dalle leggi che l’hanno introdotto, è che il condono non può essere rilasciato se il bene insiste su un territorio vincolato. Ma esistono delle peculiarità cui è bene fare attenzione. Anzitutto, la L. 47/1985 (art. 33) prevede che la sanatoria in area vincolata è possibile a due condizioni (1) se il vincolo non comporta inedificabilità, ossia consente di costruire in determinate zone o a determinate condizioni e (2) se il vincolo è stato imposto dopo l’esecuzione delle opere, ossia al momento della costruzione l’area non doveva essere gravata da vincoli. Una previsione molto simile è contenuta nel cd. terzo condono che ha aggiunto anche il requisito della “minore rilevanza” , ossia che le opere sanabili fossero solo gli interventi edilizi che non comportano nuove costruzioni, in termini di superfici e volumi, e ricadessero pertanto nelle categorie della manutenzione o restauro. Veniva richiesto, inoltre, che le opere oggetto di domanda dovevano essere conformi alle norme urbanistiche e alle prescrizioni degli strumenti urbanistici. Nei casi in cui la procedura di condono è ammissibile, è centrale l’ottenimento del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo (ossia la soprintendenza, l’autorità di bacino, ecc). Tuttavia, è bene precisare che se le opere sono difformi dalla disciplina urbanistica, l'incondonabilità non è superabile nemmeno con il parere positivo dell'Autorità preposta alla tutela del vincolo. Questo significa che il meccanismo di formazione tacita del permesso riguardo alle opere realizzate in area sottoposta a vincolo paesaggistico si perfeziona unicamente se è stato rilasciato il parere dell'autorità preposta alla gestione del vincolo, se l’opera è conforme alla normativa locale. È chiaro, quindi, che la procedura speciale del condono ha aperto molti fronti di incertezza: per le pratiche pendenti non può dirsi formato il silenzio assenso fino alla valutazione puntuale circa l’assenza di vincolo o, in caso di presenza, fino alla determinazione della data della sua apposizione, e all’ottenimento del parere dell’autorità competente. Si consideri inoltre che capita spesso che le aree siano sottoposte a più di un vincolo (le aree paesaggistiche sono anche sottoposte a tutela idrogeologica e viceversa). Il condono è una procedura che, attraverso una autodenuncia del proprietario, permetteva al privato di regolarizzare opere abusive e all’amministrazione centrale di fare cassa con le oblazioni connesse alla richiesta di sanatoria. Alla luce delle complessità che questo strumento ha causato, tant’è che se ne parla e si litiga in tribunale anche oggi a distanza di 35 anni dal primo condono e di 19 dal terzo, ci sarebbe da domandarsi se il legislatore abbia anche valutato se gli introiti fossero idonei anche a coprire l’enorme costo della macchina burocratica, connessa alla complessità di questo strumento.
L’abbattimento delle case private. Abusivo: Condonato e distrutto.
L’inerzia delle amministrazioni pubbliche: ambientalismo militante e toghe politicizzate.
Il privato con diritto alla casa, rinunciando all’assegnazione o all’occupazione abusiva di un appartamento pubblico, non aspetta i tempi biblici degli intimoriti amministratori che, per interessi privati o per lo spauracchio dell’abuso d’ufficio, negano il diritto ad una salubre esistenza, non adottando gli strumenti urbanistici adeguati, o non approvando in tempi accettabili un progetto lecito presentato. Il buon padre di famiglia provvede, per necessità, a dare un tetto ai suoi cari, investendo i risparmi di una vita. Chi è abituato a chiedere ed a ottenere una casa senza sudore della sua fronte in conto alla comunità, si oppone a tutto ciò.
Quello che non ci dicono. Prendiamo per esempio il fenomeno cosiddetto dell'abusivismo edilizio, che è elemento prettamente di natura privata. I comunisti da sempre osteggiano la proprietà privata, ostentazione di ricchezza, e secondo loro, frutto di ladrocinio. Sì, perchè, per i sinistri, chi è ricco, lo è perchè ha rubato e non perchè se lo è guadagnato per merito e per lavoro.
Il perchè al sud Italia vi è più abusivismo edilizio (e per lo più tollerato)? E’ presto detto. Fino agli anni '50 l'Italia meridionale era fondata su piccoli borghi, con case di due stanze, di cui una adibita a stalla. Paesini da cui all’alba si partiva per lavorare nelle o presso le masserie dei padroni, per poi al tramonto farne ritorno. La masseria generalmente non era destinata ad alloggio per i braccianti.
Al nord Italia vi erano le Cascine a corte o Corti coloniche, che, a differenza delle Masserie, erano piccoli agglomerati che contenevano, oltre che gli edifici lavorativi e magazzini, anche le abitazioni dei contadini. Quei contadini del nord sono rimasti tali. Terroni erano e terroni son rimasti. Per questo al Nord non hanno avuto la necessità di evolversi urbanisticamente. Per quanto riguardava gli emigrati bastava dargli una tana puzzolente.
Al Sud, invece, quei braccianti sono emigrati per essere mai più terroni. Dopo l'ondata migratoria dal sud Italia, la nuova ricchezza prodotta dagli emigranti era destinata alla costruzione di una loro vera e bella casa in terra natia, così come l'avevano abitata in Francia, Germania, ecc.: non i vecchi tuguri dei borghi contadini, nè gli alveari delle case ringhiera o dei nuovi palazzoni del nord Italia. Inoltre quei braccianti avevano imparato un mestiere, che volevano svolgere nel loro paese di origine, quindi avevano bisogno di costruire un fabbricato per adibirlo a magazzino o ad officina. Ma la volontà di chi voleva un bel tetto sulla testa od un opificio, si scontrava e si scontra con la immensa burocrazia dei comunisti, che inibiscono ogni forma di soluzione privata. Ergo: per il diritto sacrosanto alla casa ed al lavoro si è costruito, secondo i canoni di sicurezza, ma al di fuori del piano regolatore generale (Piano Urbanistico). Per questo motivo si pagano sì le tasse per una casa od un opificio, che la burocrazia intende abusivo, ma che la stessa burocrazia non sana, nè dota quelle costruzioni, in virtù delle tasse ricevute e a tal fine destinate, di infrastrutture primarie: luce, strade, acqua, gas, ecc.. Da qui, poi, nasce anche il problema della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti. Burocrazia su Burocrazia e gente indegna ed incapace ad amministrarla.
Per quanto riguarda, sempre al sud, l'abusivismo edilizio sulle coste, non è uno sfregio all'ambiente, perchè l'ambiente è una risorsa per l'economia, ma è un tentativo di valorizzare quell’ambiente per far sviluppare il turismo, come fonte di sviluppo sociale ed economico locale, così come in tutte le zone a vocazione turistica del mediterraneo, che, però, la sinistra fa fallire, perchè ci vuole tutti poveri e quindi, più servili e assoggettabili. L'ambientalismo è una scusa, altrimenti non si spiega come al nord Italia si possa permettere di costruire o tollerare costruzioni alle pendici dei monti, o nelle valli scoscese, con pericolo di frane ed alluvioni, ma per gli organi di informazione nazionale, prevalentemente nordisti e razzisti e prezzolati dalla sinistra, è un buon viatico, quello del tema dell'abusivismo e di conseguenza della criminalità che ne consegue, o di quella organizzata che la si vede anche se non c'è o che è sopravalutata, per buttare merda sulla reputazione dei meridionali.
La vicenda di casa Cioce: “Un dolore indescrivibile”. “Quella casa non va demolita”, la Cassazione blocca tutto ma le ruspe l’hanno già abbattuta…Rossella Grasso su Il Riformista il 12 Novembre 2022
“La Cassazione ha detto che la nostra casa non doveva essere abbattuta ma le ruspe hanno già fatto il loro lavoro e della nostra casa, costruita con tanti sacrifici, non resta che un cumulo di macerie. Così come del nostro cuore”. Così la famiglia Cioce commenta la sentenza della Cassazione appena pubblicata, che ha accolto il ricorso dell’avvocato Bruno Molinaro che ha seguito la vicenda della casa ritenuta abusiva. Tre righe durissime rispetto all’operato dei giudici di Appello: “Nel caso in disamina, il giudice di merito non ha ritenuto di disporre neppure la sospensione, pur non essendo ancora esaurita la procedura di condono edilizio e pur ritenendo che la proposta di riperimetrazione delle aree sottoposte a vincolo non fosse definita e completa”, si legge nella sentenza numero 42624 del 23 settembre 2022 che “annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di Appello di Napoli”.
“Villa Pina. 1992 A.Cioce” si leggeva a colori sulla facciata della palazzina costruita dai Cioce in via Brigata Bologna, a Fuorigrotta, quartiere di Napoli. La villetta era a ridosso della collina di Posillipo ed è lì che 30 anni fa nonno Antonio, capostipite di una famiglia di 7 figli e 14 nipoti, iniziò la costruzione della casa in cui avrebbe accolto tutti i suoi. In quella casa è raccolta una vita di sacrifici, mattone dopo mattone che dedicò a sua moglie Pina. Trenta anni dopo, con utenze accordate e bollette e condoni pagati, a novembre 2021 arriva la notifica di sgombero. La casa andava abbattuta perché costruita in un territorio a rischio idrogeologico.
La famiglia ha lottato strenuamente contro una miriade di problemi burocratici e tecnici per dimostrare che la loro casa non insisteva su un terreno a rischio idrogeologico. A colpi di perizie, costate tanti soldi, e di proteste, la famiglia era riuscita ad ottenere “esito positivo” per l’avvio della “procedura di aggiornamento delle mappe del Piano Stralcio di Assetto Idrogeologico dell’Autorità di Bacino”. Aveva anche proposto l’autodemolizione dei volumi in più della struttura al fine di ottenere un favorevole giudizio di condonabilità. Ma quando tutto sembrava che stesse andando per il verso giusto, sono arrivate le ruspe sotto casa loro. E non c’è stato nulla da fare. La casa, costruita con una vita di sacrifici è stata buttata giù in poche ore.
“Nulla ha potuto – ha dichiarato l’avvocato Molinaro – l’istanza di sospensione che presentammo a cui i giudici incredibilmente non hanno mai nemmeno risposto, pur avendo acquisito copia del ricorso per Cassazione nel giugno scorso. Eppure i tempi per risolvere il problema del vincolo idrogeologico e la questione condono erano brevi. Per la prima volta in Italia la Cassazione bacchetta i giudici dell’Appello per non aver sospeso l’esecuzione della demolizione effettuata nelle more del giudizio. La Procura intanto era andata avanti forte della ordinanza illegittima della Corte territoriale e aveva proceduto senza indugio, quale stazione appaltante, alla eliminazione delle opere. Una esecuzione che non teneva conto nemmeno dei problemi della famiglia, con un nonno anziano e allettato e una bambina piccola, che non sapevano dove andare”.
L’avvocato aveva fatto ricorso e impugnato l’ordinanza che stabiliva la demolizione ma non è servito a nulla. “Citeremo per danni lo Stato italiano per l’errore giudiziario commesso dai giudici della Corte d’Appello – continua il legale – per non avere questi ultimi inteso salvaguardare il bene della vita invocato quale causa di incompatibilità con l’abbattimento e, quel che è più grave, per aver omesso ogni valutazione, positiva o negativa, della istanza di sospensione presentata dopo la proposizione del ricorso per Cassazione, nonostante il pericolo di pregiudizio grave e irreparabile. Una condotta inspiegabile, sbagliata e disumana”. E che la Cassazione ha bocciato, ma era ormai già troppo tardi.
“In Italia, più dei politici e dei grandi burocrati, sono i magistrati a detenere le leve del potere – continua Molinaro – perché, salvo casi limite, dietro lo scudo della interpretazione delle norme non rispondono mai dei loro errori. Ed è paradossale che chiunque faccia un qualsiasi lavoro, come anche l’avvocato, il medico o l’ingegnere, se sbaglia paga, nel mentre ciò non vale per i magistrati tranne che in caso di dolo o colpa grave. Eppure la Corte di giustizia UE qualche anno fa ha pesantemente stigmatizzato il comportamento lassista ed omissivo dell’Italia sul tema ma la successiva legge del 2015 ha solo rappresentato un timido tentativo di affrontare il problema. Nella vicenda della famiglia Cioce, oltre ad una casa in macerie, ci sono vite umane distrutte. Non è tanto un danno economico quello che hanno subito quanto umano e morale. E questo è sicuramente irreparabile. È come se inermi fossero stati messi davanti a un plotone di esecuzione”.
L’avvocato nel commentare la vicenda è amarissimo: “Quello che è successo alla famiglia Cioce dovrebbe indurre i nostri governanti a fare una riflessione: di tutto questo chi risponde? I giudici o i cittadini? Talvolta i giudici chiamati in causa dicono di essere assicurati, ma le loro coscienze possono essere garantite da una polizza? A questo si aggiunge, nella situazione dei Cioce, anche il costo rilevantissimo della demolizione subita, che alla fine graverà sui cittadini”.
Per la famiglia Cioce si è trattato di una vera e propria via crucis a tappe. Lo sgombero è iniziato il 16 novembre, poi il 10 maggio hanno iniziato la demolizione e il 5 giugno era tutto finito. La casa non c’era più, al suo posto solo uno striscione con su scritto: “Casa Cioce demolita per errore burocratico”. “Ci hanno buttati fuori casa con il nonno anziano e allettato e una neonata – raccontano i Cioce – Al nonno avevano proposto il ricovero in ospedale, a mamma e neonata una casa famiglia. Nonna e uno dei suoi figli non sapevano dove andare, e lei ha anche avuto un infarto, non è in salute. Ma ora sentiamo che almeno un po’ di giustizia è stata fatta. Lo dobbiamo al nonno Antonio, un onesto lavoratore che ha sofferto tantissimo nel vedere quella casa crollare”.
I Cioce non hanno mai mollato nemmeno per un istante la loro battaglia. Nemmeno davanti alle ruspe. “Quando sono arrivate e hanno iniziato ad abbattere ho pianto come una bambina, è stato un dolore troppo grande – racconta nonna Pina – Un dolore enorme anche per i bambini che si sono visti togliere quello che per loro era come un parco giochi. Hanno sofferto tanto, le maestre ci raccontavano che a volte li vedevano come persi. La nostra fortuna è stata quella di essere una grande famiglia unita. Ci siamo dati man forte a vicenda, anche nei momenti più bui. E non abbiamo mai perso la speranza. Ringraziamo con tutto il cuore l’avvocato Molinaro che ci è sempre stato vicino come una persona di famiglia, che ci ha sempre sopportato e supportato”.
Nonna Pina racconta di quando suo marito tornava dal lavoro e si metteva a spianare quella zona del terreno acquistato, a mano con la pala. È come se sentisse ancora l’odore acre di quel sudore e delle mani che mettevano mattone su mattone per alzare mura. “Non ci siamo fatti mai un viaggio, mai uno sfizio: tutto quello che guadagnavamo era per la nostra casa, il nostro sogno – continua la nonna – Nessuno credeva che avevamo ragione. Quello che abbiamo passato, la sofferenza, l’ansia nel vedere buttata giù la casa non lo posso descrivere. Nemmeno tutto l’oro del mondo potrà ripagare tutto questo dolore”.
Rossella Grasso. Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Tra le varie testate con cui ha collaborato il Roma, l’agenzia di stampa AdnKronos, Repubblica.it, l’agenzia di stampa OmniNapoli, Canale 21 e Il Mattino di Napoli. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. E’ autrice del documentario “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.
Massimiliano Jattoni Dall’Asén per corriere.it il 20 settembre 2022.
Edilizia libera per l’installazione delle vetrate panoramiche amovibili, ovvero le Vepa. Un emendamento alla legge di conversione del decreto Aiuti bis, approvato in Senato (articolo 33-quater che modifica il Testo Unico Edilizia), ha fatto rientrare questa particolare categoria di vetrate nei lavori che non necessitano di un permesso dal Comune. Vediamo di spiegare meglio cosa cambia.
Cosa sono le Vepa?
La novità riguarda, come detto, le vetrate panoramiche amovibili e totalmente trasparenti. Questa categoria di vetrate sono dette Vepa, un acronimo sillabico per indicare, appunto, le vetrate panoramiche amovibili installate per la ridurre le dispersioni termiche e per il risparmio energetico, ma anche per la messa in sicurezza e per una maggiore fruizione di verande e balconi.
Come spiega l’Assvepa, l’associazione italiana vetrate panoramiche, queste strutture permettono di schermare, ombreggiare e di coibentare parzialmente, migliorando le prestazioni energetiche di una parte dell’edificio, ma anche di impermeabilizzare dalla pioggia i balconi e le logge. In genere questi sistemi sono scorrevoli e si aprono e chiudono a seconda del bisogno. La loro principale caratteristiche è quella di poter essere rimovibili.
Cosa cambia?
Questo tipo di vetrate finora si trovavano in una sorta di limbo, alla mercé cioè delle interpretazioni dei vari Comuni: per alcuni infatti si potevano installare senza problemi, per altri l’autorizzazione veniva negata perché erano considerate un modo per aumentare i volumi dell’abitazione. Ora, con l’inserimento nell’edilizia libera, installare queste vetrate diventa più facile.
Si possono cambiare i volumi?
Come detto, quello dei volumi era un elemento che gettava ambiguità sull’installazione delle vetrate panoramiche. L’emendamento ha chiarito che le Vepa, assolvendo a funzioni temporanee di protezione dagli agenti atmosferici, non modificano i volumi dell’appartamento o della villetta.
E questo rimane un vincolo alla loro installazione: L’emendamento, infatti, specifica che le Vepa sono permesse nell’edilizia libera purché : «non configurino spazi stabilmente chiusi con conseguente reazione di volumi e di superfici, come definiti dal Regolamento edilizio tipo, che possano generare nuova volumetria o comportare il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile anche da superficie accessoria a superficie utile».
Verande, balconi e terrazze ora si possono chiudere senza permessi con vetrate amovibili: le regole da rispettare. Valentina Iorio su Il Corriere della Sera il 22 Settembre 2022.
L’installazione di vetrate panoramiche amovibili e trasparenti, ovvero le Vepa, su verande e balconi si potrà eseguire senza permessi. Con l’emendamento all’articolo 33 quater del decreto Aiuti bis, approvato in via definitiva al Senato martedì 20 settembre, rientrano nei lavori in edilizia libera. La loro installazione può consentire un risparmio energetico del 27,6%, secondo le stime di Assvepa, l’associazione che riunisce i produttori del settore. Per poterle installare però è necessario rispettare determinati requisiti. Vediamo quali.
Volumetria: vietato aumentarla
Il primo vincolo riguarda il divieto di aumentare la volumetria della proprietà. Per questo è indispensabile che le vetrate siano amovibili. L’articolo 33 quater del decreto Aiuti bis, infatti, precisa che l’installazione è ammessa «purché tali elementi non configurino spazi stabilmente chiusi con conseguente variazione di volumi e di superfici, come definiti dal regolamento edilizio-tipo, che possano generare nuova volumetria o comportare il mutamento della destinazione d’uso dell’immobile anche da superficie accessoria a superficie utile».
La microareazione
Il decreto Aiuti bis prevede anche che affinché l’installazione di vetrate panoramiche amovibili e trasparenti si possa eseguire senza permessi tali strutture devono favorire «una naturale microaerazione che consenta la circolazione di un costante flusso di arieggiamento a garanzia della salubrità dei vani interni domestici »
Impatto visivo minimo
Un altro requisito indispensabile è che una volta installate le Vepa abbiano un impatto visivo minimo. A questo proposito la norma dice che devono «avere caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e da non modificare le preesistenti linee architettoniche».
Miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche
Infine l’installazione delle vetrate panoramiche amovibili deve avere come scopo il miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche dell’edificio. L’articolo 33 quater parla infatti di Vepa «dirette ad assolvere a funzioni temporanee di protezione dagli agenti atmosferici, miglioramento delle prestazioni acustiche ed energetiche, riduzione delle dispersioni termiche, parziale impermeabilizzazione dalle acque meteoriche dei balconi aggettanti dal corpo dell’edificio o di logge rientranti all’interno dell’edificio».
Dall’ 11 marzo 2011, ogni giorno si carica una bombola e la cerca nell’oceano gelido. L’amore eterno dopo lo tsunami: “Da 11 anni mi immergo per cercare mia moglie nel mare”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 9 Ottobre 2022
Quella di Yasuo Takamatsu, 65 anni è la storia di un grande amore. L’11 marzo 2011 il terribile tsunami che si abbattè sul Giappone gli ha portato via la sua adorata moglie Yuko. Il suo corpo non è mai stato ritrovato e lui non si dà pace: vuole trovarlo e avere un posto dove piangerla. Ogni settimana si immerge nelle acque della sua regione, Onagawa. Lo farà finchè il suo corpo si muoverà. Il suo amore per la moglie è talmente grande e sacro da superare qualsiasi difficoltà.
Quando lo tsunami colpì il Giappone, Yasuo, autista di autobus, era a casa a spazzar via i detriti lasciati dal terremoto delle ore precedenti. La moglie era a lavoro in banca. Subito dopo il terribile terremoto che devastò la regione Thoku, Yasuo iniziò a cercare sua moglie via terra. Ha passato al setaccio la zona dove la moglie lavorava in banca, poi gli edifici circostanti, la costa, la foresta e le montagne. Niente, della sua Yuko nessuna traccia. Trovò però il cellulare della moglie e così la speranza che forse stava andando nella giusta direzione. Nel telefono trovò anche l’ultimo messaggio di sua moglie per lui, che non riuscì mai a mandare: “Stai bene? Voglio tornare a casa”.
“Sono sicuro che vorrebbe ancora tornare a casa”, ha raccontato Yasuo. Con il telefonino, recuperato mesi dopo, Yuko aveva provato a inviare un altro messaggio al marito: “Questo tsunami è disastroso” ma queste parole non era riuscita a spedirle. Così si è fatto animo e coraggio e ha deciso di iniziare a cercarla in mare. A settembre 2013 decide di contattare una guida e prendere il brevetto da sub per poterla cercare nelle acque costiere del Pacifico. “Ho 56 anni – aveva detto all’istruttore Masayoshi Takahashi – voglio imparare a immergermi perché voglio trovare mia moglie nel mare”.
Quando le onde gigantesche e violente avevano distrutto tutto, Yasuo si era ritrovato nell’ospedale di una città vicina, insieme alla suocera e non gli era stato permesso di tornare a Onagawa, che nel frattempo era diventata un cumulo di macerie, uno scenario apocalittico dove le barche dei pescatori si erano frantumate contro auto ed edifici. Il giorno dopo tornò sulla collina che avevano allestito come punto di ritrovo per gli sfollati. “È stato in quel momento che mi è stato detto che tutti gli impiegati della banca di mia moglie erano stati spazzati via dall’acqua”, ha raccontato. “Ho sentito le mie ginocchia cedere, non ho più sentito il mio corpo”. Durante tutte le immersioni, che pratica una volta alla settimana da quasi dieci anni, Yasuo indossa una muta, si carica una bombola sulla schiena e si tuffa nelle acque gelide dell’oceano insieme all’istruttore subacqueo Masayoshi Takahashi. Quest’ultimo tiene aggiornate costantemente le mappe e i registri delle aree che sono già state battute, a volte anche più di una volta perché le correnti spostano in continuazione i detriti.
Il violento tsunami dell’11 marzo 2011 è stato il più violento in Giappone e il quarto peggiore della storia. causa del sisma e dello tsunami successivo – che ha distrutto i generatori di emergenza che alimentavano i sistemi di raffreddamento di tre dei reattori della centrale nucleare di Fukushima – sono morte circa 20mila persone, quasi mezzo milione sono rimaste senza una casa e 2500 sono ancora disperse. Una di queste, è Yuko, almeno finché Yasuo non l’avrà ritrovata.
Elena Del Mastro.
Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
(Askanews il 29 luglio 2022) - Tutti i valori sul batterio Escherichia Coli registrati nei giorni scorsi lungo la costa romagnola del Mar Adriatico sono "rientrati ampiamente nella norma" tanto che "già nel pomeriggio sono attese le ordinanze dei sindaci di ritiro dei divieti temporanei di balneazione.
I valori delle analisi aggiuntive dei campioni fatte da Arpae in tutti e 22 i punti della Costa romagnola che risultavano ancora fuori norma, sono infatti risultati sottosoglia". Lo ha annunciato l'assessora regionale all'Ambiente, Irene Priolo.
Secondo i tecnici, le ipotesi per spiegare i risultati, anomali, dei campionamenti effettuati martedì 26 luglio sono al momento riconducibili a un insieme di condizioni meteorologiche, idrologiche e marine del tutto eccezionali per la Romagna: la temperatura dell'acqua molto elevata da diverse settimane, con valori oscillanti intorno ai 30 gradi, la prolungata assenza di ventilazione, lo scarso ricambio delle acque, la mancata diluizione delle immissioni nei corsi d'acqua che arrivano al mare, a causa della forte siccità di questo periodo.
Tutti elementi, questi, che sommandosi potrebbero aver avuto un effetto particolarmente impattante sulla composizione delle acque del mare.
Il miracolo di Rimini, l’acqua inquinata tornata pulita in 24 ore. SELVAGGIA LUCARELLI su Il Domani il 29 luglio 2022
Partiamo dall’inizio. Il 28 luglio, in Emilia-Romagna, arriva la mazzata: l’Arpae, ovvero l’Agenzia prevenzione ambiente/energia dell’Emilia-Romagna, impone il divieto temporaneo di balneazione in ben 28 aree della riviera emiliano-romagnola.
Il comune di Rimini, il giorno dei campionamenti di Arpae, aveva fatto analizzare le acque anche da un laboratorio autonomo (Lav). Evidentemente si fida molto dell’ente regionale Arpae. O ne teme i responsi, chissà.
E infatti il laboratorio autonomo dice il contrario di quello che sostiene Arpae: il mare a Rimini te lo puoi anche bere.
Quello che sta accadendo in Emilia-Romagna con divieti di balneazione revocati in 24 ore è una storia da manuale pratico dell’inverosimile.
Si parla di Cervia, Bellaria, Rimini e altre località nelle quali in vista del Ferragosto si stanno per riversare milioni di turisti (oltre quelli che sono già lì). Il problema è serio: dopo i prelievi di martedì 26 luglio è stato rilevato un grave superamento dei limiti normativi dei livelli di Escherichia coli ed Enterococchi intestinali nelle acque di mezza costa. Insomma, un disastro, visto che i rischi non sono solo problemi intestinali, ma conseguenze più gravi soprattutto per bambini ed anziani (sindrome emolitico uremica).
Per parlare chiaro: significa che quel mare non è balneabile secondo un serio indicatore di contaminazione fecale. Inutile dire che il divieto ha provocato fulminei (e anche comprensibili) crampi intestinali alla regione e a tutto il comparto turistico. Panico. Nel giro di poche ore dall’annuncio si consuma il primo miracolo: tornano idonee alla balneazione le spiagge di Cervia, Bellaria-Igea Marina e Rimini. Così, di botto.
Le avranno fatte bollire nel pentolone della mensa militare. Anzi no. Il comune di Rimini, il giorno dei campionamenti di Arpae, aveva fatto analizzare le acque anche da un laboratorio autonomo (Lav). Evidentemente si fida molto dell’ente regionale Arpae. O ne teme i responsi, chissà. E infatti il laboratorio autonomo dice il contrario di quello che sostiene Arpae: il mare a Rimini te lo puoi anche bere.
Fresco, pulito, cristallino. Bizzarro no? Roba che se fossi il presidente Stefano Bonaccini chiederei il licenziamento in massa di tutti i dipendenti dell’Arpae che boicottano il turismo commettendo errori grossolani. Fatto sta che nel giro di altre 24 ore avviene il secondo miracolo: i parametri del batterio nel mare della riviera emiliano-romagnola rientrano nei limiti in tutte le aree. Tutte e 28 eh.
Abbiamo scherzato
Neppure una a rischio tenue dissenteria. Niente. Abbiamo scherzato. I tecnici non sanno che pesci pigliare (e se fidarsi a pigliarli, in quelle acque) e allora, perfettamente coordinati con la regione, affermano che i risultati anomali dei rilevamenti del 26 luglio potrebbero essere stati causati dal caldo e dalla siccità. Resta da capire cosa sia cambiato dal 26 luglio al 28 luglio a livello climatico, visto che a dirla proprio tutta il 28 e il 29 luglio da quelle parti faceva anche più caldo.
Infine, il capolavoro finale, ovvero le parole dell'assessora regionale all'Ambiente Emilia-Romagna Irene Priolo la quale, in un’epica conferenza stampa, annuncia: «Per il futuro non sarei assolutamente preoccupata, anche se non possiamo escludere in maniera assoluta che episodi simili non si ripresentino».
Insomma, lei non è preoccupata (forse andrà in vacanza in montagna), però vediamo. Già, ma vediamo quando, visto che in quel mare stanno per fare il bagno milioni di turisti tra cui tanti anziani e bambini? «La prossima rilevazione sarà il 22 agosto», annuncia l’assessora. Ma tu guarda. Dopo la settimana di Ferragosto.
Considerato poi che per avere i risultati passa qualche giorno, la stagione turistica è al riparo. E non importa che le fogne lavorino a pieno regime proprio con case e hotel pieni, per cui i controlli andrebbero fatti proprio sotto Ferragosto, per non mettere a rischio la salute dei turisti. L’importante è salvare l’economia del comparto turistico, mica la salute dei cittadini.
Nel frattempo, si è aperto da poco il processo che vede tra gli imputati l’ex sindaco di Riccione Renata Tosi: è accusata di non aver fatto posizionare i cartelli di divieto di balneazione nel 2015 e al 2016, dopo che era stata superata la soglia di escherichia coli. Chissà, magari un nipote aveva analizzato le acque col “Piccolo Chimico”, rassicurandola: tutto ok, zia.
SELVAGGIA LUCARELLI. Selvaggia Lucarelli è una giornalista, speaker radiofonica e scrittrice. Ha pubblicato cinque libri con Rizzoli, tra cui l’ultimo intitolato “Crepacuore”. Nel 2021 è uscito “Proprio a me", il suo podcast sulle dipendenze affettive, scaricato da un milione di persone. Ogni tanto va anche in tv.
Una notte sul peschereccio, tra preghiere e caffè: «I rifiuti degli yacht nelle reti insieme con i pesci». Andrea Galli su Il Corriere della Sera il 5 Settembre 2022.
Leuca, i 30 anni di mare di Ottavio: «È una vita sfiancante, ma anche magica. Ogni tramonto lo stesso gabbiano mi accompagna a casa».
Son notti e giornate come queste, a bordo: fischi di tramontana — che il pazzo pestifero scirocco non s’inventi imboscate —, piedi nudi per meglio ancorarsi, angurie per pranzo, mani consumate da minatori, urla per farsi sentire, sussurri d’incoraggiamento al motore affinché non si pianti di colpo proprio qui, una permanente estasi dinanzi all’alba rosa, viola e gialla, esultanze per i carichi di calamari, balzi sulle onde, certe logore mappe da pirati, la cabina con i letti, o meglio coperte sul pavimento di assi scolorite.
E son vite di mutui e preghiere, preghiere e mutui pur di non rinunciare a un mestiere «antico e duro, anzi bastardo, di fatica bestiale, e però magico, pieno d’amore».
Proprietario e comandante d’un peschereccio, Ottavio Galati (si pronuncia accentando la seconda «a»), sposato, due figli, Giuseppe studente di Economia e Federica ballerina, è un assai ostinato 51enne in direzione contraria.
Da mozzo a cuoco
Del resto, nell’Italia degli ottomila chilometri di coste ancora ci piantiamo allo strombazzato Chilometro Zero: «Coi colleghi, una vita fa chiedemmo un piccolo spazio per la vendita diretta, una volta sbarcati. Bastano delle bancarelle, le spese per l’amministrazione sarebbero basse e verrebbe garantito il rispetto delle regole. Continuiamo ad aspettare». Ormai, stupirsi delle lungaggini equivale a un reato. «Con le reti, insieme ai pesci tiriamo su gabinetti, computer, materiale edile, pneumatici. Roba gettata da navi e yacht, o mollata a riva e veicolata dalle correnti. Prima del recente decreto “Salva mare” non potevamo portare a terra l’immondizia, se ti beccavano erano multe».
Dunque, Leuca, lembo peninsulare, provincia di Lecce. Nella seconda metà dell’Ottocento la famiglia Galati aprì una breccia. I proprietari terrieri dell’interno scelsero il paese per la villeggiatura edificando magioni — portici, fichi d’India, gatti, amache, colori tenui — sulla strada parallela al lungomare. E i loro domestici, guardiani, contadini e stallieri quali i Galati, attaccarono a pescare variegando la cucina dei padroni. I Galati trasformarono la pratica in attività lavorativa. «Dai diciott’anni mi sono fatto la trafila: mozzo, cuoco, capopesca, comandante. Orgoglio, testa dura. Ci penso, a cambiare: però, alla mia età, chi m’assume?». Ma si capisce che non è soltanto questo.
Mogli, mariti
L’inizio del turno lavorativo, alle quattro del mattino, ricorda quello di marescialli e autisti: le compagne che ugualmente si alzano così da condividere il caffè e in fondo benedire la partenza. Ottavio e la moglie Assuntina fanno colazione al buio, in veranda. «Lo vedi quel palo della luce? Quando rincaso, si posa sopra un gabbiano. Lo stesso che incrocio in mare aperto. Non è un’invenzione, giuro. Mi segue». Come i delfini. «Affiancano l’imbarcazione, pronti al nostro lancio di cibo».
Ai piedi di Ottavio, un borsone a tracolla. «Mai dimenticarselo». Dentro: documenti, pratiche timbrate, fotocopie, permessi da questo e quell’altro e quell’altro ente ancora... Il peso della burocrazia nell’anacronistico vincolo alla carta anziché alla digitalizzazione. Ma poi, Internet… «Nella fase di uscita dal porto, oltre che la Capitaneria dobbiamo informare il ministero dell’Agricoltura. Peccato che il segnale per effettuare la comunicazione spesso salti, e senza aver ricevuto la conferma da Roma non possiamo muoverci».
D’estate di questi tempi
Conviene omettere, per evitare un esercizio banale, l’ovvio senso d’invidia verso la libertà di Ottavio e quelli come lui, lontani dalle città- scatolifici, dall’aria infame, dalle malate dinamiche di uffici e colleghi. «Lascia perdere: il novanta per cento delle persone durerebbe due ore al massimo. Intanto c’è il mare. Da temere. Certo, le previsioni del tempo, dei venti… Ma lui, il mare, fa d’improvviso di testa sua. Capitò una burrasca, il radar andò fuori uso e per forza dovevo cercare di uscire da quel punto sennò saremmo affondati… Salimmo in cima a girare a mano le pale di quel disgraziato radar». Il mare che fa di testa sua… «Una buona pesca non è scontata. Capita di non pareggiare nemmeno le spese». Tipo il gasolio? «Non è per piangere, ma oggi viene un euro e venti al litro. A me servono trecento litri quotidiani… Fai il calcolo… Ne sono successe di cose, per carità, a cominciare dalla guerra, povera gente… Però credo ci sia stata una speculazione».
Anche in questa colta Leuca (eventi letterari, scaffali di libri negli hotel), come in ogni località vacanziera i prezzi hanno registrato aumenti. Tacendo degli stabilimenti balneari, protetti dalla possibilità d’avere le concessioni quasi gratis di generazione in generazione, e capaci di chiedere 4 euro per un parcheggio di mezz’ora dopo il tramonto su un pezzo di prato sabbioso, i ristoranti ormai stampano scontrini osceni. E a catena, bisogna sopravvivere. «La mia è pesca a strascico, calando le reti sui fondali. Cerco di privilegiare i gamberoni: garantiscono maggiori guadagni».
La pesca a strascico è condannata dagli ambientalisti con l’accusa di devastare ecosistemi, operando una caccia indiscriminata; una pratica barbarica che andrebbe abolita. Ottavio allarga le braccia.
La disfida dell’acqua
Girando in paese, s’ode la storia d’un tizio che usufruisce del reddito di cittadinanza, collegato alla proprietà di un baretto modaiolo che spara 10 euro per un aperitivo con quattro olive. Il che esaspera la mestizia verso il generale andazzo.
Alla pari del popolo in bikini e infradito che vaga nelle commoventi chiese spingendo passeggini — i bimbi guardano i cartoni sui cellulari — e si esibisce vanesio nel modernissimo porto delle imbarcazioni private, confinante con quello dei pescatori. E laddove nel primo un puntuale sistema di pozzetti permette di lavare per ore gli scafi, nel secondo quei pozzetti non funzionano. «Hanno chiuso l’acqua ripetendo che la sprecavamo».
Il peschereccio di Ottavio è lungo 17 metri e porta il nome della figlia Federica; sopra l’imbarcazione già trafficano il cugino Corrado, 52 anni, e il terzo membro dell’equipaggio, Michele D’Amico, 62 anni. Controllano l’albero-motore, l’esterno, gli argani. Ottavio manovra ed esce dal porto. Le nuvole paiono profili di montagne. «Non esiste una zona precisa dove calare le reti. Contano l’esperienza, l’intuito. Io me la gioco anche dove i colleghi non vanno». Superiamo uno yacht monumentale, fermo; camerieri in livrea ordinano sedie e tavoli. Ottavio cala le reti. L’operazione dura mezz’ora: quando le reti raggiungono i fondali, anche a cinquecento metri, il peschereccio prosegue a oltranza la sua rotta. In un ambiente infido: l’incrocio delle correnti adriatica e ionica. Un incrocio generatore di scontri. O forse no.
L’«intellettuale»
La poetessa Denata Ndreca dice che questo è il tratto del fluire. È di origini albanesi. E albanese era Aptim. «Avevamo fatto un’ottima pesca ma decidemmo un’altra calata. Sentimmo urlare. “Help, aiuto!”. C’era un uomo in mare. E non è che guido una macchina, non posso sterzare a piacimento, avendo sotto le reti... Riuscimmo a recuperarlo. Aveva mani e piedi rosicchiati dai pesci. Dei galleggianti artigianali. Un coltellino. Una pinna costruita con filo elettrico. Aveva lasciato l’Albania su un vecchio motoscafo, con fratelli e cugini. Il motoscafo s’era scassato. Lui, in quanto più anziano, pur avendo vent’anni, s’era avventurato in cerca di soccorsi. Scoprimmo dalla Capitaneria che un elicottero aveva visto il motoscafo ed erano scattati i soccorsi. Aptim stava in mare da due giorni… Un ragazzo dai modi educati, elegante nella postura. Parlava l’inglese, che noi ignoravamo… No, non l’ho più cercato… Sarà diventato un intellettuale, ne aveva l’aria, mentre io non sono altro che un pescatore».
Legambiente: «Fuorilegge il 32% di acque di mare e laghi in Italia». Silvia Morosi su Il Corriere della Sera il 16 Agosto 2022.
Il bilancio di Goletta Verde e Goletta dei Laghi 2022, le due campagne itineranti di Legambiente condotte in 18 regioni e 37 laghi italiani
In Italia è «fuorilegge» il 32% delle acque costiere e dei laghi analizzate da Legambiente durante le campagne Goletta verde e Goletta dei laghi 2022 in cui è stato trovato «inquinato o fortemente inquinato» quasi un campione su tre prelevato e sottoposto ad analisi microbiologiche in 18 regioni e 37 laghi. Il 55% dei punti critici, spiega l’organizzazione ambientalista «si concentra in foci di fiumi, canali e torrenti: tra mala depurazione e scarichi abusivi» e l’Italia resta un Paese «malato cronico».
Sono 387 i campioni sottoposti ad analisi microbiologiche, di cui 124 oltre i limiti di legge per concentrazione di Enterococchi intestinali ed Escherichia coli. Sorvegliati speciali, anche in questa stagione di monitoraggio — compiuto dal 20 giugno al primo agosto da oltre 200 volontari di Legambiente — foci di fiumi, canali e torrenti, «i principali veicoli con cui l’inquinamento causato da cattiva depurazione o scarichi illegali arriva al mare e nei laghi». In particolare, dei 188 «punti critici» di questa tipologia monitorati da Legambiente (sui 387 complessivi), 103 (55%) sono risultati oltre i limiti di legge. Nei restanti 199 punti campionati a mare o nelle acque lacustri, invece, i valori rilevati hanno superato il limite di legge soltanto in 21 casi (l’11%), è stato precisato durante la presentazione dei risultati. Più in dettaglio, il 31% dei punti campionati da Goletta Verde nei mari italiani (83 su 261) ha restituito valori oltre i limiti di legge: in media, un punto inquinato ogni 91 chilometri di costa.
Oltre i limiti di legge, in particolare, il 55% delle foci campionate, il 42% delle quali è risultato «fortemente inquinato» secondo il giudizio del programma scientifico della Goletta Verde. Una dimostrazione, sottolinea Legambiente, «del fatto che i pericoli di una cattiva o assente depurazione sono la principale minaccia per la salute dei nostri mari e che c’è ancora molto da fare per recuperare il deficit impiantistico e della rete fognaria». Oltre i limiti di legge il 33% dei punti campionati dalla Goletta dei Laghi, ossia 42 su 126 prelievi eseguiti in 37 laghi e distribuiti in 11 regioni. Il 53% dei prelievi eseguiti presso foci, canali e punti critici (32 punti campionati su 60) è risultato oltre i limiti di legge consentiti per le acque superficiali e interne. Ancora una volta, osserva l’associazione, risultano compromessi soprattutto i corsi d’acqua che ricevono scarichi abusivi non collettati o non depurati, provenienti da impianti inadeguati o guasti, su cui bisogna investire risorse per risolvere il problema della depurazione in Italia.
Valentina Iorio per corriere.it il 3 agosto 2022.
Il mare più pulito d’Italia si trova in Puglia, al secondo posto c’è la Sardegna e al terzo la Toscana. A stilare la classifica è il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente, sulla base del monitoraggio effettuato dal personale delle Agenzie regionali e delle province autonome per la protezione dell’ambiente, gli enti pubblici che, insieme a Ispra, formano il sistema.
Arpa Puglia: «Controlli periodici»
«Ogni anno le acque di balneazione vengono sottoposte a periodici controlli per garantire la salute dei bagnanti — spiega Vito Bruno, direttore generale di Arpa Puglia — e siamo lieti di constatare che anche quest’anno la Puglia è prima in Italia per la qualità delle acque balneabili. Non solo. È prima anche per il numero di campioni analizzati in laboratorio e seconda solo per il numero di punti monitorati, dopo la Sicilia che gode di un litorale molto più esteso».
La classifica
Anche quest’anno sono molte le regioni in cui oltre il 90% di acque è considerato eccellente, sommando anche le buone, si arriva a livello nazionale al 94%. In particolare la Puglia ha il 99% di acque eccellenti, la Sardegna il 97,6% e la Toscana il 96%. Seguono Emilia-Romagna con il 93,8% di acque eccellenti, Veneto con il 91,4%, Friuli- Venezia Giulia con il 90,9%. Tra le regioni che hanno oltre l’80% di acque eccellenti ci sono: Marche (89,8%) Basilicata (86,7%), Liguria (86,3%) , Calabria (85,5%), Lazio (84,1%), Molise (83,3%), Campania (82,8%) e Sicilia (80,6%). In fondo alla classifica c’è l’Abruzzo con il 71,9%.
Come vengono fatte le analisi
In totale ogni anno vengono effettuate le analisi su circa 30.000 campioni prelevati nei mari e nei laghi italiani, spiega il Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente. I dati del quadriennio 2018-2021, pubblicati sui siti delle diverse Arpa/Appa, sul portale acque del Ministero della Salute e dalla Agenzia Europea dell’ambiente, che ha realizzato anche una mappa interattiva, hanno portato al giudizio che resterà in vigore per tutta la stagione balneare 2022: da scarso (meno del 2% dei casi) a eccellente (89%).
Con i controlli della balneazione vengono monitorare anche le alghe potenzialmente tossiche, la cui presenza è correlata al riscaldamento globale. I controlli sulle acque di balneazione riguardano anche laghi e (in pochi casi) fiumi, dove alcune regioni raggiungono il 100% di acque eccellenti.
Puglia prima in Italia per la qualità delle acque di balneazione, eccellenti al 99%. L'esito del monitoraggio Snpa e Arpa Puglia. La regione è seguita da Sardegna (97,6%) e Toscana (96%). Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 02 Agosto 2022.
La Puglia si conferma prima in Italia per l’eccellenza delle acque di balneazione, seguita da Sardegna e Toscana: i dati rilevati da Snpa e Arpa Puglia. Le acque di balneazione sono eccellenti al 99%, seguita da Sardegna (97,6%) e Toscana (96%).
È quanto emerge dal lavoro di controllo e monitoraggio condotto dal Sistema nazionale per la protezione dell’ambiente la rete che coordina le varie Agenzie regionali per l’ambiente presenti sul territorio nazionale tra cui l’Arpa Puglia. Una attività disciplinata dalla direttiva comunitaria 2006/7/CE, che stabilisce le regole della classificazione in tutta la Comunità Europea delle acque di balneazione nelle quattro classi di qualità: eccellente, buona, sufficiente e scarsa.
“Accogliamo con soddisfazione gli esiti del monitoraggio delle acque di balneazione pugliesi – ha detto l’assessore regionale all’Ambiente, Anna Grazia Maraschio -, condotto in maniera efficiente e preziosa da Arpa Puglia, riferimento per le politiche ambientali della Regione Puglia, risultate "eccellenti" per il secondo anno consecutivo e prime in Italia per qualità. Siamo consapevoli che questi risultati non si raggiungono per caso o per fortunate congiunture, ma sono frutto di anni di programmazione ed attuazione, in piena collaborazione con tutti gli Enti coinvolti: da Acquedotto Pugliese ad Autorità Idrica Pugliese fino ad Arpa che non smetteremo mai di ringraziare per professionalità ed abnegazione nella tutela della nostra Regione. Siamo altrettanto consapevoli però che la tutela e la valorizzazione delle risorsa idrica non possono conoscere punti di arrivo nella politica regionale ma sono il faro della nostra missione per la nostra terra”.
“Ogni anno le acque di balneazione vengono sottoposte a periodici controlli per garantire la salute dei bagnanti – spiega Vito Bruno, direttore generale di Arpa Puglia - . Siamo lieti di constatare che anche quest’anno la Puglia è prima in Italia per la qualità delle acque balneabili. Non solo. È prima anche per il numero di campioni analizzati in laboratorio (4056, ndr), e seconda solo per il numero di punti monitorati (676, ndr), dopo la Sicilia che gode di un litorale molto più esteso”.
A livello nazionale anche quest’anno sono numerose le regioni in cui oltre il 90% di acque è nella classe eccellente; sommando anche le buone, si arriva a livello nazionale al 94%. I controlli sulle acque di balneazione riguardano anche laghi e (in pochi casi) fiumi, dove alcune regioni raggiungono il 100% di acque eccellenti.
Lungo i 1000 km circa di costa pugliese la Regione Puglia ha individuato, ai sensi dell’attuale normativa di riferimento, ben 676 “acque” (tratti) destinate alla balneazione, che corrispondono ad un totale lineare pari a circa 800 km: in particolare sono state individuate n. 254 acque di balneazione in provincia di Foggia, n. 46 in provincia di Bat, n. 78 in provincia di Bari, n. 88 in provincia di Brindisi, n. 139 in provincia di Lecce e n. 71 in provincia di Taranto (gli elenchi di tali acque, distinti per provincia, sono riportati nelle delibere di Giunta regionale dal n. 2465 al n. 2470 del 16 Novembre 2010 e s.m.i.). Arpa Puglia effettua il monitoraggio delle acque di balneazione regionali controllandone la qualità. Durante il periodo stagionale di monitoraggio in ogni “punto stazione” sono misurati in campo diversi parametri meteo-marini, mentre in laboratorio sono analizzati i campioni per la determinazione della carica batterica, calcolata rispetto a valori soglia di due parametri microbiologici: “Enterococchi intestinali” ed “Escherichia coli”, indicatori di inquinamento di origine fecale; in relazione ai campioni raccolti, si stima che ogni anno l’Agenzia regionale per la prevenzione e la protezione dell’ambiente effettui circa 8.500 determinazioni analitiche di laboratorio.
Per quanto riguarda la Puglia, l’1% di acque di balneazione in classe di qualità “non eccellente” riguarda i monitoraggi dei seguenti siti: tre nel territorio di Lesina (classificazione ‘Buona’ per il canale La Fara, ‘Sufficiente’ per la Foce De Pilla e ‘Buona’ per Foce del Canale La Fara), tre di San Nicandro Garganico (classificazione ‘Buona’ per Fiume Lauro e Foce Zanella, ‘Sufficiente’ per Foce Fiume Lauro) e uno di Manfredonia (classificazione ‘Sufficiente’ per il tratto in prossimità della Foce del Fiume Candelaro). Si fa comunque notare che dei sette siti sopra descritti solo uno riguarda le acque marino-costiere (la foce del fiume Candelaro), gli altri sei fanno invece riferimento ad acque di transizione (nella fattispecie la laguna di Lesina).
Tutti i dati sono comunque disponibili sul sito istituzionale di Arpa Puglia dove è possibile, utilizzando una mappa interattiva, visualizzare la localizzazione geografica delle acque di balneazione nonché dei singoli punti di monitoraggio, a cui sono associati i risultati analitici più aggiornati; alla stessa pagina web sono inoltre riportati i dati, in forma tabellare e sotto forma di bollettino mensile, anche per i periodi precedenti a quello visualizzato. Proprio in virtù del monitoraggio effettuato, Arpa Puglia ha in disponibilità e elabora una notevole mole di dati, che consente di fornire un quadro sulla situazione annuale e sulla serie storica (quadriennale) a proposito dello stato di qualità delle acque di balneazione pugliesi.
LA SETTIMANA DELLA SCIENZA. Lo spaventoso tsunami che quasi due secoli fa colpì il Mediterraneo. LUIGI BIGNAMI su Il Domani il 15 maggio 2022
Uno studio condotto dall’Istituto di Scienze Marine del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna (Cnr-Ismar) ha ricostruito e pubblicato su Scientific Reports le tracce di uno tsunami che circa 1600 anni fa ha colpito le coste del Mediterraneo.
Lo studio si è concentrato su un deposito di sedimenti spesso fino a 25 metri presente nel mar Ionio. Sono il risultato di un forte tsunami avvenuto nel 365 d.C., originato a Creta e che ha coinvolto Calabria e Sicilia.
Le caratteristiche di questo deposito hanno permesso di identificare altri due eventi più antichi avvenuti circa 15 e 40 mila anni fa. La ricerca coordinata dal Cnr-Ismar è stata pubblicata su Scientific Reports.
Uno studio condotto dall’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche di Bologna (Cnr-Ismar) ha ricostruito e pubblicato su Scientific Reports le tracce di uno tsunami che circa 1.600 anni fa ha colpito le coste del Mediterraneo, incluse Sicilia e Calabria meridionale. La ricerca riguarda un’area abissale nel mar Ionio, tra l’Italia, la Grecia e l’Africa, dove un deposito di sedimenti marini che raggiunge i 25 metri di spessore è stato deposto in modo quasi istantaneo dalla forza catastrofica delle correnti indotte dall’onda di uno tsunami. Il mar Mediterraneo ospita fasce di subduzione lungo il limite tra le placche africana ed eurasiatica che hanno prodotto forti terremoti nel passato spesso associati a tsunami. Le aree di subduzione sono quelle dove una zolla della crosta terrestre si infila al di sotto di un’altra zolla. «Sulla base di descrizioni storiche e dell’analisi dei sedimenti prelevati dai fondali del mar Ionio, uno di questi eventi, avvenuto nel 365 d.C., ha interessato un’ampia area geografica incluse regioni distanti circa 800 chilometri dalla zona sorgente del sisma che si trova a Creta», spiega Alina Polonia del Cnr-Ismar.
LA GRANDE ONDA
«I campioni di sedimento analizzati hanno permesso di verificare che il materiale che si trovava in condizioni di acqua molto bassa è stato strappato dalla zona costiera e depositato a 4mila metri di profondità. L’onda dello tsunami ha prodotto molteplici frane sottomarine lungo un fronte di migliaia di chilometri, dall’Italia meridionale alle coste africane. Le correnti hanno trascinato sedimenti costieri nelle profondità abissali. Questo ha permesso la deposizione di un volume straordinario di sedimenti di oltre 800 km3 in tutto il Mediterraneo orientale».
Una conferma a quanto scoperto arriva da processi molto simili sono stati descritti anche durante il mega-tsunami del 2011 che ha devastato le coste giapponesi.
Le caratteristiche del deposito hanno permesso di identificare altri due eventi più antichi che rappresentano i predecessori di quello di Creta consentendo di acquisire elementi utili per una più corretta valutazione del rischio tsunami sulle nostre coste.
Sottolinea Polonia: «Lo studio dimostra che uno tsunami può scaricare volumi significativi di sedimenti e carbonio organico nelle profondità oceaniche, influenzando così il ciclo geochimico globale e gli ecosistemi dei fondali marini».
Uno studio che una volta ancora di più dimostra come tutte le coste del Mediterraneo e dunque della nostra Penisola siano a rischio di questo fenomeno che può causare migliaia di vittime se non si interviene ad istruire la popolazione del possibile rischio e sull’istruire le persone su come comportarsi in caso che si abbia tale evento.
LO STUDIO DELL’UNIVERSO PRIMORDIALE
Si chiama Qubic (Q&U Bolometric Interferometer for Cosmology), il nuovo telescopio che si sta realizzando in Argentina per lo studio dell’universo appena nato e che utilizzerà per le sue ricerche una tecnica completamente innovativa. Qubic, infatti, osserverà e mapperà le proprietà del “fondo cosmico a microonde”, ossia l’eco, o se si vuole, quel che è rimasto come impronta residua del Big Bang.
Si concentrerà sulla «misura di particolari componenti dell’orientamento dell’oscillazione delle microonde della radiazione cosmica di fondo sul piano del cielo (polarizzazione), denominate modi-B, indicative delle possibili perturbazioni indotte dalle onde gravitazionali generate nei primi istanti di vita dell’universo».
Questa definizione della ricerca fa capire quanto sia estremamente complessa, ma che avrà come contraltare risultati finora inaspettati. Per i non addetti ai lavori il tutto lo si può semplificare dicendo che le ricerche si concentreranno sulla raccolta di informazioni per studiare e fornire le prove della “teoria dell’inflazione”.
Secondo tale teoria, la rapidissima fase di espansione dell’universo subito dopo il Big bang, durata meno di un centomillesimo di miliardesimo di miliardesimo di miliardesimo di secondo (circa 10-32 secondi), avrebbe lasciato un debole fondo di onde gravitazionali, che a loro volta avrebbero prodotto particolari debolissime tracce, detti modi-B, nella polarizzazione del fondo cosmico di microonde.
In pratica, le onde elettromagnetiche del fondo cosmico non oscillerebbero in direzioni casuali, ma sarebbero invece leggermente allineate lungo direzioni che in cielo formerebbero un disegno vorticoso.
È evidente che se si avesse una simile conferma, ciò permetterebbe di essere ancora più certi che realmente il nostro universo partì dal Big bang. «Qubic è uno strumento originale ed estremamente complesso: per questo era necessario pubblicare in anticipo i dettagli del suo hardware e delle nuove metodologie di sfruttamento dei dati raccolti. È un passo essenziale per le successive misure di interesse per la cosmologia e la fisica fondamentale», spiega Silvia Masi, docente dell’Università La Sapienza di Roma e ricercatrice Infn, che coordina la partecipazione italiana all’esperimento.
In altre parole era necessario che gli astrofisici conoscessero al meglio le metodologie di ricerca per meglio interpregtare i risultati. «Qubic verrà portato nel sito di Alto Chorrillo entro pochi mesi. Le prime misure dimostreranno l’efficienza del nuovo metodo di ricerca per la prima volta osservando sorgenti astronomiche. Lo strumento verrà poi completato inserendo un maggiore numero di rivelatori, in modo da poter eseguire le misure di interesse cosmologico entro tre anni. La strada è lunga, e Qubic si presenta come estremamente originale e complementare a tutti gli altri che cercano di misurare questo elusivo segnale primordiale», spiega Aniello Mennella, ricercatore Infn e docente all’Università di Milano.
Il contributo italiano è stato fondamentale per lo sviluppo dello strumento, e continuerà ad esserlo nelle fasi successive dell'esperimento.
UCCELLI ALPINI A RISCHIO
La pernice bianca, lo spioncello, il sordone e il fringuello alpino, quattro specie di uccelli associate agli ambienti alpini e ai climi freddi che li caratterizzano, sono a rischio estinzione a causa dei cambiamenti climatici in atto negli ambienti di alta montagna sulle Alpi, dove gli effetti del riscaldamento globale sono più evidenti.
Tuttavia, possono sopravvivere grazie alla salvaguardia di circa 15mila km2 di rifugi climatici, ovvero aree che rimarranno idonee per queste specie a prescindere dal modello climatico considerato.
Lo studio internazionale, coordinato da Mattia Brambilla ricercatore in ecologia presso il Dipartimento di scienze e politiche ambientali dell’Università degli studi di Milano, è stato appena pubblicato su Global Change Biology.
I modelli di distribuzione, basati su variabili climatiche, topografiche e di uso del suolo, sono stati “proiettati” su diversi scenari rappresentanti le condizioni attuali e quelle future, permettendo così di valutare le probabili variazioni nell’areale delle diverse specie.
Dalla situazione attuale al periodo 2041-2070, tutte e quattro le specie considerate andranno incontro a una modifica della distribuzione sulle Alpi, con un innalzamento della quota media di presenza, che potrà oltrepassare i 400 metri nei casi più estremi.
Con la parziale eccezione dello spioncello, queste specie subiranno anche una contrazione della superficie di aree idonee, compresa tra il 17 per cento e il 59 per cento a seconda delle specie e degli scenari climatici.
In questo quadro poco incoraggiante, ma purtroppo in linea con quanto lecito attendersi per queste specie, emerge un risultato che fa sperare e, al tempo stesso, chiama all’azione: circa 15mila km2 di territorio alpino risultano idonei per queste specie nelle condizioni attuali e lo rimarranno anche in futuro, a prescindere dal modello climatico considerato.
Si tratta quindi di siti di cruciale importanza per la conservazione degli ecosistemi alpini e della biodiversità di alta quota. Il 44 per cento di queste aree è attualmente incluso in aree protette, ma anche il restante 56 per cento dovrebbe essere tenuto in debita considerazione, considerata l’importanza di tali siti.
«Ipotizzare come la distribuzione delle specie d’alta quota cambierà, e quali aree continueranno a offrire condizioni idonee anche in un futuro caratterizzato da un clima più caldo, è di fondamentale importanza per la conservazione di questi organismi sensibili alle variazioni ambientali. Queste aree rappresentano dei “rifugi climatici” per la biodiversità alpina e devono essere salvaguardati, evitando alterazioni significative causate dalle attività umane e degrado degli habitat», commenta Brambilla.
Il concetto di “rifugio climatico”, sempre più frequentemente utilizzato nella letteratura ecologica in relazione agli effetti del climate change, indica quelle aree che sono in grado di mantenere le proprie caratteristiche fondamentali nonostante il cambiamento climatico, consentendo così la persistenza di organismi o risorse importanti da un punto di vista ecologico, fisico o socioculturale.
CIVILTÀ DI TIPO I
Partiamo da una premessa: Nikolai Kardashev, un astrofisico russo che visse tra il 1932 e il 2019, propose nel 1964 un metodo di classificazione delle civiltà in funzione del loro livello tecnologico che è diventata nota come Scala Kardashev.
Una “Civiltà di tipo I” è quella che riesce a ottenere il massimo rendimento da tutta l’energia che arriva dalla stella attorno alla quale il suo pianeta orbita. Quella di “tipo II” è una civiltà che riesce a sfruttare tutta l’energia della stella, anche quella che non raggiunge il pianeta.
Quella di “tipo III” sfrutta tutta l’energia presente nella sua galassia. Altri autori si sono poi spinti in ulteriori aggiunte, ma poco importa al momento, almeno per noi. Il nostro livello, in base a questa scala, è ancora ben al di sotto del primo gradino, in quanto segna un valore di 0,73.
Quando raggiungeremo il livello di “Tipo I”? Per arrivare a un livello di civiltà di tipo I dovremmo essere in grado di sfruttare molto intensamente ogni fonte d’energia, non solo quelle rinnovabili ma anche quelle relative ai combustibili fossili o al nucleare e dunque tutta quell’energia, comunque originata dal Sole, ma “immagazzinata” nella terra.
Al momento sappiamo utilizzare per bene quella fossile, anche se ora l’idea più o meno comune sarebbe quella di farne il più possibile a meno per evitare le emissioni di anidride carbonica nell’atmosfera. Ci manca invece la capacità di sfruttare appieno l’energia degli atomi che otterremo quando si riuscirà a sfruttare la fusione nucleare. E poi non siamo ancora in grado di raccogliere l’energia che ci arriva dal sole per convogliarla sulla terra. Insomma i passi da fare sono ancora tanti.
Quando allora ci arriveremo? I calcoli di uno studio pubblicato su Arxiv dicono che potremmo arrivarci nel 2371. C’è ancora molta strada, dunque, da fare, ma la scelta del percorso non sembra essere sbagliata. E per arrivare ad essere una Civiltà di “Tipo II”? Non si parla di secoli, ma di millenni, in quanto si dovrà riuscire ad imbrigliare l’energia emessa dal sole a 360° e inviarla sulla terra. Mentre per diventare una “Civiltà di Tipo III”, per la nostra umanità è ancora un sogno da fantascienza.
Onde del mare «catturate» per farne energia e idrogeno: Brindisi sorprende. Il progetto «doc» della Geco srl primo a Valencia su 80 presentati da 30 aziende e Università blasonate. Antonio Portolano su La Gazzetta del Mezzogiorno l'08 Aprile 2022.
Semplice, innovativo, con consumi ed emissioni pari a zero e dalle potenzialità incalcolabili in termini di produzioni di energia che oltre a quella elettrica si presta perfettamente alla produzione di idrogeno. Si chiama «Sewat», acronimo di «Sustainable energy by wave trap» (Energia sostenibile dalla cattura del moto ondoso) sviluppata dalla Geco srl, società interamente brindisina, composta sostanzialmente da un team di ingegneri. Del team fanno parte i professori Giulio, Cosimo, Amelia, il compianto Vito Maellaro e la figlia Francesca; Zenograde, Antonio e Felice Frascino, Ida Moscarito e Gabriella Guardini (amministratore). Una azienda di famiglia, per un progetto tutto brindisino che ha sbaragliato tutti al «Blue deal» di Valencia. Una sorta di business forum dell’energia rinnovabile generata dal mare e che si inserisce all’interno di un progetto Interreg-Med al quale partecipavano più di 30 aziende europee con circa 80 progetti per rispondere alle 12 sfide lanciate da varie realtà europee che si affacciano sul bacino del Mediterraneo. Legambiente lo sostiene e lo vorrebbe applicato anche nell’ambito degli investimenti Enel nell’annunciato polo energetico delle rinnovabili a Cerano.
Ma come nasce il progetto?
«Nasce da oltre 40 anni di studi ed insegnamento e, ci tengo a sottolinearlo, da un proficuo rapporto e confronto con i ragazzi dell’istituto Carnaro».
Avete primeggiato su progetti con sponsor blasonati come il Politecnico di Torino o aziende israeliane sponsorizzate da università spagnole. Come?
«Il progetto è semplice, innovativo. È un bacino idroelettrico in mare, non altera lo stato dei luoghi, può permettere di produrre corrente e idrogeno. Può essere installato su dighe o barriere frangiflutti, in tratti non utilizzati per altre attività. Può prevenire l’erosione della costa ed essere utile per il ripascimento».
Come catturate l’energia delle onde marine?
«Il progetto che si propone prende spunto dall’osservazione dello scenario naturale offerto delle onde frangenti e prevede, essenzialmente, la costruzione di una successione di vasche modulari in calcestruzzo, a sviluppo allungato, poste in mare, parzialmente immerse, in direzione ortogonale alla direzione dominante delle onde. Ogni vasca ha la parete esposta ai marosi, idoneamente attrezzata, in grado di captare l’acqua delle onde che vi si infrangono grazie a numerosi varchi muniti di paratoie mobili le quali, sotto l’azione di ogni onda, si aprono, consentendo l’ingresso dell’acqua nella vasca che, quindi, viene riempita. L’acqua accumulata nella vasca produce energia elettrica durante il travaso nel mare calmo sul lato riparato dalla vasca stessa, perché durante il travaso attraversa una pluralità di microturbine idrauliche che, girando, azionano generatori elettrici. L’idea innovativa è appunto il sistema di captazione delle onde e il modo di sfruttarne l’energia. L’energia elettrica prodotta può essere immessa in rete o preferenzialmente può essere usata in loco per la produzione di idrogeno consentendo un auspicabile sviluppo della relativa filiera».
Quanta energia si può produrre?
«Sono calcoli complessi per il fatto che le onde del mare non sono mai costanti. Volendo necessariamente esprimere una valutazione, seppur sommaria e di larghissima massima, delle potenzialità del sistema, applicando, in maniera semplicistica, gli elementari concetti di idraulica classica semplificando drasticamente il fenomeno si stima che un modulo della lunghezza di 50 metri potrebbe avere una produzione annua di energia pari a circa equivalente alla produttività di un campo fotovoltaico di circa 8 ettari». Il progetto tutto brindisino, anche le microturbine sono state costruite dagli ingegneri della Geco, si appresta ad essere sperimentato con un prototipo. Ad investirci al momento è stata la sola impresa che per sviluppare un progetto dalla potenzialità incalcolabile ha bisogno di sostegno. E coltiva un sogno: «Vogliamo che questo progetto sia sviluppato a Brindisi, per creare occupazione in loco e perché affrancarci dalle fonti fossili è possibile, semplicemente usando la natura nel massimo rispetto».
Fabrizio Geremicca per corrieredelmezzogiorno.corriere.it il 25 marzo 2022.
L’effetto serra cambierà il profumo del mare e non è un problema di poco conto, perché sott’acqua animali e piante comunicano essenzialmente attraverso gli odori. Sono questi ultimi che li aiutano a riconoscere il cibo, a sfuggire ai predatori, a percepire le possibili prede. La chimica olfattiva gioca un ruolo essenziale anche nei meccanismi dell’accoppiamento e, forse, in quelli della individuazione delle rotte che seguono gli animali nei loro spostamenti.
Potrebbero essere gli odori, per esempio, ad aiutare le tartarughe della specie Caretta Caretta a ritrovare ogni anno la spiaggia dove avevano deposto già le uova nell’estate precedente oppure a guidare i mammiferi marini nel percorrere centinaia e centinaia di miglia lungo sentieri solo ad essi noti.
E’ un mondo di profumi, dunque, più che di luci e di suoni quello sottomarino e questa considerazione è tanto più vera quanto più si scende in profondità, dove la luce arriva a fatica e la vista aiuta ben poco. L’acidificazione provocata dall’eccesso di immissione di anidride carbonica nell’atmosfera, che è assorbita in parte dal mare, parrebbe sconvolgere in maniera radicale questa sinfonia olfattiva.
Le alterazioni
Altera profondamente, infatti, sia la produzione di odori da parte degli organismi marini, sia la percezione degli stessi da parte di altri animali. Non solo negli oceani, ma anche nei mari di casa nostra. Lo rivela uno studio dei ricercatori della Stazione zoologica Anton Dohrn, i quali hanno condotto esperimenti in laboratorio su alghe ed organismi prelevati nel mare di Ischia, in particolare nella zona del Castello aragonese.
La ricerca si intitola «Ocean Acidification affects volatile infochemicals production and perception in fauna and flora associated with Posidonia oceanica» ed è stata pubblicata sulla rivista internazionale Frontiers in Marine Science . «Abbiamo lavorato — racconta Mirko Mutalipassi, uno degli studiosi che ha preso parte al lavoro scientifico, che si è avvalso anche del contributo di ricercatori tedeschi — su due microalghe ed una macroalga ed abbiamo testato come il ph modifichi la produzione e la percezione di composti da parte di alcuni piccoli organismi: un gamberetto (Hyppolite ), un altro piccolo crostaceo (Idotea ) e due lumachine (Albania e Rissoa)».
L’esperimento
Come si è svolta la ricerca? «Abbiamo estratto gli odori dalle alghe, differenziando quelle coltivate in acqua a ph 8,2 ed a ph 7,7 - dice ancora Mutalipassi - abbiamo poi immesso i crostacei, le lumache ed i gamberetti in vasche con mare a ph normale o acido. Abbiamo quindi osservato i differenti comportamenti degli animali rispetto agli odori delle alghe nelle acque normali o acidificate. E’ emerso con chiarezza che nel mare a ph più acido salta la normale chimica degli odori, quella che porta normalmente alcuni di questi animali ad avvicinarsi alle alghe perché sono cibo e riparo od a fuggire da esse, perché magari sono tossiche».
L’acidificazione marina, quindi, interferirà fortemente con la capacità delle specie marine di comunicare fino al punto che, in futuro, si potranno osservare animali che invece di fuggire correranno verso i propri predatori, altri che non riconosceranno il proprio alimento, altri ancora che vedranno alterata la propria fisiologia e la capacità stessa di riprodursi.
Conseguenze indirette
«Queste alterazioni — conclude il ricercatore della Stazione zoologica — avranno conseguenze indirette a vari livelli anche sull’uomo: impoverimento degli stock ittici, degradazione degli ambienti naturali, perdita di molecole importanti per le biotecnologie, come ad esempio quelle con interessanti prospettive nella lotta contro il cancro». Il mare di Ischia, peraltro, in alcuni punti parrebbe già anticipare gli scenari che verranno. In prossimità di alcune caldere sottomarine il ph acido modifica in maniera radicale l’ecosistema. Favorisce alcune specie, per esempio le salpe, e ne penalizza altre.
Lo strano caso sul Lungomare e alla Darsena. A Pozzuoli si ritira il mare, cosa sta succedendo tra terremoti e bradisismo nei Campi Flegrei: “Spunta una spiaggia”. Rossella Grasso su Il Riformista il 23 Marzo 2022.
“Qui non c’è mai stata una spiaggia, ora ce n’è una bella grande. Alle persone piace tanto ma non hanno capito che non è un buon segno”. Sono queste le parole di una 35enne che ha sempre vissuto a Pozzuoli. Con il suo bambino è scesa in spiaggia sul lungomare di Pozzuoli a prendere il sole. Ma quella spiaggia prima non c’era. O meglio non era ampia e spaziosa come lo è oggi. Negli ultimi mesi il livello del mare è sceso sempre di più tanto che nella darsena al centro di Pozzuoli le barchette dei pescatori sono quasi arenate. Questo si aggiunge anche che i terremoti sempre più spesso fanno saltare dalle sedie i puteolani e anche gli abitanti di Bagnoli, Fuorigrotta, Quarto e Pianura. Tra bassa marea, bradisismo e terremoti, cosa sta succedendo nei Campi Flegrei?
“Qui siamo nell’area vulcanica dei Campi Flegrei, che non è un vulcano centrale come il Vesuvio, ma qui tutte le collinette sono degli antichi vulcani – ha spiegato Giuseppe de Natale, ricercatore dell’Istituto Italiano di Geofisica e Vulcanologia – Il Vesuvio non c’entra nulla perché sta proprio da un’altra parte. Questa è un’area dove un’eruzione vulcanica futura può avvenire in un raggio di circa 3 km attorno a Pozzuoli. Come ricercatore non credo che questi episodi (terremoti o il livello basso del mare, ndr) preludano ad un’eruzione vulcanica”.
Ed è proprio questa la paura che affligge maggiormente gli abitanti della zona, visto l’intensificarsi di terremoti che nei giorni scorsi sono arrivati anche a un’intensità di 3.5. De Natale da oltre 35 anni studia a fondo la zona e sostiene che la paura attualmente è immotivata. E spiega perché il livello del mare si è abbassato così tanto negli ultimi mesi. “Ci sono due fattori fondamentali – dice il ricercatore – Il primo è un fattore transiente, quello mareale. Nei periodi di bassa marea ovviamente c’è un maggiore insabbiamento”. Ed è questo un periodo in cui normalmente ci sono le basse maree.
Poi c’è il bradisismo, “il fenomeno del sollevamento del suolo – continua De Natale – Dal 1984 al 2005 il suolo si era abbassato di 90 cm circa. Adesso abbiamo recuperato quasi totalmente, manca circa un centimetro a quella quota”. Pescatori e abitanti di Pozzuoli però non hanno potuto fare a meno di notare che il livello del fondale del mare sembra ancora più alto, c’è ancora meno acqua rispetto a quanto successe nel 1984. Cosa che si nota particolarmente nella Darsena, meglio conosciuta come “’o Valione” e sul lungomare di Pozzuoli.
“Questo dipende dal fatto che proprio perché c’è stato un abbassamento di circa 90 centimetri, nella zona la sedimentazione è aumentata in questi anni e quindi al bradisismo si è aggiunto anche un livello di sedimenti maggiore e che quindi ha portato il suolo ancora più alto di quello che era il fondale della Darsena”, spiega De Natale.
E perché la terra sta tremando sempre più spesso nei Campi Flegrei? “I terremoti i quella zona avvengono esclusivamente quando c’è sollevamento del suolo – chiarisce il ricercatore – Sappiamo che dal 2005 a oggi c’è un fenomeno di sollevamento del suolo continuo, con tassi di sollevamento molto più bassi di quelli enormi che abbiamo visto negli anni ’80. Dall’ ’82 all’ ’84 ci furono picchi di sollevamento di un metro all’anno. Ora siamo a un sollevamento di 15 centimetri all’anno circa. La differenza è che all’epoca il fenomeno durò due anni e mezzo, ora sta durando da 17 anni”.
Cosa sta succedendo nel sottosuolo? “Quando il suolo si solleva vuol dire che c’è una sorgente di pressione – continua De Natale – Questa sorgente di pressione mette le rocce sotto sforzo e queste producono terremoti. Già dal 2017 abbiamo scritto e pubblicato su riviste scientifiche che finchè il suolo si sollevava, la sismicità poteva soltanto aumentare. Quando saremmo arrivati a livelli superiori a quelli dell’ 84, e ormai ci siamo molto vicini, la sismicità sarebbe diventata simile o addirittura superiore a quella dell’ ‘84. Oggi praticamente ci siamo quasi arrivati perché l’ultimo terremoto era di magnitudo 3 e mezzo, nell’ ’84 e ’83 avemmo magnitudo massime di 4.2”.
C’è da temere per questi terremoti? “Anche se giustamente spaventano le persone, non sono terremoti distruttivi, anche ne 1984 i terremoti di magnitudo massima non distrussero edifici, provocarono al massimo piccoli danni”. Istituti come l’INGV e la Protezione Civile vigilano attentamente su questi fenomeni per cui non c’è da temere. Esiste anche un piano di emergenza per far fronte a tutte le evenienze.
“Il piano di emergenza dei Campi Flegrei che è simile a quello del Vesuvio è costituito da 4 livelli – spiega ancora De Natale – Il livello base, verde, quando l’attività del vulcano è assolutamente nella norma. Quando ci sono delle osservazioni particolari che non sono del tutto normali, si assegna il livello giallo. Oggi i Campi Flegrei sono a livello giallo. Poi se i fenomeni anomali sono molto evidenti, sii passa al livello arancione, quello di preallarme. Infine il livello rosso, l’allarme totale. Se si dovesse arrivare a questo, speriamo mai, l’area rossa corrispondente a quel vulcano, deve essere evacuata in tre giorni perché si presume che ci possa essere un’eruzione con grande probabilità. Questi livelli vengono stabiliti dalla Protezione Civile e dalla Commissione Grandi Rischi basandosi sui dati degli istituti di ricerca e in particolare dell’ INGV”. “Tutto quello che le ho detto lo dico come ricercatore che da 35 anni si occupa di questa zona, non parlo a nome del mio istituto. Ma è la mia personale convinzione come ricercatore che conosce bene questi fenomeni”.
Rossella Grasso. Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Tra le varie testate con cui ha collaborato il Roma, l’agenzia di stampa AdnKronos, Repubblica.it, l’agenzia di stampa OmniNapoli, Canale 21 e Il Mattino di Napoli. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. E’ autrice del documentario “Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale”, menzione speciale al Napoli Film Festival.
L'inconsueto fenomeno. Bassa marea nel Mediterraneo, a Sciacca riemerge l’isolotto di San Giorgio dopo 300 anni: la situazione anomala. Roberta Davi su Il Riformista il 30 Marzo 2022.
Un’eccezionale bassa marea lungo la costa meridionale della Sicilia sta facendo riscoprire alcuni punti della costa finora poco conosciuti, oppure ‘dimenticati’.
Un fenomeno affascinante ma anche anomalo che alla lunga, sottolineano gli esperti del WWF Sicilia Area Mediterranea, potrebbe avere degli effetti dannosi.
Le meraviglie del mare
Documentato in alcune mappe del Seicento e Settecento, riemerso nei giorni scorsi a poche centinaia di metri dalla costa a Sciacca. Si tratta dell’isolotto di San Giorgio, scomparso a causa dell’innalzamento del livello del mare: un evento mai accaduto nel corso del Novecento.
Ma non solo. Un ampio tratto di scogliera è emerso per circa 50 centimetri portando in secca rocce coperte da alghe e scogli coperti di Posidonia oceanica. Alcune riprese effettuate con i droni dal Wwf della Sicilia Area Mediterranea hanno inoltre mostrato scogli affioranti per diverse decine di centimetri in vari punti della costa.
L’abbassamento del livello del mare, che ha interessato anche altre località in Sicilia come Mazara del Vallo, il porto di Licata e Pantelleria, ha riportato alla luce addirittura alcune strutture dell’antica città sommersa di Eraclea.
Segnalazioni di fenomeni simili sono arrivate da altre zone d’Italia, come la Puglia.
Cosa ha provocato il fenomeno
La causa di questo fenomeno piuttosto insolito è in realtà un mix di fattori diversi. “La presenza di maree primaverili e quella di un anomalo anticiclone che insiste da giorni su gran parte d’Europa sono i responsabili” hanno spiegato gli esperti dell’Ingv in un post pubblicato su Facebook. “L’alta pressione ha infatti causato una temporanea diminuzione del livello marino in corrispondenza della bassa marea media osservabile per questa stagione, provocando, nel caso della Sicilia, una diminuzione del livello marino di circa 14 centimetri. Inoltre la presenza di vento da nord (da terra) ha probabilmente contribuito alla diminuzione locale del livello del mare (la costa è esposta a sud-sudovest)”.
I mareografi hanno registrato per varie ore in queste zone una diminuzione del livello marino fino a circa 41 centimetri a Sciacca e a 32 centimetri a Porto Empedocle.
L’abbassamento del livello del mare rischia di causare però dei danni all’ecosistema marino, come evidenziato dagli esperti di WWF Sicilia Area Mediterranea, che hanno evidenziato l’anomalia lo scorso 25 marzo.
Nella segnalazione riportata sulla pagina Facebook dell’organizzazione avevano escluso che le cause di quanto stava avvenendo fossero da attribuire alle maree o al cosiddetto ‘marrobbio’, in quanto l’abbassamento del livello del mare risultava costante, protraendosi da diversi giorni. “Molti animali marini (ricci di mare, oloturie, granchi anemoni e gamberi), sono stati sorpresi da questo fenomeno, rimanendo uccisi dal ritiro del mare oppure rimanendo intrappolati in sacche di acqua destinata ad evaporare: questa moria non avverrebbe durante i flussi di marea” si legge sul post. Roberta Davi
Bassa marea record nel Salento, a Porto Cesareo il mare arretra fino a 30 metri. Il fenomeno sarebbe conosciuto come le «secche di marzo». L'Isola dei conigli raggiungibile a piedi. La Gazzetta del Mezzogiorno il 24 Marzo 2022. Una bassa marea da record sta facendo di Porto Cesareo (Lecce) il protagonista indiscusso del web. Le immagini dell'arretramento del mare stanno diventando virali. Il fenomeno - tutt'ora in corso - si è registrato nel tratto di costa della riviera di Ponente.Il mare si è ritirato di circa 30 metri, con decine di imbarcazioni da diporto e per la piccola pesca rimaste improvvisamente spiaggiate. Ancora di più in un tratto antistante l'«Isola dei conigli». I pescatori della zona ricordano che 60 anni fa l'isola di fronte alla costa di Porto Cesareo, era separata dalla terra ferma da uno specchio acqueo profondo solo alcune decine di centimetri. Oggi come allora, il fenomeno si è riproposto, anche se avrà breve durata. Tutto sarebbe causato da quelle che vengono definite le «secche di marzo».
Presto non avremo più sabbia. Il problema dell’estrazione delle risorse è che non sono infinite. Oscar di Montigny su L'Inkiesta il 22 Aprile 2022.
Le imprese devono modificare il paradigma del trattamento dei rifiuti minerari. Presto potremo trovarci ad affrontare un pianeta senza più materie prime.
Tra le risorse maggiormente consumate al mondo, al secondo posto in assoluto, dopo l’acqua, troviamo la sabbia. Elemento indispensabile per costruire città e infrastrutture, le applicazioni della sabbia sono numerosissime e vanno dal cemento, all’asfalto, al vetro sino ai chip elettronici. La domanda, negli ultimi 20 anni, è triplicata per via soprattutto dell’urbanizzazione e della crescita della popolazione. Oggi, per fare un esempio, solo per il calcestruzzo ne consumiamo 3,2 miliardi di tonnellate ogni anno. E, nell’insieme, se ne stima un consumo annuo di 50 miliardi di tonnellate che aumenterà sino al 300 per cento nei Paesi più poveri soprattutto in Africa e Asia per via dell’aumento della popolazione e dell’urbanizzazione.
Erroneamente pensiamo alla sabbia come a una risorsa infinita e tuttavia nei prossimi decenni questa risorsa essenziale si esaurirà. Anche se il pensiero corre alla quantità sconfinata di sabbia immediatamente disponibile nei deserti, per qualità e caratteristiche questa non è utilizzabile, serve invece quella estratta dai letti dei fiumi e dai fondali marini. Cosicché l’estrazione di simili quantità e volumi comporta gravi conseguenze ambientali e ne comporterà sempre di più.
Basti pensare che, rispetto all’acqua che ha un suo ciclo, la sabbia, una volta usata nei vari materiali non tornerà più a far parte dell’ambiente. Per questa ragione sarà sempre più rara e dunque iniziare a trattarla tempestivamente come una risorsa strategica è sempre più urgente. Oltre al tema della scarsità, occorre considerare anche quello legato alla sua estrazione che sempre più compromette i fiumi per via dell’erosione dei loro argini che di conseguenza fa crescere notevolmente il rischio di inondazioni. Per la sabbia occorre dunque, «una maggiore conoscenza scientifica, tecnica e politica, al fine di sostenere azioni globali per l’estrazione e l’uso nel rispetto dell’ambiente», come afferma la risoluzione «Environmental aspects of minerals and metals management» appena approvata, nel marzo scorso, dalla quinta United Nations Environment Assembly (UNEA).
Ma occorre anche un cambio di paradigma nella cultura d’impresa che deve aprirsi all’innovazione. Innovare spesso spaventa. Non sempre siamo propensi ad allontanarci dai nostri percorsi conosciuti che ci permettono di sentirci in sicurezza. Tuttavia, e non solo in un simile scenario di esaurimento delle risorse, innovare significa solo «variare l’ordine prestabilito delle cose per fare cose nuove». Oggi, nel campo dell’edilizia, esistono soluzioni innovative che forniscono un’alternativa alla sabbia molto interessante. Per esempio, la cosiddetta demolizione gentile praticata già da tempo in alcuni Paesi più attenti a queste tematiche come l’Olanda, dove dai palazzi abbattuti si recupera anche quel 30% di materiale che in genere viene perso come polvere. Ma soprattutto gli scarti delle cave che ancora oggi vengono smaltiti come rifiuti.
I rifiuti minerari sono il risultato dello sfruttamento delle miniere e attualmente rappresentano il più grande flusso di rifiuti del pianeta: circa 30 – 60 miliardi di tonnellate all’anno. Questa sabbia minerale ha il potenziale per affrontare contemporaneamente due sfide globali di sostenibilità: separare e riutilizzare questi materiali prima che vengano aggiunti al flusso di rifiuti non solo ridurrebbe significativamente il volume dei rifiuti generati, ma creerebbe anche una fonte responsabile di sabbia. Lo dice il rapporto «Ore-sand: a potential new solution to the mine tailings and global sand sustainability crises», edito dall’Université de Genève e dal Sustainable Minerals Institute dell’università del Queensland.
Un’altra idea innovativa viene dall’Università di Cambridge, che propone di sostituire il 10% della sabbia utilizzata per produrre cemento, una percentuale maggiore non è possibile, con plastica triturata che ha la stessa resistenza e la stessa durata della sabbia. Il riutilizzo della plastica è vantaggioso anche in termini economici specialmente in quei Paesi come l’India dove al boom edilizio si contrappone la scarsità di sabbia e dove ogni giorno vengono invece buttate 15.000 tonnellate di plastica.
È chiaro che l’innovazione tecnologica può aiutare a mitigare momentaneamente il problema della mancanza di materia prima per la costruzione, ma il vero cambiamento richiesto deve venire dal mondo delle imprese stesse. In questo caso specifico il cambiamento è richiesto a quello dell’edilizia ma, se consideriamo che la carenza di sabbia è solo una piccola parte del problema più grande dovuto al depauperamento di tutte le risorse naturali terrestri, comprendiamo che nessuna impresa e nessun imprenditore possono chiamarsi fuori.
· I Parchi.
I 100 anni del Parco d’Abruzzo e del Gran Paradiso, ma c’è ancora tanto da fare. FERDINANDO COTUGNO su Il Domani il 16 aprile 2022
Questo è un nuovo numero di Areale, la newsletter sul clima e l’ambiente di Domani.
Questa settimana numero speciale per celebrare il secolo di vita dei due più antichi parchi nazionali d’Italia: il Parco Nazionale del Gran Paradiso e il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.
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Buongiorno, lettrici e lettori di Areale. Questo è un numero speciale della newsletter, in questo sabato pre-festivo (auguri!). C’è un articolo di qualche mese fa, che avevo condiviso su Areale, che ogni tanto rileggo e che ripropongo. La scrittrice e attivista Rebecca Solnit aveva messo insieme dieci punti per occuparsi di cambiamenti climatici senza farsi prendere dalla paura. Il mio preferito era: non trascurate la bellezza.
«Parte di quello per cui stiamo combattendo è la bellezza e questo significa prestare attenzione alla bellezza nel tempo presente. Se dimentichi quello per cui ti stai battendo, rischi di diventare infelice, amareggiato, perduto».
Ecco, oggi ci occupiamo di questo, e in particolare celebriamo la bellezza degli ecosistemi italiani, perché c’è una ricorrenza importante da festeggiare. Cominciamo.
I PRIMI PARCHI NAZIONALI ITALIANI
I due patriarchi tra i parchi nazionali italiani compiono cento anni, quindi innanzitutto: auguri a loro. Sono nati quasi in parallelo, agli estremi opposti delle montagne italiane. Il Parco Nazionale del Gran Paradiso, in Valle d’Aosta e Piemonte, sulle Alpi, e il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise sugli Appennini. Sono i due modelli base dell’immenso valore, delle sfide e anche dei problemi della conservazione della natura in Italia, che nasce e parte innanzitutto con loro.
Le celebrazioni di questo secolo di vita dureranno un anno e partono ufficialmente il 22 e 23 aprile, con un evento all’Auditorium Parco della Musica di Roma. È una storia importante, che ci riguarda, quindi innanzitutto ne ripercorriamo gli inizi, per vedere a che punto siamo.
Il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise nasce due volte. La prima per un’iniziativa privata, nell’autunno del 1922. La seconda con un decreto regio, l’11 gennaio del 1923, che mise il sigillo pubblico a un attivismo che era nato sul territorio. Il primo artefice di questa grande storia è stato il naturalista Erminio Sipari, cugino di Benedetto Croce, una specie di padre nobile della conservazione della natura e dello sviluppo sostenibile in Italia. La grande sfida della sua vita, da ambientalista e da politico, fu proteggere quell’angolo di natura di Abruzzo, isolato, con poche strade di accesso, una vecchia riserva reale di caccia, areale di due specie in particolare da tramandare alle generazioni successive, quindi a noi: l’orso bruno marsicano e il camoscio d’Abruzzo.
Il modello di Sipari erano i grandi parchi nazionali americani, in particolare quello di Yellowstone. Riuscì a difendere l’area che oggi è il cuore del parco da progetti di sviluppo industriale ed energetico (doveva diventare un bacino per l’idroelettrico) e a farne la prima riserva protetta d’Italia. Sipari fu poi rimosso dal regima fascista, l’ente parco fu soppresso nel 1933 e ricreato solo nel dopoguerra. A suo nome ci sono un bellissimo sentiero nel parco e un coleottero, l’elongata siparii. La Relazione Sipari del 1926 è ancora un documento base della protezione della natura in Italia. La si legge qui.
Anche la storia del Parco Nazionale del Gran Paradiso inizia come quella di una riserva di caccia, istituita da Vittorio Emanuele II nel 1856. Solo il re poteva usarla per le sue battute venatorie. E anche qui c’è un animale simbolo al quale il parco ha legato sia la sua storia che la sua identità: lo stambecco.
I numeri di questa specie erano preoccupanti alla fine dell’Ottocento, lo stambecco veniva cacciato per la carne, per sport e per i trofei, per farne delle medicine. Se non avessimo avuto il parco, oggi semplicemente non avremmo più stambecchi in Italia. Fu istituito un corpo di guardie specializzate per proteggerli e una rete di sentieri e mulattiere per favorire la conservazione (sono ancora oggi l’ossatura dei sentieri).
Nel 1919 Vittorio Emanuele III passò allo stato italiano la riserva, affinché diventasse un parco nazionale, cosa che successe ufficialmente il 3 dicembre del 1922. Anche questo ente fu sciolto dal fascismo nel 1933, l’incuria della milizia nazionale forestale istituita dal fascismo e poi la guerra fecero di nuovo crollare i numeri degli stambecchi, che si sarebbero ripresi definitivamente con la rinascita del parco nel dopoguerra. Altri animali che potete (con un po’ di fortuna) avvistare nel parco: camosci, aquile reali, lupi (moltissima fortuna), volpi, marmotte.
Poco dopo i due patriarchi nacquero il Parco Nazionale del Circeo (1934) e quello dello Stelvio (1935). Da allora quella delle aree protette italiane è stata una storia ricca ma anche travagliata, di sforzi e disinteresse, di dissesto economico (fu catastrofico quello del Parco d’Abruzzo, dal quale si è usciti solo con l’ultima gestione), scempi evitati e scempi che non sono stati evitati, come il «sacco del Circeo» e la speculazione edilizia a Pescasseroli.
Una linea comune di tutti i problemi di questo secolo è la difficoltà nel coniugare conservazione, sviluppo e turismo. Se dobbiamo però celebrare una tappa in particolare della storia che ci ha portato fino a qui, è sicuramente la Legge sui parchi del 1991, una delle grandi (e non tante) vittorie politiche dei Verdi in Italia, passata definitivamente il 6 dicembre 1991 (quindi freschissima dei suoi trent’anni) con primo firmatario il deputato Gianluigi Ceruti.
Le aree protette in Italia erano il 3 per cento nel 1991, oggi sono l’11 per cento, abbiamo 24 parchi nazionali e 30 aree marine protette. I parchi assorbono 145 milioni di tonnellate di CO2, un terzo delle emissioni italiane. Se aggiungiamo la Rete natura 2000 (habitat riconosciuti di valore ecologico e sociale dall’Unione europea) arriviamo al 21 per cento di aree protette. L’obiettivo europeo è arrivare entro la fine del prossimo decennio al 30 per cento. È una strada ancora lunga.
Ho parlato di questa lunga strada con Antonio Nicoletti, responsabile aree protette di Legambiente. «I parchi hanno reso più bella l’Italia, hanno creato un modello di co-partecipazione che però oggi vive una situazione di difficoltà. Soprattutto a livello regionale, dove viene fatta carne di porco della conservazione, se mi permetti l’espressione». La permetto, certo che la permetto. Un esempio su tutti, il Parco Regionale Migliarino, San Rossore, Massaciuccoli, una meraviglia in Toscana che rischia di perdere 70 ettari per fare una base militare dedicata alle operazioni speciali, con dentro due poligoni di tiro, una torre di ardimento, una pista per l’addestramento alla guida veloce, un eliporto, campo sportivo e piscina, capannoni e diciotto fabbricati per alloggi, molti edifici di servizio e ampio parcheggio.
«I parchi devono imparare a essere l’avanguardia delle politiche di sostenibilità in Italia. Devono fare solo agricoltura biologica, non ci devono più essere allevamenti intensivi dentro le aree protette, devono essere un passo avanti nell’economia circolare e nella mobilità sostenibile. Devono essere i primi della classe della transizione ecologica e questo purtroppo – a parte alcune lodevoli eccezioni – ancora non succede».
Un elemento ancora troppo assente, secondo Nicoletti, è paradossalmente proprio la crisi climatica. «Sono ancora pochi i parchi che lavorano seriamente sui propri piani di adattamento, che sono fondamentali. Chi fa conservazione deve essere in grado di sapere se gli animali si nutrono ad altitudini più elevate per via del riscaldamento globale, cosa succede quando si riducono i ghiacciai, come sta cambiando la vegetazione. Ma i parchi nazionali sull’adattamento sono all’anno zero».
Una storia utile per comprendere la complessità dei due parchi nazionali neo-centenari è quella dell’orso bruno marsicano in Abruzzo. Una specie che sta bene, ma non ancora così bene, che vive su un crinale sottile e in una situazione di costante assedio: se il principale pericolo di vita per un animale così raro, protetto e simbolicamente importante è morire per un incidente stradale (l’ultima volta è dello scorso autunno), allora qualcosa è andato storto.
Gli orsi marsicani ora sono tra i cinquanta e i sessanta esemplari (prossimo censimento genetico nel 2023), è una popolazione stabile ma ancora troppo piccola per essere resiliente. Basterebbero delle annate negative per le nascite o la perdita prematura di alcune femmine per mettere in crisi la specie. Gli orsi marsicani avrebbero bisogno di crescere in numero e per farlo devono potersi espandere, agli orsi serve spazio, perché quella marsicana è la popolazione più densa al mondo. Noi siamo disposti a concederne? L’Appennino centrale potrebbe ospitarne fino a duecento, secondo una ricerca della Sapienza, quelli sarebbero numeri stabili con i quali guardare con ottimismo al futuro.
Per poter viaggiare, colonizzare stabilmente il Parco della Maiella, i Monti Sibillini, e altre aree idonee, gli orsi hanno bisogno di strade e autostrade messe in sicurezza, servono barriere, corridoi ecologici, più segnaletica, meno frammentazione dell’habitat (quelle dell’Appennino sono quote basse e con sempre meno neve, ma si continuano a costruire impianti per gli sport invernali, investimenti condannati al fallimento) e soprattutto comportamenti diversi da parte di chi frequenta il parco. Da parte di automobilisti, motociclisti e anche turisti.
Oggi l’orso marsicano è la star locale, ogni pacchetto turistico prevede e promette avvistamenti, e la giusta distanza è uno dei concetti più difficili da far passare al turismo. Non è un equilibrio facile. Come mi ha detto il direttore del Parco Luciano Sammarone: «L’orso è il miglior promotore del territorio, ma è stato più facile spiegare ai nostri nonni pastori e boscaioli perché fare un passo indietro per proteggerlo, che farlo capire ai turisti oggi».
Un’ultima storia sui parchi nazionali centenari e la loro ricerca di questo difficile equilibrio viene dal Gran Paradiso: il tentativo di istituire una «montagna sacra», con un invito pubblico a non salirci. Me ne ha parlato Toni Farina, storico socio di Mountain Wilderness e rappresentante delle associazioni ambientaliste all’interno del consiglio direttivo del Parco.
La cima scelta per questo tentativo di sacralizzazione laica è il Monveso di Forzo. Perché proprio questa? «È sul crinale tra le due regioni del parco, è poco salita, non ha alcun interesse alpinistico e poi è una bella piramide di 3.300 metri, la sua forma ricorda quella del Monviso». Questa campagna prova a sfruttare il secolo di storia che celebriamo per promuovere una cosa di cui un ambiente fragile come la montagna italiana ha un disperato bisogno: una nuova cultura del limite. Non sarebbe una montagna sorvegliata né ci sarebbe alcun divieto ufficiale, è un’iniziativa che si gioca tutta sul piano del simbolico. Un modo per ricordare le pressioni ecologiche che sta affrontando questo parco centenario, e ce le elenca Farina: «Carenza di personale, non si è investito in riserve integrali, troppo turismo adrenalinico, troppi mezzi motorizzati, troppi sentieri rovinati. Non possiamo più permetterci il “no limit” in un’area protetta nel 2022».
Per questo numero speciale di Areale dedicato alla lunga e importante storia dei parchi centenari è tutto. Anzi no, se avete voglia, avrei voglia di conoscere la vostra storia di persone che li frequentano o che ci lavorano: cosa vedete? Come stanno andando? Qual è il futuro dei parchi nazionali italiani? A presto! Ferdinando Cotugno
FERDINANDO COTUGNO. Giornalista specializzato in ambiente, per Domani cura la newsletter Areale, ha scritto il libro Italian Wood (Mondadori) e ha un podcast sulle foreste italiane (Ecotoni).
Contrastare la siccità. Il caso francese ci insegna cosa (non) bisogna fare per stoccare l’acqua. Irene Fodaro su L'Inkiesta il 26 Settembre 2022.
L‘utilizzo smodato dei grossi bacini di raccolta dell’acqua conserva una forma di agricoltura intensiva, mettendo a rischio la biodiversità oltre che la qualità del suolo in certe zone della Francia. Esistono però altre soluzioni di stoccaggio. Un esempio? I bacini di accumulo collinari che raccolgono l’acqua piovana di scorrimento
Di fronte alla grave crisi idrica e ad un settore agricolo messo a dura prova, l’Italia sta cercando soluzioni concrete a possibili episodi di siccità in futuro. Secondo molti esperti un’importante forma di prevenzione sarà quella della conservazione dell’acqua – ad oggi solo l’11% dell’acqua piovana viene trattenuta – e alla costruzione di nuovi bacini e invasi.
In Francia, la costruzione di alcuni tipi di bacini, detti riserve di sostituzione, ha creato una vera e propria “guerra dell’acqua”, che ci insegna che bisogna riflettere su quali sono i migliori modelli di stoccaggio e a utilizzarli con parsimonia.
Il dibattito sui metodi per stoccare l’acqua è aperto da diversi anni ed è talmente divisivo da aver creato non solo una frattura tra gli ambientalisti, ma anche tra gli stessi agricoltori. La discussione si è infatti cristallizzata intorno all’utilizzo e alla costruzione di nuove riserve di sostituzione, ribattezzate da chi vi si oppone “mega bacini”, per via delle loro considerevoli dimensioni: tra gli otto e i dieci ettari di superficie in media.
Un collettivo chiamato Bassines non merci da cinque anni si dichiara contrario alla proliferazione di questi grandi bacini attraverso manifestazioni e azioni di disobbedienza civile. Da poco hanno pubblicato una mappa che identifica più di cento riserve di sostituzione in Francia, alcune già esistenti e altre in via di costruzione.
Concentrati principalmente ad ovest e nel sud-est del paese, i mega bacini, difesi dal governo e finanziati dalle istituzioni, sono detti “di sostituzione” perché in grado di trattenere l’acqua d’inverno, prelevandola dalle falde acquifere, per poi permetterne l’utilizzo d’estate, quando la disponibilità idrica è minore.
Destinati soprattutto all’irrigazione di colture intensive come mais e cereali, questi sistemi vengono difesi e giustificati da alcuni agricoltori e sindacati, per i quali le riserve di acqua sono «una questione di interesse pubblico» necessaria a «garantire la perennità dell’agricoltura francese e della sua industria agroalimentare». Alcuni di questi bacini, tuttavia, sono già stati giudicati illegali a causa della mancanza di studi sul loro potenziale impatto ambientale.
Soluzione a breve termine
Ricoperte di teloni di plastica impermeabili e circondate da dighe, le riserve di sostituzione sono soprattutto prese di mira per gli effetti che producono sui suoli che ne risultano inariditi e di peggiore qualità. «Bisogna capire che prima che l’acqua penetri in una falda acquifera ci vuole moltissimo tempo e in generale solo il 9% dell’acqua piovana riesce a penetrare nel suolo.
Il fatto di creare bacini che pompano l’acqua dalle falde in quantità colossali è un non senso, soprattutto dopo un anno in cui per la prima volta le falde non si sono rinnovate. Se continuiamo a prosciugarle così abbondantemente renderemo i suoli aridi e contribuiremo ad accelerare gli effetti della siccità», evidenzia Emma, idrologa e ricercatrice sull’adattamento al cambiamento climatico.
Anche lo stoccaggio outdoor dell’acqua è fonte di critiche: «Sotto il sole l’acqua evapora, sviluppa salmonelle e sostanze insalubri. Si conserva quindi dell’acqua di bassa qualità per di più impedendole di alimentare il corso d’acqua al quale è connessa. Si tratta di una soluzione utile solo nel breve termine, ma che ci porta dritti contro un muro», prosegue Haziza.
Uno studio dell’AGU (Advancing Earth and Space Science) affermava già nel 2018 che, se da una parte le opere idrauliche possono ridurre la durata e l’intensità della siccità agricola, aumentano però l’intensità della siccità idrologica del 50%.
Se la protezione dell’acqua è una questione cruciale, la produzione agricola non può però essere lasciata da parte e c’è chi cerca di porsi al centro della diatriba. Serge Zaka, agroclimatologo che si occupa dell’impatto climatico sull’agricoltura ritiene, ad esempio, che per rendere i mega bacini un’operazione realmente conveniente, bisogna cercare di limitare al massimo il prelievo d’acqua dalle falde acquifere e studiarne la costruzione caso per caso.
«Esistono talmente tanti territori, suoli, tipologie di irrigazione, colture e varietà di falde acquifere, che bisogna studiare i singoli casi. Ad esempio, ci sono territori più fragili, come le aree umide, dove se si preleva acqua si rischia di creare uno squilibrio in superficie. In zone come il Marais Poitevin e le regioni umide, bisogna fare degli studi e non forzare la costruzione di bacini se l’ambiente è troppo fragile», spiega. Nel Marais Poitevin, ad ovest della Francia, una della più grandi aree umide d’Europa, si prevede però già la costruzione di sedici nuovi bacini molto controversi.
Mal-adattamento
Secondo alcuni agricoltori le riserve di sostituzione favorirebbero la produzione di proteine vegetali e il passaggio all’agricoltura biologica, per alcuni esperti invece il loro effetto sarebbe quello opposto, ovvero di conservare una forma di agricoltura intensiva e deleteria per l’ambiente. «Perché i bacini siano convincenti (dal punto di vista ambientale ndr.) bisogna introdurre colture che necessitano meno acqua e che resistono al caldo, migliorare i sistemi di irrigazione e proteggere i suoli per favorire l’infiltrazione dell’acqua.
Ma quando si ha a disposizione un mega bacino, si tende a non modificare le pratiche agricole, senza fare attenzione all’acqua proprio perché se ne possiedono grandi quantità. I bacini inducono a non ri-adattarsi, ma a conservare gli stessi metodi. Io lo chiamo “mal-adattamento” perché si pensa di aver trovato una soluzione, ma ci si è dimenticati di lavorare sul cambiamento climatico», sottolinea Zaka.
I mega bacini sono sfruttati solo da alcuni agricoltori, di norma le aziende più facoltose e produttive che necessitano di più acqua per irrigare, per questo motivo, lo sfruttamento di grosse quantità d’acqua generano disparità tra gli agricoltori, rischiando di produrre un sistema a due velocità. Durante l’estate, infatti, quando gli agricoltori sono costretti a limitazioni nell’uso dell’acqua e non possono irrigare per via della siccità, come è successo quest’estate, coloro che hanno accesso ai bacini possono invece continuare a farlo.
Ma attenzione, mette in guardia Zaka, «vedremo se nel 2050 gli agricoltori che non avranno adattato le loro pratiche avranno abbastanza acqua nei loro bacini per irrigare. Un bacino non basterà più e ne servirà un secondo. Invece gli altri agricoltori che avranno imparato a lavorare con poca acqua si saranno realmente adattati al cambiamento climatico e sapranno cosa fare in caso di siccità». Gli episodi di siccità ripetuti e l’aumento delle temperature negli anni a venire rischiano infatti di non permettere alle falde acquifere di riempirsi durante l’inverno e di rendere quindi i mega bacini infruttuosi.
Altri modelli possibili
Le riserve di sostituzione non sono però le uniche soluzioni quando si parla di stoccaggio dell’acqua. In Francia esistono anche i “bacini di accumulo collinari” che raccolgono l’acqua piovana e le acque di scorrimento. «È una soluzione interessante, bisogna solo fare attenzione a non metterne ovunque e rischiare di non far più arrivare l’acqua agli affluenti e nel fiume a valle, come succede ad esempio in Australia.
Se li si usa con parsimonia possono essere efficaci», commenta Haziza. Dello stesso avviso, Zaka aggiunge: «ne esistono già in Francia, e in alcuni casi si è creato un nuovo ecosistema intorno a questi bacini con anfibi, uccelli, pesci ecc., in cui sono state installate anche attività economiche e nautiche. I bacini non devono essere privi di biodiversità e devono al contempo sviluppare l’economia per garantire una maggiore accettazione sociale».
Bacini di accumulo, laghetti aziendali e invasi, diverse sono le proposte di cui si parla in Italia. L’Anbi (Associazione nazionale bonifiche irrigazioni) propone di realizzare una rete di circa diecimila laghetti e piccoli bacini alimentati dall’acqua piovana, dal ruscellamento di acque superficiali e dalle sorgenti.
Strutture pensate per essere prive di cemento, nel pieno rispetto della biodiversità. «Può essere una soluzione, a condizione che si tratti di vere riserve di biodiversità, dove l’acqua viene protetta», suggerisce Haziza. «È interessante perché quando si moltiplicano i piccoli bacini si dà accesso all’acqua a più agricoltori e si risolve il problema dell’accaparramento dell’acqua da parte di pochi», aggiunge Zaka.
Il Centro Italiano per la Riqualificazione Fluviale (Cirf) si oppone però alla costruzione di nuovi invasi lungo i corsi d’acqua per evitare il degrado, il consumo dei suoli e l’alterazione del deflusso ecologico e delle portate dei corsi.
Se realizzati, i laghetti dovrebbero anche permettere di produrre energia pulita grazie all’installazione di pannelli fotovoltaici galleggianti con cui produrre energia elettrica. Tolto il fatto che questi travasi potrebbero intaccare lo sviluppo della biodiversità, i due esperti sono comunque d’accordo nel dire che può essere una soluzione innovativa che permetterebbe di «evitare l’evaporazione dell’acqua» e al contempo «produrre energia diversamente».
Siccità: la peggiore in Europa degli ultimi 500 anni. TheWorldNews il 6 settembre 2022.
In Europa, la siccità estiva del 2022 è stata la peggiore degli ultimi 500 anni. Le immagini di Sentinel 2 lo chiariscono. Si tratta di un satellite in orbita nello spazio e parte di Copernicus, il programma europeo per l'osservazione della Terra. Dal 1 luglio al 31 agosto, la situazione era allarmante in almeno il 47% dei territori europei .
Terre aride causate dalla siccità-Nanopress.it
Naturalmente, anche le conseguenze di questo fenomeno sono gravi. Gli incendi boschivi stanno aumentando in modo significativo e contribuiscono in modo significativo agli inquinanti nei cieli europei. Stiamo parlando delle maggiori emissioni degli ultimi 15anni.
Siccità e suoi effetti
Parliamo di6,4 megatonnellate di carbonio nei cieli d'Europa. Dal 2007 non sono state osservate emissioni di questa portata. Incendi devastanti nel sud della Francia e nella penisola iberica avrebbero avuto un effetto devastante sui livelli insoliti di emissioni di quest'estate.
Dal 1540 non c'è stata una tale siccità nel nostro continente. In quella situazione, ci sono stati meno giorni di pioggia su 90 giorni. E soprattutto, il caldo estremo ha colpito quasi tutti i mesi dell'anno.
Questa volta, appena due mesi ha raggiunto livelli altrettanto allarmanti. Particolarmente preoccupante è stata la mancanza, e in alcuni casi, la mancanza di umidità nel suolo, che ha fortemente influito sulla distruzione della vegetazione. Dalle immagini del satellite
, è facile vedere che alcune aree verdi disi sono trasformate in aree marroni secche con l'avanzare della giornata. Un chiaro segno di perdita di vegetazione.
Campi di mais essiccati in Italia a causa della siccità - Nanopress.it
Un altro segnale serio è il livello del fiume a. Il Reno, Poe Danubio sono particolarmente colpiti da questa siccità, con livelli d'acqua nei loro letti che diminuiscono notevolmente. . Rendili non navigabili.
Risultati in Italia
Di fronte a questo scenario apocalittico, l 'agricoltura non è indenne. L'agricoltura europea ha sofferto molto. Ad esempio, in Italia, Coldiretti ha pubblicato alcuni dati allarmanti.
6 miliardi di euro sono costati ai nostri raccolti. Ciò equivale a 10% della produzione agricola della nazione. In alcuni casi, si è verificato un calo della produzione in cui ha raggiunto il 40-45% in meno di .
Altri casi hanno rivelato una riduzione della produzione, ma una diminuzione del 30%, che di per sé è sconcertante. Mais e Foraggi, Frutta e Grano sono i campi più colpiti.
Entro il prossimo raccolto, la produzione è già in calo del 10%. È chiaro che il danno degli ultimi mesi di siccità non sarà riparato facilmente.
In Europa la peggiore siccità degli ultimi 500 anni vista dai satelliti. La Repubblica il 7 Settembre 2022.
Le immagini di Sentinel 2 (Copernicus) mostrano come, tra il primo luglio e il 31 agosto 2022, vaste regioni siano passate da un verde acceso a un marrone arido
La siccità in Europa nell'estate 2022 è stata la peggiore degli ultimi 500 anni. Lo indicano i dati del programma europeo di osservazione della Terra Copernicus, gestito da Commissione Europea e Agenzia Spaziale Europea (Esa).
Le immagini dal satellite Sentinel 2 indicano come, tra il primo luglio e il 31 agosto 2022, vaste regioni siano passate da un verde acceso a un marrone arido. I danni più gravi alla vegetazione sono ben visibili nelle aree sud-orientali della Gran Bretagna, in Francia settentrionale e in Germania, Polonia e Europa orientale. I dati sono stati confrontati con un altro studio del 2014 sulla siccità del 1540.
L'ultima grande siccità colpì il continente nel 1540. L'ondata di caldo estremo avvenuta in quel periodo fu molto persistente, con una durata di ben 11 mesi, portando a circa 90-95 giorni di pioggia in meno rispetto alla media dell'Europa occidentale e centrale del XX secolo. La siccità idrologica risultò altrettanto estrema: la portata di fiumi come Reno ed Elba scese addirittura del 90% e i corsi d'acqua più piccoli si prosciugarono completamente.
Anche i dati ricavati dall'Osservatorio Globale sulla Siccità (Global Drought Observatory, Gdo) indicano che il 47% dell'Europa ad agosto si trovava in condizioni allarmanti: i segnali più gravi erano la mancanza di umidità nel suolo e gli effetti negativi sulla vegetazione. Inoltre, il livello dell'acqua nei fiumi, compresi il Reno, il Danubio e il Po, è sceso così tanto da impedirne la navigazione, mentre il clima eccezionalmente caldo e secco ha notevolmente aumentato il rischio di incendi boschivi.
Mai vista (in 500 anni) una siccità così pesante. Distese di aridità nelle immagini del satellite. Coldiretti: all'agricoltura danni per 6 miliardi. Maria Sorbi il 7 Settembre 2022 su Il Giornale.
Fiumi ridotti a rivoli o del tutto spariti dalla cartina geografica, immagini surreali fatte di sola terra e laghetti alpini completamente prosciugati. I dati del programma europeo di osservazione della Terra Copernicus, gestito da Commissione europea e Agenzia spaziale europea Esa, raccontano di una siccità devastante. E le statistiche confermano che in Europa è stata la peggiore dal 1540. All'epoca non c'erano le immagini dall'alto, ma erano stati contati oltre 90 giorni di pioggia in meno rispetto alla media.
Le immagini dal satellite Sentinel 2 indicano come, tra il primo luglio e il 31 agosto 2022, vaste regioni siano passate da un verde acceso a un marrone arido. I danni più gravi alla vegetazione sono ben visibili nelle aree sud-orientali della Gran Bretagna, in Francia settentrionale e in Germania, Polonia e Europa orientale. I dati sono stati confrontati con un altro studio del 2014 sulla siccità del 1540.
Anche i dati ricavati dall'Osservatorio globale sulla siccità (Global Drought Observatory, Gdo) indicano che il 47% dell'Europa ad agosto si trovava in condizioni allarmanti: i segnali più gravi erano la mancanza di umidità nel suolo e gli effetti negativi sulla vegetazione. Inoltre, il livello dell'acqua nei fiumi, compresi il Reno, il Danubio e il Po, è sceso così tanto da impedirne la navigazione, mentre il clima eccezionalmente caldo e secco ha notevolmente aumentato il rischio di incendi boschivi.
L'ultima grande siccità, infatti, colpì il continente nel 1540. L'ondata di caldo estremo avvenuta in quel periodo fu molto persistente, con una durata di ben 11 mesi, portando a circa 90-95 giorni di pioggia in meno rispetto alla media dell'Europa occidentale e centrale del XX secolo. La siccità idrologica risultò altrettanto estrema: la portata di fiumi come Reno ed Elba scese addirittura del 90% e i corsi d'acqua più piccoli si prosciugarono completamente.
Dopo ettari di boschi persi per gli incendi, dopo l'allarme ghiacciai e dopo restrizioni sull'utilizzo dell'acqua in certi Comuni che mai avremmo immaginato, possiamo dire che il peggio sia passato.
Ma l'estate nera parla di un bilancio pesante: è costata all'agricoltura italiana 6 miliardi di euro di danni, pari al 10% della produzione agroalimentare nazionale. A fare i conti è Coldiretti che calcola, solo a giugno, temperature medie superiore di ben +2,88 gradi rispetto alla media su valori vicini al massimo registrato nel 2003. Nel mese di luglio la colonnina è stata più alta di +2,26 gradi la media, inferiore solo al 2005. Il risultato è stato che le campagne italiane sono allo stremo con cali produttivi del 45% per il mais e i foraggi che servono all'alimentazione degli animali, del 20% per il latte nelle stalle, del 30% per il frumento duro per la pasta di oltre 1/5 delle produzione di frumento tenero, del 30% del riso, meno 15% frutta ustionata da temperature di 40 gradi, meno 20% cozze e vongole uccise dalla mancanza di ricambio idrico nel Delta del Po, dove - evidenzia la Coldiretti - si allargano le zone di «acqua morta», assalti di insetti e cavallette con decine di migliaia di ettari devastati. Gli agricoltori sono preoccupati anche per la vendemmia, con la prospettiva di un calo del 10% delle uve mentre è allarme negli uliveti con il caldo che rischia di far crollare le rese produttive.
Le biciclette elettriche attirano i fulmini? Il caso della morte di Alberto Balocco in Val Chisone. Enrico Maria Corno, Michela Rovelli su Il Corriere della Sera il 27 Agosto 2022.
La bicicletta e la batteria non attirano i fulmini. Rimane il consiglio, alle prime gocce di pioggia, soprattutto in montagna, di mettersi al riparo ma non in aree aperte e tantomeno vicino a pali o tralicci
Si trovavano in sella a una bicicletta elettrica - una mountain bike in fibra di carbonio - Alberto Balocco e l'amico Davide Vigo, quando sono stati sorpresi da un violento temporale. Si trovavano in Val Chisone, nel Piemonte Occidentale. Un fulmine li ha colpiti mentre stavano indossando le giacche antivento per proteggersi dalla pioggia e forse mentre pensavano di cercare riparo nel vicino rifugio. Li ha uccisi entrambi, sul colpo. Che sia pericoloso trovarsi all'aperto durante una tempesta di fulmini è cosa nota (qui i consigli su cosa fare). Ma le due ruote dotate di batteria, scelte dai due amici per la gita, possono aver aggravato la situazione?
Si stima che nel mondo le morti causate da un fulmine siano tra le 6 e le 24mila. Anche se il numero di coloro che vengono colpiti è molto più alto: spesso si sopravvive. In Italia cadono circa 1,6 milioni di fulmini ogni anno: è un fenomeno che si concentra soprattutto d'estate. E trovarsi all'aria aperta durante un temporale è sicuramente più pericoloso. Secondo i dati del Center for Disease Control and Prevention americano, dal 2006 al 2021 quasi i due terzi di decessi causati da un fulmine negli Stati Uniti riguardano persone che stavano svolgendo attività ricreative all'aperto come la pesca, la nautica, lo sport, il relax in spiaggia. O la bicicletta.
Cosa attira un fulmine? Quale situazione aggrava il pericolo? Scrive il SIRF (Sistema italiano rilevamento fulmini) sul suo sito che «ogni oggetto con un’elevazione predominante rispetto all’area circostante ha una maggior probabilità di essere colpito dal fulmine (un albero, una torre, un traliccio)». Dunque trovarsi in montagna, ad esempio, o in mezzo a degli alberi, è un rischio. Questo perché è probabile che la scarica elettrica cerchi il percorso più facile per arrivare a terra, quindi puntare su oggetti più alti o solitari significa che percorrere una distanza minore. Tuttavia, non c'è alcuna garanzia che venga privilegiato: i fulmini sono indiscriminati e spesso imprevedibili. Non è un caso che il luogo in cui il fulmine si è abbattuto sui due sfortunati sia ben sopra il livello della vegetazione in un tratto di montagna completamente spoglio. cosa che ha aumentato le possibilità di essere colpiti.
Arriviamo alle biciclette. Questo mezzo non attira fulmini più di qualunque altro oggetto: «I nostri tecnici confermano che né un telaio in carbonio né la presenza di materiale elettronico o della batteria stessa rendono una e-bike un bersaglio più facile», ci dice Donatella Suardi, general manager di Scott, la filiale del noto brand svizzero che è tra i primi produttori al mondo di e-MTB a pedalata assistita. A conferma, c'è anche ciò che è scritto sul sito del National Weather Service americano: «L'altezza, la forma appuntita e l'isolamento sono i fattori dominanti che controllano il punto in cui un fulmine colpisce. La presenza di metallo non fa assolutamente differenza sul luogo in cui il fulmine colpisce. Le montagne sono fatte di pietra, ma vengono colpite dai fulmini molte volte all'anno». E poi precisa: «Il metallo non attira i fulmini, ma li conduce». Aggiunge Donatella Suardi: «Il ciclista è per sua natura più in alto della bici e quindi attirerebbe la traiettoria del fulmine più della bici stessa, indipendentemente dai materiali con cui è stata costruita. Il fatto che l'acciaio, il carbonio o le altre leghe siano ottimi conduttori diventa secondario».
«I copertoni delle Mountain Bike sono comunque in gomma isolante, così come le manopole del manubrio. Il ciclista non pedala mai a contatto diretto con il carbonio o l'alluminio..», ci dice Dario Acquaroli, due volte campione del mondo di MTB che oggi lavora per Merida, l'azienda taiwanese che produce biciclette. Aggiungiamo anche che la batteria delle eBike è ricoperta da materiale isolante. «E' facile quindi immaginare che il fulmine si sia scaricato a terra con una potenza di milioni di volt e che abbia travolto allo stesso tempo i due ciclisti. Questa è la casistica più comune per questo genere di incidenti. In montagna sappiamo che, alle prime gocce di pioggia, dobbiamo metterci al riparo ma non in aree aperte e tantomeno vicino a pali o tralicci. Sfatiamo una volta per tutte che il carbonio o i dispositivi elettronici attirino le scariche dei fulmini».
Un punto sulla batteria della bici elettrica che stava utilizzando Alberto Balocco. No, i dispositivi elettronici non attraggono i fulmini. L'unica cosa che attrae i fulmini è appunto la forma di un oggetto, appuntito o che si erge verso l'alto. Molto discusso è infatti anche il possibile pericolo nell'utilizzare uno smartphone durante una tempesta. Si tratta ancora una volta di un mito: i telefoni cellulari sono dispositivi a bassa potenza e non hanno alcuna caratteristica che li renda attraenti per i fulmini. Quello che può essere pericoloso, in caso di tempesta, è usare un dispositivo elettronico collegato alla presa di corrente in casa.
Andrea Joly per “La Stampa” il 27 agosto 2022.
Dottor Cat Berro, una morte causata da un fulmine si può evitare?
«In Italia muoiono 10-15 persone l'anno di media uccise da un fulmine. È un episodio difficile da prevenire, subdolo, e non sempre avviene sotto una nube temporalesca: basti pensare che a volte un fulmine può cadere lateralmente anche a distanza di diversi chilometri dalla nube, in modo che quasi non ci accorgiamo del pericolo, mentre sopra di noi c'è il sole. Certo oggi abbiamo degli strumenti, come le previsioni meteo. Se sono previsti temporali, meglio stare lontani dai luoghi in cui si è più esposti».
Quali sono i luoghi più pericolosi?
«Tutti i luoghi aperti. Nel caso della montagna non tanto le Alpi interne, come Aosta o Bolzano, quanto sulla fascia prealpina, nelle zone che si affacciano alla Val Padana: Varese, Como, le prealpi venete e friulane. Lì dove i temporali più frequenti. Ma si è in pericolo anche in acqua, mare, lago o fiume che sia, e in aperta campagna».
Dove ci si mette al riparo?
«La prima accortezza, che appare banale, è quella di cercare immediatamente riparo in un edificio: è molto più difficile essere colpiti da un fulmine al suo interno. Vanno bene anche anfratti della montagna, preferibilmente senza appoggiarsi alla roccia del fondo e nemmeno restare in corrispondenza dell'apertura, che può essere un luogo di passaggio preferenziale della scarica.
Il luogo più sicuro in cui possiamo trovarci durante un temporale è la macchina. La sua struttura metallica costituisce una Gabbia di Faraday che ci protegge. Un'altra cosa da fare è abbandonare subito i luoghi più elevati, come creste, vette. La forma appuntita del territorio, prominente, può facilitare l'innesco di un fulmine. Più ancora del materiale, che è più un luogo comune: non è detto che il metallo attiri di più di altro».
In caso in cui non ci siano le condizioni per ripararsi?
«L'importante è evitare gli alberi, per il motivo di prima, soprattutto se isolati. Se proprio il temporale ci sorprende in una zona aperta, senza alcun rifugio, si può accucciarsi in posizione "a uovo" con i piedi uniti. Serve a evitare quella che è chiamata la "corrente di passo": anche se noi non veniamo direttamente colpiti dalla scarica, può capitare che il fulmine caduto a breve distanza sviluppi un gradiente di potenziale elettrico lungo il terreno. Se noi siamo a piedi divaricati, toccando il suolo in due punti distanti tra loro facciamo da "arco", dove si sviluppa una differenza di potenziale che fa sì che la scarica elettrica passi attraverso il nostro corpo. Questa scarica può essere letale, capita spesso agli animali quadrupedi che vengono falcidiati dai fulmini».
Cosa fare del cellulare?
«I vecchi telefoni in casa erano pericolosi, quelli col filo dove poteva correre la scarica. Gli smartphone non rappresentano un pericolo significativo».
Quali sono i periodi peggiori per essere colpiti?
«Al Nord l'estate, e coincide con uno dei momenti di massima frequentazione della montagna. Nell'arco della giornata è peggio al pomeriggio: meglio partire presto al mattino in modo da essere di rientro a inizio-metà pomeriggio. Nella fascia mediterranea i temporali sono invece frequenti anche in autunno e d'inverno».
Quanto incide il cambiamento climatico?
«Difficile dirlo, ma di certo sappiamo che un'atmosfera e il mare più caldi, e quindi più energetici, forniscono più energia e vapore acqueo e fanno sì che i temporali siano più intensi. Di conseguenza anche i fulmini sono più frequenti. Indirettamente il riscaldamento globale può generare un aumento della densità delle scariche e della loro fatalità»
Rinaldo Frignani per il "Corriere della Sera" il 31 agosto 2022.
«All’improvviso un lampo, una luce bianca fortissima, poi il botto. Non ho capito più niente, nemmeno che a colpirci fosse stato un fulmine. So solo che io e Christian non sentivamo più le gambe. E poco più in là c’era Simone svenuto, immobile, con la faccia dentro una pozzanghera...». Manuel Annese è tornato a casa. Sono passati quattro giorni dallo choc vissuto sul Gran Sasso, e solo adesso il 30enne di Roma sud, esperto in sistemi di sicurezza, trova la forza per raccontare i dettagli della drammatica avventura nel cuore dell’Abruzzo.
Proprio nel giorno in cui il suo amico e collega Simone Toni, 28 anni, di Tivoli, si è svegliato dal coma farmacologico e secondo i medici dell’ospedale San Salvatore de L’Aquila, «è vigile e cosciente», ma sempre in prognosi riservata. Dimesso dallo stesso nosocomio anche l’altro amico, Christian Damiani, di 24, residente a Ostia. Toni potrebbe essersi salvato grazie alla catenina che portava al collo: potrebbe aver contribuito ad abbassare la tensione provocata dalla saetta.
Manuel, cosa ricorda di quella mattina?
«Le nuvole comparse all’improvviso dopo che avevamo camminato per ore, almeno dalle 8.30, sui sentieri che portano all’Osservatorio, a Campo Imperatore. Abbiamo capito che il tempo stava cambiando all’improvviso e allora abbiamo deciso di scendere verso il parcheggio. Erano da poco passate le 11».
C’erano altre persone con voi?
«Avevamo incrociato una comitiva, poi ce n’era un’altra che ci seguiva a qualche centinaio di metri. Era una bella giornata, avevamo caldo ed eravamo rimasti con le magliette a maniche corte. Simone aveva parcheggiato la macchina in uno spiazzo all’inizio del sentiero. Per noi, appassionati di escursioni e camminate nella natura, era la prima volta sul Gran Sasso».
Quindi il meteo è cambiato in un attimo...
«Esatto. E questo ci ha sorpreso non poco. Per prudenza abbiamo pensato che fosse meglio tornare indietro. Più che altro per non essere raggiunti dal temporale che si stava per abbattere sulla zona».
E poi cosa è successo?
«Eravamo a qualche centinaio di metri dal parcheggio, stavamo chiacchierando mentre camminavamo, quando in un attimo siamo stati investiti da questa luce bianca, accecante. Non so se un decimo di secondo prima o subito dopo ho sentito le gambe tremare. Era impossibile rimanere in piedi, io e Christian siamo crollati a terra. E lo stesso è successo a Simone, solo che lui è stato preso in pieno. Una sensazione indescrivibile».
Ha capito subito che era stato un fulmine?
«In un primo momento sono rimasto paralizzato. Come Christian. Ho provato a rialzarmi, ma non ce la facevo: avevo preso una botta al ginocchio sinistro ed ero ferito alla gamba destra. Anche il mio amico non poteva muoversi, ma si lamentava. Simone invece non dava segni di vita. Eravamo disperati».
Cosa avete fatto?
«Ci siamo trascinati con le braccia verso di lui per togliergli la faccia dalla pozzanghera. Temevamo morisse annegato. L’abbiamo girato, gli abbiamo fatto il massaggio cardiaco, Christian anche la respirazione bocca a bocca. Poi per fortuna siamo stati raggiunti dalla comitiva che ci seguiva e da una dottoressa che faceva trekking e che ha stabilizzato Simone. Sono arrivati subito anche i carabinieri forestali: avevano visto il fulmine cadere su una zona frequentata da escursionisti. Altrimenti non so come sarebbe andata a finire».
Ma non è finita lì...
«No, perché per portarlo al parcheggio, Simone è stato preso in braccio da più persone, compresi noi due per quello che potevamo fare. Io zoppicavo: mi sono potuto rialzare solo perché avevo gli stivali alti che mi mantenevano le caviglie rigide. Il sentiero è stretto e ripido, non è stato facile, ma dovevamo fare in fretta. Non siamo solo colleghi, siamo amici che si sono conosciuti sul lavoro e sono diventati inseparabili. Adesso poi, dopo essere scampati a tutto questo, lo saremo ancora di più».
“Colpito da un fulmine, un lampo azzurro e poi il nulla”: così una guida alpina è scampata alla morte. La Stampa il 27 agosto 2022.
Sopravvissuto miracolosamente ad un fulmine in alta montagna, ad un passo dalla morte: "Uno schermo nero che ti oscura gli occhi e una linea blu: uno vuoto e uno spostamento d'aria. E ti rendi conto della tua totale impotenza". Racconta così l'esperienza di un fulmine in montagna Davide Di Giosafatte, il presidente delle Guide Alpine d'Abruzzo, che anni fa proprio scendendo dalla cima del Gran Sasso fu gettato a terra senza gravi conseguenze dalla scarica. "Quanto accaduto non è nuovo, succede, ma certo che in passato erano meno frequenti - spiega la guida, uomo che ha conosciuto i 7 mila sull'Himalaya - Una volta le previsioni meteo inoltre erano meno attendibili, mentre ora sono più precise: io oggi per esempio lassù non ci sarei andato o almeno nelle ore cruciali mi sarei messo al riparo, a metà giornata dico. I temporali quando arrivano, arrivano.... Se mi chiedete se i cambiamenti climatici possono influire, dico che li rendono più facili, li accentuano. Ma questo riguarda l'intero rapporto dell'uomo con la montagna ed è un discorso lungo e complicato. Che ci porterebbe a parlare degli incidenti in montagna, cosa che al momento non possiamo fare". E quando si parla del Gran Sasso si parla sempre di una montagna difficile e pericolosa, che già quest'anno ha mietuto le sue vittime. A parte l'anno horribilis, il 2019 con le sue 8 vittime complessive, a giugno c'era stata la tragedia sul Corno Piccolo, dove dopo essere scivolato dalla presa, precipitato per 50 metri, morì un 30enne romano che assieme ad un collega aveva deciso di arrampicarsi sulla cima del Gran Sasso. Ad aprile Danilo Lesti, ufficiale degli alpini a Vipiteno, aveva deciso di andare sul Monte Piselli per poi essere ritrovato morto ai piedi di una parete. A questo si aggiungono altre due feriti gravi sempre sulle pareti del Gran Sasso. (ANSA).
Da Ansa il 27 agosto 2022.
Un fulmine ha colpito tre ragazzi poco sopra l'osservatorio astronomico di Campo Imperatore: due di loro sono stati sbalzati, mentre l'altro è stato trasportato all'ospedale dell'Aquila in gravi condizioni. Al momento non si conosce la provenienza dei tre escursionisti.
S.T., il 28 enne di Tivoli colpito dal fulmine sopra l'Osservatorio Astronomico di Campo Imperatore in questo momento è in terapia intensiva in rianimazione all'Ospedale dell'Aquila.
Secondo quanto si è appreso è in grave in pericolo di vita e sottoposto al coma farmacologico. L'incidente ha coinvolto due ragazzi di 24 anni, l'altro, D.C. è di Roma, e un 28enne, A.M. sempre di Roma. Il fulmine ha colpito solo uno dei giovani escursionisti, e sarebbe uscito dal tallone per poi scaricarsi a terra.
A dare l'allarme al personale che opera intorno alla funivia è stato un altro turista che scendeva. I due compagni del ferito sono scesi a valle tramite la funivia con le loro gambe, mentre Simone, età apparente 25 anni, è stato trasportato via elicottero 118 all'Aquila.
Secondo le testimonianze, il fulmine sarebbe caduto attorno alle 12:30, mentre sulla zona, che è ben sopra i duemila metri e che ora è in piena nebbia, in quel momento non si segnalava attività di fulmini intensa tale da poter pensare ad un pericolo imminente.
Da ansa.it il 26 agosto 2022.
L'industriale Alberto Balocco, 53 anni, titolare e amministratore delegato dell'omonima azienda dolciaria, uno dei due mountain biker morti sulla strada dell'Assietta (Torino) dopo essere stato colpito da un fulmine. E' quanto apprende l'ANSA.
La seconda vittima è Davide Vigo, 55 anni, originario di Torino e residente in Lussemburgo. Sul posto, lungo la strada che conduce al rifugio dell'Assietta, è stato inviato un mezzo del servizio di elisoccorso regionale, che è atterrato con notevoli difficoltà per via delle condizioni meteo. L'equipe medica ha tentato delle manovre di rianimazione cardiocircolatoria, ma senza esito. Hanno preso parte all'intervento squadre a terra del Soccorso alpino e personale dei carabinieri.
Neppure due mesi fa, il 2 luglio, un altro gravissimo lutto aveva colpito la famiglia e l'azienda dolciaria Balocco, la morte del padre di Alberto, Aldo, l'inventore del celebre panettone 'Mandorlato' e artefice della crescita dell'azienda avviata dal padre nel 1927 a Fossano (Cuneo), quando aveva aperto una piccola pasticceria.
Alberto Balocco guidava l'azienda - 500 dipendenti e 200 milioni di fatturato nel 2022 - con la sorella Alessandra.
"Siamo sconvolti da questa tragedia improvvisa che colpisce un amico, un imprenditore simbolo della nostra terra, che ha portato il Piemonte nelle case di tutto il mondo. Ci stringiamo in un fortissimo abbraccio alla famiglia di Alberto Balocco e a tutti i suoi cari". E' il messaggio del presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio per l'improvvisa morte dell'industriale dell'omonimo colosso dolciario.
Lorenza Rapini per “la Stampa” il 24 agosto 2022.
Anche il rabdomante, per combattere la siccità. Nell'estremo Ponente ligure questa antica conoscenza della tradizione non si è persa, c'è chi la pratica e, in questa estate senza pioggia, con i torrenti quasi a secco e le falde che calano in maniera preoccupante, perfino i Comuni decidono di chiamare in soccorso chi, concentrazione e strumenti alla mano, «sente» l'acqua in profondità nei terreni e, magari, indica dove si può trovare una fonte nascosta o dove si può scavare un pozzo.
«Di scientifico non c'è nulla, lo so - racconta Remo Moraglia, sindaco di Bajardo, piccolo centro sopra Sanremo, poco più di 300 anime - ma due delle nostre cinque sorgenti si sono seccate negli ultimi mesi. Le variazioni climatiche ci sono e purtroppo dobbiamo pensare anche al futuro. Fino ad ora abbiamo avuto le autobotti dei vigili del fuoco che ci hanno portato l'acqua. Ho saputo che anche in passato ci si era rivolti al rabdomante e l'ho chiamato. Un po' come quando si ha una malattia e si è disperati: si prova a percorrere tutte le strade».
Il portatore di questa conoscenza antica e misteriosa è Renato Labolani, 74 anni, residente peraltro a una manciata di chilometri da Bajardo, in un altro piccolo centro dell'entroterra del Ponente ligure, Apricale. «Capisco lo scetticismo - ancora il sindaco Moraglia - e se per caso la Corte dei conti dovesse avere da ridire, sono pronto a pagarli di tasca mia i 300 euro spesi per il rabdomante. Ma Apricale lo aveva già chiamato a luglio con successo e per questo ci siamo decisi. Ha trovato da noi cinque punti di acqua, tra i 120 e i 250 metri di profondità. Ora valuteremo di chiamare i tecnici per carotaggi e trivellazioni, magari prediligendo il punto meno profondo, sperando che lì ci sia acqua davvero».
Con i torrenti secchi o ai minimi storici, l'unico grande invaso dell'entroterra ridotto a una pozzanghera, il fiume Roja, principale risorsa idrica dell'Imperiese, già devastato dalla tempesta Alex di ottobre 2020 che ha modificato le falde e creato grossi problemi, il rabdomante alla fine può essere una opzione da tenere a mente.
Il Cicap (Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze, fondato nel 1989 su iniziativa di Piero Angela) definisce «la rabdomanzia un'arte divinatoria che non ha alcuna efficacia dimostrata» e mette in guardia le istituzioni pubbliche. Anzi, invita il rabdomante a «un esperimento di verifica delle sue abilità sensitive».
Renato Labolani, che preferisce definirsi esperto di radioestesia piuttosto che di rabdomanzia, raccoglie la sfida e rilancia: «La mia non è una scienza e lo so. Ma è reale e i risultati ci sono. Vorrei incontrare qualcuno del Cicap per un confronto diretto: prendiamo un terreno e vediamo chi trova l'acqua e chi sbaglia». Poi racconta la sua storia: «Ho iniziato tra il 1985 e il 1990. Mia nonna aveva doti particolari e io le ho ereditate. Ogni cosa emette vibrazioni che possono essere colte soltanto dalla nostra parte inconscia. Io con il pendolo, in passato usavo il bastoncino ma l'ho abbandonato, le riesco a percepire. Sembra strano ma funziona».
E infatti a luglio ha trovato una fonte d'acqua nascosta sottoterra appunto ad Apricale, piccolo comune dove il sindaco aveva dovuto chiudere l'acqua alcune ore al giorno proprio per la siccità. «Quella fonte è da 250 metri cubi al giorno», spiega. Il suo modo di parlare è calmo e senza esitazioni, tranquillo nell'affrontare scetticismo e critiche: «Una volta in tanti avevano queste doti, poi sono andate perse. Questo è il mio più grande timore: non riuscire a trasmettere quello che so. Ho perso un nipote che stava imparando in un incidente. Ora ripongo le mie speranze in una nipotina di 18 anni. In tanti possono sentire l'acqua, ma bisogna essere in grado di capire quanta ce n'è e a quanta profondità, altrimenti è inutile».
Razzismo e Disastri Ambientali.
Disastri Ambientali e Dissesti idrogeologici: morte e distruzione.
Alluvioni, Allagamenti, Smottamenti, Frane.
Per i media prezzolati e razzisti.
Al Nord Italia: Eventi e danni naturali imprevedibili dovuti al cambiamento climatico in conseguenza del riscaldamento globale e causati da Vortici di Bassa Pressione dovuti all'alta Pressione perenne del Sud Italia con i suoi 30 gradi anche ad ottobre.
Al Sud Italia: Disastri meritati dovuti a causa dell'abusivismo; degli incendi dolosi e del disboscamento; dell'incuria e dell'abbandono delle opere pubbliche di contenimento e prevenzione.
“Per fortuna il maltempo si è spostato al sud”: la gaffe del TG5. Da Redazione di Cefalù Web 13 novembre 2014. Elena Guarnieri, presentatrice del TG5 ieri sera si è resa protagonista di una brutta gaffe parlando di maltempo. La giornalista in diretta durante l’edizione serale del popolare tg della rete ammiraglia di Mediaset, parlando della perturbazione che imperversa su tutta la penisola ha affermato: “Il peggio sembra essere passato, la perturbazione si è spostata al Sud“. Forte lo sdegno dei telespettatori soprattutto del meridione che condannano con fermezza l’imperdonabile gaffe.
A COME ABUSIVISMO EDILIZIO ED EVENTI NATURALI.
La Natura vive. Alterna periodi di siccità a periodi di alluvioni e conseguenti inondazioni.
La Natura ha i suoi tempi ed i suoi spazi.
Anche l’uomo ha i suoi tempi ed i suoi spazi. Natura ed Uomo interagiscono, spesso interferiscono.
Un fenomeno naturale diventa allarmismo anti uomo degli ambientalisti.
Da sempre in montagna si è costruito in vetta o sottocima, sul versante o sul piede od a valle.
Da sempre in pianura si è costruito sul greto di fiumi e torrenti.
Da sempre lungo le coste si è costruito sul litorale.
Cosa ci sia di più pericoloso di costruire là, non è dato da sapere. Eppure da sempre si è costruito ovunque perché l’uomo ha bisogno di una casa, come gli animali hanno bisogno di una tana.
Invece, anziché pulire gli alvei (letti) dei fiumi o mettere in sicurezza i costoni dei monti per renderli sicuri, si impongono vincoli sempre più impossibili da rispettare.
Invece di predisporre un idoneo ed aggiornato Piano Regolatore Generale (Piano Urbanistico Comunale) e limitare tempi e costi della burocrazia, si prevedono sanzioni per chi costruisce la sua dimora.
A questo punto, quando vi sono delle disgrazie, l’allarmismo dell’ambientalismo ideologico se la prende con l’uomo. L’uomo razzista ed ignorante se la prende con i meridionali: colpa loro perché costruiscono abusivamente contro ogni vincolo esistente.
Peccato che le disgrazie toccano tutti: in pianura come in montagna o sulla costa, a prescindere dagli abusi o meno fatti da Nord a Sud.
Solo che al Nord le calamità sono disgrazie, al Sud sono colpe.
Peccato che i media razzisti nordisti si concentrano solo su temi che discriminano le gesta dei loro padroni.
Catastrofi naturali e salute. Fatalismo e prevenzione.
La demagogia degli scienziati e la sicurezza impossibile.
Prevenzione. Costi e burocrazia: la protezione irrealizzabile.
Inchiesta del Dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Nelle tv salottiere e sui giornali gli “Esperti” si cimentano a dare le loro opinioni. "Ormai abbiamo osservato che ogni 4 o 5 anni c'è un sisma che colpisce la dorsale appenninica. Eppure gli amministratori non fanno prevenzione. Il risultato è che l'Italia è arretrata come il Medio Oriente: in un paese avanzato una scossa di magnitudo 6 non provoca crolli e vittime". Mario Tozzi, geologo e noto divulgatore scientifico in tv, non usa giri di parole contro la politica che a sette anni dal tragico terremoto dell'Aquila non ha fatto quasi nulla per prevenire il disastro di questo 24 agosto 2016 ad Amatrice e dintorni.
Scrive Maurizio Ribechini il 25 agosto 2016: “Un interessante studio su questo circa un anno e mezzo fa è stato effettuato dal "Consiglio Nazionale degli Ingegneri", il quale con una precisa valutazione dei costi economici, ha calcolato che, fino al novembre 2014, ammontavano a più di 120 miliardi di euro gli stanziamenti dello Stato per i terremoti verificatisi in Italia negli ultimi 50 anni: da quello siciliano del Belice nel 1968, all’ultimo del maggio 2012 in Emilia Romagna, passando per quello del Friuli del 1976, quello dell'Irpinia del 1980, il primo avvenuto in Umbria e Marche del 1997, quello del Molise del 2002 e quello dell'Aquila nel 2009. Per una spesa media annua di circa 2,5 miliardi di euro. Cifre ancora più elevate sono quelle che fornivano, ormai quattro anni fa (quindi senza considerare i costi del sisma del 2012 in Emilia) Silvio Casucci e Paolo Liberatore nel saggio dal titolo "Una valutazione economica dei danni causati dai disastri naturali", dove hanno stimato un costo di ben 147 miliardi di euro, per una spesa media annua di 3,6 miliardi. Tale stima arrivava da un dossier sul rischio sismico redatto dal Dipartimento della Protezione Civile che recitava "i terremoti che hanno colpito la Penisola hanno causato danni economici valutati per gli ultimi quaranta anni in circa 135 miliardi di euro (a prezzi 2005), che sono stati impiegati per il ripristino e la ricostruzione post-evento. A ciò si devono aggiungere le conseguenze non traducibili in valore economico sul patrimonio storico, artistico, monumentale". Attualizzando tale valore al 2012, si otteneva un totale complessivo pari a circa 147 miliardi. Ma appunto tale cifra non considerava i costi della ricostruzione in Emilia. Se vogliamo contare anche questi, possiamo prendere dei dati ufficiali diffusi dalla Regione Emilia Romagna nel maggio 2015, che parlavano di 1 miliardo e 770 mila euro di contributi concessi. Ecco pertanto che la somma complessiva dei costi per i terremoti lievita a circa 149 miliardi complessivi. Ma quanto sarebbe costato mettere in sicurezza il territorio? L’ex capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, nei mesi scorsi aveva dichiarato che per mettere in sicurezza tutto il nostro paese occorrerebbero tra i 20 e i 25 miliardi di euro. Mentre proprio ieri, l’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha dichiarato: "Nel 2012 presentai un piano da 40 miliardi per la prevenzione, oltre all'assicurazione obbligatoria per il rischio sismico. Non se ne fece nulla, ma quegli interventi sono la grande opera di cui abbiamo bisogno". Numerose altre stime tecniche ed economiche parlano tutte di cifre che oscillano appunto fra i 25 e i 40 miliardi di euro. Ovvero fra circa 1/3 e 1/4 di quanto abbiamo speso in 50 anni per ricostruire dopo i terremoti.”
Detto questo gli esperti omettono di dire che il costo della prevenzione va quasi tutto a carico del privato, salvo quella minima parte a carico del pubblico, secondo la sua pertinenza, mentre la ricostruzione, con tutte le sue deficienze, è tutta a carico del pubblico. Bene. Si dimenticano i cosiddetti esperti che i cittadini italiani non sono come i profughi, ospitati negli alberghi a 5 stelle e con vitto gratis. I cittadini italiani hanno bisogno di un tetto sulla testa, anche abusivo e prevedibilmente pericolante. Abusivo, stante l’incapacità degli amministratori locali di prevedere un Piano Urbanistico Generale. I soldi son pochi e non ci sono per lussi, burocrati e prevenzione. L'alternativa al tetto insicuro sono le arcate dei ponti. Spesso i cittadini italiani, se non ci fossero i morti a corredo, sarebbero contenti dei terremoti, in quanto gioverebbero della ricostruzione delle loro vecchie case. Lo stesso vale per le alluvioni ed altri eventi naturali.
Ed ancora in tema di prevenzione non bisogna dimenticare poi gli esperti sanitari che ci propinano consigli sulla prevenzione delle malattie, specie tumori ed infarti. Impossibile da seguire. E non stiamo parlando delle vecchie ed annose liste di attesa o dell'impedimento al ricorso del pronto soccorso ormai solo aperto ai casi pre-morte.
Il 21 gennaio 2016 è entrato in vigore il cosiddetto “decreto Lorenzin” sull’appropriatezza delle prescrizioni approvato il 9 dicembre 2015. Il decreto che porterà alla stretta sulle prescrizioni di visite mediche ed esami a rischio di inappropriatezza ed il giro di vite riguarderà oltre 200 prestazioni di specialistica ambulatoriale, scrive Rai News. E' stato infatti pubblicato in Gazzetta ufficiale il 20 gennaio il decreto "Condizioni di erogabilità e indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza ambulatoriale erogabili nell'ambito del Servizio sanitario nazionale". Si tratta di prestazioni di Odontoiatria, Genetica, Radiologia diagnostica, Esami di laboratorio, Dermatologia allergologica, Medicina nucleare. Il decreto Enti locali da cui scaturisce il DM appropriatezza, prevede che le 203 prestazioni se prescritte AL DI FUORI DELLE CONDIZIONI DI EROGABILITA' contemplate dal DM saranno poste A TOTALE CARICO DEL PAZIENTE. Esempio. "Ai fini dell’applicazione delle condizioni di erogabilità nella prescrizione delle prestazioni di radiologia diagnostica di cui al presente decreto, per la definizione del «sospetto oncologico» di cui all’allegato 1, note n. 32, 34, 36, 38 e 40 devono essere considerati i seguenti fattori: 1) anamnesi positiva per tumori; 2) perdita di peso; 3) assenza di miglioramento con la terapia dopo 4-6 settimane; 4) età sopra 50 e sotto 18 anni; 5) dolore ingravescente, continuo anche a riposo e con persistenza notturna. Altro esempio. L'esame del colesterolo totale: le condizioni di erogabilità dell'esame a carico del Ssn prevedono che sia da eseguire come screening in tutti i soggetti di età superiore a 40 anni e nei soggetti con fattori di rischio cardiovascolare o familiarità per dislipidemia o eventi cardiovascolari precoci. Ma in assenza di valori elevati, modifiche dello stile di vita o interventi terapeutici, si precisa, l'esame è da ripete a distanza di 5 anni. Per quanto riguarda poi le condizioni di erogabilità delle prestazioni odontoiatriche, si valuteranno le condizioni di "vulnerabilità sanitaria" (condizioni sanitarie che rendono indispensabili le cure odontoiatriche) o di "vulnerabilità sociale" (ovvero di svantaggio sociale ed economico). Anche per l'erogazione delle dentiere sono previsti gli stessi criteri. Secondo Costantino Troise, segretario del maggiore dei sindacati dei medici dirigenti, l'Anaao-Assomed, "da oggi, per sapere come curare, i medici dovranno leggere la gazzetta ufficiale e non più i testi scientifici".
E dulcis in fundo ci sono gli esperti dei sinistri stradali. Quelli che dicono è sempre colpa dell'insobrietà, della disattenzione e della velocità dell’autista. Questi signori probabilmente non conoscono le cause dei sinistri:
riconducibili al conduttore (inabilità alla guida permanente o temporanea);
riconducibili al mezzo (malfunzionamento delle componenti tecniche per tutti i veicoli o bloccaggio del motore per le moto);
riconducibili alla strada (sconnessione o ostacoli improvvisi o non segnalati);
riconducibili ad eventi atmosferici che limitano visibilità o aderenza.
In conclusione la prevenzione spesso e volentieri è impossibile attuarla per l’imprevedibilità degli eventi, ma ancor di più per i costi e per la burocrazia esosa ed assillante ed è inutile che in tv gli esperti ce la menano sulla prevenzione: la realtà la impedisce.
Alberto Fraja per “Libero Quotidiano” il 29 dicembre 2021.
Non c'è fenomeno atmosferico più desiderato, invocato, percepito, ma pure maledetto, dannato e caricato d'ogni vituperio della pioggia. Dai tempi di Noè, che di acquazzoni s'intendeva, al diluvio di previsioni meteo in rete o in tv.
Perché l'acqua che cade dal cielo «fa sì viaggiare l'anima», ma rende anche impraticabili i percorsi dei cavalieri erranti, complica le guerre, fa ritardare gli amori. Invocata in tempi di siccità, essa provoca anche la paura dell'eccesso, delle alluvioni e dei diluvi.
Alain Corbin nel suo Breve storia della pioggia (Marietti, 80 pagine, 9 euro) ci disvela in poche ma gustosissime pagine un fenomeno a cui sono state dedicate poesie, pensieri, dipinti ma anche complicati significati politici.
La pioggia è una straordinaria fabbrica di emozioni. Si chiede l'autore: «In quale momento della storia si individua l'evento di un io meteorologico sensibile a tutte queste variazioni? Fino a che punto i modi di provarle si sono trasformati con il tempo? Come si sono evolute le forme di attenzione, rappresentazione, desiderio, piacere e avversione suscitate dalle meteore, fino a giungere, oggi, a un bisogno quotidiano di sapere e, talvolta, a un vero e proprio disturbo psichiatrico?».
Corbin prova a fornire alcune risposte non prima di aver ricordato che è solo dalla fine del XVIII secolo che, da un lato, si intensifica la sensibilità individuale ai fenomeni meteorologici, dall'altro si affina la retorica per descrivere l'effetto delle meteore nell'animo di scrittori e intimisti. Quella dello storico francese è, insomma, una accurata rassegna delle reazioni più diverse indotte dalla pioggia.
Già Plinio raccontava che un console romano «quando pioveva, faceva alzare il suo letto sotto le fitte frasche di un albero, per sentir fremere le gocce della pioggia e addormentarsi al loro mormorio».
Per gli artisti del Rinascimento la pioggia è prima di tutto quella del Diluvio, vale a dire la precipitazione di un'acqua violenta, che sorge sotto forma di tromba, forgiata dal vento, che sommerge, che spaventa e che anima gli incubi notturni.
Leonardo da Vinci, in una pagina dei suoi Diari, immagina le precipitazioni del Diluvio: «L'aria è oscurata a causa della pioggia che, cadendo obliqua, ribattuta dall'assalto trasversale dei venti, forma delle onde come la polvere, a differenza del fatto che questa inondazione è come striata da linee di gocce d'acqua che scorrono».
Sono diverse le reazioni degli animi sensibili verso acquazzoni o semplice pioggerelline di marzo. Stendhal, per esempio, detestava gli scrosci d'acqua. Nei suoi scritti intimi, se la prende con veemenza con «le piogge continue, eterne, villane, infami, abominevoli».
Al contrario Baudelaire ne faceva una componente essenziale dello spleen mentre i diaristi la intrecciavano con le lacrime.
Nell'opera di Verlaine, la pioggia si accorda con la «malinconia» mentre Victor Hugo non dimenticherà il primo abbandono di Juliette Drouer, sotto l'albero presso cui gli amanti si erano rifugiati per ripararsi dal temporale.
L'acquazzone, secondo Debussy, racconta «la malinconia e la delicatezza, la dolcezza e la quiete» mentre André Gide, nel suo Journal, non cessa di esprimere la sua avversione verso le gocce cadute dal cielo.
E fin qui siamo alla storia della valutazione intima e individuale della pioggia. Perché esiste anche una dimensione pubblica del maltempo gravida di conseguenze. «Tanti avvenimenti importanti hanno tracciato la figura politica della pioggia» scrive l’autore.
La festa della Federazione, tenutasi a Parigi il 14 luglio del 1790 per celebrare l'anniversario della presa della Bastiglia - tanto per dire - fu rovinata da un vero e proprio nubifragio.
Per il piacere della stampa contro-rivoluzionaria che si dilettò nel descrivere il disordine, la confusione, la ressa, la fuga degli spettatori verso le gallerie, il sublime spettacolo degli indumenti femminili che aderiscono al corpo rivelandone alla vista «i contorni».
Il libro di Corbin indaga anche sugli effetti prodotti dalla pioggia sulla guerra. Dalle strade rese impraticabili dalla pioggia che impediscono ai cavalieri erranti dei romanzi di Chrétien de Troyes di andare alla pugna alle orribili sofferenze causate dal maltempo nelle trincee durante la prima guerra mondiale.
C'è infine un ultimo aspetto da valutare. Quello relativo al desiderio della pioggia nei periodi di siccità e al terrore ispirato dalle precipitazioni eccessive, dalle piogge interminabili e, primo fra tutti, dalla grandine.
Ossessioni collettive rinvenibili in molte zone del pianeta e che hanno dato origine a un numero infinito di rituali dal profondo significato antropologico. Siamo all'origine dei tempi, quando è agli eventi celesti e marini che si attribuiscono le precipitazioni.
Nuvole e temporali sono nelle mani delle divinità. Ma Giove e Nettuno non sono soli. Il Dio della Bibbia è anche più severo. Poi la società si laicizzò. E ora, se piove, è perché il governo è ladro.
(ANSA il 26 novembre 2022) - "Delle circa cento persone nella zona di via Celario, a Casamicciola, intrappolate nelle proprie case senza acqua e senza luce, resta da raggiungerne una decina. Tutte le altre sono state messe in salvo". Lo riferisce il sindaco di Ischia, Enzo Ferrandino.
"Dalle prime verifiche effettuate, sono 150 le famiglie che non potranno far rientro nelle loro abitazioni a causa di situazioni di pericolo e delle condizioni idrogeologiche". Ne da' notizia il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca.
"Insieme alla ricerca dei dispersi - spiega il governatore in una nota - l'altra grave emergenza è quella abitativa, per la quale la Regione sta definendo insieme ai sindaci le più opportune soluzioni, garantendo condizioni di piena sicurezza. Segnaleremo questa ulteriore e grave situazione alla Presidenza del consiglio e alla Protezione civile, con l'obiettivo di evitare il prolungarsi di condizioni di precarietà per gli sfollati.
E' indispensabile, vista l'impossibilità per le famiglie di rientrare nelle proprie abitazioni nelle zone più colpite - conclude De Luca - definire il trasferimento in altro luogo, in sicurezza. E' questa l'altra grave emergenza che preoccupa in queste ore". (ANSA)
Da ansa.it il 26 novembre 2022.
Un fiume di fango e detriti ha colpito questa mattina, intorno alle ore 5, Casamicciola, comune dell'Isola di Ischia, ingentissimi i danni.
E' una donna la prima vittima accertata della frana di Casamicciola.
Al momento il bilancio è di 12 dispersi ma i soccorritori stanno scavando nel fango alla ricerca delle persone.
Il corpo della donna è stato individuato e recuperato in piazza Maio, una delle prime zone battute dai soccorritori. Con ogni probabilità la vittima, cittadina di un Paese dell'Est e sposata con un ischitano, proprio in quel punto è stata travolta dalla frana che non le ha lasciato scampo.
Sul posto stanno operando 70 uomini dei vigili del fuoco, insieme a personale della Protezione Civile e agli uomini delle forze dell'ordine ma i soccorsi sono resi complicati anche dalle difficili condizioni meteo. Complessivamente sono 20 i mezzi impiegati tra elicotteri, droni e movimento terra. "La prefettura insieme alla Regione sta disponendo l'evacuazione di circa 200 persone", ha annunciato il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi che ha parlato di "una situazione grave, con persone probabilmente ancora sotto il fango".
Una famiglia con un neonato, data in un primo momento dispersa, è stata ritrovata: sono tutti salvi e ricoreranno alle cure dei medici. La frana è venuta giù, alle primissime luci dell'alba, dal monte alle spalle della frazione dell'isola, così come avvenuto nel novembre del 2009, e ha trascinato massi e detriti che hanno causato il crollo di almeno 10 edifici. Sono circa 30 i nuclei familiari isolati, in totale 100 persone che devono essere ancora raggiunte e che sono senza acqua e luce. La strada che porta alle loro abitazioni è attualmente impraticabile per il fango.
Le zone in cui è più visibile la forza con cui la frana ha colpito sono il porto di Casamicciola e piazza Bagni: dal monte Epomeo ha ceduto il terreno e la valanga di fango ha cancellato la vegetazione, gli albero sono venuti giù come birilli lasciando nudi i fianchi del monte. Sul lungomare sono ammassate almeno una decina di vetture e due bus turistici che la forza della frana ha trascinato giù.
Alcune macchine sono finite in acqua, altre sono sommerse dal fango. Anche il mare al porto ha cambiato colore: è diventato marrone a causa di quel fiume di fango sceso dalla montagna. Non va meglio nella zona alta, quella già ferita dal terremoto del 2017. I bob cat vanno avanti e indietro per rimuovere i detriti. La Protezione civile regionale ha approntato gruppi elettrogeni che verranno messi in funzione in modo da potere consentire le ricerche anche con il buio.
Restano invece ancora senza luce e acqua i 100 isolati, impossibili da raggiungere per i soccorritori. Albergatori e ristoratori, intanto, hanno dato la loro disponibilità ad offrire accoglienza e pasti per sfollati e soccorritori. Nella sede provvisoria del Comune è stato aperto il centro operativo comunale. E' in corso sull'isola anche la ricerca di strutture pubbliche, come palestre e scuole, dove accogliere temporaneamente persone rimaste senza casa. Il presidente della Regione Campania, Vicenzo De Luca chiede "lo stato di emergenza per l'isola di Ischia e i territori colpiti da questi eventi atmosferici disastrosi". E in segno di "rispetto e vicinanza" stasera la prima al Teatro San Carlo è stata annullata.
Macron chiama Meloni
Il presidente francese Emmanuel Macron ha parlato questo pomeriggio con il presidente del Consiglio Giorgia Meloni e ha espresso il suo sostegno e la sua solidarietà dopo i drammatici eventi sull'isola di Ischia. Lo riferiscono fonti dell'Eliseo.
Salvini, "otto i morti accertati" cautela dal prefetto
"Sono otto i morti accertati", informa il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini ma il prefetto di Napoli Palomba è cauto. ''Al momento c'è una notizia di una vittima, sicuramente accertata, e ci sono ancora una decina di dispersi'', afferma invece il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi.
"La situazione è molto complicata, si tratta di persone che sono probabilmente sotto il fango, che non rispondono alle chiamate", dice il ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi, al Tg2 rispondendo dalla sala operativa dei vigili del fuoco, da dove sta seguendo le operazioni di soccorso per la frana a Casamicciola. "La prefettura insieme alla Regione sta disponendo l'evacuazione di circa 200 persone, per il ricovero delle persone interessate dal movimento franoso, che devono essere messe in salvo", ha detto il ministro dell'Interno.
Vertice in prefettura
Durante il vertice in prefettura 'il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha voluto sincerarsi della situazione''. Lo ha riferito il prefetto di Napoli, Claudio Palomba, sottolineando che la premier si è collegata in video durante la riunione del Ccs così come il ministro dell'Interno, Piantedosi. Il governo è pronto a fare la sua parte dopo la tragedia di Ischia. Lo ha detto - apprende l'ANSA - la premier Giorgia Meloni che ha appena lasciato la sede della Protezione Civile, dove è rimasta a lungo videocollegata con il comitato operativo del centro di coordinamento soccorsi allestito alla Prefettura di Napoli.
La premier ha fatto il punto con il Capo della Protezione Civile Curcio, i sindaci di Ischia, il governatore campano De Luca, il ministro dell'Interno Piantedosi e quello degli Esteri Tajani. Giorgia Meloni ha assicurato che allerterà tutti i ministri per un eventuale consiglio dei ministri da convocare d'urgenza. Straordinaria, una eccellenza internazionale. Così la premier Giorgia Meloni ha definito la Protezione civile italiana - apprende l'ANSA - ringraziandola per la capacità di risposta alle tante emergenze in Italia. La presidente del Consiglio si è videocollegata dalla Protezione Civile con il comitato operativo del centro di coordinamento soccorsi allestito alla Prefettura di Napoli, centro nevralgico dei soccorsi dopo la tragedia di Ischia.
Mattarella, vicino alla popolazion colpita
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha chiamato il sindaco della Città metropolitana di Napoli per esprimere la propria vicinanza alle popolazioni colpite dalla frana, per esprimere riconoscenza per l'opera dei soccorritori e per sincerarsi sull'andamento dei soccorsi. Manfredi ha ringraziato il Capo dello Stato per essere sempre vicino alla città e alla sua comunità.
Ischia, le cause della frana: detriti e cemento, così è partita la colata di fango. Fabrizio Geremicca su Il Corriere della Sera il 27 novembre 2022.
La pioggia record in sei ore ha provocato lo smottamento. Gli esperti accusano: «Un’area ad alto rischio, lì si è costruito troppo». Gli ambientalisti puntano il dito sul condono del 2018
Centoventi millimetri di pioggia, tra mezzanotte e le sei del mattino. A Ischia ieri, secondo quanto riporta il Cnr, è piovuto come mai era accaduto negli ultimi venti anni. L’ennesimo fenomeno estremo del 2022 in Italia (130, quelli registrati). Il picco massimo di pioggia oraria è stato di 51,6 millimetri a Forio, uno dei Comuni ischitani, e di 50,4 millimetri sul Monte Epomeo, la montagna dalla quale si è staccata la frana che ha devastato Casamicciola Terme. Anzi, varie micro-frane incanalate in un flusso che ha creato un unico fiume di detriti, con grande capacità distruttiva. «Una tragedia e una comunità colpita duramente da un evento importante», ha detto Fabrizio Curcio, responsabile nazionale della Protezione Civile.
Che cosa è successo a Ischia: la ricostruzione
Sarebbe però semplicistico ricondurre quanto è accaduto solo alla tempesta d’acqua, secondo la geologa Micla Pennetta, docente di Geomorfologia all’Università Federico II. «La colpa — dice — è del cemento». Chiarisce il suo pensiero: «Lì c’è un terreno di natura vulcanica, ovvero poco compatto. In caso di piogge abbondanti l’acqua lo gonfia e tende a portarlo a valle. Gli alberi svolgono un ruolo fondamentale per prevenire questi fenomeni, ma ne sono stati eliminati molti per le attività antropiche. La cementificazione dei suoli ha ridotto la capacità di assorbimento delle acque, che scivolano a valle con una violenza devastante, trascinano fango ed altri materiali e creano disastri. Si è verificata una colata detritica».
Identificata la vittima: è Eleonora Sirabella, 31 anni
Non è la prima volta che accade, ricorda Pennetta: «È un fenomeno molto simile a quello del 2009, quando una colata rapida invase Piazza Bagni e morì una ragazza». Terrazzamenti con rimboschimento, vasche di laminazione, canali di drenaggio, secondo la geologa, sono gli interventi che vanno realizzati subito per evitare che si verifichino a Casamicciola nuove tragedie. Gli ambientalisti puntano il dito contro il condono-Ischia inserito nel decreto sul ponte Morandi di Genova crollato nel 2018: una sanatoria che bollano come «incostituzionale» e «con tanto di contributi concessi dallo Stato a chi ha edificato abusivamente e collegandoli alla ricostruzione post sisma del 2017». Secondo Legambiente a Ischia erano ben 28 mila le richieste ufficiali di sanatoria edilizia.
Per questo, dice Gaetano Sammartino, presidente della sezione Campania della Società Italiana di Geologia Ambientale, «va posto definitivamente un freno al consumo di suolo e va adeguato il sistema drenante». Riflette: «Quella è un’area a rischio idrogelogico molto elevato perché la stratigrafia del versante è precaria. Se l’abbandoniamo, non facciamo manutenzione e magari cementifichiamo i canali di impluvio la catastrofe è garantita. Il cemento non assorbe l’acqua, che scorre rapidamente e si precipita nelle zone di fondovalle».
A Ischia si è costruito troppo, insomma, e per lo più senza regole. Lo sa bene Aldo De Chiara, ex procuratore aggiunto a Napoli, che quando era magistrato si impegnò per contrastare il fenomeno dell’abusivismo edilizio sull’isola. «La storia si ripete — commenta —. Un terreno fragile non può subire edificazione senza criterio e fuori da ogni idonea programmazione. È il contesto fertile perché poi eventi atmosferici come quello della notte tra venerdì e sabato provochino danni irreversibili a cose e persone».
Eppure, ricorda De Chiara, che tra il 2010 ed il 2011 subì minacce di morte quando provò a far demolire alcune case abusive nei Comuni di Forio d’Ischia e di Barano, il contrasto al consumo di suolo ed all’abusivismo edilizio non sono tra le priorità nell’agenda politica. «Basti pensare — dice — che quando nel 2018 hanno stanziato fondi per la ricostruzione per le case danneggiate dal sisma del 2017 a Casamicciola sono state previste risorse anche per quelle abusive. Un atteggiamento irresponsabile». Incalza: «Sull’isola c’è stato un forte abusivismo edilizio del quale la classe politica non ha mai voluto prendere atto o verso il quale è stata connivente per motivi di consenso. Non è un problema solo di Ischia, peraltro. Ho ascoltato in occasione della campagna elettorale per le politiche candidati che invocavano un nuovo condono edilizio con il pretesto, in verità poco condivisibile, dell’abuso edilizio di necessità».
Eleonora Sirabella, chi era la vittima della frana di Ischia. E la storia di Nina, dispersa, sull’Isola da tre giorni. Fulvio Bufi su Il Corriere della Sera il 27 novembre 2022.
La trentunenne deceduta viveva sull’isola. La donna bulgara aveva invece lavorato in un ristorante e stava facendo le pratiche per la cittadinanza italiana
Il fango tiene prigioniere undici persone. La speranza è che siano bloccate da qualche parte dove i soccorsi ancora non sono riusciti ad arrivare. La paura — e per i più pessimisti anche molto più che paura — è che melma e detriti le abbiano inghiottite, che quando si arriverà a loro si dovrà inesorabilmente allungare l’elenco delle vittime.
Le ultime notizie sulla frana di Ischia
Dall’inferno per ora è venuto fuori un solo corpo. È quello di una ragazza ischitana di trentuno anni, Eleonora Sirabella, che in una parte del nome aveva ciò che era: bella. Molto. E invece ci sono volute ore per identificarla. Abitava nella zona alta di Casamicciola, proprio lì dove la frana si è generata, assieme al marito Salvatore Impagliazzo, marinaio, di cui invece non si hanno notizie: disperso. Lei faceva la commessa.
Quando il suo corpo è stato trovato un centinaio di metri più giù, prima che riuscissero a darle un nome, si era sparsa la voce che si trattasse di una donna dell’est. Perché era difficile riconoscerla, e qualcuno si è ricordato che nella zona dalle parti di piazza Maio era tornata tre o quattro giorni fa Nikolinca Blagova, di cinquantaquattro anni che tutti chiamavano Nina. Il suo nome è ancora nell’elenco degli undici dispersi, ma lei a Ischia ci si è trovata per caso. Anzi, non per caso ma per quel desiderio infinito che aveva di diventare cittadina italiana, pure se era nata in Bulgaria e adesso la sua casa e la sua vita erano in Germania.
Nina aveva conosciuto Ischia ai tempi in cui era ancora una ragazza. Veniva a lavorare qui quando era una rarità incontrare, non solo da queste parti, una donna dell’est. Faceva lavori stagionali, da giugno a settembre e qualche volta anche oltre, perché a Ischia il turismo è sempre durato almeno quattro mesi abbondanti. Addetta ai piani negli alberghi di Forio e Lacco Ameno, cameriera nei ristoranti. Si era innamorata di Ischia ma anche di uno dei ristoratori che aveva avuto modo di conoscere, Vincenzo Senese, diventato poi il suo compagno. Vincenzo aveva ristoranti a Ischia ma anche a Palma di Maiorca e in Germania, e quando decise di ritirarsi propose a Nina di trasferirsi in Germania. Lei accettò, ormai i suoi due figli, che vivono in Bulgaria, erano grandi, avevano le loro famiglie e lei, pur essendo diventata nonna, poteva scegliere senza pensieri dove e con chi invecchiare.
Quindi basta lavori stagionali, basta avanti e indietro tra Ischia e Pazardzik, la sua città. Era arrivato il momento di raccogliere tutto quello che aveva seminato per una vita, che poi si trattava semplicemente di non dover necessariamente lavorare per mandare avanti la famiglia. Insomma, la pensione. Solo un progetto le era rimasto da portare a termine, solo un sogno ancora da realizzare: ottenere la cittadinanza italiana.
Perciò era tornata altre volte negli ultimi mesi, per presentare tutti i documenti necessari per ottenerla. E perciò era tornata agli inizi della settimana, tre giorni fa. Perché giovedì la cittadinanza le era stata finalmente riconosciuta. Vincenzo aveva preferito restare in Germania, il programma era di festeggiare insieme al ritorno di Nina. E invece ieri gli è arrivata la telefonata del nipote, l’avvocato ischitano Agostino Iacono, al quale è toccato raccontargli della frana e di Nina che non si sa dove sia e se sia viva o no. Ora lui vuole partire, ma non è più giovane, e i parenti hanno paura che lo stress del viaggio, nello stato d’animo in cui è, possa essere pericoloso. E poi sperano ancora di potergli fare un’altra telefonata e raccontargli un lieto fine che oggi sembra impossibile.
Quello stesso lieto fine in cui sperano parenti e amici di altre persone di cui non si sa più nulla dall’alba di ieri e che per tutta la notte le squadre di soccorso hanno continuato a cercare: la famiglia Monti, la famiglia Mazzella e altri. Uomini e donne e ragazzi e bambini che avevano la casa dove ora non c’è più niente. Tutti travolti dal fango. Forse vivi e imprigionati, forse inghiottiti. Probabilmente inghiottiti.
Ma non è solo fatalità. I tanti allarmi inascoltati. Gian Antonio Stella su Il Corriere della Sera il 26 novembre 2022.
Mai come in questo caso, una lunga storia di errori dimostrava come l’isola fosse da sempre esposta a rischi di ogni tipo. Le responsabilità sia locali sia nazionali
Non ne possiamo più, di piangere per Ischia. Le nuove ed ennesime vittime travolte dall’ennesima frana venuta giù dal Monte Epomeo (guai a chiamarlo vulcano: porta iella...) vanno piante, onorate e affidate alla terra col cordoglio di tutti gli italiani. Non meno doveroso, però, sarà rispettare lo strazio delle famiglie nel modo più serio e severo, con un’inchiesta che dia il giusto peso alla gravità dell’evento atmosferico ma spazzi via i tentativi di dare tutta la colpa alla fatalità. Si sapeva, che poteva succedere ancora. Si sapeva.
Forse mai come in questo caso, infatti, una lunga storia di errori dimostrava come l’isola fosse da sempre esposta a tutti i rischi: quelli sismici, quelli idrogeologici e più ancora quelli dovuti all’insipienza dell’uomo. Basti rileggere, prima ancora che Francesco Guicciardini il quale già mezzo millennio fa ricordava come siano «gli errori di chi governa quasi sempre causa delle ruine della città», le accuse furenti e sconsolate, del giudice Aldo de Chiara, per anni e anni acerrimo avversario dell’abusivismo sull’isola: «Hanno costruito in prossimità di scarpate, di zone sismiche, di zone franose. C’è sempre stata una coalizione di destra e di sinistra contro tutte le demolizioni». Con un risultato sotto gli occhi di tutti: all’entrata in vigore del condono del 2003 voluto dal governo Berlusconi il numero delle demolizioni eseguite sull’isola a partire dal 1988 risultavano essere state, in totale, solo 22. Ventidue su 2.922 ordinate dalla magistratura con sentenza esecutiva. Lo 0,75%. Briciole.
E non si trattava di sentenze emesse per cocciutaggine da giudici ambientalisti decisi ad applicare nella maniera più pignola regole cavillose per punire tanti poveracci colpevoli «soltanto» di piccoli «abusi di necessità» dovuti alla pigrizia di una burocrazia elefantiaca. Si trattava, quasi sempre, di salvare la pelle a chi aveva tirato su case e case senza rispettare le regole del buon senso. Come si è visto in decine e decine di casi di interi quartieri travolti dalle acque in piena da una parte all’altra dell’Italia. Uno per tutti, la tragedia di Sarno e Quindici nel maggio 1998. Preceduta da segnali nettissimi sui pericoli di aver costruito case su case lungo il percorso di un corso d’acqua destinato un giorno o l’altro a precipitare a valle. Restano nella memoria le parole amarissime di Fabio Rossi, docente all’Università di Salerno ed esperto di idrogeologia, con gli occhi fissi a guardar su verso la montagna mentre troppi corpi erano ancora sepolti dalla melma che li aveva inghiottiti: «La colpa è loro, ma questo non si può dire ai morti». Una frase simile a quella pronunciata da Jean-Jacques Rousseau a proposito dello spaventoso terremoto di Lisbona del 1755: «Dopotutto non è la natura che ha ammucchiato là ventimila case...».
«Come noto, in Italia frane e inondazioni sono frequenti e causano danni a strutture e infrastrutture nonché vittime, feriti e sfollati ogni anno. Negli ultimi 15 (dal 2007 al 2021) le persone che hanno perso la vita a causa di tali eventi sono complessivamente 336, di cui 188 per le inondazioni e 148 per le frane», accusa il dossier Polaris del Cnr. E non passa anno senza che l’Ispra, Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, dimentichi d’aggiornare il censimento delle frane italiane, oltre 620.000 pari a due terzi di quelle rilevate in tutta Europa.
Tutte cose note. Denunciate. Ma troppo spesso accolte come prediche moleste di fastidiosi grilli parlanti, come un geologo cacciato da un convegno proprio a Ischia sul tema del rispetto di un territorio così fragile, con l’accusa d’esser un menagramo. Pochi dati di Legambiente dopo il sisma del 21 agosto 2017 nell’isola, che oggi ha 62.630 abitanti, dicono tutto: «Sono 28 mila le pratiche di richiesta di condono “ufficiali” nell’isola di Ischia. Nei soli Comuni di Casamicciola Terme e Lacco Ameno, che contano circa 13 mila abitanti, le pratiche di condono presentate sono oltre 6 mila, una su due abitanti». Ancora: «Ricordiamo quanto siano stati spropositati i danni rispetto all’intensità del sisma di magnitudo 4.0, anche per via dei materiali scadenti usati negli edifici». Testuale.
Eppure troppi ischitani, convinti di essere vittime di soprusi dei Comuni, della Regione e dello Stato, hanno avuto verso queste grida d’allarme reazioni scomposte. Come un manifesto di qualche anno fa affisso sui muri con queste frasi: «La politica dominante è morta! Dopo sessant’anni di coma vegetativo, ne danno il triste annuncio i cittadini “abusivi ” tutti. Le esequie si terranno in forma privata presso i seggi elettorali nei giorni...». Titolo: «Sulla scheda elettorale scrivi: “voto abusivo! ”».
Ma cosa ha fatto la politica ischitana, in questi anni, per convincere i cittadini a reagire in maniera diversa e a prendere coscienza dei rischi che loro stessi, per primi, correvano? Diciamolo: poco. Anzi, troppo spesso i padroni delle tessere, pronti volta per volta a saltare su cavalli diversi, hanno lisciato il pelo a quanti sbuffavano all’idea di promuovere finalmente una sana manutenzione, un «rammendo» antisismico, un risanamento complessivo di un panorama edilizio ad altissimo rischio. Ricordate, ad esempio, la sortita del governo giallo-verde che cercò di infilare una sanatoria per Ischia nel decreto per Genova dell’autunno 2018? Nella scia della promessa di Luigi Di Maio ai cittadini dell’isola che il loro sarebbe stato «un governo amico», spuntò fuori un decreto contro il quale saltarono su indignati Legambiente, Libera e la Cgil: «Questa proposta di condono è incomprensibile e pericolosissima (...) perché viene premiata l’illegalità, ancora una volta, condonando edifici che sono da decenni abusivi». In pratica, spiegò Sergio Rizzo, il provvedimento che concedeva agli abusivi un «ravvedimento operoso» includeva all’articolo 25 un passaggio di furbetta ambiguità: «per la definizione delle istanze trovano esclusiva applicazione le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 febbraio 1985, n. 47». E perché il riferimento era solo al condono craxiano del 1985 e non anche a quelli successivi berlusconiani del 1994 e del 2003? Perché quello più vecchio concedeva molto di più anche agli edifici costruiti su terreni inedificabili. Un messaggio non proprio «educativo »... Ischia merita di meglio. Una svolta vera. Che riscatti finalmente un’isola ferita e straordinaria.
Fabrizio Geremicca per il “Corriere della Sera” il 27 novembre 2022.
Centoventi millimetri di pioggia, tra mezzanotte e le sei del mattino. A Ischia ieri, secondo quanto riporta il Cnr, è piovuto come mai era accaduto negli ultimi venti anni. L'ennesimo fenomeno estremo del 2022 in Italia (130, quelli registrati). Il picco massimo di pioggia oraria è stato di 51,6 millimetri a Forio, uno dei Comuni ischitani, e di 50,4 millimetri sul Monte Epomeo, la montagna dalla quale si è staccata la frana che ha devastato Casamicciola Terme.
Anzi, varie micro-frane incanalate in un flusso che ha creato un unico fiume di detriti, con grande capacità distruttiva. «Una tragedia e una comunità colpita duramente da un evento importante», ha detto Fabrizio Curcio, responsabile nazionale della Protezione Civile.
Sarebbe però semplicistico ricondurre quanto è accaduto solo alla tempesta d'acqua, secondo la geologa Micla Pennetta, docente di Geomorfologia all'Università Federico II.
«La colpa - dice - è del cemento». Chiarisce il suo pensiero: «Lì c'è un terreno di natura vulcanica, ovvero poco compatto. In caso di piogge abbondanti l'acqua lo gonfia e tende a portarlo a valle.
Gli alberi svolgono un ruolo fondamentale per prevenire questi fenomeni, ma ne sono stati eliminati molti per le attività antropiche. La cementificazione dei suoli ha ridotto la capacità di assorbimento delle acque, che scivolano a valle con una violenza devastante, trascinano fango ed altri materiali e creano disastri. Si è verificata una colata detritica».
Non è la prima volta che accade, ricorda Pennetta: «È un fenomeno molto simile a quello del 2009, quando una colata rapida invase Piazza Bagni e morì una ragazza».
Terrazzamenti con rimboschimento, vasche di laminazione, canali di drenaggio, secondo la geologa, sono gli interventi che vanno realizzati subito per evitare che si verifichino a Casamicciola nuove tragedie.
Gli ambientalisti puntano il dito contro il condono-Ischia inserito nel decreto sul ponte Morandi di Genova crollato nel 2018: una sanatoria che bollano come «incostituzionale» e «con tanto di contributi concessi dallo Stato a chi ha edificato abusivamente e collegandoli alla ricostruzione post sisma del 2017». Secondo Legambiente a Ischia erano ben 28 mila le richieste ufficiali di sanatoria edilizia.
Per questo, dice Gaetano Sammartino, presidente della sezione Campania della Società Italiana di Geologia Ambientale, «va posto definitivamente un freno al consumo di suolo e va adeguato il sistema drenante». Riflette: «Quella è un'area a rischio idrogelogico molto elevato perché la stratigrafia del versante è precaria.
Se l'abbandoniamo, non facciamo manutenzione e magari cementifichiamo i canali di impluvio la catastrofe è garantita. Il cemento non assorbe l'acqua, che scorre rapidamente e si precipita nelle zone di fondovalle».
A Ischia si è costruito troppo, insomma, e per lo più senza regole. Lo sa bene Aldo De Chiara, ex procuratore aggiunto a Napoli, che quando era magistrato si impegnò per contrastare il fenomeno dell'abusivismo edilizio sull'isola. «La storia si ripete - commenta -. Un terreno fragile non può subire edificazione senza criterio e fuori da ogni idonea programmazione. È il contesto fertile perché poi eventi atmosferici come quello della notte tra venerdì e sabato provochino danni irreversibili a cose e persone».
Eppure, ricorda De Chiara, che tra il 2010 ed il 2011 subì minacce di morte quando provò a far demolire alcune case abusive nei Comuni di Forio d'Ischia e di Barano, il contrasto al consumo di suolo ed all'abusivismo edilizio non sono tra le priorità nell'agenda politica. «Basti pensare - dice - che quando nel 2018 hanno stanziato fondi per la ricostruzione per le case danneggiate dal sisma del 2017 a Casamicciola sono state previste risorse anche per quelle abusive. Un atteggiamento irresponsabile».
Incalza: «Sull'isola c'è stato un forte abusivismo edilizio del quale la classe politica non ha mai voluto prendere atto o verso il quale è stata connivente per motivi di consenso. Non è un problema solo di Ischia, peraltro. Ho ascoltato in occasione della campagna elettorale per le politiche candidati che invocavano un nuovo condono edilizio con il pretesto, in verità poco condivisibile, dell'abuso edilizio di necessità».
Fabrizio Roncone per il “Corriere della Sera” il 27 novembre 2022.
Si muore così, in Italia. Quando piove. Quando c'è un temporale che non è nemmeno ancora tempesta, solo pioggia battente che inzuppa la collina argillosa, di terreno vulcanico, e la gonfia, e mentre è ancora buio, tra un tuono del cielo e un rombo di morte, ne sbriciola un pezzo intero e la fa scivolare su Casamicciola, luogo di tragedie recenti e antiche, già cerchiato di rosso, e di croci.
Una gigantesca colata di fango e detriti, roccia e tutto quello che la furia della natura stuprata dall'uomo, offesa - alberi tagliati per creare terrazze appese nel vuoto, ville abusive costruite su panorami di abbacinante bellezza - riesce a trascinare giù, dentro le camere da letto dove la gente dorme. I sopravvissuti provano a contarsi nella luce di un'alba sporca. Si chiamano dalle finestre. «Assuntina, ci sei?». «Pasqualino dov' è?».
Poi sentono un lamento prolungato, qualcosa di disumano, come un terrificante muggito provenire dal basso, due traverse sotto piazza Bagni. È un manichino di fanghiglia. Ma il manichino parla. «A-iu-ta-te-mi». Gli dicono di resistere.
E certo che resiste, quello sta lì da almeno due ore, aggrappato a una persiana, e alla vita. Il filmato del salvataggio diventa subito virale, fa il giro del web: il Paese capisce che, a poco più di due mesi dall'alluvione delle Marche, i cadaveri sommersi e trascinati per chilometri a Pianello di Ostra, Cantiano, Senigallia, c'è un'altra storia di ordinario disfacimento del nostro territorio, e ci saranno altre bare, e altri funerali, e ovviamente altre stucchevoli polemiche.
Gira voce che manchi all'appello un intero nucleo familiare: padre, madre e figlio di pochi mesi. Però poi li ritrovano, erano ad asciugarsi a casa di una famiglia amica. I soccorritori faticano a mettere sotto controllo la scena del disastro.
Spariti vicoli, cortili, giardini in questo lembo settentrionale della dolce Ischia, dell'ospitale Ischia. L'isola del turismo per tutti: alberghi con terme a cinque stelle, pensioni per comitive di tedeschi felici, ma anche e soprattutto la destinazione della vacanza ideale per la classe media di Napoli, che qui tiene orgogliosamente casa da generazioni, perché Capri è per pochi, selezionati riccastri e Procida, pure deliziosa, è troppo piccola.
Così qui hanno costruito e costruiscono ovunque sia possibile.
Il cemento abusivo è nascosto da stupende bouganville e, adesso, dalla melma. In una casa al primo piano di via Paradisiello, stanno cercando di estrarre dall'armadio una Honda Sh 125. Due cani giacciono al piano terra, davanti l'ingresso. Un televisore e un cassonetto dell'immondizia sono sul tetto della villetta di fronte.
Il vigile del fuoco viene su dal porticciolo, è inzaccherato fino all'addome, ha l'aria desolata: «Abbiamo trovato il cadavere di una donna. Ma finora è stato impossibile risalire alla sua identità».
Le agenzie - all'improvviso - battono l'annuncio di Matteo Salvini, ministro delle Infrastrutture: «I morti sono otto». Tutti cominciamo a chiederci dove siano. Un ufficiale dei carabinieri allarga le braccia: «Mi sembra complicato che qui nessuno si sia accorto di otto cadaveri. Temo, tra l'altro, che il numero delle vittime possa essere ben più alto». Timore confermato dal ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi. Costretto a smentire Salvini: «Al momento non ci sono decessi accertati».
La certezza è che qui tutto frana da secoli. E che da secoli ci si rassegna, dentro un efferato fatalismo, a pregare compaesani morti non di vecchiaia, ma soffocati, schiacciati, annegati. Nel 2006, una frana molto simile a quella della scorsa notte si portò via Luigi Buono, di 43 anni, e le sue tre figlie: Anna di 18, Maria di 16 e Giulia di 15. Tre anni dopo, morì travolta un'altra quindicenne, Anna De Felice.
In processione al cimitero sempre con il rosario in mano e lo sguardo rivolto al monte Epomeo: come se fosse colpa sua. E invece le case vennero giù, che nemmeno un presepe di cartapesta, pure quando arrivò la botta di terremoto del 2017: perché poi qui la terra trema spesso e sta sui libri di storia il sisma del 1883, così feroce da far rimbalzare fino ai giorni nostri quel modo dire, non solo partenopeo, sinonimo di paura e distruzione, « È na' Casamicciola» .
Stavolta sono venti le abitazioni rase al suolo. Con prudenza, a pomeriggio inoltrato, il prefetto di Napoli, Claudio Palomba, aggiunge anche gli altri dati, da ritenersi ufficiali: i dispersi sono 11, accertato il decesso di una donna, gli sfollati sono circa 130, tredici i feriti, di cui uno grave.
Le luci delle fotoelettriche illuminano un mare che è ancora color marrone. Proprio così: dovete immaginarvi uno spaventoso mare marrone e schiumoso dentro cui galleggiano almeno dieci automobili e due pullman turistici. Il molo è inagibile. I mezzi dei soccorsi sono sbarcati a Ischia porto e da lì hanno arrancato fin quassù. Le ambulanze sono parcheggiate e hanno spento i lampeggianti. È piuttosto improbabile ci sia da correre in ospedale. Un prete con la giacca a vento nera infangata, la tonaca e una sparata di bottoni, proprio la tonaca dei preti di una volta, scende dal centro del paese e dice che invece bisogna sperare e affidarsi al volere di Nostro Signore. Poi benedice i vigili del fuoco. Si rimette lo zuccotto, accigliato borbotta che «tanto qui scontiamo sempre gli stessi peccati», e sparisce nelle tenebre.
Ischia e quelle case una sopra l’altra. «Ma qui è così da secoli». Fabrizio Roncone su Il Corriere della Sera il 27 Novembre 2022.
Dal porticciolo alla collina, viaggio nel paese colpito dove regna il fatalismo: «Non è colpa degli abusi».
I vivi cercano i morti. C’è un sole improvvisamente alto e bello senza un perché. Ha seccato il fango. Bisogna scavare piano. Adesso, qui, tutti guardiamo Totonno. È lui che manovra la ruspa. Totonno, attento, con delicatezza. Totonno, per la misericordia di Dio. Il pollice destro di quest’uomo massiccio e ruvido è una farfalla che sfiora appena la leva della ruspa: così il braccio meccanico scende dolcemente e i denti d’acciaio quasi accarezzano la melma che è diventata una crosta sulla sabbia. Porticciolo di Casamicciola, metà mattina. Il timore è che qualche corpo possa essere stato trascinato fin sulla spiaggia, oppure oltre. Laggiù, nell’acqua, ancora galleggiano una Fiat Panda e una Opel Corsa. I sommozzatori dei vigili del fuoco si immergono e vanno a controllare dentro le due automobili e sotto il pontile. Sul molo, fotografi e tigì in diretta. C’è anche la tivù tedesca.
Colpisce la sostanziale compostezza degli abitanti. Il sospetto è che ci sia un diffuso, spaventoso fatalismo. Sulla Moleskine restano dichiarazioni piene di stupore per una tragedia che ha provocato — appunto — tanto stupore. Morire perché piove. Mentre piove. Sì, e allora? È come se la maggior parte degli abitanti immaginasse, aspettasse, convivesse con la prospettiva di un simile disastro. Tutti, mentre parlano, istintivamente alzano lo sguardo verso la vetta del monte Epomeo, che la pioggia battente — l’altra notte — ha inzuppato e sbriciolato, facendo scivolare giù un fiume di detriti in burrasca.
Al bancone del bar Topless, l’unico aperto, si annusa parecchio fastidio per la storia dell’abusivismo che ha aggredito l’isola come una tigna, creando terrazze innaturali, il cemento al posto degli alberi, una casa sopra l’altra, incastrata all’altra, un presepe sbilenco che, periodicamente, tra temporali e terremoti, crolla in un fumo di macerie. Bevono un caffè, sgranocchiano una frolla, scuotono la testa: «Vi siete fissati con i condoni e sciocchezze varie. Risalga invece le strade del paese, arrivi a piazza Bagni, guardi bene in alto. Capirà cosa è davvero successo», dicono allusivi.
D’accordo: salire, vedere meglio, capire. A metà di corso Vittorio Emanuele, una signora gentile dice che dal suo balcone è possibile valutare bene larga parte della catastrofe. Fa strada dentro un vicolo stretto, arriviamo davanti a una porta: corridoio, soggiorno, terrazza chiusa su tutti i lati. Sulla destra, c’è una veranda con un’anziana seduta in poltrona: «È mia sorella, ci mancava una stanza e allora ho fatto costruire questa verandina». Scala a chiocciola, così ci ritroviamo su un ballatoio su cui affacciano due finestre: «Qui, in origine, c’era la cantina: ora l’estate ci vive mio figlio, quando viene in vacanza». Entriamo in una stanza arredata tipo sala da pranzo e, finalmente, usciamo sul balcone. Signora, perdoni: ma qui è tutto abusivo? «In che senso, tutto? Una verandina... e che sarà mai!». Creda: la favela di Salvador de Bahia, ovviamente assai più sporca, ha una struttura architettonica simile a questo pezzo di paese. «Lei sta scherzando...». No, scusi: e la cantina trasformata in appartamento? «E me lo chiama abuso? Guardi che quello, mio figlio, ad agosto si schiatta pure di caldo».
Il colpo d’occhio, in basso, è eloquente: la colata, scesa dal monte Epomeo, si è incanalata in quattro strade diverse. Una è soprannominata via della Lava. «E sa perché?» — questa è la voce di Giovanni Mattera, 65 anni, fino a pochi mesi fa comandante dei vigili urbani. Punta il dito verso la montagna: «Perché sono secoli che, da lassù, l’acqua fangosa scivola verso il mare. Però i nostri vecchi erano saggi: e avevano costruito ben tre canali di scolo, che impedivano all’acqua di stagnare, accumularsi e poi precipitare. Vede: il terreno di questa montagna non è mica diventato improvvisamente argilloso. Lo è sempre stato». L’ex comandante — «Dia retta: il problema, perciò, non è quel po’ di abusivismo che pure c’è» — si rivolge ad un suo amico, e gli chiede di mostrare le foto che ha sul cellulare: sono foto in bianco e nero, anno 1936; un lavoro di ingegneria con i fiocchi. «Purtroppo non c’è più stata manutenzione e i canali, le “briglie”, come le chiamiamo noi in dialetto, sono state sommerse dalla vegetazione. Ecco spiegato la causa del disastro».
Non solo. Ovunque il fiume di fango abbia trovato un ostacolo, e sia stato costretto a deviare la sua corsa, ha lasciato cumuli di detriti: rami secchi e rocce, ma anche scaldabagni arrugginiti, carcasse di lavatrici e frigoriferi, divani sfondati. Gli abitanti, ai piedi della montagna, avevano costruito una diga di rifiuti. Sono responsabilità che si intrecciano, difficili da conoscere, e riconoscere. L’ultima volta che lo Stato provò ad abbattere una villetta abusiva di 70 metri quadrati lungo la via Borbonica, che collega il comune di Lacco Ameno con Casamicciola, ci furono tafferugli con la popolazione, sette agenti feriti. Però se provi a ricordarlo, quell’episodio, così emblematico, ti guardano storto: proprio adesso? Sì, certo, per forza: soprattutto adesso. Mentre arriva la notizia che hanno trovato la settima vittima, ed è il terzo bambino: un neonato, questo, di 22 giorni; Giovangiuseppe Scotto Di Minico, ancora nel suo pigiamino di flanella. Non lo sapeva dov’era nato, piccolo amore. Non sapeva di dormire sotto la montagna che si scioglie, e frana, e uccide. Tre bare bianche. Nessuno speri di cavarsela con un Atto di Dolore.
Frana a Ischia, il neonato e i fratellini morti con i genitori: le storie. Fulvio Bufi su Il Corriere della Sera il 28 Novembre 2022.
Maurizio e Giovanni sono morti con il loro piccolo di 21 giorni. Il tassista e la moglie travolti con i tre figli. Ecco le storie di chi è morto travolto dal fango
Gianluca aveva portato la famiglia a vivere lassù perché lì c’era lo spazio per farci una stalla e sistemarci due muli e un cavallo che erano la sua passione. E pure dei suoi tre figli. Maurizio e Giovanna rimasero senza casa dopo il terremoto del 2017, e invece di rimettere a posto quella che era giù in piazza Maio decisero di ristrutturarne un’altra che avevano al Celario. Con l’orto intorno e la stanzetta per il bambino che era in programma già da un po’ ma era appena arrivato.
Pure Eleonora e Salvatore avevano ristrutturato un vecchio rudere, ma ci vivevano un po’ sì e un po’ no. Quando lui era imbarcato, e rimaneva in mare anche sei mesi, lei si trasferiva dalla mamma a Lacco Ameno. Adesso Salvatore non era imbarcato. Nikolinka, che qui chiamavano Nina, viveva a Berlino col suo compagno ischitano. Ma la casa aggrappata sul costone dell’Epomeo avevano voluto conservarla, e Nina c’era appena tornata per ritirare l’attestato di cittadinanza italiana, che era un suo desiderio ormai da tanti anni.
Gianluca, Maurizio, Giovanna, Eleonora, Salvatore, Nina. E poi Valentina, la moglie di Gianluca, e i loro figli, Michele, Francesco e Maria Teresa. E, ancora, Giovangiuseppe, il più piccolo di tutti, rimasto al mondo ventidue giorni, nemmeno il tempo per Maurizio e Giovanna di abituarsi a essere genitori. E c’è da contare un altro nome, il dodicesimo, che le fonti ufficiali non forniscono (così come non forniscono quelli di chi è ancora considerato disperso) e in piazza Maio, dove pure si conoscono tutti, nessuno ha certezze. Forse una parente di Giovanna, ma non è detto che sia davvero così.
Bisogna aspettare. Solo aspettare, senza più sperare. Perché il fango, come commenta un funzionario dei vigili del fuoco mentre coordina le operazioni di scavo in casa di Maurizio Scotto di Minico e Giovanna Mazzella, dove nell’arco di poche ore saranno poi recuperati i loro corpi e quello di Giovangiuseppe, non lascia scampo né superstiti. Almeno non quando precipita da una montagna e la sua furia cresce e ne viene giù tanto da sfondare le case e riempire, fino a coprirlo, quel poco che resta in piedi. Era rimasto in piedi un pezzo della stanzetta dove dormivano Francesco e Maria Teresa, che avevano undici e sei anni. Hanno trovato prima lei, poi il fratellino. Dicono che Maria Teresa indossasse un pigiamino rosa: chissà chi e come se n’è accorto, con tutta quella maledizione nera che la copriva.
Ora stanno cercando Gianluca, Valentina e Michele, il primo figlio, 15 anni. Ufficialmente sono ancora dispersi, ma in quel rudere nero che è diventata la loro casa, vita non ce n’è più: si tratta soltanto di arrivare dove altra morte è nascosta sotto tonnellate di fango. Pure il cavallo di Gianluca è morto. I muli invece no, forse le stalle erano due e ne è stata colpita una soltanto: questione di destino. Come quello che ha fatto prenotare al fratello di Gianluca una vacanza in Spagna con la famiglia proprio in questi giorni. Anche loro abitavano lì, e anche la loro casa è stata spezzata dalla valanga. Se fossero stati a Ischia, l’elenco dei morti sarebbe più lungo.
E se Salvatore Impagliazzo, il compagno di Eleonora Sirabella, non avesse rinviato l’imbarco all’anno che verrà tra poco, si sarebbero salvati tutti e due, e almeno una famiglia, la meno numerosa delle tre che la frana ha distrutto, sarebbe fuori dal conteggio più tragico. Invece lei è stata la prima a essere recuperata, lui lo cercano ancora.
Parenti e amici credevano invece che non fossero da cercare Giovanna, Maurizio e il loro bimbo piccolissimo. Il cortocircuito comunicativo delle prime ore li aveva dati prima per dispersi e poi per ritrovati vivi. Era vera soltanto la prima notizia. Ora non sono nemmeno più dispersi: li hanno trovati ieri pomeriggio. Tutti vicini, come se il fango avesse avuto almeno un minimo di pudore a sbattere Giovan Giuseppe lontano dalla mamma e dal papà.
A guardarlo ora quel tratto di montagna che nella toponomastica del comune di Casamicciola si chiama via Celario, anche se una vera e propria via non è, un senso alla scelta fatta da tutti quelli che sono andati a viverci proprio non si riesce a trovarlo. Le case erano vicine ma sparse, e la montagna era qualcosa di incombente anche prima di vomitare terreno, tronchi e detriti trascinati dall’acqua. Eppure in quelle case diventate tombe c’era la scelta di una piccola comunità di giovani famiglie di vivere vicine. A parte Nina, che era nata nel 1964 e comunque non viveva stabilmente qui, e a parte ovviamente i bambini, gli altri avevano tutti intorno ai trent’anni. Ed erano tutti amici quando non addirittura parenti, come Gianluca e suo fratello, o Giovanna che ne era la cugina. E come forse l’ultima vittima di cui non trapela il nome. Giovani famiglie, ognuna con i suoi progetti e i suoi sogni, le sue speranze. Cose semplici e normali che il fango si è portato via.
Ischia, la famiglia della casa in bilico dopo la frana: «Davanti a noi il baratro, ci siamo stretti aspettando i soccorsi». Elvira Serra su Il Corriere della Sera il 27 Novembre 2022.
In cinque hanno aspettato fuori nel viale l’arrivo dei soccorsi per un paio d’ore dentro la macchina, poi hanno cominciato a scendere a piedi. Il padre, Enzo Botta: «Era venuto tutto giù, sembrava di essere in un film, surreale»
È la casa sul burrone, una delle foto simbolo di questa tragedia annunciata che ha travolto Casamicciola a Ischia. Due piani affacciati sul mare, ancora con i panni stesi, la prova provata che chi ci abitava non si aspettava questo torrente di fango sotto i piedi. Enzo Botta alle cinque e un quarto era già in piedi, la pioggia lo stava preoccupando. La corrente elettrica era appena saltata. È andato sulla veranda della casa che ha costruito con tanti sacrifici e dove vive con la moglie Maria e i tre figli, e ha capito subito che quella che stava arrivando dal cielo era l’ira di Dio. «Allora ho chiamato tutti e gli ho detto di scendere nel viale, o almeno in quel poco che restava del viale», ha raccontato all’Ansa. Poi ha chiamato i soccorsi: «Veniteci a prendere, qui frana tutto».
Si sono salvati. Ma ricorderanno il 26 novembre del 2022 come il giorno in cui hanno scampato la morte. «I soccorsi non arrivavano e siamo rimasti fuori nel viale, dove avevamo deciso di restare dopo essere usciti tutti da casa, e ci siamo messi al riparo dentro la macchina. Eravamo sotto la pioggia tutti e cinque, ci tenevamo stretti, e lì dentro siamo rimasti per un paio d’ore, perché per i soccorritori era difficile raggiungerci: davanti a noi c’era il baratro, sembrava di essere in un film, era surreale».
Le sue ragazze hanno ventiquattro e ventuno anni, il maschio quasi dodici. Sono una famiglia luminosa, bella. Enzo ha 52 anni, Maria Acampora, sua moglie, 50. Lui fa il piastrellista, lei lavora come stagionale negli hotel. Hanno continuato ad aspettare l’arrivo dei soccorritori, mentre il fiume di melma si ingrossava sotto il loro occhi consumandogli la terra sotto i loro piedi e lo strapiombo prendeva forma davanti alla loro casa. Ma ancora non arrivavano. Il Monte Epomeo intanto veniva giù con la pioggia. «Ci siamo stretti restando uniti, intanto vedevo il vuoto attorno a me», è andato avanti Botta.
Infine ce l’hanno fatta, praticamente da soli. Quando la pioggia ha dato tregua sono scesi dall’auto e hanno cominciato a scendere a piedi, Enzo al telefono mandava informazioni su quello che vedeva. A metà strada lui e la sua famiglia hanno incontrato gli uomini della protezione civile e hanno proseguito insieme, dirigendosi prima al Palazzetto dello Sport di Forio, per lo smistamento, poi all’Hotel Michelangelo, dove avevano cominciato a dirottare gli sfollati. Dopo ventiquattr’ore la famiglia Botta ha lasciato l’albergo ed è andata a casa di amici: adesso torneranno soltanto per riprendersi le loro cose.
Dal Covid alle frane, se la natura sfida l’intelligenza umana. Il delitto più grave è l’inadeguatezza a guidare una palingenesi del sociale. Gino Dato su La Gazzetta del Mezzogiorno il 27 Novembre 2022
Non ci sono dubbi né esitazioni: è una sfida totale all’intelligenza quella che l’uomo deve affrontare quando l’imprevedibile prende il sopravvento, come è accaduto a Ischia, nel declinare la tragedia e la distruzione.
La cornice storica non è delle più incoraggianti. Prima la pandemia, che ha chiamato in gioco la sorte, ma anche la capacità delle scienze e della medicina di costruire delle barriere solide al dilagare del contagio. Poi la guerra fratricida, che ha messo a dura prova la capacità dell’uomo di produrre humanitas e di capire dove volgono la barra i prepotenti del mondo. Ma se è la natura a lanciare segnali forti, la questione non è solo quella di inventare la terapia o la pace salvifiche, ma di sovvertire gli strumenti di analisi e di intervento.
Perché non siamo più in grado di prevedere ciò che esplode con una furia inarrestabile? Quante sono e saranno le Ischia che sconvolgeranno un paese che si sforza di essere normale? Analisi, previsioni, rimedi. Gli scienziati sociali dovranno pur spiegare alla gente comune che cosa si è interrotto nella concatenazione logica fra i tre elementi che caratterizzano l’indagine degli uomini sul reale, sia questo costituito dai fenomeni fisici o da quelli morali, e la capacità conseguente di intervenire.
Non funzionano le analisi perché non sappiamo più indagare? Oppure le previsioni non sanno anti vedere e prevenire? O i rimedi non rimediano più? Vediamo: la questione è mal posta. Dovremmo dire meglio: le analisi servono a prevedere quel che serve a rimediare, appunto a modificare una condizione. Se il buon senso ci aiuta e ci soccorre, le crisi che investono il corpo sociale ma anche l’ambiente sembrano offrirci la dimostrazione di questo fallimento dell’uomo.
L’impressione è che, nella concatenazione analisi-previsioni-rimedi, l’atteggiamento adottato sia assai simile allo strumentario che si impiega nei confronti dei fenomeni fisici ed atmosferici, dove assistiamo ormai da anni a un vagolare dell’uomo di fronte all’imperversare dei cataclismi, eventi improvvisi che sconvolgono l’ambiente e che lasciano l’uomo fuori del controllo, frustrato nella sua incapacità di porre argini efficaci. E ancor più colpevole se non ha messo in atto fino a quel momento il rispetto e la tutela dell’ambiente.
Fuori da ogni strategia e schieramento, il fallimento convoca sul banco degli imputati una serie di scienziati e di ruoli sociali, in una vasta gamma che trascorre dai sociologi agli economisti ai politici. I primi appaiono ormai incapaci persino di descrivere gli umori reali e i comportamenti privati e pubblici di una società in movimento, che trasmigra e che è liquida, come dice il sociologo Bauman, tanto per richiamarci alle metafore di mutamento che caratterizzano le più recenti ricerche.
Ma anche gli economisti falliscono e vagolano nel buio, non solo perché l’econometria è arida ma soprattutto perché non hanno la capacità di leggere nei bisogni, al di là del puro scambio tra domanda e offerta, tra ricchezza e povertà, i moti dell’animo, le pulsioni che imprimono un altro percorso alla storia. E neanche i pedagogisti, nonostante i saperi verdi, riescono a concepire una pedagogia della crisi.
Abbiamo lasciato per ultimi i politici perché, non appartenendo alla categoria degli scienziati, che dovrebbero avanzare provando e riprovando, qui, nella loro categoria, si compie il delitto forse più grave, quello che attiene alla incapacità appunto di saper guardare avanti e innovare: attraverso le analisi, le previsioni, la scelta di misure alternative, la capacità di costituirsi in classe dirigente che additi percorsi virtuosi al disordine di valori e di mete che l’atomo individuale ormai persegue esclusivamente per i suoi fini personali.
Il delitto più grave diventa allora proprio l’inadeguatezza a guidare una palingenesi del sociale.
IL PAESE SPEZZATO. LA TRAGEDIA DI ISCHIA E IL CONTO CIVILE CHE PAGA IL SUD PER TITOLO QUINTO E ASSISTENZIALISMO. ROBERTO NAPOLETANO su Il Quotidiano del Sud il 26 Novembre 2022.
C’è un carico pesante di responsabilità che appartiene alle colpe sistemiche di una politica che ha scelto la frammentazione decisionale. Con la riforma del titolo quinto e con il finto federalismo che ne è conseguito si è tolto un ruolo che è proprio dello Stato facendo venire meno il presidio centrale che esprime la coscienza di un Paese. Si sono fatti due pesi e due misure con la spesa pubblica incentivando gli egoismi e aumentando le inefficienze a livello regionale. Si sono cancellati gli investimenti in conto capitale per manutenere i territori assorbendo tutte le risorse con un assistenzialismo irresponsabile unico al mondo. Che non ha nulla di gratuito come ripete una disgustosa retorica visto che carica sulle spalle dei cittadini centinaia di miliardi di nuovo debito pubblico e sottrae ogni anno decine di miliardi sia agli interventi di manutenzione sia di sistemazione dei dissesti strutturali accumulatisi nell’arco degli ultimi due decenni.
Bisogna fare i conti con la realtà in modo crudo fuori dall’emozione e dalle solite polemiche. Perché solo così si può cominciare a operare perché nell’arco di un decennio sia almeno attenuato il tasso di rischio di dissesto idrogeologico di territori sempre più estesi del nostro Paese a partire dal Mezzogiorno. Bisogna avere il coraggio di dire la verità e di essere conseguenti nei comportamenti rispetto a questa verità. Per evitare se non altro che lo strazio di nuove vite umane e lo sgretolamento di quello che fu il Bel Paese siano accompagnati da una retorica nazionale insulsa che rasenta la stucchevolezza. Non ne possiamo più delle lacrime del giorno dopo.
Non ne possiamo più della solidarietà tanto sincera quanto impotente. Dietro la frana di detriti e di acqua di Casamicciola e una speculazione abusiva che dilaga incontrollata ci sono responsabilità che appartengono al rispetto delle regole e a un senso gravemente affievolito dello spirito di legalità, ma molto prima e in misura infinitamente superiore c’è un Paese spezzato con il suo carico pesante di responsabilità. Appartengono alle colpe sistemiche di una politica che ha scelto la frammentazione decisionale. Ha fatto due pesi e due misure con la spesa pubblica grazie a un finto federalismo. Ha cancellato gli investimenti in conto capitale per manutenere i suoi territori decidendo di fare assorbire tutte le risorse disponibili da un assistenzialismo irresponsabile unico al mondo.
Questo assistenzialismo non ha nulla di gratuito come una disgustosa retorica ripete a ogni piè sospinto visto che carica sulle spalle dei cittadini centinaia di miliardi di nuovo debito pubblico e sottrae ogni anno decine di miliardi da destinare sia agli interventi di manutenzione ordinaria del paesaggio sia di sistemazione di tutti i dissesti strutturali accumulatisi almeno nell’arco degli ultimi due decenni. Punto primo. Si deve avere il coraggio di affermare solennemente e pubblicamente che con la riforma del titolo quinto e del finto federalismo italiano che ne è conseguito si è tolto un ruolo che è proprio dello Stato e della sua responsabilità facendo venire meno il presidio centrale che nel bene e nel male esprime le sensibilità e la coscienza di un Paese prima ancora di uno Stato. Quanto meno questa coscienza si è spenta, si è affievolita, perché si è deciso di affidare tutto a Regioni e provveditorati facendo figli e figliastri e moltiplicando distorsioni e negligenze.
Nella riforma del titolo quinto e nel regionalismo del federalismo all’italiana che toglie ai poveri per regalare assistenzialismo ai ricchi ci sono le impronte di questo disastro collettivo.
Punto secondo. Alla luce di tali ripetute tragedie sarà più chiaro a tutti perché questo giornale ha condotto dal suo primo giorno di nascita la battaglia dei livelli essenziali di prestazione e dei diritti di cittadinanza negati attraverso il marchingegno della spesa storica.
Se si è deciso con il paravento di una finta devolution di sottrarre decine e decine di miliardi l’anno alle popolazioni meno ricche per darle a chi sta meglio, nella scuola come nella sanità, nella tenuta dei territori come nel trasporto pubblico locale, nell’Università come nella ricerca, le conseguenze sono di un Paese che non solo si è fermato, ma si è sgretolato al suo interno facendo tracimare coscienza nazionale e spirito di coesione. Questa rovina italiana che è la più grande vergogna civile, prima che economica, della nostra comunità va sanata in radice. Si è presa una strada sbagliata, oltre che immorale, e ora bisogna ripercorrerla a ritroso.
Punto terzo. Bisogna tornare a fare spesa in conto capitale e ad avere la capacità di farlo. La partita della gestione dei fondi europei, non solo Piano nazionale di ripresa e di resilienza, è stata saggiamente affidata nelle mani di un solo ministro e di un solo dicastero. Questa scelta è la premessa giusta per un cambiamento di rotta non più procrastinabile e ne parleremo bene domani. Perché sul campo da gioco cruciale della crescita e della riduzione delle diseguaglianze quello dei fondi europei è il solo capitale vero di cui disponiamo. Qui oggi, però, ci preme sottolineare altri due elementi imprenscindibili.
Chi sostiene che prima delle grandi opere bisogna fare la manutenzione, ignora che le grandi opere pensano costitutivamente al dissesto idrogeologico perché devono strutturalmente fare sempre opere di bonifica. Non fare le grandi opere significa non fare né le une né l’altra. Secondo elemento. Un Paese come il nostro che ha il debito pubblico che ha non può permettersi di spendere 27 miliardi l’anno tra quota 100 e dintorni per le pensioni, bonus 80 euro e reddito di cittadinanza e buttare una tantum oltre 40 miliardi consentendo ai ricchi di rifarsi le case senza essere percorso da un brivido che scorre lungo la schiena e mette a nudo una coscienza nazionale e uno spirito di solidarietà scomparsi con la riforma del titolo quinto e il trionfo dei miopi egoismi territoriali che ne è conseguito. Non è pensabile di buttare 70/80 miliardi l’anno nei giorni della grande crisi geopolitica e economica per fare assistenzialismo e prendere in giro gli italiani che tutto avviene gratuitamente. No, perché nel maxi buco immorale del superbonus edilizio grillino non c’è solo il debito che pagheranno i nostri figli, ma anche i soldi del bilancio pubblico italiano che oggi non ci sono per manutenere i territori.
Ischia, chi era Eleonora Sirabella. Lei e il marito separati dall’onda nera, la loro casa non c’è più. Michele Bocci su La Repubblica il 27 novembre 2022.
Suo l'unico corpo trovato e identificato. Lavorava come commessa. I dispersi
L'unico corpo recuperato fino ad ora dal fango di Ischia è quello di Eleonora Sirabella, 31 anni. Abitava con il marito Salvatore Impagliazzo, ancora disperso, nella zona di Rarone, cioè nella parte alta di Casamicciola, non molto sotto al punto dal quale si è generata la frana. La loro casa è stata travolta dal fango e il suo corpo sarebbe stato trascinato per un centinaio di metri, fino a piazza Maio, dove poi è stato ritrovato. Lavorava come commessa, il marito è imbarcato sulle navi. I soccorritori hanno trovato il cadavere nel primo pomeriggio.
"Mi hanno mostrato la borsa per vedere se la riconoscevo. Il volto no, mi hanno detto che non proprio era il caso di farmelo vedere", racconta il parroco dei Casamicciola, don Gino Ballirano, che in quanto punto di riferimento della comunità ha collaborato per tutto il giorno con i soccorritori, aiutandoli a verificare i nomi dei dispersi e indicando gli abitanti delle palazzine maggiormente danneggiate dal fango.
Sempre a Rarone, in una casa molto vicina a quella di Eleonora Sirabella e del marito, abita una famiglia di cinque persone che non dà notizie da ieri mattina. Gianluca Monti, Valentina Castagna, due trentenni, hanno tre figli, la più piccola dei quali ha 6 anni. Si teme il peggio. La coppia in passato aveva gestito un banco di frutta e più di recente il marito stava lavorando come cuoco e la moglie stava a casa a crescere i figli.
Una delle persone disperse sarebbe una immigrata bulgara. Nikolina Blagova detta Nina. Ha 58 anni e proprio giovedì scorso è diventata cittadina italiana. Il compagno si trova all'estero, a Berlino, e lei dopo essere stata con lui in Germania fino a un paio di settimane fa, era tornata a Ischia per fare la carta di identità. L'idea era quella di ripartire e tornare dal suo uomo, originario di Ischia. In passato aveva fatto la badante per alcuni anziani dell'isola.
Michele Serra per “la Repubblica” il 27 novembre 2022.
Nel Tg2 delle 13 di ieri, ovviamente, l'apertura era la tragedia di Ischia. Dopo il servizio (ottimo) dell'inviato è andata in onda una impressionante sfilza di dichiarazioni e tweet di quasi tutti i ministri del governo Meloni. Quelli interessati all'accaduto (ovvero, quelli le cui parole avevano rilievo giornalistico) sono, se non erro, due: Interni e Ambiente. Oltre alla presidente del Consiglio.
Tutti gli altri, che accidenti c'entravano? Con quale diritto, e quale titolo, dichiaravano? Terminata l'assurda sfilza delle parolette governative, ministro per ministro, il Tg2, incredibile ma vero, ha pensato di dare un poco di spazio anche alle reazioni politiche: nuova sfilza di dichiarazioni dei capigruppo dei partiti, compresi, in coda, quelli di opposizione.
Lascio immaginare al lettore il palpitante interesse delle frasi di circostanza spese da ministri e onorevoli. Si andava dal commosso cordoglio all'urgenza dei soccorsi. Un portalettere, una cantante lirica, un geometra avrebbero potuto commentare l'accaduto con identica genericità.
Ci si domanda: posto che un tigì è un giornale, che rapporto, anche vago, hanno questi rosari di parole di circostanza con il giornalismo? Ve lo dico io: nessun rapporto. E a proposito di ministri, se avesse ragione Valditara quando elogia l'umiliazione come esperienza formativa, la Rai ne uscirebbe super formata, perché super umiliata da decenni di asservimento alla politica.
Uno dei pochi veri segni di cambiamento di questo Paese sarà il giorno che alla Rai diranno ai tirapiedi dei ministeri e dei partiti: guardi, richiami domani che qui stiamo lavorando, e il nostro lavoro non è uguale al vostro.
Un fiume di fango travolge Ischia. Una donna morta, 11 dispersi e 13 feriti. In 130 senza casa. Una notte di pioggia record: 126 millimetri in sei ore. Il monte Epomeo viene giù come 13 anni fa e porta con sé automobili, alberi, detriti. Abitazioni isolate, i sindaci: "Non uscite". Salvini annuncia: "Otto vittime", poi smentito. Andrea Cuomo il 27 novembre 2022 su Il Giornale.
La banalità del Male è che si presenta sempre negli stessi modi e negli stessi posti, approfittando del fatto che l'uomo dimentica e trascura. Era novembre nel 2009 quando la montagna sopra Casamicciola Terme, nel Nord dell'isola d'Ischia, franò portandosi via ogni cosa trovasse sulla sua strada. Morì una ragazza, di quattordici anni. Ed è novembre ora, e contiamo i danni e le vittime della montagna venuta giù di nuovo. E il bilancio potrebbe essere assai più grave di tredici anni fa. Mentre scriviamo a referto è finita una sola vittima, una donna dell'Est Europa sposata a un ischitano. Ma ci sono undici dispersi, caselle vuote di una contabilità che riga dopo riga, minuto dopo minuto, rischia di appesantirsi. E tredici feriti, uno dei quali, un sessantenne, è grave.
Il mare è marrone e gonfio di dolore al porto di Casamicciola. In poche ore la montagna ha rovesciato in acqua tonnellate di fango, alberi e detriti. Sul lungomare sono accatastate molte vetture e anche due pullman turistici che sembrano giocattoli di un bambino arrabbiato. Tutto inizia a mezzanotte, quando sull'isola prende a scendere una pioggia cattiva, da fine del mondo. Centoventisei millimetri in sei ore, un dato record secondo il Cnr. Alle 5 un boato sveglia chi dorme e fa tremare chi è sveglio a guardare il cielo. Sono le pendici del monte Epomeo che cedono nella parte che sovrasta la parte alta di via Celario e che portano giù auto in sosta e in transito fino al lungomare in piazza Anna De Felice, dedicata, per sarcasmo della sorte, alla vittima dell'alluvione di tredici anni fa. L'impetuoso fiume di fango scende rapido verso piazza Maio e poi lungo via Pio Monte della Misericordia, un nome che sembra una preghiera inascoltata. Si porta via anche pezzi di case, come quella di una famiglia, madre, padre, il figlio neonato. Poi con le ore il numero dei dispersi sale, fino ad arrivare a undici. Don Gino Ballirano, il parroco di Santa Maria Maddalena, batte il paese metro per metro, casa per casa, e fa la conta di chi c'è e chi non c'è. Alcuni li incontra, altri rispondono alle sue chiamate, molti no, ma «il telefono non funziona bene», dice lasciando al fato una speranza per insufficienza di prove. Poi, in tarda mattinata, in piazza Maio, viene recuperato un corpo, è la prima vittima: si tratta di una donna originaria dell'est Europa e sposata a un uomo residente sull'isola, il nome non viene reso noto. Il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini si lascia scappare che ci sono «otto morti» e viene rimbrottato dal capo della Protezione Civile Fabrizio Curcio («ci sono i numeri della Prefettura per evitare confusione»), ma la verità è che tutti temono che abbia ragione il ministro.
I sindaci dei sei comuni dell'isola emanano un'ordinanza congiunta per invitare i cittadini a non lasciare le loro abitazioni, per non correre pericoli inutili e per non intralciare i soccorsi. Soccorsi che se la devono già vedere con il maltempo, con le strade ostruite dalle automobili, con il mare forza nove che rende quasi impossibile l'arrivo delle navi che trasportano i mezzi pesanti per gli interventi. La macchina fatica a mettersi in moto ma alla fine parte. Nel pomeriggio sono duecento le persone impegnate a cercare i dispersi, a pulire le strade, ad assistere i sopravvissuti e le decine di sfollati, 130 persone che potrebbero aumentare se risponderanno all'appello del prefetto Claudio Palomba che li invita a lasciare le loro abitazioni e che finiscono alcuni nel palazzetto dello sport e altri ospiti delle stanze messe a disposizione dagli albergatori dell'isola. Ci sono mezzi dell'esercito, elicotteri, bob cat, cani dell'unità cinofila, droni. E tanti uomini che non dormono e non si riposano, angeli sporchi di fango.
Ischia è in lacrime, sospesa tra paura e la speranza che si ripeta il prodigio del terremoto del 2017, quando tre bambini furono ritrovati vivi dopo molte ore trascorse sotto le macerie. In serata una famiglia è ritrovata viva e spunta un sorriso stiracchiato. Sperare e scavare. Scavare e sperare.
Ischia è stanca di pagare il conto a una natura matrigna e a un territorio estenuato dall'incuria, dalla sovrappopolazione, dall'edificazione selvaggia, da interventi promessi e mai portati a termine. Il sindaco di Ischia, Enzo Ferrandino, parla di «tragedia». Il sindaco dell'area metropolitana di Napoli, che comprende anche le isole dell'arcipelago campano, Gaetano Manfredi, ricostruisce una giornata angosciante: «Abbiamo fatto un grande sforzo in mattinata per imbarcare le persone di soccorso su navi straordinarie partite da Napoli e Pozzuoli, anche per portare mezzi pesanti sull'isola. C'era un mare forza nove, è stata una situazione drammatica senza la presenza dei tanti vigili del fuoco e uomini della Protezione Civile necessari, che non riuscivano a raggiungere l'isola». Interviene anche il presidente della regione Campania, Vincenzo De Luca, per invocare «lo stato di emergenza per l'isola di Ischia e i territori colpiti da questi eventi atmosferici disastrosi».
Oggi è domenica, non è un giorno di festa a Ischia.
Ischia, una Pec con l'allerta spedita (e ignorata) martedì. Le falle del "Codice appalti". Pasquale Napolitano il 28 Novembre 2022 su Il Giornale.
Pareri, stazioni appaltanti, commissari, ricorsi (contro ricorsi) all'Anac (Autorità per l'Anticorruzione), Autorità di bacino: la burocrazia avrebbe la sua quota di responsabilità nel disastro di Casamicciola
Pareri, stazioni appaltanti, commissari, ricorsi (contro ricorsi) all'Anac (Autorità per l'Anticorruzione), Autorità di bacino: la burocrazia avrebbe la sua quota di responsabilità nel disastro di Casamicciola. Quel pezzo del Monte Epomeo che sabato all'alba si è staccato, travolgendo case e famiglie, poteva essere messo in sicurezza con un codice appalti snello e veloce.
«Ma purtroppo - racconta al Giornale una fonte della Prefettura di Napoli assegnata alla task force dei soccorsi con l'attuale normativa, che regola gli appalti pubblici, è praticamente impossibile portare a termine un progetto di messa in sicurezza delle zone a rischio sul territorio di Ischia e Casamicciola».
I soldi ci sono. Le opere sono finanziate. Ma l'iter è lunghissimo. Stiamo parlando di interventi di messa in sicurezza pianificati dopo l'ultima alluvione nel 2009: tredici anni persi tra lacci, lacciuoli e rimpallo tra enti. Una giungla. Un inferno di competenze. Sarebbero - a quanto risulta al Giornale - almeno tre i progetti finanziati (due nel 2010 e uno nel 2018) che avrebbero evitato morti e distruzioni ma rimasti inattuati. Ma dalla ricostruzione di cui è venuto in possesso il Giornale emerge un altro passaggio decisivo: il 22 novembre, quattro giorni prima della tragedia, il sindaco della Città Metropolitana Gaetano Manfredi e il prefetto di Napoli Claudio Palomba sarebbero stati allertati con una Pec a firma dell'ingegnere Giuseppe Conte, ex sindaco di Casamicciola, dell'imminente pericolo. Pericolo che avrebbe investito anche l'ospedale dell'isola nella zona del vallone della Rita. Ma sarebbe stato praticamente impossibile intervenire per mettere in sicurezza il monte e gli alvei. L'unica cosa da fare sarebbe stata l'evacuazione.
Stiamo parlando di progetti, finanziati e mai portati a termine, che risalgono al 2010. Il primo è un'opera da 180mila euro finanziata dal commissario di governo Mario De Biase nel 2010 per la messa in sicurezza e la bonifica degli alvei di Casamicciola. Un flipper di competenze e passaggi, arrivato fino a oggi, ha bloccato l'avvio dei lavori. Una rincorsa durata dodici anni. Ecco l'infernale sequenza: dal governo la competenza è stata trasferita alla Regione. Dalla Regione al Comune di Casamicciola. Ad oggi quei 180mila euro, che avrebbero contribuito a ridurre i rischi, sono spariti senza alcun intervento. Il secondo progetto risale sempre all'anno 2010: si tratta di un progetto analogo, finanziato dal ministero dell'Ambiente: 2 milioni e 100mila euro per intervenire sul dissesto dell'isola. La competenza della realizzazione dell'opera fu trasmessa all'Autorità di bacino. E infine al Comune. Risultato? Il progetto è rimasto inattuato. Il terzo è più recente: 2018. Un milione e 100mila euro stanziati dalla Città Metropolitana nel 2018 per la sistemazione degli alvei e la messa in sicurezza del costone. Nulla è stato fatto.
Una tragedia figlia dell'irresponsabilità. Ma anche dell'inferno creato con l'attuale codice degli appalti. Un codice che risente molto dei vincoli imposti dall'allora ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. All'epoca la Lega spinse per alleggerire le procedure. Ma nulla: il fronte giustizialista fu irremovibile, imponendo una stretta che poi alla lunga si è abbattuta sulla velocità di lavori importanti. Il ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini promette di accelerare la riforma del codice degli appalti pubblici. C'è già una legge delega. Che però scade nel marzo del 2023.
"Si poteva prevenire". Ischia, l'allarme inascoltato dalla politica. Gli esperti da decenni avvertivano dei rischi idrogeologici legati a quell'area. "Cattiva gestione del territorio". Ma De Luca, presidente di Regione dal 2015, se la prende con Salvini. Marco Leardi il 26 novembre 2022 su Il Giornale.
"Si poteva prevenire". Forse addirittura evitare. Gli esperti ora lo sussurrano con un certo avvilimento. Quasi sottovoce, per non urtare la disperazione di chi è stato colpito dall'ennesima tragedia annunciata. A Ischia bisognava intervenire per tempo e in molti lo sapevano: ripeterlo ora, mentre i soccorritori stanno liberando l'isola dal fango e dai detriti, fa doppiamente male. Eppure l'allarme sui rischi idrogeologici di quel territorio era stato lanciato più volte. I geologi erano stati chiarissimi: per mettere in sicurezza l'area - da decenni martoriata da fenomeni analoghi - serviva un "piano di grossa portata". Ma il lamento di Cassandra non è stato ascoltato dalla politica.
"La frana si poteva prevenire"
"La frana che si è verificata a Casamicciola si poteva prevenire, se fossero stati effettuati studi sul territorio che avrebbero consentito di rilevare una possibilità di innesco di questi eventi. Si poteva prevenire inoltre evitando di costruire o una volta costruito, sistemando il versante", ha spiegato all'Huffpost Micla Pennetta , docente di Geografia Fisica e Geomorfologia all'Università Federico II di Napoli. E ancora: "Nella zona in cui si è verificata la frana non bisognava costruire, c'è stata una cattiva gestione del territorio anche dopo la grande alluvione del 2009". Già, perché l'area interessata dalla frana era stata colpita dal fango anche in passato. Proprio con modalità analoghe e con episodi altrettanto disastrosi.
La strumentale polemica di De Luca
Nel 2006, sempre a Casamicciola, una frana si staccò dal Monte Vezzi, riversando un fiume di acqua e terra sulle zone sottostanti. Morì un'intera famiglia. Nel novembre 2019, un nubifragio travolse una ragazza di 14 anni, Anna De Felice. Anche allora si parlò di prevenzione, di lotta all'abusivismo edilizio, di interventi necessari. Ma nulla cambiò davvero. In quella fase alla guida della regione c'era già Vincenzo De Luca, presidente poi confermato per un secondo mandato tutt'ora in corso. Sotto la guida del governatore di sinistra, che oggi ha chiesto lo stato d'emergenza per Ischia e per i territori colpiti, non si ricordano però interventi risolutivi o battaglie in prima linea per la messa in sicurezza di quelle zone. In questo senso, sono sembrate fuori luogo le polemiche sollevate nelle scorse ore proprio dall'esponente Pd contro Salvini e contro chi "storicamente ha difeso ogni forma di abusivismo". Non ci saremmo aspettati un'autocritica, ma almeno un maggior contegno sì.
Gli interventi mai realizzati
E pensare che un allarme sulle condizioni precarie del territorio ischitano era stato lanciato nel 2010 dal professor Franco Ortolani, docente universitario di Geologia. "È chiaro che per mettere in sicurezza un’area del genere è necessario un intervento di grossa portata per un territorio che è soggetto per la sua conformazione ad eventi del genere", affermava il geologo, spiegando che sull'isola di Ischia "gli eventi legati a forti acquazzoni si possono ripetere". E così, purtroppo, è accaduto. Anche in quel caso però la politica tutta si dimostrò poco solerte nell'ascoltare il monito degli esperti, suffragato peraltro dal ripetersi di analoghe calamità.
Tra le zone più colpite nella recente frana a Casamicciola ci sono state peraltro piazza Bagni, piazza Maio e Rarone. E proprio di Piazza Bagni già nel 2010, aveva parlato il professor Ortolani. Il geologo sosteneva infatti quanto fosse sbagliato il fatto che l'area non fosse stata individuata come zona di pericolo dal Comprensorio di Bacino. In molti oggi dovrebbero spiegare come mai in dodici anni non è cambiato nulla, o quasi.
Giovanni, il salvataggio diventa simbolo. Ansia per chi non si trova, gara di solidarietà. L'uomo è rimasto aggrappato a una finestra per ore: sta bene. In salvo anche un neonato, sfollati negli alberghi. Raccolte coperte e indumenti pesanti. Matteo Basile il 27 novembre 2022 su Il Giornale.
Ricoverato in ospedale, in buone condizioni, probabilmente ignora di essere diventato il simbolo di questa tragedia che ha colpito Ischia. L'ennesimo manifesto di incuria e superficialità misto alla fatalità della mano della natura. Giovanni è stato salvato dai soccorritori dopo essere rimasto aggrappato alla persiana di una finestra per ore. Ricoperto di acqua e fango, al freddo, in attesa di qualcuno che lo salvasse. «L'uomo di fango» è stato ribattezzato, diventando al tempo stesso l'immagine vivente di una tragedia ma anche un simbolo di speranza. Quella mista a disperazione che ha accompagnato l'attività di soccorso in tutta la giornata e la nottata di ieri.
Subito dopo la frana, Giovanni era corso dal figlio e dalla nuora per aiutarli ma non è mai arrivato. Appena uscito di casa è stato travolto e completamente sommerso dal fango, trovato dai soccorritori poco dopo l'alba. «Cerca di tenere i piedi a terra, reggiti a qualcosa. Due minuti e siamo da te», gli dicevano. Lo hanno preso di peso e portato in ospedale in stato di ipotermia ma senza ferite gravi. Quasi un miracolo, che dà un po' di speranza. Quella che si è spenta per una donna la cui identità non è ancora stata svelata. Di origine est-europea, era sposata con un uomo dell'isola. Il fiume di acqua e fango l'ha travolta e per lei non c'è stato nulla da fare. Irriconoscibile per i soccorritori, è l'unica vittima accertata in una giornata in cui numeri e notizie sono stati forniti e smentiti a stretto giro di posta nel corso delle ore. Undici persone sono ancora disperse, i lavori di vigili del fuoco e uomini della protezione civile continuano senza sosta nella speranza di trovarli. Con il pensiero positivo che magari qualcuno inserito nella lista dei dispersi abbia invece trovato un luogo sicuro. «Una notte impegnativa per tutti coloro che si alternano al prosieguo delle attività urgenti», ha confermato il capo del Dipartimento di Protezione civile Fabrizio Curcio. «Le ore notturne di certo non aiutano, ma si lavora comunque con i fari», ha aggiunto.
Quel che è certo è che nella tragedia, ancora in divenire, ci sono anche storie che regalano speranza. Tratto in salvo il nucleo familiare, tra cui un neonato, che in prima battuta, nella concitazione dei momenti, era stato dato per deceduto. Per fortuna, padre, madre e il piccolo stanno bene. Tredici le persone ferite e ricoverate in ospedale. L'ansia è per i dispersi, tra cui ci sono sicuramente una 25enne e una famiglia composta da padre, madre e due bambini che vivono nella zona interessata dalla frana nel centro di Casamicciola. Anche due immigrati che lavorano in un'attività commerciale della zona sono irreperibili da ieri e i loro telefonini squillano a vuoto. La speranza è appunto che tutte queste persone abbiano trovato un rifugio e non siano stati in grado di comunicarlo alle forze dell'ordine. Oggi, con la luce del giorno e sperando in condizioni meteo migliori, si saprà di più. Di «tragedia collettiva e individuale in divenire» ha parlato don Gaetano Pugliese, attivo da subito per prestare i primi soccorsi ai suoi parrocchiani. «Ha iniziato a piovere fortissimo però eravamo tranquilli. Alle 3 ho sentito il primo boato e un rumore forte, come quando c'è un incidente d'auto. La frana. E dopo la prima, ecco un'altra frana verso le 5. Una cosa impressionante, forse peggio dell'alluvione del 2009 e tremendo quanto il terremoto del 2017», ha raccontato Lisa Mocciaro, illustratrice di libri per bambini, rimasta ostaggio nella sua abitazione risparmiata dalla colata di fango.
Dai primi momenti successivi alla tragedia è scattata un'autentica gara di solidarietà in paese per aiutare chi è stato costretto ad abbandonare la propria abitazione per evitare ulteriori rischi. Sono 130 circa gli sfollati che hanno trovato riparo prima nel palazzetto dello sport per poi essere suddivisi in diversi alberghi dell'isola che hanno immediatamente dato disponibilità. Raccolte anche coperte e indumenti pesanti per proteggersi dal freddo della notte. Una notte scura come il fango che invaso Ischia. Una notte lunghissima. Di lavoro, di rabbia e di disperazione. Ma anche di speranza.
"Disastro per mancanza di pianificazione". Per la sottosegretaria la messa in sicurezza deve seguire la scienza, non la politica. Lodovica Bulian il 27 novembre 2022 su Il Giornale.
«Purtroppo di fronte a questa tragedia non ci sono parole. Non posso che esprimere tutta la mia vicinanza alle vittime e alla comunità. Non posso che pregare per chi non c'è più e perché si riescano a soccorrere i dispersi», dice la sottosegretaria alla Transizione ecologica, Vannia Gava.
Di nuovo Ischia, di nuovo l'isola colpita con questa violenza.
«È chiaro che questa è l'ennesima tragedia figlia di una fragilità del nostro territorio, la pericolosità riguarda la stragrande maggioranza del paese. Il 90 per cento dei comuni sono a rischio dissesto idrogeologico».
Com'è possibile che non si riesca a prevenire questi eventi soprattutto in territori già colpiti in passato?
«Ancora una volta ci troviamo di fronte a un disastro per una grossa mancanza di pianificazione. Quando ci sono eventi del genere ci diamo sempre dei grandi stimoli a parole, ma poi quando si tratta di metterle in pratica con azioni concrete ci si perde nei lacci della burocrazia».
Da dentro il ministero, a che punto è la messa in sicurezza dei territori?
«È stata fatta una mappatura delle aree più pericolose e abbiamo ridotto di molto il rischio, ma ora dobbiamo valutare le priorità degli interventi. Soprattutto però queste priorità dobbiamo farle gestire a delle figure tecniche».
Perché ora come funziona?
«Ora il sistema funziona così: lo Stato manda i soldi alle Regioni e ai comuni in base a una piattaforma che si chiama Rendis, dove vengono inserite tutte le richieste di finanziamento per interventi di difesa del suolo. Parliamo comunque di interventi tutti da fare, ma dobbiamo dare delle priorità e iniziare dai territori che hanno un'urgenza più elevata. E mi faccia dire, le Regioni insieme alle autorità di distretto devono continuare ad aggiornare i piani regionali per le grandi alluvioni perché sono strumenti indispensabili».
Perché le Regioni non aggiornano i loro piani?
«Si fa sempre una gran fatica a farlo aggiornare perché pongono delle limitazioni alle nuove edificazioni. Capisco che qualche amministratore si indispettisce perché magari alcune edificazioni fatte in passato ora non si possono più fare. C'è ancora purtroppo questa mentalità per cui tanto lì non è mai successo niente", ma con questi cambiamenti climatici e questo livello di rischio certi ragionamenti non sono più accettabili».
Qual è la strada?
«L'unica strada possibile è la pianificazione per una messa in sicurezza del Paese nel caso di bombe d'acqua dovute ai cambiamenti climatici, seguendo la scienza e non la politica».
Perché parla di politica?
«Perché le decisioni di pancia che sono state prese in passato su basi del tutto ideologiche e non scientifiche, criteri che in questo campo non vanno più tollerati».
I geologi parlano di tragedia annunciata in quel territorio così facile e colpito da altre alluvioni e dal terremoto.
«Purtroppo sì. Per questo si deve rafforzare il ruolo delle autorità di bacino distrettuali, necessarie per il monitoraggio del suolo e la verifica della sicurezza».
A Ischia era venuto alla luce il fenomeno dell'abusivismo edilizio che ha reso ulteriormente fragile la struttura idrogeologica dell'isola.
«In passato sono stati fatti tanti danni e non dobbiamo ripetere gli stessi errori. Ma il problema è più generale. Le tragedie sono successe anche dove non c'è la piaga dell'abusivismo».
I fondi del Pnrr dovrebbero accelerare la messa in sicurezza del Paese?
«Nel Pnrr ci sono fondi per il monitoraggio ambientale, ma sono risorse che andranno potenziate è chiaro che ci sono tutta una serie di cose da fare. Ora verificheremo la possibilità di utilizzare fondi Fsc per interventi nel breve termine».
Perché quel territorio colpito già da altre tragedie in questi anni non è stato tutelato? Ci sono delle responsabilità?
«È troppo presto per parlare di responsabilità. Quando sarà il momento, a bocce ferme, si affronterà anche questo».
Quel condono targato Conte e i progetti esclusi dal Pnrr. Il governo nel 2018 ha chiuso un occhio sugli abusi edilizi. Due piani "ammissibili" rimasti senza risorse. Stefano Zurlo il 27 novembre 2022 su Il Giornale.
È il presente che riporta un passato di morte e devastazione. Le croci e le sofferenze, nulla di nuovo nell'orizzonte malato di un'isola che convive con frane e disastri da sempre. Le statistiche, impietose, danno la misura della forza che dalle viscere del tempo afferra le case e gli uomini, seminando lutti e rovine.
Polemiche & precedenti. Trenta vittime in centodieci anni circa, tre eventi disastrosi negli ultimi quindici anni, o poco più. L'emergenza è strutturale, i progetti di salvaguardia vanno a rilento, si mettono in coda nel grande ingorgo italiano, fra burocrazia e complicazioni varie, le soluzioni sono ancora lontane. Oggi ci sono i fondi del Pnrr e però non è che l'Europa ci abbia regalato la bacchetta magica, anzi per dirla tutta Ischia e le isole del Golfo sono rimaste tagliate fuori dalla pioggia milionaria di questi mesi. Nei mesi scorsi la Regione Campania aveva trasmesso al ministero delle Infrastrutture l'elenco dei progetti ammessi e di quelli finanziati con i soldi del Pnrr. Se si scorre la lista si scopre subito che Ischia non c'è, o meglio ci sono due progetti dichiarati ammissibili, ma rimasti senza risorse.
Cambierà qualcosa dopo questo ennesimo disastro?
Piernicola Pedicini, eurodeputato Verde, punta il dito contro decenni di abbandono e speculazioni: «La tragedia di Casamicciola è lo specchio di un territorio dove ai fatti e alle grandi opere si sono preferite le parole di cordoglio e le passerelle ipocrite». Insomma, siamo al solito vocabolario dei disastri italiani: la cementificazione selvaggia, gli incendi e la mancata prevenzione in un territorio segnato da mille fragilità.
Le responsabilità si rincorrono e si rimpallano, ma è evidente che i ritardi sono gravissimi e incolmabili.
Il leader dei Verdi Angelo Bonelli se la prende con il condono per Ischia, contenuto nel decreto sul ponte di Genova del 2018 e collegato alla ricostruzione post sisma. Si, perché nel catalogo dei guai non manca il terremoto che si era abbattuto proprio su Casamicciola il 21 agosto 2017. Le foto di quell'orrore, con 2 morti e 42 feriti, hanno fatto il giro d'Italia, anche se sono state velocemente dimenticate. Ma hanno lasciato un'eredità di polemiche e critiche senza fine. In pratica, con il condono del 2018, all'epoca del Conte I, si sarebbe chiuso un occhio su centinaia di interventi edilizi abusivi compiuti nell'isola in scempio a qualunque forma di rispetto dei precari equilibri preesistenti. Una sanatoria colossale, voluta dal governo giallo verde, con ben 28 mila richieste in un fazzoletto di terra che passa da una devastazione all'altra.
Il problema è che tutti i partiti o quasi se la prendono con quella politica accomodante che oggi pare orfana di padre. Il ministro delle Riforme Maria Elisabetta Casellati tuona: «La tutela del territorio non è mai stata una priorità di questo Paese». E la deputata forzista Annarita Patriarca disegna una prima risposta: «È fondamentale che nel più breve tempo possibile venga dichiarato lo stato di calamità naturale per Casamicciola». E ancora: «Mettiamo in sicurezza l'area montuosa dell'isola, utilizzando i fondi del Pnrr e impegnando le risorse regionali».
Discorso che non fa una piega e che però sembra scontrarsi con tutto quello che si è fatto finora, privilegiando altre dinamiche.
Torna la domanda chiave: come si stabiliscono le priorità?
Non va dimenticato che al clima di sfiducia e di confusione ha contribuito anche l'inchiesta sugli arresti per la metanizzazione dell'isola che ha indebolito la classe politica locale. In particolare, alla fine il sindaco del Pd di Ischia Giosi Ferrandino era stato assolto e Renzi aveva twittato: «Di questa vicenda si è parlato molto in passato, se ne parlerà poco sui giornali di domani perché è assoluzione, ma se ne parlerà a lungo nei prossimi anni perché è una vicenda enorme».
Disastro a Ischia. Le menzogne di Conte :”Nel 2018 non firmai un condono”. Ma la parola “condono” si trova persino nel titolo della norma ! Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 28 Novembre 2022
Quell'articolo 25, citato da Conte, porta nello stesso nome la parola condono. per la precisione "Definizione delle procedure di condono" in sostanza è stata data la possibilità di riaprire i termini di un vecchio condono - quello del 1985 - e sanare gli abusi costruiti negli anni.
Giuseppe Conte, ospite della trasmissione di Rai 3 “Mezz’ora in più” 24 ore dopo dal disastro di Ischia. Incalzato da Lucia Annunziata sulla norma che riguardava l’isola, contenuta nel decreto del 2018 sul Ponte di Genova, l’allora premier del governo gialloverde risponde: “Per accelerare le pratiche impantanate noi abbiamo introdotto l’articolo 25 che non è un condono, ma una procedura perché si espletasse più celermente l’esito delle pratiche” ed aggiunge “L’apprezzo perché ha letto l’articolo 25 del decreto sul Ponte ma le dico che non era affatto un condono. È uno dei primi dossier che abbiamo assolto – ha osservato in un altro passaggio – con senso di responsabilità cercando di sbloccare una situazione che c’era senza derogare ai vincoli idrogeologici. Era una procedura di semplificazione“.
Ma in realtà non è cosi. Infatti quell’articolo 25, citato da Conte, porta nello stesso nome la parola condono. per la precisione “Definizione delle procedure di condono” in sostanza è stata data la possibilità di riaprire i termini di un vecchio condono – quello del 1985 – e sanare gli abusi costruiti negli anni.
Conte si arrampica sugli specchi e dice: “Ischia è una tragedia in un territorio molto complicato, violentato dal dissesto idrogeologico. Quando mi sono insediato nel 2018 abbiamo trovato una unità di missione che impiegava solo nove mesi per attuare un progetto. Chiamai il ministro Costa e chiesi – insieme al capo della Protezione civile, Borrelli – di elaborare un progetto chiamato ‘Proteggi Italia’, un piano per mettere in sicurezza edifici pubblici e privati italiani. Per quel piano abbiamo stanziato 11,5 miliardi e abbiamo reso soggetti attuatori i presidenti delle Regioni. Di quei soldi non so dire esattamente ma è stata spesa una piccolissima parte ed è un problema che ci trasciniamo da tempo“.
Ed il presidente del Movimento 5 stelle aggiunge in Tv: “A Ischia ci sono richieste di condono precedenti al 2018, dunque precedenti al mio governo, per circa 27mila abitazioni su 60mila abitazioni, quindi la metà con richiesta di condono. In più ci sono richieste per danni da terremoto per 1.100 abitazioni. Per accelerare le pratiche impantanate noi abbiamo introdotto l’articolo 25 che non è un condono, ma una procedura perché si espletasse più celermente l’esito delle pratiche”.
Matteo Renzi immediatamente lo smentisce e va all’attacco: “Conte dice che il provvedimento di Ischia non era un condono. L’articolo 25 del suo decreto legge parla esplicitamente di procedure per il condono ad Ischia. Giuseppe Conte si deve vergognare! Vergognare per il condono di Ischia e per aver chiuso l’unità di missione sul dissesto idrogeologico. Nel 2018 abbiamo chiesto a Conte di fermarsi! C’è un limite alla decenza. Oggi lo ha sorpassato“, scrive in un post sui suoi canali social accompagnato dal video che riassume tutti i suoi interventi – anche in Aula – del 2018 in cui contestava al leader 5S la norma sul condono a Ischia. Il leader di Azione Carlo Calenda aggiunge : “Conte ha fatto un condono pericoloso a Ischia e cancellato l’unità di missione ‘Casa Italia‘” per l’unica ragione che l’aveva istituita Matteo Renzi. Entrambi gravi errori. Ma cercare a posteriori di prendere in giro gli italiani con eloquio stile azzeccagarbugli è anche peggio”. Redazione CdG 1947
Massimo Gramellini per il “Corriere della Sera” il 29 novembre 2022.
Riepilogando. La responsabilità di quanto è successo a Ischia non è minimamente imputabile al primo governo Conte, sostiene l'ex premier Giuseppe Conte, dato che la norma da lui firmata si intitolava «condono» ma, sia chiaro, non era un condono.
La colpa non può neanche essere delle persone che costruiscono dove non si dovrebbe (e votano per chi permette loro di continuare a farlo). Intanto perché è di cattivo gusto prendersela con le vittime. E poi perché la tragedia non dipende dagli abusi edilizi, ha ricordato l'ex sindaco Giuseppe Conte, omonimo, puntando semmai il dito sul dissesto idrogeologico.
In Italia funziona così: chi avrebbe saputo cosa fare accusa chi avrebbe potuto farlo, il quale a sua volta accusa chi, pur sapendo, non ha fatto niente lo stesso. I cittadini chiamano in causa le autorità locali, le autorità locali quelle centrali e quelle centrali l'Europa, che in certi casi si rivela maledettamente utile.
L'ipotesi che le responsabilità siano di tanti, anche di chi le attribuisce soltanto agli altri, non viene nemmeno presa in considerazione. D'altronde avete mai visto l'ospite di un talk cambiare di una virgola la sua opinione su Covid, guerra, migranti? Tutti trincerati dietro convinzioni immutabili, tutti depositari esclusivi del Verbo, tutti garantisti con gli amici e forcaioli con i nemici, che sono sempre o disonesti o coglioni. Facciamocene una ragione: poiché ciascuno si ritiene innocente, a far franare Ischia non può essere stata che la mano di Dio.
Estratto dell’articolo di Marco Travaglio per “il Fatto quotidiano” il 29 novembre 2022.
Sabato In Onda, il samiszdat che nel weekend sostituisce Ottoemezzo, era dedicato a incolpare Conte per la frana di Ischia. E Paolo Mieli, noto esperto di urbanistica, profetizzava che il Fatto avrebbe scritto che quello varato dal Conte-1 non era un condono. Una volta tanto ci ha azzeccato: scriviamo che non era un condono non perché siamo amici di Conte, ma perché non era un condono. […]
Il Fatto, pur comprendendo il dramma dei senza casa, criticò il Conte-1 perché dava un brutto segnale: quelle vecchie case avevano comunque dei vani abusivi, anche se non si potevano certo abbattere ignorando i tre condoni.
Ma non sanava un solo abuso in più di quelli già coperti dalle sanatorie di Craxi e B. Anzi il ministro dell'Ambiente Sergio Costa, il migliore degli ultimi 25 anni, aggiunse pure il divieto di qualunque opera in aree a rischio idrogeologico o di interesse ambientale, paesistico, archeologico e artistico. Come sempre, i pifferi di montagna partiti per suonare sono finiti suonati. Ma possono sempre incolpare Conte per il terremoto a Ischia del 1883....
(ANSA il 29 novembre 2022.) - "Sul tema dell'abusivismo, la demagogia si spreca. Abbiamo proposto qualche anno fa di prendere qualche misura semplice, non solo di separare le varie forme di abusivismo. Avrete visto la foto di una villa che è lì appesa su un burrone. Mi verrebbe da domandare, per la verità anche a quel padre di famiglia, con quale coraggio porta la sua famiglia a vivere in quelle condizioni".
A dirlo, questa mattina a margine dell'inaugurazione di un centro antiviolenza a Salerno, il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca sulla tragedia di Ischia. "Cominciamo - ha aggiunto De Luca - a parlare anche di irresponsabilità personali per chi realizza o vive in immobili in quelle condizioni.
Sarebbe bastato cancellare dall'albo delle imprese le aziende che realizzano opere abusive, cancellare dagli albi professionali i tecnici che fanno questi lavori per frenare immediatamente l'abusivismo. Non si è avuto il coraggio di farlo. Abbiamo proposto, sempre qualche anno fa, di rendere chiare le situazioni di abusivismo non sanabili e cioè realizzazioni fatte sui greti dei fiumi, in aree idrogeologicamente pericolose, nelle aree demaniali, nelle aree di vincolo assoluto e immobili abusivi realizzati dalla camorra o da chi aveva già un appartamento di proprietà.
Questo avrebbe consentito la possibilità di demolire. Un conto è dire bonifichiamo una piccola palude e questo lo puoi fare; un altro conto è dire prosciughiamo l'oceano Pacifico. In Italia abbiamo trecentomila alloggi abusivi, quindi contamineremo ancora per decenni a sentire questa litania dopo ogni disastro, il Paese è fragile e poi nessuno farà niente".
(ANSA il 29 novembre 2022) - "Nel momento che l'isola di Ischia si trova in questa situazione e ci sono degli allarmi, che io ho dato, era necessario che questi cittadini fossero avvertiti, voi di qua ve ne dovete andare perché è pericoloso". Queste le parole di Giuseppe Conte, ex sindaco di Casamicciola, ad Agorà Rai Tre, condotto da Monica Giandotti, sulla tragedia di Ischia
Fabrizio Geremicca per il “Corriere della Sera” il 29 novembre 2022.
La sentenza penale di condanna definitiva per abusivismo edilizio, che comporta la pena accessoria della demolizione, risale al 2003. La casa, però, una villa di circa 100 metri quadrati edificata nel 1995 a Ischia in una zona a rischio idraulico e di frana molto elevato (tecnicamente area «R4»), è stata abbattuta solo nella primavera del 2021.
Accade nel Comune di Ischia, in una località situata circa 110 metri sopra il livello del mare, a ridosso di un versante franoso e di un canale di scolo delle acque.
Il protagonista della vicenda è un piccolo imprenditore edile, il quale nel 1995 realizza sul terreno di sua proprietà un manufatto di 75 metri quadrati. Non ha alcun titolo edilizio legittimo. Scatta il sequestro da parte dell'autorità giudiziaria.
Il proprietario presenta istanza di condono - sebbene l'edificio sia stato costruito ampiamente oltre i termini - ai sensi della sanatoria approvata nel 1994 dal primo governo Berlusconi. La pratica resta dormiente, come la maggior parte delle 27.000 che ingolfano gli uffici tecnici dei sei Comuni (Ischia, Barano, Forio, Casamicciola, Serrara Fontana, Lacco Ameno) dell'isola campana.
A novembre 1997 l'immobile è dissequestrato dall'autorità giudiziaria affinché il proprietario, nel frattempo condannato in Tribunale, proceda alla demolizione. Nel 1998 il prefabbricato abusivo con lamiere va giù, ma dalle sue ceneri ecco che spunta una villa, anch' essa completamente abusiva, di un centinaio di metri quadrati e sei stanze. Presto abitata dall'uomo e dal suo nucleo familiare.
A novembre 1998 i vigili urbani effettuano un sopralluogo ed accertano opere abusive che consistono «in un manufatto di circa 100 metri quadrati ed alto metri 3 circa». Il Comune emana una ordinanza di demolizione, ma ad essa non segue la benchè minima iniziativa finalizzata a dare ad essa esecuzione. La villa da cento metri quadrati rimane lì, dove non potrebbe stare e dove è pericoloso che resti innanzitutto per chi la abita.
Nel 2003, nel frattempo, ecco che arriva il terzo condono edilizio. Il proprietario della casa in zona R4 decide che è il momento di osare e presenta una seconda istanza di sanatoria, questa volta relativa ai trenta metri quadrati aggiunti al primo abuso, quella da settanta, per il quale aveva già richiesto il condono nel 1995 ed aveva pure riportato una condanna. Il Comune richiede integrazioni, procede nell'istruttoria e sollecita alla Soprintendenza il parere.
Nel frattempo, però, la Procura della Repubblica ha aperto una seconda indagine su quell'immobile di 100 metri quadrati sorto al posto di quello, anch' esso abusivo, di 75 metri quadri. Anche questa inchiesta si conclude nel 2001 con una condanna in primo grado per l'autore degli abusi edilizi e nel 2003 con la conferma della sentenza in Corte di Appello. Prima, però, che le ruspe accendano i motori trascorreranno ancora 18 anni. Gli avvocati continuano a dare battaglia con una serie di ricorsi (incidenti di esecuzione) finalizzati a dimostrare che il provvedimento di demolizione va bloccato. Infine, a maggio 2021 - ventisei anni dopo il primo abuso edilizio in quella zona R4 - la demolizione .
Estratto dell’articolo di Ermes Antonucci per “il Foglio” il 29 novembre 2022.
"Il condono a Ischia da parte del governo Conte nel 2018 ci fu eccome. Il provvedimento faceva riferimento a uno dei condoni più grandi che siano mai stati fatti, quello del 1985. Negare che quello del 2018 fu un condono è come negare l’evidenza”.
A dichiararlo, intervistato dal Foglio, è Graziano Delrio, già ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti nei governi Renzi e Gentiloni, oggi senatore del Pd. Delrio smentisce così quanto sostenuto dall’ex premier Giuseppe Conte in un’intervista televisiva a “Mezz’ora in più”, dopo l’alluvione che ha devastato Ischia. “Nessun condono, era solo una procedura di semplificazione”, ha detto Conte riferendosi al decreto varato nel 2018 dal governo gialloverde da lui presieduto. Ma le carte parlano chiaro, e dicono il contrario.
[…] “Se si trattava di velocizzare le pratiche che riguardavano un migliaio di case si sarebbero potute avviare le procedure accelerate solo per quelle case, per esempio rafforzando gli uffici”, sottolinea Delrio. “Il messaggio che invece venne fuori fu di tutt’altra natura, e cioè che finalmente si sarebbero sanate tutte le migliaia di richieste di condono edilizio.
Solo il confronto in Parlamento portò poi a sostanziali modifiche, come il necessario parere favorevole da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico. Conte decise anche di smantellare la struttura di missione denominata Casa Italia, e poi Italia Sicura, che avevamo istituito presso la presidenza del Consiglio”. […]
Vitalba Azzolini per editorialedomani.it il 29 novembre 2022.
Il condono disposto nel 2018 per gli immobili di Ischia distrutti o danneggiati dal sisma del 21 agosto 2017 è il grande tema di questi giorni, a seguito della tragedia che ha colpito Casamicciola.
È bene mettere alcuni punti fermi e, soprattutto, chiarire talune inesattezze relative a quel condono che si sentono ripetere in questi giorni.
Il cosiddetto decreto Genova (d.l. n. 109/2018, convertito in l. n. n. 130/2018, art. 25), emanato a seguito del crollo del ponte Morandi, ha previsto la definizione, cioè la conclusione, entro sei mesi delle procedure riguardanti istanze di sanatoria edilizia ancora in corso relative agli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 2017. Si tratta delle istanze presentate ai sensi delle tre normative di condono succedutesi dal 1985 al 2003 (l. n. 47/1985, governo Craxi; l. n. 724/1994, primo Governo Berlusconi; l. n. 326/2003, secondo Governo Berlusconi).
Il decreto del 2018 ha disposto che per la definizione di tali istanze trovi «esclusiva applicazione» la legge del 1985. Con un emendamento, poi, la definizione è stata subordinata al preventivo parere favorevole da parte dell’Autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico.
Infine, è stato previsto che la concessione dei contributi pubblici per la ricostruzione delle abitazioni distrutte o lesionate dal sisma sia condizionata all'accoglimento delle predette istanze. Ma tale contributo «non spetta per la parte relativa ad eventuali aumenti di volume oggetto del condono».
In buona sostanza, ai fini della concessione di contributi per il rifacimento delle abitazioni terremotate, è stata richiesta la preventiva definizione delle pratiche di condono riguardanti tali immobili, avanzate negli anni precedenti ai sensi delle diverse leggi citate. I contributi sono stati esclusi solo per la parte di sanatoria attinente agli aumenti di cubatura.
Questo, in sintesi, il contenuto dell’articolo 25, più volte citato negli ultimi giorni.
La questione relativa alla norma sul condono, emanata a seguito del terremoto di Ischia, è complessa. Occorre partire dai vincoli idrogeologici, vale a dire quella particolare forma di tutela del territorio rispetto a modifiche strutturali di terreni, corsi d’acqua ecc.. Secondo l’onorevole Sergio Costa, ministro dell’ambiente all’epoca della legge del 2018, governo Conte I, tali vincoli avrebbero precluso la condonabilità prevista. Le cose stanno diversamente.
La legge del 1985 (“primo condono”) consentiva la sanatoria in caso di violazione di vincoli idrogeologici, tra gli altri, a condizione che essi non comportassero inedificabilità assoluta, cioè non superabile dalla autorizzazione dell’autorità competente, e fossero stati apposti solo dopo l’edificazione dell’immobile per cui si chiedeva il condono. Quindi, salvo questi casi, i vincoli idrogeologici si potevano oltrepassare mediante autorizzazione amministrativa.
La legge sul condono del 2003 (“terzo condono”) introdusse una disciplina più severa e rigorosa rispetto quella del 1985, escludendo la possibilità di una sanatoria in presenza di inedificabilità non solo assoluta, ma anche relativa, cioè superabile a seguito di valutazione amministrativa.
In altre parole, con le norme del “terzo condono” le opere soggette a vincolo idrogeologico, in qualunque momento esso fosse stato apposto e di qualunque tipo fosse, sono divenute non condonabili. Questo è il motivo per cui nel decreto del 2018 si sancì che le richieste di condono per gli immobili terremotati, avanzate ai sensi della legge del 2003 e ancora pendenti, fossero definite ai sensi della legge sul condono del 1985: se tali richieste fossero rimaste soggette alla stessa legge del 2003 che, come detto, non consentiva condoni in caso di vincoli di edificabilità – sia assoluti sia relativi - molte delle case colpite dal terremoto del 2017 non avrebbero potuto essere oggetto di sanatoria, anzi, si sarebbe dovuto procedere alla loro totale demolizione. Ed era ciò che nel 2018 evidentemente si voleva evitare.
A ciò si aggiunga che prima del 1985, data della legge che dispone il condono più permissivo, l’unico vincolo idrogeologico previsto era quello di cui al Regio decreto legge n. 3267 del 1923, che tutela i terreni contro i danni da pascolo, dissodamenti del terreno per coltivazioni ecc..
Si trattava, peraltro, di un vincolo superabile mediante autorizzazione amministrativa. Solo molti anni dopo, a seguito di legislazione regionale, i vincoli idrogeologici definirono un quadro molto più articolato rispetto a quello previsto dal Regio decreto del 1923 e divennero anche assoluti, attraverso l’esclusione della possibilità di ovviarvi mediante autorizzazione.
La risposta a questa domanda non è nel titolo dell’articolo 25 - «Definizione delle procedure di condono» - come qualcuno afferma. In termini giuridici, “definizione” significa chiusura, conclusione a seguito di completamento della valutazione degli elementi necessari alla conclusione di un certo procedimento. Procedimento relativo a un condono, in questo caso.
Il titolo è confermato dalla lettera della disposizione, ai sensi della quale le procedure di condono rimaste ancora aperte vengono definite, cioè concluse positivamente o negativamente, nel termine di sei mesi. Quindi, citare il titolo per dimostrare che ci fu un nuovo condono è un autogol, perché il titolo attesterebbe l’esatto opposto.
Ma un nuovo condono comunque c’è, ed è nascosto nelle pieghe della norma (art. 25), là dove si afferma che per la definizione di tutte le istanze di condono pendenti, relativamente agli immobili lesionati o distrutti dal sisma del 2017, si applichi la legge del 1985.
Il riferimento a quest’ultima legge permette teoricamente di rendere oggetto di condono case abusive che altrimenti ne sarebbero rimaste escluse perché la legge del 2003 non l’avrebbe consentita, essendo molto più restrittiva di quella del 1985.
In altri termini, la legge del 2018 non si limita a richiedere che le istanze di condono pendenti siano definite, cioè concluse, entro sei mesi, ma introduce condizioni di sanabilità diverse e più lasche rispetto a quelle di cui alla legge del 2003. E se si cambiano le condizioni di sanabilità, elementi chiave per la definizione di un certo condono, di fatto si sancisce un condono nuovo.
Questo è il motivo per cui, nonostante nel titolo e nel corpo della norma si parli solo della definizione di condoni precedenti e la norma sia scritta in modo da configurare apparentemente solo una velocizzazione delle relative procedure, di fatto quello per Ischia fu un nuovo condono: la norma del 2018, innovando rispetto al condono del 2003, introduce di fatto un condono diverso e ulteriore.
Con buona pace di Giuseppe Conte, presidente del Consiglio all’epoca in cui fu emanato il decreto Genova, il quale afferma che con quel decreto si intese solo accelerare domande di condono impantanate. I fatti sono quelli che abbiamo spiegato, e ora chiunque può farsi un’opinione.
Conte condona, Travaglio no. L'impostazione del giornalista torinese è sempre uguale a se stessa: Giuseppe Conte non si discute, si ama. IlGiornale il 30 Novembre 2022 su Il Giornale.
Il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio ha una doppia narrativa sul caso di Ischia. La prima è sintetizzata dalla prima pagina: «Ecco chi ha favorito l'abusivismo a Ischia. Si attacca Conte per tacere le colpe di politica e cittadini».
L'impostazione del giornalista torinese è sempre uguale a se stessa, almeno sin da quando Travaglio è diventato il non ufficiale spin doctor dell'ex premier giallorosso e gialloverde: Conte non si discute, si ama. O qualcosa di molto simile. Peccato per quanto viene invece sottolineato nella terza pagina de Il Fatto Quotidiano.
Al netto del ridimensionamento, infatti, il quotidiano etichetta con la parola «condonite» il provvedimento adottato nel 2018, sottolineando anche il ruolo svolto, per l'adozione del decreto, dall'allora ministro Luigi Di Maio, che certo non era esattamente un estraneo del primo esecutivo guidato dall`avvocato originario di Volturara Appula. Conte innocente, insomma, ma Di Maio parzialmente colpevole: la sentenza doppiopesista è stata emessa.
Estratto dell'articolo di L. De Cic. per “la Repubblica” il 29 novembre 2022.
La storiaccia del condono di Ischia del 2018, secondo Edoardo Rixi, viceministro alle Infrastrutture in quota Lega e sottosegretario, sempre al Mit, ai tempi del Conte I, governo gialloverde, è nata così: «Noi avevamo la necessità di fare il decreto Genova e all'ultimo momento il M5S ha chiesto di inserire il condono di Ischia. Ci fu una fortissima pressione dei 5 Stelle. E per fare il decreto sul ponte abbiamo dovuto accettare quella parte».
Pressioni di chi, nel M5S?
«Tecnicamente fu Vito Crimi a seguire il provvedimento, da sottosegretario a Palazzo Chigi. Ma si spese soprattutto Luigi Di Maio, ponendola come condizione».
Di Maio in sostanza disse: o così o non votiamo il decreto Genova?
«Esattamente».
Però la Lega ha votato tutto il pacchetto...
«Come in tutti i governi si va a mediare. Io ero abbastanza perplesso sull'inserire quella norma. Non perché non ci fossero temi che andassero effettivamente approfonditi. Ci sono milioni di edifici in Italia che sono in sospeso tra l'essere definiti conformi alle norme o abusivi, per i procedimenti bloccati negli uffici. Ma erano due temi scollegati, il ponte e il condono».
[...] In conclusione, rivoterebbe il famigerato articolo 25 del decreto Genova, quello sul condono?
«Lo rivoterei per forza, altrimenti non si sarebbe ricostruito il ponte di Genova. Ma è stata una scelta parlamentare quella di accorpare l'emergenza in Liguria con il condono. Qualcuno ha utilizzato quel momento per sistemare altre cose. Quando si arriva a mediazioni governative, ci sono pro e contro. Ma anche senza quel condono, in assenza di lavori sulla montagna, la tragedia ci sarebbe stata lo stesso. Ne sono convinto».
FdI votò coi grillini, il Pd si oppose. Frana di Ischia: il decreto Conte-Meloni che ha condannato a morte l’isola. Piero Sansonetti su Il Riformista il 29 Novembre 2022
Si è accesa la polemica politica sulla tragedia di Ischia (otto morti e quattro dispersi, finora: tra i morti ci sono tre bambini e un ragazzo di 15 anni). Oltre alle cause naturali ci sono responsabilità? Gli esperti dicono che l’abusivismo edilizio è una delle cause principali del disastro e sotto accusa è finito un decreto del 2018.
Era un condono che sanava gli abusi e salvava diverse costruzioni dalla demolizione. Chi ha varato quel condono? Giuseppe Conte, presidente del Consiglio. Ieri Conte ha negato che fosse un condono, visto che il suo partito è sempre stato acerrimo nemico di tutti i condoni e specialmente dei condoni edilizi. E però il provvedimento è intitolato proprio così: Condono.
Certo, non è che Conte lo fece da solo, quel decreto. Lo fece il suo governo grillin-leghista, con dentro Salvini e Di Maio. Non risulta che Grillo espresse dissenso. Ma la cosa più clamorosa è che a favore del condono intervenne anche Giorgia Meloni. Già: non si tirò indietro. Disse che votava a favore non per fare un piacere al governo ma per farlo agli italiani.
Un solo partito si oppose senza tentennamenti e, in solitudine, votò contro. Il Partito democratico. Vedete, noi siamo tra quelli che spesso criticano il Pd, e però, bisogna dire la verità, spesso il Pd ha ragione.
Piero Sansonetti. Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.
Le colpe della sinistra e la premier "fuoriclasse". Paolo Mieli e Concita De Gregorio alla corte della Meloni. Michele Prospero su Il Riformista il 29 Novembre 2022
“In onda” la post-verità. Su La7 si discute, stancamente a dirla tutta, sulla tragedia di Ischia. Dopo le consuete frasi di circostanza, e qualche volo pindarico sul rapporto metafisico tra umanità e natura, lo studio dà segni di parziale risveglio. E, con il sangue che ribolle un poco di più nelle vene, scivola nella polemica politica spicciola. Quando c’è Mieli in trasmissione, del resto, ogni occasione è propizia per lanciare una bella frecciatina al Pd. Ci saranno delle “ferite ancora aperte” che lo inducono a graffiare a testa alta, anche se non esistono motivi legittimi per farlo.
I lineari discorsi di Mieli sono improntati, almeno apparentemente, sempre al comodo registro del buon senso. A ragionamento concluso, però, non si capisce mai bene dove egli intenda andare a parare. Le sue frasi, con dietro il lavoro di una vera arte retorica, dicono e negano, ribadiscono e ritrattano. La sola certezza è che, dopo il fiumiciattolo di parole, prima o poi un bel ceffone al Pd lo assesterà. Qualunque cosa facciano al Nazareno, la scoppola arriva a prescindere. Come al Pasquale dello sketch di Totò. Stavolta la colpa del centrosinistra sarebbe quella di non poter dire la nuda verità sugli effetti del maledetto condono del 2018. Lo vieterebbe la ricerca di Conte, l’ “agit-p(r)op”, quale indispensabile alleato nella coalizione. Per non allagare anche il campo che dall’odiosa estate non è più largo, meglio sarebbe per il Pd glissare su eventuali responsabilità politiche del disastro riconducibili alle scelte perverse del governo gialloverde di Conte e Salvini.
Per un po’ Mieli si dedica al puro processo alle intenzioni. Presto però acciuffa l’occasione propizia per far uscire quello che ha in serbo. Non si accontenta più di giri di metafore volti a coprire banali sospetti. E così piazza il colpo definitivo che tutti comprendono. L’unico partito che può pronunciare parole autentiche sui fatti di Ischia, annuncia solennemente lo storico, è Fratelli d’Italia. Il partito con la fiamma sarebbe infatti il solo soggetto ad avere la coscienza a posto, grazie al meritato plusvalore etico-politico guadagnato con l’immacolata stagione di opposizione. Le carte di Fratelli d’Italia sono così in regola, dichiara Mieli, che soltanto Giorgia Meloni nel mondo politico odierno può permettersi di “fare una polemica con i fiocchi”, scagliandosi contro i colpevoli politici del disastro che è stato agevolato dall’improvvido condono del 2018.
Concita De Gregorio non aspettava altro. Annusando nel predicozzo di Mieli la conferma della sua analisi, divenuta celebre per l’inusitata ponderazione storiografica, su Meloni come “fuoriclasse”, autentica statista del secolo, la conduttrice si accoda al suo ospite nell’esaltazione della verginità etica della destra radicale. A questi opinionisti che combattono il principio di realtà va rammentato ciò che registra la banale cronaca: mentre il giulivo ministro delle Infrastrutture Toninelli si esibiva in Aula con il pugno chiuso per esultare dopo l’approvazione definitiva del testo assai discusso, Giorgia Meloni giustificava il suo convinto sì al disegno varato dall’esecutivo del “contratto” precisando: “Non è un soccorso al governo, ma un sostegno per gli italiani”.
Per giornalisti della post-verità come Mieli e De Gregorio l’effettivo comportamento parlamentare è un fastidioso dettaglio empirico, in sé del tutto inutile come convalida delle solenni tesi via etere. E però, per chi non si arrende al dominio della chiacchiera che cammina senza uno straccio di conferma fattuale, la storia reale suggerisce che i neri Fratelli d’Italia non possono sviluppare alcuna “polemica con i fiocchi”. Semplicemente perché anche il loro partito (aspirante stampella del primo governo Conte e tentato di entrare nella maggioranza populista) era favorevole al condono della vergogna. Solo Pd e Leu votarono contro il provvedimento, mentre Forza Italia, pur contraria in molti passaggi in commissione, si astenne.
Renzi dice sempre che Giorgia Meloni dovrebbe mandare ogni giorno un bel mazzo di rose rosse a Letta, maldestro artefice, a suo parere, del trionfo settembrino dei patrioti. Sarebbe il caso, però, che “il Signor Presidente del Consiglio” Meloni aggiornasse l’indirizzario per i doni da distribuire in segno di riconoscenza. Per sdebitarsi, dovrebbe avere l’accortezza di inviare a quanti più recapiti possibile una bella copia del nuovo libro di Mieli. Naturalmente, il pacco regalo deve essere aggiustato “con i fiocchi”. Il Natale si avvicina e, dopo un estenuante peregrinare da uno studio televisivo all’altro senza cicatrizzare le sue eterne “ferite”, Mieli avrebbe pure tutto il diritto di essere ripagato delle approssimazioni dette in giro solo per un pugno di copie in più.
Michele Prospero
Dispersi la famiglia dei fratellini morti e il compagno della prima vittima. Chi sono le vittime della strage di Ischia: da Eleonora a Giovangiuseppe (nato 22 giorni fa), vite spezzate dalla valanga di fango. Redazione su Il Riformista il 27 Novembre 2022
Eleonora Sirabella, 31 anni, Francesco Monti, 11 anni, Maria Teresa Monti, 6 anni, Maurizio Scotto Di Minico, 32 anni, Giovanna Mazzella, 30 anni, Giovangiuseppe Scotto Di Minico, 22 giorni, Nikolinka Ganceva Blagova, 58 anni.
Sono i nomi delle sette vittime al momento identificate della valanga di fango e detriti partita dal Monte Epomeo che ha devastato numerose abitazioni nella parte alta del comune di Casamicciola a Ischia.
A lavoro senza soste da oltre 36 ore, i soccorritori nella giornata di domenica 27 novembre sono riusciti a recuperare i corpi senza vita di sei persone, dove l’iniziale ritrovamento nella giornata di ieri della 31enne Eleonora Sirabella (nella foto in alto a sinistra), che poco prima di morire aveva telefonata al papà.
Al momento sono 5 i dispersi: all’appello mancano Gianluca Monti (di professione tassista), la moglie Valentina Castagna e il figlio 15enne Michele Monti, il compagno di Eleonora, il marittimo Salvatore Impagliazzo, e una persona la cui identità non è ancora nota. Le ricerche andranno avanti anche nel corso della notte ma con il passare delle ore le probabilità di ritrovare vive le cinque persone sono minime.
I RITROVAMENTI DI OGGI – Nel corso della giornata, sono stati trovati senza vita i fratellini Francesco Monti di 11 anni e della sorella Maria Teresa di 6 anni. La bimba indossava un pigiamino rosa, ed era rifugiata sotto il suo letto. Ritrovate poi anche le salme di Maurizio Scotto Di Minico, di 32 anni, della moglie Giovanna Mazzella di 30 anni e del loro figlio Giovangiuseppe, nato lo scorso 4 novembre, appena 22 giorni fa. Marito e moglie erano titolari di un negozio di abbigliamento a Forio.
La famiglia Monti: dispersi il papà Gianluca, la moglie Valentina Castagna e il figlio Michele 15enne Michele. Ritrovati senza vita i piccoli Francesco e Maria Teresa
“Il ritrovamento del neonato di 22 giorni ha colpito tutta la comunità dei vigili del fuoco” ha raccontato Emanuele Fraculli, alla guida del corpo del vigili del fuoco regionale, intervenuto in Prefettura all’aggiornamento sulla situazione delle ricerche a Casamicciola.
Tra le vittime accertate, anche Nikolinka Ganceva Blagova (nella foto a destra), 58enne di nazionalità bulgara. Il console bulgaro in Italia nel pomeriggio ha raggiunto Ischia per identificarla. Nikolinka era arrivata ad Ischia anni fa facendo la cameriera. Poi ha sposato un ristoratore che nel frattempo ha aperto un ristorante a Berlino e lei l’aveva seguito. La scorsa settimana era arrivata la notizia che era stata accettata la sua richiesta di cittadinanza italiana. Era tornata sull’isola per ritirare i documenti.
Gli sfollati sono saliti a 230, ma tutti sono stati sistemati in hotel o da amici e parenti. Tre i feriti tra cui uno grave ricoverato al Cardarelli.
ZONA ROSSA – Dopo una giornata di ricerche, aumenta anche il numero delle abitazioni coinvolte, circa 30. Dalla riunione in Prefettura è emersa prioritaria l’individuazione della zona rossa e quando sarà delimitata anche il numero degli sfollati potrebbe aumentare di nuovo.
FAMIGLIE SENZA LUCE E ACQUA – Sono quattro o cinque i nuclei familiari che, a 36 ore dalla alluvione di Casamicciola, non sono stati ancora messi in sicurezza nonostante il lavoro dei soccorritori. Si tratta di circa 20 persone tra adulti e bambini, tutti localizzati in abitazioni di via Pera di Basso che ancora non dispongono di acqua corrente ed elettricità. I soccorritori stanno facendo arrivare un’autobotte per provare a fornire loro acqua ma è possibile che queste persone debbano restare ancora una notte nelle loro abitazioni.
A coordinare le operazioni sull’isola è il vice prefetto Simonetta Clacalterra, nominata dal governo commissario per l’emergenza a Ischia, per far fronte alla quale sono stati stanziati 2 milioni di euro dall’esecutivo. In mattinata Calcaterra, da giugno commissario prefettizio di Casamicciola, ha incontrato il presidente di Regione Campania, Vincenzo De Luca.
E proprio da De Luca arriva il monito più forte. “Non esiste l’abusivismo di necessità, esistono situazioni di necessità”, dice il governatore, convinto che “le costruzioni nelle zone fragili dal punto di vista idrogeologico vadano demolite, la gente deve capire che in alcune aree non si può abitare“, “In queste ore abbiamo registrato una doppia disgrazia : oltre alla disgrazia dei terremoti, delle valanghe d’acqua, delle valanghe di fango, abbiamo la seconda disgrazia che sono le valanghe di parole, di dichiarazioni, di protagonismi di personaggi politici che non c’entrano assolutamente niente che stanno a farsi propaganda. Però -conclude – è una liturgia quasi inevitabile questa in Italia”.
Condono edilizio o dell’ipocrisia di una sinistra “democratica” senza socialismo. GIUSEPPE MAZZELLA il 23 giugno 2022 su news.ischia.it
L'ipocrisia, dice il Devoto Oli, è "la simulazione estesa all'ambito dell'atteggiamento morale o dei rapporti sociali" e cita La Rochefoucauld: "l'ipocrisia è un omaggio che il vizio rende alla virtù". L'ipocrita è quindi "il simulatore di atteggiamenti o sentimenti esemplari". Il gusto della ricerca semantica – che invece riveste un costume - mi è nato dalle attenzioni che le pagine napoletane de "La Repubblica" hanno dedicato alla "conversione" del Partito Democratico al problema del condono edilizio del 2003, dieci anni fa, che non si applica nella Regione Campania. Sul condono edilizio, sulla necessità e l'opportunità di fermare gli abbattimenti di case abusive in Campania, ha fatto una battaglia soprattutto il PDL attraverso il suo massimo esponente regionale, l'on. Nitto Palma, ricevendo una montagna di insulti soprattutto da esponenti dell'ambientalismo e del PD. Gli esprimo apprezzamento per il suo coraggio, la sua tenacia e la sua competenza giuridica oltre ad aver saputo esprimere una linea UNITARIA del suo partito espressa anche da altri esponenti fra i quali il sen. Domenico De Siano.
Stella Cervasio scrive giovedì 20 giugno 2013 un articolo sul "caso":" Sorpresa PD indietro tutta sul condono edilizio" e spiega il disegno di legge del PD della Campania che prevede "piani di recupero" da parte dei Comuni ed addirittura lo scioglimento per quei Comuni che non lo fanno.
L'argomento occupa l'intera quinta pagina di cronaca e registra fra l'altro una dichiarazione dell'on. Rosaria Capacchione, giornalista, deputata del casertano del PD, coraggiosa cronista contro la camorra, che dichiara: "Stiamo parlando di un milione di abitanti coinvolti, non mille, non tutti sono responsabili degli abusi "perché i Comuni non avevano il Piano Regolatore Generale. Poi però, tanto per "bilanciare", altre dichiarazioni: Ciro Cacciola, coordinatore del PD in Campania: "il disegno di legge che presenteremo consentirà ai Comuni di presentare "piani di recupero"...altro che condono indiscriminato... sanzioni per i Comuni in caso di inadempimento" e Cacciola dice che "cadrebbe per la Campania l'esclusione dal condono del 2003" ma l'altro coordinatore del PD in Campania, Enzo Amendola dice: "Noi siamo contro il condono. Con un architetto d'esperienza come Bruno Discepolo abbiamo discusso delle formule per cercare di alleviare i problemi dei Comuni che hanno difficoltà". Come se il Diritto fosse la Chimica cioè "formule" come se la responsabilità fosse SOLO dei Comuni mentre invece il VERO RESPONSABILE del caos urbanistico è della REGIONE CAMPANIA da 43 anni!!!!
Venerdì 21 giugno "La Repubblica" con "la polemica": L'ipotesi condono spacca la sinistra" e riporta una lunga intervista all'ex- "Governatore" della Campania, Antonio Bassolino di Conchita Sannino dove Bassolino non solo giustifica la legge campana di esclusione del 2003 ritenuta "illegittima " dalla Corte Costituzionale ma afferma "che c'è troppa comprensione per chi ha violato la legge". Un'intera pagina è dedicata alle altre reazioni, naturalmente, di apprezzamento del PDL per la nuova posizione del PD con il titolone: "Il condono del PD divide il partito, il PDL esulta: "oltranzismi ideologici abbandonati".
Sabato 22 giugno "La Repubblica". Un'altra pagina con il titolone: "No al condono senza piani di recupero" con i "chiarimenti" dell'arch. Bruno Discepolo, quello che sta studiando la "formula", che afferma: "la nostra proposta non è quella del PDL. Noi vogliamo chiudere la stagione dei condoni. I Comuni debbono riprendere la pianificazione dei territori. La legge regionale 16 dell'ex assessore obbliga i comuni ad adottare i PUC, i nuovi strumenti urbanistici. I Comuni hanno 30 mesi per i piani di recupero pena lo scioglimento. La legge di non estensione del condono della Campania è stata dichiarata illegittima".
A Discepolo- scrive Stella Cervaso su "La Repubblica" – fa eco il segretario cittadino del PD, Gino Cimino: "Non siamo il partito del condono. Abbiamo provato attraverso la costruzione di una proposta a rimediare a delle incongruenze che non hanno permesso la possibilità di risolvere questioni tecniche ma la premessa è molto chiara. il PD è un partito che non transige sui principi della legalità e non va confuso con lo spirito propagandistico e inconcludente della destra che da vent'anni sventola un condono che non si è mai realizzato".
Finisco qui le citazioni nella speranza di qualche lettore a cui rimando la lettura dei lunghi articoli su "La Repubblica".
Io trovo queste dichiarazioni di esponenti del PD "ipocrite" cioè "simulatrici di atteggiamenti o sentimenti esemplari" ma sono addirittura proposte di "formule" che dimostrano come questi esponenti siano molto lontani dalla "conoscenza" dello stato di "efficienza amministrativa" dei 91 Comuni dell'area napoletana (Napoli esclusa perché concentra, come sempre, tutto il dibattito) ed in particolare dei sei Comuni dell'isola d'Ischia che, per la sua particolarità ambientale – è la più grande delle isole minori italiane (46Km2) e proporzionalmente è la più popolata (65mila abitanti) ed è abitata senza soluzioni di continuità almeno dallo VIII secolo a.C. – ed economica – è un'area turisticamente "ipermatura" diventata tale soprattutto dall'ESPANSIONE EDILIZIA , disordinata ma comunque produttiva, con 40mila posti-letto, 3mila imprese,13 mila lavoratori iscritti al Centro per l'Impiego ex-Collocamento - e quindi avrebbe bisogno non di una "formula" ma di una "LEGGE SPECIALE" perché non ha MAI avuto un Piano Regolatore Generale "approvato" dalla Regione Campania ed "in vigore" ma due Piani di "tutela passiva del territorio", tanto per usare gli eufemismi cari agli architetti, un Piano Paesistico del 1942 ed un Piano Urbanistico Territoriale del 1995 approvato dal Ministero dei Beni Culturali ai sensi della Legge Galasso del 1984 "surrogando" i poteri della Regione Campania che in 11 anni non ha saputo redigere ed approvare un Piano Urbanistico "sovraordinato" rispetto ai sei Piani Regolatori ma veramente "praticabile" in una economia aperta con un mercato libero.
Poiché il Piano "ministeriale" – detto Paolucci dal nome dell'allora Ministro, tecnico di un governo tecnico – vieta qualsiasi nuova costruzione un intero sviluppo sociale ed economico di una comunità di 65mila persone che vivono SOLO di turismo ed indotto è GIURIDICAMENTE bloccato. Non è MAI stato redatto ed approvato il "piano di dettaglio", previsto dal decreto ministeriale di approvazione del Piano Urbanistico Territoriale, dei due condoni edilizi del 1983 e del 1993 che avrebbe dovuto essere redatto dai Comuni ed approvato dalla Soprintendenza ai Beni Ambientali entro UN ANNO dalla approvazione del Piano. Essendo SEI COMUNI e mancando un coordinamento istituzionale e surrogatorio ciascuno ha avviato un proprio piano di recupero con propri "protocolli di intesa" con la Soprintendenza. Le pratiche dei due condoni sono oltre ventimila. Quelle del "terzo condono" del 2003, non applicabile allo stato attuale, del 2003, dieci anni fa, si stima che siano oltre 10mila. Tutto questo senza "rimuovere" le leggi vincolistiche del 1939 cioè settantaquattro anni fa!!!
La storia della "pianificazione mancata" dal 1949 al 2010 nell'isola è raccontata in estrema sintesi in un mio libretto(Ischia, la pianificazione mancata-I Quaderni dell'Osservatorio sui fenomeni Socio-Economici dell'isola d'Ischia-OSIS- giugno 2012 con postfazione di Franco Borgogna).
Credo che è tempo di chiarezza e credo che la proposta dell'on. Nitto Palma sia molto più seria perché semplicemente "realistica" in quanto tiene conto del grado di "efficienza" dei Comuni e soprattutto della Regione Campania. Quindi occorre – purtroppo – l'ennesima "leggina!" di estensione del condono del 2003 a tutta la Campania e soprattutto all'isola d'Ischia, caso emblematico o paradigmatico , ed occorre procedere all'unificazione amministrativa dell'isola d'Ischia in UN SOL COMUNE con un unico Ufficio della Pianificazione Territoriale affidando la PIENA COMPETENZA AL COMUNE UNICO eliminando i poteri della Soprintendenza.
Allo stato dell'efficienza dei sei Comuni dell'isola d'Ischia NESSUNO ha approvato un Piano Urbanistico Comunale previsto dalla legge regionale dell'assessore dell'epoca Marco Di Lello, socialista, eletto deputato del PD che pare già confluito nel gruppo misto della Camera, del 2005 e del resto non avrebbe alcun senso se un Comune – come Serrara-Fontana, il più piccolo fra i sei, ma l'unico ad aver affidato l'incarico di redazione ad uno Studio di urbanistica – approvasse un "piano di recupero" mentre gli altri 5 non lo fanno.
Naturalmente per rivedere un nuovo assetto istituzionale dell'area napoletana ci vuole tempo: bisogna istituire la Città Metropolitana, abolire la Provincia, disegnare i poteri dei 92 Comuni dell'area di cui sei nell'isola d'Ischia e due a Capri. Solo con un "efficiente" assetto istituzionale dei poteri locali può essere credibile ed attuare una "realistica" Pianificazione Territoriale che deve essere legata alla Programmazione Economica. Un assetto istituzionale "efficiente" può rendere "efficace" una "Programmazione-Processo" capace di consolidare e non distruggere un sistema economico complesso di un'isola ancora di straordinaria bellezza dalla articolata Economia come dimostriamo ogni mese con la nostra Rivista-Guida "Ischianews & Eventi" ed abbiamo proposto – nel caso di Casamicciola – una Società di Trasformazione Urbana ai sensi dell'art.120 del Testo Unico degli Enti Locali capace di recuperare almeno 100mila metricubi di superficie coperta soprattutto con il recupero del fatiscente complesso del Pio Monte della Misericordia.
Se queste sono osservazioni "semantiche" o "giuridicamente elementari" come vecchio socialista liberale sessantottino desidero farne una di carattere "politico".
I comunisti hanno sempre sostenuto di essere i primi della classe, di avere "sentimenti esemplari" e non hanno MAI sostenuto abbastanza la politica di Programmazione avviata dai socialisti negli anni ' 60 del ' 900 con la svolta di centro-sinistra fino a dare un contributo decisivo per il suo fallimento che ha portato negli anni ' 80 e ' 90 al più sfrenato liberismo che a sua volta ha determinato la corruzione e la dissoluzione del sistema dei partiti. Diventati "postcomunisti" e semplicemente "democratici", perché non possono dirsi "socialisti", non hanno perso questo "vizio" che vogliono far passare come "virtù". Che cosa sia oggi il PD lo sta spiegando Fabrizio Barca nel suo giro d'Italia in quello che resta delle "sezioni" che oggi si chiamano "circoli".
Se il PD non dichiara se stesso "socialista" in linea con il "socialismo europeo" e se i suoi dirigenti non si scelgono Padri Nobili come Norberto Bobbio e Carlo Rosselli cioè i portatori laici di un "dubbio" non di una "certezza" e ne fanno comportamento politico , non ha né presente né avvenire.
Questa questione del "condono edilizio" è quindi esemplare. Bisogna chiamare le cose con il nome appropriato, bisogna avviare una autocritica, bisogna vedere il palo nei propri occhi prima che il pelo o un altrettanto palo in quelli degli altri, bisogna, tanto per chiudere e scusarmi per chi mi ha letto fin qui, con Ernesto Rossi (1897-1967) "dare occhiali alla democrazia non accecarla". Casamicciola, 23 giugno 2013
(ANSA il 29 novembre 2022) - Accelerare la ricerca dei quattro dispersi dell'alluvione di Casamicciola. Si riparte questa mattina con la preoccupazione che la pioggia, annunciata tra oggi e domani sull'isola d'Ischia, renda ancora più complicate le operazioni di individuazione dei corpi. Il fango in strada da spalare è ancora tanto e si teme per ulteriori ostacoli che provocherebbero piogge intense.
Le ricerche si concentrano nella zona di via Celario, la cosiddetta strada della morte dove la frana ha provocato i maggiori lutti. Il bilancio della tragedia al momento è di 8 morti, 5 feriti, 230 sfollati. Dopo il ritrovamento, nella giornata di ieri del quindicenne Michele Monti, i quattro dispersi sono Valentina Castagna e Gianluca Monti, giovani genitori dei tre fratellini di 15,11 e 6 anni trovati morti, Salvatore Impagliazzo, compagno di Eleonora Sirabella, la ragazza prima vittima del disastro recuperata e una donna di 31 anni.
Sono proseguite anche nel corso della notte le ricerche degli ultimi quattro dispersi di via Celario, nella zona di Casamicciola alta. I vigili del fuoco hanno setacciato metro dopo metro la zona dove ieri sono state ritrovate alcune vittime. In mattinata alcune squadre hanno dato il cambio agli operatori che nelle scorse ore hanno lavorato senza sosta. Intanto, anche questa mattina torneranno in attività i volontari per spalare il fango. (ANSA)
Fulvio Bufi per il “Corriere della Sera” il 29 novembre 2022.
Con i vigili del fuoco che ancora scavano, e quattro corpi ancora da recuperare - perché di questo si tratta, e ormai definire «disperso» chi manca all'appello è soltanto un dovere tecnico burocratico - non è facile fissare l'attenzione sull'ombra che dal primo momento accompagna questa tragedia: quella dell'abusivismo e dello scempio ambientale.
Eppure è anche su questo, o forse soprattutto su questo, che la procura di Napoli dovrà fare chiarezza con l'inchiesta per frana colposa aperta all'indomani della strage di Casamicciola. Ed è inutile nasconderlo: potrebbero venir fuori responsabilità, quantomeno di incoscienza, anche da parte di chi ha trasformato in case vecchi ruderi, stalle risalenti anche a secoli fa, ed è andato a viverci.
Il lavoro dei magistrati è ancora alle primissime battute. Ma sulle condizioni di quel costone del monte Epomeo che si affaccia sul comune di Casamicciola lavorano da anni geologi, ingegneri, architetti, enti territoriali come l'Autorità di bacino. E ogni indagine tecnica, ogni rilievo, ogni ricerca scientifica ha portato allo stesso risultato: la zona del Celario è ad elevato rischio idrogeologico.
In un documento redatto dall'Autorità di bacino meridionale sulla gestione del rischio idrogeologico a Casamicciola e Lacco Ameno si legge che sul versante dell'Epomeo rivolto verso i due comuni si riscontrano «fenomenologie franose» che «sono in grado di trasportare verso il fondovalle grandi quantità di massi e tronchi nonché, laddove presenti lungo il percorso di propagazione, autovetture e materiale antropico in generale. La grande energia messa in gioco da tali flussi è in grado di danneggiare i fabbricati e le strutture con essi interagenti provocandone, occasionalmente, la completa demolizione».
Sulla base di questi elementi si conclude che «estese porzioni di Casamicciola e Lacco Ameno sono classificate a rischio molto elevato (R4) ed elevato (R3), - in quanto suscettibili all'innesco, transito e invasione di fenomeni di colata rapida di fango, flussi iperconcentrati (miscela acque e sedimento) e crolli».
Sulla stessa linea lo studio condotto dall'Ispra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, riportato nella cartina in alto a destra, in cui compare esattamente via Celario, indicata come un'area dove l'alto rischio di frane si somma a un altrettanto elevato rischio di alluvioni. E tutto questo, tornando a quanto scrive l'Autorità di bacino, in un territorio dove «gli impluvi presentano numerosissime interferenze con opere antropiche dell'urbanizzato, quali tombamenti, edificazioni e strade alveo, che generano numerose criticità e singolarità idrauliche».
Che in uno scenario così non si possa pensare di costruire case, né di riattare vecchi manufatti, appare evidente. Ma esistono anche altri documenti ufficiali che di fatto sanciscono l'assoluta inedificabilità di aree come quella del Celario.
In particolare il Piano territoriale paesistico del ministero per i Beni culturali e ambientali datato addirittura 14 dicembre 1995. Come è indicato nella cartina a sinistra, l'area colpita dalla frana di sabato scorso è identificata in bianco, e questo a una lettura superficiale potrebbe far pensare a un posto a zero rischi, perché convenzionalmente laddove c'è pericolo di disastri naturali si parla sempre di zona rossa.
Ma la legenda che accompagna il grafico, e soprattutto le norme di attuazione dei Ptp, spiegano che in questo caso bisogna ragionare esattamente al contrario: quella in bianco è considerata «zona a protezione integrale», e cioè un'area dove non è assolutamente possibile costruire né eseguire alcun tipo di intervento su edificazioni eventualmente già presenti prima dell'approvazione del piano.
Ferruccio Pinotti per corriere.it il 28 novembre 2022.
Ventitrè mail pec inviate ad altrettanti destinatari appena quattro giorni prima della tragedia: «Evacuate Casamicciola, la semplice allerta meteo non basta».
A scriverle era stato l’ingegnere Giuseppe Conte (omonimo dell’ex premier), già sindaco nei primi anni ‘90 del Comune colpito dalla frana. Un allarme inascoltato. «Avevo scritto al prefetto di Napoli, al commissario prefettizio di Casamicciol a, al sindaco Manfredi e alla Protezione Civile Campania. Nessuno mi ha risposto», denuncia al Corriere.
« A seguito dell’allerta meteo arancione, avevo segnalato il pericolo per la popolazione della zona e chiesto la loro evacuazione» .
«Dopo l’alluvione del 2009 non c’è stato alcun intervento, o almeno nessuno significativo, nonostante i fondi stanziati per la sicurezza negli ultimi anni: 180mila euro per la pulizia degli alberi, 3 milioni e 100 per un intervento a monte dell’abitato Casamicciola (nel 2010-2012) e un lavoro messo a disposizione dalla città metropolitana per mettere in sicurezza del bacino dell’alveo Larita nel 2018. E ancora manca inoltre da anni l’annunciato piano per il dissesto idrogeologico della zona», sostiene Conte.
Al Corriere l’ingegnere, classe ‘47, un passato come dirigente nel settore acque e acquedotti della Regione Campania, spiega: «Il problema di Casamicciola di cui sono stato sindaco negli anni Novanta non è l’abusivismo, le cause di questo disastro sono le stesse dell’alluvione del 1910, ovvero la fragilità del territorio. Dopo l’alluvione del 1910 furono realizzati dei sistemi di protezione dell’abitato, le cosiddette “briglie”, ma da allora non si è più intervenuti con interventi appropriati e con una manutenzione degna di questo nome»
Ma ecco il testo delle mail. Dopo una premessa sull’aggravarsi della situazione meteorologica, l’ex sindaco il 22 novembre scriveva: «È opportuno ricordare che nella notte del 13 febbraio 2021 si verificava, presso il vallone la Rita, il crollo di uno degli storici stabilimenti termali ivi insistenti per cui la Protezione Civile Regionale insieme al Soccorso Alpino e Speleologico della Campania hanno ispezionato il canale tombato quasi sicuramente ostruitosi a seguito degli evidenti crolli. I tecnici intervenuti hanno riscontrato l’esistenza di una situazione decisamente catastrofica e la possibilità di ulteriori crolli e l’urgenza di ripulire tutto l’alveo sia dalla vegetazione, sia dall’immondizia e dai blocchi di materiale solido presenti all’interno».
L’ingegner Conte prosegue: «Considerato che i lavori richiesti non sono stati realizzati, può sussistere lo “stato di grave crisi per la calamità naturale imminente”, nei Comuni di Casamicciola Terme e di Lacco Ameno, dato dal pericolo imminente nella zona del vallone della Rita. Considerato, altresì, che l’Autorità di Bacino competente, il Sindaco di Casamicciola Terme e il sindaco di Lacco Ameno, pro tempore, hanno segnalato la concreta possibilità, in caso di allerta meteo, di evacuazione della popolazione e dell’unico presidio sanitario ospedaliero dell’isola d’Ischia, delle case popolari nonché della scuola media.
Con la precisazione che nella zona di confluenza dell’alveo vi è anche una centrale di trasformazione dell’Enel, il Sottoscritto in ottemperanza al senso civico che lo anima, invito le Autorità in indirizzo, per le rispettive competenza ad adottare tutte le iniziative necessarie per la sicurezza e la salute delle persone che operano a valle dell’alveo La Rita».
«Inoltre — prosegue la mail — tutti gli alvei naturali di Casamicciola Terme, nonostante i fondi stanziati, per l’inerzia della pubblica amministrazione, in un perverso gioco di scaricabarile, non sono stati oggetto di alcun intervento dopo l’alluvione del novembre del 2009.
C’è, quindi, l’eventualità concreta di una nuova alluvione nelle stesse zone, per cui si chiede di porre in essere determinate azione di protezione della popolazione, che non può essere il semplice avviso di un’allerta Meteo». Un avviso che non ha avuto risposta.
Secondo Legambiente le case abusive a Ischia colpite da ordinanza definitiva di abbattimento sono 600; 27mila le pratiche di condono presentate in occasione delle tre leggi nazionali. Di queste risultano negli uffici tecnici del Comune di Forio 8.530 istanze, 3.506 a Casamicciola e 1.910 a Lacco Ameno. L’associazione ha ricordato come dopo il decreto del 2018 (il cosiddetto «decreto Genova» o «decreto emergenze», approvato nell’autunno del 2018) «il numero di fabbricati danneggiati che hanno fatto richiesta di sanatoria sono ad oggi circa 1.000».
Estratto dell’articolo del “Fatto quotidiano” il 28 novembre 2022.
[…] L'articolo 25, poi richiesto da circa 1.100 pratiche di condono sull'isola d'Ischia delle 27.010 già presentate, spaccò in due i pentastellati, tra l'ala favorevole del vicepremier Luigi Di Maio - si ricorda un'intervista a Repubblica del 2017 in cui difendeva "l'abusivismo di necessità di chi ha una casa abusiva perché la politica non ha fatto il suo dovere" - e quella contraria del ministro dell'Ambiente Sergio Costa.
Finì, come sempre, a colpi di espulsioni verso chi non votò il dl in Parlamento.
Nette le parole del governatore campano Vincenzo De Luca a Rainews24: "Le persone devono capire che in alcune aree non si può abitare, non esiste l'abusivismo di necessità.
Le costruzioni nelle zone fragili dal punto di vista idrogeologico vanno demolite".
Virginia Piccolillo per il "Corriere della Sera" il 30 novembre 2022.
Gregorio De Falco, lei venne espulso dai Cinque Stelle perché era contrario al condono di Giuseppe Conte su Ischia?
«Di più. A causa della mia contrarietà a quel provvedimento, contro il quale avevo presentato un emendamento di modifica, sono stato espulso dal M5S con la motivazione di non aver sostenuto il governo e poi dal gruppo parlamentare su indicazione di un ministro, il capo del M5S Luigi Di Maio».
Cosa voleva modificare ?
«Chiedevo di abolire il "richiamo esclusivo" alla legge 47/85 Craxi-Nicolazzi che ha aperto una vera e propria autostrada per i condoni. Le due leggi di condono successive erano meno permissive. Ma dopo il condono Conte si è obbligati ad applicare non quelle ma la norma che aveva maglie più larghe per l'abusivismo».
Conte dice che non è un nuovo condono. Ha torto?
«Sì, perché è vero che la norma già esisteva. Ma il condono è nuovo. La legge Craxi-Nicolazzi era stata in parte superata. Dire che bisogna seguire una legge vecchia, che in parte non esiste più, è come vararla di nuovo. Come se, surrettiziamente, avessimo riaperto i termini per il condono. A Ischia lo sanno».
Chi lo sa?
«I cittadini. A differenza di Conte (che si mostra contrario a un condono da lui stesso varato) loro la norma l'hanno studiata e ne hanno tratto l'aspettativa di nuove sanatorie. E infatti dopo il condono hanno costruito tanto».
Come lo sa?
«La mia famiglia è di Ischia. Ho ancora la casa di mio nonno a Ferrara Fontana. Sul versante opposto alla grande frana. Anche se una piccola c'è stata anche lì. Ischia è un vulcano, è lava consolidata in tufo, friabile. Si è visto».
Vuole dire che la tragedia è colpa del condono?
«Le case, ancorché abusive, non hanno prodotto la frana. Ma il fatto che fossero lì è stata una concausa della tragedia».
Casamicciola va spostata?
«È storicamente una zona in cui si verificano questi fenomeni. Poiché non si può pensare di spostare tutta Casamicciola vanno fatti piani di contingenza sulla base della valutazione concreta del rischio ed eventuali piani di evacuazione».
Quel condono va abolito?
«È nato per sanare piccole irregolarità e consentire che lo Stato finanziasse in edifici senza abusi la ricostruzione post sisma. Ma va tolto quel riferimento alla vecchia legge.
In modo da ripristinare controlli mirati zona per zona. Poi toglierei un'altra parte del decreto che non riguarda Ischia: quella che ha elevato la soglia per l'uso di fanghi di depurazione in agricoltura: ora mangiamo ortaggi meno sani»
Lottò da solo nel M5S?
«No, almeno dieci si alzarono e se ne andarono al momento del voto».
Si volta mai indietro?
«Il M5S aveva scopi condivisibili. Purtroppo traditi da chi ha occupato il potere per fini personali. Io sono tornato al mio lavoro, alla Capitaneria di Porto di Napoli».
Da liberoquotidiano.it il 28 novembre 2022.
"Il mio no al condono mi costò l'espulsione dal Movimento 5 Stelle". A parlare, intervistato dall'agenzia Adnkronos, è l'ex senatore pentastellato Gregorio De Falco, commentando i tragici fatti di Ischia e le accuse ai 5 Stelle e all'allora premier Giuseppe Conte di aver di fatto approvato un condono mascherato nel 2017 che ha peggiorato l'abusivismo edilizio sull'isola al largo di Napoli.
La norma in questione è quella, contestatissima, contenuta nel decreto Genova che riguardava l'isola, ovvero l'articolo 25 sulla "definizione delle procedure di condono". Il provvedimento oggi viene rinfacciato da Italia Viva all'ex premier Conte, il quale nega però si sia trattato di un condono. "Conte sa benissimo che è un vero e proprio condono ex novo che richiama il condono del 1985. In diritto esiste un principio, tempus regit actum, il professor Conte non può non saperlo. Il condono del 2018 doveva essere disciplinato dalle norme del 2018. Se fosse vero quello che dice Conte, sarebbe bastato un atto amministrativo e un modellino unificato", attacca De Falco, che proprio oggi è tornato in servizio a Napoli presso la Capitaneria di Porto.
"Parlo a titolo personale", ci tiene a precisare. L'ex senatore grillino, all'epoca, si scagliò contro quella norma "blindata" dal M5s, azionista di maggioranza del governo Conte 1. Un'opposizione che poi gli sarebbe costata la cacciata dal Movimento. "Mi fu contestato il no al decreto Salvini, ma certamente - rimarca De Falco - il decreto Genova fu la goccia che fece traboccare il vaso a metà novembre 2018. Contestai i 12 articoli che riguardavano il condono a Ischia. Mi fu risposto che non si potevano presentare emendamenti e che il condono si sarebbe fatto. Il senatore Santangelo, allora sottosegretario ai Rapporti con il Parlamento, disse che era stato deciso così".
De Falco in Commissione provò poi a bloccare la norma sul condono: "Avevo predisposto un emendamento che prevedeva di tagliare le ultime parole dell'articolo 25 laddove si faceva riferimento alla legge 47 del 1985, il cosiddetto condono Craxi". In Commissione "fu messo ai voti l'emendamento presentato dalla senatrice forzista Urania Papatheu, identico al mio. Il governo - racconta il Capitano di fregata - fu battuto e quell'emendamento passò. Immediatamente si auto-sospesero 4 senatori campani di Forza Italia, tra cui De Siano e Cesaro. Il giorno seguente in Aula Fi, dopo un travaglio interno, tornò a 'militare' a favore dei condoni e quindi votò contro il 'proprio' emendamento a firma Papatheu. Insieme a Fi votarono la Lega e Movimento 5 Stelle".
"Tutto il M5s difese quella norma, eccetto me e le senatrici Nugnes e Fattori. Tutto il Movimento si muoveva come una testuggine, secondo un'espressione evocata all'epoca da Luigi Di Maio...", prosegue De Falco togliendosi più di un sassolino dalle scarpe: "Il voto su Ischia contribuì alla mia espulsione. A certificarlo fu il Movimento stesso nelle motivazioni che accompagnarono il mio provvedimento disciplinare. Su quel condono Conte all'epoca nulla ebbe da eccepire, così come Salvini. Oggi entrambi balbettano. Adesso il leader M5s sconta la sua eccessiva attitudine al cambiamento".
Francesco Sisci per formiche.net il 28 novembre 2022.
Una differenza fondamentale nelle democrazie è quella tra responsabilità politica e responsabilità giudiziaria. Anche se tra i due ambiti possono esserci zone grigie la distinzione è essenziale perché consente il libero scambio delle opinioni e soprattutto permette di condannare politicamente qualcuno senza fucilarlo fisicamente.
Inoltre il politicamente condannato, in democrazia, può fare ammenda del suo sbaglio e rimettersi al pubblico che dopo l’ammenda può decidere di dargli ancora fiducia o togliergliela. In teoria, quindi si crea un sistema trasparente, in cui il pubblico può scegliere in maniera limpida e i politici stessi possono evolversi e fare evolvere la società.
Quindi, negare la responsabilità politica manda il sistema in tilt. Apre le porte alla tentazione di usare il sistema giudiziario per risolvere questioni politiche altrimenti irrisolvibili.
Diventa l’inizio di una deriva autoritaria e giustizialista, che ancora si trascina in Italia dopo la stagione di Mani Pulite e che ha anche responsabilità politiche nella politica.
Il cortocircuito tra politica e giustizia sembra alla base di tante delle attuali polemiche sul disastro di Ischia e sul condono agli abusi nell’isola firmato dal governo di Giuseppe Conte.
L’avvocato Conte avrà tutte le ragioni del codice per dire che quello da lui approvato non era un condono e perciò non può essere condannato ad alcuna pena, nemmeno a una piccola multa. È un illustre avvocato e sicuramente avrà ragione. Però non è questo il punto.
Conte è colpevole politicamente perché ha sanato una situazione che non doveva essere sanata. Poi, sempre politicamente, Conte potrà spiegare perché lo ha fatto.
Ma la discussione deve essere politica non giudiziaria, perché se si confondono i due ambiti, come egli ha fatto, poi rischia davvero di finire schiacciato sotto le ruote di una giustizia sorda e cieca.
Il problema non è certo solo di Conte, ma più in generale del dibattito politico italiano e poi in particolare della sinistra.
La difesa leguleia dell’operato di governo non può essere tollerabile da parte di chiunque perché diventa una ferita che non si rimargina facilmente nella politica nazionale.
Se si vuole eliminare o limitare l’intervento giudiziario nella politica, la politica deve fermarsi prima della giustizia e riconoscere colpe politiche prima che diventino giudiziarie.
Qui c’è una lezione per i vaffa boys di destra o sinistra. Occorre ammettere le colpe politiche e ritirarsi in buon ordine quando si può. Insistere nell’errore è diabolico, e distrugge tutto, a cominciare da sé stessi.
Sinistra ipocrisia. Il vero scandalo è il condono di Conte (non quello fatto da lui, quello fatto su di lui). Francesco Cundari su L’Inkiesta il 29 Novembre 2022.
Nessuna ricostruzione del Pd sarà possibile finché dirigenti e intellettuali non si decideranno a lottare seriamente contro l’abusivismo politico di chi ha indebitamente occupato il campo progressista
Come dimostrano le sue ampollose argomentazioni per convincerci che il condono da lui varato non era un condono, che la politica dei porti chiusi e dei decreti sicurezza del suo governo non aveva niente a che fare con la politica dei porti chiusi e dei decreti rave del governo attuale, che si poteva benissimo esultare per la liberazione di Kherson da parte della resistenza ucraina un minuto dopo aver chiesto di interrompere la fornitura di armi alla resistenza ucraina, su Giuseppe Conte non c’è più niente da dimostrare.
Niente, perlomeno, che non fosse chiaro fin dal primissimo apparire sulla scena politica di un uomo capace di dirsi pubblicamente populista e sovranista nel 2018, ma cattolico-democratico e progressista nel 2019, in perfetta coincidenza con il variare delle maggioranze parlamentari dei suoi due governi, e tutto questo senza tradire il minimo imbarazzo, anzi, con la stessa nonchalance con cui oggi accusa Giorgia Meloni di avere fatto «un’opposizione di comodo» a un governo da lui sostenuto e di cui il Movimento 5 stelle faceva parte. C’è veramente poco da aggiungere alle sue parole, tanto più nel momento in cui il leader dei Cinquestelle, a proposito delle polemiche sul terremoto di Ischia, ha persino il coraggio di parlare di «sciacallaggio» contro di lui.
Questo sommario e assai carente riepilogo non serve ad altro che a ribadire un’ovvietà, e cioè che il condono di Conte è imperdonabile, ma non quello fatto da lui. Quello fatto su di lui.
Non c’è manifesto dei valori, carta dei principi, fase costituente che tenga, fino a quando nel Partito democratico non si avrà il coraggio di denunciare apertamente l’abusivismo politico del Movimento 5 stelle, fino a quando dirigenti e intellettuali non si decideranno a liberare la strada di una possibile sinistra di governo dalle pericolanti costruzioni grilline, che nessuna sanatoria e nessun super bonus potrà mai rendere abitabili per una politica autenticamente progressista.
Dai condoni al reddito di cittadinanza, dal superbonus alla battaglia contro i termovalorizzatori, l’esito effettivo di quelle politiche è stato il più grande incentivo alla corruzione, alla deresponsabilizzazione, al degrado urbano e ambientale, alla truffa, al lavoro nero e all’economia illegale che si sia mai visto da almeno trent’anni a questa parte (a tenersi bassi). Un esito tanto più intollerabile perché prodotto da chi nel frattempo avvelenava il dibattito pubblico con campagne giustizialiste e anti-istituzionali, con vere e proprie campagne di odio online e offline, da quella sul caso Bibbiano a quella sul crollo del ponte Morandi (a proposito di «sciacallaggio»).
Tutto questo non è riformabile, non è migliorabile, non è un problema tecnico di questa o quella norma. Una misura che si chiama «reddito di inclusione» è riformabile, una misura che si chiama «reddito di cittadinanza», che come tale è stata propagandata e imposta, no. E continuare a far finta di non vedere il gigantesco problema di lavoro sommerso, distorsione della concorrenza e degrado alimentati da quelle norme e da quella retorica, nascondendosi dietro le tante famiglie povere che ovviamente vanno sostenute, dietro le tante famiglie cui il bonus fa comodo e i tanti cantieri che così sono ripartiti, non significa solo compromettere il futuro dell’Italia e in particolare del sud, ma anche quello della sinistra.
Ed è ancora niente in confronto al significato politico e morale della campagna grillina per il ritiro del sostegno militare all’Ucraina. Un cedimento dei riformisti del Pd anche su questo terreno sarebbe davvero l’ultima e definitiva abiura di una storia certo piena di errori e contraddizioni, ma che era ancora e nonostante tutto una storia dotata di senso, che descriveva un’evoluzione, un percorso in cui le tradizioni della sinistra post-comunista e post-democristiana si incontravano con il socialismo democratico e trovavano infine nel Partito del socialismo europeo la loro naturale collocazione.
Nessuna regressione è più grave e irrimediabile del ritorno alla peggiore demagogia di un tempo, ma senza nemmeno le radici autenticamente popolari di allora, sostituendo la radicalità della lotta di classe con il peronismo casalinista di chi pretendeva di governare in diretta Facebook, ovviamente dalla sua pagina personale, persino nel pieno di una pandemia (sempre a proposito di «sciacallaggio»).
Se davvero i dirigenti del Partito democratico vogliono costruire qualcosa di nuovo, a sinistra, per prima cosa dovranno liberare il campo dai suoi occupanti abusivi.
Grazia Longo per “la Stampa” il 28 novembre 2022.
Ieri mattina il capo della protezione civile Fabrizio Curcio è volato a Ischia per un sopralluogo sul terreno del disastro. E mentre commenta l'ultima emergenza lancia l'allarme: «Il 94% dei Comuni è a rischio frane, alluvioni ed erosioni costiere».
Che situazione ha trovato sull'isola?
«Molto complicata: la colata di fango e detriti ha investito edifici e ha trascinato fino al mare ciò che ha trovato. In pratica è venuto giù un pezzo del monte Epomeo. A 24 ore dall'evento c'è una grande attività in corso per la ricerca dei dispersi e per l'assistenza alla popolazione da parte di Vigili del fuoco, forze dell'ordine, soccorso alpino e tanti volontari».
Com' è organizzata la macchina dei soccorsi?
«Il sistema operativo ha funzionato, anche perché sull'isola c'era un presidio dei Vigili del fuoco che si è subito attivato grazie anche alla collaborazione dei volontari. Sul campo sono inoltre impegnate altre componenti che prestano aiuto con l'ausilio di cani, droni, l'elicottero notturno del vertice interforze. Strumenti particolari per un evento straordinario in azione in modo complementare. Nonostante il maltempo, i tempi di attivazione sono stati rapidi».
In appena 6 ore sono caduti sull'isola 120 millimetri di pioggia. C'è dunque il problema di troppa acqua, ma anche di troppo cemento considerate tutte le opere di abusivismo edilizio recentemente condonate per effetto del decreto Morandi.
«Il tema della presenza antropica e il rapporto con la natura è tipica di questi rischi. L'abusivismo edilizio costituisce sicuramente un problema, ma in tante altre zone pur mancando costruzioni abusive si verificano comunque dei disastri ambientali. A Ischia c'è un abusivismo acclarato e quindi il rischio è maggiore. Ma spesso capita che si verifichino delle pianificazioni edilizie sbagliate, nonostante siano in regola con la legge, in aree dove la natura reclama i suoi spazi e dove quindi non si può vivere in piena sicurezza. L'assioma disastro ambientale uguale abusivismo edilizio non sempre funziona».
A Ischia c'è anche il problema della manutenzione del monte Epomeo. Come intervenire?
«Sinceramente non ho una conoscenza approfondita della questione. C'è tuttavia il tema generale della manutenzione delle montagne: scarsa pulizia dei boschi e dei sottoboschi, mancata cura dell'area fluviale. Occorre sicuramente insistere di più con la pulizia ma è necessario anche accelerare i tempi delle pratiche burocratiche per intervenire più in fretta. Eventi come questo di Ischia sono sempre più frequenti: questo è il tempo del fare, non del pensare».
Quali sono le aree più a rischio in Italia?
«Il 94% dei Comuni, ovvero 7.400 centri, è a rischio di alluvioni, frane, erosioni costiere: sono state recentemente censite 625 mila frane di cui un terzo a cinetismo rapido.
L'Italia è tutta a rischio. Fatichiamo a fare una classifica perché il pericolo è molto esteso. Dobbiamo quindi potenziare la prevenzione strutturale migliorando opere come la costruzione di argini dei fiumi, vasche di espansione, briglie per far defluire l'acqua. Ma è altrettanto necessario un comportamento umano che tenga conto delle allerte meteo e delle criticità che vengono segnalate».
Abusivismo, mancati investimenti, scarsa manutenzione. Qual è il problema più grave?
«Non credo esista una risposta unica: i tre problemi sono come le tre gambe di uno stesso tavolino, hanno tutte la loro importanza. A seconda delle varie situazioni c'è bisogno di diverse risposte. A volte, per agire in modo adeguato, per trovare la soluzione migliore, c'è bisogno di affidarsi ad analisi terze. Come ad esempio i responsabili amministrativi che svolgono i piani di mitigazione del rischio, le autorità del bacino, le Regioni».
Nel nostro Paese il rischio idrogeologico è molto alto: quale prevenzione è necessaria?
«Sono fondamentali attività come la cura degli alvei, l'analisi dei confluvi per evitare i cosiddetti "fiumi tombati" dove l'acqua trasborda fuori dal regolare corso. Occorre poi approfondire il reticolo idrogeologico: dove scorre un fiume e con quale portata? Come si rapporta con le abitazioni? Bisogna conoscere bene il territorio e procedere con la realizzazione di vasche di estensione e la ridefinizione dei corsi d'acqua».
Come affrontare l'allarme del cambiamento climatico?
«Ci sono due piani di azione. Uno a breve termine, l'altro a medio e lungo termine. Il primo prevede un comportamento improntato alla resilienza e che tenga conto delle allerte ricevute oltre a opere urgenti sul territorio. Più a lungo termine, invece, servono adeguate politiche sull'emissione dei gas, sulla produzione energetica a impatto ambientale. È importante che il Paese affronti la questione della riduzione dei gas in base a un piano internazionale ma anche con strategie da mettere in atto sul piano personale. Se noi tutti ci impegnassimo ad usare meno l'automobile sarebbe già un primo passo».
In che modo si può procedere alla modifica delle abitudini personali?
«Dovremmo lavorare di più sulla consapevolezza di migliorare il rapporto tra i cittadini e le istituzioni per la gestione del rischio. Pensiamo al Covid: la popolazione si è affidata alle istituzioni per affrontare l'emergenza. Ma sul rischio c'è diffidenza: uno, ad esempio, non vuole rinunciare a usare l'automobile dimenticando che la natura reclama attenzione. Bisogna rispettare di più il rischio e non cedere ad atteggiamenti irresponsabili».
Il consumo di suolo condanna l’Italia a periodiche tragedie come quella di Ischia. Salvatore Toscano su L'Indipendente il 28 novembre 2022.
Sabato mattina una frana si è abbattuta sul Comune di Casamicciola Terme, sull’isola di Ischia, causando 7 vittime e 5 dispersi. Si tratta dell’ultimo caso di una serie di tragedie che, oltre ai naturali processi geomorfologici dovuti alla conformazione del terreno, trovano la loro causa in una illogica pianificazione urbana. L’ultimo rapporto ISPRA sul consumo di suolo lascia poco spazio a fraintendimenti. Tra il 2020 e il 2021 si è costruito su 39 ettari a pericolosità di frana molto elevata, altri 79 ettari in aree a pericolosità elevata, 99 a media pericolosità e 104 in aree a moderata pericolosità. 321 ettari totali, il 5% del consumo annuale di suolo italiano, che vanno a sommarsi alle centinaia di ettari a rischio già cementificati negli anni passati. Una negligenza che contribuisce all’impatto antropico sull’ambiente e mette in serio pericolo la popolazione.
“Tra il 2006 e il 2021 il Belpaese ha perso 1.153 km2 di suolo naturale o seminaturale, con una media di 77 km2 all’anno a causa principalmente dell’espansione urbana e delle sue trasformazioni collaterali che, rendendo il suolo impermeabile, oltre all’aumento degli allagamenti e delle ondate di calore, provoca la perdita di aree verdi, di biodiversità e dei servizi ecosistemici, con un danno economico stimato in quasi 8 miliardi di euro l’anno”, si legge nel rapporto Ispra. Del consumo totale di suolo, centinaia di ettari riguardano aree con alta, media e moderata pericolosità e pertanto rappresentano un pericolo per la popolazione. Tali rapporti tecnici dovrebbero fare da monito all’azione politica, orientandola verso scelte utili al benessere dei cittadini. Tuttavia, gli interessi, i compromessi e l’accondiscendenza alterano il principio della buona gestione della cosa pubblica. Così, i dati allarmanti finiscono nell’oblio, fino a quando una delle frane (che in Italia si verificano ogni 45 minuti) non si trasforma in tragedia. Seguono il silenzio, le accuse e poi di nuovo l’oblio. [di Salvatore Toscano]
Dopo la tragedia di Ischia: l’analisi e le ricette dei geologi italiani. Redazione L'Identità il 28 Novembre 2022
Alle prime luci dell’alba di sabato, a seguito di intense precipitazioni protrattesi per tutta la notte, nel territorio di Casamicciola Terme,
sull’Isola di Ischia, si è verificato un fenomeno di colata rapida di fango lungo il versante settentrionale del Monte Epomeo, con un computo delle vittime ancora in corso, mentre i soccorritori sono ancora al lavoro. Comincia così l’analisi dei geologi italiani sull’ultima tragedia causata da fenomeni che troppo frettolosamente e trascuratamente fin qui in Italia sono stati definiti imprevedibili e attribuiti solo alla natura e all’accelerazione del climate change.
“Purtroppo il rischio di questi fenomeni nella zona ischitana è elevatissimo, l’ultimo evento in ordine di tempo si è verificato nel 2009, e i dati del rapporto ISPRA del 2021 indicano per Casamicciola che circa il 60% del territorio ed il 30% della popolazione sono esposti ad un rischio elevato”, rileva Lorenzo Benedetto, presidente Centro Studi CNG.
“I piani per l’Assetto idrogeologico elaborati dalle Autorità di Bacino, evidenziano condizioni di fragilità dell’intero territorio nazionale peggiorate da uno sviluppo caotico e da un non corretto uso del territorio stesso: infatti si è costruito molto spesso in posti dove condizioni geologiche e geomorfologiche non lo avrebbero consentito” prosegue Benedetto.
Cosa fare, allora? “Dopo le operazioni di soccorso e dei primi interventi volti al superamento dell’emergenza e dunque alla ripresa delle normali condizioni di vita e di lavoro, che il sistema di Protezione Civile sta già attuando, sarà importante fare le valutazioni delle condizioni di rischio residuo, con sopralluoghi dedicati anche in relazione agli interventi urgenti di riduzione del rischio da realizzare” afferma Arcangelo Francesco Violo, presidente CNG.
Le prospettive delineate dai geologi italiani conducono ad una unica grande necessità: ““Serve una strategia integrata di prevenzione e gestione del rischio idrogeologico, dobbiamo imparare a convivere con il rischio, il rischio zero non esiste”, prosegue Violo.
Come si può fare? Attraverso l’attuazione di un piano pluriennale di prevenzione e gestione che preveda non soltanto la realizzazione di interventi di tipo strutturale, cioè opere di consolidamento, arginature, briglie, vasche e altro ancora, ma anche una serie di azioni ed interventi non strutturali.
A cominciare, dall’aggiornare i piani per l’assetto idrogeologico e di gestione delle alluvioni perché il territorio è in continua evoluzione, intensificata anche dai cambiamenti climatici in atto. Proseguendo con l’adeguare la pianificazione urbanistica comunale, in modo da non continuare a costruire in aree pericolose ed attuare dunque uno sviluppo compatibile e sostenibile con l’assetto geologico del territorio. E delocalizzare le strutture dalle aree a rischio: recentemente in Campania un importante riferimento è la Legge regionale del 10 agosto 2022 numero 13, che favorisce ed incentiva la delocalizzazione di edifici posti in aree a rischio di frana e alluvione. Attuare, poi, i presidi territoriali, a supporto dei sistemi locali di protezione civile, per monitorare l’evoluzione del territorio insieme ai sistemi strumentali di monitoraggio e di allerta, al fine di tutelare innanzitutto l’incolumità delle persone, dando corso completo ai piani di Protezione Civile, soprattutto nella fase che precede l’evento al fine di ridurre il danno, soprattutto in termini di salvaguardia della vita umana. Informando la cittadinanza così da determinare popolazioni più resilienti: i cittadini devono essere messi a conoscenza dei possibili scenari di rischio che si possono verificare durante le emergenze e delle azioni e comportamenti che devono porre in essere per evitare di mettere a rischio la propria incolumità e quella degli altri.
Occorre infine – concludono i geologi italiani – la manutenzione del territorio che deve riguardare non solo fiumi e torrenti ma anche i terreni presenti sui versanti, prevedendo incentivi economici per i privati nella realizzazione di opere di manutenzione e di sistemazione che migliorerebbero le condizioni di stabilità e di assetto del territorio stesso.
I morti di Ischia sono le ultime vittime del partito del cemento che da anni distrugge l’Italia. Oltre 69 chilometri quadrati di terreni vengono sepolti ogni anno da colate di calcestruzzo e asfalto. Anche in aree ad alto rischio di alluvioni, frane, terremoti. Come dimostra la cronaca di queste ore. Paolo Biondani su L’Espresso il 3 ottobre 2022
C'è un partito in Italia che vince sempre le elezioni. Si presenta sotto diversi colori politici, quasi tutti, esclusi il verde e il rosso vivo degli assessori urbanisti della Bologna di una volta, della primavera di Napoli dopo Mani Pulite, della Sardegna salva-coste. È il partito del cemento. Un partito trasversale che domina da decenni il territorio nazionale, dalle grandi città alle coste di mari, fiumi e laghi, dai centri turistici alle periferie degradate. La sua forza, sotto tutti i governi, è misurata dai numeri e tabelle che pubblichiamo in queste pagine. Sono dati oggettivi, non opinioni: la quantità di terra, la superficie di suolo naturale, che ogni anno viene consumata, sfruttata, ricoperta da una crosta artificiale di calcestruzzo e asfalto.
Lo scempio edilizio in cifre: il grafico mostra le percentuali di suolo consumato da cemento e asfalto in tutto il territorio italiano: dal verde (sotto il 3 per cento) al giallo (5-7), arancione (7-9), rosso (9-15), granata (15-30) al nero (oltre il 30 per cento)
L'Italia continua da più di mezzo secolo a essere cementificata a ritmi frenetici: in media spariscono ogni giorno 19 ettari di verde. Più di due metri quadrati al secondo. La speculazione edilizia non si è fermata neppure quando il Paese era bloccato per il Covid-19. E dal 2021 è ripresa alla grande, raggiungendo i livelli più alti dell'ultimo decennio: la crosta grigia è aumentata di oltre 69 chilometri quadrati in dodici mesi.
Questi dati, contenuti nel rapporto pubblicato nel luglio 2022 dal Sistema nazionale per la protezione dell'ambiente (Snpa), nascono dalla schedatura di migliaia di foto aeree che documentano la progressiva cementificazione del nostro fragile territorio. Sono le immagini del disastro di una nazione dove si costruisce ovunque, di solito con tutti i permessi previsti da leggi e piani edilizi approvati dal partito trasversale del cemento, ma contro ogni regola di buon senso. In Italia si fabbricano case e capannoni, strade e parcheggi anche nelle zone a più alto rischio di alluvioni, frane, terremoti, disastri ecologici. Anche a costo di rovinare le bellezze naturali, i patrimoni culturali, i paesaggi che rendono unico il nostro Paese. Un sacco edilizio senza fine, che ignora tante tragiche calamità già vissute e i pericoli per il futuro, aggravati dall’emergenza globale del cambiamento climatico.
Il grafico segnala le percentuali di suolo cementificato in aree a rischio di terremoti: dal verde (sotto il 3 per cento) al giallo (5-7), arancione (7-9), rosso (9-15), granata (15-30) al nero (oltre il 30 per cento)
Nell'ultima campagna elettorale si è parlato poco di ambiente, per nulla di consumo del suolo. Nell'Unione Europea, almeno finora, è diverso. Diversi atti della Ue imporrebbero anche all'Italia, che li ha firmati, di rallentare la cementificazione fino a bloccarla del tutto. Il suolo è un tesoro naturale, ha scritto e deliberato nel 2021 la Commissione di Bruxelles, che «deve essere tutelato e preservato per le generazioni future», perché «è una risorsa limitata e sostanzialmente non rinnovabile: occorrono migliaia di anni per produrre pochi centimetri di questo tappeto magico». Oltre a essere indispensabile per l'agricoltura, per garantirci cibo, legno e «riserve di biodiversità», la Commissione evidenzia che le terre vergini «svolgono molte altre funzioni preziose, come la regolazione del clima, il disinquinamento dell'aria e dell'acqua, il controllo dell’erosione, la difesa dai disastri idrogeologici». L'Europarlamento ha quantificato i danni collegati al degrado dei suoli in «oltre 50 miliardi di euro all'anno». Eppure in Italia la cementificazione continua, anzi aumenta. Perfino dove è più pericoloso costruire.
Il grafico evidenzia le percentuali di suolo cementificato in aree a rischio di alluvioni: dal verde (sotto il 3 per cento) al giallo (5-7), arancione (7-9), rosso (9-15), granata (15-30) al nero (oltre il 30 per cento)
Migliaia di case, fabbriche e centri commerciali sono stati edificati nelle zone a più alto rischio di alluvioni. I dati del rapporto, raccolti dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e da tutte le Agenzie regionali (Arpa), mostrano che in Italia è stato «consumato», cioè cementato o asfaltato, il 6,4 per cento delle aree «a pericolosità idraulica molto elevata». E il 9,3 per cento di quelle «a pericolosità media». Con situazioni drammatiche. In Liguria risulta cementificato il 23 per cento dei terreni a massimo rischio di straripamento di fiumi e torrenti. La minaccia di disastri idrici è diffusa anche in altre regioni, dal Trentino al Veneto, dal Lazio alla Sicilia, dove è a rischio circa un decimo del suolo occupato da attività umane.
Il “dossier alluvioni 2022”, pubblicato dal Wwf mentre a Senigallia si contavano le vittime, sottolinea che il cambiamento climatico, in Italia, sta aggravando i problemi creati dalla cementificazione dei fiumi e dei terreni dove dovrebbero sfogarsi le piene. «Negli ultimi 50 anni circa duemila chilometri quadrati di aree naturali di esondazione hanno subito varie forme di urbanizzazione», denuncia l'organizzazione ecologista: «Cemento e asfalto ostruiscono dal 3 al 25 per cento di tutte le sponde dei corsi d'acqua». Il rapporto Snpa-Ispra evidenzia che, nel 2021, sono diventati artificiali altri 361 ettari di suolo in «aree a elevata pericolosità idraulica» e 991 in zone «a rischio medio» di inondazioni.
L’assalto alle coste: il grafico evidenzia le percentuali di suolo cementificato nella fascia a meno di 300 metri dal mare, dal verde (sotto il 3 per cento) al giallo (5-7), arancione (7-9), rosso (9-15), granata (15-30) al nero (oltre il 30 per cento)
Il boom edilizio si allarga anche ai territori minacciati dalle frane. Cemento e asfalto, oggi, occupano più del 4 per cento delle zone a rischio «elevato» o «molto elevato» di smottamenti gravi. In Calabria si supera il dieci per cento, in Sicilia, Liguria e Umbria si arriva a quota 9. E anche questo problema si sta aggravando: nel 2021 sono stati edificati altri 370 ettari di terreni franosi, di cui 78 a rischio «elevato» e altri 38 «molto elevato». Considerando anche le aree a pericolosità «media» o «moderata», oggi più di un decimo del totale dei terreni edificati (oltre l'11 per cento) minaccia letteralmente di franare sotto i piedi degli italiani.
La mappa del nostro Paese, purtroppo, è segnata anche da vaste e popolose fasce di territori a rischio di terremoti. Ma pure qui ha vinto il partito del cemento. Nelle zone con «pericolosità sismica alta» o «molto alta» risultano edificati, in totale, ben 820 mila ettari di terreni. E nell'ultimo anno altri 24 milioni di metri quadrati di aree a massimo rischio di terremoti sono stati occupati da nuovi fabbricati, capannoni, strade e parcheggi, soprattutto in Campania, Calabria e Sicilia, seguite da Lombardia e Veneto.
La tabella quantifica gli ettari di verde cancellati in ogni regione dal 2006 al 2012 (linea arancione) e negli anni successivi, fino al 2021 (in blu l’aumento rispetto al 2020)
Il consumo di suolo non risparmia neppure i parchi nazionali, che in dodici mesi hanno perduto 75 ettari di suolo naturale, di cui 14 in Campania, 12 in Abruzzo, 11 nel Lazio. Nel 2021 sono state cancellate ampie zone verdi anche in molte altre zone in teoria protette dalle norme di tutela dell’ambiente e del paesaggio, soprattutto in Abruzzo (137 ettari), Emilia (136) e Veneto (118). Il cemento avanza perfino nei siti nazionali più inquinati, con altri 82 ettari di suolo consumato, solo l’anno scorso, tra Porto Marghera, Sulcis e Casale Monferrato.
In Francia, Germania e altri Paesi europei ci sono leggi urbanistiche chiare e certe, che stabiliscono cosa e come si può costruire, senza dover chiedere favori, e dove invece non si può fare nulla, mai. In Italia invece l'urbanistica è da sempre un gran bazar delle licenze, piani regolatori e varianti, con regole che cambiano in ogni regione, provincia e comune, spesso insieme alle maggioranze politiche. Anche per questo, nelle statistiche giudiziarie, l'edilizia è il settore con i più alti tassi di corruzione e riciclaggio mafioso.
L'Espresso ha ottenuto dall'Ispra i dati completi degli ultimi 15 anni, divisi per regioni, che permettono di valutare, indirettamente, gli effetti sul territorio delle diverse maggioranze politiche. Nelle grandi città del Nord, in quasi tutta la riviera Adriatica dal Veneto alla Puglia, come da Napoli a Roma, mezzo secolo di boom urbanistico ha «saturato» il territorio, come scrivono i ricercatori. Ma in alcune di queste aree il sacco edilizio prosegue. La Lombardia è la regione italiana con più suolo artificiale (oltre 289 mila ettari, il 12,12 per cento), seguita da Veneto (11,90) e Campania (10,49). La stessa Lombardia ha consumato più verde di tutti anche nel 2021, con 883 ettari, e nella lista nera nazionale precede altre regioni molto cementificate come Veneto (684 ettari di verde in meno), Emilia (658), Piemonte (630) e Puglia (499).
La provincia di Monza e Brianza ha il record nazionale di suolo artificiale: il 41 per cento del territorio, con un aumento di 40 ettari nell'ultimo biennio. Cemento e asfalto dominano anche le aree metropolitane di Napoli (35 per cento) e Milano (32). Nel 2021 è la provincia di Brescia che ha consumato più verde (307 ettari), seguita da quelle di Roma (216) e Napoli (204). L'Espresso nel 1955 pubblicò un'inchiesta sui «palazzinari» con un titolo storico: capitale corrotta, nazione infetta. Oggi la città metropolitana di Roma è la più cementificata d'Italia, con oltre 70 mila ettari di suolo consumato.
Le coste sono le altre zone più colpite dalle speculazioni edilizie: in Italia è ormai diventato artificiale più di un quarto del territorio a meno di 300 metri dal mare. In Liguria si raggiunge il 47 per cento, nelle Marche il 45, in Abruzzo, Emilia, Campania, Lazio, Puglia, Calabria e Sicilia si supera il 30. E l'attacco alle coste continua, nel 2021, soprattutto in Abruzzo e Marche.
La cementificazione del territorio viene quasi sempre giustificata da previsioni urbanistiche, regionali o comunali, di aumento della popolazione. Ma i dati reali smentiscono da tempo questi alibi demografici. Nel 2021, in particolare, la popolazione italiana è diminuita di circa 405 mila persone, anche per i tassi eccezionali di mortalità dovuta al Covid, ma invece di ridursi, il consumo di suolo è aumentato: per ogni abitante in meno, sono stati cementificati altri 161 metri quadrati di verde. Questa assurdità urbanistica (più costruzioni per meno cittadini, mentre migliaia di edifici restano vuoti e abbandonati) riguarda ben 3.438 comuni italiani.
Dopo decenni di inerzia, nei mesi scorsi l'Italia si è impegnata con l'Unione Europea ad azzerare il consumo di suolo entro il 2030. I piani approvati dal governo Draghi (Pnrr e Transizione ecologica) prevedono il varo di una nuova legge urbanistica, con una regola base: basta cemento su terreni verdi, via libera solo alle ristrutturazioni. Anche per nuove opere d'interesse pubblico, si dovrà azzerare il consumo netto di suolo, ripristinando altrettante aree naturali. La riforma del febbraio scorso, che ha inserito la tutela dell'ambiente nella Costituzione, crea una cornice favorevole, come mai prima d'ora, a uno stop nazionale al sacco edilizio. Ora però resta da capire se l'agenda europea sarà confermata dalla nuova maggioranza di destra. O se invece vincerà ancora una volta il partito del cemento, come nei governi di Silvio Berlusconi, che legalizzò perfino gli abusi edilizi con i condoni del 1994 e del 2003.
L'Ispra ha calcolato che, al ritmo attuale, in Italia spariranno altri 570 chilometri quadrati di verde entro il 2030 e ben 1836 nel prossimo ventennio. Possibile che a distruggere ciò che resta del territorio nazionale sia un partito che si chiama Fratelli d'Italia?
Triste primato al Sud: abbattuta soltanto una casa abusiva su 10. Il Paese a due velocità: al Nord demolito il 60% degli edifici non a norma. Francesco Giubilei il 29 Novembre 2022 su Il Giornale.
Il dissesto idrogeologico rappresenta uno dei problemi atavici del nostro Paese e, periodicamente al ripetersi di ogni tragedia, torna in auge il dibattito su come risolvere una questione tanto grave quanto politicamente sottovalutata. Secondo l'ultimo rapporto Ispra, l'Italia è una delle nazioni al mondo più esposte al rischio idrogeologico con circa il 94% dei comuni interessati dal fenomeno e il 18,4% della superficie italiana a elevato rischio frana, alluvione ed erosione costiera. L'11,5% della popolazione (6,8 milioni di persone) vive in aree a rischio alluvioni con 1,5 milioni di edifici interessati mentre nelle aree a rischio frana vivono 1,3 milioni di persone (2,2% della popolazione) e si trovano 565mila edifici.
Nelle zone a rischio vivono ben 21,8 milioni di italiani e, secondo i dati di un rapporto del Cresme, il Centro Ricerche Economiche Sociali di Mercato per l'Edilizia e il Territorio, ogni anno in Italia sono costruite 20mila nuove case abusive su cui pendono più di 71mila ordinanze di demolizione a cui sommare gli abusi edilizi condonati degli anni. Ciò ha portato dal 2002 al 2019 danni agli edifici per 59 miliardi pari al 44% dei danni totali subiti in tutta Europa. In questo contesto si è inserito il condono del governo Conte 1 nel 2018 e, nonostante l'ex premier neghi l'utilizzo di questo termine, secondo il presidente di Legambiente Stefano Ciafani, si è trattato a tutti gli effetti di un condono come testimoniato «nell'ultima frase del primo comma dell'articolo 25 del Decreto Genova.
Quella frase stabilisce che le pratiche di sanatoria inevase fino ad allora vengono giudicate in base al condono Craxi del 1985, rendendo possibile il condono di edifici costruiti in aree a rischio sismico e idrogeologico, sanatoria che invece era vietata coi condoni successivi di Berlusconi varati nel 1994 e nel 2003».
In concreto per Legambiente «una casa di Casamicciola realizzata abusivamente nel 2000 in una zona a rischio non poteva essere sanata col condono Berlusconi del 2003. Grazie al decreto Genova del governo Conte 1, è diventata sanabile e ricostruibile coi soldi pubblici». Dai dati del dossier «Abbatti l'abuso» di Legambiente, emerge inoltre come l'Italia sia spaccata in due nell'abbattimento degli immobili abusivi. Al Nord viene demolito in media dal 40 al 60% delle costruzioni illegali, mentre al Sud le percentuali crollano dal 10 al 20%.
Dal 2004 al 2020 è stato abbattuto solo il 32,9% degli immobili colpiti da un provvedimento amministrativo con il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia che superano il 60% e la Puglia (4%), la Calabria (11,2%) e la Campania (19,6%) tra le regioni meno virtuose.
Sulla tragedia di Casamicciola, Legambiente ricorda, in merito agli abbattimenti a Ischia, l'operato del magistrato Aldo De Chiara impegnato per il ripristino della legalità sull'isola e oggetto di numerose minacce.
Molto duro l'intervento del Wwf secondo cui «quella di Ischia è una tragedia annunciata che ha cause e responsabilità precise», mentre per il presidente dell'Ordine dei Geologi Arcangelo Francesco Violo «si tratta di un'area già riconosciuta ad elevato rischio idrogeologico: un rapporto dell'Ispra del 2021 spiegava che il comune aveva il 60% del territorio in aree ad alto rischio idrogeologico e il 30% della popolazione». Alla luce di questa situazione, sorge spontaneo chiedersi come poter intervenire in modo efficace nel contrasto del dissesto idrogeologico e come per risolvere il problema dell'abusivismo edilizio.
Oltre a una questione di risorse, c'è anche la necessità di rendere esecutivi migliaia di provvedimenti amministrativi mai attuati. Anche le risorse stanziate dal Pnrr per gestire il rischio alluvione e combattere il dissesto idrogeologico pari a 2,5 miliardi di euro, sono ben poca cosa rispetto alla vastità del problema.
"Trascuriamo ogni opera: dalle buche nelle strade agli argini dei fiumi". Il geologo chiede ci sia più manutenzione. "Chi costruisce guardi i piani idrogeologici". Maria Sorbi il 29 Novembre 2022 su Il Giornale.
La storia è sempre la stessa: anche quello di Ischia era un disastro annunciato. Come per l'alluvione delle Marche, le mappe con l'allarme rosso mettevano in guardia ma tutto è rimasto solo sulle scrivanie. Ancora.
Una frustrazione per i geologi che sanno perfettamente dove e come può accadere una tragedia. Tra questi anche Lorenzo Benedetto, geologo dell'Autorità di Bacino dei fiumi Liri-Garigliano e Volturno.
I crolli di Casamicciola non sono stati certo una sorpresa.
«No, nessuna sorpresa. Le piogge di questi ultimi periodi amplificano le condizioni di fragilità e difetto del territorio ma nel piano di assetto idrogeologico si sapeva già tutto.
Anzi, dal disastro di Sarno in avanti, i quadri che abbiamo sono talmente dettagliati che sappiamo con esattezza anche la zona più pericolosa all'interno di uno stesso Comune».
Tutti consapevoli dei pericoli, ma nessuno si muove.
«I piani sul rischio sono eccellenti ma non seguono mai azioni per ridurlo. O meglio, non si fa abbastanza. In vent'anni sono stati stanziati 7 miliardi per 6mila interventi in Italia e altri 2 miliardi sono stati aggiunti dal ministero dell'Interno. Ma al Paese servirebbero opere per 26 miliardi. Una cifra così alta che è impensabile agire solo sul fronte delle nuove opere».
E quindi cosa bisogna fare?
«Organizzarsi meglio. Dobbiamo adeguare le pianificazioni urbanistiche, che spesso non tengono conto dei piani idrogeologici. Dobbiamo fare una manutenzione delle opere costante e reale, altrimenti creiamo una falsa sicurezza. Però non riusciamo a farla nemmeno con le buche in strada, figuriamoci con i fiumi o i terreni franosi».
Cosa intende per falsa sicurezza?
«Se ad esempio viene rafforzato l'argine di un fiume, si presume che lì a fianco si possa costruire tranquillamente. Ma se questo argine non viene controllato periodicamente, si può deteriorare, rivelandosi pericoloso».
Però il problema sono anche tante costruzioni abusive.
«Ma non è abbattendo quattro case abusive che si risolve tutto. Il rischio è alto anche dove si è costruito regolarmente».
I vincoli della Sovraintendenza non bastano o vengono by passati.
«Eppure quelli sono invalicabili, molto più dei limiti del rischio idrogeologico, che invece viene ignorato».
Quindi cosa va fatto per evitare che una famiglia venga inghiottita da fango e macerie?
«Serve una strategia complessiva. Uno: mitigare gli effetti delle esondazioni realizzando (e manutenendo) le vasche dove servono. Due: fare monitoraggi più frequenti nelle aree rosse. Tre: attuare i piani di emergenza. Basta lasciarli chiusi nei cassetti».
Perchè non vengono attuati?
«La Protezione civile dice che, in caso di allerta, vanno sgomberati i sottopassi, chiuse le strade e, se serve, evacuati i quartieri in pericolo. Ma i sindaci non lo fanno mai. O perchè non lo sanno o perchè non hanno le risorse per organizzare lo sgombero».
L'abusivismo edilizio, una piaga nazionale, non solo di Ischia. Linda Di Benedetto su Panorama il 28 Novembre 2022.
Le migliaia di case abusive sull'isola campana purtroppo non sono una eccezione. E, anche quando arriva il decreto di demolizione, abbattere è quasi impossibile
Ad Ischia ci sono 600 case abusive colpite da ordine definitivo di abbattimento e 27mila pratiche di condono presentate dagli abitanti in occasione delle tre leggi nazionali di sanatoria: 8.530 istanze a Forio, 3.506 a Casamicciola e 1.910 a Lacco Ameno. Numeri preoccupanti soprattutto dopo le tre frane avvenute a Ischia tra il 2006 e il 2015 (una proprio a Casamicciola) ed il terremoto nel 2017 che ha causato 2 vittime, 42 feriti e 2630 sfollati. Ma la piaga dell’abusivismo riguarda tutta l’Italia non solo l’isola di Ischia con case, ville ed edifici costruite in luoghi dove non è sicuro ne legale edificare. Una situazione che il più delle volte viene regolarizzata con un condono dello Stato o con ordinanze di demolizione che non vengono eseguite mettendo a repentaglio la sicurezza di milioni di famiglie.
Infatti secondo i dati Ispra le famiglie a rischio frane e alluvioni sono rispettivamente 547.894 e 2.901.616. Su un totale di oltre 14,5 milioni di edifici, ubicati in aree a pericolosità da frana elevata e molto elevata sono 565.548 (3,9%), quelli ubicati in aree allagabili nello scenario medio sono 1.549.759 (10,7%).Le regioni con i valori più elevati di popolazione a rischio frane e alluvioni sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Liguria. Dati che andrebbero incrociati con gli immobili colpiti da ordinanza di abbattimento che dal 2004 al 2020 sarebbero secondo i dati di Legambiente solo il 32,9% del totale. Di questi la maggior concentrazione è al sud Italia in Campania, Sicilia, Puglia e Calabria con il 17,4% di ordinanze eseguito su 14.485. Un dato parziale che si riferisce sulla base delle risposte di 1809 comuni su 7.909 a cui è stato inviato il questionario. Ischia: scontri con la Polizia davanti a case abusive da abbattere scontri con la Polizia davanti a case abusive da abbattere www.panorama.it Ischia (2010): scontri con la Polizia davanti a case abusive da abbattere In molti in queste ore dopo il terremoto che ha sconvolto Ischia hanno parlato del numero enorme di case abusive o non a norma costruite sull'isola. Ecco cosa accadeva 7 anni fa proprio a Casamicciola, nel 2010, con la gente p... La classifica delle regioni Il Veneto e il Friuli Venezia Giulia nella classifica per numero di ordinanze di demolizioni eseguite, superano entrambe il 60%, seguite da Valle d’Aosta (56,3%), Provincia autonoma di Bolzano (47%), Lombardia (44,2%). Poi ci sono Piemonte, Liguria e Toscana che dichiarano di aver demolito almeno il 40% degli immobili o degli interventi abusivi colpiti da ordinanza di abbattimento. Male, invece, il Sud Italia dove a parte la Basilicata delle ordinanze di demolizioni eseguite, vede la Puglia piazzarsi in fondo alla classifica con un misero 4%, preceduta dalla Calabria (11,2%), dalla Campania (19,6%), dalla Sicilia (20,9%) e dal Lazio (22,6%). In particolare in Puglia, Calabria, Sicilia e Calabria, tra le regioni più segnate dalla presenza mafiosa e dove stando all’ultimo rapporto Ecomafia vi si concentra il 43,4% degli illeciti nel ciclo del cemento registrati in Italia nel 2019. In altri termini, cinque volte su sei l’abusivo ha la quasi matematica certezza di farla franca. Può andargli ancora meglio se l’immobile è stato realizzato lungo le coste: se si considerano solo i comuni litoranei, infatti, la percentuale nazionale di abbattimenti scende a 24,3%. I dati Istat Secondo i dati Istat dell’ultimo rapporto Bes del 2021 (benessere equo e sostenibile sull’abusivismo edilizio in Italia, le stime del 2020 e 2021 confermano il trend positivo dell’indice di abusivismo, in calo dal 2018 dopo una fase di crescita decennale. Nel 2021 la proporzione è di 15,1 abitazioni abusive ogni 100 autorizzate, ancora elevata ma in allontanamento dai livelli raggiunti nel 2015-2017, quando le nuove abitazioni illegali si stima fossero pari a circa il 20% di quelle autorizzate. L’andamento decrescente della curva è decrescente ma le differenze territoriali sono estremamente marcate: il fenomeno dell’abusivismo, infatti, si concentra soprattutto nel Sud e nelle Isole (dove mantiene livelli allarmanti, con valori dell’indice compresi tra 35 e 40 abusive su 100 abitazioni autorizzate) ed è presente in misura non trascurabile nelle regioni del Centro, mentre può considerarsi marginale in quelle del Nord.
"Arrestare i sindaci? Chi in 12 anni non ha speso i fondi va sostituito subito". Il ministro Pichetto Fratin: «Per Casamicciola 3 milioni. E oggi non c'è nemmeno un progetto». Stefano Zurlo il 29 Novembre 2022 su Il Giornale.
Scusi, vuole mettere in galera qualche sindaco?
«No, guardi - replica Gilberto Pichetto Fratin, ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica - qui si passa da un estremo all'altro, dal tutti colpevoli al nessun colpevole, ma così non andiamo da nessuna parte, seguiamo solo l'onda dell'emozione».
Può essere più chiaro?
«La tragedia di Ischia tocca almeno due grandi questioni: l'abusivismo e la lentezza esasperante delle procedure. Ho qui un documento del mio ministero che reputo sconvolgente: c'è scritto che il 12 novembre 2010 il governo Berlusconi assegnava alla Regione Campania 3 milioni e centomila euro "alla riduzione dell'erosione dell'erosione e di stabilizzazione dei versanti nel Comune di Casamicciola Terme"».
Sono passati dodici anni.
«Appunto, dopo dodici anni non c'è nemmeno un progetto, non è che l'opera sia stata avviata, non c'è nulla di nulla.
C'erano norme così complicate da bloccare per tanto tempo la realizzazione di interventi indispensabili? C'era il timore di firmare un atto che poneva delle responsabilità? O forse c'è stata inerzia? Stiamo ricostruendo l'iter di questa storia disgraziata. Nel frattempo, ci sono stati non so più quanti governi, di diverso orientamento».
Che soluzione propone per il futuro?
«Se qualcuno non fa la sua parte entro un tempo ragionevole, sei mesi per un progetto, allora devi poterlo sostituire. Non posso rimanere appeso ai misteri della burocrazia, ai rimpalli, al benaltrismo per cui c'è sempre da qualche altra parte una fantomatica soluzione migliore. E se poi si trova che qualcuno, e sia chiaro parlo in generale, non ha fatto il suo dovere, allora si abbia il coraggio di punirlo. Senza cadere nella stucchevole retorica del giorno dopo, dove tutto è bianco e nero allo stesso temo».
I condoni sono un male nazionale?
«Ho visto le immagini delle case crollate: non ho ancora gli elementi per dire se erano abusive o non erano in sicurezza. E allora dobbiamo riflettere e agire su meccanismi che non funzionano».
In che modo?
«Io capisco se si vuole sanare una tettoia o una finestra, magari dopo anni e anni di andirivieni di carte e documenti; altra cosa è costruire, esponendo al pericolo chi vivrà in quei luoghi. Certi confini non possono essere superati».
A Ischia sono andati oltre?
«Non lo so, non ho gli elementi concreti per giudicare in questo momento quello che è accaduto nel tempo, ma c'è una responsabilità collettiva della politica che deve dare indicazioni chiare e concrete: leggi meno farraginose e tortuose, poi però se l'abuso non può essere sanato, allora deve scattare la tolleranza zero. Non tirare a campare in attesa della prossima sciagura e del prossimo lutto nazionale. Questo è inaccettabile».
Molti funzionari esitano a mettere una firma.
«Questo è un altro aspetto della malattia italiana, se possiamo chiamarla così. E anche su questo versante dobbiamo intervenire, anzi il premier Meloni ha indicato una prima strada: quella della riforma dell'abuso d'ufficio che spesso viene vissuto come una spada di Damocle sulla testa degli amministratori. Purtroppo, i fatti accaduti e che si ripetono con angosciante frequenza, ci impongono una ricerca delle cause che deve andare in profondità. Al di là degli slogan e delle bandiere. Non si deve più attendere dodici anni senza arrivare neppure a un progetto».
Salvini appoggia la rivolta dei Comuni. Musumeci avvisa: "Leggi da cambiare". Andrea Cuomo il 29 Novembre 2022 su Il Giornale.
Una frase che frana sulle polemiche politiche seguite al disastro di Ischia. La pronuncia il ministro dell'Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, intervistato da Rtl 102.5 sull'abusivismo edilizio: «Basterebbe mettere in galera il sindaco e tutti quelli che lasciano fare», perché «i sindaci non devono lasciare costruire. Io confischerei quello che è abusivo, e poi andrei a vedere caso per caso».
Parole goffe che scatenano una gazzarra politica ma che hanno il merito di aprire il dibattito sulle responsabilità politiche di decenni di devastazione del Sud in nome del «qui si è sempre fatto così». Ma le prime reazioni sono un coro di condanna. Naturalmente a prenderla sul personale sono soprattutto i sindaci. Quello di Lacco Ameno, comune ischitano confinante con quello di Casamicciola Terma, Giacomo Pascale si dice «incredulo» e propone a Pichetto: «Se il discorso è in generale faccia una legge che prevede l'arresto dei sindaci». Di dichiarazioni «sconcertanti» parla il sindaco di Pollica (Salerno) Stefano Pisani, anche coordinatore dei Piccoli Comuni Anci Campania: «Arrestare i sindaci? Per quale reato? Siamo di fronte ad una totale ignoranza delle norme del diritto amministrativo e a un conflitto tra Istituzioni gravissimo». Anche il collega di governo di Pichetto, il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini, lo bacchetta: «C'è qualcuno che vorrebbe arrestare i sindaci, mentre io li vorrei proteggere, e vorrei liberare i sindaci, perché su loro gravano le maggiori responsabilità». E il presidente dell'Anci, il sindaco di Bari Antonio Decaro, nota che «il ministro forse non sa che la competenza sul dissesto idrogeologico è dello stesso ministero dell'Ambiente. Non sono interventi che fanno i comuni che possono essere chiamati a fare i soggetti attuatori». Decaro invita Pichetto a scusarsi. Cosa che Pichetto non fa, preferendo chiarire che si trattava di «una riflessione di carattere generale» che non faceva «riferimento ad alcun amministratore in modo particolare. Tanto meno si al commissario prefettizio che sta guidando in modo inappuntabile Casamicciola».
Al di là di una frase inopportuna, il governo Meloni appare consapevole della necessità di un cambio di passo in materia di dissesto idrogeologico. Domenica il consiglio dei ministri straordinario ha annunciato l'approvazione entro fine anno del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, che comunque, parole dello stesso Pichetto, «non avrebbe evitato il disastro di Ischia». Ma una road map è necessaria e ne è consapevole anche il ministro per la Protezione civile Nello Musumeci, secondo cui «la normativa attuale ha bisogno di interventi concreti e qualche volta anche radicali» anche se «gli abusi non sono tutti uguali» e «bisogna fare una netta distinzione tra chi ha aperto una finestra in più e non doveva aprirla e l'abuso di chi ha costruito un villino sulla spiaggia o in una zona ad alto rischio come è accaduto purtroppo a Ischia». Naturalmente c'è anche un problema di fondi, in un Paese in cui il 94 per cento dei comune è a rischio. Soldi che, come ricorda il deputato Pd Andrea Orlando, già ci sono per le amministrazioni che ne facciano richiesta, grazie al fondo stanziato nel 2013 dal ministero dell'Ambiente.
La pietra dello scandalo continua a essere il condono previsto per Ischia in un comma del decreto Genova nel 2018 dal governo Conte. «Una casa di Casamicciola realizzata abusivamente nel 2000 in una zona a rischio - fa sapere Legambiente - non poteva essere sanata col condono Berlusconi del 2003. Grazie al decreto Genova del governo Conte 1 è diventata sanabile e ricostruibile coi soldi pubblici». Ieri il leader di Italia Viva Matteo Renzi è tornato ad attaccare Conte, «un uomo senza vergogna». «I fatti dicono che Giuseppe Conte ha firmato il condono per Ischia, ha abolito l'unità di missione Italia Sicura e non ha mandato avanti il progetto Casa Italia lanciato con Renzo Piano. Nessun artificio retorico può negare questa drammatica realtà». «Questo per noi è sciacallaggio, non politica», la replica del leader pentastellato.
Marco Demarco per il “Corriere della Sera” il 28 novembre 2022.
Ischia non è Capri. Allora, cos' è? «È una scoria vulcanica», diceva Maupassant. E probabilmente la sua non era solo una annotazione geologica, perché Ischia è davvero il riflesso del Vesuvio nel Golfo di Napoli. È l'altra faccia del vulcano e come il vulcano affascina e minaccia: è il bello e il tragico che vengono dal mare, e l'aspetto tragico, come storia e cronaca raccontano, purtroppo non è saltuario. Qui Neruda scrive «yo quiero que... io chiedo che tutti vivano nella mia vita e cantino nella mia canzone». E Pasolini si sentiva felice, tanto da annotarlo in un giorno di pioggia nel diario di viaggio: «Mi sembra il Friuli, la Carnia...».
Ma qui la Lenù de L'amica geniale non fa neanche in tempo a scoprire che c'è un mondo diverso dal suo asfittico rione Luzzatti, un mondo di luce, di spiagge, di case nel verde, che subito conosce il lato violento della natura umana. È a Ischia, forse ancora non a caso, che Elena Ferrante ambienta la scena in cui Lenù viene violentata, quella che la fiction Rai ha parzialmente censurato senza però annacquare il racconto.
Ischia non è Capri, non ha i rivoluzionari russi che giocano a scacchi nel parco con Lenin e Gorkij, ma ha i giardini delle Mortelle di lady Walton e ha Garibaldi che viene qui a curare le ferite dell'Aspromonte. Non ha la villa di Malaparte a strapiombo sul mare, dove Godard gira il suo pensoso Il disprezzo con Piccolì e una scandalosa Brigitte Bardot, ma a Forio, nel bosco di Zaro, ha la villa di Luchino Visconti, la Colombaia; e tra i film di cui l'intera isola può andar fiera c'è di sicuro l'esilarante e tutt' altro che elitario Cosa è successo tra mio padre e tua madre di Billy Wilder che nel cast, con Jack Lemmon, ci infila anche un antidivo come Pippo Franco.
Ischia non è stata mondana come l'isola azzurra, ma l'isola verde ha avuto Angelo Rizzoli che nel bene e nel male, dipende dai punti di vista, l'ha trasformata da così a così, da rifugio di pescatori e vignaioli a meta ambita di un turismo per ricchi e popolare insieme, anticipatore di quello che sta ora animando i vicoli antichi di Napoli. A Lacco Ameno, dove negli anni Sessanta è cominciato il nuovo corso, Rizzoli ha portato tutti, non solo Richard Burton e Liz Taylor, che sull'isola girarono alcune scene di Cleopatra , ma anche Pietro Nenni, con cui giocava a bocce a Villa Arbusto e che, grato, gli confida di essersi finalmente lasciato la politica alle spalle, salvo una visita domenicale alla sezione socialista di Casamicciola intitolata a Vittoria, la figlia. Ischia è anche l'isola di Auden, di Capote, di Moravia e di Ingeborg Bachmann che la canta così: «Frutti d'ombra cadono dalle pareti/ luce lunare intonaca la casa/ e cenere di spenti crateri entra col vento marino...».
Ed è l'approdo ferito dai tedeschi. Non solo di pionieri come Ludwig Kuttner e la Baronessa Ursula Von Stohrer, inventori dei parchi termali, dove i compatrioti operai e impiegati possono consolarsi a spese della mutua. Ma anche di Helmut Schmidt e poi di Angela Merkel, per anni abituale e riservata frequentatrice del borgo di Sant' Angelo, dove il marito la raggiungeva con voli low cost, mandando in tilt, lei e lui, i politici nostrani abituati alla super esposizione mediatica. Ischia non è Capri, anche se Elsa Morante, tradendo Procida, l'isola di Arturo, la definisce tra le isole, «la più bella tra le belle».
Ma ciò che più la distingue - a parte l'umorismo di Wilder, il superaffollamento agostano e l'autenticità che, nonostante tutto, ancora sopravvive in quartieri come Ponte e Forio - è appunto la dimensione tragica. E tragico è il terremoto del 1883, quello di Casamicciola, il terremoto che, come è noto, segnò la vita di Benedetto Croce e ne ispirò la filosofia. Due anni dopo quella scossa devastante, sull'isola arrivò Guy di Maupassant: «Finalmente Ischia.
Sulla punta estrema, uno strano castello appollaiato sulla roccia che domina la città alla quale è collegato da una lunga diga...». Era il castello Aragonese. Poi, le pagine dedicate ai i dettagli. «Tra le macerie dell'hotel Vesuvio furono ritrovati 150 cadaveri; sotto le rovine dell'ospedale, 10 bambini, qua un vescovo, là una famiglia molto ricca, sparita in pochi secondi...». Era una famiglia in villeggiatura. Come la famiglia Croce.
Roberto Saviano per il “Corriere della Sera” il 28 novembre 2022.
Ischia, Procida, Capri: chi non c'è stato non potrà comprendere il motivo che innesca il desiderio, quando si è lì, di pensarsi creature inventate dagli Dei. Roccia e mare, vicolo e giardino, arrampicata e strapiombo. Terre in mezzo al mare, come mi hanno insegnato a definirle.
Chiunque, una volta messo piede su queste isole, ha provato ciò che dice Alphonse de Lamartine di Ischia: «È l'isola del mio cuore, è l'oasi della mia gioventù, è il riposo della mia vecchiaia» .
Ecco, si badi, non un luogo che vuoi visitare, a cui vuoi tornare per ristorarti, nulla di tutto questo. Bensì un luogo dove scegli di vivere. Su quest' isole ci arrivi e immagini come d'instino la tua esistenza per sempre piantata lì.
Ischia rispetto alla sua rivale turistica Capri è sempre stata isola più accessibile, adatta a un turismo d'ogni estrazione dal lusso al popolare, isola più metropolitana e meno elitaria, meraviglioso luogo assai più vicino culturalmente a Napoli rispetto anche a Procida, più piccola e con i suoi abitanti tutti o quasi imbarcati sulle navi commerciali e da crociera. Ischia è l'isola più napoletana del golfo e questo l'ha resa frequentatissima, densa, assediata.
La tragedia di queste ore è accaduta a Casamicciola nella zona settentrionale di Ischia.
Casamicciola è luogo di leggenda che racconta dove Ulisse riprese le sue forze nel Gurgitello, il ruscello di acqua calda che l'ha resa meta termale amatissima da Ibsen, de Lamartine, sino alla cancelliera Merkel.
Eppure un luogo così d'incanto è sempre stato spazio di tragedia e di instabilità, di insicurezza estrema e di assedio cementizio. Per comprendere quanto è endemico il disastro in quel territorio basta ascoltare una vecchia espressione del dialetto napoletano: «È 'na Casamicciola»; oppure «è successa 'na Casamicciola»; o ancora «faccio succedere 'na Casamicciola», metafora per dire «gran disastro, gran confusione, gran disordine, distruzione». Tutto questo discende dalle continue frane che da secoli avvengono a Casamicciola e che tutto travolgono, ma soprattutto dalla tragedia del terremoto del 1883.
La vittima più illustre del disastro di Casamicciola fu Benedetto Croce. Uno degli scrittori veristi più talentuosi dell'epoca, Carlo Del Balzo, nel 1883 pubblicò a Napoli (per Tipografia Carluccio, De Blasio & C.) il libro Cronaca del tremuoto di Casamicciola dove scrisse: «Era anche a villa Verde tutta la famiglia Croce di Foggia.
Erano nella loro camera la signora Croce e la figliuoletta, il sig. Croce e il primogenito, seduti presso un tavolino, scrivevano, in una stanza attigua; la porta di comunicazione era aperta. La signora Croce e la fanciullina cadono travolte nel pavimento, che crolla tutto: non un grido, non un lamento, muoiono istantaneamente.
Al contrario, il sig. Croce, sebbene del tutto sepolto, parla di sotto le pietre. Il suo figliuolo gli è daccanto, coperto fino al collo dalle pietre e dai calcinacci. E il povero padre gli dice: offri centomila lire a chi ti salva; e parla col figlio, che non può fare nulla per sé, nulla pel babbo, tutta la notte!». Dalla tragedia che sterminò la famiglia Croce lasciandolo unico superstite ad oggi c'è stata una cementificazione continua, una impossibilità reale di gestire mettendo in sicurezza l'isola.
Disboscare, costruire, speculare, l'unico imperativo è sempre stato solo guadagnare e sopravvivere. Null'altro. Così non possono non accadere frane, si tende solo ad aspettare e sperare di non trovarsi in casa o in strada quando succederà. Fatalismo, da sempre la regola delle mie terre. Lo stesso che fa vivere alle pendici del Vesuvio nonostante si sappia che difficile sarebbe salvarsi in caso di eruzione nonostante il monitoraggio dell'attività del vulcano.
La bellezza di questi posti, il loro incanto copre l'orrore della gestione, l'assurdità contorta della burocrazia, del familismo che la governa, della mancanza endemica dei fondi pubblici.
Non è accaduto nulla nel 2006, quando a Ischia Luigi Buono, 53 anni, che lavorava come cuoco al porto, fu travolto da una frana identica a quella di queste ore e morì insieme alle sue tre figlie: Anna di 18 anni, Maria di 16 e Giulia di 15. Non è accaduto davvero nulla dopo la morte di Anna De Felice nel 2009 (15 anni) travolta anche lei insieme alla madre. Sento arrivare già il commento: ma è l'abusivismo. Se davvero fosse così (e non bisogna associare abusivismo a lusso turistico perché non è quasi mai così) le soluzioni sono due: o condonare in cambio di una messa in sicurezza totale o abbattere immediatamente. Ma se abbatti perdi voti, perdi consenso su tutta l'isola. E poi non ci sono nemmeno i soldi per farlo. Come al solito il nostro Paese non decide: si è sempre nel mezzo. E proprio nel mezzo ci sono le frane, che tutta l'immensa bellezza di Ischia non può impedire e nemmeno trattenere.
Giuseppe Salvaggiulo per “la Stampa” il 28 novembre 2022.
«Comm' è doce, comm' è bella,'a cittá 'e Pullecenella...». L'altoparlante gracchiava a singhiozzo, ma una generosa tramontana diffondeva la voce di Mario Merola su piazza Plebiscito, la mattina dell'11 febbraio 2010.
Dietro un cordone di telecamere, una folla variopinta di migliaia di persone: capifamiglia, donne appena uscite dal parrucchiere, ragazzi sottratti alla scuola, sindacalisti fai-da-te, addetti al volantinaggio, responsabili degli striscioni, suonatori di tamburi, distributori di panini al prosciutto.
I turisti incuriositi scattavano foto, credendo di trovarsi in mezzo a una manifestazione folkloristica. Ma cominciarono a dubitarne quando i partecipanti, dopo averle sventolate platealmente, scaraventarono a terra e poi bruciarono le bandiere tricolori listate a lutto.
Era la prima manifestazione unitaria delle associazioni contrarie al piano della Procura di Napoli per abbattere gli immobili abusivi, nate in pochi mesi in tutta la Campania con i nomi più fantasiosi: da comitato Casa Sicura di Cava de Tirreni a Casa Aurea di Casoria, da Amici del Territorio di Santa Maria la Carità a Diritto alla Casa di Ischia e Procida. Gli abusivi sciamavano nel centro di Napoli ritmando «La casa è nostra/e non si tocca».
Una settimana prima, le ruspe erano arrivate di notte a Ischia, nel comune di Casamicciola Terme, scortate da poliziotti in tenuta anti sommossa per sfondare i cordoni dei comitati degli abusivi a protezione di una villetta su una collina con vista dominante. Per ore furono botte, cariche, urla e lacrime, con il proprietario che si disperava: «Stanotte dormiremo per strada, non è giusto!».
La tecnica degli abusivi è guadagnare tempo, considerando che ai ritmi attuali si stima che occorrerebbe mezzo secolo per smaltire tutte le domande di condono a Ischia. Dopo la sentenza definitiva e l'ordine di demolizione, inventano mille scuse per rinviare l'appuntamento con le ruspe, sperando in un condono edilizio (la sola istanza ha efficacia sospensiva).
Aldo De Chiara, mitico procuratore napoletano e massimo esperto di reati edilizi, all'epoca minacciato di morte, raccontava di espedienti da teatro eduardiano. Nella casa abusiva confluivano bambini da tutto il parentado, perché la presenza di minori giustifica il rinvio dell'abbattimento.
Oppure all'arrivo dei vigili urbani, nelle camere abusive fossero pure verande e tinelli, spuntavano lungodegenti attaccati a flebo come in una clinica svizzera.
La strategia era tutt' altro che velleitaria, perché contava su tre fattori: l'onerosità economica e l'esiguità di forze disponibili per gli abbattimenti, che infatti dopo dieci anni sono fermi al 2%; la generale indifferenza, se non avversione, di sindaci e autorità varie alla questione («punizioni inique!», tuonava il vescovo Filippo Strofaldi alla vista delle ruspe); la disponibilità di un vasto e trasversale fronte politico a infilare nuovi condoni nei più insospettabili canali parlamentari.
«Abusivismo di necessità, non c'era alcun elemento speculativo», spiegava nel 2006 Peppe Brandi, berlusconiano sindaco di Ischia. Poco prima una frana (se ne contano tre solo negli ultimi 15 anni) aveva travolto e ucciso tre bambine in una casa costruita, come altre centinaia, sotto la collina definita nelle mappe del suo stesso Comune «R4-alto rischio per la popolazione». Il proprietario, morto anch' egli, aveva presentato una delle 28mila domande di condono dei circa 120mila vani abusivi, su una popolazione di 63mila abitanti.
Il «problema» di Ischia è che l'ultimo condono edilizio berlusconiano, del 2003, non è applicabile per lo speciale vincolo ambientale che preserva l'isola (ex) verde. Servirebbe un condono del condono. I parlamentari locali ci provarono almeno cinque volte solo in quel 2010 in cui si votava, tra l'altro, per la Regione. Quando un deputato del Pd fu scoperto a firmare l'emendamento salva-abusivi del Pdl, balbettò un'imbarazzata retromarcia.
Il Quirinale stoppò un decreto ad hoc, ma Berlusconi non si arrese. L'anno dopo, scendendo per il ballottaggio delle elezioni comunali, calò l'asso, esibendo in pubblico «il provvedimento che sospenderà gli abbattimenti delle case». Gli strateghi calcolavano che potesse spostare 60mila voti.
Nel 2012 a Ischia il centrosinistra andò a pezzi «nel più trasformista e peggiore dei modi», denunciarono i Verdi, quando il sindaco pd Giosi Ferrandino (oggi Italia Viva) affidò le deleghe sul condono edilizio a un fedelissimo di Nicola Cosentino, ras berlusconiano imputato di collusioni con la camorra.
Dopo le elezioni del 2013, il Pdl - con gli ex ministri Nitto Palma e Carfagna, oltre al pasdaran Falanga - provò a togliere alle Procura il potere di abbattimento. Ma anche i parlamentari campani del Pd depositarono un testo per fermare le ruspe e riaprire i termini del condono, «aperti al confronto con Pdl e M5S» in nome «dell'emergenza abitativa». Gli ambientalisti contavano 19 proposte di condono formalizzate in Parlamento in due anni e mezzo. Nel 2018 Berlusconi rilanciò in campagna elettorale promettendo «una sanatoria per l'abusivismo di necessità».
E pochi mesi dopo, quando il governo gialloverde inserì un «ravvedimento operoso» ad hoc per Ischia nel decreto Genova sul ponte Morandi, Pd e Forza Italia esultarono. Sergio Costa, ministro dell'Ambiente, si oppose, ma fu zittito dal vicepremier e allora suo leader pentastellato Luigi Di Maio. E siamo ai giorni nostri. Elezioni 2022.
Maurizio Acerbo, segretario di Rifondazione comunista, ricorda che «il 9 settembre all'hotel Ramada di Napoli si tenne una riunione fra alcuni sindaci campani, i rappresentanti dei movimenti anti-demolizioni e i candidati leghisti Rixi, Cantalamessa, Castiello e Nappi. Tema: un decreto per bloccare gli abbattimenti». Un volantino leghista proclamava «Condono edilizio subito». Del resto, come spiegò un sindaco ischitano, «sono piccoli abusi, non mostri di cemento». E pazienza se le stalle trasformate in prime case si sono arricchite di mansarde, tavernette e terrazze, con prezzi al metro quadro che nemmeno sui Navigli.
Estratto dell’articolo di Michele Bocci per “la Repubblica” il 28 novembre 2022.
Nella testa di un costruttore di Ischia il giorno dopo la tragedia della frana vengono frullati realismo e denuncia, ci sono ammissioni di colpa, chiamate a correo e pure un allarme sui cambiamenti climatici. Luigi ha 53 anni e ha iniziato ad andare in cantiere quando ne aveva 14. «Era il lavoro di famiglia. I miei volevano che facessi la scuola ma mi sono innamorato della cazzuola». Da sfollato, fuma una sigaretta dietro l'altra e racconta l'edilizia dell'isola. […]
Ecco, l'abusivismo a Ischia: di chi è colpa?
«Nostra, ma qui è caduta la cima di una montagna, e una cosa del genere non c'entra niente con le case abusive».
Anche se fosse, cosa da provare, ciò non toglierebbe che il problema esiste.
«Non posso dire che siamo dei santi, per carità. Ma la casa non te la scegli, a volte erediti un terreno dai genitori e lì costruisci. Io lavoro per il pane e a volte penso, in coscienza, che certe case non le dovrei costruire».
E perché lo fa?
«La questione è complicata. Adesso mi trovo in tutte e due i ruoli, quello di costruttore e quello di abitante. Avrebbero dovuto fermare tutto molti anni fa ma il sistema ci ha mangiato, andava bene a tutti. Ovunque al mondo esiste un piano regolatore ma a Ischia non c'è. Come mai? Perché nessuno si è impuntato per farlo? Non lo sa, eh? Lo dico io, perché non si potrebbe costruire da nessuna parte».
E invece le case nascono e sono nate. Qual è stato il periodo di massima crescita edilizia?
«Gli anni Ottanta, c'è stato il boom. La gente aveva un campo di famiglia e costruiva, le pensioncine si allargavano e un pezzo alla volta aggiungevano camere e camere, così diventavano grandi alberghi. E magari la moglie del titolare dava una mano ai lavori come carpentiere».
E i controlli non venivano fatti?
«La colpa è anche nostra, però, chiedo io, potevano fermare questo casino subito, senza far buttare soldi alla gente. Se io ho un vigneto e stanotte ci costruisco le fondamenta di una casa, tu autorità domani lo vedi e dovresti fermarmi per dirmi: dopodomani voglio che torni tutto come prima, distruggi le fondamenta.
E invece no. Mi fai andare avanti e spendere un casino di soldi e magari mi vieni a chiedere conto dopo 30 o 50 anni di quella casa. Mi dici che questa cosa lì non ci poteva stare. Tutti hanno tenuto la testa sotto la sabbia e fatto finta di non vedere».
Come è possibile che si sia arrivati a tutto questo?
«Ischia è un'isola molto popolosa, magari a Ponza e Ventotene non ci sono problemi. Qui siamo 60 mila, in estate 120 mila, e c'è bisogno di immobili. Poi ci si sta mettendo la natura». […]
Seguire le regole non sarebbe anche utile a evitare certe tragedie?
«Se a me dessero 10 metri in un posto sicuro io me ne andrei. Ci rimetto anche, ma dammi uno spazio tranquillo. Ma lo Stato perché dovrebbe mettermelo a disposizione? Per carità, non voglio niente da nessuno. Comunque, ho visto che tanti parlano di tragedia annunciata. Allora perché non sono venuti 24 ore prima a dircelo. Se sapevano dell'allerta meteo ci dovevano avvertire. Ma in Italia succede sempre così e facciamo finta di non vedere». […]
Tagadà, Sottocorona: "126 millimetri in 6 ore", la verità choc su Ischia. Libero Quotidiano il 28 novembre 2022
"Sono caduti 126 millimetri in sei ore": il meteorologo Paolo Sottocorona è intervenuto a Tagadà, ospite di Tiziana Panella su La7, sulle cause dell'alluvione a Ischia. L'isola campana, infatti, è stata letteralmente travolta dall'acqua e dal fango nelle scorse ore. In otto hanno perso la vita. Parlando dei millimetri caduti su quel territorio, Sottocorona ha spiegato: "Sono tantissimi già se fossero distribuiti nelle 24 ore, in questo caso sono stati concentrati in sei ore e addirittura risultano delle precipitazioni di 50 millimetri in un'ora, che è una cosa enorme...".
"È evidente che l'impatto di una precipitazione di questa intensità... - ha continuato il meteorologo nello studio della Panella - credo ci siano due fasi: la prima è l'impatto fisico dell'acqua che erode in superficie e poi c'è l'acqua che penetra e potrebbe fare danni in seguito". "Ma è un evento eccezionale e prevedibile o no?", gli ha chiesto a un certo punto la conduttrice del talk.
Alla domanda della giornalista, Sottocorona ha risposto in maniera netta: "Si, è prevedibile, nei giorni scorsi erano previsti fenomeni intensissimi". Il meteorologo, infine, ha rimarcato anche una importante differenza: "La quantità di acqua caduta a Ischia e Capri non è così diversa, i danni però dipendono dal territorio".
Ischia, l'accusa di Legambiente: "Siamo impreparati al clima che cambia" . E il geologo Tozzi: "Manca la cultura del territorio". Pasquale Raicaldo su La Repubblica il 26 novembre 2022.
"Davanti alle notizie e alle immagini che arrivano da Ischia, il primo pensiero va ai familiari dei dispersi e la vicinanza concreta va all'intera comunità ischitana. Ringraziamo i volontari, i Vigili del Fuoco, la Protezione civile e tutti coloro che sin dalle prime ore del mattino si stanno sporcando le mani per soccorrere le persone e salvarle dal fango. Una cosa, però, ci insegna la pioggia e il fango caduti sull'isola verde: il clima sta cambiando, ormai è un dato di fatto, eppure l'Italia continua ad essere impreparata con amministratori e cittadini lasciati spesso soli a fronteggiare impatti di questa dimensione dovuti in primis ai cambiamenti climatici, che amplificano gli effetti di frane e alluvioni e che stanno causando danni al territorio e alle città mettendo in pericolo la popolazione”. Così in una nota Legambiente.
E su quanto sta accadendo a Ischia si esprime anche il geologo Mario Tozzi, volto noto della divulgazione scientifica in televisione. “Il cambiamento climatico c'entra di sicuro: ci sono piogge più consistenti, ovvero più acqua in meno tempo. E questo è un elemento importante di cui tener conto. Ma non nascondiamoci: tutto il resto è colpa nostra”, dice all’Agi. “Colpa nostra certo - sottolinea – c’è degrado, ci si preoccupa del profitto, della stagione turistica e non della cura del territorio. Non c’è cura e manutenzione del territorio, e senza di questa è tutto inutile”.
Per l'esperto, “in passato anche con precedenti governi sono state fatte cose buone, come quelle di recuperare denari come sei o sette miliardi per il dissesto idrogeologico ma poi, tranne che per due opere, i denari non sono stati spesi. Allora di cosa parliamo? Manca una cultura del territorio, ci vuole una conoscenza maggiore. Tutte cose che a Ischia, sanno bene ma si dimenticano. La manutenzione non va fatta a primavera o in autunno - ha concluso - ma sempre, tutto l’anno. La burocrazia? C'entra, soprattutto quando sappiamo che per abbattere un edificio abusivo e pericoloso ci vogliono anche otto anni. Ma non dimentichiamo che queste cose sono in capo ai sindaci...”.
Ischia è l’ultimo caso di una lunga lista. Arona archivio storico nella foto: Incidenti Alluvioni Italia Piemonte. Straripamento sul Lago Maggiore. NICOLA BRACCI su Il Domani il 26 novembre 2022
Il presidente Sima, Alessandro Miani. «A causa nostra nubifragi, alluvioni, trombe d'aria e cicloni in futuro saranno più numerosi e distruttivi»
Il cambiamento climatico «ha la capacità di influenzare l’intensità e il numero dei fenomeni meteorologici rendendoli dunque più pericolosi e distruttivi», così la Società italiana di Medicina ambientale (Sima), commentando le forti piogge e le frane che nella notte hanno colpito l’isola di Ischia, in provincia di Napoli. Negli ultimi 12 anni, in Italia, si registrano 516 allagamenti provocati da piogge intense.
«L'anomala distribuzione delle precipitazioni sta prendendo sempre più la forma di eventi estremi concentrati in autunno-inverno», ha spiegato il presidente Sima, Alessandro Miani. «A causa nostra nubifragi, alluvioni, trombe d'aria e cicloni in futuro saranno più numerosi e distruttivi».
UNA LUNGA LISTA
La pioggia che diventa fango e il fango che corre lungo vie, ponti, vicoli e distrugge tutto quel che può, il resto lo paralizza. Qualche palo della luce crolla, l’acqua trascina tronchi e rami d’albero per chilometri e di alcune automobili si vede a malapena il tettuccio, perché il resto è nascosto sotto strati di melma e detriti. Chiunque è in grado di visualizzare queste immagini nella propria mente. Sono le immagini di Catania, travolta dall’alluvione un anno fa. Morirono tre persone. Ma parlano anche dell’ esondazione dei fiumi Nevola e Misa, che due mesi fa ha portato devastazione nelle valli marchigiane. Tra le province di Ancona e Pesaro e Urbino 12 vittime, un disperso e danni per due miliardi di euro.
La lista è lunga. Gli eventi sono così ravvicinati nel tempo e così equamente distribuiti nel territorio che nessuno può concedersi il lusso di non ricordare o di non sentirsi, in qualche modo, coinvolto. Se fino a pochi anni fa incolpare le “aree a rischio” e la “sfortuna” era permesso e rispondeva alla necessità umana di rimuovere eventi traumatici, oggi la frequenza con cui quegli eventi accadono non ne lascia la possibilità.
In Italia gli eventi estremi legati al clima sono oltre 130 dall'inizio del 2022. È il numero più alto dal 2010. Da allora se ne sono verificati 1318. Nella definizione rientrano gli aumenti record di temperature, nelle stagioni calde quanto in quelle fredde, le piogge intense, le grandinate, le trombe d’aria. L’accelerazione di questi fenomeni è monitorata da anni, e i dati a riguardo, non è una novità, preoccupano la comunità scientifica.
NICOLA BRACCI. Ha 25 anni. È nato e cresciuto a Pesaro e si è poi trasferito a Milano. Legge e scrive di tematiche sociali e geopolitica per interesse, di sport per passione
(ANSA il 29 novembre 2022) - Accelerare la ricerca dei quattro dispersi dell'alluvione di Casamicciola. Si riparte questa mattina con la preoccupazione che la pioggia, annunciata tra oggi e domani sull'isola d'Ischia, renda ancora più complicate le operazioni di individuazione dei corpi. Il fango in strada da spalare è ancora tanto e si teme per ulteriori ostacoli che provocherebbero piogge intense.
Le ricerche si concentrano nella zona di via Celario, la cosiddetta strada della morte dove la frana ha provocato i maggiori lutti. Il bilancio della tragedia al momento è di 8 morti, 5 feriti, 230 sfollati. Dopo il ritrovamento, nella giornata di ieri del quindicenne Michele Monti, i quattro dispersi sono Valentina Castagna e Gianluca Monti, giovani genitori dei tre fratellini di 15,11 e 6 anni trovati morti, Salvatore Impagliazzo, compagno di Eleonora Sirabella, la ragazza prima vittima del disastro recuperata e una donna di 31 anni.
(ANSA il 29 novembre 2022) - Sono proseguite anche nel corso della notte le ricerche degli ultimi quattro dispersi di via Celario, nella zona di Casamicciola alta. I vigili del fuoco hanno setacciato metro dopo metro la zona dove ieri sono state ritrovate alcune vittime. In mattinata alcune squadre hanno dato il cambio agli operatori che nelle scorse ore hanno lavorato senza sosta. Intanto, anche questa mattina torneranno in attività i volontari per spalare il fango.
Fulvio Bufi per il “Corriere della Sera” il 29 novembre 2022.
Con i vigili del fuoco che ancora scavano, e quattro corpi ancora da recuperare - perché di questo si tratta, e ormai definire «disperso» chi manca all'appello è soltanto un dovere tecnico burocratico - non è facile fissare l'attenzione sull'ombra che dal primo momento accompagna questa tragedia: quella dell'abusivismo e dello scempio ambientale.
Eppure è anche su questo, o forse soprattutto su questo, che la procura di Napoli dovrà fare chiarezza con l'inchiesta per frana colposa aperta all'indomani della strage di Casamicciola. Ed è inutile nasconderlo: potrebbero venir fuori responsabilità, quantomeno di incoscienza, anche da parte di chi ha trasformato in case vecchi ruderi, stalle risalenti anche a secoli fa, ed è andato a viverci.
Il lavoro dei magistrati è ancora alle primissime battute. Ma sulle condizioni di quel costone del monte Epomeo che si affaccia sul comune di Casamicciola lavorano da anni geologi, ingegneri, architetti, enti territoriali come l'Autorità di bacino. E ogni indagine tecnica, ogni rilievo, ogni ricerca scientifica ha portato allo stesso risultato: la zona del Celario è ad elevato rischio idrogeologico.
In un documento redatto dall'Autorità di bacino meridionale sulla gestione del rischio idrogeologico a Casamicciola e Lacco Ameno si legge che sul versante dell'Epomeo rivolto verso i due comuni si riscontrano «fenomenologie franose» che «sono in grado di trasportare verso il fondovalle grandi quantità di massi e tronchi nonché, laddove presenti lungo il percorso di propagazione, autovetture e materiale antropico in generale. La grande energia messa in gioco da tali flussi è in grado di danneggiare i fabbricati e le strutture con essi interagenti provocandone, occasionalmente, la completa demolizione».
Sulla base di questi elementi si conclude che «estese porzioni di Casamicciola e Lacco Ameno sono classificate a rischio molto elevato (R4) ed elevato (R3), - in quanto suscettibili all'innesco, transito e invasione di fenomeni di colata rapida di fango, flussi iperconcentrati (miscela acque e sedimento) e crolli».
Sulla stessa linea lo studio condotto dall'Ispra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, riportato nella cartina in alto a destra, in cui compare esattamente via Celario, indicata come un'area dove l'alto rischio di frane si somma a un altrettanto elevato rischio di alluvioni. E tutto questo, tornando a quanto scrive l'Autorità di bacino, in un territorio dove «gli impluvi presentano numerosissime interferenze con opere antropiche dell'urbanizzato, quali tombamenti, edificazioni e strade alveo, che generano numerose criticità e singolarità idrauliche».
Che in uno scenario così non si possa pensare di costruire case, né di riattare vecchi manufatti, appare evidente. Ma esistono anche altri documenti ufficiali che di fatto sanciscono l'assoluta inedificabilità di aree come quella del Celario.
In particolare il Piano territoriale paesistico del ministero per i Beni culturali e ambientali datato addirittura 14 dicembre 1995. Come è indicato nella cartina a sinistra, l'area colpita dalla frana di sabato scorso è identificata in bianco, e questo a una lettura superficiale potrebbe far pensare a un posto a zero rischi, perché convenzionalmente laddove c'è pericolo di disastri naturali si parla sempre di zona rossa.
Ma la legenda che accompagna il grafico, e soprattutto le norme di attuazione dei Ptp, spiegano che in questo caso bisogna ragionare esattamente al contrario: quella in bianco è considerata «zona a protezione integrale», e cioè un'area dove non è assolutamente possibile costruire né eseguire alcun tipo di intervento su edificazioni eventualmente già presenti prima dell'approvazione del piano.
Alfio Sciacca per il "Corriere della Sera" l’1 Dicembre 2022.
Sono circa trecento le case del comune di Casamicciola inserite nella zona rossa definita dal piano di emergenza speditivo preparato dai vigili del fuoco in vista della nuova ondata di maltempo prevista per sabato su Ischia. A rivelarlo, nel corso della puntata di Porta a Porta di ieri sera, il ministro della Protezione civile Nello Musumeci.
Che ha anche parlato di possibili nuovi smottamenti nel fine settimana e della necessità, quindi, di evacuare gli abitanti di quelle case. Musumeci ha anche annunciato un consiglio dei ministri fissato per oggi in cui dovrebbe essere adottato un decreto legge che preveda i primi aiuti per Casamicciola.
Poi ci sarà tantissimo da pianificare. A cominciare dalla stesura di un piano di protezione civile che il comune ischitano non ha, nonostante nel 2014 avesse aderito a un bando regionale, ottenendo un finanziamento di 30.000 euro da utilizzare proprio per definire il piano. Ma quei soldi la Regione non ha mai dovuto sborsarli: perché il progetto definitivo non fu mai presentato.
In realtà in queste condizioni non c'è solo Casamicciola. «Noi temiamo che in Italia siano circa un migliaio i comuni privi di un piano», perché da parte di molte amministrazioni «lo si considera uno strumento inutile», ha detto ancora Musumeci.
Ma adesso la tragedia riguarda Casamicciola ed è dunque facile ipotizzare che l'assenza del piano sarà uno dei punti al centro dell'inchiesta per frana colposa e omicidio plurimo colposo aperta dalla procura di Napoli. L'indagine è ancora alle primissime battute e senza indagati perché i pm intendono lasciare la priorità ai lavori più urgenti di messa in sicurezza della zona colpita dalla frana e soprattutto al recupero dei corpi di chi ancora manca all'appello.
Poi partiranno rilievi e sopralluoghi e saranno acquisite tutte le documentazioni necessarie a capire una volta per tutte perché, e per scelta di chi, le case spazzate dal fango si trovassero su quel costone così pericoloso.
Ai consulenti dei pm toccherà anche dire una parola chiara sui piani che alcuni sindaci sbandierano per sostenere che quella del Celario non era ritenuta una zona a rischio. I sindaci fanno riferimento a un Piano regionale di ricostruzione post-terremoto di Casamicciola che non esiste.
Spacciano per un piano già approvato quello che invece è soltanto un documento preliminare metodologico, Dove, tra l'altro, si parla chiaramente dell'opportuntà di procedere «con ulteriori attività di studio geologico e geofisico» con riferimento «alle problematiche di dissesto idrogeologico potenzialmente interagenti e/o connesse con gli obiettivi del piano». Ora sarà Giovanni Legnini a gestire i futuri passi da compiere. Dopo aver bloccato la nomina del viceprefetto Simonetta Calcaterra, il presidente della Regione De Luca ha proposto al governo di affidare il post-alluvione al commissario che già si occupa della ricostruzione. E sul suo nome è stata trovata l'intesa.
"Ancora più orgoglioso", l'agente eroe di Casamicciola ringrazia la Meloni. Marco Leardi su Il Giornale il 2 Dicembre 2022
Il poliziotto 51enne, che assieme ai colleghi aveva salvato una famiglia dalla frana, aveva ricevuto l'apprezzamento del premier. "Ho solo fatto il mio dovere, non me lo aspettavo"
"Ho solo fatto il mio dovere". Non si sente un eroe e non vuole essere definito tale. Ma il suo gesto coraggioso ha ottenuto l'apprezzamento di tutti, anche del premier Meloni. Massimo Gravina è uno degli agenti che sabato scorso, insieme ai colleghi, ha salvato un bambino dalla frana di Casamicciola. Il 51enne, assistente capo coordinatore della polizia di Stato, ha preso in braccia il piccolo e lo ho portato al sicuro. Lontano dal fango che aveva travolto tutto. Una fotografia un po' sfocata di quell'intervento, scattata da qualcuno nella concitazione del momento, era diventata il simbolo del "grande lavoro dei tanti soccorritori".
Soccorsi a Ischia, le parole del premier
Quell'espressione di plauso, in particolare, l'aveva utilizzata Giorgia Meloni. Nelle scorse ore, il premier aveva infatti rilanciato sul proprio account Instagram l'istantanea dell'agente Gravina con il bimbo messo in salvo. E aveva commentato: "Da Casamicciola (Ischia) una foto che trasmette speranza, simbolo del grande lavoro dei tanti soccorritori impegnati da giorni ad aiutare la popolazione. Il Governo e l’Italia tutta vi sono grati". Parole di apprezzamento istituzionale e di sostegno rivolte a tutte le persone che sin dai primi momenti si erano adoperate per arginare le conseguenze della tragica frana. Uomini e donne, servitori dello Stato, ma anche semplici cittadini.
L'intervento dei poliziotti eroi
Il post del presidente del consiglio ha ottenuto centinaia di condivisioni e lo stesso agente ritratto in quell'immagine ha ringraziato Giorgia Meloni per quelle sue parole. "Sono orgoglioso di appartenere alla grande famiglia dello Stato", ha spiegato all'Ansa, ricordando i drammatici momenti che caratterizzarono quel soccorso a Casamicciola. "Sabato mattina non ero in servizio ma insieme all'ispettore Gennaro Di Filippo ed ai colleghi Lenoci e Pezzella abbiamo risposto 'presente' all'appello del nostro dirigente Ciro Re e siamo arrivati sul luogo della tragedia. Sapevo che in quella zona c'erano diverse case e quando siamo arrivati abbiamo trovato un paesaggio lunare, fango ovunque e abitazioni distrutte", ha raccontato il poliziotto. E ancora: "La casa dove abitava la famiglia che abbiamo salvato era l'unica ancora in piedi".
"Orgoglioso", il ringraziamento alla Meloni
Così, assieme ai colleghi, il 51enne ha raggiunto l'abituazione e aiutato chi si trovava intrappolato tra le mura. L'agente si è detto quasi sorpreso dell'attenzione avuta per quel gesto. "Ho solo fatto il mio dovere, non mi aspettavo tanta notorietà ma ho apprezzato il post del nostro presidente Meloni rivolto ai soccorritori e vedendo tutti questi giovani darsi da fare per aiutare le vittime di questa alluvione mi sento ancora più orgoglioso di fare parte della grande famiglia dello Stato italiano", ha concluso.
"Affondavamo nel fango, ho stretto al petto la bimba e l’ho portata via". Il poliziotto con la bimba stretta al petto, la foto di Ischia che emoziona: "Mi ha spezzato il cuore". Elena Del Mastro su Il Riformista l’1 Dicembre 2022
"Da Casamicciola (Ischia) una foto che trasmette speranza, simbolo del grande lavoro dei tanti soccorritori impegnati da giorni ad aiutare la popolazione. Il Governo e l’Italia tutta vi sono grati". Così Giorgia Meloni sui suoi social ha omaggiato quanti sono prontamente intervenuti a Ischia dopo la terribile frana che sabato 26 novembre si è abbattuta su Casamicciola portando morte e distruzione. E accanto al post la foto di un poliziotto con una bambina in braccio, completamente bagnato sotto la pioggia battente, mentre cerca di oltrepassare il fango e portarla in salvo. È Massimo Gravina, 51 anni, assistente capo del commissariato sull’isola, un gigante dalla faccia buona, simbolo della speranza nell’isola martoriata.
"E pensare che abitavo a 700 metri in linea d’aria da via Celario. Il terremoto dell’agosto 2017 mi ha buttato giù la casa di famiglia e da allora vivo in un’altra zona. Tornarci sabato mattina per salvare delle vite dal fango mi ha fatto molta impressione", ha detto Massimo Gravina intervistato dal Corriere della Sera. È in polizia da 25 anni di cui 10 in servizio alla Questura di Napoli e al commissariato di Ischia. È stato tra i primi ad arrivare sul luogo della frana sabato mattina appena è stato diramato l’allarme. Quando è arrivato a Casamicciola pioveva ancora tantissimo. "Davanti a noi un paesaggio lunare, tutti coperto dal fango, da un lato le case non c’erano più, dall’altro esistevano ancora ma la frana rischiava di portare via anche quelle con la gente dentro. Qualcuno che scendeva a piedi lo abbiamo accompagnato, ma gli altri li abbiamo dovuti raggiungere noi", ha raccontato.
I primi soccorsi sono stati i più difficili, con l’acqua che scendeva dall’alto e il fango morbido che trascinava via tutto. "Affondavamo fino al bacino nel fango – continua il poliziotto – sembravano le sabbie mobili, non sapevamo cosa ci fosse sotto, e senza alcun appiglio. Abbiamo cercato di reggerci, di fare una catena umana, di mettere in mezzo tronchi e assi di legno, tutto quello che trovavamo, per costruire un passaggio e per non andare giù. Alla fine abbiamo raggiunto otto persone, bambini e anziani compresi, parenti delle vittime".
Peppe, sopravvissuto al fango aggrappato per ore: "Mai pensato di mollare, vivo grazie alla mia forza e a Dio"
È stato quello il momento in cui è stato immortalato nella foto che ha ripreso la premier Giorgia Meloni. Gravina, insieme ai colleghi salivano e scendevano per quella discesa di fango che aveva travolto tutto. Entravano nelle case, aiutavano le persone a lasciare quel posto pericoloso con il cuore in gola, senza sapere cosa stava succedendo e se la situazione poteva peggiorare. "Ho preso in braccio la bimba di quattro anni – continua il racconto – ha capito, era impaurita ma si è stretta a me e l’ho portata giù. Sono un tipo abbastanza coriaceo, duro, ma vivere di persona situazione del genere spezzano il cuore a tutti".
"La gente era in pigiama, con le pantofole, qualcuno era riuscito a mettersi addosso quello che trovava – continua Gravina – abbiamo portato giù i più anziani che non camminavano bene. Una tragedia comunque, al posto di un parcheggio e di una strada di collegamento con un dislivello di quattro metri c’era solo fango", ha concluso. La sua foto con la bambina in braccio è un’altra delle immagini indelebili della tragedia di Ischia ma anche del coraggio e della speranza.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
Sono il padre e la madre dei fratellini e il compagno della prima vittima. Frana a Ischia, trovati i corpi di Gianluca, Salvatore e Valentina: si cerca Maria Teresa. Rossella Grasso su Il Riformista l’1 Dicembre 2022
A Ischia si continua a scavare e a cercare i dispersi. Giunti al sesto giorno altri tre corpi sono stati individuati e estratti dalla morsa del fango che ha invaso Casamicciola. Si tratta di due uomini le cui salme sono state individuate nella zona di via Celario e via Santa Barbara e una donna. Sono Gianluca Monti, 38 anni e Salvatore Impagliazzo, 30 anni. A confermare la loro identità è la prefettura di Napoli. Secondo quanto riportato dall’AdnKronos è stata identificata l’undicesima vittima rinvenuta nel primo pomeriggio di oggi. Si tratta di Valentina Castagna la mamma dei tre fratellini morti nella frana. La donna è stata identificata dai suoi familiari. Si aggiorna il bilancio delle vittime dopo la frana che ha colpito Casamicciola, a Ischia il 28 novembre. Sono 11 le vittime, manca all’appello una donna dispersa, Maria Teresa Arcamone, 31 anni. Ma sull’isola si continua a scavare.
Il primo corpo ad essere stato estratto è stato quello di Gianluca Monti, giovane tassista ischitano, papà dei tre bambini trovati morti nel fango, Michele, 15 anni, Francesco, 11 anni e Maria Teresa, 6 anni. Si cerca ancora la mamma dei bambini, Valentina Castagna. Il secondo corpo è quello di Salvatore Impagliazzo, marinaio, compagno di Eleonora Sirabella, la prima vittima accertata della frana. È stata identificata l’undicesima vittima rinvenuta nel primo pomeriggio di oggi. Si tratta di Valentina Castagna la mamma dei tre fratellini morti nella frana. La donna è stata identificata dai suoi familiari
I soccorritori continuano senza sosta le ricerche anche con l’ausilio dei cani molecolari. Bisogna fare presto perché già da venerdì sarebbe in arrivo una nuova perturbazione che renderebbe ancora più difficoltose le ricerche con il rischio di doverle sospendere. Inoltre, è stato anche predisposto, in caso di allerta meteo, un piano di evacuazione per circa 300 famiglie che si trovano all’interno del perimetro della zona rossa. "Non possiamo escludere nuovi smottamenti", ha detto il ministro Nello Musumeci. Che intervenendo alla Camera dei deputati ha anche confermato che sono circa 900 gli edifici da controllare perché a rischio.
"All’ultimo aggiornamento disponibile, sono circa 290 le persone che hanno trovato sistemazione presso strutture alberghiere o altre soluzioni autonomamente individuate". Questo uno dei passaggi dell’informativa urgente che il ministro per la Protezione Civile e le Politiche del mare, Nello Musumeci, sta facendo alla Camera sulla tragedia di Ischia. Il bilancio registra "il decesso di 8 persone, quattro dispersi e cinque feriti, di cui uno in modo grave e attualmente ricoverato presso l’ospedale Cardarelli di Napoli".
Rossella Grasso. Giornalista professionista e videomaker, ha iniziato nel 2006 a scrivere su varie testate nazionali e locali occupandosi di cronaca, cultura e tecnologia. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Orgogliosamente napoletana, si occupa per lo più video e videoreportage. È autrice anche di documentari tra cui "Lo Sfizzicariello – storie di riscatto dal disagio mentale", menzione speciale al Napoli Film Festival.
L’isola paga l’inerzia dell’amministrazione. Strage di Ischia, una tragedia figlia di omissioni e ritardi. Felice Laudadio su Il Riformista l’1 Dicembre 2022
Sono giorni di dolore per le vittime della frana che ha devastato abitazioni ed esistenze dei cittadini di Casamicciola. Si imputano gli abusivisti; si chiede il carcere per i sindaci dell’Isola Verde. Di certo, il costruttore abusivo ha gravi responsabilità e le leggi vigenti prevedono sanzioni idonee a reprimere gli abusi. Si contesta che le stesse non vengono applicate, per negligenza e, forse, per collusioni tra abusivisti e amministratori. È semplicistico e non identifica la gravità e complessità dei rapporti con la necessaria, approfondita analisi.
La questione è più grave e non si risolve con analisi sulla superficiale imputazione di responsabilità e sulla richiesta di sanzioni penali per gli amministratori. Sono antichi e diffusi tanto l’abusivismo quanto l’omissione di interventi imposti dalla legge, essenziali alla repressione degli abusi e alla prevenzione del diffondersi dell’illecito utilizzo del territorio. La responsabilità generalizzata deborda nella impunità personale di eventi delittuosi. Non è il momento di proclami mediatici sulla gente di Casamicciola colpita nei suoi affetti e sui suoi beni. Dov’è la vera, approfondita analisi della situazione, delle cause e dei rimedi? Si resta stupiti, anzi sconcertati dalle, generiche asserzioni del ministro dell’Ambiente. È doveroso valutare nel suo complesso le cause, le omissioni da parte delle P.A. competenti.
Una prima considerazione. Dal 2010 si doveva progettare e realizzare un progetto di regimentazione delle acque provenienti dall’Epomeo. Dopo dodici anni… niente, neanche un progetto. È diritto dei cittadini conoscere pienamente le ragioni della radicale, cronica inerzia degli enti e dei soggetti responsabili della mancata realizzazione di un’opera finanziata e rimasta "lettera morta". Deve rispondere di omissioni chi aveva la competenza alla gestione degli alvei presenti lungo le pendici dell’Epomeo mai puliti e ostruiti da alberi, da pietre e da rifiuti, come si auspica che venga accertato dalle indagini in corso.
Devono rispondere anche solo sul piano politico e morale gli amministratori locali e per l’omessa repressione degli abusi e per l’omessa pianificazione, oggi, governo del territorio, che avrebbe indicato le zone di inedificabilità assoluta, perché soggette a vincolo paesaggistico e idrogeologico. Si è rilevata da media e dai giornali la pendenza di ventisettemila procedimenti di condono, taluni risalenti al 1985 e a oggi non conclusi. È fuorviante pertanto imputare solo all’abusivismo la tragedia di Casamicciola. È derivata la permanenza degli edifici abusivi, a prescindere dall’analisi doverosa della possibilità di sanatoria prevista da tre leggi dello Stato ovvero del diniego in assenza dei requisiti e della conseguente applicazione delle misure demolitorie. Si sarebbe applicata la legge e sarebbero state demolite le costruzioni non suscettibili di sanatoria.
È omissione ultratrentennale illegittima che ha ruolo di concausa dell’evento calamitoso. Ritorna in tutta la sua gravità il problema dell’efficienza dell’amministrazione italiana, in particolare di quella campana. L’esperienza di ogni cittadino che abbia rapporti con l’amministrazione. È innegabile la gravità delle inerzie, di ritardi che affliggono il cittadino che è obbligato a chiedere il rilascio di un atto. È avvilente il rimpallo di competenze, derivante dalla "selva selvaggia" di leggi, regolamenti, circolari. È indifferibile una svolta dell’azione amministrativa collegata a una profonda semplificazione legislativa, che fissi, pena la responsabilità dei dirigenti competenti, il rispetto dei termini inderogabili di conclusione dei procedimenti e che elimini la polverizzazione degli enti comunali. E ciò se si vuole evitare che l’inefficienza amministrativa sia concausa prevalente di eventi drammatici come quelli dell’Isola di Ischia. Felice Laudadio
Sempre lo stesso dramma: l'incuria. Frana di Ischia, di chi sono le responsabilità e come si poteva evitare. Valerio Rossi Albertini su Il Riformista l’1 Dicembre 2022
Sarà coincidenza, ma da quando sabato sera allo speciale del Tg2 ho evocato l’alluvione di Ischia di oltre un secolo fa (che avevo rintracciato negli archivi storici del Cnr mentre mi documentavo per la trasmissione), su tanti quotidiani sono scomparsi i riferimenti al 2009 e l’attenzione si è spostata all’ottobre del 1910. E ne sono molto contento, perché la storia dell’incuria e dello stupro del territorio ha origini lontane e questa ne è solo un’ulteriore testimonianza. Di che sto parlando?
112 anni fa, Casamicciola fu devastata da una frana di cui non abbiamo immagini distinte, ma che, sulla base delle cronache dell’epoca, possiamo definire molto simile a quella attuale. Il re accorse ad Ischia per arrecare sollievo alle popolazioni colpite e porgere i sensi della vicinanza dei fratelli continentali della nuova Italia. Si parlò della spaventevole flussione di fango e di pietre che, precipitando con furia calamitosa senza alcun rattento, percosse l’abitato e comportò distruzione e rovina laddove si imbattè. La commissione di inchiesta, istituita dall’allora governo Luzzatti, dolorosamente constatò la vacanza di opere di presidio idraulico, la manchevole irreggimentazione delle acque dilavanti e l’esorbitante disboscamento alle pendici dei colli. A parte la sovrabbondanza di aggettivazione, potremmo usare le medesime espressioni per descrivere lo stato attuale.
Con due aggravanti, anzi tre. Primo, che le opere di presidio idraulico, -cioè sbarramenti per contrastare il fiume di fango- e l’irreggimentazione delle acque -ovvero lo scavo di canali nei quali far confluire la corrente, onde evitare che investa le abitazioni- sono più carenti oggi di ieri. Nelle foto d’epoca si vedono infatti canali, per quanto insufficienti a convogliare tutte le acque, e terrazzamenti per diminuire la velocità di scorrimento. Di queste opere oggi non c’è quasi più traccia. Per non parlare poi del disboscamento: per far posto all’espansione abnorme dei centri abitati (60mila residenti sull’isola, senza contare le case di villeggiatura di chi non vi risiede), la superficie boschiva è stata drasticamente ridotta. E, come se non bastasse, si aggiungono gli incendi dolosi.
L’ultimo, di vaste dimensioni, risale a soli tre mesi fa, subito dopo Ferragosto. Gli alberi sono l’antidoto delle frane. Intendiamoci, non sempre possono prevenirle, perché se si liquefa una intera collina come a Maierato anche gli alberi vengono trascinati via. Ma nella grande maggioranza dei casi il contrasto degli alberi alle frane e alle colate di fango è molto efficace. La prima ragione è la più nota ed evidente: la matassa delle radici imbriglia la terra e le impedisce di scivolare. Le altre sono meno considerate, ma non meno rilevanti. La chioma si oppone alla caduta violenta della pioggia, che tende a smuovere il terreno, infiltrandosi più facilmente. Ed infine i tronchi che, ostacolando lo scorrimento dell’acqua e del fango, e il trascinamento dei massi, riducono velocità e forza d’impatto.
Veniamo alla terza aggravante. Il nuovo regime climatico. Quante volte ne ho parlato in televisione e scritto sulle pagine del Riformista? Troppe per poterle contare. Sembravano esercizi teorici, divagazioni da scienziato perditempo. Un po’ come lo spillover, il salto dei virus da una specie all’altra, una stravaganza dei microbiologi. Ma quando è arrivato il Covid 19, si è capito che era una spada di Damocle che pendeva da lungo tempo sulle nostre teste e che il sottile capello con cui era sospesa aveva ceduto all’improvviso. Nel 1910 la frana che sconvolse Casamicciola era l’effetto di lunghi giorni di pioggia battente che aveva investito l’isola. Stavolta, invece, tutto si è consumato nel giro di poche ore. È stata una flash flood, un’alluvione lampo. In una notte è caduta dal cielo la quantità di acqua che solitamente precipita in diversi mesi. Non c’è stato tempo per lanciare l’allarme, il dramma si è consumato durante il sonno; il fango e i massi sono arrivati prima dei soccorsi.
Ischia è un territorio intrinsecamente fragile e vulnerabile. Non è un caso che si verifichino nello stesso piccolo posto terremoti e frane. Il motivo è che hanno una causa comune, il vulcanesimo. Ischia è una delle isole Flegree, cioè il prodotto di uno dei fenomeni vulcanici estremi presenti sulla superficie terrestre, il Supervulcano dei Campi Flegrei. I Campi Flegrei appartengono infatti a un gruppo molto ristretto, che conta dieci, dodici membri al massimo, tra cui il famoso Yellowstone, nel Wyoming. Sono quei vulcani con caldere gigantesche che, in caso di eruzione, potrebbero sconvolgere il territorio circostante in un raggio di centinaia di km e alterare il clima del loro continente.
L’eruzione di Toba, sull’isola Sumatra, in epoca geologicamente recente (circa 70 mila anni fa), gettò l’intero pianeta in un inverno vulcanico durato un decennio. Ecco perché solo 5 anni fa avevamo già parlato di Ischia per i danni e le vittime di un terremoto. Ed ecco perché le frane sono così frequenti: le ceneri, i lapilli e le pomici eruttate si depositano sul sostrato roccioso, senza aderirvi tenacemente, come la polvere domestica sui mobili, che può essere asportata passandoci sopra un panno morbido. Insomma. Perché è accaduto? Per predisposizione geologica e per la leggerezza delle amministrazioni, per disinteresse e per smemoratezza, per antico fatalismo e per le nuove insidie del clima. È un cocktail micidiale, di cui nessuno degli ingredienti è salutare.
Ah, avrete notato che non ho parlato degli abusi edilizi. Dicono che questo è il momento del lutto e del raccoglimento e non della polemica. E sia. Ma voglio solo far notare che la palla da bowling non colpisce i birilli quando è lanciata da un giocatore scarso come me, perché cade nei solchi laterali. Ma se invece di metterli solo al centro, piazzate i birilli pure nei solchi… abile o no che sia il giocatore, qualcuno verrà abbattuto di sicuro…
Valerio Rossi Albertini
(ANSA il 29 novembre 2022) - "Siamo ancora in una fase di piena emergenza, si sta cercando innanzitutto, è questa la priorità, di recuperare i corpi di altri nostri concittadini che sono morti. Poi c'è l'altra emergenza che riguarda 230 famiglie che dobbiamo accogliere e ospitare. Il governo ha stanziato 2 milioni di euro, la Regione Campania 4 milioni di euro per la prima emergenza. Poi andrà affrontato il problema di fondo dell'assetto idrogeologico e dell'abusivismo".
A dirlo, a margine di una inaugurazione di un centro antiviolenza a Salerno, il presidente della Regione Campania Vincenzo De Luca sulla tragedia di Ischia. "L'assetto idrogeologico - ha aggiunto il governatore - presuppone un impegno straordinario del governo nazionale. Io sono tra quelli che non sopportano più questa litania sul Paese fragile.
Se sappiamo che il Paese è fragile occorre una politica di lungo periodo, un investimento di dieci anni per mettere in sicurezza il territorio. E occorrono tante altre cose che mancano. Istituzioni pubbliche che funzionano, comuni non svuotati di personale anche negli uffici tecnici, province distrutte, comunità montane inesistenti, luoghi istituzionali dedicati alle progettazioni. Abbiamo distrutto tutti gli apparati pubblici in Italia, poi parliamo di manutenzione del territorio. Ma chi la deve fare questa manutenzione? Demagogia a ruota libera".
(ANSA il 29 novembre 2022) - Con una lettera inviata a Palazzo Chigi, la Regione Campania ha espresso parere negativo sulla nomina da parte del Consiglio dei Ministri, di Simonetta Calcaterra a commissario per l'emergenza Casamicciola. Fonti della Regione confermano le indiscrezioni di stampa. La Calcaterra è da luglio scorso commissario straordinario del Comune di Casamicciola dopo lo scioglimento dell'ente per le dimissioni della maggioranza dei consiglieri. La nomina era stata decisa domenica dal Cdm ma il parere della Regione è vincolante.
(ANSA il 29 novembre 2022) - Sarà presto redatto un piano provvisorio di emergenza per il Comune di Casamicciola inquadrato in più ampio d'ambito. È quanto emerso dal vertice con i soccorritori che si è tenuto oggi con il prefetto di Napoli, Claudio Palomba. Il nuovo piano provvisorio va ad aggiornare dopo gli eventi alluvionali di sabato quello del Comune di Casamicciola ed è finalizzato a garantire assistenza alla popolazione in caso di nuove emergenze. Sarà comunque operativo prima del peggioramento delle condizioni meteo. Nel frattempo è prevista, da parte dei vigili del fuoco, una prima verifica a vista degli edifici che si trovano nell'area interessata. Al momento la verifica sarà effettuata su un migliaio di edifici.
(ANSA il 29 novembre 2022) - Proseguono da parte dei vigili del fuoco le attività di ricerca dei 4 dispersi dell'alluvione di Casamicciola. E' stato aperto un varco che consentirà ai mezzi di soccorso, con particolari attrezzature, di arrivare più agevolmente sull'area alta del paese dove proseguono le ricerche degli ultimi quattro dispersi, sottolinea Luca Cari, responsabile della comunicazione dei vigili del fuoco. L'attività procede senza sosta anche se al momento non si registrano novità.
QUELL'APPALTO INTERMINABILE PER LA SICUREZZA DI CASAMICCIOLA FINANZIATO, LAVORI FERMI DAL 2010
Estratto dell'articolo di Giuliano Foschini per “la Repubblica” il 29 novembre 2022.
Questa è la storia dell'appalto "di somma urgenza" più lungo del mondo: 12 anni e non si è mossa nemmeno una pietra, nonostante i fondi fossero in banca. Ed è la storia di una delle montagne più a rischio idrogeologico d'Italia piena di progetti e anche di fondi. Ma dove non si è mai vista una ruspa, se non per scavare dopo una tragedia. È una storia antica, come ricordano gli anziani di Casamicciola: «Qui dicono: uccidete i vecchi che sanno i fatti. E hanno ragione», una signora è curva mentre prova ad attraversare un mare di fango. «Le alluvioni, le frane ci sono sempre state. Ma prima la montagna la tenevano pulita, venivano gli "operai idraulici" della Forestale. E ora? Non viene più nessuno, se non per cacciarci dalle case nostre».
Per cominciare, mettiamo un punto. Febbraio del 2010. E un luogo: Haiti. Per accorgersi che poco meno dei due terzi di Casamicciola - i dati sono dell'Ispra, l'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale - rischia di crollare e che è necessario intervenire al più presto, il governo italiano deve aspettare che un terremoto distrugga il paese caraibico, causando 220mila morti.
È infatti in un provvedimento che si occupa di Haiti - "misure urgenti per il terremoto" - forse evocando la vecchia regola di Protezione civile che ricorda come la civiltà di un paese si misuri proprio dalla capacità di contenere i danni in casi di dissesti naturali (e l'Italia in questo è pessima), che il governo inserisce un finanziamento di "somma urgenza" per mitigare "il pericolo di ostruzioni degli imbocchi dei tratti tombati mediante opere trasversali di trattenuta del materiale di trasporto solido sugli alvei Senigallia, Negroponte, Fasaniello, Pozzillo, La Rita, Cava del Monaco" di Casamicciola. Sono i canali di scolo della città, quelli attraverso i quali dovrebbe defluire la pioggia e il fango. […]
Bene: nel 2010 il governo dice che bisogna pulirli immediatamente e per questo nomina un commissario straordinario. Ma il commissario non ce la fa a lavorare in "somma urgenza". E così ne viene nominato un altro: l'ingegner Edoardo Cosenza, allora assessore in Campania. Ma niente: nemmeno l'ingegnere. La direzione regionale dei Lavori pubblici nomina allora un responsabile del procedimento, siamo a luglio del 2011. Che però a settembre del 2012 viene sostituito. Sono passati due anni, Haiti si sta riprendendo con difficoltà. Ma i canali di Ischia, niente.
Arriviamo al 2014 e finalmente ecco il progetto: 180mila euro. Serve però un altro anno, siamo a novembre del 2015, per avere quello definitivo. Pronti? Macché. A maggio del 2016 si riunisce una Conferenza dei servizi ma i lavori vengono sospesi: serve un parere di una direzione generale sempre della Regione che però, nonostante sia alla porta accanto, arriva un anno e mezzo dopo, luglio 2017.
Ci siamo? No. Perché il 4 agosto del 2017 viene indicato come soggetto attuatore dei lavori urgenti decisi sette anni prima il Comune di Casamicciola. Che però il 21 agosto viene travolto e sconvolto da un terremoto. Risultato: dei lavori da fare con somma urgenza nel 2010 si perdono, completamente, le tracce. […]
Casamicciola, il ministero dell’Ambiente aveva finanziato 12 anni fa interventi mai realizzati. VANESSA RICCIARDI su Il Domani il 29 novembre 2022
Lo ha detto il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin durante un’audizione alla Camera. E si giustifica per aver detto che i sindaci devono andare in carcere: «Sono stato vicesindaco, mio figlio è stato sindaco»
Il ministro dell’Ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin ha riferito alla Camera che a Casamicciola Terme, il comune ischitano travolto dal fango, nonostante fossero stati stanziati oltre tre milioni di fondi contro il dissesto idrogeologico non sono mai stati realizzati gli interventi necessari. E insieme all’imbarazzo dei mancati accorgimenti per la prevenzione, il giorno dopo che si è augurato il carcere per i sindaci si giustifica: lui è stato vicesindaco e suo figlio sindaco.
IL CARCERE PER I SINDACI
Prima che passasse a illustrare la situazione di Casamicciola, il ministro ha ricordato senza ripeterla la frase che ha fatto discutere: «Secondo me basterebbe mettere in galera il sindaco e tutti coloro che lasciano fare. Che tutti facciano davvero il proprio dovere: da me all'ultimo amministratore», ha detto lunedì a Non Stop News, su Rtl 102.5. Una presa di posizione che non è piaciuta al ministro dell’Interno Matteo Salvini e nemmeno alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni: «Quella del ministro Pichetto è stata un’espressione infelice».
Prima di partire con la consueta esposizione delle linee programmatiche, ha cercato di rettificare: «Mi preme in questa sede chiarire, anche per evitare ulteriori inutili polemiche dinanzi ad una tragedia di tali proporzioni e gravità, il senso delle mie parole pronunciate ieri nel corso di una intervista radio». Lui, ha specificato, è «stato vicesindaco, mio figlio è stato sindaco; per me il ruolo di primo cittadino è uno dei pilastri della democrazia rappresentativa». Ciò che «esattamente intendevo dire», ha proseguito, «è che non è più tempo di passare sopra a illeciti urbanistici che possono trasformarsi in elementi di nuove tragedie».
Chi ha compiti di vigilanza sul territorio, per il ministro deve evitare che si creino o aggravino situazioni di rischio. E ha invitato tutti a lavorare sul dissesto idrogeologico che «non è una battaglia di parte o una bandiera ideologica»
LA SITUAZIONE DI CASAMICCIOLA
Dopo la tragedia di Ischia il ministro ha dato ragione al suo predecessore Sergio Costa, pentastellato vice presidente della Camera. Anche Pichetto Fratin infatti ha detto che servono strutture per sostenere le spese dei comuni per il dissesto idrogeologico: «A Ischia, solo perché è l’ultima delle tragedie a cui stiamo assistendo, il 49 per cento del territorio dell’isola è classificato a pericolosità elevata e molto elevata per frane nei Piani di Assetto Idrogeologico e sono oltre 13.000 gli abitanti residenti nelle aree a maggiore pericolosità per frane».
Per la “messa in sicurezza della zona costiera” e per “la riduzione dell’erosione e la stabilizzazione dei versanti nel comune di Casamicciola” sono stati stanziati 12 anni fa dal Ministero dell’Ambiente complessivamente 3 milioni e 100 mila euro, ma gli interventi risultano ancora in fase di progettazione.
La difficoltà, ha detto, è «strutturale» e riguarda come vengono spese le risorse «un problema paralizzante che nasce da meccanismi autorizzativi farraginosi, dalla impossibilità di molte pubbliche amministrazioni, soprattutto delle più piccole di fare progettazioni di interventi importanti con le risorse umane e professionali di un comune di poche migliaia di abitanti». Difficoltà che derivano anche dalla stratificazione di strumenti, anche finanziari «spesso non coordinati e che si intralciano a vicenda».
E alla fine ha difeso i sindaci: «I buoni amministratori, lo ribadisco, vanno aiutati. E non caricati di adempimenti senza strutture tecniche e amministrative per farvi fronte».
VANESSA RICCIARDI. Giornalista di Domani. Nasce a Patti in provincia di Messina nel 1988. Dopo la formazione umanistica tra Pisa e Roma e la gavetta giornalistica nella capitale, si specializza in politica, energia e ambiente lavorando per Staffetta Quotidiana, la più antica testata di settore.
Ore frenetiche a Roma con la danza dei numeri sulla tragedia di Ischia. GIUSEPPE ALBERTO FALCI su Il Quotidiano del Sud il 27 Novembre 2022
Sono le 9 del mattino quando si diffonde la notizia che a Ischia c’è una frana. In quel momento Giorgia Meloni è a Palazzo Chigi. La prima telefonata è diretta al ministro per la Protezione Civile, Nello Musumeci, colui che ha in mano il dossier.
La presidente del Consiglio telefona poi al governatore della Regione della Campania, Vincenzo De Luca. Parla con il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi. Insomma, segue l’evoluzione dell’ondata maltempo che ha colpito Ischia. Il governo non perde tempo a esprimere vicinanza ai sindaci dei comuni dell’isola di Ischia e ringrazia i soccorritori impegnati nella ricerca dei dispersi.
Ed è proprio in quei minuti che Matteo Salvini, titolare del ministero delle Infrastrutture, ne combina una delle sue: «Sono otto i morti accertati per la frana a Ischia». E ancora: «Ci sono i soccorritori che lavorano in condizioni difficili – ha concluso – Se è curato e protetto questo è il Paese più bello del mondo».
Peccato che le parole del vicepremier non trovino conferma. Prima lo smentisce il prefetto di Napoli, Claudio Palomba: «Al momento non abbiamo morti accertati». Segue la dichiarazione del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che conferma le informazioni della prefettura: «Non ci sono morti accertati», aggiungendo di essere «in stretto contatto con la presidente Meloni. È una situazione molto grave, in evoluzione e che è da seguire». Concetto ribadito anche dal capo della Protezione civile, Fabrizio Curcio: «I numeri sono quelli del prefetto».
La fuga in avanti del vicepremier arriva anche sui media stranieri, oltre che sui social, dove si critica la ricerca di visibilità di Salvini nel pieno di un evento catastrofico. L’imbarazzo è tale per cui Antonio Tajani, vicepremier, prova a dissimulare: «Non ho parlato con Salvini, ma evidentemente c’erano numeri che qualcuno ha detto che venivano dall’isola, magari nella concitazione qualcuno ha riferito dei numeri al ministro Salvini, non ne so di più». Va da sé che le opposizioni prendono di mira il segretario della Lega.
A questo punto della giornata Meloni è da ore alla centrale della Protezione civile per ricevere aggiornamenti e rimanere in contatto con le sedi operative che stanno prestando soccorso a Ischia. Tajani mette a verbale che «serve un intervento per tutelare il tessuto idrogeologico del nostro Paese. Sono troppe le tragedie», sottolineando che «il governo è intervenuto con circa 400 milioni per sostenere le aree colpite nelle Marche, e non mancherà la solidarietà nei confronti del popolo di Casamicciola ad Ischia».
Il governo si dice pronto a fare la sua parte, i membri dell’esecutivo sono pre allertati perché il consiglio dei ministri si potrebbe riunire da un momento all’altro. Il focus si sposta sul Piano nazionale di ripresa e resilienza. «Occorre mettere in sicurezza i nostri territori e possiamo farlo sfruttando anche le risorse disponibili grazie al Pnrr», sostiene il ministro degli Affari Regionali e Autonomie, Roberto Calderoli.
Ed è sul far della sera che viene diffusa la notizia di una telefonata del presidente della Repubblica francese, Emmanuel Macron, a Giorgia Meloni. I due non si sono più sentiti, dopo l’incidente diplomatico sulla nave Ong Ocean Viking. Macron esprime il suo sostegno e la sua solidarietà dopo i drammatici eventi dell’isola di Ischia. Un segnale che Meloni apprezza e che può essere foriero del ripristino dei rapporti tra Francia e Italia.
Quando il Nord è abusivo e la piaga è la burocrazia. Ivano Tolettini su L’Identità il 29 Novembre 2022.
Demolire un edificio abusivo è molto complicato nella pratica. A Ischia come nel profondo Nord. Dalla Campania al Veneto. Che a governare sia la destra oppure la sinistra. Anche quando l’illecito è in un’area a inedificabilità assoluta. Le scappatoie legali, nel Paese del diritto e del rovescio, sono così tante che se parlate con la maggior parte degli avvocati amministrativisti vi risponderanno che nella loro carriera di abbattimenti, anche nei casi conclamati, non ne hanno visti molti. Soprattutto se vi rivolgete al legale esperto. Costa, ma il risultato vale la candela. Pardon, la sopravvivenza dell’immobile. Del resto, una sentenza della Cassazione afferma che è possibile, con lo strumento dell’incidente d’esecuzione, vale a dire il procedimento che si utilizza nella fase esecutiva dei provvedimenti, opporsi in certi casi all’ordine di abbattimento provando i gravi pregiudizi che deriverebbero alla salute del cittadino abusivista nel caso in cui venisse privato della sua unica abitazione. Eh sì, non trovate molti Paesi al mondo in cui i bizantinismi si arrampicano a queste vette della logica di legittimità. Ecco perché viviamo in una Nazione in cui a volte anche il semaforo rosso è soggetto a interpretazioni cromatiche. Così può capitare che l’interesse pubblico – la ventilata prossima modifica dal sapore dell’abrogazione dell’abuso d’ufficio, anche perché così com’è qualificato già adesso è un reato per il quale pochi pubblici ufficiali sono condannati con sentenza definitiva – arretra davanti alla violazione di legge nel nome del cittadino, in questo caso pessimo, ma meritevole di una estrema tutela. È un caso limite, naturalmente, ma spiega perché dal fronte fiscale a quello edilizio chi pratica l’illegalità ha buone probabilità di farla franca. Sotto qualsiasi governo. La storia della Repubblica è lì a ricordarcelo. In questi giorni in cui purtroppo è stata Ischia ad essere martoriata dal maltempo per le troppe vittime e gli ingentissimi danni causati dall’immancabile emergenza che ne è conseguita per l’abusivismo selvaggio che l’ha innescata – nulla è più puntuale come il recente caso umbro ha certificato il nostro dissesto idrogeologico alimentato dalla mano dell’uomo – ci sono casi paradigmatici. Prendete quello di una villetta costruita ex novo in un quartiere di Vicenza, a Ospedaletto, in zona a vincolo di inedificabilità assoluta perché nella pertinenza di una dimora storica, come hanno stabilito prima i giudici del Tar Veneto nel 2015 e poi i colleghi del Consiglio di Stato nel 2017, ordinando l’abbattimento dopo avere annullato i titoli edificatori. Era successo che i coniugi Naclerio, il cui figlio sarebbe diventato nel 2018 consigliere comunale della maggioranza di centrodestra guidata da Francesco Rucco e avrebbe dovuto abitare in quell’immobile, dopo che il Comune, all’epoca però guidato dal Dem Achille Variati, aveva respinto la richiesta di permesso di costruire del 6 marzo 2012 e della Dia del 4 ottobre 2012, il 22 ottobre sempre del ’12 la coppia aveva beneficiato di un’ulteriore Dia che consentiva loro di accendere le ruspe, affrancando la villetta con una successiva Scia in variante per avvalersi del cosiddetto “Piano Casa” votato dalla Regione Veneto. A muovere battaglia, in questo caso, era stata un’altra coppia che aveva acquistato una dozzina d’anni prima un pezzo della vecchia stalla di Cà Latina ristrutturandola e spendendo un sacco di soldi sul presupposto che nessuno avrebbe mai potuto costruire lì vicino. Anche perché, come un geologo di parte ha verificato, in caso di forte pioggia a causa della modifica del piano campagna l’abitazione ristrutturata rischierebbe di venire allagata. Per farla breve, nonostante tutti i ricorsi presentati dai Naclerio, spalleggiati anche dal Comune in taluni passaggi processuali, i giudici amministrativi hanno sempre dato loro torto e nel 2020 l’edificio è stato acquisito al patrimonio municipale. Partita chiusa? Neanche per sogno. I ricorsi sono continuati, il Comune non è stato ritenuto inerte e non è stato nominato il commissario ad acta per la demolizione. Lo scorso luglio, dulcis in fundo, l’asta pubblica per incaricare un’impresa a demolire il fabbricato è andata deserta. “Col rischio – spiega l’avvocato Dario Meneguzzo che ha seguito il caso – che la vittima dell’abuso rischia di trasformarsi in carnefice per il solo fatto di chiedere il ripristino della legalità”. Per ottenere la quale sono stati spesi un sacco di soldi. E dieci anni dopo la villetta abusiva è ancora su. Grazie alla burocrazia. A Vicenza come Ischia.
L’Italia dei condoni. Redazione L'Identità il 29 Novembre 2022
L’Italia è malata di abusivismo edilizio. Ce ne ricordiamo soltanto in occasione di quelli che ogni sindaco, fosse pure quello del Comune più piccolo del Paese, ha imparato da tempo a definire “eventi metereologici calamitosi imprevedibili”, per scrollarsi di dosso le eventuali accuse. Perché, ce ne stiamo accorgendo ogni volta di più, alla fine ci scappa il morto. Anzi, i morti, come sabato ad Ischia.
Il problema che si ripete
Un viaggio che parte proprio da Ischia ci restituisce la fotografia di un fenomeno diffuso e costante, pur nell’evidenza di un divario tra Nord e Sud, che però non esclude dalle regioni del Centro Nord un dato evidente, che si collega all’altrettanto storico ciclo dei condoni edilizi, dal primo del 1985. E se non governato dalla raffica di richieste di condono che si abbatte sui Comuni, gestito durante gli anni dalla pressione politico-elettoralistica sulla realizzazione e sul mantenimento del bene primario delle famiglie, la casa.
ISCHIA DOCET
Ischia è la maggiore delle isole nel golfo di Napoli, Campania. Una regione dove in 10 mesi si sono registrati 18 eventi climatici estremi, 6 solo nel mese di novembre. E dove 100 sono stati i fenomeni del genere dal 2010 fino a oggi: tra questi, 38 allagamenti e alluvioni e 4 frane da piogge intense. Come quella di sabato mattina. Qui sono 600 le case abusive colpite da ordinanza definitiva di abbattimento. Ed è di 27mila il numero delle pratiche di condono presentate: a Forio 8530, 3506 a Casamicciola e 1910 a Lacco Ameno. Mentre, dopo il Decreto Genova del 2018 che includeva un condono per la ricostruzione post terremoto di Ischia, il numero di fabbricati danneggiati inseriti nelle richieste di sanatoria è salito a 1000.
Il quadro di legambiente
Ma se Ischia è oggi un caso nazionale, l’intero Stivale non è un bel vedere, a sentire Legambiente che da qualche anno raccoglie i dati intervistando i Comuni: “Dal 2004 al 2020, in tutta Italia, è stato abbattuto solo il 32,9% degli immobili colpiti da un provvedimento amministrativo”. Certo, l’abusivismo è diffuso nelle 4 regioni del Mezzogiorno (Campania, Sicilia, Puglia e Calabria), peraltro quelle ove è nata e prospera l’economia criminale delle 4 mafie del Paese e ove si concentra il 43,4% degli illeciti nel ciclo del cemento registrati in Italia nel 2019. Qui sono state emesse 14.485 ordinanze di demolizione (con la Campania a guidare la classifica nazionale con 6.996 provvedimenti di abbattimento) e ne sono state eseguite appena 2.517, pari al 17,4%. Insomma, 5 volte su 6 l’abusivo può confidare di coronare con l’impunità il suo abuso.
Abusi a go go lungo le coste italiane: se si esaminano i Comuni litoranei, la percentuale nazionale di abbattimenti scende a 24,3%.Ma gli illeciti edilizi sono bandierine sui territori di tutte le regioni, anche in Veneto – ove impera il microabusivismo edilizio – e in Friuli Venezia Giulia, Valle d’Aosta, Provincia autonoma di Bolzano, Lombardia, Piemonte, Liguria e Toscana, le regioni che dichiarano di aver demolito il 40% degli immobili o degli interventi abusivi colpiti da ordinanza di abbattimento. A significare che il territorio rimane comunque macchiato dal persistere di un cancro di fronte al quale, da oltre 30 anni, si è scelta la strada del condono, piuttosto che quella di un contrasto deciso al fenomeno.
L’impatto del condono
Quasi un paradosso, poi, che gli abusi edilizi, oltre che finire in poderose ricerche economiche incentrate sull’impatto dei condoni sul tessuto sociale ed economico, siano diventati uno dei dodici Indicatori del “Benessere Equo e Solidale” cui lavorano da anni Cnel e Istat e che dal 2013 fornisce una relazione al Parlamento, in allegato al Def, per valutare il progresso della nostra società non solo dal punto di vista economico, ma anche sotto l’aspetto sociale e ambientale, per rendere efficaci gli strumenti di programmazione e valutazione della politica economica nazionale. L’ultimo dato individua 17 abitazioni illegali ogni 100 costruzioni autorizzate dai Comuni, in contrazione dal 2018. Alla fine, gli abusi edilizi frenati solo dalla pandemia, dal fermo del settore dell’edilizia e dalle proroghe emergenziali. Una magra consolazione. Sullo sfondo, un anno fa, una macchina degli abbattimenti inceppatasi dopo il via libera alle prefetture per sostituirsi ai Comuni negli abbattimenti. Un cancro diffuso in tutto il Paese, di fronte al quale negli anni è stata scelta la strada facile dei condoni invece di una manovra complessiva che provasse ad eliminarlo.
Il ministro abusivo. Adolfo Spezzaferro su L’Identità il 29 Novembre 2022
Con le operazioni di soccorso ancora in atto dopo la tragedia di Ischia, con otto persone morte sotto una colata di fango, le parole inopportune del ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin sui sindaci che andrebbero arrestati scatenano un putiferio fuori e dentro la maggioranza.
E a dire che pochi giorni fa la premier Giorgia Meloni aveva incassato una standing ovation all’assemblea dell’Anci a Bergamo quando aveva promesso di voler cambiare la legge sull’abuso d’ufficio. Ora, dopo l’improvvida uscita di Pichetto Fratin, sindaci e governo sono ai ferri corti. Lo scontro è sull’abusivismo edilizio nell’isola campana e la mancanza di controlli efficaci. “In galera il sindaco e chi lascia costruire”, dice il titolare dell’Ambiente. “Un amministratore oggi – aveva detto Meloni all’assemblea Anci – non sa se il suo comportamento domani verrà giudicato come criminoso.
La statistica è drammatica: il 93% delle contestazioni di abuso d’ufficio si risolve con assoluzioni o archiviazioni. Non possiamo arrenderci perché la paura della firma inchioda una nazione che invece ha un bisogno disperato di correre e di liberare le sue energie”, aveva sottolineato la premier.
Il commento dell’esponente di FI a capo del dicastero dell’Ambiente manda su tutte le furie il presidente Anci e sindaco di Bari Antonio Decaro: “È di una volgarità inaccettabile e denota una grave ignoranza dell’argomento”. Mentre nella maggioranza è evidente l’imbarazzo, con il ministro per gli Affari europei e il Pnrr Raffaele Fitto che nicchia dicendo che non ha sentito le parole del collega all’Ambiente, il dem Decaro va all’attacco: “Liquidare la questione scaricando tutta la responsabilità sui sindaci, addirittura auspicando che vengano messi in galera, è l’opposto di quello che un rappresentante delle istituzioni dovrebbe fare: ora dal ministro aspettiamo delle scuse verso i sindaci italiani”. Il numero uno dell’Anci spiega che “da anni, in tutti gli incontri e in tutte le occasioni, sosteniamo con forza la necessità di varare un piano straordinario per la manutenzione del territorio, nell’interesse esclusivo e primario dei nostri concittadini”.
Il ministro della Protezione civile e del mare Nello Musumeci intanto prova a difendere Pichetto: “Può capitare a tutti di essere fraintesi”. Di tutt’altro tenore il commento del vicepremier e ministro dei Trasporti e delle infrastrutture Matteo Salvini, che difende i sindaci. “C’è qualcuno che vorrebbe arrestare i sindaci, mentre io li vorrei proteggere e liberare dalla burocrazia”, afferma il leader della Lega.
Se andiamo a vedere qualche altra uscita infelice del neoministro, alla sua prima uscita pubblica in Ue, il forzista, che peraltro non è proprio un esperto di tematiche ambientali, ha esordito con una gaffe, facendo confusione sui temi da discutere con i suoi nuovi colleghi europei. “A seguito del Consiglio d’Europa di qualche giorno fa, in cui stato raggiunto un accordo tra i ministri…”, esordisce Pichetto Fratin.
Il vertice a cui fa riferimento, però, non è affatto il Consiglio d’Europa – organizzazione internazionale fondata nel 1949 per evitare un ritorno della guerra – ma il Consiglio europeo, il vertice che riunisce i leader dei 27 Paesi Ue per definire l’agenda politica dell’Unione. “Uno degli obiettivi – prosegue il forzistaù – è superare l’attuale sistema del Tte”. Anche in questo caso, però, Pichetto Fratin fa confusione. L’acronimo a cui si riferisce è il Ttf, che sta per Title Transfer Facility e indica il mercato all’ingrosso del gas naturale – con sede a Amsterdam – che rappresenta il principale riferimento sui prezzi del metano per l’Italia e il resto dei Paesi europei.
Sempre a Bruxelles, il gaffeur ne ha fatta un’altra, immortalata da un video virale sui social. Fraintendendo una domanda formulata da un giornalista olandese in inglese, durante l’incontro con la stampa al termine del Consiglio europeo straordinario sull’energia. “Pensa che sarà possibile trovare un compromesso (sul price cap, ndr)?”. Compromesso, in inglese “compromise”, che Pichetto Fratin deve aver interpretato come “ompliments”, tanto da rispondere un po’ perplesso: “Complimenti… eh, insomma. Dopo qualche istante di imbarazzo è intervenuto un giornalista italiano che, riformulando la stessa domanda, ha permesso al ministro di rispondere correttamente. Per carità, se si pensa a “First reaction, shock” di Matteo Renzi, non possiamo dire che i problemi con le lingue straniere siano un ostacolo – il leader di Iv è diventato un oratore in lingua inglese, ormai.
«Ho pagato sulla mia pelle il dramma di un’alluvione: non lasciate soli i sindaci». Intervista a Marta Vincenzi, ex sindaco di Genova, condannata a tre anni per l'alluvione del 2011: "Le scuse di Pichetto Fratin non bastano, liscia il pelo al peggior qualunquismo forcaiolo". Valentina Stella il 30 Novembre 2022 su Il Dubbio.
Parla Marta Vincenzi, ex sindaco di Genova. A ottobre ha finito di scontare, con la messa a disposizione presso i servizi sociali, il primo anno di tre, a cui è stata condannata, con l’accusa di omicidio colposo, per la gestione dell’alluvione di Genova del novembre 2011.
Cosa ha pensato quando ha visto cosa stava accadendo a Ischia?
Essendo passata attraverso un disastro, anche se di altro tipo, ogni volta mi immedesimo, è un dolore che si ripete. Il mio pensiero va alla popolazione e agli amministratori che si trovano a dover fronteggiare queste situazioni. Provo anche rabbia.
Perché?
Questo nostro territorio ha tanti problemi di tipo idrogeologico, è così fragile ma allo stesso tempo viene maltrattato o poco curato.
Dopo il disastro, nessuno sembra esserne responsabile.
Premesso che ogni situazione deve essere analizzata nel dettaglio, in generale vorrei che tornasse l’attenzione sul fatto che è lo Stato nelle sue diverse articolazioni a doversi interrogare sul perché queste cose continuino ad accadere. E in particolare sul sistema della Protezione civile. L’impostazione sistemica data da Zamberletti pian piano si è andata perdendo, soprattutto negli ultimi decenni. La Protezione civile è una struttura della Presidenza del Consiglio che si dirama in articolazioni che devono essere fatte vivere nei tavoli soprattutto in tempo di pace, non solo in tempo emergenziale. Dovrebbe avere gli strumenti e le informazioni per sapere quali sono le situazioni dove è meglio concentrarci e prevenire: questo è andato perduto in un insieme di rivoli di responsabilità plurime, a volte definite dalla ‘legge X’ ma contraddette dal ‘decreto Y’ approvato dopo, a volte bizantineggianti o troppo generiche. È il caso dei sindaci.
Ci spieghi.
Si dice che il sindaco è di per sé il responsabile della Protezione civile, però non si chiarisce come e di cosa sia responsabile, e in che modo questa responsabilità è fatta vivere insieme a quelle di tutti gli altri soggetti. Dov’è stato il coordinamento di tutti questi livelli? Inoltre bisognerebbe evitare sul piano culturale che soprattutto da parte dei cittadini, appena dopo la tragedia, si vada alla ricerca del colpevole, visto che non si conoscono i vari livelli e le gradazioni delle responsabilità all’interno dell’apparato statale. Anche per questo le affermazioni del Ministro Pichetto Fratin sono pericolose.
Ha fatto un passo indietro: “Non posso avercela coi sindaci […] La mia dichiarazione di ieri è stata un po’ forte quando ho detto che bisognerebbe arrestare”
Quella frase è stata davvero brutta, non basta fare un passo indietro. Non si può semplificare una questione complessa. Occorre capire cosa c’è all’origine di quella affermazione.
E cosa c’è?
Mancanza di cultura e consapevolezza rispetto al tema di cui si sta parlando. Innanzitutto è sbagliato lisciare il pelo al peggior qualunquismo forcaiolo che si trova nell’opinione pubblica. Io purtroppo questo l’ho vissuto sulla mia pelle. È grave che lo abbia fatto un ministro il quale, in pochissimo tempo, ha fatto indagine, processo e spedito in carcere il colpevole, bypassando tutto il lavoro della magistratura. Mancava solo che dicesse ‘buttiamo via la chiave’. Poi non è proficuo ragionare in termini di categoria. Come ha sbagliato Pichetto Fratin a dire che è tutta colpa dei sindaci, allo stesso modo ha sbagliato Salvini a dire che occorre difendere i primi cittadini in quanto tali.
Cosa avrebbe dovuto invece dire Pichetto Fratin?
Avrebbe dovuto enunciare il suo impegno nel capire cosa non ha funzionato, delineare le linee di miglioramento, iniziando una interlocuzione con le istituzioni sul territorio, con l’Anci, anche con le Prefetture per ragionare in tempo di pace e non in tempo di emergenza. Quindi capire non come mandare in galera i sindaci ma come poter aiutare gli amministratori locali che poi, se sbagliano, ne renderanno conto alla magistratura e ai propri cittadini.
Questione condono: anche qui è un rimpallo di responsabilità.
I partiti dovrebbero mettere in fila le cose fatte e quelle non fatte in questi decenni per aiutare gli elettori a sapere chi potranno votare nel futuro in virtù delle azioni o delle omissioni. È facile dire ‘siamo accanto alla popolazione’: siamo stufi di questo parlar a vuoto. C’è bisogno della concretezza dei numeri, dei fatti, delle decisioni assunte o non assunte. Io vorrei sapere veramente cosa c’era scritto negli atti che Conte ha firmato e in che modo può aver rallentato un processo già attivato e in che modo tutti gli altri se ne sono o non se ne sono occupati. Politicamente sarebbe utile.
Questione elettori. Innanzitutto i partiti ambientalisti non fanno breccia nel cuore degli italiani. Inoltre in noi predomina spesso una sfida al destino: ‘intanto a noi non succede’.
C’è una responsabilità anche nostra, nel senso che la nostra formazione da cittadini non contempla questi aspetti come priorità, a differenza degli altri Paesi. Per quanto ho vissuto io, posso dirle che l’idea di vivere in zone a rischio idrogeologico non entra nella memoria collettiva. Nell’alluvione del 2011 i comportamenti individuali erano molto diversi tra le persone che avevano ricordo dell’alluvione del 1992-93 e quelle che non l’avevano vissuta, a cui mancava l’automatismo nei comportamenti. Lo Stato deve porsi il problema della prevenzione come educazione al rischio ambientale. Non bastano i messaggini che ti avvisano dell’allerta. Purtroppo ci sono delle resistenze fortissime, perché mettere nero su bianco che una zona è a rischio vuol dire abbattere il valore delle abitazioni.
A proposito di abitazioni, ad esempio, tantissime case sono costruite ai piedi del Vesuvio. Pannella fece una battaglia politica già negli anni 90 contro l’abusivismo in quelle zone. Ma tanti dicono: come lo vado a dire all’elettore che gli devo abbattere la prima casa?
Non c’è altra soluzione. Ci vuole naturalmente un progetto prima che dica dove poter trasferire le persone. E ha ragione Renzo Piano quando dice che i territori vanno ‘rammendati’, vanno ripensati. Vita e sicurezza sono la priorità, non sono negoziabili. Certo qui in Italia elettoralmente abbattere non paga. Io sono stata parlamentare europea: un grande esempio di saggezza che viene dalle istituzioni europee è quello per cui le decisioni che si prendono hanno una tempistica che non coincide mai con quella della durata del mandato in corso. Casomai sette anni sono considerati lunghi ma vi si succedono più amministrazioni e la responsabilità è condivisa.
A proposito di sindaci, invece, si parla anche di rivedere la norma sull’abuso di ufficio.
Non sarei per l’abolizione tout court. Bisogna affrontare la questione con cautela.
Che è la posizione del Partito democratico.
Io non sono più nel Pd ma spero che si rifondi. E vorrei contribuire al dibattito.
Adesso fa politica?
In altro modo, come si può fare sempre, in mezzo alle persone e nelle associazioni. È dai tempi del renzismo che non sono più iscritta al Pd, con cui ero arrivata già con molta sofferenza. Adesso vorrei poter ancora dare il mio contributo di idee e partecipazione ma al momento non si capisce come e dove farlo.
Chi vedrebbe come nuovo leader?
Al momento non saprei. Sono rimasta un po’ all’antica e vorrei vedere i programmi di chi si candida.
Durante la sua vicenda giudiziaria il Pd le è stato accanto?
Il Pd è scappato, sparito, ma non è per questo che non ho preso la tessera.
«Abbiamo le mani legate dai lacci della burocrazia: lo Stato aiuti noi sindaci». L’appello di Riccardo Gullo, sindaco delle Eolie: «Il sistema va rivisto: le cose devono funzionare in maniera molto diversa rispetto a quanto accade attualmente». Giuseppe Bonaccorsi il 30 Novembre 2022 su Il Dubbio.
«I primi cittadini hanno le mani legate da lacci e lacciuoli della burocrazia». Mentre nel governo dopo il disastro di Ischia c’è uno scontro a distanza tra il ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin che ha dichiarato a Radio24 che i sindaci che si voltano dall’altra parte sull’abusivismo andrebbero arrestati – e il vicepremier Matteo Salvini – che al contrario ha detto che «piuttosto che parlare di arresti i sindaci andrebbero sostenuti nella loro azione» -, nella polemica si inserisce il sindaco delle Eolie, Riccardo Gullo.
Il primo cittadino di sei delle sette isole patrimonio dell’Unesco, riferendosi al nubifragio abbattutosi qualche mese fa a Stromboli, rincara la dose a difesa dei suoi colleghi e riferendosi al Piano di emergenza annunciato dal ministro della Protezione civile, Nello Musumeci, ex presidente della regione Sicilia, dopo il disastro di Ischia, dichiara senza fraintendimenti: «Noi abbiamo già pronto un Piano di emergenza per l’isola di Stromboli dopo il disastroso incendio di maggio, con la distruzione del polmone verde delle pendici, e a settembre, con la conseguente alluvione, quando solo un miracolo ha evitato vittime».
«Siamo stati molto previgenti e quello che adesso per Ischia ha detto il ministro noi lo abbiamo pianificato per tempo. Il documento è stato già da noi inviato alla Protezione civile e attendiamo che venga approvato. Si tratta di un piano da 21 milioni di euro per mettere in sicurezza l’abitato e tutta l’isola. Quando sono stato nominato commissario per l’emergenza dal governo – ha proseguito il primo cittadino eoliano – non abbiamo perso un attimo, lavorando dalle 8 del mattino sino a sera. Adesso però attendiamo ancora che il documento venga approvato, perché senza il via libera non possiamo fare nessun intervento. Stiamo parlando di pulizia di tutti i torrenti e consolidamento di quelle aree delle pendici che rischiano di franare a valle».
Il sindaco Gullo, riferendosi anche a un’altra emergenza che lo assilla sulle isole, quella della frazione di Lipari di Acquacalda, interessata ogni anno da violente mareggiate da nord che mettono a rischio gli abitanti che abitano a pochi metri dal mare, è tornato sulla piaga della burocrazia.
Nel 2019 la violenza del mare, con onde alte anche sei metri, distrusse buona parte del lungomare e mise a rischio numerosi abitanti. Ancora oggi il sindaco combatte con pareri che talvolta contrastano tra loro: «Stiamo lavorando alla pianificazione del progetto con tutti i maledetti pareri che dovrebbero essere eliminati in questi casi di emergenza. Stiamo cercando nel frattempo di effettuare un intervento immediato nella parte più pericolosa del litorale, ma per tutto il progetto ci scontriamo con disposizioni che purtroppo le norme richiedono e che non è facile portare a termine anche per varie norme tirate fuori pure dalla Regione, su pareri ambientali e paesaggistici e commissioni. Noi sindaci siamo invischiati in un ginepraio spaventoso che dobbiamo ogni volta dipanare, con continui elaborati in più richiesti, da elaborare, da approfondire… Ma così non si va da nessuna parte e i cittadini rischiano. Per questo il sistema va rivisto: le cose devono andare in maniera molto diversa rispetto a quello che attualmente devono ogni giorno affrontare tutti i sindaci della penisola» .
L’isola di Stromboli venne interessata da un violento incendio, causato molto probabilmente ma sono ancora in corso le indagini della procura di Barcellona Pozzo di Gotto – da una troupe cinematografica che stava girando sull’isola una fiction, ironia della sorte chiamata “Protezione civile”. Gli addetti alle telecamere dovevano effettuare alcune riprese e accesero un fuoco ‘”pilotato” a quota 400 metri, nel pieno della riserva naturale, che sfuggì immediatamente di mano a causa del forte vento di scirocco che spazzava l’isola. Venne distrutto tutto il polmone verde riserva naturale delle pendici del vulcano e soltanto il tempestivo intervento dei cittadini evitò che alcune case venissero raggiunte dalle fiamme.
Qualche mese dopo, durante un violento nubifragio un mare di fango e detriti invase l’abitato trascinando a mare tutto quello che incontrava sul suo cammino. Per fortuna non ci furono vittime perché le piogge furono copiose soprattutto di notte. Dal rogo al nubifragio nessun ente si occupò di bonificare quantomeno i letti dei torrenti da enormi quantità di arbusti bruciati. Anche sull’alluvione la procura barcellonese ha aperto un secondo filone di indagine sulla mancata bonifica.
Disastro a Ischia, gli isolani: "Dopo anni di sacrifici ci vengono a dire che è colpa dell’abusivismo". Storia di Redazione Tgcom24 l’1 dicembre 2022.
"Mattino Cinque News" mostra la disperazione dei cittadini nel quartiere di Casamicciola a Ischia. Dopo l'alluvione del 26 novembre che ha provocato otto morti, quattro dispersi e centinaia di sfollati, una nuova ondata di maltempo potrebbe colpire tra qualche giorno l'isola. Nel frattempo, le squadre di soccorso stanno lavorando al ritrovamento dei corpi dei quattro dispersi mentre gli isolani cercano di mettere in sicurezza quello che si può, convincendo i residenti ad abbandonare la propria casa e a mettersi al sicuro. "Se non ci danno un'abitazione facciamo la fine dei terremotati. Ci spostano in albergo e poi? Che fine facciamo?" commenta un cittadino.
"Le vittime vivevano tutte in zona bianca: significa che si poteva costruire". “Basta sciacallaggio, la frana di Ischia non è colpa dell’abusivismo”: i sindaci contro i giornalisti. Antonio Lamorte su Il Riformista il 30 Novembre 2022
Non ci stanno i sindaci di Ischia: dicono basta e lanciano un appello ai giornalisti, ai media. I primi cittadini di Lacco Ameno e Forio d’Ischia Giacomo Pascale e Francesco De Deo chiedono “silenzio e di smettere di fare sciacallaggio, quanto accaduto a Casamicciola non è colpa dell’abusivismo”. Perché “le vittime vivevano in zona bianca e la frana ha colpito per lo più una zona classificata come bianca: significa che si poteva costruire”, ha detto De Deo al termine del vertice del Centro coordinamento di soccorso a Casamicciola. Il sindaco ha comunque sollecitato: “Facciamo quello che dobbiamo fare e in fretta. Perché non è possibile che questa isola debba sprofondare per calamità naturali, prima il terremoto, poi l’alluvione, nel giro di 5 anni”.
Parole destinate a far discutere visto che da cinque giorni, dalle abbondanti precipitazioni tra venerdì e sabato che hanno causato la frana del monte Epomeo, si parla proprio di abusivismo. Cinque giorni di ricerche e si continua a scavare per trovare i dispersi, che sono ancora quattro. Otto i morti della strage. Le probabilità di trovare in vita i dispersi ridotte al lumicino. È una corsa contro il tempo: le previsioni anticipano abbondanti precipitazioni anche nei prossimi giorni. E le operazioni diventerebbero ancora più difficili.
Non sono escluse nuove evacuazioni, come anticipato dal prefetto di Napoli Claudio Palomba al vertice di ieri al Centro delle operazioni a Casamicciola. 280 al momento gli sfollati. Un decreto con aiuti alle aree colpite dovrebbe essere varato domani dal consiglio dei ministri. Le scuole resteranno chiuse fino a sabato. La Regione Campania intanto ha posto il veto sulla Commissaria prefettizia Simonetta Calcaterra, indicata dal governo come Commissario straordinario all’emergenza. Polemiche avevano scatenato le parole del ministro Pichetto Fratin sulle responsabilità degli amministratori: “Contro l’abusivismo edilizio basterebbe mettere in galera il sindaco e tutti quelli che lasciano fare perché i sindaci non devono lasciare costruire”.
Il fascicolo per disastro colposo al momento è contro ignoti. La Procura indaga sui progetti anti-dissesto avviati dopo la frana del 2009 e mai realizzati e sugli allarmi inascoltati lanciati tramite 23 mail con pec dall’ex sindaco di Casamicciola Giuseppe Conte. “Avevo scritto al prefetto di Napoli, al commissario prefettizio di Casamicciola, al sindaco Manfredi e alla Protezione Civile Campania. Nessuno mi ha risposto. A seguito dell’allerta meteo arancione, avevo segnalato il pericolo per la popolazione della zona e chiesto la loro evacuazione”.
L’ex sindaco segnalava la necessità di “intervenire immediatamente su tutti gli alvei” della città “onde evitare di correre il rischio che ci si possa trovare nuovamente di fronte a una situazione simile a quella dell’alluvione del 1910, quando morirono 15 persone a causa di un’alluvione”. Legambiente ha stimato che sono 600 le case abusive colpite da ordinanza definitiva di abbattimento. Le pratiche di condono presentate tramite le tre leggi nazionali ammontano invece a 27mila, di cui 8.530 istanze negli uffici tecnici del Comune, 3.506 a Casamicciola e 1.910 a Lacco Ameno.
Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.
DISASTRO CASAMICCIOLA, IL SINDACO FRANCESCO DEL DEO: “BASTA FARE SCIACALLAGGIO PER CREARE ASCOLTI, LE CASE DELLE VITTIME ERANO SITUATE IN ZONA BIANCA”. Da nuvola.tv il 29 Novembre 2022
Lo sciacallaggio mediatico purtroppo è stato uno dei principali protagonisti di questo grave evento che ha colpito l’isola d’Ischia. Le testate giornalistiche nazionali, infatti, hanno definito la nostra isola “isola dell’abusivismo”. “E’ il momento del dolore, non è il momento per fare sciacallaggio. La stampa la smettesse di parlare di abusivismo solo per fare ascolti. Le case delle vittime erano situate in zona bianca, quindi, potevano essere costruite”, queste le parole di Del Deo.
GIACOMO PASCALE ATTACCA TRAVAGLIO E LA SUA VIGNETTA: “QUERELIAMO IL FATTO E TUTTI COLORO CHE CI RIEMPIONO DI FANGO”. Da nuvola.tv il 29 Novembre 2022
Questa mattina è stato diffuso sulle piattaforme web una vignetta realizzata da Mario Natangelo per il Fatto Quotidiano, testata nazionale diretta da Marco Travaglio. Una vignetta ritraente la lava di fango che sabato si è imbattuta su Casamicciola e la morte accompagnata dall’immancabile falce. Un’immagine del tutto fuoriluogo che non è passata inosservata. Ai nostri microfoni ha rilasciato una dichiarazione sull’argomento il sindaco di Lacco Ameno, Giacomo Pascale.
La polemica. La vignetta del Fatto sulla strage di Ischia e la rabbia del sindaco: “Offende chi sta spalando fango”. Redazione su Il Riformista il 29 Novembre 2022
“Questa vignetta è una vergogna inaudita che offende Ischia, offende i nostri morti, offende la gente che in queste ore sta spalando il fango che ha strappato le vite dei nostri concittadini. Insieme agli altri sindaci dell’isola abbiamo dato mandato ai legali per verificare se ci sono le condizioni per querelare il Fatto Quotidiano che oggi l’ha pubblicata”, afferma Giacomo Pascale, sindaco di Lacco Ameno, riferendosi alla vignetta pubblicata in prima pagina nell’edizione cartacea odierna del quotidiano.
Nel lavoro del disegnatore Natangelo si vede la morte con la falce in mano davanti ad uno scorcio di montagna fangosa con un cartello stradale che indica la località di Casamicciola Terme. Nel ‘baloon’, da una voce fuori campo: “Come mai di nuovo ad Ischia?” e la morte risponde: “Per i fanghi, come sempre”. Il lavoro del vignettista satirico ha destato scalpore sull’isola, dove in molti l’hanno ritenuta irriguardosa nei confronti delle vittime. Pascale ha annunciato inoltre di non volersi fermare solo ad una eventuale azione legale relativa a questo episodio: “Stiamo raccogliendo una rassegna stampa completa, non tollereremo sciacallaggi dei media ai danni della immagine della nostra isola che ci danneggino oltre il dramma che stiamo già vivendo in queste ore”.
“La satira termina quando 3 metri di fango seppelliscono il corpo di una creatura di 20 giorni – aggiunge Pascale su Facebook -. La satira deve far riflettere, si dirà. Bene, io davvero ci ho riflettuto e trovo questa vignetta offensiva. Offensiva verso chi ha perso i propri familiari, offensiva verso un’intera comunità, offensiva per i nostri morti. Ci penserà la Magistratura a ‘far riflettere’, a far luce sulle responsabilità. Ma fino a quel momento, pregherei di non giocare coi nostri nervi, che sono molto tesi”.
“Che la libertà di stampa non sia un paravento, dietro cui celare un’informazione alla ricerca di share: a costo di mettere in campo i migliori legali, non vi consentiremo più di monetizzare col sangue dei nostri cari, non vi consentiremo più di associare la nostra immagine a quella di un’isola criminale, non vi consentiremo più di fare vignette che ledono la dignità di un’isola che, di fatto, è stata la culla dell’Occidente. Ora basta.”, conclude il primo cittadino.
Sulla vicenda è intervenuto anche Marcello Lala, portavoce regionale della Campania di Italia viva: “Non è satira né cronaca. E’ soltanto un’offesa al dolore di una comunità, al dolore delle famiglie e al dolore dei parenti delle vittime”. “Il dolore non può mai essere ridicolizzato – aggiunge – soprattutto nel momento in cui le operazioni di soccorso, per estrarre altri corpi, sono tuttora in corso”.
ISCHIA. ALLUVIONE DI CASAMICCIOLA, AL CONDUTTORE GIUSEPPE BRINDISI: BASTA FALSITA’! DI ALDO PRESUTTI. Da Redazione il 28 Novembre 2022 su teleischia.com.
Aldo Presutti titolare dell’Hotel Solemar, interviene stigmatizzando il comportamento Giuseppe Brindisi, conduttore di Zona Bianca, nonchè di molte televisioni nazionali, per come viene affrontato l’argomento alluvione e soprattutto la tragedia che ha colpito Casamicciola Terme e l’isola d’Ischia.
Ecco la lettera aperta:
Come ormai accade sempre, la stampa, informazioni televisiva, ma in particolare i programmi come zona bianca condotta dal Sig. Brindisi, non sanno fare altro che dare delle informazioni errate in una circostanza drammatica come quella accaduta a Casamicciola Terme a Ischia.
The show must go on.
Parlare stupidamente che questa tragedia naturale, possa essere causa dell’abusivismo e pura follia e demagogia.
Inoltre parlare di 28 mila richieste di condono, come ci fossero 28 mila case costruite senza licenze e pura demagogia propagandistica.
Di questi 28 mila richieste in sanatoria, il 95% si tratta di piccoli lavori e modifiche alle case, come un allargamento di una finestra o altre piccole modifiche.
Inoltre il sistema politico e burocratico italiano in particolare nel mezzogiorno, non esiste un piano regolatore che consente modificare e migliorare case, alberghi e altro.
Noi italiani abbiamo due gravi difetti: mancanza del proprio amore per il nostro paese e parlarne male in giro.
Concludo: invito agli vari Sig.ri Brindisi e conduttori italiani, di smettere di usare drammi, per aumentare l’audience dei loro programmi.
Sono indignato e schifato di tale propaganda squallida.
Faccio i mie complimenti al Sindaco di Lacco Ameno Giacomo Pascale, che malgrado l’atteggiamento puerile e vigliacca di Brindisi ieri sera nel suo programma Zona Bianca e riuscito a mantenere la calma, cercando di fare chiarezza.
ISCHIA. ALLUVIONE CASAMICCIOLA. SANNINO: “SMETTETELA DI PARLARE DI ABUSIVISMO, ABBIATE RISPETTO PER LE VITTIME”. Da Redazione il 28 Novembre 2022 su teleischia.com.
La notizia dell’alluvione a Casamicciola sta provocando molte reazioni, così sui social il cantante Andrea Sannino:
Nemmeno 24 ore da una tragedia, nemmeno il tempo di recuperare vittime,
uomini, donne, bambini, nemmeno il tempo rintrovarle tutte….
E voi cosa fate ?
Avete il barbaro coraggio di andare in Tv
su tutte le emittenti nazionali
a parlare …sempre e solo “parlare”
di abusivismo, di illegalità nell’edilizia
e bla bla bla..
In qualsiasi altra parte del mondo una montagna frana e si parla di calamità naturale accade ad Ischia ed è subito colpa degli ischitani?! Non dico nemmeno che non sia cosi, c’è abusivismo?
Ok! Ma vi sembra logico e opportuno parlarne quando ancora sotto al fango ci sono bambini.
Ma la prima cosa che dovreste fare, non sarebbe di precipitarvi li per aiutare a spalare o magari attivarvi per far si che arrivino subito aiuto e sostegno ??
Poi ricordate, che dove c’è abusivismo, c’è stato al 100% un politico che ha mangiato!!
e adesso andate in Tv a fare tutti i MORALISTI !!
E CHE CAVOLO!!! Io non sono di Ischia, ma non riesco a non schierarmi a favore di questa gente che vive un dramma e magari da ieri, se mai hanno avuto il tempo, vi vede in tv e si deve pure sentire in colpa senza alcun motivo !!!
PORTATE RISPETTO PER GLI ISCHITANI!!
RISPETTO PER ISCHIA!!
AVETE ROTTO LE SCATOLE,
TACETE …e FATE QUALCOSA !!!”
Nello Trocchia per editorialedomani.it l’1 Dicembre 2022.
Dopo la frana che ha colpito l'isola di Ischia c’è un sindaco che difende il suo territorio e, sui giornali e in televisione, si batte contro l’idea diffusa di addebitare ogni colpa dell’ennesima tragedia all’atavica e irrisolta questione dell’abusivismo edilizio.
«Quando ci sono tragedie al nord si parla di abusivismo? Stiamo parlando di un pezzo di montagna che si è staccato ed è arrivato a valle, una cosa mai vista», dice. Si chiama Giacomo Pascale e in famiglia ha avuto un problema: la casa della madre era abusiva e ha ottenuto, nel 2021, il permesso di costruire in sanatoria.
Da chi? Dal comune di Lacco Ameno, settore urbanistica ed edilizia, comune dove il figlio è sindaco. Il tutto rispettando le norme e le leggi vigenti.
«Se il ministro Gilberto Pichetto Fratin si riferisce a quanto accaduto a Casamicciola credo che non sappia di cosa stiamo parlando. Se il discorso è in generale faccia una legge che prevede l’arresto dei sindaci. Se pensa che così risolve il problema proceda subito», ha detto Pascale, nelle scorse ore, replicando al ministro dell’Ambiente che ha evocato le manette per i sindaci.
La storia di famiglia tiene dentro vent’anni di condoni e articoli inseriti in decreti, come quello Genova che risale al primo governo Conte, quello con Di Maio e Salvini a fare i burattinai dell’esecutivo.
La pratica della signora risale addirittura all’anno 2003, quando al governo c’era Silvio Berlusconi che regalava all’Italia il terzo condono, il primo lo aveva firmato l’amico Bettino Craxi e il secondo sempre lui, l’allora cavaliere di Arcore.
La madre dell’attuale sindaco richiedeva così la concessione edilizia in sanatoria proprio ai sensi della legge 326 del 2003, appena approvata, per gli interventi abusivi consistenti «nella realizzazione di un’unità immobiliare ad un livello destinata a uso residenziale», si legge nella pratica.
Una casa a un piano, a Lacco Ameno, e Di Costanzo faceva legittimamente richiesta secondo la legge che premiava gli abusivi del mattone.
La storia era ancora aperta, nel 2019, quando la proprietaria presentava a integrazione della domanda di condono edilizio un’autocertificazione ai sensi delle norme, regionali e nazionali, che si erano susseguite negli anni.
«Nel 2017 c’era stato un terremoto e la cosa era stata colpita dal sisma, mia madre è una terremotata», racconta il sindaco Pascale che non si sottrae alle domande.
Quell'area ricade nella zona dei vecchi centri urbani adiacenti ad aree di interesse ambientale, la pratica è stata accolta perché ha ottenuto nel 2019 dalla commissione locale per il paesaggio un parere favorevole perché non ostruisce punti panoramici.
L’autorizzazione, firmata dall’architetto Alessandro Dellegrottaglie, ripercorre le leggi in materia fino al decreto Genova, con l’articolo 25 nel quale vengono definite le istanze di condono «relativi agli immobili distrutti o danneggiati dal sisma del 21 agosto 2017», come la casa dei genitori del sindaco.
Nell’articolo c’era scritto che le procedure sono definite previo rilascio del parere favorevole da pare dell’autorità preposta alla tutela del vincolo paesaggistico. Un parere che è arrivato nel novembre 2019.
Così la storia si è chiusa, nel 2021, a distanza di 19 anni dalla richiesta di condono con tanto di pubblicazione del permesso nell’albo pretorio dell’ente.
Il comune è guidato da Giacomo Pascale dal 2015, riconfermato nel 2020 quando ha battuto un potente ras di Forza Italia, Domenico De Siano, ex coordinatore del partito azzurro in Campania e già deputato, oggi nel terzo polo renziano. Una volta vicini poi avversari.
«Il condono per mamma'», titolava il quotidiano dell’isola Il Dispari lo scorso anno raccontando la storia. Ma perché per gestire la pratica ci sono voluti 19 anni?
«Questa pratica di condono era assoggettata alla 326 (il condono del 2003) e non era stata esaminata nei tempi dovuti. È stata esaminata perché la casa è stata colpita dal sisma, dovrebbe entrare nel piano di ricostruzione, la pratica sarà valutata dalla struttura commissariale».
È servito l’articolo 25? «Sotto questo aspetto, sì, ma non si può dire che non sarebbe rientrata comunque», dice prima di difendere quella norma, fortemente attaccata dalle associazioni ambientaliste.
«È stata fatta perché quando abbiamo avuto il terremoto il 99 per cento del patrimonio edilizio poteva rientrare nelle tre leggi di condono, le cui pratiche erano ancora inevase. Il legislatore è intervenuto per fare rientrare i proprietari nello status di terremotato».
Proprio come la casa della madre del sindaco, ma quello era un abuso di necessità? «Dentro ci sono i sacrifici dei miei genitori, quella zona non ha vincoli. Una storia comune, comunque alla fine mia mamma ha pagato 50mila euro di oneri», conclude. E l’abuso non c’è più.
Gimmo Cuomo per corriere.it il 6 dicembre 2022.
È stato trovato il corpo della dodicesima vittima dell’alluvione di Ischia: il cadavere è stato recuperato dai vigili del fuoco nella zona del parcheggio del Rarone, ai piedi di via Celario, dove è confluita gran parte della frana staccatasi dal monte Epomeo. Il corpo è di Maria Teresa Arcamone. Gli ultimi tre corpi erano stati ritrovati il 1 dicembre.
Funerali in forma privata
E intanto l’estremo saluto ai familiari vittime della frana avverrà senza la solennità del funerale pubblico. Un rifiuto che suona come uno schiaffo alle istituzioni che non hanno evitato il disastro. La decisione è maturata lunedì pomeriggio, nel corso di una riunione nella basilica di Santa Maddalena, la chiesa della zona di Casamicciola maggiormente colpita dalla frana.
Il «Corriere del Mezzogiorno» aveva anticipato il «no» ai funerali di Stato da parte della signora Angela Senese, la cognata di Nicolinka Blagova, la donna bulgara che proprio qualche giorno prima della disgrazia aveva ricevuto la cittadinanza italiana. «Non vogliamo i funerali di Stato e soprattutto non vogliamo che i politici vengano in chiesa». Un messaggio chiarissimo.
Tre distinte cerimonie
Funerali dunque in forma privata, e ogni famiglia darà l’addio ai propri cari in un momento diverso. È la scelta dei familiari delle vittime della frana di Casamicciola: il primo rito funebre a essere celebrato, mercoledì a Lacco Ameno, sarà quello di Eleonora Sirabella e Salvatore Impagliazzo. Eleonora fu la prima delle persone sepolte dalla lava di fango ad essere ritrovata dai soccorritori, il giorno dopo l’alluvione. Per questo funerale i familiari hanno chiesto di proteggere il riserbo del proprio dolore non ammettendo cronisti e fotografi in chiesa.
Il sindaco Pascale ha proclamato il lutto cittadino e ha chiesto ufficialmente agli organi di informazione di «tenere spente le telecamere e ai fotografi di non scattare foto, nel rispetto di quanti piangeranno i propri cari. Domani la professione deve cedere il passo al rispetto e al dolore di quanti hanno rifiutato i funerali di Stato proprio per stringersi in forma più ristretta».
Si terranno sabato ad Ischia Porto le esequie di Gianluca Monti, della moglie Valentina e dei tre figli Francesco, Michele e Mariateresa. Venerdì invece si svolgeranno, sempre ad Ischia Porto, quelli di Maurizio Scotto Di Minico, della moglie Maria Giovanna Mazzella e del piccolo Giovanni (di appena 21 giorni). Tutte le cerimonie religiose saranno celebrate dal vescovo di Ischia e Pozzuoli, monsignor Gennaro Pascarella.
R-Ischia. Report Rai.PUNTATA DEL 05/12/2022 di Manuele Bonaccorsi
Collaborazione di Federico Marconi
Frana a Ischia: vittime e dispersi. Disposto lo stato di emergenza.
Ischia 27 novembre: 12 morti. Politici e giornali hanno puntato il dito contro l’abusivismo che peró non sarebbe il vero vulnus di questa vicenda. La frana, che si è generata in un posto non edificato e si è scaricata sulle abitazioni di via Celario nel comune di Casamicciola, ha investito alcune case abusive ma regolari: in base alle carte non si trovavano in una zona a rischio idrogeologico. Quanto sono attendibili questi documenti?
R-ISCHIA Di Manuele Bonaccorsi Collaborazione Federico Marconi Immagini Carlos Dias Montaggio Riccardo Zoffoli
VOLONTARIO È l’inferno sotto, è l’inferno. Noi dovremmo essere più coscienziosi del territorio dove cui viviamo, dobbiamo cercare di capire il nostro territorio, come gli animali.
VOLONTARIO Sono le prime terme di Ischia, sotto Fernandino II.
MANUELE BONACCORSI È una struttura antica, vedo.
PROPRIETARIO TERME Antichissima, 1854, i primi stabilimenti a nascere sull’isola. Sorti su una sorgente che è al piano di sotto.
MANUELE BONACCORSI Quale epoca?
PROPRIETARIO TERME Epoca Borbonica. Re Ferdinando II, è venuta giù questa valanga di fango, acqua, pietre e ha inondato tutto.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO L’isola votata come la più bella al mondo quest’anno ne esce sfregiata. Ecco, politici e giornali hanno puntato il dito contro l’abusivismo. Il ministro dell'Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, ha dichiarato che avrebbe voluto il carcere per «i sindaci e chi lascia costruire». Il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, gli ha risposto. «Io i sindaci li vorrei proteggere e liberare dalla burocrazia». Ha risposto anche in modo molto ruvido l'Anci, l'associazione dei comuni, che ha definito «di una volgarità inaccettabile – le parole del ministro - e che denotano una grave ignoranza dell’argomento». Sulle responsabilità istituzionali invece è intervenuto con tweet il sentare Matteo Renzi, ha ricordato il condono contenuto nel "Decreto Genova", ha risposto però l’ex premier Giuseppe Conte, ha detto che il “Decreto Genova” non contiene alcuno condono, semmai c’erano delle regole per snellire le procedure per quelle 27mila richieste fatte, presentate in occasione dei veri condoni:1985 legge Craxi-Nicolazzi, 1994 governo Berlusconi, 2003 ancora governo Berlusconi. Ecco, quelle regole avrebbero consentito a chi aveva fatto richiesta, una volta ottenuto il condono di poter accedere ai fondi per la ricostruzione post terremoto del 2017. Ora la notizia è che l’abusivismo, seppur bruttissima cosa, in questa vicenda non c’entra. La frana si è staccata dal monte in un punto dove non si era edificato, e si è scaraventata su un centro abitato, quello di Casamicciola, del comune di Casamicciola, in via Celario dove sostanzialmente c’erano delle abitazioni abusive sì, ma anche quelle regolari, in una zona dove le mappe escludevano rischio idrogeologico e il rischio di frana. Ma quelle mappe erano attendibili? Il nostro Manuele Bonaccorsi.
MANUELE BONACCORSI FUORI Il fiume di argilla che ha invaso Casamicciola viene dall’alto. Il 26 novembre, in seguito a una forte pioggia, a 650 metri di altezza un pezzo del monte Epomeo si stacca dalla cima e cade verso il basso a grande velocità. Decine di migliaia di metri cubi di fango precipitano su un gruppo di case a via Celario, nella zona superiore del paese. Sono le cinque del mattino. Per gli abitanti non c’è scampo.
MANUELE BONACCORSI Lei, un geologo?
GEOLOGO ANONIMO Sono un volontario dell’ordine dei geologi.
MANUELE BONACCORSI Questa roba qui la doveva capire il piano di assetto idrogeologico, ho capito bene?
GEOLOGO ANONIMO Sì.
MANUELE BONACCORSI E che diceva su queste zone qui?
GEOLOGO ANONIMO Vedi le carte e capisci, io non ti posso dire niente.
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO I piani di assetto idrogeologico sono i documenti che mappano il rischio frana di tutto il Paese. Redatti dopo la tragedia di Sarno del 1998, quando l’Italia si accorse di quanto fosse grave il rischio idrogeologico, il loro aggiornamento è curato dalle Autorità di Bacino.
MANUELE BONACCORSI Il vostro Comune era a conoscenza che le zone quelle dove la frana, la furia della frana, ha sbriciolato le case, era una zona a rischio dal punto di vista idrogeologico?
GIOVAN BATTISTA CASTAGNA - SINDACO CASAMICCIOLA TERME 2014-2022 No, perché in sostanza la prima zona colpita dove c'erano le prime abitazioni, è zona bianca, quindi non porta nessun rischio idrogeologico. Quello che sta a monte, a 650 metri, sì.
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Questa è la mappa di Ischia. L’intero monte Epomeo è zona rossa, rischio massimo. Il quartiere di via Celario, quello distrutto dalla frana che si trova subito sotto la montagna, è di colore bianco. Nessun rischio.
MANUELE BONACCORSI Come si spiega questa cosa qui?
GIOVAN BATTISTA CASTAGNA - SINDACO CASAMICCIOLA TERME 2014-2022 È chiaro che oggi con l'accaduto si mette tutto in discussione.
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Enzo Di Noto, geometra da vent’anni lavora nell’ufficio tecnico del comune di Casamicciola.
MANUELE BONACCORSI Questi immobili che sono venuti giù erano regolari o no?
ENZO DI NOTO - GEOMETRA COMUNE CASAMICCIOLA TERME Erano regolari perché hanno l'istanza di condono. Il fabbricato nello specifico del povero Monti Gianluca, è un fabbricato oggetto di 724, secondo condono. Le mappe che noi abbiamo, gli strumenti che ci hanno dato in mano sono quelle che ci dicono che là è zona bianca.
MANUELE BONACCORSI Quello era un immobile che avrebbe raggiunto la sanatoria?
ENZO DI NOTO - GEOMETRA COMUNE CASAMICCIOLA TERME Per come stanno i piani sì. Però le dico anche un'altra cosa. Sono stati sono state fatte molte richieste di definizione di fabbricati che ricadono a vincolo idrogeologico. Noi in ufficio li teniamo tutti fermi. Non è stato rilasciato nessuno a vincolo idrogeologico.
MANUELE BONACCORSI Se il piano del rischio idrogeologico avesse messo quegli appartamenti in zona rossa, sarebbero stati gli appartamenti sicuramente a demolire?
GIOVAN BATTISTA CASTAGNA - SINDACO DI CASAMICCIOLA TERME 2014 - 2022 Sicuramente da demolire, cioè che non potevano appunto essere legittimati.
MANUELE BONACCORSI C'erano decreti di abbattimento che riguardavano quella zona?
ENZO DI NOTO - GEOMETRA COMUNE CASAMICCIOLA TERME Ce n'è stato uno in linea d'aria distante un centinaio di metri, che è stato demolito dalla Procura. Non ricordo bene due o tre anni fa.
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO I livelli di rischio indicati nel Piano di assetto idrogeologico sono molto importanti: definiscono le zone in cui si può costruire oppure no. Le case abusive che possono essere sanate e quelle che invece dovrebbero essere invece abbattute. E sulla base del Piano si definiscono anche gli interventi di messa in sicurezza del territorio. A Casamicciola erano previste opere di mitigazione del rischio per oltre 4 milioni di euro.
MANUELE BONACCORSI Questi lavori erano stati finanziati molti anni fa, ma ancora non erano stati appaltati o sono stati appaltati molto recentemente. Se questi lavori fossero stati fatti speditamente questa frana sarebbe stata meno grave?
GIOVAN BATTISTA CASTAGNA - SINDACO CASAMICCIOLA TERME 2014-2022 No, assolutamente no. Riguardava tutta un'altra zona che non certamente era la zona Celati dove si è originata appunto la frana.
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO A gestire il Piano di assetto idrogeologico sono le autorità di bacino, enti pubblici sottoposti al ministero dell’Ambiente. La zona di Ischia dipende dal Distretto dell’appennino meridionale, diretto dalla geologa Vera Corbelli.
VERA CORBELLI - SEGRETARIA AUTORITA’ DI BACINO DISTRETTUALE DELL’APPENNINO MERIDIONALE Allora quel piano è stato redatto nel 2002.
MANUELE BONACCORSI Mi perdoni, scusi, quindi vuol dire il piano di Ischia in questo momento risale al 2002, a vent’anni fa.
VERA CORBELLI - SEGRETARIA AUTORITA’ DI BACINO DISTRETTUALE DELL’APPENNINO MERIDIONALE No, è stato aggiornato scusi.. forse non … 2010, 2010.
MANUELE BONACCORSI Senza modificazioni particolari, a quanto mi hanno detto.
VERA CORBELLI - SEGRETARIA AUTORITA’ DI BACINO DISTRETTUALE DELL’APPENNINO MERIDIONALE No, alcune modificazioni ci sono state.
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Con l’aiuto di un tecnico abbiamo verificato le diverse versioni delle mappe riguardanti Ischia. Dopo quella del 2002 e l’aggiornamento del 2010 ne è stata rilasciata un’altra nel 2015. Sono tutte perfettamente identiche. Gli aggiornamenti, secondo le relazioni di accompagnamento, sono avvenuti “senza il ricorso a nuove indagini di campo”
VERA CORBELLI - SEGRETARIA AUTORITA’ DI BACINO DISTRETTUALE DELL’APPENNINO MERIDIONALE Con le valutazioni che furono fatte all’epoca, risultavano zone che non erano, non potevano essere invase da flusso. Io ho cercato di capire anche chi ha elaborato quel piano, persone preparate. E l’hanno fatto con metodi geologico, geomorfologico, scientificamente basate.
MANUELE BONACCORSI Ma in questi vent’anni c’è un geologo, un tecnico, un esperto che è salito in quella montagna a verificare che le condizioni erano rimaste uguali, o se qualcosa si era modificato e quindi era il caso di modificare la mappa?
VERA CORBELLI - SEGRETARIA AUTORITA’ DI BACINO DISTRETTUALE DELL’APPENNINO MERIDIONALE Allora dottore, lei pensi quanti territori abbiamo in Italia con quella pericolosità e rischio. Vede quanti tecnici di cui sono dotati le autorità di bacino e anche le Regioni? Bene, qua bisogna fare uno sforzo in più. MANUELE BONACCORSI Quanto personale lei è in grado di muovere per andare a verificare i costoni di montagna, come quello del monte Epomeo, che in tutto il sud d’Italia potrebbero franare con le piogge da un momento all’altro? Quanti? Il numero.
VERA CORBELLI - SEGRETARIA AUTORITA’ DI BACINO DISTRETTUALE DELL’APPENNINO MERIDIONALE Noi di tecnici che fanno rilievi geologici ne abbiamo circa 70.
MANUELE BONACCORSI 70 per quanti chilometri quadrati di territorio di territorio da controllare?
VERA CORBELLI, SEGRETARIA AUTORITA’ DI BACINO DISTRETTUALE DELL’APPENNINO MERIDIONALE 68mila km quadrati, quindi parecchi.
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Ogni tecnico dovrebbe quindi controllare circa 1000 km quadrati. Ma il problema è che negli ultimi anni le conoscenze scientifiche e gli strumenti tecnologici si sono evoluti, mentre i piani di assetto idrogeologico sono rimasti gli stessi.
VITTORIO BOVOLIN – DIPARTIMENTO INGEGNERIA CIVILE UNIVERSITA’ DI SALERNO Chi ha realizzato queste carte le ha fatte con l'idea che poi ci sarebbe stato un secondo e un terzo passo.
MANUELE BONACCORSI cioè continuare ad approfondire, a studiare il territorio?
VITTORIO BOVOLIN – DIPARTIMENTO INGEGNERIA CIVILE UNIVERSITA’ DI SALERNO Assolutamente. È un piano dinamico, deve essere continuamente aggiornato Se la domanda è: ma queste carte sono adeguate? La mia risposta è: sì, sono adeguate per il momento e le conoscenze con cui sono state redatte.
MANUELE BONACCORSI Sono carte adeguate per il 2002 e non per il 2022.
VITTORIO BOVOLIN – DIPARTIMENTO INGEGNERIA CIVILE UNIVERSITA’ DI SALERNO Non hanno tenuto conto di tutti gli approfondimenti scientifici.
MANUELE BONACCORSI FUORI CAMPO Il problema è che queste vecchie mappe sono confluite in quelle del commissario Giovanni Legnini, ex deputato, ex sottosegretario del governo Renzi, ed ex vicepresidente del Csm e commissario per la ricostruzione dopo il sisma di Ischia del 2017. Aveva preparato un piano di ricostruzione, che prevedeva anche la demolizione delle case giudicate a rischio. Il piano è ancora inedito, ma noi siamo riusciti a ottenere una bozza datata 11 novembre 2022. Legnini conosce bene il territorio, per questo il primo dicembre è stato nominato anche commissario di governo per la frana.
MANUELE BONACCORSI Come può essere che nel Piano di ricostruzione la zona di via Celario risultava bianca, tranquilla, non a rischio.
GIOVANNI LEGNINI – COMMISSARIO DELEGATO DI GOVERNO PER LA FRANA DI ISCHIA Quello non è il piano di ricostruzione, quella è la carta del Pai.
MANUELE BONACCORSI Anche nel piano di ricostruzione…
GIOVANNI LEGNINI – COMMISSARIO DELEGATO DI GOVERNO PER LA FRANA DI ISCHIA Ma il piano di ricostruzione si basa sulla carta del Pai.
MANUELE BONACCORSI Quindi è il piano di assetto idrogeologico il baco di questa situazione qui, la parte che non ha funzionato.
GIOVANNI LEGNINI – COMMISSARIO DELEGATO DI GOVERNO PER LA FRANA DI ISCHIA Non so se definirla così. È chiaro che gli studi geologici disposti dalla Regione per la redazione del piano, si basano, partono da quelle carte lì. L’ingegner Loffredo, le spiega con precisione tutto.
MANUELE BONACCORSI Però a ragion veduta, questo era un errore, lei che ne pensa da tecnico?
GIANLUCA LOFFREDO – SUBCOMMISSARIO STRAORDINARIO RICOSTRUZIONE SISMA 2016 Bisognerà approfondire.
MANUELE BONACCORSI Dopo quello che è successo voi il piano lo dovrete modificare?
GIANLUCA LOFFREDO – SUBCOMMISSARIO STRAORDINARIO RICOSTRUZIONE SISMA 2016 Vabbe’ questa è una bozza, è evidente, ci sarà uno studio da fare approfondito. SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO In Italia ci si muove sempre solo dopo le tragedie. È successo anche dopo Sarno 1998, dove sono morte 160 persone. Il giorno dopo si è corsi a redigere i piani di assetto geologico, ma sono state fatti con mezzi poveri, mezzi di allora, senza rilevazioni satellitari, e per mancanza di risorse non vengono neppure aggiornati neppure difronte a eventi atmosferici sempre più violenti, neppure per quelle zone considerate a rischio come Ischia. Insomma, lì è stato aggiornato nel 2010 però insomma mettendo insieme le mappe si vede che sono simili a quelle precedenti del 2002, non vorrei che avessero fatto come il piano pandemico sul mancato aggiornamento. Fatto sta che su quelle carte quella zona dove si è staccata la frana, è precipitata la frana è considerata zona bianca, non a rischio idrogeologico, mentre il monte dove si è staccata è zona rossa. Ecco questa anomalia emerge anche dalle carte che sono in possesso del commissario Legnini, che è stato incaricato dopo il terremoto del 2017, di ricostruire e di abbattere le case a rischio. Quelle case dove si è abbattuta la frana, non erano considerate a rischio l’abbiamo visto dalle carte che ha recuperato il nostro Manuele Bonaccorsi. Ora Legnini ha detto probabilmente modificheremo le mappe, sono errate. Ma oramai è tardi, ora non ci rimane che due possibilità. O continuare lo sterile cinguettio o mettere in atto delle soluzioni per salvare vite umane, ci sarebbero 774 abitazioni che sono in zone considerate a rischio, da abbattere. Ma qualcuno avrà il coraggio di farlo?
Uski Audino per “La Stampa” il 29 novembre 2022.
Tra chi piange per la tragedia di Ischia c'è anche un'affezionata frequentatrice, l'ex cancelliera Angela Merkel. «È con grande sgomento che seguo le notizie del disastro del maltempo e delle relative frane a Ischia» ha reso noto in una dichiarazione pubblicata sulle pagine del suo sito ufficiale l'ex cancelliera.
«Conosco bene l'isola, mi sono affezionata a lei e alla sua gente. Sono in lutto con loro per le vittime e il mio pensiero va alle famiglie, a tutte le persone colpite dal disastro e ai soccorritori» ha aggiunto la cancelliera che per decenni ha frequentato l'isola insieme al marito Joachim Sauer.
La coppia per anni è stata ospite fissa durante le vacanze di Pasqua dell'Hotel Miramare di Sant' Angelo a Ischia. Amante delle acque termali e delle passeggiate nella natura del monte Epomeo, Merkel ha sempre difeso la sua privacy confondendosi tra i turisti, con scarpe da trekking e anonime giacche a vento.
Da qualche giorno invece, dopo mesi di ritrovato e agognato anonimato, Merkel è tornata nel cono di luce della pubblica opinione. Nel corso di un'intervista a Spiegel - che sta facendo discutere - la cancelliera sostiene di aver intuito la pericolosità di Vladimir Putin già a giugno del 2021 e di aver tentato di intervenire senza averne più avuto la forza «perché tutti sapevano che me ne sarei andata in autunno».
Nell'ultima visita al Cremlino, Putin le ha fatto capire con chiarezza di non ritenerla più un'interlocutrice. «Per Putin conta soltanto il potere», chiosa Merkel. Ieri dalle pagine di Bild le ha risposto seccato il consigliere di Zelensky, Mykhailo Podolyak: «Perché dice solo a fine cancellierato che Putin capisce solo il potere? Non era chiaro?».
Demagogia fa molti più danni...Frana a Ischia, se succede in Germania è disastro ambientale se succede in Italia è colpa dell’abusivismo. Paolo Liguori su Il Riformista il 29 Novembre 2022
Siamo un Paese condannato dalla demagogia, dal populismo, dalle frasi fatte e dal puntare l’indice sempre sugli altri. Qualche anno fa in Germania c’è stata un’alluvione spaventosa con oltre duecento morti, la colpa di quell’alluvione era il riscaldamento climatico. A Ischia è avvenuto uno dei tanti dissesti idrogeologici ma la colpa è l’abusivismo!
E poi bisogna cercare i responsabili dei condoni. Si affastellano così l’una sull’altra, le indicazioni di colpevolezza e di responsabilità. Alla fine tutti siamo responsabili, nessuno escluso. Ma soprattutto da un’incuria territoriale su cui noi non c’entriamo perché è dai tempi degli antichi romani che si costruisce su zone vulcaniche e a rischio geologico. Qualcuno avrebbe il coraggio di abbatterle? Si, c’è l’abusivismo storico.
Poi c’è il discorso della speculazione degli abusi e dei condoni, una balla tra le più demagogiche e le più clamorose. Il problema vero del condono non è che si fa il condono ma che ci sono migliaia di pratiche ferme che nessuno ha il coraggio di deliberare distinguendo tra quelli stupidi e quelli gravi che non si dovrebbero fare. I condoni per pollai, stie, pensiline, piccole terrazze restano affastellate perché i funzionari hanno paura di assumersi la responsabilità di firmare e sottoscrivere il condono.
La televisione fa vedere le case sospese nel vuoto e quelle case crollate a Ischia. Se non ci fosse stato il condono qualcuno sarebbe andato ad abbatterle? Qualcuno sarebbe andato con le ruspe? (Cosa che non hanno fatto neppure con i Casamonica a Roma), oppure mi chiedo: Forse non sarebbero crollate se non fossero state condonate? Questa discussione ex post, fatta a buoi già scappati, serve solo a fare politica, a scaricare le responsabilità e fare una grande demagogia.
In Germania è il riscaldamento climatico, in Italia l’abusivismo. Da noi non sono le emissioni a produrre il riscaldamento – produciamo sempre meno -, sono il terreno vulcanico, il terreno franoso. Non bisognerebbe costruirci, certo, ma qualcuno vuole abbattere tutto quello che è costruito? Nessuno avrebbe il coraggio di farlo. Allora dicono ‘arrestate i sindaci’, e perché non i segretari comunali o i vigili? Questa è la demagogia italiana che fa molti più danni dell’abusivismo (presunto o vero), delle frane, degli smottamenti e dei terremoti. Paolo Liguori
Da iltempo.it il 5 dicembre 2022.
“L’abusivismo, pur se brutta cosa, non c’entra con la frana e i morti”. Ad occuparsi della frana di Ischia è il programma Report, condotto da Sigfrido Ranucci, che nell’edizione del 5 dicembre approfondisce le cause che hanno portato alla tragedia per la quale c’è ancora una donna dispersa oltre ad undici morti: “La frana si è schiantata su una zona dove oltre a quelle abusive c’erano anche case regolari e che era considerata zona bianca secondo i Piani di Assetto Idrogeologico. Ora la notizia è proprio questa, come mai era considerata zona bianca e cosa ha comportato?”.
“Le mappe per i piani di assetto idrogeologico, realizzate dopo la tragedia di Sarno del 1998, dove sono morte 160 persone, sono state fatte nel 2002 ma andavano aggiornate - si osserva nel corso della trasmissione di Rai3 - Anche in virtù del territorio notoriamente a rischio e soprattutto perché negli anni gli eventi atmosferici sono cambiati e diventati più violenti. Ufficialmente, le mappe di Ischia sarebbero state aggiornate nel 2010 e poi ancora nel 2015, ma abbiamo capito che sono sostanzialmente la fotocopia di quelle vecchie. Nessuno è andato a verificare con strumenti adeguati la zona”.
La denuncia di Ranucci prosegue: «Si tratta di un ‘copia e incolla’ come per il piano pandemico sul Covid... Ora, il problema è che quelle mappe sono confluite nelle carte di Giovanni Legnini, nominato nel 2017 commissario per la ricostruzione del terremoto di Ischia”. Report ha potuto vedere le abitazioni distrutte dalla frana, che erano considerate sicure: “Se quelle di Casamicciola sono giudicate sicure, perché lo indicavano le mappe, ce ne sarebbero 774 da abbattere perché collocate in zone a rischio. Ma visto che ora si sono resi conto che le mappe potrebbero essere non corrette perché realizzate 20 anni fa, con strumenti inadeguati, è probabile che le rivedranno, così almeno dice lo staff di Legnini. Ma come si fa allora a procedere all’abbattimento delle case a rischio? Oltre a cinguettare sui social avranno il coraggio di farlo?”.
Giulia Merlo per editorialedomani.it il 5 dicembre 2022.
La frana di Ischia, non si è schiantata solo su edifici abusivi, ma anche su case edificate regolarmente in un’area che era contrassegnata come bianca per il rischio idrogeologico, secondo il Piano di assetto idrogeologico (Pai), una mappatura che non è stata più aggiornata dal 2015 e che è confluita anche nel piano per la ricostruzione del terremoto.
Da qui parte la puntata di Report di oggi su Rai3 alle ore 21.30, nella quale Manuele Bonaccorsi ha indagato se davvero fosse imprevedibile non tanto la frana, quanto la distruzione delle case costruite in quel punto.
All’origine di ogni valutazione, ha verificato Report, ci sono le mappe per il piano di assetto idrogeologico. L’interrogativo, quindi, è come e quando siano state redatte. E, alla luce di quanto è successo, le mappe che vengono oggi utilizzate in tutta Italia per i pericoli idrogeologici sono da considerarsi attendibili?
I piani di assetto idrogeologico, realizzati dopo la tragedia di Sarno del 1998 che è costata la vita a 160 persone, mappano il rischio frana di tutto il Paese e il loro aggiornamento è curato dalle autorità di Bacino. Le mappe definiscono i livelli di rischio: le zone in cui si può costruire perchè non rischiose oppure no; le case abusive che possono essere sanate perchè non si trovano in punti del territorio pericolosi dal punto di vista idrogeologico e quelle che invece dovrebbero essere abbattute perchè si trovano nelle cosiddette zone rosse, dove il rischio di catastrofi come quella di Ischia è altissimo.
Queste mappe risalgono al 2002 e sono state aggiornate nel 2010 e di nuovo ancora nel 2015, ma l’aggiornamento specifica che non ci sono «nuovi rilevamenti sul campo». E avrebbero dovuto essere aggiornate di nuovo, visto che il territorio di Ischia e non solo è notoriamente a rischio.
Formalmente, secondo Report che ha potuto visionare in esclusiva le carte, il piano aggiornato nel 2010 sarebbe, in buona sostanza, una fotocopia di quello precedente: nessuno si sarebbe preoccupato di verificare con strumentazione adeguata come i cambiamenti climatici hanno impattato sulla zona, modificando le condizioni di rischio. Infatti, i piani nazionali non sarebbero stati aggiornati con rilevazioni da effettuare con le nuove tecnologie disponibili e più accurate nella valutazione dei rischi. Per quanto riguarda Ischia, le mappe aggiornate nel 2010 e visionate da Report avrebbero solo poche modifiche per quel che riguarda l’isola e nessuna che riguardi la zona di Casamicciola.
Report ha intervistato Vera Corbelli, direttrice dell'Autorità di Bacino distrettuale dell'Appennino meridionale, che ha competenza sul Piano. Corbelli ha ammesso le difficoltà da parte dell'autorità che guida ad aggiornare le mappe: il Distretto meridionale, copre dal basso Lazio alla punta della Calabria e ha a disposizione soltanto 70 geologi per un territorio di 68 mila chilometri quadrati. Un geologo ogni mille chilometri quadrati.
Il piano di assetto idrogeologico è stato copia-incollato anche nel piano di ricostruzione redatto da Giovanni Legnini, ex vicepresidente del Csm e sottosegretario del governo Renzi, commissario per la ricostruzione dopo il terremoto sull’isola del 2017 e ora per la frana di Ischia. Report si è procurato una bozza inedita dell’11 novembre 2022, che definisce quali immobili di Casamicciola vanno ricostruiti e quali no. Questo piano mostra che la zona di via Celario, dove sono morte le persone nella frana della scorsa settimana, era ritenuta zona bianca anche dal Piano di Ricostruzione redatto dalla Regione Campania e in fase di approvazione da parte di Legnini. Il commissario, intervistato da Report, ha specificato che «il piano di ricostruzione si basa sul piano di assetto idrogeologico» e che serviranno nuovi rilievi per modificare la mappa del rischio.
L’anomalia sulle mappe individuata da Report, quindi, chiarisce quale potrebbe essere il cortocircuito: continuando a utilizzare il piano di assetto idrogeologico attuale anche per il piano di ricostruzione, si imporrebbe l’abbattimento di molte abitazioni abusive, ma probabilmente non si tratterebbe di quelle che oggi davvero si trovano in zone ad alta pericolosità. Con il risultato che, pur facendo opera di eliminazione degli edifici non costruiti secondo le regole e nei luoghi in cui l’edificazione è permessa, non si eviterebbero comunque nuove tragedie come quella della settimana scorsa. «Per ora c’è solo una bozza, ci sarà da fare uno studio approfondito», ha ammesso alle telecamere di Report l’ingegner Loffredi, che fa parte della struttura di Legnini come commissario del governo.
Barbara Gerosa per milano.corriere.it il 9 dicembre 2022.
Una frana di grosse dimensioni si è staccata nel primo pomeriggio di venerdì in provincia di Lecco. Dal Pizzo d’Erna e si è riversata sulla carreggiata della nuova Lecco-Ballabio, la diramazione della superstrada 36 che porta in Valsassina. I macigni hanno colpito un furgoncino andato completamente distrutto. Il materiale roccioso ha ostruito l’ingresso della galleria Giulia, all’altezza di Versasio. Sul posto i vigili del fuoco e il personale sanitario. La circolazione è stata interrotta in entrambi i sensi di marcia.
Le due persone a bordo del furgoncino sono riuscite a uscire autonomamente dai finestrini, miracolosamente illese. Si tratta di due fruttivendoli, zio e nipote di 66 e 24 anni, di Introbio (Lecco). Sotto choc, sono stati presi in consegna dagli operatori sanitari del 118 e accompagnati al pronto soccorso all'ospedale Manzoni di Lecco. Non hanno ferite. Ai soccorritori hanno detto: «Siamo vivi per miracolo».
Trombe d'aria e maremoti. Il maltempo senza tregua mette in ginocchio il Sud. Frane in Puglia e Calabria, via all'unità di crisi. Curcio: Italia fragile. Onde anomale a Stromboli. Tiziana Paolocci il 5 Dicembre 2022 su Il Giornale.
Nubifragi, bombe d'acqua, trombe d'aria e neve. L'Italia anche ieri ha vissuto una domenica di maltempo, particolarmente severa al sud. Il capo della Protezione civile Curcio ieri mattina ha riunito l'unità di crisi. «Una notte intensa per piogge che sono cadute nel Catanzarese, nel Messinese e parte della Puglia - ha detto Curcio -. La situazione attuale è lo specchio di un Paese fragile. La perturbazione ha lasciato il Sud del Paese. Ma potrebbero arrivare perturbazioni sulla parte tirrenica a Nord».
Questo weekend di pioggia ha causato diversi problemi. Sabato notte un violento acquazzone si è abbattuto sul Catanzarese, soprattutto sulla fascia ionica. La pioggia intensa ha provocato l'allagamento di strade e scantinati. In località Martelletto è esondato il fiume Fallachello e i vigili del fuoco hanno avuto un bel da far per aiutare i cittadini bloccati in casa e nelle auto. Il sindaco di Catanzaro ha annunciato che chiederà lo stato di calamità. «È stata una notte di grande trepidazione e angoscia - ha detto il sindaco -. La bomba d'acqua che ha colpito la nostra città non era stata prevista da nessun bollettino meteorologico e non era stata preceduta da nessuna allerta». Una cinquantina nel pomeriggio le abitazioni allagate nel comune di Cutro a causa dell'esondazione del fiume Tacina che scorre al confine tra le province di Crotone e Catanzaro. Sei nuclei familiari sono stati evacuati e ospitati in un ostello. I cittadini di Steccato di Cutro in alcuni casi hanno dovuto utilizzare delle barche per poter raggiungere le case e soccorrere le persone che vi erano bloccate all'interno. Il sindaco di Capo Rizzuto, colpito nella notte da una tromba d'aria, ieri ha invitato i cittadini a non uscire di casa e a stare lontani da tetti e pali dell'illuminazione pubblica. Diverse anche le auto trascinate via dall'acqua. Un vecchio traliccio dell'energia elettrica si è abbattuto su un'abitazione in località Le Cannella sfondando il tetto e finendo nel bagno di una casa.
A Simeri Crichi, le squadre hanno aiutato una donna travolta dall'acqua all'interno della sua abitazione. Preoccupante anche la situazione nel Salento, dove è stata diramata l'allerta arancione. I comuni maggiormente colpiti sono stati quelli di Ugento, Lequile, San Pietro in Lama, Carmiano e Novoli, dove si è staccata la copertura impermeabilizzante del lastricato solare di una Rsa. Una tromba d'aria ha causato diversi danni anche in provincia di Lecce, dove gli alberi sono crollati su case e auto in sosta. Anche la linea ferroviaria regionale è stata danneggiata: sospesi i collegamenti tra Catanzaro lido e Crotone e tra Catanzaro lido e Lamezia Terme mentre a Simeri Crichi diversi metri di rete ferroviaria risultano appesi nel vuoto.
A Napoli nella notte c'è stata una forte grandinata e i parchi cittadini sono rimasti chiusi mentre a Roma sabato la pioggia non si è fermata un attimo. A Ischia, invece, è stata un'altra notte fuori casa per gli sfollati, ma si cerca di tornare alla normalità. Riprenderanno oggi le lezioni per la scuola dell'infanzia, la primaria e per le scuole medie di cinque comuni di Ischia ad esclusione di Casamicciola. Mercoledì, invece, riprenderanno anche quelle degli istituti superiori di tutti i comuni mentre per Casamicciola si saprà oggi. Il Messinese, invece, ha dovuto dare la conta dei danni, per i torrenti tracimati sabato. Gli acquazzoni avevano preso in ostaggio molte famiglie, allagando case e cantine. I problemi più seri a Milazzo, Terme Vigliatore e Barcellona Pozzo di Gotto, dove i vigili del fuoco hanno lavorato anche ieri insieme alla Protezione civile regionale, e hanno potuto contare su pompe idrovore e mezzi, provenienti da Palermo, Caltanissetta, Enna e Catania. Sono crollati anche muri e porzioni di strade. Qualcuno è rimasto bloccato anche in auto e in un centro commerciale. A Milazzo il sindaco Pippo Midili parla di danni per almeno un milione di euro. «Non ci sono vittime, ma una famiglia è stata sfollata perché è crollato il tetto dell'abitazione - ha sottolineato -. Un'altra donna è stata salvata: era uscita dalla sua auto ma era rimasta bloccata per oltre un'ora in mezzo nell'acqua». Infine ieri pomeriggio due frane di lava sulla Sciara del Fuoco a Stromboli sono cadute in mare, sollevando le onde e provocando uno tsunami di circa un metro e mezzo. Immediatamente sono suonate le sirene d'allarme e non vi sono danni o feriti.
Senise come Ischia, Lucia salva per miracolo dalla frana che cancellò la sua famiglia. L’eco della devastazione di Ischia riaccende in lei il ricordo del crollo di un intero rione nel 1986. Mariapaola Vergallito su La Gazzetta del Mezzogiorno il 04 Dicembre 2022
È un terribile gioco del destino quello in cui moltissimi elementi della tragedia di Ischia appaiono come l’esatta fotocopia di quella che sconvolse Senise, con la frana di collina Timpone. In entrambi i casi la terra è scivolata a valle all’alba, il 26 del mese (a Senise era il luglio del 1986); la storia del cane che cerca disperatamente la sua famiglia che non tornerà più (ad Ischia un lupetto bianco finito chissà come nell’auto e a Senise il cane color sabbia che vagava sulla terra arida sotto il sole di quell’estate). Su tutto, però, le vittime: tra le otto di Senise c’erano tre fratelli e una neonata. Come a Ischia. Giovan Giuseppe (21 giorni) come Francesca (32 giorni). Le vittime più piccole. «Ho pensato subito a quello che è accaduto a noi. Sinceramente non sono riuscita a guardare le immagini in televisione, perché erano le stesse che ho rivisto, anni dopo, nei filmati che raccontavano la frana di Senise. Troppo dolore».
A parlare è Lucia Formica, la più piccola tra i sopravvissuti del terribile smottamento lucano. Aveva 4 anni e sopravvisse miracolosamente assieme ai cuginetti, i fratellini Gianni e Francesco. Perirono i loro genitori, i tre fratellini Durante Maria, Maddalena e Giuseppe. E Francesca, appunto, la sorellina di Lucia. La raggiungiamo a casa sua e...
DISSESTO IDROGEOLOGICO. Potenza, la frana cade sulla Statale 18 e finisce sulla spiaggia di Castrocucco. Paura ma nessun ferito. Il governatore Bardi: «Il mio impegno per la comunità di Maratea. Salvini in contatto con l'Anas. L'assessore alle Infrastrutture: «Domani in Regione il tavolo emergenziale». Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 30 Novembre 2022.
MARATEA (Potenza) L’assessore regionale della Basilicata alle Infrastrutture, Donatella Merra, ha convocato per domani mattina, alle ore 9.30, un tavolo emergenziale «per valutare i danni e le immediate misure di contenimento da assumere dopo la frana che ha colpito Maratea nelle prime ore di questa mattina, provocando la caduta a valle dei detriti sulla strada statale 18 sino alla spiaggia».
Lo ha reso noto l’ufficio stampa della giunta lucana, specificando che al tavolo, che si riunirà negli uffici dell’assessorato regionale, parteciperanno anche il sindaco di Maratea, Daniele Stoppelli, e dirigenti di Anas, Protezione Civile.
«La Ss 18 - ha aggiunto Merra - è un’arteria fortemente condizionata dai fenomeni di caduta massi in tutta la sua estensione soprattutto per questo sono stati avviati e procedono celermente i necessari lavori, per complessivi 47 mln di euro, della variante alla ss 18 secondo il cronoprogramma prefissato. Si tratta, in particolare, della realizzazione di due tratti in galleria che - ha proseguito - risolveranno definitivamente queste criticità ma nel frattempo fronteggeremo con tutte le risorse a nostra disposizione l’annoso problema della caduta massi che compromette la sicurezza viaria della comunità di Maratea e di tutti gli utenti che utilizzano quel percorso. Dopo l'incontro di domani saranno forniti ulteriori aggiornamenti sulle decisioni adottate. La Regione - ha concluso l’assessore - come già avvenuto per gli eventi calamitosi di metà ottobre scorso che colpirono le frazioni Castrocucco e Contrada Marina, è al fianco della Comunità marateota scossa da questi infausti eventi e la sosterrà sia in termini di interventi e finanziamenti che con tutta la solidarietà umana necessaria».
E' di queste ore la notizia del tavolo emergenziale, dopo che stamattina la pioggia incessante e un territorio già fragile causano una frana che si è staccata stamani, prima dell’alba, a Castrocucco di Maratea (Potenza), da un costone roccioso che sovrasta la strada statale 18, chiusa al traffico in entrambe le direzioni. Secondo le prime verifiche, il crollo non ha coinvolto persone.
La frana ha ricoperto e danneggiato circa 100 metri della strada, dove i carabinieri sono intervenuti per bloccare la circolazione automobilistica: con l’arrivo sul posto dei Vigili del fuoco e di personale dell’Anas, la strada è stata chiusa e il traffico è stato deviato su un percorso alternativo. Stamani nella zona sono cominciati «approfonditi sopralluoghi», ai quali partecipano tecnici della Protezione civile della Regione Basilicata, per stabilire «la reale entità dei danni, che al momento appaiono ingenti».
Non si tratta di un episodio isolato. Già in passato ci sono state frane in quella zona, nonostante gli interventi di consolidamento del costone che si sono effettuati, ma inutilmente. Il problema delle frane resta una ferita aperta, per tutti i disagi che ne conseguono, non solo in termini di sicurezza ma anche di viabilità.
Vito Bardi, presidente della Regione Basilicata, ha già fatto sapere che «La Regione è impegnata ad affrontare tutte le emergenze che si stanno verificando in queste settimane a causa del maltempo, a partire da quella di Maratea». Bardi ha continuato sostenendo che «il mio pensiero e il mio impegno» sono rivolti alla comunità di Maratea. Nella stessa nota, il governatore ha sottolineato l'impegno della giunta regionale per contrastare le conseguenze del dissesto idrogeologico, «nell’ambito delle proprie competenze e nei limiti delle disponibilità finanziarie previste».
Anche il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini è in stretto contatto con i tecnici Anas per la frana che ha interessato il Comune di Maratea. Lo fanno sapere fonti del ministero. L’obiettivo è ripristinare la circolazione in condizioni di totale sicurezza nel più breve tempo possibile.